Il cinema d'animazione italiano oggi 9788878703339, 8878703338

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Il cinema d'animazione italiano oggi
 9788878703339, 8878703338

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cinema/studio collana diretta da Orio Caldiron

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SABRINA PERUCCA

IL CINEMA D’ANIMAZIONE ITALIANO OGGI

BULZONI EDITORE

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In copertina: Immagine tratta dal cortometraggio Quasi niente, di Ursula Ferrara. In quarta di copertina l’immagine è tratta dal cortometraggio La materia, di Mario Addis

TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22/04/1941 ISBN 978-88-7870-333-9 © 2008 by Bulzoni Editore 00185 Roma, via dei Liburni, 14 http://www.bulzoni.it e-mail:[email protected]

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INDICE

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INTRODUZIONE

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1. LA SITUAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

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1.1 Uno sguardo al passato 1.2 Gli anni ottanta 1.2.1 I principali protagonisti 1.3 Gli anni novanta

31

2. IL SORRISO COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE

31 32 45 53

2.1 La commedia in movimento 2.2 Bruno Bozzetto, Guido Manuli, Osvaldo Cavandoli 2.3 Maurizio Forestieri: la musica e la commedia 2.4 Differenti esperienze, altri autori

57

3. LA SPERIMENTAZIONE E LA RICERCA

57 58 63 70

3.1 L’arte e la sperimentazione 3.2 La pittura cinetica di Leonardo Carrano 3.3 Nuovi modi, nuovi ritmi: altre esperienze 3.4 La sperimentazione e l’uso del computer

77

4. CINEMA DI MUSICA, PITTURA E SCULTURA

77 78

4.1 L’animazione e il rapporto con le altre arti 4.2 Trasformazioni pittoriche, musica e letteratura

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INDICE

78 84 98

4.2.1 L’arte di Manfredo Manfredi 4.2.2 Il colore, la letteratura, la materia 4.3 La metamorfosi

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5. IL CINEMA DI GIANLUIGI TOCCAFONDO

109 112

5.1 La fluidità della forma 5.2 I film

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6. VOLERE VOLARE

121 123 124

6.1 Tra reale e fantastico 6.2 I registi 6.3 La poesia di un uomo-cartone

129

7. I FILM DI ENZO D’ALÒ

129 130 137

7.1 La svolta degli anni novanta 7.2 Da La freccia azzurra a La gabbianella e il gatto 7.3 Momo e Opopomoz

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8. LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

143 146 158

8.1 La produzione italiana 8.2 Aida degli alberi, Johan Padan a la descoverta de le Americhe, Totò Sapore e la magica storia della pizza 8.3 Altre esperienze di lungometraggio

159

9. LA PRODUZIONE SERIALE

159 162 165

9.1 La ripresa produttiva 9.2 Le realizzazioni recenti 9.3 Il successo internazionale. Il caso Winx Club e lo studio Rainbow

8

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INDICE

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167

10. LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

167 171 172 172 173 174 175 176

10.1 L’animazione tradizionale e il computer 10.1.1 Il computer 3D e gli effetti visivi 10.2 Le altre tecniche 10.2.1 Il découpage 10.2.2 La pittura, la sabbia, la claypainting 10.2.3 La plastilina, i pupazzi 10.2.4 Il disegno diretto su pellicola 10.2.5 Altre ricerche

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11. LA PAROLA AGLI AUTORI

178 181 186 189 193 196 198 201 205 211 214 217 221 223 226 233 238 241 247 250 253 256 263

11.1 Mario Addis 11.2 Bruno Bozzetto 11.3 Leonardo Carrano 11.4 Roberto Catani 11.5 Osvaldo Cavandoli 11.6 Giulio Cingoli 11.7 Annalisa Corsi 11.8 Enzo D’Alò 11.9 Alberto D’Amico 11.10 Ursula Ferrara 11.11 Laura Fiori 11.12 Maurizio Forestieri 11.13 Giulio Gianini 11.14 Vincenzo Gioanola 11.15 Giuseppe Laganà 11.16 Manfredo Manfredi 11.17 Guido Manuli 11.18 Maurizio Nichetti 11.19 Alessandro Panzetti 11.20 Stelio Passacantando 11.21 Gianni Peg 11.22 Gianluigi Toccafondo 11.23 Fusako Yusaki

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FILMOGRAFIA

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BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Un grande fermento Il cinema d’animazione è un campo di grande interesse, ricco di numerose sfaccettature. La sua caratteristica principale è la varietà di forme, il suo non essere definibile in poche parole né inquadrabile in una sola tecnica di realizzazione. L’essere una forma d’arte che si collega con tutte le espressioni artistiche, la pittura, la musica. Negli ultimi quindici anni il panorama del cinema d’animazione internazionale è profondamente mutato. Gli anni ottanta hanno visto, accanto alla più generale crisi dell’industria cinematografica, una forte crisi nella produzione di cinema d’animazione, che ha coinvolto la stessa Walt Disney Pictures. La situazione in Italia, poi, ha rasentato realmente l’immobilità, con una produzione che si è praticamente bloccata dopo la chiusura della trasmissione televisiva Carosello, che aveva favorito la nascita e l’affermarsi di diversi studi di animazione italiani negli anni sessanta. Negli anni ottanta la produzione in Italia era dunque praticamente congelata, con pochissimi studi che lavoravano prevalentemente per la pubblicità e per sigle televisive, mentre in tv era quasi impossibile vedere un prodotto seriale che non fosse importato. L’idea poi di realizzare un lungometraggio animato era veramente improbabile. Questa situazione di crisi generale comincia a scongelarsi alla fine degli anni ottanta. Nel 1988 Robert Zemeckis realizza Chi ha incastrato Roger Rabbit, che unisce animazione e riprese dal vero in maniera davvero innovativa, creando un universo parallelo e credibile in cui i personaggi animati interagiscono con gli attori in carne ed ossa, e la bella del film, il sex symbol, è proprio un cartone animato, Jessica Rabbit. Il film ottiene un enorme successo di pubblico. Di lì a poco la Walt Disney Pictures trionfa con La sirenetta, che segna in qualche modo una sorta di rinascita, creando una nuova formula vincente. Ma il nuovo elemento è che la Walt Disney Pictures, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni 11

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INTRODUZIONE

novanta, comincia a non troneggiare più da sola nel mondo dell’animazione internazionale. Prima fra tutte, oltre all’emergere di altre realtà produttive americane, l’animazione giapponese: cominciano a crollare i tanti pregiudizi nati negli anni ottanta nel mondo occidentale, a causa dei quali era stata giudicata e identificata troppo spesso come animazione violenta o per adulti. I nomi e le realizzazioni di due grandi registi nipponici cominciano a fare il giro del mondo: Hayao Miyazaki, vincitore tra l’altro con La città incantata dell’Orso d’oro a Berlino e dell’Oscar come miglior lungometraggio animato, Leone d’oro alla carriera alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2005, e Isao Takahata, regista del toccante Una tomba per le lucciole. Ma l’animazione giapponese ha contato in questi ultimi anni anche su altri straordinari registi, tra cui Satoshi Kon e Mamoru Oshii. Anche tutta l’animazione europea vive un risveglio di proporzioni mai viste prima. Le cinematografie nazionali cominciano, o ricominciano dopo molti anni, a produrre lungometraggi, e questo soprattutto grazie a proficue strategie di coproduzione internazionale e sostegni all’animazione europea. Ciò ha dato modo di far emergere una creatività tutta particolare, personale, con prodotti che vanno dall’altissima qualità a realizzazioni sicuramente meno riuscite, ma che hanno fatto crescere, passo dopo passo, talenti e storie che hanno cercato in qualche modo di distanziarsi dalla lezione disneyana per trovare vie più personali. Così in molti paesi europei e in particolare in Francia, si sono susseguiti a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo l’uscita di diversi prodotti molto interessanti: i film di Michel Ocelot; il lungometraggio Appuntamento a Belleville di Sylvain Chomet del 2003, grazie alle idee innovative e all’impostazione grafica originale che ne fanno un prodotto di altissima qualità, è uno di quei film che riesce a imporre finalmente al grande pubblico l’idea che l’animazione non sia esclusivamente un prodotto per bambini e ragazzi, ma un linguaggio funzionale per raccontare qualunque tipo di storia, con target diversificati, e dunque anche per gli adulti. diverse produzioni stanno andando verso questa direzione, perché per troppo tempo l’animazione ha dovuto fare i conti con il pregiudizio di essere un linguaggio destinato solo ai bambini e ragazzi, anche se certamente siamo molto lontani dal dire che questo non si pensi più. Un caso d’eccellenza nel panorama europeo è l’esperienza dello studio inglese Aardman Animation, fondato da Peter Lord e David Sproxton, che grazie all’altissima professionalità raggiunta con le realizzazioni in pla12

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INTRODUZIONE

stilina, prime fra tutte i cortometraggi con i personaggi di Wallace e Gromit, sono giunti a realizzare con produzione Dreamworks i lungometraggi Galline in fuga e Wallace & Gromit-La maledizione del coniglio mannaro, portando le potenzialità espressive della tecnica della plastilina dove non erano mai arrivate. L’animazione giapponese, da sempre una realtà produttiva di grande importanza, sia di lungometraggi che serie, ha raggiunto con i lungometraggi realizzati in questi ultimi anni una notorietà internazionale mai conosciuta e livelli qualitativi straordinari. A partire da Akira, del 1988, si sono susseguite importanti realizzazioni che, grazie ad accordi distributivi azzeccati, hanno cominciato a girare il mondo. I già citati Hayao Miyazaki e Isao Takahata, con le realizzazioni dello Studio Ghibli, hanno creato delle opere straordinarie. La principessa Mononoke e La valle incantata di Miyazaki, Una tomba delle lucciole di Takahata sono tra i risultati straordinari del cinema internazionale. Il loro utilizzo del linguaggio dell’animazione, inventando sempre un nuovo modo di comunicare concetti profondi, riflessioni sull’uomo e sulle sue azioni, è assolutamente particolare e sorprendente, al di là di qualsiasi definizione, spesso restrittiva, si voglia dare al cinema d’animazione. Gli Stati Uniti hanno visto negli anni novanta l’emergere e l’affermarsi di nuove realtà produttive. Prima fra tutti la Pixar che, dal cortometraggio Luxo Jr, realizzato al computer, è diventata oggi leader nella realizzazione di lungometraggi in 3D. Grazie a diversi contratti di coproduzione con la Walt Disney Pictures, la Pixar ha realizzato, tra gli altri, Toy Story, Monsters & Co, Alla ricerca di Nemo, Gli incredibili, Cars, successi e campioni di incasso a livello internazionale, film che non si distinguono solo per l’innegabile maestria tecnica ma anche per l’originalità delle storie e la straordinaria capacità di raccontare. La Pixar continua poi a riservare un posto di riguardo alla realizzazione di cortometraggi, momenti espressivi di grande importanza e palestre fondamentali per sperimentare contenuti e tecnologie. La Dreamworks si cimenta anch’essa nella realizzazione di lungometraggi animati, da Zeta la formica al Principe d’Egitto, fino al grandissimo successo di Shrek e Shrek 2. Siamo di fronte dunque ad una produzione a livello mondiale che ormai non attende più solo il periodo natalizio, come tradizionalmente accadeva in passato, per uscire nelle sale con le nuove realizzazioni. Una produzione numericamente molto elevata che non sempre è sinonimo di 13

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salute: difficoltà produttive, i costi, le regole stesse dell’industria cinematografica sono comunque problematiche presenti. Ma quello che è certo è che nell’animazione ormai si investe, si ricerca, l’avvento della computer animation ha cambiato profondamente il mondo dell’animazione. Anche il pubblico è cambiato in questi ultimi anni, è più esigente, più preparato, ha sicuramente delle aspettative spettacolari maggiori, ma sta anche capendo che l’animazione non è soltanto il film destinato al piccolo di casa, ma è un linguaggio più ampio e con infinite possibilità, grazie al quale godersi una bella storia. Da non dimenticare poi il fatto che l’animazione entra nei film che definiamo dal vero con sempre maggiore forza: qual è il confine fra l’animazione e il dal vero in film come Spider Man? Ma anche lungometraggi meno spettacolari utilizzano a piene mani l’ausilio degli effetti visivi creati con l’animazione al computer. Quello del lungometraggio e della produzione seriale per la tv è però soltanto un aspetto del mondo dell’animazione, indubbiamente più evidente perché legato ad una distribuzione, ma c’è invece tutto un mondo da scoprire che è fatto dall’animazione d’autore, dai cortometraggi sperimentali, con i suoi linguaggi, la varietà delle tecniche adottate da ogni singolo autore compatibilmente alle proprie esigenze espressive. Si tratta di un mondo vasto e vivo, che arricchisce la storia del cinema con opere di autori che in un linguaggio diverso da quello del cinema ripreso dal vero hanno trovato la propria dimensione espressiva. E l’analisi della produzione italiana che si svolgerà nel libro guarderà con lo stesso interesse e spirito di approfondimento sia al cortometraggio d’autore che alle realizzazioni di lungometraggio. La situazione in Italia L’animazione italiana ha vissuto un periodo di grande ripresa produttiva negli anni novanta, uscendo da una fase in cui si è realizzato veramente poco. Dopo la grande stagione produttiva degli anni sessanta ed inizio settanta legata alle pubblicità per Carosello, per cui troviamo l’emergere di studi importanti, tra cui la Gamma Film dei fratelli Gavioli, ma che ha riguardato anche l’affermarsi di illustri autori, con realizzazioni molto personali, si è avuto un periodo di crisi. La chiusura del contenitore pubblicitario più famoso d’Italia nel 1977, che includeva molti ca14

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roselli realizzati in animazione, ha significato per la produzione italiana un clamoroso arresto. Negli anni ottanta molti autori hanno continuato la loro attività tra mille difficoltà proprio perché vi era la quasi totale mancanza di commissioni o comunque di finanziamenti che avevano reso il settore in Italia veramente povero: ciò che si realizzava erano soltanto sigle per la tv e pubblicità, era impensabile mettere in piedi una produzione di lungometraggio o di una serie. L’abitudine consolidata era quella, da parte di televisioni pubbliche e private, di importare materiale americano e giapponese, tralasciando totalmente di finanziare la produzione italiana. Indicativa di questa crisi è la data dell’ultimo lungometraggio italiano uscito nelle sale prima di quelli realizzati negli anni novanta, ossia il 1977, data di produzione di Allegro non troppo di Bruno Bozzetto. Da questa situazione l’Italia comincia ad uscire nella seconda metà degli anni novanta con una serie di produzioni che hanno ridato vitalità al settore. Questo, come si vedrà, è accaduto grazie alla convergenza di diversi fattori: agli investimenti del programma Media dell’Unione Europea Cartoon, piano d’aiuto alla produzione audiovisiva europea; alle connessioni e coproduzioni tra la realtà italiana e quella europea; alla Rai che ha cominciato ad investire nella produzione nazionale, coproducendo sia serie tv, di cui un primo esempio è la serie Lupo Alberto, realizzata nel 1997, sia lungometraggi, sia investendo in un lavoro più autoriale come è avvenuto con i cortometraggi realizzati per Rai Educational, Noi, cartoni animati dalle migliori intenzioni. Si è trattato di una campagna educativa realizzata nel 1998 su temi quali l’immigrazione, l’inquinamento, l’ambiente, il rispetto dei diritti umani. Esperienza importante proprio perché non è stata una produzione seriale, bensì un insieme di corti, ed ha coinvolto un buon numero di autori che, lasciati liberi a livello espressivo, hanno avuto modo di utilizzare anche tecniche diverse dall’animazione tradizionale. Importante la presenza e la crescita in questo stesso periodo di piccole società di produzione e realizzazione molto vitali a Milano, Torino, Roma e in diverse altre città. Queste realtà produttive hanno lavorato e lavorano a diversi progetti, soprattutto per serie tv, lungometraggi, pubblicità e videoclip. La situazione sfocia nella seconda metà degli anni novanta nella realizzazione di due lungometraggi animati, La freccia azzurra del 1996 e La gabbianella e il gatto del 1998, di Enzo D’Alò. Questi film hanno dato un grande impulso all’animazione italiana, in tutti i settori produttivi, ren15

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dendo possibili molti progetti. Nel giro di pochi anni, infatti, diverse sono state le realizzazioni di lungometraggio portate a termine. Non si deve pensare che ormai il settore non abbia problemi, ma quello a cui si è assistito negli anni novanta è stato proprio l’inizio di un risveglio. Indubbiamente esistono difficoltà produttive in un settore che solo da un decennio si può dire abbia ripreso una produzione più o meno regolare. Questo cambiamento, questa rinascita, ha visto l’emergere di diversi studi in Italia, molto spesso piccole realtà, fondate da autori/imprenditori e da giovani da poco usciti dalla formazione, ha consolidato realtà esistenti e l’affermarsi di studi di media grandezza, ma ne ha viste altre in grave crisi. Così come persiste il problema della lavorazione di lungometraggi e serie, che vedono spesso l’affidamento di parti di animazione o intercalazione a studi esteri, soprattutto asiatici, in cui il costo del lavoro è notevolmente inferiore. Si può comunque affermare oggi che la produzione italiana esiste: nel giro di pochi anni diversi sono stati i lungometraggi usciti nelle sale, così come le serie trasmesse in tv. Parallelamente alla rinascita della produzione, si è assistito a un rinnovato interesse per la formazione nel settore, motivato dalla richiesta di numerosi giovani che aspiravano a lavorare nel campo e che per la prima volta dopo molti anni non venivano del tutto scoraggiati, perché comunque opportunità di lavoro stavano nascendo; a cui si aggiunge l’esigenza sia da parte di professionisti già operanti sia di giovani leve, di mettersi in corsa con tutte le novità tecnologiche che proprio gli anni novanta hanno introdotto, come l’uso del computer, il 3D, Flash, che hanno comportato in alcuni casi la ristrutturazione ed in altri la nascita di scuole e nuovi corsi. Il Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema, ha aperto un dipartimento sull’animazione a Torino, proseguimento ideale dei corsi di animazione che teneva la Scuola presso la sede di Roma, e che hanno formato tanti professionisti che oggi lavorano attivamente nel settore. La Scuola d’Arte di Urbino, un istituto di formazione superiore, che ha un corso molto importante di animazione: molti dei nuovi talenti emersi negli anni novanta si sono formati lì. E tante altre realtà formative, originariamente focalizzate sull’illustrazione e sul fumetto, hanno moltiplicato i corsi dedicati all’animazione. Sempre più forte si fa l’esigenza di una formazione non solo artistica ma manageriale nel settore, anche perché ormai la sfida è a livello internazionale, ed è importante per la creatività italiana essere accompagnata anche dalla managerialità che strutturi lo studio di realizzazione e la produzione. 16

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I festival da sempre rappresentano un momento di confronto e di scambio importante e vitale per il settore, luoghi dove spesso si percepisce il polso della situazione, occasione di incontrarsi tra professionisti e fondamentale momento di diffusione culturale per il pubblico. Gli anni novanta hanno visto la nascita e l’affermarsi di festival dedicati all’animazione, ognuno caratterizzato da una particolare impronta e in risposta a esigenze diverse. I Castelli Animati-Festival internazionale del cinema di animazione 1, appuntamento che raccoglie tutte le diverse espressioni del cinema di animazione: partendo dal cuore che è il concorso internazionale dei cortometraggi d’autore, passando alle retrospettive dedicate ai grandi maestri dell’animazione internazionale ospiti del festival, ai lungometraggi, alle serie, fino allo sguardo di questi ultimi anni sugli effetti speciali e visivi. Cartoons on the Bay-Festival internazionale dell’animazione televisiva 2 rappresenta in Italia un appuntamento dedicato principalmente ai professionisti del settore, occasione annuale per discutere sullo stato dell’animazione televisiva. È organizzato da Rai Trade. Il Future film festival 3 è principalmente dedicato alle espressioni innovative che riguardano l’animazione, gli effetti speciali, i videogiochi. Il Giffoni film festival, dedicato ai ragazzi, ha una sezione di animazione consistente, principalmente di lungometraggi. Numerosi sono gli eventi dedicati perlopiù a rassegne di cortometraggi e sempre di più sono i grandi festival di cinema che dedicano uno sguardo importante al mondo dell’animazione, in particolar modo ai lungometraggi. Alla luce di questa ripresa della produzione ho ritenuto importante fare una ricerca approfondita partendo dagli inizi degli anni ottanta per arrivare alle più recenti realizzazioni, andando oltre le cose più evidenti e rivolgendomi inoltre al settore prettamente autoriale, proprio perché questa vitalità ha coinvolto anche autori distanti da una produzione più commerciale. Molti artisti alternano la loro attività tra un tipo di produzione su commissione ed un lavoro più personale, spesso cortometraggi d’autore. Il libro è dunque idealmente suddiviso in due parti: una va a esaminare l’importante e fondamentale produzione di cortometraggi, espressione di 1 Si tiene ogni anno a Genzano di Roma, è nato nel 1996. Nel 2007 prosegue in una nuova sede a Roma. Dal 1998 la direzione artistica è a cura di Luca Raffaelli. 2 Si tiene ogni anno in una località della costiera amalfitana. È giunto alla undicesima edizione. La direzione artistica è a cura di Alfio Bastiancich. 3 Si tiene ogni anno nella città di Bologna.

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personalità artistiche che hanno segnato il mondo dell’animazione italiana; l’altra si rivolge ai lungometraggi realizzati negli anni più recenti. A ciò si aggiunge un capitolo che guarda alla rinata produzione seriale e un capitolo sulle tecniche dell’animazione. Infine le interviste agli autori. Nei primi cinque capitoli lo sguardo è principalmente rivolto ai corti, intendendo per cortometraggio d’animazione d’autore un’opera che è espressione di una personalità d’artista realizzata nella completa libertà di scelta sia dei contenuti che delle tecniche di realizzazione, senza dettami o imposizioni esterne. Si seguirà un percorso che si rivolge alla sperimentazione, al legame dell’animazione con la pittura e le altre arti, trattando di autori storici dell’animazione italiana e di personalità che proprio negli anni novanta sono emerse con realizzazioni importanti. La scelta della tecnica è uno tra gli elementi fondamentali per un film animato d’autore, proprio perché con essa l’artista decide di esprimersi cercando quella più affine al suo modo di sentire. Così la scelta della tecnica della pittura su vetro o della plastilina o del disegno su carta risulta fondamentale. O anche la stessa scelta di utilizzare e sperimentare continuamente nuove tecniche, comprese le nuove possibilità offerte dal computer, o addirittura di inventare la propria tecnica, è indicativa di un’esigenza espressiva diversa, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi. Per questa ragione ho ritenuto necessario dedicare un capitolo alle tecniche dell’animazione, proprio per evidenziare questo legame tra autore e tecnica, con tutta la fatica anche fisica del realizzare un film animato, ricordando che ogni secondo è fatto di 24 fotogrammi, tutti da realizzare con il disegno o la pittura, o con tecniche diverse. Ciò anche per dare l’idea di quale sia la varietà che si nasconde dietro il termine animazione, varietà dei processi produttivi ma anche dei contenuti, che vanno dal film sperimentale astratto, alla gag, al film impegnato, all’onirico. Nei capitoli successivi si tratterà dei lungometraggi degli anni novanta, i film di Enzo D’Alò, e delle realizzazioni che li hanno seguiti. L’uscita de La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto hanno rappresentato l’evento che ha avuto maggiore risonanza nell’animazione italiana degli anni novanta. Il capitolo sulle serie indaga i motivi che hanno condotto ad un evento pressoché eccezionale, la messa in onda in tv dalla seconda metà degli anni novanta di serie animate italiane. Infine il libro si chiude con le interviste agli autori. Questo è il campo di ricerca, ma il mondo dell’animazione è comunque fatto di tanti altri elementi, di altri tipi di produzioni: le serie tv, le 18

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sigle per la televisione, le pubblicità, i videoclip musicali che spesso utilizzano sequenze o sono completamente realizzati in animazione, gli effetti speciali e visivi per il cinema dal vero, i cortometraggi e le serie per il web, i nuovi format per la tv del futuro, la IP tv e quella sui telefoni mobili. Tutti segni della versatilità dell’animazione, che si adegua con estrema facilità ai nuovi mezzi. Inoltre anche i videogiochi con una grafica sempre più elaborata, rappresentano un linguaggio che utilizza l’animazione a piene mani. L’animazione riesce in maniera esemplare a tenere il passo coi tempi: è un linguaggio che facilmente si adegua alle nuove tecnologie, utilizzato sui nuovi supporti. Si è citato Internet, ma anche le tecniche al computer 2D e 3D mettono in evidenza tutte le nuove prospettive che si offrono all’animazione; a cui si aggiunge l’utilizzo del computer, così come si è affermato negli anni novanta, nella lavorazione di alcune fasi più lunghe e costose, come la colorazione e il pencil test 4. Le più recenti frontiere del videogioco sono rappresentate da Second Life, in cui ogni giocatore è un personaggio con caratteristiche uniche e particolari, che può vivere on-line una seconda vita condividendola con giocatori di tutto il mondo. Tra gli elementi emersi affrontando questa ricerca, proprio per la sua attualità e per la vicinanza temporale del periodo preso in esame, è stata la quasi totale mancanza di materiale bibliografico, tranne poche eccezioni, ed anche la difficoltà di reperire il materiale audiovisivo, in quanto i cortometraggi non hanno una vera e propria distribuzione, c’è la possibilità di vederli nei festival specializzati, ma poi l’unica alternativa è contattare direttamente l’autore. Solo recentemente, grazie alla diffusione dei dvd, si cominciano a trovare raccolte di cortometraggi, soprattutto prodotte all’estero. Questa situazione mi ha permesso però di fare un’esperienza particolare, ossia raccogliere il materiale direttamente dai registi. Ho realizzato ventitré interviste, raccolte nel capitolo undicesimo, che sono una delle basi fondamentali di questo lavoro. Ma l’intervista non è altro che l’aspetto evidente di un incontro, di un colloquio con l’autore, il quale mi spiegava le sue scelte, le sue intenzioni per ogni film. Infatti, prima di realizzare l’intervista spesso vedevo, accanto all’autore nel suo

4 Si avrà modo di esaminare l’utilizzo del computer sia nelle realizzazioni d’autore che nelle lavorazioni per lungometraggi e serie nel capitolo 10.

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INTRODUZIONE

studio, le opere. Devo dire che questo è stato fondamentale per il discorso critico, è stato piacevole e spesso divertente, avere proprio l’autore lì accanto, che mette in pausa la cassetta e ti dice: «Questo l’ho realizzato così, qui ho preferito adottare questa tecnica». Mi piace dunque pensare che questa ricerca sia fatta di persone, ed è anche per questo, oltre all’interesse storico e documentario, che ho voluto dedicare un capitolo alle interviste. Naturalmente non sono esaustive dei tanti autori e professionisti che operano in Italia, ma sono una testimonianza approfondita e viva del mondo animato nazionale. Desidero ringraziare per la loro disponibilità e il loro affetto tutti gli autori, artisti e animatori che sono il cuore di questo mio lavoro, ed in particolare per le preziose interviste che mi hanno rilasciato. Ringrazio tutte le persone che in questi anni mi hanno sostenuto e incoraggiato: Antonella Agnoloni, Alfio Bastiancich, Giannalberto Bendazzi, Anna Castellani, Francesco D’Ausilio, Liz Fairs, Piero Fortini, Chiara Magri, Pierre Floquet, Fabio Massimo Franceschelli, Cinzia Orizi, Roberto Davide Papini, Francesca Perri, Lorella e Irene e Patrizia Perucca, Stefano Senese, Vincenzo Silvestri. Un ringraziamento speciale a Orio Caldiron, che durante la preparazione del libro mi ha sempre sostenuto e consigliato. In particolare ringrazio con grande affetto i miei genitori e tutta la mia famiglia, Nicola Orizi, Emanuela Marrocco, Luca Raffaelli, Mario Addis e tutti coloro che mi sono stati vicini in questi anni. Si ringraziano tutti gli autori e le case di produzione e distribuzione per le immagini.

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Capitolo 1 LA SITUAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

1.1 Uno sguardo al passato La situazione storica del cinema d’animazione italiano, soprattutto se ci si riferisce al cortometraggio, trova il suo periodo vitale con creazioni originali proprio negli anni sessanta e settanta. Nel 1957 inizia la singolare esperienza di Carosello, contenitore pubblicitario della televisione nazionale che riservava alla pubblicità della marca del prodotto i soli trentacinque secondi finali del comunicato pubblicitario, lasciando maggiore libertà creativa al tempo restante (la durata media di un carosello era di centotrentacinque secondi). Questo ha dato modo alle aziende di rivolgersi all’animazione come strumento privilegiato e flessibile per creare dei personaggi comunque riconoscibili, che immediatamente ricordavano il prodotto ad ogni messa in onda di una nuova avventura. Ciò ha permesso la nascita e la crescita di fiorenti studi per l’animazione pubblicitaria in Italia: la Gamma Film, che negli anni sessanta rappresentò una delle più grandi realtà europee, la Pagot Film, la Paul Film. Contemporaneamente crescevano autori che, proprio in quel periodo, realizzavano opere di fondamentale importanza nella storia dell’animazione italiana: i cortometraggi del Signor Rossi di Bruno Bozzetto, personaggio che incarnava le avventure e le disavventure di un uomo qualunque, ma anche un buon numero di altri corti che, con la tipica allegria che caratterizza le opere dell’autore milanese, toccavano gli argomenti più disparati, dalla guerra all’ecologia. Sempre di Bozzetto sono i tre lungometraggi dell’epoca, West and Soda del 1965 (uscito dopo un’assenza di sedici anni di un lungometraggio italiano dagli schermi), Vip mio fratello superuomo del 1968 e Allegro non troppo del 1977. In questi anni si situa l’attività di collaborazione tra lo scenografo ed illustratore Emanuele Luzzati1 e Giulio Gianini, direttore della fotografia.

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Emanuele Luzzati è nato a Genova il 3 giugno 1921, dove è morto il 26 gennaio 2007.

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SABRINA PERUCCA

1 Vip mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto

Grazie ad un lungo sodalizio artistico, i due hanno creato delle splendide opere, realizzate con la tecnica del découpage, che permetteva a Gianini di animare i disegni di Luzzati, creando un mondo fiabesco, legato al sogno, alle filastrocche ed alla tradizione, grazie anche al fondamentale legame con la musica classica, di Rossini ad esempio, di cui i loro film erano una splendida visualizzazione. La scelta del découpage era ideale per conservare le qualità pittoriche delle realizzazioni di Luzzati2. In questo periodo Guido Manuli lavora nello studio di Bruno Bozzetto, collaborando a numerose realizzazioni. Più tardi Manuli lascia lo studio per lavorare come freelance. 2

Vedi capitolo 10 ed intervista a Giulio Gianini, capitolo 11.

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LA SITUAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

L’artista giapponese Fusako Yusaki, arrivata in Italia nel 1964, comincia ad occuparsi di animazione nel 1968. Osvaldo Cavandoli3 inventa la sua Linea proprio nel 1968, che diventa protagonista nella pubblicità nel 1969 ed in seguito di serie e cortometraggi. Anche Manfredo Manfredi comincia ad interessarsi di animazione negli anni sessanta, realizzando per alcuni anni opere che spesso racchiudevano una tematica sociale, come Ballata per un pezzo da novanta del 1966, film sulla mafia e sull’omertà, fino al suggestivo Dedalo del 1976, in cui, in un gioco tra realtà e illusione, la fantasia diventa protagonista. Nell’ambito della sperimentazione non va trascurata l’esperienza particolarmente significativa di Luigi Veronesi che negli anni quaranta realizzò alcuni film d’ispirazione astratta dipingendo direttamente sulla pellicola fotogramma per fotogramma. Importante sperimentatore negli anni sessanta fu Cioni Carpi, che arrivò a collaborare anche col National Film Board canadese, fondamentale luogo per la ricerca e la sperimentazione nell’animazione che, grazie all’instancabile lavoro di Norman McLaren e la presenza di molti altri grandi autori, ha arricchito con opere fondamentali di alto spessore artistico tutta l’animazione mondiale4. Gibba, il cui vero nome è Francesco Maurizio Guido, rappresenta un’altra figura cruciale nella storia del cinema d’animazione italiano. Nel 1946 realizza L’ultimo sciuscià, cortometraggio a tematica neorealista, per poi proseguire la sua carriera con diverse realizzazioni, caroselli negli anni sessanta, cortometraggi, il film erotico del 1974 Il nano e la strega, titoli di testa per film e produzioni televisive negli anni ottanta e novanta. Anche Giulio Cingoli negli anni sessanta, con il suo studio a Milano, è una figura importante nella sperimentazione, di cui un esempio è Relax del 1968 realizzato con tecniche miste, con la collaborazione di Giancarlo Carloni e Giovanni Mulazzani, due presenze fondamentali nel mondo dell’animazione italiana, attivi con lo studio Mixfilm a Milano con numerose realizzazioni.

3 Osvaldo Cavandoli è nato a Maderno sul Garda l’1 gennaio 1920, è morto a Milano il 3 marzo 2007. 4 Il National Film Board nasce in Canada nel 1941. Ente statale che aveva tra i suoi scopi quello di “far conoscere il Canada ai canadesi e agli stranieri”, doveva svolgere attività di ricerca e diffusione culturale, la sezione animazione è stata un crogiolo di sperimentazione e di nuove idee, guidata per anni da Norman McLaren.

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1.2 Gli anni ottanta Carosello finisce nel 1977, e tale evento incide profondamente sia nell’animazione pubblicitaria italiana, sia in tutto il settore dell’animazione. Si conclude un periodo caratterizzato da un’enorme vitalità. Le cause di questo impoverimento dell’animazione italiana sono da attribuirsi a più fattori. In particolare ha risentito della generale crisi del cinema degli anni ottanta e della mancanza quasi totale di finanziamenti per produzioni sia da parte di reti pubbliche che private le quali, dalla fine degli anni settanta in poi, cominciano ad importare massicciamente cartoni animati dagli Stati Uniti e dal Giappone, senza prevedere però parallelamente un congruo investimento nell’animazione di produzione nazionale. Questo è quanto è successo da un punto di vista commerciale alla produzione di lungometraggi e serie per la tv, col risultato di rasentare l’immobilità per più di quindici anni. Per quanto riguarda il cortometraggio d’autore, la situazione precaria del settore non era certo la più favorevole per i registi a cui interessava utilizzare il linguaggio dell’animazione per creare le proprie opere. È naturale che un regista d’animazione, proprio per la particolarità del mezzo che usa, e anche dei suoi costi, deve trovare quantomeno una condizione viva e produttiva per potersi permettere di realizzare opere che provengono esclusivamente dalla sua fantasia creativa e istanza espressiva. Non era più in vigore inoltre la legge del 1965 che assegnava premi di qualità ai cortometraggi d’autore, che in passato aveva permesso la realizzazione di opere interessanti. Nonostante tutto ciò, c’è da dire che la tenacia degli autori di animazione italiani ha permesso la realizzazione di cortometraggi interessanti pur se in esiguo numero, confermando nomi già conosciuti ed anche facendo emergere nuove personalità. Chiara Magri, che è stata segretario generale dell’Asifa Italia per lungo tempo, così scriveva nel 1997 a proposito degli anni ottanta e delle realizzazioni animate italiane: Hanno continuato ad esistere […], in cassetti straordinariamente pieni di progetti e nei cortometraggi, bobine cinematografiche da pochi minuti trasportate con fatica da un festival all’altro […]. Il cortometraggio per gli animatori non è stato solo una palestra di cinema, è stata l’unica forma possibile di creazione autonoma e autofinanziata5.

5 Chiara Magri, catalogo de I Castelli Animati. Festival internazionale del cinema di animazione, seconda edizione, Genzano di Roma, 27-31 ottobre 1997, p. 24.

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1.2.1 I principali protagonisti Guido Manuli realizza in questi anni alcuni dei suoi maggiori cortometraggi, a cominciare da Erezione (a ciascuno la sua) del 1981, digressione nell’erotico, ma in una maniera del tutto divertente. Solo un bacio del 1983 è la storia di un disegnatore che si innamora della sua stessa opera, Biancaneve, e che dunque cerca di invadere lo spazio del cartone: entra nel disegno e tenta di conquistare la sua bella. Racconto che indaga il rapporto cinema dal vero-animazione, quali i confini e quali le vie di comunicazione di questi due universi, tema che viene ripreso in più occasioni da Manuli e in particolare nel lungometraggio Volere volare 6 firmato assieme a Maurizio Nichetti. Le opere di Manuli sono caratterizzate da una comicità spesso aggressiva, esagerata e mai scontata, e che proprio per questo ci permettono di guardare da un punto di vista diverso la quotidianità, con le sue cose tanto normali da sembrare assurde. Sotto questa ottica si veda Incubus, corto del 1985: storia di un uomo comune, ossessionato dagli incubi del quotidiano, il traffico, la folla, l’ascensore; le sue notti sono esse stesse un incubo, tanto che a volte non si capisce più quale sia la realtà, quale il sogno. La mattina al risveglio, la beffa: l’irresistibile scena finale vede l’omino uscire dell’edificio in cui abita per andare al lavoro, ma la città è completamente deserta, non una persona, un’automobile, l’angoscia si impadronisce dell’uomo. In realtà, ma questo lo vediamo solo noi, tutti si sono nascosti dietro un enorme grattacielo, con tanto di automobili accatastate l’una sull’altra per tutta la sua altezza, uno scherzo ben congegnato, la beffa del reale o l’ennesimo incubo? Tutti abbiamo pensato a come sarebbe stato il mondo senza la presenza di una persona: sarebbe restato tutto uguale, qualcosa sarebbe cambiato, quali le conseguenze? Manuli ce lo fa vedere in +1 -1, corto del 1987, in cui si visualizza la stessa storia due volte, con e senza la nascita di una persona, a seconda che il papà in una certa sera veda o meno la televisione! La conclusione è che alcune cose cambieranno, altre resteranno le stesse, chi deve morire a causa di quella persona, morirà per un altro motivo. Curiosa e divertente divagazione nell’ipotesi, una sorta di Sliding Doors in pochi minuti.

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Vedi capitolo 6.

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2 Incubus di Guido Manuli

In questi anni altri registi lavorano a qualche cortometraggio. Bruno Bozzetto realizza Baeus nel 1987, storia della trasformazione di un uomo in insetto e di un insetto in un principe azzurro, collegato ad una serie di situazioni fantastiche. Nello stesso anno Bozzetto si cimenta addirittura in un lungometraggio dal vero, Sotto il ristorante cinese, ritrovando la sua passione che era quella dei suoi esordi, in quanto le sue primissime esperienze nel mondo del cinema le ha fatte proprio con dei cortometraggi dal vero, che ha continuato a realizzare alternandoli alle produzioni in animazione. Osvaldo Cavandoli continua a raccontare la sua divertente favola della Linea 7. Vincenzo Gioanola e Maurizio Forestieri realizzano i loro primi corti, Fusako Yusaki prosegue la sua attività.

7 Per una trattazione più vasta dell’attività dei Bozzetto, Cavandoli e Manuli vedi capitolo 2.

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LA SITUAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

Stelio Passacantando, pittore romano, realizza nel 1984 Il generale dell’inferno, tratto da una poesia di Pablo Neruda che parla del generale Franco e della dittatura, corto che ebbe vasta risonanza. Il milanese Walter Cavazzuti (1946-2004) realizza nel 1987 Tunnel, corto che narra di un uomo alle prese con la strada, con la vita, i suoi ostacoli, la via che si interrompe: ma c’è sempre un modo per uscire dal tunnel? La domanda resta aperta. Del 1989 è invece il corto The End, lotta tra il colore, il bianco ed il nero, ambientato in un mondo letteralmente in bianco e nero su cui si apre la scritta “The End” che solitamente chiude i film classici; in questo mondo in cui anche i mobili sono animati, si aggira un pericoloso killer che sparando non uccide, ma colora! Walter Cavazzuti rappresenta una delle presenze più importanti nell’animazione italiana. Dopo aver lavorato con diversi studi di animazione, fonda proprio nel 1980 a Milano insieme a Michel Fuzellier lo studio di animazione Quick Sand Production, specializzato nella produzione per la pubblicità. Cavazzuti partecipa alla lavorazione di diversi lungometraggi, realizza il layout per L’eroe dei due mondi di Guido Manuli e La freccia azzurra di Enzo D’Alò, crea i personaggi per La gabbianella e il gatto, Momo e Opopomoz di Enzo D’Alò. Michel Fuzellier, nato a Gregnoble nel 1944, inizia la sua attività come animatore e illustratore. Con Quick Sand ha realizzato, come si vedrà, le scenografie e l’ideazione degli ambienti per diversi lungometraggi italiani. Paolo Di Girolamo lavora da lungo tempo nel mondo dell’animazione, ha realizzato alcuni cortometraggi, si occupa da molti anni di formazione nel campo dell’animazione e di realizzazioni per la tv. Giuseppe Laganà, milanese, comincia a lavorare allo studio di Pierluigi De Mas per poi passare alla Gamma Film e approdare infine allo studio di Bruno Bozzetto, collaborando al lungometraggio West and Soda. Negli anni settanta e ottanta lavora come illustratore per alcune riviste e in animazione per diversi studi; realizza inoltre i cortometraggi L’Om salbadgh, favola tradizionale della pianura padana e Preghiera della notte, su una poesia di Giannalberto Bendazzi8. Negli anni novanta, con lo studio che ha fondato, The Animation Band (che ha poi lasciato dopo qualche anno per tornare a lavorare come freelance), firma diverse serie televisive. Laganà realizza nel 1982 assieme a Guido Vanzetti, uno dei primi autori ad interessarsi alle

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Uno dei maggiori storici e critici mondiali di cinema di animazione.

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SABRINA PERUCCA

potenzialità dei programmi di animazione al computer, il cortometraggio Pixnocchio, ufficialmente il primo film italiano realizzato al computer. In cinque minuti vediamo linee essenziali, cubi e rettangoli, che crescono e si colorano per creare l’immagine di Pinocchio, un modo di ritrovare, anche nelle nuove tecnologie, la tradizionale favola collodiana del monello bugiardo. Certo, data la limitata disponibilità tecnologica di allora, guardandolo oggi è inevitabile vederlo come una primitiva ma interessante sperimentazione. Del film, realizzato in occasione del centenario di Pinocchio e di una mostra a lui dedicata, Giuseppe Laganà racconta: Cominciai a pensare a come realizzare un film su Pinocchio, ma dopo il film Disney, l’unico modo che vedevo era di farlo al computer, un Pinocchio del futuro, ipertecnologico. […] Il film è nato ed è cresciuto mentre maturava anche la nostra capacità tecnologica. Quindi le prime scene sono in 2D bianco e nero e le ultime sono in 3D a colori 9.

A partire da questo periodo si assiste ad altre sperimentazioni che hanno portato a cortometraggi realizzati completamente al computer, che molto spesso però sono più virtuosismi nell’uso dei nuovi software che opere con uno spessore artistico, anche se troviamo dei film molto interessanti come ad esempio Voyager del 1984 di Adriano Abbado, sorta di excursus storico dell’evoluzione dell’uomo in cui è importante il legame con la musica. Interessanti le sperimentazioni al computer realizzate dalla società Correnti Magnetiche, in particolare con Mario Canali, nei primi anni novanta. A Torino negli anni ottanta comincia a formarsi un nucleo molto attivo sia per quanto riguarda lo studio e la ricerca, sia per quanto riguarda la produzione. Nel 1982 nasce a Torino la sezione nazionale dell’Asifa. L’Asifa Internazionale (Association international du film d’animation) nasce nel 1961 allo scopo di riunire tutte le forze dell’animazione mondiale, per riconoscere un’identità al settore; il primo presidente fu Norman McLaren. L’Asifa Italia nasce dall’unione di animatori e studiosi d’animazione ed opera per la diffusione e la conoscenza dell’arte dell’animazione e per favorire i contatti e gli scambi a livello italiano e internazionale. Negli stessi anni, nel 1983, nasce a Torino la Cooperativa La Lanterna Magica, realizzando lavori con scuole e con una buona attività produttiva. 9

Tratto dall’intervista a Giuseppe Laganà, capitolo 11.

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LA SITUAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

Un professionista coinvolto in numerose produzioni fin dagli anni ottanta è Giorgio Ghisolfi, è uno dei soci fondatori di Asifa Italia. Tra le sue numerose realizzazioni, circa cento commercial e sigle per la tv realizzati in collaborazione con gli studi Quicksand, Bozzetto, Mixfilm. Collabora alla realizzazione delle animazioni per L’eroe dei due mondi di Guido Manuli e Volere volare di Nichetti. Partecipa alla realizzazione de La gabbianella e il gatto come storyboard artist e animatore ed è direttore di produzione per Momo. Realizza nel 2006 il cortometraggio in flash Requiescat in pace. Vito Lo Russo è attivo nel mondo dell’animazione fin dagli anni ottanta. Ha lavorato a numerose realizzazioni come regista e produttore esecutivo. È direttore artistico dello studio di produzione Farmtoons di Roma. 1.3 Gli anni novanta Arriviamo così agli anni novanta, periodo in cui si susseguono una serie di esperienze notevoli per l’animazione nostrana. Questi anni vedono la rinascita della produzione, la Rai come committente, coproduzioni internazionali, la lavorazione di lungometraggi e serie tv, l’emergere e l’affermarsi di nuovi talenti. Un periodo completamente nuovo, che ha significato un cambiamento radicale e un salto di professionalità. Negli anni novanta, in un rinnovato territorio produttivo, sicuramente non scevro da diversi tipi di problematiche, ma comunque vivace e attivo, si assiste parallelamente alla produzione su commissione (lungometraggi e serie tv) e alla realizzazione di numerosi e interessanti cortometraggi d’autore, di cui si trova ampia trattazione nei capitoli successivi. Dando uno sguardo generale alla geografia produttiva italiana, troviamo a Roma la presenza consolidata di diversi autori; l’emergere di registi più sperimentali; giovani studi che si affermano come nucleo produttivo e realizzativo importante, affiancandosi a precedenti realtà produttive dell’animazione a Roma. Milano ha sempre rappresentato una realtà molto vivace, oltre ad autori consolidati come Bruno Bozzetto, Guido Manuli, Osvaldo Cavandoli, Fusako Yusaki. Gli anni novanta hanno portato l’emergere di autori che proprio a Milano trovano un fertile terreno per l’affermarsi del proprio talento, tra cui Gianluigi Toccafondo e Mario Addis. Per quanto riguarda Giulio Cingoli, autore sperimentale negli anni settanta, poi atti29

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SABRINA PERUCCA

vo con lo Studio Orti con una produzione commerciale, dopo avere accantonato per ben due volte il progetto di lungometraggio Il viaggio di Lory, ha firmato nel 2002 la regia del lungometraggio Johan Padan a la descoverta de le Americhe su testi di Dario Fo. A Milano c’è anche la presenza di studi di animazione veramente importanti per la produzione di questi anni, attivi nel settore delle serie tv, delle sigle, degli spot commerciali, dei lungometraggi. Molti di questi sono stati fondati da autori che nei decenni passati hanno realizzato interessanti corti, hanno lavorato magari in studi di altri colleghi, arrivando poi a crearne uno proprio. Milano si conferma, così come lo è stata negli anni sessanta e settanta, una delle maggiori realtà produttive italiane. Gli anni novanta hanno visto inoltre nascere Rainbow, importante studio di Loreto (Ancona), che ha realizzato alcune serie per la tv distribuite anche a livello internazionale10. Altri studi in altre città italiane si sono distinti per particolari realizzazioni, tra cui Il Gruppo Alcuni di Treviso. A Torino troviamo un altro centro di importanti realizzazioni. Enzo D’Alò realizza i suoi primi due lungometraggi La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto con la Lanterna Magica, Vincenzo Gioanola prosegue le sue sperimentazioni disegnando su pellicola e Laura Fiori ha modo di realizzare i suoi film facendo uso della computer grafica. In questo periodo troviamo anche alcune fondamentali opere di due importanti autori come Manfredo Manfredi ed Ursula Ferrara, con le loro creazioni profondamente legate alla pittura. C’è infine da ricordare come il cortometraggio in questi ultimi anni abbia svolto un ruolo importante. Fermo restando il cortometraggio d’autore, voluto e realizzato a solo scopo artistico per volontà del regista, il corto è stato una utilissima e fondamentale palestra, in particolare per i giovani studi di realizzazione, per misurare contenuti e tecnologie, parallelamente all’accelerazione che ha accompagnato tutta la rivoluzione tecnologica degli anni recenti. Solo alcuni ovviamente hanno raggiunto qualità e solidità e hanno partecipato ai festival internazionali, ma il loro ruolo è risultato fondamentale in questo passaggio di fine secolo.

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Vedi capitolo 9.

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Capitolo 2 IL SORRISO COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE

2.1 La commedia in movimento Il linguaggio dell’animazione è veramente molto ricco ed è soprattutto tanto duttile da veicolare ogni tipo di messaggio: può essere il mezzo di una ricerca espressiva sperimentale, essere profondamente legato alla pittura, cercare una comunicazione basata essenzialmente sulla musica, emozionare. Non poteva dunque mancare nella sua vasta capacità espressiva lo strumento dell’ilarità, del sorriso, non inteso soltanto come gag umoristica, ma proprio in un’accezione più grande che vede la commedia, il racconto divertente, lo spunto brillante, come un felice mezzo di comunicazione. Ed allora nascono questi divertenti cortometraggi che spesso ci fanno da una parte ridere e dall’altra pensare, in cui resta intatta la freschezza della realizzazione e soprattutto il divertimento di chi l’ha realizzato, che inevitabilmente sembra attraversare lo schermo e coinvolgere lo spettatore. L’animazione, proprio per le sue peculiarità realizzative, permette la trasformazione dei personaggi, la loro deformazione e caricatura, il cambiamento di luoghi e situazioni in pochi secondi. Il personaggio può venire schiacciato da un masso ed uscirne illeso, può apparire all’improvviso, senza alcuna giustificazione razionale e creare così la situazione comica. L’assurdo che entra nel reale, l’andare contro le leggi fisiche, oppure raccontare la cosa più ovvia, ma da un punto di vista totalmente inaspettato, tutto ciò è reso possibile dall’animazione grazie alla sua capacità realizzativa, grazie al disegno ed alla fantasia dell’autore. Questo era talmente chiaro a Walt Disney, da fargli inventare proprio delle regole da applicare all’animazione, che prevedevano che i suoi tubi allungabili, i suoi personaggi degli esordi ed ovviamente Mickey Mouse, fossero veramente elastici, si allungassero, subissero pressioni, con tanti piccoli trucchi per rendere l’animazione divertente ed efficace. 31

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SABRINA PERUCCA

L’Italia vanta nella sua storia del cinema d’animazione grandi autori, ognuno dei quali caratterizzato dal proprio stile espressivo, che ci hanno fatto ridere attraverso i propri film, e sono forse gli autori più conosciuti al grande pubblico. Bruno Bozzetto è il maestro e capofila, dal Signor Rossi a mille altre invenzioni, Guido Manuli con la sua graffiante comicità e le infinite gag, Osvaldo Cavandoli con la sua Linea che continua a dipanarsi in mille avventure. Ci sono poi diversi altri autori che negli anni ottanta e novanta hanno realizzato particolari e divertenti corti di animazione, arricchendo notevolmente questo filone. 2.2 Bruno Bozzetto, Guido Manuli, Osvaldo Cavandoli Negli anni sessanta esordisce un giovane autore, che si avvicina al mondo dell’animazione con grande curiosità, Bruno Bozzetto. In realtà aveva esordito nel cortometraggio realizzando film dal vero, interessato alla capacità espressiva del mezzo cinema. Fin dal liceo comincia a realizzare documentari dal vero, acquisendo competenze dal punto di vista registico e del montaggio. Ma la sua vera passione era ed è raccontare storie, con il loro contenuto, la loro carica divertente, che nascondono spesso un importante messaggio: «Trovo che il cinema sia essenzialmente un mezzo di comunicazione, quindi io lo uso quando ho delle cose da dire»1. Decide così di dedicarsi al cartone animato, mezzo a lui congeniale sia perché da sempre aveva disegnato, sia perché gli permetteva di raccontare le sue storie, soprattutto nei cortometraggi, in maniera sintetica, efficace e veloce, aiutandolo a risolvere i problemi organizzativi che aveva incontrato nel cinema dal vero, in quanto l’animazione gli consentiva di realizzare un corto contando solo sul proprio lavoro e sui propri mezzi. Comincia così la sua avventura nel mondo dell’animazione, divenendo uno dei maggiori autori italiani. Bozzetto ha sempre affrontato l’animazione con la mentalità e l’ottica di un regista che l’ha scelta come mezzo più congeniale alla propria istanza di comunicazione. Nei primi anni sessanta fonda la sua casa di produzione, che diverrà presto una delle maggiori realtà produttive in Italia, in cui hanno lavora-

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Tratto dall’intervista a Bruno Bozzetto, capitolo 11.

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to giovani autori, ognuno dei quali ha trovato poi la propria strada, da Guido Manuli a Maurizio Nichetti, che continuerà la sua carriera registica nel cinema dal vero, e molti altri, tra cui Giuseppe Laganà e Giovanni Mulazzani. Bozzetto continuerà ad alternare alla sua più numerosa produzione in animazione, le esperienze dal vero, con cortometraggi, mediometraggi, fino alla realizzazione di un lungometraggio. Bozzetto ama dunque raccontare nei suoi film, non è un semplice inventore di gag. Anche se i suoi film sono sempre molto divertenti, ama descrivere ciò che più lo colpisce della quotidianità, pregi e difetti degli uomini, comportamenti, abitudini: osserva, definisce l’idea, realizza il suo film. Ho realizzato tanti cortometraggi, perché c’è sempre il piacere di raccontare qualcosa della nostra vita quotidiana, trasformato nel cartone animato. Questo è quello che a me interessa: guardandomi intorno, quando trovo qualcosa che ho da dire, faccio un film2.

Bozzetto trova proprio nel cortometraggio il suo mezzo preferito, la sua passione prediletta: «Io ho sempre amato le piccole cose»3. Sottolinea, parlando dei suoi corti, il fatto che in pochi minuti con un corto si riesca a dire tanto ed in maniera efficace, eliminando tutto ciò che è accessorio, risolvendolo anche in tempi molto brevi e soprattutto lavorando da soli. Queste sono, come si vedrà più avanti, alcune delle ragioni che lo hanno avvicinato all’uso del computer. Nella sua carriera non ha realizzato solo cortometraggi, ma anche lunghi, spot, lavori per la televisione, in una filmografia che comprende circa cento titoli. Tantissime le idee, le realizzazioni in cui la ricerca trova un posto fondamentale: Mi sono sempre definito un dilettante. Un professionista è quello che raggiunge una capacità in un campo e la sviluppa fino all’estremo. Io invece quando arrivo lì ricomincio da capo. Amo il rischio e la ricerca, la mia è una ricerca radicale, proprio al limite4.

La ricerca, caratteristica essenziale per ogni autore di animazione, lo rende attento a tutto ciò che si offre all’animazione. 2

Ibidem. Ibidem. 4 Ibidem. 3

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Personaggio degli anni sessanta e settanta è il Signor Rossi, leggendaria e divertente figura, l’intuizione geniale di un personaggio tanto vicino all’uomo comune da farci ridere delle sue e nostre avventure-disavventure. Bozzetto ha alternato a questo personaggio, protagonista di tre lungo-

3 Il Signor Rossi compra l’automobile di Bruno Bozzetto

metraggi e di numerosi cortometraggi, tante diverse realizzazioni, vari corti e tre altri lunghi, West and Soda del 1965, primo lungometraggio animato italiano dopo sedici anni, rivisitazione parodica del genere western; Vip, mio fratello superuomo, del 1968, parodia del supereroe; Allegro non troppo, del 1977, in cui affronta la complessità di visualizzare brani musicali. In Bozzetto si riconosce, specialmente nei corti, dove è più libera l’invenzione personale, un’attenta osservazione del mondo, del rapporto 34

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uomo natura, che spesso stigmatizza il comportamento antiecologico dell’uomo, il consumismo sfrenato. Già con Il signor Rossi compra l’automobile, corto del 1966, Bozzetto richiamava l’attenzione sul problema del traffico, sull’inquinamento, e soprattutto sul bisogno indotto dal consumismo di acquistare l’auto più bella. Descrive abitudini e manie, con spirito ironico, che ci diverte ed allo stesso tempo ci fa fermare a pensare alle cose che si affrontano quotidianamente, degli automatismi quasi, a cui non prestiamo attenzione, ma che isolati in un corto d’animazione si presentano sotto una diversa angolazione e ci danno modo di ragionarci un po’ su. Bozzetto racconta, diverte e si diverte, del suo lavoro dice: «Questo mi piace, mi dà la carica, ho cercato, e ci sono riuscito fino alla mia età, di divertirmi lavorando, ed ho scoperto stranamente che più mi diverto io e più si divertono gli altri»5. Ed è vero, giocare e narrare con l’immagine è piacevole e creativo, ed il pubblico viene coinvolto in questo mondo disegnato in cui in qualche modo si riconosce. Dopo vari corti realizzati nei primi anni ottanta, tra cui si notano un buon numero di corti dal vero, Bozzetto sorprende tutti nel 1987, realizzando il suo primo lungometraggio dal vero, Sotto il ristorante cinese, che forse sarà anche l’unico, perché come afferma: «Per me è stato faticoso, mi sono divertito, ma non lo rifarei più»6, ma che è stato un’ulteriore dimostrazione della sua continua voglia di non fermarsi ad un modo di realizzazione, ma di tentare numerose vie. Nel 1988 realizza Mister Tao, per cui l’idea nasce «mentre camminavo dietro a mio padre in montagna, ragionavo tra me pensando che in quel momento stavamo andando in cima ad una montagna, quindi stavo facendo un percorso che simbolicamente rappresentava la vita, se lo si fa correttamente, seriamente, è il massimo della vita»7. Il film è stato premiato nel 1990 con l’Orso d’oro al festival di Berlino. Nel 1990 realizza Cavallette, ironico e sarcastico viaggio attraverso la storia dell’uomo, che lo rivela essere il vero animale distruttivo della Terra, una pericolosa cavalletta, che ripete sempre, senza imparare nulla dal passato, le stesse scelte e gli stessi errori. Questo è un cortometraggio 5

Ibidem. Ibidem. 7 Ibidem. 6

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4 Cavallette di Bruno Bozzetto

molto amato dall’autore, in quanto riprende in qualche modo il tema di uno dei suoi primissimi film, Tapum! La storia delle armi, realizzato nel 1958. Con Cavallette Bozzetto ottiene una nomination all’Oscar nel 1991. Dancing, corto del 1991, è una «riflessione sull’ottimismo che può sconfiggere anche la morte»8. Tra il 1992 ed 1996 realizza una serie di corti per il W.W.F. che ben si accompagnano al tema ecologista da lui più volte affrontato nei corti più personali. Nel 1995 realizza invece Jof in help!, in cui il simpatico Jof deve affrontare ogni tipo di ostacoli per uscire indenne da un ospedale in cui si era recato solo per un dito schiacciato.

8

Ibidem.

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Tra le diverse opere che hanno costellato la sua attività negli anni novanta, c’è anche l’ideazione della serie tv Spaghetti family 9, mentre comincia a guardare con grande interesse alle possibilità offerte dal computer e dai nuovi software per l’animazione. Nel 1998 comincia a fare i primi tentativi, delle animazioni in 2D realizzate con il programma Flash, finché nel 1999 c’è una vera e propria svolta con la realizzazione di Europe & Italy, che apre a Bozzetto un mondo intero da scoprire e sperimentare, quasi un nuovo inizio: Ho scoperto il computer, che mi ha dato un’ulteriore spinta e anche una specie di nuovo entusiasmo, nel senso che mi sono ritrovato a sperimentare di nuovo un mezzo, un po’ come quando sperimentavo il cartone animato quaranta anni fa10.

Bozzetto non cambia certo il suo modo di raccontare, riconosce anzi che il computer amplifica le caratteristiche che lui aveva sempre trovato nel cortometraggio, dunque la sintesi, l’essenzialità. A questo proposito, ricordando due suoi corti degli anni sessanta, racconta: Io ho sempre amato le piccole cose, i miei film più belli credo che siano Una vita in scatola e un altro molto curioso, I due castelli. Sono corti che, se ci penso oggi, potrei farli col computer, perché i personaggi sono piccoli, e tutto quello che conta è il montaggio, l’idea. Allora mi sono detto che evidentemente già trenta anni fa avevo una mentalità per le cose semplici, pulite, che mi rendono adatto a questo mondo che sta arrivando adesso 11.

Inoltre il computer gli permette di realizzare da solo ed a costi veramente bassi i suoi corti, senza dover più decidere di non sviluppare un’idea perché costa troppo. Certo, l’autore ammetteva allora che dal punto di vista grafico il computer 2D ha i suoi limiti, rispetto al disegno a matita. Ma se si guarda a quello che ha permesso di realizzare l’animazione al computer a livello internazionale negli anni più recenti, ai lungometraggi in 3D, si comprende come il rapporto animazione-computer fosse appena iniziato negli anni novanta, proseguendo poi in molte direzioni la ricerca, in un percorso che ha cambiato profondamente il modo di fare l’animazione e continuerà a cambiarlo.

9

Riguardo a Spaghetti Family vedi capitolo 9. Tratto dall’intervista a Bruno Bozzetto, capitolo 11. 11 Ibidem. 10

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Bozzetto ha realizzato diversi cortometraggi in computer 2D. Europe & Italy è una divertente satira sui costumi, o per meglio dire, sui difetti del popolo italiano, che si accingeva al grande incontro con l’Europa in vista dei più facili scambi che si stavano per introdurre con l’istituzione

5 Europe & Italy di Bruno Bozzetto

della moneta unica europea. Così, in un divertente paragone delle medesime situazioni che vedono come protagonisti personaggi italiani e personaggi europei, si ha una piccola galleria delle cattive abitudini italiane, dai ritardi dell’autobus alla fila a teatro, dall’uso delle strisce pedonali al rispetto del vicino sulla spiaggia. Un campionario di esilaranti circostanze, in cui lo spettatore in qualche modo si riconosce o magari riconosce quel difetto negli altri, accompagnato dalla azzeccata e ammiccante musica composta per il film da Roberto Frattini, che collabora alle realizzazioni di Bruno Bozzetto da molti anni. Il 2D ci fa vedere questi personaggi dall’alto, che in realtà sono dei semplici tondi colorati: una volta dal tri38

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colore ed una volta dall’azzurro europeo e che risultano, secondo lo stile di Bozzetto, semplici ed efficaci. Nel 2000 realizza To bit or not to bit, che traspone il dilemma di Shakespeare ai giorni nostri: l’uomo trascinato nel vortice della tecnologia che gli fa perdere le proprie abitudini quotidiane, facendogliene acquisire però delle altre. Nella routine dell’alzarsi dal letto, andare al bagno, lavorare, guardare la tv, coricarsi, irrompe in casa il computer che stravolge inevitabilmente tutto! L’idea di base del film è interessante, anche se a volte si perde il filo della narrazione. È comunque un film gradevole, con degli spunti divertenti e che tenta di farci pensare. Con un altro corto realizzato sempre nello stesso anno, Tony e Maria, Bozzetto si cimenta, sempre utilizzando il computer 2D, in una storia d’amore: «Ho voluto provare a raccontare una storia un po’ fuori dal mio genere, ma lo considero un esperimento» 12. Bruno Bozzetto ha creato negli anni più recenti diversi cortometraggi pensati e realizzati appositamente per Internet, che sono facilmente scaricabili dalla rete, e che in questo modo girano tranquillamente tutto il mondo. Spicca il corto Olympics, realizzato nel 2003, divertente ma crudele parodia dei giochi olimpici, in cui il povero atleta protagonista deve affrontare le diverse specialità con epiloghi spesso catastrofici. Nel 2002 ha realizzato il pilota di 3 minuti di un lungometraggio, Mammuk. Nel 2004 Bozzetto lavora a Looo, corto al computer 3D in cui, con la sua tipica ironia, si prende gioco della situazione delle realizzazioni al computer 3D in Italia, se confrontate alle omologhe internazionali. Bozzetto dopo quaranta anni di attività è ancora pronto a sorprenderci e divertirci. Continuando questo percorso tra gli autori che da molti anni sono attivi nell’animazione italiana, emerge sicuramente il nome di Guido Manuli. Autore con una particolare e graffiante comicità, tanto da essere considerato il Tex Avery italiano, comincia a lavorare allo studio di Bruno Bozzetto, finché negli anni settanta inizia a realizzare i suoi primi corti, lasciando poi lo studio per dedicarsi all’attività come libero professionista. Negli anni novanta l’attività di Manuli si fa più intensa, comprendendo sia cortometraggi che lungometraggi. Nei film di Manuli la gag è pro-

12

Ibidem.

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prio il suo modo personale di ironizzare sarcasticamente sulla vita, sull’uomo, sulla sessualità, in un crescendo di situazioni probabili e improbabili. Nel 1989 realizza Istruzioni per l’uso, corto che evidenzia come ci siano delle istruzioni per tutto ciò che acquistiamo, per cui ci si domanda dove stiano scritte quelle per il nostro pianeta. Così l’uomo, che sembra non avere proprio idea del corretto utilizzo delle risorse nonché del rispetto per l’ambiente e delle altre persone, getta sconsideratamente rifiuti, ogni sua azione è inquinante, davanti agli attoniti occhi di un bambino. Nel 1991 completa la realizzazione di Volere volare, film firmato assieme a Maurizio Nichetti, divertente e divertito gioco sul rapporto animazione-dal vero, trattato da un punto di vista totalmente nuovo13. Consapevole della problematica situazione dell’animazione italiana all’inizio degli anni novanta, con tutte le difficoltà legate alle produzioni e ai finanziamenti, Manuli ironizza proprio su questo con Trailer, corto del

6 Trailer di Guido Manuli 13

Vedi capitolo 6.

