Pier Paolo Pasolini 8842494607, 9788842494607

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Pier Paolo Pasolini
 8842494607, 9788842494607

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Bi hl ioteca degli sc:rittori

Pier Paolo Pasolini ·

di Marco Antonio Bazzocchi

Bruno Mondadori

La "Bibliott>ca degli scrittori" è una collana di libri dedicati a chi studia t> legg�', a chi è curioso e a chi vuole essere infonnato in modo immediato ed esauriente. Per questa ragione ogni vo­ lume cont iene : un racconto biografico dedicato alla vita e al­ l" opera dello scrittore; un dizionario organizzato per voci (opt>rt>. t t>mL prnblemi, luoghi, argomt>ntL curiosità, date, rife­ riml'nti critiei): una bibliografia ragionata per orientarsi nel­ la ricen·a e negli apprn fondimenti L organizzazione intt>rna del volumr e la sua forma grafica (nomi in nert'tto. rinvii. c itazio ni) e la trattazione saggistica fanno di 'luesta collana 1111 ipl'n est o di cana • in cui muoversi in modo libero t> curioso. Pit>r Paolo Pa so lini ( 1 1}22-1 Q75 ) : la sua complessa personalità di poeta, scrittort", saggista. autore di teatro e regista è una del­ I .. piì1 co noseiutl' t" discusse del nostro secolo; una figura unica di idl'ntificazionl' tra letteratura e vita. .

"

Mareo Antonio Bazzocchi ha pubblicato un commento alle

Opt'rt'fte morali di Giacomo Leopardi (A. Mondadori, Milano 1 QQ1 ) ; uno studio su Giovanni Pascoli (Circe e il fanciullino,

La Nuova Italia, Firenze 1993) e ha curato la pubblicazione della tesi di laurea di Pier Paolo Pasolini (Antologia della lirica pascoliana, Einaudi, Torino l 993).

ISBN 88-424-9460-7

Lire 16.000

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Pier Paolo Pasolini di Marco Antonio Bazzocchi

Bruno Mondadori

© Edizioni Bruno Mondadori Milano, 1998 L'editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste vanno inoltrate a: Associazione Italiana per i Dirilli di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano, tel./fax 02/809506 Proge!!o grafico: Massa & Marti, Milano La scheda bibliografica è riportata nell'ultima pagina del libro.

Indice

Avvertenza Indice delle voci Vita di Pier Paolo Pasolini Dizionario Bibliografia Opere di Pier Paolo Pasolini Scritti su Pier Paolo Pasolini Altre opere citate Indice dei nomi

VII VIII l

41 211 214 225 227

Avvertenza

Questa collana intende dar vita a un modo nuovo, più agile e interessante, di scrivere le " introduzioni" ai gran­ di autori della letteratura italiana e straniera. La struttura dei volumi è presentata come una sorta di "ipertesto cartaceo" e si articola su tre livelli: l)

racconto di carattere biografico.

Nel testo, che descrive in modo disteso la vita e le opere dell'Autore trattato, compaiono di tanto in tanto delle parole, dei nomi, dei titoli o delle date, in neretto. Questi termini in neretto rimandano alla seconda parte del volume, dove si troverà quella voce. 2) dizionario. Questa parte, più consistente, contiene, in ordine alfa­ betico, tutte le voci in neretto del racconto biografico più molte altre atte a comporre un quadro, quanto più completo, dell'Autore e della sua opera, del suo tempo o delle sue relazioni. Alla base di questo dizionario c'è una voce per ogni opera dell'Autore (nel caso di un poe­ ta, una voce per ogni raccolta e per le poesie più impor­ tanti). Le voci possono riguardare anche singole parole, date o concetti. 3) bibliografia ragionata. Divisa in tre sezioni: a) le opere dell'Autore; b) una scelta ragionata dei libri, saggi e articoli sull'Au­ tore; c) l'elenco per esteso delle altre opere citate nel testo.

VII

Indice delle voci

Diarii (l) l Dal diario (1945-1947) 92 Discorso libero indiretto 93 Divina Mimesis (La) 97 Doppio 101

A Acca/Ione 43 Africa 46 Alì dagli occhi azzurri 48 Amado mio/Alli impuri 48 Appunti per un'Orestiade africana 5 1

E Edipo re 103 Empirismo eretico 107

B

Bestemmia 5 1 Bestia da stile 52 Bologna 54 Borghesia 57

F

Friulano 1 10

G

Gadda, Carlo Emilio 1 1 1

c

Callas, Maria 61 Calvino, Italo 62 Capelli 67 Casarsa (Pot•sie a Casarsa) 68 Ceneri di Gramsci (Le) 72 Centauro 77 Cinema 78 Comizi d'amore 80 Contini, Gianfranco 8 1 Corvo 83 Critica 83 D

Dante Alighieri 84

Descrizioni di descrizioni 90

I

Infinito 1 13 Intervista 1 14 L

Lei/ere luterane 1 1 6 Longhi, Roberto 1 1 6 M

Madre 1 1 8 Manierismo 12 1 Medea 125

Meglio gioventù (La) l Nuova gioventù (La) 127 Morante, Elsa 129 Morte 130

VIII

Salò o le centoventi giornate di Sodoma 168 San Paolo 171 Sceneggiatura 172 Scritti corsari 173 Sogno 176 Sogno di una cosa 179 Sole 180 Stroligut 1 82

N

Neoavanguardia 132 Ninetto 133 o

"Officina" 136 Omosessualità 1 3 8 p

Padre selvaggio (l/) 1 4 1 Padri 1 4 1 Paese di temporali e di primule (Un) 144 Pascoli, Giovanni 144 Passione e ideologia 144 Pedagogia 148 Petrolio 1 5 1 Poesia in /orma di rosa 154 Poesie 157 Portico della morte (l/) 158 Prato 158

T

Teatro 1 84 Teorema 187 «Teta veleta>> 189

Trasumanar e organizzar 190 Trilogia della vita 192 u

Uccellacci e uccellini 196 Ungaretti, Giuseppe 199 Usignolo della Chiesa Cattolica (L') 203

R

Ragav.i di vita 160 Religione del mio tempo (La) 162 Ricotta (La) 1 64 Rosada 1 65

v

s

z

Vita violenta (Una) 205 Volgar' eloquio 206

Sacro 1 65

Zanzotto, Andrea 208 IX

Una guida, per quanto sintetica, nasce da sollecitazioni, aiuti, correzioni. Qui, alla voce " ringraziamenti" si devono registrare: Marco Belpoliti, Federico Chiara, Maura Murizzi, Loretta Russo.

Vita di Pier Paolo Pasolini

1 922- 1 940. Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922 a

Bologna. Nel 1 9 1 5 , primo anno di guerra, il tenente di fanteria Carlo Alberto Pasolini ( 1 892- 1 958), discenden­ te da una nobile famiglia ravennate, viene inviato in Friuli e qui, a Casarsa della Delizia, conosce Susanna Colussi ( 1 89 1 - 1979), che ha un anno più di lui e appar­ tiene a un'antica famiglia contadina. Tra Carlo Alberto e Susanna non sembrano esserci molte affinità: lui è sta­ to educato al senso del dovere, a esibire uno spavaldo contegno virile sostenuto da una coscienza di classe agiata, secondo quelli che saranno poi i principi della più pura ideologia fascista; lei, maestra, ama la poesia, le letture, e non nasconde frivole ambizioni. Quando Susanna si trova incinta, per nascondere il disonore vie­ ne mandata da alcuni parenti nel Mantovano, dove par­ torisce un maschio, Carluccio, che però muore dopo tre mesi. Finita la guerra si arriva al matrimonio, forse per le insistenze di Carlo Alberto, amante appassionato, forse perché Susanna ha raggiunto i trent'anni, è di nuovo incinta e non le sono capitate occasioni migliori. U 22 dicembre 1 92 1 , nella casa dei Colussi a Casarsa, vengono festeggiate le nozze. Di lì a qualche mese nasce a Bologna Pier Paolo e nel 1 925, a Belluno, Guido Alberto. All'interno di un diffi­ cile equilibrio di affetti, l'amore che Susanna non sem­ bra concedere al marito - innamorato ma irruento e op­ pressivo - si riversa sui due figli ai limiti del morboso: in particolare Pier Paolo, al momento della nascita di Guido, ha maturato nei confronti del padre l'antagoni­ smo e la rivalità che caratterizzeranno il poeta adulto e il moralista ami-borghese nei confronti del Potere co­ stituito (---+ Padri) . Con Dacia Maraini, in un'intervista l

Pier Paolo Pasolini degli anni settanta, Pasolini fa coincidere con il terzo anno di età il mutamento del suo rapporto con il padre: «Nei primi tre anni della mia vita per me lui è stato più importante di mia madre. Era una presenza rassicuran­ te, forte. Un vero padre affettuoso e protettivo. Poi im­ prowisamente, quando avevo circa tre anni, è scoppia­ to il conflitto». Già in questa prima, primissima fase della vita, ai dati della biografia si sovrappongono le deformazioni e i filtri culturali che lo stesso Pasolini ela­ borerà nelle confessioni private (i cosiddetti "Quaderni rossi") e nelle opere. Un punto di crisi risale al periodo di Belluno, quando la nascita di Guido crea le prime an­ gosce connesse alla scoperta della procreazione, alle fantasie mortuarie e al turbamento che proviene dalla vista della parte interna delle gambe maschili (sarà poi il simbolo denominato «teta veleta»). A causa dei frequenti trasferimenti paterni, i Pasolini sono costretti ad altrettanti spostamenti in varie località del nord-Italia (da Belluno a Conegliano, poi di nuovo in Friuli, poi a Cremona, a Scandiano, e infine a Bolo­ gna). Il paesaggio di Casarsa, con il Tagliamento, i mon­ ti della Carnia e la vita dei campi rimane però il rifugio accogliente di ogni periodo di vacanza della famiglia, oltre che il luogo privilegiato di un'innocenza e di una primordialità sempre presenti nelle prime prove poetiche del giovane Pasolini. . Le ricostruzioni posteriori fanno risalire a Sacile, in ter­ za elementare, i primi versi di cui restano nella memo­ ria solo due parole di stampo petrarchesco, rosignolo e verzura, forse acquisiti dalle poesie che la madre com­ pone e poi gli recita piuttosto che dalla lettura diretta di Petrarca: « [. . . ] contrariamente a ciò che sarei stato da uomo, da bambino ero selettivo ed aristocratico lingui­ sticamente: petrarchesco» (Il sogno del centauro, p. 11). Agli esami di quinta viene rimandato in italiano perché il tema sa di "imparaticcio " . Frequenta il ginnasio a Co­ negliano, poi a Cremona e a Reggio Emilia, che rag­ giunge in treno da Scandiano. La stessa memoria del­ l' autore colloca a Cremona la scoperta angosciosa del rapporto tra realtà e rappresentazione, quando studen2

Vita te tredicenne rapito dalla lettura dell'Iliade cerca di di­ segnare lo scudo d'Achille; nei "Quaderni rossi" del 1 946 la descrizione deli' episodio porta subito a una considerazione di poetica "primitivista" , dove si mesco­ lano passione per la realtà e sentimento artificiale del­ l'arte, due poli opposti che ritorneranno sempre affian­ cati, fino alle teorie cinematografiche: «A me allora si proponeva il fatto della rappresentazione come qualco­ sa di terribile e di primordiale, appunto perché in uno stato di purezza: l'equivalente doveva essere definitivo. Davanti al problema di riprodurre un prato ammattivo. La questione per me era questa: occorre che io disegni tutti i fili d'erba? Non sapevo allora che riempiendo col pastello verde un'intera zona avrei ottenuto la massa del prato e che questa sarebbe stata una scusa sufficiente per lasciar negletti i fili d 'erba». Nel 1936, con l'arrivo a Bologna (in via Nosadella), av­ viene l'iscrizione al liceo, primo luogo di una formazio­ ne borghese e ideologica. Al liceo classico Galvani, Pasolini si distingue negli stu­ di ma non dimentica la passione per lo sport, soprattut­ to il calcio e la bicicletta. Si lega a Franco Farolfi, Ermes Parini (detto Paria), Agostino Bignardi, Sergio Telmon ed Elio Melli: alcuni di loro, molti anni dopo, si riin­ contreranno con l'autore in una trasmissione televisiva di Enzo Biagi ( Terza B facciamo l'appello), in cui vengo­ no rievocati soprattutto i rapporti con la cultura fascista e le atmosfere della Bologna anteguerra. In quegli anni, forte di un carisma già notevole, Pasolini induce i suoi compagni alla lettura del Circolo Pickwick, di Taras' Bulba, dell'Idiota, nonché alla scoperta del cinema di John Ford. Grazie a un supplente di storia dell'arte, Antonio Rinaldi, Pasolini realizza !'" incontro" con il poeta Rirnbaud: nella mitologia personale ciò costituirà la presa di coscienza definitiva dell'antifascismo e della maturazione politica (e saranno le poesie di Rirnbaud, in mano a Terence Stamp, a rappresentare in Teorema la forza dirompente e sacra della poesia). Nel l939 si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università di Bologna e segue senza entusiasmo i corsi di Carlo 3

Pier Paolo Pasolini Calcaterra (il professore di Letteratura italiana) sulla poesia di Alfieri e l'anno successivo sulle Rime del Tas­ so minore. Intanto legge i poeti contemporanei (il Mon­ tale delle Occasioni, Ungaretti, i Lirici greci di Quasi­ modo, ma anche Betocchi e Luzi, Gatto e Sereni), Freud, e si apre al cinema (René Clair, Renoir, Chaplin) e alla musica (Beethoven e Bach) . Nell'estate del 1940 le vacanze in Cadore e poi in Friuli sono testimoniate dal primo gruppo di lettere a Franco Farolfi, dove co­ minciano a essere registrati anche alcW1i esperimenti poetici ( "L'incantatore di serpenti " , e poi "ll flauto ma­ gico"). 1 941-1949. Nel 1941 si verificano alcuni mutamenti di gusto: le lezioni di storia dell'arte di Roberto Longhi (i]

famoso corso su Masolino e Masaccio), e l'amicizia con Luciano Serra - già conosciuto al ginnasio di Reggio Francesco Leonetti e Roberto Roversi, inducono Faso­ lini a risalire verso le origini della tradizione letteraria, progettando addirittura una rivista dal titolo significati­ vo di " Eredi" con il contributo degli amici suddetti. ll periodico avrebbe dovuto rappresentare la continuità della poesia classica filtrata attraverso i moderni Unga­ retti, Montale, Sereni; alle dichiarazioni programmati­ che non fece però seguito alcuna realizzazione concreta. Intanto il padre è richiamato in guerra: il tenente Faso­ lini lascia Bologna per l'Africa orientale italiana desti­ nazione Gondar (padre «gondarino» lo chiamerà poi il figlio) , dove sarà fatto prigioniero dagli inglesi. Nello stesso anno, durante le vacanze a Casarsa, Fasoli­ ni conosce il pittore Federico De Rocco, allievo di Saet­ ti, che gli insegna a dipingere. Alcuni paesaggi " alla De Fisis" saranno i primi prodotti di questa esperienza, poi caratterizzata da famosi autoritratti (quello del 1 946, con la sciarpa, e quello del 1947, con il fiore in bocca). Il 14 luglio 1 942 Fasolini pubblica a proprie spese, stampato dalla libreria antiquaria di Mario Landi, un volumetto di 46 pagine in 300 copie, più 75 fuori com­ mercio: si tratta di Poesie a Casarsa (� Casarsa), dedi­ cate " a mio padre" nel frontespizio, ma scandalosamen4

Vita te scritte nel dialetto materno. Di scandalo introdotto negli annali della letteratura italiana parla, appunto, Gianfranco Contini nella recensione al libretto del 24 aprile 1 943 sul "Corriere del Ticino" (l'operazione pa­ soliniana conferisce coraggiosamente in èra fascista la dignità della lingua scritta al dialetto «di poveri conta­ dini eccentrici, o, per lo meno, ignari dell'esistenza idealistica del centro»), e vi rintraccia i segni di una raf­ finatezza poetica affatto inferiore a quella degli antichi linguaggi provenzali. Dalla recensione di Contini ha origine anche una delle più tenaci genealogie culturali volute da Pasolini, quella che vede il grande critico nel­ la posizione di «un padre da non contestare mai», se non negli ultimi anni, quando uscirà a nome di Contini un'antologia del Novecento dalla quale Pasolini dissen­ tirà con durezza. In una ricostruzione degli anni sessanta ( ''Dal laborato­ rio", poi in Empirismo eretico), la prima poesia dialetta­ le nasce in una mattina d'estate del l 94 1 , quando sulla bocca di un ragazzo friulano risuona la parola " rosada", parola che possiede tutto il fascino di un suono mai fis­ sato prima sulla pagina. Secondo il precetto pascoliano del "fanciullino", il gesto poetico è imparentato con l'atto di Adamo di nominare per la prima volta le cose. Il giorno dopo verrà composto Il nini muàrt, l'epigrafe narcisistica a tutto il mondo di Casarsa. Ma non appena il mondo friulano entra nella poesia, Pasolini sembra volersi sbilanciare sul versante della tradizione letteraria in lingua, ripescando i classici da Petrarca a Foscolo, ed esplorando la lingua ottocentesca fino agli estremi della dissoluzione formale sperimentata da Pascoli. Poiché tutte le grandi città italiane sono funestate dai bombardamenti, in agosto Pasolini si trasferisce con la madre a Casarsa, intenzionato a rimanervi fino all a fine della guerra. Collabora intanto alla rivista " Il Setaccio" della Gil bolognese (Gioventù italiana del littorio) che ospita traduzioni da Saffo, Goethe, Holderlin - a cura di Giovanna Bemporad -, da Machado e da Baudelaire, ma si occupa anche di musica, cinema, arte, poesia. In questa sua prima officina Pasolini pubblica versi friula5

Pier Paolo Pasolini ni e dialoghi in versi italiani che anticipano il clima de L'usignolo della Chiesa Cattolica, ma recensisce anche Ungaretti, Luzi, e l'Antologùz dei lirici nuovi curata da Luciano Anceschi. In anni di crisi morale e bellica comincia a profilarsi il ruolo dell'intellettuale e dello scrittore, investito di una funzione civile ma anche, necessariamente, voce isolata: dopo aver partecipato ai raduni della gioventù fascista a Firenze e a Weimar (autunno 1 942) , e nelle collabora­ zioni bolognesi al " Setaccio" e ad "Architrave", rivista del Guf (Gioventù universitaria fascista), Pasolini insi­ ste sulla necessità di una ricerca artistica e morale per­ seguita in solitudine, senza il supporto anacronistico di riviste o di correnti: «Questa solitudine poetica, questa tu"is eburnea esiste: ma non è peccato. Non è peccato perché dal deserto che è nostro - dove siamo soli - noi non deviamo, sbandati da un'incomposta, retorica pietà verso gli uomini che ci sono intorno, ma piuttosto li as­ sumiamo, parte della nostra stessa natura, ad un amore che da egoistico - senza tradirsi, ma anzi rimanendo fer­ mo nella tradizione della sua unica esistenza - diviene civile» (Ragionamento sul dolore civile) ( � Infinito). Del 1 942 è anche il progetto di tesi con Roberto Lon­ ghi, il maestro poi celebrato come una specie di fanta­ sma che appariva nella «piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra)» di via Zamboni, e faceva scorrere sui muri magiche apparizioni di for­ me, quasi un Prospero shakespeariano signore di «un'i­ sola deserta, nel cuore di una notte senza più luce». Ac­ cantonate le ipotesi sulla Gioconda ignuda di Leonardo o sul pittore veneto Pomponio Amalteo, le ricerche si orientano sulla pittura contemporanea italiana. TI 1 943 è ricordato da Pasolini, che vive con la madre e il fratello a Casarsa, come «uno degli anni più belli del­ la mia vita)), È l'anno della consapevolezza omosessua­ le, guidata dall'amicizia con il più giovane ma esperto Bruno, complici le rive del Tagliamento ( � Omoses­ sualità). A Casarsa giunge una giovane violinista slove­ na, Pina Kalc, che si innamora di Pasolini e gli fa cono­ scere le sei suonate per violino di Bach, usate spesso 6

Vita come colonna musicale nei film futuri (nella suonata detta il "Siciliano" Pasolini individua la lotta «cantata impassibilmente» tra la Carne e il Cielo) . Sono anche i mesi di una crisi esistenziale consumata con letture di Pascal e degli esistenzialisti. A Franco Farolfi: «Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni bat­ tere di campane, mi viene gettato contro il cuore feren­ domi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro». Il l o settembre è a Pisa per la chiamata alle armi, 1'8 il suo reparto viene catturato dai tedeschi a Livorno. Con una fuga " romanzesca" («Avevo il fucile con la sicura tolta per far fuoco contro i Tedeschi» scriverà a Lucia­ no Serra), riesce a sfuggire a un mitragliamento aereo e a tornare a Casarsa. Il materiale raccolto per la tesi è stato però smarrito a Pisa: Pasolini abbandona l'idea della laurea in storia dell'arte (anche se i primi tre capitoli, su Carrà, De Pi­ sis, Morandi erano ormai scritti) - complice la sospen­ sione di Longhi dall'insegnamento in seguito al suo ri­ fiuto di prestar fede alla Repubblica federale italiana e si rivolge a Carlo Calcaterra, docente di Letteratura italiana, per un'antologia critica della poesia pascoliana. Su questo poeta moderno, ma anche fastidiosamente tradizionale, si eserciteranno i discorsi di "filologia e morale" del giovane Pasolini. Il 1943 è anche l'anno della lettura di Dilthey, di Scho­ penhauer, dell'Immoraliste di Gide, de L'uomo al punto di Daniello Bartoli, dei tre Saggi sulla sessualità di Freud, dei Canti di Maldoror, dove si profila il simbolo eversivo del Cristo crocefisso che ispira i primi versi dell Uszgnolo della Chiesa Cattolica. Il saggio di Enzo Paci sull'esistenzialismo illumina a Pasolini nuovi oriz­ zonti poetici, dove siano coniugate filosofia e immagini, logica e angoscia di vivere. A San Giovanni, alla fine di settembre del 1 943 , in una casa abbandonata a due chilometri da Casarsa, Pasolini apre una scuoletta privata per supplire alle difficoltà di molti studenti a raggiungere il ginnasio di Udine sotto le incursioni aeree: a lui compete l'insegnamento della '

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Pier Paolo Pasolini letteratura, a Cesare Bortotto scienze, a Riccardo Ca­ stellani matematica e materie tecniche, all'amica Gio­ vanna Bemporad - una delle prime a condividere il drammatico peso della " diversità " di Pasolini - il greco e l'inglese. A novembre il Proweditorato di Udine or­ dina la chiusura della scuola: gli insegnanti decidono di continuare le lezioni nella sala da pranzo di Pasolini, dove vengono spiegati i classici italiani e inglesi, i canti tradotti dal Tommaseo e, finalmente, i poeti friulani. Nel 1 944 (aprile e agosto) escono i primi due numeri del "Stroligut di cà da l'aga " , rivista di poesia friulana diretta dallo stesso Pasolini e ideata con Cesare Borrot­ to e Renato Castellari. Nella scuola di Versuta, intanto, ha avuto luogo una nuova esperienza pedagogica, forse la più estrema, in cui la tensione erotica si mescola al­ l'entusiasmo dell'insegnamento. Ne rimarranno tracce nel racconto Romàns, segmento autonomo del sempre progettato romanzo friulano, e nel dramma Il cappella­ no: in ambedue viene scelta la figura di un prete {letto­ re di san Paolo, ma anche di Cocteau) a rappresentare purezza di ideali e turbamento della carne. Pasolini mo­ strerà la stessa alternanza nella favola teatrale I fanciulli e gli elfi, messa in scena all'inizio del 1 94 5 (subito dopo la morte del fratello Guido) con l'aiuto dell'onnipresen­ te Pina: in questa specie di allegoria pedagogica si rac­ conta come con l'aiuto di uno Zio buono i fanciulli sot­ traggono gli Elfi dall'influsso negativo di un Orco mal­ vagio (� Pedagogia). Intanto, la lettura dei Canti del popolo greco di Niccolò Tommaseo, ispirati a una coralità e ad un mondo arcai­ co ideale, ha dato ulteriore vigore agli esperimenti " re­ gressivi" . Dopo Poesie a Casarsa viene scritto, nella pri­ mavera del 1 944, I tures tal Friul, testo teatrale in dia­ letto che presagisce tragicamente la morte del fratello con la figura del giovane Meni Colùs, pronto a sacrifi­ carsi per difendere il proprio paese dagli invasori turchi. L'atmosfera funebre del dramma corrisponde alla "con­ dizione disumana" di cui si parla nei "Quaderni" : «La solitudine, l'orgoglio, l'orrore della morte, erano una sovrastruttura che mi trasformava e mi peggiorava». 8

Vita Nella strage di Porzùs, il 12 febbraio 1 945, alcuni par­ tigiani italiani, comunisti filo-sloveni che volevano an­ nettere i territori friulani alla Slovenia, tendono un 'im­ boscata ai partigiani della divisione "Osoppo-Friuli" (vicina al Partito d'Azione), contrari invece all' annes­ sione. Guido viene ucciso con i suoi compagni: «Non ha potuto sopravvivere al suo entusiasmo», dirà Pier Paolo. La notizia ufficiale della morte arriva alla fami­ glia solo in maggio. A Guido sarà dedicato il volume in versi italiani Poesie (le ultime tre parlano di un nuovo amore, Tonuti Spagnoll, e il trauma della sua morte pre­ coce percorrerà, nel motivo del "morto giovanetto" , tutta la produzione successiva d i Pasolini ( � Morte) . n 1 8 febbraio a Versuta si fonda l'" Academiuta di len­ ga furlana " , con gli amici e alcuni degli studenti. L'atto costitutivo recitava: «n Friuli si unisce, con la sua steri­ le storia, e il suo innocente, trepido desiderio di poesia, alla Provenza, alla Catalogna, ai Grigioni, alla Rumenia, e a tutte le Piccole Patrie di lingua romanza» ( � Stroli­ gut).

E più oltre: «Lavoriamo anche noi, con la nostra picco­ la lingua, per una piccola eternità; e, almeno per pochi vorremmo vedere riconsegnati nel suono di certi nomi così poveramente particolari ( '' mari " , " pais " , " camp" . . . ) quelle immagini universali e assolute, che dalle sue nati­ ve condizioni, l'uomo, pur attraverso quella sua storia irrisolta, non ha mai perduto di vista». L"'Academiuta" promuove incontri culturali e proie­ zioni di film (Fritz Lang, Roma città aperta . ) , oltre a incoraggiare sperimentazioni poetiche di giovani friula­ ni. Tra questi si distingue Nico N aldini, cugino di Faso­ lini per parte di madre e da lui subito indotto alla lettu­ ra di Dedalus di Joyce, del saggio su D'Annunzio di Al­ fredo Gargiulo, alla conoscenza della poesia di Penna e Montale, di Sereni, di Caproni e di Ungaretti. n 30 ottobre Pasolini aderisce all'associazione autono­ mista Patrie tal Friul, fondata dall'avvocato cattolico Ti­ ziano Tessitori, ma nell'intervento sul dibattito per la promozione a provincia di Pordenone chiarisce la pro­ pria idea di autonomismo regionale, fattore di progres..

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Pier Paolo Pasolini so sociale e civile piuttosto che incentivo ai sentimenta­ lismi di campanile o di vernacolo. Quando l'associazio­ ne si trasforma nel Movimento popolare friulano (Mpf) , con alla testa lo studioso del folclore Gianfranco D'A­ ronco e il sacerdote don Giuseppe Marchetti, Pasolini si dichiara disponibile e partecipa alla propaganda, an­ che se poi le sue letture linguistiche e marxiste lo por­ tano a cercare per il Friuli una presa di coscienza stori­ ca al di fuori del campanilismo e dei culti provinciali per il dialetto: il 25 febbraio 1948 comunicherà le sue dimissioni a D'Aronco e verrà subito attaccato da don Marchetti. Nel frattempo, il padre ritorna dal Kenya, violando la nuova «sconfinata intimità» che Pier Paolo ha stabilito con la madre dopo la perdita di Guido, e si trova co­ stretto a una nuova prigionia: quella di vivere in un pae­ se non più fascista, con un figlio militante comunista e un altro figlio morto nella lotta contro il fascismo, non più nella borghese Bologna ma nella contadina (e osti­ le) Casarsa. Nel settembre del '45 Pier Paolo Pasolini torna a Bolo­ gna per dare gli ultimi esami (tra cui quello di Storia dell'arte con l'assistente di Longhi, Francesco Arcange­ li) e il 26 novembre si laurea in Lettere con il massimo dei voti e la lode discutendo la tesi A ntologia della liri­ ca pascolzana - Introduzione e commenti. Al di là di un autobiografismo di fondo, che fa sì che Pasolini indivi­ dui in Pascoli una sorta di controfigura con cui misu­ rarsi, l'idea critica sostenuta dal sensibilissimo lettore è che la continua oscillazione di Pascoli tra il gusto ro­ mantico per la lingua parlata e la nostalgia per il discor­ so, la sintassi e l'altezza della lingua classica - esempli­ ficati negli estremi anche temporali delle Myricae e dei Convivzali sia alla radice di un simbolismo poetico tutto moderno: Pascoli «ha rinunciato al canto dei clas­ sici, dove i nomi universali (io, morte, eterno) non sono allusi, ma pronunciati in un discorso in prima persona, e cerca invece una musica esterna per i suoi fantastici particolari, c�e sottintende quei nomi, quegli oggetti universali». E la traduzione critica delle meditazioni -

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Vita poetiche e personali maturate da Pasolini negli anni della guerra e che egli protrarrà fino al primo numero di "Officina", anche se non realizzerà mai il progetto di un'antologia pascoliana. Nel 1 946 esce per le Edizioni dell' Academiuta una nuo­ va raccolta poetica, I Diarii, nata da un'esperienza este­ tica che è il rovescio di un'esperienza mistica. Una poe­ sia della raccolta verrà scelta da Montale e pubblicata sul " Mondo": è il primo segno di un rapporto con la cultura italiana " ufficiale" . Pasolini non dimentica però la ricerca dialettale e fa uscire di nuovo sullo "Stroligut" di aprile la vecchia recensione di Contini al suo primo libro, con il titolo Al limite della poesia dialettale. In aprile compie una gita a Roma, ospite dello zio Gino: scrive a Tonuti e rimpiange Casarsa. Al ritorno, in mag­ gio, inizia a scrivere un diario, i " Quaderni rossi" : dopo successive stesure, l'opera diventerà, mantenendo la forma del diario-confessione, Atti impuri, pubblicata da Garzanti nel 1 982 insieme al rifacimento più obietti­ vo e romanzesco dal titolo Amado mio. Dal 1947 al 1 949 Pasolini insegna lettere nella scuola media di Valvasone, poco distante da Casarsa: il giova­ ne laureato entusiasma allievi e genitori con i suoi espe­ rimenti di pedagogia attiva, così ricordati da Andrea Zanzotto: «Lui faceva il giardinetto nel cortile della scuola e insegnava i nomi latini delle piante; disegnava i cartelloni con le figure colorate e inventava favole come quelle del mostro Userum, perché i ragazzini si diver­ tissero a imparare le terminazioni degli aggettivi, us er um)). Tra il 1 946 e il 1 947 sui giornali del dopoguerra come "Libertà" (quotidiano del Comitato di liberazione di Udine) e "Il mattino del popolo" di Venezia escono al­ cuni suoi frammenti narrativi di ambientazione friulana, spesso ispirati a una poetica tardosimbolista che com­ prende Proust e Gide: sono le prove di una più ampia organizzazione romanzesca che si realizzerà solo con il passaggio a Roma. Al centro di queste prose ( " Foglie­ Fuejs " , " Lo specchio insistente", "Un mio sogno ", "Di questo lontano Friuli", "Gli angeli distratti", "0, la Il

