Il cinema di Zhang Yimou 9788880122449, 8880122444

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Il cinema di Zhang Yimou
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L'Editore si dichiara disposto ad assolvere i suoi impegni nei confronti dei proprietari dei diritti di riproduzione di immagini qui pubblicale che non è riuscito a raggiungere nel corso della preparazione del volume.

© 2003 Mani - Microart’s Edizioni, via dei Fieschi 1 16036 Recco - Genova Tel. 0185 730153-11 www.leinanicditore.com c-mail: [email protected] Grafica di Manco Vùnercati ISBN 88-8012-244-4

Indice

Introduzione

Pag. VII

Zhang Yimou c la Quinta generazione Cenni biografici La tabula rasa L’unità di produzione giovanile e Uno e otto Terra gialla Tienanmen prima di Tienanmen Wu Tianming e la nuova politica degli autori Tirando le somme sulla Quinta generazione

M a “ “ “ “ “

3 8 13 16 20 22 28

Stile libero: un nuovo linguaggio cinematografico Zhang Yimou dentro e fuori la Quinta generazione: il caso Sorgo rosso M 33 Un linguaggio finalmente popolare “ 36 Le mille sfumature del rosso “ 40 L’arbitrarietà del simbolo e del rito u 43

Una sfida allo sguardo M 47 Tra orizzonti chiusi e aperture al reale “ 50 L’indccifrabilità del mondo contemporaneo ° 55 Un ponte tra Oriente e Occidente: Zhang Yimou e il cinema transnazionale “ 58 Corpi, volti, immoralità, potere: l’azione centripeta dell’individuo Sistemi e individui U volto come paesaggio Gong Li

V

M *’ M

66 69 72

Zhang Yimou

L’uomo e la donna Immoralità e dissolutezza Corpi di donne I volti del potere

“ “ u “

74 81 84 90

Spazi alternativi al reale Economia socialista di mercato Certe tendenze del cinema diZhang Yimou La famiglia come universo esploso Un mondo semplice? Dall'individuo alla comunità

u 95 u 98 “ 104 u 107 M 112

Le analisi dei film Sbfgo tosso Nome in codice. "OperazionePuma" Ju Dou Lanterne rosse La storia di Qiu Ju Vivere! Shanghai Triad La triade diShanghai Lumière et compagnie Keep Cool Non uno di meno La strada verso casa La locanda della felicità Hero

“ “ u u u M " w “ “ ° “ “

Bibliografia essenziale

- 215

Indice dei nomi e dei film

“ 225

VI

117 125 128 136 146 156 163 169 172 182 192 198 206

Introduzione

Per introdurre un regista come Zhang Yimou, sviluppato­ si come autore nell’ambito della cosiddetta Quinta genera­ zione cinese e divenuto uno dei talenti della scena cinema­ tografica internazionale solo in seguilo, è stalo necessario il­ lustrare determinati fenomeni cinematografici pressoché sco­ nosciuti in Italia, cercando di colmare, sia pur sommaria­ mente, le profonde lacune sul cinema cinese che si sono create a livello enti o negli ultimi due decenni. 13 pubblicazione italiana più recente sul cinema cinese rì­ sale ormai a venl’anni fa, precisamente al 1982, anno in cui Marco MiìUer curò per Electa il volume Ombre elettriche, sag­ gi e ricerche sul cinema cinese, che, pur fennandosi al pe­ riodo della Rivoluzione culturale per ovvie ragioni cronolo­ giche, costituisce ancora oggi una fonte imprescindibile nel panorama editoriale italiano per chi voglia conoscere il ci­ nema della Cina popolare. Negli anni intercorsi tra la pub­ blicazione di quel libro e quella del presente volume si so­ no moltiplicati, entro i limiti di un settore di nicchia come quello dell’editorìa cinematografica, gli studi sulle cinemato­ grafìe di Taiwan e Hong Kong, nonché su alcuni registi che negli anni Novanta sono stati riconosciuti a livello interna­ zionale in quanto autori (John Woo, Wong Kar-wai). Sul ci­ nema della Cina continentale, invece, che per questioni geo­ grafiche, politiche ed economiche appare importante almeno quanto quelli delle altre due “cine”, paradossalmente si è ve­ nuto a creare un vuoto critico pressoché assolino.

VII

Zbatjg Ytmou

Questo volume su Zhang Yimou va a riprendere ideal­ mente, e senza avere la pretesa di esaurirlo, il discorso sul cinema cinese proprio nel punto in cui quel libro di Mùller l’aveva interrotto, ovvero all’inizio degli anni Ottanta, poco dopo l’esaurirsi della Rivoluzione culturale, proprio mentre uscivano dalla Scuola di Cinema di Pechino coloro che, in­ sieme a Zhang, sarebbero stati i membri della Quinta gene­ razione. Se l’analisi dei film di Zhang Yimou non ha certo potuto esaurire i molteplici aspetti di una cinematografia tan­ to vasta e complessa, per diversi buoni molivi si è rivelata invece un punto di vista privilegiato non solo sul cinema ci­ nese degli anni Ottanta e Novanta, ma anche su un paese la cui società va mutando radicalmente e freneticamente spe eie negli ultimi tempi. Da un punto di vista strettamente cinematografico l’espe­ rienza di Zhang è forse una tra le più contraddittorie e, pro­ prio per questo, provocatoriamente stimolanti del cinema ci­ nese. Nella prima fase della sua carriera il regista ha avuto il coraggio ma anche l’abilità di proporre una serie di per­ sonaggi femminili decisamente nuovi per il panorama cine­ matografico del proprio paese, figure mosse da violente pas­ sioni e in continua lotta con le istituzioni sociali che sono valse ai suoi film il riconoscimento del pubblico occidenta­ le, piacevolmente sorpreso dall’incontro con un’immagine ina­ spettatamente esotica della Cina, ma che in patria spesso han­ no dovuto scontrarsi con il veto della censura c con un sen­ timento di perplessità da parte di molti spettatori. Avido spe­ rimentatore di forme narrative c rappresentative tra le più di­ verse, Zliang ha sottoposto a una ‘Verifica” spesso stringen­ te molli tra i generi cinematografici più popolari, dal melo­ dramma a\Vaction-movie, daU’affresco storico alla commedia, dal film di ambientazione rurale con interpreti non profes­ sionisti al kolossal epico con un cast di grandi star che si esibiscono nelle ardite acrobazie aeree tipiche del genere wuxiapian. Quasi incapace di capitalizzare i successi conse­ guiti, e dunque di riproporre i medesimi moduli narrativi ed espressivi, Zhang ha fatto del continuo cambiamento di sti le, di una sorta di ineffabilità critica, la propria cifra più evi­ dente. È un altro dei paradossi di questo regista che vuole

vni

Introduzione

soLLrarsi allo status di autore (almeno così conic lo si inten­ de in Occidente) per ritagliarsi un ruolo da “onesto artigia no”, o che forse, più semplicemente, è obbligato a farlo (co me altri suoi colleghi) a causa della condizione di “libertà vigilata” in cui c costretto a lavorare come nini gli intellet­ tuali cinesi. Più di recente il suo percorso d’autore sembra aver subi to una svolta per così dire “didattica”: non più una sfida al­ lo sguardo (soprattutto a quello cinese, da lui stesso defini­ to più volte come troppo inibito) attraverso un’esplorazione delle forme della rappresentazione, ma la necessità di co inimicare nella maniera più diretta possibile la propria vi­ sione (niente affatto ottimista) della società cinese al volge­ re del millennio. -Devo assolutamente restare in Cina. Qui c dove vivo, dove ogni cosa mi è familiare, dove ho fatto tut te le mie esperienze-, dichiarava senza mezzi termini il re gista alcuni anni fa in un’intervista1 nella quale sembrava vo­ ler smentire una generica etichetta di “autore internazionale’ cucitagli addosso frettolosamente dalla critica dopo i succes­ si riscossi dai suoi primi film nei festival cinematografici pii importanti. Era la conferma di un’ostinata fedeltà verso ur legame originario c profondo con una realtà della quale Zhang si è dimostralo negli anni severo conoscitore e argu­ to interprete, al di là delle critiche mossegli dai suoi deUattori pronti a stigmatizzare impietosamente i suoi cedimenti nei confronti del regime, fi proprio in virtù di questo nesso tra autore e società che ci si è soffermali, olire che su quel­ le caratteristiche dell’opera di Zhang Yimou più strettamen­ te cinematografiche, anche su una serie di tematiche legate direttamente a quello che forse con troppa disinvoltura vie ne definito “miracolo economico” e che invece si rivela spes so come un misto di tradizioni ancestrali, utopie di regime e pericolosi slanci verso il futuro. Fuori da questo quadre contraddittorio risulterebbe davvero arduo comprendere co­ me possano coesistere all'interno di un medesimo corpus filrr I. Rcnéc Schoof, Zhang Yimou: Only Possible Work Environment li China, in Frances Gateward (a cura di). Zhang Yimou Interviene University Press of Mississippi, Jackson 2001, p. 71.

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Zbang Yimou

dai messaggi tanto diversi come, ad esempio, Sorgo rosso e Hero (un inno all’individualismo c alla ribellione il primo, un elogio del sacrificio di sé della centralità del potere il se­ condo) o l'equilibrio formale di lanterne rosse e l’altrettan­ to sapiente disannonia di Keep Cool. Proprio di questo coa­ cervo di questioni Zhang ci sembra uno degli interpreti più attenti, e la sua opera un punto di osservazione molto par­ ticolare dal quale riflettere sui vertiginosi cambiamenti dei quali sarà protagonista la Cina nei prossimi decenni. EC. e M.D.G. Avvertenza

Gli autori hanno discusso insieme l’impostazione, il me­ todo e i contenuti del libro. La stesura finale è stata così ri­ partita: Marco Dalla Gassa ha curato i capitoli Zhang Yimou e la Quinta generazione. Corpi, volti immoralità, potere: ra­ zione centripeta dell'individuo, Spazi alternativi al reale, non­ ché le analisi dei film La storia di Qiu Ju, Keep Cool, la lo­ canda della felicità', Fabrizio Colamartino il capitolo Stile li­ bero: un nuovo linguaggio cinematografico, e le analisi dei film Sorgo rosso, Nome in codice: Operazione Puma, Ju Dou, Lanterne rosse. Vivere!, la triade di Shanghai, Lumière et compagnie. Non uno di meno, La strada verso casa, Hero.

Criteri per la citazione dei film Per una maggiore chiarezza nella lettura del testo pen­ siamo sia utile illustrare schematicamente i criteri adottali nel­ la citazione dei film cinesi (e non). - Tutte le pellicole distribuite in Italia sono citate con il ti­ tolo indicato dalla casa di distribuzione italiana (cs. Sor­ go rosso, Keep cool. Le biciclette di Pechino) - Per i film non distribuiti nel nostro paese, abbiamo pre ferito, laddove possibile, inserire il titolo internazionale o la traduzione letterale in inglese del titolo originale (cs. King of the Children, Black Cannon Incident)

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Introduzione

- Per i restanti lungometraggi cinesi dì cui non esiste tito­ lo internazionale o traduzione in inglese (principalmente le opere balletto della Rivoluzione culturale) abbiamo la sciato il titolo originale nella trascrizione pinyin (es. Ziqu Weihushan> Hongse niangzijurì). L’unica “significativa” eccezione c rappresentata dai film in cui ha lavorato, o come regista o come direttore della fo­ tografìa, Zhang Yimou: in questi casi, per rendere più scor­ revole e agevole la lettura, abbiamo preferito inserire alla pri ma occorrenza il titolo originale e, tra parentesi, la tradu zione letterale in italiano - cs. Huang tudi (t.l. Terra gial­ la)— e, successivamente, solo la traduzione letterale in ita­ liano {Terra gialla),

Ri ngraziamenii Un sentito ringraziamento a Silvio Alovisio, Cristina Co­ stelli, Marco Ddmastro, Giacomo Daniele Fragapane, Fabri­ zio l^i Rosa (20th Cenniry Fox Italia), John A. Lent, Audrey Minei (East-West Center, Honolulu), Corrado Neri, Giovannella Rendi, Stefania Stafutti, Dario Tomasi. Un grazie particolare a Luisa Mariani Valerio per la pa­ ziente opera di traduzione, correzione, incoraggiamento cor cui ha accompagnato la stesura del volume.

XI

Il cinema di

Zhang Yimou

Zhang Yimou e la Quinia generazione

•Non ho deciso di fare il regista perché amavo il cinema, ma per­ ché sapevo che era una possibilità per migliorare il mio destino, un modo per uscire da una strada già tracciata-. Zhang Yimou1

Cenni biografici

Zhang Yimou nasce a Xi’an, capoluogo dello Shaanxi, una provincia settentrionale della Cina, il 14 novembre 1950: c passaro poco più di un anno dalla fine della guerra civile e dalla nascila della Repubblica Popolare Cinese, proclamata da Mao Zedong il 1 ottobre 1949 in una solenne cerimonia in piazza Tienanmen a Pechino. Nato esattamente alla metà del secolo, in un momento di transizione tra due sistemi po­ litici, Zhang sembra far proprio il segno della transitorietà dei tempi, dì quell'inquietudine che contraddistingue ogni passaggio storico e che connoterà effettivamente il suo per­ corso di regista diviso tra passato e futuro. Figlio di un ex ufficiale dell’esercito del Gnomindang. cresce in una famiglia che sta dalla pane sbagliala della barricata: il padre, considerato un nemico dei popolo dal governo comunista, non ha diritto a un’occupazione stabi le, la madre, che è medico rurale, c la sola a poter lavo­ rare. TI prezzo più pesante che la famiglia Zhang è costretta a pagare, prima ancora della povertà, è la marginalità so­ ciale: in anni in cui l’azione politica punta alFeliminazione (spesso anche fisica) di chiunque sia contrario alla linea go­ vernativa, attraverso delazioni, autodenunce, punizioni pub1. Lynn Pan, Chinese Master. Zhang Yimou is one of the wofid's best movie directors, -The Guardian-, 21 marzo 1992, p. 54,

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Zbang Yimou

bliche2, confinamenti in campi di “rieducazione”, esclusio­ ne da qualsiasi ruolo pubblico, la famiglia del futuro regi­ sta, vista la “fedina penale” sporca, è tra quelle maggior­ mente sospettate di attività sovversiva. La conferma arriva dai racconti dello stesso Zhang: no­ nostante sia uno studente brillante, soprattutto nelle materie artistiche e in disegno, Fimpossibilità di aderire alle organiz­ zazioni giovanili che fanno capo al Partito Comunista, il ca­ rattere chiuso, il sentirsi diverso dagli altri lo rendono indi­ pendente, maniro e orgoglioso nel suo isolamento3. Il regime, intanto, alterna momenti di cauta liberalizza zionc ad altri di dura repressione: si passa dalla stagione mo­ deratamente liberale denominata dei “Cento fiori” e delle “Cento scuole” (siamo nel 1956), a una di segno opposto che, l’anno seguente, colpisce duramente gli “elementi di de­ stra”, ovvero coloro che, approfittando del periodo di libertà d’espressione, avevano sollevato critiche sul dirigismo del re­ gime e la burocrazia del partito; se nel ’58 il Partito inau­ gura la stagione del “Grande balzo in avanti” collettivizzan­ do la produzione industriale del paese, in capo a un paio di anni si decide di ritornare all’iniziativa privata. In altre pa­ role, si instaura un’abitudine tutta cinese che consiste nel lan­ cio di grandi campagne di massa, radicali ed estreme, pro­ poste a pochissimi anni di distanza le une dalle altre e, il più delle volte, in contraddizione tra loro. Un modo di agi­ re che ha un’importanza decisiva nella costruzione dell’i­ dentità e del pensiero delle generazioni più giovani perché tali campagne, tendendo a bilanciarsi o ad annullarsi tra lo ro, producono un nefasto (oltre che paradossale) effetto di conservazione dello status quo, nonché un senso di frustra zione e di inadeguatezza a cui i coetanei del futuro regista 2. Una chiara rappresentazione di queste denunce pubbliche si trova nei film di Chen Kaige Addio mia concubina (1993), nella scena in cui Cheng Dieyi c Duan Xiaolou, i due protagonisti, sono co­ stretti a inginocdiiarsi al cospetto delle guardie rosse e a insultar­ si vicendevolmente. 3. Cfr. Rafael Alcaine, Chen Mei-Hsing, Zhang Yimou, Ediciones JC, Madrid 1999, p. 83.

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Zbang Yimou e la Quinta generazione

tenteranno di ribellarsi dando vita nel ’66 alle prime agita­ zioni che porteranno allo scoppio della Rivoluzione cultura­ le4. Zhang ha sedici anni e frequenta la scuola superiore. È la prima “riforma” che si appresta a vivere consapevolmen­ te, anche se non da protagonista, vista la giovane età c il passato nazionalista della sua famiglia. Come molti altri suoi coetanei residenti nelle città5, viene inviato nelle campagne per contribuire alla “diminuzione del­ le differenze tra città e campagna”, per ricevere una nuova educazione volta all’apprendimento dei lavori manuali e al­ l’abolizione di ogni differenza (di classe, di cultura, di in­ dottrinamento) tra gli individui. Era convinzione degli agita­ tori della Rivoluzione culturale che la nuova società sociali­ sta dovesse poter contare sulla polivalenza e l’intercambia­ bilità degli individui, in punica sull’annientamento dei singolarismi, della tecnica, delle specializzazioni, della profes­ sionalità. Il regista, in tal senso, può essere considerato il simbolo dell’applicazione fedele, e al contempo del fallimento clamoroso, di questa filosofia: prima di passare alla regia, in­ fatti, sarà successivamente (e, in un’occasione, anche con­ temporaneamente) operatore alla macchina, fotografo di sce­ na, co-sceneggiatore, attore, dimostrando una versatilità da 4. La miccia che fa esplodere la Rivoluzione culturale arriva significa­ tivamente dal mondo dello spettacolo: un articolo di uno scono­ sciuto giornalista di Shanghai, Yao Wenyuan, attacca un dramma dello scrittore Wu Han su Hai Rui, uno degli eroi rivoluzionari. Benché apparentemente poco importante, l’articolo sarà decisivo per le sorti politiche della Cina poiché mette in evidenza i contrasti in remi al Partito tra la corrente moderata, guidata da Deng Xiaoping e da Liu Shaoqi, che prevedeva un avvicinamento graduale al so­ cialismo, e l'ala radicale, i cui esponenti principali erano Lin Bino (responsabile deirindottrinamento dell'esercito) e Jiang Qing (mo­ glie di Mao), che spingeva verso l’accelerazione del processo rivo­ luzionario. 5. -A partile dall'autunno 1968 e lungo due anni buoni si incominciò a mandare in missione oltre cinque milioni di “giovani istruiti", de­ stinandoli nelle più remote campagne (...] da dove si spierà va di non vederli tornare tanto presto. Prima della morte di Tse-aing (Ze­ dong, n.d.a.) nel 1976, furono “ruralizzati" dai dodici ai venti mi­ lioni di "giovani istruiti"-. Cfr. Bruno De Marchi (a cura di), Terra giada. Materiali per /’intelligenza de! cinema delle tre Cine. Euresis Edizioni, Milano 1999, p 48.

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Zbang Yimou

vero rivoluzionario, ma adempirà ogni mansione con una ta­ le precisione, pignoleria e padronanza della tecnica tali da diventare, di fatto, insostituibile, quasi come un artista lina’ scimentale. Una bella vendetta, vista col senno di poi. Già nel 1966, poco dopo lo scoppio dei primi moti ri­ voluzionari, la famiglia Zhang viene “sciolta" a causa dei vecchi trascorsi nazionalisti: il padre d trasferito per molivi di lavoro nella provincia dello Shanxi (da non confondere con quella di origine, lo Shaanxi), la madre “arruolata" co­ me medico generico in un campo di lavoro. Due anni più tardi, nel ’68, è la volta di Yimou che, separatosi dai fra­ telli, va a lavorare nelle campagne di Xianyang come con radino. Mentre i suoi coetanei europei occupano università e fabbriche provando a “fare la rivoluzione”, spesso impu­ gnando quel libretto rosso al quale molto del suo successo deve la Rivoluzione culturale, il diciottenne Zhang vive il suo Sessantotto coltivando la terra. La sua esperienza agri­ cola dura tre anni, durante i quali ha la possibilità di spe­ rimentare sulla propria pelle la dura vita dei campi, le con­ dizioni di miseria in cui versa la maggioranza dei contadini cinesi, la fatica del lavoro. Sono anni destinali a segnare la vita e soprattutto la carriera cinematografica di Zhang: dal­ le prime esperienze come direttore della fotografia (c il ca­ so di Iluang ludi, t.l. Terra gialla, di Chen Kaige) fino al­ le interpretazioni (in Lao jing, t.l. Vecchio pozzo, di Wu Tianming impersona un contadino), dai suoi esordi dietro la mac­ china da presa (Sorgo rosso in primis) fino alle ultime pro­ duzioni (cfr. Non uno di meno e Izi strada verso casa) il le­ game con il mondo contadino rimane forte e indissolubile, costituendo uno dei pochi leitmotiv di un percorso poetico per molti versi cangiante e in continua trasformazione. Nel 71 nuove direttive politiche impongono ai giovani precedentemente dispersi nelle campagne di recarsi a lavo­ rare nelle fabbriche: sempre a causa dei trascorsi dei suoi familiari, questi sono provvedimenti die, per il momento, non riguardano Zhang. Solo dopo numerose e pressanti ri­ chieste riesce a trovare lavoro in una fabbrica tessile a Xianyang dove passa ben sette anni, prima come operaio semplice e poi, dal 74, con il ruolo di disegnatore presso il

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Zbang Yimou e la Quinta generazione

“Dipartimento di arti industriali”. È grazie a questo nuovo in­ carico che le capacità artistiche di Zhang vengono poco per volta alia luce. Il suo interesse per l’immagine non si mani­ festa solo attraverso il disegno industriale, ma anche tramite una nuova passione: la fotografia6. Nel frattempo la Rivoluzione culturale ha perso tanto la carica iniziale che le aveva permesso di esplodere quanto gli obiettivi che si era prefissala, avviandosi a un’improvvisa con­ clusione. Il 13 settembre 1976 muore Mao Zedong c, il me­ se successivo, la “Banda dei quattro” viene arrestata e con­ dannata a morte (pena poi tramutata nel carcere a vita). La nuova propaganda non esita ad attribuire gran parte delle nefandezze c degli eccessi della Rivoluzione culturale a que­ sti nuovi capri espiatori. Deng Xiaoping, leader della fazio­ ne moderata, si appresta a prendere le redini del Partito e a inaugurare una stagione di liberalizzazione e di normaliz­ zazione. Il pendolo cambia ancora una volta direzione: co­ minciano le riabilitazioni dei perseguitati c i processi ai per­ secutori, si aboliscono le comuni, i giovani iniziano a tor­ nare dalle campagne nelle città, le università riaprono i bat­ tenti. L’istituto cinematografico di Pechino, cliiuso anch’esso nel 1966 c riaperto solo dodici anni dopo, istituisce un ban­ do di concorso per centocinquanta corsisti, futuri registi, sce­ neggiatori, direttori della fotografia, montatori, scenografi. Mi gliaia sono i candidati presenti alle selezioni e, tra questi, c’è anche Zhang Yimou.

6. Alcuni episodi della sua vita legati a questa nuova passione se gnalano la vicinanza ira il profilo caratteriale del regista e quello di molte protagonists dei suoi film: si racconta, infatti, die Zhang pur di acquistare un apparecchio fotografico sofisticalo che gli ga­ rantisse il miglioramento della sua tecnica si sia sottoposto a ogni sorta di sacrifìcio, arrivando al punto di vendere il proprio sangue per raggiungere la cifra necessaria ad acquistare una -Seagull-. Il 14 dicembre 1974, data dell'acquisto, è considerata, dallo stesso Zhang, il momento in cui ha inizio il suo percorso artistico. (Cfr. Rafael Alcaine, Chen Mei-Hsing, Zbang Yimou, cit., p. R6). Tale detenninazione e tale desiderio di |)erseguirr i propri obiettivi non pos­ sono non ricordare quegli stessi lati del carattere presenti, ad esern pio, in Qiu Ju o in Wei Minzhi.

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Zhang Yimou

La tabula rasa La Rivoluzione culturale aveva letteralmente cancellato il cinema. Molto del “merito” di quest'azione va attribuito a Jiang Qing, attrice cinematografica di secondo piano duran­ te gli anni Trenta, moglie di Mao e membro della cosiddet­ ta "Banda dei quattro”, cui era spettato il compito di riorga­ nizzare il cinema secondo le direttive ideologiche della ri­ voluzione stessa. Nel ridefinire un mezzo di propaganda (a questo veniva ridotto il cinema) che fino alla metà degli an­ ni Sessanta era stato nelle mani dei cosiddetti ''controrivolu­ zionari”, il suo piglio si rivelò deciso e drastico. Per i tre an­ ni successivi al 1966 la produzione di lungometraggi di fin­ zione cessa completamente, si dispone la chiusura delle scuo­ le di cinema, deU’Archivio cinematografico di Pechino e, so­ prattutto, degli studi cinematografici. Molli cineasti vengono perseguitati, compresi quelli con cui Jiang Qing aveva lavo­ rato anni prima: l’ideologia diviene un mero strumento di vendetta personale. Nel 1970-71 iniziano le proiezioni delle “opere modello” del teatro rivoluzionario7, concepite e com­ missionate dalla stessa Jiang: si tratta di balletti filmati8, nient’altro che celebrazioni entusiastiche della rivoluzione che esaltano la nascita della nuova società, un’estremizzazione del 7. Si traila di Ziqu Weibushan (Xie Ticli, 1970), Raimao nù (Sang Hu, 1972), Hongaeng Ji (Cheng Yin, 1970), Sbajia pang (Wu Yaodi, 1971), Ilongse nlangzijun (Su Li, 1972), Dujuan shan (Xie Tieli, 1973), Haigang (Xie Jin e Xie Iteli, 1972).Vedi anche: Marìe-Claire Quiquemelle, Cinema cinese: dalia prima legge di censura alla fi ne dell'era maoista, 1928 78 in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale. Americhe, Africa, Asia, Oceania. l£ ci­ nematografìe nazionali, Einaudi, Torino 2001, pp. 786-8; Paul Clark, La Rivoluzione culturale e le sue conseguenze sulla produzione ci­ nematografica cinese in Marco Miillrr (a cura di), Ombre elettriche, saggi e ricerche sul cinema cinese, Gruppo Editoriale Electa, ‘fori­ no 1982, pp. 99-118. 8. I cosiddetti film-balletto si fondavano su tre regole principali: 1) i personaggi dovevano essere dei buoni socialisti; 2) tra questi oc­ correva esaltare gli eroi della Rivoluzione e definire un eroe prin­ cipale che spiccasse su tutti; 3) per quanto riguarda il linguaggio cinematografico, il personaggio principale doveva essere sempre in primo piano, ripreso dal basso verso l’alto per esaltare le sue do ti, mentre quello negativo doveva apparire sul fondo della scena.

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Zbang Yimou e la Quinta generazione

carattere didattico del mezzo. In pratica si sancisce la mor­ te del cinema, annichilendone non solo l’autonomia ma an­ che la specificità del linguaggio. Perfino negli anni successi­ vi, quando gli stabilimenti di Pechino riprendono a produr­ re qualche opera di fiction, il cinema rimane poco più di un’arma politica. All’indomani della Rivoluzione culturale, dunque, il cine­ ma poteva essere considerato una tabula rasa, un foglio bian­ co sul quale ricominciare a scrivere. Da un lato riprendono a lavorare alcuni dei tecnici c dei registi sopravvissuti alle epurazioni, pronti a ridare vita al melodramma stile anni Ses­ santa, dall’altro si affaccia per la prima volta una nuova ge­ nerazione di cineasti, la Quarta, diplomatasi poco prima del 1966, costretta all’inoperosità fino alla fine dei Settanta c de stinata, tuttavia, a lasciare ben presto il campo a quella suc­ cessiva, ben più agguenita e innovatrice. In Cina il sistema di classificazione dei registi è diverso da quello abitualmen­ te usato in qualsiasi altra parte del mondo, essi non sono raggruppati secondo una poetica comune o l’adesione a un particolare movimento cinematografico, ma in base al perio do in cui debilitano. La ragione di un metodo tanto rigido deriva dal carattere omologante del sistema-cinema cinese che è influenzato più da fattori esterni (come le limitazioni imposte della censura, le concrete possibilità produttive, le esigenze meramente propagandisi ielle), che non da vere ne­ cessità espressive. Si determina così una produzione cine­ matografica pressoché omogenea nei diversi periodi storici, all'interno della quale diventa estremamente difficile discer­ nere percorsi autoriali autonomi o individuare scuole e mo­ vimenti9. 9. La storia Uri cinema cinese conta, fino alla fine degli anni Novan la, sei generazioni: la Prima, Quella del periodo del mulo, lavorò dal 1905 (anno della nascita elei cinema in Cina) al 1931 La Se­ conda operò dal 1931 fino alla Liberazione del 1949 ed è cono­ sciuta come la generazione del cinema progressista o umanista-, i cui esiti migliori arrivavano dagli studi di Shanghai, la Terza, che agì dal '49 all’inizio della Rivoluzione culturale nel 1965, è defini­ ta del -realismo socialista-, ispirata da una parte ai canoni del ci­ nema sovietico e dall'altra ai melodrammi di ispirazione teatrale.

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Zbung Yimou

Quando Zhang decide di presentare domanda per acce­ dere ai corsi dell’istituto cinematografico di Peritino le sue esperienze in campo artistico si riducono a qualche fotogra­ fìa pubblicala su alcuni periodici locali: malgrado la com­ missione esaminatrice gli riconosca un’ottima capacità visiva e buone competenze tecniche, ciò non basta ad aprirgli le porte della scuola dato che, questa volta, è la sua data di nascita a impedire una pur meritata ammissione (ha ventotto anni, e il limite d'età per gli iscritti è di ventidue). I pas­ si che compie per ottenere l’ammissione all’istituto (spedisce una lettera direttamente al Ministro delia cultura nella quale cliiede una deroga al regolamento affermando di aver perso dieci anni della propria vita lavorando per lo Stato c, per di­ mostrare le proprie capacità, allega alcune sue fotografìe), non solo danno un’idea della caparbietà del regista (che si rifletterà, come detto, nei suoi personaggi), ma anche del suo spirito individualista, fortemente segnato da quel personale sentimento di sconfìtta della Storia che caratterizzerà la sua funira poetica. Zhang entra al Dipartimento di fotografia dell’istituto nel 1978 e inizia a nutrire, analogamente ai suoi giovani com­ pagni di corso, la convinzione che sia necessario rinnovare i canoni del cinema del suo paese. In effetti, è proprio du­ rante il periodo della scuola che Zhang conosce gli espo­ nenti di quella che diverrà, nel giro di pochi anni, la QuinConsiderando gli anni della Rivoluzione culturale come i -dicci an­ ni neri- del cinema cinese, quella che compie i primi passi nel 1978 è la Quarta generazione. Gfi esponenti principali di questa genera­ zione sono Wu Tianming, Zliang Nuanxin e Xie Fei. Oltre ad ap­ portare alcune novità in campo stilistico, questi registi eblxrro il ine­ rito dì formare e “lanciare" i cineasti della Quinta generazione en­ trari nellìstiruto di cinema di Pechino alla sua riapertura e diplo­ matisi quattro anni più tardi. La Sesta generazione, che esordisce, più o meno clandestinamente, all'indomani dei fatti di piazza Tie nanmen, è a nnr’oggi attiva e ne fanno parte tanto registi conosciuti anche in occidente come Zhan Yuan (Diciassette anni, 1999) e Wang Xiaoshuai (Le biciclette di Pechino, 20U1) quanto fdmakers e videomakers che gravitano negli ambienti underground. In questi anni si sia affacciando sulle scene cinesi la Settima generazione che trova in Jia Zhangke, autore di Platform (2000), il regista di maggior ta­ lento.

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Zbang Yimou e la Quinta generazione

ta generazione: Chen Kaige, Tian Zhuangzhuang, Ning Ying, Zhang Junzhao, Li Shaohong, Wu Ziniu. Ciò che distingue Zhang e i suoi compagni dalle generazioni di cineasti pre­ cedenti è la fortuna di potersi formare sui resti classici di Kracauer, Bazin, EjzenStejn, e confrontarsi sulle opere delle grandi scuole di cinema europee e americane, nonché su quelle del periodo d'oro del cinema cinese come la produ­ zione di Shanghai degli anni Trenta, finalmente rivalutata an­ che dalle autorità. Come afferma lo stesso autore: -L’influen­ za dei film stranieri agiva più che altro sul nostro modo di guardare le cose, sulla nostra maniera di pensare. Registi co­ me Fellini, Godard, Antonioni ci aiutavano a comprendere che non era tanto importante il modo di girare un film, quan­ to portare avanti le proprie idee-1011 . Gli stessi insegnanti, che avevano sofferto l’oppressione della Rivoluzione culturale (molti di loro facevano pane della Quarta generazione), spro­ nano gli studenti a considerare il cinema un’arte autonoma e con ben altre potenzialità rispetto a quelle fino ad allora espresse. Gli aimi della scuola, in definitiva, possono essere considerati il periodo di incubazione della Quinta genera­ zione, la palestra dei saperi e della voglia di cambiare, il momento in cui matura una nuova consapevolezza delle pos­ sibilità del cinema. Quando nel 1982 Zhang si diploma11, la Cina è profon­ damente cambiata. Deng Xiaoping è saldamente al potere, 10. Jiao Xiongping, Discussing “Red Sorghum", in Frances Gateward (a cura di). Zhang Yimou Interviews, University Press of Mississippi, Jackson 2001, p. 10. 11. Il film con cui Zhang Yimou si laurea direttore della fotografia è Hungpciang (t.L L’elefante rosso, 1982) direno da Tian Zhuangzhuang, Zhang Jianya e Xie Xiaojing. Si tratta di un film per fanciulli, una fiaba magica ambientata presso una delle minoranze etniche del sud ovest della Cina, c narra di tre bambini che tentano di entra­ re in contatto con un elefante ritenuto dalla popolazione una sor­ ta di divinità. In questo esordio dietro la macdiina da presa Zhang -recupera il sintetismo stilistico della pittura tradizionale a penne! lo libero, dando alle riprese un (ratto rapido. Usa inquadrature bre­ vissime, flash narrativi, elementi episcxlici di narrazione collegati assai spesso dalla voce fuori campo Valentina DelfAversana, Lo stile selvaggio. “Nome in codice Leopardo", -Cinemasessanta-, maggio-agosto 1992. p. 29.

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c'è maggiore spazio per l’iniziativa privata (soprattutto in cam­ po economico), e in seguilo alle “quattro modernizzazioni" il paese si avvia verso un sistema capitalistico di stato, in un processo di trasformazione sociale che dura ancora oggi. Se non è possibile parlare di una vera e propria liberalizzazio­ ne, certo si può sostenere che il controllo del partito sulle persone e sulle loro vite si ridimensiona notevolmente. In campo artistico si annuncia un periodo di sperimentazione e di ricerca di nuovi linguaggi: in «ambito letterario, nasce il cosiddetto movimento “delta ricerca delle radici”, costituito da giovani romanzieri le cui opere destano interesse non so­ lo dal punto di vista tematico ma anche per la sperimenta zione di nuove tecniche narrative. Anche in campo cinema­ tografico, malgrado i limiti della censura, si fa sentire il bi­ sogno di un maggiore rinnovamento linguistico, un’esigenza preannunciata da un articolo del 1979 firmato da Zhang Nuanxin e Li duo (7/ cinema cinese e l’evoluzione del lin­ guaggio cinematografico)1213 . Gli autori del saggio affermava no la necessità di emancipare la forma filmica dal suo con­ tenuto, di abbandonare per sempre i modelli teatrali alla ba­ se sia del cinema del realismo socialista sia di quello della Rivoluzione culturale, di affermare l’autonomia del linguag­ gio cinematografico, apprendendo dal cinema internazionale le nuove tecniche narrative e stilistiche e adattandole itila realtà cinese. Nel 1982 i neo diplomati dell’istituto vengono assegnati ai ventidue stabilimenti cinematografici tornati attivi dopo la Rivoluzione culturale: Chen Kaige e Tian Zhuangzhuang ri­ mangono a Pechino, Wu Ziniu viene mandalo nell’Hunan, Zhang Yimou e Zhang Junzhao sono inviati nel Guanxi, tra lutti gli studi cinematografici uno dei più periferici: «Quando lo cercai sulle mappe, mi accorsi che si trovava praticamen­ te in Vietnam!-15. Quella che poteva sembrare Tennesima di­ scriminazione si rivela, al contrario, un’occasione insperata 12. Zhang Nuanxin, Li Tuo, Il cinema cinese e Involuzione del lin­ guaggio cinematografico, in Marco Mlìller e Direzione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (a cura di), Cinemasia 1, Marsilio, Venezia 1983, pp, 87-100. 13. Rafael Alatine, Chen Mei-Hsing, Zhang Yimou, eie. p. 89.

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mente favorevole: mentre i compagni assegnali agli studi più importanti segnano il passo, costretti a fare apprendistato co­ me assistenti di registi già affermati così come impone la tra­ dizionale visione gerarchica cinese, Zhang si ritrova in uno stabilimento che, fin da subito, gli permette di concentrarsi sui propri progetti - non ci sono registi importanti, le ge­ rarchie sono praticamente inesistenti - con la fondamentale garanzia di poter girare film di fiction dalla sicura distribu­ zione14.

L'unità di produzione giovanile e Uno e otto

Negli snidi del Guanxi, i neodiplomati fondano un’-Unità di produzione giovanile» c iniziano la lavorazione del primo film della Quinta generazione15, un war-mouie intitolato Uno e olio (1984). La regia è di Zhang Junzhao, mentre Zhang Yimou è operatore c direttore della fotografia.

14. Il sistema di produzione gioca un ruolo importante nella prima fase della Quinta generazione: fino ai primi anni Novanta è lo stato, e più prec isa mente il Ministero della cultura (nel 1986, la competenza passa al Ministero delia radio, del cinema e della te­ levisione) a stabilire il numero di film che ogni stabilimento ci­ nematografico deve produrre, i budget disponibili e il tipo di di­ stribuzione per ogni pellicola. Il cinema è completamente soste­ nuto dai finanziamenti pubblici, e gli incassi al botteghino e il numero di spettatori non sono fattori così determinanti, dato che la produzione e la distribuzione vengono comunque garantite (a patto, ovviamente, che le oj^ere rispettino i limiti imposti dalla censura). Queste condizioni produttive particolarmente favorevo­ li sono una tra le ragioni della comparsa della Quinta genera­ zione che, al venir meno delle stesse, nel volgere di pochi anni si sarebbe ritrovata priva di uno dei capisaldi della propria sus­ sistenza. 15. A onor del vero il primo film della Quinta generazione non è Uno e otto, bensì Secret Decree (1984) di Wu Ziniu, un altro film di guer­ ra realizzalo negli studi dì Xlaoxiang. 11 film di Wu Ziniu, girato qualche mese dopo, viene distribuito in realta molto prima della pellicola di Zhang Junzhao. Uno e otto, infatti, esce solo nel 1987, poiché numerosi tagli imposti dalla censura ne hanno ritardato la distribuzione.

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Tanto dal punto di vista della storia narrata16 quanto da quello dello stile, Uno e otto rappresenta una netta infrazio­ ne alla tradizione del cinema cine.se. Anche se è un film di matrice propagandistica, teso a esaltare l’eroismo dei cinesi di fronte all’invasore giapponese, e viaggia sui binari rassi­ curanti dell’epica melodrammatica, si distingue, infatti, dagli altri film di guerra cinesi per diversi motivi. Per la prima vol­ ta i protagonisti in positivo della pellicola sono detenuti, spie, assassini, laddove gli eroi degli schermi cinesi erano sempre stali personaggi senza macchia, sorta di prototipi del buon comunista, senza sfumature e mezzi toni. Tali figure stereo­ tipate non si prestavano a indagini introspettive che, d'altro canto, erano giudicate dal regime come sintomi di uno spi­ rito individualista considerato contrario all'ideologia dell’unità delle masse. In Uno e otto invece coloro che rappresentano il volto ufficiale del regime sono mrt’altro che perfetti: l’uf­ ficiale Xu esita di fronte alla scelta di uccidere i prigionieri, I’infermiera Yang è troppo comprensiva verso i detenuti, e anche l’eroe, il capitano Wang, accusato ingiustamente di 16. Il film si svolge durante la guerra cino giapponese e racconta la storia di Wang Jin, ufficiale dell'esercito comunista che. infiltratosi dietro le linee nemiche, viene scoperto e costretto a un’azione di controspionaggio Rilasciato dai giapponesi si imbatte in un distac­ camento dell’An nata rossa e qui viene arrestato perché sospettato di essere un traditore. Malgrado tenti di convincere l’ufficiale Xu della propria lealtà alla patria, Wang viene imprigionato con altri criminali che sono in aucsa di essere giudicati dal Consiglio di guer­ ra. Tra i suoi nuovi compagni- ci sono disertori, assassini e una spia. Durante il trasferimento al quartier generale, Wang ha cxrasione di farsi apprezzare dagli otto malviventi - in un primo mo­ mento sospettosi - grazie alla sua forza, alla sua rctrinidine e al suo coraggio e, quando l’ufficiale Xu decide di uccidere i prigio­ nieri (a suo avviso un inutile peso per l’esercito), Wang convince l’ufficiale a non sprecare utili munizioni contro i propri compatrio­ ti. Nel corso di un assalto dell'esercito giapponese Xu viene colpi­ to: Wang assume il comando r con alcuni prigionieri si rito por­ tando con sé l’ufficiale ferito. Durante la ritirala quasi tutti i crimi­ nali muoiono nel corso di scaramucce con i giapponesi e anche l'ultimo dei delinquenti rimasti al fianco di Wang, poco prima di giungere al quartier generale, si allontana dopo aver giurato so­ lennemente di non commettere più reati.

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spionaggio, diventa il simbolo di una possibile ingiustizia per­ petrata dall’armata comunista contro uno dei propri membri. I nove traditori si ergono al centro della scena ostinali, ri­ belli e cattivi, ma anche dotati di un certo fascino (si pensi alla prima scena del film, un tentativo di evasione da parte degli otto prigionieri, nel corso della quale la macchina da presa indugia sui loro coipi muscolosi), hanno ciascuno un carattere diverso e quindi un proprio profilo psicologico. Le maggiori novità di Uno e otto si impongono, tuttavia, sul fronte dello stile, e rapporto tecnico di Zhang risulta de­ terminante. Gran parte della forza del racconto risiede, in­ fatti, in una fotografia intensamente contrastata, nella scelta dei piani e delle angolazioni di ripresa spesso portati all’e­ stremo, nella dialettica tra luci e ombre, tra spazi chiusi e aperti. Sembra che il film voglia peccare volutamente di for­ malismo: maschcrini, filtri, carrelli, riprese in “effetto notte”, primissimi piani alternati disarmonicamente a campi lunghis­ simi. I.’impatto visivo è inedito perché ogni scelta retorica è strettamente ancorata al contenuto: i prigionieri sono ripresi da angolazioni accentuate per trasporre in immagine la loro “devianza” rispetto alla società (si pensi ai dettagli che met­ tono iti risalto solo pani dei volti dei personaggi); Peffello notte” utilizzato nella scena della carneficina giapponese, co­ me una cappa che oscura la luce naturale, si accorda bene ai senso di tristezza e oppressione provato da Wang e com­ pagni di fronte alla barbarie nipponica; l’alternanza tra pri­ mi piani e campi lunghi mette in evidenza la solitudine dei personaggi, come avviene nell’ultima sequenza del film quan­ do anche l’ultimo prigioniero abbandona Wang al suo desti­ no; il chiaroscuro fortemente contrastato nella scena della fu­ ga notturna, creato da effetti simili a quelli prodotti dalle om­ bre cinesi, evidenzia un cambiamento di atteggiamento in al­ cuni dei personaggi, come se la presenza delle ombre se­ gnalasse la scissione tra la posizione socialmente marginale dei criminali e l’esigenza di aggregarsi patriotticamente con­ tro l’invasore. Uno e otto inaugura così un nuovo modo di pensare il rapporto tra stile e contenuto del film. La fonila si confron­ ta finalmente con fa necessità di rappresentare una realtà 15

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sfaccettata e lo fa in modo flessìbile e poliedrico. Seppur lontana dagli esiti migliori della Quinta generazione, la pel­ licola può essere considerala la prima nuova onda che si ab­ batte sul cinema cinese, un’onda che la censura cerca di ar­ ginare costringendo i giovani autori a ragliare e rigirare un centinaio di sequenze al fine di smussare le arditezze del film e riducendo sensibilmente la carica innovatrice dell’opcra. L’esempio più eclatante riguarda una delle ultime sce­ ne, che avrebbe avuto tult’altra portata se fosse rimasta quel la della versione originale (che circolerà poi in ambienti ci nettii). Uno degli ono criminali, accortosi che finfenniera sta­ va per essere violentata dai giapponesi, decideva di ucciderla piuttosto che lasciarla in mani nemiche, decretando al tem­ po stesso la propria morte: in questo modo il delinquente avrebbe incarnato lo spirito di sacrificio c di integrità del po­ polo cinese, e ciò, ovviamente, era inaccettabile. Nella ver­ sione censurata, invece, i due personaggi, soli contro un in­ tero battaglione nemico, riescono ad aver ragione dei giap­ ponesi: l’eroismo è garantito, il martirio evitato, e ciò a di­ scapito della verosimiglianza delfiniera sequenza.

Terra gialla Archiviata l’esperienza del primo film con un sentimento misto di soddisfazione per la conferma delle proprie capa­ cità e di delusione per le imposizioni della censura, l’anno seguente i neo diplomati convincono Gao Hingyu (direttore degli studi) a chiedere il trasferimento di Chen Kaige all’Unità di produzione giovanile del Guangxi. Insieme a Zhang, Chen inizia a lavorare al film che diventerà il vero e pro­ prio manifesto della Quinta generazione, Terra gialla (1985). La pellicola, ispirata a una novella di Ke Lan a lungo rimaneggiata da Chcn per ottenere il primo visto della cen­ sura ma soprattutto per far sì che la storia aderisse alla pro­ pria concezione di cinema, racconta le vicende di un solda­ to dell’ottava armata che nel 1939, nel pieno della guerra cino-giapponese, arriva nello Shaanxi per studiare i canti del­ la tradizione popolare. A contatto con la miserevole realtà di 16

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quella regione il soldato constata l’impossibilità di mutare le condizioni di vita c la mentalità del inondo contadino. Alla storia del protagonista si intreccia, infatti, quella di una ra­ gazzina che, data in sposa ad un vecchio, in un primo mo­ mento spera di poter raggiungere 1’Arinala rossa per arruo­ larsi e sfuggire al proprio destino, ma quando si accorge che non ha altra scelta che sposarsi, dopo la cerimonia preferi­ sce lasciarsi annegare nelle acque del Fiume Giallo piuttosto che accettare un’esistenza senza alternative. Passato in sordina nel proprio paese (solo quindici copie distribuite nelle sale), Terra gialla viene selezionato per il Fe­ stival di Hong Kong dove ottiene l'accoglienza entusiasta del­ la critica e del pubblico. Ai più appare l’opera che segna la definitiva maturazione del cinema cinese, il suo degno af­ facciarsi alla ribalta internazionale dopo un lungo periodo di autarchia17. Al di là dei facili entusiasmi non si può negare che l’opera prima di Chen Kaige rompa definitivamente col cinema del passato (e anche con gran parte di quello del presente), proponendo un modello stilistico innovativo non solo per le produzioni locali. Le ragioni sono numerose: la storia non lascia più spazio all’enfasi, al melodramma, agli eroismi, alle tinte forti della retorica; la realtà del mondo agri­ colo è osservata attraverso un’ottica infima, introspettiva, con­ notata da un inedito tono melanconico e pessimista. Il film non concede nulla ai cliché a partire proprio dalla figura del soldato: timido, impacciato, estraneo agli avvenimenti, spes­ so escluso dalle inquadrature (la macchina da presa o lo la­ scia fuoricampo o lo rende minuscolo di fronte alla maesto­ sità del paesaggio), incapace di modificare la realtà, il gio­ vane impersona l’opposto del modello di comunista agognalo dal regime. L’azione non ha più senso in un ambiente do­ ve le cose capitano e basta, perché così è da sempre, senz’altra ragione. L’individuo non ha possibilità di scelta se non quella di attraversare la Storia senza influenzarla. 17. -{Terra gialla] divenne in un sol colpo agli occhi dei critici stranieri della colonia, uno dei migliori film cinesi dal 1949 in avanti, "il più bello che la Cina abbia mai prodotto", secondo lo stesso Joris Ivens*. Régis Bergeron, Le cinema cbinots. 1984-1997, Institut de l’Image, Aix-en-Provence 1997, p. 29.

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11 film sorprende perché parte da una concezione nuova e contraddittoria della Storia stessa: da una parte c’è la con­ sapevolezza che la società contadina è immutabile (lo di­ mostra l’anacronistica danza per la pioggia che chiude pes­ simisticamente il film), fondata su una ciclicità fuori dal tem­ po, con usi e costumi spesso selvaggi (la vendita delle spo­ se); dall’altra si percepisce il fascino esercitato dalla tradi­ zione, quel sentimento di appartenenza alla terra che è vi­ vo in ogni cinese e che fa dimenticare gli aspetti negativi della vita. Un legame confermalo dalTambientazionc del film nello Shaanxi, più precisamente sulle sponde del fiume Gial­ lo, luogo ancestrale per eccellenza, vera e propria culla del­ la civiltà cinese. Lo scorrere lento delle acque dà il senso dell’imperturbabilità della natura, gli altopiani dei loess fanno capire all’uomo quanto sia vana la sua azione di fronte a clementi morfologici pressoché eterni. Non è un caso, allo­ ra, che la giovane protagonista scelga di suicidarsi proprio nelle acque del fiume: se per un verso il suo è un gesto di ribellione conno la società che la costringe a sposarsi anco­ ra bambina perché senza dote, dall’altra il suo lasciarsi tra­ sportare dal fiume non è altro che un ritorno alle origini, al­ la genesi di quella comunità che ora vorrebbe rifiutare. L’am­ biguità è la cifra centrale del racconto: piani lunghissimi (in senso sia spaziale sia temporale) aperti all’interpretazione e alla riflessione, paesaggi imponenti e numerose scene not­ turne che rendono evanescenti le figure umane, un uso as­ siduo della profondità di campo per coinvolgere il maggior numero di personaggi all’interno della stessa inquadratura. Ancora più importanti sono le dominanti cromatiche: quella giallo ocra, che rimanda alla terra, e quella del rosso, colo­ re del matrimonio, si oppongono al nero dei vestiti degli uo­ mini e al bianco delle case, riproponendo una dialettica tra i colori che si ispira ai dipinti tradizionali della regione18. 18. -Anche se la maggior parte dei dipinti cinesi tradizionali sono monocromi, molti sono gli stili pittorici che hanno influenzato l’il­ luminazione e la scelta dei colori in Terra gialla. La tradizione col­ ta, in particolare quella della scuola di Xi’an (Cliang’an) I...1 ha por­ tato alla scelta della dominante gialla che dii il nome alla pellico­ la. I colori della tradizione pittorica popolare della medesima re-

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Il ruolo di Zhang nelle scelte che connotano quest’inver­ sione di tendenza è ancora più importante di quello avuto in Lino e olio: c sua la decisione di inserire la location del fiume Giallo nella sceneggiatura che, assente in un primo tempo» diverrà un elemento insostituibile del racconto, qua­ si un personaggio; cura la fotografia contribuendo a raffor­ zare il senso di ogni immagine con una meticolosa ricerca sul colore c sulle inquadrature. Mary Ann Farquhar e Chris Berry narrano un episodio del tournage che illustra chiara­ mente il modo di lavorare del giovane Zhang: Zhang Yimou ha affermato che, essendo il colore della terra del loess plateau pressoché bianco e contrastando fortemente con il cielo che lì è di un blu intenso, egli era sempre molto preoccupato che lo stile visuale del film fosse troppo simile a quello di un western americano. Ciò non corrispondeva affat­ to con la loro idea del film. Essi pensavano che la terra arida considerata come la culla della civiltà cinese fosse permeata di un calore materno e di intimità. I colori, così, dovevano esse­ re ricchi e caldi. Grazie ai mezzi tecnici e alle riprese effet­ tuate all’imbrunire, la terra è stata filmata in un profondo co­ lore ocra. Il lavoro di Zhang Yimou fu talmente buono che Chea Kaige quando vide il primo rullo girato decise di cam biare il titolo del film da Silenzio nella grande pianura in Ter­ ra gialla1**.

Il sodalizio tra Zhang Yimou e Chen Kaige va ben oltre il rapporto che solitamente intercorre ira un regista e il suo direttore della fotografìa: il secondo, infatti, in questo caso, non limita la propria funzione a un ruolo meramente tecni­ co, ma opera uno sforzo di sintesi visiva dei concetti teori­ ci del primo. A dispetto di un approccio affatto sfuggente gione, il rosso, il bianco e il nero, contrastano con il fondo giallo del film, aggiungendo una nota di autenticità locale e di sorpren­ dente semplicità-, Mary Ann Farquhar, Chris Berry, Post-Socialist Strategies- An Analysis ofNeWcm Earth and Black Cannon Incident, in Linda Erlich, David Desser, Cinematic Landscapes: Observations on the Visual Arts and Cinema of China and Japan. University of Texas Press, Austin 1994, p. 93. 19. Mary Ann Farquhar. Chris Berry, Post Socialist Strategies: An Analy­ sis of Yellow Earth and Black Cannon Inc ident, cit., p. 93,

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nei confronti della realtà rappresentata, Terra gialla ha il pre gio della semplicità: lesi complesse e del (urto inedite come la ricerca delle radici, l’inutilità della Storia, il fascino delle realtà ancestrali, sono esposte con una chiarezza che tutta­ via è distante dalle semplificazioni del cinema di propagan­ da. A emergere è una nuova concezione dello spettatore ci­ nematografico, non piti da indottrinare attraverso rappresen­ tazioni leggibili a senso unico, ma da coinvolgere critica­ mente nella visione di un testo che rivela molteplici livelli di interpretazione. Tale equilibrio non può che essere la sin­ tesi di due modi opposti di intendere il cinema: quello di Chen, più riflessivo, introspettivo, filosofico c perfino erme­ tico, quello di Zhang, più popolare, pulsionale, palpabile, nanativo. Forse è proprio il venir meno della collaborazio­ ne tra i due a spiegare l'assenza di linearità nei film seguenti di Chen Kaige e la totale mancanza di “respiro filosofico” del cinema di Zhang. Viceversa, la presenza di entrambi que­ sti aspetti in Terra gialla fa del film un esempio più unico che raro di sintesi tra due opposti atteggiamenti di -pensa­ re- il cinema, senz’altro il migliore risultato raggiunto dal bi­ nomio Chen/Zhang e, contemporaneamente, una delle ope­ re più importanti della storia del cinema cinese. Tienanmen prima di Tienanmen Il successivo film di Chen Kaige vede Zhang ancora alla direzione della fotografia. Tuttavia Da yuebing (t.l, La gran de parata, 1985) viene ostacolalo dalla censura ancor più di Terra gialla, I cambiamenti imposti snaturano a tal punto la resa finale del film da sovvertire finanche il senso stesso del racconto: una voce off commenta in modo ortodosso (rispetto alle esigenze del regime) le scene più ambigue della pelli­ cola, il finale pessimista e umano (un primo piano dei sol­ dati) diviene edificante e massificato (l’immensa parata in­ quadrata dall’ako). A ben vedere, l’accanimento del bureau era prevedibile per un soggetto così delicato, incentrato sul la vita di un reggimento impegnato nella preparazione di una sfilala militare per i festeggiamenti in piazza Tienanmen del

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trentacinquesimo anniversario della rivoluzione. A dispetto delle intenzioni della censura, che desiderava un panegirico Sull’Armata rossa, La grande parata sembra più un tentativo di racconto antimilitarista in cui si ostentano le fatiche di un addestramento inutile (ore e ore di prove ed esercizio per pochi minuti di rivista), si racconta la quotidianità dei sol dati e non le loro gesta eroiche, si rivelano i terribili sacri­ fìci che i militari devono sostenere per essere accettati (un coscritto con le gambe storte prova a raddrizzarle durante la notte, avvolgendole a delle sbarre di metallo), si suggerisce la possibilità di relazioni omosessuali, infine si evidenziano i dissapori interni al reggimento. Anche la decisione di dar vita ad un racconto corale mettendo in scena numerosi ed eterogenei personaggi sembra una soluzione narrativa atta a smembrare la fantomatica unità dell’esercito, a evidenziare l’i­ pocrisia delle panne che, al contrario, avrebbero dovuto esal­ tare la compattezza del gruppo. La descrizione delle moti­ vazioni che spingono gli uomini ad arruolarsi (non sempre nobili, dal momento che uno dei protagonisti afferma di es­ sere lì solo per apparire in televisione), dimostra l’inesisten­ za dell’aura di eroica aggregazione tanto decantata dal par­ tito. La conferma, beffarda c amara, giungerà puntuale po chi anni dopo, proprio nella stessa piazza che fa da scena­ rio al film, dove soldati uniti e fedeli sopprimeranno la vo­ glia di libertà e democrazia dei loro coetanei studenti. Do­ po aver visto il film ci si potrebbe chiedere se fossero que gli stessi soldati a guidare i carri armari che attraversavano la piazza, se davvero fossero uniti e se credessero realmen­ te in ciò che facevano. Dal punto di vista stilistico, la pellicola cambia registro ri­ spetto alla precedente: non più contemplazione ma atten­ zione alla psicologia dei personaggi, non più uno stile iera­ tico e solenne ma riprese in stile documentaristico grazie al­ l’uso della macchina da presa a spalla, di numerosi movi­ menti di macchina e a una fotografìa meno contrastata. Sor prende soprattutto l’eclettismo formale: sembra che i giova­ ni registi vogliano sperimentare generi c stili diversi per ve­ rificare le proprie conoscenze e per trovare spazi nuovi di espressione. Lo conformeranno gli esordi, dissimili gli uni da­

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gli altri, di altri rappresentanti della Quinta generazione: Tian Zhuangzhuang, Huang Jianxin, Wu Ziniu. Tuttavia, se l’eclcttismo c lo sperimentalismo era per alcuni un utile stru­ mento di apprendistato, per Zhang diventa un modo di con­ cepire il cinema: lavorare in un ruolo tecnico gli permette di conoscere meglio i meccanismi c le possibilità del mezzo, mettersi al servizio degli altri impedisce al suo stile persona­ le di fossilizzarsi premali inamente in una maniera. Sono que­ sti i motivi fondamentali che porteranno Zhang a fare dello spirito di ricerca e dell’esigenza del cambiamento un atteg­ giamento che ancora oggi è del tutto evidente nei suoi film. A dispetto dell’insoddisfazione di Chen, della censura, di una risibile distribuzione nelle sale e dei magri incassi al bot­ teghino, La grande parala vince il Premio speciale della giu­ ria al Festival di Montreal. Negli ambienti cinematografici an­ che internazionali c‘è ormai la sensazione che qualcosa sia cambiato nella cinematografia cinese, che ci possa essere spa­ zio anche per una produzione d’autore e non solamente ri­ creativa. Lo conferma uno scritto del giovane Zhu Dake, 1 difetti del modello cinematografico di Xie Jin, che viene pubblicato su un quotidiano di Shanghai nel luglio 1986. 1.’at­ tacco di Zhu al vecchio regista della Terza generazione, sim­ bolo dì quella tendenza al compromesso che aveva permes­ so ad alcuni cineasti di lavorare prima, durante e dopo la Rivoluzione culturale, dà l’idea delle nuove aspettative che ci sono intorno al cinema. Se il grosso del pubblico non è ancora pronto a cambiare i propri gusti, la critica si dimo­ stra più aperta e ricettiva. Ed è proprio grazie alla compar­ sa di una parte dell’opinione pubblica cinese finalmente “sen­ sibile” al cinema d'essa: (e alla maggiore attenzione di quel­ la internazionale) che alcuni produttori cinematografici deci­ deranno di arrischiarsi in un cinema diverso da quello fin allora conosciuto. Tra essi, c’è senz’altro Wu Tianming. Wu Tianming e la nuova politica degli autori

Wu Tianming è una figura singolare nel panorama cine­ matografico cinese. Nato e cresciuto a Xi’an, inizia negli sta22

Zhang Yimou e ta Quinta generazione

bil imenei della sua città una carriera che lo vede prima at­ tore in alcuni film degli anni Sessanta, poi regista tra i più importanti della Quarta generazione, infine direttore degli stabilimenti della sua regione. Se come interprete ebbe po­ ca fortuna, la stessa cosa non si può dire per la sua atti­ vità di cineasta, dato che il suo terzo film, River Without Buoys (1983), è stato considerato da molti commentatori co­ me uno tra i più belli di quegli anni20. L’importanza di Wu nella storia del cinema cinese è tut­ tavia legata al suo ruolo di direttore degli studi di Xi’an. Nel 1983, infatti, assume la guida degli stabilimenti della sua re­ gione dando il via a una politica produttiva assolutamente innovativa. Tra i più giovani direttori in circolazione, finissi­ mo conoscitore di ogni passaggio produttivo, attento nel cap­ tare i cambiamenti, Wu decide di riunire attorno a sé un gruppo di cineasti e tecnici della nuova generazione. Il mo­ tivo di tale scelta è semplice: Quando si gira un film in Cina - spiega Wu ci sono tre tipi di pubblico da soddisfare: primo il governo, secondo l’ambien­ te artistico, e terzo il grande pubblico. È molto diffìcile accon­ tentare con un solo film tutti quanti, specie il governo e Tambienle artistico. Cerchiamo di fare del nostro meglio, ma ab­ biamo anche deciso di girare alcune pellicole avendo in men­ te un determinato tipo di spettatore21.

