Grecia antica. Storia illustrata 8809880234, 9788809880238

Politica, filosofia, teatro, letteratura, arti, architettura: non esiste campo del pensiero e della civilizzazione in cu

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Grecia antica. Storia illustrata
 8809880234, 9788809880238

Table of contents :
COPERTINA
OCCHIELLO
FRONTESPIZIO
COLOPHON
SOMMARIO
DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO
“ESSERE GRECI”
• GRECIA: STORIA DI UN NOME
LE PRIME TRACCE DI CIVILTÀ
• L'ALFABETO
IL MITICO MINOSSE
• TERREMOTI E VULCANI
UNA REALTÀ DIFFICILE DA RICOSTRUIRE
• LE MURA E LE FORTIFICAZIONI
• OMERO
ARTHUR EVANS “INVENTA” LA CIVILTÀ MINOICA
• LE SCOPERTE DI SCHLIEMANN
I MICENEI E LE PRIME CITTÀ DEL PELOPONNESO
• MITI E RELIGIONE
LA SOCIETÀ MICENEA
• I POPOLI E LE LINGUE
I DORI E IL MEDIOEVO ELLENICO
• GLI EROI
UN PERIODO DI TRANSIZIONE
• LA PRIMA COLONIZZAZIONE ELLENICA
• DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO (4000 A.C.-950 A.C.)
DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO
SPARTA: LE ORIGINI OSCURE
• STILE GEOMETRICO DELL’ARTE
LE LEGGI DI LICURGO
LE CLASSI SOCIALI A SPARTA
LE GUERRE MESSENICHE
• LA DONNA A SPARTA
LA NASCITA DI ATENE E I PRIMI RE
GLI ARCONTI: UNA GUIDA PER LA CITTÀ
• LA POLIS
• GIOCHI OLIMPICI E GIOCHI SACRI
ATENE: ARISTOCRATICI E CONTADINI
IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO DI CILONE
• I COMMERCI
• LA TIRANNIDE
LE FERREE LEGGI DI DRACONE
• LA SECONDA COLONIZZAZIONE
CORINTO: UNA CITTÀ STRATEGICA
• NASCE LA FILOSOFIA
SOLONE: UN TENTATIVO DI MEDIAZIONE
NUOVE LEGGI AD ATENE
LA NUOVA COSTITUZIONE AD ATENE
• GLI OPLITI
LA PRIMA GUERRA SACRA
ATENE: DAGLI ARCONTI ALL’ANARCHIA
PISISTRATO PADRONE DI ATENE
IL RITORNO (O I RITORNI) DI PISISTRATO
• PITAGORA
• ANASSIMANDRO: L’OROLOGIO SOLARE
ATENE SOTTO PISISTRATO
LA LEGA PELOPONNESIACA
I PERSIANI ALLE PORTE
IPPIA E IPPARCO: I PISISTRATIDI
CLISTENE E ATENE
L’ISONOMIA DI CLISTENE
• ARTE ORATORIA E RETORICA: PINDARO
• MANGIARE IN GRECIA
• DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO (960 A.C.-508 A.C.)
LA MINACCIA PERSIANA
LA RIVOLTA DELLA IONIA
L’ASCESA DI TEMISTOCLE
IL TENTATIVO DI MARDONIO
LA PRIMA GUERRA PERSIANA
L’IMPRESA DI MARATONA
• ERACLITO
• COME CI SI VESTE IN GRECIA
L’IMPORTANZA DELLA VITTORIA
ATENE E SPARTA DOPO LA VITTORIA
LA LEGA PANELLENICA
• L’OSTRACISMO
GELONE DI SIRACUSA
IL PONTE DI BARCHE E IL CANALE DI SERSE
• LEONIDA
LA SECONDA GUERRA PERSIANA
LE TERMOPILI: EROISMO E TRADIMENTO
• LA TRIREME
IL BLOCCO DI CAPO ARTEMISIO
SALAMINA: IL CAPOLAVORO TATTICO DI TEMISTOCLE
• LE SETTE MERAVIGLIE
PLATEA E CAPO MICALE
• ESCHILO
• LA TRAGEDIA GRECA
LA LEZIONE DELLE GUERRE PERSIANE
IL DESTINO DELLE CITTÀ IONICHE E LA CRESCITA DI ATENE
NASCE LA LEGA DELIO-ATTICA
CIMONE E IL NUOVO CORSO ATENIESE
LA TERZA GUERRA MESSENICA E LA ROTTURA TRA ATENE E SPARTA
INIZIA LA SVOLTA DEMOCRATICA AD ATENE
LA FINE DELLA MINACCIA PERSIANA
• LA MINACCIA PERSIANA (499 A.C.-449 A.C.)
ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI
PERICLE: TRA DEMOCRAZIA E POPULISMO
• PERICLE
• FIDIA E POLICLETO
LE PRIME CAMPAGNE MILITARI DI PERICLE
• ERODOTO E TUCIDIDE
L’ETÀ D’ORO DI ATENE
• I “BARBARI”
IL PELOPONNESO IN GUERRA
LA FASE ARCHIDAMICA
• SOCRATE
LA PESTE AD ATENE
• LE MALATTIE E LE EPIDEMIE NELL’ANTICHITÀ
• LA COMMEDIA
CLEONE: UN MERCANTE AL POTERE
VERSO LA BARBARIE
LA PRIMA SPEDIZIONE ATENIESE IN SICILIA
LA RISCOSSA DI SPARTA E LA PACE DI NICIA
LA RIPRESA DEGLI SCONTRI
LA SECONDA SPEDIZIONE IN SICILIA E LO SCANDALO DELLE ERME
• ALCIBIADE
GILIPPO: UNO SPARTANO A SIRACUSA
• LA MUSICA E LA DANZA
IL DESTINO DI SIRACUSA E DI ATENE
LA FASE DECELEICA
GLI INTRIGHI DI ALCIBIADE E FRINICO
• SOLDATI E CITTADINI
DOPPIO COLPO DI STATO AD ATENE
LISANDRO
LE CONDIZIONI PER LA PACE
I TRENTA TIRANNI
LA SPEDIZIONE IN ASIA MINORE
• IPPOCRATE E LA MEDICINA
• I MERCENARI: SENOFONTE E L’ANABASI
• ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI (457 A.C.-400 A.C.)
TEBE E LA FINE DELL'INDIPENDENZA ELLENICA
TRIONFO E DECLINO DI SPARTA
LA CONGIURA DI CINADONE
• LE ABITAZIONI IN GRECIA
L’ANNUS HORRIBILIS DI SPARTA
LA GUERRA BEOTICA E L’ASCESA FUGACE DI TEBE
• LA FALANGE OBLIQUA
• IL BATTAGLIONE SACRO
• PLATONE
• EPAMINONDA
LA MACEDONIA E IL DESTINO DELLA GRECIA
LA GUERRA SOCIALE
LA TERZA GUERRA SACRA
DEMOSTENE E ISOCRATE
• DEMOSTENE
CHERONEA: LO SCONTRO FINALE
• FILIPPO II
LE GUERRE GRECO-PUNICHE
DIONISIO II E LA FINE DELLA TIRANNIDE A SIRACUSA
• DIONISIO DI SIRACUSA
IL TRAMONTO DELLE POLEIS
• TEBE E LA FINE DELL’INDIPENDENZA ELLENICA (399 A.C.-337 A.C.)
ALESSANDRO MAGNO
LA MACEDONIA ALLA NASCITA DI ALESSANDRO
• LA SARISSA
INFANZIA ED EDUCAZIONE DI ALESSANDRO
LE PRIME IMPRESE
I CONTRASTI CON IL PADRE E LA MORTE DI FILIPPO II
• ARISTOTELE
SUL TRONO DI MACEDONIA
• DIOGENE
LA CAMPAGNA NEI BALCANI CONTRO TEBE
VERSO L’ASIA
LA BATTAGLIA DEL GRANICO
GLI ASSEDI DI MILETO E ALICARNASSO
• LA CAVALLERIA
ISSO: LA DISFATTA DEL GRAN RE
• I PELTASTI
TIRO E GAZA
• GLI ORACOLI
• LE MACCHINE DA ASSEDIO
L’EGITTO, UNA CONQUISTA NON PREVISTA
GAUGAMELA E L’IRRESISTIBILE AVANZATA
SUL TRONO DI PERSIA
LA SORTE DI DARIO III E LE PRIME DEFEZIONI
• SOVRANO MACEDONE O IMPERATORE PERSIANO?
ECCESSI E SREGOLATEZZE
IL LIMITE DELL'INDO
IL TENTATIVO DI FUSIONE FRA MACEDONI E PERSIANI
MORTE DI ALESSANDRO
LA DISGREGAZIONE DI UN IMPERO
• ALESSANDRO MAGNO (343 A.C.-323 A.C.)
L'ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO
LA CULTURA ELLENISTICA
• LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
L’IMPERO DOPO ALESSANDRO
ANTIPATRO E LA LEGISLAZIONE TIMOCRATICA AD ATENE
LA GUERRA DEI DIADOCHI
• EPICURO
I REGNI ELLENISTICI
• ZENONE
GLI ANTIGONIDI IN MACEDONIA
NASCE LA DINASTIA SELEUCIDE
L’ASCESA DEGLI ATTALIDI
• EUCLIDE
L’EGITTO DEI TOLOMEI
ATENE TRA DEMOCRAZIA, DEMAGOGIA E TIRANNIDE
DEMETRIO E ANTIGONO GONATA
LA CRISI DI SPARTA
SPARTA: LA FINE DELLA MONARCHIA
• LA LEGA ETOLICA E LA LEGA ACHEA
• ARCHIMEDE
• L’ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO (323 A.C.-207 A.C.)
DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA
I ROMANI E IL MONDO GRECO
LE GUERRE PIRRICHE
• LA GEOGRAFIA
• GLI ELEFANTI DA GUERRA
PIRRO E LE DONNE DI SPARTA
I PIRATI ILLIRICI
ATTALO I E I ROMANI
• I MISTERI ELEUSINI
LE GUERRE MACEDONICHE
• IPPARCO
IL PILUM CONTRO LA SARISSA
MACEDONIA: DUE FRATELLI RIVALI E UN IMPOSTORE
I ROMANI ATTACCANO: L’ASSEDIO DI CORINTO
• LA MORTE E I RITI FUNEBRI
IL PONTO DI MITRIDATE
SILLA E L’ASSEDIO DI ATENE
• POLIBIO
LA GRECIA PROVINCIA ROMANA
• DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL’OCCUPAZIONE ROMANA (213 A.C.-27 A.C.)
TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA
DA AUGUSTO AD ADRIANO: LA PAX ROMANA
• LA BIBBIA DEI SETTANTA
LA LINGUA DI UN IMPERO
IN BILICO FRA PASSATO E FUTURO
• TOLOMEO
OBLIO E RISCOPERTA
• TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA (66-1462)
INDICE DEI NOMI

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STORIA ILLUSTRATA

STORIA ILLUSTRATA

Testi: Alberto Douglas Scotti Progetto grafico e impaginazione: Enrico Albisetti Redazione: Studio Newt Grafica di copertina: Enrico Albisetti

www.giunti.it © 2019 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio 4 - 20123 Milano - Italia ISBN: 9788809894013 Prima edizione digitale: settembre 2019

SOMMARIO DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

» “ESSERE GRECI”

GRECIA: STORIA DI UN NOME

10 10

L’ALFABETO

11 12

TERREMOTI E VULCANI

13 13

LE MURA E LE FORTIFICAZIONI

14 15

OMERO

16

LE SCOPERTE DI SCHLIEMANN

17 18

» LE PRIME TRACCE DI CIVILTÀ » IL MITICO MINOSSE

» UNA REALTÀ DIFFICILE DA RICOSTRUIRE » ARTHUR EVANS “INVENTA” LA CIVILTÀ MINOICA » I MICENEI E LE PRIME CITTÀ DEL PELOPONNESO MITI E RELIGIONE

19 21

I POPOLI E LE LINGUE

22 23

GLI EROI

24 25

LA PRIMA COLONIZZAZIONE ELLENICA

26 26

(4000 A.C.-950 A.C.)

27

» LA SOCIETÀ MICENEA » I DORI E IL MEDIOEVO ELLENICO » UN PERIODO DI TRANSIZIONE

» DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

» SPARTA: LE ORIGINI OSCURE

STILE GEOMETRICO DELL’ARTE

» LE LEGGI DI LICURGO » LE CLASSI SOCIALI A SPARTA » LE GUERRE MESSENICHE LA DONNA A SPARTA

» LA NASCITA DI ATENE E I PRIMI RE » GLI ARCONTI: UNA GUIDA PER LA CITTÀ

30 30 31 32 33 33 34

LA POLIS

35 35

GIOCHI OLIMPICI E GIOCHI SACRI

37

» ATENE: ARISTOCRATICI E CONTADINI » IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO DI CILONE

38

I COMMERCI

38 39

LA TIRANNIDE

40

LA SECONDA COLONIZZAZIONE

41 43

NASCE LA FILOSOFIA

44 44

» LE FERREE LEGGI DI DRACONE » CORINTO: UNA CITTÀ STRATEGICA » SOLONE: UN TENTATIVO DI MEDIAZIONE

45

» NUOVE LEGGI AD ATENE » LA NUOVA COSTITUZIONE AD ATENE GLI OPLITI

» LA PRIMA GUERRA SACRA » ATENE: DAGLI ARCONTI ALL’ANARCHIA » PISISTRATO PADRONE DI ATENE » IL RITORNO (O I RITORNI) DI PISISTRATO

46 47 48 49 50 50

PITAGORA

51 51

ANASSIMANDRO: L’OROLOGIO SOLARE

52

» ATENE SOTTO PISISTRATO » LA LEGA PELOPONNESIACA » I PERSIANI ALLE PORTE » IPPIA E IPPARCO: I PISISTRATIDI » CLISTENE E ATENE » L’ISONOMIA DI CLISTENE

53 54 54 56 57

ARTE ORATORIA E RETORICA: PINDARO

57 57

MANGIARE IN GRECIA

58

(960 A.C.-508 A.C.)

59

» DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO LA MINACCIA PERSIANA

» LA RIVOLTA DELLA IONIA » L’ASCESA DI TEMISTOCLE » IL TENTATIVO DI MARDONIO » LA PRIMA GUERRA PERSIANA » L’IMPRESA DI MARATONA

62 63 64 64

ERACLITO

65 65

COME CI SI VESTE IN GRECIA

66

» L’IMPORTANZA DELLA VITTORIA » ATENE E SPARTA DOPO LA VITTORIA » LA LEGA PANELLENICA L’OSTRACISMO

» GELONE DI SIRACUSA » IL PONTE DI BARCHE E IL CANALE DI SERSE LEONIDA

» LA SECONDA GUERRA PERSIANA » LE TERMOPILI: EROISMO E TRADIMENTO LA TRIREME

» IL BLOCCO DI CAPO ARTEMISIO » SALAMINA: IL CAPOLAVORO TATTICO DI TEMISTOCLE LE SETTE MERAVIGLIE

» PLATEA E CAPO MICALE

67 68 69 69 70 71 71 72 72 72 74 74 75 77

ESCHILO

77

LA TRAGEDIA GRECA

78

» LA LEZIONE DELLE GUERRE PERSIANE » IL DESTINO DELLE CITTÀ IONICHE E LA CRESCITA DI ATENE

» NASCE LA LEGA DELIO-ATTICA » CIMONE E IL NUOVO CORSO ATENIESE » LA TERZA GUERRA MESSENICA » »

E LA ROTTURA TRA ATENE E SPARTA INIZIA LA SVOLTA DEMOCRATICA AD ATENE LA FINE DELLA MINACCIA PERSIANA

» LA MINACCIA PERSIANA (499 A.C.-449 A.C.)

79 79 80 80 81 82 82 83

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

» PERICLE: TRA DEMOCRAZIA E POPULISMO PERICLE

86 87

FIDIA E POLICLETO

88

ERODOTO E TUCIDIDE

89 90

I “BARBARI”

91 93

» LE PRIME CAMPAGNE MILITARI DI PERICLE » L’ETÀ D’ORO DI ATENE

» LE CONDIZIONI PER LA PACE » I TRENTA TIRANNI » LA SPEDIZIONE IN ASIA MINORE

111 111

I MERCENARI: SENOFONTE E L’ANABASI

112

(457 A.C.-400 A.C.)

113

» ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

TEBE E LA FINE DELL’INDIPENDENZA ELLENICA

» TRIONFO E DECLINO DI SPARTA » LA CONGIURA DI CINADONE LE ABITAZIONI IN GRECIA

» L’ANNUS HORRIBILIS DI SPARTA » LA GUERRA BEOTICA E L’ASCESA FUGACE DI TEBE

LA FALANGE OBLIQUA IL BATTAGLIONE SACRO

» CHERONEA: LO SCONTRO FINALE

LA COMMEDIA

98

101 101

» LE GUERRE GRECO-PUNICHE » DIONISIO II E LA FINE DELLA TIRANNIDE A SIRACUSA

DIONISIO DI SIRACUSA

ALESSANDRO MAGNO

LA MUSICA E LA DANZA

105 105

SOLDATI E CITTADINI

» DOPPIO COLPO DI STATO AD ATENE » LISANDRO

106 106 107 107 108 108

125

126 126

102 103

» IL DESTINO DI SIRACUSA E DI ATENE » LA FASE DECELEICA » GLI INTRIGHI DI ALCIBIADE E FRINICO

125

FILIPPO II

ALCIBIADE

» GILIPPO: UNO SPARTANO A SIRACUSA

123

125 125

» IL TRAMONTO DELLE POLEIS » TEBE E LA FINE DELL’INDIPENDENZA ELLENICA

E LO SCANDALO DELLE ERME

120

DEMOSTENE

102

101

119 119 121

97 97 99

118

122

LE MALATTIE E LE EPIDEMIE NELL’ANTICHITÀ

» CLEONE: UN MERCANTE AL POTERE » VERSO LA BARBARIE » LA PRIMA SPEDIZIONE ATENIESE IN SICILIA » LA RISCOSSA DI SPARTA E LA PACE DI NICIA » LA RIPRESA DEGLI SCONTRI » LA SECONDA SPEDIZIONE IN SICILIA

116 116

EPAMINONDA

SOCRATE

» LA PESTE AD ATENE

116

PLATONE

94 95

94

110

IPPOCRATE E LA MEDICINA

» LA MACEDONIA E IL DESTINO DELLA GRECIA » LA GUERRA SOCIALE » LA TERZA GUERRA SACRA » DEMOSTENE E ISOCRATE

» IL PELOPONNESO IN GUERRA » LA FASE ARCHIDAMICA

109

(399 A.C.-337 A.C.)

» LA MACEDONIA ALLA NASCITA DI ALESSANDRO LA SARISSA

» INFANZIA ED EDUCAZIONE DI ALESSANDRO

» LE PRIME IMPRESE » I CONTRASTI CON IL PADRE E LA MORTE DI FILIPPO II ARISTOTELE

127 129 129 130 131

134 134 135 136 137 137

» SUL TRONO DI MACEDONIA DIOGENE

» LA CAMPAGNA NEI BALCANI CONTRO TEBE » VERSO L’ASIA » LA BATTAGLIA DEL GRANICO » GLI ASSEDI DI MILETO E ALICARNASSO

139 140 140

LA CAVALLERIA

141 141

I PELTASTI

142 142

GLI ORACOLI

144 144

LE MACCHINE DA ASSEDIO

145

» ISSO: LA DISFATTA DEL GRAN RE » TIRO E GAZA

» L’EGITTO, UNA CONQUISTA NON PREVISTA » GAUGAMELA E L’IRRESISTIBILE AVANZATA » SUL TRONO DI PERSIA » LA SORTE DI DARIO III E LE PRIME DEFEZIONI

SOVRANO MACEDONE O IMPERATORE PERSIANO?

» ECCESSI E SREGOLATEZZE » IL LIMITE DELL’INDO » IL TENTATIVO DI FUSIONE » »

138 138

FRA MACEDONI E PERSIANI MORTE DI ALESSANDRO LA DISGREGAZIONE DI UN IMPERO

» ALESSANDRO MAGNO (343 A.C.-323 A.C.)

146 146 147 148 148 149 149 150 151 152 153

LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA

» L’IMPERO DOPO ALESSANDRO » ANTIPATRO E LA LEGISLAZIONE »

TIMOCRATICA AD ATENE LA GUERRA DEI DIADOCHI

156 156 157 158 159 159

ZENONE

160 160

» GLI ANTIGONIDI IN MACEDONIA » NASCE LA DINASTIA SELEUCIDE » L’ASCESA DEGLI ATTALIDI EUCLIDE

» L’EGITTO DEI TOLOMEI

161 162 162 162 163

163 164 164

LA LEGA ETOLICA E LA LEGA ACHEA

165 165

ARCHIMEDE

166

CITTÀ-STATO (323 A.C.-207 A.C.)

167

» L’ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL’OCCUPAZIONE ROMANA

» I ROMANI E IL MONDO GRECO » LE GUERRE PIRRICHE

170

LA GEOGRAFIA

171 171

GLI ELEFANTI DA GUERRA

172

» PIRRO E LE DONNE DI SPARTA » I PIRATI ILLIRICI » ATTALO I E I ROMANI

173 174

I MISTERI ELEUSINI

175 175

IPPARCO

176 176

» LE GUERRE MACEDONICHE » IL PILUM CONTRO LA SARISSA » MACEDONIA: DUE FRATELLI RIVALI E UN IMPOSTORE

» I ROMANI ATTACCANO: L’ASSEDIO DI CORINTO LA MORTE E I RITI FUNEBRI

POLIBIO

EPICURO

» I REGNI ELLENISTICI

» » »

E TIRANNIDE DEMETRIO E ANTIGONO GONATA LA CRISI DI SPARTA SPARTA: LA FINE DELLA MONARCHIA

» IL PONTO DI MITRIDATE » SILLA E L’ASSEDIO DI ATENE

L’ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO

» LA CULTURA ELLENISTICA

» ATENE TRA DEMOCRAZIA, DEMAGOGIA

» LA GRECIA PROVINCIA ROMANA » DALLE GUERRE MACEDONICHE

ALL’OCCUPAZIONE ROMANA (213 A.C-27 A.C.)

177 178 179 179 180 181 181 182 183

TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA

» DA AUGUSTO AD ADRIANO: LA PAX ROMANA LA BIBBIA DEI SETTANTA

» LA LINGUA DI UN IMPERO » IN BILICO FRA PASSATO E FUTURO TOLOMEO

186 186 186 187 187

» OBLIO E RISCOPERTA » TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA

188

Indice dei nomi

189

(66-1462)

188

Dalle origini al Medioevo ellenico

Nelle pagine precedenti, il palazzo di Cnosso a Creta, le cui prime strutture risalgono al II millennio a.C., con i pesanti interventi di restauro voluti dall’archeologo inglese Arthur Evans a partire dagli inizi del XX secolo.

Papiro che riporta, in greco, un brano del Vangelo di Giovanni, III secolo (Ginevra, Bodmer Library). Il cosiddetto “greco della koiné” è stato lingua comune a tutto il bacino del Mediterraneo dal IV secolo a.C. fino al V secolo d.C.

“ESSERE GRECI” È indubbio che il nostro attuale modo di pensare occidentale, l’approccio con lo studio dei fenomeni naturali, i criteri che adottiamo per risolvere alcuni problemi logici e, non ultimi, valori come la democrazia, l’uguaglianza e la libertà sono frutto di semi di conoscenza e di princìpi che affondano le loro radici nella Grecia antica. Nel corso dei secoli, le intuizioni di filosofi, uomini di scienza, artisti, condottieri, mercanti, politici si sono tramandate di generazione in generazione fino a costituire una sorta di naturale substrato sul quale si basa la nostra esistenza quotidiana e che rappresentano una imprescindibile caratteristica del pensiero attuale. Questo “essere Greci” rappresenta un sentire comune che era percepito in maniera molto netta anche in antichità, pur nelle distinzioni, nei contrasti e nei conflitti, spesso atroci e sanguinosi, che si sono verificati tra città e fra popoli che ancor oggi noi accomuniamo sotto l’unica, generica denominazione di “Grecia”. In realtà, l’area geografica che comprende la parte meridionale della penisola balcanica, il Peloponneso, le migliaia di isole e arcipelaghi del Mediterraneo centro-orientale fino alle coste della attuale Turchia a est e dell’Italia meridionale a ovest non ha mai costituito un insieme politicamente coeso e

GRECIA: STORIA DI UN NOME Oggi, ormai, parlare di Grecia, lingua greca e popolo greco significa identificare una ben precisa area geografica, uno specifico idioma e una determinata etnia. Per i Greci antichi, però, questo termine non esisteva, o meglio non caratterizzava un concetto così ampio. Sono i Romani, a partire dall’età imperiale (fine del I secolo a.C.),

che usano per la prima volta il termine graekoi – che per il filosofo Aristotele identificava solo una limitata tribù achea della Beozia – estendendolo a tutti i popoli della penisola balcanica e degli arcipelaghi dell’Egeo. Il perché è presto detto: proprio dalla Beozia provenivano gli scribi e gli studiosi che migrarono (o furono portati più o meno con la forza) in massa a Roma e insegnarono la loro lingua 10

unitario. È un insieme di entità fra loro distinte, accomunate da valori come la lingua, la religione, la sensibilità artistica e le tradizioni, che hanno rappresentato per secoli un collante ben più solido dei particolarismi delle varie città-Stato e colonie la cui rivalità non si è quasi mai sopita. Solo episodicamente, e per brevi periodi, le città della Grecia hanno saputo trovare un intento comune e si sono coalizzate: ciò è avvenuto principalmente per far fronte a minacce esterne come l’invasione dei Persiani nel V secolo a.C. In molti altri casi le effimere leghe o alleanze si sono rivelate accordi utilitaristici solo per fini pragmatici e di conquista o consolidamento di posizioni di predominio militare o commerciale.

sulle sponde del Tevere. Di qui l’identificazione di una piccola realtà etnica con una ben più ampia realtà geografica e culturale. Se si analizza come oggi è denominato lo Stato che ha come capitale Atene, vediamo che le principali lingue europee usano termini che hanno una radice legata a graekoi. I greci odierni, dal canto loro, chiamano il loro paese Hellas,

GRECIA ANTICA

sulla scia del vocabolo greco classico. In molte lingue mediorientali, invece, per identico ma geograficamente speculare motivo rispetto agli antichi Romani, si identifica ciò che in italiano è Grecia con le isole della Ionia, sulla costa turca: in turco la Grecia è detta Yunanistan, in arabo Yunan, in ebraico Ywwn, in persiano Yauna, in armeno Hunastan, in curdo Yewnanistan.

Statuetta cicladica in marmo che riproduce una figura femminile, fine del II millennio a.C. (Londra, British Museum). Gli elementi stilizzati ed essenziali sono caratteristici dell’arte delle isole Cicladi.

La comparsa nel bacino del Mediterraneo della potenza romana annienta in un paio di secoli le realtà politiche elleniche: nel 27 a.C. una Grecia ormai in ginocchio dal punto di vista militare perde addirittura il proprio nome. Le province senatorie di Acaia, Epiro e Macedonia sono solo tre delle gemme incastonate nella corona imperiale di Augusto. L’unica rivalsa che può avere il mondo greco è quella culturale: dove non possono le armi, possono la lingua, l’arte e la letteratura di una regione che sa imporsi con una certa facilità sul ferum victorem, cioè il selvaggio vincitore romano. Un’eredità che è stata tramandata, non senza difficoltà e incolmabili perdite, fino ai nostri giorni.

LE PRIME TRACCE DI CIVILTÀ Le più antiche testimonianze della presenza dell’essere umano nella penisola balcanica sono resti di ossa di Homo erectus ritrovati nella Grotta di Petralona, a una trentina di km dall’odierna Salonicco, e risalgono a un periodo tra 240.000 e 160.000 anni fa. Con lo sviluppo dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile del Medio oriente, le prime migrazioni portano a insediamenti che risalgono all’VIII millennio e che rappresentano la prima prova di civilizzazione stabile in Europa. Contrariamente ad altre aree del continente, la diffusione dei nuclei abitati vede da subito nel mare una via di comunicazione, più che un ostacolo. È infatti nell’arcipelago delle Cicladi, nell’Egeo, che tra il 3200 e il 2000 a.C. fiorisce una delle civiltà che presenta alcune tra le più raffinate espressioni dell’età del bronzo: lavorazioni in rame, in particolare sull’isola di Ceo, statue stilizzate in pietra calcarea e modelli di barche che mostrano come esse potessero contare su un equipaggio di almeno 50 rematori. La civiltà cicladica, verso la fine del II millennio inizia il suo tramonto e si fonde con la civiltà minoica, che rapidamente ne prende il posto. L’importanza delle Cicladi, nodo strategico per gli antichi commerci marittimi, si spegne, schiacciata dalla meglio organizzata cultura palaziale cretese. Solo Delo (l’antica Ortigia), grazie al suo santuario dedicato ad Apollo, conserva intatta nel tempo la reputazione di luogo di culto. DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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L'ALFABETO Il sistema di scrittura greco deriva direttamente dall’innovazione fenicia di associare a ciascun simbolo (in pratica, a ciascuna lettera) un suono, anziché un concetto, come avviene invece nella scrittura geroglifica degli Egizi. La prima forma di alfabeto in area greca è quella che compare in iscrizioni e tavolette ritrovate a Creta e Micene, il cui metodo di codifica dei segni è stato chiamato dall’archeologo Arthur Evans rispettivamente Lineare A e Lineare B. Questo sistema arcaico di scrittura (1450 a.C. circa), probabilmente in gran parte sillabico, si affianca a un metodo che impiega anche

geroglifici stilizzati. I testi delle Lineari A e B sono stati decifrati solo in minima parte e gli studiosi non sono concordi sul reale significato dei vari simboli. Le prime tracce di una vera e propria scrittura alfabetica nel senso occidentale del termine, ma ancora costituita da sole consonanti, risalgono al 980 a.C.; questo alfabeto si diffonde nel Peloponneso e si arricchisce delle vocali a partire dal IX secolo a.C. L’odierno alfabeto di 24 lettere, con grafia praticamente immutata fino ai nostri giorni, è quello cosiddetto ionico, adottato ufficialmente ad Atene nel 403 a.C. dall’arconte Euclide con l’editto di Archino. 12

GRECIA ANTICA

A fianco, il Disco di Festo, manufatto di argilla sul quale sono incisi, lungo una spirale, segni di un alfabeto ancora non decifrato, XVII secolo a.C. circa (Creta, Museo Archeologico di Heraklion).

Frammento di argilla con iscrizioni nella cosiddetta Lineare A, XVI secolo circa (Creta, Museo Archeologico di Rethymno).

A sinistra, resti della Casa delle Maschere a Delo (l’antica Ortigia), con i prestigiosi pavimenti a mosaico. Il complesso di abitazioni, realizzato nel II secolo a.C., si fonda su un preesistente impianto di cultura cicladica, civiltà

soppiantata da quella minoica attorno al XVII secolo a.C. Con l’affermarsi di Atene, l’isola venne poi consacrata ad Apollo a partire dal 426 a.C.: fu deciso da parte degli Ateniesi che nessuno

In basso, la caratteristica forma a ferro di cavallo dell’isola di Thera (oggi Santorini) in una stampa del 1874 che mostra l’eruzione del 1866. Le parti emerse corrispondono ai margini dell’enorme cratere vulcanico esploso nel cataclisma del XVII secolo a.C.

sarebbe dovuto più né nascere né morire in quel luogo. Le tombe furono aperte e i resti sepolti in fosse comuni nella vicina isola di Renea, dove furono trasferite anche le donne gravide e gli ammalati.

IL MITICO MINOSSE La cultura che si sviluppa nell’isola di Creta nel periodo fra il 2000 e il 1450 a.C. è convenzionalmente chiamata minoica, e prende il nome dal mitico re Minosse, sovrano dipinto come giusto e imparziale, oppure – nei miti attici – crudele e dispotico. Secondo lo storico ateniese Tucidide (460 a.C. circa – 404 a.C. circa), Minosse fu il primo a contare su una flotta efficace e ben organizzata, con la quale impose il proprio dominio sulle isole dell’Egeo dal punto di vista sia commerciale che politico, fondando colonie ed eliminando i pirati che compivano scorrerie per mare. Al di là della dimensione mitologica (a Minosse sono legati anche il mostruoso Minotauro, uomo con la testa di toro, rinchiuso nel labirinto realizzato da Dedalo e al quale ogni nove

anni dovevano essere sacrificati sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi), la tradizione restituisce i tratti di una società cretese fortemente organizzata, centralizzata sulla figura del sovrano che vive in un palazzo con funzioni allo stesso tempo di rappresentanza e amministrative oltre che difensive, e impone tributi alle popolazioni. Il potere cretese, infatti si fonda su un impero marittimo in grado di controllare una vasta area che tocca l’Egitto, la Fenicia, il Mar Nero. Questa talassocrazia (da thalassa=mare + crazia=potere) quindi “potere sul mare” si concretizza in un’attività commerciale molto intensa, testimoniata da contatti minoici fino sulle coste della Spagna: rame, stagno, oro, ceramiche, tessuti, coloranti ma anche zafferano, frutta, cereali, olio, vino, legname, miele sono fra le merci scambiate con maggiore frequenza, e che costituiscono la base della ricchezza cretese. Perfino il tradizio-

TERREMOTI E VULCANI Il territorio che corrisponde all’attuale Grecia è costituito da una parte continentale, propaggine meridionale della penisola balcanica, e da una serie di isole e arcipelaghi disseminati nel Mediterraneo centro-orientale. La natura essenzialmente montuosa e vulcanica del territorio riflette una elevata sismicità di tutta l’area. I terremoti sono frequenti, e causati dallo scontro fra due placche tettoniche. La placca africana, infatti, si sposta verso nord con un movimento di circa 1 cm l’anno, insinuandosi sotto la microplacca egea, che si muove in direzione sudovest di quasi 5 cm l’anno. Tra

i più catastrofici terremoti che si ricordino in epoca storica, il più noto è quello legato all’eruzione che ha devastato l’isola di Thera (oggi Santorini) nel 1627 a.C.: la forza delle onde sismi-

che rase al suolo gran parte dei palazzi minoici di Creta. Altri due devastanti sismi si sono verificati nel 365 e nel 1303 d.C.: il primo (magnitudine stimata vicino a 9) ha sollevato la parte

DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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occidentale dell’isola di Creta di 9 metri e il secondo (magnitudine stimata 8) ha scatenato uno tsunami le cui onde sono penetrate per 3 chilometri nel delta del Nilo.

La taurocatapsia ritrovata sulle pareti del palazzo di Cnosso, XVIII-XV secolo a.C., Creta. La celebre pittura murale, le cui uniche parti originali sono i frammenti che appaiono

più scuri nell’immagine, testimonia un gioco popolare alla corte minoica: il volteggio su un toro in corsa. Il rischioso esercizio faceva parte dei rituali sacri dedicati ad Apollo.

Nella pagina a fronte, in alto, i ruderi delle mura di Hipponion, oggi Vibo Valentia, VII secolo a.C. Le colonie dell’Italia meridionale facevano parte della cosiddetta Magna Grecia.

nale processo di mummificazione dei cadaveri realizzato degli Egizi si fonda su prodotti provenienti da Creta o comunque dipendenti dagli scambi commerciali controllati dall’isola. Gran parte delle testimonianze scritte, in particolare quelle a noi giunte con i caratteri della Lineare B, si sono rivelate inventari di merci o comunque documenti commerciali: per questo, mancando di documenti poetici e letterari, la lingua minoica resta in gran parte un enigma. Addirittura non si ha la certezza del nome con il quale i minoici identificassero loro stessi. Documenti egizi parlano di commerci con l’isola di Keftiu (in alcuni testi semitici chiamata Kaptara), verosimilmente Creta, ma da qui ad avere la certezza di una denominazione, il passo è molto lungo. 14

Nella pagina a fronte, in basso, il passaggio che conduce alla cisterna sotterranea di Micene, alimentata dalla fonte Perseia, XIII secolo a.C. Data la sua importanza strategica per assicurare

l’approvvigionamento di acqua all’Acropoli anche in caso di assedio, la cisterna venne inglobata nelle ciclopiche mura che proteggevano la città da eventuali attacchi esterni.

UNA REALTÀ DIFFICILE DA RICOSTRUIRE Allo stesso modo, tutta la cronologia della civiltà minoica è relativa, e basata su ritrovamenti stratigrafici, su evidenze di tecnologie più o meno avanzate e su inferenze stilistiche basate sulle varie produzioni di vasellame. A complicare le cose, i metodi di scavo e di restauro hanno in molti casi stravolto il vero aspetto dei reperti, rendendo a volte difficile risalire al volto originale di manufatti e architetture. Utilizzo di materiali del tutto estranei (come il cemento armato), pesanti ridipinture degli affreschi, inserimento di elementi architettonici fuori contesto hanno restituito a volte uno scenario che sa più di fondale teatrale o di scenografia hollywoodiana.

GRECIA ANTICA

LE MURA E LE FORTIFICAZIONI Di frequente gli insediamenti sono realizzati su alture o rocce, che rappresentano difese naturali. Gradualmente, queste aree sopraelevate si trasformano nelle Acropoli (dalle parole greche akros + polis = città alta), il luogo più sacro e importante della città, difeso con mura in pietra: si tratta in genere di bastioni fatti di grossi macigni squadrati, appoggiati a secco l’uno sull’altro. Le aree urbane che sorgono alle pendici sono in un primo tempo indifese; vengono poi cinte da palizzate in legno,

che in seguito si potenziano con mura di mattoni in argilla pressata seccati al sole, fino a divenire articolate mura difensive in pietra, con l’aggiunta di torri, contrafforti e fossati. Spesso le palizzate sono inclinate verso l’esterno, in modo da rendere impossibile a un nemico invasore la risalita e consentire agli assediati la “difesa piombante”, cioè il lancio o la semplice caduta a perpendicolo di pietre o altri proiettili. Non esistono feritoie: le uniche aperture nella cerchia muraria sono le porte, in genere il punto più vulnerabile dell’intera linea difensiva.

OMERO Il più celebre tra i poeti greci, Omero, con ogni probabilità.. non è mai esistito. Le notizie biografiche che abbiamo su di lui, attribuite ad Erodoto e Plutarco, non sono più attendibili delle genealogie che lo attestano figlio della ninfa Creteide, o discendente di Orfeo, mitico aedo che ammansiva le belve feroci con il suo canto. Le varie città che pretendono di averne dato i natali (in particolare Chio, Smirne e Colofone) sorgono in Asia minore. Ma questa pretesa origine nella Ionia deriva più che altro dalla lingua con cui sono scritte le opere attribuite a Omero, in particolare i due pilastri dell’epica antica, l’Iliade e l’Odissea. In realtà, tutte le informazioni che si hanno su Omero provengono molto a posteriori, cioè sono state elaborate nei secoli successivi da scrittori, storiografi e studiosi che hanno creato una vera e propria “questione omerica”. C’è anche chi – come Felice Vinci – addirittura azzarda una

fantasiosa origine nordeuropea di uno pseudo-Omero che ambientò le gesta di Achille e le peregrinazioni di Ulisse nel mar Baltico anziché nell’Egeo e nel Mediterraneo. Lo stesso nome di Omero pare dare origine (o essere causa) a una serie di ipotesi sul personaggio storico: O mé oron, in greco “colui che non vede”, ha fatto sì che la tradizione lo volesse cieco; Omoú erchon, in greco “colui che si accompagna a un altro”, ha rafforzato questa credenza; Omerein, in greco “incontrarsi, stare insieme”, ha fatto maturare la convinzione che l’epica omerica fosse declamata in riunioni di poeti, ciascuno dei quali riportava e tramandava episodi, canti ed eventi di un passato distante non meno di cinque secoli prima. Al di là delle varie congetture 16

più o meno fondate, l’ipotesi più probabile (sostenuta con forza da Giovan Battista Vico nel 1744) è che con il nome di Omero si identifichi non tanto un reale personaggio storico, quanto uno o più autori che, in un’epoca in cui l’arte poetica era più che altro una tradizione orale, abbiano raccolto in un corpus organico narrazioni di episodi che venivano declamati in occasioni di banchetti e feste. A rafforzare questa versione, la prova che nell’isola di Chio fosse presente un gruppo di rapsòdi (poeti-cantori che recitano a memoria) chiamati Omeridi. Secondo Cicerone, la prima redazione organica dei libri di Omero “fino ad allora confusi”, si deve a Pisistrato, tiranno di Atene, attorno al 550 a.C. Per i grammatici alessandrini Xenone e Zenodoto (III secolo a.C.), inoltre, solo l’Iliade poteva essere verosimilmente attribuita a

GRECIA ANTICA

Omero, mentre l’Odissea era da loro considerata posteriore di almeno un secolo. In ogni caso, la struttura “stabile” delle opere omeriche è posteriore al 730 a.C. e la versione più affidabile si deve a Teagene di Reggio, che nel VI secolo a.C. curò una stesura completa dell’Iliade, poi rivista da Aristarco di Samotracia, che nel 180 a.C. circa (convinto che Omero fosse nativo di Atene), ne “adattò” i testi al dialetto attico. Per quanto riguarda l’Odissea (da taluni ritenuta opera di un Omero anziano, in contrapposizione a un’Iliade vista come opera giovanile), la lingua in cui è scritta risente maggiormente dei dialetti ionici ed eolici. Altre opere attribuite a Omero sono il poemetto Batracomiomachia, gli Inni, il poema comico Margite e varie altre composizione di argomento epico.

Nella pagina a fianco, in alto, Achille e Aiace che giocano a dadi, anfora a figure nere attribuita al ceramista ateniese Exekias, 530 a.C. Rinvenuta a Vulci, in provincia di Viterbo (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

A sinistra, ricostruzione dell’Atrio delle doppie asce nel palazzo di Minosse a Cnosso proposta da Evans nel 1921. Sotto, l’archeologo (in abito bianco, al centro) assieme al gruppo di lavoro durante la campagna di scavi a Cnosso attorno al 1905.

Nella pagina a fianco, in basso, busto in marmo che secondo le più recenti interpretazioni raffigura Omero, copia romana da un originale greco del II secolo a.C., rinvenuta a Baiae (Bacoli), in Campania (Londra, British Museum).

ARTHUR EVANS “INVENTA” LA CIVILTÀ MINOICA La prima datazione della civiltà minoica è quella proposta dall’archeologo inglese Arthur Evans (1851-1941), al quale si deve il merito di aver scoperto le rovine del palazzo di Cnosso. Al pari del tedesco Heinrich Schliemann, “padre” della riscoperta dei tesori di Troia e Micene, anche Evans investe tutti i suoi risparmi e vende le proprietà di famiglia per comprare il terreno dove è certo si trovino i resti di una civiltà ignota. Dopo aver ispezionato il sito nel 1894, Evans acquista nel 1899 un appezzamento di 24.000 mq a circa 5 km dalla costa settentrionale di Creta e, assoldati centinaia di manovali, riesce a portare alla luce, in sei anni, una incredibile serie di architetture e di reperti.

Secondo Evans, nella civiltà da lui battezzata minoica si possono individuare tre fasi principali (ciascuna di esse suddivisa in sottoperiodi): Minoico Antico, approssimativamente dal 3650 al 2300 a.C., Minoico Medio, dal 2300 a.C. al 1600 a.C. circa, e Minoico Tardo, fino al 1170 a.C. Questa suddivisione, abbastanza empirica e che risente del luogo comune della storiografia dell’epoca, secondo la quale la vita di ciascuna civiltà era scandita in tre fasi di nascita, sviluppo e decadenza, viene rielaborata dall’archeologo greco Nicolaos Platon (1909-1992), che individua una cronologia oggi considerata più valida e basata sull’evoluzione dei complessi architettonici (i “palazzi”) e degli stili delle decorazioni delle ceramiche.

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Heinrich Schliemann e Wilhelm Dorpfeld (i primi a sinistra) fotografati presso la Porta dei Leoni di Micene nel 1885.

Abbiamo così un’Età prepalaziale, cioè prima della realizzazione delle grandi opere architettoniche (3650-1900 a.C.), una protopalaziale, o del Palazzo antico, alla quale risalgono le prime iscrizioni in Lineare A, la fondazione dei primi palazzi di Cnosso e Festo e le prime tracce di ceramica policroma (1911-1700 a.C.); segue poi l’Età neopalaziale, o del palazzo nuovo, caratterizzata da una repentina distruzione – verosimilmente a seguito dell’eruzione di Thera – e successiva ricostruzione e ampliamento dei palazzi di Cnosso, Festo, Malia e Kato Zakros (1700-1425 a.C.): si sviluppa in quest’epoca la scrittura Lineare B, mentre le ceramiche tornano a uno stile stranamente più involuto. È verso al fine di questo periodo che Creta entra nella sfera di influenza micenea: inizia il declino, solo Cnosso rimane un centro amministrativo nevralgico an-

LE SCOPERTE DI SCHLIEMANN Pochi archeologi legano il proprio nome a scoperte fondamentali per lo studio delle civiltà antiche così come accade con il tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890). Affascinato fin da piccolo dalle storie degli eroi omerici che il padre gli raccontava, una volta divenuto imprenditore di successo dedica tutte le proprie sostanze a inseguire un sogno: provare che i poemi di Omero si basano su una realtà storica, e che la città di Troia è davvero esistita. Così, dopo una serie di scavi clandestini, nel 1871 inizia una campagna ufficiale sulla collina di Issarlik, in Turchia, dove già si supponeva fossero state ambientate le gesta di Achille,

Ettore e Ulisse. Nel giro di tre anni riporta alla luce ben nove strati sovrapposti di una città, dal perimetro di un villaggio del 3000 a.C. a costruzioni romane ed edifici databili attorno al IV secolo d.C. Nel secondo strato, le cui mura portano visibili le tracce di un vasto incendio, Schliemann individua i resti di un palazzo che identifica con la reggia di Priamo, il sovrano di Ilio (altro nome con cui è conosciuta Troia). Il 15 giugno 1837, ultimo giorno previsto per gli scavi, Schliemann allontana gli operai, e, aiutato solo dalla moglie Sophia Engastromenou, trova alla profondità di una decina di metri un recipiente che contiene una incredibile quantità di gioielli d’oro: il cosiddetto 18

Tesoro di Priamo. Una esatta quantificazione dell’entità del tesoro non è certa (Schliemann è in ogni caso un mercante, e non è escluso che parte dei reperti siano stati da lui venduti), ma le stime parlano di due diademi d’oro, 90 collane, 12271 anelli, 4066 lamine, 16 idoli e oggetti fra i quali calici e coppe d’oro, argento e ambra, armi, utensili in rame. La maggior parte di questo materiale si trova oggi al Museo Puškin di Mosca e all’Ermitage di San Pietroburgo. Il clamore seguito alla scoperta gli permette di intraprendere una spedizione a Micene, nel Peloponneso, dove ritrova, tra le imponenti rovine seminascoste, alcuni dettagli della narrazione del geografo Pausania

GRECIA ANTICA

(110-180 d.C.), che parlava di quel luogo come di una possibile sepoltura dei sovrani della città. La campagna di scavi, iniziata il 7 agosto 1879, porta alla luce una serie di tombe di straordinario valore, con corredi, maschere funerarie, gioielli e armi di ineguagliabile bellezza: in esse Schliemann vuole riconoscere le sepolture della dinastia degli Atridi, e in particolare la cosiddetta maschera di Agamennone, una lamina d’oro che riproduce le fattezze molto realistiche di un uomo barbuto. Le scoperte di Schliemann non si fermano qui: organizza, con minore successo, scavi a Itaca e Tirinto, dimostrando fra l’altro che la distruzione di quest’ultima città fu contemporanea a quella di Micene (468 a.C., nel

Sotto, quella che l’archeologo tedesco Heinrich Schliemann identificò come la maschera del mitico re acheo ed eroe troiano, ritrovata nella tomba V di Micene nel 1876. Non pochi dubbi sono stati sollevati sull’autenticità dell’opera, inizialmente

A fianco, la riproduzione moderna (1914 circa) della cosiddetta maschera funebre di Agamennone restituisce la naturale curvatura che avrebbe dovuto adattare la lamina d’oro al volto del defunto.

cora per un paio di secoli nel cosiddetto periodo Postpalaziale, che termina nel 1170 a.C. Sul palcoscenico della storia si stanno affacciando i Dori, protagonisti di quel periodo oggi di incerta identificazione, che viene chiamato Medioevo Ellenico.

I MICENEI E LE PRIME CITTÀ DEL PELOPONNESO Per molti spetti accomunata a quella minoica, la scoperta della civiltà micenea si deve a Schliemann, che con fortunata intuizione ne deriva il nome della città dell’Argolide, a una dozzina di km dal mare e meno di due ore di cammino da Argo. Leggenda vuole che il mitico fondatore di Micene sia Perseo, nipote del re di Argo, Acrisio, che vantava una diretta discendenza da Zeus. Perseo, già re di Tirinto, avrebbe deciso di fon-

corso della guerra contro Argo). Il contributo di Schliemann all’archeologia dell’antica Grecia è certo fondamentale, e anche se i suoi scavi vengono compiuti con tecniche decisamente poco ortodosse che a volte compromettono la leggibilità dei reperti, rappresentano una svolta determinante nell’approccio con la storiografia e la letteratura, usate come veri e propri strumenti di indagine conoscitiva in maniera “scientifica”. Più volte accusato di aver manomesso alcuni reperti, di aver unito ritrovamenti fra loro distanti sia nel tempo che nei luoghi e addirittura di aver confezionato veri e propri falsi, Schliemann resta comunque uno dei maggiori studiosi e archeologi di tutti i tempi. Vero appassionato

fatta risalire al XV secolo a.C., a cominciare dalla foggia di barba e baffi, tipicamente ottocentesca e della quale non si ha altro riscontro nell’iconografia greca antica (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

dare la nuova città dopo che, tormentato dalla sete, aveva colto un fungo (in greco mykes) dalla base del quale sarebbe scaturita una sorgente. A dar lustro alla stirpe dei Perseidi, in seguito, gli amori tra Alcmena, figlia del re Elettrione, dai quali nacque il semidio Eracle (Ercole), protagonista delle celebri Dodici Fatiche. Discendente diretta di Perseo sarebbe anche Penelope, moglie di Odisseo (Ulisse). La realtà storica parla di un iniziale nucleo di civilizzazione dell’età del bronzo, sul quale si inserisce una popolazione indoeuropea proveniente dai Balcani o dalla penisola anatolica, la cui lingua (nella grafia della cosiddetta Lineare B), con molti tratti in comune con il greco classico, diverrà l’idioma dominante della Grecia continentale e insulare. Questa popolazione sono gli Achei, che tra il 2000 e il 1200 a.C. divengono sinonimo di Greci.

di antichità, Schliemann è un “dilettante”, nel senso più puro del termine, e un autodidatta che ha saputo indirizzare il proprio impeto conoscitivo in una direzione mai percorsa da altri. Poliglotta (comprende una quindicina di lingue, incluso ovviamente il greco antico), negli ultimi anni della vita si dedica al suo ultimo, folle sogno: la scoperta di Atlantide, basandosi su una traduzione di un geroglifico egizio conservato a San Pietroburgo. Muore improvvisamente, per strada, a Napoli, il giorno di Natale del 1890: non ha documenti con sé e viene riconosciuto solo grazie a un biglietto da visita di un medico che lo aveva in cura. DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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La presenza di un così imponente monumento funerario è legata alle diverse tradizioni di sepoltura: i Micenei praticavano l’imbalsamazione e l’inumazione in tombe collettive che riunivano intere famiglie, mentre i Minoici la cremazione.

La ripida scalinata in pietra che conduce al Pritaneo, del sito archeologico di Lato, nella parte orientale di Creta, V secolo a.C. circa. I reperti vennero portati alla luce dall’archeologo francese Joseph Demargne tra il 1898 e il 1900.

Agli Achei (o Micenei che dir si voglia) si deve quindi la fondazione delle prime importanti città del Peloponneso: oltre alle già nominate Argo e Micene, nel 1500 a.C. viene eretta l’Acropoli di Tirinto e a partire dal 1300 a.C. fiorisce Pilo, importante centro caratterizzato dall’assenza di mura di difesa. Nonostante numerosi punti di contatto con la civiltà cretese, quella micenea poggia anche sull’allevamento e sull’agricoltura, che consente di potenziare la rete dei commerci. Inoltre, se i palazzi minoici erano sì imponenti, ma senza una cerchia di mura difensive, le città micenee sono circondate da mura ciclopiche. Questo è indizio della natura fondamentalmente bellicosa degli Achei, che fanno della conquista e della sottomissione dei popoli vicini un punto di forza della loro espansione.

Il Cronide di Capo Artemisio, imponente statua in bronzo del V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale). Raffigura Zeus o, più probabilmente, Poseidone, entrambi figli di Crono, divinità preolimpica nata da Urano (il Cielo) e Gea (la Terra).

L’interno della Sala del Tesoro di Atreo, nota anche come Tomba di Agamennone, nei pressi della Rocca di Micene. Si tratta di un tholos, una “falsa cupola”, cioè una struttura interrata in cui le pietre non hanno una funzione spingente come nelle vere cupole.

MITI E RELIGIONE La religione greca è – come noto – politeista. Si basa su una serie di figure antropomorfe (o semi-antropomorfe), strettamente legate alla natura, da una parte, e alle emozioni e alle passioni, dall’altra, incarnate in personaggi che possiedono, amplificate, tutte le caratteristiche più tipicamente umane. La fonte più coerente e attendibile per delineare l’universo delle divinità, dei semidei e degli eroi greci è Esiodo, poeta vissuto a cavallo tra l’VIII e il VII secolo a.C. (una tradizione di dubbia veridicità sostiene che fosse contemporaneo di Omero e che abbia vinto una gara di poesia in diretta

competizione con l’autore dell’Iliade e dell’Odissea). Nel poema mitologico Teogonia, Esiodo sistematizza e integra le tradizioni orali che narrano gli eventi dalle origini dell’universo fino all’ascesa di Zeus all’Olimpo e alla sua affermazione come guida di tutti gli dèi. Il termine “religione”, nell’accezione contemporanea di fede e devozione verso l’ultraterreno, è un termine moderno e un concetto sconosciuto ai Greci. La cultualità greca – inscindibilmente legata ai miti – si concretizza in una serie di pratiche che intendono ingraziarsi il favore degli dèi e non provocarne l’ira.

Qualcosa quindi di molto diverso tanto dalla concezione giudaica quanto dalle religioni-filosofie orientali, con le quali è provato che i Greci siano comunque venuti in contatto. Il pantheon della Grecia classica verrà mutuato quasi nella sua interezza dai Romani che, pur mantenendo alcuni elementi della religiosità italica locale, ne conserveranno intatta la struttura, gli attributi delle divinità e – in massima parte – la sfera devozionale e cultuale, limitandosi a cambiare nome agli attori di questo intricato universo religioso.

Guerrieri micenei raffigurati su un cratere, vaso usato per miscelare acqua e vino, del XII secolo a.C.(Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Non è un caso che i micenei ebbero la meglio sui minoici, conquistando l’intera isola di Creta nel 1400 a.C. circa e distruggendo il palazzo di Cnosso nel 1370 a.c., che non venne più riedificato. Così come non è un caso che l’espansione achea verso oriente e verso il Mar Nero sia la cornice entro la quale si volge l’epopea omerica. L’espansione micenea si dirige però anche verso occidente: architetture praticamente sovrapponibili con quelle micenee si ritrovano ad Alatri e Arpino, nel Lazio meridionale; ceramiche in stile miceneo compaiono a Thapsos, nei pressi di Siracusa; le testimonianze di scambi commerciali con le coste della Spagna sono numerose.

LA SOCIETË MICENEA La struttura sociale dei micenei è rigidamente gerarchica: al vertice, la figura del wanax, il sovrano, che vive nel suo palazzo-reggia nella rocca della città e si affida per il pote22

re esecutivo e la difesa al lawaghetas, la guida dell’esercito. Quest’ultimo può contare sui carri da guerra dei nobili heros, e sui guerrieri hequetas (i “compagni del re”), oltre che sulla casta sacerdotale che contribuisce a mantenere l’ordine all’interno della città e dei territori limitrofi. Non è escluso che in alcuni casi il sovrano fosse anche la massima autorità religiosa e amministrasse la giustizia. Proprietari terrieri e amministratori locali (qasirewes) si occupano di governare le campagne e riscuotere i tributi. Popolo cittadino e contadini non partecipano attivamente alla vita politica e all’amministrazione della città, pur essendo uomini liberi e costituendone di fatto la base economica; ultimi in questa scala, gli schiavi (doeloi). Pare comunque che la differenza fra schiavi (maschi) e uomini liberi sia più che altro una contrapposizione fra contadini non proprietari delle terre e artigiani che vivono in città o sono comunque legati all’economia del palazzo. Le schiave donne, invece, sono spesso bottino di guerra.

GRECIA ANTICA

I POPOLI E LE LINGUE Dopo le migrazioni dell’VIII millennio a.C. dall’area mediorientale, si consolida nella zona dell’attuale Tessaglia una popolazione che prende il nome di Egei e che – come testimoniano i resti del villaggio di Dimini – fiorisce con strutture stabili a partire dal 4800 a.C. Piccoli nuclei di popolazioni provenienti dalle coste della Turchia si stabiliscono poi nelle isole, in particolare le Cicladi. Ma è a Creta che, a partire dal III millennio a.C. si sviluppa la più solida e duratura espressione di una cultura, quella micenea, che resiste alle varie invasioni di popolazioni provenienti dai Carpazi e dagli Urali. Tra questi popoli il più importante è quello che dà origine alla civiltà micenea (o achea), con la fondazione di città come Micene, Argo, Tirinto e Pilo. Gli Achei giungono

TRACI

MACEDONI

Larissa

EPIRO Dodona

Corfù

MAR DI MARMARA

PENISOLA P A CA CALCIDICA CA

ILLIRI

Lemno

TESSAGLIA

Ambracia

Pergamo Lesbo

Sciro Leucade Cefalonia

Zante

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BEOZIA A Tebe e

EUBEA UBEA Calcide d

A Megara gar ATTICA ACAIA A Atene e Corinto ARGOLIDE LID Epidauro E p Olimpia pia ARCADIA Argo

MAR IONIO Gruppo orientale Attico Ionico

del mare (dei quali restano poche tracce) e soprattutto con la venuta dei Dori, popolazione indoeuropea giunta nel Peloponneso attorno al 1200 a.C. Anche se tra gli studiosi esistono teorie discordanti riguardo alla provenienza dei Dori, nei fatti la loro presenza coincide con il cosiddetto Medioevo ellenico (XII-VIII a.C.), pe-

a Creta verso la metà del XV secolo a.C., instaurando quella che viene chiamata civiltà minoico-micenea. È proprio l’espansione achea verso oriente che genera gli scontri con le popolazioni della Turchia, narrati in forma poetica nell’Iliade e nell’Odissea. Il declino della civiltà micenea coincide con l’arrivo dei cosiddetti Popoli

ELIDE

Sparta MESSENIA S

Smirne

Gruppo occidentale Dorico Greco nord-occidentale Lingua micenea

LIDI

MAR EGEO Chio Andro

IONIA Efeso

Samo

Mileto CICLADI

CARI Naxos

LACONIA LA Pylos y

Gruppo centrale Eolico Arcado-cipriota

EOLIA

In alto, mosaico pavimentale nel villaggio israeliano di Hura, nel deserto del Negev. L’iscrizione, di epoca bizantina (VI secolo) è composta con caratteri comuni sia alla lingua di Omero sia al greco moderno.

Cos

Thera Rodi

MARE DI CRETA

CRETA

CIPRO

DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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riodo del quale restano poche e incerte testimonianze. Dal VIII secolo a.C., comunque, si delineano nell’orbita d’influenza greca quattro grandi ceppi: quello, appunto, dei Dori, che assieme agli Achei si stanzia prevalentemente nella porzione continentale della penisola balcanica e nel Peloponneso, quello degli Ioni, che oltre alla parte costiera e alle isole della Turchia si stanzia anche in Attica e in Eubea, e infine quello degli Eoli, che si radica in Tessaglia, Beozia e nella parte più settentrionale della attuale costa turca, inclusa l’isola di Lesbo. Sebbene la divisione non sia così netta, a ciascuno di questi gruppo etnici corrisponde un diverso dialetto. Da quello ionico-attico si sviluppa, a partire dal IV secolo a.C., dopo l’avvento di Alessandro Magno, il greco “ellenistico”, o della koiné, cioè la forma di lingua greca comune a tutto il Mediterraneo che si evolverà portando al greco bizantino e poi al greco moderno.

Il tempio E di Selinunte, nei pressi di Trapani, in stile dorico, circa 470 a.C. Parzialmente ricostruito nel 1959 con il ricollocamento delle colonne cadute (anastilosi), è consacrato a Era, moglie di Zeus e sovrana dell’Olimpo.

Eracle sacrifica un toro ad Afrodite, illustrazione da un originale greco del V secolo a.C. realizzata da Alexandre de Laborde tra il 1813 e il 1824, incisore Benedict Piringer. Sulla destra, una vittoria alata. (Parigi, Collezione di vasi greci del conte de Lamberg).

I DORI E IL MEDIOEVO ELLENICO Attorno alla metà del XIII secolo si ha una svolta determinante per il mondo greco; l’apparentemente invincibile civiltà micenea collassa e crolla probabilmente per una serie di cause concomitanti: disastri naturali come i frequenti terremoti che flagellano tutto il Mediterraneo centro-orientale, incursioni di pirati o di non meglio identificati Popoli del mare che saccheggiano le città costiere, disordini interni e conflitti fra le varie città che non permettono una risposta unitaria e compatta di fronte a invasioni di popolazioni esterne.. L’unica certezza confermata da prove archeologiche è la presenza, a partire dagli anni successivi al 1200 a.C. circa, di una nuova realtà, cioè la presenza di un popolo del quale non si aveva traccia nel Peloponneso o nelle isole: i Dori. Sono

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state fatte molte supposizioni riguardo all’origine di questo popolo, ma in buona sostanza esse possono essere ricondotte a due filoni storiografici: la posizione migrazionista, che vede i Dori come una popolazione indoeuropea proveniente dalle pianure del Danubio o comunque da regioni a nord dei Balcani, e quella anti-migrazionista, secondo la quale i mitici discendenti del capostipite Doro erano addirittura pre-esistenti ai micenei, e – da loro sottomessi – avrebbero approfittato della debolezza e della crisi interna della cultura micenea per prendere il sopravvento. Ciò che però è evidente è che in tutta l’area continentale dei Balcani meridionali prende corpo una nuova realtà, caratterizzata da una serie di fenomeni: gli scambi commerciali a lunga distanza diminuiscono, il territorio si spopola e aumenta la

GRECIA ANTICA

GLI EROI Un ruolo molto importante nell’insieme della mitologia greca è rivestito dagli eroi, figure intermedie quasi sempre frutto dell’amore tra una divinità e un mortale. L’eroe, a differenza della divinità, è un essere umano in tutto e per tutto, e quindi nasce, ama, soffre, combatte e muore come ciascuno di noi. Non possiede poteri magici, ed è fatto di carne e sangue come qualunque mortale (nelle vene degli dèi scorre infatti l’icore – ichor – bianco come il latte). Le sue azioni sono però guidate dalla mano del genitore ultraterreno,

oppure ostacolate da un suo rivale, tanto da manifestarsi agli occhi di tutti come imprese ineguagliabili per valore, potenza o in ogni caso con effetti impossibili per un individuo comune. Il termine (heros, in greco), ha radice sanscrita, collegabile al vedico virà (da cui anche il latino vir, uomo di valore). Il ruolo dell’eroe, a metà strada fra il mondo terreno e quello ultraterreno, tanto che in periodo omerico viene chiamato “semidio”, si lega in un primo momento a una figura di guerriero, o comunque di condottiero che con la propria forza

compie azioni che vanno al di là delle possibilità dei mortali. Gli eroi sono spesso fondatori di città, danno inizio a stirpi illustri, nelle quali (a posteriori) nel corso dei secoli vari regnanti si riconoscono e di cui vantano attributi distintivi. Innumerevoli sono gli eroi protagonisti di vari miti. Tra i più noti c’è Eracle (l’Hercle etrusco e l’Ercole romano), figlio di Zeus e Alcmena, protagonista delle celebri Dodici fatiche. In punto di morte, viene rapito nell’Olimpo da Zeus. Entrambe le dinastie regnanti di Sparta, gli Agiadi e gli Euripontidi, vantano discendenza diretta da Eracle.

DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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Achille, protagonista della guerra di Troia, è figlio di Peleo (re dei Mirmidoni) e della ninfa Teti; praticamente invulnerabile, muore per una freccia scagliata da Paride che lo colpisce nell’unico punto debole, il tallone. Vanta discendenza da Achille il macedone Alessandro Magno, per parte di madre, mentre per parte di padre sosteneva anche lui di provenire da Ercole. Perseo, l’uccisore della Medusa, è figlio di Zeus e di Danae, figlia del re di Argo. Tra i suoi discendenti, Ercole e, per limitarsi alle dinastie terrene, quella degli Argivi.

(la parte anteriore alla cella), il frontone con timpano triangolare (oggi perduto) e l’opistodomo (la parte posteriore alla cella). Le colonne sono semplici, prive di base e poggiano direttamente sulla base in pietra dell’edificio (stilobate).

Resti del Tempio di Era a Olimpia, VII secolo a.C. Si tratta di uno dei più antichi templi di ordine dorico e assomma le caratteristiche che saranno poi presenti negli altri luoghi sacri greci: il naos (la cella), il peristilio (colonnato) intorno alla cella interna, il pronao

migrazione verso le isole e la penisola anatolica, il che porta alla frammentazione della lingua in vari dialetti, l’agricoltura cede il passo alla pastorizia, si perdono le testimonianze scritte, non sono più realizzate le colossali costruzioni in pietra e i palazzi distrutti non vengono ricostruiti. Non si hanno notizie di guerre (il che non significa che non ce ne siano state), o comunque di esse non si ha memoria, non nascono eroi, non esistono i “grandi nemici” o i “grandi sconfitti”.

UN PERIODO DI TRANSIZIONE Questo periodo di transizione, più che di decadenza, si protrae fino all’VIII secolo a.C. circa, ed è definito Medioevo ellenico, o età oscura, e ha termine con la nascita delle polis e la diffusione dell’epos omerico.

LA PRIMA COLONIZZAZIONE ELLENICA Gli storici distinguono due ondate successive di colonizzazione intraprese dai popoli greci: la prima, concomitante con l’avvento dei Dori, attorno all’XI secolo a.C., e la seconda, che ha inizio nell’VIII secolo a.C. e termina nel V secolo a.C. Mancano testimonianze dirette della prima colonizzazione, data la scomparsa di documenti scritti nel Medioevo ellenico, ma sappiamo che le direttrici degli spostamenti sono essenzialmente verso est: le genti eoliche si muovono dalla Tessaglia e dalla Beozia in direzione nord-est, verso Lesbo, nella zona che prenderà il nome di Eolide; le popolazioni attiche

si dirigono verso oriente, a popolare le coste e le isole della Ionia, in particolare Chio e Samo; i Dori, infine, dopo essere giunti a Creta, si insediano nel sud-est dell’Anatolia, colonizzando Coo e Rodi e dando il nome alla Doride asiatica. Della cultura micenea (Achei), ormai tramontata, resta solo il ceppo linguistico, radicato nel Peloponneso. Più incerte sono le motivazioni di questa prima diaspora verso oriente, che assume più i tratti di una emigrazione che di una colonizzazione vera e propria. La scarsità di terre coltivabili o in ogni caso l’abbandono dell’agricoltura in favore della pastorizia non basta a spiegare questo esodo massiccio. Più verosimile è la 26

I segni più tangibili della presenza dei Dori sono l’introduzione della ceramica geometrica, l’inizio dell’uso del ferro, la pratica della cremazione dei defunti, e, più eclatante di tutti, l’“invenzione” del tempio realizzato in pietra. Man mano acquista identità propria e si afferma quello che, a partire dal VII secolo a.C. verrà chiamato ordine dorico e che si diffonderà in tutto il mondo greco, colonie incluse. La fine del Medioevo ellenico coincide con due elementi che si riveleranno determinanti negli anni futuri: l’adozione di un alfabeto fonetico basato su caratteri fenici e l’introduzione della moneta metallica. Il mondo ellenico è ormai diviso linguisticamente ed etnicamente in Achei, Ioni, Eoli e Dori, ma nonostante tutto queste popolazioni sono accomunate dalla consapevolezza, pur nelle differenze specifiche, di una radice comune: quella di essere greci.

DORI (1200 a.C.)

TRACIA

MACEDONIA

Lemno

ASIA MINORE Lesbo

EPIRO Corfù

Smirne

MAR EUBEA EGEO Tebe FOCIDE BEOZIA ATTICA ETOLIA Corinto Atene ARGOLIDE ELIDE CICLADI Argo PELOPONNESO

MAR IONIO

EOLIDE

TESSAGLIA IONIA

Colofone Efeso Mileto

CARIA Alicarnasso

Cos Cnido

Rodi

Sparta

Thera Citera

CRETA

ricerca di nuovi mercati e nuove rotte per i commerci, oltre alla necessità di nuove materie prime. Le colonie, con città autonome dalla madrepatria, condividevano però con essa la

GRECIA ANTICA

stessa cultura e la stessa lingua. Erano libere di formare alleanze sia commerciali che militari, e quindi di muovere guerra senza dover rispondere alla patria di origine.

DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO (4000 A.C.-950 A.C.) circa 4000 a.C. Civiltà del bronzo a Cnosso e Festo. circa 3650 a.C. Inizi del periodo minoico antico. circa 2000 a.C. A Creta, civiltà protominoica-prepalaziale. circa 1900 a.C. A Creta, civiltà protopalaziale. Palazzi di Cnosso e Festo. Gli Achei giungono nel Peloponneso. circa 1850 a.C. Regno di Argo. Primi re sono Inaco, Foroneo, Api, Argo, Criaso. 1780 a.C. Babilonia, leggi di Hammurabi. circa 1850 a.C. A Creta, civiltà neopalaziale. 1627 a.C. Eruzione vulcanica e terremoto di Thera (Santorini): distruzione di palazzi a Creta. circa 1600 a.C. Prime costruzioni a Micene . circa 1580 a.C. Cecrope primo re di Atene. 1500-1300 a.C. Fiorisce la civiltà cretese. 1493 a.C. Cadmo primo re di Tebe. 1462 a.C. Pandione mitico re di Atene; Minosse I re di Creta.

circa 1450 a.C. Fiorisce la civiltà micenea. 1400 a.C. Si sviluppano Argo, Tirinto, Pilo e Atene. 1393 a.C. Re Sisifo fonda Corinto. 1350 a.C. Costruzione delle mura di Micene. 1300 a.C. Inizio dell’espansione greca nell’Egeo. 1290 a.C. Esodo degli Ebrei dall’Egitto con Mosè. 1250 a.C. Costruzione dei grandi palazzi di Tirinto. 1193 a.C. Probabile inizio della guerra di Troia. 1000 a.C. Inizio dell’età del ferro nell’Egeo. 1000 a.C. I Dori prevalgono in Grecia; decade la civiltà micenea. Colonie greche nell’Asia occidentale. Inizia il Medioevo ellenico. 969 a.C. Costruzione del tempio di Gerusalemme. circa 980 a.C. Prima scrittura alfabetica in Grecia. circa 950 a.C. Recinti sacri e altari a Samo, Sparta, Olimpia, Atene.

DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO ELLENICO

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Dalla monarchia alle città-Stato

Nelle pagine precedenti, Enea ed Ettore in combattimento, rilievo del fregio orientale del Tesoro dei Sifni, 525 a.C. (Delfi, Museo Archeologico). Le gesta degli eroi della guerra di Troia sono un soggetto ricorrente nell’arte greca.

In basso a sinistra, Capre selvatiche, daini, stambecchi e altri animali selvatici ornano questo oenochoe (vaso da vino) del VII secolo a.C. ritrovato a Rodi. Le figure sono intervallate da motivi ornamentali geometrici ripetuti.

