I Catari. Storia e destino dei veri credenti 8840438092

554 158 6MB

Italian Pages [375] Year 1990

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

I Catari. Storia e destino dei veri credenti
 8840438092

Table of contents :
0003(1)_1L
0003(1)_2R
0004_1L
0004_2R
0005_1L
0005_2R
0006_1L
0006_2R
0007_1L
0007_2R
0008_1L
0008_2R
0009_1L
0009_2R
0010_1L
0010_2R
0011_1L
0011_2R
0012_1L
0012_2R
0013_1L
0013_2R
0014_1L
0014_2R
0015_1L
0015_2R
0016_1L
0016_2R
0017_1L
0017_2R
0018_1L
0018_2R
0019_1L
0019_2R
0020_1L
0020_2R
0021_1L
0021_2R
0022_1L
0022_2R
0023_1L
0023_2R
0024_1L
0024_2R
0025_1L
0025_2R
0026_1L
0026_2R
0027_1L
0027_2R
0028_1L
0028_2R
0029_1L
0029_2R
0030_1L
0030_2R
0031_1L
0031_2R
0032_1L
0032_2R
0033_1L
0033_2R
0034_1L
0034_2R
0035_1L
0035_2R
0036_1L
0036_2R
0037_1L
0037_2R
0038_1L
0038_2R
0039_1L
0039_2R
0040_1L
0040_2R
0041_1L
0041_2R
0042_1L
0042_2R
0043_1L
0043_2R
0044_1L
0044_2R
0045_1L
0045_2R
0046_1L
0046_2R
0047_1L
0047_2R
0048_1L
0048_2R
0049_1L
0049_2R
0050_1L
0050_2R
0051_1L
0051_2R
0052_1L
0052_2R
0053_1L
0053_2R
0054_1L
0054_2R
0055_1L
0055_2R
0056_1L
0056_2R
0057_1L
0057_2R
0058_1L
0058_2R
0059_1L
0059_2R
0060_1L
0060_2R
0061_1L
0061_2R
0062_1L
0062_2R
0063_1L
0063_2R
0064_1L
0064_2R
0065_1L
0065_2R
0066_1L
0066_2R
0067_1L
0067_2R
0068_1L
0068_2R
0069_1L
0069_2R
0070_1L
0070_2R
0071_1L
0071_2R
0072_1L
0072_2R
0073_1L
0073_2R
0074_1L
0074_2R
0075_1L
0075_2R
0076_1L
0076_2R
0077_1L
0077_2R
0078_1L
0078_2R
0079_1L
0079_2R
0080_1L
0080_2R
0081_1L
0081_2R
0082_1L
0082_2R
0083_1L
0083_2R
0084_1L
0084_2R
0085_1L
0085_2R
0086_1L
0086_2R
0087_1L
0087_2R
0088_1L
0088_2R
0089_1L
0089_2R
0090_1L
0090_2R
0091_1L
0091_2R
0092_1L
0092_2R
0093_1L
0093_2R
0094_1L
0094_2R
0095_1L
0095_2R
0096_1L
0096_2R
0097_1L
0097_2R
0098_1L
0098_2R
0099_1L
0099_2R
0100_1L
0100_2R
0101_1L
0101_2R
0102_1L
0102_2R
0103_1L
0103_2R
0104_1L
0104_2R
0105_1L
0105_2R
0106_1L
0106_2R
0107_1L
0107_2R
0108_1L
0108_2R
0109_1L
0109_2R
0110_1L
0110_2R
0111_1L
0111_2R
0112_1L
0112_2R
0113_1L
0113_2R
0114_1L
0114_2R
0115_1L
0115_2R
0116_1L
0116_2R
0117_1L
0117_2R
0118_1L
0118_2R
0119_1L
0119_2R
0120_1L
0120_2R
0121_1L
0121_2R
0122_1L
0122_2R
0123_1L
0123_2R
0124_1L
0124_2R
0125_1L
0125_2R
0126_1L
0126_2R
0127_1L
0127_2R
0128_1L
0128_2R
0129_1L
0129_2R
0130_1L
0130_2R
0131_1L
0131_2R
0132_1L
0132_2R
0133_1L
0133_2R
0134_1L
0134_2R
0135_1L
0135_2R
0136_1L
0136_2R
0137_1L
0137_2R
0138_1L
0138_2R
0139_1L
0139_2R
0140_1L
0140_2R
0141_1L
0141_2R
0142_1L
0142_2R
0143_1L
0143_2R
0144_1L
0144_2R
0145_1L
0145_2R
0146_1L
0146_2R
0147_1L
0147_2R
0148_1L
0148_2R
0149_1L
0149_2R
0150_1L
0150_2R
0151_1L
0151_2R
0152_1L
0152_2R
0153_1L
0153_2R
0154_1L
0154_2R
0155_1L
0155_2R
0156_1L
0156_2R
0157_1L
0157_2R
0158_1L
0158_2R
0159(1)_1L
0159(1)_2R
0160_1L
0160_2R
0161_1L
0161_2R
0162_1L
0162_2R
0163_1L
0163_2R
0164_1L
0164_2R
0165_1L
0165_2R
0166_1L
0166_2R
0167_1L
0167_2R
0168_1L
0168_2R
0169_1L
0169_2R
0170_1L
0170_2R
0171_1L
0171_2R
0172_1L
0172_2R
0173_1L
0173_2R
0174_1L
0174_2R
0175_1L
0175_2R
0176_1L
0176_2R
0177_1L
0177_2R
0178_1L
0178_2R
0179_1L
0179_2R
0180_1L
0180_2R
0181_1L
0181_2R
0182_1L
0182_2R
0183_1L
0183_2R
0184_1L
0184_2R
0185_1L
0185_2R
0186_1L
0186_2R
0187_1L
0187_2R
0188_1L
0188_2R
0189_1L

Citation preview

ANNEBRENON

I CATARI STORIA E DESTINO DEI VERI CREDENTI

CONVIVIO

In copertina: miniatura raffigurante religiosi dell'Ordine degli Umiliati, fiorente a Milano nel XIII secolo (Codice 1421 MS 301 in/ Bibl. Ambr. di Milano).

Titolo originale: Le Vrai Visage du Catharisme (Toulouse, Traduzione di Marco Tarchi.

Copertina di Lorenzo Crinelli.

© 1988 - Anne Brenon © 1990

-

Convivio/N ardini Editore - Firenze

ISBN 88-404-3809-2

1988).

PREMESSA

C atarismo

dal vero volto ... Un volto con uno sguardo, sguardi di paura, di gioia, di credulità; con orecchie che ascoltarono prediche, risate, grida di sofferenza; con una bocca che parlò, delle mille cose della quotidianità o di Dio, seriamente, che dettò ad uno scrivano una dialettica sostenuta da citazioni del Vangelo o che, più sovente, si la­ sciò sfuggire ricordi sotto forma di deposizioni davanti al­ l'Inquisizione... Catarismo dal volto umano, dal volto vivo. Volti che vissero più o meno seicento anni fa e che si mescolano, con le loro imperfezioni, le loro ombre e la loro indetermina­ tezza, come i manoscritti medievali, che sono la memoria cristallizzata di antiche parole di veracità o di astuzia e ne portano le debolezze, lo spazio di dubbio o di instabilità, ma anche l'insostituibile testimonianza. Non va dunque cercata, qui, una ennesima, vana co­ struzione di quella immaginazione «riempitrice di vuoto» -secondo l'espressione di Simone Weil- che dalla fine del XIX secolo in poi ha condotto tanti autori a fabbricare dei catarismi mitologici e, purtroppo, commercializzabili, con l'aggiunta di tesori nascosti, di Graal pirenaici, di inediti di Platone� di onirismo buddhista e iperboreo o di esoteri­ smo piattamente occultista.

5

Queste immagini fabbricate del catarismo non sono volti: anzi, lo sfigurano. Non parliamo di «falsi volti del catarismo». Vi fu un fenomeno storico, che alcune popola­ zioni vissero e del quale possiamo, con rispetto e, perché no?, amore, cercare di resuscitare la realtà umana, con la sua carica di imponderabilità e irrazionalità. Esiste, in pa­ rallelo, un mercato degli artefatti, impersonali e risibili. Lo scopo del presente libro non è tanto di confutare, una dopo l'altra, tutte le vecchie lune che le fantasie cata­ rofile o anti-catare veicolano nella moda attuale, quanto di proporre ogni volta, instancabilmente, allo sguardo, il vero volto di vita della Chiesa dei Buoni Cristiani. E la primissima di queste bolle di sapone da sgonfiare è proprio la fasulla «aura» di mistero che circonda il catari­ smo. Oggi possediamo i mezzi per conoscere questa reli­ gione, è sufficiente darsi il tempo di leggere e studiare le fonti medievali, sparpagliate e perdute nel corso dei secoli ma ormai riconosciute, repertoriate e per la maggior parte pubblicate e tradotte. La ricerca storica ha lavorato, i do­ cumenti hanno parlato, il catarismo non è più misterioso. Questa forma arcaicizzante - benché innovatrice in taluni punti - di cristianesimo, interpretando alla lettera i precetti dei Vangeli, ma in una visione dualista, si è spar­ sa, con flussi e riflussi, fra l'Asia Minore e l'Europa occi­ dentale del X e del XV secolo. La corrente, ovunque rico­ noscibile nella nebulosa delle eterodossie medievali, era or­ ganizzata in Chiese indipendenti sul modello del primo cristianesimo: Chiese che intrattenevano generalmente tra di loro stretti legami, ma a volte presentavano qualche sfu­ matura nella dottrina. Questa corrente cristiana si definiva tuttavia invariabil­ mente come l'erede diretta, e l'unica autentica, del mes­ saggio di Cristo. Era la Chiesa dei Buoni Cristiani, o dei Veri Cristiani, dei Buoni Uomini, in opposizione all'usur-

6

patrice Chiesa romana. Riferendosi alle abitudini letterarie contemporanee, è comodo adoperare il termine «cataro» per designarla. Era una Chiesa completamente strutturata, con i propri sacramenti, la propria ecclesiologia, la propria metafisica, i propri fedeli, il proprio clero, la propria mora­ le di Salvezza. Metafisica ed ecclesiologia ci sono note grazie a due trattati teologici originari l'uno dell'Italia del Nord (il Li­ bro dei due principii, ritrovato a Firenze e pubblicato una prima volta dal padre Dondaine nel 1939) e l'altro forse di Carcassès, ma niente è meno certo (l'Anonimo, contenuto nella confutazione del polemista valdese fattosi cattolico, Durand de Huesca, riconosciuto nei suoi due manoscritti di Praga e della Biblioteca Nazionale di Parigi dal medesi­ mo padre Dondaine, ma pubblicato da Christine Thouzel­ lier nel 1961); esse ci sono note anche attraverso tutta la fioritura di letteratura «di battaglia» messa a punto dagli intellettuali cattolici, dai cistercensi ai frati predicatori, per confutare sul terreno ed in pubblico le tesi temibilmen­ te «fondate in Scrittura» dei dottori catari: per essere effi­ caci, gli argomenti dovevano cadere al punto giusto, i pale­ misti cattolici dovevano sapere di cosa parlavano, e da ciò scaturisce l'interesse non trascurabile di questo tipo di fon­ ti. Uno degli autori di queste «summe anti-eretiche» fu del resto un ex-dignitario cataro convertito e diventato inqui­ sitore: Raniero Sacconi. I trattati catari, e soprattutto quelli anti-catari, proven­ gono in larga misura dall'Italia del Nord. Le dottrine della Chiesa dei Buoni Cristiani ci sono tuttavia note anche gra­ zie a tre Rituali, dei quali il primo, il Rituale latino, è ri­ calcato sul Libro dei due principii, ma gli altri due, redatti in occitano, provengono verosimilmente dal sud degli at­ tuali dipartimenti francesi dell'Ariège o dell'Aude (Rituale ricalcato sulla Bibbia catara conservata alla Biblioteca mu-

7

nicipale di Lione), e forse dalla regione provenzale-alpina (frammento del Rituale di Dublino). Anche i registri del­ l'Inquisizione, che ci offrono tutti gli sprazzi possibili sulla sociologia e l'etnologia del catarismo «vivente», provengo­ no in stragrande maggioranza dai tre principati territoriali occitani presi in considerazione: contee di Foix e di Taio­ sa, viscontee Trencavel di Carcassonne, Albi e Razès. Conosciamo dunque meglio, forse, il catarismo teorico e dottrinale del Nord Italia, e quello vissuto dalle famiglie, dai villaggi, dalle mentalità e dai cuori nel suo ambito ecci­ tano; i frammenti di predica dei perfetti catari del Laura­ gais conservatici dalle deposizioni dinnanzi all'Inquisizio­ ne, cosl come le proposizioni dogmatiche contenute nei Ri­ tuali occitani, non divergono minimamente dai grandi trat­ tati teologici: certamente siamo condotti dalle fonti docu­ mentarie a volgere uno sguardo privilegiato al catarismo eccitano, che fu altresl quello che conobbe il più ricco svi­ luppo storico, ma senza trascurare il catarismo italiano. Questo è quindi il percorso- non esente da avventure­ al quale vi invito: non seguire il racconto dettagliato della crociata contro gli albigesi, la storia della conquista e della progressiva annessione del Mezzogiorno della Francia at­ tuale da parte della monarchia centralizzatrice; L 'Epopée Cathare di Miche! Roquebert (giunta a cinque tomi) è il contributo definitivo, chiaro e fondato a cui si può fare or­ mai riferimento. Spegnere invece, di passaggio, le più cor­ renti tra le (false) idee preconcette, per riconoscere, passo dopo passo, nella sua autenticità una minoranza religiosa soffocata dalla Storia; distinguerne le specificità in mezzo al contesto pulsante e vibratile del cristianesimo medieva­ le, assai più complesso, mosso e tormentato di quanto ge­ neralmente non si immagini; e cercare più particolarmente in Occitania e in Italia, nell'eco del bastone dei Buoni Uo­ mini che risuonava dal selciato dei borghi alle lastre dei ca-

8

stelli, di città in deserto, nella memoria bloccata delle cre­ denti che trascinavano i loro amati sul cammino del rigore e nella fede che avevano abbracciato, uno spessore di vita: quel vero volto, il volto che i catari stessi ci tendono, at­ traverso lo specchio opacizzato dei manoscritti e del tempo.

