Pier Paolo Pasolini. Urlare la verità 886799106X, 9788867991068

Pier Paolo Pasolini, uno dei rari esempi di persona coerente proprio nella sua incoerenza, un essere umano che cambia ne

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Pier Paolo Pasolini. Urlare la verità
 886799106X, 9788867991068

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Con Enrique Irazoqui, a Matera, durante le riprese di Il Vangelo secondo Matteo, 1964 2

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Sorbonne

Sorbonne, l’Università di Parigi, il mito del cambiamento, il maggio incruento di una rivoluzione colorata. Le grandi idee del Novecento in piccoli libri che concentrano l’essenza del pensiero di persone che hanno immaginato altri mondi e prospettive diverse. Ampliando, innovando, spesso ribaltando, le conoscenze o i punti di vista dei contemporanei e delle generazioni successive. Le parole, le derive, i percorsi, le frenate, la corsa.

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Pier Paolo Pasolini Urlare la verità A cura di Pippo Delbono

Edizioni Clichy

Sommario Biografia Urlare la verità di Pippo Delbono Parole e Immagini Autoritratti Altre vite Consumi Italie Conflitti Poteri Bibliografia

9 19 29 31 39 49 63 73 81 116

Pasolini nel 1954

Biografia 1922 Il 5 marzo Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna. È il primogenito di Carlo Alberto Pasolini e Susanna Colussi, sposati nel dicembre del 1921 a Casarsa. Il padre è tenente di fanteria, la madre maestra elementare. Dopo il matrimonio i coniugi si trasferiscono a Bologna, dove la famiglia rimane poco, per spostarsi a Parma e successivamente in altre città del Nord. 1925 La famiglia Pasolini si trova a Belluno, dove nasce Guido, il secondogenito. Con il passare degli anni Pier Paolo vive un rapporto simbiotico con la madre, mentre i rapporti col padre sono sempre più problematici. Con il fratello c’è un legame di grande amicizia, il piccolo Guido ha per Pier Paolo una forte ammirazione, che lo accompagnerà fino al giorno della sua morte. I primi 9

anni di scuola sono vissuti tra innumerevoli trasferimenti, cosa che però non incide sul rendimento di Pier Paolo, che viene iscritto alle elementari con un anno di anticipo. 1928 A soli sei anni Pier Paolo si esprime nel suo primo esordio poetico: annota su un quaderno di scuola dei piccoli componimenti, purtroppo andati perduti durante la guerra. Alla fine delle scuole elementari ottiene il passaggio al ginnasio, che frequenta a Conegliano. Negli anni del liceo forma insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini e Fabio Mauri un gruppo letterario dove si discute di poesia. Terminati gli studi liceali, a soli 17 anni si iscrive alla facoltà di lettere dell’Università di Bologna. Collabora a «Il Setaccio», scrive poesie in friulano e in italiano, raccolte poi nel testo Poesie a Casarsa. Insieme ad altri letterati friulani partecipa alla redazione della rivista «Stroligut», scritta appunto in dialetto a significare una sorta di opposizione al fascismo. L’uso del dialetto era funzionale anche a limitare il predominio della Chiesa sulle masse non istruite, infatti del dialetto faceva uso il clero al contrario dell’élite di Sinistra e proprio 10

per questo Pasolini tenta di diffondere il dialetto negli ambienti della Sinistra. 1943 Pasolini viene arruolato a Livorno. All’indomani dell’8 settembre disobbedisce all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi, così fugge in vari luoghi e infine torna a Casarsa. Gli anni della Seconda guerra mondiale sono per Pasolini molto difficili. La famiglia Pasolini decide di nascondersi a Versutta, piccolissima frazione di Casarsa, luogo poco esposto ai bombardamenti. Pasolini insegna ai ragazzi del ginnasio. È in questo periodo che il fratello Guido verrà ucciso. Guido infatti decide di intraprendere la lotta partigiana e si unisce alla divisione partigiana Osoppo. Tra i vari gruppi della resistenza antifascista friulana nascono conflitti interni. I comunisti delle brigate garibaldine vogliono l’annessione del Friuli alla Jugoslavia di Tito, mentre la divisione Osoppo difende l’appartenenza del Friuli all’Italia. Guido scrive in proposito a Pier Paolo, perché si impegni, con suoi articoli, a difendere le posizioni della Osoppo. 1945 Guido viene ucciso, dai garibaldini, insie11

me al comando della divisione di Osoppo. Ma la sua morte è ancora più violenta, infatti Guido, ferito, riesce a scappare, si rifugia da una contadina, ma viene trovato dai garibaldini, i quali lo uccidono massacrandolo. La famiglia Pasolini saprà del destino di Guido solo al termine del conflitto mondiale. La famiglia sarà distrutta da questo evento e i rapporti tra Pier Paolo e la madre diverranno ancora più stretti. Sempre nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata Antologia della lirica pascoliana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli, dove trova lavoro come insegnante in una scuola media in provincia di Udine, a Valvassone. 1947 Inizia la militanza politica di Pasolini: si iscrive al PCI e avvia la collaborazione al settimanale del partito «Lotta e lavoro». Questo è per Pasolini un grande atto di coraggio, un gesto con cui cerca di uscire da un vissuto individuale di dolore per la morte del fratello e di trasformare questo dolore in un ideale sociale da condividere proprio con chi aveva ispirato i suoi assassini. Pasolini diventa segretario della sezione di San Giovanni di 12

Casarsa, ma non è ben visto dal partito, e soprattutto dagli intellettuali comunisti friulani a causa del suo interesse per il dialetto delle persone del popolo, contrapposto all’italiano alto delle élite intellettuali. 1949 Pasolini viene segnalato dai Carabinieri di Cordovado per corruzione di un minorenne. Questo è l’inizio di una storia giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Viene accusato di essersi appartato il 30 settembre nella frazione di Ramuscello con due o tre ragazzi. L’episodio di cronaca cade in un periodo storico molto delicato, con i rapporti tra sinistra e DC molto tesi, così la denuncia determina l’espulsione di Pasolini dal PCI prima ancora che si tenga il processo. Questo fa precipitare Pasolini in una sorta di baratro: perde il posto di insegnante, i rapporti con la madre si incrinano temporaneamente. Allora decide di lasciare il Friuli e si trasferisce, con la madre, a Roma. 1950 I primi anni romani sono davvero difficili, Pasolini è gettato in una realtà del tutto nuova, quella delle borgate romane. Sono momenti di insicurezza, povertà e solitudine. 13