SPARTA: LE ORIGINI OSCURE Nonostante che si abbiano testimonianze di villaggi neolitici nella zona della Laconia, i primi segni di insediamenti stabili che porteranno alla nascita di Sparta risalgono al 1000 a.C., vale a dire nel cuore del Medioevo ellenico e almeno un paio di secoli dopo il tramonto della civiltà micenea. Esistono numerosi piccoli centri abitati che probabilmente costituiscono il primo nucleo della città: una Sparta di epoca micenea, il cui nome, Lakedaimonios, è riportato in alcune tavolette scritte in Lineare B, una Sparta dorica, 5 km più a nord, più articolata e suddivisa in quattro centri urbani distinti (probabilmente fusione di quattro villaggi vicini), e il villaggio di Hagios Vaselos, più a sud, nel quale sono stati ritrovati tessuti urbani più delineati e un gran numero di tavolette. Lo stesso nome Sparta, dalla radice greca speiro, che significa spargere, disseminare, può essere indice di una realtà di

In basso a destra, Cratere in stile geometrico dell’VIII secolo a.C. rinvenuto nel quartiere Ceramico di Atene. Le figure, stilizzate in maniera essenziale, rivelano uno stupefacente livello di astrazione operato dall’artista, che ne coglie gli elementi fondamentali.

Caratteristica di questo stile – che approssimativamente copre un arco di due secoli, dal 900 al 700 a.C. principalmente nella zona dell’Attica – è l’estrema linearità, fino all’astrazione e all’essenzialità delle forme, che spesso ci appaiono molto “moderne”. 30

della Grecia antica è stata spesso presa come esempio – non di rado in maniera impropria – come prototipo degli ideali di democrazia e giustizia (Washington D.C., Corte Suprema, Sala delle udienze, lato sud).

nuclei abitati diffusi, senza una coesione centrale, situazione confermata da una Laconia quasi disabitata intorno al XII secolo a.C. Secondo Pausania, Eurota, figlio di Lelego, primo mitico re di Laconia, bonifica le zone paludose e convoglia le acque nel fiume che prende da lui il nome, creando una fertile pianura. Lacedemone, figlio di Zeus e di Taigete, sposata la figlia di Eurota, fonda una città, chiamandola come la consorte, Sparta. Uno dei suoi discendenti, Ebalo, sposa una figlia di Perseo, sovrano miceneo di Tirinto. Nel XIII secolo a.C., all’epoca della guerra di Troia, la città è retta da Menelao, fratello di Agamennone, re di Micene. È proprio la contesa fra Menelao e Paride per le grazie di Elena il casus belli dell’assedio e della distruzione della città cantato da Omero. Ciò che oggi rimane di Sparta non rispecchia la grande potenza di una città che per secoli è stata protagonista della storia del Mediterraneo.

STILE GEOMETRICO DELL’ARTE La produzione artistica del mondo di influenza greca ha subito una naturale evoluzione stilistica nel corso del tempo. Questo processo si dimostra relativamente rapido e pervasivo, se si pensa, per esempio, alla fissità e agli stereotipi che caratterizzano l’arte egizia, i cui caratteri distintivi si mantengono pressoché invariati per più di due millenni. Il più antico degli stili artistici dell’Ellade, quello cosiddetto “geometrico”, a noi è giunto principalmente grazie alla produzione vascolare, cioè alle pitture su vasi, piatti e anfore.

A fianco, moderno bassorilievo (1932-1935) che rappresenta l’allegoria alata dell’Austerità, un pensoso re biblico Salomone e il legislatore spartano Licurgo con il rotolo delle sue leggi in mano. La struttura politica e legislativa

GRECIA ANTICA

Già nei tempi antichi la città pareva stranamente modesta, rispetto alla sua fama. Osserva Tucidide, nella Guerra del Peloponneso, scritta nel V secolo a.C., che se di Sparta non restassero che i templi e le fondamenta degli edifici, nessuno avrebbe creduto alla sua potenza. E aggiunge, argutamente, che se ad Atene accadesse la medesima sorte, i posteri avrebbero attribuito alla città dell’Attica una fama doppia di quella reale. Questa breve riflessione inquadra in maniera emblematica lo spirito di due città che hanno costituito i cardini attorno ai quali hanno ruotato gli eventi della storia greca per secoli. Una Sparta che mira all’austerità, al rigore, all’essenziale, basata su una cultura militaresca, dura, perfino crudele e sanguinaria.

LE LEGGI DI LICURGO Abbiamo accennato come probabilmente la nascita di Sparta derivi dalla fusione di quattro villaggi: Cinosura, Limne, Mesoa e Pitane. Questo criterio di formazione di una città è detta sinecismo, e non è infrequente nel mondo greco. Anche Atene, Rodi e Megalopoli sono frutto di sinecismi.

L’organizzazione politica di Sparta viene fatta risalire a Licurgo, personaggio in bilico fra storia e leggenda, che a metà del IX secolo a.C. elabora un ferreo codice di leggi e un sistema di governo inedito ispiratogli direttamente dall’oracolo di Delfi: la città è retta da una monarchia rappresentata da due sovrani (archegeti), uno della dinastia degli Agiadi (originari di Pitane) e l’altro appartenente agli Euripontidi (provenienti da Cinosura o Limne). In questo si intravede una conferma dell’originario sinecismo. Di fatto – come commenta Aristotele – si tratta di una oligarchia aristocratica, in cui l’Apella, cioè l’assemblea degli spartiati, cittadini maschi di più di trent’anni, si riunisce ogni mese e gode di ampi poteri: elegge i cinque efori (i “sorveglianti”, magistrati in carica per un anno e non rieleggibili che curano l’amministrazione della giustizia e controllano i re-sacerdoti), sceglie i membri della Gherusia, composta dai sovrani e da ventotto spartiati di più di sessant’anni e approva le proposte di legge della Gherusia (ma non le discute). I membri di questo consiglio degli anziani (geronti), con poteri legislativi e incaricati di quella che oggi chiameremmo politi-

DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

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ca estera, sono eletti a vita per acclamazione. La legislazione di Licurgo è volta all’uguaglianza fra gli spartiati e proibisce l’accumulazione di ricchezze, nell’intento di abolire le disparità economiche. Altra importante riforma di Licurgo è la redistribuzione delle terre: i campi coltivabili vengono suddivisi in lotti uguali (kleroi), assegnati dalla nascita a ciascuno spartiate (9000, secondo Plutarco) o agli abitanti del contado (30.000). Una volta fatto giurare ai suoi concittadini che avrebbero per sempre rispettato le sue leggi, Licurgo partì per un esilio spontaneo a Creta, dove si narra che si lasciò morire di fame.

LE CLASSI SOCIALI A SPARTA Dal punto di vista sociale, Sparta è divisa in tre classi: gli spartiati, discendenti dei Dori, sono guerrieri e proprietari terrieri; i perieci (abitanti dei dintorni) discendono dalle popolazioni locali che si sono volontariamente sottomesse ai Dori, hanno diritti civili ma non partecipano alla vita politica e sono sottoposti al servizio militare; infine gli iloti, discendenti da micenei sconfitti dai Dori, sono schiavi obbligati a lavorare alla terra, ma legati a essa e non vendibili. Gli iloti 32

– il gruppo più numeroso – sono sottoposti a un autentico regime di terrore. Un esempio del sistema che gli spartiati adottano per mantenere sottomessi gli iloti è l’istituzione della krypteia: un rito di passaggio all’età adulta in virtù del quale una volta all’anno, in autunno, i giovani spartiati hanno la libertà (e l’obbligo) di uccidere un ilota, scelto a caso. Interpretata come una sorta di prova di virilità in cui il giovane mette in pratica le abilità nel combattere e perde ogni possibile timore di fronte all’uccisione di un essere umano, verosimilmente la krypteia costituisce una sorta di polizia segreta (dal greco kryptos = nascosto) che ha i pieni poteri di punite arbitrariamente e di sopprimere gli iloti che manifestassero intenzioni di rivolta. L’educazione degli spartiati è improntata a un rigido regime militare. Non dovendo svolgere un lavoro produttivo, si dedicano fino dai sei anni all’educazione alle armi (agoghŽ), andando a costituire il più temibile esercito professionista dell’antica Grecia. Attorno ai vent’anni diventano opliti, e devono attendere i trent’anni per poter formare una famiglia. L’impegno militare obbligatorio dura fino a sessant’anni.

GRECIA ANTICA

Pittore dei cavalieri, Figura maschile a cavallo, coppa a figure nere, realizzate tra il 550 e il 530 a.C. (Londra, British Museum).

Leone in bronzo appartenente al periodo arcaico dell’arte della Laconia, VIII secolo a.C., dal santuario di Zeus a Dodona (Epiro, Museo di Ioannina).

Lo stile di vita è sobrio e frugale, senza indulgere al lusso. Ancor oggi si usa il termine “spartano” per definire un comportamento essenziale che non concede nulla al superfluo. Se la forma fisica è quasi un’ossessione per gli spartani, non si ha invece nessun riscontro di pratiche di eugenetica come l’uccisione di neonati considerati deboli o deformi gettandoli da un rupe, oppure l’usanza di esporre i bambini appena nati all’aperto per temprarli fin dalla più tenera età: si tratta verosimilmente di voci fatte circolare da nemici e detrattori, in modo da dipingere gli spartani come essere insensibili e disumani.

LE GUERRE MESSENICHE La prima espansione di Sparta inizia sotto i re Archelao e Carilao (770 a.C. circa), che annettono i territori lungo l’Eurota, e prosegue con Alcamene. Al termine di una serie di

LA DONNA A SPARTA Ruolo particolare hanno le donne: a differenza di altre zone della Grecia, le donne degli spartiati si occupano della conduzione dell’economia familiare, con un vero ruolo di capofamiglia, ma non svolgono lavori domestici, delegati alle schiave. Sono colte e istruite, si dedicano alla musica e alla danza, e sorvegliano i compiti dati agli iloti. Considerate fra le più forti e fertili di tutta la Grecia, le donne si sposano relativamente tardi (oltre i 20 anni), il che riduce le complicanze di una gravidanza in età adolescenziale. Il calo demografico rappresenta però un problema per gli spartiati:

In basso, statuetta in bronzo che raffigura una ragazza che corre o una danzatrice, arte arcaica della Laconia, VI secolo a.C. (Londra, British Museum).

campagne vittoriose, Sparta conquista e sottomette la città di Elo (di qui, probabilmente il termine iloti per designare gli schiavi). La strada verso la fertile pianura della Messenia è spianata. Il pretesto dell’assassinio di re Teleclo, del quale sono accusati i messeni, appoggiati dalla città di Argo, scatena un ventennale conflitto che termina nel 715 a.C. con la conquista del monte Itome. Gli abitanti sono costretti a pagare pesanti tributi, ma non subiscono l’occupazione militare spartana. Questa decisione si rivela un errore strategico determinante: in seguito a un momento di debolezza di Sparta, sconfitta a Ilie nel 669 a.C. da Argo, i messeni insorgono. Si scatena così la seconda guerra messenica, al termine della quale l’influenza spartana si spinge fino alla costa: alla metà del VII secolo a.C. due terzi del Peloponneso sono sotto il controllo di Sparta.

non è escluso che per garantire una prole sana e robusta si sono verificati casi di poligamia o poliandria, nell’intento di sfruttare al massimo la possibilità di concepire. Per le donne è possibile sia rifiutare nozze non gradite, sia divorziare senza perdere il proprio patrimonio personale, sia accompagnarsi con uomini senza necessariamente sposarsi. Atleticamente molto preparate, le donne spartane sono le uniche ammesse ai Giochi olimpici e ad altri giochi rituali, nei quali possono gareggiare nude, assieme a rivali maschi. Si ricordano, per esempio, le vittorie di Cinisca, vittoriosa nella corsa dei carri ai Giochi olimpici del 396 a.C. DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

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LA NASCITA DI ATENE E I PRIMI RE Verso la metà del IV millennio a.C. alcune popolazioni nomadi creano i primi insediamenti stabili in Attica, nelle zone a nord-est dell’istmo di Corinto. Il luogo, anche se privo di vaste pianure e di ampi corsi d’acqua, è favorevole a una prima forma di civilizzazione, date la vicinanza del mare e la presenza di rilievi non troppo elevati. Un primo insediamento miceneo, arroccato sulla futura Acropoli (che non supera i 160 m sul livello del mare), si sviluppa nel III millennio a.C. Il Medioevo ellenico, la scomparsa dei micenei e la presenza dei Dori non causano grandi sconvolgimenti al raggruppamento di villaggi attorno all’Acropoli, che, per sinecismo, iniziano a formare un’unità sempre più organizzata. Da una dozzina di essi, fondati dal mitico Cecrope, un essere mezzo uomo e mezzo serpente, nasce Atene. Secondo i miti della fondazione, la città deve il nome alla dea Atena, in competizione con Poseidone per chi sarebbe dovuto divenire il protettore della città: le offerte del Dio del mare sono sale e un toro, oltre alla protezione in battaglia; quelle 34

della dea della sapienza, invece, una pianta di ulivo, la saggezza, l’intelligenza e la pace. E i futuri ateniesi scelgono appunto la seconda offerta. Dopo Cecrope, a partire approssimativamente dal 1500 a.C. la città viene retta da una serie di sovrani, tra i quali il più importante è considerato Teseo, decimo re: a lui si attribuisce la prima struttura urbanistica di Atene, derivata dall’espansione del villaggio principale, Cecropia, sorto sull’Acropoli. La figura eroica di Teseo, contemporanea a quella di Minosse, e il mito della liberazione di Atene dalla sudditanza di Creta con l’uccisione del Minotauro e la fine del tributo di sangue dovuto alla creatura mostruosa, riflettono l’inizio del declino della potenza minoica (circa 1200 a.C.) e l’inizio dell’ascesa dei Dori. L’ultimo dei mitici re ateniesi (in tutto 17, secondo quanto riportato da Eusebio di Cesarea), è Codro, che sacrifica la propria vita per salvare la città. La vicenda è quantomeno curiosa: nel corso di una serie di scontri contro Sparta, l’oracolo di Delfi profetizza che la vittoria di Atene si concretizzerà solo in cambio della morte del re per mano spartana. Gli assalitori,

GRECIA ANTICA

Apollodoro di Atene, L’uccisione del Minotauro da parte di Teseo, kylix (coppa da vino) a figure rosse, 500 a.C. circa (Oxford, Ashmolean Museum).

quindi, cercano in ogni modo di non nuocere al sovrano ateniese. Questi, allora, si traveste da vecchio e andato a far legna fuori dalla città, provoca un gruppetto di spartani che, non riconoscendolo, lo uccidono. Scoperta la drammatica verità, gli spartani tolgono l’assedio ad Atene, convinti che ormai la volontà divina sia quella di una loro sconfitta. Storicamente, questa rivalità con Sparta si può collocare attorno alla metà dell’XI secolo a.C. Atene ora entra in una fase di importanti cambiamenti istituzionali: formalmente termina la monarchia – la cui linea di successione, in ogni caso, pare non fosse rigidamente dinastica – e inizia il periodo dell’arcontato.

LA POLIS Quello della polis (poleis, al plurale) è un fenomeno tipicamente greco, che rappresenta un modello politico inedito. Il concetto di città-Stato non è un’innovazione greca (se ne hanno esempi anche in ambito mediorientale e – almeno formalmente – anche nell’America precolombiana): quel che invece si presenta come un elemento del tutto nuovo è il concetto di isonomia, vale a dire l’eguaglianza di tutti i cittadini liberi di fronte alla legge, che inizia a essere codificata in una serie di norme scritte. Nelle poleis greche i cittadini partecipano attivamente alle vita politica, in forme più o meno democratiche (per esempio Atene) oppure oligarchiche (Sparta). La conformazione geografica di certo favorisce il particolarismo

Sotto, vista aerea dell’Acropoli di Atene. La città attica può essere considerata il prototipo e l’esempio più noto di polis greca.

Cecrope, mitico primo re dell’Attica e fondatore di Atene in un’incisione del 1556 circa.

e la formazione di centri relativamente isolati fra loro la cui popolazione, per esigenze difensive e di gestione delle risorse per far fronte ai momenti di scarsità di viveri, si concentrano in città organizzate, con fortificazioni sempre più valide e un tessuto urbano pianificato. A Babilonia, in Assiria, Egitto e Persia, sovrani dispotici spesso identificati con la divinità governano un popolo di sudditi sottomessi senza diritto a partecipare alla gestione del potere. La mancanza di un potere centrale che amministri un vasto territorio è invece al tempo stesso la fortuna iniziale e la causa finale della rovina dei popoli greci. Se da una parte un certo grado di libertà facilita il fiorire del pensiero speculativo, delle arti e delle scienze, oltre a favorire i commerci e gli scambi

GLI ARCONTI: UNA GUIDA PER LA CITTÀ Alla morte di Codro si pone il problema della successione: i figli, Codro e Nileo, accendono una feroce disputa per il trono, che rimane vacante per un certo periodo di tempo. Gli Ateniesi, allora – come narra Pausania – si rivolgono all’Oracolo di Delfi che stabilisce come legittimo sovrano Medonte e la sua dinastia, i Medontidi (convenzionalmente nel 1069 a.C.). Apparentemente nulla sembra cambiare: l’istituto monarchico pare rimanere solido, a parte la denominazione di arconte (guida, comandante); nel ricorrere all’oracolo, però, si intravede come una sorta di consultazione popolare, seppure

anche sulle lunghe distanze, dall’altra la frammentazione e l’assenza di un centro nevralgico che renda coeso il territorio fa sì che gli attacchi di forti potenze esterne possano far leva sulle inevitabili rivalità fra polis e polis, con il risultato di privarle del tutto della loro autonomia. Filippo II di Macedonia e suo figlio Alessandro, sovrani di un territorio relativamente

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limitato, riusciranno a sottomettere tutta la Grecia in una manciata di anni, trampolino di lancio per un impero che – sebbene effimero – eserciterà la propria influenza per secoli su un territorio immenso. Allo stesso modo, le colonie della Magna Grecia hanno vita breve sotto l’espansione di una Roma, agli inizi della propria storia, tutt’altro che invincibile.

Pittore di Nesso, Eracle uccide il Centauro Nesso, anfora protoattica del 625 a.C. circa (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Bassorilievo con lottatori, dalla necropoli ateniese del Ceramico, 510 a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale). L’opera risale approssimativamente al periodo della 68a olimpiade.

A fianco, Testa bronzea di Zeus, da Olimpia, VI secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

a livello embrionale, e la decisione di confermare una casta di aristocratici, all’interno dei quali si debba individuare la guida della città. Fino al 753 a.C. si succedono così non meno di tredici arconti, che pur essendo eletti – non è certo con quale criterio – mantengono il trono a vita; sotto di essi Atene prospera e assume man mano un ruolo sempre più egemone. I commerci divengono più intensi e inizia l’espansione verso le isole e le coste della Ionia, a oriente. Con Alcmeone, la carica di arconte perpetuo si trasforma in decennale, con il successore Carope. Il passaggio è graduale: i primi quattro dekaeteis sono ancora scelti nella stirpe dei Medontidi, mentre da Leocrate (arconte dal 713 a.C.) la carica è effettivamente elettiva e la figura dell’arconte assume a tutti gli effetti le funzioni di un magistrato. 36

Allo scadere del mandato di Erissia, arconte nel decennio 693-683 a.C., ha inizio l’arcontato annuale: la carica diviene ufficialmente una magistratura elettiva a termine (un anno) e l’amministrazione cittadina di Atene assume pienamente i caratteri della polis democratica. L’arcontato annuale è un’istituzione che potremmo definire quasi “moderna”: l’elezione avviene ancora per sorteggio in base a una lista di candidati, scelti fra gli eupatridi, cioè aristocratici “quelli di buona famiglia” (quindi non c’è ancora la formula della piena democrazia diretta con un diritto di voto ad ampio suffragio), ma ha in sé tutti gli elementi che garantiscono un’amministrazione oculata e razionale della cosa pubblica. Pur mantenendo un aspetto eminentemente aristocratico, innanzi tutto l’intento è di eliminare sia il rischio di una monarchia dinastica sia quello di un’oligarchia ristretta: gli arconti sono infatti tre, poi passati a nove, ciascuno con una funzione specifica, e al termine del loro mandato entrano a far parte dell’Areopago, con una qualifica analoga a quella di senatori a vita e i compiti di tutelare e conservare le leggi e le istituzioni a esse legate, oltre ad avere voce in capitolo sui maggiori delitti di sangue. Cosa ancor più importante, l’Areopago ha poteri di controllo, e probabilmente di veto, sull’operato degli arconti. Tra gli arconti annuali il più importante ai fini di una cronologia è l’arconte eponimo, vale a dire quello che dà il nome all’anno: a partire dal 683 a.C. si ha quindi la prima data certa nella storia della politica ateniese, con l’arcontato di Creonte. L’arconte eponimo è capo dello Stato, è garante della stabilità interna della città, del diritto di famiglia e della proprietà privata. Si ha poi l’arconte polemarco (da polemos=guerra, combattimento), la massima guida militare e, più tardi, magistrato che si occupa dei processi che coinvolgono gli stranieri. Al basileus, l’arconte-re, è affidata esclusivamente la sfera religiosa e del culto, mentre gli ultimi sei arconti, i tesmoteti, istituiti nel 682 a.C., sono responsabili dell’amministrazione della giustizia. Sono degli ufficiali giudiziari di alto livello, le cui decisioni sono in qualche modo però vincolate alle decisioni e all’approvazione dell’Areopago.

GRECIA ANTICA

GIOCHI OLIMPICI E GIOCHI SACRI I Giochi olimpici si svolgono ogni quattro anni, con regolarità, dal 776 a.C. al 392 d.C., per un totale di 282 edizioni. Si tratta di competizioni atletiche (ma non solo) che si svolgono per una settimana al plenilunio di agosto, coniugate con celebrazioni religiose alle quali partecipano tutti i popoli della Grecia. A sottolineare la sacralità dell’evento, nel periodo dei giochi vengono sospese tutte le ostilità belliche. L’usanza di abbinare gare a occasioni religiose o, più spesso, riti funebri è molto radicata nel mondo greco. Non è escluso che la taurocatapsia, cioè la disciplina di volteggiare sul dorso di un toro effigiata in un celeberrimo dipinto murale di epoca minoica, sia legata a celebrazioni che comprendevano la venerazione di un dio-toro. Omero, nel XXIII libro dell’Iliade, descrive i giochi funebri in onore di Patroclo; Pindaro narra la mitica corsa di quadrighe

in onore di Zeus in cui Pelope ottenne come premio la mano di Ippodamia; in tempi più documentabili, Licurgo ripristina i giochi sacri per ingraziarsi gli dèi e porre fine a un’epidemia. A partire dall’VIII secolo a.C. i giochi che si svolgono a Olimpia – città del Peloponneso centro-occidentale dove sorge un importantissimo tempio dedicato a Zeus – divengono i più importanti ai quali possono partecipare tutti gli atleti di lingua greca. Le gare previste variano a seconda del periodo: una costante sono le corse a piedi (di velocità e di resistenza), lotta libera e pugilato (dal 648 a.C. fusi insieme nel cosiddetto pancrazio), salto in lungo, lancio del giavellotto, lancio del disco, gare equestri (in particolare corse dei carri). Non mancano poi competizioni non sportive, come gare di musica e poesia, ed edizioni speciali, come quella voluta da Nerone che addirittura sposta di due anni (dal 65 al 67 d.C.)

lo svolgimento dei 211 Giochi. Per la cronaca, l’imperatore romano guadagna il premio in ben sei discipline: quadriga, quadriga dei puledri, tiro a dieci dei puledri, gara degli araldi, prova dei tragedi e dei citaredi. L’importanza dei Giochi non è solo sportiva e religiosa. Sono determinanti da un punto di vista storiografico perché, grazie a essi, dal 776 a.C. – anno al quale risale la prima documentazione scritta dei Giochi – si inizia ad avere un computo certo della cronologia. Gli eventi, infatti, vengono collocati in base all’olimpiade (propriamente il periodo tra due Giochi). Per esempio, volendo indicare la data delle riforme di Solone, il biografo Diogene Laerzio usa la dizione «terzo anno della quarantaseiesima olimpiade», che corrisponde al nostro 594 a.C. Oltre ai Giochi di Olimpia si disputano con regolarità altre competizioni atletico-religiose che rientrano nel grande qua-

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dro dei Giochi panellenici: nel terzo anno di ciascuna olimpiade si svolgono a Delfi i Giochi pitici in onore di Apollo (dal 582 a.C. fino al 384 d.C.); nel secondo anno di ciascuna olimpiade è il turno di quelli Nemei a Nemea, e poi ad Argo, in onore di Zeus (in luglio, a partire dal 573 a.C.); quelli Istmici in onore di Poseidone e dell’eroe Palemone presso l’Istmo di Corinto si svolgono invece nel quarto anno di ciascuna olimpiade (dal 582 a.C.); quelli tolemaici si tengono ad Alessandria in onore di Tolomeo I e Berenice I (ogni quattro anni, dal 262 a.C.); infine i Giochi panatenaici, o Grandi panatenee, istituite da Pisistrato nel 566 a.C. con cadenza quadriennale ad Atene. I Giochi, proprio per il loro carattere eminentemente pagano, vengono proibiti dall’imperatore Teodosio I nel 392 d.C. Verranno riesumati dal francese Pierre de Coubertin, a partire dal 6 aprile 1896.

La raccolta delle olive, anfora a figure nere, VI secolo a.C. (Londra, British Museum). L’olivo, e quindi l’olio, era uno dei principali prodotti dell’economia di tutto il Mediterraneo.

ATENE: ARISTOCRATICI E CONTADINI Nell’Atene del VII secolo a.C. il potere è ancora saldamente in mano agli eupatridi, l’aristocrazia terriera che poggia la propria ricchezza sul lavoro di contadini tenuti in una condizione di sudditanza, se non di semischiavitù. Solo gli eupatridi godono dei pieni diritti politici, fra le loro fila sono eletti gli arconti e i loro rappresentanti siedono nell’Areopago. Sono inoltre gli unici ad avere il diritto di poter offrire sacrifici a Zeus Erceo, protettore della famiglia, e ad Apollo Patroo (o Pizio), protettore dell’intera Grecia, che parla attraverso l’oracolo di Delfi. Gli eupatridi fondano il loro potere sull’appartenenza a una fratria, cioè a un gruppo familiare esteso, che vanta la discendenza da un medesimo capostipite, spesso un antenato mitico o divino. Ciascuna fratria, che si può associare al concetto di stirpe, si suddivide a sua volta in più ghene (al singolare, ghenos), dei clan formati da nuclei più piccoli, oikos (casa), che corrisponde al concetto di famiglia ristretta. Questa struttura verrà in seguito sfruttata da Clistene per la sua riforma degli ordinamenti cittadini. La città è fiorente, i commerci sono prosperi, le ceramiche vengono esportate fino in luoghi lontani. Il tessuto urbano si espande verso nord, nella pianura, e forma la zona abitata che verrà denominata Ceramico. Nel corso degli anni, quindi, mercanti e artigiani assumono un ruolo sempre più importante nell’economia della polis, tanto da richiedere l’introduzione di una nuova forma di legislazione, che comprendesse, fra l’altro, 38

norme scritte. Anche la popolazione del contado inizia a mal sopportare lo strapotere dell’aristocrazia, che mina l’istituzione stessa dell’arcontato. Altri fattori economici contribuiscono a mettere in crisi l’apparente stabilità della struttura sociale ateniese: inizia la circolazione della moneta metallica, inventata in Lidia attorno alla metà del VII secolo a.C. Questo facilita i commerci, e crea un nuovo tipo di ricchezza, non più basata esclusivamente su beni materiali o grandi quantità di grano e viveri. Si estendono poi la coltivazione dell’ulivo, e conseguentemente la produzione di olio, talmente abbondante da venire esportato, e con essa la necessità di anfore e altri contenitori di ceramica per trasportarlo, e di navi per giungere a destinazione. I rapporti economici iniziano a cambiare, e questo crea uno squilibrio tra una parte della classe nobiliare che inizia ad accumulare valuta, e un’altra che invece rimane legata a una produzione agricola di sussistenza, in particolare di cereali.

IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO DI CILONE Gli attriti fra gli eupatridi si acuiscono e attorno al 639 a.C. l’atleta olimpico Cilone, appoggiato dal suocero Teagene, tiranno di Megara, tenta un autentico colpo di Stato attaccando l’Acropoli. Anche Teagene aveva preso il potere con l’appoggio popolare estromettendo gli aristocratici da Megara, importante città a una giornata di cammino da Atene. Il tentativo non va a buon fine e i rivoltosi vengono confinati in cima alla rocca, dove, presi d’assedio, iniziano a morire di fame. Giunti allo stremo, si riuniscono attorno agli altari e annunciano di volersi arrendere, implorando di aver salva la vita. L’arconte eponimo Megacle, un Alcmeonide, finge di accordar loro la grazia ma, appena penetrati nel recinto sacro, fa uccidere tutti i ciloniani addirittura all’interno del tempio. Questo atto sacrilego getta un’accusa di empietà su tutta la stirpe degli Alcmeonidi, che vengono esiliati e il cui nome verrà per sempre, anche a distanza di secoli, associato all’epiteto “empi nei confronti della dea”. Per inciso, anche la parabola di Teagene alla guida di Megara giunge alla conclusione, e il tiranno viene cacciato dalla città nel 625 a.C.

GRECIA ANTICA

I COMMERCI La conformazione del territorio greco fa sì che, con l’aumento della popolazione, i terreni coltivabili non siano più sufficienti a soddisfare le esigenze degli abitanti. Se da una parte il terreno impervio scoraggia la coltivazione di cereali, dall’altra si rivela abbastanza adatto per la vite e l’ulivo: ecco che vino e olio divengono presto merce di scambio, assieme a unguenti, profumi, prodotti di artigianato e d’arte (in particolare ceramiche, vasi, statue e tessuti). La quasi totalità dei commerci greci si svolge via mare e le città greche, colonie incluse, hanno contatti praticamente con tutto il Mediterraneo e con il Mar Nero. Tra i prodotti importati, i principali sono frumento, metalli, come il rame (indispensabile per ottenere il bronzo), e materiali preziosi, come l’ambra e l’avorio.

La navigazione non è però così semplice: innanzi tutto è stagionale, e legata alle condizioni meteorologiche. D’inverno i trasporti sono praticamente bloccati; in estate, i venti favorevoli, come il meltemi, che soffia da nord, consentono di coprire grandi distanze in poco tempo. Narra Plinio il Vecchio che bastano sei giorni per andare da Messina ad Alessandria d’Egitto, in una decina di giorni si va dal Bosforo a Rodi, e di qui ad Alessandria ne bastano quattro. La direzione opposta, invece, richiede il doppio del tempo. Il Mediterraneo occidentale, invece, ha venti favorevoli in entrambe le direzioni. Creta e Dodecaneso sono il crocevia dei commerci greci e fenici: qui si scambiano legname, oro, oggetti preziosi. Le merci greche sono conosciute dalla Colchide, nel Caucaso, fino alle colonne d’Ercole.

Dioniso, dio del vino, in nave circondato da delfini, cratere del 530 a.C. circa. Il carico di uva nello scafo conferma l’importanza commerciale dei prodotti della vite nell’economia greca (Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen).

In basso, nave da guerra che richiama una pentecontera, imbarcazione mossa da cinquanta rematori (venticinque per lato), dotata di vela quadrata e munita di un rostro a prua per lo speronamento delle navi avversarie. Data la grande capacità

di carico e la resistenza alle rotte nel mare aperto, venne usata anche per scopi commerciali e per trasportare i coloni destinati a creare nuovi insediamenti. Kylix proveniente da Cerveteri, 520 a.C. circa (Parigi, Bibliothèque nationale de France).

LA TIRANNIDE Tra le forme di governo antiche, la tirannide è una delle più comuni: il tiranno, come spiega Erodoto (484 a.C.-430 a.C. circa) nelle Storie, è il “signore della città”, senza necessariamente l’accezione negativa che assume in seguito. Di certo il tiranno è l’“uomo forte”, che spesso vanta ascendenze mitologiche o divine, un eroe che non esita a far uso della violenza per assumere e mantenere il potere. È con Platone (427 a.C.-347 a.C.), nella Repubblica, che la tirannide viene analizzata nel dettaglio, come espressione di una forma di potere non legit-

timata dal consenso popolare e al di fuori del patto stabilito fra uomini liberi. Nell’Atene del V secolo il tiranno è visto come frutto della decadenza e della corruzione della città stessa, con un aperto giudizio di disvalore. Egli si colloca al punto diametralmente opposto della polis democratica, anche se la sua figura viene più che altro presa come un esempio “ipotetico”, quasi “di scuola”, dato che la città da quasi un secolo non vive il reale pericolo di un despota (governo di Pisistrato e dei Pisistratidi a partire dal 561 a.C.). In breve, il tiranno è, anche nelle rappresentazioni teatrali, il “cattivo” 40

per antonomasia, l’esempio da non seguire e punito dagli eventi o dall’intervento divino. Aristotele (383 a.C.-322 a.C.), nella Politica, delinea tre tipi di tiranno in base al modo in cui è salito al potere: il demagogo, il cui potere proviene dal basso, come difensore degli oppressi; l’ex magistrato, che invece riceve il potere dall’alto, in virtù di una carica legittimamente assunta; infine il monarca, che diminuisce o annienta i poteri del popolo per privilegiare un ristretto gruppo di persone Quest’ultima tipologia, praticamente sconosciuta in Grecia, era quasi la prassi nell’Asia Minore dei satrapi legati

GRECIA ANTICA

all’Impero persiano (dal 546 a.C.). Secondo Tucidide (460 a.C. circa-404 a.C.), la tirannide è addirittura un fattore di sviluppo, se ci si riferisce agli inizi di una città: Policrate di Samo, tiranno della città dell’Egeo orientale dal 537 a.C. al 522 a.C., favorì lo sviluppo dell’isola rendendola una grande potenza marittima e promuovendone il rinnovamento urbanistico. In pratica, il tiranno inteso come monarca “illuminato” è visto come un bene per un nucleo ai suoi esordi, che ha ancora bisogno di un “padre” che faccia da guida, seppur con un pugno di ferro. Tra i più noti tiranni dell’an-

Giovanni Fedini, L’anello di Policrate, olio su tela, 1570 circa (Firenze, Studiolo di Francesco I, Palazzo Vecchio). Il dipinto sintetizza un episodio narrato da Erodoto: il tiranno di Samo era

un uomo ricco e potente, favorito dalla fortuna. Per questo venne consigliato da Amasi, sovrano dell’Egitto, di controbilanciare la sua buona sorte con un atto che gli portasse tristezza e dolore. Policrate decise così di gettare in mare un

L’Areopago visto dall’Acropoli di Atene: nel periodo monarchico vi si riuniva il collegio dei magistrati (i nove arconti), mentre intorno al 624 a.C. indicava l’Assemblea degli anziani (ex arconti).

anello prezioso. Poco tempo dopo, un pescatore portò in dono a Policrate un grosso pesce, nelle cui viscere venne ritrovato l’anello: a testimonianza che non ci si può opporre al destino, buono o cattivo che sia.

LE FERREE LEGGI DI DRACONE L’istituzione dell’arcontato pare comunque in grave in crisi, e il rischio di faide tra le varie fazioni di eupatridi è molto alto. Sotto l’arcontato di Aristecmo nel 621 a.C., il legislatore Dracone (o Draconte) introduce un codice di leggi che sono le prime norme scritte giunte fino a noi. Questo non significa che Dracone sia il primo ad aver messo in forma scritta un codice giuridico, né tantomeno una costituzione, come taluni sostengono. Le notizie biografiche su Dracone sono incerte e frammentarie. Le abbiamo solo da Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi, scritta fra tra il 330 e il 322 a.C., e di lui non esiste un ritratto, nemmeno idealizzato; il suo operato si può riferire a eventi accaduti anche in tempi successivi, oppure la sua figura potrebbe anche essere l’incarnazione di una serie di decisioni prese da più persone, fenomeno non infrequente nel mondo greco.

La sistematizzazione delle leggi mette comunque ordine in una serie di norme che risultavano a volte contraddittorie e in particolar modo costituisce la base del diritto penale moderno. Viene infatti delineato in maniera esplicita il concetto di responsabilità in caso di omicidio: in particolare si pone un freno alla vendetta tra fratríe o ghenoi in caso di delitti di sangue (un omicidio poteva essere controbilanciato solo con un altro omicidio, o con un altissimo indennizzo, detto poiné), e viene vietata la vendetta privata. In caso di crimini gravi il giudizio viene così demandato all’arconte-re e ai tribunali. Esistono però delle eccezioni, o per lo meno delle attenuanti, come nel caso di “delitti d’onore”, nei quali un membro femminile della famiglia (moglie, figlia sorella o madre) sia colto in flagranza di adulterio. In caso di delitti colposi, poi, la pena è l’esilio (aeiphygia), e il giudizio è affidato a un tribunale di 51 efeti. Il numero 51 – abbastanza inconsueto – non è casuale: se lo si somma a nove

tichità si ricordano il violento Cìpselo di Petra, tiranno di Corinto dal 657 al 628 a.C., che abbatte l’oligarchia dei Bacchiadi, sterminandoli ed esiliando i superstiti, ma anche realizzando uno fra i più splendidi templi dorici e diffondendo la ceramica di Corinto in tutto il Mediterraneo. Suo figlio Periandro (al potere dal 627 al 585 a.C.), ancor più sanguinario e depravato, viene preso da Erodoto come esempio negativo da non seguire. Si deve a Periandro un ingegnoso sistema di rampe (diolkos) che permette alle navi commerciali il passaggio dell’istmo di Corinto, il che permette l’abolizione delle tasse per la città, coperte

«Meglio avere l’approvazione di un solo uomo onesto che di mille malvagi», «Deve ubbidire alle leggi, chi quelle leggi ha creato». Altri tiranni degni di nota sono Ortagora di Sicione (dal 655 a.C. al 640 a.C.), città sul golfo di Corinto, e il suo discendente Clistene (600 a.C.-570 a.C.); Fidone di Argo (attorno al 650 a.C.), detto “il risparmiatore”, che poi ripristina la democrazia; Teagene di Megara (attorno al 630 a.C.), che, sostenuto dai cittadini, reprime i soprusi degli aristocratici; Panezio di Lentini (615 a.C. circa), primo tiranno in Sicilia; Cleandro Patareo (verso il 505 a.C.) tiranno

dai pedaggi pagati dai mercanti per evitare il periplo del Peloponneso. Coevi di Periandro sono Procle di Epidauro e Trasibulo di Mileto. Accade anche che sia il popolo a nominare un tiranno, o meglio un esimneta, cioè un magistrato che si erga a giudice e ponga fine alle contese tra aristocratici che paralizzano l’amministrazione di una città. È il caso di Pittaco di Mitilene che nel 590 a.C., dopo aver osteggiato la tirannia di Meleancro, riporta almeno temporaneamente l’ordine e la pace nella città. Filosofo, uno dei Sette Sapienti, di lui si ricordano le massime «Il perdono è la migliore delle vendette»,

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di Gela; Ierone I (o Gerone), assieme al fratello Gelone tiranno di Gela dal 485 a.C. e di Siracusa dal 487 a.C.; Falaride, dal 571 a.C. spietato tiranno di Agrigento; Aristodemo di Cuma, che nel 524 a.C. ferma l’espansione etrusca in Campania. Un discorso a parte meritano i cosiddetti Trenta tiranni, termine con il quale gli storiografi moderni identificano la fugace oligarchia instaurata ad Atene nel 404 a.C., e che la storiografia antica chiama semplicemente “I Trenta”: si tratta di un tentativo reazionario, rovesciato dalla fazione democratica dopo soli otto mesi.

Auriga su un cocchio a due cavalli, vaso etrusco a figure nere, 550-530 a.C circa, ritrovato a Tarquinia. La presenza di vasellame greco in Etruria conferma

i frequenti contatti commerciali fra i popoli della penisola italiana e gli abitanti elle colonie della Magna Grecia (Tarquinia, Museo Archeologico).

Il capitello dorico, nella sua forma più articolata, qui descritta in un’illustrazione dal volume 18 dell’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean le Rond d’Alembert, 1759.

arconti, infatti, si giunge a sessanta, che è il numero dei membri dell’antico Areopago che si trova anche in altre tribù ioniche. Questa è una prova a sostegno del fatto che il tribunale degli efeti non è un’istituzione creata da Dracone, ma semmai un elemento della nuova amministrazione della giustizia da lui introdotta. Restano di competenza dell’Areopago i giudizi finali sui delitti premeditati, compresi ferimento, incendio e avvelenamento volontario: in questi casi, la pena rimane la morte o, prima dell’emissione della sentenza, l’esilio volontario di chi si ritiene colpevole. Esiste anche l’eventualità del perdono da parte della parte lesa, che in caso di omicidio si estende ai parenti (o meglio ai membri della fratria) fino al sesto grado. Il codice

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di Dracone per certi versi sembra mitigare le pene, ma per altri le inasprisce, in particolare per quanto riguarda la proprietà dei ricchi, la cui difesa fino a usare la violenza, fino all’uccisione, viene considerata legittima. Dracone legifera anche in materia di debiti: chi non è in grado di saldare un debito nei confronti di una persona di ceto superiore ne diventa schiavo, mentre la punizione è più lieve nel caso in cui il debito sia nei confronti di un inferiore. È molto probabile che Dracone abbia introdotto altre leggi dure, tanto che ancor oggi si usa l’aggettivo “draconiano” per indicare norme di particolare severità. Di queste, però non è rimasta traccia, sostituite dalle più articolate riforme di Solone.

GRECIA ANTICA

OCEANO ATLANTICO

Olbia

C E L T I

Fanagorela Teodosia

LIGURI

Ampurias

I B E R I

Marsiglia

Alalia

ITALICI Cuma

Tharros Malaga

Ischia Cagliari

Sulci Saldae

N U M I D I

Sinope

ETRUSCHI

Emeroscopion Cadice Tingi

MAR NERO

Tomi

ILLIRI

Nizza

Maronea

Taranto Apollonia

Elea

Cappadocia

Cizico

Sibari

Crotone Palermo Messina Mozia Utica Reggio Selinunte Siracusa Cartagine Gela

Bisanzio Calcedonia Lidia

Atene Sparta

Focea

Cilicia

Mileto

C A R T A G I N E S I Tapso

Leptis

La seconda ondata di colonizzazione ha inizio alla metà dell’VIII secolo a.C. e si dirige verso le coste meridionali della penisola italica, e da qui in Sicilia, per poi indirizzarsi verso il Nordafrica e giungere fino alle coste mediterranee della Francia e della Spagna. A oriente, invece, si spinge oltre il Bosforo per giungere sulle coste del Mar Nero, fino all’attuale Crimea e alle coste della Georgia. Il limite dell’espansione è costituito dalle zone già saldamente sotto il controllo fenicio e cartaginese. A differenza della prima colonizzazione, avvenuta attorno al 1000 a.C. in coincidenza con il fiorire dei Dori, questa seconda colonizzazione è mossa essenzialmente da intenti commerciali. Inoltre i coloni

Sidone Tiro

Cirene

Palestina

Barca

Zona di influenza greca Zona di influenza fenicia

LA SECONDA COLONIZZAZIONE

Fenicia

Creta

MAR MEDITERRANEO

Naucrati

L I B I C I

portano con loro dalla madrepatria tutte le caratteristiche della terra di origine. Sono a tutti gli effetti città greche, nella struttura urbanistica, nei monumenti, nella lingua, nella religione, nelle tradizioni. I templi che incontriamo a Metaponto, Segesta, Selinunte e Cirene differiscono ben poco da quelli dell’Acropoli di Atene; i teatri di Siracusa o Taormina hanno lo stesso impianto di quelli di Epidauro o Messene. La lingua, con lievi differenze, è compresa dalla Sicilia alle coste dell’Anatolia. Si tratta realmente di una Megale Hellas, ovvero la Magna Grecia dei romani. Il fondatore ufficiale della nuova colonia è chiamato ecista, e si pone alla guida di una spedizione non prima di aver consultato gli oracoli, in genere quello di Apollo a Delfi

E G I Z I

o quello di Dodona, nell’Epiro. La preparazione del viaggio richiede una meticolosa organizzazione, oltre a una buona dose di coraggio. Il tragitto viene compiuto per mare, con navi attrezzate di tutto ciò che deve servire all’arrivo: attrezzi agricoli, animali, armi e, ovviamente, il primo nucleo di abitanti. La missione è un autentico viaggio verso l’ignoto, e non vi è la certezza di trovare una meta. Per questo l’aiuto degli dèi è fondamentale: il sacerdote della spedizione conserva il fuoco sacro della dea Hestia, religiosamente attinto dall’altare in madrepatria e ravvivato fino al termine del viaggio in modo che possa essere usato per i sacrifici di rito una volta giunti a destinazione. Trovato l’approdo adatto, anche dopo più di un mese di navigazione,

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viene compiuto il rito della ktisis, cioè la fondazione vera e propria della colonia. L’ecista delimita con un solco il perimetro della città e, aiutato da agrimensori, ripartisce le terre coltivabili, oltre a individuare gli spazi urbani pubblici e sacri. Non di rado, alla sua morte, l’ecista è venerato come un eroe. Il luogo ideale per fondare una nuova colonia deve rispondere a precisi requisiti: un luogo di approdo sicuro, come una baia o un porto naturale, un terreno coltivabile, da poter spartire fra i coloni, e un’altura rocciosa sulla quale realizzare l’acropoli. L’intento del fondatore della nuova colonia non è di conquista, ma di popolamento. I rapporti con le comunità locali sono, fin dove possibile, amichevoli e di scambio commerciale.

In basso, uno skiphos (coppa da vino) a figure rosse che mostra il dialogo fra due filosofi, attribuito al pittore di Penelope, 450 a.C. circa. In questo periodo, per le strade di Atene, si aggira uno strano personaggio, intento più a fare domande che a proporre soluzioni.

Johann Georg Platzer, Creso e Solone, olio su tela, 1730 circa (Dresda, Museo di Stato). Secondo Erodoto, Solone andò in visita al re Creso, che si considerava il più ricco e fortunato uomo sulla terra; fu interrogato dal sovrano che – dopo avergli mostrato i suoi tesori – gli

Il suo nome è Socrate, una figura fondamentale per la storia del pensiero occidentale, che lo studioso austriaco Theodor Gomperz, definirà il «primo martire per la causa della libertà di pensiero e d’investigazione».

CORINTO: UNA CITTÀ STRATEGICA Oltre a Sparta e Atene, un’importante centro greco è Corinto, in Argolide, sulla costa settentrionale del Peloponneso, nei pressi dell’istmo che separa la penisola dal resto del continente. Le origini mitiche vedono Corinto, discendente del dio Helios, come eroe eponimo e fondatore, altri attribuiscono la nascita della città a Efira, figlia di Titano. Si hanno evidenze archeologiche che la città sia stata distrutta agli inizi del II millennio. Nata nel periodo d’oro della civiltà micenea, probabilmente abitata in origine dagli Eoli, ha come primo re il mitico Sisifo; viene poi occupata dai Dori: la popolazione infatti parla un dialetto dorico. Omero riporta che i corinzi parteciparono alla guerra di Troia sotto la guida di Agamennone. Retta dalla dinastia dei Bacchiadi dal 747 a.C., la città, la cui attività commerciale è molto intensa, si proietta verso il Mediterraneo: la prima colonia viene fondata in Sicilia, sull’isola di Ortigia, e diverrà poi Siracusa. Altre colonie importanti sono Potidea (sulla penisola calcidica), Leucade e Corcira

NASCE LA FILOSOFIA La filosofia, come è nota nel mondo occidentale, è probabilmente la più innovativa “invenzione” greca. I suoi inizi si fanno risalire ai presocratici, termine generico creato dagli storici della fine del XVIII secolo, con cui si etichettano i pensatori di lingua greca fioriti tra il 600 a.C. circa e il 450 a.C. circa, cioè prima dell’affermarsi degli insegnamenti di Socrate. La filosofia, cioè “amore per la sapienza”, nasce come ricerca di un principio primo (arché) che spieghi la realtà come appare ai

(nelle isole ionie), Epidamno e Apollonia (sulle coste albanesi), Ambracia (futura capitale dell’Epiro). La posizione della città è infatti particolarmente favorevole: dal golfo di Corinto la via verso lo Ionio a ovest è diretta, mentre verso oriente, sul golfo di Saronico, i porti di Cencrea e Lecheo sono rispettivamente i punti di partenza per l’Egeo e la Magna Grecia. Come narra Tucidide, Corinto è protagonista della prima battaglia navale della storia greca, che la vede soccombere nei confronti della meglio organizzata colonia Corcira. Nel corso degli anni la forma politica della città passa dalla monarchia a un’oligarchia familiare, all’interno della quale viene eletto alla guida della polis un magistrato (pritano) che resta in carica un anno e al quale viene conferito il potere esecutivo. L’oligarchia viene abbattuta da Cìpselo, che nel 657 diviene tiranno della città. Sotto di lui, e ancor più sotto il figlio Periandro, al trono dal 627 a.C., la città vede il suo periodo di massimo splendore. In particolare si ritiene che il tempio di Apollo, in stile dorico, sia stato preso come esempio da Ictino per la realizzazione del Partenone.

nostri occhi, senza ricorrere a interventi soprannaturali o divini. È l’affermazione della razionalità umana, o per lo meno il suo tentativo di prevalere nei confronti della superstizione e della paura dell’ignoto. Sono proprio lo studio dei meccanismi secondo i quali avviene la conoscenza (gnoseologia), l’analisi del comportamento umano (etica) e la ricerca del significato di ciò che esiste (ontologia), svincolati dalla religione, che legittimano la filosofia come una disciplina autonoma e indipendente. I semi gettati dal pensiero greco germoglieranno rapidamente. 44

domandò chi fosse l’uomo più felice sulla terra. Il giurista ateniese rispose che era Tello di Atene, un uomo semplice, con una famiglia numerosa e prospera, che ebbe l’onore di morire da eroe in battaglia per difendere la propria patria.

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SOLONE: UN TENTATIVO DI MEDIAZIONE Le leggi di Dracone sulla proprietà privata, i debiti, i delitti di sangue sono indice di una profonda crisi sociale ed economica che investe Atene alla fine del VII secolo a.C. In particolare la popolazione rurale si trova sempre più sottomessa allo strapotere degli aristocratici, che iniziano a temere che il malcontento popolare faccia precipitare la situazione. Inoltre non si sono ancora placati del tutto gli animi dopo il massacro dei seguaci di Cilene (639 a.C.) e il conseguente esilio degli Alcmeonidi. Ad Atene, come narra Plutarco, si contrappongono tre fazioni: i pediei (possidenti dei terreni tra Atene ed Eleusi) che ovviamente sostengono l’oligarchia, i diacrii (provenienti dalle regioni montuose dell’Attica) favorevoli a un regime democratico, i paralii (cittadini delle coste) che tendono a una soluzione di compromesso fra gli altri due contendenti. Nel 594 il giurista Solone (640-560 a.C.) viene nominato arconte con poteri straordinari per elaborare una soluzione che ristabilisca una certa tranquillità sociale. Solone, aristocratico, vanta una discendenza addirittura da Codro, il mitico re ate-

niese che si era sacrificato per il bene della città circa cinque secoli prima. Non è però un uomo ricco, e ha simpatie per la fazione democratica: il padre Essecestide (o, secondo altri, Euforione) ha dissipato i beni di famiglia per generosità, e quindi Solone, pur essendo uomo di cultura (si narra che sia in stretti rapporti di amicizia con il filosofo Talete e con il futuro tiranno Pisistrato), si dedica sin da giovane al commercio, con un certo successo. È anche appassionato di poesia, e si è già distinto per un’elegia declamata in pubblico, nella quale si lancia in un appassionato appello agli Ateniesi perché riprendano il possesso dell’isola di Salamina, in mano ai Megaresi. Sotto la sua guida, l’impresa va a buon fine, e il prestigio di Solone si accresce. Nei suoi carmi, inoltre, enuncia in maniera chiara quale sia la sua posizione nei confronti delle ricchezze: «Certo, amo la ricchezza, ma non ottenendola in modo disonesto: prima o poi la Giustizia arriva». Solone si presenta quindi come la persona più adatta per moderare gli animi e trovare soluzioni che risultino accettabili dalle varie fazioni. A chi gli chiede se le sue leggi siano le migliori possibili, risponde: «Sono le migliori che potevano essere accettate».

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NUOVE LEGGI AD ATENE Tipica in questo senso la soluzione che Solone trova per risolvere il problema dei debiti: rifiuta sia la richiesta aristocratica di inasprire le pene per chi doveva del denaro, sia la richiesta popolare di ridistribuire tutte le terre confiscate, ma introduce la seisachtheia. Il termine, che significa “alleggerimento dei pesi”, indica un provvedimento retroattivo che cancella gli interessi sui debiti privati e pubblici già contratti (una sorta di condono), e stabilisce che per i nuovi debiti, in ogni caso, non si possa ridurre in schiavitù il debitore. È il primo passo per un principio fondamentale del diritto, che stabilisce la tutela della libertà personale. Dal punto di vista della valuta, varia il rapporto tra le dracme e le mine. Se prima, con una mina d’argento (circa 436 46

grammi) si coniavano 73 dracme, ora se ne coniano 100. In questo modo il credito viene ridotto come potere di acquisto. Solone opera anche una radicale riforma del sistema di pesi e misure, uniformandolo a quello euboico, più diffuso. Sul piano del diritto di famiglia e del matrimonio, stabilisce la possibilità per la moglie di sposare un parente del marito in caso di impotenza di quest’ultimo (simile al biblico levirato, che però si applicava in caso di vedovanza), in modo da mantenere in ogni caso una discendenza per la stirpe; abolisce l’obbligo della dote, in modo da limitare i matrimoni di interesse. Mantiene la non punibilità in caso di uccisione dell’amante della moglie, ma solo se colto in flagranza di adulterio. Introduce poi una multa in caso di stupro (eliminando così possibili faide e vendette personali). Al figlio, anche

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Aiace Oileo prende con la violenza Cassandra sull’altare, vaso attico, V secolo a.C. (Parigi, Museo del Louvre). Spregiatore degli dèi, durante la presa di Troia il principe della Locride non esitò a violentare la profetessa Cassandra nei pressi dell’altare di

Atena. Cassandra cercò di resistere aggrappandosi al simulacro della vergine Pallade Atena, ma Aiace trascinò via la ragazza facendo cadere anche la statua. Per questo motivo Atena punì tutti i combattenti greci ostacolando il loro ritorno in patria.

Coppa attica a figure rosse che mostra un momento di intimità fra un adulto e il suo giovane eromeno (“l’amato”), 470 a.C. (Oxford, Ashmolean Museum). La pederastia greca era considerata una forma di educazione e veniva largamente praticata.

Tetradracma ateniese con l’effigie di Atena su un lato e la civetta, sacra alla dea, sull’altro, V secolo a.C.

illegittimo, concede il diritto di non mantenere il padre se egli non gli ha insegnato un mestiere. Regolamenta anche la pederastia, cioè quel rapporto omosessuale a sfondo educativo che lega un uomo adulto a uno più giovane (l’eromeno), in modo da prevenire eventuali abusi. Sul piano economico, proibisce, pena una multa, l’esportazione dei prodotti agricoli (tranne l’olio) che così restano a disposizione dei più poveri. Inoltre stabilisce precise norme sulla distanza fra albero e albero in un frutteto, fra alveare e alveare o fra i solchi o le buche in un terreno. In materia di eredità e successione, permette a un cittadino senza figli e in salute di fare testamento in favore degli amici più stretti. Una novità è l’introduzione del reato di diffamazione di una persona defunta e, nel caso di una persona vivente, il sanzionamento in maniera particolare se commesso nei pressi di templi ed edifici pubblici: tre parti della multa vanno alla persona offesa e due allo Stato. Infine, sul piano del diritto di cittadinanza, stabilisce che esso possa essere concesso soltanto a chi sia stato esiliato in modo perpetuo dalla propria patria oppure sia arrivato ad Atene per fare un mestiere.

LA NUOVA COSTITUZIONE AD ATENE Ma l’aspetto forse più rivoluzionario delle innovazioni di Solone riguarda l’assetto istituzionale della polis di Atene. Al momento della sua nomina ad arconte, ad Atene il potere è formalmente detenuto dalla Boulé dei Quattrocento, con compiti legislativi, e dall’Areopago, massimo organo dello Stato, formato dagli ex arconti, membri a vita. La Boulé è composta da 100 membri per ciascun ghene (opleti, argadei, geleonti ed egicorei). Immutata rimane la carica dell’arcontato, con i nove magistrati istituiti una novantina di anni prima. Solone muta radicalmente il principio di composizione della Boulé, riformandolo in senso timocratico: lo basa cioè non più su diritti di sangue e di nascita, ma sul censo. L’intento è quello di rompere una situazione cristallizzata e di far sì che i diritti politici possano essere estesi ad altri cittadini.

Le quattro nuove classi sono i pentacosiomedimni, cioè coloro che ricavano almeno 500 medimni di cereali, olio o vino dalle loro coltivazioni ogni anno (vale a dire 1000 anfore, pari a circa 26.000 litri totali), o l’equivalente in denaro; i cavalieri (hippeis), il cui reddito è di 300 medimni o sono in grado di mantenere un cavallo; gli zeugiti, che ricavano 200 medimni o possono mantenere una coppia di buoi e un aratro; i teti, con un reddito inferiore o nullatenenti. Inutile dire che questa ultima classe – che è esentata dall’obbligo del servizio militare – costituisce la maggioranza. Tutte le classi hanno diritto di voto, ma solo le prime due possono essere elette alle massime cariche dello Stato. I tributi sono progressivi, graduati a seconda del reddito. I teti ne sono esentati. La grande novità di questa riforma sta nella possibilità, per i rappresentanti di qualunque classe, di ambire alla scalata sociale e teoricamente “salire di grado”.

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Eufronio, kylix attica a figure rosse che mostra un cavaliere ateniese, VI secolo a.C. (Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen).

Inedita anche l’istituzione dell’Ekklesia, un’assemblea popolare che ha solo la facoltà di approvare o dissentire sulle decisioni prese dalla Boulé. Il giudizio popolare si risolve in un’acclamazione o in una protesta di migliaia di persone riunite sulla collina della Pnice, a ovest dell’Acropoli. Non si tratta quindi di una vera e propria votazione, ma di una consultazione generica, che serve a “tastare il polso” sul gradimento delle decisioni della Boulé: qualcosa a metà strada fra un referendum e un sondaggio. La partecipazione all’Ekklesia è aperta a tutti i cittadini maschi che abbiano superato i 18 anni (quindi anche alle classi più elevate): questo presuppone che esista una forma di anagrafe, o per lo meno di censimento, dei quali però si ha conferma storica solo in anni successivi. I privilegi dell’Ekklesia sono quelli di esprimere parere sulla scelta degli arconti, in materia di pace e di guerra, e sulle leggi proposte dalla Boulé. L’Ekklesia non è quindi una vera e propria forma di democrazia diretta, ma, statisticamente, il fatto che la componente popolare sia di gran lunga superiore dal punto di vista numerico, costituisce un importante strumento istituzionale per frenare un’eventuale strapotere della Boulé.

GLI OPLITI Gli opliti costituiscono la spina dorsale dell’esercito spartano: guerrieri di fanteria pesante, sono caratterizzati dal grande scudo rotondo di bronzo (hoplon) e da un’armatura di difesa relativamente semplice, costituita da una corazza a protezione del torace in bronzo (thorax) o in lana e cuoio (linothorax) e da schinieri a protezione delle tibie, o della sola gamba destra. L’elmo (kranos) copre tutto il capo e praticamente tutto il volto.

Per questo ne esistono anche versioni più leggere, che permettono una migliore visuale. Come armi di offesa l’oplita può contare su una lunga lancia (dory), una corta e appuntita spada in ferro (xiphos), anche se non di rado sono usati altri tipi di lama, come la makhaira, una specie di sciabola usata più che altro in cavalleria oppure il kopis, un lungo coltello curvo usato anche per la macellazione degli animali. La falange oplitica si presenta come una muraglia compatta 48

A Solone si attribuisce, seppur con qualche incertezza, l’istituzione dell’Eliea, il più alto tribunale popolare, del quale fanno parte i cittadini con più di trent’anni scelti per sorteggio con un mandato annuale. Le competenze dell’Eliea si limitano ai reati che non comportano fatti di sangue. Compiuto il proprio mandato, Solone si ritira dalla vita politica attiva e compie un lungo viaggio che lo porta, tra l’altro a incontrare il ricchissimo re di Lidia, Creso. Al suo ritorno in patria, Solone trova la polis alle soglie di una guerra civile. Nonostante le riforme di Solone costituiscano un punto fondamentale nella storia del diritto per quanto riguarda il nuovo assetto istituzionale, nell’intento di accontentare tutti creano uno scontento generale che, di lì a poco, porta solo a disordini e, in breve, all’anarchia.

di scudi, dalla quale sporgono le lance: un’unità impenetrabile di soldati professionisti, in grado di schiacciare il nemico anche sfruttando alcune tattiche psicologiche. L’avanzata della falange è accompagnata da flauti, che svolgono una funzione simile a quella delle cornamuse dei guerrieri scozzesi dei secoli successivi. Gli scudi presentano insegne e volti minacciosi. Dall’elmo, ornato di crini di cavallo, fuoriescono barba e baffi che, dai tempi di Licurgo, è racco-

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mandato agli opliti di non tagliare. Lo scopo è di far sì che i guerrieri presentino tratti bestiali e animaleschi, di certo accentuati dalla proibizione di lavarsi più di tre volte l’anno. Per l’oplita, evitare la battaglia, fuggire o, ancor peggio, arrendersi non è un’opzione: il saluto che i soldati ricevono al momento di prepararsi per lo scontro è «con lo scudo (cioè vittoriosi e con l’armatura intatta) o sopra lo scudo (cioè morti, riportati dai compagni)».

Olpe Chigi, recipiente da vino di fattura corinzia, rinvenuto nel 1882 a Veio, che mostra lo scontro fra due falangi oplitiche, metà del VII secolo a.C. (Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia).

LA PRIMA GUERRA SACRA Mentre Atene si riorganizza in base alle riforme di Solone, si accende una guerra fra l’Anfizionia delfica e le città di Cirra (porto sul golfo di Corinto) e Crisso (l’Acropoli, a due ore di cammino da Delfi). Le anfizionìe sono leghe sacre che si intrecciano fra città vicine, accomunate dal culto di una divinità associata a un particolare santuario. Lo scopo di queste leghe, oltre che religioso, è economico: le offerte raccolte nel santuario, infatti, servono a finanziare le cerimonie religiose e i giochi sacri in onore della divinità. In particolare l’Anfizionia delfica – secondo tradizione fondata all’indomani della guerra di Troia – si occupa dei territori legati ai templi di Apollo a Delfi e di Demetra ad Antela, vicino alle Termopili. È la più potente delle anfizionìe, dato che riunisce Dori di Sparta, Ioni di Atene, Achei di Ftia, Locresi della Locride Opunzia e Ozolia, Magnesii, Eniani (o Etei), Beoti di Tebe, Dolopi, Maliani, Perrebi, Focesi, Pizii di Delfi e Tessali. Tra i dodici membri esiste un accordo che oggi definiremmo di “fair play”, nel senso che le singole poleis non stringono reali accordi di pace, anzi, possono anche entrare

in guerra fra loro, ma in caso di conflitto si impegnano a non distruggere del tutto la città sconfitta e a non tagliarne in nessun caso le risorse idriche. Questi due dettagli si rivelano determinanti per comprendere la strategia bellica dell’epoca. L’intento militare dell’Anfizionia delfica si esplica in tutta la sua potenza quando le città di Cirra e Crisso, sulla direttrice principale del cammino dei pellegrini verso Delfi, iniziano a espandersi verso le zone sacre del santuario e a imporre tributi per il passaggio, fino a giungere a reali atti intimidatori e di rapina. Sentito il parere dell’oracolo, nel 592 a.C. i membri della lega decidono di muovere guerra e porre fine ai soprusi. Dietro questa decisione c’è la secolare rivalità fra Tessali e Focesi per il controllo della regione e dei porti sui golfo di Corinto. Gli scontri – portati avanti soprattutto dai Tessali di Euriloco, con l’appoggio degli Ateniesi e dei Sicioni – si protraggono per dieci anni, fino a quando Cirra e la vicina Crisa vengono poste sotto assedio. Deviato il fiume Plisto, che rifornisce gli abitanti, o, secondo altri, avvelenatene le acque con l’elleboro, una pianta dai devastanti effetti lassativi, le città cadono e nel 582 a.C. vengono distrutte.

Pare che la tattica dell’avvelenamento sia suggerita addirittura da Solone, anche se l’ipotesi della deviazione del corso d’acqua pare la più probabile, dato che ancor oggi ciò che resta del letto del fiume è chiamato Xeropotamo (fiume secco).

ATENE: DAGLI ARCONTI ALL’ANARCHIA

A partire 590 a.C. Atene cade nell’anarchia (da an-arché= mancanza di una guida): non si riesce a trovare un accordo per scegliere gli arconti, tanto che in sette anni vengono eletti solo quattro volte; la situazione critica sembra precipitare quando Damasia, il cui mandato annuale doveva scadere nel 581 a.C., si rifiuta di lasciare il potere. Cacciato Damasia nel 582 a.C., l’arcontato viene coperto da un governo provvisorio di dieci uomini, che ha però vita breve. Dopo alterni periodi di sedi vacanti, infatti, nel 561  a.C., sotto l’arconte eponimo Comea, sulla scena politica irrompe la figura di Pisistrato (600 a.C.-527 a.C.), protagonista della storia ateniese, assieme ai figli Ippia e Ipparco, per mezzo secolo. 50

PISISTRATO PADRONE DI ATENE Pisistrato è nativo del demo ateniese di Filade, e ha legami di parentela con Solone (del quale probabilmente è anche eromeno). Giovane e intraprendente, si distingue come arconte polemarco nel conflitto tra Atene e Megara, riuscendo nella riconquista di Salamina, tanto caldeggiata da Solone, e del porto di Nisea, sul lato orientale dell’istmo di Corinto (565 a.C.). I successi militari fanno di Pisistrato una personalità di spicco nella polis ateniese, particolarmente gradita alla fazione popolare dei diacrii, abitanti delle regioni collinari e montuose dell’Attica avversi ai pediei, proprietari terrieri, e ai paralii, che vivono sulla costa. I diacrii sono infatti la fascia di popolazione più svantaggiata dalle riforme di Solone, non avendo ottenuto la ridistribuzione delle terre sulla quale contavano. Inoltre, Pisistrato gode di un patrimonio personale frutto di alcune miniere di oro e argento in Tracia. Pisistrato si rivela subito politico astuto e abile nel saper catturare le simpatie della folla: si presenta in pubblico ferito, sostenendo di essere stato aggredito dai suoi rivali. Sotto la spinta popolare, allo-

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In basso, Salvator Rosa, Pitagora che torna dall’Oltretomba, olio su tela, 1662 (Forth Worth, Kimbell Art Museum). La figura del filosofo-matematico è a metà strada fra realtà storica e mito.

La partenza dei guerrieri, anfora attica ritrovata a Vulci, VI secolo a.C. (Vulci, Museo Archeologico).

ra, gli viene affidata un guardia del corpo personale di 300 mercenari. È l’occasione che Pisistrato aspetta: adesso ha il favore popolare e una forza armata ai suoi ordini, per di più con l’approvazione pubblica. Con un colpo di mano, quindi, nel 561 a.C. occupa assieme ai suoi fedelissimi l’Acropoli e si proclama tiranno. Il suo “golpe”, dopo un primo, effimero successo, riesce solo a compattare le fazioni dei pediei (capeggiati da Licurgo) e dei paralii (sotto la guida dell’Alcmeonide Megacle, discendente di quel Megacle che aveva fatto trucidare i seguaci di Cilone in un altrettanto sfortunato tentativo di imporre la tirannide ad Atene 78 anni prima). Pisistrato è costretto all’esilio nei suoi possedimenti in Tracia.

IL RITORNO (O I RITORNI) DI PISISTRATO

la strada per il ritorno del tiranno. La trama politica di Pisistrato è ben più solida: i dissidi interni fra le fazioni di Licurgo e Megacle hanno messo quest’ultimo in minoranza. Megacle decide quindi di stringere un patto con Pisistrato (rafforzato dal matrimonio di Pisistrato con sua figlia): la strada verso la seconda tirannide è quindi spianata. L’accordo fra Megacle e Pisistrato non dura a lungo. Pisistrato ha già figli dal primo matrimonio (e altri da una concubina), e non intende proseguire la propria discendenza con una prole “contaminata” dalla sacrilega stirpe degli Alcmeonidi. Megacle conta invece proprio su un nipote per riprendere il potere ad Atene in maniera relativamente legittima. L’alleanza fra i due è rotta, e Pisistrato viene nuovamente cacciato nel 556 a.C.

Per la polis il pericolo non è scongiurato: con un altro stratagemma di spettacolare teatralità, Pisistrato riesce a tornare ad Atene. Secondo Erodoto, l’astuto condottiero fa entrare nella città una bellissima fanciulla, vestita come una dea, e sparge la voce che si tratti di Atena, giunta in città a preparare

PITAGORA Trovare una definizione per Pitagora è impresa ardua. Tutti noi conosciamo il Pitagora matematico, e il suo teorema relativo ai lati del triangolo rettangolo. La sua figura, però, è ammantata da un alone di mistero e leggenda: nato a Samo alla metà del VI secolo a.C., lascia la sua isola natale per contrasti con il tiranno Policrate e si trasferisce a Crotone dove attorno al 530 a.C. fonda una propria scuola, a metà strada fra la filosofia, la medicina

e l’astronomia. Si narra di suoi viaggi in Egitto e a Babilonia, dei quali però non si ha alcuna prova. Considerato l’iniziatore della pratica vegetariana, stabilisce alcune rigide regole di comportamento per i suoi discepoli. Una di queste è il divieto assoluto di mangiare fave, probabilmente dovuto a un’allergia (il favismo) alla quale era soggetto. La sua avversione per questi legumi lo porta verosimilmente alla morte, ma alla morte violenta: inseguito da alcuni sicari che volevano

ucciderlo perché contrari al suo partito aristocratico, si rifiuta di nascondersi in un campo di fave, restando allo scoperto,

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dove viene pugnalato. Un’altra versione lo vede invece spegnersi di morte naturale, in un volontario esilio a Metaponto.

Sotto, mosaico romano che raffigura lo scienziatofilosofo Anassimandro con il suo orologio solare, III secolo d.C. (Treviri, Landesmuseum).

Il teatro di Dioniso Eleutere, ai piedi dell’Acropoli ateniese.

Nicostene, navi da guerra su una coppa attica a figure nere, 530 a.C. circa (Parigi, Museo del Louvre).

Ma il tiranno esiliato non si dà per vinto: stretta una coalizione tra Eretria, Tebe e Nasso, con l’aiuto di alcuni mercenari nel 545 a.C. sbarca a Maratona e sconfigge la resistenza ateniese vicino al tempio di Atena. Pisistrato rientra ad Atene da trionfatore, scaccia definitivamente Megacle e si insedia stabilmente e definitivamente come tiranno, per restare al potere ininterrottamente fino alla morte, nel 528 a.C. Da questa narrazione, che a tratti assume i connotati della leggenda con risvolti al limite dell’inverosimile (tanto che non pochi storici sono propensi a fondere i due “ritorni” di Pisistrato in uno solo), si evince però l’abilità politica dello stratega-tiranno nell’intessere alleanze e nello sfruttare l’entusiasmo popolare, accattivandosi i favori dell’una o dell’altra fazione per instaurare e mantenere un potere dinastico relativamente solido e stabile. Pisistrato è stato dipinto sia come paladino dei diritti del popolo, sia come spregiudicato tessitore di trame ai danni di esso, nemico dell’aristocrazia al potere e allo stesso tempo fermamente risoluto a imporre la propria discendenza alla guida della città.

