Atto, destino e storia. Studi su Emanuele Severino

Dall'Avvertenza: "Il volume si compone di tre diverse indagini: la prima tesa a far luce sui motivi teoretici

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carlo scilironi

ATTO, DESTINO E STORIA Studi su Emanuele Severino

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Padova

INDICE

p.

3

PARTE PRIM A DALLA RILEVANZA DELL'ATTO ALLA CEN TRALITA' DEL p. DESTINO (1948- 1958)

5

Avvertenza

C A PITO LO l LA LEZION E D ELL'ID EALIS M O E IL M A G ISTERO BON TADIN IAN O l) Assun zione storica del proble ma dell' Atto: Gentile , il problematicismo italiano, Heidegger e la neoscolasti ca 2 ) Posi zione teoretica del proble ma dell'Atto 3 ) Fenomenologia dell'Atto 4) Corollario I : la conoscenza 5 ) Corollario II: trascenden za e immanenza 6 ) Pri me linee d'uno sfruttamento teoretico dell'Atto Note

p.

7

p. p. p. p. p. p. p.

7 lO 11 13 14 15 18

C A PITOLO II NOTE SULLA STRUTTU RA F O R M A L E D ELL'ESSER E. PRELIMINARI A "LA STRU TTU RA ORIGINA RIA" l) La presenza dell'essere 2 ) L'incontraddittorietà 3) La sintassi originaria 4) La dialettica 5 ) L'intero Note

p. p. p. p. p. p. p.

23 23 24 27 29 31 33

PARTE SECON D A DESTINO E STORIA

p. 3 5

C A PITOLO I N EOCLASSICIS M O E SERIETA' NELLA STO RIA l) La storia i n Heidegger 2 ) Storia e metafisica 3 ) Storia e d esperien za 4) Verità dell'essere e storia 5 ) Veri tà e prassi Note

p. p. p. p. p. p. p.

37 37 39 42 43 45 48

p.

51

CAPITOLO

II

NEOPARM ENIDISMO E IMPOSSIBILITA'

DELLA

STORIA

l) Eternità dell'essere e i mpossibilità della storia 2 ) Serietà della storia e distruzione degli assoluti 3 ) Il ni chilismo e thos dell'Occidente. L'Occidente storia del ni chilismo 4) Attualismo estetico e superam ento della fede nella storia Note

p. 5 1 p. 57 p. 59 p. 62 p. 6 5

C A PITOL O III OLTRE IL NEO P A R M EN IDIS M O : D ESTIN O D E L L'ESSERE E SPAZIO PER LA STORIA l) Verità dell'essere e differenza ontologica 2) Differen za ontologica e differenza ermeneutica 3) Ermeneutica e prassi 4) La storia dell'Occidente tra errore e verità Note

p. p. p. p. p. p.

P A RTE TERZA STRU'ITURA ORIGINARIA E DESTIN O

p. 9 3

I) MYthos anankaios II) Epistéme III) Nota: "De fato" IV) Ele zione V) Struttura originaria e destino Note

71 71 75 79 82 87

p. 9 5 P· 98 p. l02 p . l05 p . 109 p . ll4

AVVERTENZA

Il volume si co mpone di tre diverse indagini : la pri ma tesa a far luce sui motivi teoretic i essenziali della formazione e della prima filosofia di Severino; la seconda volta a delineare lo sviluppo della concezione seve riniana della storia; la terza dedicata ad un approfon­ dimento teoretico del te ma del destino e della struttura originaria. Non si tratta di una monografia co mplessiva (pe r la quale si rimanda a Ontologia e storia nel pensiero di E manuele Severino, Ed. Franc isc i, Abano Terme 1980), ma de ll'analisi e dello sviluppo di alcuni motivi essenz iali de l pensiero seve riniano. L 'intento è esclusiva mente storico­ genetico pe r la prima parte e pe r i primi due capitoli de lla seconda (che insie me costituiscono anche il blocco più antico di queste ric e r­ che), è invece critico e teoretico per la parte restante. Car lo Scilironi

PAR T E

P R I MA

Dalla rilevanza dell'Atto alla centralità del Destino (1948 - 1958)

CAPITOLO I LA LEZIONE DELL'IDEALISMO E IL MAGISTERO BONTADINIANO l) AssWizione storica del problema dell'Atto: Gentile, il problematici­ smo italiano, Heidegger e la neoscolastica. N ella sua riflessione filosofica Severino assume l' "Atto" in tutta la sua rilevanza teoretica, tant'è che il motivo, anche quando non viene direttamente esplicitato, è pur sempre palesemente sotteso. Il rilievo, già nella sua semplice enunciazione, indica una complessità storico­ teoretica non eludibile . Da un lato esso esige , in stretta fedeltà al det­ tato severiniano, rindividuazione della sua matrice storica, dall'altro spinge a scrutarne in profondità la pregnanza teoretica. Che storicamente il riferi m ento pri mo vada a Gentile è fuori dubbio: è da lui, e dalle varie riproposizioni operate dalla cultura del Novecen­ to, che Severino ha tratto il motivo della centralità dell'Atto, riuscendo poi a scandagliarne con rara competenza la profondità teoretica. Per il vèro il recupero del valore del pensiero moderno e dell'attua­ lismo come sua naturale rigorizzazione , è già proprio di Bontadini (1 ), come del resto non manca di riconoscere lo stesso Severino allorché propone la sua analisi del proble maticismo italiano (2). Se l'idealismo risolve quella trascendenza gnoseologica dell'essere al pensiero che si era già iniziata col presupposto dualistico cartesiano (3), l'attualismo ne segna la risoluzione definitiva, identificando assoluto formalismo e assoluto realismo nell'unità di pensante e pensato (4). Il proble ma - ma lo si vedrà in sede di analisi teoretica - resta la chiari­ ficazione del li mite di quella risoluzione del presupposto dualistico, barattato tanto dall'idealismo tedesco quanto dall'attualis mo gentiliano, come la risoluzione assoluta della trascendenza. N el suo storico manife­ starsi l'attualismo rivela il passaggio da un pri mo mom ento costituito dalla Teoria generale dello spirito come atto puro, in cui l'accento è posto sull'lo trascendentale quale condizione dell'identità di pensante e pensato, ad un secondo momento, che di quello è critica e chiari fica­ zione , costi tuito dal Siste ma di logica come teoria de l conoscere , in cui , essendo posto l'accento direttamente sull'identità stessa di pensante

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e pensato, resta sciolto ogni dubbio di preesistenza dell'lo trascendenta­ le al di là dell'identità reale e attuale ( 5 ) . Intendendo per idealismo la riduzione della realtà al pensiero attuale, ne discende che il Siste ma di logica di Gentile è sen z'altro idealismo, mentre dei dubbi vi sono per la Teoria generale (6). Dell'attualismo, quale risoluzione definitiva di ogni presupposto duali­ stico, è un "naturale consolidarsi" il proble m aticis mo, che nell'analisi della proble maticità dell'atto si presta alla distinzione in proble mati­ cismo situazionale e proble maticismo trascendentale (7). Tanto il pri mo quanto il secondo (come pure l'esistenzialismo), si costituiscono come indagine fenomenologica dell'atto, indagine assente nell'opera gentiliana (8). Senonchè il proble maticismo situazionale , che è poi quello di U . Spirito, riconoscendosi autenticamente proble matico, non assolutizza la contraddizione e resta aperto alla possibilità della soluzione, mentre il proble maticismo trascendentale , presupponendo l'assolutezza del problematico, viene meno proprio in quello spirito critico da esso conti­ nuamente proclamato. Nel saggio dedicato ad U . Spirito (9), Severino chiarisce come il moti­ vo centrale del suo pensiero stia nel rapporto tra coscienza e autoco­ scienza (10), e come questo motivo, di palese derivazione gentiliana , abbia orientato il pensiero di Spirito in direzione metafisica, per quanto poi l'esito della sua filosofia non sia quello della trascendenza tradi zio­ nale, ma piuttosto "quello di un trascendersi della coscienza in un sè più profondo e illum inato", in un'autocoscienza i m manente (11). Ben diversa è invece la situazione del proble maticis m o trascendenta­ le, tanto nella forma che esso assume in Abbagnano, quanto nelle caden­ ze proprie della riflessione di Banfi . La speculazione del primo è un tentativo di raggiungi mento della trascendenza, ma il tutto è pregiudi­ cato in partenza dalla presupposizione dell' i m m anenza alla indagine filosofica che - caso mai - l'avrebbe dovuta porre (12); l'indagine del secondo , che non accetta il concetto di autocoscienza ed opera con una visione della conoscenza alquanto discutibile, finisce in sostanza nella stessa posizione kantiana di presupposi zi one dell'essere al di là del pensiero (13). Il supera mento della posi zione kantiana costituisce anche il punto di movenza dell'interpretazione che Severino offre della filosofia di Heidegger, laddove di mostra che anche per questi il pri mo certo è dato dal "manifestarsi dell'ente nell' i dentità intenz iona le di manifestante e manifestato" (14). Il proble ma della conoscibilità dell'essere è in Hei­ degger trasposto nel proble ma del manifestarsi dell'ente come tale ,

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cui conoscenza (conoscenza ontica) è resa possibile da una preli mina­ re com prensione dell'essere dell'ente (conoscenza ontologi ca) . La veri tà ontologi ca è ciò senza di cui la verità ontica non si dà. Ri­ gori zzando il pensiero di Heidegger, o, come dice Severino, assolvendo al compito di "assestare'' la filosofia di Heidegger, dalla ricerca delle condizioni che possibili tino l'unità intenzionale di manifestante e mani­ festato, si giunge alla individuazione della ragion sufficiente del mani­ festare data dalla realtà del manifestare stesso nella sua trascendenta­ lità, ossia dall'atto di essere del manifestare come tale , che a sua volta poi ri manda alla posizione dell'Assoluto Fonda mento (15). L 'apertura dell'ente provoca tutto un so m m ovimento di ri mandi in ordine alla fon­ dazione della sua apofansi e della verità dell'apofansi stessa, la quale fonda a sua volta il momento predicativo della verità, altrim enti ingiu­ stificato nell'interpretazione heideggeriana dell'adaequatio ( 1 6). Se la manifestazione dell'ente antecede ogni predicazione, ed è resa possi­ bile dalla preli m inare comprensione dell'essere dell'ente , ne deriva "l'i­ dentità tra il puro pensiero (puro manifestare) e il manifestarsi dell'es­ seren ( 1 7 ) ; col che, dice Severino, si è nella linea di approfondi mento del concetto di fondamento metodologico tipico di Gentile ( 1 8 ). Nella neoscolastica il pri mo a porsi in questa linea è stato senz'altro Bontadini, del quale il Severino dei pri m i studi può essere considerato una filiazione , senza che con questo gli sia tolto nulla quanto a merito e originalità. Come si è già accennato più sopra è a Bontadini che va attribuita l'interpretazione in chiave gnoseologistica della filosofia moderna e il recupero del valore dell'idealismo quale risoluzione del presupposto dell'alterità dell'essere al pensiero, nonché lo sfruttamento dell'unità originaria dell'Atto (o Unità dell'Esperienza), quale nucleo tematico indispensabile per la rigori zzazione del discorso protologico nella sua inferenza mete mpirica ( 1 9). E' Severino stesso che rinvia alla lettura delle opere di Bontadini, suo maestro, facendone propria sia l'interpretazione storica sia l'orizzonte teoretico. Esplicito in proposito è il paragrafo finale del pri mo capitolo del li bro su Heidegger, in cui, chiarendo l'orizzonte speculativo muovendo dal quale egli interpreta il pensatore tedesco, Severino dichiara la propria posizione di "neoclas­ sico", secondo la quale, se è nella grande tradizione aristotelico-tomi­ stica che va ricercata la soluzione dei proble mi fonda mentali della filosofia, il ritorno ad essa va operato forti del prezioso contributo offerto dal pensiero moderno con l'elaborazione del fonda mento me to­ dologi co indispensabile per la costruzione della me tafisica, consistente nell'un ità dell'esperienza, cioè a dire nell'unità origi nari a di pensante la

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e pensato ( 2 0). Già da questi brevi cenni risulta chiarissimo che se di una maggiore densità spe culativa si può parlare, essa va senz'altro attribuita al teore­ ma dell'identità di pensante e pensato in atto, il quale soltanto è in grado di ridare, giustamente calibrata, l'antinomia trascendenza-i m m a­ nenza e con essa il criterio ermeneutico per la lettura del pensiero occidentale. La ragione di ciò sta nel fatto che se detto teore ma dell'in­ trascendibilità del pensiero (e tipico quindi della posizione dell' i m ma­ nenza) si ritrova proprio nel cuore della filosofia classica, nel concetto di intenzionalità del conoscere , allora non si potrà affermare l'antino­ mia di trascendenza-i m manenza in base all'identità o m eno dell'essere e del pensiero, ma solo in base alla risoluzione definitiva di detta identi­ tà che si rivela come affermazione teologica. Quest'ulti ma considera­ zione indi ca la strutturale funzione metodologi ca dell'Atto (o identità data di essere e di pensiero) in vista della costruzione metafisica ( 21) . 2) Posizione teoretica del problema dell'Atto.

"L'Atto si presenta anzitutto come unità della molteplicità presente e affermabile in base alla sua semplice presenza; m olteplicità che è la totalità del reale presente pensato ( ) . Ancora l'Atto (o unità del­ l'esperienza) è i m mediata presenza dell'essere, ossia è presenza fenome­ nologica ( ). L'Atto è l'assoluta trasparenza dell'essere al pensiero che è lo stesso rivelarsi dell'essere ed è pensiero dell'essere. E tutto ciò è affermato in base alla se mplice constatazione ed esperienza che si ha di tutto quello che ci circonda, perché l'atto è infatti questa con­ statazione e questa esperienza" ( 2 2) . Il passo, fra i più espliciti tra quel­ li che Severino ha scritto in proposito, rende bene la densità speculativa del proble ma e offre anche una pri ma pista di indagine. D icendo che l'Atto si presenta anzitutto come "unità della molteplicità presente" , si fa riferi mento al term ine del cogli mento intelligenziale , cogli m ento che opera secondo la legalità dell'uno ( 2 3), e quindi a nessun'altra forma di unità che la realtà possiede se non a quella che le com pete in quan­ to essa è speri mentata ( 2 4). Il molteplice che è presente come uno (in quanto pensato), è anche presente necessariamente come la totalità del reale pensato, e quindi consta feno menologicamente , nel senso che non lascia dietro a sé alcun residuo noumenico. Ma se "l' Atto è l'assoluta trasparenza dell'essere al pensiero che è lo stesso rivelarsi dell'essere", se è cioè esclusa ogni trascendenza gnoseologistica, resta con ciò stesso posta l'identità di pensiero e di essere, di pensante e pensato, il che ripropone l'interrogativo - a cui si è già ac cennato - della risoluzione •..

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definitiva o meno di questa identità in quella di Atto e Assoluto. 3) Fenomenologia dell'Atto.

a) L'im mediatezza. La se m antizzazione del term ine "pensiero", ridato come la "attualità o la presenza i m mediata dell'essere", oppure come "l'esperi enza" (2 5), mette in luce il proble ma dell'i m m ediata presenza dell'essere , e rende intelligibile l'espressione "il pensiero è l'i m m ediato", o quella ad essa equivalente che dice che "l'essere che è per sé noto è per sé noto" (26). I m m ediatamente noto è quell'essere la cui affermazione non differi­ sce dalla sua stessa presenza. Se posizione e manifestazione si identifi­ cano, i m m ediatam ente presente è ciò che non abbisogna d'alcunché d'altro, che non sia la presenza di se stesso, per poter essere affermato. L'i m mediatezza fenomenologica esclude qualsiasi mediazione o dimo­ strazione ed esclude pure che ciò per cui è noto che l'essere è, sia la coscienza (il pensiero, il soggetto e si m ili). Il fondamento della "notizia" (presenza, posizione) dell'essere è l'essere stesso che è noto (27). N el­ l'autocoscienza (o atto, o unità dell'esperienza), si ha in concreto l'iden­ tità di essere e di pensiero, di pensante e pensato, la cui originarietà è ridata dall'autoctisi dell'identità stessa. Il proble ma dell'i m m ediatezza pare dar luogo ad un "regressus in inde­ finitum", in quanto, se l'affermazione che l'essere è, è i m mediatamente nota, non è ancora ridato il perché di questa i m mediatezza, e dell'im­ mediatezza di questa i m mediatezza, e così di seguito. In realtà questo processo non può costituirsi, perché "non so lo è per sé noto che l'essere è, ma è anche per sé noto che l'essere che è noto è ciò per cui si affer­ ma che l'essere è" (28). Col che resta pure fondata, in quanto saputa, l'affermazione che l'essere è , e per converso tolta la negazione che l'essere sia, perché in contraddizione con l'i mmediatezza dell'essere (29). b) La tota lità . Sopra si di ceva , riportando le parole di Severino, che "l'Atto si presenta anzitutto come unità della molteplicità presente e affermabile in base alla sua sempli ce presenza; moltepli cità che è la totalità del reale presente pensato" . Della presenza e della sua i m­ mediatezza si è detto, resta ora da chi arire il pensi ero di Severino a proposito della "totali tà" dell'i m m ediato fenomenologi co (3 0 ) . Questo può dirsi totalità solo in quanto è posta l'esclusione della presenza di un i m m ediato fenom enologico che lo ec ceda (31). La posi zione concreta di questa totalità è data, per il contenuto, dalle varie determ inazioni

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particolari dell'essere, e per la forma, da quella particolare posi zione dell' i m m ediatezza che è appunto la posi zione della totalità dell' i m me­ diato fenom enologico. Chiamando 'posizione ontica' quella dell'essere, e 'posi zione esponenziale' quella dell' i m m ediatezza, ne consegue che "la posizione della totalità dell'F-i mm ediato r i m mediato fenom enologi­ co l è la stessa posi zione dell'i m m ediatezza d ella posizione onti ca" (32). Il rapporto tra l'una e l'altra posi zione dà luogo a tutta una serie di complesse inclusioni ; in questo contesto basti tenere presente che trat­ tandosi di serie di posizioni , esse presentano un li mite superiore ed un li mite inferiore, che nel caso concreto del concetto di "totalità del­ l'essere i m m ediatamente presente" così si struttura: li mite inferiore , la posizione "semplice" di ciò che è posto, ossia posizione di ciò che è posto non come "totalità dell'immediato feno menologico", ma come "essere" ; li mite superiore, posizione "complessa" di ciò che è posto, ossia posizione concreta della totalità dell'i m m ediato fenomenologico, che include in sè, come mo menti, tutte le altre posi zioni ( 3 3 ) . S e l'Atto, come totalità della molteplicità del reale presente, non è altro dalla realtà in quanto speri mentata (i m m ediato fenomenologico), e se la realtà speri mentata è unità, in forza della legalità dell'uno pro­ pria dell'intelligenza, allora la totalità è unità. E con questo resta espli­ citata l'identità delle espressioni Atto e Unità dell'Esperienza. c) L 'intenziona lità . L'Atto come i m mediatezza fenom enologica è l'esperienza, cioè la totalità unitaria del manifestarsi della realtà. "Da­ to, quindi - dice Severino -; che però in quanto riconosciuto come tale dal pensiero , si pone con questo in un'identità che non può prescindere dalla compresenza dei due termini" (34). E' questo il punto centrale del proble ma dell'Atto: l'identità di pensiero e di essere , di pensante e pensato, di manifestante e manifestato. Si tratta del teorema dell'in­ trascendibilità del pensiero: la trascendenza dell'essere al pensiero si annulla da sè non appena si riflette che è essa stessa "pensata" , e quindi, in quanto tale, non estranea, ma rientrante nel pensiero (3 5). Il pensiero pone l'essere nel senso che lo mani festa, lo svela : il pensiero è pensiero dell'essere ; l'essere in un certo senso quindi si risolve nel pensiero. L'Atto è identità di essere e pensi ero. Il reale nel mentre si manifesta si dà come qualcosa che è manifesta­ to, si dà cioè come l'unità di una duali tà. Ma "se l'un ità è unità di una dualità - pre cisa Severino - e se d'altra parte l'unità è costi tuita dall'ori­ ginaria presenza dell'ente, l'assoluta identità di mani festare e manife­ stato è possibile soltanto come identità intenzi onale" (36). E cioè , l'uni-

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tà or1gmaria, assoluta tra l'essere e il pensiero non è un'identità che possa prescindere dalla com presenza dei due termini, per cui uno fa da fonda mento all'altro, ma è posi zione di un'identità che i m plica neces­ sariam ente la duali tà. Tale è appunto l'identi tà intenzionale , per la quale "il pensiero (che attualizza le varie determ inazioni dell'essere) oltre identità è identificazione dell'essere e da questo si distingue ap­ punto perché non è soltanto identità, ma anche identi ficazione" (37).

d) L 'e ide ticità. L'atto concreto del pensiero è il giudizio, e il giudizio suppone l'idea, la nozione, il concetto di ciò che giudica. Ora, se il giu­ dizio è l'atto concreto del pensiero, e il pensiero è pensiero dell'essere , è chiaro che il pensiero giudica l'essere; ma se è anche vero che il giudi­ zio presuppone l'idea di ciò che giudica, non è men vero che il giudizio sull'essere suppone già l'idea dell'essere. L'idea è universale in quanto può riferirsi a più cose . E' però anche vero che il pensiero si riferisce di fatto ad un contenuto reale, che in quanto tale è individuale . Pertan­ to l'idea risulta universale solo se è considerata nel suo uso potenziale e non nella sua attuale intenzionalità ( 3 8 ) . L'universalità dell'idea, cioè il comune a più cose , è l'essenza, la razionalità, l'eideticità del reale , che si pone come condizione e termine dell'intenzionalità del pensiero all'essere. "L'identità tra pensiero ed essere poggia sul comun denom ina­ tore dei due termini: l'eideticità; l'Atto può essere pensiero dell'essere soltanto se è Atto e ide tico" (3 9). Infatti l'atto intenzionale è quello che fa passare l'essere dalla sua potenziale intelligibilità alla sua attua­ le intelligibilità (40). E' chiaro allora che non solo l'eideticità è i mplicita nell'intenzionalità, ma che tutto l'Atto si risolve, si esaurisce nell'eide­ tico (41). 4 ) Corollario 1: la conoscenza.

Quanto già detto a proposito dell'intenzionalità dell'atto indica con chiarezza l'orientamento della gnoseologi a severiniana. Per comodità si fa riferi mento al saggio sul proble maticismo di Banfi , in cui , per precisare le rispettive posi zioni , Severino viene più volte a parlare della propria teoria del conoscere . N on che egli - ben si intenda - ne dia qui o altrove una co mpiuta esposizione, ricostruendo per così dire una feno­ menologi a della coscienza: si tratta sempre, anche qui , di brevi tratti 1i mitati a chiari re il suo orienta mento di fondo. Ma si veda in concreto ( 4 2 ).

La conoscenza non è altro che "il puro e se mplice presentarsi dell'es­ sere, l'illum inarsi di questo" ( 4 3 ); non è una cosa tra le altre , ma il puro

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manifestarsi delle cose . Il conoscere è l'identità intenzionale, di cui si parlava più sopra. Identità intenzionale appun to, e non identità fisica di pensante e pensato. "L'identità tra pensante e pensato è tale perché il pensante dichiara, illum ina tutto il pensato che pensa, ed è lo stesso pensato non in quanto fisicamente si abbia l'i dentità di due entità, ma nel senso che, aristoteli camente, il conoscente in atto è lo stesso cono­ sciuto in atto, il pensiero che pensa è intenzional mente l'essere pensato" (44). L'origine storica di questo concetto di intenzionalità del conoscere è da ricercarsi nel De ani ma di Aristotele , su cui si sono basati tutti coloro che lo hanno ulteriormente approfondito, gi ungendo, si può dire, ad una completa comprensione dell'argo mento ( 4 5 ) . Di interesse è i l fatto c h e la distinzione d i sogge tto e oggetto s i pone essa stessa all'interno del conoscere e non è da esso presupposta, ché il conoscere , come si è detto, è appunto il puro ed integrale presentarsi dell'essere, in cui è incluso anche il soggetto che lo pensa (il "lo" indica l'essere in quanto oggetto) (46). Va osservato da ult i m o - e lo si accenna soltanto - quanto Severino scrive ad un certo punto in un saggio su Rosmini: "L'attestazione altrui di eventi non attualmente esperiti rientra nell'esperienza in quanto è essa stessa un evento e mpirico, ma non vi rientra in quanto allusiva di un contenuto metempirico" (47), il che è in perfetta linea con l'altra affermazione, successiva, che la pluralità delle coscienze non è data dall'esperienza (48). 5) Corollario

ll:

trascendenza e immanenza.

La chiarificazione se mantica di questi term ini può ormai essere ridata sulla base delle precedenti acquisizioni. Severino ne tratta nel pri mo paragrafo del saggio L inea menti di una feno meno logia de ll'atto. Il pro­ ble ma è fonda mentale nella misura in cui coinvolge il giudi zio sul rap­ porto tra filosofia antica e moderna, tra realism o e idealis mo, e quindi si pone come criterio ermeneutico per la lettura del pensiero occidenta­ le. Trascendenza ed i m m anenza danno luogo ad una antinomia: alterità dell'essere al pensiero da una parte , risoluzione dell'essere nel pensiero dall'altra. Ma il proble ma non è così se mpli ce , difatti con l'afferm azione dell'identità di pensante e pensato in atto, la speculazione classica (la trascendenza) viene a trovarsi nella posizione tipica dell'i m m anenza. Va allora ricercato un senso ulteriore dell'antino mia che non sia se mpli­ cemente l'alterità o l'iden tità dell'essere e del pensiero. Questo senso ulteriore consiste nella risoluzione definitiva dell'identità data di essere

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pensiero, che si costituisce come pos1z10ne dell'identità tra l'Atto e l'Assoluto. L'i m manenza è cioè passaggio dal significato fenom enolo­ gico al significato teologico dell'Atto. C alibrata storicamente l'antino­ mia appare in questi termini: "La trascendenza classi ca si costruisce presupponendo la totalità dell'identità data e rivolgendosi ad un partico­ lare contenuto di questa che manifestandosi insufficiente a se medesi­ mo, ri manda ad una sufficienza assoluta, trascendente la totalità pre­ supposta, in cui possa fondarsi ; l'i m manenza moderna si costruisce met­ tendo in luce la totalità unitaria dell'identità data e ritrovando in questa la fondazione dei vari contenuti particolari, negando quindi la possibilità della affermazione metempirica in quanto ogni contenuto particolare viene ad essere compreso nella assoluta i m m anenza dell'identità data" (49). In altre parole nella filosofia classica si è costruito adeguatamen­ te, ma senza l'indispensabile tematizzazione della base dell'indagine, nella filosofia moderna si è messa a tema la base dell'indagine, ma ci si è fermati ad essa, assolutizzandola ( 5 0). Ecco all ora che il ritorno alla filosofia classica va operato forti del contributo apportato dal pensiero moderno (il fondam ento metodologi­ co), il quale , soltanto, rende possibile la rigorizzazione della costruzione filosofica. e

6) Prime linee d'uno sfruttamento teoretico dell'Atto.

a) La funzione metodo logica de ll'A tto . Sulla base degli approfondi­ menti della tematica dell'Atto operati sia a livello storico sia a livello teoretico, Severino viene i mpostando un rigoroso discorso di metafisica originaria. All'interno di esso l'Atto (o Unità dell'Esperienza) si pone come il punto di partenza ; per cui si può debitamente parlare di "funzio­ ne metodologica dell'Atto come punto di partenza del proble ma dell' As­ soluto" ( 5 1 ). Si intenda: "il11 punto di partenza, e cioè non un inizio scel­ to a piacere, ma l'inizio che tale è necessariamente. Un inizio per esse­ re necessariamente tale non deve presupporre nulla a sé , ossia deve essere presenza i m m ediata; ma presenza i m m ediata è proprio l'origina­ rio fenomenologico, il dato originario, l'esperienza nel significato di "unità della molteplicità presente e affermabile in base alla sua se mpli­ ce presenza", quindi , in una parola l'Atto. Pertanto la posizione dell'uni­ tà dell'esperienza come fondamento metodologico, non essendo altro che la esplicitazione di una intrinseca necessità dell'Atto, è pienamente giustificata. Ciò che invece esige di essere verificato nel prosieguo è l'identità o meno del dato e dell'Assoluto.

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b) La struttura de ll'essere . Si tratta ora di seguire la deduzione della struttura dell'essere . All'argomento tra gli scritti giovanili di Severino è dedicato un saggio dal titolo La struttura de ll'essere , del 1 9 5 0 ( 5 2 ) ; sullo stesso tema Severino è poi tornato nel 1958 con La struttura origi­ naria . Qui si sintetizza la deduzione contenuta nel pri mo scritto, del secondo, che presuppone l'acquisizione di ele menti non ancora noti, si tratta nel capitolo successivo. La presenza dell'ente comporta la presenza della totalità, dato che per totalità si intende l'insieme di tutto ciò che in un modo o nell'altro si pone (ciò che si pone è l'ente). Ma intendendo per fondamento ciò senza di cui la totalità non sarebbe, appare evidente che la totalità è o contiene il fonda mento, a seconda che il fondamento si identifichi con essa o meno; in questo secondo caso ciò che rientra nella totalità, ma non è il fonda mento, è il fondato. La necessità della totalità comporta la nec essità del fonda mento; ma se il fondamento è necessario è anche eterno (= non può non essere) , e s e è c i ò senza d i cui l a totalità non sarebbe , non può che essere auto­ fondazione ed assoluto. Se è eterno ed assoluto il fondam ento esclude da sé ogni potenza ed è atto puro, come tale è i m mobile ed esclude da sé ogni divenire. Ancora, poiché la m olteplicità implica potenza, il fondam ento è uno e se m plice. A questo punto la deduzione non può ancora pronunciarsi sulla identi­ ficazione o meno del fondamento con la totalità; restando nel campo delle ipotesi , se i due termini non si identificano, fermo restando che il fondam ento è atto puro e come tale i m m obile, consegue necessaria­ m ente che il non fondamento (il fondato) è diveniente. Se il porsi del non fondamento (il fondato) non è necessario, perché diveniente , non per questo esso è casuale , ché, se così fosse , signifi che­ rebbe che il fondare di fondam ento non è secondo fondamento; la con­ traddizione sta nel fatto che il fondato risulta infondato. Ora, se il fondato è secondo fondamento, cioè è assolutamente controllato da questo, e se non è casuale e, tanto meno, necessario, segue che fonda­ m ento fonda libera mente non-fondamento, e sicco m e questo non deter­ mina alcuna novità rispetto a quello, ne deriva che fondamento fonda non-fondam ento dal nulla. L'atto di fondam ento che libera mente e asso­ lutamente fonda non-fondam ento, è l'atto creatore . Il fondamento, come si è detto, è autofondazione , cioè esso si fonda secondo sé, per cui il fondamento fondato non è diverso dal fondam ento fondante. Perché il fondamento sia secondo sé, è necessario che esso si conosca, altri menti sarebbe de terminato da una cieca necessi tà. Ora,

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l'essere cosciente di sé come ciò che è secondo sé, da parte del fonda­ mento, è ciò che si chiama autocoscienza assoluta. Se autocoscienza ha il significato appena visto, ed autofondazione vuol dire fondare sé secondo sé nell'atto stesso che il fonda mento è cosciente di sé, segue che per il fonda mento l'autocoscienza è la stessa autofondazione. Que­ sta assoluta circolarità di autocoscienza ed autofondazione è la persona; essa è il fondamento necessario che fonda ciò che non è il fonda mento. Dato che il fonda mento è l'essenza di sé medesi mo, e dato che l'essenza del fonda mento è la sua stessa esistenza, il fondamento è l'Ipsum esse subsistens. A questo punto si impone l'interrogativo che condurrà alla determina­ zione fondam entale (identità o alterità di fondamento e totalità): l'i m­ mediato si identifica col fondamento o col fondato? L'i m m ediato, assunto come fonda mento conoscitivo, è l'unità origina­ ria, è la verità originaria, è l'esperienza. Ora, essendo il dato (l'imme­ diato) diveniente (il divenire è attestato per lo meno dalla processualità del conoscere), esso non può essere il fondamento, perché il fondamen­ to, come si è visto, è atto puro e, in quanto tale, i m m obile . D'altra parte, se il divenire è l'im mediatezza stessa dell'esperienza, esso non può assolutam ente essere disgiunto dal dato, né può essere assolutizza­ to, ché si incorrerebbe in una contraddizione. Per di più l'assoluta circo­ larità di autocoscienza ed autofondazione è qualcosa di completamente estraneo al dato, difatti questo non ha alcuna coscienza di porre l'essere secondo sé, esso ha coscienza soltanto di essere atto i mpuro. Dalle considerazioni svolte - il dato è diveniente, non è circolarità di autoco­ scienza ed autofondazione, è atto impuro - si può concludere inequivo­ cabilmente che l'i m m ediato (il dato) non è il fondam ento. Se il dato non è il fondam ento, ma è presente, segue che il fondam ento non si identifica con la totali tà, ma che la totalità è l'insieme del fondamento e del non-fondamento (il dato).

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NOTE

l) C fr. G . BONTADINI, Studi di filosofia moderna, Brescia 1 96 6 (ripro­ pone quanto precedente mente pubblicato in Studi sulla filosofia de l­ l'e tà cartesiana, Brescia 1 947 e Indagini di struttura sul gnoseo logismo moderno , Brescia 1 9 5 2}; ID. , Studi sull'idealismo, Urbino 1952; ID. , Da ll'attua lismo a l proble maticismo, Brescia 1 9 5 0 ; ID. , Dal proble mati­ cismo alla metafisica , Milano 1 9 5 2 ; ID., La deviazione metafisica all'inizio de lla filosofia moderna, in Scritti in onore di Carlo Giacon, Padova 1 97 2 , pp. 3 6 5- 3 8 1 . 2 ) "Interpretazione della filosofia contemporanea ( e i mplicitam ente di quella m oderna e classica) la nostra, che ci riporta all'interpreta­ zione data dal Bontadini" (E. SEVERIN O , Note sul proble maticismo italiano, Brescia 1 9 5 0 , p. 9). 3) Jbid., p. 7 8. 4) lbid., p. 29.

5)lbid., p. 2 0 .

6 ) E. SEVERINO , Pe r un rinnovamento ne ll'interpretazione de l la filoso­ fia fichtiana, Brescia 1 960, pp. 7-8. 7) E. SEVERINO, Note sul proble maticismo italiano , cit. , pp. 1 4- 1 6 .