L’idea della differenziazione del pubblico, per quanto ba­ nale possa sembrare, è probabilmente la più innovativa che si potesse pensare in quegli anni. Quali registi chiamare, al­ lora, per soddisfare il pubblico più raffinato se non quelli 20. Wu Tianming d un regista dalla lunga carriera: ha debuttato die­ tro la macchina da presa presso gli studi di Xi’an con Shengbuo de chanyìn (1979) e Qinyuan (1980) entrambi girati in collaborazione con Teng Wenji. Dopo Rwer Without Buoys (1983), rea lizza nello stesso anno Life). Del 1986 d Lao Jing (t.l. Vecchio poz zo) del quale daremo ampi cenni più avanti. Autocsiliatosi in Ame­ rica per alcuni anni dopo Tienanmen, Wu è tornato a girare film in patria nel 1996. Dopo un film interessante come The King of Masks (1996), ha realizzato Ari Unusual Love (1998) e C.E.O. 62002). 21. Chris Berry, Out of the West — The Rice of Xi 'an Film Studio, «Chi­ na Screen-, n. 4, 1996, p. 24.

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che fin dai loro primi film si battono per fare del cinema qualcosa di diverso da un mero mezzo di propaganda o da un prodotto da intrattenimento? E così Wu, resosi conto del nuovo tipo di cultura cinematografica e delle potenzialità possedute dai giovani cineasti, decide di sfruttarne la loro diversità. Nel 1985 fa esordire un suo giovanissimo colla­ boratore, Huang Jianxin, con un film decisamente fuori dai canoni: Black Cannon Incident (1985), una satira contro la burocrazia die, attraverso uno stile surreale c assurdo, non disdegna di raccontare le piccolezze dei singoli individui ca­ lali in un contesto, quello delle moderne metropoli cinesi, a dir poco sconcertante. In quello stesso anno, è tra i po chi che apprezzano un film “eterodosso” di Tian Zhuang* zhuang22, un giovane cineasta che nel 1985 firma On the Hunting Ground (1985). Giralo con pochissimi mezzi, am­ bientato nelle steppe della Mongolia, interpretato da attori non professionisti che parlano in un dialetto sconosciuto al­ la maggior parte dei cinesi, il film è un omaggio estasiato, sincero e senza filtri, alle minoranze locali che popolano il subcontinente cinese. Lo stile si adatta pienamente allo spi­ rito etnografico che anima il film rinunciando quasi total­ mente alla sceneggiatura e basando la propria forza sull'al­ ternanza tra le scene efferate (quelle di caccia) e gli squar­ ci paesaggistici di struggente bellezza (che mostrano come 22. Il percorso autoriale di Tian Zhnangzhuang è singolare. Ha alter­ nato. fin dall’inizio della sua carriera, film su commissione a capo­ lavori spesso irraggiungibili per maestria stilistica, capacità visiva, intensità della narrazione. Tra questi ultimi occorre ricordare (oltre al già citato On tbe Hunting Ground) gli splendidi Tbe Imperiai Fai nucb (1990). The Blue Kite, nonché il recente Springtime in a small town (2002), remake di un importante film di Fei Mu del 1948. Tian è, inoltre, uno dei sette registi (l'unico della Quinta genera­ zione, gli altri erano alcuni tra gli esponenti più rappresentativi del* la Sesta generazione, come Zhang Yuan e Wang Xiaoshuai) messi fuori legge (ovvero esclusi da qualsiasi attività in campo cinema­ tografico) nel febbraio 1994 dall'ufficio del cinema, dopo che al­ cune loro opere erano state proiettate al Festival di Rotterdam sen­ za che avessero ottenuto il visto della censura. 11 divieto, durato alcuni anni, ha costretto Turn a lavorare da indipendente e a fon­ dare una propria casa di produzione cinematografica, con cui ha prodotto anche alcuni lavori di Wang Xiaoshuai c Li Xuechang.

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Zhang Yimou e ia Quinta generazione

in un certo tipo di società pace e guerra, buono e cattivo siano termini opposti eppure coesistenti), in una remissione incondizionata al valore deH’immaginc di fronte all’inconoscibile. Grazie a quest’opera così particolare, nel 1986 Tian ottiene da Wu Tianming il via libera per girare il suo se­ condo film “antropologico”, Horse Thief (1986), opera per certi versi ancora più radicale della precedente. La mino­ ranza etnica di riferimento questa volta è quella tibetana, palesemente discriminata dalla politica del governo cinese. Attraverso la storia di Rorbu, un ladro di cavalli buddhista, vengono raccontati e tradotti in immagini la fede di un in­ tero popolo, i rituali e le tradizioni millenari che lo anima­ no, le sue lente liturgie, con un lirismo che rifiuta il folclore o il “colonialismo visivo”, e che cerca volutamente lo spaesamento dello spettatore. I destinatari di questo film di Tian sono sicuramente i cinesi, inconsapevolmente colpevoli di dissipare la propria cultura sull’altare del progresso: in fon­ do, essi non proverebbero lo stesso disorientamento se aves­ sero di fronte non i riti, i costumi e le tradizioni dei til>etani, bensì quelli dei loro antenati? Frattanto al gruppo di Wu si aggiungono Chen Kaige e Zhang Yimou, invitali a Xi’an grazie ai loro precedenti la­ vori, che avevano colpito favorevolmente il direttore-mece nate. È proprio a Xi’an che Chen e Zhang si separano: men tre il primo lavora a King of the Children (1987), il secondo accetta di partecipare ad un progetto dello stesso Wu, con la promessa di poter dirigere, l’anno successivo, un proprio film. Se la pellicola di Chen (la storia di un maestro di cam­ pagna che cerca di insegnare invano ai propri allievi con­ cetti e idee che non capiranno mai) persegue la via della contemplazione, dell’allegoria, della vana ricerca delle radici della -cinesità- perse nei secoli, della rarefazione del lin­ guaggio cinematografico, quella di Wu segue la direzione op­ posta. Vecchio pozzo è, infatti, un film più aspro, tenace, po­ polare: tra le pellicole cui Zhang ha collaborate è probabil­ mente quella più vicina alla sua sensibilità. Sun Wanguan, il personaggio principale del film, c uno dei pochi ragazzi di un villaggio rurale chiamato -Vecchio Pozzo* che ha avuto la possibilità di studiare in città. Tor­

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nato a casa, grazie alle competenze acquisite, può aiutare i suoi compaesani a trovare ciò che è stato cercato inutilmente da decenni: una sorgente d’acqua nelle vicinanze del villag­ gio. Nonostante siano stati fatti centinaia di sondaggi del ter reno e numerosissimi scavi, costati la vita a molli tra gli abi­ tanti del paese, la comunità rurale di -Vecchio pozzo* non è mai riuscita a venire a capo del problema della siccità e si trova costretta a disputare al villaggio vicino l’unico pozzo della zona. La ricerca di una nuova vena d’acqua cade ov viamenle sulle spalle di Sun, e si intreccia con le vicende sentimentali dell’uomo, diviso tra l’amore per una coetanea universitaria e l’obbligo di sposare una compaesana capace di portare alla famiglia una dote consistente. Sun, incapace di vivere un amore che va contro gli interessi della comu­ nità (bacerà Kamata nell’oscurità di un pozzo, e solo perché convinto di essere in punto di morte), deciso a trovare ad ogni costo l’acqua necessaria alla sopravvivenza del villag­ gio, scopre nella vira coniugale una dimensiono inaspettata di amore e condivisionc. Ritrovala un po’ di serenità, Sun riuscirà finalmente ad individuare il pozzo tanto atteso dalla gente del suo villaggio. Zhang non si limita al lavoro di direttore della fotogra­ fia, ma collabora alla sceneggiatura e, soprattutto, inteqxeta il ruolo di Sun Wanguan. In effetti, grazie soprattutto alfe sperienza dei campi di lavoro durante la Rivoluzione cultu­ rale, Zhang dà di questo personaggio una rappresentazione molto convincente: duro, riservato, passionale, Sun Wanguan prefigura quelli delle sue opere, singoli individui in conflii to con la società che vieta loro di vivere le proprie passio­ ni alla luce del sole. Il pozzo diventa così il simbolo non solo della ricerca dell’acqua intesa come vita, assente lad­ dove una comunità ha perso le radici culturali necessarie per riconoscersi, ma anche di quell’abisso dei sentimenti che co­ stringe Tuomo a vivere tutta una serie di pulsioni inelutta­ bili nell’oscurità e nel buio. Il bacio che i due amanti, se­ polti dal crollo del pozzo al quale stavano lavorando, si scambiano, dà l’idea di quali siano le condizioni estreme in cui la società permette agli individui di manifestare i propri desideri più intimi. 26

Zhang Yimou e la Quinta generazione

Il lavoro sulla fotografia, con colori fortemente contrasta­ li e un tipo di illuminazione naturalistica, è in questo caso piti vicino alla tradizione del realismo socialista che non al cinema di Chcn Kaige. Vecchio pozzo è un film che preferi­ sce non portare alle eslreme conseguenze il suo stile di rac­ conto e che resta pertanto a metà strada (ra gli esiti forma­ li della Terza e Quarta generazione e quelli più radicali del­ la Quinta: se l'ambientazione nel presente, (assenza di for­ malismo, la struttura narrativa, l’assenza di elementi tragici fanno pensare a un’opera della Quarta generazione, i temi trattati, la presenza di Zhang, il tratteggio di personaggi ras­ segnati agli eventi, l’attenzione per il paesaggio lo assimila­ no ai film della Quinta. La pellicola diventa così una per­ fetta sintesi di quella politica produttiva attenta alle nuove tendenze ma ancorata allo stesso tempo alle esigenze di mer­ cato che, nei pochi anni in cui Wu lavora liberamente a Xi’an, riesce a procurare una serie di successi impensabili per uno studio così decentrato. Grazie ai premi vinti25 nei festival stranieri, il regista-produttore conquista prestigio e credibilità in patria, e poco imporla se le opere di punta del­ la Quinta generazione sono invisibili ai più23 24 e quasi sem pre in perdita: i mancati incassi sono coperti con la produ­ zione di film commerciali o di tendenza, secondo un’appli­ cazione alla lettera della “politica dei tre pubblici” propu­ gnata da Wu. La proporzione tra film di cassetta e film d’es­ se/ dà l’idea di quanto il rischio sia calcolato: su dodici film che Wu produce in media ogni anno, uno o due possono essere considerati alla stregua di film d’autore, mentre gli al­ tri (racconti di arti marziali, commedie, gangster-movie) mi­ rano ad un risultato economico sicuro. 23. Vecchio pozzo è un film emblematico anche in fatto di premi visto che al Festival di Tokyo vince la coppa per la miglior interpreta­ zione maschile assegnata proprio a Zhang Yimou. 24. A titolo d’esempio forniamo un breve elenco di film della Quinta generazione e il relativo numero di copie stampate per la distri­ buzione: 14 per Horse Ihief, 12 per King of the Children, 30 per Terra gialla. I film commerciali usciti nelle sale cinesi nel medesi­ mo periodo venivano distribuiti in un numero di copie oscillante tra le 300 e le 400 unità, mentre i kolossal arrivavano anche a 500 o 600.

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Tirando le somme sulla Quinta generazione

Nel 1991 Yin Li affermava su «China Screen*: Ciò che c’è di più rispettabile e lodevole nei cineasti delia Quin ta generazione è la loro individualità. Hanno film totalmente dif­ ferenti gli uni dagli altri. Li cosa più grande che hanno in co­ mune è probabilmente la loro differenza25.

Una dichiarazione paradossale solo all’apparenza, ma che permette di comprendere quale sia la maggiore differenza che incorre tra la Quinta generazione e le precedenti: i re­ gisti della “nouvcllc vague1’ cinese sono i primi a sentirsi consapevolmente autori, decisi a esprimere le proprie idee in maniera il più possibile indipendente dopo un cinquan­ tennio che ha visto il cinema soccombere di fronte alle esi­ genze del potere. La presa d’atto di questi giovani cineasti genera quel vasto e variegato panorama cinematografico del quale abbiamo dato nelle precedenti pagine un resoconto ne­ cessario, rna assolutamente parziale26. Eppure, se la Quinta generazione non può essere considerata una scuola o un movimento univoco, è altrettanto certo che essa vive il suo momento migliore in un periodo storico irripetibile, quello che va dal 1982 al 1989. La prima “alleata” dei registi diplomatisi nel 1982 all’isti­ tuto cinematografico di Pechino è stata, paradossalmente, la Rivoluzione culturale: senza l’opera di azzeramento del ci­ nema attuala in quel “decennio nero”, i nuovi registi avreb­ bero dovuto sottoporsi a un lungo periodo di tirocinio pri­ ma di poter girare un film. L’apertura al mercato e alle rifor­ me liberiste favorisce inoltre la sperimentazione: prima che i farti di Ticnanmen oscurino ogni speranza di libertà d’e spressione, in Cina si respira un’aria di moderata autonomia, seppur in presenza di un regime che non esita a interveni­ 25 Régis Bergrron, Le cinema cbinois. 1984-1997t cit., p. 31. 26. Sono molti i registi della Quinta generazione di cui non abbiamo potuto parlare, sia per ragioni di spazio, sia perché estranei alla formazione di Zhang. Tra questi occorre almeno citare Zhou Xiaowcn e He Ping (che lavorano negli stessi studi di Zhang) c ancora Wu Ziniu, Ning Ying, Liu Miauiniao, Li Shaohong, Peng Xiaolian.

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re laddove rischia di essere minacciato. A Ixmeficiare di que­ sto momento favorevole non è solo il cinema, ma anche la pittura, la letteratura, il teatro. Non è un caso che gli artisti si richiamino, in maniera più o meno esplicita, al movimen­ to del 4 maggio che, nel 1919, aveva chiesto maggiore li­ bertà e democrazia: come Lu Xun e Chen Duxiu denuncia­ vano l’incapacità del sistema feudale di reggere il confronto con la modernità c con 1'Occidentc, ora i nuovi intellettuali lamentano l’arretratezza della società, rifiutando allo stesso tempo la superficiale occidentalizzazione sposata dal regime. Nonostante quanto detto finora, esistono alcuni elementi che possono indune a ritenere la Quinta generazione come una corrente cinematografica per alcuni versi omogenea. I film non sono didattici proprio perché si oppongono a un cinema preconfezionato e adottano uno stile ambiguo, aper­ to all’interpretazione del pubblico: pur correndo il rischio di risultare ermetiche, pellicole come Horse Thief o King of the Children trovano la propria ragione d’essere nel fascino del l’inconoscibile, e confidano nella capacità dello spettatore di abbandonarsi al flusso delle immagini. L’impronta umanisti­ ca (derivata dal movimento del 4 maggio) spinge a un nuo­ vo interesse per l’individuo: i personaggi di molti di questi film sono psicologicamente credibili e, anche quando sono rappresentati più convenzionalmente (Terra gialla o King of the Children), non ripetono il modello rigido di eroe comu­ nista fin lì adottato dal cinema cinese, ma si rifanno ad una specie di antieroe sotto scacco che subisce le vicende rap presentate sullo schermo più che determinarle. Un’altra ca­ ratteristica tipica della Quinta generazione è (’ambientazione nel passato o in contesti atemporali. La scelta può essere motivata sia dal tentativo di aggirare la censura (sicuramen­ te più blanda e in taluni casi compiacente quando il film av­ versa i costumi feudali del passato), sta dal rifiuto di consi­ derare la Storia come elemento di analisi per comprendere meglio il presente. Convinti che la lettura strumentale del passato sia una delle cause della Rivoluzione culturale, i re­ gisti della Quinta generazione cercano la verità in una so­ cietà pre-storica in grado di liberare l’individuo dalle costri­ zioni ideologiche tipiche di ogni regime. Se nel suo percor-

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so stilistico Zhang seguirà strade diverse, costruendo allego­ rie arbitrarie del passato per parlare del presente, Tian Zhuangzhuang o Chen Kaige nutrono invece l’utopia di can­ cellare i segni della Storia, dipingendo quadri immuni all’a­ zione del tempo, immodificabili perché millenari, uguali a se stessi da sempre. La ricerca della “cinesità”, di quelle radici culturali che sono sopravvissute allo scempio rivoluzionario, costringe i registi a prediligere storie ambientate nelle cam­ pagne, elemento di identificazione per eccellenza del popo­ lo cinese. Sono luoghi, questi, nei quali il tempo si è fer­ mato, dove gli ultimi barlumi di una società ormai scomparsa forse sono stati preservali dall’annientamento: King of the Children, Terra gialla, Horse Thief solo per citarne alcuni, raccontano storie che potrebbero accadere in qualsiasi seco­ lo, perche i contadini sono sempre gli stessi, compiono gli stessi gesti, la loro mentalità non si è lasciata scalfire. L’esperienza nelle campagne di molti registi, i lunghi an­ ni di immersione nella realtà agricola hanno di certo favori­ to questo tipo di sensibilità. Per analoghe ragioni, il pae­ saggio si ritaglia spazi mai avuti in precedenza, diventando in taluni casi l’unico protagonista della scena. Le montagne, i fiumi, le pianure catturano e annullano l’individuo, diven rando i segni tangibili della sua inconsistenza di fronte alla natura oltre che di fronte alla società. Il suicidio della gio­ vane protagonista di Terra gialla è, a tal proposito, il gesto piti emblematico tra quelli rappresentati noi film citati e di­ mostra quanto i cineasti della Quinta generazione sentano propri (e conseguentemente rappresentino) i turbamenti c i desideri del singolo, contrapposto, in una lotta impari, alle leggi sociali e naturali. È un filone, questo, che annovera an­ che alcune pellicole solo apparentemente meno importanti o defilate: è il caso di Black Cannon Incident, dove il conflit­ to del protagonista con la burocrazia nasconde il desiderio di essere riconosciuti da un sistema sociale che annulla gli individualismi; c il caso di Uno e otto nel quale ognuno dei prigionieri ha una ragione diversa per contrapporsi alla so­ cietà, creando un effetto di moltiplicazione delle personalità in azione.

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Zhang Yimou e la Quinta generazione

Le pellicole dei cineasti della “nouvclle vague* sono inol­ tre accomunate da un'inedita sperimentazione stilistica e nar­ rativa che, abbandonando un unico modello di fare cinema, cerca nuove strade di espressione come il documentario et­ nografico (Horse Thief), i film di genere (Lino e olio), la sa­ tira (fìlack Cannon Incident), il film celebrativo (la grande parata). Senza contare le ricerche sul piano del linguaggio cinematografico, rinnovato in tutte le sue componenti: il co­ lore, impiegato in cliiave simbolica ma ben ancorato ad un substrato fortemente realistico che nulla concede aU’oilimismo utopico del regime; il montaggio, utilizzato in funzione decisamente espressiva e tuttavia alieno dai modelli enfatici tratti dal cinema del realismo socialista; la composizione del quadro, sbilanciata a favore del paesaggio che incombe su personaggi spesso costretti ad occupare porzioni marginali dell’inquadratura. Con un occhio alla tradizione pittorica ci­ nese (è soprattutto il caso di Chen) e un altro a scelte nar­ rative funzionali alla materia trattata, il nuovo cinema ado­ pera la grammatica cinematografica più liberamente che in passato, rifiutando qualsiasi forma di artificio o, meglio, uti­ lizzando Tartifìciosità connaturata all’immagine cinematografi ca più consapevolmente: la recitazione si fa meno enfatica, la realtà stratificata, si rompe finalmente quel cordone om­ belicale che aveva tenuto legato il cinema alla grande tradi­ zione teatrale e operistica. In altre parole si dimostra che an­ che in Cina si può produrre un cinema autonomo dal pote­ re, dalle altre arti, dal cinema straniero e da quello del pas­ sato, e persino dalle congiunture economiche. F. sebbene col passare del tempo questa attestazione di autonomia sembri trasformarsi poco per volta in utopia, dal 1982 al 1989 il ci­ nema cinese vive certamente uno dei periodi di maggiore vi­ talità e di maturità. Dopo il successo ottenuto da Vecchio pozzo, Wu Tian ming mantiene la parola e dà a Zhang la possibilità di rea lizzare il suo primo film. Il tratto di scanzonata spregiudica­ tezza che contraddistingue tutta la prima parte di Sorgo ros­ so indica chiaramente quanta fiducia ponessero i cineasti nel­ le possibilità espressive del mezzo cinematografico c nel per­ durare di condizioni di relativa Libertà. Tuttavia, se alcuni

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Zbang Yim on

commentatori hanno ravvisato (a ragione) nel pessimismo tra giro di Ju Doti e di Lanterne rosse (1991) una cupa reazio­ ne ai fatti di Tienanmen, allo stesso modo si può leggere la seconda parte di Sorgo rosso, quella delfinvasione giappo­ nese e della tragica morte della protagonista, come ramicipazione della fine di un’epoca, come l’avvisaglia del restrin­ gimento delle libertà di espressione che si avvererà drasti­ camente nel giro di un paio d’anni. In effetti, oggi, dopo più di dieci anni, sono poche le tracce che segnalano la pre­ senza dei cineasti della Quinta generazione all’interno del pa­ norama cinematografico cinese: molti registi sono stati in­ globati dal sistema piegandosi alle ragioni del mercato (Zhang Junzhao, Huang Jianxin), alcuni hanno da poco ripreso a la­ vorare dopo un lungo periodo di silenzio (Tian Zhuangzhuang), altri si sono trasferiti forse definitivamente in Occi­ dente (Chen Kaige). Solo Zhang Yimou è riuscito a mantenere, lino ad oggi, una posizione di primo piano sulla scena nazionale e inter­ nazionale, continuando a realizzare film autonomamente, conservando un proprio profilo autorialc, senza peraltro do­ ver abbandonare il proprio paese come e successo ad altri suoi colleghi. Zhang ha dovuto seguire strade nuove, in ta limi casi mai barrine prima: si è spinto oltre l’esperienza del la Quinta generazione c, approfittando dell’interesse dei pro­ duttori stranieri, è riuscito ad aggirare gli ostacoli della cen­ sura senza, per questo, compromettersi con il regime; ha sa­ puto incarnare» come pochi altri, il ruolo di icona del cine­ ma asiatico presso il pubblico occidentale, anche grazie alla sua relazione con Gong Li e alla partecipazione come inter­ prete ad alcuni film molto popolari; ha maturato, infine, un linguaggio universale capace di suggestionare tanto gli spet­ tatori cinesi quanto quelli occidentali, riuscendo soprattutto a mantenere una continuità produttiva e un livello qualitati­ vo costante nella propria carriera che è decisamente fuori dal comune, soprattutto in Cina.

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Stile libero: un nuovo linguaggio cinematografico

-Mi manca uno stile coerente-. Zhang Yimou1

Zbang Yimou dentro e fuori la Quinta generazione: il caso Sorgo rosso

Sorgo l'osso è uno dei film più importanti della Quinta ge­ nerazione per varie ragioni: è la prima pellicola cinese a vin­ cere un premio prestigioso in uno dei principali festival in temazionali di cinema (l’Orso d’oro a Berlino nel 1988), è uno dei pochissimi lavori della “nouvcllc vague” cinese sui quali la censura ha ben poco da obiettare e, grazie al so­ stegno di una distribuzione efficace, riscuote un buon suc­ cesso di pubblico. Questa ‘congiunzione astrale" pressoché irripetibile consente al film di ottenere incassi da record (al­ meno per gli standard delle opere della Quinta generazione) e di essere accompagnato da un inedito entusiasmo popo­ lare. Se la sua comparsa segna l’apice dell’intelligente politi­ ca produttiva attuata da Wu Tianming (costretto, dopo i fat­ ti di Tienanmen, ad abbandonare la guida degli studi di Xi’an), costituisce anche una delle ultime occasioni per gli ex studenti della Scuola di cinema di Pechino di lavorare più o meno liberamente in territorio cinese. In altre parole, Sor­ go rosso clìiude un ciclo e nc apre un altro, non solo da un punto di vista produttivo, ma anche teorico e stilistico, e rap presenta un utile banco di prova per verificare quali tra le 1. Tan Yr, Fumi the Fifth to the Sixth Generation: An Interview with Zbang Yimnu, in Frances Gateward (a cura di), Zbang Yimmt In­ terviews, cit., p. 156.

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caratteristiche di film come Terra gialla c Vecchio pozzo, ai quali lo stesso regista aveva dato un contributo essenziale che travalicava il semplice apporto tecnico di direttore della fotografìa, siano ancora presenti all'interno della sua poetica. La vicenda narrata in Sorgo rosso2 c quella di Nove Fio­ ri, una fanciulla che i genitori danno in moglie a un vec­ chio lebbroso, proprietario di una distilleria di grappa, in cambio di denaro. Di lei si innamora un giovane e prestan­ te facchino che, ucciso il marito, la reclamerà per sé. La ra­ gazza, che ha ripudiato i propri genitori, decide di gestire insieme agli operai la distilleria, sposa l’uomo che l’ha sai vata dal suo destino e da questi ha un figlio. A interrom­ pere l’idillio giunge l’invasione del villaggio da parte dei giap­ ponesi (siamo, infatti, nel 1937): Nove Fiori morirà eroica­ mente combattendo per la libertà del proprio popolo. Zhang mantiene l’ambientazione in un passato incerto e in un milieu rurale isolato dal mondo (almeno fino a quan­ do la Storia non irrompe sulla scena vestendo le divise del­ l'invasore giapponese), proseguendo così il cammino già trac­ ciato da Chen Kaige e Tian Zhuangzhuang nell’uso di un tempo astratto che allude aU’imxnutabililà dello spirilo cine­ se nel corso dei secoli c che si ricollega a quel vasto mo­ vimento intellettuale cosiddetto “della ricerca delle radici” che aveva animato la vita culturale cinese durante gli anni Ot­ tanta. Non è un caso che Zhang, per la sua opera prima, scelga proprio il romanzo omonimo di Mo Yan (uno dei prin­ cipali fondatori di quel movimento), rimuovendo dalla sceneggianira quelle parti del racconto in cui compaiono situa­ zioni e personaggi estranei al microcosmo della distilleria, quasi a voler rafforzare la forza primigenia dei suoi eroi e la loro indipendenza da strutture sociali e culturali di sorta. Anche in Sorgo rosso, come già in Terra gialla e in Hor­ se Thief, il paesaggio è un elemento fondamentale, sebbene abbia perso la funzione di schiacciare i personaggi in quel­ la dimensione introversa e meditativa cui erano stati ridotti 2. Dì Sorgo rosso, così come di nini gli altri film di Zhang Yimou, c possibile trovare un’analisi approfondita e una sinossi più detta­ gliala nella seconda parte del libro.

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Stile lihem? un nuouu linguaggio cinematografico

dai registi della Quinta generazione, forse per reazione alle figure stereotipate della Rivoluzione culturale che, al contra­ rio, si ergevano maestose sulle forze della natura asservite alle sorti del comuniSmo grazie all'infaticabile opera dei la­ voratori. 1 campi di sorgo, che con la distilleria sono runi­ co scenario dell'azione, sembrano invece voler negare ogni apertura paesaggistica: le pareti di spighe spingono i perso­ naggi in primo piano, i sentieri che attraversano i campi di sorgo sono i percorsi di un destino ineluttabile e anticipano gli ambienti claustrofobici di Ju Dou e di Lanterne rosse. I personaggi di Zhang agiscono in maniera diretta, modifica­ no il paesaggio con la propria forza (laddove quelli dei film di Chen Kaige lo attraversano in uno stato di smarrita con­ templazione) e dalla natura vengono accolti, nutriti, protetti, in una sorta di riscoperto panteismo. Il pessimismo che con­ notava le opere della Quinta generazione è così superato, senza che, tuttavia, si ritorni all’entusiasmo posticcio dei film di propaganda. In sintonia con questa visione della vita volitiva e pas­ sionale c’c il desiderio di narrare una storia ben strutturata (con snodi drammatici c colpi di scena bene in evidenza), servendosi di immagini spettacolari e di una serie di temi ri­ correnti che guidino lo spettatore nel racconto, catturando­ ne l’immaginazione in maniera diretta: il colore rosso in tut­ te le sue forme (grappa, fuoco, sangue), l’ambientazione uni­ ca (la distilleria e i campi di sorgo), i simboli ostentati (tut­ ti legati più o meno strettamente al binomio dialettico sesso/mone). Vengono meno, insomma, quel senso di indorar minatazza, quell’apertura all’interpretazione da parte del pub­ blico che tanto nettamente distingueva i film della Quinta ge­ nerazione da quelli didattici di regime. Il film, invece, è am­ biguo per quanto riguarda le modalità e le motivazioni del l'adesione alla lotta antigiapponese del gruppo della distille­ ria: se è vero che la guerra contro il Giappone era stata uno dei cavalli di battaglia cinematografici di quello che potrem­ mo definire il “nazionalismo rivoluzionario”, basta assistere al rituale che precede l’attacco finale per capire che siamo ben lontani da qualsiasi intento meramente propagandistico. A parte la dominante rossa di queste scene (elemento sul 35

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quale torneremo a parlare), tutto riconduce a un’atmosfera più da rituale religioso che da cerimonia politica. Una reli­ giosità inconscia e pulsionale, infatti, pervade il film: uno strano rituale è quello compiuto dal portatore in occasione del primo amplesso con la protagonista, così come quello con cui viene celebrata la fabbricazione della nuova grappa, per non parlare poi del corteo nuziale d’apertura, quando viene intonato un canto osceno sulla prima notte di nozze. Dai ripetuti riferimenti al corpo, che con il suo sostrato di pulsioni individuali è uno degli clementi di maggiore novità del film, e dall’ostentazione di una sessualità libera da re­ gole opprimenti, di un erotismo che nei due film successivi diverrà sempre più patinato, traspare il gusto compiaciuto per la provocazione non solo nei confronti delle leggi an­ cestrali del confucianesimo (l’ordine sociale e quello familia­ re sono assenti) ma anche e soprattutto verso quel senso del pudore innato in qualunque spettatore cinese. Il dato più sorprendente di Sorgo rosso. tuttavia, è la scel­ ta di allontanarsi in modo tanto netto e consapevole, sia sul piano delle forine sia dal punto di vista tematico, da quelli che erano stali - malgrado i limiti oggettivi creati dai ne­ cessari compromessi con la censura e dall’indifferenza del pubblico - gli clementi di maggiore originalità della Quinta generazione. Proprio perche è stato uno dei principali pro­ tagonisti della nascita e dello sviluppo del nuovo cinema, Zhang comprende che runico modo per svincolarsi dal ri­ schio di un’omologazione opprimente sia distaccarsi quanto più possibile da una serie di tematiche c stilemi che stava­ no diventando, almeno ai suoi occhi, poco più di una “ma­ niera”.

Un linguaggio finalmente popolare

Dopo Sorgo rosso le strade dei registi della Quinta gene­ razione si dividono. 1 fatti di Tienanmen, il nuovo mercato cinematografico, l’avvento di una nuova generazione di “ci­ neasti arrabbiati” sono i tratti di un periodo di grande in­ certezza che presto si traduce in una vera e propria crisi. 36

Stile libero: un ntrono linguaggio cinematografico

Wu Tianming c esiliato negli Stati Uniti in seguito ad alcu­ ne dichiarazioni imprudenti a ridosso del massacro del 4 giu­ gno 1989. Chen Kaige realizza in Cina (ma con capitali eu­ ropei) La trita appesa ad un filo (1991)» film dal significato non più ambiguo ma incerto, parabola zeppa di metafore di sicuro impatto spettacolare ma debole nella narrazione. Tian Zhuangzhuang, dopo l’insuccesso di Horse Thief, dirige nel 1987 Gushu Yiren (t.l. I cantanti ambulanti, un film di fat­ tura classica), e nel 1988 Rock n 'Roll Kids, un film commer­ ciale), due opere distanti dalla sua “cifra” antropologica e dal rigore stilistico dei primi film. La parola d'ordine sembra es­ sere “ognuno per sé”, e i registi della Quinta generazione, che non avevano mai voluto definirsi in quanto scuola, mo­ vimento o corrente (probabilmente anche per evitare di le­ gare il destino dei singoli a quello di un gruppo, un’entità che di sicuro sarebbe risultata sospetta agli occhi del regi­ me), si ritrovano privi dei capisaldi su cui avevano costrui­ to le proprie carriere c sono costretti a trasformare quella che consideravano orgogliosamente una virtù, l’individuali­ smo, in un’amara necessità. In questo clima di incertezza, Zhang è forse l’unico a non farsi prendere dal panico, il solo a saper cogliere proprio in questi aiuti alcuni tra i propri maggiori successi. A differen za dei suoi colleghi e nonostante le precedenti esperienze in campo cinematografico, è fondamentalmente un esordiente che non ha ancora sviluppato compiutamente una propria personale poetica e che, inoltre, non è interessato a porsi domande filosofiche come Chen Kaige o a intraprendere ri cerche etnografiche come Tian Zhuangzhuang: Penso che il cinema sia il prodotto di molte forme d'arte po­ polari. Dovrebbe essere universale, popolare. Non penso che un film debba portare molta teoria. Non si tratta di concetti fi­ losofici da comunicare a una scolaresca3.

Un esempio illuminante viene dal raffronto tra Sorgo ros­ so c King of tbe Children, il film di Chen Kaige presentato 3. Tan Ye, From tbe Fifth to the Sixth Generation: An Interview with Zhang Yimou, cil.. p. 154.

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nel 1988 al Festival di Carmes pochi mesi prima della vitto­ ria della pellicola di Zhang a Berlino. Una giuria di giorna­ listi cinematografici assegna a King of the Children un pre­ mio non ufficiale, quello per il -film più noioso del festival», un giudizio impietoso dovuto forse alla quasi totale incom­ prensibilità della pellicola per gli spettatori del festival: nar­ rando le vicende di un maestro inviato in una scuola rura­ le di uno sperduto distretto della Cina, buona parte del film si basa su una fitta dialettica tra immagini c ideogrammi, al­ cuni di questi addirittura inesistenti e inventati dal protago­ nista per esortare i propri allievi a guardare la realtà con uno sguardo più personale. Se Chen sembra voler affermare -la necessità di creare un nuovo linguaggio facendo appello al­ l’immaginario individuale-4, quello di un autore che si sente simile al -Ictterato/educatorc d’altri tempi che si serviva del­ le arti pcr comunicare la retta via»5, con Sorgo rosso Zhang afferma che è sufficiente recuperare dal ricchissimo simboli smo cinese, sepolto da secoli di civiltà c da decenni di co­ muniSmo, i significati più autentici della cultura del proprio paese. I mezzi a disposizione del cinema per intraprendere quest’opera di “ritrovamento culturale” sono insiti nella po­ polarità del suo linguaggio: la forza dei simboli, la centralità del personaggio, il fascino delle storie narrate. Il momento dell’invenzione stilistica c semmai successivo a quello della riscoperta dell’universo simbolico e si poggia su un patri­ monio comune, su un inconscio collettivo di stampo jun ghiano che precede qualunque esperienza personale - dun­ que anche ogni tensione autoriale - ed è assunto quale ma­ trice formale di ogni conoscenza futura. Per creare un cinema davvero popolare - sembra questo l’imperativo di Zhang - è necessaria una doppia strategia: confrontarsi con le esigenze del pubblico e tentare di elu­ dere le critiche del regime. Non si tratta di una resa incon­ dizionata alle leggi di mercato o di una nuova psicologia 4. Régis Bergeron, Le cinema cbinois 1984 1997. cit., p. 84. 5. Marie-Claire Iluut, Deux poles yang chi nouveau cinema chinois: Chen Kaige et Chang Yimou, •Cinémas-, ITI/2-3, primavera 1993, p. 111.

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delle masse, ma di una filosofìa o, meglio, di una visione operativa del fare cinema die impone al cineasta la ricerca della formula produttiva migliore per i propri progetti. La grande preoccupazione per il ruolo del pubblico (-A differenza di un libro un film non si può fermare, e non molta gente comune vede un film più di una volta. [...] 11 pubblico non ha altra scelta che seguire il tempo così come è sviluppato dal film, che, proprio per questo, non può es­ sere troppo complesso*6) gli impone di partire da un ele­ mento simbolico forte e, nel caso in cui questo sia assente nei romanzi che adatta per lo schermo, di aggiungerlo arbi­ trariamente: non si tratta quindi di ricostruire fedelmente il tempo in cui sono ambientate le storie (il passato è rutta! più una superficie traslucida che riflette, deformandola, la realtà del mondo contemporaneo) ma, piuttosto, di costrui­ re una serie di banchi di prova su cui rodare strutture nar­ rative classiche, verificandone la tenuta all’interno di una mes­ sa in scena in cui è il piacere dell’occliio a giocare la par­ te del leone. L’ascetismo c le asprezze stilistiche della Quin­ ta generazione, pur fondamentali al fine di liberare lo sguar­ do dai limiti cui era staio costretto in quasi trentanni di ma­ gistero del realismo socialista, hanno fallo il loro corso. I personaggi della Quinta generazione, programmaticamente assorbiti dal paesaggio, transitavano all’interno delle storie senza avere la possibilità di modificarne il corso, erano mo­ derni osservatori della realtà circostante. Per Zhang è pro­ prio questa visione contemplativa e intellettuale a non fun­ zionare: lo spettacolo, nel senso più ampio e popolare del termine, restava escluso da una messa in scena all’insegna di un understatement, e tra le cui righe riusciva a leggere solo una parte esigua del pubblico: la gente di cinema, gli studenti e, forse, qualche intellettuale dissidente. Ciò che colpisce nei primi film di Zhang, viceversa, è la spudorata ostentazione di due tra le componenti cinemato­ grafiche più .spettacolari; la violenza e soprattutto il sesso. Tutto ciò infastidisce i burocrati della censura, sconcertati di 6. Jiao Xiongping, Discussing "Red Sorghum”, in Frances Gateward (a cum di), Zhang Yimou Interviews, cit., p. 5.

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fronte a un cinema che. per la prima volta, mostra assassi­ ni!, stupri c povertà con senso di compiacimento, facendo­ ne uno spettacolo patinato e al tempo stesso popolare. Lo scontro tra Zhang e il potere non è, dunque, sul piano dei temi affrontati: ciò che è necessario capire è se il cinema si possa impone legittimamente in Cina in quanto dotato di un’estetica propria, non solo indipendente dall’ideologia del regime ma anche da altre forme d’arte. Del resto, la tabula rasa della Rivoluzione culturale era stato il miglior alleato per ricostruire dalle fondamenta il concetto di spettacolo ci­ nematografico: soltanto dopo il definitivo snaturamento del mezzo, messo ai servizio esclusivo delle opere modello, es­ so poteva tentare di esistere in quanto cinema e null’altro, né come pura e semplice forma di intrattenimento popolare né come pulpito dal quale indottrinare le masse, ma nep pure come raffinata forma d’arte per un’élite di intellettuali.

Le mille sfumature del rosso Nei suoi primi film due sono gli elementi che rendono inconfondibile la mano di Zhang Yimou agli occhi del gran de pubblico: l’uso preponderante del colore rosso nelle do­ minanti cromatiche della fotografia e le sue eroine, tutte in­ terpretate da Gong Li. Grazie a queste due componenti im­ mediatamente riconoscibili, nel giro di alcuni anni il regista diviene il rappresentante pressoché unico del cinema cinese in Occidente7. Del resto, anche i titoli dei primi quattro film sembrano dovuti alla scelta di alternare questi due elementi fondamentali, ovvero la presenza del termine “rosso” nei ti­ toli della prima e della terza pellicola (Sorgo rosso e lanter­ ne rosse) e l’identificazione del secondo e quarto film con il nome della protagonista (Ju Don e La storia di Qiu Ju). Lo stratagemma rende immediatamente riconoscibili le opere deh 7. Per Chen Kaige la popolarità in Occidente arriva nel 1992 con Ad­ dio mia concubina, un affresco storico magniloquente e di .sicura presa sul pubblico occidentale, ma quanto mai distante dallo spi rito della Quinta generazione.

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l’autore anche all’orecchio dello spettatore più distratto, crea attorno a esse una sorta di aura mitica che si tinge, in­ confondibilmente, di sfumature purpuree. La dominante rossa dei film di Zhang ha tuttavia una dop­ pia valenza significativa: se ptr il pubblico occidentale di­ viene la principale cifra stilistica dell’autore, in una sorta di riduzione simbolica finalizzata a una riconoscibilità immediata che fa comodo soprattutto alle case di distribuzione (i ma­ nifesti pubblicitari giocano immancabilmente sulla presenza simultanea del rosso e della silhouette di Gong Li). per quel­ lo cinese costituisce l’occasione per recuperare, magari in­ consciamente, un patrimonio di simboli originariamente pre­ sente nella propria cultura ma andato perduto, ta forza di un simbolo risiede nella sua natura di catalizzatore di un cer­ to numero di significati, che nc ampliano la funzione da sem­ plice strumento di comunicazione a mezzo di rivelazione e intei prerazione del reale attraverso una stratificazione di ri­ ferimenti alla religione, al mito, all’arte. Zhang conta proprio su questo potere del rosso aH’interno della cultura cinese, assegnando di film in film (ma spesso anche nel medesimo film) vari significati a un unico significante. Forse scontato ma indubbiamente efficace giunge il pa­ rallelismo tra l’uso del rosso nella cultura cinese — c nella rielaborazione operata da Zhang aH’interno dei propri filme l’adozione dello stesso colore da parte della Repubblica popolare per la bandiera nazionale. Privato dei molteplici significati che tradizionalmente aveva assunto nel corso dei secoli, il rosso ha visto ridurre la propria funzione a quel­ la di semplice segno (il cui significato ha un legame di na­ tura stabile e puramente arbitraria con il significante). Un fenomeno, questo, che rivela un progressivo impoverimen­ to semantico che vede il culmine proprio negli anni della Rivoluzione culturale, quando le guardie rosse si impegna­ no in una lotta senza quartiere proprio al patrimonio sim­ bolico del feudalesimo. Come lo stesso Zhang Yimou ha af fermato: 11 significalo simbolico del rosso in Cina è facilmente coni prensibile da ognuno; è sialo recentemente utilizzato per rap­ presentare la rivoluzione, ma da quanto tempo c’è il comuni-

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smo in Cina? Nel nostro paese esiste una cultura antica di cin­ quemila anni: il rosso ha da sempre rappresentato la passione, il rivolgersi al sole, il fuoco, il sangue caldoH.

Da Sorgo rosso, in cui il colore ha la maggiore stratifica­ zione semantica, a La storia eli Qiu Ju (1992) e oltre, è evi­ dente il passaggio da un ricco regime di significazione mul tipla a un altro in cui il rosso è semplicemente uno tra i tanti segni a disposizione dell’autore, un segno che gode, forse, di una posizione solo di poco privilegiata rispetto agli altri, quasi dettata da un semplice legame emozionale. Se nei primi film di Zhang i personaggi vengono immersi nella lu­ ce rossa (di un’eclisse surreale nella scena finale di Sorgo rosso, delle lanterne che illuminano a giorno la stanza di Songlian in Lanterne rosse) quasi a voler creare una dimen­ sione altra da quella reale, in quelli successivi il rosso si ri­ duce a una macchia, come i fasci di peperoncini di La sto­ ria Qiu Ju. il rosso sangue della carneficina in La triade di Shanghai (1995), il vestito da contadina della giovane pro­ tagonista di Non uno di meno (1999), il drappo rosso tessu to dall’eroina di La strada verso casa (2000), gli interni del Tautobus-alcova in La locanda della felicità (2002). Una letnira diacronica delle prime opere di Zhang può dunque ser­ vire a illustrare il progressivo allontanamento da uno stalo primigenio nel quale è ancora possibile un accumulo di si­ gnificati su un unico significante a un momento in cui la ri­ duzione del simbolo a indice (un elemento che suggerisce la presenza di "qualcosa” senza specificarne la natura profon­ da) è compiuta. Tn Non uno di meno, nella scena dell’alza­ bandiera in una sperduta scuola di campagna in cui il ves­ sillo nazionale è poco più di uno straccio consunto e sbia­ dito dal tempo, il regista mette in immagine la propria vi­ sione di una “bandiera rossa” che ha smarrito progressiva­ mente e inesorabilmente la propria carica rivoluzionaria. Tuttavia, come accennato, in Cina il lavorio del tempo as sumc i connotati di una vera c propria distruzione e, per quanto si tenti di recuperare dal passato i simboli della pro­ ti. Jiao Xìonping, Discussing Red Soigbinn ", cit.. p. 6.

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pria cultura, difficilmente sarà possibile ricostruire un imma­ ginario collettivo che rimanga fedele all’originale. Del resto per Zhang non è in ballo la questione di riprodune fedel­ mente il passato, opzione, questa, incapace di soddisfare il proprio modo di concepire il cinema, eminentemente spet­ tacolare e popolare. Se poi si tratta di ricostruire una me­ moria collettiva, una matrice inconscia dalla quale poter par tire pcr ritrovare le proprie radici, a maggior ragione c inu tile attardarsi in tentativi che, per restare fedeli alla realtà, al­ l’originale, probabilmente dovrebbero essere simili a un film in bianco e nero. Ancora una volta lo scontro di Zhang con il regime e con il cinema da esso prodotto avviene sul piano delle superfìci della rappresentazione: se i film di propaganda non ave­ vano fatto altro che diffondere l’immagine di una Cina co­ me sarebbe dovuta essere in un futuro prossimo, imminente, progressivo, Topcra del regista di Xi’an offre la rappresenta­ zione del passato della Cina feudale così come sarebbe po­ tuta essere. La differenza sostanziale risiede non tanto nella proposizione di modelli - rivoluzionari o reazionari, prefi­ gurazioni del futuro o nostalgiche rievocazioni del passato quanto nel modo in cui essi sono rappresentati: alla retori­ ca monolitica intrisa di razionalità progressista del comuni­ Smo si oppone la proposta scandalosamente inedita di ri-costruire un universo mitico che abbia una propria valenza as­ soluta. E ogni ri-costruzione è un atto arbitrario, personali­ stico, demiurgico. L'arbitrarietà del simbolo e del rito

Quasi tutti i film di Zhang sono tratti da romanzi di scrit­ tori cinesi divenuti celebri durante gli anni Ottanta grazie al­ le caute aperture del regime anche a quelle voci che non fossero di pura e semplice propaganda: Sorgo rosso c tratto dal romanzo omonimo di Mo Yan così come lo è il sogget­ to di La locanda della felicità, Ju Dou si ispira a una no­ vella di Liu Heng, Lanterne rosse al racconto di Su long in­ titolato Mogli e concubine. Si tratta di opere molto diverse 43

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tra loro, ma nitre caratterizzate da una medesima “impronta cinematografica", da un linguaggio visivo capace di rendere vividi e tangibili personaggi, ambienti, situazioni. Uno stile di scrittura, questo, che ha contribuirò sicuramente a orien­ tare le scelte di Zhang, anche se, pur fornendo al suo ci­ nema strutture narrative ed espressive di eccezionale forza evocativa, non ha quasi mai soddisfatto integralmente il suo progetto. In lutti i film appena citati, infatti, il regista sente la ne­ cessità di inserire un elemento nuovo (spesso assolutamen­ te centrale tanto dal punto di vista della progressione dram­ matica degli eventi quanto da quello della materializzazione simbolica dei conflitti), assente dai libri cui gli stessi film so­ no ispirati. In Ju Dou è la tintoria con il suo sistema di mar­ chingegni per lavorare i tessuti fatto di ingranaggi, passerel­ le, carrucole, in Vìvere! (1994) è il teatro dei burattini con il suo bauletto che, nel finale del film, accoglierà la vita fatta­ si metafora (i pulcini di Panino), in Sorgo rosso l'aggiunta del personaggio di Trecannoni nella scena dell'esecuzione dei ri­ belli da parte dei giapponesi a rendere più ambiguo il mes­ saggio politico del film. Ancora più esemplare è la sensa­ zione di spiazzamento che devono aver provato alcuni let­ tori di Mogli e concubine (reso famoso proprio dalla traspo­ sizione cinematografica) nel constatare che le lanterne rosse, elemento di maggior impatto visivo e allegorico del film omo nimo, erano un'invenzione del regista e non figuravano in nessuna pagina del racconto di Su Tong9. Anche in questo caso, come già per il colore rosso (non a caso le lanterne sono per l’appunto rosse), le lanterne co­ stituiscono. in quanto simbolo, un insieme stratificato di si­ gnificati rimossi o del tutto inediti nella cultura cinese e, non dimeno, giocano un ruolo fondamentale nell’economia nar­ rativa del film: è attorno a esse e alla loro rituale ostensio­ ne che si articolano alcuni degli avvenimenti chiave della pellicola. Ma c soprattutto dal punto di vista della rappre9. Ancora più paradossale la scelta della casa editrice italiana che. sul­ la copertina del romanzo, decise di inserire un fotogramma del film in cui fanno bella mosua di se proprio le famose lanterne.

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sentazionc che le lanterne operano una vera c propria rive­ lazione: catalizzatori della visione, oggetti di seduzione del­ lo sguardo al pari dell’interprete principale immersa in più di un’occasione nella luce rossa da esse sprigionala, sono l’emblema della contraddittorietà affascinante del cinema stes­ so. Da un lato, con la loro evidenza all’interno dell’econo­ mia filmica, le lanterne ammiccano alla ricostruzione minu­ ziosamente fedele della realtà, dall’altro sono il simbolo di una costruzione immaginaria (al pari di qualunque altra rap­ presentazione) di un universo a sé, irrimediabilmente distante dal suo referente reale1011 . Annotazione, questa, che può va­ lere, in cgual misura, per la tintoria, per il teatro di buratti­ ni, o per qualsiasi altro simbolo inserito arbitrariamente da Zhang nei suoi film. -Zhang è un cineasta che riesce a inventare nel più rigo­ roso rispetto della verosimiglianza. Naturalmente intendiamo la verosimiglianza come categoria fìlmica, interna al filmi...!-11. Tra il mondo della realtà e quello del cinema, il regista sce­ glie senz’altro quest ultimo, forse perché ha capito che al ci­ nema cinese manca proprio quell’autonomia dal reale che sempre gli è stata negata: perduto irrimediabilmente il pas­ sato cui la rappresentazione dovrebbe rimandare (ad aiutare il tempo nel suo lavoro di rimozione ha contribuito la vera e propria distruzione delle tradizioni operata dalla Rivoluzio­ ne culturale), Zhang sceglie il suo sostituto, la rappresenta­ zione stessa, rendendolo completamente autonomo dal suo referente proprio attraverso l’ostentazione della sua natura fit­ tizia. È possibile ritrovare la medesima funzione di allontana­ mento dell’universo rappresentato dalla sua controparte reale nell’uso dei rituali (matrimoni, preghiere, imposizioni di no mi, funerali, giuramenti) quali momenti cardine della messa in scena. Come ha puntualmente sottolineato Donald Sutton: 10. E, in effetti, la sensazione che si tratti proprio di un altro mondo è rafforzata da almeno altri due elementi, (I) l'isolamento della casa rispetto l’esterno r (2) una struttura narrativa c scenografica “a pal­ coscenico”. 11. Alberto Crespi, Lanterne russe, -Cinefonim-, n. 311, gennaio-febbraio 1992, p. 56.

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In tulli questi filili i riti sono o semplificati o inventati [...] A livello storico essi non sono cosi accurati: le eccitanti invoca­ zioni di Sorgo rosso e la cerimonia delle lanterne di Lanterne rosse sembrano completamente immaginarie, sebbene 1...1 siano conformi allo spirito dei libri sui cui sono basale1213 .

In questo caso l’intervento di Zhang è ancora più pesan­ te, dato che i rituali, “semplificati o inventati” che siano, ci vengono presentati come assolutamente fedeli a un univer­ so etnograficamente individuato, descritti minuziosamente in ogni loro particolare. Prendiamo ad esempio la scena della preparazione della sposa e il suo viaggio fino alla casa di Padron Li in Sorgo rosso e confrontiamola con quella analo­ ga che apre Tetra gialla: in quest’ultimo film le immagini sembrano rubale dall’obiettivo di un antropologo, simulano uno sguardo lontano, distante, oggettivo, coincidente con quello del soldato, elemento estraneo a quella realtà, vero e proprio strumento di documentazione del rituale; in Sorgo rosso, invece, la macchina da presa indugia sulla vestizione della giovane, coglie i consigli fuori campo di chi la sta pre­ parando, entra nella portantina e ci rende non più spettato­ ri ma protagonisti dell’angoscia della sposa. La descrizione minuziosa è dunque del tutto funzionale a collocare il rituale in un tempo passato che è possibile rivivere solo ed esclu­ sivamente grazie alla finzione cinematografica, solo cir­ confondendo lo stesso rito di un'aura mitica, fantastica, epi­ ca e che ha un debito di attendibilità esclusivamente verso la propria coerenza fìnzionale1^. Non si tratta, tuttavia, di un esotismo buono solo per lo sguardo distratto c al tempo stesso vorace degli stranieri. La gran parte del pubblico occidentale ha un approccio inge­ nuamente fiducioso nei confronti delle rappresentazioni mes­ se in scena da Zhang, prende per buono ciò che le viene 12. Donald Sutton, Ritual, History, anil the Films of Zbang Yimou, -EastWest Film Journal», 8/2, giugno 199‘L p- *10. 13. -Chi si poteva ricordare come facevano il sorgo cinquant'aiuii fa? Mo Yan non conosceva nessuno, così lavorammo alla cicca. Cera anche la scena della portantina, quella di apertura. Domandai a Mo Yan in che maniera i portatori facessero sobbalzare il loro carico ma lui mi rispose che non ne aveva idea. Così feci da solo. E la

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mostrato: l’occhio, scivolando sulla superficie patinata della rappresentazione, si satura di colori e simboli. È piuttosto nei confronti dello spettatore cinese che viene operato un vero e proprio scarto, un salto di qualità nella visione che, gra­ zie a quelle che possono essere individuate come incon­ gruenze, diviene finalmente autonoma da ogni sovrastruttu­ ra esterna al cinema. Il parallelo tra Zhang e Von Sternberg, evocato per mettere in relazione il rapporto tra il regista ci­ nese c Gong Li e quello tra l’austriaco e Marlene Dietrich, è più efficace se spostato sul piano della messa in scena: quella di un mondo decadente non tanto per la natura in sé del contesto descritto (storie di torbide passioni in un Orien­ te improbabile popolato da donne fatali), quanto per il gu­ sto di mostrare una scena sovraccarica di presenze accesso­ rie che contribuiscono a creare un universo indipendente e alternativo rispetto alia realtà. È giusto affermare, come fa Ma Ning, che -la caratteristica più importante di questo lin­ guaggio è [...] un effetto dcfamiliarizzante sullo spettatore ci­ nese. Esso esplora la tensione tra un tentativo di realismo e un’ossessione nei confronti dell’espressione simbolica; tra un interesse per l’inquadratura inusuale e un’ammirazione per il montaggio-14,

Una sfida allo sguardo La sfida di Zhang al cinema cinese tradizionale è orien­ tata, dunque, tanto dalla costruzione di un immaginario nuo­ vo e provocatorio, quanto dal tentativo di costruire una di­ mensione inedita dello sguardo. Non è un caso che imma­ gini di corpi nudi e scene di sesso, considerate scandalose dal sentire comune dei cinesi, siano sempre presenti nei suoi primi tre film. Si tratta di immagini segnale dal tema della canzone? L’ho scritta io, praticamente. Dope? aver visto la sequen­ za molta gente si è complimentala con me affermando che ciò pre­ servava le tradizioni folcloristiche molto bene-, in Jiao Xiong pi ng. Discussing “Red Sorgbum'\ cit., p. 13« 14. Ma Ning, New Chinese Cinema - A Crificai Account of the h'Iftb Gene ration, -Cinemaya-, inverno 1988-89, n. 2, gcnnaio-inarzo 1989, p. 25.

