I paradossi dell'uguaglianza. Una proposta non utopica di giustizia sociale 9791280048158, 1280048158

È possibile conciliare la sfera degli interessi personali con quella dei valori collettivi? Di fronte a disuguaglianze e

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I paradossi dell'uguaglianza. Una proposta non utopica di giustizia sociale
 9791280048158, 1280048158

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18 È possibile conciliare la sfera degli interessi personali con quella dei valori collettivi? Di fronte a disuguaglianze economiche e sociali crescenti, è necessario trovare una soluzione. In questo libro, Thomas Nagel tenta di chiarire la natura del conflitto tra individuo e collettività, la cui riconciliazione dev’essere il compito essenziale di qualsiasi sistema politico. La sua proposta è un’originale teoria di convivenza civile, che cerca di conciliare la politica con accettabili modelli di moralità, condizioni necessarie per l’uguaglianza e la giustizia sociale.

“Se ciascuno di noi, grazie alla moralità pubblica e privata, è sensibile alle pretese altrui, è perché un essere umano non ha soltanto il proprio punto di vista personale”.

THOMAS NAGEL

Thomas Nagel (Belgrado, 1937), filosofo serbo naturalizzato statunitense. Professore emerito di Filosofia e Diritto alla New York University, è conosciuto nel campo dell’epistemologia, della filosofia della mente e della filosofia morale. Le sue opere spaziano dalla fondazione dell’altruismo all’oggettività dei valori, dal problema dell’identità personale al liberalismo politico.

I paradossi dell’uguaglianza

THOMAS NAGEL

I paradossi dell’uguaglianza

Una proposta non utopica di giustizia sociale

Società Aperta

www.edizionisocietaaperta.it

Progetto grafico di Elisa Gremese

18,00 euro

ISBN 9791280048158

9 791280 048158

Prefazione di Ian Carter

18 DIREZIONE SCIENTIFICA Gabriele Giacomini Luca Taddio Salvatore Veca † Sebastiano Maffettone

Il progetto editoriale di Società aperta ha al suo centro quella costellazione di valore politico e morale che coincide con il liberalismo. Nella essenziale varietà delle sue versioni, il liberalismo è un esito contingente delle complesse vicende in cui si genera la modernità europea, ma si irradia come insieme di valori politici e morali qua e là per il mondo, dettando i mutevoli assetti delle istituzioni fondamentali che, limitando l’esercizio dei poteri politici e sociali, tutelano le libertà fondamentali delle persone. Le nostre fragili e imperfette democrazie politiche trovano nello stato di diritto, l’artefatto liberale per eccellenza, la giustificazione stabile dell’esercizio temporaneo del potere politico e le sue mutevoli scelte pubbliche. Interpretazioni alternative del liberalismo sono al centro del conflitto democratico e costituiscono, entro le democrazie contemporanee, le linee del disaccordo politico. La tensione essenziale è fra un liberalismo che tende a limitare lo spazio dello Stato e a dilatare lo spazio delle transazioni di mercato, e un liberalismo che affida allo Stato e alla scelta pubblica compiti di giustizia distributiva. In questo caso riconosciamo il rapporto storicamente più significativo tra liberalismo e socialismo come motori della riforma sociale. Oggi liberalismo e democrazia, in tandem, si trovano a fronteggiare nell’arena globale la grande sfida dei regimi “democratici” illiberali e dei regimi autocratici. E, al tempo stesso, devono mettersi alla prova per favorire la transizione al verde e al blu (l’ambiente e il digitale), al centro della recente agenda dell’Unione europea ai tempi della pandemia, l’inclusione sociale e la riduzione delle crescenti diseguaglianze. Per questo Società aperta si propone di offrire al lettore le tessere più illuminanti del complesso mosaico del liberalismo. Salvatore Veca

THOMAS NAGEL

I paradossi dell’uguaglianza

Una proposta non utopica di giustizia sociale Prefazione di Ian Carter

Titolo originale: Equality and partiality © 1991 by Thomas Nagel Equality and partiality was originally published in English in 1991. This translation is published by arrangement with Oxford University Press. Mim Edizioni srl is solely responsible for this translation from the original work and Oxford University Press shall have no liability for any errors, omissions or inaccuracies or ambiguities in such translation or for any losses caused by reliance thereon. Equality and partiality è stato pubblicato originariamente in inglese nel 1991. Questa traduzione è pubblicata in accordo con la Oxford University Press. Mim Edizioni srl è l’unica responsabile di questa traduzione dall’opera originale; Oxford University Press non è responsabile di eventuali errori, omissioni, imprecisioni, ambiguità o eventuali perdite di significato in tale traduzione. Traduzione di Rodolfo Rini

© 2023 - Edizioni Società Aperta (Milano) Piazza Don Enrico Mapelli, 75 – 20099 Sesto San Giovanni (Mi) Telefono: +39 02 24861657 / 21100089 E-mail: [email protected] www.edizionisocietaaperta.it Isbn: 9791280048158 Distribuzione: A.L.I. – Agenzia Libraria International L’editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo rispetto ai diritti della traduzione. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni.