8) lbid. , p. 29. 9) E. SEVERINO, Note sulla filosofia di U. Spirito , "Rivista Rosmi­ niana", 1948, completato in Note sul proble maticis mo ita liano , cit . , pp. 2 9-6 1 . 1 0) Ibid. , p . 2 9 . 1 1 ) Jbid. ,

p.

34.

19

12) Ibid., p. 8 0 . 13) Ibid., p . 1 2 6 .

14) E. SEVERIN O , Heidegger e la metafisica, Brescia 1 9 5 0 , pp. 1 1 1 1 ; la citazione è a p. 9 8 . 15) Ibid., pp. 34-35 , nota

n.

l.

16) Ibid., pp. 1 7 9-2 5 0 , in particolare i parr. 4 2-4 5 .

1 7 ) Ibid., p . 3 5 5. 1 8) "Posso aggiungere, a proposito della filosofia del Gentile , che quel­ la 'purezza' di risultato è da scorgere, e forse con maggior profondità, nella filosofia di M. Heidegger" (E. SEVERIN O , Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, "Rivista Rosminiana", 44 ( 1 9 5 0), p. 2 8 2 in nota). 1 9) Cfr. le indicazioni della nota n. l, nonché, fondamentale dal punto di vista teoretico: G. BONTADINI, Saggio di una metafisica dell'espe­ rienza, Milano 1 9 3 8 . Si veda anche: I D . , La funzione metodologica dell'unità dell'esperienza, in Filosofi italiani contemporanei, Milano 1 9 46, pp. 1 5 9-1 9 3 , ora in G. B ONTADINI, Conversazioni di metafisica, Milano 1 9 7 1 , vol. I, pp. 39-69. 2 0) E. SEVERINO, Heidegger e la metafisica, cit . , pp. 1 9- 2 0 . 2 1 ) E. SEVERIN O , Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, cit . , pp. 2 8 1 - 2 . 2 2) Ibid., p. 2 8 2 . 23) C fr. E. RIONDATO, Dispense di filosofia teoretica, Padova , Anno Ace. 1 9 7 6-7 7 , par. 1 2 . 2 4) Per uno sviluppo ulteriore del proble ma dell' Atto cfr . : G . BONTA­ DINI, Sagg io di una metafisica dell'esperienza, cit., pp. 1 53-1 81 e I. MANCINI, 01tologia fondamentale, Brescia 1 958, pp. 85-1 03.

20 2 5) E. SEVERI N O , La struttura originaria, Milano 1 9 8 1 i I ediz. Brescia 1 9 5 8 , p. 1 1 4.

]

2 6 ) Ibid., pp. 1 1 4-5. Le espressioni riportate costituiscono il "giudizio originario", e cioè l'affermazione in cui si reali zza la struttura origina­ ria, nella cui esposi zione consiste il compito specifico di quella podero­ sa opera di ferrea struttura formale, che è La struttura originaria. 2 7 ) lbid., pp. 1 43-1 46. 28) Ibid., pp. 1 5 0-1 5 7 ; la citazione è a p. 1 5 3 . 2 9 ) Ibid., pp. 1 46 - 147, 1 6 6-1 7 1 . L o sviluppo adeguato del proble ma è operato da Severino al cap. XIII. 3 0) "L'i m m ediatezza, intesa come presenza i m m ediata dell'essere - i m mediatezza fenom enologica , è soltanto un ele m ento di quella strutturazione dei significati della i m m ediatezza, che costituisce la concreta valenza dell'im mediatezza", per c ui si può affermare che "ciò di cui si può affermare immediatam ente l'essere non è se m plice­ m ente la totalità dell'i m mediato feno menologico, ma è anche t utto quel positivo che si fa affermare i m m ediatamente, se condo tutti quegli altri sensi dell'i m mediatezza che si di fferenziano dall'immediatezza fenomenologica" (Jbid., p . 1 6 7 ) . -

3 1 ) Ibid., p. 2 3 6 . 3 2 ) Ibid., p. 2 3 5 . 3 3) Ibid., pp. 240-245 . 34) E. SEVERIN O, Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, cit . , p. 282. 3 5 ) "Ora , dato che non s i vede in che m odo s i può uscire dal pensie­ ro per andare ad attingere chi sa quale misteriosa realtà, dare la prova di tale i mpossibilità signifi chere bbe dimostrare una cosa già evidente , an zi , più precisamente , significherebbe dim ostrare la stessa eviden za . E con che cosa si dimostra l'eviden za se non con principi e verità evi-

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denti'? Ma questi allora com e si fonderebbero ? E così all'in fini to. Non si può e non si deve dim ostrare il teore ma dell'intrascendi bilità del pensiero per la se mpli ce ragione che sarebbe di mostrato col pensie­ ro stesso. Non ri mane allora che accettare tale teorema ed essere certi di essere al si curo, nel regno del pensiero che illum ina l'essere , e cioè stare si curi nell'essere che è e sse re vero e assolutam ente reale" (Note sul proble matic ismo ita liano, cit . , pp. 1 2 2-3).

3 6 ) E. SEVERIN O , La st ru t tura dell 'essere, "Rivista di filosofia neo­ scolasti ca", 42 ( 1 9 5 0 ), p. 3 9 5 . 3 7 ) E . SEVERIN O , Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, cit . , p. 2 8 4 . 3 8 ) Severino ri manda per questo rilievo a G . B O N TADIN I, Saggio di una metafisica dell'esperienza, cit . , IV, par . II, 2 1 (p. 2 1 5 dell'edizione citata).

39) E. SEVERIN O, Lineamenti d i una fenomenologia dell'atto, cit . , p. 2 8 4. 40) Si tenga presente che questo passare dell'essere dalla pura intelli­ gibilità alla sua attuale intellezione "non è presupposizione dell'essere al pensiero, ma è il se m pli ce passaggio che l'Atto m edesi m o fa dalla conoscenza form ale dell'essere - l'essere nella sua totalità indetermi­ natissi ma - alla conoscenza dei vari contenuti dell'essere" (lbid., p . 2 8 5). 41 ) Ibidem. 42) Per

un

approfondimento della materia cfr . G . BONTADIN I , Saggio

di una me tafisica de l l 'espe ri en z a , cit . , pp. 1 8 3-2 6 3 .

43) E. SEVERIN O , No te sul proble maticismo ita liano , c i t . , p . 9 6 . 44) lbid.' pp. 116-117 . 4 5 ) E. SEVERINO, La struttura originaria, I edi z. Br es ci a 1958 , p. 5 2 n ota n . 2 . Nella I I edizione (p. 1 7 2 ) è st a ta espunta l'espressione : "Sul concetto di inten zionali tà è già st ato de tto tutto nel migliore dei mo-

22

l d•n



4 6) E. SEVERINO, Note sul problematicismo italiano, cit . , pp. 9395. 47) E. SEVERINO, L'innatismo rosminiano, "Rivista di filosofia neo­ scolastica", 4 7 (1955), p. 459. 48) E. SEVERINO, "La costruzione logica del mondo" e il problema dell'intersoggettività, introd . a R. C ARN A P , La costruzione logica del mondo, trad . it., Milano 19 6 6, pp. 5-6. 49) E. SEVERIN O , Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, cit . , p . 281. 50) A proposito dell'attualismo e del proble ma metafisi ca, Severino

scrive : "L'attualismo, nella sua assolutizza zione della risoluzione del presupposto dualistico, si poneva com e risoluzione assoluta della tra­ scendenza . In realtà la trascendenza risolta era quella dell'essere al suo apparire nell'autocoscienza. Quello che noi oggi vediam o chiara­ mente, e cioè che il vero problema metafisi ca nasce sull'i m m anenza raggiunta dalla speculazione modema, non può essere altrettanto chia­ ramente percepito da chi si trova nel processo stesso di liberazione da quei presupposti (in questo caso l'assolutizzazione della risoluzione del presupposto dualistico, dichiarante l'identità tra Assoluto e auto­ coscienza)" (Note sul problematicismo italiano, cit . , p. 2 6). 51) E. SEVERIN O, Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, cit . , p . 282. Così ovviam ente anche e pri m a ancora i n Bontadini (cfr. le opere indicate alle note n. l e 19). 5 2) E. SEVERIN O, La struttura dell'essere, "Ri vista di filosofia neo­ scolastica", 42 (1 950), pp. 385-411.

CAPITOLO

II

NOTE SULLA STRUTTURA FORMALE DELL'ESSERE PRELIMINARI A "LA STRUTTURA ORIGINARIA"

La poderosa e complessa indagine contenuta ne La struttura originaria è presentata da Severino come l'ambito "in relazione al quale soltanto può essere determ inata la validità di un'affermazione qualsiasi: signifi­ cazione e fondazione autentica dell'atteggia mento teoreti cistico" . Se in essa nulla è presupposto, ben si comprende il "voto" del suo autore: "Si desidererebbe che la loro f di queste indagini l validità andasse ri­ cercata unicamente in esse" ( 1 ) . N ell'intento di prestar fede a questo criterio ermeneutico nelle pagine che seguono, il cui scopo è peraltro solo quello di un'elementare introduzione ai motivi più significativi dell'opera, non si fa riferi m ento ad altri saggi di Severino se non per soluzioni di stretta necessità (2).

l) La presenza dell'essere "L'essere che è i m mediatamente presente f . . . l è ciò che per essere affermato non richiede o non presuppone altro che la presenza di se stesso r . l . L'affermazione o posizione di esso è la stessa presenza, manife staz ione, attualità di tale essere f . . l . Se ciò per cui l'essere è noto è lo stesso essere che è noto, ch e l'e ssere sia è immediatamente noto o presente. Im m ediatezza fenomenologica" (3). Con queste parole con cui si apre il cap. Il su "L'i m m ediatezza dell'essere11, Severino indica i term ini essenziali del proble ma. L'essere e la presenza non sono sepa­ rati : la presenza è l' "è" dell'affermazione "l'essere è". E' i mportante non operare alcuna riduzione della presenza alla pura dim ensione gno­ seologi ca (4), ché , così facendo, ci si porterebbe in quella zona neutra nella quale sarebbe poi impossibile escludere la negazione dell'essere. La coscienza (il soggetto, ecc.) difatti rivendicherebbe allo stesso dirit­ to tanto l'afferm azione quanto la negazione che l'essere sia, finendo così nell'impossibilità di tener ferma l'una piuttosto che l'altra afferma­ zione. Il "ciò per cui" è noto che l'essere è deve invece essere in grado di escludere la negazione che l'essere sia, bisogna cioè che il fondamen­ to non sia soltanto in sè, ma sia posto, e quindi saputo. ..

.

24

Sin tanto che il fondamento non togli e la propria negazione, e cioè la lascia sussistere accanto a sé, non è autenti co fondamento. La sua autenticità sta nel rilevare che l'essere è "i m m ediatam ente" presente, e cioè che la sua affermazione non ha bisogno di di mostrazione alcuna, essendo il fonda mento della notizia (presenza, posizione) l'essere stesso che è noto. Ciò che va rilevato è che "l'im m ediatezza è fondam ento solo in quanto è svelata, o è posta come i m m ediatezza" (5). L'esclusione di qualsiasi mediazione o dimostrazione è insita nel concetto stesso di i m m ediatezza, che è però necessario sia visto nel suo valore, badando a non confondere la discorsività dell'espli citarsi dell'analisi , attraverso la quale il valore si rivela, con una forma di mediazione. In questo m odo resta originariamente tolto ogni regressus in indefinitum provocato dal ri mando generato dall'intelletto astratto nella richiesta del fonda­ m ento dell'immediatezza, dell'im mediatezza dell'i m m ediatezza, e così di seguito. Questo processo non può in realtà costituirsi sia perché "non solo è per sé noto che l'essere è, ma è anche per sé noto che l'essere che è noto è ciò per cui si afferm a che l'essere è" (6), sia per il fatto che la negazione dell'essere è la contraddizione simpliciter. Questo secondo tipo di toglim ento della negazione dell'imm ediato viene operato da Severino al cap. XII, dove, sulla base dei risultati precedentemente acquisiti a proposito dell'incontraddittorietà dell'essere (cap. III) e del­ l'appartenenza del semantema infinito ad ogni significato (cap. X) ( 7 ) , egli deduce l'analiticità della proposizione " L a totalità dell'essere P­ i m mediato è". L'i m mediatezza fenomenologica è il togli m ento originario della do­ manda sulla presenza (l'esserci) dell'essere. La negazione di quella pre­ senza dà infatti luogo ad una proposizione autocontraddittoria, perché la negazione dell'essere, per costituirsi in quanto negazione, deve affer­ mare in actu exercito ciò che nega in actu signato. Severino approfondisce ulteriormente la contraddittorietà intrinseca della negazione della presenza dell'essere attraverso la determ inazione concreta della struttura logica dell'autocontraddittorietà di quella ne­ gazione. La soluzione completa e definitiva della difficoltà ri manda ad uno sviluppo ulteriore che sarà preso in considerazione più avanti (8). 2) L'incontraddittorietà

La negazione della presenza dell'essere, come si è visto, viene tolta da Severino prima "di fatto" e poi "di diritto". Questo secondo momento presuppone il toglimento logico della negazione dell'essere, ossia l'ap-

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partenenza originaria dell'incontraddittorietà alla posizione dell'essere. Severino svolge l'analisi dell'i m m ediatezza dell'incontraddittorietà nel cap. III e ne risolve l'aporetica fondamentale - l'essere del nulla - nel capitolo successivo. Sicché si può dire che l'incontraddittorietà è intro­ dotta nel cap. III come il corrispondente della posi zione dell'essere nel secondo. Anche l'incontraddittorietà gode dell'i m m ediatezza, fermo restando che questa è i m mediatezza logica, m entre quella della posizio­ ne dell'essere è i m m ediatezza fenomenologi ca. Ma l'incontraddittorietà, introdotta secondo la seguente form ula (o una corrispondente) del prin­ cipio di non contraddizione : "L'essere non è non essere", sin tanto che si li mita ad affermare che l'essere non è non essere, "non è in grado di escludere la negazione corrispondente" ( 9 ) . L'oltrepassamento d i questa struttura logica è l a posizione della fon­ datezza dell'affermazione o della negazione : tertium non datur. Ora, l'incontraddittorietà dell'essere va tenuta ferma per la ragione che già sosteneva Aristotele , per il fatto cioè che la sua negazione riesce a costituirsi sÒ ltanto affermandola. Ma prim a di procedere alla verifica del toglimento della contraddittorietà dell'essere, è bene seguire bre­ vemente Severino nella determ inazione dei principi di identità e di non contraddizione. La sua tesi in proposito è che detti principi costitui­ scono, in quanto mantenuti distinti , i mom enti astratti della concretez­ za del principio; sì che resta escluso che l'uno sia m ediato dall'altro, e resta invece posta l'identità (o non contraddizione) concreta tra l'iden­ tità e la non contraddizione. Espri mendo l'identità in questo modo: "L'essere è essere", ci si i m batte in una complessa situazione teoretica che non può venire risolta attraverso la se mplice identificazione dell'es­ sere come soggetto e dell'essere come predicato, perché se l'essere come soggetto e l'essere come predicato sono presupposti all'identifica­ zione, l'uno non è l'altro. Affinché l'identità sia veramente tale bisogna cioè che essa sia assoluta. Ciò che Severino intende mostrare è che il soggetto e il predi cato della proposizione "L'essere è essere" esprim o­ no l'identità concreta dell'essere solo allorché l'identità è concepita in questi termini: "Identità dell'essere, che è già esso identità di sé con sé, con l'essere che, daccapo, è già esso questa identità" (lO). Indi­ cando con E' l'essere come momento noetico del soggetto, e con E" l'essere come momento noetico del predicato, si ottiene l'identità a­ stratta E ' = E" e la reciproca E" = E '. La posizione concreta dell'identità è dat a allora da: (E' = E") = (E" = E '). Si tratta sempre dell'identità di una rlifferenza, ma, scrive Severino, "la differenza - l'unica differenza - immanente all'identità è la stessa differenza tra il mom ento astratto

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e l'intero" (1 1 ) , non quindi tra l'essere e l'essere. Ora, se si applicano le stesse considerazioni al principio di non con­ traddizione, ne viene che, indicando l'essere con E, il non essere con nE e il non esser non essere con nnE, il significato concreto del principio è espresso da: (E = nnE) = (nnE = E), ovvero dalla for mulazione : "L'esse­ re che non è non essere non è non essere" ( 1 2 ). M a come si è più sopra detto la stessa identità {I) e la stessa non con­ traddizione (nC) costituiscono i momenti astratti della concretezza del principio, cioè a dire dell'identità-non contraddi zione concreta. Sicché anche a proposi to di essi si debbono ripetere le medesi me consi­ derazioni. Applicandole si ottiene l'assoluta concretezza del principio, e cioè: (I = nC) = (nC = J). Il principio supre mo, concretamente espresso, è dunque: "Dire che l'essere è l'essere, è lo stesso che dire che l'essere non è non essere" ( 1 3 ). La fondatezza di quanto si è svolto, ossia l'incontrovertibilità della posizione incontraddittoria dell'essere , sta nella sua capacità di togliere la propria negazione . Ora, se il nulla è essenzi ale alla se mantizzazione dell'essere ( 1 4), e cioè, se porre l'essere significa escludere che esso sia il nulla, il nulla è posto, e pertanto è. In questo modo si genera però quella aporia che era già stata prospettata con chiarezza da Platone nel Sofista: l'essere del non essere; donde il principio di non contraddi­ zione, che pone l'i mpossibilità che il nulla sia, viene esplicitamente negato. Si è qui di fronte ad una delle situazioni aporetiche più complesse ; in ogni caso restano preli minar mente escluse sia la soluzione che pre­ tenderebbe di non porre assolutamente il nulla , per la già detta apparte­ nenza del significato nulla al significato essere ( 1 5 ) , sia l'affermazione che il non essere è, ma come non essere. In quest'ultimo caso infatti non si fa che esplicitare ulteriormente l'aporia, giacché per quel tanto che il non essere è, esso è pur sempre qualcosa, e quindi non si può dire che sia come non essere. Il nulla a cui si fa riferi mento è l'assolutamen­ te altro dall'essere, non da un certo essere, ma dall'essere simpliciter: si differenzia dall'essere proprio per il fatto di non essere. Il significare che in quanto tale è un positivo, contraddice il contenuto deter minato, che pretende di valere come assoluta negatività, donde l'autocontraddit­ torietà del significato nulla. Sicché, di cendo che il nulla è, non si viene a dire che il nulla significa essere, ma che il signifi cato incontradditto­ rio del nulla (il nulla come l'assoluta m ente negativo) è positivamente significante. Ora, il principio di non contraddizione non viene negato dal concetto autocontraddittorio del nulla, anzi può costituirsi solo

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in forza di esso. Se infatti il nulla non fosse positivamente significu1 1 te , se non valesse cioè com e signi ficato autocontraddittorio ma solo come significato incontraddi ttorio, il principio di non contraddizione che esclude appunto che l'essere sia il nulla, non avrebbe un termine su cui eserci tarsi . Col che non si viene a dire che la negazione del principio di non contraddizione sia la condizione del suo stesso costituirsi , ma soltanto che la costituzione del principio di non contraddizione esige il campo se mantico del nulla come significato autocontraddittorio. Il nulla così inteso, come significato autocontraddittorio, è concreta­ mente concepito, ma se i due momenti che ne costituiscono l'autocon­ traddittorietà sono intesi come irrelati l'uno all'altro, si origina l'aporia di cui si è detto. Il risolvimento dell'aporia è dato in sostanza dal con­ cetto concreto dell'autocontraddittorietà del nulla. Ché se poi si pre­ tende di tenerne fermo solo il momento incontraddittorio, implicita­ mente, parlandone, se ne manifesta pure l'altro momento, il positivo significare. Sicché si può dire che la riprova del concetto autocontrad­ dittorio del nulla è data dallo stesso presentarsi del discorso aporetico. 3)

La

sintassi originaria

Quanto si è fin qui detto introduce espressamente allo studio dei rap­ porti tra i vari significati. Severino procede dalla posizione dello Hegel, del quale conferma l'affermazione che ogni giudizio non tautologico è una contraddizione, nel caso sia astrattam ente considerato. E riflet­ tendo sul procedi mento condotto nel paragrafo precedente a proposito dei principi di identità e non contraddizione , si può dire che il pri mo passo della sintassi originaria è appunto l'identità di ogni giudizio non contraddi ttorio. Per poter affermare che ad un soggetto conviene un certo predicato, è necessario che soggetto e predicato non siano presup­ posti al giudizio, altri m enti si incorre inevitabilmente nell'aporia di un termine, il soggetto, che è posto come identico a ciò che è altro da sé (il predicato). Dato il significato dy, esso può essere predi cato di dx, solo valendo esso stesso già come la sintesi tra dy e dx, e vicever­ sa. Sicché il significato concreto del giudizio "dx è dy" è : (dx = dy) = (dy = dx), dove è eviden te che il campo se mantico del soggetto è posto come già inclusivo del predicato e vi ceversa . L'assunzione astratta dei term in i , che è la responsabile del generarsi dell'aporia pe r cui il diverso è posto come identi co, per la presupposi zione dei term ini alla loro sintesi , non è in fondo altro che l'equivocare la successione discor­ siva per una successione logica. Ma la predicazione è corretta, e dunque il giudizio non è apore tico, nella misura in cui dx e dy non sono nstrat-

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tam ente considerati come distinti, m a concretamente concepiti come un'unica apofansi , che è appunto ciò che vale pe r se com e identità, m entre dx e dy, quali suoi momenti, sono identici solo pe r acc idens. L'analisi della struttura dei giudi zi , o signi ficati complessi , svolta da Severino, conduce alla conclusione che le stesse proposi zioni sinteti­ che sono identiche; sic ché la loro non contraddittorietà va mostrata rilevandone l'identità e non in altri modi . La pre messa di fondo di questa sintassi originaria, l'afferma zione cioè che ogni giudi zio non contraddit­ torio è un gi udizio identico, comporta che la distin zione tra proposi zioni analitiche e sintetiche sia interna alle proposi zioni identi che . E preci­ samente : analitiche sono le proposizioni identiche la cui negazione ap­ pare im m ediatam ente come autocontraddittoria, sintetiche le proposi­ zioni la cui negazione non appare inve ce come im m ediatam ente auto­ contraddittoria. Quanto si è finora visto, nel paragrafo precedente a proposito dei principi di identità e non contraddizione e qui più in generale a proposi­ to di ogni significato com plesso, vale ovviamente anche in rapporto ai giudi zi esistenziali. Di modo che per dire di un certo significato che esiste , per dire cioè , ad esempio, che "dx è", bisogna che dx sia visto come ciò che è già inclusivo dell' "è" ( e: ), e viceversa , ossia è necessario che il gi udizio sia concretam ente concepito com e: (dx = e: ) = ( e: = dx). Ma la considerazione speculativamente rilevante indicata da Severino è che ogni giudizio ha valore esisten ziale . Questo significa che "dx è dy" include necessariam ente che "dx è" e "dy è", ovvero non vi è distin­ zione tra il campo semantico dell'apofansi e quello dell'essere dell'apo­ fansi. Lo stesso giudizio negativo non è che la nega zione di un modo di essere dell'apofansi ( 1 6 ) . L a determinazione ulteriore delle proposi zioni esisten ziali , determ i­ nando l'appartenenza logica mente i m m ediata del significato essere ad ogni signifi cato, com porta che ogni giudi zio esisten ziale sia anali tico ma non identico . Con questo, per nulla contravvenendo all'afferma zione fatta poc'anzi per cui ogni giudi zio incontraddittorio è identi co, - sulla base della quale afferm a zione , indi cando con x un qualsi asi contenuto se mantico e con e: l'essere corrispondente, il gi udi zio esisten ziale cor­ retto assume la forma (x = e: ) = ( e: = x) -, Severino mostra che le propo­ si zioni esistenziali sono analitiche ma non identi che in tutti i casi m eno uno, quello in cui il contenuto se manti co considerato (x) valga come lo stesso essere formale , quello cioè in cui " x è" valga come "l'essere è", dove il soggetto sia inteso co me lo stesso predi cato ( e: ) , ovvero si abbia " e: = e: " ( 1 7 ) . Ma le considera zioni svolte pre cedentemente

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most rano in modo inequi vocabile l'astratte zza di una si mile posi zione, giacché l'identità e la non contraddi zione del giudi zio si ott iene solo allorché la sintesi originaria di soggetto e predicato viene pensa ta co­ m e : (soggetto = predicato) = (predi cato = soggetto). Approfondi menti di notevole interesse di quella che si è qui chiama ta la sintassi originaria, sono svolti da Severino nel cap. VII, in cui , anali z­ zando l'i m m ediatezza e la mediazione logiche, egli viene a distinguere nella totalità dell'i mmediato le i m plica zioni logi camente i m m ediate, e cioè analitiche , dalle im pli cazioni fenom enologi camente i m mediate, e cioè sintetiche a posteriori . Prendendo come paradigm a di queste ultime la proposi zione: "La posi zione di Y è i m plicante la posi zione di Z", dove , dal punto di vista logicamente i m m ediato, non appare logi­ ca mente contraddittorio né che Y non i m plichi Z, né che Y i m plichi Z, si può progettare che l'i mplicazione o la non i m pli cazione posta di fatto tra Y e Z sia tale che risulti autocontraddittorio nell'un caso che Y sia posto senza che lo sia anche Z, e nell'altro caso che Y sia posto, seppure in un momento ulteriore , insieme a Z . E' cioè possibile modifi­ care il paradigma delle proposi zioni sintetiche a posteriori nel seguente : "La posizione di Y i m plica necessariamente la posi zione di Z", o "La (progettata) posizione di Y implica necessariamente la non posi zione di Z"; dove ciò che va rilevato è che la necessità non è data dalla non posi zione di Z o dalla posizione di Z, ché se così fosse la proposizione assunta in origine non sarebbe sintetica a posteriori ma analitica , m a è data dal prodursi d i un'autocontraddizione che è altro dai termini assunti, ovvero dal prodursi dell'autocontraddizione m e m'. Il risultato della trasformazione del paradigma delle proposi zioni sintetiche a po­ steriori , includendo in esso la necessi tà, che però com e si è visto è ac­ certata in modo di verso che nelle proposizioni analitiche , dà luogo ad un altro tipo di proposi zioni , risultato appunto di un 'elabora zione logica delle sintetiche a posteriori , chiamate sinteti che a priori, le quali val­ gono come progetti, "il progetto di un piano mediaziona le in cui le de­ termina zioni dell'i mm ediato si i m plichino in modo necessario" ( 1 8). Dire che "A è B" è una proposi zione sintetica a priori signi fica quindi rilevare l'appartenenza necessaria di B ad A, ma nello stesso tempo significa sostenere che questa appartenen za ne cessaria non è rilevabile in base alla se m plice analisi di A , ma è il risultato di una m edia zione . In altre parole soltanto sulla base di un termine m edio ( M ) è possi bile sostenere quella convenienza essen ziale espressa dalla proposi zione . Si ha dun que un passaggio dall'i mm ediatezza logi ca alla mediazione logic a .

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4 ) La dialettica Tra le determ ina zioni della sintassi or1gmaria un rili evo parti colare assu m e la dialettica . Essa infatti è coinvolta nella posi zione di ogni si gnificato. Per espri m e rne in sintesi il principio e ssen ziale , Se verino scrive : " Se a

un

signi fi cato

( = un positivo) conviene nece ssariam ente

un predi cato, e se tale signi ficato appare sen za che questo predicato appaia, allora ciò che in effetti appare

è

un si gnificato

dtverso

dal signi­

ficato considerato - diverso , di ciam o, non se m pli c e m ente perché pri ma il significato appare col predi cato e poi appare solo , m a perché è diver­ so dal signifi cato stesso in quanto distinto dal predicato che ne cessaria­ mente gli conviene , sì che que sto distinto, in quanto rela zionato al pre­ dicato, è esso, co m e tale , diverso dal signifi cato che appare solo e che pertanto non è più soltanto un 'distinto', ma un 'separato' dal predi cato" .

E

cioè: "L'apparire della parte sen za l'apparire del t utto è una

sione o manifestazione astratta da ll'astratto" ( 1 9 ) .

compren­

Allo sviluppo di questa tesi Severino h a dedicato a m pio spa zio ne

La struttura originaria: nel cap. X m ostrando in concreto l'in clusione dell'intero semanti co nella posi zione di ogni si gnificato, e nel cap . IX approfondendo il proce sso dialettico attraverso l'analisi del sistema delle negazi oni. Si tratta ora di seguire questo secondo tipo di conside­ razioni . Alla luce di quanto si è detto sopra e nei paragrafi precedenti può ormai essere assunta la distin zione tra l'astratto e il con creto com e la differenza tra una certa posi zione d i un contenuto se mantico e una cert'altra, ovvero come la spe cifica determ inazione della forma del contenuto considerato. L 'assunzione astratta di ogni singolo m o m ento della totalità è un con cetto astratto dell'astratto, il quale è tolto, ossia ridotto al concetto concreto dell'astratto, nella m isura in cui l'astratto è posto come tale , essendo il concreto la posi zione dello stesso intero se mantico. Ora , se ogni concetto astratto dell'astratto è nega zi one del fondam ento (del concreto) , nega zion e espli cita nel caso in cui il concreto sia posto com e negato, nega zione i m plicita se invece il con­ creto non è posto come tolt o, ma è posto solo un m o m ento di e sso e non · ciò che lo e c cede , e se il fondam ento è tale nella m isura in cui toglie le proprie negazion i , ne viene che il fonda m ento è una com ples­ sità se mantica della quale sono parte essen ziale le sue stesse negazioni . Svolgendo pe r conto proprio quanto intui t o da Hegel in proposito, Se ve­ rino mostra l'a ppartenen za necessaria e lo gi ca m ente i m m ediata del contrario di una certa determ ina zione a quella stessa determ i n azione , os sia sost iene che "è immediata mente autocontraddittorio a ffer m are

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che una determinazione sia posta come tale qualora il suo con trario non sia posto" ( 2 0 ) . Dati due contrari (Z e K ) , e d essendo la negazione la posi zione di qualcosa come tolto, l'uno è ne cessariam ente e i m mediata mente incluso nell'altro come tolto; si cché ognuno dei due contrari , nel suo si gnificato con creto (sintesi di materia e form a), è costituito da un lato dal "togli­ mento" (materia) dell'altro contrario (rispettivamente nK e n Z), e dal­ l'altro lato dalla "determ inazione" (form a) di quel togli mento (rispetti­ va mente z e k), determ inazione che è appunto ciò che consente loro di opporsi come negazioni determ inate. L'i m pli cazione tra la materia e la forma, e dun que la loro distin zione ma non separa zione, è ciò che vale come ne cessi tà logicamente im mediata ; ossia l'im m ediatezza logi­ ca è tra l'im pli cazione della forma (z o k ) e della m ateria (nK o nZ) di ogni contrario ( Z e K). Utili z zando i si mboli indicati, le proposi zioni logi ca mente i m m ediate sono: "z è nK" , e ''k è nZ". L'i mpli ca zione dei contrari , tra Z e K, è posta quindi sulla base dell'im plica zione tra la forma (z e k) e la materia (nK e nZ) di ciascuno di essi ; sulla base del fatto cioè che , rispettiva m ente , la form a di Z, ossia z, i m pli ca la mate­ ria di Z, cioè nK, sì che Z i m plica Z come tolto, e la form a di K, k, i m plica la materia di K, ossia nZ, sì che K i m plica Z come tolto. Ora, se un significato è posto in quanto è i m mediatamente posta l'i m­ plicazione tra forma e materia, l'assun zione astratta della forma (ri­ spettivamente di z e di k com e non-z e non-Id , ossia della forma com e non implicante la materia , genera una contraddi zione il cui i m m ediato toglim ento è costituito da tre momenti : l) momento dell'intelletto a­ stratto (la forma è astrattam ente con cepita come non i m pli cante la materia); 2) momento dialettico, o negativo razionale (la posi zione astratta della forma si contraddice e si reali zza come posi zione della non forma); 3) momento spe culativo , o positivo ra zionale (la contraddi­ zione è tolta intendendo la form a come necessariamente i m pli cante la materia). La term inologia hegeliana è appositam ente adottata da Severino per indicare la convergenza, ma pure la di vergenza, con il concetto che della dialettica ebbe lo Hegel. Anzitutto quello che per lo Hegel è una mediazione , per Severino è un'i m m ediate z za logi ca , poi tra le possibili determ inazioni del contraddittorio di z , Hegel ne sceglie arbitrariamente una tralasciando le altre , infine quanto Hegel attribuisce al momento dialetti co va riferito allo spe culativo ( 2 1) . L o sviluppo dialettico, che s i è f i n qui considerato i n rapporto all'im­ pli cazione del contrario di una certa determ inazione , si costit uisce in realtà in rela zione ad ogni i m plica zione necessaria , logi ca mente

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i m m ediata o mediata . Si cché , in relazione alla

già

menzionata inclusio­

ne dell'intero se mantico in ogni si gnifi cato, si dovrà di re che "la con­ traddi zione dialettica si produce non solo in quanto si con cepisca un si gnifi cato come non i m pli cante il suo contrario come tolto , ma anche in quanto si concepisca un significato com e non i m plicante l'ori zzonte del suo contraddittorio co m e tolto (e quindi ognuno dei term ini che appartengono a questo tolto ori zzonte)"

( 22).

5) L'intero La con clusione dell'arti colato sviluppo del processo diale ttico è la posi zione dell'intero. Se la parte non vista nella sua ori ginaria ed essen­ ziale rela zione al tutto è una m anifestazione astratta dell'astratto, il concreto, il supera m ento della con traddi zione , è la posi zione della totali tà. L'intero semanti co è posto in ogni signifi cato, vale com e co­ stante di ogni si gnificato. D 'altro canto però l'intero oltrepassa la tota­ lità dell'esperienza: l'intero è form almente presente , m a quanto al suo contenuto esso non è adeguato dalla totalità dell'i m m ediato fenom eno­ logico

(2 3).

Di fatto l'essere si ri vela processualmente , non dun que nella

sua con creta totalità ( 2 4) . Ma se la mani festazione dell'intero è soltanto formale , e dun que è apert ura della contraddi zione, è con ciò stesso posto - conclude Severino - il compito originario: "Il compito - ciò che si deve portare a com pi m ento

-

è

la manifestazione dell'i m m utabile " .