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1993, in cui racconta di una nuova e speranzosa generazione di autori europei, con tante idee, ma senza la possibilità di trasformarle in un film proprio a causa della mancanza di soldi, a cui resta solo l’opportunità di realizzare i trailer dei film. In questo modo si può immaginare qualsiasi grande realizzazione, un colossal che non ha nulla da invidiare agli americani, peccato che resti solo un sogno. Alla fine appare la sagoma di Mickey Mouse, personaggio che in un modo o nell’altro torna spesso nei film di Manuli, che per tutta risposta regala al regista un biglietto, un’entrata gratuita a Euro Disney valida per un animatore! Trailer acquista oggi un grande valore simbolico, segna la fine e l’inizio di un’epoca proprio perché sintetizza la grande crisi che ha caratterizzato l’animazione italiana, ma anche europea, situandosi in un periodo che ha poi visto una grande ripresa del settore, soprattutto dal punto di vista commerciale e del lungometraggio, ma in qualche modo anche in quello del cortometraggio, ambito a cui gli autori, pur se tra mille difficoltà, hanno sempre guardato con interesse. Nel 1994 Manuli completa la realizzazione del lungometraggio L’eroe dei due mondi, prodotto dall’Istituto Luce, film con finalità prevalentemente didattiche, incentrato sulla figura di Garibaldi e destinato ai ragazzi. «Ho cercato di fare una storia che tenesse desta l’attenzione dei bambini e che insegnasse la storia perché sono proprio i ragazzini delle elementari che studiano per la prima volta il Risorgimento»14. Il film è ambientato sull’isola di Caprera, luogo in cui l’ormai vecchio Garibaldi vive finché un giorno, a causa di un naufragio, sbarca sull’isola un ragazzino a cui l’eroe racconta la sua vita straordinaria. Questa parte è realizzata in animazione tradizionale, mentre per le parti che riguardano i racconti di Garibaldi, le sue battaglie e avventure, sono state realizzate da Manfredo Manfredi con una tecnica diversa, il rotoscopio15, ossia basando il disegno su dei fotogrammi di riprese dal vero. Nel 1996 Manuli realizza un altro divertente cortometraggio, Casting. Il film riprende il personaggio di Biancaneve, già utilizzato in Solo un bacio, corto del 1983, in cui il disegnatore, innamorato quasi maniacalmente del suo stesso disegno, proprio Biancaneve, invade il regno del cartone animato per conquistare la sua bella. In Casting invece veniamo a

14 15

Tratto dall’intervista a Guido Manuli, capitolo 11. Vedi capitolo 10.

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scoprire che la vita dell’attore di un cartone animato non è poi così semplice, se anche i protagonisti del lungometraggio disneyano Biancaneve hanno dovuto fare un provino per poter recitare nel film. Alla fine sarà di nuovo Mickey Mouse, di cui intravediamo l’ombra, già presente in Trailer, a reclamare il filmato segreto che contiene i provini. I personaggi di Walt Disney, con tutta la fascinazione a loro legata, non ultima quella dell’età dell’oro dell’animazione che indubbiamente rappresentano, affiorano a più riprese nei corti di Manuli. Figure immancabilmente legate all’infanzia che Manuli ha voluto rievocare anche in altre suggestioni, fino alla Biancaneve fascinosa e sensuale protagonista del suo corto. Nella seconda metà degli anni novanta Manuli è stato impegnato nella realizzazione di due lungometraggi. Il primo è Monster Mash, film coprodotto dalla Rai e dalla Dic Entertainment, che ironizza sui vecchi e nuovi mostri. Frankestein, Dracula e l’Uomo Lupo se la dovranno vedere con i nuovi e forse più spaventosi mostri usciti dalla fantasia contemporanea, ad esempio con Freddy Krueger dei film Nightmare o il Jason della serie di Venerdì 13, ovviamente parodiati e caricaturati. Manuli ha realizzato poi Aida degli alberi 16, lungometraggio completato nel 2001. Arriva poi Loading, corto del 2004, riflessione sulle attese: la scritta loading che appare spesso sul computer in attesa che si carichi qualcosa – un programma, un’immagine, un sito – dilata, facendola sembrare eterna, un’attesa di pochi minuti, che può diventare davvero stressante. Alla fine anche il cortometraggio diventa esso stesso snervante, dilatando il tempo, ad ogni nuova sequenza, in attesa che qualcosa succeda. Grande protagonista dell’animazione italiana è stato Osvaldo Cavandoli. Ha esordito a vent’anni, lavorando negli anni quaranta come intercalatore per la Pagot Film, che stava realizzando I fratelli Dinamite, primo lungometraggio d’animazione italiano. Cavandoli ha realizzato animazioni con i pupazzi, ha creato numerose realizzazioni per Carosello, ha inventato il suo personaggio più famoso, La Linea, protagonista di innumerevoli cortometraggi. Sessant’anni di carriera nell’animazione per un autore conosciuto in tutto il mondo. Cavandoli è stato protagonista negli anni cinquanta di un’esperienza quasi unica nel panorama italiano, ha realizzato una serie di film a colori con la tecnica del pupazzo animato, Pupilan16

Si tratterà di Aida degli alberi nel capitolo 8.

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dia, che venivano proiettati nelle sale cinematografiche: si vede un Geppetto alle prese con il suo Pinocchio, oppure il leggendario West in Laggiù nel Far West. I pupazzi, realizzati con strutture di metallo, ricoperti di gomma piuma, sono veramente straordinari, frutto dell’abile manualità di Cavandoli che realizzava infatti aeromodelli. Dagli anni sessanta, con l’avvento di Carosello, Cavandoli lavora molto per la pubblicità, finché decide di creare qualcosa di totalmente suo, sgombera il tavolo, prende carta e matita, cerca l’essenziale. A lui non interessa la bella scrittura ma il contenuto: ricerca qualcosa che arrivi alla sintesi, al concetto, senza fronzoli o inutili aggiunte. Pensa a Emile Cohl17, uno dei grandi capostipiti dell’animazione mondiale, ai suoi film caratterizzati proprio dalla stilizzazione, da pochi ma efficaci tratti, con cui creava delle piccole divertenti commedie. Da tutte queste tensioni nasce nel 1969 la Linea, protagonista per la pubblicità per alcuni anni, poi divenuta personaggio autonomo, che in decine e decine di film vive le sue simpatiche avventure. La Linea, un semplice ma riconoscibile omino delineato con tratto bianco, emerge e prende forma da una linea piatta su uno sfondo colorato. Niente di più semplice, l’omino parla poco, si sentono soprattutto rumori e brontolii, ma si fa capire in qualche modo grazie alla mano di Cavandoli che spesso entra sotto la macchina da presa per creargli sotto gli occhi ciò che lui chiede. Alla povera Linea, che comunque ha dei problemi di comunicazione, e per questo un po’ comunque si arrabbia, se vuole un’automobile, non resta che fare proprio il rombo della macchina, e sperare che lo capiscano. La sua voce è quella dell’attore Carlo Bonomi, che in tutti questi anni ha contribuito a farne quel personaggio impertinente e un po’ brontolone che è. Cavandoli, del suo ormai inseparabile personaggio e del suo rapporto con lui, raccontava: Sono abbastanza allegro, perché ti devo dire che questo lavoro mi porta a superare i problemi in quanto mi diverto. E allora la Linea mi assomiglia un po’ perché grazie a lui mi scarico. I suoi problemi a volte sono i miei o delle persone che mi stanno attorno: prendo i problemi della vita, la parte diciamo più negativa, per risolverli in qualche modo18.

Quindi la Linea si scontra con la quotidianità, l’amore, il lavoro, le sue catastrofiche cadute, il suo essere anche un po’ sbadato: è facile riconoscersi in questo omino che amplifica i problemi quotidiani. 17 Emile Cohl realizza nei primi anni del novecento numerosi cortometraggi d’animazione. Ha realizzato animazioni anche con pupazzi e oggetti. 18 Tratto dall’intervista a Osvaldo Cavandoli, capitolo 11.

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A livello grafico, la Linea ha all’inizio di ogni sua avventura quasi sempre uno sfondo azzurro e, mancando quasi le parole e la scenografia, anche lo sfondo, oltre alla mimica della Linea, contribuisce a comunicare il significato e le sensazioni: diventa rossa se il personaggio si fa male, si succedono velocemente i colori se c’è qualche disastro. Ogni corto quasi sempre si conclude con la rovinosa caduta della Linea nell’apertura della riga bianca a terra, causata da qualche evento. Sappiamo però che saprà risollevarsi al prossimo corto. Per quanto riguarda la realizzazione, anche la Linea ha risentito dei cambiamenti tecnici degli anni novanta. Cavandoli continua a disegnarla su carta, ed in passato questi disegni venivano trasferiti su fogli di acetato, colorati e ripresi con la tecnica dell’animazione tradizionale, mentre negli anni più recenti i disegni vengono acquisiti direttamente al computer, dove vengono colorati, si visualizza l’animazione e si inseriscono i fondi colorati. Negli anni novanta Cavandoli ha realizzato diversi cortometraggi con il suo personaggio, la sua attività non si è mai fermata, anche se c’è da rilevare come i suoi corti siano più conosciuti all’estero che in Italia, probabilmente perché le stesse televisioni italiane hanno sempre temuto, mettendoli in onda, di fare della pubblicità indiretta al prodotto che la Linea una volta pubblicizzava. Ma ormai la Linea è personaggio a sé, soprattutto ha la caratteristica, pur ritornando uguale ad ogni corto, di aver sempre mantenuto l’impronta autoriale, senza mai rimandare a una serialità. Nel 1992 realizza Trazom, film basato sulla sonata per piano 545 di W.A. Mozart. Già il titolo rimanda ironicamente alla firma al rovescio del grande compositore, ed è in questo gioco al contrario che il signor Linea, vestito a dovere, si cimenta nell’esecuzione al pianoforte, non senza simpatici inconvenienti sempre all’agguato. È formato da «ben 2550 disegni e tutti i movimenti sono in sincrono con la musica»19. Cavandoli ha realizzato nel 1991 anche una piccola serie di film sulle Olimpiadi, in cui la Linea viene messa alla prova in ogni disciplina olimpica. Negli anni novanta realizza poi film pubblicitari per numerosi paesi del mondo, fino al corto Pornolinea, del 2000, in cui l’impacciato signor Linea tenta un approccio con l’altro sesso, incontrando non poche difficoltà.

19

Ibidem.

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2.3 Maurizio Forestieri: la musica e la commedia Affermato autore, protagonista dell’animazione italiana, è Maurizio Forestieri. Diplomato in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma nel corso di animazione, che ha formato molti autori italiani, intraprende subito la sua carriera nel mondo dell’animazione fondando nel 1988 Graphilm, studio di produzione e realizzazione di prodotti in animazione. Forestieri fonda lo studio in un periodo molto problematico per la produzione italiana che, come si è visto, per tutti gli anni ottanta resta congelata. All’inizio si occupa soprattutto di pubblicità, per poi partecipare negli anni novanta alle maggiori produzioni della rinata animazione italiana. L’attività di Forestieri è un esempio della felice e produttiva unione di arte e industria nel mondo dell’animazione. Dopo aver realizzato, nella seconda metà degli anni ottanta, dei cortometraggi che hanno avuto un certo successo nei festival internazionali, Forestieri decide di tradurre l’esperienza di autore in ambito produttivo e realizzativo, creando la Graphilm. Qui affronta le produzioni su commissione con ottica autoriale, affiancando a questa attività la realizzazione di alcuni interessanti cortometraggi. Si è occupato di diverse realizzazioni e produzioni, da filmati pubblicitari alla collaborazione alle serie italiane tra cui Lupo Alberto, Gibí & Doppiaw, fino alla realizzazione di 25 minuti di sequenze di animazione del lungometraggio di Enzo D’Alò La freccia azzurra, così come per La gabbianella e il gatto, per cui la Graphilm ha collaborato allo story-board e a delle sequenze di animazione. L’attività continua per sei puntate della serie Cocco Bill, del 2000, regia di Pierluigi De Mas, e per il lungometraggio di Guido Manuli, Aida degli alberi, per cui ha realizzato lo storyboard. Un’attività intensa, al centro di tutte le maggiori realizzazioni italiane, a cui si accompagnano i corti d’autore, due attività che Forestieri ha in qualche modo conciliato: Sono nato come animatore, ho portato la mia esperienza di autore nella professione, e la professione al cinema d’autore, ho fatto un po’ uno scambio. Solo che è uno scambio sbilanciato, perché quando si porta l’autore nella professione, essa ne guadagna sempre, quando porti la professione al cinema d’autore non è sempre detto che sia positivo perché potrebbe invece cambiare un po’ il gusto, la freschezza20.

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Tratto dall’intervista a Maurizio Forestieri, capitolo 11.

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Cosciente di ciò, Forestieri ha ricercato un continuo equilibrio tra queste tendenze, cercando di conservare la freschezza e la libertà nel suo lavoro più personale. Caratteristica generale dei suoi cortometraggi è la costante presenza della musica: «Sono molto legato alla musica, infatti i miei primi cortometraggi sono basati tutti sulla musica. Questa è importantissima, mi ispira e cerco di disegnarla. Sono un appassionato di musica classica e operistica»21. La musica diventa davvero elemento centrale del film, che tutto coinvolge e trascina, fino ad arrivare ad un vortice difficilmente controllabile. Così i protagonisti dei suoi corti si ritrovano a muoversi, ad agire, a volte proprio a danzare, in un universo in cui la musica tutto permea. Uno dei suoi primi film, Orpheus, realizzato nel 1986 al Centro Sperimentale di Cinematografia, quando ancora era studente, è un diver-

7 Orpheus di Maurizio Forestieri

21

Ibidem.

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tente balletto di suore che, tentate dal diavolo, si scatenano sulla note di Offenbach. Si parte dal loro canto devoto, interrotto dalla provocazione di un diavoletto che porta le suore a danzare in un ritmo vorticoso, fino al ripristino dell’ordine per mano divina, che scaglia un sonoro fulmine. In questo godibile piccolo film è già evidente il tocco di Forestieri, divertente, lieve ed ironico. Nel 1987 realizza Past-ah-shoot-ah, sempre al Centro Sperimentale. In questo corto, in cui continua il gioco immagine-musi-

8 Pas-ta-shoot-ta di Maurizio Forestieri

ca, ed in questo caso si tratta de La boutique fantasque di Rossini-Respighi, la storia è quella di una famigliola composta da una formosa mamma, il papà e il figlioletto. I due si preparano a gustare il pranzo che la mamma si accinge a cucinare, una bella pasta al pomodoro. Ma ad un tratto la pasta prende vita e comincia ad assalire i due genitori, mentre il bambino, lieto della confusione che si è creata in cucina, gioca divertito con la pasta animata. Alla fine però, nel malcontento del figlio, i due geni47

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tori, armati di scolapasta a mo’ di elmetto e di forchetta, riescono a domare la pasta e a farne un bel piatto invitante. Il film è stato presentato nella selezione ufficiale di cortometraggi al festival di Cannes. Viene naturale definire i film di Forestieri delle piccole commedie, in cui musica ed immagini sono unite in un piacevole spettacolo. Nei suoi film più che la gag c’è il piacere divertito di godere dell’immagine e della musica che si fondono, sottesi però, come si farà sempre più evidente soprattutto nei suoi più recenti corti, anche da un’istanza comunicativa di tematiche attuali quali la guerra, l’inquinamento e lo sfruttamento sconsiderato di risorse. In Salomé, corto del 1989, a dispetto del nome che rimanda al famoso personaggio, vediamo invece letteralmente un salame danzare su di una tavola imbandita, sulle note di Sergej Prokofiev. In realtà il salame si anima quando comprende che sta per essere affettato e comincia la sua fuga-danza tra le leccornie poste sulla tavola, fino a girare per tutta la cucina. Si calmerà appendendosi da solo “come un salame”. Alla fine scopriamo però che il tutto è avvenuto in televisione, mentre dei maiali guardano il film nel film. Come dire, ognuno guarda il proprio spettacolo, ed ai maiali tocca il salame. Questo breve corto in qualche modo fa tornare in mente una delle leggendarie fughe del topo Jerry sempre braccato da Tom 22, ma sembra anche un ammiccante omaggio agli immancabili salami che si scorgono qui e là nelle pienissime tavole di Jacovitti, grande fumettista italiano. Salomé, proiettato anche al MOMA di New York nel 1990, è il primo corto che Forestieri realizza dopo la fondazione della Graphilm. Continuando nei suoi corti ad avvolgere il personaggio tra le note musicali, proprio come accade a lui, amante della musica, ammette la sua vena positiva: «Non sono molto drammatico a dire la verità, mi piace partecipare alla bellezza per esempio della musica, all’allegria di una composizione, al colore. Infatti uno dei miei film che mi piace di più in assoluto è Amoroso, sulla musica di Mozart»23. Realizza questo corto nel 1991, in parte un simpatico omaggio alle Nozze di Figaro, in cui un omino vestito da cortigiano, con tanto di parrucca incipriata, partecipa alla musica e al gioco, finché gli viene fatta indossare a forza una divisa dell’esercito e

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Il riferimento è alla serie Tom & Jerry. Tratto dall’intervista a Maurizio Forestieri, capitolo 11.

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9 Amoroso di Maurizio Forestieri

viene sommerso di armi. Ma alla fine, con forza, si spoglia dell’uniforme e gli appaiono due alucce a forma di cuore. Quindi il film si rivela essere anche una riflessione sull’assurdità della guerra, in un periodo in cui era in corso la guerra del Golfo. La dualità personaggio-musica diventa ancora più forte; in questo corto Forestieri fa agire il suo personaggio seguendo passo passo le parole dell’opera. Maurizio Forestieri sembra voler continuare la riflessione sulla guerra con un film che si distanzia per varie ragioni dalle sue precedenti realizzazioni, Domo, del 1994. Il film ha avuto successo nei festival internazionali, ha partecipato al festival di Cannes, nella selezione ufficiale di cortometraggi, ed è stato anche molto discusso proprio per il suo contenuto, ma ne va sottolineata anche la straordinaria realizzazione tecnica. Domo, la casa: una famiglia felice formata dal papà, la mamma, due figli ed un cane, villetta con il giardino; tutti si alzano lieti per fare colazione, i personaggi rimandano graficamente ai protagonisti di Past-ah-shoot-ah. Tra i consueti baci e abbracci, compreso l’apprezzamento da parte del marito di un pessimo caffè preparato dalla moglie, il papà va al lavoro, ma dal garage esce con un carro armato. Inquadratura di un’altra villetta, arriva il carro armato, 49

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sfondo con un sole di mezzogiorno nel deserto, il nostro personaggio punta il cannone, spara, distrugge, torna a casa dal lavoro, accolto con calore e mille carezze dai suoi familiari. Tutto va bene, tranne per il fatto che l’ultima scena è una soggettiva del cannone di un caro armato che punta proprio verso la casa dei protagonisti. Un finale negativo, una riflessione sull’assurdità del comportamento umano, per cui amiamo il nostro piccolo mondo mentre distruggiamo il piccolo mondo degli altri. Il film ha anche la particolarità tecnica di contenere un enorme numero di movimenti di macchina, zoom, carrelli, che gli danno un ritmo veloce, quasi da vertigine, tutti movimenti realizzati però a matita. Il legame con la musica resta fondamentale. Tutti i personaggi durante il risveglio sono trascinati da un’allegra e pimpante melodia che si fonde con i movimenti vorticosi della scena. In Domo comincia ad evidenziarsi uno stile più maturo, in cui si percepisce la crescita professionale acquisita grazie al lavoro con Graphilm. É il primo film inoltre in cui Forestieri si serve anche di un buon numero di collaboratori, per la colorazione, il clean-up, l’intercalazione. Per la prima volta poi non c’è il lieto fine o comunque la strizzata d’occhio conclusiva che aveva fino a quel momento caratterizzato i suoi corti. Il finale è inquietante, non può che finire in tragedia. Una presa d’atto assoluta. Maurizio Forestieri è uno dei protagonisti poi dell’iniziativa di produzione Rai, Noi, cartoni animati dalle migliori intenzioni. Nel 1998 infatti Rai Educational avvia la Campagna educazione sullo sviluppo umano, per la quale produce 75 corti in animazione, sul rispetto ambientale, sull’inquinamento, utilizzando molte forze produttive dell’animazione italiana e dando un certa autonomia creativa agli autori, lasciando spazio a tecniche diverse dall’animazione tradizionale. Il progetto è stato coordinato da Alfio Bastiancich24. Per questo progetto Forestieri ha firmato la regia di ben 15 corti, realizzati con diverse tecniche e su diversi temi, dai diritti umani all’ambiente. Dopo la realizzazione di Domo sembra prendersi una lunga pausa dal suo lavoro più personale, dedicandosi a pieno ritmo a molte realizzazioni su commissione, a cui si è accennato prima, che hanno visto lo studio Graphilm impegnato nella lavorazione di parti di animazione, storyboard, intercalazioni per lungometraggi e serie tv.

24 Alfio Bastiancich è segretario generale dell’Asifa Italia fino al 1996. È direttore artistico del festival Cartoons on the Bay.

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Sei anni dopo Domo, nel 2000, torna a realizzare un cortometraggio. Si tratta di un film abbastanza particolare: Un’altra via d’uscita, che, riprendendo il tema a lui caro dei personaggi che si muovono attraverso la musica, è costruito su una canzone del musicista Daniele Sepe e rac-

10 Un’altra via d’uscita di Maurizio Forestieri

conta dello sfruttamento economico dei paesi in via di sviluppo, proponendo il commercio equo e solidale. Le lievi figure si muovono e danzano su uno sfondo particolare: infatti Forestieri utilizza per questo corto un’animazione realizzata su tela di sacco, cercando di andare oltre l’animazione tradizionale che fino ad allora aveva caratterizzato i suoi. Lo stile grafico del corto rimanda all’iconografia africana, in una scelta cromatica e stilistica brillante, di grande freschezza. L’anno successivo Forestieri realizza Sinphonia, sulla musica dell’Ouverture de Il barbiere di Siviglia di Rossini, ritornando alla sua prima pas51

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11 Sinphonia di Maurizio Forestieri

sione, la musica classica e operistica. Il tono allegro di commedia come sempre si accompagna ad una nota di riflessione, questa volta sulla natura distruttiva dell’uomo, capace di devastare e inquinare sconsideratamente. Il film si apre su un’orchestra e su dei ballerini alquanto buffi e bizzarri, sono tutti animali antropomorfi, per cui troviamo galline e orsi nell’orchestra, mentre il corpo di ballo è formato da mucche e maiali che si truccano da anatre con tanto di tutù, in un gioco di ruoli e di travestimento che vede i coccodrilli-uomini nella parte dei cattivi, dei cacciatori. Tutti si esibiscono nell’opera-mondo e gli attoniti spettatori a teatro sono anch’essi animali. L’opera comincia con l’allegro balletto delle anatre del bosco, interrotto dall’arrivo dei cacciatori che, dopo averle scacciate, tagliano alberi, distruggono e costruiscono palazzi e fabbriche. In un mondo ormai distrutto, pieno di cemento e odori inquinanti e radioattivi, una delle anatre riesce a piantare un piccolo germoglio, che presto darà 52

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vita a una foresta che ingloberà le brutture costruite dai coccodrilli-uomini. Il sipario si chiude e appare proprio lì l’immagine della terra. Quasi a dire: «Questo è quello che sta accadendo, il finale sarà veramente così roseo?». Qui la musica è protagonista ma a tratti domina talmente la scena che in alcuni passaggi a stento si riesce a seguire cosa accade. Il ritmo del montaggio è a volte troppo vorticoso, forse in un’ansia di mostrare metaforicamente proprio la furia distruttiva dell’uomo, e per questo alcune scene si susseguono troppo velocemente. La realizzazione grafica è però accattivante e ben risolta, con una cura dei dettagli, una scelta cromatica gradevole, in cui si percepisce l’uso dell’acquarello e il foglio volutamente non ripulito qui e là dai disegni a matita, il character design dei personaggi accattivante e buffo. Nel frattempo Forestieri con Graphilm lavora allo storyboard del lungometraggio Aida degli alberi di Guido Manuli, per cui lo studio realizza anche delle parti in animazione, lay-out, clean-up. Nel 2003 firma la regia del suo primo lungometraggio Totò Sapore e la magica storia della pizza 25, che racconta l’invenzione della pizza napoletana. Dal 2004 al 2007 cura la regia di cortometraggi e mediometraggi prodotti da una nota azienda alimentare italiana. Lavora alla regia di serie tv. 2.4 Differenti esperienze, altri autori Enrico Paolantonio si inserisce rapidamente negli anni novanta nell’ambiente produttivo nazionale. Diplomato come tecnico dell’animazione, frequenta l’Accademia di Belle Arti, sezione pittura, mentre coltiva altri due grandi interessi oltre all’animazione, ossia il fumetto e l’illustrazione. Paolantonio è infatti anche fumettista e le sue opere sono state pubblicate da diverse case editrici. È raro in Italia trovare un autore d’animazione legato anche al mondo del fumetto: un altro esempio, come si vedrà, è Mario Addis. Paolantonio inizia la sua carriera di animatore con un’esperienza che lo arricchirà enormemente, facendogli capire le vere potenzialità del lin-

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Si veda nel capitolo 8 l’analisi del film.

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guaggio dell’animazione: comincia a lavorare infatti nel 1990 presso lo Studio Doppio di Alessandro Panzetti, partecipando a delle realizzazioni per la televisione. Nel 1994 fonda, con il fratello la Musicartoon, studio per la produzione e realizzazione in animazione. Partecipa alla realizzazione della serie di Gibì e Doppiaw, così come ad altre importanti produzioni italiane. La musica è uno degli elementi fondamentali dei sui lavori, ed in particolare di Up town. Si tratta di un pilota di una serie, progettata da Musicartoon, con la regia di Paolantonio, una produzione particolare, con una forte impronta autoriale. L’episodio, della durata di circa sei minuti, può benissimo essere considerato un corto a sé stante, anche perché la serie è stata pensata in riferimento ai cartoni degli anni trenta e quaranta, in cui ogni episodio era un corto con una conclusione. Up town: Popi Popi, the Postman è il racconto fatto da un becchino, che passeggia tra le lapidi degli ex-abitanti del villaggio Up town, delle avventure di ogni cittadino che abitava lì. Così The Postman è l’avventura di un postino miope che finisce col consegnare a dei genitori in attesa un televisore, mentre all’uomo che aspettava il televisore consegna un bebè. Il corto non ha dialoghi, i personaggi si esprimono a gesti e rumori. Qui l’elemento musicale è preponderante, inteso come parte integrante della narrazione. Infatti la musica è stata costruita sullo storyboard, ciò significa che, al momento della realizzazione, l’animatore l’ha seguita predisponendo le scene, creando una profonda interazione tra immagine e musica. Paolantonio prosegue la sua attività nell’animazione partecipando a diverse realizzazioni, tra cui la lavorazione del lungometraggio Johan Padan di Giulio Cingoli. Presenza di lunga data nella realizzazione in animazione è Gianni Peg, nato nel 1940 a Siena. La sua filmografia è ricchissima di titoli. È nel mondo dell’animazione dagli anni sessanta, ha realizzato sigle per la tv, short pubblicitari, film istituzionali, cortometraggi d’autore, serie tv composte da brevi film per la Rai, fino alla realizzazione di cd Rom interattivi. Gianni Peg è un autore poliedrico, si è dedicato per tanti anni all’illustrazione per l’editoria internazionale, ha scritto racconti, ha realizzato fumetti per varie riviste italiane, creando anche per alcuni anni delle storie per un giornale da lui fondato nel 1964, Carosello. Vive a Roma da molti anni, dove ha una società di produzione, la Video & Cartoons. 54

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IL SORRISO COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE

Tra le sue tante realizzazioni, troviamo una serie di cortometraggi da uno a tre minuti di durata, che ha realizzato tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, per alcune trasmissioni della Rai. Pur avendo una traccia da seguire, molto spesso il tema è storico o letterario, Peg approfitta di questi film per approfondire la ricerca tecnica, attraverso una forte impronta autoriale. Così tra i tanti titoli, più di cento piccoli film realizzati in cinque anni, emergono alcuni della serie Le prime parole famose, ambientati in varie epoche storiche, caratteristica che gli ha permesso di fare una ricerca sulle tecniche iconografiche dell’epoca e sulla musica, cercando di inventare una tecnica che le potesse rendere in animazione. Così per un film ambientato all’epoca romana, in cui il modo di raccontare le gesta dei condottieri erano i bassorilievi, crea un’animazione fatta di dissolvenze su disegni che richiamano proprio i bassorilievi, mentre per altri film si ispira alle stampe del periodo. Per un film di ambientazione medievale si ispira agli arazzi della Normandia, mentre per rappresentare la Firenze delle fazioni Bianchi e Neri, realizza un vero proprio tavolo da scacchi. Per alcuni di questi film Peg ha sperimentato, all’inizio degli anni novanta, uno dei primi complessi programmi per l’animazione su computer, che proveniva dagli Stati Uniti. Tra le numerose realizzazioni degli anni novanta, per cui Peg ha guardato molto alle nuove tecnologie, troviamo anche cd Rom interattivi e due film realizzati nel 2000 con l’ausilio del computer. Si tratta di due corti che hanno come titolo comune Erotic Flowers, e sono Drop’s Dreams e Nightmare Kiss, in cui tra fantasia e realtà naturale c’è l’inquietante unione di un essere-farfalla ed un fiore trasformato in pianta carnivora. Un altro studio romano che negli anni novanta ha partecipato alla lavorazione di diversi lungometraggi e prodotti seriali è Matitanimata, fondato da Franco Bianco. Mario Verger, autore romano, realizza negli anni novanta alcuni cortometraggi legati a personaggi dell’attualità italiana, dello spettacolo e della politica.

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Capitolo 3 LA SPERIMENTAZIONE E LA RICERCA

3.1 L’arte e la sperimentazione Caratteristica del cinema d’animazione è la sua vasta capacità espressiva, il suo essere arte che accoglie in sé la ricchezza di diversi ambiti. Fin dalla sua nascita tante sono state le realizzazioni che hanno confermato come il linguaggio del cinema d’animazione sia strettamente legato all’arte pittorica, alla musica, quasi un simbolo della voglia di sperimentare che permea l’arte contemporanea. L’animazione può essere fatta con la carta, con oggetti e pupazzi, essere direttamente incisa sulla pellicola, può essere astratta o meno, accogliendo la varietà di espressione dell’arte contemporanea, segnata profondamente dalle avanguardie dell’inizio novecento nei suoi metodi, linguaggi e contenuti. Tutto un filone della storia dell’animazione mondiale ha prestato dunque grande attenzione alla sperimentazione, a cominciare dalle esperienze degli anni venti, con Hans Richter, legato al dadaismo, Walther Ruttmann e Viking Eggeling, che hanno marcato profondamente la storia del cinema sperimentale con le loro realizzazioni, la musica visiva, forme astratte in movimento. Come è fondamentale ricordare Norman McLaren, del National Film Board of Canada, tenace sperimentatore con le più diverse tecniche, le splendide realizzazioni con lo schermo di spilli di Alexandre Alexeieff e la macchina per le cere colorate di Oskar Fischinger1. Dunque, sperimentare per esprimere, per comunicare in modo sempre nuovo, sondando l’inesauribile vitalità del linguaggio artistico. Questo è un lato essenziale dell’arte. Anche in Italia non sono mancati artisti che si inseriscono in questo filone di ricerca, utilizzando sia tecniche innovative, sia guardando a quelle già sperimentate e adattandole ai propri contenuti ed esigenze espressive. 1

Vedi capitolo 10.

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3.2 La pittura cinetica di Leonardo Carrano Leonardo Carrano è nato a Roma nel 1958. Diplomato all’Accademia di Belle Arti, presto inizia la sua carriera come pittore. Proviene da una famiglia di musicisti, ma il suo interesse maggiore è da sempre quello di affrontare il problema dell’immagine. Così si dedica alla pittura dal 1980, ma sente presto l’esigenza di allargare i limiti della pittura stessa e cerca un mezzo per realizzare il suo sogno, la sua esigenza naturale: unire l’immagine pittorica alla musica, trovare il modo in cui le sue immagini possano veramente muoversi in un legame profondo con la musica. Ecco allora l’incontro con il cinema d’animazione, con l’arte che per sua natura riesce ad unire la pittura, la musica, l’arte plastica, in una unica opera: da questo punto inizia il dialogo di Carrano con la pittura cinetica. Nel 1992 Carrano avvia i suoi primi esperimenti di pittura cinetica attraverso l’incontro con un altro regista d’animazione, Alessandro Panzetti, assieme a cui realizza una buona parte dei suoi primi lavori. Pian piano comprende che questa sua esigenza di dare movimento, di visualizzare la musica attraverso sue immagini astratte, che acquistano respiro e vita proprio grazie all’unione con la musica, lo rendono «figlio senza saperlo di quella che è stata l’avanguardia storica nell’animazione»2. Carrano parte dunque dalla sua pittura e vi inserisce la musica, elemento che ha caratterizzato la sua vita fin da piccolo. Ha collaborato per i suoi film con diversi compositori di musica contemporanea, con i quali ha sempre stabilito un rapporto che si è rivelato essenziale per le sue opere: La musica è rimasta però fondamentale. Ho avuto modo di conoscere quella classica, quella lirica, e, grazie a mio fratello, la musica contemporanea e la musica popolare3.

Oltre al rapporto con la musica c’è da sottolineare in Carrano l’instancabile spirito di ricerca, che fa della sua opera un esempio della vastità del linguaggio del cinema d’animazione. Non smette mai di sperimentare, è un autore che non vuole fermarsi a una tecnica, o, meglio, la sua tecnica è proprio la ricerca continua che gli ha fatto sperimentare dalle diverse possibilità della pittura, olio, acrilico, incisione, alle diverse tecniche di 2 3

Tratto dall’intervista a Leonardo Carrano, capitolo 11. Ibidem.

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animazione; nel suo Pentesilea ne ritroviamo ben sette, fino ad utilizzare le opportunità offerte dal computer con il 3D. Sperimentare senza tregua, in un’istanza comunicativa che trova nella ricerca, nell’astrazione, il mezzo privilegiato per esprimersi. Tutte le opere di Carrano vanno dunque viste in quest’ottica, considerandole un discorso che continua e che si evolve nel corso degli anni, come un libro in cui l’autore cambia e sperimenta diversi stili e modi di scrittura ad ogni nuovo capitolo, in relazione anche alle sue nuove esigenze espressive e agli eventi della vita. Così Carrano ama la meraviglia che trova nel lavorare e nel vedere per la prima volta un suo film appena terminato, per poi, immediatamente dopo, gettarsi a capofitto nel lavoro successivo. In un primo gruppo di opere, realizzate in collaborazione con Alessandro Panzetti, allo Studio Doppio, Carrano ricerca il legame quasi matematico tra immagine e musica, analizzando la partitura musicale al venticinquesimo di secondo, facendo sposare totalmente la musica all’immagine pittorica. Così come si vede in Orusborus del 1993 e meglio ancora in Le possédé dello stesso anno, in cui la musica si esprime nel gioco di tre colori, rosso, blu e giallo, coinvolti in una continua metamorfosi. In Awen del 1995 tutto ciò è ancora più evidente, gli archi ed il clarinetto della colonna sonora vengono visualizzati rispettivamente come sfondo e come forme in movimento. Sembra che venga visualizzato il respiro che dà vita al suono del clarinetto. Di un fascino particolare è Gayatri, unico anche nella sua realizzazione tecnica, una tela dipinta che gira sopra un giradischi, con sopra una serie di vetri battuti. L’effetto è un flusso di colore mutevole che si sposta incessantemente verso l’alto accompagnato dal canto, una predica, di Sri Satya Sai Baba, assieme al rumore di onde, le note di un pianoforte, volo d’uccelli. In questo fiume che scorre incessante cambiano le forme, che sono astratte, quasi fluide, cambia la cromaticità, in cui prevale il giallo ed un rosso caldo. Viene naturale identificarvi il ritmo incessante della natura, che si evolve, la varietà, la metamorfosi continua degli esseri viventi. Sempre del 1995 è Totem, su di una musica derivante principalmente da tamburi tribali, dove si riconosce una linea verticale che si allarga e si restringe, quasi a farci sentire il respiro stesso della pittura, la sua vitalità, per poi trasformarsi ciclicamente in segni che potrebbero essere una scrittura primitiva. Concluso questo periodo, Carrano sembra entrare in una nuova fase. In Pentesilea, del 1997, per la prima volta introduce degli elementi non 59

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astratti ed utilizza, in un cortometraggio di otto minuti, escludendo i titoli di coda, ben sette tecniche. Quasi che il film dovesse veramente essere testimone della continua ricerca che caratterizza il suo lavoro, in una incessante proposta di nuove immagini. Il film è ispirato al testo di W. Kleist e «vuole essere un omaggio alla maledetta sofferenza femminile»4, la storia dell’amore impossibile e disperato della regina delle Amazzoni, costretta ad uccidere selvaggiamente il suo amato e poi a trovare la morte nel suicidio. Nel film non abbiamo la narrazione della storia, piuttosto vediamo le immagini che essa evoca, tra figure astratte, spezzoni in bianco e nero di volti di donna, figure che danzano quasi fossero ballerini di una antica danza orientale, o burattini di cui qualcuno tira i fili. Anche la colonna sonora è composita, femminili urla strazianti, Mozart, musica contemporanea, tanghi. Carrano in questa opera, come sarà anche in Il cerchio e la soglia, comincia ad instaurare un rapporto diverso con la colonna sonora ricercando una particolare convergenza tra immagine e musica, ossia lasciando che vivano la loro autonomia nell’opera, seguendo un percorso equidistante, avendo in questo modo la possibilità di arricchirsi a vicenda. E in questo discorso rientra anche un tipo diverso di scelte musicali che Carrano compie per i suoi film, come si vedrà meglio parlando de Il cerchio e la soglia. Pentesilea è realizzato dunque con l’uso di incisioni su zinco, incisioni su pellicola, video preesistenti (tratti da alcuni Carosello del 1958), pitture su carta, matita su carta, frottage, uso di fotocopie. Film volutamente frammentario, dove solo l’immagine iniziale e quella finale sono identiche, a racchiudere questo universo di proposte, di sensazioni e di immagini evocate: si tratta di un sasso disegnato a matita su carta bianca, ma questo noi lo capiamo dopo alcuni secondi. All’inizio del film siamo immersi nell’immagine ingrandita di questo sasso, sembra quasi un universo con il suo buio e le sue stelle qui e là, poi l’immagine si rimpicciolisce e capiamo che si tratta di una pietra di forma ovale. Alla fine del film succede la stessa cosa, dopo aver visitato il particolare, attraversato diversi mezzi espressivi, ritroviamo il sasso e pian piano siamo immersi di nuovo nell’universo bianco e nero. Con il Cerchio e la soglia, del 1999, Carrano fa un altro balzo verso una sempre maggiore complessità dell’immagine e del contenuto. Affiancando

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Tratto dalla sinossi del film.

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due tecniche apparentemente distanti come il disegno su carta e il computer 3D, cerca di raccontare il rapporto dell’uomo con il trascendente.

12 Noiselevel di Leonardo Carrano

Nel film s’impone con grande forza anche l’aspetto più figurativo dell’opera di Carrano, soprattutto nelle scene disegnate a matita. Iniziando con una serie di simboli, figure astratte in movimento, che scorrono al ritmo della colonna sonora, si passa ad una scena realizzata in 3D, in cui si entra in un cerchio, cancello del trascendente, la soglia in cui si accede alla conoscenza, ma anche alla consapevolezza delle sofferenze umane; qui si indugia, c’è il silenzio della riflessione, poi si entra e si arriva in un universo nuovo, tecnicamente realizzato a matita. Una serie di simboli, il Minotauro, emblema del peccato, che è in croce, poi altri elementi: la sofferenza, la nascita, la croce cristiana ed un Buddha che libera dalle soffe61

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renze il Minotauro trasformandolo in libellula. Poi di nuovo la ciclicità, infatti si esce dalla porta, si fa il percorso inverso e si torna al punto di partenza. Nei film di Carrano la ciclicità è un elemento molto importante, è la vita, il respiro di tutte le cose. Discorso a parte va fatto per la colonna sonora di questo film, non c’è neanche una nota suonata con uno strumento, bensì una raccolta di vocalità umane prese da varie parti del mondo, arrangiate poi dal fratello musicista dell’autore, che spesso collabora ai suoi film. Nel 2002 realizza Noiselevel, presentato alla Mostra internazionale del cinema di Venezia. Il film, realizzato in collaborazione con Roberto Carluccio, affianca nuovamente il disegno animato, che apre e conclude il film (i disegni sono realizzati da Simone Massi), a elaborazioni in computer 3D, sculture, pitture su silicio, in un suggestivo viaggio onirico. Il film si apre con dei disegni in bianco e nero: un bambino che disegna, si addormenta, comincia a sognare. E qui si dipana la parte realizzata in 3D, a colori, un viaggio che parte dalla visualizzazione della maternità, che ci porta a immagini figurative e non, in cui ci si può perdere in una torre con volumi accatastati, nelle infinite righe di un elenco del telefono, nell’immagine di un uomo imprigionato dentro a una torre, orologi con le lancette che non riescono a proseguire il proprio cammino. Si racconta il silenzio, il suo non essere vuoto, ma sempre denso di emozioni, pensieri, di segreti taciuti. La colonna sonora evoca il silenzio, in un misto di rumori astratti, note al pianoforte, vocalità umane. Dalla figura di un animale morto si passa ad un fiore che sboccia, ciclicità, ritmo della vita. Si ritorna verso il finale alla parte disegnata raffigurante il bambino che si sveglia e sorride mentre la voce narrante, che apre e chiude il film, sentenzia: «Nei mondi dello sterminio e del suicidio il riso libero e schietto di un bambino diverrà impulso a continuare, dono gratificante per chi è in bilico tra la morte e la vita». L’anno successivo, Carrano realizza Foglie, film ispirato, come si legge in apertura del corto, agli affreschi del Trionfo della morte, che si trovano al camposanto monumentale della piazza dei Miracoli a Pisa. In un vortice astratto di colori e forme, ottenuto utilizzando silicio dipinto, si svolge un incessante cadere di foglie, sulle note della inquieta e aspra musica di Ennio Morricone e Clara Murtas In forma di stella. L’autunno della vita, la morte, di nuovo la ciclicità insita in tutte le cose ritorna in questo film, in cui l’autore sembra recuperare l’espressività astratta di molti dei suoi primi corti. 62

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LA SPERIMENTAZIONE E LA RICERCA

13 Foglie di Leonardo Carrano

3.3 Nuovi modi, nuovi ritmi: altre esperienze La sperimentazione vede la presenza di altri artisti, completamente diversi tra di loro per contenuti e per modalità realizzative, ma che possono essere avvicinati proprio per la grande passione per la ricerca che caratterizza il loro lavoro. Alessandro Panzetti è un autore con numerosi interessi e passioni: ha fatto esperienza teatrale, è laureato in Composizione Architettonica, si è occupato di composizione musicale, insegna da tanti anni, ama la pittura. Tutto ciò lo ha condotto all’animazione, mondo di possibilità che gli ha permesso di riunire in sintesi tutti questi campi. Nasce come autodidatta, utilizzando all’inizio strumenti non professionali: La bellezza del lavoro per me stava anche nel cercare di adattare attrezzature che non erano del tutto professionali per realizzare invece un lavoro che lo fosse, sfruttando quelle capacità che avevo acquisito studiando architettura, quindi progettando

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attrezzature, verticali e così via, studiando un po’ di tecnologia, in quanto a me piace molto anche l’aspetto tecnico oltre che artistico5.

Panzetti ama anche collaborare con altri artisti per le sue opere, cosa che gli dà la possibilità di confrontarsi con altri modi di fare arte, di esprimersi, e che trova nell’animazione un fertile terreno realizzativo. Così quando Panzetti collabora con altri artisti, spesso pittori, cerca di studiare il loro tipo di segno per capire quale sia la tecnica più adatta per quel segno, per il loro film da realizzare in collaborazione. Si è già ricordata la collaborazione di Panzetti con Leonardo Carrano. I due hanno realizzato un buon numero di cortometraggi dal 1992 al 1995, tra cui emergono Orusborus e Le possédé, basati proprio sulla corrispondenza di pittura e musica. Panzetti è poi in qualche modo legato al mondo della danza: due dei suoi film, Vortice del 1989 ed Il volo del 1994, sono stati creati il primo per accompagnare un balletto di danza classica, il secondo come sigla per un festival di danza contemporanea. Vortice è una suggestiva evoluzione di forme realizzata con la tecnica della sabbia, in cui emerge l’onirico, la dualità dell’io, espressa in controluce, grazie proprio al particolare effetto bianco e nero che si ottiene dalla sabbia illuminata in un certo modo. È ispirato a Escher 6, grande artista che, con i suoi giochi di prospettive, i suoi mondi in eterna metamorfosi, raccoglie istanze espressive e visive che sono per certi versi molto vicine a quelle dell’animazione. Il volo è frutto di una laboriosa tecnica di realizzazione. Dalla soggettiva di un gabbiano in volo guardiamo le evoluzioni di una giovane donna che danza nei pressi del mare. Alla fine il gabbiano, dopo aver planato, spiccherà il volo in contemporanea al salto della danzatrice. Un film delicato, poetico, realizzato con la tecnica di ecoline su carta. Panzetti ha innanzitutto realizzato la ripresa di una ballerina grazie ad un complicato macchinario che lo teneva sospeso in aria, simulando il volo del gabbiano ed ottenendo così una vera e propria soggettiva. Da questi fotogrammi ha realizzato i disegni, raffigurando solo le ombre con due tonalità diverse. Quello che ne risulta è questo balletto, in cui tutto è avvolto nell’azzurro acquatico.

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Tratto dall’intervista ad Alessandro Panzetti, capitolo 11. M. C. Escher (1898-1972), artista grafico olandese.

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In tutti i suoi film la componente musicale e la colonna sonora in generale è fondamentale. Egli ritiene che si debba creare innanzitutto uno story-board sonoro, che contenga tutti i ritmi e le pause perché facendo animazione si dà anima a degli oggetti, delle forme, figurative o astratte: «L’anima la crei nelle pause e nei movimenti ben dosati, se il personaggio è triste o meno, il pathos lo realizzi e lo comunichi attraverso il ritmo»7. Dunque l’immagine legata alla colonna sonora prima ancora di realizzare le animazioni vere e proprie. Nei film di Panzetti la metamorfosi di un oggetto in un altro è frequente: attraverso l’animazione si possono realizzare delle associazioni completamente libere, passare da un luogo ad un altro, trasformare con una estrema fluidità cose, oggetti, persone, rimandando ai meccanismi del sogno. Costante sperimentatore si rivela essere Alberto D’Amico, autore d’animazione inserito appieno nell’ambiente artistico romano. In lui è spiccata la tendenza a cercare collaborazioni artistiche con pittori, scultori, che magari non conoscono l’animazione, ed a cui lui spesso suggerisce di creare un film assieme, portando le creazioni di artisti contemporanei direttamente nel mondo dell’animazione. D’Amico stesso nasce come pittore, ma si rivolge al mondo dell’animazione come mezzo espressivo a lui più congeniale. Il suo primo film, Prima prova astratta, del 1986, è un modo di sperimentare le potenzialità dell’animazione rispetto all’arte astratta, con i suoi colori, le figure in movimento. Ma la cosa interessante è sapere che l’autore collega questa ricchezza visiva ai film di Walt Disney, nel cercare di rendere in pure forme e varietà cromatiche proprio l’abbondanza di colori smaglianti, di movimento e allegria che trovava nei film di Disney quando era bambino, eliminando l’elemento narrativo, cercando di rendere in qualche modo visibile la sensazione che ha un bambino molto piccolo che, vedendo un film, guarda immagini in movimento piuttosto che capire appieno la storia: Mi ricordo che da piccolo mi piacevano moltissimo i film di Walt Disney, per i colori smaglianti e per la fluidità del movimento […]. Infatti nel primo cortometraggio ci sono delle forme astratte in movimento che, però, secondo me, conservano, seppure in sintesi, quelle qualità, le cose che a me piacevano nei film di animazione, cer-

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Tratto dall’intervista ad Alessandro Panzetti, capitolo 11.

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cando di raffinare, di sedimentare, di setacciare tutto quello che era in più. Ed in quel periodo della mia vita il più era il percorso narrativo8.

Dunque un legame tra l’astrattismo ed il figurativo che vede riuniti i due estremi in una singolare sintesi. In Tre scherzi per viola del 1987, D’Amico cerca di ripercorrere le fasi fondamentali della storia dell’arte contemporanea tentando di trovare una tecnica affine per ognuna di esse.

14 Tre scherzi per Viola di Alberto D’Amico

Così, ad esempio, utilizza il découpage per visualizzare l’astrattismo formale e geometrico di inizio novecento, mentre per rappresentare l’Action Painting, l’informale degli anni quaranta e cinquanta, usa la pittura su

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Tratto dall’intervista ad Alberto D’Amico, capitolo 11.

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vetro, effettuata direttamente sotto la macchina da presa, metodo che fa venire in mente proprio il coinvolto rapporto uomo-pittura instaurato da Jackson Pollock, grande esponente dell’Action Painting statunitense, che faceva gocciolare il colore sulle sue immense tele poggiate a terra. Il rapporto ravvicinato e coinvolto con la pittura continua con Pettini o forchette?, del 1994, film in cui l’autore riprende il modulo del pittore

15 Pettini o forchette? di alberto D’Amico

romano Giuseppe Capogrossi, con le infinite variazioni dei suoi segni. Sempre nel 1993 D’Amico apre una nuova fase della sua produzione, iniziando a collaborare in maniera continuativa con diversi artisti. Con Paolo Canevari9 realizza una serie di corti molto interessanti. Il primo, Disegno 9 Paolo Canevari, che si è formato presso l’accademia di Belle Arti, realizza sculture lavorando con diversi materiali.

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animato, del 1993, realizzato con la tecnica delle animazioni a fasi su carta, mostra una forma elementare che si modifica continuamente: troviamo qui, di nuovo, la metamorfosi. Cortometraggio singolare è Filmino, del 1994, in cui una serie di sculture realizzate da Paolo Canevari prendono vita grazie al movimento delle loro ombre, non sono infatti le sculture a muoversi, ma le ombre, che sembrano danzare sullo sfondo grazie all’effetto della luce di una lampada. La particolarità di queste sculture è il fatto che Canevari le ha realizzate utilizzando delle camere d’aria usate, elementi che hanno avuto una loro storia, un loro uso, e che nel momento in cui diventano inutili trovano una nuova vita diventando opera d’arte. Alberto D’Amico aveva già avuto un incontro con la scultura nel 1988, con Le statue si amano, film narrativo che vede due sculture, realizzate in gesso e creta, parlare e confrontarsi sull’aridità di una vita senza discendenza, riservata a delle opere come loro, belle, perfette ma condannate all’immobilità ed alla solitudine. Con l’artista iraniana Avish Khebrehzadeh realizza nel 1996 Alef, utilizzando una tecnica fatta di sovrapposizioni di disegni, in cui una triste creatura, indefinibile nella sua razza, mangia un suo simile rendendosi conto solo dopo di quello che ha fatto, piangendo inutilmente in un tenue ambiente acquatico che sembra non lasciare vie d’uscita. Si può notare nelle opere di Alberto D’Amico la varietà dei contenuti, l’amore per l’espressione artistica e la diversità delle forme, realizzate molto spesso in modo semplice, senza virtuosismi, cercando di trasmettere ogni volta un piccolo e semplice messaggio. Vincenzo Gioanola, autore torinese, si è misurato invece con la laboriosa tecnica del disegno diretto su pellicola. Questa permette di realizzare un film senza la macchina da presa: l’autore infatti disegna, dipinge, incide e colora direttamente su pellicola. Vincenzo Gioanola, avvicinandosi al mondo dell’animazione, scopre i film di Norman McLaren che, tra le tante tecniche utilizzate ed anche inventate, ha realizzato proprio con il disegno su pellicola alcune delle sue opere più affascinanti. Gioanola comincia così negli anni ottanta a creare i suoi primi cortometraggi utilizzando questa tecnica, che risulta assolutamente unica nel panorama dell’animazione, in quanto permette il contatto diretto con la pellicola, di creare i fotogrammi con le proprie mani, incidendoli uno ad uno con una precisione millimetrica, in quanto un fotogramma di una pellicola da 35mm ha una grandezza di circa nove centimetri quadrati. È una tecnica di forte impronta autoriale, assolutamente antieconomica, che vede l’au68

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tore lavorare in solitudine sulla pellicola stessa, creando il proprio film fatto a mano: Altro che animare, altro che muovere il disegno. Bisogna cercare di farlo stare fermo quando si disegna (si graffia, si buca, si dipinge) un film direttamente su quei quadratini piccolissimi […]. È l’unica maniera pensabile, questa, l’unica tecnica che permetta di fare un film senza usare una macchina da presa o una telecamera, ed è un gioco creativo abitualmente solitario, fatto di calma e di pazienza10.

Questa tecnica era già stata sperimentata da Len Lye11 e poi ripresa e approfondita da Norman McLaren, nell’ambito di film astratti. Gioanola si cimenta nel miniaturizzare le forme, incide volti, alberi e tutto ciò che la musica gli detta. Infatti, con spirito giocoso e divertito, realizza i suoi film sempre sulla base della colonna sonora, spesso si tratta di canzoni italiane, giocando proprio nell’anticipare o visualizzare una parola della colonna sonora, ma anche una nota, un cambiamento di ritmo. La musica è assolutamente fondamentale nei suoi film. A tutto ciò unisce un collage di spezzoni tratti da pellicole dimenticate in qualche mercatino, che lui ritaglia, colora e inserisce nei suoi disegni. I suoi film richiedono una lunga lavorazione, tipica del vero e proprio artigianato. Il primo film è Boogie, del 1982, seguito da un buon numero di corti negli anni ottanta, compresa una brevissima incursione nell’erotico con 9 secondi e mezzo, del 1987, parodia del film 9 settimane e mezzo. Nel 1994 realizza Fight da faida, incessante rincorsa di immagini sulle note di un gruppo musicale italiano. L’autore alterna alla realizzazione di corti la sua attività di insegnante, dai bambini agli adulti, che gli ha dato modo di sperimentare tante altre tecniche, compresa quella tradizionale. Ha collaborato inoltre diverse volte con André Leduc del National Film Board of Canada. In questi ultimi anni, Gioanola ha maturato la decisione di sperimentare qualcosa di nuovo, e ha trovato proprio nell’uso del computer, in un’ottica che comunque lo avvicina in qualche modo all’artigianato che ha sempre caratterizzato la sua produzione, una risposta alle sue esigenze. Così come la pittura diretta su pellicola è un modo che permette di fare 10 Luca Raffaelli, catalogo de I Castelli Animati. Festival internazionale del cinema di animazione, Genzano di Roma, 15-17 ottobre 1998, p. 32. 11 Len Lye, nato in Nuova Zelanda, lavorò a Londra e a New York realizzando film sperimentali utilizzando, tra le altre, la tecnica della pittura diretta su pellicola e l’uso di pupazzi.

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animazione anche a chi non ha i mezzi elaborati che richiede l’animazione tradizionale, la macchina da presa, i coloritori, gli animatori, insomma un vero e proprio studio, così il computer con i suoi software per l’animazione «ha molte caratteristiche simili a quelle del disegno diretto su pellicola, perché è un mezzo molto democratico in quanto ognuno, avendo un computer in casa, può fare un film completo.»12. Dunque scelta del computer da un punto di vista autoriale, come mezzo per realizzare un’opera propria dall’inizio alla fine. Vincenzo Gioanola realizza così nel 2003, con il software flash, XXX, cortometraggio di 12 minuti, parodia di titoli di film pornografici, che riserva delle sorprese rispetto alle aspettative dello spettatore. 3.4 La sperimentazione e l’uso del computer È necessario accennare in questa sede anche alle sperimentazioni che hanno visto protagonista il computer, come un mezzo espressivo, un territorio di ricerca in cui l’arte e la tecnologia interagiscono grazie al linguaggio dell’animazione. Innanzitutto, oltre ai tentativi effettuati durante gli anni ottanta, di cui si è parlato, emergono un insieme di corti realizzati completamente al computer tra il 1990 e 1993 dal gruppo di Correnti Magnetiche ed in particolare da Mario Canali. Già nel 1985 aveva realizzato Minima, sperimentazione di forme geometriche e colori. Poi con Form in progress del 1990, Enigmatic ages del 1991 e Columbus egg del 1992 si assiste ad un crescendo anche contenutistico, in cui la forma umana viene scomposta e ricomposta in immagini tridimensionali, dove l’uovo simboleggia l’inizio e la radice prima della creazione. In questi corti ha una grande importanza anche il legame con la musica, spesso composta appositamente per il film. Dopo questa esperienza, accompagnata da diversi altri corti realizzati in quel periodo, si nota come l’uso del computer venga sempre più considerato un mezzo espressivo da prendere in considerazione e con il quale confrontarsi, anche da parte degli autori più tradizionali, o che comunque fino ad allora si erano serviti di altre tecniche, per esempio l’animazione a fasi o quella di oggetti. L’utilizzo del computer riservato all’inizio quasi

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Tratto dall’intervista a Vincenzo Gioanola, capitolo 11.

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esclusivamente ai tecnici o agli addetti al settore, diventa negli anni novanta uno strumento tra i tanti, da considerarsi al pari di un pennello, piuttosto che della plastilina o della matita13. Un esempio appropriato sono i film di cui si è parlato precedentemente, ossia Il cerchio e la soglia e Noiselevel di Leonardo Carrano, in cui gli elementi pittorici che contraddistinguono la sua opera si alternano all’uso del computer 3D nell’unità espressiva del film. Così Bruno Bozzetto, per anni capofila dell’animazione tradizionale, realizza negli anni novanta film in computer 2D e continua in questi anni la realizzazione di corti per Internet. Vincenzo Gioanola, come si è visto, vede nei software per l’animazione che offre il computer, il mezzo più democratico, in quanto accessibile a tutti, per trasformare le proprie idee in cortometraggi. Come si nota, nelle interviste agli autori14 c’è quasi sempre una domanda che riguarda l’uso del computer, grande novità degli anni novanta da molteplici punti di vista, e l’elemento comune che emerge dalle risposte è proprio la visione “aperta” a proposito del suo uso e dei software per l’animazione oggi disponibili, è visto cioè come un elemento tra gli altri per realizzare il proprio film d’autore. Il computer non viene dunque considerato dagli autori come un elemento che possa limitare o prendere il posto dell’animatore, cosa che sarebbe comunque impossibile. Quelle che contano sono certamente le idee da trasporre in film, a prescindere dalla tecnica legata alla scelta e all’esigenza espressiva dall’autore. Il discorso vale per le produzioni d’autore, in cui un artista decide di utilizzare magari la pittura unendola a immagini in 3D, o usare una delle più artigianali delle tecniche come il disegno diretto su pellicola per realizzare il proprio film. Quando si parla invece di produzioni commerciali, soprattutto serie tv e lungometraggi, il discorso dell’uso del computer è ben diverso: dai primi anni novanta il computer viene utilizzato a livello internazionale per la colorazione dei disegni fatti a mano e poi acquisiti tramite scanner ed uniti alle scenografie, per il compositing, eliminando per sempre in questo tipo di produzione l’uso della verticale, la macchina da ripresa per le animazioni, ed i fogli di celluloide per la colorazione manuale15. 13 Questo generalmente per quanto riguarda il cortometraggio d’autore; dell’uso del computer per le produzioni di lungometraggio e seriale si tratterà più avanti e nel capitolo 10, dedicato alle tecniche dell’animazione. 14 Vedi capitolo 11. 15 Vedi capitolo 10.

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Si inserisce nell’ambito della sperimentazione digitale un’autrice che ha fatto proprio dell’uso del computer la marca distintiva del suo stile autoriale. Si tratta di Laura Fiori. Diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Torino, comincia la sua attività nel mondo dell’animazione entrando a fare parte della nascente Lanterna Magica, dove resta fino al 1989, svolgendo un’intensa attività didattica e di ricerca, che l’ha portata ben presto a cercare mezzi espressivi nuovi ed in particolare a studiare la possibilità dell’animazione con il computer, in un periodo in cui ancora pochi in Italia si interessavano a questo settore. Lascia dunque la Lanterna magica per iniziare un particolare tipo di collaborazione: lavorare come animatore accanto ad un programmatore che stava realizzando il primo software per l’animazione bidimensionale creato in Italia, per una società torinese. Ciò le ha permesso di acquisire una grande conoscenza delle potenzialità offerte all’animazione dal computer, portandola poi a realizzare due cortometraggi utilizzando quel programma. Si tratta di due film tratti dal libro 101 racconti Zen, realizzati nel 1992, dal titolo Parabola e

16 Parabola di Laura Fiori

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Ah sì, all’inizio pensati come corti pilota per una serie da 26 episodi, poi non realizzata.

17 Ah si di Laura Fiori

Ci si trova di fronte ad un uso completamente diverso del computer rispetto alle sperimentazioni precedenti. L’effetto visivo è quello di un tenue acquarello, ispirato all’iconografia orientale. Proprio per cercare di rendere il modo essenziale e leggero di raffigurare i personaggi con poche pennellate, tipico della pittura orientale, Laura Fiori ha pensato di visualizzare i personaggi come impalpabili silhouette nere, in cui pochi tratti delineano l’essenziale. Caratteristica di queste figure è il fatto che spesso oltre di esse si vede lo sfondo, simbolo visibile del loro non essere reali e piuttosto essere figure simboliche, personaggi di racconti Zen più esemplari che concreti: 73

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I racconti Zen sono degli esempi generali e vanno intesi più che altro proprio come riferimento simbolico, fanno parte di una tradizione. Il mio era dunque anche un espediente per togliere peso, per smaterializzare questi personaggi e farli vedere appunto più come simboli16.

Nel 1998 Laura Fiori lavora a Il mito dell’androgino, corto realizzato con disegni a fase acquisiti dallo scanner e colorati al computer, mentre le scenografie sono state realizzate al computer. Nel Simposio di Platone, si racconta dell’Androgino, essere mitico e perfetto, diviso per punizione da Zeus, atto che ha originato l’uomo e la donna, costretti a cercarsi per l’eternità. Le immagini scorrono tra antichi templi e pitture vascolari, con la figura dell’Androgino, realizzato con delle silhouettes nere, che vaga senza sosta. Creatura mitica e sfuggente, non si riesce ad averne una visione totale, mentre il resto delle scene è realizzato ispirandosi ad antiche sculture e pitture. Suggestivo l’incontro per la strada di un uomo ed una donna dei nostri tempi: i due si guardano per un attimo e continuano ad andare ognuno per la propria strada, mentre le loro ombre, riflesse su un muro, si prendono per mano, quasi a dimostrare l’inevitabilità di un incontro, per una legge che anche l’ombra conosce a priori. Laura Fiori continua in questa sua attività di ricerca sui nuovi mezzi, progettando anche lei dei corti per Internet. Tra le recenti realizzazioni al computer 3D emerge il corto Le foto dello scandalo, realizzato da Daniele Lunghini e Diego Zuelli nel 2000. Lunghini è un artista multimediale, regista di videoclip, illustratore. Il film, che ha vinto diversi premi in festival internazionali, si presenta come una raffinata realizzazione che ha alla base un’idea originale. Invece di vedere i personaggi in movimento, è la camera virtuale a muoversi ogni volta, facendoci visualizzare il personaggio coinvolto nell’azione successiva. Così se il protagonista viene minacciato da un uomo con la pistola, il movimento della camera ci porterà all’inquadratura successiva in cui sarà lui ad avere la pistola e a difendersi, lasciando intuire quello che c’è stato in mezzo. L’effetto generale è molto particolare e gradevole. Per l’idea realizzativa di questo film Lunghini si è in qualche modo ispirato alla scena finale del film Taxi Driver di Martin Scorsese, in cui, conclusa la sparatoria, la polizia si dirige verso il personaggio interpretato da Robert De Niro: proprio in questo passaggio la polizia sembra fermarsi, creando l’effetto da cui l’autore trae 16

Tratto dall’intervista a Laura Fiori, capitolo 11.

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18 Le foto dello scandalo di Daniele Lunghini e Diego Zuelli

l’idea del suo corto. Le foto dello scandalo racconta la storia di un fotoreporter che scatta una foto ad un personaggio pubblico in compagnia della sua amante. La musica è costruita in maniera molto azzeccata accompagnando lo spettatore nel percorso visivo. Del 2005 è un cortometraggio brioso, Trik’n’ Ducks, con la regia di Mauro Uzzeo, realizzato da un team di giovani autori che ha ottenuto davvero un buon risultato sperimentando il 3D.