Pier Paolo Pasolini trappola" , "I colori della domenica", "Da Udine a Ca­ sarsa" , "Diario di un insegnante" , "La lingua di San Fio reano " , "Il coetaneo ideale e perfetto " ) , oggi quasi tutte raccolte da N aldini in Un paese di temporali e di primule, c'è la rappresentazione del rapporto con il mondo friulano, filtrata attraverso il linguaggio e la co­ scienza dei suoi abitanti. C'è un'ossessione che ritorna: lo scrittore si chiede come poter entrare nella coscienza di un suo coetaneo proveniente da una famiglia conta­ dina. La via del dialetto gli sembra per ora l'unica solu­ zione praticabile. È l'inizio della meditazione teorica sul "discorso libero indiretto", poi ripresa e sviluppata in Empirismo eretico. Altri interventi (''Che cos'è dunque il Friuli? ", "Aspira­ zioni friulane" ) sfruttano i dati linguistici in direzione politica, impostando il problema dell 'autonomia regio­ nale; l'ideologia comunista è identificata come un mez­ zo per raggiungere, attraverso dati irrazionali, una co­ scienza storica. A rinsaldare questo rapporto tra ricerca linguistica e programmi politici interverrà, nell'ottobre del l947 , la lettura di un saggio su Tommaseo di Conti­ ni, in cui l'intellettuale dalmata viene descritto nel suo rapporto tra passioni dialettali e tormenti etici. Intensa è poi l'attività pubblica: nel 1 947 Pasolini si iscrive al Pci e diventa segretario della sezione di S. Giovanni; è tra i fondatori della Federazione provincia­ le comunista di Pordenone; va a Parigi per il Congresso della pace ( 1 949), realizza numerosi murali propagan­ distici in lingua e in dialetto. Nel 1 948, sull'onda emotiva delle lotte contadine per l'applicazione del Lodo De Gasperi (un prowedimento dello Stato teso a garantire posti di lavoro ai disoccupa­ ti e aiuti ai mezzadri che avevano subito danni di guer­ ra) scrive I giorni del Lodo De Gasperi, che diventa La meglio gioventù - titolo poi passato alla raccolta di ver­ si friulani - e infine //sogno di una cosa. A proposito della sua fede politica, scriverà: «Ciò che mi ha spinto ad essere comunista è stata una lotta di braccianti friu­ lani contro i latifondisti, subito dopo la guerra. Io fui coi braccianti. Poi lessi Marx e Gramsci». 12

Vita Dal sodalizio con il pittore Giuseppe Zigaina (cono­ sciuto a Udine nel 1945 in occasione di una mostra col­ lettiva in cui esponevano entrambi) nasce Dov'è la mia patria, un volumetto di poesie friulane accompagnate da stampe di disegni dell'amico: gli slanci morali del "parlante" casarsese si affiancano al postcubismo epico della pittura di Zigaina. Il 22 ottobre 1949 tutte le paure e le ossessioni dei me­ si precedenti prendono forma concreta; Pasolini viene denunciato. Qualche settimana prima (precisamente, la sera del 30 settembre), a Ramuscello, frazione di Cor­ dovado, si è appartato con tre ragazzi dietro i cespugli, durante una sagra paesana. Una veloce indagine dei ca­ rabinieri fa conoscere i fatti e il pretore di San Vito al Tagliamento imputa il giovane insegnante di corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico. Di fronte al maresciallo che lo interroga il 22 ottobre, l'imputato parla esplicitamente di un'esperienza erotica nata sulla suggestione letteraria di un romanzo omosessuale (vie­ ne fatto il nome di Gide) . Il 28 ottobre i giornali pub­ blicano la notizia e il giorno dopo "l'Unità" annuncia con questo corsivo la sua espulsione dal Pci: «Prendia­ mo spunto dai fatti che hanno determinato un grave prowedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora un volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà rac­ colgono i più deleteri aspetti della degenerazione bor­ ghese». A Ferdinando Mautino della Federazione di Udine Pasolini risponde: «Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico della parola». Lo scandalo (omosessuale oltre che sessuale) segna da questo momento in poi ogni passo di Pasolini: perde immediatamente la cattedra a Valvasone e rinuncia, per cause di forza maggiore, anche all'insegnamento priva­ to; abbandona l'attivismo politico; alla disperazione materna si aggiunge la riprovazione del padre, le cui cri­ si nervose esasperano l'atmosfera famigliare. U 28 gen­ naio 1950, alle cinque del mattino, solo con la madre, 13

Pier Paolo Pasolini Pasolini lascia il Friuli per Roma. Nel l 970 rievocherà il fatto con una leggera modificazione, come spesso suc­ cede nei suoi ricordi autobiografici: «Nell'inverno del '49 [. .. ] fuggii con mia madre a Roma, come in un ro­ manzo». 1950-1960. Il trasferimento nella capitale si presenta

con tutto l'effetto traumatico e rigenerante di una nuo­ va nascita. Senza prospettive per il futuro e senza più legami con il passato, per Pasolini si acuisce all'estremo quella sensazione di libertà assoluta che aveva caratte­ rizzato gli ultimi anni di Casarsa. Dall a sua stanza d' af­ fitto in piazza Costaguti, vicino al ghetto, nei pressi del­ la chiesa di Cola di Rienzo, scrive all'amica Silvana Mauri, nipote dell'editore Valentino Bompiani e confi­ dente intima di tutti questi anni: «Qui a Roma posso trovare meglio che altrove il modo di vivere ambigua­ mente, e nel tempo stesso, il modo di essere compiuta­ mente sincero, di non ingannare nessuno. [. . ] Ciò che adesso mi sta più a cuore è essere chiaro per me e per gli altri: di una chiarezza senza mezzi termini, feroce. È l'unico modo per farmi perdonare da quel ragazzo spa­ ventosamente onesto e buono che qualcuno in me con­ tinua a essere [. .. ] Credo dunque che resterò a Roma questa nuova Casarsa - tanto più che non ho intenzio­ ne non solo di conoscere, ma neanche di vedere i lette­ rati, persone che mi hanno sempre atterrito perché ri­ chiedono sempre delle opinioni, mentre io non ce n'ho. Ho intenzione di lavorare e di amare, l'una cosa e l'al­ tra disperatamente». Nonostante l'appoggio di alcuni amici e di uno zio è co­ munque faticoso trovare lavoro, tanto che la madre Su­ sanna si impiega come domestica a tutto servizio presso una famiglia di architetti. Pasolini frequenta come com­ parsa gli studi di Cinecittà finché non arrivano le prime collaborazioni giornalistiche: allora fa il correttore di bozze, pubblica racconti e recensisce libri su giornali cattolici e di estrema destra come " Il Quotidiano", " Il Popolo di Roma " , " La Libertà d'Italia" (firmandosi tal­ volta con lo pseudonimo Paolo Amari). .

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Vita Il primo articolo, su "La Libertà d'Italia" del 9 marzo, è una recensione alle Favole della dittatura di Leonardo Sciascia Oa forma irreale ed ermetica della fiaba viene adottata per condannare l'abiezione della dittatura), se­ guita poi, sul "Popolo" del 28 settembre, da un discor­ so su Penna (Penna, come Rimbaud, ribelle infantile e assolto): questi frammenti velocissimi di critica corri­ spondono, secondo l'abitudine già sperimentata sulle riviste friulane, al versante razionale di un discorso nar­ rativo e introspettivo che comincia a rovesciarsi sull'e­ steriorità della vita romana. Il vitalismo delle borgate contagia non solo le abitudini erotiche, ma anche la scrittura: su " Il Mondo" e su " La Fiera letteraria " Pasolini pubblica racconti in cui com­ pare l'idioletto dei " ragazzi de vita " , anche se limitato a qualche piccolo brandello di dialogo. Ora il dialetto non serve più a esprimere un mondo poetico fortemen­ te artificiale, come avveniva con il friulano, ma si fa tra­ mite dello scontro violento con una realtà nuova e sconvolgente. Alcune di queste prose confluiranno poi nel volume Alì dagli occhi azzurri; altre, come "La ron­ dinella del Pacher", ancora di ambiente friulano, antici­ pano episodi e atmosfere del primo romanzo romano che vedrà la luce nel 1 954. Sul fronte poetico, Pasolini scrive alcune poesie dove si rappresenta, secondo un immaginario già friulano, come un cadavere - fantasma che vaga nelle periferie romane: saranno poi raccolte in Roma 1950, diario e pubblicate dall'editore Scheiwiller nel 1 960. Conosce Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Ber­ tolucci, Giorgio Bassani (redattore di "Botteghe Oscu­ re" , rivista di letteratura internazionale in cui Pasolini pubblicherà nel 1 95 1 , nel n. Vlll, "I parlanti " , una sorta di meditazione teorica ispirata a Proust sulla ricerca linguistica nel mondo casarsese) , Libero Bigiaretti, En­ rico Falqui, Carlo Muscetta. Nel dicembre del 1 950 si celebra il processo per i fatti di Ramuscello: Pasolini viene condannato a tre mesi con la condizionale, ma ricorre in appello. A giugno dell'anno successivo " Paragone" , la rivista di 15

Pier Paolo Pasolini letteratura diretta da Roberto Longhi e da Anna Banti, pubblica il racconto Il/errobedò, che diventerà il primo capitolo di Ragazzi di vita. In estate Pasolini conosce il diciottenne Sergio Citti, appena uscito dal riformatorio: questi diverrà il consulente linguistico («il mio vivente lessico romanesco») degli esperimenti espressivi pasoli­ niani, tanto in letteratura quanto nel cinema. Frequenta Giuseppe Ungaretti e conosce Carlo Emilio Gadda, al quale si rapporterà sempre con ammirazione e deferenza di allievo, come già aweniva da anni con Contini. Dalla primavera del 1 95 1 alla primavera del 1 953 inse­ gna presso una scuola media privata di Ciampino (tra i giovani allievi c'è Vincenzo Cerami). Lo stipendio di in­ segnante gli permette di affittare una casa, quasi una ba­ racca, a Ponte Mammolo (vicino al carcere di Rebibbia) e di dispensare la madre dal servizio presso la famiglia Pediconi. Di lì a poco il padre Carlo Alberto raggiun­ gerà moglie e figlio per morire lentamente accanto a lo­ ro, per colpa loro: il colonnello attaccabottoni (così lo chiamava Gadda, a causa delle attenzioni insistenti con cui intratteneva gli amici del figlio che capitavano a ca­ sa) beve sempre di più e patisce l'indifferenza - ai limi­ ti dell'ostilità - del figlio. Nel 1 952 Pasolini lavora a due antologie per l'editore Guanda di Parma, grazie a una presentazione di Attilio Bertolucci: Poesia dialettale del Novecento (in collabo­ razione con Mario dell'Arco) e Canzoniere italiano: an­ tologia della poesia popolare (pubblicato nel 1 95 5 ) . I lunghi discorsi introduttivi a queste antologie divente­ ranno i primi due capitoli di Passione e ideologia, isti­ tuendo un rapporto criticamente fecondo tra poesia dialettale e poesia in lingua. Conosce Mariella Bauzano (impiegata alla Biblioteca Nazionale), Toti Scialoja, pittore e poeta di gusto sur­ reale, Amelia Rosselli, che Pasolini presenterà, con un denso saggio critico, sul "Menabò", n. VI, del 1 963 . Col­ labora in Rai alla rubrica "L'approdo letterario" . In aprile, al processo per atti osceni che si tiene a Porde­ none, è assolto per insufficienza di prove. 16

Vita A dicembre esce l'antologia della poesia dialettale, re­ censita con entusiasmo da Montale sul "Corriere della Sera " . Attilio Bertolucci ha letto su "Paragone" il frammento dal titolo Il /errobedò; dal momento che collabora con l'editore Livio Garzanti, gli presenta Pasolini, che ottie­ ne un contratto per pubblicare Ragazzi di vita e uno stipendio che gli consente di lasciare la scuola a Ciam­ pmo. Intanto viene stampato nell'aprile del 1 953 Tal cour di un /rut per le edizioni di Lingua Friulana; Pasolini col­ labora con successo a " Il Giovedì " , settimanale di poli­ tica e cultura diretto da Giancarlo Vigorelli: le sue re­ censioni alla poesia di Ungaretti, di Saba, di Betocchi, della cosiddetta linea lombarda individuata da Ance­ schi, o ai racconti di Gianna Manzini, lo segnalano co­ me critico di non comune acutezza (ora, molti di questi interventi sono raccolti in Il portico della morte) . Nella sua attività filologica rientrano anche le collaborazioni, dal 1 952 al 1 954, a " Il Belli " , con interventi che riguar­ dano la poesia dialettale. Gli interventi degli anni 1 95760 confluiranno invece, con opportuni tagli e montaggi, nel grande discorso critico di Passione e ideologia. Comincia l'awicinamento al cinema: nei primi mesi del 1954, in collaborazione con Giorgio Bassani, scrive la sceneggiatura di un film di Mario Soldati, La donna del /lume, dove reciterà Sophia Loren, la nuova attrice che lo star sistem italiano vuole contrapporre a Gina Lollo­ brigida. Bassani ha bisogno di Pasolini per delineare al­ cuni personaggi di bassa estrazione sociale, quelli che nessuno scrittore borghese potrebbe far parlare. Anche per venire incontro alle velleità piccolo-borghe­ si di Carlo Alberto, nel 1 954 la famiglia Pasolini si tra­ sferisce nel quartiere di Monteverde Nuovo, in via Fon­ teiana 86, nello stesso isolato dove abita Gadda, a poca distanza dal quartiere di Donna Olimpia, il mondo rea­ le dei " ragazzi de vita" . Nello stesso anno Sansoni pub­ blica La meglio gioventù, dedicato «A Gianfranco Con­ tini - con amor de loinh». n libro, che raccoglie l'inte­ ro corpus delle poesie friulane, vince il Premio Carduc17

Pier Paolo Pasolini ci. Per le edizioni della Meridiana, in una collana di poesia diretta da Vittorio Sereni, esce Il canto popolare, primo saggio in volume dei poemetti delle Ceneri di Gramsci: l'attività poetica prosegue in parallello, sul versante dialettale e su quello italiano. Nel maggio del 1955 Garzanti pubblica Ragazzi di vita, dopo un'operazione di pulitura linguistica e di tagli agli episodi più spinti. A giugno una prima edizione è già esaurita, tra l'interesse di molti critici e quello del pub­ blico, oltre che a una recensione di Cecchi. La Presi­ denza del Consiglio dei Ministri segnala il libro alla ma­ gistratura milanese per «contenuto pornografico». Nel­ l'Italia moralista degli anni cinquanta, che nelle cosid­ dette "maggiorate", vede il simbolo di un paese che fi­ nalmente mangia e produce, risulta pornografica «la vi­ talità essudante e malata dei protagonis!i1 la loro frene­ sia urlata, la plasticità derisoriamente spudorata dei loro corpi» (E. Siciliano). Nel tessuto del racconto, potevano scandalizzare i va/fan ... e i ricorrenti li mortacci , la pa­ rola cazzo mai pronunciata ma spesso sottintesa, gli ap­ procci sessuali tra i giovani di borgata e alcuni pederasti. Contini, acuto come al solito, coglie «un'imperterrita di­ chiarazione d'amore procedente per frammenti narrati­ vi» e indica il rapporto stretto con la tradizione narrati­ va ottocentesca. Antipatie e forti riserve vengono invece dalla critica marxista. Carlo Salinari parla di un uso del dialetto «non populista», di una amoralità lontana dal partito, di un narcisismo patologico: «Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sotto· proletariato romano, ma ha come contenuto reale del suo interesse il gusto morboso dello sporco, dell'abbiet­ to, dello scomposto e del torbido». Nell'Italia di quegli anni, proiettata verso la ricchezza che sembra promette­ re un rapido sviluppo industriale, non c'è spazio per le avventure di un gruppo di ragazzi sottoproletari che vi­ vono ai margini, o addirittura fuori dalla Storia: il Pci non può riconoscere delle figure aliene da qualsiasi con­ sapevolezza sociale come i "ragazzi de vita" , esattamen­ te come le coscienze cattoliche non possono accettarli nella loro brutale libertà da qualsiasi legge morale. . . .

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Vita A metà maggio si realizza il progetto di una " propria" rivista, la prima dopo i fogli dialettali: si tratta di "Offi­ cina", concepita insieme agli stessi amici bolognesi (Francesco Leonetti e Roberto Roversi) del progetto universitario di " Eredi". L'intento è quello di vagliare criticamente la cultura italiana della prima metà degli anni cinquanta: De Sanctis e Gramsci, Spitzer e Lukacs sono gli ispiratori di un metodo critico polemico sia nei confronti dell'impeto sentimentale e umanitario del neorealismo, sia nei confronti della purezza "esoterica" dell'ermetismo. Tra i collaboratori della prima serie (fi. no all'aprile del 1 958): Angelo Romanò, Gianni Scalia, Franco Fortini, ltalo Calvino (con I giovani del Po, in seguito mai ripubblicato) , Giorgio Caproni, Attilio Ber­ tolucci, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Paolo Volponi, Carlo Emilio Gadda (con Il libro delle Furie, poi Eros e Priapo). Nel numero di "Officina" dell'aprile del 1 956, Pasolini attacca quelli del " Contemporaneo" (Salinari e Trom­ badori) con sei pagine dedicate alla " Posizione" , cioè all'atteggiamento critico ingenuo dei comunisti che fon­ dano la loro nozione grezza di realismo su quello che Lukacs ha definito «prospettivismo». Anche Calvino entra nel dibattito, spostando l'attenzione dal romanzo alla poesia delle Ceneri, da lui considerate la vera opera innovativa dell 'amico Pasolini. Imputati di pubblicazione oscena, il 4 luglio 1 956 Aldo Garzanti e Pier Paolo Pasolini sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato» e il romanzo, difeso in tri­ bunale da Giuseppe Ungaretti e Carlo Bo (che ne sot­ tolineano il valore morale e religioso), è tornato in li­ breria dopo mesi di sequestro. Si aggiudica poi a Parma il Premio Colombi-Guidotti, il secondo posto a Viareg­ gio e arriva quarto tra i finalisti del Premio Strega. Nell'autunno del 1 956, dopo la rivolta di Budapest, dal­ le colonne di "Officina" Pasolini lancia la prima di una lunga serie di invettive politiche, una polemica in versi, dove si chiede ai dirigenti comunisti la confessione di un errore, il coraggio di ammettere di fronte alla base operaia che le necessità della diplomazia superano le 19

Pier Paolo Pasolini esigenze dei singoli e delle masse senza voce. Immedia­ te le risposte polemiche di Carlo Salinari e Antonello Trombadori. Tra il 1 957 e il 1 96 1 , fino ad Accattone, Pasolini collabo­ ra a molte sceneggiarure cinematografiche (-t Sceneg­ giatura) , che gli consentono di guadagnare tanto da ri­ nunciare per sempre all'insegnamento: per Mauro Bolo­ gnini Marisa la civetta ( 1 957), Giovani mariti ( 1958), La notte brava ( 1 959), Il bell'Antonio e La giornata balorda ( 1 960); per Federico Fellini alcune scene de Le notti di Cabirza ( 1 958); per Franco Rossi Morte di un amico ( 1 959); per Gianni Puccini Il carro armato dell'8 settem­ bre ( 1960); per Florestano Vancini La lunga notte del '43 ( 1 960) ; per Cecilia Mangini La cantata delle marane ( 1 960); per Luciano Emmer La ragazza in vetrina ( 1 96 1 ) . Sulla rivista "Nuovi Argomenti" , diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci, aveva presentato a febbraio del 1 956 il poemetto " Le ceneri di Gramsci" , per il qua­ le Calvino, pur con molte riserve, aveva fatto il nome di Foscolo (in effetti uno dei numi tutelari del periodo friulano), mentre lo stesso autore lo aveva definito con Leonetti «un mea culpa un po' masochistico», dove non aveva potuto fare a meno di esibire il suo amore per un 'istintualità irrazionale, contro la lucida coscienza rappresentata da Gramsci. Il 6 giugno 1957 Garzanti fa uscire la raccolta che prende il titolo da quel poemetto, Le ceneri di Gramsci, e che finalmente procura a Paso­ lini il consenso ampio della critica e del pubblico (San­ guineti, inviando i complimenti per il libro, gli scrive ((io spero che continueremo a litigare insieme per un pezzo>>). Il libro vince il Premio Viareggio ex aequo con Sandro Penna ( Poesia) e Alberto Mondadori ( Quasi una vicenda). I componimenti, scritti in metri tradizio­ nali tra i quali predomina la terzina di endecasillabi, esprimono il tentativo di restituire alla poesia una fun­ zione civile, attraverso un rapporto mai risolto tra ra­ gione (rivoluzionaria) e passione (regressiva). All'origi­ ne di questa ambizione, Pasolini dichiara esservi fatti personali, piuttosto che paradigmatici: una formazione letteraria ermetico-decadente; l'eccezionalità del suo 20

Vita eros; l'uccisione del fratello da parte dei comunisti (cfr. la lettera a ltalo Calvino, 6 marzo 1 956). Ad accompa­ gnare teoricamente l'uscita del libro, Pasolini pubblica su " Officina" (numero 9- 10) un saggio dal titolo La li­ bertà stilistica, dove si delinea anche la sua posizione nei confronti dei giovani neo-sperimentalisti. Collabora con il settimanale "Vie nuove" che alla fine di luglio lo invia in Urss per il Festival della gioventù. Co­ nosce Laura Betti ( in realtà Maura Trombetti) , bolo­ gnese, eccentrica compagna degli anni romani: nel 1964, per lei scriverà l'atto unico Italie magique. Con Una polemica in prosa di Edoardo Sanguineti - che contesta un intervento arbitrario di Pasolini sulle poesie inviate alla rivista, e in definitiva ne rifiuta la leadership - si conclude nel giugno del 1 957 la prima serie di " Of­ ficina " , proprio nel momento di suo maggior successo. Pasolini prosegue l'attività di corrispondente per " Vie nuove": nel febbraio del 1 958 è inviato nei campi dei minatori italiani in Belgio; a settembre è di nuovo a Mo­ sca per il secondo convegno dei poeti italiani e sovieti­ ci. Per l'editore Longanesi esce L'usignolo della Chiesa Cattolica, un libro di "vecchi versi" degli anni friulani di atmosfera funerea e barocca, un modo per ripropor­ re il proprio passato quando sembrava ormai superato dall'impegno degli anni cinquanta. Ancora una volta è una logica non dialettica e non progressiva a giustifica­ re le scelte del poeta. Il 19 dicembre muore il padre, dopo un'emorragia al fe­ gato. In una lettera a Francesco Leonetti, Pasolini con­ fessa due giorni dopo: «Tu sai come io andassi poco d'accordo, con mio padre, come in certi momenti e in certo modo quasi lo odiassi: ma è morto in un modo che ora mi fa sentire colpevole per qualsiasi mio sentimen­ to avuto verso di lui. Gli ultimi giorni aveva una faccia che chiedeva pietà: " Non lo vedi che sto per morire?" pareva mi dicesse. E io continuavo a essere duro e eva­ sivo con lui, sempre rimproverandogli le terribili soffe­ renze che aveva dato a mia madre e a me. Voleva mori­ re, non si curava, non aveva più niente al mondo, se non la sua cupa angoscia, il suo odio, il suo bisogno di esse21

Pier Paolo Pasolini re un altro, di amare e essere amato. Se n'è andato così, come a perpetuare uno sciopero contro noi e la vita che da tanti anni attuava». In ogni caso, il rapporto con il padre verrà rimeditato "letterariamente" nel 1 966, quando una malattia co­ stringe Pasolini a una lunga degenza e gli offre l'occa­ sione per impostare, sul modello del teatro greco, le opere teatrali dove il rapporto padre-figli diventa cen­ trale. Nel maggio del 1 959 Garzanti pubblica Una vita vio­ lenta, che si classifica terzo al premio Strega (vinto da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) , ottiene il Premio Città di Crotone da una giuria di cui fanno parte Unga­ retti e Gadda, ma viene bocciato al Viareggio, nono­ stante Moravia si fosse ritirato dal premio stesso per fa . vorire l'amico. Tra i primi lettori entusiasti del romanzo c'è Ital_o Calvino, che il 9 giugno gli scrive: «L'ho letto tutto. E bellissimo. Con uno stacco netto su tutti gli al­ tri nostri libri. Tutte (o quasi) le cose che io voglio che ci siano in un libro ci sono. [ . ] C'è il salto qualitativo da Ragazzi di vita, perché in Ragazzi di vita (pur bellis· simo come poema lirico) mancava la tensione indivi­ duale, l'attrito col mondo, e l'umanità era una marmel­ lata. Qui non è marmellata intercambiabile, non sono più come una folla di cinesi, qui c'è la tensione, le varie tensioni individuali, non tanto il personaggio, che non ci interessa, ma l'arco che fanno le vite, il senso che vie­ ne a crearsi dall'insensatezza dei gesti uno dopo l'altro». Ai riscontri della critica fanno eco i consensi di pubbli­ co: il romanzo verrà presto tradotto in undici lingue. Il 1 7 novembre 1 959 il sindaco democristiano di Cutro querela Pasolini per diffamazione a mezzo stampa: in agosto, il vincitore del Premio Città di Crotone aveva scritto per un rotocalco un réportage sulle spiagge ita­ liane, e aveva dipinto il piccolo paese calabrese come una terra di banditi, affamata e povera. Il prefetto di Catanzaro tenta di annullare il premio letterario asse­ gnato dalla giuria, ma la querela non ha alcun seguito. Nel giugno del 1959, un altro processo aveva coinvolto indirettamente lo scrittore: quello a Valentino Bompia.

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Vita ni, distributore della seconda serie di "Officina " . L'edi­ tore, molto vicino alla nobiltà vaticana, è accusato di blasfemia per aver pubblicato un gruppo di epigrammi pasoliniani, fra cui uno in morte di Pio XII. I versi incri­ minati recitano livorosamente: «Non ti si chiedeva di perdonare Marx ! un'onda l immensa che si rifrange da millenni di vita l ti separava da lui, dalla sua religione: l ma nella tua religione non si parla di pietà? l Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato, l davanti ai tuoi oc­ chi, son vissuti in stabbi e porcili. l Lo sapevi, peccare non significa fare il male: l non fare il bene, questo si­ gnifica peccare» (A un Papa) . La rottura con Bompiani prelude alla chiusura d i "Of­ ficina" , che si interrompe al numero due della nuova se­ rie (maggio-giugno 1 959). Avvicinandosi all'esperienza teatrale, Pasolini traduce l'Orestiade di Eschilo, che nel 1 960 Vittorio Gassman metterà in scena. Piovono le denunce per oscenità a Una vita violenta. Oltre che l'Azione Cattolica, si rivol­ ta anche la sinistra: il senatore comunista Mario Monta­ gnana scrive a Togliatti: «Si ha la sensazione che Pasoli­ ni non ami la povera gente, disprezzi in genere gli abi­ tanti delle borgate romane e, ancor più, disprezzi (non trovo le parole) il nostro partito [ . . . ] . Non è forse abba­ stanza per farti indignare?». 11 10 luglio due giornalisti denunciano Pasolini per ten­ tata corruzione di minorenni: pare che davanti al por­ ticciolo di Anzio egli abbia avvicinato due ragazzini ed esclamato qualcosa di osceno. Il 1 4 dicembre il pretore di Anzio archivia la querela perché non si ravvisano estremi di reato. Nel maggio del 1 960, Maria Antonietta Macciocchi, di­ rettrice di "Vie nuove" , gli offre di scrivere una rubrica settimanale di corrispondenza con i lettori: l'iniziativa proseguirà fino al 1 965 . Anche la rivista settimanale " il Reporter" ( diretta da Adriano Bolzoni, che poi rivelò di ricevere finanziamenti dall'Msi) gli offre un impegno di critico cinematografico, impegno che produrrà undici articoli, usciti tra gennaio e marzo: vi si parla di Germi, di Sordi, del Bell'Antonio, della Dolce vita e della fun23

Pier Paolo Pasolini zione della critica cinematografica. La sera del 27 giu­ gno, durante la presentazione dei finalisti del Premio Strega, Pasolini, che porta come candidato Calvino, leg­ ge un poemetto ispirato all'orazione funebre del Mar­ cantonio shakespeariano, In morte del realismo, dove un attacco a Bruto-Cassola si trasforma in critica cultu­ rale e sociale. A ottobre esce Passione e ideologia, rac­ colta di scritti di critica letteraria elaborati tra il 1 952 e il 1 957 . Tra il dicembre 1 960 e il gennaio 1 96 1 viaggia in India con Alberto Moravia ed Elsa Morante. n dia­ rio di Moravia (poi Un'idea dell'India) esce a puntate sul " Corriere della Sera " , quello di Pasolini si trasforma in sei articoli per " n Giorno" . Ne verrà poi un libro, L'odore dell'India, e un cortometraggio di preparazione a un film mai realizzato, Appunti per un film sull'India. Durante l'estate del 1 960 Pasolini scrive la sceneggiatu­ ra di Accattone, con l'aiuto di Sergio Citti. A settembre, con una piccola troupe, di cui fa parte anche il giovane Bernardo Bertolucci, vengono girate due sequenze di prova per Fellini, che vorrebbe produrlo, ma che presto diffida delle capacità tecniche del regista. Attraverso Bolognini conosce un nuovo produttore, Alfredo Bini, che assicura la sua partecipazione e la massima libertà. Ad aprile del 1961 cominciano le riprese. 1 96 1 - 1 969. Nel 1961 Pasolini esordisce come regista:

alla mostra del cinema di Venezia, "vietato ai minori di quattordici anni " , viene presentato Accattone, con Franco Citti, fratello di Sergio, e un cast di attori non professionisti, scelti dalla strada per interpretare se stes­ si. Alla proiezione segue una tavola rotonda con Gad­ da, Moravia, Guttuso, Parise e Carlo Levi, autore di una prefazione alla sceneggiatura. Nella tecnica cine­ matografica Pasolini trova un modello di sintassi narra­ tiva oggettiva e assoluta, naturalistica e funzionale al marxismo. Come scrive a Luciano Anceschi: «La !ezio· ne del cinema è una lezione di oggettività: anche nel film più modesto il personaggio e i fatti esistono ogget· tivamente, in una realtà che, nel peggiore dei casi, è in­ terpretata secondo il senso comune. Ogni film, anche il 24

Vita più modesto, richiede una inchiesta sociologica, una analisi d'ambiente, da cui i personaggi siano determina­ ti, o con cui siano in dialettica. Ogni filni, anche il più modesto, richiede uno sviluppo coerente del personag­ gio secondo un'oggettiva legge morale, qualunque essa sia, anche, ripeto, quella corrente. Altro che lezione di pura visività (mi riferisco alla teoria cretina dell'ultima scuola francese) ! Non so cosa darei perché, semantica­ mente, la lingua italiana avesse la validità assoluta e omologante di una immagine fotografata». li film viene accolto da una messe di critiche di caratte­ re estetico, ma soprattutto moralistico: disturba la cru­ dezza con cui è descritto il mondo della prostituzione che fa da sfondo al film , infastidisce la simpatia e la so­ lidarietà che il regista manifesta incondizionatamente a quei miserabili delinquenti. Per Moravia, il film rappre­ senta la somma di molte cose: «li secolare scetticismo romano, il relitto d'una società ancora rustica e artigia­ nale, il prodotto d'una alienazione totale, ma è soprat­ tutto l'espressione di una sclerosi etica, di un'inconscia volontà suicida». Presso Garzanti, a maggio, esce la raccolta di versi La religione del mio tempo, dove giungono a maturazione la polemica politica e I' allarme per la società neocapita­ listica. Esce anche l'antologia Scrittori della realtà, cura­ ta insieme ad Attilio Bertolucci ed Enzo Siciliano. Assieme a Sergio Citti scrive la sceneggiatura di Mam­ ma Roma, ospite al Circeo nella villa di Elsa De Giorgi (che poi reciterà in Salò). Un pomeriggio di novembre, durante un giro in automobile, si ferma a un chiosco per bere una coca-cola e fa qualche domanda al benzi­ naio; il 30 novembre viene denunciato al Procuratore della Repubblica di Roma per rapina a mano armata, porto abusivo d'armi da fuoco e minacce al giovane in­ serviente. I giornali pubblicano la foto del film Il gobbo di Carlo Lizzani, in cui Pasolini appariva in scena con un mitra in pugno. Dopo una prima condanna con la condizionale, verrà assolto in Cassazione nel 1 968 per insufficienza di prove, ma il dibattimento svoltosi pres­ so il tribunale di Latina nel 1 962 processa più I' orno25

Pier Paolo Pasolini sessualità dell'imputato che il suo capo di accusa. Sin­ tomatica a questo proposito la perizia psicologica del professar Semerari, che fa di Pasolini «uno psicopatico dell'istinto, [ . . . ] un anomalo sessuale, un omofilo nel senso più assoluto della parola». Il 22 febbraio 1 962 arriva la querela per diffamazione dall'onorevole Salvatore Pagliuca: in Accattone il perso­ naggio di un "magnaccia" porta il suo stesso nome. Pa­ gliuca chiede il risarcimento dei danni morali e mate­ riali, e la cancellazione del nome dalla colonna sonora del fihn. Tre anni dopo, il magistrato competente rico­ nosce l'infondatezza dell'accusa, ma ordina l'elimina­ zione del nome dalla colonna sonora. Nello stesso anno, Pasolini gira Mamma Roma con An­ na Magnani, pupilla di Roberto Rossellini. Il film è ispi­ rato a un episodio di cronaca («La drammatica morte di Marcello Elisei, un giovane detenuto morto a Regina Coeli sul letto di contenzione») che riconferma l'inelut­ tabilità tragica di un destino, e si inserisce a tutti gli ef­ fetti in quella poetica della purezza del mondo sottopro­ letario tanto cara all'autore, senza dimenticare il gusto di una figuratività prepotente che si rivela nella dedica a Roberto Longhi. Presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, la pellicola è denunciata per «contenuto osce­ no e offensivo alla pubblica decenza» al Procuratore della Repubblica. Secondo i carabinieri, le oscenità con­ sistono nell'uso del verbo pisciare, della parola merda, di alcune pernacchie nella colonna rumori. Il 5 settembre il magistrato giudica la denuncia infondata. Nel settembre del 1 962 , Pasolini è ad Assisi, ospite di un convegno su " Il cinema come forza spirituale del momento presente" ; in quell'occasione legge il Vangelo di san Matteo, e medita il progetto di un film. 11 1 o marzo 1963 esce La ricotta, terzo episodio del film a più mani RoGoPaG, titolo ricavato dalle iniziali dei quattro registi Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti. Lo stesso giorno la pellicola viene sequestrata e con­ dannata per vilipendio alla religione di Stato. Orson Welles è nei panni di un regista ripreso sul set di Cine­ città a girare una Crocifissione, i cui modelli figurali so26