D e l quale , i m m ediatamente dopo , ri chia m andosi a F i chte , suggerisce : " N on si do vrà forse dire che si tratta di un com pito infinito

•. •

?" (2 5).

33

NOTE l) E. SEVERIN O, La struttura originaria , II edi z . , Adelphi , M ilano 1 9 8 1 , p. 1 0 5 .

2 ) P e r un'analisi precisa ed approfondita d e La struttura originaria cfr.: L. M ESSIN ESE, Esse re e divenire ne l pensiero di E. Severino , Roma 1 9 8 5 . 3) L a struttura originaria , cit . , p. 1 4 3 . 4) E ' quanto pare invece fare A . B O C C A N E G R A nella nota Tratti oscu­ ri ne l "Sentiero de l Giorno ", "Sapienza", 2 0 (1 9 6 7 ) , pp. 5 04-5 1 0 . 5 ) La struttura originaria , ci t., p . 1 4 7 . 6) lbid. , p . 1 5 3 .

7 ) Cfr. C . SCILIRONI, Necessità de l significato e destino de l linguag­ gio in E. Seve rino , "Sapienza", 3 7 (1 984), p. 4 1 8 . 8) Tra le ulti m e battute del cap. XII Severino scrive : "Il risolvimento (originario) dell'aporetica è la stessa concreta posizione, sin qui solo preannunciata, della L-i m m ediatezza dell'afferm azione che l'essere oltrepassa in senso forte la totalità dell'essere P-i m m ediato" (p. 5 1 0). 9 ) Jbid. , p. 1 7 4. l O ) Jbid. , p. 1 8 1 ss.

1 1 ) Jbid. , p. 1 8 9 . 1 2 ) lbid., p. 1 9 3 . 1 3 ) Ibide m.

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14) Cfr. C. SCILIRONI, Coerenza sintattica e insignificanza se mantica ne l pensie ro di Emanue le Severino , "Verifiche" , 9 ( 1 9 8 0) , pp. 2 6 2-2 6 5 . 1 5 ) A questo proposito Severino cita i n nota S . Tom m aso: "Nec aliquid potest mente concipi nisi intelligatur ens" (In duodecim lib. met. A rist. expositio , 6 0 5 ; citato da Severino a p. 2 1 1 ) . 1 6) L a struttura originaria , cit. , pp. 2 6 7-2 7 9 . 1 7) Cfr. a questo proposi to le osservazioni critiche di G . R . B A C C HIN , I fonda menti de l la filosofia de l linguaggio , Assisi 1 9 6 5 , p. 3 1 in nota. 1 8) La struttura originaria , cit. , p. 2 8 8 ss . ; la citazione è a p. 3 0 1 . 1 9) E . SEVERIN O , Essenza de l nichilismo , II e d . , Adelphi , Milano 1 9 8 2 , pp. 1 0 1 -1 0 2 . 2 0 ) La struttura originaria , cit . , p . 3 7 2 . 2 1 ) Ibid. , pp. 3 7 1 -3 9 2 . 2 2 ) Ibid. , p . 3 9 8 . 2 3 ) Ibid. , p. 4 1 2 s s . . 2 4) E ' questo il tema della differenza ontologica. Cfr. parte II, cap. III, par. l del presente volume. 2 5) La struttura originaria , cit . , p. 5 5 5 .

P A R T E

SECO N D A

DESTIN O E STORIA

CAPITOLO

I

NEOCLASSICISM O E SERIETA' DELLA STORIA

E' bene anti cipare subi to che il proble ma della storia non occupa molto spazio nei pri m i scritti di Severino: vi è espressamente dedicata solo una comuni cazione ad un convegno. N on per questo però l'argo­ mento è marginale nel contesto della sua produzione. La ragione sta piuttosto nel fatto che egli ha profuso ogni sua energia nell'analisi teoreti ca. Ma proprio perché questa implica se mpre una rilevanza stori ca si può parlare con tranquillità anche a proposito dei suoi scritti di un "detto" e di un "non detto", dove il pri mo sta per il rilievo ontologico e il secondo per quello storico. In queste pagine tuttavia ci si li m ita alle afferm azioni esplicite di Severino, vedendo anzitutto come egli ha letto il problem a della storia in Heidegger, quindi le sue pri me riflessioni teoriche, e da ultimo quelle contenute negli studi maggiori che precedono Ritornare a Parmenide . Ne e merge , come esito di questa pri ma stagione del pensiero severm1ano, il riconoscimento di uno spazio per la storia. E questo anche là dove , soprattutto ne La struttura o riginaria e negli Studi di filosofia de lla prassi, sono già presenti ormai tutti gli ele menti che determ inano il passaggio alla fase neoparmenidea.

l)

La storia

in Heidegger

E' noto il costante interesse dedicato da Severino a Heidegger ( 1 ) . Nel grande filosofo tedesco egli non poteva non incontrare le analisi relative alla storicità e al tempo, e valorizzarle secondo quanto dovuto ( 2 ) . Non va però di menti cato che l'attenzione prestata da Severino a Heidegger, al meno nello studio sistematico che gli ha dedicato, è volta alla di mostrazione della tesi secondo la quale il filosofo tedesco si porrebbe come mom ento costruttivo ed essenziale della metafisica classica. Si ricorda questo perché anche le considerazioni relative alla storia risentono di quell'impianto metodologico. In He idegge r e la me tafisica il tempo e la stori cità sono affrontati nella terza parte, dedicata alla enucleazione del "senso delPessere del Dase in" . Ad una considerazione adeguata che non equivochi tra il signi ficato

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di storia come Geschicht lichke it e di storia come H istorie , appare che il pri mo senso, quello di storicità, è attribuibile solo al Dase in, di cui costituisce l'approfondi mento defini tivo e la denuncia della radicale contingenza. Se il senso del Dasein si manifesta nella temporalità, la cui struttura essenziale è ridata dalla de cisione anticipatri ce, la quale permette al Dase in di avere un destino, e se questo destino a sua volta consiste nello storicizzarsi del Dase in, ne vìene che è una necessità per il Dase in l'esistere storicamente. D'altro canto al concetto di storicità autentico, che ri manda al fondam ento della te mporali tà, fa riscontro un modo inautentico, dato dalla di menticanza del passato del Dase in. Ma ciò che conta dal punto di vista dell'indagine condotta da Severino, è il passaggio dal da t o diveniente alle condizioni che ne rendono possibile il divenire. In questa linea appare che per Heidegger non è la te mporalità a basarsi sull'esistenza storica del Dase in , ma è l'esistenza storica ad essere possibile soltanto sulla base della temporalità, sicché "il rapporto tra storicità e temporalità può essere considerato com e un rapporto di fondaz ione anto logica dell'effettivo esistere stori co da parte della temporalità" (3). Il ri mando a questa è il ri mando al senso della cura, e quindi al tempo come senso. dell'essere del Desein. Allo stesso modo della cura nell'analitica il tempo viene ad essere l'unità di esistenzialità, effettività e deiezione, e cioè l'unità della molteplicità strutturale della cura. Nella rielaborazione dell a trattazione kantiana del tempo Heidegger ha chiarito le condi zioni antologiche dell'apprensione, della riproduzione e della ricognizione empiriche attraverso i corrispettivi term ini trascendentali ; ora, il" senso temporale di questi ultimi li pone rispettivamente come l'e cstasi del presente , del passato, del futuro. Ma ciò che mette conto osservare è che il te mpo non è un ente (4): "Il tempo, come unità ecstatica , è tutto nel suo temporalizzarsi". D'altro canto, se il te mpo è il senso della cura, esso , temporali zzandosi , investe la molteplicità delle strutture della cura. I m m ancabil mente allora la comprensione è il te m poralizzarsi secondo l'ecstasi del futuro, il senti mento originario secondo l'e cstasi del passato, la deiezione secondo l'ecstasi del presente. E 1'. unità delle varie ecstasi è l'orizzonte della trascendenza, l'ori zzonte ecstatico che è lo stesso tem poralizzarsi della temporalità, e cioè il "m ondo" nella sua purezza trascendentale . In definitiva , dice Severino, "la temporalità non è altro che il pensiero nella sua i m m anenza al reale e nella sua trascendentalità a questo. Il tempo è l'umano pensiero,

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nella sua finitezza, nella sua non potenza s ul manifestato, nella sua radi cale contingenza e quindi nella sua nullità. Il tempo è lo stesso ori zzonte entro cui la metafisica potrà raggiungere i suoi decisivi risultati . Il tempo è lo stesso divenire del pensiero che , com e essenziale riferimento all'ente, è l'essen ziale essere fuori di sé : essen­ z iale ecstaticità" ( 5 ) . 2) Storia e metafisica Nella com uni ca zione presentata all'VIII Convegno di studi filosofici cristiani, Severino opera un'interessante deduzione speculativa del proble ma della storia. L'indi ca zione provvisoria del progetto è desunta dalla coscienza religiosa . Accertato che si tratta di un sistem a , e cioè di una strutturale complessità in cui il risultato non è altro che il prin­ cipio, un circolo quindi nel quale , posta la storia come termine della deduzione, storico dev'essere pure l'inizio, il fenom enologico, ne viene che il progetto è essen zialmente l'accertamento di una m ediazione , la quale toglie la contraddi zione altri menti presente tra principio e risultato del dedurre . Il termine "esperienza" può essere opportunamente introdotto per indicare la storia nel suo carattere di assoluta m ediazion e , ossia di risultato del dedurre. Senza com unque anticipare le conclusioni della verifica del progetto, è opportuno seguirne in concreto l'elaborazione . I momenti fondamentali in cui esso va posto, sono: a) fenom enologia, b) la metafisica (generale e spe ciale ), c) l'antropologia filosofica , d) la m orale . Prendendo in considerazione il primo momento della seri e , appare che l a "storia è i l succedersi d i e venti più o m eno sovrapposti che procedono dal nulla e si estinguono nel nulla . N on solo , ma la successione non è continua , si interrompe". Sicché, sotto il profilo fenom enologi co, "la storia è la m ia storia. Tutto ciò che non è la mia storia è una storia possibile" (6). Qui ovviam ente non esiste distin zione tra storia pubbli ca e storia privata, così come sen za senso è tanto la ricerca di un'organicità dello sviluppo storico quanto di un suo significato. Questi spazi restano per la fenomenologia delle pure possi bilità, quindi il progetto, che in essa resta radicalmente insoddisfatto, esige d'essere verifi cato nel mom ento successivo . Severino osserva preli minarmente che la posi zione del momento meta fisi ca è all'origine del circolo sistematico, ovverossia ciò che nel m omento fenom enologico era un puro in sé , ora si m edia uscendo da sé per poi ritornare e farsi per sé. La m ediazione metafisica viene a fondare il fenomenologi co (e così lo pone come autenticamente in-

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fondato) , attribuendo alla successione degli eventi una spe cifica orga­ nicità con significazione determ inata . D alla storia vengono escluse sia l'i mprevedibilità sia l'irrazionali tà, e quindi in primo luogo l'origina­ rietà del nulla , e secondariamente l'identità tra l'essere e l'atto di pensiero . Resta però sem pre fermo che la storia è la "m ia" storia, giacché il superamento di questa posi zione ne cessita della dimostrazio­ ne della molteplicità dei soggetti, la quale può essere svolta soltanto dopo l'elaborazione della dottrina dell'Assoluto, supponendo essa la dimostrazione del fondamento ontico (indipendenza dell'essere dal pensiero) che di quella è parte . In sostan za nel momento metafisi ca "si può dire soltanto che esisto io, Dio e il mondo , e quindi il concetto posto di storia è ancora ben lontano dal soddisfare il progetto" ( 7 ) . L a storia dell'uomo è ancora "angosciata", perché e gli è solo con Dio, e Dio non ha storia. Né può essere posta la distinzione tra storia pub­ blica e storia privata. A questo punto la prosecuzione rigorosa dell'indagine esigerebbe la dimostrazione dell'esistenza degli altri - della m olteplicità dei sog­ getti -, m a data l'importanza e la complessità dell'argomento si prefe­ risce rimandarne la trattazione al prossi m o paragrafo, e continuare direttam ente la verifica del progetto, supponendo già svolta quella dimostrazione . Il momento metafisica ha confermato il progetto posto, m a , proprio per i suoi limiti di considera zione relativa alla struttura generale , esige conferme ulteriori . Queste vengono offerte, secondo Severino, dai due momenti successivi: l'antropologia filosofi ca che dal canto suo specifica il senso dell'Assoluto com e fine (già guadagnato dalla m etafisica) in rapporto all'uomo, giungendo, col suo risultato fonda­ mentale , a determinarne l'i m m ortalità del principio spirituale ; e l'etica che invece stabilisce le condizioni del raggiungi m ento dell'Assoluto come fine . E con questo il progetto ispirato dalla coscienza religiosa viene definitivamente confermato nella sua estensione oltre la dim en­ sione della temporalità e m pirica (momento antropologico), e chiarito nelle sue connotazioni essenziali . "Tener conto della struttura essen­ ziale della storia vuol dire tener conto della essenziale relazionalità della storia: storia è stare in relazione a m e e al mondo, a Dio e agli altri , al sopravvivere . Il tener conto della relazione non è indifferente per l'uom o, ma anzi determ ina definitivam ente la stessa relazione. Ma la relazione è la storia stessa . Quindi tener conto è l'atto stori ca­ m ente definitivo ( ). Da ciò segue che la storicità autenti ca è quella della prassi morale" (8). L'affermazione dell'eticità della storicità • . .

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autenti ca esige d'essere espli citata. Severino è chiari ssi mo in proposi­ to. An zitutto per prassi morale si intende "la forma di tutto l'agire umano", non quindi un contenuto particolare , ma l'agire simpliciter. La storia è poi "il concreto sviluppo della libertà", cioè il risultato del rapporto di condi zionabilità reciproca tra stori cità autentica e inautentica . "Soltanto l'uomo è essere stori co", nel senso che lui solo lo può essere autenticam ente o inautenticamente . Il minimum perché vi sia storia è l'accertamento di uno svolgim ento, che, pur già presente nel fenom enologico, solo nella forma emergente dello svolgi mento per sé , è autentica stori cità. Così se l'operare , in quanto operare , è prassi morale , il tenerne conto, in quanto tener conto, è filosofia . Pertanto l a storia della filosofia è "la storia del fonda mento della storicità", nella misura in cui il sapere è fondam ento dell'agire , e il filosofo è lo storico autentico. Da ultimo va osservato che anche la storiografia è soggetta all'autenticità e all'inautenticità, e "la storia­ grafia filosofica autentica è lo stesso siste m a filosofico" ( 9 ) . Chiarita in questo modo l'articolazione interna della deduzione, ne è ora di facile comprensione il carattere organico. I quattro mo­ menti che costituiscono il circolo sono stati considerati da Severino ciascuno in grado di porre e risolvere il problema della storia, ma la deduzione si è conclusa soltanto nell'ultimo di essi , nel m o m ento etico, posto come la totalità del mediare comprendente in sé le precedenti mediazioni . Che nel mom ento etico la totalità del m ediare sia definiti­ va è provato sulla base della dualità di circolo sistematico e circolo reale . ll pri mo ridà il processo dal Fondamento al fondato, il se condo il processo dal fondato al Fondamento. Ora, se il ritorno dal fondato al Fondamento è lo spe cifico dell'etica, e se oltre il circolo reale non si può andare , ché sarebbe un andare oltre l'Assoluto, è chiaro che nel momento eti co la totalità del mediare è definitiva. Resta comun­ que anche un senso secondo il quale questa definitività non esce dal provvisorio, per il fatto che è sempre possibile un approfondim ento ulteriore del circolo reale pur all'interno della struttura già ormai essen zialmente determ inata. Resta da dire che lo svolgi m ento della serie dei momenti di posi zione del proble ma della storia, qualora venisse svolto com pletamente costi­ tuirebbe lo stesso sistema e comprenderebbe pure la deduzione della stori a della filosofia, di cui , in quant o sistema, conterrebbe anche quella futura con la relativa spiegazione . Storia della filosofia e siste­ ma vengono in sostan za a porsi com e re ciprocamente condi zionabili : l'uno non è possibile sen za l'altra, e vi ce versa (1 0 ) .

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3 ) Storia e d esperienza

La deduzione operata nel paragrafo precedente , come si è già avuto modo di notare , ne cessita di una fondamentale conversione all'espe­ rienza . Senza la dimostra zione dell'esistenza degli altri resta infatti infondato uno degli ele menti essenziali della storicità. Il proble ma trova riscontro anche nell'istanza neopositivisti ca dell'intersoggettività con la sua urgenza di un uso corretto del linguaggio, la cui analisi rive­ la gli altri unicamente come comportamento. L'esperienza non attesta una pluralità di coscienze , ma se mpli cem ente una se quenza di com por­ tamenti e m pirici ; pertanto, posta l'insignifi can za di ogni affermazione metempirica, è coerente l'estensione neopositivistica dell'insignifican­ za all'affermazione dell'esistenza di altre coscienze ( 1 1 ) . Il proble ma è affrontato da Severino nel saggio Me tafisica, feno me­ no logia, socio logia, dove esso è originato dalla constatazione dell'in­ fondatezza, entro l'ori zzonte fenom enologi co, della presen za di una molteplicità di coscienza . Restando nell'am bito fenomenologi co, infat­ ti, non si può andare oltre la se m plice constata zione della presenza di determinati enti, la cui coscienza resta supposta e quindi speculati­ vam ente infondata. Anche la sociologia dal canto suo, tanto nell'indi­ ri zzo della scuola francese che mette capo a D urkheim e a Lévy-Bruhl, per la quale la società è una realtà a sé indipendente dagli individui che la compongono, quanto nell'indiri zzo opposto, se condo il quale la società è l'insieme dei singoli individui , accetta il concetto della m oltepli cità dei soggetti ; né è pensabile che essa ne possa prescindere . Il riferi m ento alla sociologia è istruttivo, perché rivela l'i m possibilità di "fondare" il senso com une su di una base fenom enologica (12). Il proble ma non pare trovare soluzione soddisfacente neppure nella filo­ sofia dello Heidegger (1 3 ) . Per questo Severino ne ritiene indispensabi­ le un'im postazione ex novo. Egli basa la struttura di mostrativa della molteplicità dei soggetti sulla i m plicazione di due principi : il principio dell'analogia e il princi­ pio di ragion sufficiente , lo sfruttamento dei quali inferisce un'e cce­ denza dalla presen za . L'analogia ri chiesta è l'analogia di propor zionali­ tà: tre term ini sono noti , il quarto costituisce l'in cognita (l'e ccedenza: la m olteplicità dei soggetti). Utili zzando il pensiero matematico il proble ma è subito risolto. Sia Pa la presenza originaria (la mia espe­ rienza); Ea l'espressione di questa presenza ; Eb quel tipo di espressione che pur essendo contenuto nella presenza originaria non è esperito come proprio, ma come degli altri . Ora , se Pa è ragione della signifi-

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can za ( e (.uindi n e è i l fondamento) d i Ea, s i h a che Ea : P a = Eb : x. Procedendo matematicamente x = Pa Eb l Ea = Pb. Questa con clusio­ ne non può però essere ac colta dal pensiero spe culativo sen za l'ulterio­ re accerta mento dell'uguaglianza o della se m plice analogicità esigita dal rapporto di Eb nei confronti di Ea . N on si può infatti escludere a priori che Pa sia l'analogato principale e Ea e Eb gli analogati se con­ dari , nel qual caso , essendo Pa l'unica presen za reale , sarebbe assurda la dimostrazione di Pb. Questa assurdità viene tolta dalla dimostrazio­ ne del fondamento ontico, il quale di mostra l'indipenden za dell'ente dal manifestare (1 4). Ora, se Eb è manifesto come non-m io, e se in base al fondamento ontico è dimostrata la sua i m possi bili tà di essere fondato da Pa, e c cet­ to che per il suo semplice esser manifesto, Eb presenta una signifi can­ za che Pa non gli conferisce . D'altra parte l'identità di essenza di Ea e Eb impone che come Ea ha la sua ragion sufficiente in Pa, analoga­ mente Eb si fondi su un term ine nei cui confronti si trovi n ella stessa posi zione di Ea rispetto a Pa. Se in forza del fondamento ont i co questo termine non può essere Pa, dovrà essere necessariamente una presenza "altra" dalla presenza originaria , e cioè Pb ( 1 5 ) . Con la dimostrazione della realtà della presenza eccedente la pre­ senza originaria è definitivam ente guadagnata la molteplicità dei sog­ getti . Il risultato è infatti che Ea : Pa = Eb (Ec, Ed, Ef, Eg, ) : Pb (Pc, Pd, Pf, Pg, ) . L'e c cedenza alla presenza originaria rimanda ad un diverso fonda­ mento ontologico. Il suo essere molteplicità, se condo quanto è stato dimostrato, comporta, com e propria ragion suffi ciente la m olteplicità degli stessi fondam enti ontologi ci , cioè la m olteplicità delle autoco­ scienze . In questo modo è definitivamente fondata la pluralità delle coscienze dei soggetti . •

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4) Verità dell'essere e storia

Dopo i saggi giovanili considerati nei paragrafi precedenti lo svolgi­ m ento del pensiero di Severino nella sua opera maggiore, La struttura originaria , non presenta una te mati zzazione espli cita del problem a della storia. Questo almeno è quanto appare a pri ma vista . N on è però i mprobabile che l'opera , riletta alla luce dello sviluppo successivo del pensiero severiniano , possa risultare tutt'altro che inessenziale , anzi forse addirittura risolutiva. La prima i mpressione è dovuta in realtà alla rigorosa struttura form ale dell'opera: essa svolge infatti , nell' intenzion e del suo autore , la "fondazione autentica dell'atteggia-

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mento teoreticisti co" , attraverso un discorso che verte su un "punto logico" ( 1 6 ) . Si ha pertanto l'i mpressione che la storia non venga tocca­ ta; e Severino stesso rile ggerà successi vamente la di fferen za tra gli scritti che seguono e quelli che pre cedono Ritornare a Parmenide in questi term ini ( 1 7 ) . Ma per l'appunto si tratta solo di un'impressione, di una cecità sostanziale . Significativo co m unque che la rilevanza storica de La struttura originaria sia ciò che anche Severino ha perce­ pito solo alcuni anni dopo aver composto l'ope ra . E si ccome l'espli cita­ zione determ inata di quella rilevan za è l'argomento dei suoi scritti successi vi , si intende perché in queste pagine si fa ri feri mento a La struttura originaria nel m entre si tratta della fase neoclassi ca del suo pensiero . La struttura originaria appare in tal m odo come l'opera in cui convivono la necessità dell'essere e la possi bilità della storia , convergendo proprio p e r questo aspetto i n maniera non marginale col pensiero di Bontadini . La necessità dell'essere viene in chiaro soprattutto là dove è a tema il valore ontologi co del principio di non contraddi zione: "Il principio di non contraddi zione non ha quindi un valore se m plicem ente logico ossia non si limita ad affermare che , qua lora l'essere sia , l'essere è essere (o l'essere non è non essere) , e, qua lo ra l'essere non sia , il non essere non è, o non è essere -, ma ha anche valore onto logico, ossia è appunto esclusione della supposizione che l'essere sia e della supposizione che l'essere non sia (stante che anche il supporre che l'essere sia equivale all'affermazione della possibilità che l'essere non sia): e cioè è affermazione che l'esse re è" ( 1 8 ) . Ciò comporta i m media­ tamente la negazione del divenire come i m pli cante il non-essere del­ l'essere , e dunque l'affermazione che "l'essere è eterno, o, anche, che l'essere è atto puro" (1 9 ) . In queste afferma zioni può dirsi contenuto il cuore della testimonianza dell'essere di cui Severino parlerà negli scritti successivi . Da questi La struttura originaria si differenzia per il ruolo che in essa svolge l'i m mediatezza fenomenologica . Il divenire , pur già rigorosamente presentato come l'apparire dell'i mm utabile ( 2 0), è pur se m pre una contraddi zione il cui togli m ento appare un com pito infinito. Tuttavia, per m inim a che sia la distan za che separa La struttura originaria dagli scritti successi vi , e per grande che sia inve ce quella tra La struttura o riginaria e gli scritti che la precedono ( 2 1 ), in essa non è ancora recata in dubbio la storia nel suo significato usuale . Vi sono ormai tutte le prem esse per tale passo, ma questo non verrà com­ piuto che alcuni anni dopo. -

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La ragione di questo ritardo è in ordine alla tesi pe rseguita i n queste pagine , ed elabora ta nella terza parte , l'aspe tto più interessante. Al tempo della stesura La strut tura originaria appare al suo stesso autore come quel momento essen ziale della storia della metafisi ca in cui l'aporia eleatica viene correttamente im postata e risolta . Il di venire , e cioè la storia, è già ri condotto all'apparire , m a non per questo resta annullato: "Ciò che f . . l si m anifesta com e un sopraggiunge re e un annu llarsi, si rivel a, ne lla struttura completa dell'originario, come un apparire e uno sco mparire" ( 2 2 ) . Ma così di cendo Severino non in­ tende negare la realtà del divenire com e nascita e morte, sibbene distinguere se si fa riferi m ento all'intero i m m utabile , nel qual caso nascita e annullamento sono un apparire e uno scomparire , o se ci si riferisce alla totalità dell'i m mediato fenomenologi co, nel qual caso nascita e morte sono piena mente reali in quanto i m m ediatam ente noti . "Se il divenire del contenuto P-i m m ediato è, in re lazione a l l'inte­ ro immutabile , un apparire e uno scomparire , non per questo tale dive­ nire è , come generazione e annullamento, un che di irreale ; ché anzi esso è proprio l'essere P-i m m ediatamente noto. Se cioè, abso lute o simplic iter, non si dà nascita o annulla mento dell'essere , sì che , in re lazione all'intero immutabile , nascita e annullam ento sono un appari­ re e uno scomparire ; ne ll'a mbito invece de l la tota lità de l F-immediato il divenire , com e nascita e annullamento dell'essere P-i m m ediato, è piena mente reale , in quanto è appunto o appartiene alla strutt ura del contenuto P-i m mediatam ente noto. Re lativa mente al contenuto P-i m m ediato, ossia in quanto l'essere è considerato com e totalità del­ l'essere P-i m mediato, la nascita e la morte dell'essere è reale : è irrea­ le, ossia è autocontraddittoria, abso lute, ossia come proprietà dell'es­ sere in quanto tale11 ( 2 3 ) . N e La struttura originaria l'interpretazione del divenire dell'essere come apparire e scom parire , in relazione all'ori zzonte dell'i m m utabile , non si gnifica dunque annulla mento della storia, m a determ inazione del suo statuto antologico. Anche la storia (il divenire) è e non può non essere , ma nessun dubbio che le cose vera mente appaiono e scom­ paiono : la storia dunque è seria e reale . .

5) Verità

e

prassi

Al problema della possi bilità della storia (divenire), considerato ne La struttura originaria , fa segui to, negli Studi di fi losofia de lla prassi, l'analisi del rapporto tra possesso della verità e vi ta pratica ( 2 4 ) . I l proble ma non è pi ù sul se , ma sul co me della storia . Si tratta

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cioè di vedere come può essere con cretamente reali zzato e mantenuto nella vita il possesso della verità. Ma già il porsi di questo proble ma è indi ce della stori cità dell'esisten za e del carattere non definitivo della verità: "La verità non è qualcosa di definitivo, ma processo dia­ letti co , stori cità" ( 2 5 ) . Così la vita può reali zzarsi come autentica o inautenti ca, filosofi ca o prefilosofi ca , nella verità o al di fuori della verità. Donde il compito di "inserire per davvero , e quindi trasfigurare la totalità del vivere nella verità" ( 2 6 ) . Il significato determ inato d i queste affermazioni si evince dalla conce zione della verità come "sintesi dell'asserto e della validità o fondate zza assoluta dell'asserto" ( 2 7 ) , per cui la verità è tale solo se è pura attualità. Il trasfigurare completam ente la totalità del vivere nella verità appare com e il paradisiaco: identità perfetta di certe zza e verità, annullamento di ogni fede e di ogni dubbio. "La situa zione paradisiaca ha eli m inato ogni dubbio, proprio perché è il possesso sta­ bile , necessariam ente stabile , della verità, un possesso quindi che non ha, accanto a sé , una vita quotidiana, un ' m ondo', ma ha risolto in sé la totalità del contenuto, e il contenuto così risolto , trasfigurato, si presenta come Dio. Il paradisiaco, che si è lasciato alle spalle la fede , assume la form a del filosofico: 'Videm us nun c per speculum in aenig­ mate : tunc autem facie ad faciem' " ( 2 8 ) . Così dicendo s i sono già introdotti sia i l proble ma della vita prati ca sia quello della fede . Entrambi stanno sul versante dell'inautenti cità: la fede in quanto assume come verità ciò che non ne ha i requisiti , la vita pratica in quanto distrae dalla verità. M a si vedano partitamen­ te i due problem i . Fede e verità nel linguaggio d i Severino s i oppongono: fideistica è la situa zione in cui l'uomo si trova normalmente m a di cui egli non possiede la fondate zza assoluta, veritativa inve ce è la situazione in cui quella fondatezza è presente . Ne viene che l'uomo è solitam ente nella fede e solo e cce zionalm ente nella verità . La storia si reali zza come un essere inevitabilmente nella contraddi zione della fede , e solo nel superamento di tale contraddi zione la storia si fa epifania della verità. "Dal punto di vista della struttura originaria non si dà altro i m perativo categorico che quello espresso dalla proposi zione : 'Non ci si deve contraddire' " ( 2 9 ) . " Proprio perché l'uomo è , nella sua essenza , un essere in contraddizione , proprio per questo l'essen za del­ l'uomo è un trovarsi di fronte a un c o mpito : liberarsi dalla contraddi­ zione" ( 3 0). Ma questo è lo stesso compito stori co: la salve zza della verità attraverso il supera mento della contraddi zione in cui la veri tà

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è avvolta. La condi zione con creta della vi ta dell'uomo è però tale da reali zzarsi di fatto in una dimensione alienata . La prassi , nelle sue svariate form e , è distrazione dalla verità: "Se faccio riposare l a m i a m ente , se m i occupo dei m iei familiari , s e m i interesso alle svariate cose e vicende del mondo che mi circonda , se cioè, in generale , ho cura del mondo , non son capace di avere nello stesso tempo cura della verità; se invece ho cura della verità, è ben diffi cile che riesca insieme ad aver cura del mondo" ( 3 1 ) . La storia salva la verità nel superamento della fede , ma tale superam ento è un processo infinito (3 2). La storia della fede si fa storia della verità e ri vela così la verità della storia.

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N OTE

l) Non si fa riferimento al proble m aticism o , a cui pure Severino ha dedicato un volume (Note sul proble matic ismo ita liano , Brescia 1 9 5 0), perché nell'analisi strettam ente teoretica ivi condotta non viene preso in considerazione espli citam ente il tema della storia.

2) E' sintomatica l'espressione posta tra parentesi in un saggio teoretico: "Interessantissi mi gli sviluppi temporali della stori cità ; Heidegger, m i sembra, qui fa testo" (Il proble ma de lla storia , negli Atti dell'VIII Con­ vegno del Centro di studi filosofici di Gallarate , Brescia 1 9 5 3 , p. 2 8 9). 3 ) E. SEVERIN O, He idegge r e la me tafisica , Brescia 1 9 5 0 , pp. 3 2 8 3 3 6 ; la citazione è a p. 3 3 0 . 4) Commenta Severino i n nota: "Ciononostante i l tempo, Heidegger non può negarlo, è pur sempre qualcosa. In t al senso il te mpo rientra nella portata dell'esse tradizionale" (lbid. , p. 3 0 0). 5 ) Ibid., pp. 2 8 9-3 2 7 ; la citazione è a p. 3 2 4 . 6 ) E . SEVERIN O , I l proble ma de lla storia , cit . , p . 2 84 . 7 ) Jbid. , pp. 2 8 5-2 8 6 . 8) lbid. , p. 2 8 9 . 9) lbid. , pp. 2 8 9-2 9 0 . 1 0 ) Ibid. , pp. 2 9 1 -2 9 2 . 1 1 ) E. SEVERIN O , Metafisica, feno meno logia, soc io logia , in A A . V V . , Feno meno logia e socio logia, "Archivio di filosofia", Padova 1 9 51 , p. 7 2 ; ID., "L a costruzione logica de l mondo " e il proble ma de ll'intersog­

ge ttiv ità , introd. a R. C A R N A P , La costruzione logica de l mondo , trad. i t . , Milano 1 9 66, pp. 5 - 6 , ora in E. SEVE RIN O , Legge e caso , Adelphi,

49 Milano 1 9 8 0 2 , p. 7 1 .

1 2) "Il rapporto fenomenologia-sociologia non può più essere concepi to come rapporto di genere e spe cie, in quanto la sociologia porta innanzi un'affermazione che non può essere fondata dal fenom enologico" (Me ta­ fisica, feno meno logia, soc io logia, ci t . , p. 7 4). 1 3 ) "Infatti il Dase in è i m m ediata mente posto, nella sua struttura esi­

sten ziale , come Mitdase in, mentre il proble ma è appunto quello di me­ diare l'originaria esigenza dell'essere-con, attraverso la posi zione di quella determ inazione che si costituisca come implicazione tra il con e Pesserci11 (lbid. , p. 7 3 ).

1 4 ) La dimostrazione del fondam ento onti co è svolta da Severino nel

saggio La struttura de ll'esse re , 11Rivista di filosofia neo-scolastica11, 42 (1 9 5 0), pp. 3 8 5 - 4 1 1 .

1 5) 11La necessità dell'inferenza di P b sta nel fatto che la significanza di fatto di Eb, senza Pb, sarebbe contraddittoria in quanto procederebbe dal nulla" (Me tafisica, feno meno logia, soc io logia , cit . , p. 8 6 . Per tutta la di mostrazione le pp . 83-86). 1 6) E. SEVERIN O , La struttura originaria , II ed . , Adelphi , Milano 1 9 8 1 , p . l05. 1 7 ) 11In che cosa consiste , dunque, la differenza sostanziale tra Ritor­

nare a Pa rmenide e questi scritti precedenti ? Manca ancora in essi la consapevolezza che il terreno sul quale si sono saputi portare - la testi monianza della verità dell'essere - esige il tramonto dell'ani ma dom inatrice della civiltà occidentale , il tra monto dell'orizzonte metafi­ sico (in cui si muove anche ogni forma di anti metafisicismo e ogni pro­ gresso tecnologico e, or mai , ogni rapporto tra gli uom ini sulla terra). L'essenza di quella consapevolezza storica fa sì che il nichilismo sia presen te proprio là, dove ne viene operata la negazione più radicale e , per quanto riguarda La struttura originaria , più concretamente e deter m inata mente espressa11 ( E . SEVE RIN O , Essenza de l nichilismo, II ed . , Adelphi , M ilano 1 9 8 2 , pp. 2 8 8-2 89).