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Capitolo 4 CINEMA DI MUSICA, PITTURA E SCULTURA

4.1 L’animazione e il rapporto con le altre arti Da sempre trovare una definizione per il cinema di animazione ha creato non poche difficoltà, per il fatto che ogni descrizione sembra essere sempre limitante rispetto alla varietà insita nel suo linguaggio, come si è sottolineato nei precedenti capitoli. Questo anche perché l’animazione è un tipo di cinema strettamente connesso ai linguaggi di molteplici espressioni artistiche, della pittura, della musica, frutto dell’unione di numerosi elementi in cui trovano posto le più diverse esigenze espressive dell’arte. Per questo il cinema d’animazione è cinema di pittura, di musica, di scultura, con i richiami anche alla letteratura ed a quant’altro l’autore abbia l’esigenza di immettervi nel creare la sua opera. Dunque, cinema d’animazione come unicità di linguaggio formato però da una pluralità di tensioni e di elementi creativi. Nel precedente capitolo si è insistito sulla caratteristica sperimentale di un’opera d’animazione, legata al continuo utilizzo di nuovi elementi, grazie ad un gruppo di autori definiti sperimentali proprio per il grande rilievo che ha la ricerca nella loro arte. In questo capitolo si parlerà di un insieme di autori di cui si evidenzia il profondo rapporto instaurato con diverse forme artistiche, che con le loro opere hanno creato ad esempio quadri in movimento, spesso con un nucleo narrativo importante, o portato la letteratura in immagine, con un forte legame con la musica. Naturalmente la distinzione deve essere intesa in maniera elastica, sia perché ogni autore, nel creare il proprio cortometraggio, segue necessariamente un percorso artistico assolutamente personale e poco assimilabile agli altri, sia perché anche gli autori non definiti sperimentali instaurano comunque con l’animazione un rapporto di continua ricerca di modi espressivi, di nuove tecniche. La ricerca, intesa nel modo più generale possibile, è il tratto fondamentale di tutta l’animazione, sia essa più dedita alla sperimentazione, o 77

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al racconto, o alla gag umoristica, così come nella serie o nel lungometraggio, pronta a recepire e a confrontarsi anche con tutte le novità tecnologiche che possano aggiungere possibilità espressive al suo linguaggio. 4.2 Trasformazioni pittoriche, musica e letteratura 4.2.1 L’arte di Manfredo Manfredi Un autore che si può definire storico, in quanto è presente, con opere importanti, nel mondo dell’animazione fin dagli anni sessanta, è Manfredo Manfredi. Nato nel 1934, scenografo e pittore, comincia ad interessarsi presto di animazione, fino a realizzare nel 1965, con Guido Gomas, soggettista e animatore, il suo primo cortometraggio Ballata per un pezzo da novanta, un film d’animazione che affronta lo scottante tema della mafia. A questo seguirono altri corti con una forte impronta di denuncia sociale, come Su sàmbene non est aba (dal sardo: Il sangue non è acqua), del 1969, sul banditismo in Sardegna. Realizza nel 1963 la sigla di Carosello, con i disegni ispirati alle piazze di città italiane. Nel 1970 realizza un suggestivo cortometraggio, Il muro, riflessione partecipata e drammatica sul ruolo dell’artista nella società, e sulla ricerca della verità come svelamento, liberazione dal trucco e dal preconcetto. Una verità talmente dolorosa che sconvolge, lascia attoniti e a volte uccide. Già da questi primi corti si riconosce lo stile personale di Manfredi, la sua espressività incisiva, l’uso della cromaticità, dei chiaroscuri, in un’espressione contenutistica e emozionale che ha sempre contraddistinto i suoi lavori, da quelli più personali, i suoi cortometraggi, alle sigle e alla pubblicità per la tv. Conclusa la collaborazione con Gomas, durata circa quattro anni, Manfredi continua a lavorare in animazione, sia per la pubblicità, sia realizzando sigle, ma anche cortometraggi, collaborando spesso per la società di produzione Cineteam, raggiungendo un elevato risultato artistico con Dedalo, film del 1975, che ottenne una nomination all’Oscar, evento assolutamente raro per l’animazione italiana1, e vinse il Gran Premio al festi1 Nella storia dell’animazione italiana, quattro sono state le nomination all’Oscar per dei cortometraggi d’animazione: La gazza ladra e Pulcinella di Giulio Gianini e Emanuele Luzzati, Dedalo di Manfredo Manfredi, Cavallette di Bruno Bozzetto.

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val di animazione di Ottawa. Dedalo è un film assolutamente particolare. Manfredi fin dai suoi esordi nel mondo dell’animazione si sente stretto nel

19 Dedalo di Manfredo Manfredi

macchinoso sistema tradizionale a fasi (che implica la collaborazione di altre figure, come i coloritori, ecc.) e con questo film tenta la strada del disegno su carta con la trasformazione diretta del disegno sotto la macchina da presa. Elimina tutte le riprese e gli zoom ottenuti con la verticale, e li realizza direttamente con il disegno, lavoro lungo e preciso, ma che gli permette di realizzare in completa solitudine il suo film. In questa opera incomincia ad introdurre l’elemento dell’esibizione dell’inganno, tipico di alcuni dei suoi film, restringendo il disegno rispetto all’inquadratura, facendo vedere il tratto che esce, il numero che contraddistingue il foglio, come si vedrà anche in Le città invisibili. Tutto è immerso nel dubbio, come avviene nella vita. Dedalo è proprio un gioco tra realtà e finzione. Nel tempo che passa tra l’apertura e la chiu79

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sura di una finestra accadono cose che possono essere benissimo realtà o sogni o desideri, forse c’è un assassinio, forse è solo desiderato. I ricordi di un uomo ed i suoi pensieri si mescolano agli eventi reali, tanto che non si distinguono più gli uni dagli altri. Quasi a volere che la matita segua l’incessante evolversi delle tensioni e dei desideri dell’animo umano. Si ritroveranno queste caratteristiche di base anche nei suoi lavori degli anni novanta, pur nella loro diversità. Sembra che in un certo senso Dedalo chiuda la prima parte della carriera di Manfredi che, dopo questa esperienza, seguita da un altro cortometraggio nel 1976, Immagini, si dedicherà totalmente per tutti gli anni ottanta, a lavori su commissione, quasi dovesse in qualche modo ripensare il suo fare animazione ricercando anche in altri territori. In quel periodo realizza numerose sigle per la televisione, dove comunque è perfettamente riconoscibile la sua mano: Le stesse sigle, e ne ho fatte tante, sono diventate un modo di sperimentare. Ho cercato così di riscattare quello che in effetti è un lavoro mercenario, perché per quanto ho sempre avuto una grande libertà nel realizzarle, restano però chiaramente un lavoro su commissione […]. Ho cercato di riscattare questa cosa facendola diventare un motivo di ricerca grafica, di ritmi, di musiche2.

Un periodo di forte ricerca espressiva realizzato su territori diversi, confrontandosi con i dettami di una commissione, usando e sperimentando diverse tecniche, tra cui la pittura diretta su vetro, proprio perché per lui l’animazione è «uno di quei fatti creativi pieni perché è fatta di musica, di ritmi, di regia, una serie di fatti che convergono nell’opera, è appagante perché è un’opera a tutto tondo»3. Negli anni novanta pare invece aprirsi una nuova fase e Manfredi torna alla realizzazione di alcuni cortometraggi. La caratteristica di questi film è il confronto tra la sua pittura ed il testo letterario, testo che già di per sé ha un’importanza assoluta, si tratta infatti, per due film, dell’Inferno di Dante. Canto VI Inferno di Dante, del 1991 e Canto XXVI Inferno di Dante, film del 1997, sono due corti che, nelle intenzioni iniziali, erano stati pensati, anche con la Rai, per una possibile serie in animazione su Dante, poi mai realizzata.

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Tratto dall’intervista a Manfredo Manfredi, capitolo 11. Ibidem.

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Non è la prima volta che in Italia si cerca un modo per avvicinare il testo dantesco, in particolare l’Inferno, proprio per il grande fascino che esercita e per le inevitabili associazioni visive che accompagnano la sua lettura, utilizzando l’animazione. Un tentativo era stato fatto anche dalla Gamma Film dei fratelli Gavioli nel 1982, che aveva realizzato un filmato campione ispirandosi al Canto V, di Paolo e Francesca, con un complesso processo realizzativo, utilizzando l’animazione, riprese dal vero e montaggio in elettronica, allora poco in uso. Purtroppo questo progetto non trovò accoglienza da parte delle televisioni italiane, sia pubbliche che private. Se la progettata serie di Manfredo Manfredi ha subito lo stesso destino, restano però due film che sono totalmente da considerarsi corti autonomi. Il Canto VI rappresenta un primo tentativo. La lettura del testo dantesco, con Cerbero e il cerchio dei golosi, viene accompagnata da rappresentative immagini in movimento: qui Manfredi si può dire stava ricercando quale fosse il modo migliore per riportare il testo dantesco in animazione. La figura di Cerbero che caninamente latra è risolta graficamente in maniera eccellente. Tutto ciò l’ha portato, nel 1997, alla realizzazione dello splendido Canto XXVI, il Canto di Ulisse, ambientato nel cerchio dei cattivi consiglieri. Manfredi decide di utilizzare per questo film la tecnica della pittura su vetro, che ha molti legami con quella della trasformazione del disegno, utilizzata in Dedalo, ma con la pittura si ha un rapporto ancora più diretto con l’opera, col colore, la materia, ed in questo caso pare pienamente azzeccata per illustrare le parole di Dante. L’autore infatti comincia a dipingere un primo quadro realizzato sopra un piano illuminato dal basso, fa uno scatto con la macchina da presa e poi varia leggermente il quadro, poi un altro scatto. Così, dipingendo direttamente sotto la macchina da presa, si eseguono in contemporanea le animazioni, che esistono solo una volta. Manfredi non ha infatti alcun disegno, se sbaglia qualcosa deve ricominciare da capo la scena. Questo è uno di quei casi che fanno capire come in animazione la tecnica scelta sia veramente fondamentale per l’autore e per l’opera stessa. In questo caso infatti un pittore come Manfredi dipinge un’infinità di quadri (l’animazione come il cinema dal vero, è fatta di ventiquattro fotogrammi al secondo) sovrapposti l’uno sull’altro, quindi di quello precedente ed ora trasformato con un colpo di pennello resta il ricordo, proprio come il fluire delle parole di Dante, di cui la voce narrante dà fedele lettura, che echeggiano nella nostra mente una dietro l’altra. 81

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Il film dura circa dieci minuti, per permettere la lettura completa del Canto. I colori densi e avvolgenti e la fluidità tipica della pittura su vetro ci conducono nell’Inferno di Dante, facendo intuire tutti i suoi vapori, il fuoco e le ombre, fino all’incontro con le due lingue di fuoco che contengono Ulisse e Diomede, personaggi su cui è incentrato il Canto. Inizia così il racconto di Ulisse: la decisione di continuare il viaggio invece di tornare alla sua Itaca, del mare in tempesta oltre le Colonne d’Ercole, varcate per la sete di conoscenza, fino al naufragio e alla morte, sorte che spetta a chi oltrepassa i limiti del sapere concesso dalla volontà divina. Il Canto dantesco ha sempre esercitato un grande fascino e qui trova una felice ed intensa visualizzazione. Si può considerare questo film una delle più belle e suggestive opere in animazione realizzate recentemente in Italia. Passa soltanto un anno e Manfredi termina di realizzare un’altra coinvolgente opera, Le città invisibili, anche questa caratterizzata da un forte legame con il testo letterario. È tratta dall’omonimo libro di Italo Calvino, di cui lo stesso Manfredi ha curato una riduzione. La storia è quella di Marco Polo, che racconta al Kublay Khan delle città che ha visitato nei suoi numerosi e lunghi viaggi, città che hanno tutte suggestivi nomi di donna. Quando il Khan gli chiede di parlagli dell’unica città che non aveva mai nominato, ossia la sua patria, Venezia, Marco Polo confessa che in realtà aveva parlato fino ad allora solo di questa. Ritorna il gioco di finzioni che aveva caratterizzato Dedalo, come in quel film, questa volta in maniera più evidente, Manfredi ci fa rendere conto dell’illusorietà del racconto, rimpicciolendo i disegni rispetto al fotogramma, in modo che si leggano comodamente in basso il numero della scena ed il numero di quel preciso disegno, proprio perché, a proposito del fotogramma «la sua particolarità tecnica è quella del fare e lì il fare vuol dire che quello è esattamente il disegno numero 225 di quella storia falsa che si sta raccontando»4. Sottolineare l’illusorietà non riguarda solo l’espediente tecnico, tutto il film si basa sull’illusorio ed il reale. Marco Polo racconta di città fantastiche, come sottolinea la voce narrante: Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nascon-

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Ibidem.

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de un’altra. […] a Isidora, dove i palazzi hanno scale a chiocciola e i desideri sono già ricordi, o a Zaira, dagli alti bastioni, che contiene il suo passato come le linee di una mano 5.

20 Le città invisibili di Manfredo Manfredi

Ci sono queste e molte altre città, ma esse non sono altro che i ricordi di Marco Polo della sua Venezia. Il gioco tra realtà, ricordo e finzione si fa ancora più chiaro. Sulle note della nostalgica musica del Concerto brandeburghese di J.S. Bach, si succedono le immagini di queste città dei sogni, realizzate prevalentemente con il disegno su carta, ma anche con la colorazione di alcuni piccoli spezzoni dal vero, e si scorge qui e là un omaggio alla grande pittura, soprattutto di De Chirico. L’ultimo inganno è alla fine del film. Prendendo spunto da una frase del libro, in cui il Khan fa riferimento al fatto che lui e Marco Polo sono dentro al suo splendido palazzo solo per un destino benevolo, ma che

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Trascrizione del testo narrato nel film Le città invisibili.

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sarebbero potuti nascere poveri, e magari essere dei pezzenti che si raccontano le loro storie, Manfredi visualizza questa ipotesi concludendo il film con una scena di strada ambientata ai nostri giorni, in cui i volti di due barboni, seduti accanto ad una carcassa di automobile ed a un fuoco di fortuna, si sovrappongono ai volti del Khan e di Marco Polo: la vita è ipotesi, a volte inganno, spesso solo possibilità. Manfredo Manfredi ha realizzato anche delle scene per il film di Guido Manuli L’eroe dei due mondi, del 1994, lungometraggio animato sulla vita di Garibaldi, che alterna delle scene in animazione classica, con il racconto di Garibaldi sull’isola di Caprera, alle scene di battaglia, eseguite da Manfredi col metodo del disegno da materiale filmato, il rotoscopio6. Sempre di Manfredi è la sequenza del sogno di Aida per il lungometraggio Aida degli Alberi, film di Guido Manuli del 2001. In effetti questa è una delle sequenze più interessanti del film. Manfredi, con il suo consueto stile incisivo, sobrio e coinvolgente, reinterpreta il character design dei personaggi in modo assolutamente personale per visualizzare il sogno premonitore di Aida sulla battaglia che realmente il popolo di Petra stava conducendo contro il popolo di Arborea. 4.2.2 Il colore, la letteratura, la materia Negli anni novanta esordisce una giovane autrice, Annalisa Corsi che, con la sua prima opera, Il vascello fantasma, del 1997, saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, si fa subito notare nell’ambiente dei festival internazionali. Annalisa Corsi utilizza per il suo film la tecnica della pittura su vetro. L’opera è tratta da Der Fliegende Holländer, di Richard Wagner, racconta di un audace navigatore condannato dalla natura a vagare in eterno, per avere sfidato il mare. Lo salverà soltanto l’amore di una donna, che combatte contro la natura e si sacrifica per il suo amato. Il film visualizza questa storia seguendo le note della musica di Wagner, anche se quello che colpisce maggiormente sono le immagini che cercano l’emozione dello spettatore in un ammiccante gioco con la musica. A volte però il filo della storia si perde, in alcuni punti è discontinuo, emerge invece la capacità di rendere visibili con le immagi-

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Vedi capitolo 10.

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ni, in cui prevale il contrasto tra rosso fuoco e l’azzurro dell’acqua, tutte le sensazioni, amore, nostalgia, paura, che questa storia può trasmettere. Proprio qui si inserisce il riferimento alla pittura simbolista che caratterizza il film, quindi più che la storia deve emergere l’arcano, l’amore scoperto in sogno, il legame profondo, magico con la natura. A livello grafico il film è pieno di riferimenti iconografici legati ai quadri di Odilon Redon e soprattutto allo stile di Gustave Moreau con i personaggi sfuggenti e avvolti in nubi di sfavillante colore. Ma, come dice la stessa autrice, questi elementi richiamano «lo spirito della pittura simbolista; più che la semplice citazione del quadro, vorrei che si notasse il linguaggio legato alla pittura simbolista»7. La tecnica della pittura su vetro si unisce molto bene con le note wagneriane, proprio per la grande fluidità dell’immagine che riesce a creare, così come accadeva per il testo dantesco in Canto XXVI. In una particolare scena del film si vede la donna combattere contro la natura: delle colonne si trasformano in una pericolosa foresta, da cui lei riesce a districarsi. Si vede la sua esile figura che letteralmente scivola tra i tronchi: inevitabile non pensare in questo passaggio ad una delle scene più belle di Biancaneve e i sette nani di Walt Disney, la fuga della protagonista nel bosco inquietante. Dopo la sua opera d’esordio, ha lavorato per qualche tempo allo studio Graphilm di Roma. Nel 1998 per la Campagna educazione sullo sviluppo umano, Noi, cartoni animati dalle migliori intenzioni, progetto da cui si è già accennato, Annalisa Corsi ha la possibilità di creare tre cortometraggi di cui ha firmato la regia assieme a Maurizio Forestieri, realizzando le animazioni e soprattutto impostando l’ideazione grafica, utilizzando la tecnica che predilige, la pittura su vetro, caratteristiche che danno a questi film una grande impronta autoriale. Nei tre film dedicati all’ambiente, Foreste, Palazzi, Discariche, si vedono foreste bruciare a colpi di intense pennellate rosse e città ispirate alle prospettive dei quadri di Sironi, accompagnate dalle parole di tre suggestivi canti indiani. I quali, descrivendo liricamente l’armonia della natura, sono per contrasto accompagnati dalle distruzioni e urbanizzazioni selvagge operate dall’uomo, in cui i tronchi degli alberi si trasformano in freddi palazzi, così come gli uccelli, che non hanno più il loro habitat naturale, si affannano a cercare cibo in una discarica.

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Tratto da intervista ad Annalisa Corsi, capitolo 11.

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21 Palazzi di Annalisa Corsi

Annalisa Corsi ha continuato ad alternare opere più personali a lavori su commissione. Collabora con lo studio Musicartoon di Roma. Nel 2005 realizza Ingannevoli i sensi, omaggio al cinema di Alfred Hitchcock, per il quale utilizza la tecnica della pittura digitale su film, con effetti cromatici e visivi molto interessanti, quasi una rilettura delle atmosfere create precedentemente con l’utilizzo della pittura su vetro, riportate con una nuova tecnica espressiva. Sempre nello stesso anno lavora ad una produzione molto interessante La voce di Pasolini, un documentario ideato e diretto da Mario Sesti e Matteo Cerami. Nel documentario la voce registrata di Pasolini racconta, tra le tante cose, di Porno Theo Kolossal, il film che aveva scritto dopo Salò e che non ha mai avuto modo di girare. Annalisa Corsi trasforma in immagini queste parole di Pasolini, conducendoci in un viaggio intenso e affascinante. 86

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22 Ingannevoli i sensi di Annalisa Corsi

23 La voce di Pasolini di Annalisa Corsi

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Il concetto di grafia, di scrittura, nel suo più profondo significato, è tratto fondamentale nell’opera di Mario Addis. Artista di origine sarda, autodidatta, lavora ai suoi esordi a Milano presso lo studio di Walter Cavazzuti e Michel Fuzellier. Il fascino e la forza di un tratto intenso, impregnato di ciò che l’artista vuole trasmettere (e a volte anche non vuole trasmettere) di sé, del suo profondo. La matita incisiva, forte, anche quando è ripensata, cancellata più volte, di cui si lascia però volontariamente traccia; il colore, quando corposo quando lieve, ma sempre rivelatore di un donare all’opera qualcosa di sé, proprio nel momento particolare della vita in cui la si realizza. Tratto distintivo, questo, delle opere di Addis, siano esse corti d’autore, opere su commissione, illustrazioni, fumetti. Tra i suoi primi cortometraggi troviamo Minus, del 1993, tratto da un fumetto, composto da due vignette di Marcello Jori. Qui un uomo si siede alla sua scrivania, con dietro un’enorme libreria e comincia a scrivere la storia della sua vita con una penna stilografica attaccata come una flebo al suo braccio, sta scrivendo col sangue. Finisce il libro con the end, e lui muore accasciato sulla montagna di fogli scritti. Come dice lo stesso autore «nel momento in cui finisci di scrivere, finisci di esistere, ed è quello che facciamo noi, quello che io ripeto nelle cose che faccio: continuo a raccontare. La scrittura per me è molto importante, la lettura, il concetto della parola scritta e parlata»8. Dunque letteratura intesa come continua creazione, esprimere una passione creando, sia esso un libro, un film d’animazione o un fumetto. Mario Addis è anche fumettista, il suo amore per il disegno come mezzo di espressione si esprime infatti in diversi campi, sia nel cinema che nell’illustrazione. Il suo personaggio a fumetti, Alef, di cui pubblica le storie dal 1996 sulla rivista «Linus», altro non è che un vampiro di libri. Sempre seguendo questo concetto Addis realizza nel 1999 La materia, in cui la parola stessa è materia che letteralmente nutre le persone, riconoscendo nell’apprendimento e nella cultura un elemento fondamentale della vita umana. In questi film è già riconoscibile il suo stile, che si individua anche nelle sue opere su commissione: fondali in cui la stesura del colore è volutamente imprecisa, mentre il delineo dei personaggi, spesso fatto a mati-

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Tratto dall’intervista a Mario Addis, capitolo 11.

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24 Lay-out per Alef di Mario Addis

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25 La materia di Mario Addis

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ta, è incisivo, in un rapporto ravvicinato con il disegno stesso, che non vuole essere pulito e preciso, ma fare sentire all’interno la mano dell’autore, il suo lavoro. Così è anche per Giano, cortometraggio del 1994, in cui un personaggio, delineato con pochi tratti di matita, dopo un sonno inquieto, decide di cambiare il suo volto, lo cancella e se lo ridisegna allo specchio con un rossetto. È un modo, un tentativo di cambiare vita, forse eccessivo e inutile, in quanto alla fine Giano sarà intrappolato in una tela di ragno, forse quella delle apparenze. Addis realizza inoltre dei brevissimi corti da 30 secondi l’uno intitolati Pene, divertite e surreali situazioni rivolte ad un pubblico adulto. Nel 1998 realizza un corto per MTV, Heartbeat, un capitalismo dal volto umano, che denuncia lo sfruttamento del lavoro minorile, visualizzando il capitalismo come un rispettabile e panciuto signore che nasconde al suo interno piccoli e laboriosi operai. Mario Addis ha collaborato anche a diversi lungometraggi, a partire dal lungometraggio dal vero con inserti animati Volere volare, per cui ha lavorato alle animazioni. Ha realizzato alcune parti de L’eroe dei due mondi, ha animato i divertenti titoli di testa del film di Roberto Benigni Il Mostro e ha realizzato anche un minuto di animazione per il film La gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò. Si tratta di una scena particolare del lungometraggio di D’Alò, è il sogno di Nina, la bambina protagonista del film. Qui ci si allontana per un po’ dallo stile grafico del film, seguendo invece il percorso del sogno, visualizzato con il consueto stile di Addis: forti tratti a matita, metamorfosi e colore. Addis è coinvolto anche nella realizzazione di Johan Padan a la descoverta de le Americhe, lungometraggio del 2002, con la regia di Giulio Gingoli, sul testo di Dario Fo9. Per il film Mario Addis cura la supervisione alle animazioni e realizza anche in questo caso due sequenze, Florida e Cristianesimo, che arricchiscono la varietà del film, grazie alla loro particolare grafica e cromaticità. Florida è la scoperta del nuovo mondo. Johan, il protagonista, si trova tra profumi diversi, piante sconosciute, gli indios, un linguaggio nuovo. Così Addis condensa queste emozioni in una sequenza vivace, sulle note di una canzone che illustra la scoperta, la novità. La sequenza Cristianesimo è l’irresistibile, quanto semplificato, racconto di Johan sulla religione cristiana

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Di Johan Padan si tratterà nel capitolo 8.

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26 Un’immagine tratta dalla sequenza Florida realizzata da Mario Addis per Johan Padan a la descoverta de le Americhe

27 Un’altra immagine della stessa sequenza

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agli indios, nel tentativo di catechizzarli, di convertirli al cristianesimo per salvarli dalla sicura prigionia degli spagnoli. Così Addis fa prendere vita ai disegni che Johan traccia con un carbone sulla pietra: si parte dalla creazione, l’Eden, dove, per ovvi adattamenti naturali, la mela diventa un mango. Si tratta di due sequenze godibili, che si allontanano volutamente dal design del lungometraggio. Artista continuamente aperto a nuove suggestioni e stimoli: a volte delicato, a volte provocatorio, aggressivo, ma sempre aderente alla propria autenticità; ancora più sorprendente quando si lascia andare nel comporre le sue illustrazioni, protagoniste di numerose mostre in giro per l’Italia. Un grande rapporto con il mondo della pittura caratterizza l’attività di Stelio Passacantando, nato nel 1927, pittore che fin dagli anni sessanta è attivo nel mondo dell’animazione proprio perché questa dà la possibilità di far vivere, attraverso il cinema, il movimento, la fantasia e l’immaginazione. Quello che tu vedi in un quadro, in un disegno, in una illustrazione, questo mondo immaginario: vederlo vivere attraverso un film, nel movimento che è vita, dando valore al colore, alla fantasia, alle forme, anche nel rapporto con la musica10.

All’inizio degli anni sessanta si trasferisce in Inghilterra dove fa un’importante esperienza con l’èquipe del National Film Board Tv Cartoons, tornando successivamente a Milano nel 1963 per dirigere la Tv Cartoons Italia. Negli anni settanta realizza diversi lavori d’animazione anche per la televisione e collabora con lo studio di Gianini e Luzzati. Tra il 1980 il 1983 realizza tre filmati: Lo schiaccianoci, L’uccello di fuoco, Petrushka tratti da balletti classici, visualizzando il rapporto tra pittura e musica. Nel 1985 realizza un cortometraggio che ha avuto molta risonanza nei festival internazionali, Il generale all’inferno. Il film è ispirato ad una intensa poesia di Pablo Neruda sul generale Franco, che Passacantando visualizza con disegni espressionisti, con un forte contrasto tra bianco e nero: la violenza della guerra, la distruzione, in uno spirito di negazione di ogni forma di totalitarismo. Negli anni novanta Passacantando realizza due lungometraggi di animazione, molto diversi tra di loro, che hanno affrontato difficoltà nella distribuzione e che sono dunque sconosciuti al pubblico. Nel 1991 termina, dopo quattro anni di lavoro, il lungometraggio Il giornalino di Gian 10

Tratto dall’intervista a Stelio Passacantando, capitolo 11.

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Burrasca, tratto dall’omonimo romanzo di Vamba, realizzato con l’intervento del Ministero del turismo e dello spettacolo e dell’Istituto Luce. Con uno stile grafico ispirato ai disegni originali realizzati dallo stesso autore del romanzo, Passacantando ripercorre il diario del protagonista, monello ribelle, rendendo lo spirito dissacratorio che caratterizza il romanzo. Passacantando vi introduce anche alcune scene tratte da filmati d’epoca. Dal 1992 al 1995 lavora invece ad un altro lungometraggio, Lo specchio delle meraviglie, anch’esso tratto da un testo letterario, Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol, che vuole trasporre in disegni animati il nonsense, il fantastico, utilizzando la storia di Alice che esce dal suo mondo reale per entrare in quello dell’assurdo e della fantasia. Roberto Catani, nato a Jesi nel 1965, si diploma in cinema d’animazione all’Istituto Statale d’Arte di Urbino, importante realtà che ha formato diversi autori italiani, dove insegna disegno animato dal 1989. Illustratore, autore d’animazione intenso e originale, ha realizzato dei cortometraggi contraddistinti da uno stile assolutamente personale, sia grafico che contenutistico. Li accomuna una nota nostalgica e un uso singolare e intenso del colore. Catani, nonostante insegni animazione dall’età di 23 anni alla scuola di Urbino, decide solo dopo molti anni di lavorare a un cortometraggio, essendosi dedicato a lungo all’illustrazione. Realizza così nel 1995 il suo primo corto Il pesce rosso, selezionato in diversi festival internazionali. L’espressività di Catani si fa più intensa, immettendo all’interno dei suoi corti la ricchezza di toni e la cromaticità che provengono dall’illustrazione e caratterizzano il suo stile. Dopo tre anni dal suo primo film, nel 1998, realizza La sagra, corto che ottiene numerosi riconoscimenti in festival internazionali. In un clima di festa, la sagra del paese, in un caldo colore che tutto avvolge, in un vortice di balli, sguardi, maschere carnevalesche tradizionali, si incontrano tante vite: persone che nel giorno della sagra, lasciano andare preoccupazioni e dissapori, per gustare quelle ore di divertimento. La sagra, da isola costruita e artificiale che è rispetto al divenire quotidiano, si trasforma in un moto naturale di gioia, di sorrisi, in cui si balla e si scherza. Certo non manca la nota malinconica, la festa rappresenta un’isola di poche ore o pochi giorni, in cui le solitudini si incontrano, si perdono, e alla fine tornano col concludersi della festa, e chissà se proprio tutti sono riusciti poi a goderne? Catani sintetizza tutte queste sensazioni, i ricordi più o meno lontani della sagra al paese, le suggestioni di bambino, in un’avvolgente susseguirsi di colori e rimandi, in 94

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28 La sagra di Roberto Catani

un film allegro e malinconico allo stesso tempo, che più che raccontare, suggerisce, sussurra, emoziona. Nel 2002 lavora a La funambola, originale corto incentrato sulla donna, realizzato con gesso su carta nera. Il film vince diversi premi in festival internazionali. È la storia di una donna: l’innamoramento, il matrimonio, la maternità, che segnano inevitabilmente il percorso della sua esistenza. I ricordi, i sogni, si rincorrono nella sua mente e nei suoi occhi. Ancora una volta, più che raccontare, il corto suggerisce, attraverso l’unione di colori e immagini, il percorso emozionale che ci indica l’autore. La musica è molto importante in questi film. Catani segue un percorso particolare riguardo alle scelte musicali. Mentre lavora al film, ricerca e ascolta la musica che può ispirarlo: per La sagra cerca le musiche del patrimonio popolare e folkloristico italiano. In qualche modo un’idea musicale lo accompagna mentre lavora al film, ma, solo quando è termi95

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29 La funambola di Roberto Catani

nato, cerca un musicista al quale comunicare la sua idea e che comporrà su questi spunti la musica del film: Nasce prima l’immagine, assolutamente. Io ho sempre contattato i compositori a film finito: ossia i musicisti vengono dopo, ma la musica va parallela al film. Generalmente quando disegno ho un’idea musicale. [...] È importante il ritmo della musica così come è importante il ritmo del film, perché tutte e due le cose si influenzano, si condizionano. Quindi c’è sempre un’idea musicale a cui mi ispiro e che però poi non è quella che metterò nel film; poi vado a contattare il musicista al quale spiego le idee musicali che ho avuto durante la realizzazione dei miei disegni, e cerco di fare in modo che il musicista collabori con me su questa traccia iniziale11.

Catani ha avuto due importanti collaborazioni per i suoi corti. Per La sagra ha lavorato con Mario Mariani, compositore che ha collaborato 11

Tratto dall’intervista a Roberto Catani, capitolo 11.

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anche con Gianluigi Toccafondo. Per La funambola la musica è stata scritta da Normand Roger, grande compositore che lavora dal 1972 al National Film Board of Canada, e che ha collaborato con i più grandi autori di animazione, da Caroline Leaf a Paul Driessen fino al capolavoro di Frédéric Back L’uomo che piantava gli alberi. La musica di Roger per La funambola si fonde con le immagini in un equilibrio in cui i due elementi si danno costantemente rilievo l’uno con l’altro. Simone Massi, autore che ha realizzato un considerevole numero di cortometraggi dalla seconda metà degli anni novanta in poi, è nato a Pergola, in provincia di Pesaro, nel 1970. Anche lui si diploma all’Istituto d’Arte di Urbino. I suoi film sono dominati dal forte contrasto del bianco e del nero, in cui protagonista è il disegno su carta, con china, grafite e carboncino, a parte alcune eccezioni a colori. Nei suoi brevi film la realtà si mescola al sogno, ai ricordi, in luoghi, siano essi all’aperto o chiusi, claustrofobici, dove domina spesso il silenzio della solitudine, in una riflessione generale sulla vita, che si costruisce corto dopo corto. Nel 1995 realizza tre corti. Immemoria, la storia di un uomo in carcere che immagina la fuga, che però rappresenta altro: la fuga dalla guerra, dalle brutture del mondo. In aprile suggerisce alcuni temi che verranno ripresi in un corto successivo, Adombra. Infine in Millennio i ricordi, pensieri e desideri vanno a mescolarsi alle martellanti immagini della tv. L’anno successivo realizza due brevi film, Racconti, suggestione sul percorso immaginativo dello scrittore, e Niente, la giornata di una persona che pensa al suo rientro a casa, dove troverà solo una scatola vuota a cui mettersi davanti. Massi realizza poi alcuni brevi film dal titolo Il giorno che vidi i sorci verdi, a colori, utilizzando pastelli su carta. La storia è quella di un equivoco raccontato utilizzando modi di dire e luoghi comuni: quando si dice che i muri hanno orecchie, davvero appaiono le orecchie sui muri, e se il protagonista commette un grosso sbaglio e rimane con un palmo di naso, ecco che il suo naso si trasforma proprio in una mano. Del 1997 è il corto Keep’on! Keepin’on!, visualizzazione della violenza sul ring: tra gli sguardi spaventati e indifferenti del pubblico, il pugile incasserà silenziosamente tutti i colpi. Anche nel 1998 Massi realizza tre cortometraggi Ecco Adesso, Io so chi sono, IX (Inside and Everywhere): riflessioni sulle origini, sullo scorrere del tempo. Nei film di Massi c’è quasi sempre un orologio, da taschino o da polso, a ricordare l’inevitabile trascorrere del tempo di ogni vita umana. L’orologio viene a volte caricato, a volte distrutto a colpi di martello, a volte fermato. Nel 1999 realizza 97

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SABRINA PERUCCA

Adombra, film più lungo dei suoi precedenti, dura infatti circa 10 minuti. Un uomo e i suoi sogni: è nella sua stanza, esce, cammina, incontra persone, ritorna al punto di partenza, il luogo in cui la realtà e il sogno si incontrano. La voce narrante fornisce poche suggestioni, il buio, far finta di dormire. Dove è il confine tra vita e sogno? Il tempo è onnipresente, nelle lancette degli orologi, viene fermato, per poi tornare a scorrere. Nel 2001 realizza Pittore, Aereo: siamo nel 1926, il pittore Anton Räderscheidt viene fotografato, mentre si dipanano i suoi pensieri. Dello stesso anno Tengo la posizione. Nel 2003 firma piccola mare, acqua, mare, sogno e immaginazione, suggestioni di una notte insonne. Anche Giorgio Valentini, nato a Fano nel 1948, si è formato all’Istituto Statale di Urbino. Ha iniziato a lavorare nel mondo dell’animazione alla Bozzetto Film nel 1972, prima come animatore e poi come direttore artistico e regista di film pubblicitari e cortometraggi. Ha una società di produzione, la Motus Film. Realizza nel 1981 il cortometraggio Lo scrittore e nel 1983 É questione di vita o di morte. Nel 1996 firma il corto Dna, storia di un ingegnere genetico che vuole creare un essere perfetto. Nel 2003 completa Café l’amour, divertita rassegna delle nevrosi, incomprensioni, luoghi comuni e problemi della vita di coppia. Protagoniste diverse coppie che si alternano ai tavoli del Caffé l’amour, scambiandosi battibecchi quotidiani, proclamando la fine di una storia, restando indifferenti alle parole del partner. 4.3 La metamorfosi Il mutamento, la trasformazione, il continuo evolversi sono alla base del cinema d’animazione. Se si guarda il procedimento che caratterizza l’animazione, ci si rende conto di come la metamorfosi ne sia la qualità specifica: una sequenza di disegni, ognuno dei quali seguito immediatamente dopo da un disegno quasi identico, solo delle piccole variazioni lo distinguono dall’altro, poi un altro ancora leggermente diverso, e così via, per tutta la durata dell’opera. Questo vale sia per l’animazione tradizionale sia per tutte le altre tecniche, per la pittura diretta sotto la macchina da presa, la sabbia, la plastilina, ognuna con le sue specificità. Il disegno si evolve, viene modificato con una cura infinitesimale e tutto ciò crea il movimento: il personaggio o l’elemento astratto si muovono. In questo risiedono il fascino e il sogno del cinema d’animazione: nel cinema dal vero la bellezza del movimento ripreso, con tutte le sue peculiarità, la 98

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recitazione degli attori, la scelta dei luoghi e così via, nel cinema d’animazione l’incanto del movimento creato. Fotogramma per fotogramma, l’animatore realizza tutte le fasi del movimento che ai nostri occhi sembra normale, ma che fino alla ripresa dei disegni viveva soltanto nella sua fantasia. Alcuni autori giocano con questa peculiarità del cinema d’animazione, ossia realizzano la metamorfosi continua dei personaggi. Con l’animazione si può trasformare un gatto in una montagna in pochi secondi, senza che il nostro occhio se ne accorga, ed allo stesso tempo cambiare la scena, il luogo, con una fluidità naturale, con un meccanismo che sembra avvicinarsi a quello del sogno, in cui facilmente si accostano luoghi completamente distanti, si cambiano personaggi e avvenimenti. Il meccanismo visivo dell’animazione fa venire in mente le litografie di M.C. Escher, artista grafico olandese nato nel 1898, morto nel 1972, che ha creato una serie di opere caratterizzate da prospettive azzardate e perfette, la rappresentazione di spazi infiniti, il gioco ottico di specchi e rimandi. Non sembra azzardato collegare la sua visione del disegno come illusione con la concezione che sta alla base dell’animazione. Con la sua litografia Mani che disegnano, del 1948, realizza l’illusione tridimensionale di una mano che disegna un’altra mano che in realtà tratteggia la prima. Anche la metamorfosi entra nelle sue litografie: un esempio evidente ne è Specchio magico, del 1946, in cui numerosi leoni alati emergono da un piano bidimensionale per poi trovare tridimensionalità nel riflesso di uno specchio e poi di nuovo tornare creature piatte. Dunque, un quadro che per sua definizione è fisso, magari appeso ad una parete, in realtà contiene un incessante movimento ciclico, l’esatto contrario di un film d’animazione, che dà movimento ad un grandissimo numero di quadri, disegni e figure nel loro continuo variare. Rappresentative di questo indirizzo sono due autrici, Ursula Ferrara con i suoi disegni su carta e realizzazioni in pittura e Fusako Yusaki, con le sue sculture in plastilina, autrici assolutamente non assimilabili né per tecniche adottate, né per contenuti, ma che hanno fatto della metamorfosi, ognuna in maniera del tutto differente, la marca distintiva del proprio stile. Ursula Ferrara12 è nata a Pisa nel 1961. Diplomata all’Istituto d’Arte, a partire dalla fine degli anni ottanta ha realizzato alcuni cortometraggi 12 La trattazione su Ursula Ferrara sviluppa e amplia un primo contributo redatto da Sabrina Perucca, Indépendants italiens à cheval sur deux siecles, già pubblicato in CinémAnimaction, sous la direction de Pierre Floquet, Paris, Corlet, 2007.

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SABRINA PERUCCA

d’animazione di notevole interesse. Lo stile dei suoi primi film è caratterizzato da un semplice ma essenziale tratto a matita su carta bianca. Grande capacità nell’uso del chiaroscuro e delle sfumature in un continuo gioco tra il bianco della carta, senza alcuno sfondo, ed il nero dei tratti con cui sono delineati i suoi lievi personaggi, in cui è centrale la figura femminile, che sembrano fluttuare sospesi in quel mondo essenziale, subendo incessanti metamorfosi che sorprendono continuamente lo spettatore. Fondamentale è anche il rapporto con la musica: il continuo evolversi si accompagna al dipanarsi delle note musicali. Nel 1986 realizza Lucidi folli, il suo primo cortometraggio dopo piccoli tentativi effettuati quando era ancora a scuola. Nel film, un esperimento molto semplice, vediamo la linea che si rincorre e incessantemente crea nuove immagini, già però suggestive, con in nuce i temi che caratterizzano questi primi film, la donna, la sessualità, in una ininterrotta metamorfosi della materia. Il bianco e nero mi è sempre piaciuto tanto, in tutto, anche nelle foto, mi attrae graficamente. In qualsiasi istituto d’arte o accademia si parte dal disegno; la matita, il carboncino, sono la prima cosa che ti mettono in mano, poi ti insegnano a dipingere. È stato come ripercorrere ciò che ti insegnano: infatti con il mio primo film ho usato la sola linea, una linea che si rincorre13.

Nel corto Congiuntivo futuro, del 1988, la figura femminile, in tutte le sue sfaccettature, amante, mamma, tentatrice, moglie, danza nel continuo alternarsi delle immagini. La violenza e l’irrazionalità della guerra viene rappresentata attraverso la visualizzazione di un soldato che viene ucciso e che mentre si accascia si trasforma in un gatto pronto ad attaccare la sua preda per eccellenza, un topo. Il finale vede una donna, la generatrice per natura, depositare un uovo, fine del film, inizio di una vita. L’elaborazione grafica comincia ad essere più complessa. In Amore asimmetrico, del 1990, si fa forte il riferimento alla grande pittura, l’eterno conflitto tra uomo e donna si dipana tra riprese di quadri di Picasso, in un percorso che vede la donna trasformarsi dalle sue fattezze umane in una delle donne di Les demoiselles d’Avignon, quadro del pittore cubista del 1907, ed entrare nei suoi collages e nature morte tipiche del cubismo. La scena iniziale e quella finale, con un arrancante arrampi13

Tratto dall’intervista a Ursula Ferrara, cap. 11.

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30 Congiuntivo futuro di Ursula Ferrara

31 Amore asimmetrico di Ursula Ferrara

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SABRINA PERUCCA

carsi di oggetti, scale e porte, non può non fare venire in mente l’incessante andirivieni di scale e uomini di Relatività, litografia di Escher del 1953. Qui Ursula Ferrara non può fare a meno di confrontarsi e scontrarsi con gli artisti che hanno caratterizzato e influenzato la sua formazione, il suo percorso artistico. Un’imitazione quasi, che la porterà in qualche modo a liberarsi da queste influenze, nel senso che le farà proprie assimilandole e trovando dunque il proprio stile personale. In Come persone, in un gioco che vede avanzare le immagini verso lo spettatore, in un continuo effetto zoom, gli esseri uomo e donna sono diventati quasi informi, tratteggiati in corpi rotondeggianti, sono indaffarati, ognuno preso dalla frenesia delle cose. Su tutto le aspre note di un violino che suona il Recuerdos de la halhambra di F. Tarrega: «Con Come persone cominciavo a pensare di fare un lavoro più complesso, entro dentro il film e arrivo fino in fondo; iniziavo a pensare a problemi cinematografici»14. Nel 1997 si assiste a una svolta, la voglia di cambiare e confrontarsi con qualcosa di nuovo. Ursula Ferrara continua a raccontare la sua storia, la sua visione della donna, utilizzando però il colore, con un film realizzato con la pittura ad olio, in cui i colori densi riempiono lo schermo. Quasi niente è un corto certamente più narrativo rispetto ai suoi film precedenti, anche se è assente il dialogo. Protagonisti sono i rumori ed i gesti quotidiani, la colazione di una famiglia; la madre, il padre, il figlio, si alternano ai loro desideri, ai sogni che passano nella loro testa, come normalmente accade mentre siamo impegnati a fare altre cose. Film semplice e poetico. L’uso del colore qui è a volte quasi metaforico, come nella scena in cui, al cadere della tazzina del caffè, a simboleggiare una piccola crisi, i colori dei volti della coppia protagonista letteralmente cadono, spariscono, per poi tornare a crisi passata. Seguono altri due film a colori, altre due piccole semplici storie, dove la pittura è elemento fondamentale. In Cinque stanze si susseguono rumori e suoni tipici della vita quotidiana all’interno di un appartamento, i piatti sulla tavola, il vociare, i sospiri. Ne La partita la scelta di Ursula Ferrara si fa più ambiziosa: raccontare, suggerire con poche pennellate le vite del pubblico che sta seguendo una partita di calcio. Così, tra le scene di una partita, con i rumori dei calci alla palla, il fischio dell’arbitro, il vociare, Ursula Ferrara entra ed esce dalle vite delle persone che compongono il

14

Ibidem.

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32 Quasi niente di Ursula Ferrara

pubblico, raccontando la loro storia, con frammenti dei loro ricordi, desideri, sogni. Ognuno sta pensando e giocando la propria partita in quel momento: «Lì il lavoro è stato più complesso perché ho immaginato due film, uno è la partita, lo schema del gioco, che ho tenuto come un teatro d’azione. In realtà a me interessava il pubblico, che per me rappresenta il secondo film»15. Dopo un silenzio di qualche anno, Ursula Ferrara realizza nel 2006 un nuovo cortometraggio, News, realizzato con tecniche miste, dalla pittura al collage. Un film maturo, energico: un asciutto sguardo sul mondo attraverso ciò che proprio il mondo racconta di sé, ossia attraverso la stampa.

15

Ibidem.

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Le news del titolo sono proprio vere notizie di cronaca provenienti da giornali di tutto il mondo. Gli eventi si susseguono a ritmo incessante, un fiume in piena di fatti e casi, di violenze e stragi, notizie che una volta lette

33 News di Ursula Ferrara

diventano vicine, ma allo stesso tempo lontane: è successo laggiù, in qualche parte del mondo, non ci si può far niente. Anche le colonne sonore dei suoi film subiscono un cambiamento, un’evoluzione ad ogni nuovo corto. All’inizio Ursula Ferrara sonorizza i suoi film immettendo un brano preesistente, per scelta e per semplicità. Poi, grazie alle tecniche di registrazione digitale, comincia a registrare suoni e rumori in ogni parte del mondo e, a partire da Quasi niente, inizia a sonorizzare i suoi film in maniera molto più personale, inserendo un dato rumore registrato appositamente per quella scena durante un viaggio, o brevi pezzi musicali che si alternano a rumori quotidiani. 104

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Ursula Ferrara realizza queste sue piccole composizioni, con una padronanza assoluta delle proprietà tipiche del linguaggio dell’animazione, sottolineando la metamorfosi che caratterizza il ritmo della vita. A proposito dei suoi cortometraggi afferma: «È come in una specie di diario che invece di essere scritto con le parole è scritto attraverso i film»16. Autrice di grande interesse per le sue particolari realizzazioni è Fusako Yusaki, artista e scultrice giapponese che vive ed opera in Italia dal 1964. Il fatto di essere diplomata in Design Creativo, di avere studiato scultura, sua grande passione, l’interesse per la ricerca sul tridimensionale, tutti questi elementi l’hanno portata presto ad interessarsi di animazione, in particolare di un settore molto preciso, l’uso della plastilina. Proprio in casi come questo si comprende con grande chiarezza come la scelta della tecnica sia fondamentale per un artista: la scultrice Yusaki trova nella modellazione della plastilina il modo per portare la forma d’arte che predilige nel mondo del cinema d’animazione. Grazie alla manipolazione e trasformazione della plastilina, Fusako Yusaki perpetua il gesto creativo: costruisce un oggetto o un personaggio, lo riprende per un fotogramma, poi effettua una piccola variazione, ancora un fotogramma, pian piano lo trasforma, e quello che prima era un albero magari è diventato un animale: Per me c’è poesia nella comunicazione attraverso immagini, colore e movimento, io voglio spiegare attraverso la plastilina l’evoluzione della vita [...]. Quando costruiamo un oggetto, questo non soltanto appare così, ma grazie alla forma, al colore ed al movimento, con la plastilina, può diventare qualunque cosa che noi possiamo creare. Così come abbiamo il Dna, che dà tantissime variazioni ad ogni persona, nello stesso modo io ho la pasta da modellare che può diventare qualsiasi cosa, io cambio il Dna, allora non c’è soltanto la manualità, ma anche la trasformazione17.

La figura si trasforma, l’intero essere umano è in continua ma impercettibile trasformazione, ogni secondo muoiono e nascono cellule, così come una forma in plastilina muta in ventiquattro fotogrammi al secondo. In Fusako Yusaki è forte l’esigenza di creare qualcosa che prenda vita nel continuo divenire delle forme. Nei suoi film la nota ricorrente è quella dell’allegria, la materia colorata vive e trascina lo spettatore nel simpatico gioco della forma che cambia. 16 17

Ibidem. Tratto dall’intervista a Fusako Yusaki, capitolo 11.

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Fusako Yusaki nella sua carriera ha sempre alternato lavori su commissione, pubblicità, a cortometraggi, mantenendo però inalterato il suo stile: dare vita, movimento, attraverso la plastilina. Quando arriva in Italia comincia a lavorare per la pubblicità, negli anni settanta e ottanta lavora a diversi progetti, serie tv per televisioni europee, film documentari tra cui dei film didattici per il Cnr sull’origine dei terremoti. Un’attività intensa e continuativa che ha accompagnato la realizzazione di diversi cortometraggi più autoriali. In queste opere si manifesta con evidenza il tema del rapporto uomo-natura, nel rispetto di un ritmo che armonizzi uomini, piante e animali. Nel 1972 realizza Pentalogia del mondo perduto che racconta le relazioni tra la natura, il lavoro, l’inquinamento, il traffico e lo spazio. È del 1973 Ballata dell’omino stanco, percorso tra le diverse razze. Continua a lavorare a diversi cortometraggi e, con Ama gli animali, del 1983, Buongiorno, del 1988 e Stagioni senza parole, del 1991, riprende e approfondisce il tema del rapporto uomo-natura. Anche nella serie Toki Doki, realizzata tra il 1989 ed il 1990 e composta di tredici corti, ognuno di due minuti, mette con originalità in parallelo la vita degli uomini e degli animali, evidenziando numerose assonanze. Negli anni novanta realizza diverse altre serie per la televisione poi, nel 1998, il corto Ippocrate, che con le sue tipiche forme colorate in movimento ripercorre il pensiero di Ippocrate, la medicina, la magia, il giuramento dei medici. Legato all’idea di creazione e espressione della forma, del gesto che imprime uno stato, è Un giorno sì, un giorno no, realizzato sempre nel 1998, in cui i sentimenti quotidiani come la gioia, la rabbia e la tristezza, si susseguono nel continuo alternarsi delle forme, cercando di seguire ciò che accade al variare dei nostri stati d’animo. Del 2000 sono Gioco di colore e Gioco di forma, due cortometraggi dedicati ai bambini in età prescolare, in cui il gioco inventivo delle forme, la possibilità di creare con le proprie mani, stimolare la fantasia, vengono evidenziati in un’altalena di colori e figure. Realizza tra il 2001 e il 2003 diversi corti seriali per la tv che vedono protagonisti i personaggi Peo e Naccio & Pomm. Fusako Yusaki con la gioia creativa trasmette, grazie all’uso della plastilina, la sua concezione armonica di un mondo vissuto nel rispetto di tutte le sue forme naturali in cui la fantasia si inserisce ordinatamente in esso. 106

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CINEMA DI MUSICA, PITTURA E SCULTURA

34 Peo di Fusako Yusaki

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Capitolo 5 IL CINEMA DI GIANLUIGI TOCCAFONDO

5.1 La fluidità della forma Gianluigi Toccafondo1 è nato a San Marino nel 1965 e ha frequentato l’Istituto d’Arte di Urbino. Pittore come prima passione, autore d’animazione intenso ed originale, può essere considerato la rivelazione degli anni novanta. I suoi quadri ed i suoi film d’animazione sono conosciuti a livello internazionale. Fin da bambino osserva il padre, ceramista, creare le sue opere ed in particolare lo colpisce il tornio, quello che c’è dietro la creazione, ad esempio, di un vaso. Lo affascina il procedimento stesso della creazione artistica, il tornio gli fa vedere una forma che muta in continuazione sotto le mani dell’artista, e questo lo affascina più dell’opera che ne esce alla fine. È così che l’idea della metamorfosi, del procedimento creativo che, nel momento in cui si attua, cambia il progetto iniziale regalando all’artista la meraviglia dell’opera appena completata, nasce e cresce nelle realizzazioni di Toccafondo: l’autore ripercorre quel percorso, quella magia, quel divenire che accompagna il lavoro al tornio, grazie all’animazione. Così nasce l’idea della forma fluida, che muta continuamente: il corpo che proprio non vuole restare nei confini di una fotografia, di un quadro o di un fotogramma. Le creature di Toccafondo hanno tutti braccia, gambe, nasi e orecchie troppo lunghi per essere contenuti in un quadrato dipinto. Dunque, come figlio di un artista, da sempre circondato da colori e pennelli, Toccafondo decide di frequentare l’Istituto d’Arte di Urbino. 1 La trattazione su Gianluigi Toccafondo sviluppa e amplia un primo contributo di Sabrina Perucca, Inépendants italiens à cheval sur deux siecles, già pubblicato in CinémAnimaction, sous la direction de Pierre Floquet, Paris, Corlet, 2007.

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SABRINA PERUCCA

Comincia così ad interessarsi al mondo dell’animazione, dopo il diploma si trasferisce a Milano, iniziando a lavorare presso lo studio di animazione Mixfilm di Giancarlo Carloni e Giovanni Mulazzani. Però, essendo sempre stato il suo più grande desiderio quello di fare il pittore, continua a studiare e misurarsi con i grandi maestri, Bacon, Schifano, tentando di trovare la sua strada pittorica. Affitta dunque un piccolo studio dove va a dipingere, continuando a lavorare per lo studio di animazione, in cui realizza filmati per la pubblicità, sigle per la televisione, utilizzando tanti stili diversi, non pensando all’inizio che proprio quel lavoro che gli sembrava in qualche modo lontano dalla sua inclinazione, si rivelasse invece il mezzo ideale per l’espressione artistica che stava cercando. Infatti, proprio prendendo spunto dal tipo di lavoro che faceva allo studio Mixfilm, in cui per le sigle tv si lavorava al monitor, utilizzando immagini fotografate per poi disegnare i movimenti e i personaggi, ed unendolo alla sua passione per la pittura, Toccafondo matura quella che diventa la sua tecnica d’animazione, il suo modo d’espressione. Usa fotografie di film, magari in bianco e nero e con pezzi mancanti, le fotocopia, le distorce, le scurisce o schiarisce, isola degli elementi, così che un oggetto sullo sfondo, fotografato per caso, diventa il protagonista. Unisce a queste immagini il suo colore denso e corposo, allungando, deformando, fino a rendere fluida la forma, in una continua osmosi, cercando di rompere i limiti del fotogramma, visualizzando la sua idea di pittura veramente e profondamente in movimento, in continua metamorfosi. Per La pista parte dall’immagine fotografica del suo comico preferito, Buster Keaton, mentre più tardi usa immagini girate da lui stesso, come in La pista del maiale, sempre però mantenendo un forte legame con il grande cinema, da Fritz Lang ai comici del muto, da Stanlio e Ollio a Totò, utilizzando spezzoni per poi deformarli in modo che «i personaggi diventavano disegni. Sono sempre stati omaggi al grande cinema»2. Dal 1989 comincia a realizzare dei cortometraggi con i quali si fa subito notare per l’intensità e la particolarità del suo stile, continuando a realizzare film pubblicitari e sigle per la televisione che gli venivano richiesti proprio alla luce della particolare tecnica utilizzata. Infatti Toccafondo è un esempio di come si possa portare la propria arte anche in un prodotto più

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Tratto dall’intervista a Gianluigi Toccafondo, capitolo 11.

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IL CINEMA DI GIANLUIGI TOCCAFONDO

commerciale, anzi approfittare di una commissione per cimentarsi con tematiche o con soggetti che non si erano presi in considerazione fino a quel momento, e poi riportare l’esperienza acquisita nella produzione più autoriale. Il segno iconografico che fa riconoscere un’opera di Toccafondo, quadro o film che sia, è dunque questa estensione delle forme, che si concretizza spesso nelle infinite orecchie d’asino dei suoi personaggi o nei nasi alla Pinocchio: la forza avvolgente di luoghi e corpi allungati, stiracchiati o avvolti su loro stessi che vivono in un universo altamente espressivo di passioni ed emozioni. Realizza il suo Pinocchio nel 1998. Il film è stato meditato a lungo e ha avuto una prolungata lavorazione, come si vedrà più avanti. È fondamentale ricordare come i tratti distintivi del burattino e dell’asino siano precedenti, come se Pinocchio in qualche modo fosse già presente negli altri film e l’idea del monello più trasgressivo della nostra letteratura, fosse il modo più adatto per esprimere l’insofferenza ai limiti del quadro o del fotogramma, il modo per forzarli o uscirne. Così il maiale, animale che ritorna anch’esso, sotto vari aspetti, nei suoi quadri e nei suoi film, sembra il simbolo della ricerca di un archetipo, di un segno legato alla tradizione; anche i numeri, elementi distintivi dei fotogrammi in La pista e elementi della ricerca dell’identità di Le criminel, sono un simbolo, una scrittura in continuo movimento. Le donne, figure evanescenti, delle quali molto spesso si scorge solo il volto in una nuvola di colore, cominciano a permeare i suoi film più maturi: dalla pubblicità Woman finding love del 1993, alla splendida protagonista della sigla realizzata per la Biennale di Venezia del 1999, alla fatina di Pinocchio fino alla sensualità de La sposa (spezzone realizzato per il lungometraggio del film di Rolando Colla Le monde à l’envers del 2001) e alle donne de La piccola Russia, il suo corto più recente. L’opera di Toccafondo è caratterizzata dalla ricerca di fattori che tornano, quasi simbolici, uniti al racconto che evolve in nuove storie, in nuove intense espressioni. I suoi film sono contraddistinti anche da una approfondita ricerca musicale, sia con pezzi scelti da lui stesso che attraverso proficue collaborazioni con musicisti. Nei primi film cerca il sincrono immagine-musica, poi pian piano capisce che il gioco espressivo è più efficace facendo percorrere all’immagine ed alla musica linee diverse, facendole incontrare e magari scontrare. Toccafondo comincia così a collaborare con diversi compositori come Julian Nott, affermato musicista nel campo dell’animazione, per Le crimi111

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nel e con Mario Mariani per Pinocchio. Per le sue più recenti realizzazioni utilizza le musiche del compositore giapponese Nakagawa Toshio. Il cambiamento principale nella realizzazione dei suoi corti è stato iniziare a montare i film senza avere prima la colonna sonora, per poi cercare le musiche. Questo per non farsi influenzare dalla musica stessa, perché quello che l’autore ricerca è una composizione che non sia d’accompagnamento ma che sia essa stessa opera d’arte, che interagisce con il film, perché «i musicisti ti possono anche cambiare il film. È bello trovare nel compositore qualcuno che vede le cose da un altro punto di vista»3. Toccafondo rappresenta un trait-d’union molto particolare con il mondo della pittura: molti dei fotogrammi dei suoi film sono infatti realizzati su delle tele e poi ripresi, sono dei quadri molto grandi, addirittura enormi, come nel caso di Pinocchio. Queste tele hanno una loro vita autonoma rispetto al film, e Toccafondo ha realizzato diverse mostre dal 1992 in poi con i suoi quadri, a Milano, Roma, Parigi, Tokio, in cui si trovavano sia le sue tele realizzate per i corti, sia le sue tele indipendenti, in una unione particolare, in cui si rendeva tangibile il raporto quadro-fotogramma. Le fonti d’ispirazione sono numerose per un artista come Toccafondo, dalla pittura al cinema, dalla letteratura alle altre forme d’arte, un insieme di tensioni che hanno trovato nell’animazione il mezzo che più di tutti le fa convogliare in un’unica opera d’arte. 5.2 I film Gianluigi Toccafondo inizia a lavorare allo studio Mixfilm per la pubblicità e sigle televisive e realizza nel 1989 il suo primo cortometraggio: La coda. Questo corto è ispirato ai film del muto, si riconosce nelle immagini deformate e allungate la figura di Buster Keaton: Sono sempre stato un appassionato di Buster Keaton, in particolare per il movimento, per come roteava il corpo nello spazio. Allora prendevo queste fotografie dove c’era nell’inquadratura Buster Keaton e andavo a completare le parti mancanti della fotografia: allungavo, disegnavo le gambe o il braccio che uscivano fuori dall’immagi-

3

Ibidem.

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ne originale, avevo dunque dentro un foglio una parte più fotografica ed il resto lo completavo con il disegno4.

Toccafondo comincia ad elaborare quello che diverrà il suo stile, lasciandosi trasportare dal dialogo instaurato con l’immagine, che fra le sue mani prende vita in un continuo incontro-scontro, allungamento delle forme, dandogli senso ed espressione proprio nella ricerca del superamento dei limiti imposti dal fotogramma. La coda è un divertito viaggio attraverso le passioni di Toccafondo, il vecchio cinema muto, la pittura, con il corpo di Buster Keaton appesantito dalle enormi orecchie d’asino che gli spuntano e che lo fanno barcollare. Un film godibile, che è stato subito notato nell’ambiente del cortometraggio e che mostra in nuce le particolari capacità espressive di Toccafondo. A breve distanza di tempo, nel 1992, realizza, insieme a Simona Mulazzani, La pista, corto in cui la componente musicale ha una grande importanza: Toccafondo, scegliendo un tango, studia le battute musicali in moviola, cercando, come intenzione iniziale, di sincronizzare le battute ad ogni singola immagine. Poi si rende conto che il gioco musicale sarebbe stato più efficace e piacevole se il rapporto tra musica e immagine fosse stato asincrono. Da questa intenzione è nata la danza del film, partendo da alcune sequenze di un ballo di Fred Astaire e Ginger Rogers, che danzano su un disco che rotea, la loro pista, mentre i corpi si allungano e si restringono creando un divertente effetto tira e molla. Nel frattempo struzzi, leoni, gli immancabili maiali, questa volta numerati uno ad uno, con delle zampe lunghissime, quasi infinite, partecipano a questa danza, che diventa sempre di più un avvolgente vortice di movimento, un ballo animalesco: «Questo film è nato in modo molto veloce e fresco, c’era la voglia di fare il movimento, di inventare continuamente, in ogni inquadratura, qualcosa di diverso. Alla fine diventa una giostra di possibilità. È stato un divertimento farlo»5. Giostra di colore, musica e movimento, il film ha avuto una menzione speciale al festival di Annecy 6.

4

Ibidem. Ibidem. 6 Il festival dell’animazione di Annecy, cittadina francese, è uno dei più importanti festival specializzati nel settore. Festival annuale, è stato il primo ad occuparsi esclusivamente di cinema d’animazione. 5

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Nel 1992 Toccafondo realizza un film completamente diverso, utilizzando per la prima volta delle riprese dal vero volute da lui stesso e mettendo al centro ricordi e fantasie legati alla sua infanzia. Innanzitutto si cimenta con delle riprese fatte appositamente, non vecchi spezzoni di film, e passa un’intera giornata con un suo amico operatore a riprendere un maiale: il luogo in cui vive, il piccolo spazio dove mangia e cresce, per poi morire, dunque la pista del maiale, il suo destino. Toccafondo fin da piccolo sente raccontare dai suoi parenti dell’uccisione del maiale, tradizione della sua regione d’origine, narrazione che lo inquieta e incuriosisce allo stesso tempo, non lo vede mai fare, ma resta nei suoi ricordi. In questo modo il maiale diventa animale mitico, un archetipo che torna nei suoi film, simbolo della tradizione, dei ricordi e dei legami che si vogliono conservare. Per realizzare il film parte dalle riprese dal vero e le comincia a fotocopiare, allungare, deformare; usa per alcuni fotogrammi dei quadri dipinti appositamente, per cui appoggia al muro un quadro, fa due scatti con la macchina da presa, poi cambia con un altro quadro, di nuovo due scatti, e così via. Per visualizzare la pancia del maiale utilizza un rotolo di carta di circa duecento metri, su cui ha incollato materiale vario, soprattutto fotocopie mai usate raccolte nel suo studio, un modo per mettere insieme quello che fino ad allora aveva creato. Ad ogni nuovo cortometraggio Toccafondo sembra crescere di intensità; nel 1993 realizza Le criminel, prodotto dalla Sept Arte, rete tematica francese, con cui Toccafondo realizza anche Pinocchio. Le criminel è un omaggio al cinema di gangster, le sue atmosfere ricordano i film di Fritz Lang, il clima di Scarface. Nel film predomina il colore intenso, avvolgente, la mano di Toccafondo riempie di colore ogni forma, ed ogni scena dialoga con la splendida musica, suggestiva ed inquietante, composta appositamente da Julian Nott, noto compositore, che ha realizzato la colonna sonora anche per Wallace and Gromit di Nick Park. Le criminel è una sorta di condensato della follia omicida, del killer che uccide per istinto, è introvabile e irraggiungibile, lo seguiamo insieme alla polizia tra stretti vicoli e nascondigli, la sua immagine molto spesso è sfuggente come un’ombra. I numeri qui hanno un significato particolare, scorrono sotto un volto non definito, anch’essi sono alla ricerca dell’identità del criminale, come se fosse una foto segnaletica con sotto il numero di riconoscimento. Anche quando i numeri smettono di scorrere ed il criminale viene catturato, la sua immagine resta sfocata. Non si riesce a dare un volto alla pazzia che uccide. 114

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35 Le criminel di Gianluigi Toccafondo

Nel 1998 Toccafondo realizza il suo Pinocchio. La lavorazione di questo film è stata molto lunga e intensa. Era un corto che aveva in mente da molto tempo, l’autore evidenzia come «sin dal primo film Pinocchio sia sempre stato presente, ci sono le orecchie, la coda, il naso lungo» 7. Dunque l’esigenza di confrontarsi con la favola che ha affascinato ed affascina tanti artisti, in molti campi, si è manifestata in Toccafondo già nell’uso dei segni distintivi di Pinocchio nei suoi precedenti film, la coda, le orecchie d’asino, che mutano e cambiano l’uomo. Su Pinocchio aveva realizzato anche delle illustrazioni e, ovviamente, le tele che ha utilizzato per il film. Il corto inizia con Pinocchio che prende vita, un Pinocchio che per Toccafondo ha le fattezze di Totò, il comico burattinesco, fantasioso, dalle

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Tratto dall’intervista a Gianluigi Toccafondo, capitolo 11.

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36 Pinocchio di Gianluigi Toccafondo

mille risorse e avventure, che non si ferma davanti a nulla. Il suo Pinocchio-Totò è costruito su immagini colorate e allungate, con il suo tipico metodo, e comincia le sue avventure nel mondo venendo arrestato dai gendarmi. La storia continua, Pinocchio si addormenta e non capiamo se sogna o vive realmente le sue avventure. Con la sua corsa barcollante, le braccia tese all’infuori che lo fanno sembrare un piccolo uccello che cerca di prendere il volo, ma non ci riesce, incontra Mangiafuoco, che con la lunga barba nera lo avvolge e lo trascina in un vortice. Tutti i personaggi sono frutto della cultura visiva di toccafondo, dal Pinocchio televisivo di Comencini a Totò, fino a Stanlio e Ollio, trasformati per l’occasione nel gatto e la volpe. Ecco allora i due improbabili furfanti allettare Pinocchio con la loro oratoria, che è efficacemente visualizzata grazie agli strumenti a fiato che i due suonano cercando di lusingare il burattino. Finché giunge la Fata che lo libera, in una scena suggestiva, in cui, in una nuvola di colore, i capelli della fata si trasformano in una mano che delicatamente raccoglie Pinocchio. Si arriva così alla scena più intensa del 116

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37 Pinocchio di Gianluigi Toccafondo

film, il Paese dei Balocchi. Su dei fotogrammi inizio novecento di strade cittadine e automobili, Toccafondo disegna il suo Paese dei Balocchi. Anche qui, come accadeva ne Le città invisibili di Manfredo Manfredi, Toccafondo ci fa vedere i numeri dei fotogrammi che scorrono, quasi a mostrarci l’inganno che si nasconde dietro al fotogramma, ci ricorda che è tutta invenzione, ed allo stesso tempo è l’inganno del Paese dei Balocchi, in cui tutto è apparenza di felicità: in realtà è solo illusione, come un fotogramma, che fa sembrare reali delle cose inventate. Nel paese dei Balocchi tutti e tutto hanno orecchie d’asino, simbolo dell’inganno estremo, ma allo stesso tempo il sogno più bello in cui Pinocchio è caduto: Quando ho fatto il paese dei Balocchi, alla fine avevano tutti le orecchie lunghe. Quando penso ad un paese come quello, dove tutto è possibile, il riferimento è Collodi, è l’Eldorado, potrebbe essere l’America. E tutte le volte mi viene di trasformarlo in qualcosa di animalesco, e le orecchie sono la prima cosa, quindi ci sono sempre state 8.