Vita no Pontormo e il Rosso Fiorentino; la Maddalena che balla il cha cha cha ai piedi della Croce; le voci fuori campo che gridano "Via i crocefissi ! " , " Lasciateli in­ chiodati ! " , " cornuti ! " , "silenzio ! " ; la comparsa-ladro­ ne che nella pausa di lavoro mangia tanta ricotta da cre­ pare sulla croce sotto il sole a picco: tutto concorre a dissacrare l'iconografia tradizionale del Sacrificio di Cristo. Nel l 964 l'opera verrà assolta dall'imputazione perché il fatto non costituisce reato. Durante le riprese alle por­ te di Roma, presso la sorgente dell'Acquasanta, Pasoli­ ni conosce Ninetto Davoli, un allegro quattordicenne figlio di immigrati calabresi. n ragazzo, incarnazione del mito di Roma assediata dai barbari, diventerà suo compagno inseparabile. n 1 963 è anche l'anno di due saggi in forma di film. Con l'aiuto del regista Carlo Di Carlo, viene realizzato un film documentario con materiale recuperato da vec­ chi cinegiornali e documentari inediti reperiti in Urss; nonostante il dichiarato comunismo dell'autore, La rab­ bia non piace ai militanti del partito perché la forza del­ la rivoluzione è coniugata all'amore per la tradizione: «Una nazione che ricomincia la sua storia, ridà, prima di tutto, agli uomini, l'umiltà di assomigliare con inno­ cenza ai loro padri», e ancora: «Quando il mondo clas­ sico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadi­ ni e tutti gli artigiani, quando l'industria avrà reso inar­ restabile il ciclo della produzione e del consumo, allora la nostra storia sarà finita». E allora, se i sottoproletari vivono ancora nell'antica preistoria, il mondo borghese e neocapitalistico (--+ Borghesia) sta andando verso una nuova preistoria. L'altro saggio in forma di film , Comizi d'amore, è una sorta di inchiesta sulla sessualità, l'omosessualità e altri tabù freudiani condotta dal microfono e dalla camera a spalla di Pasolini che in treno, sulle spiagge, in discote­ ca intervista gente comune, ma anche teorici borghesi "illuminati" come Cesare Musatti, Alberto Moravia, Ca­ milla Cederna, Oriana Fallaci. n film verrà presentato al Festival di Locarno " vietato ai minori di diciotto ann i " . 27

Pier Paolo Pasolini Dal 1 963 al 1 965 , e fino al 1 967 . Pasolini lavora al pro­ getto ambizioso della Divina Mimesis, pubblicato po­ stumo nel 1 975: in chiave parodica e attualizzante, l'in­ tento è quello di ripercorrere la dantesca discesa all'In­ ferno nel moderno Inferno del consumismo ( � Dante). Da un viaggio in Ghana, Nigeria, Kenia, Guinea e Ye­ men nasce l'idea del film Ilpadre selvaggio, per il quale però non trova i finanziamenti (ne resta solo il tratta­ mento). Realizza invece il Vangelo secondo Matteo, do­ po un lungo rapporto di collaborazione con i biblisti del centro di studi francescani della Cittadella di Assisi. U 4 settembre 1964 il film viene presentato a Venezia, dove vince il Premio speciale della Giuria (il Leone d'o­ ro va a Deserto rosso di Michelangelo Antoniani). L'o­ pera è tanto più poetica quanto più priva di sceneggia­ tura, fedele traduzione in immagini del testo sacro: «Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di S. Matteo, senza nemmeno una frase di spie­ gazione o raccordo: perché nessuna immagine o nessu­ na parola inserita potrà mai essere all'altezza poetica del testo» (Pier Paolo Pasolini a Lucio S. Caruso). Per il personaggio di Cristo, Pasolini cerca appunto la figura di un poeta e scrive al russo Evtu5enko, all'ame­ ricano Ginsberg, allo spagnolo Goytisolo. Alla fine sce­ glie un giovane studente di Barcellona, Enrique Irazo­ qui, dallo sguardo fiero e penetrante come quello dei Cristi di El Greco. Tra gli attori-apostoli compaio­ no Giorgio Agamben, Enzo Siciliano, Ferruccio Nuzzo, Alfonso Gatto; Francesco Leonetti interpreta Erode II; Mario Socrate è Giovanni Battista; Natalia Ginzburg è Maria di Betania, Susanna Colussi una sfinita Maria di Nazareth. Anche se ci sono stati dei sopralluoghi in Israele e in Giordania, i luoghi scelti per le riprese sono nel Viterbese, in Lucania, in Puglia e in Calabria. Il film ottiene il Premio Ocic (Office catholique inter­ national du cinéma) e viene proiettato addirittura nella cattedrale di Notre Dame a Parigi: in quell'occasione Pasolini conosce Jean-Paul Sartre. Moravia, in una re­ censione sull'" Espresso" , sottolinea il valore del silen­ zio nel film, «un silenzio plastico, espressivo, poetico». 28

Vita Esce su "Rinascita" la conferenza Nuove questioni lin­ guistiche, con la quale si proclama la nascita di un nuo­ vo italiano come lingua nazionale: l'intervento innesca un dibattito cui partecipano·, tra gli altri, Eco, Montale, Calvino, Moravia, Citati. Garzanti pubblica Poesia in forma di rosa, diario lirico degli anni 1 962-64 in cui la rabbia del decennio precedente si stempera in una soli­ tudine disperata e in una scelta " corsara" di opposizio­ ne. Nel poemetto Una disperata vitalità, immaginando­ si mentre guida la sua Alfa Romeo, Pasolini offre un ul­ teriore autoritratto mortuario: «Le guance cave sotto gli occhi abbattuti, - i capelli orrendamente diradati sul cranio - le braccia dimagrite come quelle di un bambi­ no». In una lettera del 27 dicembre 1 964 a don Gio­ vanni Rossi usa invece l'immagine di San Paolo caduto da cavallo e la contamina con un'altra famosa che deri­ va da una poesia dannunziana, " Undulna": «[. .. ] io so­ no da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella [ . . . ] : sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trasci­ nato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pie­ tre». Nel 1 965 Pasolini gira Uccellacci e ucceUini, rischioso esperimento di film-apologo sulla crisi del marxismo: Totò, Ninetto Davoli e un corvo ammaestrante-ammae­ strato con la voce emiliana di Francesco Leonetti e con la preparazione ideologica di Franco Fortini ne sono i protagonisti. In Italia il film ha poco successo, perché il pubblico non ritrova in Totò la comicità consueta; a Cannes, invece, l'opera suscita ampi consensi e un in­ tervento appassionato di Roberto Rossellini. A settembre Pasolini è a New York, dove incontra Al­ len Ginsberg. Il viaggio nella capitale del mondo bor­ ghese, dell'Occidente industrializzato, ispira l'idea di Teorema, il tema della visita di un nuovo " Cristo" che viene a sconvolgere irrimediabilmente ogni realtà com­ patta e omologata. Ma il l965 è anche l'anno di pubbli­ cazione di Alì ddgli occhi azzurri, dove il mito della di­ struzione della storia si trasferisce sui giovani del cosid29

Pier Paolo Pasolini detto Terzo mondo, designati a invadere l'Occidente e a distruggerne violentemente la decrepitezza. Alla Prima mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro Pasolini conosce Roland Barthes, con cui discu­ te di grammatica dell'immagine e di dinamica della nar­ razione. Nel marzo del 1 966, durante una cena con Alberto Mo­ ravia e Dacia Maraini, ha una crisi d'wcera e poi un'e­ morragia. La convalescenza dura circa un mese: tanto gli basta per scrivere sei tragedie (Calderon, Pilade, Af fabulazione, Porcile, Orgia, Bestia da stile) dove vengo­ no riversati tutti i problemi che hanno caratterizzato le opere degli ultimi anni, come se la forma teatrale di­ ventasse un'occasione pubblica di ridiscussione e spes­ so di autocorrezione, attraverso una serie di forti alle· gorie che spaziano nei secoli, dal mito classico alla con­ temporaneità (� Teatro). Continua l'awentura picaresca di Uccellacci e uccellini: stÙ modello delle comiche chapliniane, Totò e Ninetto Davoli sono ancora i protagonisti dei due mediome­ traggi Che cosa sono le nuvole? ( 1966) e La Terra vista dalla Luna ( 1 967 ) . Secondo il regista, ad accomunare i due episodi surreali è contadino Oa Penombra, la Viola, il Giaggiolo, l'Aria umida, il Crepuscolo) e alcuni socio­ logi (Schumpeter, Mannheim, Veblen) che irridono l'in52

Bestia da stile genuità di Jan e mettono in crisi tutti i suoi sogni giova­ nili di ribellione (per esempio: «L'umanesimo ha - le stesse abitudini - della gran proprietà») . Nel terzo epi­ sodio, dentro la casa di Semice, Jan descrive la madre con un ritratto in negativo che rovescia l'immagine di dolcezza materna tipica della prima poesia di Pasolini: ubriaca, puzzolente, la vecchia madre esprime solo odio e disgusto per il mondo. Il quarto episodio rappresenta il seppellimento di Karel, il cui spirito racconta a Jan la deportazione del padre e della madre. Poi (quinto epi­ sodio) Jan esprime una sua seconda idea di poetica simboleggiata dal rosso di una bandiera, secondo la passione per uno stile che può incarnarsi indifferente­ mente nel dialetto o nella lingua. Intanto l'anziano poe­ ta borghese Novomensky, perseguitato dal regime stali­ nista, critica l'esasperata prepotenza del suo giovane amico, che rende «vitale anche l'errore e la crisi». Il se­ sto episodio, ambientato a Praga, vede ancora in con­ trasto Jan e Novomensky; il giovane esprime tutta la passione per la città immergendosi nella sua vita fino al livello più basso per raggiungerne l'oralità bruciante (è la parodia delle teorie sul discorso libero indiretto de­ gli anni romani , «il parlante [. .. ] colto in flagrante li­ bertà») ; Novomensky, invece, meno geniale, affronta coerentemente alle sue idee politiche la deportazione nei lager staliniani e profetizza il successo di Jan , che nel frattempo ottiene a Mosca (settimo episodio) il Premio Stalin per la poesia. Appare allora lo Spirito della Ma­ dre che urla in una lingua deformata, sul modello di quella del popolo imitata da Jan nella sua ricerca di ora­ lità pura, e rimprovera al figlio le scelte ·conformiste: «La mia esagerata delusione, diventata l silenzio di Apocalisse, l non era per il mio ventre che aveva con­ cepito l un bravo comunista, l ma era per il mio ventre che aveva concepito l un cattivo borghese». 9rmai è awenuto il passaggio dalla parte del potere e mfatti, durante la primavera di Praga, gli studenti bru­ ciano una fotografia di J an, identificato con la cultura ufficiale. Spetta ora alla sorella di Jan pronunciare le ul­ time diagnosi, dal momento che lei, suo doppio, si è as53

Bologna sunta la vergogna lasciando a Jan la gloria. Nel suo di­ scorso si delinea il tema del ritorno di tutto ciò che sem­ brava superato, cioè l'impossibilità di una vera dialetti­ ca: le Erinni, divinità malvage trasformate in buone Eu­ menidi, stanno ritornando a essere se stesse, «tutto ciò ch 'era stato superato dalla Dissociazione, ritorna». E il nuovo stile dovrà essere quello di una leggerezza allusi­ va a grandi tragedie, per giocare con la verità (tema fon­ damentale dell'ultimo Pasolini). Nel nono e ultimo epi­ sodio il Capitale e la Rivoluzione si disputano l'anima di Jan, dopo l'entrata dei carriarmati sovietici a Praga (21 agosto 1 968). Il Capitale ha vinto e i nuovi figli ribelli lo hanno assecondato nel distruggere i residui della so­ cietà borghese. La Rivoluzione può accontentarsi di ]an, «ebbro l d'erba e di tenebre», cioè accecato nel suo nutrirsi a capo chino, appunto come una bestia. La presenza più esplicita di Bologna nell'o­ pera di Pasolini si ritrova nella sceneggiatura di Edipo re ( 1 967 ) e nella relativa traduzione filmica: si tratta del· la gradinata di San Petronio dove Franco Citti-Edipo (Pier Paolo) sta su�nando il flauto, divenuto poeta do­ po l'accecamento. E il momento della poesia simbolista, creata per un publico borghese. La descrizione del cuo­ re di Bologna è molto esplicita: «C'è una grande piazza, coi segni della storia e della civiltà: un grande duomo non finito, di pietra rossa, un palazzo del Comune, da­ vanti, coi solenni portici a sesto acuto, e le bifore di marmo, e di fianco un altro palazzo, più antico, sempre di pietra rossa, coi merli e intorno le case, rosse, coi tet­ ti e i portici. Una lunga fila di portici è sul lato destro della piazza, fuga elegante di portici carichi di ricordi di famiglie ricche, di eventi pubblici, di passeggi antichi. È uno dei luoghi dove la borghesia celebra i suoi riti, e riflette la sua grandezza. Tra quei palazzi antichi, tra quei portici corrosi, scintillano negozi eleganti, e l' andi­ rivieni furioso e dolce del viavai cittadino, del traffico». Se le pietre sono cariche di storia, questa storia signifi­ ca ricchezza, agio di una borghesia che celebra appun­ to i suoi riti. Allora il flauto di Edipo intona una meloBOLOGNA

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Bologna dia che esprime «un canto di risorgimenti (o rivolgi­ menti?) borghesi», il valore della «lotta per la libertà». È appunto questa melodia a dare un senso a «tutto ciò che è lì intorno», inserendo nel reale e nel quotidiano lo spessore del ricordo. Pasolini sembra voler recuperare, dandogli definizione compiuta, il dono che Bologna ha lasciato nella sua storia personale: la lotta per la libertà nata nel clima della cultura borghese cittadina, quella borghesia che si era formata insieme a lui sui banchi del liceo. Cultura e protezione nella cultura, secondo quan­ to viene ripetuto più volte nelle rievocazioni biografi­ che: il liceo Galvani, la lettura precoce di Rimbaud gui­ data da un giovane supplente ( il poeta Antonio Rinal­ di), la ribellione al fascismo, la scoperta della poesia er­ metica come lingua segreta da tradurre in «libertà stili­ stica». In Poeta delle ceneri, Pasolini esordisce: «Sono uno - che è nato in una città piena di portici nel 1922». Una città di portici, una città protetta dalle sue pietre cariche di storia e di cultura: in un certo senso una città paterna. All'origine del suo mito biografico, infatti, Pasolini crea un simbolismo materno legato a Casarsa (ed è questo il luogo su cui si apre e si chiude, circolarmente, la sua versione di Edipo) e un simbolismo paterno identifica­ to in Bologna. Bologna rappresenta la cultura, cioè lo scambio delle idee, i progetti di riviste, l'amicizia intel­ lettuale. In corrispondenza di un portico, quello defini­ to «della Morte», dove si vendono libri usati, Pasolini identifica un momento della sua formazione intellettua­ le. Si tratta delle prime letture importanti: Freud, Shakespeare, Dostoevskij. Ma nel 1 963 , in un articolo dove non casualmente si parla di Freud, il luogo viene connotato di riferimenti funebri: «Li ho comprati, i Ca­ si clinici, al " Portico della Morte " , dove da ragazzo ado­ ravo le edizioni Salani, con i poeti più indecifrabili, e Novalis, Coleridge, Ramuz (non Blasco lbanez, che non ho mai letto) , e poi Dostoevskij. Sono ripassato dome­ nica, c'era il solito gelo, l'ombra del bel giorno d'au­ tunno Oa morte). I reparti, gli stessi di quando io face­ vo il ginnasio, carichi di libri gialli , oggi - o di divulga55

Bologna zione scientifica o di attualità - o di successo: scompar­ si tutti i miei poeti indecifrabili, le edizioni Salani (per­ sistente Blasco Ibanez). È cosa orrenda, dagli anni Trenta a questo '63 brutto e sacrilego, occhieggiavano tra gli altri, fatti oggetti, impoveriti strumenti allineati tra mille affini, il volume di Accattone, e di Ragazzi di vi­ ta: e così è finita». L'aria di morte sembra pervadere ogni cosa, le letture del passato lontano e le opere del presente: mai come in questo caso un toponimo suonò più adatto. I poeti più indecifrabili, quegli ermetici della gioventù che avevano accompagnato il sorgere di una vocazione sono scom· parsi. E infatti Edipo suona il flauto per la borghesia in· tellettuale che ha visto, nel dopoguerra, la nascita del Pasolini poeta: «Al filo di quella melodia, tutto ciò che è lì intorno, acquista un suo senso preciso e commoven· te: diventa subito quasi un ricordo, ritrova con la sua quotidianità la sua epicità. Studenti che passano coi Ji. bri. Belle ragazze della città, lungo i portici. Una madre col bambino in braccio, una madre benstante, con tutta la sua dignità di quel pomeriggio e di quella mattina��. Ma Edipo-Pasolini non può accettare un mondo trasfi· gurato così epicamente, non può fermarsi nel centro di una città. E infatti fugge da piazza Maggiore verso una periferia industriale, dove viene intonato il canto della rivolta popolare e della lotta partigiana. Poi, con una al­ tro passaggio, Edipo si trova lungo una strada di cam­ pagna, in fondo a un prato dove scorre un fiume dalle acque verdi. Questo è il luogo di un'altra nascita, di una nascita che coincide con la morte: è Casarsa. Edipo ri­ torna a vedere: nel sogno (o nella morte). Si è forse rimarginata una ferita? Per Pasolini, in realtà, pur dopo molti anni il trauma è intenso. Nel 1 975 a Bo· logna, nella collana di Cappelli diretta da Renzo Renzi, verrà pubblicata l'Abiura dalla "Trilogia della vita" , poi uscita sul "Corriere della Sera " . Bologna parlerà in pri· ma persona nel trattato pedagogico Gennariello (prima sezione delle Lettere luterane) , mentre nei dintorni del­ la città, a Villa Aldini, viene ambientata la pedagogia perversa del Salò-Sade. 56

Borghesia Dice Bologna: «So che mi ammiri e che mi consideri an­ cora la migliore città d'Italia, seconda solo a Venezia an­ che per quanto riguarda la bellezza. Ma so anche che qualcosa di me ti delude o ti divide. Non è il rimpianto per quella città di trent'anni fa che ormai non c'è più, pur conservando intatta la sua forma: ciò che ti delude e ti divide è la constatazione di ciò che io sono nel pre­ sente». Una città sviluppata e una città comunista, ma anche un luogo dove non c'è spazio per l 'alterità: «Ciò che una città italiana è diventata - sia bene o sia male - è qui ac­ cettato, assimilato, codificato. Nel momento in cui so­ no, insieme, una città sviluppata e una città comunista, non solo sono una città dove non c'è alternativa, ma so­ no una città dove addirittura non c'è alterità». Siamo dunque a un punto estremo del percorso. Non solo è caduta ogni possibilità di ritrovare il clima della poesia, quella poesia che caratterizzava una stagione esi­ stenziale ormai conclusa. La città stessa ha subito una trasformazione, e la trasformazione si riflette sul suo an­ tico abitante. La figura retorica della prosopopea viene utilizzata proprio per esprimere un'insanabile frattura. Pasolini può ascoltare la voce di Bologna in virtù di una radice che lo lega al luogo, ma se ipotizza di tornare sui suoi passi in via Zamboni o in via Nosadella, dove ha abitato, trova solamente i segni di un mondo nuovo, un mondo che non può più parlargli. A un'impossibilità della poesia si aggiunge un'impossibilità esistenziale. La perdita di Bologna ripete, esasperandola, la perdita di Casarsa. "Borghesia" per Pasolini non è solo la de­ finizione di una classe sociale. Borghesia è una classe sociale che corrisponde a una forma di vita, a un mo­ dello di comportamento e di pensiero assoluti, che non consentono confronti o vie d'uscita. Per questo la co­ �oscenza vera e la vera passione possono svolgersi solo tn contrasto con il mondo borghese. Tutto quanto Pa­ solini pensa, scrive, produce ha senso solo se lo si in­ quadra dentro questo rapporto polemico.

BORGHESIA

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Borghesia Nel colloquio del 1 968 con Jon Halliday, Pasolini spie­ ga le differenze della borghesia italiana da quella euro­ pea che ha vissuto la rivoluzione protestante e la rivolu­ zione liberale: «La borghesia italiana è stranissima: è si­ multaneamente laica e cattolica, liberale e controrifor­ mistica, ossia non è niente». Ma in realtà lui stesso am­ mette che il suo odio per la borghesia non nasce da pre­ supposti razionali, «c'è e basta». Nato in un ambiente piccolo borghese, come tutti i borghesi pensava che l'u­ nico mondo possibile fosse quello in cui viveva. Fu l'in­ contro con il mondo friulano a mettere in crisi la sua concezione (e non bisogna trascurare che questo incon­ tro si realizza sulla base di un interesse poetico e lingui­ stico): «Quando mi accorsi che i contadini friulani esi­ stevano e che la loro psicologia, educazione, mentalità, anima, sessualità erano del tutto diverse, il mio mondo si infranse». In ogni caso, se si vanno a vedere i testi de­ gli anni friulani non si trova ancora una vera presa di posizione polemica. Anzi, fino al trasferimento in Friu­ li, Pasolini partecipa con pienezza alla vita sociale e cul­ turale del mondo borghese di Bologna e quando si tro­ va nel mondo contadino di Casarsa non rinuncia ad amicizie intellettuali. Non per niente, anche quando i suoi diari parlano di crisi mistica, di crisi religiosa, il modello rimane la letteratura altoborghese europea. È il contatto con il sottoproletariato romano a costituire la vera alternativa sociale al proprio mondo. E infatti, sempre con Halliday, Pasolini ammette: «l braccianti friulani, pur essendo più poveri di me economicamente e intellettualmente, in fondo appartenevano al mio mondo, perché la piccola borghesia ha le proprie radici nell'agricoltura». Se si vanno a controllare in quest'otti­ ca i testi poetici scritti a cavallo del trasferimento a Ro­ ma, salta agli occhi il senso di angosciosa estraneità con cui Pasolini rappresenta il suo rapporto con un mondo sottoproletario che viene mitizzato attraverso le catego­ rie del sacro e del primitivo, del barbaro. Un famoso te­ sto poetico del 1 95 1 (Correvo nel crepuscolo fangoso, poi lasciato fuori dalle raccolte) descrive la corsa di Pa­ solini attraverso una desolata periferia di vecchi gratta58

Borghesia cieli popolari che sembrano abitazioni di nomadi, di es­ seri al limite dell'umano. Questa «vita immemore ed in· tensa» attrae il passante, ma non fa che confermargli la sua estraneità: il fascino di un mondo completamente diverso va al di là di una meditazione politica sulla realtà borghese. Come nota Rinaldi: «Il dominio bor­ ghese di classe, quello che in Marx è nn imprescindibi­ le punto di confronto dialettico, esce totalmente dal cerchio dell'attenzione [. . . ] la borghesia come oggetto di discorso viene radicaLnente rimossa dalla testualità e riapparirà soltanto negli anni sessanta» (Rinaldi, 1 982 , p. 99) . A sorreggere l'affermazione si possono elencare alcuni dati. Nel l 959, sull'ultimo numero di "Officina " , il breve saggio dal titolo Marxisants contiene i n nuce la coscienza di una rivoluzione neocapitalistica che sta creando forti dislivelli tra le classi sociali. Pasolini non può nascondersi che il lavoro intellettuale si svolge al­ l'interno della classe borghese, sorda e intenta solo al­ l'efficienza del suo lavoro e della sua produzione. E in­ fatti, fin dall'inizio degli anni sessanta l'avvicinamento al cinema è concepito proprio come tentativo di ritro­ vare forza espressiva per una realtà che va sempre più sbiadendo dentro il nuovo universo capitalistico. Nel 196 1 , il mondo primitivo e puro delle Ceneri di Gram­ sci viene sostituito nei versi della Religione del mio tem­ po dalle masse di «gente l che segue supina ogni richia­ mo l da cui i suoi padroni la vogliono chiamata». La città prende l'aspetto di cumulo di rovine che si sgreto­ la, come un corpo colpito dalla lebbra: è l'inizio della Nuova Preistoria. Nel 1 962, il film Mamma Roma deve rappresentare il fallimento di una vita sottoproletaria a cui si sovrappone una mentalità piccolo borghese e Pa­ solini giudica sbagliata la scelta della Magnani proprio perché in lei si esprime solo una forma di vita borghese. Nel 1963 La rabbia e Comizi d'amore, due film-docu­ mentario, contengono due atti di denuncia contro il mondo borghese: di taglio storico il primo, interamente fatto con materiale di repertorio, più divertito il secon­ do che affronta il tema della sessualità (e ne ricava il conformismo borghese degli italiani). Nel 1 965 prende 59

Borghesia avvio la discussione sulla nuova lingua nazionale. Men­ tre la borghesia fascista era rimasta limitata nel suo au­ toritarismo, la nuova borghesia capitalistica, soprattut­ to grazie all'enorme sviluppo dei mezzi tecnici, tende a diventare egemonica e ad imporre a tutta la nazione la lingua della produzione e del consumo. La nuova tec­ nologia e la nuova forza politica si propongono come «un principio modificatore all'interno del linguaggio, modificatore e omologatore di quei vari tipi di linguag­ gio che formano la variopinta geografia dell'italiano na­ zionale così come si presenta ora» (da un dibattito del febbraio 1965 ora raccolto in Interviste corsare sulla po­ litica e sulla vita 1 955- 1 975). Nel l968 Teorema, primo film interamente borghese, propone allegoricamente l'esperienza del sesso e del sacrificio come unica via di fuga. Quando il borghese si confronta con l'elemento che la sua razionalità omologante ha eliminato Oa sa­ cralità, in questo caso la sacralità legata al sesso e alla poesia) il contatto rischia di essere tanto forte da porta­ re alla perdita di identità e all'alienazione: il che avvie­ ne puntualmente per tutta la famiglia borghese coinvol­ ta dal " teorema". E qualcosa di simile caratterizza in Porcile il destino di Julian, il giovane che trova nel rap­ porto autodistruttiva con i maiali l'unica via di salvezza al potere assoluto del padre (-t Padri) . Tutti questi temi trovano poi maggior supporto teorico e polemico negli scritti degli anni settanta, quando cul­ tura borghese e neocapitalismo diventano un 'unica macchina che schiaccia e distrugge ogni forma di vita alternativa sia a livello nazionale sia a livello mondiale. Tutte le culture popolari vengono assorbite nel grande flusso della cultura borghese e rientrano nell'implacabi­ le circuito economico della produzione e del consumo. Gli interventi giornalistici tra il 1 973 il 1 975 (poi con­ fluiti negli Scritti corsan) ripetono un motivo unico fi­ no allo sfinimento. La reazione iniziata dopo l'interval­ lo del Sessantotto costituisce la prima vera rivoluzione di destra che l'Italia conosca. Il potere borghese, la cul­ tura di massa, il consumismo hanno prodotto una vera «mutazione antropologica» fondata sull' «omologazio60

Callas, Maria ne>> (tutti devono condividere gli stessi bisogni) e sul «genocidio» (ogni forma di vita minore va eliminata). il romanzo incompiuto Petrolio racconta il mondo con­ fuso e uniforme che viene fuori da questa rivoluzione. L'ultimo film, Salò, ne dà la rappresentazione allegorica più crudele e insopportabile. Pasolini e Maria Callas ( 1 923 - 1 977) si conobbero nel marzo del 1969, grazie alla mediazione del produttore Franco Rossellini. La Callas era arrivata alla fine di un percorso che le aveva dato successo negli anni cinquanta, era uscita da una burrascosa relazione con l'armatore greco Aristotele Onassis e aveva sempre rifiutato di comparire nel cinema. Pasolini la sceglie a interpretare Medea perché vede in lei, come nell'antica eroina greca, una donna proveniente da un mondo pri· mitivo, educata poi alla civiltà borghese. E forse si rico­ nosce nel destino tragico di una personalità timida co­ stretta a confrontarsi con la realtà awersa che viene dal successo: ne ricava un ritratto sofferto, che ha l' assolu­ tezza di un'icona. I viaggi per girare le scene del film li portano a Goreme in Turchia, ad Aleppo in Siria, nella laguna di Grado, a Pisa e nei dintorni di Roma. Nell'e­ state del 1 970 Pasolini trascorse una vacanza con la Cal­ las a Tragonisi, dove disegna, usando materie naturali, alcuni ritratti della cantante (ne rimangono in tutto quattordici) ; alla fine del 1 97 1 con la Callas, Moravia e la Maraini fa un viaggio tra il Senegal e il Mali. Sia du­ rante la lavorazione, sia dopo l'uscita del film i giornali lanciarono lo scoop di un amore nato tra i due (c'è an­ che la foto famosa di un bacio all'aeroporto di Roma). Di sicuro, rimane un gruppo di poesie che costituisce uno dei nuclei di Trasumanar e orga n izzar, un vero canzoniere nel canzoniere dove Pasolini affronta il rap­ porto con il mondo femminile e con l'idea del matri­ monio. La sezione del libro intitolata La città santa si apre con una composizione che prende titolo da un'aria di Leonora nel Trova/ore di Verdi - "Timor di me? " per alludere alla paura del poeta di fronte a un'offerta d'amore. U canto della Callas è il segno di una «lietez-

CALLAS, MARIA

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Calvino, Italo za» che deriva da «Un ritorno dalla morte». Lei provie­ ne da un luogo vuoto del Cosmo, il luogo in cui si tro­ va il padre; per il poeta invece questo luogo rimane sco­ nosciuto, inesplorato, ed egli non può certo assumere il ruolo di padre che la cantante gli chiede. Eppure rico­ nosce che anche dal padre («quel mostro d'autorità») può nascere «la dolcezza, se non altro come rassegna­ zione e breve vittoria» (--+ Padri) . Una volta superato l'Edipo, la donna ha potuto fondare quella "città santa" che corrisponde al rispetto della norma. In "La baia di Kingstown " (il nome del luogo rimanda a un re, cioè a un'immagine paterna) il poeta continua a rifiutare il ruolo che la donna gli riconosce («tu ti ostini a sapermi come Lui mi vorrebbe») , anche se alla fine troviamo la confessione: «l miei occhi prendono in considerazione l " i lombi immondi di donna, di carne d'uomo l non fatta a somiglianza di Dio, p reda del serpente " , l e affa­ bulo d'amore a Psikikò» (dove il toponimo Psikikò può essere inteso come " luogo dell'anima" ) . "L'anello", componimento datato 10 agosto 1 970, riprende una suggestione dantesca (il famoso episodio di Pia de' To­ lomei del Purgatorio) per creare la metafora del vento che "inanella" come la gemma di matrimonio i corpi e le cose, cioè li fa suoi come un ricco acquirente (forse allusione a Onassis) e ne toglie la vita. Allora «le parole si fanno bugiarde>> e anche la voce della poesia diventa inutile. Se il vento dell'Egeo dava l'illusione dell'amore, era solo perché «tutto si proiettava nel vento che scor­ reva l come una gemma che non sposa e non scioglie l su quelle isole deserte» ( "Rifacimento" ) . Pasolini h a dedicato a un'opera di Calvino ( 1 923 - 1 985 ) , Le città invisibili, una lunga re· censione. Calvino, invece, non ha esplicitamente scritto su Pasolini, anche se lo ha sempre ricordato nei saggi panoramici sul romanzo italiano. Ha preso posizione due volte nei confronti di Salò, sul "Corriere della Sera" del 3 0 novembre e del 1 0 dicembre 1 975 e il 4 novem­ bre (subito dopo l'omicidio) ha scritto Ultima lettera a Pier Paolo Pasolini. CALVINO, ITALO