Pasolini cerca di trovarsi un lavoro da solo, non vuole chiedere aiuto ai suoi amici intellettuali. Tenta la strada del cinema e ottiene la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle. Finalmente, grazie al poeta Vittori Clemente, trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino. Prepara le antologie sulla poesia dialettale; collabora a «Paragone», una rivista di Anna Banti e Roberto Longhi, in cui pubblica la prima versione del primo capitolo di Ragazzi di vita. 1953 Viene chiamato da Angioletti a far parte della sezione letteraria del giornale radio, insieme a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cattaneo. Sono definitivamente passati i difficili tempi di adattamento. 1954 Abbandona l’insegnamento e si stabilisce a Monteverde Vecchio. Pubblica il suo primo libro di poesie in dialetto, La meglio gioventù. 1955 Pasolini viene presentato da Attilio Bertolucci all’editore Garzanti, con cui pubblica il suo romanzo Ragazzi di vita, che ha un 14

grande successo, sia di critica che di lettori. Tuttavia nell’ambiente del PCI il libro è malvisto, giudicato negativo e sporco. Viene avviata un’azione giudiziaria, indetta dall’allora ministro degli Interni Tambroni contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo dà luogo all’assoluzione in quanto «il fatto non costituisce reato». Pasolini diventa uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera: viene accusato di favoreggiamento per rissa e furto, e perfino di rapina a mano armata. 1957 Pasolini, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, Le notti di Cabiria. Ne scrive i dialoghi in romanesco. Firma sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi e Lizzani. Pasolini collabora alla rivista «Officina». Nel 1957 pubblica la raccolta di poesie Le ceneri di Gramsci con Garzanti. Nel 1958 esce con Longanesi L’usignolo della Chiesa cattolica; nel 1960 di nuovo Garzanti pubblica la raccolta di saggi Passione e ideologia, e nel 1961 un altro testo in versi, La religione del mio tempo. 1961 È l’anno in cui viene realizzato Accattone, il primo film di Pasolini da regista e sogget15

tista. Il film è vietato ai minori di diciotto anni e suscita molte polemiche alla XXII Mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 arriva il film Mamma Roma, nel 1963 esce l’episodio La ricotta diretto da Pasolini e inserito nel film RoGoPaG, viene sequestrato e Pasolini è imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel 1964 dirige Il Vangelo secondo Matteo; nel 1965 Uccellacci e Uccellini; nel 1967 Edipo re; nel 1968 Teorema; nel 1969 Porcile; nel 1970 Medea; tra il 1970 e il 1974 la Trilogia della vita, ovvero Decameron; I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte; il suo ultimo film è Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975. Nel 1966 per la presentazione di Accattone e Mamma Roma al festival di New York vola per la prima volta negli Stati Uniti, rimane molto colpito, soprattutto da New York. Sono anni in cui Pasolini viaggia molto per girare documentari, in Uganda, Tanzania, India. 1968 Pasolini si ritira dalla competizione del Premio Strega per il suo romanzo Teorema, tuttavia accetta di partecipare alla XXIX Mostra del cinema di Venezia ma soltanto 16

dopo che gli è stato assicurato che non ci saranno votazioni e premiazioni. 1970 Pasolini acquista la Torre di Chia, rudere medievale nei pressi di Soriano nel Cimino. Dopo averlo ristrutturato inizia qui la stesura di Petrolio, l’ultima opera incompiuta che avrebbe dovuto essere un romanzo-inchiesta di denuncia autobiografica e politica, sulla corruzione e lo stragismo di stato, con il coinvolgimento dei vertici di ENI. L’opera sarà pubblicata postuma da Einaudi nel 1992. 1972 Pasolini decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre, sulla strage di piazza Fontana a Milano, del 1969. 1973 Comincia la sua collaborazione al «Corriere della Sera», con interventi critici sui problemi dell’Italia. 1975 Pubblica con Garzanti la raccolta di interventi critici Scritti corsari. La mattina del 2 novembre, sul litorale romano di Ostia, 17

in un campo incolto in via dell’idroscalo, Maria Teresa Lollobrigida scopre il cadavere di un uomo devastato dalle percosse e dalle ruote di un veicolo. Sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscere il corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini. Dell’omicidio si autoaccusa il diciassettenne Pino Pelosi, condannato in primo grado nel 1976, per omicidio volontario in concorso con ignoti.

Urlare la verità di Pippo Delbono Ai tempi di Pasolini io ero molto piccolo. Erano gli anni Sessanta. Il boom degli anni Sessanta. Quando tutti si compravano le prime lavatrici, i televisori, le Fiat 600. E mi ricordo che mio papà veniva a prenderci a scuola, me e mia sorella che eravamo molto piccoli, e ci chiamava da lontano in dialetto genovese. Ora nessuno più parlava il dialetto, tutto era proiettato verso la modernità. E mi ricordo che di questo noi ci vergognavamo moltissimo. Era questa sua voglia di essere un po’ fuori luogo in tutte le circostanze. E a questo proposito mi ricordo di aver letto di Pasolini che una volta si è presentato a un premio letterario, una situazione un po’ chic, e prima era stato a giocare a calcio con dei ragazzi ed è arrivato così, tutto sporco di terra, e questo aveva creato un certo imbarazzo in sala. E di questo lui rideva moltissimo... 19