8

Ibidem.

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Alla fine, trasformato in un’automobile dalle orecchie lunghe, Pinocchio cade in mare da una banchina, e incontra la balena, che presto si trasforma in una stazione del treno. Il viaggio è finito o è appena iniziato, comunque Pinocchio si sveglia con i piedi in fiamme, proprio come nella favola, ma non sapremo mai se è stato solo tutto un sogno. In questo grande teatro di citazioni e varianti anche la colonna sonora appositamente composta da Mario Mariani ha una notevole importanza. Toccafondo negli anni novanta ha realizzato numerose pubblicità, anche all’estero, negli Stati Uniti e in Giappone, per le quali gli veniva richiesto proprio il suo particolare stile di lavoro, così come sigle per la televisione, o per la Mostra del cinema nel 1999. Tra il 2000 e il 2003 Toccafondo ha realizzato due corti che si distanziano a livello contenutistico dalle precedenti realizzazioni e in cui assistiamo a un certo cambiamento nell’affrontare la sua istanza espressiva, il suo modo di raccontare, mantenendo però il suo tipico stile creativo. Sul testo di Pasolini realizza nel 2000 Essere vivi o essere morti è la stessa cosa, un film breve, ma molto intenso, che letteralmente visualizza le

38 Essere vivi o essere morti è la stessa cosa di Gianluigi Toccafondo

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parole di Pasolini, attorniate, scolpite nel colore, che gli dona un’intensità tutta particolare. Una riflessione suggerita e vissuta grazie all’incisività della pittura. Il film, che è stato in concorso al festival di Annecy, si apre con un suicidio, a cui segue un tenero abbraccio tra un uomo e una donna, il tutto avvolto da una cromaticità tenue in cui prevale il bianco e il grigio. La musica al pianoforte è composta da Nakagawa Toshio. Il più recente corto di Toccafondo è La piccola Russia, realizzato nel 2003, anch’esso in concorso al festival di Annecy. È un film abbastanza diverso dalle sue precedenti realizzazioni, di una certa lunghezza, 16 minuti, in cui l’autore sembra ricercare un confronto più profondo con la narratività. Il film raccoglie degli originali personaggi intorno alla storia di un delitto, il tutto è ambientato in luoghi reali, con riprese dal vero, ovviamente lavorate, deformate e dipinte dall’autore. I luoghi sono quelli del centro Italia, la Romagna, le Marche, gli Appennini e il mare Adriatico, zona denominata “La piccola Russia”. La storia è quella di un assassino, con i suoi ricordi dell’infanzia e l’adolescenza, le vacanze al mare, la scuola, fino a una serie di omicidi: le persone che costellano la sua vita, e che prendono fattezze particolari, la donna lumaca, il papà coniglio e la mamma luna. Alla fine l’arresto. Questo confronto con il racconto, sospeso tra suggestioni iconografiche e narratività, lascia emergere in alcuni punti la sensazione del non risolto, appare evidente la ricerca contenutistica e espressiva che ha condotto l’autore alla realizzazione del film, un punto di passaggio cruciale verso un diverso modo di espressione che l’autore sta ricercando. Gianluigi Toccafondo con le sue opere sia d’animazione che pittoriche è stato una grande rivelazione negli anni novanta nel mondo dell’arte, un autore che ha saputo presto imporsi grazie al suo rigoroso stile espressivo.

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Capitolo 6 VOLERE VOLARE

6.1 Tra reale e fantastico Volere volare è un lungometraggio uscito nel 1991, Maurizio Nichetti e Guido Manuli ne hanno firmato la regia. È un film particolare, in quanto inserisce delle sequenze in animazione in un lungometraggio dal vero. Questo nella storia del cinema non è una novità: fin dalla sua nascita, infatti, si sono fatti numerosi tentativi in questo senso. La realizzazione di Volere volare si inserisce però in un periodo particolare, nel 1988 infatti esce Chi ha incastrato Roger Rabbit, film molto diverso ma con alcuni elementi in comune con Volere volare. Il film di Robert Zemeckis ha ridato notevole vitalità all’animazione mondiale, dopo un periodo di crisi che negli anni ottanta aveva coinvolto la stessa Walt Disney Pictures. Con una ventata di freschezza il film proponeva personaggi animati con un carattere assolutamente umano che, vivendo e interagendo con gli uomini, creavano un mondo plausibile, in cui la sessualità poteva benissimo essere rappresentata da una donna disegnata, Jessica Rabbit, piuttosto che da una in carne e ossa. Il 1991 di Volere volare segna in qualche modo l’inizio di un risveglio che coinvolge per certi versi tutta l’animazione italiana, che vivrà il suo rinnovamento, una vera e propria rinascita, proprio dalla seconda metà degli anni novanta in poi. È il preludio di un decennio che ha portato grosse novità, il ritorno ad una attività produttiva, lungometraggi animati, il talento di nuovi autori nel cortometraggio, produzioni per la tv. Può essere ritenuto dunque la porta d’ingresso ideale di questo nuovo corso dell’animazione italiana. Guido Manuli e Maurizio Nichetti stavano pensando già da lungo tempo a questo film, addirittura la sceneggiatura era stata scritta, in una versione non definitiva, sette anni prima. All’epoca di Domani si balla 1, i

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Film di Maurizio Nichetti del 1982.

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due registi avevano in mente un film che trattasse dell’invasione della Terra da parte dei cartoni animati, che non fu realizzato. Contemporaneamente Manuli con Solo un bacio, corto del 1983, aveva già sperimentato l’invasione di un uomo nel mondo dei cartoni animati: da tutti questi spunti è nata l’idea di Volere volare. Come hanno ricordato i due registi, il vero problema è stato trovare i finanziatori per realizzare un film così concepito, visto che molti non credevano alla riuscita di un film dal vero unito all’animazione che non avesse come destinatari principali bambini e ragazzi. Si noti qui l’analogia con Chi ha incastrato Roger Rabbit, film che propone una visione ben diversa del cartone animato, che sottolinea in maniera evidente la vastità di utilizzo del linguaggio dell’animazione, adatto anche ai grandi. Anche l’idea di Volere volare ha trovato dunque realizzazione perché i produttori ci hanno creduto alla luce del successo del film americano. Come precisa Maurizio Nichetti 2 la novità dei due film, oltre che tematica, una storia d’amore particolare, è stata la tecnica di realizzazione. Grazie soltanto all’uso della truka e dei mascherini, senza dunque uso del computer, che allora non offriva certamente le possibilità odierne, si è

39 Volere Volare di Maurizio Nichetti e Guido Manuli, © Bambù Cinema e TV e Penta Film 2

Vedi intervista a Maurizio Nichetti, capitolo 11.

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VOLERE VOLARE

realizzato l’inserimento delle immagini animate e soprattutto delle loro ombre, grazie a un procedimento innovativo a cui i realizzatori di Volere volare sono arrivati in maniera autonoma. 6.2 I registi Un film come questo non poteva che uscire dalle mani di due registi come Manuli e Nichetti. Maurizio Nichetti ha iniziato la sua carriera nel mondo del cinema allo studio di Bruno Bozzetto negli anni settanta, occupandosi principalmente delle sceneggiature, in particolar modo del Signor Rossi, il più famoso personaggio uscito dalla matita di Bozzetto. Sceglie l’animazione proprio perché era il mondo che più si avvicinava alla sua concezione dello spettacolo visivo, più che parlato, più vicino alla sua formazione come mimo, all’idea di comicità come gag visuale. Da allora, pur lasciando lo studio di Bozzetto e realizzando i suoi film dal vero, è sempre rimasto molto legato al mondo dell’animazione, non solo nell’utilizzo di titoli o spezzoni animati per i suoi film, spesso in collaborazione proprio con Manuli, ma anche nella concezione stessa della struttura dei film, basati spesso proprio sui silenzi, sull’espressività di uno sguardo, di una camminata. Unendo a ciò il fatto di riconoscere un’affinità tra la sua esperienza e quella dei gagmen del film muto che negli anni venti, con l’avvento del sonoro, spesso sono passati proprio all’animazione come sceneggiatori: Ho applicato le mie conoscenze sul gesto ai cartoni animati, esattamente come gli sceneggiatori degli anni venti hanno applicato la loro esperienza ai cartoni quando c’è stato l’avvento del cinema sonoro. E poi quando ho fatto un film tutto mio, ho realizzato un film dal vero, ma con in mente i ritmi delle azioni visive, delle azioni clownesche, mimiche. Il mio cinema è sempre stato più visivo che parlato 3.

Guido Manuli è stato e continua ad essere una presenza significativa nel panorama dell’animazione italiana. Anche lui ha iniziato allo studio di Bozzetto, ha collaborato spesso con Nichetti fin dagli anni settanta. Per Volere volare Manuli ha curato tutta la parte riguardante le animazioni ed anche la sceneggiatura, assieme a Nichetti. Ci sono voluti ben 120.000 3

Tratto dall’intervista a Maurizio Nichetti, capitolo 11.

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disegni per vedere Nichetti in animazione, con un lavoro che è durato molti mesi, ma che ha dato risultati visivi particolarmente efficaci. 6.3 La poesia di un uomo-cartone Un uomo insegue e registra rumori, con il suo microfono gigante incorre nelle situazioni più improbabili e pericolose, ma è anche molto timido e impacciato. Di mestiere sonorizza i cartoni animati, proprio quelli in cui non c’è dialogo, bensì rumori e suoni di ogni genere che vivacizzano l’azione, vecchi cartoni americani in bianco e nero tra cui Braccio di ferro. Questi spezzoni di cartoni animati spesso aprono o chiudono una scena di Volere volare, quasi a voler fare immergere lo spettatore dentro il cartone. È ciò che in un certo senso succede al protagonista, Maurizio, in quanto fin dall’inizio del film, i piccoli personaggi dei cartoni animati che sonorizza, ad esempio delle anatre o una piccola tartaruga, lo usano come tramite per uscire dal mondo del cartone e entrare nel mondo reale. Lo fanno infilandosi nel taschino del suo camice, gli fanno solletico mentre girano nei suoi vestiti, poi lo lasciano per gettarsi nell’avventura del mondo reale, mentre lui non si accorge di niente! Già da questo si nota come il legame del protagonista con il mondo dell’animazione sia profondo, quasi fosse lui stesso una porta di comunicazione tra il reale e la fantasia. Come se non bastasse è vestito con pantaloni troppo corti, vistosi calzini rossi o verdi, scarpe a sandalo e una giacca veramente troppo grande, sembra già così un cartone animato lui stesso. In più, nella quasi totalità delle scene della prima parte del film, non lo sentiamo parlare: lo vediamo al lavoro, suonare i suoi strumenti, creare suoni e rumori con gli oggetti più disparati, dalle mattonelle alle chiavi inglesi. Ma anche quando gira per le strade della città, non parla, ma suona se viene urtato da qualcuno, a causa delle trombette e campanelli che porta all’interno della sua giacca, tanto che la protagonista femminile, Martina, interpretata da Angela Finocchiaro, lo chiamerà Trombetta. Dunque il silenzio verbale è qui un collegamento particolare con il cartone: anche quando non ci sono scene in animazione è la struttura stessa del film che ci fa pensare al cinema d’animazione. Maurizio condivide lo studio di sonorizzazione con suo fratello, anche suo socio, che però si occupa di un altro tipo di film: con avvenenti ragazze sonorizza infatti film erotici, vediamo così i due fratelli dividersi e a 124

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40 Volere Volare di Maurizio Nichetti e Guido Manuli, immagine dallo storyboard, © Bambù Cinema e TV e Penta Film

volte contendersi lo studio per i rispettivi lavori. Solo una volta Maurizio, preso da un momento di sconforto rispetto al suo mestiere, proverà a sonorizzare uno dei film di cui si occupa il socio, ma ne tirerà fuori un bizzarro film erotico con rumori da cartone animato, tanto che il fratello alquanto irato gli dice: «Hai voluto fare un film vero, con i personaggi veri, allora ci metti per cortesia i rumori veri, o non sai come sono?». Martina, la protagonista femminile del film, fa invece un mestiere non proprio definibile, assistente sociale particolare, come lei stessa ama dire, si mette cioè al servizio delle ossessioni e delle fobie dei suoi clienti, senza un coinvolgimento di tipo sessuale: interpreta ad esempio la mamma di un anziano signore che gioca al fare il bebè, oppure fa del suo corpo la base per la decorazione delle torte di un bizzarro chef. Il suo mestiere ha dunque in comune con quello di Maurizio la stravaganza, tutti e due vivono in un mondo strano, reale e fantastico allo stesso tempo. I due si incon125

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trano e si innamorano. E qui succede qualcosa di sorprendente: l’uomocartone diventa veramente un cartone animato, iniziando dalle mani, che si trasformano in due bei guantoni gialli alla Topolino, fino a coinvolgere tutto il suo corpo. Anzi, le mani si staccano dalle braccia e cominciano a combinargliene di tutti i colori. È come se il cartone animato che viveva da sempre in lui, proprio grazie all’amore, riesca ad uscire fuori e a prendere finalmente possesso di quel corpo umano. Come se quel corpo avesse risposto ai sintomi di una malattia chiamata amore subendo un’assurda trasformazione: in qualche modo quando ci si innamora inevitabilmente la vita e gli stati d’animo di una persona cambiano, così accade a Maurizio, che cambia trasformandosi in un cartone animato. Infatti più si avvicina a Martina, più i segni della trasformazione si fanno evidenti. All’inizio le mani, poi curiose macchie colorate sulla schiena. Nonostante ciò, i due innamorati coroneranno la loro storia d’amore, con un Maurizio Nichetti completamente trasformato in cartoon. Maurizio ci metterà naturalmente un po’ ad accettare questo cambiamento radicale del suo corpo, tanto da nascondersi sotto un lenzuolo bianco e fuggire per la città quando ormai è diventato un vero cartoon, una scena che ricorda tanto la passeggiata dell’alieno E.T. del film di Steven Spielberg, nella sequenza in cui i bambini, amici del piccolo alieno, lo coprono con un lenzuolo bianco e lo portano in giro per la città in occasione di Halloween. A questo punto, per assurdo, alieno o cartoon è la stessa cosa, l’importante è venire accettati. E Martina, sarà per il suo lavoro, sarà che è abituata alle cose fuori dal comune, non ha problemi ad accettare come suo uomo ideale proprio un cartone animato. Fin dall’inizio del film, Martina e una sua amica, alla quale lei confida tutti i suoi segreti, parlano di amore, della ricerca dell’uomo ideale, tanto che Martina ad un certo punto dirà: «Io non mi posso immaginare a letto con uno qualsiasi, come tutti gli altri». L’animazione dunque unita all’amore e al sesso, con il sorriso e la freschezza di una storia fuori dal comune. Dichiarazione d’amore al cartone animato, l’uomo che si trasforma in esso in un mondo in cui i confini tra il fantastico e il reale sono veramente labili, in cui sembra che ci sia una porta di facile comunicazione, proprio perché la fantasia fa parte dell’uomo, e fa parte di lui anche quando ha a che fare con le più normali azioni quotidiane. Sognare, inventare e divertire, ma allo stesso tempo dire cose importanti, parlare d’amore, di solitudine, di tristezza, utilizzando un linguaggio particolare, che può essere quello del cinema dal vero, dell’animazione, della letteratura, è parte essenziale della vita reale di tutti i 126

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41 Volere Volare di Maurizio Nichetti e Guido Manuli, immagine dal film, © Bambù Cinema e TV e Penta Film

giorni. Allora un uomo può diventare cartoon come può sognare, ma anche riflettere, magari proprio grazie al cinema. Il film infatti visualizza, nel rapporto uomo-cartone tutto il fantastico, la capacità di sognare dell’uomo. Dichiarazione d’amore al cinema è la scena della cena casalinga di Maurizio: prende dal frigorifero una pizza, la scatola di metallo che contiene le pellicole dei film, che in realtà contiene la sua cena, della carne e del salame. La porta su un tavolo, apparecchiato con un foglio della rivista Variety, prende il suo proiettore e con i rulli taglia il salame, così come cuoce la carne sulla parte surriscaldata del proiettore. Un vero e proprio nutrirsi di cinema per questo personaggio che nei suoi silenzi trasmette un alone di poesia, ma anche di complicità con lo spettatore che segue ogni suo movimento. Il film si dipana in un alternarsi di ritmi che lo rendono particolare anche nella sceneggiatura, fatta di momenti insoliti e anche di pause. 127

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La musica, composta da Manuel De Sica, è basata su un leit-motiv al pianoforte che ben si accompagna alla vita del protagonista, risulta giocosa e gradevole. Le animazioni del film sono state realizzate da Quick Sand Production, Michel Fuzellier è il direttore artistico mentre Walter Cavazzuti il direttore dell’animazione, due importanti nomi dell’animazione italiana 4. Le animazioni dei personaggi sono state realizzate da Giovanni Ferrari, Giorgio Ghisolfi e da Mario Addis.

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Per l’attività di Cavazzuti e Fuzellier vedi capitolo 1.

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Capitolo 7 I FILM DI ENZO D’ALÒ

7.1 La svolta degli anni novanta Enzo D’Alò, nato Napoli nel 1953, si trasferisce a Torino, dove comincia a interessarsi al cinema, e in particolare a quello di animazione. All’inizio degli anni ottanta è uno dei soci fondatori di Lanterna Magica, che presto diventa una presenza importante in Italia per ciò che riguarda la produzione di animazione, in particolare di lungometraggi. Come regista firma molte produzioni, fino ad arrivare al grande successo dei suoi primi due lungometraggi. Nel 1992 realizza un video musicale per 900 di Paolo Conte, mentre è del 1993 lo special televisivo Kamillo Kromo, all’inizio pensato come serie televisiva. D’Alò matura intanto l’idea di realizzare un lungometraggio d’animazione, idea che all’inizio sembrava quasi un sogno, visto che l’ultimo lungometraggio d’animazione italiano uscito nelle sale era stato realizzato quasi vent’anni prima1, da Bruno Bozzetto nel 1977. Enzo D’Alò comincia così a scrivere la sceneggiatura del suo film, cercando nel frattempo finanziamenti anche all’estero per poterlo produrre. Così è riuscito a far accettare il suo progetto: È stata una scelta vincente […], una grande scommessa, realizzata con investimenti personali, dopodiché sono stati richiesti finanziamenti al Ministero, agli Enti europei, sono stati trovati due coproduttori stranieri2.

Così è partita la macchina realizzativa di La Freccia Azzurra, il film esce nel 1996. Una data importante per tutta l’animazione italiana, in ogni set-

1 Si ricorda in quest’ambito che il lungometraggio L’eroe dei due mondi di Guido Manuli ebbe una limitatissima distribuzione nelle sale. 2 Tratto dall’intervista a Enzo D’Alò, capitolo 11.

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tore, perché finalmente si poteva trovare sul grande schermo un prodotto d’animazione tutto italiano, rilanciando la nostra animazione, non più ristretta soltanto ai festival specializzati. Ripresa confermata poi dall’esito positivo de La gabbianella e il gatto, realizzato nel 1998. Quello che è importante sottolineare della realizzazione di questi due film è innanzitutto il fatto che hanno messo in moto molti professionisti italiani del settore, sfruttando delle importanti risorse, dimostrando che anche in Italia si può «mettere in piedi una squadra per fare un lungometraggio. E farlo in tempi accettabili»3. Inoltre hanno reso possibile, grazie al clima positivo che avevano creato, unito ad un nascente interesse a livello europeo per coproduzioni in animazione4, la realizzazione di numerosi progetti, sia seriali, sia di lungometraggio, in quanto anche i produttori cominciavano ad avere maggiore fiducia nel cinema d’animazione. Dopo aver visto l’inizio di una ripresa della produzione a partire dalla seconda metà degli anni novanta, grazie anche al sostegno del Programma Media dell’Unione Europea, il rinnovato interesse produttivo della televisione, in maniera fondamentale quello della Rai, che comincia a stanziare un budget annuale riservato esclusivamente alla produzione in animazione nazionale, sia seriale che di lungometraggio, si conferma come questi due film di D’Alò segnino una svolta fondamentale per tutto il settore. Enzo D’Alò si cimenta poi nella realizzazione di due altri lungometraggi, Momo, tratto dall’omonimo libro di Michael Ende, completato nel 2001, e Opopomoz, uscito nel 2003, mentre sta progettando da tempo la sua versione del Pinocchio di Collodi, con i disegni di Lorenzo Mattotti, e l’adattamento animato de La tempesta di Willian Shakespeare, con i personaggi e le ambientazioni di Moebius5. Nel 1998 realizza la serie tv Le nuove avventure della Pimpa, tratta dai notissimi fumetti di Francesco Altan e nel 1999 lavora al progetto della serie tv Sopra i tetti di Venezia, da un soggetto di Romano Scarpa. 7.2 Da La freccia azzurra a La gabbianella e il gatto Fondamentale nei film di D’Alò è la scelta, per il soggetto, di un importante testo letterario. D’Alò ha curato anche la sceneggiatura dei 3

Ibidem. Per approfondimenti riguardo a questo tema, vedi i capitoli 8 e 9. 5 Moebius, grande maestro del fumetto francese. 4

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I FILM DI ENZO D’ALÒ

suoi film, assieme a Umberto Marino, e il preferire un testo letterario piuttosto che un soggetto originale, denota l’esigenza di raccontare una storia che sia patrimonio comune, il che comporta anche una piccola sfida con lo spettatore, che quei libri ha letto, e che dunque ha immaginato già nella sua testa personaggi e ambientazioni. D’Alò ha scelto per il suo primo film un classico per ragazzi, La freccia azzurra di Gianni Rodari, mentre per La gabbianella e il gatto un attualissimo libro di un autore contemporaneo, Storia di una Gabbianella e del Gatto che le insegnò a volare, di Luis Sepúlveda. Come nota il regista: Sono autori per grandi, e per bambini e ragazzi di una certa profondità. A me piace molto poter lavorare su dei temi che lascino non solo il segno nei bambini, ma in un pubblico più vasto […]. Quindi è importante trovare dei testi che abbiano la profondità necessaria per poter fare questo6.

D’Alò e Umberto Marino hanno cercato di restare il più possibile fedeli al testo, con gli accorgimenti e i compromessi che trasformano un libro in un film. Si collega a ciò la scelta di inventare un personaggio o modificarne un altro, «il film ha bisogno di giustificare meglio tutti i suoi protagonisti rispetto ad un libro7», proprio per il fatto che quello che può funzionare per un testo letterario a volte trova difficile applicazione nel film, ciò che è particolarmente evidente, come si vedrà, ne La gabbianella e il gatto. L’importante per D’Alò è mantenere «la ragione per cui uno scrittore ha creato quel libro. Il messaggio deve essere conservato8». D’Alò è un regista d’animazione particolare, a differenza di molti suoi colleghi infatti, non si occupa del disegno, dell’invenzione grafica dei personaggi, che affida ad altri professionisti. Questo elemento lo porta a guardare in maniera diversa tutta la realizzazione, concentrando l’attenzione sull’aspetto registico. La freccia azzurra è una delicata favola ambientata in un’Italia fatta di carrozze e biciclette, di larghe piazze imbiancate dalla neve, dove scorrazzano i giocattoli fuggiaschi, nel paese dove vive la Befana, la notte del 6 gennaio. Si racconta infatti della fuga dei giocattoli dal negozio della Befana, giocattoli che solitamente vengono regalati ai bambini buoni.

6

Tratto dall’intervista a Enzo D’Alò, capitolo 11. Ibidem. 8 Ibidem. 7

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Questa volta la Befana è malata, e Scarafoni, il cattivo della situazione, ne approfitta per vendere i giocattoli che non vogliono saperne di questo commercio e decidono di autoregalarsi ai bambini tra cui un povero orfano, Francesco: la freccia azzurra è proprio la splendida locomotiva che lui desidera tanto ricevere in regalo. Comincia così una notte di fuga che si concluderà con il lieto fine. Il film ci porta in questa atmosfera suggerendo, anche graficamente, l’ambiente di sapore inizio novecento, rivelando l’artigianato della realizzazione, facendo percepire il supporto colorato o dipinto dei fondali, con la superficie ruvida, in accordo a quanto affermano i giocattoli, orgogliosi di essere stati creati artigianalmente e non in fabbrica. I personaggi e le ambientazioni sono state ideati con uno stile sobrio e pulito dall’illustratore Paolo Cardoni. La sceneggiatura e il ritmo del film tendono a seguire il tono di una favola raccontata, includendo anche scene movimentate e di attesa, cercando di mantenere l’intonazione del libro. Un elemento sostanziale è la

42 La freccia azzurra di Enzo D’Alò, © La Lanterna Magica, Fama Film AG – Monipoly Productions, Media Investiment Club

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I FILM DI ENZO D’ALÒ

colonna sonora, realizzata da Paolo Conte, che è riuscito a cogliere lo spirito di delicata favola che caratterizza questa storia, per cui la musica non è un semplice intrattenimento per lo spettatore, ma un elemento che si intreccia con la storia. Questo è evidente nelle scene in cui la banda musicale inizia a suonare mentre parte la colonna sonora e in quella della fuga dei giocattoli dal negozio, accompagnati da una musica malinconica. Una musica che non interrompe l’azione, ma ne fa parte. Le voci dei protagonisti adulti, la Befana e Scarafoni, sono di Lella Costa e Dario Fo. Spesso D’Alò nei suoi film ama uscire per qualche sequenza dall’aspetto grafico scelto per il film, per sottolineare con stili diversi alcuni passaggi della storia, così vediamo ne La freccia azzurra strane figure nella scena in cui i pastelli disegnano per il bambino a cui si sono regalati o, come si vedrà, in alcune scene de La gabbianella e il gatto. Queste sequenze sono solitamente realizzate da artisti e illustratori chiamati appositamente a lavorare per quella particolare scena.

43 La freccia azzurra di Enzo D’Alò, © La Lanterna Magica, Fama Film AG – Monipoly Productions, Media Investiment Club

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L’aspetto magico della notte della Befana viene evocato in tanti modi, intanto Scarafoni non si sorprende affatto delle caratteristiche umane dei giocattoli. La Befana ricorda poi, di fronte allo stupore del sorvegliante notturno, amico di Francesco, sorpreso del fatto che i giocattoli parlino, che anche Pinocchio, burattino di legno, parlava, ed era anche lui italiano. Singolare la sistemazione della casa della Befana, in cui una scala lunga e ripida porta alla sua stanza, quasi a volerne indicare la distanza dal mondo reale. La scala porta al mondo della fantasia, in realtà si scopre che oltre la porta non c’è altro che una piccola stanza sottotetto dove dorme la Befana, niente di più normale, dunque. A ricordarci che ogni favola inizia con il c’era una volta e termina con il lieto fine, il film comincia e finisce con la visione della Terra che ruota, una Terra però immaginata, come la troviamo disegnata sui libri, con i suoi meridiani e paralleli che la dividono in infiniti pezzettini. Un favola natalizia, dunque, dedicata certamente ai più piccoli. Nel 1998 Enzo D’Alò realizza La gabbianella e il gatto, film per tanti aspetti molto diverso dal precedente. La storia, partendo dall’attualità, il versamento di petrolio in mare a causa di incidenti, cerca di raccontare le disastrose conseguenze ambientali andando a vedere cosa potrebbe succedere a una giovane femmina di gabbiano, Kengah, che deve deporre il suo primo uovo, e che finisce nell’onda nera. Kengah con grande forza d’animo riesce a liberarsi, ma la morte è ormai vicina. Dopo un volo disperato atterra vicino a Zorba, un gatto che fa il duro ma che in realtà si rivelerà un buon genitore, al quale la gabbiana farà promettere, prima di morire, di prendersi cura dell’uovo e di insegnare al piccolo a volare. Assieme ad una simpatica banda di amici e con un po’ di fortuna, Zorba riuscirà a mantenere le sue promesse. Rispetto a La freccia azzurra, c’è innanzitutto un cambiamento sul piano della sceneggiatura. Il film appare strutturato in maniera più complessa, soprattutto vengono evidenziati maggiormente i momenti di pathos, fin dall’inizio, con la tempesta in mare, fino al rapimento della gabbianella. La sceneggiatura, pur restando molto fedele al libro, si caratterizza per alcuni cambiamenti di ambientazioni. Zorba ad esempio non è un gatto d’appartamento, bensì vive in una villetta con un’amorevole signora che gli lascia molta libertà. C’è poi il museo-biblioteca abbandonato dagli umani, dove vive il gatto Diderot, che nel libro era un bazar di un marinaio in pensione; in realtà esso svolge la stessa funzione di luogo di ritrovo dei gatti, che consultano l’enciclopedia cercando delle risposte per aiutare la gabbianella. 134

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I FILM DI ENZO D’ALÒ

I personaggi hanno subito degli aggiustamenti o piccole variazioni; un esempio è rappresentato dalla figura del poeta, che nel libro è un uomo solitario che vive con il suo gatto e scrive poesie. È l’uomo che i gatti scelgono, decidono di chiedergli aiuto e gli parlano contravvenendo al tabù che impone di non parlare agli umani, trovando in lui una persona sensibile che, dopo la sorpresa iniziale, sarà disponibile ad aiutarli. Nel film questa figura viene leggermente modificata, per renderla più vicina e realistica: «Abbiamo pensato di aggiungere una bambina, quindi il poeta ha una figlia e non si occupa solo di scrivere poesie e di parlare alla luna, ma parla anche alla figlia»9. Il poeta scrive, ma allo stesso tempo corregge i compiti che fa la bambina. Sarà proprio lei ad aiutare i gatti; il mondo degli adulti non verrà mai a sapere nulla di questa avventura. La voce del poeta è proprio quella dell’autore del libro, Luis Sepúlveda. Nel film viene infine identificato il personaggio cattivo, che nel libro era assente: i topi diventano protagonisti al negativo, quei topi che nel testo erano solo

44 La Gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò, Lanterna Magica, Cecchi Gori © 9

Ibidem.

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citati come fastidioso problema, qui rappresentano la cattiveria su cui la banda dei gatti trionfa. Viene aggiunto anche il simpatico gattino nipote del gatto Colonnello, un personaggio sicuramente molto simpatico al pubblico dei più piccoli. Per quanto riguarda l’aspetto grafico del film, si nota un enorme cambiamento rispetto al film precedente, con un design molto diverso. Le scenografie, realizzate da Michel Fuzellier, risultano molto raffinate, nei toni caldi della casa del poeta, e in quelli del cielo e del mare. La scena della nave nella tempesta è realizzata in maniera efficace, così come risulta suggestivo il volo dei gabbiani in stormo. I personaggi, ideati da Walter Cavazzuti, hanno una linea grafica molto moderna, con un’impronta originale, sicuramente pensati per il target dei più piccoli. Si inseriscono nel film, come accennato precedentemente, delle sequenze particolari, perché realizzate con uno stile grafico molto diverso. La prima inizia quando Zorba comincia a covare l’uovo e, assieme alla musica, parte tutta la storia del film riassunta in poche sequenze, dalla gabbiana in volo allo schiudesi dell’uovo. La seconda è il sogno di Nina, la figlia del poeta, sequenza realizzata da Mario Addis, con il suo particolare stile10: è proprio il sogno l’espediente grazie al quale Zorba riesce a parlare con la bambina. Il personaggio della gabbianella, Fortunata, coprotagonista con Zorba, è centrale nel film. All’inizio il suo ruolo è quello di catalizzatore della simpatia, con la sua vocetta da bambina e il suo aspetto buffo; cresce credendosi un gatto finché, in una scena ben risolta, gli viene rivelata la verità: è un uccello, e lei si trova proprio nella sala dei rapaci del museo, in cui riconosce per la prima volta il suo aspetto, becco, ali e piume, ma allo stesso tempo si spaventa, data l’enormità e l’aspetto torvo dei rapaci impagliati. Il momento del riconoscimento della propria identità: passaggio doloroso, ma necessario, ma allo stesso tempo pieno di opportunità da cogliere, di desideri da realizzare. Zorba è il gatto ideale: bello, simpatico e forte, l’eroe della situazione, contornato dalla banda di gatti, ognuno caratterizzato da una qualità specifica: il dotto, l’imbranato, il saggio, e la presenza di un’avvenente gatta, Bubulina, che vive nella casa del poeta. Per quanto riguarda la colonna sonora, si nota una presenza maggiore, rispetto a La freccia azzurra, di parti cantate dai personaggi, procedi-

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Vedi capitolo 4.

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mento tipico di molti lungometraggi d’animazione dedicati ai bambini e ragazzi, così come la scelta di voci note per il doppiaggio, tra cui Carlo Verdone, che è il gatto Zorba, che svolgono la doppia funzione di dare un’impronta particolare al personaggio e favorire la promozione del film.

45 La Gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò, Lanterna Magica, Cecchi Gori ©

7.3 Momo e Opopomoz La gabbianella e il gatto ottiene un grande successo di pubblico. Viene salutato davvero come la vera rinascita dell’animazione in Italia; cominciano a muoversi alcuni motori produttivi, che sfociano nella lavorazione di diversi 137

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lungometraggi realizzati recentemente. Nascono insomma in quel periodo in tutto l’ambiente professionale attese e speranze sulla crescita di un’industria florida del cinema di animazione italiano, che hanno incontrato una situazione certamente molto complessa, ma che hanno comunque dato vita a numerose realizzazioni, pur se diseguali in qualità e continuità11. D’Alò continua a lavorare ai suoi progetti, firmando nel 2001 Momo alla conquista del tempo, una realizzazione che, per diversi aspetti, risulta meno riuscita rispetto al film precedente. La storia è tratta dal libro dello scrittore tedesco Michal Ende, autore anche de La storia infinita, grande successo internazionale. Nel suo libro Ende racconta la storia di Momo, una bambina di cui non si conoscono le origini, e che appare all’improvviso in un tranquillo paesino, in cui tutti gli abitanti, compreso il barbiere e lo spazzino, si conoscono e hanno tempo di chiacchierare, farsi favori, a vicenda, in un clima sereno e tranquillo. I bambini del paese amano giocare nel vecchio anfiteatro della cittadina. Quando arriva Momo in paese, presto si crea un profondo legame di amicizia tra lei e gli altri abitanti. È una bambina speciale, magica, non perché abbia veri e propri poteri magici, la sua magia è la sua sincerità, la sua limpidezza, che costringe chi le sta intorno ad essere altrettanto sincero. Momo compare giusto in tempo prima dell’arrivo degli uomini grigi: signori che esistono grazie al tempo che riescono a rubare agli uomini, convincendoli che il tempo trascorso con gli amici, ad aiutare gli altri, a passare delle ore in compagnia, a leggere, sia solo sprecato, perché, sostengono, ogni uomo non ha un credito illimitato di tempo, ma prima o poi finirà. Meglio dunque risparmiarlo e depositarlo in banca, un deposito però di cui si appropriano proprio gli uomini grigi: essi si nutrono infatti di tempo, fumando sotto forma di sigari le foglie delle ore fiore rubate agli uomini. Senza fumare quei sigari, gli uomini grigi, tutti rigorosamente uguali, che girano per le case con le loro valigette come venditori porta a porta, semplicemente spariscono, si dissolvono nell’aria. Solo Momo, aiutata da Mastro Hora, colui che gestisce il tempo di tutti gli uomini, riuscirà a salvare la città, e dunque il mondo. Nel suo libro Ende costruisce una profonda metafora dell’attualità, creando attorno a Momo un fascino particolare e delle immagini suggestive, come quelle dell’ora fiore. Un grande monito sui pericoli di una vita vis-

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Di questa produzione e delle problematiche connesse si tratterà nei capitoli 8 e 9.

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suta correndo dietro affari, impegni, che sembrano moltiplicarsi all’infinito, con la sensazione che il tempo non basti mai, senza lasciare spazio a nient’altro. Una storia, una favola, destinata non solo ai ragazzi, ma che parla a tutti indistintamente. Non era semplice affrontare questo testo, pieno di suggestioni, e trasformarlo in un film. D’Alò ha scritto la sceneggiatura insieme al collaboratore di tutti i suoi film, Umberto Marino. Ritorna in qualche modo la squadra realizzativa de La gabbianella, i personaggi sono infatti creati da Walter Cavazzuti e gli ambienti da Michel Fuzellier. La colonna sonora invece è di Gianna Nannini. Il problema principale era adattare la storia, renderla leggibile in tutte le sue sfaccettature negli 80 minuti del film e in qualche modo semplificarla. Ma a volte l’adattamento ha risolto in maniera troppo veloce alcuni passaggi cruciali, come ad esempio l’arrivo di Momo in città, dove la nascita del profondo legame di amicizia, non solo con i bambini, ma con gli altri abitanti della cittadina, tra cui il barbiere e lo spazzino, viene visualizzato e raccontato in modo un po’ troppo rapido, cosa che accade anche in altre parti del film. Anche alcune animazioni, sembrano essere risolte un po’ velocemente. Il film ha una costruzione grafica interessante, risolta in maniera efficace soprattutto nelle scene del viaggio di Momo verso il mondo di Mastro Hora, con le bolle di tempo che volano e la conducono nel sognoviaggio verso di lui: il classico passaggio della porta, il castello sospeso, le scale che si percorrono a testa in giù, il prato delle ore, con una vivace cromaticità. Particolare è anche la costruzione del mondo degli uomini grigi, il loro design, comprese le automobili che utilizzano. Momo viene aiutata nella sua avventura da Cassiopea, la tartaruga di Mastro Hora, che non è poi così lenta, in quanto quando ce n’è bisogno, sa correre e saltellare. Centrale è la figura di Beppe lo spazzino, quasi un nonno ideale, l’unico adulto messo a conoscenza dai bambini dell’aiuto offerto a Momo, l’unico a comprendere insieme a loro il vero pericolo rappresentato dagli uomini grigi. Il suo appello alla polizia riguardo al rapimento di Momo resterà inascoltato, e l’uomo verrà preso per folle e subito rinchiuso. Anche qui voci note danno parola ai personaggi. Ricordiamo, tra gli altri: Giancarlo Giannini, Diego Abatantuono, Sergio Rubini, Neri Marcoré. Nel 2003 Enzo D’Alò completa il suo più recente lungometraggio, Opopomoz, insolita e curiosa storia natalizia. Il soggetto è di D’Alo e Um139

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berto Marino, mentre la sceneggiatura è stata curata da Furio Scarpelli, dallo stesso D’Alò e da Giacomo Scarpelli. Storia curiosa, si diceva, per questo film ambientato in una Napoli dei nostri giorni, durante il periodo natalizio. Rocco, un bambino di 9 anni, proprio non riesce ad accettare l’arrivo del fratellino, che nascerà dopo pochi giorni, probabilmente la notte di Natale. Il papà e la mamma, così come lo zio americano e sua moglie, sembrano dedicare attenzioni e pensieri solo al nascituro. Rocco estremizza questa sua gelosia, diventando intrattabile e scontroso, anche nei confronti della cuginetta Sara, che si rivelerà un personaggio importante e, in alcuni passaggi, fondamentale del film. Sua Profondità, il male, invia sulla Terra tre imbranati diavoletti per tentare Rocco e usarlo come strumento per eliminare definitivamente il Natale sulla Terra, assieme a tutta la gioia e al bene che rappresenta. La proposta che i tre diavoletti fanno a Rocco, parlandogli in sogno, è questa: tramite la parola magica Opopomoz, dal significato tanto arcano quanto sconclusionato – abbreviazione di «onnipossente potere occulto prestigioso oscuro mefistofelico orsù zompagiù» – Rocco potrà entrare nel grande presepe che ogni anno il papà costruisce con grande cura per celebrare il Natale. All’interno del presepe dovrà addirittura impedire la nascita di Gesù, così ogni altra nascita non sarà più possibile, e dunque anche quella del suo fratellino. Rocco eseguirà fino ad un certo punto il piano, poi, grazie all’aiuto della sveglia cuginetta e di un angelo, tornerà sui suoi passi, accettando finalmente il nuovo venuto in famiglia. Come dichiara l’autore: «Ho voluto raccontare una storia fuori dal comune, di angeli e di diavoli, di cultura e di ricordi, di musica, una storia piena di magia e di emozioni in cui tutti possano riconoscersi, una storia speciale12». Una storia insolita, tra angeli e diavoli e la tentazione di un bambino, un umano che ha perso la felicità e vuole ritrovarla a tutti i costi. L’ambientazione napoletana è un omaggio alla grande tradizione dei presepi, una Napoli in cui i diavoletti non vogliono agire perché, dicono, i napoletani ne sanno una più del diavolo. I tre diavoletti vengono sputati fuori dal Vesuvio, e si godono subito un bel bagno nel famoso golfo. Si arriva alla presentazione dei personaggi, il papà, la mamma radiosa in dolce attesa di un altro bambino, la sorella della mamma con suo marito

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Tratto dall’introduzione al dvd di Opopomoz, pubblicato dalla Dolmen Home Video.

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americano. Il papà di Rocco fa capire al bambino come il presepe abbia in quell’occasione un doppio valore, è la metafora della nascita del fratellino, che ha già un nome, Francesco, mentre la nascita stessa del fratellino è metafora del presepe. L’immersione di Rocco nel presepe, grazie alla parola Opopomoz, farà vivere anche i personaggi del presepe stesso, realizzati con un character design che rimanda proprio alle classiche statuine e che si distacca stilisticamente da quello dei personaggi umani. Rocco incontrerà tutta una serie di personaggi più o meno buffi, come l’eccentrica Re Magia, dispensatrice di consigli con voce mascolina, San Pietro da bambino, con la sua famiglia di pescatori, fino alle trasformazioni poco credibili dei tre diavoletti in cammello o in angelo. Rocco fin dall’inizio non sa se accettare la proposta dei tre, in fondo si tratta di una decisione ben difficile, decidere di bloccare due nascite, una simbolica dell’altra. Anche all’interno del presepe Rocco tentenna più di una volta, deve inventare strategie affinché Giuseppe e Maria non arrivino a Betlemme: fa scatenare un tornado e fiumi in piena; ma allo stesso tempo il mostro a cui Rocco dà vita per eliminare Giuseppe e Maria, in fondo è buono, come Rocco stesso, e finirà col salvare la vita alla coppia. Alla fine c’è però l’imbarazzo di vedere il bambino, ipnotizzato da Sua Profondità, che sta quasi per spingere Maria giù da una rupe, fermato dall’illuminarsi dell’aureola della donna, che scioglie l’ipnosi. Il filo del racconto è particolare, molti elementi onirici e fantastici si susseguono. La figura della cuginetta Sara è centrale, molto più sveglia di Rocco, aiutata dall’ingenuità e limpidità della sua età, non offuscata dalla gelosia che invece attanaglia il ragazzo, capisce subito l’inganno, tanto che all’affermazione di Rocco che gli dice che i tre diavoletti “volevano il suo bene” risponde: «E che ci devono fare?». Così come saprà annientare Sua Profondità grazie al una filastrocca imparata dalla nonna. I tre diavoletti cercano in qualche modo, non sempre con successo, di catalizzare la simpatia dello spettatore, con rimandi di battute e allusioni. Sono loro a cantare in alcuni momenti del film. In effetti Rocco percorre una strada all’interno del presepe, un percorso che lo fa crescere un po’, che lo renderà più maturo, facendogli mettere da parte una gelosia troppo grande, sostituita dalla gioia di accogliere il fratello. Ma di questo percorso, di questa crisi, i genitori non ne sanno proprio nulla, né si domandano nulla sul comportamento scontroso del loro figlioletto. Il lungometraggio ha una grande ricchezza visiva, i colori sono brillanti e gli ambienti e le scenografie, ideati da Michel Fuzellier, sono notevoli e 141

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tratteggiano una Napoli spesso notturna, o con tenui tramonti, in cui si staglia all’orizzonte il Vesuvio sul golfo, ripreso in qualche modo anche all’interno del presepe. Qui l’ambiente naturale è ostile, con altissime rupi, scale infinite, mentre i villaggi sono colorati, brulicanti di attività, così come un presepe che si rispetti deve essere. I personaggi sono stati creati da Walter Cavazzuti, che è riuscito a donare una particolare incisività alle statuine che prendono vita nel presepe. Nel film ci sono due sequenze particolari, realizzate cioè con un design diverso: Il sogno del cinese e il Cantastorie. Nel film D’Alò inserisce anche delle scene al computer 3D, animazioni che vanno a integrarsi con discrezione nell’equilibrio generale del film. Accanto a questa ricchezza visiva però, la storia sembra invece far fatica a decollare. Una nota particolare: nel film tutti parlano con accento napoletano, non solo i protagonisti reali, ma addirittura i personaggi del presepe, Giuseppe e Maria compresi. Tra le voci note si riconoscono Silvio Orlando e Tonino Accolla. Le musiche del film sono di Pino Daniele, che ha curato la colonna sonora, unendo il suo stile musicale a questa storia tutta napoletana. Il film è una coproduzione Albachiara, Raicinema Deaplaneta, in collaborazione con Gecchi Gori e ha avuto il sostegno di Eurimages e del Ministero per i beni e le attività culturali. La lavorazione è stata effettuata in diversi studi italiani e europei. Una particolarità: il film è uscito nelle sale italiane nel periodo natalizio del 2003, proprio in contemporanea con un altro film italiano ambientato a Napoli, Totò Sapore e la magica storia della pizza, di Maurizio Forestieri.

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Capitolo 8 LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

8.1 La produzione italiana Negli anni novanta succede qualcosa di cui in tanti avevano perso memoria o non ne avevano alcuna: l’uscita nelle sale di un lungometraggio animato italiano. Dopo la chiusura di Carosello nel 1977 e l’uscita del lungometraggio di Bruno Bozzetto Allegro non troppo nello stesso anno, la situazione produttiva italiana aveva rasentato quasi l’immobilità, ad eccezione di alcune sigle per la televisione, qualche pubblicità, piccoli esperimenti di produzione seriale con il Giappone. Un discorso a parte riguarda le realizzazioni di cortometraggi d’autore, di cui si è ampiamente trattato nei precedenti capitoli. Gli anni novanta rappresentano, come si è visto, una vera e propria rinascita produttiva, che si inserisce in una più ampia ripresa dell’animazione europea e mondiale. Il nuovo secolo ha portato ad una produzione quantitativa e qualitativa molto elevata a livello internazionale, in un crescendo di titoli in uscita nelle sale, non più limitati al solo periodo natalizio. Negli Stati Uniti la Walt Disney Pictures, la Pixar con le realizzazioni in 3D, la Dreamworks e in parte anche la Fox, hanno cominciato a sfornare produzioni annuali, film di grande successo e con strepitosi incassi al botteghino. L’animazione giapponese, grazie all’affermarsi a livello internazionale, proprio negli anni novanta, di alcuni grandi registi, primo fra tutti Hayao Miyazaki, ha offerto al cinema mondiale dei capolavori che hanno mostrato come l’animazione non sia solo e esclusivo appannaggio di bambini e ragazzi, ma che un linguaggio artistico e espressivo tanto ricco da permettere la creazione di film con storie complesse e di grande artisticità, invenzione e qualità grafica. Un film come Appuntamento a Belleville di Sylvain Chomet ha felicemente sorpreso critica e pubblico, grazie al suo stile così personale, in un film carico di ironia e malinconia, di gesti e di sguardi, dove le battute pronunciate si contano sulle dita di 143

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una mano. Per l’animazione europea, gli anni novanta hanno significato la rinascita di produzioni nazionali e ciò ha consentito di far emergere una creatività originale, personale, sia a livello grafico che di contenuti, con prodotti più o meno riusciti, ma che hanno dato e stanno dando un impulso notevole a tutto il settore. Al termine degli anni ottanta, infatti, nella produzione europea comincia a cambiare qualcosa. Nasce Cartoon, il programma Media dell’Unione Europea a sostegno della produzione audiovisiva. Si cominciano ad instaurare delle connessioni tra gli studi italiani che, tranne qualche eccezione, erano realtà molto artigianali, e le realtà europee. Si fa strada l’idea di trasformare la produzione fin lì esistente, maggiormente pubblicitaria, ma che era caratterizzata da talenti e creatività, in una produzione più ampia, di lungometraggio e seriale. La strada è stata molto lunga, ed in particolar modo in Italia, dove, come si è già visto, le tv applicavano una strategia di esclusiva importazione e la Rai aveva coprodotto quasi esclusivamente alcune cose con il Giappone. Finalmente, alla metà degli anni novanta, la Rai comincia ad investire in animazione, destinando un budget annuale per realizzazioni italiane. Ciò ha rappresentato una vera e propria svolta, una rinascita, sia per la produzione seriale che di lungometraggio. Una ripresa della produzione che si identifica in qualche modo con l’uscita nelle sale de La freccia azzurra di Enzo D’Alò. Tante produzioni di lungometraggio negli anni recenti si sono potute realizzare grazie alla presenza di Rai, dei fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dei fondi dei Progetti Media europei per il sostegno all’animazione, e il coinvolgimento di partner privati. Inoltre la produzione di lungometraggi e serie, a livello internazionale, ha trovato un importante aiuto nelle tecnologie messe a disposizione dal computer, come si vedrà meglio nel capitolo sulle tecniche dell’animazione1, che hanno permesso la riduzione di costi e lo snellimento di alcuni passaggi molto lunghi ma fondamentali della lavorazione, tra cui la colorazione e il pencil test. In Italia ci troviamo di fronte ad una situazione produttiva ancora molto giovane, all’interno della quale stanno crescendo talenti e professionalità, unitamente alla presenza di personalità già affermate che hanno trovato negli anni novanta nuova linfa espressiva. Non è mai mancata

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Vedi capitolo 10.

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LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

infatti in Italia la presenza di artisti e creativi nel campo, ricercati anche all’estero: quella che era completamente bloccata era la macchina produttiva. Affrontare dunque la realizzazione dei primi lungometraggi usciti nella seconda metà degli anni novanta ha rappresentato una vera e propria sfida, che ha messo in moto una macchina realizzativa che da molti anni non affrontava progetti così complessi. Lavorare ad un lungometraggio significa una realizzazione che dura circa tre anni, con tutti i costi e i rischi che affronta la produzione investendo in un progetto che porterà entrate solo dopo molto tempo. Un lungometraggio viene lavorato nelle sue diverse parti da molteplici studi di animazione, sia in Italia che all’estero, comportando un lavoro di organizzazione molto ampio. La realizzazione di un lungometraggio in animazione arriva a coinvolgere anche duecento-trecento persone; oltre infatti al regista e agli sceneggiatori, ci sono tantissime figure professionali, che si occupano dei diversi aspetti del film. I creatori dei personaggi, gli scenografi, professionisti che si occupano dello storyboard, del layout, della colorazione, dei fogli macchina, del compositing, animatori, intercalatori, artisti al computer 3D 2, in un lavoro lungo e complesso, che unisce l’elevata artisticità ad un’organizzazione anch’essa molto complessa. L’Italia partiva da questo ritardo, che si è trasformato però in una lenta e nuova nascita, che ha condotto alla realizzazione di un cospicuo numero di lungometraggi in pochi anni, con risultati naturalmente diseguali sul piano della riuscita, ma che vanno essenzialmente visti, al di là dell’analisi specifica del film che si è fatta e che si farà più avanti per le altre produzioni, come un percorso in crescendo nelle possibilità delle macchine realizzative e nella consapevolezza di una produzione nazionale che sta cercando di farsi strada, cercando di imparare, ma anche di differenziarsi, dalle produzioni internazionali. Stanno crescendo, come si è detto, molte figure professionali, si sta stabilizzando un know-how che speriamo saprà affrontare realizzazioni sempre più complesse, con alti risultati artistici e qualitativi esportabili anche all’estero e che magari non siano destinate esclusivamente solo a bambini e ragazzi. Oltre alla professionalità tecnica e registica, è fondamentale la scrittura, la sceneggiatura, che risulta uno degli elementi essenziali per la riuscita di un buon prodotto. È inoltre noto che molte professionalità ita-

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Per tutte queste figure si rimanda al capitolo 10.

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liane, negli scorsi decenni, proprio per la mancanza di lavoro nel settore, si rivolgevano all’estero, dove molto spesso trovavano una collocazione di alta professionalità, e anche in questo speriamo che i cambiamenti di questi ultimi anni abbiano cominciato a portare un’inversione di tendenza. Si arriva dunque nel 1996 a La freccia azzurra di Enzo D’Alò, seguito a breve dal clamoroso successo de La gabbianella e il gatto, uscito nel 1998. Da quel momento in poi molte cose cambiano, i tanti progetti di lungometraggio chiusi nel cassetto provano ad uscire e a volte prendono finalmente vita, in pochi anni vedono la luce numerose realizzazioni. Una caratteristica comune di diversi film italiani, non presente generalmente in produzioni estere, è l’inserimento, all’interno del lungometraggio, di una o più sequenze realizzate con tecniche o con un design diverso dall’aspetto generale del film, una sequenza d’autore che illustra in maniera personale e originale un passaggio particolare della storia. Questa scelta sembra importare tutta la ricchezza espressiva contenuta in un cortometraggio d’autore, dandogli una collocazione di ampia visibilità, accogliendo con ciò l’importante eredità italiana del cortometraggio d’autore nell’ambito del lungometraggio. Così la sequenza del sogno di Aida degli alberi, viene interpretata in maniera del tutto personale da Manfredo Manfredi, così come quelle realizzate da Mario Addis per La gabbianella e il gatto e per Johan Padan a la descoverta de le Americhe. La scelta delle voci, per attori disegnati, è assolutamente fondamentale: l’orientamento generale, così come accade anche a livello internazionale, è la scelta di voci note del mondo dello spettacolo, cantanti e attori che il pubblico possa riconoscere. 8.2 Aida degli Alberi, Johan Padan a la descoverta de le Americhe, Totò Sapore e la magica storia della pizza Guido Manuli completa nel 2001 Aida degli alberi, film liberamente tratto dall’Aida di Giuseppe Verdi, di cui cura anche la sceneggiatura, insieme a Umberto Marino, e la creazione dei personaggi. La storia è quella di due popoli in lotta, in cui l’Etiopia diventa la bucolica e leggiadra Arborea, mentre l’Egitto è la tecnologica e brutale Petra. Due civiltà in eterna lotta, a causa della loro diversità, ma soprattutto per il fatto che in realtà ciascuno non conosce la cultura dell’altro, per cui si temono a vicenda. La guerra viene sostenuta e alimentata dalle oscure manovre del 146

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LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

dio di Petra, Satam, espressione del male, coadiuvato dal malvagio Ramfis. Due giovani appartenenti ai due popoli, Aida, principessa di Arborea, e Radames, figlio del più grande generale di Petra, anche lui coraggioso combattente, si incontrano e si innamorano e, dopo alterne vicende, sconfiggeranno il male e riuniranno i due popoli sotto un’aura di pace.

46 Aida degli alberi di Guido Manuli, Lanterna Magica, Medusa Film ©

Il film si può definire un fantasy, con creature animalesche dalle fattezze antropomorfe, piante e alberi fantastici, mostri, colori complementari alla realtà, con deserti rossi, cieli verdi e animali blu. Così il design 147

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degli arborei rimanda a figure feline, mentre gli abitanti di Petra assomigliano a dei cobra, anche se ci sono diverse eccezioni: Radames e suo padre somigliano vagamente a dei leoni e Kak, il figlio di Ramfis, è una creatura dalle fattezze non bene identificate. Per il mondo animale la fantasia dei disegnatori si è sbizzarrita, da animali da galoppo completamente rosa a scoiattoli blu. Il character design risulta nel suo insieme molto altalenante, con momenti non sempre riusciti. Ci sono diversi personaggi creati per catalizzare l’attenzione degli spettatori più piccoli: il cucciolo rosa, Gik, nato a Petra lo stesso Kak, impacciato, estremamente goloso, che ad un certo punto improvviserà anche una sorta di inno alla golosità. Infine il coccodrillo Raz, anche lui molto goloso, che fa il doppio gioco, facendosi corrompere da Ramfis con qualche leccornia, rivelando, dopo una bella scorpacciata, attraverso le sue lacrime da coccodrillo, quello che aveva visto nei minuti precedenti. Una sorta di spia, che si vende al maggior offerente di prelibatezze. Il coccodrillo è il personaggio che rimanda nel design allo stile tipico di alcuni cortometraggi di Manuli. Il film racconta la storia d’amore dei due giovani Aida e Radames con il dipanarsi delle loro vicende all’interno della guerra tra i loro rispettivi popoli: emerge spesso nel film una fretta nello sciogliere alcuni passaggi fondamentali nell’intreccio, che si risolvono a volte in una mancata costruzione dell’attesa, in cui il successivo passaggio appare accadere troppo velocemente, come un dato di fatto. Così Aida e Radames si ritrovano ad essere perdutamente innamorati dopo poche scene che li vedono protagonisti di una fuga; così come si arriva molto velocemente alla scena della partenza per la battaglia definitiva, quella che coinvolge anche Radames e il padre di Aida. Ed anche il tormento di Aida, combattuta tra l’amore per Radames e la preoccupazione per la propria gente, in occasione della battaglia che vede il padre di Aida fatto prigioniero dallo stesso Radames, non viene espresso appieno, tranne che nella suggestiva scena del sogno di Aida costruita da Manfredo Manfredi3. La sequenza, molto ben riuscita, racconta in maniera originale la guerra che realmente si sta combattendo: l’espediente di raccontarla in sogno, accompagnata dalla bella canzone principale del film, e con una diversa tecnica, risolve, addolcendone i toni, il problema di dover rappresentare una battaglia in un film rivolto a un pubblico composto principalmente da bambini e ragazzi.

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Vedi anche capitolo 4.

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LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

47 Aida degli alberi di Guido Manuli, Lanterna Magica, Medusa Film ©

La costruzione grafica di Aida si è avvalsa dell’unione di animazione tradizionale e animazione al computer 3D. Nel caso di questo film la scelta dell’inserimento di scene completamente realizzate al computer, uno dei primissimi casi in un lungometraggio italiano, non ha riguardato solo l’utilizzo delle opportunità offerte dal computer per risolvere o arricchire alcune scene, ma ha rappresentato una precisa scelta stilistica che andasse a illustrare anche graficamente la diversità delle due civiltà, Petra e Arborea. La direzione artistica delle ambientazioni è stata di Victor Togliani, che ha anche curato l’invenzione dei mostri di Petra. Arborea è la civiltà bucolica, che vive in felice simbiosi con la natura, raccoglie e caccia solo quanto gli occorre per il sostentamento, senza sprechi, e non conosce la tecnologia. Qui le scenografie sono caratterizzate da colori caldi, tenui, in cui il verde domina su tutto, con alberi lasciati alla fantasia dello scenografo. La quasi totalità delle scenografie di Arborea sono dipinte a mano e questo è assolutamente percepibile. Petra, società basa149

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ta sulla tecnologia, che si serve di schiavi per l’infinita costruzione di nuove macchine e edifici, e che a questo scopo ha tagliato tutti gli alberi del proprio territorio, trasformandolo in deserto, giungendo ad invadere anche il regno di Arborea per ricavarne legname, è la città dai colori accesi e freddi, costruita al computer 3D, così come lo è anche il dio Satam e il mostro che è dentro di lui. La scelta grafica è stata quella di mantenere ben evidenti le differenze del disegno 2D e della realizzazione digitale 3D, visualizzando simbolicamente la distanza delle due civiltà. Non sono dunque state ammorbidite le scene 3D per avvicinarle e integrarle all’animazione tradizionale, anche se la scelta dei colori cerca in qualche modo di favorire l’inserimento dei personaggi disegnati a mano. Quello che ne scaturisce però a livello visivo è in certi casi una discrepanza troppo grande, che a volte va a discapito dell’equilibrio generale del film. Nelle scene di integrazione di disegno animato e 3D più problematiche, come ad esempio le conversazioni di Ramfis, disegnate con tecnica tradizionale, e Satam, realizzato completamente al computer, si percepisce lo sforzo del confronto tra le due realizzazioni. Le musiche sono state composte, strumentate e dirette da Ennio Morricone, che ha costruito una colonna sonora molto variegata, con momenti e temi freschi e allegri, come i motivi che caratterizzano Raz o Kak, sottolineando con temi più suggestivi le scene cruciali del film, in un ottimo equilibrio complessivo. Gradevole la canzone principale del film L’alba verrà/Do you Believe in Me. Il doppiaggio, come di consueto, si avvale di voci note del mondo dello spettacolo, tra cui Enzo Iacchetti nei panni di Kak e Massimo Lopez in quelli di Ramfis. Nel 2002 viene completata la realizzazione di Johan Padan a la descoverta de le Americhe, di Giulio Cingoli, basato sul testo teatrale di Dario Fo, che ha curato anche la sceneggiatura e i dialoghi del film. La supervisione alla sceneggiatura è di Luciano Beretta, anche responsabile di produzione, mentre art director del film è Angelo Beretta4. Il lungometraggio si presenta come un lavoro molto interessante sotto diversi punti di vista, la realizzazione grafica e il soggetto, molto gradevole anche per un pubblico adulto. 4 Angelo e Luciano Beretta sono due nomi importanti dell’animazione italiana. Angelo Beretta ha lavorato anche alla Gamma Film dei Fratelli Gavioli. Fonda la casa di produzione Green Movie Group di Milano, coinvolta nelle maggiori realizzazioni italiane. La Green Movie ha prodotto il film insieme a Progetto Immagine, in collaborazione con Rai Cinema. Il lungometraggio ha anche avuto il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

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LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

La commedia Johan Padan ha girato tutto il mondo: Dario Fo, anni fa, l’aveva già resa graficamente, realizzando una serie di pitture che visualizzano la storia. Queste pitture sono state inserite alla fine del film, ad accompagnare i titoli di coda. Come tutti i testi trasformati in film, che siano di animazione o dal vero, la commedia ha subito degli adattamenti funzionali al prodotto da realizzare, ma la cosa interessante è che Dario Fo, oltre al lavoro sulla sceneggiatura e sulla creazione dei dialoghi, ha seguito da vicino la lavorazione del lungometraggio nelle sue sfaccettature, compreso il doppiaggio. Tra l’altro la voce di Johan avanti con gli anni è proprio la sua. Nel 1513, il giovane Johan Padan, bergamasco, riesce a fuggire da un campo di addestramento di lanzichenecchi, che avevano saccheggiato e distrutto il suo villaggio quando era bambino. Si precipita in una luminosa Venezia, dove ha un incontro con la sua fidanzata, un’avvenente indovina. Ma per Johan non c’è pace, inseguito dai lanzichenecchi si ritrova su una nave per Siviglia. Qui ha un primo contatto con quello che fu in assoluto l’evento più rivoluzionario dell’epoca, la scoperta delle Americhe. A Siviglia sbarcano dalle navi indios incatenati, sotto gli occhi stupiti e un po’ impauriti della gente, mentre un pappagallo colorato svolazza pronunciando qualche parola. Johan sarà destinato a incontrare quel mondo sconosciuto: in una nuova rocambolesca fuga finisce infatti su una delle navi in partenza per una spedizione verso la Florida, alla ricerca di oro. La nave di Johan naufraga nei pressi della terra ferma; il protagonista si salva insieme a quello che diventerà il suo inseparabile compagno d’avventura, l’imponente Tre Trippe, e fa conoscenza diretta con gli usi e costumi degli indios locali. All’inizio catturati come una buona preda da mangiare, palpati e guardati con diffidenza dagli indios, così come accadeva ai selvaggi sbarcati a Siviglia, i due riescono a salvarsi grazie all’astuzia di Johan che, interpretando i segni delle nuvole intorno alla luna e sfruttando i consigli appresi a Venezia dalla sua fidanzata indovina, preannuncia una terribile tempesta. Da quel momento viene considerato lo sciamano del villaggio, che condurrà il popolo verso nuove terre, in quanto la tempesta ha distrutto tutto per chilometri. Johan all’inizio vuole sfruttare gli indios come guida verso l’accampamento spagnolo, con l’intenzione di tornarsene in Europa. Ma andando avanti con il viaggio il ragazzo comincia a comprendere sempre più a fondo quella civiltà, ne impara la lingua, gli usi, si innamora di una bellissima ragazza della tribù. All’arrivo all’accampamento spagnolo, che avrebbe significato sicuramente la prigionia per gli indios, resi schiavi per cercare 151

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l’oro, Johan ha un’intuizione: per salvarli li convertirà in cristiani, così gli spagnoli non potranno schiavizzarli. Dopo un’originale quanto creativa lezione di cristianesimo, Johan arriva al forte, dove però gli spagnoli non si fanno scrupoli di fronte a quei numerosi indios in cui vedono solo possibili schiavi. Johan e il suo amico vengono imprigionati, mentre gli indios, nascosti prudentemente nella foresta, preparano un piano d’attacco. Un piano che va a buon fine, grazie all’uso dell’intelligenza più che della forza: funghi allucinogeni per ubriacare i cavalli, pipì dentro ai cannoni. Gli indios prendono in mano il forte e scacciano gli spagnoli sulle loro navi. Johan resta nel nuovo mondo, vivendo in pace con il suo nuovo popolo. É certo una semplificazione di ciò che realmente hanno subito gli indios, sfruttati e sterminati dopo la scoperta delle Americhe, un lieto fine che nella realtà non è mai esistito, ma è soprattutto, grazie proprio a questa sua semplicità, una via efficace per raccontare, avvicinare e ricordare a tutto il pubblico, compreso quello dei più piccoli, ciò che è stato. Johan è un orfano che ha imparato a cavarsela da solo nella vita, tanto che non esita a fuggire e a lasciare nelle mani della polizia la sua bellissima ragazza veneziana, accusata di essere una strega eretica, e che sicuramente non avrà un bel destino. Ma il ragazzo ha anche tante qualità, riesce a mettere a frutto tutto ciò che ha incontrato e imparato nella vita, ricuce le ferite di animali e uomini, è sveglio e apprende subito la lingua degli indios, interpreta i segni della luna, è curioso, attento al nuovo. In fondo è un bravo ragazzo, quello che fa non è solo un viaggio tra terre nuove, ma soprattutto un viaggio alla scoperta di se stesso. All’inizio non si preoccupa degli indios, vuole solo sfruttarli come guide per arrivare all’accampamento spagnolo, alla fine la loro salvezza sarà la sua prima preoccupazione, tanto da arrivare a preferire di sacrificare la sua vita piuttosto che la loro. Nella rappresentazione generale si ha però a volte l’impressione che venga dato poco spazio all’espressione della ricca e profonda civiltà degli indios. I personaggi e le scenografie sono stati creati da Adelchi Galloni. Notevole il design dei personaggi, in particolar modo quello degli indios. I protagonisti si muovono in scenografie ben curate e soprattutto ricche di una ricerca grafica e cromatica che sottolinea le diverse tappe del viaggio. I colori rossi e ocra del campo dei lanzichenecchi, Venezia che si presenta con due anime: elegante e solare con la sfilata nel Canal Grande, buia e misteriosa nei suoi vicoli e calli; quando Johan fugge dai suoi inseguitori le loro voci si trasformano in spaventosi volti nel buio, tratteggiati 152

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con poche pennellate. A Siviglia domina il mare, notevole è il gioco di luci all’interno della sala del trono della regina. Si arriva poi nel nuovo mondo dove troviamo colori brillanti, verdi accesi, pappagalli colorati, albe e tramonti, mare limpido. La scoperta del nuovo mondo è sintetizzata in maniera efficace nella sequenza realizzata da Mario Addis, Florida 5, che con il suo stile assolutamente personale simboleggia tutta la ricchezza di colori, profumi e novità che Johan incontra nelle nuove terre. Il film è arricchito da altre due sequenze realizzate con tecniche diverse: Esodo, creata da Adelchi Galloni e Angelo Beretta, che con un susseguirsi di lievi figure visualizzano il viaggio compiuto dalla tribù alla ricerca di una nuova terra da abitare. Infine Cristianesimo, realizzata sempre da Addis, espressione grafica dell’originale lezione di catechesi che Johan tiene agli indios. Tra le sequenze più riuscite, il bagno notturno dell’indovina e il suo ballo sotto la luna, bagno ripetuto da Johan nella nuova terra con la sua nuova compagna, così come la sequenza della tempesta che distrugge il villaggio. Il film è caratterizzato da un buon ritmo ed è sorretto da una sceneggiatura ben strutturata. Le musiche sono state composte da Fabrizio Baldoni, Gino De Stefani, Paolo Re, che hanno riservato molta attenzione alla differenziazione dei luoghi nel film. Le note di Venezia sono dunque diverse dal tema che caratterizza Siviglia, fino ad arrivare ai ritmi della nuova terra, per cui i compositori si sono avvalsi anche della collaborazione di una nativa americana. Il film è stato realizzato in numerosi studi italiani e in alcuni studi di Barcellona. Il doppiaggio vede la presenza di Fiorello, che interpreta anche alcune canzoni del film ed è la voce del protagonista Johan. Nel 2003 Maurizio Forestieri completa la realizzazione del suo primo lungometraggio Totò Sapore e la magica storia della pizza, di cui cura anche la creazione dei personaggi e la direzione dello storyboard. Il soggetto del film è di Umberto Marino, liberamente tratto dalla pièce teatrale Il cuoco prigioniero di Roberto Piumini, la sceneggiatura è di Marino e Paolo Cananzi. In una immaginaria Napoli del ’700, festosa e allegra, Totò Sapore, aspirante cuoco, canta ogni giorno alla povera gente di Napoli di piatti

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Vedi anche capitolo 4.