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Calvino, Itala Risale all'inizio degli anni sessanta un intreccio di di­ scussioni tra i due autori, quando a molti intellettuali italiani sembra di essere arrivati a un punto di svolta culturale che riguarda anche la letteratura. In Tre cor­ renti del romanzo italiano d'oggi (conferenza del 1 959, poi raccolta con tutti gli altri saggi in Un pietra sopra) Calvino sottolinea nella scelta dialettale di Pasolini la convivenza dì neorealismo e filologia lirica, l'attenzione per la gioia sensuale del popolo e il bisogno severo di ri­ scatto sociale. Sempre nel 1 959, parlando del «mare dell'oggettività», Calvino cerca di interpretare i segni di una letteratura dove l'io viene sommerso dalla marea delle cose: per lui, in mezzo alle sabbie mobili dell'og­ gettività non deve andar perso quel minimo d 'appoggio «che basta per lo scatto di una nuova morale». Dopo aver preso a esempio la Roma di Gadda, Calvino si ri­ volge al mondo dei romanzi di Pasolini, nei quali sem­ bra di immergersi in un mondo informe, «una marmel­ lata umana spalmata sugli squallidi bordi della città». A un certo punto, però, l'affiorare di un pensiero o di un sentimento indica la presenza minima di una coscienza, qualcosa che si differenzia dal magma indistinto. E in­ fatti nel giugno del 1 959 Calvino scrive all'autore di aver apprezzato Una vita violenta più di Ragazzi di vita perché in questo «(pur bellissimo come poema lirico) mancava la tensione individuale, l'attrito col mondo». Il discorso sul neocapitalismo che Pasolini introduce nella Religione del mio tempo ha un corrispettivo nel saggio La sfida al labirinto che Calvino pubblica sul "Menabò" del 1 962 , dove viene analizzata l'intera si­ tuazione europea e sostenuta una linea razionalistica dell 'avanguardia opposta a una linea viscerale. Qualche anno dopo il problema si sposta sul versante linguistico. Nel dicembre del l 964 Pasolini pubblica su " Rinascita" un lungo saggio sulle Nuove questioni linguistiche: pas­ sando in rassegna gli scrittori a lui contemporanei, defi­ nisce il rapporto di Calvino con l'italiano medio «un'ac­ cettazione della normatività», cioè un'assunzione della lingua media sulla base di una struttura francese e di un atteggiamento ironico (Pasolini non registra, però, la 63

Calvino, Italo leggera componente dialettale presente nelle opere di Calvino, e neanche il suo tentativo di resa di una lingua parlata). Il dibattito sulla nuova lingua italiana innesta­ to da Pasolini prosegue sulle pagine di "Rinascita" e sul suo supplemento mensile " Il contemporaneo " . Il 3 0 gennaio 1 965 Calvino insiste mettendo i n primo piano la questione della comunicabilità di una lingua, ma poi rifiuta le analisi stilistiche di Pasolini che lo riguardano e critica sia l'idea di un italiano medio sia la possibile funzione dei dialetti; il suo ideale linguistico è quello di un italiano «che sia il più possibile concreto e il più pos­ sibile preciso». Sul " Giorno" del 3 febbraio 1 965 la po­ lemica di Calvino si rivolge verso un' «antilingua» non più collegata con la realtà dei fatti; per lui può nascere, come vuole Pasolini, un italiano moderno, ma deve es­ sere soprattutto una lingua strumentale, una lingua pra­ tica, sorretta dalla tecnologia; la letteratura manterrà in vita invece «l'essenza più peculiare e segreta della lin­ gua». Pasolini ( " Rinascita" , 6 marzo 1 965 ) torna a di­ fendere i dialetti e l'espressività («Essi saranno real­ mente presenti nei vari momenti, o fasi, o situazioni lin­ guistiche attraverso cui l'italiano si accinge a passare»); sottolinea, poi, la mancanza in Calvino di una prospet­ tiva politica. Anche lui, da letterato, si rende conto che i codici linguistici non nascono più dalla letteratura, ma vengono imposti dal potere, che sia lo Stato o le nuove aziende del Nord: «la lingua interregionale internazio­ nale " segnaletica" del futuro sarà la lingua di un ll)On­ do unificato dall'industria e dalla tecnocrazia (se il marxismo, s'intende, avrà perduto le vie della rivolu­ zione . . . ) e i letterati, essendo uomini come gli altri, su­ biranno la mutazione di tutti». Tra la metà degli anni sessanta e l'inizio degli anni set­ tanta, tra Pasolini e Calvino cade il silenzio. Calvino si ritira a Parigi e la sua attenzione per le nuove teorie let­ terarie produce un effetto simmetricamente opposto a quanto awiene per Pasolini. La narratologia e la semio­ logia diventano in lui strumento per misurare quanto la letteratura può prendere distanza dalla realtà (sono gli anni da cui usciranno le Cosmicomiche, il Castello dei 64

Calvino, Itala destini incrociati e le Città invisibili). Pasolini, invece, passa al cinema e lo teorizza su base semiologica come Codice dei Codici, lingua serina della realtà. Per tuni e due il rapporto tra leneratura e realtà rimane, però, cru­ ciale. A questo proposito diventa un passaggio fondamentale la recensione che Pasolini dedica sul " Tempo" del 28 gennaio 1 973 alle Città invisibili, in cui all'inizio sottoli­ nea come lui e Calvino abbiano compiuto un cammino insieme fino agli anni sessanta, per poi dividersi quando Calvino ha abbracciato la via dell'attualità (cioè la neoa­ vanguardia e il movimento studentesco) , e lui invece è rimasto solo nel suo rifiuto; ora il suo nuovo libro sem­ bra aver chiuso con qualsiasi elemento dell'anuale e del quotidiano, come se ad averlo serino fosse stato qualcu­ no a cui è passata davanti agli occhi tuna la vita dell'u­ niverso. Ogni strumento intellettuale è ormai un ricor­ do e la cultura dell'autore è diventata uno smisurato re­ pertorio di idee diventate illusioni. Così, nel libro non ci sono più significati fissi ma un 'ininterrotta sequenza di effetti di ambiguità («Il senso è come un'eco in una val­ le piena di grone che suona ora qua ora là, pur essendo sempre lo stesso») ; la descrizione di ogni cinà è da ri­ condurre a uno scontro tra un modello ideale e la realtà. Partendo da un dato fisico, da un'impressione reale, Calvino crea degli spazi surreali e onirici che contengo­ no comunque al loro interno una tensione irrisolvibile tra dato sensibile e immagine sognata. La dimensione storica viene come lasciata indietro; non c'è più dialeni­ ca (questa è una delle idee che Pasolini ribadisce più volte a proposito di se stesso) . Le Città invisibili posso­ no essere messe a confronto con l'opera alla quale Pa­ solini sta lavorando per ricavame un film, Le mille e una notte: «Come ogni racconto de Le mille e una notte è il racconto di una anomalia del destino, così ogni descri­ zione di Calvino è la descrizione di una anomalia del rapporto tra mondo delle Idee e Realtà (che è poi il De­ stino nella civiltà occidentale)»; e in effetti la struttura a scatole cinesi del film sembra anticipare quello che Cal­ vino attuerà con Se una notte d'inverno un viaggiatore 65

Calvino, Itala (anche questa, opera sul destino, del lettore e del mon­ do, del lettore nel mondo). Pasolini ha intravisto, più di tanti critici universitari, il modo di Calvino di allonta­ narsi dalle teorie pur utilizzandole. E infatti Calvino gli risponde con una lettera da Parigi (7 febbraio 1 97 3 ) e sottolinea la distanza esistente tra loro due, l'uno proiet­ tato nell'attualità, l'altro realmente " ingiallito" in di­ sparte: «l morti, a non essere più in un mondo in cui troppe cose non gli appartengono più, devono provare un misto di dispetto e di sollievo, non diverso dal mio stato d'animo» (è già il tema di Palomarl. Non abbiamo una reazione di Calvino al film "orienta· le" di Pasolini, abbiamo invece una sua presa di posi­ zione sul film tratto da Sade, di cui viene criticata la po­ ca chiarezza e individuata soprattutto la disperazione che nasce nel rappresentare un mondo corrotto. Ma qui, e nella risposta ad Alberto Moravia che esce sul "Corriere della Sera" del l O dicembre 1 975, Calvino in­ siste soprattutto sul fatto che Pasolini non è stato capa­ ce di chiarire il suo rapporto con questo mondo corrot­ to, di individuare la sua parte nel sistema generale: «Era soprattutto di questo cambiamento del suo rapporto cogli altri che egli parlava, quando continuava a dire, con dolore: gli altri sono cambiati». 11 30 ottobre 1 972 Pasolini pubblica sul "Mondo" il suo ultimo articolo, Lettera !uterana a Itala Calvino, risposta a un articolo di Calvino sulla strage del Circeo ( ''Cor­ riere della Sera" , 8 ottobre 1 975) . Per Calvino la degra­ dazione sociale deriva dalla mancanza di coscienza di una parte della borghesia italiana «che vive e prospera e prolifera senza il minimo senso di ciò che appartene­ re a una società significa», Pasolini ha, invece, uno sguardo critico molto più largo. Non si può parlare so­ lo di borghesia, e parlandone la si privilegia intellettual­ mente come poteva accadere negli anni cinquanta; oggi la modificazione antropologica ha cancellato tutte le culture precedenti; i modelli di vita distrutti sono sosti­ tuiti dai valori di una nuova borghesia che si impone co· me esempio a tutti gli altri strati sociali, creando ovun­ que degli imitatori ciechi e violenti. 66

Capelli Le posizioni di Calvino e di Pasolini rimangono diver­ se. Sono due intellettuali che si fronteggiano, ma sono anche due scriuori per i quali la leueratura rimane sem­ pre impigliata nei faHi del mondo, al di là delle scelte formali. Al bisogno narrativo del primo corrisponde l'impulso lirico del secondo: alla tecnica ironica del di­ stanziamento, l'esibizione ostentata dell'io. Prese singo­ larmente le loro opere rivelano più divergenze che con­ cordanze. Considerate nel loro insieme, la mutevolezza che le carauerizza non può non far pensare a problemi comuni risolti su fronti opposti. Per ambedue può vale­ re l'aueggiamento di sperimentazione continua che Pa­ solini testimonia proponendo di «far nostro il rischi9 della scienza» (su "Paese Sera" , 20 novembre 1 964 ): «E qui che bisogna discutere, tra noi italiani [. ] non si trana di conoscere la seconda legge della termodinami­ ca (è un pretesto), né di conoscere scientificamente e tecnologicamente i problemi auuali Oo facciamo), ma di far nostro il rischio della scienza, che non proietta nessun idillio nel futuro, ma, ipotesi dopo ipotesi, met­ te continuamente a repentaglio tuuo, e non vede nel fu­ turo che una serie di nuove ipotesi, senza mai pace né false idee palingenetiche dell'uomo». ..

C'è un'opposizione fondamentale che carat­ terizza l'immagine della gioventù maschile in tuua l'o­ pera di Pasolini. Questa opposizione, che corrisponde a una cesura cronologica vera e propria, è tra i capelli ta­ gliati corti sulla nuca e i capelli portati invece lunghi. Negli scriui del periodo friulano l'aspetto dei ragazzi non è troppo caratterizzato, ma la nuca scoperta e i ca­ pelli corti hanno già un valore estetico ed erotico. Così appare Nisiuti, in Atti impuri: «Aveva i capelli nerissi­ mi, lucenti e lisci, ma peuinati con la riga in parte, fa­ cevano sulla fronte un'onda graziosa». La presenza del ciuffo di capelli distingue poi la tipologia dei giovani delle borgate e del Meridione, di cui sono una variante i ricci neri di Ninetto. Il cliché si estende anche agli abi­ tanti dei paesi africani e orientali: nei sopralluoghi in Eritrea per il film dalle Mille e una notte, Pasolini crede

CAPELLI

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Casarsa (Poesie a Casarsa) di identificare il personaggio di Harun in un ragazzo con «i capelli corti che disegnavano la forma della sua testa, perfetta benché rotondeggiante». La frattura avviene negli anni settanta. Gli Scritti corsa­ ri si aprono con il famoso "Discorso" dei capelli (7 gen­ naio 1 973): la moda dei capelli lunghi, al principio letta da Pasolini come atto di contestazione interno alla ci· viltà consumistica, si rivela dopo il '68 come una ma· schera capace di confondere i rappresentanti di una sot­ tocultura di Destra con quelli di una sottocultura di Si­ nistra; in quegli anni «il linguaggio dei capelli non espri­ meva più "cose" di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la pre­ senza dei provocatori». Anche in un paese sottosvilup­ pato come la Persia, in mezzo ai ragazzi «Con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuf­ fi innocenti», cominciano a farsi vedere esseri mostruo­ si con i capelli tagliati all'europea «lunghi di dietro, cor­ ti sulla fronte» (è l'inversione del canone) . I capelli non parlano più il linguaggio della contestazione ma quello delle "cose" della televisione (cioè del potere). Nell'"In­ troduzione" alla Seconda forma de La meglio gioventù l'opposizione tra capelli corti e capelli lunghi definisce il destinatario del libro: «Se tutti i giovani comunisti si tagliassero i capelli, cadrebbe la maschera ai giovani fa­ scisti. [. . . ] A chi si taglia i capelli e si presenta col ciuffo - e la nuca pura del giovane forte e libero, io darò que­ sto libro, perché egli potrà capire - la sua novità: obbe­ dienza e disobbedienza, insieme». CASARSA (PoESIE A CASARSA)

Nelle interviste degli an­ ni sessanta Casarsa è per Pasolini un luogo ricordato at· traverso tutte le strategie della memoria: lontano, per­ duto, assente. È il luogo di una vocazione, dove si col­ locano l'origine di uno scrittore e il gesto di sfida di un giovane intellettuale nei confronti del padre fascista: «Un gesto abbastanza complesso e contraddittorio da parte mia, che non ignoravo che mio padre non aveva grande stima per il friulanO>> (a Duflot, p. 1 0) . Poesie "a Casarsa" sono inequivocabilmente quelle scritte per 68

Casarsa (Poesie a Casarsa) prime, nelle quali l'autore sceglie un dialetto e si oppo­ ne al padre reale e al Padre-Potere (� Padri ) . Nelle lettere di quegli anni ( 1 94 1 , 1 942, 1 94 3 ) Casarsa è il rifugio, il luogo delle vacanze dove apprestare una stanza tutta per sé, la stanza degli studi, delle letture, del colloquio epistolare con gli amici bolognesi (Farolfi e Serra, soprattutto). E Casarsa entra prepotentemente nell'elaborazione dei primi versi ( " Ode a un fiore, a Ca­ sarsa", "Nostalgia del tempo presente " , "Paesi nella memoria" ) , sempre inviati a caldo a Bologna. E poi c'è tutta una topografia locale esplorata in bicicletta, le fe­ ste di paese, le domeniche passate a ballare: materiali che si riversano in tutte le pagine di quegli anni, e che ritroviamo soprattutto in Atti impuri, dove la dimen­ sione del diario permette di registrare atmosfere piovo­ se, tramonti, notturni, bagni nel Tagliamento. Per quanto riguarda le poesie in friulano, composte pa­ rallelamente a quelle italiane, Pasolini parla di una «ri­ cerca arcaica», e automaticamente si inscrive in una li­ nea che dal simbolismo sfocia nell'ermetismo, fondan­ dosi sull'idea che il linguaggio poetico coincide con una forma espressiva assoluta (ancora a Duflot, p. 12). Ed è proprio la fiducia in una forma espressiva assoluta che può spingere un poeta a «chiudersi in un linguaggio ri­ servato alla poesia, precluso a qualsiasi intrusione della prosa», un linguaggio completamente artificiale, come può essere un dialetto non parlato in quanto nativo ma studiato e scritto. Insomma: una lingua orale portata per la prima volta sulla pagina ( � Friulano). L'espe­ rienza poetica nasce così all'incrocio tra lo studio della poesia provenzale (a Bologna Pasolini studia filologia romanza), l' amore per i poeti spagnoli e la memoria del­ le recenti letture pascoliane. Come se il tanto proclama­ to interesse per un mondo arcaico e contadino potesse realizzarsi sovrapponendo continui filtri culturali: dell"' en plein air" costruito in " atelier" . A J on Halliday: «Come linguaggio speciale per la poesia io adottai il friulano, ed era l'esatto contrario di ogni tendenza al realismo. Era il massimo dell'irrealismo, il massimo del­ l'oscurità» (p. 3 1 ) . Non si può parlare dunque di re69

Casarsa (Poesie a Casarsa) gressione nel dialetto, ma di innesto del dialetto nel tronco delle poetiche simboliste a raggio allargato, eu­ ropeo. Solo così si avrà una «favella inventata [. .. ] da usarsi con la delicatezza di un 'interrotta assoluta me­ tafora». Un procedimento manieristico, dunque, come manieristiche saranno più avanti le ascendenze figurati­ ve che Pasolini invocherà per il proprio cinema. Ma vediamoli da vicino gli elementi su cui si esercita questa raffinata operazione formale. Poesie a Casarsa è il titolo di un libretto di quattordici componimenti usci­ to alla fine di luglio del 1942 in trecento copie stampa­ te a spese della libreria antiquaria di Mario Landi. I componimenti sono quasi tutti di dimensioni ridotte, eccetto l'ultimo che ha la strutturazione di un dialogo medievale. L'intonazione dialogica è comunque comu­ ne a tutti: in tutti parla una voce che si rivolge a un in­ terlocutore definito da una serie continuamente alter­ nata di sinonimi. «Nini», «donzèl», «fì», «fantàt», >. La frase ripropone in sintesi le stesse idee che l'al­ lievo di Longhi ha elaborato sul cinema come linguag­ gio della realtà e ininterrotto piano sequenza: i fram­ menti pittorici (mettiamo da Giotto a Caravaggio) esi­ bivano quella realtà che poi sarà ricercata soprattutto LONGHI, ROBERTO

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Longhi, Roberto attraverso l'uso della macchina da presa (secondo Siti, l'espressionismo vociano passa attraverso la prosa di Longhi nei versi della Religione, proprio negli anni di accostamento al cinema). Del resto, fin da Accattone Pasolini dichiara che il suo gusto cinematografico nasce dalla sua cultura figurativa. I trecentisti (Masaccio, Giotto) e i manieristi sono i pittori che ama di più. E dall'orbita, dopotutto ristretta, di questi artisti proven­ gono le sue citazioni, che non sono mai dirette ma sem­ pre frutto di un pastiche, cioè di una mescolanza. In Ac­ cattone, per esempio, si può parlare di un ricordo di Masaccio, «non imitandolo per certe inquadrature, ma proprio pensandoci come sostanza, come modo di ve­ dere certe facce, certa gravità della materia». Anche se poi, in un'inquadratura famosa di Citti che indossa un copricapo femminile, viene più da pensare a certi ri­ tratti del Caravaggio. In Mamma Roma le due scene del banchetto di nozze e della morte di Ettore possono far pensare a Leonardo e a Mantegna, ma anche in questo caso la citazione non è diretta. La " sacralità tecnica" del movimento della macchina da presa impedisce una semplice riproduzione pittorica. Come nota Alberto Marchesini (Longhi e Pasolini: tra «/ulgurazione figurativa» e fuga dalla citazione, in " Au­ tografo" , sett. 1 992 ) «la sequenza dell'agonia di Ettore è affidata ai movimenti insinuanti del dolly, che per tre volte percorre il corpo del ragazzo, per fermarsi poi sul­ la figura intera di Ettore inquadrato dal basso con i pie­ di in primo piano». Di fronte a chi cita semplicemente il Cristo morto del Mantegna, Pasolini si difende chia­ mando in causa il maestro bolognese (a cui il film è de­ dicato) : «Ah, Longhi, intervenga lei, spieghi lei, come non basta mettere una figura di scorcio e guardarla con le piante dei piedi in primo piano per parlare di in­ fluenza mantegnesca ! Ma non hanno occhi questi criti­ ci? Non vedono che bianco e nero così essenziali e for­ temente chiaroscurati della cella grigia dove Ettore (ca­ nottiera bianca e faccia scura) è disteso sul letto di con­ tenzione, richiama pittori vissuti e operanti molti de­ cenni prima del Mantegna? O se mai, si potrebbe par1 17

Madre !are di un'assurda e squisita mistione tra Masaccio e Ca­ ravaggio?>> (l dialoghi, p. 305 ). La monumentalità delle figure di Masaccio diventa una costante dei film in bianco e nero, anche quando si ag­ giungeranno inserti colorati, come ne La ricotta, il cui nucleo viene dalla pittura manierista di Pontormo e Rosso Fiorentino (non troppo indagata da Longhi ma dal suo allievo Giuliano Briganti: � Manierismo ) : la sa­ cralità del ladrone Stracci («La faccia di antico camuso l che Giotto vide contro tufi e ruderi castrensi, l i fian­ chi rotondi che Masaccio chiaroscurò l come un panet­ tiere una sacra pagnotta», in "Pietro n " ) si contrappo­ ne all'estetismo del regista (Orson Welles) che vuole realizzare un vangelo inautentico e di maniera. E nel Vangelo secondo Matteo il riferimento rimane: «Pensavo principalmente a Piero della Francesca [ . . . ] ma pensavo anche al pittore che io amo di più, cioè a Masaccio». In Petrolio, il Piero della Francesca di Roberto Longhi fa parte dei libri che vengono ritrovati in una valigia ruba­ ta a uno studente che rappresenta il giovane intellettua­ le di sinistra. Se si volesse cercare un riferimento speci­ fico alla pittura di Piero si dovrebbe prendere in consi­ derazione il poemetto La ricchezza, dove viene descrit­ ta parte di un famoso affresco di Arezzo, la Battaglia /ra Eraclio e Cosroe. Ma forse ciò che colpisce di più Paso­ lini nel saggio di Longhi è l'idea che la prospettiva dei quadri di Piero riesce a parificare, sul piano dell'esi­ stente, oggetti ed esseri umani, mondo alto e mondo basso, angeli e pastori. Come spiega Longhi, tutti gli elementi della realtà diventano «altrettanti soggetti che, rapportandosi poi l'uno all'altro in una mirabile esposi­ zione cromatica, non valgon già più singolarmente ma soltanto nel complesso divinamente speculato dall'oc­ chio della prospettiva» (Da Cimabue a Morandi, p. 3 72 ). Potrebbe essere una formula adatta anche al realismo sacro di Pasolini. Susanna Colussi appare in carne e ossa a in­ terpretare la disperazione di Maria nel Vangelo secondo Matteo. Secondo le dichiarazioni di un'intervista, per MADRE

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Madre esprimere quel dolore assoluto il figlio regista le consi­ gliò di pensare alla morte dell'altro figlio, Guido. L'epi­ sodio si ricollega agli aspetti che assume la figura ma­ terna nella poesia di Pasolini: è un alter ego, un oggetto di identificazione nei versi giovanili, è la madre reale nella poesia degli anni sessanta (soprattutto in Poesia in forma di rosa), è una figura profanata in Bestia da stile e in Petrolio. Secondo Edi Liccioli, autrice di un bel saggio sul teatro di Pasolini, la poesia friulana è dominata dai due tipi di narcisismo descritti da Freud: il narcisismo primario porta ad amare se stessi in quanto incarnazione della madre, il narcisismo secondario spinge il soggetto a ri­ cercare gli adolescenti per amarli come la madre lo ha amato: «l fanciulli osservati e inseguiti dali' autore sono descritti sempre come calchi, ripetizioni, trasformazio­ ni dell'immagine materna» (Liccioli, 1 977 , p. 126). Al­ l'interno dell' UHgnolo, "Memorie" contiene una rievo­ cazione del!' assoluto amore infantile per la madre «lo­ doletta» (il simbolo gioioso della poesia provenzale) e la dichiarazione dell'amore omosessuale che ne deriva: «Mi innamoro dei corpi l che hanno la mia carne l di fi­ glio [ . . . ] i corpi dei figli l coi calzoni felici, l col bruno o il biondo l delle madri nei passi». Ne "L'Italia " , una geografia sentimentale che va dall'Appennino a Bolo­ gna per poi ritornare a Casarsa, risolve attraverso il sim­ bolo materno dell'allodola il passaggio dall'infanzia a!Ja coscienza: «Ai piedi dei colli emiliani, sul Reno, l non più voce d'allodola, non più dialetto, l ma lingua ormai gli era entrata nel corpo l il peso dei primi giorni del de­ stino». L'ultimo componimento, dal titolo " La scoperta di Marx " , si intitolava precedentemente "La ricerca di mia madre" e parla ancora del passaggio nel mondo adulto, favorito dall'impegno politico (la lotta a fianco dei contadini friulani): «E ogni giorno affondo l nel mondo ragionato, l spietata istituzione l degli adulti». Con la poesia degli anni sessanta la presenza della ma­ dre si è liberata di ogni travestimento simbolico. Arri­ viamo così alla famosa "Supplica a mia madre " , dove la confessione d'amore, l'angoscia e il desiderio omoses1 19

Madre suale sono uniti nell'essenzialità di dieci distici, ognuno con un'affermazione apodittica: «Per questo devo dirti ciò ch 'è orrendo conoscere: l è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia>>. L'amore di infiniti corpi senz'a­ nima si contrappone all'amore unico per l'anima incar­ nata nella madre: «Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu l sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitÙ>>. Il ribaltamento di questa immagine idealizzata avviene nelle opere dell'ultimo periodo. Bestia da stile offre il ri­ tratto oltraggioso della madre di Jan, il protagonista. Ed è un ritratto nel quale la madre assume tratti del padre reale di Pasolini, Carlo Alberto (militare in pensione e dedito all'alcol) : «Nella bocca senza denti, le labbra rientrano l e spariscono, dando alla tua faccia una l cu­ riosa espressione bisbetica. Anche i capelli, l a causa del bavero l rialzato ti cadono in ciocche l disordinate, cu­ riosamente bohème, bianche l sulla pelle arrossata dal vino come dalla febbre. [. . ] Madre avvinazzata l come un vecchio generale a riposo, l Io vediamo, sei in scio­ pero. l Non c'è millimetro del tuo corpo l pieno di vi­ no come un cesso di merda, l che non lo renda ben ma­ nifesto>>. Un altro tipo di profanazione troviamo in Pe­ trolio. La madre di Carlo si chiama Emma, come la pro­ tagonista del romanzo di Flaubert, e viene posseduta dal figlio in una scena che sembra la riscrittura parodi­ ca di Agostino di Alberto Moravia, il racconto dei tur­ bamenti erotici di un ragazzino che entra nell' adole­ scenza senza risolvere il suo complesso edipico. Come Agostino, qui Carlo vede la madre «intenta a imbellet­ tarsi per la festa a cui deve andare>>. L'assale brutal­ mente, senza che lei riesca a ribellarsi: «Benché sia for­ te come una vacca, per l'appunto, non riesce a liberarsi dalla stretta di quel piccolo Narciso trentacinquenne, secco come un adolescente>>. Il possesso materno offre un'immagine esasperata di un 'idea che Pasolini ha ripetuto spesso e ripreso negli ultimi anni, quella del ritorno circolare al punto da cui si è partiti. Edipo ritorna ai prati e alle acque verdi del­ la Livenza, il luogo dove per la prima volta i suoi occhi riconobbero la madre. Come spiega la sceneggiatura, a .

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Manierismo questo punto la musica esprime «una ripetizione, un ri­ torno - un 'immobilità originale nel muoversi vano del tempo>>: è «la misteriosa musica del tempo infantile - il canto d'amore profetico - che è prima e dopo il destino - la fonte di ogni cosa>>. Pilade, nel dramma omonimo, dichiara polemicamente contro le forze della ragione che «tutto torna indietro. l La più grande attrazione di ognuno di noi l è verso il Passato, perché è l'unica cosa che noi conosciamo ed amiamo veramente. Tanto che confondiamo con esso la vita. È il ventre di nostra ma­ dre la nostra mèta>>. «Un'idea accettabile del mamensmo può scaturire soltanto dalla tensione tra classico e ami­ classico, naturale e formale, razionale e irrazionale, sen· suale e spirituale, tradizione e smania di innovazioni, convenzione e rivolta contro ogni conformismo», que­ sta definizione di manierismo è di Arnold Hauser ed è tratta da un libro del 1 964 (Il manierismo. La crisi del Rinascimento e l'origine dell'arte moderna), tradotto in Italia nel 1 965 . Secondo Hauser il manierismo, l 'arte della deformazione interna al classico, si spiega con ra­ gioni storiche (la svolta copernicana, la Controriforma, il Concilio di Trento), ma ha anche risvolti sociologici (l'alienazione, cioè la perdita d'integrità del soggetto di cui parla Marx) e psicologici (la componente narcisisti· ca, cioè il ritirarsi del soggetto nel proprio io) che por­ tano fin dentro le origini deli' arte e della letteratura mo­ derna. Per questo, gli ultimi capitoli del libro sono de­ dicati a Baudelaire, a Mallarmé, al surrealismo, a Proust e Kafka. In Italia la ripresa di studi sulla pittura manie­ rista risale a Roberto Longhi e alla sua scuola, in parti­ colare a Giuliano Briganti, autore di Il manierismo e Pellegrino Tibaldi, saggio recensito da Francesco Ar­ cangeli sulla rivista " Leonardo" del giugno 1 946. Ar­ cangeli (che a Bologna è uno dei referenti di Pasolini) sottolinea che nei manieristi la volontà di eversione dal codice del classicismo coincide con la ricerca continua di nuove regole e nuovi limiti, sempre più complessi e raffinati («Il loro spirito anticlassico fu, insomma, una MANIERISMO

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Manierismo geniale rivolta, ma interna allo spirito stesso del classi­ cismo»). Alla presenza costante di un intellettualismo formale nei manieristi si accompagna poi «un 'ambi­ guità tormentosa del mondo morale». Per quanto riguarda l'applicazione in sede letteraria (di­ scussa con anticipo da Ezio Raimondi in un convegno del 1 962 ) il primo a utilizzare la categoria di manieri­ smo a proposito di Pasolini è stato Pietro Citati in un saggio del 1 959 («La ricchezza esuberante, persino li­ macciosa ed eccessiva, della vitalità, che si rivolge da ogni parte, non lascia nulla di intentato, sino al punto di distruggere se stessa, si unisce - nei suoi libri - con un talento di artista superbamente manieristico») . Più re­ centemente, Marco Vallora ha studiato nei particolari il repertorio manieristico dell'opera di Pasolini, e ha no­ tato come il richiamo ai pittori del tardo Cinquecento sia frequente soprattutto a cominciare dagli anni ses­ santa (cioè dal momento in cui Pasolini si crea una tra­ dizione figurativa di supporto alla produzione cinema­ tografica) . Ne La Guinea (poi in Poesia in /orma di rosa) del 1 962 si parla del «gusto l del dolce e grande manie­ risma l che tocca col suo capriccio dolcemente robusto l le radici della vita vivente: ed è realismo» (la citazione dimostra che ricerca formale esasperata, cioè "capric­ cio " , per Pasolini significa unico rapporto possibile con la realtà, non il contrario). Nel cortometraggio La ricot­ ta ( 1 963 ) Pasolini sfrutta ampiamente un richiamo figu­ rativo alla pittura manierista, immaginando che un regi­ sta di oggi (impersonato da Orson Welles) giri un film sulla crocifissione e crei un quadro vivente ispirato alle deposizioni di Pontormo e di Rosso Fiorentino (una fo­ tografia del set mostra Pasolini che fa mettere in posa gli attori sulla base di una riproduzione che viene da un al­ tro libro di Briganti, La maniera italiana) . La citazione è comunque ironica, dal momento che serve a rendere un'atmosfera sacrale e nello stesso tempo svela la di­ stanza del soggetto religioso dalla realtà terrena di una comparsa che impersona un !adrone e che muore sulla croce per aver mangiato ingordamente tra un ciak e l'al­ tro. All'ironia si aggiunge l'autoironia, come spiega lo 122

Manierismo stesso Pasolini: «N el passo dove faccio ironia sul regista (Orson Welles) di questa passione buffonesca, e metto in caricatura me stesso, ho in mente i manieristi, un al­ tro mio grande amore: Pontormo, Rosso Fiorentino, i manieristi toscani»; e anche: «Ho accuratamente rico­ struito i loro quadri [ . ] non perché rappresentino la mia visione delle cose [. . ] i due dipinti devono simbo­ leggiare lo stato d'animo con cui lavora Welles». Hau­ ser sottolineava che nel manierismo umorismo e trage­ dia convivono, sulla base del paradosso. Negli anni sessanta quella di manierismo diventa poi una nozione da usare in sede critica. In una recensione a Le mosche d'oro di Anna Banti (moglie di Roberto Longhi), preparata da Pasolini per il Premio Strega del 1963 , dopo aver criticato l'esclusione dal premio di Me­ moriale di Paolo Volponi, l'autore sottolinea il proprio amore per lo stile della scrittrice: «Meraviglioso manie­ risma ! Connettivo profondo e radioso tra sensualità, ir­ razionale e indistinta, e sapienza profonda e pacata de­ gli strumenti dell'espressione». La Banti si inserisce in una linea manierista che inizia con Comisso e arriva fi­ no a Bassani ( a latere «a dominare discretamente la si­ tuazione» ci può stare anche Gadda) . La concretezza delle sue figure «funeree e folgoranti» O'ossimoro, cioè il contrasto concettuale degli aggettivi, fa parte della tecnica manieristica) è da connettere non tanto con i manieristi storici ma con artisti come il Pollaiolo e i Fer­ raresi studiati da Longhi. Alla prosa d'arte del Nove­ cento la Banti oppone il culto dello Stile, cioè quel tan­ to di misterioso che non potrà mai essere mistificato Oo stile è qui legame con la tradizione e nello stesso tempo sua messa in crisi) . Manierismo è dunque antinaturali­ smo, capacità di creare correlazioni con altri stili (pasti­ che) per mettere in discussione le forme naturali e spe­ rimentare nuove tecniche. Nel saggio Nuove questioni linguistiche ( uscito su "Ri­ nascita " del 26 dicembre 1964 e poi raccolto in Empiri­ smo eretico) , partendo dalla considerazione dell'italiano medio come una linea immaginaria, Pasolini prende in esame gli scrittori italiani che si collocano sopra o sotto . .