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proibizione che» come spesso avviene per le scelte di Zhang, sono connotate da vari Livelli di lettura. Più evidente è il li­ vello dell’infrazione del tabù in sé e per sé (mostrare il cor­ po nudo è stato uno degli interdetti principali in millenni di arte figurativa cinese), ma più sottili sono le implicazioni se si considera il contesto all’interno del quale avvengono tali “esibizioni". In Ju Dout ad esempio, la sequenza in cui il ni­ pote dell’anziano proprietario della tintoria spia la moglie di quest’ultimo mentre si spoglia è una metafora del potere che vieta ai propri figli il piacere della visione, una sorta di uscena primaria” di stampo freudiano che porta lo sguardo del­ lo spettatore in un territorio fino a quel momento inesplo rato e proibito. L’apertura della visione a tale dimensione voyeuristica è l’elemento di maggiore novità: lo spettacolo del denudamento fa del corpo della protagonista uno tra i canti simboli ostentati dal film, uno dei segni che marcano l’accesso della visione a una dimensione letteralmente altra da quella reale (o presunta tale all’interno del sistema di con­ venzioni culturali che limitano l’ambito della rappresentazio­ ne). Nel momento in cui Tianqing poggia l’occhio sul buco nella parete per spiare la donna, lo spettatore si trasforma da semplice guardante in voyeur, divenendo pienamente co­ sciente della propria natura di spettatore cinematografico, con in più il sottile piacere derivante dalla consapevolezza che lo spettacolo non gli è offerto dal caso, incidentalmente, ma che è stato appositamente creato pcr la sua visione, per il suo desiderio, per il suo godimento. Del resto, anche la scena iniziale di Sorgo rosso (quella in cui la protagonista si trova nella portantina) ha il valore di una vera e propria dichiarazione di poetica: il gesto riso­ luto con il quale Jiu’er infrange il divieto di togliersi il velo rosso è una sorta di invito provocatorio rivolto allo spetta­ tore a liberarsi dai propri tabù. Un gesto immediatamente confermato dall’atto della protagonista che, scostando uno dei lembi della tenda, spia i corpi seminudi di coloro che la stanno trasportando. Ciò che ce di nuovo in queste sequenze è che si tratta, in entrambi i casi, di inquadrature soggettive tese a un coinvolgimento diretto del pubblico all’interno del film e alle dinamiche dello sguardo da esso costruito: allo

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stesso modo c inversamente rispetto allo ‘‘sguardo in mac­ china”, le soggettive dei personaggi di Zhang, spesso inten­ ti a spiare altri personaggi, sono i segni dcll’avvenuto pas saggio da un regime rappresentativo illusoriamente oggetti­ vo a un altro fortemente connotato da un carattere necessa­ riamente personale. Del resto, quanto sia importante il ruo­ lo affidato da Zhang allo sguardo degli spettatori diviene an­ cor più evidente nel momento in cui viene loro impedita la visione di qualcosa, come ad esempio Fimmagìne del pa­ drone di casa Chen in Lanterne rosse, con il quale la mac­ china da presa sembra giocare a rimpiattino, inquadrandolo sempre di spalle o in campo lunghissimo. A rafforzare la valenza voyeuristica di tali visioni e a evi­ denziare la natura contraddittoria dei personaggi e anche Forizzonte chiuso all'interno del quale si svolgono le rappre­ sentazioni: da Sorgo rosso a Lanterne rosse, il regista ha de­ limitato sempre più strettamente lo spazio d azione dei pro­ tagonisti nel tentativo di circoscriverne la capacità di movi­ mento, di rendere sempre più evidente lo stato di prigionia nel quale essi vivono, affidando a una metafora sempre più stringente la rappresentazione della loro oppressione. Le pa­ reli di stoffa della portamina di Sorgo rosso, quelle della tin­ toria di Ju Dou. le alte mura del palazzo di Lanterne rosse sembrano indicare il destino di queste figure tragiche, orien tarlo, costringerlo all’interno di un percorso circolare: abbia mo già ricordalo come in Sorgo rosso le radure tracciale nei campi producano una pluralità di significati (luogo di piace­ re e di vita nel caso del primo amplesso dei due protago­ nisti, di tortura e morte all’arrivo dei giapponesi); il movi­ mento di rotazione dei congegni che muovono le macelline della tintoria (non a caso simili a gigantesche mote della tor­ tura medievali) in Ju Don è metafora dei meccanismi per­ versi del sistema confuciano; la cinta muraria che stringe il percorso di Songlian in Lanterne rosse è il simbolo dell’im­ possibilità di volgere a proprio favore le regole patriarcali. Lo spazio c dunque un elemento attraverso il quale l'au­ tore può concentrarsi su un universo chiuso su se stesso, drammaticamente autonomo. Ma esso è anche la dimensio­ ne al cui interno lo spettatore sente la propria presenza se49

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guata da un senso di claustrofobia, dall'impossibilità di di­ stogliere il proprio sguardo da ciò che gli viene mostrato, da quanto avrebbe desiderato vedere c che ora è quasi co­ stretto a subire. Allo stesso modo, molle delle scene in cui è la violenza a predominare sono fortemente ritualizzate, mostrate a una platea di osservatori interni al film il più am­ pia possibile. Pensiamo allo scotennamcnto del bandito in Sorgo rosso, alla scena del funerale in Ju Dout alla sequen­ za in cui la serva di Songlian viene umiliata in Lanterne ros­ se, ma anche all’esecuzione di Bijou e del suo amante in La triade di Shanghai o a quella in cui esplode la follia di uno dei protagonisti di Keep Cool (1997). Si tratta di veri e propri spettacoli studiati più per il piacere dell’occhio che per un desiderio di catarsi: se la purificazione avviene gra­ zie alla messa in scena della violenza, questa è di natura essenzialmente visuale, decisamente fisica e ben poco ra­ zionale.

Tra orizzonti chiusi e aperture al reale Nel corso degli anni la vocazione spettacolare c popola­ re del suo progetto cinematografico ha portato Zhang a spe­ rimentare una grande varietà di stili (da quello scanzonato e vitalistico di Sorgo rosso a quello rigoroso e opprimente di Lanterne rosse), a spaziare tra i generi senza troppo preoc cu parsi di rimanere fedele ad altro proposito che non fosse quello di creare strutture narrative coerenti dal punto di vi­ sta della rappresentazione ma sostanzialmente indipendenti dalla realtà. È naturale che una volta raggiunto il massimo rigore nel­ la messa in scena grazie alle geometrie visive di Lanterne rosse (film di per sé astratto, almeno quanto lo e la dimen­ sione in cui vivono le protagoniste), Zhang decida di girare un film in cui lo spazio esterno, quello sociale, sia preva­ lente, tentando di catturare la vita reale dei villaggi e delle città: in la storia di Qiu Ju il villaggio è la casa della pro­ tagonista, data l’estrema permeabilità nel mondo contadino di spazi esterni della comunità e interni della vita privata. 50

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L'apertura di questo film alla contemporaneità si traduce an­ che nella disponibilità a un confronto diretto con la realtà, e non solo a una trasposizione realistica della vita moderna, il percorso della protagonista non è pili circolare e il suo andirivieni dalla campagna alla città segna il definitivo ab­ bandono delle strutture narrative e rappresentative daU’orizzontc chiuso: è il reale con le sue possibilità che Zhang ten la ora di esperire esponendosi alla sua alcatorietà anche at­ traverso l’uso di procedimenti diametralmente opposti a quel­ li fin qui utilizzati, ovvero riduccndo al minimo gli interpre­ ti professionisti e sperimentando situazioni nuove, catturate “per caso” attraverso l’uso della macchina da presa nascosta, sconfinando, così, in una sorta di documentario ‘"pilotato”. Dopo questa prova spiazzante - in cui l’attualità ò anco­ ra parzialmente mascherata dalle condizioni di vita arcaiche del villaggio contadino dove il film è ambientato - Zhang ri toma al passato, quello storico di Vivere! e quello esotico di la triade di Shanghai. Si tratta di incursioni in due generi tra i più codificali: un grande affresco storico e un film di gangster che segnano, al di là del loro maggiore o minore valore intrinseco, uno dei punti di arrivo del cammino del cineasta. Mentre da Sorgo rosso a Lanterne rosse lo scopo principale di Zhang era pervenire a un’affermazione del va­ lore assoluto della finzione cinematografica, concentrandosi esclusivamente sulle tensioni drammatiche tra i personaggi e affidandosi a strutture narrative universalmente valide (epica, melodrammatica, tragica) e limitandole all’interno di orizzonti rappresentativi chiusi, ora, dopo l’immersione nella realtà contemporanea di La storia di Qiu Ju. si tratta dì confron­ tarsi direttamente con il cinema e con le strutture del rac­ conto da esso canonizzate. La storia di Qiu Ju c stalo un banco di prova esaltante attraverso cui Zhang ha potuto di­ mostrare che il suo cinema era finalmente pronto a con­ frontarsi con la realtà contemporanca: ma per il cineasta non esistono certezze consolidate, c’è piuttosto un proprio uni­ verso poetico che va sottoposto a continue verifiche, a un confronto perenne con la contingenza del cinema in quan­ to sistema produttivo che ne confermi lo stato di salute, la vitalità. 51

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La ricerca dell’autore si sposta dal piano del linguaggio prettamente nimico a quello cinematografico in senso lato: si passa dalla ri-costruzione di un patrimonio di simboli al­ la rielaborazione delle forme cinematografiche (dopo la con­ ferma, essenziale, che il cinema stesso può affrontare la realtà contemporanea), e la sua attenzione si sposta dallo spetta­ tore in quanto depositario - magari inconsapevole - di un universo culturale sopito e quasi dimenticato, allo spettatore in quanto smaliziato fruitore di cinema. L’esigenza di una ri­ costruzione deH’immaginario collettivo cinese, infatti, non è solo dettata dalla distruzione del passato, bensì anche e so­ prattutto dall’avanzata del futuro; la Cina si trova stretta in un presente che ha perso i legami con la propria storia e al tempo stesso è assediata, specie in campo cinematografico, da nuovi modelli completamente estranei all’iconografìa tra­ dizionale. Nel 1999, invitato a fare un bilancio della propria carriera, Zhang ha affermato senza difficoltà: -Tra i registi del la Quinta generazione il mio stile è quello che è cambialo maggiormente. I miei film sono completamente scollegati tra loro, vanno in tutte le direzioni, manca kiri uno stile co­ stante"15. Dalla verticalità analitica che aveva connotato le pri­ me tre opere (incentrate sul rapporto tra donna e società in epoca prerivoluzionaria) si passa, così, a un’esplorazione il più possibile ad ampio raggio di ambiti della rappresenta­ zione quanto mai eterogenei: Zhang sembra quasi spinto dal­ la necessità di aggiornare un proprio personale catalogo di temi e stili a quelle che sono le tendenze contemporanee o magari “classiche”, recuperate però alla modernità dal gusto postmoderno per l’esotico. Per un regista che ha fatto della popolarità il proprio pro­ posito principale, un affresco storico come Vivere! rappre­ senta quasi una tappa obbligata. La voce oter di un narrato­ re aggiorna lo spettatore sulle varie tappe del cammino ri­ voluzionario e, allo slesso tempo, introduce una serie di se­ quenze che descrivono di volta in volta la guerra civile, i pro­ 15- Tan Ye, From the Fifth io tbe Sixth Generation; An Interview with Zbang Yimou, in Frances Gateward (a curd di), Zbang Yimou In terviews, cit., p. 156.

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cessi di piazza, la vita durante il “Grande balzo in avanti" dal punto di vista degli umili c per mezzo di scene corali sa­ pientemente orchestrate. Zhang non lavora allo scardinamen­ to dall’interno delle regole, piuttosto vuole verificare la tenu­ ta del genere di riferimento intensificando quanto più gli è possibile il contrasto tra comico e drammatico, giustappo­ nendo, cinicamente in taluni frangenti, scene madri e mo­ menti comici. Vivere! è soprattutto il film nel quale Zhang li­ mita al minimo i propri interventi autoriali: se Tian Zhuangzhuang e Chen Kaige che avevano dato prova di tutta la propria capacità espressiva e del proprio personalissimo sti­ le con due film simili a Vivere! (rispettivamente, The Blue Ki­ te e Addio mia concubina, ambientati durante il medesimo periodo storico), Zhang, grazie a un più accentuato caratte­ re popolare, meno incline a quella riflessività nostalgica che a volte sembra sfociare nell’autocompiacimento, tipica dei suoi due ex compagni di corso, sembra esclusivamente preoc­ cupato di mettersi al servizio della storia da narrare. Non ci sono più simboli forti attorno ai quali “far girare" il film, e finanche il teatrino delle marionette (arbitrariamente aggiun­ to da Zhang al romanzo di Yu Hua da cui è tratto il film), pur centrale nello sviluppo della storia ed essenziale per una lettura trasversale delle vicende, è un elemento più assorbi­ to dal fluire degli eventi, meno evidente di tante altre im­ magini costruite dall’autore. Con La triade di Shanghai Zhang affronta, invece, il gang­ ster-movie, e lo fa utilizzando una serie di situazioni c spa­ zi prettamente cinematografici, già codificati attraverso un’i conografia stabile, canonizzata (il night-club, il palazzo del boss, Pisola su cui la gang si rifugia per riorganizzare le pro­ prie file e chiudere i conti con i traditori), sebbene all’inter no di una struttura drammatica ridotta all’osso, a traiti qua­ si banale e con una predilezione per un punto di vista mi­ nore, quello di personaggi solitamente marginali in un noir (in particolare, quello di un “minore” anche dal punto di vi­ sta anagrafico, il giovanissimo protagonista, primo di una se­ rie di personaggi adolescenti che segneranno da qui in poi il cinema dell’autore).

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La triade di Shanghai c un film che apparentemente non dice niente allo spettatore occidentale che conosce fin trop­ po bene il genere gangster (tanto nelle versioni classiche de­ gli anni Trenta e Quaranta quanto nelle rivisita zioni/riclaborazioni alla Cotton Club), ma che in realtà, proprio per que­ sto, coincide con -lo sguardo ingenuo e capovolto di Shuisheng [...1 che rappresenta l’occhio originario della scatola ottica, dalla lanterna magica in poi, dove l’immagine si ot tiene, infatti, da sorto in su-16. Siamo a metà degli anni No­ vanta c il mercato internazionale sta imparando ad apprez­ zare tanto la visionarietà di registi come John Woo e Ringo Lain, veri maestri del genere gangster acrobatico c speltaco lare made in Hong Kong, quanto lo sguardo di autori come Wong Kar-wai e Tsai Ming liang, piu interessati ad analizza­ re l’incomunicabilità del vivere metropolitano e la “virtualizzazione” dei rapporti interpersonali. Zhang sembra voler ri­ spondere ai primi proprio con le ambientazioni rétro e il rit­ mo lento di La triade di Shanghai, ai secondi con Keep Cool, film diametralmente opposto al precedente che pare ammic­ care continuamente a un nuovo genere di sguardo, velocis­ simo c confusionario, tutto assorbito dal tentativo di restitui­ re la realtà caotica dell’universo cittadino. Se in La storia di Qiu Ju determinate scelte stilistiche di stampo documentari slico - uso dello zoom, lunghe sequenze prive di montag­ gio, uso discreto della macchina da presa - erano dettate dall’esigenza zavattiniana di tallonare il personaggio per ren­ dere evidente il suo disagio, in Keep Cool soluzioni ipoteti­ camente realistiche, come l’uso della macchina a mano, so­ no utilizzate in maniera così ridondante da far pensare a una sorta di caricamra dei vezzi auroriali dei giovani videomaker della Sesta generazione. Con questi ultimi tre film, pur diversissimi, il cinema di Zhang entra ancora una volta in una fase diversa, quella in cui il mutamento incessante dello stile è funzionale alla nar razione di una storia: diventa prioritaria l’esigenza - già pre­ sente nei primi film ma rimasta in secondo piano rispetto al­ lò. Flavio Dr Bernardinis, La triade di Shanghai, -Segnocinema-, n. 78, marzo aprile 1996, p. 59

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la forza allegorica degli stessi - di raccontare, il tentativo di cercare una relazione con il pubblico che non si basi sulla riattivazione di un universo simbolico dimenticato o su una serie di scelte formali che contribuiscano a creare un lin­ guaggio cinematografico eminentemente popolare. Non è un caso che, da questo punto in poi, tutti i film di Zhang sia­ no ambientati nel tempo presente c vertano essenzialmente su tematiche sociali affrontale con il piglio didattico di chi ormai sente la necessità di fondare il proprio cinema sulla comunicazione di un messaggio.

L'indecifrabilità del mondo contemporaneo In ambito critico l’intera opera di Zhang è segnata da un malinteso che ne ha costantemente accompagnato il cammi­ no: lo sguardo rivolto a un passato vago e indeterminato dei primi film è stato spesso interpretato come volontà di elu­ dere il confronto con tematiche attuali, come necessità di ri­ fugiarsi in un cinema sostanzialmente perfetto dal punto di vista della rappresentazione ma anche asettico, privo di ve ri e propri legami con la contemporaneità. È chiaro, invece, quanto sia più produttivo leggere la creazione di questo uni­ verso rappresentativo isolato nello spazio c lontano nel tem­ po come il tentativo di creare una realtà finzionale compiu­ tamente e coerentemente cinematografica, più che come una semplice fuga dal presente e dal rischio di incappare nella censura. Quando verso la fine degli anni Novanta l’autore si volge a una serie di temi fortemente legali al mondo con­ temporaneo (povertà, analfabelismo, abbandono delle cam­ pagne, solitudine, emarginazione, disoccupazione), la critica aggiusta il tiro, stigmatizzando l’abilità di Zhang nello sfu­ mare gli aspetti più sgradevoli della realtà cinese, stempe­ randoli in una visione manierata del presente, dunque an­ cora una volta irrimediabilmente lontana dalla realtà. Ciò die gli si rimprovera è di non essere piti capace di trasferire la stessa energia simbolica e metaforica dei primi film nella di­ mensione contemporanca, di essere l’abile narratore di sem-

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pre ma ÙTimediabilmentc privo di quella forza caustica che aveva connotato il suo esordio. In scarto tra passalo e presente è fondamentale per com­ prendere appieno un mutamento di rotta tanto deciso. Se proprio grazie al suo stile postmoderno - montaggio rapi dissimo e movimenti di macchina che partecipano all’azione frenetica dei personaggi Keep Cool costituisce per molti ver­ si il contraltare della visione semidocumentaristica di Zzi sto­ ria di Qiu Ju (un film nel quale le contraddizioni della vita contemporanea c le tensioni tra campagna e città erano per lo più sdrammatizzate grazie ai toni della commedia), en­ trambe le pellicole rappresentano due soluzioni diametral­ mente opposte a un medesimo problema. Se era possibile codificare il passato, decidere di fotografarlo con precisione tale da rasentare l’arbitrarietà, affidandosi interamenie al po­ tere simbolico di un’unica immagine esemplare, ora il pre­ sente pone un’enorme incognita: ha una resistenza intima a farsi ridurre in immagine. Nella ri-costruzione del passalo le strutture simboliche ricalcavano quasi sempre le strutture so ciali cui ci si riferiva: i luoghi chiusi testimoniavano l’impos­ sibilità di trasgredire la legge, i percorsi circolari Tinutilirà della trasgressione. A partire da La storia di Qiu Ju, e ancor più da Keep Cool, nessuno dei personaggi di Zhang ha un destino segnato, piuttosto si fanno avanti una serie di pos­ sibili scenari aH’interno dei quali essi possono muoversi c, soprattutto, scegliere. In altre parole, il presente pone a Zhang il problema del­ la propria incodificabilità, il fatto che non si lasci ridurre in una metafora che ne racchiuda il senso: il mondo contem­ poraneo e fin troppo affollato di segni che non possono as­ surgere allo statuto di simboli in quanto privi di una rete di significati sufficientemente forte che ne possa costruire il sen­ so (e l’informai irà di Keep Cool, forse il più urbano dei film di Zhang, ne è l'esempio lampante). Zhang non rinuncia al simbolo, ma lascia che la forza che gli è propria venga con­ taminala dalla banalità del quotidiano come un qualsiasi altro oggetto, fa in modo che esso si perda nella proliferazione dei segni, apparentemente incapace di sfruttare fino in fondo le proprie possibilità di sintesi e farsi discorso. Negli ultimi film

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del regista le metafore della modernità risultano sempre più ambigue e confuse, vengono deformale da una visione di­ storta della realtà (come in Keep Cool, con il bar-karaoke sim­ bolo della follia che pervade la società cinese contempora­ nea), si manifestano in tutta la propria doppiezza (come in Non uno di meno nel quale la televisione d elemento positi vo nella soluzione della vicenda ma allo stesso tempo privo di scrupoli nello sfruttare un caso umano a proprio esclusivo vantaggio), a conferma della difficoltà di costruire strutture del­ l'immaginario sufficientemente solide per raccontare il reale. Solo quando torna a confrontarsi con il passalo, come in occasione di La strada verso casa, il simbolo ritorna alla sua funzione originaria di recupero della significazione. Anzi, è rimmagine nella sua interezza c a partire dalle componenti di base a produrre un senso, una direzione di lettura: in que­ sto film, ad esempio, è la fotografìa, luminosa quanto altre mai, a suggerire un universo iconografico serenamente di­ verso, sono le riprese fluide ad accompagnare i personaggi, a favorirne gli incontri in maniera complice. La dialettica tra il bianco e nero del presente e il colore del passato è tan­ to scontala quanto illuminante: nel “grigiore” del presente gli oggetti (il telaio, gli utensili per la preparazione del cibo e quelli per la costruzione della scuola) e i luoghi (la scuola, il villaggio, i campi) sembrano bloccali in un'eterna stagio­ ne invernale, teslimoniano la morte del maestro e la fine del­ la scuola e di un certo tipo di socialità. Nel mondo a colo ri del passalo è invece possibile recuperare un universo di oggetti, luoghi, situazioni che vanno olire la propria mera valenza materiale: il telaio ritrova una funzione vitale (serve a tessere un drappo rosso da appendere, in segno di buon auspicio, alla trave principale della scuola, mentre nel pre­ sente sancisce la morte del marito con un telo bianco che ne avvolgerà la bara), le pietanze cucinate con cura dalla ra­ gazza servono soprattutto ad “alimentare" la storia d'amore con il maestro. È un intero apparato retorico a muoversi in direzione e a favore di un’immediata accessibilità al significato del film da parte dello spettatore: attingendo a piene mani da un campionario stilistico volutamente datato e a tratti dccisa57

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meme stucchevole (i ralenti e le dissolvenze incrociare usa­ li per esaltare il gioco degli sguardi tra i due innamorali), Zhang compie una sintesi efficacissima finalizzata alla rievo cazione affettuosa di un amore d’altri tempi. Un ponte tra Oriente e Occidente: Zhang Yimou e il cinema transnazionale

Al ritomo da un viaggio di gruppo in Cina organizzato dalla redazione del periodico letterario -Tel Quel- nella pri­ mavera del 1974, Roland Rarthes, pressato dalle domande su cosa lo avesse colpito maggiormente, dalle colonne di -Le Monde- rispose sorprendentemente con un sonoro -niente-17. La Cina gli era apparsa come un paese privo di contrasti tan­ to da arrivare a definirla -scialba- e -scipita-, senza ovvia­ mente dare a questi due aggettivi la valenza negativa che è loro implicita, ma utilizzandoli in un’accezione squisitamen­ te semantica: -Ci lasciamo allora alle spalle la turbolenza dei simboli e affrontiamo un paese sterminato, vecchissimo e nuovissimo, in cui la significanza è discreta fino a essere ra­ ra. [...I I significanti (tutto quello che eccede il senso e lo fa traboccare, allontanarsi verso il desiderio), i significanti son rari-18. Viene da chiedersi cosa avrebbe detto il celebre semiologo francese di fronte ai film di Zhang Yimou, ricchi di simboli, eccessivi (lontani dal senso, vicini al desiderio) e co lorati, come pochi altri film, di quelli che noi occidentali ab­ biamo sempre pensato fossero i colori della Cina. Il fascino esercitato sullo spettatore occidentale dal cine­ ma di Zhang si basa proprio su questa capatila di fornire delle immagini assolutamente inedite, sorprendenti e allo stes­ so tempo familiari, di una “realtà” da sempre molto imma­ ginata ma in verità poco conosciuta. Inedite perché, pcr la prima volta, una serie di film cinesi, per di più tutti di uno

17. Roland Barthes, Alon la Chine?, -Le Monde-, 25 maggio 1974. 18. Id., -Della Cina-, in Della Cina ed altro, a cura di Giuseppe Recchia. Shakespeare and Company, Brescia 1981, pp. 18-19.

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stesso autore, giungevano in Occidente mettendo fine a un’as senza che durava praticamente da sempre, sorprendenti per­ ché sarebbe stato diffìcile immaginare che dalle ceneri della Rivoluzione culturale potesse risorgere un cinema ricco di tante “suggestioni profane”, familiari perché quei film riusci­ vano a trovare una propria collocazione all’interno del mer­ cato occidentale soprattutto per la capacità che avevano di confermare, almeno in parte, l’immaginario dell’occidente Sull’Oriente. È soprattutto su quest’ultimo punto che molli critici ci­ nesi (ma anche alcuni occidentali) hanno sollevato le pro­ prie obiezioni sulla capacità del cinema di Zhang Yimou di costituire non solo la prova di un grande talento visivo, ma anche di essere una rappresentazione sufficientemente fe­ dele della società cinese e dei cambiamenti in atto al suo interno. L’accusa rivolta più di frequente al regista (soprat­ tutto nella prima parte della sua carriera) è stala di mirare al compiacimento del pubblico occidentale, ovvero di or­ ganizzare per esso il grande spettacolo dei vizi della so­ cietà cinese attraverso una messa in scena affascinante, di certo preziosa ma al contempo superficiale. Come eviden ziato da Sheldon Usiao-peng Lu19 questa parte della critica cinese lamenta che. di fronte a film come quelli di Zhang, il pubblico occidentale vedrebbe confermati determinali ste­ reotipi sulla Cina e, con essi, legittimati un presunto senso di superiorità e un immaginario coloniale che non sarebbe­ ro mai venuti meno. Che tutto ciò venga poi da parte di un autore cinese contribuirebbe, ovviamente, a radicare ancora di più questa concezione falsata. Le ragioni che hanno permesso a Zhang di diventare il più popolare tra i registi cinesi in Occidente si riducono, dunque, a una non comune capacità di volgarizzazione (e banalizzazione) della cultura del proprio paese attraverso l’o­ stentazione di icone e simboli di una Cina affascinante ma in realtà inesistente. Concepiti esclusivamente per il pubbli­ 19. Sheldon Hsiao-peng Lu. National Cinema, Cultural Critique, Trasnational Capital. The Films of Zhang Yimou, in Sheldon Hsiao-j^rng Lu (a cura di), Tmsnational Chinese Cinema Identity, Nationbond, Gender, University of Hawaii Press, Honolulu 1997, pp. 105-136.

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co occidentale (anche perché spesso finanziali da case di produzione non cinesi), i film di Zhang, a differenza delle prime pellicole della Quinta generazione, metterebbero Io sguardo dello spettatore cinese in una posizione marginale, “decentrala” e non determinante ai fini della costruzione del­ la rappresentazione. Zhang avrebbe creato una sona di fol­ clore e di esotismo capaci di “vendere” all’estero (Rey Chow parla esplicitamente del passaggio da una critica culturale in­ digena a una -svendita culturale- a beneficio degli stranieri, nonché di un -orientalismo degli orientali*20) a partire da una serie di elementi che non trovando riscontro all’inlemo del­ la realtà cinese ne snaturerebbero l’identità. Ancora Sheldon Hsiao-pcng Lu, che peraltro in questa polemica mantiene un sostanziale equilibrio, evidenzia come Zhang sia stato attac­ calo dai suoi detrattori proprio su questo fronte: alcuni di essi hanno appuntato la loro attenzione proprio su quello che è il simbolo del più celebre tra i film di Zhang in Oc­ cidente: le lanterne rosse. -In Lanterne rosse, Zhang ha crea­ to l’elemento delle lanterne dal nulla. Non si tratta né di una componente del romanzo di Su Tong. né di una pratica real­ mente esistente nella cultura cinese-21. Ciò che colpisce di più in questa affermazione è che la “cultura cinese” e il ro­ manzo di Su Tong vengono messi sullo stesso piano, ovve­ ro che, se le lanterne fossero esistite in Mutili e concubine, forse sarebbe stato più facile accettarle, o che, per lo meno, la loro presenza sarebbe stata più tollerabile all’interno del romanzo. -Lo spettacolo viene crealo semplicemente per pro­ durre un effeiio cinematografico», continua l’articolo di Shel­ don Hsiao pong Lu, mettendo allo scoperto la vera natura dell’indignazione verso i film di Zhang Yimou: la critica è tanto più accanita quanto più i film sono accattivanti sono il profilo dell'immagine. Non è un caso che il più osteggia­ lo sia proprio Lanterne rosse, il film che dalla critica e dal pubblico occidentale è stato considerato uno tra i migliori 20. Rey Chow, Primitive Passiona. Visuality, Sexuality, Ethnography and Contemporary Chinese Cinema, Columbia University Press, New York 1995, pp. 166-172. 21. Sheldon Hsiao-peng Lu, National Cinema, Cultural Critique, Trasnatianal Capital. The Films of Zhang Yimou, cit., pp 128 129.

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Stile Uken* un nuovo linguaggio l’tnemato&Hrfìco

sotto il profilo dell’equilibrio fonnale. Ancora una volta vie­ ne messa in discussione la legittimità del cinema come lin guaggio in grado di inventare un proprio personale bagaglio di simboli e icone validi soprattutto da un punto di vista vi­ suale, ovvero in quanto elementi capaci di monopolizzare Fimmaginc catturando l’attenzione dello spettatore, e coerenti con nient’altro se non con una particolare logica del tutto interna alla finzione c debitrice nei confronti della realtà so­ lo in un secondo momento. Abbiamo accennalo poco fa a delle “suggestioni profane”: non è solo il contenuto dei film (concubinato, tradimenti, in cesti, omicidi, stupri c quant’altro) a essere profano e osce­ no nel senso letterale del termine Cob-scemis, cioè “contra­ rio alla rappresentazione”) ma anche e soprattutto la stessa rappresentazione, troppo smagliante per perfezione, eccessi­ vamente ammiccante ed evidente. Le opere di ZhangT cioè, sembrano soffrire di un involontario handicap: quello di es­ sere film essenzialmente popolari ma, al tempo stesso, trop­ po perfetti, “appetibili” tanto per il mercato occidentale (di nicchia, certo, ma comunque determinante) quanto per le giurie dei festival, vetrine internazionali all’interno delle qua­ li i film di Zhang sono sempre riusciti a trovare uno spazio privilegiato. È l’altra faccia della “scelta necessaria” di Zhang in favo re di un cinema popolare, quella di essere considerato un grande regista e, solo in un secondo momento, un vero c proprio autore: la sua concezione profana e prosaica della Cina prc-moderna non è considerata come una trasfigura­ zione poetica di quella realtà in una visione “d’artista” (quin­ di tollerabile in quanto esclusiva, intima), ma come una rap­ presentazione realistica, giudicala, proprio perché prosaica e "volgare”, testimonianza attendibile e concreta della società cinese. Non si spiega altrimenti un atteggia mento decisamente più “morbido” nei confronti di un regista come Chen Kaige, che almeno nella prima parte della sua carriera corrisponde proprio all’immagine delTartisra/poela cui c concesso dire (quasi) tutto proprio perché indifferente nei confronti di un substrato realistico, di quella concretezza e immediatezza di cui godono i film di Zhang, anche quelli che affidano il pro­

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prio senso a una lettura metaforica delle storie narrate. Film come Terra gialla o La grande parata, benché invisi al re­ gime in quanto latori dell’immagine “negativa” di una Cina retrograda e dunque osteggiati in tutti i modi (ad esempio attraverso modalità distributive “poco efficaci”), sarebbero co­ munque rimasti relegati all’interno di quelle nicchie abba­ stanza asfittiche del cinema d’essai, per cinephiles, decisa­ mente fuori da un circuito realmente popolare, di massa. Così, se all’inizio degli anni Novanta la stagione del ci nema d’autore cinese volgeva al termine, abbattuta insieme alle speranze di libertà degli studenti in piazza Tienanmen (per poi rinascere attraverso i canali clandestini o under­ ground della Sesta generazione), la proposta zhanghiana di un cinema medio, popolare ma di grande qualità, si ritrova­ va a dover imboccare una strettoia delimitata dalle uniche due forme di cinema concretamente praticabili in Cina: quel­ lo educativo, didattico, celebrativo e di regime, e quello di puro e semplice intrattenimento, di bassissima qualità, con­ cepito esclusivamente per il mercato intento. Un cinema “di per sé”, sganciato da qualsiasi finalità accessoria (didattica o ricreativa) ma ben ancorato a un substrato produttivo dav­ vero fertile, in Cina sembra ancora oggi impraticabile. Come sarà possibile constatare nel corso dell’analisi dei film, per tutta la prima parte degli anni Novanta la fonnula della coproduzione è la soluzione adottata più spesso da Zhang per poter garantire ai propri film un minimo di visibilità. Sul piano intemazionale il tentativo di Zhang si colloca in una posizione intermedia rispetto a quelli che possiamo considerare due estremi, e che, molto significativamente, ap­ partengono a due cinematografie orientali. Da un lato l’op­ zione colta di registi come ad esempio l’iraniano Abbas Kia­ rostami che riesce a produrre film “educativi”, spesso soste­ nuti da finanziamenti statali o comunque da un sistema di co-produzione che mira a un’altissima qualità del risultato sorto il profilo linguistico e che spesso affonda le proprie ra dici in Europa. Dall’altro l’opzione “commerciale” o di ge nere, ad esempio targata Hong Kong, che soddisfa un mer­ cato interno relativamente florido (capace dunque di copri­ re i costi di produzione) c che, solo all’interno di un ambi­ 62

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lo strettamente specialistico (festival, rassegne, retrospettive), riesce ad acquistare visibilità anche in Occidente. Il pubblico cinese, più che marginalizzato da una serie di rappresentazioni mendaci, è stato da sempre oscurato da un sistema di produzione reso arido da vari fattori, il più im­ portante dei quali, anche se non l’unico, è sicuramente quel lo della censura. L’impressione che i film di Zhang siano co­ struiti per uno sguardo diverso da quello del pubblico cine­ se probabilmente non è il frutto di una serie di decisioni prese a monte e orientate a compiacere gli sguardi avidi di “perversioni esotiche” del pubblico occidentale, ma il risul­ tato prodotto dall’ambiguità di un contesto all’interno del qua­ le questo pubblico - e solo questo - ha potuto esprimersi sui film di Zhang. Fatte le debile proporzioni, i critici c gli spettatori occidentali avrebbero, all’interno di questa dinami­ ca asimmetrica, lo stesso ruolo che ebbero la critica e il pub­ blico europei nel riconoscere il valore dei film di alcuni re­ gisti statunitensi più o meno indipendenti, comunque mai perfettamente integrati nel sistema delle majors (pensiamo ad esempio a Samuel Fuller, Nicholas Ray, Sam Peckinpah, so­ lo per citare i nomi più conosciuti), sgraditi al pubblico ame­ ricano per il profondo pessimismo delle loro pellicole, scam­ biato dai più per semplice cinismo o per volgari messe in scena di violenza e degrado. Da questo punto di vista i film di Zhang Yimou fungo­ no da catalizzatori di una situazione paradossale. Nella qua si rotale assenza di punti di riferimento foni all’interno del la propria cultura cinematografica, il successo tributato dagli occidentali ai film di un proprio connazionale non può cheessere percepito con fastidio dalla critica cinese. I film di Zhang, sottratti al giudizio immediato dello sguardo “legitti­ mo”, vengono rifiutati in quanto “scoperti” da un occhio estra­ neo che, in tal modo, assume le sembianze di un moloch capace di dettare oltre che le leggi del mercato, grazie al­ l’invadenza di una serie di prodotti “globali”, anche quelle della visione. 11 pubblico e la critica occidentale, dal canto loro, si lascerebbero abbagliare dall’esotismo di questi film, prodotti “da festival” buoni solo per incamerare qualche pre­ mio e la garanzia di una distribuzione minima nelle sale dei 63

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circuiti d’essa/, dei prodotti di sintesi studiati a tavolino da finanziatori internazionali senza alcun background culturale alle spalle. Tuttavia Zhang non ha mai lavoralo per il “capitale stra­ niero” tout-court, almeno non più di quanto abbiano fatto altri suoi colleghi e, come vedremo nella seconda pane del libro dedicata alle singole pellicole, il sistema della co-pro­ duzione sembra a volte più un efficace escamotage per elu dere la censura (fino alla metà degli anni Novanta i film co prodotti potevano essere esportati senza il visto degli uffici governativi) che una necessità. Difficile tracciare linee nette all’interno di un quadro delle strategie produttive quanto mai vario, la cui direzione sembra orientata più da una serie di variabili esterne che da una vera e propria strategia di mer­ cato. Dopo lo stalo di grazia che il cinema cinese visse ne­ gli anni Ottanta, durante i quali fu possibile per molti regi­ sti compiere passi significativi verso la sperimentazione di un nuovo linguaggio (anche grazie ai finanziamenti statali), con la caduta del movimento democratico del 1989 si è assistito da un Iato a un irrigidimento della censura e dall’altro a un’a­ pertura al mercato che ha inondalo le sale di prodotti di in­ fimo livello. Con l’avanzata di forme di intrattenimento so­ stenute dalle nuove tecnologie, il cinema cinese si trova di fronte a una crisi simile a quella che caratterizzò il cinema statunitense all’inizio degli anni Sessanta. Come in quel ca­ so la risposta d duplice: prodotti seriali di standard sempre più basso (simili a quelli importali da Hong Kong o Taiwan) c, in alcuni rarissimi casi, la spettacolarizzazione porlata al­ l’estremo. Ancora una volta, la strada del cinema d’autore (o, co­ munque, di quello die abbiamo definito cinema “medio”) è runa in salita: sono proprio queste pellicole a soffrire mag­ giormente della situazione assurda di cui è preda il cinema, considerato ancora oggi dal regime come uno strumento di propaganda. I privati che potrebbero finanziare film di qua­ lità, come quelli di Zhang e di altri autori, raramente inve­ stono i propri capitali in operazioni che rischiano di naufra­ gare miseramente, silurate dalla censura. Come afferma Char­ les Tesson: 64

Siile libero; un nuovo linguaggio cinematografico

Olire alla censura (il controllo dell’ufficio del Cinema sui sog­ getti), l'assenza dei pubblico cinese dalle sale quasi sempre de­ serte è ancora più inquietante, non essendo il cinema che essi desiderano in fa.se con quello che gli viene offerto o che gli si impedisce di vedere (limitazione delle importazioni, film cinesi vietati)22.

Data questa situazione, le preoccupazioni dei critici e de­ gli intellettuali riguardo all’invadenza di quello che viene de­ finito come “capitale transnazionale” nei mercato culturale ci­ nese sembrano d’un tratto profetiche e al tempo stesso su­ perate. La risposta di un regista come Zhang a questa si­ tuazione è, invece, emblematica e chiarificatrice: tra la fine degli anni Novanla e l’inizio del terzo millennio Fautore è passato dal loie budget di film come Non uno di meno alla megaproduzione di un kolossal come Hero, a film “di qua­ lità” come La strada verso casa. In tutti i casi si tratta di coproduzioni, spesso con majors statunitensi, a dimostrazione della sempre crescente impossibilità di riconoscere, all’inter­ no di un mercato sempre più globalizzato, la realtà produt riva di un film dalle immagini che passano sullo schermo.

22. Charles 'fessoli, Raison detai, lots du marebé, in Charles Tesson, Olivier Assayas (a cura di). Made in China: Taipei, Hang Kong, Shanghai, Péhin, Éditìons Cahiers du cinema, Paris 1999, p. 59.

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Corpi, volti, immoralità, potere: l’azione centripeta dell’individuo

•La gente cinese non è umana-, Zhang Yimou

Sistemi e individui La gente cinese c troppo inibita; nella nostra società si può par­ lare soltanto di temi politici e sociali. La gente non è umana; la levatura dei cinesi è ancora minima. Essi indietreggiano in­ vece di protendersi verso il frinirò. Così abbiamo deciso di ri­ dare vita ai sentimenti e ai rapporti tra le persone1.

Questa dichiarazione, rilasciata in occasione delFuscita di Sorgo rosso, inerte a nudo una delle caraneristiche principa­ li della poetica di Zhang Yimou: la predilezione per i per­ sonaggi connotati da un profondo individualismo e deposi­ tari di un potenziale vitale che è tanto più forte quanto me­ no si lascia ricondurre ad un sistema di regole imposte. Non più eroi rivoluzionari che incarnano “monoliticamente” virtù tanto alte quanto vaghe e generiche, figure bidimensionali prive di contraddizioni e pronte a sacrificarsi per il bene co­ mune, ma personaggi profondamente contraddittori che, an­ che quando agiscono positivamente, sono pur sempre con­ notati da una sona di maniacalità, di ossessione del lutto personale che ne impedisce l’elevazione a modelli etici. Pen­ siamo al coraggio di Nove Fiori, alla caparbietà di Qiu Ju, alla perseveranza di Wci Minzlii. I gesti di questi personag­ gi non sono mai univoci: nascondono sempre un fondo di egoismo, la cifra di un individualismo pressoché sconosciu­ 1. Jiao Xiongping, Discussing “Med Sorghum", in Frances Gateward (a cura di), Zbang Yimou interviews, cit., p. II.

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to nel cinema cinese dall’avvento del comuniSmo in poi. In questa "etica dell’individualismo” c visibile perciò, oltre che un leitmotiv tematico» anche e soprattutto una critica alla “teologia” comunista, la pressoché totale indifferenza del re gista per i destini delle masse, il suo disinteresse per la col­ lettività. Tali espressioni (massa, collettività, popolo) hanno perso progressivamente di significalo in Cina perché infla­ zionate da un regime che le ha trasformate in termini ideo­ logici, ne ha abusato fino al punto di svuotarle di sostanza, riducendole a vacue parole d’ordine. Si prenda la scena di Non uno di meno in cui la maestrina prova a far cantare ai propri alunni alcuni inni rivoluzionari: peccato che sia pro prio lei, ipotetica depositaria del sapere comunista, la prima ad aver dimenticato le parole della canzone, smascherando quanto sia sterile questo tipo di catechismo popolare. 11 mes­ saggio è semplice e allo stesso tempo sottilmente ironico. Si comprende il perché della predilezione di Zhang per la rappresentazione di realtà sociali circoscritte, all’interno del­ le quali il peso delle regole sociali si fa più opprimente che altrove o, al contrario, per dimensioni di gruppo del lutto aliene da ogni connotazione politica come le scolaresche di Non uno di metto e ài La strada verso casa o il gruppo di pensionati bonaccioni di La locanda della felicità, “comitive” lontane da ogni connotazione ideologica. In una società mas­ sificata che per secoli ha annullalo l’individuo in un “corpo sociale” all’inlerno del quale la sfera del privato ha perso progressivamente di importanza, meglio scartare le storie col­ lettive per concentrarsi sugli itinerari dei singoli. Nell’episo­ dio di Vivere! in cui viene narrata la guerra tra l’esercito dei Guomintang e quello comunista, Zhang rinuncia alla messa in scena spettacolare dei combattimenti per focalizzare il sue interesse solo sul protagonista e i suoi due compagni d’ar­ mi. Le uniche due scene di massa mostrano in un caso l’e­ sercito di Liberazione correre incontro ai tre soldati rimasti in vita (evidente metafora del singolo sommerso e inghiotti lo dalla massa), nell’altro un gigantesco ammasso di corpi senza vita. Il rifiuto di un sistema che spinge all'annullamento del­ l’individuo a favore della collettività può essere facilmente 67

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motivato dalla biografia del regista, ma non può esaurirsi in una dimensione esclusivamente personale. Quello di Zhang c un bisogno profondo di riscrittura e ricostruzione di un immaginario collettivo cancellato dal comuniSmo: si tratta, ol­ tre che di uno stimolo creativo, di una vera e propria ne cessità che accomuna Zhang non solo ai colleglli della Quin­ ta generazione, ma anche a quel più vasto movimento cul­ turale denominato “della ricerca delle radici” che ha conno­ tato proprio gli anni Ottanta, il decennio in cui si sono for­ mali Zhang e i suoi colleghi, ft una ricerca di valori univer­ sali che, in quanto tali, non possono più passare attraverso l'ideologia marxista: alla dimensione economico-polilica alI’intcrno della quale era stata limitata la visione della vita ne­ gli ultimi cinquanta anni in Cina si sostituisce il tentativo di analizzare gli aspetti più intimi dell'esistenza, quelli comuni a ogni uomo, indipendentemente dalla classe sociale di ap­ partenenza. Tuttavia, se in Chen Kaige e Tian Zhuangzhuang tale ob­ biettivo è perseguito attraverso il tentativo di aggiornare il linguaggio cinematografico innalzandolo a codice intellettua­ le, c riportando l’uomo alla sua essenza primigenia con la ricerca delle proprie radici culturali, in Zhang, invece, ciò av­ viene per mezzo di un recupero delle caratteristiche più uma­ ne dell’individuo, un’esplorazione dell’essenza profonda del­ l’uomo che spesso prende l’avvio proprio dalla parte più na­ scosta del suo animo, quella pulsionale. Ln un saggio del 19932, Marie-Claire Huot mette a confronto Chen Kaige e Zhang Yimou, basando l'analisi sulla contrapposizione tra un corpus di film allusivo, colto, sostanzialmente freddo (ovvia­ mente quello di Chen), e un altro diretto, basso, popolare (quello di Zhang). L’approccio dei due registi allo stesso pro­ blema (l’evoluzione della società, ma anche del cinema ci­ nese) non potrebbe essere più diverso: da un lato abbiamo un cinema che si ispira alla poesia colta, all’arte calligrafica, alla pittura di corte, dall’altro una produzione che ha i suoi riferimenti estetici nei cosiddetti “generi minori”, ovvero le 2.

Deux poles yang dii nonueau cinéma chìnois; Gben Kaige et Zbang Yimou, rit., pp. 103 125.

Marie-Claire Huot,

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pitture decorative, i ritratti, la fotografia. Queste differenze hanno anche una ragione per così dire “trascendente": l’ap­ proccio di Chen - almeno nei suoi tre film piti significativi: Terra gialla, King of tbe Children, La vita appesa a un filo non è solo intellettuale, colto, raffinato, bensì è di natura on­ tologica, quasi missionaria, -lo sono un membro dell’umanità I...J Mi vedo ogni volta come un santo [...] Nel più profon­ do di me, io mi sento come un educatore-3, I^e parole del ci­ neasta vengono confermate dal carattere dei suoi eroi, figu­ re che cercano di salvare gli altri (il soldato di Terra gialla), di insegnare ai giovani (il maestro di King of the Children), di indicare agli uomini la retta via (il cantore cieco di La ui­ ta appesa a un filo). Si tratta, in ogni caso, di un movimen­ to dall’alto verso il basso che spesso, però, si scontra con una realtà immodificabile: quella dell’arretratezza contadina nel primo film, del potere burocratico e dell’ottusità degli al­ lievi nel secondo, della cicca violenza dei gruppi nel terzo. Zhang, invece, opera uno scarto tanto rispetto a Chen quanto riguardo agli alni suoi colleghi, disconoscendo al ci­ nema ogni prerogativa “salvifica” o “redentrice”, preferendo attenersi alla concretezza e alla chiarezza del racconto. -I pen­ sieri più profondi del mondo - afferma il cineasta - sono probabilmente i più semplici, quelli sintetizzabili in una so­ la frase»4. In altre parole, aU'astratta sacralità del comuniSmo, nonché di certi esiti di Chen e Tian, Zhang contrappone un impianto cinematografico profano, una reailà/immagine (una “realtà delTimmagine”) del tutto autosufficicntc. Non la pro­ posta di un sistema alternativo ma un'opera di tenace resi­ stenza a qualsiasi sistema.

Il volto come paesaggio Zhang, dunque, mette al centro del proprio universo rap­ presentativo il personaggio in quanto individuo, evitando ac­ curatamente di cadere nello stereotipo, e questo non solo da 3. lui. p. 105. 4. Jiao Xioiigping, Discussing

“Red Sorghum”, cir., p. 11.

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un punto di vista narrativo ma anche da quello prertamen le visivo, attraverso una nuova concezione del primo piano del volto umano. Del tutto assente nella pittura cinese tra­ dizionale5, era restato praticamente inutilizzalo nel cinema ci­ nese degli anni Trenta c Quaranta, ancora basato su com­ posizioni sceniche di stampo teatrale, e successivamente tra­ sformato dal Realismo socialista in un elemento iconografico di identificazione di massa, con le classiche inquadrature del­ l’eroe rivoluzionario ripreso dal basso verso Tallo. Nei film di Zhang, questo elemento diviene finalmente autosuffìciente, capace di significare di per sé, dato che: Il volto-primo piano non ha niente a che vedere con un og­ getto parziale [...1 il primo piano non strappa affatto il suo og­ getto a un insieme di cui farebbe parte, di cui sarebbe una par­ te; ma, in modo del tutto diverso, lo astrae da ogni coordina­ ta spazio-temporale, cioè lo eleva allo stato di Entità6.

Di fronte ai volli dei personaggi zhanghiani, infatti, il mon­ do finisce fuori campo c i lineamenti dell’interprete diventa­ no il paesaggio sul quale si riflettono le conseguenze dell’a­ zione drammatica. Iniziare un film con un primo piano equi­ vale a dichiarare che lo sguardo del cinema si lega indisso­ lubilmente al suo eroe, ne segue il percorso indipendente­ mente dal contesto storico, politico o sociale all’inlerno del quale è calato; terminare un film con l’immagine di un vol­ to significa far confluire in esso l’intero senso del racconto, elevando una singola inquadratura a guida della narrazione. Sia Sorgo rosso che Lanterne rosse iniziano con due pri­ mi piani che obbligano lo spettatore a “prendere partito”, a schierarsi fin dall’inizio con le protagoniste delle storie7. In 5. Per un parallelismo tra arte figurativa e cinema della Quinta gen­ erazione si veda Jenny Kwok Wah Lau, '/u Dou": An experiment in Color and Portraiture in Chinese Cinema, in Linda Erlich, David Dcsser, Cinematic Landscapes: Observations on the Visual Arts and Cinema of China and Japan, cil., p. 132. 6. Gilles Deleuze, L'immagine movimento, Ubulibri. Milano 1984, p. 118. 7. I primi piani con cui iniziano Sorgo tosso e Lanterne tosse sono senz’altro i più significativi del c inema di Zhang, ma ovviamente non i soli; il finale di La locanda della felicità è simile a quello di La storia di Qiu Ju, e trova nell'inquadratura della protagonista, che

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Sorgo rosso, la voce over di un narratore introduce le im­ magini, affermando che il Film racconterà la storia dei suoi nonni. Ciò che appare sullo schermo, invece, è il primo pia­ no di una ragazza (la nonna del narratore), lo sguardo per­ so nel vuoto. Una voce femminile fuori campo ricorda alla giovane ciò che deve assolutamente evitare durante il viag gio che la porterà dalla casa dei genitori a quella del suo nuovo marito: non dovrà togliersi il velo, non dovrà vomi­ tare e nemmeno piangere. Quasi eseguendo lucidamente un percorso di contestazione dei precetti appena ricevuti, du­ rante il tragitto la ragazza si toglierà il velo, vomiterà e, in­ fine, scoppierà a piangere. Il primo piano della protagonista diventa così un elemento che turba l’ordine della narrazione così come quello sociale: la bellezza di questo volto si con­ trappone a una voce fuori campo che ammonisce, che pre­ tende di occultarlo, quasi a rimarcare una sorta di frattura che in ogni cinese separa la sfera pubblica da quella priva­ ta, tra unicità dell'individuo (il volto) e rispetto delle regole imposte dalla società (la voce fuori campo). Con Lanterne rosse il primo piano come strumento di pro­ vocazione è spinto all’estremo: Songlian rassicura la madre (ancora una voce che rimane fuori campo per l’intera dura­ ta della sequenza) sul suo destino, quello di concubina di un ricco signore. -Sì, sarò una concubinae poi, amara­ mente: -D’altronde questo è il destino di ogni donna*. L’oc cliio della macchina da presa fissa il volto della protagoni­ sta quasi attendendo che una lacrima le bagni il viso. Un di­ segno geometrico e simmetrico che ricorda le sbarre di una prigione o l’immagine di un labirinto fa da sfondo all’in­ quadratura. In crescendo, si odono in sottofondo canti di si protrae ostinatamente sullo scorrere dei titoli di coda, la nota più amara c spiazzante della pellicola, quella di un primo piano che non può avere un controcampo, data la cecità del personaggio; si pensi anche al PP di Wci Minzhi (Non uno di meno) che, nei cor­ so del programma televisivo del quale è ospite, si rivolge a Zhang Huikc guardando perplessa la macchina da presa; a quello che si sofferma sul sentimento di disagio del giovane protagonista di La triade di Shanghai nel momento in cui arriva per la prima volta in città; a quelli marcatamente pittorici che avvolgono in un’aura di mitica commemorazione i due innamorati in La strada verso casa.

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nozze che preannunciano un destino già segnalo. In un pri­ mo piano è racchiuso pcr intero 0 senso della storia: la con­ dizione di concubina ormai accettata da Songlian, la prigio­ nia materiale (quella delle mura della villa) e poi psicologi ca (della follia), richiamata dai motivi geometrici dello sfon­ do (un labirinto architettonico e mentale, simile a quello crea­ to da Kubrick per Shining), la menzogna che regge le re­ gole della convivenza civile, messa in risalto dal contrasto tra l’allegria posticcia delle musiche e lo stato d’animo che opprime la ragazza, la sofferenza tenuta a stento nascosta che, infine, prorompe nel pianto.

Gong Li Il “paesaggio" descritto dai primi piani che aprono Lan­ terne rosse e Sorgo rosso, e che possono essere considerali una cifra - una delle poche - dello stile di Zhang Yimou, è quello del volto di Gong Li. Sul volto di quest'anricc con­ fluiscono quelle caratteristiche inedite che Zhang affida ai suoi personaggi: la solitudine (accentuata dalle voci fuori campo), Limpotcnza e il senso di smarrimento di fronte al­ la società («D'altronde questo è il destino di ogni donna», af­ ferma Songlian), il rifiuto del giudizio allrui (come vagliare il comportamento di qualcuno senza calarlo nella realtà di un’inquadratura che costruisca un contesto anche soltanto spaziale?), la capacità di per sé significante che promana spontaneamente da ogni volto umano. Come Marlene Dietrich per Von Sternberg, Gong Li è sta­ ta Tattrice/feticcio di Zhang Yimou. Paradossalmente, all’as­ senza di maschere filmiche, di personaggi stereotipati, di ti­ pizzazioni rigide, nel cinema di Zhang fa da contraltare la scelta di un’unica interprete come protagonista di ben sette film (da Sorgo rosso a La triade di Shanghai). Anche in que­ sto caso il paradosso è solo apparente, e si può chiarire ri­ vendicando la specificità cinematografica e l’anima popolare del cinema di Zhang: l’attrice, prima ancora di essere l’unica immagine femminile concepita dalla fantasia del cineasta, e di 72

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trasformarsi, soprattutto in Occidente8, in un archetipo di bel­ lezza asiatica, è l’emblema della centralità della recitazione co­ me momento cardine della costruzione filmica. Punta d’ice­ berg dello star-system cinese, fattrice originaria di Shenyang, fatte le debile proporzioni, lia assunto nel proprio paese du­ rante gli anni Novanta un ruolo molto simile a quello di Gre ta Garbo negli anni Trenta e Quaranta o di Marylin Monroe durante gli anni Cinquanta e Sessanta anche da un punto di vista semplicemente mediatico, vista l’attenzione dedicata dai tabloid cinesi alla sua relazione con Zhang. Le parole che Lau­ ra Mulvey spende su Marlene Dietrich e sul suo contributo all’opera di von Sternberg calzano anche per la musa di Zhang: La Ixdlezza dcU’oggetto-donna e lo spazio dello schermo coinci­ dono (si pensi all’incipit di Sorga rosso o di Lanterne rosse, n.d.a.); let non è più portatrice di colpa, ina prodotto perfetto, il cui cor­ po, stilizzalo e frammentato dai primi piani, divenni il contenulo del film e il ricettacolo immediato dello sguardo dello spettatore9.