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48 Totò Sapore e la magica storia della pizza di Maurizio Forestieri, Lanterna Magica, Medusa Film ©

gustosi. È il cuoco virtuale, che sazia con canti e balli l’appetito dei suoi compaesani, rendendoli allegri, nonostante la loro vita sia povera e dura. Tutto ciò indispettisce Vesuvia, strega fatta di lava che dimora nel Vesuvio. Lei vorrebbe che la gente fosse infelice e disperata e per questo invia a Napoli il suo buffo e maldestro, benché simpatico, servitore. Vincenzone, creando un piano che mira a far avere a Totò tutto ciò che desidera: successo come cuoco e l’amore, per poi togliergli tutto e farlo precipitare nell’infelicità. Tramite Vincenzone fa avere a Totò delle pentole magiche parlanti che hanno la caratteristica di trasformare tutto quello che vi viene versato dentro, persino scarpe e calzini maleodoranti, in prelibate e succulente pietanze. Totò, felice di poter diventare, grazie alle pentole, il cuoco che aveva sempre sognato, e soprattutto di poter sfamare realmen154

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te la povera gente, comincia a cucinare per tutta Napoli, aiutato dall’inseparabile Pulcinella, anima e essenza della città. Le manovre di Vesuvia fanno in modo che Totò diventi il cuoco del Re di Napoli, che incontri e si innamori, ricambiato, della giovane Confiance, per poi sottrargli tutto: gli toglie le pentole magiche in modo che il pranzo organizzato con i Reali di Francia si trasformi in un vero insuccesso. Totò viene imprigionato, ma Pulcinella, aiutato dalle pentole, riuscirà a liberarlo. Totò saprà sconfiggere infine Vesuvia con l’aiuto dei suoi amici, ma un problema resta: i reali di Francia, delusi dal disgustoso pranzo tenutosi alla Reggia, dichiarano guerra al Regno di Napoli. Totò, grazie ai suggerimenti del famelico Pulcinella, capisce che una bella mangiata può risolvere tutto, così, usando gli ingredienti più semplici, farina, pomodoro e basilico, si inventa una nuova pietanza, la pizza, preparata e cucinata da tutta la città nel forno

49 Totò Sapore e la magica storia della pizza di Maurizio Forestieri, Lanterna Magica, Medusa Film ©

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più grande di Napoli, il Vesuvio. Totò realizza davvero così tutti i suoi sogni, risolvendo con semplicità la situazione. Il film è caratterizzato da un susseguirsi continuo di scene movimentate, d’azione, anche cantate e ballate. All’inizio vediamo Totò cantare per la città, poi seguono le scene della scoperta delle pentole magiche, il canto del cuoco Mestolon, il sogno di Pulcinella, il canto di Vesuvia, in una sorta di musical senza posa. In effetti, di fronte a questo ritmo vorticoso, si nota la mancanza di maggiori scene in cui venga costruita e sottolineata l’attesa. Della creazione dei personaggi si è occupato lo stesso Forestieri, che per lo stile grafico di Pulcinella ha voluto utilizzare quello creato da Emanuele Luzzati, protagonista di uno dei capolavori di Gianini e Luzzati6, proprio Pulcinella, cortometraggio realizzato con la tecnica del découpage, accompagnato dalla musica di Gioacchino Rossini Il turco in Italia-ouverture. Disseminati nel film, oltre alla scelta grafica per Pulcinella, diversi sono gli omaggi che Forestieri ha voluto rendere ai due grandi autori, che sono stati, tra l’altro, tra i suoi primi insegnanti d’animazione. A partire dai titoli di testa: qui un classico teatrino napoletano delle marionette, quello che racconta proprio le storie di Pulcinella, apre il sipario e si vedono, in un rimando alla tecnica del découpage, le fiamme del Vesuvio, la strega, il mercatino di Napoli, i suoi abitanti, per poi arrivare alla vista generale della città con il design scelto per il film. Nell’insieme l’inserto risulta efficace e ben riuscito nella sua semplicità. Troviamo più avanti il sogno di Pulcinella ubriaco che, attorniato da tanti pulcinella multicolori, canta e balla: inevitabile non pensare al sogno che Pulcinella, addormentato sopra il tetto di casa, fa nell’omonimo cortometraggio di Gianini e Luzzati. Il Pulcinella del film è anche capace di mosse di arti marziali, una strizzata d’occhio al pubblico più piccolo, ed ha la voce di Lello Arena, voce che si impone sul resto del doppiaggio. Sarà Pulcinella stesso alla fine del film a chiudere il sipario gustando una classica tazzina di caffè. Totò Sapore è un personaggio dall’animo semplice e buono, non si fa mai tentare da vanità e successo, al contrario di Pulcinella che è sempre affamato, che si stanca, che si fa anche ingannare da Mestolon pur di gustare del buon vino, ma che è allo stesso tempo anche un amico buono e affidabile; con tutti i suoi pregi e difetti insomma, è in qualche modo più vero di Totò.

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Vedi capitolo 1.

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LA SITUAZIONE DEL LUNGOMETRAGGIO

Vincenzone rimanda alla figura del classico servo del cattivo delle storie per ragazzi: un po’ imbranato ma in realtà con un cuore d’oro. Inoltre lui vuole fare l’attore, e prenderà l’inganno ordito ai danni di Totò come l’occasione attesa da una vita per il suo debutto teatrale. Quando è a Napoli, comunica con Vesuvia grazie ai numeri che lei lancia dal Vesuvio, e ne controlla il significato su un libro in modo da conoscere il successivo passo del piano, un immancabile rimando al gioco del lotto. Le pentole parlanti poi, cercano di accaparrarsi l’attenzione dei più piccoli. Il design generale dei personaggi risulta essere simpatico e accattivante, funzionale alla storia, in cui non mancano però certi stereotipi caricaturali, come sua altezza il Re di Francia, uomo bassissimo, o la sua orrenda figlia Scorfanette. La creatività, la gioia e l’espressione multicolore della napoletanità vengono sottolineati in tutto il percorso del film. La costruzione scenografica e l’ideazione degli ambienti è curata da Marcos Mateu Mestre, artista spagnolo che aveva già lavorato ai film Il principe d’Egitto e La strada per Eldorado. Per la Napoli immaginaria di Totò Sapore, volutamente non corrispondente a quella reale, ha creato, con un gusto tutto mediterraneo, delle scenografie brillanti e solari, dove non mancano però diverse scene notturne, risolte con ottimi giochi di luce-ombra, in cui la luna la fa da protagonista. Le scenografie dipinte sono poi state inserite nell’ambiente 3D, dove gli azzardati movimenti virtuali della macchina da presa percorrono i mercati, le strade e i vicoli di questa Napoli fatta di migliaia di ponticelli, di casupole ammucchiate una sopra l’altra, fino a culminare nella Reggia che domina il tutto: una sorta di pentolone gigante, una caffettiera. All’orizzonte, onnipresente, il Vesuvio. Sono stati inoltre utilizzati diversi inserti 3D, la lava e Vesuvia sono costruiti al computer; ci sono diverse scene in cui la strega interagisce con i personaggi, alcune riuscite, altre meno. La sequenza verso la fine del film in cui Vesuvia appare a Totò Sapore è troppo stridente, mentre risulta più efficace quella in cui parla con Confiance imprigionata all’interno del Vesuvio. Così come sono ben risolte le immagini che vedono i personaggi rischiarati dal calore della lava, nella loro fuga verso l’uscita del vulcano. La musica del film è stata composta, strumentata e diretta da Edoardo e Eugenio Bennato, in una miscela di tradizione e musica contemporanea, tarantella e rock. Maurizio Forestieri ha voluto un cast prettamente napoletano per il doppiaggio, in cui troviamo Lello Arena per Pulcinella, Mario Merola per Vincenzone, Francesco Paolantoni per le quattro pentole. 157

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8.3 Altre esperienze di lungometraggio Nel 2003 esce nelle sale un lungometraggio interamente realizzato in 3D L’apetta Giulia e la signora vita di Paolo Modugno. Un film che, a parte gli effettivi limiti grafici, anche se con alcuni spunti originali, si basa su una sceneggiatura piuttosto inconsistente, pur se con alcune trovate singolari. Una riflessione sulla vita e sulla morte raccontata dall’ape regina a una delle sue figlie, Giulia. Sempre del 2003 è una realizzazione abbastanza particolare, L’uovo, film di 53 minuti di Dario Picciau, presentato in concorso al festival di Annecy. Il film, con una realizzazione al computer 3D visivamente singolare, è ambientato nel diciottesimo secolo, in campagna. A parte la singolarità della storia, la sceneggiatura scivola a volte in alcuni facili stereotipi. Una giovane coppia attende con ansia la nascita del primogenito. Al momento del parto però il nuovo nato si presenta letteralmente sotto forma di un uovo di carne. Solo la mamma percepisce la vita in quello strano essere, mentre il papà, così come gli abitanti del villaggio, inorridiscono davanti alla cosa. Una storia singolare che vuole raccontare della vita, del valore che gli si attribuisce, della diversità. Nel 2002 viene realizzato il lungometraggio Corto Maltese-Corte Sconta detta Arcana, dedicato al personaggio del grande autore di fumetti Hugo Pratt. Il film, con la regia di Pascal Morelli, è una coproduzione tra FranciaItalia-Lussemburgo, che vede coinvolta Rai Cinema, ma la lavorazione è principalmente francese. Il film è una raffinata realizzazione, con una cura grafica e qualitativa elevate, tratta dalla storia a fumetti del 1974 Corte Sconta detta Arcana, con un’ambientazione che va da Venezia alla Russia, Siberia, fino alla Mongolia. Il film è stato seguito poi dalla realizzazione di una serie tv7 sempre dedicata alle avventure di Corto Maltese. Nel 2005 viene completato il lungometraggio per ragazzi Yo-Rhad un amico dallo spazio, con la regia di Camillo Teti e Victor Rambaldi, figlio di Carlo Rambaldi, il quale, in occasione di questo film, ha creato il character design del protagonista, Yo-Rhad e ha curato la direzione artistica. Il film si rifà al tradizionale stile disneiano, è tratto da un racconto dello stesso Victor Rambaldi Amici dello spazio. Le animazioni sono state realizzate prevalentemente in Inghilterra. 7

Vedi capitolo 9.

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Capitolo 9 LA PRODUZIONE SERIALE

9.1 La ripresa produttiva È importante, in un’attenta analisi sulle realizzazioni italiane, dare uno sguardo alla produzione seriale che, seppur rispondendo a precise esigenze di mercato con ben determinati target, rappresenta un lavoro spesso di qualità, che vede coinvolti professionisti che spaziano dalla serie, al lungometraggio, al cortometraggio. Esaminare il prodotto seriale contribuisce dunque alla lettura dello stato della produzione del cinema d’animazione in un determinato periodo. Dalla vivacità e dalla resa qualitativa di questo tipo di produzioni, come anche spot pubblicitari o videoclip musicali, si può capire molto. Ed è vero anche che in un contesto vivo e attivo, in cui circolano idee e lavoro, resta sicuramente più facile per gli autori trovare spazi e modi per poter realizzare opere più personali, innanzitutto di cortometraggio, ma anche di lungometraggio1. Tra le primissime serie tv italiane pensate per bambini troviamo Le avventure di Tofffsy di Pierluigi De Mas, prodotta nel 1974 e composta da ventisei episodi. La serie, restaurata dalla Fondazione Cineteca Italiana, è stata riproposta anche in dvd. Pierluigi De Mas (1934-2005) è stato uno dei grandi nomi dell’animazione italiana, attivo fin dalla seconda metà degli anni cinquanta, coinvolto nella realizzazione di produzioni pubblicitarie e cortometraggi, anche per Carosello. Con gli studi Audiovisivi De Mas prima, fondato nel 1972 e con De Mas & Partners poi, fondato nel 1999, è stato protagonista di numerose e importanti produzioni seriali. Le avventure di Tofffsy, serie realizzata insieme a Gianandrea Garola, narra le storie del folletto Tofffsy che riesce a sventare le cattiverie di numerosi

1 Anche se è vero, come si è visto, che grazie all’intraprendenza di molti autori italiani, diverse sono state le realizzazioni di interessanti cortometraggi negli anni ottanta.

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malfattori, sottoponendoli alla fine di ogni avventura alla prova dell’erba musicale: solo chi è buono o pentito delle proprie cattive azioni, la farà suonare soffiandoci sopra. La produzione seriale negli anni ottanta risente della stessa crisi che ha coinvolto più in generale il cinema d’animazione italiano di quegli anni, subendo la stessa sorte del lungometraggio2. Qualche tentativo di coproduzione viene messo in atto con il Giappone, in un periodo in cui la Tms giapponese, come altre case di produzione nipponiche, si stava orientando anche verso coproduzioni con l’estero, tra cui l’Europa, mettendo a disposizione il proprio know-how tecnico. Nell’ambito di questa esperienza si ricorda la coproduzione che coinvolse la Rai, la Rever dei fratelli Pagot e la Tms per la serie Il fiuto di Sherlock Holmes, parodia del famoso investigatore in cui il protagonista aveva fattezze canine, nata da un’idea di Marco Pagot. La serie, a cui si iniziò a lavorare nel 1981, coinvolse il grande regista Hayao Miyazaki. Le prime sei puntate furono realizzate con standard qualitativi altissimi, poi la realizzazione fu abbandonata dai partner italiani e completata dalla Tms nel 1984. Sempre la Rever realizzò delle serie tv con protagonista il pulcino Calimero. Marco Pagot, figlio di Nino Pagot, il creatore di Calimero, ha continuato a lavorare nel mondo dell’animazione, firmando negli anni ottanta diverse serie che vedono come coautrice la sorella, Gina, collaborando spesso con il Giappone; dagli anni novanta in poi ha realizzato personaggi, soggetti e sceneggiature per varie produzioni, tra cui diverse realizzazioni per la società di produzione Mondo TV. Si è già visto come la Gamma Film progettò una produzione seriale tratta dalla Divina Commedia di Dante3, che non trovò mai realizzazione; ma la società milanese, già nel periodo in cui si preannunciava la chiusura di Carosello, cominciava a intravedere possibilità per una diversa produzione, magari anche per serie tv. Nel 1978 produsse due piloti per una serie basata sulle avventure del Barone di Munchausen, che non trovò però interlocutori produttivi da parte della televisione italiana. Giuseppe Laganà fu coinvolto negli anni ottanta nella produzione di Tiramolla Story, piccola serie di quattro episodi tratta dall’omonimo fumetto, che uscirono in allegato alla rivista.

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Vedi capitolo 8. Vedi capitolo 4.

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LA PRODUZIONE SERIALE

Per la produzione seriale italiana non ci sono stati reali spiragli o possibilità fino all’arrivo degli anni novanta, con tutti i ritardi nel confronto con la realtà internazionale che questo ha comportato. Grazie alle strategie di coproduzione europea, alla nascita di Cartoon, il Programma Media dell’Unione Europea a sostegno dell’animazione e alla presenza fondamentale della Rai come produttore, dalla seconda metà degli anni novanta in poi hanno visto la luce diverse realizzazioni seriali prettamente italiane. La produzione europea in generale è cresciuta, inoltre, grazie al Programma Media che organizza anche fondamentali appuntamenti per le coproduzioni: come il Cartoon Forum, manifestazione itinerante nei vari paesi dell’Unione Europea, dedicata alle coproduzioni europee di programmi di animazione. Lì si incontrano produttori e distributori di tutta Europa e gli studi di animazione presentano i nuovi progetti. Delle strategie importanti dunque, che sono ricadute felicemente anche sulla produzione italiana. L’unione di tutti questi fattori ha portato alla produzione della serie animata Lupo Alberto, tratta dalle famose strisce a fumetti di Silver. La serie, realizzata nel 1997, con la regia di Giuseppe Laganà e Jean C. Roger, vede la coproduzione della Rai con la tv francese France 2, insieme a Europool, The Animation Band, Les Armateurs. La serie ha avuto una lavorazione che ha incontrato non poche difficoltà, a causa della situazione italiana che non era abituata ad affrontare produzioni di questo tipo4, ma che è stata un ottimo apripista per tutte le produzioni seguenti. La lavorazione ha visto il coinvolgimento attivo dell’autore del fumetto, Silver. La serie è stata messa in onda più volte dalla Rai. Di Lupo Alberto è stata completata anche una seconda serie. Così, dalla seconda metà degli anni novanta si è cominciato a vedere sugli schermi della tv nazionale una produzione italiana, che è cresciuta pian piano numericamente, con realizzazioni più o meno riuscite, ma che hanno segnato una tappa importante nella storia produttiva italiana. Nel 1998 è stata poi fondata Cartoon Italia. Associazione aziende audiovisivi in animazione, che riunisce diversi studi di animazione italiani, nata con lo scopo di promuovere e tutelare la produzione italiana. L’animazione in Italia si trova ad affrontare anche il problema economico delle fasi di lavorazione più lunghe, come ad esempio le animazioni

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Vedi intervista a Giuseppe Laganà, capitolo 11.

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e le intercalazioni. Se la sceneggiatura, il lavoro di studio dei personaggi, l’ideazione di ambienti e scenografie, lo storyboard, vengono generalmente realizzati in Italia, conservando tutta l’ideazione, il lavoro creativo e di impostazione in ambito nazionale, accade che delle parti di lavorazione di alcune serie, ma anche di alcuni lungometraggi, vengano fatte all’estero, in Cina, Corea, India, in cui il costo del lavoro è assolutamente competitivo. È un processo che non riguarda solo la produzione italiana, ma anche europea e internazionale. Gli studi di animazione italiani hanno fatto e stanno facendo un percorso che li ha portati, come si è visto, da un’organizzazione prevalentemente artigianale ad un’organizzazione più industriale. Una riorganizzazione, una crescita, che non è stata indolore, diverse sono state le realtà che sono entrate in crisi, mentre altre sono emerse, in un quadro comunque difficile, seppur di rinascita, con il consolidamento di alcune realtà che fanno sperare in una situazione produttiva sempre più solida e che guardi anche alla distribuzione internazionale con prodotti di qualità. 9.2 Le realizzazioni recenti La fine degli anni novanta e i primi anni del nuovo secolo vedono la realizzazione di diverse serie, tra cui Gibì e Doppiaw di Loredana Middione, studio Graphisme, dedicata ai più piccoli; diverse serie dedicate ai Cartoni dello Zecchino D’Oro, che hanno visto il coinvolgimento dell’Antoniano, Rai Fiction e De Mas & Partners. Nel 2000 Marco Bigliazzi fa rivivere le avventure del Signor Bonaventura di Tofano utilizzando l’animazione al computer 3D. Enzo D’Alò firma la regia della serie Le nuove avventure della Pimpa basata sulle avventure della cagnolina con i pois rossi disegnate da oltre venticinque anni da Francesco Altan. Nel 2001 viene realizzata la serie Sopra i tetti di Venezia (Le avventure di Marco e Gina) con la regia di Alain Sion e Silvio Pautasso. L’ideazione, l’ambientazione e la creazione dei personaggi è di Romano Scarpa (1927-2005), uno dei più grandi disegnatori italiani di storie Disney. Non era la prima volta che Scarpa si avvicinava all’animazione, già in passato aveva infatti realizzato alcuni corti. Nella Venezia dei tempi della Serenissima, i protagonisti di Sopra i tetti di Venezia sono proprio gli uccelli che vivono in una sopracittà lagunare, di cui gli uomini ignorano l’esistenza. 162

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LA PRODUZIONE SERIALE

Viene realizzata nel 2001 anche la serie Cocco Bill, con la regia di Pierluigi De Mas, tratta dai notissimi fumetti di Jacovitti, che dimostra ulteriormente, dopo l’esperienza di Lupo Alberto, che il patrimonio fumettistico italiano può essere una grande fonte di ispirazione per l’animazione nostrana. Diverse sono state infatti, in questi anni più recenti, le realizzazioni tratte da fumetti italiani, anche se non sempre di produzione italiana (o in parte) e con adattamenti che a volte hanno scatenato non poche polemiche. A partire dalla trasposizione in serie tv delle avventure di Diabolik, personaggio creato dalle sorelle Giussani. La serie è stata realizzata dalla francese Saban nel 1998 e la scelta, dettata da motivi di target, è stata quella di trasformare Diabolik in un ladro che combatte però il male, in modo da rendere le avventure del personaggio adatte ad un pubblico di bambini e ragazzi. Simile destino ha subito il personaggio di Martin Mystère, creato da Alfredo Castelli. Nel suo passaggio alla serie tv Martin Mistery, realizzata nel 2003 dalla francese Marathon Animation, il protagonista ha subito non pochi cambiamenti, è diventato un adolescente con gadget ipertecnologici e anche i suoi compagni d’avventure, Diana e Java, hanno subito lo stesso restyling. Sempre sul filone fumetto-animazione, ma con una realizzazione tutta italiana, è partita nel 2006 la serie tratta dal fumetto Rat-man, personaggio creato da Leo Ortolani, diventato in questi ultimi anni un vero e proprio cult. Il fumetto, con protagonista un improbabile supereroe con le fattezze di topo, raccoglie e rimescola in maniera del tutto originale tutte le suggestioni del fumetto supereroico americano, i robottoni giapponesi, cinema e humor, in una formula divertente e dissacrante. Lo studio di animazione Stranemani sta lavorando alla serie di cinquatandue episodi, che lo stesso Ortolani sta seguendo molto da vicino in tutte le sue fasi di realizzazione. Anche la serie a fumetti di grande successo della Disney Italia Witch, che ha rappresentato un vero e proprio caso editoriale, ha da poco visto realizzata la sua trasposizione in serie animata. Particolare e suggestiva realizzazione è quella della serie dedicata alle avventure di Corto Maltese, leggendario personaggio dei fumetti creato dal grande autore Hugo Pratt. Si tratta di una coproduzione franco-italiana, con una lavorazione principalmente francese, ma che ha visto coinvolti nella realizzazione di quattro episodi The Animation Band e Giuseppe Laganà. La serie affronta diversi episodi delle avventure di Corto Maltese, con una elevata cura grafica e qualitativa. 163

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Un patrimonio, quello del fumetto, veramente ricco, da cui sicuramente attingere, come è già metodo consolidato anche a livello internazionale. Che però non si sottrae da diverse insidie, come ad esempio la scelta di un buon adattamento: il che non significa seguire per forza in tutto e per tutto i dettami della storia a fumetti, ci si può, e a volte si deve, anche distanziare notevolmente, facendo scelte opposte e/o parallele, l’importante in tutte e due i casi è trovare un equilibrio e una coerenza all’interno delle modalità espressive dell’animazione che, se per tanti versi è vicina al fumetto, sicuramente è altrettanto distante per linguaggio e fruizione. Così come non bisogna pensare che trasporre un fumetto in animazione sia più semplice che creare una storia originale, i problemi e la scelta del target (come si è visto), l’adattamento e le aspettative del pubblico sono elementi fondamentali per la buona riuscita del prodotto. Molto interessante è la serie Cuccioli, realizzata dalla società di produzione Gruppo Alcuni di Treviso. La serie, con la regia di Sergio Manfio, vede coinvolto nella creazione dei personaggi Giorgio Cavazzano, una delle matite Disney, e non solo, più importanti e originali d’Italia. Cavazzano ha caratterizzato con il suo stile personale e accattivante i personaggi, paperette, gatti e ranocchie, di questa serie dedicata ai più piccoli, uscita nel 2003. Di recente realizzazione la serie Spaghetti Family, con la regia di Giuseppe Laganà, ideata da lungo tempo da Bruno Bozzetto. L’autore aveva infatti da molti anni in mente l’idea di realizzare una sit-com all’italiana fatta in animazione, ed ecco comparire questa famiglia tipo italiana con mamma, papà, figli e tre animali in casa. Bozzetto ha creato i personaggi e la storia. La serie, prodotta dalla Rai, ha visto coinvolto nella realizzazione lo studio milanese The Animation Band. Tra le produzioni più recenti per bambini: I sogni di Giovanna, prodotta da Rai Fiction e Lastrego & Testa Multimedia nel 2002, serie per bambini in età prescolare, tratta dai libri e fumetti scritti e illustrati da Cristina Lastrego e Francesco Testa; Milo, del 2003, con i personaggi di Gabriella Giandelli, che vede coinvolto nella realizzazione lo studio Gertie. Diverse sono state le realizzazioni seriali della società di produzione Mondo TV in collaborazione con Rai Fiction, tra cui Sandokan, tratta dall’omonimo personaggio di Emilio Salgari, con la regia di Giuseppe Laganà e con i disegni di Marco e Gina Pagot. Sono state realizzate inoltre alcune serie e piloti in animazione al computer 2D Flash, pensate prevalentemente per una distribuzione su inter164

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LA PRODUZIONE SERIALE

net. Diversi anche i videoclip musicali realizzati in animazione per cantanti e gruppi italiani, solo per citarne alcuni: Mina utilizza l’animazione per i suoi video, prima per Che t’aggia dì 5, poi per il più recente Alibi del 2007, videoclip realizzato dallo studio Direct2Brain e One More, con la regia di Anthony LaMolinara 6. I numerosi video dello studio di produzione Stranemani per vari cantanti, tra cui Zucchero per la canzone Il grande Baboomba. Questo per ricordare solo alcuni titoli, in un panorama produttivo che conta ormai diverse interessanti realizzazioni. 9.3 Il successo internazionale. Il caso Winx Club e lo studio Rainbow Gli anni novanta hanno visto l’emergere di un importante studio a Loreto (Ancona), Rainbow, fondato da Iginio Straffi, che ha realizzato alcune serie per la tv distribuite anche a livello internazionale, tra cui Tommy & Oscar e Winx Club, che è diventato un clamoroso caso di successo internazionale. Straffi, dopo una lunga esperienza come autore di fumetti, inizia a lavorare nel mondo dell’animazione nel 1992 e fonda la Rainbow nel 1995. Lo studio comincia così la sua produzione: all’inizio Tommy & Oscar sono i personaggi protagonisti di due cd-Rom educativi interattivi sulla musica. Il prodotto ha un enorme successo, vince premi a livello internazionale, viene esportato in trentasei paesi e tradotto in quindici lingue. Il passo verso la serie animata viene presto fatto. La serie vede l’alieno tutto rosa Oscar, proveniente dal pianeta della musica, atterrare nel giardino della casa di Tommy, un bambino di dieci anni, con cui affronterà mille avventure. Le due serie animate di Tommy & Oscar, che contano un totale di cinquatadue episodi, ottengono un grande successo. Rainbow, con la coproduzione di Rai Cinema, ha messo in cantiere inoltre la realizzazione del lungometraggio di Tommy & Oscar. Lo studio di Loreto realizza poi la serie Winx Club, storia di fate e streghe, dove le cinque fate protagoniste, moderne teenager, usano i loro poteri magici per combattere il male. La serie, seguita presto dalla realizzazione della seconda, ottiene uno straordinario successo in Italia e viene

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Canzone interpretata insieme a Adriano Celentano. Premio Oscar per gli effetti visivi di Spider-Man.

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esportata in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti, evento straordinario per una produzione animata italiana. Winx Club è accompagnata anche da un grande fenomeno di merchandising, che comprende bambole, abiti, riviste e accessori. È un vero e proprio caso produttivo. La formula vincente è quella della storia che unisce magia e vita quotidiana delle teenager protagoniste, dove la scelta del design in linea con le ultime tendenze internazionali (rinunciando però ad uno stile più personale), è una delle componenti fondamentali. Rainbow realizza inoltre le serie Prezzy e Monster Allergy. Monster Allergy rappresenta un altro caso produttivo. Fumetto della Disney Italia del 2003, ha trovato anch’esso una trasposizione animata, in una serie attualmente ancora in lavorazione. La storia è quella di un ragazzo, Zick, che è dotato di un sesto senso che gli fa capire l’animo delle persone. Ad ogni puntata, le avventure coinvolgono i mostri che abitano in una città nascosta che solo il ragazzo può vedere. Anche la serie Monster Allergy vedrà una distribuzione americana. Nel 2006 Rainbow apre una sede romana, la Rainbow Cgl, dove lavora alla realizzazione del lungometraggio dedicato alle Winx.

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Capitolo 10 LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

In questo capitolo si vuole dare un’idea generale di quali e quante siano le tecniche dell’animazione, proprio per evidenziare la ricchezza di questo linguaggio, che è frutto di tante e diversificate scelte che ogni autore fa quando decide di realizzare un film, ricercando o magari inventando la tecnica che è più congeniale al proprio stile ed alle proprie esigenze espressive. L’animazione non può essere studiata senza essere almeno in parte consapevoli delle sue tecniche realizzative. Naturalmente la descrizione sarà semplice, funzionale all’obiettivo che si propone, ossia un’illustrazione che possa rendere più chiara e approfondita la descrizione dei film che fin qui si sono trattati, con la spiegazione dei termini tecnici utilizzati. Il primo paragrafo è dedicato all’animazione tradizionale, quella a cui anche visivamente il pubblico è più abituato, solitamente utilizzata per i lungometraggi e le serie tv, ma anche per i cortometraggi, con tutte le sue evoluzioni e cambiamenti legati all’uso del computer, per poi passare al boom dell’utilizzo della tecnica del computer 3D. I paragrafi successivi sono dedicati alle altre tecniche che generalmente vengono utilizzate per la realizzazione di cortometraggi d’autore, frutto di una assidua sperimentazione che va avanti dalla nascita stessa del cinema d’animazione, che per la loro particolarità sono adatte soprattutto alla realizzazioni di corti. Sarebbe quasi impossibile, infatti, realizzare con queste tecniche un lungometraggio e forse si perderebbe anche la singolarità del cortometraggio d’autore, la sua irripetibile unicità. 10.1 L’animazione tradizionale e il computer L’animazione tradizionale, chiamata anche disegno animato o animazione a fasi 1, è la tecnica probabilmente più conosciuta, con la quale si 1 Animazione a fasi: le animazioni, ossia le fasi, ogni singolo disegno, vengono preparati prima della ripresa. Fase: è ogni singolo scatto della ripresa, nel disegno animato viene

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possono realizzare tutti i formati dell’animazione, dai lungometraggi alle serie tv, cortometraggi, spot, sigle. È un procedimento lungo e complesso, da cui si può capire l’estrema laboriosità che caratterizza un’opera realizzata in animazione. Il disegno animato, specialmente per lungometraggi e serie, coinvolge un grande numero di realizzatori, ognuno dei quali specializzato in un campo. Importante nell’animazione è il concetto di passo, che è il rapporto tra il numero di disegni e il numero di fotogrammi. Così un’animazione a passo 1 significa avere un disegno per ogni fotogramma, oppure muovere il personaggio ad esempio in plastilina ad ogni scatto della macchina da presa; nel passo 2 un disegno per due fotogrammi. Minore il passo, maggiore la qualità e la fluidità dell’animazione. L’animazione tradizionale è la tecnica in cui l’animazione viene effettuata prima della ripresa (o scansione al computer come si vedrà più avanti), a differenza di altre tecniche in cui l’animazione è realizzata direttamente sotto la macchina da presa. Questo perché tutte le fasi, cioè i disegni relativi all’animazione, comprese le scenografie, vengono realizzati prima dell’effettiva ripresa. Come in un film dal vero, viene preparata la sceneggiatura e la relativa creazione dei personaggi. Questi devono essere ben determinati e, come specificano gli animatori 2, avere le parti del corpo ben identificabili in modo che possano essere disegnate nello stesso modo da tutti gli animatori per realizzare il movimento. Infatti per la realizzazione di serie o lungometraggi, i personaggi vengono ideati da una o poche persone, in accordo con il regista, quando non è lui stesso l’ideatore dei personaggi, mentre l’animazione vera e propria, ossia il movimento dei personaggi, che per un film implica migliaia di disegni, viene realizzato da un grande numero di animatori e intercalatori 3. Per rendere omogeneo il disegno dei vari realizzatori, vengono creati i model sheet 4 per ogni personaggio e dei

cambiato il disegno e effettuato lo scatto, nella tecnica dei pupazzi viene mosso il personaggio ad ogni scatto. 2 Animatore: è colui che realizza le animazioni, ossia fa muovere il personaggio. Nel disegno animato realizza i disegni, nell’animazione con i pupazzi muove il personaggio ad ogni scatto della macchina da presa. 3 Intercalatore: è la persona che realizza i disegni, le animazioni, che passano tra due o più disegni principali, detti disegni chiave. 4 Model sheet: termine usato anche nel fumetto, il personaggio viene disegnato su un foglio in varie posizioni, frontale, di schiena, a tre quarti, per dare coerenza al suo corpo quando viene disegnato in movimento.

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LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

modelli tridimensionali per permettere all’animatore un disegno coerente in tutti i movimenti. Come nei film dal vero, anche in animazione viene realizzato uno storyboard 5, che risulta però in questo caso di un’importanza fondamentale. Infatti, non essendoci attori e luoghi da riprendere, lo storyboard deve essere ancora più preciso nell’indicare la recitazione dei personaggi, gli spostamenti di macchina, la colonna sonora. Così come è indispensabile sia per l’operatore che per l’animatore, il foglio macchina, che è uno strumento in cui vengono indicati, fotogramma per fotogramma, ogni singolo movimento del personaggio, con le battute che deve pronunciare e tutte le indicazioni dei movimenti di macchina. Spesso nelle realizzazioni in animazione a fasi le voci dei personaggi vengono registrate prima di disegnare le animazioni, in modo tale che gli animatori possano ispirarsi alla voce e alle intonazioni degli attori. A volte si utilizza una telecamera che riprende gli attori mentre doppiano, in questo modo si ha la possibilità di ispirarsi anche alla gestualità. Per quanto riguarda le musiche, queste possono essere create prima o inserite successivamente, dipende dalla scelta del regista. Per le scenografie, si passa dalla scelta degli ambienti, dei colori, le tonalità, fino alla realizzazione della pianta del luogo dove si svolge l’azione, per essere coerenti ad ogni scena. Lo staff per gli sfondi dove solitamente disegnare più di mille sfondi per un lungometraggio. A ciò poi si aggiungono gli effetti speciali, che per l’animazione sono tutti gli elementi in movimento oltre ai personaggi: la pioggia, il mare, qualsiasi altro elemento, realizzati spesso a ciclo 6. Risolte tutte queste fasi preparatorie, si passa alla realizzazione del videoboard, ossia il film basato sulle immagini dello storyboard, strumento anch’esso molto utile, in quanto il regista comincia a rendersi conto delle dinamiche del film, del ritmo. Viene poi realizzato il lay-out, in cui con una serie di disegni preparatori si organizza ogni singola scena del film, è uno strumento che permette di passare con precisione dallo storyboard alle animazioni, ai singoli disegni. Così i personaggi prendono vita, occorrono innumerevoli disegni per un solo minuto di animazione, ricordando che ogni secondo è fatto di ventiquattro fotogrammi per il cinema 5 Storyboard: è la sceneggiatura realizzata in immagini, comprese le indicazione dei movimenti di macchina e di recitazione. 6 Ciclo dell’animazione: è un movimento ripetuto durante il film, ad esempio la pioggia o una camminata, per questi si utilizzano più volte gli stessi disegni.

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e venticinque per la televisione. Prima di andare avanti con la colorazione e le riprese, è necessario procedere al pencil test, ossia verificare che l’animazione funzioni. Durante i primi anni novanta, si afferma a livello internazionale l’uso del computer per alcune fasi più laboriose e lunghe della realizzazione di un prodotto di animazione. Cominciando proprio dal pencil test che in passato prevedeva la ripresa in pellicola dei disegni chiave 7 e che, tra l’attenderne lo sviluppo, vederli, correggerli, richiedeva diversi giorni di lavorazione. Oggi si realizza in pochi minuti, ossia acquisendo i disegni al computer, disegni che continuano ad essere fatti a mano dall’animatore. Acquisendo dunque al computer i disegni, grazie a dei programmi per l’animazione, si può vedere se essa funziona, ossia se è fluida e credibile. Superata questa fase, fatte le correzioni, si passa alla colorazione. Questo, fino all’inizio degli anni novanta, era un procedimento lungo e molto costoso, sostituito oggi dal computer. Con la colorazione manuale ogni disegno a matita veniva infatti in passato riportato con meticolosità su un foglio trasparente, chiamato in diversi modi, acetato, rodovetro, celluloide, rodoid o proprio trasparente. Successivamente i disegni non furono più riportati a mano sugli acetati, ma fotocopiati su di essi, cominciando ad evitare così un passaggio. I personaggi venivano poi colorati a mano, operazione effettuata solitamente da donne, le coloritrici, mentre la parte trasparente permetteva di sovrapporre il disegno su uno sfondo. Per effettuare questa operazione esiste un tavolo che permette di sovrapporre numerosi livelli. Si parte dal fondale, effetti speciali, personaggi (questa operazione viene chiamata compositing, ossia l’unione di tutti gli elementi che compongono una scena, dai fondali alle scenografie che vengono uniti), il tutto ripreso da una macchina da presa, chiamata in gergo verticale, proprio per la sua particolare posizione, montata in verticale rispetto al tavolo orizzontale dell’animatore. Così si va avanti, fase per fase, viene appoggiato un disegno, uno scatto, un altro disegno, un altro scatto. Oggi non si usa più la verticale, e il compositing viene fatto al computer, in quanto i disegni vengono acquisiti tramite scanner, colorati con numerosi software creati appositamente e uniti alle scenografie. Si nota dunque nel disegno a fasi la continuità artigianale del disegno fatto a mano, dall’artista, che usa la tecnologia là dove può risolvere pro-

7 Disegni chiave: in una sequenza del film, sono i disegni fondamentali, che determinano l’azione.

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LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

blemi di costi e tempi. Sfatando il mito che il computer può fare tutto da solo eliminando la figura del disegnatore, è vero invece che l’artista resterà sempre fondamentale. Per quanto riguarda il computer 2D, tra i software più usati c’è Flash. Questo tipo di programma permette la realizzazione di corti sia per il formato professionale che per Internet, rete distributiva che a molti autori appare straordinaria perché finalmente un corto d’autore può uscire dal ristretto cerchio dei festival specializzati, ed essere visto in ogni parte del mondo. Questa è già una realtà produttiva attiva, con tutti i limiti della qualità del prodotto, che ovviamente non può dare, almeno per ora, i risultati visivi di un’animazione fatta con il disegno animato, in quanto deve essere leggera per viaggiare in rete. Si è vista la scelta di Bruno Bozzetto, che proprio con Flash ha realizzato i suoi più recenti cortometraggi. Nel proprio studio un autore può realizzare un corto dall’ideazione al formato finale. La caratteristica fondamentale, anche in questo caso, è la possibilità di unire artigianato e tecnologia con innumerevoli possibilità di combinazioni, in cui magari il disegno e la pittura affiancano scene realizzate al computer 3D. Molti autori, ma siamo già nell’ambito del cortometraggio, a volte disegnano esclusivamente su carta, non usando fondali, devono disegnare scena per scena la profondità e i movimenti di macchina assieme ai personaggi in un procedimento realizzativo veramente lungo. 10.1.1 Il computer 3D e gli effetti visivi Proseguendo su questa strada, oggi sono disponibili dei programmi per l’animazione bidimensionale e tridimensionale, di cui negli anni più recenti si sono visti straordinari esempi a partire dalle realizzazioni della Pixar, che da Toy Story a Cars, ma anche con numerosi cortometraggi, ha segnato una svolta importante nell’animazione mondiale; che ha visto altri produttori, tra cui la Dreamworks, cimentarsi nella produzione di lungometraggi in 3D. Ma è necessario sottolineare come anche nelle realizzazioni al computer 3D l’artista, il disegnatore, è fondamentale. Il computer offre programmi che l’artista, l’animatore, utilizza per dare vita ai personaggi, 171

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anche qui un lavoro lungo e minuzioso, sempre alla ricerca di nuove soluzioni per migliorare la resa visiva, soprattutto se si vogliono mantenere alti gli standard qualitativi. Si è assistito dunque a un aumento numericamente consistente di lungometraggi realizzati completamente in 3D, da parte di numerose case di produzione, con risultati diseguali, anche perché la lavorazione di un buon prodotto in 3D richiede molti anni di preparazione e investimenti sulle tecnologie, non dimenticando il ruolo fondamentale della sceneggiatura. A volte dunque la corsa nello sperimentare questa nuova possibilità produttiva, senza una congrua macchina produttiva, si è tradotta in prodotti discutibili in qualità e resa visiva. L’animazione è poi entrata in maniera sempre più decisa in questi ultimi anni nel cinema dal vero, soprattutto di produzione americana, proprio per l’utilizzo di effetti speciali. Ma anche nei film meno spettacolari, l’animazione entra sempre più spesso in campo nella realizzazione degli effetti visivi, che diventano preziosi per modificare ambienti, inserire magari oggetti, insetti o animali, e così via. 10.2 Le altre tecniche Per realizzare un film in animazione si possono usare le più svariate tecniche artistiche. La caratteristica di molte di queste è che l’autore lavora direttamente sotto o vicino alla macchina da presa, primo elemento che le distingue dalla tecnica del disegno animato, dove tutto è pronto prima della ripresa. Sono tecniche stop-frame, ossia la ripresa viene fatta fotogramma per fotogramma, detta anche a passouno. L’artigianato, la manualità è caratteristica fondante di queste tecniche. La fantasia creativa dell’artista si unisce alla capacità tecnica. Quelle di cui si parla sono le tecniche più utilizzate da molti autori di cortometraggio; è bene ricordare però che un artista le utilizza a volte variandole un po’, o magari inventando la propria tecnica. 10.2.1 Il découpage Nel découpage il personaggio non è disegnato, è fatto di tanti pezzi di carta ritagliati e colorati e poggiati sopra lo sfondo. Se si tratta ad esem172

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LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

pio di un uomo, troviamo le braccia staccate dal busto, così come gli occhi e la bocca sono disponibili in varie versioni, secondo il tipo di sguardo che occorre. Da tutti questi pezzi ritagliati l’animatore forma il suo personaggio, se cammina, ad esempio, muove un po’ le gambe e le braccia, fa uno scatto con la verticale, poi muove leggermente gli arti, ed ancora uno scatto, e così via per innumerevoli volte. Emanuele Luzzati e Giulio Gianini sono i due autori italiani che hanno utilizzato in maniera esemplare questa tecnica. Luzzati, pittore e scenografo, realizzava i suoi quadri usando non soltanto il pennello, bensì ogni sorta di oggetto e stoffe. Quando, assieme a Gianini, allora direttore della fotografia per film dal vero, pensò di realizzare dei film in animazione, il problema che si pose era proprio come trasporre in animazione la sua pittura. Così il découpage sembrò ideale, perché non richiedeva, come nell’animazione a fasi, un colore steso e piatto, ma permetteva a Luzzati di creare il suo personaggio, da ritagliare e utilizzare per molte scene, usando pezzi di stoffa e quant’altro poteva venirgli in mente, realizzandolo con estrema cura. Con questa tecnica dunque il movimento non viene disegnato, ma creato dall’animatore nel momento in cui, ad ogni scatto, muove il suo personaggio. 10.2.2 La pittura, la sabbia, la claypainting Queste tecniche hanno in comune alcune caratteristiche. Innanzitutto l’autore lavora direttamente sotto la macchina da presa, utilizzando come base di lavoro un tavolo trasparente illuminato dal basso. L’immagine, dipinta o realizzata con la sabbia, viene trasformata dall’autore scatto per scatto, senza che rimangano i disegni, come accade invece nel disegno animato. Se si commette un errore, bisogna ricominciare la scena da capo, che comunque non verrà mai come la prima volta. Sono film, quelli realizzati con queste tecniche, caratterizzati da un’evidente impronta d’autore. Nella pittura, l’autore inizia realizzando un primo quadro, fa uno scatto con la verticale, fa una piccola variazione, per dare l’idea del movimento, ed ancora uno scatto, e così via. Con questa tecnica, come si è visto, Manfredo Manfredi ha realizzato Canto XXVI di Dante, evidenziando l’estrema fluidità visiva che si può ottenere con la pittura, facendo risaltare la metamorfosi dell’immagine, tipica dell’animazione. La tecnica della sabbia prevede l’utilizzo di sabbia molto fine, disposta su un tavolo 173

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di vetro, con cui l’autore compone un’immagine, utilizzando l’effetto chiaro/scuro del maggiore o minore accumulo di sabbia, e gli effetti della luce proveniente dal basso. Da ciò risulta una particolare varietà cromatica. Questa tecnica richiede una estrema manualità, in quanto l’autore ha solo le sue dita per distribuire la sabbia, o si aiuta con pochi strumenti, magari un pennello asciutto o della carta, realizza una figura, fa uno scatto, modifica la figura, uno scatto, e pian piano realizza il suo film, che richiede lunghi tempi di lavorazione. Un’autrice americana, Joan Gratz, addirittura dipinge con la plastilina, la sua tecnica viene infatti chiamata claypainting, ed è molto simile nel procedimento alla pittura su vetro. Utilizza infatti la plastilina che ammorbidisce con gli olii, poi spalma questa plastilina su di una tavola, creando un’immagine sul suo tavolo di animazione, fa uno scatto con la macchina da presa, poi fa una piccola modifica con le proprie mani all’immagine, e poi fa un’altro scatto, e così via per tutto il film. Si tratta di tecniche solo molto laboriose, e realizzare un corto richiede dei lunghi tempi di lavorazione, ma confermano la particolarità dell’animazione, per cui ogni autore ha davvero il modo di utilizzare o inventarsi la propria tecnica espressiva. 10.2.3 La plastilina, i pupazzi Con la tecnica della plastilina, viene creato un set vero e proprio, non dei fondali disegnati. I personaggi sono delle piccole sculture che l’animatore muove o modifica. Con una grande abilità e meticolosità, vengono ricostruiti dei piccoli ambienti, in cui sono posizionati i personaggi in plastilina. Un esempio di questa tecnica è la splendida serie di film di Nick Park, Wallace and Gromit, protagonisti anche del lungometraggio Wallace e Gromit e la maledizione del coniglio mannaro, ed anche il lungometraggio Galline in fuga, tutti realizzati dallo studio inglese Aardman Animation. Anche i film di Fusako Yusaki si inseriscono in questo filone: la trasformazione della materia che prende vita, la creazione di un’opera che si trasforma sotto le mani dell’artista, sono le caratteristiche dei suoi film. Una volta posizionati i personaggi, si fa uno scatto con la cinepresa; immediatamente dopo l’animatore va a modificare il personaggio, aggiunge o rimuove plastilina, o semplicemente gli fa fare un piccolo movimento, poi ancora uno scatto, ancora un movimento. Questa tecnica permet174

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LE TECNICHE DELL’ANIMAZIONE, DALLA TRADIZIONE ALLA SPERIMENTAZIONE

te all’artista di manipolare veramente l’oggetto, di creare il film con le proprie mani. Proprio grazie all’Aardmand Animation, fondata da Peter Lord e David Sproxton, la tecnica della plastilina ha conosciuto in questi ultimi anni un successo straordinario, fino alla realizzazione di lungometraggi di grande successo internazionale. Con Galline in fuga del 2000, prodotto dalla Dreamworks e realizzato da Peter Lord e Nick Park, la Aardman ha dato prova dell’alto livello a cui può arrivare la lavorazione di un film con la tecnica della plastilina, frutto del meticoloso lavoro di numerosi artisti, alla cui base c’è l’artigianato, la manualità e tantissima pazienza. A volte è utile per la lavorazione delle scene di un film in plastilina, girare delle riprese dal vero con attori in carne e ossa, in modo che gli animatori possano poi ispirarsi a quei filmati per far recitare gli attori di plastilina. Così Nick Park e Peter Lord hanno recitato e ripreso diverse scene del film per poi studiarle e capire come farle funzionare. La tecnica dei pupazzi è abbastanza elaborata. Il personaggio viene ideato e poi realizzato utilizzando un supporto metallico all’interno, che permette di tenerlo in piedi e di muoverlo. All’esterno è spesso realizzato con materiali morbidi, che permettano il movimento, la gommapiuma o il silicone. Il personaggio, inserito in un set, viene mosso scatto per scatto dall’animatore, che alla fine ci regalerà l’illusione del movimento. 10.2.4 Il disegno diretto su pellicola Per questa particolare tecnica non occorre la ripresa, il disegno viene infatti realizzato direttamente sulla pellicola. È meglio parlare di incisione piuttosto che di disegno, in quanto grazie ad una punta da incisione si realizza l’immagine sul piccolo fotogramma. L’autore ha infatti a disposizione, sul tavolo da lavoro, la pellicola 35mm fotogrammata, che può essere bianca, nera o di altri colori. Con l’aiuto a vote di un microscopio, per una maggiore precisione, si incide la pellicola, grazie ad una punta e a una piccola fresa, si possono usare anche pellicole già impresse lavorando e modificando l’immagine che c’è già. Si lavora su un’area che per ogni fotogramma è di circa nove centimetri quadrati: questa tecnica richiede un’estrema precisione e anche molta pazienza. Gli autori storici che l’hanno utilizzata con grandi risultati sono Len Lye e Norman McLaren, ma anche l’italiano Vincenzo Gioanola, come si è visto, ha realizzato interessanti e divertenti corti con la stessa tecnica. 175

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10.2.5 Altre ricerche Questa piccola rassegna delle maggiori tecniche usate nell’animazione non è certo esaustiva delle numerose esperienze e sperimentazioni che da sempre si sono susseguite in questo campo. A quelle elencate si può aggiungere la tecnica del rotoscopio, che permette all’animatore di avere in proiezione sul tavolo delle scene girate dal vero. Manfredo Manfredi ha utilizzato questa tecnica nel realizzare le scene di battaglia per il film L’eroe dei due mondi di Guido Manuli e per la scena del sogno di Aida, sempre di Manuli. Per le sperimentazioni storiche si può accennare allo schermo di spilli inventato da Alexandre Alexeieff 8, formato da una grande tavola verticale con inseriti un milione di spilli, l’autore creava delle splendide animazioni, che spesso sembrano delle foto in bianco e nero, delle incisioni in movimento. L’illusione dell’immagine si ottiene spostando gli spilli lungo la profondità della tavola, giocando sulle alternanze dell’ombra degli spilli sul bianco della tavola, grazie ad una straordinaria disposizione della luce. Un’altra esperienza storica è quella di Oskar Fischinger 9 e della sua macchina della cera, aveva inventato cioè una macchina collegata ad una cinepresa, che permetteva di riprendere le mutevoli venature della cera mentre veniva tagliata.

8 Alexandre Alexeieff (1901-1982), incisore come prima formazione, cercava nell’animazione il modo di mettere in movimento le sue incisioni, arrivando a inventare lo schermo di spilli, assieme a Claire Parker (1906-1981). I due realizzarono con questa tecnica dei film che sono considerati delle opere fondamentali per la storia del cinema d’animazione. 9 Oskar Fischinger, tedesco (1900-1967), la sua vita fu caratterizzata dalla continua ricerca nel campo dell’animazione.

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Capitolo 11 LA PAROLA AGLI AUTORI

In questo capitolo sono raccolte le interviste realizzate con gli autori d’animazione1. Leggendole ci si addentra nel mondo dell’animazione italiano, raccontato direttamente da chi lo vive. L’intenzione è proprio quella di dare testimonianza di voci profondamente diverse, ma che hanno fatto e fanno l’animazione in Italia: dall’autore con quaranta anni di esperienza, che ha vissuto sulla propria pelle la crisi dell’animazione italiana e che in qualche modo è stato protagonista della sua evoluzione storica; al giovane con poche realizzazioni alle spalle che racconta del suo inserimento nel mondo artistico e lavorativo dell’animazione; agli autori che tra gli anni ottanta e gli anni novanta si sono cimentati con l’avvio di un proprio studio di animazione; fino all’autore che si occupa esclusivamente di sperimentazione. L’intervista indaga principalmente l’evoluzione dello stile personale, le scelte, le influenze artistiche. Per alcuni l’incontro con il cinema d’animazione è stato casuale, per altri invece ricercato e voluto fortemente per una passione nata molto presto. Il percorso artistico personale ha condotto ognuno di loro su diverse strade, dalle realizzazioni di cortometraggi d’autore ai lungometraggi, dai lavori su commissione a sperimentazioni senza sosta, facendoci percepire tutta la ricchezza e potenzialità espressiva raccolta sotto il termine cinema d’animazione. Le interviste sono state raccolte in un arco temporale di qualche anno, e concentrate negli anni cruciali della rinascita della produzione italiana, per favorire la comprensione e l’analisi delle tematiche e delle problematiche emerse proprio in quel periodo di radicali cambiamenti. Voci diverse, a volte discordanti, testimonianza viva di quello che è stato il cinema d’animazione italiano nei decenni più recenti. 1 Al termine di ogni intervista si trova la nota biografica di ogni autore. La filmografia è invece raccolta in fondo al testo, assieme alla bibliografia.

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11.1 Mario Addis Qual è stato il tuo esordio nel mondo dell’animazione? Sono entrato nel mondo dell’animazione per passione. Arrivato dalla Sardegna sono riuscito a mettermi in contatto con alcuni professionisti del settore. Erano dei cartoonist che lavoravano soprattutto nel mondo della pubblicità, con grande capacità tecnica, considerati in Italia i migliori perché avevano avuto la possibilità e la fortuna di fare esperienza di animazione con gli americani, quindi utilizzavano un metodo di animazione particolare, diverso dagli altri. Si tratta di Walter Cavazzuti, Michel Fuzellier e Giovanni Ferrari. Queste tre persone mi hanno insegnato le basi dell’animazione. Ho poi fatto esperienze come illustratore: mi è sempre piaciuto spaziare molto nel campo del disegno, quindi ho esperienza sia come fumettista che come illustratore, come caricaturista e regista di film d’animazione. Ho avuto la mia piccola casa di produzione che poi ho lasciato, adesso continuo a lavorare come free-lance.

50 Mario Addis

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LA PAROLA AGLI AUTORI

Nella tua attività si alternano cortometraggi d’autore ad opere su commissione. Come vivi questi due mondi? Intanto parte tutto dal grande amore per il disegno, come mezzo di espressione. Espressione non intesa come lancio di un messaggio ma proprio come sfogo di una passione. Quindi il disegno è la cosa importante, mi piace utilizzarlo nei diversi mezzi, nel cinema, nel fumetto, nell’illustrazione. Soprattutto nei film utilizzo diversi strumenti, mi piace disegnare con la matita, col pennarello, con i pennelli. Ma lo stile sostanziale è il mio, ed è riconoscibile nei diversi mezzi. Poi un film su commissione non è molto diverso da un film d’autore. É differente nel senso che hai come scopo quello di dover raccontare una storia che raggiunga determinati obiettivi che sono stati dettati dal tuo committente mentre invece il fatto che tu sia committente di te stesso ti trasforma in un autore. Chiaramente racconti delle cose o delle storie che per te sono più importanti, rispetto a quelle che ti vengono commissionate, la differenza sostanziale è questa. Quindi concilio molto volentieri questi due aspetti. Vorrei che mi dicessi qualcosa sul tuo film Giano. Giano è stato forse il primo esperimento, non grafico, ma di narrazione, nel momento in cui mi sono lasciato più andare nel raccontare. Avevo come obiettivo quello di dover partecipare a una mostra d’arte, quindi ero molto libero, non avevo nessuna esigenza di dire cose particolari, come invece mi è capitato con il corto per Mtv, in cui dovevo fare una denuncia sociale 2. In questo caso invece dovevo raccontare qualcosa di mio, sono partito da un’immagine, così come parto dalle immagini quando scrivo qualcosa, e ho raccontato il mio film. Tutto gira attorno alla bellezza e al fastidio di una persona che si cancella il volto e che ha dunque la possibilità di vivere un’altra vita. Tutto quello che c’è prima e che c’è dopo è qualcosa di misterioso e caotico: tutto ruota attorno a quel punto e il film è un continuo cambiare. All’inizio una serie di cambi di volti, che però sono costruiti sempre in un certo modo: quando tratteggiavo i personaggi disegnavo una parte del foglio e lasciavo bianca l’altra, poi cancellavo ciò che avevo fatto e disegnavo sull’altra parte bianca, e poi mandavo in alternanza questi disegni creando un effetto di sfasamento. Passavo dal colore al bianco e nero, dalla stasi al movimento, era un con-

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Si riferisce al cortometraggio Un capitalismo dal volto umano dal 1998.

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tinuo mutamento: di Giano che dorme, che si sveglia, che si alza e cammina, poi si ferma, passa attraverso una porta, cambia la situazione. È molto giocato su queste alternanze, senza avere la presunzione che queste cose possano essere avvertite tutte, ma con il gusto che tutto possa sembrare un gioco. Però per me è stato molto importante perché alla fine è stato come avere un caleidoscopio. In seguito hai realizzato Minus. Minus è un esperimento simpatico perché è nato dall’idea di un fumetto di Marcello Jori, un fumettista piuttosto noto. Mi era piaciuto un suo fumetto raccontato in due vignette, dove c’era il personaggio che io ho poi utilizzato per il film. Nella prima vignetta scriveva con una penna che era attaccata al suo braccio, e dunque col suo sangue, nella successiva vignetta c’era lui accasciato con scritta la parola fine. Su questo ho costruito il film, divertendomi a sceneggiarlo, con l’introduzione, l’attesa, il movimento, lui che scrive e che poi muore. Ho cercato di trasportare nel tempo quello che c’era nel fumetto, mantenendo questa sensazione inquietante. L’idea era che nel momento in cui finisci di scrivere, finisci di esistere, ed è quello che facciamo noi, quello che io ripeto nelle cose che faccio: continuo a raccontare. La scrittura per me è molto importante, la lettura, il concetto della parola scritta e parlata. Mi è piaciuto raccontare questo sia nei fumetti, con dei personaggi come Alef, che è un vampiro di libri e quindi si nutre delle parole, sia nel film La materia, in cui la parola è materia, che viene fornita come cibo alle persone che se ne devono nutrire per poter imparare. Ho voluto evidenziare questo concetto anche nel suono, infatti ho chiesto al compositore di studiare per il film delle musiche partendo dal concetto della parola. Il compositore è andato in giro per le scuole registrando il vociare dei ragazzi nei corridoi, che ha poi trasformato, ripulito, e con questo ha creato la colonna sonora per l’introduzione del film: lettera per lettera, fino a creare tutta la parola, la materia. Questa cosa mi è piaciuta molto. 7 ottobre 2000 Mario Addis nasce a Sassari nel 1961. Nel 1983 si trasferisce a Milano dove inizia a lavorare come animatore ed illustratore. Nel 1988 realizza il suo primo corto e nel 1993 fonda con Franco Serra la casa di produzione Gertie. Negli anni novanta realizza alcuni corti e diverse animazioni su commissione. Nel 1998 lascia la Gertie e continua la sua attività come regista e autore free-lance. Il suo corto per le ferrovie dello

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LA PAROLA AGLI AUTORI

stato ed i titoli di testa per Il mostro di Benigni vengono selezionati al festival di Annecy del 1995. Il suo film realizzato per Mtv, Un capitalismo dal volto umano, vince il primo premio come miglior film su commissione al festival internazionale di Zagabria. Addis lavora poi alla supervisione dell’animazione per il lungometraggio Johan Padan a la descoverta delle Americhe di Giulio Cingoli, 2003, realizzando anche due sequenze del film.

11.2 Bruno Bozzetto Vorrei che mi parlassi della tua attività di questi ultimi quindici anni. Io ho sempre amato il cortometraggio come forma espressiva, per me il cartone animato ha sempre significato cortometraggio, quindi tutto il mio tempo libero, anche in questi ultimi anni, l’ho dedicato a questo, come passione prediletta. Poi, chiaramente, ci sono progetti che arrivano, magari sono sollecitato da altri, si parla di serie televisive o di lungometraggi, cose che faccio volentieri però, a questo punto della mia carriera, a livello di studio, di preparazione. Però nel resto del tempo, o faccio

51 Bruno Bozzetto

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vignette per delle riviste a cui collaboro, oppure lavoro su dei cortometraggi. Nel 1990 ho realizzato Cavallette, è un cortometraggio che amo molto, perché ho ripreso la storia del mio cortometraggio Tapum! La storia delle armi 3, che ho fatto quando avevo vent’anni. Con Cavallette ho trattato lo stesso argomento, che è quello della guerra, e l’ho sviluppato, secondo me, in modo un pochino più intelligente. Ho realizzato tanti cortometraggi, perché c’è sempre il piacere di raccontare qualcosa della nostra vita quotidiana, trasformato in cartone animato. Questo è quello che a me interessa: guardandomi intorno, quando trovo qualcosa che ho da dire, faccio un film. Non è che io faccia il film perché lo debba fare, lo realizzo perché ho un’idea. Invece il rischio di questo lavoro è che quando si diventa professionisti, automaticamente, finito un film, se ne fa un altro, e questo io non lo trovo giusto, ossia trovo che il cinema sia essenzialmente un mezzo di comunicazione, quindi io lo uso quando ho delle cose da dire. Partendo da questo punto di vista, spiego anche il mio modo di vedere il cartone animato: i miei film hanno tutti un contenuto, cercano di mostrare qualcosa della nostra vita. Questo è il punto di vista da cui parto per tutti i miei lavori. Poi ho scoperto il computer, che mi ha dato un’ulteriore spinta e anche una specie di nuovo entusiasmo, nel senso che mi sono ritrovato a sperimentare di nuovo un mezzo, un po’ come quando sperimentavo il cartone animato quaranta anni fa. Ho trovato delle cose nuove, e anche la cosa più bella, perché il mio sogno era di fare lo scrittore, se io dovessi rinascere farei lo scrittore. Mi piace perché uno vive con se stesso e una matita, non ha bisogno di niente, adesso col computer ho fatto un grande passo di avvicinamento a questo tipo di lavoro. Ho la possibilità di fare tutto, quindi, come uno scrittore, se ho un’idea, posso farla nascere, svilupparla e finirla, e per me questo è un grande regalo. In passato dovevo creare la storia, poi trovare gli animatori, gli intercalatori, i coloritori. La spesa era dieci volte più alta: io posso lavorare la notte, il sabato e la domenica, ma nel momento in cui prendi altra gente, diventa un costo, allora incominciava a nascere l’antipaticissima questione: «ho una bella idea, ma vale la pena di spenderci dei milioni?».

3 Tapum! La storia delle armi è uno dei primissimi cortometraggi realizzati da Bruno Bozzetto, nel 1958, della durata di 13 minuti.