9

PARTE I

UN CRISTIANESIMO MEDIEVALE

CAPITOLO I

IL SEME DI UN «NUOVO ORDINE» CRISTIANO

A partire dall'anno Mille, vale a dire anche dal momento in cui

i documenti iniziano a parlarci, mentre il clero regolare cattolico si rinchiude all'interno di prestigiose abbazie che irradiano in­ telletto e filosofia ed il clero secolare, i curati delle campagne e dei borghi, vive nell'incultura generalizzata, il popolo cristiano è attraversato da sommovimenti, nella ricerca di un ritorno agli ideali evangelici di povertà, di purezza dei costumi, di predica­ zione della parola di Dio. Chierici e laici si levano e predicano. Talune iniziative ri­ mangono allo stadio individuale; altre sono riconosciute dalla Chiesa romana (Robert d' Arbrissel e l'Ordine di Fontevrault, Francesco d'Assisi e i frati minori, Domenico di Guzman e i frati predicatori) . Altre si costituiscono in movimenti diver­ genti, riformisti rispetto al dogma ma soprattutto ai costumi cattolici, o si propongono immediatamente come contro-chie­ se. Fra di esse, alcune si ispirano alle profezie di Gioacchino da Fiore a proposito dell'Apocalisse e si spingono sino ad estremi «pre-rivoluzionari» che includono rivendicazioni sociali e di classe; altre rimangono sul terreno delle sole aspettative celesti.

Intellettuali cattolici in camera. Da una parte e dall' altra della Riforma gregoriana, che nel periodo tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo costituì un 13

primo tentativo di risposta della Chiesa cattolica ai problemi nuovi di un cristianesimo insediatosi in un'Europa in pace, be­ nedettini e cistercensi rimangono tuttavia isolati, dietro le mura delle loro abbazie, prima romaniche e poi gotiche, o dietro la langue de bois del loro latino ecclesiastico. Per il semplice popolo cristiano, l'effetto più visibile della Riforma gregoriana fu la regolamentazione del matrimonio : il concubinato senza misteri degli assistenti parrocchiali fu proibi­ to con lo stesso vigore con cui venne consigliato il matrimonio, istituito in sacramento, per i semplici fedeli laici. L'incultura del basso clero rimase un'abitudine generale. Certamente, il nuovo Ordine monastico scaturito dalla Ri­ forma, l 'Ordine cistercense, si dimostrò sin dalla prima metà del XII secolo più attivo sul terreno del vecchio, prestigioso Ordine di Cluny, i benedettini divisi tra il gusto dell'arte - sontuosità architettonica ed ornamentale delle loro grandi abbazie, decora­ zione minuziosa e debordante dei manoscritti copiati negli scrip­ toria e il piacere dello studio teologico, della riflessione, del commentario, della glossa delle Scritture che alimentava senza sosta quegli stessi scriptoria , grandi laboratori-biblioteche in cui i monaci copisti davano il cambio ai monaci pensatori. L'Ordine di Citeaux venne fondato nella duplice prospettiva di una certa spoglia essenzialità nello stile e nel modo di essere nei confronti del lusso e della profusione benedettini, e di un impegno degli intellettuali regolari sul terreno della predicazio­ ne al popolo cristiano e soprattutto contro gli eretici. Perché già c'erano degli eretici. Perfetto esempio del modo di intervento cistercense nel mondo, la campagna di Bernardo di Chiaravalle, «la luce di Citeaux», il futuro san Bernardo, accompagnato dal suo cronista, Geoffroy d' Auxerre, nell'Albigese e nel Tolosano, alla metà del XII secolo, contro l'eresia ritenuta ariana del mo­ naco Enrico: san Bernardo si imbatté in realtà in eretici di un genere nuovo, che nel suo entourage vennero chiamati «Albige­ si» e dei quali, non potendo averne ragione «sul terreno», si ri­ servò di confutare gli argomenti per iscritto, nella calma della sua abbazia borgognona, in un sermone contro gli «ariani» o tis­ serands, «tessitori» (secondo sermone in canticam) . La pastorale cistercense, primo tentativo di risposta della -

14

Chiesa cattolica alle aspirazioni spirituali del popolo cristiano, si rivelava inadeguata: la richiesta era più ardente, ed anche più diretta.

Rinnovatori nel clero e sul terreno. I l monaco cistercense calabrese Gioacchino d a Fiore, nella seconda metà del XII secolo, recò con la sua penna un elemento di risposta che si sarebbe rivelato determinante nel corso del­ l' avventura spirituale del popolo cristiano al di fuori del sentie­ ro tracciato dalla stretta ortodossia. Egli ricevette l'autorizza­ zione pontificia a lasciare l'incarico di abate dell'Ordine di Ci­ teaux per condurre in porto, nella solitudine, la meditazione e la redazione del suo profetico commentario dell'Apocalisse di Giovanni: Il Vangelo eterno. Gioacchino d a Fiore era molto legato all'ortodossia: si oppo­ se in particolare agli eretici «patarini» di C alabria, e senz' altro non immaginò mai quale risonanza avrebbero determinato le sue idee, più o meno ben comprese, fra gli affamati di Dio . Tra­ scrisse i termini della Trinità, ed annunciò che dopo l'era della rivelazione del Padre e quella della rivelazione del Figlio, che stava allora volgendo al termine, si sarebbe aperta una era dello Spirito S anto, età di pace ed amore. I suoi discepoli e commen­ tatori aggiunsero un buon numero di riflessioni e dettagli con­ creti al suo canovaccio, cosicché, indipendentemente o quasi dalla personalità dell' autore, il «Gioachimismo» alimentò, a par­ tire dal XIII secolo, parecchie correnti di esaltazione religiosa che cercavano di illuminare il futuro temporale. Fu quello, nei fatti, il contributo più originale e più concre­ to dell'Ordine di Citeaux all'edificazione di un cristianesimo rinnovatore . . . Sin dagli anni a cavallo fra l'XI e il XII secolo, tuttavia, un pretino delle Marche occidentali, Robert d' Arbrissel, contro le sue autorità episcopali e nella grande folata non ancora ricaduta della Riforma gregoriana, aveva trascinato folle in marcia verso un ideale evangelico. Folle vestite di stracci, uomini e donne commisti, il che ovviamente fece scandalo. E quando ottenne 15

l' autorizzazione a fondare il proprio ordine monastico, che in­ stallò a Fontevrault nel 1 1 0 1 , egli pose alla testa della duplice abbazia - uomini e donne, alla fine, avevano una casa per cia­ scuno - una badessa. Quel nuovo scandalo durò poco, ma è sintomatico di una religiosità nuova, quella delle rivendicazioni femminili nell'avventura spirituale, e se Fontevrault si trasfor­ mò rapidamente nel rifugio per eccellenza delle grandi dame, ri­ troveremo la medesima impronta dello slancio femminile nei movimenti più o meno spontanei ma sempre ferventi che Roma lasciò sfuggire all'ortodossia.

Laici che si levano e predicano . Nell'emotivo contesto spirituale, che fu anche quello dell'e­ poca che lanciò su strade e cammini pellegrinaggi e crociate po­ polari, i laici superarono spesso lo slancio dei religiosi di profes­ sione nella ricerca di una spiritualità più viva. L'XI secolo apre un periodo di ritorno alla calma: le ultime invasioni «barbariche», le incursioni degli Ungheresi e dei Vi­ chinghi si spengono: è il momento dell'espansione demografica ed economica. Si dissodano foreste per seminarvi il frumento ed installarvi villaggi; nuove invenzioni come il mulino ad acqua e il collare da tiro danno un vero e proprio impulso alla società rurale. L'ordine feudale impone la sua pace, ma le città già assu­ mono una figura urbana e vengono approntate le piazze, luogo di scambi commerciali. Ha inizio un'abitudine di itineranza; accanto ai viandanti, ai monaci girovaghi che non si adattano alla chiusura nei mona­ steri e ai goliardi un po' straccioni e un po' saltimbanchi che versificano in latino sull' amore di Dio o su quello del vino, si mettono in movimento contadini isolati, gruppi, masse di cri­ stiani: pellegrinaggi verso Roma, la Terrasanta, San Giacomo di Compostella, e ben presto crociate, crociate prima di cavalieri e poi di poveracci . . . In cammino, si parla. Lo straniero che penetra nel villaggio e chiede di passarvi la notte dà notizie, opinioni. Non si ha più timore di criticare l'incuria degli assistenti di parrocchia o l 'ava16

rizia dell'alto clero. Ci si pone qualche interrogativo a proposito della Salvezza . . . E si segue chi s a parlare di Dio in maniera chiara e diretta. Si segue Robert d' Arbrissel, si seguono anche altri preti che in­ vece non avranno la fortuna di mantenere buoni rapporti con la Chiesa di Roma: Pierre de Bruis, il monaco Enrico, lo stesso Arnaldo da Brescia, che solleva il popolo di Roma. Gli arnaldi­ sti, che in origine sono dei poveri della Lombardia, predicano il sacerdozio universale dei fedeli. Viene compiuto il passo già osato dall'umile contadino della Champagne, Leutard, nei pri­ missimi anni dell'XI secolo: i laici si levano e si mettono a pre­ dicare la parola di Dio senza intermediari . Predicano col verbo, alto e forte, e con l'esempio. Nasce così il movimento degli umiliati, che si sviluppa partendo da Milano alla fine del XII secolo, e che all'inizio non rappresenta altro che una associazio­ ne di pii laici desiderosi di mettere meglio in pratica i precetti dei Vangeli. Nel XIII secolo, una frazione di questo movimento sarà riassorbita dalla Chiesa romana, che la fonderà con alcuni valdesi convertiti nei «poveri cattolici», mentre l'altra frazione si unirà ai poveri lombardi.

I valdesi: la parola e la povertà . Il movimento valdese è il perfetto esempio di manifestazio­ ne di questo evangelismo latente delle popolazioni cristiane me­ dievali. Esso concretizza l'insieme delle aspirazioni spirituali della fine del XII secolo, ideale di vita povera e pura, e rispon­ de al problema dell'ascolto della Parola di Dio. Il fondatore eponimo - e forse mitico - del movimento valdese, il ricco mercante della regione lionese chiamato forse Pierre, Pierre Vaudès 1, ovvero «il Valdese», prefigura così perfettamente l' atteggiamento di Francesco d'Assisi di tre decenni più tardi che ci si può legittimamente porre, senza peraltro risolverlo, un problema di copie retroattive di fonti. Per quanto è dato sapere, Vaudès di Lione distribuì i suoi 1

Pietro Valdo, o Valdesio, nelle diverse traduzioni italiane. (N. d. T.)