E poi altri ricordi. Vorrei ricordare la frase con cui inizia il film di Pasolini Il fiore delle mille e una notte: «La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni». Ecco, molti sogni, alcuni che provengono dalla vita e dalla poesia di Pasolini, altri dalla nostra vita, che si mischiano e si confondono: questo è il nostro spettacolo. Così inizia La rabbia, uno spettacolo che ho creato nel 1995, in occasione del ventesimo anniversario della morte di Pasolini, su richiesta di Laura Betti. Sono diciannove anni che lo porto in giro con me, in diversi paesi del mondo, in diverse lingue, in diverse culture, da Parigi all’Argentina a Cuba... Non parla solo di Pasolini ma è un omaggio a qualcuno che con coerenza ha lottato con le armi della poesia. E con lui ci sono le parole di Genet, di Rimbaud, di Charlie Chaplin... C’è Pasolini che denuncia, che sa i nomi delle persone corrotte ma non può parlare, perché le persone sono «troppo serie ed importanti». Ma poi c’è anche l’uomo, l’uomo fragile, l’uomo che cerca gli amori «diversi», l’uomo che non ha timore di mostrarsi sicuro, forte e debole nello stesso tempo, maschile e femminile, ateo e profondamente cristiano, blasfemo e sacro, il poeta. 20

Qualcuno in Italia aveva detto che Salò, l’ultimo film di Pasolini, era un’opera minore, forse troppo eccessiva, forse troppo crudele, troppo, troppo, troppo... In Francia invece amano molto questo film. Credo che in un certo senso, come il Vangelo secondo Matteo, anche Salò sia un’opera sacra sull’essere umano vero. Una parla dell’essere umano che può diventare Dio e l’altra dell’essere umano che può diventare demonio. Ma parla sempre dell’essere umano nella sua profondità, nella sua esasperata contraddizione. Mentre preparavo Urlo, lo spettacolo che parla del potere, stavo leggendo contemporaneamente una biografia di Hitler e una di Cristoforo Colombo. Un po’ così, per casualità, per disordine, forse perché sono del segno dei gemelli... Due storie così lontane, così diversamente entrate nella storia, ma che per i morti che si sono lasciate dietro, per il razzismo nel guardare il diverso, in fondo sono anche così vicine... Alla fine nello spettacolo è rimasta poi solo una frase: «Ho visto le menti migliori della mia generazione che diventavano eroi o dittatori, criminali o santi...», che è tratta dalla poesia Urlo, di Allen Ginsberg. Nel mio spettacolo La rabbia a un certo punto leggo questa cosa di Pasolini: 21

Sui miei stracci sporchi sulla mia nudità scheletrita su mia madre zingara su mio padre pecoraio scrivo il tuo nome Sul mio primo fratello predone sul mio secondo fratello sciancato sul mio terzo fratello lustrascarpe sul mio quarto fratello mendicante scrivo il tuo nome Sui miei compagni della malavita sui miei compagni disoccupati sui miei compagni manovali scrivo il tuo nome Sui nomadi del deserto sui braccianti di Medina sui salariati di Oran sui piccoli impiegati di Algeri scrivo il tuo nome Sulle misere genti di Algeria sulle popolazioni analfabete dell’Arabia su tutte le classi povere dell’Africa su tutti i popoli schiavi del mondo scrivo il tuo nome Libertà 22

E poi ancora: Se non si grida «evviva la libertà» umilmente non si grida «evviva la libertà». Se non si grida «evviva la libertà» ridendo non si grida «evviva la libertà». Se non si grida «evviva la libertà» con amore non si grida «evviva la libertà». Voi, figli dei figli, che gridate «evviva la libertà» con rabbia, con disprezzo e con odio, voi, figli dei figli, non gridate «evviva la libertà». Pasolini credo che sia stato uno dei rari esempi di persona coerente proprio nell’incoerenza, fenomeno naturale dell’essere umano che cambia nelle idee, nei pensieri, nei giudizi, nelle opinioni, ma rimane coerente nel profondo dell’anima. Pasolini con i comunisti contro i comunisti, contro il Papa con il Papa, con i rivoluzionari del Sessantotto e contro di loro... La guerra è qualcosa che c’entra con la durezza, con la rigidità, la pace qualcosa che c’entra con il cambiamento, il flusso, lo scorrere delle cose. Spesso quando guardo per caso i dibattiti televisivi tra politici mi colpisce il fatto che nessuno mai cambia idea, si mette in discussione, dice «in 23

effetti questo è vero, ho cambiato idea...». La nostra giornata è piena di cambiamenti di pensieri sulle cose quotidiane, «prendo un altro caffè, no, sono troppi, prendo il bus, no, prendo il taxi, vado al cinema, no...», ma di fronte agli altri ci sembra che la nostra immagine risulti più forte se siamo fermi nelle idee, se dimostriamo sicurezza e decisione verso l’esterno, pur vacillando dentro profondamente. È quel vacillare femminile della poesia, che corre sul filo del non capibile, dell’irrazionale, del mistero. Forse avremmo bisogno ancora del politico poeta Pasolini. Qualcuno che ci aiuti ad aprire gli occhi su di noi, e poi sul mondo. Qualcuno che ci aiuti a «ricominciare da dove non c’è certezza» e a capire, come all’inizio de Il fiore delle mille e una notte, che «la verità non sta in un solo sogno ma in molti, molti sogni». «La solitudine: bisogna essere molto forti per amare la solitudine, bisogna avere buone gambe e una resistenza fuori dal comune... non si devono temere rapinatori o assassini... se tocca camminare bisogna saperlo fare senza accorgersene; col vento che tira sull’erba bagnata e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi; 24

Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri... per le strade abbandonate al vento, tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani, non sono che momenti della solitudine... più caldo e vivo è il corpo gentile più freddo e mortale è intorno il diletto deserto; è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso... egli si porta dietro una giovinezza enormemente giovane; e in questo è disumano, perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia che è sempre la stessa in tutte le stagioni... Un ragazzo ai suoi primi amori altro non è che la fecondità del mondo... Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo, che valga una camminata senza fine per le strade povere, dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani...». Sono parole tratte dai Versi del testamento di Pasolini. 25