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Manierismo tale linea. Al livello medio alto pone «una serie di ope­ re " iperscritte " , la cui ideologia non è il mito della poe­ sia, ma quello dello stile, e quindi il loro contenuto non è la letteratura stessa, ma la vita storica con i suoi pro­ blemi, portata a un clima di tensione letteraria così vio­ lenta da presentarsi come una sorta di manierismo nel­ l'accezione longhiana della parola». Accanto a quello della Banti, cita i nomi di Vittorini, Roversi e Leonetti. Nel settembre del 1965 , all'inaugurazione di una mo­ stra dedicata al pittore Gerolamo di Romano detto il Romanino, Pasolini tiene il discorso più esteso e coe­ rente intorno al problema del manierismo. Immaginan­ do di essere un detective che deve condurre un'indagi­ ne su un delitto (un omaggio ali 'lngravallo di Gadda, a Simenon o a Conan Doyle?) l'autore dichiara di aver cercato, lungo la mostra, il vero Romanino, eliminando alcuni luoghi comuni sull'artista. Prima ipotesi da scon­ fessare: Romanino non è semplicemente un eclettico, perché in lui si trovano sempre drammaticità e con­ traddizione. Seconda ipotesi: non è un grande profes­ sionista, dal momento che non elimina tracce di cattiva pittura, integrate come elemento espressionista nel suo stile. Terza ipotesi: non si tratta di un pittore facile, e verso di lui non si prova vera attrazione ma spesso fa­ stidio (queste tre considerazioni possono essere adatta­ te perfettamente allo stesso Pasolini). In Romanino c'è, invece, angoscia, c'è profonda coscienza stilistica, c'è uno sperimentalismo ossessivo che lo obbliga a passare attraverso le esperienze più varie ma mai secondo un principio d'evoluzione. Ed è proprio questo sperimen­ talismo che mantiene Romanino a equidistanza sia dal classicismo che dal manierismo: «ll classicismo era den­ tro di lui superato in quanto visione integra, totale, ar­ moniosa del mondo, e il manierismo era da lui rifiutato in quanto questa visione integra, totale, armoniosa del mondo, il manierismo la dissolveva, la disgregava, la de­ generava coscientemente». Così Romanino riesce a es­ sere estraneo alle strutture sociali della sua epoca, e le sottomette a una crisi continua, perpetuando una sorta di angoscia che non riesce mai a risolvere. Francesco 124

Medea Galluzzi propone di vedere in questo ritratto del Ro­ manino un autoritratto pasoliniano, da leggere in con­ troluce con la famosa poesia "lo sono una forza del pas­ sato" (non per niente recitata ironicamente da Orson Welles nella Ricotta) . [Garzanti, M ilano 1 970] Con Medea ( 1969) Pasolini adatta al cinema, ispirandosi a Euripide, una seconda tragedia greca, dopo Edipo re. L'idea di fondo è quella di realizzare un film fatto interamente di visio­ ni, quasi muto, presentando grandi quadri in cui la bel­ lezza dell'immagine passa attraverso l'impurità della re­ sa filmica (inquadrature sfocate, passaggi improwisi) ed è sostenuta da una colonna sonora di musiche anti­ che giapponesi. Al centro delle visioni è la figura di Ma­ ria Callas, spesso fissata in una serie di primi piani da cui risalta l'intensità allucinata del suo sguardo. Pasoli­ ni sovrappone alla storia classica della maga sedotta e abbandonata dal giovane Giasone una sovrastruttura antropologica che deriva dalle sue letture di Lévy-Bruhl ed Eliade: «Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, con il mondo di Giasone, mondo invece razio­ nale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale Oa mens mo­ mentanea) che non solo ha perso il senso metafisica, ma neppure si pone ancora questioni del genere. È il " tec­ nico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo» W sogno del centauro, p. 1 02 ) . Medea è una barbara che vive nella primitiva Colchide e amministra il culto del Sole, intrattenendo un rapporto privilegiato con il sacro (la prima scena in cui appare rappresenta un lungo rito di fertilità durante il quale viene uccisa una vittima umana) . Giasone è un giovane greco mo­ derno - a interpretarlo viene scelto il campione olim­ pionico di salto in lungo Giuseppe Gentile, nipote del filosofo Giovanni - che dopo aver ricevuto un'educa­ zione al sacro dal centauro parte alla conquista del po­ tere e sfrutta l'amore di Medea per poi abbandonarla. La tragedia non riguarda solo la sconfitta della maga, costretta a ricorrere alle sue virtù per consumare la ven­ detta su Giasone e sulla nuova promessa sposa, ma MEDEA

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Medea coinvolge lo scontro di due mondi, quello antico ormai vinto e quello moderno vittima dell'eccesso di raziona­ lità. Dal punto di vista figurativo il mondo della Col­ chide è reso da un paesaggio turco caratterizzato da li­ nee curve e sinuose (Medea si muove spesso roteando su se stessa), mentre nella seconda parte della storia la città di Corinto è ambientata a Pisa, la città natale di Galileo che rappresenta l'origine del pensiero scientifi­ co. Anche se Medea cade per amore e perde la fede (il contrario di quello che succede a San Paolo), la sua " conversione a rovescio" non impedisce che in lei con­ tinuino a sopravvivere i resti del sacro che, represso, rie­ merge con violenza distruttiva. Per Pasolini la civiltà na­ sce da un rapporto tra antico e moderno, tra tradizione e innovazione. Per sottolineare una dialettica mai risol­ ta tra elementi contrapposti, nel film ogni scena sembra ripetersi due volte (come nota Joubert-Laurencin in uno dei libri migliori sul cinema pasoliniano), a comin­ ciare dall'inquadratura del sole arancione che apre la storia e la conclude dopo l'ultima inquadratura del viso sconvolto di Medea. Raddoppiata è anche la presenza del centauro educatore di Giasone, come doppia è la morte di Glauce e Creonte, prima sognata da Medea e poi realizzata. Storia di passione sempre attuale. quella di Medea di­ venta anche possibile allegoria di un popolo del Terzo mondo che viene a contatto con la civiltà occidentale materialistica e ne resta vittima, salvo poi lasciar scate­ nare forze primordiali che provocano effetti tragici. È forse anche l'allegoria di un paese (l'Italia) che ha af­ frontato la propria modernità senza porsi domande fondamentali e sacrifica i propri figli alla voglia di pro­ gresso. Come Pasolini , anche Medea non riconosce più intorno a sé le tracce del mondo arcaico dal quale pro­ viene: «Medea si muove, osservando intorno tutte le cose che avevano avuto per lei un così grande, profon­ do, vitale significato. Esse non rispondono al suo sguar­ do. Sono come riprecipitate indietro, nell'insignifican­ te: sono cose morte. Disperatamente Medea si aggira tra loro». 126

Meglio gioventù (La) l Nuova gioventù (La) MEGLIO GIOVENTù (LA) l NUOVA GIOVENTÙ (LA) [Sanso­ ni, Firenze 1 954; Einaudi, Torino 1975] Nel 1954 esce, con dedica a Gianfranco Contini, La meglio gioventù, sintesi dell 'esperienza friulana il cui titolo viene da una canzone degli alpini: «la mejo zoventù la va soto tera» (sarà cantato in tono lugubre all'inizio di Salò). La rac­ colta è divisa in due parti: il volume primo, con il titolo Poesie a Casarsa ( 1 94 1 -5 3 ) comprende Poesie a Casarsa ( 1 94 1 -43 ) e 5uite furlana ( 1 944-49), il volume secondo, con il titolo Romancero ( 1 947-5 3 ) , comprende Il Testa­ meni Coran ( 1 947-52) e Romancero ( 1 95 3 ) . La doppia struttura corrisponde a due temi di fondo: il tema nar­ cisistico del rapporto con il mondo di Casarsa (conti­ nuamente cercato e perso) e la dimensione lunga del poemetto dove il soggetto affronta la storia, come ne " I Colùs " , cinque episodi in doppi settenari che racconta­ no le cinque generazioni successive della famiglia ma­ terna. Poco prima di morire, Pasolini riscrisse il suo libro friu­ lano intitolandolo La nuova gioventù. L'atto di riscrittu­ ra corrisponde alla negazione di tutto quanto faceva parte di quel primo mondo. La «fontana di aga dal me paìs» (fontana d'acqua del mio paese) della dedica ori­ ginaria diventa «fontana di aga di un paìs no me» (fon­ tana d'acqua di un paese non mio). Il «viso di rosa e miele» del «fantassùt» (giovinetto) diventa «viso di merda e miele» del «spirt di frut�� (spirito di ragazzo) . Come spiega Andrea Zanzotto: ). Ancora più esplicito quanto si legge in "Perché quella di Edipo è una storia" (premessa alla sceneggia-

PADRI

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Padri tura di Edipo re) : «Non ho mai sognato di fare l'amore con mia madre. Neanche sognato. [ . . ] Ho piuttosto so­ gnato, se mai, di fare l'amore con mio padre (contro il comò della nostra povera camera di fratelli ragazzi) , e forse anche, credo, con mio fratello; e con molte donne di pietra». Le date parlano chiaro. Uccellacci e uccellini, il film nel quale padre e figlio compiono un cammino condividen­ do gioiosamente le stesse esperienze elementari (la fame e l'amore), viene girato tra l'ottobre e il dicembre del 1 965 . Al marzo del 1966 risale l'ideazione, se non la ste­ sura, di gran parte del corpus teatrale. Nell'estate del 1967 viene girato Edipo re. Teorema, Porcile e la pub­ blicazione di A/fabulazione si susseguono tra la prima­ vera del 1968 e l'autunno del 1969. Si tratta di un grup­ po di opere che affronta sotto aspetti e con soluzioni di­ verse il nodo del rapporto tra padri e figli, incrociando i mesi della contestazione studentesca, sulla quale Paso­ lini interviene con il famoso Il Pci ai giovani.'.! (scritto nel marzo del 1968 e uscito sul numero di "Nuovi Ar­ gomenti" dell'aprile-giugno). I figli della nuova genera· zio ne si dividono in due gruppi, gli studenti "figli di papà " e i poliziotti "figli di poveri " , e Pasolini non può non stare dalla parte dei secondi. Si tratta di una pro­ vocazione: «Questi brutti versi io li ho scritti su più re­ gistri contemporaneamente: e quindi sono tutti "sdop­ piati " cioè ironici e autoironici», spiega Pasolini nell'A­ pologia che segue il testo, e che di solito non si tiene mai in considerazione. Ma proprio di fronte a questi «gio­ vani futuri», «primi figli del neocapitalismo» le sue po­ sizioni di vecchio figlio ribelle subiscono un aggiusta­ mento. Nell'agosto del 1 966 aveva scritto un lungo poemetto nel quale fingeva di rispondere a domande sulla sua vi­ ta e sul suo lavoro postegli da un intervistatore ameri­ cano: "Who is me" è il titolo originario, poi modificato in "Poeta delle Ceneri " . Pasolini introduce, forse per la prima volta, il discorso sull'amore verso il padre, anche attraverso un effetto di rispecchiamento (--+ Doppio): «Ora che io ho immeritatamente quarantaquattro anni, .

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Padri l circa l'età che lui aveva al tempo delle mie prime poe­ sie, l lo vedo fuori dalla mia storia, l in una vicenda che mi è totalmente estranea, l in cui io sono un colpevole eroe oggettivo». Poi riassume il contenuto delle sue opere, fermandosi su quelle che deve ancora realizzare. A proposito di Teorema spiega come il padre, l'indu­ striale borghese Paolo, «che aveva confuso la vita col possesso», una volta posseduto dall'ospite si ritova nel­ la posizione di figlio e butta via i suoi possessi Oa fab­ brica) per incamminarsi nel deserto. Ricerca cioè quel­ l'unità impossibile che corrisponde al " primo Paradi­ so ", lo stato indifferenziato in cui il figlio è unito a un Padre dolce come una madre Oa teoria dei due paradi­ si compare in un testo del 1 966 e poi viene riadattata al­ l'interno di Teorema) . L'ossessione di unione tra padre e figlio domina anche A/fabulazione: «Qui, per una vol­ ta, l il padre non vuole la morte del figlio, ma il suo amore. l Diviene lui figlio, e nel figlio, ragazzo, vede forse il padre, l e lo ama, non vuole ucciderlo, ma es­ serne ucciso, l non possederlo, ma esserne posseduto». Anche in questo caso la congiunzione è impossibile, e il padre, che arriva a uccidere il figlio per annullare la lo­ ro distanza, rimane per sempre privo di una parte di sé (come del resto Edipo si acceca e perde il mondo nel momento in cui conosce la verità). Bisogno di una nuova unione e impossibilità tragica dì realizzarla sono dunque i due motivi che ritornano in questi anni. Proprio nel 1 968 Pasolini compone il suo necrologio anticipato, "Coccodrillo" , dove la circolarità delle generazioni è ancora legata alla loro lotta: «egli fe­ ce un'esperienza incredibile: quella l di essere padre. Naturalmente si comportò come tale Oui, l che aveva tanto figlialmente ammazzato il suo). l Ma l'immagine dell'insieme classista dei suoi figli l era un 'immagine proprio insopportabile: tanto più l ch'erano figli ch'egli aveva dovuto adottare per forza. l Dio mio, quelle mi­ gliaia di facce uguali a quella di suo padre ! » W sogno del centauro, p. 1 85 ) . Negli Scritti corsari sarà messa sotto accusa la barriera che i figli contestatori hanno eretto contro i padri; solo attraverso un reale rapporto 143

Paese di temporali e di primule (Un) dialettico i figli possono prendere coscienza di sé e su­ perare i padri. Invece negli ultimi anni essi si sono chiu­ si in un ghetto che li ha tenuti fermi «alla loro insoppri­ mibile realtà storica», portandoli anzi a un regresso: «Sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risu­ scitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che pare­ vano superate per sempre» (Scritti corsari, p. 10). PAESE DI TEMPORALI E DI PRIMULE (UN) [Guancia, Parma 1 993 ] Il volume, curato da Nico N aldini, raccoglie scritti dispersi degli anni friulani, dal 1 945 al 195 1 . Si tratta di un 'iniziativa importantissima, anche per la ri­ costruzione di Naldini che fa luce su molti particolari dimenticati di questo periodo e consente di inquadrare ogni scritto in un contesto preciso. La raccolta è artico­ lata in quattro sezioni: Foglie Fuejs, con gli scritti più narrativi dove si uniscono idee di poetica tardosimboli­ sta, autoanalisi e tensione conoscitiva verso il mondo friulano; Di questo lontano Friuli, con le intuizioni teo­ riche sul dialetto e coscienza del legame profondo tra linguaggio e paesaggio; Il Friuli autonomo, dove si af­ fronta il problema dell'autonomia regionale; Dal diario di un insegnante, con pagine ispirate dall'attività scola­ stica. In appendice si trovano due frammenti di opere ancora inedite, il dramma Il cappellano e il romanzo sa· tirico Il disprezzo della provincia (storia di due intellet­ tuali falliti). PASCOLI, GIOVANNI � Critica; Passione e ideowgia.

PASSIONE E IDEOWGIA [Garzanti, Milano 1 960] Nel volume, che esce nel 1 960 con la dedica ad Alberto Mo­ ravia, sono raccolti i saggi di un decennio, 1 948- 1958. La strutturazione della raccolta non rispetta però l' arco cronologico. I due lunghi studi di apertura, quello sulla poesia dialettale e quello sulla poesia popolare, vengo­ no dalle due antologie del 1 952 e del 1 955 e sono uniti sotto il titolo Due studi panoramici. La seconda parte si intitola invece Dal Pascoli ai neosperimentali ed è incor-

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Passione e ideologia niciata dal saggio sul Pascoli del 1 955 (dal primo nu­ mero di "Officina " ) e dal discorso La libertà stilistica del 1 958, che sconfessa l'esperienza personale di una poesia ermetico-simbolista e proclama uno «sperimen­ talismo stilistico» diverso dallo sperimentalismo nove­ centesco. La struttura doppia ricalca il binomio del ti­ tolo, dove la "e" di «passione e ideologia» propone una gradazione cronologica, come avverte Pasolini: prima passione e poi ideologia. Così la poesia dialettale e Pa­ scoli costituiscono i due nuclei ossessivi di tutto il volu­ me, e si caricano di volta in volta di un valore storico: «La passione, per sua natura analitica, lascia il posto al­ l'ideologia, per sua natura sintetica». In effetti gran par­ te del valore della raccolta (al di là dei singoli saggi) sta proprio nel sistema interno di corrispondenze e di ri­ chiami, con la critica marxista (e Gramsci, e l'antropo­ logia di De Martino) a fornire la prospettiva generale e la critica stilistica (Contini, Spitzer, Devoto) a operare sui testi particolari. Nella poesia dialettale si raccoglie l'eredità della poeti­ ca romantica e della poetica verista, con risultati diver­ si che Pasolini misura sulla realtà storica e sociale delle varie regioni, salendo dal Sud al Nord. La comparsa di Pascoli crea un movimento compatto che si irradia re­ golarmente fino al periodo vociano, quando la mesco­ lanza con il crepuscolarismo e le influenze della poesia europea, unite alle reazioni della "Ronda" e di Croce, «fermeranno sul piano più alto del gusto letterario que­ sta influenza, che continuerà allora sotterraneamente, e proprio in quelle zone, che, com'è naturale, si trovava­ no rispetto a essa in ritardo e ai margini, cioè le zone dialettali» (p. 5 1 ) . Il discorso su Pascoli (che esce nel­ l'anno del centenario, ed è contemporaneo alla confe­ renza tenuta da Contini a San Mauro e stampata solo nel l958 con il titolo Il linguaggio di Pascoli) è la chiave di volta del volume. Con la diagnosi della psicologia pa­ scoliana, dove convivono l'ossessione di rimanere sem­ pre identico a se stesso ( una formula che equivale al narcisismo verificato anche in alcuni dialettali come Di Giacomo) e lo sperimentalismo che al contrario spinge 145

Passione e ideologia verso la variazione, Pasolini descrive il "tipo" (il tipo ideale) dello scrittore "novecentesco" , dalla " Voce" al­ la " Ronda " e all'ermetismo. «Vita sentimentale viziata», «affettività di continuo protestata ma senza oggetto», «bontà informe e infantile» sono gli elementi che com­ pongono questo ritratto, verificato poi con le parole di Manzoni e di Gramsci («Gli intellettuali concepiscono la letteratura come una professione a sé»). La figura di Pascoli risulta essere così soltanto una variante moder­ na dell'archetipo italiano, contraddetta parzialmente dall'antiborghesismo ideologico della " Voce" e subito riproposta dalla borghesia provinciale italiana dei primi decenni del Novecento, che addirittura fa un passo in­ dietro rispetto al proprio modello. Il suo sperimentali­ smo rimane linguistico, non supportato dalle ragioni ideologiche di un Manzoni o di nn Verga. La sua posi­ zione è quella di chi si accampa nel centro della tradi­ zione, pur allargandola fino ad assorbire zone margina­ li. Nel saggio seguente su Giotti (dal titolo indicativo La lingua della poesra) si specifica ancor meglio il paradig­ ma critico che Pasolini sta elaborando. In Giotti si ri­ trovano tutti gli elementi della lingua pasp�liana uniti alle nuove categorie dell'estrosità e dell'ironia. Ma il suo dialetto è già una lingua «assoluta», «quasi inventata», cioè la «lingua maggiore» della tradizione ridotta a «lin­ gua minore», abbassata di tono fino quasi a raggiunge­ re il parlato senza però perdere le sue caratteristiche se­ colari di lingua letteraria. Pascoli avrebbe voluto evade­ re da questa lingua minore verso il dialetto, e Giotti rea­ lizza per primo questa evasione. Per Mengaldo (autore di uno studio su Pasolini critico e la poesia italiana con­ temporanea) una delle intuizioni critiche più notevoli è proprio «l'insistenza - magari anche eccessiva - con cui viene rilevata un po' in tutti i dialettali l'importanza del­ la componente "pascoliana " , la loro capacità di prose­ guire - grazie al " ritardo" culturale stesso - quelle indi­ cazioni di gusto plurilinguistico, di rivolta antiletteraria ecc. che Pascoli aveva posto così fortemente e che la poesia in lingua a lui successiva si mostrava meno capa­ ce di sviluppare per la sua natura in gran parte classici146

Passione e ideologia stica e restauratrice». Da qui in avanti il rapporto tra lingua maggiore e lingua minore costituisce uno dei punti forti del discorso critico. Dal loro intersecarsi con i concetti di centro e periferia vien fuori il reticolato che consente di percorrere la storia poetica del secolo. Così il mondo astorico di Montale nasce dalla volontà di operare al centro, appunto perché diventa per lui diffi­ cile starei. Ungaretti riesce a occupare costantemente una posizione centrale, anche se il suo tendere verso il classicismo è continuamente minato dagli urti di una passionalità centrifuga. La marginalità di Saba ne fa il poeta più drammatico e difficile del secolo, la sua os­ sessione è quella di un continuo farsi e «ogni volta co­ minciare dolorosamente daccapo, sperimentare inces­ santemente». Quella di realismo è l'altra nozione che guida il discor­ so critico, appoggiandosi agli studi di Auerbach sulla distinzione e mescolanza degli stili. Nel Pasticciaccio Gadda mette in scena «l 'urto violentissimo tra una realtà oggettiva (non si può immaginare nulla di più og­ gettivo di un romanzo poliziesco d'ambiente, com'è questo nello schema) e una realtà soggettiva (il narrato­ re) incompatibili ideologicamente e stilisticamente tra loro». Gli scrittori che operano sul reale si trovano di fronte una situazione di bilinguismo, lingua usata dagli strati bassi e lingua letteraria. n neorealismo (in questo spronato dal cinema) ha fatto riemergere il fondo con­ creto che per il classicismo novecentesco non esisteva, anche se poi nel neorealismo (in Sciascia, in Rocco Sco­ tellaro) soprawivono tracce della prosa d'arte. Il ma­ nierismo di Bassani, il razionalismo distaccato di Calvi­ no, l'aristocraticità sintattica di Rea sono tutte soluzioni che non risultano definitive, ma semmai segnali di una frattura interna alla coscienza borghese degli scrittori. Risaltano maggiormente (anche per la capacità di pre­ vederne l'importanza futura) figure di poeti messi in ombra dalla critica ermetica: Bertolucci, Caproni, Sol­ mi, capaci di un 'ottica ristretta e di una rappresentazio­ ne vera della realtà proprio per il loro operare ai margi­ ni. Ed è per questo che, dopo aver descritto la propria 147

Pedagogia esperienza poetica nella sezione del saggio sul dialetto dedicata al Friuli, Pasolini la rilancia e la rinnega alla fi­ ne del volume attraverso il concetto di «libertà stilisti­ ca». Le Poesie a Casarsa nascono da una volontà di co­ noscenza che non può seguire le vie del razionale, ma deve tornare indietro a una lingua più vicina al mondo, il dialetto. E il dialetto si offre come un sistema lingui­ stico che permette di realizzare, secondo la concezione simbolista, una poesia come «atto mistico, irrazionale, squisito». La dimensione di questa lingua privata rima­ ne però unicamente la vita interiore (ancora una volta il narcisismo pascoliano). È necessaria allora una nuova sperimentazione. La lingua deve essere riabbassata al li­ vello della prosa, con la riadozione di modi stilistici che scavalcano il Novecento e riportano nella tradizione at­ traverso un movimento di ricerca continuo e senza ga­ ranzie. L'ideologia si sostituisce così alla passione, che comunque non può venir meno, soprattutto secondo la logica non dialettica ribadita da Pasolini. Don Paolo, protagonista del racconto lungo Romàns, è un prete che tiene scuola ad alcuni ra­ gazzi del paese e vive con la sua esperienza l'angoscia erotica omosessuale e l'attivismo pedagogico. Nel suo diario si interroga sui moderni metodi scolastici, come !'" attivismo" che si vale di nuovi mezzi rinunciando al­ l'autorità dell'insegnante per la partecipazione attiva degli studenti. Secondo lui il metodo positivista e quel­ lo idealista non tengono conto delle contraddizioni e dell'irrazionale che fa parte di ogni individuo. Una pe­ dagogia nuova e positiva deve nascere invece dalla «competenza vivente di chi vive nel cerchio continua­ mente mobile dello spiritO>) (Romàns, pp. 40, 44 ) . In don Paolo, che cita spesso san Paolo, sono sintetizzati gli ideali scolastici del giovane Pasolini, così come il gio­ vane comunista e insegnante Renato si fa portavoce del­ le esperienze politiche in cui il marxismo convive con gli ideali di carità cristiana. Romàns è il racconto di una pedagogia dove l'eros si unisce ali' agape ( � Omoses· sualità), dove il bisogno di superare il proprio tormenPEDAGOGIA

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Pedagogia to individuale diventa comunione con l'altro, anzi in­ venzione di una comunità nuova (quella comunità im­ possibile che si realizza nei pochi momenti felici della "festa " , secondo quanto annota sempre il diario del cappellano-maestro: «Oggi la lezione è stata perfetta, che armonia delicata e fervida ci teneva uniti ! n tempo era un fatto assoluto, propizio: il dare e il ricevere sca­ devano come in un ritmo di festa»). L'atmosfera friulana di Versuta e Valvasone porta Faso­ lini a inventare parabole rimaste famose, come quella del mostro Userum che pretende vittime umane da un villaggio finché arriva un cavaliere e lo uccide dividen­ dolo in tre parti, che poi corrispondono ai suffissi della seconda declinazione ( us-er-um ) . Il giovane che salva i fanciulli dal sacrificio è il maestro, e Pasolini capisce che la sua passione pedagogica non deve attirare su di lui l'interesse dei ragazzi, ma diventare «impersonale veicolo d'insegnamento»: «No, io dovevo mettermi in disparte, ignorarmi, dovevo essere mezzo, non già fine, d'amore» (Dal diario di un insegnante, in " Il Mattino del Popolo" , 29 febbraio 1 948, ora in Un paese di tem­ porali e di primule, pp. 27 3 -276). L'educatore deve libe­ rare lo studente dalle cristallizzazioni dell'autorità, po­ nendolo «in uno stato d 'animo critico e polemico» nei confronti dell'esistenza (Scuola senza feticci, in Un pae­ se di temporali e di primule, pp. 277 -279). Il problema rimane immutato fino agli anni sessanta, quando la sceneggiatura del Padre selvaggio ripropone un apologo (non diventato film, come avrebbe dovuto) nel quale il rapporto tra un insegnante bianco e un gio­ vane africano si fa mediatore di impulsi irrazionali e porta alla razionalità, attraverso lo strumento della poe­ sia (� Africa) . Finita la scuola, l'alunno Davidson vie­ ne risucchiato dalla vita primitiva del suo villaggio e as­ siste a un attacco sanguinoso voluto dal padre contro i soldati dell'Onu. Passando per una foresta il ragazzo selvaggio sente rinascere le forze del mondo arcaico, ma il ricordo della poesia letta a scuola riesce a creare la possibilità di una conoscenza razionale, liberando il fondo irrazionale che preme dentro di lui: potrebbe 149

Pedagogia sembrare, a distanza di anni, la realizzazione del sogno friulano di portare a esprimersi tutto il mondo nascosto nell'animo di un giovane incolto, liberandolo e depu­ randolo. Rapporto tra irrazionale e razionale, sdoppiamento in forme opposte sono temi sempre connessi al problema pedagogico. In Medea ( 1 969) sarà il centauro a imper­ sonare le due forme compresenti del sacro e del razio­ nale. Qualche anno prima, Uccellacci e uccellini ( 1 965) presenta la figura dell'allievo sdoppiata nella coppia co­ mica di padre e figlio (Totò e Ninetto) alle prese con la sapienza di un corvo maestro che alla fine, con una so­ luzione imprevista, deve essere assimilato, cioè mangia­ to: «ll corvo " doveva essere mangiato" , alla fine: questa era l'intuizione e il piano inderogabile della mia favola. Doveva essere mangiato, perché, da parte sua, aveva fi­ nito il suo mandato, concluso il suo compito, era, cioè, come si dice, superato; e poi perché, da parte dei suoi assassini, doveva esserci !"'assimilazione" di quanto di buono - di quel minimo di utile - che egli poteva, du­ rante il suo mandato, aver dato all'umanità (Totò e Ni­ netto)». L'ultimo atto pedagogico pubblico di Pasolini consiste nel trattato pedagogico Gennariello (poi in Lettere Iute­ rane) nel quale vengono impartite una serie di lezioni a un immaginario ragazzino napoletano. La prima parte del discorso spiega l'importanza del linguaggio delle co­ se, cioè del mondo materiale che sta attorno a ogni indi­ viduo nei primi anni e «rende quel ragazzo corporea­ mente quello che è e quello che sarà per tutta la vita». Si passa poi a parlare della funzione dei coetanei, che sosti­ tuiscono i genitori nel processo di crescita. Non sono realizzati invece i capitoli sulla famiglia, sulla scuola («quell'insieme organizzativo e culturale che ti ha com­ pletamente diseducato»), sulla stampa e la televisione («spaventosi organi pedagogici privi di alcuna alternati­ va») e le cinque sezioni dedicate a sesso, comportamen­ to, religione, politica, arte. Ma all'interno del trattato persiste coscientemente un intoppo che rende parados­ sale ogni discorso. Tra il maestro cinquantenne e !'allie150

Petrolio vo quindicenne si è verificata una vera "fine del mondo" . Le cose che avevano parlato al primo non esistono più, e le cose che parlano al secondo non possono essere com­ prese dal primo: «Ora io non posso insegnare a te le "co­ se" che mi hanno educato, e tu non puoi insegnare a me le "cose" che ti stanno educando (cioè che stai viven­ do)». Se manca una reciprocità didattica la pedagogia va irrimediabilmente in crisi. Non c'è più scambio dialetti­ co tra padri e figli: il blocco della tensione pedagogica si riflette nella scissione schizofrenica di Petrolio e nella pa­ rificazione tra vittime e carnefici di Salò, rappresentazio­ ne di una pedagogia rovesciata (e infatti il trattato viene dedicato «all'ombra sdegnosa di de Sade»). PETROLIO [Einaudi, Torino 1 992] A partire dal l 972 Pasolini dichiara più volte di essere alle prese con un romanzo che prevede di seicento pagine. Nel l 992 , cu­ rato da Maria Careri, Graziella Chiarcossi e Aurelio Roncaglia, il romanzo esce con il titolo Petrolio. Un al­ tro titolo pensato dall'autore era Vas, che rimanda a san Paolo (vas electionis) e più modestamente a un og­ getto contadino, la mangiatoia dei maiali. In ogni ca­ so i due titoli indicano qualche cosa di confuso, con un'aggiunta specificatamente politica il primo, che al­ lude a intrecci di politica e finanza legati ali 'Eni, l'ente nazionale petrolifero sorto negli anni sessanta e qui simbolo dell'intera rivoluzione neocapitalistica. Al di là del suo reale stato frammentario, il romanzo si sarebbe dovuto presentare come l'edizione di un testo classico in frammenti ( chiamati «appunti») dove la vicenda del protagonista, l'ingegnere Carlo, si intreccia ai fatti del­ la vita politica italiana. Carlo è il nome del padre di Pa­ solini, ma viene usato per un personaggio che ha l'età dell'autore (così, in un certo senso, padre e figlio uni­ scono la loro identità: da due opposti se ne crea uno). La sua dissociazione schizofrenica lo divide letteral­ mente in due, portando al formarsi di due individui uguali, con caratteri del tutto positivi il primo e del tut­ to negativi il secondo: Carlo di Polis e Carlo di Tetis si confondono e si scambiano i ruoli in tutti gli episodi