17

beni ai poveri davanti all'arcivescovo di Lione, conservando so­ lo tre parti per la moglie e le due figlie, che del resto aderirono, e non è un caso, all'Ordine di Fontevrault. Ciò che aveva moti­ vato la sua conversione, che si può collocare verso il 1 1 70, era la riflessione su un particolare passaggio del V angelo di Matteo: «Se vuoi essere perfetto, vai, vendi tutto quel che possiedi e dallo ai poveri ed avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Mt 19, 2 1 ) . E Vaudès segul Cristo nella povertà totale, mendicando e predicando alla porta delle chiese. Nondimeno, e il fatto è es­ senziale, aveva utilizzato il resto della sua preesistente fortuna per far immediatamente tradurre dal latino in una lingua «vol­ gare» capita da tutti (verosimilmente il franco-provenzale della regione lionese), da due sacerdoti letterati, alcuni passaggi delle Scritture. Veniva così aperta la porta all'apprendimento diretto della Parola di Dio da parte dei semplici fedeli, che sino ad allo­ ra non ne avevano raccolto altro che l'eco parsimoniosamente trasmessa dal clero secolare; porta aperta anche alla predicazio­ ne di quella Santa Scrittura da parte degli elementi comuni del popolo cristiano, che ignoravano il latino ed erano assai larga­ mente illetterati, ma potevano imparare a memoria interi brani della Parola resa comprensibile dalla traduzione. Pierre V audès e i poveri di Lione che gli si radunarono in­ torno e lo seguirono, uomini e donne insieme, predicarono ed arringarono la folla sulle piazze sino a che l'arcivescovo Gui­ scardo non li cacciò da Lione. Nel 1 1 79, Alessandro III accolse paternamente al concilio del Laterano il Valdese «nella sua pu­ rezza evangelica», ma gli raccomandò di conformarsi alle deci­ sioni del suo arcivescovo. In quella occasione, il chierico W alter Map incontrò i poveri di Lione che furono cosl descritti nella sua cronaca: Non avevano fissa dimora, camminavano a due a due, a piedi nudi, vestiti di una tunica di lana. Non posse­ dendo niente, avevano tutto in comune come gli apo­ stoli . Nudi, servivano un Cristo nudo.

Sempre in quella occasione, i poveri di Lione incontrarono 18

per la prima volta i poveri lombardi. Ma se Vaudès accettò nel marzo 1 180 di pronunciare la professione di fede che gli impo­ sero l'arcivescovo e il legato del papa, Enrico di Chiaravalle, contenente una esplicita ripulsa di qualsiasi arnoldismo e di qualsiasi dualismo, i valdesi vennero scomunicati in blocco due anni dopo per non aver rinunciato affatto a predicare, e si acce­ sero i primi roghi. Vaudès rispose con una parafrasi degli Atti degli apostoli: Melius obedire Deo quam hominibus (è meglio ob­ bedire a Dio che agli uomini) . Tutto, o quasi, era detto. Al mo­ vimento valdese, fondato sulla povertà e sulla predicazione, ed ormai dichiarato eretico (concilio di Verona, 1 184), non restava altra opportunità che rispondere alla ripulsa della Chiesa radica­ lizzandosi. I valdesi affermarono a poco a poco, man mano che incontravano movimenti più «duri», i poveri lombardi degli ini­ zi del XIII secolo o gli ussiti del basso Medioevo, il loro rifiuto sia dell'edificio gerarchico sia degli edifici religiosi e l'invalidità dei sacramenti conferiti da cattivi preti, denunciarono le indul­ genze e i (costosi! ) suffragi per i morti, negarono il purgatorio; tuttavia, sin dall'origine del movimento, fecero rigorosamente riferimento ai precetti del Sermone della Montagna: rifiuto di ogni violenza, di ogni menzogna, di ogni giuramento . . . Fra il XII e il XIII secolo, alcuni valdesi, raccolti attorno a Durand de Huesca [Durando d'Osca] e a Bernard Prim, si ricon­ ciliarono con Roma e, assieme a taluni umiliati lombardi, forma­ rono il movimento dei poveri cattolici, futura fucina di domeni­ cani. Ma l'iniziativa di Pierre Vaudès, spinta dal semplice sci­ sma disciplinare di laici troppo pii, che volevano predicare ed ascoltare a qualunque costo la Parola di Dio, all'eresia dottrina­ ria, il valdismo, si sarebbe diffusa attraverso l'intera Europa ed avrebbe attraversato il Medioevo, malgrado l ' Inquisizione, per giungere sino alla Riforma protestante.

19

CAPITOLO II

PELLEGRINI DEL VANGELO

N el contesto di ebollizione spirituale che abbiamo or ora defi­

nito, e nel quale proliferavano le iniziative di sacerdoti ribelli a ogni disciplina e di laici, sempre animati dal desiderio di seguire Cristo nella sua povertà evangelica e di nutrirsi della parola di Dio, il catarismo si colloca senza difficoltà. I commentatori - già dal XVII secolo ! - hanno spesso as­ similato o quantomeno accostato catarismo e valdismo, rappre­ sentandoli come due movimenti «fratelli»; fratelli nemici, certo, ma fratelli, scaturiti dalle stesse aspirazioni, dalle stesse speran­ ze nuove. Sta di fatto che quel grande movimento multiforme interno al cristianesimo medievale che abbiamo appena definito, movi­ mento disordinato, tormentato e violentemente sincero, che su­ scitò tanto dei santi che degli eresiarchi, può essere letto come il futuro in cui la Chiesa romana seppe affondare le radici sino alla successiva svolta della Storia, dal momento che la fondazio­ ne degli ordini mendicanti, frati predicatori e frati minori, fu, tutto sommato, la presa in considerazione - e taluni diranno la riassimilazione o la strumentalizzazione - delle iniziative indi­ viduali di Domenico di Guzman e soprattutto di Francesco d'Assisi, riflesso dell'eretico V audès . . . È vero altresl che gli ordini mendicanti, che costituirono una delle espressioni della pulsione verso il futuro del cristiane­ simo, rappresentarono anche il futuro della Chiesa romana in quanto strumenti di riconquista contro le due «eresie» più peri­ colose del momento, il catarismo e il valdismo. 21

Predicatori itineranti del Vangelo. Il catarismo fu un evangelismo: l'osservanza alla lettera dei precetti di Cristo, e in particolare, nel caso del valdismo, l'in­ segnamento del Sermone della Montagna, è uno dei punti cen­ trali del proponimento di vita cataro. Non-violenti assoluti, de­ cisi nel rifiuto di menzogne e giuramenti, i catari si manifesta­ rono alle popolazioni cristiane come predicatori, itineranti e in­ dividualmente poveri, della parola di Dio. Furono tra coloro che si arrogarono il diritto di predicare il Vangelo senza curarsi di ottenere una autorizzazione dalla Chiesa ufficiale, nonché il diritto di tradurre le Scritture dal latino. La descrizione che W alter Map fece nel 1 17 9 dei primi valdesi potrebbe essere riferita senza difficoltà ai predica­ tori catari: città e borghi li vedevano arrivare a due a due, proprietari della sola veste nera, con il libro dei Vangeli alla cintura. Il loro modo di predicazione, secondo quel tanto che i terro­ rizzati ricordi deposti di fronte all'Inquisizione e i grandi tratta­ ti lasciano ipotizzare, era il commento alle Sacre Scritture. Que­ sta prima constatazione è già sufficiente a mandare in pezzi le interpretazioni oniriche ma largamente diffuse di un catarismo esotico: in pieno Medioevo cristiano, i catari predicano esclusi­ vamente le Scritture cristiane. Neppure una frase dell' abbon­ dante letteratura religiosa di Mani, pur diffusissima in tutto l'Oriente (e tradotta persino in cinese) viene copiata o utilizzata da un predicatore cataro. E neppure vi è traccia dell'insegna­ mento di Buddha, beninteso . . . Essi furono predicatori temibili per i sacerdoti della Chie­ sa romana, perché conoscevano perfettamente, a memoria, le loro autorità scrittorie e le sapevano utilizzare a proposito.

La Bibbia catara . La Bibbia, il Libro santo che i predicatori itineranti tra­ sportavano dovunque con sé e che costituiva il fondamento dei loro insegnamenti, è stata frequentemente assimilata dai 22

commentatori moderni al Vangelo di Giovanni. Il volume era però sicuramente molto più corposo. Ci possiamo fare un'idea piuttosto precisa del suo contenuto in quanto, fra le alquanto numerose «Bibbie» medievali redatte in occitano che sono pervenute sino a noi, è stato possibile identificare, accanto a perlomeno cinque Bibbie valdesi, una Bibbia autenticamente catara, giacché un Rituale del servici, della trasmissione dell'orazione domenicale e del consolament, cerimonie e sacramenti caratteristici della Chiesa dei Buoni Cri­ stiani, è stato ricalcato direttamente sul suo modello. Si tratta del Nuovo Testamento di Lione (manoscritto PA 36 della Bi­ blioteca municipale di quella città), seguito dal Rituale occitano. Si tratta di un Nuovo Testamento completo, comprendente i quattro Vangeli, gli Atti degli apostoli e le Epistole canoniche . Il manoscritto risale senza dubbio alla seconda metà del XIII secolo, e può essere attribuito, grazie agli elementi linguistici in esso rinvenibili, al sud della contea di Foix o all' antica viscon­ tea di Carcassonne. È interessante notare che l'evangelismo ca­ taro era fondato sulle stesse basi scritturali dell'evangelismo val­ dese, dal momento che le Bibbie valdesi che ci sono pervenute, e che sono più tardive (XIV, se non inizi del XV secolo), sono anch'esse dei Nuovi Testamenti completi, così come del resto l'insieme delle Bibbie «in antico provenzale» non identificate esattamente come appartenenti all'una o all' altra corrente cri­ stiana: la Bibbia che veniva tradotta in lingua volgare alla fine del XII secolo e sino all'inizio del XV secolo, era il Nuovo Te­ stamento. Il rinnovamento spirituale in movimento in seno al cristianesimo di quel periodo era fondato sul messaggio di Cri­ sto. Il catarismo non differiva minimamente, su questo punto, dall'insieme delle correnti all'offensiva. Non vi è dubbio che gli estratti delle Scritture che Vaudès di Lione fece tradurre, con i suoi ultimi denari, in dialetto lionese alla fine del XII secolo, erano già gli stessi testi. Le Bibbie valde­ si del XIV secolo contengono generalmente anche alcune briciole dell'Antico Testamento, sempre le stesse: i libri sapienziali (Ec­ clesiaste, Ecclesiastico, Salmi, Proverbi e Cantico) . È il caso di far notare che, seppure l'unico esemplare di Bibbia catara che possediamo non comprende tali testi, i libri sapienziali sono 23

pressoché le uniche autorità dell'Antico Testamento che l'argo­ mentario cataro, tale quale ci viene riportato dalle raccolte del­ l'Inquisizione e dai trattati, utilizza comunemente. Posto questo, Bibbia catara e Bibbia valdese non coincidono esattamente. Sembra proprio che l'originale latino (o greco?) sul quale sono state effettuate le diverse traduzioni in occitano sia lo stesso, vale a dire una versione del Nuovo Testamento ante­ riore alla messa in ordine, la Vulgata, di san Gerolamo, che già da diversi secoli è la Bibbia ufficiale del cattolicesimo romano. Ma le traduzioni valdesi e quelle catare dello stesso originale di­ vergono; e non si tratta di un semplice problema di linguistica. Catari e valdesi non capivano sempre allo stesso modo il testo che traducevano . È vero che il catarismo era anche una lettura particolare delle Sacre Scritture, anche quando tutti quanti, val­ desi e cattolici, erano d' accordo, parola per parola, con la tradu­ zione. Avremo occasione di tornare su questo punto.

Teologi nel Medioevo. I predicatori catari che, Libro alla mano, recavano alle po­ polazioni cristiane il messaggio direttamente comprensibile delle Scritture e che, nella vita e nei costumi, applicavano cosl osten­ tatamente e rigorosamente il modello evangelico, così come re­ clamava il contadino Leutard poco dopo l'anno Mille, come lo praticavano accanto a loro, in quegli ultimi anni del XII secolo, i valdesi, gli umiliati di Milano e gli arnoldisti di Roma, appar­ tenevano decisamente al loro tempo. Attori di primissimo piano del «risveglio evangelico» del se­ colo, poveri che seguivano l'esempio del Cristo povero, resusci­ tando più di ogni altra corrente le forme della Chiesa primitiva, essi si esprimevano per iscritto e oralmente, tanto più che nel Medioevo lo scritto è l'eco del parlare, secondo un laborioso modo di procedere del pensiero in cui ogni scaglionamento, ogni nuovo grado della spiegazione, è sostenuto da due o tre re­ ferenze alle scritture. Modo di funzionamento e di avanzamento intellettuale tutto medievale, di una pesantezza scolastica. I dottori catari che scrissero i trattati o i riassunti di trattati 24

che sono stati conservati sino ad oggi, facevano sfoggio di una logica rigorosa, inarrestabile, ma lenta e mai gratuita: il pensa­ tore medievale non avrebbe potuto avanzare al di fuori della zo­ na di protezione delle Sacre Scritture: De duobus autem principiis ad honorem Patrem sanctissi­ mi volui inchoare [. ] (Intendo parlare dei due principii, . .

in onore del Padre santissimo); e confuterò l'opinione del principio unico [...] E comincio così: se c'è un solo principio principiale o più d'uno? [ ] Se ce ne fosse uno soltanto, così come pensano le genti ignare, biso­ gnerebbe necessariamente che fosse buono o cattivo; ora, non può essere cattivo perché se fosse cattivo, da esso potrebbero discendere solo le cose cattive e non le buone, come Cristo dice nel Vangelo di san Matteo: «un cattivo albero dà cattivi frutti; un buon albero non può dare cattivi frutti, né un cattivo albero buoni frut­ ti» (M t 7, 17). E allo stesso modo san Giacomo nella sua Epistola [ . ]. . . .