Prefazione alla seconda edizione italiana di Ian Carter

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Prefazione alla seconda edizione italiana Ian Carter

Nelle vite di tutti i giorni facciamo delle cose utili a promuovere i nostri interessi e quelli dei nostri cari. Per esempio, a scuola e all’università io ho fatto del mio meglio per sviluppare i miei talenti, dopodiché ho cercato un’occupazione appagante e ho investito i miei guadagni. Tu hai cambiato lavoro quando hai ricevuto l’offerta di uno stipendio maggiore. Un nostro amico è un bravo genitore e vuole offrire ai suoi figli le migliori opportunità possibili. Un’amica artista ha dipinto un bel quadro e lo ha messo all’asta con l’idea di venderlo a chi offre di più. Non tendiamo a condannare queste scelte. Anzi, la maggior parte di noi le considera aspetti della vita sociale assolutamente normali e accettabili. Allo stesso tempo, sappiamo che le differenze di talento e fortuna, insieme all’accumulo di queste scelte su grande scala, portano nel tempo a diseguaglianze economiche e sociali, diseguaglianze di classe e diseguaglianze ereditate. Diseguaglianze che le persone di orientamento progressista considerano un disvalore, perfino un’ingiustizia. Chiunque abbia pensato seriamente all’ideale dell’eguaglianza è consapevole di questo rompicapo morale. Guardando più da vicino, però, vediamo che ci sono diversi modi di interpretarlo. Un modo comune di dare senso alla tensione appena esposta è ipotizzare che esista un conflitto tra moralità, da un lato, e autointeresse, dall’altro. Questa prima ipotesi ignora, però, la dimensione morale delle scelte individuali: perseguire i propri interessi e quelli dei nostri cari è,

II I paradossi dell’uguaglianza

entro certi limiti, non solo moralmente permesso ma a volte anche lodevole. Un altro modo di intenderlo è come conflitto tra etica pubblica ed etica privata, come moralità della scelta sociale versus moralità delle scelte individuali. Questa seconda ipotesi è empiricamente implausibile, perché non è possibile separare questi due ambiti in maniera netta: le nostre scelte individuali sono spesso inseparabili dalle loro ricadute nell’ambito pubblico. Nel libro I paradossi dell’uguaglianza, Thomas Nagel esplora un ulteriore modo di affrontare il problema, ossia interpretandolo come un conflitto tra due aspetti della moralità dell’agente individuale. In primo luogo, ciascuno di noi ha una propria vita da vivere, e pretende che gli altri riconoscano la validità del proprio interesse a viverla nel migliore modo possibile insieme a quelli con cui ha, o stabilisce, dei legami. Questo è il punto di vista “personale” della moralità individuale. In secondo luogo, ciascuno di noi, come persona morale, deve riconoscere l’eguale status morale degli altri, e con questo le pretese e i doveri reciproci che derivano dalla giustizia distributiva, tenendo in conto egualmente tutti i punti di vista personali di tutti i membri della propria società. In breve, ciascuno di noi ha un eguale status che implica delle pretese a un eguale trattamento. Questo è il punto di vista “impersonale” della moralità individuale. Concepire il problema in questo modo, come tensione tra due prospettive morali della stessa persona, rende la questione della sua risoluzione politica da un lato più interessante, dall’altro più difficilmente trattabile. Thomas Nagel è uno dei più importanti filosofi viventi. Professore Emerito di Filosofia e Diritto presso la New York University, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui, nel 2008, il prestigioso Premio Balzan, “per la profondità e la coerenza della sua originale prospettiva filosofica, incentrata sulla tensione essenziale fra un punto di vista oggettivo e impersonale e un punto di vista soggettivo e personale”. I paradossi dell’uguaglianza è tra i lavori di Nagel che meglio