«Il mondo è santo, l’anima è santa, il naso è santo, la bocca, la lingua, il cazzo è santo, il buco del culo è santo, ogni cosa è santa...». Questi invece sono versi ispirati a Ginsberg che grido nello spettacolo Urlo. «Non ti voglio uccidere subito, perché vorrei poterti uccidere mille volte», diceva un generale a una vittima nel film Salò di Pasolini, il film sacro che più di ogni altro racconta la malattia agghiacciante della macchina del potere. Parole che risuonano anche ai nostri giorni, facendo riemergere torture nascoste in villette romane, stragi impunite, omicidi velati per anni sotto le sembianze di devianze sessuali. «Io non so se la legge è giusta o se la legge è ingiusta, so soltanto che noi viviamo in un carcere circondati da mura troppo alte...», per vedere, per capire chi sono i colpevoli, chi sono gli innocenti, chi sono le vittime, chi sono i carnefici, chi sono i mandanti. Non ho ancora visto una piazza dedicata a Pasolini, una strada, una scuola, un ospedale, un teatro. Forse ne esistono ma non li ho ancora visti. 26

Le ho viste dedicate ad attori famosi, forse prima o poi saranno dedicate a qualche personaggio importante della TV e ancora a qualche politico o scienziato o poeta classico. «Ho visto le menti migliori della mia generazione che venivano espulse dalle accademie come pazzi diversi negri, ho visto le menti migliori della mia generazione che venivano trascinate per le strade sventolando genitali e sangue...». In quel luogo abbandonato a Ostia vicino al mare, in quell’Idroscalo stanno le ferite profonde, nascoste, mai curate, della nostra generazione. Al poeta morto trucidato in quel terreno di periferia sono state attribuite le mediocrità, le falsità, le perversità nascoste sotto i matrimoni corretti, i figli istruiti, le mogli carine e sorridenti, sotto le tuniche dei prelati inquisitori, quelle malattie nascoste che non appartengono a chi scelse già negli anni Settanta di manifestare chiaramente e senza paura i suoi amori, le sue passioni, la sua verità su se stessi e sul mondo. Pasolini che denunciava il fascismo dietro la democrazia, il perbenismo dietro il comunismo, la rigidità morale dietro l’apparente libertà. Pasolini il colpevole che non si è mai pentito. Pasolini il poeta che danzava contro il triste 27

cammino di un mondo verso la normalità come accettazione della menzogna. «Prendi questo fardello e portalo tu. È meraviglioso... Io potrò così andare avanti... scegliendo per sempre la vita, la gioventù. E così io me ne starò qui, sulle rive del mare, dove ricomincia la vita». A Ostia, in quel cimitero solitario, a lungo abbandonato, da quel giorno di inizio inverno, riemergono di nuovo le scintille della necessità di un mondo nuovo.

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Parole e Immagini

Pasolini in una borgata romana, nel 1964

Autoritratti

Bisogna essere molto forti per amare la solitudine. Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano. Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca.

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La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo! Per me la vita si può manifestare egregiamente nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell’imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.

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Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo. È un’idea sbagliata - dovuta come sempre alla mistificazione giornalistica - quella che io sia un... «modernista». Anche i miei più seri sperimentalismi non prescindono mai da un determinante amore per la grande tradizione italiana e europea. Bisogna strappare ai tradizionalisti il Monopolio della tradizione, non le pare? Solo la rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o «monumentale», come diceva Schopenhauer, non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia.

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Io mi sono sempre opposto al PCI con dedizione, aspettandomi una risposta alle mie obiezioni. Così da procedere dialetticamente! Questa risposta non è mai venuta: una polemica fraterna è stata scambiata per una polemica blasfema. Se sono marxista, questo marxismo è stato sempre estremamente critico nei confronti dei comunisti ufficiali, e specie nei confronti del PCI; ho sempre fatto parte di una minoranza situata al di fuori del partito, sin dalla mia prima opera poetica, Le ceneri di Gramsci. Non ci sono mai stati grandi mutamenti nella mia polemica con loro. Eppure, fino a quel momento ero sempre stato un compagno di strada relativamente ortodosso.

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Sul set di Accattone, a Roma, nel 1960. Sulla destra un giovanissimo Bernardo Bertolucci

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Ciò che resta originario nell’operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere. Per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Può un uomo collocarsi fuori dalla sua storia [...]? No, non lo può. Questo uscire dalla storia, adottando una falsa e bugiarda ottica di postero o di cherubino, è un atto caro ai reazionari, e i giornali di destra sono pieni di scrittori che si prestano a simili ascesi, atte a soddisfare il bisogno spiritualistico dei piccoli borghesi (che, sia pure inconsapevolmente, son essi i nefandi «materialisti», oggetti del loro odio).

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Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe, dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno d’ogni moderno a cercare i fratelli che non sono più.1

1 In: Pier Paolo Pasolini, Bestemmia. Tutte le poesie, Garzanti, 1993.

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Per essere poeti, bisogna avere molto tempo. Divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine.

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Altre Vite

Supplica a mia madre È difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: ho passato l’infanzia schiavo di questo senso alto, irrimediabile, di un impegno immenso. Era l’unico modo per sentire la vita, l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. Sopravviviamo: ed è la confusione di una vita rinata fuori dalla ragione. 39

Con la madre Susanna, a Roma, nel 1968

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile...2

2 Vedi nota 1.

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Marilyn Del mondo antico e del mondo futuro era rimasta solo la bellezza, e tu, povera sorellina minore, quella che corre dietro i fratelli più grandi, e ride e piange con loro, per imitarli, tu sorellina più piccola, quella bellezza l’avevi addosso umilmente, e la tua anima di figlia di piccola gente, non ha mai saputo di averla, perché altrimenti non sarebbe stata bellezza. Il mondo te l’ha insegnata, Così la tua bellezza divenne sua. Del pauroso mondo antico e del pauroso mondo futuro era rimasta solo la bellezza, e tu te la sei portata dietro come un sorriso obbediente. 41