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Petrolio del romanzo, con una specifica perversione sessuale, il secondo che si trasforma in donna e arriva a intratte­ nere rapporti con venti ragazzi in una sola notte. Ma questa trasformazione fisica privata trova corrispon­ denza in una trasformazione ben più ampia, che riguar­ da la vita sociale italiana. Sono i temi trattati da Pasoli­ ni negli Scritti corsari, qui però investiti da una nuova dimensione immaginativa. Il racconto dei fatti è conti­ nuamente accompagnato da una discussione straniante del narratore con il lettore, per cui il romanzo è anche la continua negazione della forma romanzo classica, di cui però vengono allusi gli autori (Flaubert, Dostoev­ skij ). In una lettera a Moravia Pasolini dichiara di non aver voluto adottare una lingua romanzesca in senso classico, né di aver adottato la tecnica ottocentesca per cui l'autore crea un oggetto fingendone la naturalez­ za. La sua opera è come rimasta a metà strada, com­ piuta e incompiuta come quelle sceneggiature di cui teorizzava nei saggi sul cinema: ((Tutto ciò che in que­ sto romanzo è romanzesco lo è in quanto rievocazione del romanzo». La ragione sta nel rifiuto della conven­ zione, del gioco narrativo. È finito il tempo di giocare e l'autore vede l'opera come ((il preambolo di un testa­ mento». I nuclei narrativi principali del racconto sono: il ritorno a casa, nella provincia torinese, di Carlo, che in preda a un parossismo erotico possiede la madre e si masturba con la complicità della nonna (è citato esplicitamente Gozzano, implicita la profanazione grottesca del culto per la nonna proustiano); un sogno allegorico che allu­ de alla trasformazione sessuale di Carlo; una lunga di­ gressione su una famiglia di faccendieri, i Troya; il viag­ gio "mitico" di Carlo di Tetis in Oriente (questo viaggio prende il titolo dalle Argonautiche di Apollonia Rodio e fa da fondamento a un progettato secondo viaggio che doveva ripetersi nella seconda parte del romanzo); la presa di coscienza da parte di Carlo di Polis della sua trasformazione in donna, a cui segue il lungo appunto 5 5 (Il pratone della Casilina) nel quale Carlo ha rappor­ ti sessuali con venti ragazzi: è l'idea di un desiderio sen152

Petrolio za limiti che porta ali"' anomia" (concetto ripreso da Durkheim ); il ritorno del primo Carlo dall'Oriente gli rivela le trasformazioni dolorose in atto nel suo paese (le città devastate, la gente orribile), e a questo si ag­ giunge la scoperta che Carlo di Polis non c'è più; una seconda visione allegorica ( Giardino medievale) porta in scena un giovane " dio" proletario, Salvatore Dulci­ mascolo, che poi si incarna nel cameriere Carmelo, con il quale Carlo prova per la prima volta un rapporto omosessuale di sottomissione: da uomo di potere di­ venta oggetto dominato (confusamente si ripete la me­ tamorfosi da uomo a donna); una lunga serie di visioni rappresenta la degradazione della gioventù, impersona­ ta da un venticinquenne detto il Merda e dalla sua fi­ danzata Cinzia; alla fine delle visioni Carlo vede una statua fallica il cui scopo è quello di scatenare un riso vi­ vificante che, come nelle antiche religioni, risolve le cri­ si cosmiche. La seconda parte del romanzo, più disarti­ colata della prima, comprende una serie di brevi rac­ conti allusivi alla tecnica stessa del racconto, la descri­ zione di un lungo cammino di Carlo dalla campagna al­ la periferia di una città ( il titolo misterioso di questa parte è I Godoari) e infine una lunga festa modellata sulla scena simile dei Demoni di Dostoevskij. Dagli ap­ punti finali si deduce che, dopo un ulteriore viaggio, Carlo si ritira nel Canavese (nuova citazione da Gozza­ no) e decide di praticare il culto del «Dio ozioso»: «il Dio che gioca a nascondersi, il Dio che per esprimersi usa freddure come un pazzerello, e che, girellando qua e là a caso con imprevedibile leggerezza, mostra chiara­ mente che la " saggezza è nella stupidaggine"». È l'ulti­ ma fase di quel distacco dal mondo di cui Pasolini ave­ va già parlato nell'appunto 84 (]l gioco), definendo l'at­ teggiamento di Carlo un gesto di irrisione assoluta del­ la realtà che non escludeva la partecipazione alle cose del mondo, anzi la rendeva divertente come un gioco (in nota si dice che «da un'esperienza del genere è ve­ nuta all'autore l'ispirazione per questo romanzo») . Questa soluzione sembra anche l'unica via d'uscita del personaggio dal mondo del romanzo, che non è, come 153

Poesia in forma di rosa sottolinea l'autore, una storia, ma una forma che consi­ ste in «qualche cosa di scritto» (appunto 37 ) . Anche per questo il libro «non rimanda che a se stesso», è il poe­ ma «dell'ossessione dell'identità e della sua frantuma­ zione» (appunto 42 ) , si fonda sul disordine. Lo strata­ gemma classico della dissociazione (il tema romanzesco del doppio) rende possibile la rappresentazione del di­ sordine che traspare dal sovrapporsi dell'identità dei due protagonisti. Un universo confuso e oscuro diven­ ta visibile grazie alla luce del mito che lo immobilizza e ne fa risaltare grandi frammenti allegorici. L'appunto 99 (Storia di mille e un personaggio) contiene il racconto di un narratore che decide di costruire una storia creando una serie di sdoppiamenti di se stesso ( � Doppio). Do­ po alcuni complessi tentativi, si rende conto che per narrare una storia ha dovuto costruire una forma, cioè creare un finto disordine che non coincide con la li­ bertà. Contemporaneamente sente che l'atto creativo implica anche il desiderio di liberarsi di se stesso, cioè di morire. Abbandona allora il suo manoscritto, ritorna al paese natale, in Calabria, e si getta in mare. Il ritorno all'indistinzione dell'acqua conclude il suo racconto. Questa regressione definitiva corrisponde a quanto Pa­ solini dichiara in una recensione del 1 97 5 sui suoi fre­ quenti sogni delle acque prenatali, e uno dei libri citati nella bibliografia di Petrolio è Thalassa di Ferenczi, uno studio che interpreta la sessualità come regressione allo stadio prenatale e a sua volta la collega all'epoca primi­ tiva di vita nel mare. In un certo senso, la dissoluzione amniotica del narratore si collega alla scelta del "gioco" da parte del personaggio Carlo: sono due modi diversi per rinunciare a qualsiasi forma di azione nel mondo in· distinto del " petrolio" e ritrovare un contatto assoluto con la realtà. POESIA IN FORMA DI ROSA [Garzanti, Milano 1964] Quarta raccolta poetica di Pasolini, Poesia in /orma di rosa esce nel 1 964 in due edizioni vicine, la prima ad aprile, la seconda - riveduta e corretta - a giugno. Se la forma a cui allude il titolo è quella amata della rosa, 154

Poesia in forma di rosa simbolo di sessualità e di irrazionalità oltre che allusio­ ne mistica e dantesca, la forma interna dei componi­ menti è estremamente variata: troviamo il diario in ver­ si, la terzina, l'endecasillabo sciolto, la poesia visiva, il poemetto con mescolanza di versi e prosa. Le sezioni sono otto: La realtà (contiene fra l'altro: "Ballata delle madri " , "La Guinea" , "Poesie mondane" , "Supplica a mia madre), Poesia in /orma di rosa, Pietro II, Il libro del­ le croci (poi eliminato dall'edizione di giugno) , Una di­ sperata vitalità, Israele (diario dei sopralluoghi in Pale­ stina per l'ambientazione del Vangelo), L'alba meridio­ nale, Progetto di opere future, Appendice 1 964. Nel ri­ svolto di copertina, lo stesso poeta definisce la mesco­ lanza dell'opera parlando di «Temi , Treni e Profezie, di Diari, e Interviste e Reportages e Progetti in versi» e identificandone il contenuto nella consapevolezza della fine di ogni ideologia stabile, nella vocazione verso un'opposizione assoluta e nella scoperta che ormai «la Rivoluzione non è più un sentimento». A essere messi in crisi sono tutti gli ideali degli anni cinquanta; la con­ dizione presente è quella di una Nuova Preistoria. In un 'intervista ad Alberto Arbasino (gennaio del 1 963 ) Pasolini dice di vedere addirittura due Preistorie: «La Preistoria arcaica del Sud, e la Preistoria nuova del Nord. Io non ho armi per affrontare le "masse" pacia­ no-americane. La coesistenza delle due Preistorie (e la lenta fine della Storia, che si identifica ormai, soltanto, nella razionalità marxista), mi rende un uomo solo, da­ vanti a una scelta ugualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana, nei reami di Bandung, o gettarmi a capofitto nella preistoria del capitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto li­ vello industriale, nei reami della Televisione». L' affer­ mazione sintetizza il senso del nuovo libro. Pasolini si presenta in immagini continue di vecchiaia, di rovina fi­ sica (si vede scheletro, rudere, un «vecchio pezzo di giornale», immagina il proprio suicidio) mentre intorno il mondo di scheletri borghesi, insetti sopravvissuti alla fine del Mondo, gode degli «enormi l spazi a colori del­ la pubblicità». Anche il viaggio consueto nelle borgate 15 5

Poesia in /orma di rosa perde spessore. In "La persecuzione" viene riciclato un famoso luogo montaliano («forse un mattino andan­ do») per esprimere la perdita di contatto con la realtà: «Come, uscendo dall'interno, misi un piede l oltre il re­ cinto delle siepi del bar, tutto fu alle mie spalle. La gen· te l ai tavoli, la gioventù con le sue ignare l bellezze, i figli cuccioli [ . . . ]». Per contrasto, i sussulti di vitalità continuano a produrre desideri, parossisticamente ripe­ tuti: «lo, cupo d 'amore, e, intorno, il coro l dei lieti, cui la realtà è amica. Sono migliaia. Non posso amarne uno» (ma anche i ragazzi amati a un certo punto diven­ tano «monumenti di pietra l che a migliaia affollano la mia solitudine»). Dall'opposizione assoluta con il pro­ prio tempo nasce una tonalità profetica e disperata in cui si incastrano allucinazioni piacevoli (come la partita di pallone giocata sotto il sole con gli amici intellettua­ li, in "Pietro n " ) subito soffocate dalla «Bava che il mo· stro lascia passando sul mondo». La verità più volte enunciata è che «ogni uomo ha un'epoca sola nella vi­ ta» e Pasolini identifica la sua negli ingialliti anni cin­ quanta. Sta per finire l'idea dell'uomo legato alla reli­ gione della terra, «assorto a un suo piccolo lavoro, l con un piccolo bue, o un cavallo innamorato di lui, a un pic­ colo l recinto, in un piccolo campo, perso nell'infinità di un greto o di una valle». Davanti al piatto potere neo­ capitalista, Pasolini può farsi profeta di una nuova epo­ ca; e allora può sognare (in "Profezia " ) che un'armata di giovani arabi capitanati da Alì dagli Occhi Azzurri sbarchi in Calabria e, unendosi ai suoi fratelli contadi­ ni, inizi un'orgiastica invasione delle città industriali e capitalistiche del Nord, fino a riazzerare il corso della storia («distruggeranno Roma l e sulle sue rovine l de­ porranno il germe l della Storia Antica»). Se tutto è diventato merce, la poesia può salvarsi esi· bendo la mistificazione e mescolando codici e linguag· gi. "Una disperata vitalità" , poemetto centrale della rac­ colta, nasce dall'assemblaggio di una scrittura veloce, cinematografica, di un linguaggio tradizionalmente liri· co, di un dialogo grottesco che imita la banalità dell'in· tervista (un atto tipico dell'industria culturale, com156

Poesie menta ironico Pasolini). Di fronte alla giornalista («il cobra col golfino di lana») il poeta mima la sua dispera­ zione e la sua resa al sistema («Sono tornato tout court al magma ! l U Neo-capitalismo ha vinto, sono l sul mar­ ciapiede come poeta, ah (singhiozzo) l e come cittadino (altro singhiozzo)». Componendo la tavola sinottica della sua carriera, Pasolini offre un ulteriore ritratto della sua metaforica fine (Zigaina vi ha letto una delle profezie dell'assassinio premeditato ) , quando solo, «sulle rive del mare», aspetterà la morte come un rude­ re che si decompone sotto la luce (l'immagine barocca della rovina percorre. tutto il componimento, a comin­ ciare dal vecchio castello di Fiumicino che esprime, co­ me il poeta, lo stato doloroso e mortuario di chi «sta per non poter più essere compreso»). Così, di fronte alla >). L'inquadratura del sole, con l'effetto bruciato della pel­ licola , viene usata in EJipo re al momento dell'incontro tra Edipo e Laio, a significare l'accecante bagliore della verità, e il sole viene inquadrato all'inizio e alla fine di Medea, divinità tutelare della maga e ispiratore del sa"

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Stroligut crificio. Fare cinema significa allora «scrivere su della carta che brucia» (Essere è naturale?, in Empirismo ere­ tico) . Come spiega Walter Siti il sole «è il segno dell'a­ perto, dell'ambigua unità del quotidiano» (Siti, 1 989). La pellicola è carta scritta con la luce solare e proprio per questo, a differenza della semplice carta scritta, con­ sente un salto verso la vita che sta al di là della scrittu­ ra. A un certo punto a Pasolini sembra che i segni del sole siano più forti di quelli dell'inchiostro. "Stroligut di cà da l'aga" (piccolo alma­ nacco al di qua del fiume - cioè del Tagliamento) è il ti­ tolo di due fascicoli usciti nell'aprile e nell'agosto del 1 944: sono i primi prodotti della scuola casarsese fon­ data da Pasolini, il momento in cui l'esperienza privata dal friulano viene messa in comune e ridiscussa. Nel numero di aprile Pasolini pubblica Dialet lenga e stil, in cui cerca di spiegare che il dialetto, oltre a essere stru­ mento di comunicazione quotidiana, può diventare espressione scritta di sentimenti e di passioni, di cose elevate e difficili. Se poi si è in più d'uno a praticare questa soluzione, se si raccoglie una certa quantità di materiale scritto, allora il dialetto diventa lingua: «La lenga a sarès cussì un dialet scrit e doprat par esprimi i sintimins pì als e segres dal cour» (è del resto ciò che è avvenuto per l'italiano, passato da dialetto a lingua, dal­ la bocca del popolo alla penna degli scrittori) . Ma il passaggio a lingua deve implicare, oltre a una fissazione scritta, anche il confronto con una storia, con una tra­ dizione, e questo può verificarsi solo con la comparsa di scrittori capaci di dare al dialetto un'impronta persona­ le, farne scaturire uno stile, un segno interiore, privato individuale. Nel numero di agosto, Pasolini è presente con alcuni componimenti poetici, insieme a Domenico Castellani, Cesare Bortotto, Domenico ( Nico) Naldini. Il 1 8 febbraio 1 945 Pasolini e gli amici, lettori accaniti di Graziadio Isaia Ascoli che aveva rivendicato l'auto­ nomia linguistica del friulano, fondano l"' Academiuta di lenga furlana " . La rivista cambia nome, diventa sem­ plicemente " Il Stroligut " , e sulla copertina compare il

STROLIGUT

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Stroligut disegno del cespo di dolcetta (l'" ardilut " , versione loca­ le delle colte myricae pascoliane) con la divisa «0 cri­ stian Furlanut Plen di veça salut» (0 cristiano piccolo friulano, pieno di antica salute). La pagina di presenta­ zione, scritta in italiano e non più in friulano, ribadisce il bisogno di una tradizione che non sia un semplice re­ cupero della linea dialettale già esistente; anzi, la ricer­ ca procede in due direzioni cronologicamente divarica­ te: da una parte l'origine, >. La figura femminile della conciliazione (Maria è il nome della Callas, ma anche della madre del Cristo, e su di lei si chiude la raccolta) entra nel libro so­ lo per essere tenuta a distanza. TRIWGIA DELLA VITA [Cappelli, Bologna 1975) La Tri­ /ogia rappresenta il vero versante narrativo dell'opera di Pasolini. Ideata, composta e girata tra il 1970 e il 1974, comprende tre film tratti da opere fondanti della cultu­ ra europea e orientale: Decameron ( 1 97 1), Racconti di Canterbury ( 1 972) e Il fiore delle mille e una notte ( 1974). Con questi, noti come film erotici, Pasolini rag­ giunse fama di autore internazionale e, paradossalmen­ te, aprì la cinematografia italiana al genere pornografi­ co, unendo a una strategia di sicura presa sul pubblico

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Trilogia della vita il bisogno di sperimentare una forma nuova e parallela all'elaborazione del romanzo incompleto, Petrolio, e agli scritti politici degli ultimi anni. Elemento comune della trilogia è la volontà narrativa che, pur sviluppan­ dosi in mondi diversi, segue il ritmo della gioia corpo­ rale e sessuale, posta dall'autore a fondamento dei de­ stini umani. Ai due estremi, chiudono i tre momenti dell'opera due frasi, quelle di Giotto al termine del De­ cameron («Perché creare un'opera quando è così bello sognarla soltanto?») e quella messa in epigrafe al Fiore («La verità non sta in un solo sogno, ma in molti so­ gni»). Mentre i film tratti da Boccaccio e da Chaucer contengono elementi di continuità (il /eitmotiv della malinconica canzone popolare Fenesta ca lucive e mò nun luce, la presenza di Pasolini-Giotto nel primo e di Pasolini-Chaucer nel secondo), il film orientale si di­ stacca dai primi due sia per una struttura narrativa più complessa sia per una leggerezza figurativa data, forse, dalla presenza centrale dei personaggi femminili (alla sceneggiatura partecipò Dacia Maraini, seconda moglie di Moravia dopo Elsa Morante) . Le tre sceneggiature ( � Sceneggiatura) presentano ope­ razioni interessanti soprattutto in rapporto ai modelli usati: i film le integrano con una serie continua di im­ magini corporee, che costituiscono il vero elemento con­ duttore. Del Decameron sono rimaste due versioni scrit­ te: un trattamento e una sceneggiatura. n trattamento prevede quindici novelle divise in tre gruppi, a ognuno dei quali fa da cornice una novella sintetizzata in un per­ sonaggio (Ser Ciappelletto, Chichibio, Giotto: un delin­ quente geniale, un cuoco ironico e un pittore svagato, owero tre facce di una stessa personalità). In questo mo­ do Pasolini elimina del tutto la cornice storica dell'ope­ ra originaria (il racconto della peste), sposta quasi tutte le azioni da Firenze a Napoli e concentra l'atmosfera di ogni gruppo intorno a una novella portante: quella av­ venturosa di Andreuccio, quella maliziosa di Alibech e quelle opposte di Natan (nobile) e Peronella (oscena). Nel connubio ricercato di sacro e osceno, Pasolini lascia la funzione predominante al pittore Giotto che arriva a 1 93

Trilogia della vita Napoli e «passa per quei luoghi e tra quella gente buffo come un pagliaccio, con quel suo occhio divino che vede tutto [ . . . ]», per poi concludere il suo affresco guardandolo con «un lieve, ingenuo e misterioso sorri­ so». Il passaggio alla sceneggiatura corrisponde a una semplificazione della struttura, da cui vengono elimina­ te cinque novelle e accentuato l'elemento popolaresco e napoletano. La semplificazione è ancora più evidente nel film vero e proprio: due sole le parti, netta corri­ spondenza tra Ciappelletto e il pittore - che non è più Giotto, ma un suo allievo - eliminazione del tono ironi­ co dato da Chichibio, soppressione della novella di Ali­ bech (anche se viene girata) e riduzione a dieci del nu­ mero di novelle riprese. Il dialetto napoletano caratte­ rizza tutti i dialoghi: «Ho scelto Napoli contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva». Interpretan­ do il ruolo dell'allievo di Giotto ( inizialmente proposto a Sandro Penna e Paolo Volponi) e dandogli un caratte­ re trasognato e buffo, Pasolini dichiara di aver voluto de­ mistificare coscientemente il gioco narrativo dell'opera. Più evidente è la manipolazione cui viene sottoposto il libro di Chaucer. Su ventun novelle dell'originale Faso­ lini ne sceglie otto, collegandole l'una dopo l'altra sen­ za che ci siano stacchi dati dai narratori, con un effetto di visione continua che sembra nascere direttamente dalla mente di Chaucer, inquadrato spesso nel suo stu­ diolo mentre compone l'opera e sorride, come Giotto, dopo aver scritto la parola "fine". Da qui anche il ca­ rattere statico e fisso di molte scene del film. Il tema del vedere, del vedere bene o del non poter vedere costi­ tuisce del resto un filo comune a tutti gli episodi, fino all'ultimo dove un angelo rivela a un frate la visione di un'oltretomba in cui i religiosi vengono espulsi dal de­ retano di Lucifero, secondo un'immagine della cultura popolare del Medioevo. Molto complesso è il passaggio tra sceneggiatura e film de Il fiore delle mille e una notte. La sceneggiatura è di­ visa in tre parti, legate da forte simmetria strutturale. Nella prima si passa dal mondo moderno del Cairo ai frammenti di quattro storie antiche, attraverso l'espe194

Trilogia della vita cliente delle visioni che accompagnano quattro ragazzi arabi intenti a masturbarsi innocentemente. Nell'inter­ mezzo, quattro racconti sono messi in bocca a quattro presunti assassini che cercano di allontanare il momen­ to dell'impiccagione. Nel terzo tempo ricompare l'au­ tore con il ruolo di scrittore moderno che rivendica l'a­ politicità dell'opera e bacia i quattro ragazzi della prima parte (forse si tratta della dichiarazione più esplicita di omosessualità fatta da Pasolini), mentre tra un bacio e l'altro «come in una sequenza ininterrotta di visioni» si compone la storia di Nur ed Din e Zumurrud. Dal film scompare qualsiasi traccia di questa struttura, così co­ me la scena moderna con l'autore. La storia di Nur ed Din rimane asse portante e fa da cornice alle altre vi­ cende, che si incastrano l'una nell'altra e ritardano la conclusione felice della ricerca di Nur ed Din, che per­ de la sua amata Zumurrud e l'insegue per tutto il film ritrovandola solo quando accetta di farsi penetrare da lei, travestita da uomo. Fa da contrasto a questa la sto­ ria infelice di Aziz, amante infedele che perde la virilità a causa della sua leggerezza (il ruolo viene affidato a N i­ netto Davoli), anche se dal suo racconto deriva uno de­ gli insegnamenti morali dell'opera: «La fedeltà è un be­ ne, ma è un bene anche la leggerezza» (nella sceneggia· tura, al contrario, la frase suona ((La fedeltà è bene, la leggerezza è male !»). Dal punto di vista figurativo, Il fiore si distacca dai film precedenti proprio per una re· sa più mossa e leggera, per una luminosità delle imma­ gini in contrasto con il mondo spesso buio e chiuso del Decameron e dei Racconti di Canterbury, dove il corpo si impone con uno spessore dato anche dal tema osses­ sivo del cibo e dall'elemento osceno che sconfina nella scatologia: la presenza di un immaginario cristiano e punitivo si rivela anche nelle due visioni d'oltretomba contenute nei film, per cui il pensiero della morte sem­ bra gravare inevitabilmente su ogni vicenda. Le Mille e una notte, invece, vengono scelte come opera che met­ te in scena le anomalie del destino, il destino tipico di ((una civiltà religioso-feudale, in cui il popolo impone alla classe dominante, cui appartiene il narratore, il suo 1 95

Uccellacci e uccellini atteggiamento verso la realtà��. Sono parole di una re­ censione ai racconti di Moravia raccolta in DeJcrizioni di descrizioni, opera che va letta in parallelo al nuovo ti­ po di esperimento narrativo del film orientale, dove la funzione del narratore è, appunto, quella di trasferire «con delicatezza impersonale [. ] senza che il lettore lo awerta [ . . ] la anomalia del destino e le sue conseguen­ ze, a un altro ordine espressivo». Questo tipo di narra­ tore non fa altro che rappresentare il gioco della realtà, a differenza del narratore borghese che crea dei fatti anomali per giocare con la realtà. Lo scambio di ruoli sessuali, l'intreccio tra felicità e infelicità, il rapporto speculare tra storie e personaggi rende ragione della frase iniziale per cui «La verità non sta in un solo sogno ma in molti sogni», dichiarazione di pluralità prospetti­ ca e ideologica che caratterizza gli ultimi anni di lavoro di Pasolini. La catena del destino si dispone lungo l'as· se del viaggio-racconto, cioè secondo lo schema della conoscenza e della conquista dell'alt rove (sono idee dello stesso autore, esposte su "Tempo illustrato" del 3 1 maggio 1 974 ) . Così l'eroe ritorna alla normalità dopo una seconda nascita, dopo la conquista dell'altrove che corrisponde a un rito di iniziazione. A questo universo dello scambio gioioso e aperto si contrappone di qui a poco la mescolanza cupa e indistinta di Salò, dove il rac­ conto diviene invece meccanica e inutile ripetizione. ..

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UccELUCCI E UCCELLINI [Garzanti, Milano 1966] Nel maggio del 1 965 Pasolini fa uscire sulla rubrica di "Vie nuove" tre soggetti cinematografici titolari in francese (L'azgle, Fancom e moineaux, Le courbeau) e caratteriz­ zati dal tono ironico e dalla forma dell'apologo. Ne L ai­ gle, monsieur Cournot, un domatore che rappresenta il razionalismo francese, tenta di addomesticare un'aquila ma, dopo molti tentativi, assimila lui stesso i comporta­ menti dell'uccello: l'intellettuale laico e borghese, capa­ ce di vedere solo ciò che la sua ragione illumina, regre­ disce a livello animale e vola via, posseduto da una for· ma di vita aliena. Mentre questo soggetto viene girato ma escluso dal film, gli altri due racconti si incastrano '

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Uccellacci e uccellini uno dentro l'altro nella trama di Uccellacci e uccellini, girato tra l'ottobre e il dicembre del 1 965 . Ne risulta una doppia struttura: la storia moderna riprende il mo­ tivo picaresco del viaggio e segue il cammino di un pa­ dre e di un figlio (Totò e Ninetto) per le strade periferi­ che di una città moderna, accompagnati da un corvo che rappresenta l'intellettuale di sinistra degli anni cin­ quanta Oa voce dell'uccello, dalla chiara cadenza emi­ liana, è quella di Francesco Leonetti, ma le sue frasi so­ no ispirate a Verifica dei poteri di Franco Fortini). Il Corvo racconta un apologo che sposta l'azione ai tempi di san Francesco. Il Santo incarica due suoi confratelli, frate Ninetto e frate Ciccillo (sono sempre Ninetto e Totò) di insegnare ai passeri e ai falchi l'Amore celeste. Frate Ciccillo riesce a comunicare con gli uccelli ma ben presto, con sgomento, si accorge che i falchi conti­ nuano a mangiare i passeri. Di fronte alle perplessità dei due frati, san Francesco spiega che il lavoro non è fini­ to, che devono ricominciare daccapo: «Bisogna cam­ biarlo, er monno, frate Ciccillo: è questo che nun avete capito ! Andate, e ricominciate tutto, in lode del Signo­ re ! ». Terminato l'apologo, il cammino dei due conti­ nua, tra momenti di ingenuità e ammaestramenti che vengono dal Corvo, «eroe della consapevolezza». A un certo punto, sulla strada, incontrano una compagnia di saltimbanchi la cui auro si è fermata. I comici improv­ visano una pantomima dal titolo " Roma come ha rovi­ nato il mondo" . L'atmosfera del circo e le facce degli at­ tori ricordano il cinema di Rossellini e di Fellini, ma una folla di operai anziché fermarsi a guardare passa indif­ ferente e si dirige ai funerali di Togliatti. Il Corvo com­ menta: «Il crepuscolo delle grandi speranze [. . . ] E quei poveri imbroglioni sono i primi a essere lasciati in om­ bra, magari in compagnia di Rossellini e di Brecht, men­ tre gli operai, loro, continuano in questo crepuscolo a andare avanti, a andare avanti [. .. ] Sono passate di mo­ da le ideologie». Al marxista impegnato si sostituisce il testimone della fine di un mondo. Totò e Ninetto, sem­ pre più perplessi e infastiditi dal Corvo, decidono di mangiarlo: l'intellettuale diventa martire. 197

Uccellacci e uccellini

È Pasolini stesso a spiegare la trasformazione subita dal

personaggio più problematico del film. All'inizio il cor­ vo viene pensato come «uno spirito saggio, un sapien­ te», poi l'autore ne fa «un saggio quasi drogato, un ama­ bile beatni.k, un poeta senza più nulla da perdere, un personaggio di Elsa Morante, un Bobby Bazzlen, un So­ crate sublime e ridicolo, che non si arresta davanti a nulla, e ha l'obbligo di non dire mai bugie, quasi che i suoi ispiratori fossero i filosofi indiani o Simone Weil». Ma così è troppo simile ai suoi due allievi, anche loro innocenti, cinici, semplici. Per ottenere il contrasto che porta alla soluzione finale deve diventare un corvo marxista, «ma non del tutto liberato dal corvo anarchi­ co, indipendente, dolce e veritiero». L'uccello rasenta, così, l'autobiografia, il suo marxismo diventa quello dell'autore con quel qualcosa in più che permette l' am­ bivalenza di fronte alla sua morte: senso di liberazione da un'ideologia ossessiva che vuoi spiegare tutto, e con­ temporaneamente compassione. Il film (definito nei titoli di testa «triste girotondo, lieto girotondo», e nato sotto il segno dell'Aria del Perdono del Flauto magico di Mozart) innesta un problema in­ tellettuale sulla struttura di una favola comica. Il ro­ manzo classico era stato definito da Lukacs «la ricerca degradata di valori autentici in un mondo degradato>>; qui, attraverso il filtro ironico, vengono rappresentati due personaggi occupati in una «ricerca degradata di valori autentici in un mondo degradato», in modo che il problema dell'impossibilità di raccontare dentro una struttura capitalistica diventa l'oggetto stesso del rac­ conto. E il corvo stesso cita una frase di Lukacs - «ll cammino incomincia, e il viaggio è finito» - a esprime­ re il bisogno di continuare nella ricerca pur senza nes­ sun ottimismo finalistico. «La crisi del marxismo, della Resistenza degli anni Cin­ quanta [. . ] patita e vista da un marxista, dall'interno; niente affatto però disposto a credere che il marxismo sia finito»: sono le parole dell'autore all'uscita del film. Spesso separati da inquadrature asimmetriche che li ri­ prendono isolati, come se non camminassero insieme, .

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Ungarettt; Giuseppe Totò e Ninetto sono forse l'unica coppia pasoliniana in cui il dualismo non produce angoscia ma gioia (� Dop­ pio e Padri ) . La loro innocenza si riflette anche nei di­ scorsi sulla luna che costellano il film. La luna, inqua­ drata fin dall'inizio, rappresenta una forza che domina (con un ricordo dell 'Ariosto) le cose terrestri. E Luna si chiama la prostituta con la quale, uno dopo l'altro, fan­ no l'amore padre e figlio verso la fine del loro cammino. Un poeta e Dio è il titolo con cui vengono raccolti, in Passione e ideologia, tre inter­ venti su Ungaretti ( 1 888- 1 970) inquadrati cronologica­ mente tra il 1 948 e il 1 957. Già nel 1 942, sul n. l del " Setaccio" , a. III, Pasolini aveva scritto Per una morale pura in Ungaretti, impostando subito la lettura del poe­ ta sul rapporto tra fatti formali e contenuti morali. Te­ sto campione dell'analisi è la poesia " O notte" , la prima della raccolta Sentimento del tempo. Si parte dalla con­ statazione del rapporto tra versi e spazi bianchi che li separano, dato essenziale dell'operazione poetica unga­ rettiana, «primo corollario di una poesia che assuma co­ me sua forma un processo ad illuminazioni somma­ mente decise, necessarie ed essenziali e che, quindi, si rifiutano di essere collegate fra loro a un comune o poe­ tico procedimento logico». Dalla messa in discussione di alcuni luoghi comuni sulla parola sofferta di Unga­ retti, che Pasolini riconduce al processo formale carat­ teristico di ogni vero poeta, si passa a definire (non troppo chiaramente) «l'insegnamento morale» di que­ sta poesia. L'elemento didascalico sempre presente nel­ la poesia classica, qui «è più souile e profondo, appun­ to perché meno concreto e meno logico, tutto rovescia­ to in una zona di cosciente delirio». La formula del «co­ sciente delirio» - un ossimoro, una contraddizione lo­ gica oltre che verbale - preannuncia le analisi future, dove a Pasolini interesserà definire proprio il rapporto tra tecnica e spiritualità che caratterizza lo sviluppo di Ungaretti nelle tre raccolte principali. Nei tre saggi di Passione e ideologia Pasolini ritorna al­ l'Allegria, scegliendo uno dei testi iniziali, quella " DanUNGARETTI, GIUSEPPE

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Ungare/11� Giuseppe nazione" dove è esplicito il nome di Dio. Vuole dimo­ strare che pur in un libro «scritto tutto al presente» co· me l'Allegria, in cui i motivi lirici nascono da un sot­ tofondo fisico di contatto con il mondo, di sensualità quasi panica, la presenza di Dio come inquietudine spo­ sta in avanti il problema realmente religioso, verso il se­ condo momento di Ungaretti, quello caratterizzato dal­ la «tendenza ad uscire dal presente sensibile verso una maggiore e più articolata durata poetica». La tensione verso il futuro rappresenta il bisogno di abbandonare la coscienza giovanile del peccato, comunque esibita, e passare dalla forma del diario a quella dell'inno. U ver­ so iniziale di " Dannazione" - «Chiuso fra cose mortali» - rimanda dunque a uno stato che la domanda finale «perché bramo Dio?» - non può lasciare pacificato: la cosiddetta lirica pura allude a un bisogno molto meno puro di quello che sembra. Nel Sentimento del tempo è «io stesso contrasto inquie­ tudine-eternità che si ripete». Anche se le scelte lessica­ li vanno verso il polo del classicismo e si complicano le strutture immaginali, Ungaretti continua a spingere in avanti, quasi per eluderlo, il momento del giudizio sul­ la propria sorte. Dio resta una presenza «a cui il poeta si rivolge dapprima [. . ] con la certezza illusoria e libe­ ratoria d'essere esaudito [. . . ] poi con l'appassionato ter­ rore di una preghiera in forma d'inchiesta». C'è di nuo· vo la richiesta del perdono, come risulta dai versi della " Madre" (Pasolini li ha messi in epigrafe alla seconda sezione delle Poesie a Casarsa), e le tentazioni carnali, nell Allegria appena esibite, qui sono diventate argo­ mento diretto di poesia, confessione che è già espiazio­ ne. Non ci siamo, però, spostati troppo dalla situazione religiosa giovanile: il presente è quello del peccato e il futuro Oa morte) può solo presagire la catarsi. Unico momento veramente religioso è quello de "La Pietà" , dove finalmente Dio viene portato nel tempo presente, è sentito come un bisogno antecedente all'azione libe­ ratrice della morte. U Dolore, terza raccolta ungarettiana, contiene anche la terza e ultima parte del dramma. Pasolini contrae in una .