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LA PAROLA AGLI AUTORI

Allora mi fermavo. Adesso non ho più questo problema, ho risolto un problema che per me era importante. Certo, sto parlando di piccoli film. Ma io ho sempre amato le piccole cose, i miei film più belli credo che siano Una vita in scatola 4 e un altro molto curioso, I due castelli 5. Sono corti che, se ci penso oggi, potrei farli col computer, perché i personaggi sono piccoli, e tutto quello che conta è il montaggio, la musica, l’idea. Allora mi sono detto che evidentemente già trenta anni fa avevo una mentalità per le cose semplici, pulite, che mi rendono adatto a questo mondo che sta arrivando adesso. Io ho sempre amato la sintesi e credo che sia una meta difficilissima in tutti i settori, un giornalista bravo è quello che scrive con dieci righe, non con cento. Quindi prendere un personaggio e una storia: di tutte le cose fare una sintesi e poi fare il film o il libro. Ciò significa che bisogna comprendere il problema nei dettagli e poi sintetizzarlo. Quindi il computer, che è stilizzato per sua natura, mi aiuta in questo. Continuerò su questa strada fino a quando mi accorgerò che comincio a ripetermi, perché devo sempre trovare cose nuove altrimenti mi fermo. Infatti mi sono sempre definito un dilettante, un professionista è quello che raggiunge una capacità in un campo e la sviluppa fino all’estremo. Io invece quando arrivo lì ricomincio da capo. Amo il rischio e la ricerca, la mia è una ricerca radicale, proprio al limite. Questo mi piace, mi dà la carica, ho cercato, e ci sono riuscito fino alla mia età, di divertirmi lavorando, ed ho scoperto stranamente che più mi diverto io e più si divertono gli altri. Se si sente se c’è una forzatura, si sente l’obbligo, invece quando uno gioca, fa la cosa folle, allora funziona, però è una condizione particolare che bisogna anche mantenere. In cosa è cambiata l’animazione negli anni novanta? Ci sono vari settori, il settore che la gente conosce è il lungometraggio o il serial televisivo, ma i cortometraggi non li conosce. Il lungometraggio è cambiato parecchio, nel senso che stiamo andando verso una ricchezza di forme, di realizzazioni che sono incredibili, e mi chiedo dove arriveremo. Per me è un periodo molto affascinante, però molto difficile da giu4 5

Una vita in scatola, cortometraggio del 1967, durata 6 minuti. I due castelli, cortometraggio del 1963, durata 4 minuti.

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dicare. C’è un’evoluzione rapidissima che però stranamente porta sempre di più il cinema ad uno spettacolo totale. Io personalmente mi sento un po’ annichilito da questo, perché amo le piccole cose e mi sento sempre più lontano. Con questo non è che io cambi via, trovo che siano due mondi diversi. Il serial televisivo non ha subito grandi cambiamenti, il grandissimo mutamento è arrivato con i giapponesi. Loro hanno cambiato sostanzialmente il modo di concepire la sceneggiatura: noi prima eravamo abituati ad una sceneggiatura più semplice, così come per le riprese. Con i serial giapponesi, con le loro inquadrature dall’alto, dal basso, e così via, c’è stato un grande mutamento dal punto di vista visivo, che ha portato, secondo me, il mondo del fumetto dentro l’animazione, con le inquadrature da fumetto. Questa è una cosa curiosa, mentre noi nell’animazione siamo sempre stati lontani dal fumetto, loro sono partiti proprio da quello, quindi hanno avuto un approccio totalmente diverso, e devo dire che funziona, che ha portato qualcosa di nuovo. Anche la serie americana I Simpson ha rivoluzionato molte cose, non solo dal punto di vista formale, ma di contenuto, finalmente siamo arrivati a quello che io ho sempre amato, cioè alla sit-com fatta in animazione. Personaggi che parlano di problemi di tutti i giorni, ingigantiti, esasperati, però problemi veri, questo è piaciuto tantissimo al pubblico. Poi ci sono le serie medie che più o meno hanno avuto un grande cambiamento più produttivo che altro. Il cortometraggio invece è sempre stato in cambiamento da quando è nato, è una ricchezza, un esperimento, un terreno dove uno fa ciò che vuole. C’è sempre una buona percentuale di film pittorici, fatti di movimenti, di quadri, che non amo, per me sono più ricerche grafiche. Diversa è la pittura in movimento di The old man and the sea di Alexander Petrov6, che è un capolavoro, quella è pittura, ma è anche un film. Lo spettacolo è fondamentale, faccio un film per la gente, non per metterlo in un cassetto, lo faccio per divertire le persone, per farle ragionare, quando finisce il film voglio aver dato qualcosa, sensazioni, contenuto, emozioni. 6 Alexander Petrov, russo, nato nel 1957, è un autore d’animazione noto per i suoi splendidi film realizzati con la tecnica della pittura su vetro direttamente sotto la macchina da presa. Ha avuto due nomination all’Oscar, nel 1989 per The cow e nel 1998 per Rusalka, the Mermaid, fino ad ottenere per The old man and the sea, del 1999, il premio Oscar come miglior cortometraggio nel 2000.

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Cosa ti piace trasmettere al tuo pubblico? Prima di tutto divertirlo, ma mi piace sempre anche farlo riflettere su quello che è la vita. Così io noto delle cose che possono essere giuste o sbagliate, e mi piace comunicarle agli altri. Tanti miei film sono ecologici, altri sono semplicemente dei ragionamenti. Per esempio To bit not to bit, nasce da un’idea che non sono riuscito a sviluppare, era molto bella, poi l’ho persa totalmente: volevo mostrare come ci si comporta di fronte a determinate cose, i riflessi condizionati, gli automatismi. Per esempio l’idea di Mister Tao nasce mentre camminavo dietro mio padre in montagna, ragionavo tra me pensando che in quel momento stavamo andando in cima a una montagna, quindi stavo facendo un percorso che simbolicamente rappresentava la vita, se lo si fa correttamente, seriamente, è il massimo della vita. Da lì sono arrivato a Mister Tao. Quindi ogni film ha un’origine diversa, però parte sempre da un’osservazione di ciò che c’è attorno a noi. Dancing è una riflessione sull’ottimismo che può sconfiggere anche la morte, insomma anche dei concetti un po’ filosofici, cerco di renderli in maniera divertente e piacevole. Quello di Europe & Italy è un ragionamento su come ci comportiamo. Con Tony e Maria ho voluto provare a raccontare una storia un po’ al di fuori del mio genere, ma lo considero un esperimento. Poi questi film li mando a un festival, il pubblico li vede e mi fa piacere, ma li faccio per il piacere di farli. Qual è stato il motivo che ti ha spinto alla realizzazione di un lungometraggio dal vero, Sotto il ristorante cinese, dopo tanti anni di animazione? La mia origine viene dal film dal vero. Quando ho iniziato a fare i primissimi film, non ho realizzato cartoni animati. Avevo una cinepresa che aveva comprato mio padre e ho cominciato a fare documentari, ho iniziato ad appassionarmi. Soprattutto mi piaceva montare i film, in quanto per me il montaggio è una delle parti più belle di un film. Ho cominciato a fare dei film coi miei compagni di scuola, piccole storie; io facevo l’attore, l’operatore, il regista. Poi ho iniziato ad accorgermi dei problemi: essendo al liceo, dei ragazzi venivano a fare le comparse, ma presto si stancavano, io per passione continuavo. Mi sono reso conto dei problemi tecnici, bisognava avere le lampade, luci, era costoso e lungo. Però la mia idea restava quella di raccontare delle storie, ecco perché la mia provenienza non è pittorica ma cinematografica. Se mi chiedessi chi amo come 185

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autori, non ti direi come primo Walt Disney, ti direi Stanley Kubrick, Federico Fellini, quelli sono i miei punti di riferimento, mi interessa questo genere di linguaggio e di espressione. Quando mi sono accorto dei problemi con il cinema dal vero, ho cominciato a fare delle prove disegnando: io avevo sempre disegnato sui diari, facevo continuamente dei pupazzetti. Ho fatto delle piccole prove, però non mi decidevo a fare un cartone animato, perché quello che mi vedevo intorno era troppo grande, se vedevo Walt Disney non potevo pensare di imitarlo, era impossibile. Poi ho scoperto i film degli autori canadesi, fatti con dei pupazzi piccolini, e quelli li sapevo fare anche io: allora ho cominciato a fare dei film con dei personaggi molto semplici, raccontavo piccole storie e hanno funzionato subito, così ho continuato. Però la mia passione per il cinema dal vero non è mai morta, ho realizzato cortometraggi umoristici, ne ho fatti tredici per la Svizzera, ho fatto due mediometraggi di mezz’ora, ne ho fatti tanti, mi piace, anche se è faticoso. Quando ho realizzato il lungometraggio dal vero, Sotto il ristorante cinese, nel 1987, per me è stato faticoso, mi sono divertito, ma non lo rifarei più. 7 ottobre 2000 Bruno Bozzetto è uno dei maggiori autori d’animazione italiani. Nato a Milano nel 1938, si dedica fin da giovanissimo al cinema, iniziando con i cortometraggi dal vero e poi rivolgendosi all’animazione. A vent’anni realizza Tapum! La storia delle armi, che ottiene riconoscimenti in numerosi festival internazionali. Nel 1960 fonda la sua casa di produzione, specializzandosi in sigle per la televisione, pubblicità, cortometraggi. Il più famoso tra i suoi personaggi è il Signor Rossi, protagonista di molti cortometraggi e tre lungometraggi. Ha diretto e prodotto tre lungometraggi in animazione di rinomanza internazionale, ed un lungometraggio dal vero. Ha realizzato i suoi più recenti cortometraggi utilizzando il computer 2D. Tra i riconoscimenti più significativi ottenuti per i suoi film: Mister Tao, premiato con l’Orso D’Oro al festival di Berlino del 1990 e Cavallette, che ha ottenuto la nomination all’Oscar nel 1991.

11.3 Leonardo Carrano Leonardo, tu nasci come pittore, cosa ti ha portato al cinema di animazione, o per meglio dire, nel tuo caso, alla pittura cinetica. Qual è stato il bisogno fondamentale? Io provengo da una famiglia di musicisti, sia mio fratello che molti miei zii e cugini sono musicisti. Il mio bisogno era di affrontare il problema dell’immagine, ho sempre avuto fin da piccolo il sogno di unire l’immagi186

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ne alla musica, come esigenza naturale, questo mi ha spinto a prendere una strada diversa dalla tradizione della mia famiglia e ciò mi ha portato a fare della mia pittura una pittura cinetica. La musica è rimasta però fondamentale. Ho avuto modo di conoscere quella classica, quella lirica, grazie, e, a mio fratello, la musica contemporanea e la musica popolare. Da qui nasce l’esigenza della codifica assoluta della musica: analizzarla al venticinquesimo di secondo mi dava l’opportunità di sposare la musica totalmente, come si vede nei miei film: in Awen, dove visualizzo il suono degli archi e di un clarinetto rispettivamente nello sfondo e nelle forme che si muovono davanti ad esso, su musica composta da Morricone figlio; in Le Possédé e in Orusborus, sempre su musiche di compositori contemporanei. Ci sono tra le tue opere alcune a cui sei più affezionato? Non ho un rapporto affettivo con le cose. Una volta dissi ad Aldo Braibanti durante un’intervista che i miei maestri mi hanno sempre inse187

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gnato a dipingere senza possedere, nel senso che quello che fai, non lo possiedi, non è più tuo. Quindi non sono legato particolarmente a nessuna delle mie opere, nel momento in cui finisco un film sto già pensando all’altro. Per me la meraviglia c’è soltanto quando vedo il film finito per la prima volta, poi non mi meraviglio più nel senso che per me questa cosa è già lontana, così come per i quadri e per le incisioni. È proprio qui che si innesta la tua voglia di ricerca continua, infatti tu non utilizzi quasi mai la stessa tecnica nei tuoi film e sei sempre alla ricerca di mezzi e contenuti nuovi. Senza tregua, per me la ricerca è un fatto naturale. Per me il bello è il come arrivi a fare una cosa, è la storia della lavorazione di un film, di un quadro o di una incisione, dunque l’esperienza, è essa che mi arricchisce veramente. In molti dei tuoi film è presente la ciclicità, come è evidente ne Il cerchio e la soglia, ma anche in Pentesilea, in cui vediamo la sequenza iniziale ritornare alla fine. La ciclicità: sono affascinato dal fatto che le cose hanno un respiro. Questo respiro è una osmosi, si allarga e si stringe. Nelle architetture del Borromini c’è molto di questo secondo me, San Carlo alle Quattro Fontane è un vero e proprio respiro. Torniamo alla musica: sei partito dalla musica contemporanea fino ad arrivare all’utilizzo delle vocalità umane dei cinque continenti come colonna sonora de Il cerchio e la soglia. Come sei giunto a questo risultato? L’esperienza è iniziata grazie a un consiglio di Silvano Bussotti, compositore con il quale ho collaborato. Gli avevo chiesto la musica per il film Le possédé, gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare un’animazione sulla sua musica, che è contemporanea e che dunque ha una particolare struttura. La struttura della musica contemporanea mi dà infatti la possibilità di creare delle immagini ancora più astratte, più vicine a quello che è il mio mondo. Bussotti mi disse una cosa che mi colpì molto, mi consigliò di ricercare la musica per i miei film da solo, anche se non sono musicista. Mi disse di immaginare, di ricercare soprattutto e tirare fuori da ciò che ascoltavo quello che mi interessava. Questo è infatti accaduto per Il cerchio e la soglia, in cui io ho fatto una ricerca sulle vocalità umane, facen188

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domi spedire materiale da tutto il mondo e da cui ho estrapolato ciò che mi interessava: poi la realizzazione della colonna sonora è stata fatta da un vero musicista, che è mio fratello Cristiano, ma l’esperienza è stata fondamentale per me. La mia ricerca si è infatti spostata verso una musica che non è più legata come prima alle immagini ma che sia una “convergenza parallela”, come spesso diceva Aldo Moro. Tutto ciò mi ha dato la possibilità di creare la mia musica per i miei film. Il tuo è un cinema profondamente sperimentale. Io provengo dalla pittura e per me l’astrazione è fondamentale. Io sono figlio senza saperlo di quella che è stata l’avanguardia storica nell’animazione, io ho cominciato spontaneamente, poi l’ho conosciuta. Mi sono ritrovato proprio in quel tipo di sperimentazione, con le dovute differenze date dalle maggiori disponibilità odierne, che mi permettono di unire alle tecniche artigianali, l’uso della luce, i pennarelli, la pittura e il vetro, tutta la manualità, a quello che è la disponibilità della tecnologia moderna. 23 settembre 2000 Leonardo Carrano nasce a Roma nel 1958. Compie gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma. Attualmente insegna materie artistiche. Nel 1992 comincia a occuparsi di cinema d’animazione sperimentale, realizza i suoi primi film in collaborazione con Alessandro Panzetti per poi continuare la sua ricerca in maniera autonoma. I suoi lavori richiamano subito l’attenzione degli addetti al settore. Le sue opere sono state presentate in diversi festival internazionali e trasmesse su Rai Tre nei programmi “Blob Cartoon”, “Fuori Orario”, “Cose mai viste”. Uno dei suoi più recenti corti, Noiselevel del 2002, è stato presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

11.4 Roberto Catani La tua formazione nel mondo dell’animazione comincia molto presto, ti sei diplomato infatti nell’Istituto d’Arte di Urbino, che ha un’importante sezione di animazione. All’inizio facevo un’altra scuola. Casualmente ho visitato la scuola di Urbino che mi ha subito coinvolto, perché ho visto cose in animazione che non avevo mai visto prima, fino ad allora conoscevo solo Walt Disney e 189

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poco altro. Quando ho guardato i disegni sulle pareti di questa scuola sono rimasto molto colpito, e ho deciso di iscrivermi lì, sono andato ad Urbino a quattprdici anni. Ho scoperto un mondo dell’animazione che non conoscevo, ho iniziato a vedere i film animati di Luzzati e Gianini, di McLaren. I cinque anni ad Urbino sono stati eccezionali perché sono capitato in un periodo in cui c’erano tanti studenti che ora sono animatori molto importanti, come Gianluigi Toccafondo e altri ancora. Abbiamo condiviso gli anni di scuola e insieme abbiamo girato i festival di animazione, c’era il confronto continuo tra di noi. È stato un momento importante dentro e fuori la scuola. Con gli anni, mi sono anche un po’ allontanato dall’animazione e mi sono concentrato più sull’illustrazione. All’animazione come autore ci sono tornato praticamente a trenta anni, anche se la insegnavo all’Istituto di Urbino già da prima: però a trenta anni ho realizzato il mio primo film d’animazione. 190

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Infatti hai cominciato a insegnare nel 1989. Ho iniziato a ventitre anni con una supplenza ed ormai insegno animazione da sedici anni. La sagra, che è il tuo secondo cortometraggio, è l’espressione di una gioia contagiosa, della festa in paese, e a tratti c’è anche qualche momento di malinconia. Cosa rappresenta per te? Come hai detto, La sagra è una festa in cui ci sono anche dei momenti di malinconia, come forse in tutte le feste. Io sono partito proprio da questi due presupposti. É un’idea che avevo già da tempo, quella di rappresentare un momento della mia vita legato all’infanzia. Ho dei ricordi della mia infanzia trascorsa vicino Jesi, dove si svolgevano delle sagre paesane in cui c’erano grandi momenti di gioia e in cui vedevo molte persone sorridere e divertirsi. Una cosa nelle feste mi ha sempre molto colpito: a volte le persone riescono a tirar fuori il sorriso, è un momento di serenità in un contesto che poi forse non è così sereno. Così ho pensato di riproporre quelle musiche, quell’ambiente, quei colori, quella vivacità della festa. Le solitudini si perdono all’interno della festa, ma poi riemergono alla sua conclusione. Spiegare una cosa è molto più complesso che disegnarla, sono sensazioni visive che uno ha, per cui le riproduce proprio per quello che percepisce. Nel 2002 realizzi La funambola, un film poetico che in qualche modo parla della donna o di una donna. Che cosa ha ispirato questo film? Anche qui è complicato spiegarti l’idea da cui sono partito. È un’idea di solitudine, in questo caso di una donna. Mi è capitato spesso nella vita di incontrare persone, donne, che hanno rimpianti, che sono tornate a riflettere sul loro passato e su ciò che hanno perso perché magari hanno legato la loro vita ad una famiglia, ad un uomo, a dei figli, concentrandosi e dedicando tutte loro stesse a queste persone, ma dimenticando altre cose che riguardavano la propria vita. Era una riflessione per immagini su questi argomenti. Ho cercato di rendere più profonda questa sensazione con le immagini. Spero di non aver banalizzato con le parole quello che con le immagini ha una struttura completamente diversa. Nei tuoi film il rapporto con la musica è fondamentale, hai avuto due collaborazioni molto importanti. Per La sagra hai collaborato con Mario Ma191

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riani e per La funambola con Normand Roger. Vorrei sapere come imposti la collaborazione con il musicista, se nasce prima l’immagine o la musica. Nasce prima l’immagine, assolutamente. Io ho sempre contattato i compositori a film finito: ossia i musicisti vengono dopo, ma la musica va parallela al film. Generalmente quando disegno ho un’idea musicale, per esempio per la sagra ho ascoltato e ricercato ovunque i dischi di Riccardo Tesi, musicista che ha rivisto un po’ tutta la musica del folklore italiano. Attraverso i ritmi di quelle musiche ho costruito il film. È importante il ritmo della musica così come è importante il ritmo del film, perché tutte e due le cose si influenzano, si condizionano. Quindi c’è sempre un’idea musicale a cui mi ispiro e che però poi non è quella che metterò nel film; poi vado a contattare il musicista al quale spiego le idee musicali che ho avuto durante la realizzazione dei miei disegni, e cerco di fare in modo che il musicista collabori con me su questa traccia iniziale. L’idea musicale che c’è dietro e dentro al film è molto importante. Le due collaborazioni con i due musicisti sono state ben diverse, Mario è delle Marche come me, ci siamo conosciuti quasi per caso, è stata una collaborazione molto divertente. Per La funambola avevo contattato già un altro musicista poi, ad un festival in Francia, ho conosciuto Normand Roger e lui mi ha detto che gli sarebbe piaciuto lavorare con me. A quel punto io gli ho detto che stavo lavorando ad un film che gli ho fatto vedere, ed era La funambola. Lui fu entusiasta del film e decidemmo di lavorare assieme. La collaborazione con Normand è stata bellissima, lui è un uomo importantissimo nel mondo del cinema d’animazione. Mi scriveva per concordare le scelte musicali per ogni sequenza, quindi è un lavoro fatto insieme. Questa cosa mi ha stupito positivamente, è stato bellissimo lavorare con lui direttamente sulla musica, questa è una cosa che non mi era mai successa prima. 5 febbraio 2005 Roberto Catani nasce a Jesi nel 1965. Diplomato in Cinema di Animazione nel 1986 presso l’Istituto Statale d’Arte di Urbino, è dal 1989 docente di Disegno Animato presso lo stesso Istituto. Più volte selezionato per la mostra degli illustratori alla Fiera del Libro per ragazzi di Bologna, ha realizzato disegni e illustrazioni per diverse riviste e per i manifesti di alcuni festival italiani e internazionali. I suoi cortometraggi sono stati selezionati nei maggiori festival internazionali dove hanno vinto diversi premi e riconoscimenti, tra cui la menzione speciale al festival di Annecy e il premio speciale al Festival di Hiroshima assegnati a La funambola.

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11.5 Osvaldo Cavandoli La Linea fa parte ormai del nostro immaginario, ha compiuto trenta anni. Probabilmente ha subito cambiamenti ed evoluzioni, come sono avvenuti? Diciamo che si è un po’ ingrassata, si è alzata un po’, ma il carattere è sempre quello. Ha sempre i suoi problemi. Qual è il tuo rapporto con la Linea, in cosa ti somiglia? Mi hanno detto tutti che sono un buffone! Sono abbastanza allegro, perché ti devo dire che questo lavoro mi porta a superare i problemi in quanto mi diverto. E allora la Linea mi assomiglia perché un po’ grazie a lui mi scarico. I suoi problemi a volte sono i miei o delle persone che mi stanno attorno: prendo i problemi della vita, la parte diciamo più negativa, per risolverli in qualche modo. Devo dire che questo lavoro mantiene

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giovani, con un personaggio di questo tipo, che ci riporta ai problemi della vita attuale, la gente ride e si riconosce nei suoi problemi e nelle sue avventure. Oltre alla Linea, hai realizzato negli anni cinquanta dei film a pupazzi che forse sono rimasti un po’ nell’ombra. Mi racconti di questa esperienza? Purtroppo devo dire che sia i pupazzi che la Linea stessa sono poco conosciuti in Italia. Io lavoravo in quegli anni per un mio maestro, Nino Pagot, che successivamente si è messo a lavorare per conto suo e io, siccome avevo una grande manualità, costruivo infatti aeromodelli e navi, ho provato a fare i pupazzi. Ho fatto un campione e, con un mio amico fotografo, abbiamo creato Pupilandia, che era la nostra piccola società; abbiamo trovato un’agenzia che ha visto il campione e gli era piaciuto. Abbiamo lavorato per circa otto anni, facendo pubblicità per il cinema, perché allora la pubblicità si proiettava nei cinema. Questo fino agli anni sessanta, poi pian piano è iniziata la pubblicità in televisione, ed allora ho ricominciato a fare un diverso tipo di animazione. La Linea è il frutto evidente di una mano che disegna e che spesso entra nello schermo, dunque un lavoro prettamente artigianale. Ci sono stati cambiamenti nel realizzare le tue opere con l’avvento del computer? Questo sì. Io disegno sempre alla maniera disneyana dei primi tempi, quindi disegno su carta. I disegni, che una volta venivano messi su acetato e poi dopo venivano ripresi cinematograficamente su pellicola, prima in bianco e nero e successivamente a colori, con l’avvento del computer non sono più stati ripresi così. Le riprese vengono fatte direttamente passando i disegni al computer, quindi vengono anche molto meglio, più precise e più pulite, non si passa più dunque alla cosiddetta lucidatura su acetato. I fondi vengono messi al computer. Come è nata l’idea di Trazom su musica di Mozart, realizzato nel 1992? Trazom è la firma al rovescio di Mozart. Ho preso la parte, diciamo, divertente di questo grande artista e ho fatto questo film. L’ho realizzato pensando che la televisione lo proiettasse e invece non l’hanno neanche 194

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LA PAROLA AGLI AUTORI

voluto vedere. Sono ben 2.550 disegni e tutti i movimenti sono in sincrono con la musica. I tuoi lavori venivano soprattutto proiettati all’estero. È come se l’Italia si fosse accorta tardi della potenzialità della Linea come prodotto d’autore autonomo, liberandosi dall’idea che essa richiamasse il prodotto che all’inizio pubblicizzava. Questo è quanto mi dicevano le televisioni, non volevano fare pubblicità indiretta al prodotto. A me dispiace, non è per una questione di denaro, ma penso ai miei concittadini che ricordano i miei filmati in Carosello e non possono più vederli. Nei tuoi film si nota un particolare uso del colore, linea bianca su sfondo celeste, pronto però a variare seguendo le disavventure della Linea. Come pensi questo rapporto? Non ho mai pensato di usare una scenografia, si parte da un fondo fisso, di solito l’azzurro o il verde e magari in un momento con una situazione più forte, l’azzurro diventa blu scuro, oppure se la Linea prende una botta viene un lampo di rosso. È stato giocato così per sottolineare l’andamento e il senso dell’azione. E gli altri lavori realizzati negli anni novanta? Ho fatto tantissimi film pubblicitari per la Norvegia, la Polonia, la Danimarca, la Germania, la Francia, il Sud Africa, Turchia e Israele. In progetto ci sarebbe la serie La linea 2000, che parla della storia vista dalla linea da Adamo e Eva a Napoleone e così via, ho preparato tre storyboard, ma devo trovare i produttori. 3 ottobre 2000 Osvaldo Cavandoli nasce a Maderno sul Garda nel 1920, ha vissuto a Milano dall’età di due anni. È morto nel marzo 2007. Dal 1936 al 1940 lavora come disegnatore tecnico, nel 1943 entra allo studio di animazione di Nino Pagot come intercalatore per il lungometraggio I fratelli Dinamite. Dal 1950 lavora come libero professionista, realizzando per la pubblicità una serie di film a pupazzi, Pupilandia. Nel 1968 crea la Linea, personaggio protagonista di spot pubblicitari e dal 1972 in poi di un grande numero di cortometraggi. I suoi corti sono premiati al festival di Annecy nel 1972 ed al festival di Zagabria nel 1973. Sono stati pubblicati quattro libri con il suo personaggio.

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11.6 Giulio Cingoli I tuoi esordi nel mondo dell’animazione sono stati caratterizzati da un periodo di sperimentazione. C’è stata questa fase di ricerca formale, di sperimentazione. Ci dava fastidio il racconto, l’idea che ci fosse una trama, una partenza e un arrivo, che ci fossero dei personaggi con delle motivazioni, tutto questo ci sembrava superfluo. Si doveva arrivare all’emozione senza alcun riferimento concreto alle cose, se non evocate. Evocare i sentimenti con le immagini astratte è una cosa molto difficile, noi ci guardavamo bene dal fare agire dei personaggi in cui uno può riconoscersi, dei cartoon. Per noi il personaggio poteva essere una macchia, e quindi era molto più difficile, più intellettuale, non è un modo di fare spettacolo che può coinvolgere più di tanto, può coinvolgere l’intelligenza, la curiosità, ma non certo il cuore, quindi alla fine ha vinto il cuore.

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È giusto che sia così, perché poi lo spettacolo nasce dal bisogno di capirsi, nasce da un piacere estetico, perché lo spettacolo serve a vivere. Questo l’abbiamo capito molto dopo, infatti nel film a cui stiamo lavorando in questo periodo siamo sempre preoccupati se c’è l’emozione, se c’è il sentimento, anche una morale, che in un racconto è la chiave che ti prende per mano e ti porta dall’inizio alla fine, se il racconto è forte senti che hai fatto un viaggio vero dentro di te. Quindi tutti gli sperimentalismi e gli astrattismi servono molto per raffinare gli stili ma per parlare alla gente non servono granché. Serve di più saper raccontare. Quindi anche il cartoon segue questa esigenza. Guardo con curiosità alle nuove tecnologie, a internet, è fondamentale tutto quello che sta accadendo adesso, e lo sarà anche per raccontare, per lo spettacolo. Cosa è successo dopo questo periodo di sperimentazioni? Intorno al 1974 stavo progettando un film, Il viaggio di Lory e ho avuto l’appoggio della Rai; avevo un socio americano, e anche uno sceneggiatore americano. Era molto più anziano di me ed era un nome storico, Paul Jarrico, aveva fatto delle cose importantissime tra cui Il sale della terra, che è stato il primo film femminista del dopoguerra. È venuto in Italia a fare la sceneggiatura con me, siamo rimasti amici tutta la vita. Però questo film non si è fatto, ho chiuso tutto in un cassetto e non ne ho voluto sapere per venti anni. Nel 1994 ho tirato fuori Il viaggio di Lory, l’ho riscritto e il film è stato approvato per la produzione. Poco tempo dopo Dario Fo mi ha fermato per strada proponendomi di fare un cartoon insieme, da un suo testo, Johan Padan, ci ho pensato tre mesi e poi ho detto di sì, e mi sono messo a lavorare al progetto di Dario e ho accantonato per la seconda volta Il viaggio di Lory. 21 ottobre 2000 Giulio Cingoli nasce ad Ancona nel 1927. Si trasferisce a Milano nel 1954, dove lavora come illustratore per la Rai, disegnando in diretta nel programma “Passaporto”. Nel 1956 realizza la prima sigla in animazione della Rai. Nel 1962 fonda lo Studio Orti, lavorando per la pubblicità e la televisione, ma facendo anche cinema sperimentale, tanto che lo studio diventa sede dell’underground milanese, collegato al cinema d’avanguardia europeo e americano. Produce un cartone animato, promo del Satyricon di Federico Fellini. Negli anni ottanta e novanta produce filmati pubblicitari, lavori per la televisione e documentari. Nel 2002 ha diretto il lungometraggio Johan Padan a la descoverta delle Americhe sul testo di Dario Fo.

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11.7 Annalisa Corsi Annalisa, tu hai avuto una formazione come animatrice sia presso l’Istituto statale di Urbino che al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Parlami di queste esperienze. L’Istituto di Urbino corrisponde al periodo di scuola superiore. La scelta è stata immediata, ma anche sofferta, perché io non sono di Urbino, per me si è trattato di un grande cambiamento. Ho visitato la scuola con i miei genitori, mi sono appassionata al tipo di lavoro che lì veniva fatto, alle cose che venivano realizzate. Mi ha dato una formazione fondamentale, e si sente nel lavoro che faccio. La scuola ha un’impostazione verso il lavoro d’autore, prevalentemente illustrativa. È dunque una realtà che verte verso la pittura, verso la ricerca di un gusto personale. Ciò ha sviluppato in me lo

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LA PAROLA AGLI AUTORI

spirito di ricerca, il desiderio di esprimere certe cose. Poi mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere a Siena e ho mandato avanti parallelamente il lavoro pittorico e la ricerca letteraria, questo mi ha aiutato molto nel cercare di esprimermi al meglio come autrice. Sono arrivata poi al Centro Sperimentale di Cinematografia7, un’esperienza in tutto e per tutto positiva, con moltissimo lavoro, impegno ed anche incertezze. Alla scuola di Roma ho conosciuto un mondo nuovo, tante persone che avevano i miei stessi interessi, lavoravamo, studiavamo per cercare di creare e scrivere qualcosa di importante. L’esperienza è stata fondamentale anche grazie ai docenti, mi sono avvicinata al cinema d’autore, quindi a dei metodi espressivi per un racconto più intimo, grazie agli insegnamenti di Giulio Gianini, un autore importante nell’animazione internazionale, ed ho capito che oltre ad avere qualcosa da dire, devi possedere la tecnica per comunicarlo. Non bisogna rimanere sopra le righe, ma anche essere più pratici, e le due cose insieme, quando si sposano, creano un buon lavoro, che può essere visto da chiunque. Importante è stato anche l’incontro con il corso di scenografia, e in particolare con Dimitri Capuani, che era un allievo del corso, con il quale ho collaborato per le scene del film Il vascello fantasma. In realtà la proposta di Wagner è partita dal suo corso, perché dovevano realizzare una rappresentazione teatrale e Capuani ha pensato di rappresentarlo proprio con l’animazione, per cui è nata questa collaborazione. Fortunatamente il Centro Sperimentale ha la prerogativa di metterti in contatto con il mondo del lavoro, i docenti sono per la maggior parte persone che lavorano nel mondo dell’animazione. Frequentavo ancora il corso quando ho iniziato a lavorare in uno studio. Il lavoro nello studio è quello più seriale, ma anche quello più realistico e pratico: quindi l’esperienza della produzione, la scadenza, i tempi prestabiliti, non il film che si fa quando si ha l’ispirazione. Soltanto dopo due anni dal diploma, mi è arrivata la commissione di un lavoro più autoriale da parte della Rai8, che per me è stata molto importante. Qui dovevo unire tutta la razionalità di cui avevo fatto esperienza nello studio, la coerenza nel portare a termine

7 Annalisa Corsi ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia negli anni in cui il corso di cinema di animazione aveva sede a Roma. Attualmente il Dipartimento di Cinema di Animazione della Scuola Nazionale di Cinema-Centro sperimentale di Cinematografia ha sede a Chieri (To). 8 Si fa riferimento ai tre cortometraggi realizzati da Annalisa Corsi per la produzione Rai Educational, Noi, cartoni animati delle migliori intenzioni.

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SABRINA PERUCCA

un lavoro che deve essere visto da tantissime persone, con tutto quello che artisticamente avevo potuto apprendere. Parlami della realizzazione de Il vascello fantasma. Una critica che faccio a me stessa è che, dal punto di vista della sceneggiatura, Il vascello fantasma non è impeccabile. Nel senso che non essendo seguita da uno sceneggiatore, ero molto libera nel filo logico della narrazione, anche a causa di un tempo di lavorazione molto lungo, un anno e mezzo; ci sono dunque delle parti oscure e sicuramente viene fuori maggiormente la parte suggestiva. Magari chi guarda il film non pensa a dove siamo arrivati con la storia, però qualcosa si perde. L’indirizzo iniziale era sicuramente quello di dare più spazio alla suggestione, dunque avevo raggiunto il mio scopo. Però è anche vero che una parte di me mi spinge a pensare che c’è una concretezza che non va mai persa, un racconto: lo spettatore non deve solo essere coinvolto emotivamente. Comunque io non andavo a ruota libera, avevo uno schema che era il libretto di Wagner. Pur non essendo un’esperta, penso di essere riuscita a trasmettere nel film quello che io sento in Wagner, la forte tensione, il crescendo di emozione. Dal punto di vista della realizzazione, c’è stato un crescendo anche in questo, perché è iniziato in maniera forse molto semplice, per poi finire con un’esperienza un po’ più complessa, più corposa, dove tanti miei riferimenti alla pittura simbolista sono venuti fuori. Nella parte conclusiva del film spero che sia emerso lo spirito della pittura simbolista; più che la semplice citazione del quadro, vorrei che si notasse il linguaggio legato alla pittura simbolista. Infatti io lavoro molto con la pittura accanto, tenendo sempre un filo diretto con un pittore. Nel caso de Il vascello fantasma, la pittura simbolista, nel film per la Rai Palazzi, sulle città, il riferimento è a Sironi, un’immagine è proprio un suo quadro, perché trovavo che si sposasse all’idea dello sviluppo e della crescita. Il vascello fantasma è un film che mi ha dato molte soddisfazioni e che mi ha permesso di non fermarmi al solo lavoro di studio. Invece è stato molto importante il fatto che per un anno il film abbia girato il mondo e io abbia avuto contatti con festival internazionali. Come ti poni di fronte alle possibilità che il computer offre all’animazione? All’inizio pensavo, che tutto quello che facevo con il pennello, al computer non lo avrei mai potuto fare, in parte è vero e in parte no. Ho capito che non devo assolutamente pensare che il computer sia sostitutivo, non lo è, però 200

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è un buon strumento di lavoro da affiancare a quello che sto facendo. Spinta dal desiderio di non dover più passare delle giornate a odorare l’acqua ragia, ritrovarmi il colore tra le mani e di avere un tipo di lavoro un po’ più pulito, ho provato con il computer, ho cercato i programmi che più si addicevano a me, e ora sto facendo un’esperienza di animazione al computer. Quindi non lo rifiuto assolutamente, anzi mi piacerebbe che risolvesse alcuni miei lavori che vedrei veramente bene al computer, mi piacerebbe lavorarci molto di più ma non ne vorrei essere però assorbita. La cosa che mi dispiace è trovare, a volte, un atteggiamento critico nei confronti di un lavoro ancora artigianale, ancora manuale, a favore del computer. Fortunatamente non è sempre così, perché molte produzioni cercano proprio la realizzazione di un lavoro artigianale, dove si vedano le pennellate di colore. 2 agosto 2000 Annalisa Corsi nasce a Macerata nel 1973. Nel 1993 si diploma presso l’Istituto Statale d’Arte di Urbino. Nel 1997 si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma nel corso cinema d’animazione, dove realizza il suo primo cortometraggio, Il vascello fantasma. Inizia a lavorare presso lo studio Graphilm di Maurizio Forestieri, come assistente animatrice, poi come animatrice e segretaria di produzione in diverse realizzazioni. Nel 1999 realizza tre cortometraggi per la campagna per lo sviluppo umano di Rai Educational. Nel 2005 realizza il corto Ingannevoli i sensi. Lavora presso lo studio Musicartoon.

11.8 Enzo D’Alò Dopo tanti anni in Italia viene realizzato un lungometraggio animato, La freccia azzurra, seguito a breve tempo da La gabbianella e il gatto. Cosa ha permesso questa grande ripresa dell’animazione italiana? La ripresa dell’animazione italiana è legata molto a La freccia azzurra. È stata una scelta vincente, ma quando ho pensato di fare un lungometraggio per il cinema, tutto era sicuro, tranne che il film sarebbe uscito. È stata una grande scommessa, realizzata con investimenti personali, dopodiché sono stati richiesti finanziamenti al Ministero, agli Enti europei, sono strati trovati due coproduttori stranieri. Io scrivevo la sceneggiatura e nel frattempo andavo in giro per il mondo a cercare i finanziamenti per fare La freccia azzurra. Durante la realizzazione del film sono cambiate delle cose perché ci si cominciava a rendere conto che era possibile fare un lungometraggio in 201

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Italia, quasi non ci fosse stato nessuno prima, mentre abbiamo avuto più di venti anni fa altre esperienze analoghe. Con La freccia azzurra abbiamo dimostrato che era possibile realizzare un lungometraggio, e a quel punto la Rai ha preso subito atto della situazione e ha pre-acquistato il film per il cinema e è poi partita con la realizzazione di altre serie, tra cui anche La Pimpa, che ho realizzato io. Direi dunque che è stata proprio La freccia azzurra il film catalizzatore, il film che ha fatto vedere a tutti che gli italiani potevano mettere in piedi una squadra per fare un lungometraggio. E farlo in tempi accettabili, perché il secondo problema era quello, ossia realizzarlo in tempi commerciali, quindi in circa tre anni. La gabbianella e il gatto è stato un successivo passo in avanti perché Rita Rusic, che a quel tempo lavorava alla Cecchi Gori, vide La freccia azzurra, ne fu colpita, soprattutto fu colpita dall’attenzione che avevano i suoi figli per il film, quindi in brevissimo tempo firmammo per La gabbianella e il gatto. 202

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I tuoi film sono basati su due famosi testi letterari, così come anche il film che stai realizzando in questo periodo Momo, tratto dal libro di Michael Ende. Mi parli di queste scelte e di come imposti il lavoro di adattamento dal testo letterario, visto che sei anche sceneggiatore dei film assieme a Umberto Marino? Con Umberto Marino abbiamo sempre lavorato nel rispetto del testo. La freccia azzurra di Rodari, La gabbianella di Sepúlveda, Momo di Michael Ende sono tre testi importanti, di autori importanti. Intanto sono autori per grandi, per bambini e ragazzi di una certa profondità. A me piace molto poter lavorare su dei temi che lascino non solo il segno nei bambini ma in un pubblico molto più vasto. Quindi è importante trovare dei testi che abbiano la profondità necessaria per poter fare questo. Per quello che riguarda la collaborazione con gli autori, l’unico vivente era Sepúlveda, per gli altri due film gli autori purtroppo erano mancati da tempo. Devo dire però che anche in questi due casi ho cercato di lavorare il più possibile con le persone che potevano aiutarmi a capire cosa aveva in testa l’autore quando ha scritto il libro. Per La freccia azzurra ho lavorato con Marcello Argilli e ho parlato anche diverse volte con la figlia di Rodari, e devo dire che ho avuto una grande soddisfazione quando loro hanno partecipato alla prima del film e si sono complimentati con me per come avevo rispettato l’idea del libro. Per quanto riguarda Momo, anche qui ho dei rapporti con l’editore di Ende. Credo che il segreto non sia tanto mantenere la struttura narrativa identica, perché questo non è possibile, tra un libro e un film ci sono delle differenze importanti per quanto riguarda la fruizione. In un libro il lettore immagina i personaggi, le voci, le musiche, le atmosfere che vengono semplicemente descritte, ma per quanto la descrizione possa essere minuziosa, esiste sempre lo spazio per la fantasia del lettore. Mentre noi in un film dobbiamo per forza di cose dare tutti questi elementi, e questo cambia molto nella struttura narrativa. Un film si racconta in ottanta-novanta minuti, mentre un libro spesso viene letto prima di dormire, ad episodi, è diviso in puntate, e ognuna di esse cerca di avere una piccola conclusione, in modo che il lettore possa chiudere il libro e la sera dopo riaprirlo da quel segno e ricominciare da un nuovo inizio. Questo è il motivo per cui spesso i libri sono divisi in capitoli. Noi dobbiamo sempre andare in crescendo, per mantenere la struttura narrativa, lo spettatore deve essere sempre attento, sempre pronto a recepire quello che sta succedendo. Il film ha bisogno di giustificare meglio tutti i suoi protagonisti rispetto ad un libro. Faccio l’esempio del poeta del libro de La gabbianella e il gatto, 203

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che non parla con nessuno per tutto il tempo, scrive e recita poesie e l’unica persona con cui parla è il gatto. Effettivamente è molto poetico nel libro, nel film sarebbe inverosimile, io credo che il pubblico debba sempre identificarsi il più possibile con i protagonisti, debba crederli veri. Allora abbiamo pensato di aggiungere una bambina, quindi il poeta ha una figlia e non si occupa solo di scrivere poesie e di parlare alla luna, ma parla anche alla figlia. Sono esempi di tante cose che siamo costretti piacevolmente a fare perché poi il film guadagna da questa interpretazione del libro; ma la cosa importante è mantenere la ragione per cui uno scrittore ha creato quel libro. Il messaggio deve essere conservato, perché se si tradisce questo spirito, è meglio cambiare libro e fare un’altra cosa. Per i film hai avuto la collaborazione dei realizzatori dei personaggi, Paolo Cardoni per La freccia azzurra e Cavazzuti e Fuzellier per La gabbianella. Con ognuno il lavoro è stato diverso: Cardoni non aveva esperienza di animazione, mentre Cavazzuti e Fuzellier sono due grandi professionisti dell’animazione. Sia Cardoni, sia Lorenzo Mattotti per Pinocchio, sono autori che vedono molto l’illustrazione e meno il movimento, per storia artistica diversa. Quindi con loro devo lavorare in maniera diversa rispetto a Cavazzuti e Fuzellier, con cui ho un affiatamento diverso. Dopodiché il lavoro di collaborazione viene sempre fatto via fax o di persona, spesso un personaggio richiede anche alcuni mesi per essere messo a punto. L’esempio del gatto Zorba è illuminante, perché ci abbiamo lavorato mesi e mesi. Sembra semplicissimo adesso che lo si vede, ma per realizzare un personaggio così semplice c’è voluto molto più tempo che per realizzare i personaggi più complicati. Questo perché un cerchio con due occhi, una patatina per naso, una bocca, crea molti più problemi di un personaggio realistico. Qual è la ragione per cui hai scelto l’animazione? L’animazione ha un enorme pregio, possiamo raccontare quello che vogliamo, attraverso la metafora, il paradosso, che ci aiutano a immaginare la realtà, senza temere di essere pesanti. Immagina La gabbianella e il gatto: se noi togliamo la metafora da questa storia, abbiamo una bambina albanese orfana e un signore di Brescia che la trova per strada. Gli animali diventano uno stupendo medium metaforico per raccontare una realtà umana, davanti ai nostri occhi tutti i giorni. In qualunque film d’ani204

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mazione noi possiamo raccontare delle cose importanti e farle arrivare a tutti quanti, senza nessun problema. Questa per me è la forza del cinema d’animazione. È una lezione difficile da seguire perché l’impegno è grande. Riguardo alla musica, a me piace inserire molte canzoni nel film, ma cerco di non interrompere mai l’azione, la canzone è presente e anche protagonista, ma non ferma l’azione, diventa un commento di un’azione che continua. 28 febbraio 2001 Enzo D’Alò nasce a Napoli nel 1953, presto si trasferisce a Torino dove, dagli anni settanta, si interessa al cinema d’animazione. È stato socio fondatore della Lanterna Magica, casa di produzione per il cinema d’animazione. È autore e regista di serie tv, cortometraggi e lungometraggi d’animazione. Ha avuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Nel 2000 lascia La Lanterna Magica. Ha realizzato quattro lungometraggi in animazione.

11.9 Alberto D’Amico Raccontami del tuo ingresso nel mondo del cinema d’animazione. L’animazione è stata per me l’unione di due mie passioni. Ho studiato al Liceo artistico, poi all’Accademia di Belle Arti, quindi mi interessava molto la pittura e nello stesso tempo seguivo il cinema, non soltanto quello di animazione, senza pensare che potesse diventare il mio lavoro. Quando ho scoperto che al Centro Sperimentale di Cinematografia c’era un corso di animazione ho deciso di frequentarlo. Il cinema d’animazione mi interessava, mi incuriosiva, però devo dire che l’evento determinante è stata la visione di alcuni film di Caroline Leaf 9. La visione di questi film mi ha fatto capire che con il cinema d’animazione si può fare veramente arte: per la complessità della tecnica utilizzata ma soprattutto per la grande capacità visiva, delle qualità espressive del suo disegno, della sua animazione. Le qualità particolari di quei film, in particolare di The Street 10, mi hanno fatto capire che quella poteva essere una strada altrettanto sod-

9 Caroline Leaf, nata a Seattle nel 1946, importante autrice del National Film Board of Canada, inizia le sue sperimentazioni utilizzando la tecnica della sabbia per poi approdare alla pittura su vetro. 10 Cortometraggio di Caroline Leaf del 1976.

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disfacente che fare, ad esempio, il pittore. Al Centro Sperimentale mi sono trovato veramente bene con Giulio Gianini, che era uno degli insegnanti, e anche con Antonella Abbatiello che era sua assistente in quel periodo. Quindi attraverso Giulio Gianini, la scuola, ho poi conosciuto l’Asifa, Alfio Bastiancich, insomma ho capito in cosa consisteva questo mondo, e da allora ho cominciato a fare i miei primi cortometraggi. La tua prima opera, del 1986, è Prima prova astratta. Parlami di questa esperienza. Devo dire che tutto sommato dell’animazione conservo un’idea tradizionale. Mi ricordo che da piccolo mi piacevano moltissimo i film di Walt Disney, per i colori smaglianti e per la fluidità del movimento, allora ho 206

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cercato, per quanto possibile, di mantenere queste due caratteristiche. Infatti nel primo cortometraggio ci sono delle forme astratte in movimento però, secondo me, conservano, seppure in sintesi, quelle qualità, le cose che a me piacevano nei film di animazione, cercando di raffinare, di sedimentare, di setacciare tutto quello che era in più. Ed in quel periodo della mia vita il più era il percorso narrativo. In effetti la maggior parte dei miei film è assolutamente non narrativa, perché ritenevo che la storia fosse qualche cosa di superfluo, piuttosto che permettere il godimento della visione, interferiva con essa. E forse in questo mi sono riallacciato alle mie prime esperienze: quando vedevo i film Disney al cinema, non comprendevo le storie perché ero molto piccolo, però venivo affascinato da colori e movimenti. Quindi il mio primo cortometraggio credo che sia una eco di questi ricordi d’infanzia. La tecnica è l’animazione a fasi su carta, che per certi versi è la più semplice, che ci fa capire molto bene il processo dell’animazione, perché attraverso le fasi tu vedi veramente i disegni uno dopo l’altro che si trasformano, li puoi controllare, confrontare. Un tuo film molto particolare è Le statue si amano del 1988. Come è nata l’idea e come l’hai realizzato? Quella è proprio l’eccezione narrativa rispetto alla maggior parte dei miei film non narrativi. Lo spunto per Le statue si amano proviene da due statue realizzate da mio fratello, sulle quali ho cominciato ad avere delle intuizioni visive: ho immaginato queste statue in movimento, a pensare a come farle parlare, muovere, senza però intaccarle, senza distruggerle e allora mi è venuta un’idea, molto semplice, molto rudimentale, utilizzare il pongo. Ho cominciato a fare delle prove, ho chiamato alcuni miei amici, Roberto Gigliucci che è l’autore del testo, gli ho raccontato l’idea che avevo: un amore tra due statue. Poi ho chiamato anche Fabio Iaquone e insieme, con mezzi rudimentali, avevamo una video 8, che non era in passo uno, ma in passo 8, abbiamo cominciato a fare delle prove e nello stesso tempo io avevo cominciato a registrare le voci con due attori. Per molto tempo ho avuto queste scene girate e le voci registrate su un altro nastro, e pensavo che avrei girato di nuovo tutto quanto in pellicola, con la macchina da presa; però il tempo passava e ad un certo punto ho deciso che dovevo finire, chiudere questo film, comunque esso fosse, con i mezzi che avevo. 207

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Spesso nei tuoi film c’è il riferimento alla pittura. Questo è palese in Pettini e forchette del 1994, dedicato al pittore romano Giuseppe Capogrossi. Mi sono divertito molto a fare questo film e anche questo ha avuto una gestazione molto lunga. Mi era stato dato un suggerimento da un mio amico, mentre parlavamo di Bruno Bozzetto: le sue opere ci facevano venire in mente la pittura di Capogrossi, con tutti quegli omini piccoli ripetuti, da lì è nata l’idea del film. Questo è successo nel 1987, ma l’ho realizzato nel 1994. Ho cominciato a lavorare con uno sceneggiatore, Angelo Caperna, con lui abbiamo impostato uno storyboard molto complesso. Essendo uno sceneggiatore, ha cominciato a parlarmi di trame e sottotrame, personaggi principali e secondari, quindi ci siamo inventati dei personaggi nell’universo di Capogrossi, abbiamo cominciato a catalogare le forchette, i vari tipi di modulo di Capogrossi e li abbiamo elencati. Lo storyboard è stato affidato a due compositori, Lucio Gregoretti e Fabrizio De Rossi Re, che hanno costruito la colonna sonora sullo storyboard, dopodiché la registrazione delle musiche mi è servita per decidere i tempi del film. Strada facendo si sono perse le idee narrative, anche perché ho collaborato con diverse persone e nel corso del tempo ho accumulato molto materiale che poi alla fine ho deciso di riprendere. Ho deciso di inserire anche delle immagini dello storyboard e tutto quello che avevo accumulato su Capogrossi, come se fosse giunto il momento di ripensare a quel lungo periodo di gestazione del film. Durante la tua carriera hai spesso collaborato con Paolo Canevari, per Disegno animato, Superroma, Filmino e Sussurri e grida. Raccontami di questi film e di questa collaborazione. Paolo Canevari è un mio caro amico dai tempi del liceo, poi abbiamo preso strade diverse, lui ha cominciato a frequentare il gruppo di pittori di San Lorenzo, e io ho intrapreso il percorso dell’animazione. Apprezzavamo il lavoro reciproco e un giorno abbiamo pensato di realizzare un film d’animazione, quindi abbiamo cominciato a parlarne. Lui non aveva nessuna conoscenza dell’animazione, però era molto bravo a disegnare, aveva molte idee, in particolare un’idea dell’arte legata molto all’infanzia, al segno, allo scarabocchio. Infatti in Disegno animato, del 1993, c’è proprio il suo segno, il suo scarabocchio che si articola e si modifica. Abbiamo deciso di continuare la collaborazione, che si è protratta per un lungo periodo e si è aperta una fase diversa nella mia vita di animatore perché 208

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poi ho iniziato a lavorare insieme a molti altri artisti. Devo dire che l’idea di collaborazione mi affascina molto, mi incuriosisce. Probabilmente ho appreso molte cose dal lavoro di Giulio Gianini con Emanuele Luzzati Un film particolare è Filmino, realizzato sempre con Canevari, con le figure immobili e le ombre che invece si muovono, come l’hai realizzato? Tutto parte da una scultura di Paolo Canevari e da una mia lampada, che aveva un’anima di metallo e creava degli strani effetti. Usandola sulla scultura, abbiamo scoperto che l’ombra si muoveva. L’idea è questa, muovere l’ombra, pretendere che sia l’ombra a spostarsi. Anche qui l’idea è molto semplice, non c’è niente di particolare, nessun virtuosismo nei confronti dell’animazione. In questi film le sculture di Paolo sono centrali: le realizza con camere d’aria, che lui utilizza spesso per le sue opere. Parte da un elemento povero, una camera d’aria, che ha già una sua storia, ha percorso chilometri: viene gettata via ed è dunque destinata a morire; in qualche modo Canevari gli dà una nuova vita. Nel film Alef, del 1996, vediamo questa indefinibile creatura acquatica che mangia una più piccola della sua specie in modo del tutto innocente. Alef è stato realizzato con Avish Khebrehzadeh, artista iraniana. Ho visto delle sue opere in una mostra, erano delle pitture ad olio, ma intendendo proprio olio di oliva steso su un foglio di carta, senza nient’altro. Mi è piaciuta questa semplicità, questa incisività ed ho pensato che questo segno ad olio fosse adatto per un film d’animazione. L’ho chiamata proponendole di collaborare ad un film d’animazione. Abbiamo cominciato a parlare, perché alla base di tutte queste collaborazioni ci sono le chiacchiere fra amici. A me piace molto andare in un bar, parlare, andare a trovare ad esempio Avish nel suo studio, vedere i suoi disegni, farle vedere i miei film: piano piano si è costruito un rapporto artistico. Lei, come Paolo, non aveva mai realizzato film d’animazione, e abbiamo creato insieme il film portando ognuno le proprie conoscenze e il proprio gusto. In Tre scherzi per viola si evidenzia la tua abilità nell’utilizzo di varie tecniche e materiali, spiazzi lo spettatore cambiando più volte tecnica e linguaggio, utilizzi pittura, disegno, oggetti. 209

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Ho avuto l’idea, molto ambiziosa, di rappresentare l’evolversi della pittura non figurativa nel novecento in otto minuti, quindi ho deciso di utilizzare diverse tecniche cercando di fare aderire la tecnica al movimento artistico citato e rappresentato. Ho utilizzato il découpage per il primo periodo di astrattismo formale e geometrico, perché questa tecnica ti permette di rispettare i valori pittorici, in quanto hai a disposizione un personaggio che è realizzato con carta ritagliata e puoi conservare le qualità pittoriche inalterate. Nel momento in cui invece usi la tecnica a fasi, non puoi fare questo, perché il disegno è continuamente sostituito e quindi non puoi raggiungere quella raffinatezza su ogni singolo disegno, visto che devono essere almeno dodici per ogni secondo. Per la pittura informale, per l’action painting ho pensato di utilizzare la tecnica della pittura diretta sotto la macchina da presa, quello che dipingevo si realizzava sotto i miei occhi di volta in volta, ma non ne rimane traccia, non rimane un disegno alla fine, c’è soltanto questo spostamento. È un po’ come lavorare la plastilina, è come se facessi un centinaio di sculture una dietro l’altra. Questa mi è sembrata la tecnica più adatta per rappresentare quel movimento artistico. Per la pittura materica ho utilizzato dei veri e propri oggetti per rappresentare le combustioni di Burri11, peccato che poi quella scena l’abbiamo sacrificata in fase di montaggio, comunque avevo incendiato un legno, e piano piano lo riprendevo a passo uno. Ho notato nei tuoi film una grande attenzione per la musica, utilizzi musica contemporanea e strumenti come il pianoforte, come scegli le musiche per i tuoi film? In realtà le scelgo come faccio per l’ascolto quotidiano, non ho nessuna preclusione. Grazie ai miei amici compositori ho conosciuto la musica contemporanea che mi affascina, ma nello stesso tempo sono anche attratto da una musica più commerciale, che per certi versi rappresenta di più la realtà in cui viviamo. Non c’è mai un criterio assoluto o costante, ci sono di volta in volta film diversi con un diverso tipo di musica. 20 ottobre 2000.

11 Alberto Burri (1915-1995), artista della corrente informale degli anni cinquanta, nella cui pittura la materia subisce delle combustioni.

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Alberto D’Amico nasce a Roma nel 1962. Nel 1984 si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel biennio 1985-1987 frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma diplomandosi in Film di Animazione con Giulio Gianini. Frequenta il terzo Corso di Formazione e Perfezionamento per Sceneggiatori 1998-1999 ideato da Script per Scuola Rai. Ha insegnato al corso di Film di Animazione alla Scuola Nazionale di Cinema. Ha curato diverse rassegne di cortometraggi. Collabora con alcune riviste. È autore di numerosi corti di animazione e di diversi documentari. Tra i suoi lavori due sigle per la trasmissione “Blob Cartoon” e Tre scherzi per viola presentato alla Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.

11.10 Ursula Ferrara In che modo ti sei avvicinata al mondo dell’animazione? Hai realizzato il tuo film Lucidi folli poco dopo esserti diplomata all’Istituto d’Arte di Firenze.

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Ad essere sincera avevo già fatto dei piccoli esperimenti in animazione anche prima, quando frequentavo l’Istituto d’Arte. Erano cose sperimentali e anche un po’ ingenue, però mi incuriosiva molto questo fatto di trovare una terza dimensione fra due disegni che sono apparentemente uguali e che poi invece nel mezzo creano l’illusione del movimento. Ho cominciato a incuriosirmi, ma il vero interesse è nato con una visita che ho fatto a Parigi, in cui facevano vedere come si lavora in uno studio del National Film Board of Canada. Mi ricordo ancora che c’era un’autrice che stava disegnano un film che si chiamava Luna, Luna, Luna, in bianco e nero, con i segni molto leggeri; mi aveva molto affascinato. Pensai che potevo fare anch’io qualcosa di simile. Avevo già fatto qualche piccolo esperimento, però dovevo in qualche modo cominciare da zero, infatti dal punto di vista dell’animazione io sono un’autodidatta. Vedendo i tuoi film sembrano tante tessere nel percorso della tua vita. È come una specie di diario che invece di essere scritto con le parole è scritto attraverso i film. In qualche modo possiamo dividere idealmente i tuoi film in due blocchi. I primi quattro cortometraggi realizzati in bianco e nero, molto essenziali, e poi quelli a colori. Anche perché altrimenti non arrivi in fondo se ti metti in un progetto grandissimo all’inizio. La scelta del bianco e nero, è la scelta di essere essenziale in tutto. Il bianco e nero mi è sempre piaciuto tanto, in tutto, anche nelle foto, mi attrae graficamente. In qualsiasi istituto d’arte o accademia si parte dal disegno; la matita, il carboncino, sono la prima cosa che ti mettono in mano, poi ti insegnano a dipingere. È stato come ripercorrere ciò che ti insegnano: infatti con il mio primo film ho usato la sola linea, una linea che si rincorre. Poi nel secondo, Congiuntivo futuro, c’è la linea più l’ombreggiatura, però ci sono ancora delle rigidità, c’è solo una musica che accompagna perché non avevo mezzi, non sapevo ancora come costruire una colonna sonora. Nel terzo, Amore asimmetrico, comincia ad esserci l’ombreggiatura vera e propria. Con Come persone cominciavo a pensare di fare un lavoro più complesso, entro dentro il film e arrivo fino in fondo; 212

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iniziavo a pensare a problemi cinematografici. E poi ho detto coraggio, facciamo un film a colori, e l’ho fatto. E lì ho messo qualcosa in più, campi e controcampi, dissolvenze. Ovviamente sono tutte disegnate, non sono fatte con la macchina da presa che è sempre fissa. Poi ho continuato su questa strada fino a La partita. Lì il lavoro è stato più complesso perché ho immaginato due film, uno è la partita, lo schema del gioco, che ho tenuto come un teatro d’azione. In realtà a me interessava il pubblico, che per me rappresenta il secondo film. Nel corto entro e esco dalle persone che compongono il pubblico con escamotage cinematografici e grafici: in ogni micropezzettino faccio il film di una certa persona, ognuno guarda la partita però contemporaneamente pensa alle sue cose. Mi diverto a manipolare questi miei attori, qualche volta mi fanno arrabbiare, qualche volta mi danno grandi soddisfazioni. Nei tuoi film la figura della donna è sempre importante, ma nei tuoi primi quattro cortometraggi è assolutamente centrale. La donna che è madre, amante, seduttrice. Avevo circa ventitrè, ventiquattro anni e in quel periodo sei un po’ al centro dell’universo e ti interessano le cose che portano avanti l’umanità, il sesso, l’amore, come fermento vitale. Io sono molto più timida dei miei disegni, loro sono molto più sfacciati di me. Nei tuoi film è evidente anche il richiamo alla grande pittura. Come ti ho accennato, è come ripercorrere una scolarizzazione, che è dura togliersi di dosso; studi i grandi pittori, è come un suonatore che all’inizio deve fare un pezzo di Mozart o di un altro compositore, una specie di Zelig, ma diventi veramente come loro, è il percorso stesso che ti ci porta. Poi la cosa più grande è superare questa fase per arrivare a uno stile personale. Parliamo un po’ della colonna sonora dei tuoi film, nei primi cortometraggi la musica trascina tutto. Riempie proprio il vuoto, vedessi com’è buffo il film muto. All’inizio ho inserito le canzoni proprio per semplicità. Devi pensare anche che le cose si sono molto modernizzate per quanto siano passati solo una ventina di anni. Non c’era la registrazione digitale, ma solo a nastri. Poi è venuta fuori la tecnica della registrazione digitale del suono, ho cominciato a 213

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SABRINA PERUCCA

utilizzarla: non appena ho avuto questo nuovo registratore ho fatto Quasi niente registrando suoni in tutto il mondo. Dal mare della Corsica al rumore del treno, alle partite di calcio di serie B per registrare calci, urla. Mi sono divertita molto, perché è un piacere registrare suoni per il proprio film; ti esercita all’ascolto, è piacevole. Cominci a sentire i suoni in funzione del tuo film. Negli ultimi miei film c’è pochissima musica, però non lo noti: il rumore quotidiano, secondo come lo utilizzi, è una musicalità. 11 febbraio 2005 Ursula Ferrara nasce a Pisa nel 1961. Si diploma all’Istituto d’Arte di Firenze. Nel 1984 realizza il suo primo cortometraggio Lucidi folli, cui seguiranno Congiuntivo futuro, Amore asimmetrico e Come persone, tutti disegnati in bianco e nero. Nel 1997 realizza il suo primo film a colori Quasi niente, seguito da altri tre corti. I suoi film sono stati selezionati nei maggiori festival internazionali. Quasi niente è stato presentato ai festival di Annecy e di Cannes.