ANASSIMANDRO: L’OROLOGIO SOLARE Il concetto di scienza, nel mondo greco, è un po’ diverso dal significato che ne diamo oggi. Nella figura del “filosofo naturale” si assommano sia lo studioso delle “cose fisiche”, cioè di tutto ciò che di visibile e tangibile appare a noi, sia il teorico, lo speculatore, il logico. Incarna questa figura di proto-scienziato lo studioso Anassimandro di Mileto (610-546 a.C.), tra i più illustri pensatori che vissero prima di Socrate. A differenza di altri filosofi che

ricercavano il principio primo delle cose in un elemento naturale (l’acqua per il suo maestro Talete, l’aria per Anassimene, il fuoco per Eraclito), Anassimandro pone come arché il più astratto dei princìpi: l’apeiron (“indefinito”), che, come riporta Simplicio di Cilicia, «non è né l’acqua né un altro dei cosiddetti elementi, ma un’altra natura infinita, dalla quale provengono tutti i cieli e i mondi che in essi esistono». Le intuizioni di Anassimandro dal punto di vista scientifico sono di una portata rivoluzionaria al pari di quelle di Galileo: è il primo a 52

concepire una Terra (cilindrica) che si colloca nell’universo senza essere sorretta da niente (o da nessuno); di conseguenza i corpi celesti possono passare anche “sotto” di essa, quindi apparire e scomparire ai nostri occhi, cioè sorgere e tramontare. Le stelle, Sole compreso, sono oggetti dal calore altissimo, «pieni di fuoco». Il mondo di Anassimandro è squisitamente meccanico, totalmente de-mitizzato: i venti sono spostamenti di masse d’aria causate da «particelle più leggere e umide in essa contenute che si muovono ed evaporano

GRECIA ANTICA

sotto l’azione del Sole»; allo stesso modo tuoni e fulmini non sono causati dall’ira degli dèi, ma da improvvise variazioni nella densità dell’aria, e i terremoti sono causati da improvvise crepe che si aprono nelle profondità del suolo causate dall’inaridimento e dall’evaporazione del terreno. Tra gli strumenti creati da Anassimandro va ricordato un accurato orologio solare, cioè una meridiana avanzata che gli permette, per primo, di calcolare con esattezza « le rivoluzioni del Sole, il tempo, le stagioni e gli equinozi».

ATENE SOTTO PISISTRATO A dispetto di una effettiva instabilità e incertezza istituzionale, l’Atene di Pisistrato inizia a godere di un periodo di autentico benessere e splendore che la porterà in capo a pochi anni all’apogeo della cultura greca. Sotto Pisistrato inizia, o per lo meno si intensifica, l’opera di abbellimento dell’Acropoli, grazie anche ai tesori delle miniere del Laurio e del Pangeo. Sono di questo periodo il portico dell’Hecatompedon, un teatro, i templi del Pizio, dell’Olympieion, di Dioniso Eleutereo. Come opere di ingegneria civile, viene migliorato l’approvvigionamento idrico con la fontana dell’Ennacruno. Importantissima l’opera di sostegno della cultura (è grazie alla sua iniziativa che si ha la prima stesura scritta dell’Iliade dell’Odissea) e della religione, con l’istituzione delle feste Panatenee e delle Dionisie. È in questo periodo che inizia a formalizzarsi una delle più grandi innovazioni culturali del mondo greco: il teatro. Ed è proprio con le celebrazioni in onore di Dioniso che le rappresentazioni teatrali cominciano

ad assumere quei canoni che renderanno l’arte teatrale una delle più alte della cultura universale. La città vive un periodo di pace, la flotta si rafforza e si ingrandisce, i commerci prosperano. Le ceramiche ateniesi raggiungono livelli di qualità altissimi, e vengono esportate in gran numero. Viene coniata per la prima volta una moneta in argento. Dal punto di vista dell’amministrazione della polis, mantiene, almeno formalmente, la legislazione e l’assetto istituzionale di Solone, consolidando sotto di sé un potere e un’unità cittadina che da anni manca ad Atene. Certo, la sua influenza sulle elezioni, sulla scelta dei magistrati, sulle decisioni dell’Areopago è determinante. Ma la sua è una tirannide da sovrano illuminato, non da despota sanguinario. Pur consapevole e rispettoso dei bisogni del popolo, non è un democratico, e da aristocratico qual è non mira alla restaurazione di un’oligarchia basata sul ghenos. La confisca dei beni di molti nobili, costretti all’esilio, pone un freno al latifondismo e favorisce i piccoli proprietari. Unica concessione alle riforme,

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Processione di musici, tavoletta dipinta di fattura corinzia, 510 a.C. circa, proveniente da Pitsà, nei pressi di Sicione (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Il capitello dorico, con le sue ampie volute, in un’illustrazione dal volume 18 dell’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean le Rond d’Alembert, 1759.

Il consiglio di guerra del 521 a.C. presieduto dal re persiano Dario, vaso a figure rosse rinvenuto in Apulia (Puglia), 320 a.C. circa (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

LA LEGA PELOPONNESIACA

l’istituzione di una tassa permanente sui prodotti agricoli e l’abrogazione dei tributi stabiliti da Solone in base al censo. Intorno a sé ha una guardia scelta di mercenari che gli assicurano la sicurezza personale, ma lascia che i cittadini continuino a dotarsi di armi, ciascuno secondo le proprie possibilità. In politica estera persegue una politica che, con termine moderno, potremmo definire imperialistica: forte di una flotta potente, controlla le isole dell’Egeo, anche grazie ad accorte alleanze, come quella con Ligdami, tiranno di Nasso, che lo aveva aiutato a tornare al potere ad Atene. Si fa protettore del tempio di Apollo a Delo, nelle Cicladi, ed espande l’influenza ateniese fin sull’Ellesponto, assicurandosi le rotte navali per i commerci di cereali. Altre fondamentali alleanze – o per lo meno accordi di non belligeranza – vengono strette con Tessali e Beoti (storicamente fra loro rivali), con gli Argivi e con i Corinzi. Alla sua morte, Pisistrato consegna il potere ai figli Ippia e Ipparco, dando inizio a una dinastia di tiranni che ha in sé i germi di una svolta politica nella polis ateniese. 54

Mentre Atene sta vivendo il suo periodo di profondi cambiamenti legislativi e istituzionali, Sparta prosegue la sua politica di rafforzamento nel Peloponneso, con il dichiarato intento di sostenere i regimi oligarchici ed estromettere i tiranni. Per questo intesse una serie di alleanze, principalmente in funzione anti-ateniese, stringendo in una lega le poleis di Tegea (liberata dalla minaccia dei Messeni nel 550 a.C.), Mantinea, Corinto (dove la tirannide del cipselide Psammetico viene abbattuta), Sicione (eliminando gli Ortagoridi nel 510 a.C.), Fliunte, Megara ed Elide. Questa lega, detta peloponnesiaca, ha caratteristiche particolari: è essenzialmente un’alleanza militare (symmachia, da syn-machein= combattere insieme), in cui ciascuna polis mantiene l’autonomia ma si impegna a seguire il comando di Sparta in caso di guerra; nessun tributo né atto di sudditanza è quindi dovuto dai vari membri nei confronti di Sparta. In pratica tutto il Peloponneso, tranne Argo, è soggetto al volere dei lacedemoni. Sparta, mantenendo così un ruolo egemone, conferma il proprio potere e sotto Cleomene I (sovrano dal 521 al 488 a.C.) intraprende una dinamica politica espansionistica e di tentativo di controllo non solo di tutto il Peloponneso, ma anche nelle colonie della Magna Grecia. Sconfitta più volte Argo (determinate è la battaglia di Sepia del 494 a.C.), Cleomene ha un ruolo chiave nel nuovo assetto politico di Atene, prima cacciando il tiranno Ippia, figlio di Pisistrato, nel 510 a.C., e poi, paradossalmente, cercando di riportarlo al potere nel 500 a.C. (ma ricevendo la netta opposizione di Corinto).

I PERSIANI ALLE PORTE Sullo scacchiere orientale, intanto, si va espandendo e consolidando uno dei più grandi imperi della storia, quello persiano. Nella zona dell’attuale altopiano iranico, dagli inizi del I millennio a.C. si sono stanziate popolazioni indoeuropee che nel tempo si identificano come Medi (Madai) e Persiani (Parsu) e, sovrapponendosi ai Babilonesi, nel 612 a.C. abbattono l’impero degli Assiri. Con una consuetudine comune al mondo greco, l’etimologia del nome “Persiani” viene legata a una mitica origine da Perse, figlio di Perseo, che a sua volta

GRECIA ANTICA

sarebbe nato dagli amori fra Zeus e Danae, figlia di Acrisio, re di Argo. La prima genealogia plausibile risale al 668 a.C., con il re Achemene (in persiano antico Haxamanis, cioè il Saggio), considerato capostipite della stirpe poi chiamata, appunto, Achemeidi. All’epoca, Achemene è vassallo dei Medi, ma nel giro di un paio di generazioni, con Ciro I (Koroush), gli Achemenidi prendono possesso della capitale assira Ninive e con Ciro II il Grande (559-530 a.C.) in una decina di anni controllano un territorio che va dall’Indo a est fino alla Palestina e all’Anatolia a ovest. L’impero di Ciro il Grande è quindi bagnato dal Mediterraneo, dal Mar Nero, dal Caspio, dal golfo Arabico e dall’Oceano Indiano. Il figlio Cambise II (530-522 a.C.) conquista Egitto e parte del Nordafrica, fino

all’attuale Cirenaica. Alla morte di Cambise si apre una lotta per il potere che vede il fratello del sovrano Bardiya, legittimo erede, circuito e assassinato dal gran sacerdote Gaumata, che vantava delle pretese avendo sposato Atossa, figlia di Ciro II. Sfruttando una forte somiglianza fisica con Bardiya, infatti, Gaumata ne prende gradualmente il posto, fino ad avvelenarlo e a vestirne a tutti gli effetti i panni con un’autentica sostituzione di persona. Il nobile Dario (Darayavaush), ufficiale degli Immortali, l’invincibile guardia imperiale persiana, scoperto l’inganno depone l’usurpatore e sposa Atossa. Il trono di Dario, in qualche modo dinasticamente legittimato, ha però bisogno di essere reso saldo: Dario decide così di farsi chiamare Gran Re, o Re dei Re, e suddivide l’immenso impero in province chiamate satrapìe, rette da un governato-

DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

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Armodio e Aristogitone (o i Tirannicidi), copia romana in marmo del II secolo da un originale greco in bronzo (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

re (sàtrapo), che, con una ben organizzata rete di funzionari, costituiscono “gli occhi e le orecchie del re”. L’impero persiano, quindi, non è fortemente centralizzato: non ha nemmeno una capitale stabile, che si sposta infatti tra Persepoli, Susa, Ecbatana, a seconda di dove si trovano il sovrano e la sua corte. L’identificazione del regno con il sovrano è pressoché totale: l’impero persiano non è solo un territorio, ma si incarna nella figura del re. Ma per amministrarlo, è necessaria un’organizzazione capillare anche logistica: per questo viene potenziato il sistema di strade e vie di comunicazione. La più importante di queste è la via regia, che unisce Susa, a poca distanza dall’estuario del Tigre e dell’Eufrate sul Golfo Persico, a Sardi, in prossimità delle coste della Ionia. È un tragitto di 2700 km che i messi dell’imperatore riescono a percorrere in nove giorni: secondo Erodoto «non c’è niente al mondo che viaggi più velocemente dei corrieri Persiani». Questa facilità di spostare truppe, ottenere informazioni e controllare il territorio consente all’impero di Dario di estendersi fino in Tracia e, almeno momentaneamente, oltre il Danubio. Inoltre la presenza persiana si consolida in Anatolia e in particolare nelle isole della Ionia, che vengono oppresse da tributi sempre più pesanti. Ormai il mondo greco non può più ignorare la minaccia persiana.

IPPIA E IPPARCO: I PISISTRATIDI Ad Atene, Ippia e il fratello minore Ipparco sono gli eredi designati da Pisistrato alla guida della polis. Ippia – secondo lo storico Tucidide – ha un ruolo più influente del fratello nella gestione del potere. Il più anziano dei Lisistratidi (così come sono chiamati i due fratelli) segue le orme del padre, con una politica espansionistica nel Chersoneso Tracico. La colonia ateniese, con la morte del suo ecista Milziade il Vecchio nel 520, rischia di essere perduta: per questo invia nella regione Milziade il Giovane, figlio di Cimone. Mossa doppiamente accorta, perché, oltre a ristabilire il possesso del territorio, toglie dallo scenario politico ateniese un rivale potenzialmente molto agguerrito. Sempre per mantenere saldo il potere, rafforza l’alleanza con i Persiani, tanto da dare in sposa una delle figlie ad 56

Aiantide, figlio del tiranno di Lampsaco, tirannide di una delle zone dei Dardanelli sotto l’influenza di Dario il Grande di Persia. Ipparco è probabilmente il più colto fra i due fratelli, ma con minore propensione alle vita politica. Il suo ruolo è più quello di mecenate e protettore delle arti. Anacreonte e Simonide di Ceo, tra i più ammirati poeti del tempo, vivono alla sua corte, e a lui si deve anche la realizzazione di una delle prime biblioteche dell’antichità. Commette però l’errore di iniziare una non limpida relazione con l’aristocratico Armodio che l’uccide, con la complicità di Aristogitone, nel 514 a.C. L’omicidio di Ipparco è mosso da questioni private, ma non è escluso che sia parte di un più articolato piano sovversivo, che prevede anche l’eliminazione di Ippia e il rovesciamento della tirannide. I cosiddetti tirannicidi Armodio e Aristogitone verranno presi in futuro a simbolo della ribellione contro l’oppressione, e conseguentemente l’operato dei Pisistratidi è dipinto con tinte più fosche di quanto probabilmente non lo fosse in realtà. La morte di Ipparco è un duro colpo, sia personale che politico, per Ippia, che inizia a diffidare anche dei suoi più stretti collaboratori. Inoltre, Atene perde il controllo delle miniere del Pangeo, ora sotto l’influenza persiana.

GRECIA ANTICA

Elmo corinzio in bronzo, VI secolo a.C. (Olimpia, Museo Archeologico). Protezioni di questo tipo riparavano dai colpi ma, oltre a essere pesanti, diminuivano la visuale e rendevano la respirazione piuttosto difficoltosa.

Sotto, Antonio Canova, Pindaro, tempera, 1799 (Possagno, Gipsoteca e Museo Antonio Canova).

Della debolezza di Atene approfitta Sparta, che nel 511 a.C. muove guerra a Ippia alla guida di re Cleomene I. Dopo la prima, momentanea sconfitta, Cleomene si rivale l’anno successivo contando sull’appoggio della fazione ateniese degli Alcmeonidi e depone Ippia cacciandolo dalla città; il tiranno fugge nei suoi possedimenti a Sigeo, nell’Ellesponto, dove trova la protezione dei Persiani. Ad Atene, dove si insedia Clistene, è attivo un partito filopersiano, e su questa alleanza interna conta Ippia per tornare al potere. Prende quindi parte al fianco dei Persiani alla campagna militare del 490, e sceglie per lo scontro determinante Maratona, ripercorrendo il tragitto compiuto dal padre nel 545 a.C. Ma questa volta la storia segue un altro corso.

CLISTENE E ATENE Ad Atene, eliminata la tirannide di Ippia, la situazione è tutt’altro che pacificata. I grandi turbamenti seguiti alle varie riforme istituzionali e sociali da una parte danno forza alla fazione popolare, e dall’altra aumentano il desiderio di rivalsa delle varie fazioni aristocratiche, che vedono il proprio potere sempre più minacciato. In particolare gli Alcmeonidi, che portano ancora il bollo dell’infamia per l’empietà com-

ARTE ORATORIA E RETORICA: PINDARO La cultura greca è probabilmente la prima a fare della parola, del ragionamento e della persuasione una vera e propria arte. La retorica e l’oratoria, armi fondamentali tanto in politica quanto in diplomazia (per non parlare delle aule dei tribunali), si fondono spesso con la poesia e con il canto fino a raggiungere livelli ineguagliati. Un esponente fra i più illustri

della lirica corale greca è Pindaro (Cinocefale, 518 a.C. circa -Argo, 438 a.C. circa). L’opera di Pindaro è fondamentalmente al servizio dell’aristocrazia e dei personaggi illustri che lo ospitano: è infatti un poeta itinerante, che si muove di città in città e sosta in varie corti celebrando per esempio una vittoria o un personaggio celebre. Lo schema dei suoi componimenti è abbastanza consolidato: all’esaltazione del vincitore segue la narrazione di

messa ai tempi del fallito colpo di Stato di Cilone, vogliono ristabilire saldamente il proprio ruolo nell’amministrazione della città. Alla famiglia degli Alcmeonidi appartiene anche Cilone, arconte eponimo nel 525-524 a.C. e poi esiliato da Ippia. Clistene ha un ruolo determinante, assieme a Isagora, nella definitiva cacciata del pisistratide nel 510 a.C. Presto, però il dissenso di base tra Clistene, più propenso ad appoggiare la fazione democratica, e Isagora, rappresentante dell’ala più conservatrice degli aristocratici, sfocia in lotta aperta: forte dell’appoggio spartano di Cleomene, Isagora esilia nuovamente l’“empio Alcmeonide” Clistene e tenta di esautorare la Boulé. Il colpo di mano non riesce, per l’opposizione popolare e di parte dell’aristocrazia, e Clistene può tornare in patria, acclamato come campione dei democratici.

L’ISONOMIA DI CLISTENE Clistene è politico accorto e saggio legislatore: resosi conto che i due assetti istituzionali precedenti, basati sulla stirpe (fino a Dracone) e poi sul censo (Solone), non hanno sortito gli effetti desiderati, elabora una nuova e inedita ripartizione della popolazione, fondata su criteri geografici.

un mito legato alla famiglia o alla patria del protagonista, per poi terminare con una gnome, cioè un commento edificante che prende spunto dall’evento per collocarlo in una più ampia riflessione sul fato degli esseri umani. Autore molto prolifico, è celebre per le sue analogie e metafore, spesso ardite, tanto che è entrata nel linguaggio comune la locuzione “volo pindarico” per indicare un artificio retorico particolarmente complesso e azzardato.

DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

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Scena di pranzo familiare in un bassorilievo ellenistico rinvenuto a Cizico, III secolo a.C. (Istanbul, Museo Archeologico).

Atene viene suddivisa in dieci tribù, ciascuna suddivisa in demi, in modo che ciascuno di essi comprenda a sua volta tre aree (trittie): una fascia costiera, una collinare o montagnosa e una pianeggiante. A rafforzare questa nuova impostazione della società, vengono aboliti i patronimici, legati al nome della stirpe, per sostituirli con il nome del demo di nascita, o di residenza. Ciascuna delle tribù deve fornire un contingente di opliti, alla guida di una stratega, un arconte e 50 rappresentanti per la nuova Boulè di 500 membri, che sostituisce il consiglio dei Quattrocento voluto da Solone. Per il resto, viene confermata la struttura delle leggi proposta da Solone. Il principio informatore fondamentale del nuovo assetto istituzionale di Clistene è l’isonomia, cioè l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: la Boulè dei Cinquecento è formata da tutti gli Ateniesi di almeno vent’anni, inclusi i

meteci (stranieri liberi residenti in città) e gli schiavi affrancati (apeleutheroi). Il criterio di suddivisione della società, secondo Aristotele, riesce a evitare sia il rischio del riproporsi di una tirannide, sia l’eventualità di uno strapotere oligarchico. L’arma più potente contro questi due pericoli è l’ostracismo (da ostrakon= coccio, frammento di vaso), cioè una votazione da parte di almeno 6001 persone – considerata maggioranza qualificata ad Atene – al termine della quale una persona, considerata minaccia per la democrazia, poteva essere allontanata dalla polis per dieci anni, senza però perdere le proprietà. Per ironia della sorte, come riferisce Diodoro Siculo, fra i primi a subire tale provvedimento ci fu proprio Clistene, che venne ostracizzato nel 507 a.C. Nonostante questo, le riforme di Clistene rimangono in vigore ad Atene, e sono la base per i successivi tentativi di ammodernamento da parte di Efialte e Pericle, circa mezzo secolo più tardi.

MANGIARE IN GRECIA La dieta quotidiana di un greco del VI secolo si basa essenzialmente su cereali (in particolare orzo e grano, con i quali si fanno anche zuppe), verdura e frutta (di grande importanza i fichi), oltre ai prodotti derivati dalla vite e dall’olivo. Secondo lo storico egizio Ateneo di Naucrate (II secolo d.C.), esistevano ben 62 varietà di pane, focacce o gallette, alle quali si affiancavano i legumi (non molti, principalmente fave, ceci e lenticchie). Carne e pesce erano consumati solo in occasioni particolari, per lo meno dalla gran massa della popolazione. 58

Ergotimo e Kleita, Lo sbarco della nave di Teseo, dettaglio dal Vaso François, 570-560 a.C. (Firenze, Museo Archeologico Nazionale).

GRECIA ANTICA

DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO (960 A.C.-508 A.C.) circa 960 a.C. circa 891 a.C. 850 a.C. 814 a.C. 800-750 a.C. 776 a.C. 775 a.C. 771 a.C. 754 a.C. 753 a.C. 753 a.C. 740 a.C. 736 a.C. 730-720 a.C. 683 a.C. 670 a.C. 664 a.C. 660 a.C. 654 a.C. 650 a.C. 624 a.C. 621 a.C. 610 a.C. 603 a.C. 600 a.C.

Sviluppo di Sparta. Atene: Diogneto primo arconte a vita. Leggi di Licurgo a Sparta. Fondazione di Cartagine. Migrazione ellenica verso il Nord-Est e l’Ovest. La popolazione greca si distingue in Ioni, Eoli e Dori. Prima Olimpiade: inizia una cronologia certa. Ceramica: inizia lo stile geometrico tardo. Metaponto prima colonia greca sulla costa lucana. Atene: Alcmeone ultimo arconte a vita. Atene: Carope primo arconte decennale. 21 aprile: fondazione di Roma. Prima guerra messenica: Sparta conquista la regione sud-occidentale del Peloponneso. Nasso prima colonia greca in Sicilia. Inizia la composizione dell’Odissea. Atene elegge gli arconti, re in carica per un anno. In Lidia prima coniazione di monete in oro. Tra Corinto e Corcira si combatte la prima battaglia navale. Coloni di Megara fondano Bisanzio. Seconda guerra messenica: Sparta domina il Peloponneso. Stanziamenti fenici a Panormo (Palermo). A Mileto nasce Talete. Atene: leggi di Dracone. Nasce a Mileto Anassimandro. A Mileto, Trasibulo introduce la tirannide. Templi di Selinunte, Posidonia (Paestum) e Metaponto.

594 a.C. 592 a.C. 590 a.C. 588-586 a.C. 586 a.C.

584 a.C. 582 a.C. 580 a.C. 565 a.C. 561 a.C. 560-550 a.C. 549 a.C. 550 a.C. 546 a.C. 540 a.C. 539 a.C. 532 a.C. 528 a.C. 522 a.C. 519 a.C. 513 a.C. 510 a.C. 508 a.C.

DALLA MONARCHIA ALLE CITTÀ-STATO

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Atene: Solone arconte con pieni poteri. La nuova costituzione divide i cittadini in quattro classi. Prima guerra sacra per il controllo del santuario di Delfi, che si conclude dieci anni più tardi. Atene: inizio della costruzione dell’Acropoli. In Atene, contrasti fra gli arconti: anarchia. Nabucodonosor II distrugge Gerusalemme e deporta gli Ebrei a Babilonia. Ad Atene sono eletti dieci arconti. Giochi pitici di Delfi in onore di Apollo. Guerra di Atene contro Megara. Istituiti i Giochi panatenaici ogni quattro anni. Atene: Pisistrato al potere con un colpo di mano. Esiliato, torna nel 556 a.C. e nel 549 a.C. Guerra fra Sparta e Tegea. Atene: ritorno di Pisistrato dopo l’esilio. Sparta: prima Lega Peloponnesiaca con un esercito comune (Argo non aderisce). Creso è sconfitto a Sardi da Ciro re dei Persiani. Atene caccia i Megaresi da Salamina. Ciro a Babilonia: la Mesopotamia diventa persiana. Pitagora fonda la sua scuola. Atene: Ippia e Ipparco succedono a Pisistrato. In Persia, Dario si fa proclamare Re dei Re. Atene e Platea si alleano per sconfiggere Tebe. Alcmeonidi esiliati dai Pisistratidi tentano con Sparta di tornare ad Atene. Atene: Spartani e Alcmeonidi guidati da Clistene cacciano Ippia. Atene: riforme democratiche di Clistene. Si forma un consiglio di 500 membri (Boulé).

La minaccia persiana

Nelle pagine precedenti, arciere persiano, ceramica a figure nere, V secolo a.C. (Parigi, Museo del Louvre).

Nella carta, il percorso seguito dal re persiano Dario per attaccare la Grecia nel 490 a.C.

TO PON LES L E

TRACIA

MACEDONIA Lemno

MAR EGEO

TESSAGLIA

Corfù

Bassorilievo che mostra un’udienza del sovrano persiano Dario, V secolo a.C. (Persepoli, Museo Archeologico).

Busto in marmo del condottiero greco Temistocle, copia romana del II secolo da un originale greco (Ostia Antica, Museo Ostiense).

Lesbo

EOLIDE

Sardi

Tebe Corinto Atene

Mileto

PELOPONNESO

Rodi

Sparta

LA RIVOLTA DELLA IONIA L’impero di Dario, il Gran Re persiano, agli inizi del VI secolo a.C. si estende su un territorio di oltre 3 milioni di kmq, che il sovrano governa attraverso i suoi rappresentanti, i satrapi. Può contare su un efficientissimo sistema di controllo e di riscossione di tributi, oltre che di comunicazioni e di informazioni. A mal sopportare questa imposizione sono in particolar modo le isole e le città della Ionia, affacciate sull’Egeo nei pressi della costa dell’attuale Turchia. La prima polis a reagire e a ribellarsi contro le imposizioni persiane è Mileto, nel 499 a.C. La narrazione di Erodoto sul momento scatenante della rivolta è fantastica e romanzesca, ma rende l’idea del clima di sospetto e di intrigo che regna alla corte del Gran Re. Tiranno di Mileto, insediato dai Persiani nel 519 a.C., è Istieo, che per aver ben meritato nelle campagne di Dario contro gli Sciti viene chiamato a Susa come consigliere del sovrano. Il trono di Mileto viene passato così a uno stretto parente e fedelissimo di Istieo, Aristagora. Alla corte di Susa, però, Istieo non trova la situazione che si aspetta e decide di sfruttare il malcontento delle isole della Ionia per far scoppiare una rivolta contro i Persiani ed essere 62

nuovamente inviato in patria per ristabilire l’ordine. Non sa però come comunicare le proprie intenzioni ad Aristagora, perché teme che il suo messaggio venga intercettato. Fa allora tatuare sul capo rasato di uno schiavo il messaggio che incita alla rivolta e attende che i capelli siano ricresciuti prima di inviarlo a Mileto. Una volta giunto a destinazione, lo schiavo – ignaro del contenuto del messaggio – si fa rasare di nuovo il capo da Aristagora, che riceve così l’ordine di scatenare la rivolta. Al di là della veridicità dell’aneddoto, il piano di Istieo funziona e, scoppiati i disordini, Istieo viene inviato in Ionia. Qui con una serie di voltafaccia che lo vedono ora appoggiare i ribelli, ora tentare di impadronirsi di territori per proprio tornaconto personale ai danni dei Persiani, si dà a una sorta di pirateria nella zona del Ponto, fin quando, nel 493 a.C., viene catturato dal satrapo della Lidia, Artaferne, che per mostrare la propria fedeltà a Dario, lo decapita e manda la testa imbalsamata a Susa. Dario, invece, adirato per l’accaduto, la fa seppellire con tutti gli onori. È storicamente accertato che la causa scatenante della ribellione parta da Mileto, e in particolare dal tentativo di Aristagora di creare un proprio dominio personale conquistando Nasso, in maniera indipendente dalla Persia. La ribellione della Ionia si estende in poco tempo in Doride, Eolide, Caria e perfino a Cipro, recente conquista persiana. Nel 498 a.C. i rivoltosi, sostenuti da 25 navi provenienti da Atene ed Eretria, conquistano e devastano Sardi, capitale della Lidia, quartier generale del satrapo Artaferne. Il successo dei ribelli è effimero: già nel viaggio di ritorno sono raggiunti e sopraffatti dai contingenti Persiani a Efeso. Gli scontri proseguono con attacchi e contrattacchi con esito incerto e continui capovolgimenti di fronte in tutta la costa dell’Anatolia fino al 494, quando un attacco congiunto via terra e via mare su Mileto ristabilisce il dominio persiano su tutto il territorio. Anche se l’esito della rivolta è sfavorevole, le insurrezioni dimostrano che, alla sua periferia, l’impero persiano è vulnerabile. E questa è una situazione inaccettabile per Dario, che inizia i preparativi per una spedizione punitiva nei confronti delle città della Grecia, in particolare Atene ed Eretria.

GRECIA ANTICA

L’ASCESA DI TEMISTOCLE Nel 493 a.C. si presenta sulla scena politica ateniese un uomo destinato a mutare le sorti della città, e probabilmente del Mediterraneo intero: Temistocle. Nativo del demo di Frearri, poco sappiamo delle sue origini. È figlio illegittimo: del padre, Neocle, probabilmente non ateniese, non si hanno altre notizie, della madre si suppone che sia una donna della Tracia o di Alicarnasso. Cresciuto a Cinosarge, distretto di Atene popolato da immigrati, fin da piccolo la sua preoccupazione è quella di non farsi considerare uno “straniero”: racconta Plutarco che convince i ragazzi delle famiglie più in vista a esercitarsi e allenarsi con lui proprio in quella zona di periferia, «e questo mostra come astutamente annullasse la differenza che si faceva fra figli legittimi e bastardi». In poche parole, si tratta di quello che i Romani chiameranno “homo novus”, praticamente uno sconosciuto, che però, grazie all’isonomia di Clistene, ha un’opportunità politica prima impensabile. Temistocle entra nel mondo della politica partendo dalla professione di avvocato. È il primo – a quanto si sappia – a percorrere questa strada. Molto abile con la parola, si avvicina alla scuola dei Sofisti, dove affina l’arte della retorica e della persuasione. Inizia così a intessere una rete di amicizie e a rendersi visibile in un’Atene nel turbine di grandi cambiamenti interni. Si trasferisce nel quartiere popolare del Ceramico, cosa che lo avvicina ancor di più al mondo e alle necessità di artigiani, piccoli commercianti, gente comune. La sua è una

autentica opera di propaganda, probabilmente la prima campagna elettorale nel senso moderno del termine. Forte quindi dell’appoggio popolare dal basso, e del rispetto delle classi aristocratiche dall’alto, Temistocle diviene nel 493 a.C. arconte eponimo. La sua prima preoccupazione è quella di proiettare definitivamente Atene verso il mare. Inizia così la costruzione del Pireo, che è ancor oggi uno dei principali porti commerciali del Mediterraneo. Fino ad allora il porto di Atene è il Falero, in una insenatura naturale, a circa un’ora di cammino dall’Acropoli. Il luogo prescelto per il nuovo porto è a una distanza quasi doppia, e in un’area parzialmente paludosa. Ma offre maggior riparo e una superficie molto più ampia per le attività commerciali e le zone destinate alle attività portuali, anche militari. Inoltre, fattore determinate nella strategia di Temistocle, può essere facilmente fortificato. Assieme al porto, Temistocle inizia a potenziare la flotta: ciò significa dare lavoro a un gran numero di teti, la classe meno abbiente della città, tra i quali, in futuro, si sarebbero potuti reclutare rematori, portuali, marinai. I consensi nei confronti di Temistocle tra le fila della fazione popolare non possono che aumentare. Parallelamente, questa politica di espansione verso il mare scontenta i grandi proprietari terrieri, il cui orizzonte economico è, ovviamente, proiettato verso l’interno. Ma, nel frattempo, i Persiani stanno preparando la loro “spedizione punitiva” nei confronti della Grecia.

LA MINACCIA PERSIANA

63

IL TENTATIVO DI MARDONIO

LA PRIMA GUERRA PERSIANA

L’attacco persiano alla Grecia è ben pianificato: nel 492 a.C. Dario invia Mardonio, a capo di un potente esercito e che può contare sull’appoggio di una grande flotta, in Ionia, dove vengono sedati gli ultimi focolai di rivolta e instaurati regimi democratici con la cacciata di tutti i tiranni. Questo riesce a sedare in parte il malcontento della popolazione nei confronti dei Persiani. Le truppe di Mardonio proseguono verso nord, invadono la Tracia ed entrano in Macedonia, dove costringono re Alessandro I alla sottomissione. La flotta, intanto, prosegue l’opera di accerchiamento assoggettando le città della costa, compresa l’isola di Taso. Ma Dario non ha fatto i conti con le tempeste che si possono abbattere furiose sul nord dell’Egeo: sorpresa da un fortunale nei pressi del monte Athos, nella penisola Calcidica, l’intera flotta di trecento navi viene distrutta. Le vittime, secondo Erodoto, sono oltre ventimila. La spedizione punitiva è irrimediabilmente compromessa, e ciò che resta dei contingenti di Mardonio è costretto a far ritorno in patria. L’attacco alla Grecia, però, è solo rinviato. 64

L’offensiva persiana si svolge su due fronti, diplomatico e militare. Per prima cosa convincono – o forse costringono – l’isola di Taso a smantellare le proprie mura difensive e a consegnare la flotta, che viene inviata nella vicina Abdera, sotto il controllo persiano. Parallelamente, impongono alle città della Ionia di costruire un gran numero di navi, adatte anche al trasporto di cavalli. Ambasciatori del Gran Re sono inviati in tutte le poleis greche, chiedendo “terra e acqua”, formula rituale che significava la completa sottomissione in cambio di risparmiare la città dalla distruzione e i cittadini dalla deportazione. Solo Atene e Sparta non accettano, e uccidono barbaramente gli emissari persiani rispettivamente gettandoli da un dirupo e in un pozzo. La situazione è particolarmente intricata: Atene, oltre a temere i Persiani, è particolarmente preoccupata dell’adesione di Egina al patto con i Persiani, temendo – a ragione – che la città possa costituire una testa di ponte per l’attacco di Dario verso Atene. A Sparta, intanto, si acuisce la rivalità fra i due re, Cleomene I (contrario all’alleanza con i Persiani) e Demarato (favorevole alla decisione di

GRECIA ANTICA

Fase finale della battaglia di Maratona, dal rilievo di un sarcofago, II secolo a.C. (Brescia, Museo Civico dell’Età Romana e Tempio Capitolino).

Donato Bramante, Eraclito e Democrito, affresco, 1486 (Milano, Pinacoteca di Brera). I due filosofi sintetizzano nell’espressione dei volti l’essenza del proprio pensiero: Eraclito piange sulla inevitabile caducità

degli eventi umani, travolti dallo scorrere del tempo; Democrito, al contrario, ride della totale casualità delle vicende terrene, che si riducono a un disordinato movimento di atomi nel vuoto.

Egina), che viene dichiarato decaduto con delle false accuse. Il nuovo re Leotichida riesce a trovare una soluzione di compromesso: Egina manderà in ostaggio ad Atene i dieci uomini più importanti della città come garanzia della non belligeranza nei confronti di Atene. L’inganno di Cleomene, però viene scoperto: esiliato, si reca prima in Tessaglia e poi in Arcadia, cercando di convincere le città ad aiutarlo a riprendere il potere a Sparta. Rintracciato dagli Spartani, viene catturato e ucciso, o indotto al suicidio. Il suo posto viene preso dal fratellastro, più giovane di lui ma distintosi per le sue abilità militari. Il suo nome è Leonida.

L’IMPRESA DI MARATONA La momentanea situazione di caos a Sparta rende in pratica Atene priva dell’unico alleato in grado di fronteggiare i Persiani. È il momento adatto per Dario di sferrare il suo attacco: radunato un grande esercito, i Persiani questa volta decidono di non ripercorrere l’itinerario da nord, attraverso la Tracia, ma di muovere direttamente via mare verso Atene. Salpati dalla Cilicia nel 490 a.C. sotto la guida del generale Artaferne e dell’ammiraglio Dati, giungono a Samo e, dopo una tappa a Nasso, che viene devastata come punizione per la ribellione di otto anni prima, approdano alle Cicladi. Qui Dati si dimostra clemente e, dopo aver offerto un sacrificio al

ERACLITO Il pensiero di Eraclito di Efeso (535 a.C.-475 a.C.) è, a giudizio anche dei filosofi antichi, tra i più criptici, ermetici e difficili da comprendere. Socrate sostiene che gli aforismi di Eraclito siano «profondi quanto gli abissi che raggiungono i tuffatori di Delo», mentre Aristotele si limita a definirlo «l’oscuro». I frammenti di Eraclito che ci

rimangono, infatti, hanno – per ammissione dello stesso filosofo – la forma dei responsi dell’oracolo di Delfi, che «non rivela e non nasconde, ma indica». Appartenente a una famiglia di alta e antica nobiltà (tanto da potersi fregiare del titolo di basileus, al quale rinuncia cedendolo al fratello minore), rifugge le ricchezze dedicandosi a una vita au-

tempio di Apollo di Delo, risparmia gli abitanti in cambio di navi e truppe. Proseguendo con questa strategia, la flotta persiana giunge in Eubea, con l’obiettivo di attaccare Eretria. Durante il tragitto, la flotta persiana si è ingigantita grazie alle navi fornite dalle varie isole: il loro numero non è noto con esattezza, ma le stime parlano di un contingente fra le 300 e le 600 imbarcazioni. Dopo un breve assedio, la città si consegna ai nemici, sperando nella magnanimità del Gran Re. Non è così: la città viene rasa al suolo, i templi distrutti e la popolazione deportata a Susa. Del contingente persiano fa parte anche Ippia, il pisistratide in fuga da Atene. L’esercito invasore fa rotta verso l’Attica e, sbarcato nella baia di Maratona, si prepara all’attacco contro Atene. Inutilmente gli Ateniesi chiedono aiuto a Sparta: i lacedemoni rifiutano, adducendo come motivo il periodo delle sacre feste Carnee, durante il quale non è possibile combattere. Per attendere la fine della tregua sacra devono passare ancora due settimane: troppe, con un esercito nemico alle porte.

stera e morigerata, lontano «dall’insaziabilità dei sensi», dimorando in solitudine nel tempio di Artemide della sua città natale. Dal punto di vista filosofico, Eraclito pone l’arché nel fuoco, inteso come costante e mutevole divenire delle cose (panta rei, tutto scorre). Tutta l’esistenza è governata dai contrasti, dalla lotta (polemos) tra opposti: il bene e il male, l’amore

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e l’odio, la fame e la sazietà, la pace e la guerra ecc. Dalla dinamica fra queste opposte forze traggono ragione d’essere le cose terrene e le azioni umane: ciascun elemento della contrapposizione esiste solo in quanto esiste l’altro, ed è proprio dalla compresenza di questi due fattori che nasce l’armonia e la completezza della Natura, il logos indiviso.

COME CI SI VESTE IN GRECIA Le informazioni sul modo di abbigliarsi dei Greci ci arrivano solo dalle opere d’arte e dalle descrizioni letterarie: non abbiamo indumenti completi di epoca antica che possano darci una prova di come fossero effettivamente realizzati gli abiti. Da quanto risulta, si nota una differenza fra l’abbigliamento a Creta in epoca minoica e quello invece più caratteristico e “moderno” del continente. In particolare le donne cretesi – per lo meno dalle testimonianze a noi pervenute – hanno vesti colorate e complesse, ampie gonne

lunghe fino ai piedi e corpetti stretti in vita con abbondanti scollature che a volte lasciano il seno totalmente scoperto. Nel Peloponneso, invece, i costumi paiono più sobri: sostanzialmente non esistono grandi differenze fra gli abiti maschili e femminili, e nemmeno una grande evoluzione nella moda, per lo meno fino all’epoca ellenistica, quando gli influssi orientali rendono gli abiti più elaborati. In epoca classica l’abito delle divinità, o delle persone di un certo rango è il peplo, ampio rettangolo di lana o lino (quest’ultimo proveniente dall’Egitto e quindi più costoso), di colore naturale. In genere in 66

un pezzo unico, viene drappeggiato in vario modo sul corpo, che lascia ampie parti scoperte. Il cotone, importato dall’Oriente, è usato più di rado e dalle classi più agiate, per non parlare della seta, autentico lusso. I tessuti più pregiati sono tinti con la costosissima porpora, di tradizione fenicia. L’abito più comune, anche per la sua praticità nel lavoro o nei combattimenti, è il chitone, una tunica paragonabile a un sacco con l’apertura per la testa, che viene portato corto e senza maniche (chitone dorico o chitoniskos) o più lungo e drappeggiato, a volte con la spalla destra scoper-

GRECIA ANTICA

ta (chitone ionico). Una cintura in vita (zoster) e, per le donne, una sottile fascia sotto il seno consentono di adattarlo alle forme del corpo. Fibbie, spille o lacci completano il tutto. Un mantello (himation) è usato nelle stagioni più fredde e copre anche il capo. Una versione più corta e pratica è la clamide, a volte appoggiata sulla sola spalla sinistra. Ai piedi, sandali in cuoio, spesso con lunghi lacci che avvolgono il polpaccio, e stivali di pelle, a seconda della stagione o del terreno. In genere i Greci usano calzature solo all’aperto: in casa si cammina a piedi nudi.

Da sinistra, Poseidone, Apollo e Artemide, V secolo a.C., dal portico (stoà) di Brauron, in Attica. Il rilievo mostra come gli abiti maschili e femminili differissero ben poco, essendo costituiti

Luc-Olivier Merson, Fidippide annuncia la vittoria dopo la battaglia di Maratona, olio su tela, 1869 (Collezione privata).

essenzialmente da un rettangolo di lana variamente drappeggiato sul corpo e fissato con un fermaglio su una spalla o con una semplice cintura ai fianchi.

Gli Ateniesi, allora decidono di tentare un disperato attacco: nonostante l’appoggio di un drappello di coraggiosi provenienti da Platea, sono in netta inferiorità numerica. È la fine di agosto o l’inizio di settembre del 480 a.C. Milziade, alla guida delle falangi oplitiche ateniesi, si scaglia contro i Persiani. I ranghi compatti dei diecimila soldati greci si rivelano impenetrabili alle frecce e agli assalti di una forza persiana dieci volte più potente, ma male organizzata e che ancora attende l’arrivo della cavalleria. L’esito dello scontro è noto: i Persiani, colti di sorpresa, si ritirano e lasciano la Grecia via mare, lasciando sul campo – come riporta Erodoto – almeno 6400 uomini, molti dei quali annegati nella grande palude a nord del campo di battaglia. Le perdite ateniesi non arrivano a duecento opliti. Altrettanto nota è la leggendaria impresa dell’emerodromo (corriere) Fidippide, che corre senza interruzione i 42 km che separano il campo di battaglia dalla città di Atene per annunciare la vittoria, e poi muore per lo sforzo.

L’IMPORTANZA DELLA VITTORIA La vittoria di Maratona è strategicamente importante per molti motivi. Innanzi tutto, ovviamente, perché dimostra che i Persiani non sono invincibili; anzi, prova che Atene – praticamente da sola – può aver ragione di un avversario incomparabilmente più potente. Inoltre conferma la superiorità della tattica militare di Milziade e la grande coesione della falange oplitica, una fanteria pesante che si rivela un’arma vincente contro avversari molto meno protetti e con armi dalla capacità offensiva limitata. Dal punto di vista della politica interna ateniese, è un successo anche psicologico e una rivalsa contro la fazione pro Achemenidi e il possibile ritorno dei Pisistratidi; si dice infatti che tra i caduti delle schiere persiane ci sia anche Ippia: che ciò sia storicamente vero o meno, ha importanza relativa; il nodo è che questo credono gli Ateniesi. Infine, l’arrivo – ormai fuori tempo massimo e a scontro ormai concluso – di un contingente spartano, che alla vista delle migliaia di corpi dei Persiani non può che constatare la potenza d’urto dell’esercito ateniese, rimette in gioco i rap-

porti fra le varie poleis. Atene non è più una città fra tante, alla ricerca di alleati per far fronte a possibili minacce esterne: è la città che può sconfiggere anche il più minaccioso degli avversari, e, semmai, la potenza alla quale richiedere protezione. L’orgoglio ateniese per la vittoria a Maratona è immenso, come testimoniano, oltre che i numerosi monumenti, anche l’epitaffio che il drammaturgo Eschilo, veterano della battaglia e morto una trentina di anni dopo lo scontro, vuole per la propria tomba: non il ricordo delle le immortali opere da lui scritte ma un semplice, ma assai eloquente «Questo monumento ricopre Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto nella florida Gela. Parlano del suo valore il bosco di Maratona e il Medo dai lunghi capelli, che ben lo conosce». La vittoria di Maratona viene considerata una vera vittoria collettiva della città. Quando Milziade, che si ritiene il principale – e non l’unico – artefice del successo, chiede di essere onorato pubblicamente con una corona di ulivo, riceve in risposta da Sofane, uno dei suoi soldati: «Quando avrai vinto i barbari da solo, solo allora chiedi di avere tu solo gli onori».

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Jean-François Pierre Peyron, I funerali di Milziade, olio su tela, 1872 (Parigi, Museo del Louvre). Colpito da una setticemia per le conseguenze di una ferita a una coscia durante

una spedizione per liberare le isole Cicladi dai Persiani, lo stratega ateniese, eroe di Maratona, muore in disgrazia, imprigionato in un carcere con l’accusa di tradimento.

A fianco, da sinistra a destra, dettagli da ceramiche di fattura ateniese: Epicleto, Arciere che sta prendendo una freccia; Psiax, Arciere persiano suona una tromba, entrambi del V secolo a.C. (Londra, British Museum).

ATENE E SPARTA DOPO LA VITTORIA A rendere in parte amaro il successo, due gravi perdite sul fronte ateniese: il polemarco Callimaco, caduto sul campo, e lo stratega Milziade, morto pochi mesi più tardi per le conseguenze delle ferite durante una campagna militare contro Paro. È inoltre ancora molto vivo il contrasto interno fra chi vorrebbe un’Atene proiettata verso il mare, dal punto di vista commerciale e militare (scenario gradito ai popolari, che vedono opportunità di impiego), e chi invece è legato alla

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terra e all’agricoltura (piccoli e grandi proprietari, interessati a un’economia più tradizionale). Si aprono così aperte rivalità fra i sostenitori di una politica di potenziamento della flotta e di espansione verso il mare (Temistocle) e tra i fautori del rafforzamento di un esercito terrestre (Aristide). In particolare, si tratta di investire i proventi delle miniere d’argento del Laurio, scoperte nel 482 a.C. Dopo molte discussioni, prevale la mozione di Temistocle e Atene si dota così di una flotta di 200 triremi. La sconfitta di Aristide non è solo politica: ostracizzato, nel 482 a.C. deve abbandonare la città.

GRECIA ANTICA

Due ostraka che recano i nomi di Aristide figlio di Lisimaco (poi amnistiato nel 480 a.C.) e del suo avversario Temistocle, del 472 a.C. circa (Atene, Museo dell’Antica Agorà).

Frisso salvato dall’ariete dal vello d’oro Crisomallo, vaso attico a figure rosse del V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Quanto a Sparta, la lotta di potere alla co-reggenza al trono tra Cleomene I e Demarato porta quest’ultimo, cacciato dalla città, ad appoggiare definitivamente la causa persiana rifugiandosi a Susa alla corte di Serse, succeduto al padre Dario morto nel suo trentaseiesimo anno di regno durante i preparativi di una campagna per sedare una rivolta scoppiata in Egitto nel 486 a.C.

LA LEGA PANELLENICA Demarato, comunque, non è legato a un vincolo di fedeltà con i Persiani: prosegue nel suo doppio gioco con il solo intento di tornare al potere a Sparta. L’occasione si presenta nel 481 a.C. quando Serse invia delle ambascerie segrete in tutte le poleis greche, chiedendo la loro alleanza, o comunque la non belligeranza in vista di un imminente secondo attacco ad Atene e Sparta. Demarato ne approfitta per mandare un messaggio nascosto (inciso sul legno di una tavoletta ricoperta di cera usata normalmente per scrivere) alla sua città, avvisando i cittadini dell’imminente nuovo attacco dei Persiani. Le ambascerie di Serse sortiscono l’esito opposto: le principali città greche si riuniscono a Corinto e decidono di fare

fronte comune stringendo un’alleanza anti-persiana (481 a.C.). Questa lega panellenica è tutt’altro che unanime e concorde (comprende solo 70 città su oltre 700, con la defezione di Argo – storica rivale di Sparta – e delle città della Beozia e della Tessaglia), ma rappresenta un momento fondamentale nella storia greca. È infatti la prima volta che compare il termine oi Ellenes cioè “i Greci”, per definire l’insieme dei partecipanti, favorevoli o contrari che siano. Se non si tratta di un sentimento nazionalistico, ben poco ci manca.

L’OSTRACISMO L’ostracismo è una forma di esilio temporaneo (dieci anni) istituita ad Atene da Clistene nel 510 a.C. È un meccanismo democratico per allontanare dalla città personaggi che per varie ragioni risultano “sgraditi”, anche a causa della loro eccessiva popolarità. La prima applicazione documentata di questo provvedimento vede coinvolto l’arconte Ipparco di Carmo (488 a.C.), della famiglia dei Pisistratidi. La procedura prevede che il nome sia inciso su un LA MINACCIA PERSIANA

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frammento di coccio (ostrakon): raggiunta la maggioranza qualificata di 6000 voti da parte di cittadini liberi, il condannato viene allontanato (mantenendo i propri averi, che possono essere amministrati da un fiduciario). La grande mole di ostraka a noi giunti, alcuni dei quali scritti con la medesima calligrafia o con identici errori ortografici, ha fatto pensare che esistessero cocci “precompilati” da distribuire ai votanti, o, data la facilità di esecuzione, che si trattasse di falsi moderni.

Processione di opliti, bassorilievo in marmo alla base di una statua, V secolo a.C. Si distinguono l’ampio scudo circolare e la lunga lancia (dory), arma pesante usata nelle mischie e nel corpo a corpo e non destinata a essere scagliata, come

invece era il giavellotto dei peltasti (Atene, Museo Archeologico Nazionale). L’assenza di altre armi, il lento incedere del carro (tanto che l’oplita centrale ha un piede a terra), fa pensare a una processione funebre e non a una effettiva marcia di combattimento.

GELONE DI SIRACUSA È interessante notare come alla lega aderisca anche Gelone, tiranno di Gela e di Siracusa (volto noto anche nel Peloponneso, dopo aver vinto i giochi panellenici di Olimpia nel 488 a.C. con la sua quadriga), chiedendo addirittura di essere posto alla guida delle operazioni militari contro i Persiani, o per lo meno alla guida della flotta. Gelone, infatti, è in grado di far pendere le sorti di un conflitto dall’una o dall’altra parte, poiché mette a disposizione appena la metà del suo potenziale bellico, che consiste in ben duecento triremi, ventimila opliti, quattromila tra frombolieri e arcieri, un contingente di cavalleria di almeno duemila uomini oltre a un quasi illimitato rifornimento di viveri. La proposta viene respinta con sdegno dagli orgogliosi Ateniesi i quali – come riporta Erodoto – replicano: «Se, noi che siamo Ateniesi, noi che siamo il popolo più antico, noi che – unici fra i Greci – non abbiamo mai lasciato la nostra terra, cedessimo il comando delle navi ad altri, sarebbe inutile che possedessimo la flotta più potente di tutta la Grecia». Gelone non la prende bene, e si ritira del tutto dal fronte sull’Egeo. Il suo contributo alle vicende militari nello scacchiere del Mediterraneo resta comunque determinante. 70

I Cartaginesi, infatti, alleati o comunque co-belligeranti con i Persiani, si dirigono con una imponente flotta verso la Sicilia, sbarcando a Palermo. La minaccia per tutto il mondo di lingua greca è la più grande che si sia mai presentata. È l’estate del 480 a.C., i Persiani sono già alle Termopili: una morsa che stringe da est la penisola balcanica e da ovest la più grande isola della Magna Grecia può rivelarsi fatale. I due eserciti si affrontano a Imera (oggi Termini Imerese, nei pressi di Palermo) e il trionfo di Gelone è schiacciante: i suoi cinquantamila fanti, sostenuti da cinquemila cavalieri, sbaragliano l’esercito cartaginese, uccidono il comandante Amilcare, fanno prigionieri diecimila soldati avversari e si impossessano di ciò che resta della flotta cartaginese, in parte distrutta da una tempesta. Cartagine è costretta a una pace tutto sommato onorevole, con il pagamento di 2000 talenti d’argento, oltre al dono di una corona d’oro per la consorte di Gelone, Damarete, che ha convinto il marito a non contrattaccare e a non dirigersi verso Cartagine. Gelone esce dal conflitto enormemente rafforzato, sia militarmente che come prestigio. Grazie a lui la Sicilia potrà vivere un periodo di pace di oltre 70 anni.

GRECIA ANTICA

Busto in marmo di oplita spartano, tradizionalmente considerato una raffigurazione di Leonida, 480 a.C. (Sparta, Museo Archeologico). La porzione superiore

Sigillo cilindrico achemenide che mostra uno scontro corpo a corpo in cui un fante persiano trafigge un ben più armato guerriero greco, V secolo a.C.

dell’elmo è ricostruita. Da notare la protezione delle guance, sulla quale è incisa una testa di montone, a conferma della capacità offensiva di impatto dei guerrieri lacedemoni.

IL PONTE DI BARCHE E IL CANALE DI SERSE Spostandosi sul fronte orientale, l’esercito di Serse si radunato a Sardi, inizia a muovere verso l’Ellesponto per attaccare il Peloponneso da Nord. I Greci sono tutt’altro che impreparati: il comando supremo delle forze di terra e di mare viene dato a Sparta, mentre Atene fornisce due terzi della flotta. L’esercito persiano, forte di una gran numero di uomini per gli scontri terrestri, è però meno temibile sul mare. La strategia di Temistocle, in particolare, è privare i Persiani del supporto delle navi. Importante è quindi arginare il più possibile l’avanzata del nemico via terra, e trovare il momento propizio per sferrare un attacco massiccio alla flotta.

L’avanzata persiana è quantomeno spettacolare: con un ponte di 674 barche unite fra loro da corde di canapa e papiro l’esercito varca nell’aprile 480 i circa 1200 metri del canale dell’Ellesponto (oggi Dardanelli) e giunge in Tracia. Ma la vera, titanica impresa di ingegneria idraulica è quella del completamento del taglio della Penisola Calcidica con quello che negli anni a venire verrà ricordato come il canale di Serse. Memore del disastro di dieci anni prima, in cui la flotta persiana era stata distrutta da una tempesta nel doppiare il promontorio del monte Athos, Serse decide si scavare un canale che permetta ad almeno due navi affiancate di evitare quelle insidiose acque. Lo scopo dell’opera è più psicologico che di effettiva utilità militare: non si capisce infatti perché, dato che la Penisola Calcidica è composta da tre “dita” che si protendono verso l’Egeo, si voglia evitare di doppiare solo il più orientale del promontori, girando poi attorno agli altri due, che tutto sommato presentano gli stessi rischi di navigazione. I lavori iniziano all’incirca nel 483 a.C., e nella primavera del 480 a.C. la flotta di Serse è in grado di passare attraverso un varco largo circa 25 metri, profondo 15 e lungo 2 km. Di questa immensa opera – per anni considerata frutto della fantasia di Erodoto – sono state trovate tracce alla fine del XX secolo.

LEONIDA Leonida I, diciassettesimo re Agiade di Sparta dal 490 a.C., è tra le figure più celebrate della storia militare di tutti i tempi. Erodoto tiene a riportarne la completa genealogia in una ventina di generazioni, risalendo addirittura a Eracle. Secondogenito di Anassandrida II, non è erede diretto al trono. Si forma pertanto alla dura agoghé spartana, divenendo un valentissimo soldato. Alla morte LA MINACCIA PERSIANA

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del fratellastro Cleomene sale al potere, sposandone la figlia Gorgo. Leonida si considera però degno della corona non per diritto di sangue, ma per valore sul campo. Narra Plutarco che quando a Leonida, accusato di eccessivo protagonismo, fu ricordato di non essere superiore agli altri Spartani, tranne che per il fatto di essere re, il futuro eroe delle Termopili rispose: «Se non fossi il migliore, non sarei re».

Dettaglio del cosiddetto rilievo Lenormant, che raffigura i rematori di una trireme greca, V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale). Il frammento in marmo è stato scoperto dall’archeologo francese Charles Lenormant nel 1852.

Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, olio su tela, 1814 (Parigi, Museo del Louvre).

LA SECONDA GUERRA PERSIANA In un primo tempo i Greci decidono di stabilire la propria linea di difesa nella valle di Tempe, in Tessaglia, che è considerato l’unico accesso alla Grecia da Nord, ma, consigliati dal re macedone Alessandro I (da quel momento chiamato il Filelleno, cioè amico dei Greci) decidono di spostare la linea di difesa più a sud al passo delle Termopili. Alessandro I, avo di Alessandro Magno, dimostra una intelligenza militare e una lungimiranza tattica non comune. Già sottomesso con la forza da Mardonio nella prima spedizione persiana del 492 a.C., da tempo medita vendetta. Finge quindi di rimanere agli ordini generale persiano Mardonio, fornendo addirittura delle truppe, che hanno però l’ordine segreto di rallentare il più possibile l’avanzata persiana. Inoltre, con un’autentica opera di intelligence, riesce a informare gli Ateniesi delle mosse del nemico e a indirizzare l’esercito di Serse verso il luoghi dove i Greci sono meglio difesi e pronti a respingere gli attacchi.

LA TRIREME Tra le imbarcazioni da guerra, la trireme (trieres) rappresenta un po’ quello che in epoca moderna può essere considerato un incrociatore: veloce, potentemente armata, con buone capa-

cità di manovra, la trireme deve il proprio nome alle tre file di rematori (170 uomini in tutto) che, assieme alle grandi vele (una principale e una secondaria issata su un albero aggiuntivo), ne assicurano la navigazione.

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Temistocle, quindi, forte delle informazioni di Alessandro I, inizia a concentrare la difesa sul passo delle Termopili, passaggio terrestre obbligato fra la Tessaglia e la Beozia. Altro punto strategico per bloccare la fotta persiana è capo Artemisio, che controlla lo stretto tra Eubea e Tessaglia. Come ulteriore linea difensiva, i Greci approntano una difesa lungo l’istmo di Corinto. Donne, bambini e anziani vengono allontanati da Atene e sfollati a Trezene in Argolide.

LE TERMOPILI: EROISMO E TRADIMENTO La discesa persiana è inarrestabile, e alla fine dell’estate del 480 a.C. si arriva al primo scontro frontale. Nonostante sia il periodo delle feste sacre Carnee e dei Giochi olimpici, durante i quali è sacrilego impegnarsi in conflitti, un drappello di trecento uomini della guardia reale, alla guida del re spartano Leonida I, si dirige verso il passo delle Termopili, nei pressi del quale è schierato l’esercito persiano. Non si conosce

Secondo Tucidide la prima trireme è realizzata da Aminocle di Corinto nel 706 a.C.; per Clemente Alessandrino, invece, si tratta di un’invenzione fenicia. Il primo a convertire tutta la propria flotta in triremi è Policrate di Samo, che tra il 533 e il 525 a.C. ne vara circa cento. Le triremi non servono per la navigazione ordinaria, e dato lo scafo quasi piatto non sono adatte ad affrontare il mare aperto, ma sono espressamente realizzate per scopi bellici: di rapida costruzione, fatte con legno spesso non stagionato, vengono non di rado “affittate” per compiere spedizioni o in caso di

GRECIA ANTICA

scontri navali che richiedono un gran numero di imbarcazioni. Il rostro metallico a prua permette di speronare e affondare le navi avversarie, mentre un equipaggio di arcieri e opliti entra in azione nelle manovre di abbordaggio. Non esistono esemplari completi di triremi, e i relitti sono frammenti in pessime condizioni. L’unica nave in discrete condizioni è stata ritrovata a Gela nel 1988, ma il restauro non è ancora completato. Questo pone molti interrogativi sull’effettivo uso dell’imbarcazione, in particolare sul coordinamento di un così gran numero di vogatori.

l’esatta entità dei due schieramenti. Leonida, nella sua marcia di avvicinamento alle Termopili, riesce a reclutare fino a settemila uomini dalle varie regioni attraversate; Serse conta su un contingente di almeno 70.000 tra fanti e arcieri (anche se Erodoto si sbilancia su un poco verosimile 1.800.000 uomini). La sproporzione tra i due schieramenti è comunque immensa. Leonida sa di andare incontro a morte certa; per questo, fra i fedelissimi della guardia reale, ha reclutato solo quelli che hanno figli, in modo da assicurare una discendenza alla stirpe. La battaglia non inizia immediatamente: come d’uso al tempo, l’esercito in superiorità numerica manda ambascerie per una possibile pace. Leonida rifiuta ogni accordo, e Serse attende ancora quattro giorni prima di attaccare battaglia. Il quinto giorno inizia lo scontro, che vede incredibilmente gli Immortali di Serse, i soldati scelti celebri per la loro invincibilità, soccombere di fronte alle lunghe lance della falange oplitica. La situazione sembra di stallo, con le ondate di attacco persiane che si infrangono contro il muro delle armature e degli scudi greci.

Ma, al terzo giorno di battaglia, sopraggiunge un evento inatteso. Un contadino del luogo, Efialte di Trachis, rivela ai Persiani una strada per aggirare il blocco delle Termopili e prendere i Greci di sorpresa. Il tradimento di Efialte causa il precipitare degli eventi: i Persiani iniziano un’ampia manovra di accerchiamento, le retrovie dell’esercito greco, ancora non impegnate direttamente negli scontri, sono attaccate dai fianchi e da dietro; colte di sorpresa, non oppongono che una iniziale, flebile resistenza e poi lasciano il campo, consegnandosi ai nemici o dandosi alla fuga. Vistosi alle perse, Leonida congeda o lascia liberi di decidere gli altri soldati. A difendere le Termopili restano quindi solo i trecento della guardia reale spartana, settecento Tespiesi e quattrocento Tebani. L’attacco finale persiano è un’autentica carneficina. Fra i primi a cadere è Leonida, ma i Persiani perdono i due fratelli di Serse, Abrocome e Iperante. Nessun greco a difesa del passo sopravvive, mentre per parte persiana i caduti sono ventimila. Ormai la strada di terra verso Atene è aperta.

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Luigi Sabatelli, Battaglia di Salamina, inchiostro e punta di piombo su carta, 1803 (Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe).

Artemisia costruisce il mausoleo, 1640 circa (Stoccolma, Museo Nazionale). Moglie di Mausolo, la sovrana di Caria fece costruire ad Alicarnasso un monumento funebre

IL BLOCCO DI CAPO ARTEMISIO Sul fronte marino, il blocco navale di capo Artemisio riesce solo a rallentare la flotta persiana. Le navi di Serse (1207 secondo Erodoto, dopo che molte di esse sono andate perdute in una tempesta), impegnano quelle greche (271 triremi più 9 pentecòntori) nello stretto braccio di mare fra l’Eubea e la Beozia. Alcuni tentativi di accerchiamento da parte persiana si risolvono in un disastro: le grandi navi al comando di Artemisia I, Ariabigne, Achemene, Pressaspe e Megabazo non riescono a manovrare in acque ignote e irte di scogli, e molte di esse affondano miseramente. Altre sono catturate con tutto l’equipaggio. Anche da parte greca, però le perdite sono ingenti: Temistocle, coadiuvato dai polemarchi Euribiade di Sparta e Adimanto di Corinto, perde almeno la metà delle imbarcazioni, fra quelle affondate e quelle catturate. Poi, purtroppo non inattesa, giunge la notizia della disfatta delle Termopili: Atene è davvero in pericolo, e le navi greche sono costrette a ripiegare verso il golfo Saronico, dove raccolgono gli Ateniesi ormai in fuga dalla città e riescono a trasportarli sull’isola di Salamina. 74

per il consorte scomparso. L’edificio, di una tale imponenza da essere annoverato fra le Sette meraviglie dell’antichità, è stato raso al suolo da un terremoto in tempi antichi.

SALAMINA: IL CAPOLAVORO TATTICO DI TEMISTOCLE I Persiani hanno il campo libero, e dilagano in Beozia e in Attica, senza attardarsi a devastare più di tanto le varie città, a parte Tespie e Platea: la vera meta di Serse è Atene. I Persiani entrano in una città ormai semideserta e vincono la fragile resistenza degli ultimi soldati a difesa dell’Acropoli, che viene data alle fiamme. L’oracolo aveva predetto che “un muro di legno” avrebbe salvato Atene. Non si trattava delle precarie palizzate erette in tutta fretta attorno ai templi, ma del legno delle barche volute da Temistocle. Ma a Serse questo non basta: gran parte degli Ateniesi è ancora in vita e, soprattutto, la flotta è ancora efficiente. Lo scontro navale è quindi inevitabile, anche perché la via di terra è resa difficoltosa dalla distruzione delle strade da parte degli alleati panellenici, che hanno realizzato una potente linea di difesa lungo lo stretto di Corinto. Temistocle, da parte sua, sa che deve giocare il tutto per tutto. Adotta quindi una serie di stratagemmi che vanno al di là dell’abilità di saper manovrare sul campo di battaglia. Nel salpare da capo Artemisio, lascia volutamente delle scritte

GRECIA ANTICA

Il colosso di Rodi, incisione colorata a mano, 1760 (Collezione privata). La imponente statua in bronzo, che fungeva da faro, era stata realizzata da Carete di Lindo. Alta 32 metri, crollò per un terremoto nel

indirizzate agli abitanti della Ionia, assoldati da Serse, che in buona sostanza li incitano alla defezione, alla resa o, come extrema ratio, a mostrarsi vili in combattimento; «ricordate che voi discendete da noi, e noi abbiamo imparato da voi a odiare i barbari», così si concludono i messaggi. Questo formidabile espediente psicologico ha un doppio effetto: letto dagli Ioni, li spinge ad abbandonare le fila persiane, letto da Serse, insinua il tarlo del dubbio di una poca fedeltà da parte dei forzati alleati. Ma la strategia di Temistocle è ancora più raffinata: approfittando di una serie di discussioni che inevitabilmente sorgono tra gli alleati panellenici sui passi da intraprendere per respingere i Persiani, invia al Gran Re il proprio pedagogo

LE SETTE MERAVIGLIE Le Sette meraviglie del mondo antico sono edifici o monumenti considerati inarrivabili come bellezza, imponenza o spettacolarità. Realizzate tra il 2500 e il 250 a.C. circa nella zona del bacino del Mediterraneo e in Mesopotamia, sono oggi quasi del tutto perdute, tranne la più antica, la Piramide di Cheope. Numerose sono le liste stilate, ma la più attendibile è la seguente, che ripor-

226 a.C. e rimase nelle acque basse del porto fino al 653, quando Rodi fu conquistata dagli Arabi. Tagliata in piccoli pezzi, fu venduta a un mercante di Homs, che la trasportò con una carovana di 980 cammelli.

Sicinno, che descrive a Serse una situazione di grande conflitto interno in seno ai Greci. In poche parole, Sicinno dice che l’alleanza interna alla Lega si è rotta, che ciascuna città parteggia per sé e che Temistocle intende allearsi, o consegnarsi, ai Persiani in cambio di riottenere il controllo delle poleis greche. È ciò che Serse aspetta. Sicuro dell’appoggio di Temistocle, Serse fa schierare le proprie navi all’imboccatura del golfo Saronico, tra l’isola di Salamina e la terraferma, nell’intento di impedire alla flotta panellenica (che crede ormai senza una guida coordinata) di uscire dallo stretto per completare poi l’opera di accerchiamento e conquista della Grecia. Addirittura, per godersi meglio lo spettacolo, fa approntare un trono sulla vetta del monte Egaleo, in modo da avere un punto di vista privilegiato su tutto il campo di quella che ormai considera la battaglia che darà la vittoria finale ai Persiani. Intanto, l’esercito di terra persiano si divide: una parte rimane nell’Attica, mentre un più ridotto contingente si dirige verso Delfi, per impossessarsi del santuario. La popolazione, però, sfruttando un improvviso temporale (o forse un terremoto) che getta nel panico gli assalitori, contrattacca e respinge gli assalti.

tiamo in ordine cronologico: 1. Piramide di Cheope, 2500 a.C. circa, Egitto. 2. Giardini pensili di Babilonia, 590 a.C., Mesopotamia. 3. Tempio di Artemide, 560 a.C., Efeso, Turchia. 4. Statua di Zeus, 436 a.C., opera di Fidia, Olimpia, Grecia. 5. Mausoleo di Alicarnasso, 350 a.C., Turchia. 6. Colosso di Rodi, 293 a.C., Grecia. 7. Faro di Alessandria, 280 a.C., Egitto. LA MINACCIA PERSIANA

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È la fine di settembre del 480 a.C. Non è passato che un mese dalle Termopili e le macerie di Atene sono ancora fumanti. Serse sente la vittoria in pugno, e lo scopo è attaccare con un fronte massiccio per mare. Schiera così in prima fila le navi più imponenti, e in due file successive quelle più leggere. La tattica consueta di attacco dei Persiani è quella del diekplous, che consiste nell’attaccare frontalmente le navi avversarie un modo da tranciare con i rostri di prua i remi: in questo modo la nave “mutilata”, senza controllo, offre la fiancata sguarnita per essere speronata oppure affiancata, così che lo scontro navale si trasformi quasi in una battaglia corpo a corpo fra i due equipaggi. La flotta persiana attacca all’alba, ma Serse, dall’alto del suo trono sul monte, non può che assistere impotente al capolavoro tattico di Temistocle. Le navi greche, compattate vicino alle coste, in un primo momento arretrano, attirando così i nemici verso una zona dove lo stretto diviene ancora più angusto e forma quasi un imbuto. Le navi persiane, lanciate all’inseguimento, si trovano man mano sempre più vicine fra loro, fino a intralciarsi nella manovra. A questo punto, i Greci passano al contrattacco. La flotta di Egina, appostata appena fuori dal golfo, attacca la retroguardia persiana da un fianco, sbaragliandola. Inoltre ostacola il 76

ripiegamento delle navi avversarie, che cercano di riorganizzarsi per un attacco più coordinato. La flotta persiana è sbaragliata, ma qui si compie l’atto finale della strategia di Temistocle. Invece che infierire sul nemico, lo stratega ateniese ci tiene a informare Serse che, in caso di ritirata dell’esercito persiano, i Greci non si lanceranno al suo inseguimento, né per mare né per terra. Serse fa così ritorno a Susa, con la flotta rimastagli e facendo ripercorrere al proprio esercito la strada inversa, attraverso il famoso ponte di barche dell’Ellesponto, che si rivela più utile in questo caso di quanto non lo sia stato pochi mesi prima. Solo il generale persiano Mardonio, con alcuni contingenti degli Stati vassalli del Gran Re, rimane su territorio greco, con lo specifico compito di consolidare le posizioni e riprendere gli scontri una volta passato l’inverno. Tra i comandanti al fianco di Mardonio figura ancora Alessandro I di Macedonia, il cui operato presto verrà celebrato come eroico, visto da parte greca, o bollato dall’infamia del tradimento, se considerato da parte persiana. Dall’altra parte del Mediterraneo, intanto, Gelone di Siracusa consolida il proprio potere dopo aver fiaccato l’offensiva cartaginese in Sicilia.

GRECIA ANTICA

Oreste ed Elettra nei pressi della tomba del padre Agamennone, ucciso da Egisto con la complicità della madre Clitemnestra.

Fregio degli arcieri dal Palazzo di Dario I a Susa, V secolo a.C. (Parigi, Museo del Louvre).