1 8) La struttura originaria , I I e d . ci t . , p . 5 1 7 .

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1 9) lbid. , p . 5 2 0 . 2 0) Ibid. , p . 5 4 7 sgg. 2 1 ) Per m isurare esattamente lo sviluppo del pensiero di Severino è necessario confron tare La struttura originaria da un lato col precedente saggio su La struttura de ll'essere (cit .), e dall'altro con Ritornare a Parmenide e tutti gli scritti ad esso successivi . Per tale analisi si rinvia a quanto esposto in 01.to logia e storia ne l pensiero di E manue le Seve­ rino , Ed. Francisci, Abano Terme 1 9 8 0 , p. 38 ss. 2 2) La struttura originaria , ci t . , p. 5 4 7 . 2 3 ) lbid. , p. 5 4 9 . 24) E . SEVERINO , Studi d i filosofia de lla prassi, I I ed. , Adelphi, M ilano 1 9 84. C fr. in proposito: A. BA USO L A , Su di un recente studio intomo a ve rità e prassi, "Rivista di filosofia neo-scolastica " , 5 5 ( 1 9 6 3), pp. 8 1 -9 7 . 2 5) lbid. , p . 6 8 . 2 6 ) Jbid. , p . 5 7 . 2 7 ) lbid. , p . 9 7 . 2 8) lbid. , pp. 57-58 i n nota. 2 9) lbid. , p. 1 1 0 . 3 0 ) lbid. , p. 2 7 8 . 3 1 ) Ibid. , p . 1 4 0 . 3 2 ) Ciò richiama la struttura della filosofia fichtiana. Cfr. E. SEVE­ RIN O, Per un rinnovamento ne ll'inte rpretazione de lla filosofia fichtia­ na , Brescia 1 960.

CAPITOLO II NEOPARM ENIDISMO E IMPOSSffiiLITA' D ELLA STO RIA

Con la pubbli cazione di Ritornare a Parmenide la verità della storia si rivela come l'i m possi bilità della storia stessa . Il neoclassi cis mo rigori zzato all'estre mo si converte nel neoparm enidismo ( l). Lo svilup­ po del pensiero severiniano appare dunque in questo duplice segno: neoparm enidismo e impossibilità della storia. Nelle pagine seguenti questi due aspetti vengono considerati anzitut­ to nella loro implicazione reciproca, quindi si passa alla delineazione del nichilismo come e thos dell'Occidente. Con questo capitolo viene completata l'analisi del proble'm a della storia nell'arco della produzione severiniana . In tal modo restano poste tutte le pre m esse ne cessarie per l'approfondimento teorico che verrà condotto nel capitolo terzo. l) Eternità dell'essere e impossibilità della storia

Gli sviluppi portati dall'ulti mo Severino capovolgono non poche delle affermazioni richiamate nel pri mo capitolo. Si i m pone perciò una revisione globale del proble ma della storia sotto un profilo comple­ tamente diverso. Il venire alla luce dell'alienazione metafisica dell' Oc­ cidente, di cui si è detto ampiamente altrove (2), ha rivelato una sostanziale alterazione del senso dell'essere , il quale , secondo Severi­ no, è stato irri mediabilm ente offuscato fin dal suo pri mo albeggiare . Alla base di questo tradi mento della verità sta l'interpretazione "tem­ porale" dell'essere . Il tempo è l'ori zzonte trascendentale che rende possibile il divenire nichi listica mente inteso, i m plicante cioè il non-essere dell'essere , e il divenire a sua volta costituisce l'essenza della storia. Ma se il divenire è il tradi mento del logo originario e la storia ne è l'espres­ sione , è chiaro che la storia stessa si pone come il fraintendi mento della veri tà, di quella verità già sostanzialm ente guadagnata ne La stru t tura originaria , ma debitam ente com presa da Severino stesso negl i scri tti successivi . Di essa è giocoforza richiamare qui , dato il tn glio di questo studi o, solo il tratto essenziale e quei motivi che

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hanno un'attinenza pi ù diretta e specifica col proble ma della storia, rinviando altrove per un'analisi completa ( 3 ) . S i veda anzitutto i l rapporto tem po-eterni tà all'interno dell'orizzonte veritativo. A monte dell'argomentazione sta una radi cale proble matiz­ zazione del senso comune , di quell'insiem e di convinzioni cioè di cui l'uomo "pratico" non dubi ta mini mamente. Eppure proprio il senso comune è la fonte ulti ma della maggior parte delle convinzioni del­ l'uomo; questi infatti vi deferisce la fondazione delle proprie opzioni e del proprio modo di essere . Che sia un fondamento privo di solidità è palese , giacché si tratta di una certezza che si suppone vera, ma che di fatto non offre e non è in grado di offrire le ragioni della pro­ pria validità. Il ribaltam ento completo di questa fede è ciò che è stato operato dall'ulti mo Severino, quello degli scri tti successivi a Ritornare a Parmenide , il cui tentativo di oltrepassare l'ethos dell'Oc­ cidente non è in fondo altro che il tentativo di andare al di là delle convinzioni proprie del senso comune. La proble matizzazione dell'ov­ vio, condotta nel modo più rigoroso, induce Severino a verificare le interpretazioni più usuali dell'esperienza, per cogliere ciò che essa realmente attesta. A fare da guida in questo processo è se mpre la "verità dell'essere", ossia ciò che per forza propria si i mpone con valore . Per Severino il nucleo di tale verità, "il cuore della testimo­ nianza consiste nell'avvedersi che di nessun ente - umano, divino, reale , ideale , illusorio, corporeo, sperato, temuto, ri mpianto - si può affermare che non sia, e che quindi ogni ente , e dunque l'ente in quanto ente è i m m utabile e quindi eterno" (4). E' questa la conclusione severi­ niana della rigorosa affermazione dell'opposi zione assoluta di positivo e negativo (5) custodita nell'ésti gàr e ina i, medèn d'ouk éstin di Parme­ nide. Tale conclusi one può essere com pendiata in una dupli ce tesi , storica e teoretica. Per la pri ma l'Occidente viene determinato nel suo ethos, il nichilismo, e di esso vengono precisate le figure emergen­ ti, Dio e la tecni ca; per la seconda, l'opposizione assoluta di positivo e negativo, viene negato il divenire i m pli cante il non-essere e con esso il tempo quale suo orizzonte trascendentale, e la separazi one dell'essenza dalla esistenza quale sua condi zi one di possi bilità. Con­ temporaneamente viene di mostrata la necessità di tutto e di ciascun essere. M a se tutto e ciascun essere è necessario, è anche eterno, giacché eterno è soltanto ciò che non può non essere . Di questi motivi interessano per il m o m ento i rilievi a proposito del tempo e dell'eterni­ tà in connessione col divenire, essenza della storia ; più avanti si farà poi oggetto di analisi l'interpret azione dell'Occidente come storia

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della metafisi ca. Il tradi mento della verità dell'essere è per Severino l'acconsenti­ mento che il positivo sia il negativo, che l'essere sia il nulla . Ma il luogo in cui tale acconsenti m ento avvi ene è il te mpo. Senza il tempo non ha senso parlare di un essere che pri ma non è, poi esiste, quindi di nuovo non è. D 'altra parte che una stessa cosa possa essere e non essere nello stesso tempo (simuZ) è ciò che anche la for mulazione aristotelica del principio di non contraddizione vieta. Che poi questa formulazione permetta al medesi mo di essere e non essere in tempi diversi , oltre ad attestare il li mite di questa stessa for m ulazione, appare a Severino proprio come la riprova di quanto sopra, e cioè che il tempo è l'orizzonte che rende possibile l'identificazione dell'es­ sere e del nulla (6). O, in modo più pertinente, il tempo è l'orizzonte che rende ovvio un certo modo 'd'interpretare la realtà per il quale non è visto come contraddittorio che un ente nasca e m uoia, inten­ dendo questo nascere e morire come un uscire e un tornare nel nulla. Sicché il tempo, inteso come "successione infinita di momenti omoge­ nei" (7), non gode che del semplice valore del comune modo di conside­ rare la realtà. Certo che lungo il corso della tradizione occidentale esso ha costantemente assolto il compito che Aristotele gli ha pri mie­ ramente affidato, di i m pedire l'identificazione del positivo e del nega­ tivo; m a così è stato solo nell'intenzione di coloro che hanno ca m m i­ nato sulla scia di Platone e Aristotele, ormai sordi di fronte al logo originario, ché in realtà esso testi m onia lo stabilizzarsi definitivo dell'obnubilazione della verità. L'errore diviene senso comune e il riferi mento al tempo fa sì che il principio di non contraddizione lo legitti m i . Ma si tratta se mpre di una legittimazione am bigua e quindi in definitiva priva di valore, ché ciò che viene esplicitamente affer­ mato resta, nel contempo, implicitamente negato. La tem porali zzazione dell'essere è una costante del pensiero occi­ dentale. Non vi sfugge neppure l'interpretazione hegeliana del divenire, che pure in un certo senso prescinde dalla variazione te mporale (8). Il tempo è l'attestazione della nientità dell'essere. Scrive Severino: "Dal punto di vista aristoteli co (ma qui il pensiero aristotelico espri me la tradizione dell' Occidente) , il passato, pur essendo essere, non con­ serva tutta la positività del presente (altri menti , che cosa passerebbe del presente ? ! ) ; e il futuro, pur essendo anch'esso essere, non anticipa tutta la positività del presente (altri menti, che cosa ci aspettere mmo dal futuro ? ! ). Quando un ente passa , può anche non diventare un niente , ma è necessario (dal punto di vista nichilistico) che almeno qua lcosa

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di esso di venga un niente ; se nulla dell'ente diventasse un niente , non si potrebbe nem m eno dire che è passato . Il futuro è un non-niente, ma, quando il contenuto futuro diviene tem poralm ente presente, è necessario che qua lcosa del presente fosse, nel futuro, un niente. Se nel futuro, nulla del presente fosse un niente , futuro e presente non differirebbero" ( 9 ) . I l tempo è dun que p e r Severino l'alienazione essen ziale , è l o sfondo che fagocita ogni tentativo di salvez za rendendolo "mortale " . Come il te mplum è la separa zione del sacro dal profano, così il te mpus, che pure è un té mne in, "separa gli enti dal loro essere, separa il 'ciò che' dal suo 'è' " · E' questa separa zione che permette di dire 'quando l'ente è' e 'quando l'ente non è'. Sicché "la separazione originaria dell'ente dall'essere , come essenza del te mpo, m ostra che l'ente , come tale , è un niente" ( 1 0 ) . Ma forse che il tempo - la separazione dell'ente dall'essere - non è l'evidenza originaria ? Così pensa l'uom o dell'Occidente, m a in realtà "la nientità dell'ente, cioè il tempo, non è qualcosa che appare, non è un contenuto fenom enologi co" ( 1 1 ). E difatti l'apparire non dice nulla sulla sorte di ciò che non appare più. Ma allora la nientificazione dell'essere , ossia il tempo, non è che il risultato di un'ermeneutica dell'apparire, della quale quell'identi­ ficazione funge inconsapevolmente sin dall'ini zio da presupposi zione ontologica ( 1 2). Lo stesso ragionam ento Severino fa per il divenire . Già il term ine allude fondamentalm ente al "superamento", al "travalicare", ma non si può dimenticare che oltre al travali camento spazio-te m porale , ne esiste anche un altro, la 11relazione", che Severino indica come "quel travalicare , per cui nulla sarebbe ciò che è se non fosse in rela­ zione , se non si fosse i m manentemente portato oltre di sé" . I n altre parole , in questo senso il divenire è la stessa determ inazione dell'ente che consiste nell'intrinseco rapporto al proprio opposto ( 1 3 ). Questa dupli cità di significato rinvia sen z'altro allo Hegel, ma prima ancora ad Eraclito. Questi è colui che pensando con Parm enide l'opposi zione del positivo e del negativo, ne rivela l'i mpli cazione essen ziale . D i ce Eraclito nel fra m m ento 5 4 : " L'armonia invisibile vale più di quella visibile" . La distin zione è tra l'unità degli opposti reali zzata entro l'ori zzonte temporale (arm onia visibile ), e l'uni tà in quanto trascenden­ tale (arm onia invisibile ) . La prima è chiara mente espressa nel fram­ mento 88: 11Lo stesso il vivente e il morto, il desto e il dor m iente , il giovane e il ve cchio ; queste cose infatti tram utandosi sono quelle ; e quelle di nuovo tram utandosi sono queste" ; la seconda invece risulta

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con tutta evidenza dal fra m m ento 5 3 : "Pole mos (guerra) d i tutte le cose è padre e di tutte è re ; gli uni palesa dei , gli altri uomini ; gli uni fa schiavi , gli altri fa liberi". Che le esemplificazioni del fra m­ mento 88 alludano ad una contrapposi zione tem porale è indubitabile , difatti l'esser lo stesso del vi vente e del morto non può che significare che il medesi mo prima è vivente, poi è morto; non allo stesso modo invece il caso del fra m m ento 5 3 : qui gli opposti non sono uniti perché passano temporalmente l'uno nell'altro - e gli ese mpi addotti attestano che non lo potrebbero -, ma perché stanno in reciproca opposi zione . Eraclito rivela in sostan za , se condo Severino, una chiara coscienza che il divenire può essere inteso sia temporalmente sia intemporalm en­ te, e di quest'ultimo, per pri m o ha colto l'intima struttura ( 1 4). N ell'epoca m oderna chi ha riproposto con profondità speculativa il tem a è stato l'idealism o, e in particolare lo Hegel, che ha tentato di esplicitare nella maniera più determ inata il senso dell'identità del diverso. La sintesi degli opposti guadagnata dalla dialettica hege­ liana è appunto il risultato di questo tentativo di chiarire le condi zioni in base alle quali la realtà non sia un assurdo. Un opposto vive solo in quanto è unito all'altro : la realtà è l'essenziale tensione tra gli opposti . Come si è appena ricordato, Eraclito la diceva po le mos (1 5). Ciò che interessa diretta mente in relazione al tema che si va svol­ gendo è che il divenire, così come esso è stato inteso nella tradizione occidentale , com porta se mpre per Se verino l'identificazione dell'essere e del nulla. Le teorie che sono state elaborate non fanno che renderne meno facilmente avvertibile la contraddi zione, i m pedendone in tal modo sempre di più una soluzione concreta. L'argom ento vale sia per la metafisica platoni co-aristoteli ca , che per quelle m edioevali e moderne. N on è il caso, per illustrare la tesi di Severino, svolgere in questo contesto un'analisi dettagliata di ciascuna di esse , basti ri cordare il nichilismo di quella che può a diritto essere considerata la spiegazione fondamentale del divenire: la dottrina dell'atto e della potenza. Essa risale ad Aristotele , il cui pri mo e fondamentale contri­ buto nella soluzione del proble ma del divenire sta nella deduzione del sostrato. E' questo che passando dall'uno all'altro contrario, di cui il pri mo è la priva zione del secondo, permette il togli m ento della contraddizione. Il contrario, in quanto privo di una certa forma, è detto in pote nza, in atto invece se la possiede . Il divenire allora consi­ ste nel passaggio di un certo sostrato dalla potenza all'atto. Con lo sviluppo di questi concetti si può dire che Aristotele ha conseguito l'accertam ento dell'intelligibilità intrinseca del divenire.

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Ma egli non si è fermato a ciò, è proceduto ben oltre , sino ad accertar­ ne l'intelligibilità simplic iter. La sua analisi si basa sul teore ma del pri mato dell'atto sulla potenza ( 1 6 ) , il cu i sfruttam ento determ ina l'inferenza dall'essere diveniente all'essere i m m utabile : l'eternità del movi mento (divenire) postula com e sua conditio sine qua non un principio la cui sostanza sia l'atto stesso (M e taph. XII, 6 , l 0 7 1 b 2 O). Di questo principio - l'atto puro -, la temati ca dell'atto e della potenza fonda poi anche le varie determinazioni ( 1 7 ) . Se condo Severino è "fuori dubbio il contributo form idabile dell'analisi aristoteli ca" , eppure , a suo dire, alla fine "il divenire mantiene in Aristotele il tratto fonda­ m entale che è comune a tutta la storia del pensiero m etafisico: di essere il luogo della nientità e della nientificazione dell'essere" . E difatti perché un ente passi dalla potenza all'atto è necessario che almeno qualcosa di esso pri ma di essere in atto sia un niente , altri men­ ti viene m eno la differenza tra la potenza e l'atto e di conseguenza il passaggio dall'una all'altro. A riprova si possono riportare le parole stesse di Aristotele sia quando, dimostrando l'i mprescindibilità della distinzione tra potenza e atto, contrariam ente a quanto sostenevano i Megarici, avverte che "qualcosa può avere la potenza di essere e intanto non essere" (Me taph. , IX, 3 , 1 047 a 2 0-2 1 ), sia là dove afferma che "si genera ciò che non è" (Me taph. , XI, 1 1 , 1 06 7 b 3 1 ; III, 6, 1 0 0 3 a 5 ) (1 8). L'insegnamento che viene dalla teoria aristotelica è l'esclusione della potenzialità, perché l'essere in poten za comporta necessaria­ mente la nientità dell'essere . Allora l'essere è solo atto ( 1 9), ed atto necessario, in quanto non può non essere , quindi atto eterno. N e cessità ed eternità sono i risultati a cui Severino perviene dim ostrando il carattere non veritativo del tempo e del divenire ( 2 0 ) . Della necessità già si è detto parlando de La struttura originaria, resta. ora da chiarire definitivamente il significato dell'eternità. Per il vero anche l'attribu­ zione di questo carattere all'essere è già operata da Severino ne La struttura originaria, ma nei saggi successi vi e ssa diviene un autentico leitmotiv. Ciò che è essen ziale è non com prendere il concetto di eternità "temporalmente " , ossia come quel determ inato modo di inter­ pretare il tempo per cui esso è privo di ini zio e termine , ma coglierlo nella sua essen ziale significazione ontologi ca per cui indica la perma­ nenza assoluta dell'essere , ossi a l'i m possibilità che esso non sia ( 2 1 ) . Resta i n tal modo assodato che la ve ritas non può essere detta

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fi lia te mporis, cioè storica. E non lo può neppure nel senso in cui ne parlano Aristotele e Tom maso d'Aquino, che pur distinguono la verità in se dalla verità quoad nos, e solo a quest'ulti ma attribuiscono il carattere del divenire progrediente ( 2 2 ) , perché proprio questa distinzione comporta che nella verità quoad nos , la quale espri m e i l carattere dell'acquisizione individuale e collettiva del sapere , qual­ cosa necessariamente debba non essere per venire acquisito, e debba nientificarsi per venire obliato. Come si può notare la negazione della storicità viene operata da Severino sulla base della verità dell'es­ sere: se la storia è l'espressione del divenire e il divenire com porta la nientità del positivo, com'è i mpossibile il divenire così è i mpossibile la storia. E certo è sintomatico che nel pensiero conte m poraneo il generale rifiuto del sapere assoluto e della verità definitiva si basa se mpre sull'evidenza della storia. Nulla v'è , pare , di più evidente di essa. Severino ricorda co me già Aristotele nel libro II della Fisica dicesse che dim ostrare l'esistenza della physis è ridicolo. Ma perché, se l'esistenza della storia è evidente, l'episté me è i mpossibile ? "Per­ ché, dice Severino, la storia è innovazione radicale , è cioè il soprag­ giungere di qualcosa che è radicalmente nuovo e che, in quanto novità radicale , non può essere in alcun modo anticipato. Il 'sapere assoluto', la 'verità definitiva' aprono invece una di m ensione che pretende stabi­ lire il senso autentico del tutto, e a questo senso deve quindi adeguarsi tutto ciò che sopraggiunge . Questo senso anticipa il tutto e rende quindi i m possibile la radicalità dell'innovazione" (23). L'i mpossibilità dell'innovazione radicale è dovuta al fatto che "ciÒ che è radicalmente nuovo, è ciò che esce dal niente , ossia ciò che era un niente e ora incomincia ad essere . La radicalità del nuovo è il suo essere stato un niente" ( 2 4 ) . In altre parole , se qualcosa non viene dal nulla, m a dall'essere , e dunque è già, non costituisce una novità; m entre invece è una novità se esso o qualcosa di esso pri ma non era. Allo stesso modo ciò che nella storia viene m eno è ciò che non permane, è ciò che si nientifica. I passaggi dal nulla all'essere e di nuovo al nulla sono le condizioni dell'esistenza della storia (2 5). Ma allora la storia (il tempo, il divenire) si pone come la possibilità dell'i mpossibile . Dunque non è possibile . La storia è l'assurdo.

2) Serietà della storia

e

distruzione degli assoluti

Ma che fa allora l'uomo quando ritiene che la storia sia l'evidenza simplic ite r? Null'altro che confondere il fenomenologico con la sua interpretazione, intendere l'apparire con gli occhi deform ati dell'erm e-

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neutica nichilistica dell'apparire. M a al nichilismo contem poraneo, allorché esso nega la possibilità del sapere assoluto e della verità definitiva , Severino riconosce quanto m eno d'essere perfetta mente coerente con se stesso, perché non giustappone l'i m m utabile , il per­ fetto, il metastori co, l'episté me che non può non essere, alla persua­ sione del farsi della verità, dell'esistenza della storia. A ccolta quest'ul­ tima, la coerenza impone l'abbandono dell'Assoluto. L'alternativa è totale : la storia rende impossibile il sapere assoluto, il sapere assolu­ to rende i m possibile la storia. N on esiste possibilità di conciliazione. Per Severino le varie unioni di storia ed epistéme elaborate nel corso della tradizione del pensiero non sono quindi che giustapposi zioni che tradiscono un'essenziale incoeren za. "L'episté me greca, egli scrive , (e l'elaborazione filosofico-teologica del cristianesi mo che da essa deriva) rende impossibile la storia per un duplice motivo: perché vuole stabilire il senso definitivo del tutto, e perché al c entro del tutto pone un dio imm utabile che precontiene e conserva la realtà che si sviluppa e si distrugge nella storia" ( 2 6). Ma d'altro canto la persua­ sione che la storia esiste, e cioè che l'essere sia il niente, rende i m pos­ sibile quell'episté me che vuole l'eternità del tutto. Ne viene che tutti coloro che , pur credendo nella storia, ad essa giustappongono l'asso­ luto, ossia ciò che la rende i mpossibile , sono in definitiva dei "soprav­ vissuti" . C osì è per il cristianesi mo, per il m arxis mo, per il pensiero filosofico da Platone a M arx, N i etzsche, Heidegger. Diverso è invece il caso di Gentile . "Nell'attualismo gentiliano, scrive Severino, la coerenza del nichilismo raggiunge un grado partico­ larmente avanzato" ( 2 7). E ciò perché, se è indubitabile che l'attua­ lismo sia nichilismo, e infatti "l'attualismo, come già l'idealismo hege­ liano, non nega che il divenire sia il diventar essere da parte del niente - non nega cioè il contenuto essenziale del c oncetto greco del divenire -, ma nega il realis mo naturalistico" ( 2 8 ) , esso pone però il divenire come "la categoria universale della realtà", mostrando in tal modo d'aver perfettamente com preso che "se si ha fede che il divenire sia evidente, la coerenza di questa fede esclude l'esistenza di ogni i m m utabile al di là del divenire" ( 2 9). Né si può rivolgere contro Genti­ le il suo stesso argomento, dire cioè, come ha fatto Ugo Spirito, che Gentile perviene ad un Assoluto adialettico che contraddi ce la dialet­ ticità del tutto. Per Severino cioè "la fede nella esistenza del divenire, e quindi la teoria attualistica del divenire, in cui quella fede si espri me nel modo più rigoroso, è certa mente un i m mutabile , ma è que ll'unico i m m utabile che consente al divenire di mantenersi aperto come diveni-

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re" (3 0 ). E ciò perché "l'i m m utabile , che consiste nella coscien za che il tutto è divenire, è quell'anticipazione che ri conosce e conferm a la nientità originaria di ciò che sopraggiunge , e quindi non la trasforma in un già esistente, e quindi non vanifica il processo del divenire" ( 3 1 ) . Dal punto di vista dell'erm eneutica storiografica questo significa da un lato che gli approfondi m enti dell'attualismo più rilevanti sotto il profilo spe culativo - e Severino si riferisce soprattutto a Spirito e a Bontadini -, costituis cono in realtà un passo indietro, perché rein­ troducono l'Assoluto; e dall'altro che l'opposi zione tra l'attualismo e il sapere scientifico si converte in una fondam entale solidarietà, divenendo "il rapporto tra la tecnica e una delle forme più coerenti della sorveglianza delle condi zioni trascendentali della tecnica" ( 3 2 ) . E ' appena i l caso d i ricordare che per Severino la tecnica è l'espres­ sione della massi ma fedeltà alla storia . La sua essen za infatti è data dalla produzione e dalla distruzione, dall'innovazione radicale e dal venir meno, dall'emersione dell'essere dal nulla e dal suo ritorno ad esso. Né vale obiettare che anche la tecnica anticipa in qualche modo l'evento storico, perché la sua spe cifi ca autodelimitazione metodica ne fa un'anticipazione ipotetica e non epistemica ( 3 3 ). La tecnologia moderna, che ha nell'ipoteticità della teoria e nella verifica esperien­ ziale i suoi canoni fondam entali , lungi dall'opporsi alla sapienza greca ne è per Severino la verità estrema. Posta la storia è con ciò stesso posto l'evento come radicale em ersione dal nulla, ma per tale radicali­ tà l'evento è i mprevedibile e quindi ipotetica la teoria. Ma se la teoria è ipotetica, solo la ragione della sua ipoteticità, e cioè l'esperienza , n e costituisce l a verifi ca . D i modo che , conclude Severino , "da un lato, il metodo speri m entale implica necessariamente il senso greco dell'evento ; dall'altro lato, il senso gre co dell'evento conduce inevita­ bilm ente al metodo speri m entale" (34). La solidarietà tra la storia e la distruzione degli assoluti è la coe­ ren za del ni chilismo, ma perché il nichilismo tramonti è ne cessario non un alienato recupero degli assoluti , ma il re cupero di ciò che toglie ad essi fondamento, è necessario cioè il tramonto della fede nella storia, perché la storia è il ni chilismo ( 3 5 ) . Il tra m onto della stori a è il tramonto dell'ideo logia dell' Occidente . Ma "il nichilismo deve giungere al propri o compimento, perché l'Occidente possa in co­ minciare ad agire e a fare alla luce della verità dell'essere" ( 3 6 ) . 3)

n

nichilismo ethos dell'Occidente. L'Occidente storia del nichilismo

Per Severino la storia dell'Occidente è storia della m e tafisica,

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e l a storia della m etafisi ca è storia del nichilismo . Il nichilismo è l'e thos dell' Occidente . Esso è "la persuasione che ciò che non è m ai stato e non potrà m ai essere , sia" ( 3 7 ), è la persuasione cioè che l'esse­ re possa non essere, è il tradi mento dell'essere . Come autore del tradi mento Severino indica anzitutto Melisso che ripensa l'essere parmenideo intendendone l'e i gàr égent ', ouk ésti ( P A R M EN ID E , Fr. 8, v. 2 0) nel senso dell'ex nihi lo nihi l, formulazione alla quale è già estranea l'i mpossibilità simplic iter che l'essere non sia. Ma è poi soprattutto Platone il parri cida: egli procede realmente oltre Parm enide , ri conducendo le determinazioni (gli enti) nell'essere , attraverso la distinzione del non-essere come contrario dell'essere dal non-essere come altro dall'essere , ma vi procede in m odo am biguo, perché , non rendendosi conto dell'impossibilità simplic iter che l'essere non sia, pensa le determ inazioni come per sé indifferenti a essere e non essere . Il nichilismo denunciato da Severino è il rapporto accidentale che in questo m odo viene pensato tra l' "essere" (essenza) e il suo "è" (esistenza), rapporto accidentale che ha la sua definitiva codificazione nel principio di non contraddi zione aristotelico, il quale , permettendo al diverso d'essere e non essere nello stesso tempo e al medesim o d'essere e non essere in tempi diversi , ha alla sua base l a persuasione della nientità dell'essere . L'errore comune ad Aristotele e a tutta la tradizione occidentale è la riduzione della valenza trascendentale dell' esse all'esse in re rum natura, che invece ne è solo una certa m oda­ lità. Questi , per cenni, nell'interpretazione severiniana, i prim i m a già determinanti fraintendimenti del logo originario ( 3 8 ) . M a col tramonto del senso dell'essere ne va , secondo Severino, di tutta la storia occidentale : ché , se il nichilisrn o è l'e thos dell' Occi­ dente, l'Occidente è la storia del nichilism o . Ciò signifi ca che , se perché il senso dell'essere torni a brillare è indispensabile il tramonto del nichilismo, essendone l'Occidente la storia, tale tramonto è lo stesso venir meno della storia occidentale , che è quanto dire della storia simpliciter. Ma perché questo ac cada , è indispensabile la com­ prensione della storia dell'Occidente com e storia del nichilismo, è indispensabile cioè com prendere che "il nichilismo è l'e thos , la dimora dell' Occidente. La sua strutt ura" ( 3 9 ) , in tutte le sue singole manife­ stazioni stori che . Il che vuoi dire cogliere la "concordanza sostan ziale" che soggiace ai più profondi e insanabili contrasti della ci viltà occiden­ tale (4 0 ) . Due appaiono a Severino l e espressioni maggiori del ni chilismo.

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L a pri ma, "Dio", posta in luce dalla m etafisi ca greca, l a seconda , la ''tecnica", espressa dal pensiero moderno. Dio è colui che padroneg­ gia l'essere degli enti , la tecnica è lo stesso padroneggiam ento operato dall'uomo. Da Dio alla tecnica vi è solo un passaggio di consegne, al fondo vi è se m pre la m edesi ma convin zione che le cose pri ma non sono, poi con la nascita sono , quindi di nuovo non sono dopo la morte. Entificazione e nullificazione , produzione e distruzione sono le catego­ rie in cui si espri me il ni chilism o: la storia è la loro sintesi , il loro topos, il loro realizzarsi . Essere nichilisti significa vivere nella storia, essere "abitatori del tempo". La storia dunque è l'alienazione essenzia­ le . All'analisi dettagliata della storia dell'O ccidente , fin nei suoi aspetti più marcatamente politici , religiosi ed economici, Severino si è dedica­ to in tutti i suoi saggi da Il sentiero de l Giorno ( 1 9 6 7 ) in poi, mostrando anche in questo campo una straordinaria capacità di comprensione. Basti pensare che Téchne. Le radici de l la v io lenza ( M ilano , 1 9 79), scritto i n un linguaggio volutamente divulgativo, ha fornito l'interpre­ tazione forse più convincente della situazione politica italiana di quegli anni (41 ). L'interesse di queste analisi si impone indipendente­ mente dal legame che Severino stabilisce tra esse e il nichilismo. In queste pagine , comunque , dato il contesto teoretico, non se ne tratta (42). Si veda qui piuttosto la differenza tra il nichilismo denunciato ha Heidegger e quello denun ciato da Severino. Per Heidegger l'essenza del nichilismo sta nell'oblio dell'essere , nella dimentican za della diffe­ renza ontologi ca, per Severino invece sta nell'identifi cazione dell'esse­ re col nulla e quindi nella presen za della differenza ontologi ca . Se questa è la rottura del legame tra l'ente e il suo è, ossia l'affermazione ri gorosa dell'accidentalità del rapporto tra essenza ed esistenza, ne viene che la posi zione di Severino è l'esatto contrario di quella di Heidegger. Entrambi ereditano il concetto niet zscheano di volontà di poten za , ma ne fanno poi un'amm inistra zione diversa : per Heidegger esso significa lega m e indissolubile dell'essere con l'ente , in cui ne va della differenza , per Severino invece esso si gnifica scissione assolu­ ta dell'essere dall'ente in cui ne va dell'unità ( 4 3 ) . N ell'ottica di Se veri­ no è ovvio, di conseguenza , che la posi zione dello Heidegger espri me nel modo più rigoroso l'essenza del ni chilism o, di modo che , riferendosi all'Occidente come storia del nichilismo , egli può affermare che "Hei­ degger ha visto il rapporto tra antologia gre ca e civiltà della tecnica, ma non ha visto che il fondamento del proprio (e di ogni) filosofare

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- ossia la fede nell'esistenza della storia - è proprio ciò che si manife­ sta per la pri ma volta nell'ontologia greca e che inevitabilmente trova la sua più compiuta e coerente reali zzazione nella civiltà della tecni­ ca" (44). E' questa "l'essen ziale solidarietà del pensiero di Heidegger con l'essenza della tecnica, con quell'essenza che secondo Heidegger si colloca agli antipodi della sua posi zione" (45). Ma questa solidarietà, è appena il caso di ricordarlo, è propria , se condo Severino, d i tutte l e forme , l e p i ù svariate , assunte dalla cultura contemporanea. 4) Attualismo estetico e superamento della fede nella storia

L'esito finale del pensiero di Severino, testimoniato dalla sua ultima poderosa opera , Destino de l la necessità ( Milano, 1 9 8 0), chiude il cer­ chio di ciò di cui si è andati finora trattando. Si è visto che la testi m o­ nianza della verità dell'essere compare già ne La struttura originaria, m a vi compare accompagnata da quel tratto del nichilismo che è l'evidenza del divenire ; in Essenza de l nichi lismo tale tratto viene tolto rigorosamente , ma resta aperto il proble ma: " L'essere è 'Signore' del suo apparire, oppure tutto ciò che appare è necessario che appai a ? " ( 4 6 ) . E cioè : l'essere s i rivela necessariamente o liberamente ? A tale interrogativo in Essenza de l nichi lismo Severino risponde che "dal punto di vista della struttura attuale della verità, questi casi r necessi­ tà o libertà l sono equipollenti , ossia nessuno dei due si presenta attual­ mente com e negazione di tale struttura" (47). Va ricordato peraltro che il problema della libertà era già stato i m postato da Severino nel secondo dei saggi contenuti negli Studi di filosofia de lla prassi, dove la libertà veniva determinata come "una forma, per quanto e m er­ gente, di contingenza" (48). Il progresso com piuto in Essenza de l nichi­ lismo è il riferi mento della contingen za non più all'essere ma all'appa­ rire : "Resta fermo che la libertà può essere pensata solo com e una form a di contingen za , ma a patto che la 'contingen za' sia intesa come una modalità dell'apparire , ossia com e l'apparire di qualcosa che sareb­ be potuto rim anere nascosto" (49 ) . In Destino de lla necessità viene compiuto il passo finale . Il proble ma della contingenza e della libertà - il proble m a cioè della possibilità che ciò che è apparso e che apparirà avrebbe dovuto e avrebbe di non apparire - trova la sua soluzione : " Non so lo la prima que lla de ll'essere J , ma anche la seconda fo rma di 'cont ingenza ' e di 'libe ro arbitrio ' (la 'contingenza' de ll'apparire) è negaz ione de lla verità de ll'essere ". Ma questo, avverte subito Se veri­ no, "non significa mostrare la verità di quella 'ne cessità' e di quel

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'destino' che , ne lla storia de l nichi lismo , sono stati contrapposti alla libertà" ( 5 0), significa invece portarsi in una dimensione totalmente diversa in cui appare che "ogni ente è eterno. Quindi è eterno anche quell'ente che è lo stesso accadere dell'ente" ( 5 1 ). Ma se tale accadere è eterno è anche "necessario", non può cioè non essere ; e, "non solo è ne cessario che l'ente accada , ma è insieme necessario che accada que ll'ente che accade . L'accadere dell'ente è determinato, e quindi l'eternità dell'accadere è la ne cessità dell'a ccadere così determ inato" ( 5 2 ) . Ciò vale , nota Severino, anche per l'incom inciare ad apparire , si cché solo operando un'astratta separa zione tra l'apparire e il suo incomin ciare , si può affermare la possi bilità che ciò che appare sareb­ be potuto non apparire , ma "questa supposi zione (che in Essenza de l nichi lismo consente di tenere aperto il proble ma della 'contingen za') non può esser m antenuta, appunto perché l'apparire appartiene all'es­ sen za dell'accadere , e cioè l'accadere esiste solo in quanto appare e non può avere la possibilità di restare nel non apparire lasciando che un altro accadere appaia" ( 5 3 ) . Contingen za e libertà vengono negate perché l a loro posi zione sup­ pone che la parte sia nel tutto accidentalmente e non necessariamente ( 5 4), ma in tal m odo viene affermato, nella maniera più rigorosa , il destino di tutto e di ciascun essere , sì che della storia non resta più nulla , non solo nel senso già considerato per cui essa è i m possibile come incre mento e dissoluzione dell'essere , ma neppure come proble­ m ati cità dell'apparire . Lo spazio che in Essenza de l nichilis mo viene ancora riconosciuto alla "possi bilità" dell'apparire , in Destino de lla necessità viene tolto radicalm ente . La storia si dissolve nell'attualismo più rigoroso e incontroverti bile : un mosaico le cui tessere tutte sono e tutte con corrono alla raffigura zione di quell'unico e vero soggetto che è il mosaico nella sua interezza . Il pensiero di Severino abbandona così ogni forma di stori cità diacroni ca e sincroni ca tendendo forse , quasi in un lam po di m istica contempla zion e , al superam ento della stessa differenza antologi ca , peraltro rigorosamente fondata: "Il Tutto è l'oltrepassam ento del contraddirsi di questo che appare , di questo apparire . . . E' questo che appare , che è se stesso nel suo essere il Tutto. Oltrepassando il contraddirsi di questo che appare , il Tutto è l' e ss er se stesso de l questo" ( 5 5 ) . Ciò significa che "l'oltrepassamento del mortale è an che l'esser se stesso del m ortale", "è ciò che in verità il mortale è" ( 5 6 ) ; e l'inconscio più profondo del mortale è la Gioia: "Come oltrepassa mento della totalità della contraddi zione del finito, la Gioia è l'inconscio più profondo del mortale . L'apparire della neces-

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sità che il cerchio dell'apparire del destino sia l'apparire infinito del Tutto è la volontà del destino che eternamente vuole ed eternamente ottiene la Gioia" ( 5 7 ) . · I l venire alla luce del destino è, dun que , nell'ulti ma opera d i Severi­ no, il superam ento totale di ogni fede , e segnatam ente della fede nella storia nella quale tutte le altre si com pendiano. Ma il tramonto della storia è lo stesso venir alla luce dell ' attualis m o più rigoroso , contemplativo o estetico (perché superatore dell'alienazione essenziale costituita dalla prassi) , non dissim ile dai m isticism i orientali .