L’obbedienza richiede troppe lacrime inghiottite, il darsi agli altri, troppi allegri sguardi che chiedono la loro pietà! Così ti sei portata via la tua bellezza. Sparì come un pulviscolo d’oro. Dello stupido mondo antico e del feroce mondo futuro era rimasta una bellezza che non si vergognava di alludere ai piccoli seni di sorellina, al piccolo ventre così facilmente nudo. E per questo era bellezza, la stessa che hanno le dolci ragazze del tuo mondo... le figlie dei commercianti vincitrici ai concorsi a Miami o a Londra. Sparì come una colombella d’oro. Il mondo te l’ha insegnata, e così la tua bellezza non fu più bellezza. Ma tu continuavi a essere bambina, sciocca come l’antichità, crudele come il futuro, e fra te e la tua bellezza posseduta dal Potere si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente. La portavi sempre dietro come un sorriso tra le lacrime, impudica per passività, indecente per obbedienza. 42

Sparì come una bianca colomba d’oro. La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne un male mortale. Ora i fratelli maggiori, finalmente, si voltano, smettono per un momento i loro maledetti giochi, escono dalla loro inesorabile distrazione, e si chiedono: «È possibile che Marilyn, la piccola Marilyn, ci abbia indicato la strada?» Ora sei tu, quella che non conta nulla, poverina, col suo sorriso, sei tu la prima oltre le porte del mondo abbandonato al suo destino di morte.3

3 Vedi nota 1.

43

In una scena di I racconti di Canterbury, 1972

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Ballata delle madri Mi domando che madri avete avuto. Se ora vi vedessero al lavoro in un mondo a loro sconosciuto, presi in un giro mai compiuto d’esperienze così diverse dalle loro, che sguardo avrebbero negli occhi? Se fossero lì, mentre voi scrivete il vostro pezzo, conformisti e barocchi, o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso, capirebbero chi siete? Madri vili, con nel viso il timore antico, quello che come un male deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia, li allontana dal cuore, li chiude nel vecchio rifiuto morale. Madri vili, poverine, preoccupate che i figli conoscano la viltà per chiedere un posto, per essere pratici, per non offendere anime privilegiate, 45

per difendersi da ogni pietà. Madri mediocri, che hanno imparato con umiltà di bambine, di noi, un unico, nudo significato, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né gioia. Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore, se non d’un amore sordidamente muto di bestia, e in esso v’hanno cresciuto, impotenti ai reali richiami del cuore. Madri servili, abituate da secoli a chinare senza amore la testa, a trasmettere al loro feto l’antico, vergognoso segreto d’accontentarsi dei resti della festa. Madri servili, che vi hanno insegnato come il servo può essere felice odiando chi è, come lui, legato, come può essere, tradendo, beato, e sicuro, facendo ciò che non dice. Madri feroci, intente a difendere quel poco che, borghesi, possiedono, la normalità e lo stipendio, quasi con rabbia di chi si vendichi o sia stretto da un assurdo assedio. Madri feroci, che vi hanno detto: 46

Sopravvivete! Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno, covate nel petto la vostra integrità di avvoltoi! Ecco, vili, mediocri, servi, feroci, le vostre povere madri! Che non hanno vergogna a sapervi - nel vostro odio - addirittura superbi, se non è questa che una valle di lacrime. È così che vi appartiene questo mondo: fatti fratelli nelle opposte passioni, o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo a essere diversi: a rispondere del selvaggio dolore di esser uomini.4

4 Vedi nota 1.

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Con la prima copia del suo Le ceneri di Gramsci, a Roma, nel 1967

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Consumi

Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore.

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La società preconsumistica aveva bisogno di uomini forti, e dunque casti. La società consumistica ha invece bisogno di uomini deboli, e perciò lussuriosi. Al mito della donna chiusa e separata (il cui obbligo alla castità implicava la castità dell’uomo) si è sostituito il mito della donna aperta e vicina, sempre a disposizione. Al trionfo dell’amicizia tra maschi e dell’erezione, si è sostituito il trionfo della coppia e dell’impotenza. I maschi giovani sono traumatizzati dall’obbligo che impone loro la permissività: cioè l’obbligo di far sempre e liberamente l’amore.

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La tv: qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d’importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come «valletta» (al «maschio» Mike Bongiorno e affini).5

5 Dall’intervista di Dacia Maraini, Ma la donna non è una slot machine.

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La pornografia è noiosa Nella mia rubrica sul numero 20 di «Tempo», ho scritto pressappoco questo: «se degli uomini adulti decidono di fare dei film pornografici, e degli altri uomini adulti decidono di andarli a vedere, dei terzi uomini adulti compiono un’azione antidemocratica, ipocrita e moralistica se intervengono: un’azione moralmente vile». Vorrei fare i seguenti chiarimenti: 1) In attesa che il codice fascista sia rifatto (e non solo emendato o accomodato o ipocritamente riadattato), gli unici uomini adulti che possono, ora, intervenire in questo commercio tra chi produce film pornografici e chi li consuma, sono i magistrati. Gli altri che lo fanno si riempiono di ridicolo per il solo fatto che si eleggono a protettori della «morale» di altri adulti, padroni di se stessi, che hanno avuto un padre quand’erano ragazzini, e che hanno ora il pieno diritto di fare da soli le proprie scelte. 52