PLATEA E CAPO MICALE La primavera del 479 a.C. si apre con i Greci ancora asserragliati nel Peloponneso, protetti dall’istmo di Corinto, e l’esercito persiano che spadroneggia nell’Attica in Beozia e nell’Eubea. Atene, nella quale la popolazione greca tenta timidamente di tornare, è in mano persiana e la città non può contare sull’aiuto spartano. Massima preoccupazione dei lacedemoni, infatti, è quella di difendere il Peloponneso. La lega anti-persiana sembra davvero andata in fumo. La situazione è di stallo, e una mediazione di Alessandro I non porta alcun cambiamento, fin quando Chileo di Tegea, uno straniero tenuto in grande considerazione a Sparta, convince gli Spartani che una posizione di debolezza di Atene potrebbe indurre gli Ateniesi a parteggiare per i Persiani, il che sarebbe una sciagura per tutto il Peloponneso. I Greci, quindi, predispongono un esercito e una flotta che hanno lo scopo di spazzare via definitivamente i Persiani dal continente. La risorta Lega panellenica vede, questa volta, Sparta come perno attorno al quale ruotano una trentina di poleis, tra le

ESCHILO Eschilo nasce a Eleusi nel 525 a.C. Di nobile famiglia, si distingue a Maratona, Salamina e Platea, imprese che considera ben superiori all’essere acclamato come l’iniziatore della tragedia nella sua forma più compiuta. Di lui ci sono rimaste solo sette opere complete, sulle ottantotto che gli sono attribuite: in esse egli introduce alcuni elementi che rimarranno nella drammaturgia, come l’uso delle maschere e dei coturni (particolari calzature) per identificare

i personaggi, l’ideazione della trilogia, vale a dire tre opere strettamente legate fra loro (la più celebre è il ciclo dell’Orestea) e, soprattutto, la presenza di più attori contemporaneamente sulla scena. Questa ultima innovazione, fondamentale per il dinamismo dell’azione scenica, introduce la possibilità di dialogo e riduce l’importanza del coro, che nelle rappresentazioni teatrali era l’unico interlocutore del protagonista. Tema fondamentale dell’opera di Eschilo è il concetto di colpa,

Il soggetto della vicenda è narrato nel ciclo tragico dell’Orestea di Eschilo, rappresentata nel 408 a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

quali Atene, Corinto, Megara, Sicione, Micene, Epidauro. Questa risorta coalizione greca parte quindi all’attacco, lasciando il Peloponneso e muovendo contro l’esercito di Mardonio, che si ritira in Beozia. Le forze si concentrano nei pressi delle rovine di Platea, distrutta dai Persiani l’anno precedente. I due eserciti si fronteggiano per una decina di giorni, e, per la prima volta, i due schieramenti hanno forze di analoga portata, anche se gli armamenti pesanti greci sembrano essere ben più efficaci degli scudi di vimini, delle tuniche di cotone intrecciato e delle corte lance dei Persiani. Questi ultimi, però, contano sull’appoggio di Tebe, delle città della Locride, della Tessaglia, della Malia, in parte della Focide e almeno nominalmente, della Macedonia. È l’intervento di Alessandro I che, ancora una volta, ha il suo peso: lasciato di notte l’accampamento persiano, si reca a cavallo di nascosto tra le fila avversarie e comunica ai Greci che l’attacco è previsto per il giorno successivo. Avvertito Pausania, torna alle proprie tende, senza che nessuno se ne accorga. All’alba, quindi, i Persiani trovano un esercito greco già schierato e pronto per la battaglia. Lo scontro è violento, e la

responsabilità e punizione. Le pene dell’uomo nascono da un peccato di hybris, cioè da un atto di orgogliosa superbia che irrita gli dèi. A differenza di quanto ritengono i suoi contemporanei, però, ciò che muove l’azione divina nei confronti degli uomini non è una ritorsione mossa da invidia e vendetta, ma un supremo atto di giustizia che ripristina il “necessario” corso degli eventi.

LA MINACCIA PERSIANA

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LA TRAGEDIA GRECA La tragedia, nel mondo greco, ha una valenza ben superiore a quella di un semplice spettacolo, per quanto coinvolgente ed emotivamente trascinante. Si tratta di una vera e propria cerimonia religiosa, in cui lo svolgersi delle vicende provoca una tale immedesimazione da parte dello spettatore che si produce la cosiddetta catarsi, cioè una purificazione dello spirito e un’espiazione delle colpe. La tragedia è quindi assieme un ammonimento morale, un motivo di riflessione e un mo-

mento di redenzione (seppur in un senso ben diverso dalla concezione cristiana). Anche il luogo stesso nel quale si svolge la rappresentazione, il teatro, ha una importanza architettonica fondamentale, e la sua presenza in un centro abitato è determinante tanto quanto quella dei templi, dei tribunali o delle piazze delle adunate. I temi della tragedia sono inscindibilmente legati a vicende dell’epica e del mito, e si differenziano da quelli della commedia o del dramma satiresco – di carattere leggero, se non comico – in cui i personaggi 78

sono persone comuni e le situazioni sono quelle della realtà contemporanea. Gli elementi della tragedia, codificati in maniera compiuta da Eschilo, sono gli attori (hypokrités), tra i quali è facile per il pubblico riconoscere le figure-tipo del protagonista, in genere un eroe, del deuteragonista (una sorta di “spalla” del personaggio principale) e dell’antagonista, il rivale o il nemico in genere che ostacola le azioni dell’eroe. Ciò non significa che il protagonista sia un personaggio necessariamente positivo, ma solo che è

GRECIA ANTICA

la figura nella quale il pubblico può identificarsi. Il coro è un ulteriore “personaggio” fuori scena, che ha funzioni di descrizione, commento e interazione con i vari momenti scenici. La divinità, nelle tragedie, è onnipresente, e il suo intervento è sempre determinante e risolutore, tanto da ricorrere a veri e propri artifici di scenotecnica (il cosiddetto apó mechanés theós, che i romani chiameranno “deus ex machina”): un meccanismo grazie al quale il dio compare in scena in maniera inaspettata per dare un senso a una vicenda intricata e altrimenti irresolubile.

Cratere che rappresenta Apollo mentre contrasta le Eumenidi, le dee punitrici della maledizione e della vendetta, protagoniste del terzo “capitolo” dell’Orestea di Eschilo, V secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

Il capitello corinzio, caratterizzato da foglie di acanto stilizzate, in un’illustrazione dal volume 18 dell’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean le Rond d’Alembert, 1759.

In basso, guerriero raffigurato su un lekythos, vaso dal collo stretto e allungato usato per oli e unguenti nelle cerimonie, proveniente da Gela, V secolo a.C. (Palermo, Museo Archeologico Antonino Salinas).

coesione fra i Greci non è perfetta. In pratica, i vari reparti si trovano a combattere tante piccole guerre isolate. Ma anche i Persiani non brillano per l’unione dei loro ranghi. Solo i mille fedelissimi della guardia del corpo di Mardonio proteggono il generale persiano che, in groppa a un cavallo bianco, osserva gli scontri da un’altura. Questa posizione preminente lo rende molto visibile e gli costa la vita: lo spartano Arimnesto riesce infatti a scagliargli una pietra e a colpirlo al capo da grande distanza, uccidendolo sul colpo. La morte di Mardonio genera il definitivo scompiglio tra le fila persiane, che si disgregano, lasciando 257.000 vittime (secondo Erodoto). Lo stesso giorno (27 agosto 479 a.C.), con una sincronia molto cara agli storici antichi, si svolge 500 km più a est, sulle coste della Ionia di fronte a Samo, anche la battaglia del monte Micale. Al comando delle forze elleniche è il re spartano Leotichida, mentre la guida dei Persiani è affidata a Artaunte e Tigrane. I Persiani vogliono trasformare un scontro navale, nel quale si sentono più vulnerabili, in un combattimento terrestre, potendo contare su eventuali rinforzi da Sardi. Usano quindi le navi come una sorta di muro di difesa, arenandole sulle coste,

con lo scopo di ostacolare lo sbarco greco. Lo scontro terrestre però arride ai Greci, che incendiano le navi persiane e costringono i nemici a una precipitosa e caotica fuga verso l’interno. I Persiani abbandoneranno momentaneamente le loro mire di conquista in Europa. Serse si dirige a Ecbatana (oggi Hamadan, in Iran), limitandosi a lasciare alcuni contingenti a presidiare l’Anatolia.

LA LEZIONE DELLE GUERRE PERSIANE Le guerre persiane insegnano alcune cose, che cambieranno il modo di fare guerra negli anni futuri. In primo luogo, mostrano che il numero non è l’unico fattore determinante per una vittoria; poi, che una sinergia fra forze di terra e forze di mare è essenziale per un esito positivo del conflitto; inoltre che l’addestramento militare e l’efficacia degli armamenti sono importanti tanto quanto la preparazione “a tavolino” delle campagne militari; infine, che la rete delle alleanze è un fattore di forza fondamentale e che le battaglie non si vincono solo sul campo, ma anche con l’astuzia, l’intelligenza e, se necessario, l’intrigo e l’inganno.

IL DESTINO DELLE CITTÀ IONICHE E LA CRESCITA DI ATENE Le città e le isole della Ionia restano però una spina nel fianco e un’incognita sia per i Greci sia per i Persiani. La loro vulnerabilità le pone in una costante situazione di ricatto da parte del più potente, e la loro fedeltà non è in nessun caso provata. La proposta Spartana – che le vede soprattutto come una minaccia – è di evacuarle, trasferire i cittadini e abbandonarle al loro destino. Atene, invece, le vede come una risorsa e vuole rafforzarle e legarle ancor più alla Grecia. Vince la proposta ateniese, e Samo, Chio, Lesbo e le altre poleis che avevano lottato contro i Persiani entrano nella Lega panellenica. Questa vittoria diplomatica ateniese getta nel lungo termine le basi per la futura crescita di Atene nel Mediterraneo e ha come risultato immediato l’assedio e la caduta di Sesto, sull’Ellesponto. Il ponte di barche di Serse viene definitivamente smantellato. 79

La Terrazza dei Leoni a Delo. Solo cinque delle originarie quindici statue sono conservate. Nel tempio di Apollo dell’isola veniva conservato il tesoro della Lega delio-attica.

Giuseppe Bossi, Sepoltura delle ceneri di Temistocle in terra attica, olio su tela, 1809 (Milano, Pinacoteca di Brera).

A fianco, punte di lancia in bronzo provenienti da Olimpia, V secolo a.C. (Londra, British Museum).

NASCE LA LEGA DELIO-ATTICA La lega panellenica, quindi, si trasforma, sotto la spinta di Atene, in una confederazione marittima di ampio raggio, che vede fino a 173 membri. Questa lega, che prende il nome di Lega delio-attica, o Anfizionia di Delo, nasce nel 478 a.C. con scopi assieme militari e commerciali. Ne fanno parte, sotto la guida di fatto di Atene, le principali città e isole costiere greche. La sede della confederazione, dove avvengono le riunioni e dove viene conservato il tesoro, è Delo. Ciascun membro ha diritto di voto con egual ruolo, a prescindere dal suo “peso” politico, economico o militare e ha l’obbligo di fornire una quota in denaro (460 talenti annui) o navi e mezzi per il sostentamento della lega stessa. I tributi, gestiti da magistrati chiamati ellenotami, sono conservati nel tempio di Apollo. La leadership di Atene, di fatto forza egemone dell’alleanza, non viene posta in discussione. Negli anni questa posizione di predominio degenererà in un vero e proprio imperialismo, tanto che Atene non mancherà di imporre la propria visione politica alle altre poleis, fino a reprimere militarmente le rivolte in città che osano “alzare la testa”.

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CIMONE E IL NUOVO CORSO ATENIESE Atene è una città distrutta: i templi dell’Acropoli sono rasi al suolo, le abitazioni in rovina, e se il morale è alto per la vittoria contro i Persiani, gli Ateniesi hanno ogni giorno davanti agli occhi la devastazione portata dal conflitto. Fare fronte comune contro i Persiani appare quindi un’esigenza primaria, a qualsiasi costo. Temistocle, invece, pur convinto anti-persiano, non vede di buon occhio un’alleanza con Sparta, temendo che potrebbe mettere in crisi l’egemonia ateniese. Temistocle quindi adotta una linea iper-difensiva, anche nei confronti dei potenziali rivali interni. Vengono iniziate le Lega mura, una serie di bastioni difensivi che collegano la città al Pireo e assicurano un tragitto protetto tra l’Acropoli e il mare. Questo significa una difesa da eventuali attacchi terrestri (per esempio da parte degli amici-nemici Spartani) e una via privilegiata per il Mediterraneo. Contrario a questa visione è invece Cimone (510-450 a.C.), figlio di Milziade, l’eroe di Maratona. Istruito e raffinato, si è distinto nella battaglia di Salamina, e per i suoi meriti militari viene nominato polemarco. La parola d’ordine di Cimone è una politica anti-persiana “a tutti i costi”, anche se ciò comporta l’alleanza con gli Spartani. Il contrasto con Temistocle è inevitabile. Nel 476 a.C. Cimone prende il posto di Pausania come polemarco della flotta della coalizione delio-attica e prosegue nella sua politica ostile ai Persiani, spingendosi lentamente fino nell’interno dell’Anatolia. Non c’è più posto per Temistocle, che viene ostracizzato nel 470 e passa di città in città fino a rifugiarsi – con uno di quei voltafaccia che a volte rendono imperscrutabile la storia – alla corte del nuovo imperatore persiano Artaserse I Longimano, erede di Serse. Qui viene accolto con grandi onori e dotato di una ricchissima rendita. Narra Plutarco che i discendenti di Temistocle continuavano a ricevere questa rendita 6 secoli dopo la morte dell’illustre avo. Le campagne di Cimone contro i Persiani sono intanto vittoriose. Lo scontro determinante si ha nel 466 in Panfilia, nei pressi del fiume Eurimedonte, sulla costa meridio-

GRECIA ANTICA

nale dell’Anatolia, di fronte all’isola di Cipro. Cimone riesce a impossessarsi di tutta la flotta di Serse. Prosegue poi verso nord, eliminando i persiani dalla Caria e dalla Lidia, e di lì prosegue verso il Chersoneso, sottomettendo Taso, ribellatasi alla Lega di Delo. Iniziano però i primi sospetti sull’operato di Cimone, che viene accusato di corruzione (ancora una volta vi è implicato Alessandro di Macedonia); assolto, su di lui rimane però l’ombra di un tentativo di intesa con i Persiani.

LA TERZA GUERRA MESSENICA E LA ROTTURA TRA ATENE E SPARTA Sparta, nel frattempo, sta vivendo un momento critico: nel 478 Pausania sostituisce Leotichide alla guida della flotta ellenica e riprende il possesso di Bisanzio e delle città dell’isola di Cipro. È però accusato di eccessiva durezza nei confronti degli sconfitti e gli viene rimproverato un atteggiamento da despota orientale, il che, specialmente agli occhi delle città della Ionia, lo avvicina agli odiati Persiani. Richiamato in patria, viene assolto dai capi d’accusa più gravi, ma la sua carriera è stroncata. Nel 476 a.C. la spedizione di re Leotichide contro la Tessaglia, accusata di collaborazionismo con i Persiani, si risol-

ve con un nulla di fatto. Il sovrano, tornato in patria, viene accusato di corruzione e ritenuto colpevole di aver ricevuto del denaro dalla famiglia degli Alevadi di Tessaglia; esiliato, muore poco tempo dopo a Tegea. Il suo posto nella diarchia spartana viene preso dal nipote Archidamo II. Pausania, intanto, intraprende allora una guerra personale di conquista, e con una sola trireme fa rotta su Bisanzio, prendendone temporaneamente possesso. L’ateniese Cimone, ormai apertamente filospartano, non può tollerare la cosa e nel 471 lo caccia e lo riconduce a Sparta, dove viene processato sotto l’accusa di preparare un colpo di Stato. Le accuse divengono sempre più gravi quando si scoprono delle lettere – non si sa quanto autentiche – che dimostrano un tentativo ci accordo fra Pausania e Serse. Condannato a morte, si rifugia nel tempio di Atena, dove viene lasciato morire di fame e di sete. Nel 464 a.C. un violento terremoto devasta Sparta: le onde sismiche scuotono non solo gli edifici, che vengono rasi al suolo provocando un gran numero di vittime, anche una situazione politica evidentemente molto precaria. Gli iloti di Messenia, già protagonisti di due ribellioni nel 740 e nel 654 a.C., scatenano la Terza guerra messenica, che impegna gli Spartani per un anno.

LA MINACCIA PERSIANA

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Dapprima vittoriosi, gli spartiati si trovano costretti a chiedere l’aiuto di Atene per aver ragione dei rivoltosi, arroccati sul monte Itome. Cimone assicura l’intervento ateniese e nel 462 a.C. invia un contingente che però appare ben poco propenso ad appoggiare la fazione oligarchica spartana nei confronti di quella popolare dei Messeni. Il contributo ateniese agli scontri è di una inconsistenza talmente imbarazzante che i soldati vengono “licenziati” dagli Spartani e rimandati ad Atene. Per Cimone è un’umiliazione più cocente di una disfatta militare: colpito dall’ostracismo, nel 461 deve abbandonare Atene per dieci anni. La momentanea eliminazione politica di Cimone porta a un’insanabile rottura fra Sparta e Atene. Quest’ultima stringe un’alleanza con Argo, da sempre ostile a Sparta, e, addirittura, accoglie i Messeni in fuga dagli spartiati dopo la caduta di Itome (460 a.C.), favorendo la colonizzazione di Naupatto (oggi Lepanto).

INIZIA LA SVOLTA DEMOCRATICA AD ATENE L’appoggio dei Atene agli iloti di Messenia è il più visibile sintomo di un mutamento nella vita politica della città. La fazione filopopolare di Efialte di Atene (detto l’incorruttibile, e che nulla ha a che vedere con l’omonimo contadino traditore alle Termopili) prende sempre più potere, tanto 82

che nel 462 a.C. viene introdotta una riforma istituzionale in senso democratico. L’Areopago perde gran parte dei propri poteri, che vengono demandati al tribunale popolare dell’Eliea e al consiglio legislativo della Boulé. In pratica all’Areopago rimane solamente la facoltà di decidere in materia di sacrilegio e di omicidio volontario di un cittadino ateniese. La riforma di Efialte, acerrimo nemico di Cimone, viene considerata però troppo radicale, e il suo promotore viene assassinato nel 461. Successore politico di Efialte è Pericle, suo discepolo. Sotto Pericle, Atene conosce il periodo di massimo splendore culturale, artistico, economico e militare. Nelle pagine che seguono parleremo nei dettagli di questo “periodo d’oro” di Atene. Qui ci limitiamo, in sintesi, ad accennare agli eventi che concludono il lungo periodo di belligeranza con i Persiani.

LA FINE DELLA MINACCIA PERSIANA Nel 459 una flotta ateniese – comandata da Pericle – appoggia la ribellione del re dei Libi, Inaros, sovrano dei territori sul delta del Nilo, che si vuole liberare dall’occupazione persiana. Dopo l’assassinio di Serse I e dell’erede al trono Dario in una sanguinosa congiura di palazzo nel 465 a.C. infatti, l’impero achemenide si è notevolmente indebolito alle sue periferie occidentali.

GRECIA ANTICA

Pelike (anfora dalla larga bocca) a figure rosse, guerrieri a cavallo, uno dei quali brandisce un tridente, attributo di Poseidone; da Heracleia, V secolo a.C. (Policoro, Museo Nazionale della Siritide).

Decadramma d’argento in circolazione a Siracusa nel V secolo a.C. Dopo la vittoria siracusana a Imera del 480 a.C. la potenza della città siciliana sotto il governo di Gelone si accresce notevolmente. Con l’argento cartaginese proveniente dal pagamento

Il tentativo della lega delio-attica si rivela un fallimento totale, che impegna per quattro anni le forze ateniesi, le quali devono infine abbandonare l’Egitto e far ritorno sconfitte in patria. Sorte peggiore tocca al ribelle Inaros che, perduta Menfi, viene deportato a Susa e crocifisso nel 454 a.C. Al rientro ad Atene dopo i dieci anni di esilio, nel 451, Cimone guida una spedizione ellenica nell’isola di Cipro, anche essa controllata dai Persiani. Dopo un primo iniziale successo a Salamina di Cipro, un’epidemia miete più vittime tra le fila greche di quanto possano fare le lame dei persiani. Lo stesso Cimone muore nel 449 a.C. Questi due insuccessi portano quindi Atene a sottoscrivere una tregua con i Persiani nel 449 a.C., chiamata pace di Callia

dei danni di guerra viene coniata una delle monete di maggior valore nominale in antichità, il tetradramma (pari a 4 dracme), con l’effigie dei quattro cavalli della quadriga che aveva visto Gelone trionfare ai Giochi panellenici del 488 a.C.

dal nome dell’ambasciatore ateniese e veterano di Maratona Callia di Eleusi (o Callia II), che più volte era stato mandato in missione diplomatica dal nuovo re persiano Artaserse I Longimano (in persiano, Artakhšassa). Con questo accordo, i Persiani si impegnano ad abbandonare le proprie mire sull’Egeo e sulle città della Ionia, mentre la lega Delio-attica cessa i tentativi espansionistici in Egitto e a Cipro. Il trattato, che ha più il sapore di un armistizio, è stato messo in dubbio da più di uno storico, sia nei suoi termini, sia nella sua effettiva realtà storica. In ogni caso, dopo il 449 a.C. non si avranno più conflitti di portata così vasta con i Persiani nello scacchiere del Mediterraneo, anche se il peso dell’impero del Gran Re sarà determinante le sorti greche ancora per più di un secolo.

LA MINACCIA PERSIANA (499 A.C.-449 A.C.) 499 a.C. 493 a.C. 494 a.C. 490 a.C. 489 a.C. 487 a.C. 486 a.C. 484 a.C. 483 a.C. 481 a.C. 480 a.C. 479 a.C. 479 a.C. 477 a.C. 476 a.C. 472 a.C. 471 a.C.

Le colonie ioniche si ribellano ai Persiani a Sardi. Temistocle arconte ad Atene. Sparta sconfigge Argo a Sepeia. Prima guerra persiana. I Persiani occupano l’Eubea ma sono respinti a Maratona. Fallita spedizione di Milziade alle Cicladi. Atene: ostracismo contro Ipparco figlio di Carmo. Telesino ultimo arconte elettivo, inizio dell’arcontato per sorteggio. Ostracismo per l’arconte Megacle. Morte di Dario. Gli succede il figlio Serse. Ostracismo per Santippo. Nasce Erodoto. Ostracismo per Aristide. I Persiani preparano un secondo attacco alla Grecia. Si forma una lega anti-persiana alla quale non partecipano Beozia, Tessaglia e Argo. Seconda guerra persiana. Serse invade la Grecia, travolge gli Spartani di Leonida alle Termopili, devasta Atene ma è sconfitto a Salamina. Gli Spartani mandano aiuti ad Atene sotto il comando di Pausania. Battaglia di Platea. Pausania contro Tebe. I Persiani sconfitti nella battaglia navale di Micale. Il tiranno Gerone di Gela occupa Siracusa. Costituita la Lega delio-Attica. La flotta di Pausania conquista Bisanzio. Lega marittima ateniese. Costruzione del Pireo. Cimone esautora Pausania. Gerone di Siracusa sconfigge Terone di Agrigento. Ostracismo per Temistocle, prevale Cimone.

469 a.C. 466 a.C. 465 a.C. 464 a.C. 462 a.C.

461 a.C. 460 a.C. 459 a.C. 457 a.C.

456 a.C. 452 a.C. 451 a.C. 450 a.C. 449 a.C.

LA MINACCIA PERSIANA

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Cimone cattura la flotta persiana sull’Eurimedonte. Ad Atene nasce Socrate. Tragedie di Sofocle ed Eschilo. Fine della tirannide a Siracusa. Cimone sconfitto a Taso e in Tracia. Assassinio di Serse. Gli succede Artaserse I. Temistocle, esiliato, si rifugia presso Artaserse I. Sparta cerca di domare una ribellione di Messeni. Rifiutato l’aiuto di Cimone: rottura tra Atene e Sparta. Riforme di Efialte ad Atene. Nasce Tucidide. Fine tirannide e rafforzamento della democrazia a Reggio e Messina. Ostracismo per Cimone. Ucciso Efialte, si mette in luce Pericle (filo-popolare). Tensioni fra Sparta e Atene. Atene con una flotta guidata da Pericle attacca I’Egitto (in mano persiana). Trionfi ateniesi sugli Spartani a Tanagra e su Spartani, Beoti e Tebani a Enofita. Atene occupa Egina. Inizia la costruzione delle lunghe mura di Atene. Argo e Atene sconfiggono Sparta a Enoe. Nasce Aristofane. Si scioglie l’alleanza tra Atene e Argo, che fa una pace separata con Sparta. Cimone richiamato dall’esilio per trattare con Sparta. Cimone muore in battaglia, si impone Pericle. Prime sculture di Fidia. Accordo trentennale di pace tra Greci e Persiani. (Pace di Callia).

Atene da Pericle ai Trenta tiranni

Nelle pagine precedenti, il Partenone, tempio dedicato ad Atena sull’Acropoli del capoluogo dell’Attica. Venne costruito dagli architetti Ictino, Callicrate e Mnesicle, sotto la supervisione di Fidia, responsabile in capo (episkopos)

dei lavori: Fidia curò la concezione della decorazione figurata, la creazione dei modelli, l’organizzazione dell’officina, intervenendo personalmente nelle parti più impegnative. Il tempio, iniziato nel 447 a.C., venne inaugurato nel 432 a.C.

Il portico delle Cariatidi sull’Eretteo dell’Acropoli di Atene. Dedicato ad Atena Poliade e Poseidone, il tempio, iniziato per volere di Alcibiade, venne completato nel 406 a.C.

PERICLE: TRA DEMOCRAZIA E POPULISMO La morte violenta del filodemocratico Efialte nel 461 a.C. non ferma i cambiamenti irreversibili ormai in atto ad Atene. Il testimone viene quasi naturalmente raccolto da Pericle, colto, nobile e ricco rappresentante degli Alcmeonidi, nome noto in città per aver, fra l’altro, finanziato la messa in scena della tragedia di Eschilo I Persiani nel 472 a.C. La sua politica, più populista che democratica, ha essenzialmente il fine di rendere Atene una potenza egemone su tutte le altre, sfruttare ogni mezzo per abbellire e ingrandire la città. Per far questo ha bisogno del più ampio sostegno 86

possibile dal basso, e poco importa se per raggiungere lo scopo si utilizzano indebitamente fondi pubblici o si creano squilibri o addirittura conflitti fra le varie poleis greche. Ciò che è di primaria importanza, per Pericle, è ricostruire, anche dal punto di vista psicologico e culturale, un’Atene letteralmente distrutta dai conflitti con i Persiani. Se nel 479 a.C., sulle rovine di Platea, gli Ateniesi avevano giurato di non ricostruire l’Acropoli, in modo che quei resti rimanessero a perenne ricordo dell’offesa fatta dai Persiani alla città, adesso, dopo la pace di Callia, a distanza di esattamente trent’anni Pericle fa il giuramento opposto: riedificare il luogo più sacro di Atene con monumenti ancora più maestosi.

GRECIA ANTICA

Diomede ruba il Palladio, la statua di Atena protettrice della città di Troia, coppa a figure rosse, V secolo a.C. (Oxford, Ashmolean Museum).

L’Atene di Pericle vuole essere il sole attorno al quale orbitano tutti i pianeti di quel frammentato sistema che è l’universo delle città greche, fino ad assumere i tratti di un vero e proprio imperialismo. La posizione egemone di Atene alla guida della Lega delio-attica, dato di fatto fin dagli inizi della coalizione, viene ufficializzata nel 454, con lo spostamento del centro decisionale ad Atene (incluso fisicamente il tesoro che serve per gli scopi comuni di tutti i membri). Gradualmente, le quote versate dai componenti della Lega diventano nient’altro che un tributo pagato ad Atene.

PERICLE Pericle è il personaggio che meglio rappresenta il periodo di massimo splendore della città di Atene e, in un certo senso, il prototipo di quell’idea di “grecità” sulla quale nei secoli futuri si è costruito il modello ideale di cultura, democrazia, civiltà. Nato nel 495 a.C. circa nel demo di Colargo, alla periferia nord-occidentale di Atene, è figlio di Santippo, un politico e militare influente, e di Agariste, di stirpe Alcmeonide. Nonostante i nobili natali,

Sotto, busto in marmo di Pericle, copia romana da un originale greco del 430 a.C. circa, II secolo (Città del Vaticano, Museo Pio-Clementino).

Per attuare la propria strategia, Pericle ha bisogno di una solida base di consensi interni sulla quale contare. Introduce quindi la mistoforia, vale a dire una retribuzione per chi svolge cariche pubbliche, in particolare quella di giudice popolare. Un provvedimento che ai nostri occhi pare ovvio, ma che per l’epoca rappresenta un fatto del tutto inedito: in questo modo la partecipazione alla gestione della città non è più riservata a chi si può permettere di non lavorare per occuparsi della cosa pubblica (vale a dire nobili o ricchi possidenti), ma si apre a chi non potrebbe sospendere la propria attività per dedicarsi alla politica a tempo pieno. Solo la partecipazione all’Ekklesia e la carica di stratega (elettiva) non ricevono alcun compenso. Le riforme promosse sotto Pericle hanno inoltre lo scopo di esaltare l’essere Ateniesi, più che l’essere Greci. Le nuove leggi sulla cittadinanza del 451 a.C., che viene riservata solo a chi ha entrambi i genitori nati ad Atene e di cittadinanza ateniese, sono illuminanti in tal senso. Questo non significa però che gli stranieri residenti siano discriminati o emarginati; i meteci costituiscono anzi una consistente parte della popola-

il principale artefice dell’“età d’oro di Atene”. Due testimonianze descrivono in maniera esemplare il profilo di questo ineguagliato uomo di potere: per Tucidide l’Atene di Pericle è «di nome una democrazia e, in pratica, assoggettata al suo primo cittadino»; Plutarco, invece, descrive le accuse mosse da un avversario politico di Pericle: «Ogni volta che lo butto in terra, sostiene con una tale convinzione di non essere mai caduto, che anche chi ha assistito di persona si persuade e gli assegna la vittoria».

appoggia la fazione democratica di Efialte, divenendone in pratica il braccio destro. Quando quest’ultimo viene assassinato, diviene stratega, e ha campo libero, visto l’allontanamento dalla città del capo conservatore, Cimone, per attuare il suo ambizioso programma. La figura di Pericle rappresenta un po’ quello che è stato Lorenzo il Magnifico per la Firenze rinascimentale: politico e uomo di cultura, militare e protettore delle arti, lungimirante e spregiudicato; pur nelle sue contraddizioni, è certamente ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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Figure a cavallo in un dettaglio dal fregio del Partenone, V secolo a.C. (Londra, British Museum). Chiamati anche Marmi di Elgin, le diciassette statue – opera di Fidia e dei suoi collaboratori – sono nel Regno Unito dal 1812.

zione, fra l’altro molto attiva, commercialmente e culturalmente parlando. È anche grazie a loro che, secondo le stime, la popolazione ateniese passa dai ventimila abitanti dell’epoca di Pisistrato, un secolo prima, a oltre centomila persone. Atene detta legge anche dal punto di vista commerciale: viene imposto l’obbligo di usare misure e moneta ateniese per tutti gli scambi e i funzionari di Atene sono inviati nelle varie città della Lega, con compiti di amministrazione e di controllo.

FIDIA E POLICLETO Fidia incarna l’aspetto artistico dell’“età dell’oro” ateniese: scultore, architetto, progettista, e – almeno secondo Plinio – pittore, a partire dal 470 a.C. svolge la sua attività fra Atene, sua città natale, Pellene, Platea, Tebe e Olimpia. Se le sue opere (o le copie che sono giunte a noi) testimoniano l’eccelso livello del suo stile, che diviene archetipo della classicità greca, non altrettanto noti sono i suoi dati biografici. Si presume sia nato attorno al 490 a.C., e la data della sua morte è ipotiz-

zabile attorno al 430 a.C., al tempo della peste di Atene. A Fidia scultore si deve, oltre alla raffinatezza dei tratti dei volti e alle posture dei corpi, l’invenzione del “panneggio bagnato”, una tecnica secondo la quale i drappi che avvolgono i corpi rimangono aderenti alla figura, sottolineandone ed esaltandone le forme, quasi che si tratti di stoffa bagnata. Molto si è discusso dei rapporti tra Fidia e un altro gigante della scultura a lui contemporaneo, Policleto: di quest’ultimo si sa per certo che sia nativo 88

In basso, incisione del 1886 che mostra la ricostruzione di fantasia della statua di Zeus a Olimpia, una delle Sette meraviglie del mondo antico, realizzata da Fidia nel 456 a.C. e oggi perduta.

Lawrence AlmaTadema, Fidia mostra il fregio del Partenone a Pericle, Aspasia, Alcibiade e ad altri amici, olio su tela, 1868 (Birmingham Museum and Art Gallery).

Le nuove colonie sono caratterizzate dalla cleruchia (da kleros +echein, “avere il sassolino”, cioè la pietruzza con la quale, per sorteggio, sono assegnati i lotti di terreno): i coloni che popolano i nuovi territori, generalmente appartenenti a classi non elevate, non perdono i diritti politici né la cittadinanza, anche se hanno una certa autonomia amministrativa. Il cleruco (colono), mantenendo la cittadinanza, rappresenta un vero e proprio avamposto ateniese in terre lontane, vicino a città confederate che quindi sono tenute sott’occhio per evitare eventuali ribellioni. Questa nuova forma di colonizzazione ha differenze sottili, ma importanti, rispetto alle tradizionali colonie fondate per apoichia: innanzi tutto le cleruchie sono create su suolo alleato, e non per conquista di un territorio altrui o disabitato; in secondo luogo i lotti di terreno vengono dati in usufrutto, ma non in proprietà. Il risultato è che molti cittadini poveri (teti) lasciano un’Atene sovraffollata e con poche possibilità di lavoro, diventando piccoli agricoltori (zeugiti) e quindi salendo un gradino nella scala sociale, con il diritto/dovere di servire nell’esercito come opliti. Gli scambi fra cleruchie e

di Argo, e di qualche anno più giovane di Fidia. Sebbene abbiano lavorato insieme (o in concorrenza) per le statue di amazzoni del tempio di Artemide a Efeso e per la statua crisoelefantina di Era per l’Heraion di Argo, tra i due di certo non si ha un rapporto maestro-allievo. Policleto – del quale ci restano solo copie – è il teorizzatore del cosiddetto canone, cioè l’impostazione delle corrette proporzioni e dei rapporti ideali delle parti del corpo umano, in particolare per quanto riguarda la postura.

GRECIA ANTICA

madrepatria aumentano inoltre il controllo (anche militare) sulle vie di comunicazione terrestri e marittime. Vengono fondate così colonie a Sciro, Lemno, Imbro, Nasso, Andro, Mitilene, Potidea, Salamina, Sinope, Amiso, Milo, nel Chersoneso, nella Calcide e in Tracia. Un caso particolare è Thurii (poi inglobata in Sibari, oggi in Calabria), colonia sorta nel 444 a.C. e formalmente panellenica, cioè formata da cittadini provenienti da varie parti della Grecia, ma di fatto unico avamposto ateniese in Magna Grecia. La scomoda presenza delle cleruchie, che potrebbe risultare sgradita ai vari membri della lega, viene mitigata dal fatto che la città alleata riceve un’importante riduzione del tributo annuale da pagare ad Atene. Da notare come si crei così una specie di paradosso, per cui chi è nato ad Atene, risiede ad Atene, lavora ad Atene ma ha un genitore “straniero”, non è ateniese, mentre il cittadino ateniese che lascia Atene per una colonia, e non risiede nella polis, è comunque ateniese. Dopo la pace di Callia con i Persiani del 449 a.C. e quella con Sparta del 446 a.C. l’Egeo appare davvero un mare solamente ateniese.

LE PRIME CAMPAGNE MILITARI DI PERICLE Il giovane Pericle partecipa nel 460 a.C. alle prime campagne militari che Atene, al momento alleata di Megara e Argo, intraprende contro Sparta, da alcuni storici inquadrati in una più ampia Prima guerra del Peloponneso, combattuta fino al 446 a.C. Le spedizioni non sono particolarmente fortunate. Ancor più disastrosa la missione, in nome della Lega delio-attica, contro i Persiani in Egitto, conclusa nel 455 a.C. con una poco onorevole ritirata. Le avventure militari di Pericle proseguono tra alti e bassi: è crisi diplomatica con Argo, che dal 541 a.C. non appoggia più le iniziative militari di Atene, i contrasti con Sparta per il controllo del santuario di Delo e dei territori vicini portano alla Seconda Guerra sacra nel 448 a.C. (la prima si era conclusa nel 582 a.C.), mentre l’espulsione dei barbari da Gallipoli, all’imbocco dei Dardanelli, è un successo controbilanciato dalla perdita della Beozia dopo la battaglia di Coronea (447 a.C.), che vede Atene soccombere sotto gli attacchi di Sparta e Tebe, e ritirarsi frettolosamente quando, l’anno successivo, tenta di sedare una rivolta in Eubea.

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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ERODOTO E TUCIDIDE La storia antica costituirebbe per noi una grande incognita, se non avessimo le narrazioni, i commenti, gli aneddoti e gli episodi edificanti che ci sono stati consegnati dai due maggiori storiografi del mondo greco, Erodoto e Tucidide. A Erodoto, nato ad Alicarnasso, in Asia minore, nel 484 a.C. dobbiamo la colossale opera Le Storie (suddivise in periodo alessandrino in nove libri), scritte, per dichiarazione del suo stesso autore «affinché le imprese degli uomini non svaniscano nel tempo, e le grandi e meravigliose gesta sia dei Greci sia Barbari non rimangano senza

gloria, e per mostrare per quale ragione combatterono tra loro». Il periodo abbracciato da Erodoto va dall’ascesa di Candaule al trono di Lidia ( 733 a.C.) alla definitiva vittoria dei Greci sui Persiani a capo Micale e alla conquista di Sesto nel 479 a.C. Le narrazioni d Erodoto si basano su tre principi: la vista (opsis, cioè le testimonianze dirette), l’ascolto (akoné, cioè le testimonianze riportate) e la riflessione (gnome, cioè il giudizio critico sull’attendibilità di tali fonti e il commento dello storiografo). Per Erodoto la storia non è solo un susseguirsi di eventi legati semplicemente da una successione cronologica, ma va inquadrata in un contesto più ampio, 90

che non sfugge a un finalismo determinato – in ultima analisi – dalla volontà degli dèi. In buona sostanza tutta l’opera erodotea è permeata dal tema che il contrasto fra Greci e Persiani si declina in un più alto scontro fra civiltà e barbarie, libertà e schiavitù, logica razionalità e istinto brutale, raffinata cultura e superba arroganza. Il rapporto causa-effetto tra gli eventi, indagato e analizzato da Erodoto, è portato alla sua massima espressione da Tucidide, nato ad Atene approssimativamente nel 460 a.C. Il suo capolavoro, La guerra del Peloponneso, in otto libri, riguarda lo scontro che oppose Atene e Sparta dal 431 al 404 a.C. Tucidide

GRECIA ANTICA

prende le mosse dalle origini “archeologiche”, come egli stesso le definisce, della storia greca, premessa indispensabile per spiegare gli eventi a lui contemporanei. La storiografia tucididea è “laica”, prescinde dall’elemento mitico e divino e si propone di trovare principi universali che guidano le azioni umane. La storia è infatti creata dall’uomo, in base a tre impulsi: la paura (deos, che si concretizza nell’istinto di autoconservazione), il desiderio di onore (timé, che spinge ad azioni gloriose) e l’utilità (ofelia, che porta a ricercare il risultato più conveniente). L’approccio di Tucidide è quello dello storico moderno.

Pittore di Eretria, Donne in conversazione raffigurate su un epinetron (cilindro cavo usato per filare la lana), V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Busti contrapposti di Erodoto e Tucidide, IV secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

Gli spartani sono minacciosamente alle porte di Atene (che ha definitivamente perso anche l’appoggio di Megara), e a Pericle non resta che negoziare nel 446 a.C. una pace, detta dei Trent’anni, con i lacedemoni. Durerà meno della metà.

L’ETÀ D’ORO DI ATENE Questo ritratto, a tinte abbastanza fosche, della situazione ateniese potrebbe far pensare a un’Atene in ginocchio, fiaccata dalle sconfitte e dalle continue spese belliche. Niente di più sbagliato. Nel 454, Pericle, con un atto di forza, fa trasportare il tesoro della Lega delio-attica ad Atene, e inizia a disporne a suo piacimento per abbellire l’Acropoli, e non solo. Nel 447 conferisce all’amico scultore e architetto Fidia l’incarico di supervisore (episkopos) dei lavori per realizzare un grandioso tempio dedicato ad Atena, in sostituzione di quello distrutto dai Persiani. Su

In basso, Jean-Léon Gérôme, Candaule mostra le nudità della moglie a Gige, olio su tela, 1859 (Mosca, Museo Puškin).

Questo episodio, che porta alla detronizzazione e all’uccisione di Candaule (o Mirsilo) è narrato nel primo libro delle Storie di Erodoto.

progetto esecutivo degli architetti Ictino, Callicrate e Mnesicle, nell’arco di una quindicina d’anni Atene ha il suo nuovo Partenone, ancor oggi simbolo indiscusso della città. Nel 438, all’interno del tempio, Fidia realizza la grandiosa statua crisoelefantina (d’oro e di avorio) di Athena Parthenos, alta oltre 12 metri, oggi perduta. Nello stesso arco di tempo, l’architetto Mnesicle realizza i Propilei all’ingresso dell’Acropoli. Sono gli anni in cui ad Atene brillano le opere dell’urbanista Ippodamo di Mileto (498-408 a.C.), considerato l’inventore della pianta a scacchiera della città, che ristruttura anche il Pireo, dei tragediografi Eschilo (525-456 a.C.), Sofocle (496-406 a.C.) ed Euripide (485-407a.C.), degli storici Erodoto (484-430 a.C.) e Tucidide (460-404 a.C.). Le statue di Mirone (attivo ad Atene fra il 480 e il 440 a.C.), o di Policleto (attivo tra il 460 e il 420 a.C.) e le loro copie, abbelliscono le case dei più ricchi. Di lì a poco verranno esportate in tutto il Mediterraneo.

In basso, Scena di estrazione di un dente, coppa d’oro di fattura scita ritrovata nel tumulo di Kul’oba, IV secolo a.C. (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage).

Athena Parthenos (o del Varvakeion) statua romana del II secolo d.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale). L’originale di Fidia, in oro e avorio, completato nel 438 a.C., era alto oltre 12 metri.

Va ricordato che ad Atene i cittadini sono esentati dalla tassazione diretta sulle proprietà, e che gli introiti per lo Stato provengono quasi esclusivamente da imposte indirette, per esempio i dazi sui prodotti importati ed esportati nel trafficato porto del Pireo. Gli stranieri residenti e i sudditi, al contrario, sono soggetti a un’imposta diretta (e non partecipano alla vita politica). Come possono allora essere finanziate opere pubbliche così imponenti, oppure eventi, feste, giochi sacri? Due sono i fenomeni comuni a molte culture del mondo antico: oltre al mecenatismo, in cui gli artisti possono realizzare le loro opere grazie alla protezione e al denaro di un ricco finanziatore, nella Grecia antica è comune l’evergetismo (eu+ergon, opera buona), vale a dire una serie di donazioni liberali che un benefattore elargisce per il bene comune. Queste spese sono destinate alle liturgie (leitos+ergon, opera per il popolo), alcune delle quali straordinarie, come la trierarchia, cioè la costruzione, il man-

I “BARBARI” Anche se questa affermazione può sembrare una generalizzazione banale, possiamo dire che la cultura greca, nel suo insieme, è cultura autoreferenziale: tutto è visto in paragone all’“essere greci”. In tal senso, la lingua degli stranieri suona al raffinato orecchio greco come un balbettio incomprensibile, un bar-bar che li accomuna in un’unica, semplicistica e dispregiativa definizione di “barbari”. E poco importa se tali “barbari” sono Persiani che vengono dall’Oriente, o Traci e Illirici che vengono da nord. Ci sono però molte sfumature

dell’“essere barbari”. I Macedoni di Filippo II erano barbari agli occhi degli Ateniesi, ma solo una generazione dopo i Persiani appaiono barbari agli occhi di Alessandro, figlio di Filippo. Tre secoli più tardi, Paolo scriverà (in greco) nella Prima lettera ai Romani di sentirsi “in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti”. L’ordine dei termini, quasi in un sillogismo, non pare casuale. Nel mondo romano, cambiano i riferimenti ma il risultato no: barbari sono tutti gli “altri” non-Romani. Dopo l’editto di Tessalonica, non appena l’impero diviene uffi-

La fattura di questo recipiente mostra come l’arte dei cosiddetti “barbari” sia tutt’altro che rozza e inferiore, come invece è ritenuto dai Greci.

tenimento e il comando di una trireme in periodo di guerra o la eisphora, un’imposta una tantum basata sul reddito per far fronte alle spese militari e introdotta da Cleone nel 427 a.C. Altre liturgie civili o ordinarie sono il mantenimento di una palestra (gymnasiarchia), l’allestimento di banchetti pubblici (hestiasis), il finanziamento delle delegazioni di atleti ai Giochi panellenici (architheoria), le spese per il culto di Athena Parthenos, inclusi il peplo per la dea e le vesti delle quattro ragazze a lei consacrate (arrephoria), o la messa in scena di una rappresentazione teatrale (choreghia). La realizzazione di opere pubbliche più impegnative, come l’erezione di un tempio o la costruzione di mura difensive, richiede però molti più fondi: come abbiamo accennato, Pericle non si fa scrupoli ad attingere a piene mani dal Tesoro della Lega. In particolare, per la ricostruzione dell’Acropoli, vengono prelevati non meno di 9000 talenti dai fondi comuni (pari a più di 230 tonnellate di argento).

cialmente cristiano, barbaro diviene sinonimo di “pagano”. In buona sostanza, “barbaro”

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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è sempre stato sinonimo di “diverso”, nell’accezione di “nemico” e “inferiore”.

Jacques-Louis David, La morte di Socrate, olio su tela, 1787 (New York, Metropolitan Museum of Art).

Otto van Veen, Santippe svuota un vaso sul capo del marito Socrate, stampa dagli Emblemata Horatiana, 1607 (Collezione privata).

IL PELOPONNESO IN GUERRA

gli eventi bellici hanno lo stesso impatto che nel XX secolo ha avuto la Seconda guerra mondiale; all’apertura della sua opera, La guerra del Peloponneso, appunto, così lo storico presenta la sua trattazione: «Tucidide d’Atene ha narrato come Peloponnesi e Ateniesi combatterono fra loro. Allo scoppio della guerra, iniziò subito a scrivere, perché aveva previsto che sarebbe stata importante, anzi, quella più memorabile tra le precedenti. […] Questo è stato senza dubbio l’evento più grave che abbia mai sconvolto i Greci e alcuni dei paesi barbari e che – si può dire – abbia coinvolto la maggior parte degli uomini». Anche dal punto di vista storiografico, quindi, il conflitto è il primo a essere narrato “in diretta” e da un uomo personalmente coinvolto negli eventi.

Il complesso gioco di alleanze messo in atto da Pericle non può non preoccupare Sparta, a capo della Lega Peloponnesiaca. In particolare Atene stringe accordi con Megara, città strategicamente determinante perché posta quasi a cavallo dell’istmo di Corinto, e quindi in grado, con i propri porti, di commerciare sia verso l’Egeo a Est sia con il golfo di Corinto, e quindi con lo Ionio, a Ovest. L’intento palese è quello di danneggiare il più possibile la vicina Corinto, fra le principali alleate di Sparta. Lo scontro fra Peloponnesiaci e Delio-attici è inevitabile. Alcuni storici chiamano Seconda guerra del Peloponneso il conflitto che vede contrapposte le due leghe dal 431 al 404 a. C., identificando la Prima guerra del Peloponneso con i conflitti tra Sparta e Atene dal 460 al 445 a.C. (che includono anche la Seconda Guerra sacra e la rivolta di Megara). Comunque lo si voglia chiamare, il lungo conflitto viene percepito dai contemporanei come un fatto epocale, ancor più delle guerre persiane. Per il suo maggior narratore, Tucidide, L AT I N I Cuma

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Bisanzio Egospotami (405 a.C.) Cizco Anfipoli Pella (410 a.C.) (422 a.C.) CALCIDICA Lampasco Stagira Potidea Asso (432 a.C.) Memno IMPERO EPIRO PERSIANO M Larissa AR TESSAGLIA EG Lesbo E Sardi Ambracia EU Arginuse BL ETOLIA (406 a.C.) Smirne EA Tebe Delfi Decelea Efeso Megara (413 a.C.) ACAIA Atene Corinto Mileto ATTICA

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Atene e Alleati

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La causa scatenante del conflitto è lo spostamento degli interessi commerciali di Atene verso la Magna Grecia, area che è principale mercato e fonte di scambi con Corinto. A complicare il già intricato panorama di alleanze e ostilità,

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GLI SCHIERAMENTI NELLA GUERRA DEL PELOPONNESO

LA FASE ARCHIDAMICA

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Stati neutrali Campagne ateniesi Campagne spartane Battaglie

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GRECIA ANTICA

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SOCRATE La figura di Socrate è probabilmente quella del filosofo per eccellenza, colui il quale getta il seme del dubbio non per impartire una lezione o fornire una risposta, ma per far sì che la conoscenza scaturisca direttamente dall’interlocutore, semplicemente attraverso la riflessione e il ragionamento. L’approccio di Socrate è quello del dialogo, del contraddittorio: anche per questo non ha lasciato niente di scritto. Il suo pensiero è affidato al racconto dei suoi discepoli. Socrate nasce nel demo ateniese di Alopece nel 469 a.C.; suo padre è Sofronisco, uno scultore, sua madre, Fenarete, una levatrice. La professione della madre gli servirà come esempio per descrivere il proprio metodo

di indagine, la maieutiké techne, cioè l’arte di far partorire: come la levatrice aiuta la madre a tirare fuori dal proprio corpo il bambino, così egli si limita ad aiutare chi è di fronte a lui a tirare fuori dalla propria mente la risposta alle domande. Socrate dice apertamente di non poter dare alcuna lezione, perché non sa niente. O meglio, sa una sola cosa: sa di non sapere. L’unico suo insegnamento è «gnothi sautón» (“conosci te stesso”). Socrate fa domande, non dà risposte: la più frequente di queste è «ti estí» (“che cosa è?”), con la quale cerca di far definire all’interlocutore quale sia davvero l’oggetto del ragionamento, per fugare gli equivoci che sono alla base delle discussioni. Tornando alla sua vita privata,

Socrate si sposa con Santippe, che una certa aneddotica dipinge come una megera. Come darle torto, del resto: Socrate non pare avere un’occupazione fissa, passa tutto il giorno tra banchetti e simposi, intento a bere e a discutere, oppure a vagabondare per le strade di Atene importunando tutti con le sue “strane” domande. In quel tempo ad Atene si potevano incontrare Pericle, Crizia e Alcibiade, i filosofi Parmenide e Zenone di Elea, i sofisti Protagora, Gorgia e Prodico. Non risulta che Socrate si occupasse dei suoi tre figli (Lampsaco, Sofronisco e Menesseno, due dei quali probabilmente avuti dall’amante Mirto). In ogni caso, Socrate è di certo un personaggio “scomodo”, che non

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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ha doti di immediata simpatia. Membro della Bulè (Consiglio dei Cinquecento), si oppone spesso a decisioni importanti, e invalida con il proprio voto contrario non poche condanne a morte sostenendo, come riporta il suo illustre discepolo Platone, «di preferire correre anche il più grave dei rischi piuttosto che rendersi complice di un’empia ingiustizia». Certo è che Socrate paga con la vita, e nella maniera più dignitosa possibile, questo suo “essere contro”: processato e incarcerato con l’accusa di corrompere i giovani, è condannato a morte. Rifiuta però qualunque compromesso che lo avrebbe salvato e beve la cicuta, ubbidendo a quelle leggi che, pur ingiuste, vanno comunque rispettate.

Atene si intromette in una contesa interna fra Corcira (oggi Corfù), e la madrepatria Corinto, nel quadro di una rivolta democratica a Epidamno (oggi Durazzo, in Albania). Questa illegittima ingerenza ateniese – secondo Corinto – tra una colonia e la sua metropolis viene acuita dalla pretesa di controllo da parte di Atene anche sulla città di Potidea, nella Calcidica, che viene presa d’assedio dalle forze ateniesi. Il divieto imposto da Atene ai cittadini di Megara di sbarcare nei porti delle città appartenenti alla Lega delio-attica, a tutti gli effetti un embargo commerciale, porta Corinto a indire una riunione straordinaria della Lega Peloponnesiaca per porre un freno alla “arroganza” ateniese. Questi tre fattori, che da Tucidide sono chiamati profaseis (pretesti), nascondono la vera aitía (causa) che è la determinazione degli Spartani a opporsi all’espansione dello strapotere ateniese. All’anziano re lacedemone Archidamo II, che già aveva assistito alla Terza guerra messenica nel 464 a.C., visti vani i suoi tentativi di un accordo di pace, non resta che predisporre un attacco della fanteria oplitica. L’intenzione di Pericle è quella di non affrontare gli avversari in campo aperto, ma di concentrare la popolazione dell’Attica all’interno delle Lun96

ghe mura, in modo che gli Spartani si logorino in attacchi tutto sommato poco efficaci nei confronti della città e, presi per sfinimento, abbandonino l’assedio. La flotta ateniese, intanto, grazie a un Pireo fortificato, avrebbe salvato la polis dalla fame e condotto attacchi navali contro le città alleate di Sparta. La scintilla del conflitto, però, non parte né da Sparta né da Atene, ma da Tebe, che appoggia un colpo di Stato oligarchico (detto “dei Trecento”) e filo-spartano a Platea, in Beozia. La fazione democratica della città chiede aiuto agli Ateniesi, che ristabiliscono lo status quo. Gli equilibri però sono ormai irrimediabilmente compromessi, e i lacedemoni di Archidamo II, nell’estate del 431 a.C., marciano su Atene. La (Seconda) guerra del Peloponneso ha inizio. Gli Spartani però, praticamente invincibili negli scontri corpo a corpo sulla terraferma, e relativamente abili a manovrare per mare, non hanno grande esperienza di assedio. In particolare, non possiedono gli imponenti macchinari che faranno la fortuna di Filippo II il Macedone, tra gli innovatori della tattica poliorcetica, cioè di espugnazione di una città. Atene, quindi, assiste alle devastazioni dei Lacedemoni nelle campagne circostanti, ma non subisce alcun danno all’interno

GRECIA ANTICA

Nicolas Poussin, La peste di Azoth, 1630-1631 (Parigi, Museo del Louvre). In antichità, le epidemie potevano dimezzare la popolazione di una città in pochi giorni. L’episodio biblico qui descritto, narrato nel primo libro di Samuele, viene dipinto in occasione della peste di Milano.

Pietra tombale che raffigura il medico ateniese Giasone mentre esamina il ventre rigonfio di un paziente, II secolo (Londra, British Museum).

delle mura. Anzi, si spinge con la sua flotta di cento navi, supportate da altre cinquanta di Corcira, in veloci raid sulle coste del Peloponneso. In poco tempo cadono in mano ateniese Metone, Egina, Megara. La vittoria nella battaglia navale di Naupatto, nella primavera del 430, assicura poi ad Atene il controllo del golfo di Corinto.

LA PESTE AD ATENE Gli eventi bellici sembrano pendere a favore di Atene, quando, nella città sovraffollata, scoppia nel 430 una epidemia, che ha due recrudescenze nel 429 e nel 427 a.C. Non si conosce l’esatta natura del morbo che, in circa quattro anni, uccide quasi due terzi della popolazione. Perde la vita anche Pericle, assieme alla moglie e ai figli.

LE MALATTIE E LE EPIDEMIE NELL’ANTICHITÀ Nel corso della storia dell’umanità, il passaggio da una cultura nomade di cacciatori e raccoglitori a una stanziale, con la formazione di centri urbani stabili, porta inevitabilmente una serie di problemi legati alle condizioni igieniche e alla convivenza di un gran numero di persone (e animali) in spazi ristretti. L’assenza di un sistema fognario efficiente e la presenza di acque malsane, aggiunte a un’alimentazione non equilibrata per la stragrande maggioranza della popolazione, costituiscono le condizioni ideali per la trasmissione delle malattie infettive, che sono

L’origine della pestilenza, come è stata nei secoli chiamata questa strage, non è certa, anche se le precarie condizioni igieniche hanno certamente facilitato la diffusione dell’epidemia, che colpisce, seppur in maniera minore, anche altre città della Grecia ben lontane da Atene, come Potidea e Lesbo, nell’Egeo settentrionale. Dai sintomi descritti (febbre, ulcere, vomito e disturbi intestinali, emorragie e cancrene diffuse, che portano alla morte in una settimana) si potrebbe trattare di febbre tifoidea, causata da un batterio, o di una febbre emorragica causata da un virus analogo a quello che ai giorni nostri è chiamato ebola. Questo tipo di affezione, all’epoca ricorrente in molte

veicolate anche da parassiti o altri animali infestanti come pulci, pidocchi e ratti. Risulta difficile, senza l’aiuto di evidenze biologiche sui resti umani, individuare quali epidemie (o pandemie) in passato hanno flagellato vaste aree e che la letteratura ci ha riportato sotto il generico termine di “pestilenze”. In realtà, il batterio della Yersinia pestis può essere considerato responsabile di morti di massa in pochi casi: gran parte delle epidemie sono verosimilmente causate da tifo, colera o vaiolo, mentre altre cause comuni di malattia e morte sono la malaria (nelle zone paludose), lo scorbuto (da malnutrizione) e, verosimilmente, alcuni ceppi di influenza particolarmente virulenti. ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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Bassorilievo proveniente da Pompei che rappresenta una scena dalla commedia Andria, dell’autore latino Publio Terenzio Afro, rappresentata per la prima volta nel 166 a.C. L’opera teatrale, contaminazione

Thalia, musa della commedia, copia romana da un originale greco del III secolo a.C. (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage).

fra due lavori del commediografo greco Menandro, l’Andria e la Perinthia, mostra come il teatro greco fosse particolarmente apprezzato a Roma (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

regioni dell’Africa, potrebbe essere stata causata proprio dai più frequenti contatti con le sponde meridionali del Mediterraneo e con l’arrivo di uomini e merci potenzialmente infetti. Tucidide – anche esso colpito dalla malattia ma sopravvissuto – riferisce che il morbo «comparve per la prima volta in Etiopia, a sud dell’Egitto, e si spostò in Egitto, in Libia e in quasi tutti i domini del Gran Re. Colpì Atene come un fulmine, e per primo chi abitava il Pireo». All’interno delle mura di Atene, l’immane tragedia viene vista invece come una punizione divina, come una vendetta del dio Apollo, dato che molto tempo addietro l’oracolo aveva profetizzato una guerra con i Dori accompagnata da una simile catastrofe. Le conseguenze sulla città sono devastanti. Oltre alla perdita di vite umane, il vuoto lasciato dalla scomparsa di Pericle getta la popolazione in uno stato di abbrutimento: con la morte incombente, le più elementari norme sociali sono

LA COMMEDIA Più recente della tragedia, la commedia rappresenta uno dei generi letterari più popolari nel mondo greco. La sua origine non è certa: secondo Aristotele rappresenta un’evoluzione dei canti che seguivano le processioni (komoi) in onore di Dioniso. Il primo commediografo del quale si ha notizia è Epicarmo (nato in Sicilia attorno al 524 a.C.), autore di una quarantina di opere, tutte perdute. Di esse rimangono alcuni commenti, che le de-

scrivono come basate sulla parodia di miti ed eroi e legate a personaggi della realtà quotidiana. Il più noto e celebrato autore di commedie è l’ateniese Aristofane (nato attorno al 450 a.C.), del quale restano undici commedie complete. Viene considerato il massimo esponente della commedia antica, che mantiene alcuni elementi tipici della trage98

dia (il prologo, il coro, la forte caratterizzazione dei personaggi, l’uso di maschere) ma tratta, sotto forma di parodia, temi strettamente legati all’attualità politica e sociale ateniese. Tra i suoi personaggi, oggetto di scherno e critica, si riconoscono il demagogo Cleone, il filosofo Socrate, lo stratega Alcibiade, il tragediografo Euripide. Tra gli espedienti drammaturgici importante è la parabasis, una sorta di intermezzo nel quale il capo del coro “sospende” la narrazione teatrale e si rivolge al pubblico per trattare apertamente alcuni temi della vita politica o sociale della città. Nella seconda metà del IV secolo lo stile si

GRECIA ANTICA

evolve nella cosiddetta commedia nuova, in cui la trama è più articolata e meno legata all’attualità. Scompare il riferimento diretto a personaggi o eventi realmente esistenti e la funzione del coro è relegata a intermezzi fra i vari atti. Vengono inoltre bandite oscenità, episodi di seduzione troppo espliciti e gli intrecci di amore omosessuale sono sostituiti da un “istituzionale” matrimonio tra uomo e donna. Per questo motivo la commedia nuova risulta “esportabile”, e troverà fertile terreno nel mondo romano. Autori principali della commedia nuova sono Difilo, Filemone e Menandro.

Maschera comica che raffigura il “parassita”, una figura ricorrente nelle commedie di Menandro, terracotta, II secolo a.C. (Taranto, Museo Archeologico Nazionale).

sovvertite, non si rispettano le leggi, imperversano scorrerie, saccheggi, e le proprietà passano di mano in maniera indiscriminata. C’è che sperpera tutti i propri beni per godere gli ultimi istanti prima di una morte che ritiene ineluttabile, e chi – ultimo sopravvissuto di un’intera famiglia – si trova ad avere fortune inattese, ma che non sa come amministrare. Il quadro, già drammatico, si aggrava dal punto di vista delle sorti dei due contendenti per il fatto che l’epidemia non si manifesta in nessuna delle città delle Lega Peloponnesiaca. E questo evento è preso dagli Ateniesi come una ulteriore riprova della natura divina del flagello.

CLEONE: UN MERCANTE AL POTERE Con la morte di Pericle, la guida della fazione popolare passa a Cleone, un mercante e conciatore di pelli del demo di Cidatene. Cleone non è un seguace di Pericle, anzi, è il suo principale avversario e accusatore nel corso del proces-

Attori durante le prove della commedia Gli uccelli di Aristofane, Teatro nazionale di Tolosa. L’opera è stata messa in scena per la prima volta ad Atene nel corso delle Grandi Dionisie del 414 a.C.

so che vede coinvolto il leader ateniese nelle vicende relative all’appropriazione indebita di denaro pubblico. Pericle è condannato a un risarcimento tra i 15 e i 50 talenti, una somma astronomica se si pensa che una dozzina di talenti corrisponde alla paga di 200 rematori di una trireme per un anno. Sarà però riabilitato l’anno successivo, in un’Atene che inizia a essere colpita dall’epidemia. Apprezzato dal popolo, abile demagogo, ostinato interventista e intransigente fino a mostrarsi spietato e sanguinario con prigionieri e vinti, Cleone è, più che un filodemocratico, il rappresentante di una borghesia commerciale rampante e arrivista. Aspramente criticato dagli storici a lui contemporanei, preso di mira da commediografi come Aristofane, ha il suo diretto contraltare in Nicia del demo di Cidantide, rappresentante del partito aristocratico e fautore di un pacificazione e di una soluzione diplomatica del conflitto. L’esigenza di proseguire nei combattimenti è per Cleo-

Corteo nuziale, dettaglio di un ciborio a figure rosse, V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

ne un imperativo assoluto: Sparta e Tebe stanno dilagando, prendendo d’assedio Platea nel 429 a.C., Corcira è in preda a una guerra civile tra democratici e oligarchici e, nel 428 a.C. Mitilene, forte dell’appoggio spartano, cerca di espandersi strappando l’intera isola di Lesbo all’orbita ateniese. La prima reazione di Cleone si indirizza appunto contro quest’ultima città ribelle e, nel giro di pochi mesi, gli Ateniesi riducono alla sottomissione i Mitilenesi. La flotta viene catturata e un migliaio di rivoltosi sono inviati ad Atene come ostaggi. Sorge quindi un’accesa discussione sulla sorte da riservare agli abitanti della città. Cleone intende uccidere tutti i Mitilenesi maschi e ridurre in schiavitù donne e bambini. La fazione più moderata, capeggiata da Diodoto, è più clemente e propone di condannare a morte solo i responsabili della rivolta. L’Ecclesia ateniese, in un primo momento propensa allo sterminio di massa, decide poi di “limitarsi” a uccidere i mille ostaggi in catene ad Atene. Il consolidamento delle posizioni ateniesi a Lesbo può apparire una vittoria per Cleone, ma in realtà il favore verso il demagogo sta scemando. Oltre alla sconfitta personale di Cleone nella decisione se risparmiare o meno gli abitanti di Mitilene, l’intervento militare nei confronti dell’isola, in

un’Atene fiaccata dalla peste, comporta un inasprimento delle tasse e l’introduzione della eisphora, l’inedita imposta sul reddito che genera un ovvio malcontento. I messi di Atene vengono inoltre inviati a riscuotere i tributi dalle varie città della Lega delio-attica con mesi di anticipo, estendendo il malcontento a tutti membri della Lega. L’atteggiamento di Cleone si dimostra sempre più dispotico e la città pare avvicinarsi pericolosamente alla tirannide. La spedizione spartana in aiuto di Mitilene, giunta in ritardo (la città era caduta in mano ateniese da due giorni), non è però vana. Sul fronte continentale, i Lacedemoni prendono definitivamente il controllo di gran parte della Beozia, e in particolare su Platea. Sullo Ionio, intanto, Atene è impegnata nella rivolta di Corcira, che desidera riallacciare i rapporti con l’odiata (da Atene) Corinto. In alcuni scontri navali inizia a distinguersi la figura del navarco spartano Brasida, che dà del filo da torcere agli Ateniesi. La sorte di Corcira è comunque segnata, e la fazione popolare della città, filoateniese, scatena una guerra civile che vede soccombere il partito aristocratico, il quale invano cerca di spingere per una a soluzione di neutralità, o per lo meno di equidistanza della città sia da Sparta sia da Atene.

Il volto della statua A, o Il Giovane, uno dei due magnifici bronzi ritrovati nelle acque di Riace Marina, 451 a.C. (Reggio Calabria, Museo nazionale della Magna Grecia).

LA PRIMA SPEDIZIONE ATENIESE IN SICILIA

VERSO LA BARBARIE La situazione di abbrutimento che sfocia in un autentico sterminio per le vie di Corcira è presa da Tucidide come un esempio di come l’intero mondo greco stia degenerando verso una barbarie in cui a vincere sono solo il sopruso e la forza: «La morte era ovunque, nei suoi infiniti aspetti, e come sempre accade in questi casi, raggiunse e superò ogni limite di orrore […]. Con la guerra civile il mondo greco era in preda all’immoralità, nelle forme più diverse. I semplici modi di vivere, che permettono il fiorire degli spiriti nobili, vennero disprezzati, e si spensero. […] Divenne normale che animi più brutali avessero il sopravvento. Nella paura che il loro corto intelletto fosse sconfitto dall’abilità di parola e di ragionamento degli avversari […] passavano direttamente con veemenza alle azioni di forza. Gli altri, sicuri di poter contare sulla loro superiorità intellettuale e sulla persuasione, non ritenevano opportuno ricorrere alla forza fisica, per difendersi, e quindi, disarmati, morivano in gran numero».

Gli eventi di Corcira proiettano lo scenario bellico verso occidente. La città sul mar Ionio, spinte da Rhegion (oggi Reggio Calabria) sono in aperto conflitto con le colonie doriche, prima fra tutte la potentissima Siracusa. Per Atene è l’occasione di inserirsi nel conflitto e cercare così di nuocere agli Spartani, che dalla Sicilia ricevevano grandi rifornimenti di grano. La battaglia navale di Milazzo (427 a.C.) pone le isole Eolie sotto Atene. L’anno successivo, un ulteriore successo a Olpe, sul golfo di Ambracia, assicura ad Atene un maggiore controllo della costa sullo Ionio a sud di Corcira. Sembra davvero il momento della riscossa di Atene che ha la meglio contro gli Spartani nella battaglia per difendere il nuovo avamposto di Pilo, in Messenia. Inutilmente le forze del re spartano Agide II interrompono una serie di attacchi in Attica per riprendere il controllo della costa peloponnesiaca bagnata dallo Ionio: gli scontri a Sfacteria (425 a.C.) vedono il successo delle armate ateniesi capeggiate personalmente da Cleone, le quali, fatto inedito nella storia spartana, costringono gli avversari alla resa. Cadono sotto il controllo di Atene anche Citera, Tirea e Nisea. Allo stesso modo, in Sicilia, viene stipulata a Gela una tregua, che momentaneamente pone fine al conflitto nell’isola, con Sparta in posizione molto ridimensionata.

LA RISCOSSA DI SPARTA E LA PACE DI NICIA La conquista di Nisea da parte degli Ateniesi costituisce una testa di ponte per l’attacco a Megara. Nel 424 a.C. quindi, il generale spartano Brasida muove verso Nisea e con un esercito composto anche da opliti della Beozia infrange il piano ateniese bloccando gli abitanti di Nisea all’interno delle loro mura. Ha così inizio una serie di successi di Sparta che, complice anche una certa superficialità dei comandanti ateniesi nello stimare le potenzialità offensive del nemico, in poco tempo dilagano in Tessaglia e Tracia. Brasida può contare anche sull’appoggio del re macedone Perdicca II, grazie al quale conquista la Lincestide e spinge alla rivolta antiateniese Acanto e Stagira, nella penisola Calcidica.

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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Piatto decorato con pesci, ceramica a figure rosse di produzione campana, V secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

Le battaglie di Delio e, soprattutto, di Anfipoli, nel 422 a.C. sono devastanti per entrambi gli schieramenti: oltre alla perdita di un gran numero di uomini, cadono i due protagonisti degli opposti eserciti. Lo spartano Brasida viene ferito gravemente nelle fasi di attacco, e morirà poco dopo, mentre l’ateniese Cleone è colpito durante la ritirata. A Sparta e Atene, quindi, scomparsi i più influenti sostenitori della guerra, prevalgono le fazioni rispettivamente di re Plistonatte e del pacifista Nicia. L’accordo fra le due città – nelle intenzioni dei due contraenti destinato a durare 50 anni – viene siglato 421 a.C. e prevede essenzialmente la restituzione dei territori che sono stati conquistati nel corso del conflitto e la liberazione dei prigionieri. Nisea rimane agli Ateniesi, e Platea agli Spartani.

LA RIPRESA DEGLI SCONTRI Questa pace, apparentemente duratura, si risolve però solo in una tregua momentanea. Non tutti gli accordi vengono rispettati (Anfipoli resta sotto l’influenza spartana, e per questo gli Ateniesi non restituiscono Pilo), altri sono palesemente iniqui (Panatto è ridotta deliberatamente in macerie dai Beoti prima di abbandonarla, e non può controbilanciare una Pilo ancora intatta). Ad Atene, quindi, l’insoddisfazione per le clausole del patto accresce l’influenza di Alcibiade, eletto stratega nel 420 a.C., che preme per la ripresa delle ostilità. Le armi usate da Alcibiade per imporre il proprio punto di vista, e tirare a sé la fazione moderata, sono l’intrigo, il dop102

Nicolas-André Monsiau, Socrate, Alcibiade e Aspasia, olio su tela, 1801 (San Pietroburgo, Museo Puškin). Alcibiade riuscì a far modificare le leggi ateniesi

in modo che il figlio Pericle il Giovane, avuto dall’amante Aspasia di Mileto, fosse considerato cittadino ateniese nonostante non avesse entrambi i genitori nativi di Atene.

pio gioco, gli accordi segreti e le persuasioni occulte. Non si contano le ambascerie inviate nelle varie città, Sparta inclusa, precedute o seguite da false informazioni che vanificano gli accordi o addirittura si risolvono in risultati diametralmente opposti. L’uso delle parole, le sottigliezze nel ragionamento, le mosse e contromosse psicologiche sembrano in questa fase prendere il posto del nazionalismo, dell’eroismo individuale e della forza delle armi. Uno scontro aperto fra Epidauro e Argo, però, finisce, per il gioco delle alleanze, per riportare Sparta e Atene sul piede di guerra. Si combatte a Mantinea nel 418 a.C., con il netto successo degli spartani di Agide II, mentre Atene conquista con l’inganno e il tradimento l’isola di Melo (Milo), alleata di Sparta, il cui comportamento neutrale (o ambiguo, secondo gli Ateniesi) fa sì che tutti gli abitanti vengano trucidati o venduti come schiavi.

LA SECONDA SPEDIZIONE IN SICILIA E LO SCANDALO DELLE ERME Nel contempo, in Sicilia, si acuisce la rivalità fra Segesta, filoateniese, e Selinunte, alleata della filospartana Siracusa. È l’occasione che Alcibiade attende per imporre il dominio ateniese sull’isola, sfruttarne le risorse e schiacciare definitivamente Sparta. Ignorando il parere contrario di Nicia, Alcibiade riesce a farsi finanziare una spedizione addirittura più imponente di quella da lui auspicata: 134 triremi e oltre 30.000 uomini in assetto di guerra. Al comando lo affiancano lo stesso Nicia e Lamaco. Anche in questo caso, però, l’intrigo e la calunnia cambiano le sorti della guerra. Proprio alla vigilia della partenza della flotta, nella notte fra il 6 e il 7 giugno 415 a.C., ad Atene vengono mutilate e sfregiate alcune erme. Non si conosce il responsabile dell’atto sacrilego, né il vero motivo. Nicia è molto religioso, e un tale atto potrebbe essere da lui interpretato come cattivo presagio e indurlo ad abbandonare la spedizione. Alcibiade è impulsivo e notoriamente irrispettoso del culto degli dèi, e lui o i suoi fedelissimi potrebbero aver compiuto una bravata, eccitati dall’imminente partenza.

GRECIA ANTICA

ALCIBIADE Personalità multiforme e per molti aspetti paragonabile al Principe di Machiavelli, l’ateniese Alcibiade è il prototipo del politico spregiudicato e portato all’azione, abile tanto nell’intessere alleanze quanto senza scrupoli nel romperle e passare alla fazione opposta. Nato nel 450 a.C. da Clinia del demo di Scambonide e da Dinomaca, figlia di Megacle V, è l’ultimo rappresentante illustre degli Alcmeonidi. Le sue doti di politico, statista,

condottiero, oratore (nonostante il difetto di pronuncia oggi detto “zeppola”) lo pongono in un ruolo di primo piano nella storia di Atene, sia come protagonista che come antagonista. Nel corso degli anni passa dalla parte di Sparta (dopo l’affaire delle erme) e poi ai Persiani come consigliere del satrapo Tissaferne, per poi tornare ad Atene e di nuovo ai Persiani. Il suo legame con Socrate (a cui deve la vita, perché viene da lui salvato durante la battaglia di Potidea del 432 a.C.) è consi-

derato tra le cause principali, se non il pretesto, della condanna del filosofo. Dal carattere energico e rissoso, è coinvolto spesso in liti e dispute, fino a venire pubblicamente alle mani col futuro suocero Ipponico e, in un’altra occasione, con Taurea, con il quale contende l’allestimento di uno spettacolo teatrale. Ambizioso fino alla sfrontatezza (durante i giochi della 91a Olimpiade nel 416 a.C. partecipa con sette carri, arrivando primo, secondo e quarto), muore a soli quaran-

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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tasei anni vittima dei suoi stessi intrighi: dopo un’interminabile serie di condanne, riabilitazioni, esilii, assoluzioni, tradimenti e capovolgimenti di fronte, si reca in Frigia per mettersi al servizio del nuovo re persiano Artaserse. Qui viene assediato nella sua abitazione, data alle fiamme. Uscito con la spada in pugno, è trafitto dalle frecce di alcuni sicari mandati da Sparta, oppure – secondo Isocrate – dai Trenta di Atene. È il 404 a.C. Anche la democrazia ateniese sembra avere vita breve.

In ogni caso, la flotta lascia la città, ma i dissapori fra i tre strateghi sul modo di condurre la missione non tardano a emergere in tutta la loro devastante virulenza. Al suo arrivo in Magna Grecia la flotta ateniese viene accolta piuttosto freddamente: molte città non forniscono il supporto militare sperato, e altre, come Taranto e Locri, si rifiutano addirittura di fornire approdo. L’amica Rhegion consente una sosta logistica, ma si dichiara apertamente neutrale. Qui le divergenze in seno all’alto comando ateniese esplodono: Alcibiade vuole suscitare le città della Sicilia alla rivolta contro Siracusa; Nicia si vuole limitare a eseguire gli ordini, difendere Segesta contro Selinunte, limitare le perdite e far rientro in patria il prima possibile; Lamaco vuole invece concentrare tutte le forze contro Siracusa, sfruttando l’effetto-sorpresa. A Siracusa, intanto, lo stratega Ermocrate è poco propenso ad affrontare gli Ateniesi, almeno non prima di aver rafforzato la rete delle alleanze. Il leader del partito popolare, Atenagora, è ancora più scettico sull’intervento, e ritiene poco verosimile che gli Ateniesi si impegnino in una guerra così rischiosa lontano dalla patria. 104

Proprio mentre l’attacco ateniese è imminente, Alcibiade viene sollevato dall’alto comando delle operazioni militari: ad Atene è stato indetto un processo nei suoi confronti per la questione delle erme. Costretto a far ritorno in patria, approfitta del maltempo per sottrarsi al controllo della nave di scorta e rifugiarsi a Sparta, dove si mette al servizio dei Lacedemoni contro la città che in maniera così ingrata lo ha rinnegato. Per tutta risposta i giudici ateniesi lo condannano a morte in contumacia e confiscano tutti i suoi beni. Sul fronte delle operazioni militari, Nicia e Lamaco si dividono i compiti, ciascuno secondo la propria strategia. Una parte della flotta, quindi, parte alla volta di Segesta, razziando alcune città costiere come Hykkara, mentre il restante contingente – inclusa la cavalleria – parte da Catania alla volta di Siracusa. Dopo i primi scontri che vedono vittoriosi gli Ateniesi, Ermocrate organizza la difesa di Siracusa, che fa fronte alla situazione di emergenza con alcuni provvedimenti speciali: gli strateghi sono ridotti da 15 a 3, viene indetta la leva obbligatoria e lo Stato provvede agli armamenti di chi non ha i mezzi per procurarseli.

GRECIA ANTICA

Rython a forma di testa di ariete con satiri e menadi danzanti, opera del pittore di Eretria, 430 a.C. circa (Ferrara, Museo Archeologico Nazionale).

Vaso a forma di astragalo (osso della zampa di capra o di montone usato come dado da gioco) che raffigura Eolo intento a dirigere la danza delle nuvole e delle brezze, 460 a.C. circa (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

GILIPPO: UNO SPARTANO A SIRACUSA Nel frattempo giunge l’inverno del 415-414 a.C. e la momentanea sospensione dei combattimenti favorisce Siracusa. La città viene fortificata, Corinto invia dei contingenti di difesa. Ma, soprattutto, Siracusa può contare sul comando militare dello spartano Gilippo, consigliato da uno stratega esperto, valoroso e che conosce tutte le mosse dell’avversario: Alcibiade. L’assedio di Siracusa ha inizio nella primavera del 414 a.C., con uno spiegamento di forze e mezzi inconsueto per la tattica ateniese. Viene iniziata la costruzione di un muro che, nelle intenzioni di Nicia e Lamaco deve isolare la città via terra e lasciare solo uno spazio per le incursioni della cavalleria. Ermocrate allora decide di prendere gli assedianti in contropiede e realizza un contro-muro, che non ha grande efficacia.

LA MUSICA E LA DANZA Come molti altri discipline del mondo dello spettacolo, anche musica e danza hanno aspetti rituali e religiosi, prima che di intrattenimento. Purtroppo il sistema di notazione musicale, non del tutto decifrato, non permette di illuminarci sulle melodie. Dal punto di vista teorico, invece, è invenzione greca il sistema diatonico, basato su scale a sette suoni, con intervalli di toni e semitoni. La musica è monodica (non esiste polifonia), al massimo con intervalli di un’ottava tra voci maschili e femminili. La strumentazione è abbastanza semplice: l’aulos, strumento a fiato a metà strada fra un flauto e un clarinetto, è

dedicato in particolare al culto di Dioniso, specialmente nella sua forma doppia, il diaulos. Altro strumento a fiato è il flauto di Pan (syrinx), composto da sette canne di diversa lunghezza. Corni e trombe (salpinx) sono usati quasi esclusivamente in battaglia o nelle cerimonie ufficiali. Sacra ad Apollo è invece la cetra a quattro o sette corde, usata per accompagnare il canto poetico, come i poemi omerici. Tra gli strumenti a percussione, tipici delle feste dionisiache sono tamburi, tamburelli e cembali, crotali (analoghi ai piatti) e sistri, di origine orientale e dal suono metallico. Tra le danze, alcune sono tipicamente maschili, come le danze da guerra o da competizione (la

In basso, danzatrice e suonatrice di tamburo nei pressi di un altare, terracotta di fattura ateniese, V secolo a.C.

Per gli ateniesi, però, le cose volgono al peggio: Nicia, da tempo ammalato di reni, non è in condizioni di prendere parte attiva alle operazioni militari e Lamaco, caduto in un’imboscata, viene ucciso. L’arrivo in forze della flotta di Gilippo porta allo scontro aperto della prima battaglia navale del Porto Grande di Siracusa (411a.C.), nella quale Atene perde molte delle sue imbarcazioni. L’arrivo di rinforzi da Atene l’anno successivo (73 triremi, alla guida di Eurimedonte e Demostene) non risolve i gravi problemi di organizzazione interna del comando ateniese. Un’epidemia fiacca le forze dei soldati, e alcune incomprensioni nel corso di attacchi notturni a Siracusa portano addirittura gli Ateniesi a scontrarsi fra loro in quello che oggi si chiamerebbe “fuoco amico”. Sintomatico in questo senso il panico che coglie gli Ateniesi, e soprattutto Nicia, la cui religiosità sconfina nella supersti-

danza pirrica, eseguita indossando le armi, la karpaia, tipica del Nord della Grecia, o la gymnopedia, eseguita da efebi nudi prima dei ludi ginnici). Altre invece sono inserite in processioni e cortei religiosi (komoi), come la solenne danza delle gru (gheranos) eseguita da uomini e donne al santuario di Apollo a Delo in ricordo dell’impresa di Teseo che uccide il Minotauro. Danze femminili, aggraziate e sensuali, sono riservate a ban-

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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chetti e feste private, e non sono eseguite in pubblico. All’interno di una commedia sono previste danze buffonesche (kordax), che ricordano l’incedere barcollante e il passo incerto di chi è sotto gli influssi del vino.

zione, in occasione di un’eclissi di Luna la notte del 27 agosto 413 a.C. Nei giorni successivi, una seconda battaglia navale del Porto Grande di Siracusa è un’autentica disfatta per gli Ateniesi, che vedono affondare tutte le navi di Eurimedonte, disperso nel disastro. Le restanti 115 navi ateniesi, protagoniste di una seconda ondata di attacchi, hanno egualmente la peggio, anche per la defezione delle navi etrusche che passano ai comandi di Gilippo nel corso dello scontro. Sul fronte terrestre, le armate congiunte siracusane e spartane hanno la meglio su quelle ateniesi in numerosi scontri e agguati finché, dopo undici giorni di fuga disordinata, lo scontro del fiume Asinaro pone fine a una guerra che assume sempre più i connotati di una carneficina. I settemila superstiti sono confinati nelle Latomie, le cave di pietra nei pressi di Siracusa. I pochi sopravvissuti vengono poi venduti come schiavi. I comandanti, compreso Nicia, sono passati per le armi.

IL DESTINO DI SIRACUSA E DI ATENE Le conseguenze di questa fase della guerra del Peloponneso sono molte: innanzi tutto l’annientamento della flotta e della cavalleria ateniese cancella una volta per tutte le pretese egemo106

niche di Atene sul mare. Il suo ruolo di protettrice delle varie poleis della Lega delio-attica perde di credibilità, e molte città lasciano l’Anfizionia per passare alla Lega del Peloponneso. Il ridotto introito dei tributi nelle casse del Tesoro diminuisce le potenzialità economiche di Atene. Gli sforzi compiuti da Siracusa nel corso del conflitto fanno sì che Agrigento, rimasta neutrale, abbia campo libero nell’isola dal punto di vista commerciale. I Cartaginesi, indebolita la potenza Siracusana, rialzano la testa e tornano a vedere la Sicilia come una potenziale terra di conquista e nel 409 a.C. iniziano gli attacchi. Questo consente a Dionisio di divenire tiranno della città nel 406 a.C.

LA FASE DECELEICA Una Atene così vulnerabile è ciò che Sparta attende da tempo. Alcibiade, che conosce bene i punti deboli della sua (ex) città, consiglia Agide II su come spazzare via definitivamente l’imperialismo ateniese. Si tratta di assumere il controllo della fortezza di Decelea, impedendo così i rifornimenti ad Atene da nord. In questo modo, inoltre, si interrompe il collegamento della città con le miniere di argento del Laurio, principale fonte di ricchezza di tutta l’Attica.

GRECIA ANTICA

Latomia (cava) del Paradiso, Parco archeologico di Siracusa. Qui si compie il massacro di settemila prigionieri ateniesi per mano di Siracusani e Spartani.

Poseidone, Ares ed Ermes in lotta contro i Giganti (Gigantomachia), pelike attico della scuola del pittore Pronomos (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Una Sparta nuovamente potente attira quindi a sé l’Eubea, Lesbo, Chio, Rodi, Eritre, Clazomene, Efeso, Mileto e Mitilene, che iniziano le trattative per muovere contro Atene. In aggiunta, i satrapi persiani Tissaferne, che domina Lidia e Caria, e Farnabazo II di Frigia, palesano il loro intento di schierarsi con Sparta contro Atene. L’avvicinamento al Gran Re Dario II rafforza la sicurezza di Sparta contro la rivale (412 a.C.) Atene inizia così a ricostruire la flotta e impegna Sparta in schermaglie su Chio e Lesbo e Mileto, ma senza apprezzabili risultati fin quando il navarco Astioco riesce a sorprendere le navi ateniesi nella battaglia di Syme, a nord di Rodi.

toria-lampo di Sparta, dato che non esclude di poter ritornare ad Atene come mediatore fra le varie parti. Sparta subodora il doppio gioco e Astioco riceve l’ordine di catturare Alcibiade, che si rifugia a Sardi da Tissaferne. Da qui inizia un progressivo riavvicinamento ad Atene, in particolare negoziando con i navarchi ateniesi presenti a Samo. I patti sono i seguenti: i Persiani doteranno Atene di una nuova flotta (147 triremi) e appoggeranno il ritorno di Alcibiade, a patto che ad Atene si instauri un’oligarchia. Il piano trova però l’opposizione del navarco Frinico, che rivela in una lettera segreta ad Astioco le trame di Alcibiade. In tutta risposta, Astioco incontra a Magnesia Alcibiade e Tissaferne, svelando il tradimento di Frinico, che viene destituito. Tissaferne, adesso, non si fida più né di Alcibiade né di Frinico, e abbandona le trattative.

GLI INTRIGHI DI ALCIBIADE E FRINICO A questo punto Alcibiade inizia nuovamente a tessere le sue ambigue trame e, trovandosi in disaccordo con Astioco sulla rete di alleanze, si avvicina personalmente a Tissaferne consigliandogli di diminuire gli aiuti nei confronti di Sparta. Ad Alcibiade, infatti, non conviene un superpotere e una vit-

SOLDATI E CITTADINI Il “mestiere delle armi”, nell’antica Grecia, è concepito in maniera diversa a seconda dei tempi e, soprattutto, dei luoghi. Ad Atene la figura del cittadino-soldato si formalizza dopo le riforme di Solone, che nel VII secolo a.C. suddivide le classi sociali sulla base degli armamenti che i cittadini possono procurarsi e mantenere. L’abitante di Atene è quindi un cittadino che, all’occorrenza, abbandona le proprie attività e indossa le armi per combattere per la patria e difendere

la libertà. A Sparta si ha, paradossalmente, la situazione opposta: una popolazione di soldati-cittadini, la cui intera esistenza è dedicata, fin da fanciulli, al combattimento e alla guerra. Un’élite addestrata alla perfezione per combattere fino all’estremo sacrificio. Una forma intermedia fra le due concezioni è quella di Tebe, in cui il corpo scelto dei Trecento del Battaglione sacro è supportato da opliti e cavalieri la cui preparazione e il cui impiego strategico sarà la base per la struttura dell’esercito macedone. ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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DOPPIO COLPO DI STATO AD ATENE Questa non limpida situazione indebolisce ancor di più le istituzioni democratiche di Atene e nel 411 a.C. un colpo di Stato oligarchico abbatte la democrazia e instaura il Consiglio dei Quattrocento, una Boulè scelta dai magistrati (fileti) a capo delle tribù all’interno di un corpo di cinquemila possibili aventi diritto. Frinico e Pisandro sono fra i capi di questo Consiglio, la cui sede non è più sulla collina della Pnice, sull’Acropoli, ma presso il recinto sacro di Poseidone a Colono. Il nuovo governo, gradito a Sparta ma non ai popolari di Atene, non ha basi solide. La flotta ateniese, di stanza a Samo, si erge quindi a difesa degli ideali democratici sotto la guida di Trasibulo e individua proprio in Alcibiade l’uomo in grado di ristabilire la costituzione di Pericle. Dopo appena quattro mesi, anche per una grave sconfitta militare di Atene a Eretria, il Consiglio dei Quattrocento cade e viene sostituito dall’Assemblea dei Cinquemila, guidata da Teramene. Frinico viene assassinato e Pisandro si dà alla fuga. I Cinquemila, secondo Tucidide, in una posizione di mezzo fra oligarchia e populismo, rappresentano il migliore governo che Atene abbia mai avuto. Sul fronte militare, Sparta riceve sempre meno aiuti dai Persiani e può contare in pratica solo sulle navi da Siracusa. Le vittoriose campagne di Trasibulo e Trasillo nell’Ellesponto 108

(Cinossema nel settembre 411 a.C.) e i successi personali di Alcibiade ad Abido portano Atene a riconquistare tutte le città ribelli della Ionia. Un’importante vittoria ateniese arriva nel 410 a.C. a Cizico, grazie a una geniale tattica di Alcibiade, che si fa inseguire dal grosso della flotta spartana, sorpresa poi dall’attacco congiunto di Trasibulo e Trasillo. Sull’onda del successo, Alcibiade conquista Bisanzio.

LISANDRO Atene è nuovamente in una posizione di forza, cosa che preoccupa i persiani. Il nuovo satrapo di Lidia, Frigia e Cappadocia, Ciro il Giovane, Figlio di Dario II, fornisce quindi una nuova flotta agli Spartani, al cui comando viene posto il valoroso Lisandro. Una serie di clamorosi errori strategici di Atene – e di cui Alcibiade viene considerato il principale responsabile – porta alla vittoria spartana a Nozio (lo scontro, del 406, è noto anche come Battaglia di Efeso), poi ripetuta a Mitilene grazie alla guida dello spartano Callicratida. La successiva battaglia delle Arginuse, nello stretto di Lesbo, si conclude con la vittoria di Atene, ma il mancato soccorso di Trasibulo e Trasillo ai marinai naufragati mette in pessima luce i due ammiragli, che vengono destituiti. Destituito anche Callicratida, colpevole di aver mal gestito la flotta spartana, il ritorno di Lisandro (nominato satrapo

GRECIA ANTICA

Collina della Pnice con la tribuna del popolo sull’Acropoli di Atene, illustrazione dall’Histoire des Grecs di Victor Duruy, volume I, 1887.

dell’Asia minore) è favorito dai generosi finanziamenti di Ciro: il raddoppio della paga ai marinai fa passare dalla parte spartana molti equipaggi, e la flotta, ben motivata e armata è pronta per sferrare l’attacco finale ad Atene. Lisandro, nominalmente sottoposto all’inesperto eforo Araco, si rende conto che l’unica possibilità di vittoria per Sparta è quella di distogliere la flotta ateniese dai sicuri porti dell’Ellesponto. Decide quindi di fingere di attaccare direttamente Atene, dirigendosi verso Salamina ed Egina. La manovra diversiva riesce, e le navi ateniesi fanno rotta verso il golfo Saronico. Lisandro allora, rapidamente, si dirige verso Lampsaco, lasciata momentaneamente senza protezione, e la conquista nel 405 a.C. Atene si vede così sbarrata la strada per i rifornimenti dal Bosforo. La reazione di Atene è disperata: sotto il comando di Conone, le trireme della Lega delio-attica ingaggiano una feroce battaglia a Egospotami, sullo stretto dei Dardanelli (agosto 405 a.C.); non riescono però a sopraffare i ben organizzati scafi della Lega del Peloponneso. La sconfitta ateniese è di proporzioni tali che rappresenta l’ultimo grande scontro della guerra. Le poche navi superstiti (non più di una decina), e lo sconfitto Conone si rifugiano a

Le sirene tentano Ulisse che si lega all’albero maestro per non cadere loro preda, bassorilievo su un sarcofago proveniente da Volterra, IV secolo a.C. (Firenze, Museo Archeologico).

Cipro sotto la protezione di re Evagora I. Lisandro non insegue una sparuta flottiglia, ormai inoffensiva. Fa scalo invece in tutte le città prima sotto il controllo ateniese, abbattendo i governi democratici e sostituendoli con regimi oligarchici filospartani. Atene, posta sotto assedio, resiste per quasi un anno ma nel marzo 404 a.C. deve capitolare. Dopo ventisette, interminabili anni, la guerra del Peloponneso è conclusa.

LE CONDIZIONI PER LA PACE Atene si trova al punto più basso delle proprie vicende militari e politiche, e rischia di essere addirittura cancellata e trasformata in terreno da pascolo, come propongono alcuni. Sparta invece si batte per un drastico ridimensionamento della città, ma non per la sua distruzione. Le condizioni, negoziate da Teramene, sono durissime: abbattimento delle Lunghe mura, flotta ridotta a dodici navi, scioglimento della Lega delio-attica. Il rispetto delle condizioni viene garantito da un governatore (armosta) insediato da Sparta, che ha potere decisionale anche in materia di politica interna ed estera

della città. L’assetto istituzionale di Atene deve sottostare alle direttive spartane: grazie a un’amnistia gli esuli vengono richiamati in patria e si instaura una forma di governo oligarchico. Una curiosità: non esiste una denominazione per gli accordi di pace tra Sparta e Atene, perché… ufficialmente non si sono conclusi se non molti anni dopo. Tecnicamente, infatti, la guerra del Peloponneso è la più lunga della storia dell’umanità, dato che le condizioni imposte dopo Egospotami non rientrano formalmente in un accordo bilaterale. La firma della pace definitiva avviene simbolicamente fra i sindaci di Sparta e Atene il 10 marzo 1996: sono passati 2496 anni dall’inizio delle ostilità tra le due più importanti poleis della Grecia antica.

I TRENTA TIRANNI La vittoria di Sparta rappresenta la vittoria dell’oligarchia sulla democrazia. Il sistema di governo spartano viene quindi esportato e imposto nelle poleis e nelle colonie prima sotto l’influenza ateniese. Nella stessa Atene, in particolare, si instaura un governo composto da trenta aristocratici, secondo l’oratore ateniese Lisia (445-380 a.C.) scelti in parti uguali da cittadini filo-oligarchici, da Lisandro e da Teramene. Questi ottimati, il cui governo è dai loro contemporanei definito “dei Trenta”, assume ben presto i connotati di una tirannide. Le leggi democratiche di Efialte sono abrogate e un’amnistia generale annulla tutte le decisioni dei giudici popolari. 110

Alcuni provvedimenti demagogici, comunque, come la nomina di nuovi arconti e tesorieri, risultano gradite alla popolazione. In particolar modo viene abolita la figura del sicofante, che poteva denunciare e citare in giudizio una persona anche senza prove. Originariamente il ruolo del sicofante (letteralmente “colui che indica i fichi”, cioè chi denuncia l’esportazione illegale di fichi, alimento primario della popolazione povera) era posta a garanzia che chiunque – di qualunque classe sociale – potesse sostenere l’accusa anche nei confronti di personaggi più in vista della città. Nel tempo, però, questo era diventato lo strumento per eliminare, con false accuse, personaggi “scomodi” dal punto di vista politico o militare. La situazione, però, degenera in breve tempo. Il più in vista dei Trenta, Crizia il Giovane, autoritario e intransigente, entra presto in conflitto con il moderato Teramene. La deriva verso un regime ancor più duro – appoggiata da Lisandro – si concretizza con l’istituzione di guardie del corpo per gli oligarchi, la confisca delle armi a tutti gli Ateniesi (tranne una lista di tremila fedelissimi) e degenera con una serie di condanne a morte, arresti e confische di beni. Anche Teramene cade in questa operazione di “pulizia” e viene costretto al suicidio con la cicuta. L’autentico clima di terrore che regna ad Atene porta molti cittadini ad abbandonare la città. Un consistente gruppo di esuli si dirige verso Tebe, dove, sotto la guida di Trasibulo, si organizza una sorta di resistenza ai Trenta. Nel 403 a.C. un migliaio di fuoriusciti, dopo aver battuto un drappello di Spartani a File, attacca il Pireo e, dopo uno scontro sull’altura di

GRECIA ANTICA

Asclepio, dio della medicina, cura una donna ammalata durante il sonno. Al suo fianco, la figlia Igea, personificazione della salute, bassorilievo, V secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico del Pireo).

Joseph Kuhn-Régnier, Medico pratica un clistere, aiutato da un assistente, litografia a colori, 1932, dalle Opere di Ippocrate. Questa tecnica era usata per riequilibrare gli “umori” interni del corpo e favorire la guarigione.

Munichia, ha la meglio sugli oligarchi, nonostante l’intervento di una guarnigione spartana. Crizia muore nello scontro e i superstiti dei Trenta fuggono a Eleusi. L’oligarchia ad Atene dura non più di qualche mese. Il governo di Atene passa così nelle mani di quel Consiglio dei Tremila voluto da Crizia, al cui interno vengono scelti dieci rappresentanti per riportare l’ordine nella città. L’intervento di un esercito spartano guidato da Pausania riporta una temporanea pace. La via per un ritorno della democrazia è riaperta, anche perché, nell’ottica spartana, è preferibile un’Atene democratica ma in qualche modo controllabile, di una polis in preda a fazioni contrastanti e sull’orlo di una guerra civile dalle conseguenze imprevedibili.

IPPOCRATE E LA MEDICINA A Ippocrate di Coo (o Cos), nato nell’isola del Dodecaneso nel 460 a.C. circa, va il merito di aver elevato la pratica medica a dignità di vera e propria scienza autonoma, svincolata dalla filosofia, dalla magia e dalla religione. Con Ippocrate nasce la figura del medico di professione, non più sciamano-guaritore che mette sullo stesso piano l’invocazione alla divinità e la somministrazione di decotti o erbe, ma scienziato che si occupa dello studio di casi clinici, descrivendone con attenzione i sintomi e proponendo delle terapie. Le conoscenze mediche infatti, secondo Ippocrate, non sono alla portata di tutti, e vanno condi-

vise solo con chi ha una specifica preparazione. Pur nelle ovvie limitazioni legate al periodo storico e alle conoscenze dell’epoca, si deve a Ippocrate la concezione che le malattie non sono punizioni esterne inflitte dagli dèi, ma dipendono da fattori “interni” alla persona. Di qui la guarigione può avvenire solo sfruttando la “forza vitale” che naturalmente tende a colmare gli squilibri che generano la malattia. Il corpo umano è infatti governato da quattro “umori” (sangue, bile gialla, bile nera e flegma), dal cui equilibrio dipende la salute. Altro grande passo di Ippocrate è quello di aver unito inscindibilmente medicina, farmacia e chirurgia, e di aver attribuito

LA SPEDIZIONE IN ASIA MINORE Se la situazione interna alle poleis greche è quantomai intricata, la lotta di potere all’interno dell’immenso impero persiano è ancora più complessa. Dario II, il cui vero nome è Oco, figlio illegittimo di Artaserse I (dai Greci è chiamato Nothus, cioè “il bastardo”), sale al trono dopo una sanguinosa faida familiare che elimina i due eredi legittimi, Serse II e Sogdiano, e il fratello Arsite.

importanza cardine al dialogo fra medico e paziente. Fondamentali, inoltre, per guarire e mantenere il corpo in salute, sono una corretta alimentazione e una vita morigerata. Determinante è anche il valore morale della professione medica, che deve sottostare a un giuramento, con il quale il me-

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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dico si impegna a seguire questi principi: diffondere responsabilmente le conoscenze, impegnarsi in favore della vita, avere la percezione dei propri limiti, condurre vita onesta e mantenere il segreto professionale. Ippocrate è autore di oltre settanta opere, raccolte nel cosiddetto Corpus Ippocraticum.

Carpentiere al lavoro, figurina in argilla proveniente dalla Beozia, V secolo a.C.

In basso, Battaglia di Cunassa, incisione dalla Storia universale illustrata di Edmund Ollier, volume I, 1890, Cassell and Company, Limited, Londra, Parigi, Melbourne.

Nel corso del suo lungo regno (424-404 a.C.), ha molti figli – almeno 17 – ma alla sua morte solo due di essi, avuti dalla moglie Parisatide, entrano in conflitto per il potere: Arsace (poi sovrano con il nome di Artaserse II), legittimo erede, e Ciro il Giovane, secondogenito, prediletto dalla madre. Ciro è dal 408 a.C. satrapo di Lidia, Frigia e Cappadocia, e qui fornisce truppe e appoggio logistico agli Spartani e in particolare a Lisandro, nella fase finale della guerra del Peloponneso. Alla morte di Dario II, Ciro decide di muovere guerra al fratello e nel 410 a.C. crea un esercito di mercenari sotto il comando dello spartano Clearco, supportato da un altro contingente reclutato in Tessaglia, alla guida del filospartano Menone di Farsalo. L’imponente armata greca (i Diecimila), affianca i ventimila uomini già fedeli a Ciro e muove verso Babilonia. Lo scontro decisivo con l’esercito di Artaserse II avviene il 3 settembre 401 a.C. a Cunassa, villaggio a circa 80 km da Babilonia, lungo l’Eufrate. Le forze del Re dei Re, alla guida di Tissaferne, sono preponderanti, meglio organizzate e soprattutto non fiaccate da una marcia estenuante: la cavalleria e i carri da guerra di Artaserse II fanno scempio dei soldati di Ciro ma la superiorità numerica dei ribelli ha la meglio sulle forze del legittimo detentore del trono.

La svolta della battaglia si ha con la morte di Ciro. Una tradizione – che sa di leggenda omerica – narra di uno scontro fra i due fratelli, nel quale Artaserse II rimane ferito, ma Ciro, colpito da un giavellotto o da una freccia al capo, cade da cavallo e muore dissanguato. Tissaferne, in seguito, si vanterà di aver ucciso di suo pugno il figlio prediletto di Parisatide: un errore per lui fatale, perché la vendetta della madre lo coglierà nel 395 a Colossi, dove viene assassinato, e la sua testa è portata a Susa. Morto Ciro, l’esercito dei ribelli si disperde e il contingente greco, pur vittorioso sul suo fronte, inizia un disperato percorso di ritorno (anabasis) fino a raggiungere il mar Nero a Trapezunte dopo un anno e tre mesi di cammino. Gli scontri per il predominio in Asia minore proseguono anche dopo la morte di Ciro, il cui posto è preso da Tissaferne. La coesione fra le forze greche è sempre più fragile, grazie anche al denaro persiano che sposta molti contendenti da una fazione all’altra. Il V secolo si chiude con una Grecia frammentata nei suoi particolarismi, e un impero persiano ancora in grado di influire in maniera determinante sulle vicende del Mediterraneo.

I MERCENARI: SENOFONTE E L’ANABASI L’estendersi dei conflitti e il bisogno di avere forze sempre pronte e preparate alla battaglia rende necessario ricorrere a soldati professionisti che si mettano al soldo di un sovrano o di una città. La presenza di mercenari è già attestata in tempi omerici, e si ha certezza che nel 660 a.C. il faraone Psammetico I abbia concesso a popolazioni della Caria e della Ionia dei terreni sul delta del

Nilo come compenso per aver fornito i propri uomini nelle sue guerre di espansione. Allo stesso modo, Atene assolda arcieri sciti fino dalle guerre persiane, ed è prassi consolidata quella di fornire o acquistare intere flotte di triremi in occasione di invasioni o scontri navali. In Magna Grecia, Siracusa usa soldati italici provenienti dalla Campania o dalla Lucania, ma anche soldati galli o iberici. Con la guerra del Peloponneso il mercenario cessa di essere considerato un avventuriero 112

senza patria, e diviene un soldato professionista. Importante anche la figura dell’oplomaco, una sorta di maestro d’armi che viene assoldato per allenare e impartire lezioni di tattica, oltre che di disciplina. Un illustre esempio di che cosa

GRECIA ANTICA

Fidia e aiuti, Zeus ed Era con i servitori, dettaglio del fregio est del Partenone, V secolo a.C., dai Marmi di Elgin (Londra, British Museum).

significhi il mestiere del mercenario, e quali rischi comporti, si ha con la narrazione dell’ateniese Senofonte di Erchia, che nella sua Anabasi descrive il rocambolesco percorso di ritorno del contingente greco da Cunassa a Trapezunte (401-400 a.C.).

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI (457 A.C.-400 A.C.) 457 a.C. 456 a.C. 454 a.C. 451 a.C. 448 a.C. 447 a.C. 446 a.C. 444 a.C. 440 a.C. 437 a.C. 436 a.C. 435 a.C. 433 a.C. 432 a.C. 431 a.C. 430 a.C. 429 a.C. 428 a.C. 427 a.C. 425 a.C. 424 a.C. 422 a.C.

Atene occupa Egina. Costruzione delle Lunghe mura di Atene. Argo e Atene sconfiggono Sparta a Enoe. Il tesoro della Lega trasferito da Delo ad Atene. Si scioglie l’alleanza tra Atene e Argo. Riforme di Pericle e nuove leggi sulla cittadinanza. Contrasti fra Sparta e Atene per il controllo del santuario di Delfi. Seconda guerra sacra. Atene sconfitta a Coronea da Tebe e Sparta. Inizia la costruzione del Partenone sull’Acropoli di Atene Pace dei trenta anni fra Atene e Sparta. Thurii colonia panellenica sulla costa ionica. Ribellioni contro Atene a Samo e Bisanzio. Costruzione dei Propilei sull’Acropoli di Atene. Colonie greche ad Anfipoli di Tracia. Corcira aiutata da Atene contro Corinto. Trattato di Atene con Segesta e Corcira. Megara esclusa per decreto dai mercati di influenza attica. In ostilità con Sparta, Atene assedia Potidea. Inizia la guerra del Peloponneso. Epidemia ad Atene. Spartani in Attica. Pericle assolto dall’accusa di appropriazioni indebite e malversazioni. Morte di Pericle; gli succede Cleone, fautore della guerra. Incursione dei Peloponnesiaci nell’Attica. Rivolta a Mitilene, che si arrende agli Ateniesi nel 427. Tebe, con l’appoggio di Sparta, espugna Platea. Successi di Atene contro Sparta a Pilo e Sfacteria. Cleone raddoppia le tasse ad Atene causando il malcontento popolare. Ateniesi battuti a Delio dai Beoti filospartani. Gli Spartani occupano Anfipoli. Morte ad Anfipoli dei condottieri Cleone (Atene) e Brasida (Sparta).

421 a.C. 420 a.C. 418 a.C. 415 a.C. 413 a.C. 412 a.C. 411 a.C.

411-410 a.C. 408 a.C. 407 a.C. 406 a.C. 406 a.C. 406 a.C. 404 a.C. 403 a.C. 401 a.C. 400 a.C.

ATENE DA PERICLE AI TRENTA TIRANNI

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Siglata una tregua di 50 anni tra Atene e Sparta (pace di Nicia). Sparta stringe nuove alleanze con Tebe. Mantinea: Sparta prevale su Argo contro gli Argivi. Spedizione di Atene contro Siracusa, che chiede aiuto a Sparta. Riprende la guerra del Peloponneso. Alcibiade passa dalla parte Spartana. Sparta occupa l’Attica. Ateniesi sconfitti a Siracusa, dove si insedia Diocle. Sparta si accorda con i Persiani contro Atene. Colpo di Stato oligarchico ad Atene. Il Consiglio dei Quattrocento viene però abbattuto dai democratici. Nasce l’Assemblea dei Cinquemila, costituita da oligarchi moderati. Alcibiade torna al comando della flotta ateniese. Successi di Atene contro Sparta a Cinossema e Cizico. Alcibiade riconquista Bisanzio, in mano persiana. Sparta rinforza la flotta, al comando di Lisandro. Lisandro sconfigge Alcibiade nella Ionia e a Nozio. Isole Arginuse: l’ateniese Conone batte lo spartano Callicratida. I Cartaginesi occupano Agrigento. Lo stratega Dionisio di Siracusa ripristina la tirannide. Callicratida e Pausania assediano Atene: demolite le mura e il porto. Fine della guerra del Peloponneso. Sciolta la Lega delio-attica. Ad Atene, governo filospartano dei Tenta tiranni. Rivolta contro i Trenta e intervento di Pausania. Accordo per un governo di Trasibulo. Fallita spedizione di mercenari greci al fianco di Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse a Cunassa, sull’Eufrate. Sparta manda aiuti alle città dell’Asia minore contro Artaserse.

Tebe e la fine dell'indipendenza ellenica

In basso, rilievo di sarcofago in marmo detto della sposa (Nova nupta), IV secolo a.C. (Roma, Palazzo Altemps).

Nelle pagine precedenti, Scuola di Prassitele, Le Muse, IV secolo a.C., da Mantinea (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

TRIONFO E DECLINO DI SPARTA La sconfitta e successiva crisi interna di Atene indubbiamente giocano a favore di Sparta, in grado di dettare una serie di condizioni che apparentemente la pongono in una posizione di predominio su tutta la Grecia. La società spartana però, statica e cristallizzata in una struttura politica apparentemente immutabile, non è pronta a gestire un potere così vasto. L’amministrazione di un vasto territorio, la necessità di un dialogo e di una costante azione diplomatica con le varie città sottomesse o alleate, sembrano scontrarsi con la rigidità di una struttura istituzionale che si dimostra non più al passo con i tempi. L’afflusso di denaro proveniente dai tributi delle poleis, i bottini di guerra e l’improvvisa disponibilità di beni aprono crepe in un edificio apparentemente incrollabile come quello edificato dagli spartiati. La proverbiale austerità e il rigore spartano si sfaldano di fronte a lotte di potere interne e alla corruzione. Dal punto di vista amministrativo, Sparta controlla i propri domini tramite armosti (governatori) plenipotenziari, che impongono e si preoccupano di far rispettare – o almeno ten-

LE ABITAZIONI IN GRECIA Le abitazioni comuni, nella Grecia antica, sono simili a quelle presenti in tutto il bacino del Mediterraneo: basse, hanno pareti realizzate in mattoni crudi e legno. Il tetto è spesso piatto per raccogliere l’acqua piovana che viene convogliata in una cisterna, oppure coperto da tegole. Non esiste una canna fumaria, e il fumo della cucina esce dalle poche e piccole finestre. In genere sono costituite da un ambiente

tano – le condizioni dei Lacedemoni. Se un equilibrio basato sul terrore poteva aver ragion d’essere di fronte alla minaccia ateniese, una volta svanito il nemico storico, ecco riemergere un odio mai sopito sia all’interno della città di Sparta (per esempio quello degli iloti nei confronti degli spartiati) sia all’esterno. Molte città, legate a Sparta a vario titolo, iniziano a manifestare la propria insofferenza. A Tebe, Corinto, Argo, Rodi, Atene si moltiplicano focolai di rivolta e la fazione antispartana può contare sull’aiuto, nemmeno tanto sotterraneo, dei Persiani.

LA CONGIURA DI CINADONE La stabilità di Sparta è minata anche dall’interno. Nel 398 a.C., durante il primo anno di regno di Agesilao II, il giovane Cinadone, che, come riferisce Senofonte «non voleva sentirsi inferiore a nessuno a Sparta», inizia a ipotizzare una rivolta contro i maggiorenti della città. Non è certo quanto gli intenti della cospirazione siano ben chiari ed effettivamente realizzabili, fatto sta che, nel corso di una riunione nell’agorà spartana, Cinadone parlando con un amico si lascia sfuggire una considerazione più o meno di questo

o due. La stanza da bagno non esiste, e i rifiuti sono gettati per strada. La vita delle persone più umili si svolge all’aperto, e la casa è un luogo dove dormire o ripararsi dalle intemperie. Nelle città più grandi, le case degli artigiani hanno al piano inferiore la bottega e a quello superiore gli ambienti per dormire. Le case dei ricchi hanno invece uno o più atrii interni, con colonnato, e vari ambienti separati, alcuni del quali destinati esclusivamente alle donne o ai servi. 116

Teatro a Sparta: si notano ancora alcune gradinate e l’impianto delle fondamenta della scena e del fondale.

GRECIA ANTICA

tenore: «Osserva il re, gli efori, gli anziani. Sono non più di una quarantina di persone: che cosa accadrebbe se tutti gli abitanti di Sparta che non hanno diritti politici, che sono cento volte tanto, si ribellassero a loro?». Questa riflessione attira dei sospetti su Cinadone, il presunto amico lo denuncia alle autorità che, con uno stratagemma, lo inviano in una zona solitaria e lì lo arrestano. Interrogato dagli efori e probabilmente torturato, Cinadone rivela di essere a capo di una congiura e fa dei nomi. Tra di essi, alcuni Neodamodi (gruppo sociale al quale appartengono anche Gilippo e Lisandro), oltre ai sempre sottomessi iloti, accomunati a molte popolazioni vicine dal risentimento nei confronti degli spartiati. Condannato, Cinadone è costretto percorrere il perimetro dell’agorà in catene assieme ai suoi complici, e di lui la storia non lascia altri indizi. Al di là di questo episodio quasi irrilevante nella storia spartana, la narrazione di Senofonte mette in luce aspetti che sono sintomatici dell’instabilità della situazione politica e sociale a Sparta.

Innanzi tutto un clima di generale sospetto, per cui si preferisce tradire un amico piuttosto che rischiare di essere coinvolti in un potenziale atto sovversivo; poi l’effettiva disparità numerica fra chi detiene il potere e con non ha diritto di partecipare alla gestione della cosa pubblica, e il fatto che questa disparità inizia a essere percepita come un’intollerabile disuguaglianza; infine il ruolo marginale della figura dei sovrani, la cui effettiva autorità è gestita dagli efori, da un’assemblea ristretta di anziani (la piccola Gherusia), e da una classe sociale di inferiori – alla quale appartiene Cinadone – cioè di spartiati caduti in disgrazia che sono declassati quasi al rango di popolani. Un’ultima riflessione degna di nota, anche se può trattarsi di un espediente letterario di Senofonte, è che Cinadone non vuole essere “superiore a qualcuno”, bensì “non essere inferiore”: questo aristocratico sentimento di uguaglianza e appartenenza a una classe di ottimati ai quali è riservata la gestione del potere ha per secoli impedito il formarsi di una tirannide personale a Sparta. Un sistema politico che comincia però a mostrare i segni del tempo.

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L’ANNUS HORRIBILIS DI SPARTA

Il 395 a.C. rappresenta un autentico annus horribilis per Sparta. Una serie di scontri minori per il dominio sulla zona nord-occidentale della Grecia fa esplodere un conflitto – poi chiamato guerra di Corinto – la cui reale causa è la mira spartana di espandersi in Asia minore, Grecia centro-settentrionale e Magna Grecia. Agesilao II promuove una serie di campagne militari contro i satrapi persiani Tissaferne e Arnabazo giungendo fino a Sardi. Sul fronte balcanico, però, dopo i primi iniziali successi, gli Spartani sono coinvolti nella battaglia di Aliarto, in Beozia, a mezza giornata di marcia da Tebe, dove viene ucciso il generale spartano Lisandro. Al fianco dei vittoriosi Tebani combattono anche drappelli di Ateniesi, che cercano di risollevare le sorti di una città ormai in piena crisi. La sconfitta di Aliarto è causata da un mancato coordinamento fra Lisandro e l’altro re spartano, Pausania, che giunge in ritardo sul campo si battaglia e non può far altro che reclamare il corpo di Lisandro, patteggiando in cambio la cessazione delle pretese spartane in Beozia. Pausania non può 118

più far ritorno in patria, temendo di essere processato per la propria incapacità, e quindi si autoesilia a Tegea, dove muore dieci anni dopo. Sparta si trova a perdere così due dei suoi più valenti generali. La debolezza lacedemone è acuita dalla nascita di una Lega antispartana composta da Tebe, Atene, Corinto e Argo. Il quartier generale degli alleati è Corinto, dove un Consiglio prende le decisioni comuni. La coalizione è economicamente sostenuta dai Persiani, tanto che Agesilao lamenta di dover combattere non tanto contro i Tebani e i loro alleati, quanto contro “diecimila arcieri del re”. La moneta persiana, infatti, ha l’effigie di un arciere, e tanti sono i darici d’oro con cui il Gran Re Artaserse II finanzia gli eserciti antispartani. La campagna militare del 394 si apre con una schiacciante vittoria spartana nel letto asciutto del fiume Nemea, nei pressi di Corinto, grazie a un potente esercito condotto da Aristodemo che riesce ad avere la meglio sulla Lega senza dover aspettare il ritorno di Agesilao II dall’Asia. La vittoria spartana viene replicata poche settimane dopo a Coronea. Ma mentre su terra, tradizionalmente, gli Spartani si di-

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Quadriga, dal fregio di un sarcofago in marmo proveniente dalla necropoli reale di Sidone, in Libano, 350 a.C. circa (Istanbul, Museo Archeologico).

Urna in alabastro che rappresenta l’assedio di Tebe, II secolo a.C. (Volterra, Museo Guarnacci).

mostrano praticamente invincibili, sul mare le cose vanno ben diversamente. Al largo di Cnido, lungo la costa anatolica fra Coo e Rodi, la flotta congiunta di Persiani e Ateniesi, comandati rispettivamente da Farnabazo II e Conone (rientrato da Cipro dopo la sconfitta di Egospotami), distrugge quella spartana, capeggiata dall’inesperto Pisandro, scelto solo perché fratellastro di Agesilao II. L’ammiraglio spartano perde la vita in quella che rappresenta la definitiva disfatta delle mire espansionistiche marittime di Sparta. Dopo la catastrofe di Cnido, che vede 35 navi affondate e 50 consegnate al nemico, Sparta non si affaccerà più sul mare e non tenterà di ristabilire il dominio sulle coste della Ionia. Le conseguenze della battaglia di Cnido sono di vasta portata: il ridimensionamento di Sparta rinvigorisce le pretese di Atene, che, grazie anche al finanziamento persiano, ricostruisce le Lunghe mura. Le città della Ionia, espulsi gli armosti e le guarnigioni spartane, rientrano sotto l’influenza persiana. I Persiani si fanno inoltre mediatori e garanti di una tregua fra Sparta e Atene, poi formalizzata con la pace di Antalcida nel 387 a.C. L’accordo, che prende il nome dal navarco spartano, e poi eforo, Antalcida, è noto anche come pace del Re e viene considerato il primo esempio di “pace comune”, nel senso che è ratificato da tutti i partecipanti, non ha limiti temporali e prevede sanzioni in caso di violazione.

LA FALANGE OBLIQUA L’evoluzione dello schieramento a falange rappresenta nel tempo uno degli elementi determinanti dello sviluppo della tattica militare, in particolare quella di assalto. Nella tradizionale falange, gli opliti, protetti da larghi scudi e armati di pesanti lance, attaccano frontalmente l’avversario, su una linea compatta, con un’a-

zione di sfondamento basata essenzialmente sulla resistenza e sulla forza fisica. La falange obliqua (loxé falanx), invece, perfezionata da Epaminonda, è uno schieramento fortemente sbilanciato sull’ala sinistra. In questo modo la potenza offensiva di sfondamento si concentra sulla parte destra dello schieramento avversario, quella più vulnerabile perché lascia la parte destra del corpo

LA GUERRA BEOTICA E L’ASCESA FUGACE DI TEBE La pace di Antalcida non è che un’illusione: nel 382 a.C. Sparta alza di nuovo la testa e invade la Beozia, occupando la Rocca Cadmea a Tebe e instaurando un regime oligarchico. Al terzo anno di dominio spartano sulla città, un gruppo di fuoriusciti tebani rifugiatisi ad Atene (tra essi gli strateghi Epaminonda e Pelopida, a capo della fazione democratica) con un colpo di mano uccide i governatori Leonziade e Archia e costringe alla fuga l’armosta Lisanorida. La reazione spartana è sorprendentemente blanda e il re Cleombroto, dopo un poco più che simbolico attacco a Tebe, si ritira lasciando una guarnigione a Tespie, a poca distanza dal capoluogo della Beozia. Gli ordini sono di lasciar passare l’inverno e preparare un attacco per le campagne belliche di primavera. Il capo della guarnigione, Sfodria, però, decide di compiere un’azione personale e si dirige verso Atene, attaccando il Pireo. La sortita non riesce, e ha come unico effetto quello di creare una solida alleanza fra Tebe e Atene in funzione antispartana. Lo scontro armato non tarda a venire: gli Spartani contano sulla loro preparazione militare terrestre, ma i Tebani sperimentano un’evoluzione della falange oplitica, la cui manovra di accerchiamento si rivela vincente.

priva della protezione dello scudo, impugnato con il braccio sinistro. Al momento dell’attacco, la porzione sinistra dello schieramento tenta di fiaccare e aggirare la resistenza avversaria, mentre l’ala destra offre meno resistenza, o addirittura arretra. In questo modo si innesca una manovra di rotazione in senso orario, con la quale gli avversari rischiano di completare mezzo giro e offrire le spalle all’even-

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tuale attacco di una seconda ondata di opliti. Questa tattica si rivela vincente nella battaglia di Leuttra.

La tattica della falange obliqua: l’ala sinistra avanza mentre la destra, più debole, arretra o tiene la posizione.

Scena di guerra, vaso attico a figure rosse, IV secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

Mosaico che rappresenta i discepoli dell’Accademia platonica, dall’Officina del bronzista nella Villa di T. Siminius Stephanus a Pompei. La scuola vivrà per circa nove secoli, fino a quando non verrà chiusa da Giustiniano nel 529 d.C.

I successi iniziali di Sparta, che nel 379 occupa Fliunte, nell’estremo nord del Peloponneso, sono presto frenati dalla nuova lega navale che, con l’appoggio di Tebe, si coalizza attorno ad Atene (Seconda lega delio-attica). Le navi provenienti da Cicladi, Tracia Meridionale, Eubea, Corcira, Epiro, Fere e altre città sconfiggono sparta a Nasso, nelle Cicladi, nel settembre 376 a.C., bloccando così il tentativo spartano di interrompere il flusso di grano che alimenta Atene. L’anno successivo, ad Alizia, ciò che resta della flotta spartana subisce un ulteriore smacco a opera dello stratega ateniese Timoteo. Sparta non può competere con Atene: fra le due città viene siglata una tregua, che in pratica rinnova le clausole della pace di Antalcida e in più coinvolge Giasone di Fere, in Tessaglia, in uno stretto accordo di alleanza con Atene. Dal 384, infatti, Giasone ha iniziato un’espansione dei propri territori, riuscendo a unificare sotto la sua tirannide un’ampia zona a Nord dell’Eubea. Anche Tebe, quindi, si preoccupa di assicurarsi il favore di Giasone in funzione essenzialmente antispartana. Così, mentre Atene tende più a una politica pacifista, Tebe, sotto l’impulso del dinamico Epaminonda, ha tutta l’intenzione di assumere un ruolo guida in tutta la Grecia.

IL BATTAGLIONE SACRO Il corpo scelto dei soldati tebani, propellente della falange obliqua e leggendario gruppo di uomini valorosi chiamato Battaglione sacro (hierós lochos), viene istituito attorno al 378 a.C. dal comandate tebano Gorgida. È formato da trecento soldati, raggruppati in coppie, fra loro legati da vincoli di fedeltà reciproca, lealtà, rispetto e amore. È proprio il legame affettivo, sottolinea Plutarco nella Vita di Pelopida, che costituisce il col-

lante e la ragion d’essere stessa del Battaglione sacro, anche se appare poco probabile, con queste premesse, che fosse possibile riuscire a individuare e mantenere un simile contingente senza gelosie e rancori interni: la caratteristica fondamentale è comunque che si tratta di professionisti, che non esercitano nessuna altra attività e vengono mantenuti a spese dello Stato. Il quartier generale, dove si svolgono gli allenamenti e si studiano le tattiche, è la rocca Cadmea, al centro di Tebe. 120

La leggendaria efficacia ed efficienza del Battaglione sacro è determinante per l’affermarsi dell’egemonia militare di Tebe alla guida di Pelopida ed Epaminonda. I soldati di questo gruppo scelto hanno modo di mostrare la propria potenza in un primo momento contro Sparta nelle battaglie di Tegira (375 a.C.) e in quella di poco successiva a Leuttra (371 a.C.). Pilastro della forza militare tebana, il Battaglione non conosce sconfitte fino al 338 a.C. quando, nella battaglia di Che-

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ronea, viene annientato dalle sarisse e dalla successiva ondata di cavalleria di Filippo II di Macedonia. Con un eroismo eguagliato solo da quello di Leonida alle Termopili, tutti i componenti del battaglione resistono ai macedoni, fino all’ultimo uomo. La loro tomba comune (poliandreion), che ospita 254 corpi allineati su sette file, scoperta alla fine del XIX secolo, è segnalata da un leone in pietra alto 4 metri, collocato su una piattaforma di circa 3 metri.

PLATONE Platone, è, fra i discepoli di Socrate, quello che più di altri ha espresso le proprie concezioni in maniera autonoma e originale, e costituisce una pietra di paragone ineludibile per chiunque voglia confrontarsi con il pensiero filosofico. L’importanza, la fecondità e la profondità della sua opera mettono in ombra tutti i filosofi a lui precedenti, tanto che c’è chi ha azzardato che la figura stessa di Socrate, e degli altri pensatori, così come sono descritti nei dialoghi platonici, non siano altro che “espedienti letterari” per presentare e avvalorare le tesi di Platone. Nato ad Atene nel 428 a.C. da Aristone e Perictione, nipote di Crizia (coinvolto nell’effimero governo dei Trenta), è imponente anche dal punto di vista fisico: il nome che gli è dato dai genitori, Aristocle, viene presto rimpiazzato dal soprannome che gli affibbia il suo maestro di ginnastica; Platone significa letteralmente “dalle spalle larghe”, e infatti è un campione di pancrazio, una violenta disciplina che unisce il pugilato alla lotta. Si diletta anche scrivendo poesie e tragedie e si distingue fin da ragazzo per la sua prodigiosa memoria. L’incontro con Socrate segna la svolta della sua vita: a partire dal 407 a.C. infatti, dopo aver distrutto tutte le opere letterarie che aveva fino ad allora composto, s’immerge totalmente nella filosofia. Dopo la morte del maestro, Platone inizia a mettere per iscritto, in forma di dialogo, gli insegnamenti socratici e nel 387 a.C. fonda ad Atene la pro-

pria scuola, l’Accademia. Qui elabora il colossale corpus delle proprie opere: trentasei titoli, tutte giunte a noi complete (di esse, trentaquattro sono in forma di dialogo). Platone si serve di analogie (i “miti”) per spiegare i meccanismi del pensiero: uno dei più celebri è il mito della caverna. Il mondo sensibile, così come noi lo conosciamo, è imperfetto: crediamo di conoscerlo, ma è come se noi vedessimo solo le ombre della realtà, proiettate sul fondo di una caverna nella quale siamo incatenati. Se veniamo liberati, e ci volgiamo indietro, vediamo gli oggetti che proiettano queste ombre, e crediamo che essi siano la realtà. Ma non è cosi: sono soltanto statue, apparenze del vero, e dobbiamo uscire dalla caverna per vedere alla luce del sole (simbolo dell’idea del Bene) la

realtà nel suo aspetto più pieno, cioè le idee. In questo modo, per esempio, possiamo conoscere, o meglio ri-conoscere, in un oggetto dalla forma quadrata, l’idea di quadrato, la forma geometrica pura. Questa comprensione dell’idea del Bene, oltre che dal punto di vista gnoseologico (cioè della conoscenza) si ripercuote in tutti gli aspetti della vita umana, come la morale o la politica. Spetta infatti al filosofo, che comprende questa verità, il compito di governare. La possibilità e i meccanismi della conoscenza si fondano per Platone sulla reincarnazione (metempsicosi), descritta nel mito di Er, un soldato che, creduto morto, torna in vita. La conoscenza delle cose è possibile in quanto essa è già presente in noi, ma allo stadio latente; noi abbiamo “dimenticato” di

sapere, e le idee (eterne, immutabili e incorruttibili) sono innate in noi; alla nostra morte, l’anima sale verso l’Iperuranio dove, come se fosse un carro alato, segue i carri degli dèi e scorge le idee nella loro forma più pura; quando le anime ricadono sulla terra per rientrare nei corpi, dimenticano ciò che hanno visto, ma non lo cancellano. Grazie ai sensi, quindi, noi “riconosciamo” ciò che già sapevamo, ma avevamo scordato. Platone muore, ultraottantenne, nel 347 a.C., lasciando la guida dell’Accademia a Speusippo. Per concludere, non resta che citare una frase del filosofo e matematico Alfred North Whitehead (18611947): «La tradizione della filosofia occidentale consiste in una serie di note a a piè di pagina su Platone».

Andrey Ivanov, Morte di Pelopida, olio su tela, 1806 (Mosca, Galleria Tretyakov). Il condottiero tebano muore per le ferite riportate a Cinocefale nel 364 a.C.

Corazza da parata in bronzo con testa di Medusa, proveniente da Laos (attuale Marcellina in provincia di Cosenza), IV secolo a.C. (Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale).

Veselin Disalovich, Epaminonda, incisione da Biografie selezionate dei grandi generali di Cornelio Nepote, 1903.

La svolta si ha con la battaglia di Leuttra, del 371 a.C.: la falange obliqua tebana, messa in campo per la prima volta in tutta la sua potenza offensiva, si rivela un’arma imbattibile, e sbaraglia un avversario, come quello spartano, considerato senza eguali sulla terraferma. L’umiliazione per Sparta è doppia, se si pensa che all’onta della sconfitta si aggiunge il fatto che essa è avvenuta per mano di un avversario considerato fino a quel momento di secondaria importanza sullo scenario militare. Negli scontri perdono la vita anche re Cleombroto (caduto sotto i colpi del Battaglione Sacro) e lo stratega Sfodria. I vertici della città sono di fatto decapitati. Come molto spesso si verifica nel delicato gioco di equilibri delle varie poleis greche, all’improvvisa ascesa di una città corrisponde immediatamente, con medesima intensità, la preoccupazione delle altre per la propria indipendenza. Ecco quindi che Sparta, Atene e la Tessaglia si trovano “naturalmente” alleate contro Tebe. Epaminonda intende dare il colpo di grazia a Sparta: in varie ondate successive invade il Peloponneso e spinge gli Arcadici a fondare una nuova città, Megalopoli (la “Grande città”), destinata, assieme a Mantinea a formare una sorta di barriera contro l’espansione di Sparta. Il momento di crisi di Sparta è sfruttato dai mai domati Messeni che, forti dell’appoggio di Epaminonda, si ribellano e creano Messene, comunità indipendente sul monte Itome.

La secessione messenica è un altro devastante colpo: oltre a perdere almeno un terzo del proprio territorio di influenza, Sparta si trova privata d’un tratto dell’apporto fornito dagli iloti messeni, autentica base dell’economia lacedemone. Nel 369 sono Argo, Elea e l’Arcadia a sostenere Epaminonda nella campagna verso il Peloponneso, ma l’intervento di Dionisio I di Siracusa evita l’assedio di Corinto da parte dei Tebani. Sul fronte settentrionale, anche Tessali e Tebani arrivano ben presto allo scontro. Nel 368 un’ambasceria tebana in Tessaglia si conclude addirittura con la cattura e la prigionia di Pelopida, liberato un anno dopo con un’azione di forza da Epaminonda. A Cinocefale, nel 364 a.C., il nuovo tiranno Alessandro di Fere, nipote e successore di Giasone (assassinato nel 370 a.C.), impegna duramente i Tebani: l’esito della battaglia in sé è incerto, e Tebe deve piangere la morte di Pelopida, un duro colpo che viene in parte mitigato l’anno successivo con alcuni successi tebani che ridimensionano le mire del tiranno della Tessaglia. All’indomani della terza ondata offensiva di Epaminonda, questa volta alleato degli Achei, nel Peloponneso, l’intervento pacificatore del persiano Artaserse II sembra momentaneamente portare, se non alla pace, almeno a una tregua nel 366: Corinto, Epidauro e Fliunte sottoscrivono accordi con Tebe, mentre la Messenia, indipendente, si professa fedele alla città.

EPAMINONDA La stella di Epaminonda, sebbene brilli per meno di vent’anni, illumina la storia della Grecia: di lui si hanno scarsi dati biografici (il libro delle Vite parallele di Plutarco, nel quale è a confronto con Scipione l’Africano, è andato perduto), ma per Cicerone il condottiero tebano va considerato “il primo uomo della Grecia”. In tempi

più recenti, parole parol di elogio hanno per lui Machiavelli, nel Discorso sopra la prima Deca di Tito Livio (15131519), e Michel de d Montaigne, che nei n suoi Saggi (1580) lo considera di importanza pari a Omero e 122

Alessandro Magno. Grazie all’abilità ità di stratega, Epaminonda, inonda, assieassie me a Pelopida, elopida, rivoluziona gli equilibri del mondoo greco, sotsot tomettendo endo Sparta e facendoo della potenza militare re di Tebe un avversario ersario temibile e incontrastato. Si dice che la GRECIA ANTICA

sua dote, fin da giovane, non sia tanto la forza fisica, quanto l’agilità: riesce a trasferire questa attitudine nella riforma dell’esercito, la cui falange obliqua rappresenta un’innovazione determinante e imitata negli anni successivi. Con la sua morte, che segue di due anni quella di Pelopida, il dominio di Tebe si sfalda, per non ricostituirsi mai più.

La quarta e definitiva ondata offensiva di Epaminonda nel Peloponneso è datata 362 a.C. Nonostante si formi una coalizione antitebana, l’intento spartano e ateniese di bloccare gli invasori s’infrange militarmente contro la strategia di Epaminonda che nella piana di Mantinea, in Arcadia, domina il campo nella più grande battaglia fra opliti mai avvenuta sul suolo greco. È il punto più alto dell’espansione tebana e, allo stesso tempo, la sua catastrofe: nel momento cruciale della battaglia, una lancia trafigge il petto di Epaminonda, che riesce a mantenersi in vita quel tanto che gli basta per aver certezza della vittoria. Priva delle sue figure più carismatiche (Pelopida e Pausania), Tebe non ha le risorse né economiche né diplomatiche per rimanere protagonista delle vicende greche. Una nuova realtà si sta affacciando da nord: quella della Macedonia, destinata a mutare per sempre, e definitivamente, le sorti del mondo greco.

LA MACEDONIA E IL DESTINO DELLA GRECIA Fino al V secolo a.C., la Macedonia di rado si affaccia sul palcoscenico del mondo greco: paese montagnoso, popolato da genti che vantano origini comuni con gli Argivi, è noto soprattutto per le sue foreste, indispensabili per la realizzazione della flotta ateniese. Lo stesso nome di Macedonia, che è collegato alla parola greca makednòs, “alto”, può indicare il “popolo alto” sia relativamente alla statura degli abitanti, sia riferendosi al fatto che si tratta di popolazioni montane (un po’ come gli scozzesi highlanders). Questa caratteristica morfologica distintiva (gli altri Greci sono in genere di statura modesta), unita al colore di capelli biondo-rossiccio, alla parlata particolare e alla scarsità di documenti scritti fa dei Macedoni, agli occhi degli Elleni, un popolo di “barbari”. È con Alessandro I il Filelleno (494-454 a.C.), della dinastia Argeade, che, all’inizio delle guerre persiane, la Mace-

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donia inizia ad avere anche un ruolo strategico nelle vicende dell’Egeo, e non solo: i Macedoni vengono ammessi ai Giochi olimpici e si avvicinano alla cultura e alla mentalità greca. Archelao I (413-399 a.C.) sposta la capitale a Pella, più vicino al Chersoneso e quindi all’Egeo, e dà inizio a un processo di sviluppo che – nonostante una lotta di potere durata una trentina d’anni – si consolida sotto Tolomeo di Aloro (368365 a.C.) reggente di Perdicca III. Quest’ultimo, al trono con pieni poteri dal 365, è un autentico mecenate: apre la propria corte a matematici, letterati e filosofi, fra i quali Eufraeo, discepolo di Platone. Alla sua morte, avvenuta nel 359 in una campagna contro gli Illiri, il fratello Filippo II, nominalmente tutore di Aminta IV, ancora bambino, assume il potere. È l’anno della svolta: Filippo II si dimostra immediatamente energico e risoluto. Come accade spesso a quei tempi, a garanzia di trattati di pace e accordi, alcuni membri della famiglia reale – in genere gli eredi al trono – o comunque personaggi eminenti della polis vengono tenuti come ostaggi nelle città rivali. Filippo passa così alcuni anni della giovinezza in Illiria prima, e, per un tempo più lungo, a Tebe. Qui entra in stretto contatto 124

con Epaminonda e Pelopida, e assimila pienamente la lingua, la cultura e soprattutto le tattiche militari greche. Nel 360 a.C., all’età di ventidue anni, diviene quindi a tutti gli effetti diciottesimo sovrano della dinastia Argeade, relegando il piccolo Aminta IV in una posizione subalterna. Appena assunti i pieni poteri, Filippo II mette in pratica ciò che ha appreso negli anni trascorsi a Tebe e riorganizza l’esercito, creando la celebre falange macedone, poi portata al massimo grado di efficienza dal figlio Alessandro III (Magno). La ripresa della campagna del fratello contro gli Illiri si concretizza con la vittoria di Monastir (oggi Bitola). Sul fronte opposto, Filippo II adotta invece una strategia più diplomatica, ricorrendo alla trattativa – o meglio, alla corruzione – per ridurre a più miti consigli Peoni e Traci. S’impegna poi, verso sud, in una campagna in Tessaglia (357 a.C.) che, dopo alterne vicende, lo porta a conquistare un ampio territorio fino ai confini con la Beozia. La successiva conquista di Olinto, in Calcidica, e il controllo delle ricche miniere d’oro del monte Pangeo rafforzano la posizione dei Macedoni, in una Grecia impegnata nella Guerra Sociale e poi nella Terza Guerra sacra.

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Il Tholos nel Santuario di Atena Pronaia a Delfi, opera dell’architetto Teodoro di Focea, IV secolo a.C.

In basso, busto di Demostene, copia romana da Policleto, 150 circa, (Città del Vaticano, Museo Chiaramonti, Musei Vaticani).

LA GUERRA SOCIALE Con il nome di Guerra sociale, o Guerra degli alleati (in greco polemos symmachikòs), s’intende poco più di un biennio di scontri (357-355 a.C.) che vedono coinvolta Atene contro gli alleati della Seconda lega delio-attica. In particolare Chio, Rodi e Coo mal sopportano la posizione di predominio di Atene in seno alla Lega e, appoggiandosi a Mausolo, satrapo di Caria succeduto a Tissaferne, con l’aiuto di Bisanzio rovesciano i rispettivi governi democratici. La battaglia navale di Embata (356 a.C.), complice anche una tempesta, volge a sfavore degli Ateniesi. È in questo momento che Filippo II approfitta della debolezza ateniese per prendere Anfipoli, nei pressi del Pangeo, ed estendere il proprio controllo su Pidna, Potidea e Crenides (poi ribattezzata Filippi). Le pressioni dei Persiani, che simpatizzano per le città ribelli, portano al ritiro degli Ateniesi, che sono impegnati in un altro conflitto, la Terza Guerra sacra.

LA TERZA GUERRA SACRA Nel 356 i Focesi, alla guida di Filomelo, occupano Delfi, impadronendosi delle grandi ricchezze del santuario. Questo atto sacrilego scatena immediatamente la reazione dell’Anfizionia delfica, che dichiara guerra alla Focide. Immediatamente scatta il gioco delle alleanze, per cui gli schieramenti contrapposti vedono Beozia e Tessaglia contro un’improbabile

DEMOSTENE Demostene è il più noto e acclamato oratore ateniese, celebre per le sue invettive contro Filippo II di Macedonia (le Filippiche). Nato nel 384 a.C., a soli sette anni perde il padre, un ricco mercante d’armi: il patrimonio è affidato ai tutori Afobo, Demofonte e Terippide, che in una decina di anni riescono a

dilapidare quasi tutta l’immensa fortuna da loro gestita (40 talenti, qualcosa come 10 milioni di euro attuali). Appena divenuto maggiorenne, Demostene intenta loro una causa e, grazie alla sua forza

Gigantomachia, dal fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi, 530-525 a.C. (Delfi, Museo Archeologico).

coalizione formata da Focide, Sparta e Atene. Gli Ateniesi iniziano così un’avanzata verso nord, e la Tessaglia diviene teatro dei principali scontri. Filippo II coglie quindi l’invito degli abitanti di Larissa e s’inserisce nel conflitto in aperta posizione antiateniese, più che in difesa di Delfi. Le campagne dal 354 al 352, con molti rovesciamenti di fronte, si risolvono con un successo macedone anche se Filippo II nel corso di uno degli scontri, a Metone (352 a.C.), viene gravemente ferito e perde un occhio. Alla fine del 348 a.C. la Macedonia controlla una vasta area che si estende dalla Tracia e dalle sponde del Mar Nero a est, fino ai confini con la Beozia, porta d’ingresso per l’Attica e quindi per il Peloponneso. La pace di Filocrate (346 a.C.) pone fine alla Guerra sacra, ma non frena le mire espansionistiche di Filippo II, che esce notevolmente rafforzato dal conflitto. Oltre alle conquiste territoriali, acquisisce di diritto all’interno dell’Anfizionia delfica i voti dei sacrileghi Focesi, espulsi dopo la sconfitta.

DEMOSTENE E ISOCRATE Il trattato – con un chiaro intento di difesa antipersiana – vede coinvolto nelle trattative uno degli oratori e avvocati più in vista di Atene, Demostene di Peania (384-322 a.C.). Inizialmente propenso alla pace, assume una posizione prima diffidente poi apertamente ostile nei confronti della Macedonia, intuendo le mire di Filippo II: contro il monarca macedone pronuncia tre celebri invettive, le Filippiche, incitando

di persuasione espressa in cinque orazioni, riesce a ottenere il risarcimento di parte dei suoi beni. Molto chiacchierato per la sua vita privata, considerata “scandalosa e impropria” per le sue numerose relazioni con amanti (maschi), si afferma

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come politico e avvocato. Caratteristica della sua oratoria è la deinotes, l’“essere terribile”, abilità di trasfondere la passione nel discorso. La sua irruenta retorica lo porta a farsi molti nemici (il principale dei quali è Eschine), tanto che, quando la fazione filo-macedone sale al potere, si rifugia nell’isola di Calauria, dove muore suicida.

Scena di banchetto, gruppo di statuette di argilla, IV secolo a.C.

In basso, busto di Filippo II di Macedonia, copia romana da un originale greco, 150 circa (Città del Vaticano, Museo Chiaramonti, Musei Vaticani).

gli Ateniesi a ribellarsi contro “i barbari”. Di idee diametralmente opposte è Isocrate di Erchia (436-338 a.C.), educatore e retore ateniese la cui scuola rivaleggia in importanza con quella di Platone, che vede come reale nemico i Persiani e quindi mira a un’alleanza pangreca contro “gli stranieri”. L’intervento di Demostene non si limita a discorsi pubblici ad Atene: inizia un vero e proprio tour di propaganda anti-macedone toccando molte città del Peloponneso, fino a giungere nel 341 anche a Bisanzio e Abido. Una Lega panellenica anti-macedone viene a costituirsi così fra Eubea, Megara, Corinto, l’Acarnania, l’Acaia e varie città del Peloponneso. Solo Tebe rimane, per il momento, neutrale.

ma, soprattutto, l’astuta strategia di Filippo II che simula una ritirata per poi prendere in contropiede Ateniesi e Tebani e stringerli in una morsa che si rivela per loro fatale sono gli elementi che rendono memorabile questo giorno. La battaglia di Cheronea rappresenta uno dei “casi studio” emblematici dell’arte della guerra, e dimostra come un esercito numericamente inferiore (quello macedone) possa, se ben addestrato e sapientemente manovrato sul campo di battaglia, aver ragione di un avversario sulla carta avvantaggiato e temibile. Nello scontro si distingue in particolare un diciottenne, che alla guida della cavalleria riesce a sbaragliare i 300 uomini del Battaglione Sacro tebano, allora considerato invincibile. Il suo nome è Alessandro, figlio di Filippo II, ma il mondo lo conoscerà di lì a breve come Alessandro Magno. Dopo Cheronea, nulla si frappone all’avanzata di Filippo II nel Peloponneso. La Grecia è in mano macedone, ma – almeno nominalmente – non come avversario sconfitto, bensì come alleato prezioso. Sciolta la Seconda lega delio-attica, il lungimirante piano politico di Filippo II è infatti quello di creare una lega panellenica (Lega di Corinto) che riunisca tutte le città greche, a eccezione di Sparta, in posizione defilata. Questa Lega ha come alleato privilegiato la Macedonia; come nemico comune, i Persiani.

CHERONEA: LO SCONTRO FINALE La rottura fra Atene e Pella è ormai insanabile. Il pretesto per il conflitto è un presunto atto sacrilego di Anfissa, principale città della Locride, che Filippo II intende punire in quanto tra i più influenti membri dell’Anfizionia delfica. Rifiutate le offerte di pace di Filippo II, Atene e i suoi alleati si trovano così ad affrontare il nemico in campo aperto. Lo scontro avviene a Cheronea, in Beozia, il 2 agosto 338 a.C. Le lunghe sarisse della falange macedone, l’azione combinata di fanteria e cavalleria, il supporto degli alleati della Tessaglia

FILIPPO II Diciottesimo sovrano macedone della dinastia Argiade, a Filippo II si deve la conquista della Grecia e l’imposizione della Macedonia come potenza dominatrice sul Mediterraneo orientale, ruolo egemone che il figlio Alessandro III estenderà fino all’Egitto e ai confini dell’India. Nato a Pella nel 382 a.C., passa parte della propria gioventù come ostaggio degli Illiri prima, e dei Tebani poi. Questa seconda

nella storia greca. Valoroso combattente, più volte ferito, è il primo sovrano macedone a riuscire nella difficile impresa di togliere l’appellativo “barbari” al suo popolo, realizzando un’opera di “grecizzazione” tanto illuminata quanto efficace. Filippo II si sposa quattro volte e si ac-

esperienza, in particolare, sarà determinante per la sua formazione di stratega militare: vive infatti nella casa di Epaminonda e ha frequenti contatti con Pelopida, gli artefici della tanto rapida quanto effimera parentesi tebana 126

GRECIA ANTICA

Faretra in lamina d’oro dalla cosiddetta tomba di Filippo II, 336 a.C., a Vergina (Pella, Museo Archeologico). L’alto livello raggiunto dagli orafi mostra quanto sia errato il concetto di “barbari” che i Greci dell’Ellade avevano nei confronti del Macedoni.

compagna con almeno tre concubine “ufficiali”, generando in totale sette figli fra legittimi e illegittimi. Tutti i componenti della famiglia – lui compreso – moriranno di morte violenta, quasi sempre vittima di faide in seno alla cerchia familiare. A sottrarsi a questa sorte è forse solo Alessandro, la cui scomparsa a soli trentadue anni, all’apice della sua gloria, resta comunque avvolta in un alone di mistero.

LE GUERRE GRECO-PUNICHE Nello stesso momento in cui sul fronte dei Balcani, delle coste dell’Asia minore dell’Egeo si combatte sia per terra che per mare, dall’altra parte del Mediterraneo la situazione non è certo più pacifica. Il conflitto fra Segesta e Selinunte, che aveva rappresentato un tassello non secondario della guerra del Peloponneso, aveva visto coinvolti anche i Cartaginesi e si era concluso con la sconfitta di Atene e l’inizio della tirannide di Dionisio I il Vecchio a Siracusa (406 a.C.). La situazione a cavallo tra il V e il IV secolo in Sicilia è quindi la seguente: i Cartaginesi, dopo aver raso al suolo Imera, saccheggiato Akragas (Agrigento) e assediate Gela e Camarina, sono alle porte di Siracusa. Devono però rinunciare alla conquista della città (per la quale Dionisio I aveva approntato una potentissima difesa) a causa di un’epidemia che uccide almeno la metà degli uomini, tra i quali il condottiero Annibale Magone. Il nuovo capo cartaginese, Imilcone II, negozia quindi una pace con Siracusa, in base alla quale la metà orientale della Sicilia, da Agrigento in poi, deve pagare tributi ai Cartaginesi e s’impegna a non costruire mura difensive per le proprie città, mentre Leontini, Messina e Catania possono conservare

lo status di poleis indipendenti. La presenza cartaginese nell’isola rappresenta una minaccia intollerabile per Dionisio I che, l’anno seguente, inizia già a rompere gli accordi e sottomette Nasso, Catania e Leontini, deportando gli abitanti a Siracusa. La definitiva rottura del trattato avviene nel 398 a.C., quando il tiranno si dirige con un imponente esercito di ottantamila fanti, tremila cavalieri e una grande flotta nella zona della odierna Trapani. Ottenuti aiuti dalla città di Erice, arroccata in posizione strategica, si dirige verso l’isola di Mozia, cingendola d’assedio grazie a nuove macchine da lui concepite, come le catapulte e le torri di assedio. Il tiranno siracusano ottiene anche l’appoggio di quasi tutte le città siciliane, escluse Selinunte, Palermo, Segesta, Entella e Ancira. Imilcone II, dopo una fallimentare azione diversiva nel porto di Siracusa, viene in aiuto con la propria flotta a Mozia, e riesce a intrappolare le navi di Dionisio I che occupano la laguna della città assediata. Dato che i Cartaginesi impediscono l’uscita delle imbarcazioni siracusane, Dionisio mette in atto una mossa temeraria: tirate in secca le navi, le trasporta a forza di braccia attraverso la lingua di terra che separa la laguna dal mare aperto e, con una mossa di aggiramento, coglie di sorpresa la flotta cartaginese alle spalle. Imilcone II è costretto a ritirarsi e Mozia cade. I suoi

TEBE E LA FINE DELL'INDIPENDENZA ELLENICA

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abitanti sono venduti come schiavi, mentre i Greci che hanno appoggiato i Cartaginesi sono messi a morte. Mozia diviene così un temibile avamposto siracusano, dal quale Leptine, fratello di Dionisio I, può controllare tutta la Sicilia occidentale. Imilcone II, però, non ha del tutto abbandonato il teatro delle operazioni. Muovendo da Selinunte riesce nel 397 a superare il blocco navale di Leptine – non senza perdite – e a puntare sul porto amico di Palermo. Di qui, riprese rapidamente Erice e Mozia, si dirige via terra lungo la costa settentrionale sicula, giungendo fino a Messina, che viene espugnata. Via mare, i Cartaginesi impegnano con successo la flotta siracusana al largo di Catania. La strada per Siracusa è aperta e la città viene assediata. Ancora una volta, però, un’epidemia scoppiata fra le fila cartaginesi è provvidenziale per i Siracusani e nel 396 a.C. Dionisio I passa al contrattacco riportando una vittoria talmente travolgente che tutto il contingente cartaginese fa ritorno in patria (abbandonando gran parte della flotta) e lo stesso Imilcone, per il disonore, si toglie la vita. Un successivo accordo di pace consegna a 128

Dionisio I tutte le principali città della Sicilia, tranne alcune colonie fenicie nella parte occidentale, che rimangono sotto il controllo cartaginese. Allontanata per il momento la minaccia punica in Sicilia, Dionisio I dirige le sue mire verso la costa calabra, prendendo la città di Rhegion. La resistenza degli italioti mette alla prova i Siracusani, e di ciò ne approfitta Cartagine che riprende gli attacchi nella parte occidentale della Sicilia. La sconfitta di Cabala (375 a.C.) non ferma i Cartaginesi, che hanno la meglio sui Siracusani nella battaglia del monte Cronion, dove perde la vita anche Leptine. La tregua che segue conferma il possesso cartaginese delle città conquistate (Selinunte, Eraclea Minoa e parte dell’agrigentino). Il nuovo confine d’influenza fra le due parti è fissato lungo il fiume Halykos (oggi Platani). Non passano dieci anni che Dionisio I è di nuovo all’attacco, riconquistando Selinunte, Erice, Entella e Lilibeo (368 a.C.). Solo L’arrivo di una potente flotta Cartaginese pone i due contendenti in una fase di stallo, dopo la vittoria punica di Drepanon (oggi Trapani).

GRECIA ANTICA

Teatro, Parco archeologico della Neapolis di Siracusa, V-III secolo a.C.

L’Orecchio di Dionisio, grotta naturale nella Latomia del Paradiso, Parco archeologico della Neapolis di Siracusa. Questa cavità offre un’acustica eccezionale, tanto da amplificare il suono di circa sedici volte.

Dionisio si fa curare la barba dalle figlie, olio su tela, XVIII secolo (Collezione privata). Non volendo offrire il collo alla lama del barbiere, il tiranno siracusano si fa accorciare la barba dalle proprie figlie con dei tizzoni ardenti.

DIONISIO II E LA FINE DELLA TIRANNIDE A SIRACUSA Gli intenti bellicosi di Dionisio I non sono ripresi dal figlio Dionisio II il Giovane, che, al trono dal 367 a.C., si preoccupa innanzi tutto di confermare la pace con Cartagine e rafforzare il proprio potere. La tirannide, infatti, vacilla sotto le spinte dello zio Dione (letterato e politico suo tutore) che mantiene un atteggiamento ambiguo tra il sostegno al tiranno e accordi sotterranei con i Cartaginesi. In questo periodo, alla corte di Siracusa, radunata nella reggia sull’isola di Ortigia, più volte si trova Platone, il quale tenta, invano, di creare nella città un sistema politico e sociale ideale. Le tensioni interne a Siracusa si acuiscono negli anni, e lo scontro diviene aperto nel 357 a.C. con lo scoppio di una guerra civile: Dione, che era stato allontanato da Siracusa e si era rifugiato in Grecia, approfittando della momentanea assenza di Dionisio dalla città si accorda con il cartaginese Sinalo, signore di Eraclea Minoa, per deporre il tiranno e instaurare la democrazia. La popolazione siracusana, all’inizio favorevole a Dione, caccia quindi Dionisio, che si rifugia in Calabria a Locri Epizefiri, della quale diviene tiranno. Cacciato anche da questa città, Dionisio II tenta il ritorno a Siracusa, che però chiede aiuto a

DIONISIO DI SIRACUSA Dionisio I (o Dionigi), detto il Vecchio o anche il Grande, è un uomo politico, militare, tragediografo e mecenate tra i più importanti della Magna Grecia. Nato nella seconda metà del V secolo a.C. da una modesta famiglia siciliana, riesce a imporsi sfruttando la propria abilità oratoria, il valore militare, la simpatia che riscuote nelle classi più basse e l’appoggio del padre adottivo Eloride, di famiglia

nobile, che lo rende ben accetto anche alla fazione aristocratica. Sfruttando il generale timore dell’attacco dei “barbari”, incarnato nei ripetuti attacchi cartaginesi a Selinunte, Himera e Akragas, il giovane Dionisio riesce a farsi eleggere polemarco. Come prima missione viene mandato a Gela, minacciata da Imilcone e poco difesa. Qui sfrutta la propria posizione in maniera demagogica, eliminando con processi ben oltre il limite della legalità i personaggi più

ricchi della città, espropriandone i possedimenti e ridistribuendoli al popolo e ai militari. Con mossa astuta, invece di sfruttare l’onda del consenso popolare, si dimette dalla carica di polemarco, essendo venuto a conoscenza di un imminente attacco cartaginese contro Siracusa. La popolazione, allora, vedendolo come unico possibile salvatore, lo chiama alla difesa della città: è l’inizio di una tirannide al tempo stesso spietata e illuminata, crudele e culturalmente

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raffinata, che lo porta a reggere le sorti di Siracusa dal 405 a.C. al 367 a.C. quando muore in circostanze non chiare, ma certo non di morte naturale: suicida, avvelenato in una cospirazione, per eutanasia praticata dal figlio (il futuro Dionisio II) date le disperate condizioni di salute o per le conseguenze di un banchetto sregolato ed eccessivo. Sotto di lui Siracusa diviene la città più florida, potente e rispettata di tutta la Magna Grecia, avversario temibile e alleato prezioso.

Pittore di Lentini, vaso a figure rosse, V secolo a.C. (Siracusa, Museo Archeologico regionale Paolo Orsi).

Processione di soldati, dal fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi, 530-525 a.C. (Delfi, Museo Archeologico).

Duello fra guerrieri, pittura murale dalla necropoli di AndriuoloLaghetto, IV secolo a.C. (Paestum, Museo Archeologico Nazionale).

Corinto, l’antica città-madre dalla quale provenivano i fondatori della colonia. Nel 345 a.C., quindi, una flotta alla guida di Timoleonte e supportata dal tiranno Mamerco di Catania cancella definitivamente le ambizioni di Dionisio II, che viene cacciato e mandato in esilio proprio a Corinto, dove muore in povertà. Sotto Timoleonte si forma a Siracusa un regime inizialmente democratico, ma nel quale in breve tempo la fazione oligarchica assume un peso preponderante. Una ulteriore serie di scontri con Cartagine (dal alcuni autori chiamata Quinta guerra greco-punica), culminati con la battaglia del fiume Crimiso, dall’esito incerto (339 a.C.), portano a un ulteriore armistizio e al ristabilimento del confine del fiume Halykos come limite della rispettiva area d’influenza.

IL TRAMONTO DELLE POLEIS Dall’inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.) scatenata dalla reazione al crescente imperialismo ateniese, alla battaglia di Cheronea (338 a.C.) che decreta la fine del sistema democratico e consegna la Grecia nelle mani di Filippo II di Macedonia, la storia militare della penisola balcanica, delle isole dell’Egeo e della Magna Grecia è scandita dalla continua lotta fra le varie poleis (e inevitabilmente coinvolge le relative colonie). Leghe e alleanze si formano e si sciolgono a seconda delle opportunità, con repentini capovolgimenti di fronte, tradimenti e atti di eroismo, colpi di Stato e cambiamenti nell’assetto istituzionale, lotte di potere, intrighi e iniziative personali che alternano la diplomazia alla temerarietà, ed eventi frutto di accorte strategie ma anche di imprevedibile casualità. Le poleis più forti, dopo essersi combattute per un secolo, giungono, per motivi diversi, a perdere la loro indipendenza e la loro forza propulsiva economica, militare e intellettuale. I loro cittadini – che avevano avuto voce in capitolo nell’amministrazione della cosa pubblica nel caso di strutture democratiche, oppure erano sottoposti a regimi oligarchici o tirannici che miravano al predominio della città a qualunque costo – si trovano adesso a essere sudditi di imperi di enorme potenza, che soffocano l’orgoglio nazionale e il mantenimento delle tradizioni. 130

Le cause di questa crisi sono molteplici. Per Atene, in bilico fra oligarchia e populismo, imperialismo e democrazia, la crisi politica si accompagna a una crisi morale, nella quale un ruolo non secondario ha il diffondesi dell’attività dei sofisti e del loro “relativismo” nel sostenere con egual forza le opinioni di qualunque fazione politica, senza richiamarsi a valori assoluti o a tradizioni consolidate. Sparta crolla sotto l’eccessiva rigidità e austerità dei propri ordinamenti oligarchici, accompagnata a una crisi demografica senza precedenti. L’astro di Tebe brilla solo per il valore dei propri generali e il carisma dei comandanti, venuti meno i quali viene nuovamente inghiottita dal vortice degli eventi. A Siracusa, per decenni la più importante città della Magna Grecia, e forse della Grecia tutta, le tirannidi allo stesso tempo sanguinarie e illuminate, alla fine nulla possono contro gli attacchi dei Cartaginesi. Per il mondo di lingua greca, il tempo delle libere città è tramontato. Sorge il tempo degli Imperi.

GRECIA ANTICA

TEBE E LA FINE DELL’INDIPENDENZA ELLENICA (399 A.C.-337 A.C.) 399 a.C. 398 a.C. 395 a.C.

394 a.C. 394-388 a.C. 393 a.C. 388 a.C. 386 a.C. 382 a.C. 381 a.C. 379 a.C. 378 a.C. 377 a.C.

376 a.C. 375 a.C. 374 a.C. 373 a.C. 371 a.C. 370 a.C. 369 a.C.

Ad Atene, condanna a morte di Socrate. Vittoria cartaginese a Catania su un esercito panellenico radunato da Dionisio di Siracusa. Fondata la colonia cartaginese di Lilibeo (Marsala). Sconfitte spartane a Sardi contro i Persiani e ad Aliarto contro i Tebani. Muore Lisandro, Pausania in fuga. Lega antispartana tra Tebe, Atene, Corinto, Argo e Rodi con l’appoggio persiano. Inutile la vittoria a Coronea su Ateniesi e Tebani: gli Spartani sono sconfitti dai Persiani a Cnido. Ad Atene riedificate le Lunghe mura e il Pireo. Tregua fra Atene e Sparta mediata dai Persiani La flotta ateniese alla guida di Trasibulo riconquista Bosforo e Dardanelli. Pace di Antalcida tra Sparta e i Persiani, che riottengono le città nell’Asia minore. Sparta occupa la tebana Rocca Cadmea. Evagora re di Cipro si sottomette ai Persiani. Sparta invade la Beozia e attacca il Pireo. Creata la Lega beotica, sotto la guida di Tebe. Gli Spartani lasciano Tebe. Atene occupa Oropo. Lega navale ateniese (Seconda lega delio-attica) con l’appoggio di Tebe, Cicladi, Tracia Meridionale, Eubea, Corcira, Epiro, Fere e altre città. Nuovo attacco di Sparta a Tebe. Vittoria ateniese sugli Spartani a Nasso. Atene distrugge la flotta di Sparta ad Alizia. Tregua fra Atene e Sparta. Rinnovata la pace di Antalcida. Alleanza fra Atene e la Tessaglia. Gli Spartani attaccano Corfù; Tebe assedia Platea. Sparta attacca la Beozia. Vittoria tebana a Leuttra con Epaminonda e Pelopida. Epaminonda invade il Peloponneso e la Grecia centrale. Rivolta dell’Arcadia contro Sparta. Sparta, Atene e alleati contro Tebe. Nuova spedizione di Epaminonda nel Peloponneso. Megalopoli nuova capitale dell’Arcadia.

368 a.C. 367 a.C. 366 a.C. 365 a.C. 364 a.C. 362 a.C.

359 a.C. 358 a.C. 357 a.C. 356 a.C. 355 a.C. 354 a.C. 353-352 a.C.

348 a.C. 346 a.C. 343 a.C. 340 a.C. 338 a.C.

337 a.C.

TEBE E LA FINE DELL'INDIPENDENZA ELLENICA

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Tolomeo re di Macedonia. Siracusa: muore Dionisio I, gli succede Dionisio II. Pace con i Cartaginesi. Terza spedizione di Epaminonda nel Peloponneso e pace con Corinto. Macedonia: Perdicca III uccide Tolomeo. Battaglia di Cinocefale fra Tebani e Tessali. Morte di Pelopida. Battaglia di Mantinea fra Lega beotica e una coalizione guidata da Sparta. Vittoria di Tebe ma morte di Epaminonda. Termina l’egemonia tebana. Macedonia: morte di Perdicca III contro gli Illiri. Aminta re con la reggenza di Filippo II. Tessaglia: morto Alessandro di Fere, termina la tirannia. Vittorie di Filippo II contro gli Illiri e occupazione di Anfipoli. Guerra sociale ad Atene. Filippo occupa Pidna e Potidea. Fondata in Tracia la città di Filippi. Terza guerra sacra. Callistrato pone fine alla guerra sociale ad Atene. Beoti e Tessali sconfiggono Focesi e Spartani. Filippo II si allea con i Tessali contro i Focesi. Filippo II occupa Metone in Tracia, la Tessaglia, vince i Focesi a Pagase e avanza fino alle Termopili, difese dagli Ateniesi. Filippo II distrugge Olinto di Calcide, debolmente sostenuta dagli Ateniesi. Pace di Filocrate tra Filippo e Atene, in funzione antipersiana. Termina la Terza guerra sacra. Artaserse sottomette di nuovo l’Egitto. Lega panellenica anti-macedone promossa da Atene. La Beozia resta neutrale. A Cheronea, vittoria di Filippo II, che estende il dominio macedone fino al Peloponneso. Sottomissione di Sparta. Filippo II dà vita alla Lega di Corinto.

Alessandro Magno

Nelle pagine precedenti, Alessandro Magno, dettaglio del mosaico della Battaglia di Isso, originariamente nella Casa del Fauno a Pompei, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

La famiglia reale macedone, dettaglio di affresco dalla Villa di Boscoreale, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

A fronte, Giulio Romano, Zeus seduce Olimpiade, affresco, 1528 circa (Mantova, Palazzo Te). La scena ripropone l’istante in cui Zeus sta riprendendo forma umana, mentre

LA MACEDONIA ALLA NASCITA DI ALESSANDRO Alessandro, figlio di Filippo II della dinastia degli Argeadi, nasce a Pella attorno al 20 luglio (ecatombeone) del 356 a.C. Alessandro è il figlio prediletto di Olimpiade, ambiziosa figlia di Neottolemo re dell’Epiro e terza moglie del sovrano macedone, la quale, un paio di anni più tardi, sarà madre anche di Cleopatra di Macedonia, unica sorella carnale di Alessandro. Filippo II si circonda di numerose compagne, alcune di esse consorti ufficiali, sposate per motivi essenzialmente politici e diplomatici, altre invece favorite e concubine. All’epoca della nascita di Alessandro, Filippo II ha quindi almeno altri due figli legittimi, Carano e Cynane, nati rispettivamente dai precedenti matrimoni con la giovane aristocratica Filae e con Eudata, principessa degli Illiri, oltre ad Arrideo, nato nel 358 a.C., avuto con l’amante Filinna. Negli anni successivi, Alessandro vedrà nascere poi due sorellastre, Tessalonica (figlia dell’amante Nicesipoli di Fere) ed Europa (figlia della quinta moglie, Cleopatra Euridice). Dal quarto matrimonio di Filippo II con Meda dei Geti non risultano figli, mentre

LA SARISSA Se paragoniamo la falange macedone a una efficiente macchina da guerra, la sarissa ne rappresenta l’utensile principale. Si tratta di un’imponente lancia, lunga fino a 7 metri, pesante oltre 5 chili e quindi non adatta a essere scagliata. È munita di un’affilata e resistente punta di metallo di una ventina di centimetri a forma di foglia a una estremità, e all’altra di una “scarpa” in bronzo che ha una duplice funzione: fa da contrappeso per bilanciare l’asta e, appoggia-

ta al suolo, mantiene l’arma stabile e ancorata al terreno. Un oggetto così ingombrante non può essere realizzato in un unico pezzo di legno, che risulterebbe difficile da reperire e difficile da maneggiare e trasportare: è composta quindi da due aste distinte in duro legno di corniolo, unite fra loro da un “collare” metallico a forma di tubo. Una volta in formazione, la lunghezza della sarissa permette di far sporgere la punta acuminata oltre la quinta fila di opliti, in modo che il 134

Filippo II, che spia da dietro una porta, viene punito dalla folgore di Zeus che gli acceca un occhio. Filippo II effettivamente era privo di un occhio, perso a causa di una ferita di guerra.

è quasi certo che dalla concubina Arsinoe di Macedonia sia nato nel 367 a.C. Tolomeo, futuro iniziatore della monarchia ellenistica d’Egitto con il nome di Tolomeo I Sotere. La questione della successione dinastica al trono di Macedonia è quindi alquanto intricata: a parte Cleopatra, Alessandro si trova con almeno sei contendenti al trono, dei quali il primogenito è Carano (nato nel 360 a.C.), il secondo maschio è Arrideo, maggiore di due anni di Alessandro e mentalmente instabile, mentre l’unica figlia legittima interamente di stirpe macedone per parte di padre e di madre è Europa. Il fatto quindi che Alessandro sia figlio della terza moglie, tra l’altro non di discendenza macedone ma epirota, è un elemento di non secondaria importanza: in pratica è l’unico in grado di poter sostenere la responsabilità del trono, ma di diritto è almeno in secondo, se non in terzo piano come linea di successione. Non deve quindi stupire che, nel giro di pochi decenni, tutti i membri della famiglia – tranne Alessandro – muoiano di morte violenta in una faida che vedrà coinvolti in pratica tutti i discendenti di Filippo II.

muro di picche e scudi della falange risulti praticamente impenetrabile. In fase di attacco, comunque, solo la prima fila di opliti tiene la sarissa in posizione di attacco, cioè puntata all’altezza del petto degli avversari: dalla seconda fila in poi le sarisse sono tenute in resta, cioè angolate e in una posizione intermedia fra l’attesa (in verticale) e lo scontro (in orizzontale), in modo da offrire un’ulteriore protezione sul capo delle file più avanzate. Così compattata, la falange è un tutto unico contro la quale si può

GRECIA ANTICA

opporre solo un’altra falange di pari potenza. Gli unici due modi per sconfiggere una falange sono un impatto frontale che la disunisca o una manovra di accerchiamento che la prenda alle spalle. Paradossalmente, infatti, un oplita armato di sarissa e protetto dallo scudo ha un’arma micidiale se inserita nel contesto della falange, ma totalmente inutile e impossibile da manovrare se presa singolarmente. Perfezionata da Filippo II, la sarissa e il suo utilizzo vengono portati al massimo dell’efficienza da Alessandro Magno.

INFANZIA ED EDUCAZIONE DI ALESSANDRO Alessandro cresce avendo come esempio l’ingombrante presenza di due genitori che influenzano in modo determinante il suo carattere. Dal padre Filippo apprende la disciplina militare, il coraggio, la competitività, la decisa propensione all’azione e la resistenza alla fatica, alle ferite a al dolore. Alla madre Olimpiade, devota ai riti dionisiaci, deve la religiosità misticheggiante, oltre all’orgoglio, alla passionalità e alla risoluta determinazione di giungere ai propri obiettivi con qualsiasi mezzo. Olimpiade, in particolare, instilla nell’animo di Alessandro una serie di convinzioni, come quella di essere discendente diretto di Achille oltre che di Eracle, e addirittura che il suo concepimento sia frutto della sua unione con Zeus, presentatosi a Olimpiade sotto forma di serpente. Questa origine mitologica e divina sarà un tratto indelebile nel percorso del giovane condottiero macedone. Si sprecano gli aneddoti sui primi di anni di vita di Alessandro, tutti ovviamente improntati all’eccezionalità e all’unicità. Come dice lo storico e geografo Strabone (60 a.C.-24

d.C. circa), riferendosi ai biografi di Alessandro: «Tutti quelli che hanno scritto su di lui, hanno preferito il meraviglioso al vero». L’iconografia più ricorrente lo descrive con gli occhi di diverso colore, i capelli biondo-rossastri (aiutati anche dalle tinture), abbastanza basso e tozzo e con una malformazione al collo che rende la sua voce aspra e devia il capo un po’ verso sinistra e in alto. Il suo corpo emana un odore soave, che, secondo le testimonianze, permane anche dopo la sua morte. Fin da giovane manifesta abilità, coraggio e astuzia, come quando a soli dodici anni riesce a domare il cavallo Bucefalo – che lo seguirà in quasi tutte le sue campagne – accorgendosi che l’irrequietezza dell’animale era dovuta solo alla paura della propria ombra. Ad Alessandro adolescente, armato solo di lancia e spada, si attribuisce inoltre l’uccisione di un leone in una caccia solitaria. Alessandro, comunque, riceve la migliore delle educazioni: desideroso di infondergli una cultura greca, il padre gli procura i migliori precettori. Tra essi Leonida (o Leuconide) d’Epiro, istitutore di rigidi principi che gli trasmette un’educazione spartana, in ogni senso. Da lui Alessandro impara a rifuggire dal

ALESSANDRO MAGNO

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lusso e dai piaceri del corpo (tranne il vino, che probabilmente ha anticipato la sua morte), e la sobrietà nei comportamenti (che abbandona, però, una volta conquistato il trono di Persia). Si narra che un giorno, vedendo che Alessandro usava un po’ troppo incenso nel corso di un sacrificio, Leonida gli abbia detto: «Non sprecarlo, finché non avrai conquistato il Paese dal quale proviene». Pochi anni più tardi, divenuto signore di tutta l’Asia conosciuta, Alessandro invia al suo vecchio maestro 600 talenti di incenso e mirra (una quantità tale da armare una flotta di triremi), «in modo da non essere avaro nelle offerte agli Dei». Altro precettore di Alessandro è Lisimaco, che gli impartisce l’educazione militare e lo accompagna come guardia del corpo per tutta la vita (Lisimaco sarà poi satrapo, diadoco e re di Macedonia dal 288 a.C.). Probabilmente Lisimaco è uno dei pochi sempre a diretto contatto con Alessandro per tutta la sua vita. Narra Plutarco che un anziano Lisimaco, sentendo il filosofo Onesicrito di Astipalea magnificare le gesta di Alessandro e il suo incontro con la regina delle Amazzoni, abbia esclamato, scettico: «E io dove ero, allora?». Ma la figura più importante per la formazione di Alessandro è senza dubbio il filosofo Aristotele, che diviene precettore del figlio del sovrano macedone dal 343 al 341 a.C. Dal filosofo di Stagira il futuro condottiero impara l’amore per la conoscenza, la filosofia, la lettura, in particolare delle opere di 136

Omero. Non si ha la certezza di quali siano gli insegnamenti impartiti da Aristotele ad Alessandro, ma di certo si sa che la scuola del Liceo, ad Atene, con il Peripato, viene finanziata da Alessandro.

LE PRIME IMPRESE L’educazione di Alessandro viene però interrotta bruscamente nel 340 a.C., quando Filippo II – impegnato in una campagna contro Bisanzio – coinvolge il figlio sedicenne nella gestione diretta della monarchia macedone. Da reggente, Alessandro si distingue subito guidando una spedizione contro i Maedi, tribù della Tracia che si è ribellata al potere centrale. Vittorioso in breve tempo, Alessandro ristabilisce l’ordine e fonda addirittura una nuova città, Alessandropoli, in modo da controllare meglio il territorio: il nuovo centro viene popolato da coloni greci. La competenza di Alessandro in questa operazione porta Filippo II ad affidare al figlio il compito di reprimere alcune rivolte in Tracia e in seguito a prenderlo al suo fianco nella campagna in Beozia che culmina con la vittoria di Cheronea (338 a.C.). Qui Alessandro, alla guida della cavalleria, annienta il Battaglione Sacro tebano. Per Filippo II la strada per la conquista della Grecia è spianata. Gli orizzonti di Alessandro, invece, sono ben più ampi.

GRECIA ANTICA

Alessandro ed Efestione cacciano un leone, mosaico dalla Casa di Dioniso, sala C, 320 a.C. (Pella, Museo Archeologico).

In basso, busto di Aristotele, copia romana da un originale greco, II secolo (Roma, Museo Nazionale).

A fianco, il Philippeion, memoriale della battaglia di Cheronea vinta da Filippo II, 338 a.C., Olimpia.

I CONTRASTI CON IL PADRE E LA MORTE DI FILIPPO II I rapporti fra il quarantaseienne sovrano e il ventenne condottiero non sono però così idilliaci. Di ritorno dalla vittoriosa campagna in Grecia, Filippo II sposa infatti Cleopatra Euridice, figlia del suo generale Attalo: al banchetto, Attalo brinda agli sposi, augurando loro la nascita di un erede maschio di stirpe macedone. Questo fa andare su tutte le furie Alessandro, che – epirota per parte di madre – si vede escluso dalla linea di successione. Ne segue una violenta lite, nel corso della quale Filippo II, nello scagliarsi contro il figlio, inciampa goffamente e cade a terra. Al che Alessandro abbandona la sala dicendo: «Guardate l’uomo che pretende di passare dall’Europa all’Asia: non riesce nemmeno a passare da un letto all’altro».

ARISTOTELE Con Aristotele si perfeziona la “trinità” filosofica che vede riuniti i tre giganti del pensiero antico: Socrate, Platone e Aristotele. In una sequenza anche generazionale di discepolo e allievo, essi rappresentano figure imprescindibili nell’universo del sapere, alle quali tutto il mondo occidentale (e non solo) è debitore. Nato a Stagira, in Tracia, nel 384 a.C., Aristotele si trasferisce prima in Macedonia, poi in Asia minore e infine ad Atene, dove entra nell’Accademia platonica. Alla morte del maestro, probabilmente deluso dal vedere la scuola passare nelle mani di Speusippo, la abban-

dona e fonda una propria scuola a Mitilene. Chiamato a Pella come precettore del giovane Alessandro di Macedonia, fa ritorno ad Atene e nel 335, nel ginnasio del Liceo, dedicato ad Apollo Licio, getta le basi di quella scuola che impronterà il metodo filosofico e scientifico per i secoli a venire: il Peripato. Sotto il colonnato dell’edificio si costruisce una cattedrale del sapere zoologico, botanico, medico, astronomico, fisico che verrà scalfita solo nel XVII secolo con Galileo Galilei e Francesco Bacone. Qui, secondo l’usanza pitagorica, i pasti sono consumati in comune e sono

Dopo questo episodio, Alessandro fugge assieme alla madre Olimpiade in Epiro, dall’omonimo zio Alessandro, per poi spostarsi in Illiria. Si tratta di un esilio volontario, durante il quale, probabilmente, Olimpiade programma la sua vendetta. L’occasione giunge nell’estate del 336 a.C. nell’antica capitale macedone Ege, anche in questo caso durante i festeggiamenti per un matrimonio. Gli sposi sono Alessandro d’Epiro e Cleopatra, la sorella minore di Alessandro e figlia di Olimpiade.

occasione di discussione delle lezioni tenute al mattino. Al pomeriggio, invece, si tengono pubbliche lezioni di politica e retorica, mentre logica e metafisica (cioè le cose che vanno “oltre la fisica”) rimangono insegnamenti riservati ai soli discepoli. A differenza di Platone, per Aristotele la realtà delle cose, e la possibilità della loro conoscenza, non è sopita nella nostra anima: la nostra mente è «come una tabula rasa, nella quale non c’è scritto niente», e quindi ciò che possiamo conoscere è insito nelle cose stesse. Ciascuna cosa che esiste è composta da un’unione inscindibile (sinolo) di materia e forma, cioè ha in sé una potenzialità che tende a mettere in atto. L’Essere

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supremo – identificabile in una sorta di divinità impersonale – è perfettamente realizzato e attuato; invece gli oggetti che ci circondano, gli enti, sono a livello di possibilità di essere, e quindi sono mutevoli e imperfetti. Alla morte di Alessandro Magno – fra i principali finanziatori della scuola – l’odio anti-macedone riesplode: Aristotele è costretto a rifugiarsi in Eubea, dove muore l’anno seguente, senza lasciare opere di suo pugno. La cosiddetta “questione aristotelica” è molto intricata: nei fatti, non possediamo nessuna opera originale del maestro, ma il suo pensiero è stato raccolto dai discepoli, in particolare Andronico, che ne hanno operato la redazione e sistematizzazione.

Sebastiano Ricci, Alessandro e Diogene, olio su tela, 1750 circa (Collezione privata). L’episodio descrive l’incontro a Corinto tra il condottiero, già padrone della Grecia, e il filosofo, che ha rinunciato a ogni

Pettorale in ferro con decorazioni in oro, dal tesoro della tomba di Filippo II a Vergina, IV secolo a.C. (Pella, Museo Archeologico).

Durante il banchetto, un ufficiale delle guardie del corpo, Pausania di Orestide, uccide Filippo II, ma viene bloccato durante la fuga e ucciso sul posto da Attalo, Leonnato e Perdicca, intimi amici di Alessandro. I reali motivi e mandanti dell’omicidio non sono certi, fatto sta che molte delle persone coinvolte hanno buoni motivi per volere la morte del sovrano macedone: Pausania è invischiato in una torbida storia di amori e tradimenti con Filippo, Olimpiade è stata ripudiata e vede la successione del figlio messa in pericolo, Alessandro è reduce da un feroce litigio col padre proprio per motivi familiari e dinastici, e infine ad Attalo non dispiacerebbe la morte di Pausania, che considera diretto responsabile della morte di un suo caro amico. Non è escluso, poi, che della congiura sia in qualche modo partecipe Dario III, sul trono di Persia da poche settimane. Quindi, che i vari attori di questa tragedia siano congiurati, o si limitino a non intervenire per impedire gli omicidi, la morte sia di Filippo sia di Pausania apre uno scenario che vede favorito alla successione Alessandro, per diritto ma anche per autorevolezza e favore della popolazione.

SUL TRONO DI MACEDONIA Con il sostegno dei dignitari di corte e dell’esercito, quindi, Alessandro sale sul trono di Macedonia con il nome di Alessandro III. La sua prima preoccupazione – sostenuto dalla madre – è

DIOGENE Diogene, conosciuto come il Cinico, nasce attorno al 412 a.C. a Sinope, lungo le coste del Mar Nero. Costretto a spostarsi ad Atene per l’esilio inflitto al padre, accusato di frode, rimane affascinato dagli insegnamenti del filosofo Antistene, discepolo di Socrate e oppositore di Platone. Nella sua scuola di Cinosarge (letteralmente “del cane veloce”, da qui il termine

“cinico” per i suoi discepoli) Antistene predica povertà, rigore e austerità. Diogene decide di portare all’estremo le dottrine del maestro, facendo dell’eliminazione del superfluo la propria regola di vita e riducendosi a vivere per strada, avendo come unico riparo una botte sfondata; addirittura getta via l’unico suo avere, una ciotola di legno, dopo aver visto un ragazzo raccogliere l’acqua da una fonte con il cavo 138

suo avere e vive per strada in una botte. Alessandro, con una certa dose di superbia, chiede a Diogene cosa possa fare per lui. Al che Diogene risponde, ugualmente sprezzante: «Spostati un poco, perché mi pari il sole…».

quella di eliminare tutti i possibili rivali, a cominciare da quelli interni alla famiglia. Nel giro di pochi giorni sono assassinati Carano, figlio di primo letto di Filippo, e Cleopatra Euridice, l’ultima sposa, assieme alla piccola figlia Europa, di neppure un anno. Vengono risparmiati, per il momento, l’inoffensivo Arrideo, e le sorellastre minori di Alessandro. Poi a cadere sotto i colpi dei sicari sono il cugino Aminta IV, due principi macedoni e Attalo, già impegnato nei preparativi per una campagna in Asia minore. Risolte nel sangue le questioni familiari, Alessandro deve anche occuparsi dei disordini scoppiati alla morte del padre nelle regioni vicine. Tebe, Atene e parte della Tessaglia intendono cogliere il momento propizio per spodestare quello che credono solo un giovane e inesperto sovrano. I loro calcoli sono sbagliati: Alessandro marcia verso il Peloponneso, costringe la Tessaglia alla resa, e, con un percorso analogo a quello compiuto dai Persiani nel 480 a.C., passa le Termopili e marcia su Atene e Corinto. Il suo esercito è talmente preponderante che non incontra resistenza, e nel giro di poche settimane assicura sotto di sé il potere che era già stato di Filippo II: è quindi anche a capo della Lega anfizionica ed egemone della Lega ellenica. Tutta la Grecia – Sparta esclusa – è agli ordini di Alessandro: i preparativi per la spedizione contro l’impero persiano possono passare alla fase operativa.

della mano. Durante un viaggio a Egina viene catturato dai pirati e venduto come schiavo a Creta, dove diviene precettore dei figli di Xeniade, un facoltoso cittadino di Corinto. A Corinto trascorrerà il resto della propria vita, e non deve essere passata inosservata la figura di questo eccentrico personaggio, in grado di tenere acclamate orazioni davanti al grande pubblico dei Giochi istmici e poco dopo di

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aggirarsi in pieno giorno per le strade della città con una lanterna accesa, dichiarando: «cerco l’Uomo». Vive del minimo, comportandosi “come un cane” fino all’estremo, arrivando a turbare la decenza espletando le sue funzioni fisiologiche in pubblico, come fanno gli animali. Muore, alle soglie dei novant’anni, accudito dai figli di Xeniade, lo stesso giorno della morte di Alessandro Magno.

LA CAMPAGNA NEI BALCANI CONTRO TEBE Formato quindi un esercito consistente, Alessandro si dirige verso la parte settentrionale del suo regno, e nel 335 a.C. in soli quattro mesi, riesce ad aver ragione dei Triballi, popolazione dell’attuale Bulgaria e dei loro alleati, i Geti, che vivono oltre il Danubio. Gli scontri decisivi, quello del fiume Ligino e la battaglia dell’isola di Peuce si concludono con un numero irrisorio di perdite per i Macedoni (appena una cinquantina di caduti) anche grazie a due innovazioni tattiche di Alessandro: la balista, una specie di enorme balestra in grado di lanciare potenti dardi o pietre a grande distanze, e il concetto di “fuoco di copertura”, cioè un intenso uso di frecce sull’avversario durante l’attraversamento di zone allo scoperto. Questi due stratagemmi sono considerati il primo efficace uso dell’artiglieria (seppur senza l’uso di armi da fuoco) nella storia militare. Non appena resi sicuri i confini a nord, un’insurrezione in Illiria costringe Alessandro a cambiare direzione e a dirigersi verso ovest. Clito, re dei Dardani, e Glaucia, re dei Taulanti vengono rapidamente sconfitti in maniera così decisa che non

ricostituiscono i propri eserciti. Ma non c’è tempo nemmeno per i negoziati di pace: si sparge infatti la voce che Alessandro sia stato ferito, o addirittura ucciso, e quindi Tebe e Atene tentano un’insurrezione, appoggiata – o per lo meno non ostacolata – dai Persiani. La marcia di Alessandro verso Tebe è rapidissima: in due settimane la città è sotto assedio, e pochi giorni dopo viene rasa al suolo. In segno di rispetto, sono risparmiati solo i templi e la casa dove aveva vissuto il poeta Pindaro (518-438 a.C.). Atene non tenta nemmeno l’insurrezione armata: in cambio di clemenza, si limita a esiliare Caridemo, capo della fazione anti-macedone: si rifugerà in Asia, e combatterà al fianco di Dario III. Prima di lasciare la Grecia, Alessandro intende ricevere una profezia dall’oracolo di Delfi. Giunto al santuario, però, la Pizia, cioè la sacerdotessa che doveva formulare la profezia, si rifiuta di rispondere e dice ad Alessandro di tornare un’altra volta. Il re macedone, allora, prende la profetessa per i capelli e la trascina fuori dal recinto sacro fino a quando la sente esclamare «Sei invincibile!». A quel punto, Alessandro la lascia. «Ho avuto la mia risposta», è la reazione del sovrano. Questo

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episodio, unito a quello poco successivo del nodo di Gordio, vuole indicare come è nello spirito di Alessandro piegare gli eventi a suo vantaggio, se non con l’abilità o l’astuzia, usando anche la forza. Il carattere irruento di Alessandro, che diviene impulsivo e insensato se annebbiato dal vino, è probabilmente il vero punto debole del condottiero, che lo porterà anche a compiere azioni dalle tragiche conseguenze.

VERSO L’ASIA È la primavera del 334 a.C.: un esercito composto in prevalenza da Macedoni passa l’Ellesponto, praticamente senza incontrare resistenza. In patria, Alessandro ha lasciato come reggente Antipatro, già luogotenente di Filippo II e protagonista a Cheronea. La prima tappa di Alessandro è alla tomba di Protesilao, l’eroe acheo che per primo pose piede sulle spiagge di Troia. Qui, dopo aver compiuto i sacrifici, scaglia la sua lancia, che si va a conficcare nel terreno: con questo gesto intende prendere possesso del suolo asiatico. Alessandro predilige gli atti simbolici: rende quindi omaggio alla tomba di Achille, mentre il suo fedele amico Efestione fa lo stesso con la tomba di Patroclo. Le contromosse dei Persiani tardano a manifestarsi: c’è infatti un contrasto di opinioni fra Memnone di Rodi, coman140

dante dell’esercito persiano nella regione, e il satrapo di Lidia, Spitridate. Il mercenario greco insiste per una ritirata strategica che includa l’autodistruzione di ogni approvvigionamento, in modo da prendere i Macedoni per fame. Spitridate, invece, vuole anticipare le mosse dell’avversario e passare all’attacco il prima possibile.

LA BATTAGLIA DEL GRANICO I due eserciti si fronteggiano nel maggio 344 a.C. lungo il corso del fiume Granico, poco distante da Troia. Il primo a muovere è l’esercito macedone, che al comando di Parmenione spacca come un cuneo il fronte apparentemente compatto della fanteria persiana, per poi sfiancarla con l’attacco della cavalleria e dare il colpo di grazia con le sarisse della falange. La vittoria è schiacciante, ma ad alto rischio: lo stesso Alessandro, che si batte nelle prime file, viene ferito da un colpo d’ascia, e solo l’intervento di Clito il Nero, che taglia di netto il braccio all’assalitore, salva la vita al re macedone. Significativo anche il gesto che Alessandro compie dopo lo scontro: invia ad Atene 300 armature tolte ai nobili persiani, 300 come i caduti alle Termopili, con il messaggio «Alessandro di Filippo, e i Greci, tranne gli Spartani, dedicano queste spoglie tolte ai barbari che vivono in Asia».

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Charles Le Brun, Alessandro entra a Babilonia (Il trionfo di Alessandro), olio su tela, 1665 (Parigi, Museo del Louvre).

Statuetta equestre di Alessandro Magno, bronzo da Ercolano, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

GLI ASSEDI DI MILETO E ALICARNASSO Dopo la vittoria di Granico, Alessandro ha la strada spianata fino a Mileto. La città dapprima tratta la resa, poi, sapendo che è in arrivo una flotta in aiuto, inizia la resistenza. Qui si colloca un altro episodio che dimostra come Alessandro sappia accomodare gli eventi a suo favore: un’aquila si posa sulla spiaggia, vicino alle navi macedoni. Parmenione interpreta questo come presagio beneaugurante per una vittoria via mare e suggerisce di attaccare le navi che stanno arrivando in soccorso di Mileto. Alessandro sostiene invece che l’aquila si è effettivamente posata, ma sulla terra, e non sulle navi. Quindi la tattica migliore è procedere con l’assedio via terra. La città resiste solo tre giorni, poi, una breccia sulle mura permette agli assalitori di penetrare. La resa è immediata. Alessandro può procedere verso l’interno. La città di Sardi apre le porte senza combattere, e Mitrine – il capo della città – accoglie gli invasori come amici. Come ricompensa per il supporto logistico, Sardi viene ammessa nella Lega di Corinto. Il comportamento di Mitrine viene seguito da tutte

LA CAVALLERIA Contrariamente a quanto si può pensare, la cavalleria come arma strategica in combattimento non viene usata di frequente nel mondo greco. Rispetto agli eserciti che possono permettersi di manovrare su ampi spazi aperti, come quelli nordafricani e mediorientali, e che sfruttano al meglio la combinazione tra arciere e guerriero a cavallo, la cavalleria greca è inizialmente usata solo per compiti di ricognizione, rapidi spostamenti o azioni improvvise. Durante le guerre persiane, il numero dei

cavalieri ateniesi in assetto di guerra non arriva a 300 unità, che divengono un migliaio all’inizio della guerra del Peloponneso. Un caso a parte rappresentano la cavalleria pesante di Tessaglia (hippikon), impiegata a partire dalla metà del V secolo, e i cavalieri dell’esercito macedone (hetairoi), corpo scelto armato di lunga lancia (xiston) che deriva la propria esperienza dai nomadi Sciti. Più usato è invece il carro da guerra, che nel mondo greco è impiegato soprattutto dai

le città della costa, che salutano l’arrivo dei Macedoni come dei liberatori. Intanto l’inverno è alle porte: Alessandro lascia il grosso dell’esercito con Parmenione in Lidia e con un piccolo drappello di fedelissimi giunge in Licia, Panfilia, Pisidia e Frigia. Arrivato ad Alicarnasso, la città oppone una fiera resistenza, organizzata da quel Memnone che aveva inutilmente cercato di fermare Alessandro a Granico. Le torri di assedio (elepolis) degli assalitori poco possono contro le robuste fortificazioni e i fossati che proteggono la città. Dopo due mesi di assedio, però, le mura iniziano a cedere. I Persiani, allora, pur di non lasciare la città in mano al nemico, la incendiano deliberatamente, con una tattica che Memnone aveva già suggerito prima di Granico. L’avanzata di Alessandro è inarrestabile e, nonostante alcuni episodi dubbi di tradimenti e tentativi di accordi – o meglio, di corruzione – messi in atto dai Persiani, l’esercito macedone giunge a Gordio nel maggio del 333 a.C., dove si ricongiunge con il grosso delle truppe guidate da Parmenione.

condottieri per spostarsi rapidamente. Nell’iconografia, è frequente vedere un auriga alla guida e il guerriero con un piede a terra, nell’atto di scendere per combattere. Gravi perdite infliggono invece ai contingenti di Alessandro i carri falcati persiani che, muniti di lunghe lame e lanciati a gran velocità, fanno strage fra le fila degli avversari.

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Battaglia di Isso, mosaico pavimentale originariamente nella Casa del Fauno a Pompei, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

È in questa occasione che si colloca l’episodio del cosiddetto “nodo di Gordio”: una leggenda narrava che chi fosse riuscito a sciogliere l’intricatissimo nodo che legava il giogo a un carro dedicato a Zeus, sarebbe divenuto padrone dell’Asia. Alessandro, visto che l’impresa era impossibile, senza esitazione tagliò di netto il nodo con un colpo di spada.

ISSO: LA DISFATTA DEL GRAN RE Man mano che prosegue nella sua discesa, l’esercito di Alessandro si arricchisce di uomini, e, soprattutto, conta sull’appoggio di quasi tutte le città che incontra, desiderose di liberarsi dal dominio persiano. Dario III si vede così sempre più compromesso lo sbocco al mare, il che rappresenta un colpo durissimo per l’impero. Ormai Alessandro è giunto alle porte della Fenicia, e si avvicina l’inverno: le truppe persiane devono affrettarsi per non rischiare di essere bloccate dal maltempo nelle zone montuose

I PELTASTI Elemento importante dell’esercito sono i peltasti, un reparto di fanteria leggera con il compito essenzialmente di portare azioni di disturbo e difendere il fianco destro degli opliti, la fanteria pesante destinata allo sfondamento. Il più cospicuo contingente di peltasti dell’esercito macedone è agli ordini di Parmenione, generale sia di Filippo II sia di Alessandro, che li impiega in particolare a Granico, Isso e Gaugamela. La tattica dei peltasti si basa soprattutto sull’agilità: il loro scudo leggero di legno ricoperto di cuoio (pelta), a volte a

forma di mezzaluna, può anche essere portato a tracolla o sulle spalle, per facilitare la corsa. L’armamento è costituito solo da due o più giavellotti da lancio, lunghi non più di un metro e mezzo. Non hanno armatura, schinieri, né altri tipi di difese passive, proprio per essere il più possibile liberi nei movimenti. Le calzature, ben chiuse e allacciate, facilitano la corsa su terreni accidentati. La strategia di attacco è di agguato e imboscata: si lanciano in corsa sui fianchi del nemico, scagliano i giavellotti e ripiegano rapidamente nelle retrovie; nella ritirata diviene provvidenziale lo scudo che copre le spalle. 142

L’ateniese Ificrate compie un’importante innovazione nell’armamento, introducendo una leggera corazza e un elmo che li rende più simili agli opliti. Vengono impiegati con ottimi risultati dal 395 a.C. nella vittoriosa guerra contro Sparta.

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Peltaste, ufficiale degli opliti, guerriero omerico, e oplita in armamento pesante in un’incisione da “L’Illustration, Journal Universel”, n° 1916, Volume LXXIV, 15 novembre 1879.

e non avere la possibilità di fronteggiare l’avanzata macedone. In una corsa contro il tempo, i Persiani occupano Isso, dove si trova gran parte dell’esercito macedone, colto da un’epidemia. Dario non risparmia i soldati ammalati: ordina che siano loro mozzate le mani. Anche Alessandro è colpito dal morbo, e ci vorranno più di tre mesi prima che si ristabilisca. Lo scontro fra i due eserciti si svolge il 5 novembre 333 a.C., nella pianura a poco più di 10 chilometri dalla città: entrambi i contendenti sanno che questa battaglia può essere quella che decide le sorti dell’intera guerra e che da essa dipendono i destini delle popolazioni del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente. La cavalleria persiana apre le ostilità, ma la sua carica si infrange contro la falange di Parmenione e la cavalleria dei Tessali. La manovra di accerchiamento della cavalleria macedone, guidata da Alessandro, travolge il nemico sul fianco sinistro. Il re macedone e quello persiano si trovano per la prima volta faccia a faccia: la lancia scagliata da Alessandro sfiora il sovrano persiano, il cui carro da guerra viene reso inservibile nello scontro. Dario III fugge a cavallo, suo fratello Ossatre

muore nel combattimento. L’esercito persiano, alla vista del proprio re in fuga, si frammenta e si disperde, perdendo ogni coesione. Fino a sera l’esercito greco-macedone insegue ciò che resta dei contingenti del Gran Re. Nessun sovrano persiano era mai stato sconfitto in uno scontro che lo aveva visto personalmente sul campo di battaglia. Lo shock è grandissimo, e le perdite persiane sono devastanti, non solo come numero di vittime (l’inverosimile calcolo di 110.000 morti proposto da Plutarco contro i 302 sul fronte greco-macedone azzardato da Callistene va ridimensionato a circa 30.000 caduti persiani e 7000 della lega ellenica), ma soprattutto in termini di prestigio e credibilità. Sul campo restano senza vita anche il satrapo d’Egitto Savace e gli alti ufficiali Arsame, Reomitre e Atize, che erano già stati impegnati a Granico. Sul piano personale, Dario III, oltre a lamentare la morte del fratello, vede catturate la madre Sisigambi, la moglie-sorella Statira I e le figlie Statira II e Dripetide. Alessandro si dimostra molto clemente e rispettoso della famiglia del sovrano di Persia, ed è da questa contraccambiato.

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Monumento delle Nereidi, tomba in marmo rinvenuta a Xanthos, in Licia, dettaglio del basamento, IV secolo a.C. (Londra, British Museum).

Apollo con lira che esegue una libagione, 480 a.C. circa, kylix a fondo chiaro (Delfi, Museo Archeologico). La libagione è un gesto rituale con il quale si offre alla divinità un po’ di vino, versandolo al suolo.

Addirittura, la madre di Dario, indignata per l’atteggiamento vile del figlio, che fuggendo le aveva abbandonate nelle mani del nemico, lo ripudia e si lega molto strettamente ad Alessandro, tanto da rifiutare di andare al suo funerale, dopo la sua morte a Gaugamela, dicendo: «Io non ho che un figlio, che è il re di tutta la Persia». Da parte sua, Alessandro, sposerà Statira II e il suo fedele luogotenente Efestione la sorella Dripetide. Alla morte di Alessandro, Sisigambi, in preda alla disperazione, si lascerà morire di fame.

TIRO E GAZA Le richieste di pace di Dario III non sono accolte da Alessandro («Avrà la pace solo se ammetterà di chiamarmi Signore di tutta l’Asia»), che ha un’idea molto precisa della sua strategia di conquista. Non conviene addentrarsi nel cuore dell’impero persiano lasciandosi alle spalle Siria, Palestina ed Egitto, che potrebbero costituire un grosso pericolo. Procede quindi verso sud, lungo la costa, e, dopo aver fondato la città di Alessandretta (oggi Iskenderun), entra da trionfatore ad Arado, Biblo e Sidone.

GLI ORACOLI La previsione del futuro è un desiderio che non ha mai abbandonato gli esseri umani. Nel mondo greco si ricorre principalmente alla Pizia, o Sibilla Delfica, cioè la sacerdotessa votata all’Oracolo di Apollo a Delfi. Elemento costante delle previsioni è la loro ambiguità, per cui l’interpretazione spetta più all’intuito di chi richiede il vaticinio che all’effettivo responso della divinità. Altra profetessa di Apollo, 144

Nel febbraio 332 a.C. un’ambasceria macedone viene inviata a Tiro per negoziare la resa della città. Non farà più ritorno. Alessandro decide allora di prendere per fame la città, che si trova su un’isoletta. La città antica, infatti, sulla costa, era stata distrutta da Nabucodonosor II nel 572 a.C. dopo un assedio di tredici anni. Come prima mossa, Alessandro utilizza i detriti della città in rovina per costruire un istmo artificiale che unisca l’isoletta alla costa, in modo da rendere più facile l’assalto. Contemporaneamente, attacca la città con navi munite di arieti. La resistenza degli abitanti di Tiro è pero strenua, e le perdite da parte macedone cominciano a essere sensibili. Anche qui, un episodio conferma la caparbietà del macedone: un indovino, Aristandro, predice la caduta della città a fine mese, ma si è già all’ultimo giorno di agosto. Alessandro non è pronto per l’attacco finale, e allora stabilisce che quello è il ventottesimo giorno del mese, riservandosi quindi 48 ore per dare il colpo di grazia alla città. La città capitola due giorni dopo, come previsto, e Alessandro si dimostra in questo caso particolarmente vendicativo. Vengono uccisi ottomila cittadini, e gli altri venduti come

consultata dagli abitanti della Magna Grecia, è la Sibilla Cumana, che scrive i propri vaticini su foglie di palma, poi mischiati dai venti che provengono dall’interno dell’antro dove vive, nei pressi del Lago d’Averno. Non di minore importanza è la Sibilla Eritrea, titolare dell’oracolo di Apollo a Eritre, città ionica di fronte a Chios. I suoi responsi, scritti su foglie, acquistano senso leggendo le iniziali delle varie parole in un giusto ordine (acrostico). In Epiro, molto consultato è l’oracolo

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di Dodona, i cui responsi provengono direttamente da Zeus per bocca di sacerdoti, i Selloi, i quali consultano lo stormire delle fronde di una quercia sacra. Secondo Erodoto, era il più antico degli oracoli allora esistenti. Contaminazione fra Zeus e Amon è l’ oracolo egizio dell’oasi di Siwa, la cui Sibilla Libica è consultata anche da Alessandro Magno. Va tenuto presente che anche a Sparta esiste un tempio dedicato a Zeus-Amon, il cui oracolo è consultato fin dall’epoca della guerra del Peloponneso.

schiavi. Viene risparmiato solo chi si è rifugiato nei templi, e fra questi il re Azemilco. Dopo Tiro, Alessandro muove verso Dor e Ashod, in Palestina, e attacca Gaza, difesa da Batis. La presa della città è particolarmente difficile: le torri d’assedio sono troppo basse, e Alessandro fa costruire un terrapieno in modo da innalzare il livello del suolo per poter colpire gli assediati con proiettili dall’alto. Contemporaneamente, una serie di gallerie vengono scavate per demolire le mura dal basso. Ma la città è ben munita, e i colpi delle catapulte scagliati dagli assalitori sono micidiali. Lo stesso Alessandro

LE MACCHINE DA ASSEDIO La tecnica dell’assedio alle città utilizzata anche da Alessandro deve gran parte delle sue innovazioni alle intuizioni di Demetrio Poliorcete (il “conquistatore di città”) e alle sue macchine da guerra. Tra le sue più micidiali innovazioni, un ariete da sfondamento che definire “eccessivo” è dir poco: posto che sia mai stato utilizzato davvero, è descritto come lungo 55 metri e azionato da mille uomini. Di sicura e comprovata efficacia è invece la torre d’assedio su

ruote, una struttura in legno chiamata elepolis, “prenditrice di città”, alta 38 metri e larga 18, dal peso di 163 tonnellate. La ballistra, invece, scaglia grandi dardi o pietre sferiche singolarmente o per piccoli gruppi, a seconda del modello. Tecnologicamente molto avanzata, per l’epoca, funziona a tensione, come una grossa fionda, oppure a torsione, con corde o fasci di tendini animali che arrotolati, vengono rilasciati improvvisamente creando una sorta di “effetto-molla”. In epoca bizantina verrà potenziata con

viene ferito a una spalla, ma rifiuta di medicarsi e continua a combattere fino allo sfinimento, aggravato fra l’altro da una ferita alla gamba che aveva subito a Isso. Quando il terrapieno raggiunge i 75 metri di altezza, la difesa della città è ormai vana: gli abitanti vengono massacrati e allo stesso Betis viene riservato il destino del troiano Ettore: il suo corpo viene legato a un carro e trascinato attorno alle mura della città. I ricordi omerici, per Alessandro, non sono solo pura letteratura. Gaza dimostra che l’avanzata di Alessandro è davvero inarrestabile. Anche Gerusalemme si arrende senza colpo ferire.

Friedrich Martin von Reibisch, Torre d’assedio mobile con spalti e ariete di sfondamento, incisione dalla Storia dello sviluppo e dei costumi della cavalleria, di Franz Kottenkamp, 1842. Si tratta di una evoluzione medievale dell’elepolis di Demetrio Poliorcete.

la creazione di proiettili incendiari (stracci imbevuti di pece), il “fuoco greco”. Con minimi perfezionamenti, rimarrà in uso per tutto il periodo medievale con il nome di ballista o balista, e verrà soppiantata solo dalle

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armi da fuoco. Altra arma micidiale sono le catapulte: azionate con tiranti o contrappesi, sono in grado di scagliare proiettili di vario tipo per demolire le mura o scavalcarle e colpire direttamente l’interno delle città.

Jan Brueghel il Vecchio, Battaglia di Gaugamela, olio su tela, 1602 (Parigi, Museo del Louvre).

Alessandro Magno di fonte al dio Min, che simboleggia la potenza maschile, Tempio di Amon, II secolo a.C., Luxor, Deir el Medina.

L’EGITTO, UNA CONQUISTA NON PREVISTA Paradossalmente, l’entrata dell’esercito macedone in Egitto crea un certo imbarazzo diplomatico con la Lega di Corinto. L’invasione delle terre africane non era stata concordata con gli alleati, i cui eserciti, infatti, non oltrepassano il Sinai. Alessandro entra ugualmente in un territorio che lo accoglie come un salvatore. Alessandro lo considera come un suo possedimento personale: si fa consacrare faraone ed evita di nominare un satrapo. La gestione del territorio è affidata a due nomarchi, Doloaspi e Petisi, e quella finanziaria a Cleomene di Naucrati, un greco da tempo residente nel Paese. Alessandro sa che il persiano Artaserse III, dodici anni prima, nell’invadere l’Egitto aveva profanato i templi, uccidendo i tori sacri e mangiandone la carne. Non commette quindi questo errore, e manifesta invece profondo rispetto per gli dèi egizi, facendo sacrifici a Ramses II e al bue Api. Dopo aver offerto sacrifici ai templi di Menfi, il macedone si reca all’oasi di Siwa, per consultare l’oracolo di Zeus-Amon. Qui riceve la profezia che costituisce la sua finale consacrazione: l’oracolo lo chiama ufficialmente “figlio di dio”. Probabilmente è il punto più alto del desiderio di grandezza di Alessandro: l’essere oggetto di culto divino.

GAUGAMELA E L’IRRESISTIBILE AVANZATA Nel tempio, ad Alessandro viene fatto leggere il libro di Daniele, dalla Bibbia, al capitolo 8, in cui si narra di un caprone con un corno in mezzo alla fronte che avrebbe spezzato le corna a un montone: «Il montone con due corna significa il re di Media e di Persia; il caprone è il re della Grecia; il gran corno, che era in mezzo ai suoi occhi, è il primo re». Alessandro si convince ogni istante di più della sua missione divina. Forse avrebbe fatto bene a farsi leggere anche qualche versetto più avanti, dove si dice che dopo poco anche il corno del caprone «verrà spezzato e quattro ne sorgeranno al posto di uno, il che significa che quattro regni sorgeranno dalla medesima nazione, ma non con la medesima potenza». 146

Alessandro passa un anno in Egitto, in attesa di rinforzi. La marcia verso il cuore dell’impero del Gran Re riprende nella primavera del 331 a.C. La strategia è quella di giungere fino all’Eufrate e poi ridiscenderlo fino a Babilonia. L’esercito Persiano, comandato da Mazeo, ha l’ordine di fermarlo nelle pianure dell’Assiria. La marcia attraverso il deserto dura cinque mesi, durante i quali, a parte qualche piccolo scontro, non si verificano battaglie degne di nota. Varcato il Tigri, l’esercito ellenico è ora in Mesopotamia, e le truppe di Dario III sono sempre più vicine. Il 1° ottobre 331 a.C., a Gaugamela, l’esercito persiano si presenta completamente rinnovato. Al centro, gli elefanti da guerra garantiscono – o almeno dovrebbero – la sicurezza del

GRECIA ANTICA

Gran Re. La fanteria, anche se con armamenti più pesanti, non può ancora competere in abilità di manovra con quella macedone. Anche il campo di battaglia è preparato al meglio, quasi che si trattasse di un incontro sportivo: livellato il terreno, ribassate le alture, tolti gli impedimenti come rocce e sterpi. Fra gli alleati dei Persiani ci sono Besso, dalla Battriana, gli arcieri a cavallo di Mauace, e contingenti fin dalla Cappadocia. Dario III conta più che altro sul numero (secondo gli storici antichi, oltre un milione di uomini), Alessandro sulla preparazione e sulla strategia. I Persiani sono disposti su un fronte vastissimo, i Greco-macedoni su più file, con due piccoli contingenti ai lati, in posizione obliqua, per evitare l’accerchiamento. Secondo l’opinione comune degli storici dell’epoca, descrivere esattamente il susseguirsi degli eventi è impossibile: la gran nuvola di polvere che si alza anche al solo avvicinarsi dei due schieramenti nasconde alla vista ogni tipo di manovra. In ogni caso, con un copione fin troppo simile a quello di Isso – tanto da gettare un’ombra di scetticismo da parte degli storici moderni sui resoconti della battaglia – Alessandro attacca personalmente il carro da guerra di Dario III, ne ferisce o uccide l’auriga e il sovrano persiano fugge in groppa a un cavallo. Anche questa volta l’esercito persiano, sbandato dopo la fuga del sovrano, piomba nel caos.

Il bottino di guerra dopo Gaugamela è ancora più ricco di quello di Isso. Soprattutto, la strada verso Babilonia non ha più alcun ostacolo, e il Gran Re è in fuga altrove.

SUL TRONO DI PERSIA Alessandro entra a Babilonia dopo quattro settimane e la lascia nelle mani del satrapo Mazeo, che si è a lui sottomesso. Dopo cinque mesi di riposo, marcia alla volta di Susa, non difesa da mura. Qui si siede sul trono dei sovrani di Persia, e riporta nella reggia i familiari di Dario, con lui fin dai tempi di Isso. Per la popolazione, abituata a una sudditanza passiva, si tratta semplicemente di un cambio di sovrano. Per Alessandro, più che il coronamento di un sogno, è il raggiungimento di una missione che sente da sempre propria. Da questo momento le conquiste di Alessandro non sono più quelle di un re macedone, ma di un re persiano. Il suo primo obiettivo è quello di aver ragione degli Uxii, autentica spina nel fianco per il regno di Persia da circa due secoli: un repentino attacco notturno e alcuni successivi scontri riescono ad avere ragione in poche ore della bellicosa popolazione che imponeva pesanti tributi a chiunque s’inoltrasse nel loro territorio. Intanto, giunge la notizia che nell’autunno del 331 a.C.

ALESSANDRO MAGNO

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Charles Le Brun, La regina di Persia ai piedi di Alessandro (o La tenda di Dario), olio su tela, 1660 circa (Parigi, Museo del Louvre).

Sébastien Bourdon, Augusto omaggia la tomba di Alessandro Magno, 1650 circa (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage).

Alessandro Magno implorato di salvare un idolo dalla distruzione, scuola persiana Mughal, XVI secolo (Londra, British Museum).

Antipatro ha sconfitto il re di Sparta Agide III nella battaglia di Megalopoli: l’ultima potenziale minaccia interna – se di “interno” si può parlare – al potere macedone in una penisola Balcanica ormai divenuta estrema periferia di un impero. Nel gennaio 330 Alessandro entra a Persepoli, la capitale dell’impero persiano. Ormai le ricchezze accumulate non si contano più, inclusi i tesori che i Persiani avevano trafugato in Grecia. Fra queste le statue di Armodio e Aristogitone, che vengono rimandate ad Atene.

Dario III da poche ore. Alessandro piange l’avversario ucciso a tradimento, ne copre il corpo con il proprio mantello e lo riporta a Persepoli, dove organizza un funerale con tutti gli onori per poi seppellirlo nelle tombe reali. Besso, intanto, si proclama sovrano di Persia e cambia il proprio nome in Artaserse V. Adesso, per Alessandro, non è più solo un generale infedele, ma un pericoloso rivale: nel 329 a.C., quindi, decide di muovere verso la Battriana, controllata da Besso. Qui la popolazione si ribella ancor prima del suo arrivo, depone l’usurpatore e lo consegna ad Alessandro, che lo fa uccidere dopo atroci torture. L’esecuzione di Besso non è quindi un atto di giustizia, ma somiglia più a una vendetta rabbiosa ed esagerata in risposta a un’offesa personale. Anche Nabarzane, dopo un doppio gioco che lo vede prima al fianco di Besso, in seguito sottomesso ad Alessandro per poi ribellarsi a lui, viene ucciso. Quanto a Barsaente, probabilmente esecutore materiale dell’omicidio di Dario, la storia lo

LA SORTE DI DARIO III E LE PRIME DEFEZIONI Il deposto e sconfitto sovrano achemenide è ancora in fuga verso le regioni del nord-est. Si è diretto verso Balkh, in Afghanistan, per poi piegare verso le Porte Caspie. Non può però contare su molti alleati, e i pochi che ha non sono fidati. In particolare i suoi generali Besso, satrapo di Battriana, Barsaente, satrapo di Aracosia, e Nabarzane (o Satibarzane), satrapo di Aria, stanno tramando alle sue spalle e nel maggio 330 a.C. Alessandro viene a conoscenza di una rivolta contro il loro Gran Re. Il macedone è a Teheran e, al comando di 300 opliti a cavallo, si lancia alla ricerca di Dario III, tenuto prigioniero a Damghan. È una corsa contro il tempo, e questa volta Alessandro arriva in ritardo: i tre congiurati hanno assassinato

SOVRANO MACEDONE O IMPERATORE PERSIANO? Una legge non scritta prevede che anche il più umile dei condottieri – posto che ne esista uno – una volta giunto al potere supremo assuma gli atteggiamenti di un dittatore, se non di un dio in terra. Neanche Alessandro sfugge a questo

destino: già auto-acclamatosi dio per bocca dell’oracolo di Zeus-Amon, dopo aver sfilato l’anello regale dal cadavere di Dario III, il Macedone ne diviene in tutto e per tutto successore. Da quel momento assume anche tutti gli atteggiamenti del Gran Re: nella ritualità delle udienze, negli abiti (incluso il diadema), nell’uso del “noi” maiestatico. 148

GRECIA ANTICA

lascia nelle montagne di Aracosia a combattere contro l’avanzata di Alessandro, e di lui si perdono le tracce. All’interno dell’entourage di Alessandro iniziano le prime defezioni e i primi tradimenti. Il malcontento serpeggia fra i soldati, costretti a marce forzate verso territori sempre più lontani, ignoti e inospitali. Parmenione, il fido generale, cade in disgrazia e, sospettato di tradimento, viene ucciso a Ecbatana assieme al figlio Filota per mano di Clito il Nero.

ECCESSI E SREGOLATEZZE Alessandro si fa sospettoso, e i suoi atteggiamenti iniziano a essere non quelli di un condottiero valoroso, ma di un despota. Il suo comportamento si fa sregolato, e la sua condotta di vita, fino a quel momento austera, si abbandona a eccessi sempre meno controllabili. Si abbandona al vino, e durante i banchetti diviene particolarmente irritabile: a farne le spese è anche Clito il Nero, fedelissimo esecutore dei suoi ordini, che da sempre gli sta accanto come un’ombra fin dall’infanzia (la sorella di Clito era stata nutrice di Alessandro) e gli ha più volte salvato la vita. Nel corso di un festino a Samarcanda scoppia una lite perché un poeta ha mancato di rispetto ai generali

macedoni (oppure, secondo altre versioni, perché Clito prende le difese della memoria di Filippo II, sminuendo in questo modo le imprese di Alessandro). La reazione di Alessandro è imprevedibile: sottratto un pugnale a una guardia, uccide Clito di fronte a tutti i convitati. Svaniti i fumi del vino, il macedone torna in sé, ma è ormai troppo tardi. In preda alla disperazione, tenta addirittura il suicidio.