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NOTE l ) Per la giustificazione concreta di questa affermazione si ri manda a Coe renza sintattica e insignificanza se mantica ne l pensie ro di E ma­ nue le Severino , cit ., (parte I), dove è analitica mente seguito e teoreti­ camente motivato il passaggio dal neoclassicis mo al neoparm enidism o nel segno del rigore speculativo.

2 ) Cfr. c . SCILI RONI, Olto logia e storia ne l pensiero di Emanue le Seve­ rino , cit ., pp. 25-8 2 . 3 ) Gli ele m enti che entrano i n gioco nell'esposizione severiniana della verità dell'essere sono: a) l'essere che si semantizza nella sua opposi­ zione al nulla e che viene ridato in una concezione univoca; b) l'opposi­ zione assoluta di positivo e negativo e la relativa interpretazione del principio di non contraddizione ; c) l'identità di essenza ed esistenza; d) la negazione del divenire , nichilistica m ente inteso, e l'affermazione del divenire com e comparire e scomparire; e) la negazione del tempo quale orizzonte trascendentale in cui si dà la possibilità del divenire ; f) la negazione di Dio co m e fonda mento dell'essere degli enti ; g) l'affer­ mazione della trascendenza dell'intero i m m utabile , cioè della totalità del positivo, rispetto alla sua manifestazione; h) la posizione della ne­ cessità - del destino - di tutto e di ciascun essere. Per un'analisi di tutto ciò si rinvia a Olto logia e storia ne l pensie ro di Emanue le Seve rino, cit . , pp. 2 7-4 4 e 8 5-8 8 . 4 ) E. SEVERI N O , Essenza de l nichilismo , cit . , p. 2 8 9 . 5 ) Cfr. C . SCILIRONI, Coerenza sintattica e insignificanza se mantica ne l pensiero di E manue le Seve rino , ci t., pp. 2 6 6-2 6 7 . 6 ) L a formulazione aristotelica del principio d i non contraddizione pre­ senta anche un altro li mite fondamentale , permettendo al "diverso" d'essere e non essere nello stesso te mpo, concedendo cioè che nello stesso tempo alcuni enti siano ed altri no. C fr. Essenza de l nichilismo , cit . , p . 2 6 9 .

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7 ) E. SEVERIN O , Istituzioni di fi losofia. Appunti, Milano 1 9 6 8 (pro m a­ nuscripto), p. 2 6 4 . 8 ) E' Severino a scrivere: "Il segreto del concetto hegeliano d i divenire è quello che abbiamo chiamato 'quieto divenire' , che è il passaggio che non i m plica la variazione temporale ( . . . ). Il divenire non è visto come il passaggio nel tempo, per cui pri ma si era giovani e poi vecchi , ma è v isto co me que lla stabi le tensione senza di cui nulla esisterebbe" (Isti­ tuzioni di fi losofia , cit . , p. 3 4 6 ) . Che anche il pensiero di Hegel si trovi comunque accom unato nella sorte nichilistica dell' Oc cidente è a più riprese ricordato da Severino. Si veda ad esempio Essenza de l nichi­ lismo , cit . , pp. 2 2 3- 2 2 4 . A proposito dell'essenzialità del te mpo v a ricordata l a pole mica Seve­ rino-Berti in riferi mento alla formulazione aristotelica del principio di non contraddizione. Per Severino "il riferi mento al tempo appartiene all'essenza del principio di non contraddi zione" (Essenza de l nichilis mo , cit., p. 3 1 3 ) , per Berti invece "si può anche prescindere dal tempo, che secondo Aristotele non è essenziale al divenire, ma lo presuppone" (E. BERTI, Studi aristote lici, L'Aquila 1 9 7 5 , p . 9 3 ) . 9) Essenza de l nichilismo , cit. , p. 3 1 3 nota n. 5 0 . 1 0) E. SEVERI N O , G li abitatori de l te mpo , Roma 1 9 7 8 , p. 2 9 . 1 1 ) Ibid. , pp. 3 4-3 5 . 1 2 ) E ' utile tenere se mpre presente quanto Severino asseriva dell'inter­ pretazione heideggeriana della te m poralità, spe cie laddove annotava che "il te mpo, Heidegger non può negarlo, è pur se mpre qualcosa" , e dove diceva che "il t e m po è lo stesso orizzonte entro cui la m e tafisi ca potrà raggiungere i suoi decisivi risultati" (H e idegger e la me tafisic a , cit. , pp. 300 e 3 2 4).

1 3 ) "Il divenire è l'i m m anente essersi portato al di fuori della finitezza nel rapporto all'opposto" (Istituzioni di filosofia , cit. , pp. 3 4 6-3 4 7 ) . 1 4) Per i rilievi qui svolti cfr. Istituz ioni di filosofia , cit . , pp. 3 0 0-3 0 5 ; 3 0 7-3 3 3 ; 3 4 0-3 5 1 .

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1 5 ) Per l'interpre tazione della dialettica hegeliana si veda: Istituzioni di filosofia, ci t . , pp. 2 5 8-2 7 9 , e poi soprattutto il notevolissi mo appro­ fondi mento e lo sviluppo teoretico condotto ne La struttura originaria (cap. IX e i parr . 4-6 dell'Introduzione 1 9 7 9

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J ).

1 6 ) A RISTOT ELE, Me taph. 1 0 4 9 b 4 - 1 0 5 1 a 3 . 1 7 ) P e r questa analisi del divenire i n Aristotele com e passaggio d i un ente dalla potenza all'atto si vedano di Severino: A ristote le. I princ ipi de l divenire (Introd . , trad. e com mento del libro I della Fisic a), Brescia 1 9 5 5 ; La metafisica c lassica e A ristote le , in AA.VV. , A ristote le ne lla c ritica e negli studi conte mporane i , suppl. speciale al vol. X L VIII della " Rivista di filosofia neoscolastica", Milano 1 9 5 6 , pp. 1-2 5 ; Istituzioni di filosofia, cit . , pp. 3 8 8-3 9 6 . 1 8) Essenza de l nichilis mo , c it . , pp. 3 1 1 - 3 1 2 . S i tralascia di analizzare lo sviluppo che storicamente ha avuto la teoria dell'atto e della potenza, dato che in rapporto all'argomento che si va esaminando la form ulazione aristotelica presenta sostanzialmente già tutti gli ele menti che interes­ sano. In ogni caso indicazioni sullo sviluppo successivo si trovano in Istituzioni di filosofia , cit . , pp. 3 9 6-4 2 5 , dove viene anche data una bibliografia in proposi to. 1 9 ) Così avrebbe inteso l'essere il pensiero presocratico, poi travisato dalla deformante interpretazione aristotelica. "Per esso, scrive Seve­ rino, un tempo tutte le cose erano insieme in atto, non in potenza: cioè, l'intento del pensiero presocratico è di costituire quella di mensione asso luta (e non se mplice m ente m ateriale) che corrisponde all'atto puro aristotelico" (Istituz ioni di filosofia , cit . , pp. 2 3 4-23 5). 2 0) A proposito del divenire va da ultimo osservato che nel contesto del pensiero di Severino, per il quale tutto e ciascun essere non può non essere, perde senso la distinzione tra divenire esistenziale , sostan­ ziale e accidentale. Infatti alla base di questa distinzione, che peraltro può essere utilmente sfruttata per l'interpretazione (severiniana mente nichi listica) della storia della metafisica, sta la persuasione che il dive­ nire sostanziale e accidentale non comporti alcun annulla m ento dell'es­ sere ; questo sarebbe proprio solo del divenire esistenziale . Ma che si tratt i , nell'ottica di Severino, di una se m plice illusione è ovvio, giacché anche in una trasfor mazione sostanziale , proprio perché vi è trasfor ma-

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zione, è indispensabile che qualcosa venga meno e qualcosa sopraggiun­ ga, il che vale necessari am ente anche nel caso di un accidente . 2 1 ) Il concetto è aristotelico: "Non è eterno ciò che può non essere" (Metaph. 1 0 8 8 b 24). Il passo è riportato da Severino in Essenza de l nichilismo , cit., p. 2 8 9 . 2 2 ) Per l'interpretazione d i Aristotele e S . Tom m aso cfr. R . M O N D O L­ F O , Ve ritas filia te mporis in Aristo te le , in Mo menti de l pensiero greco e c ristiano , Napoli 1 9 6 4 , pp. 1-2 0 ; I D . , Veritas fi lia te mporis in To mma­ so d'A quino, ivi, pp. 2 1 -3 6 . 2 3 ) G li abitatori de l tempo, cit. ,

p.

1 28.

2 4 ) Ibide m. 2 5) Alla sua base sta per Severino il senso dell'essere e del nulla deter­ m inato una volta per tutte dalla metafisica greca. 26) Ibid. ,

p.

1 2 9.

2 7 ) Ibid. ,

p.

117.

2 8 ) Ibid. ,

p.

1 1 9.

2 9) Ibid. ,

p.

121.

3 0 ) Ibid. ,

p.

1 2 3.

3 1 ) Ibid. , p. 1 2 4. 3 2) lbid. , p. 1 2 7 . 3 3 ) "Anche l a tecnologia scientifica è anticipazione dell'accadi mento stori co, ma, a differenza dell ' ep is té me , non è anticipazione categorica, bensì ipotetica, e quindi aperta all'innovazione determ inata dal fatto storico" (lbid. , p. 1 3 1 ) . 34) lbid. , p. 1 4 0 .

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3 5 ) 11Nichilismo è la persuasione che la storia esiste ed è evidente11 (lbid. ' p . 13 2 ) . 3 6 ) Essenza de l nichi lismo , ci t . , p. l 7 7 . 3 7 ) Ibid. , p. 2 5 9 . 3 8) Per un'analisi dettagliata dei momenti storici e dei motivi teoretici del 11tramonto del senso dell'essere11 si rinvia a O'l.to logia e storia ne l pensiero di Emanue le Severino , cit. , pp. 2 7-4 5 . 3 9 ) G li abitatori de l te mpo , cit., p. 2 1 . 4 0 ) 11A ll'intemo del nichilismo si sono sviluppati i più insanabili contrasti della civiltà occidentale : cristianesi mo e anticristianesi mo, teismo e ateismo, servo e padrone, spiritualismo e materialism o , filosofia reali­ stica e filosofia idealistica, metafisica e anti metafisica, economia bor­ ghese e economia socialista, democrazia e assolutismo, tradizionalismo e contestazione globale della società - tutti questi irriducibili antagoni­ sti si scontrano all'interno di una concordanza sostanziale , espri mono in modo antitetico lo stesso pensiero dom inante; hanno cioè in comune il tratto decisivo e fondamentale che guida l'Occidente11 {Ibid. , p. 2 1 ) . 4 1 ) E ' i l giudizio d i E . B E RTI, Il nichi lismo de ll' Occidente secondo Nietzsche, He idegge r e Severino , 11F ilosofia oggi", 3 (1 9 8 0 ) , p. 5 0 9 . 4 2 ) Per esse si rinvia a Ol.to logia e storia ne l pensiero d i Emanue le Seve rino , cit. , pp. 6 0-7 0 . 4 3 ) Cfr. : U . R EGIN A , H e idegge r. Dal nichilismo a l la dignità de ll'uo mo , Milano 1 9 7 0 , pp. 9-1 4; U . GALIMB ERTI, He idegge r-Jaspe rs e i l tra mon­ to de ll' Occidente , Torino 1 9 7 5 , pp. 2 6 2-2 6 6 . 44) G li abitatori de l t e mpo , ci t . , p . 1 3 1 . 4 5 ) E . SEVE RIN O , Inte rvento al Convegno su 11L'eredità filosofica di Martin Heidegger11 ( Padova , gennaio 1 9 7 9 ), "Verifiche11 , 8 ( 1 9 7 9) , p. 1 1 3. 46) Essenza de l nichilismo , cit. , p. 1 6 4. E a p . 1 1 5 si legge : 11Tutto il

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contenuto che appare appartiene al destino dell'apparire, o una di men­ sione dell'essere si offre nell'apparire al di là di ogni destino, come un puro dono ? " 4 7 ) lbid. , p . 1 0 7 . 4 8 ) Studi di filosofia de lla prassi, cit . , p . 2 7 0 . C fr. i n particolare le analisi svolte alle pp. 1 9 5-2 01 . 4 9) Essenza de l nichilismo, cit . , p. 1 6 5 in nota. 5 0) E . SEVERIN O , Destino de lla necessità , Adelphi, Milano 1 9 8 0 , p. 94. Già nella prefazione si legge: "Il destino non è la semplice negazione della libertà: è una regione diversa da quella in cui la necessità e la libertà coincidono" (p. 1 5 ). 51) lbid. , p. 9 7 . 5 2 ) Ibide m. 53) lbid. , p. 1 0 5 . 5 4) " L a parte è nel Tutto non accidentalmente, m a necessariamente ( ). E' appunto per il legame necessario , che unisce la parte ad ogni altra parte , che la parte non può esistere e non può aver senso indipen­ dentem ente dal Tutto. L'essere in eterna com pagnia di tutti gli altri enti appartiene all'essenza di ogni ente. La persuasione che le decisioni - 'umane' o 'divine' - siano 'libere' è invece la negazione del legame necessario che unisce ogni parte a tutte le altre . Tale persuasione separa infatti dal Tutto quella parte che è l'accadimento della decisione e la rende qualcosa di assoluta m ente indipendente ( . . . ) . Nella verità dell'essere , invece, il legam e ne cessario che unisce al Tutto l'accadi mento della decisione rende inevi tabile questo accadi­ m ento - e ogni altro accadi mento" (lbid. , pp. 1 1 4-1 1 5). ..•

5 5) Jbid. , pp. 5 9 0-5 9 1 . 5 6 ) lbid. , p . 5 9 1 . 5 7 ) Ibid. , p . 5 9 5 .

CAPITOLO li OLTRE IL NEOPARMENIDISMO: D ESTINO DELL'ESSERE E SPAZIO PER LA STORIA

Nei due capitoli precedenti si è ripercorso lo sviluppo che il proble­ ma della storia ha assunto finora nel pensiero di Severino . La distin­ zione in tale filosofia di un pri mo e di un secondo tempo è motivata, pur nell'unitarietà dello sviluppo complessivo, da quella profonda rigo­ rizzazione operata negli ultimi scritti , che ha finito col dissolvere la posizione ini ziale. L'esito finale è senz'altro un attualismo assoluto, estetico, in cui il neoparmenidismo trova il suo assesta mento defini­ tivo. Quanto alla storia essa viene negata nella sua stessa possibilità: essa è la forma e mergente di nichilismo, è l'alienazione essenziale, e non solo in quanto luogo che accoglie l'evento e la novità, ma pure in quanto spazio della possibilità. Su questo esito finale del pensiero severiniano s'intende ora operare criticamente, mostrando come, pur non rinunciando all'ani ma di verità del neoparmenidismo, non venga m eno lo "spazio" per la storia , anzi esso sia esigito dalla stessa verità dell'essere. Lo svolgim ento concreto di questa tesi viene condotto attraverso quattro momenti : nel pri mo si mostra l'i mportanza e la fondazione della differenza antologica nella stessa strutturazione severiniana dell'antologia ; nel secondo si radica la differenza erm eneutica di sin­ tassi e se mantica nella differenza antologica; nel terzo si mostra il ruolo della prassi ; nel quarto, infine, si cerca di stabilire il senso della "veri tà" del ni chilismo.

l) Verità dell'essere e differenza antologica La verità , come si è visto, è per Severino custodi ta in queste poche parole di Parm enide : ésti gàr einai, medèn d'ouk éstin (fr. 6 , vv. 1 2 ) , che ridanno i l senso originario dell'essere : l'essere è ciò che si oppone al nulla , è qu esto opporsi . Tra l'essere e il nulla non esiste alcun com promesso, la loro opposi zione è assoluta. Merito parti colare di Severino è di aver mostrato, attraverso un profondo sfruttamento teore tico dell'é lenchos aristoteli co, l'in controvertibilità di questa

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oppoSI Zione. Per negare l'opposi zione la s i deve affermare : la negazione dell'opposi zione in ac tu signato ne è afferma zione in actu exercito ( 1 ). Questa è la pietra angolare dell'ontologia severiniana e il suo irrinunciabile guadagno spe culativo ( 2 ) . L'incontrovertibilità dell'opposizione tra l'essere e i l nulla com porta che dell'essere mai si possa affermare che "non è". Ma se l'essere non può non essere, esso (tutto l'essere e ogni singolo ente) è necessario ed eterno. Conseguenza di ciò è la negazione che il divenire, inteso come implicante il non-essere dell'essere , sia reale . L'essere è già da sempre ciò che è, non diviene e non può divenire. Altro contributo essenziale di Severino consiste nell'aver saputo mostrare che l'esperienza non contraddice la verità dell'essere . Feno­ menologica mente non c onstano l'uscire e il ritornare nel nulla, ma se mplice mente l'apparire e lo scomparire. In altri term ini, l'esperienza non dice nulla dell'essere che non appare più o che non è ancora appar­ so; quel dire è se mplice m ente la nostra inte rpre tazione dell'apparire e dello scomparire . Più avanti si vedrà come il senso di questa inter­ pretazione vada inteso in modo diverso da Se verino, giusta comunque ed essenziale la distinzione che egli opera tra l'i m m ediato fenomeno­ logi co e la sua interpretazione. Il divenire, dunque , non è altro che il comparire e lo scomparire di un ente eterno . L'argomentazione decisiva sta anche i n questo caso nel comprendere pe rché , ridotto all'apparire-scomparire, il divenire non i mplica il non­ essere dell'essere . Severino ne ha discusso in m aniera determ inata con Bontadini, secondo il quale l'aporia del non essere dell'essere, lungi dal venire in questo modo risolta, viene di fatto sempli cemente spo­ stata, perché, se è vero che il divenire così non i m plica più il non es­ sere , i m plica però, a suo dire, il non apparire dell'essere, di m odo che di quell'ente che è l'apparire si deve affer mare , di nuovo, l'annulla­ mento e l'e m ersione dal nulla (3 ). Ma questa osservazione di Bontadini non intacca il discorso di Severino, il cui aspetto risolutivo è proprio nel mostrare che l'apparire e lo scom parire non i m plicano il non essere dell'apparire, e dunque costi tuiscono la vera soluzione dell'aporia del non-essere dell'essere . Ma si comprende ciò solo se ci si rende conto che "qua lcosa può apparire so lo se appare il suQ apparire " (4), sic ché - ed è l'argomentazione decisiva di Severino - "quando allora si obietta che , se il divenire è un comparire e uno scomparire dell'esse re , ac cade pur se mpre che, nel divenire, quell'essere che è l'apparire non s ia (cioè non sia quando il qualcosa non è ancora apparso e quando non appare più), quando si obietta in questo modo ci si trova ad affer m are il non

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essere d i c i ò che è già stato posto come u n non apparire; ossia s i esige che venga espresso in term ini di essere e non essere ciò che è già stato espresso in term ini di apparire e non apparire" ( 5). In altre parole , il divenire di qualcosa è insieme il divenire dell'apparire del qualcosa , sì che, se la determ inazione del pri mo come apparire e scomparire non è altro dall'apparire e scom parire del secondo, allora la determina­ zione dell'uno come comparire e scom parire non lascia più spazio al­ l'interpretazione dell'altro in term ini di essere e non essere ( 6 ) . L'apparire viene i n tal modo a d essere "la coscienza dell'autocoscien­ za " (7), dove però tale coscienza non è altro dalla stessa coscienza dell'essere che è posta nell'autocoscienza, e cioè la coscienza (l'appa­ rire) dell'autocoscienza (l'apparire dell'apparire dell'essere) è quello stesso apparire dell'essere che è incluso nell'essere che appare, sicché l'apparire è una struttura circolare (8), la quale non dà luogo ad un progressus in indefinitum appunto perché l'apparire ha per contenuto sé medesi mo: "Nella verità dell'apparire, l'apparire a del cielo azzurro è insieme apparire di se stesso : appartiene al contenuto di cui è l'appa­ rire i . . . l . L'apparire (a) è l'apparire dell'apparire (a) . Ebbene , quando il ci è1o azzurro non appare (a) più, non solo non appare (a) più il ci elo azzurro, ma non appare (b) più nemmeno l'apparire (a) del cielo az­ zurro. M a , si è detto, l'apparire (a) del cielo azzurro è l'ap p arire di se stesso - l'apparire è l'apparire (a) dell'apparire (a). E l'apparire (b) dell'apparire (a) è lo stesso apparire (a) dell'apparire (a), ossia l'appa­ rire b è lo stesso apparire a. Sì che l'apparire b (che è lo stesso a) ha come contenuto l'apparire (a) dell'apparire (a ). Ciò significa che nel­ l'affermazione: 'l'apparire (a) del cielo az zurro non appare (b) più' , l'apparire b è que llo stesso apparire a, di cui si è già detto che non appare (b) più; e cioè l'apparire b non è quel diverso dall'apparire a , quel diverso che , uscendo ' a sua volta' dal cerchio dell'apparire , richie­ de 'a sua volta' di essere posto come ciò che 'non è più apparente' (dove quest'ulti mo apparire è l'apparire c del progressus in indefinitum )" ( 9 ) . Quando qualcosa comincia a d apparire significa che appare i l suo apparire incom inciante, quando qualcosa non appare più significa che il suo apparire non appare più; ma nell'uno come nell'altro caso nulla si aggiunge o si toglie al Tutto dell'ente ( 1 0 ) . Severino m ostra come ciò com porti necessariam ente la distinzione tra il divenien te, ossia ciò che appare e scompare , e l'apparire indivenibile . "Se il di venire di tutto ciò che appare diveniente è l'entrare e il dipartirsi dall'appa­ rire , dell'apparire, invece , inteso non già come determ inazione parti co­ lare o 'em pirica' , ma come evento trascendentale , ossia come l'oriz-

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zonte della totalità di ciò che appare (e quindi come l'orizzonte in cui sopraggiungono e da cui si congedano le determ inazioni che diven­ gono), dell'apparire, dunque , così inteso, non appare e non può apparire il divenire: dell'apparire , come evento trascendent�e, non appare e non può apparire il sopraggiungere e il congedarsi · dall'evento tra­ scendentale" ( 1 1 ) . La verità dell'essere esige cioè � distinzione tra l'apparire come evento trascendentale (il cerchio dell'apparire), il quale non può né sopraggiungere né dileguarsi, e l'apparire e mpirico, cioè il comparire e lo scomparire delle singole determ inazioni . L'apparire come evento trascendentale è lo sfondo su cui si stagliano e da cui dileguano (cioè compaiono e scompaiono) le singole determi­ nazioni empiriche . L'essere eterno deve necessariamente apparire, pena il non essere dell'apparire come ori zzonte totale , e dunque la contraddizione , ma l'essere non appare nella sua concreta totalità. Ora, se è necessario che l'essere appaia, ma di fatto non appare total­ mente, significa che non è necessario che l'essere si riveli totalmente : "Ciò che dell'essere è necessario che appaia, affinché l'apparire sia, non è il tutto concreto dell'essere" ( 1 2), ma se mplicemente lo sfondo, di cui le varie determinazioni divenienti non sono che le varianti , le quali sopraggiungono appunto "a quel contenuto m inimo (lo sfondo) , senza il cui apparire l'apparire, com e evento trascendentale , non esi­ sterebbe" (1 3). Anzi la verità sa, dice Severino, che "il tutto non po­ trebbe mai entrare nell'apparire" ( 1 4), giacché, se il tutto già da sem­ pre appare in un apparire che non è l'apparire attuale , quest'ultimo, l'apparire attuale, finito, non può diventare l'apparire infinito del tut­ to. L'essere dunque appare necessariam ente , ma non appare nella sua totalità concreta, esso appare processualm ente : la parte si rivela isola­ ta dal tutto, non cioè nella sua essenziale relazione al tutto. Siccome questa relazione è necessaria (1 5 ) , "l'apparire della parte senza l'appa­ rire del tutto è una comprensione o manifestazione astratta de ll'a­ stratto" ( 1 6). Il che significa che in quanto la parte non appare concre­ tam ente relazionata al tutto, essa appare come in un manca mento, ossia priva di qualcosa che le è essenziale , la relazione al tutto appun­ to. Questo apparire isolato della parte , m anifestazione astratta dell'es­ sere, è la radice della differenza tra l'essere, astrattam ente considera­ to, e lo stesso essere, concretam ente considerato, in quanto avvolto dal tutto. "La differenza antologica è così la differenza tra l'essere e l'esserci, ossia tra l'essere in quanto tale e l'essere in quanto astrat­ tam ente manifesto" (1 7). Di fatto, osserva Severino, niente appare come è nel tutto, neppure l'apparire: " Tutto ciò che appare (e dunque

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anche lo stesso apparire) differisce pertanto dall'essere: m a nel senso che ciò che appare è l'essere stesso in quanto astrattamente manifesto f . . . l . Ciò che appare non aggiunge dunque nulla all'essere (cioè al­ i'i m m utabile): appunto perché ciò che appare è l'essere . Eppure ciò che appare diffe risce dall'essere : appunto perché l'essere, apparendo, non si rivela in tutta la sua piene zza" ( 1 8 ) . Questa differenza tra la parte che appare irrelata al tutto, e cioè astrattam ente manifesta , e la parte in quanto tale , cioè concretamente considerata , è , dunque , la differenza ontologica , della quale Severino precisa però che "non è la differenza tra due enti , ognuno dei quali sia privo di ciò che l'altro possiede" (1 9), ma è "un evento interno all'i m m utabile" (2 0 ) . Per i l fatto che i l tutto non appare nella sua piene zza , la verità è contraddiz ione . Il non apparire totalmente del tutto è l'apparire soltanto della form a del tutto e non della sua compiuta ricchezza . La contraddi zione è provocata dal fatto che i l tutto non appare nella sua integralità, e pur resta significante come il tutto. In altri term ini la contraddi zione si produce perché , non entrando totalmente il tutto i m m utabile nell'apparire , la parte che di esso vi entra , resta signifi­ cante come il t utto ( 2 1 ) . D'altro canto "l'apparire finito non può diven­ tare l'apparire infinito del tutto" ( 2 2 ) , per il fatto che il Tutto appare processualmente , cioè in parte, e perché già da se mpre il Tutto appare infinitamente in un apparire che non è l'apparire attuale . Sicché "l'ap­ parire attuale è l'apparire finito dell'infinito" ( 2 3 ) . Ma l'apparire finito è la contraddizione di cui si è appena detto, ossia l'attri buire signifi­ cato di Tutto a ciò che è solo la forma del Tutto. L'apparire attuale non è dun que , né può essere , la compiuta manifesta zione del Tutto, ma il luogo dell'apparire finito del Tutto. Ma se l'apparire finito, pur nel suo infinito svolgersi , non potrà mai di ventare l'apparire infinito, vuoi dire che la differen za ontologica è originaria. 2) Differenza ontologica e differenza ermeneutica

Proprio l'originari età, e dunque la necessi tà, della differenza ontolo­ gica induce a proseguire pe r alia m via m rispetto a Severino. Questi , infat ti, ripercorrendo i sentieri già tracciati dallo Hegel , ritiene di supe rare la contraddi zione della parte che appare isolata dal Tutto e del Tutto che appare solo formalment e , rendendo necessari ed eterni sia la contraddi zione sia il suo superamento: " L'oltrepassam ento della cont raddi zione è eterno com e la contraddi zione . La contraddi zione è et erna come già da sem pre e per sem pre oltrepassata" ( 2 4 ) ; e il senso

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concreto dell'oltrepassamento viene indicato come l' "esse r sé stesso de l questo ". E' noto come lo Hegel vedesse nelle filosofie di K ant e di Fichte il tentativo di superare le contraddizioni della ragione mediante il "dover essere", e come egli giudi casse tale tentativo un ri manere anco­ rati alla contraddizione . Il passaggio del finito nell'infinito viene ope­ rato dallo Hegel superando la comprensione propria dell'intelletto, secondo la quale finito e infinito sono a ltri l'uno dall'altro, e perve­ nendo a quell'intui zione del vero assoluto in cui finito e infinito sono solo come "mom enti di un tutto" ( 2 5). L'idealità del finito ( 2 6 ) è così quella comprensione che, superandone l'i m m ediatezza ( 2 7 ) , vede in esso l'infinito. Non si tratta di due enti che si relazionano, ma di un'uni­ ca realtà che si rivela nella m ediazione diale ttica. La diffi coltà di questo passo risolutivo della filosofia hegeliana sta nel preteso supe­ ramento totale della contraddizione , per cui l'assoluto, come unità del finito e dell'infinito, verrebbe colto. In questo modo lo Hegel annul­ la la differenza antologi ca, perché il cogli m ento di quel Tutto, di cui finito e infinito sono momenti , è lo stesso apparire concreto del Tutto. Ma proprio perché la differenza antologica è originaria, ciò non può in alcun m odo realizzarsi. Severino fa qualcosa di analogo allo Hegel, cercando però nel con­ tempo di superarne il limite. La sua soluzione , infatti, tenta di m ettere insi e m e la verità dell'essere con l'originarietà della differenza antolo­ gica, attraverso la posizione dell'eternità sia della contraddi zione sia del suo supera mento. Il "dover essere" non espri m e più solo, come per lo Hegel, il persistere nella finità, m a anche la reali zzazione del­ l'unità di finito e infinito. Anche ciò che "deve essere" è, e si ccome la totalità nella sua compiutezza dev'essere , allora è, così com'è la contraddizione dell'apparire isolato della parte . Non più, si potrebbe dire, Hegel contro Fichte, ma Hegel e F i chte. Tutta l'argom entazione - si noterà - si colloca sul piano della strut­ tura form ale dell'essere, e in tale contesto il supera m ento della con­ traddizione non può significare la possibili tà né per il tutto né per la parte di apparire compi utam ente nell'apparire attuale . E ciò perché altri menti verrebbe m eno la differenza antologica, la quale invece, come si è visto, è originaria. Pertanto, se l'apparire attuale è l'ori zzonte dell'apparire della di ffe­ renza antologica, e cioè l'apparire del tutto e della parte, dell'essere e dell'esserci , come in un "mancam ento" e non nella loro compiutezza, ciò che appare è un mo mento della verità, n on la verità, e proprio