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Ungaretti, Giuseppe serie di formule lapidarie il senso del percorso che ha disegnato. La ricerca estetica dell'essenziale si può leg­ gere come una ricerca «dell 'Essenziale per definizione». Il ritorno a una sintassi tradizionale coincide con il ri­ torno alla natura confessionale del Credo cattolico. Ma proprio nel momento in cui il percorso critico si sta concludendo, in sintonia con il percorso poetico analiz­ zato, Pasolini infonde un ultimo, prepotente scossone al suo discorso, come quando un caso clinico freudiano, dopo un tortuoso percorso di ricostruzione, arriva all'e­ videnza quasi scandalosa della verità. Se ricerca lingui­ stica e ricerca religiosa hanno proceduto così accostate in Ungaretti, se il bisogno di Dio è sempre restato a li­ vello intellettuale, senza percorrere le >. Questa «sgangherata energia vitale>> non può prendere comunque una vera direzione. Rimane scom­ posta, altalenante. Può solo illuminarsi «di qualche con­ fusa luce morale>>. VOLGAR' ELOQUIO [Athena, Napoli 1 976] «Volgar' elo­ quio>> è l'espressione che dà titolo a un libretto pubbli­ cato nel 1 97 6 da Antonio Piromalli e Domenico Scarfo­ glio dove è contenuta la registrazione di un colloquio di Pier Paolo Pasolini con un gruppo di docenti del Liceo classico Palmieri di Lecce. L'incontro si tenne il 2 1 ot­ tobre 1 975. «Devo dirvi che io non so parlare, non sa­ prei mai fare una conferenza o una lezione>>, esordisce Pasolini, e quindi legge il monologo finale di Bestia dA stik, dove il protagonista si rivolge a un giovane fascista e gli suggerisce le idee per una «destra sublime>>, cioè per una posizione conservatrice che non coincida più con la miseria intellettuale del fascismo. Il giovane di questa nuova destra deve cominciare ad amare il «vol­ gar' eloquio>>, cioè la voce umile del popolo (nel testo Pasolini unisce citazioni da Pound e dal poeta italiano Orelli). Poi vengono alcuni precetti, tra il serio e l'iro­ nico, al termine dei quali si dice: «Prendi questo fardel­ lo, ragazzo che mi adii, e portalo tu. È meraviglioso. lo

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Volgar' eloquio potrò così andare avanti, alleggerito scegliendo definiti­ vamente la vita, la gioventù». La discussione che segue non si ferma però più di tanto sul problema del dialet­ to, e diventa una specie di sintesi di tutti i problemi di­ scussi da Pasolini negli ultimi anni. Per lui ora non si tratta di essere semplicemente conservatori o rivoluzio­ nari. La situazione richiede profondi aggiustamenti: «bisogna trovare un nuovo modo di essere, [...] un nuo­ vo modo di essere tolleranti, un nuovo modo di essere illuministi, un nuovo modo di essere progressisti, un nuovo modo di essere liberi». L'appello di Pasolini ri­ guarda soprattutto l'emergenza creata dal nuovo consu­ mismo centralizzante. Fino agli anni sessanta il capitali­ smo non era riuscito a scalfire il particolarismo cultura­ le degli italiani. Invece l'intervento della cultura di mas­ sa (dalla tv alla scuola) «ha compiuto un'acculturazio­ ne, una centralizzazione in cui nessun governo, che si dichiarava centralistico, era mai riuscito». È la prima vera unificazione che l'Italia abbia avuto nella sua sto­ ria, un'unificazione nel consumismo, alla quale è segui­ ta una trasformazione antropologica, dal momento che chi p roduce merci non produce solo merci ma anche rapporti sociali. Pasolini si difende poi dalle accuse di chi lo considera conservatore: «Tutte le illazioni che voi fate sul mio ritornare indietro, son tutte follie, perché... dove ho scritto che bisogna ritornare indietro?)). Anche se si considera l'esempio di Gramsci, non si può affer­ mare che lui prendesse posizione per una cultura popo­ lare. Gramsci voleva che le culture contadine, operaie, sottoproletarie entrassero in rapporto dialettico con la grande cultura borghese (� Borghesia) : in cui lui stes­ so si era formato. Bisogna distinguere tra il sentimento dell'evolversi biologico tipico di una cultura popolare e il senso della storia come progresso che sta alla base del­ la cultura borghese: sono due concezioni inconciliabili, e il secondo è destinato a far scomparire il primo. La scuola, come tutte le istituzioni fondate su valori bor­ ghesi, deve porsi il problema della soprawivenza di cul­ ture particolaristiche dentro questo grande sistema omologatore e distruttivo che è il mondo del consumi207

Zanzotto, Andrea smo. Pasolini deve ammettere di essere stato soprav­ vanzato dal sistema, di aver lottato per una libertà che ora gli sembra generalizzata e quindi falsa. Le sue ulti­ me parole sono ancora un atto di abiura nei confronti della sua stessa opera (in particolare la Trilogia): «io ero uno di quelli che contribuiva a fare quella scuola lì, in quanto progressista degli anni cinquanta; ero uno che lottava per la libertà sessuale, ma mi sono accorto che sono stato sopravanzato dal consumismo, il quale ha fatto la sua scuola, sfruttando e falsificando il mio laici­ smo, il mio razionalismo, la mia tolleranza, il mio amo­ re per la libertà, il mio amore per il decentramento. Ha fatto sue queste cose falsificandole. È quindi tutto un imbroglio)). Pasolini dedica alla poesia di Andrea Zanzotto ( 1 92 1 ) tre saggi: Principio di un enga­ gement (del 1 957 , poi in Passione e ideologia), la recen­ sione a La Beltà (in " Nuovi Argomenti " del gennaio­ marzo 197 1 , ora in Portico della morte), la recensione a Pasque (su "Tempo" del 22 marzo 1 974, ora in Descri­ zioni di descrizioni). L'immagine che viene fuori da que­ sti tre discorsi è quella di un poeta che passa dal «d eli­ cato delirio)) delle prime poesie (frutto di un rapporto oggettivo con la propria psiche) alla fuga assoluta con­ sentita da una folle ironia che mescola, parola dopo pa­ rola, stile comico e stile sublime. Nella Beltà lo spirito elegiaco di Zanzotto, esibito come oggetto d'amore e di vergogna (e Pasolini in questo si sente vicino), si incar­ na in uno spazio dentro il quale l'operazione linguistica brucia a calore violentissimo ogni possibile campo se­ mantico, creando un effetto assoluto di straniamento. L'operazione continua in Pasque, raccogliendosi intor­ no al simbolo dell'uovo misterico (il tema deli'«Eterno ritorno>> di Eliade che Pasolini stesso cita più volte nel­ la sua opera di questi anni). Il carnevale scatenato nel nuovo libro lascia intravedere, dietro la forma pura del­ l'ossimoro («quella figura retorica che, per dirla sempli­ cisticamente, fa una cosa sola di due opposti))), la pre­ senza di «Qualcosaltro)) che addirittura potrebbe esseZANZOTTO, ANDREA

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Zan:r.otto, Andrea re l'identità di tutto, «una specie di Es cosmico». Ma sta nel rapporto rovesciato tra normalità e devianza il vero segreto del libro. Zanzotto conferisce valore positivo al­ la devianza, mentre la sua ironia colpisce la normalità equilibrata. E dalla devianza («.luce, esplorazione del­ l'infinito») viene prodotto il libro. Per definirne la na­ tura particolare Pasolini conia la formula di «esoteri­ smo scientifico», una formula che potrebbe essere uti­ lizzata in parte anche per Petrolio. A Pasolini Zanzotto ha dedicato tre saggi, oggi raccolti in Aure e disincanti nel Novecento letterario: Pedagogia ( 1 977), Pasolini poeta ( 1980), Su "Teorema" ( 1 982) . Il contrasto drammatico che sta alla base della psicologia di Pasolini viene spiegato da Zanzotto come la situazio­ ne di qualcuno costretto a vivere in modo infernale al­ l'interno di un ambito idillico, a cominciare dagli anni friulani (è un'altra versione del rapporto tra elegia e de­ viazione dall 'elegia che Pasolini trova fin dall'inizio in Zanzotto stesso). Pasolini ha bisogno di una pedagogia «a pedagogica» e l'insegue sempre nella dimensione me­ no chiusa dalle istanze del potere: «Egli si urtava contro ciò che nega ogni pedagogia candida, ogni etica risolta in una fulgida agape e priva di aporie, di filigrane am­ bigue [. . . ] , vedeva l'improbabilità di una politica non viziata dal gusto di fogna dello strapotere, non destina­ ta a finirla in Palazzo». Per questo bisogno di continuo frustrato la poesia viene caricata di ogni responsabilità, diventa spazio comune ai mali pubblici e ai traumi pri­ vati. È sottoposta al respiro continuo della morte, che alla fine si realizza in un destino dominato da un «fan­ tasma inconscio» a cui corrisponde «un insieme di for­ ze negative». Per Zanzotto i prati friulani comunicano con il prato fangoso dell'Idroscalo, il prato della morte: «Sono, ugualmente, prati che stanno intorno a scuole. C'è un filo che li unisce; e non c'è nulla di più duro che la scoperta alla quale Pasolini ci costringe: l 'esistenza di questo filo». Nel 1 992 Zanzotto ha scritto una poesia in cui Pasolini viene rievocato con il nome di «Benandante», uno spi­ rito dei campi, una di quelle creature «inquietanti ma 209

Zanzotto, Andrea benigne dell'antico folclore friulano». n titolo della poesia è in dialetto veneto: " Fora par al Furlàn" (Attra­ verso il Friuli). Come succede al chicco di grano che non marcisce, ma muore e dà frutto, Pasolini si trova ancora nelle terre del Friuli, e i suoi percorsi continua­ no a intrecciare i nostri: e ora - forse - mai sei nel farsi e disfarsi di prati pensieri spini arsi d'azzurro, attimo ad attimo, dai piani a montani primordi.

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Bibliografia

Opere di Pier Paolo Pasolini Si danno qui di seguito le opere in volume, elencate in ba­ se all'ordine di pubblicazione, senza rispettare quindi la reale cronologia compositiva.

Poesie a Casarsa, Libreria Antiquaria Mario Landi, Bologna 1942. Poesie, Primon, San Vito al Tagliamento 1945 . Diarii, pubblicazioni dell'Academiuta, Casarsa 1945. I pianti (1 944), pubblicazioni dell'Academiuta, Casarsa 1946. Dov'è la mia patria, Edizioni dell'Academiuta, Casarsa 1949. Tal cour di un /rut, Edizioni di Lingua Friulana, Tricesimo 1953. Dal diario (1 945-47), Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanis­ setta 1954. La meglio gioventù. Poesie friulane, Sansoni, Firenze 1954. Il canto popolare, Edizioni della Meridiana, Milano 1 954. Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 1955 (poi Einaudi, Tori­ no 1979). Le ceneri di Gramsci. Poemetti, Garzanti, Milano 1 957. L'usignolo della Chiesa Cattolica (1943-49), Longanesi, Mi­ lano 1958 (poi Einaudi, Torino 1976). Una vita violenta, Garzanti, Milano 1959 (poi Einaudi, To­ rino 1 979). Passione e ideologia (1948- 1 958), Garzanti, Milano 1960. Eschilo, Orestiade, traduzione di P.P. Pasolini, Steu, Urbi­ no 1960 (poi Einaudi, Torino 1 960 e 1 985, nella collana ((Scrittori tradotti da scrittori»). 211

Pier Paolo Pasolini Roma 1 950, diario, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1 960. Sonetto primaverile (1953), All'insegna del pesce d'oro, Milano 1 960. La religione del mio tempo. Poesie, Garzanti, Milano 196 1 . Accattone, Edizioni FM, Roma 196 1 . L'odore dell'India, Longanesi, Milano 1 962. Mamma Roma, Rizzoli, Milano 1962. Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano 1962. Il vantone di P/auto, Garzanti, Milano 1 963. Poesia in /orma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano 1 964. Il Vangelo secondo Matteo, Garzanti, Milano 1964. Poesie dimenticate, Società filologica friulana, Udine 1 965. Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1965. Uccellacci e uccellini, Garzanti, Milano 1 966. Edipo re, Garzanti, Milano 1 967 . Teorema, Garzanti, Milano 1 968. Medea, Garzanti, Milano 1970. Poesie, Garzanti, Milano 1 970. Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano 197 1 . Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1 972 (poi 1 99 1 , con prefazione di G. Fink). Calderòn, Garzanti, Milano 1 973. Il padre selvaggio, Einaudi, Torino 1 975. Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (poi 1 990, con prefa­ zione di A. Berardinelli). La nuova gioventù, Poesie friulane 1941-1 974, Einaudi, To­ rino 1 975. Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte), Cappelli, Bologna 1 975. La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1 975. Le poesie, Garzanti, Milano 1 975. Volgar' eloquio, a cura di A. Piromalli e D. Scarfoglio, Athena, Napoli 1 976. Lettere agli amici (1 941-1 945), a cura di L. Serra, Guanda, Parma 1976. Lettere luterane, Einaudi, Torino 1 976. I Tures tal Friul, a cura di A. Ciceri, Edizioni della Rivista "Forum Julii", Udine 1 976. A/fabulazione - Pilade, Garzanti, Milano 1 977. 212

Bibliografia Le belle bandiere. Dialoghi 1 960-'65, a cura di G.C. Ferret­ ti, Editori Riuniti, Roma 1977. San Paolo, Einaudi, Torino 1977. I disegni 1 94 1 - 1 975, a cura di G. Zigaina, Edizioni Vanni Scheiwiller, Milano 1978. Descrizioni di descrizioni, a cura di G. Chiarcossi, Einaudi, Torino 1979 (poi Garzanti, con prefazione di G. Dosse­ na, Milano 1 996). Porcile - Orgia - Bestia da stile, Garzanti, Milano 1979. Il caos, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1979. Poesie e pagine ritrovate, a cura di A. Zanzotto e N. Naldini. Lato Side, Roma 1980. Amado mio, preceduto da Alli impuri, a cura di C. D'An­ geli, con uno scritto di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1982. Il sogno del centauro, a cura di ]. Duflot, introduzione di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1983 ( poi 1993 ) . Lettere 1 940- 1 954, a cura di N . Naldini, Einaudi, Torino 1986. Lei/ere 1 955- 1 9 75, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1988. Teatro, prefazione di G. Davico Bonino, Garzanti, Milano 1988 (poi 1995). Il portico della morte, a cura di C . Segre, Associazione "Fondo Pier Paolo Pasolini" , Roma 1988. Petrolio, Einaudi, Torino 1992. I dialoghi, a cura di G. Falaschi, prefazione di G.C. Fer­ retti, Editori Riuniti, Roma 1992. Pasolini su Pasolini. Conversazioni con ]on Halliday, intro­ duzione di N. Naldini, Guanda, Parma 1992. Un paese di temporali e di primule, a cura di N . Naldini, Guanda, Parma 1993. Antologia della lirica pascoliana, introduzione e commenti, a cura di M.A. Bazzocchi, con un saggio di M.A. Baz­ zocchi ed E. Raimondi, Einaudi, Torino 1993 . Bestemmia. Tutte le poesie, a cura di G. Chiarcossi e W. Si­ ti, prefazione di G. Giudici, Garzanti, Milano 1993 . L'Academiuta /riulana e le sue riviste, a cura di N . Naldini, Neri Pozza, Vicenza 1994. Romàns, a cura di N. Naldini, Guanda, Parma 1 994. 213

Pier Paolo Pasolini Interviste corsare sulla politica e sulla vita 1 95 5-1 9 7 5, a cu­ ra di M. Gulinucci, Liberai Atlantide Editoriale, Roma 1 995. Trilogia della vita. Le sceneggiature originali di Il Deca­ meron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte, prefazione di G. Canova, Garzanti, Milano 1995. Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (1 9601 966), a cura di W. Siti, Einaudi, Torino 1 995. I film degli altri, a cura di T. Kezich, Guanda, Parma 1996.

Scritti su Pier Paolo Pasolini Nel 1995 è uscita quella che si può considerare oggi la ricostruzione biografica più completa della vita di Pasolini, Pasolini Requiem di B.D. Schwartz (trad. it. di P. Barlera, Marsilio, Venezia 1 995 ), viziata solamente da qual­ che imprecisione nei nomi e nelle date, ma piena di docu­ menti importanti. Quest'opera non cancella comuque le due precedenti biografie ormai classiche: quella di E. Sici­ liano, Vita di Pasolini (in prima edizione Rizzoli, Milano 1 978, poi in nuova edizione rivista Giunti, Firenze 1995) e quella di N. Naldini, Pasolim� una vita (Einaudi, Torino 1989), che nasce dalla fusione ampliata della cronologia premessa ai due volumi di Lettere di Pasolini, usciti nella «Biblioteca dell'Orsa» di Einaudi ( 1986 e 1988). La bio­ grafia di Siciliano è spesso anche un saggio critico sull'o­ pera e un romanzo della vita romana, il racconto di Naldi­ ni (cugino di Pasolini) è forse il primo libro da consigliare a chi non conosca nulla dell'autore, in quanto vi si sente parlare direttamente la sua voce. Ciascuna di queste tre biografie non può sottrarsi dall'affrontare I' enigma della morte di Pasolini. Amplissima è la ricostruzione di Schwartz degli ultimi giorni, con cui si apre a ritroso il suo volume, rifiutata esplicitamente da Siciliano è la tesi di complotto politico o di morte premeditata, Naldini chiude con le parole di Contini, che rimandano alla lotta con il Pa­ dre (citando Faust e Manzoni) e con l'epigramma di Ca­ proni che rifiutò di scrivere un commento pubblico sul fat­ to («non voglio, per farmi bello, l fregiarmi della tua mor•

La vita

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Bibliografia te l come d'un fiore all'occhiello»). Recentemente, la tesi di una morte progettata da Pasolini e iscritta all'interno della sua opera è stata sostenuta con ricchezza di analisi dal pit­ tore Giuseppe Zigaina in tre volumi più uno di sintesi: Pa­

solini e la morte: mito alchimia e semantica del "nulla lu­ cente" , Marsilio, Venezia 1987 (dove viene accentuata, for­ se troppo, l'importanza delle letture esoteriche degli ultimi anni), Pasolini tra enigma e profezia, Marsilio, Venezia 1 989 (con un'interessante introduzione di S. Agosti), Pasolini e l'abiura. Il segno vivente e il poeta morto, Marsilio, Venezia 1993 e infine Hostia. Trilogia della morte di Pier Paolo Pa­ solini, Marsilio, Venezia 1995 (volume riassuntivo di tutto il percorso). Zigaina fa di tutto per dimostrare il suo "teo­ rema" e spesso le sue letture sono avventate, ma la lettura dei suoi saggi lascia ugualmente una traccia, e in qualche modo bisogna farci i conti. Per quanto riguarda il primo periodo della vita di Pasolini, utilissima è l'operazione di recupero che Naldini conduce da qualche anno. Si comin­ cia da "Et m'è rimasa nel pensier la luce " , scritto introdut­ tivo a Pasolim; poesie e pagine ritrovate, a cura di A. Zan­ zotto e N. Naldini, Lato Side, Roma 1980, per poi passare a "Al nuovo lettore di Pasolini" (introduzione a P.P. Faso­ lini, Un paese di temporali e di primule, Guanda, Parma 1993 ), ricostruzione ricchissima di dati degli anni friulani, a "L'Academiuta di lenga furlana e le sue riviste" (introdu­ zione a P. P. Pasolini, L'Academiuta friulana e le sue riviste, Neri Pozza, Vicenza 1994) e alla prefazione a P. P. Pasolini, Romàns, Ugo Guanda, Parma 1993. Ma molto su Pasolini si legge esplicitamente e fra le righe nel romanzo di memo­ rie Il treno del buon appetito, Guanda, Parma 1995 (N aldi­ ni afferma «Ho sempre creduto alla deposizione di Pelosi. Anche nei particolari>>). Molto interessante è l'analisi con­ dotta da Bandini su documenti fiulani e poi romani nel sag­ gio Da Casarsa a Roma che apre il volume a più voci Faso­ lini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, curato da L. Betti per Garzanti nel 1977 (volume non sempre allo stes­ so livello, ma impressionante per la serie di materiali che testimoniano i processi subiti dall'autore). Per il periodo bolognese (che negli ultimi anni ha acquistato importanza dal punto di vista della formazione intellettuale) sono im2 15

Pier Paolo Pasolini portanti la raccolta di lettere curata e prefata da L. Serra, Lettere agli amici (194 1 - 1 945), Guanda, Parma 197 6, la raccolta degli scritti sulle riviste del Guf a cura di M. Ric­ ci, Pasolini e il "Setaccio" (1 942- 1 943). Cappelli, Bologna 1977, il saggio di D. Trento sulla frequentazione degli am­ bienti artistici Francesco Arcangeli e Pier Paolo Pasolini tra

arte e letteratura nelle riviste bolognesi degli anni Quaranta,

in " Arte a Bologna", n. 2, 1 992, e la tesi sulla poesia pa­ scoliana uscita nel 1 993 da Einaudi con il titolo Antologia della poesia pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di M.A. Bazzocchi e con un saggio introduttivo di M.A. Baz­ zocchi ed E. Raimondi. Recente è la pubblicazione degli at­ ti del Convegno su Pasolini e Bologna (a cura di D. Ferrari e G. Scalia, Pendragon, Bologna 1 998) dove si segnalano i discorsi di D. Trento (Pasolim; Longhi e Francesco Arcan­

geli tra la primavera 1 94 1 e l'estate 1 94 3. I fatti di Masolino e di Masaccio), di A. Panicali ("Officina" attraverso le lette­ re pasoliniane) , di N. Lorenzini ("Officina, "il Verri": il di­ battito fra le riviste alla fine degli anni '50), di G. Scalia (Senza Pasolini). • L'opera L'opera di Pasolini è oggi divisa tra più editori: Garzanti è stato dal 1 955 l'editore di Pasolini, che solo nel 1 975 lasciò a Einaudi i diritti sull'ultima raccolta delle poesie friulane e sulla Divina Mimesis. Einaudi ha pubbli­ cato comunque alcune importanti opere postume, come la raccolta di articoli Lettere luterane ( 1 976), il romanzo Pe­ trolio ( 1 992 ) , l'epistolario curato da Naldini ( 1 986- 1988), la tesi di laurea su Pascoli ( 1 993). Da Garzanti è invece uscita l'edizione quasi completa delle poesie edite e inedi­ te, curata da G. Chiarcossi e da W. Siti con il titolo Be­ stemmia (in due volumi nel 1993, poi in quattro volumi nella collana economica «Gli elefanti» nel 1997 -98). Gli Editori Riuniti hanno fatto uscire in due volumi (Le belle bandiere, del 1977, e Il caos, del 1 979) gli interventi gior­ nalistici poi raccolti in volume unico e completo con il ti­ tolo I dialoghi ( 1 992 ) , a cura di G. Falaschi e con prefa­ zione di M. Ferretti. Prevista è nei Meridiani di A. Mon­ dadori la pubblicazione di tutta l'opera di Pasolini, che inizia nell'ottobre del 1 998 con due tomi di prose narrati· ve curate da W. Siti. 216

Bibliografia Per quanto riguarda la critica (ormai sterminata) sull'ope­ ra di Pasolini un buon avviamento si trova al termine di quelli che sono i due profili migliori dello scrittore, il Pier Paolo Pasolini di R. Rinaldi (Mursia, Milano 1 982) e il Pier Paolo Pasolini. L'opera di G . Santato (Neri Pozza, Vicenza 1 980) un po' troppo parziale nella sua prospettiva laca­ niana il primo (che vede in maniera uniforme tutta la se­ conda parte della produzione pasoliniana, a cominciare dal cinema) e molto sbilanciato sul primo periodo il se­ condo (che contiene analisi molto attente della poesia friulana). Esaustiva, ben fatta e ben commentata, soprat­ tutto per quanto riguarda la parte poetica, è l'antologia Per conoscere Pasolini, a cura di E Brevini, A. Mondadori, Milano 1 98 1 . A parte le numerose recensioni uscite di volta in volta sui volumi di poesia, molti interventi vecchi e nuovi si posso­ no integrare oggi in un percorso critico: il famoso saggio di G. Contini, A/ limite della poesia dialettale, uscito sul "Corriere del Ticino" del 1 943 come recensione alle Poe­ sie a Casarsa (oggi si legge in Pagine ticinesi di Gian/ranco Contini, a cura di R. Broggini, Edizioni A. Salvioni e Co., Bellinzona 1981); l'indagine di F. Brevini sulle poetiche connesse alla prima produzione: La lingua che più non si sa: Pasolini e il friulano (in "Belfagor" , n. 4, 1 979) e Poso­ lini prima delle "Poesie a Casarsa" (in "Belfagor" , n. l , 1981); il saggio di M . de l a Nieves Muniz Muniz sul rap­ porto tra Meglio e Nuova gioventù, Dalla "Meglio" alla

"Nuova Gioventù": temporalitò e sdoppiamento in Pasolini

(in "Letteratura italiana contemporanea " , n. 24, 1 988); il discorso pionieristico di F. Fortini (in Le poesie italiane di questi anni, "II Menabò" , 2, 1 960, poi in Saggi italiani, De Donato, Bari 1974, e oggi in Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1 993 ) dove vengono individuati gli elementi fon­ danti dell'antitesi, della contraddizione, del pastiche, della copia, insomma quegli elementi manieristici (il primo a usare la categoria fu Pietro Citati) che sono rimasti poi al­ la base di ogni valutazione della poesia pasoliniana; da col­ legare con il discorso di F. Fortini, il saggio di S. Agosti (La parola fuori di sé, in Cinque analisi. Il testo della poesia, Feltrinelli, Milano 1982) dove la linguistica lacaniana per-

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Pier Paolo Pasolini mette di vedere in modo nuovo il problema del manieri­ smo e della morte iscritta nel discorso poetico dell'autore; a questo si aggiunge poi una lettura di P.V. Mengaldo de­ dicata a "Correvo nel crepuscolo fangoso" (Lettura di una poesia di Pasolini, in La tradizione del Novecento, terza se­ rie, Einaudi, Torino 1993 ) dove la microscopia dell'analisi si allarga con continue illuminazioni su più versanti dell ' o­ pera intera; i due saggi di interesse generale, ma attenti al­ la dimensione poetica e al passaggio dalla passione degli anni friulani alla razionalità delle Ceneri, di G. Ferretti (in Letteratura e ideologia, Editori Riuniti, Roma 1964 ) e di A. Asor Rosa (in Scrittori e popolo, Savelli, Roma 1965 ) . Le ce­ neri di Gramsci sono forse la raccolta più studiata di Paso­ lini, e oggi se ne trova una lettura critica completa di V. Cerami in Letteratura italiana. Le opere, vol. IV. Il Nove­ cento II. La ricerca letteraria, Einaudi, Torino 1996 (che contiene in bibliografia l'elenco delle recensioni al volu · me); fondamentale resta comunque l'introduzione di W. Siri a una ristampa della raccolta presso Einaudi nel 198 1 (Oltre il nostro accanito dr/enderla), che ha il pregio di uscire dalla polarità del rapporto tra razionalità e irrazio­ nalità articolando, poemetto per poemetto, un vero rac­ conto critico. Sempre di Siri, sul piano più tecnico, è da vedere il Saggio sull'endecasillabo di Pasolini, in " Parago­ ne ", n. 270, 1972, dove si studia la funzione delle opposi­ zioni e viene illuminato il rapporto tra costruzione sintat· tica e spinta del desiderio verso l 'oralità pura; V. Mannino, in Il "discorso" di Pasolini. Saggio su Le ceneri di Gramsci (Argileto, Roma 1973 ) , cerca di superare la serie di con­ trapposizioni con cui viene spesso risolta la poesia pasoli­ niana e, in polemica con Siri, sottolinea l'omogeneità ver­ so cui tende anche la trasgressione metrica (ma così i dua­ lismi si ripropongono di continuo); un ulteriore saggio di Siti (1/ sole vero e il sole della pellicola, o sull'espressioni­ smo di Pasolini, in "Rivista di letteratura italiana", 1 989, VII, l ) parte dal problema linguistico deli' espressionismo, ma poi riesce a coinvolgere tutti gli aspetti importanti che oggi interessano nell'opera di Pasolini: il rapporto con la tradizione, la sessualità, il passaggio dalla poesia al cinema, il rapporto tra eros e morte, la conflittualità con il potere, 218

Bibliografia il problema del realismo, l'annosa questione vita-arte, la proposta finale di una Destra sublime. Insomma, una serie di a fondo critici imprescindibili (e a cui questo dizionario deve molto). Sempre di Siti c 'è una lettura rapida di tutto Pasolini in Un 'idea del '900, a cura di P. Orvieto, Salerno, Roma 1984 . Una lettura completa della Nuova gioventù, con particolare attenzione al tema del doppio e del narci­ sismo, si trova in ].-M. Gardair, Narciso e il suo doppio. Saggio su "La nuova gioventù" di Pasolini, Bulzoni, Roma 1 996. Sulla raccolta Poesia in forma di rosa si può leggere ancora con profitto la recensione di Leonetti, che indivi­ dua prima di altri il cambiamento interno a questi versi (in Nuovo stile in Pasolini, " Paragone " , 174, 1964 ) . Spunti in­ teressanti sulla raccolta, che coinvolgono un discorso com­ plessivo, si trovano anche nel saggio di A. Berardinelli, Pa­ solinz; stile e verità, in Tra il libro e la vita. Situazioni della letteratura contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1990. L'interesse critico per i romanzi pasoliniani sembra oggi li­ mitato, a parte l'eccezione di Petrolio, sul quale c'è ancora molto da discutere. Sui romanzi friulani c 'è un bell'inter­ vento, condotto dal punto di vista del genere letterario e dell'autobiografia, di R. Rinaldi, La prudence extrème du roman, in "Versants " , n. 13, 1 988, poi entrato nella raccol­ ta di saggi L'irriconosczbile Pasolini, Marra editore, Rovito, 1990 (dove si sottolineano anche le pagine sulla Divina Mi­ mesis e sugli interventi giornalistici dell'ultimo Pasolini). Fa luce sui problemi filologici non risolti dall 'edizione di Amado mio preceduto da Atti impuri (a cura di C. D'An­ geli, Garzanti, Milano 1982 ) il saggio di F. Fido, Pasolini dai sogni alle cose. L'esordio friulano del narratore, in "Yearbook of ltalian Studies" , vol. 9, 1 992 , Casalini Libri, Fiesole. Sul contesto ideologico dei romanzi romani si tro­ vano buone pagine in G.C. Ferretti, Letteratura e ideologia, cit. (soprattutto a proposito della mitizzazione del sotto­ proletariato) e in A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, cit. A Ragazzi di vita è dedicato l' awiamento di F. Muzzioli, Come leggere "Ragazzi di vita" di Pier Paolo Pasolini, Mur­ sia, Milano 1 975, dove l'analisi del linguaggio è accompa­ gnata da un'attenzione agli elementi simbolici in chiave 219

Pier Paolo Pasolini psicanalitica. Nel complesso, la lettura migliore dell'espe­ rienza narrativa rimane quella di Rinaldi, nel Pier Paolo Pa­ salini, cit. Petrolio al suo apparire ha suscitato molte discussioni (spesso moralistiche più che filologiche). Un primo passo critico notevole si trova nel volume A partire da Petrolio. Pasolini interroga la letteratura, a cura di C. Benedetti e M.A. Grignani, Longo, Ravenna 1 995 , con saggi interes­ santi della stessa Grignani ( Questione di stile?), di S. Ago­ sti (Opera interrotta e opera interminabile), di N. Borselli­ no (A partire da A/fabulazione), di R. Genovese (Manifesto per "Petrolio"), di G. Patrizi ( "Petrolio" e la /orma roman­ zo) . Un ' indagine sulla cultura che sta dietro al romanzo, sulla sua complessa strutturazione (tempi, punti di vista, personaggi ecc.), e su una possibile lettura filosofica (non del tutto convincente è il rapporto con Hegel) si trova nel saggio di E. Capodaglio, Congetture sugli Appunti di "Pe­ trolio", in "Strumenti critici " , n.s., n. 82, sett. 1996. Rapi­ do ma intenso come sempre è il saggio di Fortini che chiu­ de il volume, Attraverso Pasolini. Importanza notevole as­ sume il romanzo all'interno del discorso di C. Benedetti (Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Bolla­ ti Boringhieri, Torino 1 996) che ne sottolinea la progettua­ lità in consonanza con molte opere degli ultimi anni. Se la critica sui romanzi non sembra molto ricca (ma alcu­ ne letture classiche si trovano nel volume Interpretazioni di Pasolini, a cura di G. Borghello, Savelli, Roma 1977) si è mosso negli ultimi anni il versante del teatro e del cinema. Oltre allo studio di E. Groppali, L'Ossessione e il Fantasma (1/ teatro di Pasolini e Moravia), Marsilio, Venezia 1979 (criticamente confuso, ma con il merito di porre già dal teatro il rapporto con Sade) notevoli per le ricostruzioni fi­ lologiche e per le qualità intepretative sono i saggi di S. Ca­ si, Pasolini. Un'idea di teatro, Campanotto editore, Udine 1990, e di E. Liccioli, La scena della parola. Teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, Le Lettere, Firenze 1 997 (quest'ulti­ mo interessante per la prospettiva che incrocia testi poeti­ ci, teorie linguistiche e testi teatrali, senza esagerare con la psicanalisi e tenendosi aderente alla concretezza delle ope­ re). Recente è anche la lettura di A/fabulazione condotta da

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Bibliografia Angelini in Letteratura italiana. Le opere, cit. (con una puntuale interpretazione dell'opera e un importante acco­ stamento ali Edrpo a Colono della Morante). F.