Con Maria Callas sul set di Medea, nel 1969

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2) I produttori di film se non pornografici, quasi (i cosiddetti film «sexy»: parola che uso qui con orrore, tanto mi sembra volgare), guadagnano molto: questo significa che ci sono milioni di spettatori che pagano il biglietto per andare a vedere quei bei prodotti: questo significa ancora che la realtà italiana è composta anche di questo fenomeno: milioni di italiani amano la pornografia. Dovremmo forse meravigliarcene? La cultura della «Nazione italiana» non è una sottocultura? E allora, poiché questo fa parte della realtà, perché nasconderlo o, quel che è peggio, cercare delle soluzioni repressive? Negli anni cinquanta non è esploso il problema degli stracci e dei poveri che abitavano nei tuguri? Ed è stata forse una soluzione quella dell’allora ministro Andreotti che ha impedito di mostrare questa realtà nei film? Povertà e pornografia: la prima una piaga popolare, la seconda una piaga piccolo-borghese: l’Italia è sempre tanto ben educata e discreta da non voler esibire le sue piaghe? Non mostrando i poveri che vivono nelle baracche; i poveri hanno forse cessato di vivere nelle baracche? Impedendo agli amanti della pornografia di vedere film pornografici, gli amanti della pornografia cessano di essere tali? Il principio di autorità non deve mai valere neanche per impedire i film pornografici. 54

3) I film pornografici sono esteticamente brutti, anzi, orribili. Secondo me, anche molto noiosi (ne ho visto uno solo, e sono uscito a metà: per la sua bruttezza estetica e appunto la sua incredibile capacità di annoiare). Ma non sono tuttavia più esteticamente brutti e noiosi di almeno metà della produzione commerciale. 4) Potrei dire che, in quanto autore di film, niente è più pericoloso per me dei film pornografici: essi causano infatti una reazione della censura, la quale cerca dei capri espiatori che siano esemplari: ottenendo così due risultati con una sola azione: colpire i film ideologicamente e politicamente avanzati, e insieme - essendo essi, per intima coerenza col loro spirito, spregiudicati e liberi anche nel campo sessuale - punisce esemplarmente tale spregiudicatezza e libertà. In quanto autore, per es., di Teorema dovrei essere il primo a scagliarmi contro i film semi-pornografici che ne giustificano in qualche modo la persecuzione. 5) In conclusione: io non riesco a pronunciare delle condanne se non estetiche contro i film pornografici, e non posso che pronunciare sui loro consumatori un giudizio severo, ma con carità (cioè comprensione oggettiva della storicità della depressione culturale che li spinge a tale consumo). Quelli che condanno sono coloro che: 55

a) non sono capaci di distinguere un film pornografico da un film d’arte; b) fingono di non essere capaci di distinguere un film pornografico da un film d’arte. Costoro vivono e operano allo stesso livello dei facitori e dei consumatori di film pornografici. Infatti la loro stupidità, la loro ignoranza, la loro mancanza di buon gusto, la loro insensibilità, oppure la loro malafede e il loro calcolo politico meschino, hanno la stessa volgarità dei produttori di film pornografìci e dei loro consumatori: essendo ambedue prodotti di una stessa sottocultura e, nella fattispecie, della stessa incapacità di giudicare esteticamente, cioè disinteressatamente.6

6 Pier Paolo Pasolini, Il caos (a cura di G. C. Ferretti), Editori Riuniti, 1979 (pubblicato postumo).

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A Roma, nel 1970

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La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura. [...] La droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura. Per amare la cultura occorre una forte vitalità. Perché la cultura - in senso specifico o, meglio, classista - è un possesso: e niente necessita di una più accanita e matta energia che il desiderio di possesso. [...] Anche a un livello più alto si verifica qualcosa di simile [...] ma stavolta si tratta non semplicemente di un vuoto di cultura, bensì di un vuoto di necessità e di immaginazione. La droga in tal caso serve a sostituire la grazia con la disperazione, lo stile con la maniera.

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Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo.

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Con Franco Citti, nel 1960

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Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro. Il ciclismo è lo sport più popolare perché non si paga il biglietto.

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Italie

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. Gli italiani piccolo-borghesi si sentono tranquilli davanti a ogni forma di scandalo, se questo scandalo ha dietro una qualsiasi forma di opinione pubblica o di potere; perché essi riconoscono subito, in tale scandalo, una possibilità di istituzionalizzazione, e, con questa possibilità, essi fraternizzano.

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Con Totò, a Roma, nel 1966

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L’Italia - al di fuori naturalmente dei tradizionali comunisti - è nel suo insieme ormai un paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L’Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione. [...] Tutti si sono adattati o attraverso voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione.7 La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.

7 In: Pier Paolo Pasolini, Trilogia della vita. Le sceneggiature originali di Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il Fiore delle Mille e una notte, Garzanti, 1995.

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Che cos’è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha trasformato le «masse» dei giovani in «masse» di criminaloidi? L’ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una «seconda» rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la «prima»: il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo «reale», trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene. Donde l’ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall’assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c’è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c’è stata: la scelta dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà.8

8 In: «Corriere della sera», 18 ottobre 1975.

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L’Italia - e non solo l’Italia del Palazzo e del potere - è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.

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A Roma, nel 1960

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Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulminante e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. [...] Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completo e assoluto. [...] La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. [...] Durante la scomparsa delle lucciole. In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata dal «Politecnico» poteva anche funzionare. [...] Dopo la scomparsa delle lucciole. I «valori», nazionalizzati e quindi falsificati, nel vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di 69

colpo non contano più. [...] Gli uomini di potere democristiani sono passati dalla «fase delle lucciole» alla «fase della scomparsa delle lucciole» senza accorgersene. [...] Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto senza più limiti. [...] Gli uomini del potere democristiano hanno subìto tutto questo, credendo di amministrarselo. Non si sono accorti che esso era «altro»: incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà.9 9 In: Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli).

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L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.

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Alla mia Nazione Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico ma nazione vivente, ma nazione europea: e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti, governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino! Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti, tra case coloniali scrostate ormai come chiese. Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti, proprio perché fosti cosciente, sei incosciente. E solo perché sei cattolica, non puoi pensare che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male. Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.10 10 In: Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti, 1961.

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Conflitti

Il razzismo è un odio di classe inconscio. Si confronti il razzismo americano: esso è stato appunto, fino a oggi e ancora oggi, un odio di classe inconscio. Ma dal momento che i negri hanno incominciato a lottare e avere consapevolezza di sé come classe povera, l’odio razzistico, oscuro e indecifrabile, di sta trasformando in un chiarissimo e decifrabilissimo odio di classe. L’odio cioè che un borghese italiano prova per un comunista, non per un «terrone» o un carcerato (che è ancora oscuro e indecifrabile).