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perché tale è i l non apparire della verità. La differenza antologica è la stessa i m possibilità dell'apparire della verità. Essere ed esserci , tutto e parte , infinito e finito appaiono nella non verità. Ma vi è la verità di questo non apparire della verità, ossia la verità del logos che dice l'i m possibilità dell'apparire della verità. La differenza antolo­ gi ca ri manda alla differenza erm eneutica, alla differenza di sin tassi , la verità del logos , e di semantica, l'interpretazione dell'apparire. La semantica, essendo ermeneutica dell'apparire della non verità, è necessariamente "mancante", li mitata cioè e , in senso radicale , non veritiera. Né, d'altro canto, può essere diversamente, perché l'inter­ pretazione è se mpre interpretazione di qualcosa, e se questo qualcosa appare manchevole , anche l'interpretazione sarà manchevole. Ma la non verità della se mantica è in ordine all'intero, all'apparire concreto del tutto, non in ordine all'apparire attuale . Peraltro la se mantica è ne cessaria: ogni comprensione la presuppone. Non si può cogliere l'apparire senza interpretarlo , senza attribuirgli un significato speci­ fico. Né la sintassi può indicare alla se mantica altro che il li m ite nega­ tivo, ossia l'orizzonte al di là del quale non si può procedere. La posi­ zione della differenza antologica è quindi la stessa posizione di un'er­ m eneutica "mancante" sia dell'essere che dell'esserci. Q uando lo Hegel afferma che l'idea è il risolversi del progresso infi­ ni to ( 2 8), egli annulla quel limite invalicabile che per l'idealismo sog­ gettivo obstava al cogli mento dell'assoluto ( 2 9) . Ma se la "cattiva infi­ nità" ( 3 0) è in Fichte la conseguenza del manteni mento della differen­ za antologica, come in K ant lo è l'i mpossibilità della metafisi ca, allora il passo dello Hegel annulla la differenza antologica nel senso che, entrando l'assoluto nella coscienza, viene identificato l'apparire tra­ scendentale con l'apparire attuale. Severino non opera senz'altro tale identificazione, ma neppure egli pone la necessità dell'ermeneutica "mancante", anch'egli infatti pretende una comprensione esaustiva sia dell'essere che dell'esserci che li colga come momenti del tutto, e ciò attraverso l' "esser sé stesso del questo" . In tal modo però Seve­ rino presuppone quell'identificazione che espli citamente nega : infatti, se "l'esser sé stesso del queston è la comprensione della parte non più isola t a dal tutto, e dunque l'appari re del tutto non più solo formalmen­ te, v uol dire che l'apparire eterno dell'essere, l'apparire trascendentale ("il cerchio dell'apparire"), entra nell'apparire attuale . Ma l'en trare dell'n pparire trascendentale nell'appari re attuale è la stessa identifica­ zion e dell'uno e dell'altro apparire. E il trovarsi in pari dell'essere e dell'apparire è il dissolversi della differenza antologica. Tutto que-

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sto, se non identifica l a posizione d i Seve rino c o n quella d i Hegel, ne mostra però lo stretto legame. Si può allora dire che il pensiero di Severin o , profondamente rigoroso nell'individuazione della struttura formale dell'essere , è poi dimentico del li mite originario della se mantica dell'ap purire, e tende ad un'erme­ neutica assoluta dell'apparire attuale. M a se la differenza ontologica è originaria, originaria è pure l'i mpossibili tù di un'ermeneutica asso­ luta : nell'ordine dell'intero l'interpretazione dell'apparire è sempre interpretazione dell'apparire della non verità, e dunque interpretazione non vera; in riferi mento all'apparire attuale , l'interpretazione di questo stesso apparire può invece godere di maggiore o minore verità. D 'altro canto la non verità assoluta dell'interpretazione dell'apparire attuale, essendo tale verità originariamente preclusa, è irrilevante, m entre rilevante diviene la verità "relativa" dell'apparire attuale. L'apparire attuale si pone pertanto come l'orizzonte in rapporto al quale le cose prendono senso. Ma di tutto questo nel prossi mo paragrafo; intanto si osservi che se la differenza ontologica è la stessa i mpossibilità dell'apparire della verità, e dunque la radice dell'ermeneutica "mancante", essa è pure necessariamente il fondam ento della possibilità. N on "possibilità del­ l'essere", e cioè possibilità che l'essere sia e non sia, e dunque identifi­ cazione di essere e nulla , ma "possibilità erm eneutica", ovvero possibi­ lità di tutte quelle interpretazioni dell'apparire che non contrastano con la sintassi dell'essere . L'essere è e non può non essere , è ne cessa­ riamente ; ma ciò che dell'essere appare può essere interpretato in vari modi . La necessità è la categoria ontologi ca , la possibi lità la categoria ermeneuti ca . Per se l'essere e l'essere che appare sono, quoad nos hanno significati diversi . Il proble ma ermeneuti co, quindi , che in senso originario è lo stesso im possibile superamento della dise qua zione di essere e apparire , e della distinzione dell'apparire attuale dall'apparire trascendentale , diviene un com pito infinito. Nella distinzione erm eneuti ca di sintassi e se m antica alla ne cessità della prima fa riscontro la possibilità della se conda . In ciò si può senz'altro ravvisare per più aspetti un richiam o alla distin zione stabili­ ta da Leibniz tra verità di ragione e verità di fatto, aprendosi così , in maniera determ inata, alla soluzione della doppia logi ca , nella linea indi cata ad esempio da Italo Mancini quando scrive : " La stessa filosofia in generale com e ancor di più la filosofia della religione non possono fare a m eno della doppia fonte logi ca . Vuol dire che mentre la logi ca delle essenze e delle identità , può raggi ungere il suo traguardo in asso-

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luto, quella delle esisten ze lo raggiunge i n maniera aperta e se mpre approssimativa" ( 3 1 ) . 3 ) Ermeneutica e prassi

La distinzione tra l'originarietà semantica, che è la stessa apofansi dell'essere , per la quale tutto ciò che è, è necessariamente signifi­ cante , e l'erm eneuti ca propriam ente detta, è , vista alla luce della differen za di sintassi e se mantica, distin zione interna alla se mantica. Essa indica nientemeno, offrendone una diversa soluzione , che i due corni del dile m m a posto da Platone nel Cratilo con le opposte tesi di Cratilo e di Ermogene, affermanti rispettivamente la naturalità e la conven zionalità dei nom i . Tale dile m m a è qui ri condotto per un verso all'apofansi dell'essere e per l'altro alla com prensione interpre­ tante ; ma di questi due momenti, se si deve affermare per entrambi che e m ergono nel contesto dell' "ermeneuti ca m ancante", e quindi giacciono nel solco della non verità (assoluta), appare poi i m mediatamente l'astratte zza del pri mo e la concretezza del secondo. E ciò perché al dato originario non si perviene : ciò che tale viene considerato è già sempre un interpretato ( 3 2). Altrove s i è cercato d i espri mere l a circolarità d i dato e significato utili zzando non solo le indicazioni dello Heidegger e di Gadamer, ma pure le proposte analitiche di Wittgenstein, quelle biologi che di Lenne­ berg, nonché le afferma zioni sulla naturalità del linguaggio ( 3 3 ) ; ora si intende procedere alla determ inazione del rapporto tra questa strut­ turazione ermeneutica - nel contesto di Severino l'interpretazione dell'apparire - e l'esperienza concreta dell'uomo. E' però ne cessario pri ma chiarire quanto si è anti cipato nel paragrafo precedente a propo­ sito della non verità della semantica . L'originarietà della differenza antologi ca - si è detto è la stessa i m possibilità dell'apparire della verità , e quindi dell'erm eneuti ca assoluta, perché l'erm eneutica è interpretazione di ciò che appare , e ad apparire è appunto la non ve rità. Ma la non verità assoluta dell'apparire att uale , essendo tale verità dell'in terpretazione ori gin ariamente pre clusa , quale rilevanza ha? N on altra se non quella di "relativi zzare" ogni interpretazione, e di porre il li mite tra il dicibi le e lo speri mentabile e il non dicibile e il non speri mentabile . Del resto se si vuol dare un senso alla vita è ne cessario accogliere com e vera la non verità assoluta dell'apparire attuale ; ché , se poi anche non lo si volesse , ciò si i mporrebbe com unque di necessità. Tolta radi c almente la possi bilità dell'apparire, nel!lapparire attuale , -

80 dell'appa rire trascendentale , tolta cioè la possibilità della verità tota­ le , non resta che la verità relativa dell'appn rire attuale . La nostalgia della verità totale è positiva nella m isura in cui fa da antidoto alla assoluti zzazione della verità attuale , ma se diventa un disattendere ad essa, perde ogni propria fun zione . Il pensiero metafisico-teologi co, dom inante nella tradizione occiden­ tale , è a suo modo un'arguta interpretazione di questa non assolutiz­ zazione dell'apparire attuale ; esso però disattende in certa misura all'apparire trascendentale , relegando - giusta l'osservazione di Seve­ rino - qualcosa di ciò che non appare nel nulla assoluto. Diverso è inve­ ce ad ese mpio l'atteggiamento di K ant, per il quale il nulla non è mai il nulla assoluto, ma il non-oggetto e mpiri co, il non-fenomeno ( 3 4 ) . L'impossibile per K ant non è p i ù soltanto, c o m e p e r Baumgarten, Wolff e i razionalisti , ciò che comporta contraddizione logica (3 5 ) , ma ciò che contravviene alle condizioni di possibilità dell'esperienza. Di con­ tro "ciò che si accorda colle condizioni form ali dell'esperienza (per l'intuizione e pei concetti) è possibile" ( 3 6 ) . E' fa moso l'ese mpio del bilineo rettilineo che dalla scolastica razionalistica veniva spiegato in termini di impossibilità logica e da K ant invece in term ini di i mpos­ sibilità reale. Si legge nella Philosophia prima sive Olto logia di Wolff: "Im possibile dicitur quicquid contradictione m involvit. E. gr. Bilineum rectilineum contradi ctionem involvit , curo s upponat duas lineas re ctas inter eadem puncta contineri posse, quod contradicit proposi tioni ve­ rae, inter duo puncta nonnisi rectam uni cam contineri . Est igitur bili neum rectilineum i mpossibile" ( 3 7 ) . Scrive invece K ant: "Che in un con cetto siffatto non debba esservi contraddizione , è certo una condi­ zione logi ca ne cessaria, ma tutt'altro che suffi ciente a costituire la realtà oggettiva del concetto, cioè la possibilità di un oggetto quale vien pensato mediante il concetto! Così , non c'è contraddizione nel concetto di una figura chiusa tra due linee rette , giacché il concetto di due linee rette e quello del loro incontrarsi non contengono la nega­ zione di alcuna figura; ma l'i mpossibilità non sta nel concetto in se stesso, bensì nella costruzione di esso nello spazio, cioè nelle condizio­ ni dello spazio e della sua determ inazione ; m a queste, alla lor volta, hanno la loro realtà oggettiva, ossia si riferiscono a cose possibili , poiché contengono in sé a priori la forma dell'esperi enza in generale" ( 3 8 ) . Il proble ma che qui emerge è risolutivo: da un lato sola condizione di possibili tà è la possibilità logica, dall'altro a questa condizione si aggi unge l'accordo con la forma dell'esperienza. Severino è senz'altro

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nella linea d i Wolff, Baumgarten e della scolasti ca razionalisti ca; egli anzi accentua a tal punto il possibile come il non logicamente impossi­ bile , da togliere la stessa differenza tra reale e possibile (in senso logi co): il reale è il possibile (attuali zzato o m eno, attualizzabile o meno), m entre l'esse in re rum na tura è solo una modalità del reale . F inché ci si mantiene sul piano trascendentale, a livello di considera­ zione della totali tà dell'essere , dell'intero, - ma ciò, si ra m m enti , è possibile sempre e solo a livello formale (sin tassi ) , giammai a livello di contenuto concreto (se mantica) -, quanto Severino afferma è inec­ cepibile ; resta però il fatto che, poiché l'intero non appare e non può apparire, ciò che appare , l'apparire attuale , è, per l'uomo, ovvero per lo stesso apparire attuale , il li mite del dicibile . Ciò non significa nega­ re il "non-dicibile", ma "tracciare al pensiero un li mite, o piuttosto - non al pensiero, ma all'espressione dei pensieri" (3 9). Per Wittgen­ stein, ad ese mpio, - si sa - tale li mite può essere tracciato solo nel linguaggio, perché solo il linguaggio offre la possibilità di distinguere fra tutto quello che può essere pensato ciò che ha senso, il dicibile, dal nonsenso, il non-di cibile. Il problema è quello di vedere le condizio­ ni a priori sia del pensabile sia del dicibile (40), ma in ciò la lezione di Kant appare ancora insuperata: noumeno e fenomeno espri mono adeguatamente la differenza ontologica e la m antengono con scrupolo. La circoscrizione dell'indagine ai fenomeni è la stessa i mpossibilità dell'apparire, nell'apparire attuale (i fenomeni), dell'apparire trascen­ dentale . Ermeneutica mancante senz'altro quella dei fenomeni, ma l'unica possibile , perché i noum eni (l'apparire trascendentale) costitui­ scono il limite della conoscenza. Ma non per questo i noum eni (l'appa­ rire trascendentale) vengono negati ; soltanto ne è resa i m possibile la semantica, ossia l'erm eneutica del contenuto, appunto perché tale contenuto non appare. Possibile , come si è già osservato, è solo la sintassi di tale contenuto, cioè la sua determ inazione form ale . Ma se poi si osserva che lo stesso significato dei fenom eni è deter­ minato non in assoluto - e appunto per questo è "mancante", come si è più volte notato -, ma sulla base del suo impiego concreto, se si osserva cioè che la stessa semantica dell'apparire attuale è relativa all'uso, e quindi ha il suo luogo di fecondità nella prassi , ci si domanda se non sia possibile un'invenzione di signi ficato anche per ciò che a rigore è l'inespri m ibile, il non oggettivabile , l'incatturabile. In altri term ini si tratta di vedere se con "le idee trascendentali" "propria­ mente non si conosce se non che non si sa niente" ( 4 1 ) , sicché resta ferma la peren toria conclusione del Trac tatus che "su ciò, di cui non

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si può parlare, si deve tacere11 (4 2), rendendo in tal modo definitivo l'esito della teologia apofatica, perché tutte le formule che cercano di espri mere la verità totale 11tentano di rompere il silenzio senza poterlo rompere11 ( 4 3 ) , o se invece ai li miti del linguaggio non si aprano orizzonti inediti e possibilità inesauste (44). La tesi che qui si avanza è che sul medesi mo terreno dal quale ger­ mina la se mantica dell'apparire attuale , che è poi il terreno della fede in generale, il luogo cioè della credenza che le cose stiano in un certo modo pur non possedendone la visione esaustiva e totale, che su quello stesso terreno può germ inare anche la semantica dell'intero. N on si tratterà mai, certo, di un'interpretazione ''vera11 in senso assoluto, se si vuole , anzi, sarà sempre una pura invenzione di significato, m a ciò non toglie che questo spazio "contraddittorio" resti aperto. E lo resta proprio perché l'apparire trascendentale non appare. La differenza tra la semantica dell'esserci e quella dell'essere è che la pri ma trova nella prassi non solo il proprio luogo di fe condità, ma pure la propria verifica, appunto perché l'esserci appare, m entre la seconda è totalmente affidata alla rive lazione, posta come accolta, di un contenuto che, pur se mpre mediato dalla prassi, trascende il fenomenico squarciando l'intero. Nell'uno e nell'altro caso resta fon­ dato il pluralismo, perché mai si giunge all'interpretazione assoluta, tuttavia è nel caso della semantica dell'apparire trascendentale che esso raggiunge la sua massi ma estensione, perché privato di ogni freno dovuto a dati oggettivi. Con tutto ciò si pone il dupli ce radicale pro­ blema della fondazione e del controllo dell'erm eneutica sia dell'essere che dell'esserci. Il li mite esterno è indicato dalla sintassi , dalla verità form ale dell'essere (cfr. par. 1 ) , dei limiti interni deve invece rendere ragione la teoria ermeneutica. 4) La storia dell'Occidente tra errore e verità

Sulla base di quanto si è fin qui affermato la storia dell'Occidente non risulta che un'interpretazione particolare, quella di fatto solidifi­ catasi a livello di coscienza collettiva, dell'apparire attuale e trascen­ dentale. La filosofia contemporanea accetta in genere acri ticam ente questa interpretazione, come verità indubitabile ; Severino per parte sua la rifiuta in toto . Il diverso giudizio dipende sia dalla differente istituzione della verità dell'essere, sia dalla differen te fondazione dell'ermeneutica. Per quan to riguarda il pri m o aspetto, quello sintatti­ co, si è già detto (4 5), del secondo si tratta ora di svolgere alcune considerazioni relative al legame tra la teoria ermeneutica (46) e la

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comune interpretazione dell'apparire. Da quanto precede emerge intanto la seguente tripli ce scansione: a) il piano dell'essere, di cui è possibile solo la sintassi ; b) il piano del­ l'apparire attuale , di cui è possibile sia la sintassi (assoluta) che la se mantica (mancante) ; c ) il piano dell'apparire trascendentale che è lo stesso del piano dell'essere, ma da questo si distingue per l'inven­ zione se manti ca, operata in forza della prassi e della rivelazione. Ap­ parire attuale e apparire trascendentale si trovano acco m unati nella non veri tà assoluta, pur con la radicale differenza che esiste tra la pura invenzione di significato di quanto non appare e l'interpretazione di ciò che invece appare. Ecco allora il proble ma risolutivo in ordine alla presen te indagine: l'in terpretazione che l' Occidente dà di sé - la storia dell'Occidente -, è proprio solo una delle tante interpretazioni possibili, per quanto poi magari assoggettata ad un destino ineluttabile , oppure è quell'unica interpretazione che poteva solidificarsi a livello di coscienza collet­ tiva, perché l'unica in grado di rendere ragione dell'apparire attuale e dunque rispondente alle sue condi zioni di possibilità? D ue i m otivi che secondo Severino identificano l'interpretazione dell'Occidente: il concetto di cosa e quello di tempo. E l'uno e l'altro espri m ono nella maniera più determ inata l'essenza del nichilismo: l'identità dell'essere e del nulla . Fuori discussione l'attendibilità di questa analisi : l'e thos dell'O ccidente è davvero il nichilismo. Il proble­ ma però non è questo, ma la superabilità o meno del nichilismo. Si badi : definendo l'Occidente nichilismo Severino ne afferma la non­ ve rità asso luta . Nichilismo vale dunque come "non-verità assoluta". Ma l'apparire della verità assoluta è possi bile ? La risposta, già guada­ gnata nei paragrafi precedenti , non può che essere un perentorio no, per l'originarietà della differenza ontologi ca. L'essere nella verità è possibile sempre e solo for malmente, mostrando la contraddittorietà del contraddittorio. Ora, se il ni chilismo è l'espressi one della non­ verità assoluta, e se la verità assoluta non può essere posseduta, ne vi ene che il ni chilismo è dimensione insuperabile . Si può senz'altro obiettare che altre potrebbero essere le forme di errore dell'Occiden­ te, ma non è escluso che l'identificazione di essere e nulla individuata da Severino possa risultare l'espressione onni com prensiva e più radicale della non verità sottesa ad ogni altra prospettiva. Comunque stiano le cose resta il proble ma, in posi tivo, del perché di questa interpreta­ zione - autocom prensione - dell'Occidente. La risposta ri conduce all'intrascendibilità della semantica dell'appari-

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re. E' l'ori zzonte dell'apparire attuale il luogo di fecondità dei signifi­ cati, così come è questo stesso apparire il loro luogo di applicazione. L'apparire attuale - il mondo fenomenico, la prassi - è circolarità di apparire e significare , ovvero risultato concreto della com prensione interpretante. E da tale com prensione non si esce e non si può uscire, proprio perché l'apparire attuale è la stessa com prensione interpre­ tante. La verità - si è detto - non può apparire compiuta mente m a solo formalmente, così il superamento del nichilismo non può che esse­ re formale (sintattico). D 'altro canto non si può rimanere in tale for­ malità, perché lo stesso apparire è già esso un interpretare. L'apofansi è l'interpretazione originaria dell'essere, è l'apparizione del s uo senso "naturale ", dell'esse nella sua modalità in re rum natura . Ma questa modalità, che a rigore è comprensione inautentica, come tutta la se­ mantica, è l'unica conoscenza di fatto possibile all'uomo, ovvero ri­ spondente alle condizioni di possibilità dell'apparire attuale . S e è vero, come Severino afferma, che "il tempo è l a struttura del­ l'Occidente", per c ui gli abitanti dell' Occidente - le forme di cultura, le istituzioni sociali , gli individui, le masse, i popoli - sono "gli abita­ tori del tempo" (47), se è vero cioè che il tempo è nichilismo, è altret­ tanto vero che esso è l'unico orizzonte di possibilità dell'apparire at­ tuale , e dunque delle rappresentazioni del soggetto. L'opera heidegge­ riana e la rilettura che Heidegger ha operato di K ant sono in ciò alta­ mente illum inanti. Il te mpo è essenziale sia per Kant, sia per Heideg­ ger, sia per Severino, ma, m entre per K ant e Heidegger esso è l'oriz­ zonte in cui si danno gli enti, per Severino è la struttura dell'inautenti­ cità dell'essere. Riguardato in assoluto (pe r se , sintassi) ciò che Severi­ no afferma è vero, ma di fatto - e in ciò sta la condizione umana (quoad nos, se mantica) - non è possibile all'uom o cogli mento che non sia soggetto a determ inate condi zioni , delle quali il tempo è per l'ap­ punto l'essenziale. La storia dell' Occidente è senz'altro una tra le interpretazioni possi­ bili dell'apparire, ma tra queste non una a caso, sibbene quella rispon­ dente alle condizioni di possibilità dell'apparire attuale . Severino ha ben m ostrato come questo apparire non contraddica la verità dell'esse­ re, ossia non riveli l'identificazione di essere e nulla , ma la salvaguar­ dia che in tal modo egli opera non è ancora il superamento del ni chi­ lismo, giacché l'apparire attuale , non com parendo nella sua compiuta relazione al tutto, continua a giacere nella non-verità. Se nichilismo vale come "non-verità assoluta", nichilis mo è lo stesso apparire attua­ le ; e l'intrascendibilità di questo apparire , per l'originarietà della diffe-

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renza ontologica, è l a stessa insuperabilità del nichilismo. Ma questa insuperabilità ne è nel conte m po la veri tà, verità relativa all'apparire attuale , quoad nos quindi e non pe r se. L 'apofansi dell'essere - si è detto - è la stessa interpretazione origi­ naria , cioè la verità (relativa) dell'apparire attuale , e la com prensione interpretante del soggetto è l'interpretazione dell'interpretazione originaria. Il compito di rin condurre in pari la se conda con la pri ma interpretazione è affidato all'erm eneuti ca. Severin o, salvaguardando l'in contraddittorietà dell'essere , si inserisce com e un mom ento parti co­ larmente signifi cativo nell'adeguam ento dell'una con l'altra interpreta­ zione, ma dal punto di vista se mantico, cioè del contenuto (che è poi l'interpretazione dell'apparire) di ciò che appare - la storia - egli non solo non dice nulla, perché il suo argomentare è relativo all'essere del non apparire, ma non può neppure dire nulla, perché, essendo l'ap­ parire il significare , di ciò che non appare non si può aprire alcun signi­ ficato, ma solo afferm are l'essere (sintassi ). Si obietterà che di fatto Severino parla, e diffusamente anche, del­ l'interpretazione del mondo contemporaneo. Q ui ovviamente non si intende contestare ciò, ma afferm are che del senso non nichilistico dell'essere , anche Severino è costretto a tacere . Di ciò che non appare si deve dire che è, ma non si può indi care cos'è e com 'è. L'invenzione se manti ca, a cui pure si è accennato precedentemente, è certo possibi­ le, necessaria anzi , ma si tratta se mpre di una riduzione alle categorie conosci tive del soggetto, di una riduzione cioè alle condizioni di possi­ bilità dell'apparire attuale . Pretendere di squarciare l'essere in tale apparire è vano: la differenza ontologica è il fondamento della seman­ tica apofatica dell'essere . A questa i mpossibilità di rivelare l'essere , e dunque di superare il nichilismo, va aggiunto che le analisi dell'O ccidente e del mondo con­ tem poraneo condotte da Severino costituiscono la riprova del suo man­ tenersi all'interno della "fede nella storia", ossia del suo mantenersi all'in terno delle strutture conoscitive proprie del soggetto, delle condi­ zioni di possibilità cioè dell'apparire attuale . Ciò non vuoi dire , ancora una volta , negare le differen ze delle interpretazioni dell'apparire, m a significa affermare che esse presuppongono tutte un che di identi co, la verità dell'apofansi attuale dell'essere ; la quale verità poi, se in senso rigoroso il ni chilismo è l'apparire attuale , è la stessa verità del nichilismo. In altri term ini , l'intrascendibilità della semantica dell'apparire attuale fa di questo apparire l'i mprescindibile verità della vita. Le interpretazioni dell'essere , anche le più diverse ,

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si m uovono tutte nell'arco che va dalla comprensione interpretante del soggetto all'apofansi dell'essere: nessuna è in grado di superare l'interpretazione originaria che è la stessa apofansi . Ciò che allora distingue l'analisi di Severino dalle altre analisi dell'Occidente non è il superam ento della fede nella storia dell'Occidente , ma solo il supe­ ramento di una certa interpretazione di tale storia. La nega zione radi­ cale di quest'ultima, che pur dev'essere , non riesce , rimane un anelito, perché le categorie spazio-temporali , negate in ac tu signato, restano affermate in actu exe rcito. L'analisi di Severino non supera dun que la fede nella storia, m a supera quella fede nella storia che è l'assolu­ tizzazione della storia stessa . Salvando l'essere di ciò che non appare , o non è ancora apparso o non appare più, Severino in realtà non rive la ( = far apparire , signifi care) quell'essere , non supera cioè in positivo il nichilismo, ma se mpli ce mente ammonisce contro l'assoluti z za zione dell'apparire attuale , il quale apparire però, pur relativi zzato, deve poi ancora essere interpretato in base alle categorie conoscitive , e dun que spazio-temporali , del soggetto conoscente , che è quanto dire se condo le stesse condi zioni di possibilità dell'apparire attuale , e dun­ que , ancora una volta, del ni chilismo. Vivere è rimettersi di fatto ( in actu exe rcito) alla v e rità dell'apparire attuale , alla verità del nichi­ lismo . Tutto questo non significa un abbandono del guadagno severiniano della verità dell'essere , con cui in parte si consent e , e non significa neppure un ritorno simplic iter alla posi zione di Bontadini: qui resta assodato il consenso con quel discorso formale sull'essere (la sintassi) che costituisce il grande contributo di Severino alla filosofia , ciò che viene meno è il tentativo di annullare la differenza antologica , la quale differenza è appunto ciò che per un verso dà ragione a Severino, per­ ché l'essere - tutto l'essere e ogni singolo ente - è e non può non esse­ re, e per l'altro garantisce la storia fondando l'apparire attuale .

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N OTE

l ) Essenza de l nichilismo , cit . , pp. 4 2 -5 1 e 1 1 9-1 3 0 . 2 ) C f r. C . SCILI R ONI, C o e renza sinta ttica e insignificanza se mantica

ne l pensie ro di E manue le Sev e rino , c i t . , p. 2 6 6 sgg. 3)

C . B O NT A D I N I , Conv e rsaz ioni di me tafisic a , Milano 1 9 7 1 , vol. 2 ,

p . 2 0 6 . Questa critica è stata ripresa da P . F A G GI OTT O nel volume P e r un a me tafisica de ll 'espe rienza integra le , R i m ini 1 9 8 2 , pp. 3 0 -3 1 , 2 2 3 -2 3 0 .

4 ) Essenza de l nichilismo , cit . , p . 9 5 . 5 ) lbid. , p . 9 6 . 6 ) " N elle due proposi zioni : 'Qualcosa incom incia a d apparire' (si indichi

con a' questo apparire ) , 'L'app arire (a') di qualcosa incom incia ad appa­ rire' (si indichi con a" quest'ulti m o apparire), a' e a" sono lo stesso, e quindi , una volta posto che qualcosa, e quindi l'apparire (a') del qualcosa, incom inciano ad apparire (a"), non si può più prolungare il discorso e rilevare che, dunque , a" è un qualcosa che pri ma non era: non si può operare questo prolunga m ento, appunto perché a" è quello stesso a', in relazione al quale si è posto che pri ma non appariva e ora incom incia ad apparire. L'apparire che incomincia (o finisce) ha come contenuto sé medesi m o , sì che l'incominciare ad apparire esclude strutturalm ente l'inco minciare ad essere" (lbid. , p. 1 1 0 ) . 7 ) lbid. , p. 2 3 8 . 8 ) " · · · la struttura cir colare dell'appari re. Se si indica con A 1 l'apparire dell'essere , A 1 appartiene originariam ente all'essere che appare. C on A 2 si indichi A 1 in quanto appartenente alla totalità di ciò che appare: A 2 è lo stesso A v m a At è l'apparire dell'apparire (ossia è l'apparire di A 2 ) , sì che A 2 è questo stesso apparire dell 'apparire . Si indichi con A 3 quest'ulti m o apparire . Poi ché A 2 è lo stesso A 3 , il rapporto tra A 2 e A 3 è l'autocoscien za e A 1 è la coscienza dell'autocoscienza; m a poi­ ché At è lo stesso A 3 , A 3 è la coscienza dell'autocoscienza (e poiché A2 è lo stesso A t , 'anche' A2 è la coscienza dell'autocoscienza)" (ibid. ,

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pp. 2 3 8-2 3 9). 9 ) Destino de lla necessità , ci t., pp. 1 5 9-1 6 0 . l O ) Ibid. , cap. V.

1 1 ) Essenza de l nichilismo , cit . , p. 9 8 . 1 2 ) Ibid. , p . 1 0 6. 1 3 ) Ibide m. 1 4) lbid. , p. 1 7 5 . 1 5 ) "L'essere nel tutto non è una proprietà accidentale della parte, per­ ché né la parte può cessare di essere , né il tutto può cessare di avvol­ gerla : se ciò avvenisse si realizzerebbe ciò che la verità dell'essere proibisce: che l'essere (in questo caso l'essere della parte o del tutto) non sia. La parte è ciò che è nel tutto, ossia al suo significato - fiore, casa, stella - appartiene necessariamente il trovarsi nel tutto" (lbid. , p. 1 0 1 ). 1 6 ) lbid. , p. l 0 2 . 1 7 ) lbid. , p. 1 0 5 . 1 8 ) Ibid. , pp. 1 0 4-1 0 5 . Severino argomenta sulla base del fondamentale principio della dialettica che "se a un significato ( = un positivo) con­ viene necessariamente un predicato, e se tale significato appare senza che questo significato appaia, allora ciò che in effetti appare è un signi­ ficato diverso dal signifi cato considerato - diverso, diciamo, non sem­ plicemente perché prima il significato appare col predicato e poi appare solo, ma perché è diverso dal significato stesso in quanto distinto dal predi cato che necessariamente gli conviene , sì che questo distinto, in quanto relazionato al predicato, è esso, com e tale , diverso dal signi­ ficato che appare solo e che pertanto non è più soltanto un 'distinto', ma un 'separato' dal predicato" (Jbid. , p. 1 0 1 ) . 1 9 ) lbid. ' p .

l02.

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2 0) lbid. , p. 1 0 5. Severino prende pure in considerazione e risolve due

possibili obiezioni che potrebbero essere mosse alla sua istituzione della differenza antologi ca. Prima obiezione : se la manifestazione astratta di un certo significato ( a) è mancamento rispetto a quel significato concretamente considerato (s), quella manifestazione è però sempre un essere , e in forza dell'immu­ tabili tà di ogni essere , è essa stessa immutabile , sicché è nel tutto così come appare . In questo modo la differenza antologica viene a ridursi alla distinzione tra il tutto e la parte, essendone questa adeguata mani­ festazione . Severino risponde che questo è un "cattivo modo di intende­ re la differenza ontologica11, perché "non si può dire che l'esistenza di cr, in quanto avvolto dal tutto, sia qualcosa di diverso da s". D ifatti a è ciò che appare, ma essendo l'apparire dell'essere processuale , a è la parte che appare, la quale, non apparendo il suo essere avvolta dal tutto, non appare com'è. D unque a differisce da s perché in a non appare l'essere avvolto dal tutto, perché in a manca qualcosa che si trova in s. 11Questo mancamento, dice Severino, non è certamente un niente, ché an zi è il mancamento in cui o secondo cui si realizza l'essere che appare (ossia a ). Ma a questo punto non si può più concludere dicen­ do che, allora, poiché tutto il positivo (e quindi anche a ) è i m m utabile , allora a appare così come esso è : non si può così concludere, appunto perché a, così come esso è, e c ioè come avvolto dal tutto, è s - onde ciò che appare non appare così com'è (e d'altronde, in questo suo diffe­ renziarsi, non può aggiungere alcuna positività al tutto, e quindi si dif­ ferenzia come un m ancamento: non per il semplice motivo che non il tutto, ma la parte appare , ma perché la parte stessa che appare è i m poverita rispetto alla parte così com'è)" (pp. 1 0 3 - 1 0 4). Seconda obiezione : se l'apparire di s non concretamente avvolto dal tutto è a. , allora anche o: , apparendo isolato dal tutto, apparirà diverso da sé ( a '), e a ' apparirà pure diverso da sé, e così all'infinito; di modo che l'apparire non potrà essere l'apparire di alcun contenuto. Severino risponde dicendo che anche qui "il vizio originario sta nel non rendersi conto che a , in quanto avvolto dal tutto, non è qualcosa di diverso da s, ma è lo stesso s". Difatti, "quando si dice anche a appare isolato dal tutto, si sottintende che , se a· apparisse nella sua relazione concreta col tutto, esso sarebbe qualcosa di diverso da s. E invece s è precisa­ mente a in quan to concretamente relazionato; sì che quel diverso che afferma che ne m meno a può apparire , non fa che ripe te re quanto è già stato posto attraverso l'affermazione che, se s appare solo, allora ciò che oggettivam ente appare non è s, ma a . Si ripete il medesi mo, .

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ponendo il medesi mo come altro: onde la conclusione è dovuta a una proposizione autocontraddittoria" (p. l 04). 2 1 ) " Ogni parte è errore - contraddizione - in quanto è un apparire finito del Tutto: un apparire in cui il Tutto appare solo formalmente come Tutto, ma non nella concretezza delle sue determinazioni" (Destino de lla necessità, cit . , p. 5 9 0 ) . 2 2 ) Essenza de l nichi lismo , cit . , p. 1 7 5 . 2 3 ) Ibide m. 2 4 ) Destino de lla necessità , cit. , p. 5 9 1 . 2 5 ) G . W . F . HEG E L , Scienza de lla logica, trad. i t. d i A . M oni riv. da C. Cesa, Bari 1 9 7 4 , I, p. 1 8 2 . 2 6 ) "L'ideale è il finito così come sta nel vero infinito - cioè come una determinazione , un contenuto, che è bensì distinto, ma che però non sussiste indipendente mente , ma è come momento" (lbid. , I, p. 1 8 5 ) . 2 7 ) I l n o n superamento di questa i m m ediatezza è p e r lo Hegel i l limite dell'idealismo soggettivo. Cfr. ibid. , II, p. 1 1 . 2 8 ) G . W . F . HEGEL, Enc ic lopedia de lle scienze fi losofiche in c ompendio , trad. it. di B . Croce, Bari 1 9 7 3 , par. 2 4 2 (p. 1 9 8). 2 9 ) G . W .F . HEGEL, Scienza de lla logica, ed. ci t . , II, pp. 1 3 9-1 4 1 . 3 0 ) Per la critica hegeliana alla cattiva infinità cfr. ibid. , I , pp. 3 0 2309. 3 1 ) I. M A N CINI, L 'utopia de lla filosofia de lla re ligione , i n AA.VV . , L 'er­ meneutica de lla filosofia de lla re ligione , "Archivio di filosofia", Padova 1 97 7 , p. 3 8 1 . 3 2) M . HEID EGGER, Essere e tempo, trad. it. d i P . Chiodi , M ilano 1 9 7 1 , ed. L onganesi , p . 2 3 6 sgg. Cfr. anche: H.G. G A D A M ER, Ve rità e me to­ do , trad. it. di G. Vat timo, Milano 1 9 7 2 , pp. 3 1 2-3 1 9, e L. P A R EYSON , Verità e interpre tazione , M ilano 1 97 2 2 , p. 7 2 .

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3 3 ) C fr. : Coerenza sintattica e insignificanza se mantica ne l pensie ro di Emanue le Severino , cit., II parte, e Possibi lità e fonda mento de lla fede : K. Barth ed E. Seve rino , "Sapienza", 3 4 (1 9 8 1 ), pp. 4 7 7-4 8 1 . 3 4 ) I . K A N T , Critica de lla ragion pura, trad. it. di G . Gentile e G . Lom­ bardo-Radice, riv. da V. Mathi eu, Bari 1 9 7 1 , pp. 2 8 1 -2 8 2 . Per questa interpretazione del concetto kantiano di "nulla" cfr . : A. O R GANTE, I l conce tto kantiano di "nihil negativum " : un 'apparente sopravvivenza raziona listica ne lla "Critica de lla ragion pura ", "Verifiche", 1 1 ( 1 9 8 2 ) , pp. 2 5-4 8 . 3 5 ) "Nonnihil est aliquid: repraesentabile , quicquid non involvit contra­ dictione m , quicquid est A et non-A , est possibile" ( A . G . BA U M G A RTEN , Metaphysica, Halle 1 7 3 9 , rist. Hildeshei m , Olms, 1 96 3 , parr. 7-8). "Pos­ sibile est, quod nullam contradictionem involvit, seu, quod non est im­ possibile" (C. W O LF F , Phi losophia prima sive Otto logia, Frankfurt und Leipzig 1 7 3 1 ; rist. nei Gesa mme lte We rk e , II, 3 , a cura di J. Ecole, Hildeshei m , Olms, 1 9 6 2 , parr . 7 9 e 8 5). 36) I. K A NT, Critica de lla ragion pura , cit . , p. 2 2 3 . 3 7 ) C . W O L F F , Phi losophia pri ma sive Otto logia, c it . , par. 7 9 (p. 6 2 ). 38) I. K A NT, Critica de lla ragion pura, cit . , p. 2 2 5 . 3 9 ) L . WITTGE NSTEI N , Tractatus logico-phi losophicus, trad. i t . d i A m e­ deo G. Conte , Torino, 1 9 7 4 , p. 3 . 4 0 ) "Il grande problema, attorno al quale ruota tutto ciò che scrivo, è: V'è , a prio ri, un ordine nel mondo ? e , se sì, in che consiste ? " ( L . WITTG ENST EIN , Quade rni 1 9 1 4 -1 9 1 6 , trad. i t. d i A . G . Conte, Torino 1 97 4 , p. 1 4 9). 41) I. K A NT, Critica de lla ragion pura , cit. , p. 3 8 7 . 4 2 ) L . WITT GENST EIN, Tractatus logico-phi losophicus, c it . , prop. 7 (p. 8 2 ) . 43) K . JASPERS, Filosofia M ilano 1 9 7 2 , p. 3 6 5 .

111.

Me tafisica, trad. i t . d i U. Gali mberti ,

92

44) E' la tesi, ad ese m pio, in rapporto al proble m a religioso , d i P . M . VAN B U R E N , A lle frontiere de l linguaggio , trad. i t . d i Dario Antiseri, Roma 1 9 7 7 . 4 5 ) Cfr. cap.III, par. l. 4 6 ) Per la teoria erm eneutica si rinvia a: Tra destino e simulac ro. In cammino verso il pensiero , "Studia Patavina", 3 2 ( 1 9 8 5 ) , p. 3 1 9 ss. 4 7 ) E. SEVERIN O , G li abitatori de l te mpo , cit . , pp. 7-8.

PA R T E T E R Z A

STRUTTURA ORIGINARIA

E

DESTIN O

95

I

Mythos anankaios "Im m erse il collo nel collare della necessità" , canta il coro nell' inno a Ze us della parodo dell' A g ame nno n e ( 1 ), e il segui to della tragedia è la "danza di un destino in falli bile " (v. 9 9 7 ) , che non las cia fiducia o speranza di sorta: " E nessuna fiducia ho più, nessuna speranza" (vv. 9 9 2-3). C assandra proro mpe in un vati cinio m e m ore e presago del san­ gue fratricida della mala sorte dei Plistènidi ; non parla più per enigmi (v. 1 1 8 3 ) , lei sacerdot essa del L ossia che "non dice né cela, m a ac cen­ na" ( 2 ) , ma testi monia (vv. 1 1 8 4 e 1 1 96 ) tutta la verità passata e futu­ ra, l'inevi tabile decreto del destino che la coinvolge e la perde. Grida: "Ahi , ahi , ahi m é , o Terra! Apollo , Apollo ! ( . . . ) Ahi , ahi , ahi m é , o Terra, Apollo , A pollo ! ( . . . ) Apollo , A pollo , dio che m i conduci , dio che mi perdi ! ( . . . ) Apollo , A pollo , dio che m i c onduci , dio che m i perdi ! " (vv.

1 0 7 2 ss. ) ; è il grido di d olore di chi sa (pathe i m&thos) che "ciò che deve ac cadere ac cadrà":

tò méllon héxe i.

E c osì è: non c'è nessun ri­

m edio (v. 1 2 4 8), non c'è s ca m po (v. 1 2 9 9 ) : "la cosa è c o m piuta" (v.

1 3 4 6). In Eschilo l a test i m onianza h a u n prezzo ulteriore : " ( ) fu questa la pena - dice C assandra -, che nessuno più mi crede tte" (v. 1 2 1 2 ). . . •

I l destino, visto e testi m oniato, non è creduto; a trionfare è l'arroganza della dissennatezza (v. 1 4 2 6 ss . ) , che pure è volere di Z e us , giacché "tutto muove da Zeus, di tutto è artefice Zeus, di tutto è causa ; niente si compie fra gli uomini senza il suo vole re, niente avvi ene che non sia da lui stabilito" (vv. 1 4 8 5-1 4 8 8). Se questa è la legge, e tale è

(thésmion,

v . 1 5 64), il giudi zio inevitabil m ente a sventura è la stirpe degli uomini" (v. 1 5 6 6 ) .

suona :

"Incatenata

Eppure , quasi a preludio d i u n dive rso senso, nel terzo stasi mo delle dopo il matricidio, vengono elevate grida di gi oia, ché la

Coefore ,

luce di nuovo rifulge nel t e m po perfetto: "Venne G iust i z i a alla fine" (v. 9 3 5), "Gridi di gioia levate ( ) ; per via diversa s'è volta F ortuna" . • •

(v. 9 4 2 ss . ) , "La luce ri fulge" (v. 9 6 1 ), " M a t e m po perfetto ben presto la sogli a varcherà della casa" (vv. 9 6 5-6). L'interrogativo sott eso all'int era vic enda dell' Orestea prende for m a sulle labbra d e l corifeo n e l di alogo con C assandra : " M a se vera mente conosci il destino che ti aspe tta , perché, come giovenca in ci tata da un dio, così volon terosa ti avvi i all'altare ? " (A g am. , vv. 1 2 9 6-8). Che è quan to dire: non puoi sottrarti al triste destino che t i attend e ? , non sei liber a di fronte alla necessi tà che ti sovrasta ? , perché non vai per

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altra via? Inchiodata a l suo ineluttabile destino, Cassandra ha una sola risposta: "Non però invendicata lasceranno gli dei la mia morte11 (v. 1 2 7 9). Il proble ma ritorna al term i ne delle Coefo re nella forma seguente : 11E' questa la terza procella che su le case del re , i m petuosa m ente soffiando, si abbatte. Fu morte di figli la pri ma ( . . . ) Poi venne lo stra­ zio del re ( . . . ) E ora è venuta la terza . . . salve zza la dico o rovina? Dove mai finirà, dove mai cesserà, finalmente mutata placata, la furia di Ate ? " (vv. 1 0 6 5 ss. ) . L e parole centrali , date dalla contrapposi zione d i soté r e m6ros e da A te che vi fa da soggetto, non escono nel testo eschileo dalla radicale am bigui tà che le avvolge . Ma è facile avvedersi che la contrapposi­ zione tra salve zza e rovina, presupponendo come causa l'identica terza procella, lascia spazio a che la morte medesi ma possa costituire fatto­ re di salve zza, dissolvendo così, a ritroso, la contrapposi zione stessa. E in effetti A te già in O mero è indicata come cole i "che tutti accieca" (3). Il testo esplicito sulla cecità è l'Edipo re (4). L'Edipo re è la tragedia del vedere il destino. Essa s'apre col riconosci m ento ad Edipo che egli vede (vv. 1 5 , 2 2 ), continua con la vista del cieco Tiresia (v. 3 0 0 ss .) e si chiude con la tragedia della cecità consape vole di Edipo (v. 1 2 6 8 ss.). C h i vede è anzitutto i l cieco Tiresia , il cui dire sin dalle pri me parole espri me il peso e la gravità del sapere il destino: "Ahi mé! Com'è terribile sapere, quando il sapere non giova a chi sa ! " (vv. 3 1 6-7 ). Egli cerca di ritrarsi ("Da me non saprai nulla", v. 3 3 3 ) , ma so, dice , che "ogni cosa ac cadrà da sé , anche se la copro col silenzio" (v. 3 4 1 ) ; sic­ ché, forzato e alterato, rivela la dura realtà, forte della forza della verità. Edipo non è facile a prendere in seria considerazione le parole dell'indovino, ma, accumulato indizio su indi zio, non riesce a sottrarsi al dubbio che "forse l'indovino ha visto giusto" (v. 7 4 7 ) . Giocasta cerca di ferm arlo sull'orlo della tragedia del sapere: "Dam m i retta, ti prego : fermati (mè dra tade ) " (v. 1 0 64); ma dopo la perentoria deliberazione di lui : "Non posso ascoltarti : devo sapere 11 ( v. 1 0 6 5 ), non le resta che un tre mendo: "Infelice! Che tu non debba mai sapere chi sei ! " (v. l 0 6 8) . Sapendo, Edipo diviene colui c h e è : " O h ! O h ! Tutto è ormai chiaro. O luce del sole , che io ti veda per l'ultima volta, perché oggi è venuta la rivelazione che sono nato da chi non mi dove va generare , mi sono congiunto con chi dovevo fuggire, ho ucciso chi non dovevo uccidere" (vv. 1 1 8 2-5). Disperato, con le fibbie d'oro del vestito di Gi ocasta, Edipo s'acceca, così urlando: "Voi non vedrete né i mali che ho patito

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né quelli che ho com piuto , ma in avvenire vedrete soltanto nella tene­ bra coloro che mai avrei dovuto vedere , né potrete riconoscere coloro che avrei voluto vedere" (vv. 1 2 7 1 -4). La cecità di Edipo è l'insopportabilità del destino. Il destino è , ma non è sopportabile ; alla sua vista l'uo m o soccombe, perché la vista del destino è la vista della morte: " Morte è tutto ciò che desti vedia­ mo", recita il fr. 2 1 di Eracli to. Cassandra sopporta tale vista, ma Cassandra vede in quanto sacerdotessa del Lossia; a rigore neppure lei comprende , giacché è vero che lei sa l'ineluttabilità del destino, ma non ne sa la ragione. Cassandra è l'obbedienza cieca ; Edipo è la cecità dell'obbedienza. Lei segue senza sapere il perché; lui non sa di seguire. Il tormento di Edipo è la crisi di chi s'ac corge d'aver obbedi­ to. Cassandra è l'esito di Edipo , o la cecità di Edipo è la stessa verità di Cassandra. A Edipo, infatti, non resta alla fine che dire : "Ero prede­ stinato a una vita di sventura. E dunque il mio destino segua il suo corso" (vv. 1 4 5 6-7). Ma se l'obbedienza di C assandra è l'erm eneutica della cecità di Edi­ po, inequivoca è pure la cecità di quell'obbedienza: Cassandra come il cieco Edipo non è il rivelarsi simplic iter del destino, ma dell'inevita­ bilità del destino; meglio ancora , è il rivelarsi dell'inevitabile cecità del destino, cioè del suo carattere capri ccioso e i mponderabile. Non a caso il coro canta: "Ah, generazioni di mortali , la vostra vita e il nulla in pari conto io tengo ! " (vv. 1 1 86-8 ) . Codesta indifferenza all'es­ sere e al nulla è l'essenza tragica della tragedia gre ca, è il ciò per cui il destino è l'i mponderabile, l'assurdo i m prevedibile capriccio del­ l'oscillazione tra l'essere e il nulla . M a è ancora in Eschilo che la cecità del destino viene in chiaro, soprattutto nel Prometeo incatenato ( 5 ) , là dove , in risposta alla do­ manda della corifea: "F orse , non sei andato troppo oltre ? " (v. 2 4 7 ) , i l titano risponde: "Spensi all'uomo l a vista del destino" ( v . 248). Il prezzo della salvezza apportata da Prometeo è l'i mpedi mento a che gli u mani possano prevedere la morte, o, in maniera più propria e pro­ fondu , è l'i mpedi mento a che gli umani possano vedere nella morte il destino di salve zza. La vi ta dell'uo m o è l'illusoria realtà delle "cie­ che speranze" (tuphlàs e lp{das) (v. 2 5 0 ) prom eteiche, delle vari e rassi­ curazioni, cioè, che, come la speranza di Edipo, stornano l'attenzione dal destino, che vien così vissuto ma ignorato. Ma quand'anche il desti­ no si fa noto, non può mai essere conosciuto, testimonia Prometeo, giac ché rroprio questo è il pre zzo della salvezza, il "mè prodérkesthai m o ron" (v . 2 4 8 ) . D i modo che , se è possibile gi ungere alla noti zia (my-

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thos) del destino - e l'ermeneutica dello st esso attesta che non può che essere la salvezza, come peraltro doveva risultare anche lettera­ riamente dalla successiva tragedia del Prometeo libe rato - , non è pos­ sibile penetrarne la coltre. La cecità del destino diviene così la stessa ineluttabile e tragi ca morte: mythos anankaTos. Prometeo, non concedendo l'ananke all' epis té me e attribuendola invece al mythos, ha effettivamente consegnato gli uomini al fratello Epimeteo: il loro senno è infatti solo quello di poi , la necessità da loro percepita è solo quella relativa al passato, al già dato, al già avvenuto, giam m ai al futuro. Ma se solo il passato è pe rfe c tum, il futuro, presa­ puto solo formalmente - la salvez za è, come annunciato dal L ibe rato -, resta inesorabilmente consegnato per gli u m ani, i ciechi epi metei , al mythos, del quale non v'è episté me di sorta, m a solo annuncio, fede : k a lòs logos (6). II

Epistéme

Eppure l'an&nke giace testimoniata sin dal pri mo pensiero greco. Il fr. 2 di Parmenide recita: "Orsù, io dirò - e tu porgi orecchio alle parole che odi -/, quali sono le vie di ricerca che sole son da pensare : / l'una che è e che non è possibile che non sia , / e questa è la via della Persuasione (giacché segue la verità),/ l'altra che non è e che è neces­ sario che non sia,/ e questo, ti dico, è un sentiero inaccessibile ad ogni ricerca ./ Perché il non-essere non puoi né conoscerlo (è infatti i m possibile),/ né espri merlo" ( 7 ) . E il fr . 6 perentoriamente asserisce: "l'essere è , e il non-essere non è". La k raterè A nanke parmenidea (fr. B 8 , v. 3 0 ) è la consegna dell'a­ ndnk e all'episté me , il suo svolgi mento nel Z6g o s . Se l'ananke consegnata al mythos - mythos anankaìos - è la cecità del destino, onde questo appare i mposizione prepotente e violenta, lo svolgi mento nel Z6gos è il venir alla luce del suo fonda mento. In tal m odo il destino viene sottratto alla violenza dell'i mposi zione , non già sua propria, ma del mythos cui l'ananke s'è pri mieramente consegnata. E tuttavia, seppure l'episté me testi moniata da Parm enide è la necessità della necessità, il suo esito è non meno necessariam ente il nulla di Gorgia. Parmenide afferma l'opposi zione incontrovertibile di posi tivo e nega­ tivo (éstin è oUk éstin, fr. B 8, v. 1 6 ) , e ne trae la dupli ce rilevantissi­ ma conseguenza dell'i m m utabili tà e dell'indeterm inatezza dell'essere . "I m m obile ( aJdn e ton), costretto nei li miti di vincoli i m mensi / è l'essere

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senza principio n é fine, poi ché nascita e m orte/ furon respinte lontano, e le allontanò la vera convinzione./ Identico nell'identico luogo restan­ do, giace in se stesso/ e così vi ri mane i m m obile (é mpedon)" (fr. B 8 , vv. 2 6-3 0 ) . "N ient'altro infatti è o sarà/ al di fuori dell'essere, poi­ ché di fatti la M oira lo vincolò/ ad essere un tutto ed i m m obile (oi1lon Q}dne ton) ; perciò non sono che puri no m i / quelli che i m ortali hanno posto, convinti che fossero veri : / divenire e perire, essere e non-esse­ re,/ e ca m biar di luogo e m utare lo splendente colore" (fr. B 8, vv. 3 6-4 1 ). E parallela mente: "E non è mai stato e non sarà mai, perché è ora (nyn) tutto insi e m e nella sua compiutezza,/ uno (hén) continuo" (fr. B 8, vv. 5-6) (8). "E inoltre non è divisibile (diaireton), perché è tutto uguale (pan estin homoion):/ non c'è in qualche parte un di più d'essere che possa i mpedirgli la contiguità di sé con se stesso,/ né un punto in cui m eno prevalga, ma è tutto pieno (é mpZeon) di essere ./ Per questo è tutto continuo (xynechès): ché l'essere all'essere è accosto" (fr. B 8 , vv. 2 2-2 5). "E infatti da ogni parte identico a se stesso (hoi gàr pan­ tothen Tson), urta in ugual maniera nei suoi con fini" (fr. B 8 , v. 4 9 ) . Le due affer m azioni, l'i m mutabilità e l'indeterminatezza, sono en­ trambe esigite dal principio parmenideo. Se l'essere è e non può non essere, e il non essere non è e non può gia m mai essere , va da sé che l'essere non possa divenire: se divenisse non sarebbe (e i gàr égent', ouk ésti, fr. B 8 , v. 2 0 ). L'opposizione di positivo e negativo, incontro­ vertibile in quanto fondamento della sua stessa negazione , è la stessa i m m utabilità dell'essere . Ma se l'essere è ed è i m m utabile , esso non può non essere indeterm inato - indeterm inato nell'unico senso in cui tale term ine può venir riferito all'essere : indeterminabile . Se ogni determinazione comporta negazione, e se dell'essere si può dire solo che è e gia m m ai che non è, l'essere non può necessariam ente venir determ inato. L'uno, l'indivisibile , l'uguale , l'identi co altro non espri mo­ no se non la perfe zione assoluta indeterm inabile . Determ inare tale perfe zione signi ficherebbe introdurre un'alterità, una differenza l'héteron platonico (9) -, ma la re ticenza parm enidea non può essere barattata con una pri mitività di pensiero ; essa, infatt i , vive della pro­ fonda consapevole zza che, una volta introdotta la differenza, sono eo ipso introdotti il molteplice e il tempo , che altro non sono se non l'originario "di fferire" ( 1 0 ) . Sottrarre l'essere al divenire è sottrarre l'essere alle condi zioni del divenire, cioè , appunto, alla m olteplicità e al te mpo. La m oltepli cità indica il far di fferenza sincronico, il tempo il f a r differenza diacronico; ma nell'uno come nell'altro caso è sempre

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un differire, un recedere dall'identità originaria de "l'essere è" ( 1 1 ) . D'altro canto non è men vero che i l principio parmenideo dell'opposi­ zione di posi tivo e negativo è proprio il principio della differenza, di quell'unica differenza che è condizione del porsi dell'identità origi­ naria, in cui consiste l'annulla mento della di fferenza stessa. L'aporia è già tutta contenuta nel fr. B 2, là dove , per dire che "il non - essere non puoi né conoscerlo (è infatti i m possibile) , né espri merlo" (vv. 78), il non essere pur si dice. Allo stesso modo la di fferenza è annullata attraverso la forza del differire. Ma se il differire toglie la differenza, toglie se stesso ; ma per togliere se stesso deve reintrodurre la diffe­ renza. Di modo che la differenza risulta ineli minabile: togliendola la si pone. Ma se la som ma identità, l'essere è l'essere (E = E), si può porre solo attraverso il principio della differenza f E .... (- E) l , ne viene che la differenza è originaria. Epperò porre l'o riginarie tà d ella diffe­ renza - il principio dell'opposizione - è eo ipso togliere l'identità, è cioè porre la differenza dei differenti e non la differenza degli iden­ tici. M a porre la differenza dei differenti, porre cioè nella differenza di E da - E la differenza di E da E e di ""E da -E e così via all'infinito, è porre la loro assoluta in-differenza . Ma l'assoluta indifferenza non è altro che l'identità. Donde il riemergere dell'identità nella differenza stessa. Di modo che , se per porre l'identità oc corre porre la differenza, e se la posi zione originaria della differenza, mentre se mbra l'annulla­ m ento dell'identità, se ne rivela la posizione stessa, ecco che, giusta la posizione parm enidea, proprio in forza della differenza non si esce dall'identità originaria. E' ciò che scrive a suo modo Schelling nell'E­ sposizione de l mio siste ma filosofico del 1 8 0 1 : "Tutto ciò che è, è l'i­ dentità assoluta stessa"; "tutto ciò che è, è in sé uno" ( 1 2 ) ; "conside­ rare le cose come differenti o varie vuol dire non considerarle in sé" (1 3). Ma non si può fare a meno di confrontare queste affermazioni schellinghiane con quelle contenute in una pagina dell'undicesi m a le­ zione della postuma Filosofia de lla rive lazione , dove si legge : "Come già dice Platone, in particolare la gioventù priva d'esperienza si ralle­ gra straordinariamente, se arriva a questo concetto dell'Uno in tutto, con cui tutte le differenze per essa scompaiono; essa lo tratta come un tesoro, in cui per così dire crede di possedere chissà che cosa , fino a che nel segui to sente, infine, che con questo concetto non si può assolutam ente incom inciare nulla , che non c'è nessun mezzo per muo­ versi da esso - o per venir oltre con esso-, che con esso ci si rigira sempre solo intorno allo stesso punto" ( 1 4). M a tutto questo è già chiaro in G orgia. N el nulla del filosofo di

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Leon tini , infatti, l'esito dell ' episté me par menidea viene piena mente raggiunto e testimoniato - e ciò solo apparentemente contra litteram. Lo s i vede tanto nella redazione del testo gorgiano tramandataci da Sesto E m pirico quanto in quella dello pseudo-aristoteli co autore del De Me lisso, Xenophane et Gorgia , da cui risulta che Gorgia "nell'opera inti tolata Intorno al non ente o de lla natura di mostra tre proposizioni fonda mentali , nel loro reciproco svolgersi . Una e la pri ma è che 'nulla esiste' (oudèn éstin), la seconda che 'se anche vi è un'esistenza, non può mai venir rappresentata' (akatalepton) ; la terza che 'se anche può venir rappresentata, non può certam ente essere comunicata (anéxo i­ ston) e spiegata (anerméneuton) agli altri' " ( 1 5). Ora, considerato che il significato delle tre proposizioni non è certamente la banale nega­ zione delle cose nella loro concretezza, com'è per sé già palesemente attestato dal fr. B l riportato da Isocrate ( 1 6 ) , il senso della negazione gorgiana non può che riportarsi alla negazione dell'essere in quanto principio, ovvero alla negazione della predicabilità dell'essere ( 1 7). Ma la negazione dell'essere in quanto principio (negazione simpliciter) pone in causa il valore esistenziale dell'essere, il quale invece, nella pri ma affermazione, non può in alcun m odo essere in gioco, pena il venir meno della possibilità stessa delle due affer mazioni successive. Se l'essere in quanto principio non fosse si mpliciter, e non soltanto non fosse come gli enti e non predicabile alla stregua di questi , le stesse ipotesi della sua esistenza e della sua pensabilità, formulate rispettivam ente nella seconda e nella terza affermazione, non avreb­ bero alcuna ragion d'essere ; ma se il riferi mento è alla non predicabi­ lità, la seconda affermazione s'illumina in quel senso di tragi cità del conoscere o di impossibilità del sapere totale che è il tema di fondo dell'opera gorgiana ( 1 8), e la terza vi fa da comprova scindendo addi­ rittura il dire dal pensare. La redazione di Sesto della seconda affer­ mazione se m bra inequivoca in questo senso, giac ché tra le due con­ traddittorie "se ( . . . ) i contenuti del pensiero non sono esistenti" ( 1 9 ) e "se ( . . . ) i contenuti del pensiero sono esistenti" ( 2 0 ) , con l'esclusione della seconda , in forza dell'affermato princ ipio di non contraddizione ( 2 1 ) , resta necessari amente posta la pri m a , donde la conclusione : "quello che esiste non è pensato (tò òn ou phroneTtai)" ( 2 2 ) . Ma se il pensare non intenziona l'essere - e, si badi , questa seconda afferma­ zione è l'erm eneutica della pri ma -, a maggi or ragione non lo intenzio­ na il dire , il quale risulta anzi ulteriorm ente li m itato rispetto allo stesso pensare, dacché è sciolto anche rispetto a questo. Così quel "nulla esiste" (oudèn éstin), che restituisce la pri ma affermazione

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e che ri torna con costanza anche nelle successive , lungi dall'assumere un assurdo ( 2 3 ) valore esistenziale, ri ferendosi all'essere, ne dice l'i m­ predicabilità, ovvero l'i m pensabilità, almeno in quei term ini in cui la pensabilità si espri me nel linguaggio. Ma ciò che non è pensabile e dicibile , che non è cioè secondo i canoni della predicabili tà, che è determ inatezza - e dire è determ inare -, fatta salva la dimensione esistenziale , non può che essere l'uno, l'indeterm inato. Ne viene in tal modo che l'essere , lungi dal venir negato nella radi calità di Gorgia, è da essa salvato sia nella sua assolute zza di essere, l'i mm utabilità - e infatti il discorso non tocca la di mensione esistenziale -, sia nella sua impraticabilità semantica: l'indeterm inatezza - su cui il discorso gorgiano si sofferma in maniera esplicita. E' così che nell'inaudita fedeltà di Gorgia l'epistéme parm enidea si rivela nella sua verità: l'i mmutabilità è l' originaria (in se ) necessi­ tà dell'essere, l'indeterm inatezza è l'inconoscibilità (quoad nos) dell'es­ senza di tale essere. M a se così è , se cioè l'assolute zza - la necessità - è circoscritta alla sola formalità sintattica non abbracciante la con­ cretezza se mantica, l'episté me non soppianta e neppure sopravanza il mythos, m a ne fonda con rigore la di m ensione. m

Nota: "De fato"

La difesa ciceroniana della libertà, svolta nel De fato attraverso l'esposizione critica della dottrina stoica, confrontata volta a volta con quella megari ca, quella epicurea e quella ac cademica, è a suo modo un testo ese mplare al fine di mostrare le varie possibili soluzioni del rapporto necessi tà-libertà, nonché l'inevitabile scacco in cui cado­ no sia le pretese di un necessitarism o assoluto, sia l'arroganza di una facile positiva deduzione della libertà. Sul pri mo fronte sta la tenta­ zione di D iodoro Crono, col quale vien meno il possibile nel significato oggettivo del term ine, giacché per lui "possibile è soltanto quel che o è vero o sarà vero e tutto quel che sarà lo dichiara ne cessario m entre quel che non sarà lo dichiara impossibile" ( 2 4). Se anche il futuro si ri possibi-le , non ·se m bra pi ù sussistere spa zio di porta al ne cessario o all'im sorta per la li bertà . Le riserve ciceroniane nei confronti di Crisippo rendono ulterior­ mente avvertiti della reale difficoltà di saldare una qualunque forma di libertà con l'a m m issione del destino. N ondi m eno la distinzione tra le cause adiuvantes et proximae e le cause pe rfectae et princ ipa les

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suggerisce l'ipotesi d i un tracciato che, nella sua aporeticità, può risul­ tare inevitabile . Scrive Ci cerone : "Crisi ppo dal canto suo, poiché da una parte rifiutava la necessità, ma dall'altra non a m m etteva che qualcosa potesse accadere senza cause predisposte, distinse due specie di cause , per sfuggire alla ne cessità e nello stesso tempo conservare il fato. 'Delle cause infatti - disse - alcune sono perfette e principali , altre coadiuvanti e prossi me. E perciò, quando diciamo che tutto acca­ de fatalmente in virtù di cause antecedenti , non si deve intendere in virtù di cause perfette e principali , ma di cause coadiuvanti e pros­ si me' " ( 2 5 ) . Crisippo, dunque , "pur concedendo che la causa prossi ma e i m mediata dell'assenso sia posta nella rappresen tazione, non a m m et­ te che essa sia causa necessaria dell'assentire, cosicché , se è vero che tutto accade ad opera del fato, non è vero che tutto accade in virtù di cause precedenti e necessarie" ( 2 6 ) . Che così Crisippo cada in contraddizione, vitti ma del necessitarism o di Diodoro, può essere ( 2 7 ) , ma C icerone non dà sentore d'avvertire l'i mprescindibilità del­ l'elem ento che accomuna, al di là delle differen ze, Crisippo e Diodoro . Né Ci cerone può accogliere la posizione di Epicuro, giacché, se non può non condividerne l'amore per la libertà, al punto da scrivere che "se mi prende vaghezza di dar ragione ad Epicuro e di negare che ogni enunciato debba essere o vero o falso, sarei piuttosto disposto ad ac­ cettare questa enormità, che concedere che tutto accade ad opera del fato" ( 2 8 ) , tuttavia anche la soluzione epicurea, che evita la neces­ sità del fato mediante la declinazione dell'atomo, ossia attraverso un "movi mento senza causa" (2 9), risulta contraddittoria, appunto in quanto "senza causa", oppure conclude di nuovo al necessi tarismo, se si ripropone nei termini di Dem ocrito. La soluzione che propone Cicerone è quella di Carneade , del quale egli riporta e utilizza ampiamente la critica nei confronti di Epi curo: " Q uanto più acuto Carneade , scrive , il quale sosteneva che gli epi curei avrebbero potuto difendere la loro causa senza ri correre a questa in­ venzione della declinazione. Ed infatti , poi ché sostenevano che poteva esserci un certo moto volontario dell'ani m o , in questa dottrina doveva­ no cercare la loro di fesa piuttosto che far ri corso alla declinazione" (3 0). Se , insom m a , il "senza una causa" vale in realtà "senza una causa esterna" (3 1 ), analogamente a quan to si sostiene per il punto di vista fisi co, occorre anche per l'aspetto psi chico affermare che "non c'è bisogno di ri cercare una causa esterna per i moti volontari dell'ani m o , perché i l moto volontario, per la sua stessa natura i m m anente, è in nostro potere e ubbidisce a noi ; e questo non accade 'senza causa' ,

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p erché la causa n e è appunto la sua stessa natura" ( 3 2 ) . Un'altra difesa della libertà, se mpre palese mente antistoica, ma questa volta in chiave neoplatonica , è que l l a svolta dall'autore del De fato tras messoci sotto il nom e di Plutarco . ln questo testo, attraverso l'analogia fato-legge civile ( 3 3 ), si pervi ene ad un'e rmeneutica del detto: "tutto avviene secondo l'hei marménc" , nel senso che ' "se condo il fato' significa non tutto, ma soltanto ciò che dal fato è regolato, in tal caso non si potrà dire che tutto è secondo il fato, anche se tutto è nel fato. Infatti, neppure tutto ciò che abbraccia la legge si potrebbe dire legale né secondo la legge ; essa infatti comprende il tradimento, la diserzione, l'adulterio, e altre colpe del genere, nessuna delle quali potrebbe esser detta legale" ( 3 4). Se dunque , fatale o secondo il fato è solo ciò che consegue ad un ordinamento divino precedente, tutto quanto a tale ordinamento si sottrae costituisce un originario spazio di libertà per il soggetto. Non che, certo, codesta semplice analogia fato-legge civile possa costituire una fondazione, ancorché approssi­ mativa, del libero arbitrio, ma l'indi cazione cui essa se mbra obbedire, che cioè il problema si pone in term ini più di persuasione che di dimo­ strazion e , ha il suo profondo senso, lasciando quasi intendere che la libertà è un dato originario, in quanto tale non deducibile ma solo giu­ stificabile . Né a questo contraddice il cap. 6 , il più tecnico dal punto di vista formale , dedicato al possibile e al contingente, ché neppure esso intende fondare il libero arbitrio, ma se mpli c e m ente "dire in quale m odo ciò che è in nostro potere, la fortuna, il possibile , il contingente e le cose affini a queste, le quali tutte si trovano tra gli antecedenti, possano esse stesse sussistere , lasciando tuttavia sussistere anche il fato" ( 3 5). Non si fa, in altri term ini, neppure qui questione dell'esi­ stenza del possibile - se esso sia -, ma solo del come esso sia . E si viene così ponendo "che il possibile preesista, com e genere , al contin­ gente, che il contingente preesista, come sostrato , al nostro libero arbitrio, che il libero arbitrio si serva , come padrone , del contingente" (3 6 ). N el fato si trovano dunque tanto il contingente e il possi bile quan­ to l'umana facoltà di scelta, il libero arbitrio, la fortuna e il caso: "Tutto questo è compreso nel destino, m a nulla di questo è secondo il destino (hà dè panta periéche i mèn e heimarméne, oudèn d'auton esti kath'he imarménen)" ( 3 7 ) . Piuttosto è lo stesso destino ad essere secondo altro per lo pseudo-Plutarco autore di codesto De fato ; esso, infatti , è compreso nella provvidenza: "Il fato è completam ente subor­ dinato alla provvidenza" ( 3 8 ) , si di ce, sì che questa resta il punto finale e risolutore.