1 ruoli assegnati a Gong Li, poi, ratificano il primato del­ la recitazione: una giovane imprenditrice rurale (Sorgo rosso), una terrorista (Nome in codice: “Operazione Puma"), la mo­ glie oppressa di un artigiano (Ju Dou), una studentessa uni­ versitaria che sceglie di diventare concubina (Lanterne rosse), una contadina analfabeta (La storia di Qiu Ju), una moglie premurosa e remissiva (Vivere/), una cantante di night (La triade di Shanghai), un molo, questo, che ricorda quello di loia Frolich, conmrbante cantante di cabaret, protagonista del capolavoro di Von Sternberg L'angelo azzimo, interpretata da Marlene Dietrich. Una serie di personaggi diversi, appartenenti a ceti o gruppi sociali distanti tra loro ma accomunati dalla “credibilità” dell’interpretazione. È chiaro che non si tratta di buona o cattiva recitazione (Gong Li non è, in fondo, un’at trice che si distingue per la sensibilità delle sue interpreta­ zioni), ma di un uso consapevole dell’attrice che, come so­ 8. I suoi lineamenti sono diventati, grazie alla popolarità acquisita, veri e propri canoni di bellezza orientale e non solo, tanto che fattrice è stata la prima testimonial cinese per una famosa casa produttrice dì cosmetici tanto in Europa quanto in America. 9. Unirà Mulvey, -Visual Pleasure and Narrative Cinema», in Laura Mul­ vey, Visual and Other Pleasures, Macmillan, London 1989, p. 22.

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stiene ancora la Mulvey, diviene "ricettacolo immediato dello sguardo dello spettatore”. L’attore non è più la personifica­ zione di un modello o di un tipo, non è più un elemento assorbito dal paesaggio o il motore dell’azione drammatica, ma è, al contrario, nudo di fronte alla cinepresa, credibile di per sé in quanto vestito semplicemente dell'aura sprigionata dal proprio divismo, la riconoscibilità dell’aurice non solo av­ vicina, di film in film, un pubblico sempre maggiore, ma con­ sente al regista di far passare con più forza e risolutezza il proprio pensiero. La rappresentazione spiazzante della conta dina Qiu Ju avrebbe avuto la stessa forza penetrante se fos se stata interpretata da un’altra attrice? Ovviamente no, dato che la gravidanza, vissuta serenamente dal personaggio di questo film, si scontra con le immagini femminili disegnate dalla stessa attrice in Lanterne rosse e in Ju Dou, entrambe segnate da un difficile rapporto con il proprio corpo. La separazione tra il regista e Fattrice (nella vita privata oltre che nel lavoro) non può dunque essere considerata co­ me un elemento trascurabile nell’analisi dei film successivi a La triade di Shanghai. Da Keep Cool in avanti le vicende nar­ rate nei film di Zhang hanno avuto come fulcro della narra­ zione figure femminili antitetiche a quella di Gong Li: ragaz zine asessuate, attrici non professioniste o al debutto sulla scena, adolescenti disabili (la cecità di Wu Ying), fino ad ar­ rivare a un’immagine assolutamente speculare a quella di Gong Li: l’immagine di una donna obesa (la matrigna di La locanda della felicità) ossessionata dalla ricerca di un marito.

L'uomo e la donna «In tutti i film di Zhang Yimou ciò che ci è dato di vedere sono le donne, i loro sguardi, i loro corpi che diventano nostri oggetti, per il nostro piaceri- di voyeur-10.

Al sodalizio artistico-sentimcntale con Gong Li c ad una serie di film che hanno per protagoniste assolute le donne, 10. Marie-Cla ire Huot, Deux pótes yang du nouveau cinema cbinois: Cben Kaige et Zhang Yimou, cit., p. 113.

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Zhang Yimou deve buona pane della propria notorietà: è, come potrebbe definirlo uno spettatore che non riuscisse a ricordare il suo nome, “il regista cinese dei film sulle don­ ne”. La continuità con cui il cineasta ha portato avanti la propria personalissima esplorazione del continente femmini­ le ha segnato la sua immensa fortuna in termini di ricono­ scimenti intemazionali, di successo di pubblico, di notorietà e, allo stesso tempo, ha spinto molli studiosi ad analizzare il motivo di tale successo, tentando di comprendere se esso dipenda direttamente dai soggetti e dai personaggi rappre­ sentati, e di individuare il punto di vista dal quale il regista ha raccontato queste storie. La predilezione per i personaggi femminili ben si sposa con il gusto di Zhang per l’immagine in quanto portatrice di una serie di significati rintracciabili sulla sua stessa superfi­ cie significante: è una sorta di seduzione simbolica che si realizza fuori da ogni tentativo di mediazione razionale e che viene accolta con naturalezza dai volti, dai corpi, dai gesti delle sue eroine c dalle situazioni in cui esse vengono coin­ volte. Come abbiamo visto poco sopra, il significato del film si può rapprendere attorno al volto in primo piano dei per­ sonaggi oppure può scivolarvi sopra come in La strada uerso casa (nel quale l’immagine si satura fino all’inverosimile dei primi piani della protagonista che si stagliano su sfondi dalle dominanti cromatiche primarie talmente intense da far pensare a un revival della tecnica pittorica oleografica). Re­ sta, in ogni caso, la funzione catalizzatrice dell’immagine fem­ minile quale snodo centrale nell’opera del regista. La propensione di Zhang per le storie di donne ha atti­ rato, così, l’attenzione di moire studiose femministe i cui sag­ gi, moltiplicatisi intorno alla metà degli anni Novanta, han­ no cercato di smascherare uno sguardo “maschilista” c “con­ servatore”. L’accusa addotta dalla letteratura di area femmi­ nista è circostanziata: mettendone in scena le sofferenze, Zhang (e con lui altri cineasti uomini) non si batte per l’e­ mancipazione della donna, ma per confermare lo status quo patriarcale. In un suo saggio Carolynn Rafman sostiene che: Il cinema cinese intrattiene un rapporto singolare con le pro­ prie tradizioni, soprattutto in relazione al trattamento offensivo

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riservato alle donne. Film come Terra gialla. Ju Don e Lanter­ ne rosse, che mirano a rivelare una storia di repressione fem­ minile, tendono piuttosto a rinforzare c a sostenere, presso il pubblico, l’immagine della donna sofferente. Sposando la dì scrii Binazione c l’ingiustizia, alcuni film perpetuano l’idea che le donne siano sempre cittadini di seconda classe11.

Aggiunge Esther Yau Ching Mei: La visione offerta attraverso la rappresentazione delle esperien­ ze quotidiane delle donne eblxr come effetto negativo l'acce­ camento. Considerato che molti di questi film erano scrìtti e di­ retti da uomini die cercavano di riprendersi dall'esperienza trau­ matica della Rivoluzione culturale, la rappresentazione della sof­ ferenza di qualcun altro era in realtà un tentativo di non con­ frontarsi in maniera troppo diretta con la propria esperienza, i propri traumi e i propri erroriii. 1213 .

Tuttavia, la prospettiva radicale di queste tesi non riesce a chiarire completamente come mai Zhang abbia deciso di “specializzarsi" in un cinema lutto al femminile, e soprattut­ to perché, tra i registi di punta della Quinta generazione, sia stato l’unico ad aver rappresentato il punto di vista del “ses­ so debole”, anche se magari da una prospettiva parziale o distorta. E sufficiente scorrere le filmografie tanto di Chen Kaige quanto di Tian Zhuangzhuang per accorgersi che i pro­ tagonisti delle loro pellicole sono uomini15. Alcuni tra i mo­ tivi che hanno portato Zhang a privilegiare le figure femmi nifi possono essere chiariti partendo, ancora una volta, da un’analisi del tipo di personaggio che anima i suoi film. Se esiste una caratteristica che accomuna gli eroi zhanghiani, al di là del genere di appartenenza, questa è la volontà con cui pretendono di affermare i propri desideri, la propria per­ ii. Carolynn Rafinan, imagining a womans world: roles for women in Chinese films. -Cinemas-, 111/2 3, primavera 1993, p. 129. 12. Esther Yau Ching Mei, Cultural and Economic Disloccifions Filmic Fantasies of Chinese Women in the 1980s. -Wide Angle-, Xl/2. p. 913. Chen Kaige ha adattalo per lo schenno quasi esclusivamente vi­ cende maschili (La grande parafa. King of the Children, Addio mia concubina, La aita appesa a un fio. L'imperatore e l'assassino). Tian Zhuangzhuang, parimenti, ha raggiunto le vette della sua opera con pellicole autobiografiche o incentrate su uomini (Ladro di cavalli, On the Huntng Ground, L'eunuco imperiate, The Elite Kite).

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sonalissima morale, in contrapposizione con quella della so­ cietà che, attraverso i meccanismi più diversi (economici, fa­ miliari, politici), vieta loro di esprimersi. Le figure che pos sono farsi portatrici a pieno titolo e meglio di chiunque al­ tro di un universo di passioni c pulsioni misconosciuto dal­ la società cinese sono proprio le donne, una vera e propria casta più die un genere, che ha sempre dovuto soffocare i propri istinti e le proprie aspirazioni sull’altare dell’ordine sta­ bilito ora da questo ora da quel regime. Prima del 1949 le donne cinesi non godevano di alcun diritto: per secoli una società feudale basala sui principi del confucianesimo aveva considerato la moglie esclusivamente come mezzo di procreazione. Illuminante, a tal proposito, è un’osservazione di Mary Ann Farquhar, frutto di un'analisi “etimologica” di alcuni caratteri cinesi: L’ideogramma per il matrimonio di una ragazza è jia che ha ra­ dice femminile e il carattere jia significa famiglia. -Famiglia- è l'ideogramma di un inaiale sono un tetto. Moralmente, legai niente, socialmente, sessualmente, e anche linguisticamente, una donna viene presa e portata in una famiglia estranea per pro­ durre, proprio come il maiale. 1 suoi prodotti sono i figli. L’an rico ideogramma delinea la sua funzione riproduttiva in una sa ritualmente sottomessa. Il significato sociale di ciò è che l’i­ deogramma che indica la categoria -buono- (bao), come con­ trario di -male-, è il disegno di una donna e di un bambino. Fsso significa non solo proprietà familiare ma un giusto ordine .sociale14.

La rappresentazione dell’universo femminile in epoca feu­ dale (ovvero prc-rivoluzionaria) aH’interno di film come Lan terne rosse, Ju Dou o Sorgo rosso, pur se resa accattivante da una costruzione filmica ideata per affascinare lo spettato­ re attraverso ambientazioni isolate dal resto del mondo, e dunque apparentemente marginali dal punto di vista sociale, non si allontana poi troppo dalla realtà del tempo: ragazze vendute, matrimoni combinati, violenze domestiche, control­ lo opprimente del sistema sociale e familiare sul singolo e, 14. Mary Ann Farquhar, CEdipalìty in Red Sorgbum and Ju Dou, -Cine­ mas-, 111/2-3» primavera 1993, p. 64.

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più in generale, una visione della donna unicamente come strumento di piacere o di riproduzione. All'indomani della rivoluzione il governo comunista pro­ mulgò una serie di leggi che garantivano, ma solo sulla car­ ta, l’assoluta parità tra uomini e donne, e che spingevano “l’altra metà del ciclo” (come fu definito da Mao nel 1954 l’universo femminile) ad entrare nel mondo del lavoro1**. In realtà si chiedeva alle donne di raddoppiare il proprio im pegno: alle fatiche domestiche si aggiungevano, infatti, quel­ le fuori di casa. La propaganda proponeva modelli femmi­ nili in linea con questa nuova politica: donne dedite alKailività pubblica, strenue sostenitrici dei valori etici del comu­ niSmo, infaticabili, inflessibili, ottimiste, capaci di tenere le­ sta agli uomini che incontravano sul proprio cammino. Alla donna cinese si chiedeva, in parole povere, di essere quan­ to più le fosse possibile simile a un uomo: da un’idea di uguaglianza come parità di diritti tra i due sessi, si passava a un’ideologia dell’uguaglianza in quanto identità dei due ses­ si, ed è superfluo ricordare che il termine di paragone, la copia conforme all’ideale rivoluzionario, era naturalmente l’uomo. “Donna * uomo” sembrava, dunque, il sottinteso della po­ litica di emancipazione femminile stabilita dal governo che, puntualmente, fallì nella realizzazione della parità dei diritti, della partecipazione alla vita politica c del miglioramento complessivo del tenore di vita. In realtà, come fa notare Esther Yau Ching Mei, la condizione generale della donna rimaneva inalterata: (Perl la persistenza di costrizioni da parte delle famiglie, per un socialismo di stampo patriarcale fondamentalmente antifemmi­ nista e per caratteristiche economiche che tendevano a sfrutta­ re la manodopera femminile, [senza contare] la povertà e la so­ vrappopolazione che spingono le donne a sacrificarsi sponta­ neamente per le loro famiglie c un sistema patriarcale imperia

15. -Quando nel 1949 si fondò la “nuova” Cina le donne c he lavora vano costituivano solo il 7% della forza lavoro del paese. Questa percentuale raggiunse il 36,5% nel 1983-, Carolynn Rafman, Imagin­ ing a woman's world: roles for women in Chinese films, cil., p. 132.

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Corpi, cotti, immoralità, potere: razione centrìpeta dell individuo

lista proveniente da nazioni economicamente più forti che co­ stringe i cinesi a perpetuare questo sistema16.

Il quadro storico appena tracciato, per quanto sommario, può aiutarci a comprendere i motivi della predilezione di Zhang per le figure femminili: in presenza di un sistema so­ ciale che ha disatteso le promesse di parità tra i sessi e che, anzi, si è adattato alle pratiche del confucianesimo, si fa pres­ sante l’esigenza di raccontare delle storie che esprimano il desiderio di libertà del singolo e nel contempo individuino gli aspetti più coercitivi della vita sociale in Cina. A tale ne­ cessità Zhang risponde mettendo in scena dei personaggi femminili inediti nel panorama cinematografico cinese: non più eroine tutte d’un pezzo, intransigenti, etiche, asessuate come quelle dei film degli anni Cinquanta c Sessanta, nep­ pure semplici vittime, incapaci di ribellarsi al proprio desti­ no come la protagonista di Terra gialla, non delle femmini­ ste che abbiano coscienza politica della propria condizione o che agiscano in gruppo per i propri duini, ma nemmeno donne disposte a sacrifìci incondizionati (un atteggiamento ancora avallato e sostenuto dalla morale comune17). Il tema del sacrifìcio è uno degli elementi discriminanti dell’opera di Zhang: il rifiuto delle sue eroine ad immolarsi per gli altri non solo è l'espressione di un'opposizione con­ tingente, legata alle vicende particolari di cui sono prorago 16. Esther Yau Ching Mei, Cultural and Economic Dislocations: Filmic Fantasies of Chinese Women in the 19E0s. cit., p. 12. 17. Scrive Lina Tamburino in un suo libro/reportage: -Per un uomo ci nese chi è la donna ideale? Gong Li, l’attrice resa famosa dai film di Zhang Yimou, oppure Liu Huifang, l’eroina di Aspirazioni, uno sceneggialo televisivo molto popolare? L..1 In Judou, uno dei film di Zhang che ha colpito la fantasia occidentale, Gong Li è colpe­ vole di un adulterio ai limiti dell'incesto. Liu Huifang è un’eroina casta, gentile, disponibile, obbediente, pronta a sacrificare se stes­ sa: concentrato insomma di tutte le virtù femminili della tradizione cinese (ma non solo). 11 successo di Aspirazioni ha fatto discute­ re. (...1 Un gruppo di sociologi di Pechino, analizzando le migliaia di domande arrivate ai centri specializzati e alle agenzie per ma­ trimoni, ha trovalo la risposta: per il cinese di oggi la donna idea­ le ha il fisico di Gong Li, ma le virtù di Liu Huifang. Deve essere ginvane, graziosa, pronta a dare amore e tenerezza», Lina Tambur rino, La Cina dopo il comuniSmo, Laterza, Bari 1993» pp. 30-31.

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niste, ma allo stesso tempo costituisce il primo tentativo di sgombrare il campo deirimmaginario collettivo da una serie di stereotipi femminili che il cinema di regime aveva tenta­ to di imporre negli ultimi quarantanni. È una visione del mondo che cerca di scalfire la concezione mascliilista del­ l’umanità tipica di ogni società patriarcale. Tale concezione, in Cina, ha una trasposizione grafica nell’uso del carattere rén stilizzazione del busto e delle gambe di un uomo aH’intcrno di concetti universali quali umanità (rén xìng) e popolo (rén min). Esso si utilizza addirittura per indicare la donna (nù rén). associato al carattere nù che deriva dall’im magine stilizzata di una donna in ginocchio. Sotto l’aspetto grafico, la rappresentazione della donna prevede pertanto da una parte un’immagine dimessa del genere femminile, dal­ l’altra un riferimento esplicito al genere maschile, come se non potesse essere raffigurala altrimenti. Passando dai carat­ teri alle immagini la situazione non cambia: il cinema cine­ se del secondo dopoguerra riproduce uno schema analogo a quello della lingua, con le sue eroine in uniforme pronte a emulare i colleglli maschi, alla vana ricerca di un’ugua­ glianza che sfocia inesorabilmente nell’omologazione, o co­ strette a seguire la strada che porta al sacrificio del sé pcr il bene di un ordine superiore. Ciò che di completamente nuovo propongono le donne portate sullo schermo da Zhang c la capacità di perseguire degli obiettivi cui neanche gli stes­ si uomini sembravano poter ambire: attraverso la continua trasgressione delle regole, rifiutando di sacrificarsi per il be­ ne comune, ciò che rivendicano è la propria appartenenza aH’umanilà, l’uscita da un regime di semischiavitù, propo nendo allo stesso tempo di cambiare quello stesso concetto di umanità, allargandolo a nuovi e più profondi valori. Non c’è più spazio per “donne in ginocchio" e per eroine che si sottomettono di propria iniziativa a qualsivoglia principio ma­ schile: se il regime sembrava voler sostenere che “la donna è uguale alluomo”, con 11 cinema di Zhang Yimou si fa stra­ da l’idea opposta secondo cui “l’umanità è donna”, o alme­ no che “fumanirà è anche donna”. Se questa prospettiva d’analisi non può e non deve na­ scondere la natura prettamente maschile e a tratti voyeuri-

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Cotpi. ixilti. immoralità, poter?. fazione centripeta delt’individuo

stica delle visioni di Zhang, tuttavia c utile per comprende­ re come, attraverso il carattere istintivo, risoluto e passiona­ le delle sue rappresentazioni il regista tenga più d'ogni altra cosa a scuotere i propri spettatori da una sorta di torpore nel quale gli pare vivano da troppo tempo. Le donne c la loro emancipazione, così, appaiono come la punta dìcebcrg nella rappresentazione di un’intera società. Attraverso di es­ se Zhang mostra che, nel corso dei secoli, i cinesi hanno perso la propria forza originaria, piegati da un sistema con­ cettuale e ideologico che si è riprodotto pressoché intatto fi­ no al comuniSmo. È un rapporto contraddittorio ed emble­ matico quello tra il regista e le sue eroine: se proprio nelle donne riesce a trovare quella parte di cinesilà che il sistema non è riuscito a ridurre completamente all'impotenza (forse perché, a differenza degli uomini, sono sempre stale consi­ derate sostanzialmente marginali rispetto ai meccanismi so­ ciali), al tempo stesso fa di esse degli strumenti di denuncia che adopera con una certa dose di audacia e cinismo, com­ portandosi come i rappresentanti del potere comunista, che usavano le donne per portare avanti la loro concezione di mondo. Con la non piccola differenza che se gli uni propa­ gandavano un mondo egualitario dove il singolo (uomo o donna che sia) doveva riversare la propria identità in quel­ la più estesa e più “giusta” del popolo, Zhang non si di­ chiara disposto a rinunciare alle peculiarità del singolo, an­ zi le sfrutta per caratterizzare personaggi privi di qualsiasi etichetta. Immoralità e dissolutezza U gusto di Zhang per il paradosso e per la provocazione sottintende un tentativo consapevole di laicizzare la rappre­ sentazione dell'individuo a partire da una nuova concezione del personaggio. 1 suoi primi film di Zhang vanno letti, in effetti, in tal senso, grazie ad eroine che scelgono — più o meno coscientemente - un’esistenza moralmente discutibile, apertamente dissennata, se non addirittura dissoluta (almeno per la mentalità dominante), infrangendo una serie di codi­ si

Zhang Yimou

ci la cui violazione mette in pericolo il mantenimento di un ordine secolare. Facciamo qualche esempio partendo dal film più “spre­ giudicato1’ che il regista abbia girato: Sorgo rosso. Nove Fio­ ri, la protagonista, nel corso del viaggio in palanchino fa di tutto per segnalare agli uomini che la scortano la propria di­ sponibilità, tanto che colui che diventerà il suo futuro com­ pagno, è addirittura costretto a rifiutarne le avance (rimette all’interno della portantina il piede che lei aveva spinto ma­ liziosamente all’esterno). Che il suo desiderio sia di sottrarsi al matrimonio con il vecchio lebbroso che le è stato desti­ nato diventa palese quando la ragazza si dimostra ben feli­ ce di fuggire con il piimo venuto (un bandito che ha bloc­ cato il corteo per derubare i portatori e rapirla), fosse anche un fuorilegge del quale non ha potuto neanche vedere il volto. Le “preghiere” della ragazza saranno esaudite quando, di ritorno alla casa patema dopo ire giorni di permanenza presso la distilleria, potrà darsi al portatore, commettendo una sorta di “adulterio preventivo”, dato che il marito non ha ancora potuto toccarla. Il grande cerchio che il giovane portatore disegna tra le piante di sorgo, e al centro del qua­ le avverrà il suo amplesso con Nove Fiori, non è altro che la rappresentazione simbolica di un nuovo mondo fuori dal­ l’oppressione delle regole o. meglio, governato da principi diversi. Nove Fiori è colei che riscrive questo nuovo corpus di leggi attraverso le proprie azioni: la ragazza ripudia il pa­ dre che l’ha barattata con un mulo, tiene a bada il proprio amante quando questi torna ubriaco e la reclama per sé, di mostra che nella distilleria non valgono più le regole pa triarcali (lavorando come un uomo insieme agli operai mal­ grado sia lei la proprietaria dell’azienda), organizza un at­ tentato contro i giapponesi per vendicare uno degli uomini che l’hanno aiutata a emanciparsi. Non sono da meno in quanto a infrazione delle regole le protagoniste dei tre film successivi. In Ju Doti, la protagoni­ sta e Tianqing, il suo amante, vivono nella clandestinità un rapporto, per certi versi incestuoso, che genera brutalità e devianza all’interno di un sistema sociale di per se già effe­ rato e ingiusto. Lo spazio della tintoria accoglie qualsiasi ti­ 82

Corp!, volti. immoralità, patew- l'azione centripeta deU’indlvlduo

po di efferatezza: omicidio, suicidio, adulterio, aborto, vio­ lenza fìsica c psicologica, qualsiasi crimine sembra consenti­ to ail’interno di quella prigione “colorata". L’enorme diffe­ renza tra questa pellicola c la precedente è che se in Sorgo rosso i protagonisti riuscivano a sfuggire al sistema di rego­ le tradizionali riscrivendone uno nuovo di segno inverso che scardinando quello precederne lo annullava, in Ju Don i due amanti non hanno il coraggio (ne la passibilità) di infran­ gerlo, ma continuano ad agire al suo interno, deformando­ ne i contorni ma lasciandolo sostanzialmente immutato e at­ tivo: tutto ciò, ovviamente, non può che portare ad una si­ tuazione contraddittoria all’interno della quale l’autodistru­ zione dei personaggi funziona come una specie di “mecca­ nismo di sicurezza” previsto dallo stesso sistema. Songlian, la quarta signora di Lanterne rosse, non é da meno. Tra tutte le protagoniste dei primi film, è però quel­ la che deve reprimere maggiormente la propria ribellione: Tatmosfera in cui vive, proprio perché codificata da un si­ stema di regole raffinatissimo e complicatissimo, è decisa­ mente la più asfissiante fra quelle rappresentate da Zhang fi­ no a quel momento. Malgrado sia l'ultima arrivala nell’harcm del padrone e dunque occupi il gradino più basso della sca­ la sociale interna al microcosmo del palazzo, la donna non rinuncia ad esercitare il pur ridotto potere di cui dispone provocando, ad esempio, la morte della propria domestica. Non è il solo omicidio di cui si rende responsabile, dato che le affermazioni sull’adulterio della terza moglie falle mentre c ubriaca saranno la causa dell’omicidio di quest’ultima e, infine, della sua stessa pazzia. Anche quando muta il contesto slorico, sociale, economi­ co delle storie narrate, ci ritroviamo dinnanzi a personaggi dal profilo psicologico e caratteriale simile: se le prime eroi­ ne di Zhang sono delle vere e proprie peccatrici che rie­ scono a farsi beffe del sistema di controllo sociale e fami­ liare attraverso armi tipicamente femminili, la protagonista di la storia di Qiu Ju è una vera e propria contestatrice di una serie di sistemi forse meno coercitivi ma altrettanto asfissianti. La donna, inoltre, presenta tutte le caratteristiche ossessive delle sue “sorelle maggiori”: se per lo spettatore, infatti, la

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sua lotta c sacrosanta (ella non chiede altro che un minimo di giustizia), agli occhi della comunità di cui fa parte la sua testardaggine è, oltre che incomprensibile, trasgressiva e il­ legittima. Qiu Ju - al pari di Nove Fiori, Ju Dou e Songlian mette in discussione il capo villaggio, garante delle regole e custode dei valori contadini. In una comunità agricola dìe -come affermano gli stessi protagonisti - c simile a una fa­ miglia allargala, attaccare il capo villaggio significa osteggia­ re il padre. E osteggiare il padre, in una società come quel­ la cinese fondata sulla famiglia (una famiglia che, all’occa­ sione, è possibile allargare a dismisura, dato che Mao è sem­ pre stato considerato il padre della Cina) significa criticare l a ut onta del potere. Ma non è necessario avventurarsi in let­ ture simboliche per mettere in evidenza Pimmoralità di Qiu Ju e il carattere ossessivo delle sue azioni. Con i suoi con­ tinui viaggi in città la donna disconosce il potere patriarca le rappresentalo dal marito e dal padre che ci appaiono im belli c impotenti di fronte alla determinazione della donna. La fissazione di Qiu Ju ha conseguenze nefaste anche dal punto di vista economico: le “vacanze” in città (così come vengono definiti i viaggi di Qiu Ju dalle malelinguc del vil­ laggio) si ripercuotono sul bilancio familiare, sottraggono al lavoro nei campi due braccia utili, stornano ingenti risorse per coprire il costo dei vari processi. Ma il risclùo maggio­ re è, paradossalmente, proprio quello che potremmo cliiamare “riproduttivo”: per difendere l’onore di maschio del ma­ rito (colpito ai testicoli dal capo villaggio durante una di­ scussione), Qiu Ju rischia di perdere il bambino che porta in grembo, mettendo a repentaglio il fimiro della sua stessa famiglia.

Corpi di donne Che Zhang sia il regista cinese più famoso in Occidente e che lo sia diventalo soprattutto grazie alle figure femmini­ li che popolano i suoi film non significa, tuttavia, che sia stato Punico cineasta a preoccuparsi di rappresentare l’uni­ verso femminile cinese. À cavallo tra gli anni Ottanta e No 84

Carpi, igniti, immoralità. potete l'azione cent ripeta deU'indiriduu

vanta la riflessione sui diritti della donna e sul suo ruolo in seno alla società c stato infarti uno ira i principali fili con­ duttori dell’intera cinematografia continentale18. Ciò che ren­ de diversi i Alni di Zhang rispetto a quelli dei suoi conna­ zionali è la capacità delle sue prolagonisie eli vivere total­ mente le proprie passioni, di trasgredire l’universo oppri­ mente delle regole patriarcali, senza che dietro il loro agire vi siano intenti didattici. Le regole che esse decidono di in­ frangere sono per lo più imposte attraverso un'opera siste­ matica di costrizione del corpo che, a sua volta, viene da esse utilizzato come uno strumento eversivo. L'uso che que­ ste donne fanno della propria fisicità spesso è ingenuo, a volte è spregiudicato, ma comunque attesta il molo del cor­ po come elemento problematico per eccellenza all’interno del sistema sociale cinese. Se i loro remativi non conducono al­ la liberazione, ma piuttosto all'autodistruzione, il corpo si conferma in quanto vero e proprio “fattore di riscliio" per l’ordine sociale, il cui apparato di regole è concepito in lar­ ga misura proprio per la sua repressione e successiva co­ strizione entro gli argini di funzioni che servono a perpe­ tuare l’ordine costituito (lavorare per la famiglia e dare alla luce dei figli, possibilmente maschi).

18. Ecco di seguilo un elenco, di certo parziale, dei film più impor­ tanti: A Girl from Hunan (1986) di Xie Fei, si concentra sulla vi­ cenda drammatica di una ragazza madre che è costretta a sposar­ si; A Woman from the Lake of Sciented Sot ds (1992), ancora di Xie Fei, vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino, è un melodramma su una contadina forte e vulnerabile al tempo stesso; Marna (1991), una delle prime opere di Zhang Yuan, narra la storia di una madre e del figlio handicappato. Non solo cineasti ma anche moke cineasie si soffermano su storie al femminile: Sacrificò Youth (1985) di Zliang Nuanxin descrive le esperienze di una giovane cittadina che du­ rante la Rivoluzione culturale viene inviala in una comunità Ilan di contadini e ha evidenti difficoltà di integrazione; Women's Story (1987) di Peng Xiaoliang narra di tre destini femminili paralleli; in fine citiamo Pau Ytdiang. a Woman Painter (1992) della regista Huang Shuqin, film biografico (interpretato da Gong Li e supervisionato da Zhang Yimou) su una nota pinrice cinese vissuta in Francia, dove compare anche il primo nudo integrale di donna del cinema cinese. I dati sono tratti da Kégis Bergeron, Le cinema cbinois. 1984-1997, cit.

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Per questo morivo, prive di un reale potere, le donne di Zhang sembrano servirsi del proprio corpo per tentare una riscrittura delle regole sociali, attraverso una progressiva su blimazione, se non addirittura virtualizzazione, dell’impiego del corpo e, in particolare, di quella funzione esclusiva del­ l’universo femminile che è la procreazione. È evidente che lo spazio di libertà della donna si gioca sulla possibilità di scindere o meno quella che è vista come una precisa fina­ lità, la riproduzione, dallauo sessuale. Sorgo rosso è un inno alla vita c alla libertà e trasuda sensualità fin dalle prime immagini. Ogni azione ha un ri­ chiamo esplicitamente sessuale e naturale: la scena nella qua­ le il portatore urina negli otri colmi di grappa può essere letta come un arto di eiaculazione e inseminazione (non a caso la grappa sottoposta a tale singolare trattamento sarà “la migliore degli ultimi dieci anni” e permetterà alla distil leria di essere piti produttiva), ma anche come una sona di “marcatura del territorio”, una funzione che nel regno ani­ male è direttamente legata alla possibilità di riprodursi; il campo di sorgo che cresce senza che nessuno lo coltivi è il simbolo di una fertilità naturale, quasi si tratti di un grem­ bo materno che accoglie i due amanti nel loro primo am­ plesso. Quando, poi, Nove Fiori instaura relazioni interper­ sonali con gli altri uomini, lo fa basandosi, più o meno aper­ tamente, su un possibile contatto di natura sessuale: quan­ do il portatore si presenta ubriaco presso la distilleria, pre­ tendendo di dormire con la protagonista, quest’ukima non esiterà a dirgli: -Eri meglio con i calzoni abbassati-; anche Trecannoni imposta fin da subito il proprio ricatto su un piano sessuale e, se decide di non violentarla, è per paura di un possibile contagio (Nove Fiori mente, affermando di essere stata a letto con padron Li), infine l’amicizia con Lo Wan, seppur platonica, ha un fondo passionale (nel libro Lo Wan è in realtà amante della donna), confermato dalla sua partenza dalla distilleria quando il portatore, tornato alla di stillcria, si fa propria Nove Fiori. Hi libertà della protagoni­ sta va così di pari passo con la sua emancipazione sessua­ le. Decide chi sono i propri partner (riesce, malgrado tutto, a evitare di farsi toccare da padron Li) e, anzi, usa la pro

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pria sensualità come forma di potere. Anche quando è pie sa con la forza dall'uomo, ciò avviene esclusivamente con il suo tacito consenso, confermato da quella sorta di senso di complicità con cui '‘subisce” i vari rapimenti di cui è pro­ tagonista. Negli altri film di Zhang la libertà di cui gode Nove Fio­ ri viene meno, o per lo meno è seriamente messa in di­ scussione dalle istituzioni sociali e familiari. Sia in Ju Dou che in Lanterne rosse le protagonisre non sono in grado di scegliere i propri partner e, soprattutto, la loro capacità di procreare è limitata o addirittura impossibile. Ju Dou non è una buona moglie (il carattere cinese che traduce “buono” corrisponde al disegno di una donna con un bambino), ov vero non può adempiere al compito assegnatole, quello di dare un figlio al marito Qinshan, c non per colpa sua, ma a causa delfimpotcnza di quest’ultimo. Il suo rapporto con Tianqing, poi, è segnato daH'ambiguità, dato che, se da un lato non pare dettato da una scelta lucida ma da un desi­ derio puramente tìsico, dall’altro le permette di raggirare il marito e di evitare, in questo modo, di fare una brutta fine (Qinshan ha ucciso altre due donne che non erano stale in grado di dargli un erede prima dì sposare Ju Dou). Dap­ prima poco attratta da Tianqing, la donna sembra piacevol­ mente sorpresa quando scopre di essere spiata e perciò de­ siderala indipendentemente dal compito semplicemente piocreativo che la società le ha assegnato. Il legame con il ni potè nasce dunque come risposta a delle precise esigenze affettive, ma in questo caso l’uomo con il quale colmare il vuoto sentimentale non viene scelto, come nel caso di No­ ve Fiori, visto che Tianqing è l’unica alternativa che la don­ na ha rispetto al marito. Il paradosso in Ju Dou sta, poi, nel fatto che se con Qinshan la protagonista avrebbe dovuto avere rapporti esclusivamente ai fini della procreazione, con lui finisce invece per avere soltanto una relazione sessuale, e il legarne con Tianqing, che avrebbe dovuto essere di na­ tura pulsionale, ben presto assume i connotali di un vero e proprio matrimonio (gioiscono entrambi per la nascita del bambino e, in una breve sequenza, li vediamo vestiti ele­ gantemente, con l’apparenza di una coppia legale, mentre

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in segreto festeggiano il nuovo nato). Ne deriva un rapporto che, in quanto risultato di una “deformazione relazionale”, non può che produne un figlio edipico e, in seguilo, ad dirittura un aborto, due manifestazioni lampanti di quanto sia difficile per la protagonista dominare la propria corpo­ reità. La perdita della fertilità, poi, è ancora più significati­ va: adultera, Ju Dou è relegata per sempre nel ruolo di amante, sarà di lì in avanti una donna “non buona”, inca­ pace di procreare. In Lanterne rosse, Songlian si trova in una situazione an­ cora diversa, che potremmo definire sublimata: non solo non può scegliere chi sposare, ma deve lottare, in un sottile gio co di potere e seduzione, con altre donne per ottenere i fa­ vori del marito, notte dopo notte, in un tentativo perenne di riconferma dei diritti appena guadagnati. Inoltre, Songlian non ha il dovere della riproduzione (come Ju Dou e, in par­ te, come Nove Fiorì), visto che il marito ha già degli eredi maschi, avuti dalle altre concubine, e che, come lei stessa dichiara, la sua funzione all’interno della casa è quella di es­ sere un oggetto di piacere, in tutti i sensi. Anche in questo caso assistiamo dunque alla scissione delle due facce della sessualità, avvenuta perché una di queste (la procreazione) non c richiesta e diviene ben presto del tutto strumentale al­ l’acquisizione del potere “politico” all'intemo del palazzo; l’al­ tra (dare e ricevere piacere) è addirittura legittimata dal ma­ rito-padrone senza la richiesta di null’alrro in cambio. È pro­ prio questo senso di frustrazione che deriva dall’essere in uno stalo permanente di predisposizione sessuale del tutto innaturale, creato dalla competizione con le altre donne, a fare la differenza con gli altri film. Se le proiagoniste dei due Film precedenti diventavano amanti per sottrarsi al compito esclusivo di “fattrici”, in Lanterne rosse è proprio il ruolo uni­ co di amante, l’essere relegata in una posizione accessoria (e dunque facilmente rimpiazzabile) a rendere precario lo status di Songlian. La simulazione della gravidanza si spiega, così, non solo come il tentativo di riconquistare considera­ zione all'interno della casa, ma di riprendere possesso del proprio corpo; è una sona di “gravidanza isterica” (in realtà studiata consapevolmente) volta letteralmente ad attirare Far

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tenzione su di sé e a sfruttare (imi i privilegi che derivano a colei che assolva in pieno al proprio compilo di moglie, così come è sancito dalle regole tradizionali. Si tratta di un tentativo “eversivo” di uso del proprio corpo, molto raffina­ to se confrontato con quello di Nove Fiori che cede sem­ plicemente alla passione e con quello di Ju Dou che, pure, riesce a far credere al marito di essere il padre del figlio che porla in grembo, ma che, in definitiva, segna una resa in­ condizionata della protagonista al sistema sociale così com’è strutturato. In La storia di Qiu Ju, invece, il desiderio di rivalsa del­ la protagonista può essere interpretato come una risposta al­ l'ipotesi che sia messa in pericolo la pienezza della vita co­ niugale. Se il calcio dato dal capo villaggio al marito di Qiu Ju proprio tra le gambe non compromette la capacità ripro­ duttiva del coniuge, d’altro canto sembra costituire un osta­ colo. sia pure transitorio, a una vita sessuale appagante. La protagonista vuole c deve Far credere agli abitanti del vil­ laggio che la sua presa di posizione sia dovuta al rischio di non avere più figli, ma non è questo l’unico motivo. Per avere un altro figlio la coppia dovrebbe trasgredire una leg­ ge dello stato, quella che, per decrementarc le nascite, vie­ ta di avere più di un bambino per nucleo familiare. Inoltre, nella prima sequenza della pellicola, un medico afferma che il marito di Qiu Ju sta bene, non rischia di diventare impo­ tente e che ha solo bisogno di un po’ di riposo. Il motivo reale del suo desiderio di giustizia emerge da una sua sin­ tomatica affermazione: -La legge non dice che è giusto pic­ chiare un uomo là dove egli è più uomo-. Il processo di emancipazione, dunque, sembra definitivamente compiuto: dopo tre film nei quali le donne usavano il proprio corpo come uno strumento di liberazione, di eversione o di ac­ crescimento del proprio prestigio sociale, in La storia dì Qiu Ju è il corpo dcH’uomo ad essere al centro di una contro­ versia che, a tratti, assume dei connotati decisamente grot­ teschi. È possibile leggere fa storia di Qiu Ju come il con­ flitto combattuto per interposta persona tra due virilità feri­ te, ovvero quella fisica del marito della protagonista e quel­ la metaforica del capo villaggio che non è stato in grado di 89

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mettere al mondo un figlio maschio, ma solo quattro fem­ mine. Quanto al corpo della donna, esso è definitivamente privo di tulle quelle connotazioni che ne facevano il centro del desiderio maschile e, al tempo stesso, dei suoi soprusi: imbruttita, infagottata e per tre quarti del film incinta, Gong Li, che fino a Lanterne rosse era stata considerata più Bolla che brava, ottiene grazie a questa interpretazione un rico­ noscimento a livello internazionale delle proprie capacità at­ tortali, una conferma ulteriore deH’inscindibilità del destino dell’interprete da quello dei personaggi impersonati. / volli del potere Abbiamo accennalo al tentativo di Zhang di riscrivere at­ traverso i propri film i termini tradizionali di -donna* e di -buono*. Data l’assenza nell’universo iconografico dell'autore di donne sottomesse (il carattere nù, che sta ad indicare la donna, è quello che reca, appunto, una donna in ginocchio) è probabilmente più corretto parlare di un’operazione di to­ tale disconoscimento c negazione di questo concetto c del simbolo ad esso legalo, cui non corrisponde, tuttavia, una proposta alternativa, un’immagine che, con altrettanta inten­ sità simbolica, riesca ad imporsi con forza sufficiente per rim­ piazzarlo. Tulli i contesti sociali esaminati nei film di Zhang, infatti, sono improntali a valori tipicamente maschili: tanto in epoca feudale, quanto sotto il regime comunista le donne si scoprono prive della capacità di definire la propria identità. Da questo punto di vista ha ragione chi ha affermato (fon­ damentalmente studiose statunitensi di area femminista) che nei film di Zhang la protagonista incarna solitamente tutti gli aspetti dell’essere donna, mentre i ruoli propri dell’uomo so­ no suddivisi tra vari personaggi, c spesso è il conflitto tra questi ultimi a decidere il destino dell'eroina19- Insomnia, Ju 19. -L’eroina trasuda letteralmente una sensualità a tratti rovente, a trat­ ti soffocante che è raffigurata come naturale. Tale sensualità risuona nell’ultima parte di entrambi i film CSb/go rosso e Ju Don, n.d.a.) quando la maternità e la tragedia cambiano la sua desiderabilità. Gli stereotipi contraddittori della donna-madre e della donna vam-

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Dou e le sue “compagne*’ non hanno un'identità autonoma perché prima di essere donne sono madri, mogli, amanti, fi­ glie, o addirittura considerate alla stregua di animali di pro­ prietà di qualcuno. Da questa, che potremmo definire come una specie di “identità funzionale”, nasce un evidente quan­ to illuminante paradosso, la lotta di emancipazione delle don­ ne da una condizione all’interno della quale sono ridotte a meccanismi di un sistema, spesso sfocia in una sorta di le­ gittimazione dello stesso ordinamento che si rafforza invece di crollare su se stesso e che, proprio attraverso di esse, si riproduce. Si pensi alla funzione simbolica del funerale di Qinshan nel film Ju Dou: il sistema sopravvive al proprio de­ terioramento trasformando Tianbai, figlio illegittimo, doppia­ mente parricida (causa la morte di Qinshan, suo padre “le­ gale”, nonché di Tianqing, il padre naturale), quindi simbo­ lo della trasgressione c della degenerazione, nel depositario dei nobili valori degli avi20. Quale altro significato dare al sorriso compiaciuto del bambino, consapevole di essere di­ ventato il capo famiglia (è seduto sulla bara di Qinshan e tiene in mano le tavolette degli avi, simbolo del potere), mentre nella stessa cerimonia Ju Dou e Tianqing sono co stretti a farsi investire quarantanove volte dal feretro del pa­ triarca morto? Meno palesi, ma altrettanto significativi altri esempi: in Sorgo rosso sopravvivono il portatore e il figlio di Nove Fiori (due uomini, dunque); in Lanterne rosse una quin­ ta concubina subentra a Songlian c la vira quotidiana nel pa­ lazzo può riprendere il suo corso; in La storia di Qiu Ju ad un potere maschile (quello del capo villaggio) ingiusto ma anche profondamente umano (l’uomo corre in aiuto di Qiu Ju nel momento del bisogno), si passa ad un altro sempre maschile ma del tutto estraneo e incomprensibilc per la con­ tadina, quello burocratico; in Vivere/ un finale parzialmente piro si uniscono in un unico personaggio. Mentre Temina incarna tutti i moli della donna figlia, moglie, amante, madre, nonna - i ruoli maschili sono separati. Perciò Li mascolinità è più complessa e più problematica-, dr. Mary Ann Farquhar, Oedipality..., cit.. p. 67. 20. Per un’analisi delle relazioni parentali in Ju Dou si veda William A Callahan. Gender, ideology, nation- Ju Dou in the cultural politics of China, «Fast-West-, VI1/1, gennaio 1993.

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consolatorio non può nascondere i tanti lutti subiti dalla fa­ miglia di Fugui, inerme di fronte al corso della storia; in La triade di Shanghai, morta la “concubina” Bijou, uccisa per aver cercalo di ribellarsi al potere, una ragazzina si appresta a prenderne il posto. Siamo di fronte ad architetture narrative e spaziali che vengono legittimate dal proprio interno: esse sono al servi zio dei personaggi o, meglio, sono erette ad arte per impri­ gionarli; i loro confini si definiscono nella dialettica tra luo­ go di prigionia e vani tentativi di fuga dei prigionieri-perso­ naggi. In altre parole, rappresentano edifici cinematografici che assomigliano per certi versi ai disegni di Escher, nei qua­ li la logica apparente delle costruzioni architettoniche cela, in realtà, un universo assurdo, chiuso su se stesso, incoe­ rentemente circolare, assolutamente indipendente dalla realtà. Non a caso Ju Doti» Songlian e, soprattutto, Qiu Ju, dopo essere fuggite, essersi ribellale, aver cercato di scalfire il si­ stema, si ritrovano inesorabilmente al punto di partenza. Tuttavia non esistono soltanto donne che lottano contro il sistema: abbiamo visto che la disputa tra il capo villaggio e il marito di Qiu Ju può essere interpretata come un con flitto Ira due uomini, combattuto per interposta persona. Ciò che è significativo è che si tratta, ancora una volta, di uno scontro tra due uomini appartenenti a generazioni diverse e che, fatte le debite proporzioni, può ricordare quelli dei pri­ mi due film di Zhang. In Sorgo rosso il conflitto ha un esi­ to immediato e positivo (il portatore elimina padron Li pren­ dendone il posto nella distilleria), mentre in Ju Dou viene continuamente differito, fino al punto di essere “affidato” al rappresentante della generazione più giovane (Tianqing mi­ naccia di morte più volte Qinshan ma, alla fine, entrambi vengono eliminati da Tianbai). Anche se appena accennato, in Vìvere! è presente lo stesso conflitto tra padri c figli (al l'inizio del film il padre vorrebbe ammazzare Fugui perché quesl’ultimo ha perso tulio al gioco e, invece, muore di cre­ pacuore), così come in La triade di Shanghai ritorna sotto forma di lotta per il potere c per il possesso di una donna tra due membri della mafia appartenenti a generazioni di­ verse che si risolve a favore del più anziano. In Keep Cool, 92

Corpi, tolti. immoralità. potere razione centtipetti deU'ntduiduu

infine, il conflitto generazionale produce un’inversione delle parti: i continui inviti alla ragionevolezza di Lao Zhang na­ scondono un fondo di follia, mentre Tirrazionalirà e la po­ vertà di valori etici del giovane Xiao Shuai si rivelano solo apparenti. 11 percorso artistico del cineasta, dunque, si rivela ricco di padri “immorali1’ e figli “etici”, due termini che c neces­ sario mettere tra virgolette perché sono da assumere all’intcrno della particolare concezione morale propria dei singo­ li contesti storici e sociali in cui sono ambientale le vicende narrate. A rendere simili le diverse parabole dei protagonisti è, tuttavia, In medesima contravvenzione che perpetuano con­ no quello che, allinterno del sistema confuciano prima e co­ munista poi, è considerato come il valore supremo alla ba­ se non solo dcli’ordine familiare ma anche di quello socia­ le: la pietà filiale. Per Confucio la pierà filiale era il primo passo per raggiungere la superiorità morale. Egli riteneva che l’armonia sociale si ottenesse tramite il rispetto dei riti, e che l’integrità del cullo degli avi avvenisse solo attraverso la pierà filiale, la sottomissione al volere tradizionale della propria fa­ miglia. La società imperiale era fondata, così, su un model­ lo che potremmo definire parentale: Il confuciani] preferiscono riferirsi all’imperatore come al Figlio del Cielo, al rc come padre-governante, al magistrato come “fun­ zionario padre-madre" perché danno per assunto che in .siffat­ te denominazioni incentrate sulla famiglia sia implicita una vi­ sione politica l...j è l'elica familiare a permettere la realizzazio ne del bene pubblico21.

Il comuniSmo non ha fatto altro che accertare passiva­ mente questa visione delle cose, basando su di essa una par­ te considerevole della propria concezione dello staro. Mao è sempre stato considerato il padre del popolo, e gli eroi ri­ voluzionari, trasformati in icone da venerare, sono divenuti in breve le figure della “famiglia tradizionale comunista”. 21. Tu Wei ming, la tradizione confuciana nella stona cinese, in Paul S. Ropp (a cura di), L'eredità della Cina, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1990, p. 139

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Nel cinema di Zhang, viceversa, i figli sono animati spes­ so da principi ben più alti dei propri genitori e inevitabil­ mente si ribellano a essi, mancano loro di rispetto, ma sen­ za che alla base di questo comportamento debbano esserci per forza delle motivazioni moralistiche o edipiche. Anzi, l'as­ sioma freudiano viene messo sotto scacco in molte pellico­ le dell’autore nelle quali assistiamo ad un rafforzamento del controllo da parte del potere tradizionale sul nucleo sociale e alla sconfitta delle figure filiali: è il caso di Ju Dou, Lan­ terne rosse, La trìade di Shanghai. In Sorgo rosso, l'universo della distilleria assume ben presto i connotati di una società di stampo matriarcale. In La storia di Qiu Ju, il più giovane ira i due uomini non ha il coraggio di ribellarsi a quello più anziano, e preferisce delegare alla moglie questo compito. In La triade di Shanghai, il tentativo di ribellione dell’adolcscentc Shuisheng viene stroncato sul nascere. Così, se il volto del potere può anche essere quello ras­ sicurante dei funzionari pubblici di La storia di Qiuju o quel­ lo ottimista del capo villaggio di Vivere/, più spesso assume la maschera impassibile di un vecchio capomafia, o l’aspet­ to rampante di un boss metropolitano (Jteep Cool). Altre vol­ te, invece, il potere non ha alcun volto, aleggia privo di un’essenza corporea. Scontato il riferimento a Lanterne ros­ se, meno evidenti ma più interessanti gli esempi più recen­ ti. In Non uno di meno il vero potere è quello mediatico della televisione che fagocita una delle tante vicende tragi che di miseria e sfruttamento minorile per restituirla impac chettata aH’interno di un programma per casalinghe bene­ stanti dal cuore tenero. In la locanda della felicità il vero depositario del potere non è certamente Zhao, bensì proprio quei -tempi felici" del titolo originale cinese, ovvero il siste­ ma capitalista, invisibile e positivista. Qui il potere non è più incarnato da oppressori di stampo feudale o da burocrati di regime (le figure negative sono ridotte a maschere grottesche che possono al massimo far sorridere), ma da un universo iconografico invadente, fallo di fast food e cartelloni pubblicilari, di periferie desolate dove campeggiano fabbriche in disuso, inutili ruderi industriali deH’economia di regime.

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•La sex irta cinese è cambiata così velocemente che la maggior parte delle persone sì sentono perse’1. Zliang Yìmou

Economia socialista di mercato Le espressioni coniate dal regime cinese per definire le proprie scelte in campo politico, economico o culturale han no spesso assunto le sembianze di veri e propri paradossi verbali, in taluni casi addirittura di amari controscnsi: il “Gran de balzo in avanti” è stalo, soprattutto dal punto di vista eco­ nomico, un grande passo indietro; la politica dei “Cento fio­ ri" si è rivelala un subdolo strumento per estirpare qualsia­ si forma di dissenso; la “Rivoluzione culturale” ha cercato di mettere fine a qualsiasi espressione culturale legata alle tra dizioni del passato. Quando, all'indomani della riconquista del comando, Deng Xiaoping inventa una nuova parola d'or­ dine con cui definire ufficialmente l’orientamento economi­ co c politico del Paese, solo un abile linguista o un aman­ te dei giochi di parole avrebbe potuto credere che un ossimoro come “economia socialista di mercato” si sarebbe tra­ sformato nel giro di pochi anni in realtà. Quanti, soprattut­ to dopo i fatti di piazza Ticnanmen, avrebbero immaginato che la nuova società comunista si sarebbe indirizzata senza esitare verso il capitalismo, riuscendo, tra Taltro, a scinderlo dalla creazione di un sistema politico democratico? Quanti sono stati coloro che, dopo il crollo del muro di Berlino e 1. Zhang Yimou, Dans la tradition, in Charles Tesson, Olivier Assayas (a cura di), Made in China, -Cahiers du cinema-, numero speciale, aprile 1999, p. 78.

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del Parto di Varsavia, non hanno scommesso sul pronto ten­ tativo della Cina di sostituirsi ai russi nell’applicazione “vir­ tuosa” del comuniSmo e nel bilanciamento degli equilibri po­ litici mondiali, diventando il solo “nemico” degli Stati Uniti? La strada scelta dai politici cinesi è stata, contrariamente a quanto si potesse prevedere, quella di un lento cd inesora­ bile percorso di avvicinamento alla globalizzazione del mer­ cato, di apertura delle frontiere ai capitali stranieri e alle mul­ tinazionali, di sottomissione aH’influenzn e al controllo di or­ ganismi sopra nazionali come il Fondo monetario internazio­ nale, venendo meno a quella concezione autarchica della po­ litica c dell’economia che è sempre stata praticata in Cina. L’ultimo passo verso “l’occidentalizzazione” della Cina è sta to l’ingresso dei rappresentanti degli imprenditori e dei nuo­ vi ricchi nei più alti organi dirigenti del partito. Coloro che in epoca maoista erano considerati dal PCC i più pericolosi “nemici del popolo”, ora, di fatto, ne decidono la sorte. Allo sviluppo dei traffici transnazionali non è seguita una liberalizzazione della politica. Il Piccolo timoniere, dopo lo strumentale periodo del “muro della democrazia”2, non ha esitato a reprimere ogni spinta democratica, ogni tentativo di ribellione o sovvertimento sociale, con azioni decise e riso­ lute, la più eclatante e sanguinosa delle quali, ma purtrop­ po non l’unica, è stata senz’altro la repressione studentesca del giugno 1989 in piazza Tienanmen. L’avvio delle privatiz­ zazioni, la riconsegna delle tene ai contadini, l’ingente at2. Alla fine della Rivoluzione culturale il clima era in fermento, tra i processi alla Banda dei quattro e Ir riabilitazioni dei (perseguitati. •Per breve tempo sembrò anche che la Cina si avviasse a un regi­ me aperto e democratico, con libertà di parola e pluralismo jjoIìlico. Ma la vicenda del cosiddetto “muro della democrazia”, cioè dei manifesti in cui si permetteva di attaccare la dirigenza politica, tra il 1978 e il 1979. ebbe breve durata. In realtà era stata la la zione di Deng a peni lettere gli attacchi al fine di rovesciare quel la di Hua [Primo ministro in carica, n.d.a.]. Una volta ottenuto il risultato, l’affissione dei manifesti libertari venne strettamente proi­ bita. Wei Jingsheng, il principale op(jositorc distintosi per i suoi manifesti nei quali chiedeva la cosiddetta “quinta modernizzazione”, cioè l’adozione di un sistema democratico, venne condannato a quindici anni di carcere-, Piero Corradini, Cina. Popoli e società in cinque millenni di storia. Giunti, Firenze 1996, p. 386.

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flusso di capitali stranieri hanno progressivamente escluso il regime dal potere economico, c Dcng ha fatto sì che alme­ no il potere politico si cristallizzasse attorno agli apparati del partito, trasformando quest’ultimo in una sorta di governo “imperiale* con i suoi riti, le sue gerarchie, le successioni non più dinastiche ma di establishment. Jiang Zemin non era altri che il delfino di Deng, una sorta di erede designato per meriti burocratici, non successore scelto per motivi politici. L’erede di Jiang è il suo braccio destro, Hu Jintao, anch’egli ingegnere, anch’egli introdotto alla carriera politica da Dcng Xiàoping. Così facendo, al passaggio del secolo, circa venticinque anni dopo la morte di Mao, la Cina si è trasformata da re­ gime monolitico a paese con due sistemi, come d’altronde aveva prcannunciato lo stesso Deng in un’altra delle sue ce­ lebri parole d’ordine, “un paese e due sistemi”3: quello co­ munista posto a salvaguardia della stabilità politica, e quel­ lo imprenditoriale impegnato a garantire la stabilità e la cre­ scita economica. Quello che potrebbe apparire come un pa­ radosso o una trasformazione necessaria per reggere il con­ fronto con la globalizzazione dell’economia, è in realtà una consapevole e calcolata rivoluzione “di velluto”, un muta mento sociale e culturale radicale che ha scosso il paese e ne ha cambiato i connotati più di qualsiasi altra rivoluzione “rumorosa”. La società cinese appare nel nuovo secolo sem­ pre più simile a quelle occidentali, o almeno a quelle asia­ tiche (Giappone, Corea, Taiwan) che hanno da più tempo abbraccialo il sistema capitalistico. Con la non piccola diffe­ renza che in Cina problemi, potenzialità, contraddizioni, pro cessi sociali devono essere moltiplicati per più di un miliar-

3. In verità l'espressione è srata formulata la prima volta da Deng nel corso di una intervista rilasciata al -Washington Post- nel 1978 ed era riferita all’eventuale unificazione di Taiwan c della Cina. Suc­ cessivamente è stata “rispolverata” in occasione dell’annessione di Hong Kong alla Repubblica popolare cinese, avvenuta nel 1997: l’ex colonia britannica è, infatti, amministrata secondo uno statuto speciale. Più in generale, possiamo considerare la formula “un pae­ se due sistemi” una sorta di sintesi o di efficacissimo slogan di tut­ to il nuovo corso politico di Deng.

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do di persone, “disseminati11 in un territorio vasto poco me­ no dell’Europa e vincolati ad una struttura burocratica cen­ tralizzata complessa e spesso macchinosa.