11.11 Laura Fiori Vorrei sapere qualcosa a proposito del tuo esordio nel mondo dell’animazione. Ho fatto l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti, diplomandomi in Pittura. Ho frequentato l’Accademia un po’ da ribelle facendo dei programmi alternativi con un gruppo che si chiamava Collettivo Politico dell’Accademia. Questa esperienza è stata importante perché abbiamo cominciato a fare cinema d’animazione con dei mezzi veramente poveri. Ho finito l’Accademia nel 1975 e Torino era una città abbastanza povera da questo punto di vista, non aveva strutture per fare un film, non aveva persone esperte, tutto quello che è nato in questo campo è venuto dopo. Finita l’accademia, ho cominciato a fare il mestiere che faccio adesso, sono una freelance. Ho fatto inizialmente l’illustratrice e un po’ di grafica, ho realizzato anche dei fumetti, poi nel 1979 ho incontrato un gruppo di persone tra cui ne conoscevo parecchie, che stava mettendo in piedi un laboratorio chiamato Lanterna Magica. Lanterna Magica all’inizio era una cooperativa di servizi, nel senso che facevamo corsi per scuole, di aggiornamento, a vari livelli, e facevamo produzioni con i bambini. Sono arriva214

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60 Laura Fiori

ta lì inizialmente con un rapporto di collaborazione poi sono entrata a fare parte della cooperativa. Quindi la mia esperienza iniziale come autrice è strettamente collegata col primo periodo della Lanterna Magica, e ho lavorato su tutte le produzioni che sono state fatte fino al 1989, anno in cui sono uscita dalla cooperativa. Tra le altre cose abbiamo realizzato una serie di filmati sui temi della prevenzione e della salute; c’eravamo io, Vincenzo Gioanola, Enzo D’Alò e vari altri collaboratori. Nel 1989 ho cominciato a guardarmi attorno e c’è stata una svolta nella mia professione, perché avevo un grosso interesse nei confronti delle nuove tecnologie, dell’utilizzo del computer. Ho cominciato a interessarmi di software per l’animazione bidimensionale, in un periodo in cui non erano molti quelli che se ne occupavano. A Torino ho collaborato per alcuni anni con una piccola ditta che stava sviluppando un software di animazione bidimensionale; ho lavorato per quasi due anni come animatore collaborando con il programmatore che stava realizzando questo software. Dopodiché ho sviluppato un progetto che si basava sulle caratteristiche linguistiche rese possibili da questo nuovo modo di realizzare animazione e sulle mie predilezioni; 215

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è venuta fuori l’idea di una piccola serie tratta dai racconti Zen, il riferimento era il piccolo libro pubblicato in Italia da Adelphi 101 storie Zen. Era un progetto totalmente mio, l’avrei fatto comunque anche autofinanziandolo, però ho provato a chiedere un aiuto al Cartoon Media; ho inviato il progetto in selezione ed è stato approvato, per cui insieme alla ditta con cui collaboravo ho fatto due film pilota. L’ho fatto molto liberamente, non ho avuto vincoli da parte di Cartoon Media visto che già avevo presentato lo storyboard, né altri limiti. Ognuno dei due corti durava circa due minuti, ed erano pensati come episodi di una possibile serie. Poi la produzione non si è fatta perché, benché questo progetto fosse stato approvato da Cartoon Media, dunque selezionato tra molte proposte, in Italia non c’è stato un riscontro per una possibile realizzazione della serie. Nei due film c’è molto lavoro di studio preliminare, ho cercato di rispettare il più possibile i testi, anche se li avevo in qualche modo adattati per realizzarli in animazione. Per quello che riguarda lo stile grafico, il riferimento iconografico e stilistico è alla pittura orientale; non essendo io però un pittore orientale, non padroneggiando quella tecnica e quello stile, ne ho riadattato alcuni elementi per l’uso che ne dovevo fare io e per il software. Per esempio ho lavorato facendo dei fondi dipinti, non dipinti a mano e poi digitalizzati o scannerizzati, ma ho fatto delle tracce a matita e poi le ho passate al computer e la pittura l’ho fatta digitalmente usando un programma che mi consentiva di avere degli effetti ad acquarello, con le trasparenze, le pennellate. Quindi i fondali sono realizzati direttamente al computer. Prendendo spunto dalla pittura orientale, i personaggi sono realizzati con delle silhouette nere. Queste però non sono semplicemente delle ombre: nella pittura orientale un personaggio è descritto con alcuni colpi di pennello, sono dei segni; queste silhouette non sono intere come delle ombre, sono invece tratte da un lavoro di pennello che può descrivere sinteticamente il personaggio solo nei tratti essenziali, ed è in questo modo che ho cercato di rendere la pittura orientale. Per cui una parte del personaggio, che non è riempita dalla pennellata, resta trasparente, la figura si muove e si vede in trasparenza il fondo. Mi hanno spesso chiesto il perché di questa scelta, in effetti potevo benissimo fare delle ombre o delle silhouette piene, ma non avrebbero dato l’idea di questa essenzialità e poi perché secondo me era molto più corretto usare questo tipo di stile piuttosto che altri tipi, proprio per il fatto che i racconti Zen degli esempi generali e vanno intesi proprio nel loro riferimento 216

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simbolico, fanno parte di una tradizione. Il mio era dunque anche un espediente per togliere peso, per smaterializzare questi personaggi e farli vedere appunto più come simboli che come personaggi reali. Questi due cortometraggi sono andati in giro un bel po’ per i festival. Da quel periodo ho continuato a lavorare in questo settore, attualmente lavoro tantissimo con il computer, infatti spero di realizzare presto dei corti per Internet. Erano anni che aspettavo che nascessero delle opportunità di questo tipo, cioè di avere un supporto con un accesso molto libero, seppur con delle limitazioni tecniche, che non mi fanno paura, non mi creano nessun problema. Sinceramente penso che questo mezzo darà la possibilità di fare delle animazioni che potranno essere anche sintetiche o semplificate, sicuramente non saranno spettacolari al cento per cento, dipende dalla scelta che si fa. Se sei interessato ai contenuti, ad esempio, questo mezzo ti può aiutare parecchio. Questa è una chance enorme per noi autori perché avremo finalmente la possibilità di riuscire ad autoprodurci delle piccole cose e soprattutto di poterle distribuire. 7 ottobre 2000 Laura Fiori nasce a Casale Monferrato nel 1949. Si diploma all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti a Torino, in Pittura. Svolge attività di grafica e illustrazione. All’inizio degli anni ottanta entra nella società La Lanterna Magica di Torino, dove cura la direzione artistica di film di animazione, svolgendo anche attività didattica. Nel 1986 inizia un’attività di ricerca sulla computer animation, dal 1988 è docente presso l’Istituto Europeo di Design di Milano, dove coordina anche l’Area Informatica. Nel 1989 lascia La Lanterna Magica e si dedica all’animazione come freelance. Nel 1992 realizza i Racconti Zen. Negli anni novanta la sua attività ha seguito l’evoluzione dei nuovi media, realizzando animazioni per supporti interattivi, Cd Rom, Internet e cortometraggi realizzati con la computer animation. Dal 1998 al 2002 ha ricoperto la carica di presidente di Asifa Italia.

11.12 Maurizio Forestieri Raccontami della tua esperienza di autore di animazione, come e perché hai iniziato? Io credo che il comune denominatore per tutti quelli che operano nel settore sia la passione per questo lavoro. Il cartone animato è stata la mia prima passione, dunque, e ne ho fatto un lavoro aprendo una società che si occupa di animazione dalla produzione alla realizzazione, la Graphilm. 217

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61 Maurizio Forestieri

Continuo anche il mio lavoro di autore, che è un lavoro molto più legato alla mia personalità. A questo proposito vorrei che mi parlassi dei tuoi cortometraggi: quali tecniche preferisci usare, quale ruolo attribuisci alla musica? Sono molto legato alla musica, infatti i miei primi cortometraggi sono basati tutti sulla musica. Questa è importantissima, mi ispira e cerco di disegnarla. Sono un appassionato di musica classica e operistica per cui anche il più recente cortometraggio è ispirato ad un dramma musicale. Per quanto riguarda le tecniche amo tantissimo la matita, il chiaroscuro a matita, un disegno abbastanza fresco. Mi piace lavorare con la tecnica tradizionale e cioè con la tecnica a fasi. Sono uno dei pochi che usa ancora l’acetato, ormai in un’epoca in cui si usa colorare tutto in elettronica. Ovviamente lo uso non per i lavori su commissione. Sono fortunato da un certo punto di vista perché la tecnica che utilizzo per il mio lavoro d’autore è molto vicina al lavoro quotidiano su commissione. Posso lavo218

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rare ad una produzione esterna e nello stesso tempo anche lavorare ad un film d’autore. Non faccio animazione utilizzando tecniche particolari come pittura sul vetro o con i fondi del caffè, la tecnica che uso io è molto vicina al cartone animato, quindi riesco a unire le due cose in maniera abbastanza bilanciata. Cosa trasmetti in una tua opera? Ritmo. Hai dei cortometraggi a cui sei più affezionato? Come definiresti il tuo stile? Non sono molto affezionato ai miei cortometraggi perché purtroppo non riesco a farmeli piacere per lungo tempo, per me sono già superati ma ciò dipende molto dal mio umore. Per quanto riguarda il mio stile non reputo di avere uno stile molto originale, la cosa che reputo originale è il mio modo di affrontare lo stile comune. Vengo sicuramente dalla scuola disneyana. I tuoi cortometraggi sono accomunati uno spirito positivo, quasi delle piccole commedie. Si, è vero. Non sono molto drammatico a dire la verità, mi piace partecipare alla bellezza per esempio della musica, all’allegria di una composizione, al colore. Infatti uno dei miei film che mi piace di più in assoluto è Amoroso sulla musica di Mozart. È molto fresco, nel senso che adesso quando lavoro ad un cortometraggio ho con me la mia esperienza di molti anni di animazione, e questa è un’arma a doppio taglio, da una parte ti raffina e dall’altra ti blocca, mentre all’inizio ero più istintivo, facevo le cose in quel modo perché mi andava di farle, non mi importava se potessero essere sbagliate, se mi piacevano. Invece adesso mi dico: «no questo scenograficamente è sbagliato, forse dovevo fare in un altro modo». Tant’è che nell’ultimo cortometraggio che sto realizzando sto cercando di non farmi queste domande, perché mi piace farlo così. Devo farlo emergere da dentro, non dal preconcetto, altrimenti faccio un altro film su commissione. Sono nato come animatore, ho portato la mia esperienza di autore nella professione, e la professione al cinema d’autore, ho fatto un po’ uno scambio. Solo che è uno scambio sbilanciato, perché quando si porta l’au219

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tore nella professione, essa ne guadagna sempre, quando porti la professione al cinema d’autore non è sempre detto che sia positivo perché potrebbe invece cambiare un po’ il gusto, la freschezza, proprio come dicevamo prima. Mi puoi dire qualcosa a proposito di Domo, il tuo corto realizzato nel 1994? Domo è stato un film fortunato e sfortunato insieme. Ha avuto una lavorazione molto lunga ed è stato un film molto discusso. Devo dire che non mi piace più, è come se non lo avessi fatto. È stato un corto molto fortunato perché è andato in concorso al festival di Cannes come unico film italiano e questo almeno mi ha ripagato di tutti gli sforzi che ho fatto. Era un film un po’ ingenuo, anche un po’ pessimista, forse è questo che non me lo fa ricordare con molto piacere. Però riconosco che tecnicamente ho fatto delle grandi pazzie, perché ho mosso la macchina a fasi, le scene in movimento sono completamente disegnate una per una, e questo ha generato molto lavoro. Qual è il tuo parere sull’animazione italiana, cosa è cambiato negli anni novanta? Ho tanto da dire su questo. Purtroppo noi siamo un paese molto sfortunato, la situazione produttiva è rimasta congelata fino al 1995. C’è stato un vero e proprio vuoto di produzione che va dagli anni settanta fino ai primi anni novanta. A Milano si è sopravvissuti grazie alla pubblicità. A Roma la situazione è stata un po’ più anomala: alla fine degli anni ottanta c’era un po’ di lavoro per la pubblicità regionale, poi c’erano quelli che chiamavamo film didattici o industriali, le sigle, insomma si sopravviveva. Adesso invece, da cinque anni a questa parte, si è aperto un po’ il mercato, sembra che si stia muovendo qualcosa, è faticosissimo però devo riconoscere che ora appunto la produzione italiana esiste. La Rai produce, ci sono delle serie, a cui io fortunatamente collaboro. Ho lavorato nei lungometraggi, tutto il recente sviluppo dell’animazione italiana l’ho vissuto nel mio lavoro. Il problema è quello che succederà, i finanziamenti sono comunque pochi, e le richieste cominciano ad essere molte. C’è un problema anche di costi, l’animazione in Italia costa ancora tanto. Abbiamo degli oneri sociali che bisogna abbattere, la categoria ancora non è 220

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riconosciuta, quindi spesso e volentieri le lavorazioni vengono realizzate in Corea o in Cina. 7 ottobre 2000 Maurizio Forestieri nasce a Palermo nel 1961. Si diploma in Scenografia all’Accademia di Belle Arti a Roma e al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1987, dove ha insegnato per diversi anni. Nel 1988 fonda la Graphilm, con sede a Roma, di cui è tutt’ora titolare. Con questa società si occupa della realizzazione e produzione in animazione di film pubblicitari, didattici, seriali e d’autore. Partecipa con Graphilm a tutte le maggiori produzioni italiane sia di serie tv che di lungometraggio. Tra le altre, nel 1995 collabora con La Lanterna Magica per la realizzazione de La freccia Azzurra, nel 1997 per La gabbianella e il gatto. I suoi corti d’autore ricevono diversi riconoscimenti nei festival internazionali. Nel 2003 firma la regia del suo primo lungometraggio Totò Sapore e la magica storia della pizza. Cura la regia di diverse serie tv.

11.13 Giulio Gianini Mi racconti del tuo ingresso nel mondo dell’animazione. Cos’è che ti ha colpito e affascinato?

62 Giulio Gianini e Emanuele Luzzati

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Il teatro di burattini da ragazzino. Ho avuto sempre questa passione, gli altri bambini giocavano ad esempio con i trenini, invece io facevo burattini e spettacoli. Ho cominciato a fare del cinema, ho fatto più di cento documentari, e ho lavorato a dei film anche in Inghilterra ed in America, però mi rimaneva sempre questa voglia di fare i cartoni animati, ma di farli in una maniera particolare, senza farmi prendere dalla serialità o dal gusto televisivo. È molto strano, prima ho fatto il cinema dal vero, poi sono passato a fare animazione, e giudico con la stessa passione, con la stessa importanza, un buon cartone animato e un buon film, mentre quando incontro dei miei ex-colleghi del cinema dal vero, capita che guardino il cartone animato come un sottoprodotto. Per me, che ho fatto tutti e due i mestieri, hanno la stessa importanza. Poi arriva l’incontro con Emanuele Luzzati. Quando l’ho conosciuto gli ho chiesto di dipingere un boccascena per un teatro di burattini, e da lì gli ho proposto di fare i cartoni animati. Così, con la mia macchina da presa e con altre cose comprate al mercato di Porta Portese, sono riuscito a montare un banco d’animazione, e abbiamo cominciato a girare piccoli esperimenti. Poi abbiamo realizzato I paladini di Francia, e siamo andati avanti, fino a realizzare i tre film sulla musica di Rossini. Questi film hanno cominciato ad avere successo, in Italia hanno ottenuto i premi governativi e all’estero hanno avuto degli importanti riconoscimenti. Abbiamo lavorato insieme per diversi anni, realizzando anche Il flauto magico su musica di Mozart e per la Rai delle favole semianimate. Poi ho realizzato dei film con Leo Lionni, ed anche questa è stata una piacevole esperienza, questi film hanno avuto un buon riscontro in molti festival. Ho insegnato molti anni al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, insieme a dei miei ex-allievi che lavoravano con la tecnica a fasi. Fra i miei allievi ho trovato molti giovani veramente bravi, ma spesso uscivano dalla scuola e non sapevano dove andare. Mettere su uno studio di animazione costa caro e allora a volte cambiano mestiere, magari delle allieve si sono messe con successo a fare illustrazioni, ma hanno messo un po’ da parte il cartone animato. Cosa ha determinato la scelta della tecnica del découpage? 222

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Nell’animazione c’è la grande libertà di trovare la tecnica che si ritiene giusta per il tipo di grafica o di pittura che si vuole utilizzare. Ne ho parlato anche con artisti importanti, come Picasso, e ho trovato che tutti erano incuriositi dall’animazione, però non volevano lasciare il loro modo di lavorare. Quando la parte pittorica diventa così importante, la tecnica del découpage è fondamentale. Luzzati ha sempre lavorato sui suoi quadri usando la pittura e oggetti incollati sulla tela; ha un enorme gusto creativo, lavora in maniera molto libera. Bisognava trovare una tecnica che si adeguasse a questo suo tipo di pittura, e allora abbiamo scelto il découpage, che in fondo fa perdere delle possibilità di movimento, però ti dà la possibilità di lavorare, di salvare il più possibile la pittura. Io penso di averla completamente salvata. I vostri film raccontano della nostra tradizione, da Pulcinella al teatro di burattini. Mi sarebbe molto piaciuto sviluppare il personaggio di Pulcinella, farne degli altri, perché Pulcinella ha tante di quelle storie napoletane, piene di fantasia. Mi domando perché dobbiamo andare a copiare magari Walt Disney o qualsiasi altro, con la tutta la tradizione che abbiamo. 18 ottobre 2000 Giulio Gianini nasce a Roma nel 1927. Inizia a lavorare nel cinema come operatore e direttore della fotografia. Nel 1959 incontra Emanuele Luzzati, con il quale inizia una lunga collaborazione artistica per la realizzazione di film d’animazione utilizzando la tecnica del découpage. Il loro lavoro si basa su opere di musica classica e lirica. Gianini lavora anche con l’illustratore Leo Lionni. Emanale Luzzati nasce a Genova nel 1921. Muore nel gennaio 2007. Pittore, decoratore, ceramista e illustratore, si dedica prevalentemente alle scene ed ai costumi per il teatro. Ha realizzato più di quattrocento scenografie per la lirica, la prosa e la danza. I film di Gianini e Luzzati sono conosciuti a livello internazionale. Con La gazza ladra e Pulcinella ottengono due nomination all’Oscar.

11.14 Vincenzo Gioanola Come ti sei avvicinato al mondo dell’animazione? L’esperienza nasce parecchio tempo fa, alla fine degli anni settanta. L’animazione mi piaceva ma conoscevo le cose che tutti conoscono e che 223

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63 Vincenzo Gioanola

si vedono in televisione, la Walt Disney Pictures, la Warner & Bros. Ad un certo punto, grazie anche ad Alfio Bastiancich e all’allora originario nucleo dell’Asifa, che non si chiamava ancora così, c’è stata una rassegna dei film di Norman McLaren a Torino. Dopo aver visto quei film ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare cose così, anche perché non avevo mai visto niente del genere, come penso sia vero anche oggi per la maggior parte delle persone, così nel 1981 ho creato il mio primo film in animazione, Boogie, disegnato direttamente su pellicola. Mi piaceva questo modo di lavorare, il disegno diretto su pellicola, perché si poteva fare tutto in casa, senza dover dipendere da altri, senza dover spendere molti soldi in attrezzature, sviluppi, stampe, non aveva bisogno di uno studio di animazione. Mi piaceva l’idea del prodursi il film in casa, cosa che mi 224

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accomuna a quei pittori che la domenica vanno in campagna, sulla riva del fiume, tirano fuori il loro cavalletto e dipingono il loro quadro. Purtroppo la cosa finisce lì perché non c’è molto mercato per questo genere di cose. Contemporaneamente lavoravo nelle scuole realizzando film d’animazione con i ragazzi; tutt’ora continuo a farlo usando principalmente le tecniche del découpage e del disegno su carta. In seguito ho continuato a fare film d’animazione, ho realizzato nel 1994 Fight da faida, un lungometraggio come lo chiamo io, perché dura ben cinque minuti, un tempo veramente lungo per questo tipo di tecnica, dopodiché ho fatto due sigle per due festival. Ho continuato ad usare questa tecnica raffinandola sempre di più fino alle ultime produzioni. Una delle caratteristiche dei miei film, a parte di essere disegnati direttamente su pellicola è che non partono da una sceneggiatura, da uno storyboard, ma dalla colonna sonora. Prima di fare tutto il resto, ho bisogno di una colonna sonora alla quale riferirmi, alla quale ispirarmi per poter fare il film. Questa colonna può essere solo musica o parlato o rumori, ed in base ad essa io sincronizzo tutto il mio lavoro. I miei film mi hanno dato una certa notorietà nell’ambito dei festival specializzati, ma al di fuori non ho trovato nessun tipo di aggancio lavorativo. Questa tecnica, ha fatto la sua storia almeno per quanto mi riguarda. Adesso quello che sto cercando di fare sono cose completamente diverse, per il web, fatte con il software Flash. Questo programma per l’animazione ha molte caratteristiche simili a quelle del disegno diretto su pellicola, è un mezzo molto democratico in quanto ognuno, avendo un computer in casa, può fare un film completo. Penso che il computer sia il passo avanti che sto facendo in questo periodo. Nei tuoi corti utilizzi anche spezzoni di film dal vero. Certo. Utilizzo vari tipi di pellicola su cui disegnare, sia completamente nere o bianche, sia colorate, sia pellicole che contengono un film già girato e che mi procuro in diversi modi: o sono degli scarti di lavorazione, oppure rovistando nei mercatini delle pulci e li uso come materiale per questo collage che è il mio film. 6 ottobre 2000 Vincenzo Gioanola nasce a Casale Monferrato nel 1955. Vive a Torino. Si diploma al Liceo artistico di Torino, frequenta l’Accademia di Belle Arti, sezione Scultura.

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È socio fondatore di La Lanterna Magica, dove resta come socio effettivo fino al 1989, ma ha continuato comunque a collaborare con la società come animatore, sceneggiatore e nella composizione di colonne sonore. Insegna animazione in diverse scuole, all’Istituto Europeo di Design e presso l’Accademia Arte e Media di Torino. Ha collaborato con André Leduc del National Film Board of Canada.

11.15 Giuseppe Laganà Il tuo esordio nel mondo dell’animazione comincia prima allo studio di Pieluigi De Mas per poi continuare con la fondamentale esperienza allo studio di Bruno Bozzetto. Ho cominciato da Pierluigi De Mas. Era un mondo molto vivace, a quell’epoca si lavorava a Carosello, per gli ultimi spot in produzione. È

64 Giuseppe Laganà

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stato un periodo fondamentale per la mia introduzione nel mondo dell’animazione. Ho lavorato per circa un anno e mezzo da De Mas, poi sono andato alla Gamma Film dove ho fatto in tempo a fare gli ultimissimi Caroselli, prima che finisse la trasmissione. Dopo un anno in Gamma Film ho avuto la fortuna di sentire che Bozzetto cercava giovani per il primo lungometraggio che stava facendo, West and Soda. L’ho contattato e lui mi ha assunto. C’era Manuli, Mulazzani, era veramente una fucina di talenti. Mi ha molto colpito il modo di Bozzetto di pensare e di vedere in termini artistici il cortometraggio, in un momento in cui c’era un grande slancio pubblicitario in Italia. A Milano specialmente c’era una fortissima richiesta di cortometraggi pubblicitari, anche per il cinema, a colori. Lui invece pensava anche ai lungometraggi e ai cortometraggi di qualità. Questo ha fatto scattare in me delle molle diverse. Ho lavorato, imparando molto, circa due anni per West and Soda. Quando è uscito il film, ha avuto l’esito che purtroppo temevamo. Aveva una modernità di tratto e una creatività notevole, ma non è stato assolutamente capito, era troppo avanti per l’epoca, quindi il film non è andato affatto bene. Devo dire che Bruno, con grande coraggio, è partito con un secondo film, che era Vip, mio fratello superuomo. Abbiamo lavorato con grande energia e creatività. Anche questo film è uscito tra difficoltà di distribuzione, c’è stato un momento di crisi, e molti di noi hanno preso delle vie diverse. Per alcuni anni ho fatto il freelance lavorando come animatore, anche per Bozzetto, per spot pubblicitari, per i cortometraggi del Signor Rossi. Ho lavorato all’animazione di una serie intera, Lancillotto con Marco Biassoni, una figura artistica molto importante a Milano. Aveva un particolare spirito nel fare cartoni animati, un po’ da illustratore, dunque Lancillotto aveva un’animazione molto limitata, i disegni erano fatti direttamente su acetato e colorati con pastelli a cera; è stata una serie veramente particolare. In quel periodo non c’era moltissimo lavoro, tra l’altro Carosello era finito. Ho fatto qualche sigla televisiva e a tempo perso ho avuto il coraggio di fare anche qualche cortometraggio, tra cui Preghiera della notte, nel 1974, su una bella poesia di Giannalberto Bendazzi, che è stato inserito fuori concorso al festival di Zagabria di quell’anno. Bozzetto mi ha poi chiamato per lavorare a Allegro non troppo, e ho accettato con grande entusiasmo. Nel frattempo avevo lavorato molto come illustratore, ad esempio per «Corriere dei Piccoli» e anche per la pubblicità. Quindi tornare a lavorare per Bruno su un progetto così ambizioso mi ha fatto veramente molto piacere: ho sempre avuto un gran227

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de interesse per la musica, e questo film mi ha permesso di lavorare con Bruno, sulla musica e come direttore artistico, curando proprio gli aspetti progettuali e artistici del film. Ho anche imparato molto da Bruno. Ho curato la direzione artistica, lo storyboard e i layout della sequenza del Bolero, che ha preso due anni di lavorazione; abbiamo creato una unità distaccata nel mio studio, e con me c’era Giorgio Valentini che faceva i personaggi. Bruno veniva tutte le mattine, vedevamo i materiali, decidevamo insieme le inquadrature. C’è voluto un anno e mezzo di lavoro per realizzare quindici minuti. Di fatto se si vede l’episodio ci si rende conto che è piuttosto curato, però era un livello di qualità e di tensione che era insopportabile per una produzione che volesse realizzare un lungometraggio in meno di due anni. Bruno ha giustamente diviso il lavoro diversamente, per cui una parte è passata ad altri studi e noi abbiamo continuato a lavorare sulla impostazione stilistica, ricerca grafica, layout e personaggi di un altro episodio, come, mentre l’animazione era fatta da un altro studio. Il film è uscito ed è andato molto meglio degli altri, però la situazione italiana restava quella che era, non c’erano molte possibilità di fare altri lungometraggi in breve tempo. Mi sono messo di nuovo a lavorare come freelance e come illustratore e nel 1981 ho realizzato Pixnocchio. Era il centenario di Pinocchio e Mario Serenellini aveva pensato di fare per il Comune di Torino e il Comune di Collodi una mostra sul burattino, e mi ha chiesto di contribuire con un filmato. Cominciai a pensare a come realizzare un film su Pinocchio, ma dopo il film Disney, l’unico modo che vedevo era di farlo al computer, un Pinocchio del futuro, ipertecnologico. Avevo in mente un’idea precisa di cosa fare. Avevo visto delle produzioni americane in alcuni festival; la Fiat usava il computer per fare i modelli tridimensionali delle auto. Così con questa idea in testa ho creato lo storyboard, e a questo punto ho cercato chi potesse realizzarlo tecnicamente, senza trovarlo; ho fatto tantissime ricerche e telefonate, ma senza successo, ho contattato anche la Fiat, che era molto interessata al progetto, ma sfortuna volle che in quell’anno alla Fiat ci fossero problemi di personale e di crisi del settore, per cui non è stato possibile realizzare il progetto in quel momento. Alla fine ho contattato Guido Vanzetti, che era a Roma e che stava lavorando in quella direzione e accettò volentieri. Così sono andato a Roma, dove pensavo di stare solo tre giorni, perché credevo che tecnicamente fosse tutto pronto, ma Guido stava ancora mettendo a punto i programmi, perché aveva anche la 228

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capacità di trasformare i programmi. Quindi il film è nato ed è cresciuto mentre maturava anche la nostra capacità tecnologica. Quindi le prime scene sono in 2D bianco e nero e le ultime sono in 3D a colori. Negli anni ottanta ho fatto la serie Tiramolla di quattro episodi, prodotta dall’editore dell’omonimo fumetto, un editore che ha pensato di investire nel cartone animato, un’idea molto avanzata per quegli anni. Sono stati realizzati dunque quattro episodi da quindici minuti, che sono usciti in vhs allegati a quattro numeri del giornale, ma poi la serie non ha avuto seguito. Però con questa esperienza ho un po’ scaldato i motori perché ho verificato che era possibile realizzare una serie. Purtroppo a questa mia verifica positiva non ha corrisposto un interesse immediato delle produzioni, perché i tempi non erano ancora maturi. Nel frattempo però si era sviluppato un lavoro con La Banda dello Zecchino, ho fatto un paio di sigle e dei film didattici per l’Antoniano di Bologna, che fanno parte della library che l’Antoniano ha commercializzato. Sono piccoli film fatti con pochi mezzi, ma ad alto contenuto didattico. Poi arriviamo all’ideazione della serie animata di Lupo Alberto. Tutti pensano che l’idea di fare Lupo Alberto sia stata mia, ma non è così, è di un mio amico francese. Questo mio amico, che è appassionato di fumetto, anche di quello italiano, mi ha proposto di fare una serie sulle strisce di Silver. Ha coinvolto una tv francese, e mi ha proposto di realizzarla insieme. Io conoscevo Silver da molti anni, ho cominciato a muovermi, a sondare le possibilità che c’erano in Rai, dove nel frattempo era partito un programma di piloti. La Rai aveva cominciato a muoversi verso la produzione, ad entrare nel merito delle scelte, della qualità, dei contenuti, la qualità grafica, il tipo di animazione. Quindi il passaggio della Rai da sola acquirente passiva a soggetto coproduttore, ha dato un grande impulso allo sviluppo delle produzioni. A questo punto sono nati diversi piloti, nel mio caso il pilota di Lupo Alberto, che abbiamo presentato ad un forum internazionale ottenendo un grande successo, e la produzione è partita. Abbiamo incontrato parecchi problemi: innanzitutto con il personale; tutti noi avevamo una formazione autoriale, eravamo abituati a fare tutto, soggetto, sceneggiatura, character dei personaggi, animazione, regia. Tutto ciò è funzionale quando si tratta di opere personali, però non è ottimale per le grandi produzioni. Non faccio fatica a dire che noi italiani, a partire da me stesso, abbiamo grandi carenze a livello di sceneggiatura, a volte i soggetti non solo spendibili in ambito internazionale. I francesi hanno ad esempio gente che scrive solo per i cartoni da vent’anni, professionisti che dise229

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gnano personaggi per i cartoni da vent’anni, e lo stesso vale per gli storyboard. Da noi questa tradizione non c’era, quindi abbiamo dovuto imparare moltissimo da questo punto di vista, ed anche a relazionarci con gli altri. Ho dovuto imparare a comunicare gli storyboard ai diversi studi che hanno fatto l’animazione. La produzione è partita distribuendo la lavorazione sul territorio nazionale, quasi tutti gli episodi sono stati realizzati in Italia, tranne una piccola parte fatta in Francia, ma solo per quanto riguarda l’animazione, mentre tutta la parte di preparazione, i personaggi, i modelli, scenografie, è tutto internamente fatto in Italia. Con questa piccola serie, sono cinquantadue episodi da sei minuti e mezzo, abbiamo fatto lavorare almeno centocinquanta persone in Italia, non è poco per una serie così; abbiamo dovuto anche formare gente appositamente per alcuni lavori, abbiamo fatto molti errori, abbiamo perso molto tempo perché ci mancava l’esperienza. Gran parte dell’animazione è fatta in Italia e questo da una parte ci ha permesso di accumulare una grandissima esperienza, dall’altra abbiamo dilapidato una fortuna perché i costi sono altissimi in confronto ad altri paesi. Abbiamo, come dire, rotto il ghiaccio. Ad esempio abbiamo dovuto inventare e creare dei contratti ad hoc per i collaboratori. La serie è andata molto bene, viene ancora oggi messa in onda. È stata commissionata una seconda serie che abbiamo appena finito, realizzata a quattro mani con Alessandro Belli. Come è stata la collaborazione con Silver? Pur conoscendoci da tempo e stimandoci reciprocamente, inizialmente il rapporto non è stato facile. Lui ha una grande sensibilità per il cartone, infatti se guardiamo certi suoi disegni sono veramente molto dinamici, ha un’idea precisa del movimento. Solo che a volte questa idea precisa non poteva coincidere con la pratica dell’animazione. Quindi all’inizio ci sono stati alcuni problemi di affinamento, di comprensione, poi però abbiamo lavorato molto bene. E la scelta delle voci dei protagonisti? Devo dire che per le voci io e Silver eravamo d’accordo fin dall’inizio. Eravamo assolutamente d’accordo sulla rosa delle voci per i personaggi. Ma la nostra scelta è stata molto criticata, quasi tutti erano contro di noi nel dire che la scelta era sbagliata. Abbiamo preso atto di questo e abbiamo cambiato le voci nella seconda serie. 230

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Nel frattempo nascono all’interno di Animation Band, la società di produzione che tu hai fondato, altre idee e altri progetti. Sono nati altri progetti, tra cui Spaghetti family, serie nata da un’idea di Bozzetto, che voleva fare un prodotto non destinato solo ai ragazzi, che partisse in qualche modo dall’esperienza de I Simpson e che mostrasse la famiglia italiana. Avendo come riferimento la sua famiglia, con quattro figli, aveva una bella serie di aneddoti, di situazioni e di esperienze interessanti. Bozzetto ha creato i personaggi, le storie: era una cosa che aveva in mente da tempo. Dunque in quel periodo nasce questo progetto, si conclude Lupo Alberto e arriva Corto Maltese, con una produzione francese. Quest’ultima è stata un’esperienza da una parte bellissima ma anche molto sofferta per varie ragioni. Corto Maltese non è una produzione di Animation Band, abbiamo fatto solo il lavoro di studio, dallo storyboard all’animazione e la coloritura di quattro episodi, mentre i personaggi, i modelli, venivano fatti in Francia e la regia era francese. Questo lavoro si è trascinato molto, invece di durare pochi mesi è durato più di un anno, ha assorbito energie incredibili con dei costi assolutamente non previsti, perché c’erano dei ritardi, la regia francese controllava saldamente ogni piccolo passaggio, e questo ci impediva di procedere velocemente. Questo, unito ai ritardi nella produzione di altri progetti, ci ha portato a una crisi gravissima, peggiorata dalla gestione senza utili, anzi in perdita, di Lupo Alberto. Ho dovuto praticamente bloccare tutto, pur avendo lavoro, avendo dei contratti in essere; abbiamo finito Corto Maltese in passivo e ho dovuto cercare qualcuno che entrasse in società. A questo punto è entrato Marco Marcolini della Matrix che ha rilevato la quasi totalità dell’azienda e immettendo capitali nuovi e portando energie e soprattutto la sua esperienza come produttore. Così si è riusciti a partire con la seconda serie di Lupo Alberto, con Spaghetti family e pian piano a ripianare i problemi. Spaghetti Family è stato completato e dopo tanti anni sono tornato a lavorare con Bozzetto, io come regista e lui come autore. É stato un lavoro impegnativo, con ventisei episodi da mezz’ora. Fra la realizzazione della prima e della seconda serie di Lupo Alberto ho fatto la regia di Sandokan 2. Con Spaghetti family e l’impulso nuovo dato da Marcolini l’azienda ha ripreso slancio. Marcolini ha fatto distribuire alcuni nostri prodotti a Mondo TV. Animation Band ha cominciato a produrre altre cose, come Stefy, ed è nato anche il 231

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progetto di Mammuk di Bozzetto, che è un lungometraggio che speriamo possa vedere la luce in tempi brevi. Animation Band ha cominciato a impegnarsi in altre produzioni. Tra cui I cosi, sempre di Bozzetto. Io nel frattempo sono tornato a fare il freelance, pur essendo legato per alcuni prodotti ad Animation Band. Da un anno a questa parte ho lavorato a una produzione molto carina, una serie tedesca che si chiama Felix il coniglio, sono ventisei episodi da dodici minuti l’uno per i bambini piccoli, di cui abbiamo realizzato una serie e, montando gli episodi, con delle parti di collegamento, due lungometraggi. Ho qualche progetto nel cassetto, un’idea per un lungometraggio, idee per delle serie, magari qualcosa per grandi, ma in Italia è ancora difficile. Ormai conosco le difficoltà che si incontrano lavorando alle serie, sopratutto con dei realizzatori delle animazioni che sono in Paesi molto lontani. Però io ci tengo molto a far si che la parte artistica, tutta la parte progettuale, la creazione dei personaggi, i colori, gli ambienti, le scenografie, venga fatta in Italia. Questo per caratterizzare stilisticamente il prodotto e far lavorare dei giovani talentuosi italiani. Il problema che si pone, e sembra un paradosso, è che la grande creatività italiana non è in questo momento utilizzata, perché mancano palestre, cioè noi abbiamo continuamente bisogno di avere giovani di talento che disegnino e che sappiano trovare degli stili nuovi, che siano capaci di disegnare in un modo personale. Cioè mentre ad esempio in Francia c’è una valorizzazione della creatività, ci sono un sacco di riviste e di fumetti che pubblicano tantissimo, qua non c’è quasi niente, e quindi succede che spesso i nostri bravi disegnatori non trovino abbastanza da lavorare e non riescano a sperimentare sul campo quello che sanno fare, non possono farsi le ossa, oppure sono costretti a lavorare all’estero. Un tuo parere sulla situazione attuale della produzione italiana. C’è grande fermento, c’è un bell’impulso, siamo in una fase critica, in quanto è una fase di crescita. Stiamo passando da una fase iniziale a una fase di consolidamento, certo per far crollare tutto questo basterebbe che di colpo la televisione smettesse di produrre. Probabilmente se riusciamo ad andare avanti ancora per qualche anno, tutto dovrebbe consolidarsi. Stanno nascendo figure professionali reali, sta crescendo un settore forte come quello del merchandising, dei diritti dei personaggi, e ne stanno beneficiando anche i settori collegati, che sono quelli di supporto produttivo ed economico. L’animazione comincia a essere usata in modo multimediale: per il web, i cd. Sta passando 232

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dall’infanzia all’adolescenza, una fase delicata che comporta naturalmente qualche correzione di rotta, qualche errore di percorso. Dieci anni fa avrei detto ad un giovane che volesse fare animazione che era meglio lasciar stare, meglio andare all’estero. Infatti molti mi hanno dato retta! Ci sono un sacco di ragazzi che hanno fatto apprendistato nel mio studio e in altri studi italiani, che facevano pubblicità per esempio, quindi erano abituati a gestire i problemi velocemente, a cambiare stile, con grande sofisticazione di messaggio e di qualità. Quando passi attraverso questa esperienza sei un animatore o comunque un creativo nell’animazione formato benissimo e quando vai all’estero veramente trovi degli spazi. Anche per quanto riguarda le ragazze animatrici, che un tempo era difficile trovare, adesso lavorano ad altissimo livello. Insomma, se un giovane arriva oggi e mi dice che vuole lavorare nell’animazione in Italia, la mia risposta è diversa, oggi ci sono le possibilità di farlo. 8 febbraio 2005 Giuseppe Laganà, milanese, dopo gli studi artistici all’Accademia d’Arte, fa i suoi esordi nel cinema d’animazione, soprattutto pubblicitario, con Pierluigi De Mas. Dopo una breve parentesi alla Gamma Film, lavora come animatore ai lungometraggi West and soda e Vip, mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto e, dopo una pausa da freelance, torna a lavorare con Bozzetto per la realizzazione di Allegro non troppo. Tra i suoi film d’autore l’Om salbadgh e Pixnocchio. Ha curato la regia di numerose serie tv. Fonda lo studio The Animation Band, che ha lasciato recentemente tornado a lavorare come freelance. Ha insegnato alla Scuola Nazionale di Cinema-Centro Sperimentale di Cinematografia e al Dams di Gorizia. La sua filmografia comprende un gran numero di sigle televisive, spot pubblicitari e film industriali, cartoons e dal vero. Ha lavorato anche nel campo dell’illustrazione.

11.16 Manfredo Manfredi Mi racconti dei tuoi esordi nel mondo dell’animazione? Sono arrivato all’animazione per vie traverse. Ho fatto l’Accademia di Belle Arti a Roma, sono diplomato in Scenografia, e da sempre mi dedico alla pittura. Nel 1965 ho cominciato a fare dei lavori per la Corona Cinematografica che produceva cortometraggi e diciamo che questo è stato il mio inizio. Non sono nato con la vocazione dell’animazione, che poi invece è diventato un interesse importante della mia vita, diciamo assoluto, a cui ho dedicato moltissimo del mio tempo. All’inizio ho lavorato in coppia per circa quattro anni con Guido Gomas, animatore e soggettista; ho fatto una serie di lavori con lui, tra cui 233

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65 Manfredo Manfredi

il mio primo film del 1965 che si chiama Ballata per un pezzo da novanta, un film che prendeva spunto da un fatto di cronaca, parlava di un processo in Sicilia, la storia di una madre di un giovane ucciso dalla mafia, uno dei primi casi di rottura dell’omertà. Poi ho fatto altri corti sul problema degli immigrati del sud, film con un taglio di carattere sociale. Dopo questo primo periodo ho realizzato altri cortometraggi con la Corona per i quali ho avuto anche una serie di riconoscimenti. Dal 1975 è iniziata la mia collaborazione con la Cineteam, della quale ho fatto parte per molti anni, prima come collaboratore esterno e poi come socio. In quel periodo ho realizzato Dedalo, che ha avuto un certo successo, ottenne infatti una nomination all’Oscar e vinse un nastro d’argento. Fino a questa seconda fase della mia attività mi ero servito di quelli che erano i metodi tipici dell’animazione, cioè disegna234

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re su rodoide, con gli animatori che finivano il disegno, i lucidatori che lo riportavano su acetato, ma ho capito che erano tutti passaggi completamente inutili e infatti Dedalo l’ho fatto direttamente su carta. Era il 1975 e non era molto consueto fare un lavoro in questo modo, perché facendolo su carta ero costretto a creare con il disegno tutti i movimenti di macchina, gli zoom e così via, cioè era come una presa diretta continua. Oltretutto il fotogramma l’avevo ristretto rispetto all’inquadratura, proprio per far vedere oltre l’illusione. Era un film abbastanza drammatico, una specie di scatola cinese dove non si capisce, almeno l’intenzione era quella, quanto era ricordo e quanto invece fosse realtà. Tutto parte dall’apertura di una finestra, ci rendiamo conto che lo spazio temporale è questo, però, fra il tempo dell’apertura e la chiusura della finestra, avvengono delle cose che capiamo essere i ricordi di un uomo a proposito di una donna: forse c’è un assassinio, ma forse non c’è, poi una serie di altre implicazioni, i sensi di colpa. È una sorta di gioco mentale dove la drammaticità delle situazioni svela la sua falsità grazie al fatto che l’inquadratura è più grande del disegno, per cui si sente il segno che va oltre, che è chiaramente fatto a matita, con i mezzi più semplici. L’ho disegnato io dal primo all’ultimo fotogramma. Dopo Dedalo sono entrato come socio nella Cineteam e questo ha voluto dire una grossa mole di lavoro anche su commissione, anche se ricordiamo che in Italia purtroppo si produceva pochissima animazione. Da allora ho cominciato a fare una serie di sigle per la televisione; precedentemente, questa è una curiosità, avevo disegnato una delle prime sigle per Carosello, con le piazze d’Italia, l’avevo fatta quando ancora non pensavo di entrare nel mondo dell’animazione. Ho fatto dunque sigle, film di tipo industriale, ma poi, stanco di questa situazione, sono uscito dalla Cineteam; poi però sempre su loro produzione, ho fatto un film su un canto dell’Inferno di Dante, che doveva diventare, almeno nelle intenzioni, parte di una serie. Anche questo film l’ho risolto in perfetta solitudine, nel senso che l’ho dipinto su vetro, un’operazione molto faticosa, sia dal punto di vista tecnico che per la difficoltà di affrontare il testo dantesco, tanto è vero che all’inizio ero molto restio ad accettare un’operazione di questo genere. Nel 1998 ho realizzato un altro breve film ispirato a Le Città invisibili di Italo Calvino. L’animazione per me è sempre stata un modo di sperimentare delle cose. Le stesse sigle, e ne ho fatte tante, sono diventate un modo per sperimentare, ho cercato così di riscattare quello che in effetti 235

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è un lavoro mercenario, perché per quanto ho sempre avuto una grande libertà nel realizzarle, restano però chiaramente un lavoro su commissione, dove esiste a monte già qualcosa alla quale ci si deve in qualche modo adeguare. Però, come dicevo, ho cercato di riscattare questa cosa facendola diventare un motivo di ricerca grafica, di ritmi, di musiche, infatti molte musiche le ho cercate io. Per me è importante che l’animazione sia un fatto creativo, non ho mai fatto un personaggio che diventasse un serial, direi che ho continuato a essere un pittore che si interessa di animazione. Credo che l’animazione sia uno di quei fatti creativi pieni perché è fatta di musica, di ritmi, di regia, una serie di fatti che convergono nell’opera, è appagante perché è un’opera a tutto tondo. Questa è la motivazione che mi do se mi chiedo perché faccio animazione, è un modo di esprimersi e questo è il mio modo di fare animazione, cercando l’immediatezza del segno, per questo mi piace disegnare e dipingere direttamente, perché è un modo di essere, una cifra. Quando ho realizzato Canto XXVI Inferno di Dante, non potevo mai ripetere o correggere delle parti già realizzate con la pittura su vetro sotto la verticale, erano improvvisate: nel senso che io avevo uno schema, una traccia a cui mi attenermi, ma nel dipingere sotto la macchina da presa le cose non rimangono, non ho una serie di disegni che poi posso rimettere sotto la macchina, se c’è un errore, devo rifare la scena praticamente dall’inizio. Dipingo direttamente sul vetro trasformando il disegno precedente, questo dà unicità alla cosa. È un lavoro che non potrò mai rifare, se, per ipotesi, si distruggesse il negativo, non ci sono i fogli macchina, non c’è una matrice, è impossibile rifarlo identico. Rispetto al mio rapporto con l’animazione, ho il rimpianto che, anche se ho avuto tanti anni molto attivi, la possibilità di fare cose anche importanti, le mie animazioni sono state meno creative di quello che avrebbero potuto essere, perché ho dovuto attenermi a certi schemi, non erano completamente autonome. Ancora qualche parola sull’Infermo di Dante. Come nasce il corto dedicato al Canto VI di Dante? Fa parte di un progetto che partiva è nato degli anni novanta con la Rai, ma che poi non è continuato, anche per l’obbiettiva difficoltà e il costo dell’operazione. Avevo fatto in precedenza un altro provino, che è Canto VI, che era un’idea iniziale di come poteva essere risolto il Canto dell’Inferno da un punto di vista artistico, sono tre minuti. Il film che poi ho realizzato 236

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nel 1997, Canto XXVI, è diciamo più diretto, l’ho fatto completamente io, mentre per quell’altro mi sono servito anche di altre persone, per eseguire delle ricerche, per preparare dei disegni, le intercalazioni. Nei tuoi film incontriamo Dante e Calvino. Qual è il rapporto con il testo letterario? Il rapporto è semplice, con Dante il testo è stato rispettato totalmente, la lettura è stata fatta da un famoso dantista. Per quanto riguarda Calvino l’operazione è diversa. Ho ridotto il testo di Calvino in quanto avevo una durata da rispettare, per cui la lettura integrale sarebbe stata impossibile. Il libro di Calvino narra dei racconti che Marco Polo fa al Kublay Khan dei suoi viaggi, parlando delle città che ha visitato nella sua vita, che hanno tutti nomi di donna. Sono città impossibili, di pura fantasia, ciascuna è raccontata in una paginetta, ognuna è un’immagine fantastica e sognata da questo viaggiatore. E anche fra Kublay Khan e Marco c’è un gioco di falsità. Le città, alcune, sono ridotte al solo nome e a un dettaglio che faccia ricordare la loro particolarità: l’immagine deve evocare questo tipo di suggestione. Il film finisce diversamente dal libro. Il Kublay Khan dice a Marco che lui gli ha parlato di tutte le città che conosce, ma che non gli ha mai raccontato della sua città, di Venezia: a questo punto il Khan capisce che c’è un gioco di memoria per cui Marco in realtà ha parlato fino ad allora solo di Venezia. In un altro passo del libro Marco dice che loro due potrebbero essere due pezzenti che si raccontano delle storie, e il finale del film li descrive come due barboni per la strada. Questa frase diventa dunque emblematica del libro. Infatti nel film sono ben visibili i fogli con il numero che scorre sotto perché l’inquadratura è più grande del disegno. Ritorna il gioco della finzione come in Dedalo. Certo, è l’inganno che viene svelato. Il fotogramma: la sua particolarità tecnica è quella del fare e lì il fare vuol dire che quello è esattamente il disegno numero 225 di quella storia falsa che si sta raccontando. Hai collaborato anche a L’eroe dei due mondi di Guido Manuli. Ne ho realizzato alcune sequenze. C’è una parte del film, che racconta lo stesso Garibaldi, sulla sua vita, che Manuli voleva realizzare in maniera diversa dall’animazione tradizionale. Mi ha lasciato completamente libero di fare come pensavo. L’ho realizzato in modo realistico 237

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come tipo di immagine, è fatto col metodo del disegno da materiale filmato, il rotoscopio12, ho disegnato dalla verticale, proiettando sul piano delle scene e disegnando e colorando direttamente. 5 ottobre 2000 Manfredo Manfredi nasce a Palermo nel 1934. Si trasferisce a Roma nel 1947. Si diploma in Scenografia all’Accademia di Belle Arti a Roma. Si interessa anche di pittura e presto approda al cinema d’animazione, realizzando nel 1965 il suo primo cortometraggio con Guido Gomas. Alla Corona Cinematografica prima, alla Cineteam poi, realizza cortometraggi d’autore, film istituzionali, didattici, pubblicitari, sigle televisive. Le sue opere sono state presentate in numerosi festival internazionali, ottenendo notevoli riconoscimenti, tra cui il Nastro d’Argento per Su sambene non est aba e la nomination all’Oscar per Dedalo.

11.17 Guido Manuli Gli anni novanta cominciano con un film molto particolare per quanto riguarda il rapporto dal vero-animazione: Volere volare, firmato da te e da Maurizio Nichetti. Com’è nata l’idea di questo film, qual è stata l’esigenza che vi ha portato a fare un film dal vero unito all’animazione? Tutto è cominciato quando io ho realizzato Solo un bacio, un cortometraggio degli anni ottanta dove il cartone animato interagiva con sequenze dal vero. Era un film che raccontava di un disegnatore ripreso dal vero che realizza personaggi femminili. Quando disegna Biancaneve si innamora della sua opera e lui stesso si trasforma in un’immagine disegnata, si getta nel foglio e cerca di sedurre Biancaneve. Il film ha avuto molto successo al festival di Annecy e ha vinto un premio. È stato un modo differente di unire le riprese dal vero all’animazione: in passato, come in Mary Poppins, c’erano degli animaletti in animazione che agivano assieme ai personaggi dal vero, però non avevano mai un’interazione fra di loro. Invece in Solo un bacio è presente questo tipo di legame ed ho visto che funzionava. Allora con Maurizio Nichetti abbiamo pensato di fare un lungometraggio di questo genere ed è nata l’idea base di Volere volare, dove un uomo si trasformava in cartone animato. Ma prima di arrivare a farlo, nel 1991, abbiamo aspettato circa sei anni, perché nessuno in Italia cre12

Vedi capitolo 8.

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66 Guido Manuli

deva che potesse essere un prodotto commerciale. Poi quando è uscito Chi ha incastrato Roger Rabbit siamo riusciti a realizzarlo. Parliamo del lungometraggio che hai realizzato nel 1994, L’eroe dei due mondi. L’eroe dei due mondi nasce dall’esigenza dell’istituto Luce di fare un film su Garibaldi che fosse destinato prevalentemente alle scuole e ai ragazzi. Ho cercato di fare una storia che tenesse desta l’attenzione dei bambini e che insegnasse la storia perché sono proprio i ragazzini delle elementari che studiano per la prima volta il Risorgimento. La cornice è una storia diciamo fantastica, con Garibaldi ormai vecchio che vive sull’isola di Caprera con gli animali che l’avevano seguito nelle sue avventure, ad esempio il vecchio cavallo, un pappagallo che aveva preso nel Sud America, una capra, un gatto, una situazione un po’ disneyana. Sull’isola naufraga un ragazzino che incontra Garibaldi, il quale comincia a raccon239

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targli la sua storia. Questa situazione è il trait-d’union con le sequenze storiche che racconta Garibaldi, realizzate con tecniche differenti dall’animazione tradizionale. Infatti Garibaldi, gli animali e il ragazzino sono disegnati con i tratti abbastanza tradizionali del cartone animato, mentre i pezzi storici sono stati realizzati da Manfredo Manfredi con la sua particolare tecnica, cioè facendo un rotoscopio13 su dei film dal vero, poi io li ho montati in base alle musiche di Giuseppe Verdi. E i cortometraggi che hai realizzato negli anni novanta? In generale è così: quando hai tempo cerchi di fare qualcosa che ti rilassi, nel senso che ti metti lì e fai quello che vuoi, senza avere nessuna pressione da parte dei clienti, cosa che accade per le opere su commissione. Nei cortometraggi fai quello che vuoi e generalmente te li finanzi da solo. Così è stato nel mio caso, salvo che per Casting che invece è stato finanziato dalla Sept-Arte; è stato l’unico corto per cui ho trovato una sovvenzione. La Sept-Arte è un canale televisivo culturale franco-tedesco, che spesso finanzia l’animazione. Poi c’è stata la lavorazione di Monster Mash. È la prima coproduzione tra una realtà italiana, che in questo caso è la Rai, e una società americana che è la Dic Entertainment di Los Angeles. È la storia di tre vecchi mostri: Frankestein, Dracula e l’Uomo Lupo che si accorgono che oggi non fanno più paura a nessuno, quindi vengono richiamati dal tribunale dell’orrore. Rischiano di essere cacciati dalla confraternita dei mostri se non riescono a spaventare entro una giornata una famiglia tipo: madre, padre e due ragazzini. La famigliola naturalmente non si lascia spaventare. Nello stesso tempo ci sono i nuovi mostri, il Freddy Krueger di Nightmare e Jason di Venerdì 13. Questi personaggi sono visti in chiave ironica, così il protagonista di Venerdì 13 invece della maschera da hockey ha uno scolapasta e gli spaghetti che gli escono dalla testa. Questi nuovi mostri cercano di fare perdere la sfida ai tre mostri tradizionali. I tre non riusciranno a spaventare la famiglia ma sconfiggeranno i nuovi mostri e verranno dunque reintegrati nella società dell’orrore.

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Ibidem.

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Cosa ti piace trasmettere nei tuoi film? Cerco ogni volta qualcosa di nuovo, non mi è mai piaciuto fare la stessa cosa. Adesso per esempio stiamo facendo l’Aida, è una cosa assolutamente nuova per me, e nel prossimo film penso di fare un’altra cosa ancora. Se non si ricerca sempre qualcosa di nuovo non c’è entusiasmo per continuare. Perché per fare un cartone come Aida ci vogliono molti anni, quattro tra il pensarlo, disegnare i personaggi, aspettare per realizzarlo e così via. Se non è qualcosa che non hai mai fatto non resisti quattro anni. Lo stesso vale per Monster Mash, ci sono voluti quattro anni per mettere insieme il budget e la storia è stata rifatta più volte. Questo per far partire la produzione, poi è stato realizzato molto velocemente in Corea e montato in America. In questo caso la novità era lavorare con gli americani, con Aida un genere che non ho mai fatto. Quindi inventarsi sempre qualcosa di nuovo. 11 ottobre 2000 Guido Manuli nasce a Cervia nel 1939. Nel 1961 entra a far parte dello studio di Bruno Bozzetto dove lavora come animatore, sceneggiature, regista e direttore artistico. Realizza il suo primo film d’autore firmando assieme a Bozzetto Opera, premiato al Festival di Annecy. Dal 1982 si dedica all’animazione come libero professionista, realizza numerosi cortometraggi, sigle televisive, arrivando al lungometraggio negli anni novanta. Le sue opere ottengono riconoscimenti nei festival internazionali, tra cui Solo un bacio, premiato al Festival di Annecy. Completa la realizzazione del lungometraggio Aida degli alberi nel 2001

11.18 Maurizio Nichetti La tua attività nel mondo del cinema inizia nel 1971 nello studio di Bruno Bozzetto. Hai lavorato come sceneggiatore e come attore. Come ricordi questa esperienza, come e perché è iniziata? Ho iniziato a Milano, dove non c’era il cinema, c’era solo una sede della Rai che lavorava poco ed era l’unica televisione esistente, dunque chi voleva lavorare nel cinema aveva delle difficoltà. Io sono stato fortunato a trovare uno studio di animazione. Bozzetto aveva già realizzato West and Soda e Vip mio fratello Superuomo, insomma aveva fatto già dei lungometraggi che lo avevano fatto conoscere in tutto il mondo e soprattutto aveva un’attività nel mondo pubblicitario, anche per Carosello, per cui diciamo 241

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SABRINA PERUCCA

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che era uno studio che lavorava nel cartone animato applicato alla pubblicità ed al lungometraggio. Io venivo dal teatro, dal mimo, avevo fatto la scuola del Piccolo Teatro di mimo. Mi piaceva fare il comico, però di gesto, di gag visive, per cui non mi interessava tanto continuare l’attività come attore nelle compagnie di prosa quanto far ridere col movimento. Questo era molto difficile da realizzare, anche il cabaret era fatto tutto di battute, di parole. Così quando mi sono ritrovato a conoscere il mondo dell’animazione ho scoperto che il cartone animato era un mondo di gag visuali. Tanto è vero che poi ho scoperto che nella storia del cinema tutti gli autori di cartoni animati, gli sceneggiatori e quelli che si chiamavano gagmen venivano dal cinema muto, perché il muto aveva sviluppato la gag visiva; quando è arrivato il sonoro tutta la gente che lavorava come gagman nel cinema muto è passata a fare le gag per i cartoni animati. Per cui, ad esempio, Will il coyote e Tom e Jerry, cartoni animati storici, sono stati fatti con le gag che erano prima del cinema muto. Ho scoperto in questo il filo d’unione tra la mia passione per il film comico visivo e il cartone animato. Da quel momento ho cominciato a vedere tutti i cortometraggi di Norman 242

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McLaren e di Bozzetto stesso. In quegli anni lavoravo come sceneggiatore di cartoni animati, ho scritto fra le altre cose tre lungometraggi del Signor Rossi. Abbiamo lavorato per tanti anni sullo sviluppo di questo personaggio, parallelamente abbiamo realizzato nel 1977 Allegro non troppo, di cui io mi sono occupato principalmente dei dialoghi e della sceneggiature, Manuli della direzione dell’animazione e Bruno Bozzetto della regia. Successivamente sono andato via dallo studio di Bozzetto e ho cominciato a fare i miei film, che erano comunque sempre molto visivi, avevano sempre l’apporto dell’immagine del cartone animato, questa è infatti la mia preparazione, la cui base resta sempre la gag visuale. In più ho avuto la fortuna che tutto quello che si è sviluppato in seguito attorno al computer, al 3D, all’attività digitale, è fratello dell’animazione. Da quando sono nate tutte queste nuove tecnologie, non ho fatto nient’altro che unirle a tutte ciò che già facevo prima nel cartone animato, sia come processo di lavoro, sia come gag, sia come visualizzazione. Tutto questo naturalmente è un’acquisizione di questi ultimi anni perché, ancora nel 1990, quando abbiamo fatto Volere volare, abbiamo lavorato in maniera tradizionale, così come è accaduto anche per Chi ha incastrato Roger Rabbit, che non è realizzato al computer, ma con la truka verticale, con riprese classiche, mascherini e contro-mascherini. La grande invenzione di Chi ha incastrato Roger Rabbit e di Volere volare, che sono film dello stesso periodo, è l’immissione delle ombre nel cartone animato: il cartone crea un’ombra propria, vera, non disegnata. Non l’ombra dei sette nani di Biancaneve che era il disegno di un’ombra, ma un corpo che ha un’ombra vera. Questa è stata la trovata tecnica del momento, però tutto è stato realizzato in pellicola, moviola e con tecniche tradizionali. Siamo riusciti ad utilizzare l’esperienza di Roger Rabbit per mettere le ombre nel nostro cartone, in maniera del tutto sperimentale, perché nessuno ce l’ha insegnato, abbiamo studiato la pellicola e alla fine abbiamo fatto una cosa che è stata tecnicamente apprezzata molto anche negli Stati Uniti. Pensi dunque che in qualche modo il tuo esordio nel mondo dell’animazione abbia influenzato il tuo modo di essere regista di film dal vero, dandoti delle caratteristiche particolari? Si, ricollegandoci a quello che abbiamo detto, in pratica fin da piccolo mi divertivo di più a guardare Stanlio e Ollio piuttosto che un comico 243

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di parola, poi crescendo mi sono sempre ritrovato a lavorare col gesto, mai con la parola, per cui mettendo in scena Amleto facevo in realtà l’ombra di Amleto in quanto lavoravo come mimo. Ho lavorato anche come clown nel circo. Ho sempre usato la gestualità, ho aperto una scuola di mimo, ho fatto uno studio comparando la Commedia dell’Arte, il circo e la comica finale, scoprendo le linee d’unione e i repertori comuni, perché l’entrata di Arlecchino, di un clown e le scene di un film comico muto molte volte erano basate sulle stesse gag. Ho applicato le mie conoscenze sul gesto ai cartoni animati, esattamente come gli sceneggiatori degli anni venti hanno applicato la loro esperienza ai cartoni quando c’è stato l’avvento del cinema sonoro. E poi quando ho fatto un film tutto mio, ho realizzato un film dal vero, ma con in mente i ritmi delle azioni visive, delle azioni clownesche, mimiche. Il mio cinema è sempre stato più visivo che parlato. Dunque qual è stata la ragione che ti ha portato a fare film dal vero? L’esigenza di dedicarmi a film scritti e diretti da me, cioè film in cui io potessi inventare qualcosa. In teatro dovevo lavorare su testi di altri, il cabaret non mi piaceva tanto perché non aveva la dimensione mimica, la pubblicità è troppo breve e non dipende da chi la fa ma da chi la paga. Invece il cinema è una produzione che mi permette di esprimere, di raccontare delle storie mie, che nel tempo si sono rivelate sempre storie tra realtà e fantasia, non vere ma verosimili, dei sogni ad occhi aperti. Gli anni novanta si aprono per te con Volere volare, che hai sceneggiato e diretto assieme a Guido Manuli. Come nasce e si sviluppa l’idea di questo film? L’idea era nata tanti anni prima, nel 1981, quando stavamo pensando ad un terzo film dopo Ratataplan e Ho fatto splash, ossia Domani si balla. Avevo già lavorato con Guido allo studio di Bozzetto e poi mi aveva aiutato a fare degli inserti a cartone animato nei miei primi film. L’idea iniziale di questo film era l’invasione della Terra da parte dei cartoni animati. Ci siamo resi conto subito che costava troppo, fare una cosa del genere avrebbe implicato un budget che noi non avevamo. Allora abbiamo trasformato la sceneggiatura: l’idea è diventata quella dell’invasione della Terra da parte del ballo e della musica. Da un punto di vista visivo però, l’idea di un’invasione da parte dei cartoni animati ci piaceva. Allora ci siamo detti che se non potevamo pagarci questa invasione, ci potevamo 244

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almeno pagare l’invasione subita da un uomo da parte di un cartone animato. L’idea era: «Facciamo diventare cartone animato un personaggio, costa meno, però è divertente!». Questa è stata l’idea del 1981, ma sono passati nove anni prima di fare Volere volare. Abbiamo scritto la sceneggiatura quasi subito, non nella versione in cui poi è stato girato il film, però c’è stata da subito l’idea di un uomo che diventa cartone animato a causa di una storia d’amore, che lo agita e gli crea la metamorfosi. Solo che dal 1981 al 1988 non abbiamo trovato i finanziamenti perché nessuno voleva dare dei soldi per un cartone animato che parlasse d’amore, di sesso, non un cartone animato per bambini. C’era infatti la convinzione che i cartoni fossero solo per i bambini, poi nel 1988 è uscito Chi ha incastrato Roger Rabbit, allora tutto il mondo ha visto, ha capito che il cartone animato poteva essere un business anche per gli adulti. Anche il film americano ha dentro delle scene di sesso, Jessica Rabbit è diventata un simbolo di donna fatale, pur essendo un disegno animato. Per cui grazie all’uscita di Chi ha incastrato Roger Rabbit ho trovato i soldi per fare il mio film. In Volere volare è come se lo straordinario si inserisca nella normalità perché in realtà comunicano facilmente. Come succede alla tartaruga e alle anatre che in maniera del tutto naturale entrano nel taschino del tuo personaggio. Qualcosa di simile accade anche in Ladri di saponette, in cui il mondo della pubblicità incontra il reale. Come vedi questo rapporto tra realtà e fantasia? Io sono convinto che la differenza tra la tv e il cinema sia proprio data dall’elemento fantastico cioè. La televisione con la diretta, il digitale, l’elettronica, le telecamere che spiano la gente è la realtà, finta o vera che voglia essere; il cinema invece, con tutte le possibilità offerte dal digitale superstereo, allo schermo maxi, a tutti i vari elementi della colonna sonora, gli effetti speciali, reinventa la realtà. Il cinema come documento della realtà, come neorealismo, è una cosa di cinquanta anni fa, quando non c’era la tv. Ma oggi che c’è la tv, siamo affranti da tutte le trasmissioni “finte-vere”, non posso andare al cinema e rivedere ancora una cosa fintavera, perché il cinema mi deve far sognare. Secondo me un autore di cinema deve sempre ricordarsi l’epoca in cui vive, la realtà, i contenuti, l’impegno sociale, il nostro mestiere è anche quello di dire delle cose serie, un autore del nostro tempo deve riuscire a 245

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parlare di problemi, di angosce, di solitudini, ma utilizzando delle invenzioni fantastiche, altrimenti fa un documentario che può fare benissimo in televisione. Per cui la differenza tra un regista televisivo ed uno cinematografico per me oggi è proprio questa discriminante fantastica che ti fa capire quando vedi un’immagine che non è una trasmissione televisiva. In Volere volare traspare indubbiamente un amore per il cartone animato. Il tuo personaggio sonorizza vecchi cartoni americani, e il fatto stesso che il protagonista diventi un cartone mi sembra proprio una dichiarazione d’amore a tutta l’animazione. Direi una dichiarazione d’amore per tutto ciò che è fantastico, che è fuga dalla realtà, reinvenzione della realtà. Infatti a me il cartone animato piace così come le comiche finali piacevano perché sapevano uscire in maniera infantile dalla realtà. Però c’è del vero, come dicevo prima, se io infatti come spettatore del duemila volessi vedere come viveva l’americano medio nel 1920 vado a vedere i film di Stanlio e Ollio e di Chaplin, perché le comiche di allora, che erano come i cartoni animati, mi raccontano molto di più delle nevrosi quotidiane di quell’epoca di quanto mi racconta il cinema drammatico. Credo che questo avvenga in tutte le epoche, quando il cinema comico è bello, i film di Tati, di Totò, raccontano della loro epoca molto di più dei film drammatici. A parte Volere volare, c’è stato un legame col mondo dell’animazione dopo aver lasciato lo studio di Bozzetto? L’ho continuato anche troppo, nel senso che vengo quasi identificato come un autore di cartoni animati senza esserlo davvero; io non ho mai disegnato, non ho mai firmato un film animato. Volere Volare non a caso lo firmavo con Manuli, perché era lui l’autore dei cartoni animati. Comunque nei miei film c’è sempre stato in vari modi il legame con l’animazione. In seguito ho presentato delle trasmissioni televisive sul cartone animato, per cui il mio viso è stato abbinato a questo mondo. Ho fatto lo sceneggiatore per Bozzetto e anche per Manuli. Per cui diciamo che è una frequentazione che continua e continuerà anche in futuro, anche perché è in cantiere un sequel di Volere Volare. 16 novembre 2000 246

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Maurizio Nichetti nasce a Milano nel 1948. Tra il 1971 e il 1978 lavora come sceneggiatore allo studio di Bruno Bozzetto, dove interpreta anche delle parti dal vero. Nel 1979 esordisce alla regia con il suo primo lungometraggio, Ratataplan. Ha realizzato diversi film, sia come regista che come attore, e ha fatto anche televisione.