. .

Le prime righe del trattato cataro del Libro dei due principii danno un'idea dell'insieme. Un pensiero laborioso al modo me­ dievale, una redazione e un discorso infarciti, zeppi, di citazioni scritturali, ma anche una logica che alla Chiesa romana sarà dif­ ficile sradicare . . .

25

CAPITOLO III

SOLI CONTRO TUTTI

Un a sommaria comparazione fra le Bibbie catara e valdese la­ scia intravedere una frattura: se catari e valdesi non si mischia­ rono mai, se sentirono il bisogno di lavorare, ciascuno per pro­ prio conto, a traduzioni parallele del Nuovo Testamento, e se le opere prodotte si rivelarono differenti non soltanto nella forma ma anche nella sostanza, è appunto perché i due grandi movi­ menti dell'evangelismo eterodosso non avevano un'unica moti­ vazione. Filius hominis [ . . ] Il Figlio dell'uomo; lo filh de l'ome, tradu­ ce il testo cataro; lo filh de la vergena, il Figlio della Vergine, traduce il testo valdese; ma questo potrebbe essere solo un par­ ticolare aneddotico. Verbum [ . . . ] il Verbo del prologo del Vange­ lo di Giovanni è tradotto con lo filh, il Figlio, nelle Bibbie val­ desi; il testo cataro recita invece la paraula, la Parola, trascrizio­ ne del Verbo e del Logos greco. Che nella traduzione catara vi sia semplicemente maggior rigore rispetto al testo latino? Proseguiamo la lettura del prologo del Vangelo di Giovanni: Et sine ipso factum est nihil quod factum est (Jo l , 4), dice la Vul­ gata cattolica (e niente di ciò che è stato fatto è stato fatto sen­ za di lui) ; [ . . ] e alcuna cosa non es faita sença lui [ . ] oppure: e nenguna causa non son fach senes el [ . . . ] traducono rispettiva­ mente le Bibbie valdesi di Grenoble o di C arpentras, e la Bib­ bia occitana di origine non attestata, ma risalente alla fine del XIII secolo (ms. B . N . francese 2425). La traduzione catara è, puramente e semplicemente, ed anche sobriamente, un' altra: e senes lui es fait nient (e senza di lui è stato fatto il niente). .

.

. .

27

Av remo modo di tornare su questo versetto del Vangelo di Giovanni: la traduzione catara di «niente», «nessuna cosa», per i valdesi come per i cattolici, è nient, niente, il nulla, è uno dei fon­ damenti della lettura dualista delle Scritture. Là dove i valdesi non cercavano altro che il sistema per diffondere più facilmente nei cuori i precetti dei Vangeli affinché il popolo cristiano potesse seguire la via di Cristo, i catari stabilivano delle basi, delle fonda­ menta, e costruivano pietra dopo pietra un edificio religioso di­ verso: un cristianesimo dualista.

Predicatori di professione. I catari non furono dei laici levatisi a predicare il Vangelo sul­ le piazze e sulle strade; nessuna folla in stracci li segul nell'esalta­ zione della dismisura, uomini e donne mescolati. Quella che pre­ dicavano non era una semplice riforma dei costumi del clero, un semplice appello al risveglio dei fedeli nel messaggio diretto dei Vangeli, non era una esortazione al ritorno alla purezza della Chiesa degli apostoli, che non era la Chiesa romana, usurpatrice, ma la loro, la Chiesa dei Buoni Cristiani. I predicatori catari non possono essere considerati dei laici che si arrogano il diritto di predicare senza autorizzazione ponti­ ficale; è nella qualità di «sacerdoti» di una religione cristiana, for­ mati in una scuola, istruiti in Sacra Scrittura e rivestiti di un sa­ cramento che li abilita a farlo, che essi diffondono il loro messag­ gio evangelico e dualista. Non si tratta affatto di un fenomeno in­ dividuale o collettivo di illuminazione e di predicazione sponta­ nea. I predicatori catari sono dei professionisti, temibili per Ro­ ma proprio a causa della vasta cultura teologica e della consuetu­ dine con gli argomenti «fondati sulla Scrittura». Era impossibile per un pretino di campagna contraddirli; e fu estremamente diffi­ cile riuscirvi ai grandi sacerdoti cattolici, prelati secolari o abati cistercensi . . . Contro la logica implacabile dei Buoni Cristiani e la loro conoscenza delle Scritture, gli intellettuali cattolici dovette­ ro a loro volta formarsi, nelle loro scuole, nella controversia anti­ carata alimentata dalle Summe contro gli eretici redatte da speciali­ sti come Alain da Lilla, Moneta da Cremona, Pietro da Verona . . . 28

I Buoni Cristiani partivano in predicazione, a coppie, lungo il cammino, solo dopo aver ricevuto l'insegnamento sufficiente per farlo e il sacramento che li autorizzava a· ciò. Il cronista Guillaume de Puylaurens riferisce la riflessione fatta, alla fine di una predica domenicana, dal cavaliere Pons Adémar de Rou­ deille: Non avremmo mai potuto credere che Roma avesse ar­ gomenti così numerosi ed efficaci contro quella gente!

La logica della Chiesa di Dio. «Quella gente», i catari o Buoni Cristiani, predicava in ef­ fetti un cristianesimo differente. La loro scienza, la loro familia­ rità, la loro pratica delle Scritture, non erano gratuite; erano sottese da un pensiero, una logica, vigorosi e forti; alimentava­ no una metafisica e una escatologia radicalmente diverse da quelle del cattolicesimo romano o dell'evangelismo «riformista» dei valdesi: il catarismo fu una religione cristiana fondata su un'interpretazione dualistica delle Scritture. Se la Bibbia catara si limita al solo Nuovo Testamento non è, come nel caso dei valdesi, per la preoccupazione di privilegia­ re il messaggio di Cristo, un messaggio di povertà e di amore universale, nuova rivelazione che allarga e prolunga quelle del­ l' Antico Testamento ed è destinata, perché più adatta, ai tempi nuovi; non è per trame, come Gioacchino da Fiore, l'attesa spe­ ranzosa di un'era dello Spirito Santo che venga a succedere sul­ la terra a quelle del Padre (Antico Testamento) e del Figlio (ri­ velazione del messaggio di Cristo e istituzione di una Chiesa cristiana) ; i catari respingono l'Antico Testamento reputandolo la cronaca della creazione di questo basso mondo da parte del falso Dio, Geova-Yaveh, l'Eterno, Dio degli eserciti, ecc . , in cui vedono l'espressione del principio negativo. Per contro il Nuovo Testamento, la rivelazione di Cristo, è il testo sulla cui base si edifica la loro costruzione metafisica. I catari, cristiani dualisti, credevano infatti a due creazioni emananti da due principii, secondo la logica di cui abbiamo sen29

tito un assaggio già nel prologo del Libro dei due principii: non potendo un buon albero dare cattivi frutti, né un cattivo albero buoni frutti, ne seguiva logicamente che il mondo visibile, sot­ tomesso alla corruzione, alla morte e al male, non poteva essere la creazione del Dio d'amore insegnato da Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo [ ]» Go 18, 36) . Impregnati di questa logica forte, a sua volta mirabilmente sostenuta e fondata sul Nuovo Testamento, i predicatori catari e i letterati che erano autori dei loro testi teorici non cercarono mai di risparmiare la Chiesa romana né di venire a patti con es­ sa. Era la falsa Chiesa, ispirata dal falso Dio di questo mondo per sviare il messaggio di Cristo. Essi si esprimevano da eredi diretti degli apostoli. . . .

Verso l'ora dei vespri, quando fummo rientrati dalle vi­ gne ed avemmo bevuto, ci mettemmo presso il fuoco e l' eretico cominciò a predicare . Disse [ . . ] che nessuno poteva essere salvato a meno di essere stato accolto nel­ la loro setta e nella loro fede; che la fede seguita nella Chiesa romana non valeva niente, ma valeva solamente quella che loro seguivano, perché loro soli, secondo quel che diceva, seguivano la via di Gesù Cristo [ . . . ] . .

Questo racconto lo dobbiamo a Guillaume Escaunier, di Ax (les-Thermes), che depose agli inizi del XIV secolo di fronte al­ l'inquisitore Jacques Fournier, vescovo di Pamiers. Da questo contesto nasce l'uso di espressioni come «l'eretico», «la loro set­ ta», «secondo quel che diceva», dietro le quali il deponente pro­ tegge la sua ortodossia messa in discussione, ma che non sot­ traggono alcunché alla sostanza della testimonianza.

Dagli ai manichei! Avremo naturalmente modo di tornare sulla religione cata­ ra, sui suoi fondamenti e sulle sue manifestazioni: essa è cono­ scibile sulla base dei documenti che ho in precedenza citato nel­ la premessa, e delle mirabili opere che all' argomento hanno de30

dicato, in Francia, René Nelli, che ha estratto dai trattati duali­ stici l'essenza della loro filosofia, e Jean Duvernoy, che ha mi­ nuziosamente rilevato e trasmesso tutti i dettagli dell'ecclesiolo­ gia e delle pratiche della Chiesa dei Buoni Cristiani nel primo volume della sua summa sui catari, La Religion. Già attraverso poche constatazioni, comunque, è potuta emergere a grandi linee la definizione di una corrente religiosa sicuramente tipica del proprio tempo, ma anche assai particolare e riconoscibile dappertutto all'interno del risveglio evangelico del cristianesimo post-gregoriano. I contemporanei non si erano del resto ingannati, e se i sacerdoti cattolici impegnarono ogni sforzo per cercare di confutare una dottrina tanto pericolosa per la Chiesa dominante, giacché era fondata sulle Scritture e si col­ locava all'interno del grande slancio spirituale del popolo cristia­ no che reclamava un cristianesimo più puro e più diretto, le al­ tre correnti evangeliche che si schieravano contro Roma, cioè, alla fine del XII secolo e all'inizio del XIII, essenzialmente i valdesi, stettero ben attenti a prendere sempre le distanze da­ gli «eretici assoluti», quali facevano figura di essere i cristiani dualisti. Abbiamo visto che la professione di fede che V aldo pronun­ ciò a Lione dinnanzi al suo arcivescovo e al legato pontificio nel marzo 1 180 era destinata ad affermare la sua ortodossia cattoli­ ca, in particolare nei confronti delle tesi dualiste. E di fatto, do­ vunque, sempre, e sino alla fine del Medioevo, quando forse riuscì a crearsi un consenso contro l'Inquisizione al di là delle divergenze in materia di dogma, i valdesi si opposero ai catari. Lo fecero in pubblico, specialmente nei paesi occitani, al tempo della libera comunicazione e della libera espressione delle opinioni religiose, prima della crociata e dell'Inquisizione, in quel periodo fra il XII e il XIII secolo che vide le «conferenze contraddittorie» aperte, tra predicatori catari e cattolici, cattoli­ ci e valdesi, catari, cattolici e valdesi e persino catari e valdesi. Vennero scambiate molte idee, molti argomenti, assestati grandi colpi di citazioni del Vangelo, in tempi in cui il dibattito pub­ blico non poteva esprimersi se non in forma religiosa, dal mo­ mento che la cultura sociale era religiosa; quel dibattito era in­ dubbiamente ancora più appassionato dei dibattiti politici fra 31

partiti della nostra società laica, poiché implicava necessaria­ mente un impegno totale. Il che non significa che dovesse esse­ re a tutti i costi privo di ironia. Si vide così ad esempio a Lombers, nel 1 165 , sulla pubblica piazza, una grande conferenza in contraddittorio fra un certo numero di prelati cattolici - l'arcivescovo di Narbonne, i ve­ scovi di Nimes, Agde, Lodève, Albi e Tolosa, gli abati di Ca­ stres, Saint-Pons, Gaillac e Fontfroide in testa - e la «Setta» dei Buoni Uomini diretta da un certo Olivier, di cui non si fa il nome altrove, ma che fu forse uno dei primi vescovi catari dell'Albigese. Il dibattito fu inoltre ufficializzato dalla presenza del visconte Raimon Trencavel, signore di Carcassonne e Albi, del visconte Sicard de Lautrec, e sicuramente di Constance, so­ rella del re di Francia, che era stata da poco ripudiata dal conte di Tolosa. I cavalieri di Lombers , che fungevano da anfitrioni, erano conosciuti per il notorio sostegno che offrivano agli ereti­ ci. La popolazione del luogo e dei dintorni venne ad assistere alle discussioni, i cui Atti, come quelli di un moderno convegno di specialisti, vennero raccolti, se non pubblicati . . . Più modestamente, sulla piazza di Laurac o nella casa di perfette di Bianche, dama del luogo, nel 1208 , il diacono cataro Isarn de Castres affrontò in pubblico il dottore valdese Bernard Prim. Il movimento spontaneo dei poveri di Lione che trascinava uomini e donne a predicare sulle strade alla fine del XII secolo ebbe difatti, agli inizi del XIII secolo, i suoi intellettuali: Ber­ nard Prim e soprattutto Durand de Huesca, che compose prima del 1200 un trattato contro alcuni eretici (Liber Antiheresis) che denominò con maggiore precisione vent'anni dopo in una nuova summa, Contra Manicheos, contro i manichei. È peraltro degno di nota il fatto che questi teologi valdesi, impegnati nella lotta ideologica contro i manichei, sono anche quelli che lasciarono il valdismo per convertirsi al cattolicesimo all'inizio del XIII seco­ lo: fra i poveri riconciliati, o poveri cattolici, a fianco di Ber­ nard Prim e di Durand de Huesca, figura Ermengaud di Béziers, che doveva a sua volta comporre un trattato di polemica contro i catari. «Manichei». Così gli scritti valdesi, ma anche cattolici, della 32