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IV

Elezione

N ell' Evangelo di Luca si legge che "il Figlio dell'uomo se ne va , se­ condo quanto è determ inato (katà tò horisménon)" ( 2 2 , 2 2 ) , e Paolo ai perfetti parla di una ''sapienza divina, m isteri osa , che è ri masta nascosta, e che Dio ha predestinato (proorisen) pri ma dei secoli per la nostra gloria" (1 Cor. 2 , 7). Ro mani 8, 2 8-3 0 recita: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli ha preconosciuto li ha anche predestinati (proorisen) ad essere conform i all'i m m agine del Figlio suo, perché egli sia il pri mogeni to tra molti fratelli ; quelli poi che ha predestinati (proorisen) li ha anche chia mati (ekalesen); quelli che ha chiamati li ha anche giustificati (edika{osen); quelli che ha giustificati li ha anche glori ficati (edoxasen)". Paralle­ lam ente in Efesini l , 4-1 2 si legge: "In lui ci ha scelti pri ma della crea­ zione del mondo ( ) , predestinandoci (proorrsas) a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo ( ). In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati (prooristhéntes) secondo il piano di colui che tutto opera conform e alla sua volontà". In Paolo destinare e predestinare non hanno significato negativo di oppressione o sventura, ma alludono, al contrario, all'originario piano di salvezza divino, in prospettiva escatologica, ossi a in vista del giudizio finale. La predestinazione è m irata all'adozione a figli, all'assunzione cioè dell'i m m agine di Cristo. E in tutta la Scrittura la predestinazione è pure coniugata profonda mente con la libertà. Giovanni l'espri m e nel m odo più efficace ponendo sulle labbra di Gesù l'espressione: "la verità vi farà liberi (a lé the ia e leuther6sei hymas)" (8, 2 2 ) , e Paolo ai Galati scrive : "Voi , infatti, fratelli , siete stati chia­ m ati a libertà (ep'e leuther{a ek lé thete) " (Ga l. 5 , 1 3 ) ; anzi , secondo Paolo , è la stessa intera creazione che vive e spera d'essere liberata: "la creazione ge me e soffre nelle doglie del parto" ( Rm. 8, 2 2 ) . C osì è anche i n Agostino, per il quale i l vero essen ziale problem a è di m ostrare che l a fede è dono d i D i o : " P rius itaque fide m qua chri­ stiani sum us, donum Dei esse debe mus ostendere" ( 3 9 ) , e che la grazia non viene data secondo i nostri meriti : "( . . . ) istam gratiam , quae non datur �ecundum aliqua m erita, sed efficit om nia bona m erita" (4 0 ) . M a :-;e anche la grazia è i l centro, ché "se l a gi ustizia provi ene dalla legge , dunque Cristo è m orto per niente" ( 4 1 ), e se pure la grazia non . . •

. • .

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è la legge (4 2 ) , n é la natura (4 3 ) , n é la semplice rem issione dei peccati (44), non per questo il libero arbitrio viene negato: la verità è duplice : "utrumque verum est11 (4 5 ) . Dio opera nell'uomo e coopera con l'uomo, e in questa duplicità sta il mistero della com posi zione della sua grazia e dell'um ano libero arbitrio: 11Quonia m ipse ut velimus operatur inci­ piens, qui volentibus cooperatur ( . . . ). Ut ergo veli m us, sine nobis opera­ tur; cum autem volum us, et sic volumus ut fa cia mus, nobiscum coope­ ratur11 (46). Se appartiene alla natura umana poter avere la fede e la carità, dipende dalla fede l'averle : "Proinde posse habere fide m , sicut posse habere caritate m , naturae est hom inum : habere autem fidem que m adm odum habere caritate rn , gratiae est fidelium11 ( 4 7 ) . D i modo che è certo che di Dio 11investigabiles igitur sunt, et m isercordia qua gratis liberat, et veritas qua iuste udi cat" ( 4 8 ) ; ferma restando però l'i mpossibilità che Dio 11mala pro bonis non reddet, quoniam iniustus non est" (49). Per A gostino la grazia realizza la predestinazione, la quale pertanto è una preparazione alla grazia (11praedestinatio est gratiae praepa­ ratio"), così come questa , la grazia, è un effetto della predestinazione: "gratia vero est ipsius praedestinationis effe ctus11 ( 5 0). N on va peraltro confusa la predestinazione con la sem pli ce prescienza, ché , se non v'è predestinazione senza prescienza, vi può essere , e vi è, prescienza senza predestinazione. Allo stesso m odo non va barattata la prescienza con il determinismo ( 5 1 ) , né questo con la predestinazione. Ciò risulta chiaro, più che nelle elaborazioni dottrinali scolastiche, com unque rilevanti , pur col pelagianesi m o prati co che le accompagna ( 5 2 ) , nelle riprese dei classici della Riforma. In L utero il grande tema è quello della schiavitù del peccato, del "servo arbitrio11, che i mpone di non indagare la volontà di Dio ma di 11adorarla con ti more e tre m ore come il m istero più venerabile della maestà divina, m istero riservato a Dio solo ed interdetto agli uomini11 ( 5 3 ) . 11( . . . ) Bisogna allontanarsi da quella ragione umana tem eraria che vorrebbe discuterne. La ragione um ana non deve occuparsi di sondare questi m isteri della maestà divina ( . . . ). Si occupi essa - invece - del Dio incarnato o, per parlare con Pao­ lo, del Cristo crocifisso nel quale sono nascosti tutti i tesori della sagge zza e della scienza11 (54). Lutero è perentorio; il suo fine , come quello dell'apostolo, ha il ca­ rattere fondam entale del messaggi o, ed è espressi one del dra m m a esistenziale d i una vita: 11Vorrei qui avvertire i difensori del libero arbi trio, scrive , onde sappiano bene quanto segue : essi , afferm ando

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che il volere degli uomini è libero, negano Cristo. Infatti , se io posso ottenere la grazia con le mie proprie forze, che bisogno c'è della gra­ zia di Cristo ? " (5 5). Cecità e null'altro che cecità è il libe ro arbi trio, perché esso assegna il merito all'uomo e così vanifica la grazia. Le opere buone sussistono, ma sono tali solo in quanto sono le opere del comanda mento di Dio ( 5 6 ) . La libertà sussiste, ma anch'essa solo com e frutto dello spirito. "Ci sono tre lum i, scrive Lutero: quello della natu­ ra, quello della grazia e quello della gloria ( . . . ). Alla luce della natura è incomprensibile che il buono sia provato e che il cattivo prosperi . Ma questa questione è risolta alla luce della grazia. Alla luce della grazia è incomprensibile che Dio condanni un uomo che , per le sue proprie forze, non può fare altro che peccare e rendersi colpevole. Su questo punto, la luce della natura e la luce della grazia, van d'a c­ cordo nel dire che la colpa è non dell'uomo miserabile , ma di Dio che è ingiusto; infatti esse non possono portare altro giudi zio su Dio, il quale ri compensa gratuitam ente e senza merito un uomo e m pio, m a condanna un altro uomo che non è, forse , n é più né m eno empio. M a l a luce della gloria dice tutt'altra cosa: essa di mostra che i l giudi zio di Dio, che ci appare oggi incomprensibile , è l'espressione di una per­ fetta giustizia e di una giustizia evidente, purché noi la riteniamo tale vera m ente fin d'ora" ( 5 7 ) . La riflessione d i L utero non s i colloca sul piano della dottrina astrat­ ta, capace di risolvere teoreticamente il proble ma e ansiosa di ciò; Lutero medita la Scrittura, e i testi di Paolo in parti colare, e forte di questo testimonia il dra m m a del credente nella Parola. N on è certo casuale che anche nella risposta ad Erasmo l'invito finale sia a "prati­ care l'obbedienza alla Parola di Dio" ( 5 8). Questo è l'o mne punctum : la giustizia d i D i o rivelata nell'evangelo, dunque i n Cristo. Fuori d i questo luogo, l'evangelo, e d i questo atto, l'obbedienza, i l dramma dell'uomo forse sfuma soggettivamente, m a diviene tre m endamente oggettivo. Non diverso è anche l'atteggiam ento di Calvino, per quanto nell'ul­ tima edizione dell'lstitutio il tema si faccia più ridondante e la preoc­ cupazione teologi ca più m arcata ( 5 9) . Il criterio erm eneutico è esplici­ to: "Il desiderare altra conoscenza della predestinazione , all'in fuori di quella che ci è data nella parola di Dio, è follia" ( 6 0 ) . In obbedienza a ciò Calvino asserisce , senza mezzi termini, sin dall'inizio della trat­ tazi one , la tesi della doppia predestinazione: "Dio ha assegnato gli uni u sel.vezza e gli altri a condanna eterna" ( 6 1 ) ; né valgono a togli ere la d u rezza di questo decreto sofisti cherie di sorta legate alla prescien-

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za, perché questa, riferita a Dio, altro non significa se non che "tutte le cose sono se mpre state e ri mangono eterna mente comprese nel suo sguardo, tanto che nella sua conoscenza nulla è futuro o passato, ma ogni cosa gli è presente" ( 6 2 ) . La predestinazione è, inve ce , in maniera molto più determinata, "il de creto eterno di Dio, per mezzo del quale ha stabilito quel che voleva fare di ogni uomo" ( 6 3 ) . E la testim onianza della predestinazione si ha nella Seri ttura, nella ele­ zione di Abramo e di tutto il popolo; d'altro canto nella Scri ttura stes­ sa vi è pure un secondo grado di elezione, quello per cui anche all'in­ terno del popolo vi sono molti estranei. Ciò segue la "decisione i m m u­ tabile di Dio" (64), della quale la Scri ttura ci a m m onisce "a non cerca­ re alcuna spiegazione all'infuori della sua volontà" ( 6 5 ) , che è appunto "la causa di tutte le cose che accadono" ed "è a tal punto regola su­ pre ma e sovrana di giustizia, che tutto quel che egli vuole, bisogna considerarlo giusto per il fatto che egli lo vuole" ( 6 6 ) . Non si può anda­ re oltre la volontà di Dio, perché essa è "la legge di tutte le leggi" ( 6 7 ) , legge non proporzionata all'umana capacità di comprendere, giu­ sta per natura, ché "la giustizia di Dio è così alta ed eccelsa da non poter essere ridotta alla misura umana" ( 6 8 ) . In maniera perentoria: "la volontà di Dio è la ragione necessaria di ogni cosa" (69), è l'assoluto e i m perscrutabile fondamento di tutto; e "la predestinazione altro non è che l'ordine e la manifestazione della giustizia divina, irrepren­ sibile benché occulta" ( 7 0). Donde anche per C alvino , come già per L utero, non resta che una som m a obbedienza; non però altrettanto dra m m atica, giacché la sicurezza e la tranquilli tà della navigazione è più i m m ediatamente gioiosa (7 1 ) , aperta al rapi m ento della meravi­ glia: "Ma quando si saranno addotte moltepli ci ragioni , e si sarà discus­ so da entra mbe le parti , dovre mo giungere a questa con clusione , di !asciarci rapire dalla meraviglia , come san Paolo" ( 7 2 ) . L'esi to, ed è esito straordinario, d i questo cam m ino d'obbedienza alla Parola , è senz'altro la barthiana dottrina dell'ele zione divina ( 7 3 ) . In Barth i l tema trapassa i n maniera inequivoca e irreversibile dal fronte antropologi co a quello di Dio; diviene "la som ma dell'evangelo" ; non più una veri tà neutra o un teore ma astratto, ma "buon annuncio, m essaggio gi oioso , capa ce di rallegrare , di tonifi care , di consolare , di ridare forza" ( 7 4). Cade così ogni parallelismo tra salve zza e perdi zion e , perché "anche nel suo aspetto negativo ed oscuro , l'ultima parola di questa verità non è certo minaccia, condanna , puni zione ( ) . N ella sua sostan za , nelle sue pre messe , nelle sue conclusioni essa è positiva e non negativa" ( 7 5 ) . Essa , insom m a , "intende sottolineare • . .

1 09 l'assoluta libertà della gra zia d i D i o e rendere così giusti zia alla sua divinità" ( 7 6 ) . Ma l'ele zione di Dio, che è pri ma di tutto ele zione di Cristo, quindi ele zione della com unità e poi dell'individuo, m entre re cla ma la profondità del silen zio, che è ascolto e obbedienza : "Davanti al mistero di Dio, la creatura deve tacere ; ( . . . ) perché i l silenzio ( . . . ) è i l solo atteggiam ento che permette di fare quan to è necessario fare qui : ascoltare ; ( . . . ) ascoltare in vista dell'obbedien za , che costituisce l o scopo e i l senso di ogni ascolto" ( 7 7 ) , l'elezione di Dio con il propri o sì restituisce l'uomo alla se mplicità della vita, che è pace e stupore : "( Alla creatura) non resta che vivere la vi ta che le è stata data in questa maniera e viverla sen za preoccupa zioni . N on vi è più posto se non per lo stupore , per la meraviglia rispettosa davanti al m istero della vita" ( 7 8 ) . N on c'è bisogno d i sottolineare che anche questa som m a soluzione di fede è, e non potrebbe che essere , una soluzione "pratica", non risul­ tato di deduzione di sorta, ma consegna dell'uom o ad un'obbedienza fondam entale . La Paro la, che è Cristo, colui che ele gge ed è eletto, com e e più del mythos anankaios, è dunque perenne tensione tra un pensare esodale e un pensare apocalittico , che vive nel presente la necessità del passato e la libertà del futuro. E nondim eno la nec essità di tutto questo appartiene alla struttura originaria della verità e del destino. v

Struttura originaria e destino * 1.1 Verità assoluta è la verità incontrovert ibile. Incontrovertibile è ciò che non può essere smentito, ossia ciò la cui negazione non riesce e non può riuscire a costituirsi , perché è l'i m possi bile stesso. Negazio­ ne dell'incontroverti bile non si dà, né può darsi ( 7 9 ) . ( Q uanto appare come negaz one d � ll'incontrovertibile, appun to appa re come negazione, ma non lo e; ossia, mentre nega (in ac tu s igna t o ) , proprio per poter nega �e , deve affermare ( in ac tu exe rc i to) c i ò che nega, e quindi in realta non nega, ma afferma).



1.2 Ciò che si dà è ciò di cui , proprio perché si dà, non è possibile la negazione. La negazione di ciò che si dà, proprio per porsi com e nega­ zione di ciò che si dà, pres uppone che ciò che si dà sia posto, altri men­ ti essa negazione sarebbe negazione di n ulla . Ma se la negazione è nega zione di ciò senza di cui essa stessa non si darebbe , ossia della

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sua co nditio sine qua non, la negazione non ri esce a costituirsi , ovvero è negazione di se stessa . 1 .3 Se la negazione dell'incontrovertibile non si dà, né può darsi , e se ciò che si dà è ciò di cui , proprio perché si dà, non è possi bile la negazione, ciò che si dà è l'incontrovertibile . O , che è lo stesso, il darsi di ciò che si dà è l'incontrovertibile . 2. Proposi zioni se mpre vere (incontrovertibili) sono le tautologie . Pro­ posi zioni se mpre false ( i m possibili ) sono le contraddizioni. 2.1 L'incontrovertibilità delle tautologie è i m mediata e ortgmaria. Si m ostra provando l'i mpossibilità della loro negazione, cioè delle con­ traddizioni . Sia (x = x) una tautologia, e (x = - x) la sua negazione, che è una con­ traddizione. Ora, affinché la proposizione (x = --- x) valga come negazio­ ne di (x = x), o, che è lo stesso, di j:.. ( x· - x) l , è indispensabile che x e - x siano originariam ente visti c o me oppo sti , ossia x come l x - (-x) l e -x come l,.., x.., (xJl - che è quanto dire (x = x) e (-x =-x) -, ché, se i e ,., x non s ono vist C come opposti , ovvero ciascuno identico a se stesso, la negazione dell'identità non è più negazione dell'identità. M a se il costituirsi della negazione dell'identità, e cioè il costituirsi della contraddizione, è condizionato dall'affermazione dell'identità stessa , l a negazione dell'identità è negazione della negazione dell'identità. Col che resta provato che : l) le contraddizioni presuppongono ciò che negano, cioè l'opposizione degli opposti , ovvero l'identità di ciascun opposto ; 2 ) le contraddizioni sono possibili in quanto si pongono esse stesse incontraddittoriamente: sono contraddi zioni in ac tu sìgnato , e tautologie in ac tu exe rc ìto. 3 Se il darsi di ciò che si dà è l ' incontroverti bile (cfr. n. 1 . 3 ) , e se tra le proposizioni le tautologie sono le necessariam ente e i m m ediata­ m ente vere (cfr. n . 2 . 1 ) , l'incontrovertibilità di ciò che si dà è data i m m ediata m ente nelle tautologie, ovvero le tautologie espri mono lo stesso darsi di ciò che si dà. Pertanto l'esposi zione della verità incontrovertibile si reali zza nel­ l'analisi del giudi zio identico di ciò che si dà. Tale analisi , peraltro, proprio perché analisi di un giudi zio identico, è una se mplice espli ci ta­ zione di quanto è già stato posto ; dunque è speculativamente inessen­ ziale . Viene svolta ad abundantiam.

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3.1 Sia l' "Essere" (E) ciò che si dà; e "L'Essere è l'Essere" ( E giudi zio identico.

=

E) il

Ergo :

3 . 1 1 L'Essere è . Infatti, se non fosse, l'essere non sarebbe più Essere, ma nulla (E = - E) . Il che è contraddittorio, e dunque i m possibile (cfr. n. 2 . 1 ). 3 . 1 2 Se l'Essere è, l'Essere è necessariamente . E' necessario ciò che non può non essere. Ora, se l'Essere non fosse necessariamente, l'Esse­ re potrebbe non essere. Ma così l'Essere non sarebbe più Essere, sib­ bene nulla . Donde di nuovo la contraddizione di 3 . 1 1 . 3.13 Se l'Essere è necessariamente, l'Essere è ete mo . Se non fosse eterno si darebbe un tempo in cui esso non è. E' di nuovo la contraddi­ zione di 3 . 1 1 . 3.14 Se è necessario, e dunque eterno, l'Essere è immutabile . Infatti , se divenisse , almeno per qualche aspetto diverrebbe altro da ciò che è. Ma se qualche aspetto divenisse altro da ciò che è, non sarebbe più ciò che è. Il che ripropone sempre la contraddizione di 3 . 1 1 . 3.1 5 Se è i m m utabile , ossia esclude da sé ogni divenire e ogni potenza, l'Essere è puro atto. 3.16 Se l'Essere che è, che è necessariamente, che è eterno, che è i m m utabile , che è puro atto, è l'intero di ciò che si dà, l' Essere è uno . La totali tà del positivo non può non essere un a, pena il non essere la "totali tà" del positivo.

L' Essere si dà come una molteplicità di enti. C iò che si dà, si dà incontrovertibilm ente (cfr. n. 1 . 3 ) , quindi il darsi dell'Essere nella moltepli cità degli enti è in controvertibile . 4

darsi dell' Essere nella moltepli cità degli enti comporta che l'ente sia r ide nti tà l essere, ma non sia r diffe renza � l' Essere . Ovvero: l'ap­ parir e degli e n t i diffe risce dall'ap parire dell' Essere. 4.1 I l

4.1 1

è

la

La di fferenza tra l'apparire dell' Essere e l'apparire degli enti s t ess a differen za tra la forma e i l contenuto dell' Essere: gli enti

112

(e mpeir{a) sono ciò che del contenuto dell' Essere appare - e questo

contenuto dell'Essere appare altro dall'Essere (cfr. n. 4. 1 ) - ; la forma (l6gos) è l'apparire della strut tura incontrovertibile dell' Essere.

L' e mpe i r{a non attesta il non-essere degli ent i , ma il loro apparire e scomparire . L'apparire (a), in quanto è un positivo, non può non essere (cfr. n. 3 . 1 2 ) . L a negazione dell'apparire d à luogo a d una contraddizione (a = ,., a) , dunque è i mpossibile (cfr. n. 2 . 1 ). Se peraltro l'espe rienza attesta che gli enti appaiono (a) e scom paiono (- a), ossia attesta, epperò incon­ traddittoriamente, il non-apparire dell'apparire , ciò signi fica che l'e­ sperienza si costituisce come la negazione (in actu signato) della verità incontrovertibile ; la quale negazione però, di nuovo, presuppone (in actu exe rcito) ciò che essa nega, ossia la verità incontrovertibile (lo­ 4.1 2

gos) .

5 La differenza tra gli enti e l' Essere f la si chia m i : differenza anto lo­ gica -, , ovvero tra contenuto e form a dell'Essere f- la si chia m i : differenza ermeneutica J ' com porta che: 5.1 Se gli enti sono essere , ma non sono l' Essere ( cfr. n. 4 . 1 ) , gli enti sono parte dell' Essere. 5.2 Se gli enti sono parte dell'Essere, l'Essere ad un te mpo trascende

[ differenza J l'ente, ed è immanente [ identità J ad esso.

5.3 La trascendenza è trascendenza dell'Essere rispetto al contenuto che di esso appare (gli enti), l'i m m anenza è i m m anenza della for ma dell'Essere (la necessità) in quello stesso contenuto che appare (cfr. n. 4 . 1 2 ) . 6 La trascendenza del contenuto concreto dell'Essere rispetto a ciò

che di esso appare (gli enti) è la stessa i mpossibilità della se mantica incontrovertibile dell' Essere. L'i m m anenza della for ma dell' Essere negli stessi enti, è la possibilità della sintassi inc ontrovertibile dell'Es­ sere . (In altri termini: sicco me l'Essere non appare nella sua compiutezza di contenuto (se manti ca) , ma solo nell'assolut ezza della sua for ma (sintassi), la veri tà incontrovertibile è possibile solo a livello sintattico (logi co-formale), non a livello se mantico) .

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Peraltro la vita è un costante "sem anti zzare", cioè dare e acco­ gliere signi ficati in ordine agli enti che appaiono: ma proprio perché il contenuto concreto dell' Essere trascende il contenuto degli enti che appaiono, la st essa se mantica degli enti è necessariam ente "man­ cante" (astratta, intellettuale) ; dunque da un lato soggetta ad un ap­ profondimento illi mitato, e dall'altro non m ai assolutizzabile . La sintassi indica il limite esterno invalicabile dalla semantica " m an­ cante". 6.1

Se è i mpossibile la se m antica incon trovertibile dell' Essere, non è i mpossibile l'invenzione se m antica per l'essere, così come si fa , vi­ vendo, ma in questo caso necessariamente, per gli enti. La di fferenza tra la semantica dell'ente e quella dell'Essere è che la pri ma trova nella prassi non solo il proprio luogo di fecondità , ma pure la propria verifica, appunto perché l'ente appare, m entre la seconda è totalmente affidata alla rivelazione, posta come accolta, di un contenuto che, pur se m pre m e diato dalla prassi, trascende il fenomenico squarciando l'intero. 6.2

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NOTE l ) Trad. it. di Manara Valgi migli , v . 2 1 8. Anche delle Coefore , citate più avanti, la traduzione utilizzata è quella di Valgi migli .

2) ERACLITO, fr. B 9 3 . 3 ) O M E R O , Il. XIX, 9 1 . 4 ) SOF O C L E , 'Edipo re , trad. i t . d i F . Ferrari , M ilano 1 9 8 2 . 5 ) Cfr. C . SCILIRONI, P ro me teo e i l destino de lla c iv i ltà occidenta le , "Rivista di teologia morale " , 1 7 (1 9 8 5), n. 6 5 , pp. 3 5-5 2 . 6 ) P L ATON E , Gorg. 5 2 3 a sgg. 7 ) Trad. it. di A. Pasquinelli . 8 ) Per una diversa ricostruzione del testo cfr. M . U NTERST EIN E R ,

Parmenide. Testimonianze e frammenti, F irenze 1 9 7 9 (I ediz. 1 9 5 8 ),

pp. X XVII-L .

9 ) PLATONE, Soph. 2 5 7 b. l O) In questa linea si può forse riconsiderare la cri tic a di E . Berti a Severino espressa negli Studi aristote lic i (L'Aquila 1 9 7 5 , p. 7 5 , n. 4 5 ) .

1 1 ) Cfr. C . SCILIRONI, Te mpo, spazio e i mmagine di Dio , "Studia Patavina", 34 ( 1 9 8 7 ) , p. 5 3 5 sgg. 1 2 ) F . G . G . SCHEL LIN G , Esposizione de l m io siste ma fi losofico , trad. it. a cura di G . Se m erari , Bari 1 9 6 9 , par. 1 2 (e agg. 1 ) , p. 3 6 . 1 3 ) Ibid. , par. 1 4 (agg.), p . 3 7 , mio i l corsivo. 1 4 ) F . G . G . S C H E L L I N G , Fi losofia de lla rive lazione , trad . di A . Bausola , Bologna 1 9 7 2 , vol. I, p. 3 0 9 .

i t.

a cura

1 5 ) G O RG I A , fr . B 3 , 6 5 (cfr. M . UNTERSTEIN E R , Sofisti. Testimo­ nianze e frammenti, fascicolo II, rista mpa della II edizione, F irenze

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1 9 8 0 , pp. 3 8-9). La redazione del De Me lissa, Xenophane et Gorgia recita: "Affer ma che nulla esiste (ouk eTna{ phesin oudén) ; se poi esiste, è inconosci bile ; se , infine, anche esiste ed è conoscibile , tuttavia non può venir signi­ ficato direttamente ad altri11 (B 3 bis, 1 : cfr. M. UNTERSTEIN ER, op. cit. , pp. 5 6- 5 9 ) . 1 6) G O R GIA, fr. B l (= ISOC R . 1 5 , 2 6 8 ) . C f r. M . UNTERST EIN E R , op. cit. , pp. 3 6-3 7 . 1 7 ) Cfr. M . U N TERSTEIN E R , op. cit . , pp. 6 1 e 6 4 . 1 8) Ibid. , pp. 3 9 e 4 1 .

1 9) GORGIA, fr. B 3 , 7 7 . C fr. M . UNTERSTEINER, op. cit. , pp. 4749. 2 0) GORGIA , fr. B 3 , 79. Cfr. M . UNTE RSTEIN ER, op. cit. , p. 5 1 . 2 1 ) GORGIA, fr. B

3,

6 7 . C fr. M . UNTE RST EI N E R , op. cit. , p . 41 .

2 2 ) G ORGIA , fr. B 3 , 7 8 e 8 2 . C fr. M . UNTE RSTEI N E R , op. cit. , pp. 48-9 e 5 2-3. 2 3) Assurdo perché la negazione è una contr addizione: i l predicato nega il soggetto. 24) CIC E R O N E , De fato VII, 13 (trad. it. di D o menico Pesce). 2 5) lbid. , XVIII, 4 1 . 2 6 ) lb id. , XIX, 44. 27) Ibid. , VI , 1 2 . 2 8 ) lb id. ,

x,

21.

2 9 ) lbid. , X , 2 2 . 3 0 ) lbid., XI, 2 3 .

116

3 1 ) lbid. , X l , 2 4 . 3 2 ) lbid. , X I , 2 5 . 3 3 ) PL UTA R C O , De j'a to IV, 5 6 9 d-5 7 0

e.

34) lbid., V , 5 7 0 c-d (trad. it. di E . Valgiglio) . 3 5) lbid. , VI, 5 7 0

e.

3 6) lb id., VI, 570 f. 3 7 ) lbid., VIII , 5 7 2 f. 3 8) lbid., IX, 5 7 3 b. 39) AG OSTINO, De praed. sanc t. 2 , 3 . 4 0 ) lbid., 2 , 5 . 4 1 ) GaL 2 , 21 (citato d a Agostino in D e gr. e t lib. arb. 1 3 , 2 5). 42) AGOSTIN O, D e gr. e t lib. arb. 1 2 , 24. 43) Ibid., 1 3 , 2 5 (cit. 2 Thess. 3 , 2). 44) lbid., 1 3 , 26. 4 5 ) lbid., 2 1 , 4 2 . 46) Ibid., 1 7 , 3 3 ( m i o i l corsivo) . 47) AG OSTINO, De praed. sanc t. 5 , 1 0 . 48) Jbid., 6 , 1 1 . 4 9) AGOSTIN O , De

gr.

e t l ib. arb. 2 3 , 4 5 .

5 0 ) A G OSTI N O , De prae d. sanc t. 1 0 ,

1 9.

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5 1 ) A G O STI N O , De lib. arb. III, 3 , 6 . 5 2 ) C fr.: GIOVA N N I SCOTO E RI U G E N A , D e div ina praedestinatione liber (rifiuta la tesi di Godescalco, simile alla seguente di Isidoro di Si viglia: " G e mina est praedestinatio, siue elec torum ad requi e m , siue reproborum ad morte m " , Sententiae II, 6, l . I l cap. 4 tratta "De una vera solaque Dei praedestinatione " , e il cap. 1 2 "De diffinitione prae­ destinationis"); A N SEL M O , De concordantia praescientiae et praede ­ stinationis et gratiae De i c u m libero arbitrio (svolge t r e questioni : l ) prescienza e libero arbi tri o , 2 ) predestinazione e libero arbitrio, 3 ) grazia e libero arbitrio) ; B E R N A R D O D I C HI A R A VA L L E , De gratia et libe ro arbitrio (distingue il libero arbitrio nei tre stati di natura, grazia e gloria, e pone il meri to del libero arbitrio nel consenso ) ; T O M­ MASO d'AQ UI N O , Summa the o l. I , q. 2 3 ("De praedestinatione"), e q. 2 4 ("De libro vitae"); G UG LIEL M O d'OC C A M , Tractatus de praede­ stinatione et de praescientia Dei et de futuris contingentibus (di i m po­ stazione deterministica) . 5 3 ) ERASMO-L UTERO, Il libe ro arbitrio. Il servo arbitrio , intr . , trad. e note di R. Jouvenal, Torino 1 9 8 4 2 , p. 1 9 5 . 5 4 ) lbid., p. 1 9 9 . 5 5) lbid., p . 2 4 5 . 5 6 ) M . L UT E R O , Delle buone ope re , trad. i t . d i Valdo Vinay i n M . L U­ TERO, Scritti re ligiosi, Torino 1 96 7 (ristampa 1 9 7 8 ) , p. 3 2 8 ss . 5 7 ) ERASM O-L UTE RO, Il libe ro arbitrio. Il servo arbitrio , ci t . , p. 2 5 0 . 5 8 ) lbid., p . 2 5 2 . 5 9 ) A spe cchio della pri ma riflessione d i Calvino si può vedere I l cate­ chismo di G inev ra de l 1 5 3 7 (trad. it. di V. Vinay, Torino 1 9 8 3 , pp. 3 1 3 2 ) , che riflette fedel m ente l'lstitutio del 1 5 3 6 . 6 0 ) G . C A L VIN O , Istituzione de lla re ligione c ris tiana , trad. i t . a cura di G. Tourn , Torino 1 9 7 1 (ristampa 1 9 8 3 ) , vol. II, p. 1 0 9 7 (III, 2 1 , 2 ) . C fr . anche p p . 1 0 9 8 e 1 1 2 5 .

118 6 1 ) Ibid., p. 1 1 0 0 (III, 2 1 , 5). 6 2 ) Ibid., p. 1 1 0 1 . 6 3 ) Ibide m. 6 4) Ibid., p. 1 1 0 6 (III, 2 1 , 7 ) . 6 5 ) Ibid., p. 1 1 2 4 (III, 2 2 , 1 1 ). 6 6 ) Ibid., pp. 1 1 2 6-7 (III, 2 3 , 2). 67) Ibid., p. 1 1 2 7 . 6 8 ) Ibid., p . 1 1 2 9 (III, 2 3 , 4). 6 9) Ibid., p. 1 1 3 4 (III , 2 3 , 8). 7 0) Ibide m. 7 1 ) Ibid., p. 1 1 48 (III, 2 4 , 4). 7 2 ) Ibid., p. 1 1 6 8 (III, 24, 1 6). 73) K . B A RT H, Die Kirchliche Dogmatik , I l / 2 , Zollikon-Zuerich 1 9 4 2 , pp. 1 - 5 6 3 (trad. i t . a cura d i Aldo Moda: L a do ttrina de ll'e lezione di­ vina, Torino 1 9 8 3 ) . 74) K . BARTH, La dottrina de ll'e le zione div ina, cit . , p. 1 6 8 . 7 5) Ibid., pp. 1 6 8 - 9. 7 6 ) Ibid., p. 1 8 0 . 7 7 ) Ibid., p. 1 98. 78) Ibid., p. 2 0 1 . 7 9) Aristotele lo dice del principio pri mo: "Il principio più sicuro di

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tutti è quello intorno al quale è impossibile cadere in errore " (Me taph. IV, 3 , 1 0 0 5 b 1 1 -1 2); e Tom m aso d'Aquino com menta: "Ponit ergo primo tres conditiones firmissi mi principi . Pri ma est, quod circa hoc non possit aliquis mentiri , sive errare ( . . . )" (In Metaph. , lect . 6 n. 5 9 7 ) . * Questo paragrafo è gi à stato pubbli cato i n Tra destino e simulac ro. In cammino verso il pensie ro, "Studia Patavina", 3 2 ( 1 9 8 5 ), pp. 3 0 0 sgg.

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