Prefazione alla seconda edizione italiana III

esplorano questa “tensione essenziale”. Pubblicato per la prima volta nel 1991, il libro appartiene a ciò che si usa ormai chiamare l’età d’oro della filosofia politica anglosassone – il periodo che occupa gli ultimi decenni del ‘900 e che ha visto gli interventi influenti di grandi teorici liberali ed egualitari americani quali John Rawls, Thomas Scanlon, Michael Walzer e Ronald Dworkin, oltre a quelli dello stesso Nagel. Le discussioni tra questi filosofi americani costituiscono il contesto accademico in cui nasce il presente lavoro. La questione al centro della loro attenzione era quella della natura di una società giusta intesa come sistema di cooperazione che genera benefici e oneri la cui distribuzione è, almeno in parte, responsabilità della società stessa, e che richiede quindi delle soluzioni politiche. In Italia, filosofi quali Salvatore Veca e Sebastiano Maffettone, lavorando in parallelo su problemi affini, hanno aiutato a far conoscere questi autori al pubblico italiano attraverso la promozione di traduzioni e discussioni. Grazie anche ai loro sforzi, l’interesse in Italia per le teorie della giustizia è cresciuto nel tempo, fino a diventare una parte del mainstream della disciplina anche in questo Paese. Il pensiero egualitario di Nagel è chiaramente influenzato dagli scritti di alcuni dei suoi contemporanei, in particolar modo di Rawls e Scanlon, ma è anche fortemente originale in quanto l’attenzione alla doppia prospettiva morale, personale e impersonale, è un aspetto che contraddistingue il suo contributo. Infatti, la valenza morale del punto di vista personale viene spesso trascurato dai teorici della giustizia, molti dei quali hanno interpretato il proprio compito esclusivamente come quello di sviluppare un resoconto coerente del punto di vista impersonale. Particolare è anche l’approccio di Nagel alla discussione dei problemi filosofici, perché la sua prospettiva è quella di un filosofo generale: Nagel è famoso non solo per le sue opere di filosofia pratica – di filosofia morale, politica e del diritto – ma anche per i suoi contributi fondamentali alla filosofia della mente, alla metafisica e all’epistemologia. Si tratta quindi di un

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pensatore che non ha paura di affrontare temi di grande portata. E questo può spiegare, almeno in parte, perché non entra in minuzioso dettaglio analitico – a differenza, per esempio, del suo contemporaneo G.A. Cohen, autore cui faremo riferimento più avanti – né cita nei dettagli la letteratura corposa sulla giustizia distributiva. Come filosofo generale, si può dire, Nagel vola più in alto: ha qualcosa di saggio e intelligente da dirci e cerca di dirlo nel modo più diretto e semplice possibile attraverso un testo accuratamente costruito ma scorrevole. Il titolo originale dell’opera, Equality and Partiality, coglie perfettamente il punto centrale di Nagel: la prospettiva impersonale si può dire imparziale, perché la sua premessa fondamentale è il dovere di dare eguale peso agli interessi di tutte le persone anziché privilegiare arbitrariamente gli interessi di qualcuno in particolare (o i propri interessi, o quelli di qualche altro individuo o gruppo con cui si hanno dei legami speciali). La prospettiva personale, quindi, risulta parziale, perché ha come premessa fondamentale il fatto che ciascuno di noi ha degli impegni che favoriscono alcuni individui rispetto ad altri, impegni che pongono dei limiti alla nostra capacità e al nostro dovere di seguire i dettami impegnativi della moralità perfettamente imparziale. Per Nagel, come vedremo, il punto di vista imparziale ha a che fare con la promozione dell’eguaglianza. Di qui, la contrapposizione di eguaglianza e parzialità. Forse perché “uguaglianza e parzialità” non suona tanto bene in italiano, per l’edizione italiana del libro si è scelto il titolo più suggestivo I paradossi dell’uguaglianza. La presenza in ciascuno di noi dei due punti di vista crea in effetti delle contraddizioni tra le nostre intuizioni normative, contraddizioni che Nagel vorrebbe chiarire nella speranza di porre le basi per una migliore comprensione dell’idea di giustizia. In questo senso, anche “i paradossi dell’uguaglianza” coglie il senso del libro, benché valga la pena di sottolineare che si tratta di paradossi solo nel senso lato del termine. ***

Prefazione alla seconda edizione italiana V

Quanto agli scopi e al metodo di indagine, è importante sottolineare che Nagel non mira a costruire una soluzione definitiva al problema della tensione tra i due punti di vista – un compito teorico, ai suoi occhi, eccessivamente ambizioso. Egli tenta, invece, di chiarire la natura del problema, soprattutto rintracciando alcune implicazioni egualitarie del punto di vista impersonale e ragionando sui diversi modi, e i diversi gradi, in cui tale punto di vista potrebbe o dovrebbe cedere spazio al punto di vista personale. Ciò significa spiegare e illustrare la difficoltà del problema, nella convinzione che non sia stato ancora preso abbastanza sul serio dai teorici politici progressisti. La tendenza a trascurare il problema della tensione tra i due punti di vista morali ha portato, secondo Nagel, a teorie che risultano eccessivamente utopiche, proprio perché focalizzate esclusivamente sulle implicazioni del punto di vista oggettivo, impersonale o imparziale. In alcuni casi la conseguenza di quest’utopismo è stata la semplice inefficacia: la teoria, troppo distaccata dagli interessi reali delle persone, non motiva sufficientemente a seguire i propri dettami normativi e rimane quindi priva di ricadute pratiche. In altri casi, molto più nefasti, lo stesso utopismo ha alimentato esperimenti politici autoritari con effetti disastrosi. Quest’ultimo fatto rivela il senso in cui il libro di Nagel non è solo il frutto delle sue interazioni con altri filosofi anglo-americani in discussioni astratte sulla natura della società giusta, ma è anche l’espressione di una riflessione sugli sviluppi politici concreti dello stesso periodo. Il contesto storico-politico di questo libro è quello dell’ascesa del liberalismo economico negli anni ’80 e la perdita di fiducia nelle capacità dell’essere umano di costruire una società genuinamente egualitaria senza classi sociali o privilegi di nascita. Il crollo drammatico dei regimi comunisti, nel 1989, avviene proprio durante la stesura del libro. Per Nagel, la diagnosi del fallimento dell’esperimento comunista, nella misura in cui tale esperimento sia stato condotto in buona fede, sta nel fatto di aver trascurato non solo

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i limiti della natura umana ma anche la centralità, in qualunque teoria morale e politica minimamente plausibile e realistica, del punto di vista personale. Alla luce di questa riflessione può sembrare che Nagel sia fortemente influenzato dal realismo politico. Una tale interpretazione potrebbe piacere a quei lettori italiani che guardano con sospetto lo stile analitico e astratto tipico della teoria normativa anglosassone. Sarebbe un errore, però, etichettare Nagel come un realista politico, come sarà evidente per chiunque voglia leggere solo la sua introduzione a questo libro. Il realismo politico duro e puro, per Nagel, sottovaluta le nostre capacità di realizzare un progetto politico in base a un punto di vista impersonale, come se dovessimo accettare come limite insuperabile della natura umana ogni tendenza a comportamenti comunemente giudicati malvagi. Nagel riconosce l’esistenza di vincoli di fattibilità, tra i più importanti dei quali vi è la nostra difficoltà psicologica a scegliere l’alternativa imparziale quando sono in gioco gli interessi fondamentali nostri o dei nostri cari. Come dice Rawls, però, “i limiti del possibile non sono dati da ciò che è reale”.1 Riconoscere i limiti della natura umana non significa rassegnarsi all’impossibilità di miglioramenti nelle motivazioni delle persone o nei tipi di istituzioni che regolano il nostro comportamento. A Nagel non manca affatto quell’apertura mentale teorizzata da Salvatore Veca come “il senso della possibilità”.2 Tra i pensatori egualitari, Nagel è uno di quelli che maggiormente hanno fatto i conti con la realtà, ma non tanto nel senso dei realisti politici, quanto nel senso di riconoscere che anche la parzialità fa parte della nostra realtà, che questa realtà è non solo un fatto naturale ma è anche morale; e non si tratta, quindi, di affrontare un semplice conflitto tra moralità egualitaria 1 John Rawls, The Law of Peoples, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1999, trad. it., Il diritto dei popoli, Torino, Comunità, 2001. 2 Salvatore Veca, Il senso della possibilità. Sei lezioni, Milano, Feltrinelli, 2018.

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e interessi individuali, ma di rendere conto di una dualità, più complessa e meno trattabile sul piano teorico politico, all’interno della stessa moralità individuale. In questo senso, vale la pena di notare che la posizione di Nagel è opposta anche a una forma più sofisticata di realismo politico, un realismo che non si limita al mero riconoscimento di vincoli di fattibilità che restringono la rilevanza della teoria morale normativa. Il senso più sofisticato di realismo è quello secondo cui le pratiche politiche sono caratterizzate da un tipo di normatività diverso rispetto a quella della moralità di tutti i giorni, una normatività propria della sfera dell’azione politica che, data la necessità per il politico di consolidare il proprio potere, si discosta necessariamente dall’insieme di norme morali che regolano l’interazione tra i cittadini. Nagel non si pronuncia su questo tipo di realismo, ma è importante tenere presente che, nella sua prospettiva, la politica serve, invece, proprio ad aiutare a realizzare la moralità del cittadino, perché serve a chiarire pubblicamente il giusto peso che ciascuno può o deve dare ai propri interessi, da una parte, e alle pratiche imparziali, dall’altra. “Sul terreno della teoria politica la giustificazione deve affrontare gli individui due volte: dapprima come interpreti del punto di vista impersonale e successivamente come interpreti di ruoli particolari all’interno di un sistema impersonalmente accettabile” (cap. 3). Come attori morali sentiamo continuamente la tensione tra i due punti di vista. La politica, mirando a realizzare alcuni aspetti della moralità imparziale attraverso i suoi processi democratici e meccanismi coercitivi, permette all’individuo di “affrancarsi” da una parte dell’onere psicologico dell’impegno morale impersonale, alleggerendo il peso della tensione interna tra prospettiva personale e prospettiva impersonale e chiarendo i confini tra le due. Secondo Nagel, il compito centrale della filosofia politica è proprio quello di specificare questa divisione del lavoro morale. In tale prospettiva, e con buona pace dei realisti, l’interesse di Nagel è per un unico