polemica religiosa anti-catara definiscono quegli avversari una­ nimemente condannati e dualisti. Per un chierico letterato nu­ trito di letteratura patristica, il termine sgusciava da sé fuori dalla penna, così come accadeva per «ariano». Era quantomai comodo rifarsi alle vecchie e defunte eresie perfettamente espo­ ste e confutate dai Padri della Chiesa, riutilizzare addirittura le confutazioni tali e quali, con i loro argomenti già predisposti: ariani, manichei, l'insulto era grave, totale. I nuovi eretici, che si cercava di assimilare ai vecchi, erano il nemico, definitiva­ mente. Ma la controversia valdese o cattolica contro il catari­ smo dovette riadattarsi e aggiustare le proprie fonti per avere una qualche probabilità di efficacia. E difatti, i grandi «Dottori universali» del cristianesimo uf­ ficiale, i Bernardo di Chiaravalle (san Bernardo), gli Alain da Lilla, cedettero con profitto la penna a dei «pratici» che aveva­ no fatto esperienza della dialettica catara sul terreno, a degli specialisti che avevano digerito gli argomenti dei trattati duali­ sti: i valdesi convertiti appartengono a questa nuova generazio­ ne. Eppure, che risultato avrebbe sortito il tentativo di confuta­ zione attraverso la penna delle tesi catare, senza l'aiuto che gli fornirono le armi e la repressione?

33

CAPITOLO IV

L'ERESIA SI ESPANDE A MAC C HIA D'OLIO

La corrente molto particolare, nel grande mescolamento delle

pulsioni evangeliche eterodosse, che la Chiesa romana iniziò a definire come quella degli «eretici manichei», noi possiamo, con i vantaggi che ci derivano dal distacco cronologico, riconoscerla e seguirla sotto le diverse denominazioni locali e attraverso il fluido contesto dei tempi. Rappresentato con molteplici sfaccettature da comunità che non avevano necessariamente legami l'una con l'altra e presen­ tavano a volte sfumature nei proponimenti di vita o nella dottri­ na, il movimento propone alcune chiare costanti tra il X e il XV secolo, tra l'Asia Minore e l'Occidente europeo: è dualista e si presenta come un movimento più di affermazione che di conte­ stazione religiosa. È certamente più facile riconoscerlo dopo la Riforma gre­ goriana piuttosto che in pieno XI secolo : a partire dalla metà del XII secolo, si mischia ad altre correnti, quelle della conte­ stazione e del risveglio evangelico, che contribuiscono a denun­ ciarlo, come i valdesi. A quel punto è ormai noto ai contem­ poranei. Stabilendo l'innocenza totale di Dio nei confronti del male e la sua assenza dal mondo visibile, il catarismo, dualista e asso­ lutamente spiritualista, si distingue in modo ancor più preciso dal contesto delle eterodossie del basso Medioevo, fra le quali era lievitato un fermento di gioachimismo nella speranza di sta­ bilire sulla terra - e non nel «Regno dei cieli» - un'era di giu­ stizia e di eguaglianza sociale. 35

I dualisti dell'anno Mille. La lettera di Cosma il Prete, universalmente citata, e che ri­ leva, verso il 970, l'esistenza di una eresia dualista predicata a Bisanzio e in Bulgaria dal pope Bogomil (Amico di Dio), è la più antica constatazione di esistenza della corrente che stiamo indagando. Meno noto è il fatto che il catarismo, in una forma già perfettamente riconoscibile, comparve all'incirca nello stesso momento, a distanza di due o tre decenni, in tutta quella che sarà la sua area di estensione storica, dall'Italia alla Renania, dalla Champagne all'Aquitania, passando per Orléans e Tolosa. Vi fu più un risveglio simultaneo di un dualismo senza età in un periodo storico favorevole - quello dell'ascesa delle aspirazioni popolari ed evangeliche nel cristianesimo - che propagazione dall'est all'ovest di una dottrina nuova e sconvolgente. Contra­ riamente a un'opinione preconcetta che dura da molto tempo, i bogomili non precorrono i catari occidentali, e non ne sono for­ se necessariamente gli ispiratori. I cronisti franchi, Adhémar de Chabannes, Raoul Glaber, André de Fleury, denunciano le malefatte dei predicatori mani­ chei che seducevano il popolo: a Tolosa e in Aquitania, dice Ad­ hémar, il quale precisa che quegli eretici negavano la croce e la dottrina cattolica, «avevano l'aria di monaci e fingevano la ca­ stità», aggiungendo anche che a Tolosa quegli stessi eretici furo­ no messi al rogo. Quegli avvenimenti possono essere situati fra il 1 0 1 5 e il 1025 circa. Sempre a Adhémar de Chabannes dobbiamo il racconto de­ gli avvenimenti che coinvolsero Orléans nel 1022: in quella oc­ casione, non è la comune folla cristiana ad essere «sedotta»; l'e­ resia venne scoperta in seno all' alto clero della cattedrale. Il re Roberto il Pio, che ad Orléans aveva la sua capitale, fece bru­ ciare dieci canonici «che avevano l'aria più religiosa degli altri e furono provati essere manichei». Altre cronache riportano che fra i dieci canonici figuravano due dei più dotti sacerdoti di Or­ léans, ed in particolare Etienne, il confessore personale della re­ gina Costanza. La Champagne venne toccata sin dai primi anni del secolo . Raoul Glaber, l'autore della felice formula del «bianco mantello 36

di chiese» con cui la pace copre dopo l'anno Mille le campagne occidentali, racconta la storia del contadino Leutard, originario di Vertus, che «verso la fine dell'anno mille», improvvisamente illuminato, ripudia la moglie per vivere in castità, infrange la croce della chiesa parrocchiale e se ne va a predicare ai vicini di non pagare più le decime ecclesiastiche. Egli osa persino cercare «di avvalersi di autorità della Scrittura, che non aveva studia­ to». Il suo discorso incontra un sicuro successo tra le folle, ma viene facilmente convinto del suo errore dal vescovo di Chalons e, in preda alla disperazione, si getta in un pozzo. Altre fonti documentarie lasciano tuttavia intuire una maggiore ampiezza in questo movimento della Champagne: non c'è dubbio che il personaggio, semplice e agevolmente trascinabile nel ridicolo, del contadino Leutard sia stato utilizzato dall'ideologia domi­ nante, al cui servizio scrivono i cronisti, per gettare ulteriore di­ scredito sui dissidenti. Il procedimento parallelo consiste nel­ l' accusarli di tutte le lascivie e turpitudini (eretici di Tolosa e di Aquitania) . I cronisti riportano, nel solito modo, l'esistenza di una setta di illetterati ad Arras, nei medesimi anni, e di un gruppo molto più perverso, giacché avrebbero falsato l'interpretazione delle Scritture, nell'Italia del Nord: questi eretici del castello di Mon­ teforte (località oggi sconosciuta) sarebbero stati bruciati a Mi­ lano, fra il 1030 e il 1040, assieme al loro eresiarca, Gerardo, e alla contessa del luogo. Dal racconto frammentario, parziale e riduttivo dei cronisti si possono tuttavia ricavare alcune significative costanti. Non può essere un caso che uno dei gruppi eretici annoverati, quello di Orléans, tocchi l'alto clero, il più colto. Jean Duvernoy rileva a livello di vocabolario l'utilizzazione delle parole: amici di Dio, imposizione delle mani, consolazione, carni e grassi, Vangeli ed Epistole, intelligenza delle scienze divine . . . , e fra le pratiche ri­ vendicate: continenza e astinenza, preghiera, rifiuto del battesi­ mo, delle decime, della croce e dell'eucaristia, nonché il costan­ te riferimento alle Scritture. Anche se l 'analisi dell'epoca non ci offre alcuna precisazione circa un eventuale dualismo di questi gruppi eretici, è facile riconoscere già in essi dei catari. Pur non tralasciando di considerare che proprio in quegli 37

stessi anni, attorno al 1025 , il bogomilismo si organizza in Chiese attraverso la Macedonia e la Bulgaria, possiamo consta­ tare che il catarismo è scaturito simultaneamente in tutta la sua zona di espansione storica. Dopo il 1050, e nell'arco di tre quarti di secolo, i cronisti si interesseranno, più che alle sette di manichei, alla Riforma gregoriana in corso - e forse, c'è da ag­ giungere, il vento di speranza di un rinnovamento ufficiale del cristianesimo mette la sordina ai tentativi spontanei o dissiden­ ti. Ma non appena il vento è ricaduto, sin dagli anni 1 130-1 140, i gruppi organizzati ricompaiono, negli stessi luoghi. I documen­ ti sono ormai più abbondanti, più differenziati, più espliciti. Gli eretici che vi vengono denunciati assumono un volto, hanno dei nomi. Seguiremo le loro tracce, dai pifli ai patarini . . .

I /undaiti dell'Asia Minore. Le informazioni sul reale insediamento del cristianesimo dualista (fundaiti, fundagiagiti . . . ) in Asia Minore sono piuttosto scarse: i documenti parlano principalmente di una Chiesa di Fi­ ladelfia già esistente nell'XI secolo e di cui si trovano attesta­ zioni ancora nel XII. Sembra siano esistite comunità anche a Smirne e Akmonia. Quel poco che conosciamo delle loro prati­ che è dovuto alla penna di Eutimo, un monaco della Peribleptos di Costantinopoli che si lamenta, nel secondo quarto dell'XI se­ colo, del fatto che gli eretici percorrono tutto l'Impero bizanti­ no, e particolarmente le sue parti asiatiche, coprendosi con l'a­ bito religioso; Eutimo ha potuto incontrare quattro di questi eresiarchi, che facevano del proselitismo a Costantinopoli, e pur non fornendo altro dettaglio sulle loro tesi al di fuori dell' «ipo­ crisia», dipinge tuttavia un quadro allarmistico della situazione in Asia Minore : in parecchie località il cristianesimo ortodosso è diventato minoritario . Anche a Costantinopoli gli eretici vengono chiamati bogo­ mili, come in Macedonia o in Bulgaria. Anna Comnène, nella sua cronaca del regno del padre, l'imperatore Alessio I ( 1 08 1- 1 1 18), descrive il forte insediamento dei bogomili a Bi38

sanzio, il loro atteggiamento di devozione religiosa, la loro pra­ tica della preghiera, e si mostra scandalizzata del fatto che ad essi siano mescolate delle donne. Verso il 1 1 00, Alessio I fece arrestare uno dei principali ere­ siarchi bogomili, un medico di nome Basilio, e il suo processo, riportato nella cronaca di Anna, fu occasione di una vasta in­ chiesta fra le migliori famiglie di Costantinopoli. I rei confessi furono condannati alla detenzione perpetua, ma Basilio, che era rimasto fermo nella fede e la proclamava a gran voce, venne bruciato spettacolarmente nel famoso ippodromo della città: era il primo rogo dell'Impero d'Oriente, su questo punto in ritardo di un secolo sul mondo occidentale . . .