11.19 Alessandro Panzetti Come inizia la tua esperienza nel mondo dell’animazione? La storia è abbastanza lunga. Io sono autodidatta, ho imparato per conto mio a fare questo tipo di ricerca, perché univa diverse mie conoscenze. Ho fatto esperienza teatrale negli anni settanta, ero consulente musicale, ho fatto diverse esperienze di composizione musicale per il Comune di Roma poi, essendo architetto, ero molto interessato all’imma-

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gine grafica. Unendo tutte queste mie conoscenze avevo capito che lo specifico animazione era quello adatto a me e ho cominciato questa attività con il super 8. Con un’attrezzatura poco professionale sono riuscito ugualmente a fare delle esperienze che poi alla fine hanno avuto riconoscimenti, proprio perché realizzate con attrezzature povere. Per me è fondamentale il rapporto tra musica e immagine, io parto prima dalla musica ed ho sempre pensato che lo storyboard, normalmente costituito da immagini, da inquadrature, da sequenze, andasse fatto prima sonoro. La sceneggiatura ovviamente va fatta però, prima di passare alla fase delle immagini, va realizzata contemporaneamente quella sonora, registrando con la voce, battendo sul tavolo, ritmando dunque le azioni dei personaggi. Per personaggi io intendo anche quelli astratti, non li immagino solo antropomorfi o animali, per me un personaggio può essere pure una macchia in un intertempo di musica. Per cui per me è importante lo storyboard sonoro perché è quello che dà la garanzia al futuro del film. Siccome il film va fatto fotogramma per fotogramma, non si ha un controllo dal punto di vista dell’azione vera e propria, del movimento e della gestualità, ma a livello sonoro lo si può avere. Animazione bene o male ha questo termine proprio perché dai anima a qualche cosa che non ce l’ha, dunque l’anima la crei nelle pause e nei movimenti ben dosati, se il personaggio è triste o meno, il pathos lo realizzi e lo comunichi attraverso il ritmo. Ho sempre pensato, per quanto riguarda il cinema d’animazione che avrei voluto fare io e che poi bene o male ho realizzato e continuo a fare, che in un film in cui non c’è una vera e propria storia vi sono invece emozioni che si trasmettono attraverso appunto le musiche e le immagini che possono essere anche astratte. La struttura può essere quella del sogno, perché un film d’animazione permette di fare associazioni come quelle oniriche, si può passare da un ambiente a un altro, sembra che non abbia nessun nesso, invece lo può avere, la metamorfosi, un oggetto può richiamare un altro; io vorrei realizzare sempre di più cose con questo tipo di taglio. Dal 1974 insegno, per cui la mia formazione è quella dell’insegnante, mi piace moltissimo spiegare e raccontare le cose che ho imparato da solo, e in questo campo ho lavorato con moltissime persone, dai bambini delle elementari, delle medie, fino agli studenti universitari e dell’Accademia, ai pittori. In seguito ho lavorato con il 16 mm, formato più professionale, quindi scontrandomi con una nuova tecnologia che mi permetteva però di fare 248

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cose molto più precise. La bellezza del lavoro per me stava anche nel cercare di adattare attrezzature che non erano del tutto professionali per realizzare invece un lavoro che lo fosse, sfruttando quelle capacità che avevo acquisito studiando architettura, quindi progettando attrezzature, verticali e così via, studiando un po’ di tecnologia in quanto a me piace molto anche l’aspetto tecnico oltre che artistico. Il cinema d’animazione unisce tutte queste aree che secondo me completano molto l’individuo: fa confluire conoscenze tecniche, scientifiche, capacità di progettare nella difficoltà del lavoro in fase, preciso, fotogramma per fotogramma, cercando di mantenere l’entusiasmo e la forza di comunicare un’emozione, tutto ciò è estremamente complesso. E questa era una scommessa che ho sempre cercato di vincere. Ho continuato a lavorare dal 1986 con i ragazzi dell’Istituto d’Arte di Pomezia che, una volta diplomati, sono venuti al mio studio, hanno lavorato con me e poi hanno preso le loro strade, spesso continuando questo tipo di attività. Raccontami di come lavori sul cortometraggio e quali sono le tecniche che solitamente utilizzi. Le tecniche sono tantissime, a me piace sperimentare per cui non mi fossilizzo su una tecnica, quindi ho lavorato con la sabbia, col découpage, col disegno in fase, sia su carta che su acetato, ho lavorato con la tecnica del film guida e ultimamente col computer. La scelta della tecnica dipende anche dalle persone con cui lavoro: quando lavoro con altre persone guardo il tipo di segno che loro usano, qual è il loro stile e capisco qual è la tecnica più adatta, questa è la cosa che a me interessa di più fare, proprio perché il taglio è quello della sperimentazione. La tecnica dà forma al progetto, quindi se la tecnica è per esempio la sabbia, non si può fare uno story-board come si fa per il cartone animato, bisogna predisporre tutto in modo diverso, quindi ogni tecnica prevede un progetto diverso e preciso. Quali sono stati nell’animazione gli autori che ti hanno affascinato? Ce ne sono diversi. Luzzati e Gianini sicuramente, proprio per il rapporto musica e immagine. Mi piacciono molto i primi lavori di Bozzetto, in cui faceva dei personaggi piccolissimi e la sua grande capacità di sintesi. Ammiro anche molto Toccafondo. Poi Norman McLaren, secondo me il padre dell’animazione, nel suo ruolo di studioso e anche gli altri canadesi proprio per il loro grande interesse per la ricerca. 249

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Vorrei avere un tuo parere sull’animazione al computer, anche rispetto al tuo lavoro. Il computer oggi non si può fare a meno di usarlo. Io ero molto affezionato al cinema proprio perché era un po’ come un gioco d’azzardo in quanto occorreva tantissimo tempo per fare delle cose e poi a pellicola sviluppata poteva non risultare nulla, si poteva commettere un minimo errore che avrebbe sconvolto ogni cosa. Adesso il computer rende tutto estremamente più semplice, perché si può verificare subito l’aspetto di una cosa e correggerlo. Questo non può che essere considerato positivo. Per il momento io lo sto utilizzando al posto della cinepresa, della pellicola, dei coloritori, però i disegni continuano a esser fatti a mano, oppure si può plasmare la plastilina, riprenderla con la cinepresa digitale e poi montare al computer, che ti permette poi di modificare, di usare dei filtri e questo diventa una cosa interessante. Secondo me il computer deve essere usato per quello che è, nella sua utilità, ma non come sostitutivo e voglio approfondire questo tipo di ricerca. 1 agosto 2000 Alessandro Panzetti si dedica inizialmente all’attività teatrale, dal 1973 al 1978 realizza diversi spettacoli come coautore, attore e musicista. Studia composizione al Conservatorio di Santa Cecilia e nel 1980 si laurea in Architettura. Nello stesso anno fonda lo Studio Doppio, con Massimo Costa, per realizzazioni in animazione. Svolge attività didattiche di animazione per il Comune di Roma. Nel 1983 realizza il suo primo film. Negli anni ottanta prosegue nella realizzazione di cortometraggi d’autore, collabora nella prima parte degli anni novanta con Leonardo Carrano. Dal 1986 è docente di Tecnologia delle Arti applicate e tiene corsi di cinema d’animazione.

11.20 Stelio Passacantando Qual è stato il tuo primo incontro con il cinema d’animazione? Ho cominciato a scrivere sulla rivista «Carte segrete» nel 1966, nella quale parlavo del cinema d’animazione, della sua importanza, in rapporto anche al cinema dal vero. Per me il cinema poteva essere di due, tre o cinque minuti, essere dal vero o disegnato, era comunque una forma di espressione. Infatti oggi le tecniche digitali, gli effetti speciali, portano all’unione di queste diverse forme di cinema. 250

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69 Stelio Passacantando

Sei fondamentalmente un pittore, cosa ti affascina dell’animazione? La possibilità di far vivere, attraverso il cinema, il movimento, la fantasia e l’immaginazione. Quello che tu vedi in un quadro, in un disegno, in una illustrazione, questo mondo immaginario: vederlo vivere attraverso un film, nel movimento che è vita, dando valore al colore, alla fantasia, alle forme, anche nel rapporto con la musica. Io non sono d’accordo invece con il portare il disegno e l’animazione verso una descrizione della realtà, allora abbiamo una fotografia, bisognerebbe invece a mio avviso dare molta importanza al colore, alla libertà, stimolare la fantasia. Vorrei che mi raccontassi qualcosa sul tuo cortometraggio Il generale all’inferno. Questo film è basato su una poesia di Pablo Neruda, recitata da Arnoldo Foà, è una poesia molto cruda. Parla del generale Franco all’inferno, il testo mi aveva molto affascinato, con delle parole che hanno una 251

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forza terribile. Io ho cercato di esprimere attraverso i disegni, espressionisti, in bianco e nero, la violenza della guerra, la distruzione, l’espressione dei volti dei generali, quasi come degli animali, cercando di valorizzare il testo della poesia con le immagini, contro tutte le forme di dittatura. E l’esperienza con Tv Cartoon? C’era la sede di Tv Cartoon a Roma, dove venivano Jimmy Murakami e altri autori per fare le animazioni pubblicitarie, poi da Roma è stata trasferita a Milano, che era la capitale della pubblicità. C’erano continuamente questi scambi, e anche io sono andato a Londra alla sede di Tv Cartoons, e ho lavorato con John Dunning, regista del film Yellow Submarine e con Jimmy Murakami. Passiamo a parlare delle tue realizzazioni degli anni novanta. Ho realizzato diversi cortometraggi, ho lavorato per la televisione, a degli intermezzi per la pubblicità, animando delle stampe di inizio novecento. Infatti nel mio lungometraggio Lo specchio delle meraviglie, tratto da Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, per ambientare Alice agli inizi del novecento, ho preso spunto dall’illustrazione dell’epoca. Il film inizia con Alice annoiata nella sua bella casa appartenente all’alta borghesia che, cercando di fuggire da questo ambiente, entra in uno specchio e tutto diventa pura fantasia, immaginazione e colore. Alla fine ritorna nella sua casa, però ha vissuto in libertà la sua voglia di evasione. Negli anni novanta hai realizzato un altro lungometraggio, Il giornalino di Gian Burrasca. Gian Burrasca è una mia passione che ho fin da bambino, perché anche io ero un po’ un Gian Burrasca ai tempi della scuola. Gian Burrasca è il simbolo di questa ribellione che caratterizza spesso i bambini. Quali tecniche ami usare? Io ho usato e uso tutte le tecniche, pastello, découpage, rodoide, animazione a fasi, proprio perché tutto è possibile nel cinema d’animazione. 27 ottobre 2000 252

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Stelio Passacantando nasce a Roma nel 1927. Si diploma all’Accademia di Belle Arti. Negli anni sessanta si trasferisce in Gran Bretagna dove collabora con l’équipe del National Film Board Tv Cartoons, con la direzione di Gorge Dunning. Collabora con lo studio Gianini-Luzzati. Nel 1963 dirige a Milano la Tv Cartoons Italia. Dal 1970 realizza cortometraggi e filmati per la tv. Nel 1991 realizza Il giornalino di Gianburrasca, seguito nel 1995 da Lo specchio delle meraviglie.

11.21 Gianni Peg Come sei entrato nel mondo dell’animazione? Ho cominciato a Milano con il cartone animato perché stavo facendo architettura all’Università e lì ho conosciuto Ro Marcenaro, un animatore. Poi ho sospeso per un po’ il lavoro con i cartoni animati, perché mi sono messo a fare dei fumetti per bambini e ragazzi, fumetti umoristici, e ho tenuto un giornale, che si chiamava «Carosello», con ben cento pagi-

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ne al mese. L’ho fondato insieme a Ro Marcenaro nel 1964, cinquanta pagine a testa al mese, inventandosi i personaggi e le storie. Poi ho continuato con l’illustrazione, perché ne ero affascinato. Tra le tue numerose realizzazioni hai fatto più di cento piccoli film per la Rai tra la seconda metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta. Ho fatto questi film per la televisione, però sono stati notati anche in altri ambiti. Il programma era La macchina del tempo, di Stefano Munafò. Avevo solo quindici giorni di tempo per realizzare ogni corto. Non si poteva sgarrare perché la trasmissione andava in onda tutte le settimane. Nei miei film i personaggi si muovono pochissimo, sono più delle illustrazioni in movimento. Il film che rappresenta La battaglia di Pavia, ad esempio, si svolge tutto in un quadro, e questo è stato fatto al computer, naturalmente per poter realizzare questo, avevo un bravissimo scenografo che mi ha riprodotto il quadro come fosse vero, era grande, ed è stato scannerizzato tutto a pezzetti. Dieci anni fa avevo un computer, che era il primo in Italia ad avere un programma per l’animazione, era un programma americano, di studio, non commerciale, ce ne erano due copie in tutta Europa, una in Italia e l’altra in Inghilterra. Così sono stato il primo in Italia ad usarlo, e questi cartoni fatti al computer sono stati i primi esperimenti di lavorazione al computer qui in Italia. Alle animazioni ha partecipato anche Maurizio Forestieri. Per questo programma, il computer occupava un intero piano di un palazzo, dove c’erano otto stazioni operative, una di queste dedicata al montaggio, quattro alla colorazione, una al passaggio su pellicola cinematografica 35 mm, questo programma permetteva infatti di registrare su pellicola. Le dimensioni ovviamente erano gigantesche rispetto ad oggi, perché la memoria era su nastro, e non su disco rigido. Tra gli altri corti di quel periodo, quello sulla Rivoluzione francese è fatto con tanti quadri, è quasi più un lavoro di montaggio che di animazione, l’animazione c’è solo nella seconda parte del film. C’è una scena con quarantacinque livelli. Per Guai ai vinti ho voluto creare l’effetto per cui sembrava che fosse fatto su un affresco etrusco, cioè il fondo è un affresco ricostruito e i personaggi danno l’effetto delle figure dell’affresco che si muovono. Tutti questi film sono caratterizzati da vari e diversi stili. Se mi chiedi perché io faccio sempre cose sulla storia, la letteratura e simili, è perché in realtà mi piace fare qualcosa che serve, cerco di ren254

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dermi utile con quello che faccio, lavorare e operare il più possibile in campo didattico, di dire col cartone animato delle cose che servono. Quello che faccio io è un tipo di disegno che comunque non serve all’industria serve sempre alla cultura, con temi come la storia, la letteratura. Ho fatto anche un film sulla fisica, che ha avuto un enorme successo, ho vinto il primo premio, insieme alla Rai, al Mifed, a pari merito con la Bbc inglese. È sempre stata intorno a questo la mia attività, le cose più fantasiose le ho fatte con delle sigle, che quindi non avevano un appiglio didattico ma spettacolare, lì potevo essere più fantasioso. In un altro mio cortometraggio, Ci rivedremo a Filippi, sempre nella mia intenzione di raccontare le cose con il linguaggio dell’epoca, mi sono domandato come si raccontavano le loro storie i romani, lo facevano con i bassorilievi, la colonna Traiana, Adriana, sono tutti bassorilievi che raccontano le imprese dei condottieri romani. Allora, dovendo raccontare una storia romana, l’ho raccontata con dei bassorilievi: è fatto con un’animazione per dissolvenze, è più semi-animazione. Il corto Andare a Canossa, è di ambientazione medievale quindi è realizzato come se fosse su un arazzo, prendendo a modello uno dei più famosi arazzi medievali della Normandia, che racconta le imprese di Guglielmo il conquistatore, quando i normanni andarono a conquistare la Britannia. Ha una grafica molto curiosa e simpatica, che io ho ripreso in questo film, dove c’è una particolarità, i personaggi sono disegnati direttamente su carta, le scenografie sono su rodoide, cioè facendo il contrario rispetto all’uso normale: quando il personaggio si muove, cancello la scenografia che è fatta a gessetti, pastelli a cera su rodoide, in modo tale da lasciare libero il campo all’animazione man mano che si muove. Quindi si vede una scenografia che è fatta a cancellazione, poi quando il personaggio è passato, la ricostruisco, se è necessario. Il film Merde! è un corto molto curioso. Volevo raccontare in un minuto e mezzo la battaglia di Waterloo dall’inizio alla fine, e spiegare com’era avvenuta. Ho studiato dei libroni, ho trovato degli affreschi strepitosi che sono stati fatti a Waterloo in una cappella che rappresentano tutte le fasi della battaglia. Prendendo ispirazione da questo, ho preso delle stampe dell’epoca in bianco e nero, le immagini degli affreschi le ho fotocopiate e ridotte, ho ridotto in bianco e nero tutto il materiale che ho trovato, l’ho poi ricolorato, in modo tale da dare a tutto l’omogeneità da stampa d’epoca. Così tutto rimanda non tanto agli affreschi, che sono stati fatti cinquant’anni dopo la battaglia, ma alle stampe contemporanee agli avve255

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nimenti, come fosse dunque un po’ una cronaca. Sono anche molto orgoglioso della colonna sonora, elemento a cui ho dato sempre un’enorme importanza perché è importante anche l’impatto emotivo che deve avere la storia. Per cui io dedicavo molto tempo alla ricerca delle musiche di repertorio, proprio per la bellezza delle composizioni. In L’uovo di Dante c’è una bellissima Firenze, siccome è ambientato nel periodo di lotte tra i Bianchi e i Neri, ho voluto renderla simile a una tavola degli scacchi, è un po’ escheriano come disegno. Raccontami di come hai realizzato due recenti cortometraggi: Drop’s Dreams e Nightmare Kiss. Li ho realizzati al computer. I disegni li ho fatti su carta e poi li ho scannerizzati al computer. Così ho potuto fare la colorazione e creare numerosi livelli per le scene. Ad esempio davanti c’è un livello molto scuro, e poi tutti i livelli inferiori. Il lavoro di montaggio delle animazioni, che viene dopo la colorazione, viene fatto direttamente al computer. Una volta montato viene fissato, come se fosse la ripresa, e poi passato su nastro. 30 ottobre 2000 Gianni Peg nasce a Siena nel 1940. Vive a Milano per poi trasferirsi a Roma. La sua filmografia è ricca di titoli, fonda negli anni sessanta il giornale «Carosello», si occupa anche di illustrazione. Ha realizzato sigle per la tv, short pubblicitari, film istituzionali, cortometraggi d’autore, quattro serie tv composte da brevi film per la Rai, fino alla realizzazione di cd rom interattivi.

11.22 Gianluigi Toccafondo Innanzitutto vorrei che mi raccontassi dei tuoi inizi, come sei arrivato al mondo dell’animazione? L’inizio è questo: mio padre era ceramista e pittore, quindi ho sempre disegnato, ho avuto gli strumenti in casa per lavorare la ceramica e disegnare da quando avevo due anni e fino ai quattordici ho sempre lavorato con lui. Poi ho fatto l’Istituto d’Arte a Urbino dove c’era il corso di animazione, solo che non ho mai fatto una vera animazione perché piuttosto si faceva della grafica in movimento, c’era soprattutto un tipo di disegno 256

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71 Gianluigi Toccafondo

e pittura in movimento. L’animazione è venuta fuori dopo, ho iniziato a fare qualche esperimento quando sono andato a Milano. Avevo circa venti anni e ho iniziato a collaborare con uno studio dove si faceva animazione e illustrazione. Inizialmente lavoravo nell’animazione per la pubblicità, con Carloni e Mulazzani alla Mixfilm. Lavoravo sulle sigle e sulla pubblicità, però era sempre un lavoro su commissione, quindi si cambiava stile di volta in volta: era il lavoro quotidiano. Contemporaneamente avevo affittato un piccolo studio dove andavo a dipingere, perché io volevo sempre fare il pittore, è sempre stato il mio interesse principale. In questo studio facevo dei piccoli esperimenti fotografando immagini, poi ingrandivo i fotogrammi e li dipingevo. Queste cose le facevo anche in piccolo, attaccavo le fotografie sulla carta, poi allungavo e ricostruivo la foto nelle parti mancanti. Quindi c’è sempre stato questo intento di partire dall’immagine fotografica, che era poi il metodo che avevo visto anche nello studio, quando si facevano le sigle e si riprendevano i movimenti reali e poi 257

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si ridisegnava tutto. A me interessavano invece anche le foto perché erano, a volte, di una qualità anche abbastanza bassa, e sembrava già un disegno, poi con la fotocopiatrice diventava sempre più una forma in movimento. Da qui ho realizzato un primissimo filmetto da alcune sequenze di Buster Keaton, poi ne è nato un altro, ma erano cose sperimentali che poi giravano i festival. Attraverso questi festival sono nate le prime commissioni su questo tipo di tecnica che era abbastanza diversa. Sono nate delle sigle, delle opportunità di lavorare in Francia e poi negli Stati Uniti. Quello che una volta era il lavoro che facevo da pittore e poi quello di animatore è diventato tutt’uno. Con lo stesso segno riuscivo a fare un’illustrazione, un quadro, un cortometraggio, però io ho sempre amato il movimento, l’animazione. Quindi la tua tecnica si basa sull’utilizzo di spezzoni di film lavorati in vario modo. Partendo da quelli, che erano la base, uno spezzone diventava un disegno, il disegno mi portava ad un altro spezzone di film e così via. Poi ho cominciato a riprendere io, a fare delle riprese dal vero di cose che mi interessavano, quindi non era più un lavoro di citazione che partiva da un film, ma era un lavoro in cui andavo io a cercare alcuni elementi. Il primo è stato La pista del maiale, per cui sono stato a casa di mio zio a filmare tutta una giornata un maiale assieme ad un mio amico operatore, Massimo Salvucci, e da lì è nato un corto. Questo è stato il primo film senza una base cinematografica già esistente. Vorrei che mi dicessi qualcosa su ognuno dei tuoi film, come è nata l’idea e come si è sviluppata. La coda è stato proprio il primissimo film di cui già ti accennavo, sono sempre stato un appassionato di Buster Keaton, in particolare per il movimento, per come roteava il corpo nello spazio. Allora prendevo queste fotografie dove c’era nell’inquadratura Buster Keaton e andavo a completare le parti mancanti della fotografia: allungavo, disegnavo le gambe o il braccio che uscivano fuori dall’immagine originale, avevo dunque dentro un foglio una parte più fotografica ed il resto lo completavo con il disegno. In La pista invece ho preso un po’ più di coraggio, ho cominciato a lavorare sulla musica, ho scelto un tango e ho preso le battute musicali in moviola, le ho segnate e sulla musica ho costruito dei pezzi di animazione. Si parte da un ballo di Ginger Rogers e Fred Astaire fino a quando il tutto si trasforma sempre più in un ballo animalesco. Quello è stato un lavoro che è 258

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partito dalla musica: inizialmente pensavo di fare tutto a sincrono, poi mi sono accorto che era bello uscire fuori e lasciare la musica andare nella sua direzione e io col disegno andare in una direzione completamente diversa. Era un po’ andare a sincrono e un po’ fuori. Questo film è nato in modo molto veloce e fresco, c’era la voglia di fare il movimento, di inventare continuamente, in ogni inquadratura, qualcosa di diverso. Alla fine diventa una giostra di possibilità. È stato un divertimento farlo. La pista del maiale era invece un modo per andare a riprendere delle cose che per me erano leggendarie, le tradizioni della mia regione di origine, di come viene ucciso il maiale. È una cosa che mi ha sempre inquietato sin da piccolo, una cosa che mi raccontava mio padre, non l’ho mai vista direttamente e non ci tengo neanche a vederla. Come ti dicevo sono stato una giornata a riprendere il maiale in tutti i modi, e ho cercato di capire la sua vita in questo spazio, che era uno spazio talmente piccolo dove il maiale stava quasi in diagonale e al cui costruiva tutta la sua vita, fino alla fine. Tra l’altro il maiale è un animale che ritorna spesso nei tuoi film. Si, torna sempre, è il mio animale preferito, su cui ho lavorato molto di più nei quadri. Infatti ci sono delle parti di animazioni che ho realizzato direttamente su delle tele: appoggiavo la tela su di un angolo di un muro e poi mi allontanavo, scattavo due fotogrammi e poi cambiavo il quadro, altri due fotogrammi e così via. L’animazione è stata fatta anche con degli oggetti, è un lavoro più vasto insomma, sul segno, sull’immagine dal vero, ho combinato più cose. Mi ricordo addirittura che c’era un rullo di carta di circa duecento metri dove avevo incollato tutti gli scarti delle fotocopie che avevo in studio e insieme a Massimo Salvucci abbiamo filmato questi duecento metri che sono diventati la pancia del maiale nel film. Era un lavoro che riguardava sia il maiale sia la mia voglia di mettere insieme tutto quello che avevo. Le criminel invece è stato il primo film che è partito con un produttore. Anche gli altri avevano un produttore, ma erano dei film che si facevano all’interno dello studio, invece questo è nato con un produttore francese, La Sept-Arte. Quindi mi sono trasferito a Parigi per cinque mesi e ho realizzato questo film. È un omaggio al cinema noir da Fritz Lang fino ai film americani come Scarface. Attraverso questi film ho cercato di trovare una storia, ho inventato questo personaggio che uccide per istinto e deve essere catturato: infatti l’ultima immagine è in movimento, non si riesce mai a capire chi sia esattamente l’assassino. 259

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Pinocchio invece è stato il lavoro più lungo e difficile perché coincideva con un periodo di cambiamenti per me, era un film anche legato a mio padre, che era malato. Inoltre Pinocchio era la storia con cui facevo i pupazzi di creta da piccolo con mio padre. Quindi era un film che avevo già in testa, l’avevo già bruciato nella testa, sapevo già tutte le scene da fare, ma non riuscivo mai a completarlo. Quando l’ho realizzato non avevo delle emozioni e delle sorprese, ma alla fine sono contento, riguardandolo dopo un po’ di tempo. Ci ho pensato molto a lungo, ho fatto delle tele, lo storyboard era fatto di quadri giganteschi e avevo fatto anche un libro con delle scritte: era un film troppo masticato e alla fine è venuto fuori questa specie di funerale di Pinocchio. Sembrava che mi volessi sgomberare di questa storia e di questo passato. Nei tuoi film c’è un grande legame con la musica, direi che il coinvolgimento dello spettatore, grazie alle immagini unite alla musica, sia totale. Come scegli le musiche per i tuoi film? All’inizio partivo prima dalle musiche, mi piaceva avere il pezzo musicale prima di tutto, nel tempo mi sono accorto che questo diventava una dipendenza, mi sembrava un montaggio quasi più vicino ai videoclip che al cinema, allora ho cominciato a montare i film muti e poi ho cercato le musiche originali tramite la collaborazione con dei musicisti, in modo che loro potessero scrivere la musica sul film muto. Il mio film doveva essere indipendente, autonomo e poi la musica doveva seguirlo in alcuni casi, ma essere autonoma anch’essa. Dunque ho collaborato con diversi musicisti con sensibilità diverse: i musicisti ti possono anche cambiare il film. È bello trovare nel compositore qualcuno che vede le cose da un altro punto di vista, quando io indico troppe cose la musica generalmente non viene mai benissimo, perché deve essere qualcosa che sta al di fuori, veramente da un’altra parte. Essendo la musica una cosa determinante per un cortometraggio, che deve essere qualcosa che illumina. Preferisco non essere condizionato e averla alla fine. Tra l’altro hai avuto una collaborazione con Julian Nott, compositore che ha realizzato le musiche per Wallace and Gromit di Nick Park, che ha composto la colonna sonora di Le criminel. Si, ha costruito una musica molto drammatica. All’inizio lui seguiva tutti i sincroni, allora gli dicevo di abbandonare ogni tanto il film e di andare avanti in un’altra direzione. Mi piace che la musica abbia un suo spazio, una 260

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sua autonomia. Per quanto riguarda Pinocchio c’è stata la collaborazione con Mario Mariani, è stata molto bella, il film è cresciuto moltissimo. Nei tuoi film traspare un grande amore per il cinema del passato, atmosfere noir in Le criminel, Totò che prende i panni di Pinocchio. Raccontami di questo legame. Questo legame è sempre partito dal cinema: i personaggi diventavano disegni. Sono sempre stati omaggi al grande cinema. Tra l’altro molto è partito con una esperienza, sigla che avevo realizzato per il cinema europeo, erano tutti pezzi di film europei che venivano mescolati. In Pinocchio ad un tratto tutto il mondo assume orecchie allungate, d’asino. Questo ritorna spesso nei tuoi film, come in La coda. Che significato gli attribuisci? Credo che sin dal primo film Pinocchio sia sempre stato presente, ci sono le orecchie, la coda, il naso lungo. È rimasto sempre un segno che ho usato tante volte, quando ho fatto il paese dei Balocchi, alla fine avevano tutti le orecchie lunghe. Quando penso ad un paese come quello, dove tutto è possibile, il riferimento è Collodi, è l’Eldorado, potrebbe essere l’America. E tutte le volte mi viene di trasformarlo in qualcosa di animalesco e le orecchie sono la prima cosa, quindi ci sono sempre state. I numeri che girano velocemente sotto il volto iniziale de Le criminel, i maiali numerati in La pista cosa rappresentano? Anche i numeri apparivano fin dal primissimo film. Io segnavo l’interno delle fotografie mettendo il numero per contarle, per distinguerle e per mettere il foglio a registro. I numeri erano una sovrapposizione di immagini e ambiti diversi. In Le criminel i numeri erano usati per identificare la figura: ad un certo punto le facce sono tutte numerate, hanno un codice e, quando bisogna prendere il criminale che è ancora in movimento, i numeri si muovono continuamente, quindi cercano la figura, la conformazione di questa faccia. Finché alla fine del film appare un numero assieme alla foto che però è sfocata. Quindi è sempre stato un modo per fermare un momento. Al di là di questo i numeri sono proprio un segno che mi piace, un segno pittorico, una grafia, un modo di esprimere, mi danno subito la scrittura, il movimento. 261

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Tu hai avuto la capacità di portare e mantenere nei lavori su commissione, quali sigle e pubblicità, la tua artisticità, il tuo stile. Come unisci i due mondi apparentemente distanti del lavoro su commissione e del lavoro autoriale? I lavori su commissione sono nati grazie al lavoro più personale che già facevo precedentemente, quindi li potevo fare liberamente perché chiedevano proprio il mio stile. Dunque lavorare in questo modo per me diventava un po’ allargare le mie possibilità: tante volte in un lavoro su commissione, dove uno dovrebbe essere un pochino più frenato, a me capitava il contrario. Magari agivo in alcune direzioni, invece il lavoro su commissione mi chiedeva ad esempio di lavorare sulla donna, inventare una storia di trenta secondi su una donna. E quello poteva essere un argomento che magari prima non avevo trattato, e allora cominciavo a disegnare donne e poi magari le trasportavo nel mio lavoro più personale. Così mi capita viceversa che se sto facendo il gatto e la volpe oppure un maiale, ci metto una cravatta e diventa un personaggio che va bene per una pubblicità di moda. Quindi l’una insegue l’altra, a parte il fatto che è un lavoro che mi permette di finanziare le mie cose, di autoprodurmi. Tante volte è interessante proprio per raccontare qualcosa di diverso, per uscire dal proprio ambito e confrontarsi con altri mondi ed altre possibilità, è un arricchimento. Prima hai accennato al fatto che viene richiesto il tuo stile. Dunque come definiresti il tuo stile? Lo stile è una cosa che viene abbastanza naturale, è quello e basta. Inizialmente mi piacevano dei disegnatori bravissimi, guardavo come disegnavano, poi ho cominciato a capire i miei limiti e da quel momento ho lavorato proprio su quello che non riuscivo a fare. Il segno va a cercare sempre una nuova traccia, una nuova forma. Proprio questa indecisione diventa uno stile, ed anche da questa voglia di non trovare un segno subito, ma andarlo sempre a cercare, viene fuori una forma che diventa personale, ma lo diventa proprio in questa ricerca. Viene da sé, e si riconosce in tutti i lavori, quindi evidentemente è una traccia, un po’ come la scrittura. Quali sono stati gli autori di animazione e pittori che ti hanno affascinato o comunque che ti hanno ispirato in qualche modo? 262

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Tanti. Tante cose mi sono piaciute, infatti ho scelto l’animazione anche per convogliare tutte queste mie passioni, perché a me è sempre piaciuta molto la pittura, quindi della pittura guardavo tutto. Le cose che sicuramente sono rimaste, una forma di Bacon, il modo di lavorare di Schifano, che lavora sulla fotografia, o i disegni della transavanguardia che mi sembravano bellissimi, tanto che in certi anni mi veniva la voglia di fare solo il pittore, invece essendo in ritardo dovevo fare qualcos’altro, e questo per quanto riguarda la pittura. Nel cinema le passioni sono state tante, con Tarkovskij, ma poi anche con generi diversi, perché la mia è anche una formazione traballante, che passa da una cosa all’altra, così anche con la letteratura in cui ho moltissime passioni. Però non è detto che tutto entri dentro il lavoro, sicuramente con l’animazione è quasi possibile, e io cercavo proprio qualcosa che convogliasse un po’ tutte queste informazioni che arrivavano da punti di vista diversi. 17 novembre 2000 Gianluigi Toccafondo nasce a San Marino nel 1965, frequenta l’Istituto d’Arte di Urbino. A vent’anni si trasferisce a Milano, dove comincia a lavorare allo studio di animazione Mixfilm e contemporaneamente si dedica alla pittura. Nel 1989 realizza il suo primo cortometraggio, La coda, che viene subito notato a livello internazionale. Durante tutti gli anni novanta continua un’intensa attività nella realizzazione di cortometraggi, sigle e pubblicità. Alle sue tele vengono dedicate mostre a Parigi, Tokyo, Roma, Milano, Bologna, Napoli, Siena e Pesaro. I suoi disegni e illustrazioni sono stati pubblicati da diverse case editrici.

11.23 Fusako Yusaki Mi racconti del tuo arrivo in Italia e della tua attività nel mondo dell’animazione? Sono arrivata nel novembre del 1964 con una borsa di studio che mi ha permesso di stare in Italia per l’approfondimento del tridimensionale e della scultura. In Giappone mi occupavo già di scultura, mentre per i miei studi sono un grafico, laureata in Design Creativo, e ho unito questi due interessi, studiando scultura all’Accademia di Brera. Allora non mi occupavo di animazione, ero grafica e scultrice, campo nel quale ho vinto diversi premi in Giappone. In Italia ho conosciuto Ro Mercenaro e ho 263

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72 Fusako Yusaki

cominciato nella pubblicità per la Fernet Branca e da lì ho iniziato con l’animazione. Era il 1968, e la plastilina era grigia per la tv in bianco e nero. Poi ho utilizzato la plastilina colorata, ho collaborato con il Dipartimento Litosfera del Cnr, nel 1984, con dei film didattici sui terremoti. Nel frattempo collaboravo con la televisione svizzera. Per me c’è poesia nella comunicazione attraverso immagini, colore e movimento, io voglio spiegare attraverso la plastilina l’evoluzione della vita; in una forma di plastilina io esprimo vita, avventura, tristezza o gioia. ho voluto esprimere questo concetto con le realizzazioni per la televisione svizzera, intitolate Qualche volta, nella mia lingua Toki Doki, in cui mettevo a confronto le azioni umane con quelle degli animali, nei loro punti di similitudine. La forma dell’animale, la forma in movimento, ad esempio il volo, l’uomo e l’aereo, gli 264

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LA PAROLA AGLI AUTORI

animali con le ali. Questa serie è composta di ventitre corti con vario tema. Non c’è una narrazione vera e propria, ma si basa sull’espressione, sulla suggestione. Questo è quello che all’epoca producevo. Io di solito non uso un personaggio che ritorna nella serialità, per la prima volta l’ho usato negli anni novanta, con Talpi, che per me rappresenta lo spirito che pervade qualsiasi cosa, lo ritroviamo dappertutto. L’ho fatto per una televisione giapponese, è un totale di un’ora di animazione, per realizzarlo ho impiegato due anni e mezzo. È stata la prima volta in cui ho utilizzato un personaggio perché preferisco raccontare una storia con un’espressione diversa: la tristezza, la gioia, l’emozione, le racconto attraverso le immagini, con il colore, la forma e il movimento, questo è il mio desiderio, la mia esigenza. La mia particolarità è questo tipo di animazione, dare vita attraverso la plastilina. Mi parli dei tuoi più recenti cortometraggi: Gioco di colore e Gioco di forma? Questi rientrano nel mio pensiero, sono diretti ai bambini, inseriti in un programma di Rai Sat, insegnare la manualità attraverso la plastilina. Quando costruiamo un oggetto, questo non soltanto appare così, ma grazie alla forma, al colore ed al movimento, con la plastilina, può diventare qualunque cosa che noi possiamo creare. Così come abbiamo il Dna, che dà tantissime variazioni ad ogni persona, nello stesso modo io ho la pasta da modellare che può diventare qualsiasi cosa, io cambio il Dna, allora non c’è soltanto la manualità, ma anche la trasformazione. Non bisogna mai dimenticare la possibilità di creare, di fantasticare, e questo per me è molto importante. 6 ottobre 2000 Fusako Yusaki nasce in Giappone nel 1937. Si laurea in Design Creativo nel 1960. Nel 1964, grazie ad un concorso internazionale, si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia di Brera. Portando avanti la sua ricerca sul tridimensionale e sulla scultura, approda all’animazione con la tecnica della plastilina. Collabora con diverse televisioni europee e giapponesi, realizza cortometraggi e pubblicità. È docente di illustrazione tridimensionale all’Istituto Europeo di Design. La serie completa dei suoi film si trova nello Hara Museum of Contemporary Art di Tokyo.

Per le foto in questo capitolo si ringraziano tutti gli autori che hanno messo a disposizione le immagini e l’archivio fotografico de I castelli animati. 265

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FILMOGRAFIA

Mario Addis Ridammela (1988); animazioni per Volere volare di Maurizio Nichetti (1991); Fai la cosa giusta (1993); Minus (1993); video musicale Voglia di gridare (1994); Lei, lui e il treno-Ferrovie dello Stato (1994); animazioni per L’eroe dei due mondi (1994); Giano (1994); titoli di testa per Il Mostro di Roberto Benigni (1995); Come nascono i bambini (1995); Junkers Bosh (1995); Lavori in corso (1995); Rai Indiano, Rai Topo (1995); Telefono azzurro (1997); Un capitalismo dal volto umano-Mtv Heartbeat (1998); animazione del sogno di Nina per La gabbianella e il gatto (1998); La materia (2000); Pene (2000); sequenze Florida e Esodo per il lungometraggio Johan Padan a la descoverta de le Americhe (2002); Artè intermezzi (2002); The Fever (2004); Paspartù (2005) Bruno Bozzetto Donald Duck Cartoon (1953); I ladri che mascalzoni (1954 dal vero); Fantasia indiana (1954); Il cerchio si stringe (1954 dal vero); Piccolo mondo amico (1955 dal vero); A filo d’erba (1957 dal vero); I gatti che furbacchioni (1957 dal vero); Tico Tico (1958); Partita a dama (1958); Tapum! La storia delle armi (1958); Due ragni nel piatto (1959 incompiuto, dal vero); Il solito documentario (1959 dal vero); La storia delle invenzioni (1959); Un oscar per il sig. Rossi (1960); Alpha omega (1961); Come si realizza un cartone animato (1961 dal vero); I due castelli (1963); Il sig. Rossi va a sciare (1963); Il sig. Rossi al mare (1964); West and Soda (1965); Il sig. Rossi compra l’automobile (1966); Una vita in scatola (1967); L’uomo e il suo mondo (1967); Vip, mio fratello superuomo (1968); Ego (1969); Il sig. Rossi al camping (1970); Sottaceti (1971); Campagna contro il fumo (1971 dal vero); Oppio per oppio (1972 dal vero); Il sig. Rossi al safari fotografico (1972); Gulp, 6 film (1972); Opera (1973); La cabina (1973 dal vero); Self service (1974); Il sig. Rossi a Venezia (1974); Gli sport del sig. Rossi, 11 film 267

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FILMOGRAFIA

(1975); La piscina (1976); Il sig. Rossi cerca la felicità (1976); Allegro non troppo (1976); I sogni del sig. Rossi (1977); Le vacanze del sig. Rossi (1977); Striptease (1977); Baby story (1978); Happy Birthday (1979 dal vero); Giallo automatico (1980 dal vero); Ma come fanno a farli così belli? (1980 dal vero); Lilliput-put, 13 film (1980); Sam nero detective (1980 dal vero); Sandwich (1980 dal vero); Homo technologicus, 7 film (1981); Tennis club (1982); Quark, 8 film (1982); Sporting (1982 dal vero); La pillola (1983); Quark, 6 film (1983); Milano zero (1983 dal vero); Sigmund (1983); Nel centro del mirino (1983 dal vero); Moa moa (1984); Quark, 8 film (1984); Sandwich, 12 film (1984 dal vero); Il corsaro nero, film pilota (1984); Eldorado (1985); Quark, 5 film (1985); Spider (1986 dal vero); Quark economia, 13 film (1987); Baeus (1987); Sotto il ristornate cinese (1987 dal vero); Quark, 5 film (1987); Mister Tao (1988); Quark in pillole, 29 film (1988); Quark, 6 film (1988); Cavallette (1990); Big bang (1990); Dancing (1991); Ski love (1991 dal vero); WWF, 6 film (1992); Tulilem (1992); Maleducazione in montagna (1993 dal vero); Benvenuti a cinema 5. Vi aspettavamo (1993); WWF, 5 spot (1993); Drop (1993); Jof in Help! (1995); WWF, 6 spot (1996); Spaghetti family, film pilota (1996); Sai guardare la TV?, 6 spot (1997); Comitato TV e minori (1997); Mediavideo, 5 spot (1997); Point of view (1998); Aba (1998); Minipay (1998); Europe & Italy (1999); Tony e Maria (1999); To bit or not to bit (2000); Theatre (2000); I Cosi (2000); Monsters – War – Horror – Far West (2001); Yes/No (2001); Storia del mondo per chi ha fretta (2001); La bicicletta in Europa e in Italia (2002); Mammuk – pilota (2002); Adam (2002); Sport o spork (2002); 10 spot natalizi per La7 (2002); Olympics (2002); Life (2003); Baby Scanner (2003); Neuro (2004); Mister otto (2004); Looo (2004); Femminile e Maschile (2004) Leonardo Carrano Orusborus (1993); Le possédé (1993); Awen (1995); Gayatri (1995); La scatola magica (1995); Frottage (1995); La stanza di Berenice (1995); Sovrapposazio (1995); La scia (1995), Sabbia (1995); Huile (1995); Ouale (1995); Totem (1995); Pentesilea (1996); Il cerchio e la soglia (1999); Noiselevel (2002); Foglie (2003) Roberto Catani Il pesce rosso (1995); La sagra (1998); La funambola (2002) 268

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FILMOGRAFIA

Osvaldo Cavandoli Intercalazioni in I fratelli Dinamite di Nino Pagot (1947); film pubblicitari Pupilandia (1951-1958); La Linea, pubblicità per Carosello (19691977); serial della Linea (1972, 1975, 1977, 1979, 1984); La sexilinea (1978); Pimpa serie tv (1983); Eroslinea (1988); Olympic Games (1991); Trazom (1992); film pubblicitari per diverse nazioni europee ed extraeuropee (1985-2000); Minilinea (1996); Pornolinea (2000) Giulio Cingoli Sigla per il programma tv Passaporto (1956); Relax (1968); dagli anni sessanta ai novanta realizza e produce filmati pubblicitari, per la televisione, documentari in Europa, Usa e Africa, il promo per Satyricon di Federico Fellini e gli spot per Raid, li ammazza stecchiti; Johan Padan a la descoverta de le Americhe (2002) Annalisa Corsi Il vascello fantasma (1997); alla Graphilm collabora a numerose realizzazioni; per la Campagna educazione sullo sviluppo umano: Foreste (1999); Palazzi (1999); Discariche (1999); Ingannevoli i sensi (2005); La voce di Pasolini (2005) Enzo D’Alò 900, video musicale per Paolo Conte (1992); Kamillo Kromo (1993); Le nuove avventure della Pimpa, serie tv (1997); Gone with the wings (1997) La freccia azzurra (1996); La gabbianella e il gatto (1998); Momo alla conquista del tempo (2001); Opopomoz (2003) Alberto D’Amico Prima prova astratta (1986); Tre scherzi per viola (1987); Le statue si amano (1988); Vienna ’900 (1990); Ahi disperata vita! (1991); Un esperimento di pittura cieca (1992); Disegno animato (1993); Pettini o forchette? (1994); Movimento (1994); Girotondo (1994); Filmino (1994); Superroma (1994); Quadrucci (1995); Sussurri e grida (1995); SP (1996); Alef (1996); Maracanà (1997); I fiori bianchi (1997); Due passi (1998); Senz’acqua (1999) Ursula Ferrara Lucidi folli (1986); Congiuntivo futuro (1990); Amore asimmetrico (1990); Come persone (1995); Quasi niente (1997), Cinque stanze (1999); La partita (2002); News (2006) 269

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FILMOGRAFIA

Laura Fiori Racconti Zen (1992); Trash Story (1997); Il mito dell’androgino (1998) Maurizio Forestieri Cortometraggi: Passione (1985); Orpheus (1986); Pas-la-shoot-ah (1987); Salomé (1989); Amoroso (1991); Domo (1994); Un’altra via d’uscita (2000); Sinphonia (2001) Altre realizzazioni con Graphilm: Tiramolla e il cacciatore (1991); Uno skate board da sogno (1992); Petro e Gas (1994); Burghy adventures (19941995); animazioni per Lupo Alberto di Giuseppe Laganà (1995); animazioni per La freccia Azzurra di Enzo D’Alò (1996); La banda della casa di Decio (1996); animazioni per Le nuove avventure della Pimpa di Enzo D’Alò (1997); Patologie oculari (1997); story-board per Gibi & Doppiaw di Loredana Middione (1997); animazioni per Gone with the wings di Enzo D’Alò (1997); Foxy supersoft (1997-1998); story-board per La gabbianella e il gatto (1998); Zecchino d’oro (1999); Campagna educazione sullo sviluppo umano, 15 film (1999); layouts e animazioni per Sopra i tetti di Venezia di Enzo D’Alò (1999); story-board di Aida degli alberi di Guido Manuli (1999); Federicus (2003); Totò Sapore e la magica storia della pizza (2003)I Cavallegri (2004); I Calciatori (2005); Baby Pompieri (2005) Giulio Gianini Assieme a Emanuele Luzzati: I due guerrieri (1957); Pulcinella: il gioco dell’oca (1959); I paladini di Francia (1960); Castello di carte (1962); La gazza ladra (1964); L’italiana in Algeri (1968); Alì Babà (1970); Il viaggio di Marco Polo (1971); Pulcinella (1973); Turandot (1974); L’augellin belverde (1975); Il flauto magico (1978); I tre fratelli (1979); La donna serpente (1979); L’uccello di fuoco (1981); Pulcinella e il pesce magico (1981), Il libro (1984); La casa dei suoni (1992). Assieme a Leo Lionni: Swimmy (1969); Federico (1970); Cornelius (1986); È mio! (1986); Un pesce è un pesce (1986). Vincenzo Gioanola Boogie (1982); Centro di gravità (1982); Garybaldi Blues (1982); Sandokan (1983); V.I.S (1984); The day after (1984); Tabacco road (1984); Danza di carnevale (1984); Russian roulette (1985); Grilla l’autoparlante (1986); Viaggiare per crescere (1986); Human rights (1986); S.O.S. scuola (1987); Nove secondi e mezzo (1987); Dobrodolska Hora (1989); Fight da 270

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FILMOGRAFIA

faida (1994); The hen (1997); Cosmpolytown, sigla del festival Cinemagiovani di Torino (1997); sigla del Festival I Castelli Animati di Genzano di Roma (1998), XXX (2003). Giuseppe Laganà Come animatore partecipa alla realizzazione di: West and soda e Vip, mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto. Direttore artistico di due brani: “Bolero” di Ravel e “Après midi d’un faune” di Debussy di Allegro non troppo di Bruno Bozzetto. Cortometraggi: l’Om salbadgh; Preghiera della notte; Pixnocchio Serie: Tiramolla story; Qui-Quiz di Arturo; Lupo Alberto; seconda serie di Sandokan; Medico di famiglia; Spaghetti Family; L’ultimo dei Mohicani; Farhat principe del deserto Lungometraggi: Felix, eine hase auf weltreise (Felix, viaggio intorno al mondo) Manfredo Manfredi Ballata per un pezzo da novanta (1965); La spaccata (1967); Su sambene non est aba (1968); I lupi e gli agnelli (1970); Il muro (1970); Sotterranea (1973); Nuvole (1974); L’uva salamanna (1975); Dedalo (1975); Immagini (1976); segmento italiano per il film Unicef Ten to survive (1979); Canto VI Inferno di Dante – provino (1991); Canto XXVI Inferno di Dante (1997); Le città invisibili (1998) Sigle: Il fascino dell’insolito (1983); Il russo una lingua per tutti (1983); L’urlo della città (1984); Gran teatro (1984); Orson Welles (1984); Tutto Shakespeare (1984); Germania pallida madre (1985); Pan (1986); Schegge di futuro (1986); Cinque storie inquietanti (1987); Una certa idea della Francia (1988); Il giudice (1989); Spot Rai cultura (1995) Guido Manuli I due castelli, collabora al soggetto e animazione (1963); Il sig. Rossi va a sciare, anim. (1963); Il sig. Rossi al mare, anim. (1964); West and Soda, lay-out e anim. (1965); Il sig. Rossi compra l’automobile, anim. (1966); L’uomo e il suo mondo, anim. (1967); Settevoci (1967); Una vita in scatola, anim. (1967); Vip mio fratello superuomo, coll. a sceneggiatura e anim. (1968); Donna Rosa (1967); Ego, coll. alla sceneggiatura e anim. (1969); Don Nicola, (1969); Il sig. Rossi al camping, coll. al soggetto, sceneggiatura, anim. (1970); Il sig. Rossi al safari fotografico, coll. al soggetto e anim. 271

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FILMOGRAFIA

(1972); Opera (1973); Il sig. Rossi a Venezia, coll. al soggetto (1974); Gli sport del sig. Rossi, 2 film, coll. al soggetto (1975); Il sig. Rossi cerca la felicità, coll. al soggetto, sceneggiatura, direzione artistica (1976); Johnny Bassotto (1976); L’uomo e l’ignoto (1976); La Tartaruga (1976); Scacciapensieri (1976); Allegro non troppo, coll. soggetto, sceneggiatura, anim. (1976); Fantabiblical (1977); La patata (1977); Tante scuse (1977); I sogni del sig. Rossi, coll. soggetto e sceneggiatura (1977); Le vacanze del sig. Rossi, coll. soggetto, sceneggiatura, direzione artistica (1977); Telegiornale (1977); Striptease (1977); IL cavallino Michele (1978); Il Gatto di Luigo Comencini, contributo (1978); Isotta (1978); Pappagallo di portobello (1978); Stripy (1978); Sigla apertura e chiusura Milano TV (1978);Cicciotella (1979); Count down (1979); Prossimamente cinema (1979); Ratataplan di Maurizio Nichetti, contributo (1979); Sbirulino (1979); SOS (1979); Can Cannes, di Franco Scepi, contributo (1980); Discoring (1980); Ho fatto splash di Maurizio Nichetti, contributo (1980); La balena (1980); Sigla apertura e chiusura programma Pin (1980); Lilliputput, 13 film (1980); Erection (1981); Io soltanto io (1981); La pennichella (1981); Il sistemone (1982); Jay Duck (1982); Ping Pong (1982); Speciale TG1 (1982); Mister Hiccup (1983); Pubblicana (1983); Solo un bacio (1983); Son contento (1983); Il gioco della musica (1984); Struzzo fanta (1984); Incubus (1985); + uno – uno (1987); Istruzioni per l’uso (1989); Don Tonino (1990); Volere volare (1991); Trailer (1993); Garibaldi, l’eroe dei due mondi (1994); Casting (1997); Il diritto del bambino al gioco (1997); Monster Mash (2000); Aida degli alberi (2001); Loading (2004). (I titoli in cui si indica la collaborazione sono di Bruno Bozzetto, per tutti gli altri la regia è di Guido Manuli). Maurizio Nichetti Dal 1971 al 1978 alla Bruno Bozzetto Film è sceneggiatore di cortometraggi tra cui quelli del Signor Rossi, dei lungometraggi Il signor Rossi cerca la felicità (1976); Allegro non troppo, interpreta anche un personaggio (1976); I sogni del signor Rossi (1977); Le vacanze del signor Rossi (1977). Regia e interpretazioni: Magic show (1978); un personaggio in SOS di Guido Manuli (1979); Ratataplan (1979); Ho fatto Splash (1980); Domani si balla (1982); il Mago Atlante in I Paladini di Giacomo Battiato (1983); Bertoldino in Bertoldo, Bertoldno e Cacasenno di Mario Monicelli (1984); Il bi e il ba (1985); Guerriero in Sogni e bisogni di Sergio Citti (1985); 272

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FILMOGRAFIA

Ladri di saponette (1989); Volere volare (1991); Stefano Quantestorie (1993); Jesus in In tous les dimanches di Jan Charles Tacchella (1994); Palla di neve (1995); L’una e l’altra (1996); Honolulu Baby (2001) Alessandro Panzetti Giannino e la mela (1983); Un quartiere una vita (1983); Casetta (1988); Vortice (1989); Tele tilt (1990); On the air, sigle e intersigle per Video Music (1991); Hot line, sigla per Video Music (1991); Orusborus e Le Possédé, con Leonardo Carrano (1993); Il volo (1994); Gayatri, La scatola magica, Sovrapposazio, La scia, Sabbia, Huile, Frottage, La stanza di Berenice, Ouale, Totem, con Leonardo Carrano (1995); Ali (1996); collaborazione con Musicartoon per la serie Gibì e Doppiaw (1998); Doppio doppio (1999) Stelio Passacantando Realizzazioni per Tv Cartoons (1960-1963); Il poema a fumetti (1970); Cronache d’altri Tempi, Tanto tempo fa (1970-1975); La nascita del cinema (1978); Il fumetto italiano (1980); Trenta minuti giovani (1980); Il diario di Stefi (1980); Lo schiaccianoci, L’ucello di fuoco, Petrushka (1980-1983); Il generale dell’inferno (1985); Linguaggi della comunicazione visiva (1986); Il giornalino di Gianburrasca (1991); Lo specchio delle meraviglie (1995) Gianni Peg Le prime parole famose, 24 corti (1986); Calendario Storico, 54 corti (1987-1988); Le colazioni letterarie, 30 corti (1988); Un libro in tre minuti, 20 corti (1990); Viva l’italiano (1996-1997); Fisica e senso comune (1998) Drop’s Dreams (2000); Nightmare Kiss (2000). Numerosi sigle e spot, CD Rom interattivi Gianluigi Toccafondo Cortometraggi: La coda (1989); La pista (1991); La pista del maiale (1991); Le Criminel (1993); Pinocchio (1998); Essere vivi o essere morti è la stessa cosa (2000); La piccola Russia (2003) Sigle: More cinema. More Europe. Media Salles cinema d’Europa (1992); Avanzi, ritratti di uomini politici (1993); Tunnel (1994); Carosello con Elio e le storie tese (1997); Pier Paolo Pasolini in poeta scomodo (1997); Almanacco delle profezie (1997); Dieci parole al 2000 (1997); Siaprio ducale (1999);Festival del cinema, Biennale di Venezia (1999); Italia Taglia (2001). 273

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FILMOGRAFIA

Spot: Woman finding love (1993); Sambuca Molinari (1995); Rai di tutto di più (1995); I bambini e la tv (1995); United Arrows (1998). Inserto per un lungometraggio: La sposa (2001) tratto dal lungometraggio Le monde a l’envers di Rolando Colla Fusako Yusaki Cortometraggi: Pentalogia del mondo perduto (1972); Ballata dell’omino stanco (1973); Ominide (1974); Termituomo (1975); Ama gli animali (1983); Convergenza (1984); L’incredibile Usil (1985); Rotondo quadrato triangolo (1986); Buongiorno (1988); Stagioni senza parole (1991); T.V.U.O.G. (1994); Un giorno si, un giorno no (1998); Gioco di forme (1998); Gioco di colori (2000); Gioco di numeri (2000). Mediometraggi: giorni d’inverno (Fuyu no hi, 2003, 1’ su 40’) Serie tv: Toki Doki (1989-1990); Talpy (1992-1994); Peo (1997); Peo in Svizzera (1997-1999 2000-2002); Naccio e Pomm (2001-2003) Film didattici: Dipartimento litosfera (1984); Unità 2 (1986); La struttura interna del computer (1987); Ippocrate (1998); Ecolabel, emas, rifiuti (2000) Pubblicità: Fernet Branca (1968-1978); Marcolin (1976); Zurigo Assicurazioni (1977); Ariston (1978); A.I.E.D. (1981, 1982); Saiwa (1982); Rocher Ferrero (1984); Bi-Bici (1984); Mobilsol (1985); Denise (1985); Ars Nova (1986); Asgow (1987); Regione Valle D’Aosta (1991); 3x2 (1991); Pubblicità progresso (1992); Volta pagina (1994) Sigle: TVS (1978); Telenova (1980); Rete A (1983); Glu-Glu (1999); L’albero azzurro (2001); Colazione con Peo (2001)

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BIBLIOGRAFIA

Testi Alfio Bastiancich, a cura di, Passouno 1991-1932, Animazione in Italia. Cinema Video Computer, Torino, Azzurra, Asifa Italia, 1992. Giannalberto Bendazzi, Cartoons: cento anni di cinema d’animazione, Venezia, Marsilio, 1992 (la prima edizione risale al 1988). Giannalberto Bendazzi, Manuele Cecconello, Guido Michelone, Coloriture, voci, rumori, musiche nel cinema d’animazione, Bologna, Pendragon, 1995. Luigi Boledi, a cura di, Grandi corti animati, Gibba, Guido Manuli, Walter Cavazzuti, Milano, Il Castoro/Fondazione Cineteca Italiana, 2005. Luciano Cattaneo, a cura di, Cartoon all’opera: Aida degli alberi, Torino, Lanterna magica, 2001. Luciano Cattaneo, a cura di, Musica di carte: lo storyboard e la colonna sonora del film Totò Sapore e la magica storia della pizza, Torino, Lanterna magica, 2003. Giulio Cingoli, Il gioco del mondo nuovo, Milano, Baldini & Castoldi, 1996. Pierre Floquet, sous la direction de, CinémAnimation, Paris, Corlet, 2007. Marco Giusti, Dizionario dei cartoni animali, Milano, Garzanti/Vallardi, 1993. Saburo Murakami, Anime in tv, Milano, Yamato Video,1998. Francesco Prandoni, Anime al cinema, Milano, Yamato Video, 1999. Luca Raffaelli, Le anime disegnate, Roma, Minimum Fax, 2004 (la prima edizione risale al 1998). Gianni Rondolino, Storia del cinema di animazione. Dalla lanterna magica a Walt Disney, da Tex Avery a Steven Spielberg, Torino, Utet, 2004 (la prima edizione risale al 1974). Marcello Zane, Scatola a sorpresa, Milano, Jaca Book, 1998. 275

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Riviste e periodici Aida degli alberi Simone Arcagni, «Filmstagione», 55, gennaio-febbraio 2002, p. 19. Marcello Garofalo, «Segnocinema», 117, settembre-ottobre 2002, p. 26. Fabrizio Liberti, «Cineforum», 412, marzo 2002, pp. 77-78. Bruno Bozzetto Giannalberto Bendazzi, Bruno Bozzetto cineasta, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 6, giugno 1975, p. 249. Maurizio Calducci, Storie e ritmo di cartoons, «Segnocinema», 28, maggio 1987, pp. 11-13. Massimo Maisetti, Bruno Bozzetto e il cinema disegnato, «Carte di Cinema», 3, 1° gennaio 1999, pp. 54-56. Osvaldo Cavandoli Nedo Ivaldi, Un premio per uno non fa torto a nessuno, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 12, dicembre 1973, p. 590. M.N. [Maurizio Negri], Incontri: Osvaldo Cavandoli, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 11, novembre 1971, pp. 563-564, Ursula Ferrara Anna Di Martino, Dizionario degli autori, «Segnocinema», 89, gennaio-febbraio1998, pp. 32-35. Anna Di Martino, Corti animati, «Segnocinema», 91, maggio-giugno, 1998, p. 75. Pierpaolo Loffreda, Spazio Italia, «Cineforum», 390, dicembre1999, pp. 60-61. Giulio Gianini e Emanuele Luzzati Piero Canotto, Un grande calderone, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 11, novembre 1973, p. 533. Lino De Santis, Oberhausen XI, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 4-5, aprile-maggio, 1965, p. 190. G.G. [Giacomo Gambetti], Alla ricerca di una strada nuova, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 9-10, settembre-ottobre, 1969, pag. 485. Maurizio Negri, Vita difficile, «Rivista del Cinematografo e delle comunicazioni sociali», 11, novembre 1971, p. 561. 276

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Siti internet www.alcuni.it www.asifaitalia.org www.annecy.org www.awn.com www.brunobozzetto.com www.cartoonitalia.it www.cartoon-media.be www.cartoonsbay.com www.cartobaleno.com www.castellianimati.it www.demasandpartners.it www.gertie-productions.it www.fulminieleopardi.it www.futurefilmfestival.org www.graphilm.com www.graphisme.com www.greenmovie.com www.iht.it/emotion www.komix.it www.lanternamagica.it www.lastregoetesta.it www.matitanimata.com www.melazeta.com www.mnogofilm.com www.motusfilm.com www.nichetti.it www.officinepixel.com www.pupiland.com www.quipos.net www.rbw.it www.romics.it www.tommy-oscar.com www.stranemani.com www.winxclub.com

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cinema/studio collana diretta da Orio Caldiron

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Roberto Campari, Il discorso amoroso. Melodramma e commedia nella Hollywood degli anni d’oro. Effetto Greene. Graham Greene e il cinema, a cura di Paolo Bertinetti, Gianni Volpi. Sergio Raffaelli, Il cinema nella lingua di Pirandello. Maurizio Del Ministro, Il testo come sopravvivenza. La storia al cinema. Ricostruzione del passato/interpretazione del presente, a cura di Gianfranco Miro Gori. Vittorio Giacci, François Truffaut. Le corrispondenze segrete, le affinità dichiarate. Schermi di guerra. Cinema italiano 1939-1945, a cura di Mino Argentieri. Jean Renoir, Il passato che vive, a cura di Claude Gauteur. Ernesto G. Laura, Quando Los Angeles si chiamava Hollywood. Cinema americano tra le due guerre. La musica del cinema, a cura di Enzo Kermol, Mariselda Tessarolo. Ciro Ascione, La grande bottega degli orrori. Le ossessioni commerciabili di Stephen King. Anna Lo Giudice, L’automatica del vero. Saggi di letteratura e cinema. Jacques Aumont, Michel Marie, L’analisi dei film. Roberto De Gaetano, Il cinema secondo Gilles Deleuze. Alberto Negri, Ludici disincanti. Forme e strategie del cinema postmoderno. Roberto De Gaetano, Passaggi. Figure del tempo nel cinema contemporaneo. Valentina Ruffin, Patrizia D’Agostino, Dialoghi di regime. La lingua del cinema degli anni trenta. Anita Trivelli, L’altra metà dello sguardo. Bruno Torri, Il sentimento della forma. La visione e il concetto. Scritti in omaggio a Maurizio Grande, a cura di Roberto De Gaetano. Lorenzo Pellizzari, Critica alla critica. Contributi a una storia della critica cinematografica italiana. Sara Marcucci, Lolita, analisi di un’ossessione.

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23. Fabio Rossi, Le parole dello schermo. Analisi del parlato di cinque film dal 1948 al 1957. 24. Mauro Di Donato, Tim Burton. Visioni di confine. 25. Francesca Colais, Il cinema nero africano dalla parola all’immagine. 26. Orio Caldiron, Il paradosso dell’autore. 27. Maurizio De Benedictis, Più luce! Immagini di registi, dive e rivoluzioni. 28. Valerio Zurlini, Gli anni delle immagini perdute (in preparazione). 29. Roberto De Gaetano, Il corpo e la maschera. Il grottesco nel cinema italiano. 30. Tullio Kezich, Primavera a Cinecittà. Il cinema italiano alla svolta della «Dolce vita». 31. Alberto Farassino, Fuori di set. Viaggi, esplorazioni, emigrazioni, nomadismi. 32. Virgilio Tosi, Breve storia tecnologica del cinema. 33. Shakespeare al cinema, a cura di Isabella Imperiali. 34. Cinematecnica. Percorsi critici nella fabbrica dell’immaginario, a cura di Fabrizio Borin e Roberto Ellero. 35. Gian Piero Brunetta, Avventure nei mari del cinema. 36. Renzo Renzi, La bella stagione. Scontri e incontri negli anni d’oro del cinema italiano. 37. Cesare Zavattini, Uomo, vieni fuori! 38. Corrado Alvaro, Aria di cinema (in preparazione). 39. Mino Argentieri, L’occhio del regime. 40. Grazia Paganelli, Erich von Stroheim. Lo sguardo e l’iperbole. 41. Edgar Reitz, La notte dei registi. Il cinema tedesco in venticinque interviste, a cura di Alessandro Tinterri e Veronika Wiethaler. 42. Maria Adelaide Frabotta, Il governo filma l’Italia. 43. Alberto Cattini, Strutture e poetiche nel cinema italiano. 44. Flavio De Bernardinis, Campi di visione. 45. Virgilio Tosi, Joris Ivens. Cinema e utopia. 46. Bruno Di Marino, Interferenze dello sguardo. La sperimentazione audiovisiva tra analogico e digitale. 47. Valerio Caprara, Sentieri selvaggi. Cinema americano 1979-1999 – I. 1979-1984. 48. Valerio Caprara, Sentieri selvaggi. Cinema americano 1979-1999 – II. 1985-1989. 49. Valerio Caprara, Sentieri selvaggi. Cinema americano 1979-1999 – III. 1990-1994. 50. Valerio Caprara, Sentieri selvaggi. Cinema americano 1979-1999 – IV. 1995-1999. 51. Carlotta Iacobacci, Faccia a faccia. Woody Allen sulle tracce di Ingmar Bergman. 52. Orio Caldiron, Pietro Germi, la frontiera e la legge.

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53. Giuliana Muscio, Piccole Italie, grandi schermi. Scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti 1895-1945. 54. Le fortune del melodramma, a cura di Orio Caldiron. 55. Vittorio Renzi, La forma del vuoto. Il cinema di Joel e Ethan Coen. 56. Ivelise Perniola, Oltre il neorealismo. Documentari d’autore e realtà italiana del dopoguerra. 57. Leonardo De Franceschi, Hudud! Un viaggio nel cinema maghrebino. 58. Matilde Hochkofler, Anna Magnani. Lo spettacolo della vita. 59. Ennio Bíspuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano. 60. David Bruni, Il cinema trascritto. Strumenti per l’analisi del film. 61. Elio Petri, Scritti di cinema e di vita, a cura di Jean A. Gili. 62. Sebastiano Lucci, Val Lewton. Ho camminato con le ombre.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2008 da IRIPRINT Coordinamento tecnico CENTRO STAMPA di Meucci Roberto CITTÀ DI CASTELLO (PG)

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