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tipo di normatività: quella morale, sia pure con un doppio aspetto, che esiste all’interno di ciascun individuo e che la politica può aiutare a realizzare. *** Veniamo, allora, al tentativo di Nagel di chiarire la tensione essenziale tra le due prospettive. Innanzitutto, è importante notare che per Nagel il punto di vista imparziale non è quello dell’utilitarismo, nonostante quest’ultima filosofia venga spesso intesa come quella imparziale per eccellenza. Come direbbe Rawls, il punto di vista dell’utilitarista è sì imparziale, ma non prende sul serio la separatezza delle persone e le questioni distributive che ne derivano. L’utilitarista adopera ciò che Nagel, altrove, ha chiamato “il punto di vista del conglomerato”.3 Gli individui sono gli elementi fungibili di un grande insieme del quale dobbiamo massimizzare la quantità di benessere. Per l’utilitarista, quindi, la scelta imparziale è quella che massimizza l’aggregato di utilità, a prescindere dall’identità dei singoli individui che beneficiano o perdono e a prescindere dalla distribuzione dei beni. Al punto di vista del conglomerato, Nagel contrappone l’approccio dei “confronti a coppie”: dobbiamo confrontare i miei benefici con i tuoi, i tuoi con quelli di un terzo, e così via, fino a esaurire tutti i confronti possibili tra gli individui. Questo metodo è più complesso ma ha il pregio di prendere sul serio in partenza il punto di vista personale. Per Nagel, l’imparzialità deve comportare una qualche forma di universalizzabilità: le nostre scelte saranno imparziali nella misura in cui possano risultare accettabili anche quando ci si mette nei panni di ciascuna delle altre persone in gioco. Ma l’universalizzabilità da sola può anche essere interpretata in maniera utilitaristica, come ha argomentato R.M. Hare. 3 Thomas Nagel, Equality, in T. Nagel, Mortal Questions, Cambridge, Cambridge University Press, 1979, trad. it., Questioni mortali, Milano, Il Saggiatore, 1986.

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La discussione da parte di Nagel di questo difficile problema spicca per la sua limpidezza. Prende in considerazione l’universalizzabilità kantiana e spiega il rischio di creare un filtro troppo forte – vale a dire, il rischio di escludere come “parziale” praticamente ogni alternativa di scelta sociale. Finisce per adoperare il test dell’unanimità previamente sviluppata da Scanlon. Secondo questo test, una soluzione distributiva è davvero imparziale se non può essere ragionevolmente respinta come base per un accordo generale raggiunto liberamente. L’idea di Nagel, poi, è che il teorico politico deve cercare di mostrare quali progetti e impegni personali si possono considerare ragionevolmente accettabili e quali invece possono essere ragionevolmente respinti. La legittimità di un sistema politico ed economico verrà raggiunta attraverso la convergenza delle diverse prospettive personali nel rispetto di questo test di unanimità. Si tratta, chiaramente, di una condizione di unanimità ipotetica, non di unanimità reale. Nagel arriva poi all’idea che l’imparzialità deve implicare l’eguaglianza. Nella sua discussione del problema della convergenza, prende in considerazione, e respinge, alcune alternative all’eguaglianza, tra cui l’idea meno impegnativa di un “minimo garantito”, ossia la proposta di istituire meccanismi di redistribuzione che mantengano un minimo di benessere o risorse per tutti – una posizione che oggi i filosofi politici chiamerebbero una forma di “sufficientismo”.4 Questa alternativa può essere ragionevolmente respinta dai membri più svantaggiati della società: per permetterla di passare il test di unanimità, dovremmo assumere arbitrariamente come “normali” o “naturali” i possessi e le maggiori opportunità delle persone più ricche e avvantaggiate, persone che dovrebbero fare dei sacrifici maggiori se volessimo mirare invece all’eguaglianza, o almeno a una minore diseguaglianza. Nagel mostra 4 Vedi, a proposito, Harry G. Frankfurt, On Inequality, Princeton, N.J.: Princeton University Press, 2015, trad. it., Sulla disuguaglianzia. Perché l’uguaglianza economica non è un’ideale da perseguire, Guanda, Milano, 2015, cap. 1.

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in maniera convincente che, alla luce del test di unanimità, tale sacrificio da parte dei membri più ricchi della società non può essere ragionevolmente respinto. Questa conclusione porta Nagel a una posizione più vicina al “principio di differenza” di Rawls. Viste le basi scanloniane delle argomentazioni egualitarie di Nagel, è interessante notare che lo stesso Scanlon, quando ha argomentato più di recente contro la diseguaglianza economica e sociale, si è concentrato soprattutto sulle sue conseguenze in termini di altri valori: la diseguaglianza economia può creare ineguali status sociali che, stigmatizzando i meno avvantaggiati, può diminuire il loro benessere; può dare ai ricchi un livello di controllo sulle vite degli altri che può a sua volta risultare dannoso per l’equità nei rapporti politici; e così via.5 Scanlon parla anche dell’importanza dell’“uguale considerazione” (equal concern), che è più simile al punto di partenza di Nagel. Tuttavia, non sembra essere al centro dell’attenzione di Scanlon, come lo è invece per Nagel, l’idea che l’eguaglianza economica e sociale sia implicata direttamente dall’idea di imparzialità e che questa sia a sua volta costitutiva dell’idea di giustizia. Per Nagel, con buona pace di molti altri egualitari odierni, l’eguaglianza, non solo formale ma anche sostanziale, ha valore intrinseco. Anche se richiede uno sforzo notevole dell’immaginazione, quindi, siamo spinti dal ragionamento di Nagel verso la conclusione che il punto di vista imparziale, che fa parte del nostro senso morale individuale, richiede molta più eguaglianza economica e sociale rispetto ai livelli esistenti nelle società liberaldemocratiche contemporanee. Visto però che Nagel riconosce anche l’importanza morale del punto di vista personale, una questione importante per la realizzazione di una società egualitaria diventa quella della motivazione personale a partire dalla situazione attuale. 5 T.M. Scanlon, Why Does Inequality Matter?, Oxford, Oxford University Press, 2018, trad. it., Perché combattere la disuguaglianza, Bologna, Il Mulino, 2020.

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In questa connessione è interessante confrontare le riflessioni di Nagel con quelle fatte successivamente da G.A. Cohen nel contesto della sua ormai famosa critica egualitaria a Rawls.6 Infatti, è proprio nel contesto di questo dibattito teorico che il tema di Nagel dei due punti di vista morali ha forse la sua maggiore rilevanza contemporanea. Il principio di differenza di Rawls prescrive di massimizzare le prospettive economiche e sociali dei membri più svantaggiati della società. Ma l’esito di un’applicazione di tale principio non viene a coincidere con l’eguaglianza, perché l’eguaglianza in senso stretto porterebbe probabilmente a un “livellamento verso il basso”. Infatti, un aumento eccessivo del livello di tassazione dei membri più produttivi della società creerebbe un disincentivo alle attività produttive, e non permetterebbe quindi di alzare i redditi delle persone più svantaggiate attraverso misure redistributive. Bisogna quindi accettare dei limiti alla tassazione dei redditi dei ricchi, e con questi limiti, la necessità della diseguaglianza economica. Da questo ragionamento segue che una maggiore diseguaglianza può essere a vantaggio dei membri più svantaggiati della società. Si può arrivare in questo modo addirittura a giustificare degli aumenti significativi di diseguaglianza per motivi detti “egualitari”. Cohen critica il modo in cui Rawls si rassegna di fronte alla necessità degli incentivi economici per i membri più produttivi della società, notando che questa “necessità” dipende in realtà dagli atteggiamenti delle stesse persone produttive verso il valore dell’eguaglianza. L’insistenza sugli incentivi da parte dei ricchi è come un ricatto, e non è quindi un fatto moralmente neutrale che opera come mero vincolo di fattibilità. È un fatto della vita che tale vincolo esiste nelle nostre società capitaliste, ma, sempre secondo Cohen, il riconosci-

6 G.A. Cohen, Rescuing Justice and Equality, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2008, trad. it., Per l’eguaglianza e la giustizia, Roma, L’asino d’oro, 2016.

XII I paradossi dell’uguaglianza

mento di questo fatto non può fare parte di una teoria che cerca di spiegare cosa è la giustizia. Visto che Nagel accetta il punto di vista personale come parte necessaria di qualunque teoria plausibile della giustizia, la sua posizione sembra a prima vista più vicina a quella di Rawls. La posizione di Cohen è soprattutto quella del teorico che contrappone la giustizia, da un lato, all’autointeresse, dall’altro. Cohen riconosce la necessità di una “prerogativa personale” che può dare spazi di libertà morale all’individuo, sollevandolo dall’obbligo eccessivo di lavorare continuamente al massimo per alzare per quanto possibile il livello di chi sta peggio di lui. Tuttavia, questa prerogativa ha il carattere di una sorta di concessione, anziché essere parte integrante di una prospettiva morale duale nel senso di Nagel. Dall’altra parte, Nagel mostra una maggiore sensibilità, rispetto a Rawls, alla preoccupazione di fondo espressa da Cohen: egli riconosce, anzi anticipa rispetto a Cohen, il senso di insoddisfazione che un egualitario può sentire nei confronti dell’argomento rawlsiano degli incentivi. Tuttavia, il suo approccio non è esattamente quello di Cohen. La differenza si può vedere nell’atteggiamento dei due autori verso il compromesso, riconosciuto da entrambi come necessario nelle nostre società attuali. Mentre Cohen ragiona direttamente a partire dal concetto di giustizia, intesa come eguaglianza perfetta, per poi individuare i casi di ingiustizia nelle società attuali, Nagel è più propenso a ragionare a partire dalla situazione attuale, chiedendosi quali cambiamenti negli atteggiamenti delle persone sarebbero necessari per muovere la società, anche solo minimamente, in una direzione più egualitaria, rimanendo realistici sui limiti motivazionali attuali delle persone e rimanendo ragionevoli sulla valenza degli impegni personali. Questo è un esercizio dell’immaginazione, che ha come punto di partenza la consapevolezza delle possibilità già presenti nella nostra società e che cerca di “espandere l’autorità dei valori imparziali”. A volte, nelle nostre vite quotidiane, di fatto noi mettiamo da parte degli

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interessi personali quando ci rendiamo conto di dover dare maggiore peso a certe considerazioni imparziali. Un esempio fornito da Nagel riguarda il dovere imparziale di non fumare: in un dato momento potremmo avere un interesse forte a fumare, ma vediamo il cartello “vietato fumare” e questo basta a motivarci a non accendere la sigaretta. Se ci mettiamo nei panni del fumatore e ragioniamo dal suo punto di vista, sia personale sia impersonale, vediamo che negli ultimi decenni nelle società occidentali gli atteggiamenti e le convenzioni sono davvero cambiati e l’autorità del punto di vista imparziale si è espansa. La questione, a questo punto, è se riusciremo a interiorizzare in maniera simile delle convenzioni che diano maggiore spazio agli scopi egualitari. Noi possiamo immaginare dei cambiamenti di questo tipo, anche se, come chiarisce bene Nagel, la difficoltà a farlo dipende dalle cause della diseguaglianza. Dove le cause della diseguaglianza stanno in pratiche discriminatorie, abbiamo già sviluppato, negli ultimi secoli, convenzioni e atteggiamenti che sono generalmente sufficienti a motivare le persone ad agire in maniera egualitaria anche quando, per esempio, una scelta nepotistica favorirebbe gli interessi di qualche persona a noi cara. Lo stesso esercizio di immaginazione diventa più difficile, invece, quando le cause della diseguaglianza stanno nelle differenze di classe sociale, e ancora di più quando sono il risultato di differenze di talento. Un’altra area di ricerca recente negli studi egualitari riguarda il ruolo della responsabilità individuale. Che cosa implica il punto di vista impersonale nei casi in cui una persona è svantaggiata perché ha compiuto delle scelte poco sagge di cui nessuno tranne lei può ragionevolmente essere tenuto responsabile? Anche qui le riflessioni di Nagel sono rilevanti. Oggi chiamiamo “egualitarismo della sorte” la posizione, elaborata in modi sempre più sofisticati, secondo la quale solo le diseguaglianze che risultano da circostanze al di là del controllo dell’agente costituiscono situazioni ingiuste dal punto di vista egualitario: ciò che l’egualitario deve cercare di