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Per il cinema una guida utilissima, con materiali, brani di interviste, filmografia delle opere maggiori e minori, bi­ bliografia, è il volume Le regole di un 'illusione, a cura di L. Betti e M. Gulinucci, Associazione " Fondo Pier Paolo Pa­ solini", Roma 1991 ( 1 996). Attenta l'analisi delle singole opere che si trova in tre guide al cinema: A. Ferrero, Il ci­ nema di Pier Paolo Pasolini, Marsilio, Venezia 1977 ; S. Pe­ traglia, Pier Paolo Pasolini, «Il castoro cinema», La Nuova Italia, Firenze 1974, oggi da integrare con S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Editrice Il Castoro, Milano 1994 (che for­ nisce buoni riassunti dei film) . Saggi interessanti si trova­ no anche nel numero monografico di " Bianco e Nero", Lo scandalo Pasolini, curato da F. Di Giammatteo (genn.-apr. 1976): si sottolineano di M. Vallora, Alì dagli occhi impuri. Come nasce il manierismo nella narrativa di Pasolini, e di G. Buttafava, Salò o il cinema in /orma di rosa, un inter­ vento fondamentale sull'ultimo film di Pasolini (su cui è da vedere anche la recensione di R. Barthes, Sade-Pasolini, su " Le Monde " , 16 giugno 1975). Fulminante è l'osserva­ zione che fa M. Foucault all'interno di un articolo su Co­ mizi d'amore, dove vede nelle opere di Pasolini la «grande saga dei giovani» (Les matins gris de la tolérance, in "Le Monde " , 23 marzo 1977, ora in M. Foucault, Dits et écrits, 1 954- 1 988, vol. I I I , Gallirnard, Paris 1994 ) . lmportante per i materiali che consente di vedere e per la strutturazione originale è il volume di M. Mancini e G. Perrella, Pier Pao­ lo Pasolini. Corpi e luoghi, Theorema Edizioni, Roma 198 1 , che fornisce un vero archivio di fotogrammi dei film ordinati tematicamente (i gesti, i volti, gli oggetti, i luoghi ecc. ) e permette di percepire con forza la natura magmati­ ca ma coerente dell'universo pasoliniano. Da tenere pre­ senti sono anche le pagine pasoliniane dei due volumi di G. Deleuze, L'immagine movimento, Ubulibri, Milano 1984, e L'immag,lne tempo, Ubulibri, Milano 1989, dove si crea un rapporto tutto da sviluppare tra cinema e teoria del discorso libero indiretto. Recentemente sono stati stu221

Pier Paolo Pasolini diati, in due saggi di diversa impostazione, la cultura pit­ torica di Pasolini e i rapporti tra cinema e pittura: si tratta di F. Galluzzi, Pasolini e la pittura, Bulzoni, Roma 1994 (con capitoli su Longhi, la critica d'arte di Pasolini, la sua opera grafica) e di A. Marchesini, Citazioni pittoriche nel cinema di Pasolini (da Accattone al Decameron), La Nuova Italia, Firenze 1994 ( Marchesini è anche autore di un sag­ gio specifico sul rapporto con Longhi, Longhi e Pasolini: tra "folgurazione figurativa" e fuga dalla citazione, in "Au­ tografo " , n. 26, 1992 ) . Interessante sia per la prospettiva che per la precisione dei rapporti tra film e fonti classiche è lo studio di M. Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1 996 (Edipo re, Medea e Orestiade africana vengono analizzati secondo le recenti teorie filmiche e confrontati puntualmente con i loro mo­ delli greci) . Un saggio di Fusillo, su Medea, si trova anche nel volume collettivo Pasolini e l'antico. I doni della ragio­ ne, a cura di U. Todini, Edizioni Scientifiche Italiane, Na­ poli 1995, dove si segnala anche di U. Albini, Pasolini e la storia dell'antico; di M.G. Bonanno, Pasolini e !'Orestea: dal "teatro di parola" al "cinema di poesia"; di V. Russo, Riappropriazione e rifacimento: le traduzioni; di A. Caiaz­ za, La Medea come "cinema di poesia " . L'intreccio tra teo­ rie sul cinema e ricerca del realismo nel cinema è al centro dello studio di M. Viano, A Certain Realism. Towards a Use o/ Pasolini's Film Theory and Practice, Berkeley Uni­ versity Press 1993 . Molto più che un libro sul cinema ma una vera interpretazione di tutto Pasolini a cominciare dal problema del cinema, con analisi formali attente e origi­ nali, è il libro di H. Joubert-Laurencin, Pasolini, portrait du poète en cinéaste, Cahiers du cinéma, Paris 1995 . Pur­ troppo manca uno studio sistematico sulle sceneggiature, vero punto di forza della scrittura pasoliniana per molti anni (c'è qualcosa, soprattutto sulle trasformazioni da sce­ neggiatura a film, nella prefazione di G. Canova a Pier Paolo Pasolini, Trilogia della vita, Garzanti, Milano 1995, ed è molto interessante sia per capire il metodo di lavoro di Pasolini che il suo rapporto con Fellini il saggio di F. Zabagli, Pasolini per "Le notti di Cabiria " , in "Antologia Vieusseux" , n.s., n. 2 , maggio-agosto 1995 ) . · 222

Bibliografia Per quanto riguarda l'attività del critico, ancora da ben de­ finire sotto molti aspetti, si segnala il saggio di P. V. Men­ galdo, Pasolini critico e la poesia italiana contemporanea, in "Revue des études italiennes" , n. 27 , 198 1 , la prefazione di C. Segre alla raccolta di saggi Il portico della morte, cit., e le pagine dedicate al problema da Fortini nel capitolo "La santità del nulla". all'interno di Attraverso Pasolini, cit. Su "Officina" rimane importante la lunga ricostruzione di G.C. Ferretti premessa all'antologia ( "Officina". Cultura, letteratura e politica negli anni Cinquanta, Einaudi, Torino 1975 ), dove si sottolineano soprattutto la tensione e la cri­ si che stanno alla base della vita della rivista. Insiste invece sulla posizione isolata e disorganica di Pasolini G. Scali a in Di "Officina ", di Pasolini e d'altro, capitolo della raccolta La mania della verità. Dialogo con Pier Paolo Pasolim, Cap­ pelli, Bologna 1978. La rivista è stata recentemente stam­ pata in edizione anastatica a Bologna dall'editore Pendra­ gon ( 1993 ) . Gli incroci del saggismo e delle opere degli anni settanta sono indagati da M. Marchi in un saggio costruito con la tecnica del montaggio di frammenti, Suggestioni da descri­ :àoni. ll saggismo poetico dell'ultimo Pasolini, in "Antologia Vieusseux", n.s., n. 2, maggio-agosto 1995 (numero intera­ mente dedicato a Pasolini). Lo stesso problema, centrato però sulla figura negativa di autore che emerge da inter­ venti e recensioni, è studiato da R. Rinaldi nel capitolo fi­ nale de L'irriconoscibile Pasolini, Marra editore, Rovito 1990. Sulla cultura pasoliniana, soprattutto degli anni bo­ lognesi, si trova qualcosa di utile in G. Borghello, Il sim­ bolo e la passione. Aspetti della linea Pascoli-Pasolini, Mila­ no, Mursia, Milano 1986; in M. Infurna, Pasolini e la Pro­ venza ( ''Studi novecenteschi" , 28, 1 985 ) ; in A. Banda, Ap­ punti sul leopardismo di PP Pasolini ("Studi novecente­ schi", 39, 1990); e in M.A. Bazzocchi, L'immaginazione mi­ tologica. Leopardi e Calvino, Pascoli e Pasolini, Pendragon, Bologna 1 995 . Una lettura del rapporto con la poesia provenzale nei testi friulani si trova in M. Cacciari, Pasolini "provenza/e"?, in "MicroMega" , 4, 1 995 (nello stesso numero della rivista, in Radicalismo e patologia, E. Sanguineti ribadisce tutte le sue 223

Pier Paolo Pasolini riserve sull'opera di Pasolini e sull'ideologia che le sta alla base, ambedue notevolmente semplificate). Sul rapporto con Elsa Morante ci sono due buoni studi di M. Fusillo ( "Credo nelle chiacchiere dei barbari". Il tema della barbarie in Elsa Morante e Pier Paolo Pasoltni) e di W. Siti (Elsa Morante nell'opera di Pier Paolo Pasoltni), in Vent'anni dopo "La Storia", a cura di C. D'Angeli e G. Ma­ grini, "Studi novecenteschi" , 47-48, 1994. Per il rapporto Calvino-Pasolini, svolto però quasi unicamente in chiave di poetiche antitetiche, c'è lo studio di C. Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, cit. Sono da ricordare, infine, per una lettura tematica di tutta l'opera alla luce del motivo centrale della pedagogia, il li­ bro di E. Golino, Pasolini: il sogno di una cosa, il Mulino, Bologna 1985 ( 1 992 ), poi integrato dai saggi raccolti in Tra lucciole e Palazzo. Il mito Pasolini dentro la realtà, Sellerio, Palermo 1995 , e il saggio ricchissimo di suggestioni di A. Zanzotto, Pedagogia, uscito originariamente in Aa.Vv., Pa­ soltni: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, cit., e poi raccolto in Aure e disincanti del Novecento letterario, A. Mondadori, Milano 1 994. Un altro studio su un tema cen­ trale è quello di G. Conti Calabrese, Pasolini e il sacro, J a­ ca Book, Milano 1994, che ricostruisce bene il contesto delle letture ma tira troppo verso un'interpretazione hei­ deggeriana dei testi poetici, senza tener conto del gioco ironico soprattutto nell'ultimo Pasolini.

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Bibliografia

Altre opere citate Aa.Vv., Erotismo, eversione, merce, a cura di V. Boarini,

Cappelli, Bologna 1974.

Agosti S., La parola fuori di sé, in Cinque analisi. Il testo

della poesia, Feltrinelli, Milano 1982. Benedetti C., Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Bollati Boringhieri, Torino 1996. BerardineUi A., prefazione a P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1990. Briganti G., Il manierismo e Pellegrino Tibaldi, Cosmopo­ lita, Roma 1945. Cacci ari M., Pasalini "provenza/e"?, in "MicroMega" , 4 1995 . Casi S., Pasolini. Un'idea di teatro, Campanotto editore, Udine 1990. Contini G., A/ limite della poesia dialettale, in Pagine tici­ nesi di Gianfranco Contini, a cura di R. Broggini, Edi­ zioni A. Salvioni e Co., Bellinzona 198 1 . Conti Calabrese G., Pasolini e il sacro, Jaca Book, Milano 1994. David M., La psicoanalisi nella cultura italiana, Bollati Bo­ ringhieri, Torino 1966. Dossena G., prefazione a P.P. Pasolini, Descrizioni di de­ scrizioni, Garzanti, Milano 1996. Fink G., Le parole contro la parola, prefazione a P.P. Paso­ lini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano 199 1 . Fortini F. , Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1 993 . Foucault M., Les matins gris de la tolérance, in "Le Mon­ de", 23 marzo 1977, ora in Dits et Ecrits 1 954- 1 988, vol. m, Gallimard, Paris 1994. Fusillo M., La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996. Galluzzi F., Pasolini e la pittura, Bulzoni, Roma 1994. Hauser A., Il Manierismo. La crisi del Rinascimento e l'ori­ gine dell'arte moderna, Einaudi, Torino 1964. Joubert-Laurencin H., Pasolini, portrait du poète en cinéa­ ste, Cahiers du cinéma, Paris 1995 . Liccioli E., La scena della parola. Teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, Le Lettere, Firenze 1997. 225

Pier Paolo Pasolini Longhi, R., Da Cimabue a Morandi, A. Mondadori, Mila­

no 1 974.

Marchesini A., Longhi e Pasolini: tra "folgurazione figurati-

va" e fuga dalla citazione, in " Autografo", sett. 1992. Murri S . Pier Paolo Pasolini, Il Castoro, Milano 1 994. Naldini N., Pasolim� una vita, Torino, Einaudi 1 989. Paci E., L'esistenzialismo, Cedarn, Padova 1943. Pasolini su Pasolini. Conversazioni con ]on Halliday, Guan­ da, Parma 1 992. Pasolim e il "Setaccio" (1 942- 1 943), a cura di M. Ricci, Cappelli, Bologna 1977. Per conoscere Pasolini, a cura di F. Brevini, A. Mondadori, Milano 1 98 1 . Pier Paolo Pasolini. Corpi e luoghi, a cura di M . Mancini e G. Perrella, Theorema Edizioni, Roma 198 1 . Rinaldi R., Pier Paolo Pasolini, Mursia, Milano 1982. Id., La prudence extrème du roman, in "Versants " , n. 1 3 , 1988. Salinari C., Miti e coscienza del decadentismo italiano, Fel­ trinelli, Milano 1 960. Santato G., Pier Paolo Pasolini. L'opera, Neri Pozza, Vicenza 1 980. . Siciliano E., Vita di Pasolini, Giunti, Firenze 1995. Siti W., Oltre il nostro accanito dr/enderla, postfazione a P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Einaudi, Torino 1982. Id., Pier Paolo Pasolini, in Un'idea del '900, a cura di P. Or­ vieto, Salerno, Roma 1984. Id., Il sole vero e il sole della pellicola, o sull'espressionismo di Pasolini, in "Rivista di letteratura italiana" 1 989, Vll, l . Id., Elsa Morante nell'opera di Pier Paolo Pasolini in Vent'anni dopo "La Storia", a cura di C. D'Angeli e G. Magrini, " Studi novecenteschi" , 47-48, 1994. VaUora M., Alì dagli occhi impuri. Come nasce il manieri­ smo nella narrativa di Pasolini, in "Bianco e Nero", genn. -apr. 1976, Lo scandalo Pasolini, a cura di F. Di Giammatteo. Zanzotto A., Pedagogia, in Aure e disincanti nel Novecento letterario, A. Mondadori, Milano 1 994. Id., Pasolini poeta, in Aure e disincanti, cit. .

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Indice dei nomi

Adorno, Th. 1 75 Agamben, G . 28 Agosti, S. 7 3, 1 3 1 Alfieri, V. 4 Amalteo, P. 6 Anceschi, L. 6, 17, 24 Antonioni, M. 28 Arbasino, A. 46, 9 1 , 1 14, 1 3 3 , 137, 155 Arcangeli, F. 10, 12 1 Ariosto, L. 95, 96, 1 99 Ascoli, G.l. 182 Asti, A. '45 Auerbach, E. 83 , 97 , 147 Avati, P. 36 Bach, ].S. 4, 44, 45 Bacon, F. 188 Baffo, G. 9 1 Banti, A . 1 6 , 9 1 , 123, 124, 158 Barthes, R. 30, 108, 169, 170 Bartoli, D. 7 Bassani, G. 1 5 , 1 7 , 83 , 9 1 , 123, 136, 147, 158, 163 Baudelaire, Ch. 5, 12 1 , 134, 170 Baudry, A. 140 Bauzano, M. 16 Bazzlen, B. 198 Beauvoir, S. de 170 Beck, J. 1 06

Beethoven, L. van 4 Bellezza, D. 91 Belli, G. 1 12 , 162 Bemporad, G. 5, 8, I l O Benn, G. 170 Berardinelli, A. 175 Bertolucci, A. 15, 16, 17, 19, 25, 46, 72, 83 , 136, 147. 158, 164 Bertolucci, B. 24, 3 1 , 164 Betocchi, C. 4 , 1 7 , 9 1 , 158 Betti, L . 2 1 , 30-3 1 , 34 Biagi, E. 3, 1 15 Bigiaretti, L. 15 Bignardi, A. 3 Bini, A. 24, 43, 46 Blanchot, M. 170 Bo, C. 1 9 Boccaccio, G . 33, 169, 170 Bolognini, M. 20, 24, 43 Bolzoni, A. 23 Bompiani, V. 14, 22, 23 Bortotto, C. 8, 1 10, 1 82 Brecht, B. 197 Breton, A. 158 Briganti, G. 1 1 8, 1 2 1 , 122 Bulgarelli, G. 8 1 Calcaterra, C. 3 -4, 7 Callas, M. 32, 6 1 , 125, 1 90, 1 92

227

Pier Paolo Pasolini Calvino, l. 19, 20, 2 1 , 22, 24, 29, 36, 38, 62, 63 , 64, 65, 67 , 72, 9 1 , 100, 136, 147, 205 Cambria, A. 8 1 Camon, F. 1 14 Campana, D. 92 Cantarutti, N. 1 84 Caproni, G. 9, 15, 19, 136, 147 Caravaggio 1 16, 1 17, 1 18 Cardo, C. 184 Carducci, G. 85, 201 Careri, M. 1 5 1 Carocci, A . 20 Carrà, C. 7 Caruso, L.S. 28 Casi, S. 185 Cassola, C. 24 Castellani, D. 182 Castellani, R. 8, 1 10 Castellari, R. 8 Cattaneo, C. 157 Cavafis, C. 49 Cecchi, E. 18 Cederna, C. 27, 8 1 Cerami, V. 16, 8 1 Cervantes Saavedra, M. de 103 Cézanne, P. 176 Chaplin, Ch. 4, 78, 100 Chaplin, J. 34 Charlot vedi Chaplin, Ch. Chaucer, G. 34, 193, 194 Chiarcossi, G. 52, 8 1 , 90, 1 5 1 , 190 Citati, P. 29, 122 Citti, F. 24, 30, 34, 43 , 45, 54, 105, 1 17 Citti, S. 16, 24, 25 , 36, 45

Clair, R. 4, 78 Clementi, P. 32 Cocteau, J. 8, 1 4 1 Coleridge, S.T. 55 Colombo, F. 39 Colussi, S. l , 28, 1 15, 1 1 8 Comisso, G. 123 Conti Calabrese, G. 166 Contini, G. 5, 1 1 , 12, 16, 17, 18, 8 1 , 82, 83, 85 , 89, 9 1 , 99, 1 10, 1 16, 127, 137. 145, 184, 189 Croce, B. 145 Daniel, M. 140 D' Annunzio, G. 9, 85 , 201 Dante Alighieri 33, 44, 84, 85, 86, 88, 89, 90, 95, 96, 98, 100, 109 D'Aronco, G. 10 David, M. 176 Davoli, N . 27, 29, 30, 3 1 , 34, 36, 67, 106, 1 15, 129, 130, 133, 134, 135, 136, 150, 165, 179, 187, 190, l 95 . l 97. l 99 Debenedetti, G. 91 De Filippo, E. 36 De Gasperi, A. 12 De Giorgi, E. 25 Della Quercia, J. 73 Dell'Arco, M. 16 Delli Colli, T. 45 De Martino, E. 145 De Pisis, F. 7 De Robertis, G. 83 , 90 De Rocco, F. 4 De Sanctis, F. 19 Devoto, G. 145

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Indice dei nomi Forster, E.M. 139, 1 4 1 Fortini, F. 19, 29, 7 5 , 77, 136, 179, 197, 202 Foscolo, U. 5, 50, 72, 157 Foucault, M. 8 1 Franzoni, dom G . 3 8 Freud, S . 4 , 7, 55, 83 , 104, 1 1 9, 176 Fusillo, M. 105

Diacono, M. 137 Di Capri, P. 81 Di Carlo, C. 27 Di Giacomo, S. 145 Di Giarnmatteo, F. 1 15 Dilthey, W. 7 Dossena, G. 90 Dostoevskij, F.M. 49, 55, 128, 152, 153, 158, 166 Doyle, A.C. 124 Dreyer, C.Th. 45, 78 Duflot, L. 68, 69, 77, 1 14, 1 15, 14 1 , 167 , 168 Durkeim, E. 153, 167 Eco, U. 29, 133 El Greco 28 Eliade, M. 125, 168, 208 Eliot, Th.S. 49, 132 Elisei, M. 26 Emmer, L. 20 Eschilo 47 Euripide 32 Evtusenko, E.A. 28 Fallaci, O. 27, 81 Falqui, E. 15, 137 Farolfi, F. 3, 4, 7, 69, 85 , 1 13 , 1 14, 176 Fellini, F. 20, 78, 1 12, 1 97 Ferenczi, S. 92, 154 Ferrara, M. 36 Ferrarotti, F. 36 Ferreri, M. 32 Ferretti, G.C. 137 Ferretti, M. 133, 137 Fieschi, J.-A. 1 15 Fink, G. 109 Flaubert, G. 82, 120, 152 Ford, }. 3

Gadda, C.E. 16, 17, 19, 22, 24, 63 , 86, 94, 98, 1 1 1 , 1 12 , 123 , 134, 136, 147, 158, 179, Galilei, G. 126 Galluzzi, F. 124- 125 Gargiulo, A. 9 Garzanti, A. 19 Garzanti, L. 17, 5 1 Gassman, V. 23 Gatto, A. 4, 28 Gentile, G. 32, 125 Germi, P. 23 Gide, A. 7, 1 1 , 1 3 , 49, 50, 85 , 102 Ginsberg, A. 28, 29 Ginzburg, N. 28 Giotti, V. 146 Giotto 1 16, 1 17 , 1 1 8 Girotti, M. 30 Godard, J. -L. 26, 3 1 Goethe, }.W. 5 , 49 Goldmann, L. 108 Golino, E. 180 Goytisolo, J. 28 Gozzano, G. 152, 153 Gramsci, A. 12, 19, 72, 83 , 98, 100, 137, 145, 146, 207 Gregoretti, U. 26

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Pier Paolo Pasolini Grirnau, ]. 98 Gurvitch, G. 107 Guttuso, R. 24 Halliday, J. 32, 58, 69, 78, 104, 1 1 1 , 1 14, 1 15, 1 3 1 Hauser, A . 1 2 1 , 123 Hayworth, R. 49 Heidegger, M. 1 14 Holderlin, F. 5 Horkheimer, M. 175 Huysmans, J.-K. 170 Ibanez, B. 55, 56 Irazoqui, E. 28 Jimenez, J.R. 183 Joubert-Laurencin, H. 80, 126, 172 ]oyce, ]. 9, 86 Kafka, F. 49, 121 Kalc, P. 6, s , 1 10 Klossowski, P. 170 Lambrakis, G. 98 Landi, M. 4, 70 Lang, F. 9 Léaud, J.-P. 32 Leonardo da Vinci, 1 17 Leonetti, F. 4, 19, 2 1 , 28, 29, 124, 136, 197 Leopardi, G. 136, 157 Levi, C 24 Lévi-Strauss, C 107, 173 Lévy-Bruhl, L. 125 Liccioli, E. 1 19 Lizzan i, C 25, 3 1 Lollobrigida, G. 17 Longhi, R. 4, 6, 7, 10, 16,

26, 83 , 91 , 1 14, 1 16, 1 17, 1 1 8, 12 1 , 123 , 157 Loren, S. 17 Lorenz, K. 1 88 Lukacs, G. 19, 137. 198 Luzi, M. 4, 6, 19, 136 Macciocchi, M.A. 23 Machado y Ruiz, A. 5 Magnani, A. 26, 59 Mallarmé, S. 12 1 , 173 Mangano, S. 30, 106 Mangini, C 20 Mannheim, K. 52 Mantegna, A. 1 17 Manzini, G. 17 Manzoni, A. 91, 136, 146 Maraini, D. l, 30, 34, 6 1 , 9 1 , 1 14, 193 Marchesini, A. 1 17 Marchetti, G. 10 Marcuse, H. 175 Maritain, J. 85 Marx, K. 12, 23, 59, 104, 12 1 , 175, 179, 205 Masaccio 4, 45, 1 16, 1 17, 1 18 Maselli, F. 32 Masolino da Panicale, 4, 1 16 Mauri, F. 38, 39 Mauri, S. 14, 48 Mautino, F. 13 Melli, E. 3 Mengaldo, P.V. 146 Metz, Ch. 79 Mezzanotte, L. 3 1 Milani, L. 38 Mizoguchi, K. 78 Modugno, D. 134

230

Indice dei nomi Montagnana, M. 23 Montale, E. 4, 9, 1 1 , 17, 29, 147, 158 Morandi, G. 7 Morante, E. 24, 45, 83, 91 , 129, 130, 158, 162 , 193 , 198 Moravia, A. 20, 22, 24, 25, 27 , 29, 30, 35, 6 1 , 66, 80, 87, 91 , 95, 120, 144, 152, 158, 193 , 196 Morin, E. 80 Morrow, B. 129 Mozart, W.A. 134, 1 98 Murri, S. 189 Musatti, C. 27 , 80 Muscetta, C. 15 Mussolini, B. 169 Naldini, N. 9, 12, 48, 78, 101, 144, 176, 182 Nietzsche, F.W. 170 Nievo, l. 49 Novalis 55 Nuzzo, F. 28 Onassis, A. 6 1 , 62 Orelli, G. 206 Orff, C. 170 Ottieri, O. 158 Ottone, P. 35, 174

85, 1 13, 1 36, 137, 144, 145, 146, 183 Pascutti, E. 8 1 Pasolini, C. l Pasolini, C.A. l , 4, 16, 17, 120 Pasolini, G.A. l , 2, 8, 9, 10, 74, 1 1 9, 183 Pavese, C. 176 Pedriali, D. 38, 1 16 Pelosi, P. 39 Penna, S. 9, 15, 20, 83, 84, 1 36, 158, 194 Petrarca, F. 2, 5 Picasso, P. 72 Piero della Francesca 1 18, 163 Piromalli, A. 206 Platone 184 Pollaiolo 123 Pontormo 2 7 , 1 1 8, 1 2 2 , 123 Porta, A. 1 12 Pound, E. 132, 170, 206 Pratolini, V. 179 Proust, M. 1 1 , 49, 50, 97, 1 2 1 , 170, 179 Puccini, G. Quasirnodo, S. 4

Paci, E. 7, 1 14 Pagliarani, E. 13 7 Pagliuca, S. 26 Palach, J. 52 Parini, E. 3 Parise, G. 24, 91 Pascal, B. 7 , 158, 1 83 Pascoli, G. 1 0, 70, 7 1 , 83 ,

Radio, A. 152 Rairnondi, E. 122 Ramuz, U.-F. 55 Rank, O. 101 Rea, D. 147 Rebora, C. 136 Renoir, J. 4, 78 Renzi, R. 56 Resnais, A. 43

23 1

Pier Paolo Pasolini Rimbaud, J.-N.-A. 3 , 15, 55, 100, 183 , 188 Rinaldi, A. 3 , 55 Rinaldi, R. 46, 59, 1 6 1 , 179, 180, 189 Romanino 124, 125 Romanò, A. 19, 9 1 , 136 Roncaglia, A. 1 5 1 Rondi, B . 1 3 7 Rosselli, A. 16 Rossellini, F. 61 Rossellini, R. 26, 29, 163 , 197 Rossi, F. 20 Rossi, G. 29 Rosso Fiorentino 24, 1 18, 122, 123 Rouch, J. 80 Roversi, R. 4, 19, 124, 136 Rude!, }. 82 Saba, U. 17, 1 4 1 , 147 Sachs, H. 49 Sade, marchese di 36, 37, 66, 92, 1 5 1 , 168, 170 Saetti, B. 4 Saffo 5, 157 Salinari, C. 18, 1 9, 20, 84, 162 san Francesco 197 Sanguineti, E. 20, 2 1 , 132, 133, 137 san Paolo 8, 5 1 , 148, 168, 1 7 1 , 1 72, 190 Santato, G. 203 Sartre, J.-P. 28 Saussure, F. de 108 Savio, F. 1 1 5 Scalia, G. 19, 136 Scarfoglio, D. 206

Schopenhauer, A. 7 Schumpeter, }.A. 52 Scialoja, T. 1 6 Sciascia, L . 1 5 , 9 1 , 92, 136, 147 158 ' Scotellaro, R. 147 Segre, C. 89, 90, 96, 158 Sereni, V. 4, 9, 18, 19 Serra, L. 4, 7, 69, 70, 84, 136 Shakespeare, �. 55, 135, 158 Siciliano, E. 18, 25, 28, 91 Simenon, G. 124 Siti, �. 52, 77, 1 13, 1 17, 129, 13 8, 182 Socrate 1 4 1 , 198 Socrate, M. 28 Sofocle 105 , 134, 186 Soldati, M. 17, 78, 91 Sollers, Ph. 170 Solmi, S. 147 Sordi, A. 23 Spagnol, T. 9, 1 1 Spitzer, L. 19, 83, 84, 145, 170 Stack, O. vedi H alliday, }. Stalin 86, 88 Stamp, T. 3, 30, 3 1 Straniero, M.L. 13 7 Tambroni, F. 98 Tasso, T. 4 Tati, J. 32 Telmon, S. 3 Tessitori, T. 9 Togliatti, P. 23 , 197 Tognazzi, U. 32 Tolstoj, L.N. 189 Tomasi di Lampedusa, G. 22

232

Indice dei nomi Tommaseo, N. 8, 12, 49, 9 1 , 1 5 7 , 1 83 Totò 29, 30, 133, 134, 150, 179, 197, 199 Trombadori, A. 19, 20 Ungaretti, G. 4, 6, 9, 16, 17, 19, 22, 32, 147, 158, 173, 1 84, 199, 200, 201 , 202, 203 Valeri, F. 95 Vallora, M. 122 Vancini, F. 20 Veblen, Th. 52 Verdi, G. 61 Verga, G. 85, 146, 179 Verlaine, P. -M. 1 83 Viano, M. 81 Vigorelli, G . 17, 90 Virgilio 99, l 00 Vittorini, E. 124 Volponi, P. 19, 83, 123, 135, 158, 194 Weil, S. 198 Welles, O. 26, 1 1 5, 1 1 8, 122, 123 . 125 Wilde, O. 102 Wordsworth, W. 1 83 Zanzotto, A. 1 1 , 9 1 , 127, 158, 170, 1 88, 208, 209 Zavattini, C. 32 Zdanov, A.A. 109 Zigaina, G . 1 3 , 72, 75, 1 10, 137, 157 Zorutti, P. 184

233

Bazzocchi, Marco Antonio. Pier Paolo Pasolini l di Marco Antonio Bazzocchi. - [Milano) : Bruno Mondadori, [ 1998) 240 p. ; 17 cm. - (Biblioteca degli scrinori). ISBN 88-424-9460-7 : L. 16.000. l . Pasolini, Pier Paolo.

853.914

Scheda catalografica a cura di CAeB, Milano.

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Finito di stampare nell'ottobre 1 998 presso New Age!, San Vinore Olona (Milano)