Dai bulgari ai cristiani bosniaci. Il testo di Cosma il Prete fa esplicitamente risalire il bogo­ milismo alla predicazione di un pope soprannominato Amico di Dio (Bogomil in lingua bulgara), diffusa in Bulgaria a partire dai centri macedoni di Preslav e Okhrida. Troviamo menzione degli stessi centri alla fine del XII secolo; il dignitario cataro d'O­ riente, Nicheta, in occasione della sua missione in Occidente, cita nel 1 167 a Saint-Félix-de-Lauragais cinque Chiese organiz­ zate tra l'Asia Minore e l'attuale Jugoslavia: quella di Filadelfia (antica chiesa dei fundaiti in Frigia) ; quella di Bulgaria propria­ mente detta (attorno a Preslav); quella di Dragovitza (regione di Okhrida e di Salonicco, nel nord della Macedonia); quella di Melinghia (verosimilmente il Peloponneso) e quella di Dalmazia (Bosnia) . Tutte queste Chiese orientali, note sotto il nome generico di bogomile, presentano, ad eccezione di quelle dei distinti eretici delle classi agiate di Costantinopoli descritte da Anna Comnène e di quelle dei cristiani bosniaci, un carattere sovversivo nei confronti dei poteri costituiti, un carattere popolare: gli «ereti­ ci» provengono generalmente dagli strati più poveri e più sfrut­ tati della popolazione, tanto nelle città che, ancor più, nei gran­ di territori fondiari. 39

Tanto in Bulgaria che in Jugoslavia, per lungo tempo sono stati attribuiti ai bogomili grandi cimiteri con sarcofagi e steli decorate di motivi simbolici impressionanti e complessi (soprat­ tutto personaggi dalle mani smisurate) : come quello di Olovo o quello di Radimlja, nell'Erzegovina orientale. Gli archeologi dei Paesi dell'Est sono attualmente molto più prudenti nelle loro af­ fermazioni, dal momento che, nei fatti, la maggior parte dei te­ mi decorativi sembrano provenire dalla simbologia paleocristia­ na in senso ampio, a cui l'ispirazione del tempo e del luogo non ha fatto altro che aggiungere il proprio tocco. Il fenomeno e la problematica sono paragonabili a quelli che riguardano in Occi­ dente le steli discoidali (che non si osa più, neppure nel Laura­ gais, attribuire al catarismo) . Inoltre, quantomeno in Bulgaria, l'importanza materiale di simili monumenti funerari contrasta con l 'insediamento sociale, negli strati popolari più poveri, delle Chiese bogomile. Il discorso non vale per la Bosnia, dove, sino al XV secolo e all'invasione turca, i cristiani bosniaci rimasero in auge accanto ai cattolici e agli ortodossi. I Ban, o sovrani bosniaci, garantiro­ no loro spesso il proprio favore e sostegno; alcune delle maggio­ ri famiglie del paese, i Vukcic, i Pavlovic, i Vlatkovic, erano lo­ ro convinte adepte. Numerosi dignitari «patarini» svolsero un importante ruolo politico e diplomatico presso i Ban, fra i gran­ di feudatari, o nelle relazioni fra i sovrani bosniaci e la loro po­ tente vicina Ragusa (Dubrovnik), come il gost Milutin, la cui stele funeraria, che lo rappresenta con il bastone in mano e il Libro santo alla cintura, è stata ritrovata a Humsko; altre di queste stecèi ci conservano il ricordo del gost Mislen, a Puhovac, vicino a Zenica; del gost Ratkoe a Kosarici, dell'anziano Bogo­ vac a Boljuni. I titoli di gost e di anziano designavano dignità della Chiesa dualista bosniaca: il gost era l'ospite, colui che te­ neva la casa aperta, sia per la predicazione che per l'alloggio de­ gli itineranti; l'anziano ha il suo corrispondente nelle Chiese ca­ tare occidentali. Va notato che la maggior parte delle steli bosniache, a diffe­ renza dei grandi sarcofagi bulgari, sono state raccolte nel Museo nazionale di Sarajevo. Non risalgono oltre gli inizi del XV secolo. 40

È vero però che in Bulgaria e in Bosnia è possibile seguire i

destini delle Chiese bogomile e dualiste sino alla fine del XV se­ colo . . .

I catari di Renania. L'arcivescovado di Colonia e il suo vescovado suffragante di Liegi vedono, sin dagli anni 1 1 35- 1 1 39, gruppi organizzati di eretici che professano dottrine apertamente catare, e vedono al­ tresì grandi roghi collettivi sin dal 1 143 (Colonia) e 1 144 (Lie­ gi) . Nel 1 145, il capitolo cattedrale di Liegi invia al papa Lucio II un eretico penitente, di nome Aimeric, latore di una lettera che descrive alla perfezione le pratiche dei settarii: Questa eresia è divisa in gradi. Ha degli uditori che so­ no iniziati all'errore; dei credenti già tratti in inganno , e dei «cristiani»; ha dei preti e gli altri prelati come noi. Le blasfemle di questa nefasta eresia consistono nel negare la remissione dei peccati nel battesimo, nel ritenere vano il sacramento del corpo e del sangue di Cristo, nel dire che l' imposizione delle mani del vesco­ vo non ha effetti, che nessuno riceve lo Spirito Santo senza i precedenti meriti delle buone opere, nel con­ dannare il matrimonio, nel predicare che non vi è altra Chiesa cattolica all'infuori della loro, nel considerare ogni giuramento alla stregua di un delitto [ . . ] . .

Questa lettera indica anche, e il fatto riveste importanza, che l'eresia si è diffusa, come tutti sanno, «in tutti i paesi» par­ tendo dalla località di Mont-Aimé, nella Champagne. Il Mont­ Aimé è situato nelle immediate vicinanze di Vertus, dove non c'è dubbio che le cronache avessero celato un secolo prima, die­ tro il personaggio del contadino Leutard, un gruppo dissidente. Ritroveremo inoltre il Mont-Aimé quasi un secolo più tardi nel­ la sinistra cronaca della repressione cattolica su larga scala. Le fonti documentarie provenienti da Colonia offrono le stesse precisazioni. Evervino, prevosto dei premostratensi di 41

Steinfeld, in una lettera indirizzata a Bernardo di Chiaravalle più o meno nella stessa data dell'epistola di Liegi sopracitata, racconta il rogo collettivo del 1 143 al quale ha assistito: Sono stati scoperti di recente dalle nostre parti, vicino a Colonia, degli eretici, alcuni dei quali sono tornati al­ la Chiesa [ . . . ] Due di costoro, e più esattamente quello che passava per il loro vescovo e il suo compagno, ci hanno fatto resistenza in un' assemblea di sacerdoti e laici, alla presenza di Monsignor l' arcivescovo in perso­ na, che era in compagnia di grandi nobili. Essi difende­ vano la loro eresia con le parole di Cristo e dell' Apo­ stolo (il Vangelo e le Epistole) [. . . ] . [. ] messi s u u n rogo e bruciati. Quel che desta mag­ giore meraviglia è che non solo hanno sopportato il supplizio del fuoco con pazienza, ma vi sono entrati e lo hanno sopportato con gioia [ . . . ]. Quelli che sono tornati alla Chiesa ci hanno detto che sono una grande moltitudine diffusa quasi dappertutto sulla terra, e che hanno con sé parecchi dei nostri preti e dei nostri monaci. Quelli che sono stati bruciati ci hanno detto, a propria difesa, che quella eresia era ri­ masta nascosta sino a questi tempi sin dal tempo degli apostoli, e che essa si è conservata in Grecia e in altri paesi. Queste persone sono gli eretici che si dicono «Apostoli», ed hanno il loro papa. . .

Questa lettera, che insiste sul fatto che gli eretici sono stati presi di forza dalla folla e gettati sul rogo, malgrado che i dotti chierici sembrassero interessati alla discussione e allo scambio di argomenti, testimonia in maniera chiara la coscienza che quei «successori degli apostoli» avevano di appartenere a una «Chiesa universale»: sapevano che i loro fratelli erano sparsi ben al di là della Renania e sino in Grecia; e rivendicavano senza ambiguità la successione apostolica. Vent'anni più tardi, sempre a Colonia, quattro «perfetti» e una ragazza vengono ancora bruciati collettivamente davanti al cimitero degli ebrei. Eckbert di Schonau, canonico della catte42

drale, conosce bene la loro società e le loro pratiche: discute con loro a Bonn, annota i loro argomenti; un po' più tardi, si reca a polemizzare con una quarantina di loro a Magonza e li fa cac­ ciare dalla città. Redige inoltre contro di loro una serie di ser­ moni, ed alla sua penna si devono la denominazione e l' etimolo­ gia che erano destinate a una grande fortuna: «Questi eretici non esitano», scrive, «a darsi l' appellativo di Catharos, cioè Puri». Il trapianto ha attecchito; le summe teologiche cattoliche e polemiche del XIII secolo si intitoleranno Adversus catharos he­ reticos (contro gli eretici catari), sebbene siano redatte in Italia. Ancora oggi, la parola cataro è il termine più comunemente uti­ lizzato per designare i cristiani dualisti del Medioevo, che, fra di loro, si chiamavano esclusivamente cristiani . . . Si è potuto di­ scutere a ragione sulla certezza della parola e dell'etimologia proposta. Certo, Eckbert conosce bene quei «catari», ma è un loro avversario, il suo testo ha valore di propaganda cattolica, il suo interesse è di denigrarli; quel termine «puri» diventa sotto la sua penna l'espressione dell'orgoglio smisurato di quella gen­ te, che osa ritenersi in tal modo superiore ai cristiani comuni. Sta di fatto che i testi anteriori provenienti dalla regione re­ nana, dall' arcivescovado di Colonia e dal vescovado di Liegi, usano per designare i cristiani in questione il termine Cati, Cat­ ti, da cui viene il tedesco Ketter (cataro) e poi forse Ketzer (ere­ tico) . Jean Duvernoy ipotizza che Cattus potrebbe avere etimo­ logicamente una relazione con il Catusfgatto: si schernirebbero gli eretici accusandoli di essere gli adoratori di quell' animale diabolico che è il gatto medievale (cosl come si aveva l' abitudi­ ne di accusarli delle peggiori depravazioni e pratiche di pre-stre­ goneria) . L'idea è seducente, ma è valida solo se la traduzione latina mundi, puri, dell'appellativo in lingua volgare dei Catti o Cathari è posteriore a Eckbert di Schonau. Altri dieci catari vengono bruciati a Strasburgo nel 12 1 1 . Poi non resta che seguire il sinistro itinerario di Corrado di Marburgo, al quale il papa aveva affidato una missione pre-in­ quisitoria sin dal 1227, fino ad Erfurt, e all'assassinio suo e dei suoi accoliti in rappresaglia a quella che fu una terribile, spaven­ tosa campagna di persecuzione. 43

Così, prima della metà del XIII secolo, il catarismo renano aveva concluso la propria esistenza. Aveva rappresentato un fe­ nomeno importante ed aveva reclutato fedeli nelle popolazioni cittadine, in particolare delle città episcopali, sulla base di una predicazione dotta ed erudita che era forse dovuta ad ex-sacer­ doti cattolici convertiti. Per caso, malizia linguistica o astuzia di un polemista, esso ci ha consegnato il nome di cataro.

I pubblicani della Champagne. La regione di Vertus-Le Mont-Aimé, a sud-ovest di Cha­ lons-sur-Marne, considerata il centro di irradiazione del catari­ smo occidentale dalle stesse fonti medievali (lettera del capitolo di Liegi al papa Lucio), vede in effetti, curiosamente ed esatta­ mente, l' inizio e la fine dell' avventura catara nella Champagne. Fra l'anno Mille di Leutard e la metà del XIII secolo del grande rogo, i picchetti di confine si disperdono nello spazio e nel tempo. Guibert, abate di Nogent, nella cronaca della sua vita, narra la scoperta di due contadini eretici nella zona di Soisson; due dei loro compagni, venuti da Dormans, ai confini della Champa­ gne, subiscono la loro stessa sorte: sottoposti alla prova dell' ac­ qua, vengono in seguito bruciati dalla folla mentre il clero del luogo se ne era andato per partecipare al concilio di Beauvais, il che data l 'evento al 1 1 14 . Le poche informazioni che Guibert ci offre circa l'insegnamento di quegli eretici consentono di rico­ noscere in essi, con chiarezza, dei catari: citano correntemente i V angeli, negano il battesimo cattolico ai neonati e chiamano il proprio battesimo il «Verbo di Dio». Manifestano un grande or­ rore verso il sacramento dell' altare e, benché condannino il ma­ trimonio e l'unione carnale, ammettono fra di loro delle donne, e il cronista cattolico insiste sul fatto che nondimeno evitano qualsiasi promiscuità fra i sessi: gli uomini dormono con gli uo­ mini e le donne con le donne. Guibert esprime infine una consi­ derazione personale: fra tutte le eresie censite da sant'Agostino, è quella dei manichei la più vicina a quel nuovo errore «dif­ fuso in tutto il mondo latino». 44

I catari champenois sembrano decisamente, nel XII secolo, di un'origine sociale più umile di quella dei correligionari rena­ ni, che frequentavano gli strati agiati delle città episcopali e con i quali l'alto clero cattolico non disdegnava di discutere. Nel 1 180, era una pastora quella che il prete Gervasio di Tilbury cercò di sedurre vicino a Reims, peraltro senza succes­ so, il che lo convinse che doveva trattarsi di una di quelle ereti­ che anormalmente caste - ed in effetti lo era. Venne bruciata viVa. Nel 1204, a Braine, ancora una volta, sono dei semplici abi­ tanti del villaggio ad essere bruciati, solennemente, alla pre­ senza del conte e della contessa di Champagne; poco prima, nel 1200, a Troyes, otto «pubblicani», a dire dei cronisti Aubry di Trois-Fontaines e Cesare di Heisterbach, avevano sublto il medesimo supplizio. Fra di loro, cinque uomini e tre donne, tra cui «due spregevolissime vecchie», secondo le parole di Aubry. Possediamo qualche dettaglio circa le idee professate da quei pubblicani della Champagne grazie all'abate cistercense in­ glese Raul di Coggeshall: Essi condannano il matrimonio, predicano la verginità per coprire le loro turpitudini. Hanno in orrore il latte [ . ] ed ogni cibo che provenga dalla procreazione. Non credono che vi sia un fuoco in purgatorio dopo la mor­ te, bensl che l' anima separata dal corpo vada immedia­ tamente o al riposo o alla dannazione. Non accettano alcuna Scrittura a parte i Vangeli e le Epistole [. . . ] . Altre persone che hanno svolto ricerche sui loro segreti dicono che questa gente non crede che Dio si preoccupi delle cose umane, né che eserciti una qualsivoglia azio­ ne o potere sulle creature terrestri, ma credono che un angelo apostata, che chiamano Luzabel, presieda a tut­ ta la creazione fisica e disponga a propria volontà di tutte le cose di quaggiù . Dicono che il diavolo crea il corpo e che Dio crea l' anima e la infonde nel corpo, dal che risulta sempre un' aspra lotta tra I' anima e il corpo [. . . ] . . .