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eguagliare è l’effetto della cattiva sorte; non deve favorire interventi per rimediare le situazioni di persone svantaggiate in seguito a scelte di cui loro stessi sono moralmente responsabili. Rispetto ai teorici egualitari della sorte, Nagel non attribuisce la stessa importanza fondamentale alla responsabilità individuale, perché a suo avviso tale rilevanza deriva da altri fattori. Ciò che è veramente problematico, secondo Nagel, è il modo in cui la cattiva sorte può avere un impatto diverso sui membri di classi sociali diverse e su persone con livelli diversi di certi talenti. Viceversa, i benefici guadagnati dagli individui grazie ai loro sforzi personali tendono a variare in base alla classe o in base ai talenti. Di conseguenza, l’atteggiamento di Nagel verso l’egualitarismo della sorte è misto, e in questo Nagel ha anticipato la reazione di egualitari più tradizionali, oggi chiamati “egualitari relazionali”, che hanno posto l’enfasi piuttosto su pratiche di sfruttamento o di oppressione, pratiche che dipendono in effetti in buona parte da questioni di classe. Nagel riconosce, tuttavia, il ruolo della responsabilità nella legittimazione degli esiti distributivi, soprattutto quando non accentua differenze rintracciabili a discriminazioni, a differenze di classe o a differenze di talento personale. Infine, un dibattito nella filosofia politica contemporanea dove si possono notare dei paralleli interessanti con il lavoro di Nagel è quello che divide i cosiddetti perfezionisti dai fautori della neutralità liberale. Il perfezionismo accetta che lo stato possa promuovere un’idea sostanziale del bene – per esempio, sovvenzionando certi tipi di attività artistiche o educative in base alle loro qualità intrinseche, o finanziando certe attività sportive in base al valore della salute o dell’eccellenza fisica. La neutralità liberale, di contro, vieta che lo stato privilegi in questo modo certi tipi di attività rispetto ad altri. I liberali neutrali negano che sia compito dello stato promuovere una certa visione del bene, perché in una società pluralista non può esistere una convergenza sui valori in base ai quali misuriamo il miglioramento da perseguire.

Prefazione alla seconda edizione italiana XV

La prospettiva di Nagel, che combina i due punti di vista morali, apre la possibilità per un liberale egualitario di accordare spazio al perseguimento dell’eccellenza anche al livello pubblico. Nagel fa spazio a questo tipo di politica ipotizzando un accordo generale, non tanto sui valori in base ai quali individuiamo le attività da promuovere, quanto sull’autorità di certe procedure democratiche che possono portare a una tale individuazione. È forse in base a un’approssimazione a questo ideale che nelle nostre società democratiche, molte persone in realtà accettano che lo stato sovvenzioni le belle arti o la musica classica pur non apprezzando personalmente i prodotti di queste attività. Alla fine, i progressi di Nagel verso la riconciliazione dei due punti di vista possono sembrare limitati. D’altronde, come già accennato, egli non ha promesso di trovare una soluzione. In parte le difficoltà della filosofia politica derivano, per Nagel, da aspetti fondamentali della moralità: sono il risultato inevitabile del pluralismo normativo e della “frammentazione del valore”,7 dai quali la natura duale della moralità come prospettiva personale e prospettiva impersonale non può sfuggire. In parte derivano dalla distanza tra i modi in cui attualmente dividiamo il lavoro morale tra i due punti di vista e i modi in cui lo divideremmo se espandessimo l’autorità del punto di vista imparziale in una direzione maggiormente egualitaria. Ciò che non si può negare è che il lavoro di Nagel ha fornito dei notevoli spunti per riflettere meglio sui dilemmi che deve affrontare qualsiasi pensatore egualitario. Benvenga quindi questa riedizione di un classico della filosofia politica anglosassone, un libro il cui studio è fondamentale per chiarire le difficoltà incontrate ancora oggi nei tentativi di formulare delle proposte politiche progressiste che prendano sul serio sia le pretese della giustizia egualitaria, sia gli impegni personali e la libertà di realizzarli.

7 Thomas Nagel, La frammentazione del valore, in Questioni morali, op. cit.

1

Ludwig von Mises, Lo Stato onnipotente. La nascita dello Stato totale e della guerra totale

2

Friedrich A. von Hayek, L’ordine sensoriale. I fondamenti della psicologia teorica

3

Guido De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo

4 Montesquieu, Pensieri Riflessioni Massime 5

Salvatore Veca, Etica e Politica

6

Mauro Barberis, Libertà

7

Robert A. Dahl, I dilemmi della democrazia pluralista

8

Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Liberismo e liberalismo

9 Dahrendorf, Per un nuovo liberalismo 10 Carlo Rosselli, Socialismo liberale 11 John Maynard Keynes, Democrazia e mercato. Saggi tra il 1923 e il 1946 12 John Stuart Mill, Harriet Taylor, Sull’eguaglianza e l’emancipazione femminile 13 Madame de Staël, Simonde de Sismondi, Benjamin Constant, Libertà e liberazione 14 Norberto Bobbio, Quale socialismo? Discussione di un’alternativa 15 Friedrich A. von Hayek, Diritto, legislazione e libertà 16 Jürgen Habermas, John Rawls, Dialogo sulla democrazia deliberativa 17 Wilhelm von Humboldt, Stato e società. Scritti sulla libertà

Finito di stampare nel mese di marzo 2023 da Digital Team - Fano (Pu)