IL LIMITE DELLÕINDO La successiva meta del nuovo imperatore persiano-macedone sono le satrapie dell’Oriente. Dal 329 a.C. l’esercito di Alessandro si spinge verso la Battriana, la Sogdiana, entra a Samarcanda, abbatte le resistenze all’altezza dei fiumi Syr Darya e Zeravshan. I territori degli attuali Afghanistan e Pakistan sono sotto il suo controllo, ma a prezzi molto alti. Le perdite, sia in combattimento, sia per malattie, fame, fatica per le estenuanti marce forzate sono ormai troppo alte. La discesa lungo la valle del’Indo porta agli scontri con le popolazioni del Punjab, e in particolare con il sovrano indiano Poro (Purushotthama), che viene sconfitto nella battaglia dell’Idaspe (326 a.C.). Qui viene colpito a morte l’adorato

ALESSANDRO MAGNO

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X

cavallo Bucefalo: Alessandro lo seppellisce con tutti gli onori, e fonda una città, Bucefala, a lui dedicata, che si va ad aggiungere alla dozzina di città fondate dal condottiero nel corso delle sue conquiste. Anche Alessandro viene ferito più volte, in questa campagna: i colpi più duri sono un sasso al capo e al collo in Sogdiana, durante l’assedio di Ciropoli, e una freccia al torace, durante l’assalto alla rocca di Aorno (oggi in Pakistan) nel 325 a.C. Infine, nel 324, dopo aver toccato l’Oceano indiano, Alessandro fa ritorno a Susa con un lungo itinerario via terra. Qui si ricongiunge con la flotta di Nearco che, costeggiando il Golfo Persico, è arrivato fino alle foci del Tigri. Alessandro manca da troppo tempo, e il suo potere non è ancora consolidato. Nei quasi cinque anni di assenza dalla capitale persiana i satrapi locali non hanno ben amministrato. Alessandro provvede a sostituirli con governatori macedoni, ma così facendo rischia di creare una frattura fra una classe dirigente “occidentale” e i funzionari subalterni, saldamente legati alla tradizione culturale persiana. 150

IL TENTATIVO DI FUSIONE FRA MACEDONI E PERSIANI L’intento di Alessandro non è di sostituire la cultura persiana con quella ellenica – impresa impossibile anche solo per questioni pratiche – ma di operare una fusione fra i popoli. Celebri sono i matrimoni collettivi di 80 suoi ufficiali con altrettante nobili persiane, seguiti poco dopo da quelli di diecimila veterani macedoni con donne persiane. Egli stesso aveva preso in sposa Rossane, figlia di Ossiarte, satrapo di Battriana, nel 327 a.C. Con un costume tipico della poligamia persiana, l’anno successivo Alessandro prenderà in moglie nel corso dei matrimoni collettivi anche la sedicenne principessa Statira II (figlia di Dario III) e la principessa Parisatide II (figlia dell’anziano Artaserse III e sorella di Artaserse IV). L’inseparabile Efestione, autentico alter ego di Alessandro, sposa Dripetide, sorella di Statira II. Sul piano militare, Alessandro addestra un corpo scelto di trentamila giovani Persiani a costituire una nuova e potentissima falange, e nuove reclute provenienti dalla Grecia sotto il comando di Antipatro si integrano con i battaglioni locali.

GRECIA ANTICA

Alessandro a cavallo, elemento del ciclo della Caccia alla pantera, dettaglio dal cosiddetto Sarcofago di Alessandro, IV secolo a.C., dalla necropoli reale di Sidone, in Libano (Istanbul, Museo Archeologico).

Alessandro come il dio Helios, busto in marmo, copia romana di un originale del II secolo (Roma, Musei capitolini).

MORTE DI ALESSANDRO Alla fine del 324 a.C. Alessandro subisce – affettivamente parlando – probabilmente il colpo più duro di tutta la sua vita. A Ecbatana, dove, secondo l’uso persiano la corte era solita spostarsi per il periodo invernale, muore stroncato da febbri tifoidee Efestione, poco più che trentenne. La reazione di Alessandro tradisce i primi segni di una mente probabilmente malata: devastato dal dolore, fa tagliare code e criniere ai cavalli (anch’egli si rade in segno di lutto), abbatte le mura delle città vicine, abolisce l’uso di flauti e musiche, distrugge il tempio di Asclepio, il dio della medicina, e fa uccidere il medico personale di Efestione, Glaucia. Subito dopo organizza una campagna contro la tribù dei Cossei, dando ordine che vengano sterminati tutti in memoria dell’amico scomparso. In questi gesti si ravvisa il comportamento di Achille alla morte di Patroclo, con il sacrificio sulla pira funebre di dodici giovani della nobiltà troiana.

Il corpo di Efestione viene portato a Babilonia su un carro guidato personalmente da Alessandro, e i funerali sono descritti come i più sontuosi che mai siano stati tributati, inclusi giochi funebri che coinvolgono oltre tremila atleti. Come estremo gesto di rispetto, viene spento il Reale fuoco sacro, onore riservato solo alla morte del Gran Re. Il lutto dura sei mesi. Il progetto di pira funebre (probabilmente un mausoleo, non destinato alla totale distruzione) prevede un edificio alto sessanta metri, su sette piani, composto da 240 quinquiremi, statue dorate e decorazioni preziose. Non viene però mai realizzato: anche Alessandro, di lì a poco, si ammala, probabilmente di malaria, o dello stesso morbo che ha portato alla morte Efestione. Nell’estate del 323 a.C., a Babilonia, il trentaduenne Alessandro di Macedonia, egemone della Lega ellenica, stratega autocrate di Grecia, faraone d’Egitto, signore dell’Asia, Re

LE CITTÀ DI ALESSANDRO MAR NERO

MAR CASPIO

MACEDONIA

Pella

Gordio

Alicarnasso

FRIGIA

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Babilonia

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MAR MEDITERRANEO

Alessandria Margiana

Gaugamela MEDIA Hecatompylos Arbela

Alessandretta SIRIA

Oasi di Siwa (Oracolo di Amon)

Alessandria Escate Samarcanda

ARMENIA

Granico

Troia (Tomba di Achille)

La Macedonia all’avvento di Alessandro (336 a.C.) Itinerario della spedizione di Alessandro Massima espansione dell’impero di Alessandro Itinerario del ritorno di Alessandro Principali battaglie

Persepoli

BATTRIANA

Battra Alessandria nel Caucaso

ROSSO

ALESSANDRO MAGNO

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Alessandria Bucefala Alessandria Nicea

Alessandria di Aracosia

do Alessandria sull’Indo

In

Alessandria

PERSICO

Taxila

ARACOSIA

CARMANIA

GOLFO Carmania

Alessandria sull’Oxo

INDIA

GEDROSIA

Pattala

dei Re o Gran Re di Persia si spegne, lasciando un enorme impero senza un successore legittimo che possa raccoglierne lo scettro. Il suo corpo viene imbalsamato, secondo l’uso dei faraoni egizi, ma si ignora il luogo di sepoltura. Il suo desiderio sarebbe quello di essere sepolto nel santuario dell’oasi di Siwa, ma questa richiesta non viene esaudita. Si narra che l’urna in oro e cristallo sia stata portata in Egitto, dove verrà omaggiata da Giulio Cesare, Ottaviano, Caligola, Settimio Severo e Caracalla. Di certo si sa che quando Giovanni Crisostomo visita Alessandria d’Egitto nel V secolo d.C. la tomba di Alessandro è perduta «e neanche gli abitanti di Alessandria sanno dove sia». Non esistono disposizioni testamentarie certe di Alessandro. I suoi intenti comprendono una spedizione, anche navale, contro Cartagine, la costruzione di una strada costiera sulla sponda africana del Mediterraneo, oltre alla realizzazione di templi, edifici, e di un colossale mausoleo per Filippo II. Ben pochi dei suoi progetti saranno realizzati, se non, forse, la fusione fra le culture greca e persiana. Dopo la sua morte si inaugura infatti quel periodo di splendore artistico, letterario e culturale che influenzerà la cultura per i secoli a venire: l’Ellenismo. 152

LA DISGREGAZIONE DI UN IMPERO La prematura, ma forse non poi così imprevista, morte di Alessandro getta il suo impero nel caos. Sul letto di morte, a chi gli chiede chi debba essere il suo successore, il Conquistatore mormora solo una parola, che ha l’indeterminatezza e il mistero di un oracolo: «il migliore (kratistos)». La prima moglie, Rossane, è incinta di sette mesi. Anche Statira II è incinta. Dal sesso dei nascituri dipenderà la discendenza. Quando Rossane partorisce un maschio, il futuro Alessandro IV, si scatena la consueta faida familiare. L’onnipresente Olimpiade non può permettere che il trono che a suo giudizio spetta di diritto al nipote sia insidiato da un altro figlio: con l’appoggio di Rossane, che ha tutto l’interesse a eliminare i potenziali contendenti, fa uccidere Statira II con il figlio che ha in grembo. Due fazioni iniziano così a scontrarsi: chi appoggia la linea dinastica di Rossane deve però attendere la maggiore età del piccolo Alessandro; chi invece vede come legittimo successore il fratellastro maggiore di Alessandro, Filippo Arrideo, deve arrendersi all’evidenza che la disabilità mentale lo rende del tutto incapace di governare. Una terza fazione, capeggiata da Nearco di Creta, che sostiene il presunto figlio illegittimo Eracle, nato dalla concubina Barsine, è troppo debole per avere un seguito.

GRECIA ANTICA

Stele funeraria del mercenario macedone Salmamodes, pittura murale, II secolo a.C., dalla necropoli reale di Sidone, in Libano (Istanbul, Museo Archeologico).

L’uccisione della fiera, elemento del ciclo della Caccia alla pantera, dettaglio dal cosiddetto Sarcofago di Alessandro, IV secolo a.C., dalla necropoli reale di Sidone, in Libano (Istanbul, Museo Archeologico).

Si sceglie quindi di eleggere un reggente, Perdicca, amico di lunga data di Alessandro. Perdicca era fra quelli che avevano inseguito e ucciso il regicida Pausania nei convulsi momenti che avevano seguito l’assassinio di Filippo II, ed è sposato con la figlia di Atropate, satrapo della Media, sempre in virtù dei matrimoni collettivi. Ha inoltre di recente preso il posto di Efestione alla guida della cavalleria macedone. Suo diretto rivale è Meleagro, comandante della fanteria e sostenitore della fazione di Filippo Arrideo. Ecco quindi che la spartizione dinastica riflette una più profonda divisione in seno all’esercito dell’impero conquistato da Alessandro. La soluzione che pare accontentare tutti è la nomina di Arrideo, con il nome di Filippo III, come legittimo re, ma sotto il controllo e la supervisione di Perdicca. Il fatto che l’agonizzante Alessandro Magno (solo dopo la sua morte viene insignito di questo epiteto) abbia consegnato a Perdicca l’anello imperiale che era appartenuto a Dario III legit-

tima in qualche modo una successione de facto che non sarebbe potuta sussistere de iure. Questa divisione preliminare prende il nome di spartizione di Babilonia. In ogni caso, un territorio così immenso non può essere retto da una sola persona. L’esperienza persiana ha insegnato che, specialmente nelle regioni periferiche, la fedeltà dei vari satrapi può essere incerta. Si decide quindi di suddividere l’impero sotto la guida di quattro reggenti: Perdicca e Leonnato avrebbero retto la parte orientale, Antipatro e Cratero quella europea. Sembra che la profezia biblica di Daniele sui “quattro corni” abbia avuto le sue ragioni… A loro volta, i territori sono suddivisi in 36 entità più piccole, ciascuna alla guida di un diadokos (“generale”). Questa frammentazione, sancita dalla spartizione di Triparadiso del 321 a.C., lungi dal rappresentare una pacifica soluzione, è la scintilla che scatena la lunga guerra dei diadochi (322-275 a.C.).

ALESSANDRO MAGNO (343 A.C.-323 A.C.) 343 a.C. 336 a.C.

335 a.C. 334 a.C.

333 a.C. 332 a.C.

331 a.C.

330 a.C.

Aristotele precettore di Alessandro di Macedonia. Assassinio di Filippo II. Il figlio sale sul trono di Macedonia con il nome di Alessandro III. Rinnovati gli accordi della Lega di Corinto: Alessandro ne assume il comando come egemone. Campagne di Alessandro contro Traci, Triballi, Geti e Illirici. Tebe si ribella ma viene distrutta da Alessandro. Campagna macedone verso l’Ellesponto contro i Persiani e vittoria di Granico. Liberate le città greche in Asia, assediate Mileto e Alicarnasso. Isso: sconfitto Dario III, Alessandro in Siria Assedio di Tiro e vittoriosa campagna in Egitto. La Persia perde lo sbocco al Mediterraneo. L’oracolo di Zeus-Amon riconosce Alessandro come figlio di Zeus. Alessandro assume il titolo di faraone. Re Agide III di Sparta ucciso dal macedone Antipatro. Fondazione di Alessandria, campagna contro Dario III a Gaugamela (Arbela), occupazione di Babilonia, Susa e Pasargade. Alessandro proclamato Signore dell’Asia. Distruzione di Persepoli. Dario III ucciso da Besso, satrapo della Battriana, che si autoproclama re con il nome di Artaserse. Alessandro seppellisce Dario III con tutti gli onori e assume il titolo di Shahanshah (Re dei Re o Gran Re).

329 a.C.

328 a.C.

327 a.C. 326 a.C. 325 a.C. 324 a.C. 323 a.C.

ALESSANDRO MAGNO

153

Besso catturato da Alessandro e condannato a morte. L’impero persiano diviso in satrapie. Incentivate le fusioni etniche: matrimonio collettivo di nobili con donne locali. Alessandro assume atteggiamenti da imperatore persiano. Continua l’espansione: create le satrapie di Battriana e Sogdiana. Alessandro sposa Rossane, figlia del satrapo Ossiarte. Iniziano i dissapori fra le fila dell’esercito di Alessandro: uccisi Parmenione e il figlio Filota. Nel corso di un banchetto, Alessandro uccide l’amico Clito il Nero. Alessandro giunge all’Indo. Condanna a morte dello storico Callistene di Olinto per aver criticato gli atteggiamenti semi-divini di Alessandro. Vittoria dell’Idaspo contro il re indiano Poro. Rientro di Alessandro via terra e di Nearco via mare costeggiando il Golfo Persico. Alessandro attraversa il deserto della Gedrosia (Belucistan). A Susa, ricongiungimento fra Alessandro e Nearco. Alessandro sposa Statira, figlia di Dario III. Sedata una rivolta dell’esercito a Opi. Alessandro muore a Babilonia. Contrasti fra i generali per la successione. Creati, fra gli altri, i regni ellenistici di Macedonia (sotto gli Antigonidi), Egitto (sotto i Tolomei), Siria (sotto i Seleucidi).

L'Ellenismo e il tramonto delle città-Stato

Nelle pagine precedenti, Atena lotta contro Alcioneo, dettaglio del fregio dell’altare di Zeus, proveniente da Pergamo, 156 a.C. circa (Berlino, Pergamonmuseum).

LA CULTURA ELLENISTICA Il temine “ellenismo”, dal punto di vista storico-culturale, viene coniato dal tedesco Johann Gustav Droysen nel XIX secolo per indicare i tratti culturali tipici del periodo che segue la morte di Alessandro Magno. Per questo motivo è da taluni chiamato “periodo alessandrino”, anche se la denominazione è poco usata perché rischia di essere equivocata con l’area geografica d’influenza di Alessandria d’Egitto. Convenzionalmente, l’Ellenismo ha inizio con il 323 a.C. e termina nel 31 a.C. con la battaglia di Azio, che segna la conquista dell’Egitto da parte dei Romani. In senso più lato, cioè come influsso della cultura greca nel mondo romano, si può individuare un Ellenismo propriamente detto, o Ellenismo greco, con i limiti temporali che abbiamo appena indicato, e un Ellenismo romano, che giunge fino all’epoca giustinianea con la chiusura dell’Accademia platonica nel 529 d.C. Uno dei caratteri tipici dell’Ellenismo è la sua amplissima area d’influenza, sia dal punto di vista geografico che da quello culturale. La vocazione “in-

LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA La Reale biblioteca di Alessandria rappresenta il più importante e influente centro culturale ellenistico. Più volte distrutta e riedificata, è oggi rappresentata dalla moderna Bibliotheca Alexandrina, realizzata nel 2002. Il nucleo iniziale della biblioteca nasce – sotto la dinastia dei Tolomei – come polo culturale annesso al Museo, il vero centro della vita intellettuale del mon-

Necropoli di Mustafa Basha, Tomba 2, Alessandria d’Egitto, III secolo a.C.

Busto in marmo di Serapide, dio dell’oltretomba, dal Serapeo di Alessandria, I secolo d.C. (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

do ellenistico. I circa 500.000 rotoli iniziali della collezione aumentano nel tempo, tanto che si rende presto necessaria la creazione di un secondo edificio, il Serapeo, capace di contenere altri 42.800 rotoli. 156

ternazionalista” dell’Ellenismo si manifesta in primo luogo in campo linguistico: il greco della koiné, cioè della comunità, diviene lingua veicolare dell’amministrazione, della diplomazia, del commercio, della scienza e della cultura, come lo saranno negli anni a seguire il latino, almeno fino al XVII secolo, il francese nel Sette-Ottocento e poi, in tempi più recenti, l’inglese. La sua area d’influenza va ben oltre il territorio conquistato da Alessandro. Influenzando il mondo romano, si può dire che l’Ellenismo tocchi il bacino del Mediterraneo nella sua totalità. Culturalmente parlando, l’ellenismo è l’esatto opposto della cultura della polis: se nella città-Stato prevale il particolarismo, la faziosità, la rivalsa di un centro urbano sull’altro, l’Ellenismo ha invece un respiro più ampio, per così dire “ecumenico”. Il fatto che il messaggio cristiano si propaghi in lingua greca aumenta la portata universalistica, se non dei contenuti, per lo meno dei mezzi di diffusione del sapere. Per la prima volta nel mondo della scienza e della cultura, uno studioso può dialogare, praticamente senza intermediari, con un collega a miglia di distanza, condividerne le ricerche o le invenzioni. Allo stesso modo, dato l’arco temporale coperto, un documento redatto due secoli prima è comunque intellegibile anche a distanza di tempo.

I testi della biblioteca includono tutto ciò che all’epoca è conosciuto, dalla letteratura, alle scienze, alla storia. Le nozioni dei rotoli di papiro integrano la parte più sperimentale e pratica del Museo, i cui laboratori, osservatori astronomici, giardini zoologici e orti botanici sono il vero centro del sapere e della ricerca del tempo. Il sovrintendente della biblioteca (prostates) viene nominato

GRECIA ANTICA

dal sovrano. Il primo è Zenodoto di Efeso, incaricato da Tolomeo II Filadelfo, attorno al 305 a.C. Per la prima volta viene creato un ordine alfabetico delle opere contenute, iniziato da Zenodoto e portato poi a termine da Callimaco di Cirene. Inizialmente concepita come raccolta letteraria, la biblioteca si arricchisce di testi scientifici quando la direzione passa ad Apollonio Rodio e capo archivista diviene il geografo Eratostene di Cirene.

L’Ellenismo contribuisce a valorizzare l’individuo, la ricerca del sapere attraverso l’intelletto e il ragionamento, con un processo non dissimile da quello che rappresenterà l’Umanesimo secoli più tardi. Infine, elemento caratterizzante dell’Ellenismo è il sincretismo, cioè il “mescolare insieme” gli elementi di più culture, dal punto di vista artistico, religioso, letterario e non solo: un processo che arricchisce e fa nascere un cosmopolitismo che crea nuovi “cittadini del mondo”. Ma non si deve pensare all’Ellenismo come a un fenomeno di idilliaca positività. Ha sì degli elementi di progresso, ma è un progresso riservato a una classe dirigente medio-alta. Il greco, come lingua comune, non penetra negli strati inferiori della popolazione, e se lo fa, lo fa come imposizione dall’alto. Rimane quindi un fenomeno il cui universalismo non tocca tutti i livelli della società, e che quindi, inevitabilmente, crea delle esclusioni.

L’IMPERO DOPO ALESSANDRO Dal punto di vista politico e amministrativo, la nuova organizzazione dell’impero di Alessandro Magno rivela fin da subito la sua fragilità. I vari diadochi non attendono molto prima di manifestare apertamente le proprie intenzioni di espansione e predominio. Nessuno di essi si dimostra abbastanza influente, o temerario, da poter raccogliere la ingombrante responsabilità dell’eredità politica del Macedone. La dinastia Argeade, che ha retto la Macedonia dal lontano VIII secolo

a.C., con Filippo II e Alessandro III ha espresso l’apice della propria influenza, e ormai non ha più elementi validi per mantenere saldo il podere, devastata com’è dalle lotte intestine e dalla palese impossibilità dei suoi ultimi membri di reggere lo scettro di un impero che ha i connotati di un incontrollabile gigantismo. A questo si aggiunge il mai sopito risentimento delle città della Grecia “storica”, che sempre hanno mal sopportato la presenza dei “barbari” macedoni, e vedono nella rivalità fra i diadochi l’occasione di rialzare la testa e riconquistare una indipendenza – o per lo meno una larga autonomia – che credevano ormai perduta, quasi che alla figura del “nemico esterno” achemenide si sia sostituita quella del “nemico interno” argeade. All’indomani della morte di Alessandro, quindi, la rivalità fra Perdicca, reggente (chiliarca) dell’impero, e Meleagro suo luogotenente, si conclude ben presto con l’assassinio di Meleagro e dei capi della fanteria a lui fedeli. Il potere viene spartito fra i generali di cavalleria, nominati satrapi delle varie zone dell’immenso territorio di Alessandro. Alcune zone dell’impero colgono l’occasione per ribellarsi: in Cappadocia, Perdicca ed Eumene di Cardia riescono con difficoltà a sedare una rivolta; in Media, il satrapo Peitone riesce ad avere ragione dei coloni greci ribelli concedendo loro di tornare incolumi in patria (ma i patti non sono mantenuti dai soldati, che li sterminano); in Grecia, infine, Atene si pone a capo di un’insurrezione di varie città contro la Macedonia.

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ANTIPATRO E LA LEGISLAZIONE TIMOCRATICA AD ATENE Sotto l’impulso di Atene, ben presto la coalizione anti-macedone si allarga, fino a dar vita a una vera e propria guerra. I primi fuochi iniziano a manifestarsi ancor prima della morte di Alessandro, con le insurrezioni di Memnone in Tracia (331 a.C.) e di Agide III a Sparta (334-331 a.C.), energicamente e brillantemente sedate da Antipatro, luogotenente di Alessandro. Dopo la morte del Macedone, però, il conflitto si fa aperto e prende il nome di Guerra Lamiaca, dall’assedio della piazzaforte di Lamia, dove, costretto dagli eserciti delle poleis greche guidate da Atene, si rifugia il reggente macedone Antipatro. Grazie all’intervento di forze della Tessaglia, Antipatro ribalta la situazione e riesce a sconfiggere gli Ateniesi ad Amorgo (grazie all’intervento della flotta di Clito il Bianco) e a Crannone (per l’apporto decisivo della fanteria di Cratero), nel 322 a.C. Le condizioni imposte alla città ribelle sono relativamente miti: viene imposto il disarmo e stabilita la presenza di una guarnigione macedone nel Munichia, un’altura sul Pireo; inoltre, dato che la rivolta ha sostenitori principalmente nelle classi più basse, viene introdotta una riforma in senso timocratico, cioè viene assicurata la partecipazione alla vita politica solo a 158

chi ha un reddito superiore a duemila dracme. Non è escluso che questa decisione sia influenzata dallo stretto legame che unisce Antipatro ad Aristotele: infatti è un modo per assicurare un maggior potere a quella “classe media” («a metà strada fra i molto ricchi e i molto poveri», come si legge nel libro IV della Politica di Aristotele) che il filosofo vede come destinata a reggere i destini di una città, evitando da una parte la tirannide e lo strapotere oligarchico e dall’altra la pericolosa e incontrollabile reazione umorale della fascia più bassa della popolazione. In questo modo, quindi, almeno dodicimila persone sono cancellate dalla politica attiva. I due capi della rivolta, Iperide e Demostene, sono uccisi, o indotti al suicidio. Il reggente della città per conto dei Macedoni è Focione, descritto dagli storici a lui contemporanei come uomo di specchiata onestà e alto rigore morale. È grazie alla sua opera di mediazione che Atene non viene sottomessa al volere di Antipatro, che avrebbe potuto schiacciare ogni forma di libertà. Questa sua azione diplomatica, inizialmente appoggiata dalla popolazione, viene interpretata come collaborazionismo. Processato per tradimento, Focione è condannato a bere la cicuta nel 318 a.C. Antipatro però è malato, e sa che gli restano pochi giorni da vivere: si pone perciò il problema della successione.

GRECIA ANTICA

Galata morente, copia romana da una scultura in bronzo attribuita a Epigono (230 a.C. circa) dell’acropoli di Pergamo, I secolo d.C. (Roma, Musei Capitolini).

Busto di Epicuro, copia romana da un originale greco del IIIII secolo a.C. (Londra, British Museum). La figura del “filosofo del piacere” era tenuta in grande considerazione, tanto che il suo

compleanno, che cade il decimo giorno di Gamelione (10 febbraio), viene ancora ricordato e celebrato come “Festa delle Icadi” nel I secolo d.C., a quasi 400 anni dalla sua nascita.

LA GUERRA DEI DIADOCHI Il chiliarca Perdicca dimostra presto manie di grandezza. Il suo matrimonio con Cleopatra, sorella di Alessandro, scatena le ire di Antipatro e Cratero (reggenti di Macedonia, Illiria, Epiro, e Grecia), Antigono I Monoftalmo (diadoco di Frigia, Pamfilia e Licia), Tolomeo (diadoco in Egitto e Libia), che si coalizzano in un’offensiva congiunta, resa inutile però dalla morte di Perdicca (321 a.C.), assassinato dai suoi stessi generali, i quali ricevono in ricompensa le province di Babilonia, Media e Susiana. La morte di Antipatro nel 319 a.C. scatena una nuova lotta di potere, che vede coinvolti il figlio primogenito e legittimo erede Cassandro (sostenuto da Antigono, Tolomeo, Eumene e dalla quasi ininfluente figura di Filippo Arrideo) contro il successore designato Poliperconte, secondogenito, appoggiato dalla onnipresente Olimpiade, che mira ancora alla successione dinastica di Rossane e del piccolo Alessandro IV. La fine degli scontri vede la morte di Filippo Arrideo, ma anche di Olimpiade, e il successo finale di Cassandro, che dal 302 a.C. diventa nuovo diadoco della Macedonia. Ad Atene, Cassandro impone la figura di Demetrio Falereo, decisamente antidemocratico.

EPICURO La filosofia di Epicuro ha avuto alterne fortune: seguito e da alcuni idolatrato fino al II secolo d.C., è avversato e screditato dalla Chiesa; quasi dimenticato fino al primo Umanesimo, viene rivalutato dai maggiori pensatori (tranne i neoplatonici) e ufficialmente riabilitato nel 1649 con Syntagma philosophiae Epicuri dell’abate Pierre Gassendi.

Nato a Samo nel 342 a.C., fonda la sua scuola prima a Mitilene, per poi spostarsi a Lampsaco e, dal 306 a.C., ad Atene. Nel suo Giardino (questo il nome della sua scuola), impartisce lezioni a tutti, indipendentemente dalla condizione sociale. Il suo fondamentale spirito democratico ed egualitario, che si spinge fino a considerare esseri umani e animali sullo stesso piano, lo tiene lontano dalla politica attiva, pur manifestando simpatie per il governo macedone. Sostenitore di un meccanicismo della natura, per il quale tutto

Tetradracma con l’effigie di Alessandro nelle vesti di Ercole, da Anfipoli, IV secolo a.C. (Parigi, Musée du Cabinet des Medailles de la Bibliothèque Nationale de France).

Eumene, diadoco di Cappadocia e Paflagonia, è ucciso nel 315 a.C. da Seleuco, diadoco di Babilonia, nella battaglia di Gabiene. La posizione di Antigono, però, è ora troppo potente: contro di lui muovono Cassandro, Tolomeo e Lisimaco (diadoco di Tracia). Il campo di battaglia è la Siria, che – difesa da Demetrio, figlio di Antigono – viene occupata da Tolomeo nel 312 a.C. con la battaglia di Gaza. Nello stesso anno, il diadoco Seleuco consolida il proprio dominio su Babilonia, respingendo un attacco di Antigono. Da quel momento ha inizio la dinastia dei Seleucidi. L’anno successivo un’altra dinastia, invece, sarà estinta: Cassandro uccide Rossane e Alessandro IV, ponendo così fine agli Argeadi di Macedonia. In questa infinita disputa territoriale, Antigono riesce a cacciare da Atene Demetrio Falereo e a proclamare libera la città. Assieme al figlio Demetrio muove poi contro Tolomeo, sconfiggendolo a Salamina di Cipro (306 a.C.) e ponendo l’assedio a Rodi (304 a.C.). È qui che l’abilità di Demetrio e le sue innovazioni nelle macchine da guerra gli fruttano l’epiteto di Poliorcete, il “conquistatore di città”. Contrariamente alle

ciò che avviene è dovuto all’incontro di atomi di peso diverso, la cui traiettoria deviata genera ciò che esiste, ritiene che la conoscenza avvenga attraverso i sensi: atomi più “leggeri” si distaccano dagli oggetti e vanno a colpire la vista, l’olfatto e così via. Quando ci troviamo di fronte a un oggetto per noi noto, il meccanismo della prolessi (anticipazione) fa sì che lo riconosciamo, perché ne abbiamo avuto un’esperienza sensibile in precedenza. Gli dèi, per Epicuro, si disinteressano dei mortali: se fosse una loro cura intervenire

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nelle vicende terrene, non sarebbero perfetti, e quindi non sarebbero dèi. Dal punto di vista morale, Epicuro tende alla ricerca del piacere, intesa però come eliminazione del dolore. È proprio dal concetto di piacere che nasce l’equivoco fondamentale sul termine “epicureo”: ancora ai tempi di Dante, è sinonimo di libertino e peccaminoso, anche se il filosofo di Samo tiene una condotta morigerata, con una vita privata irreprensibile, incitando (non obbligando) i discepoli a pasti frugali e vegetariani.

Statue nel tempio di Demetra e Kore, III secolo a.C., Cirene.

aspettative, l’assalto alla città si conclude senza perdite grazie a un’azione diplomatica di Tolomeo, che da quel momento viene insignito del titolo di Sotèr, il Salvatore. Gli scontri fra Cassandro, Antigono, Demetrio, Tolomeo, Lisimaco e Seleuco proseguono con continui capovolgimenti di fronte e mutamenti di alleanze, fino alla battaglia di Ipso del 301 a.C., la “battaglia dei Re” in cui l’ultraottantenne ma bellicoso Antigono viene ucciso: i suoi territori vengono spartiti tra Lisimaco, Seleuco e Pleistarco (fratellastro di Cassandro). Con gli eventi di Ipso, gli scontri fra i diadochi lasciano il posto alle intricate vicende dei regni ellenistici.

I REGNI ELLENISTICI Il conflitto fra i vari diadochi inizia a sopirsi nei primi anni del III secolo, con il graduale consolidamento di regni, detti ellenistici, nei quali si insediano nuove dinastie, o si consolidano quelle esistenti. Le vicende sono terribilmente intricate, tanto che anche nei resoconti degli storici antichi permangono contraddizioni ed errori. A complicare le vicende, il fatto che i vari personaggi che di volta in volta si dichiarano re (basileus), considerano questo come un titolo onorifico, non necessariamente legato a un’estensione territoriale. Propriamente, il titolo spetterebbe di diritto soltanto ai legittimi successori del trono di Alessandro Magno, cioè l’incapace d’intendere Filippo Arrideo e il fanciullo Alessandro IV, ormai tragicamente fuori dai giochi.

ZENONE Zenone di Elea è riconosciuto da Aristotele come inventore dell’arte della dialettica, cioè del ragionamento e dell’esposizione di tale ragionamento in termini logici. Nato nel 489 a.C. in Magna Grecia, è uno dei più

illustri membri della Scuola eleatica fondata da Parmenide (e del quale era secondo alcuni figlio adottivo, secondo altri, amante). Zenone è noto soprattutto per i suoi paradossi, in particolare quelli in cui dimostra l’impossibilità logica del moto, 160

In basso Zenone di Elea, busto in marmo, copia romana da un originale greco del II secolo a.C. circa (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

I vari “regni” che si costituiscono, quindi, sono il più delle volte legati a usurpazioni e autoproclamazioni illegittime, basate sulla violenza e l’omicidio. Come se non bastasse, i casi di omonimia si sprecano, sia fra i personaggi sia fra i luoghi teatro degli eventi. Basti solo pensare, a titolo di esempio, che la dinastia tolemaica d’Egitto annovera, fino al 30 a.C., ben 22 sovrani legittimi che si chiamano tutti Tolomeo o Cleopatra (e che per complicare si sposano tutti tra fratello e sorella o tra cugini); tra le città di nuova fondazione in una manciata di anni si trovano 15 Alessandria (per limitarsi a quelle direttamente create dal Macedone) e, solo tra quelle nate sotto il regno di Seleuco di Siria, abbiamo 16 Antiochia, 5 Laodicea, 9 Seleucia e 3 Apamea (che prendono il nome dai vari parenti del sovrano). Ricordiamo, per inciso, che la numerazione che noi siamo soliti far seguire in latino ai nomi dei sovrani (Filippo II, Alessandro III) è un criterio ignoto agli antichi: nessun sovrano si sarebbe voluto sentire “secondo” a chicchessia; al massimo, in caso di omonimia, il successivo accettava di farsi chiamare “il Giovane” per rispetto a un ascendente illustre, del quale intendeva ripercorrere le orme. Anche quel “Magno” conferito ad Alessandro gli è stato attribuito solo post mortem. Nell’impossibilità di seguire nel dettaglio il corso dei vari eventi che coinvolgono i nuovi regni ellenistici, è bene però ricordare alcuni tratti caratteristici che li distinguono dai regni precedenti. Nella loro complessa articolazione, sia dal punto di vista etnico che da quello politico-amministrativo, rappresenta-

che rimane solo un’illusione dei sensi e una nostra percezione. Il più celebre di essi sostiene che Achille, il più veloce nella corsa, non sarebbe mai in grado di raggiungere una lentissima tartaruga, se a quest’ultima venisse dato un minimo di vantaggio. Al di là della loro versione aneddotica, ciò che Zenone intende dimostrare è il

GRECIA ANTICA

concetto di infinita divisibilità dello spazio e del tempo, idea innovativa e rivoluzionaria per la mentalità greca, che non contempla alcuni concetti per noi relativamente familiari, come lo zero e l’infinito. Zenone muore probabilmente di morte violenta, ucciso dopo un fallito colpo di Stato contro il tiranno di Elea, Demilo.

LA DISGREGAZIONE DELL’IMPERO (306 a.C.) MAR NERO

REGNO DI MACEDONIA Pella

MAR REGNO DI PERGAMO

CASPIO

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REGNO DI SIRIA

Antiochia

REGNO BATTRIANO

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MAR MEDITERRANEO

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REGNO DI EGITTO

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OCEANO INDIANO

ROSSO

no un radicale ampliamento della “grecità”, rispetto all’ambito tutto sommato ristretto delle poleis, la cui espansione si esprime al massimo nella creazione di colonie. Se i domini dell’Attica, al momento della sua maggiore influenza, coprono un’area di meno di 3000 kmq, il solo regno-impero dei Seleucidi di Siria si estende per una superficie di 350.000 kmq, quello dei Tolomei di Egitto per 150.000 kmq e quello di Macedonia, seppur nelle sue varie configurazioni, fino a 100.000 kmq. In ciascuno di questi immensi territori, la lingua greca è di uso comune e condiviso, così come sono condivise e si fondono fra loro culture fino ad allora molto distanti fra loro, sia geograficamente che concettualmente. Amministrativamente, se da una parte la fondazione di nuove città segue criteri razionali di urbanistica (basti pensare alla pianta di Alessandria d’Egitto disegnata secondo i progetti di Ippodamo di Mileto), i vari centri non hanno un’autonomia totale, ma versano tributi alle casse centrali del regno, che provvede poi a ridistribuirli ai vari nuclei urbani. Il cittadino della polis, quindi, è ora un suddito di un regno, e non si sente più arbitro del proprio destino. La stessa figura del sovrano, con un processo ignoto alla democrazia greca, assume sempre più i connotati divini, tipici dei sovrani orientali ed egizi. Gli epiteti non sono più connotati che esaltano per esempio la sua discendenza, il suo valore in battaglia, o il suo carisma, ma attributi come il Salvatore (Sotèr), l’Epifàne (Manifestazione divina), il Benefattore (Evergète) e così via. Antioco II Seleucide si farà addirittura chiamare Teo (dio).

GLI ANTIGONIDI IN MACEDONIA In Macedonia, estinta la dinastia degli Argeadi, si insediano gli Antigonidi. Dopo le guerre dei diadochi, il regno perde progressivamente la propria influenza, limitandosi a contrasti con le città greche. Antigono I Monoftalmo, re dal 306 a.C., e il figlio Demetrio I Poliorcete, sovrano dal 294 a.C. (una volta ucciso Alessandro V e messo in fuga Antipatro II), perdono progressivamente i loro possedimenti in Asia minore e Siria, anche se la loro influenza resta determinante in Grecia. Nel 288 a.C. Lisimaco si impadronisce del trono di Macedonia (uccidendo Antipatro II) con l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, ma il suo regno è destinato a terminare nel 281 a.C., quando viene sconfitto e ucciso nella battaglia di Corupedio da Seleuco. Il successore di Demetrio, Antigono II Gonata (dal 276 a.C.), riesce a sconfiggere Pirro, re dell’Epiro, ucciso nell’assedio di Argo (272 a.C.). Demetrio II Etolico (re dal 239 a.C.) muove guerra contro la Lega achea e la Lega etolica, sconfitte a Filacia nel 233 a.C. Viene però ucciso nel 229 a.C. nel corso di una campagna contro i Dardani, e lascia il trono ad Antigono III Dosone, tutore di Filippo V. Oltre a sconfiggere i Dardani, Antigono III scende nel Peloponneso, conquistando Argo, Corinto, Mantinea fino a prendere Sparta, nel 222 a.C. Tornato a nord per combattere gli Illiri, si ammala e muore di tisi l’anno successivo. Il diciassettenne Filippo V proseguirà le campagne, dando inizio alla prima guerra macedone.

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Scorcio di Al-Khazneh (Il Tesoro) dal Siq di Petra, antica città nabatea in Giordania, I secolo a.C.

Busto bronzeo di Seleuco I Nicatore, III secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

NASCE LA DINASTIA SELEUCIDE Il regno di Siria si forma con Seleuco I Nicatore, re di Babilonia dal 306 a.C. e capostipite della dinastia dei Seleucidi, che estendono il loro vasto dominio anche su Mesopotamia, Persia e Asia minore: un territorio immenso, che, con l’esclusione di Egitto e parte dell’Anatolia, ricalca il dominio che Alessandro aveva sottratto al Gran Re. Il successore di Seleuco muore assassinato da un sicario mandato da Tolomeo detto Cerauno (“la folgore”), figlio di Tolomeo I d’Egitto, e per un breve tempo sovrano di Macedonia dal 281 al 279 a.C. Il figlio di Seleuco, Antioco I, governa dal 281 al 261 a.C. quello che di fatto è

EUCLIDE Euclide, discepolo di Platone, è il più importante matematico dell’antichità; le sue aree d’interesse spaziano dall’ottica, alla fisica, alla meccanica, all’astronomia, alla musica. Incerti sono i suoi dati biografici, anche se sappiamo che insegna al Museo di Alessandria sotto Tolomeo I, verso la fine del IV secolo a.C. A Euclide va il merito di aver sistematizzato la geometria, e di aver consolidato il metodo della

In basso, Jacopo de Barbari, Ritratto di Fra Luca Pacioli e Guidobaldo da Montefeltro, olio su tavola, 1495 (Napoli, Museo di Capodimonte). Il matematico di Borgo Sansepolcro nel 1509 pubblicò una traduzione latina degli Elementi di Euclide.

un impero: impegnato contro i Galati, popolazione celtica che invade l’Asia minore da Nord, li respinge nel 277 a.C. e per questo si guadagna l’epiteto di Sotèr. Sconfitto da Tolomeo II in Celesiria (regione a est del Libano), deve far fronte a una ribellione del figlio Seleuco, arrivando a ucciderlo nel 262 a.C. Il successore, Antioco II, sul trono dal 261 a.C., prosegue la guerra in Siria contro Tolomeo.

L’ASCESA DEGLI ATTALIDI Ma non tutta l’Asia minore è sotto il dominio dei Seleucidi. Il regno di Pergamo sorge nel 282 a.C. grazie a Filetere, che, tradendo il diadoco Lisimaco, di cui è tesoriere, passa al servizio di Seleuco I prima, e di Antioco I poi. Filetere, sebbene ancora formalmente soggetto ai Seleucidi, è considerato iniziatore della dinastia degli Attalidi. Nel 262 a.C. il successore Eumene I si dichiara del tutto indipendente dai Seleucidi, sconfiggendoli a Sardi. Attalo I, sul trono dal 241 a.C., ottiene un’importante vittoria nel 240 a.C. a Caicò contro i Galati, alleati di Antioco Ierace, un Seleucide che intende muovere guerra ai fratelli per prendere il trono. La definitiva cacciata dei Galati dal territorio di Pergamo si ha nel 232 a.C., quando Attalo sconfigge la tribù dei Tolistobogi. Per celebrare la vittoria, Eumene II e Attalo II erigono lo splendido Altare di Zeus, concluso nel 156 a.C.

dimostrazione matematica sulla base di assiomi (principi che non sono dimostrati e vanno assunti come tali) e teoremi (dimostrazione logica o matematica che si basa su tali assiomi). La sua opera fondamentale sono gli Elementi, in tredici libri, a noi giunti anche in base a traduzioni dall’arabo curate da Adelardo Goto nel XII secolo. La prima versione italiana si deve a Niccolò Tartaglia, che la pubblica nel 1543. 162

Il colonnato sul cardo maximus di Apamea. La città siriana venne fondata nel IV secolo a.C. sotto l’impero seleucide.

GRECIA ANTICA

L’EGITTO DEI TOLOMEI Il regno di Egitto viene invece creato nel 304 a.C. da Tolomeo I Sotèr, iniziatore della dinastia Tolemaica (o Lagide). Acclamato come faraone, Tolomeo I, conquistatore di Cipro e della Cirenaica, è l’iniziatore di un periodo di splendore per l’Egitto, in particolare per la capitale Alessandria, che diviene un centro di cultura ineguagliato nel mondo ellenistico. Sotto Tolomeo I inizia la costruzione del Faro (una delle Sette meraviglie del mondo antico), del Museo e della Biblioteca, poi completati sotto il successore Tolomeo II Filadelfo (sul trono dal 282 a.C.).

ATENE TRA DEMOCRAZIA, DEMAGOGIA E TIRANNIDE La città di Atene, se dal punto di vista intellettuale e artistico conosce un periodo di floridezza paragonabile a quello di Pericle, da quello politico si rivela una fragile pedina nel grande gioco delle rivalità fra i diadochi. Sotto la dominazione macedone di Cassandro (legato alla stirpe argeade per aver sposato Tessalonica, figlia di Filippo II), il capoluogo dell’Attica vede soprattutto fiorire l’arte oratoria e la filosofia, con lo sviluppo delle dottrine aristoteliche. A Cassandro si devono, fra l’altro, la ricostruzione di Tebe e la fondazione della città di Tessalonica (oggi Salonicco), sui ruderi di Terme. Nel 317 a.C. il governo della città, con il determinante sostegno di Cassandro, passa all’oratore e filosofo peripatetico Demetrio Falereo, che la regge per una decina di anni. A lui si devono il primo censimento degli Ateniesi e il tentativo di mettere in pratica la realizzazione di un’ideale “città dei filo-

sofi”. I suoi provvedimenti riescono però ad attirare su di sé il malcontento della popolazione, specialmente degli strati più popolari. Ha quindi gioco facile nel 307 a.C. il futuro “conquistatore di città” Demetrio Poliorcete che, appoggiato dal padre Antigono Monoftalmo (rivale di Cassandro), prende il controllo della città e viene inizialmente accolto dagli Ateniesi come sotèr, il salvatore (titolo che, in questo periodo, vediamo abusato da personaggi che proprio “salvatori” non sono…). Una sorta di democrazia viene nuovamente instaurata, pur sempre sotto il controllo macedone. All’interno della città si accende però la rivalità fra la fazione popolare anti-Demetrio dell’oratore Democare, spalleggiato da Lisimaco, e quella apertamente pro-Demetrio (che va oltre i limiti della più bassa adulazione), capeggiata dallo stravagante Stratocle. Se da una parte le vittorie di Demetrio su Tolomeo, la conquista di Cipro e l’assedio di Rodi accrescono il suo prestigio, dall’altra le sue sregolatezze lo rendono presto inviso agli Ateniesi. La battaglia di Ipso, nel 301 a.C., decreta la definitiva sconfitta dell’anziano Antigono e del Poliorcete e il suo momentaneo abbandono delle campagne in Grecia. La debolezza di Demetrio spinge il capopopolo Lacare ad avvicinarsi a Cassandro, al quale, all’indomani dello scontro, offre una sorta di neutralità armata di Atene. Il demagogo riesce con abilità a interrompere il legame tra Cassandro e la fazione oligarchica capeggiata da Caria, apertamente filomacedone. Sfruttando il tentativo di Poliorcete di riprendere con la forza il dominio della città, posta sotto assedio nel 269 a.C., Lacare, forte dell’appoggio popolare, non tarda a instaurare ad Atene

L'ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO

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una vera e propria tirannide “dal basso”, definita dallo storico Pausania il Periegeta «la più disumana e sacrilega nei confronti di uomini e dei». A lui si addossa, fra l’altro, la responsabilità di aver spogliato la statua crisoelefantina di Atena (capolavoro di Fidia) degli arredi sacri e di essersi appropriato dell’oro degli altri templi dell’Acropoli. Con la morte di Cassandro, colpito da una repentina forma di idropisia (297 a.C.), la tirannide di Lacare vacilla: cacciato nella primavera del 294 a.C. dalla città, si rifugia, sempre braccato da Demetrio, prima a Tebe, poi a Delfi e infine in Tracia, dove tenta di consegnare la città di Lisimachia ad Antioco I Seleucide. La storia ne perde poi le tracce.

DEMETRIO E ANTIGONO GONATA Atene, quindi, è ora nelle mani di Demetrio, al quale però non interessa infierire sulla città. Il suo scopo è più alto: conquistare il trono macedone, cosa che ottiene. Alla sua morte, nel 283 a.C., il figlio Antigono Gonata mantiene gran parte delle città controllate da Demetrio. Ad Atene s’impone però la figura di Cremonide, politico e ammiraglio del quale si ha notizia solo a partire dal 267 a.C., quando, alla guida del partito popolare, si fa promotore senza fortuna di un’alleanza anti-macedone con Tolomeo II e Areo I di Sparta. Antigono Gonata, in tutta risposta, assedia la città alla quale aveva tutto sommato consentito un’amministrazione autonoma e ne rafforza il controllo militare (262 a.C.). La figura degli arconti, a partire da Arreneide, diventa così poco più che sim164

bolica. Dopo un trentennio di relativa calma, in cui la politica ateniese rimane di basso profilo, l’avvento al trono macedone di Antigono III Dosone provoca nel 228 a.C. una rivolta spalleggiata da Arato di Sicione, che ha come risultato l’allentamento dell’ingerenza macedone su Atene.

LA CRISI DI SPARTA

La crisi della polis spartana, sottoposta dopo Cheronea al dominio macedone, si acuisce dopo un’ulteriore sconfitta per mano di Antipatro (Megalopoli, 331 a.C.). L’indipendenza spartana è puramente nominale, in una città ormai quasi ridotta a un grosso villaggio periferico. Gli spartiati, ridotti a circa 700, sono ormai indebitati e nelle mani dei pochi latifondisti che gestiscono l’economia cittadina. La situazione viene sbloccata da un’iniziativa dell’euripontide Agide IV: nel 243 a.C. il ventenne sovrano promuove una riforma che prevede una nuova ripartizione delle terre, incontrando l’opposizione dell’altro re, Leonida II, della dinastia degli Agiadi. I sovrani sono i due volti di Sparta: l’austerità e il legame alle tradizioni rappresentati da Agide IV si scontrano con l’abitudine al lusso, alla ricchezza e agli agi di Leonida II, frequentatore della corte di Seleuco II di Babilonia. L’intento di Agide IV è quello di cancellare il divieto di vendita delle proprietà terriere, stabilito dall’eforo Epitadeo attorno al 400 a.C., e di ripristinare la trasmissibilità dei beni solo per via ereditaria di padre in figlio. Prevede inoltre un condono per

GRECIA ANTICA

Agesandro, Atenodoro e Polidoro, Laocoonte e i suoi figli, copia romana in marmo da un originale in bronzo, 25 a.C. (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

Processione con un atleta, pittura murale dalla Tomba del Tuffatore, III secolo a.C. (Paestum, Museo Archeologico Nazionale).

tutti i debiti e cerca appoggio per questa sua operazione in due eminenti e stimati cittadini: Lisandro (discendente del celebre navarco protagonista della Guerra del Peloponneso) e Mandroclida (considerato fra i più coraggiosi della città). Le sue proposte sono però bocciate dal Consiglio degli anziani (Gherusia), formato prevalentemente da latifondisti, che vedono minati i loro privilegi. Lisandro, allora, eletto eforo, convoca l’Assemblea popolare (apella) e, con un accorato discorso, invoca il ritorno alle antiche leggi di Licurgo, il ripristino dell’educazione dei giovani (agoghè) e, in buona sostanza, l’uguaglianza dei cittadini. Il progetto incontra, ovviamente, l’opposizione di Leonida II che, sull’onda del malcontento popolare, deve abbandonare la città e lasciare il suo trono a Cleombroto II (242 a.C.). La riforma viene parzialmente attuata con la spettacolare cerimonia della claria, cioè il rogo pubblico delle ricevute dei pegni e delle ipoteche, ma, allo scadere del mandato annuale di Lisandro, il successore Agesilao si dimostra restio ad applicare la seconda parte del piano di Agide IV, cioè la redistribuzione delle terre. La momentanea assenza dalla città del sovrano riformista – impegnato in un’inconcludente spedizione al fianco della Lega achea contro la Lega etolica a Pellene (241 a.C.) – crea il clima per un chiaro tentativo di colpo di Stato da parte di Agesilao: egli, pur di non perdere il suo ruolo di potere, mette in atto una serie di provvedimenti che ne prolunghino il mandato, come

per esempio aggiungere un mese intercalare nell’anno in corso, abolire la non-rieleggibilità degli efori e usare denaro pubblico per fini personali.

LA LEGA ETOLICA E LA LEGA ACHEA

cinquantina di città di Acaia, Corinzia, Argolide, Laconia (ma solo dal 195 a.C.), Arcadia, oltre a Megara, Egina, Elis e l’isola di Kydonia, nell’Egeo. Sede della Lega achea è Sicione, di cui è nativo Arato, il più influente stratega, in carica dal 245 al 212 a.C. L’aperto scontro tra le due leghe scoppiato nel 220 a.C. prende il nome di Guerra degli alleati (o

Mentre i diadochi sono impegnati nei loro scontri, in Grecia si inizia a organizzare una reazione contro lo strapotere macedone. Nel 314 a.C. viene formalizzata la costituzione della Lega etolica, che nel corso degli anni si amplia fino a inglobare, nel 279 a.C. – oltre ovviamente

all’Etolia – Acarnania, Focide, Locride, Beozia, Elide, Messenia e, fino al 235 a.C., la città di Megalopoli in Arcadia. La Lega etolica, in funzione dichiaratamente anti-macedone, si contrappone alla Lega achea, stretta principalmente fra le poleis greche del Peloponneso centro-settentrionale nel 280 a.C. Ben più ampia della Lega etolica, comprende almeno una

SPARTA: LA FINE DELLA MONARCHIA La popolazione, all’insegna del “si stava meglio quando si stava peggio”, richiama quindi Leonida dall’esilio per ristabilire l’ordine. Come prevedibile, a farne le spese sono Agide IV (imprigionato e poi strangolato assieme alla madre Agesistrata e alla nonna Archidamia), e Cleombroto II (che ha salva la vita in cambio di un esilio perpetuo). Quanto a Lisandro, scompare, e nulla più sappiamo di lui. Leonida II compie poi il teatrale gesto di rispettare le tradizioni, scegliendo come sua controparte al trono l’ultimo erede della dinastia euripontide, Eudamida III, figlio di Agide IV. Peccato che Eudamida fosse nato solo qualche mese prima. Leonida, in questo modo, si assicura il trono fino al 235 a.C. avendo cura che nessuna delle riforme proposte venga messa in atto. Alla sua morte, sale al trono il figlio Cleomene III, il quale, per sicurezza come primo provvedimento fa assassinare l’ormai tredicenne Eudamida III, poi il successore Archidamo V, che rimane in carica solo un anno (228 a.C.), e infine quattro dei cinque efori. Poi, con uno “strappo alle regole”, fa in modo di far eleggere come altro sovrano il proprio fratello Euclida: è

L'ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO

165

Guerra sociale) e si conclude con la pace di Naupatto (oggi Lepanto) del 217 a.C. Il vero vincitore dello scontro è Filippo V di Macedonia – in sostegno della Lega achea contro la Lega etolica, affiancata da Sparta ed Elis – che coglie il momento per muovere guerra ai Romani, sconfitti a Canne da Annibale nel 216 a.C. nel corso della Seconda guerra punica.

La morte di Archimede, mosaico romano, I secolo d.C., (Francoforte, Städtische Sammlung). Secondo la tradizione, l’anziano scienziato siracusano viene ucciso

durante il sacco della città nel 212 a.C. da un soldato romano che non lo aveva riconosciuto, contravvenendo così all’ordine di Marco Claudio Marcello,

che aveva espressamente chiesto di risparmiarlo. Il condottiero romano fa per lui erigere una tomba monumentale, riscoperta poi da Cicerone per un segno distintivo (una sfera inscritta in un cilindro).

Francesco Fontebasso, Antioco e Stratonice, olio su tela, 1760 circa (Collezione privata). Antioco I Sotèr, innamorato della matrigna Stratonice, moglie di suo padre Seleuco I Nicatore,

giace nel suo letto in preda a una profonda depressione. Il medico Erasistrato riesce però a trovare la causa della inspiegabile malattia del giovane, e convince Seleuco a cedergli la consorte.

l’unico caso della storia spartana in cui entrambi i sovrani siano della stessa dinastia. Il potere di Cleomene III è consolidato anche da una vittoriosa campagna contro la Lega achea nelle battaglie del monte Liceo, Laodicea e Dime (227-226 a.C.). La dinastia euripontide non sarà più rappresentata in modo legittimo. Cleomene III però, assicuratosi il trono, decide di seguire la sfortunata politica riformista del “rivale” Agide IV (del quale ha sposato la vedova Agiatide). Non volendo rivali a contrastare le proprie decisioni, abolisce del tutto l’istituzione dell’eforato. Qui i destini di Sparta si intrecciano con quelli della Macedonia: Arato, stratega della Lega achea, si allea con il macedone Antigono III Dosone e insieme sconfiggono a Sellasia (222 a.C.) il re spartano, che fugge ad Alessandria d’Egitto da Tolomeo III, dove si suicida nel 218 a.C. dopo un infruttuoso tentativo di riprendere il trono. Questi scontri sono dagli storici chiamati anche Guerra cleomenea (228-222 a.C.) e Guerra degli alleati (o Guerra sociale, 220-217 a.C.). Sparta, ora nelle mani macedoni, abolisce la monarchia e diviene repubblica dal 221 a.C. al 219 a.C. È solo una breve parentesi, che anticipa però di poco il declino totale della città:

Agesipoli III, ultimo re agiade, riprende il potere dal 219 a.C. e ristabilisce la diarchia assieme all’euripontide Licurgo. Vengono ripristinati gli efori, che in realtà sono solo dei fantocci corrotti, usati (dietro il pagamento di un talento ciascuno) per legittimare l’elezione di Licurgo, il cui sangue euripontide è in realtà molto annacquato. Alla morte di Agesipoli (215 a.C.), Licurgo non sente il bisogno di sostituirlo con un altro sovrano, governa da solo per altri quattro anni e muore nel 211 a.C. Il figlio Pelope è poco più che un infante, e il trono è retto con piglio tirannico da Macanida, che si allea con la Lega etolica scatenando una guerra contro la Lega achea. Inizialmente vittorioso (Tegea, 209 a.C.), nel 207 a.C. cade nella battaglia di Mantinea, in uno scontro personale con il capo della Lega achea, Filopemene. Il trono spartano resta così vacante, e ad approfittarne è Nabide, che con un colpo di Stato prende il potere, uccide Pelope e instaura un’autentica tirannia. Con Pelope, trentunesimo sovrano euripontide, si estingue definitivamente la dinastia e termina anche la monarchia spartana. Adesso, però, un nuovo attore sta comparendo sul palcoscenico delle vicende greche: Roma.

ARCHIMEDE

fisica misurabile in maniera esatta, al pari del peso (massa) o dello spazio. Contrariamente alle concezioni del tempo e con mentalità del

Archimede di Siracusa è tra i massimi inventori e teorici del mondo antico. Nato attorno al 287 a.C., probabilmente imparentato con il tiranno Gerone II, lo scienziato siracusano elabora i principi fondamentali dell’idrostatica (che ancor oggi porta il suo nome) e dell’ottica, applicandoli a macchinari e dispositivi di grande efficacia. Abilissimo nelle opere d’ingegneria, a lui si devono le opere difensive della città contro i Romani nel

corso della Seconda guerra punica, nella quale perde la vita. Riesce inoltre a fornire una accurata approssimazione del rapporto fra la circonferenza e il suo diametro (pi greco). Tra le sue invenzioni, l’orologio ad acqua, il sistema di sollevamento a vite, molti macchinari basati sulle leggi delle leve (da lui individuate e codificate), catapulte e un cannone a vapore. Dal punto di vista teorico, merito fondamentale di Archimede è quello di aver considerato il tempo come una grandezza 166

tutto innovativa, Archimede usa infatti la matematica come uno strumento pratico, da applicare nelle sue realizzazioni meccaniche.

L’ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO (323 A.C.-207 A.C.) 323 a.C. 322 a.C. 321 a.C. 321 a.C. 319 a.C. 318 a.C. 317 a.C. 316 a.C. 314 a.C. 312 a.C. 310 a.C. 307 a.C. 306 a.C. 305-304 a.C. 304 a.C. 302 a.C. 301 a.C. 297 a.C. 296 a.C. 294 a.C. 291 a.C. 289 a.C. 286 a.C. 284 a.C. 282 a.C.

La divisione dell’impero di Alessandro Magno scatena la guerra dei Diadochi. In Grecia, ribellioni contro i Macedoni. Guerra Lamiaca: a Crannone sconfitta definitiva di Atene. Atene: Antipatro impone una riforma timocratica. Guerra in Egitto. Ucciso Perdicca. Morte di Antipatro: crisi per la successione. Focione giustiziato ad Atene. Cassandro occupa Atene e governa con Demetrio. Cassandro occupa la Macedonia. Uccisa Olimpia, madre di Alessandro Magno. Lega etolica anti-macedone. Battaglia di Gaza. Tolomeo occupa la Siria. Inizia la dinastia dei Seleucidi. Cassandro fa uccidere Rossane e Alessandro VI. Atene: Demetrio Poliorcete caccia Demetrio Falereo e restaura la democrazia. Pirro re in Epiro. Salamina di Cipro: Demetrio Poliorcete sconfigge Tolomeo e s’incorona re. Iniziano i regni ellenistici. Demetrio Poliorcete assedia Rodi. Tolomeo Sotèr faraone dell’Egitto. Cassandro caccia Pirro dall’Epiro. Atene: colpo di Stato democratico contro il governo macedone. Al potere Lacare. La Battaglia dei Re a Ipso conclude il periodo dei diadochi. Morte di Cassandro, gli succede Antipatro II. Aiutato da Tolomeo, Pirro rientra in Epiro. Licia arconte ad Atene. Demetrio Poliorcete prende Atene e la Macedonia. Demetrio Poliorcete occupa Tebe. Pirro occupa la Macedonia. Demetrio Poliorcete tenta di invadere l’Asia minore ma è catturato da Seleuco. Lisimaco di Tracia caccia Pirro dai territori occupati Egitto: Tolomeo II succede al padre.

281 a.C. 280 a.C. 279 a.C. 277 a.C. 274 a.C. 274-271 a.C. 272 a.C. 271 a.C. 265 a.C. 263 a.C. 260-253 a.C. 251 a.C. 247 a.C. 243 a.C. 241 a.C. 235 a.C. 228 a.C. 227 a.C. 226 a.C. 225 a.C. 224 a.C. 222 a.C. 221 -219 a.C. 215 a.C. 207 a.C.

L'ELLENISMO E IL TRAMONTO DELLE CITTÀ-STATO

167

Battaglia di Corupedio: Lisimaco è sconfitto da Seleuco. Fine del regno di Tracia. Lega achea, anti-macedone e antispartana. Tolomeo Cerauno uccide il re persiano Seleuco. Tolomeo Cerauno muore in uno scontro coi Galati. Macedonia: Antigono Gonata re. Pirro vittorioso sui Romani a Maleventum. Prima guerra siriaca fra Tolomeo II e Antioco I. Nello scontro con Antigono, Pirro muore ad Argo. Antigono signore della Macedonia e della Grecia. Antigono sconfigge a Corinto il re di Sparta Areo. Antigono occupa Atene. Seconda guerra siriaca tra Tolomeo e Antioco appoggiato da Antigono. Arato di Sicione aderisce alla Lega Achea anti-macedone. Tolomeo III faraone in Egitto. Terza guerra siriaca. Re Agida: nuova ripartizione delle terre a Sparta. Agida ucciso da Leonida II. Sparta: muore Leonida II, gli succede Cleomene III. I Galati in Asia minore. Vittoria di Cleomene sulla Lega achea. La Lega achea si riavvicina ai Macedoni in funzione anti-spartana. Cleomene III conquista Corinto. Antigono III di Macedonia fonda la Lega ellenica e ingloba la Lega achea. Disfatta di Cleomene III nella battaglia di Sellasia. I Macedoni entrano a Sparta. Alla Lega ellenica si uniscono Tessaglia, Beozia, Epiro, Eubea e Focide. Sparta: cade la monarchia si instaura una repubblica. Seguono disordini e la reggenza di Macanide. Eliminato l’ultimo agiade, termina il regno di Sparta. Nabide instaura la tirannide a Sparta.

Dalle guerre macedoniche all'occupazione romana

I ROMANI E IL MONDO GRECO Mentre il mondo greco – o meglio, di lingua greca – è impegnato in una serie di scontri, alleanze, assestamenti e lotte dinastiche, nella parte centro-occidentale del Mediterraneo si rende sempre più protagonista la realtà politica, economica e militare del mondo romano. I contatti fra le due culture sono già avvenuti a partire dal V secolo a.C., e non può essere altrimenti, data la presenza di una Magna Grecia che occupa tutto il meridione della penisola italica. Dal punto di vista strettamente bellico, però, i destini di Roma e della Grecia si incrociano a partire dalle guerre con Pirro, re dell’Epiro, che impegnano i due contendenti dal 280 al 275 a.C. La Res Publica romana, infatti, inizia a consolidare la propria presenza in Italia meridionale sia con i successi nelle guerre sannitiche (343-290 a.C.), sia con una penetrazione capillare dal punto di vista commerciale e logistico. La costruzione di strade, porti e infrastrutture in genere porta alla fondazione (deductio) di colonie che interagiscono, per ora in modo relativamente pacifico, con quelle di origine greca. Ne è testimonianza, a partire dal 320 a.C., la creazione di una moneta comune romano-campana, in uso nelle colonie di origine greca della costa tirrenica. 170

Lo scopo di Roma è, comunque – nel quadro di una complessa rete di alleanze con i popoli italici, fragile ed effimera a seconda delle varie opportunità del momento – cercare di interrompere il più possibile il legame fra le colonie greche e la madrepatria, e non di annientarle. Fra i primi personaggi a sostenere l’importanza e il valore di una fusione fra le culture greca e romana è il console Appio Claudio Cieco (350-271 a.C.), che fa del sincretismo fra Roma e i popoli vicini un’occasione di arricchimento, non solo culturale, per l’Urbe. A lui si devono, fra l’altro, la costruzione del primo acquedotto e la realizzazione della via Appia, che porta a Brindisi. I malevoli dicono che la sua (presunta) cecità sia dovuta proprio a una punizione divina per la sua ferma volontà di unire il pantheon greco-romano con quello dei “barbari” Celti e Germani. Le popolazioni italiche più meridionali, in particolare Bruzi e Lucani, a partire dalla seconda metà del IV secolo a.C. aumentano la loro ingerenza sulle colonie della Magna Grecia; con il tempo la loro presenza diviene preoccupante, tanto da costringere a intervenire militarmente per garantire la salvaguardia degli abitanti tra il 342 e il 338 a.C. Archidamo III di Sparta e tra il 335 e il 330 a.C. Alessandro I il Molosso, re dell’Epiro (zio di Alessandro Magno).

GRECIA ANTICA

Scena dalla caduta di Troia: Menelao afferra per i capelli Elena, mentre Aiace Oileo trascina Cassandra che si aggrappa alla statua di Atena, pittura murale dalla Casa di Menandro, II secolo a.C., Pompei.

Moneta d’argento coniata sotto il regno di Pirro, 310 a.C. circa (Taranto, Museo Archeologico Nazionale).

In apertura di capitolo, Vittoria alata (Nike) di Samotracia, 190 a.C. (Parigi, Museo del Louvre).

LE GUERRE PIRRICHE Gli interessi dell’Epiro sull’Italia meridionale divengono sempre più pressanti, fin quando il casus belli per un intervento militare viene trovato nei contrasti fra Taranto (che aveva aiutato Pirro, nuovo sovrano epirota dal 306 a.C., a conquistare Corfù e – temporaneamente – la Macedonia) e Roma. Sappiamo dagli storici romani – quindi di parte – che la scintilla di un devastante conflitto viene generata da una serie di equivoci e di offese; il che testimonia come non si aspettasse che un pretesto per venire alle armi. È l’autunno del 282, il tempo delle feste dionisiache, e i Tarantini, avvistata una decina di navi romane da ricognizione al largo della città, interpretano la presenza delle triremi come un atto ostile. In preda ai fumi dell’alcol, gli abitanti assaltano le navi, ne affondano quattro e ne prendono una, uccidendo o imprigionando i Romani catturati. La reazione di Roma è inizialmente molto diplomatica, e viene inviata subito una delegazione per trattare sul rilascio dei prigionieri. Nel teatro di Taranto, però, l’ambasciatore romano Postumio viene fatto oggetto di scherno da parte dei Tarantini per colpa della sua scarsa familiarità con la lingua greca: la sua orazione viene prima accolta con indifferenza, poi con risa, tanto che il diplomatico deve

LA GEOGRAFIA La geografia, nel suo senso etimologico di “scrittura, descrizione della Terra”, è una scienza che nel mondo greco unisce le caratteristiche di una disciplina letteraria (resoconti di viaggi e narrazione di luoghi e popoli lontani), con elementi più prettamente scientifici, legati a studi che oggi chiameremmo di geologia, astronomia, climatologia, botanica e zoologia. Innanzi tutto nasce come una disciplina essenzialmente “fun-

zionale”, cioè che serve per orientarsi nei viaggi commerciali e nelle imprese militari. Quindi, per chi deve mettersi in cammino o salire su una nave, poco importa che la Terra sia un disco piatto, un tozzo cilindro o una sfera, circondata o meno dal “fiume Oceano” descritto da Omero. È con questo atteggiamento che sono strutturati i testi che descrivono il mondo abitato (l’ecumene) e i popoli di terre misteriose e lontane: tra i nomi di spicco, Ecateo di

lasciare il consesso. La situazione degenera quando – come racconta Dionigi di Alicarnasso (60-7 a.C.), storico di lingua greca ma trasferitosi a Roma – nell’uscire dal teatro, un tal Filonide, ancora ebbro dai giorni precedenti, si alza la veste e urina dagli spalti sulla toga purpurea di Postumio. La folla, a quel gesto irriverente, reagisce con più risa e schiamazzi. L’ambasciatore non si scompone, ma anzi ringrazia l’autore del gesto per «averci dato addirittura cose che non richiedevamo» e poi, rivolto alla folla, minaccia «ridete pure: questa veste sarà lavata con il vostro sangue». Per Roma la misura è colma, e un esercito guidato da Lucio Emilio Barbula marcia su Taranto, iniziando a devastare le campagne circostanti. Si innesca così la rete di alleanze: i Tarantini invocano l’aiuto di Pirro, che non aspetta altro che l’occasione buona per allargare il proprio dominio all’Italia meridionale. Il sovrano epirota è un combattente esperto, addestrato da Demetrio I Poliorcete e già distintosi, giovanissimo, nella battaglia di Ipso del 301 a.C., e sbarca in Italia con un imponente esercito di circa trentamila uomini e venti elefanti da guerra. Pirro può contare sull’appoggio anche di Tolomeo II d’Egitto, che invia un nutrito contingente in Epiro, con il doppio scopo di

Mileto, che a cavallo tra il VI e il V secolo a.C. rielabora le informazioni fornite da un’opera perduta di Anassimandro scrivendo un trattato diviso in due parti, Europa e Asia, in una suddivisione che include anche parte delle coste nordafricane. Dicearco da Messina, nel IV secolo a.C., introduce i concetti di meridiani e paralleli, essenziali per l’orientamento. In epoca alessandrina, Eratostene di Cirene, con l’opera Geografia, in tre volumi, mostra un

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

171

approccio molto più scientifico, ipotizzando una Terra sferica e calcolandone addirittura le dimensioni con discreta approssimazione. Strabone, greco vissuto a Roma agli inizi del I secolo d.C., nella sua Geografia in 17 volumi sfrutta le sue infinite esperienze di viaggio per dare importanti informazioni anche sulla flora e la fauna dei luoghi che ha visitato. È l’ultimo dei geografi-letterati: i tempi sono maturi per le analisi e le intuizioni scientifiche di Tolomeo.

In basso, Elefante da battaglia seguito dal proprio elefantino, ceramica etrusca, III secolo a.C., dalla Tomba 233 (IV) della Necropoli delle Macchie dell’Agro Falisco (Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia).

Elefante da guerra travolge un soldato, statuetta in terracotta, III secolo a.C.

Nicolaes Pieterszoon Berchem, Battaglia fra Alessandro e Poro sulle rive dell’Idaspe, olio su tela, 1650 circa. L’uso degli elefanti da parte del sovrano indiano non è sufficiente a fermare l’avanzata del Macedone (Londra, National Gallery).

mantenere un presidio armato a tutela della corona e fornire, in caso di necessità, truppe aggiuntive. Per garantire un attacco ancora più incisivo, Pirro coinvolge nella guerra, oltre alle popolazioni italiche, anche Antioco I Seleucide, Antigono II Gonata (figlio del Poliorcete) e Tolomeo Cerauno, all’epoca re di Macedonia. La vittoria di Eraclea del 280 a.C., dovuta anche al terrore dei soldati romani alla vista degli elefanti, per la prima volta impegnati in battaglia sul suolo italico, è schiacciante. Sull’impeto del successo, Pirro marcia verso Roma, giungendo fino ad Anagni, nei pressi di Frosinone, a una giornata di cammino dall’Urbe. Qui, temendo una mossa a tenaglia dei Romani, decide di trovare un accordo di pace, che viene però fieramente respinto da Appio Claudio Cieco. Pirro, quindi, a corto di rifornimenti ripiega verso sud, e si impegna in quello scontro che diverrà la proverbiale “vittoria di Pirro”: nel 279 a.C. ad Ascoli Satriano, in Puglia, le perdite da parte del vincitore sono tanto ingenti da fargli dichiarare «un’altra vittoria così e sarò rovinato». Il 278 a.C. è l’anno della svolta. Il re dell’Epiro si trova a dover prendere una difficile decisione: i Galati hanno invaso i Balcani e ucciso il re macedone Tolomeo Cerauno, lasciando

il trono vacante, ma contemporaneamente le città della Sicilia esortano l’intervento di Pirro (dal 296 a.C. marito di Lanassa, la figlia di Agatocle, tiranno di Siracusa) contro i Cartaginesi, che occupano la parte occidentale dell’isola. Entrambe le opportunità sono allettanti, ma Pirro, che in ciò vede convergere anche gli interessi dei Tolomei d’Egitto, valuta che la minaccia cartaginese sia maggiore dell’opportunità di un trono macedone. Pirro si dirige quindi verso la Sicilia, con iniziali successi che lo portano fino alle porte di Panormos (Palermo) ed Erice e accarezza l’idea di costituire una flotta alla conquista di Cartagine. L’alleanza tra Roma e Cartagine, l’assedio di Taranto da parte dei Romani, la sconfitta delle popolazioni italiche degli Oschi e dei Sanniti lo costringono però a ripiegare verso la Lucania. Nella tarda primavera del 275 a.C. a Maleventum (poi Beneventum), nel Sannio, i Romani infliggono una sonora sconfitta al re epirota, che è costretto a tornare in patria e ad abbandonare per sempre le sue ambizioni di conquista in Italia. Taranto rimane in guerra con Roma fino al 272 quando, senza più aiuti oltre Adriatico, capitola e diviene colonia romana. Roma completa la sottomissione della penisola l’anno successivo, con la conquista di Rhegium. La Magna Grecia non esiste più.

GLI ELEFANTI DA GUERRA

stamenti, sia via terra sia via mare. Per questo il loro uso si è man mano ridotto, fino a scomparire e restare più che altro un topos letterario degli storici per rendere i resoconti di guerra più affascinanti ed esotici.

L’uso nei combattimenti di “mezzi pesanti” come gli elefanti è noto in più occasioni nel mondo antico, anche se il loro impiego non è così frequente e ha importanza più psicologica che effettivamente bellica. Particolarmente efficaci per gettare il panico nelle file nemiche e disperderne i ranghi, questi enormi animali hanno però reazioni a volte impreve-

dibili, e non sono rari i casi in cui si rivelano ingovernabili e pericolosi anche per l’esercito al quale appartengono. La gestione dei pachidermi, infatti, presenta numerosi inconvenienti, a cominciare dal fatto che non vengono allevati ma catturati in natura e addomesticati alla meglio. A dispetto delle loro dimensioni, sono animali relativamente delicati, si ammalano facilmente e sono decisamente lenti e ingombranti negli spo172

GRECIA ANTICA

PIRRO E LE DONNE DI SPARTA Al sovrano dell’Epiro non resta che seguire il “piano B”. Tornato in patria, organizza il ritorno al trono macedone, che aveva occupato dal 288 al 285 insieme a Lisimaco. Come prima mossa segue l’invito di Cleonimo, un nobile agiade già reggente per il nipote minorenne Areo I, che desiderava spodestare il legittimo erede per sedersi a pieno titolo sul trono di Sparta, e organizza un esercito per invadere il Peloponneso. Cleonimo aveva già tentato l’avventura italica con Pirro, guidando – con scarso successo – la conquista della città di Thuriae in Puglia e partecipando alla difesa di Taranto. Gli accordi prevedono che, una volta conquistata Sparta, Cleonimo si accontenti del dominio sulla città e sostenga Pirro nell’espansione nel Peloponneso. Pirro, quindi, nel 274 a.C. muove alla volta di Sparta, approfittando del fatto che Areo è impegnato a Creta per sostenere la città di Gortyna in uno scontro contro Cnosso. La campagna contro Sparta è prevista “in grande”: Pirro mette in campo un esercito che non ha nulla da invidiare a quello dispiegato pochi anni prima contro i Romani nella vittoriosa battaglia di Eraclea. Gli oltre venticinquemila uomini posso-

no contare anche sull’appoggio di ventiquattro elefanti. Sparta, però, inizia già a manifestare quella crisi che esploderà trent’anni dopo con Agide IV: i pochi spartiati rimasti in città valutano addirittura se consegnarsi al nemico e inviare le donne a Creta per proteggerle. Qui si compiono alcuni di quegli atti eroici ed esemplari che tanto piace narrare allo storico Plutarco: mentre gli anziani della Gherusia sono riuniti per decidere il da farsi, irrompe nell’assemblea Archidamia, vedova del vecchio re euripontide Eudamida I, e sguainata la spada, chiede: «Come potete pensare che le donne sopporterebbero di sopravvivere alla distruzione di Sparta?». Allo stesso momento, la moglie dell’aggressore Cleonimo, l’euripontide Chilonide, fuggita dal marito usurpatore per divenire compagna del legittimo re agiade Acrotato, si mostra con un cappio al collo dichiarandosi pronta al suicidio in qualsiasi istante nel caso in cui Cleonimo avesse preso la città. Le altre donne spartane, intanto, scavano nella notte un fossato difensivo attorno a Sparta – che non è difesa da mura o fortificazioni – in modo da concedere agli uomini il riposo necessario ad affrontare la battaglia l’indomani.

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

173

L’assedio del 272 si risolve quindi con una schiacciante vittoria degli Spartani, che respingono gli assalitori e li impegnano il tempo necessario per l’arrivo da Corinto dei rinforzi di Antigono II Gonata e di Areo I, che costringono Pirro e Cleonimo alla fuga verso Argo. Qui l’allievo del Poliorcete dimostra ancora una volta di non aver ben appreso la lezione del maestro perché, posto l’assedio alla città, si lascia sorprendere da una tegola tiratagli da una vecchia che lo aveva scorto dal tetto di casa sua, tramortendolo. Incapace di difendersi, Pirro viene travolto dal contrattacco degli Argivi e ucciso. L’Epiro, privo del suo più grande condottiero (nel giudizio di Annibale, secondo solo ad Alessandro Magno, con il quale, fra l’altro, è imparentato per parte di madre) e senza un erede degno, cade presto nel caos. L’ultima discendente della dinastia Eacide, la regina Deidamia II, muore assassinata nel 233 a.C. e l’Epiro diviene una repubblica federata di libere città (Lega epirota). Nel corso delle guerre macedoniche lo Stato viene definitivamente smembrato nella sua unità territoriale, passando sotto la Macedonia e l’Etolia, per poi essere occupato dai Romani nel 167 a.C., divenendo la provincia di Epirus Vetus. 174

I PIRATI ILLIRICI Le merci che viaggiano attraverso il Mediterraneo, affollata via di comunicazione tra l’Oriente, l’Egeo, la penisola italica e le coste nordafricane, sono ambite da pirati e predoni fin dai tempi di quei Popoli del mare che, sul finire dell’Età del bronzo, infestano le acque a bordo d’imbarcazioni agili e veloci. Le principali basi logistiche dei pirati sono le isolette e le insenature degli arcipelaghi dell’Egeo, dove piccoli porti naturali offrono riparo e protezione alle migliaia di fuorilegge che, nella stagione invernale, quando le rotte commerciali sono meno battute, si abbandonano anche a razzie nei villaggi della costa, catturando gli abitanti e chiedendo un riscatto o vendendoli come schiavi. Nel corso dei secoli, le scorrerie dei pirati si fanno più frequenti e organizzate, tanto da mettere in crisi l’economia di molte zone del Mediterraneo. Attorno alla metà del III secolo a.C. una zona particolarmente colpita dalla pirateria è l’Adriatico meridionale, dove gli attacchi degli Illiri alle navi mercantili iniziano a danneggiare gli interessi dei Romani.

GRECIA ANTICA

Demetra, Trittolemo e Persefone, rilievo da Eleusi, 440 a.C. circa (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Lotta fra i Greci e le Amazzoni, sarcofago di marmo, da Tessalonica, 180 a.C. circa (Parigi, Museo del Louvre).

Nel 230 a.C. il Senato romano invia quindi una missione diplomatica alla potente Teuta, regina degli Ardiei, una popolazione che già si era scontrata con Filippo II e poi con il giovane Alessandro III di Macedonia a partire dal 357 a.C. L’ambasceria si conclude con l’assassinio dei diplomatici romani, il che scatena immediatamente un conflitto armato aperto. Circa 200 navi al comando del console Lucio Postumio Albino e ventiduemila tra fanti e cavalieri, sotto la guida del console Gneo Fulvio Centumalo muovono alla volta delle coste dell’odierna Albania. Grazie anche al voltafaccia di Demetrio di Faro, mercenario greco che passa dalla parte dei pirati a quella dei Romani, i consoli sottomettono l’isola di Corcira (Corfù) le città di Epidanno (Durazzo), Issa, Apollonia e Scodra (Scutari). Teuta si sente minacciata e negozia una pace – o meglio un trattato di non aggressione – che comporta la cancellazione della flotta (tranne due mercantili) e il pagamento di un forte tributo a Roma. I Romani non perdono occasione per diffondere alle popolazioni greche la notizia che, grazie a loro, i pirati dell’Adriatico non costituiscono più un problema. Ma, soprattutto, intendono tranquillizzare in particolare Etoli e Achei che si è trattato di una “operazione di polizia” e che Roma non ha intenzione di espandere i propri domìni ai danni dei Greci. L’evento viene accolto con grandissimo favore in tutta la Grecia. Come riconoscimento, Corinto insiste perché i Romani

vengano addirittura invitati ai Giochi istmici del 228 a.C. e Atene li ammette ai Misteri eleusini, una serie di cerimonie religiose segrete strettamente riservate a pochi eletti. I Romani non sono più i “barbari d’occidente”, ma equiparati agli Elleni.

I MISTERI ELEUSINI

primavera). Documentati fino dall’epoca micenea, i Misteri si diffondono a tutto il Vicino Oriente e fino a Roma. Non è escluso che nel corso dei riti si faccia uso anche di sostanze psichedeliche, che inducono stati di allucinazione e di trance. Dal punto di vista letterario, testo fondamentale è l’Inno a Demetra, nella raccolta degli Inni Omerici (metà del VII secolo a.C.).

Gli Eleusinia mysteria sono riti religiosi riservati a gruppi ristretti di iniziati, tenuti a mantenere il più assoluto segreto su pratiche, culti e cerimonie. Derivati da antichi culti agrari e di fertilità, sono dedicati a Demetra e Trittolemo e celebrati ogni anno nel santuario di Eleusi. L’insieme delle cerimonie ripercorre e fa rivivere

il mito di Persefone, figlia di Demetra, rapita da Ade e trascinata agli Inferi. L’arco della celebrazione si snoda in tre fasi: la discesa nell’oltretomba (cioè la caduta, la perdita, il lutto, collegata alla fine dell’autunno), la ricerca (l’elaborazione degli eventi e il tentativo di riscatto, collegata all’inverno) e l’ascesa (la redenzione, il ritorno e il ricongiungimento, collegata alla

ATTALO I E I ROMANI Il regno di Pergamo, nella parte occidentale della penisola Anatolica, dal 262 a.C. indipendente dai Seleucidi, vive un momento di grande floridezza sia economica che culturale. Il sovrano Attalo I Sotèr, “salvatore” del Paese dall’invasione dei Galati, è un abile stratega e un altrettanto accorto diplomatico. Sul trono dal 241 a.C., si trova a dover contrastare i continui tentativi dei Seleucidi di riprendere il territorio perduto. Dopo molti capovolgimenti di fronte, che lo portano a espandersi in quasi tutta l’Anatolia ma a perdere dopo poco le zone appena conquistate, Attalo I decide di proiettare le sue mire di espansione verso Occidente, vale a dire verso la Grecia, verso la quale Filippo V di Macedonia (al trono dal 221 a.C.) aveva identiche mire. Per arginare la minaccia macedone, quindi, Attalo I si allea con la Lega etolica (219 a.C.); per tutta risposta, Filippo V trova un valido alleato in Cartagine, in quel momento coinvolta nella Seconda guerra punica contro Roma (218-202 a.C.). Naturale quindi che i Romani, preoccupati di una possibile

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

175

Atlante Farnese, copia romana di un originale greco, II secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale). Secondo la mitologia greca, il titano Atlante era stato condannato a sopportare il peso della volta celeste per essersi ribellato agli dèi dell’Olimpo. Secondo

Diodoro Siculo, invece, un non meglio storicamente identificato sovrano della Mauritania con questo nome è il primo ad aver concepito l’universo come una sfera. Il moderno nome di Atlante per indicare una pubblicazione con mappe e carte geografiche risale al XVI secolo.

mossa a tenaglia di Macedoni e Cartaginesi, cerchino appoggio per indebolire le ambizioni di Filippo V. La vittoria di quest’ultimo nella Guerra degli alleati, combattuta fra Lega etolica e Lega achea (220-217 a.C.), offre al sovrano macedone la possibilità di muovere contro i Romani, impegnati contro un Annibale Barca che ha già varcato le Alpi e ottenuto un’importante vittoria lungo il Ticino (218 a.C.). Ecco quindi che si consolida l’alleanza tra Romani e Lega etolica, alla guida della quale, come stratega, è posto Attalo I. Il trattato fra Roma e Lega etolica (211 a.C.) segna l’ingresso definitivo dei Romani nella storia militare della Grecia e la svolta nella Prima guerra macedonica.

LE GUERRE MACEDONICHE Dal 215 al 146 la penisola balcanica è teatro di una serie di conflitti che prendono il nome di Guerre macedoniche. Le quattro ondate di combattimenti sono scatenate principalmente dalle mire espansionistiche di Filippo V, convinto, dopo la schiacciante vittoria a Canne contro i Romani nel corso della Seconda guerra punica (216 a.C.), di poter imporre il pro-

prio dominio sia sulla penisola balcanica sia su quella italica. La prima reazione romana è quella di inviare il console Marco Valerio Levino sulle coste illiriche e di consolidare l’alleanza con la Lega etolica. Sebbene non coinvolta direttamente in molti scontri, la maggior parte dei quali sono sostenuti da Pergamo, Roma si rivela determinante nel contenere l’espansione di Filippo V, almeno fino a quando non ritira parte dei suoi contingenti per l’ingresso di Asdrubale nel teatro delle guerre puniche. Questa prima fase si conclude quindi con la pace di Fenice (205 a.C.), in seguito alla quale Filippo V mantiene alcuni avamposti sulla costa adriatica. Il tentativo di espansione macedone è rinviato solo di un paio di stagioni. Nel 203 a.C. Antioco III Seleucide, nella sua espansione ai danni dell’Egitto dei Tolomei, trova in Filippo V un alleato senza scrupoli, che non esita ad allearsi con i

IPPARCO

spostamento dell’asse terrestre. Ipparco è inoltre considerato il fondatore della trigonometria (che permette il calcolo di lati e angoli dei triangoli), l’inventore dell’astrolabio (strumento per calcolare l’altezza di un astro sull’orizzonte) e redattore di un fondamentale Catalogo stellare che permette di individuare oltre 850 corpi celesti grazie a un sistema di coordinate sulla sfera celeste, indicandone anche la magnitudine (cioè la luminosità apparente).

Ipparco di Nicea, nato nel 200 a.C., è uno dei più importanti astronomi e geografi dell’antichità. Nei suoi quattordici trattati, il cui contenuto ci è giunto solo grazie a citazioni o riferimenti da parte di altri autori, si delineano gli elementi fondamentali dell’astronomia moderna e dei calcoli relativi alla distanza tra la Terra e la Luna, alla previsione delle eclissi di Sole e di Luna, alla precessione degli equinozi e allo 176

GRECIA ANTICA

Perinto

TRACIA

RO

MA N

I

Filippi

MACEDONIA

Cizico Lampsaco

Tessalonica

Dione

Apollonia

Ainos

Abydos

Pella

Dimale

Abddera Maronea

Amfipoli

REGNO DI PERGAMO

Ilio

Cassandreia

Pergamo Mitilene Larissa

Foinicè

Demetriade

Boutroto Dodona Cinocefale (197)

Corcira

Feres

EPIRO Ambracia

Amfissa

Elatea

LINGUA ETOLICA Same

Calcide

Delfi

Tebe Patrasso Eigione Sicione Megara

Colofone Efeso

Téos

Eretria Oropos

Samo

Atene

Corinto

CARIA

Alicarnasso

Orcomeno

Cnide

ES O

Sellasia (222)

CIC

LADI

Rodi

N

Tegea

A

Messenia

REGNO SELEUCIDE

Priene Mileto

EC

Megalopoli

pirati spartani ed etoliani e con alcune città cretesi (Ierapetra e Olo) per attaccare Rodi. La manovra degli aggressori comincia da lontano e la strategia è combinata: mentre i pirati si impadroniscono delle navi mercantili di Rodi che incrociano nell’Egeo, la flotta di Filippo attacca i possedimenti rodiesi in Tracia e nel Mar di Marmara. Contemporaneamente, Antioco III avrebbe mosso guerra contro Tolomeo V direttamente sul suo territorio. Attalo I, corso in sostegno di Rodi attaccata da Filippo V, riesce a stento a contenere l’aggressore (Chio, 201 a.C.), che sconfina nel regno di Pergamo. Il sovrano di Pergamo, addirittura, in una fase dello scontro che lo vede particolarmente in difficoltà, ricorre a un trucco per sviare i Macedoni: sparge sul ponte della propria nave ammiraglia delle monete d’oro e delle vesti di porpora e volontariamente va a incagliarsi sulla riva, inseguito dalle quinquiremi di Filippo. Non appena i Macedoni riescono ad abbordare la nave ormai incagliata, si attardano a far razzia di un così facile bottino e nella confusione lasciano il tempo ad Attalo di fuggire verso la città di Eritre. Nel successivo scontro di Lade, la vittoria arride a Filippo V, che sull’impulso del successo attacca Pergamo. Attalo I, quindi, chiede aiuto prima agli Ateniesi, che possono godere del sostegno, questa volta non più a distanza, di Roma. Visti gli infruttuosi tentativi di assedio in Epiro, l’esercito macedone si rivolge direttamente contro Atene, non

Chio

D

Eraia

Magnesia (190) Smirne Clazomene

Éritre

O

Olimpia

Kymè Focea

D

LINGUA ACHEA

Dymè Elide

Zacinto

Città Battaglia (data) Regno di Macedonia Stato alleato alla Macedonia Territori sotto la protezione di Roma Regno di Pergamo Regno dei Seleucidi Stati indipendenti Possedimenti dei Tolomei

O EGE RE MA

O TIC RIA AD RE MA

IL MONDO GRECO DURANTE LE GUERRE MACEDONICHE Epidamno

Lindos

Sparta

Cnosso

Itanos

Gortina

prima però di aver depredato Abido (200 a.C.), nell’Ellesponto, i cui abitanti preferiscono suicidarsi in massa piuttosto che cadere nelle mani del Macedone. Le scorrerie e le razzie che i Macedoni compiono nelle stagioni 199-198 a.C. in Attica sono pari solo a quelle compiute dai Persiani nel 480 a.C.

IL PILUM CONTRO LA SARISSA Lo scontro decisivo avviene a Cinocefale nel 197 a.C.: il console Tito Quinzio Flaminino ha fatto tesoro della devastante esperienza di Eraclea e si è procurato, con l’alleanza dei Numidi del re berbero Massinissa, un nutrito corpo di cavalleria e, soprattutto, una ventina di elefanti da guerra. Questo formidabile fronte di assalto, unito alla fanteria leggera della Lega etolica e agli arcieri cretesi, sostiene le legioni provenienti da Roma e dagli altri alleati italici: le falangi macedoni, compatte ma con molta rigidità di manovra, vengono travolte. Si palesa qui, in maniera tragica, non solo la disparità logistica fra l’agile legione romana e la (quasi) impenetrabile muraglia della falange macedone, ma soprattutto la differenza di consuetudini nelle regole d’ingaggio non scritte, condivise dai popoli ellenici ma non dai Romani. Vistisi alle perse, infatti, i Macedoni levano in alto le sarisse in segno di resa. Il gesto, ignoto ai Romani, che usano il loro corto pilum in posizione verticale quando stanno per iniziare la corsa per un assalto veloce, viene interpretato come un segno di sfida. Il massacro

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

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è inevitabile e terribile. Le perdite di Tito Quinzio Flaminino si limitano a settecento uomini, quelle di Filippo V superano le ottomila, come dire che ciascun Romano uccide in media quasi una dozzina di Macedoni. Questa seconda fase delle guerre macedoniche (205196 a.C.) si conclude quindi con una schiacciante vittoria romana, forse più importante sul piano psicologico e politico che su quello militare. Filippo V rinuncia per sempre al controllo della Grecia, deve smantellare la flotta, pagare un’enorme indennità di danni di guerra e lasciare molti ostaggi nelle mani del Senato dell’Urbe, tra i quali il figlio primogenito ed erede Demetrio. La Macedonia inizia a perdere di fatto – anche se non formalmente – lo status di regno indipendente, e diviene sempre più un’appendice marginale della Repubblica romana. Proclamata la libertà della Grecia nel 194, in capo a due anni Flaminino fa rientrare l’ultima delle sue legioni dal suolo ellenico.

MACEDONIA: DUE FRATELLI RIVALI E UN IMPOSTORE Per quegli strani giochi di potere che a volte danno alla Storia impulsi inattesi e imprevedibili, Filippo V, nonostante la sconfitta e il netto ridimensionamento delle sue pretese, mantiene con Roma rapporti di alleanza che si traducono in un intervento militare al fianco di Roma contro Antioco III di Siria e la Lega etolica. Con il suo decisivo intervento, i Romani hanno la meglio su Antioco III alle Termopili (191 a.C.) e a Magnesia (190 a.C.): 178

come ricompensa, Demetrio può fare ritorno in patria e Filippo V espande i propri domini in Tessaglia. Il supporto logistico di Filippo V a Roma continua durante tutto il conflitto contro i Seleucidi, tanto da tentare la conquista della Tracia e arrivare a minacciare il nuovo re di Pergamo, Eumene II, al trono dal 197 a.C. Ma ai Romani non interessa destabilizzare l’area, e impongono a Filippo V di tornare sui propri passi. Furioso, il sovrano macedone invia nel 184 a.C. Demetrio, questa volta come ambasciatore, a Roma, per perorare la causa macedone di fronte al Senato. La missione di Demetrio ha successo. Troppo. Tanto da suscitare le invidie del fratellastro minore Perseo, che produce una serie di falsi documenti per screditare Demetrio. Filippo V si lascia convincere e nel 181 a.C. fa uccidere Demetrio, accusandolo di alto tradimento. Lo scopo di Perseo è raggiunto: a nulla vale la disperazione del sovrano, resosi conto dell’inganno del figlio minore, che viene diseredato in favore di Antigono (fratello di Antigono III Dosone). Sopraffatto dal dolore, Filippo V muore nel 179 a.C. e le sue ultime parole sono di maledizione contro Perseo. Il quale, in tutta risposta, all’indomani della morte del genitore fa uccidere Antigono e con un colpo di Stato prende il potere. Il crudele e bellicoso Perseo non tarda a rivelare le sue trame: dopo aver sposato la figlia di Seleuco IV Filopatore di Siria e aver dato in moglie la sorella Apame al re Prusia II di Bitinia, indice un’amnistia contro gli esiliati per debiti e per crimini di lesa maestà, e non manca di pubblicizzare al massimo l’evento.

GRECIA ANTICA

Gigantomachia, dal fregio sud dell’altare di Zeus da Pergamo. Ecate, dea dai tre volti, combatte con una torcia, una spada e una lancia contro il gigante Klytios (fuori scena), mentre Artemide, sulla destra, è impegnata con arco e frecce contro

In basso, stele funeraria proveniente dalla necropoli ateniese del Ceramico, 400-375 a.C. circa (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

Otos. Il suo cane da caccia, intanto, azzanna al collo un altro gigante. Nell’immagine a destra, l’intera opera, risalente al 156 a.C. circa, come è stata riassemblata al Pergamonmuseum di Berlino a partire dal 1886.

Inizia poi una politica di espansione fino a minacciare ancora una volta Eumene II di Pergamo, il quale invoca l’aiuto di Roma. L’intervento delle legioni di Lucio Emilio Paolo, rapido e devastante, costituisce la terza fase delle guerre macedoniche (171-168 a.C.) che si conclude con l’annientamento a Pidna dell’esercito di Perseo, il quale viene trascinato in catene a Roma, e deportato ad Alba Fucens, dove muore nel 168 a.C. Con Perseo si estingue la dinastia degli Antigonidi e si distrugge la corona macedone. La regione viene divisa in quattro repubbliche autonome. Invano nel 150 a.C. l’avventuriero e mercenario Andrisco tenta di restaurare i fasti del regno di Macedonia, spacciandosi per Filippo VI, figlio di Perseo. In realtà il vero Filippo è morto assieme al padre nell’esilio alla periferia di Roma, ma la messa in scena di Andrisco (figlio di un conciatore di pelli dell’Eolide) è talmente convincente da far nascere una rivolta che suscita le preoccupazioni romane. Andrisco infatti si allea con Cartagine, impegnata nella Terza guerra punica (149-146 a.C.) contro Roma, e scatena la quarta e ultima fase delle guerre macedoniche (148-146 a.C.). Quinto Cecilio Metello, da quel momento detto il Macedonico, sconfigge l’impostore ancora una volta a Pidna. Andrisco è messo in fuga, catturato di lì a poco in Tracia e messo a morte.

LA MORTE E I RITI FUNEBRI Come in ogni civiltà, anche nel mondo greco i rituali connessi con la morte hanno un’importanza fondamentale. È determinante infatti che il corpo del defunto non sia lasciato alla mercè delle intemperie o degli animali, altrimenti la sua anima (psyché) non può raggiungere l’Ade ed è condannata a vagare come uno spettro sulla terra. L’assenza di sepoltura è vista come una condanna pari alla

Con l’avventura di Andrisco termina per sempre il regno di Macedonia, che diviene provincia romana e viene unita a Illiria ed Epiro.

I ROMANI ATTACCANO: L’ASSEDIO DI CORINTO Una svolta nelle strategie belliche di Roma avviene nel 146 a.C. Distrutta Cartagine, per la prima volta i Romani muovono una guerra offensiva, e non difensiva, in terra ellenica. La Lega achea, infatti, guidata dallo stratega Dieo di Megalopoli, si pone in atteggiamento di rivalità contro i Romani, che considera aggressori e illegittimamente insediati nel nord della penisola balcanica. Il console Lucio Mummio, detto poi Acaico, decide di prendere in contropiede gli alleati achei e con un’azione rapida cinge d’assedio Corinto. La città, dopo un tentativo di sortita da parte della cavalleria achea, cade in poche ore. I Romani, dopo averla depredata di tutte le opere d’arte, la radono al suolo. È il 146 a.C. Le guerre macedoniche sono terminate, così come le guerre puniche. La Lega achea è disciolta. Inizia l’epoca greco-romana.

po viene esposto per un certo numero di giorni: per questo si procede all’imbalsamazione o comunque al trattamento con unguenti ed essenze. Dopo di che si procede, a seconda dei periodi storici e delle aree geografiche, all’approntamento della pira sulla quale ardere il cadavere o, in epoca ellenistica, all’inumazione in sarcofagi alla maniera egizia. Elemento importante sono i giochi funebri, nei quali si esalta l’importanza del defunto.

pena di morte, e forse superiore, dato che le sue conseguenze si perpetuano senza fine. Per questo motivo la restituzione ai familiari del cadavere di un caduto in battaglia, o il recupero dei corpi dopo uno scontro, è considerato un atto dovuto di pietà e di rispetto per il defunto e per i suoi cari. Dopo la morte il corpo viene lavato, purificato e ricomposto, per essere poi avvolto in un sudario. Se si tratta di un personaggio importante, il cor-

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

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IL PONTO DI MITRIDATE Il regno del Ponto, rimasto un po’ ai margini delle vicende che coinvolgono l’Egeo e il Mediterraneo in genere, sale prepotentemente alla ribalta a partire dalla metà del III secolo a.C. Le origini del regno e della dinastia dei sovrani sono incerte: di sicuro si sa solamente che il diadoco Antigono, all’incirca nel 300 a.C. fa uccidere Mitridate di Cio, che controlla come governatore la zona della Bitinia, e tenta di assassinarne il figlio (che porta lo stesso nome). Avvertito da Demetrio Poliorcete, il giovane Mitridate fugge nella zona della Paflagonia, sulle coste meridionali del Mar Nero (o Ponto Eusino). Qui, attorno al 281 a.C., s’incorona re con il nome di Mitridate I Ctiste (cioè fondatore) del Ponto, dando così inizio a una dinastia di sovrani, tutti con lo stesso nome, che legano strettamente il loro destino alle vicende della storia greco-romana. In linea di massima, la politica dei sovrani del Ponto è di appoggio ai Seleucidi, con i quali si imparentano, e di ostilità verso i Tolomei. La storia del regno è comunque confusa e praticamente ignota fino al 154 a.C. quando Mitridate IV Filopatore Filadelfo stringe un’alleanza con i Romani e con Eumene II di Pergamo. Il successore, Mitridate V Evergete, prosegue nell’amicizia con i Romani, inviando truppe nel corso della Terza guerra punica e in quella contro Aristonico attorno al 130 a.C. 180

È con Mitridate VI Eupatore Dioniso, detto il Grande, al trono dal 111 al 63 a.C., che si ha un totale ribaltamento delle alleanze. Vantando una molto dubbia discendenza da Dario il Grande di Persia, l’ambizioso sovrano del Ponto estende i propri domini su tutta la zona orientale e settentrionale del Mar Nero (Colchide, Armenia, fino all’attuale Crimea). Intesse anche una fitta rete di alleanze con Galli, Sciti e varie popolazioni locali, anche grazie alla sua prodigiosa capacità di parlare le lingue e alla sua infallibile memoria. Dice Plinio il Vecchio che Mitridate era in grado di amministrare i 22 popoli a lui sottomessi o comunque legati, senza bisogno di alcun interprete. Le prime frizioni con Roma iniziano con l’occupazione romana della Frigia, regione che era stata donata al predecessore Mitridate V come ringraziamento per il supporto militare contro Cartagine. Dopo alcuni piccoli scontri, le cose degenerano e si passa a un conflitto aperto, le cui varie battaglie prendono il nome di Guerre mitridatiche (88-63 a.C.). Indossando i panni del difensore dell’indipendenza ellenica contro l’oppressore romano, Mitridate VI occupa la Bitinia e la Propontide, affacciandosi quindi sull’Egeo. I Romani, con Lucio Cornelio Silla, contrattaccano in maniera energica e in pochi anni, con Lucio Licinio Lucullo e Gneo Pompeo Magno hanno ragione del re del Ponto. Deter-

GRECIA ANTICA

Il teatro dell’antica Hierapolis a Pamukkale, distretto di Denizli, Turchia. La città è stata fondata nel 190 a.C. da Eumene II, re di Pergamo.

In basso, sarcofago con Amazzonomachia, al centro le figure di Achille e Pentesilea, 230-250 circa (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

minante la battaglia di Cheronea dell’87 a.C., al termine della quale, dopo tre giorni di scontri ininterrotti, Mitridate VI è costretto alla fuga in Crimea. Non domo, tenta di sollevare le popolazioni della Grecia e le genti italiche contro Roma, in un disperato tentativo di sfruttare il momento di debolezza dell’Urbe, impegnata prima nella Guerra sociale e poi in quella servile contro Spartaco. Incontra però l’opposizione del figlio Farnace, che lo boicotta fino a ordire contro di lui una congiura. Scoperte le trame, Mitridate rimane invischiato in una serie di vendette e faide che vedono coinvolti i familiari, gli amici e i suoi generali, tanto che nel 63 a.C. decide di togliersi la vita.

Iniziazione di Arianna ai misteri dionisiaci, cammeo in pasta vitrea, I secolo a.C.-I secolo d.C., dalla Casa di Marco Fabio Rufo a Pompei (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

La cosa non è semplice, però: Mitridate VI, timoroso di essere avvelenato, nel corso degli anni si è assuefatto alle più potenti sostanze mortali, assumendone ogni giorno piccole quantità. Visto che il veleno non ha effetto, si trafigge con una spada, ma il colpo è vibrato in modo maldestro, e il sovrano non subisce ferite mortali. Non gli resta quindi che un ultimo tentativo (e qui le versioni degli storici divergono): secondo Appiano, chiede al generale gallo Bituito di ucciderlo, secondo Cassio Dione, invece, si scaglia contro il drappello di sicari venuti per ucciderlo, facendosi trapassare dalle loro stesse lance.

SILLA E L’ASSEDIO DI ATENE Nel corso delle Guerre mitridatiche, passano alla storia le vicende legate all’assedio di Atene, che inizia alla fine dell’87 a.C. La resistenza dei cittadini ateniesi, comandati dall’ammiraglio Archelao, genero di Mitridate VI, assume i toni sia dell’eroismo epico sia della più raccapricciante abiezione. Le mura della città, infatti, sembrano impenetrabili agli attacchi di Silla, che, portati avanti prima con metodi rudimentali (scale, pali e pertiche) divengono sempre più massicci fino a impiegare macchine da guerra dalla devastante potenza. Nonostante questo, la città non accenna a cadere. Le torri di assedio romane, costruite con il legno di un boschetto nei pressi dell’Accademia platonica, fuori dalle mura, vengono sistematicamente date alle fiamme dagli Ateniesi, e

POLIBIO Il più importante narratore in lingua greca delle vicende legate a Roma e alla sua ascesa, dal sorgere della Repubblica fino alla Terza guerra punica e il greco Polibio. Figlio dello stratega della Lega achea Licorta, nasce a Megalopoli, in Arcadia, attorno al 206 a.C. Divenuto ipparco, cioè capo della cavalle-

ria, dopo la battaglia di Pidna, che segna il tramonto dell’egemonia macedone, viene inviato come ostaggio a Roma. Rimane nell’Urbe per 17 anni, per viaggiare poi in Grecia e in Africa, dove nel 146 a.C. descrive la caduta di Cartagine. Con una Grecia diventata provincia romana, riceve importanti compiti politici e diplomatici, fra i

quali quelli di ambasciatore e interprete. È anche l’inventore di un sofisticato sistema di comunicazione cifrata a distanza, la Scacchiera di Polibio, basato su una griglia di lettere collegata a un codice di fiaccole accese. Polibio scrive per i Greci, ma il suo tentativo di creare una rigorosa sequenza di cause ed effetti nella catena degli eventi storici

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

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indulge eccessivamente nelle celebrazioni di Roma. Acuto indagatore dell’animo umano, le sue storie non prevedono l’intervento del fato o delle divinità. Viaggiatore instancabile, si reca nei Paesi dei quali tratta nei suoi resoconti per assumere informazioni di prima mano. Muore a 82 anni, per i postumi di una caduta da cavallo.

Alessandro di Antiochia, Venere di Milo, II secolo a.C. (Parigi, Museo del Louvre).

ricostruite nell’arco di una decina di giorni anche grazie a rinforzi forniti agli assedianti da Tebe. Per tagliare i rifornimenti alla città, provenienti da Mitridate VI, Silla decide allora di attaccare il Pireo, in modo che l’accesso al mare venga bloccato. Le difese del porto vengono smantellate, e le pietre sono usate per rinforzare una lunga rampa di terra, sulla quale i Romani piazzano le loro macchine da guerra in modo da scavalcare le difese della città. La struttura della rampa viene però indebolita dagli Ateniesi che, attraverso un tunnel sotterraneo, ne scavano l’interno senza che gli assedianti se ne accorgano. Quando il terrapieno collassa sotto il suo stesso peso, trascinando con sé uomini e mezzi di Silla, si apre una voragine, attraverso la quale i legionari percorrono i tunnel sotterranei in senso inverso, per entrare nella città. All’interno delle gallerie si combatte quindi corpo a corpo, alla cieca, e i Romani sono respinti. Silla allora decide di attaccare le mura con il fuoco, usando balle di canapa intrise di zolfo, e martellando le difese con arieti e catapulte. Appena si aprono le prime brecce, i Romani hanno una brutta sorpresa: gli Ateniesi hanno fatto erigere una serie di mura sempre più interne. L’estrema risorsa degli assalitori è quella di scavare un profondo fossato tutto intorno alla città, il cui perimetro si è man 182

Dettaglio del Mosaico di Preneste, dal Santuario della Fortuna Primigenia, 80 a.C. (Palestrina, Palazzo Barberini).

mano ristretto. In questo modo nessuno può più entrare o uscire, né far arrivare rifornimenti. Dopo quasi un anno di assedio, la città è allo stremo: non c’è più niente da mangiare e iniziano a manifestarsi i primi accenni di un’epidemia. Finite le risorse, i cittadini fanno bollire perfino le pelli degli animali, cercando un po’ di nutrimento. Terminati anche gli animali, ricorrono all’ultima, estrema risorsa: la carne umana. Nella notte del 1° marzo 86 a.C., quando l’ultimo baluardo tra la porta Pirea e la porta Sacra cade, i soldati romani fanno irruzione nelle case per razziarle: ai loro occhi si presenta l’orrendo spettacolo di cadaveri mutilati e macellati per essere usati come cibo. I cittadini sono troppo deboli per organizzare una qualsiasi resistenza, e Silla dà ordine di compiere un massacro indiscriminato, uccidendo anche donne e bambini. Atene viene devastata, inclusa gran parte dell’Acropoli. Il Pireo viene praticamente raso al suolo. Archelao trova una fortunosa via di fuga in Beozia, dove viene impegnato in altri due catastrofici – per lui – scontri con i Romani, ancora a Cheronea e a Orcomeno (86 a.C.). Vistosi alle perse, si consegna al nemico, che lo tributa di grandi onori. Mitridate VI non tollera la resa del suo ammiraglio, e intensifica la sua azione offensiva contro i Romani. La fase finale delle guerre macedoniche, quindi, vede Archelao combattere al fianco del proconsole romano Lucio Licinio Lucullo contro il re del Ponto.

LA GRECIA PROVINCIA ROMANA Dopo aver preso il capoluogo dell’Attica, Silla imperversa su Tebe nell’85 a.C. Le principali città sono depredate delle loro opere d’arte, che iniziano a far bella mostra di sé nelle ville dei ricchi Romani. Quando non sono pezzi originali, si ricorre a copie. Gran parte delle opere in bronzo degli scultori greci giungono a noi – seppur in una loro pallida riproduzione – proprio grazie allo scalpello di artisti che portano a Roma un gusto per il bello per molti versi ignoto sulle rive del Tevere. «La Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e portò le arti in un Lazio contadino.» Così Quinto Orazio

GRECIA ANTICA

Flacco (65-8 a.C.) in una sua Epistola, sintetizza in maniera magistralmente efficace il destino che lega a filo doppio il mondo greco con quello romano. Se da una parte, con la forza delle armi, Roma riesce a impadronirsi del territorio dell’Ellade, dall’altra la vittoria culturale del pensiero e della sensibilità greca è determinante nei confronti di un conquistatore fondamentalmente rozzo e incolto. Con la caduta di Atene, l’orgoglio greco viene irreversibilmente mortificato. La Grecia è ora solo terra di conquista, teatro degli scontri e delle lotte di potere che stanno trasformando la Repubblica romana in un impero. A Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C. si consuma l’atto finale della guerra civile fra Caio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno. Una battaglia che segna non tanto lo scontro fra due abilissimi generali, ma

la contrapposizione tra due epoche e due modi di pensare. Lo spregiudicato dinamismo di Cesare e il suo desiderio di potere si scontrano con il conservatorismo della componente tradizionalista del Senato e degli Ottimati: sono i due volti di una Roma in procinto di cambiare se stessa e il corso della storia. A Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. gli assassini di Cesare e cospiratori Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino sono battuti dai triumviri Marco Antonio, Cesare Ottaviano e Marco Emilio Lepido, aprendo la strada all’avventura egiziana di Marco Antonio che si conclude ad Azio 31 a.C. Il vincitore, Ottaviano, nel 27 a.C. diviene Augusto. Roma, da Repubblica, diviene impero. La Grecia, ridotta in pratica a poco più dell’Attica e al Peloponneso, diviene la provincia romana dell’Acaia, in buona compagnia con quelle di Epiro e Macedonia.

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL’OCCUPAZIONE ROMANA (213 A.C.-27 A.C.) 213 a.C. 211 a.C. 209 a.C. 205 a.C. 202 a.C. 201 a.C. 199 a.C. 198-197 a.C. 192 a.C. 191 a.C. 190-188 a.C. 186 a.C. 183 a.C. 179 a.C. 174 a.C. 169 a.C.

Filippo V di Macedonia avvelena Arato di Sicione, stratega della Lega achea. Roma appoggia la Lega etolica anti-macedone. Antioco re di Siria, sottomette l’Armenia e attacca il regno dei Parti. Pace di Fenice: cessa la guerra in Macedonia. La Lega etolica ignora la pace e combatte ancora contro re Filippo V. Filippo V attacca Attalo re di Pergamo, che chiede aiuto ai Romani. I Romani creano una base ad Apollonia, in Epiro. Filippo V sconfitto dal Romani sul fiume Aoo, e a Cinocefale: pace di Elatea, gli Stati anti-macedoni si uniscono ai Romani. Sparta perde del tutto l’indipendenza e viene controllata dalla Lega achea. Antioco IV attacca la Grecia ma viene sconfitto alle Termopili dai Romani. Contrattacco di Roma contro Antioco IV che si arrende (pace di Apamea). Ucciso Antioco IV, gli succede Seleuco IV Filopatore. Filopemene, stratega della Lega achea, assassinato da Messeni ribelli. Perseo di Macedonia succede a Filippo V. Mitridate I ingrandisce il regno dei Parti. Il re d’Illiria Genzio si allea con Perseo di Macedonia contro Roma.

168 a.C. 167-150 a.C. 149-148 a.C. 147-146 a.C. 146 a.C. 111 a.C. 100 a.C. 88 a.C. 86 a.C. 73 a.C. 67 a.C. 60 a.C. 43 a.C. 42 a.C. 32 a.C. 31 a.C. 27 a.C.

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALL'OCCUPAZIONE ROMANA

183

Pidna: sconfitta di Perseo contro i Romani, finisce la monarchia macedone. Sconfitto anche Genzio. I Romani intervengono nelle contese dinastiche in Egitto e Siria. Andrisco si proclama re di Macedonia ma è sconfitto: la Macedonia diviene provincia romana. La Lega achea attacca i Romani ma è sconfitta a Scarfea: sciolte tutte le leghe, la Grecia e sottomessa al governatore romano della Macedonia. Scipione Emiliano distrugge Cartagine; Lucio Mummio saccheggia Corinto. Mitridate IV Eupatore sale al trono del Ponto. Aghesandro scolpisce la venere di Milo. Mitridate IV invade la provincia d’Asia e massacra 80.000 mercanti italici. Atene saccheggiata da Silla. Mitridate riprende la guerra. Vittorie di Pompeo sui pirati e su Mitridate. Primo triumvirato (Cesare, Pompeo e Crasso). Secondo triumvirato (Antonio, Ottaviano e Lepido). Antonio e Ottaviano sconfiggono i cesaricidi Bruto e Cassio a Filippi. Ottaviano dichiara guerra a Cleopatra. Battaglia di Azio: sconfitti Antonio e Cleopatra. Ottaviano è padrone di Roma e del suo impero. Ottaviano diviene Augusto e ottiene il consolato e il supremo comando militare.

Tramonto, eredità e riscoperta

Nelle pagine precedenti, Sandro Botticelli, La nascita di Venere, 14821486 (Firenze, Galleria degli Uffizi). Durante

il Rinascimento si assiste alla riscoperta dei valori e degli autori classici, con temi che si staccano dalla religione cristiana e tornano alle allegorie dei miti greci.

La fuga degli Ebrei dall’Egitto, dettaglio del faraone che si prepara a traversare il Mar Rosso, da un sarcofago romano del IV secolo (Città del Vaticano, Musei Vaticani).

DA AUGUSTO AD ADRIANO: LA PAX ROMANA Sotto Augusto (27 a.C.-14 d.C.), nel territorio dell’Ellade pare ristabilirsi una certa tranquillità, che diventa benessere stabile con Tiberio (14-32 d.C.): il nuovo imperatore riduce le tasse ad Acaia e Macedonia e prosegue in quella politica di filoellenismo che, tra fenomeno di moda ed effettiva convenienza strategico-commerciale, diviene una costante con Nerone (37-68 d.C.) e Adriano (76-138 d.C.). In particolare, Adriano rappresenta il simbolo del desiderio di grecità trapiantato nella penisola italica. La villa Adriana di Tivoli è il prototipo del “giardino alessandrino” per eccellenza. Sotto Adriano viene ricostruito il Pantheon a Roma, danneggiato da un incendio nell’80 d.C., in cui colonnato e timpano sono dichiaratamente greci. Lo stesso Adriano è un fine letterato, compone versi in greco, è vicino alla filosofia stoica e a Epitteto e conosce bene le opere di Platone ed Epicuro. Ad Atene fa costruire una biblioteca, templi, acquedotti, terme e teatri e, nel 124, ricostituisce una Lega panellenica, anche se con scopi esclusivamente religiosi. Perfino nella figura si atteggia a greco: è il primo imperatore romano a lasciarsi

crescere una lunga barba, come i saggi greci. Prima di lui solo Nerone aveva rifiutato, per qualche tempo, di radersi. Inoltre è anche il primo imperatore a essere iniziato ai Misteri eleusini. Infine è tipicamente grecizzante anche il suo rapporto con il giovane Antinoo, che legittima palesemente la pederastia erotico-pedagogica ellenica.

LA LINGUA DI UN IMPERO I reciproci scambi fra i due mondi si rivelano vantaggiosi per entrambi: la lingua greca, quasi un vezzo nell’élite capitolina, è idioma comune in Oriente; nel corso degli anni, studiosi, storici, letterati greci fanno di Roma la loro patria, pur continuando a scrivere in greco. Nel I secolo, Dionigi di Alicarnasso e Polibio contribuiscono a celebrare le glorie di Roma (spesso affiancandole, come nel caso delle Vite parallele di Plutarco, a quelle greche). A Roma vive e scrive Galeno di Pergamo, autore di fondamentali testi di medicina. Nei secoli successivi, invece, l’alessandrino Claudio Claudiano o il siriaco Ammiano Marcellino, scelgono il latino come lingua, ma mantengono una sensibilità più vicina all’ellenismo.

LA BIBBIA DEI SETTANTA La traduzione in greco della Bibbia prende il nome di Versione dei Settanta (indicata anche con LXX, in numerazione latina e O’, in numerazione greca). La tradizione vuole che nel III secolo a.C. il sovrano egiziano Tolomeo II Filadelfo abbia incaricato il sommo sacerdote Eleazaro di scegliere una settantina tra i più saggi scribi della comunità ebraica di Alessandria per elaborare una traduzione completa del 186

GRECIA ANTICA

Pentateuco, che rappresenta tuttora il canone biblico per le Chiese ortodosse greco-orientali. Una tradizione successiva vuole che 72 saggi, sei per ciascuna delle dodici tribù di Israele, abbiano proceduto alla traduzione in celle isolate, e che solo alla fine dei lavori (72 giorni dopo) si sia miracolosamente constatato che le traduzioni coincidevano perfettamente. Gli altri libri biblici sono stati successivamente tradotti, sempre ad Alessandria, tra il 185 e il 132 a.C.

Claudio Tolomeo intento a calcolare la posizione della Luna con un quadrante. Dietro di lui Urania, musa dell’Astronomia. Stampa dal Margarita Philosophica di Gregor Reisch, 1508.

Costantinopoli, la “Nuova Roma” fondata nel 324 d.C., inizia a far tornare l’asse culturale verso Oriente e, dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C.) il greco sopravvive al latino come lingua amministrativa della parte orientale dell’impero. L’ultimo imperatore a usare il latino come lingua di Stato è Giustiniano (sul trono dal 527 al 565 d.C.). Dopo di lui, come consuetudine, e ufficialmente con Eraclio (sul trono dal 610 al 641 d.C.) l’Imperator Caesar Augustus diviene Autokrator Kaisar Basileus, in greco.

IN BILICO FRA PASSATO E FUTURO Dal IV secolo il mondo greco vive un periodo di forti contrasti e contraddizioni. L’affermarsi del Cristianesimo, che con l’opera di evangelizzazione nella lingua greca della koiné conquista un numero sempre maggiore di persone, riceve legittimazione nel 313 con l’editto di Milano promulgato da Costantino, che stabilisce la libertà di culto, paradossalmente contraddetta dal concilio di Nicea (tenuto in Bitinia nel 325) e dall’editto di Tessalonica del 380, che vieta ogni altra forma di culto. Nel mezzo, il tentativo dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano (331-363 d.C.), dalla storiografia cristiana chiamato

TOLOMEO Claudio Tolomeo, o Ptolemeo, nasce a Pelusio, sul delta del Nilo, attorno al 100 d.C. Astronomo e geografo ellenistico di lingua greca, vive e opera ad Alessandria d’Egitto, allora prefettura dell’impero Romano. La sua opera principale, la Mathematiké syntaxis, ci è giunta soprattutto in traduzione araba, sotto il nome di Almagesto (“il Grandissimo”), vòlto in latino da Gherardo da Cremona nel XII secolo. Qui sono elaborate le teorie di Ipparco

l’Apostata, che tenta di ripristinare gli antichi culti politeisti. L’imperatore-filosofo, d’ispirazione neoplatonica, coraggioso combattente e uomo di grande saggezza e tolleranza, muore alla soglia dei trentatré anni trafitto da un giavellotto mentre è impegnato in Frigia nella guerra contro i Sasanidi. Con Giuliano muore l’ultimo difensore della tradizione greca. Pochi anni dopo, nel 390, l’imperatore Teodosio I, un personaggio il cui fervore cristiano trascende in quello che oggi chiameremmo fanatismo integralista, si rende protagonista di uno dei più efferati crimini compiuti in nome della “moralità”. Accade che a Tessalonica, alla vigilia di un’importante corsa di carri, l’auriga favorito sia arrestato dal magister militum Buterico per aver rivolto le proprie attenzioni a un giovane coppiere, atto esecrando secondo il codice di condotta imposto dall’imperatore. A furor di popolo, la cittadinanza chiede che

e viene costruito il modello geocentrico dell’Universo che fino a Niccolò Copernico (XVI secolo) rappresenta il canone di riferimento in campo astronomico. Fondamentale trattato è anche la Geografia, in otto libri, che, oltre a indicare i presupposti teorici della geografia scientifica, riporta le coordinate di di 6345 località e, cosa più importante, 27 mappe che descrivono tutto il mondo allora conosciuto, dalle isole Canarie all’Indocina e dalle sorgenti del Nilo alle isole Britanniche. TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA

187

comunque l’auriga possa partecipare ai giochi: al rifiuto di Buterico la folla insorge, linciandolo nello stadio della città. La vendetta di Teodosio I è delle più spietate: indìce i Giochi per i giorni successivi, attende che lo stadio sia pieno e, sbarrate le uscite, fa massacrare tutti gli spettatori, in maniera indiscriminata. Le vittime sono più di settemila. Tre anni dopo, Teodosio I abolisce “per motivi di sicurezza”, tutti i Giochi sacri, compresi quelli Olimpici. Non saranno mai più disputati, fino al loro ripristino – con tutt’altro significato – da parte di Pierre de Coubertin nel 1896. L’ultimo residuo di tradizione culturale e religiosa greca è cancellato.

OBLIO E RISCOPERTA Nel 529 Giustiniano chiude l’Accademia platonica e le scuole di filosofia di Atene. L’incommensurabile tesoro di conoscenze, cultura e sapere in genere, frutto del mondo greco, rischia di perdersi e di scomparire del tutto. Della lingua di Socrate e Platone nel mondo culturale più “occidentale”, dopo la caduta di Romolo Augustolo, si perde addirittura il ricordo, tanto che in numerosi manoscritti medievali si trova, accanto alle citazioni greche, la nota «Graecum est, non legitur» (“È greco, non si legge”). Fino al Rinascimento il termine “greco” è associato a qualcosa di desueto e inattuale.

Cennino Cennini, nel suo Libro dell’Arte, scrive nella prima metà del Quattrocento: «[Giotto] rimutò l’arte di dipingere di greco in latino», a significare come lo stile greco, cioè bizantino, sia percepito come qualcosa ormai fuori dal tempo e non più al passo con la sensibilità a lui contemporanea. Gran parte del patrimonio di opere greche, dalla Metafisica di Aristotele, alle Enneadi di Plotino o a trattati di matematica o geografia sono giunti a noi grazie a traduzioni arabe, e si deve principalmente ad alcuni studiosi fuggiti da Costantinopoli e rifugiatisi in Italia a causa della dominazione ottomana (1453) la riscoperta di una lingua che aveva costituito l’idioma comune della cultura per oltre mille anni. L’opera del filosofo Giorgio Gemistio Pletone, nativo di Costantinopoli e fin da giovane abitante a Mistra (l’antica Sparta), è determinante. Giunto a Ferrara e Firenze per i concili del 1431-1445, entra in contatto con gli umanisti e in particolare induce Cosimo de’ Medici a fondare l’Accademia neoplatonica fiorentina, che apre ufficialmente i battenti nel 1462. Negli stessi anni, il cardinal Bessarione, di Trebisonda, viene incaricato da papa Eugenio IV di fondare un centro di studi sulla Grecia classica, che si concretizza nella ricchissima Biblioteca Nazionale Marciana a Venezia. È la rinascita di un pensiero filosofico, di una cultura e di una lingua che parevano ormai perduti per sempre.

TRAMONTO, EREDITÀ E RISCOPERTA (66-1462) 66 93 124 131 140 160 313 324 361 380

Olimpiadi di Atene: Nerone vince tutti i premi e proclama la libertà per le città greche. Domiziano espelle da Roma filosofi e retori. Adriano ad Atene, che guida una ricostituita Lega panellenica con scopi religiosi. Adriano fa costruire il tempio di Zeus ad Atene. Il geografo e astronomo Tolomeo attivo ad Alessandria. A Roma, Galeno di Pergamo scrive trattati di medicina. Editto di Milano: Costantino ufficializza la tolleranza religiosa. Fondata Costantinopoli, la “Nuova Roma”. L’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, tenta di reintrodurre il politeismo. Editto di Tessalonica: il cristianesimo è religione di Stato dell’impero. Ogni altro culto è vietato. 188

GRECIA ANTICA

393 395 397 426 476 529 1439 1453 1462

Teodosio I sospende i Giochi olimpici per “motivi di sicurezza”. Non saranno mai più ripresi, se non in tempi moderni e con altro significato. L’impero romano si divide in impero d’Oriente (Arcadio) e impero d’Occidente (Onorio). I Visigoti saccheggiano la Grecia. Teodosio II distrugge il tempio di Zeus. Odoacre depone Romolo Augustolo: è le fine dell’impero Romano d’Occidente. Giustiniano chiude l’Accademia platonica e le scuole di filosofia di Atene. Gemistio Pletone reintroduce il neoplatonismo in Italia. Bessarione riprende l’insegnamento della lingua greca in Italia. Gli Ottomani conquistano Costantinopoli. Alcuni studiosi greci trovano rifugio in Italia. Fondata a Firenze un’Accademia neoplatonica.

Indice dei nomi A Achemene 55, 74 Achille 16, 18, 25, 135, 140, 151, 160 Acrisio 19, 55 Acrotato 173 Adelardo Goto 162 Adimanto di Corinto 74 Adriano 186 Afobo 125 Agamennone 18, 30, 44 Agariste 87 Agatocle 172 Agesilao 165 Agesilao II 116, 118, 119 Agesipoli III 166 Agiatide 166 Agide II 101, 102, 106 Agide III 148, 158 Agide IV 164, 165, 166, 173 Aiantide 56 Albino, Lucio Postumio 175 Alcamene 33 Alcibiade 95, 98, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108 Alcmena 19, 25 Alcmeone 36 Alessandro III (Magno) di Macedonia 23, 25, 35, 72, 93, 122, 124, 126, 134-153, 156, 157, 158, 159, 160, 162, 170, 174, 175, 188 Alessandro IV di Macedonia 152, 159, 160 Amilcare 70 Aminocle di Corinto 72 Aminta IV 124, 138 Ammiano Marcellino 187 Amon 144, 146, 148 Anacreonte 56 Anassandrida II 71 Anassimandro 52, 171 Anassìmene 52 Andrisco 179 Andronico 137 Annibale Barca 165, 174, 176 Antalcida 119 Antigono I Monoftalmo 159, 161, 163, 180 Antigono II Gonata 161, 164, 172, 174 Antigono III Dosone 161, 164, 166, 178

Antigono IV Seleucide 176, 177, 178 Antinoo 187 Antioco I Seleucide 162, 164, 172 Antioco II Seleucide 161, 162 Antioco Ierace 162 Antipatro 140, 148, 150, 153, 158, 159, 164 Antipatro II 161 Antistene 138 Antonio vedi Marco Antonio Apame 178 Api 146 Apollo 11, 37, 38, 43, 44, 49, 54, 65, 80, 98, 105, 137, 144 Apollonio Rodio 156 Appiano 181 Appio Claudio Cieco 170, 172 Araco 109 Arato di Sicione 164, 165, 166 Archelao 33, 124 Archelao (ammiraglio) 181, 182 Archidamia 165, 173 Archidamo II 81, 96 Archidamo III 170 Archidamo V 165 Archimede di Siracusa 166 Areo I 164, 173, 174 Ariabigne 74 Arimnesto 79 Aristagora 62 Aristandro 144 Aristarco di Samotracia 16 Aristecmo 41 Aristide 68 Aristocle vedi Platone Aristodema di Cuma 41 Aristodemo 118 Aristofane 98, 99 Aristogitone 56, 148 Aristone 121 Aristonico 180 Aristotele 10, 31, 40, 41, 58, 65, 98, 136, 137, 158, 160, 189 Armodio 56, 148 Arnabazo 118 Arreneide 164 Arsace 111 Arsame 143 Arsinoe di Macedonia 134 Arsite 111 Artaferne 62, 65

Artaserse I Longimano 80, 83, 103, 111 Artaserse II 111, 112, 118, 122 Artaserse III 146, 150 Artaserse IV 150 Artaserse V 148 Artaunte 79 Artemide 65, 88 Artemisia I 74 Artemisio 72, 74 Asclepio 151 Asdrubale 176 Ashod 145 Astioco 107 Atena 34, 51, 52, 81, 91, 164 Atenagora 104 Atize 143 Atossa 55 Atropate 153 Augusto 11, 183, 186 Augustolo vedi Romolo Azemilco 145

B Bacone 137 Barbula, Lucio Emilio 171 Bardiya 55 Barsaente 148 Barsine 152 Batis 145 Berenice I 37 Bessarione 189 Besso 147, 148 Betis 145 Bituito 181 Brasida 100, 101, 102 Bruto (Marco Giunio) 183 Buterico 188

C Caligola 152 Callia II 83 Callicrate 91 Callicratida 108 Callimaco 68 Callimaco di Cirene 156 Callistene 143 Cambise II 83 Candaule 90 Caracalla 152 Carano 134, 138 Caridemo 139 Carilao 33

INDICE DEI NOMI

189

Carope 36 Cassandro 159, 160, 163, 164 Cecrope 34 Cennini, Cennino 188 Centumalo, Gneo Fulvio 175 Cerauno 162, 172 Cesare, Caio Giulio 152, 183 Cheope 75 Chileo di Tegea 77 Chilonide 173 Cicerone 16, 122 Cidantide 99 Cieco, Appio Claudio vedi Appio Claudio Cieco Cilene 45 Cilone 38, 51, 57 Cimone 56, 80, 81, 82, 83, 87 Cinadone 116-117 Cinisca 33 Cìpselo di Petra 41, 44 Ciro I 55 Ciro II il Grande 55 Ciro il Giovane 108, 109, 111, 112 Claudiano, Claudio 187 Cleandro Patareo 41 Clearco 112 Clemente Alessandrino 72 Cleombroto I 119, 122 Cleombroto II 165 Cleomene I 54, 57, 64, 65, 69, 71 Cleomene II di Neucrati 146 Cleomene III 165, 166 Cleone 93, 98, 99, 100, 101, 102 Cleonimo 173, 174 Cleopatra (sorella di Alessandro di Macedonia) 159 Cleopatra Euridice 134, 137, 138 Clinia 103 Clistene 38, 41, 57, 58, 63, 69 Clito il Bianco 158 Clito il Nero 140, 149 Codro 34, 35, 45 Conone 109, 119 Copernico, Nicolò 188 Cosimo de’ Medici 189 Costantino 188 Crannone 158 Cratero 153, 158, 159 Cremonide 164 Creonte 36 Creso 48 Crisostomo, Giovanni 152 Crizia 95, 110, 111, 121

D Damarete 70 Damasia 50 Danae 25, 55 Daniele 146, 153 Dante 159 Dario I 55, 56, 62, 64, 65, 69, 180 Dario II 82, 107, 108, 111, 112 Dario III 138, 139, 142, 143, 144, 146, 147, 148, 150 Dati 65 De Coubertin, Pierre 37, 188 De Montaigne, Michel 122 Dedalo 13 Deidamia II 174 Demarato 64, 69 Demetra 49, 175 Demetrio I Poliorcete 145, 159, 160, 161, 163, 164, 171, 180 Demetrio II Etolico 161 Demetrio di Faro 175 Demilo 160 Democare 163 Demofonte 125 Demostene 105, 125, 126, 158 Dicearco da Messina 171 Dieo di Megalopoli 179 Difilo 98 Dinomaca 103 Diodoro Siculo 58 Diodoto 100 Diogene Laerzio 37 Dione Cassio 181 Dionigi vedi Dionìsio I di Siracusa Dionigi di Alicarnasso 171, 187 Dionisio I di Siracusa 122, 127, 128, 129 Dionisio II il Giovane 129 Dioniso 53, 98, 105 Dioniso Mitridate VI Eupatore 180 Dracone 41, 42, 45, 57 Draconte vedi Dracone Dripetide 143, 144, 150 Droysen, Johann Gustav 156

E Ebalo 30 Ecateo di Mileto 171 Efestione 140, 144, 150, 151, 153 Efialte 58, 73, 82, 86, 87, 110 Efira 44 Eleazaro 186 Elettrione 19 Eleutereo vedi Dioniso Eloride 129 Epaminonda 119, 120, 122, 123, 124, 126 Epicarmo 98 Epicuro 159, 186

Epitadeo 164 Epitteto 186 Era 88 Eracle (Ercole) 19, 25, 71, 135, 152 Eraclio 187 Eraclito 52, 65 Eratostene di Cirene 156, 171 Erceo vedi Zeus Ercole vedi Eracle Erissia 36 Ermocrate 104, 105 Erodoto 16, 40, 41, 51, 56, 62, 64, 67, 70, 71, 73, 74, 79, 90, 91, 144 Eschilo 67, 77, 78, 86, 91 Eschine 125 Esiodo 21 Essecestide 45 Ettore 18, 145 Euclida 165 Euclide 12, 162 Eudamida I Euripontide 173 Eudamida III 165 Eudata 134 Euforione 45, 67 Eufraeo 124 Eumene di Cardia 157, 159 Eumene I 162 Eumene II di Pergamo 162, 178, 179, 180 Euribiade 74 Euriloco 49 Euripide 91, 98 Europa 134, 138 Eurota 30 Eusebio di Cesarea 34 Evagora I 108 Evans, Arthur 12, 17 Evergete, Mitridate V 180

F Falaride 41 Falereo, Demetrio 159, 163, 178 Farnabazo II di Frigia 107, 117 Farnace 181 Fenarete 95 Fidia 75, 88, 91, 164 Fidippide 67 Fidone di Argo 41 Filemone 98 Filetere 162 Filinna 134 Filippo II di Macedonia 35, 93, 96, 120, 124, 125, 126, 130, 134, 136, 137, 138, 140, 142, 149, 152, 153, 157, 160, 163, 175 Filippo Arrideo 152, 153, 159, 160

190

Filomelo 125 Filonide 171 Filopatore 178 Filopemene 166 Filota 149 Flaminino, Tito Quinzio 178 Flavio Claudio Giuliano 188 Focione 158 Frinico 107, 108

G Galeno di Pergamo187 Galilei, Galileo 137 Gassendi, Pierre 159 Gaumata 55 Gelone 41, 70, 76 Gemistio Pletone, Giorgio 189 Gerone II 166 Giasone 120, 121 Gilippo 105, 106, 117 Giotto188 Giuliano l’Apostata 188 Giulio Cesare 152, 183 Giustiniano 187, 188 Glaucia 139 Glaucia (medico) 151 Gneo Pompeo Magno 180, 183 Gorgia 95 Gorgida 120 Gorgo 71

H Helios 44 Hestia 43

I Ictino 44, 91 Ierace, Antioco 162 Ierone 41 Ificrate 142 Imilcone II 127, 128, 129 Inaros 82, 83 Iperante 73 Iperide 158 Ipparco 50, 54, 56, 69, 176, 188 Ippia 50, 54, 56, 57, 65, 67 Ippocrate 111 Ippodamia 37 Ippodamo di Mileto 91, 161 Ipponico 103 Isagora 57 Isocrate di Erchia 103, 126 Istieo 62

K Koroush vedi Ciro I

L Lacare 163, 164

GRECIA ANTICA

Lanassa 172 Lelego 30 Leocrate 36 Leonida I 65, 71, 72, 73, 120 Leonida II 164, 165 Leonida d’Epiro 135, 136 Leonnato 138, 153 Leonziade 119 Leotichida 65, 79 Lepido, Marco Emilio 183 Leptine 128 Leuconide vedi Leonida d’Epiro Levino, Marco Valerio 176 Licio, Apollo 137 Licorta 181 Licurgo 31, 32, 37, 48, 51, 165, 166 Ligdami 54 Lisandro 108, 109, 110, 112, 117, 118, 164 Lisanorida 119 Lisia 110 Lisimaco 136, 159, 160, 161, 162, 163, 173 Longimano vedi Artaserse I Longino, Gaio Cassio 183 Lorenzo il Magnifico 87 Lucio Emilio Paolo 179 Lucullo, Lucio Licino 180, 182

M Macanida 166 Machiavelli, Niccolò 103, 122 Magone, Annibale 127 Mamerco di Catania 130 Mandroclida 165 Marco Antonio 183 Mardonio 64, 72, 76, 77, 79 Massinissa 177 Mauace 147 Mausolo 125 Mazeo 146 Meda dei Geti 134 Medonte 35 Medusa 25 Megacle 38, 51, 52 Megacle V 103 Meleagro 153, 157 Meleancro 41 Memnone di Rodi 140, 141, 158 Menandro 98 Menelao 30 Menesseno 95 Menone di Farsalo 112 Metello, Quinto Cecilio 179 Milziade il vecchio 56 Milziade il giovane 56, 67, 68, 80 Minosse 13, 34 Mirone 91

Mitridate di Cio 180 Mitridate I Ctiste 180 Mitridate IV Filopatore Filadelfo 180 Mitridate V Evergete 180 Mitridate VI Eupatore Dioniso 180, 181, 182 Mitrine 141 Mnesicle 91 Mummio, Lucio 179

N Nabarzane 148 Nabucodonosor II 144 Nearco di Creta 150, 152 Neocle 63 Neottolemo 134 Nerone 37, 186, 187 Nicatore, Seleuco I 162 Nicia 99, 102, 104, 105, 106 Nileo 34

O Oco vedi Dario II Odisseo vedi Ulisse Omero 16, 18, 21, 30, 37, 44, 122, 136, 171 Onesicrito 136 Orazio (Quinto Orazio Flacco) 182 Orfeo 16 Ortagora di Sicione 41 Ossatre 143 Ossiarte 150 Ottaviano 152, 183

P Palemone 37 Pan 105 Panezio di Lentini 41 Paolo 93 Paride 25, 30 Parisatide I 111, 112 Parisatide II 150 Parmenide 95, 160 Parmenione 140, 141, 142, 143, 149 Paro 68 Patareo, Cleandro 41 Patroclo 37, 140, 151

Patroo, Apollo 38 Pausania il Periegeta (storico e geografo) 18, 30, 35, 164 Pausania di Cleombroto (generale) 77, 80, 81, 111, 118, 123 Pausania Agiade (re di Sparta) 118, 138 Pausania di Orestide 138, 153 Peitone 157 Peleo 25 Pelope 37, 166 Pelopida 119, 120, 122, 123, 124, 126 Penelope 19 Perdicca I 138, 152, 153, 157, 159 Perdicca II 101 Perdicca III 124 Periandro 41, 44 Pericle 58, 82, 86, 87, 89, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 108, 163 Perictione 121 Perse 54 Persefone 175 Perseo 19, 25, 30, 54, 178, 179 Petisi 146 Pindaro 37, 57, 139 Pirro 161, 170, 171, 172, 173, 174 Pisandro 108, 119 Pisistrato 16, 37, 40, 45, 50, 51, 52, 53, 54, 56, 88 Pitagora 51 Pittaco di Mitilene 41 Pizia 139, 144 Platone 40, 95, 121, 124, 126, 129, 137, 138, 162, 186, 188 Pleistarco 160 Plinio il vecchio 38, 88, 180 Plistonatte 102 Plotino 189 Plutarco 16, 32, 45, 63, 71, 80, 87, 120, 122, 136, 143, 173, 187 Polibio 181, 187 Policleto 88, 91 Policrate di Sano 40, 51, 72 Poliperconte 159 Poro 149 Poseidone 34, 37, 108 Postumio Albino, Lucio 171, 175

Priamo 18 Procle di Epidauro 41 Prodico 95 Protagora 95 Protesilao 140 Ptolemeo vedi Tolomeo

R Ramses II 146 Romolo Augustolo 188 Rossane 150, 152, 159

S Santippe 95 Santippo 87 Satibarzane vedi Nabarzane Savace 143 Schliemann, Heinrich 17, 18, 19 Scipione l’Africano 122 Seleuco IV vedi Filopatore Seleuco I Nicatore 162 Senofonte di Erchia 112, 116, 117 Serse 69, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 79, 80, 81, 82 Serse II 111 Severo, Settimio 152 Sfodria 119, 122 Sicinno 75 Silla, Lucio Cornelio 180, 181, 182 Simonide di Ceo 56 Simplicio 52 Sinalo 129 Sisifo 44 Sisigambi 143, 144 Socrate 44, 52, 65, 95, 98, 103, 121, 137, 138, 188 Sofane 67 Sofocle 91 Sofronisco 95 Sogdiano 111 Solone 37, 42, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 53, 54, 57, 58, 107 Sotere, Tolomeo I 134 Speusippo 121, 137 Spitridate 140 Statira I 143 Statira II 143, 144, 150, 152 Strabone 135, 171 Stratocle 163

INDICE DEI NOMI

191

T Taigete 30 Talete 45, 52 Tartaglia, Niccolò 162 Taurea 103 Teagene di Reggio 16 Teleclo 33 Temistocle 63, 68, 71, 72, 74, 75, 76, 80 Teodosio I 37, 188 Teramene 108, 109, 110 Terippide 125 Teseo 34, 105 Teti 25 Teuta 175 Tiberio 186 Timoleonte 130 Timoteo 120 Tissaferne 103, 107, 112, 118, 125 Titano 44 Tolomeo (Ptolemeo) 188 Trasibulo di Mileto 41, 108, 110 Trasillo 108 Trittolemo 175 Tucidide 13, 31, 40, 44, 56, 72, 87, 90, 91, 94, 96, 98, 101, 108

U Ulisse 16, 18, 19

V Vico, Giovan Battista 16 Vinci, Felice 16

W Whitehead, Alfred North 121

X Xeniade 138 Xenone 16

Z Zenodoto 16, 156 Zenone 95, 160 Zeus 19, 21, 25, 30, 37, 38, 55, 75, 135, 142, 144, 146, 148, 162

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