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Certe cose sono sconvolgenti e inaccettabili alla comune coscienza. La comune coscienza è inadattabile alle atrocità. E ci sarà pure qualche ragione. Forse perché essa, in realtà, le vuole. La comune coscienza prima non ha accettato le atrocità naziste, e poi ha preferito dimenticarle. [...] Certe cose atroci architettate o comunque volute dal Potere (quello reale non quello sia pur fittiziamente democratico) sono comunissime nella storia: dico comunissime: eppure alla comune coscienza paiono sempre eccezionali e incredibili.

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Con Anna Magnani, durante le riprese di Mamma Roma, nel 1960

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Non rinuncerò mai a nulla per la reputazione. Io spero che coloro che mi sono amici, o personali, o in quanto lettori, o come compagni di lotta (e nei cui occhi, lo so, cala un’ombra, ogni volta che la mia reputazione è in gioco: un’ombra che mi dà un dolore terribile) siano così critici, così rigorosi, così puri, da non lasciarsi intaccare dal contagio scandalistico: se così fosse, gli sconfitti sarebbero loro: se solo cedessero per un attimo e dessero un minimo valore alla campagna dei nemici, essi farebbero il gioco dei nemici. Non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.

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Finché perdura il sistema che si combatte (nella specie, il sistema capitalistico) esso non va considerato il male, perché anche sotto di esso c’è la realtà, ossia Dio. Infatti la realtà è infinitamente più estesa del sistema, ma il sistema è infinitamente più esteso di noi: e quindi, come il sistema non coprirà mai tutta la vita, noi non potremo mai giungere ai confini del sistema e scavalcarlo.

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Nella sua casa romana, nel 1973

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È triste. La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, figli. E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati... Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino, o tenera, per qualche malattia, come un uccellino; 79

i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, e lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare). Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici.

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Poteri

Strano a dirsi: è vero che i potenti sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro potere clerico-fascista, ma anche gli uomini dell’opposizione sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro progressismo e la loro tolleranza. Una nuova forma di potere economico (cioè la nuova, reale anima - se Moro permette - della democrazia cristiana, che non è più un partito clericale perché la Chiesa non c’è più) ha realizzato attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza. I giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno pagando questa falsità (il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto) nel modo più atroce.

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La Chiesa non può che essere reazionaria: non può che essere dalla parte del Potere; non può che accettare le regole autoritarie e formali della convivenza.

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Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra 83

industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.

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Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.11

11 Vedi nota 9.

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Che cos’è la cultura di una Nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile - o, per dir meglio, visibile - nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono state distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi - quasi di colpo, in una specie di Avvento - distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno inter86

classista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. [...] Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo «sviluppo»: produrre e consumare. L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti «moderati», dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere [...] è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma «totale» di fascismo. Ma que87

sto Potere ha anche «omologato» culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre. [...] Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.12

12 Pier Paolo Pasolini, Il potere senza volto. In: «Corriere della sera», 24 giugno 1974.

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Nella sua casa romana, nel 1971

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Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato «golpe» (e che in realtà è una serie di «golpe» istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del «vertice» che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di «golpe», sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli «ignoti» autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto 90

miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del «referendum». Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (at91

tentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio «progetto di romanzo», sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile. Tale verità - lo si sente con assoluta precisione sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo 92

esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del «Corriere della Sera», del 1° novembre 1974. Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi. Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi. Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi. Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non 93

è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. All’intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al «tradimento dei chierici» è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere. Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese 94

disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto «insieme» di dirigenti, base e votanti - e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un «Paese separato», un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da Nazione a Nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel «compromesso», realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: «compromesso» che sarebbe però in realtà una «alleanza» tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro. Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. 95

Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere. Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore. Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto. L’intellettuale deve continuare ad attenersi a 96

quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento. Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l’impotente intellettuale è tenuto a servire. Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi «formali» della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. 97

Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo «diplomaticamente» di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.13

13 In: «Corriere della Sera», 14 novembre 1974.

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In una borgata romana, nel 1959 99

Con Alberto Moravia e Laura Betti, in un ristorante romano, nel 1964

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Siamo tutti in pericolo L’ultima intervista, di Furio Colombo Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre, fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista. Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto» ha detto «Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo”». Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto 102

una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo... Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In grande l’esempio ce lo dà la Storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la Storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzio103

nare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo» non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici, a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava, una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo. Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco. Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci 104

sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). 105

Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro - o gli altri, i gruppi - ti vengono incontro o addosso - con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»? Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani? Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono. Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani. 106

Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo... È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno - se torno - ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità. E qual è la verità? Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’a107

rena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere. Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta? A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e 108

non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma. Come dire che hai nostalgia di quel mondo. No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei». Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse - se ha ancora un soffio di vita - in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la «situazione». È come quan109

do in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del «cantando sotto la pioggia». Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati. E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici. Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo). Ditemi voi una altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io 110

scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali. Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la repressione «più avanzata»... Che mi fa rabbrividire. 111

Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio? Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non solo qualche sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici 112

e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi. Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare? Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo. Pasolini, se tu vedi la vita così - non so se accetti questa domanda - come pensi di evitare il pericolo e il rischio? È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina». Il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia.14 14 In: «Corriere della sera», 1° novembre 1975.