45

Dietro la deformazione in parte volontaria e la semi-incom­ prensione di cui il linguaggio dell'erudito cattolico è testimo­ nianza, si disegna un'immagine piuttosto precisa di un «duali­ smo mitigato» di cui avremo occasione di riparlare a proposito delle dottrine della Chiesa dei Buoni Cristiani. Questo docu­ mento, che risale all'ultimo quarto del XII secolo, ci offre il pri­ mo tentativo di spiegazione del fondamento della metafisica catara. Il XIII secolo fu fatale ai pubblicani della Champagne cosl come per i loro fratelli di Renania. Le prodezze di Robert le Bougre, ex-cataro diventato domenicano ed incaricato dal papa di una missione pre-inquisitoria in Champagne, fanno da pen­ dant a quelle di Corrado di Marburgo in Germania. La carriera di questo Robert terminò male: venne sospeso dalle sue funzio­ ni e condannato al carcere a vita, ma nel frattempo la sua azio­ ne era sfociata, il 1 3 maggio 1239, nel grande rogo collettivo del Mont-Aimé, sul quale perirono centottantatre Buoni Cristia­ ni, sotto gli occhi del conte Thibaut, il Troviero, dei suoi baro­ ni e di una grande folla. Una buona parte di quella che Nicheta aveva chiamato a Saint-Félix-de-Lauragais «la Chiesa di Francia» dovette cosl scomparire. Sembra tuttavia, che a differenza di Montségur - i due siti sono stati infatti molto spesso accostati e comparati la sede di questa Chiesa di Francia non sia stata situata e limita­ ta al castello di Mont-Aimé, alla sommità dello spoglio rilievo, che è la sola cosa oggi visibile, ma che le comunità catare, pri­ ma della retata che ne fece l'Inquisizione, abbiano vissuto piut­ tosto in «casa» nei villaggi circostanti (fra cui Moraines) e siano state condotte al castello solo per esservi giudicate e poi giu­ stiziate. Si può comunque vedere, nella zona del Mont-Aimé, lo stes­ so genere di «ascesso di fissazione» - secondo la felice espres­ sione di Jean Duvernoy - simile a quello che l'Inquisizione me­ ridionale lasciò sviluppare nel ridotto di Montségur per impa­ dronirsi in un sol colpo, una volta venuto il momento, dell'intera testa della Chiesa catara presa di mira. Lo stesso mo­ do di agire ritornerà del resto, come vedremo, qualche decennio più tardi, nell'Italia del Nord. 46

Altri pubblicani in Borgogna, ma pifli nelle Fiandre. L'XI secolo aveva conosciuto un'attività eretica nella regio­ ne di Arras. Già nel primo quarto del XII secolo, un predicato­ re con modi da monaco, Tanchelm, solleva le popolazioni urba­ ne della Fiandra contro gli abusi del clero cattolico: nulla prova che tale movimento vada al di là del semplice evangelismo spon­ taneo del tempo. Quella che l' arcivescovo di Reims conduce ad Arras dopo la metà del secolo è invece una vera e propria re­ pressione contro eretici ben caratterizzati. Dopo un periodo di ordalie (prova del ferro rosso), tipiche della civiltà di diritto germanico di queste regioni, i roghi inizia­ rono ad ardere: Robert le Bougre aveva infatti dato il cambio all'arcivescovo di Reims e al vescovo di Arras: fra il 1235 e il 1236, cinquanta persone, fra le quali alcuni membri della nobil­ tà locale, furono bruciate a Douai e a Cambrai, poi cento perso­ ne vennero arrestate, ed in buona parte bruciate, a Lilla e ad Asq. Philippe Mousket, troviero di Tournai, autore di una canzo­ ne in versi francesi sulla campagna repressiva, precisa che gli eretici a cui veniva data la caccia venivano chiamati bougres o catiers, termine interessante dal punto di vista linguistico, poi­ ché è la trascrizione in o11 del latino cattus incontrato nei docu­ menti renani. L'etimologia della denominazione di piphle, utiliz­ zata molto in generale per designare i catari fiamminghi, non è invece nota. In Borgogna, è curiosamente a Vézelay, sulla «collina ispira­ ta», che può essere cercato con maggior sicurezza il ricordo dei catari. Il chiostro della Madeleine vide infatti comparire, nella Pasqua del 1 1 6 7, fra le processioni e davanti all' arcivescovo di Lione, ai vescovi di Laon e di Nevers e, naturalmente, all'abate di Vézelay in persona, i pochi eretici che erano stati appena ar­ restati su quegli stessi luoghi. Il 10 aprile 1 16 7, sette di quei «pubblicani» furono bruciati non lontano da lì, nella V al d'E­ couen. L'origine di questo catarismo borgognone sembra essere molto clericale, opinione confermata dagli avvenimenti verifica­ tisi a Nevers tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo: Ber­ nard, decano del capitolo cattedrale, fu accusato di eresia; Guil47

laume, canonico e arcidiacono, di ongme nobile, condannato dal vescovo di Auxerre, fuggl a mettersi al sicuro in Linguado­ ca, dove la cronaca di Pierre des Vaux di Cernay ce lo mostra, nel 1206, a Servian, presso il genero della grande dama catara Bianche de Laurac, mentre dà vita ad una discussione teologica con Domenico di Guzman e il vescovo di Osma, coprendosi con il nome Thierry. Il vescovo di Auxerre dette la caccia e bruciò anche alcuni pubblicani di Charité-sur-Loire e della stessa sua città, dove a dargli il cambio fu l'onnipresente Robert le Bougre: nel novero delle vittime figurarono ricchi borghesi e nobili locali, e fra gli accusati un curato di villaggio. In tal modo si spense, prima della metà del XIII secolo, quella Chiesa di Francia il cui vescovo, Robert d' Epernon, ave­ va partecipato nel 1 16 7 al «concilio cataro» riunito a Saint-Fé­ lix-de-Lauragais da Nicheta. L'artefice principale della sua di­ struzione fu senza ombra di dubbio l 'inquisitore Robert le Bou­ gre. I documenti ce la mostrano aperta e diversa nelle sue realtà sociali: popolare in Champagne, clericale in Renania e in Borgo­ gna, borghese e nobiliare nelle Fiandre. Non so se sia il caso di dare eccessiva importanza a queste sfumature nel vissuto, che sono forse soltanto il riflesso di una disparità o da interessi di­ vergenti rielle fonti medievali; ma non dimentichiamo che ci sia­ mo imbattuti nel medesimo iato in Oriente, tra i signorili bogo­ mili di Costantinopoli o di Bosnia e gli umili bogomili delle grandi proprietà fondiarie bulgare. In Occitania, se ci è lecito fare una anticipazione, il catarismo ebbe l 'occasione storica di infiltrarsi nell'intero tessuto sociale .

Dall'Italia dei patarini e degli umiliati a quella degli albanenses e dei garattenses. In Italia, il cristianesimo dualista si insediò in un contesto di religiosità dissidenti estremamente complesso e tormentato dalla violenza sin dall'XI secolo. Patarini del sottoproletariato urbano delle città lombarde, arnaldisti di Roma, umiliati di Milano, e poi poveri lombardi vicini ai valdesi, poveri cattolici 48

che mescolavano i pentiti in uno zelo di proselitismo anti-duali­ sta comunque profondamente segnato dagli ideali del tempo, evangelismo e povertà: tutti questi impulsi rinnovatori o riven­ dicativi sono i compagni di strada delle Scuole catare italiane che si presenteranno in compenso come focolai di riflessione teologica di alto livello e di buona tenuta. Il punto di vista corrente, che vede una propagazione di idee dualiste da est ad ovest a partire dalla Bulgaria, immagina generalmente che l'Italia sia stata toccata da predicatori bogo­ mili. Sembra invece, al contrario, che sia stato un fermento ve­ nuto dalla Francia nel XII secolo a far lievitare nelle città del nord della penisola, già presensibilizzate contro la Chiesa roma­ na, il germe di un'ampia adesione al cristianesimo cataro. Già nel 1 167, a Saint-Félix-de-Lauragais, Nicheta cita la Chiesa di Concorezzo e parla di Marco, «vescovo di Lombar­ dia». Ben presto, in effetti, fanno la loro comparsa due Chiese lombarde rivali: quella di Concorezzo (i garattenses), nella regio­ ne di Milano, e quella di Desenzano (gli albanenses, assolutisti nel dualismo) sulle rive del lago di Garda. Bisogna aggiungere ad esse la Chiesa indipendente, sul piano dottrinario, dei bagno­ lenses nei dintorni di Mantova, nonché quella di Vicenza-Trevi­ so. Al di fuori della Lombardia, altre due sono le Chiese catare strutturate : la Chiesa di Toscana, attorno a Firenze, con tre scuole di insegnamento teologico a Poggibonsi, Pian di Cascia e Pontassieve, e la Chiesa più meridionale della V alle di Spoleto. Il che dà dunque un totale di sei Chiese o vescovadi catari in Italia.

In Catalogna, un catarismo occitano. S e l a Lombardia è il rifugio privilegiato della gerarchia cata­ ra occitana al tempo delle persecuzioni, e il luogo in cui la Chie­ sa si rinchiude nell'insegnamento e nell'ordinazione di perfetti, la vicina Catalogna attira fuori dalle zone di Inquisizione le po­ polazioni dei villaggi e delle campagne, le umili famiglie di buo­ ni credenti che si radunano in un esilio comunitario. E tuttavia, sebbene la Catalogna dell'attuale versante spagnolo si fosse 49

aperta al catarismo all 'epoca della sua libera espansione, il feno­ meno era rimasto assai limitato, toccando principalmente la no­ biltà e le classi agiate. Fu infatti attraverso il gioco delle alleanze e dei legami di vassallaggio del feudalesimo occitano che il catarismo straripò dai Pirenei, attraverso la contea di Foix, il paese di Alion (Mon­ taillou . . . ), il Fenouillèdes. La Catalogna, in un primo momento considerata una dipendenza del vescovado cataro di Tolosa, si vide conferire dal concilio di Pieusse del 1226 un diacono parti­ colare, Pietro di Corona. Il cuore del catarismo catalano, sostanzialmente tollerato, per ragioni di lignaggio, dai cattolici re di Aragona, può essere situato nei paesi di Urgell e della cerchia di Andorra, attorno a Castelbon, la cui famiglia signorile era alleata ai conti di Foix: Ermessinda di C astelbon, moglie di Roger Bernard II di Foix, venne esumata e bruciata contemporaneamente al padre, il vi­ sconte Arnaud, per aver ricevuto il consolamento sul letto di morte. Anche altre famiglie nobiliari, gli }osa, i Cardone, erano credenti. Isarn di Castillon, cosignore di Mirepoix, venne a mo­ rire consolato a C astelbon nel 1234, alla presenza di Raimon Sans di Rabat e di Arnaud Batalha di Mirepoix . . . Senza dover aspettare il XIV secolo degli sventurati rifugia­ ti delle montagne occitane che fuggivano l'Inquisizione di Pa­ miers nelle borgate catalane, veniamo di fatto, e senza indugio, introdotti nel cuore del catarismo occitano.