Certe tendenze del cinema di Zhang Yimou La società cinese è cambiata così velocemente che la maggior parte delle persone si sentono perse. Il cinema cinese riflette quest’evoluzione. Oggigiorno è l’economia di mercato che do­ mina, tanto che la vita culturale è in rotta. Ormai prevalgono i Film commerciali più volgari. I registi che una volta si sarebbe­ ro vergognati di farli, oggi sono fieri di girarli. Questo fallo è tragico e mi chiedo se il pubblico li ami veramente. Ho diret­ to questi due film (Afori uno di meno e La strada verso casa, n.d.a.ì in reazione alla tendenza attuale del cinema cinese, con­ tro la logica del mercato4. I...I Ciò che voglio mostrare sono le

4. Questa dichiarazione di Zhang ci pennette di fare una breve di­ gressione sulla simazione del cinema cinese all'inizio del nuovo se­ colo. Quelli che il cineasta considera i film commerciati più volga­ ri sono pellicole che occupano buona parte della programmazione cinematografica: melodrammi a tinte forti, commedie che sfociano nella farsa, polizieschi violenti e, soprattutto, film di arti marziali. In effetti, la liberalizzazione del mercato ha aperto la via a prodotti d'importazione spettacolari e accattivanti (generalmente provenien­ ti da Hollywood e da Hong Kong), ed ha costretto gli studi di pro­ duzione a realizzare un numero sempre più consistente di film po­ polari a basso budget con il solo scopo di rispondere all’invasione di film stranieri e compiacere quanto più possìbile i gusti del pub­ blico. U calo costante degli spettatori (ormai allettati da altri gene­ ri di intrattenimento), il mantenimento di un rigido sistema di cen­ sura, i deficit di bilancio sempre più alti con cui devono misurar­ si i produttori, rappresentano degli ostacoli spesso insormontabili per qualsiasi produzione che si voglia proporre come alternativa al mercato. È sempre più difficile, se non imjxxssibile, riproporre quel­ la "politica degli autori” ideata e realizzata da Wu Tianming nella seconda mela degli anni Ottanta. Quei registi (non certo pochi in Cina) intenzionati a portare avanti un discorso d’autore non hanno molte possibilità di scelta: o rimangono all'interno del sistema, col rischio di dover girare film low budget e comunque mai in una si­ tuazione di piena libertà espressiva e con la certezza di essere pro­ babilmente relegati aH’intcrno del confini nazionali, oppure cerca­ no produttori stranieri disposti a finanziare i loro progetti. È a que­ sti ultimi che va il merito, ma anche la responsabilità, della visibi­ lità all’estero dei film c inesi, o meglio di quei pochi titoli che si

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mentalità, i sogni, le idre della gente comune in questa fine di secolo nella quale la Cina, dopo scosse e tempeste, è in piena mutazione. La pressione del mercato è enorme. Ma noi che ci vogliamo proteggere quale posizione dobbiamo tenere? Negli anni Ottanta questi film avrebbero trovato facilmente il Ioni pub­ blico. Oggi è molto più difficile. Tuttavia sono fiero di averli realizzati, perché dobbiamo cercare di preservare il meglio del­ la tradizione cinese5.

Con il cambiamento radicale della società, con la sua tra­ sformazione in senso capitalista, cambia anche il meglio del­ la tradizione cinese, ovvero cambia la percezione di cosa de­ ve essere salvalo e custodito dall’arte perché rischia “l’estin­ zione” e cosa no. Se si mettono a confronto i primi film di Zhang con i suoi ultimi sarà facile notare il “mutamento di prospettiva” occorso al regista, quella distanza che separa le atmosfere cupe c rarefatte di Lanterne russe dalla luminosità gioiosa di alcune scene rurali di Non uno di meno, la se­ ducente sensualità di Ju Dou dalla leggerezza asessuata di Wu Ying in La locanda della felicità. Ancor più significativo è il parallelo tra Sorgo rosso c La strada verso casa, due film che hanno importanti analogie e altrettanto importanti dis­ somiglianze tra loro. Entrambe le pellicole condividono la presenza di un parenle/narratore che rievoca una storia d’a­ more in un contesto ambientale a-storico e a-temporalc che fa del paesaggio un personaggio tra i personaggi, il deside­ rio di tornare alle radici ed alle tradizioni culturali cinesi, l’e­ logio della vita rurale, la connotazione di due protagonistc che, pur diversissime, scelgono autonomamente il proprio affacciano nel festival internazionali e poi raramente appnxlano nel­ le sale cinematografiche europee e americane. Ma l’imbuto è an­ cor più stretto di quel che si immagina: solo Zhang Yimou e Chen Kaige Iranno la fortuna di trovare per ogni loro film dei distribu­ tori per l’estero, mentre per autori del calibro di Tian Zhuangzhuang, di Zhang Yuan o Wang Xiaoshuai spesso occorre seguire una "ter­ za via" alternativa al sistema di produzione statale e straniero, quel­ la dell’underground, delle produzioni indipendenti, un modo per farsi conoscere almeno da una ristretta cerchia di cinefili, studiosi e frequentatori dei festival. 5. Zhang Yimou, Dans la tradition, in Charles Tesson, Olivier Assayas (a cura di), Made in China: Taipei. Hong Kong. Shanghai, Pékin, cit., p. 78.

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compagno, la visione della Storia che ostacola (la guerra nel primo caso, la Rivoluzione culturale nel secondo) le scelte “ribelli” delle protagonisre. Altre caratteristiche, invece, di­ mostrano quanto si sia radicalmente trasformato Timmaginario del regista. Se in Sorgo rosso egli ha concepito un uni­ verso felice, pulsionale, ‘Vivo”, governato da leggi autonome c naturali, in La strada verso casa dà vita ad un'elaborazio­ ne del passalo da “cartolina”, dove i conflitti si stemperano, i sentimenti di dolore e gioia si acuiscono in senso melodrammatico, gli oggetti diventano contrafforti simbolici (il te­ laio, ad esempio) di un mondo altresì impalpabile, evane­ scente c, in definitiva, “morto”. In altre parole Zhang passa, in poco più di dieci anni, dalla presunzione/ambizione di poter “costruire” nel passato una realtà autonoma e autosuf­ ficiente, grazie ai mezzi e alle potenzialità espressive della settima arte, alla consapevolezza di poter solo più “rievoca­ re” una situazione (la storia d'amore tra i genitori del narra­ tore) che ormai è reminiscenza, non esiste più e non ritor ncrà in vita nemmeno attraverso la suggestione delle “om­ bre elettriche”. Viene meno la fiducia che l’immagine possa essere ancora un simulacro tangibile e concreto di un dato empirico, la nostalgia del passato porta con sé la consape­ volezza che ogni commemorazione, anche cinematografica, è volubile, per ceni aspetti confortante, ma per altri assolu­ tamente inappagantc. È la complessità del reale a porre al regista interrogativi di ordine teoretico: se all’inizio della sua carriera era possibile “arginare la realtà” attraverso costruzioni fìlmiche onnicomprensive, ora il rischio è di isolarsi in un territorio arido o di rintanarsi per sempre nel passato. Così, ad un primo periodo artistico che va da Sorgo rosso a La triade di Shanghai e che “esplora” sapientemente il Nove­ cento cinese in quasi tutti i suoi momenti salienti, se ne ag­ giunge un secondo, da Keep Cool in poi, nel quale è la con temporaneità (rurale e urbana) della Cina ad assurgere al ruolo di protagonista6. 6. È curioso notare all’interno di questa suddivisione binaria un’ecce­ zione: La storia di Qiu Ju “spezza” il periodo delle raffigurazioni storielle, mentre La strada verso casa (in partirolar modo il lungo flashback c entrale) interrompe le rappresentazioni del presente. Oc1(X)

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Nel momento in cui il regista si immerge nel presente la sua opera inizia a .subire l’azione di determinate tendenze che, se risultano invisibili all’analisi dei singoli film, a una lettura trasversale chiariscono la direzione c il cambiamento del suo percorso artistico. I personaggi rappresentati, anzi­ tutto, pur mantenendo molte caratteristiche in comune alle figure del primo periodo, alterano sensibilmente il proprio profilo anagrafico. Se nei primi film calcano la scena eroi di tutte le età, negli ultimi assistiamo ad una vera e propria di­ varicazione della forbice anagrafica: da una parte si fanno spazio adolescenti che hanno appena superato la soglia del­ la pulirla, dall’altra uomini e donne sempre più anziani7. F. un “segno dei tempi” sc Zhang lascia “fuori campo” i per­ sonaggi adulti proprio quando in Cina viene lanciata un’im­ magine deH’uomo ricalcata su quella analoga del capitalismo, fatta di indipendenza, ambizione, competenza, dori legate di­ rettamente ad una certa concezione di maturità dell’indivi­ duo; lo è anche la presenza di figure di minorenni lontane da quelle proposte dai media - anche cinesi — che vorreb­ bero le giovani generazioni del tutto omologate al sistema del consumismo o, al contrario, “ribelli senza causa” pieni di problemi esistenziali o relazionali. Parallelamente sembra venir meno la corrispondenza tra età anagrafica e maturità dei personaggi. Alla consapevolez­ za dei protagonisti dei primi film, che percorrevano fino in fondo e con coraggio le proprie storie, negli ultimi si assi­ ste ad un’inversione di tendenza: coloro che dovrebbero ave re maggiore saggezza, i personaggi più anziani tra quelli sul­ lo schermo, si comportano come dei bambini (Zhao in La

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correrà verificare nei prossimi anni la validità di questa suddivisio­ ne. Con Hem Zhang ritoma, infatti, alla rappresentazione del pas­ sato (si veda che “tipo” di passato nell’analisi del film). È l’inizio di un periodo di rappresentazioni storiche o una semplice paren­ tesi? Tra i primi segnaliamo Shuisheng in La trìade dì Shanghai, Wei Minzhi di M»// uno di meno, Wu Ying in Zza locanda della felicità, la madre di La strada verso casa durante il flashback. Della '‘se­ conda categoria" fanno parte il proprietario del computer in Keep Cool, il diruttore Zhao c i suoi amici in La locanda della felicità, il capo villaggio di Non uno di meno, la protagonista femminile nella parte “contemporanea” di La strada verso casa.

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locanda della felicilà), perdono completamente il senno (Lao Zhang in Keep Cool), vengono guardati dal resto della co­ munità come individui capricciosi (la vedova di La strada verso casa), o si mettono allo stesso livello dei più piccoli (il capo villaggio di Non uno di meno estorce col ricatto una confessione a Zhang Iluike); dall’altra gli adolescenti sono costretti ad agire da adulti, a farsi carico di responsabilità enormi (Wei Minzhi in Non uno di meno), a badare a se stessi (Wu Ying in la locanda della felicità) al di là delle dif­ ficoltà cui vanno incontro o gli handicap di cui sono porta­ tori. Ovviamente il ceto d’appartenenza dei personaggi ha un’importanza non meno decisiva dclfetà all'interno della rappresentazione della società cinese che ci dà Zhang. Nei primi film la povertà è uno dei presupposti della storia (le ragazze vendute ad un padrone perché di famiglia modesta), o addirittura un elemento che pare connaturato all’essere ci­ nesi (in Vivere! ha addirittura un carattere positivo c aggre­ gante, e permette ai protagonisti di sopravvivere agli im­ provvisi rivolgimenti della Storia). In questi film i soldi sono un’entità abbastanza astratta, simbolo di fortune enormi o di miserie abissali, ma per lo più vengono ignorati, non costi­ tuiscono il centro della narrazione. 1 genitori di Nove Fiori sono molto poveri e padron Li, al contrario, molto ricco ma, all’intento di un sistema “ancestrale" come quello di Sorgo rosso, la ragazza viene “barattata per un mulo nero”, una contropartita umiliante non tanto sul piano meramente eco­ nomico quanto dal punto di vista simbolico. Anche Ju Dou e Songlian vengono acquistale dai propri rispettivi mariti, ma in entrambi i casi il denaro non è il metro con cui si misu­ ra la dignità umana: Jinshan, nonostante abbia pagato per la moglie una cifra considerevole, non esita a picchiarla, trat­ tandola alla stregua di una bestia. Anche in un film come Vivere! nel quale, come s’è visto, il denaro ha una funzione importantissima, esso non è una realtà quantificabile, tangi­ bile: Fugui perde al gioco un’enorme fortuna, c la sua po­ vertà diviene estrema ma, paradossalmente, da un certo mo­ mento in poi i soldi non sono più necessari visto che al meno la casa e il cibo vengono riconosciuti dallo stato co 102

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me i diritti minimi di ogni buon comunista. Anche la fortu­ na del signor Tang di La triade di Shanghai è enorme: -I soldi clic passano per le mani della famiglia Tang, non se ne ha idea-, afferma lo zio del protagonista, ma subito do­ po Bijou redarguisce una cameriera per essersi appropriata di una piccola somma di danaro lasciata come mancia da un cliente del night. Ovviamente sono altri i simboli del potere in questo film e i soldi mtt’al più rappresentano per il gio vane protagonista il miraggio di un improbabile ritorno al villaggio dal quale è arrivato, come ci conferma l'ultima se­ quenza in cui vediamo cadérgli dalle tasche alcune monete che gli erano state donate da Bijou. Nei film più recenti, invece, con l’accresciuta importanza del denaro e del consumismo, la povertà diventa una sorta di “condanna”, un elemento di diversità e discriminazione ira gli individui. Diviene soprattutto evidente un’attenzione qua­ si maniacale nei confronti del denaro, la sua presenza al­ l’interno del vissuto quotidiano dei personaggi, la necessità che essi hanno di procurarselo, di gestirlo oculatamente, di risparmiarlo: Xiao Shuai viene scaricato dalla sua compagna perché non ha abbastanza soldi; Zhang Huike è costretto ad andare in città a lavorare per far fronte ai debili dei genito ri. Wei è costretta a seguirlo ma, pei procurarsi il denaro oc­ corrente per l’acquisto di un biglietto d’autobus, dapprima obbliga gli alunni della sua classe a consegnarle i loro ri­ sparmi e poi li coinvolge nel lavoro in un cantiere edile; du­ rante la sua permanenza in città, poi, sarà una continua guer­ ra con i pochi soldi a disposizione per sopravvivere; anche Zhao, finto maitre di un fantomatico albergo di lusso, lenta mille escamotage per raccogliere il danaro occorrente per sposarsi, ma finisce per spendere i pochi risparmi che ha per far felice Wu Ying. Non c'è traccia di boom economico, di grandi fortune, di nuovi ricchi, ma una costante lotta col denaro che, in La locanda della felicità, viene addirittura gof­ famente falsificato. Anche il simbolo più evidente dell’arric eh irsi, quello dell’automobile, che contrasta con una delle im magini per eccellenza della Cina, la bicicletta, è pressoché assente: il fuoristrada utilizzalo per raggiungere il villaggio nel quale vive l'anziana madre dal narratore di La strada ver103

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so casa, rappresentante quest’ultimo di una generazione che ha scelto di abbandonare la campagna per andare a fare for tuna in città, scompare paradigmaticamente dopo la prima sequenza del film. La famiglia come universo esploso

Lii famiglia, già a partire da Sorgo rosso, ha sempre rap­ presentato per Zhang il simbolo deH’oppressione cui è sot­ toposto il singolo, in qualsiasi momento della Storia egli vi­ va. Istituto reazionario, luogo di faide di potere, struttura op­ primente di controllo sociale, nel migliore dei casi (La sto­ ria di Qiu Ju) elemento d’attrito e di resistenza verso il de siderio d'affermazione della volontà dell’individuo. La prima parte del suo percorso artistico è una carrellata die descri­ ve le forme più esecrabili di una filosofia “domestica”, ispi­ rata ai dettami spesso soffocanti del confucianesimo. In Vi­ vere! la famiglia viene rivalutata in contrapposizione a una nuova concezione della comunità (quella del comuniSmo) che vorrebbe ridurla a semplice elemento di un meccanismo sociale. Di fronte a una società che si sta “collettivizzando”. Fugai si ripara all’interno del microcosmo familiare, si clùude a riccio in difesa di un istituto che viene attaccalo dalla politica c dalla Storia, impara a proprie spese il valore ne­ gativo dell’omologazione sociale (tutte le volte che assecon­ da le pressioni sociali della comunità di appartenenza assi ste alla morte di un figlio o di un parente), annoda qual siasi personale ragione di vita alla felicità o alla sopravvi­ venza dei propri familiari. Esautorata dalle retrive funzioni di controllo sociale e comportamentale sull’individuo che dete­ neva nella Cina feudale (trasferite con l’avvento del comu­ niSmo agli organi di parlilo), la famiglia contadina conserva per la prima volta solo le caraneristiche umane dei suoi mem­ bri: desiderio di sopravvivenza, lotta quotidiana per raggiun­ gere la felicità e la serenità, apprezzamento per le piccole gioie della vita, desiderio di rifuggire dalla storia. Analizzato da questa prospettiva, il nucleo familiare di Vivere! può es­ sere paragonato, negli atteggiamenti e nei comportamenti, ai

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Spari allentativi al reale

singoli protagonisti degli altri film del regista. La famiglia co­ me un tutt’uno che lotta per la propria realizzazione o, al­ meno, la propria sopravvivenza. Tuttavia questa visione “conciliante” deH’istituzione fami­ liare appare, alla luce delle successive pellicole, una paren­ tesi ottimistica di un discorso segnato, al contrario, da una vena pessimistica c “scoraggiata”. Da La triade di Shanghai in avanti, la famiglia non esiste piti, ovvero è concepita co­ me universo esploso. In Keep Cool, Non uno di meno, La lo­ canda della felicità i personaggi non hanno più parenti, e in La triade di Shanghai vengono barbaramente uccisi (Shuisheng perde suo zio, assassinato da una gang rivale). Ancor più significativo l’esempio di La strada verso casa, un film che tende a celebrare i valori tradizionali ma che rivela fino a che punto, al giorno d’oggi, la famiglia sia disgregala: il figlio vive in una grande città, lontano dai genitori, è assente alla morte del padre c quando toma tende ad avvalorare la tesi del capo villaggio che non vorrebbe celebrare il fune­ rale col rito tradizionale come invece sua madre pretende sia fatto; la famiglia allargata, rappresentata dalla comunità rura­ le, rifiutandosi (almeno inizialmente) di accontentare la ve­ dova, si dimostra sorda davanti ad uno dei cardini della cul­ tura cinese, la pietà filiale. Il defunto era il maestro del vii laggiù, aveva letteralmente cresciuto i figli di mtta la comu­ nità, era dunque una figura paterna come ncssun’altra nel paese. Non celebrare il funerale nella sua forma tradiziona­ le (per motivi prettamente economici e contingenii) sarebbe stato un gesto di offesa nei confronti della memoria del mae­ stro. Anche se il finale appiana i conflitti e la famiglia (quel­ la della vedova e quella del paese) si stringe attorno al de­ funto, è pur vero che rimane inalterato, tra le pieghe del racconto, il sapore di rassegnazione e tristezza che emana il presente (non a caso rappresentato con una fotografia in bianco e nero): il figlio, dopo l’ultima lezione, è destinato a ritornare in città, la madre sarà probabilmente costretta a se­ guire il figlio, sradicandosi dal luogo dove si è innamorata del marito e ha vissuto per tutta la vita, oppure, in alterna­ tiva, a rimanere completamente sola con il suo dolore.

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Le comunità che si dovrebbero sostituire alla famiglia so­ no alquanto insolite: un gruppo di pensionati nullafacenti, scolaresche confusionarie, nuclei familiari “monosessuali” (è il caso della famiglia isolana di La triade dì Shanghai com­ posta da sole donne e, analogamente, nel flashback di La strada verso casa, dalla famiglia del narratore formata solo dalla madre e dalla nonna cicca, senza che del nonno vi sia traccia). È evidente, in tal senso, l’intento di Zhang di ac­ centuare il più possibile la colpevole assenza di tutte quel­ le istituzioni - non solo la famiglia - che dovrebbero ri­ spondere al desiderio di comunione e fratellanza dell’indivi­ duo: la comunità sociale, sia metropolitana che contadina, sia del presente che del passato, è quasi sempre in secon­ do piano rispetto alla storia del personaggio ed ha in ogni caso una funzione “antagonista” anche laddove incanna va lori nobili come in La storia dì Qiu Ju o in La strada verso casa; il partito o l’associazionismo militante non può certo far parte del mondo idealizzalo dal regista; anche la scuola è un’istituzione allo sfascio, con classi senza banchi e ges­ setti, con supplenti che non hanno superato i quindici anni, con insegnanti bravi che per un morivo o per l’altro spari­ scono, lasciando gli alunni soli. Ad unire le persone ci pen­ sa paradossalmente la televisione, ma è un’aggregazione (quella tra Zhang Huike e Wei Minzhi, o tra il pubblico te­ levisivo e il villaggio turale) spettacolarizzata, priva di qual­ siasi concetto di umanità c soprattutto di contatto fisico, che tende a delegare le azioni ad altri (si vedano le donazioni delle famiglie borghesi di città al villaggio senza scuola) e di conseguenza ad impoverire il tessuto relazionale che le­ ga le persone tra loro c che costituisce l’ingrediente indi­ spensabile di ogni identità di gruppo. In assenza di vere al­ ternative, l'esplosione dell’istituto familiare provoca dunque un vuoto di relazioni interpersonali o, nel migliore dei casi, un’inversione dei ruoli sociali: ecco comparire madri che non hanno spinto materno (la mamma di Zhang Huike), ragaz­ zine adolescenti che fanno da capo famiglia di numerosi bam­ bini (Wei Minzhi) o che si prendono cura di numerosi ge­ nitori (Wu Ying nella sala massaggi), figli che non assistono alla mone dei loro padri (in La strada verso casa), padri che

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scappano e non sanno mantenere ie promesse (il padre di Wu e l’operazione agli occhi), madri cieche che, proprio gra­ zie aU’handicap, vedono dentro i cuori delle loro figlie.

Un mondo semplice?

Se la società cinese, anno dopo anno, diventa sempre più articolata ed eterogenea, il cinema di Zhang non tenta di de­ scriverne la complessità, ma continua a nutrire quello stesso atteggiamento di resistenza tenuto nei confronti dell’ideolo­ gia comunista e del confucianesimo. Rivolgendo ora la pro­ pria attenzione ai guasti del capitalismo, Zhang mira alla sem­ plificazione, alla linearità delle storie, sintetizzando il proprio immaginario attraverso pochi tratti essenziali. L’arbitrarietà zhanghiana si concentra su una doppia azione di cernita e di filtro del reale, ovvero di selezione di alcuni limitati dati fenomenici tra i tanti presenti nella società neocapitalista, e di “setaccio” degli stessi per portare alla luce esclusivamen­ te quelli necessari al proprio personalissimo discorso auto riale. Emblematico, al riguardo, è il caso dei suoi ultimi due film ad ambientazione rurale: in La strada verso casa c in Non uno di meno egli si disinteressa completamente del fun­ zionamento della società contadina, non descrive le dinami­ che interne alla comunità, la quotidianità della vita dei cam­ pi, i mutamenti dello stile di vita, ma si occupa solo dei per­ sonaggi e delle loro storie, lasciando al sottinteso, ad un’im­ magine simbolica o ad un sottile ammiccamento il compito di avvertire lo spettatore che la realtà è molto più comples­ sa della sua rielaborazionc cinematografica. Al cineasta è suf­ ficiente una lattina di Coca-Cola comprata dalla scolaresca di Non uno di meno per suggerire il complèsso problema del­ la “colonizzazione” deirimmaginario collettivo, anche di quel­ lo di popolazioni dei luoghi più sperduti del mondo, da par te dell’industria americana, basta una fugace battuta in La strada verso casa che indica ncH’Ufficio governativo la cau­ sa dell’allontanamento del maestro dal villaggio, per ram­ mentare che lontano da quel luogo idilliaco sta scoppiando, con crudeltà e durezza, la Rivoluzione culturale. 107

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Spogliando la rappresentazione da questi elementi che, pur importanti, potrebbero distrane lo spettatore, Zhang fo­ calizza la propria attenzione - c quella del pubblico - sui temi che più gli stanno a cuore: il caos alienante della città in Keep Cool, il problema dell’educazione in Non uno eli me­ no, la centralità dell'amore in Zz/ strada verso casa, il di­ sgregamento della famiglia e la solitudine nella società con temporanea in La locanda della felicità. Emerge un tipo di cinema basato sull’essenzialità e la sostanzialità del racconto cinematografico. Narrazioni lineari, decoupage classico, uso retorico (Iella musica extradiegetica per emozionare e coin­ volgere Io spettatore: se si eccettua il caso di Keep Cool, la ricerca linguistica intrapresa dal cineasta da Vivere! in poi si indirizza verso Timmedialezza dell’esperienza della visione. Una linearità che si realizza attraverso strutture narrative di­ cotomiche e binarie, ideali per mettere in parallelo realtà con­ trapposte e per rendere più accessibile la lettura di un pre­ sente sempre più faticosamente codificabile. Così, dopo le sintesi formali dei pruni film, Zhang cristallizza il significalo delle proprie storie attraverso una serie di figure dello spa­ zio simmetriche e antitetiche, che i personaggi sono costret ti ad attraversare. In La triade di Shanghai il night club, luo­ go del peccato e del crimine, si contrappone all’isola in­ contaminata sulla quale si rifugiano i mafiosi; in Keep Cool, le strade trafficate e i grattacieli di Pechino (ambienti che in­ dicano la spinta verso il futuro della Cina) sono messi in an­ titesi con il ristoranle/karaoke, luogo asfissiante c chiuso che rinvia al processo di regressione dell’individuo in atto nella società capitalista; in Non uno di meno è la rumorosa e cao­ tica realtà cittadina ad essere contrapposta alla tranquilla vi­ ta di campagna; in In strada verso casa, il bianco c nero del presente si scontra con i colori sgargianti del passato. La ten­ denza a strutturare i conflitti su configurazioni binarie, pro babile retaggio di una cultura che ha sempre costruito sulla contrapposizione tra due termini la propria identità (yin/yang, cinese/straniero, rivoluzionario/controrivoluzionario), era pre­ sente nel cinema del regista di Xi'an già a partire dai suoi primi film: i figli lottavano contro i padri, il singolo contro la famiglia, il patriarcato o le tradizioni, le donne contro gli

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uomini o, in un caso, contro altre donne, il desiderio ses­ suale c di emancipazione contro le regole della morale. Nel­ le ultime pellicole quest’universo dicotomico trova motiva­ zioni soprattutto da un punto di vista didascalico: i termini sono paragonati tra loro non tanto con Pimento di svisce­ rarne i legami c le relazioni, quanto piuttosto per affermare un sistema di valori alternativo a quello vigente. La semplicità nell’affennare valori universalmente ricono­ sciuti, l’immediatezza del messaggio filmico, la fluidità nar­ rativa non sopiscono, tuttavia, quel rigore critico, quel pes­ simismo, quella “circospczione” che in modo così originale avevano caratterizzato la prima parte dell’opera di Zhang. Snellire il racconto non significa sottrarlo a letture profonde o metaforiche, o privarlo di tutte le tonalità del grigio, anzi, paradossalmente c proprio laddove la costruzione filmica si fa più trasparente e cristallina che le piccole imperfezioni, le note stonate, le incongruenze di un film appaiono più evi­ denti e rendono Tesperienza della visione un momento mai totalmente pacificato. Per evitare l’eccessivo “didatticismo” delle storie narrate c Tcccessiva schematicità dei conflitti, il cineasta inserisce, alfinterno di storie ciliare e lineari, degli spazi di ambiguità e di indecisione, inquadrature, scene o sequenze all’interno delle quali si fa strada una sorta di di­ sagio sentito in prima persona dal regista e, inevitabilmente, dallo spettatore. Nella penultima sequenza di Non uno di me­ no, ad esempio, una troupe televisiva accompagna i due pic­ coli eroi al villaggio: tutti appaiono felici per una storia an­ data a buon fine, per i soldi arrivati dalla città e per la pos­ sibilità di ricostruire una nuova scuola. Tuttavia, le riprese, molle delle quali in campo lungo (c quindi lontane dal cen­ tro dell’azione), l’assistere sconsolato dei contadini alla par­ tenza di una jeep che certamente non ritornerà più, abban­ donandoli al loro destino, i bambini che tentano di farsi in quadrare almeno una volta dalla Tv, quasi consapevoli che quello è il loro unico momento di popolarità, sono elemen­ ti strìdenti rispetto a un finale commovente che in questo modo non può assumere, almeno per lo spettatore meno sprovveduto, un significato totalmente assolutorio. Analogo imbarazzo prova il pubblico davanti all'incidente automobi­

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lislico di Zhao in /z? locanda della felicità', qui un'inquadra­ tura molto angolata, dall’alto verso il basso, ci mostra per al­ cuni interminabili secondi il protagonista appena investito da un autocarro. Assente qualsiasi intenzione di angosciare o emozionare chi osserva, resta soltanto un senso di impoten­ za, di strana freddezza, di un capovolgimento “surreale” del­ la giustizia (rimarcato dall’angolatura della ripresa), visto che Zhao viene investito dal veicolo appena dopo essersi libera­ to dal “giogo” matrimoniale ed essere pronto finalmente a fare da padre alla piccola Wu. E gli esempi potrebbero es­ sere molti altri. Uno dei modi scelti dal regista per manifestare questo sentimento di ambiguità è, paradossalmente, proprio il gusto ironico per la parodia, la messa in scena delle miserie uma­ ne incarnate da personaggi groltesclii. Gli ultimi film di Zhang, riprendendo quella passione “dissacrante” emersa con violenza in Sorgo rosso, proliferano di prese in giro, piccole cattiverie gratuite, beffe che portano lo spettatore a ridere amaro: le canzoni popolari di Wei Minzhi, gli avventori del ristorante di Keep Cool che si cimentano nel karaoke, il de­ naro falso di La locanda della felicità, sono squarci ironici su una società profondamente contraddittoria. Illuminante, a tal proposito, la battuta che pronuncia il proprietario della fabbrica di mattoni quando offre una piccola mancia ai ra­ gazzini di Non uno di meno che hanno spostato inutilmen­ te del materiale da una parte all’altra del suo cantiere per­ ché convinti di poter guadagnare molti soldi: quel suo «Vi do 15 yuan, [...I sono diventato un finanziatore della scuo la pubblica- non è solo una battuta, ma anche l’amara con­ statazione del problema, reale e tangibile, dell’istruzione in Cina, della carenza di fondi per le scuole, dell’alfabetizza­ zione. Per di più, il gusto dell'assurdo c del grottesco è spesso unito all’azione del “destino”. Illeggibile, impalpabile, inelu dibile, il fato sembra la materializzazione della storia, del pre­ sente, del regime, o di qualsiasi entità superiore che condi­ zioni la vita dei singoli individui. F il fatto che la rappre­ sentazione che se ite dà sia di carattere grottesco non fa che acuire quel senso di impotenza che il singolo prova verso 110

Spazi alternativi al ivate

ciò che non può modificare. Si pensi all’azione crudele del vento che spazza via i cartelli scritti da Wei Minzhi nella va­ na speranza di trovare il proprio alunno smarrito, o al ma­ linconico e sordo dialogo “virtuale” tra Zhao e Wu nel fina­ le di La locanda della felicità (il primo che parla attraverso una lettera, la seconda che risponde con un messaggio re­ gistrato in un mangianastri). In realtà, il cinismo del destino è sempre stato uno dei leitmotiv del regista, già da quando, beffardamente, in Ju Don, il parricida Tianbai sostituiva, nel la gerarchia della famiglia Yang, il malvagio patriarca Jinshan o quando, in Lanterne rosse, la quinta concubina rimpiazza­ va la quarta, confermando una ciclicità crudele e includibi­ le, o ancora quando l’arresto del capo villaggio in La storia di Qiu Ju smentiva il carattere di equità della giustizia cine­ se. L’accanimento del destino sulle figure del racconto, poi, diventa ancor più evidente in Vivere!, pellicola dove ogni azione sembra stabilita da un’entità superiore: la rovina al gioco di Fugui che si rivela in realtà una fortuna (l’uomo che ha vinto al gioco i suoi averi viene impiccato dai co­ munisti perché troppo ricco), la morte del figlio proprio per mano di un amico, il chirurgo chiamato ad assistere al par lo che si sente male per aver mangialo troppi panini. In cel­ ti passaggi del film sembra che Tunico modo per lottare con­ no il fato sia assecondarne i voleri e continuare imperterriti a vivere. Nondimeno, ad un’analisi più attenta, risulta evi­ dente che dietro la maschera beffarda del destino si na scondono responsabilità molto concrete come l’incuria del Tuomo, l’ingiustizia dei regimi, l’accanimento della storia sui più deboli: è il regime comunista a condannare a morte i ricchi; è colpa di Fugui c del suo desiderio di essere accet­ tato dalla comunità se suo figlio muore; è colpa della Rivo­ luzione culturale se Fengxia perisce durante il parto. £ as­ sente pertanto, in questa visione del destino, sia una pro­ spettiva divinatoria (come se gli atti del fato fossero dettati da qualche entità trascendente) sia una di tipo “casuale” (se­ condo la quale gli eventi avvengono del lutto casualmente, senza alcuna ragione). Al contrario, l’individualismo laico di Zhang riconosce nell’individuo il mandante e, allo stesso tempo, il destinatario del l’azione crudele del destino. Da que­ lli

Zhang Yimou

sto punto di vista lo schermo dcll’iionia, ‘adagiato” sui film come un velo che (mal)cela gli aspetti più tragici della esi­ stenza umana, sembra essere più die altro un espediente per non cedere ad uno sguardo totalmente pessimista sull’awcnire o, ancor peggio, sul presente (come alcuni brani di Keep Cool o di La locanda della felicità arrivano a suggerire). Tut­ tavia il velo è sortile, divellerlo è operazione relativamente semplice, ma tocca allo spettatore decidere - visto che il re­ gista non si incarica di farlo - se sollevarlo oppure no. In questo spazio di (in)decisione ha sede tutta l’ambiguità - in­ tesa sia nel senso di “sfuggente” che in quello di “equivo co” - delle ultime pellicole del cineasta di Xi’an. DaU’indiuiduo alla comunità

L’adesione del sistema politico comunista alle teorie eco­ nomiche del capitalismo ha messo in crisi intere generazio­ ni di cinesi, in particolare quelle che avevano vissuto, da protagoniste o da vittime, gli eccessi del regime maoista nel corso della Rivoluzione culturale. Ciò che ha maggiormente destabilizzato questi strali della popolazione non è stato sol­ tanto il cambiamento di sistema economico, il rinnovamen­ to degli stili di vita, lo stravolgimento del tessuto sociale e del paesaggio rurale c urbano, quanto piuttosto la rinuncia a sistemi di pensiero e di valori che per decenni erano sta­ ti presentati come veri e propri dogmi inattaccabili, concerti imprescindibili nella costruzione di ogni coscienza (contraria o favorevole ad essi). In Zhang il senso di disorientamento deve essere stato particolarmente aculo. Per molli anni egli ha attaccato questi dogmi, proponendo una visione erica che aveva come unica forza d’attrazione centripeta l’individuo. Una scella provocatoria, destabilizzante cd ostinata in tempi di applicazione assoluta dei principi del comuniSmo, ma che con il nuovo corso - che ha operato una rimozione della fi­ losofìa delle masse a favore di quella del denaro e dcll'individualisrno e che ha rinunciato alla collettivizzazione di ogni proprietà a favore della privatizzazione di ogni “cosa comu­ ne” - si scopre priva di quei presupposti sostanziali che La 112

Spazi alfeniaifii al reale

vevano animala. Non solo la società cinese ha, nei falli, "adot­ tato’1 Tonica del regista die privilegia la “filosofia" deU’indi viduo rispetto a quella delle masse, ma ha scavalcato il si­ stema di valori dell'autore spingendosi verso un individuali­ smo a tratti esasperato e spesso senza monile. Il rischio, pa­ ventato da Zhang, è che seguendo tali direzioni venga me­ no la solidità di quei principi die hanno mantenuto com­ patto il suo popolo nei secoli, in altre parole che anche il capitalismo - dopo il comuniSmo - tenti di sradicare il cit­ tadino cinese dalle sue tradizioni e dalla sua identità. Si spie­ ga così il motivo per cui Zhang inizia a costmire una serie di comici comunitarie che proteggono, delimitano e danno senso all’azione del singolo. Sembra quasi che voglia ripro­ pone i comportamenti c le prese di coscienza di un perso­ naggio che egli stesso aveva portato sullo schermo nel film Vecchio pozzo di Wu Tianming: come Sun Wanguang ab­ bandonava il proprio individualismo (rappresentato dall’a­ more per una ragazza non accettata dalla famiglia), per ac­ cogliere l’etica della comunità c trovare quella sorgente d’ac­ qua che rappresentava l’unica fonte di vita e di sussistenza del villaggio, così Zhang rinuncia a rappresentare aspri e in­ sanabili conflitti tra il singolo e la società per mantenere vi­ vi valori che sembrano essere messi a repentaglio dal nuo­ vo corso politico. Sogni o necessità delle persone posso no/devono fare affidamento sugli altri per essere realizzate: senza l’aiuto degli amici pensionati che hanno costruito la sala massaggi e finto di essere dei clienti, Zhao non sareb­ be riuscito da solo a rendere felice Wu Ying; Wei Minzhi non avrebbe scoperto lo scopo delTinscgnamcnto se non avesse permesso ai piccoli alunni di scrivere alla lavagna con i gessetti colorati, dando loro la possibilità di esprimersi pcr una volta liberamente; il valore delle tradizioni si sarebbe sbiadito se gli abitanti del villaggio non si fossero riuniti in­ torno alla vedova di La strada verso casa per celebrare il fu­ nerale del marito. L'ultimo progetto produttivo del regista, Hero, sembra, da questo punto di vista, il fatale approdo di una visione del­ la vita che ha ormai sostituito il desiderio di realizzazione del singolo con l’esigenza di preservare il bene della co­

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Zbung Yimou

munita. Il personaggio principale del film, Senza Nome, ha l’obiettivo di uccidere il re di Qin. Fer avvicinarsi e ottene­ re la sua fiducia, architetta un piano che prevede l'uccisio­ ne di tre terribili nemici del re (Neve Volante, Spada Spez­ zala e Cielo) e la consegna delle loro spade come gesto di devozione e sudditanza. Nel corso dell’incontro a due tra l’e­ roe c il sovrano, quest’ultimo si accorge di quali siano le vere intenzioni di Senza Nome. Facile bersaglio delHnaspettato nemico, il re decide di non opporre resistenza, non pri­ ma, però, di aver raccontato al suo assassino l’intenzione di riunire sotto lo stesso ciclo (impero) tutti gli stati cinesi com­ battenti c di portare finalmente la pace in un territorio che ha conosciuto solo guerre e sofferenze. Senza Nome, libero di decidere se uccidere il re oppure se sacrificarsi per la pa­ ce e l’unione dei popoli, opta per questa seconda soluzio ne. La scena in cui il protagonista risparmia il re è signifi­ cativa anche dal punto di vista figurativo: Senza Nome at­ tacca alle spalle il sovrano (voltato a guardare un ideo­ gramma tradizionale), ma invece di trafiggerlo con la lama della spada lo colpisce con il manico della stessa, sancen­ do, di fatto, la fedeltà al re. 1 personaggi dei primi film del regista non avrebbero esitato di fronte alla possibilità di uc­ cidere il rappresentante del potere: avrebbero conficcato la lama nel corpo del nemico, cosi come si apprestava a fare Nove Fiori (usando delle forbici) con il marito lebbroso in Sorgo rosso, o come faceva di nascosto la serva di Songlian con gli spilli del woodoo per eliminare la sua padrona. Sen­ za Nome, pur mantenendo le solite caratteristiche dei per sonaggi portati sulla scena dal cineasta (come la determina­ zione, l’ostinazione, l’egoismo, la fiducia solo sui propri mez­ zi, la solitudine), preferisce immolarsi per una causa più no­ bile, quella della pace e della fratellanza tra i popoli. Per la prima volta Zhang adotta apertamente “l’etica del sacrificio” che tanto rilievo aveva nel cinema del realismo socialista e che tanto a lungo ha rifiutalo, non per innalzarla a vessillo di una particolare fazione o pensiero politico, né per appli­ carla alla Cina contemporanca, ma per renderla garante del­ l’immortalità dello spirito cinese. Nel film trova spazio ogni aspetto della cultura tradizionale del paese subcontinentale:

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Spazi alternatici al reale

la calligrafia, gli scacchi, le arti bianche, la meditazione, i valori del confucianesimo (rettitudine dei nomi, pierà filiale). Il re che ha salva la vita è Qin Shi Huangdi, il sovrano che per primo unificò la Cina nel 221 a.C. sotto un unico im­ pero e che diede inizio alla costruzione della Grande mu­ raglia, simbolo universale di cinesità, lo stesso imperatore che costruì un immenso esercito di guerrieri di terracotta a difesa della sua tomba nella città di Xi’an (non a caso città natale del regista). Il gesto dell’eroe è pertanto un gesto “ap­ pellativo”: accettando di morire e di entrare nella Storia co­ me l’eroe senza un nome, il protagonista avvia un circuito virtuoso che condurrà tutti i cinesi sotto lo stesso ciclo, prò letti non solo da una grande muraglia ma da un sistema di valori, lingua, tradizioni comune, in altre parole da un’uni­ ca e, forse, indissolubile identità. Ciò che sopravvive, in definitiva, alle numerose meta­ morfosi messe in atto dal regista nel corso degli anni c un'os­ sessione sempre attuale: la ricerca, affannosa, vana, testarda e assidua, di spazi che siano “alternativi” al presente, di­ mensioni “altre” rispetto al reale che permettano (anche so­ lo momentaneamente) ai personaggi di ripararsi e proteggersi da esso. Tali spazi possono apparire sotto fonila di una di­ stilleria di grappa, una sala massaggi, uno sperduto paesino di campagna o una scatola di marionette che contiene dei pulcini, concretarsi attraverso gli itinerari imprevedibili della pazzia o il rintanarsi nel passato, possono concludersi in un suicidio tra le fiamme di una tintoria o dentro un motel a ore, o ancora manifestarsi attraverso oggetti simbolici come un telaio da riparare o alcuni gessetti da conservare. Rima­ ne il fatto che il variegato c multiforme universo filmico del regista abbia come unici e costanti punti di riferimento “iso­ le solitarie”, come quella di La triade di Shanghai, che ri­ fiutano di farsi contaminare dall’esterno e che quindi non ri­ nunciano alla loro posizione “asociale". Tuttavia, come abbiamo rimarcato nei precedenti capito­ li, la realtà pur mantenendosi in un costante fuori campo im­ maginario, ovvero in un fuori campo che non si trasforma mai in inquadratura, fa sentire ugualmente la propria pre­ senza daH’csterno, opera un’azione di attrito rispetto alla co 115

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struzionc fittizia dell'opera cinematografica, di scalfittura che non permette più all’autore di ripropone luoghi completa­ mente chiusi c indipendenti dal resto del mondo, edificazioni autoreferenziali e autonome, come era successo in prece densa con Lanterne rosse, Ju Dou, Soryo rosso, Emblemati­ ca, al riguardo, è la costruzione della finta sala massaggi in La locanda della felicità-, per la prima volta Zhang sente l’e­ sigenza di inserire un’ambientazione che palesa la propria natura di edificio “contraffatto”, inteso come edificio che -proprio perché finto - va '’contro i fatti”, contro la realtà e che cerca di essere in alternativa a essa. F. quello l'unico posto dove la piccola Wu si sente a proprio agio c può spe­ rare in una (temporanea) felicità. Non c forse un elogio al­ la settima arte quello che ci propone Zhang Yimou in que­ sta sequenza? Non c’è forse, parallelamente, la contempora­ nea consapevolezza che ogni universo fittizio è destinata al la sconfina? 11 desiderio di rintanarsi in spazi circoscritti e delimitati, dove è più facile costruire i propri personaggi e farli muo­ vere, si scontra così con l’impossibilità di perseverare in que­ sta direzione. Non è piti tempo per distillerie, tintorie, ville feudali o villaggi di montagna irraggiungibili, ora le isole in­ contaminate vengono invase dai mafiosi, gli autobus solle­ vati in aria da gru, i paesi di campagna raggiunti dalla tele visione o dai fuoristrada. Non si può rimanere ciechi di fron te al presente, così come ci suggerisce la camminata di Wu Ying per le strade di una città, ma lo si può tenere in fuo­ ri campo, visto che lo spettacolo che offre è certamente me­ no interessante di quello presentato dal cinema. È questa l’u­ nica rivalsa rimasta nelle mani del regista che Hero contri­ buirà, certamente, a fortificare. Con l’ultima maestosa c co­ stosissima fatica registica, Zhang sembra essere giunto, in­ somma, ad una consapevole determinazione: che la settima arte - e il wuxiapian (o film di cappa c spada) è, forse, in Oriente il genere che più di qualsiasi altro può essere iden­ tificalo tout court con le ombre elettriche - è ormai diven­ tata l’unica alternativa possibile e credibile al rcalc.

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Zli.mg Yimou

Terra gialla, 1985

Ju Don. 1990

Lanterne rosse. 1991

La nfen je rosse, 1991

Lu Storia di Qiu l/u, 1992.

La Triade di Sbaìigai, 1995.

Ket'p Cool. 1997

Aon uno di Hieiio, 1999.

:\on Itili) di Hti'lli).

1999-

La lot a / ala della felle ita, 2001.

M strada verso casa. 1999

Hem locandina.

Hem. 2(B)2

Hero

Hero.

Analisi dei film

Sorgo rosso 1987) 35 nini; regia-. Zhang Yimou; soggetto*, da due racconti di Mo Yan; sceneggiatura. Chen Jianyu, Zhu Wei, Mo Yan; fotografìa (colore): Gu Changwei; scenografìa-. Yang Gang; costumi: Dong Huamiao: musiche originali: Zhao Jiping; montaggio: Du Yuan; suono. Gu Changning; interpreti: Gong Li (la nonna), Jiang Wen Gl nonno), Ten Riijun (Luohan), Jia Lìu (il padre da bambino), Ji Cunhua (il brigante), Qian Ming, Zhang Yimou; prodotto da: Wu Tian-Ming; produzione: Xi’an Film Studio, distribuzione italiana: Academy; origi­ ne: Repubblica Popolare Cinese; durata. 93’ (Hong gao bang,

La voce fuori campo di un narratore rievoca una vicenda che si tinge di sfumature leggendarie: siamo alla fine degli anni Venti in una zona rurale della Cina settentrionale, dove vigono ancora usanze di stampo feudale. La giovane Nove Fiorì è stata venduta in moglie a padron Li, un verd i io lebbroso proprietario di una di­ stilleria di grappa, la tradizione vuole che la sjiosa sia condotta al­ la casa del marito a bordo di un palanchino scortato da una ban­ da di suonatori. Uno dei portatori è Yu Zhanao, un giovane aitan­ te che, durante il tragitto, tenta in tutti i modi di mettere in imba­ razzo la ragazza incitando i suoi compagni a intonare canzoni osce­ ne c a far sobbalzare la portantina. Giunto nei pressi del Crocevia degli assassini il corteo nuziale viene fermato da un brigante che tenta di rapire la sposa. Yu riesce a neutralizzare il bandito e a in­ crociare il proprio sguardo con quello di Nove Fiori. Dopo tre gior­ ni di permanenza nella casa del marito (durante i quali deve lot­ tare per non farsi toccare da padron Li), secondo tradizione la gio­ vane viene ricondotta dai familiari. Durante il tragitto Yu riesce a sottrarla alla sorveglianza del padre e a unirsi a lei nel folto di un

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campo di sorgo. Al suo ritorno alla distilleria Nove Fiori scopre che padron Li è stato misteriosamente assassinato: aiutata da Lowan, l'amministratore della distillerìa, la giovane continuerà a governare l'azienda. Respinte le avance di Yu (che affermando di avere ucci­ so padron Li la reclama in moglie), la protagonista viene rapita da Trecannoni, un bandito che la libera solo dopo il pagamento di un riscatto. Convinto che Nove Fiori sia stata violentata dal brigante, Yu affronta Trecannoni ma viene da quest'ultimo pesantemente umi­ lialo. Tornato alla distilleria proprio mentre viene prodotta la pri­ ma grappa dell’anno, Yu urina negli otri colmi di liquore e pren de in braccio Nove Fiori che, stavolta, non gli si oppone. Dopo aver annuncialo che la grappa di quell’anno è la migliore che sìa mai stala prodotta (e questo proprio grazie al “contributo” di Yu)t Lowan abbandona la distilleria. Passati nove anni, Nove Fiori e Yu hanno avuto un bambino e la loro azienda è ormai fiorente. A tur­ bare l'idillio giunge l’esercito giapponese che invade la regione: tra i tanti che cadono sono i colpi degli invasori ci sono anche Tre cannoni e Lowan (quest’ultimo, lasciata la distilleria, si era aggre­ gato ai partigiani comunisti). Decisa a vendicare lowan, Nove Fio­ ri convince gli operai ad attaccare un convoglio di militari giappo­ nesi con rudimentali cariche esplosive approntate utilizzando la grappa. Nove Fiori muore falciata dalle mitragliatrici giapponesi; Yu e suo figlio, unici superstiti della battaglia, intonano un canto fu­ nebre mentre il cielo si tinge di rosso.

Consideralo da un punto di vista semplicemente meritocra­ tico (fondamentale all’interno di un sistema come quello cine­ se), l’approdo di Zhang alla regia di Sorgo rosso è un passag­ gio naturale nella sua crescita artistica: tra i diplomati del 1982 è quello che è riuscito a ricoprire i ruoli più diversi all’interno del meccanismo di produzione di un film (è stato un ottimo di rettore della fotografia, ha collaborato alla stesura di una sce­ neggiatura, ha interpretalo con successo un molo di primo pia­ no in un'imijortante pellicola). Rispetto ai suoi colleghi registi non si è ancora troppo esposto agli attacchi della censura (sia Tian Zhuangzhuang sia Chen Kaige sono stati pesantemente cri­ ticati e asteggiati) e può permettersi di rischiare qualcosa in piti degli altri qualora gliene venga data l’opportunità. Sembra che alla base di Sorgo russo ci sia stato un vero e proprio patto tra Wu Tianming e Zhang Yimou: Wu avrebbe infatti chiesto a Zhang di pazientare prima di intraprendere la sua prima regia per occuparsi, oltre che della stesura della sce-

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ncggiatura e della direzione della fotografìa, anche del casting di Vecchio pozzo. La difficoltà di trovare un interprete adatto al ruolo del protagonista avrebbe poi fatto cadere la scelta sullo stesso Zhang, una decisione che si rivelerà quanto mai felice grazie alla sua efficacia nel riversare nel proprio personaggio tutta la frustrazione di chi, legato suo malgrado alla terra, sen­ te di appartenere al mondo rurale ma con la consapevolezza di quanto siano arretrate le condizioni di vita dei suoi abitanti. L’attività frenetica richiesta dalla lavorazione di Vecchio poz zo non impedisce all’autore di mettere in pre-produzione, pro­ prio nello stesso periodo, Sorgo rosso. Preoccupato di non riu­ scire a tradurre in immagini uno stile narrativo ricchissimo, Zhang contatta Mo Yan, l’autore del romanzo da cui è iratto il soggetto del film, per incaricarlo di una prima stesura dello script. Non sappiamo con certezza se sia stato Mo Yan a prov­ vedere a elidere dal racconto i continui flashback che fanno del libro un affascinante viaggio nella memoria e nell’immaginario cinese dal carattere fortemente visionario. I rimaneggiamenti di quella prima versione della sceneggiatura devono essere stati di­ versi, e non è ancora chiaro come siano andate realmente le cose, visto che le testimonianze sull’evoluzione dei rapporti tra Mo Yan e Zhang sono decisamente contrastanti1. È ancora nel corso di una pausa nella lavorazione del film di Wu Tianming che iniziano le ricerche della location più adat­ ta: -Alla fine di aprile, quando stavo ancora lavorando a Vtecchio pozzo, racimolati un po’ di soldi mi recai nello Shandong per trovare il luogo dove il sorgo sarebbe potuto crescere me­ glio. I contadini, infatti, avevano sostituito questa coltivazione con altre più redditizie [...J»1 2. È necessario affittare un terreno, piantare il sorgo c affidarne la coltivazione a maestranze loca­ li, e a Zhang tornano utili ancora una volta le esperienze fatte nelle comuni agricole durante la Rivoluzione culturale. Eppure, ciò nonostante, due mesi dopo, quando dovrebbero iniziare le riprese, le piante non sono cresciute a sufficienza ed è neces1. In un’intervista rilasciata a Frances Gateward (in Zbang Yimou In­ terviews, cit., p. 4) il regista parla della piena soddisfazione del­ l’autore del romanzo per il risultato finale, mentre in una recen sione del film Tony Rayns parla addirittura di "pubbliche lanterne le” di Mo Yan [ter la lontananza della pellicola dal suo romanzo. 2. Frances Gateward (a cura di), Zhang Yimou Interviews, cit., p. 11.

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sa rio che la troupe provveda ad annaffiare la piccola pianta­ gione che sarà il set di molte scene del film. Con appena se­ dici acri di terreno piantalo a sorgo e un budget modesto, Zhang inizia la lavorazione di quello che sicuramente non è un ko lossal ma che j>er molte caratteristiche (ambientazione nel pas salo, alcune scene di massa) si presenta come un progetto as­ sai impegnativo5. È evidente che la piccola piantagione di cereali è uno degli elementi fondamentali della pellicola, tanto dal punto di vista deirimpatto visivo quanto da quello della narrazione. I luoghi che compongono la topografia del film sono in tutto quattro: la distilleria, la casa del padre di Nove Fiori, la taverna e i cam­ pi di sorgo. Alla casa paterna della protagonista vengono dedi cute solo poche, brevissime inquadrature, mentre alla taverna un’intera sequenza, ma dal montaggio molto articolato, tenden­ te a mettere in evidenza l’angustia del luogo. Si tratta in en­ trambi i casi di luoghi chiusi, asfittici, bui, caratterizzati dalla presenza di personaggi negativi e dallo svolgersi di situazioni di forte tensione. A essere assente è soprattutto uno spazio ester­ no alla distilleria e ai campi di sorgo, quasi che Zhang voglia focalizzare l’attenzione su due spazi complementari: da una par­ te i campi, una distesa sterminata e selvatica di piante simili al bambù, dall’altra la distilleria, spazio circoscritto, segno cultura­ le, dunque di civiltà. Per tutta la prima parte del film è il campo di sorgo lo sce­ nario degli avvenimenti più importanti, quelli che determinano il destino dei protagonisti. Esso si impone come spazio natura­ le, irrazionale, non-luogo per eccellenza aH’interno di un testo filmico già di per sé privo di riferimenti topografici certi (sia­ mo in una non meglio identificata zona rurale della Cina set­ tentrionale). È uno spazio di passaggio all’interno del quale le regole imposte dalla società non valgono (dà rifugio ai banditi prima e ai rivoluzionari poi). Il solo elemento che connoti questo spazio indefinito è il Crocevia degli assassini, un punto di riferimento narrativo oltre 3. -Avevamo un budget di 70.000 renminbi. Se avessimo avuto il dop­ pio avremmo potuto avere sei elicotteri. Ci serviva un forte vento, come dovevamo fare? Mettemmo un’elica su un camion e avemmo il vento. Era così forte che le prime cinque file di sorgo furono abbattute. I...]-, in Jiao Xiongping, Discussing “Red Sorghi!m", in Frances Gateward (a cura di), Zhang Yimnu interviews, cit., p. 13

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che sul piano spaziale anche su quello temporale. In corri­ spondenza di questo incrocio, infatti, sì determinano e si com­ piono i destini dei protagonisti, quello di Nove Fiorì in parti­ colare. Almeno tre sono le occasioni in cui il crocevia ospita avvenimenti cruciali per lo sviluppo del racconto. È qui che, per la prima volta, Nove Fiori e Yu incrociano i loro sguardi, stabiliscono un primo contatto visivo fatto di una maliziosa c sottintesa complicità, ed è ancora questo il luogo scelto da Yu per rapire Nove Fiorì e possederla. In questa occasione è pro­ prio la vegetazione ad assumere delle caratteristiche sopranna­ turali e a ospitare i due amanti, trasformandosi in una sorta di alcova per un legame che nasce fuori dalla legalità perché sot­ tosta unicamente alle leggi naturali4, fi infine qui che la prota­ gonista perderà la vita dopo aver organizzato l’attentato contro i giapponesi in una chiusura tanto ideale quanto tragica del cer­ chio della propria esistenza, dall’emancipazione grazie alla ri­ bellione nei confronti del patriarcato al riscatto della propria e dell’altrui libertà a costo della vita. È facile notare come la vita e la morte, nella loro ciclicità inarrestabile, coesistano all’interno di un unico scenario natu rale (il campo di sorgo) e si addensino in un punto geografi­ co ben preciso die diviene immagine emblematica dell’atto di scegliere (il Crocevia degli assassini). Si tratta comunque di un luogo nel quale le azioni degli uomini sono connotate da una cruenza inaudita, che rompe irrazionalmente la regolarità del resistenza tanto dei singoli quanto della collettività: la cerimo­ nia del trasporto della sposa a casa del futuro marito viene ostacolala dal bandito incappucciato; la consuetudine del ritor­ no all’abitazione paterna dopo tre giorni passati presso lo spo­ so viene interrotta da Yu che rapisce e fa sua Nove Fiori; la vita tranquilla della piccola comunità die gravila attorno alla 4. Come ben sottolineato da Zhang Lihui in una relazione presentata alla HI Conferenza internazionale dell’Asian Cinema Studies Society, dal titolo /k/uss cultural study ofted Sorghum and Onibaba, la di­ mensione sovrannaturale c asociale del campo di sorgo sembra pro­ venire da un’analoga concezione del paesaggio presente nel film giapponese di Shindo Kaneto Onibaba (t.l. Le assassine, 1964) nel quale alcune scene di forte impatto visivo, violente e cariche di tensione trovano il loro corrispettivo "scenografico" in alte, fitte c opprimenti dislese di cereali, in tutto simili ai campi di sorgo raf­ figurati da Zhang.

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distilleria viene sconvolta dall’arrivo dei giapponesi che scelgo­ no proprio i campi di sorgo nei pressi del crocevia per giusti­ ziare i partigiani. La risposta violenta e decìsa di un singolo in­ dividuo a qualsiasi tentativo di mediazione con la società è il tema dominante di questa pellicola che sembra voler far rivi­ vere gli ultimi bagliori di una forza ancestrale andata perduta dopo secoli di sottomissione a regole opprimenti e di adesione a una serie di rituali atti a mediare tra il singolo e il gruppo. La realtà agricola, del resto, è quasi del tutto assente dalla rappresentazione scenica, in un atto cosciente di estromissione dell’unico possibile sfondo sociale della vicenda: gli operai del­ la distilleria non vengono mai mostrati al lavoro nei campi o impegnati nella coltivazione del sorgo. La fabbricazione della grappa, invece, viene descritta con cura, ed è l’unica attività nel­ la quale tutti vengono coinvolti. Un’intera sequenza, ad esem­ pio, vede Lowan impegnato a spiegare a Nove Fiori le varie fa si della distillazione del liquore. A tale illustrazione “scientifica" segue una preghiera al dio della grappa, cui i lavoranti sacrifi­ cano una piccola parte del liquore: è come se Zhang volesse sottolineare il carattere mistico alla base di tutte le azioni, an­ che di quelle che, apparentemente, sottostanno a una serie di procedimenti artigianali e a precise leggi Fisiche. A interrompe­ re la preghiera, tuttavia, giunge Yu, che irrompe nella distille­ ria proprio nel momento in cui Nove Fiori assaggia la nuova grappa. L’uomo urina negli otri colmi e, preso un grosso badi­ le, cosparge la ragazza di semi di sorgo. È un momento di in­ versione rispetto alla sacralità della scena precedente^: ancora una volta una cerimonia viene interrotta bruscamente dall’azio­ ne violenta di un individuo che, ponendosi ai margini della so­ cietà, devia il corso naturale degli eventi. È una grottesca pro­ vocazione che se da una parte è tesa a profanare il prodotto del lavoro degli abitanti della distilleria, dall’altra, paradossai mente, contribuisce a migliorare la qualità della grappa, com­ pletando il lavoro incominciato da altri. La lunga sequenza appena descritta (fabbricazione della grap­ pa, preghiera alla divinità e provocazione di Yu) occupa una posizione centrale dell’intreccio sia da un punto di vista strer5. La spiegazione di Lowan a beneficio di Nove Fiori, la preghiera al dio della grappa e l’arrivo del portatore costituiscono, in realtà, un'unica, articolata sequenza.

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tamente cronologico sia come chiave di volta del senso della pellicola. Gli elementi che hanno connotato fino a questo mo­ mento la storia vengono messi in relazione attraverso un fìtto gioco di rimandi interni, tutti i j>ersonaggi principali sono si­ gnificativamente in scena per un definitivo chiarimento della propria funzione simbolica. A interessarci ò in particolare il con­ fronto tra Lowan, figura defilata e apparentemente di secondo piano, e Yu, un personaggio ben più appariscente. I due uo­ mini sembrano contendersi Nove Fiori con un duello a distan­ za, una lotta sublimata per mezzo di una serie di azioni dal for te sapore simbolico, riproponendo la dualità poco sopra evi­ denziata tra campi di sorgo e distilleria. Mentre Yu è colui die. agendo fuori dall’ordine sociale, si iinixme sulla scena come una vera e propria ’’forza della natura” che agisce per Istinto, Lowan è invece la parte razionale di questa specie di corpo maschile bicipite: mentre Yu è un’icona della virilità (sempre a torso nudo, muscoloso, con la sua pelata che è una sorta di simbolo fallico), Lowan incarna la calma, Timpassibilità di colui che parla (poco) e agisce sempre e solo a proposito. Se il suo silenzio di fronte ai lamenti notturni di Nove Fiori che tenta di sfuggire a padron Li può apparire cinico, quello eloquente con cui mette a tacere le dicerie degli operai sulla ragazza indica già un atteggiamento paterno e protettivo nei suoi confronti. Diver­ samente da Lowan, che esercita una sorta di controllo totale su ciò che avviene nella distilleria, Yu sconta la propria estraneità al sistema, trovandosi inevitabilmente a disagio all’interno di un mondo codificato: (piando Nove Fiori giunge per la prima vol­ ta alla distilleria lo vediamo allontanarsi velocemente verso i cam­ pi di sorgo e, successivamente, quando tenta di entrare in casa subito dopo l'omicidio di padron Li, viene respinto dalla giova­ ne e dagli operai quasi fosse una sorta di corpo estraneo. Lowan, al contrario, non ha problemi a lasciare la distilleria dopo aver annunciato che la grappa appena distillata è la mi­ gliore che sia mai stata prodotta. Se questo risultato è dovuto aH”additivo” di Yu, è anche merito delLespcricnza di Lowan che ha saputo guidare gli operai come fossero un unico corpo durame la produzione del liquore. Ora non è più necessario che faccia da tutore a Nove Fiori perché costei ha trovato un uomo che assicurerà il Futuro della distilleria (trasformatasi, sor to la guida della giovane vedova, in una piccola comune nella quale si sperimenta una sorta di collcttivismo arile luterani). 11

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passaggio di Lowan alla lotta comunista è coerente con il suo percorso: dopo aver prodotto la grappa che ha reso fiorente la distilleria (il narratore afferma: -In capo a nove anni la nostra grappa rossa era diventata famosa-), egli tenta di fare la stessa cosa altrove (-era stato incaricato dal partito di organizzare la guerriglia antigiapponese-, recita la voce over). Il legame profondo ira le tic figure principali, la loro natura complementare ci vengono confermati quando incontriamo per la prima volta il figlio di Nove Fiori e di Yu: il bambino esce bar­ collando da uno degli enormi otri in cui si conserva la grappa, quasi fosse ubriaco come lo era suo padre qua rìdo era stato but­ talo dagli operai in un recipiente simile per aver tentato di en­ trare nella camera da letto della sua futura compagna. La scena ci ricorda anche che il bambino ha la stessa età della grappa (no­ ve anni), e che, la notte in cui è stato concepito, Lowan si era congedato da sua madre dopo aver depositalo un otre colmo di grappa davanti alla porta della sua camera da letto, chiedendole di dare un nome al liquore. Il bambino c la grappa, dunque, so­ no figli di due padri diversi ma di una stessa madre: Nove Fio­ ri si rivolge per prima proprio a lui quando reclama vendetta per lowan, quasi a voler indicare implicitamente una doppia pater­ nità. Yu, a sua volta, riconoscerà definitivamente l’importanza di Lowan accettando di combaiiere contro i giapponesi. Lowan svolge così una funzione didattica che, se a un pri­ mo sguardo può apparire marginale, a un'analisi più serrala di­ viene fondamentale: così come ha saputo trarre dal sorgo la grappa attraverso un processo di distillazione, allo stesso modo ha saputo far crescere le altre figure del racconto. È scontato considerare Sorgo m.sso come il primo film di quella “tetralogia sulla donna” che comprende anche Ju Dou, Lanterne rosse e ta storia di Qiu Ju, eppure da questa analisi il ruolo di Nove Fio­ ri emerge notevolmente ridimensionato, mentre è Yu ad acqui­ sire una posizione molto più interessante. Da singolo che agi­ sce esclusivamente in nome di se slesso, diviene un individuo partecipe della vita di una comunità, così come ci viene con­ fermato dal brindisi rituale identico a quello compiuto nella sce­ na della distillazione della grappa, che ora è lui a guidare al posto di Lowan. Non è un caso che al posto del dio della grap­ pa, in onore del quale gli operai avevano brindato al termine della prima parte del film, ora ci sia un uomo (Lowan) che è mono per la causa del comuniSmo. 124

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Alla sua uscita sugli schermi italiani nel 1988, Sorgo msso piacque molto a Sergio Leone che, riconoscendovi qualcosa del proprio cinema, decise di tenerlo a battesimo con un articolo apparso su un importante quotidiano. È probabile che la qua lità del film maggiormente apprezzata dall’inventore del westernspaghetti fosse soprattutto faltcrnanza di più registri narrativi tra loro mollo differenti (grottesco, avventuroso, epico), in un mé­ lange che risulta pienamente convincente soprattutto per la ca­ pacità di passare in crescendo dai toni da leggenda punteggia­ ti di spunti comici della prima metà del film, a quelli progres­ sivamente drammatici, e infine tragici, della seconda. Questo an­ che grazie a un’enfatizzazione dello stile nelle scene più inten­ se e all'uso disinvolto di una serie di fattori iconografici che, prelevati da una precisa tradizione mitica e decontestualizzati, si trasformano in immagini dal forte valore simbolico, qualcosa di molto vicino a quanto Leone aveva fatto nei primi anni Ses­ santa proprio con il western classico. Gli elementi del film che riconducono alle atmosfere dei we­ stern statunitensi sono dunque diversi, ma quello principale è proprio la dicotomia dalia quale questa analisi ha preso le mos­ se, tra interni (la distilleria come simbolo di civiltà) ed esterni (il sorgo, la natura selvaggia) che tanto ricorda l'analoga dia­ lettica tra prateria e ranch dei pionieri o tra deserto e fortini militari, elementi tipici del più classico tra i generi cinemato­ grafici. Così c facile ricondurre i due personaggi maschili a quel­ le coppie tipiche del western composte da un pistolero più an­ ziano, esperto, imperturbabile c taciturno, e un giovane cow­ boy ingenuo, impulsivo e vanaglorioso. Volendo cercare dei ri­ ferimenti iconografici più immediati, poi, basterebbe spogliare di tutti i suoi elementi immediatamente connotativi la scena del­ la sfida tra Yu e Trecannoni presso la taverna per scoprire una classica scena di duello in un saloon con un finale ironicamente incruento.

Nome in codice: “Operazione Puma " (t.l. di Daibao meizhouhao, 1989) 35 nini; regia-. Yang Fengliang, Zhang Yimou; soggetto e sceneggiatura-, Cheng Shi Qing; fotografìa (colore): Gu Changwei; scenografìa-. Cao Juiping; costumi: Xu Xiaoping; musi­ che originali: Zhao Jiping; montaggio: Du Yuan; inleipreti. Gong Li,

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Ge You; produzione-. Xi'an Film Studios; orìgine-. Repubblica Popolare Cinese; durata-. 85’

L’aereo privato di un facoltoso uomo d’affari in volo da Taiwan in Corea viene dirottato da un commando terroristico che afferma di appartenere al Gruppo Nero di Azione Speciale in Asia. Con la strumentazione di lx>rdo messa fuori uso durame il dirottamento, l’aereo è costretto ad atterrare in territorio cinese. Dopo aver in­ viato sul posto una squadra dell’esercito, il governo cinese infor­ ma le autorità di Taiwan con le quali decide di organizzare un pia­ no comune (il cui nome in codice sarà ’’Puma") per fronteggiare l’emergenza. In cambio del rilascio degli ostaggi, i dirottatori chie­ dono che venga liberato un loro compagno detenuto nelle prigio­ ni taiwanesi. All’esercito popolare si affianca così una squadra spe­ ciale di Taiwan che prende il comando logistico dclfoperazione: tra i due gruppi si instaura un rapporto di fattiva collaborazione, favo­ rito dalla reciproca stima e simpatia dei rispettivi capi. Constatata l’inutilità di qualsiasi trattativa, si compiono vari tentativi per neu­ tralizzare i dirottatori che, tuttavia, non sortiscono alcun effetto. Di fronte alla ferocia dei terroristi, che uccidono a sangue freddo un ostaggio, il governo di Taiwan decide di acconsentire al rilascio del prigioniero. Tuttavia, proprio quando la vicenda sembra risolversi felicemente con la consegna ai dirottatori del loro compagno e di un elicottero per la fuga, i militari entrano in azione. Nella spara­ toria restano sul terreno oltre ai malviventi anche moki tra gli ostag­ gi e il comandante della squadra speciale di Taiwan. A questuiti ino andrà il saluto rispettoso del capitano delle truppe cinesi.

Nome in codice: "OperazioneIhima ” è una sorta di piccolo rebus tanto nella carriera di Zhang Yimou quanto nella storia del cinema cinese. Non si sa quali siano le ragioni che spin­ gono Zhang, appena reduce dal successo inaspettato di pub­ blico c di critica conseguito con Sorgo rosso, ad accettare la co­ regia di una pellicola di genere, un film d’azione dalle caratte ristiche decisamente insolite, insomma un progetto per molti aspetti rischioso, specie per un giovane regista che, muoven­ dosi in un contesto come quello cinese, deve fare i conti con fattori spesso del tutto estranei al merito artistico del proprio la voro. La regia di Nome in codice: “Operazione Puma" c firma­ ta da Zhang e Yang Fengliang, un compagno di corso alla Scuo­ la di cinema di Pechino di stanza agli studi di Xi’an proprio co­ me Zhang in quegli anni: -Per aiutare un amico mi ritrovai di

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fronte a un argomento per il quale non provavo alcun interesse-6, affermerà poi l’autore, quasi a voler disconoscere la pa­ ternità di un progetto sostanzialmente estraneo alla propria poe­ tica ma che sarebbe sicuramente improduttivo archiviare fretto­ losamente in questo modo. Il film è un ibrido con una serie di caratteristiche tìpiche del film commerciale d’evasione (viene classificato dalla censura co­ me “film ricreativo”) ma possiede, allo stesso tempo, alcuni aspetti riconducibili tanto al film-inchiesta tendente a ricostrui­ re un fatto di cronaca (il dirottamento, appunto), quanto alla vera e propria fantapolitica, dato che le vicende narrate, total­ mente immaginarie, vanno a prefigurare uno scenario interna­ zionale completamente inedito sul piano diplomatico: la colla­ borazione attiva tra due paesi come la Cina popolare e Taiwan, storicamente nemici al punto che nessuno dei due governi ha mai riconosciuto la legittimità dell’altro. Un tema, questo, mai affrontalo dal cinema della Repubblica popolare c qui trattato per la prima volta forse con troppa disinvoltura per non scate­ nare quella che, in poco tempo, diviene una vera e propria campagna denigratoria (specie nei confronti di Zhang che, es­ sendo la figura più prestigiosa coinvolta nel progetto, è anche quella più vulnerabile) a mezzo stampa7. È diffìcile capire se la storia del dirottamento sia poco più di un pretesto per poter mettere in scena soliamo una vicenda spettacolare dai risvolti insoliti, oppure un vero e proprio espe­ diente per camuffare da film d’intrattenimento quello che, in realtà, c una sorta di pamphlet politico-diplomatico. Sotto mol­ li aspetti, infatti, la pellicola appare contraddittoria: alle imma­ gini prettamente narrative, di pura fiction, del dirottamento c delle operazioni militari sul campo, si alternano alcuni inserti non narrativi alquanto singolari, ovvero un montaggio molto ser­ rato di immagini fisse che illustrano o, meglio, fanno da com mento visivo a una voce over che descrive tutto ciò che av­ viene dietro le quinte della rappresentazione, ovvero l’organiz­ za zione delle operazioni delle squadre speciali, le trattative tra i due stati ex nemici, l’opera dei servizi segreti, e così via. L’ef fetto nel suo complesso è straniarne, anche perché a questi in­ 6. Rafael Alesine, Chen Mei-Hsing, Zbang Yimou, cit., p. 132. 7 Valentina Dell’Aversana, Lo stile selvaggio. "Nome in codice Leopar­ do' cit., pp. 29-32.

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sciti dal vago sapore di reportage giornalistico Fanno da pen­ dant immagini smaccatamente finzionali, a tratti al limite della plausibilità, sia per una serie di limiti oggettivi della messa in scena, sia per una sorta di ostentazione autocompiaciuta di cer­ te componenti decisamente eccessive, come ad esempio la vio­ lenza cieca dei terroristi, Patteggiamento di estremo rispetto re­ ciproco dei due comandanti, alcune scene d’azione portate a li­ velli di parossismo simili a certo cinema di serie B made in Hong Kong. Così, se è vero che «l’adozione di questa struttura espositiva giova a Yimou per spostare il tiro al di là di ogni confine te­ matico in un film i cui umori aitici sono più sottesi al racconto che sbandierati*8, foperazione nel suo complesso ha il sapore di un divertissement un po’ cinico, orientato a sfidare i propri referenti (critica, censura, pubblico) più che nel merito di spe­ cifiche questioni di politica intemazionale, sullo spostamento in avanti dei limiti della rappresentazione, cxime sempre eccessiva e in alcuni momenti visivamente accattivante, di quelle così co­ me di altre tematiche scomodo. Tutto ciò va a compensare, ma­ gari solo parzialmente, un eccesso di retorica militarista in al­ cuni dei dialoghi tra soldati e poliziotti e un [xY di superficia­ lità nel trattare un tema come quello del riavvicinamento tra Ci­ na popolare e Taiwan, una materia che, come testimonia que­ sta affermazione di Zhang, all’epoca era ancora incandescente: -Quando durante le riprese mi venivano alcune buone idee che pensavo potessero rendere più interessante la pellicola, non po­ tevo girarle perche potevano causare problemi politici. Così il risultato fu tremendo-9.

Ju Dou (Ju Dou, 1990) 35 inni; regìa: Yang Fengliang, Zhang Yunou; sogget­ to: tin Heng; sceneggiatura: Guo Zhenyi, Huang Minxian; fotografia (colore): Gu Changwei, Yang Lun; scenografia: Cao Juiping, Rujin Xia; costumi: Zhang Zhi-an, musiche originali: Xia Ru jiri, Zhao Jiping; mon­ taggio: Du Yuan; suono: Li Lanhua; interpreti. Gong Li (Ju Dou). Li Baotian (Tianqing), Li Wei (Jinshan), Yi Zhang (Tianbai da bambino), 8. lui, p. 32. 9. Rafael Ah aine, Chen Mei-Hsing, Zhang Yimou, cit., p. 132.

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Zheng Ji-an (Tianbai da ragazzo); prodotto da. Jian Hu, Tokuma Yasuyoshi, Zhang Wenze; produzione-. China Film Co-Produciic>n Corpo ration, China Film Release Import and Export Company, Tokuma Shoten, Xi’an Film Studio; distribuzione italiana: Mikado Distribuzione; ori­ gine: Repubblica Popolare Cinese, Giappone; durata: 102’

Cina, primi del Novecento. La giovane c bella Ju Dou viene venduta in moglie a Yang Qinshan, l’anziano proprietario della tin­ toria del villaggio. L’uomo, impotente e frustrato per la mancanza di un erede, ha già provocato la morte delle due mogli precedenti, colpevoli di non avergli dato figli. Nella tintoria vive anche Tian­ qing, nipote di Qinshan, un giovane ingenuo e remissivo sul qua­ le lo zio sfoga la propria ira. Umiliata e malmenala dal marito che pretende da lei un figlio maschio, Ju Dou inizia a rivolgere le pio prie attenzioni a Tianqing che, pur timoroso di essere scoperto dal­ lo zio, cede alle avance della donna. Dalla loro unione nasce un figlio, salutato dall’ignaro Qinshan come proprio legittimo erede: Ju Dou e Tianqing gioiscono segretamente, confortali anche dall’atleggiainenio mansueto assunto da Qinshan, ora soddisfatto per la nascita del figlio. Quando l’uomo resta paralizzalo in seguilo a una caduta da cavallo, i due amanti credono di averlo in proprio po­ tere e, sempre più spavaldi, gli rivelano la propria unione e la rea­ le paternità di Tianbai. Per vendicarsi, il tintore cercherà di toglie­ re la vita al piccolo: proprio durante uno di questi tentativi, tutta via, il bambino gli si rivolge pronunciando per la prima volta la parola “papà”, riaccendendo in lui la speranza di essere il vero pa­ dre e gettando nello sconforto Ju Dou e Tianqing. La vita dei due giovani si complica ulteriormente quando Ju Dou scopre di essere nuovamente incinta e, per non destare sospetti negli abitanti del villaggio e inconerc in una condanna a morte per adulterio, è co­ stretta ad abortire. Sarà proprio la morte di Qinshan a sconvolge re definitivamente la vita dei due giovani amanti: Ju Dou e Tian­ qing sono infatti costretti a fingere il proprio dolore ostacolando il corteo funebre per quarantanove volte e implorando “l’amalo" pa­ rente di non lasciarli così come prevede la tradizione. Con la mor­ te di Qinshan gli anziani della famiglia costringono Tianqing a la­ sciare la tintoria nelle ore notturne per non alimentare le maldi­ cenze. Trascorrono alcuni anni: Tianbai è ormai un ragazzo e Ju Dou e Tianqing sono costretti a incontrarsi di nascosto. La voce che i due siano amanti giunge fino a Tianbai che, furibondo, pic­ chia Tianqing malgrado Ju Dou gli abbia rivelato dii sia il suo ve­ ro padre. Delusi e affranti, i due amanti decidono di lasciarsi mo­ rire per asfissia in fondo a un pozzo. Sarà Tianbai a trarli in sal-

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vo, ma solo per gettare Tianqing iti una delle vasche di I intura e guardarlo annegare. Ju Dou resta, sola e disperata, a fissare il fuo­ co che ha appiccato alla tintoria. -Si sani pure notato che fra la pansessualità trionfante di Sor­ e l’universo evocato da Ju Dou ci sono i carri armati di piazza Tienanmen-10. In Cina il clima politico, e soprattutto culturale, è certamente cambiato, e le vicende produttive e di­ stributive di Ju l^ou, tratto dal racconto Fuxi Fuxi di Liu Heng, sono decisamente interessanti perché forniscono un esempio lampante dell’atteggiamento ipocrita c “schizofrenico” del go­ verno cinese in fatto di politica culturale all’indomani dei fatti di piazza Tienanmen, particolarmente in campo cinematografi­ co. Il film entra in fase di pre-produzionc proprio nel 1989: l’Orso d’oro vinto a Berlino con Sorgo rosso l’ha segnalato co­ me uno dei registi cinesi più promettenti e il produttore giap­ ponese Yasuyashi Tokuma decide di co-produrre il film con il governo cinese. Ciò consente una distribuzione estera anche quando l’ufficio della censura blocca Ju Dou motivando il prov­ vedimento con il contenuto erotico di alcune scene e la gene­ rale atmosfera di decadenza che promana dal film. I motivi rea­ li sono probabilmente altri: a pochi mesi dal massacro di piaz­ za Tienanmen il governo non gradisce pellicole in cui siano rappresentati scontri generazionali troppo violenti, e Ju Dou è proprio incentrato su un gioco al massacro tra padri e figli ap­ partenenti a tre generazioni diverse. Al Festival di Cannes del 1S>9O Ju Dou viene presentato in concorso e il governo cinese, malgrado l’abbia proibito in patria, invia una propria delega­ zione. Proiettato Tultimo giorno del festival, il film non riesce a catturare la giusta attenzione ed esce dalla kermesse a mani vuo­ te. Le autorità cinesi, lamentando una sorta di ostracismo nei confronti dei film prodotti nella Repubblica popolare a causa dei falli di piazza Tienanmen, decidono di ritirare la propria de­ legazione in segno di protesta. L’anno seguente, quando Ju Dou ottiene la nominaiion all’Oscar come migliore pellicola stranie­ ra, il governo impedisce a Zhang Yimou di partecipare alla ce­ rimonia di consegna dei premi. Alcuni giornalisti americani po­

go rosso

to. Berenice Reynaud, Cinema cinese, 1978-2001, in Gian Piero Bru­ netta (a cura di), Storia del cinema mondiale. Americhe, Africa, Asta, Oceania. Le cinematograjìe nazionali, cit., p. 805-

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lemizzano con la decisione delle autorità cinesi e la risposta del direttore generale del Dipartimento del cinema e della televi­ sione, Ai Chihsheng, sarà che gli unici ad avere il diritto e la comjjetenza per giudicare il cinema cinese sono gli stessi cine si. Peccato che proprio i diretti interessati attenderanno quasi tre anni per vedere il film nelle sale cinematografiche del loro paese, in occasione dell’uscita di un'opera di Zhang finalmente gradita al regime, La storia di Qiu Ju, Ju Dou è un film in cui la raffinatezza formale dei giochi di luci e ombre, l’effeito creato dall'alternanza dei colori primari, poggia su una struttura drammatica talmente coesa da assume­ re l’andamento rigoroso del più classico tra i melodrammi. Do­ po un'opera prima in cui il lavoro di regia era concentrato su una serie di momenti spettacolari a tratti disarmonici nella loro spontaneità, Zhang confeziona un film formalmente impeccabi­ le, ricercatissimo soprattutto dal punto di vista della scelta del­ le inquadrature, dell’illuminazione, delle assonanze cromatiche. Sorgo rosso apparteneva ancora a quel genere di film intera­ mente finanziato con capitali statali, prodotto per il mercato in­ temo, e solo secondariamente destinato alla circolazione inter nazionale. Per questo il successo che aveva ottenuto in patria, e soprattutto all’estero, era apparso ancora più clamoroso: la sua bellezza un po’ ruspante, il suo andamento mosso, forte­ mente contrastato nell’alternanza di tonalità narrative affatto di verse, erano le caranerìstiche che avevano permesso una buo­ na risposta tanto dal pubblico orientale quanto da quello occi­ dentale. La decisione di ambientare le vicende narrate all’interno di una tintoria e la location in un villaggio dell’Anhwei sono due elementi che suscitano vari spunti di riflessione. Assente nel rac­ conto di Liti Ileng, la tintoria offre a Zhang la possibilità di gio­ care a proprio piacimento con i colori e di comporre un film nel quale le scelte formali enfatizzano un soggetto già di per sé “eccessivo". A tratti ridondanti e perfino didascalici, certi espe­ dienti risultano tuttavia efficacissimi: quelle stoffe che si tuffano nelle vasche di tintura srotolandosi in arabeschi purpurei, men­ tre gli amanti si abbandonano per la prima volta alla passione, oltre a essere l’indice di un amplesso voluttuoso che non c pos sibile mostrare così come avverrebbe in Occidente, sono anche la cifra espressiva di un autore che è stato prima di lutto un direttore della fotografia. Per quanto felice di servire i suoi col131

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leghi registi nelle precedenti esperienze da operatore, Zhang adesso può dare libero sfogo a un universo espressivo fatto di esasperati giochi di luce, assonanze o contrasti di colori, in­ quadrature eleganti al limite delia maniera. Che la tintorìa non esistesse nel racconto di Liu lleng non sorprende più di tanto, visto che non è la prima volta che Zhang aggiunge ai testi che traspone degli elementi che lo ispirano particola unente e che connotano l’intera pellicola (i giganteschi ingranaggi per tinteg­ giare le stoffe simboleggiano l’impossibilità dei due protagoni­ sti di sfuggire alla propria sorte, la loro condanna a rimanere prigionieri del meccanismo sociale). Piuttosto, ciò che e inte­ ressante notare è che il luogo scelto per le riprese è quanto di più desiderabile per un ex direttore della fotografia: una co­ struzione cinta da alle mura, strutturata su più livelli, con ietti spioventi verso l’interno, al centro dei quali si aprono due va­ sti cortili. In questo modo, oltre a disporre di una serie di spa­ zi rischiarati con diverse intensità luminose (il centro del corti­ le più chiaro, le zone coperte più in ombra). Zhang ha una lu­ ce costantemente indiretta, già filtrata perché convogliata nello spazio d’azione dei personaggi dopo essere stata ritratta dal ma­ teriale che ricopre il tetto. Si tratta di scelte strategiche molto importanti, frutto di un’intensa collaborazione fra tre dei migliori direttori della fotografia della Quinta generazione. Zhang, infat­ ti, ha chiamato a ric oprire questo ruolo due suoi ex compagni della Scuola di cinema di Pechino: Lun Yang, con il quale l’au­ tore aveva già lavorato in Sorgo rosso e che sarà ancora al suo fianco in Lanterna rosse, c Gu Changwei che, dopo Ju Dou, sarà operatore in Addio mia concubina di Chen Kaige. La presenza sullo stesso set di ire personalità così forti non inficia il risul­ tato complessivo, che si rivela omogeneo e a tratti persino ac endemico. La scelta della tintorìa come luogo dell’azione rappresenta anche uno stratagemma cui Zhang ricorre per poter giocare con i colori, usati come elementi primari atti a influenzare diretta­ mente la percezione del dramma da parte dello spettatore. Ju Dou, in particolare, d spesso ritratta su un’alta impalcatura men­ tre stende le stoffe ad asciugare: le riprese fortemente angola­ te dal basso e la colorazione giallo oro dei tessuti oltre a esal­ tare la bellezza della protagonista la circonfondono anche di una sorta di aura che ne mene in risalto la purezza e Tinge nuilà, in forte contrasto con il carattere meschino delle due fì-

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gure maschili. Tutta la prima patte del film, del resto, è carat­ terizzata dall'uso di una serie di colori molto accesi, dal giallo oro al rosso intenso, che, con l’evolversi delle vicende, pro­ gressivamente cedono il posto alle tonalità del blu, del grigio e, infine, del nero. Contemporaneamente, si fanno sempre più frequenti le scene notturne o in interni, connotate da una luce livida, a tratti spettrale, a evidenziare Fatmosfera gelida creata dalla presenza torva c rancorosa di Tianbai11. L’unica significa­ tiva eccezione a questa progressiva variazione tonale è la se­ quenza del corteo funebre: girata in esterni, immersa in una lu­ ce nitidissima, la scena c resa ancora più abbagliante dalla pre­ senza del bianco della bara e dei costumi funebri dei due pro­ tagonisti. È chiara la volontà dell’autore di mettere in evidenza, impietosamente, l’ipocrisia del cerimoniale, la sua meccanica grottesca (Ju Dou e Tianqing devono lasciarsi investire, nel ve­ ro senso della parola, dal feretro portato a spalla), la lontananza dalla realtà dei fatti. •Tingere le stoffe è come mascherare le apparenze», fanno notare giustamente Eric Derobert e Yann Tobin12. In altre pa­ role, la scelta di ambientare il film in una tintoria si può anche intendere come una metafora del fare apparire le cose diversa­ mente da come sono nella realtà. Nel film tutto c il contrario di come si manifesta e ogni atto si trasforma nel suo inveito, a dimostrazione che le leggi aberrami su cui si regge la tradi­ zione possono solo produrre risultati perversi. Il vecchio Qinshan è impotente ma il fatto che sia ancora privo di un erede viene attribuito all’infertilità delle sue precedenti mogli: -Vecchio bastardo! Hanno fatto bene a non dargli nemmeno un figlio», commenta uno degli operai, lamentandosi con Tianqing della cattiveria di suo zio. Successivamente, annunciando la nascita di Tianbai, la levatrice dice a Qinshan: -Ju Dou è degna di tc! Ti ha dato un figlio maschio!». Oltre a ignorare come stiano real­ mente le cose, la donna è convinta che la nascita di un figlio maschio dipenda dalla capacità della moglie di "essere degna” del marito, generando un figlio dello stesso sesso del coniuge. 11 Per un’analisi più precisa della funzione dei colori in Ju Dou vedi: Jenny Kwok Wali Lau, Ju Dou: An Experiment in Color and Por­ traiture in Chinese Cinema, cit., pp. 127-148. 12. Éric Derobert, Yann Tobin, Zhang Yi-Mou, Cbromatbisme et eie, -Positif-, n. 360, febbraio 1991, p. $4.

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Il vecchio tintore gioisce ingenuamente, anche se, per larga par­ te, è stato proprio lui, con le sue continue violenze, a spinge re la moglie (ni le braccia del nipote, che, dandole un figlio, Fha liberata dalle vessazioni del marito- Se Pinfermilà di Qin­ shan sembra agevolare la relazione tra Tianqing e Ju Dou, in seguito spingerà la donna ad abortire e, indirettamente, sarà la causa della sua sterilità. La morte di Qinshan, apparentemente risolutiva, costringe invece Ju Dou e Tianqing ad affrontare la prova più dura, ovvero rinunciare a vivere sotto lo stesso tet­ to: costretti a incontrarsi clandestinamente all’esterno della tin­ toria, verranno scoperti da Tianbai che provvedere a vendicare l’onore delia propria famiglia. La sequenza che, tuttavia, conferma quanto l’ordine patriar­ cale possa essere fallace è quella in cui gli anziani della fami­ glia si riuniscono per imporre il nome al neonato. Essi «scel­ gono il nome Tianbai L..J perché insieme a suo “fratello” Tian­ qing i loro nomi fonnano (’idioma qingqinghaibai che significa letteralmente “innocente da ogni colpa”-13, ovviamente senza sa­ pere che Tianqing è il padre naturale del bambino. È una con­ traddizione in termini - una delle tante presenti nel film - che evidenzia la fragilità del sistema simbolico proprio del confu­ cianesimo che attribuisce alla “rettificazione dei nomi” un’im­ portanza capitale: Per raggiungere le finalità proprie alla posizione e agli obblighi sociali di ciascuno, sarà necessario che la conoscenza umana si fondi su qualcosa di inequivocabile, che non lasci adito a dub­ bi [...] e ciò potrà essere realizzalo soltanto se ogni cosa, ogni fallo, sarà conosciuto per quello che realmente è, se i nomi sa­ ranno corrispondenti a ciò cui si riferiscono14.

Questa “improprietà” del nome dato a Tianbai emerge in tut­ ta la sua contraddittorietà quando il bambino pronuncia per la prima volta la parola “papà” rivolgendosi a Qinshan. Tianbai provvede a complicare ancor piti la situazione, confermando che la forza dell’ordine tradizionale è basala esclusivamente sulle ap­ parenze, dato che -il riconoscimento del padre segna il suo ac­ cesso nell’ordine simbolico. Tianbai da essere biologico diviene 13-Jenny Kwok Wah Lau, Ju Dou: An experiment in Color and Por tratture in Chinese Cinema, cit., p. 135. 14. Piero Corredini, Cina. Popoli e società in cinque millenni di storia, cit., p. 80.

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un individuo sociale, un soggetto*'5, Così, se in un primo mo­ mento quello di Ju Dou poteva apparire come un tentativo di mettere in discussione l'ordine tradizionale, in realtà non fa che riaffermarne prepotentemente i principi: neanche di fronte alla madre che gli rivela chi sia il suo vero padre, Tianbai riesce a comprendere. Sono proprio le leggi messe a salvaguardia del l’onore della famiglia, della legittimità della discendenza (quel­ le leggi che, trasgredite, hanno consentito che fosse concepito), a costringerlo ad assassinare Tianqing. Fedele al nome che gli è stato imposto, Tianbai sembra desiderare, più di ogni altra co­ sa, di purificare se stesso e persino i propri genitori (il gesto con il quale li separa dall’ultimo abbraccio nel fondo della grot­ ta ha il sajxire di un atto dettato da intenti moralistici, più che di vero e proprio odio) dalla perversione in cui hanno vissuto fino ad allora. All’interno di un contesto come quello appena descritto, nel quale nulla è come sembra, anche le dinamiche degli sguardi sono ambigue. Se lo sguardo di Sotgo rosso poteva essere de­ finito spontaneo, “frontale”, diretto, nel presentare senza me­ diazioni di sorta personaggi schietti e situazioni chiare, quello di Ju Dou è invece continuamente segnato da particolari pro­ cedimenti di connotazione. Gli sguardi che si scambiano i pro­ tagonisti non sono mai orizzontali, diretti, aperti, ma sempre ti­ morosi. sfuggenti, obliqui. La loro collocazione spaziale è sem­ pre segnata da un’asimmetria, una distanza, un dislivcllo, un continuo tentativo di eludere lo sguardo dell’altro, l’impossibi­ lità di confrontarsi da pari a pari. Il primo incontro tra Tian­ qing c Ju Dou è segnato dalla precarietà: lui la guarda (o me­ glio, evita di guardarla, intimidito dalla sua bellezza) dal basso in allo e poi, significativamente, ruzzola giù dalle scale. La ca­ duta di Tianqing può essere letta come una premonizione del suo destino iragico, mentre la collocazione di entrambe le fi­ gure su piani diversi indica l’impossibilità di una vera e propria unione. Abbiamo già rilevalo altrove lo sguardo “censurato" di Tian­ qing cui fa da pendant quello di Qinshang, obbligato a guar­ dare le effusioni dei due amanti, e di Tianbai, che sostituisce National Cinema, Cultural Critique, Trasnational Capital. The Films of Zhang Yimou, cit. p. 114.

15. Sheldon Hsiao-peng T.u,

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quello del padre legale dopo la sua morte. A dominare la sce­ na, tuttavia. c’è uno sguardo che sembra governare i destini di tulli i personaggi: -Oh, avi! Avi della famiglia Yang, aprite gli ocelli e guardare tutti quei due serpenti!-, invoca Qinshang ri­ volgendosi all’altare degli antenati, mentre, sospeso nel suo tra­ biccolo a rotelle, è costretto a sopportare la visione del nipo­ te e della moglie nell'iniiinità. L’immagine dell’altare votivo ri­ corre spesso nel film, e sempre con significali diversi: la pri­ ma volta che lo incontriamo, Qinshan è seduto proprio davanti a esso; in seguilo, l’altare è muto testimone (complice silen­ zioso) delle sevizie del vecchio verso Ju Dou, nume tutelare delle decisioni degli anziani, spettatore impassibile del declino progressivo cui va incontro la casa a tutela della quale è sta­ lo posto. La dimensione di uno sguardo arcigno c al tempo stesso in­ differente rispetto ai destini umani ci sembra riesca a delincare meglio di ogni altro elemento simbolico presente nel film l’at mosfera di sospetto che aleggia sull'intera pellicola e, più in ge­ nerale. su tutta la Cina proprio negli stessi anni.

Lanterne rosse (Da bong deng long gao gao gita, 1991) 35 mm; regia: Zhang Yimou; soggetto. da un romanzo di Su Tong; sceneggiatura: Zhen Ni; fotogra­ fia (colore): Fei Zhao, Yang Lun; scenografia: Cao Juiping, Dong Huamiao; costumi: Huang Lihua; musiche originali: Naoki Tachikawa, Zhao Jiping; montaggio: Du Yuan; suono: Li Lanhua; interpreti*. Gong Li (Son glìan), He Caifei (la terza moglie), Kong Lin (Ya), Ma Jingwu (Chen), Cao Cuifcn (la seconda moglie), Zhao Qi (il capo della servitù), Shuyuan Jin (la prima moglie), Wcimin Ding (la madre di Songlian), Zhengyin Cao (la vecchia serva), Cui Zhihgang (il dottor Gao), Xiao Chu (Feipu); piodotto da. Chiu Fu-Sheng; produzione: Century Com­ munications, China Film Co-Production Corporation, ERA International, Salon Films; distribuzione italiana: Mikado Distribuzione; origine: Re pubblica Popolare Cinese, Hong Kong, Taiwan; durata: 125’

Nord della Cina, primi anni Venti, fc estate: in seguito alla mor­ te del padre, la giovane e bella Songlian è costretta ad abbando­ nare l’università per sposarsi con Chen, un ricco proprietario ter­ riero che ha già sposato tre donne, ognuna delle quali vive in un’a la dell’enorme palazzo di famiglia. Yuru, la “prima signora", è la

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moglie (bilia quale Chen ha avuto il primo figlio maschio: la don­ na è anziana e si mostra ostile verso Songlian. Zhuoyun, la “se­ conda signora", ò una donna semplice di mezza età. che accoglie Songlian calorosamente, come una sorella maggiore. Meishan, la “terza signora”, un tempo celebre cantante lirica, non riceve la nuo­ va venuta, motivando questo rifiuto con un malore. Nel palazzo ogni attività è regolata da un rigido cerimoniale che prevede, tra l’altro, l’ostensionc di lanterne rosse nel cortile della casa della con­ cubina con la quale il padrone ha scelto di trascorrere la notte e un massaggio ai piedi con specifici martelletti il cui suono si pro paga per tutto il palazzo. A Songlian viene assegnata una giovane serva, Ya, che si era illusa di poter diventare la quarta concubina. La prima notte di nozze di Songlian viene interrotta dalla “terza si gnora" che reclama la presenza di Chen per un nuovo malore. È solo uno stratagemma per allontanare l’uomo dalla giovane con­ cubina: nei giorni seguenti Songlian capisce di essere vittima di una congiura implicita, ordita delle altre concubine al fine di sottrarla alle attenzioni del marito, e che nessun espediente è escluso per accaparrarsi i favori del padrone. Scopre anche che la “seconda si­ gnora" trama alle sue spalle servendosi di Ya (nella stanza della serva trova una specie di fantoccio vudìi con le proprie iniziali) c che Meishan intrattiene una relazione adulterina con il medico di famiglia. Fa la conoscenza di Fetpu, primogenito di casa Chen e suo coetaneo, che le dimostra la propria simpatia. In autunno Son­ glian annuncia di essere incinta: il marito è al settimo cielo r or­ dina che le lanterne rimangano accese nel suo cortile giorno e not­ te. In realtà la giovane fìnge la gravidanza per poter avere il ma­ rito accanto a sé e accrescere le possibilità di avere un figlio: po­ co tempo dopo lo stratagemma viene scoperto c le lanterne co­ perte con dei drappi neri. Per vendetta, Songlian accusa Ya di aver tenuto accese alcune vecchie lanterne nella sua stanza: la ragazza, inginocchiala nella neve, preferisce lasciarsi morire di freddo pint tosto che chiedere perdono. È inverno: il giorno del proprio com­ pleanno Songlian decide di ubriacarsi per dimenticare le proprie angosce. Stordita dall’alcol, rivela involontariamente la relazione tra la “terza signora" c il medico a Zhuoyun, che avverte immediata­ mente Chen. Meishan viene impiccata in una stanza sul tetto del palazzo. Durante la notte Songlian accende le lanterne nella pro pria casa c in quella di Meishan, facendo risuonare i cortili del pa­ lazzo della voce di questultima incisa su un disco, fe nuovamente estate e giunge al palazzo una giovane, la quinta moglie di Chen. Mentre si celebra il matrimonio, Songlian vaga, ormai impazzita, per i cortili della casa.

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Lanterne russe è quello che a ragione si può definire come un vero c proprio “caso” cinematografico della stagione 1991 9'2. I dati degli incassi del film nelle sale italiane sono sor­ prendenti: con circa 373.000 spettatori e un incasso di oltre tre miliardi di lire, Lanterne rosse è il quarto film della stagione. Soffermarsi su dati esclusivamente quantitativi, che ben poco ag­ giungono al valore intrinseco del film, non è inutile, dato che con Lanterne rosse il cinema cinese e, in senso più ampio, quello orientale - esce dallo spazio prestigioso ma limitato del­ le vetrine dei festival internazionali per farsi conoscere da un pubblico decisamente più vasto. Gli ingredienti di questo ex pioti sono diversi: sicuramente la scoperta di un’interprete affa­ scinante come Gong Li che, staccandosi dalla rappresentazione della donna cinese radicata nell’immaginario collettivo occiden­ tale, riesce a catalizzare su di sé e sul regista (suo compagno nella vita) l’attenzione della stampa; una rappresentazione ac­ cattivante della Cina pre-rivoluzionaria, altrettanto inconsueta quanto l’immagine femminile proposta dall'interprete principale; infine, il Leone d’argento vinto al Festival di Venezia del 1991. Il contributo del regista taiwanese Hou Ilsiao-lisien, in qua­ lità di produttore esecutivo del film, è probabilmente uno degli elementi che contribuiscono a mitigare le “intemperanze stilisti­ che” di Zhang c a fare di lanterne rosse un film eccezionalmente equilibrato, al quale la critica e il pubblico occidentali possono guardare senza quel senso misto di curiosità e diffidenza che con nota da sempre l'approccio alle cinematografie orientali. A pro­ durre la pellicola è la Era International del taiwanese Chiù Fusheng. lanterne tosse nasce infatti nel solco di quella che sulla distanza appare come una vera c propria strategia produttiva. So­ lo due anni prima, Città dolente (un film di Taiwan prodotto prò prio dalla Era di Chiù e diretto guarda caso da Hou Hsiao-hsien) aveva vinto il Leone d’oro al Festival di Venezia, facendo da apri­ pista a una vera e propria invasione di film dall'Estremo c dal Vicino Oriente nel corso degli anni Novanta: film d’autore di al­ tissima qualità che, puntando direttamente ai festival piti impor­ tanti, riusciranno a scavarsi una propria nicchia all’interno dei mercati cinematografici occidentali. A conferma di questa tendenza nel 1993 la Era produrrà anche II maestro burattinaio, ancora di Hou, che vince il Premio della Giuria a Cannes, e Vivere/ di Zhang, vincitore del Premio speciale della giuria e del Premio ecumenico della giuria sempre a Cannes. 138

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Il film c rigoroso, a tratti perfino severo; l’uso della maccliina da presa è disciplinato da una serie di precise .scelle for mali (la libertà compositiva di Sorgo rosso e lo stile ridondante di Ju Dou appaiono lontani), segno di una piena padronanza del mezzo che non va ostentala. Ciò cui sembra ispirarsi Zhang c la più classica e occidentale delle regole di composizione drammatica, quella aristotelica “delle tic unità”: I’ambientazione, interamente risolta all’interno della cerchia chiusa delle mura del palazzo (un complesso architettonico risalente alla dinastia Qing), il compimento tragico del destino della protagonista, Par­ co di tempo di un anno nel quale si risolve la vicenda sono gli elementi che fanno di Lanterne rosse un film di straordina­ ria compattezza. In questo Zhang è sicuramente aiutato dalla struttura del racconto c dallo stile narrativo adottato da Su Tong per il racconto Mogli e concubine, dal quale è tratta la sceneg­ giatura del film. Lo scrittore si affida unicamente alla descrizio­ ne dei fatti, delle atmosfere, degli elementi apparentemente più banali della storia (che va a costruire un sottotesto simbolico di grande forza evocativa) senza mai cadere in un inutile psicolo­ gismo o, peggio, nel moralismo. Così, se le composizioni asim­ metriche, le inquadrature fortemente angolate, le scelte croma­ tiche di Ju Dou restituivano il senso di una serie di conflitti con­ tinuamente rimandati, deviati, rifratti dal contesto morboso del la vicenda, in Lanterne rosse sono le regole, le leggi della tra­ dizione, i cerimoniali a dominare e a esigere una solennità del­ lo sguardo, una staticità delle inquadrature che costruiscono una dimensione al cui interno i personaggi agiscono automatica mente, obbligati a seguire un copione del quale s’è ormai di­ menticato il nome dell’autore ma che si continua a recitare in virtù di una forza .suj>eriore. I.a dimensione della rappresentazione pervade il film a più livelli: gli assurdi cerimoniali che precedono ogni attività all’in temo della casa sono il simbolo di un potere che per restare in vita deve necessariamente mettere in scena se stesso, se­ guendo rituali rigorosamente prestabiliti onde evitare la possi­ bilità di un cambiamento che ne metta in discussione la legit­ timità. La rappresentazione riguarda tanto la vira sociale all’in temo del palazzo quanto la sfera privata di ogni membro del­ la famiglia. Una vera e propria dimensione privata è assente, dato che, anche ciò che di più intimo esiste (la vita affettiva e sessuale) è sottoposto a una precisa procedura che ne sancisce

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l’opportunità e che, riducendolo a una dimensione rituale, met te al riparo il sistema da pericolose scelte personali del singo­ lo. Durante la sua prima notte di nozze, ad esempio, Songlian chiede a Chen di spegnere le numerose lanterne che sono sta­ te accese nella sua stanza da letto per poter godere di mag­ giore intimità: la risposta del marito è quella di chi vede anche nell’atto sessuale un momento della rappresentazione del pro prio potere. Le lanterne accese nella loro stanza non sono for­ se le stesse che al calare del sole, innalzate di fronte alla soglia di una delle case, hanno indicato la concubina prescelta? 11 lo­ ro incontro non è forse stato preceduto da un rituale comples­ so almeno quanto quello dell'accensione delle lanterne (il la vaggio e il successivo massaggio dei piedi con martelletti il cui suono ticchettante si è diffuso per tutto il palazzo)? Come c pos­ sibile, dunque, che il momento conclusivo e culminante di un cerimoniale tanto articolato possa essere sottratto alla visione pri­ vilegiata di colui che ne ha ordinalo la messa in scena? le lanterne sono, così, una delle componenti essenziali di questa rappresentazione orchestrata dal potere, e la loro inven­ zione (sono intatti assenti nel romanzo di Su Tong), è proba­ bilmente una delle più intelligenti di Zhang: Fautore non si li­ mita semplicemente a sfruttare l’impatto visivo che questi og getti esercitano (ini l’alno, riuscendovi benissimo) ma nc fa dei catalizzatori di una serie di significati compiessi, altrimenti dif­ ficilmente illustrabili. Il complicato cerimoniale di accensione c spegnimento delle lanterne sta a indicare tanto il privilegio del le concubine nell’essere prescelte quanto la precarietà di tale privilegio. In una delle sequenze in cui tutte le mogli sono riu­ nite ad attendere di conoscere chi tra loro è stata designata, la grossa lanterna che verrà posta di fronte alla porta di uno dei quattro cortili appare, trasportala da un servitore, su un’alta ba­ laustra e, dopo aver attraversato lutto il campo visivo, scompa­ re per qualche secondo per giungere a destinazione, come un simbolo del potere divino che scende dal cielo sulla terra. Per­ ché le lanterne siano desiderale, così come il massaggio ai pie­ di e tutti gli altri vantaggi che porta l’essere prescelta, è ne­ cessario che vengano occultate ogni mattina per essere “rimes­ se in gioco” tra le contendenti, per essere riconsegnate a quel potere che arbitrariamente deciderà in quale cortile andranno accese. Associate al massaggio ai piedi, esse funzionano anche quando sono assenti, come dimostra una sequenza nella quale

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vediamo tanto Songlian quanto Ya provare un senso di frustra­ zione nell’udire il suono dei martelletti giungere dalla casa di una delle altre mogli. Proprio per tentare di supplire a questa assenza la protagonista chiederà alla sua cameriera di farle un massaggio ai piedi, mentre quest’ultima, dopo aver acceso nel la propria camera alcune vecchie lanterne rammendare, si met­ terà nella posizione di colei che è pronta a ricevere il massag­ gio. Una finzione innocente quella di Ya, un tentativo di rico­ struire surrettiziamente la scena al centro della quale ha sognato di essere, un'ulteriore prova del l’importanza dell’atto della rap presentazione all'interno della storia. Lì centralità delle lanterne all’interno dell’economia rappre­ sentativa emerge con ancora più forza proprio quando viene ordinato che vengano coperte, rivelando una propria valenza negativa, divenendo segno non già di un privilegio ma di un’in­ famia. La decisione di coprirle all’indomani della scoperta del­ la fìnta gravidanza di Songlian non è un ano estemporaneo, det­ tato dall’ira, ma un cerimoniale altrettanto studiato di quello del­ l'estensione, previsto da chissà (piale norma del codice di casa Chen. Le lanterne, dunque, possono assumere un doppio si gnificato, hanno una valenza opposta cd è ancor più significa­ tivo che nella loro veste negativa vengano lasciate appese nel cortile come segno di disonore allo stesso modo in cui sareb­ bero state lasciate accese “giorno e notte in segno di longevità”, come puntualizza uno dei servitori, quando Songlian annuncia di essere incinta. Affinché la struttura simbolica possa dimostrare tutta la pro­ pria coerenza serve una conferma ulteriore: allorquando Songlian decide di vendicarsi di Ya mostra alle altre mogli le lanterne che la serva conservava nella propria stanza per nutrire la propria il lusione di essere una signora. Quando una dello mogli le fa no­ tare che le sue lanterne sono state appena coperte con dei drap­ pi neri e che la sua vendetta non fa altro che mettere in evi­ denza la sua piccineria, Songlian risponde: -Ma sono ancora una signora [...] io resto sempre una signora, e una serva una serva-, quasi a voler ribadire che le lanterne, coperto o no, sono pur .sempre il segno di una condizione supcriore, magari disonorata, ma pur sempre privilegiata. In questo modo Songlian accetta il proprio ruolo che, seppur negativo, è comunque integrato nel si­ stema, ed è forse il primo passo verso l’annullamento definitivo nella follia del finale, anche questa sancita, quasi “certificata”, dal 141

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potere: -Tu non hai visto nulla. Sei pazza... tu sci diventata paz­ za* è la risposta di Chen a Songlian che lo accusa di essere un assassino. La sequenza precedente, quella in cui la protagonista scopre il cadavere di Meishan, è l'unica in cui Zhang utilizza una soggettiva, per di più girala con la camera a spalla, staccandosi significativamente da una serie di scelte di ripresa fino a quel momento all’insegna del più assoluto rigore, da una visione im­ personale e distaccata, assumendo per la prima volta lo sguardo partecipante di Songlian, cosciente anche solo per un momento dell’orrore che regna nella casa. •Nel film esistono solo le "quattro signore” e il “padrone”. I loro veri nomi vengono delti ma non sono quasi mai usati. So­ prattutto, non vengono mai usati nelle fonnule di rito, nei ri­ tuali sociali che si compiono aH’interno della casa-16. Dal mo­ mento del suo ingresso nel palazzo Songlian viene immediata­ mente assimilata alla famiglia attraverso la privazione del nome proprio, un atto che è una sorta di annullamento dell’ideniìtà: gli appellativi “quarta signora”, “terza signora", e così via suo­ nano come indicatori di elementi simili, immediatamente rim­ piazzabili nel momento in cui ve ne fosse la necessità (cosa che nel film accade puntualmente). E ciò non è solo da inten­ dersi nel senso più ovvio e immediato, quello di una casa-ha­ rem al cui interno l’uomo può scegliere con quale delle con­ cubine trascorrere la notte, ma anche in senso definitivo e as­ soluto, cioè quello dcU’eliminazione fisica di uno dei compo­ nenti del nucleo familiare. È la struttura stessa del palazzo a suggerire tale prexesso di omologazione: per quanto lussuose siano le dimore delle varie consorti, in fondo si traila di luo­ ghi abbastanza anonimi, a guardare bene addirittura ideniici nel­ la loro fissa modularità. I particolari d’arredo che segnalano la personalità dell'una o delfaltra moglie (nella casa della “prima signora", ad esempio, campeggia un altare votivo) non riesco­ no a nascondere che si tratta comunque di ambienti identici, o addirittura dello stesso ambiente, di volta in volta arredalo am suppellettili diverse a seconda della figura che vi deve appari­ re, proprio come un palcoscenico, sempre uguale a se stesso quando è spoglio c ogni volta preparato in maniera diversa per la messa in scena di una nuova recita, così come fa intendere 16. Alberto Crespi, Lanterne rosse, -Cinefonim-, n. 311, gennaio-febbraio 1992, p. 56.

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Analisi dei film

Songlian quando, invitata a casa di Meishan, afferma: -Si vede che eri una cantante: sembra un palcoscenico questa casa-. Diviene così plausibile l’ipotesi die lanterne rosse narri non tanto della lotta tra quattro donne (cinque se vi si indude Ya), tiensì di un’unica donna nelle quattro fasi della sua vita, in ognu­ na delle quali è calpestata dal potere maschile. La narrazione, scandita da scritte rosse su fondo nero che indicano lo .scorrere del tempo attraverso il succedersi delle stagioni (estate, autunno, inverno), manca, .significativamente, proprio della primavera, ov­ vero la “più giovane” delle stagioni, così come la più giovane tra le quattro signore è Songlian. La figura di Chen, invece, po­ trebbe essere definita come qualcosa di simile a ciò che Michel Chion definisce una presenza -acusmatica-17, ovvero una voce che esiste e conta tanto più nei film proprio perché non possiamo abbinarla a un volto, a un immagine umana: è una voce disin­ carnata, astratta, dis-umana, tanto che -Chen potrebbe benissimo essere anch’egli un quadro, come quelli degli antenati, appicci­ cati al muro-18, dotata del dono dell’ubiquità attraverso cui con­ trollare le reazioni delle donne anche quando è assente. La cancellazione del nome è solo il primo passo di una pro­ gressiva opera di isolamento del soggetto all’interno di un mon­ do che non prevede contatti con l’esterno. Questa dimensione nel film non compare, se non nella sequenza che fa da pro­ logo alla vicenda e in vaghi accenni ai viaggi del padrone e di Feipu in città, e se di quella realtà rimanesse anche soltanto un ricordo, pure quello dovrà essere cancellato. Come sottoli­ nea Hubert Niogret19, l’incontro tra Songlian e Feipu, figlio di Chen e della prima moglie, coincide con l’annullamento del passato della protagonista attraverso la sottrazione e la distru­ zione del flauto che le era stato donato da suo padre. Chen fa bruciare l’oggetto perché pensa che si tratti del “dono di uno studente1’, dunque una sorta di pegno d’amore; ma uno stu­ dente è anche Feipu che, pure, sa suonare il flauto20. Non c’è, 17. Michel Chion, La voce nel cinema. Pratiche, Parma 1991, pp. 9-46. 18. Alberto Crespi, Lanterne russe, cit., p. 56. 19. Hubert Niogret, Rouge, noir et hlanc, -Positif-, n. 371, gennaio 1992, p. 35. 20. Nel suo saggio La musica di lanterne rosse GScgnocinema-, n. 59, gennaio-febbraio 1993, pp. 7-10), Chiara Saccheggiarli fa notare a sua volta che il suono del flauto ò legato a «tre momenti di eva­ sione della protagonista-: quando estrae il flauto dalla valigia per

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dunque, solo la cancellazione del passato della protagonista (il ricordo del padre e il rimpianto per una vita diversa), la ne­ gazione di ogni contatto con il mondo esterno (l’università, la vita normale di una snidentessa), ina anche l’impossibilità di un’evoluzione della storia in una direzione che è invece pre­ sente nel romanzo: qui tra Songlian e Fcipu nasce un forte sen­ timento (che sfocia in un tentativo esplicito di seduzione del giovane da parte della donna), che nel film è invece totalmente assente, quasi che Zhang abbia voluto indicare con maggiore forza la solitudine della protagonista, l’ineluttabilità del suo de­ stino, l’impossibilità per la stessa struttura del racconto a tro­ vare opzioni drammatiche diverse da quelle del motivo centra­ le della narrazione. F. evidente che Songlian, a differenza delle altre protagoniste dei primi film di Zhang, è un personaggio costretto a vive re in maniera falsata, traslala o a non vivere affatto le proprie emozioni e i propri desideri, proprio come avviene per chi agi­ sce all'iniemo di una messa in scena. Vari sono i rimandi nei dialoghi alla vita nella casa in quanto rappresentazione, e la presenza di un personaggio come l’ex cantante lirica Meishan, legala al mondo dello sj>ettacolo, è quanto meno significativa. In un colloquio tra Songlian c la “terza moglie”, quest’ultima af­ ferma; -Bene o male tutto è rappresentazione. Se reciti bene in­ ganni gli altri, se reciti male inganni te stessa, se non sai in­ gannare neanche te stessa non ti restano che i fantasmi-, e Son­ glian sembra cogliere al volo il suo consiglio quando decide di mettere in scena la fìnta gravidanza: in fondo, per quanto ap parentemente infruttuoso, il suo tentativo riesce a inceppare il meccanismo, lo mette in moto inutilmente, mostrando quanto sia inefficace nella sua complessa ritualità. Il palazzo della famiglia Chen è lo scenario unico, lo sfon­ do impernirbabile delle vicende narrate, uno spazio metafisico, pressoché disabitato, un labirinto di cortili comunicanti attra­ verso una teoria inesauribile di padiglioni, portali, corridoi che osservarlo, neirincontro con Feipu che sta suonando proprio uno strumento simile, quando si risveglia dalla sbornia che le lui fatto rivelare il tradimento della "terza signora”. Tale saggio è davvero interessante perché, come recita la motivazione del Premio Segnocinema 1992, «analizza la funzione di un elemento solitamente tra­ scurato quale la colonna sonora nella determinazione del senso e del fascino di uno dei film più interessanti della scorsa stagione-.

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Analisi cittì film

alludono all'altrettanto interminabile serie di regole c cerimoniali cui i suoi abitanti devono sottostare. L'immobilità ostentata del­ la macchina da presa non fa che esaltare questa dimensione astratta, teatrale, dalla quale la vira (come la primavera) sembra aver preferito allontanarsi: -Questo aspetto della cultura tradizio­ nale cinese, questa pressione, non può che essere espressa che attraverso dei piani statici e non attraverso dei movimenti di macchina-21. lanterne tosse è dunque uno di quei film (come ad esempio, L'anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, pur se con esiti diversissimi) nei quali -macchina-cinema c machine à habiter si “attivano” a vicenda: lima mette in funzione Pallia, in un gioco di '‘relais” tra cadrages filmici e récadrages architettonici L.J-22 che, nel nostro caso, rendono evidente come il comples­ so architettonico, il sistema patriarcale e la costruzione narrativa del Rim siano tre strutture che, riflettendosi l una nell’altra, rie scono a rendere astratto c al tempo stesso tangibile il senso del racconto (si pensi alle cornici formate dalle porte disposte rigo­ rosamente per linee ortogonali che isolano e circondano i per­ sonaggi “asfissiando” l’inquadratura di particolari arclùtettonici). Conte in Ju Dou. difatti, ritornano le riprese della casa dal­ l’alto. ma a differenza di quel film l’immagine non indica il sot­ trarsi dello spazio domestico allo sguardo della società, non de­ limita il campo allintcrno del quale nascono le deformità ge ncratc da un sistema perverso sulle quali si posa lo sguardo da entomologo del regista pronto a coglierne gli aspetti più para­ dossali. Il senso di queste riprese panoramiche del palazzo Chen diviene chiaro nella sequenza che chiude il film. Si tratta di una serie di inquadrature in dissolvenza incrociata che, partendo da un primo piano, si allontanano progressivamente da Songlian (ormai in preda alla follia, la giovane vaga nel cortile della pro­ pria casa), andando a inquadrare porzioni sempre più ampie del complesso architettonico. L’effetto di sovrimpressione otte­ nuto grazie alla dissolvenza c il progressivo rimpicciolirsi del soggetto rispetto alla costruzione riescono a fotografare in un’im magine il meccanismo con cui la protagonista s’è dapprima scon­ cata, che ha tentato di aggirare per finirne accerchiata e, infi­ ne, schiacciata. 21 Jean-Paul Aubert, Deux tournages en Chine. Le retour des enfants prodiges, -Cahiers du cinema-, n. 442, dicembre 1990, p. 87. 22 Antonio Costa, Il cinema e le arti uisitje, Einaudi. Torino 2002. p. 108.

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T.a censura si abbatte ancora una volta su Zhang e il desti­ no di Lanterne rosse è lo stesso di Ju Dou. Intervistato durante le riprese il regista aveva affermato: Scegliere soggetti ambientati prima del 1949 mi permette di ave­ re più libertà, senza abbordare direttamente temi come quello della democrazia. Se volete affrontare in maniera troppo diret­ ta un problema politico nel vostro film, non avrete alcuna pos­ sibilità di realizzarlo23.

È evidente che ciò non bastò ai censori che probabilmente seppero leggere nel film un’allusione ai fatti di piazza Tienan­ men in quella raffigurazione del potere come entità oscura e chiusa tra le mura di un palazzo che opprime, guarda caso, proprio una studentessa universitaria.

Za storia di Qiu Ju (Qiu Ju da guati si. 1992) 35 mm; regia: Zhang Yimou; soggetto: da un romanzo di Chen Yuanbin; sceneggiatura: Liu Heng; fotografia (co lore): Citi Xiaoning, Lu Hongyi scenografia: Gao Juiping; costumi: Tong Huamiao; musiche originali: Zhao Jiping, montaggio: Du Yuan; suo­ no: Hong Yi; interpreti. Gong Li (Qiu Ju), Liu Peiqi (Wan Qinglai), Yang Liuchun (Meizi), Lei Laosheng (il capo villaggio), Ge Zhijun (Li), Zhu Wanqing, Cui Luowen, Yang Huiqin, Wang Jianfa, Lin Zi, Ye Jun, prodotto da. Feng Yiting, Kwok Ma Fung; produzione: Sil-Metropolc Organization, Youth Film Studio of Beijing Film Academy; distribu­ zione italiana: BiM Distribuzione; origine. Repubblica Popolare Cine­ se, Hong Kong; durata. 100’

In uno sperduto villaggio di montagna situato nel nord della Cina, un caso giudiziario rischia di inficiare la tranquillità e la pa ce sociale di una piccola comunità contadina. Qiu Ju, giovane don­ na incinta del primo figlio, vuole ottenere giustizia dopo che il capo villaggio, Wang Shantang, ha malmenalo il marito Qinglai (ri­ filandogli un calcio nei testicoli e mettendone a rischio la virilità), perché quest’ultimo lo aveva deriso. La piccola disputa di paese potrebbe risolversi con il pagamento delle spese mediche di Qin glai da parte di Wang (è questo il compromesso stabilito dall’a­ 23. Jean-Paul Aubert, Deux tournages en Chine. Le vetour des enfants prodiges. cit., p. 87.

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Analisi dei film

gente di polizia Li Shunlin) se non fosse che il capo villaggio, nel momento di consegnare il denaro a Qiu Ju, getta i soldi per ter­ ra per costringere la donna incinta ad inginocchiarsi di fronte a lui. Offesa daH’affronio, Qiu Ju decide di dare inizio ad una vera e propria battaglia legale finché non avrà ottenuto le scuse da Wang. Si rivolge prima al commissariato del distretto, poi, non contenta, decide di andare in città per presentare un altro ricor­ so. Qui, Qiu Ju appare per quello che è: una contadina analfa­ beta che cerca di orientarsi in un luogo caotico c del tutto sco­ nosciuto. A nulla valgono, nel frattempo, i tentativi di accomoda­ mento amichevole che l’agente Li, il padre di Qiu Ju e lo stesso Qinglai sottopongono alle due parti; ormai la partita è una que­ stione personale tra Qiu Ju e Wang. I viaggi in città, intanto, di­ ventano sempre più numerosi e mettono a rischio la stessa eco nomi» familiare, basata sulla vendita di peperoncini: il primo viag­ gio non sortisce alcun effetto, visto che la sentenza del funziona­ rio della pubblica sicurezza aumenta di soli 50 yuan l’entità della ricompensa; nel secondo, Qiu Ju chiede ulteriori spiegazioni al pubblico ufficiale per una decisione che ritiene ingiusta e questi le consiglia di rivolgersi direttamente in tribunale, affidandosi al­ l'esperienza di un avvocalo; durante il terzo viaggio, il giorno del processo, la donna scopre con disappunto che il suo difensore ar­ ringa contro il funzionario c non contro il capo villaggio (per leg­ ge è costretto ad accusare il pubblico ufficiale più alto in grado), costringendo la donna a richiedere l'ennesimo appello. Il quarto viaggio, però, è di turt'akro genere: nel corso delle celebrazioni per il capodanno, la ragazza inizia il travaglio e Qinglai si vede costretto a chiedere aiuto a Wang e ad altri uomini del villaggio, per trasportarla nell’ospedale cittadino. La nascita di un bel figlio maschio sembra placare pertanto ogni conflitto tra i due litiganti, tanto che Qiu Ju, riconoscente per l'aiuto disinteressato offerto da Wang, lo invila quale ospite d’onore alla prima festa del bambi­ no. Tuttavia la giustizia, seppur in colpevole ritardo, ha compiu­ to il suo corso: dopo un attento riesame del caso, scoperta da una vecchia radiografia la rottura di una costola di Qinglai, il tri­ bunale ribalta il primo giudizio e stabilisce Tarresto del capo vil­ laggio che avviene proprio durante la festa organizzata da Qiu Ju. A nulla vale un'ultima, disperata corsa della donna per fermare l’arresto. La storia di Qiu Ju segna, probabilmente, l’apice della fama di Zhang. Il film vince a Venezia nel 1992 il leeone d'oro, non­ ché la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, 147

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accrescendo ulteriormente il già cospicuo numero di riconosci­ menti ottenuti da Zhang in soli quattro anni di carriera. In ef­ fetti, la velocità con cui egli ha imposto il proprio nome all’inlemo del panorama intemazionale è insolita: critica, pubblico (non solo d’essai), giurie sono pressoché d’accordo nel consi­ derarlo uno dei giovani registi di maggior talento presenti sul la scena. E il nuovo film avvalora tali attestazioni favorevoli “no­ nostante” 7x: stona di Qiu Ju rappresenti il rovesciamento di tut­ te le sue esperienze produttive precedenti. È questo il dato che, a distanza di anni, sorprende maggiormente, visto che molte vo ci si erano alzate in Cina per tacciare Zhang di girare film so­ lo per gli stranieri. la pellicola, invece, non sfrutta nessuno dei cliché considerati necessari per Posporlazione: esotismo, eroti­ smo, ricostruzione di un passato ancestrale e suggestivo, uso massiccio di simboli universalmente codificabili, una serie di contrassegni che Zhang Yimou si lascia alle spalle dopo Lan­ terne rosse e che solo in parte riprenderà nella successiva pro­ duzione. 1 miei film precedenti - spiega il regista - erano molto più co­ struiti, più astratti, più simbolici. I...1 La storia di Qiu Ju è Top posto [...1 L’ho fallo di proposito. Quando ho progettato que­ sto film mi sono guardato indietro e ho pensalo a quanto ave­ vo già fatto per fare il contrario. Come i due lati di una mano: sono completamente differenti24.

La similitudine scelta dal regista è senz’altro indovinata per ché, in effetti, a prima vista la storia di Qiu Ju sembra pro­ grammaticamente pensato per essere il contrario speculare di lanterne rosse. Se il primo si basa sulla tragedia di una donna, Ira una matrice teatrale, è circoscritto all'interno di uno spazio claushofobico ed è imperniato sull’unità di luogo, il secondo trasforma la tragedia in una commedia a sfondo sociale, cerca di abbattere tutti i filtri finzionali per raggiungere il più allo tas so di realismo possibile, fa deH‘apertura degli spazi e della mol­ teplicità dei luoghi filmici uno dei perni della narrazione. Al contrario di Lanterne rosse, questo film artiglia le vicende di Qiu Ju alla contemporaneità, si fonda su una recitazione namrale, 24. Robert Sklar, Becoming a Part of Life: An Interview with Zbang Yi­ mou. in Frances Gateward (a cura di), Zbang Yimou Interviews, cit., P- 32.

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nel dialetto locale25, assegna un ruolo secondario all’allegoria e predilige una fotografìa anticspressiva. Anche nella raffigurazio­ ne della protagonista troviamo forti contrapposizioni: Songlian non riesce ad avere un bambino mentre Qiu Ju è incinta, la prima è in una posizione di emarginazione sociale, mentre la seconda è pienamente inserita all’interno della propria comu­ nità, laddove una è curata, acculturata, intelligente, scaltra c dal­ la personalità complessa, l’altra è povera, analfabeta, ignorante, ingenua, semplice. Una linea così nella di demarcazione tra i due film nascon­ de in realtà un paradosso: la continuità innegabile dei temi, del­ lo stile, delle idee e perciò del jxircorso artistico del cineasta. La storia di Qiu Ju si presenta come un’opera realistica: se­ quenze girate con la cinepresa nascosta, uso di attori non pro­ fessionisti (gli unici ruoli affidati a interpreti sono quelli di Qiu Ju, Qinglai, Wang e dell’agente Li) per evitare una recitazione artefatta e innaturale, predominanza dei piani lunghi o lunghis­ simi per afferrare la maggior “porzione di mondo” possibile (in particolar modo nelle sequenze ambientate in città), prevalenza della focalizzazione interna (narratore, spettatore, protagonista sono al corrente delle medesime informazioni) in modo da ma­ scherare il più possibile la presenza demiurgica del cineasta. Zhang mira a trasporre il senso di autenticità della vita - una caraneristica che il regista attribuisce principalmente al mondo contadino - auraverso uno stile spontaneo, realistico, che cer ca di eliminare tutti gli artifici tipici della ricostruzione cinema­ tografica26 e che, perciò, rinuncia a qualsiasi immagine forte, simbolica, stratificata. 25. Tutti gli alluri, professionisti e non, recitano nel dialetto dello Shaanxi. Spiega Zhang: -Per poter girare questo film dovevo cono­ scere alla perfezione i luoghi dove avremmo giralo. Così l’ho am­ bientato nella regione in cui sono nato e cresciuto. Qui jjotevo en­ trare davvero in relazione con la gente di cui conosco il dialetto(Michel Cimenr, Poser les questions, -Posili!-, n. 382, dicembre 1992, p. 35). In effetti, la location del film si trova a pochi chilometri dai luoghi in cui Zhang ha lavoralo come contadino nel corso della Rivoluzione culturale, esperienza die è tornata utile nel periodo delle riprese soprattutto per la resa convincente della vita di cam­ pagna. 26. 11 regista non esita a descrivere minuziosamente, nel corso di mol­ te interviste, il metodo eli lavoro adottato: i giorni e le noni pas saie a nascondere la cinecamera in furgoni parcheggiati in luoghi

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Questi minuziosi procedimenti di realismo, tuttavia, non riescono a mascherare un controsenso filmico die già Al­ berto Crespi notava, dalle colonne di -Cinefonim-, quando il film era ancora nelle sale: Tutto ciò (il realismo del film, il cambiamento rispetto a Lan­ terne rara?, n.d.a.ì è vero, onesto, encomiabile e al tempo stes­ so falso. Perché Zhang ha proseguito, senza darlo a vedere, nel­ la sua carriera di cineasta raffinatissimo e totalmente artefatto nel senso etimologico del termine, -fatto con arte- - confezio­ nando un altro film di assoluta perfezione, limpido come un diamante. Solo, nello sfaccettarlo, ha cambiato totalmente la tec­ nica di lavorazione. I.’ha lasciato fintamente grezzo, salvo sve­ larne, nel finale, la purezza27.

Al di là dell’entusiastico trasporto, Crespi coglie la chiave di volta della partitura z.hanghiana: la finzione dello stile, la cali brata ricercatezza di ogni inquadratura neorealista, solo all’ap parenza “rubata” alla vita. Ad un’analisi più approfondita, ci si accorge, infatti, che tutte le inquadrature sono meticolosamen­ te calcolate, la sceneggiatura, i dialoghi, le rappresentazioni dei luoghi sono rigide tanto quanto erano schematiche, geometri­ che, precise e mai improvvisate le sequenze di Lanterne rosse, come se Zhang, per raggiungere il più altro grado di realismo, avesse bisogno di avere sotto controllo ogni minimo dettaglio, di possedere letteralmente la realtà. Nulla dunque succede per caso, anche se questa dovrebbe essere la sensazione provala dallo spettatore. Si pensi ad esempio alla disposizione dei per­ sonaggi nelle scene ambientate nella piccola comunità monta­ na: qui protagonista e antagonista subiscono un’interessante quanto sintomatica esclusione dal centro del quadro, quasi costrategici della città e ad aspettare la giusta illuminazione per la ri­ presa, la diffìcile scelta degli attori non professionisti, il tempo ne­ cessario alla troupe per acclimatarsi nel villaggio, c quello essen­ ziale per gli abitanti per abituarsi alla presenza della stessa troupe, il lungo periodo trascorso dagli attori nella regione prima dell’ini­ zio delle riprese con lo scopo di imparare il dialetto e compren­ dere meglio gli usi e costumi del luogo. Cfr. Michel Cintenl, Poser les questions, -Positif-, n. 382, dicembre 1992; Mayfair Mei-hui Yang, Of gender stale censorship, and overseas capital: an interview with Chinese director Zhang Yimou, -Public culture-, V/2, 1993. 27. Alberto Crespi, La storia di Qiu Ju, -Cinefonim-, XXXTT1/321, gen­ naio-febbraio 1993, p. 74.

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ine se non fossero loro i poli opposti del conflitto. Il capo vil­ laggio e rappresentato in modo assolutamente antiretorico, sen­ za che il suo status di potente sia rimarcato dall’angolatura del le riprese o da una posizione predominante sulla scena rispet­ to ad altre figure; al contrario egli è spesso situato in una po­ sizione defilata o occupato in attività umili (mentre mangia se­ duto in un angolo della stanza, intento a fare compere al mer­ cato, mentre lavora in un’azienda agricola). Qui Ju subisce un analogo procedimento, accentualo dal fatto che la protagonista, in quanto donna, è costretta alTesclusione dai luoghi di deci­ sione e quando parla con un interlocutore gli sta sempre a de­ bita distanza senza guardarlo mai negli occhi: sul versante del­ la costruzione figurativa Qiu Ju non ha diritto a quasi nessun primo piano, è spesso in secondo piano o, in taluni casi, fuo­ ri campo. Nel corso delle sequenze “rurali”, il centro delle in­ quadrature è, invece, uno spazio indifferenziato nel quale le li­ nee di fuga prospettiche non convergono su un oggetto o, peg­ gio, su un personaggio. La scelta non è dettata solo da un prin­ cipio di realismo, ma serve a tradurre in immagine la natura paritaria della comunità in cui vive Qiu Ju: nel villaggio vige una giustizia c un sistema di relazioni interpersonali orizzonta­ le, i conflitti hanno luogo ma senza che essi intacchino la strut­ tura sociale o i cardini della convivenza civile quali la solida rietà tra i suoi membri, la fratellanza, il rispetto dei ruoli all’in­ terno della comunità. Non appena Qiu Ju esce dal paese, la sua rappresentazione cambia sia in termini di posizionamento al­ l’interno dell’inquadratura, sia per quanto riguarda le scelte di campo adottale dal regista: in città, ovvero in una situazione che dovrebbe suggerire un più facile inabissamento del singo­ lo nella massa, la donna acquista invece la dignità di protago­ nista unica della scena, di epicentro della visione, divenendo il punto verso il (piale lo spettatore deve rivolgere il proprio sguar­ do. L’eventualità che non venga vista in mezzo alla folla è as­ sente, nonostante il largo uso di campi lunghi e lunghissimi che riprendono strade cittadine piene di gente: innanzi tutto Zhang si premura di abbigliare Qiu Ju di vestiti vistosi dalle tinte sgar­ gianti che ne rivelano facilmente la presenza, jxjì fa in modo di collocarla sempre al centro dell’inquadratura, infine utilizza alcuni procedimenti di montaggio interno - come il movimen­ to del personaggio dall’esterno al centro del quadro o come la sua comparsa improvvisa dopo che un oggetto, una macchina 151

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o alcune persone nc avevano impedito la visione - per rimar­ carne la centralità rispetto agli altri elementi profìlmici. Da que­ sto punto di vista, la sequenza iniziale, quella dei titoli di te­ sta, appare premonitrice e sintomatica. La cinepresa, nascosta ma collocata esattamente nel mezzo di una via cittadina, ri­ prende frontalmente e ad ‘altezza d’uomo" i passanti, che si av­ vicinano progressivamente all’obiettivo e poi passano oltre. Do­ po alcuni interminabili secondi di ripresa casuale della fòlla, vie­ ne svelato il dispositivo stilistico messo a punto da Zhang: in mezzo alla moltitudine si fa largo, improvvisamente, un carret­ to trainato da una ragazzina (la sorella di Qinglai) con a bor­ do un uomo e, accanto a loro, una donna incinta. Si passa in pochi animi dalla ’democrazia” della candid camera ad una for­ ma di “dittatura” del personaggio, nella quale, pur in presenza di meccanismi realistici, il fulcro del racconto diviene inevita­ bilmente Qiu Ju. Il pensiero del regista non può essere più so­ lare: Qiu Ju fa parie del popolo, è una persona qualunque, non ha requisiti che la contraddistinguano e la rendano più impor­ tante di altri, nondimeno nel momento in cui entra a far parte della rappresentazione cinemaiografica, diventa lei stessa “cine­ ma”, oltrepassando quella soglia tra realtà c finzione che, per quanto sottile nel nostro caso, la rende diversa e unica rispet­ to alle altre persone. 1 meccanismi del racconto cinematografico classico, in realtà, sono ben visibili in molte altre sequenze, in particolare in oc­ correnza dei nodi drammatici del racconto, quelli più carichi di suspense, azione, mutamento delle coordinale filmiche. È il ca­ so, ad esempio, della serena in cui la sorella di Qinglai c Qiu Ju si separano e si perdono per pochi attimi nel caos cittadi­ no: la paura e il disorientamento della protagonista - due sta­ ti d’animo fondamentali per descrivere il carattere di Qiu Ju sono resi altra verso la scelta di diversi angoli di ripresa e vari punti di vista, nonché per mezzo del montaggio alternato di nu­ merosi primi piani di Qiu Ju a inquadrature in soggettiva, e non attraverso meccanismi formali comunemente considerati più rea­ listici (candid camera, campi lunghissimi, piani sequenza), ma probabilmente inadatti per esprimere il pathos della scena. È il caso, soprattutto, del finale del film, di quella corsa di Qiu Ju per fermare l’arresto del capo villaggio descritta per mezzo di un montaggio classico che tende ad allungare il più possibile l’intensità del momento c a concludersi con un primo piano

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della protagonista che vuole ridare centralità al fascino c alla capacità di suggestione del cinema. La scelta di uno stile realista-documentarista si spiega inve­ ce con il tentativo del regista di fare della banalità dei gesti c delle azioni l’ingrediente principale del film. Il soggetto sem­ bra, ancora una volta, il risultato di un mirato capovolgimento delle attese: dopo aver raccontato storie di grande intensità drammatica e descritto ardite e complesse dinamiche di pote­ re, Zhang si soffenna su una storia che appare di poco conto, troppo ordinaria per essere interessante. Non pochi commenta­ tori hanno considerato superfluo raccontare, tra i tanti proble­ mi che affliggono la società e il sistema giudiziario cinese, la storia di una donna che chiede giustizia solo perché il marito ha ricevuto un calcio nel basso ventre. Tuttavia l’impronta sti­ listica “semplice” della pellicola, che tende a cancellare ogni elemento eccedente della creazione cinematografica, che si strut­ tura in maniera geometricamente ordinata28, che guida senza traumi lo spettatore fino all’epilogo del racconto, permette di svelare con più chiarezza gli intenti di un’operazione cinema­ tografica che invece, sequenza dopo sequenza, attiva una serie di scarti di significato tali da modificare la natura dei conflitti in atto. All’inizio ci troviamo di fronte ad una semplice dispu­ ta di paese: il capo villaggio ha picchiato un uomo, la moglie chiede giustizia ad un agente di polizia, il quale propone una mediazione che accontenta tutti. Tutto si acquieterebbe se Wang non gettasse per terra i soldi che deve dare a Qiu Ju. In quel momento avviene il primo scarto narrativo: se prima la con­ troversia era interna alla comunità e riguardava il tipo di “pe­ na” che Wang doveva scontare (fuomo era disposto a farsi da­ re un calcio da Qinglai per “pareggiare" i conti, mentre Qiu Ju 28. Si può facilmente verificaie quanto sia rigorosa la struttura del rac­ conto analizzando {’alternarsi delle sequenze rurali a quelle cittadi­ ne: tale alternanza sembra basarsi su un movimento elicoidale che unisce una ripetuta c continua circolarità (la dinamica del viaggio in città e del ritorno in campagna senza che Qiu Ju ottenga ap­ parenti risultali) con una costante progressione verso luoghi sem­ pre più lontani (Qiu Ju si sposta via vìa dal villaggio più vicino fi­ no al capoluogo di provincia). Tali azioni, in conti apposizione e attrito tra loro, determinano un’inevitabile e insanabile frattura del congegno messo in moto da Qiu Ju che si concretizza nell’arresto del capo villaggio.

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voleva che chiedesse perdono), dopo si allarga ad elementi esterni al villaggio (la pubblica sicurezza cittadina) e non può più essere mediata, visto clic Qiu Ju non ha intenzione di ar­ rendersi fin quando non otterrà le scuse di Wang. Si passa co­ sì da una questione di "metodo di pacificazione” ad una que stionc di onore e dignità, da un livello privato (la disputa tra due persone) ad uno di carattere pubblico (il capo villaggio che abusa della propria posizione, il cittadino che lotta contro la prepotenza del potere). Il viaggio in città determina la se­ conda biforcazione del racconto: il disorientamento e l’ignoranza della donna determinano un ulteriore elemento conflittuale, quello tra il singolo e la massa, tra una realtà completamente sconosciuta e un personaggio che vi si deve inserire. Gli in­ terrogativi che il film pone allo spettatore cambiano continua­ mente di senso: in che modo Qiu Ju riuscirà a adattarsi in un luogo a lei avverso? Fino a che punto Qiu Ju dovrà rinuncia­ re alla propria "purezza" di contadina per imparare a orientar­ si nella vita di città? Col moltiplicarsi dei viaggi in città, ci si accorge che la contesa non può limitarsi alla prospettiva egoi­ stica, e perciò limitata, dclP’uno contro tutti”, dell’individuo con­ tro un’entità sovra individuale (massa, giustizia, società), ma sbocca nella contrapposizione tra due opposti sistemi di pen­ siero, quello della città e quello della campagna. Pur senza de­ scrivere minuziosamente le dinamiche interne ai due mondi rap­ presentati, Zhang tende a evidenziarne le differenze a livello etico, dal piano delle relazioni umane (in un caso considerale strumentali, basate sul conseguimento di un fine egoista, nel­ l'altro fondale sul reciproco rispetto ribadito dai continui inviti a pranzo che la famiglia di Wang rivolge alla stessa Qiu Ju), a quello della posizione sociale del singolo (in un caso praticamente assente, visto che avvocati e giudici non si interessano alle rivendicazioni della protagonista, ma applicano solo le nor­ me vigenti, nell’altro assolutamente centrale nella vita del pae­ se come dimostra la scena del parto). Non solo, le differenze tra città e campagna sono evidenti anche rispetto al denaro, al cibo (significative le scene dei pranzi che avvengono attorno al focolare domestico nel villaggio, in piedi c in mezzo alla folla in città), c alla velocità del tempo e dei movimenti delle per­ sone. Ma i crocevia narrativi non si arrestano a quelli fin qui elencati: la testardaggine della protagonista, ad esempio, mette in discussione la stessa struttura patriarcale della società conta­

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dina, contestando l’autorità del marito, quando Qinglai non vuo­ le accettare i soldi del risarcimento: -Non ho mai visto un uo­ mo prendere ordini da una donna-. In effetti, all’interno della famiglia di Qiu Ju, assistiamo ad un vero ribaltamento dei ruo­ li: il marito rimane in casa (con la scusa della malattia), men tre la donna va al lavoro facendosi carico dell’economia fami­ liare, Qinglai è escluso dall’azione a nino favore di Qiu Ju, la sola a cercare di modificare gli eventi. L’azione “eversiva” del­ la donna non intacca solamente le tradizioni contadine, bensì i fondamenti su cui si erge la repubblica popolare. Come se gnalato in un precedente capitolo, intaccare la figura del capo villaggio significa, per trasposizione, criticare le più alte figure dello stato. Come si evince da questo fitto elenco di deviazioni che ren­ dono l’ermeneutica del film assolutamente interessante, l’analisi attenta del film disarma quegli stessi meccanismi che Zhang vo­ leva utilizzare per spiazzare lo spettatore e la critica: il (neorea­ lismo, la semplicità e la banalità del soggetto, l’opposizione ri­ spetto a Lanterne rosse sono aspetti più superficiali che sosta n zia li di un’operazione produttiva che si rivela, al contrario, ela­ borata, ricca di piani di lettura, intrecciata, per certi versi anche manierata, c comunque in assoluta continuità rispetto alle pel­ licole precedenti. Un po’ come avviene per la raffigurazione del corpo di Gong Li, che ancora una volta diviene metafora del corpus cinematografico del regista. Per rutto il film la vediamo goffa, imbacuccata, avvolta da numerosi strati di abili, vestila male, sovrappeso a causa della maternità, con il viso segnato dalla durezza della vita contadina e dall’inclemenza del tempo. Certamente non è bella, certamente non emana quello slesso fascino seducente, sensuale, erotico ammirato nei precedenti film. Dopo il parto di Qiu Ju avviene però l’ennesimo rove­ sciamento, questa volta a livello iconografico: Gong Li, final­ mente libera dalla gravidanza e da vestiti troppo grandi per osai tame le forme, ritrova tutta la sua bellezza, ritorna ad essere la “solita” Gong Li, musa ispiratrice di Zhang, cifra del suo “soli­ to” cinema: quello che cattura lo sguardo dei pubblico grazie alla bellezza della donna, che calca e mostra senza pudori la solitudine dell'individuo (la corsa di Qiu Ju per fermare l’arre­ sto di Wang è l'unico momento del racconto in cui la prota­ gonista è sola, senza personaggi di contorno a farle da “spal­ la”), che ansima di fronte ad una reallà che continua a sfuggi­ li

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re imperterrita, un cinema capace di fissare la propria essenza in un immagine, di sintetizzare la sostanza del film in un (fer­ mo) fotogramma.

Vìvere! (Huozhe, 1994) 35 mm; regia: Wang Bin, Zhang Xleochun, Zhang Yi­ mou; soggetto: da un romanzo di Yu Hua; sceneggiaitira-. Lu Wcì, Yu Hua; fotografia (colore): Lu Yuc; scenografia: Cao Juiping; costami: Dong Huamiao; musiche originali: Zhao Jiping; montaggio-. Du Yuan; suono: Tao Jing; interpreti: Ge You (Fugui), Gong Lì (Jiazhen), Niu

Ben (il capo villaggio), Fci Deng (Youqing), Jiang Wu (Wan Erxi), Ni Dahong (Long Er), Tao Guo (Chunsheng), 'Fianchi Liu (Fcngxia da adulta); prodotto da-. Chiu Fu-Sheng, Kow Funhong, Christophe Tseng; produzione: ERA International, Shanghai Film Studios; distribuzione ita­ liana: BiM Distribuzione; origine: Repubblica Popolare Cinese, Hong Kong; durata: IJl’ Seconda metà degli anni Quaranta. Fugui ha il vizio del gioco, e una notte, per far fronte ai debiti, è costretto a cedere a Long Er tutti i Ixjni di famiglia, compresa la casa patema. Sua moglie Jiazhen lo lascia, portandosi via la figlioletta Fengxia, il padre muo­ re in un accesso cTira e Fugui rimane da solo a prendersi cura del­ la vecchia madre malata. Quando Jiazhen torna da lui con l'ultimo nato Youqing, Fugui chiede un prestito a Long Er. L'uomo gli ri­ fiuta il denaro ma gli dona un bauletto contenente delle marionette per gli spettacoli del teatro d’ombre. Accompagnato dall'amico Chunsheng, Fugui allestisce improvvisati spettacoli in giro per i vil­ laggi proprio mentre imperversa la guerra tra comunisti e nazio­ nalisti. Durante una delle loro rappresentazioni i due vengono cat­ turali u arruolati di forza prima nell’esercito nazionalista, poi in quello comunista con il compito di rallegrare le truppe con gli spet­ tacoli delle marionette. Finita la guerra, Fugui toma al villaggio: Jiazhen ha tirato avanti lavorando come portatrice d’acqua, sua ma­ dre è morta e Fcngxia è diventata muta a causa di una malattia. La vita della famiglia si adegua ai cambiamenti imposti dal regime comunista, e Fugui ringrazia la buona sorte per aver perso tutti i suoi averi: Long Er viene infatti condannato a morte perché la­ tifondista e nemico della rivoluzione. Nel 1958 prende il via il “Grande balzo in avanti” e tutto il villaggio è mobilitato nella pro­ duzione dell’acciaio: il capo villaggio ordina che qualsiasi oggetto di metallo sia donato alla causa rivoluzionaria. Fugui riesce a evi

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tare die andic le marionette vengano requisite offrendosi di alle­ stire degli spettacoli per gli operai della fonderia. Un giorno la fa­ miglia è colpita dalla notizia della morte di Youqing che è stato travolto involontariamente dall’automobile di Chunsheng, ora capo distretto. Nel 1966, mentre Mao lancia la Rivoluzione culturale, Fengxia sposa Erxi, un capo delle Guardie rosse. È il periodo del­ le grandi “purghe'* contro i “burocrati di partito” e, una notte, Fo­ gni e Jiazhen ricevono una visita di Chunsheng disperato per la propria posizione politica: dopo moki anni Jiazhen riuscirà a per­ donarlo per la morte del figlio. Circa un anno dopo Fengxia si ap­ presta a partorire, ma ad assisterla ci sono solo alcune giovani Guardie rosse della scuola infermieri. Grazie a uno stratagemma Erxi fa uscite di prigione il primario del reparto di maternità ac­ cusalo di essere un reazionario, rna Fugui gli offre alcuni panini al vapore, e il vecchio professore, affamato, ne divora così tanti da star male c non poter piti assistere al parto di Fenxia. Li giovane morirà per un’emorragia che le infermiere, inesperte, non sapran­ no arrestare. Panino, questo il nome che Jiazhen e Fugui danno al nipote, cresce sano e sereno. I nonni Io accompagnano a visitare le tombe dello zio e della mamma, portando all'uno ravioli al va­ pore (Youqing non aveva fatto a tempo a mangiarne prima di mo­ rire) e all’altni fotografie del bambino. Con il successo intemazionale di La storia di Qiu Ju, soste­ nuto datf imprimatur del governo cinese, Zhang affronta quello che è il suo film più ambizioso tanto dal punto di vista stretta­ mente produttivo, quanto sul piano personale. Vivere! è un gran­ de affresco storico che attraversa circa trentanni di storia cine­ se. Non si tratta più di un periodo distante quel tanto che ba­ sta per accedere agli sconfinali e - dal punto di vista della li­ bertà espressiva - piti rassicuranti territori del “medioevo d’Oriente": il rischio di cadere sotto la mannaia della censura è, dun­ que, più elevato perché i riferimenti storici sono relativi al pe­ riodo post-rivoluzionario rispetto al quale il regime ha più vol­ te modificato, nel corso degli anni, la propria posizione ufficia­ le. Come in .S'o/go rosso, un narratore extradicgctico introduce le vicende, ma ora il tono è più ironico che leggendario, dato che allo stile enfatico della voce fuori campo che scandisce le varie tappe del cammino rivoluzionario fa da contraltare il racconto della progressiva sottomissione di una famiglia agli stravolgimenti della Storia. Naturalmente Vivere! non passa indenne tra le ma­ glie della censura, visto il profondo divario esistente Ira lo sfon-

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do storico e le vicende vissute dai protagonisti: a Zhang viene negato il permesso di uscire dalla Cina per seguire la propria opera al Festival di Cannes che contenni al film sia il Premio speciale della giuria sia il Premio ecumenico della giuria e a Gè You il riconoscimento per la migliore interpretazione maschile. Per quanto non si tratti di un’opera autobiografica - il sog­ getto trae origine dal romanzo omonimo di Yu Hua — in Vive­ re! è presente molto del “vissuto" del regista: Zhang è stato os­ servatore, protagonista e anche vittima di gran parte delle vi­ cende narrate nel film. Gli avvenimenti storici c le decisione politiche che hanno colpito decine di milioni di suoi conna­ zionali sono conservate indelebili nella sua memoria: -I miei ri­ cordi degli anni Sessanta sono pieni di paura. Poiché mio pa­ dre era considerato un controrivoluzionario, tutte le volte che la gente urlava slogan per strada ero terrorizzalo» anche se non erano diretti contro di me-29. Difficile non riconoscere, nella sce­ na del processo e della fucilazione di Long Er o nelle umilia­ zioni subite dal dottor Wang, le tracce traumatiche di quel pas­ sato, il desiderio di affrontare una volta per tutte la realtà del­ la propria giovinezza, comunicandola ad altri senza dover fraj>porre filtri di sorta alla materia narrata. Non è un filtro (vedremo perché) la metafora tcattale che, come in altri film cinesi dello stesso periodo, sembra costituire un’ulteriore chiave di interpretazione di quello che potreblie ap­ parire semplicemente un melodramma popolare sostenuto dalla compresenza di motivi patetici e umoristici. È singolare notare, intatti, che Vivere! è prodotto dalla Era International, cui si de­ ve anche // maestro burattinaio (1994) di Moti Hsiao-hsicn, e che la sceneggiatura è di Lu Wei, autore dello script di Addio mia concubina, due film ambientati nel medesimo periodo sto­ rico e con al centro personaggi profondamente legati ai mondo del teatro. Ciò che nel film di Zhang emerge con chiarezza c la necessità di esorcizzare quel tempo mostrandone fino in fondo le miserie e gli orrori (a volte rasentando rautocompiacimenlo), ma affidando per la prima volta lo sguardo sulle vicende a un personaggio die, a differenza delle fiere eroine dei suoi film pre­ cedenti, tutto può dirsi fuorché audace c combattivo. 29- Monica Repetto, Vìvere!, -Film Stagione», n. 10, luglio-agosto 1994, p. 18.

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Fugui è piuttosto un antieroe, un personaggio degno più di una farsa che di un'e|>opea melodrammatica (la rapidità con cui passa dallo status di ricco a quello di mendicante è talmente accentuata che l’effetto patetico è quasi nullo), e che, forse pro­ prio grazie a queste sue caratteristiche, riesce ancor meglio a rappresentare un intero popolo e i suoi patimenti. Il suo desi derio, infatti, non c di riscatio, ma semplicemente di mera so­ pravvivenza agli eventi tumultuosi della storia; la prospettiva è quella “minore” e “bassa” della gente comune, in particolare, quella di un uomo mediocre che, proprio in virtù di questa me­ diocrità riesce a superare i momenti difficili della vita. Figura tragicomica, Fugui riesce a scampare al proprio destino grazie alla propria inettitudine, e si ritrova a benedire lo stato di se­ mi-indigenza in cui cade a causa del vizio del gioco perché ciò lo mette al riparo dalle persecuzioni contro i possidenti. Quan­ do il comuniSmo prende il potere, sembra benedirne Partivo perché consapevole della propria stupidità, felice di far parte di un sistema che forse riuscirà a determinare (presumibilmente in meglio) la vita di tutti, mettendo al riparo la società da perico­ lose iniziative personali, proprio come quella che lo ha porta­ to alla rovina. Ciò di cui Fugui non si accorge è che continua a giocare una pericolosa partita a dadi con il destino persino dopo l’avvento del comuniSmo, e che proprio le regole stabili­ te dal regime travolgeranno la sua vita anziché tutelarla. Ln per dita della proprietà, tuttavia, è l’unico atto compiuto deliberata­ mente da questo personaggio a non produrre conseguenze ca­ tastrofiche (quando obbliga Youqing ad andare a scuola per non essere taccialo di anticomunismo ne provoca, sia pur in­ direttamente, la morte; dando da mangiare al dottor Wang i pa­ nini al vapore gli procura una colossale indigestione tanto che il medico non potrà assistere al parto di Fcngxia), insieme al salvataggio del bauletto con il teatrino delle marionette dalla campagna per l’acciaio, una delle poche occasioni in cui lo ve­ diamo assumere un’iniziativa che lo distingue dalla massa. •Come le marionette, i personaggi del film mostrano una for­ te capacità di superare difficoltà strazianti. Non solo si adatta­ no alle avversità fisiche della vita, ma sembrano ugualmente ca­ paci di adattarsi alle manipolazioni ideologiche dello stato-30. Fin 30. Rey Chow, We Endure, Therefore IPc/ln'. Survival, Governance, and Zhang Yimou's To Live, in Ethics after Idealism. Theory - Culture

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dalla prima sequenza abbiamo visto che Fugui è un virtuoso del piyingxi, l’arte delle ombre cinesi, che pratica esclusivamente per il proprio piacere. Successivamente, la sua passione divie­ ne mezzo di sostentamento per sé e la famiglia proprio grazie a Long Er che gli dona le sue marionette, la stessa persona con cui aveva “barattato", qualche sequenza prima, la propria vita. Grazie alle marionette Fugui riesce a guadagnarsi un riconosci­ mento dell'esercito rivoluzionario che attcsta la sua partecipa­ zione attiva alla rivoluzione come intrattenitore delle tmppe c che, successivamente, gli sarà utile per dimostrare la propria fe­ de comunista. È proprio in forza di questa funzione ricreativa che il protagonista riesce a preservare le marionette per la lo­ ro funzione originaria e a non sacrificarle per aggiungere po­ chi grammi di metallo alla campagna di raccolta del ferro. Per la prima volta in questa occasione le marionette si incrociano con un’altra importante componente all’interno dell’economia simbolica del film, il cibo, un elemento che ritroveremo più avanti nel corso dell’analisi. Quando Jiazhen obietta che senza le pentole cedute alla causa comunista non potrà sfamare la fa miglia, il capo villaggio risponde che il comuniSmo ha allestito una mensa dove potrà mangiare a sazietà. 1^ marionette, dun­ que, a differenza delle pentole, non possono essere sostituire con qualcos’altro e vengono in questo modo innalzate a “cilx> per lo spirito", essenziale tanto quanto lo è quello per il cor­ po giustamente preteso da Jiazhen. Quando durante la Rivolu­ zione culturale Fugui sarà costretto a distruggere il teatrino, farà un ultimo tentativo per preservarlo dall'annientamento: -Non po­ tremmo usare il teatro delle ombre per diffondere il pensiero di Mao? Dare a quelle vecchie cose una funzione nuova?-, az­ zarda fiducioso. Una proposta di sincretismo prontamente boc­ ciata dal capo villaggio (-Ma rifletti, pensa a che personaggi ci sono. Imperatori, generali, letterati, cortigiani, tulli personaggi feudali!-), ma neanche troppo ardita, visto che lo stesso Mao, in un clima meno massimalista di quello della Rivoluzione cul­ turale, aveva dichiarato la propria ammirazione per Shi Huangdi, il primo imperatore che riuscì a unificare la Cina. Il capo villaggio, in fondo, non fa che ribadire ciò che le immagini hanno già eloquentemente illustralo: la scena in cui la baionetta di un soldato dell'esercito nazionalista squarcia il - Ethnicity - Reading. Indiana University Press, Blooming e India napolis 1998, p. 128.

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telo su cui vengono proiettate le ombre è il segnale che da quel momento in poi il mondo dei miti crolla (un mondo che proprio Zhang nel suo ultimo film, Hero, tenterà di aggiornare e di far rivivere). È una riflessione che coinvolge non solo il li­ vello di lettura più immediato ed esplicito della realtà narrata, ma anche quello della struttura della narrazione: è lo stesso Fu­ gui con le sue piccole viltà quotidiano, la sua arte di arrangiarsi in ogni situazione, a confermare la tesi della caduta del mito eroico. L’unica possibilità di interpretazione della “storia della Cina" dal secondo dopoguerra in poi è quella di adottare una chiave di lettura ironica o, meglio, da commedia ironica così come la descrive Northrop Frye quando afferma che -la com­ media consiste ncirinfliggere una sofferenza a una vittima im­ potente, e la tragedia nel sopportarla-51, proponendo una for­ mula che si adatta perfettamente a Vivere!, un film che alterna e intreccia comico e tragico, e dove viene messa in scena -la figura delia vittima rituale-52, ovvero lo stesso Fugui? I In altia folgorante immagine che conferma ( impossibilità di sopravvivenza del teatro delle ombre in tempi di applicazione radicale dei precetti comunisti è quella del soldato dell’esercito rosso che infilza una delle marionette cadute rial baule di Fu­ gui e la solleva per guardarne i contorni in trasparenza in con­ troluce. Non si tratta soltanto di un’ovvia allusione metaforica al “sole dell’avvenire" che illumina con una luce diversa le vec­ chie figure del passato demistificandone il potere: meno evi­ dente ma più interessante è che il soldato usa la marionetta contravvenendo alle regole di quel tipo di rappresentazione. Os­ servandone in trasparenza il profilo, il militare non guarda l’om­ bra della marionetta proiettarsi su un telo al di là del quale ce chi muove di nascosto i fili della finzione, ma la sottopone a una modalità di osservazione completamente nuova: ribaltato il punto di vista, espone le fragili figure a uno sguardo diverso (più che a una luce diversa), impone più una questione di me­ todo che di merito, più una critica strutturale e formale che conlenutistica del vecchio spettacolo. Dal momento in cui le marionette vengono distrutte, i rife­ rimenti iconografici del film si riducono a un’unica immagine, quella di Mao, ossessivamente riproposta in mite le possibili va-31 32 31. Northrop Frye, Anatomia delia critica, Einaudi, Torino 1969, p. 62. 32. lui.

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danti elaborate dall'iconografìa comunista (appuntata come di­ stintivo sulle uniformi delle Guardie rosse, dipinta a dimensio­ ni gigantesche nel cortile della casa di Fugui). È il mito mo­ derno che ha definitivamente soppiantato quelli ancestrali, e che tenta di sostituirli in ogni momento della giornata e, in manie ra ancora più marcata, nelle occasioni celebrative o di festa, co me il matrimonio di Fengxia ed Erxi durante il quale la princi­ pale fonte di attrazione è una fotografìa di gruppo con alle spal­ le l’ennesimo ritratto del “Grande timoniere”. Ma nella penultima sequenza del film a queste immagini se ne sostituiscono altre, quelle del piccolo Panino fotografalo in tutte le fasi della sua crescita: sono le immagini di una vita che cresce malgrado tutti i traumi con cui hanno dovuto confron­ tarsi i suoi nonni e i suoi genitori. È proprio nella sequenza in cui la famiglia di Fugui (o meglio, quel che ne resta) si reca sulle tombe di Fengxia c Youqing che le immagini (le fotogra­ fìe di Panino) vengono nuovamente accostate al cibo (i ravioli che Youqing non era riuscito a mangiare perché travolto dal l’a ni or nobile di Chunsheng), un elemento che ricorre a più trat­ ti nel corso della pellicola, assumendo di volta in volta signifi­ cati profondamente diversi, comunque legati al tema dominan­ te, ovvero quello della sopravvivenza. Dai panini al vapore in­ gurgitati dal dottor Wang, alle tagliatelle piccanti usate da You­ qing come strumento di vendetta (il bambino ne aveva rove­ sciato una ciotola in testa a un coetaneo che aveva infastidito sua sorella Fengxia), agli stessi ravioli destinali a quest’ultimo e mai consumali, il cibo viene ’disgiunto dalla sopravvivenza so­ stanziale cui è sempre stato legato e diviene un’occasione per la messa in scena di un altro tipo di consumo-53. Avvicinati sul­ le lomlx? dei due fratelli, sacrificati loro malgrado c indiretta­ mente alla causa della rivoluzione, le immagini e il cibo pro­ ducono una sintesi simbolica che riassume buona parte del sen­ so del film. Molti anni prima Fugui aveva detto al piccolo Yuoqing che la loro gallina, nutrita adeguatamente, sarebbe diven­ tata un’oca, poi una capra e, infine, un bue. Alla domanda del bambino su cosa venisse dopo il bue, Fugui aveva prontamen­ te risposto: -Il comuniSmo... e ci saranno ravioli tutti i giorni-. Adesso, invece, di fronte alla medesima domanda posta dal ni-33 33. Rey Chow, Ethics after Idealism. Theory- Culture- Ethnicity ding, cit., pp. 120 121. 162

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potino, Fugui fa culminare la serie di fantastiche metamorfosi non più nell’utopia comunista ma nella più concreta possibilità di un futuro migliore, nel quale sarà possibile per il bambino andare -in treno o in aereo, perché la vita che si vivrà sarà an­ cora migliore-. Così, il tema della sopravvivenza — o, come mette in evi­ denza Rey Chow nel saggio che abbiamo più volte citato nel corso di quest’analisi, la questione della resistenza44 - non è più legato alla mera “permanenza in vita”. Attraverso le varie trasformazioni subite nel corso del film il cibo assume un va­ lore diverso e più alto, fino a divenire oggetto di rievcxrazione affettuosa della memoria di una persona cara. Le immagini, a loro volta, si sono presentate sotto vari aspetti, sostituendosi al­ le precedenti strada facendo: le marionette del teatro d'ombre (che hanno assunto statuti significanti allatto diversi) sono sta­ te rimpiazzate dalle icone maoiste, che hanno dovuto cedere il passo alle fotografie di Panino. Dai simboli della Cina premo dema, legati a una visione medioevale (dunque antiumanisti­ ca), passando per quelli del comuniSmo, icone di una conce­ zione collettivistica (sostanzialmente simile alla prima), si giun­ ge infine alle immagini familiari, individuali, segno o forse sol­ tanto motivo di speranza in una prossima stagione dcH’umanesimo. Alla fine l’antieroe Fugui ci sembra forse meno inetto e ot­ tuso di quanto non ci sia apparso nel corso dcll’intera vicenda: se quella che Zhang, neH'ulliina sequenza del film inette in boc­ ca al protagonista (e, idealmente, nelle mani del suo nipotino Youqing) è certamente una frase di speranza, è anche c so­ prattutto la mesta constatazione della fine di ogni utopia.

Shanghai Triad - La triade di Shanghai (Yan a yan yan dan watpn qian, 1995) 35 mm; regia-. Zhang Yimou; soggetto: da un romanzo di Xiao Li: sceneggiatura: Feiyu Bi; fotogra­ fia (colore): Lu Yue; scenografia: Cao Juiping; costumi: Tong Huamiao;34

34. 4...] la capacità di “vivere” può indubbiamente essere compresa co­ me una sorta di resistenza fondamentale della gente comune ai di­ sastri casuali che colpiscono sotto un sistema politico che ha falli­ to nella sua missione [...)•, ivi, p. 115.

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musiche originali: Guangtian Zhang; montaggio. Du Yuan; suono: Tao Jing; interpreti: Gong Li (Xiao Jingbao), Li Baotian (il boss Tang), Xiaoxiao Wang (Shuisheng), l.i Xuejian (lo zio), Sun Chun (U numero 2). Fu Biao (il numero 3), Chen Shu (Shi Ye), Jiang Liu (Fai Yu), Jiang Buoying (la vedova), Qianquan Yang (Ah Jia); prodotto da: Yvcts Mar­ mion, Jean Louis Piel, Wu Yigong; produzione: Alpha Films, La Sept Clnéma, MinLstère des Allaires Étrangères (Francia), Shanghai Film Stu­ dios, Ugc Images; distribuzione italiana. Mikado; origine'. Francia, Re­ pubblica Popolare Cinese; durala. 103’

Shanghai, 1930: il quattordicenne Shuisheng è appena arrivato dalla campagna per lavorare alle dipendenze del signor Tang, un boss mafioso della “triade” che controlla la città. Ad attenderlo c’è suo zio Liu, uno dei gregari di Tang, pronto a istruirlo sulle sue mansioni. Shuisheng sarà il ‘ valletto” delTainnnte del signor Tang, Xiao Jingbao, una donna molto bella che gestisce per il boss un night club nel quale si esibisce in numeri di cabaret col nome d'ar­ te di Bijou. Al fianco di Tang nella lotta per il controllo del traffi­ co d’oppio c’è 11 giovane e affascinante Song, astuto consigliere del capo nonché amante segreto di Bijou. L’apprendistato di Shuisheng non c facile; il ragazzino si sente spaesato di fronte al lusso nel quale vivono i suoi padroni, continuamente vessillo da Bijou che scarica su di lui le proprie frustrazioni di amante trascurala, im­ paurito dai fatti di cui è involontariamente testimone. Appena giun­ to in città assiste a un regolamento di conti uà Song e uno degli uomini di un altro boss, il “grosso Yu”, e la notte seguente vede Song sgattaiolare nella camera da letto di Bijou. Il giorno dopo, per sventare un attentato degli uomini del “grcxsso Yu” alla vita di Tang, lo zio Liu viene assassinato: disperato, Shuisheng è coserei to a seguire il padrone e Bijou che, insieme a pochi uomini fida­ ti, si rifugiano su un'isoletta i cui unici abitanti sono una vedova di nome Cuihua e la figlioletta Ah Jiao. Chiunque arriverà o fascera l’isola senza permesso sarà ucciso, avverte Tang. Durante fa notte Bijou, insonne, si reca a casa di Cuihua e fa sorprende con un uo­ mo che, il giorno seguente, viene ritrovato morto, ucciso dagli sca­ gnozzi di Tang. Bijou tiene nascosto l’accaduto a Cuihua e, quasi presentendo Fimminenle catastrofe, tenta invano di persuaderla a trasferirsi in città per dare un fiituro migliore alla piccola Ah Jiao. La sera stessa Tang annuncia l’arrivo di Song suH’isola per il gior­ no seguente. Durante la notte Shuisheng ascolta involontariamente due uomini che discutono di un piano per uccidere Bijou: il ra gazzo tenta di avvisare Tang, ma in realtà è proprio quest’ultimo ad aver ordinato l’eliminazione di Bijou c di Song, attirato sull’i­

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sola proprio con questo scopo. Anche C.uihua viene eliminata per­ ché al corrente di troppe cose: ap|x;so a testa in giù all'albero di una barca che fa ritorno a Shanghai, Shuishcng viene informato da Tang che la piccola Ali Jiao, non appena cresciuta, prenderà il po­ sto di Rijou, e che lui dovrà rassegnarsi al suo ruolo di gangster in erba airintcmo della triade.

Apparentemente il pili anomalo tra i film di Zhang Yimou, La triade di Shanghai è in realtà una pellicola che, pur appar tenendo (almeno nominalmente) a un genere cinematografico canonizzato, conferma molte tra le tendenze del cinema del­ l’autore che, in taluni casi, risaltano con maggiore evidenza che altrove, perché accostate a una “superficie di contrasto” effica­ ce come quella del genere di riferimento, il gangster-movie ap­ punto. Le accuse c le critiche contro Vivere! mi hanno persuaso ncll’evitare qualunque tema impegnalo ed attuale. Ho deciso di scegliere il romanzo di Li Xiao proprio perché il suo contenu­ to non ha niente a che fare con la politica o con la società moderna35.

Quella nel cinema di genere sarebbe dunque una vera e propria fuga dal pericolo di vedere ancora una volta un pro­ prio film bloccato dalla censura, anche perche dal dicembre 1993 una nuova legge sulle coproduzioni obbliga qualsiasi pel­ licola girala in Cina a essere provvista del visto degli organi­ smi di controllo. Se da questo punto di vista Hi triade di Shan­ ghai non avrà problemi, al suo autore verrà impedito di par­ tecipare al New York Film Festival del 1995, per la cerimonia di apertura del quale era stato scelto proprio il suo ultimo film. La motivazione? Il governo cinese intendeva esprimere il proprio risentimento per la presentazione al festival del do­ cumentario di Richard Gordon e (zanna Hinton dal titolo The Gate of Heavenly Peace sulle manifestazioni del movimento studentesco di piazza Tienanmen e il massacro del 4 giugno 1989. *La triade di Shanghai è stato vittima di malintesi, come di solito lo sono i film di genere*36: il film, presentato in concor­ 35. Rafael Alcaine, Chen Mei-Hsing, Zbang Yimou, cit., p. 191. 36. Hubert Niogret, Yao a yao yao dao tvai pe qiao, •Positif-, luglio-ago­ sto 1995, nn. 413-414,’p. 105. 165

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so a Cannes nel 1995, viene infatti bistrattato dalla critica, per­ plessa di fronte a un’opera che non possiede né la felicità spon­ tanea di Sorgo rosso né il rigore di Lanterne rosse. Anche se La triade non rielabora le regole del genere cui appartiene, come avrebbe richiesto la tendenza metacinematografica di allora, es­ so è tuttavia costruito attraverso una serie di punti di vista che non corrispondono a quelli dei protagonisti canonici dei mo­ delli statunitensi o degli equivalenti di Hong Kong. L’adolescente Shuisheng, la mantenuta del boss Xiao Jingbao, il gregario illu so di avere un ruolo di primo piano all’interno dell’organizza­ zione (lo zio Liu) sono personaggi di secondo piano attraverso i quali il regista getta uno sguardo dietro le quinte di un mon­ do fittizio, inflazionalo da stereotipi che non è possibile ripro­ porre se non completamente rielaborati in una chiave diversa e demistificante. Le vicende legate alla lolla tra le gang restano relegate sul­ lo sfondo, e dell’oscuro intreccio lo spettatore riesce a cattura­ re soltanto segnali impercettibili, ambigui c contraddittori che servono solo a intorbidare le acque. La classica progressione drammatica, che prevede un infittirsi crescente di mosse e con­ tromosse fino alla resa dei conti, resta oscura fino a pochi mi­ nuti prima della conclusione, così come lo è agli occhi del gio­ vane Shuisheng quel dialogo tra gangster cui assiste appena ar­ rivato a Shanghai, fatto di segnali simili a quelli dell’alfabeto per sordomuti, incomprensibile j>er chi non ne conosca il codice. In effetti per il protagonista si tratterà di interpretare un insie­ me di segnali pressoché impenetrabile per chi, come lui, giun­ ge da una realtà totalmente estranea a quella con cui deve con­ frontarsi. -Stai bene attento, a Shanghai devi subito imparare co­ sa va fallo e cosa non va fatto-, lo avverte lo zio Liu, ma l'ad­ destramento di Shuisheng sani segnato da un’irrimediabile con­ traddizione, dato che fin da subito gli verrà raccomandato di agire silenziosamente e, al tempo stesso, di far percepire la pro­ pria presenza, di seguire Bijou in ogni suo spostamento, ma in modo da non esserle né troppo vicino né troppo lontano. Pre­ se alla lettera sembrerebbero indicazioni destinate a costringere chi volesse eseguirle in uno stato di immobilità dovuta all’in­ decisione: paradossalmente sarà proprio questa la fine del gio­ vane protagonista. Del medesimo impaccio di Shuisheng sembra soffrire lo spet­ tatore, il cui sguardo resta ancoralo a un punto di vista inade­

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guato37 alla comprensione di una serie di meccanismi che si muovono altrove rispetto alla sua posizione aH’interno della sto­ ria. Il ragazzo, infatti, è continuamente distratto da un mondo nel quale mette piede per la prima volta. Il palazzo di Tang è tappezzato di pannelli dorati e di specchi che moltiplicano gli spazi e le figure e, in un’occasione, è proprio Shuisheng a in­ frangere involontariamente uno specchio, ancora una volta fra­ stornato da ciò che lo circonda: -Sovente, l’inquadranira avvia la sequenza che solo in seguito si evidenzierà per quello che c, un semplice riflesso in uno specchio-38. Tutto per lui è nuo­ vo e incomprensibile, dall’accendino che non riesce a mettere in funzione, al telefono di fronte al quale si mostra addirittura impaurito. Persino il suo compito di cameriere è abbastanza in­ determinato, finisce per diventare il confidente di Bijou dopo essere stato oggetto del suo scherno o il capro espiatorio di colpe a lui sconosciute. La stessa topografia degli spazi, nella prima pane del film, resta oscura: l’impressione ricavata dalla successione delle se­ quenze è che il night, luogo preposto alla rappresentazione non solo nel senso letterale della parola (ovvero del palcoscenico sul quale si esibisce Bijou), ma anche in quello più generale dell’esibizione della potenza di Tang, sia tutt’uno con la son­ tuosa residenza del boss, un microcosmo molto simile a quelli dei primi film di Zhang. A uniformare questi spazi contribuisce anche ('ambientazione notturna di tutte le scene, uno dei luo­ ghi comuni del genere noir; ma se negli equivalenti occidenta li la notte è funzionale al dispiegamento di un’iconografia di grande forza espressiva, tesa a sottolineare l'alterità del mondo criminale rispetto a quello normale, per Zhang essa costituisce un pretesto ulteriore per far sfavillare con maggiore intensità le luci del night e del palazzo che sembrano voler negare l’esi­ stenza di una dimensione esterna alla propria. Opposto al mondo criminale, lo spazio dell’isola è un mon­ do incontaminato che viene letteralmente invaso e corrotto dai visitatori. È Bijou a provocare, sia pure involontariamente, la morte della vedova c del suo amante, con la sua curiosità e il bisogno di riconoscere in questa realtà il proprio passato di con­ 37. “Insuffisant”, come viene definito da Alain Masson {Shanghai Triad. A contre-courani dtt gerire, -Positif-, n. 417, novembre 1995. p. 34). 38. Flavio De Bernardinis, La triade di Shanghai, eie. p. 59.

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ladina e forse ritrovare quella purezza che sente di aver irri­ mediabilmente perduto. La pane del film ambientata sull’isola non può non riportare alla mente quei noir statunitensi nei qua­ li il mito della wilderness e il ricordo di una giovinezza incor­ rotta si contrappongono alle atmosfere cupe e opprimerai in cui è costretto a vivere il protagonista. A questo tipo di sentimen­ ti, apparentemente lontani dalla sensibilità orientale, rimanda il dialogo notturno ini Bijou e Shuisheng in cui la donna sembra voler rincuorare il ragazzo dopo averlo deriso per i suoi modi da contadino. Ma se gli spazi aperti delle praterie americane so­ no i luoghi d’origine ai quali tornare (magari soltanto per mo­ rirci) dopo la consapevolezza acquisita grazie alla “discesa agli inferi” della ciltà, lo spazio delimitato e assediato dell’isola non può che alludere aU’iiupossibilita di tale riconquista tanto da parte di Bijou quanto di Shuisheng. Nondimeno, la consapevolezza acquisita dal ragazzo è solo apparente: quando, pensando di aver scoperto un complotto or dito alle spalle di fang si precipita a riferire ciò che ha udito, si accorge che è l’unico estromesso dai giochi e in ogni caso c’è qualcuno pronto ad anliciparlo e a correggere la sua versione, li suo molo, pertanto, non solo è inadeguato a portare lo sguardo dello spettatore all'interno del film, ma si rivela perfino superfluo dal punto di vista dello scioglimento dell'intreccio dato che la sua non è la “voce della verità", che svela in volontà riamente i piani di colei che vorrebbe proteggere, così come avveniva, ad esempio, in Idolo infranto, il film del 1948 di Carol Reed. La triade di Shanghai, al di là di ogni giudizio di merito, si rivela una rivendicazione piepotente da parte di Zhang Yimou delle proprie potenzialità di autore ormai completo che osa av­ vicinarsi a un genere cinematografico classico, onnai canoniz­ zalo perfino nelle sue rielaborazioni più estreme, continuando ad affermare alcune tra le caratteristiche più interessanti della propria poetica. Si chiude in un certo senso la “parabola della donna” proprio attraverso un personaggio complesso e con­ traddittorio come quello di Bijou, affidato a colei che è stata l’incarnazione della donna nei film di Zhang, Gong Li, qui alla sua ultima col lai aerazione col regista. Come già avveniva in Lan­ terne rosse, a una concubina che muore o che impazzisce se ne sostituisce un’altra, in questo caso una bambina la cui in­ genuità mette ancor meglio in evidenza la natura perversa del potere. Tra i temi zhanghiani che ritornano, spicca inoltre la lol168

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ta per il comando tra padri c figli, comunque tra generazioni diverse, qui rappresentata dalla contrapposizione ira Tang e Song che viene idealmente rimpiazzalo dal riluiianle Shuisheng. Il ragazzo, infatti, nel giro di una settimana ha completato un proprio personale percorso che, se non corrisponde al classico tirocinio del gangster in erba, lascia comunque presagire che avrà, suo malgrado, un futuro all’intemo della famiglia Tang. Al­ la (ine del settimo giorno, infatti, Shuisheng potrebbe rispon­ dere affermativamente (se soltanto lei potesse ascoltarlo) alla domanda rivoltagli alfinizio del film da Bijou: -Non hai mai vi­ sto il colore del sangue?», un colore die gli settatori dei film di Zhang Yimou hanno imparato ad apprezzare, di film in film, in tutte le sue sfumature. Lumière et compagnie (t.l.: Lumière e compagni, 1995) 35 min; regia: Sarah Moon; soggetto: da un’idea di Philippe Pulci; fotografia (colore e b/n): Frédéric LeClair, Sarah Moon; operatori camera Lumière: Didier Ferry.PhHippc Poulct; art director Anne Andrei; musiche originali: Jean-Jacques Lemètre, Ri­ chard Robbins; musiche non originali: Georges Bizct; montaggio: Ro ger Ikhlef, Timothy Miller; suono: Jean Casanova, Bernard Rochui; pro­ dotto da Neal Edelstein, Fabienne Servan-Schreiber; produzione: Cinétévé, Igeldo Komunikazioa, Iji Sept Arte, Le? Studio Canal+, Soren Starnnose AB; distribuzione intemazionale. Alta Films S.A. (Spagna), Pierre Grìse Distribution (Francia); origine. Francia, Danimarca, Spagna, Svezia; durata: 88’ 1 cortometraggi sono stati diretti da (in ordine alfabetico): Merzak Allouache, Theo Angelopoulos, Vicente Aranda, Gabriel Axel, J.J. Bigas Luna, John Boorman, Youssef Cliahine. Alain Comeau, Costa Gavras, Raymond Depardon, Jaco van Dormaci, Francis Girod, Peter Gree naway, Lasse Hallstiòm, Michael Haneke, Mugli Hudson, James Ivory. Gaston Kaborc, Abbas Kiarostami, Cédric Klapisch, Andrei Konchalov­ sky, Spike Lee. Claude Lelouch, David Lynch, Ismail Merchant, Claude Miller, Sarah Moon, Idrissa Ouedraogo, Arthur Penn, Lucian Pintilie, Jacques Rivette, Helma Sanders-Brahms, Jcny Schatzbcrg, Nadine Trintignant, Fernando Trucba, Liv Ullmann, Régis Wargnier, Wim Wenders, Kiju Yoshida, Zhang Yimou

In occasione del centenario dell’invenzione del Cinemato­ graphs di Auguste e Louis Lumière, Zhang Yimou riceve la pro­ posta di girare un cortometraggio con una cinecamera identica

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a quella utilizzata nel 1895 dagli inventori del cinema per le lo­ ro prime riprese. Il progetto alla base di questo singolare invi­ to è quello del film collettivo Lumière et compagnie, che vede coinvolti altri trentanove celebri registi di diverse nazionalità. La sfida che Zhang, insieme agli altri colleghi, è chiamato a racco­ gliere è decisamente singolare, non solo dovrà utilizzare una macchina da presa fornita dalla produzione in tutto e per lutto identica al prototipo dei Lumière, ma anche un rullo di pellico­ la in bianco c nero della durata di soli cinquantadue secondi (praticamente lo stesso metraggio di un caricatore dell’ejjoca), avendo a disposizione soltanto tre ciak. Inoltre, la scena dovei essere girata in un unico piano sequenza senza stacchi di mon­ taggio, utilizzando solo la luce naturale e senza suono in presa diretta. I quaranta cortometraggi, accompagnati da altrettanti pic­ coli backstage che ritraggono gli autori intenti a preparare le ri­ prese, vanno a compone un mosaico di visioni affatto diverse di indubbio fascino e di ancor maggiore prestigio. Probabilmente per Zhang la sfida è più impegnativa c coin­ volgente c he per chiunque altro: per un ex direttore della foto­ grafia che anche come regista ha basato mollo del fascino dei suoi film sulla capacità di tradurre le storie narrate in immagini emozionanti dal punto di vista visivo attraverso un uso dei co lori e delle luci in funzione fortemente espressiva, non e facile né lavorare con un mezzo assolutamente spartano (la pellicola è identica a quella dei Lumiere, presenta una sola perforazione per ogni lato del fotogramma, scorre alla velocità di sedici im­ magini al secondo producendo un effetto marcato di sfarfallio), né giocare su quelli che solitamente vengono considerati dei li­ miti alla creatività di un artista e che, invece, qui vengono as­ sunti come presupposti per un esercizio di stile e di ascetismo allo stesso tempo. Quanto possa essere significativa questa espe rienza per Zhang emerge nella sequenza che precede il suo fram­ mento: assistiamo all’arrivo deU’apparecchiatura (spedita dalla Francia in Cina) e vediamo il regista togliere dall’imballo la mac­ china da presa con un misto di curiosità c reverenza verso quel­ l’oggetto così importante per la storia del cinema. L'episodio di Zhang (uno dei più divertenti c riusciti della raccolta) è ambientato sulla Grande muraglia. Due figure abbi­ gliale con costumi tradizionali cantano e ballano per un pubbli­ co invisibile. A un tratto lo stesso cineasta entra in campo dal laro destro dell’inquadratura con un enorme ciak in mano dan­

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do il via a una nuova ripresa, A questo punto le due figure si spogliano dei costumi tradizionali rivelando un abbigliamento da rockettari, prendono a dimenarsi selvaggiamente al suono di un motivo punk e, sempre agitandosi a tempo di musica, si allon­ tanano verso il fondo dell’inquadratura fino a scomparire. Grazie alla scelta di una suggestiva veduta di scorcio del mo­ numento e alla sensazione della profondità di campo prodotta dal progressivo velarsi dell’immagine all’aumentare della distan­ za degli oggetti dall'obiettivo il regista riesce a produrre qual­ cosa di mollo simile ad una ripresa della fine dell'ottocento. I limiti intrinseci dell’apparecchiatura divengono effettivamente per Zhang l’occasione di fissare su pellicola un’immagine spettaco­ lare dell’enorme costruzione. La Grande muraglia è, insieme a piazza Tienanmen, il monumento più conosciuto della Cina: di­ versamente dai propri colleghi, la maggior parte dei quali ha puntato su situazioni minimali (simili alle scenette organizzate in famiglia dai Lumière per le loro prime riprese), su ricostru­ zioni di tableau vivant (come quelli di Méliés), o su semplici registrazioni dello scorrere del tempo in puro stile “concettua­ le”, Zhang, consapevole dell’opportunità che gli è stata offerta, sembra decidere di affidarsi a una delle immagini eterne del proprio paese per dame un’idea simbolica e definitiva. I.a cop­ pia di attori in primo piano abbigliati con costumi tradizionali è un altro elemento che sembrerebbe legittimare una lettura del cortometraggio come momento di pura c semplice celebrazio­ ne dell’immagine più pittoresca della Cina, qualcosa di mollo simile alle scene che gli operatori dei Lumière o di Pathé or­ ganizzavano in vista delle riprese, una sorta di “attualità rico­ struita” a metà strada tra realtà c finzione dal sapore esotico c artefatto, decisamente fin de siede. Malgrado il bizzarro capovolgimento della situazione di par­ tenza sembri rafforzare l'impressione che si tratti di un puro e semplice divertissement, in effetti il frammento di Zhang rende alla perfezione l’idea dei cinema in quanto macchina capace di operaie una sintesi temporale fulminea. Lontrata in scena del cinema (narcisisticamente segnalala dall’entrata in campo del re­ gista), che trasforma le due figure tradizionali appartenenti al passato in icone del presente, ha il sapore di una piccola ri­ flessione sul ruolo della settima arte in seno alla società cine­ se. 11 cinema ha davvero avuto un ruolo così decisivo nell'e­ voluzione sociale del paese? Ha realmente slimolalo la nascita

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di un immaginario diverso da quello tradizionale? I due ragaz­ zi punk sono un elemento dissacrante rispetto al monumentosimbolo della Cina o il tentativo di una contaminazione inno­ cua tra passalo e presente, tra simboli della tradizione e sim­ boli della modernità? Il regista, spesso accusato di rifarsi a un passalo artefatto c stereotipato, sembra volere più semplicemente giocare con que­ st'immagine: i due rockettari sembrano infatti tanto artificiosi quanto lo sono i loro corrispettivi arcaici e il loro agitarsi ap­ pare vano e insensato quanto lo sarà quello dei protagonisti di Keep Cool, il suo Glm successivo. Keep Cool bua bao bao shuo, 1997) 35 mm, re#/?/: Zhang Yimou; soggetto: da un romanzo di Shu Ping; sceneggiatura: Shu Ping; fotografìa (co­ lore): Lu Yue; scenografia: Cao Juiping; costumi: long Huamiao; mu­ siche originali: Zang Tianshuo; montaggio: Du Yuan; suono: Tao Jing; interpreti: Ge You (il poliziotto), Jiang Wen (Shuai Xiao), Li Baotian (Lao Zhang), Tian Tian (la cameriera), Ying Qu (An Hong), Zhang Yi­ mou (l’uomo che urla jier primo); prodotto da. Qipeng Wang; produ­ zione: Guangxi Film Studios; distribuzione italiana: Mikado Distribu­ zione; origine: Hong Kong, Repubblica Popolare Cinese; durata: 95* (You

Il giovane libraio balbuziente Xiao Shuai vuole, a tutti i costi, rimettersi con l’ex fidanzata An Hong, una bella ventenne che vi­ ve in uno dei tanti grattacieli di Pechino. Anche se scopre che la ragazza esce con Yu Dchong, un ricco c losco imprenditore, egli non recede dal suo intento e prova in tutti i modi a riconquistar la. Di contro Yu, per “persuadere" il rivale a rinunciare ad Hong, lo fa pestare dai suoi scagnozzi. A nulla vale il suo tentativo di di­ fesa: egli finisce irrimediabilmente in ospedale. Solo dopo essere stato medicato, Xiao scopre di aver preso e scaglialo contro i suoi aggressori il computer di un attempato passante che ora chiede al ragazzo c a Yu il risarcimento del danno. Uniti dall’intento di ri­ solvere la questione, Xiao e Lao Zhang - questo il nome del pro­ prietario del computer - vanno a trovare Yu Dehong nel suo ni­ ght club. Ma se il desiderio di Lao è solo quello di ottenere un indennizzo, Xiao ha tutt’altri propositi e, mannaia alla mano, cer ca di amputare un braccio al suo rivale. Fallito il tentativo di far­ si giustizia da solo, arrestato per disnirbo della quiete pubblica, re-

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darguito da un irreprensibile poliziotto sulle proprie responsabilità di cittadino, dopo una settimana Xiao (orna in libertà c riprende la sua attività commerciale. Sembra che tutto proceda per il me­ glio (l’ex fidanzata Hong, scaricata da Yu, ritorna tra le sue brac­ cia e i due passano finalmente una serata insieme) quando Lao Zhang, scoperto il suo domicilio, lo va a trovare a casa (proprio nel momento di massima intimità della coppia) e lo mette di fron­ te alle proprie responsabilità. Così, qualche giorno dopo, Lao c Xiao si ritrovano seduti al ta­ volo di un ristorante/karaoke in attesa che arrivi anche Yu Dehong, al quale è stato dato appuntamento per chiudere, una volta per tutte, la questione pacificamente. Almeno è quello che crede Lao, visto che il ragazzo ha ancora intenzione di vendicarsi e di taglia­ re la mano a Yu. Quando l’attempalo signore si accorge delle ve­ re mire del libraio, dopo aver provato a dissuaderlo, si convince ad assecondarne la fissazione per ridurre il più possibile le conse­ guenze dei suoi gesti. Prima lo invita a usare un'arma impropria (un mattone) per evitare di essere accusato di aggressione preme­ ditata, poi sottrae un cellulare ad una donna per avvertire Yu del pericolo, infine si fìnge pazzo per far accorrere la polizia. L’unico risultato che ottiene è, tuttavia, quello di essere rinchiuso in un ri­ postiglio al piano superiore del locale insieme al fidanzato di una cameriera che ha inavvertitamente palpato. Mentre Lao subisce in­ vereconde torture da quest’ultimo, Xiao può portare a termine la sua vendetta, se non lasse che un altro colpo di scena irrompe a cambiare la situazione: mentre Yu Dehong, giunto finalmente al lo cale, consegna i soldi al ragazzo, Lao, per liberarsi del suo carne­ fice, spinge a terra un grosso armadio il cui urto fa cadere dal sof­ fitto uno degli altoparlanti del ristorante proprio sulla testa di Yu. Xiao, incredulo, sale al piano superiore e qui trova Lao. letteral­ mente impazzito, mentre insegue il suo avversario brandendo una mannaia per rivalersi delle torture subite. Quest’ultimo, assetato di vendetta, è disposto anche a tagliare la mano a Xiao pur di seda­ re la propria ira. 11 libraio lo intima a colpite. Ma un fermo foto gramma e alcuni secondi di schermo nero chiudono enigmatica mente la convulsa sequenza. Quando una settimana dopo Lao esce di prigione (dopo aver ricevuto, sempre dallo stesso poliziotto, le medesime raccomanda­ zioni che questi aveva fatto a Xiao Shuai) scopre che il ragazzo gli ha scritto una lettera e gli ha regalato un computer nuovo. Com­ mosso dal gesto, l’uomo chiede al tassista di condurlo a casa di Xiao mentre la macchina si mescola a molle altre vetture su una caotica tangenziale cittadina.

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Scoraggiato dalle sfavorevoli reazioni suscitate da tei triade di Shanghai, Zhang si getta a capofitto in una nuova produ­ zione che» per la prima volta, vuole affrontare la realtà capita­ lista delle metropoli cinesi. È Toccasionc giusta per smentire la più frequente critica che buona parte dei nuovi registi e dei ci­ nefili cinesi rivolge all’autore di Xi’an in quegli anni: non sa­ pere e non voler catturare la mutazione politico-sociale in atto nel Paese, preferendo ancorarsi ad ambientazioni del passato o rurali che solo marginalmente o in seconda battuta offrono una lettura critica del presente e del nuovo corso della nazione. La sfida lanciala dalle nuove correnti cinematografiche affermatesi negli anni Novanta nelle tre cine3940 interessa anche il linguaggio cinematografico: esso deve sapersi rinnovare e aderire ad una realtà caotica, confusa, surreale, inafferrabile, non può accon­ tentarsi di forme narrative classiche, ma deve saper rispondere al “postmoderno”, concetto che in quegli stessi anni inizia ad essere applicato anche alle società “post-industriali” asiatiche. Solo tre anni prima Zhang ribadiva in un’intervista: 1 contadini con i quali ho lavoralo per questo film (Zzz storia di Qiu Ju, n.d.aj pensano solo alla sopravvivenza. Come puoi chieder loro di capire discorsi di persone che giocano d'azzar­ do a Macao o perdono altrettanti soldi ad Hong Kong? Molti intellettuah e artisti cinesi cercano di usare il cosiddetto stile po­ stmoderno occidentale (boti xiandai zbuyi) per descrivere la si tuazione cinese. Prendono i disagi della civiltà occidentale (cen­ si bing)t la solitudine e la pressione della vita moderna nelle società industriali avanzale c fanno si che personaggi cinesi le esprimano. Questi non sono problemi dei cinesi, non siamo an­ cora arrivati a questo livello. |...| Ciò die dobbiamo ancora fa re é combattere la mentalità feudale e liberare il sé (zitvo Jiefang). [...] Penso che quando la Cina avrà raggiunto un grado di sviluppo simile a quello occidentale non esprimerà i suoi problemi nello stesso modo, o probabilmente i problemi non saranno gli stessi, dal momento che lo sviluppo storico della Cina ha delle caratteristiche rune particolari10.

39. La nouvelie vague taiwanesc, Wong Kar-wai a Hong Kong, i regi sti della Sesta generazione nella Cina popolare. 40. Mayfair Mei-Hui Yang, Of Gender, State, Censorship, and Overseas Capital: An Interview with Chinese Direcor Zhang Yimou, in Fran­ ces Gateward (a cura di), Zbang Yimou Interviews, cit., p. 47.

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Qualche anno dopo la .situazione doveva essere mutata ra­ dicai mente sc Zhang smentisce se stesso portando sullo scher­ mo, con Keep Cool, una storia che riproduce fedelmente le pro­ blematiche tipiche delle società neocapitaliste: incomunicabilità, solitudine, devianza, sfilacciamento delle relazioni interpersona­ li, individualismo, follia, edonismo esasperato. La prospettiva adottata è, inoltre, cupa e pessimista quanto quella dei suoi col­ leglli taiwanesi e di Hong Kong. Non tragga, infatti, in ingan­ no Vhappy end che ostenta una sorprendente ricucitura dei con­ flitti, visto che il film doveva terminare con il gesto estremo di Lao, fino a poco prima fautore di una morale pacifista e mo­ deratrice, poi deciso ad amputare con un grosso coltello la ma­ no di chiunque cerchi di fermarlo. 11 fermo fotogramma e i lun­ ghi secondi di schermo nero vogliono evidenziare uno stacco netto tra la storia ideata e pensata dal regista e il finale cdul cotante imposto dallTIfficio censura per ottenere l'autorizzazio­ ne alla distribuzione. La lunghissima macrosequenza del risto­ rante doveva essere (c in effetti lo è, sebbene l’epilogo ne at­ tenui la forza) il momento più intenso, soffocante, tormentosa­ mente buio di tutta la produzione del cineasta, tanto da far di­ ventare fattori preminenti - contrariamente a quanto avviene in altri film - determinati elementi simbolici riconducibili allo strut­ turarsi della psiche umana: labirinti mentali (i corridoi al piano supcriore del ristorante), peisonaggi che impazziscono o entra no in uno staro simile alla trance (si veda ad esempio quando Xiao si esibisce al karaoke), tentativi di terapia che sfociano nel fallimento (Lao che cerca di far ragionare Xiao e poi impazzi­ sce), psicosi (ossessioni, violenze, avance sessuali). Tuttavia Keep Cool non può essere considerato un film che reitera stili e stilemi dei giovani registi “arrabbiati” asiatici né che voglia scimmiottarne gli esiti. Zhang Yimou, in tal senso, espri­ me con chiarezza e lucidità i suoi propositi nella sequenza im­ mediatamente successiva ai titoli di lesta, forse il momento più innovativo e sorprendente della pellicola, più ancora, a nostro avviso, del calcato sperimentalismo linguistico o della lettura dis­ sacrante della realtà cittadina. Ricostruiamo brevemente i pas­ saggi della sequenza: dopo aver inseguito An Hong per le vie di Pechino, Xiao Shuai si apposta in un grande piazzale circon­ dato da gigantesclii grattacieli, sapendo che la ragazza abita in uno di quei palazzi ma ignaro del suo esatto domicilio. Mentre aspetta passa un robivecchi che invita i passanti a comprare vcc175

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chi libri e vestiti usati. Xiao, che è balbuziente, chiama a sé il rigattiere (in testa ha un buffo cappello di paglia) c lo paga per gridare con quanta più forza gli è possibile il nome di An Hong, nella speranza che la ragazza si affacci alla finestra, come in ef­ fetti accade. Non pago di aver scoperto dove abita l’ex fidan­ zata, Xiao offre altri soldi al robivecchi affinché le faccia sape­ re quanto gli manca e quanto la ami. A quel punto, stanco del­ la confusione, un condomino scende in strada c minaccia di piccliiare Xiao, interrompendo di fatto la sua “serenata" e consen­ tendo al robivecchi di scappare. La sequenza, apparentemente poco importante, è in realtà decisiva perché vede lo stesso Zhang interpretare, per la prima volta aH’interno di un proprio film, un piccolo ruolo, quello del robivecchi, che se in prima battuta può essere ritenuto niente più che un semplice cammeo, in realtà cela una vera c propria dichiarazione di poetica. Egli aveva già recitato in film di altri registi e anche con un certo successo*1. Tuttavia, sebbene do­ tato di buone capacità interpretative, il cineasta di Xi’an non aveva mai ritenuto opportuno recitare in un film di cui era an­ che autore, probabilmente per ragioni di ordine tecnico: per concentrarsi sul lavoro di regia (tanto che non firma nemmeno la fotografìa dei suoi film), per evirare sovrapposizioni di mo­ li, per rinunciare a qualsiasi velleità metalinguistica. Soprattutto quest’ultimo punto rappresenta una sona di tabù, da sempre ac­ curatamente evirato per le inevitabili implicazioni “filosofiche”, teoriche, estetiche connesse a qualsiasi operazione metacinematografica. Siamo agli antipodi, ad esempio, di Abbas Kiaro­ stami che ha fatto della riflessione sulle potenzialità e sui limi­ ti del cinema uno dei propri temi più cari e riconosciuti. La parte di Zhang, per quanto piccola, dunque, deve essere parti­ colarmente significativa se lo stesso regista decide di interpre tarla. E, in effetti, il ruolo di rigattiere, di straccione, si presta felicemente ad una lettura di tipo simbolico e speculativo: mo­ strandosi nei panni di un uomo insignificante che vende vec­ chi vestiti, in un film che già dalle primissime immagini dimo­ stra rutta la sua “ultramodemità”, fatta di un linguaggio visivo spiazzante c frastornante (mentre scorrono i titoli di testa assi41. Oltre ad essere stato protagonista di Vecchio pozzo di Wu Tian­ ming, ha interpretato, accanto a Gong Li, uno dei ruoli principali in A Terracotta Warrior dì Ching Hsiu-tung.

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sdamo all'inseguimento di An da parte di Xiao attraverso uno stile ritmato, sincopato, straniarne), Zhang sembra quasi voler avvisare lo spettatore che la sua funzione, il suo ruolo di regi­ sta, malgrado le apparenze, rimane lo stesso: quello di mante­ nere vive le radici (le cose vecchie), di preservarle dall’urto del presente, di recuperare i vecchi costumi (i vestiti) e le cono­ scenze (i libri) che la tradizione millenaria cinese ha elaborato nel corso della sua storia. 11 fatto di apparire all’inizio del rac­ conto, poi, rende la sua figura “garante” della storia, campione della tradizione anche laddove essa sembra definitivamente per­ duta, occultala da una contemporaneità che, come dimostre­ ranno le scene successive, cancella tutto ciò che incontra nel suo passaggio. In realtà, Zhang si spinge oltre questa mera funzione di pa­ ladino del passato, “cucendosi addosso” un personaggio timido, impacciato, un po’ stupido che ha evidenti riferimenti con la concezione di autore e di autorialità che egli ha elaborato nel corso degli anni. Come affermato in moke interviste, Zhang non crede aH'intoccabilità dei cineasti, a quella sorta di aura di mi­ stica genialità che circonfonde solitamente ogni artista, pensa piuttosto che il regista debba essere una persona qualunque, senza qualità eccelse, con uno spirito indomito, capace di far si ascoltare, senza per questo sostituirsi ai personaggi, vero ba­ ricentro di ogni film. Le singole azioni del robivecchi, se lette da questa prospettiva, assumono tutt’altro significato: come il ri­ gattiere mette in contatto Xiao e An, chiama la ragazza fino a quando non si affaccia alla finestra, così il regista mette in con­ tatto il personaggio e il suo spettatore, li avvicina, assumendo­ si il ruolo di medium, di veicolo tra la realtà rappresentata e colui che ne deve fluire. Poco spazio al cinema come arte “«astratta” e fine a se stessa tanto da venir palesata la centralità del denaro nella produzione di qualsiasi fiction (il robivecchi accetta di aiutare Xiao solo dietro un lauto compenso). Dietro a questo divertissement (è evidente il carattere ironico della “sce­ netta”) si cela dunque una visione del cinema e della funzione del regista che forse solo nelle sequenze ambientate nella sala massaggi di La locanda della felicità vena espressa con la stes­ sa lucidità metalinguistica. Dopo aver avvertito lo spettatore, averlo in qualche modo preparato alla novità, Zhang dà vita ad una pellicola unica e (probabilmente) irripetibile nella sua carriera, che non ha al

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Zbang Yimou

cuna pietà del mondo che rappresenta e che nemmeno com­ patisce i personaggi che mette in scena. Lo stile adottato è perciò strumentale alla realtà rappresentata: falsi raccordi, in­ quadrature ripetute, short cuts, angolature di ripresa “sghem­ be0, tempo narrativo continuamente spezzalo da tagli di mon­ taggio spesso non necessari e ridondanti, ellissi improvvise, moltiplicazione dei punti di vista e soprattutto un uso peren­ torio e incessante della macchina a mano. La cinepresa assur­ ge al ruolo di personaggio tra i personaggi, in un ribaltamen­ to delle normali dinamiche dello sguardo: se nel cinema clas­ sico rocchio onnisciente della cinecamera permeile agli sguar­ di del regista c dello spettatore di coincidere, in Keep Cool la macchina da presa aderisce esclusivamente alle esigenze schi­ zofreniche del cineasta, senza aver cura di dii è dall’altra par te dello schermo, costretto ad un lavoro di continua decifra­ zione di immagini volutamente caleidoscopiche. La colonna so­ nora42 mescola il rock occidentale alle canzoni tradizionali ci­ nesi creando un effetto straniarne (si pensi in particolar modo alla scena del pestaggio di Xiao). 11 lavoro sulla fotografia si conferma, ancora una volta, calibrato al millimetro sullo spiri to del film: spazio dunque agli arancioni, ai verdi elettrici, al­ le luci psichedeliche o al neon, a rossi molto accesi, ovvero ad uno spento cromatico basato esclusivamente sui colori pri­ mari che delinea una realtà in cortocircuito. L’occhio dello spet­ tatore c continuamente messo “sotto pressione” da scelte di campo che alternano primi piani a campi lunghissimi o che ri­ mangono attaccati al personaggio seguendone i movimenti im­ pazziti (la scena dove tale meccanismo è più evidente e quel­ la dell’aggressione di Xiao nel night club di Yu). Attraverso un uso sapiente di figure retoriche lontane dal “classicismo zhan ghiano”, il regista dimostra di aver fatto proprio l’esempio di molte cinematografìe “d’avanguardia”: la nouvelle vague fran­ cese per alcune soluzioni di montaggio, lo stile “dogma” di Lars Von Trier per quanto riguarda l’adozione assidua della macchina a mano, gli stilemi presenti in alcuni film di Wong Kar-wai utilizzati per raffigurare il senso di alienazione delle megalopoli contemporanee. Zhang, tuttavia, non cerca l’imita­ zione, né vuole competere con i suoi modelli di riferimento formale, si limila a sfruttarne le soluzioni e a mescolarle a pro­ 42. L’autore. Zhang Tianshuo, è una celebre popstar di Pechino.

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Analisi dei film

prio uso e consumo, in una personalissima visione della con­ temporaneità. Se si oltrepassa l’involucro stilistico, infatti, sarà semplice in­ dividuare la presenza di molte ossessioni del cineasta: la con­ trapposizione tra generazioni, la caratterizzazione di personag­ gi testardi, solitari, infinitamente orgogliosi c decisi a tutti i co sti a raggiungere i propri obiettivi, la contrapposizione tra pas­ sato e presente, tra tradizione c modernità (è quanto mai sin­ tomatica la forma di vendetta statuita dal libraio, il taglio del­ la mano che ricorda forme di giustizia arcaiche c tradizionali in contrasto con il diritto moderno), la presenza di un fato sì comico e beffardo ma che nasconde, in verità, un amaro sen­ so della tragedia umana, l'antitesi tra necessità di giustizia del singolo e regole sociali che soffocano ogni velleità personali­ stica come già in Ju Dou o in La storia di Qiu Ju, la donna considerata essenzialmente da un punto di vista sessuale. Ciò che non era presente nelle altre pellicole e che invece, ora, ir­ rompe prepotentemente all'interno della costruzione filmica è il tema dell’incomunicabilità. 11 segno distintivo della nuova so­ cietà capitalista, afferma Zhang nella sua pellicola, al di là del­ le magliette firmate, dei fast food, delle automobili, dei cellu­ lari, e al di là della mercificazione dei sentimenti, dell’assenza di solidarietà tra le persone, deH’inelTicienza di qualsiasi servi­ zio sociale (il carcere che, .soprai tutto in Cina, dovrebbe rie­ ducare e non punire), è la sconfitta del dialogo, il dissolvi mento di un linguaggio comune. Le conversazioni tra perso­ naggi sono in realtà monologhi, ognuno parla a sé stesso in­ scenando una surreale conversazione tra sordi, il cui obiettivo non è comprendere le ragioni dell’altro, bensì sfruttarne le de bolezze per raggiungere la propria soddisfazione personale. Ne consegue un’amplificazione del carattere schizofrenico dell’esi­ stente e una perdila di identità di ogni personaggio. Eloquen­ te è il caso di Lao: in prima battuta appare come un rispetta bile signore che chiede di essere risarcito per un computer fra cassato, poi - dopo la fuga dal ristorante - viene considerato pazzo perché ha nibato un cellulare ad una signora, successi­ vamente si finge squilibrato per far intervenire la polizia, infi­ ne - visto che ogni sua azione gli si ritorce contro - impazzi see veramente. Nondimeno, il cortocircuito comunicativo determina in realtà uno scacco rispetto al desiderio di ogni singolo personaggio, vi­

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sto che, sebbene ognuno pensi al proprio tornaconto menten­ do e affermando sempre il contrario di quel che pensa, non ot­ tiene inai ciò che vuole: Lao finisce in carcere, Xiao non rie­ sce a vendicarsi, il boss viene ferito, la stessa An Hong scom­ pare una volta per tutte dalla scena senza aver ottenuto ciò che desiderava (un fidanzato ricco, la propria soddisfazione sul pia­ no sessuale). Risulta così particolarmente indovinato lo sketch delle ali di pollo: al ristorante Xiao si domanda se quelle che sta mangiando siano le ali di uno stesso pollo o di polli diffe­ renti, se siano un’ala sinistra e una destra oppure se siano en­ trambe ali destre o sinistre. La metafora è chiara: in una società mercificata gli uomini sono come le ali di un pollo, non sanno da dove provengono (perse le radici si perde la propria storia), con chi “condividono il piatto*1 (ovvero chi hanno di fianco a lo­ ro), se finiranno, come probabile, smembrati in tante piccole par­ ti e, ancor più probabile, ingurgitati da qualcuno (la società, il potere, la Storia). Perdono, in altri termini, il senso della propria identità, qucIFunicità e indivisibilità che ò patrimonio di ogni per­ sona. Il paradosso - evidenziato ira le righe da Zhang - è che quel processo di “spersonalizzazione” dell’individuo ideato dal pensiero maoista viene ora messo in pratica dal modello capita lista43 in un passaggio del testimone simile a quello attuato nel finale del film, quando il desiderio di punire Yu Dehong, più volte asserito da Xiao, viene concretizzato da Lao per mezzo del la cassa acustica caduta dal soffitto. Cambiano i vestiti, si passa dalla divisa del partito alle t-shirt aderenti di chiara provenienza statunitense, ma il processo di omologazione è analogo. 43. Da questa prospettiva, appare del tutto anacronistico l’atteggiamento del potere, incarnato dal poliziotto che accompagna i detenuti al­ l'uscita dal carcere e che non perde l’occasione di un ultimo in­ dottrina mento, un potere che si manifesta con l’aspetto del buon padre di famiglia che impartisce consigli di semplice e connine buon senso: in realtà, in un mondo dove tutto è vorticosamente caotico e in perenne subbuglio, le esortazioni a mantenere la cal ma (Keep cool significa infatti “stai calmo") e ad essere equilibrali, a leggere libri c a ricorrere alla moderazione u al compromesso in vece che alla violenza (la guardia carceraria afferma: -Se gli stati riescono a mettersi d'accordo, perché non dovrebbero riuscirci le persone?-) jxissono essere lette come una forma di ipocrisia di re­ gime, interessato più a mantenere lo status quo che a comprende­ re le necessità dei suoi cittadini, o ancor peggio di manifesta di­ chiarazione di impotenza di fronte alla complessità del presente.

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Aitatisi dei film

Per non smentire la propria vocazione verso una continua e irrequieta ricerca di nuovi argomenti, Tonne, stili e mezzi di espressione con i quali confrontarsi, Zhang Yimou, prima di tor narc dietro la macchina da presa per girare il suo successivo film, Non uno di meno. accetta la proposta di dirigere un alle­ stimento della Turando! di Giacomo Puccini per il Maggio mu­ sicale fiorentino. Da Keep Cool alla Turando! il salto è glande, ma forse proprio questo ‘‘salto nel buio” - questa continua esi­ genza di mettersi alla prova - può essere considerato il princi­ pale morivo per cui Zhang decide di affrontare un nuovo lin­ guaggio artistico (quello dell’opera lirica italiana, molto diverso peraltro dal linguaggio del teatro dell’opera di Pechino), a lui completamente sconosciuto. Nel 1997, la direzione del teatro delFOpera di Firenze mi ha proposto di dirigere la Turando!. Io non conoscevo per nien­ te l’opera, ina quando ho saputo che la picce era ambientata nella Cina antica ho accettato subito. La realizzazione dello spet­ tacolo a Firenze c andata così bene che mi hanno chiesto di portarla in Cina. la Turando! è stata messa in scena per Lutto il 1998 in una grande rappresentazione nella città proibita a Pechino44.

Era destino che il regista e questa “fiaba teatrale” scritta nel 1762 da Carlo Gozzi e trasposta in opera lirica da Pucc ini nel 1924 dovessero incontrarsi, visto che la Turando! era il prodotto di una cultura del tutto ignorante Sull’Oriente c nella sua arbi­ traria rappresentazione si rinveniva soprattutto una sorta di spec­ chio riflettente delie fantasie occidentali. Zhang, che ha più vol­ te saputo sfruttare le false prospettive con cui l’occidente guar­ da Pónente per portare avanti il suo personale discorso artisti­ co, allestisce un'opera personale e inedita. Non sorprende dun­ que scoprire il conunenlo di un sinologo che ha definito la Tu randot di Zhang pp 54-58 Tony RAYNS, Mao’s trap, -Time out-, n. 1259, 5 ottoljre 1994, pp. 22-23 Robert SKLAR, Becoming a part of life: an interview with Zhang Yimou, -Cineaste-, vol. XX, n. 1, 1993, pp. 28-29 TAN Ye, From the Fifth to the Sixth Generation: an interview with Zhang Yimou, -Film Quarterly-, vol. LUI, n. 2, inverno 1999, pp. 2-13 Yann TOBIN, Zhang Yimou, garde? ma liberi#, -Positif-, n. 465, no vembre 1999, pp. 25-27 Cynthia WU, Rencontre avec Zhang Yimou, liberi# d'expression. Hott Yong: observer Zhang Yimou, -Sequences-, n. 204, settembre-ottobre 1999, pp. 12-13 ZHA Jianying, Killing chickens to show the monkey, -Sight & Sound-, vol. V, n. 1, gennaio 1995, pp. 38-40.

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Zhang Yimou

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Indice dei nomi e dei film

Addio mia concubina (Bawang bieji, Chen Kaige, 1993), 4 n., 40 n., 53, 76, 132, 158 Ai Chihsheng, 131 Alcaine, Rafael, 4n., 7 n., 12 a, 127, 128, 165 Angelo azzurro, L ’ (Der blaue Angel, J. von Stembetg, 1930), 73 Ang Lee, 208, 209 Anno scorso a Marienbad, L' (L'année dentière à Marienbad, A. Resnais, 1961), 145 Antonioni, Michelangelo, 11 Assayas, Olivier, 65 n„ 95 il, 99 il, 181 n. Aubert, Jean Paul, 145 n., 146 n. Baimelo nu (fìlli i-lralletto, Sang Hu, 1972), 8n. Barthes, Roland, 58 e n. Bazin, André. 11 Bergeron, Régis, 17 n., 28 n., 38 n., 85 n. Berry, Chris, 18 n., 19 en., 23 n. Biciclette di Pechino, Le (Sbit qi sui de dati che, Wang Xiaoshuai 2001), 10 n. Black Cannon Incident (Heipao shijian, Huang Jianxin, 1985). 19 n., 24, 30, 31 Blue Kile, The (Lan fengzhen, Tian Zhuangzhuang, 1993), 24 n., 53, 76 n. Brunetta, Gian Piero. 8a, 130n.

CEO. (Zhouxi zhixingguan. Wu Tianming, 2002), 23 nCallahan, William A., 91 n. Cameron, James, 195 Chaplin. Charles, 204 n., 205 n. Chen Duxiu, 29 Cheng Yin, 8n. Chen Kaige, 4n., 6. 11, 12, 16, 17, 19, 20, 25, 27, 30, 32, 34, 35, 37, 38n., 40 n., 53, 61, 68 en., 74 n., 76, 99 il-. 118, 132, 184. 188, 209, 210 Chen Mei-Hsing, 4n., 7n., 12 n., 127 n., 128 n., 165 n. Cheung, Maggie, 206, 212 Ching Hslu-tung, 176 n. Chion, Michel, 143 en. Cliiu Fu-sheng, 136, 138, 156 Chow, Rey, 60 en., 160 n., 162n., 163 en. Ciment, Michel, 149 n., 150 n. Città dolente (Beiqing cbengsbi, Bou I Isiao-hsien, 1989), 138 Clark, Paul, 8n. Comuzio, Ermanno, 184 n., 186 n. Corradini, Pieni, 96 n., 134 n. Costa, Antonio, 145 n. Cotton Club (7be Cotton Club, F.F. Coppola. 1984), 54 Crespi, Alberto, 45 n., 142 n., 143 n., 150 n.

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De Bernardinis, Flavio, 54 n., 167 n. Deleuze, Gilles, 70 n.

Indice dei nomi e dei film

DeUAvcrsana, Valentina, Un., 127 n. Deng Xiaoping, 5 n.. 7, 11, 95, 96 il, 97 e n. Derobert, fine, 133 en. Desser, David, 19 n., 70 ir Diciassette anni (Gao nian bui Jia, Zhan Yuan, 1999), 10 n. Dietrich, Marlene, 47, 72, 73 Dong Jie, 198, 199 Dujuan sban (film balletto, Xie Tieli, 1973), 8n. EjzcnStcjn, Sergej, 11 Elefante tosso. L' (t.l. di Hongxiang, Tian Zhuangzhuang, Zhang Jianya e Xie Xiaojing, 1982), Ila Eriich, Linda, 19 n., 70 n. Escher, Maurits Comelis, 92

Farquhar, Mary Ann, 19 cn„ 77 e n., 91 n. Fei Mu, 24 n. Fellini, Federico, Il Frye, Northrop, 161 en. Fuller, Samuel. 63 Gao Hingyu, 16 Garbo, Greta, 73 Gate of Heavenly Peace. The (do­ cumentario, Richard Gordon, Canna Hinton, 1995), 165 Galewaid, Frances, IX il, 11 n., 33 n„ 39 il, 52 n., 66 n., 119 e n., 120 il, 148 n., 174 n. Ge You, 126, 156, 158, 172 Girl from Hunan. A (Xiang nu Xiàoxtao, Xie Fei, 1986), 85 n. Godard, Jean-Luc, 11 Gong Li, 32, 40, 41, 47, 72-74, 79 n., 85 n., 90, 117, 125, 128, 136, 138, 146, 155, 156, 164, 168, 176 n.» 185 Gordon, Richard, 165 Gozzi, Cario, 181 Grande parata, fa (1.1. di Da yuebingj Chen Kaige, 1985), 20-22, 31, 62, 76 Gu Changwei, 117, 125, 128, 132 Guidetti, Nico, 210 cn. Gusbu Yiren (Li. / cantanti ambu­

lanti, Tian Zhuangzhuang, 1987), 37 Haigang (film balletto, Xie Jin, Xie Tieli, 1972), 8n. He Ping, 28 n. Hero (Ying xiong, Zhang Yimou, 2002), X, 65, 101 n., 113, 116, 161, 205-214 Hinton, Canna, 165 Hongdeng ji (film-balletto, Cheng Yin, 1970), 8 n. Hongse niangzijun (Alni-balletto, Su Li, 1972), 8il Horse Tbief (Dao mazei, Tian Zhuangzhuang, 1986), 25, 27 n., 29-31, 34, 37 Hou Hsiao-hsien, 138, 158, 210 n. Hsiao-peng Lu, Sheldon, 59 n., 60 e n., 135 n. Hua Guofeng, 96 n. Huang Jianxin, 21, 24, 32 Huang Shuqin, 85 n. Hu Jinrao, 97 Huot. Marie-Claire, 38 n., 68 c n., 74

Idola infranta (The Fallen Idol. C. Reed, 1948), 168 Imperatore e l'assassino. L' (Jing ke ci qin untang, Chen Kaige, 1999), 184, 2O8t 210 e n. Imperial Eunuch. Tbe (Da taijian Li Lianyng. Tian Zhuangzhuang, 1990). 24 n. Ivens, Joris, 17 n. Jacob, Gilles, 183, 184 n. Jiang Qing, 5n., 8 Jiang Zemin, 97 Jiao Xiongping, 11 n., 39 n., 42 n., 47 n., (ijn., 69 n. , 120 a Jia Zhangke, 10 n. Ju Dou (Ju Dou. Yang Fengliang, Zhang Yimou, 1990), 32, 35, 40, 43, 44, 48-50, 70 n., 73, 74, 76, 77 e n., 82-84, 87-89, 90 e n., 91 cn.. 92, 94, 99, 102, 111, 116, 124, 128-132, 133 e n., 134 en.. 135, 136, 139. 145. 146. 179, 204

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Indice dei nomi e dei film

Keep Cool {You bua bao bao shuo, Zhang Yimou, 1997), X, 50, 54, 56, 57, 74, 92, 94, 100, 101 n., 102, 105, 108, 110, 112, 172, 175, 178, 180 n., 181, 184, 186, 189 Kiarostami, Abbas, 62, 169, 176 King of Masks, The {Rian Lian, Wu Tianming, 1996), 23 n. King of tbe Children (Haizi wang, Chen Kaige, 1987), 25, 27 n., 29, 30, 37, 38. 69, 76 n., 188 Kracauer, Siegfried, 11 Kurosawa Akira, 210 Kwok Wah Lau, Jenny, 70 n., 133 n., 134 a

re e compagni, Zhang Yimou e altri, 1995), 169-172 Lumière, fratelli, 169, 171 Lun Yang, 132 Lu Wie, 156. 158 Lu Xun, 29

Ladri di biciclette (V, De Sica, 1948), 189 lanterne rosse {Da hong deng long gao gao gua, Zhang Yi mou, 1991), X, 32, 35, 40, 4244, 45 n., 46, 49-51, 60, 70 e n., 71-74, 76, 77, 83, 87, 88, 90, 91, 94, 99, 111, 116, 124, 132, 136139, 142 n., 143 en., 145, 146, 148, 150, 155, 166, 168, 204 Lequeret, Elisabeth, 185 n. Leung, Tony, 206, 212 Li, Jet, 206, 212 Life Utenshen, Wu Tianming, 1983), 23 n. Lin Biao, 5n. Li Shaohong, 11, 28 n. Li Tuo, 12 e n. Liu Heng, 43. 128, 130-132, 146 Liu Huifang, 79 n. Liu Miaomiao, 28 n. Liu Shaoqi, 5n. Li Xuechang, 24 n. Locanda della felicità. La (Xingfu sbi­ guang, Zliang Yimou, 2001), 42, 43, 67, 70 n., 74, 94, 101 en, 102, 103, 105, 108, 110 112, 116, 177, 189, 200, 201, 204 n., 205 cn. Locanda della sesta felicità. La (Tbe Inn of tbe Sixth Happyness, M. RoKson, 1959), 205 n. Luci della città {City Lights, C. Cha­ plin, 1931), 204 n. Lumière et compagnie (t.l.: Lumiè­

Maestro burattinaio, H (Hsimeng rensheng, Hon Hsiao-hsien, 1993), 138, 158 Malick, Terrence, 199 Mama (Zliang Yuan, 1991), 85 n. Ma Ning, 47 en. Mantici. Giorgio, 181 n. Mao Zedong. 3, 5n., 7, 8, 78, 84. 93, 97, 157, 160, 161 Marchi, Bruno De, 5n. Masson, Alain, 167 n. Mei hui Yang, Mayfair, 150 n.. 174 n. Méliès, Georges, 171 Monroe, Marylin, 73 Mo Yan, 34, 43, 46 n., 117, 119 c n., 198. 199 Muller, Marco, VII, Vili, 8n., 12 n. Mulvey, Laura, 73 en., 74

Nazzaro, Giona A., 208 en. Ning Ying, 11, 28 Niogrel, Hubert, 143 n., 165 n. Nome in codice: "Operazione pu ma" (I.I. di Daibao meizhouhao, Yang Fengliang, Zliang Yimou, 1989), 125-1'28 Non uno di meno (Yi ge dou bu neng shao, Zliang Yimou, 1999), 6, 42, 57, 65, 67, 71 n., 94t 98, 99. 101 n., 102, 105, 107-110, 181-187, 196, 197, 201 Onibaba (t.l. Le assassine, Shindo Kaneto, 1964), 121 n. On the Hunting Ground {Liechang zb asci, Tian Zhuangzhuang, 1985), 24 en. Pan, Lynn, 3n. Pan Yulia ng, a Woman Painter {Hua bung, Huang Shuqin, 1992), 85 n. Peckinpah, Samt 63

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Indice dei nomi e dei film

Peng Xiaoiian, 28 n., 85 n. Platform (Zhang lai, Jia Zhangke, 2000), 10 n. Puccini, Giacomo, 181

Qin Shi Huangdi, 115, 160, 184, 208, 209 Qinyuan (Wu Tianming, 1980), 23 n. Quiquemelle, Marie-Claire, 8 a

Rafman, Carolynn, 75, 76 n., 78 n. Rasbomon (Id., A. Kurosawa, 1950), 210 Ray, Nicholas, 63 Rayns, Tony, 119 n. Recti, Carol, 168 Reperto, Monica, 158 n. Resnais, Alain, 145 Reynaud, Berenice, 130 n. River Without Buoys (Meiyou bangbiao de beliu, Wu Tianming, 1983), 23 e n. Robson, Mark, 205 n. Rock n Roll Kids ( Yaogun Qingnian, Tian Zhuangzhuang, 1988), 37 Ropp, Paul S., 93 n. Sacrific'd Youtb (Qingcbunn/t, Zhang Nuanxin, 1985). 85 n. Sang Hu, 8 n. Schoof, Rcn6c, IX n. Secret Decree (Diexue heigu, Wu Ziniu, 1984), 13 n. Sbajia pang (film balletto, Wu Yaodi, 1971), 8n. Sbenghuo de cbanyin (Wu Tian ming, 1979), 23 n. Shi Huangdi, vedi Qin Shi Iluangdi Shindo Kaneto, 121 n. Shining (The Shining, S. Kubrick, 1980), 72 Sklar, Robert, 148 n. Sorgo nxso (Hong gao Hang, Ztiang Yimou, 1987), X, 6, 31-34 en., 3638, 40, 42-44, 46, 48-51. 66, 70 r n., 71-73, 77, 82, 83, 86, 90 n.. 91, 92. 94, 99, 100, 102, 104, 110, 114, 116119,124-126,130-132,135,139,157, 166, 183, 194-196, 199. 204 Springtime in a small town (Xiao

chen zbi chan, Tian Zhuang­ zhuang, 2002), 24 n. Storia di Qiu Ju, la (Qiu Ju da guan si, Zhang Yimou, 1992), 40, 42, 50. 51, 54, 56, 70 n., 73, 83, 89, 91, 94, 100n., 104, 106, 111, 124, 131, 146 149, 150 n., 157, 174, 179. 183 185 Strada verso casa, La (Wo de fu qin mu qin, Zhang Yimou, 1999), 6, 42, 57, 65, 67, 71 n., 75, 98, 99, 100 e n„ 101 n.. 102, 103, 105-108, 113. 184. 192 197. 201 Su Li, 8n. Su Tong, 43, 44, 60, 136, 139, 140 Sutton, Donald, 45, 46 n. Tam, Patrick, 212 Tambunino, Lina, 79 n. Tan Ye, 33 n., 37 n., 52 n. Teng Wenji, 23 n. Terracotta Warrior, A (Quin Ching Hsiu-tung, 1989), 176 n. Terra gialla (t.l. di Huang ludi, Chen Kaige, 1985), 6, 16, 17 e n.. 18n., 19» 20, 27 n., 29, 30, 34, 46, 62, 69, 76. 79 Tesson, Charles, 64, 65 n., 95 n.. 99 n., 181 n. Tian Zhuangzhuang. 11 en., 12, 21, 24 n., 30, 32, 34 , 37, 53, 68, 76 c n., 99 n., 118 ligie e il dragone, la (Crouching Tiger, Ang Lee, 2000). 208, 209 Titanic (Id., J. Cameron, 1997), 195 Tobin, Yann, 133 n. Tokuma Yasuyashi, 130 Triade di Shanghai, La ( Yan a yao yao dao waipo qiao, Zhang Yi­ mou, 1995), 42, 50. 51. 53, 54 c n., 71 n., 72-74, 92, 94, 100, 101 n., 103. 105. 106, 108. 115, 163, 165, 167 n., 168. 174. 183 Tsai Ming-liang, 54 Tsui Hark, 212 Tu Wei ming, 93 n.

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Uno e otto (t.l. di Yige be bage, Zhang Junzhao, 1984), 13 en., 14. 15, 19. 30. 31

Indice dei numi e dei film

Un usual Love, An {Feichang alqing, Wu Tianming, 1998), 23

Wu Yaodi, 8 fl Wu Ziniu, 11. 12, 13 n., 21, 28 n.

Vecchio pozzo (Lao Jing, Wu Tian­ ming, 1986), 6, 23 n., 25, 26, 27 cn., 31, 34, 113. 119, 176n. Vita appesa ad un filo, La (Bianzou biancbang, Chen Kaige, 1991), 37, 69, 76 n. Vivere! (Huozbc\ Wang Bin, Zhang Xleochun, Zhang Yimou, 1994), 44, 51-53, 67, 91, 92, 94, 102, 104, 108, 138, 156-158, 165 Von Slemberg, Joseph, 47, 72, 73

Xiao Li, 163 Xie Fei, 10 n., 85 n. Xie Jin, 8 n., 22 Xie Tieli, 8n. Xie Xiaojing, 11 n. Yang Fengliang, 125, 126, 128 Yao Wenyuan, 5n. Yau Ching Mei, Esther, 76 c n., 78, 79 n. Yin Li, 28 Yu Hua, 53, 156, 158

Wang Xiaoshuai, 10 n., 24 n., 99 n. Wei Jingsheng, 96 n. Woman from the Lake of Sclented Souls, A Wangbun nu, Xie Fei, 1992), 85 n. Women's Story (.Nuren de gu sbi, Peng Xiaoliang, 1989), 85 n. Wong Kar-wai, VII, 54, 174 n., 178 Woo, John, VII Wu Ilan, 5n. Wu Tianming, 6, 10 n., 22, 23 n., 25, 31, 33, 37, 98 n., 113, 118, 119, 176 n.

Zhan Yuan, 10 n. Zhang Jianya, 11 n. Zhang Junzhao, 11, 12, 13 en., 32 Zhang Lihui, 121 n. Zhang Nuanxin, 10 n, 12 en., 85 n. Zhang Tianshuo, 178 n. Zhang Yuan, 24 n., 85 n., 99 n. Zhao Benshan, 198, 200 Zhou Xiaowen, 28 n. Zhu Dake, 22 Ziqu Weihusban (film-balletto, Xie fieli, 1970), 8n

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