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In una borgata romana, nel 1965

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I Turcs tal Friùl (I Turchi in Friuli), a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, 1976 (nuova edizione a cura di Andreina Nicoloso Ciceri, Società filologica friulana, 1995) Affabulazione-Pilade, presentazione di Attilio Bertolucci, Garzanti, 1977 Porcile, Orgia, Bestia da stile, con una nota di Aurelio Roncaglia, Garzanti, 1979 Teatro (Calderón, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile), prefazione di Guido Davico Bonino, Garzanti, 1988 Affabulazione, con una nota di Guido Davico Bonino, Einaudi, 1992 La sua gloria (dramma in 3 atti e 4 quadri, 1938), in «Rendiconti», 40, marzo 1996 Teatro, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, Mondadori, 2001 Bestia da stile, a cura di Pasquale Voza, Editrice Palomar, 2005 Saggi Paolo Weiss testo di Pasolini, con 34 tavole del pittore, Edizioni della Piccola Galleria, 1946 Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti, Milano 1960 (nuove edizioni Einaudi, 1985, con un saggio introduttivo di C. Segre, e Garzanti, 1994, con prefazione di A. Asor Rosa) I parlanti (1948) estratto da Botteghe Oscure, Roma 1951, ripubblicato in appendice all’edizione Einaudi di Ragazzi di vita, 1979 Donne di Roma con introduzione di Alberto Moravia, Il Saggiatore, 1960 Empirismo eretico, Garzanti, 1972 Scritti corsari, Garzanti, 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli). Volgar’eloquio, a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, 1976 Lettere luterane, Einaudi, 1976; con un’introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003

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Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Einaudi, 1979 (nuova edizione Garzanti, 1996, con una prefazione di Giampaolo Dossena) Il Portico della Morte, a cura di Cesare Segre, «Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini», Garzanti 1988. Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, saggio introduttivo di M. A. Bazzocchi ed Ezio Raimondi, Einaudi, 1993 I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, 1996 Poesia dialettale del Novecento, a cura di Mario dell’Arco e Pier Paolo Pasolini, introduzione di Pasolini, Guanda, 1952 (nuova edizione Einaudi, 1995, con prefazione di Giovanni Tesio). Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda, 1955 (nuova edizione Garzanti, 1972 e 1992) Pier Paolo Pasolini e il setaccio 1942-1943, a cura di Mario Ricci, Cappelli, 1977, con scritti di Roberto Roversi e Gianni Scalia (contiene i seguenti saggi pasoliniani: «Umori» di Bartolini; Cultura italiana e cultura europea a Weimar; I giovani, l’attesa; Noterelle per una polemica; Mostre e città; Per una morale pura in Ungaretti; Ragionamento sul dolore civile; Fuoco lento. Collezioni letterarie; Filologia e morale; Personalità di Gentilini; «Dino» e «Biografia ad Ebe»; Ultimo discorso sugli intellettuali; Commento a un’antologia di «lirici nuovi»; Giustificazione per De Angelis; Commento allo scritto del Bresson; Una mostra a Udine) Stroligut di cà da l’aga (1944) - Il Stroligut (1945-1946) - Quaderno romanzo (1947), riproduzione anastatica delle riviste dell’Academiuta friulana, a cura del Circolo filologico linguistico padovano, 1983 (contiene i seguenti saggi pasoliniani: Dialet, lenga e stil; Academiuta di Lenga Furlana; Alcune regole empiriche d’ortografia; Volontà poetica ed evoluzione della lingua) Saggi sulla letteratura e sull’arte, 2 voll., in cofanetto, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Cesare Segre, Mondadori, 1999 Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Piergiorgio Bellocchio, Mondadori, 1999 121

Filmografia Accattone (1961) Mamma Roma (1962) Ro.Go.Pa.G., episodio La ricotta (1963) La rabbia (1963), sua la regia della prima parte; la seconda è per la regia di Giovannino Guareschi Comizi d’amore (1964) Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1964) Il Vangelo secondo Matteo (1964) Uccellacci e uccellini (1966), è sopravvissuto anche uno spezzone muto del film, non inserito nel montaggio, che si intitola L’aigle - l’uomo bianco Le streghe, episodio La Terra vista dalla Luna (1967) Capriccio all’italiana, episodio Che cosa sono le nuvole? (1967) Edipo re (1967) Appunti per un film sull’India (1967-1968) Teorema (1968) Amore e rabbia, episodio La sequenza del fiore di carta (1968) Porcile (1968-1969) Appunti per un’Orestiade africana (1968-1969) Medea (1969) Il Decameron (1971) Le mura di Sana’a (1971) I racconti di Canterbury (1972) Il fiore delle Mille e una notte (1974) Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) Porno-Teo-Kolossal (1976) (incompiuto a causa della morte di Pasolini nel 1975)

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Sul set di Salò, nel 1975

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Con Ninetto Davoli, a Roma, nel 1968

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Edizioni Clichy Collana Sorbonne Volumi pubblicati Pier Paolo Pasolini. Urlare la verità - a cura di Pippo Delbono Sandro Pertini. Il presidente di tutti - a cura di Franco Cazzola Pablo Picasso. L’immaginazione al potere - a cura di Marco Fagioli

Volumi in preparazione Sylvia Plath. La ragazza di vetro - a cura di Leonetta Bentivoglio Francis Bacon. Inseguire i sensi - a cura di Matthew Spender Enrico Berlinguer. Una vita migliore - a cura di Tommaso Gurrieri Lorenzo Milani. Gli ultimi e i primi - a cura di Giovanna Ceccatelli Georges Simenon. L’indagine del vuoto - a cura di Ena Marchi Marcel Duchamp. La potenza del gesto - a cura di Renato Ranaldi John Fante. Fuori dalla polvere - a cura di Marco Vichi Samuel Beckett. La vita è assurda - a cura di Giancarlo Cauteruccio Christopher Isherwood. Il racconto della vita - a cura di Luca Scarlini Alcide De Gasperi. Costruire e ricostruire - a cura di Giuseppe Matulli Frank Lloyd Wright. Le linee e l’uomo - a cura di Francesco Gurrieri Bob Kennedy. L’altra America - a cura di Lapo Pistelli Carmelo Bene. Spezzate e moltiplicatevi - a cura di Fabrizio Parrini Antonio Gramsci. Morire per un’idea - a cura di Mario Caciagli Gandhi. Vincere senza violenza - a cura di Alberto L’Abate André Breton. Il reale è surreale - a cura di Maro Gorky Moana Pozzi. Eros e Tanatos - a cura di Pippo Russo