Dagli eretici albigesi ai Buoni Uomini. Il catarismo occitano non è anteriore al catarismo renano, a quello della Champagne. Alla loro stregua, fa parte di quei poi­ Ioni dei movimenti messisi in evidenza poco dopo l' anno Mille e rivivificati a seguito della Riforma gregoriana. Sul terriccio ave­ vano germogliato altre gemme, originali, evangeliche, recrimina­ triei: Pierre de Bruis, dopo aver fertilizzato la vallata del Rodano per le future predicazioni dei valdesi, respingendo la croce, il battesimo o l'eucarestia, terminò la sua avventura nella regione di Narbonne e di Tolosa negli anni attorno al 1 130; di Il a poco 50

vi fu seguito da un personaggio dall'aspetto più tranquillo, il mo­ naco Enrico, che pare essere stato un autentico monaco benedet­ tino e che, benché professasse un solido anticlericalismo, si dette sempre l'apparenza di un «uomo di Dio». Per quanto si sa, Enrico, come Pierre de Bruis, predicava sulla base del Nuovo Testamento, e si riferiva alla Parola che costituì anche la ri sposta di Vaudès di Lione ai primi fastidi della Chiesa romana: «E meglio obbedire a Dio che agli uomini». Egli rifiutava il battesimo dei bambini piccoli, il sacramento del ma­ trimonio e la validità dei sacramenti conferiti dai preti indegni; inoltre criticava vigorosamente la ricchezza del clero cristiano. Questo è il messaggio «eretico», perfettamente inscritto nella lo­ gica delle aspirazioni del tempo, che san Bernardo, abate di Clairvaux, «luce di Citeaux», si apprestava ad andare a combat­ tere con la sua eloquenza a Tolosa. Giunto a Tolosa con il suo seguito, il vescovo di Chartres, il legato pontificio e il cronista Geoffroy d' Auxerre, non trova nessun monaco Enrico, ma trova invece «tessitori» e «ariani», e, scrive il cronista, «Quanto a quelli che erano favorevoli a tale eresia, erano assai numerosi e fra i più grandi della città». Risa­ lendo verso il nord, la legazione predica di passaggio: Monsignor l'abate [san Bernardo] ha parlato nei piccoli castelli [. . . ] Il popolo ascoltava volentieri, e coloro che erano predestinati alla vita eterna gli credettero . Ma ab­ biamo trovato alcuni cavalieri ostinati, non tanto nell'er­ rore quanto nella cupidigia e nella malevolenza. In effetti, essi odiano i sacerdoti e godono dei sarcasmi di Enrico.

Ecco tracciato un vivido quadro della piccola nobiltà occita­ na, che a metà del XII secolo già appare beffarda nei confronti del clero, poco sollecita nel pagare le decime e curiosa, ma senza dare troppa importanza alla cosa, verso idee religiose diverse: di contro il «popolo» poteva essere sensibile alle parole del Santo. Tuttavia a Verfeil quel popolo segue i nobili quando costoro la­ sciano con ostentazione la chiesa in cui predica l'abate di Chiara­ valle e poi, con il loro baccano, gli impediscono di continuare il sermone . Ad Albi, i fatti sono ancora più gravi: 51

Ad Albi ebbe luogo un fatto [ . . . ] Gli abitanti di questa città erano infatti, più di tutti quelli del circondario, contaminati dall'eresia, come imparammo. Arrivarono al punto di pararsi di fronte a Monsignore il legato, che ci aveva preceduto di due giorni, con asini e tamburi. E quando si suonarono le campane per convocare la gente alla messa solenne, vennero a malapena trenta per­ sone.

San Bernardo si fa rispettare un po' di più del legato nella città, ma ormai la corte di Francia e l'Ordine di Citeaux sapran­ no che non sono più dei predicatori isolati come il monaco En­ rico da temere in quelle regioni, ma che allo stesso modo della Champagne o dell' arcivescovado di Colonia-Liegi, il Tolosano e soprattutto l'Albigese sono conquistati da un'eresia di «tessitori ariani» che hanno il sostegno irridente della piccola nobiltà. L'uso del termine «albigese» per designare quegli eretici occitani è certamente la conseguenza più duratura della missione di san Bernardo nel 1 14 5 . Gli Atti del colloquio-contraddittorio di Lombers nell'Albi­ gese, che oppose prelati cattolici e i primi intellettuali catari oc­ citani nel 1 165, e di cui abbiamo già fatto menzione, ci offrono le prime informazioni relativamente precise sulle dottrine pro­ fessate da Olivier e dai suoi Buoni Uomini: [Il vescovo di Lodève] chiese [ . . . ] in primo luogo se ac­ cettavano la legge di Mosè e i Profeti, l'Antico Testa­ mento e i Dottori del Nuovo Testamento. Essi rispose­ ro davanti a tutti che non accettavano né la legge di Mosè né l'Antico Testamento, ma solamente i Vangeli, le Epistole di Paolo e le sette Epistole cattoliche, gli Atti degli apostoli e l'Apocalisse [ . . . ]. Dissero allora molte cose senza che li si interrogasse: che non bisognava assolutamente giurare, sotto nessuna forma di giuramento, come dicevano Gesù nel Vangelo (Mt 2 3 , 22) e Giacomo nella sua Epistola (5, 12) . Disse­ ro poi che Paolo indicava nella sua Epistola (l Tm 3 , 2 - 1 3) che nella Chiesa dovevano essere ordinati vescovi

52

e preti, e che se si ordinavano uomini che non erano tali quali Paolo prescriveva, essi non erano né vescovi né preti, ma lupi divoratori, ipocriti e seduttori [ ] Ad esempio, i loro avversari erano vescovi e preti solo come lo erano quelli che consegnarono Gesù; che non si dove­ va obbedire loro, perché erano cattivi e non buoni Dottori. . . .

Quel che è stupefacente alla lettura di quelle teorie, soste­ nute da Buoni Uomini albigesi poco dopo la metà del XII seco­ lo, di fronte ad alti prelati cattolici e alla presenza della società nobiliare che li proteggeva, i piccoli cavalieri di Lombers o il potente visconte Trencavel, è che esse già contenevano, e quasi parola per parola, l'intera definizione della vera e della falsa Chiesa di Dio tale quale appare nel più tardivo documento ori­ ginale che il catarismo occitano ci abbia consegnato: il fram­ mento di Rituale conservato a Dublino, che risale alla fine del XIV secolo. Fra questi due estremi, il polemista cattolico Mone­ ta da Cremona aveva rilevato - verso la metà del XIII secolo l'utilizzazione da parte dei catari dell'espressione «la Chiesa dei lupi». I Buoni Uomini di Lombers non avevano paura di affer­ mare che la Chiesa romana non era conforme alle prescrizioni delle Scritture. La loro Chiesa, la Chiesa dei Buoni Cristiani, o «Chiesa di Dio», era in fase di strutturazione. Appena due anni dopo il fatto accaduto a Lombers, il «concilio» cataro di Saint­ Félix-de-Lauragais, riunito attorno a Nicheta, avrebbe designa­ to, scegliendoli fra le sedici Chiese cristiane esistenti fra l'Orien­ te e l' Occidente, i primi quattro vescovi catari occitani.

53

CAPITOLO v

LA «VERA CHIESA DI DIO»

S inora l'insegnamento dei catari, predicatori professionisti del

Vangelo e di una Chiesa cristiana che non era quella di Roma, lo abbiamo intravisto casualmente nelle cronache ingenuamente settarie dei primi chierici cattolici che vi si imbatterono un po' ovunque fra l' Oriente e l'Occidente nell'XI e XII secolo. Sap­ piamo grazie alla Renania che il loro gruppo era già organizzato in una gerarchia di uditori, credenti e cristiani, con alla testa dei «prelati»; che rifiutavano i sacramenti del battesimo catto­ lico, del matrimonio e dell'eucaristia, nonché qualsiasi pratica di giuramento; e che, consapevoli di rappresentare una Chiesa diffusa in tutta la cristianità, rivendicavano la successione apo­ stolica. Le fonti della Champagne o della Borgogna insistono sul lo­ ro orrore del sacramento «del corpo e del sangue di Nostro Si­ gnore» e di ogni cibo di carne o latte; sottolineano il ruolo delle donne al loro interno e soprattutto identificano già l'essenza della metafisica dualista catara: l' assenza di Dio da questo mon­ do e il sistema della duplice creazione, pur riconoscendo che la sola autorità professata da quegli strani eretici era il Nuovo Te­ stamento. La più antica fonte occitana, la relazione del conve­ gno-contraddittorio di Lombers , aggiunge infine che la «setta» dei Buoni Uomini predicava la disobbedienza ai sacerdoti della Chiesa di Roma, tanto poco fedeli ai precetti di Paolo quanto i grandi sacerdoti ebrei che consegnarono Cristo. N on è forse già chiaro che la Chiesa romana aveva a che fare con avversari di tutt'altra pasta rispetto ai semplici 55

«eretici» che rivendicavano il diritto di predicare con o senza

il suo permesso e desideravano ricondurla alle pratiche di po­

vertà, umiltà e amore di una Chiesa che fosse davvero evan­ gelica? Nei fatti, non soltanto i catari, scrivendo o parlando, non si stancarono mai di affermare che la loro Chiesa era la vera Chiesa di Dio, quella di Cristo e degli apostoli, in con­ trapposizione all'usurpatrice Chiesa romana, che trattavano come una Chiesa del diavolo, ma lo stesso catarismo, per co­ me lo possiamo ormai riconoscere alla luce dei suoi documen­ ti, non si presentava affatto come una semplice setta ereti­ ca nei confronti dei dogmi dominanti; costitul invece una re­ ligione strutturata di tutto punto, con la sua metafisica, la sua ecclesiologia, i suoi riti e sacramenti, il suo messaggio di Rivelazione e di Salvezza, la sua morale e le sue Sacre Scritture. Apriamo i libri catari, ascoltiamo ciò che i loro avversari trovarono da ridire di fronte alla loro logica di fredda luce: tan­ ta speranza spirituale dorme ancora ai margini di questi mano­ scritti, che mille attente letture non hanno logorato. La speran­ za non ha età, anche se le parole ne hanno una. Il medioevo fe­ ce tacere i catari; è una ragione sufficiente per cercare di render loro la parola.

Una lettura dualista dei Vangeli. Con la stessa semplicità con cm s1 può riconoscere nella Chiesa catara una religione di Rivelazione e di Salvezza, si può definirne la riflessione metafisica come una lettura dualistica delle Scritture. Tutto il sistema del catarismo è fondato sul Nuovo Testamento . Ci si è quindi chiesti, non a torto, se la Bibbia dei catari fosse differente dalla Bibbia cattolica: non lo era affatto; era tradotta in occitano, come abbiamo visto, sulla base di un originale latino antecedente alla Vulgata di san Gero­ lamo: la vieille languedocienne che servl da base anche alle tra­ duzioni valdesi e a diverse altre, perfettamente ortodosse e in tutte le lingue, sino all'alto Medioevo tedesco. In effetti, tanto il testo occitano del Nuovo Testamento cataro di Lione quanto 56

i frammenti di Scritture contenuti nei trattati o nelle predica­ zioni catare sono perfettamente ortodossi, e citazioni identiche, estratte dalla Vulgata, offrirebbero lo stesso sostegno alle tesi catare. La principale eccezione a quanto abbiamo ora enunciato fi­ gura nei primi versetti del prologo del Vangelo secondo san Giovanni. Abbiamo già fatto cenno all'originale traduzione oc­ citana in nient, il nulla, che rende particolare la versione catara rispetto alle versioni valdesi o cattoliche del versetto. In realtà, quella traduzione è stata possibile, ed è stata ipotizzata, solo perché il testo latino di base della «vecchia linguadocense» dif­ ferisce, in quell'esatto passaggio, e di una virgola, dal testo della Vulgata. Di una virgola o piuttosto di un punto, che nella Vulgata se­ para la terza e la quarta frase del versetto l , tre parole più lon­ tano che nella «vecchia linguadocense». Ecco il testo in lingua italiana della Vulgata, che fa sempre da base alla Bibbia attuale: «Tutto è stato fatto da lui, e niente di quel che è stato fatto è stato fatto senza di lui.» (Jo l , 3); «In lui era la vita, e la vita era la luce [ . . . ]» (Jo l , 4). Ed ecco ora il testo, sempre in traduzione italiana, della vecchia linguadocense: «Tutto è stato fatto da lui, e senza di lui niente è stato fatto.» (Jo l , 3); «Quel che è stato fatto in lui era la vita, e la vita era la luce [ . . . ]» (Jo l , 4). Sono tre parole ad eclisse, quod factum est (quel che è stato fatto) , quelle determinanti. I valdesi hanno tradotto in maniera perfettamente ortodossa, come ho appena fatto io: e alcuna cosa non es fayta sença lui (e nessuna cosa è stata fatta senza di lui) . I catari, invece, hanno tradotto la frase et sine ipso factum est nihil con: e senes lui es fait nient; «E senza di lui è stato fatto il niente». A partire dal momento in cui il termine nihil non determina più una frase (niente «di quel che è stato fatto») , esso assume senza problemi, in latino, un valore positivo e non più negativo, e lo stesso accade alla pa­ rola occitana nient, che significa chiaramente «il niente», «il nulla» . . . sin dalla fine dell'XI secolo e dalla poesia del primo trovatore conosciuto, Guilhem di Aquitania: farai un vers de

dreyt nient. . . 57

I catari tenevano molto alla propria versione del prologo di Giovanni: ecco la testimonianza che ne dà ancora, agli inizi del XIV secolo, Arnaut Teisseyre, di Lordat, deponendo davanti al­ l'inquisitore J acques Fournier: Sapete cosa vuoi dire: