1,448 122 11MB
Italian Pages 792 Year 1999
Nella stessa collana: G Filoramo - C. Prandi, Le scienze delle religioni, 3 ed. riveduta e ampliata
-
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-W. James, Le varie forme dell'esperienZJJ religiosa - A. Magri s. La logica del pensiero gnostico
- M. Mauss, La preghiera e i riti orali In preparazione: - G.G.
Stroumsa, LafomuJz.ione dell 'identità cristiana
ED PARISH SANDERS
IL GIUDAISMO Fede e prassi (63 a.C. - 66 d.C.) a cura di Piero Capelli
MORCELLIANA
Titolo originale dell'opera:
Judaism. 63
Practice and Belief BCE - 66 CE
O SCM Press Ltd, London - Trinity
Press Intemational, Philadeiphia
Edizione italiana a cura di Piero Capelli
Traduzione di Piero Capelli e Laura Santini ©
1999 Editrice Morcelliana
Via G. Rosa 71- 2512I Brescia
Prima edizione: giugno 1 999
ISBN 88-372- 1729-3 Tipogralia La Grafica s.n.c.
-
Vago di Lavagno (Vr)
1 999
I 992
Per David Daube e Wiliam David Davies
Di rado gli storici scendono in quei particolari dai quali soli si può cogliere la reale condizione di una comunilà Macaulay, Machiavelli
Questo, o quasi, è il libro che ho sempre voluto scrivere. Tratta del giudaismo come religione in funzione nel primo periodo romano (di solito chiamato per comodità «il 1 secolo>>). Benché vi siano capi toli sostanziosi sulla teologia e sui celebri partiti (sadducei, farisei ed esseni), l'accento è posto sulla gente comune e sulla sua osservanza religiosa. Con questa doppia enfasi si perviene, credo, al giusto equi librio in un lavoro sulla storia di una religione. Nel 1 966 decisi di studiare quello che allora consideravo una «re ligiosità della prassi>> [practical piety]. Ero affascinato dal ritratto del giudaismo dato da E.R. Goodenough: il giudaismo rabbinico era un'isoletta nel mare di un'altra fonna di giudaismo, che condivideva le caratteristiche generali del misticismo ellenistico. Pensavo che uno studio delle prassi di devozione, come la preghiera, le purifica zioni e le offerte al tempio, avrebbe aiutato a chiarire le relazioni tra il giudaismo palestinese e quello diasporico. Non è questo il luogo per raccontare perché cambiai i miei progetti e scrissi Paolo e il giu daismo palestinese anziché «La prassi religiosa nella diaspora e in Palestina>>; faccio menzione di queste cose solo per spiegare che mi sono infine rivolto a un argomento che desideravo studiare venticin que anni fa, anche se allora lo avrei seguito in modo alquanto diver so. Non ho assolutamente perduto la fiducia nel comune denomina tore teologico che ho descritto in Paolo e il giudaismo palestinese; al contrario, sono più convinto che mai che il giudaismo del periodo greco-romano fu caratterizzato da un ampio consenso su punti teolo gici fondamentali. Ora intendo collocare la teologia nel contesto sto rico che le è proprio: la prassi religiosa. La prima stesura di questo libro era breve; mi ero posto il fine di scrivere un'introduzione alla prassi religiosa giudaica in non più di 200 pagine. Presto mi resi conto, tuttavia, che le mie opinioni su pa recchie questioni cruciali erano così diverse da quelle predominanti che il lettore non avrebbe saputo come valutarie, se non avessi di scusso le fonti nei particolari. Decisi allora di applicare il medesimo principio a tutto il libro, fuorché ai capilOii introduttivi sulla storia
XII
Premessa
del periodo. Studiai da capo pressoché tutti i punti che si toccano in questo lavoro, facendo di rado affidamento sull'opinione scientifica comunemente accettata, e ho cercato di far vedere al lettore il modo in cui io ho inteso le fonti primarie. La conseguenza è che le fonti antiche vengono citate e discusse molto più per esteso di quanto ac cada di solito nei libri che coprono un periodo tanto consistente. Uno dei miei fini principali è stata l' analisi della documentazione diver gente, piuttosto che la semplice citazione in nota di diversi passi, senza l' indicazione di dove stiano i problemi. Decisi di discutere le interpretazioni concorrenti su alcuni argo menti. Il libro cominciava a crescere. Pubblicai a parte alcuni degli studi più dettagliati e passibili di discussione: sono i capitoli 2-4 di Jewish Law from Jesus to the Mishnah: Five Studies ( 1 990; gli argo menti sono la legge orale, le leggi di purità farisaiche, le prassi ali mentari e quelle di purità nella diaspora, i donativi al tempio da parte degli ebrei diasporici). I capitoli 2 e 3 di quel lavoro adottavano due concezioni di Jacob Neusner tra le più rilevanti per la comprensione del fariseismo. In questo libro solo occasionalmente descrivo le concezioni di al lri studiosi ed entro in discussione con loro. Vi sono molti punti ri guardo ai quali sarebbe utile una discussione più estesa della biblio grafia, e specialmente di ricerche recenti. Il fornire questo vantaggio, tuttavia, avrebbe raddoppiato o triplicato la mole del volume, ritar dandone di anni la pubblicazione. Con molte scuse ai miei colleghi, ho deciso di pubblicare il lavoro così com'è. Spero, un giorno, di es sere in grado di studiare ancor più nel particolare numerosi argo menti specifici e di aggiungerne altri che ho omessi. La discussione più corposa della letteratura secondaria si trova nei capp. I O (i sacerdoti fuori dal tempio; gli scribi, insegnanti e magi strati), 1 8 (storia e influenza dei Farisei) e 2 1 («Chi dirigeva gli eventi, e quali?>>). In questi casi ho dovuto argomentare a lungo con tro le opinioni predominanti, quelle custodite nel 11 volume della Sto ria del popolo ebraico di Emi! Schtirer (ora revisionata e aggiornata da Geza Vermes, Fergus Millar e altri) e nella Gerusalemme al tem po di Gesù di Joachim Jeremias. Su questi argomenti correlati, il peso enorme di 150 o 200 anni di discussione accademica ha a tal punto schiacciato l'interpretazione più naturale di parte della docu mentazione che ho dovuto cercare di mostrare nei particolari i punti deboli dell'interpretazione prevalente. Questo lavoro, comunque, non è innanzitutto polemico. Per la
Premessa
XIII
massima parte è soltanto diverso dalle altre opere sull'argomento. Prende in considerazione numerosi aspetti della prassi religiosa di cui altre introduzioni al giudaismo del I secolo non trattano, e - per ripetermi - discute la documentazione primaria assai più particola reggiatamente. Mi sono giovato del sostegno di numerosi patrocinatori, studenti, amici, colleghi e assistenti. La composizione vera e propria comin ciò nell'estate del 1985, quando insegnavo in un seminario per lau reati alla McMaster University insieme con il mio collega di lunga data Albert Baumgarten, dal quale ho imparato molto. Sono grato alla M cMaster University per il sostegno fornitomi in quell' estate e nelle successive. La maggior parte del lavoro è stata scritta mentre ero a Oxford, dove ebbi lo stimolo delle conversazioni con Geza Vermes, Martin Goodman, Robin Lane Fox, Fergus Millar, Angus Bowie, John Matthews, Samuel Bamish e altri ancora. Lo stimolo fu in massima parte generale più che specifico. In termini di contatto umano, Oxford era e resta senza difficoltà il miglior posto del mon do per studiare questi argomenti, e mi sento privilegiato per aver avuto la possibilità di lavorare là nel periodo 1984-1990. Il Queen's College, dove sono stato fellow, ha offerto una sistemazione piace volissima, e sono grato al rettore e ai fellows per numerose attenzio ni, specialmente per le conversazioni in un'atmosfera a un tempo ri lassata e provocante. Il mio lavoro per questo libro e per la precedente raccolta di saggi è stato sostenuto dall'Università di Oxford e dalla Duke University, che mi ha concesso i congedi, dalla Guggenheim Foundation e dalla British Academy. Sono estremamente grato a queste istituzioni e ai loro funzionari . Martin Goodman e James McLaren hanno letto e commentato il capitolo 21, e di conseguenza ho rivisto molte cose (anche se non proprio tutte quelle che mi hanno suggerito). Con Hyam Maccoby ho avuto particolareggiati scambi di corrispondenza su alcuni degli argomenti discussi in Jewish Law fron Jesus to the Mishnah: ciò mi ha permesso di correggere alcuni punti del presente volume. Apprez zo moltissimo il tempo e l'energia che mi ha dedicato, e ho un gran de debito nei suoi confronti. Ho discusso la maggior parte di questi capitoli con Margaret Davies, che ha anche letto la penultima stesura nel 1990: il risultato è che buona parte del lihro è più chiara di quan to sarebbe stata altrimenti. John Bnwden ha letto il medesimo datti loscritto e fatto suggerimenti per la revisione, c.:he ho cercato di se-
XIV
Premessa
guire tutti. Rebecca Gray ha letto due stesure, a cinque anni di di stanza, e ha fatto numerosi suggerimenti assai utili; ha anche presta to concretamente assistenza all' ultima revisione editoriale. Ne bene ficia il lettore, e la mia gratitudine è profonda. Gli studenti del corso «Religione 52.3: Introduzione al Nuovo TestamentO>> (Duke Univer sity, 1 99 1 ) si sono spartiti le bozze e le hanno corrette, scovando pa recchi errori e improprietà; apprezzo molto il loro lavoro. Linda Foster e gli altri membri dello staff della SCM Press sono stati diligenti e d'aiuto. Il lavoro sulla Bibliografia è stato comincia to da Deborah Gray e completato da Lynne Degitz e Frank Crouch, che hanno svolto anche la parte più difficoltosa del lavoro sugli indi ci dei nomi e dei passi citati: a tutti e tre i miei ringraziamenti per la loro accuratezza. La Duke University ha concesso generosamente i finanziamenti. Quest'assistenza mi ha risparmiato almeno sei mesi di vita, e sono ormai abbastanza vecchio da attribuire a ciò un gran de valore. I professori William David Davies e David Daube mi hanno con cesso il grande onore di permeltermi di dedicare loro il libro. I loro risultati accademici, unitamente alla loro calda umanità e compren sione, li pongono in testa all'elenco di coloro che hanno studiato il giudaismo e il cristianesimo nel mondo greco-romano. Questo libro è un tributo molto inadeguato, ma è il migliore che io possa fare, e a loro lo offro.
Abbreviazioni
Ant.
Giuseppe Aavio, Antichità giudaiche.
AOT
The Apocryphol Old Testament, a cura di Sparks (cfr. Bibliografia, 1).
Ap.
Giuseppe Aavio, Contro Apione.
Arist.
Lettera di Aristea a Filocrate.
ASOR
American School of Orientai Research.
BA
«Biblica! Archaeologist» (Baltimora).
BAR
«Biblica! Archaeology Review» (Washington).
BCH
«Bulletin de Correspondance Hellénique» (Atene - Parigi).
BOB Brown - Driver - Briggs, Hebrew and English Lexicon (cfr. Biblio grafia, 2). Beli.
Giuseppe Aavio, Guerra giudaica.
CD
Documento di Damasco (Covenant ofDamascus) (cfr. Bibliografia, l).
CHJ
Cambridge History ofJudaism (cfr. Bibliografia, 2).
CRINT Compendia Rerum Judaicarum ad Novum Testamentum (Assen Philadelphia). DJD DSSE
Discoveries in the Judaean Deserl (cfr. Bibliografia, 1 ) .
3
Vermes, The Dead Sea Scrolls i n English (cfr. Bibliografia, 1).
Enc. Jud. Giub.
Encyclopaedia Judaica (cfr. Bibliografia, 2).
Libro dei Giubilei (in OTP I).
GiusAsen.
Giuseppe e Aseneth (in OTP Il).
Abbreviazioni
2 Hpoth. Filone, Hypothetica. HJP
Schiirer, History of the Jewish People (cfr. Bibliografia, 3).
HTR
«Harvard Theological Review» (Cambridge, Mass.).
HUCA >. Nel secondo periodo di di retto governo di Roma l ' amministratore fu denominato «procurato re>>. Quest'ultima parola è talvolta usata scorrettamente per indicare i prefetti: così Pilato, un prefetto, è stato generalmente chiamalo pro curatore. Le difficoltà con la terminologia non sono soltanto moder ne: autori che scrissero in greco non usarono sempre la stessa parola greca per ciascuno degli svariati titoli latini dei governatori romani. Luca usò la stessa parola per Pilato e per il suo superiore, Quirinio, il legato della Siria (Le 2, 2; 3, l ), ma Giuseppe fece pressapoco la stessa cosa (ad es., Ant. 1 5, 345; 1 8, 55). l prefetti risiedevano a Cesarea, sulla costa, il che attenuava l' of fesa alla sensibilità giudaica, secondo la quale il mondo era struttura to in cerchi concentrici di santità crescente. Il Santo dei Santi nel tempio era il centro esatto; Gerusalemme era più santa di Cesarea. Più lontano i romani si tenevano dal tempio, meglio era, e per lo più i romani furono d'accordo. Ritorneremo più oltre ad altri aspetti del la vita giudaica sotto il dominio romano. Antipa visse molto meglio di Archelao. Egli durò per quarantatré anni, fino a che la sua seconda moglie, Erodiade, non lo persuase ad aspirare al titolo di re; il risultato della richiesta fu che venne depo sto ed esilialo. Il suo territorio fu dato a uno dei nipoti di Erode, Agrippa I, il cui padre era uno dei figli che Erode aveva fatto giustiziare. Agrippa en trò alla fine in possesso anche della Giudea, ma morì dopo un breve regno. Suo figlio, Agrippa n, era troppo giovane per ricevere il potere, e così Roma mandò nuovamente ufficiali che assumessero il governo diretto della Giudea. La Giudea che governarono era più grande di quanto fosse stata in precedenza e includeva parte della Galilea. Agrippa n ricevette con gli anni una responsibilità crescente, ma molta parte della Palestina era ormai souo il diretto governo di Roma quando iniziò la rivolta nel 66. Agrippa si schierò con Roma e mantenne parte della sua terra dopo la vittoria di Roma. Ultimo Ero diano degno di nota, egli morì intorno al 1 00.
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l. Resti della si nagoga di Gamia.
I l . Un bacino d'immersione a Gamia.
III. l gradini che conducono in un bacino d ' i m rnasione
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sezioni. una per la discésa e una per l a ri,al i l a )
IV. Giovani donne ebree con i veli sui capelli e intagli a forma di gamma
sulle vesti in basso a destra. (Da E.R. Goodenough, Jewish Symbols in rhe Greco-Roman Period, XI [Symbolism in rhe Dura Europos Synagogue], New York, Pantheon Bollingen Foundation 1 964, tav. VI).
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V. G i ovani uomini ebrei con decorazioni a intaglio sui manti, che coprono
sopra la spalla tuniche con strisce.
(Da E.R. Goodenough, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, Xl [Symbolism in the Dura Europos Synagogue], New York, Pantheon Bollingen
Fo u nd atio n 1 964, tav. IX).
frigidarium di Gerico.
VI. Un comune palazzi
(bagno freddo) in un'area termale di uno dei
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VII. Un bacino d ' i mmersione in un palazzo di Gerico (di uso equivalente a quello
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l . Pianta di un tempio greco comune. (Da J.J. Cou/ton. Ancient Greek Architects al Work, Oxbow, Oxford 1 977, p. 1 9 1 ).
(i particolari sono inpanditi 3 volle)
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2. La stoa di Attalo ad Atene (ca. 1 50 a.C.) (Da J.J. Couhon, Ancient Greek Architects at Work, Oxbow, Oxford 1 977, p. 1 9 1 ).
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3. Gerusalemme nel periodo del secondo tempio (Da Jerusa/em Raealed. Archaeo/ogy in the llo/y City 1968-1974, a cura di Y . Yadin, lsrael Exploration Society, Jerusalem 1 975, p. IO).
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4. Il tempio pre-erodiano. (Da Th.A. Busink, Der Tempe/ von Jerusa/em von Salorno bis Herodes, Il [ Von Ezekiel bis Middot], Brill, Leiden 1 9 80. p. 832).
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Legenda delle piante del tempio di Erode (5-9) l . Fortezza Antonia. 2. Muro di contenimento.
3. 'Strada del M uro occidentale' (attuale 'Muro del pianto').
4. 'Arco di Wilson' (che attraversava la Valle del Tyropeon). 5. 'Arco di Robinson' (che conduceva alla strada sottostante). 6. Botteghe. 7. Portici (stoai).
8. Portico Reale. 9. Porta d'uscita. I O. Porta d ' ingresso. I l . 'Portico di Salomone' (pre-erodiano). 1 2 . Monte degli Olivi. 1 3 . Cortile dei Gentili. 1 4 . Ingresso alla piattaforma (collegato al n° IO per mezzo di un tunnel). 1 5 . Uscita dalla piattaforma (collegata al n° 9 per mezzo di un tunnel). 1 6. Gradinata e balaustrata (con divieto di accesso ai pagani).
von Sa/omo bis Herodes, Il [ Von Ezekiel bis Middot], Brill, Leiden 1 980, p. 1095).
6. I Conili interni e il Santuario (visti da sud-est). (Da Th.A. Busink, Der Tempel von Jerusalem
17. Piattaforma interna e gradinata. 1 8. Muro interno. 19. Prima porta est (per la quale entravano gli uomini israeliti). 20. Porte sud e nord (per le quali entravano le donne israelite). 2 1 . Cortile delle Donne. 22. Portici (stooi) interni. 23. Muro di separazione tra il Cortile delle Donne e l'area riservata agli uo mini. 24. Seconda porta est (per la quale entravano gli uomini israeliti). Credo che dalla porta n° 1 9 alla n° 24 potesse esservi una barriera, per impedi re agli uomini e alle donne di mescolarsi nel Cortile delle Donne, e che sulla sommità del muro n° 23 potesse esservi una galleria per permettere alle donne di vedere i sacerdoti al lavoro. 25. Altare degli olocausti. 26. Cortile degli Jsraeliti (comuni, uomini). 27. Parapetto di separazione tra i sacerdoti e gli israeliti comuni. 28. Cortile dei Sacerdoti. 29. Facciata e ingresso al Santuario. 30. Prima stanza ('Santo', con l'altare per gli incensi e il candelabro). 3 1 . Santo dei Santi. 32. Terrazze superiori.
Legenda supplementare alla pianta 9 (l numeri sono gli stessi delle piante 5-6). 1 6. Balaustrata con divieto di accesso ai pagani (senza gradini). 21 a. Stanze adibite a usi vari. [22. Portici interni: mancano (come anche gli esterni)). [27. Parapetto di separazione tra i sacerdoti e gli israeliti comuni: manca]. 33. Mattatoi. 34. Stanze adibite a usi vari.
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7. L'area del
tempio erodiano. (Da Th.A. Busink, Der Tempel vo11 Jerusalem von Midclot), Brill, Lei de n 1 980, p. l 179).
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8. I Coni li interni e i l Santuario. (Da Th . A . Bu,i n k . Der Temprl • · o, .lt-msalt·m
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9. l cortili interni e il santuario secondo il trattato Middot della Mishnah.
(Da Th.A.
Busink, Der Tempel von Jerusalem von Salorno bi.r Herodes,
Il [ Von Ezekiel bis Middot], Bri l l . Leiden 1 980, p.
1 545).
CAPITOLO QUARTO IL CONTESTO DEL CONFLITTO
Rivolte e insurrezioni furono parte integrante della vita in Palesti na durante il periodo romano, e per un grado considerevole anche durante il periodo asmonaico. Apparentemente, ogni volta che se ne presentasse l'opportunità, c'era una sollevazione di qualche sorta: questa, almeno, è l'opinione diffusa. Si potrebbe tuttavia sottolineare l' altra faccia della medaglia: ci furono periodi di governo forte e sta bile che furono contraddistinti da pace e tranquillità. Durante i qua rantatré anni di Antipa da tetrarca della Galilea, sembra che non vi siano state rivolte, e si combatté solo una guerra degna di nota, che si risolse con un solo scontro. Nonostante le paure di Erode, durante il suo regno le uniche guerre furono quelle nelle quali egli si impe gnò per ragioni di Stato (allargamento del dominio o aiuto ad allea ti). La Giudea si mantenne complessivamente calma dal momento in cui fu deposto Archelao fino alla morte di Agrippa 1 (dal 6 al 44 d.C.), e per molta parte del periodo successivo. La 'storia' è stata generalmente intesa come la narrazione di vio lenze e di cambiamenti. La storia sociale è fiorita di tanto in tanto nei secoli XIX e xx, ma per la maggior parte la storia è stata la narra zione di guerre e cambiamenti di governo. Tale è il genere di storia che Giuseppe Flavio scrisse. Ma questo stile narrativo può trarre in inganno: per gli anni dal 1 945 al 1 990, relativamente pacifici, si po trebbe scrivere una storia piena di insurrezioni e di guerre, anche concentrandosi solo sulle stabili democrazie occidentali. Una storia di tal genere terrebbe in ombra il livello al quale prevalse la tranquil lità interna. Giudicando in base al modello del xx secolo, la Palesti na del l secolo non fu particolarmente violenta, anche se la storiogra fia di Giuseppe Flavio dà l ' impressione di un succedersi continuo di sollevazioni. Oltre a scrivere una storia che si muove essenzialmente da guerra a guerra o da rivolta a rivolta, Giuseppe Flavio aveva una teoria più specifica da avanzare: man mano che la grande rivolta del 66 si fece più vicina, l'incidenza della violenza aumentò, incalzata dal mal go verno romano e dal 'brigantaggio' giudaico. Gli studiosi moderni
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Parte prima
spesso accettano questa tesi, e scrivono che ci sarebbe stata una co stante escalation dell'ardore giudaico per l' indipendenza, fino a che in conclusione la guerra sarebbe scoppiata. In realtà, la rivolta sem bra aver sorpreso tutti, e la documentazione contrasta l'opinione che la Palestina giudaica stesse continuamente preparandosi alla guerra. Con tutto ciò, tuttavia, si deve nondimeno dire che la possibilità di insurrezione era sempre presente. La Palestina era più simile alla parte orientale dell' Europa dopo la II guerra mondiale che alla parte occidentale: dei sovrani-fantoccio governavano in nome di una na zione straniera soverchiamente forte, e l'autorità imperiale poteva intervenire in qualsiasi momento per i mporre il proprio volere. Il po polo, se lasciato a se stesso, avrebbe preferito essere governato in modo diverso. La situazione era ancora peggiore: esso non sarebbe stato d'accordo sul modo di essere governato. Anche quando non erano tenuti in soggezione da Erode o da Roma, gli ebrei spesso combattevano tra di loro. Pertanto noi possiamo e dobbiamo dubita re che la mole globale di violenza fosse cospicua e che ci fosse una continua escalation di ardore rivoluzionario, ma dobbiamo accettare i l giudizio secondo il quale l'insurrezione non fu mai molto lontana dall'emergere. Non possiamo ora dire precisamente che cosa volesse ogni ribelle o sedizioso. Presumibilmente tutti costoro volevano 'libertà': vale a dire, si auguravano che la società funzionasse sulla base delle loro idee piuttosto che sulla base di quelle di qualcun altro. I cambiamen ti precisi che i ribelli desideravano variavano da gruppo a gruppo, da persona a persona e da periodo a periodo. Come nel cap. l , possiamo distinguere le questioni interne da quelle esterne. Alcuni ebrei erano pronti a rinunciare all' indipenden za in una zona se avessero potuto ottenerla in un'altra. Altri avrebbe ro lasciato a Roma, o a Erode, o a uno dei suoi successori, alcuni àmbiti di governo, come il controllo militare e la politica estera, pur ché costoro non interferissero in altri aspetti, specialmente il tempio. 'Libertà' significava cose diverse per persone diverse. Inoltre, le persone che speravano in un cambiamento erano in to tale e sostanziale disaccordo riguardo a quello che avrebbero dovuto fare . Non tutti quelli che volevano la 'libertà' si possono corretta mente chiamare 'ribelli' o 'combattenti per la libertà': alcuni erano pacifisti. Di questi, alcuni erano disposti a lavorare all'interno del si stema; altri pensavano che Dio stesso sarebbe intervenuto e avrebbe posto mano personalmente e che essi non avevano bisogno di ricor-
Il contesto
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rere alle armjl. Il pacifismo e la rinuncia alle armi, tuttavia, non ga rantivano necessariamente la sicurezza di coloro che erano insoddi sfatti dello stato di cose corrente. Alcuni di coloro che seguivano vie non militari venivano nondimeno passati a fil di spada o giustiziati. Allo scopo di vedere la persistenza di conflitto interno, solleva zione armata e protesta pacifica, cosl come i periodi di relativa tran quillità, faremo una breve rassegna delle maggiori questioni genera trici di conflitto nel periodo 63 a.C. - 74 d.C. l . Il prolungarsi del conflitto tra Ircano II e Aristobulo II portò al l'intervento romano in Palestina. Entrambi i fratelli ricercarono l'ap poggio del generale romano Pompeo, che si trovava allora in Siria. Alla fine egli si decise per la conquista, che culminò in un massacro dopo un estenuante assedio del col le del tempio (Bel/. l , 1 24- 1 5 1 ). 2. Secondo la versione d i Ant. 1 4, 29-60, quando i delegati di !r eano 11 e di Aristobulo II andarono a presentare un'istanza a Pompeo, prima che egli decidesse quali passi fare, «la nazione>> sollevò una terza questione: •da nazione era contro entrambi e chiese di non essere governata da un re, dicendo che era tradizione del loro paese obbedire ai sacerdoti del Dio che veneravano, ma che questi due, che discendevano dai sacerdoti, cercavano di cambiare la loro forma di governo allo scopo di farli diventare una na zione di schiavi» (An t. 14,4 1 ) .
Qui lo scontento era relativo al grado di trasformazione degli Asmonei in ordinari re ellenistici, che governavano con potere asso luto. Sembra che gli ebrei fautori di questa protesta sarebbero stati più a proprio agio nella situazione del periodo persiano e di quello tolemaico: un monarca distante, nessuno stretto controllo sulla vita quotidiana, e un governo locale da parte del sommo sacerdote e del suo consiglio. Può essere questa l'opinione che fece desiderare a molti di far entrare Pompeo in Gerusalemme ( Beli. 1 , 1 42-43). Essi avrebbero ben potuto pensare che i romani si sarebbero accontentati di riscuotere tasse e di imporre determinate leggi, ma che sarebbero stati disposti a far prevalere leggi locali in altre zone della vita (come Roma spesso faceva). C'era la speranza che, sotto il dominio romano, ci sarebbe stata una più grande libertà interna in relazione all'osservanza della legge giudaica. Lo Stato sarebbe potuto ritorna-
l . Cfr. piìl oltre, cap.
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re a essere una teocrazia, governata dal sommo sacerdote e dal suo consiglio. D periodo durante il quale Erode andava stabilendo il suo control lo fu pieno di insurrezioni di vario genere. Tre casi mostreranno la portata della protesta e della rivolta. 3. Gran parte della guerra civile durante questo periodo ebbe come causa il conflitto tra lrcano 11 e Aristobulo n, e più tardi tra Ir cano e Antigono, figlio di Aristobulo. Quando i Parti invasero la Si ria (40 a.C.), molti ebrei usarono questo fatto come occasione per riunirsi ad Antigono e assediare Ircano II e Fasael. Le truppe di Ero de ottennero una vittoria campale, ma sessanta uomini che erano sta ti posti a guardia dei prigionieri furono assaliti e morirono bruciati vivi. Questo spinse Erode a compiere un massacro (Beli. l , 250-52). 4. C'erano numerose sollevazioni minori. Un esempio è quella di Elice, che fu sconfitto da Fasael (Beli. l , 236s . ) . 5. Durante l ' anno 39-38 Erode mise in rotta o annientò molti ri belli in Galilea, ma alcuni, chiamati da Giuseppe Flavio 'briganti' , trovarono rifugio i n caverne che s i aprivano su dirupi scoscesi. I sol dati che erano stati calati con funi scagliarono tizzoni ardenti all'in temo delle caverne, uccidendone molli. Alcuni furono fatti prigio nieri. Possiamo farci un'idea della loro tempra citando un episodio: «Neppure uno di loro si arrese volontariamente, e di quelli presi con la for za molti preferirono la mone alla prigionia. Capitò allora che un vecchio, padre di sette figli, essendogli stato chiesto da questi e dalla loro madre il permesso di andarsene come ostaggi di Erode, li uccise nella maniera se guente. Ordinando loro di venire avanti uno alla volta, si pose ali' ingresso e trucidò ogni figlio man mano che avanzava. Erode, osservando questo spettacolo da un luogo in vista, fu profondamente colpito e, stendendo la sua mano sul vecchio, lo implorò di risparmiare i suoi figli; ma egli, impas sibile di fronte a qualsiasi parola di Erode, e anzi rimproverandolo come un villano di umile nascita, fece seguire al massacro dei suoi figli quello di sua moglie, e, dopo aver gettato i loro cadaveri giù dal precipizio, alla fine si gettò sopra di loro» (Bel/. l, 3 1 1 - 1 3).
È evidente che persone di questo tipo non erano 'briganti' . Essi non erano disposti a vivere sotto Erode. 6. Erode infine pacificò il regno, e ci sono poche notizie di rivolte, poiché non se ne presentava l 'opportunità. Tuttavia si può menzio nare un episodio del suo ultimo anno (5 a.C.). Erode aveva fatto eri gere sopra la grande porta del tempio, «come offerta voti va e con in-
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gente spesa, una grande aquila d'oro>>. Due uomtm, Giuda e Matthaia, , che istruivano la gioventù cittadina ed erano amati da molti, sapendo che la fine di Erode era vicina, decisero che era venu to il momento di abbattere l ' aquila. Essi istigarono dei giovani a fare questo; Erode, tuttavia, non era abbastanza prossimo alla morte da restare inerte, e fece arrestare, processare e bruciare vivi molti dei contestatori, inclusi i maestri. Egli inoltre depose il sommo sacerdo te, in base alla motivazione che questi era parzialmente responsabile (Bell. I , 65 1 -655; Ant. 1 7, 1 49- 1 67). 7. Nel 4 a.C., quando Erode morì, ci furono rivolte. Un gruppo di pellegrini, che era giunto a Gerusalemme per la festa di Pentecoste, si ribellò: ne seguì una sollevazione da parte degli idumei dell' eser cito di Erode, che era composto di idumei e di ebrei, e poi una rivol ta in Galilea guidata da Giuda, figlio di Ezechia. Un Simone si rivol tò in Perea, a est del Giordano. L'erede di Erode in Giudea, Arche lao, aiutato da Varo, il legato romano di Siria, alla fine ripristinò l'ordine (Beli. 2, 39-19; Ant. 17, 27 1 -298.369s.). 8. Mentre Augusto stava considerando la distribuzione del patri monio e del regno di Erode, una delegazione di ebrei perorò la causa che egli non desse il potere ad alcuno dei discendenti di Erode. Essi aspiravano a quella che Giuseppe Flavio definisce 'autonomia', il che finisce per significare che essi chiedevano ai romani «di unire il loro paese alla Siria e di affidare l'amministrazione a governatori scelti in mezzo a loro)) (Beli. 2,80.91). Questo appello concorda con quello della 'nazione' a Pompeo (cfr. più sopra, al n° 2): il dominio di un impero distante era attraente per molti, dal momento che a loro non interessavano il successo militare e la grandeur nazionale, ma piut tosto, è presumibile, l'avere il permesso di vivere secondo la legge. 9. Augusto, come abbiamo visto, nominò Archelao, figlio di Ero de, ' etnarca', e lo fece governatore della Giudea, della Samaria e dell'ldumea. Dopo nove o dieci anni (6 d.C.), accuse mosse da de putazioni dalla Giudea e dalla Samaria indussero Augusto a deporlo e a esiliarlo. L'imperatore mandò allora Coponio, il primo prefetto romano, a governare la Giudea direttamente. Questi richiese a scopi fiscali un censimento, che a sua volta si risolse in una rivolta, guida ta da Giuda il Galileo (Bel/. 2, 1 17s.; Ant. 1 8, 1 - 1 0). I O. Quando Pilato divenne prefetto (26 d.C.), ordinò ad alcune delle sue truppe di portare in Gerusalemme stendardi recanti l'effigie di Cesare. Un gran numero di ebrei lo seguì a Cesarea e sedette fuori
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della sua residenza per cinque giorni e cinque notti. Egli li convocò in tribunale e poi li fece accerchiare dalle sue truppe. Quando i sol dati estrassero le spade gli ebrei si buttarono a terra, «protesero il collo, ed esclamarono che erano pronti a morire piuttosto che tra sgredire la legge». Pilato, impressionato, ordinò che gli stendardi fossero rimossi (Beli. 2, 1 69- 174; Ant. 1 8, 55-59). 1 1 . Intorno al 30 d.C., Giovanni il Battista apparve in Galilea pre dicando la pratica della 'rettitudine' gli uni nei confronti degli altri e della 'pietà' verso Dio, e le sue prediche eccitarono le folle. Antipa temette l' insurrezione e lo fece giustiziare (Ant. 1 8, 1 1 7-1 1 9). 12. Quando l ' imperatore Gaio (Caligola) decise di far erigere la sua statua nel tempio (circa 41 d.C.), «decine di migliaia» di ebrei incontrarono Petronio, il legato di Siria, a Tolemaide, chiedendo che egli li uccidesse prima che ciò avvenisse. La scena si ripeté a Tibe riade. Sul momento Petronio esitò, e la minaccia fu in seguito annul lata dall'assassinio di Caligola (Ant. 1 8, 261 -272; 1 8, 305-309). 1 3 . Sotto Fado (44-46) un sedicente profeta, Teuda, condusse una folla al Giordano, che egli diceva si sarebbe diviso al suo comando. l romani mandarono truppe, che uccisero molti dei suoi seguaci, ne catturarono altri e portarono la sua testa a Gerusalemme (Ant. 20, 97-99; cfr. At 5, 36). 1 4. Durante il procuratorato di Felice (52-59 d.C.) si levarono profeti che condussero «la moltitudine» nel deserto, promettendo «che Dio avrebbe là dato loro segni di liberazione>>. Felice mandò truppe «e ne passò a fil di spada un gran numero>> (Bel/. 2, 259s.). 1 5 . Nello stesso periodo un altro sedicente profeta, «1' Egi7.iano>>, condusse molti uomini (secondo Giuseppe Flavio 30.000, secondo gli Atti 4.000) in un attacco contro Gerusalemme. l romani ne ucci sero e catlurarono un gran numero, anche se l'Egiziano scampò (Be/l. 2, 26 1 -263; cfr. At 2 1 , 38). 1 6. Quando nel 66 scoppiò la guerra con Roma, un' assemblea ge nerale del popolo, radunata nel tempio, nominò come propri capi Anano, l'ex-sommo sacerdote (deposto nel 62), e un altro aristocra tico, che è chiamato Giuseppe figlio di Gorion in Beli. 2, 563 e Go rion figlio di Giuseppe in Beli. 4, 1 59. Gli altri capi erano anch'essi aristocratici: il fariseo Shim'on figlio di Gamaliel e l'ex-sommo sa cerdote Gesù figlio di Gamala (Beli. 2, 563; 4, 158- 1 6 1 ; cfr. Vita 1 9 1 - 1 93, dove si sottolinea la preminenza della famiglia di Simeo ne). Dopo la caduta della Galilea, gli zeloti trovarono rifugio a Geru salemme, e alla fine ci fu una sanguinosa guerra civile che si conclu-
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se con la morte dei leader sacerdotali (Gesù figlio di Gamala e Ana no) e di migliaia di loro sostenitori (per l'intera vicenda, si veda Beli. 4, 1 2 1 -365; per le morti dei capi aristocratici e il massacro generale delle famiglie preminenti e dei loro sostenitori, si veda specialmente 4, 3 1 2-3 1 6.3 18.323.327-329.335-344.365). Osservazioni L ' impressione che il popolo si stesse sempre più avvicinando alla rivolta è creata dagli eventi sopra descritti ai ni 1 3, 14 e 1 5 . Due pro feti, Teuda e l'Egiziano, guidarono gruppi di seguaci ad aspettarsi segni di liberazione (ni 1 3 e 1 5), e ce ne furono altri che fecero lo stesso (no 14), tutti negli anni 44-59 d.C. l due maggiori eventi del periodo, tuttavia, furono le proteste contro gli stendardi di Pilato, fat to che probabilmente coinvolse la maggior parte dei gerosolimitani (no l 0), e contro il progetto di Caligola di far erigere una statua nel tempio (no 1 2). Questa minaccia suscitò ostilità e la paura della guerra anche nella Diaspora (Filone, Legat., 2 1 3-2 1 7). Questi eventi ebbero luogo circa tra il 26 e il 4 1 d.C., e crearono la convinzione che Roma potesse seriamente interferire con la santità di Gerusalem me e, peggio, con il tempio. Quando Caligola venne assassinato, tut ti dovettero tirare un grosso respiro di sollievo: la minaccia della profanazione era passata, e con essa la minaccia di una guerra. È dubbio che le azioni, relativamente minori, di dispersione delle folle che seguirono i sedicenti profeti abbiano portato la massa generale del popolo a pensare che le cose stessero peggiorando e che la guer ra si avvicinasse sempre più. Gli eventi che effettivamente portarono alla rivolta non furono connessi con profeti e folle di seguaci: furono imprevisti e presero tutti di sorpresa. Un gruppo di pagani a Cesarea sacrificò uccelli di fronte alla sinagoga: quando i gerosolimitani vennero a saperlo, fu rono indignati, ma «dominarono ancora i loro sentimenti>>. Il procu ratore Floro, tuttavia, all' incirca nello stesso periodo sottrasse dena ro dal tesoro del tempio. Questo agitò grandemente il popolo: egli fu allora insultato in pubblico. Ci fu un massacro, seguito da flagella zioni e crocifissioni, e gli eventi fatali si misero in moto (Beli. 2, 289-308; cfr. più in particolare oltre, pp. 658 ss.). Due atti che gli ebrei considerarono sacrileghi, uno da parte del procuratore in perso na, condussero alla rivolta. Ci sarebbe probabilmente stata una rivo!-
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ta in precedenza, se Pilato avesse persistito n eli' esporre stendardi militari in Gerusalemme o se Petronio avesse agito meno cautamen te. Durante il periodo romano, la tensione cresceva e calava; non era andata regolarmente crescendo. Il giorno prima che Floro sottraesse il denaro dal tempio, c'era quasi certamente meno aspettati va di guerra di quanto ci fosse stata quindici anni prima, quando Caligola la rese incombente con un «abominio>> (Dn 9, 27) dannoso quasi quanto il sacrificio pagano di Antioco IV. Tenteremo ora di dare alcune caratterizzazioni sommarie del sen timento politico-religioso giudaico. A. In merito al governo straniero, molti se ne risentivano amara mente. La rivolta asmonaica fu appoggiata ampiamente, e così pure la rivolta contro Roma. Inoltre, ci sarebbe stato un altro tentativo sanguinoso di conquistare l'indipendenza da Roma dopo il 1 30 d.C. Il generale desiderio di «libertà>> non può essere messo in dubbio. D'altro canto, il dominio straniero non fu giudicato negativo da tutti in ogni periodo: alcuni preferivano il dominio straniero a quello di un despota più vicino, e ritenevano che la libertà interna degli ebrei - )"autonomia' - fosse accresciuta dal dominio di un impero lontano (esempi 2 e 8). Il disaccordo su che cosa meritasse di costi tuire la 'libertà' è evidente nella tragica storia di Ircano 11 e Aristobu lo 11. Ircano era più debole e maggiormente disposto a obbedire a uo mini più forti: Antipatro, Fasael, Erode e i romani. Ciononostante, egli trovò un discreto appoggio dall'interno di Israele: coloro che si schierarono con Aristobulo (e più tardi con suo figlio, Antigono) probabilmente con ciò stavano appoggiando un uomo che avrebbe combattuto per l'indipendenza. I fautori di Ircano stavano indiretta mente appoggiando la dominazione straniera. Ricordiamo che nei primi giorni della rivolta asmonaica alcuni pii ebrei erano pronti a smettere di combattere quando il tempio fosse stato purificato. Le ar gomentazioni delle generazioni successive che preferirono Roma sia a Ircano che a Aristobulo (caso 2), o Roma ad Archelao (caso 8), non erano nuove. Giuseppe Flavio sostiene energicamente che la maggioranza degli ebrei era disposta a essere obbediente a Roma: questa è naturalmen te la sua tesi particolare, ma egli può tuttavia essere nel giusto. An che all'appressarsi della guerra i leader del sacerdozio furono in gra do di ottenere segni di sottomissione a Floro, il procuratore, da parte di un gran numero di persone (Beli. 2, 320-329). È probabile che molti sarebbero stati disposti a rimanere obbedienti, se i romani
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avessero sempre rispettato la sensibilità giudaica e le sue istituzioni. Questo è corroborato dalla natura passiva delle proteste contro l'ere zione della statua di Caligola nel tempio e l ' introduzione di stendar di romani in Gerusalemme da parte di Pilato (esempi l O e 1 2): quelli che protestavano volevano che fosse chiaro che non minacciavano la guerra, ma che erano pronti passivamente a morire piuttosto che la santità della città e del santuario venisse profanata. Dovremmo osservare che gli ebrei non erano completamente in genui quanto alla natura e all'efficacia detla resistenza non-violenta. All'epoca della minaccia di Caligola al tempio essi trascurarono i loro campi, anche se era il tempo della semina (Ant. 18, 272) o della mietitura (Filone, Legat. 249). Questo naturalmente dimostrava la loro propensione a soffrire, ma significava anche che per Roma sa rebbe stato impossibile riscuotere i tributi. Inoltre, una diffusa care stia avrebbe portato a tumulti. Petronio, il legato, comprese che im porre l 'ordine era una politica dannosa (Ant. 1 8, 272-275). B. C'erano in Israele fazioni che si opponevano accanitamente l'una all' altra. Questo è evidente per tutta la durata del periodo, dal tempo di Antioco IV in avanti. Quando scoppiò la rivolta contro Roma, la faziosità interna poté emergere con tutta la sua furia, cul minando netlo sterminio dei membri-guida detl'aristocrazia giudaica da parte degli zeloti (esempio 1 6). C. La faziosità era parte di un' irrequietezza diffusa che eruppe quasi in ogni periodo ci fosse uno iato tra i dominatori: cfr. gli esempi 4, 5, 7 e 9. I rivoltosi non si sarebbero necessariamente accordati gli uni con gli altri sulle alternative positive alla situazione presente (cfr. il punto B), ma parecchia gente era insoddisfatta da molto tempo. D. Molti erano sensibili all'appello di capi carismatici che offriva no la speranza di un intervento divino (esempi 1 1 , 1 3, 14 e 1 5). E. Molti, letteralmente migliaia, erano pronti a morire piuttosto che vivere sotto un regime che non amavano o tollerare offese contro le istituzioni di Israele. Le minacce al tempio e al culto (6, I O e 1 2) sem brano avere scosso più persone di quanto fece il predominio militare ( l , 3, 4 e 5), ma anche quest'ultimo sollevò grandi moltitudini. Nella sua grande apologia del giudaismo, il Contro Apione, Giu seppe Flavio sottolineò la prontezza degli ebrei alla morte piuttosto che a tollerare regimi o azioni empie: �(Noi affrontiamo) la morte in nome delle nostre leggi con un coraggio che nessun'altra nazione può eguagliare» (Ap. 2, 234).
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«E da queste nostre leggi niente ha avuto il potere di farci deviare, né la paura dei nostri padroni, né l'invidia di quelle istituzioni che altre nazioni apprezzano " (Ap. 2, 27 1 );
Questo è naturalmente un quadro idealizzato: non tutti gli ebrei preferirono morire piuttosto che tradire la legge, come la biografia di Giuseppe Aavio mostra assai bene. Eppure, storia dopo storia, si ri vela che tale generalizzazione è vera. Parecchie volte la prontezza a morire anziché a trasgredire è attri buita da Giuseppe Aavio alla fede in un' «esistenza rinnovata>> dopo la morte (Ap. 2, 21 8), e questo è probabilmente esatto; vedremo che i più credevano in una qualche forma di vita oltremondana. Giusep pe Flavio attribuisce quest'opinione ai maestri Giuda e Matthaia, che persuasero alcuni uomini ad abbattere l'aquila d'oro che stava sopra il tempio (Beli. l , 650), e anche agli ebrei che fronteggiarono Petro nio: «anche se giudicavano grande il pericolo che una guerra con i romani implicava, tuttavia giudicarono molto più grande il pericolo di trasgredire la legge>> (Ant. 1 8, 270), dato che tale trasgressione sa rebbe costata loro più dell'esistenza fisica. Lo zelo per la legge di Dio e la sua venerazione fu uno dei principali motivi delle azioni di molti ebrei, e la fede in una vita oltremondana incoraggiò le persone a seguire la legge anche se ciò significava la morte. Da questa descrizione di un' incessante ricerca della giusta forma di governo (la giusta politica nelle istanze interne come in quelle esterne), ritorniamo al mondo relativamente statico della pratica reli giosa, i riti giornalieri, settimanali, stagionali, annuali e settennali ri chiesti dalla legge giudaica e osservati dalla maggioranza degli ebrei: questo ci porterà alla teologia comune. Solo allora ritorneremo ai gruppi di cui abbiamo descritto l'apparire nel cap. 2; nel corso di quest'indagine prenderemo in considerazione più in particolare alcu ni aspetti della storia del periodo. Procedendo su questa via stiamo in un certo senso passando dalla 'politica' alla 'religione', ma in un altro senso no. Uno dei problemi correnti nel descrivere il giudaismo è il modo nel quale religione e politica si intrecciano. La maniera più semplice di presentare la loro interrelazione è narrare gli eventi storici, come abbiamo fatto. Nei capp. 2-4, riassumendo la storia degli avvenimenti, abbiamo anche avuto a che fare con la 'religione' e con la 'teologia'. Abbiamo vi sto, per esempio, che coloro che volevano che le faccende militari fossero gestite da un impero straniero cercavano non soltanto 'auto-
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nomia', ma anche una 'teocrazia', cioè il governo di Dio. Alcuni dei ribelli al tempo della grande rivolta assunsero come slogan. La que stione 'politica' era religiosa: quale sistema di governo era i l miglio re agli occhi di Dio? quale facilitava meglio l'osservanza della legge divina? Eppure, d'altro canto, gli ebrei erano in grado di distinguere il controllo militare da ciò che noi ora chiameremmo 'religione'. Persone che non si preoccupavano molto del dominio romano vole vano tenere le effigi di Cesare fuori da Gerusalemme. Il culto di Dio occupava una propria sfera, o piuttosto sfere (il tempio, la casa e la sinagoga) che erano parzialmente isolate dagli eventi del mondo esterno, come i cambiamenti di governo. Gli ebrei, di fatto, protestavano quando eventi esterni toccavano troppo sul vivo il culto. Nella prossima parte, dunque, accantoneremo l'intera zione tra governo e teologia (cui ritorneremo nella parte 111), e ci oc cuperemo di 'religione' in senso stretto, cominciando con l'aspetto più semplice e fondamentale di ogni antica religione: il sacrificio di animali. Non dobbiamo passare a un 'gruppo' differente: gli antichi ebrei combinavano l'attività socio-politica e l'osservanza di riti eter ni (come fanno tutti gli altri popoli, sia nel passato sia nel presente)2• Quando Aristobulo II e i suoi seguaci, che avevano una grande ambi zione politica, furono rinchiusi nel complesso del tempio dai sosteni tori di Ircano II, pagarono mille dracme a testa per degli animali sa criticali (ma furono ingannati e non li ottennero) (Ant. 1 4, 25-28). Pertanto, anche se ora abbandoniamo i resoconti di governo e di azioni militari, non passiamo a descrivere un altro giudaismo, ma a descrivere che cosa proprio quegli stessi ebrei facessero quando ve neravano Dio.
2. Neusner è incline a dubitarne: cfr. Messiah in Context, pp. 5-16, e il mio tenta livo di analisi delle sue diverse affermazioni. JUM, pp. 324-326.
Parte seconda Il giudaismo comune
CAPITOLO QUINTO
IL GIUDAISMO COMUNE E IL TEMPIO
l . Comune, normale e normativo Nella Palestina, il giudaismo 'normale' o 'comune' era l 'insieme di pratiche su cui convenivano sacerdoti e popolo. Vedremo che, in generale, gli ebrei della diaspora di lingua greca condividevano que sto giudaismo normale, benché la loro partecipazione al culto nel tempio, che era un ingrediente importante, fosse ristretta. In questa parte del nostro studio continuerò a concentrarmi sulla Palestina, an che se illustrerò parimenti il livello di partecipazione, da parte degli ebrei della diaspora occidentale, alle prassi religiose e alle credenze teologiche dei loro contemporanei di Palestina 1 • È facile provare che esisteva un sentimento universale di solidarietà tra gli ebrei: sparsi per le pagine che seguiranno, vedremo il pagamento della tassa del tempio da parte degli ebrei della diaspora, il pellegrinaggio al tempio dall'estero, un allarme universale alla minaccia di Gaio Caligola di far erigere la sua statua nel tempio, i modi con i quali i pagani isola rono gli ebrei come diversi, i vantaggi che gli ebrei della diaspora ri cavarono quando Giulio Cesare fu grato agli ebrei palestinesi per il loro aiuto, e molti altri punti2. Il giudaismo 'normale' era, in misura limitata, anche 'normativo' : esso stabiliva un modello sul quale si misurava la fedeltà nei con fronti di Israele e del Dio di Israele. Al di fuori della Palestina ci po teva essere scarsa opera di coercizione ad accettare la norma, eccetto l . Non ho competenze per discutere della diaspora orientale, ma anche gli ebrei di Mesopotamia parteciparono del giudaismo comune. Pagavano la tassa del tem pio, e occasionalmente si viene a sapere che un sacerdote o un fariseo si trasferiva dalla Mesopotamia in Palestina e poteva capire quel che vi succedeva. Per la tassa del tempio cfr. Ant. 18, 3 1 2s.; per i sacerdoti babilonesi Anr. 15, 22; per il fariseo H i Ilei bPesal)im 66a. 2. Sulle comunicazioni tra la Palestina e la diaspora cfr. ad es. 2 Mac I , IO; Gdt I l , 14. Ciò non significa, comunque, che 'il Sanhedrin' di Gerusalemme dettasse le regole che gli ebrei della diaspora seguivano. Cfr. JUM, cap. tv, e oltre, ad es. p. J I O s.
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Parte seconda
la persuasione morale, e perfino in Palestina c'erano limiti definiti a quello che poteva essere imposto. Fuori dalla Giudea i custodi uffi ciali della religione, i sacerdoti, ebbero scarso potere effettivo dopo la conquista romana: perciò qualunque cosa troviamo sia stata 'nor male' era fondata su un consenso interno ed era 'normativa' solo nella misura in cui era sostenuta dall'opinione comune (che ha un grande potere coercitivo, ma che permette ai singoli che siano in for te disaccordo di distaccarsi). Gli ebrei in generale credevano che i loro testi sacri fossero real mente Sacra Scrittura: Dio aveva dato loro la legge tramite Mosè, e ad essa dovevano obbedire. I Profeti e gli altri libri (gli 'Scritti') era no anch'essi destinati alla guida e all'istruzione. In ogni parte dell'impero gli ebrei, al sabato, si radunavano in case di preghiera per imparare la via di Dio. Essi gli rendevano culto con preghiere e con offerte, e osservavano le festività, che avevano la funzione sia di rinnovare la loro alleanza con lui, di celebrare grandi momenti del passato della nazione, di segnare le stagioni dell'anno agricolo e di rendere grazie per esse, di espiare i peccati. Morton Smith ha enucleato questi punti in una frase memorabile: «Fino alla caduta del Tempio, il giudaismo normativa di Palesti na è quel com promesso di cui i tre elementi principali sono il Pentaleuco, il Tempi o , e gli 'amme ha-are�. gli ebrei comuni che non erano membri di alcuna sètta, 3 • Aggiungerei solo che la maggior parte degli ebrei della diaspora
erano inclusi in questo giudaismo comune: essi erano devoti alla leg ge e pure al tempio, anche se potevano raramente occuparsi dei suoi servizi; inoltre condiv idevano alcune pratiche postbibliche, come quella di frequentare la sinagoga. C'erano numerose differenziazioni all'interno del 'giudaismo nor male', e noi ne prenderemo alla fine in considerazione alcune. Al momento, tuttavia, poniamo l'accento su quanto era comune. Fisicamente vi erano tre centri di culto: il tempio, la sinagoga (o casa di preghiera) e la casa. Li tratteremo uno alla volta prima di
3. Smith, The Dead Sea Secr in Relarion lo Ancient Judaism, in NTS 7 ( 1 9601 96 1 ), pp. 347-360: p. 356. Cfr. Id., Palestinian Judaism in the First Century, pp.
73f. La moderna espressione 'giudaismo normativo', in uso nella discussione acca· demica, trae origine da George Foot Moore, Judaism, che la usò nel senso di 'giu daismo rabbinico', applicandola però al periodo dal 70 al 200 d.C. ca. Cfr. i suoi commenti in l, p. V, e 111, pp . V·VI, e inoltre la mia discussione in P&PJ, p. 34 n. I l .
Il giudaismo comune
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chiederci se ci fosse o no una teologia giudaica comune. Cercherò ora di descrivere la pratica e il credo dei sacerdoti ordinari e della gente comune, non i sacerdoti importanti o i 'potenti' , e non i farisei, i sadducei o gli esseni. È molto più facile scrivere su questi gruppi, e così il giudaismo del nostro periodo è spesso trattato come se fosse stato composto di membri dei tre partiti di cui parla Giuseppe Fla vio. Vedremo che non è impossibile discutere della gente comune, anche se possiamo raramente dare un nome ai singoli individui. Giu seppe Flavio, un aristocratico che divenne uno storiografo ellenisti co, seguì entrambe le tradizioni nel modo usuale di narrare eventi in termini di personaggi-guida indicati per nome e di 'masse'. Egli as segnò raramente un nome persino ai 'potenti' . Le persone del popolo hanno solo occasionalmente un nome, ma non vengono descritte: così Gionata e Anania, farisei «dei livelli più bassi>> della plebe (hoi demotikoi), facevano parte di un comitato inviato a indagare su Giu seppe Flavio durante la rivolta (Vita 1 97), ma noi non veniamo a sa pere nulla su di loro. Impariamo, sì, che durante la rivolta vennero in qualche caso affidati a persone comuni posti di responsabilità, ma questo non fa che mettere in risalto la situazione normale: esse veni vano generalmente trascurate, se non quando formavano grossi gruppi. Ciononostante, dal momento che le persone comuni inter vennero in molti degli eventi che Giuseppe Flavio descrive, possia mo talvolta superare la sua indifferenza nei loro confronti (un' indif ferenza comune a molti storiografi antichi) e fare anche qualche pas so avanti nella determinazione di quale fosse la 'situazione norma le'. Prima di descrivere la prassi giudaica, tuttavia, sarà utile consi derare in che cosa il giudaismo antico differiva da altre culture. 2. Il sacrificio, l 'etica e la caratteristica distintiva del giudaismo
Al lettore che non abbia una conoscenza approfondita delle reli gioni antiche, il rilievo che ha nel giudaismo il sacrificio di animali potrebbe sembrare qualcosa di estraneo e perfino di ripugnante. Nell'antichità, tuttavia, le cose stavano diversamente: a Roma, in Grecia, in Egitto, in Mesopotamia e nella maggior parte delle altre regioni del mondo antico, la religione era sacrificio. Più avanti di scuteremo temi quali la macellazione. sacrificale di animali, la distri buzione delle loro parti tra il sacerdote, l 'altare e il fedele, il mante nimento del tempio tramite offerte in denaro, animali e prodotti agri-
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coli, i riti di purificazione e l'osservanza di speciali feste religiose che implicavano sacrifici supplementari, danze e musiche. Ogni sin golo elemento ha numerosi paralleli nel mondo antico: quando i greci o i romani facevano osservazioni sul giudaismo, non trovavano niente di strano in tutto ciò. Il sabato ebraico e le prescrizioni sul cibo suscitava no commenti, ma non i sacrifici o i riti di purificazione. Grazie a pubblicazioni abbastanza recenti è agevole studiare a un li vello generale le pratiche religiose greche. Il lettore della Religione greca di Walter Burken, o della Cucina del sacrificio tra i Greci, un volume di saggi edito da Marcel Detienne e Jean-Pierre Vemant, im parerà molto a proposito di sacrifici di animali, aree sacre e purifica zioni4. La pratica sacrificate ebraica differiva da quella dei greci in due aspetti principali: innanzitutto, nel giudaismo durante il periodo romano prevalse l'opinione che ci dovesse essere un unico tempio e un unico luogo di sacrificio; l ' ultimo tempio ad essere costruito al di fuori di Gerusalemme fu il tempio sadocita in Egitto (cfr. sopra, p. 34). I greci e i romani avevano un numero quasi incalcolabile di templi, e un sacrificio poteva essere offeno persino dove non c'era alcun tempio. Secondariamente, il culto sacrificale ebraico era più dispendioso: c' era un' ampia casta sacerdotale ereditaria che era mantenuta da non-sacerdoti. In Grecia e a Roma il sacerdozio non era una professione o una casta5: a Roma, e spesso nei territori di lingua greca, essere un sacerdote era una carica onorifica, un onore riservato all'élite; come altre posizioni onorifiche era qualche volta costosa per il detentore dell' incarico6. Uomini di potere che noi oggi consideriamo come generali, conquistatori, re e imperatori, erano anche sacerdoti. Giulio Cesare era un sommo sacerdote (Pontifex Maximus, cfr. ad es. Ant. 14, 1 90); Alessandro Magno, nella sua trionfale conquista di molta parte del mondo conosciuto, faceva re golarmente sacrifici7. In Grecia e a Roma era difficile capire che 4. Sugli ultimi due argomenti cfr. particolarmente Burken, op. cit., pp. 75-84, 86 s., 98, I lO, 270. Il libro più imponante sulle purificazioni greche è quello di René Ginouvès, Balaneutikè. Recherches sur le bain dans / "antiquité grecque, di cui ho
riassunto alcuni punti in JUM. pp. 262 s . S. Cfr. recentemente Pagan Priest, a cura di Beard e Nonh. La diversità del pa ganesimo greco e romano rende difficile la presentazione di generalizzazioni del tut to precise relativamente a tuili i sacerdoti, i templi e i culti. Se si aggiungono la reli gione egizia e i culti asiatici che penetrarono nell'impero romano, la difficoltà si moltiplica. 6. Cfr. ad es. Burken, op. cii., pp. 96 s. 7. Lane Fox, Alexander the Great, pp. 1 1 2, 2 14, 23 1 .295.
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cosa fosse esattamente un sacerdote, dal momento che la distinzione tra magistratura civile e sacerdozio è per noi sfuggente. Coloro che volevano farsi strada nel mondo cercavano di procurarsi cariche sa cerdotali (per esempio Plinio il Giovane)8• Nel giudaismo, al contra rio, la carica sacerdotale era ereditaria, ai sacerdoti era proibito gua dagnarsi da vivere con il lavoro della terra, e la cura e il sostenta mento della casta sacerdotale erano spese ragguardevoli sostenute dal resto della società, specialmente dagli agricoltori. Un altro ele mento che rendeva dispendioso il culto sacrificale giudaico era l'uso di olocausti ('offerte interamente bruciate'): ce n'erano almeno due al giorno nel tempio di Gerusalemme. Tale genere di sacrifici era sconosciuto in Grecia9• Nel giudaismo, benché la maggioranza dei sacrifici fornisse cibo al sacerdote e/o al fedele, alcuni animali erano consegnati interamente all'altare. In Grecia tutti gli animali sacrifi cati venivano mangiati, e gli dèi di solito ottenevano solamente parte delle ossa. In questa seconda questione, quella del costo della pratica religiosa e dell' importanza della casta sacerdotale, possiamo trovare paralleli con il giudaismo in Babilonia, in Egitto e in altri paesi. Per quanto concerne il sacrificio, i sacerdoti e i templi, il giudai smo fu unico perché ebbe un singolo tempio per un solo Dio e un culto centralizzato. Rispetto alla Grecia e a Roma, acquistano risalto anche la dimensione e l'influenza del sacerdozio ereditario giudaico. Il giudaismo fu caratteristico anche in un altro senso: esso tentò di ricondurre la globalità dell'esistenza sotto l'egida della 'Legge divi na'. In quanto religione, esso non era insolito per il fatto che com prendeva sacrifici, ma perché comprendeva anche la legge etica, fa miliare e civile. Gli ebrei talvolta parlavano della loro 'filosofia', un termine che è giustificato dalla prospettiva di una legge che com prende un intero modello di vita10• Il giudaismo non fu soltanto un 'culto'. Si dovrebbe spiegare che la nostra parola 'religione' , benché derivata dal latino religio, non ha un esatto corrispondente nell'anti chità: ciononostante, è un termine assai utile. Nell' usarlo, intendia mo in questo caso 'qualunque cosa avente a che fare con Dio o con gli dèi, incluso ogni tema che appaia in leggi o prescrizioni che sia8. Gordon, From Republic to Principale, in Pagan Priests, op. cit. , pp. 1 96 s. 9. Secondo Pausania, il culto di Artemide Lafria a Patrasso comprendeva il bru ciare animali vivi, ma egli dice che questa prassi era unica (Descrizione della Gre cia, 7, 1 8 , 8- 1 3). l O. Ad es., Bel/. 2, l l 9; Filone, Opi/. l 28.
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no attribuite alla divinità'. Nel giudaismo, questo comprende più o meno tutto: gli ebrei pensavano che Mosè avesse ricevuto la legge da Dio, e inoltre consideravano 'ispirati' i profeti e gli autori delle altre scritture sacre ebraiche 1 1 • Benché, in un senso molto lato, i gre ci potessero affermare che le loro leggi erano di origine divina (Pla tone, Leggi, I), non ne trattavano i singoli punti come se fossero rive lati della divinità, come spiega il resto delle Leggi di Platone. Anche nel discutere l 'esatto calendario delle feste e dei sacrifici, l 'ateniese dice solo che lui e i suoi compagni sarebbero stati aiutati da «oracoli di Delfi» (Leggi, VIII, 828): toccava ai mortali determinare che cosa dovessero fare. Allo stesso modo, gli ateniesi non credevano che l' antico riformatore della legge, Solone, avesse tramandato coman damenti divini, e molti aspetti della condotta umana erano governati dalla legge civile. Nel mondo greco-romano l'etica veniva discussa dai filosofi, ma non si riteneva, come principio, che essa fosse sanci ta dalla divinità, mentre gli ebrei pensavano che i princìpi che gover navano il modo di trattare il 'prossimo' e lo 'straniero' fossero stati dati da Dio a Mosè. Questi princìpi trovavano corrispondenza nella natura stessa di Dio: «Siate santi, poiché io, il Signore, Dio vostro, sono santo. [ . . ] Amerai il tuo prossimo. [ ... ] Il forestiero [... ] l'amerai come te stesso» (Lv 1 9, 2-34). .
Questo non significa dire che in Grecia e a Roma ci fossero due compartimenti stagni, la 'religione' e lo 'Stato': al contrario, i due àmbiti erano strettamente intrecciati. Tutte, o praticamente tutte, le attività civiche comportavano un sacrificio. Una corte 'civile' giudi cò Socrate colpevole del delitto capitale di 'ateismo'. La mancata partecipazione alla religione civica e - durante l' impero romano - il rifiuto a manifestare l'appropriato ossequio al nume tutelare di Roma e all'imperatore erano crimini. Gli ebrei ebbero bisogno di una dispensa speciale dai riti religiosi e civici pagani, e in seguito i cristiani spesso entrarono in conflitto con lo Stato perché non vole vano partecipare agli atti religiosi ordinari. Oggigiorno, perfino negli Stati Uniti, dove è anticostituzionale avere una religione di Stato, la Dichiarazione di Fedeltà (dai tempi di Eisenhower) include la frase «Nel nome di Dio>>, il Presidente dice «Che Dio mi assista>> nel giu11.
La questione del «Canone» delle Scrinure ebraiche è complessa. e la eviterò.
n ICTmine 'ispirato. è invece, credo, sicuro.
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ramento per l'incarico, e in tribunale i testimoni fanno lo stesso giu ramento (anche se, negli ultimi anni, sono state ammesse altre for mule di giuramento). Se si moltiplicano tali pratiche per parecchie migliaia, l' importanza della religione nella vita civile dell'impero ro mano risulterà chiara. Tuttavia, nonostante l'onnipresenza della religione nella cultura pagana, il giudaismo antico ha una posizione peculiare, dal momen to che tutta la vita non era solo genericamente 'nel nome di Dio' : era regolata dalla legge divina. Giuseppe Flavio pose precisamente il problema: «[Mosè] non fece della religione [letteralmente: 'pietà'] un settore della virtù, ma delle varie virtù - cioè la giustizia, la temperanza, la fortezza, e la mutua armonia [ .. ] i settori della reiigione. La religione governa tutte le nostre azioni, occupazioni e discorsi; il nostro legislatore non lasciò non esaminata o indeterminata alcuna di queste cose [ ... ]. Egli non lasciò nulla, per insignificante che fosse, alla discrezione e al capriccio dell'individuo» (Ap. 2, 1 70- 1 73). .
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Gli ebrei del nostro periodo non erano interamente incapaci di di stinguere ciò che noi ora chiamiamo il profano dal sacro. Per trarre pochi esempi dal profilo storico contenuto nella Parte prima: le per sone che volevano che uno degli Asmonei rinunciasse al sommo sa cerdozio, e si accontentasse d'essere re, facevano de facto una di stinzione. Allo stesso modo, alcuni volevano che la Palestina fosse governata da un impero straniero, così da poter avere localmente una 'teocrazia', governo di Dio (rappresentato dai sacerdoti). Altri si ri fiutarono di avere altro padrone che Dio: non avrebbe dovuto esserci alcuna sfera 'profana'. Tutti costoro, comunque, sottoponevano alla legge sacra più cose di quanto facessero i greci e i romani. È di parti colare importanza che il comportamento etico fosse determinato dal la legge divina. La conseguenza è che noi iniziamo la discussione della pratica religiosa ebraica con il tempio, ma non la concludiamo con esso.
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3 . Il tempio Secondo le Scritture, Dio aveva stabilito il tempio con i suoi sa crifici e ne aveva nominato il sacerdozio ereditario. Dalla letteratura antica deriva l ' impressione schiacciante che la maggior parte degli ebrei del I secolo, che credevano nella Bibbia, rispettassero il tempio e i sacerdoti e volontariamente facessero i doni e le offerte richiesti. Esiste, a dire il vero, una tradizione erudita secondo la quale le cose non stavano così: perciò Marcel Simon, nel suo splendido libro Ve rus lsrael, scrisse che «Gli uomini genuinamente pii in Israele erano [ ... ] stati inclini ad allontanarsi dal santuario [ . . ]. Il centro vitale del giudaismo era la sinagoga)), e che nella diaspora «il tempio non ave va mai significato un valore positivo>> 12. Gli autori antichi (con po chissime eccezioni, discusse sotto) danno esattamente l'impressione opposta. Questo vale sia per la diaspora di lingua greca sia per la Pa lestina. L'autore della Lettera di Aristea, un ebreo alessandrino che visitò Gerusalemme nel II o nel I secolo a.C.13, scrisse in termini en tusiastici e devoti del servizio nel tempio. Filone, che fece almeno un pellegrinaggio a Gerusalemme nella prima metà del I secolo d.C., mise in evidenza non solo la propria devozione personale, ma anche quella degli ebrei palestinesi. Egli contrappose le tasse pagate per costrizione nel resto del mondo greco-romano a quelle che sostenta vano il tempio di Gerusalemme, che erano pagate , e che erano così abbondanti che anche i sacerdoti più poveri erano (Spec. I, 141-144.1 33). Egli profetizzò che il tempio e le offerte che lo mantenevano sarebbero durati per sempre (Spec. l , 76), e descrisse il sistema sacrificate in modo amorosamente particolareggiato, mettendo l'accento sul suo valore spirituale ed etico (Spec. l , 66-345). Gli autori antichi indicano che la maggioranza del popolo ebraico sovvenzionava ogni aspetto del culto templare. Filone scrisse che per tutto l' impero gli ebrei e lo mandavano a Gerusalemme (Legat. 1 56): queste le chiamò (così anche in Spec. l , 77s.: le primizie raccolte da inviati da ogni città). Secondo Giuseppe Flavio gli ebrei di Mesopo tamia facevano «offerte dedicatorie>> al tempio in aggiunta al paga.
I2. M. Simon, Verus /srael, tr. ingl., p. IO e n. 39; p. 3 1 . 13. L'autore si avvalse d i uno pseudonimo, e perciò andrebbe correttamente chiamato 'Pseudo-Aristea'; io lo chiamerò 'Aristea' per comodità.
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mento della tassa del tempio di mezzo siclo (due dracme) (Ant. 1 8, 3 1 2). n pagamento generale della tassa del tempio da parte degli ebrei tutto l'impero è sicuro: è tenuto per certo in M t 1 7, 24 così come in Giuseppe Flavio. La migliore testimonianza del fatto che gli ebrei generalmente la pagavano è che dopo ognuna delle due rivolte Roma ordinò che continuasse a essere pagata, ma per altri fini (Bel/. 7, 2 1 8; Cassio Dione 66, 7) 14• (Per l'imposizione biblica di mezzo siclo o di un terzo di siclo cfr. Es 30, 1 3 ; Ne 1 0, 32.) Giuseppe Flavio descrive l'alta considerazione in cui la casta sa cerdotale era tenuta anche nella diaspora: «dovunque ci sia una colo nia ebraica, anche là i sacerdoti tengono rigorosamente conto dei propri matrimoni». Lo scopo era quello di assicurare la purezza della successione sacerdotale, come richiesto dalla legge biblica (Ap. I , 32). Filone rivela che i sacerdoti mantennero la loro condizione di capi nella diaspora (Hypoth. 1, 1 2s .) , e l' archeologia conferma che almeno in alcuni luoghi fuori della Palestina i sacerdoti erano speci ficamente designati come taJi1S. La devozione comune nei confronti del tempio è descritta in Le 1 2: Zaccaria, il padre di Giovanni i l Battista, è un sacerdote pio; Ma ria e Giuseppe portano devotamente l' offerta prescritta dopo il parto; Anna e Simeone frequentano il tempio ai fini del culto. Può darsi che Luca abbia inventato liberamente tutto questo, o che abbia avuto una fonte: in entrambi i casi egli seppe cogliere l'atmosfera di devo zione che circondava il tempio. La descrizione appena data è nelle linee generali vera: la maggior parte degli ebrei considerava sacro il servizio del tempio, inclusi i requisiti per compiere offerte e sacrifici, e rispettavano il sacerdozio ereditario. È possibile, tuttavia, facendo assegnamento su Giuseppe Flavio, Aristea, Filone e Luca, che il quadro risulti troppo uniforme e positivo. Giuseppe Flavio era egli stesso un sacerdote, e i due pel legrini da Alessandria possono avere avuto una visione rosea del ser vizio del tempio. Filone, nonostante la sua insistenza sul fatto che ognuno presentava debitamente le offerte previste e che il sacerdo zio era pertanto estremamente prospero, tradisce di aver esagerato. Egli parla della che «ha causato l'impoverìHJP, II, pp. 272 s.; 111, pp. 54, 58, 122 s. 1S. Un «sacerdote e maestro di sapienza»- è menzionato in un'iscrizione dalla si 14.
nagoga di Sardi (IV sec. d.C.); cfr. Hanfmann, The Ninth Campaign al Sardis 1 /966), in BASOR 1 87 (o!lobre 1967), p. 38.
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mento della classe consacrata» (Spec. l , 1 54). Più avanti, in questo studio, vedremo che alcuni sacerdoti erano estremamente ricchi mentre altri vivevano vicino alla soglia della povertà. È impossibile, a questa distanza di tempo, dire quanti fossero impoveriti o prossimi alla povertà, o anche solo quanti israeliti portassero le loro decime e le loro offerte per intero, pure se a tempo debito avremo una buona prova della diffusione del sostentamento alla maggior parte dei fab bisogni del tempio. Ci sono pochi indizi di una critica di portata potenzialmente vasta al tempio in quanto tale. Filone, scrivendo degli esseni di Palestina, disse che essi non offrivano sacrifici di animali, ma piuttosto «santi fica[va]no le loro anime» (Prob. 75). Filone stesso era favorevole al tempio, come abbiamo visto sopra, e così lo erano gli esseni. Un'ala del partito, la setta di Qumran, si era allontanata dal tempio, ma i suoi aderenti erano impazienti di prendersene cura, costruendolo se condo il loro personale progetto e svolgendo il suo servizio in ma niera corretta. Filone ritenne che il loro rifiuto di partecipare al culto fosse causato da un'obiezione morale: è molto probabile che egli fosse a conoscenza di obiezioni del genere, dal momento che altrove egli scrisse riguardo a ebrei che proposero di intendere le leggi solo in senso allegorico o spirituale, trascurando la lettera (Migr. 89-93). È possibile che questi allegoristi estremi e altri volessero solamente il significato spiritualizzato del servizio nel tempio e non la sua real tà cruenta. Filone poté comprendere questa posizione e dame una re lazione compartecipe, benché da parte sua pensasse che le leggi do vessero essere osservate in modo sia letterale sia spirituale; errò nell'ascrivere questo punto di vista agli esseni, ma nonostante ciò la sua allusione a esso mostra probabilmente che alcune persone effet tivamente lo sostenenevano16. L'unica testimonianza diretta dell'opposizione ebraica al tempio in quanto tale proviene da Alessandria alla fine del I secolo, dopo la distruzione del tempio. L'autore del libro IV degli Oracoli Sibillini sembra essersi opposto a tutti i templi, incluso quello degli ebrei. Egli giudicava «felici>> i giorni a venire, nei quali, egli pensava, tutti i templi sarebbero stati rifiutati; egli li vedeva come «costruzioni 16. 11 discorso di Stefano in At 7 è spesso interpretato come una critica nei con fronti del tempio, ma la questione è difficile: critica il tempio in quanto tale o soltan to alcune concezioni di esso? Cfr. ad es. C. H ili, Hellenisrs and Hebrews: Reapprai sing Divisions wirhin the Earlies/ Church, Minneapolis 199 1 .
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inutili di pietre mute [ . ] contaminate col sangue di creature anima te)) (Sib. 4, 24-30). Il resto della letteratura ebraica antica è favorevole al tempio in teoria, benché la critica alla classe sacerdotale contemporanea sia abbastanza frequente. In un capitolo successivo, troveremo denunce violente (nel Documento di Damasco e nei Salmi di Salomone), che si fondano però sull'opposizione al sacerdozio contemporaneo, e le denunce stesse provano che gli autori consideravano il tempio e i suoi sacrifici come degni di rispetto; essi attaccarono coloro che, se condo il loro punto di vista, erano indegni di sostenere i propri inca richi e di guidare il culto sacrificale di Dio. La prova migliore della valutazione favorevole del servizio del tempio apparirà nel cap. 1 4, quando discuteremo le speranze per il futuro: vedremo che la spe ranza in un tempio nuovo, purificato o glorificato, era molto diffusa. Perciò, mentre possiamo garantire che c'erano alcuni radicali che si opponevano al servizio del tempio in quanto tale, è più importante mettere in risalto che la maggioranza degli ebrei - che credevano alla Bibbia, nella quale hanno grande importanza i comandamenti ri guardo al tempio - accettava il sistema sacrificate come un aspetto preminente del vero culto di Dio. Passeremo ora a una descrizione del tempio e del servizio che vi si svolgeva. ..
4. L'aspetto esteriore (cfr. piante 1 -9) Nel considerare il servizio del tempio e il suo significato per la maggioranza degli ebrei, potrà essere d 'aiuto avere una qualche idea dell'aspetto delle costruzioni e dei cortili. Anche prima del massic cio programma edilizio di Erode, l'area del tempio era impressio nante per la poderosità della costruzione: come molti templi nel mondo antico, aveva anche la funzione di fortezza di ultima risorsa. Pompeo poté attaccarlo con successo perché usò i giorni di sabato per far salire le sue catapulte e i suoi arieti fino al muro. Egli attaccò, come avrebbero fatto alui, dalla parte vulnerabile, quella settentrio nale, dove, in aggiunta al muro che circondava il complesso tempia re, c'era solo un burrone poco profondo (Beli. l , 1 45; Ant. 1 4, 57). Il tempio era protetto a est e a sud da valli scoscese, e da una gran-de vallata a ovest. Pompeo riempì il burrone settentrionale con pietrame e portò le sue macchine addosso al muro, che per un po' resistette.
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5 . Descrizione generale Nei periodi asmonaico, erodiano e romano il tempio occupò un'area ampia, cinta da mura, che nel periodo asmonaico era pratica mente quadrata, circa di 250 metri per 300. Il tempio di Erode fu molto più lungo (oltre 400 metri). Dentro al muro c'erano uno o più ampi cortili che potevano contenere grandi folle. Un muro interno racchiudeva l'area dove si compiva l'attività del tempio: il sacrificio. All'aria aperta c'erano un ampio altare, un bacino, un mattatoio, e attrezzature per cucinare. Queste erano direttamente di fronte al san tuario coperto, che non era molto usato. Esso era diviso in due stan ze: la più esterna conteneva un altro altare e un candelabro, quella interna era vuota. Solo il sommo sacerdote entrava in questo sacrario interno, e anch'egli solo un giorno all'anno, il Giorno dell'Espiazio ne. Il santuario aveva la forma di un leone, notavano gli scrittori an tichi, esteso davanti e stretto dietro. La facciata era larga circa 50 metri, ma poi l ' edificio si restringeva a 30 metri. Il tetto era all' incir ca a 50 metri dal pavimento17• Le denominazioni attribuite sia nella letteratura antica sia in quel la moderna alle varie parti del complesso templare, e specialmente al santuario centrale, non sono sempre le stesse. Userò le espressioni complesso templare e area del tempio in riferimento alla recinzione più ampia, che includeva i muri esterni, i portici (atri colonnati), i vari cortili e il santuario. Quando risulti chiaro dal contesto, potrò usare «tempio)) in riferimento all' intera area del tempio. Per santua rio intendo l'edificio centrale, coperto, diviso in due stanze. Chiame rò prima stanza proprio la prima stanza del santuario; il termine San to dei Santi si riferisce alla seconda stanza, nella quale il sommo sa cerdote entrava una volta all'anno. 6. Descrizione dettagliata La dimensione precisa dell'area del tempio nel periodo asmonaico non è nota. Il muro orientale si estendeva verso sud fino a 32 metri in meno rispetto al muro orientale di Erode18• Non è sicuro con pre1 7 . Utili immagini e disegni del complesso templare in K. e L. Ritmeyer, Recon· structing Herod's Tempie Mount in Jerusalem, in BAR 1 5 {6, 1989), pp. 23-42. 18. Ben-Dov, /n the Shadow ofthe Tempie, p. 67.
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cisione quanto si estendesse verso nord. Diversi costruttori avevano ampliato il complesso templare tra il periodo della prima ricostruzio ne (completata nel 5 1 5 a.C.) e l'invasione di Pompeo (63 a.C.). Quella che segue è una descrizione che Giuseppe Flavio attribuisce a Ecateo di Abdera, ma che fu probabilmente scritta da uno pseude pigrafo ebreo nella prima metà del II secolo a.C. (cioè nel periodo pre-asmonaico o protoasmonaico) l9; «Press'a poco nel centro della città [Gerusalemme] si erge un muro di pie tra, che racchiude un' area lunga circa cinque pletri e larga cento cubiti, ac cessibile tramite un paio di pone. All'interno di questo recinto c'è un altare quadrato, costruito con pietre ammucchiate, grezzo e non lavorato; ogni lato è lungo venti cubiti e l ' altezza è di dieci cubiti. Accanto si erge un grande edificio, contenente un altare e un candelabro, entrambi fatti d'oro, e pesanti due talenti; sopra questi c'è una luce che non è spenta mai notte e giorno. Non c'è neppure una statua o un'offerta votiva, né alcuna traccia di una pianta, nella forma di un boschetto sacro o simili. Qui i sacerdoti pas sano le loro notti e i loro giorni celebrando determinati riti di purificazione, e astenendosi completamente dal vino mentre sono nel tempio>> (Ap. 1 . 1 98 s.).
Un pietro è approssimativamente una trentina di metri (più preci samente, 29,87 metri). Un cubito è all' incirca 45 centimetri, anche se la misura non era normalizzata in assoluto, e si conoscono cubiti più lunghi: si può pensarlo per comodità come un mezzo metro. Per ciò lo Pseudo-Ecateo descrive l ' area circondata dal muro come lun ga approssimativamente 1 50 metri, da nord a sud, e larga 45 metri, da est a ovest. I costruttori successivi allargarono il muro, e gli Asmonei portarono a termine vari progetti edilizi: soltanto, non può essere determinato chi costruì certe parti e chi altre. Nel suo prezioso libro, Th.A. Busink stimò che, prima che venisse iniziata la costru zione di Erode, i muri orientale e occidentale fossero lunghi tra i 225 e i 275 metri e che i muri settentrionale e meridionale fossero circa di 300 metri2°. Questa è una stima ragionevole: la distanza tra i muri orientale e occidentale è quella richiesta dalla geografia se si deve costruire a ridosso delle valli su entrambi i lati. Che il tempio asmo naico avesse una lunghezza notevole sull'asse nord-sud è indicato dalla linea di giunzione a 32 metri dall'estremità meridionale del 19. Cfr. Wacholder, voce Hecataeus ofAbdera, in Enc. Jud., vm, cc. 236 s. 20. Busink, Der Tempe/, p. 832; analogamente Aharoni - Avi-Yonah, Bible Atlas, pianLa 204.
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muro orientale del tempio di Erode. La testimonianza che si ricava dal racconto che Giuseppe Flavio dà dell' assedio di Pompeo permet te alcune conclusioni sicure: i sostenitori di Ircano II aprirono la città a Pompeo, ma i sostenitori di Aristobulo n tagliarono il ponte tra la ciuà alta e il muro occidentale del tempio, e sostennero all' interno dell'area del tempio un notevole assedio, durante il quale i sacrifici furono mantenuti (Be/l. l , 142 s. 1 48). Questo implica che il com plesso templare fosse capiente, e inoltre che il muro occidentale si ergesse vicino al margine della Valle del Tiropeon; altrimenti un ponte non avrebbe potuto collegare il muro del complesso templare alla ciuà alta su li' altro lato della valle. È inoltre sicuro che il muro orientale pre-erodiano si alzava sul margine della Valle del Cedron. Secondo Giuseppe Flavio, poco prima dello scoppio della guerra nel 66 d.C., i gerosolimitani chiesero ad Agrippa II di ricostruire il porti co orientale o stoa, un atrio colonnato che serviva come parte supe riore del muro del tempio. Questo atrio, egli scriveva, era stato co struito dal re Salomone (Ant. 20, 220 s.). Il portico non era stato in realtà costruito da Salomone, ma era pre-erodiano ed era stato i ncor porato nel muro orientale di Erode: perciò Erode non fece espandere il tempio verso est2t. Questo significa che prima di Erode il tempio aveva già un cortile esterno. Nei giorni di Esdra, l'area a est (o a fronte) del santuario era stata aperta (Esd l O, 9). Tra Esdra ed Erode questo spazio era stato chiuso, così come piccole zone a nord e a ovest del tempio e un'area considerevole a sud. Parte di questa costruzione era stata fatta al tempo di Antioco m di Siria, che regnò dal 223 al 1 87 a.C. (Ant. 12, J 4 J ). Antioco aveva proibito ai non-ebrei «di entrare nella recinzione del tempio che era proibita agli ebrei, eccetto quelli di loro che erano soliti entrare dopo essersi purificati in accordo con la legge del paese>> (Ani. 1 2, 1 45). Ciò sembra significare che c'era un cortile esterno, probabilmente piccolo, dove potevano entrare i pagani e gli israeliti impuri22. A un certo punto le donne ebree furono parimenti ammesse al cortile esterno. Non sappiamo di alcuna obiezione alla costruzione, Sul «ponico di Salomone» cfr. Busink, Der Tempe/, pp. 1 1 98 s. Busink (Der Tempel, p. 835) propone la tesi che un conile esterno ponicato fosse stato inizialmente costruito durante il regno di Tolomeo n Filadelfo d Eg ino (285-245 a.C.). La Jtoa rivela influssi ellenistici. 21. 22.
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da parte di Erode, di un Cortile delle Donne, e probabilmente prima di lui già esisteva un luogo per le donne nel tempio. Secondo Es 38, 8, le donne potevano «prestare servizio all' ingresso della tenda del convegno», cioè alla porta del tempio23• Esdra le incluse, assieme ai bambini abbastanza cresciuti per capire, quando lesse la legge (Ne 8, 2s.). Può essere che alle donne si desse automaticamente un posto nell'area del tempio quando lo spazio al di fuori del saniUario venne fatto diventare un cortile esterno: esse potevano già portare le loro offerte alla porta che dava accesso all ' area dove operavano i sacer doti e ascoltare le benedizioni e i canti dei !eviti. Probabilmente po tevano anche assistere ai sacrifici, o perché la sommità del muro in temo era abbastanza bassa, o perché il cortile esterno aveva un bal cone (come probabilmente aveva nel tempio di Erode). Erode ricostruì il tempio su vasta scala: il lavoro ebbe inizio o nel diciottesimo anno del suo regno (20/19 a.C.: Ant. 15, 380) o nel quindicesimo (23122 a.C.: Bel/. l , 401 ) . Non fu completato fino a immediatamente prima dello scoppio della rivolta, approssimativa mente nel 63 d.C. (Ant. 20, 2 1 9), benché le parti più importanti fos sero state completate molto prima. Il santuario in sé comportò un anno e mezzo di lavoro, mentre il muro esterno, i portici e i cortili ri chiesero otto anni (Ant. 1 5, 420s.) . L'intero complesso templare, esclusa la fortezza Antonia all'an golo di nord-ovest, divenne allora un quadrilatero irregolare misu rante, molto approssimativamente, 450 metri da sud a nord e 300 da est a ovest. R. Grafman ha dimostrato che il 'piede' usato dai co struttori di Erode era di 0,3 1 metri, quasi esattamente un piede ingle se24. La tabella seguente dà le misure dei muri esterni in metri così come sono state determinate dall'archeologia moderna e in piedi ero diani come proposto da Grafman (e quindi anche in piedi inglesi):
23. Questo versetto non mostra che «la donna panecipava a fianco dell'uomo al culto antico», come pensava Busink (Der Tempel, p. l 077). 24. Grafman, Herod's Foor and Robinson "s Arch, in IEJ 20 ( 1 970), pp. 60-66. È Pf"SUmibile che. quale che fosse l'unità di misura adottata, i costruttori ne impiegas �ro multipli ovvi: 1 .000 piedi piuttosto che 1 .00 1 ,25. Su questa b�. la proposta di Grafman sui muri del tempio è sensata. J. Maier (The Architectural History of rhe T�mp/e) ha tenlato di spiegare la storia architettonica del tempio fondandosi sull"ipotesi che i costruttori abbiano usato cubiti di diverse lunghezze in diverse par li e diverse epoche.
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Parte seconda
Muro sud (ingresso principale)
281 metri
900 piedi
488
1 .550
Muro nord
315
1 .000
Muro est
466
1 .500
Muro ovest
Perimetro complessivo
1 .550
4.900 (9/10 di miglio)
L'area racchiusa dal muro è di 144.000 metri quadrati. Meir Ben Dov calcola che vi avrebbero trovato spazio dodici campi da calcio, incluse le gradinatelj. Il muro esterno ponante era caratterizzato da Giuseppe Flavio come (Ant. 1 5, 396). Certamente faceva apparire piccoli i muri simili intorno ai complessi templari greci. L'Acropoli di Atene è lunga 240 metri e larga al centro 1 20 metri, ma si assottiglia bruscamente verso en trambe le estremità; il muro intorno all'area templare ad Olimpia non era più di 21 O x 1 70 metri26. Nel mondo mediterraneo si deve andare in Egitto per trovare aree sacre cinte da mura più ampie di quelle del tempio di Erode27• Il muro che circonda il tempio di Am mone a Kamak occupa 30 ettari, 300.000 metri quadrati28. Il muro egiziano non è corrispondente a quello di Erode, ma lo spazio rac chiuso è più del doppio. Vicino a questo ci sono altri templi con muri propri. Il santuario di Kamak è di gran lunga più ampio di quello di Gerusalemme (cfr. oltre)29. L'Egitto, naturalmente, aveva risorse umane e finanziarie molto maggiori di quanto avesse la Pale stina di Erode; inoltre, i vasti templi di Kamak e Luxor furono co struiti nel corso di parecchie generazioni. Il tempio di Erode fu un'impresa straordinaria, e diventa ancor più considerevole se si os serva che fu solo uno di numerosi grandi progetti edilizi. Gli operai rimossero le costruzioni precedenti e costruirono sullo 25. Ben-Dov, In the Shadow, p. 77. Per le misure cfr. Safrai, voce Tempie in Enc. Jud., xv, c. 964. 26. Dal man, Sacred Sites and Ways, p. 286; cfr. le piante in Scully, The Earth, rhe Tempie, and rhe Gods. tavv. 264, 265, 320. 27. Quello di Erode non fu affatto «il tempio più grande di sempre» né «il sito
più grande, nel suo genere, nel mondo antico» (Ben-Dov. In rhe Shadow, pp. 74 e 77). 28. Sul tempio di Ammone a Kamak cfr. Baines e Malek, Atlas o/ Ancienr Egypr, pp. 90-92; W.S. Smith, The Art of Archirecrure of Ancienl Egypl (a cura di W.K. Simpson), p. 366; Hobson, Exploring rhe World of the Pharaohs, pp. 1 36- 1 38. 29. Il più grande complesso templare indù, quello di Srirafigam, è circondato da un muro di 755 x 878 metri. Il complesso fu costruito in un lungo periodo tra il sec. xm e il XVIII. Cfr. Bashem, The Wonder rhar was India, pp. 20 1 , 358.
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strato roccioso. Il nuovo muro si snodava per una lunghezza consi derevolmente maggiore del suo predecessore, sia a nord che a sud, e l'area racchiusa era all'incirca doppia. La collina si inclina, digra dando più bruscamente man mano che ci si sposta più a sud, e l ' area che doveva stare entro il muro venne riempita con pietrame e livella ta. Nel suo punto più profondo, il riempimento era profondo almeno 40 metrP0• Per resistere alla pressione esercitata dalla colmata, il muro portante era stato costruito con uno spessore di circa 5 metri. Giuseppe Flavio sosteneva che le pietre più larghe nel muro erano lunghe 40 cubiti (circa 20 metri : Beli. 5, 1 89). Secondo Ben-Dov, la pietra più grande trovata finora, «senza paragoni per taglia in qua lunque zona del mondo antico>> (un'esagerazione), è di 1 2 metri di lunghezza per 3 di altezza e 4 di spessore, e pesa quasi 400 tonnella te3 1 . Le pietre più grosse, naturalmente, sono state trovate nei livelli più bassi e negli angoli. La maggior parte delle pietre, quantunque ancora molto grandi, hanno un peso che oscilla tra 2 e 5 tonnellate32. Le pietre, o almeno quelle che sarebbero state visibili, erano deco rate, con un bordo liscio che veniva scalpellato lungo i margini. La commessura tra le pietre era in pratica perfetta. Il risultato fu un muro di grande bellezza e di enorme resistenza, costruito, come i grandi muri egiziani e greci, senza l'uso di calce (il che, come mo stra Ben-Dov, avrebbe richiesto il consumo di una grande quantità di legna). Parte del muro si erge ancor oggi, e sostiene l'attuale area di culto musulmana. Per gran parte del resto della nostra descrizione non saremo aiutati dall'archeologia e ci affideremo molto alla lette ratura. Le fonti non concordano, e alcune delle differenze sono so stanziali. Ci sono due descrizioni in Giuseppe Flavio: una, breve, in An t. 1 5 , 4 1 0-20, e una molto particolareggiata in Beli. 5, 1 84-227. Ci sono alcune discordanze tra queste due descrizioni, soprattutto in 30. Per questo calcolo cfr. oltre. Giuseppe Flavio affermò che in certi punti gli operai dovetlero coslruire a panire da una profondità di 300 cubiti, che sarebbero circa 150 meui (Bel/. 5, 1 88). Il contesto indica che potrebbe avere avuto in mente la profondità dei burroni. Non vi è alcun punto in cui la piattaforma del tempio sia so 'lenuta da 1 50 meui di colmata. 3 1 . Gli obe1ischi di Ramesses 11 sono al li 25 meui. Si noti anche la dimensione delle colonne dell'auio ipostilo nel lempio di Ammone (cfr. oltre). Secondo Busink, una pietra inulilizzata nel tempio di Baalbek è di 2 1 ,72 x 4, 3 x 5,3 meui. Per altre grandi pietre cfr. Busink, pp. 1 356s. Agli appassionali di pietroni interesserà sapere che le più grandi tra le pie1re di Stonehenge sono alte 6, 6 meui e pesano 45 tonnel late. 32. Ben-Dov, In rhe Shadow, p. 88.
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Parte seconda
quanto egli scrive riguardo all' ingresso nel Cortile delle Donne; il trattato Middot ('misure') della Mishnah offre una descrizione parti colareggiata che differisce in maniera profonda e sostanziale da Giu seppe Flavio. Gli studiosi hanno per lungo tempo dibattuto su che cosa fare di questa situazione; io sono, come si suoi dire, 'moral mente certo' che la miglior descrizione del tempio di Erode sia quel la di Beli. 533• Data la lunghezza del tempo durante il quale il proble ma è stato dibattuto (Busink risale alle tracce di un disaccordo acca demico del 1 630), le probabilità che ho di persuadere qualcuno che abbia studiato la questione, e che sia giunto a un'opinione differente, sono molto esiguel4. Voglio, tuttavia, indicare brevemente quattro punti significativi a favore di Beli. 5, i primi tre tratti in larga misura da Busink. l . Dove Middot differisce da Giuseppe Flavio, è di solito in accordo con la descrizione biblica di un tempio non-erodiano: il tempio di Salomo ne o quello (visionario) di Ezechiele. I rabbini probabilmente studia vano la Bibbia più attentamente di quanto misurassero le rovine sul monte del tempio. 2. In Middot l'area del tempio non è circondata da portici. Come vedremo, questi erano una parte rilevante della costru zione di Erode, e Giuseppe Flavio non può esserseli inventati. Sono stati inoltre trovati resti delle loro colonne. Busink propone che i portici siano scomparsi dal tempio di Middot perché essi erano una caratteristica dell'architettura pagana, e il rabbino posteriore al 70 che fu responsabile del trattato non volle che il tempio di Gerusa lemme fosse tanto simile ai templi pagani come in effetti era35• 3. Busink, uno storico dell'architettura, ha dimostrato che il tempio di Bel/. 5, sul piano architettonico, funziona: i portici dell'altezza che Giuseppe Flavio descrive sarebbero stati sostenuti dalle colonne che egli descrive. Non è molto difficile per uno che non sia architetto o 33. Cfr. in particolare Busink, Der Tempel, pp. 1 532- 1 538. 34. È difficile per me sperare di riuscire dove Vincent e Busink hanno fallito. Cfr. Busink, Der Tempel, pp. 1529-1574; L.-H. Vincent, u tempie hérodien d'après la Mishnah, in RB 6 1 ( 1954), pp. 5-35, 398-4 1 8. Vincent sostiene che il trattato Middot presenta. sulla base dell'esegesi delle Scritture, «Un santuario ideale della restaurazione escatologica» (p. 4 17). 35. Cfr. Vincent. art. cit. , p. 497. Middot elimina gli aspetti non liturgici dell'ar chiteuura, e panicolarmente gli elementi che meuevano in mostra «l'ostentata ric chezza del monarca idumeo, troppo pervaso di ellenismo .. . ». È tuttavia possibile che i rabbini non avessero questa gran conoscenza del tempio di Erode, e che dipen dessero semplicemente da Ezechiele, dove è difficile trovare delle stoai (nonostante i tentativi in tal senso dei traduttori della Settanta: LXX Ez 40, 18; 42, 3.5).
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costruttore inventare, con la propria immaginazione, un portico di una determinata lunghezza e ampiezza, e dire che c'era un numero stabilito di colonne di una dimensione stabilita; ma uno che immagi nasse un tale portico ne descriverebbe probabilmente uno inadeguato a reggere, o in alternativa fornito di più colonne del necessario. Il portico di Giuseppe Flavio è rispondente sul piano architettonico. Inoltre, parti di una colonna scoperte da archeologi concordano con la descrizione di Giuseppe Flavio. Questo spinge a pensare che egli abbia anche descritto correttamente il resto del tempio. 4. È stato da tempo notato che, man mano che nella narrazione bellica di Giusep pe Flavio l 'esercito romano si avvicina, le sue descrizioni geografi che migliorano36; vale a dire, i romani non facevano supposizioni sulla circonferenza di una città o di una roccaforte (ciò che era il col le del tempio) o sull'altezza e l 'ampiezza dei muri e delle torri che stavano per assaltare: studiavano ciò contro cui si preparavano. Giu seppe Flavio aveva accesso ai taccuini romani, e i suoi assistenti po tevano leggerli. Egli utilizzò queste note nello scrivere la Guerra giudaica, ma probabilmente non nello scrivere le Antichità venti anni più tardi. Nel lavoro successivo sembra essersi affidato alla me moria, che non era caltiva per un uomo di 53 anni, ma comunque non tanto buona quanto le sue fonti originarie37• La ricerca ai suoi tempi era difficoltosa. Solo la teoria degli assistenti e degli esperti romani, credo, spiega la misura in cui parte della descrizione di Giu seppe Flavio in Beli. 5 è sostenuta dall' archeologia e dallo studio dell'architettura, benché in altri casi egli sia palesemente andato fuo ri strada. Egli visse a Gerusalemme e aveva servito nel tempio: con36. Cosl trovo in Bentwich, Josephus, pp. 1 2 1 - 1 23, che cita i lavori (che mi sono stati inaccessibili) di Schlatter, Zur Topographie und Geschichte Paliistinas, e Con der, Tent Work in Palestine. Il punto, ad ogni modo, è facilmente confermabile. Giuseppe Aavio aveva più conoscenze sul palazzo di Erode, la tattica romana e gli sforzi difensivi dei giudei quando scrisse di Masada, dove non era stato, rispetto a quando scrisse di Iotapata, dove aveva combattuto. Bentwick considerò questo un elemento di discredito («la sua stessa precisione circa alcuni panicolari topografici � sospetta»). lo insisterei che possiamo fidarci di lui tanto riguardo al tempio quanto a Masada, e per lo stesso motivo: aveva una buona fonte. Per un caso di minore im portanza in cui la sua fonte non osservò in modo sufficientemente accurato le colon ne a Masada cfr. oltre, n. 49 (punto 2). 37. Così, nell'opera più tarda, egli dice che il recinto del tempio era di quattro stadi, uno per lato (An/. 15, 340). Questo, credo, mostra un ritorno alla teoria ideale di Ezechiele: il tempio era quadrato (Ez 42, 1 6-20; così anche mMiddot 2, l ). In pre cedenza, Giuseppe Aavio aveva saputo che il recinto del tempio erodiano non era quadrato: Bel/. 6, 3 1 1 .
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servava memoria dei particolari. Questo non spiega, tuttavia, come egli conoscesse altezze e larghezze. Io non potrei descrivere accura tamente la dimensione della mia casa se non l'avessi misurata, e cer tamente non lo potrei di un edificio pubblico. Io credo che la memo ria di Giuseppe Flavio sia stata migliorata dall'assistenza di espertP8• Non penso che nel trattato mishnico Middot non vi sia alcuna de scrizione corretta del tempio di Erode; al contrario, la mia compren sione della descrizione del Cortile delle Donne data da Giuseppe Flavio esige effettivamente che io accetti l'affermazione della Mishnah secondo cui le donne avevano una loro tribuna. Busink cita altri punti in favore di alcuni particolari della Mishnah, specialmente quelli che hanno senso architettonicamente. Nella descrizione che segue mi affiderò principalmente a Beli. 5 e generalmente (anche se non sempre) all'analisi che ne fa Busink. Il muro esterno aveva diverse porte, e il muro interno, che rac chiudeva il tempio propriamente detto, ne aveva dieci (Beli. 5, 1 98). Ogni porta aveva due battenti: in uno dei suoi lavori tardi, meno ac curati, Giuseppe Flavio riferisce che c'era bisogno di duecento uo mini per chiudere le porte ogni giorno (Ap. 2, 1 1 9). Thackeray avan zò l'ipotesi che egli possa aver inteso dieci squadre di venti uomini ciascuna per chiudere le dieci porte. Giuseppe Flavio descrive porte estremamente pesanti: «alte sessanta cubiti e larghe venti, tutte dora te e ricoperte quasi interamente con lamine d'oro lavorato a sbalzo>>. Nella Guerra erano molto più piccole: 30 x 1 5 cubiti (Beli. 5, 202). Nel Contro Apione Giuseppe Flavio ha esagerato: porte alte 60 cubi ti sarebbero state più alte del muro. Egli stava confutando una dice ria secondo cui nel tempio si adorava la testa di un asino, e qualcuno l 'aveva un giorno rubata (Ap. 2, 1 1 4). Il commento sulla dimensione delle porte mostra l'impossibilità per chiunque di trafugare alcunché dall'interno del tempio. Accettando i dati minimi di Beli. 5, 202, possiamo stimare la dimensione delle porte. Una porta di 30 x 1 5 cu biti è alta 1 3,2 metri e larga 6,6: all' incirca 87 metri quadrati (la stes sa metratura del pavimento di una piccola casa oggi), di legno pe38. Secondo Lane Fox, Memnone, un generale greco che combatté per i Persiani contro Alessandro, fu «l'inventore delle prime mappe di campo che furono usate nella tecnica bellica greca» (Aiexander rhe Creai, p. 1 1 8). I miei colleghi J. Mattews e S.M. Bamish mi hanno conesemente informato della imponanza sostanziale della questione dei taccuini e archivi romani. La mia proposta richiede soltanto taccuini, e non un sistema d'archiviazione che consentisse il loro ritrovamento a decenni di di stanza.
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sante, coperto d'oro, con decorazioni di metallo prezioso. Si può im maginare che i cardini e gli ingranaggi di sostegno fossero finemente modellati e realizzati. In ogni caso, ci volevano molti uomini per cu stodire e chiudere le porte. Gran parte dell'enorme area racchiusa dal muro esterno costituiva il Cortile dei Gentili o pagani, nel quale chiunque poteva entrare tranne •
Sembra che, quando la Giudea era governata direttamente da Roma, i sacerdoti avessero avuto il permesso di far valere questo av vertimento, anche se, d'altronde, non potevano condannare a morte i trasgressori (Beli. 6, 1 26). Peretz Segai ha proposto, in maniera con vincente, che i sacerdoti avessero l'autorità di compiere un linciag gio legale: potevano trascinare l'intruso fuori dall'area sacra e fra cassargli il cranio a bastonate40. Benché l'accesso all'area del tempio fosse da sud, il tempio vero e proprio, dove c'erano l'altare e il santuario, guardava a est ed era accessibile da quella direzione. Perciò i fedeli ebrei camminavano 39. Il testo greco è stato pubblicato più volte; cfr. ad es. Deissmann, Light from th� Andent East, p. 80. La traduzione è secondo Peretz Segai (cfr. n. seg.). Cfr. Bel/. �.
1 93s.; 6, 1 24- 126. 40. P. Segai, The Penalty of the Waming ln.•criprionfrom rhe Tempie of Jerusa ll'm, in JEJ 39 (1989), pp. 79-84. «Fracassargli il cranio a bastonate» viene da rnSan ht'drin 9, 6, che tratta di un sacerdote che prestò servizio mentre era in stato di im purità.
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dal margine meridionale dell'area del tempio verso il centro, girava no a sinistra, e poi procedevano da est a ovest; oltrepassavano la ba laustrata e le tabelle di avvertimento, salivano una scalinata di quat tordici gradini, attraversavano un terrapieno profondo dieci cubiti, salivano altri cinque gradini e giungevano al muro interno con le sue dieci porte. Dentro questo muro interno si trovava, innanzitutto, il Cortile delle Donne, «aperto al culto a tutte le donne ebree indistin tamente, sia quelle native del paese, sia le visitatrici straniere» (Beli. S, 1 99). Questo era recintato, e l'accesso per le donne era sia da nord sia da sud: esse non potevano usare la porta orientale di centro. Il Cortile delle Donne era, secondo la Mishnah, dotato di una tribuna, cosicché esse potevano vedere, al di sopra delle teste degli uomini, dentro il Cortile dei Sacerdoti (mMiddot 2, 5). Questo è essenzial mente plausibile, poiché altrimenti esse sarebbero state collocate in un compartimento circondato da muri, impossibilitate a vedere41 • I maschi ebrei continuavano ad avanzare da est a ovest, passando oltre il loggione delle donne, che si trovava su entrambi i lati di un corri doio. Essi salivano altri quindici gradini, più bassi dei precedenti, e giungevano al muro che separava il Cortile delle Donne dai cortili successivi verso ovest. Nel muro si apriva una porta: perciò c'erano due porte orientali, e tra esse un corridoio. Il Cortile delle Donne era diviso in due sezioni, una a nord e una a sud del corridoio. In ri feri mento alle piante di Busink (piante 6-7): uomini e donne salivano i gradini fino alla porta 1 9; le donne deviavano a destra o a sinistra, entrando nel Cortile delle Donne dalle porte 20. Io propongo che ci fosse un corridoio dalla porta 1 9 alla successiva porta, la 24. Gli uo mini andavano diritto, su per le scale, e attraversavano la porta 2442. 4 1 . Secondo Bel/. 5, 200, c'erano portici lungo il muro interno, e forse costitui vano un'area in cui le donne potevano fermarsi a guardare. Su questa parte del tem pio cfr. la n. seg. 42. l problemi della ricostruzione del Cortile delle Donne sono particolarmente difficoltosi. L'intendimento manifesto di Bel/. 5, 1 98 è che questo cortile fosse sepa rato con un muro (diateichismenou). Entrando, gli uomini e le donne si separavano alla pona orientale. Gli uomini camminavano direttamente attraverso un'altra porta, entrando così nel Coni le degli Israeliti, mentre le donne voltavano verso sud o nord ed entravano in una camera o nell'altra del Coni le delle Donne. Colpisce particolar mente l'affermazione di Giuseppe Aavio secondo cui l'estremità occidentale del Cortile delle Donne non aveva porta (Bel/. 5, 200). Ciò significa che esso non era un 'area aperta tra le due pone di est e di ovest (come hanno sempre presunto Busink e tutti gli altri), bensl che era recintato e accessibile solo da nord e da sud. Gli uomi ni non passavano né per l'una né per l'altra delle camere dove si trovavano le don-
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Questa conduceva gli uomini nel Cortile degli lsraeliti, cioè il cor tile dei maschi ebrei che non erano né sacerdoti né )eviti. Là essi po tevano ascoltare il canto dei )eviti (il clero minore) e vedere all' ope ra i sacerdoti. Tra loro e il Cortile dei Sacerdoti c'era solo «un basso parapetto in pietra, elegante e aggraziato, alto circa un cubito>> (circa mezzo metro; Beli. 5, 226). Nel Cortile dei Sacerdoti, in cui neppure i )eviti potevano entrare, c'erano l' altare, il mattatoio dove gli animali venivano sgozzati e il bacino dove i sacerdoti si lavavano le mani e i piedi (Es 30, 1 7-2 1 ; mTamid l , 4): è qui che venivano offerti i sacrifici. Alla fine veniva il santuario, cui conducevano dodici gradini. La stanza anteriore del santuario conteneva un candelabro, una tavola per i pani d'oblazione e un altare per bruciare incenso. La seconda stanza, il Santo dei San ti, separata da una tenda, era vuota. Come altri santuari, quello di Gerusalemme non era molto usato: il rito aveva luogo davanti, all'aria aperta. Nei santuari greci c'erano in genere due o tre stanze, e talvolta c'era difficoltà di accesso alla seconda stanza. La zona interna era fondamentalmente la residenza della statua della divinità, e di solito vi entravano solo i sacerdoti, i supplici e le persone in cerca di rifugio. Nel Partenone, per esempio, che è largo ali ' incirca 3 1 metri, lo spazio tra le colonne interne, dove si trovava la statua di Atena, è di soli 9,82 metri: non era luogo adat to per un culto pubblico. Nel tempio di Gerusalemme l' area ordina riamente riservata all' immagine di culto era il Santo dei Santi, che non conteneva «niente di niente••; esso era (Beli. 5, 2 1 9) . Solo il Sommo Sacerdote poteva entrarvi, e anch'egli solo una volta all'anno, nel Giorno dell'Espia zione. Il resto del santuario era accessibile solo ai sacerdoti, benché essi vi svolgessero solo pochi riti. Il servizio del tempio sarà descrit to più avanti. ne, bensl per un corridoio in qualche modo �delimitato da muri», con le due camere per le donne sui lati. I muri lungo il corridoio, naturalmente, non dovevano essere massicci né più alti di una persona. Secondo Ant. 15, 4 1 8, gli uomini e le donne pas· savano insieme attraverso la pona orientale, ma le donne dovevano fermarsi prima di entrare nel Coni le degli Israeliti. Tutte le ricostruzioni che ho visto accettano Ant. I 5 e fanno vedere il Coni le delle Donne apeno anche agli uomini e non separato con un muro. Quanto alle dimensioni e alla disposizione del Conile delle Donne, i più accettano mMiddot 2, 5. A me, tuttavia, sembra verosimile che Ant. I 5 sia una &emplificazione e Bel/. 5 sia corretto. Panicolari quali il fatto che il Conile delle Donne fosse «separato con un muro» e che "non avesse pona sul lato occidentale probabilmente non furono inventati. Qui Giuseppe Aavio descrisse il tempio così come lo conosceva.
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La facciata della stanza anteriore del santuario era larga l 00 cubiti e alta 1 00 cubiti (44 metri), ma dietro la facciata l'edificio si restrin geva a 60 cubiti; i l soffitto era alto 90 o 1 00 cubiti43• L'accesso a questa stanza era attraverso due porte, ricoperte d'oro, sopra le quali c'erano «tralci di vite d'oro da cui pendevano grappoli alti come un uomo>> (Bel/. 5 , 21 0). Di fronte alle porte era appesa «una tenda di B abilonia, lavorata in azzurro e in tessuto fine di scarlatto e di por pora>>. Su di essa «era raffigurato un panorama completo dei cieli, eccettuati i segni dello zodiaco>> (Bel/. 5, 2 1 2s.)44• L'altezza interna era divisa in un'area inferiore di 60 cubiti e un' area superiore di 40 cubiti. Lungo i lati dell'area inferiore c ' erano tre piani contenenti stanze. Essi occupavano 20 cubiti su ogni lato, lasciando alla parte interna della stanza anteriore una larghezza di 20 cubiti; la lunghezza era di 40 cubiti. C'era poi una tenda o velo, die tro la quale c'era il Santo dei Santi, che era un quadrato di 20 cubiti di lato. Nella Guerra giudaica Giuseppe Flavio sosteneva che alcune del le pietre nel santuario erano lunghe 45 cubiti, alte 5 e spesse 6 (Beli. 5, 224), cifre che successivamente modificò in 25 x 8 x 1 2 cubiti (Ant. 1 5 , 392). Se prendiamo la lunghezza minore da Ant. 1 5 e l ' al tezza e lo spessore minore da Bel/. 5, avremo misure di circa 1 2,5 x 2,5 x 3 metri. In tal modo le pietre del santuario verrebbero a essere all'incirca della dimensione delle pietre più grandi che sono state fi nora trovate nel muro. Giuseppe Flavio può esagerare, ma le sue ci fre più piccole non sono impossibili. C' erano altre stanze nel complesso templare: le stanze del tesoro erano collocate lungo la parte interiore del muro interno, costruite, pare, dentro i portici che attorniavano il Cortile degli Israeliti45, e c'erano ulteriori stanze costruite sopra il muro interno. La Mishnah 43. Per la facciata di 100 cubiti cfr. Bel/. 5, 207; per i 90 cubiti 5,209; per l'inter no di 100, 5, 22 1 . Sulla differenza di I O cubiti d'ahezza cfr. Busink, Der Tempel, pp. 1 1 1 6s. 44. La relazione tra la tenda e le porte è sconcertante. Se era appesa effettiva mente davanti alle porte (così Bel/. 5, 2 12), queste non potevano essere state viste. Si osservi anche la descrizione di «pendenti» sulle porte in Ant. 15, 394. Busink propose che, nello scrivere «davanti alle porte», Giuseppe Aavio fosse mentalmente passato oltre le porte e si trovasse nella prima camera (Der Tempel, pp. 1 1 17s.; cfr. p. 1 12 1 ). Ciò è possibile ma sembra improbabile, e il problema della tenda rimane. 45. Bel/. 5, 200, sui portici interni e le stanze del tesoro, fa particolare difficohà. Cfr. la ricostruzione di Busink, Der Tempe/, ili. 242, p. 1 064 e ili. 245, p. 1095, e la sua discussione, pp. 1097- 1 1 05.
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offre una lista di funzioni cui erano adibite le varie stanze: c 'era un dormitorio dove dormivano i sacerdoti che dovevano preparare il sa crificio del mattino; una latrina; sottoterra c'era una piscina per l ' im mersione nel caso di polluzione notturna (che determinava impuri tà)46; in un' altra stanza c 'era un focolare, cosicché coloro che si era no immersi potessero scaldarsi. C'erano anche stanze per l'ispezione della legna destinata al fuoco deli' altare (i tarli la rendevano inadat ta; era ispezionata da sacerdoti con difetti fisici, che potevano entra re nell'area sacra ma non fare sacrifici); stanze per provviste di vino e olio, per salare le pelli e per sciacquare le interiora degli animali sacrificati. Dentro al complesso templare c'erano anche stanze di riunione. In una, la , i sacerdoti veni vano ispezionati per verificarne l' idoneità. Secondo Giuseppe Flavio c'era anche un bouleuterion, la stanza dove si riuniva il consiglio (boule)41• Oltre al santuario e alle stanze costruite lungo e sopra i muri, le sole altre strutture nel complesso templare erano gli atri colonnati o portici. Abbiamo appena visto dei portici lungo alcuni dei muri in temi: ora ritomiamo ai muri e ai portici che circondavano l'intero complesso templare. L'entrata principale all'area del tempio, come abbiamo visto sopra, era una scalinata monumentale che portava a due serie di porte attraverso il muro meridionale. I fedeli entravano dal gruppo orientale di porte e uscivano da quello occidentale. Le porte erano sotto il livello dei cortili del tempio, e portavano a dei tunnel che si inclinavano verso l'alto e sbucavano dentro i l Cortile dei Gentili. Dirigendovisi, la gente passava sotto il più vasto degli atri colonnati, il 'Portico Reale' . Un portico (in greco stoa) consiste di un soffitto sorretto da colonne, in genere con la funzione di veran da di fronte a un edificio, cosicché ha un muro da un lato ed è aperto sull' altro48. Su tre lati dell' interno dell'area del tempio i portici erano 46. Sull'acqua per la purificazione nell'area del tempio cfr. Lv 16, 23s. Sir 50, 3 fa riferimento a «Un serbatoio ampio come il mare�. ma non sappiamo se l'acqua servisse a lavare via il sangue, a bagnarsi o a enuambe le cose. Cfr. inoltre Mazar, Mountain of the Lord, pp. 1 28-1 30, e oltre. 47. Sulle stanze interne cfr. mMiddot 2, 5 e mTamid l , l . Sulla stanza del consi glio, la cui collocazione precisa è difficoltosa a trovarsi, cfr. Bel/. 5, 144; 6, 354. 48. Ben-Dov (/11 the Shadow, pp. 124 ss.) afferma che •il termine greco per indi care un portico reale è 'basilica', che deriva da_ba.rileus, 're'», e inoltre che il «por tico reale» di Atene era chiamato 'basilica'. In entrambi i casi il nome è stoa, con l'aggiunta di •reale» (Ant. 1 5 , 4 1 1 : basi/eia stoa), come lo stesso Ben-Dov afferma a p. 1 25. L'errore sta nel supporre che 'basilica' sia un nome alternativo. Come mo-
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Parte seconda
profondi 30 cubiti, e i loro soffiui erano sorretti da due ordini di co lonne, ciascuna alta 25 cubiti (circa 1 5 metri di profondità e 1 2.5 di altezza: Beli. 5 , 1 90). Calcoli panicolareggiati, la comparazione con le dimensione di un'altra stoa, e le scopene archeologiche indicano che Giuseppe Flavio fornisce una descrizione abbastanza accurata49. Il Panico Reale, sul muro meridionale, dove i pellegrini si avvici navano al tempio, era molto più imponente. Aveva tre navate sorret te da quattro ordini di colonne, «e lo spessore di ogni colonna era tale che ci sarebbero voluti tre uomini con le braccia allungate a toccarsi l'un l ' altro per avvolgerla; la sua altezza era di ventisette piedi» [si legga 'cubiti ' ; cfr. n. 54) (Ant. 15, 4 1 3).
Una ricostruzione di pane di un ampio ponico greco, quale quel la che si vede nell'illustrazione, darà un'idea del Panico Reale di Erode. Giuseppe Flavio afferma sia che il Panico Reale andava dal bur rone orientale a quello occidentale, sia che era lungo uno stadio. La lunghezza totale del muro meridionale, come abbiamo visto sopra, era di 900 piedi (circa 280 metri); uno stadio è solo circa 600 piedi (circa 1 85 metri). Evidentemente il Panico non si estendeva per l' in tera lunghezza del muro, e la dichiarazione d' esordio di Giuseppe Flavio probabilmente significa «dal muro orientale in direzione del stra B usin k (Der Tempel. pp. 1 2 1 9- 1 230). una stoa è cosa diversa da una basilica. ed Erode costruì delle swai. 49. Busink, Der Tempel, pp. 1 1 87- 1 200. Vi sono punti critici di minor rilevanza. l . Busink souolinea che la piauaforma dell'odierno Haram. costruito sul colle del tempio. è inclinata di tre meui da nord a sud (p. 1 1 91 ) Questo era presumibilmente .
vero già nell'antichità. e in tal caso non tutte le colonne lungo i muri orientale e oc cidentale sarebbero potute essere della stessa altezza. 2. Giuseppe Flavio afferma che ciascuna colonna era ricavata da un solo pezzo di marmo. Egli fornì un'analoga descrizione delle colonne del palazzo di Erode a Masada. ma gli scavi moderni han no dimostrato che si tratta di un errore. Qui le colonne erano costituite da cilindri sovrapposti e ricoperti di stucco in modo da sembrare dei monoliti (Bel/. 1. 290; Ya din. Masada. p. 46 e fig. p. 44; Busink. Der Tempel. p. 1 1 90). Lo storico potrebbe essere caduto in un errore simile riguardo alle colonne del tempio. Negli altri casi si può dimostrare che fu piullosto preciso. Secondo i princìpi architettonici dell'anti chità (Vitruvio), Busink calcolò che il diametro di colonne dell'altezza di 1 1 ,5 meui dovrebbe essere stato di 1 ,65 meui (p. 1 193). pur se potevano esservi delle variazio ni (Giuseppe Aavio scrisse 25 cubiti. cioè 1 2,5 metri. ma bisogna considerare il ca pitello. e il fallo che non tulle le colonne erano della stessa altezza; perciò Busink calcolò 1 1 .5 metri). Gli scavi hanno rivelato colonne di 1 ,5 meui di diametro (Ben Dov, In the Shadow. p. 92).
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muro occidentale>>, piuttosto che . Le due navate esterne erano ampie 30 piedi e alte 50 (in questa sezione, in vece che il cubito, Giuseppe Flavio usa il piede greco o erodiano, che equivale all' incirca al piede inglese). La navata centrale, tutta via, era larga 45 piedi e alta 1 00 piedi : le colonne erano di marmo bianco levigato, i loro capitelli erano scolpiti in stile corinzio, e i sof fitti di legno dei portici erano decorati. Con la sua navata centrale svettante al di sopra del muro di sostegno, il Portico Reale era «una struttura più ragguardevole di qualunque altra sotto il sole>>; «Queste strutture sembravano incredibili a coloro che non le avevano viste, ed erano guardate con meraviglia da coloro che posavano gli occhi su di esse>>so. Può essere utile mettere a confronto il più grande atrio dell'anti chità occidentale, l'atrio ipostilo nel tempio di Ammone a Kamak.S I (una tabella comparativa è fornita a p. 92). L' atrio ipostilo è largo 102 metri, lungo 53 e contiene 1 34 colonne. Ci sono due ordini di sei colonne alte 2 1 metri. A ltre 1 22 colonne, raggruppate in altri quattordici ordini (dodici di 9 colonne e due di 7), sono alte 1 3 me tri. l capitelli delle colonne centrali rappresentano la pianta del papi ro aperta, e le sommità, la cui apertura è all ' incirca del doppio della dimensione della colonna, hanno una circonferenza di l 5 metri. Il Portico Reale, secondo la descrizione di Giuseppe Flavio, era lungo 1 86 metri e largo 33 (con tutte le tre navate; forse più largo inclu dendo le colonne). Aveva 162 colonnes2 di circa 1 2,47 metri di al tezza e 5,55 metri di circonferenzas1. Se si presume che i capitelli delle colonne non si calcolassero nel dare la loro altezza, e che sui capitelli poggiasse un architrave che sorreggeva il soffitto, l 'altezza totale delle navate laterali era quasi di 1 6 melriS4• Sopra la navata 50. La descrizione del Portico Reale è tratta da Ant. 15, 4 1 1 -416. Cfr. la deua gliata analisi di Busink (Der Tempe/, pp. 1200· 1230), che giustifica la descrizione di Giuseppe Flavio. 5 1 . Cfr. n. 28. 52. Questo numero non può essere del tuuo esauo poiché non è divisibile per 4. Per soluzioni possibili di questo rompicapo cfr. Busink, Der Tempe/, pp. 1 2031206. 53. La circonferenza delle colonne era uguale all'esteosione delle braccia di tre uomini (cfr. sopra): Busink (Der Tempel, p. 1209) calcola un'ampiezza di braccia di l . 85 metri x 3 5. 55 metri, il che dà un diametro di I , 76 metri. 54. Giuseppe Flavio scrisse che le colonne erano alte 27 piedi, ma questo sembra un errore per 27 cubiti (cioè 40,5 piedi). Si noti che le colonne degli altri portici era no alte 25 cubiti; quelle del Portico reale dovevano essere più alte. Egli fissò l'altez. =
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Parte seconda
centrale un ulteriore gruppo di colonne sosteneva un soffitto che era in totale alto circa 32 metri. Le navate centrali nell'atrio ipostilo era no alte circa 25 metri. Il Portico Reale può essere paragonato anche a una piccola catte drale medievale. Era aperto su un lato, non aveva transetto, non ave va un soffitto ad archi sorretto da volte, né i muri erano sostenuti da contrafforti, ma la dimensione e la scala non erano dissimili. La cat tedrale di Salisbury, per esempio, è lunga 1 37 metri, la navata mag giore è larga 26 metri, e ha un'altezza interna di 25 metri. A Gerusalemme, il santuario in sé non poteva essere molto gran de. Erode e i suoi consiglieri erano limitati dalla descrizione biblica del tempio di Salomone; secondo Giuseppe Flavio, Erode giustificò il suo progetto dicendo che avrebbe migliorato il tempio inferiore al lora esistente, costruito in circostanze sfavorevoli, e avrebbe reso il tempio tanto grande quanto quello di Salomone (Ant. 1 5 , 386). Sa rebbe stato per lo meno impolitico ingrandire il santuario. Le dimen sioni del complesso templare di Salomone, tuttavia, non erano più adeguate: non si adattavano né all'aumentata popolazione di Gerusa lemme, né al gran numero di pellegrini, né alla ricchezza e all'ambi zione di Erode, né alla sua notevole conoscenza personale dell'archi tettura e dell' edilizia, né all'abilità dei suoi architetti, ingegneri e ar tigiani. Si esigeva qualcosa di più imponente nel complesso. Erode abbelll il santuario con oro e arazzi, ma le sue dimensioni rimasero modeste. Egli soddisfece le altre esigenze edificando il grande muro, ampliando la spianata lastricata dentro al muro per accogliere le mi gliaia di pellegrini, costruendo i portici e aumentando il flusso com merciale e le attrezzature delle botteghe fuori dall'area del tempio. Ecco perché ho paragonato l'atrio ipostilo nel tempio di Ammone non con il santuario di Erode, ma con il Portico Reale: qui il re poté mostrare quello di cui era capace. L'atrio ipostilo egiziano è, in veri tà, solo l'atrio di un vasto santuario lungo all' incirca 350 metri e lar go 1 1 0, dentro al quale starebbe comodamente un'imponente catte drale europea. Quando si considerino i vantaggi che il tempio egizia n o aveva in termini di tempo, forza-lavoro e denaro - l'atrio ipostilo venne costruito da Seti I e Ramesses II è notevole che il Portico -
za complessiva degli aai laterali a «più di cinquanta piedi», cioè più di 1 5,5 meai (la misura in piedi moltiplicata per 0.3 l . secondo il suggerimento di Grafman). Sull'argomento cfr. Bu.>ink, Der Tempel, pp. 1 2 12- 12 14.
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Reale regga così bene al paragone. Sul piano estetico, il tempio di Erode è di gran lunga da preferire alla massa confusa del grande tempio di Karnak, dove prima un faraone e poi l'altro erano andati facendo continue aggiunte. I portici di Erode erano modellati sulle eleganti stoai della Grecia, e l'area del tempio mostrava una mirabi le armonia e semplicità di linee che era tanto funzionale quanto di grande effetto. In base agli standard della Grecia classica il Portico Reale può es sere giudicato eccessivo: stoai di tre navate sono quasi sconosciute nel mondo di lingua greca, e stoai lunghe 1 85 metri sono parimenti rare. Inoltre, la metà superiore della navata centrale del Portico Rea le era solo per apparenza: non c'era un piano superiore, proba bilmente (come suggerisce Busink) per impedire a chiunque di guar dare al di là del muro interno e dentro l'area sacra55• Dall'altro lato, nei periodi ellenistico e romano vi fu una tendenza a costruire templi che eccedevano per dimensione quelli della Grecia classica: il primo tempio enorme fu quello di Artemide a Efeso (IV secolo a.C.), che era una delle meraviglie del mondo. Templi ancora più grandi furo no costruiti ad Agrigento e a Selinunte in Sicilia, a Didima in Asia Minore, e ad Atene (da Adriano). Se mettiamo a confronto la costru zione di Erode, incluso il Portico Reale, con templi come questi, non si potrà considerarla eccessiva. La tabella qui sotto mette a confronto il Portico Reale di Erode con il portico di Attalo ad Atene (due navate e due piani; cfr. il dise gno più sopra), l' atrio ipostilo nel tempio di Kamak, il Partenone (tempio di Atena) di Atene, il tempio di Zeus ad Agrigento (uno dei più grandi templi costruiti nel mondo di lingua greca), la Cattedrale di Salisbury, quella di York, e la sinagoga Emanuel di New York56• Solo il primo di questi è strutturalmente identico al Portico Reale, e gli altri sono riportati per due ragioni: per dare un' idea della scala dell'edificio di Erode paragonata ad altri grandi edifici nel Mediter raneo, e per dare qualche idea della sua dimensione assoluta. Le misure sono in metri.
55. Sul Ponico Reale come stoa cfr. Busink: Der Tempel, pp. 1219-1 230. 56. Per i dati della sinagoga Emanuel sono debitore al rabbino Solomon Ber nards.
92 Edificio
Parte seconda Lunghezza
Larghezza
Portico Reale (3 navate)
1 86
33
Stoa di Attalo (2 navate)
1 1 6,5
12,5
Numero delle colonne 162
1 34
Altezza Altezza delle totale colonne o dell'interno 12,5
5 (inf.) 4 (sup.)
12
21 / 13
25
53
102
P arteno ne
70
31
10,5
Agrigento
1 10
53
18
Salisbury
137
26
24,7
York
148
36,5
Atrio ipostilo
32
di Kamak
Emanuel
45,7
23.5
3 1 ,4
È generalmente accettata la tesi che i cambiavalute e i venditori di colombe, che i Vangeli hanno reso così famosi (Mc I l , 1 5 - 1 9 e pa ralleli), conducessero i loro affari nel Portico Reale. È ragionevole pensare che Erode sapesse dall'inizio che questo commercio doveva aver luogo da qualche parte, se si voleva che il tempio funzionasse in modo efficiente. Egli era interessato all'efficienza e al controllo dei traffici, come dimostra la grande cura che ebbero i suoi costrut tori per le strade e le botteghe a sud e a ovest del muro del tempio. Ci si spinge senza dubbio troppo oltre, tuttavia, se si dice che costruì il Portico per i venditori di colombe. Lo costruì come appropriata facciata dell'area del tempio e in accordo con la propria visione di se stesso e del suo regno, e forse anche per la gloria di Dio. La glorifi cazione di sé e quella di Dio non di rado vanno di pari passo, quando si ha a che fare con l 'architettura religiosa. Finora non abbiamo discusso l' altezza totale del complesso tem plare. Si tratta di una questione difficile, dal momento che il terreno è in pendio, e che gli operai, dopo che ebbero posato i livelli inferio ri dei muri, li circondarono di terriccio e pietrame. Scavi compiuti durante gli ultimi venti anni, tuttavia, hanno rivelato molto riguardo alle parti meridionale e sud-occidentale del muro del tempio, cioè i
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punti in cui il terreno è più basso, e dove si trovavano alcune delle strade principali e delle botteghe. Ben-Dov calcola che a sud i muri si ergevano più di 30 metri al di sopra delle strade lastricate, «quasi l'altezza di un edificio di dieci piani>>; «in alcuni punti le fondamenta di questi muri di sostegno scendevano fino a 20 metri sotto la strada>>s7• Dei 30 metri di altezza sul livello della strada, i primi 1 9 costitui vano il muro di contenimento, che si alzava fino al livello della spia nata lastricata interna. La profondità della colmata era perciò tanto quanto i 20 metri dal fondamento roccioso alla strada più i 1 9 metri fino alla spianata. Sopra di questa, come abbiamo visto, c'erano i portici, che, a ovest, nord ed est si ergevano per 25 cubiti (circa 1 2,5 metri) al di sopra della spianata lastricata58• La navata centrale del Portico Reale era almeno due volte questa altezza. Il risultato era che dall'esterno, specialmente da sud e da est, il tempio era di massiccia imponenza. A est il muro si ergeva press'a poco per 3 1 metri e cominciava sull'orlo di una profonda valle. Da sud, il terreno inclinava in modo più graduale, ma ciononostante era sostanzialmente più basso della strada che stava ai piedi del muro. A ovest c'era un burrone, e sull'altro lato del burrone un'area residen ziale che piegava verso l'alto a partire dal tempio, sovrastandolo in altezza. Ciononostante, gli abitanti della città alta vedevano attraver so il burrone il muro del tempio, e anche a loro doveva sembrare im ponente. Dalla distanza si vedevano principalmente il Portico Reale e il santuario al di sopra dei muri, l'uno di biancore abbagliante, l ' al tro luccicante d'oro. Gli architetti sfruttarono un accorgimento per rendere meno ag gettante l'aspetto dei muri. Ogni livello era «collocato circa 3 centi metri più all' interno rispetto al livello inferiore>>59• La rientranza to tale dal livello del terreno fino alla sommità era di circa 60 centime tri. Questa rientranza molto lieve non avrebbe reso il monte del tem pio «simile ai lati di una piramide con la cima troncata>>, ma avrebbe impedito ai muri di apparire come sul punto di crollare in fuori, sulla testa di una persona che stesse vicino alla base guardando in su. Per una ragione simile tutte le colonne esterne del Partenone pendono verso l' interno; questo evita che il tempio di Atena sembri sul punto di smembrarsi. 57. Ben-Dov, In 1he Shadow, pp. 79 e 92.
58. lvi, p. 92. 59. lvi, p. 103.
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All'interno, l'area del tempio aveva un aspetto più a misura d'uomo. I portici si ergevano per 1 2,5 metri dal Cortile dei Gentili, ma l'effetto dell'altezza era attenuato dall' area aperta sotto i loro soffitti. Dobbiamo anche ricordare che i cortili aperti non erano solo 'interni' ma anche 'superiori' : si ergevano al di sopra del Cortile dei Gentili. Il muro interno del tempio era alto 40 cubiti (circa 20 metri) se guardato dal Cortile dei Gentili, ma si salivano due scale di gradi ni prima di attraversare la porta, e dall'interno il muro era alto solo 25 cubiti ( 1 2,5 metri) (Beli. 5, 1 96). Il Cortile degli Israeliti era an cora più alto, anche se il santuario si profilava sopra di esso e ben sopra i muri. Non sappiamo esattamente quanto fosse alto i l Cortile dei Sacerdoti: era al di sopra del Cortile delle Donne, il cui pavimen to si trovava sopra il centro del portico orientale. (Il portico era alto 25 cubiti; entrando nel Cortile delle Donne si saliva di 1 5 cubiti.) Il pavimento del santuario può essere stato a tre quarti della salita al il portico esterno. Infine, una parola sulle strade e sulle botteghe. I primi esploratori avevano osservato due archi che uscivano dal fianco del muro occi dentale (gli archi di Robinson e di Wilson). Per un centinaio di anni si era ipotizzato che questi avessero sorretto dei ponti sopra la Valle del Tiropeon e collegassero la spianata del tempio alla città alta. Nuovi scavi hanno dimostrato che gli archi sorreggevano brevi ponti che non attraversavano la valle, ma una strada adiacente al muro del tempio60• Scalinate conducevano poi al livello della strada. L'arco di Robinson permetteva alle persone di salire dalla strada lungo il muro occidentale direttamente al Portico Reale, senza dover attraversare le principali porte meridionali. Questa strada ( 1 9 metri al di sotto della spianata del tempio, circa 3 1 metri al di sotto della sommità del por tico occidentale) aveva botteghe su entrambi i lati, addossate al muro da un lato e scavate nell'arco (che era largo 1 5,2 metri) dall'al tro. All'angolo sud-occidentale del muro del tempio, la incontrava un'altra strada che si snodava lungo il muro meridionale e sulla qua le si trovavano parimenti delle botteghe. Il volume del commercio turistico probabilmente rendeva queste ubicazioni molto desiderate. Dominata dal grande edificio di Erode, adorna di palazzi e altre splendide case, abbellita con ampi spazi per il commercio sia vicino al tempio sia nella città alta, Gerusalemme era senza dubbio, come 60. Sull'arco di Robinson cfr. Mazar, Mountain of rhe l.ord, p. 1 32; Ben-Dov, /n rhe Shadow, pp. 1 2 1 - 1 33 .
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la definì Plinio il Vecchio, «di gran lunga la città più insigne del l' oriente>>61 • 7. La santità del tempio Abbiamo visto che l'area del tempio consisteva di zone di santità crescente, e che l'accesso era progressivamente limitato. Le distin zioni tra zona e zona dipendevano da nozioni di idoneità e di purez za. Qui, ancora una volta, il tempio ebraico non era affatto unico: ac cesso limitato e purificazioni erano comuni alle aree sacre antiche. In parte perché gli ebrei avevano una teologia così elevata (il Dio di Israele era l 'unico Dio, e aveva creato i cieli e la terra) le norme che proteggevano il tempio di Gerusalemme erano mollo severe: la pu rezza era osservata così strettamente che l ' area interna del comples so templare era stata costruita da sacerdoti, mille dei quali erano stati addestrati, per ordine di Erode, come muratori e carpentieri (Ant. 1 5, 390). Questo rivela che le leggi di purità avevano avuto uno svilup po. Secondo Esd 3, IO, quando fu costruito il secondo tempio «i co struttori posero le fondamenta>>, i sacerdoti soffiarono nelle trombe e i )eviti fecero risuonare i cembali. Ai tempi di Erode, i laici non po tevano entrare nel cortile dei sacerdoti né nello stesso santuario, nemmeno allo scopo di costruirlo. A quanto pare, tuttavia, non dob biamo pensare che il sommo sacerdote costruisse il Santo dei S anti con le sue mani. È difficile, per l'uomo occidentale moderno, immaginare il senti mento di santità che il tempio ispirava. Era un luogo austero, dedica to al culto del creatore del mondo, il Dio di Israele. Egli era conside rato potente e santo, concetto che include l'idea di separazione da ciò che è comune. A Mosè, chiamato da Dio, fu detto di togliersi i sandali e di non avvicinarsi: la voce proveniva da un cespuglio che bruciava ma non si consumava (Es 3, 1 -6). Questa non era la visita informale e amichevole di un dio pronto ad assumere sembianze umane, come facevano gli dèi della mitologia greca. L' idea di santi tà e di separazione, che permetteva solo a ciò che era completamente puro di avvicinarsi, inforrnò di sé l ' intero ordinamento del tempio e i 6 1 . C'erano almeno tre «palazzi»: quello di Erode, quello degli Asmonei e quello del sommo sacerdote. La citazione è da Plinio, Storia naturale. 5, 70 (cit. da Stem, Gruk and wtin Authors on }f!WS and Judaism, l, pp. 469 e 471 ).
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suoi riti. Filone mise in evidenza il significato dell'assenza di un bo sco sacro di alberi, comune invece ai templi del mondo greco-romano: «il tempio che è davvero santo non cerca di procurare piacere od ore di facile godimento, ma l'austerità della religione [austtran hagisteian]» (Spec. 1 ,74; cfr. anche lo Pseudo-Ecateo cit. più sopra, p. 75). Il tempio era santo non solo perché il Dio santo vi era adorato, ma anche perché egli era là. La nozione della speciale presenza di Dio nel tempio - più precisamente, nel Santo dei Santi - era, come ab biamo visto sopra, negata da alcuni, ma accettata dai più. Secondo Giuseppe Flavio, nei tempi felici (l' epoca di Giovanni !reano e quel la precedente) la sardonice sulla spalla destra della veste del sommo sacerdote splendeva «ogni volta che Dio assisteva alle cerimonie sa ·cre>> (Ant. 3, 2 1 5-2 1 8)62• Come disse Gesù, (M t 23, 2 1 ). Giuseppe Flavio riferisce che vi furono numerosi presagi dell' imminente di struzione del tempio, uno dei quali fu che alla Festa delle Settimane i sacerdoti, entrando, udirono prima , poi «una voce come di una moltitudine, che diceva: 'Stiamo partendo da qui'>> (Beli. 6, 300; cfr. 2, 539; 5, 1 9; 5, 4 1 2 ; Ant. 20, 1 66). Gli ebrei non pensavano che Dio fosse lì e in nessun altro luogo, né che il tempio in alcun modo lo segregasse. Dal momento che egli era crea tore e signore dell'universo, a lui ci si poteva rivolgere in preghiera in ogni luogo. Nondimeno, egli era presente in un senso speciale nel tempio. Come si espresse l'autore del 2 Maccabei, «lo stesso che ha la sua dimora nei cieli è custode e difensore di quel luogo>>; egli so stenne che Eliodoro, un ufficiale seleucide, aveva attestato che >, assai probabilmente gli stessi. Giuseppe Flavio intendeva descrivere il Giorno dell' Espiazione in un'opera che sfortunatamente non scrisse. La conseguenza fu che nella Guerra e nelle Antichità tralasciò il tema, e perciò non abbia mo il suo racconto. Forse, se lo avesse scritto, avrebbe concordato con la Mishnah e con la ricostruzione degli studiosi che abbiamo ap pena notato: il sommo sacerdote aveva due corredi di lino, uno de scritto come shesh (usato fuori dal Santo dei Santi), uno chiamato bad (usato quando entrava nel Santo dei Santi). In questo caso, «il suo abito bianco>> di mYoma è il bad del Levitico, e il bil� (byssos) di m Yoma è lo shesh dell'Esodo. Non desidero argomentare contro questa ipotesi come uno sviluppo ragionevole, non menzionato da Giuseppe Flavio perché egli non descrisse i riti del Giorno dell' Espiazione; desidero semplicemente menzionare un'altra possi bilità: la distinzione può essere l' opera personale esegetica dei rabbi ni. Essi avevano shesh nell'Esodo e bad nel Levitico. Shesh è preci samente byssos, per il quale essi disponevano di una traslitterazione abbastanza recente, bil�. Bad, tuttavia, può significare 'lino bianco' . Se ci sono due termini nella Bibbia - questo può essere stato i l loro ragionamento -, ci devono essere stati due corredi di abiti. Essi pote rono dunque inserire diversi cambiamenti di abito allo scopo di dare a ogni corredo una funzione differente.
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Desidero sottolineare che chiunque potrebbe aver studiato il Levi tico e l'Esodo ed essere giunto a queste conclusioni; forse qui i rab bini, i farisei e i sommi sacerdoti concordavano tutti. L'esegesi è plausibile. Eppure, una volta che si veda che questa è esegesi, ci si deve chiedere chi esattamente la escogitasse e quando. Ricordiamo quanto detto sopra, che l 'autore della Regola della guerra leggeva sia il Levitico sia l'Esodo e che descrisse i paramenti di shesh, cioè di bad. La sua esegesi lo condusse a equiparare i termini.
CAPITOLO SETriMO
I SACRIFICI
l . Categorie La Bibbia non offre una lista singola e chiaramente esposta dei sa crifici. I libri giuridici (Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), come ora sappiamo, incorporano varie fonti risalenti a differenti pe riodi, e la prassi sacerdotale variò manifestamente da epoca a epoca. Ci sono tre fonti principali di informazione sui sacrifici nel I secolo: Giuseppe Flavio, Filone e la Mishnah. Nella maggioranza degli aspetti essi concordano l'uno con l'altro e con Levitico e Numeri; di conseguenza lo schema fondamentale dei sacrifici non è in discus sione. Giuseppe Flavio, per quanto posso giudicare, è la fonte mi gliore. Egli sapeva quale fosse la prassi comune del clero ai suoi tempi : lo aveva imparato a scuola, da ragazzo aveva osservato e as sistito, e da adulto aveva lavorato nel tempio. È importante per valu tare la sua testimonianza notare che la sua descrizione dei sacrifici talvolta concorda con il Levitico o va oltre esso. Questa non è una circostanza nella quale egli sta semplicemente riassumendo ciò che è scritto nella Bibbia: egli dipende quasi certamente da ciò che ha im parato come sacerdote. Benché la Mishnah si dimostri spesso nel giusto in relazione alla prassi del tempio in epoca precedente al 70, molte delle polemiche appartengono al Il secolo: i rabbini continuarono a discutere le nor me del sacrificio per lungo tempo dopo che la memoria vivente delle modalità in cui veniva compiuto era svanita. Di conseguenza, nel leggere la Mishnah ci si trova talvolta a ripercorrere la teoria del II secolo. In alcuni casi questo può essere visto chiaramente. Per esem pio, c'è un dibattito sulla questione se il sacerdote che sacrificava un animale potesse o no teneme la pelle, se per un qualche motivo l'animale era divenuto invalido (per esempio, toccando qualcosa di impuro) dopo essere stato sacrificato ma prima di essere scuoiato. La Mishnah su questo tema si apre con un'opinione anonima, secon do la quale il sacerdote non teneva la pelle. Rabbi l:fanina, il Prefetto dei Sacerdoti, era in disaccordo: «Non ho mai visto una pelle portata
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fuori fino al luogo dell' arsione>>; cioè, i sacerdoti tenevano sempre le pelli. Rabbi 'Aqiva (inizi del n secolo) accettava questa tesi ed era deli' opinione che i sacerdoti potessero tenere le pelli di vittime sa criticali invalide. (>, tuttavia, decretarono l 'altro modo (Zeval}im 1 2, 4 ) . Rabbi l:fanina, il Prefetto dei Sacerdoti, evidente mente lavorava nel tempio prima del 70, ma sopravvisse alla sua di struzione e divenne parte del movimento rabbinico; 'Aqiva mori cir ca nel 1 35 ; i ((Sapienti» di questo passo sono probabilmente i suoi contemporanei o forse i rabbini della generazione successiva. Qui vediamo che i rabbini del II secolo erano abbastanza disposti a vota re contro la prassi effettiva nel discutere il comportamento dei sacer doti e le norme che essi seguivano. Il problema nell'usare la Mishnah è che si incontra assai raramente questo tipo di riferimento alla prassi del periodo anteriore al 70, riferimento che permette di fare distinzioni critiche: non solo spesso ci troviamo a leggere di scussioni del II secolo, ma potremmo anche trovarci a imparare solo la teoria del II secolo1• Filone aveva visitato il tempio, e alcune delle sue affermazioni su di esso (per es. sulle guardie) sembrano basate su una conoscenza personale. Ma la sua discussione dei sacrifici è libresca, e in alcuni punti importanti rivela che egli sta trasmettendo informazioni deri vate dalla traduzione greca della Bibbia ebraica (la LXX), non dal l'osservazione. La descrizione seguente segue fondamentalmente la Bibbia ebraica e Giuseppe Flavio, ma talvolta incorpora particolari da altre fonti. Si possono fare le seguenti distinzioni tra i sacrifici: - In relazione a ciò che veniva offerto: farina, vino, uccelli (piccioni o colombi) e quadrupedi (pecore, capre e bestiame). - In relazione a chi offriva il sacrificio: la comunità o un individuo. - In relazione allo scopo del sacrificio: culto a Dio e comunione con lui, sua glorificazione, ringraziamento, purificazione, espiazione di peccati e celebrazione di festività. - In relazione alla disposizione della vittima: veniva bruciata o man giata. l sacerdoti ottenevano la maggior parte del cibo che veniva l . Nella sua voce Sacrifice nell' Enc. Jud., A. Rothkoff afferma correttamente che «la maggior parte della discussione nella Mishnah e nel Talmud è posteriore al Tempio e pertanto largamente accademica», ma ritiene che mTamid e mZeval}im 5 presentino buona documentazione sulla prassi del secondo tempio (col. 607). Que sta distinzione sembra sostanzialmente corretta; cfr. oltre, nn. 6 e 16.
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fornito dai sacrifici, anche se una delle categorie del sacrificio forni va cibo per la persona che lo portava e per la sua famiglia e i suoi amici. Gli agnelli pasquali erano anch'essi mangiati dai fedeli. l sacrifici erano concepiti come pranzi, o meglio come banchetti. L'offerta sacrificale completa e ideale consisteva di farina, cereali, olio e vino (Nm 1 5, l - I O ; Ant. 3, 233 s.; il menu era talvolta ridotto: cfr. più oltre).
2. Sacrifici comunitari Ogni giorno, senza eccezione, la comunità nella sua globalità for niva due agnelli maschi di un anno che venivano offerti a Dio come olocausti (cioè, interamente bruciati), insieme a farina, olio e vino (Es 29, 40), uno al mattino, per aprire il servizio del tempio, e uno alla sera, proprio prima della sua conclusione. Il vino era versato come libagione intorno all'altare, mentre l'agnello e la mistura di farina e olio venivano bruciati. Di sabato questi sacrifici venivano raddoppiati. La comunità offriva i sacrifici addizionali per segnare ogni nuova luna (Ant. 3, 237 s.; due buoi, sette agnelli di un anno, un ariete e un capretto, che espiava peccati involontari). Nelle festività maggiori e nel digiuno annuale (il Gior no dell' Espiazione) c'erano ancora ulteriori sacrifici comunitari. Questi erano pagati dalla tassa del tempio di mezzo siclo, versata dai maschi adulti ebrei in tutto il mondo. Oltre ai sacrifici, la tassa pagava i costi complessivi generali del tempio (si veda Ne I O, 32-33 per una lista di spese che gravavano sugli introiti della tassa). La Bibbia non specifica la finalità precisa della maggior parte dei sacrifici comunitari. Sarebbe stato semplice interpretare gli olocausti giornalieri come espiatori, dal momento che la tassa del tempio era chiamata «denaro dell'espiazione», e il suo scopo era «di fare espia zione>> (Es 30, 1 6). Questi termini, tuttavia, non venivano applicati specificamente ai due agnelli. Filone considerava il ringraziamento alla stregua di finalità delle offerte giornaliere: il sacrificio mattuti no, cioè, era fatto in ringraziamento per le benedizioni della notte, e il sacrificio serale per le benedizioni del giorno (Spec. l , I 69). Giu seppe Flavio non commenta mai la loro funzione, ma non erano espiatori; egli osserva che ai noviluni e alle festività, quando c'era una moltitudine di sacrifici comunitari, un capro fungeva sempre da
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offerta di espiazione (Ant. 3, 238.246.247.249.253). Ritorneremo allo scopo degli olocausti più avanti, nel considerare i sacrifici indi viduali. La Mishnah presenta una descrizione del sacrificio di un olocau sto giornaliero. L'agnello era legato, «con la testa a sud e il muso a ovest»; cioè, era sdraiato su un tavolo sul fianco sinistro. Il sacerdote che brandiva il coltello «Stava in piedi a est con il volto a ovest>>, a fianco dell'animale. Egli tagliava la gola, e un altro sacerdote racco glieva il sangue in un catino, poi ne spruzzava parte sull'altare. Il re sto si riversava alla base dell' altare, dove scorreva in un canale e de fluiva fuori dall' area del tempio. La carcassa veniva appesa per una delle zampe posteriori e parzialmente scuoiata. Evidentemente veni va poi tirata giù e distesa di nuovo su un tavolo, dove il sacerdote ri muoveva completamente la pelle, apriva il cuore e tagliava via le zampe. Stendeva aperta la parte inferiore e rimuoveva le interiora, che un altro sacerdote prendeva e lavava. La carcassa veniva poi scrupolosamente divisa in parti, seguendo le divisioni naturali cosic ché le ossa non venivano rotte, e le parti venivano lavate e salate. L 'insieme veniva bruciato2. La descrizione della divisione del l'agnello occupa più di una pagina meticolosamente particolareggia ta (mTamid 4, 1 -3). l princìpi generali erano gli stessi del sacrificio greco3• 3. Sacrifici individuali I singoli individui presentavano una varietà di sacrifici per altret tante ragioni. l . Secondo Lv l , 4, l'olocausto individuale, che doveva essere di un quadrupede (Ant. 3, 226), era per espiazione. La Bibbia, tuttavia, non esige mai che singoli individui portino olocausti. Essa stipula che essi portino offerte per il peccato e offerte di riparazione, che non sono olocausti, per mancanze e trasgressioni. Il risultato sembra
2. Cfr. anche la descrizione data da Giuseppe Aavio di un'offerta privata brucia Ant. 3, 225-227 (cii. più oltre). Sulla questione se si lavassero tutte le parti, o
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solo le interiora e le zampe, cfr. le nn. di Thackeray nell'edizione della Loeb Classi ca! Library. 3. Cfr. J.-L. Durand, Greek Animals: Toward a Tipo/ogy of Edible Bodies, in The Cuisine ofSacrijice among the Greeks, a cura di Detienne - Vemant, pp. 87- 1 1 8.
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essere stato che le persone non pensavano agli olocausti come a sa crifici anzitutto espiatori. Essi pensavano a essi più generalmente come a doni a Dio: nessun altro ne beneficiava. Giuseppe Flavio specifica spesso che un olocausto è «per Dio>> (Ant. 3, 243.25 1 ; 6, 1 2 1 ; 7 , 389; 1 1 , 1 37; 1 5, 4 1 9). Egli talvolta collega tale offerta con il ringraziamento (Ant. 1 1 , l lO s.) e talvolta con l'atto di placare Dio. Cosl, al tempo di Davide Dio fermò una pestilenza; Davide comprò un'aia, ci costruì un altare, e offrì olocausti. Giuseppe Flavio conclu de così il racconto: «in questo modo la Divinità venne placata e di venne ancora una volta benigna>> (Ant. 1, 3 3 1 -333; 2 Sam 24, 8-25). La pestilenza era già stata fermata, e così i sacrifici non «ottennero>> il favore di Dio; ma, quando furono offerti, lo resero ancor più bene volo (così Giuseppe Flavio). Gli olocausti potevano anche semplice mente onorare Dio, come fecero quelli di Salomone (Ant. 8, 22), e Dio era pronto a concedere favori in cambio (derivato da 2 Cr l -2, ma Giuseppe Flavio aggiunge la dichiarazione che Salomone «ono rò>> [edoxe] Dio). Anche Filone sottolinea che gli olocausti onoravano Dio, e in par ticolare che essi rappresentavano una devozione disinteressata: «Se qualcuno si preoccupa di esaminare da vicino i motivi che indussero uomini dei tempi primitivi a ricorrere ai sacrifici come mezzo di preghiera e di ringraziamento, troverà che due occupavano il posto più alto. Uno è rendere onore [lime] a Dio solo per amor suo e senza alcun altro motivo, cosa sia necessaria sia eccel lente [ . .. ). Per il motivo rivolto a Dio che ha solo lui in vista egli prescrisse l'olocausto, perché, intero e completo in sé, esso [ ... ] non contiene alcun elemento di interesse per se stessi [ ... ) . L'olo causto [non ha] altro in vista che Dio solo, che è cosa buona onorare [ti masthai]>> (Spec. l , 195-197).
Né Giuseppe Flavio o Filone, né altri ebrei del ! secolo pensavano che gli olocausti fornissero a Dio del cibo (si noti l'antico titolo in Lv 3, I l e altrove, «alimento consumato dal fuoco per il Signore>>), ma essi pensavano ancora che questi sacrifici fossero in qualche modo dati a Dio, e che la loro costosità gli rendesse onore. Era tutto «per Dio>>, inclusa la pelle, che andava al suo rappresentante, il sa cerdote (Lv 7, 8). Secondo il Levitico ( 1 , 5), l' uomo che offriva un olocausto ucci deva l'animale, mentre il sacerdote faceva il resto. Giuseppe Flavio concordava:
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«Un individuo che offra un olocausto4 uccide un bue, un agnello o un ca pretto, questi ultimi di un anno; i buoi uccisi possono essere più vecchi; ma tutte le vittime per gli olocausti debbono essere maschi. Una volta che le bestie sono state sgozzate, i sacerdoti inzuppano con il sangue il perimetro dell'altare, e poi, dopo essersi puliti, le smembrano, le aspergono di sale, e le dispongono sull' altare, già caricato con legna e acceso. I piedi e le inte riora delle vittime vengono scrupolosamente puliti prima di essere collocati con le altre porzioni per la consacrazione nelle fiamme; le pelli sono prese dai sacerdoti>> (A nt. 3, 226 s.).
Filone, d'altra parte, era dell'opinione che il sacrificante si lavasse le mani e le ponesse sul capo della vittima, mentre un altro sacerdote tagliava la gola e un altro raccoglieva il sangue (Spec. l , 1 98 s.). Qui dovremmo seguire il Levitico e Giuseppe Flavio per quanto riguarda la prassi usuale. Non so fornire una spiegazione del disaccordo di Filo ne. Egli era tuttavia fermamente dell'opinione che, fuorché a Pasqua, solo i sacerdoti uccidessero gli animali sacrificali (Spec. 2, 145 s.)!l. A questo punto dovremmo spiegare che i metodi pagani ed ebraici di sgozzare erano simili, e che tutti o la maggior parte dei maschi dovevano sapere come farlo. La gola dell'animale era recisa, o le ar terie della carotide venivano aperte, di regola mentre l'animale era in piedi. Nella macellazione ebraica, a causa della proibizione di con sumare sangue, si doveva essere particolarmente attenti a tagliare la gola in modo tale che l' animale perdesse la maggior parte del suo sangue; cioè, la trachea non doveva essere recisa in senso trasversa le, per timore che l'animale si strangolasse nel suo stesso sangue. Un colpo abile divideva le carotidi in modo relativamente indolore, il sangue sgorgava fuori, e l'animale perdeva rapidamente conoscenza. Io suppongo che, quando l'offerente tagliava la gola della vittima, egli si allungasse al di là del parapetto che separava il Cortile dei Sa cerdoti da quello degli Israeliti. Ricordiamo che questi due cortili erano separati solo da «un basso parapetto di pietra, bello ed elegan te, alto circa un cubito>> (Beli. 5, 226), cioè all'incirca mezzo metro. Gli uccelli e g l i animali nati per primi potevano essere semplicemen te consegnati. Il sacerdote si occupava degli uccelli personalmente. 4. Il termine 'olocausto' deriva dal greco holokautoma o holokautosis, 'offena bruciata'. 5. L'opinione rabbinica era che un israelita comune, se puro, potesse sgozzare qualsiasi animale sacrificale (m7.-!val)im 3, l ). Più avanti, alla n. 14, offro una spie aazione speculativa della conce�.ione di Filone. interamente
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Due persone, tuttavia, erano richieste per uccidere un agnello, un ca pretto o un vitello. Una persona poteva spingere indietro la testa in modo da esporre la gola e poteva impugnare il coltello, mentre una seconda raccoglieva il sangue. Questo poteva, naturalmente, essere fatto da due sacerdoti. In molti casi, tuttavia, l'offerente proba bilmente si sporgeva oltre il parapetto, teneva la testa della vittima e recideva la gola6• 2. Le offerte per il peccato e quelle di riparazione erano stretta mente correlate, e in Lv 5 sono intrecciate. Come vedremo sotto, è possibile classificare le offerte di riparazione come una speciale ca tegoria di offerte per il peccato. In entrambi i casi il sacerdote rice veva la carne e la pelle dei quadrupedi. La carne doveva essere man giata nel tempio e nello stesso giorno (Ant. 3, 23 1 ; 4, 75; non nella Bibbia); perciò il sacerdote che sacrificava la divideva con altri che erano in servizio (Lv 6, 22; 7, 6s.). Ma dal momento che la maggior parte delle offerte per il peccato erano uccelli (come sarà spiegato più avanti), solo il sacerdote che compiva il sacrificio pranzava (Lv 6, 1 9). C'erano pentole per cuocere nel Cortile dei Sacerdoti («in luogo santo>>), e la carne veniva bollita (Lv 6, 2 1 ). Le finalità per cui venivano richieste le offerte per il peccato rive lano che il termine non è più interamente soddisfacente. In alcuni casi la parola 'peccato', che implica trasgressione, non è appropriata, e conseguentemente alcuni studiosi preferiscono 'offerta di purifica zione'. Dopo il parto, ad esempio, una donna portava una (Lv 1 2, 6), anche se non aveva commesso nulla di male. Il termine ebraico antico riflette una concezione di 'peccato' come 'deviazione dalla norma'. Una donna che aveva dato la vita 6. La Mishnah è dell'opinione che ai laici fosse richiesto di entrare nel Cortile dei Sacerdoti al fine di sgozzare, far ondeggiare (il petto di una vittima di sacrificio condiviso) e di apporre le mani sul capo della vittima (mKelim l , 8). Essi apponeva no le mani nello stesso punto in cui colpivano (mMena�ot 9, 8). Secondo un'opinio ne a mMiddot 2, 6, il Cortile dei Sacerdoti stava 2 cubiti ( l , 25 metri) al di sopra del livello del Cortile degli Israeliti (benché vi fossero opinioni diverse). l rabbini della Mishnah ritenevano anche che gli animali fossero sgozzati venendo legati a uno dei ventiquattro anelli a nord dell'altare (sistemati in quattro file secondo un'opinione o in sei secondo un'altra: mMiddot 3, 5). Tali sistemazioni fisiche richiedevano che un laico entrasse nel Cortile dei Sacerdoti (attraverso una scalinata) per prendere parte alio sgozzamento della vittima sacrilicale: di qui l'opinione che cosl avvenisse, no nostante N m 1 8, 3, che vietava persino ai leviti di avvicinarsi all'altare. Nel tempio effettivo, i laici potevano spingersi oltre il parapello, e il Cortile dei Sacerdoti non era tanto più in aho di quello degli lsraeliti da rendere ciò impossibile.
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era reintegrata nella 'normalità' con una 'offerta per il peccato'. Non _era implicata alcuna questione morale o etica. Dall'altro lato, un'of ferta per il peccato era richiesta per una persona che rifiutasse di comparire come testimone quando avrebbe dovuto farlo (Lv 5, 1 ) . Questo è un caso che oggi considereremmo una colpa 'morale' . A dispetto delle difficoltà che comporta, manterrò la traduzione tradi zionale 'offerta per il peccato', rammentando occasionalmente che può non esservi implicata una trasgressione. Giuseppe Flavio (Ant. 3, 230-232) fa dell'offerta per il peccato una categoria principale, ali' interno della quale distingue tra sacrifici per peccati commessi per ignoranza (Lv 4, 27-35) e quelli per tra sgressioni commesse consciamente (5, 2 1 -26; similmente Filone, Spec. l , 226.235 ). Questi ultimi corrispondono alle offerte di ripara zione bibliche7: vale a dire, egli considera l'offerta per il peccato del Levitico come un'offerta che espia un peccato involontario, e l'of ferta di riparazione (a cui non dà un titolo separato) come un'offerta per una trasgressione volontaria. Questo è in generale corretto, ma egli non spiega che !"offerta per il peccato' era talvolta non per 'peccati ' , ma per purificazione. Egli, è naturale, sapeva perfettamen te che alcune impurità richiedevano un sacrificio, ma nel delineare i sacrifici egli non diede una descrizione completa delle finalità di cia scun tipo. L'offerta per il peccato, secondo Giuseppe Flavio, consisteva in un agnello e un capretto femmina (la Bibbia permette un agnello in alternativa a un capretto), anche se egli osserva che le persone che non erano in grado di permettersi il sacrificio potevano portare due uccelli. Questo concorda con Lv 5, 7; 5 , I l permette di sostituire con frumento se il sacrificante non può permettersi uccelli. Le tra sgressioni consapevoli, continua Giuseppe Flavio, richiedono i l sa crificio di un ariete (così Lv 5, 25, sull'offerta di riparazione). Anche Filone sottolinea la differenza tra trasgressioni involontarie e volontarie. Egli inoltre distingue le trasgressioni contro ciò che è sacro da quelle contro altri esseri umani. Nel discutere le trasgressio ni volontarie contro il proprio prossimo, egli segue Lv 6 nel rilevare che chi ha offeso deve ripagare tutto ciò che egli ha sottratto ingiu stamente, aggiungere un quinto del suo valore, e solo allora andare al tempio per cercare la remissione del suo peccato. Filone concepi7. Il 1ermine della LXX per 'offerta di riparazione' è p/emme/eia, che Giuseppe Flavio usa in alui con1es1i, ma mai in riferimenlo a un sacrificio.
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sce la questione dal punto di vista del trasgressore: egli è «condan nato interiormente dalla sua coscienza>>, , «chiede perdono>>, risarcisce il suo prossimo, aggiunge un quinto, e poi cerca il perdono di Dio tramite il sacrificio di un ariete (Spec. l , 234-238). Nel racconto di Giuseppe Flavio è inoltre chiaro che l 'of ferta d i riparazione implica una condanna interiore della trasgressio ne: la persona che porta un ariete è «conscia del peccato, ma non ha nessuno che la dichiari colpevole>> (Ant. 3, 232)8• Il fedele, se di sesso maschile, poneva la sua mano sul capo della vittima e diceva al sacerdote che sacrificio era; è in questo senso che i sacerdoti ascoltavano la confessione. Il Levitico specifica la confes sione solo per le trasgressioni e le impurità di 5, 1 -5, ma i Numeri la richiedono per le offerte di riparazione in generale (5, 7). Dall'altro lato, Lv 26,40 è un'ammonizione generale ai fedeli «a confessare la loro iniquità e l'iniquità dei loro padri>>, e la confessione proba bilmente accompagnava ogni sacrificio che correggesse una colpa (sia morale che no). Noi non sappiamo se i sacerdoti rispondessero o no con qualche sorta di formula. Probabilmente no: essi lavoravano in silenzio, e il fedele capi va che, se il sacrificio era per una trasgres sione, offrirlo era il gradino finale nell'assicurarsi il perdono di Dio. D' altra parte, se il sacrificante era incerto su che cosa dovesse offri re, doveva spiegare la situazione al sacerdote, e il sacerdote doveva istruirlo. Altrimenti, l'animale avrebbe potuto essere sacrificato sotto la dicitura sbagliata. l rabbini discutevano la questione della validità dei sacrifici sgozzati sotto la dicitura sbagliata (ad es., mZeval]im l , l s.); non sappiamo precisamente che cosa pensassero i sacerdoti, ma tutti dovevano concordare che era preferibile mettere a posto le cose. Secondo Lv 4, 29.33 il soggetto maschile che presentava un'offer ta per il peccato uccideva l'animale. Giuseppe Flavio non specifica, ma dice solo che «essi» sacrificano a causa dei peccati (Ant. 3, 230). Probabilmente egli intende dire che «coloro che portano l'animale>> sacrificano. Quando una donna portava un sacrificio, diceva al Levita o al sa8. Nel cap. 9 vedremo che l'interpretazione delle decime della Mishnah, e presu mibilmente dei farisei, era leggermente meno dispendiosa di quella di Giuseppe Fla vio. Riguardo all'aggiunta del quinto, comunque, la Mishnah, aggiunge una penalità se la persona che deve risarcirlo cerca di ridurne l 'ammontare con un giuramento falso: mBavaQamma 9, 7.
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cerdote che lo portava all'altare quale ne era la finalità. Non è certo, tuttavia, a chi desse il suo agnello o la cesta con i due uccelli. mShe qalim 5, l dà una lista degli officianti al tempio, come abbiamo no tato sopra. Vi si nomina Petai:Jyah come responsabile delle offerte di volatili, e Mazar deduce da questo che era lui, «Un benevolo sacer dote>>, che riceveva i volatili dalle donne e li sacrificava9• (La mag gioranza delle donne dopo il parto presumibilmente accettava l'op zione dei due volatili.) A parte il fatto che quest'unico sacerdote non era sempre in servizio, è dubbio che i sacerdoti portassero le vittime sacrificali delle donne dal Cortile delle Donne a quello dei Sacerdoti, dato che Arist. 95 dichiara che erano gli assistenti, presumibilmente !eviti, a condurre avanti gli animali. È in sé plausibile che i sacerdoti stessero nel loro cortile, cosl da non rischiare l'impurità, e che i levi ti facessero tutto ciò che era necessario al di là dei suoi confini. Si dubita anche se la donna ponesse o no la mano sul capo della vittima (se era un quadrupede) e confessasse, come facevano gli uomini. La Mishnah dice di no (mMenaJ:wt 9 , 8), ma l'opinione della Mishnah in merito al luogo dove la gente poneva le mani sulla vittima sacrifi cale (nel punto esatto dove l'animale veniva ucciso, che, secondo la sua opinione, era fuori dalla portata del Cortile degli Israeliti) richie deva che i laici entrassero nel Cortile dei Sacerdoti (cfr. sopra, n. 6). Questo è la cosa più dubbia, e può essere che la Mishnah sia ugual mente in torto sul fatto se le donne ponessero o meno le mani sulle teste dei loro sacrifici. Mentre il sacrificio consisteva di norma in un quadrupede, accom pagnato da farina, olio e vino, in molti casi, o perfino nella maggio ranza, gli uccelli fungevano da sostituti. Per la sostituzione di uccelli nelle offerte per il peccato cfr. Lv 5, 7; 1 2, 8; Ant. 3, 23010• Inoltre, gli uccelli erano richiesti per la purificazione di un uomo o di una donna che avesse sofferto di un 'flusso' abnorme (Lv 1 5 , 1 4.29). Ogni volta che venivano sacrificati uccelli si applicava un diverso si-
9. Mazar, Mountain of the Lord, p. 109. IO. A causa della formulazione di Lv 5, 6 s., dove ricorre il 'sacrificio espiato· rio', si è forse potuto dedurre che la riduzione da un quadrupede agli uccelli fosse applicata anche alle offerte di riparazione. Ciò è tul!avia escluso da Lv 5, 25 (LXX 6, 6) e Nm 5, 8. La Mishnah (mBava Qamma 9, I l ), Filone e Giuseppe Flavio (nei passi cit. nel testo) concordano sul fallo che l'offerta di riparazione (o !"offerta per il peccato' per una trasgressione intenzionale, secondo la categorizzazione di Giu seppe Flavio e Filone) dovesse essere un ariete.
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stema di regole: un uccello era interamente bruciato, l'altro era desi gnato come offerta per il peccato. Il sacerdote torceva il collo del l 'offerta per il peccato, spruzzava parte del sangue sul lato dell'alta re, faceva scolare il resto ai piedi dell'altare stesso, cuoceva l'uccel lo e lo mangiava (Lv 5, 8 s.). In genere, poi, la 'norma' (quadrupede, farina, olio, vino) governava i sacrifici comunitari ma relativamente pochi sacrifici individuali. Solo un individuo benestante avrebbe of ferto un quadrupede come offerta per il peccato (i sacrifici condivisi sono un altro problema; cfr. oltre). In caso di grave difficoltà finanziaria, si poteva portare farina come offerta per il peccato. Questa farina non era mischiata con olio; in parte veniva bruciata, il resto andava al sacerdote, che presu mibilmente la trasformava in pane (Lv 5, I l s.). La farina o il fior di farina, abbiamo visto, accompagnavano i quadrupedi, nel qual caso erano mischiati con olio. Secondo Giuseppe Flavio, alcune persone offrivano farina, mischiata anche con olio, per l'adempimento di un voto. Quando era mischiata con olio, la porzione del sacerdote della farina poteva essere bollita, probabilmente insieme alla carne; ne ve niva fuori una specie di polenta o budino (Ant. 3, 235). 3. Il terzo sacrificio individuale è stato tradizionalmente tradotto con 'offerta di pacificazione', dato che la parola ebraica è shelem, che è collegata a shalom, 'pace' (così, ad esempio, la Revised Stand ard Version [peace offering], ad es. in Lv 3, l ). Il significato preciso di shelem in quest'uso, tuttavia, non può essere determinato. I tradut tori greci del m o II secolo a.C. talvolta sceglievano una parola greca per 'pace' (così i traduttori di l e 2 Samuele, l e 2 Re), ma per la maggior parte essi preferirono soterion, 'salvezza' . Anche le tradu zioni inglesi variano: la New Revised Standard Version ha 'sacrificio di prosperità' (sacrifice of well-being; cfr. la LXX ) , la Bibbia di Ge rusalemme [come la traduzione italiana della C.E.I.] usa 'sacrificio di comunione', e la New E11glish Bible ha 'offerta condivisa' (sha red-offerillg). Le ultime due traduzioni offrono i migliori termini de scritti vi, e io seguirò la strada della New English Bible usando 'sacri ficio condiviso'. Il sacrificio condiviso doveva essere di un quadrupede (Ant. 3, 228; implicato da Lv 3, 1 - 1 6). Era ripartito tra l'altare, il sacerdote e l'offerente, che inoltre lo condivideva con la famiglia e gli amici. Questo è il sacrificio che Giuseppe Flavio ha in mente quando dice che alcuni sacrifici erano per le festività (Ant. 3, 225). l sacerdoti in servizio banchettavano con le offerte per il peccato e quelle di ripa-
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razione (cfr. Ant. 3, 249); la gente comune, quando poteva permet terselo, con i sacrifici condivisi. Come sempre, il grasso veniva bru ciato e il sangue spruzzato e versato sopra e intorno all' altare. Il sa cerdote otteneva la coscia destra e il petto, che il sacrificante 'sven tolava' o 'agitava' davanti all'altare (probabilmente senza salire so pra il parapetto). Invece di mangiare la sua porzione nel tempio, il sacerdote la ponava a casa per condividerla con la sua famiglia; anch' essi alla fine ottenevano carne rossa (Lv 7, 30-32; Nm 1 8, I l ). Il sacrificante, tuttavia, tratteneva il resto della carne, accuratamente macellata dal sacerdote, e poteva ponarla fuori dal tempio. I riferimenti alla porzione del sacrificio condiviso spettante ai sa cerdoti offrono un'opportunità di commentare quanti ebrei del 1 se colo si occupassero dei passi biblici relativi. Secondo Dt 1 8, 3, i sa cerdoti ricevevano da ogni vittima sacrificate «la spalla, le due ma scelle e lo stomaco>> (lo «stomaco>> è letteralmente l'ultimo degli stomaci del ruminante). Il Levitico, come abbiamo visto, aveva di verse opinioni: i sacerdoti ottenevano tutto delle offerte per il pecca to e da quelle espiatorie, il petto e la coscia destra dei sacrifici condi visi . Questa è la visione che prevalse, e le parti specificate in D t 1 8, 3 furono interpretate come riferite ad animali che venivano sgozzati da laici lontano dal tempio. Su questo, Giuseppe Flavio, Filone e la M ishnah concordano (Ant. 4, 74; Spec. 1 , 147; mlfullin 1 0, 1 ). Que sto era quasi certamente un modo molto antico di armonizzare le ri chieste bibliche. La 'legge' che regolava i sacrifici e si riferiva alle questioni a essi relative era principalmente quella del Levitico e dei Numeri (più Neemia in alcuni punti), e vari passi dal Deuteronomio furono incorporati in un modo o nell'altro. C 'erano suddivisioni dell'offena condivisa: l'offerta di ringrazia mento, che doveva essere mangiata lo stesso giorno (Lv 7, 1 2), J'of fena votiva (per adempiere a un voto) e l'offerta libera, le quali en trambe potevano essere mangiate fino a due giorni dopo (7, 1 6 s.; 22, 2 1 -23). Vale la pena di soffermarsi ancora sui termini. La tradu zione greca, abbiamo visto, sceglieva 'offena di salvezza' come nome della categoria principale (il nostro 'sacrificio condiviso'). I traduttori selezionarono 'offerta di lode' per l'ebraico 'offerta di gra zie ' . Giuseppe Flavio, scrivendo in greco, ma ricordandosi del l'ebraico, una volta menzionò i 'sacrifici di salvezza' (Anr. 3, 222), seguendo il termine usuale della LXX, ma quando li descrisse usò 'offene di grazie', prendendo il termine ebraico per la prima sotto categoria. Egli non usò affatto 'offene di lode', il termine della LXX
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per la prima sotto-categoria I l . Egli trasse 'offerte di grazie' intera mente dall'ebraico; l'espressione non compare nella Bibbia greca. Filone usò i due termini principali della LXX, 'offerta di salvezza' e 'offerta di lode' (Spec. l , 2 1 2.224). Queste differenze terminologi che ci danno un'altra opportunità di accertare le nostre fonti. La spiegazione è questa: nel tradurre in greco il termine principale, she lem, gli studiosi responsabili dei libri giuridici della Bibbia scelsero, non senza ragione, 'salvezza'; nel tradurre la sua sotto-categoria principale, scelsero 'lode' (che è una possibile traduzione dell'ebrai co todah, pur se non la più ovvia). Giuseppe Flavio, che talvolta conformò la propria descrizione della legge biblica alla versione gre ca che era disponibile ai suoi lettori, anche quando essa si allontana va dall'ebraico, in questo caso non fece così. Egli era un sacerdote; sapeva che il greco non trasmetteva propriamente il significato dell'ebraico; nel discutere il suo argomento specialistico egli non avrebbe usato le parole sbagliate1Z. Non cercò, tuttavia, di dire sem plicemente ciò che significava shelem; decise invece di sostituire la categoria principale con la prima sotto-categoria, e così chiamò que sto sacrificio 'offerta di grazie' . Filone, dall'altro lato, era proba bilmente limitato al greco, e così trasmise semplicemente i termini scelti dai traduttori della LXX. Qui vediamo la sua restrizione cultu rale 'libresca' che ho menzionato sopra. Filone aveva il cuore al posto giusto, e sapeva che certi sacrifici devono essere per il ringraziamento. Ma, leggendo la Bibbia greca, non ne trovò alcuno. Questa può essere la ragione per la quale egli interpretò gli olocausti giornalieri come offerte di grazie (p. 1 43 s.). A causa della confusione sui termini, fornisco una tabella: Bibbia ebraica
LXX
sacrificio condiviso
shelem ('pace')
soterion ('prosperità')
'prosperità' (l volta)
'prosperità'
offerta di grazie
todah ('grazie')
ainesis
'grazie' (categoria principale)
'lode'
nostro traduzione
Giuseppe
Filone
Flavio
--·--·
( 'lode')
I l . È enlrato nella tradizione manoscritta in Ant. 3, 2 19, dove, tuttavia, è da pre ferirsi 'rilassamento': un copista conosceva la LXX. 12. Cfr. la discussione sui paramenti sacerdotali nell'Appendice al cap. 6.
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Parte secontkl
Abbiamo visto che c' erano sotto-categorie del sacrificio condiviso una distinzione tra di esse: il lasso di tempo concesso per mangiare la carne. Tutti gli altri aspetti erano gli stessi. Gli animali, come sempre, dovevano essere senza macchia (Lv 3, 6); abbiamo notato sopra che si richiedevano quadrupedi. Essi potevano essere maschi o femmine, dalla mandria o dal gregge (Lv 3, 1 ). La Bibbia non speci fica l'età dell'animale, ma Giuseppe Flavio dice che doveva essere di un anno o più vecchio (Ant. 3 , 228). Invece degli usuali fior di fa rina, olio e vino, la vittima doveva essere accompagnata da focacce e ostie, alcune lievitate e alcune no (Lv 7, 1 2 s.). Il sacerdote prende va una focaccia, il resto era portato fuori dal tempio dal fedele e mangiato con la sua porzione di carne. Benché sia il sacerdote sia il sacrificante mangiassero la loro por zione dell'offerta condivisa a casa, o in un accampamento (nel caso di pellegrini), essi nondimeno dovevano mangiarla in stato di purità (Lv 7, 1 9-2 1).
e
4. Esempio: una famiglia al tempio Più avanti descriverò alcuni aspetti delle tre festività di pellegri naggio, durante le quali il tempio realizzava una percentuale molto ampia del suo giro annuale di affari. Immaginiamo però ora come una famiglia sacrificasse quando era presente a Gerusalemme in una di queste occasioni. Prima di tutto, essi avevano tenuto da parte del denaro: la somma della 'seconda decima' (il valore del dieci per cento dei raccolti dell'anno) doveva essere spesa a Gerusalemme, e una festività di pellegrinaggio era l' occasione ovvia. Diciamo che durante l' anno la moglie avesse avuto un bambino, suo zio fosse morto, e il marito si fosse disonestamente appropriato di un deposito che un vicino gli aveva lasciato per assicurarsi il prestito di un animale. Bisognava fare alcune cose in anticipo. La rimozione dell'impurità da cadaveri richiedeva sette giorni. Per rendere le cose facili, facciamo alcune supposizioni: l . Un sacerdote era venuto al loro villaggio con la mi stura di ceneri e acqua e aveva rimosso l' impurità da cadaveri prima del pellegrinaggio. (Se no, avrebbero dovuto aspettare a Gerusalem me per sette giorni, venendo aspersi nel terzo e nel sesto, prima di poter entrare nel tempio.) 2. L'uomo aveva già ripagato il suo vicino
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e aggiunto un quinto del valore di quello che aveva preso. 3. Il bam bino era nato tre mesi prima del pellegrinaggio. 4. La donna non aveva, al momento, le mestruazioni. Essi si immergevano in una delle piscine pubbliche prima del ca lare della notte e si astenevano dai rapporti sessuali per quella not te1l. Il giorno seguente andavano al tempio. Nelle vicinanze compra vano un ariete (per l'offerta di riparazione dell'uomo) e un agnello (per un'offerta di grazie). Entravano nel tempio dalla porta orientale nel muro meridionale, assicurando il guardiano che stavano portan do dentro solo animali sacrificali, e spuntavano nel Cortile dei Gen tili. Giravano e camminavano indietro fino al Portico Reale. Là tro vavano canestri o ciotole, ciascuno contenente due uccelli ispeziona ti, e compravano un canestro per l'offerta della donna dopo il parto. Attraversavano il Cortile dei Gentili e giungevano alla balaustrata che avvisava i Gentili di non proseguire. Qui assicuravano uno dei )eviti in servizio di essere puri. A questo punto, probabilmente vici no alla barriera, presentavano il loro ariete e l' agnello per l'ispezio ne. A l muro interno si separavano, la donna andandosene fuori da destra o da sinistra per entrare nel Cortile delle Donne, l' uomo cam minando diritto attraverso la prima porta orientale. Vicino all'ingres so del Cortile delle Donne, la donna trovava un )evita e gli dava i suoi uccelli, spiegandogli che erano un"offerta per il peccato' per il parto. Essa poi entrava, saliva sopra, nella galleria, e guardava ciò che succedeva ai suoi uccelli. Suo marito, invece, andava avanti, continuando fino ad attraversare la seconda porta orientale. A un certo punto, sul suo cammino, egli trovava il suo )evita, il quale prendeva l'agnello, che doveva essere offerto più tardi come ringra ziamento. L'uomo poi portava l'ariete a un sacerdote, spiegava che aveva defraudato il suo vicino ma che aveva fatto la restituzione e pagato la penalità e stava ora portando la sua offerta di riparazione. Mentre diceva questo, poneva le mani sulla testa dell' ariete. Egli e i l levita sollevavano l'animale al di sopra del parapetto, i l sacerdote poneva un catino vicino al collo d'esso e l'uomo teneva indietro la
13. Secondo i farisei e i rabbini, una persona che avesse compiuto l'immersione, ma sulla quale il sole non fosse ancora tramontato, era parzialmente pura: non abba stanza, comunque, da enuare nel Conile delle Donne o in quello degli Israeliti (mKelim l , 8). Così, anche secondo le norme rabbiniche la coppia avrebbe dovuto astenersi dai rapponi sessuali dopo il tramonto se intendeva entrare nel tempio il aiomo dopo.
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Parte seconda
testa e recideva la gola. Il sacerdote portava via l'ariete per scuoiar lo, macellarlo e cuocerlo. L'uomo allora prendeva l'agnello dal levi ta e lo ringraziava per il suo aiuto. Un altro sacerdote si avvicinava con un catino, e sgozzavano l ' agnello. Nel frattempo, il !evita della donna aveva trovato un sacerdote per sacrificare i due uccelli. L'uomo e la donna potevano assistere per un po' , almeno fino a che il sacerdote che aveva preso il sacrificio condiviso (l'offerta di grazie) non fosse ritornato, all' incirca dieci minuti più tardi, con i ri sultati del suo lavoro. L'uomo agitava il petto dell' agnello di fronte all' altare e consegnava questo e la coscia destra al sacerdote. Egli poi se ne andava con il resto dell'agnello macellato in mano. Sua moglie, guardando, sapeva quando andare alla porta orientale del muro interno per incontrarlo. Essi riportavano la carne al loro ac campamento e la condividevano con gli amici. La festa poteva co minciare. Il neonato e i bambini piccoli della coppia sarebbero stati lasciati con un amico o parente, ma gli altri figli potevano andare con loro, i maschi con il padre e le femmine con la madre. I bambini, impauriti, dovevano essere silenziosi e obbedienti, benché naturalmente curiosi. Che tipo di attività religiosa era il sacrificio? Anche se non ci sono risposte assolutamente certe, la questione merita riflessione. La maggior parte dei lettori di questo libro, come il suo autore, non han no alcuna conoscenza di prima mano del sacrificio. Per comprender lo, dobbiamo prima riconoscere che il sacrificio era una parte natura le del culto nel mondo antico, naturale quanto cantare inni e recitare preghiere oggi. Le persone non lo consideravano come una maniera strana e barbara di adorare Dio; nemmeno i filosofi, come Socrate e Filone. Dovremmo, tuttavia, cominciare dai fondamenti. La maggior par te di noi è non solo molto lontana dal mondo del sacrificio, ma an che non abituata allo sgozzamento e alla macellazione. Possiamo presumere che un tempio funzionante non avesse sulla popolazione antica l'effetto che avrebbe su molti oggi: nausea di stomaco e forse vomiti e svenimenti. L'isolamento della maggior parte degli indivi dui dallo sgozzamento è molto recente: anch'io conosco sulla base di un'esperienza di prima mano il significato della frase 'come un pollo con la testa mozzata'. Mio padre capiva 'strillare come un maiale scannato', dato che crebbe in una piccola fattoria dove la fa miglia sgozzava un maiale a ogni autunno. La maggior parte dei ma schi nel mondo antico sapeva come uccidere un animale con un col-
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tello, e i più lo avevano fatto. Inoltre, essi erano abituati dall'infanzia a vederlo fare e così non provavano l'inibizione dei modemP4• D'altra parte, Io sgozzamento non era un'esperienza quotidiana. Molte persone mangiavano volatili una volta alla settimana, ma car ne rossa solo poche volte all ' anno. Lo sgozzamento di un quadrupe de era significativo da questo punto di vista soltanto. L'evento era un'occasione speciale: lo si attendeva, i sensi si acuivano, e la rapida inondazione di sangue suscitava una reazione emotiva. Lo sgozza mento profano del maiale di famiglia in autunno, che era diffusa mente praticato dalle famiglie rurali e semi-rurali nel mondo occi dentale prima della seconda guerra mondiale, produceva tutte queste reazioni. La reazione emotiva (continua il racconto autobiografico di mio padre) era di piacere e perfino d' ilarità. I bambini facevano dei giochi, usando la vescica come pallone, e l'unico lavoro fatto era la macellazione dell'animale. Per molte società antiche il sangue era più significativo di quanto sia nelle nostre, e il suo versamento era importante e denso di signi ficato. Questo era vero non solo per il giudaismo. I greci pensavano che l' animale dovesse segnalare col capo il proprio consenso prima di essere sgozzato, e spesso si tagliava prima un ciuffo di peli, dimo doché non era più inviolato, ma era preparato per l'ultima violazio ne. Si possono vedere raffigurazioni greche di animali e della loro preparazione, così come della macellazione dopo l' incisione e lo spurgo del sangue, ma non ci sono raffigurazioni del momento cru ciale in cui il sangue veniva fatto scorrere. Era un momento numino so, sacrosanto, non un soggetto per l'arte1s. Nel giudaismo, al sangue si legava un grande significato. Il san gue apparteneva al Signore. Preferibilmente, il sangue di animali do1 4. Nel mondo pagano, il denaro e la posizione non evitavano agli uomini di do vere sgozzare animali con il coltello: al contrario, alcuni compiti sacerdotali erano un segno di prestigio e successo mondano, e persone quali Alessandro Magno, Ari stotele e Giulio Cesare furono esperti e frequenti sacrificanti (per Alessandro cfr. so pra: per Aristotele cfr. Durand, Greek Animals cit., pp. 99 s.). Ma un ricco ebreo della diaspora come Filone avrebbe avuto motivo di sacrificare soltanto l'agnello pasquale una volta all'anno. Poteva affidarne l'incarico a qualcun altro, e l'avrebbe fano se avesse temuto di non essere in grado di farlo bene: si presumeva che gli ani mali non soffrissero, anzi che morissero facilmente in conseguenza dell'esperta reci sione delle arterie. Questo può spiegare perché Filone ritenesse che i sacerdoti ta gliassero sempre la gola a Gerusalemme: forse, quando egli fu pellegrino, u n sacer dote lo fece per lui. 15. Cfr. Durand, Greek Animals, ci!., pp. 90-92.
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Pane seconda
mestici che erano stati sgozzati come cibo doveva essere spruzzato sull'altare o versato attorno alla sua base. Se uno doveva sgozzare lontano dal tempio, il sangue doveva andare direttamente alla terra. «La vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull'altare in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita. Perciò ho detto agl i israeliti: Nessuno tra voi mangerà il sangue, neppure lo straniero che soggiorna tra voi mangerà sangue. Se uno qualunque degli israeliti o degli stranieri che soggiornano fra di loro prende alla caccia un animale o un uccello che si può mangiare, ne deve spargere il sangue e co prirlo di terra>> (Lv 1 7, 1 1 - 1 3). D Deuteronomio presentava come una concessione speciale, a causa dell' allargamento del loro territorio, il fatto che gli israeliti po tessero sgozzare animali lontano dal tempio, ma ripeteva l' ammoni mento che il sangue doveva essere versato sulla terra (Dt 1 2, 1 5-28). Come ho più di una volta rimarcato, nessuno sosteneva più l'antica teoria antropomorfica che il sacrificio nutrisse Dio (se questo è mai stato letteralmente pensato). Nondimeno, la rarità della macellazio ne, la forte proibizione contro la consumazione umana del sangue, la comune associazione dello sgozzamento di un quadrupede con il culto del tempio, il silenzio e la santità della messa in scena, garanti vano che, quando l'uomo si sporgeva sopra e recideva la gola dell'animale, egli provava qualcosa, e così le persone che osservava no. Se non altro, provavano timore reverenziale. Anche se il sacrificio era una pane normale e usuale del culto, non era un' attività di routine. La maggior parte degli ebrei residenti in Palestina probabilmente sacrificava solo in poche occasioni all' anno. L'atto era circondato da mistero e timore reverenziale, e da questo versante il tempio di Gerusalemme superava i suoi corrispet tivi pagani. l giorni di purificazione in anticipo (sette giorni per l 'im purità da cadaveri}, la maestosità dell'apparato, le azioni fisiche selezionare vittime grasse, senza difetti, vederle ispezionate da esperti, camminare con esse fino a pochi metri dall'altare fiammeg giante, sollevarle, tenere le mani sul loro capo, confessare l'impurità o la colpa, o altrimenti dedicare l' animale, recidere la sua gola, o an che solo tenerlo fermo -, tutte queste cose garantivano la pregnanza di significato e di reverenza religiosa del momento. Azioni, apparato e contatto fisico aiutavano a creare la reazione interiore dei fedeli. Nessuno che credesse che Dio aveva comandato
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l'intero servizio (chi non lo credeva vedeva il sacrificio come lo ve drebbe un antropologo moderno) poteva attraversarlo senza esserne catturato. Coloro che partecipavano al servizio provavano timore reveren ziale; ma le loro reazioni all'atto del sacrificio variavano a seconda della sua categoria? L'uomo si sentiva perdonato quando uccideva la sua vittima come offerta di riparazione, o riconoscente quando i sa cerdoti prendevano la sua vittima come offerta di grazie? La donna si sentiva pura quando vedeva uccisa la sua vittima offerta per il peccato? Possiamo solo ipotizzarlo, e forse dovremmo ricadere nella risposta usuale: alcuni attribuivano il giusto sentimento a ciascun sa crificio, e alcuni no. Io sono incline a pensare che lo facessero. Il fe dele doveva nominare il sacrificio al sacerdote che lo riceveva, o al levita che lo portava al sacerdote, e prima di nominarlo egli, o ella, aveva dovuto prepararsi (rimborso dell'appropriazione indebita, im mersione, selezione della vittima). L'atto del sacrificio era sempre l'ultimo momento nella correzione di un'impurità o di una colpa. È ragionevole presumere che le persone lo sentissero come tale, e an che che provassero gioia e gratitudine quando erano in grado di per mettersi l'offerta di grazie di una vittima e la vedevano sacrificata. 5 . La routine giornaliera del tempio Consideriamo ora una giornata nella vita del tempio. C'erano due momenti principali di sacrificio ogni giorno: all'inizio della mattina ta e nel pomeriggio (Ap. 2, 1 05). Il giorno durava dodici ore; cioè, la giornata di sole disponibile era divisa in dodici parti, il che significa va che un'ora in estate era più lunga di un'ora in inverno. La posi zione del sole era l'indicatore principale del tempo, e in un vasto edificio come il tempio il progredire del sole era facilmente osserva bile col notare su quale parte del muro batteva. Per la routine giornaliera, la nostra fonte migliore, Giuseppe Fla vio, ci abbandona. S i possono sollevare obiezioni su alcuni partico lari presentati dalla Mishnah, ma certamente essa dà un resoconto delle cose principali che si dovevano fare l6. Secondo mTamid, alcuni 16. In più punti ho indicato le perplessità mie e ahrui circa i l fano che le descri zioni del tempio e delle sue procedure presentate dai rabbini della Mishnah siano accurate. In parte non conoscevano le cose. In parte, comunque, non intendevano
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sacerdoti passavano la notte nel tempio. Prima dell'alba si alzavano, si immergevano e assegnavano a sorte alcuni dei compiti della gior nata. Uno era delegato a pulire e riordinare l 'altare. La sera prima, era stato lasciato ardente, a consumare l'ultimo olocausto. Il sacer dote designato si lavava le mani e i piedi nella vasca per le abluzioni e spazzava via le ceneri. Metteva da pane i pezzi rimasti di carne. Altri sacerdoti portavano nuova legna, che prendeva fuoco dai tizzo ni, e ponevano sul fuoco i pezzi non bruciati del giorno precedente. Un secondo fuoco era acceso per l'incenso, per essere offerto sull'altare nella prima stanza del santuario. I sacerdoti poi si ritirava no nella Camera della Pietra Tagliata, dove nuovamente tiravano a sorte per assegnare i compiti. Quando si annunciava la luce del gior no, si portava un agnello; veniva sgozzato, macellato, lavato e salato (come descritto sopra). Nel frattempo, altri sacerdoti, scelti a sorte, entravano nella prima stanza del santuario, pulivano l'altare dalle ce neri e preparavano il candelabro. I sacerdoti ritornavano alla Camera della Pietra Tagliata per recitare lo Shema' e delle preghiere. Veni vano nuovamente tirate le soni: alcuni sacerdoti andavano all' altare interno e bruciavano l'incenso. Tutti insieme poi si radunavano di fronte al Cortile dei Sacerdoti e pronunciavano una benedizione. In fine, le porzioni dell'agnello venivano poste sul fuoco. Si versava una libagione di vino, e sul fuoco si poneva anche della farina. Du rante tutto ciò, i )eviti suonavano i cembali e cantavano un salmo. «Quando facevano una pausa nel canto soffiavano nelle trombe e le persone si prostravano; a ogni interruzione c'era uno squillo di trom ba, e a ogni squillo di tromba una prostrazione>> (il tutto è tratto da mTamid; la citazione è da 6, 3). Durante il servizio di apertura entrava la nuova guardia di sacer doti, e una delle preghiere era per loro (mTamid 5, 1 ). I sacerdoti che avevano dormito presumibilmente se ne andavano dopo le trombe e le prostrazioni. È possibile che ci fosse più andirivieni di sacerdoti di quanto ho descritto: da mTamid sembra che giungesse un nuovo turdescrivere quel che accadeva in realtà. Nei secoli n e seguenti continuarono a discu tere di quel che avrebbe dovuto essere fatto. Riguardo all"offerta quotidiana brucia ta. comunque, non disponiamo di altre fonti. Inoltre, lo schema generale di mTamid deve descrivere quel che accadeva, poiché racconta cose che dovevano essere fatte (pulire l'altare, portare legna ecc.). Si può dubitare dei particolari circa il canto. la preghiera, i l suono delle trombe e alcune sequenze; però, ancora, sappiamo da altre fonti che i sacerdoti offrivano benedizioni, che i )eviti cantavano, e così via. Cfr. an che Rothkoff. cit. sopra (n. l ).
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no dopo l'olocausto del mattino, ma non sappiamo se tutti costoro restassero tutto il giorno, né se tutti dormissero o meno per comin ciare il lavoro del giorno seguente prima dell'a1ba. È probabile che ci fosse un avvicendamento di turni a mezzogiorno17. Dopo l'olocausto d'apertura, il tempio era pronto per chiunque desiderasse portare sacrifici. Come abbiamo notato sopra, non tutti i sacerdoti sacrificavano allo stesso tempo. Secondo mPesal:zim 5, l , i sacrifici individuali cessavano all'ora ottava e mezza (a metà del po meriggio), e si sacrificava l'olocausto pomeridiano. Il servizio si concludeva con le Scritture, le preghiere e J 'incenso18• Ho leggeri so spetti circa l'ora dell'ultimo sacrificio: secondo la Bibbia, l ' ultimo agnello era sacrificato «tra le due sere>> (Es 29, 39; Nm 28, 4), cioè al crepuscolo. Può essere, tuttavia, che nel l secolo le cerimonie con clusive prendessero più tempo che nel periodo biblico, dal momento che si erano aggiunte la preghiera e le scritture. è inoltre un'espressione soggetta a più di un'interpretazione. Lo scorrere del sangue nei canali merita una parola speciale. Il tempio era fornito di una grande riserva d 'acqua. Sir 50, 3 accenna a un «serbatoio ampio come il mare>>; Aristea disse che l'approvvigio namento d' acqua era cosi grande che era come se ci fosse una sor gente abbondante e riserve sotterranee (Arist. 89 s.). Secondo la Mishnah, c'era una stanza nel Cortile dei Sacerdoti che racchiudeva una cisterna che forniva acqua per il cortile del tempio (mMiddot 5, 4), e anche Giuseppe flavio menziona un enorme serbatoio per rac cogliere l'acqua piovana (Bel/. 5, 1 65). Si sa ora che due grandi ac quedotti fornivano acqua a Gerusalemme, dato che le sorgenti loca1i 1 7 . Secondo Bel/. 6. 299, i sacerdoti entravano «nel conile interno del tempio di notte, com'era loro costume nell'adempimento del ministero». Non potevano enlfa re nel complesso templare di notte, poiché le pone erano tenute chiuse. Questo pas· so corrobora la concezione della Mishnah, secondo la quale alcuni donnivano e co minciavano il servizio all'interno appena prima dell'alba. In Ap. 2, 105, tuttavia, Giuseppe Aavio affenna che i sacerdoti entravano «al mattino, quando il tempio ve niva apeno [ ... ), e di nuovo a mezzogiorno». Forse un turno entrava al mattino e prendeva le consegne dopo il primo sacrificio, mentre un nuovo turno entrava in servizio a mezzogiorno e completava i sacrifici del giorno; alcuni rimanevano a dor mire per preparare l'altare prima dell'alba. 1 8. La collocazione dei passi scritturistici e delle preghiere menzionati in mTa mid 5, l non è cena. La Mishnah sembra collocarli al momento in cui i sacerdoti si trovavano nella Camera della Pietra Tagliata, ma si dice che le preghiere si tengono «con il popolo». Questa pane del servizio era di ceno pubblica, come ho ripetuto, al tennine del giorno.
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non erano adeguate. Il condotto inferiore entrava nel tempio sopra l ' arco di Wilson e riempiva una o più cisterne all'interno del tem pio19. Era richiesta una grande quantità d'acqua: i sacerdoti doveva no lavarsi mani e piedi, e talvolta immergersi, e le interiora degli animali sacrificali venivano lavate. Ancora più acqua era richiesta per far defluire il sangue giù dai canali di scolo. Alle festività, spe cialmente a Pasqua, quando migliaia di agnelli venivano sgozzati, c'era una gran quantità di sangue. Era lavato giù dentro al torrente Cedron, che scorreva attraverso la profonda valle a est della monta gna del tempio. Secondo la Mishnah, l'acqua del ruscello diventava cosi densa che veniva venduta ai contadini come fertilizzante, ma dal momento che era sacra, il tempio ne riceveva i profitti (m Yoma 5, 6; mMiddot 3, 2; mMe 'ilah 3, 3).
19. A. Mazar, The Aqueducts of Jerusalem, in Yadin (cur.), Jerusalem Revea/ed, 79-84; J. Palrich (A Sadducean Ha/akha and the Jerusa/em Aqueduct, in Levi ne [cur.], The Jerusa/em Cathedra, 2, pp. 25-39) osserva che l'acquedono inferiore passava anraverso un'area sepolcrale, il che era permesso dai sadducei ma proibito dai farisei (m Yadayim 4, 7). Egli trova ragionevole pensare che lo costruisse Erode, ma ritiene anche che i farisei imponessero la legge a Erode. Perciò propende per l'opinione secondo cui fu costruito sotto Giovanni !reano o Alessandro !an neo. Pen so che l'opinione più diffusa, condivisa da Palrich, secondo cui un organo legislati vo rappresentativo, il Sanhedrin, governava la Palestina ebraica ed era di regola sot to il controllo dei farisei, sia erronea. A ogni modo, l'acquedono non si può datare con precisione: se non fu costruito all'apogeo degli Asmonei, lo avrà certamente co struito Erode. Anche Pilato costruì un acquedollo, usando per questo del denaro del tempio (Bel/. 2, 1 75-117). pp.
CAPITOLO OTTAVO
LA GENTE COMUNE VITA QUOTIDIANA E FESTIVITÀ ANNUALI
1 . La vita comune Abbiamo visto come singoli individui potessero partecipare al cul to nel tempio, e ora prenderemo in considerazione le occasioni in cui grandi folle si radunavano per le festività. Prima, tuttavia, conside riamo più in generale chi fosse la gente comune e che cosa facesse. Le occupazioni degli ebrei palestinesi erano le stesse, di norma, di quelle di altri paesi del Mediterraneo. Nel discutere le norme per il sabato, la Mishnah offre un grande aiuto enumerando le trentanove principali classi di lavoro. Le prime sette hanno a che fare con il la voro agricolo all'aria aperta (fino alla pulitura del raccolto); le suc cessive quattro con la preparazione del cibo all' interno (dalla maci natura alla cottura); le successive tredici con la produzione tessile; le successive sette con la caccia e la macellazione; due con la scrittura; tre con l'edilizia; due con i fuochi; una è generale: il trasporto (mShabbat 7, 2). Le circostanze sociali ed economiche note ai rabbi ni mishnici non possono essere state molto differenti da quelle che prevalevano prima della distruzione del tempio, e possiamo ritenere che ci abbiano dato un' accurata descrizione di che cosa fosse il >; il cipresso e altre piante rare e di qualità; e il balsa mo, descritto come «il più prezioso di tutti i prodotti locali>> (Beli. 4, 459-475). L'affermazione di Giuseppe Flavio riguardo al balsamo è modesta, se paragonata a quella di Plinio, il quale disse che la pianta 2. Per la teoria secondo la quale c'erano pochi ovini e caprini in Palestina. a cau del decreto rabbinico, cfr. n. 33. Per le testimonianze che attestano il contrario, in aggiunta alle dichiarazioni di Aristea, Filone e Giuseppe Aavio, si notino anche le necessità del tem pio Una buona discussione del problema si trova in Applebaum. Economie Life, p. 655.
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era molto rara e il suo succo estremamente prezioso: dai tempi di Pompeo, gli alberi «figuravano tra i prigionieri nelle nostre proces sioni trionfali>>. Si pensa che l'albero di balsamo abbia fornito il fa moso balsamo di Gileadl. Possiamo avere i l sospetto che Aristea, Filone e Giuseppe Aavio abbiano esagerato la prosperità del paese; certamente essi omisero di descrivere la disoccupazione, la mancanza di terra, le tasse alte, la povertà e l'accattonaggio. Un' indagine dettagliata sulle condizioni economiche oltrepassa le finalità di questo libro, anche se ne prende remo in considerazione alcuni punti nel prossimo capitolo, i n con nessione con i costi per il mantenimento del tempio e della casta sa cerdotale. Qui fornirò solo una generalizzazione. Non sappiamo molto sulla povertà nel mondo antico: quante persone in ogni luogo e tempo non avessero terra né occupazione. Non c'è alcuna ragione di pensare che le condizioni in Palestina fossero in media peggiori o migliori che in Siria o in Asia Minore. Pochi autori videro la neces sità di discutere dei poveri : la loro presenza poteva essere accettata («i poveri li avete sempre con voi>>, Mc 1 4, 7). Il fatto che ci fossero mendicanti in Palestina non togli e prove alle dichiarazioni che il paese era prospero: anche oggi, in alcuni paesi sviluppati, prosperità e povertà convivono fianco a fianco. Questi resoconti entusiastici possono anche essere messi in di scussione da un altro punto di vista. Il viaggiatore moderno in Giu dea, specialmente nella zona attorno a Gerusalemme, è colpito dalla sottigliezza del suolo - la porzione piuttosto sottile di suolo sulla roccia - e dalla ripidezza delle colline, tutti elementi che rendono difficoltosa e relativamente non remunerativa la coltivazione. La pa rola chiave, naturalmente, è «relativamente» . Gran parte della terra nei paesi intorno al Mediterraneo è rocciosa, collinosa e difficile, al meno secondo i modelli del Nordeuropa e del Nordamerica4• Le per sone che visitarono Gerusalemme avevano certamente visto una 3. Plinio, Storia naturale. xn. 54 (§ 1 1 1 - 1 23). Per la pianta di balsamo come fon del famoso unguento cfr. J. Bostock - H.T. Riley. The Natura/ History of Pliny, m, London 1 885. p. 1 47. Per i problemi connessi con l'intervento di Plinio cfr. ivi, p. 149 n. 76; R.K. Harrison, voce Ba/m in JDB, l, p. 344. Su Gerico come proprietà della Corona cfr. oltre, p. 226. 4. Secondo G.A. Smilh, i turisti e i pellegrini dalle terre musulmane vengono in scnere favorevolmente impressionati dalla Giudea, a di fferenza degli europei. Cfr. Smith, Jerusalem, l, p. 297. Smith ha messo in rilievo il fallo che la Giudea non ha mai prodotto grandi alberi da legname; il suolo era sfruttato per la coltivazione di olive, uva c fichi (pp. 298-305). te
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campagna che fruttava peggio e meno. Dobbiamo anche fare i conti con un deterioramento del terreno nelle colline di Giudea: durante l 'assedio di Gerusalemme i romani spogliarono di vegetazione il ter reno attorno a Gerusalemme. Allo scopo di costruire terrapieni, af finché le loro catapulte e i loro arieti potessero essere portati ali' al tezza dei muri della città, essi rasero al suolo delle case e colmarono alcune delle valli, usando legno per sorreggere l'argine. Più legno ci volle per la palizzata di circonvallamento, costruita in parte per im pedire una sortita militare degli ebrei, ma anche per tenere quante più persone possibile entro la città e così far esaurire la riserva di vi veri5. Furono abbattuti alberi per miglia all' intorno: Giuseppe Flavio calcola novanta stadi o diciotto chilometri. (Beli. 6, 5-8; cfr. Beli. 5, 1 07. 1 30.264). Invasioni successive nel corso dei secoli, anche se le battaglie non furono così prolungate e massicce come l'assedio romano di Gerusalemme, ebbero anch'esse come ri sultato la deforestazione e conseguentemente l'erosione: il suolo probabilmente è oggi più sottile di quanto fosse allora. In ogni caso, sia la Giudea sia la Galilea prima della guerra apparivano ai viaggia tori come fertili e ricche. La maggior parte delle persone vivevano della terra e la lavoravano, e così la maggioranza della era composta da piccoli agricoltori o braccianti. Sul mare di Ga lilea e sulla costa del Mediterraneo c'erano ovviamente dei pescato ri, ma la maggior parte degli ebrei al di fuori delle grandi città era impiegata neli' agricoltura. L'abbigliamento segue immediatamente il cibo per importanza nella vita quotidiana, e molti palestinesi erano impiegati nella produ zione di materie tessili. La lana era abbondante in Palestina; abbia mo poco sopra notato che gli autori antichi sottolineavano la dimen sione di greggi e mandrie, e possiamo essere ragionevolmente sicuri che le greggi erano molto più grandi e più numerose che le mandrie. La Palestina dispone relativamente di poco pascolo per il bestiame, ma di molto per pecore e capre (cfr. le nn. 2 e 33). Il tempio e le fe stività richiedevano entrambi gli animali, specialmente gli agnelli. Vedremo in seguito che ogni primavera ci doveva essere un surplus di circa 30.000 agnelli maschi per fornire carne per il pranzo di Pa5.
C'è un resoconto chiaro, con eccellenti carte topo grafiche e illustrazioni, in
Connolly, Greece and Rome al War, Appendix cfr. pp. 292-4; su Gerusalemme, cfr. pp. 298-300.
2; sull'opera di circonvallazione.
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squa. Questo implica greggi davvero consistenti, e conseguentemen te molla lana. Dobbiamo presumere che gli uomini tosassero la pecora e cardas sero la lana, e parimenti che arassero e mietessero, ma molto del lavoro di nutrire e vestire la famiglia era fatto dalle donne. Secondo la Mishnah, >22. Se mettiamo insieme lo stile generale dell'epoca con le situazioni reali di vita in un villaggio, dovremo probabilmente concl udere che la maggioranza degli uomini si facevano regolare la barba corta solo occasionalmente, forse una volta alla settimana. Dobbiamo respingere l'idea che gli ebrei palestinesi indossassero abiti da beduino e portassero barbe alla Matusalemme. Gli stili gre co-romani erano dilaganti sia nell'abbigliamento che nelle acconcia ture: penetrarono perfino al di là dei confini dell'impero, e - come abbiamo notato sopra - cambiarono lentamente. L' Egitto del l secoPalmira e Karanis in Egitto (p. 223 ). Le bande con intagli dentellati scompaiono nel secolo d.C. (p. 230). 20. Yadin indica cinque illustrazioni da sarcofaghi greco-egiziani che hanno la stessa decorazione che egli scopri nel deseno di Giuda (elencati sopra, n. 18). Su due di questi è rimasto il nome: Sambathion e Herakleon. Yadin ne deduce, alquan to indirettamente, che questi siano nomi ebraici. A p. 23 1 rivela di credere che gli anisti cristiani che mutuarono le bande dentellate e i gamma usassero «fonti ebrai che più antiche, illustrate>>, il che dimostra che egli interpretò questi modelli, alme no in un ceno periodo, come caratteristicamente ebraici. l due nomi, tuttavia, la•cia· no apena la questione. Tcherikover (che Yadin cita, p. 229 nn. 55 e 56) affermava che Sambathion era derivato da 'sabato', ma che giunse a essere usato da egiziani non ebrei che rispettavano il sabato. Herakleon è pagano (deriva da Herakles), ma anch'esso giunse a essere usato da ebrei. Cfr. V. Tcherikover A. Fuks, Corpus Papyrorum Judaicarum, l, pp. 29 e 94-96. 2 1 . Carcopino, Daily Life in Ancient RortU!, tr. ingl., pp. 176- 1 80. 22. lvi, p. 1 80. IV
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lo, la Palestina del n e la Mesopotamia del m (Dura-Europos) mo strano gli stessi stili d' abbigliamento. L'acconciatura maschile cam biò pochissimo. La foggia dei capelli femminili e delle barbe ma schili variò da periodo a periodo, ma non di molto. l capelli delle ric che matrone romane vennero raccolti sempre più in alto durante il corso deli' impero, e la foggia della barba maschile fu soggetta a lie vi modifiche (Adriano, per esempio, aveva una barba corta), ma so prattutto le fogge furono tanto persistenti quanto diffuse2l. Ritorniamo ora a Gerusalemme, che era una città prosperosa e af faccendata. La gamma di occupazioni andava grandemente al di là del provvedere alle necessità di vita. Secondo Aristea, Gerusalemme era «la casa di molte arti>>, dove non c'era «nessuna mancanza di beni importati da oltremare>> (Arist. 1 14). A fianco dei normali me stieri e commerci, c'erano quelli peculiari ai bisogni del tempio, che direttamente o indirettamente generava la maggior parte dei traffici cittadini. Per esempio, dato che la pietra non è soggetta a impurità, sorse un'industria speciale per la produzione di vasi di pietra, molù dei quali sono stati trovati nelle case della Città Alta. Essi venivano prodotti col farli ruotare su enormi tomi. Grandi quantità di incenso erano usate nel servizio del tempio, il che dava lavoro a quelli che lo importavano, lo macinavano e lo miscelavano. C'era un attivo mer cato del lino, usato per le vesti dei sacerdoti. Poi, naturalmente, c'era il 'commercio turistico' , dato che migliaia di ebrei venivano annual mente per le festività maggiori. Essi esigevano colombi, piccioni, agnelli e capre in grande quantità, e senza dubbio trovavano molte cose da comprare nelle botteghe. I sacrifici producevano anche pelli, gran parte delle quali finivano al sacerdote, anche se chi offriva un agnello pasquale o un sacrificio condiviso si teneva la pelle. La concia e la lavorazione delle pelli erano tecniche ben sviluppate, ma, a causa degli odori, i conciatori non potevano trovarsi nella stessa Gerusalemme (cfr. At 9, 43). La dimensione della città, almeno dell'area all' interno delle mura, può essere stimata: quando Gerusalemme cadde, c'erano tre muri, costruiti in differenti periodi e racchiudenti parti di verse della città 23. Qualunque libro illustrato sul mondo greco-romano riporterà queste osserva zioni. C" è una collezione compendiosa di fogge delle acconciature in C. Thompson, 1/airstyles. Head·Coverings. and St. Pau/ Portraits fron Romarr Corimh, in BA 5 1 (giugno 1 988), pp. 99- 1 1 5. Crr. anche le rese da parte d i artisti dei personaggi del Nuovo Testamento, basate su dipinti superstiti di ebrei e di altri abitanti del Vicino Oriente del I secolo, in Sanders - Woodrow, Peop/efrom the Bible, pp. 1 1 7- 1 74.
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(Beli. 5, 142- 1 45; cfr. la pianta n . 3). I muri l e 2 racchiudevano le aree principali - la Città Bassa, fisicamente al di sotto e a sud e sud ovest del tempio; la Città Alta, sulla collina a ovest del tempio; la Valle del Tiropeon, a ovest e a nord del tempio; e il tempio stesso. Il muro 3 racchiudeva l'ampia zona suburbana a nord. Questo terzo muro fu cominciato sotto Agrippa I (4 1 -44 d.C.) e finito in fretta e furia durante la rivolta. Per questo durante la maggior parte del I se colo non ci fu. Lo Pseudo-Ecateo (Il sec. a.C.) stimava la circonferenza della cit tà in 50 stadi (circa l O chilometri) (Ap. 1 , 1 97). Egli può aver incluso non solo i suburbi ma anche la zona agricola che portava fino a essi. In ogni caso la città non era così ampia: Aristea diceva che «con la stima più larga possibile» la città aveva una circonferenza di 40 stadi (8 chi lometri) (Arist. 1 05), ma anche questa misura è eccessiva. Giu seppe Flavio (Beli. 5, 1 59) fissò la circonferenza a 33 stadi (6 chilo metri) e >; il padre risponde: «Mio padre era un arameo errante . . . >> fino a finire l'intera pericope (la confessione di Dt 26, 5- 1 1 ). Secon do Rabban Gamaliel, a Pasqua una persona doveva recitare o ricor dare i versi biblici che avevano a che fare con la notte pasquale, il pane azzimo e le erbe amare: probabilmente tutto Es 12 (mPesai;Um 1 0, 4 s.). Dal momento che la festività incarnava il tema della liberazione nazionale, non ci sorprende che fosse talvolta un'occasione nella quale l'inquietudine per il corrente stato di Israele portava alla som mossa. Nel 4 d.C., quando Archelao era etnarca e governatore della Giudea, alcuni uomini, stando nel cortile del tempio, colsero l'occa sione di protestare contro l'esecuzione dei due maestri che avevano istigato i loro studenti a tirare giù l ' aquila che stava sull' ingresso del tempio (sopra, p. 53). Archelao mandò dentro una coorte, da 500 a 1000 uomini, per arrestare gli agitatori. La folla li colpì con pietre, uccidendone alcuni. Vennero inviate più truppe, e circa tremila fede li furono uccisi, il resto disperso, e i sacrifici cancellati (Beli. 2, 1 01 3). Pochi decenni più tardi, quando era procuratore Cumano (48-52
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d.C.), c i fu un'altra insurrezione. Una coorte di romani era d i guar dia, sorvegliando la folla dal tetto del portico del tempio. Uno dei soldati di ebrei diedero inizio a un attacco alle truppe di Sabino, che si risolse in una considerevole perdita di vite umane da entrambe le parti (Ant. 1 7, 22 1 -268, cit. da 1 7, 254; Bel/. 2, 42-44). Anche in questa festività, la più piccola tra quelle di pellegrinaggio, c'era am pia partecipazione, e conseguentemente la possibilità di tumulti e violenze. La Festa delle Capanne (in ebraico, Sukkot) o dei Tabernacoli è una festa autunnale che comincia cinque giorni dopo il Giorno dell'Espiazione. (Per la serie delle date, si veda la tabella sopra.) Per sette giorni (Lv 23, 42). Si aggiungeva (quando il lavoro era proibi to) un giorno di festa (Lv 23, 33-36), di fatto estendendo il periodo festivo a otto giorni. Le capanne erano fatte di «rami di olivo, olivastro, mirto, palma e altri alberi frondosi>> (Ne 8, 15). Le persone che vivevano a Gerusa lemme probabilmente costruivano le capanne sui tetti delle loro case, mentre i pellegrini le costruivano fuori dalle mura. Secondo Giuseppe Flavio, la festività era «osservata con zelo speciale>> (Ant. 1 5 , 50), ed è probabile che la maggioranza delle famiglie costruisse capanne. Si può immaginare che i bambini fossero particolarmente contenti di raccogliere rami e legarli assieme per fare una capanna. Questa era anche una festa agricola, che segnava la conclusione della stagione del raccolto. Era un avvenimento speltacolare e lieto, con qualche tratto di spirito carnevalesco. I fedeli portavano i lulav, fatti di rami di palma, salice e mirto, cui era attaccato un cedro (Lv 23, 40; Ant. 3, 245). I sacerdoti marciavano attorno all'altare portan do rami di salice. Si suonava il flauto e si danzava durante la notte. La Mishnah dà il sapore della celebrazione: «Uomini pii e caritatevoli erano soliti danzare davanti a loro con torce ac cese nelle mani, cantando canzoni e lodi. E innumerevoli !eviti [suonava no) arpe, lire, cembali e trombe e strumenti musicali, lungo i quindici gra dini che portano dal Cortile degli Israeliti al Cortile delle Donne, corri spondenti ai quindici Canti delle Ascensioni nei Salmi [Sal 1 20- 1 34]; sopra di essi, i )eviti erano soliti fermarsi con gli strumenti musicali e suonare la melodia>> (mSukkah 5, 4).
Secondo la Mishnah, l'Hallel veniva eseguito in ognuno degli otto giorni (mSukk.tJh 4, 8), e durante il canto i fedeli scuotevano i loro lu-
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lav (3, 9). Sappiamo da un episodio riguardante Alessandro Ianneo (cit. oltre) che di fatto portavano i loro lulav dentro al tempio, e que sta può essere una delle occasioni nelle quali tutti si radunavano nell'area del tempio. Anche nel Cortile dei Gentili, essi potevano aver udito le canzoni e partecipato allo scuoti mento dei loro lulav. Come alle altre festività, tutti i sacerdoti erano impiegati (cfr. mSukkah 5, 7), e venivano offerti sacrifici a profusione. l sacrifici della comunità meritano una speciale menzione: il primo giorno, tre dici buoi o tori4B, quattordici agnelli, due montoni e un capretto (come offerta espiatoria). In ognuno dei giorni successivi, il numero dei buoi era ridotto a uno, mentre gli altri olocausti rimanevano gli stessi (Nm 29, 1 2-34; Ant. 3, 246). Il bestiame grosso era estrema mente costoso, tuttavia durante la festività settanta esemplari veniva no sgozzati e consumati sul rogo. Secondo Ne 8, 1 7 s., Esdra aveva dato lettura della legge in ogni giorno della festività. Il Deuteronomio esige che la legge sia letta ogni sette anni alla Festa delle Capanne (Dt 3 1 , l O s.), ed è probabi le che lo studio della scrittura rimanesse una parte importante della festa. Il Levitico riesce a connettere anche questa festività con l'esodo, l'evento paradigmatico che mostra la benevolenza di Dio per Israele: Dimorerete in capanne per sette giorni; tutti i cittadini d'Israele dimoreran no in capanne, perché i vostri d iscendenti sappiano che io ho fatto dimora re i n capanne gl' Israeliti, quando li ho condotti fuori dal paese d'Egitto. (Lv 23, 42 s.)
La Festa delle Capanne era seconda alla Pasqua in termini di nu mero di pellegrini. All' inizio della rivolta ebraica, quando Cestio, il legato di Siria, raggiunse Lidda, «trovò la città deserta, perché l ' inte ra popolazione era salita a Gerusalemme per la Festa dei Tabernaco li» (Bel/. 2, 5 1 5). Essa presentava il vantaggio di venire dopo il rac colto, un periodo nel quale le persone erano sia desiderose sia i n gra do di prendersi una vacanza di pochi giorni, e la gioiosa celebrazio ne la rendeva una cerimonia attraente. Una grande folla, tuttavia, ha anche la potenzialità di creare confusione. Una delle sommosse più famose della storia ebraica ebbe luogo durante questa festività. Ales sandro Ianneo ( 1 03-76 a.C.) stava prestando servizio all'altare quan48.
•Giovenchi» (N m 29,
1 3) possono essen: sia buoi
sia tori.
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do la folla cominciò a colpirlo con cedri. Essi inoltre lo insultarono, dicendo che discendeva da una famiglia di prigionieri (e pertanto po teva essere un bastardo, non eleggibile al servizio sacerdotale). Egli chiamò dentro le truppe, e quasi seimila uomini furono uccisi (Ant. 1 3 , 372 s.)"9• Fu sempre alla Festa delle Capanne che Gesù figlio di Anania fo mentò per la prima volta un tumulto pubblico: «Stando nel tempio [egli] improvvisamente cominciò a gridare: 'Una voce da est, una voce da ovest, una voce dai quattro venti; una voce contro Ge rusalemme e il santuario, una voce contro la sposa e lo sposo, una voce contro tutto il popolo' » (Beli. 6, 30 1 ).
Egli fu punito dai magistrati (archontes) e poi flagellato davanti al procuratore, ma si limitò a ripetere il suo grido. Alla fine fu rilascia to. Continuò il suo lamento per sette anni e cinque mesi, gridando più fone nelle festività. Alla fine fu ucciso da un proiettile romano (Beli. 6, 300-309). 49. La letteratura rabbinica contiene riferimenti a un'occasione nella quale un sa cerdote ordinario, non un sommo sacerdote. venne colpito con cedri perché non svolse correttamente un rito. (Il rito è alquanto oscuro, ma solitamente va solto il nome di 'libagione di acqua'.) La Mishnah (mSukkah 4, 9; m Yomo 2, 5) indica con chiarezza che il sacerdote in questione era un sacerdote ordinario, ma non è altri menti identificato. Secondo la Tosefta era un 'seguace di Boeto' (tSukkah 3, 16), se condo il Talmud babilonese era un sadduceo (bSukkah 4 8b verso la fine). Vale a dire, nelle fonti rabbiniche più tarde c'era un tentativo di fare di lui un sacerdote ari stocratico. Gli studiosi in genere fondono t uni questi passi, anche se saltano il punto secondo cui il sacerdote che svolse la libagione di acqua era un sacerdote ordinario. Effeuivamente, secondo quanto ci viene deuo, era il sommo sacerdote sadduceo lanneo, e il motivo per cui il popolo, guidato dai farisei, lo attaccò, era che egli ave va infranto una delle loro regole di minore imponanza. Questo è vero perfino per Le Moyne, il quale tuttavia fece auentamente il quadro delle testimonianze (us Saddu dens, pp. 283-289) ed era consapevole della sequenza cronologica: Giuseppe Fla vio, Mishnah, Tosefta, Talmud babilonese. Non dubito che i rabbini che parlarono dell'attacco con i cedri ricordassero, più o meno, l'occasione in cui la folla attaccò lanneo. Questo non significa, tuttavia. che si possa trarre un'informazione indipen dente sull'attacco a lanneo dal Talmud babilonese (ca. VI sec.), dove esso diverge dalle sue fonti (la Mishnah e la Tosefta), e concludere che un evento appena antece dente una guerra civile di grave entità ebbe come fondamento un panicolare sul modo di versare acqua. La letteratura rabbinica cerca di ricondurre la storia a una questione di panicolari giuridici: l'episodio di Giuseppe Flavio, per contrasto, indi ca che le persone si erano seriamente opposte a lannco; non solo lo colpirono, ma misero in dubbio la sua stirpe. Ne doveva seguire uno spargimento di sangue molto Jrave. ,
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Il Giorno dell'Espiazione. A fare da contrappunto alle tre grandi feste c' era il digiuno del Giorno dell'Espiazione (in ebraico Yom Kippur), l 'unico digiuno prescritto dalla legge biblica. Cade in au tunno, nel decimo giorno di Tishri, cinque giorni prima delle Capan ne, perciò nel primo mese dell'anno nel sistema che è prevalso, mese che nella Bibbia è spesso detto il settimo5o. Il digiuno comin ciava al tramonto del 9 del mese e continuava fino al tramonto del giorno seguente. Era, ed è tuttora, un giorno di «assoluto riposo>>, nel quale i partecipanti dovevano «mortificarsi>> (Lv 23, 32). La 'morti ficazione' significa più del digiuno; la Mishnah inoltre specifica l'astensione dal «lavarsi, ungersi, indossare sandali, e avere rapporti coniugali>> (m Yoma 8, l )S 1• Dio aveva ammonito che avrebbe distrut to coloro che non si fossero mortificati o che avessero lavorato (Lv 23, 29-30). Il Giorno era inteso come dedicato all'esame e alla con fessione dei peccati. Il giorno di digiuno, come le tre grandi feste, era un momento di «santa convocazione>> (Lv 23, 27). È rimarchevole che Giuseppe Flavio non ne dica praticamente niente, menzionandolo solo come il giorno nel quale Pompeo prima e poi Erode presero Gerusalemme (anche se probabilmente il suo rilievo non è preciso: si veda Anr. 1 4, 66; 1 4 , 487 e le note di Marcus nell'edizione della Loeb Classica) Library). Non veniamo a sapere, per esempio, che le folle si raduna vano e che ciò era l'occasione per lo scoppio delle rivolte. Non era un momento di pellegrinaggio, e la 'santa convocazione' per il Gior no dell' Espiazione era probabilmente solo una convocazione di co loro che vi vevano a Gerusalemme o nei dintorni. Era, tuttavia, un giorno pubblico di devozione. Mosè aveva detto: (Lv 1 6, 30). La nazione digiunava insieme; quello che avveniva nel tempio valeva per tutti. I riti di espiazione erano elaborati e onnicomprensivi. I vari sacri fici del Giorno purificavano l'altare, gli oggetti sacri nel tempio, e il santuario, così come espiavano i peccati di tutto Israele. Secondo il sommario di mShevu'ot 1 , 6 s., anche peccati punibili con )"estirpa zione' venivano espiati. Officiava il sommo sacerdote in persona: dopo aver sacrificato gli olocausti regolari del giorno, egli faceva il
50. Per l'oscillazione delle date cfr. le Capanne nella tabella sop111, p. 1 82; sulla questione, quale mese sia il primo e quale il seuimo, cfr. sopra, n. 34. 5 1 . Alcuni digiuni volontari comportavano anche l'astensione dal cibo, ma la 'mortificazione' implica più che questo; cfr. JLJM. pp. 8 1 -83.
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bagno e indossava paramenti di lino (Lv 1 6, 4). I sacrifici distintivi del giorno - a fianco dei quali ce ne erano molti altri - erano quelli di un toro e di due capre. Stando tra le capre, egli tirava a sorte quale designare di queste 'per il Signore' e quale 'per Azazel'. Il suo pri mo sacrificio era quello del toro, l'offerta per il peccato normale del sommo sacerdote (Lv 1 6, I l ; 4, 3). La Mishnah gli attribuisce questa confessione: «0 Dio, ho commesso iniquità, ho trasgredito, e ho peccato davanti a te, io e la mia casa. O Dio, perdona le iniquità e le trasgressioni e i peccati che ho commesso ... >> (m Yoma 3, 8). Il som mo sacerdote sgozzava il toro; poi prendeva un turibolo con carbone e incenso, entrava nel Santo dei Santi e poneva l 'incenso sul fuoco. (C'era una disputa tra farisei e sadducei sul momento in cui l'incen so doveva venire posto sul fuoco; cfr. oltre, pp. 534 s.). Questo pro duceva fumo, che in origine si riteneva gli impedisse di vedere «la copertura d'espiazione [kapporet] che è sull'arca e così non muoia» (Lv 1 6, 1 1 - 1 4). L'Arca dell'Alleanza e la copertura d'espiazione so pra di essa erano scomparse da molto tempo, e dentro al Santo dei Santi non c'era «nulla di nulla>> (Beli. 5, 2 1 9), eccetto il basamento di pietra sul quale essi erano stati un tempo (m Yoma 5, 3). Il turibolo con l 'incenso fumante era posto in basso su questa pietra. Il sommo sacerdote tornava poi indietro attraverso il velo che copriva l'entrata del S anto dei Santi e ritornava con un po' del sangue del toro, che aspergeva con il dito. Poi andava all'esterno e sacrificava il capro che era 'per il Signore' come offerta per il peccato, rientrava nel Santo dei Santi, e aspergeva parte del sangue. Ritornava all' altare nel Cortile dei Sacerdoti e poneva parte del sangue di ciascun ani male sui 'comi' dell'altare, poi spruzzava maggiore quantità di san gue sull'altare. Questo santificava l'altare stesso. Gli veniva poi por tato il capro 'per Azazel ' : egli imponeva le mani su di esso e confes sava 'tutte le iniquità del popolo d'Israele' . Una persona designata recava nel deserto questo capro, il capro espiatorio, che portava i peccati di Israele (Lv 1 6, 1 5-22). Secondo la Mishnah, le persone gridavano «Porta [i nostri peccati] e vattene!>> quando il capro era condotto fuori (m Yoma 6, 4). Il sommo sacerdote allora si lavava di nuovo e si metteva i suoi abiti, probabilmente la magnifica veste che contraddistingueva la sua carica52• Egli bruciava il grasso delle due offerte per il peccato sull'altare, e le carcasse rimanenti venivano portate fuori dal tempio 52. Sul cambio di abiti. una questione complicata, cfr. l'Appendice sui paramenti sacerdotali. pp. 1 26-140.
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e bruciate interamente, incluse «la pelle, la carne e gli escrementi» (Lv 1 6, 23-28). Il Levitico non descrive il resto della cerimonia, ma la Mishnah presenta un racconto più ricco, e noi seguiremo questo. Il sommo sa cerdote leggeva Lv 1 6 (il passo appena riassunto) e Lv 23, 26-32 (il passo che prescrive il digiuno). Egli poi recitava a memoria Nm 29, 7 - 1 1 (che riassume i sacrifici del Giorno dell'Espiazione). Indi se guivano preghiere: (m Yoma 1, 1 ). Alcune di queste (per il servizio nel tempio, per il ringraziamento e per il perdono) corrispondono, almeno rispetto ai loro temi principali, ad alcune delle preghiere delle Diciotto Benedizioni, che saranno prese in considerazione più avanti. È fuori dubbio, tuttavia, che il sommo sacerdote pregasse a un dato momento della cerimonia. Secondo Ben Sira, il sommo sacerdote Simone pronunciava una benedizione usando il nome proprio di Dio, «gloriandosi del nome di lui>> (Sir 50, 20): vale a dire, egli pronunciava il nome altrimenti impronunciabile che consiste di quattro consonanti, Yhwh, chiamato da Filone e da altri il tetragrammaton (Mos. 2, 1 1 5) , che gli studiosi moderni rico struiscono come Yahweh. Nell'opinione di alcuni rabbini, dopo i passi scritturali e le bene dizioni venivano ulteriori bagni, sacrifici e un cambio di abiti (mYo ma 1, 3). Se è così, quando questi ultimi sacrifici erano finiti, il som mo sacerdote si lavava di nuovo e si cambiava gli abiti, rimettendosi i pararnenti di lino bianco per poter rientrare nel Santo dei Santi e re cuperare il turibolo. Di nuovo ancora si lavava, si metteva 'le vesti dorate' (le insegne complete di regalità del sommo sacerdote) e bru ciava l' incenso serale. Dopo un' abluzione finale indossava i suoi ve stiti, adatti a portarsi fuori dal tempio, andava a casa, e «faceva una festa per i suoi amici perché era uscito salvo dal Santuario>> (mYo ma 1, 4). Ben Sira offre ulteriori informazioni riguardo alla conclusione della cerimonia, che meritano di essere citate per intero: « ... egli compiva il rito l iturgico sugli altari, preparando l'offerta all ' Altissimo onnipotente. Egli stendeva la sua mano sulla coppa e versava succo di uva,
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lo spargeva alle basi dell'altare come profumo soave all'Altissimo, re di tutte le cose. Allora i figli di Aronne alzavano la voce, suonavano le trombe di metallo lavorato e facevano udire un suono potente come richiamo davanti all' Altissimo. E subito tutto il popolo insieme si prostrava con la faccia a terra, per adorare il Signore, Dio onnipotente e altissimo. I cantori intonavano canti di lodi, il loro canto era addolcito da una musica melodiosa. Il popolo supplicava il Signore altissimo in preghiera davanti al Misericordioso, finché fosse compiuto il servizio del Signore e terminasse la funzione liturg ica . 53 Allora, scendendo, egli alzava le mani su tutta l' assemblea dei figli di Israele per dare con le sue labbra la benedizione del Signore, gloriandosi del nome di lui. Tutti s i prostravano di nuovo per ricevere la benedizione dell' Altissimo» (Sir 50, 1 4-21 )
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Conclusione Le masse, abbiamo visto, partecipavano alla religione nazionale. Questa generalizzazione interessa sia la Palestina che la diaspora: Babilonia, Egitto, Siria, Asia Minore, Italia e altre zone del mondo. Vedremo brevemente come l'adesione degli ebrei alla loro fede avi ta suscitasse le critiche di altri e venisse sfruttata in vari modi. Alcu ni studiosi suppongono che la gente comune fosse «in generale tiepi da riguardo alla religione»54, ma poche generalizzazioni potrebbero essere meno vere. Abbiamo visto in tutti i sensi come fossero intrec ciati la religione e il patrio tti smo: il Dio di Israele era il Dio del mondo, ma aveva scelto la nazione di Israele. Tutti coloro che aspi ravano al potere parlavano in suo nome. La fedeltà alla comunità era inseparabile dalla fedeltà alla divinità che le dava vita: l'identità di 53. Così la C.E.I., che traduce il testo greco della LXX; il testo ebraico trovato alla fine del XIX secolo nella genizah del Cairo, dal quale dipende la traduzione uti lizzata da Sanders, ha «Simone», nome del sommo sacerdote Jn.d.c.). 54. Rhoads, /srael in Revolution, p. 33.
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gruppo procedeva di pari passo con la devozione a Dio. Niente su scitava la passione ebraica come una minaccia a un' istituzione divi na. Ci si lamentava delle tasse, ma non erano niente a paragone di una minaccia alla santità del tempio, o persino dell'offesa, di minor peso, di portare insegne romane dentro a Gerusalemme. Una rilettu ra del nostro elenco di tumulti e insurrezioni ne fornirà ampia illu strazione. Il tempio era il simbolo visibile e operante della presenza di Dio tra il suo popolo, ed era anche il punto fondamentale di raccolta del la fedeltà ebraica. Vi giungevano la tassa del tempio e altre offerte da parte di ebrei di tutto il mondo, così come vi giungevano migliaia di pellegrini. La minaccia di Caligola di porvi dentro la sua statua non solo guidò una massa di ebrei a presentarsi di fronte a Petronio, pronta a morire piuttosto che sopportare (cfr. sopra, p. 54), ma portò anche Filone a minacciare una rivolta generale. «Ognuno in ogni dove, anche se non era naturalmente ben disposto nei confronti degli ebrei, aveva paura di impegnarsi a distruggere qualcuna delle nostre istituzioni>>. Per proteggere queste istituzioni, specialmente il tem pio, gli ebrei erano pronti a . La minaccia di Caligola era contro «il corpo comu nitario degli ebrei>>, i quali tutti erano contraddistinti dallo zelo per il tempio. Gli ebrei, numerosi in tutto l' impero, diventavano un pericolo se oltraggiati: «Il cielo proibisce certamente che gli ebrei in ogni angolo accorrano di comune accordo in difesa. Il risultato sa rebbe qualcosa di troppo enorme per essere combattuto>> (Legat. 1 59-2 1 5). Dobbiamo sempre tenere a mente che l'ateismo era quasi scono sciuto nel mondo antico: praticamente tutti credevano che ci fosse davvero una sfera divina e gli ebrei credevano che il Dio dei loro an tenati avesse dato loro la sua legge, e che essi dovessero osservarla. Dio era uno «al cui sguardo nessun criminale sfugge>> (Ant. 4, 286), ed era lui che doveva essere ringraziato per ogni benedizione della vita. C 'erano senza dubbio eccezioni a questa fedeltà generale - perso ne che, anche se forse con qualche timore e trepidazione nelle ore buie della notte, vivevano come se non ci fosse alcun Dio -, ma l' adesione della maggioranza degli ebrei alla religione nazionale non può essere messa in dubbio. Essa portava continuamente a difficoltà con il resto del mondo. Oltre alle due rivolte in massa in Palestina,
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possiamo ricordare sollevazioni a Cirene (Vita 424) e un grave attac co da parte degli altri alessandrini contro gli ebrei residenti in città O'argomento del Contro Fiacco di Filone). Gli ebrei ovviamente ri fiutavano una gran parte della cultura comune, e altrettanto ovvia mente mantenevano la propria. Nei capitoli seguenti vedremo quali dei loro costumi e osservanze religiose fossero più irritanti per gli al tri, e dunque più importanti indicatori di identità.
CAPITOLO NONO
DECIME E TASSE
Secondo la legge biblica, i sacerdoti e i !eviti dovevano essere mantenuti dalle offerte del popolo e dai sacrifici. Abbiamo osservato ciò all'inizio del cap. 6, e ora esamineremo più nei particolari le loro entrate, cosl come le restrizioni sulle attività producenti reddito. Nel la seconda parte di questo capitolo prenderemo in considerazione il costo finanziario totale di tutte le forme di tassazione. l . Sostegno finanziario dei sacerdoti e dei /eviti
La legislazione biblica fondamentale che governa il sostentamen to dei sacerdoti, dei !eviti e delle loro famiglie è la seguente: ••Il Signore disse ad Aronne: 'Tu non avrai alcun possesso nel loro paese e non ci sarà parte per te in mezzo a loro: io sono la tua parte e il tuo posses so in mezzo agli israeliti. Ai figli di Levi io dò in possesso tutte le decime in Israele per il servizio che fanno [ ... ]. Lo potrete mangiare in qualunque luogo, voi e le vostre famiglie' ... » (Nm 1 8, 20-3 1 ). «l sacerdoti !eviti, tutta la tribù di Levi, non avranno parte in eredità insie me con Israele: vivranno dei sacrifici consumati dal fuoco per il Signore, e della sua eredità. Non avranno alcuna eredità tra i loro fratelli; il Signore è la loro eredità, come ha loro promesso» (Dt I 8, 1 -2).
Questa legislazione non è abbastanza chiara come può sembrare di primo acchito. 'Parte' ed 'eredità' sono nozioni un po' vaghe, e il Deuteronomio nomina prima i sacerdoti e poi tutta la tribù di Levi (sacerdoti e !eviti). Si applicavano le stesse regole a entrambi? Che cos'è che non potevano avere? La cosa più chiara è che l'elemento centrale era il cibo: i sacerdoti e i !eviti dovevano mangiare le offerte e altri tributi. 'Parte' ed 'eredità' presumibilmente significavano 'mezzi privati di produzione di cibo'. All' inizio del periodo del se condo tempio Neemia scoprì che i !eviti non stavano ricevendo le
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loro decime e conseguentemente «erano fuggiti ognuno al suo pae se)). Egli pretese che le decime venissero pagate (Ne 1 3, I O s.). Neemia non dice che egli vietò ai !eviti di possedere i loro campi; il suo interesse era che essi fossero mantenuti dal tempio, così sareb bero rimasti ai loro posti. Dei !eviti si perdono le tracce, ma durante il periodo del secondo tempio i sacerdoti possedevano delle proprie tà. Lo sappiamo direttamente da quanto Giuseppe Flavio disse ri guardo a se stesso. Per indicare al lettore quanto Tito apprezzasse i suoi servigi, Giuseppe Flavio ricordò che era stato ricompensato per la perdita della sua proprietà a Gerusalemme (Vira 422). Appare chiaro che egli non vedeva difficoltà sul fatto di possedere proprietà, benché fosse un sacerdote. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che altri sacerdoti ugualmente possedessero proprietà. L'aristocrazia sacerdotale fu dominante per tutto il periodo del secondo tempio, e nel mondo antico aristocrazia e ricchezza erano solitamente insepa rabili dal possesso della terra. Nelle città vicine ai porti, i commer cianti potevano accumulare fortune, ma Gerusalemme non era un porto, e non possiamo supporre che la ricchezza degli aristocratici di Gerusalemme derivasse interamente dal commercio anziché dalla terra, specialmente in considerazione dell'affermazione di Giuseppe Flavio. Pare, tuttavia, che i sacerdoti (e presumibilmente i !eviti) non la vorassero la terra: vale a dire, sembra che essi abbiano interpretato i passi biblici nel senso che potevano possedere terra ma non poteva no produrre cibo. Abbiamo visto che animali e farina portati al tempio nutrivano i sacerdoti che erano in servizio. Inoltre, quando le persone sgozzava no un animale lontano dal tempio, ci si aspettava che dessero la spal la, le mascelle e lo stomaco a un sacerdote, presumibilmente uno che abitasse nelle vicinanze (cfr. sopra, p. 1 52). Egli poteva condividere questa carne non sacrificale con la sua famiglia. Similmente, le of ferte agricole aiutavano a sfamare sia i sacerdoti che i loro familiari. L'offerta principale di un prodotto agricolo era la decima. La pa rola inglese (rirhe) è ora arcaica ed è usata solo per un dono del I O% per scopi religiosi. Comunque, significa proprio 'un decimo'. Il ter mine ebraico e quello greco non erano arcaici, e per le persone che li usavano significavano chiaramente 'un decimo'. Le decime ci forni scono un'ottima e inconsueta occasione di studiare interpretazioni divergenti della legge biblica. I libri giuridici della Bibbia offrono differenti definizioni delle decime, che nella nostra epoca gli stu-
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diosi hanno messo assieme e armonizzato in almeno due modi dif ferenti. II Deuteronomio richiede decime di prodotti di campagna («tutto il frutto della tua sementa>>, 14, 22) ogni anno eccetto il settimo (sab batico), quando la terra doveva restare a maggese. La maggior parte degli anni le persone che prelevavano la decima dai loro prodotti go devano del profitto che essa dava: la mangiavano. Il cibo doveva es sere portato a Gerusalemme e consumato là, o, il che era la prassi usuale, convertito in denaro da spendere a Gerusalemme secondo i desideri di chi pagava la decima: «bestiame grosso o minuto, vino, bevande inebrianti>> (Dt 1 4, 22-27). Lo scopo del provvedimento era di mantenere economicamente Gerusalem me. Ogni tre anni (proba bilmente nel terzo e nel sesto anno del ciclo di sette anni) la decima doveva essere data per mantenere i )eviti e i bisognosi (Dt 14, 27-29; 26, 1 2 s.). Il Levitico, tuttavia, stabilisce che «ogni decima della terra, cioè delle granaglie del suolo, dei frutti degli alberi, appartiene al Signo re>> (27, 30): «al Signore>> significa soprattutto, naturalmente, che appartiene ai sacerdoti. Il solo altro modo di donare qualcosa al Si gnore era bruciarlo, e la decima non era destinata a essere offerta in questo modo. Il levitico prosegue stabilendo che un animale per ogni dieci posseduti «sarà consacrato al Signore>> (27, 32). Nel I secolo, come vedremo più avanti, 'consacrato' non era inteso nel senso che l ' animale era donato al tempio, ma piuttosto che era mangiato in sta to di puri tà. Nei Numeri c'è un'interpretazione ancora diversa della decima. Essa spettava ai !eviti, che a loro volta pagavano una decima della decima ai sacerdoti. La decima del Levitico forniva cibo per i levi ti e le loro famiglie: non veniva mangiata nel tempio (Nm 1 8, 2 1 -32). I Numeri non menzionano né i poveri né la consumazione della deci ma da parte di coloro che la producono. La situazione è la stessa in Neemia: i !eviti ricevono le decime, pagano un decimo ai sacerdoti, e si tengono il resto (Ne l O, 37b-39; cfr. 1 3, 5). Lo studioso del l secolo, che non distingueva i vari libri della Bib bia come appartenenti a differenti periodi e perciò riflettenti usanze diverse, o diverse visioni di quali dovessero essere le usanze, trova va che la scrittura esigeva decime per i sacerdoti, per i )eviti, per i poveri, e per mantenere Gerusalemme. È molto semplice combinare Levitico (> in un senso differente da quello di . Essa interpreta Lv 27, 32 come riferito alla seconda decima: i fedeli potevano mangiare gli animali a Gerusalemme, o venderli e spendere il denaro là. Nel secondo caso, la 'decima del avere «alcuna parte» nel senso che potessero mangiare solo i sacrifici, le decime e altro cibo sacro (JUM, pp. 24-26). Hyam Maccoby mi ha persuaso che non fu que sta la ragione della loro mone per inedia. dato che esistevano precedenti validi per mangiare cibo proibito al fine di evitare la mone per inedia ( l Sam 2 1 . 1 -6); egli propone invece la tes i che i sacerdoti degli episodi di Giuseppe Flavio fossero sem plicemente in miseria; non avevano denaro e furono costretti a dipendere interamen te dai tributi al tempio. Gli episodi sono ancora sconcertanti, dato che (come ho os servato prima) ci si aspetterebbe che il popolino avesse dato loro più cibo per impe dire la mone per inedia dei sacerdoti.
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bestiame' poteva finire come sacrificio condiviso, un animale com prato con il denaro della seconda decima, sacrificato e poi consuma to dall'offerente (eccetto il petto e la coscia destra, che andavano al sacerdote) (mZeva!Jim 5, 8; mlfagigah ] , 4; mMena/Jot 7, 5). Nel no stro periodo, la decima data ai !eviti e ai sacerdoti era di prodotti agricoli, non di animali. Secondo Neemia, dopo che le decime erano state raccolte nella campagna, la porzione dei sacerdoti era portata al tempio e deposita ta prima di venire distribuita (Ne I O, 38; 1 3, 5). 2 Cr 3 1 , I l s. attri buisce questa usanza al tempo di Ezechia. Filone considerava l' im magazzinamento centrale e la distribuzione degni di un commento particolare: i sacerdoti potevano in seguito ricevere le offerte come fossero venute loro da Dio e non avevano bisogno di provare vergo gna per il fatto di essere dipendenti dalle donazioni (Spec. l , 1 52). Questo implica eccellenti attrezzature per immagazzinare frumento, vino e olio. Che gli antichi conoscessero metodi per mantenere il frumento per lunghi periodi è evidente dalla storia di Giuseppe l'ebreo: il frumento era stato depositato da sette anni buoni per prov vedere ai bisogni di sette anni di carestia (Gen 4 1 ). La seconda fonte di cibo non sacrificale per il consumo sacerdota le erano le primizie. Le primizie costituiscono una categoria ampia, che include cibo (primi prodotti e primi nati dell'anno), denaro (ri scatto di primizie non commestibili) e lana tosata. Come le decime, le primizie di cibo potevano essere mangiate dalle famiglie dei sa cerdoti, dopo che si fossero assicurati che fossero pure. La Bibbia definisce primizie «ogni essere che nasce per primo da ogni essere vivente [ ... ], così degli uomini come degli animali>> (N m 1 8 , 1 5; cfr. Es 1 3 , 2); vale a dire, la prima volta che una femmina partoriva, la prole, se maschile (Es 1 3, 1 2 s.), apparteneva al Signo re, e perciò ai sacerdoti. I primi nati di animali puri (pecore, capre e bestiame grosso) fornivano carne rossa ai sacerdoti e alle loro fami glie. Altri primi nati venivano riscattati: per riscattare il primogenito, il padre pagava cinque sicli; secondo Giuseppe Flavio, gli animali impuri (asini, cavalli, cammelli e simili) costano un siclo e mezzo (Ant. 4, 7 1 ) . La cifra è leggermente più bassa che in N m 1 8, 1 5 s., che esige cinque sicli in entrambi i casi. Può essere, tuttavia, che il primogenito di un asino fosse riscattato con un agnello piuttosto che con denaros. Come nel caso delle decime, il Deuteronomio ha per i primi nati S. Cosl
Es
1 3, 1 3 ; 34,20. Questo è accenato come modello in mBekhorot. Nm
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una legge più conveniente economicamente: le persone che li alleva no li mangiano a Gerusalemme (Dt 1 5 , 1 9 s.). Esodo e Numeri pre valsero: i primi nati appartenevano a Dio, cioè ai sacerdoti. I rabbini erano d'accordo, ciononostante ridussero il costo. Essi conclusero che Es 1 3, 1 3 e 34, 20, con lo specificare che il primo nato di un asi no doveva essere riscattato col donare un agnello ai sacerdoti, signi ficasse che altri primi nati impuri non avessero affatto bisogno di es sere riscattati. Il risultato è lo stesso che nel caso delle decime: l'in terpretazione di Giuseppe Flavio costa di più, in termini di denaro, di quella dei rabbini (che probabilmente ereditavano la visione dei fari sei). Sul piano esegetico, la situazione è leggermente differente. Nm 1 8, 1 5 dice letteralmente «il primogenito dell'uomo e [... ] il primo nato di un animale immondo» al singolare. Il senso immediato è che entrambi i nomi singolari siano usati in senso collettivo, implicando in plurale: «il primo nato di [ogni] animale immondo>>6• A causa del singolare grammaticale, tuttavia, i farisei o i rabbini potevano argui re che l'asino dell'Esodo fosse il solo e unico animale impuro di N m 1 8 , 1 5 . Questo non è un assemblaggio di varie leggi (come nel caso delle decime), ma una semplice interpretazione di una legge attra verso un' altra7• Ancora, non possiamo sapere quante persone seguis sero ciascun insegnamento, ma l ' interpretazione più economica (pre supponendo che esistesse prima del 70) deve aver avuto qualche ri chiamo. La differenza totale di costo, tuttavia, non era grande, dal momento che l' animale impuro più comune era l'asino. I cammelli e i cavalli erano molto rari. Presumibilmente il riscatto in denaro di figli primogeniti e degli animali impuri era equamente distribuito tra i sacerdoti; in tal caso, esso costituiva un pagamento in contanti abbastanza piccolo ma ciò nonostante beneaccetto. Benché non siano una 'primizia', dobbiamo elencare qui anche le pelli. Le pelli delle vittime offerte per il pecca1 8, 1 5 s .. lultavia, specifica una cifra di riscauo di cinque sicli. Giuseppe Flavio (Ant. 4, 7 1 ) stabilisce la regola di mezzo siclo per animali impuri e di cinque sicli per un figlio. Anche Filone non distingue l'asino da allri animali impuri (Spec. l , 1 35). 6. Questa era l'interpretazione nel mondo di lingua greca: LXX Nm 1 8, 1 5 ; Filo ne, Spec. I , 1 35, che specifica «cavalli, asini e cammelli». 7. La conclusione è presupposta in mBekhoror l , ma non ne viene data l'argo mentazione. L'argomento esegetico compare in Sifre Numeri 1 1 8: «> perché è corrente. Se non fosse per la letteratura rabbinica, non potremmo essere sicuri che questa fosse un'offerta a sé stante. Giuseppe Flavio non la menziona mai, e neppure Filone 1 1 • Nel Pen tateuco talvolta si dice che le offerte sono 'alzate' o 'sollevate' ; per tanto Nm 1 8, 1 1, riferendosi alla porzione sacerdotale del sacrificio condiviso (indicata con la parola 'fatta con il rito di agitazione'), di chiara che «Questo ancora ti apparterrà: i doni che gli israeliti pre senteranno con l'elevazione (terumah)». Presumibilmente il fedele sollevava il petto e la coscia della vittima. Nm 1 5, 20 chiama teru mah le primizie di farina, offerte sotto forma di focaccia o pagnotta. In entrambi i passi la parola terumah e parole affini (cfr. Nm 1 5, 20) sono usate in riferimento a offerte che hanno altri nomi principali: il sacrificio condiviso e le primizie. «Date le vostre primizie come te rumah>> perciò significa semplicemente «come qualcosa 'offerta in alto' a Dio>>. Nelle liste di sacrifici e offerte in Dt 1 2, 6. 1 7, la teru mah appare separatamente, ma le primizie non sono menzionate; probabilmente era usato come un termine altemativo12• In Ne 1 0, 38.40 la terumah può essere un'offerta a parte, anche se non è interamente chiaro. In ogni caso, i rabbini la consideravano come un'offerta agricola completamente a sé stante. Senza dubbio trovandola citata nei versetti che abbiamo menzionatoiJ, essi la inte sero come una piccola offerta di prodotti, non del tutto dissimile dal le primizie. «Se un uomo è munifico, [l'offerta d'innalzamento] è la parte costituita da un quarantesimo (la Scuola di Shammai dice: un trentesimo); se è mediamente munifico, è un cinquantesimo; se è avaro, un sessantesimo» (mTerumot 4, 3). I l . Alcuni studiosi trovano un riferimento all'offerta d'innalzamento nella ripeti zione di aparche, «primizie», in Spec. l , 1 32- 1 34. 1 4 1 . Cfr. JUM, p. 292 e nn. 12. Sulla terminologia e i problemi connessi, cfr. JLJM, pp. 289-294 e p. 365
n.
1 9. 13. Si noti la loro difficoltà esegetica in mTerumot 3,
1.
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I sacerdoti, come i farisei e i rabbini, trovarono forse nella Bibbia una 'offerta d' innalzarnento' agricola distinta, e dissero alla gente comune che apparteneva a loro? La lista di Giuseppe Flavio delle rendite dei sacerdoti e del tempio (Ant. 4, 68-75) depone contro ciò. Egli sapeva quello che i sacerdoti di nonna ricevevano, e nella sua lista non c'è nessun termine greco che possa rappresentare la teru mah ebraica. Contro questo, bisogna porre il fatto che in Ant. 4 egli riassume la legislazione biblica, e può semplicemente stare elencan do i termini che compaiono nella LXX. Come ho sostenuto altrove, i traduttori della LXX non considerarono l'offerta d'innalzamento come a sé stante, ma solitamente la tradussero con 'primizie' 14• Se la lista di Giuseppe Flavio è letterale, allora )"offerta d'innalzamento' non vi compare. I rabbini presumevano non solo di dover portare l 'offerta d'innal zamento, ma che altre persone la portassero. Come abbiamo osser vato sopra, essi si preoccupavano delle persone che non davano la porzione della decima spettante ai )eviti, ma avevano fiducia che essi portassero la porzione dei sacerdoti. Similmente, essi non si preoccupavano dell'offerta d'innalzamento, che andava ai sacerdoti. La mancanza di controversia sull' offerta d'innalzarnento nella lette ratura rabbinica mi induce a pensare che essa fosse di fatto data e ri cevuta nel tardo periodo del secondo tempio, e che la lista di Giu seppe Flavio non fornisca un resoconto completo della prassi del I secolo. La somma non era troppo gravosa, anche se perfino un sessantesi mo avrebbe significato più prodotto che le primizie. Infine, osserviamo brevemente la tassa del tempio, che non man teneva il sacerdozio, ma piuttosto pagava le spese globali del tem pio, specialmente i sacrifici della comunità (cfr. sopra, p. 1 43 s.). Es 30, 1 3- 1 6 richiede che ogni maschio di venti anni o più paghi una tassa di mezzo siclo per mantenere il tabernacolo o tenda (che prece dette il tempio}, ovviamente intendendo che questa fosse una tassa una tantum. Ne l O, 33 impone una tassa annuale di un terzo di siclo. Nel nostro periodo, questi passi erano interpretati come tali da ri chiedere una tassa annuale di mezzo siclo (= due dracme), da pagar si da parte di ogni maschio adulto ebreo. Questa non è una grande somma: all' incirca la paga di due giorni per un bracciante, un uomo 14. JUM, p. 29 1 .
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al fondo della scala dei redditi15. Il fatto che fosse pagata è una delle cose più sicure sul giudaismo del I secolo. Aristea si riferiva a «cen to talenti d'argento per i sacrifici e le altre esigenze» inviati da Ales sandria a Gerusalemme (Arist. 40)16• Giuseppe Flavio e Filone con cordano che la somma era pagata dagli ebrei di tutto il mondo, e Giuseppe Flavio sosteneva che enormi convogli portavano la tassa da parte degli ebrei di Babilonia. I successivi imperatori romani per misero esplicitamente che il denaro fosse esportato da altre province a Gerusalemme. Come abbiamo visto sopra, a dispetto di ciò essa veniva occasionalmente confiscata. Dopo la rivolta, Vespasiano or dinò che la tassa fosse ancora pagata, ma che la base della tassa fos se allargata a includere i bambini e le donne, e che il denaro fosse pagato al tempio di Giove Capitolino a Roma. Ricevute trovate in Egitto mostrano che la tassa veniva raccolta da tutti gli ebrei17• 15. Una dracma era all'incirca equivalente a un denaro (denarius), e un denaro funge da paga giornaliera in M t 20, 2. Per una dracma al giorno cfr. anche 1b 5, 14. Le testimonianze sporadiche indicano che c'era una varietà di salari, ma una dracma o un denaro è una cifra buona come qualsiasi altra. Cfr. le tesùmonianze raccolte da D. Sperber, Costs of Uving in Roman Paiestine, in JESHO 8 ( 1965), pp. 248-271 . 16. Sull'identificazione di tale somma come tassa del tempio cfr. JUM. p. 293. 1 7. JUM, pp. 49-5 1 ; 297-299. William Horbury (The Tempie Tcu, in Id., Jesus and the Politics of his Day, pp. 2652-86) sostiene che la tassa del tempio fu un'in novazione così tarda che se ne discuteva ancora ai tempi di Gesù, e che Gesù si al leò con chi la criticava, come la comunità di Qumran. È un'argomentazione interes sante, anche se ritengo che non sia esatta. Le testimonianze citate nel testo indicano che gli ebrei, di fano e senza eccezioni, pagavano la tassa del tempio. Ecco poche rapide puntualizzazioni sull'argomentazione di Horbury. l . La tassa del tempio era basata su un assemblaggio di Ne IO. 33, che esige una tassa annuale di un terzo di siclo, e la tassa di mezzo siclo richiesta in periodo di censimento da Es 30. 1 1 - 1 6. Si tratta di un sostegno biblico abbastanza solido. l passi biblici su tali !ematiche veni vano abitualmente conglobati, e personalmente non vedo come il lettore del l secolo potesse considerare questa tassa come mal sostenuta dalla Bibbia. 2. Horbury è ine salto nel dire che non vi sono accenni alla tassa nella uttera di Aristea; cfr. la n. preced. 3. Horbury propone l'ipotesi che solo i farisei sborsassero la tassa del tem pio, ma Giuseppe Flavio, Filone e Vespasiano davano tutti per assodato che ogni maschio adulto ebreo nel mondo la pagasse. 4. Un'interpretazione differente a Qum ran non significa molto: la comunità di Qumran differiva dalla massa della plebe su quasi ogni punto riguardante il tempio e il clero. 5. Se è vero che i sacerdoti ritene vano di dover essere esentati dalla tassa del tempio, come è probabile che sia, que sto non significa che ci fosse resistenza alla tassa in altri ambienù. l sacerdoti erano un caso speciale. L'argomentazione di Horbury è stata usata per scopi diversi da Horsley, il quale propone l'ipotesi che Gesù ritenesse che tutte le tasse «nel nome di Dio fossero ille gittime• (Horsley, Spirai of Vioience, pp. 281s.). Egli cita Horbury tra gli altri come
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L'intero sistema dei sacrifici, delle offerte, della beneficenza, del la purità e della consumazione del cibo era sorretto dai più severi ammonimenti da parte di Dio stesso. Il cibo dei sacerdoti, per esem pio, era sacro. Ogni volta che i sacerdoti mangiavano le decime, le primizie e le offerte d'innalzamento, dovevano essere puri, anche se questi cibi venivano mangiati a casa. Le loro famiglie dovevano ugualmente essere pure al fine di mangiare la loro parte (Lv 22, 4-7; N m 1 8, 1 3). Vale a dire, essi dovevano essere liberi dall' impurità da cadavere, da quelle seminati e mestruali, così come dalle rare condi zioni, la lebbra e il 'flusso' genitale (Lv 22, 4). Questo è l'ammoni mento che accompagna la prescrizione che le fam iglie dei sacerdoti debbano mangiare il cibo sacro in stato di purità: «Osserveranno dunque ciò che ho comandato, altrimenti porteranno la pena del loro peccato e moriranno per aver profanato le cose sante. Io sono il Si gnore che li santifico» (Lv 22, 9). Non solo le persone, ma anche le loro case dovevano essere libere da 'lebbra' e impurità da cadavere («in luogo mondo», Lv IO, 14). Era una trasgressione grave per un laico mangiare il cibo sacro dei sacerdoti. Anche la consumazione inconsapevole di quello che dove va spettare ai sacerdoti richiedeva che la stessa somma, più un quin to, fosse risarcita loro (Lv 22, 1 4) . I rabbini prescrivevano la morte per la consumazione intenzionale delle primizie e delle offerte d'in nalzamento (includendo forse le 'offerte d' innalzamento della deci ma', cioè la parte della prima decima spettante ai sacerdoti) (mBikkurim 2, l). Essi non potevano far osservare ciò, ma il passo intende ribadire la sacralità del cibo sacerdotale. Gli israeliti comuni dovevano mangiare e maneggiare la seconda decima in stato di purità. I fedeli dovevano dire nel tempio, e perciò, alla presenza di Dio, «Ho tolto dalla mia casa ciò che era consacrato e l'ho dato al le vita, al fore stiero, all'orfano e alla vedova secondo quanto mi hai ordinato [ ... ]. Non ne ho mangiato durante il mio; non ne ho tolto nulla quando ero immondo ... ,. (Dt 26, 1 3- 1 4).
concorde con questa interpretazione («così anche,., n. 53 a p. 346); ma Horbury non scrisse niente del genere, né lo fecero gli allri che Horsley cita. Horsley inoltre so stiene che l'opinione secondo la quale tulle le tasse ebraiche erano illegittime fosse comune e popolare nella Palestina ebraica del ! secolo (pp. 281 -283), il che richiede una drastica manipolazione della documentazione.
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La maggioranza della gente credeva i n questi comandamenti e li seguiva. Relativamente poche persone erano abbastanza ardite da mangiare quello che apparteneva ai sacerdoti. Molti non avrebbero mangiato il cibo che doveva essere dato ai !eviti e ai poveri. L'ideale della legislazione biblica non era raggiunto appieno, e c'erano iniqui tà, ma il sistema funzionava abbastanza bene da essere mantenuto. I sacrifici, le decime e le offerte erano portate, il cibo era distribuito ai sacerdoti e ai leviti, e qualcosa andava in beneficenza ai poveri.
2. / costi
Quanto erano pesanti le varie tasse e tributi? Per vederlo in un contesto globale, dovremmo sapere qual era la situazione in altre parti dell'impero, quali tasse erano state imposte dai successivi capi di Stato in Palestina, e che tipo di tributo andava a Roma. Su molti di questi punti la nostra informazione è inadeguata. Sappiamo, sì, che nella Palestina del nostro periodo le condizioni variarono da mo mento a momento e da wna a zona. Per una parte del periodo la Giudea fu governata da un leader locale (Erode e poi Archelao; dal 4 1 al 44 Agrippa I), mentre per un'altra parte fu una provincia roma na. La Galilea rimase sotto il governo erodiano più a lungo, ma dopo la morte di Agrippa I la situazione divenne più mutevole. Possiamo essere sicuri che il governo sempre richiese e riscosse tasse. Che cosa significasse questo per i contadini, i commercianti o gli artigia ni piccoli ma indipendenti, è una questione estremamente difficile, e una di quelle per le quali non c'è una sola risposta. Ci sono, in verità, tradizioni critiche lungamente e fortemente so stenute sia riguardo al li vello di tassazione sia alla condizione gene rale dei contadini ebrei (braccianti e piccoli proprietari). Secondo Applebaum, i contadini ebrei erano «schiacciati da esazioni impietose sotto Pompeo e i suoi successori e non meno sotto Erode. Durante il dominio di quest'ultimo, invero, essi dovette ro sopportare il doppio giogo dei tributi romani e della tassazione richiesta per finanziare l'ambizioso programma di Erode di opere pubbliche interne e per sostenere le città greche al di fuori del suo regno».
Tra il 37 e il 4 a.C., «la combinazione di tributi romani e tassazio ne erodiana con gli obblighi religiosi dovrebbe essere stata estrema-
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mente oppressiva» 1 8. Applebaum inoltre asserisce che la rendita an nuale di Erode di 900 talenti avrebbe richiesto «un pagamento an nuale medio di 3, 3 dracme a testa, senza contare gli obblighi reli giosi» (sull'ipotesi ottimistica di una popolazione di tre milioni di persone)l9. Una tassa pro capite di questo ammontare (se fosse stata imposta) sarebbe stata una tassa piuttosto gravosa per una famiglia. Inoltre, la popolazione ebraica era molto inferiore a tre milioni, forse meno di un milione; l'ipotetica tassa pro capite sarebbe stata pertan to molto maggiore. Per decenni, gli studiosi del Nuovo Testamento hanno raffigurato la classe contadina ebraica come posta in una condizione peggiore di quella descritta da Applebaum. Richard Horsley parla della «morsa delle ingiustizie istituzionalizzate come la doppia tassazione, il pe sante indebitamento, e la perdita della terra>>20. Le famiglie contadi ne «fini vano sempre più pesantemente indebitate sotto le costanti pressioni economiche della doppia tassazione>> (p. 232): i ricchi pre stavano loro del denaro che essi non potevano rimborsare, applica vano tassi d'interesse altissimi21, e poi li privavano della proprietà ipotecata, cosicché le proprietà fondiarie diventavano sempre più ampie man mano che sempre più gente era costretta a lasciare la ter ra22. Tutto progressivamente peggiorò: la società era in una spirale in discesa, con il numero dei senzaterra che cresceva ogni anno e sem pre più numerose piccole proprietà che cadevano nelle mani dei cre ditori. C'era un «crescente indebitamento>> (p. I l ) e una «classe con tadina in declino» (p. 1 3); l' «infrastruttura socio-economica>> era > e la povertà stava «aggravandosi>> (pp. 29 s.). L'autore for nisce pochi particolari circa le tasse: «i tributi romani erano sovrap posti alle decime e alle altre tasse>>. Conclude, «i produttori agricoli ebraici erano ora soggetti a una doppia tassazione, forse ammontante a ben più del 40% della loro produzione>> (p. 56). 1 8 Applebaum, Economie Life in Palestine, in CRJNT, I.2, pp. 66 l s. 1 9. /vi, p. 665, in riferimenlo al volere di Erode (Ant. 1 7, 3 1 7-324), il che di fano
indica che la sua rendita annuale era superiore ai 960 talenti. 20. Horsley, Jesus and the Spira/ of Vio/ence, p. 237. Gli altri riferimenti alle sue pagine sono dali a lesto. 2 1 . Horsley - Hanson, Bandits. Prophets and Messiahs, pp. 60 s. 22. Non discuterò di prestiti, inleressi, ipoteche e privazioni del dirino di cancel lare ques1e ultime. tranne che per dire che abbiamo pochissima documentazione di retta sull'interesse e la privazione del diritto di cancellare ipoteche, e che la docu mentazione indiretta è difficile da interpretare. Credo che sia prematuro presentare generalizzazioni del genere.
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Secondo Marcus Borg, in un altro libro recente su Gesù, «le varie decime23 ammontavano a poco più del 20% all' anno». Poi Roma ag giungeva le sue tasse: «la tassa sulla terra ( l % del suo valore) e la tassa sul raccolto ( 1 2,5% del prodotto)». «C'erano parimenti altre tasse romane (dazi, pedaggi e tributi): ma anche senza queste, il tota le sommato delle tasse ebraiche e romane sui contadini ammontava a circa il 35%. Era una somma schiacciante, e lo sarebbe perfino oggi>>24. Gli studiosi che citano le percentuali non svelano come sono arri vati ad esse. La mia ipotesi è che essi dipendano, forse indirettamen te, dal pioneristico saggio di F.C. Grant, The Economie Background ofthe Gospels (1 926), che stimava che nel secondo anno di ogni ci clo settennale le tasse ammontassero al 35% in aggiunta alla decima per «!reano e i suoi figli>> (cioè il sommo sacerdote Ircano Il), che Grant erroneamente pensava essere differente dalla decima che man teneva il sacerdozio25• Le opinioni di Grant, Horsley e Borg si fondano su ipotesi erro nee; parti del saggio di Applebaum (le parti citate sopra) sono anch' esse fuorvianti. La percezione comune della situazione econo mica dovrebbe essere moderata; la situazione era abbastanza cattiva, e non c'è bisogno di esagerarla. La valutazione generale delle condi zioni economiche va al di là del campo d'indagine di questo libro, ma io discuterò delle tasse, dal momento che altrimenti si fraintende il ruolo dei tributi religiosi nell' intero sistema. Ci sono numerosi er rori nelle somme sopra riportate, e le cifre sono esagerate. Cercherò di dame un inquadramento più preciso. Questo può essere fatto con discreto successo per le tasse ebraiche, anche se per le tasse romane dobbiamo fondare le nostre ipotesi su una documentazione molto in completa. La discussione delle tasse di Erode ci porterà a un'osser vazione sulla disoccupazione, sia nella sua epoca che prima. l. È fuorviante parlare di doppia o (nel caso di Applebaum) tripla tassazione (per Erode, per Roma e per il tempio). Ritornerò a Erode, e per prima cosa considererò le politiche di tassazione di Roma e 23. Si confronti Horsley, op. cii., p. 288: «tutte le varie decime». 24. Borg. New Vision, pp. 84 s. 25. Grant, Economie Background. p. 91 n. 3 (relativa a p. 90). L'affermazione secondo cui gli ebrei dovevano pagare a !reano e ai suoi figli una decima era sem plicemente la ratifica da parte di Cesare della liceità che il sommo sacerdote conti nuasse a raccoglierla; il contesto è la garanzia che i precedenti diritti di !reano sareb bero stati rispettati.
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l ' istituzione religiosa ebraica. Secondo Grant, ognuno dei due siste mi «era stato progettato senza considerazione per l'altro, e pertanto non poteva essere modificato a suo favore>> (p. 89). Dal suo punto di vista, le tasse ebraiche in origine erano state intese per «sostenere il governo>> e per «equipaggiare e pagare gli eserciti e costruire navi>> (p. 93). Mentre Applebaum, Horsley, Borg e altri non sono così espliciti, la discussione sulle 'doppie' tasse implica questa interpre tazione26. Se i tributi romani e le tasse ebraiche erano sempre intesi come diretti a due diversi scopi, e se ciascun sistema prendeva in considerazione l'altro, non si poteva dire che gli ebrei palestinesi pa gavano doppie tasse. Vedremo che i due sistemi, in effetti, si presero in considerazione a vicenda. a) La parte ebraica del sistema fiscale della Palestina del 1 secolo era fondamentalmente post-esilica, ed era stata fatta entrare in vigore per la prima volta quando la Palestina era sotto la Persia, pagava il tributo alla Persia e non stava equipaggiando un esercito e una flotta indipendenti mediante la rendita del tempio. Non c'era alcuna flotta ebraica, così come non c'era alcuna costa ebraica. Sfortunatamente, non c'erano nemmeno porti, e Gerusalemme sotto i Persiani non aveva quello che ebbe la Palestina erodiana: ricchi diritti su merci in transito. Dopo la sconfitta della Persia, la Palestina continuò a paga re tributi ai Seleucidi o ai Tolomei, e ancora non equipaggiava un proprio esercito e una propria flotta mediante la rendita del tempio. Secondo Applebaum, «la classe contadina ebraica>> fu «effettiva mente libera da esazioni fiscali>> nel periodo tra Simone Asmoneo e Pompeo27• Egli deve fondarsi sull' ipotesi che la sola rendita degli Asmonei fossero la decima biblica e le offerte minori. È un paragone con l'ipotetico sistema asmonaico che lo porta a parlare di «doppia tassazione>> sotto Erode e Roma. Sotto gli Asmonei le offerte bibli che pagavano per tutto. Questo è in pratica impossibile. Gli Asmonei ebbero spese molto considerevoli, dal momento che combatterono numerose guerre. Forse alcuni, come lanneo, che conquistò le città ellenistiche, fecero molto bottino, ma il bottino non paga mai i conti giornalieri : esso soddisfa le truppe e il conquistatore. Alcune delle spoglie di guerra 26. Cfr. Horsley, Bandits, pp. 56 s.: nel 6 d.C. i sacerdoti importanti «non aveva no più bisogno di mantenere forLe militari e l'amministrazione politica completa di uno Stato indipendente» con le decime. 27. Applebaum, Economie Life, p. 66 1 .
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adornavano i muri del tempio (Ant. 1 5, 402). Deuteronomio, Leviti co, Numeri e Neemia, i libri che discutono le decime e le altre offer te, non immaginano alcun esercito nazionale, e dispongono di tuno il cibo sacro e del denaro assegnandolo altrove (perché lo si mangi in stato di purità a Gerusalemme; per mantenere i )eviti e i sacerdo ti). Gli Asmonei avrebbero dovuto infrangere queste leggi bibliche se non avessero tassato le persone indipendentemente dalla rendita del tempio. Il 90% della sola offerta agricola consistente, la prima decima, andava ai )eviti. Se non la ricevevano, non possiamo spiega re come potessero vivere; perché continuassero a servire nel tempio, invece che fuggirsene ai loro campi (Ne 1 3 , I l s.); o perché la lette ratura dei pii del periodo non critichi gli Asrnonei perché derubano i )eviti. Se i leviti ricevevano davvero la decima, il regnante asrnoneo avrebbe avuto soltanto la porzione dei sacerdoti delle offerte e dei sacrifici. Anche se si fosse appropriato di tutte queste per se stesso, lasciando morire di fame gli altri sacerdoti, non avrebbe potuto fi nanziare il proprio governo. La polemica contro i monarchi-sacerdoti richiede poche parole in più. I pii si lagnavano del fatto che gli Asmonei depredarono il teso ro del tempio (PsSal 8, I l ). Sia che questa accusa fosse ben fondata o no, essa implica che ci fossero due casse: una per il denaro santo, una per le altre spese del re. I pii non si lagnavano del fatto che gli Asmonei lasciavano morire di fame i leviti e i sacerdoti, ma che essi pagavano altre cose con il denaro del tempio. Gli Asmonei, tuttavia, non potevano aver coperto tutte le loro spese militari e le altre con il patrimonio accumulato nel tempio, o ci sarebbero state ancor più la mentele. Inoltre, il patrimonio accumulato si sarebbe esaurito entro un centinaio d'anni di tale politica, e non sarebbe più stato là per es sere trafugato da Crasso (pp. 1 1 4- 1 1 5 sopra). L'accusa di furto dal tempio probabilmente si riferiva a un'occasione nella quale uno de gli Asmonei ebbe necessità di denaro in più, come fecero due degli ultimi amministratori romani (cfr. più avanti i commenti su Pilato e Floro). È probabile che gli Asmonei, quando scamparono al tributo stra niero, riducessero le tasse 'profane' , benché non possano averle eli minate. In questo caso, la Giudea pagò tasse per mantenere il tempio e il suo personale, così come tributi stranieri, per alcuni secoli, dal 5 1 5 fin circa al 1 64 a.C. I contadini allora pagarono i tributi al tem pio e le tasse degli Asmonei dal 1 64 al 63 a.C. La conquista romana non creò una situazione nuova.
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In breve, il sistema fiscale ebraico del secondo tempio fu sempre una parte di un sistema dualistico. Non mantenne mai sia i sacerdoti sia i leviti come anche i bisogni di un esercito e di una corte. b) Non è vero che i tributi romani fossero un sistema fisso e in flessibile che niente poteva alterare28, né che fossero imposti su chiunque senza riguardo alla capacità di corrisponderli. Dopo che ebbe sconfitto Pompeo, Giulio Cesare rivide o riaffennò gli obblighi finanziari della Palestina ebraica nei confronti di Roma, anche se sfortunatamente il testo di Giuseppe Flavio non ci permette di calco lare somme. Il contesto, tuttavia, è chiaro: la gratitudine per l' appog gio ebraico durante la sua recente guerra contro Pompeo. Egli di conseguenza impose solo tasse selettive, rinunziò a tutti i tributi nel settimo anno, e dispensò gli ebrei della Palestina dalle spese soste nute da quelli residenti in altre parti dell'impero, come la richiesta di alloggiare le truppe romane (Ant. 14, 202-2 10). Queste non sono le azioni di un impero che ha nonne di tasse inflessibili, né di un impe ro che impone gli stessi tributi senza preoccuparsi delle condizioni locali. Dobbiamo presupporre che quando Cesare riesaminò la tassa bilità della Palestina, egli impose una somma che fosse pagabile. Il suo atteggiamento fu molto diverso da quello di Vespasiano dopo la grande rivolta, che davvero punì il popolo ebraico per mezzo di tas se, come anche in altri modi. L'esenzione della Palestina ebraica da imposte speciali è molto importante29. Questo è il commento di Rostovzev sulle tasse nel pri mo impero: la tassazione era >4 1. Il tempio, tuttavia, non era improduttivo; il suo ingrandimento sotto Erode, che includeva uno spazio addiziona le per botteghe, serviva ai pellegrini, che portavano una massa di de naro, una grande quantità del quale veniva dagli altri paesi. Inoltre, i progetti di Erode fornivano impiego a migliaia di persone. Secondo Giuseppe Flavio, quando il tempio fu finalmente completato, molto dopo la morte di Erode, 1 8 .000 persone rimasero senza lavoro, e Agrippa II dovette cercare un nuovo progetto per impiegarne una parte (Ant. 20, 2 1 9). Durante la vita di Erode, il numero degli operai deve essere stato molto più grande, dato che egli portò a termine nu merosi imponenti progetti edilizi, alcuni dei quali procedettero si multaneamente (il tempio, Cesarea, una serie di palazzi a Gerico, pa lazzi-fortezza a Masada, Herodium, Sebaste - l'antica Samaria - e altri ancora). 4. Quest'ullimo punto può indicare che gli studiosi tendono ad esagerare il numero dei disoccupati. Applebaum trova riferimenti a essi in vari passi, come in Beli. 1 , 153, dove essi non sono menzio nati42, ma in modo più importante nei resoconti di Giuseppe Flavio sui 'banditi' o 'briganti' . Secondo Applebaum, ci fu un vasto au39. Applebaum, Economie Ufe, pp. 665, 667-669. Su Cesarea cfr. Ani. 15, 331-341.
40 .
lvi. pp. 666 s.
4 1 . lvi, p. 666.
42. lvi, p. 637.
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mento di questa categoria di persone, specialmente negli anni dal 40 al 66; i banditi erano «la classe dei lavoratori e dei fittavoli senza terra>>43• Questa è un'opinione comune44, ma ancora una volta dob biamo andare cauti. Le persone che Giuseppe Flavio definiva con il termine 'banditi' o 'briganti' possono essersi impoverite, ma non ne cessariamente. Abbiamo visto sopra un 'brigante' che si oppose a Erode mentre stava facendo una campagna in Galilea4�. Non c'è al cuna ragione di pensare che la sua protesta fosse socio-economica; Erode a quel tempo non controllava l'economia del paese. Quando è usato per descrivere gli eventi degli anni 40-66, il termine 'brigante' permette a Giuseppe Flavio di presentare la sua istanza personale (apologetica) a Roma: gli unici ebrei ribelli erano briganti; ogni in surrezione era solo l'atto di banditi; gli ebrei erano altrimenti facili da governare e rispettavano l'autorità di Roma46• In verità, è ragione vole per noi pensare che pochi dei benestanti si impegnassero nelle insurrezioni47, ma non possiamo sapere se le questioni fossero sem pre la mancanza di terra e la disoccupazione, e così non dovremmo sostenere d' aver provato l'ipotesi che il paese si era impoverito quando osserviamo che c'erano rivoltosi. C'erano poveri e c 'erano ribelli; alcune persone erano senza dubbio entrambe le cose. Ma l 'uso da parte di Giuseppe Flavio dei termini 'briganti' o 'banditi ' non prova che i ribelli fossero senza terra e disoccupati. Il resoconto di Giuseppe Flavio non prova nemmeno che la pover tà stesse continuamente aumentando. L' ipotesi che così fosse si basa sulla combinazione della teoria che i ribelli fossero senza terra e di soccupati con l'opinione che ci fossero sempre più insurrezioni, co involgenti numeri sempre più grandi di persone, man mano che si avvicinava la grande rivolta. Questa seconda opinione corrisponde alla presentazione di Giuseppe Flavio, che molti studiosi hanno ac cettato. Ma, come abbiamo visto sopra, questo aspetto del suo rac conto rivela arte drammatica48• Inoltre, è dimostrabile che alcuni dei tumulti non ebbero niente a che fare con la povertà. Quando un gali leo fu ucciso durante un conflitto tra i samaritani e un gruppo di pel-
in
43. lvi, p. 69 1 . Il suo riferimento a Stem, Province of Judaea, pp. 366-72, non � argomento. 44. Così, ad es., Horsley - Hanson, Bandirs. pp. 48-87. 45. Bel/. l , 3 1 1 -3 1 3, p. 52 sopra. 46. Cfr. le pp. I l s. e più ampiamente oltre, pp. 5 1 7 s., 552. 47. J&J, p. 240. 48. Cfr. sopra, pp. 49-51 e 55.
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legrini galilei che passavano attraverso il loro paese, ci furono disor dini gravi; si dovette chiamare il legato di Siria. Alcuni dei notabili furono mandati a Roma per il processo49• È del tutto sbagliato inter pretare tali incidenti come prove che la povertà sempre crescente conduceva a sempre più numerose insurrezioni, che è ciò che succe de quando si contano i conflitti tra il 40 e il 66 e si attribuiscono le sollevazioni in generale all'incremento della povertà. (Questo fatto ebbe luogo quando Cumano era procuratore, tra il 48 e il 52 d.C.) Non possiamo stimare la disoccupazione globale in alcun dato momento, poiché la mancanza di lavoro può avere numerose cause. Qui mi sono preoccupato di fissare solo due punti. Primo, dal tempo di Erode fino allo scoppio della rivolta, i progetti edilizi ridussero grandemente il numero dei disoccupati; l'episodio riguardante l'ap pello ad Agrippa II, e il suo parziale accordo, mostra che le persone erano consapevoli del valore di questa politica. Perciò essa funziona va; fino a che punto, non lo possiamo sapere. Secondo, i riferimenti di Giuseppe Flavio ai briganti - citati a sostegno dell'opinione se condo cui c'era una disoccupazione di massa - sono apologetici e pertanto possono rivelarsi fuorvianti. l ricchi raramente si impegna vano in insurrezioni, ma i meno benestanti talvolta lo facevano e tal volta no. Inoltre, occasionalmente perfino gli aristocratici erano pronti a impugnare le armi (come mostra la rivolta). Anche se aves simo statistiche sul numero delle persone che dimostravano nelle strade, o sul numero degli scontri che intervennero tra ebrei e roma ni, non sapremmo ancora quanto fosse grave la disoccupazione. 5 . Le stime della percentuale totale di profitti che andavano alle tasse, le quali sono offerte da Grant, Horsley, Borg e altri - Apple baum, saggiamente, non ne presenta alcuna -, sono in parte sbagliate e in parte pura opera di congettura. Noi non sappiamo in cosa consi stessero i tributi romani in ogni dato momento. Borg presenta due ci fre: una tassa sulla terra dell' l % del valore del capitale e una tassa sul raccolto del 1 2, 5 % . La seconda di queste è presa da Stem, che cita Ant. 14, 20350• Quel passo, tuttavia, non è chiaro. Giuseppe Fla vio scrisse che Cesare aveva decretato che «nel secondo anno essi pagheranno il tributo a Sidone, consistente in un quarto del prodotto seminato>>. Stem non fornisce gli estremi del suo ragionamento, ma sembra che egli abbia inteso , e così ha stabilito la tassa sul raccolto al 1 2, 5%. Né Stem né Giuseppe Flavio dicono nulla riguardo a una tassa pro capite sulla terra. Il decreto di Cesare in Ant. 1 4, non menzio nando una tassa sulla terra, sembra escluderla. Borg sembra dedurre l'esistenza di questa tassa da informazioni riguardo alla Siria dei tempi di Appiano (Il secolo)51• Borg inoltre aumenta le tasse romane, scrivendo che i tributi erano in aggiunta a queste tasse. Ma la tassa sui prodotti era un tributo, l'unico tributo menzionato nelle nostre fonti che fosse pagato dai cittadini ebrei comuni52• L'ammontare della tassa romana sui prodotti, come la riscosse Cesare, è incerto. Riguardo ai tributi romani nei periodi successivi siamo completamente all'oscuro. L' ipotesi di Stem che Cesare ri chiedesse il 1 2, 5% non è irragionevole, ma Stem scrisse anche che «non abbiamo informazioni sulla somma totale raccolta [da Roma] in tasse in Giudea, o se il governo romano della provincia godesse di un surplus di rendita al di sopra della spesa,,sJ. Borg è parimenti in errore riguardo alle decime. Egli pensa che ce ne fossero due, per un totale del 20%. Abbiamo visto, tuttavia, che nella maggior parte degli anni la seconda decima era consumata da coloro che la producevano. Era versata solo in due anni per ogni ci clo settennale: lo sborso era di otto decime nei sei anni produttivi del ciclo settennale, o del 1 3, 33% in media. Cerchiamo di stimare la dimensione dei pagamenti di un contadi no al tempio, ai sacerdoti e ai !eviti. Allo scopo di avere cifre con cui lavorare, immagineremo un contadino del livello più basso, che gua dagni abbastanza per la pura sussistenza, i cui raccolti valessero 500 dracme. (Presumo che un bracciante al fondo della scala economica 5 1 . HJP. 1. p. 402. 52. Cesare diede a !reano Joppa (l'odierna Giaffa). una ciu.à portuale piuuosto ricca e largamente non ebraica. pennellendogli di tassare i residenti, e gli impose ui buti (Ani. 14. 205 s.). Tali concordati relativi alle terre della Corona esistevano pre sumibilmente tra l" imperatore e i monarchi ebrei più tardi. 53. Stem. Province of Judaea, p. 332. Devo confessare che ho dei dubbi circa la tassa sui prodotti di Anr. 14, 203, che manca nel latino. L'espressione è estremamen te sconcertante, sia nella forma che nella sostanza: kai hina non funziona grammati calmente. È molto strano che a «essi», gli ebrei, dovesse essere richiesto di conse gnare i prodotti «nel secondo anno a Sidone», dato che questa sembra una tassa di reua sugli agricoltori, non mediata attraverso !reano. Ordinariamente, come abbia mo osservato, Roma richiedeva che fosse il monarca locale a pagare i uibuti (cfr. sopra). Qui Cesare richiede che gli ebrei paghino a Roma (cioè alle truppe in Siria) direllamente.
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guadagnasse una dracma per giornata di lavoro54, e pongo le entrate annuali di un piccolo contadino leggermente più in alto). Per lo sco po di questo esercizio presumerò anche che il contadino non avesse né una mandria né un gregge, ma solo un paio di asini. Le sue tasse erano le seguenti (i costi sono in dracme): prima decima decima dei poveri (media: 500 - 50 x IO% : 3)
SO, OO 15, 00
primizie
valore nominale
offerte d'innalzamento (450 : 50)
9, 00 2, 00 76, 00 1 5, 2%
tassa del tempio Totale
Percentuale
Ipotizziarno che il nostro contadino avesse avuto una cattiva an nata: un figlio maschio primogenito, un asino maschio primogenito. Questi gli costano 6, 5 sicli, cioè 26 dracme. Questo sarebbe più o meno il peggiore caso possibile: sua moglie e la sua asina potevano ciascuna avere prole primogenita maschile solo una volta. In un anno cosl eccezionale le sue tasse totali sarebbero state di l 02 drac me, i l 20, 4%. Dal momento che due delle tasse sono a cifra forfetta ria (la tassa del tempio e quella sui primogeniti), esse costituirebbero una percentuale più piccola sulle entrate di chiunque fosse più bene stante. In relazione alle tasse romane seguirò Stem, il quale, cercan do di dare senso al passo di Giuseppe flavio, ipotizzava che i conta dini pagassero il 1 2, 5% sui propri raccolti a Roma. Dal momento che nessun altro tributo è menzionato, e dato che non abbiamo noti zie di drammatici rialzi delle tasse, userò questa cifra sia per il perio do romano sia per quello asmonaico. Su questo presupposto, le tasse totali del nostro ipotetico contadino nella maggioranza degli anni sa rebbero sotto il 28%; nel caso peggiore possibile sarebbero al 33%, molto meno della cifra stimata da Borg del 35% in aggiunta ai dazi, i pedaggi e i tributi, e anche meno del di Horsley. Gli ebrei che pagavano le contribuzioni piene per il tempio e la beneficenza pagavano molto in tasse e tributi. La seconda decima contava come denaro per le festività e i giorni sacri, e probabilmente 54. Cfr.
sopra, n. 15.
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non era sentita come una tassa. Le persone che osservavano il siste ma delle quattordici decime di Giuseppe Flavio pagavano un ulterio re l 0% ogni tre o quattro anni per i poveri. Coloro che rispettavano il sistema delle dodici decime della Mishnah davano denaro in bene ficenza invece di andare a una festività due anni su sette. La prima decima era un' imposta fondamentale, e abbiamo notato che molte persone cercavano di evitare di pagarla per intero. Essi proba bilmente l'avrebbero data ai leviti piuttosto che a Erode o a Roma, ma riguardo a questi non avevano scelta. l donativi che andavano ai sacerdoti, distinti dai leviti, sembra siano stati pagati dai più. Questo giudizio è basato sulla letteratura rabbinica, e vedremo i passi quan do discuteremo dei farisei. l doni sacerdotali, tuttavia, erano abba stanza scarsi: un centesimo dei raccolti come prima decima; un pri mo nato una sola volta nella vita di ciascuna pecora, mucca e capra, un siclo e mezzo per gli altri primi nati; cinque sicli per il figlio ma schio primogenito; somme simboliche di primizie dei prodotti, vino, olio e lana tosata; da un trentesimo a un sessantesimo dei prodotti agricoli come offerta d'innalzamento. Mezzo siclo andava per le spese generali del tempio. Queste offerte e tributi non erano terribil mente oppressivi, e probabilmente la maggioranza delle persone li pagavano abbastanza serenamente. La mancanza di lamentele da parte dei rabbini perché i tributi dei sacerdoti non venissero pagati è sorprendente. Nondimeno, la gente era gravemente oppressa. Gli studiosi mo derni sono in un detern1inato senso nel giusto a parlare della loro 'oppressione'. l ricchi non sedevano ogni notte a cercare di escogita re maniere di far stare meglio la classe contadina. Il popolino era una risorsa da utilizzare. Non tutti i governanti amministravano la loro più grande risorsa naturale con la stessa saggezza e moderazione. Nessun governante voleva una rivolta per le tasse, ma la tendenza generale era quella di opprimere il popolino quanto più pesantemen te possibile senza causarla. Sia la Siria sia la Giudea si lamentarono dei pesanti tributi romani nel 1 7 d.C. (Tacito, Annali, 2, 42)55, ma non si rivoltarono, come fecero parecchie delle tribù della Gallia due anni più tardi (secondo Tacito, a causa dei pesanti debiti: Annali, 3, 40-46). La repressione della rivolta in Gallia richiese solo piccole forze in un'area ma l' impiego di due legioni in un'altra, benché la 55. HJP, I, p. 373.
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battaglia effettiva sembri essere stata di scarsa entità. Le condizioni economiche in Egitto erano particolarmente graviS6. Le difficoltà economiche sono state, più spesso che no, la sorte dei piccoli contadini. Nella nostra epoca abbiamo visto il diffuso im poverimento dei contadini in Messico e, più recentemente, in alcune zone degli Stati Uniti. I piccoli coltivatori delle colline della Giudea oggi fanno poco più che sbarcare il lunario. La sorte dei contadini palestinesi del i secolo era senza dubbio difficile, ma essi avevano abbastanza denaro per frequentare le festività, e i più sembrano esse re stati in grado di sopravvivere agli anni sabbatici. Le cose poteva no andare peggio, e in alcuni luoghi era cosl. L'importanza centrale della Palestina ebraica del 1 secolo come culla di due grandi religioni ha l'effetto di far pensare alla gente d'oggi che quello che vi stava succedendo fosse straordinario. Una delle manifestazioni di tale punlo di vista è la sensazione che fosse una società in crisi. La situazione era disperata. Qualcosa doveva ce dere. Il sistema non poteva continuare. Dopo tutto, non continuò. In prospettiva storica, tuttavia, la situazione sociale ed economica non era molto particolare. I contadini ebrei agivano in modo molto simile ai contadini della Siria o dell'Anatolia; Erode si comportava in ma niera molto simile a un monarca minore (anche se in misura maggio re); Roma recitava la parte di un grande impero alla perfezione. Ciò che era peculiare nella situazione non era la tassazione né la pesante oppressione della classe contadina, ma la combinazione ebraica di teologia e patriottismo. Qualunque forma di disprezzo della tradizio· ne nazionale era offensiva nei confronti Dio, e le persone fedeli a Dio sapevano che egli le avrebbe salvate. Ho fatto, tuttavia, una di gressione. Lo svolgimento completo di questo tema sta più avanti, nel cap. 14 e nella Parte 111.
S6. Cfr. Stem, Province ofJudaea, p. 332.
CAPITOLO DECIMO I SACERDOTI E I LEVITI A L DI FUORI DEL TEMPIO
l . Compiti e responsabilità Quando non prestavano servizio nel tempio (il che richiedeva una settimana ogni ventiquattro, più le festività di pellegrinaggio), i sa cerdoti e i !eviti potevano occuparsi dei loro affari privati. Molti vi vevano a Gerusalemme, non tutti, anche se non possiamo dire molto di più riguardo alla densità e alla distribuzione della popolazione sa cerdotale. Secondo Ne I l , 1 8, a quel tempo 284 !eviti vivevano a Gerusalemme. l versetti precedenti contano 1 . 1 92 sacerdoti (Ne I l , 10- 1 4), e questo può essere il numero dei sacerdoti in Gerusalemme. Più sopra abbiamo osservato che Ecateo disse che c'erano 1 .500 uo mini che ricevevano decime ed erano responsabili dell'amministra zione. Sembra da questi frammenti d'informazione che, circa nel 450-300 a.C., ci fossero approssimativamente 1 .500 sacerdoti e levi ti che risiedevano a Gerusalemme. Abbiamo anche visto che il nu mero totale dei sacerdoti e dei ]eviti crebbe a partire dal 1 secolo. Non è irragionevole supporre che poche migliaia di sacerdoti e )eviti vivessero a Gerusalemme al tempo di Giuseppe Flavio: il resto vive va nelle città della Giudea e della Galilea, ma non abbiamo alcuna idea della loro distribuzione. È stato talvolta ipotizzato che Sefforis in Galilea, una città fiorente che aveva parteggiato per Roma nella rivolta, fosse la patria di una famiglia di sommi sacerdoti 1• La docu mentazione, anche se non è del tutto convincente2, è suggestiva. Se i sacerdoti aristocratici vivevano altrove piuttosto che a Gerusalem me, Sefforis è la città più probabile. Possiamo presumere, in ogni caso, che i sacerdoti ordinari fossero sparpagliati in tutte le zone principali del paese. È molto probabile che nelle loro città e villaggi essi fossero insel . Jeremias, Jerusalem, p. 1 94 n. 146; Freyne, Galileefrom Alexander the Great lo Hadrian. p. 1 65. 2. Miller mostra che si tratta di una testimonianza non decisiva: Studies in the History and Traditions of Sepphoris.
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gnanti e magistrati. Tiberiade, che era contaminata dall' impurità da cadaveri, presumibilmente si accontentò di stare senza sacerdoti. Nella maggioranza delle parti della Palestina, tuttavia, i sacerdoti probabilmente assumevano i ruoli di comando che erano tradizional mente loro. Questi includevano l'insegnamento della legge e la fun zione di giudici; in entrambi i compiti, almeno nel tardo periodo bi blico, essi erano assistiti dai !eviti (per es. Ne 8, 7-9; l Cr 23, 3-6; 2 Cr 1 7 , 7-9; 1 9 , 8- 1 1 ). Sacerdoti e !eviti erano spesso scribi, un titolo che copre una gamma di attività: copiare testi, redigere documenti legali e fungere da esperti sulla legge. Il precedente era stato stabili to da Esdra (v secolo a.C.): era un sacerdote, ma allo stesso tempo era «uno scriba abile nella legge di Mosè>> (Esd 7, 6). Quando egli espose la legge a Gerusalemme, tentando di stabilire o ristabilire cene pratiche, fu assistito dai !eviti (Ne 8, 9- 1 2). Similmente uno dei tesorieri designati da Neemia era > (Ne 1 3, 1 3), il cui nome lo contraddistingue anche come sacerdote. La testimonian za biblica post-esilica indica uniformemente il fatto che i sacerdoti (e i !eviti, almeno pochi di loro) erano «Scribi>> nel senso di studiare, insegnare e osservare la legge. Si presume che essi fossero in grado di leggere e scrivere e alcuni di loro di predisporre documenti e co piare testi. 2 Cr 1 9, 5-1 1 , intendendo descrivere un periodo prece dente ma riflettendo una prassi post-esilica, nomina «alcuni !eviti, sacerdoti e capifamiglia>> come magistrati. Il Deuteronomio pone la legge nelle mani dei sacerdoti: Mosè consegnò i suoi libri ai sacerdoti «e a tutti gli anziani d ' Israele>> (3 1 , 9), e il re veniva istruito a trascrivere per se stesso una copia della legge che era «secondo l'esemplare dei sacerdoti (eviti>> ( 1 7, 1 8). La situazione continuò nel periodo post-biblico e fino al I secolo, se addirittura non divenne ancora più pronunciata. Ben Sira conside rava i sacerdoti come gli insegnanti della nazione (Sir 45, 1 7), una posizione che non accorda agli anziani. La comunità del mar Morto aspettava che il Re-Messia deferisse ai sacerdoti tutti i problemi le gali (4Qplsa)3, il che va al di là di Dt 17, 1 8. Giuseppe Aavio sor passò anch'egli Dt 1 7, 1 8 : egli auribuì a Mosè il comandamento «[il re] non faccia nulla senza il sommo sacerdote e il consiglio degli an ziani>> (Ant. 4, 24). Nel riassumere Dt 3 1 , nel quale Mosè consegna la legge ai sacerdoti e agli anziani, Giuseppe Flavio tralasciò gli an ziani (Ant. 4, 304). In generale, Giuseppe Aavio considerava i sacer3. Vermes, Perspectives, p. 1 85.
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doti come i capi e i giudici della nazione: Dio aveva assegnato l'am ministrazione al «corpo intero dei sacerdoti», che esercitavano una ((supervisione generale>> e inoltre conducevano i processi e punivano i malfattori (Ap. 2, 1 65, una 'teocrazia' ; 2, 1 84- 1 87). Più tardi egli afferma che il sommo sacerdote governava essere governati dai sacerdoti (Ant. 1 4, 4 1 ). Un' altra testimonianza in Giuseppe Flavio rivela il ruolo dei sa cerdoti come esperti interpreti della Bibbia. In un passo interessante ciò è trasmesso in maniera indiretta, il che lo rende ancor più con vincente. Durante la rivolta, il fariseo Shim 'on figlio di Gamaliel persuase il consiglio rivoluzionario di Gerusalemme a indagare sul modo in cui Giuseppe Flavio aveva condotto la guerra in Galilea. Tutti presupposero che quella che veniva richiesta fosse una perizia biblica; come vedremo più ampiamente immediatamente oltre, la conoscenza non era suddivisa in sotto-categorie. Un esperto nella Bibbia era un esperto in tutto, inclusa la guerra. La commissione d'inchiesta consisteva di quattro uomini, >. Due membri erano ((dei gradi bassi e aderenti ai farisei»; il terzo era sia sacerdote sia fariseo; il quarto era . Dato che erano tutti esperti, essi poterono tenere testa a Giuseppe Flavio e non essere sbaragliati dalla sua superiore conoscenza della Bibbia e dei costumi aviti ( Vita 1 96- 1 98). Quanto è interessante al riguardo è che Giusep pe Flavio presuppone da parte del lettore la consapevolezza che i sa cerdoti conoscevano la legge; egli deve spiegare che i due farisei non sacerdoti, anche se venivano dal popolo comune, nondimeno conoscevano la legge. La successiva testimonianza è leggermente più complessa. Giu seppe Flavio si considerava un grande esperto della legge (Vita 9), e il suo lavoro conferma la sua autostima. Egli era anche in grado di comprendere le profezie, come mostra questa descrizione di sé: «anch'egli un sacerdote, e di discendenza sacerdotale, non ignorava le profezie dei libri sacri>> (Bel/. 3, 252). A questo punto del suo rac conto, egli sta spiegando come fosse giunto all 'opinione che Dio avesse prestabilito come eventi necessari la vittoria di Roma in guer ra e l'elezione di Vespasiano a imperatore. Questo gli era stato in parte rivelato tramite sogni, ed egli era un interprete esperto anche di questi. Egli combinò le d ue fonti di informazione - sogni e Scrittura
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- per giungere alla sua nuova visione del volere di Dio (Bel/. 3, 350354)4. Questo è, naturalmente, tutta autoapologia. Egli sta argomen tando che nel passare dalla parte di Roma non aveva tradito, ma ave va agito in accordo con il volere di Dio come lo aveva dedotto dai sogni e dalla Scrittura. Quello che interessa in quest'argomentazione è che egli semplicemente presuppone di essere un esperto in quanto sacerdote. Come individuo, egli era più esperto della maggioranza, ma l' interpretazione della Scrittura, secondo la sua concezione, era una funzione sacerdotale. Più tardi egli descrive «gli scribi sacri>> come coloro che interpretarono correttamente i portenti della distru zione di Gerusalemme (Bel/. 6, 29 1 ). Il termine hierogrammateus è tradotto più letteralmente «scriba sacerdotale>>. La maggior parte dei suoi altri usi dei termini si riferisce a sacerdoti che erano consiglieri del Faraone egiziano (Ant. 2, 205.209.234.255). La competenza era competenza. La specializzazione della cono scenza non era sviluppata così approfonditamente come nelle mo derne università. Gli esperti della Bibbia non erano un gruppo intera mente separato dagli esperti di astronomia, dottrina esoterica, inter pretazione dei sogni e tattica di guerra. Non dovremmo, tuttavia, isti tuire equiparazioni. C'erano altri esperti biblici oltre ai sacerdoti, e Giuseppe Flavio sceglie in questo senso i farisei. Ci potevano anche essere interpreti dei sogni e indovini non sacerdotali. Per converso, non tutti i sacerdoti erano ugualmente addetti a tutto. La maggioran za degli studiosi moderni, tuttavia, pensa che nel giudaismo dell'epoca di Giuseppe Flavio i sacerdoti avessero rinunciato al loro ruolo tradizionale di esperti biblici e di magistrati (che giudicavano i casi sulla base della legge biblica), e che i farisei o scribi laici aves sero assunto questi ruoli. Alcuni studiosi tendono a far equivalere i farisei agli scribi laici, alcuni a tenerli formalmente separati, ammet tendo però un'ampia sovrapposizione; i più ipotizzano il dominio degli esperti laici farisei o scribi sul clero. Il presente argomento è che i sacerdoti mantennero le loro responsabilità tradizionali, anche se non avevano un monopolio su di esse. Non abbiamo ancora trattato dei farisei, e così è prematuro cerca re di decidere come valutare le loro pretese di autorità rispetto a quelle dei sacerdoti non farisei. Desidero, tuttavia, far conoscere al lettore la misura in cui la mia descrizione dei sacerdoti come inse4. Cfr. R. Gray. Prophetic Figures in Late Second Tempie Jewish Palestine: Evidence from Josephus. Ox ford 1992.
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gnanti e magistrati differisce da quella della maggioranza degli stu diosi. La visione comune che i sacerdoti si ritirassero dallo studio, dali' insegnamento, dalla magistratura, e fungessero da esperti legali, è parte di un mito complesso sul giudaismo del tardo secondo tem pio. Cronologicamente il mito funziona così: in data precoce, alme no nel 200 a.C., gli scribi laici (scribi nel senso di esperti biblici) co minciarono ad avere grande influenza. I sommi sacerdoti si mossero in direzione dell'ellenizzazione, e la legge cadde nelle mani dei laici. Questi scribi laici erano nel complesso farisei. I loro titoli cambiaro no: da 'scriba' a 'saggio' a 'rabbino', ma ci fu una successione con tinua di persone che guidarono la vita religiosa della nazione, che non erano sacerdoti, che erano farisei o vicini ai farisei, e i cui ultimi successori furono i rabbini della Mishnah. Questi scribi svilupparo no la 'legge orale', più tardi trascritta nella letteratura rabbinica. Questa legge governò il paese. Fin dal periodo del Nuovo Testamen to, il trasferimento dell'insegnamento, della conoscenza e della lea dership spirituale dal sacerdozio ai laici fu «pienamente compiuto>>s. Nel frattempo, i farisei (i cui capi erano gli scribi) stavano assu mendo direttamente il potere. C'era un corpo centrale legislativo e giudiziario, chiamato Sanhedrin (Sinedrio), che governava i pale stinesi e, fino a un certo grado, il giudaismo della diaspora. Dal tem po di Salome Alessandra i farisei erano in maggioranza. l monarchi governavano in collaborazione con il Sanhedrin, ma era il Sanhedrin che trasmetteva la legislazione, dominava l'interpretazione della leg ge biblica e giudicava le cause gravi. Perciò su due fronti i farisei vinsero: essi controllavano l'organo legislativo-giudiziario, e come principali esperti della legge controllavano la vita religiosa e il culto. Qui stiamo considerando solo una parte di questa ricostruzione: i sacerdoti non funsero più da esperti legali, insegnanti e magistrati, ma avevano ceduto questi compiti ai laici, guidati dai farisei. Finora ho proposto l' ipotesi che alcuni sacerdoti e (eviti, quando non erano di servizio al tempio, continuassero a rivestire i loro ruoli tradiziona li di scribi (nei vari significati del termine) e magistrati. Noteremo sotto che molti avevano qualche altra occupazione quando non erano al tempio; per ora desidero proseguire sulla questione dei sacerdoti e dei leviti come scribi e magistrati. Questo argomento richiede un' attenta considerazione, dato che non è possibile risolverlo citando passi. C'è pochissima documentaS. HJP, D, p. 324 («già completa»); JPJC. 11. 1 , p. 3 1 3 («del tutlo completala»).
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zione positiva riguardo all'identità degli scribi e dei magistrati nel nostro periodo. l manuali di storia ebraica, tuttavia, dicono che c'è documentazione decisiva sugli scribi, e inoltre sostengono che la do cumentazione prova la ricostruzione che sopra ho etichettato come 'mito ' : gli scribi erano laici ed erano guidati dai farisei. Sfortunata mente dovrò dedicare alcune pagine a queste affermazioni. Prenderò come esempio Jeremias, perché la sua trattazione è più concisa di quella di SchUrer, benché molto di ciò che segue si possa esemplifi care fondandosi su SchUrer. Jeremias fece l'affermazione usuale che le posizioni importanti nella vita pubblica ebraica, dal l secolo, erano passate dalle mani dell'aristocrazia sacerdotale in quelle degli scribi laici, la maggio ranza dei quali si identificava con i farisei. Gli scribi laici, diceva Je remias, superavano di gran lunga per numero gli scribi sacerdoti6• Gli scribi erano chiamati 'Rabbi', e «solo [questi] insegnanti ordinati trasmettevano e creavano la tradizione derivata dalla Torah, che, se condo l'insegnamento farisaico che la massa delle persone rispetta va, era considerata uguale a essa [ ... ], e in ve rità a essa superiore ••• >>7• L' opinione che !"insegnamento farisaico' fosse 'superiore alla Torah' è direttamente contraria all'opinione dei rabbini sulle tradi zioni extrabibliche, che presumibilmente continua il punto di vista farisaico8• Jeremias poi afferma di dare il risultato di plebisciti: «Quando una comunità doveva fronteggiare una scelta tra un laico e uno scriba per la nomina al compito di anziano di una comunità. di 'capo della sinagoga' o di giudice. essa invariabilmente preferiva lo scriba. Questo si gnifica che un gran numero di posizioni importanti fino ad allora tenute da sacerdoti e laici di alto rango era passato nel 1 secolo d.C. interamente o prevalentemente nelle mani degli scribi>>9.
6. Jeremias, Jerusalem, p. 234. Egli credeva che gli scribi fossero nominati nella letteratura rabbinica. e pertanto di poterli contare; cfr. oltre. 7. lvi, p. 236. Le parole omesse in questa citazione sono a loro volLa citazioni da Billerbeck. 8. Il materiale giuridico rabbinico abitualmente pone le regole 'degli scribi' al di sotto a quelle della llibbia. La trasgressione di una proibizione degli scribi non com porta una sanzione (nell'opinione dei rabbini) e non richiede espiazione. Per esem pio, le persone che sono impure secondo le «parole della Tomh» sono colpevoli se entrano nel tempio. mentre quelle che sono impure secondo le «parole degli scribi» non lo sono (mParah I l , 4 s.). Cfr. JUM, cap. u. 9. Jeremias, op. cir., p. 237.
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Egli non fornisce nessuna documentazione per la prima afferma zione, riguardo alle nomine e alle elezioni, il che è comprensibile, dato che non c'è alcuna documentazione e non c'erano, per quanto possiamo sapere, elezioni. Ci sono naturalmente numerosi passi sui sacerdoti e i laici di alto rango. Successivamente Jeremias afferma che «Gli seri bi farisei erano di gran lunga i più numerosi» e che > in Mt 23 probabilmente sta die tro a tutto questo. La visione complessiva di Jeremias su farisei e sacerdoti (lascian do da parte la sua 'prova' derivata dagli 'scribi') è sostenuta dalla maggioranza degli studiosi. Secondo Hyam Maccoby, >. Questo è un errore peggiore di quello di Maccoby. Mac coby lasciò fuori Esdra, la Rajak sostenne che egli non era un sacer dote, benché lo fosse, e per giunta sadocita (Esd 7, 1 -6). Supponen do che egli non fosse un sacerdote, la Rajak imputa questo 'fatto' contro l' asserzione di Giuseppe Aavio che la sua competenza nell'interpretazione biblica era collegata con la sua condizione di sa cerdote. Contro la descrizione di sé che egli dà, essa afferma che i sacerdoti non rivendicavano «alcuna speciale relazione con la To rah>>19 - benché le due persone che essa cita, Esdra e Giuseppe Fla vio, assai chiaramente lo facessero. Offro un esempio ulteriore della tesi che solo i farisei si occupas sero della legge e dell'insegnamento. Un' iscrizione trovata a Geru salemme fornisce alcune informazioni riguardo a una sinagoga di lingua greca dedicata allo studio della legge: 1 5 . Maccoby, Revolution in Judaea, p. 61 . 1 6. lvi, pp. 6 1 s. 17. Rajak. Josephus, p. 29. 18. Cfr. oltre. pp. 625 s. 19. Rajak. Josephus, p. 19.
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«Teodoto figlio di Vetteno, sacerdote e capo della sinagoga, figlio di un capo d i sinagoga, figlio del figlio di un capo di sinagoga, costruì la sinago ga per leggere la legge e per insegnare i comandamenti, e inoltre l'alloggio per i forestieri e sia le camere sia le latrine per un albergo per colo ro che venendo dall'estero ne hanno bisogno, della �uale [sinagoga) i suoi padri e gli anziani e S imonide posero le fondamenta>> 0.
Martin Hengel dice che Teodoto era un fariseo2t. Quello che è chiaro qui è che i capi della sinagoga furono sacerdoti per tre gene razioni, per giunta sacerdoti molto ricchi. Se dobbiamo assegnarli a un partito, l' ipotesi più plausibile sarebbe quello sadduceo, ma non c'è alcuna ragione di pensare che essi fossero rappresentanti di un partito. Quello che veniamo a sapere dall' iscrizione è che una fami glia di sacerdoti benestanti che sapevano parlare greco costruirono e assunsero la manutenzione di una sinagoga per pellegrini di lingua greca, e che la sinagoga aveva lo scopo duplice di servire da albergo e da luogo di istruzione. L'iscrizione avalla la documentazione della letteratura: erano i sacerdoti che insegnavano la legge. Io presumo che Hengel identificasse i sacerdoti come farisei a causa della pre sunzione che solo i farisei insegnassero. Questa è una presunzione che ha resistito per decenni ed è stata accettata da studiosi di tutti i versanti, sia cristiani sia ebrei. Degli studiosi citati qui, solo Jeremias e lo Schiirer originale pensavano che ci fosse bisogno di fornire una documentazione. Abbiamo esa minato la documentazione data da Jeremias, che non è molto diversa da quella di Schtirer22. Al vaglio, risulta priva di valore. Tutti gli al tri, comunque, hanno semplicemente ereditato una visione della Pa lestina del ! secolo che può essere dimostrata erronea; ma questo av viene perché essi supposero che gli esperti avessero fatto il loro compito. Contrariamente alle asserzioni usuali, dunque, c'è relativamente poca documentazione positiva dell' identità degli 'scribi' nel senso di esperti di diritto e maestri della legge. Quello che c'è conduce alla 20. Deissmann, Lightfrom the Ancient East, pp. 439-441 . 2 1 . Hengel, Between Jesus and Pau/, pp. 1 6- 1 8. 22. Cfr. HJP, 11, pp. 322-336, sull'opera degli «studiosi della Torah», chiamati prima «scribi» e poi «rabbini»; questi studiosi della Torah sono nominati, con l'uso della leueratura rabbinica (pp. 356-380). Nella trad. ingl. originale di Schtirer (JPJC 11. 1 ), le pp. pertinenti sono 3 13-328 ( «scribismo>>) e 351 -379 (i nomi degli «seribi>>). Non mi sono dato pena di scoprire chi abbia inventato la curiosa pratica di mettere per iscriuo i nomi dei rabbini e poi dire che sappiamo chi erano «gli scribi».
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conclusione che i sacerdoti non avessero lasciato libero il campo. A fianco della letteratura riassunta sopra (pp. 235-238) abbiamo appe na visto la testimonianza singola dell' iscrizione dalla Palestina, che ci dice che una famiglia sacerdotale guidava una sinagoga e insegna va la legge. Dalla diaspora proviene documentazione scarsa e indi retta. Secondo Filone, l'istruzione del sabato era guidata da un sacer dote o anziano, e un'iscrizione tarda da una sinagoga in Asia M inore si riferisce a un sacerdote che era anche un saggio o sapiente2l. Che i sacerdoti fungessero da magistrati e da giudici, coloro che applicavano la legge, oltre a essere stato direttamente asserito da Giuseppe Flavio (Ap. 2, 1 87), è confermato dal racconto della guari gione di un lebbroso in Mc l , 40-45. Gesù lo curò e poi gli disse di mostrarsi al sacerdote, che solo poteva determinare se l'ex-lebbroso era ora purificato o no. I farisei, a dire il vero, effettivamente insegnavano a Gerusalem me, come facevano gli esseni24, e non desidero affatto proporre l 'idea che non ci fossero maestri laici che avessero il loro proprio se guito. Gente cosi chiaramente c'era. Alcune persone che avevano bi sogno di una decisione giuridica, di un 'giudizio', potrebbero averlo chiesto a un fariseo. Questo non significa, tuttavia, che i sacerdoti non fungessero più da giudici e consiglieri sulla legge. La letteratura rabbinica, naturalmente, dà l'impressione che i rab bini sapessero le cose e decidessero tutto e che i sacerdoti fossero ignoranti e dovessero sempre essere guidati dai sapienti farisei. Il lettore del trattato Nega 'im della Mishnah, sull' identificazione della 'lebbra', potrebbe ben concludere che i farisei o i rabbini dovevano stare a fianco del sacerdote per dirgli come giudicare ogni caso. Era tuttavia il sacerdote che aveva la responsabilità legale di decidere quando la malattia della pelle costituiva 'lebbra' e quando la persona ne era guarita, e c'è da dubitare che i sacerdoti corressero dal fariseo più vicino per portarlo fuori dalla sua bottega o dal suo campo per esaminare il caso. I sacerdoti, dopo tutto, erano professionisti, i fari sei non sacerdoti erano dilettanti. Nella ballaglia tra la letteratura rabbinica, che implica che i sacer doti avessero bisogno di non-sacerdoti che dicessero loro cosa fare, e Giuseppe Flavio, che afferma che i sacerdoti fungevano da m aestri 23. Cfr. sopra, pp. 70 s. 24. Cfr. gli episodi in Giuseppe Aavio su maestri esseni e non classificati (che probabilmente erano farisei): Bel/. l , 78-RO; l, 648-650; Alli. 13, 3 1 1-313.
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e giudici, io preferisco Giuseppe Flavio2s. Una delle ragioni è crono logica. Dal tempo in cui la letteratura rabbinica fu scritta, i maestri laici erano di fatto divenuti dominanti. La Mishnah riflette fedel mente un assetto sociale, ovverosia il suo proprio. L'elogio dell'ec cellenza del dominio sacerdotale da parte di Giuseppe Flavio è in fluenzato, ma nondimeno riflette un assetto sociale nel quale i sacer doti avevano il ruolo di guida, ovverosia la sua personale esperienza in Gerusalemme. A fianco dei suoi riassunti, i racconti di eventi con creti che Giuseppe Flavio fa mostrano il ruolo preminente dei sacer doti, un punto che secondo me conta molto, benché riguardi più di rettamente i leader sacerdotali che non i sacerdoti ordinari26• A cau sa della somma di dettagli narrativi in Giuseppe Flavio e del partico lareggiato dibattito giuridico nella Mishnah, trovo difficoltoso pen sare che ciascuno di questi assetti sia stato creato dal nulla. Sono si curo che persino prima del 70 i farisei si radunassero e studiassero e dibattessero. Essi decidevano cose come che i cortili del tempio non potevano essere lavati dopo lo sgozzamento di Pasqua se la Pasqua cadeva di sabato. I sacerdoti, tuttavia, continuavano a far scorrere via il sangue (mPesa�1i111 5, 8). Alcuni decenni dopo il 70, i saggi do vettero dare sempre meno attenzione ai sacerdoti, e cominciarono a trattarli come se essi non avessero mai contato: questa è l'impressio ne complessiva della M ishnah. Questo assetto sociale venne in vigo re, ma non fino al periodo successivo alla distruzione del tempio. Se, tuttavia, si trattasse di inventare un mondo puramente immaginario, i rabbini della Mishnah si mostrano molto più abili di Giuseppe Fla vio, il che ancora una volta depone a favore di quest'ultimo. Io attribuisco almeno lo stesso peso a considerazioni generali, che ora specificherò più ampiamente. Abbiamo visto che i sacerdoti era no educati, e questo era particolarmente vero per i sacerdoti aristo cratici, come lo stesso Giuseppe Flavio. Dal momento che egli affer ma che all'età di diciannove anni cominciò a seguire le regole dei fa risei, alcuni studiosi attribuiscono la sua evidente padronanza della Bibbia al suo farisaismo27. Ma a diciannove anni egli aveva già com pletata la sua educazione ed era pronto a prendere il suo posto nel 25. L'asserLione per cui chiunque avesse una posizione di rilievo dovesse segui re le opinioni farisaiche solleva una questione differente, discussa nel cap. 1 8 . Qui il tema è chi ricoprisse gli incarichi. 26. Cfr. più ampiamente ai capp. 15 e 2 1 . 27. Rajak, Josephus, p. 30: la prima educazione di Giuseppe Aavio fu «marcata mente farisaica».
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mondo. Egli sostiene che era un esperto riconosciuto all'età di quat tordici anni; studiò i diversi partiti tra i sedici e i diciannove anni, ma per la maggior parte di questo periodo egli fu discepolo di Banno, che apparentemente non era un fariseo (Vita 7-12). L'educazione di Giuseppe Flavio, pertanto, fu in parte l'educazione normale di un sa cerdote di buona famiglia, in parte un suo particolare sforzo di impa rare di più. Ma egli non era il solo sacerdote aristocratico ben educa to. È ragionevole pensare che alcuni di questi uomini mettessero a buon frutto la loro dottrina, insegnando e giudicando. La seconda considerazione generale riguarda i sacerdoti non ari stocratici e i )eviti, e questo ci porterà a una discussione sugli scribi. Dato che Giuseppe Flavio era un aristocratico e aveva proprietà, non aveva necessità di guadagnare denaro. È probabile che la maggior parte dei sacerdoti e dei !eviti lo facesse. Il tempio non forniva ai le viti nessun contante, anche se molto cibo. Dobbiamo dubitare che ciò che i sacerdoti ricavavano dalle pelli e dal riscatto degli animali primi nati e dei primogeniti desse loro abbastanza denaro. Essi non dovevano produrre il proprio vitto, ma non c'è alcuna ragione per cui non potessero fare un altro lavoro28• Alcuni sacerdoti e )eviti pos sono avere svolto lavori abbastanza bassi. Essi possono essere stati muratori o negozianti di ferramenta. Possono anche essere stati seri bi. La prima esigenza di uno seri ba di qualunque sorta è il saper leg gere e scrivere. l !eviti sapevano leggere i Salmi, e la lunga associa zione di sacerdoti e )eviti sia con l' insegnamento sia con lo studio della liturgia del tempio significa che molli di loro sapevano leggere e scrivere. Richiamiamo quanto detto sopra, il fatto che Giuseppe Flavio dovette spiegare che due farisei laici conoscevano la legge. La spiegazione non era necessaria per i sacerdoti. Non tutti quelli che sapevano leggere e scrivere, tuttavia, potevano fungere da scribi professionali, remunerati: questo richiedeva un'educazione speciale, in parte per imparare la grafia professionale. Il mondo antico esigeva un gran numero di scribi. Molto è noto ri guardo al loro lavoro, grazie specialmente alle scoperte da parte di Yigael Yadin di materiale dell'epoca della seconda rivolta (che fini nel 1 35 d.C.). Tra i reperti c'era un fascio di trentacinque documenti, per lo più giuridici, appartenuti a una donna di nome Babatha29• I do cumenti coprono un periodo dal 93 al 1 32 d.C., e si riferiscono a una 28. Cfr. sopra, cap. 6 n. l, a proposito del sommo sacerdote nominato dagli zeloti. 29. Yadin, Bar-Kokhba, cap. 1 6.
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proprietà situata a Maoza (o Mahoza) (in Nabatea, al confine meri dionale del mar Morto) e a En-Gedi (in Giudea, sul litorale occiden tale del mar Morto). I documenti più antichi nella collezione risalgo no a un periodo in cui la Nabatea era uno Stato semi-indipendente, mentre i più recenti (dopo il 1 06 d.C.) sono dell'epoca dopo la quale Traiano inglobò la Nabatea nella provincia romana d'Arabia. Perciò i primi documenti riflettono le leggi e la prassi scribale nabatee, gli ultimi le leggi romane. Dato che Babatha era ebrea, i suoi documenti di matrimonio dovevano parimenti conformarsi a parti della legge ebraica. Mentre legalmente i documenti sono 'nabatei' o 'romani', quanto all'opera degli scribi essi seguono i modi di formulazione, testimo nianza e sigillatura a noi già noti dalla Mishnah. Questo non prova che i farisei avessero imposto le loro leggi sulla Nabatea, ma piutto sto che la Mishnah codifica la prassi civile allora comune30• Le carte di Babatha rivelano sia un'esperta competenza giuridica sia una pre parazione professionale: due generi di lavori da scribi. Ci sono parecchi aspetti di questi documenti che sono rilevanti per il nostro tema (sacerdoti, leviti, capacità di leggere e scrivere e scribi). In primo luogo, vediamo che anche in una città periferica fiori la cancelleria giuridica. Babatha si era sposata due volte, e la sua vita era stata complicata. Uno dei tutori di un figlio avuto dal primo matrimonio non aveva tenuto fede ai suoi obblighi. Il secondo marito lasciò una vasta proprietà, divisa tra parecchi eredi. La mag gior parte delle famiglie non esigeva trentacinque documenti per condurre i propri affari legali, ma tutti tranne i più poveri avevano affari legali, se non altro le carte per un matrimonio e una piccola eredità. Il caso di Babatha ci fornisce una traccia di attività cancelle resca dettagliata e meticolosa. Questo significa, in secondo luogo, che c'era un quadro professio nale. C'erano legali o procuratori nel senso moderno: persone che davano consulenza legale. Un documento «deve essere stato redatto da un abile legale che aveva dimestichezza sia con la legislazione romana che con quella ebraica concernente 'donazioni'))31 • C' erano anche scribi nel senso di 'segretari ' o 'copisti' , persone che scriveva no con calligrafia nitida, piccola e precisa. Non è possibile essere 30. Yadin, op. cit., pp. 229s. Per la storia di questa prassi degli scribi wis, The Documents from the Bar Kok!Jba Period, pp. 6- 1 1 . 3 1 . Yadin, Bar-Kokhba, p. 236.
cfr. N. Le
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certi se l 'esperto legale scrivesse anche il documento o no. Si do vrebbe pensare che in una ciuadina la stessa persona potesse fare bene entrambe le cose. I documenti di Babatha testimoniano anche l'esistenza di magistrati. Possiamo presumere che la situazione fosse la stessa in Giudea e in Galilea. Nei villaggi piccoli ci possono essere stati solo un magi strato e un esperto legale, che inoltre compilavano i documenti. In aree più grandi e popolose possiamo immaginare un piccolo numero di magistrati, tre o più, a seconda della popolazione, e parecchi esperti legali o scribi. Nei centri più importanti possiamo supporre che la specializzazione crescesse; forse coloro che facevano consu lenza legale avevano impiegati per preparare i documenti. Queste sono ipotesi basate sulla tendenza generale a moltiplicare gli uffici e a introdurre distinzioni di ordine e posizione. Se ogni comunità aveva il suo scriba o i suoi scribi (che possono anche essere stati esperti legali), quanti erano questi tutti insieme? Secondo Giuseppe Flavio, c'erano 204 città e villaggi nella sola Ga lilea ( Vita 235). Cassio Dione sosteneva che durante la seconda ri volta i romani distrussero 50 fortezze e 985 dei (Storia romana 69, 14, 1). Il tempio esigeva anch'esso numerosi scribi, e si presume che molti di loro fossero sacerdoti e !eviti. Alcuni lavoravano come copi sti, dato che il tempio aveva bisogno di copie della Bibbia, special mente dei Salmi, che erano i libri di canto dei !eviti. Altri erano spe cialmente esperti nelle leggi e nelle consuetudini (così Bel/. 2, 4 1 7). Quello che una persona faceva dipendeva dali' abilità e dalla condi zione, economica e di altro genere. Due riferimenti in Giuseppe Fla vio ci fanno pensare che alcuni scribi del tempio fossero !eviti piut tosto che sacerdoti, benché in entrambi i casi gli scribi fossero pro babilmente meri copisti. l due passi, entrambi riferiti al periodo pre asmonaico, elencano persone legate al tempio che ricevevano spe ciali benefici. Entrambi i testi distinguono gli 'scribi del tempio' dai sacerdoti. Uno di essi nomina i !eviti allo stesso modo dei sacerdoti, dei musicisti del tempio, dei portieri, degli inservienti del tempio e degli scribi del santuario (An t. I l , 1 28, periodo persiano, epoca di Esdra): cioè, c'erano scribi del tempio che non erano né sacerdoti né !eviti, e che sembra fossero al livello dei portieri e degli addetti alle pulizie. Nella seconda lista, una lettera di Antioco m, i beneficiari sono «il consiglio degli anziani, i sacerdoti, gli scribi del tempio e i cantori del tempio>> (Ant. 1 2, 1 42). I !eviti non sono nominati separa tamente, e sembrano celati sotto i termini 'scribi' e 'cantori' .
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Parte seconda
Una volta che ci fosse una riserva adeguata di !eviti e sacerdoti che potevano fungere da 'scribi del tempio' (come non poté esserci quando il tempio fu ricostruito per la prima volta nel VI secolo a.C.), non vedo ragioni per cui le autorità del tempio dovessero cercare fuori dai propri ranghi per reclutare il grande numero di copisti ed esperti legali che il tempio esigeva. Probabilmente alcuni !eviti, quando non erano di servizio nel loro turno settimanale, venivano al trimenti impiegati nel tempio come 'scribi', cioè copisti. In ogni caso, nel calcolare il bisogno di scribi della Palestina, dobbiamo in cludere il tempio come un grande datore di lavoro. Non saremo in grado di arrivare a numeri definiti, ma possiamo presumere che ci fossero alcune migliaia di scribi nella Palestina ebraica del nostro periodo: consulenti legali in ogni località, persone che sapevano redigere documenti, ed esperti legali e copisti impiega ti nel tempio. Al tempo di Erode, secondo Giuseppe Flavio, c' erano circa 6.000 farisei. Abbiamo visto che c'erano dai 1 8 .000 ai 20.000 sacerdoti e !eviti. Osserviamo ora che la Mishnah promulga ampia mente leggi per piccoli contadini, e dà ben poche regole che gover nassero il lavoro effettivo degli scribi, benché alcune loro pratiche siano accuratamente descritte (come mostra il confronto con i docu menti scoperti da Yadin). Infine, ricordiamo che i sacerdoti e i !eviti avevano la proibizione di lavorare la terra e che erano in servizio solo una settimana ogni ventiquattro, più le tre festività di pellegri naggio, per un totale di cinque o sei settimane ali' anno. Essi non era no legati a fattorie, come molti farisei, e potevano assumere un altro impiego. Come scrisse Ben Sira, in un passo che alcuni credono provi come alla sua epoca i laici ordinari stessero assumendo il controllo degli incarichi da scriba, "La sapien za dello scriba si deve alle sue ore di quiete; chi ha poca attività diventerà saggio. Come potrà divenir saggio chi maneggia l'aratro . .. ?» (Sir 38, 24 s.)
In questa sezione Ben Sira sta descrivendo se stesso, sapiente ed esperto biblico. Per essere uno scriba in quel senso si deve essere ricco o sacerdote o !evita, vivendo di decime e offerte. Ben Sira era ricco, e può essere stato un sacerdote32. Non sembra dimostrare che i 32. È possibile che Ben Sira fosse un sacerdote: Stem, Aspects of Jewish Society: the Priesthood and other Classes. in CRINT, 1. 2, pp. 590 s.
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laici comuni, i presunti antenati dei farisei, stessero prendendo i l so pravventoJJ. Ritengo irragionevole supporre che i pochi farisei, la maggioranza dei quali probabilmente lavorava dall'alba al tramonto sei giorni alla settimana, servissero anche la propria comunità come legali o scribi, mentre i numerosi sacerdoti e !eviti, che erano in servizio al tempio solo poche settimane all' anno, che non potevano coltivare la terra e che erano stati educati nella legge, non facessero nulla. È molto più probabile che molti sacerdoti ordinari e molti !eviti mettessero a buon frutto il proprio sapere e fungessero da scribi ed esperti legali. Giuseppe Flavio scrisse esplicitamente che i sacerdoti erano giu dici (Ap. 2, 1 87). lo credo che noi dovremmo accettare tale afferma zione, pur osservando che nei villaggi incarichi giudiziari minori erano svolti anche dai capi delle maggiori famiglie, anziani del vil laggio che non erano sacerdoti. I sacerdoti e i !eviti erano al servizio della nazione al fine di mantenere il culto di Dio nel tempio, di inse gnare e di giudicare la gente. Essi continuarono ad adempiere quei ruoli nel I secolo. Non c'è alcuna ragione di pensare che essi perdes sero interesse per la legge e volontariamente consegnassero i loro in carichi tradizionali ai farisei laici, né è possibile che ci fossero abba stanza farisei con il tempo necessario a disposizione per supplire ai sacerdoti e ai !eviti come maestri, scribi e magistrati. Nei capitoli seguenti vedremo che, per quante persone trovassero popolare l ' insegnamento dei farisei Shema 'yah e Avtalion e dei loro successori, i leader sacerdotali, assistiti dai 'potenti' laici, mantenne ro un potere reale e lo usarono a loro piacimento. A mio giudizio, non sapremo mai quanti maestri sacerdotali e laici ci fossero, né chi influenzò maggiormente le opinioni private del popolino. Qui desi dero solo mostrare che i maestri e i magistrati ufficiali della nazione erano i sacerdoti, e che un buon numero di essi dedicava il suo tem po a questi incarichi quando non era in servizio al tempio. 2. Sincerità, ipocrisia e avidità Ci furono numerose critiche al sacerdozio in età romana. In molti
casi, forse nella maggior parte, esse furono dirette principalmente 33. HJP. n, pp. 322-325. Ben Sira è presentato come collocato all'inizio del pro cesso di trasferimento di potere ai laici.
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Parte seconda
contro i sacerdoti aristocratici, che prenderemo in considerazione nel cap. 1 5 . Per due ragioni desidero occuparmene qui: primo, sarebbe ragionevole pensare che i sacerdoti nel complesso seguissero l'esempio dei loro capi, cosicché le dichiarazioni di immoralità e di impurità rivolte contro i capi sacerdoti si dovrebbero applicare, in certa misura, anche a tutti i sacerdoti; secondo, sosterrò che il sacer dozio mantenne la sua integrità. Non voglio liquidare accuse che possono aver incluso i sacerdoti ordinari, e neppure indugiare a di scutere di essi per cinque capitoli. Riserverò tuttavia al cap. 1 5 i rac conti di Giuseppe Flavio riguardanti comportamenti scandalosi e di sonesti da parte di sacerdoti aristocratici citati per nome, dato che in questi casi è fuor di dubbio che le accuse erano specifiche. Intorno al 63 a.C. l'autore di PsSal 8 accusò 'loro', ovviamente i sacerdoti, di incesto, di adulterio, di aver fatto accordi per vendere le mogli, di aver portato sangue mestruale nel santuario e di aver sac cheggiato il tesoro del tempio. Gesù, secondo Mc 1 1 , 1 7, accusò i sacerdoti di gestire una > (2 Cor I l , 1 4 s.). In Galazia i suoi oppositori erano motivati dalla 44. Cfr. J&J, pp. 66 s. e nn. Ho errato nello scrivere che Mc I l, 17 è l'unico rife rimento nel Nuovo Testamento che accusi i sacerdoti stessi di disonestà: anch'esso non li accusa di essere direttamente disonesti (anche se è implicata una disonestà in dirett.a).
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paura e dal desiderio di , e perseguitavano i giusti (CD l , 1 8-2 1 )4s. Le accuse di immoralità sessuale sono assenti negli attacchi esseni ai farisei. Questo potrebbe essere fortuito, sebbene possa anche darsi che il codice sessuale dei fari sei fosse quasi altrettanto rigoroso quanto quello degli esseni. Le accuse del Documento di Damasco e dei Salmi di Salomone contro i sacerdoti sono più pesanti e includono denunce di immoralità sessuale, ma sono dello stesso genere: pole mica religiosa. Queste ampie accuse erano per consumo 'interno', e non doveva no essere convalidate in pubblico. Perciò potevano essere ampie e generiche. Osserviamo che i critici del sacerdozio erano 'pii' esclusi dal potere, alcuni dei quali avevano sofferto per mano del gruppo dominante. Gli esseni in larga parte dovevano la loro esistenza a una disputa sul sommo sacerdozio, e il Maestro di Giustizia era stato perseguitato dal in Gerusalemme. L'autore fina le del Vangelo di Marco non fu probabilmente lui stesso un ebreo perseguitato dai sacerdoti: ma egli parlava a favore del movimento cristiano, che nei primi tempi era stato oppresso dai sacerdoti i mpor tanti. Accusare i sacerdoti di permettere il funzionare d'una 'spelon ca di ladri' probabilmente sembrava una rivalsa perfettamente ragio nevole. Gli autori dei Salmi di Salomone appartenevano a un gruppo pio che era privo di potere e profondamente risentito del governo asmoneo. In PsSal 1 7, 6-8, per esempio, i capi ebrei sono accusati di cacciare via «noi>> e di instaurare una monarchia mondana. Come si esprime Gray, 46• Non ci aspettiamo un resoconto interamente imparziale da fonti di questo tipo. Non sto tut tavia accusando i 'pii' di disonestà flagrante. Dal loro personale pun to di vista, essi erano nel giusto: i sacerdoti che non seguivano le 45. Ciò è basato sul fano di interpretare l'espressione «cercatori come riferita ai farisei. 46. Gray. The Psa/ms ofSolomon. in POT. p. 628.
di
lusinghe»
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loro regole stavano veramente portando sangue mestruale dentro al santuario. Le generalizzazioni radicali («Dovete farlo tutti !>>) non sono vere alla lettera, ma sono tipiche del genere. I sacerdoti che erano stati attaccati probabilmente consideravano i 'pii' come pe danti ipocriti, cosa che solo alcuni di essi erano. Nella letteratura antica conosciamo un solo vero sostenitore dei sacerdoti, e nell'erudizione moderna ancora meno ! Giuseppe Flavio ammirava il sacerdozio e lo elogiava caldamente. Il governo della Giudea era un' «aristocrazia» (Ant. 20, 25 1 ) o una «teocrazia» (Ap. 2, 1 65); vale a dire, i sacerdoti, special mente i sacerdoti aristocratici, erano al potere. Egli si chiese, retoricamente, se ci potesse essere una costituzione più soddisfacente del governo dei sacerdoti: pensa va che non potesse esserci e che i sacerdoti fossero leali, onesti, de corosi e motivati dalla devozione (Ap. 2, 1 85)47• La voce di Giuseppe Flavio è quella di un sacerdote aristocratico. Proprio come le accuse di volgare immoralità sono polemiche e ven gono da nemici dei sacerdoti, quelli che pensavano di aver sofferto per mano loro, l'elogio di Giuseppe Flavio è apologetico e proviene da un membro della classe privilegiata. Informati solo da testimoni prevenuti, come possiamo giungere a generalizzazioni corrette? Io penso che sia possibile andare al di là delle condanne e degli elogi generici. C'è anzitullo da valutare l' in fluenza della teologia personale di Giuseppe Flavio, che è succinta mente presentata in Ant. 4 e Ap. 2. I punti principali di tale teologia emergeranno nella trattazione sulla legge (capp. 1 1 - 1 2) e sulla teolo gia comune (cap. 1 3), e qui desidero solo indicare il suo carattere ge nerale. Il mondo è dominato dalla provvidenza di Dio, ed egli conce de benedizioni a tutti (Ap. 2, 1 66), benché Israele sia oggetto della sua cura speciale (Ant. 4, 2 1 3.242 s.). I fedeli devono ringraziarlo per le benedizioni passate e pregarlo che esse continuino (Ant. 4, 242 s.). Essi non devono, tuttavia, chiedere principalmente benedi zioni, dal momento che Dio le ha già concesse, ma piuttosto devono chiedere la «capacità di riceverle>> e di conservarle (Ap. 2, 1 97). In passi come questi, un sacerdote spiega la teologia che ha imparato. Giuseppe Flavio non fu un teologo originale, e manca di profondità. La sua teologia è semplice e diretta; la grazia di Dio è uno dei suoi temi preminenti. La risposta umana deve essere il ringraziamento. È
tre,
47. Sull'opinione di Giuseppe Aavio in merito al governo e ai sacerdoti cfr. ol pp. 662-664 e n. 83.
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quasi certo che Giuseppe Flavio imparò questa teologia a scuola, come parte della sua educazione al sacerdozio. Non tutti i sacerdoti vivevano all'altezza dell'ideale, ma venivano se non altro isuuiti in esso. Il miglior metodo di andare oltre il pregiudizio ideologico di Giu seppe Flavio, come abbiamo visto in altre sezioni e come dimostre remo più ampiamente nei capitoli successivi, è analizzare i singoli racconti. Egli può offrire false generalizzazioni, ma non inseriva ogni singolo episodio in uno stampo predeterminato. Contro la sua concezione personale secondo cui i sacerdoti importanti erano guide e capi della nazione perfettamente degni di fiducia, egli racconta sto rie che ne screditano alcuni. Tutte queste hanno a che fare con sacer doti aristocratici individuati, e non le narrerò qui. Osservo soltanto che i l pregiudizio ideologico indubitabile di Giuseppe Flavio non tenne fuori dalla sua storia racconti negativi riguardanti altri sacer doti aristocratici. La maggioranza delle storie sui sacerdoti, però, li mostra agire in accordo con quanto essi ritenevano il bene della na zione ebraica nel suo complesso, i vi esplicitamente inclusa la plebe. Altre storie mostrano che molti o la maggioranza dei sacerdoti or dinari osservarono rigorosamente i comandamenti. Ricordiamo che era il sacerdozio del tempo della conquista della Palestina da parte di Pompeo (63 a.C.) a venire diffamato nei Salmi di Salomone. Il ber saglio principale era un Asmoneo, ma forse un sommo sacerdote o un sacerdote importante avido spinse i sacerdoti ordinari ad essere più interessati al denaro e agli agi che al culto di Dio. Giuseppe Fla vio descrisse il comportamento di alcuni dei sacerdoti ordinari di quella stessa generazione. Coloro che servivano nel tempio all'epo ca dell' assalto di Pompeo a Gerusalemme furono attaccati diretta mente, prima bombardati dai proiettili e poi abbattuti dalle spade dei nemici: ciononostante continuarono il loro servizio e morirono ai loro posti48. Può essere utile confrontare i sacerdoti di Gerusalemme con quelli di Babilonia al tempo della conquista dell ' impero persiano da parte di Alessandro. l persiani avevano distrutto alcuni dei templi babilo nesi come ritorsione contro la rivolta, e i sacerdoti si erano abituati a raccogliere le loro decime senza però spendere il denaro nel culto del tempio. Quando Alessandro prese la città, egli comandò che il grande tempio di Esagila fosse ricostruito. Quando fu di nuovo a Ba48. Il passo è cii. sopra, p.
t26.
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bilonia dopo la campagna in India, trovò che il lavoro non era stato fatto. «l sacerdoti di Babilonia avevano preferito le loro finanze, perché, finché i l tempio era incompleto, essi potevano spendere la rendita per l a terra sacra in beni più congeniali che il sacri ficio e il lucido per l 'argento, e avevano rimandato i proge tti edilizi per soddisfare se stessi>>49 •
Penso che tutti gli studiosi del giudaismo del secondo tempio con corderanno che non vi si può trovare alcun parallelo a questo tipo di comportamento. Il servizio nel tempio non soffrì mai di trascuratez za, e i suoi riti vennero meticolosamente osservati. Questo, a sua volta, implica la devozione del sacerdozio e, di fatto, degli ebrei in generale, che fedelmente portavano i loro sacrifici e pagavano la maggior parte dei tributi del tempio. Mentre ci sono episodi di sin goli sacerdoti malvagi, non ci sono relazioni indicanti che i sacerdoti in generale vennero meno alla loro dedizione al culto di Dio. Perciò non solo le generalizzazioni idealizzate di Giuseppe fla vio, ma anche i suoi racconti su persone ed eventi particolari danno rilievo alla generale devozione del sacerdozio, sia quello aristocrati co sia quello comune. Non si vedono persone che abusarono disone stamente dell' incarico e usurpatori insensibili che cinicamente spil larono soldi alla gente, ma servi onesti e devoti del Signore e del suo tempio che cercarono il bene del popolo e furono fedeli al loro man dato e al loro incarico, anche fino alla morte. Il primo interesse dei sacerdoti era il sistema sacrificale. I sacrifici erano richiesti da Dio, ed espiavano i peccati di Israele. I sacerdoti che continuarono a servire all'altare mentre venivano abbattuti dalle spade nemiche mostrano abbastanza chiaramente il loro atteggia mento: munire di guardie le porte e le mura erano attività seconda rie. Quel che importava erano i sacrifici. Perciò essi erano, in quanto classe, 'pacifisti' . Essi favorirono relazioni tranquille con Roma, re lazioni che permisero alle loro cerimonie di continuare. L' indipen denza militare e politica erano cose secondarie. In questa misura, essi erano come alcuni movimenti di 'pii ' : andava bene qualunque ordinamento politico non trasgredisse quello che loro consideravano come la cosa più importante, benché senza dubbio preferissero alcu ni ordinamenti ad altri. 49. Lane Fox, Alexander the Greal, pp. 249 e 454.
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A dispetto di ciò, essi non erano immuni dal sentimento nazionali sta. Furono i sacerdoti ordinari che alla fine «dichiararono guerra>> a Roma. Durante gli ultimi stadi del tumulto sotto Aoro che portò alla rivolta (pp. 658 s.), Eleazar, un membro di una famiglia di sommi sacerdoti (suo padre era Anania), persuase i sacerdoti che servivano al tempio «a non accettare doni o sacrifici da uno straniero>> . Roma non aveva tentato di far sacrificare gli ebrei a Roma, che rappresen tava lo Stato, ma gli ebrei sacrificarono a favore della nazione e di Cesareso. I sacerdoti ora rifiutarono tali sacrifici e l'alleanza con Roma che ne seguiva. I sacerdoti importanti fecero appello ai sacer doti in servizio, ma questi ultimi , e il dado fu tratto (Beli. 2, 409s.). I sacerdoti, maestri della nazione, avevano de ciso di combattere per l ' indipendenza.
SO. Cfr.
cap. 13, n. 28.
CAPITOLO UNDICESIMO
L'OSSERVANZA DELLA LEGGE DI DIO l. CARATIERISTICHE GENERALI, CULTO E SABATO
Ci spostiamo ora al di fuori del tempio a considerare la religione nella vita di routine della gente comune. Ci occuperemo brevemente del culto in casa e in sinagoga, ma prima desidero sviluppare più di stesamente la descrizione del carattere distintivo del giudaismo e della sua legge che abbiamo iniziato nel cap. 5. Nell'esposizione finora condotta, abbiamo visto il giudaismo come una religione di cose che vengono fatte, specialmente nel cul to. Il rilievo dato a questo punto aveva come scopo quello di correg gere la maggior parte delle descrizioni del giudaismo, che si focaliz zano o sulla politica o sulla teologia. Il servizio al tempio è oggi poco compreso, e alcune persone se ne ritraggono come da qualcosa di alieno e sgradevole. L'atto di comprensione storica esige che que sto senso di alienazione sia superato e che la religione antica sia vi sta quale realmente era. Ma, cosa più importante, questa modalità descrittiva conisponde alla prospettiva che il mondo antico aveva della religione. La 'religione' (che s'indicava con termini quali 'pie tà', 'devozione' o 'servizio') era definita primariamente come una devozione cultuale. Qual era il culto rivolto a Zeus? Templi, purifi cazioni, sacrifici e festività. Lo stesso vale per tutte le altre divinità antiche. Nel paganesimo c'erano numerosi culti diversi, ed è arduo fornire generalizzazioni che valgano per ciascun caso, ma possiamo dire che non infrequentemente le norme e i rituali erano difficili e, per molti, sconcertanti. A Roma, dove alcune delle più alte cariche sacerdotali accompagnavano il successo nella sfera politica, l'élite che deteneva tali posizioni era orgogliosa della propria abilità di compiere correttamente tutti i riti, e si esercitava instancabilmente per eseguirli nel modo giusto1• In alcuni santuari pagani, tuttavia, l'entusiasmo per il mantenimento di tutti i rituali ereditati si affievo ll, e il servizio cultuale si degradò. Periodicamente c'erano riforme gy,
l . Cfr. Gordon. From Republic lo Principale: Prieslhood, Religian and ldeolo in Beanl - North (curr.), Paga11 Prie. (Ap. 2, 1 7 1 ). Quest'accentuazione po sta sull'azione corretta in ogni sfera della vita, tecnicamente chiama ta 'ortoprassi', è un marchio del giudaismo. Esso, cioè, esigeva ob bedienza alla legge, il che include i sacrifici e le offerte, ma anche molto di più. Come ha sottolineato Morton Smith, uno dei risultati del fatto che il giudaismo divenne una religione 'del libro', il che in teoria ab bracciava tutta la vita, è che i laici potevano studiarlo2• Essi seppero coglierne l'opportunità, come vedremo oltre. Potevano studiare le leggi sul sacrificio e sviluppare teorie su di esse, e alcuni lo fecero. 2. Smith, The Dead Sea Secr.
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Questo era all' incirca come fare ingegneria teoretica senza un'appli cazione o un contratto: foggiavano teorie nel caso che potessero tro vare u n sacerdote accondiscendente che le applicasse. Ma i laici po tevano studiare anche aspetti della legge divina che essi stessi pote vano controllare: la preghiera, il sabato, alcune delle sotto-categorie della purità, la semina, le relazioni sessuali e simili. I sacerdoti erano le autorità ufficiali perfino per queste norme domestiche, ma non po tevano fare alcunché quanto al modo in cui la maggioranza della gente le osservava. Di conseguenza crebbe la possibilità di guide lai che, maestri non sacerdotali della legge; lo abbiamo visto prima e lo vedremo ancora. Per ora voglio sottolineare fino a che punto le per sone comuni fossero responsabili della conoscenza e dell'osservanza della legge nelle proprie vite private, così da avere su di essa una certa misura di controllo. I laici potevano prendere decisioni private sulla legge divina; questo era del tutto eccezionale. Pochi individui, a dire il vero, avrebbero preso decisioni che andassero fortemente contro la norma, ma è nondimeno importante che la legge ebraica fosse interiorizzata e individualizzata a un grado che separa il giu daismo dal paganesimo greco-romano. La distinzione non è assolu ta, ma è importante: il giudaismo poté sopravvivere e, come accad de, perfino fiorire quando il culto scomparve. Le fondamenta erano state poste in anticipo; nel periodo che studiamo, il progresso verso la capacità di mantenere indefinitamente una religione non-cultuale era assai avanzato. l . La legge: distinzionifondamentali Due distinzioni ci aiuteranno a capire la legge nel suo complesso: l . Le leggi governano sia (a) le relazioni tra gli uomini e Dio sia (b) le relazioni tra gli uomini (con implicazioni relative el rapporto umano-divino). 2. Le trasgressioni alla legge sono sia (a) involontarie sia (b) in tenzionali. Queste divisioni sono molto chiare in Lv 5-6. Qui si fa distinzione tra la persona che «commetterà una mancanza è peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore» (5, 1 5) e quella che «pecche rà e commetterà una mancanza verso il Signore ingannando il suo prossimo>> (5, 21 ). In queste righe vediamo le differenziazioni fra trasgressione involontaria e intenzionale, e tra i peccati contro Dio
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(le cose consacrate al Signore) e quelli contro Dio e i l prossimo (contro il Signore ingannando il prossimo). Filone, con l'occhio a questo passo, ne mise in rilievo le categorie giuridiche. Peccati involontari contro Dio che coinvolgono le (per esempio mangiare accidentalmente le primizie) esi gono un risarcimento, l'aggiunta di un quinto (pagato ai sacerdoti) e l 'offerta di un ariete (Spec. 1 , 234; Lv 5, 1 4- 1 9). Le offese volontarie contro un essere umano esigono convincimento interiore del pecca to, una confessione, il risarcimento di quanto è stato tolto, l' aggiunta di un quinto e un sacrificio, che dimostra che il peccato era anche contro Dio (Spec. 1 , 235-238; Lv 5, 20-26). Questi atti avevano come risultato il perdono (Spec. i , 235; Lv 5, 26). La riparazione della colpa doveva precedere i l sacrificio (Spec. l , 235; cfr. Mt 5, 23-24). Alcuni crimini richiedevano un risarcimento maggiore del quinto aggiunto: il furto di un bue o di una pecora doveva essere risarcito cinque o quattro volte tanto rispetti vamente se l'animale era stato venduto o ucciso, due volle se il ladro ancora lo possedeva (Es 22, l ; leggermente differente in Ant. 4, 272). Filone sottolineava che la Bibbia esigeva penalità uguali per la trasgressione involontaria contro Dio e la trasgressione intenzionale contro altri (l' aggiunta del quinto, Spec. l , 238); vale a dire, le offese contro Dio erano punite più severamente. Mentre una trasgressione involontaria contro Dio esige il quinto aggiunto, la Bibbia considera la trasgressione intenzionale contro Dio punibile con la morte (ad es. nel caso del sabato, N m 15, 32-36) o con l' 'estirpazione' della per sona e dei suoi discendenti, maschi e femmine, dal popolo di Israele. Un esempio di trasgressione intenzionale contro le cose consacrate a Dio sarebbe mangiare deliberatamente e volontariamente il cibo sa cro mentre si è in stato di impurità, o consumare il sangue degli ani mali: Lv 7, 20 s. 25 s. Molti rabbini, vivendo dopo l'epoca in cui le 'cose consacrale' erano state un problema reale, invertirono l'ordine di severità. I peccati contro Dio solo - come il pronunciare il nome di Dio invano, che la Bibbia specifica come non perdonabile (Es 20, 7) erano talvolta considerati come i più facili da espiare, esigendo solo il pentimento, mentre le trasgressioni contro la persona esigeva no sia il pentimento sia la restituzione. Questa non era una dottrina uniforme, ma una tendenza percepibileJ. -
3. Ad
es.
rYom ha-Kippurim 4[5), 5; Mekhilra, Ba�odesh 7 (ed. Lauterbach, Il,
pp. 249-25 1 ). Cfr. P&PJ, pp. 1 57 - 1 60 e 1 79.
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La divisione della legge in due parti, talvolta chiamate le 'due ta vole' (una che governava le relazioni degli uomini con Dio e l 'altra le relazioni tra gli uomini), era ampiamente riconosciuta nel I secolo, e accrescerà la nostra comprensione del giudaismo se considereremo le due tavole più pienamente e osserveremo la terminologia impie gata dagli scrittori di lingua greca. Questo ci aiuterà quando inda gheremo il modo ebraico di trattare gli altri ebrei e i pagani. Filone tratta di due serie di cinque comandamenti ciascuna nel Quis rerum divinarum heres sit, la prima consistente nel comporta mento giusto nei confronti di Dio, la seconda nelle responsabilità nei confronti degli altri esseri umani (Her. 1 68)4• Questi dieci comanda menti generali, egli scrisse, coprivano quasi tutti i casi possibili ( 1 73). Egli e altri che scrissero in greco spesso usarono 'pietà' (euse beia) e 'giustizia' o 'rettitudine' (dikaiosyné) come parole che rias sumevano le due parti della legge. Perciò Filone scrisse che la prima serie di comandamenti governava la 'pietà', mentre la seconda serie proibiva l' 'ingiustizia' (Her. 172), e che di sabato gli ebrei di tutto il mondo si radunavano nelle sinagoghe, dove imparavano la filosofia dei loro padri, che ricadeva sotto due titoli, «uno di obbligo verso Dio come mostrato dalla pietà e dalla santità, uno di obbligo verso gli uomini come mostrato dall' amore dell'umanità e dalla giustizia» (Spec. 2, 63)�. Oppure, come si esprime altrove, «Dio non ti chiede nulla che sia gravoso o complicato o difficile, ma solo qualcosa di molto semplice e facile. E questo è proprio amarlo [ .. ], servirlo [ ... ] con tutta la tua anima [ ... ] e di sottostare ai suoi comandamenti>>. Egli poi sottolineava che «la legge consiste preminentemente nel l'imporre solidarietà (o 'comunanza', koinonia) e amore dell'umani tà (philanthropia)>> (Spec. l , 299 s. 324). La duplice divisione della legge in 'giustizia' e 'pietà' appare anche in Vin. 1 75 e Praem. 1 62. Osserviamo che, in accordo con Dt 6, 4-6 e Lv 19, 1 8.34, la pietà nei confronti di Dio include l' amore per Dio, e la giustizia nei confronti di altre persone include l'amore per esse6• .
4. La divisione tra cinque comandamenti che regolano il comportamento nei con fronti di Dio e cinque che regolano quello nei confronti di altri esseri umani è, natu ralmente. schematica. Filone continuò a porre il comandamento di onorare il padre e la madre (il quinto) sulla linea di demarcazione dei due gruppi, dato che include l'onore a Dio Padre (Her. 1 7 1 ). Egli e altri sapevano pure che il comandamento del sabato (il quano) giovava alle persone, agli animali e alla terra. S. 'Devozione' è eusebeia; 'santità' è lwsiotes; 'amore per l'umanità' è phi lanthropia ; 'giustizia' è dikaiosyne. 6. I rabbini interpretavano il 'forestiero' di Lv 19, 34 («tu l'amerai come te stcs-
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'Giustizia' e 'pietà' fungevano come le due parole chiave che go vernavano il comportamento ebraico prima di Filone (Arist. 24, 1 3 1 ) e anche i n altra letteratura della diaspora (OrSib 5, 1 42). Anche Giu seppe Aavio usò questa terminologia, come per esempio per spiega re la predicazione di Giovanni il Battista, che esortava gli ebrei «a praticare la giustizia nei confronti dei loro simili e la pietà nei con fronti di Dio>> (Ant. 1 8, 1 1 7; cfr. anche 6, 265; 8, 1 2 1 . 1 34; 9, 1 6; IO, 50; 1 2, 56; 14, 283; 1 5, 375; Beli. 2, 1 39, sugli esseni)7• Come Filone, Giuseppe Flavio talvolta usò due parole per descri vere il modo di trattare gli altri esseri umani, philanthropia, 'amore dell' umanità', e koinonia, 'solidarietà' . In Ap. 2, 1 46 egli le distin gue: la 'solidarietà' governa le relazioni con gli altri ebrei, l' 'amore dell' umanità' le relazioni con i non-ebrei8• Entrambi dovevano esse re trattati in modo dignitoso, anche se erano nemici e persino in stato di guerra. (Sui nemici cfr. più oltre, pp. 325-327). SO») nel senso di 'proselito', che era il significato più comune di ger nell'ebraico rabbinico. Cfr. Sifra, Qedoshim 8. (Ci sono diversi atteggiamenti nei confronti dei pagani nella letteratura rabbinica, nel complesso piuttosto favorevoli, tranne che nei periodi di poco successivi alle due rivolte. Cfr. P&PJ, pp. 206-2 12.) Inoltre, la LXX lnlduce ger con «proselita» in Lv 1 9, 34. L'uso del tennine philanlhropia negli scrittori di lingua greca rivela comunque che molti ebrei ricavavano il comandamen· lo di amare tulli gli uomini - non solo gli ebrei e i prose liti - dalla Bibbia. 7. Per passi simili in Giuseppe Flavio, dove sono impiegati termini alternativi per rappresentare le due tavole, cfr. Alli. 7, 356.374.384; 8, 280.300.394; 9, 236. Sono debitore della segnalazione di questi passi a Rebecca Gray. 8 . Sia Filone sia Giuseppe Flavio danno elenchi di virtù più lunghi. Il nostro inte resse attuale è solo per la divisione Ira dovere verso Dio e dovere verso altri esseri umani. Mentre eusebeia e dikaiosyne sono i due termini più frequenti in questo con lesto, ce ne sono altri, alcuni dei quali compaiono nei passi appena citati. Hosiotes ('santità') spesso accompagna eusebeia e talvolta lo sostituisce. Theosebeia, 'timor di Dio', è una terza possibilità. Philanthropia similmente accompagna o sostituisce dikaiosyne. 'Autocontrollo' (enkrateia) è frequente in Filone; in un caso è accoppia lO a eusebeia (Spec. l , 1 93) e in un altro a theosebeia (Mus. 1 , 303). C'è un'interes sante categorizzazione triplice in Spec. 4, 97: dominio di sé, amore per gli altri uo mini. devozione verso Dio. In considerazione del forte attacco di Filone contro la passione e il desiderio (ad es. Spec. 4, 79-99), è sorprendente che egli non fornisca la triplice formulazione più spesso; per lui, la virtù cominciava con l'autocontrollo. Questa visione, che potrebbe essere definita 'stoica' o 'platonica', è visibile anche in A rist. 277 s. (le persone difettano di autocontrollo, bramano il piacere, e pertanto cadono nell'ingiustizia; chi ha autocontrollo tratterà gli altri con giustizia). Arista buio parimenti sintetizzò la legge con la triplice formula eusebeia, dikaiosyne e enkrateia (Aristobulo, fr. 4 [ 1 3, 1 2, 8]; OTP, n, p. 84 1 , dove 1 3, 1 3 è un refuso). La relativa frequenza della formula duplice, con un termine che indica il comportamen to nei confronti degli altri esseri umani e l'altro quello nei confronti di Dio, dimostra quanto saldamente fosse stabilita la divisione della legge in due tavole.
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Gli studiosi moderni spesso cercano di dividere la legge in cate gorie 'rituali' ed 'etiche', ma questa è una divisione anacronistica e fuorviante9• In analisi come queste la 'legge morale è spesso consi derata incarnata nei Dieci Comandamenti, ma questo pone i coman damenti che governano l'uso del nome del Signore e gli idoli nell'ar ticolazione 'etica', alla quale essi non appartengono. Similmente al cuni dicono che i comandamenti 'noachici' - quelli che si riteneva fossero stati dati a tutti i discendenti di Noè, e che penanto fos se ri chiesto anche ai pagani di osservare - sono comandamenti 'mora li' IO. M a anche questi includono l' idolatria e la bestemmia. È degno di nota che la lista dei comandamenti essenziali che, secondo gli Atti degli Apostoli, la chiesa di Gerusalemme desiderava imporre ai pa gani conveniti, includeva le proibizioni della idolatria e dell' assun zione di carne con sangue, nessuna delle quali 'morale' (At 1 5, 20). Molti cristiani definiscono la propria posizione nei confronti della legge ebraica come accettazione del codice 'morale' e rifiuto di quello 'cultuale', e così naturalmente vedono questa distinzione come esistente nel 1 secolo, e spesso come determinante le opinioni di Gesù e di Paolo, ma entrambe le posizioni sono scorrette. Quando gli ebrei - inclusi gli ebrei cristiani - fornivano una lista di coman damenti essenziali, essi di solito includevano alcune leggi che non possono essere definite come 'etiche' o ' morali' (ad es. l Cor 6, 91 0). Sia Gesù che Paolo accettavano i primi comandamenti della pri ma tavola: adorare solo il Dio di Israele. Questa non è una legge 'morale'. L' anacronismo di questa distinzione è visto in un altro modo: i comandamenti 'rituali ' non infrequentemente hanno un aspetto 'eti co'. Perciò il pagamento della decima (un'esigenza 'rituale' ) inclu deva la carità (un dovere 'morale'), e le leggi del sabato fornivano riposo ai lavoratori e anche agli animali (Dt 5, 14). Ci sono determi nate coincidenze tra la categoria antica di 'comandamenti che gover nano le relazioni con Dio' e quella moderna di 'leggi rituali', e anche tra gli antichi 'comandamenti che governano le relazioni con i pro-pri simili' e la moderna 'legge etica' , ma non più che coincidenze. Agli occhi degli ebrei del l secolo lo stesso Dio aveva dato tutti i comandamenti, e la fedeltà a lui esigeva l'obbedienza a lutti indistin9. Queslo era scalo messo in luce molli anni fa da Lake, Beginnings, v, ma non riceveue che saltuaria auenzione. I O. Cfr. ad es. Simon, Verus /srae/, pp. 163- 1 66.
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tamente. I moderni critici del giudaismo antico considerano deplore vole che gli ebrei del I secolo non vedessero che le leggi cultuali era no superficiali, affari creati dagli uomini che non hanno posto nella religione vera. Questo perde di vista la concezione antica. Da quel punto di vista (per reiterare) la peculiarità del giudaismo era di porre tutta la vita sotto la legge divina, di considerare l 'inganno del pro prio vicino altrettanto grave quanto il mangiare accidentalmente cibo che sarebbe dovuto andare ai sacerdoti o all' altare. Gli antichi, vale a dire, generalmente pensavano che la devozione cultuale fosse in ac cordo con l'intenzione divina. Anche gli antichi cristiani non critica vano gli ebrei non cristiani per l'impegno nel cullo del tempio, ma piuttosto per non aver accettato la morte di Cristo come il vero sacri ficio espiatorio. Il giudaismo mantenne il culto del tempio ma espan se grandemente le aree coperte da espliciti comandamenti da parte di Dio. La sua direzione fondamentale morale e umana si vede nel modo più preciso nel suo rifiuto di separare il culto da altri aspetti del comportamento. Gli studiosi non infrequentemente attribuiscono il desiderio di porre tutta la vita sotto la legge soltanto ai farisei 1 1 , m a esso è centrale per l a legge biblica stessa ed era comune a tutte le forme di giudaismo. Allargheremo ora la nostra considerazione delle leggi general mente osservate per includere quelle che non erano primariamente connesse con il tempio, ma erano obblighi giornalieri o settimanali, e perciò una parte mollo importante della vita comunitaria e privata. La maggior parte delle testimonianze che verranno citate nelle sezio ni seguenti è letteraria e, per di più, deriva dai 'pii'. Come sappiamo che rappresenta il giudaismo 'comune ' , specialmente quando inda ghiamo pratiche che erano private? La prova, ovviamente, non può essere assoluta, ma ricorderò tre punti: l . Su una questione, l'immer sione, c'è una testimonianza archeologica eccellente di un' osservan za diffusa; un caso conta a favore di altri. 2. Quando le nostre fonti letterarie, che spesso sono in disaccordo fra loro, talora violentemen te, concordano tutte su un dato punto, esse probabilmente riflettono un consenso generale. 3. Questo avviene particolarmente quando esse rivelano che le persone credevano che Dio avesse comandato una certa prassi. Gli antichi ebrei credevano in Dio, e se pensavano che egli esigesse da loro che pregassero ogni mattina, probabilmente pregavano ogni mattina. Come sappiamo che in generale credevano I l . Ad es. Rhoads. lsrae/ in Revolution, p. 34.
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questo? Quando fonti diverse danno per certo che Dio lo aveva co mandato, e lo inseriscono anche, per esempio, nelle loro descrizioni dei Dieci Comandamenti: cioè, quando le nostre fonti presuppongo no, piuttosto che dimostrare, che una prassi di un certo tipo è voluta da Dio. Più rigorosa è l'argomentazione, maggiormente dubitiamo della prassi comune; con tutta probabilità, stiamo leggendo un tenta tivo di convincere persone che non sono d'accordo. 2. L 'adorazione del Dio unico in sinagoga e a casa Fondamentale per la vita e la devozione ebraica era lo Shema', il passo biblico che comincia «Ascolta [shema '], o Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-5). Il passo continua dicendo che i comandamenti devono stare «nel cuo re>>, devono essere insegnati ai bambini, recitati a casa e fuori, e ri cordati prima di addormentarsi e al momento del risveglio. Essi de vono essere legati alla mano, collocati «come un pendaglio» tra gli occhi, e posti sullo stipite della casa e sulla porta (vv. 6-9). Il significato evidente del testo è che tutti i comandamenti devono essere ricordati in queste maniere, specialmente quelli che precedo no immediatamente lo Shema ' : i Dieci Comandamenti di Dt 5. Que sto era generalmente compreso e ampiamente osservato. I versi d' apertura dello Shema ' («Ascolta ... Amerai>>) e altri passi erano scritti e collocati all'entrata, legati tra gli occhi e sulla mano, e reci tati mattina e sera. Lo Shema' e i Dieci Comandamenti fungevano come una sorta di nucleo che veniva spesso scritto e ripetuto. Essi compaiono insieme sul Papiro Nash, un singolo foglio del II o I seco lo a.C. proveniente dall' Egitto. L' importanza dell'essere un foglio singolo, non parte di un rotolo, è che rende probabile che fosse usato per scopi devozionali o educativi. Secondo la Mishnah lo Shema ', insieme con i Dieci Comanda menti e pochi altri passi, era recitato a memoria dai sacerdoti dopo il sacrificio dell'olocausto giornaliero (mTamid 4, 3; 5, l ; mTa'anit 4, 3). Inoltre, i rabbini mishnici prendevano semplicemente per dato si curo, come qualcosa che non richiedeva dibattito o prova, che tutti gli ebrei dicessero lo Shema' (insieme con le preghiere giornaliere) due volte al giorno, al mattino e a sera (mBaakhot l , 1 -3). l rotoli del mar Morto mostrano che gli appartenenti alla sètta compresero e
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osservarono il senso manifesto di Dt 6. Un autore scrisse: al mattino e sera probabilmente si riferisce alla recitazione dello Shema'. Questa prassi sembra essere stata mol to diffusa. La centralità dello Shema' è confermata anche dalla documenta zione dell'uso di mezuzot e tefillin. Mezuzah (plurale -ot) è la parola ora usata per le piccole scatole contenenti passi biblici che sono at taccate all'ingresso di molte case ebraiche. I tefillin sono scatole di cuoio con cordicelle usate per legare porzioni chiave della B ibbia alle braccia e sulla fronte. Queste pratiche, che sono prescritte in Dt 6,6-9, sono bene attestate per il mondo antico. Mt 23, 5 critica i fari sei perché fanno i loro tefillin (in greco 'filaueri') troppo larghi, ma non perché li indossano, il che dimostra che altri parimenti li indos savano. Aristea asserisce che «le Parole>> sono poste sui portali e sul le porte e che un segno è portato sulle mani (Arist. 1 5 8 s.). Giuseppe Flavio riferisce sia dell'iscrizione di benedizioni di Dio sulle porte sia della loro esposizione sulle braccia. Tutti coloro che desiderava no mostrare il potere di Dio e la sua benevolenza nei confronti dei suoi seguaci dovevano «portare un documento di ciò scritto sulla te sta e sul braccio>> (Ant. 4, 2 1 3). L'osservanza fu mantenuta anche a Qumran, dove sono stati trovati testi da mezuzot e tefillin12• Ad accompagnare la recitazione dello Shema' c'erano le preghie re giomaliere iJ. La Regola della comunità di Qumran prescrive la preghiera («benedire Dio») «nei momenti da lui ordinati», il che in clude «l'inizio del dominio della luce>> e «la sua fine quando si ritira al luogo assegnatole>> ( l QS 9, 26- 10, l ). Secondo Giuseppe Flavio Mosè stesso richiese preghiere di ringraziamento al risveglio e al momento di andare a dormire (Ant. 4, 2 1 2). Egli probabilmente tro vò questa richiesta, come fecero altri, in Dt 6, 6-9, dato che la colle ga al comandamento di porre mezuzot e di indossare tefillin. Le pre ghiere di ringraziamento non erano effettivamente richieste nella legge; il fatto che Giuseppe Flavio le ponga in quella categoria mo stra che esse erano una parte usuale della prassi ebraica. I rabbini erano così certi dell'obbligo delle preghiere giornaliere che essi di scutevano solo se uno dovesse dire le Diciotto Benedizioni o solo la loro sostanza (mBerakhot 4, 3; queste preghiere sono descritte oltre). 1 2. JUM. pp. 7 1 s. e nn. 1 3 . lvi, pp. 72-77.
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Un passo della Mishnah prescrive di fatto la recitazione delle pre ghiere tre volte al giorno (mBerakhot 4, 1 ), ma questo era proba bilmente un segno di straordinaria devozione anche all'interno dei 'pii '. Pregare due volte al giorno era la prassi comune. Anche se Giuseppe Aavio e i rabbini pongono la preghiera serale al momento di coricarsi, altri la offrivano al momento dell'ultimo sa crificio nel tempio, cioè, proprio prima del tramonto. Questo può es sere stato il caso a Qumran (cfr. il passo citato esattamente sopra). Giuditta è raffigurata in preghiera «nell'ora in cui veniva offerto nel tempio di Dio in Gerusalemme l' incenso della sera>> (Gdt 9, 1 ). Sembra dunque che gli ebrei in genere accettassero le richieste bi bliche di tenere a mente le leggi di Dio, e le adempissero dicendo lo Shema ', collocando le mezuzot e indossando i tefillin. Dovremmo presumere che per alcuni questo fosse mera routine, ma possiamo anche pensare che molti ebrei credessero veramente nell'obbligo del ricordare i passi contenuti nei loro tefillin, e che essi li ricordassero. In questo caso ripetevano per se stessi sia le benedizioni di Dio sia i suoi comandamenti. Essi inoltre pregavano due volte al giorno. Gli studiosi talvolta immaginano che gli ebrei andassero alla sinagoga per recitare le loro preghiere giornaliere. Possono aver pregato quan do si riunivano in assemblea nelle sinagoghe (di cui si tratta oltre), ma è evidente in tutte le discussioni che essi ordinariamente recita vano lo Shema ' e pregavano a casa («quando ti coricherai e quando ti alzerai», Dt 6, 7). I rabbini e Giuseppe Flavio parimenti presup pongono che l'adorazione mattutina e serale avesse luogo a casa. Negli Oracoli Sibillini, dalla diaspora di lingua greca, c'è anche un riferimento alla preghiera mattutina mentre si è ancora a letto (3, 591 -593). La comunità monastica di Qumran, di cui discuteremo ol tre, offre la sola testimonianza di un sistema regolare di preghiere giornaliere comunitarie. Per la maggioranza degli ebrei, tuttavia, la casa era un luogo primario di culto: di fatto, quello usato più fre quentemente. Un ulteriore studio della scrittura era per la maggior parte delle persone probabilmente limitato al sabato, ma allora aveva davvero luogo. Gli ebrei erano generalmente bene istruiti sulla Bibbia, e que sto è ascrivibile alla prassi di frequentare la sinagoga, dove la Scrit tura era letta e spiegata. Secondo l'espressione di Filone, il settimo giorno gli ebrei dedicavano «il loro tempo al solo e unico oggetto della filosofia con attenzione al miglioramento del carattere e alla sottomissione all'esame di coscienza». Egli vide la ricerca della «ti-
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losofia>> ebraica al sabato come un comandamento mosaico (Opif. 1 28). Giuseppe Flavio era della stessa opinione: Mosè aveva decre tato che una volta alla settimana le persone dovessero «riunirsi per ascoltare la Legge e conseguire una conoscenza completa e accurata di essa>> (Ap. 2, 1 75). Nelle Antichità bibliche dello Pseudo-Filone (I secolo d.C.), la richiesta di riunirsi di sabato «per lodare il Signore>> e «per glorificare il Potente>> è fatta rientrare tra i Dieci Comanda menti ( 1 1 , 8). La supposizione che Mosè avesse ordinato l'assem blea del sabato, come l'opinione di Giuseppe Flavio che egli avesse comandato le preghiere due volte al giorno, mostrano come era co mune la prassi: tanto comune come se fosse stata nella legge scritta. La Bibbia (Dt 3 1 , I O) esige la lettura pubblica della legge una volta ogni sette anni, alla Festa delle Capanne, ma dal I secolo la prassi era di leggerne porzioni settimanalmente nella sinagoga. Era là che le persone si radunavano per ascoltarne la lettura e la spiegazione. Non sappiamo la storia della sinagoga o casa di preghiera, né la sua antichità, né la misura in cui la prassi variava da una sinagoga aJI' altra 14• La questione fondamentale riguardo alle sue origini è se sia stata un surrogato del servizio al tempio, un'alternativa a esso, o u n supplemento. Una possibilità è che la sinagoga sia sorta tra gli ebrei esclusi dal tempio, per esempio in Mesopotamia durante l'esi lio o nella diaspora occidentale. Secondariamente, la prassi delle riu nioni settimanali potrebbe essere iniziata tra persone che erano escluse non fisicamente, ma piuttosto spiritualmente dal tempio, co loro che desideravano una modalità più inforrnale e più facilmente accessibile di culto pubblico. In terzo luogo, alcune persone possono aver sentito che l'assistenza al servizio nel tempio semplicemente non poteva essere abbastanza frequente e che richiedeva un supple mento. Le sinagoghe probabilmente rivestirono tutti questi ruoli a seconda dei tempi e dei luoghi, e non possiamo assegnare la loro ori gine a una soltanto tra le possibili cause. A dispetto dell'incertezza riguardo alla storia della sua istituzione, non ci sono dubbi che le sinagoghe furono importanti nella vita e nel culto degli ebrei del I secolo. Il Nuovo Testamento ripetutamente pone parte dell'insegnamento sia di Gesù sia di Paolo nelle sinago14. Alcuni dubitano che le sinagoghe esistessero in Palestina prima del 70. Ho messo in risalto alcuni degli errori di queste argomentazioni in JUM, nn. 28 e 29, pp. 34 1 -343. Più oltre vedremo la documentazione in positivo che dimostra che le sinagoghe erano diffuse.
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ghe (ad es., Mc l , 2 1 ; A t 1 3, 1 5). Similmente, i nostri altri autori del l secolo, Giuseppe Flavio e Filone, le danno per scontate. Nessuno fornisce prove; tutti le presuppongono. Giuseppe Flavio tratta con una certa ampiezza di eventi che si accentrarono intorno a una sina goga a Cesarea. L'edificio confinava con un appezzamento di pro prietà di un pagano, e gli ebrei avevano accesso a essa solo attraver so «un passaggio stretto ed estremamente malagevole>>. Questo con dusse a tumulti, che furono iniziati da parte di teste calde ebraiche. Un pagano, tuttavia, alzò la posta collocando «a fianco dell'entrata un vaso capovolto, sul quale egli stava sacrificando uccelli». Questo spettacolo si presentò agli ebrei di sabato, quando essi si radunavano secondo il loro costume (Beli. 2, 285-290). In questo racconto, l'as semblea di sabato alla sinagoga è data per cosa assodata. Giuseppe Flavio parla della «casa di preghiera>> di Tiberiade come di un luogo che avrebbe accolto grandi folle (Vita 277, 280, 290-303). Questo è il luogo dove la plebe si incontrava per dibattere sul la rivolta. In almeno un' occasione, mentre era là, Giuseppe Fla vio adempì ai (nomima) riguardanti la preghiera (295). Questo ebbe luogo prima di un incontro che fu tenuto come prima cosa nella mattina, ed è probabile che in questo caso Giuseppe Fla vio avesse omesso il suo culto mattutino a casa e quindi lo esercitò nella casa di preghiera. Se c'era un vasto edificio per la preghiera e lo studio a Tiberiade, città che era permanentemente impura, possia mo presumere che ci fossero edifici del genere altrove in Palestina. Abbiamo osservato che Filone scrisse che gli ebrei passavano il sabato studiando la loro . In queste (didaskaleia) gli ebrei ascoltavano la legge spiegata sotto due aspetti fondamentali: obblighi nei con fronti di Dio e obblighi nei confronti degli uomini (Spec. 2, 62 s.). Queste sono le categorie principali della legge ebraica, come abbia-
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mo v isto sopra. Gli esseni, scrisse ancora Filone, venivano istruiti nella legge in tutti i momenti, «ma particolarmente nel settimo gior no». Allora «essi si astene[va]no da ogni altro lavoro e si diri ge[va]no ai luoghi santi che essi chiamano sinagoghe>> (Prob. 8 1 ). Spessissimo Filone usò il termine che Giuseppe Flavio impiegava nel parlare dell'edificio di Tiberiade, proseuche, «casa di preghie ra>>1 5 . Ce n'erano, secondo Filone, «molte in ciascuna parte di [Ales sandria]>> (Legat. 1 32: cfr. 1 34, 1 52 e altrove). Case di preghiera fu rono anche ammesse a Roma, dato che i romani non pretendevano che gli ebrei «violassero alcuna delle loro istituzioni patrie>>. Gli ebrei erano abituati a riunirsi in queste case di preghiera >17• Le altre due sinagoghe palestinesi anteriori al 70 sono state trova te in due dei palazzi-fortezza di Erode, Masada e I' Herodium. In questi casi, le sinagoghe furono costruite dai ribelli ebrei durante la 1 7 . Tht! Synagogue o/ Gamia and rhe Typology of Sl!cond-Temp/1! Synagogues, in Lcvine (cur.). Ancil!nl Synagogues Revea/ed, pp. 35-4 1 : p. 4 1 . Le stime della ca pacità di posti seduti sono tuttavia mie, non di Ma'oz.
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guerra contro Roma. Erode, cioè, benché avesse costruito piscine per immersione per se stesso e la sua corte (cfr. oltre, p. 3 1 0), non co struì sinagoghe, almeno non del tipo di quella di Gamia. I ribelli fe cero sinagoghe all'interno di edifici preesistenti costruendo file di banchi intorno a tutti i muri, molto simili a quelli di Garnla•s. Se Erode non costruì affatto sinagoghe, dovremmo presumere che egli e i suoi consiglieri non le considerassero necessarie per l' osser vanza della legge ebraica. Erode non trasgredì intenzionalmente aspetti fondamentali della legge (eccetto, naturalmente, quando ciò fu richiesto dall'opportunità politica o militare). Se egli non provvi de alle sinagoghe per sé e per il proprio entourage, egli e i suoi con siglieri non condividevano l'opinione che Mosè stesso avesse decre tato l'assemblea di sabato. Tuttavia non possiamo essere certi che i suoi palazzi non contenessero stanze che fungevano da sinagoghe. È possibile che a Masada e neli'Herodium una delle stanze servisse per raduni di sabato, e che i difensori le modificassero secondo il loro modello di sinagoga, aggiungendo file di banchi intorno alla stanza. Questo è immaginabile, ma dobbiamo anche tenere presente la possibilità che, benché molti o la maggior parte degli ebrei pen sassero che l'assemblea di sabato fosse parte integrante della loro re ligione, e benché città e villaggi avessero sinagoghe, non tutti condi videssero questa opinione e non tutti frequentassero la sinagoga. Anche se sono state trovate finora solo tre sinagoghe di epoca an teriore al 70 in Palestina, c'è una testimonianza archeologica di un' altra. Sopra abbiamo osservato la scoperta a Gerusalemme di un' iscrizione di una sinagoga che ci informa che il sacerdote Teodo to e i suoi antenati guidarono una sinagoga di lingua greca che era dedicata all'insegnamento della legge e che poteva ospitare visitato ri. Questo rivela sia che gli ebrei della diaspora giunti a Gerusalem me si aspettavano di frequentare una sinagoga, sia anche che gli ebrei di Gerusalemme, inclusa una ricca famiglia sacerdotale, rite nessero conveniente provvedere per loro. Ciò avalla pertanto le altre testimonianze della prassi comune di frequentare sinagoghe, sia in Palestina che altrove•9. 1 8 . Ma'oz, The Synagogue of Gamla, p. 40; cfr. G. Foerster, The Synagogues at Masada arul Herodium, in Levine (cur.), Ancient Synagogues Revea/ed, pp. 24-29. 1 9. Sul recente tentativo di Howard C. Kee di ridatare l'iscrizione di Teodoto e di mettere in dubbio l'esistenza di sinagoghe nel I secolo in Palestina (The Transfor mation of the Synagogue after 70 CE, in NTS 3 [ 1 990], pp. 1 -24), cfr. JUM, nn. 28 e 29, pp. 34 1-343.
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L'iscrizione di Teodoto è una testimonianza scritta del ruolo dei sacerdoti nelle sinagoghe, un ruolo che alcuni di loro mantennero nella diaspora. Ricordiamo che secondo Filone un sacerdote o un an ziano era responsabile dell'istruzione del sabato (Hypoth . 7, 13). Nella sinagoga di Sardi fu trovata un'iscrizione che si riferisce a un uomo che era «sacerdote e maestro di sapienza>>20• Questa i scrizione è del IV secolo d.C. La sua rilevanza consiste nel fatto che mostra continuità con il passo di Filone e con l'iscrizione di Teodoto. Né in Palestina né nella diaspora i sacerdoti si ritirarono dalla vita pubblica e dallo studio e dal culto della comunità. A partire dal nostro perio do, la preghiera e la lettura della Bibbia era stata già incorporata nel servizio del tempio. Fu un'evoluzione naturale per i sacerdoti com piere entrambe le funzioni allo stesso modQ nelle sinagoghe. Proprio come le sinagoghe di Gamia, di Masada e dell'Herodium erano predisposte per permettere e persino incoraggiare la partecipa zione da parte dell'assemblea, il Nuovo Testamento dà per scontato che chiunque avesse qualcosa di importante da dire fosse ammesso a parlare: così Gesù e Paolo poterono usare il servizio della sinagoga per il loro messaggio (Mc l , l 4- l 5; 6, l -5; A t 1 3 , 1 5 : «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate !>>). Paolo diede istruzioni sul profetizzare e sulle esortazioni nelle cerimonie del culto cristiano, e suppose che prima uno e poi un altro parteci pante potessero parlare ( l Cor 1 4, 26-33). La sua supposizione di una partecipazione auiva da parte di molti riflette probabilmente la prassi della sinagoga come egli la conosceva. La descrizione di Filo ne, d'altra parte, presume meno in formalità e spontaneità. Il sacerdo te o l 'anziano leggeva e interpretava la Bibbia, e altri per la maggior parte rimanevano in silenzio (Hypoth. 7, 1 3). In l Cor 14 Paolo si riferisce anche a inni e lezioni. Dal momento che la sua visione del culto di gruppo era quasi certamente influen zata dalle cerimonie della sinagoga che egli aveva frequentato, pos siamo aggiungere i canti come possibili attività sinagogali a fianco delle preghiere e della lettura e spiegazione della scrittura. La presentazione da parte di Paolo della cena del Signore offre ancora dell'altro. Egli raccomandava che il cibo fosse condiviso ( l Cor I l , 2 1 s.), una visione che può essere dipesa da quello che egli sapeva delle cene nelle sinagoghe. Due passi di Giuseppe Flavio si 20. Hanfmann, The Ninth Campaign at Sardis (1 966), in BASOR 1 87 (ottobre 1967), p. 38.
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riferiscono a cene o «sacrifici» nella diaspora (Ant. 1 4 , 2 1 6.260). Sia che gli ebrei della diaspora osservassero la Pasqua o no (come ho ipotizzato sopra), almeno alcune comunità si radunavano per cene comunitarie. Prenderemo ora in considerazione più da vicino la preghiera. Il desiderio di comunicare con una potenza superiore opera profonda mente nell'umanità, e per molti ebrei del l secolo la preghiera deve essere stata l'attività religiosa più importante. Era quasi certamente la più frequente. l libri pseudepigratici che intendono descrivere le vite o le morti di personaggi biblici hanno una funzione paradigmati ca ed esortativa: si dovrebbe vivere come l 'eroe o l'eroina. Adamo ed Eva, Mosè, Abramo, Giobbe, Daniele, i dodici patriarchi, lo seri ba Baruc e molti altri sono spesso rappresentati in preghiera. Lo stesso vale per altri eroi ed eroine della fede, come Tobia e Giuditta. Queste persone erano modelli da emulare. Secondo la Vita di Adamo ed Eva, Eva, prima di morire, «alzò gli occhi al cielo, si levò, si batté il petto, e disse, 'Dio di tutto, ricevi il mio spirito'» (ApMos 42, 8): si dovrebbe morire con una preghiera sulle labbra. Nel Testamento di Abramo, i l patriarca è ritratto nell' usuale atteggiamento di pre ghiera dopo il pasto serale (TestAbr A 5 , 2): si dovrebbe pregare ogni sera. Baruc, cercando l'illuminazione da parte di Dio, pregò per quaranta giorni (3 Bar 4, 1 4). Giobbe pregò cantando «lodi al Padre>> (TestGb 40, 2 s.). Levi pregò per l a liberazione (TestLevi 2, 4). Giu ditta pregava ogni mattina e ogni sera (Gdt 1 2, 5-8; 1 3, 3 . 1 0). In To bia i personaggi pregano in ogni occasione: quando sono nella di sperazione (Tb 3, 1 -6); perline quando sentono l 'impulso del suici dio (3, l 0-1 6); prima di consumare il matrimonio (8, 5-9); quando sono riconoscenti (8, 1 5- 1 7; 1 1 , 1 4) e quando sono nella gioia ( 1 3, 1 - 1 8) . Nella Lettera di Aristea un esperto ebreo in visita raccomanda «continua preghiera a Dio>> al re Tolomeo (Arist. 1 96. 248), e si dice che gli ebrei pregano ogni mattina (305 s.). Nel momento cruciale della sua vita, quando decise di arrendersi ai romani, Giuseppe Flavio pregò in silenzio (o così raccontò in se guito): «Poiché ti piacque, a te che creasti la nazione ebraica, di spezzare la tua opera, poiché la fortuna è passata completamente dalla parte dei romani, e poiché tu hai scelto il mio spirito per annunciare le cose che devono venire, io volontariamente mi consegno ai romani e acconsento a vivere; ma io ti prendo a testimone che vado non come traditore, ma come tuo ministro» (Beli. 3, 354).
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La preghiera individuale costituisce un aspetto del culto che è cambiato poco negli ultimi venti secoli. Le persone pregavano allora come fanno quelle che pregano oggi, per indirizzare ringraziamenti e richieste a Dio; per la salute e la felicità; per un buon compagno o compagna di vita e per una degna progenie; per la forza nel fronteg giare le vicissitudini della vita; per la prosperità e la buona fortuna; per un clima favorevole; perché conceda benedizioni alla comunità; per il perdono e l'accoglimento; per il conforto nei lutti familiari. Nel trattare del tempio e dei sacrifici, specialmente del Giorno dell'Espiazione, abbiamo visto che i sacerdoti benedicevano il popo lo e chiedevano a Dio il perdono. È possibile che anche singoli indi vidui andassero al tempio a pregare (così Le 2, 37). A fianco della preghiera privata e al tempio, molti ebrei pregavano quando frequen tavano le loro sinagoghe o case di preghiera. Giuseppe Aavio cita Agatarchide, un critico del giudaismo, per aver detto che di sabato gli ebrei (Ap. 1 , 209). Il riferimento va in particolare al tempio di Gerusalemme, e il punto è che gli ebrei non avrebbero combattuto di sabato perché essi erano altrimenti impegnati; il plurale 'templi ' , tuttavia, può dimo strare che l'autore aveva in mente anche le sinagoghe. In ogni caso, il termine 'casa di preghiera' deve probabilmente essere inteso come usato per descrivere una delle attività principali. Non possiamo sapere fino a che punto vi fossero preghiere o temi di preghiera prefissati nella sinagoga. Molti studiosi hanno pensato che le Costituzioni apostoliche cristiane contengano preghiere sina gogali, rielaborate per includere temi specificamente cristiani, ma anche in questo caso esse sono probabilmente più tarde del nostro periodo21 . Le trattazioni rabbiniche del gruppo di preghiere chiamato le Diciotto Benedizioni indicano che esse non venivano pregate come testi fissi, ma piuttosto come temi fissi (mBerakhot 4, 3). Al cuni rabbini possono avere avuto raccolte di testi, ma c'era una certa opposizione a una forma rigidamente prescritta (mBerakhot 4, 4), e dobbiamo pensare in termini di argomenti stabiliti piuttosto che di testi fissati. Ricordiamo che i primi rabbini collegavano la preghiera con la recitazione dello Shema ' , e conseguentemente pensavano che le preghiere della mattina e della sera si dovessero recitare privata mente a casa. Essi permettevano, tuttavia, un notevole margine per quanto riguardava i tempi (mBerakhot l , 1 -4; 4, 1 -7). 21.
il 300
Cfr. Fiensy, Prayers Alleged lo Be Jewish. Egli propone una data tra il 1 50 e d.C. (pp. 220-228).
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Parte seconda
Per comprendere la devozione giornaliera dobbiamo comprendere la preghiera, preferibilmente quella che includeva temi comuni. Le Diciotto Benedizioni offrono la migliore possibilità di farlo. Anche se non possiamo presumere che esse siano giunte fino a noi come venivano dette, e neppure che i non-rabbini o i non-farisei pregasse ro secondo i temi principali che vi sono rappresentati, vale la pena di riassumerle come quelle che probabilmente indicano i temi delle preghiere di un gruppo autorevole di 'pii' , i farisei, e illustrano i tipi di preghiere che la gente dell'epoca offriva. Ho usato un testo me dievale delle Diciotto Benedizioni che è stato trovato nella genizah del Cairo22. Innanzitutto, per rendere un po' dell'aura delle preghiere, citerò per intero le Benedizioni 4, 7, 1 4, 1 6, 1 7 e 1 8: 4. Con la tua grazia elargisci, Padre nostro, l ' intendimento che viene da te, e il discernimento e lo sguardo penetrante che derivano dalla tua Torah. Benedetto sei tu, o S ignore, che per la tua grazia ci concedi il giudizio.
7. Guarda le nostre afflizioni e difendi la nostra causa, e liberaci nel tuo nome. Benedetto sei tu, o Signore, Redentore d 'Israele.
14. Abbi compassione, o Signore nostro Dio, nella tua grande misericordia, di Israele tuo popolo, e di Gerusalemme tua città, e di Sion, dimora della tua gloria, e della casa reale di Davide, tuo giusto unto. Benedetto sei tu, o Signore, Dio di Davide, Ricostruttore di Gerusalemme. 1 6 . Possa essere tua volontà, o Signore nostro Dio, di dimorare in Sion, e possano i tuoi servi adorarti in Gerusalemme. Benedetto sei tu, o Signore, perché sei tu che adoriamo con reverenza. 1 7 . Ti ringraziamo, nostro Dio e Dio dei nostri padri, per tutta la benevolenza, la bontà e le grazie con le quali ci hai ricompensati, e i nostri padri prima di noi. Perché q uando diciamo, «il nostro piede scivola>>, 22. Cit. da Heinemann, Prayer in rhe Talmud, pp. 26-9. Una genizah è una stan za-deposito nella quale venivano collocati testi che non erano più utilizzabili ma che contenevano il nome di Dio e pertanto non potevano essere distrutti. La geni;.ah del Cairo, scoperta nel XIX secolo, conteneva circa 250.000 documenti.
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la tua grazia. o Signore, ci fa rialzare. Benedetto sei tu, o Signore, a te è bene rendere grazie. 1 8 . Concedi la tua pace a Israele tuo popolo, e alla tua città, e alla tua eredità, e benedici noi tutti insieme. Benedetto sei tu, o Signore, che fai la pace.
Le altre preghiere benedicono Dio per uno o più dei suoi attributi. Egli è colui l . Che è creatore del cielo e della terra, nosb'a difesa e difesa dei nostri padri. 2. Che ri susci ta i morti. 3. Che è il solo vero Dio. 5. Che desidera il pentimento. 6. Che perdona con prontezza. 8. Che guarisce i malati. 9. Che garantisce abbondante raccolto. IO. Che raccoglie i dispersi. I l . Che ama la giustizia. 12. Che maledice gli apostati. 1 3 . Che mostra misericordia ai convertiti. 1 5 . Che ascolta la preghiera.
Così come le possediamo, le Diciotto Benedizioni sono di natura comunitaria: D io è benedetto perché incoraggia il popolo a pentirsi e a perdonare coloro che lo fanno. Questo è formalmente differente da una confessione individuale di peccati e da una richiesta di perdo no. Vediamo qui la strutturazione sinagògale che può essere interve nuta dopo il nostro periodo. I singoli individui possono aver seguito questi temi, pur configurando le loro preghiere in una forma più per sonale. Forse si ricava un'idea migliore di come fossero le preghiere individuali dai rotoli del mar Morto. Cito qui alcune righe dalla pre ghiera che conclude la Regola della comunità e anche una delle pre ghiere dagli Inni di ringraziamento: «Dichiarerò il suo giudizio sui miei peccati, e le mie trasgressioni saranno davanti ai miei occhi [ ... ]. Dirò a Dio «Mia giustizia» e «Autore della mia bontà>> all'Altissimo [ ... ).
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Mediterò sul suo potere e mi affiderò alla sua misericordia per tutto il giorno. [ .] Quanto a me, la mia giustificazione è con Dio. Nelle sue mani è la perfezione della mia via e la rettitudine del mio cuore. Egli spazzerà via la mia trasgressione 23 attraverso la sua misericordia • [ ... ] Quanto a me, se inciampo, le misericordie di Dio saranno la mia eterna salvezza. Se barcollo a causa del peccato della carne, la mia giustificazione sarà per la misericordia di Dio ..
...
»
2 ( I QS 1 0- 1 1 ) 4•
«lo [ti ringrazio, o Signore], perché mi hai illuminato tramite la tua verità. Nei tuoi meravigliosi misteri, e nella tua bontà verso l' uomo [di vanità, e] nella grandezza della tua misericordia verso un cuore perverso, tu mi hai garantito la conoscenza. Chi è come te tra tutti gli dèi, o Signore, e chi è secondo la tua verità? Chi, quando verrà giudicato, sarà giusto davanti a te? Perché nessuno spirito può replicare al tuo biasimo, né può alcuno sostenere la tua collera. Eppure tu porti tutti i figli della tua verità nel perdono davanti a te, [per purificare] loro dei loro peccati tramite la tua grande bontà, e per stabilirli davanti a te tramite la moltitudine delle tue grazie nei secoli dei secoli» ( I QH 7, 26-3 1). Le preghiere provenienti da Qumran sono contrassegnate dalla
speciale devozione del gruppo, che tra le altre cose metteva forte mente l'accento sull' incapacità degli uomini di essere giusti e che 23. Vermes qui traduce �idqot con 'reuitudine', ma 'misericordia' è più plausibi le; cfr. la n. seg. 24. Vermes traduce «per la renitudine di Dio» (b"·#dqat E[). $edaqah in questo inno è parallelo a l]asidim, «misericordia», ed è meglio tradono allo stesso modo. Le righe citate sono IQS IO, l l s. l 6; I l , 2s. l l s. Cfr. Vermes, DSSE3, pp. 76-80.
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corrispondentemente si fondava sulla misericordia e la giustizia di Dio. Gli ebrei in generale sapevano di trasgredire e pertanto di do versi appellare alla misericordia di Dio per il perdono, ma non pos siamo attribuire loro proprio il medesimo grado di consapevolezza della nullità umana davanti a Dio. Le preghiere di Qumran sono por tate all' estremo, ma, una volta riconosciuto ciò, possono essere lette come tali da rispecchiare alcuni dei temi principali della preghiera ebraica in generale. Il ringraziamento per la misericordia di Dio era l 'aspetto saliente della preghiera ebraica del l secoJo2s. Le preghiere del rotolo degli Inni possono rappresentare la devo zione individuale o collettiva; non sappiamo come venissero usate. Sappiamo invece, tuttavia, che a Qumran c'erano preghiere comuni tarie. È stato ritrovato un testo molto frammentario di benedizioni del mattino e della sera (4Q503)26. Giuseppe Flavio rilevò gli esseni in quanto avevano ereditato dalle generazioni precedenti preghiere che recitavano ogni mattina (Beli. 2, 1 28), e questa affermazione è confermata da 4Q503. Il fatto che Giuseppe Flavio dicesse questo degli esseni rende di gran lunga più probabile che altri ebrei non avessero una raccolta di testi. Perciò, mentre non possiamo sapere esattamente come pregassero gli ebrei comuni, possiamo essere si curi che pregavano, e il materiale che è stato citato sopra fornisce qualche idea della natura delle preghiere ebraiche del l seco)o27. 25. Ap. 2, 1 96s. (cit. oltre, p. 383), le Diciotto Benedizioni, e molte delle preghie re individuali sparse in tuua la leueratura. 26. DJD, v n, pp. l 05-136. Il testo fu edito da Maurice Baillet e pubblicato nel 1 982. Non fu, tuuavia, una complela sorpresa che ci fossero preghiere (is.,ate a Qum ran: cfr. Talmon, The Emergence of lstilutiona/ized Prayer in lsrae/ in the Ughl of the Qumran Uteralure.
27. Dal momento che la preghiera comunilaria non è biblica e che la preghiera privata era ben radicala, l'origine del pregare insieme in un'assemblea esige una spiegazione: cfr. ad es. Talmon, The Emergence of lslitutionaliud Prayer. In una comunicazione privata, Rabbi Solomon Bemards ha proposto l'ipotesi che l'origine della preghiera comunitaria sia la preghiera sacerdotale nel tempio a cui ci si riferi sce in mTamid 5, l . Questa venne imitala da israelili laici, i quali (secondo le fonli rabbiniche) si divisero in ventiquauro gruppi, rappresentati da delegati che o anda vano a Gerusalemme con il gruppo sacerdotale o restavano a casa e pregavano in sieme nei momenti slabiliti dal tempio. (Sui gruppi di laici. gli anshe ma'amad, cfr. Moore, Judaism, n, pp. 1 2 s.). La grande questione non ancora risolla è se le pre ghiere sacerdotali nel tempio abbiano preceduto la prassi di pregare in 'case di pre ghiera', che probabilmente ebbe inizio nella diaspora, non in Palestina. Solo se si potessero fissare le date - cosa che appare impossibile - potremmo cominciare a &tabilire le linee di influenza.
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Abbiamo visto che la maggior parte degli ebrei rendeva culto a Dio ogni giorno ripetendo a voce i comandamenti o dicendo Io She ma' e pregando privatamente. Di sabato studiavano la Bibbia e, al meno in alcune sinagoghe, pregavano, ma probabilmente non recita vano tutti la stessa preghiera all' unisono. Come ha osservato Lee Levine, è probabile che la gamma delle attività delle sinagoghe au mentasse con la distanza da Gerusalemme28• Le testimonianze indi cano che lo studio della Bibbia era abituale in tutte le sinagoghe e che la preghiera era comune29• Per inni e pasti abbiamo testimonian ze anteriori al 70 solo nella diaspora. Questo non prova che gli ebrei palestinesi non cantassero, né che non condividessero pasti nella si nagoga. Quelli che potevano qualche volta frequentare il tempio, tuttavia, avevano in tal modo adempiuto molte delle loro necessità religiose. Per concludere la nostra discussione sul culto, chiediamoci se gli ebrei avessero o no servizi di culto del tipo familiare a milioni di ebrei e cristiani: tempi stabiliti, Scritture stabilite, testi fissi (preghie re, inni o confessioni di fede), e la recitazione o il canto all'unisono. Le testimonianze disponibili suggeriscono le seguenti conclusioni: l . Privatamente, gli ebrei ripetevano lo Shema' in momenti pre stabiliti, e inoltre pregavano secondo una tabella regolare: o quando andavano a letto e si alzavano, o nei momenti di preghiera nel tem pio, o con qualche combinazione dei due. Pubblicamente, essi si in contravano al sabato in momenti stabiliti. 2. Dal momento che il punto principale dell' assemblea del sabato era lo studio della legge, è ragionevole pensare che le varie sinago ghe studiassero passi della Scrittura in un certo ordine o in un altro, assai probabilmente in un ordine determinato localmente. Non ab biamo buone testimonianze del fatto che i lezionari usuali - liste di passi scritturistici da leggere sabato dopo sabato - si sviluppassero a partire dal nostro periodo. Di fatto è possibile che la selezione dei passi fosse fatta sul posto (cfr. il punto 4). 3. La comunità monastica di Qumran aveva almeno alcune pre ghiere fisse da recitare in momenti stabiliti. Le discussioni rabbini che rendono probabile che i farisei avessero temi usuali per le pre28. Levine, The Second Tempie Synagogue, p. 22. 29. Levine (ivi, pp. 1 5-23) ritiene che la preghiera facesse parte delle cerimonie
nelle sinagoghe della diaspora ma non nelle sinagoghe di Gerusalemme: egli lascia aperta la questione della preghiera sinagogale nel resto della Palestina.
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ghiere del mattino e della sera, ma non sappiamo quanto diffusa mente essi fossero accettati. Il termine casa di preghiera per la sina goga, usato specialmente nella diaspora, mostra che molti ebrei pre gavano durante l'assemblea del sabato, ma non ci sono testimonian ze in favore della recitazione di preghiere a partire da un testo fisso. 4. Di fatto, gli ebrei del t secolo probabilmente non facevano nulla all'unisono. Forse nella comunità di Qumran si pregavano insieme le proprie preghiere prestabilite; non ci sono prove né in un senso né nell'altro. Se gli ebrei erano in una sinagoga in un momento di pre ghiera (ad es. per prima cosa nella mattinata o al momento del sacri ficio serale nel tempio), possono aver pregato tutti, ma non necessa riamente la stessa precisa preghiera, e probabilmente non all' uniso no. Mentre Giuseppe Flavio stava svolgendo le sue devozioni mattu tine nella sinagoga di Tiberiade, qualcuno lo apostrofò. Le persone erano nella sinagoga, ed era tempo di preghiera, ma non stavano tutti facendo la stessa cosa nello stesso istante30• Paolo, il nostro migliore testimone individuale di quanto accadeva nelle sinagoghe della dia spora, scrisse questo riguardo ai servizi del culto dei suoi convertiti a Corinto: «Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un inse gnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpre tarle>> ( l Cor 1 4, 26). Il suo discorso implica che le persone potesse ro fare a turno. Anche se la spontaneità era particolarmente apprez zata nel movimento cristiano come prova della presenza dello Spiri to, è nondimeno probabile che non passasse per la mente di Paolo che la congregazione potesse cantare un inno all'unisono. In una si nagoga di lunga durata, a dire il vero, certe routines si sarebbero sta bilite, ma le nostre scarse testimonianze sono contro una partecipa zione congregazionale all' unisono. Abbiamo trovato la recitazione di un passo che ha quasi i caratteri di un credo (lo Shema'), preghiere, inni, e lo studio della scrittura; ma questi non si erano ancora collegati per dare vita a un servizio di culto standardizzato. 3. Il sabato Oltre alla frequentazione della sinagoga, che cos' altro caratteriz zava l'osservanza del sabato? Il sabato ebraico, il settimo e ultimo 30. Vita 294 s.; cfr. sopra, pp. 275 s.
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giorno della settimana, come tutti gli altri giorni del calendario, co mincia al tramonto, non all'alba. Il precetto generale di rispettarlo come giorno di riposo è uno dei Dieci Comandamenti (Es 20, 8- 1 1 ; Dt 5 , 1 2- 1 5). L'argomentazione che lo motiva è leggermente diffe rente nei due passi. Secondo l'Esodo, il settimo giorno doveva esse re osservato perché Dio stesso si era riposato nel settimo giorno del la creazione, mentre secondo il Deuteronomio esso commemora l'esodo dall'Egitto. In entrambe le liste sono inclusi non solo gli israeliti (maschi adulti e, in questo caso, femmine) ma anche i bam bini, i servi, gli stranieri e gli animali. Formule brevi del precetto del sabato compaiono in Es 34, 2 1 e Lv 1 9, 3. Nella storia successiva d' Israele le leggi del sabato furono elaborate. Geremia proibì di tra sportare carichi dentro o fuori la città, e perfino dentro e fuori di casa (Ger 1 7, 1 9-27). Secondo Ne l O, 3 1 gli israeliti si impegnarono a non comprare cose dai pagani o dagli ebrei di dubbia origine ('il po polo della terra') di sabato, così come a lasciare la terra a riposo e a non pretendere di riscuotere debiti nel settimo anno. Ne 1 3, 1 5-22 racconta le severe misure prese da Neemia per prevenire il commer cio di sabato, sia da parte degli ebrei che dei pagani. Per fare ciò egli chiuse le porte di Gerusalemme e mise dei )eviti come guardie. Se condo il suo racconto il comandamento per cui i non-ebrei che vive vano nella terra di Israele dovevano anch'essi fermarsi fu rafforza to col tenerli fuori dalle porte della città, che è quanto esige una let tura rigorosa del testo («né il forestiero che dimora presso di te>>, Es 20, 1 0). La Bibbia prescrive la morte per lapidazione come punizione di una trasgressione deliberata (Nm 1 5 , 32-36). La trasgressione invo lontaria o non intenzionale richiedeva un'offerta per il peccato (Lv 4, 27-3 1 ). Sia gli ebrei sia i pagani individuarono l'osservanza del sabato come l'aspetto più inconsueto della prassi comune ebraica. Molte pagine fa abbiamo visto che, durante la rivolta asmonaica, alcuni dei pii furono uccisi perché non vollero difendersi quando furono attac cati di sabato. Questo portò alla risoluzione di combattere per la di fesa personale, ma non altrimenti ( l Mac 2, 29-4 1 ) . Questa risolu zione fu mantenuta, non solamente da quelli particolarmente pii, ma in generale. Così, ad esempio, quando il generale romano Pompeo ebbe circondato i seguaci di Aristobulo II nel tempio, egli si avvan taggiò dell'aderenza ebraica alla legge alzando terrapieni di sabato, pur traltenendosi dallo sparare proiettili. Gli ebrei avrebbero potuto
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rispondere ai proiettili, un attacco diretto, ma non alla costruzione di terrapieni. Perciò gli arieti poterono essere messi in opera in perfetta sicurezza (Beli. l , 1 45- 147; Cassio Dione 37, 1 6, 2s.). Aristobulo era un alleato dei maggiorenti conlro i farisei (Ant. 13, 4 1 1 ), e niente di quanto è noto su di lui lo contraddistingue come eccezionalmente pio: egli stava semplicemente seguendo la normale legge ebraica. Suo nonno, Giovanni Ircano, aveva una volta interrotto un importan te assedio per il sopravvenire dell'anno sabbatico (Beli. l , 1 57 - 1 60): tutte le leggi che governavano i giorni, gli anni e le stagioni sembra siano state fedelmente osservate. Si accorda con questo il fatto che Giulio Cesare esentò la Giudea dal tributo nell 'anno sabbatico (Ant. 14, 202). Lo stesso quadro emerge dalla diaspora. I pagani potevano sfrut tare l 'obbedienza ebraica alle leggi del sabato. In lonia, ci viene det to, essi portavano gli ebrei in Lribunale nei giorni festivi per oltrag giare la loro religione, e forse per legare loro le mani, dato che alcu ni di loro possono essersi rifiutati di comparire in giudizio di sabato (Ant. 1 6, 45-46). Molti autori pagani ridicolizzarono il sabato, men tre altri lo criticarono seriamente. Seneca (per illustrare il secondo punto) scrisse che gli dèi non hanno bisogno che si accendano loro lampade di sabato, dato che non hanno bisogno di lampade, menlre le persone «non troverebbero alcun piacere nella fuliggine>> (Seneca, Epistole morali 95, 47). Questo esempio, e molti altri, occupano die ci pagine utilmente predisposte e annotate di commenti pagani sull'osservanza del sabato ebraico nella raccolta di Molly Whitta ker31 . I commenti provengono da una rosa assai ampia, sia cronolo gicamente che geograficamente, e mostrano che i pagani considera vano l'osservanza del sabato come la caratteristica principale degli ebrei. Rispettare la legge nella diaspora era talvolta una lotta, come indi ca il paragrafo precedente. Grazie all'accorta manovra politica e mi litare di Antipatro, il padre di Erode, tuttavia, il problema fu allegge rito. In segno di gratitudine per l' appoggio ricevuto dagli ebrei du rante le guerre civili romane, Giulio Cesare concesse loro numerosi favori, sia in Palestina sia nella diaspora. Per mostrare la loro lealtà a Cesare, le città di lingua greca dell'Asia Minore emanarono dei de creti che garantivano i diritti degli ebrei. Efeso decretò: «a nessuno verrà impedito di rispettare i giorni di sabato né sarà multato per 31.
Whittaker, Jews and Christian.•: Graeco·Roman Views, pp.
63-73.
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averlo fatto» (An t. 1 4, 264 ) . Parecchi di questi decreti esentano gli ebrei dal servizio militare. Questo fu direttamente connesso al loro diritto di rispettare il sabato, come chiarisce una lettera da un ufficia le romano a Efeso: dato che gli ebrei «non possono portare armi o marciare nei giorni di sabato>>, essi (Ant. 14, 226). È certo, come abbiamo visto, che il giorno di sabato era un'occa sione per sacrifici speciali nel tempio e per la preghiera e lo studio nella sinagoga. Autori pagani non di rado si riferirono al sabato come a un giorno di digiuno, forse perché gli ebrei non cucinavano, il che agli estranei lo faceva sembrare un digiuno (cfr. Whittaker, come sopra). Il sabato in realtà non era un digiuno, ma piuttosto un'occasione gioiosa. Non potevano essere accesi fuochi di sabato stesso, ma il cibo veniva lasciato cuocere o tenuto in caldo su un fuoco acceso prima del tramonto del venerdì. Il pasto serale del ve nerdì era festivo quanto le persone potevano permettersi di farlo. l farisei escogitarono norme speciali che permettevano ai vicini di casa di trasportare cibo e piatti da una casa all'altra, e cenare con amici o parenti era un segno di festa. Possiamo anche presumere che i l pranzo del sabato includesse un piatto speciale, probabilmente pol lame o pesce; vale a dire, non carne rossa, come a una festività com pleta, ma qualcosa di meglio del cibo ordinario. I farisei discutevano se in un giorno di festa si potesse o no muovere la scala per prendere giù un piccione o una colomba dalla piccionaia (m8e!fah l , 3)32• Ab biamo questo dibattito solo perché la legge biblica che governava il lavoro dei giorni festivi è soggetta a più di un'interpretazione. Muo vere la scala di sabato sarebbe stato chiaramente contro la legge, e pertanto non c'è alcun dibattito paragonabile. Sembra probabile, tut tavia, che i pasti fossero simili, dal momento che i giorni festivi era no dei semi-sabati. È anche in sé probabile che il sabato fosse un'oc casione per pasti medi, non per un banchetto completo come nelle festività, ma più che il solito pane, lenticchie e formaggio. Le critiche e la messa alla berlina da parte dei pagani colti posso no essere state particolarmente taglienti a causa dell'attrattiva del sa bato ebraico agli occhi di molti pagani. Giuseppe Flavio affermò che in tutti i paesi e città c'erano alcuni che imitavano l'astinenza ebrai ca dal lavoro e segnavano il giorno, come facevano gli ebrei, tenen do accese delle lampade (Ap. 2, 282). Egli altrove sostenne che i riti 32. Sui giorni di festa. i semi-sabati, cfr. JUM, pp. 9-13.
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e le celebrazioni ebraiche attraevano molti (Beli. 1 , 45, in Siria; cfr. Beli. 2, 560; At 1 0, 2)33• Molti anni più tardi Giovanni Crisostomo, sacerdote cristiano in Antiochia alla fine del IV secolo, avrebbe at taccato gli ebrei, le cui attraenti cerimonie stavano rischiando di ade scare molti dei suoi parrocchiani. Marcel Simon, commentando que sta situazione, affermò che >, inclusa una bibliografia: R.S. MacLennan A.T. Kraabel, The God-Fearers - a Lilerary and Theo/ogical lnvenlion, in BAR 1 2 (5, 1 986), pp. 46-57; L. Feldman, The Omni-Presence of rhe God-Fearers, i n BAR 12 (5, 1986), pp. 58-69. Feldman spera di completare presto uno studio fondamenta le, di cui si sente molto l'esigenza. 34. Simon, Verus lsrae/, p. 325; cfr. p. 375.
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sabato in due modi. Essi frequentavano la sinagoga per parte del sa bato, e tutti concordavano che il combattimento era proibito. La Bib bia non applica in nessun punto esplicitamente la legge del sabato al tempo di guerra, e questo sembra essere stato uno sviluppo post-esi lico. Era, tuttavia, universalmente accettato, sia in Palestina sia nella diaspora e sia dagli ebrei sia dai pagani, i quali, a causa di esso (come abbiamo già visto), non reclutavano gli ebrei (Ant. 14, 226)3�. Quali fossero i dettagli e le modificazioni nell'osservanza privata del sabato, non lo possiamo sapere. Vedremo più tardi che i due principali gruppi di 'pii' modificarono la legge del sabato in vari modi, talvolta rendendola più rigorosa, talvolta più mite. Possiamo immaginare tutti i tipi di variazioni individuali o familiari da parte degli altri: l ' equivalente di «Non farà male a nessuno se solo ram mendo questo calzino» o «Noi non spazziamo mai via le briciole dal tavolO>>. Quali che fossero le loro variazioni individuali o di gruppo, in pratica tutti gli ebrei si astenevano dalle più ovvie forme di lavo ro, mangiavano un pasto speciale e andavano in sinagoga. Divenne in seguito quasi una regola che le coppie sposate dovessero avere rapporti sessuali la notte del venerdì, e questa può essere stata mol to probabilmente una parte deli' osservanza comune del sabato nel ! secolo. 4. Il diritto di osservare la legge nella diaspora
Non era particolarmente difficile nella Palestina ebraica seguire le leggi e rispettare le pratiche che abbiamo considerato in questo capi tolo: esercizio del culto all'unico Dio a casa e in sinagoga e rispetto del sabato. Queste osservanze erano di vitale importanza, ma erano anche problemi di routine comunitaria. Comprare qualcosa di sabato sarebbe stato più difficile che non comprarlo. Abbiamo visto che nella diaspora era altrimenti, e che gli ebrei, per praticare la propria religione, avevano bisogno di un permesso ufficiale, e talvolta anche d i protezione. Desidero ora indicare quali erano i diritti più i mpor tanti per gli ebrei della diaspora. Abbiamo fatto un uso estensivo di una serie di decreti e lettere in Ant. 14. Come ho spiegato sopra, Giulio Cesare, in segno di gratitu dine per l'appoggio datogli dagli ebrei durante la sua guerra contro 3S. Sulla coscrizione cfr. inoltre Anl. 14, 228.232.237.
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Pompeo, concesse benefici sia agli ebrei palestinesi sia a quelli della diaspora, e varie città dell 'impero fecero altrettanto concedendo agli ebrei determinati diritti. Giuseppe Flavio cita questi decreti così come le lettere di ufficiali romani relative agli stessi temi. I diritti più frequentemente menzionati sono questi: l. Il diritto di riunirsi o ad avere uno spazio per l'assemblea: 5 volte (Ant. 1 4, 2 14-21 6.227.235.257 s.260 s.) 2. Il diritto di rispettare il sabato: 5 volte (Ant. 14, 226.242.245.258 .263 s.) 3. II diritto di avere il loro cibo 'ancestrale ' : 3 volte (Ant. 14, 226.245.26 1 ) 4. I I diritto di decidere dei loro affari: 2 volte (Ant. 1 4, 235.260) 5 . Il diritto di contribuire con denaro: 2 volte (Ant. 14, 2 1 4.227>36.
Ci sono, in aggiunta, numerosi riferimenti generali al diritto di se guire le proprie «usanze>> (ethe) o a rispettare i propri o (ta hiera nomima) (14, 2 1 3-216.223.227.242.245 s.258.260.263). Questi diritti senza dubbio coprivano aspetti della prassi ebraica che gli ebrei stessi consideravano fondamentali. Il diritto all'assem blea, ora dato per scontato nelle democrazie occidentali, ma uno dei punti cardine della Dichiarazione dei Diritti americana, era cruciale. Il decreto di Cesare afferma che ad altre sètte religiose era proibito riunirsi in assemblea nella città di Roma, ma che agli ebrei era per messo (Ant. 1 4, 2 1 5 s.). Secondo Svetonio, Cesare stesso «disciolse tutte le corporazioni, eccettuate quelle di antica fondazione>> (Giulio Cesare 42, 3)37• Filone elogiò Augusto per aver permesso > (serpenti, lucertole, donnole e simili) sono proibiti, ma al cune forme di vita che volano e che s. Seneca può aver seguito non gli ebrei ma i pitagorici, che erano vegetariani, ma in ogni caso vediamo che la sobrietà poteva suscita re attratti va. Le leggi che regolano quali cibi possono essere mangiati sono così esplicite nella Bibbia che sono state soggette soltanto a modifi che minime. Quando gli ebrei si imbatterono in animali o uccelli che i classificatori biblici non avevano discusso, li esaminarono e stabili rono se erano adatti o mno a mangiarsi. Perciò la traduzione greca della Bibbia ebraica esplicitamente menziona e permette il bufalo (cioè il bovide di fiume dell' Egitto) e la giraffa (LXX Dt 14, 4 s.). Fi lone aggiunge gru e oche agli uccelli commestibili (Spec. 4, l l 7). Nessuno, a mia conoscenza, interferì con le proibizioni. Nelle aree ebraiche della Palestina sarebbe stato difficile o impos sibile mangiare animali proibiti, e possiamo presumere un'adesione generale. Tenere dei maiali avrebbe attratto moltissimo l'attenzione e avrebbe significato per l'opinione pubblica che la famiglia non era osservante. Ci può essere stata qualche tentazione di catturare con la trappola e mangiare la lepre e il tasso (proibiti da Dt 1 4, 7), il che avrebbe fornito carne gratis; ma, ancora, collocare trappole non può essere un'operazione segreta, e gli ebrei che lo avessero fatto avreb bero incontrato disapprovazione e forse ostracismo. Era più sempli ce e meglio costruire una piccionaia, che pure avrebbe fornito cibo gratis, dal momento che piccioni e colombe si nutrono da soli (preferi bilmente con il frumento del vicino piuttosto che con il proprio!). Gli ebrei che vivevano nel mondo pagano dovevano occuparsi del proprio approvvigionamento di cibo, come abbiamo visto alla fine del capitolo precedente. In alcuni luoghi dovevano sollecitare le au torità a esigere che i gerenti del mercato fornissero loro cibo che po tessero mangiare. Un proconsole romano scrisse a Mileto, dando istruzioni alla città perché desse agli ebrei il permesso di «maneggia re>> o «toccare>> i loro prodotti (Ant. l 4, 245)9• Il decreto di Sardi af fermava che gli ebrei di colà avevano in precedenza ricevuto molti privilegi, tacitamente ammettendo che questo non era stato vero in seguito. Gli ebrei avevano recentemente fatto una petizione al consi8. Seneca, Epistole morali 108, 98, 22; Whi naker. Jews and Christians: Graeco· Roman Views. p. 76. 9. Molli studiosi interpretano questo passo come riferilo al diriuo di inviare le decime a Gerusalemme. Gli ebrei della diaspora, lunavia, non mandavano una deci ma del proprio prodollo a Gerusalemme, ed è meglio intendere il passo come alli· nenie alla provvisla personale di cibo degli ebrei di Milelo. Cfr. JUM, pp. 296 s.
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glio riguardo alle loro leggi, sottolineando che il Senato romano le aveva ripristinate. Il consiglio di Sardi si affrettò a porsi sulla stessa linea di Roma. Ordinò, tra le altre cose, che (Ant. 14, 259-26 1 ). Sfortunatamente non sappiamo che cosa esattamente fosse il cibo speciale, e conseguentemente non possia mo sapere che sorta di difficoltà gli ebrei di Sardi avessero speri mentato. Supporrei che il problema non fosse quello di ottenere car ne rossa da un animale adatto. In Palestina la carne rossa principale era l' agnello o il capretto; nel Mediterraneo pagano era la carne di maiale, agnello o capretto. Si deve solo pensare che gli ebrei abbia no evitato il maiale. C'erano, naturalmente, due altri problemi potenziali. Li menzio nerò molto brevemente10• Un animale poteva essere stato sacrificato a una divinità pagana, o poteva essere stato sgozzato in modo tale da contenere ancora del sangue (per la proibizione del sangue cfr. per es. Lv 3, 1 7). La prima cosa valeva spesso per la carne rossa dispo nibile nelle città dei pagani. Come nell'ebraismo, lo sgozzamento era solitamente sacrificale; gli animali avevano una doppia funzione. Non è necessario che si sia presentato il secondo possibile problema (che nella carne ci fosse ancora sangue). Lo sgozzamento pagano non era precisamente come quello ebraico: l'animale non era appeso per la zampa dopo che la gola era stata tagliata. Dal momento in cui il sacerdote o macellatore greco o romano aveva finito il suo lavoro, tuttavia, non rimaneva sangue, dato che egli sviscerava l'animale e disossava la carne. Però non tutte le macellazioni dei pagani segui vano la tecnica sacri ficale greca, e gli ebrei temevano particolarmen te di mangiare la carne di un animale che fosse stato letteralmente strangolato. Essi possono anche aver sospettato le macellazioni pa gane di lasciare sangue nella carne, e sembra che ci sia stato qualche timore che un macellaio pagano potesse tagliare la gola di un anima le in modo tale da farlo soffocare nel suo stesso sangue11• Anche se IO. Cfr. più ampiamente JUM, pp. 277-282.
I l . Per la tecnica di assicurarsi che l'animale non soffocasse quando gli veniva tagliata la gola cfr. mf!ullin l , 2. In JUM, pp. 278 s. e n. 24 (p. 363), proponevo l'ipotesi che questa preoccupazione stesse alla base dell'interdizione della carne di animali che erano stati 'strangolati' (cfr. At 15, 20.29; 2 1 . 25; cfr. GiusAsen 8, 5; 2 1 , 14). Osservavo che i greci accusavano gli sciti di strangolare gli animali con un laccio, ma ritenevo improbabile che questo fosse ciò che aveva in mente il redattore di At 1 5, 20. Avevo trascurato, tuttavia. Spec. 4, 122, dove Filone critica aspramente
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gli ebrei potrebbero essere stati legalmente giustificati nell'accettare carne pagana come priva di sangue, può darsi che non fossero dispo sti a farlo volontariamente. Ci sono problemi possibili con altri cibi, specialmente i liquidi principali, olio e vino. Potrebbe essere stata offerta una libagione a una divinità pagana fatta con il vino prima che fosse venduto; anche l'olio potrebbe avere avuto connessione con l'idolatria. Forse, per esempio, il vigneto apparteneva a un tempio pagano, come spesso accadeva. (Sulla riluttanza a usare l'olio dei pagani cfr. Beli. 2, 591 ; Vita 14; Ant. 1 2, 1 2012.) Infine, alcuni ebrei erano genericamente maldisposti a mangiare cibo pagano, anche quando poteva non esserci alcuna obiezione le gale. Alcuni, se avessero dovuto mangiare cibo pagano, avrebbero mangiato solo verdure e bevuto solo acqua; alcuni non avrebbero af fatto mangiato alcunché di cotto13• Vale a dire, alcuni ebrei della dia spora reagivano al loro ambiente pagano, pieno di idolatria e di im moralità sessuale (dal loro punto di vista}, isolandosi da un contatto troppo stretto con i pagani. In famiglie di tal genere c ' era il desiderio «gente del tipo di Sardanapalo», che «prepara carne inadatta all'altare strangolando e soffocando gli animali, e seppellisce con la carcassa il sangue che è l'essenza
dell'anima, e che dovrebbe essere lasciato scorrere via liberamente». In vista d i que sto, dobbiamo pensare che strangolare gli animali con un laccio, o con una specie di garroua, fosse praticato anche al di fuori della Scizia, e di conseguenza che At 1 5, 20 possa riferirsi a questa pratica. 12. Gli ebrei della diaspora non sembrano essersi preoccupati del fatto che la propria carne, il proprio olio e il proprio vino venivano IIUlneggiati dai pagani. Si noti che a Sardi il consiglio ordinò al sovrintendente del mercato pagano di fornire agli ebrei cibo adatto. O gli ebrei non ritenevano che i pagani fossero impuri, o con sideravano l'impurità dei pagani come non contagiosa; cfr. l'Appendice al cap. 5. Hoenig ha correttamente ipotizzato che il problema presentato dall'olio dei pagani fosse la sua associazione a dèi pagani, non la sua predisposizione all'impurità (Oi/ and Pagan Deji/ement, in JQR 61 [ 1 970-7 1 ], pp. 63-75, spec. 65-9). Goodman atui buisce il rifiuto di usare olio gentile a «Un istinto religioso dilagante» «a evitare so stanze commestibili di diversi tipi comuni», un istinto che �era tanto più potente in quanto mancava di base razionale>> (Kosher Olive Oil in Antiquity, in A Tribute to Geza Vennes, pp. 227-245: p. 240). Baumgarten, tuttavia, sostiene che il problema provocato dall'olio fosse la particolare suscettibilità dei liquidi all'impurità: Studies in Qumran Law, pp. 88-97. Penso che Baumgarten possa avere ragione per quanto riguarda la sua argomentazione fondamentale, che concerne gli esseni; questo non prova, tuttavia, che ci fosse una singola halakhah sull'olio e sull'impurità accettata dagli ebrei di tutto il mondo. 1 3 . Per una varietà di atteggiamenti di avversione al cibo dei pagani, cfr. Dn l , 816; 1b l , IO s.; Gdt IO, 5; 12, 2.9s. l 9; 13, 8; Est 4, 17X (LXX); 3 Mac 3, 4-7; GiusA sen 7, l ; 8, 5; 1 8, 5; 20, 8; Vita 14.
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di controllare completamente il proprio approvvigionamento di cibo. Altri ebrei, si deve sotlolineare, partecipavano a numerosi aspetti della cultura pagana, come il teatro e i giochi, molto allegramente. Tutte le cerimonie civiche includevano il riconoscimento di una o più divinità pagane, ma alcuni ebrei erano disposti a passarci sopra (come oggi alcuni presenziano senza protestare a preghiere che ter minano con «per Cristo nostro Signore>>), e queste persone possono essersi sentite meno schifiltose nei confronti del cibo pagano'4• In l Cor l O, 27, Paolo consiglia ai cristiani di non chiedere l'origine del cibo quando si è in casa di qualcun altro, ed è assai probabile che nella diaspora alcune famiglie ebraiche seguissero la stessa prassi. Pertanto non possiamo dire esattamente che cosa fosse, a proposi to del cibo nel mercato pubblico, a cui gli ebrei di Sardi potessero obiettare. Vediamo invero, sia da questo decreto sia da numerosi commenti pagani sulle restrizioni della dieta degli ebrei, che in gene rale essi cercavano di rispettare le leggi sul cibo e che perfino nella diaspora rispettavano le principali. Infine, notiamo un'ulteriore, possibile restrizione sul cibo. In tre passi differenti la Bibbia proibisce di «cuocere un capretto nel latte di sua madre•• (Es 23, 1 9 ; 34, 27; DI 14, 2 1 ) . Ora noi attribuiamo tali ripetizioni alla sovrapposizione di fonti, ma nel I secolo una proibi zione ripetuta tre volte era considerata come particolarmente rigoro sa. A un certo punto il comandamento di non bollire un capretto nel latte di sua madre fu elaborato così da significare che la carne e i lat ticini non dovevano entrare in contatto l ' una con gli altri. Il testo più antico che rivela questa restrizione è m/fui/in 8, l s. Le Scuole di Hillel e Shammai discussero la questione, gli shammaiti sostenendo che pollame o uccelli potevano essere serviti con formaggio purché i due cibi non fossero mangiati assieme, gli hilleliti sostenendo che pollame o uccelli e formaggio non potevano essere né serviti né mangiati assieme. Regole successive offrono ulteriori modifiche: al cuni rabbini sostennero che pollame o uccelli e formaggio potevano essere posti sulla stessa tavola di servizio o buffet e che le Scuole avevano dibattuto solo che cosa fosse permesso alla tavola dove le persone mangiavano (8, l ). Rabban Shim 'on figlio di Gamaliel ll af fermava che due stranieri potevano mangiare a una tavola dove fos sero stati serviti sia carne sia formaggio se uno mangiava la carne e 14. Per il tema generale dei contatti tra ebrei e pagani, cfr. il mio saggio Jewish
Assoàation with Genti/es and Galatians 2. J J . J4.
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uno il formaggio (8, 2). L'ultima fase dell'argomento è proba bilmente rappresentata dalla regola che ora viene per prima, all'ini zio di 8, l : «Nessuna carne può essere cotta nel latte eccetto la carne di pesce e di locuste; e nessuna carne può essere servita sul tavolo insieme con il formaggio eccetto la carne di pesce e locuste» (8, l ). Il dibattito delle Scuole presuppone che carne rossa e formaggio non possano essere servite insieme, e anche che la carne, anche di pollame o uccelli, non possa essere cotta insieme con un latticino. Queste presupposizioni probabilmente rappresentano la legge fari saica anteriore al 70. Anche se non possiamo sapere se altre persone accettassero o meno restrizioni sul mescolare carne e latticini, penso del tutto probabile che molte persone non avrebbero cotto carne in sieme con latte o formaggio.
4. Altre principali leggi di purità Nel discutere del tempio abbiamo visto che parecchie impurità dovevano essere tenute lontane dall'àmbito del sacro: le impurità che provenivano dalla morte, dal parto, dalle mestruazioni, dallo sperma e da altre perdite della vagina o del pene. Le persone affette da questi importanti cambiamenti di stato, che avevano a che fare con la vita, la morte e la riproduzione, dovevano stare lontano da ciò che era sacro (sopra, pp. 95-98). Considereremo ora queste e poche altre impurità più in particolare, così come le modalità di purifica zione. L 'impurità da cadavere è il soggetto di Nm 19, che prescrive un elaborato rituale di purificazione. Un sacerdote sgozzava una gio venca rossa fuori dal tempio e la bruciava. Le ceneri erano conserva te e venivano mischiate con acqua. La mistura veniva spruzzata sulle persone impure nel terzo giorno e nel settimo; esse poi lavavano i propri vestiti e facevano un bagno, e l'impurità era rimossa. Non solo le persone che erano state vicine al cadavere, ma anche la stan za dove era giaciuto e gli oggetti contenuti nella stanza dovevano es sere aspersi.
Lo studio dell'impurità da cadavere rivela un aspetto molto im portante del giudaismo del secondo tempio. Molte persone conside ravano la purità un bene positivo, lo stato appropriato in cui trovarsi, sia o no che si fosse in procinto di entrare nel tempio. Lo vediamo,
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ad esempio, nelle discussioni di Filone sull'impurità da cadavere. Dal punto di vista della legge biblica, non c 'era nulla che lui e altri ebrei della diaspora potessero fare in proposito: l'avevano tutti in ogni momento, e potevano rimuoverla solo quando facevano un pel legrinaggio a Gerusalemme. Ciononostante, Filone pensava che, dopo il lutto per un morto, le persone dovessero andare a casa e get tarsi addosso un catino d'acqua, diventando cosi «veramente puri» per tutti gli scopi fuorché per entrare nel tempio (Spec. 3, 205 s.). Egli e altri ebrei della diaspora escogitarono nuovi riti di purità, re golarmente osservabili, cosicché potevano sentirsi puri (altri esempi saranno visti oltre). La concezione secondo cui si doveva rimuovere l' impurità, sia che si fosse o no in procinto di entrare nel tempio, può stare alla base di un passo difficile di Giuseppe Flavio. Una persona che rimane im pura per contatto con cadaveri per più di sette giorni «è obbligata a sacrificare due agnelli, dei quali uno deve essere consacrato alle fiamme e l'altro è preso dai sacerdoti>> (Ant. 3, 262). Questo non è effettivamente richiesto dalla Bibbia. E la nuova legge non poteva neppure essere seguita dalle persone che vivevano molto lontano da Gerusalemme, dato che la mistura di ceneri e acqua che rimuoveva l'impurità da cadavere era conservata nel tempio (anche se i sacer doti possono aver organizzato missioni occasionali per purificare case fuori da Gerusalemme). È impossibile accertare il valore prati co della 'legge' di Giuseppe Flavio, ma una riflessione può suggeri re come le leggi venissero interpretate. Secondo Nm 1 9, 1 3.20 la persona che non è purificata , cioè giustiziata. Nm 1 9, 20 continua, tuttavia, spiegando che tale persona «ha contaminato il santuario del Signore>>. Nel contesto, è solo l'en trare nel tempio mentre si ha l' impurità da cadavere che è una colpa capitale. L'affermazione di Gi useppe Flavio sembra riflettere la se guente interpretazione: la prima parte di Nm 19, 20 (prima delle pa role sul santuario) ha uno status indipendente ed è l'equivalente di un comandamento positivo, «rimuovi l' impurità da cadavere>>. Il mancato adempimento di questo comandamento è una trasgressione più leggera della violazione del comandamento negativo, > (Lv 1 2, 4). Il periodo si concludeva con la presentazione delle offerte: o un agnello come olocausto e un uccello (piccione o colomba) come of ferta per il peccato, o due uccelli se ella non poteva perrnettersi un agnello (Lv 1 2, 1 -8). Le mestruazioni si risolvevano in un'impurità di sette giorni per la donna. Nel ! secolo, poi, ella faceva un bagno (cfr. oltre). Il suo letto e tutto ciò su cui si fosse seduta diventavano anch'essi impuri . Per ciò doveva essere fatto un ampio bucato alla fine dei sette giorni. Chiunque toccasse il suo letto o la sua sedia doveva farsi il bagno e lavare i suoi vestiti; tale persona era impura fino al tramonto (Lv 1 5, 1 9-23). Il rapporto sessuale con una donna mestruante era rigorosa mente proibito. Se era involontario, il che poteva accadere se la cop pia vedeva il sangue solo dopo, l'uomo era anch'esso impuro per 1 5 . Rammentiamo che Giuseppe Flavio riteneva che un'offerta per il peccato (o purific azione) dovesse consistere in un agnello e un capretto femmina (Ant. 3, 23 1 ) il che è molto più costoso di quanto richieda la Bibbia (sopra, p. 148). Pertanto l'of· ferta di due animali nel caso presente non era eccessivamente dispendiosa dal suo punto di vista. L'esigenza di sacrifici nel caso di mancata rimozione dell'impurità da cadavere, tuttavia, è un'aggiunta costosa alla legge biblica. .
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sette giorni ( 1 5, 24), ed entrambi i contraenti erano debitori di un'of ferta per il peccato (4, 27-5, 1 3; sul sangue scoperto dopo il rappor to, cfr. anche mNiddah 2, 4). Se l' atto era intenzionale, entrambi i contraenti dovevano essere giustiziati (> (Lv I l , 36). Lv 1 5, 1 3 esige che un uomo con una perdita si lavi in acqua 'viva', cioè corrente. Questi versetti, combinati con 1 5, 1 6, portarono all'opinione secondo cui ci si doveva immergere nell'acqua di fonte o in una vasta piscina, larga abbastanza per il corpo intero; se l ' acqua non era effettivamente corrente, lo doveva essere stata originariamente, e pertanto doveva essersi raccolta nella piscina naturalmente. In Palestina, poche persone vivevano vicino a una sorgente o a un fiume, e quelle che non potevano fare così scavavano profonde pi scine e vi incanalavano l'acqua piovana. Le piscine venivano ricava te nel fondamento roccioso. Questo metodo di costruzione riflette l'idea che l ' acqua purificante non doveva essere trasportata in nulla di costruito dall' uomo. Nel gergo rabbinico, non doveva essere 'ac qua attinta'. Preferibilmente, ci doveva essere una piscina naturale d'acqua. Dal momento che le piscine naturali vaste erano in numero insufficiente, le persone imitavano la natura facendo piscine nella roccia. Costruire una piscina sulla terra non sarebbe andato bene. Finora, sembra che tutti gli ebrei in Palestina siano stati concordi. L'archeologia prova l'accordo generale. Sono state scoperte piscine di parecchi tipi, ma con questi tre punti in comune: sono scavate in
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un letto di roccia, profonde abbastanza per un'immersione completa, con scalini che portano al fondo, riempite con un sistema di canaliz zazioni che portavano la pioggia o l'acqua di sorgente. Piscine a gra dinate larghe abbastanza per una completa immersione sono state scoperte in numerose zone: i palazzi dei re-sacerdoti asmonei (a Ge rico), i palazzi di Erode (a Gerico, l 'Herodium, a Masada), le case degli aristocratici che vivevano nella Città Alta, le case della gente comune a Gerusalemme, Sefforis (una delle città principali della Ga lilea), la remota Gamia (sulle alture del Golan, a nord-ovest del lago di Tiberiade), a Qumran e in molti altri luoghi. A Masada, non solo il palazzo di Erode aveva una piscina d' immersione, ma l' avevano anche i bagni che egli costruì per i l suo seguito. C'erano anche pisci ne vicino al tempio che erano per uso pubblico21, presumibilmente quello dei pellegrini (anche se almeno una sinagoga di lingua greca forniva anch'essa piscine ai pellegrini)22. C'erano piscine pubbliche in villaggi e cittadine; Gamia, il nostro unico esempio di città ante riore al 70, aveva almeno una piscina pubblica per immersione, che era quasi adiacente alla sinagoga. L'uso delle piscine per immersio ne era comune a tutti: aristocratici, sacerdoti, laici, ricchi, poveri, membri della setta di Qumran, farisei e sadducei. La testimonianza a favore dell'osservanza generalizzata non potrebbe essere più impres sionante. La prassi nella diaspora non era certo così uniforme. Filone tratta di abluzioni parecchie volte, sempre riferendosi o al bagnarsi con ac qua da un bacile che arrivi alla cintola o al bagno, ma mai all'im mersione2J_ La Lettera di Aristea e gli Oracoli Sibillini menzionano il lavaggio delle mani ma non l'immersione (Arist. 305 s.; OrSib 3, 5 9 1 -593). Un passo in Giustino Martire si riferisce all 'uso ebraico di 'cisterne' per la purificazione, il che mostra che l 'usanza era cono sciuta fuori dalla Palestina (Dialogo con Trifone 1 4 , 1 ). Anche se l'identificazione dell'edificio come sinagoga è stata discussa, sem bra probabile che ci fosse una sinagoga sull'isola greca di Delo che conteneva una piscina d'immersione24. Mentre l'immersione può es2 1 . Mazar. Mountain ofthe Lord, p. 1 46. 22. Cfr. l'iscrizione di Teodoto, sopra, p. 244. 23. Alcuni dei passi di Filone sono citati immediatamente oltre; cfr. inoltre JUM, pp. 263-27 1 . 24. La presentazione più chiara è in Ph. Bruneau, Recherches sur /es cu/tes de Délos à / 'époque hellénistique et à / 'époq11e impéria/e ( 1970), pp. 480-493, spec. pp. 48 1 s. e 490 s., tavv. B , C, G, H; cfr. Bruneau, 'us /sraélites de Dé/os' et lajui-
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sere stata praticata più ampiamente di quanto indichino le testimo nianze di cui disponiamo, non sembra che abbia avuto nella diaspora lo status che aveva in Palestina. Gli ebrei della diaspora, come i l(#ro vicini pagani e i loro correli gionari palestinesi, credevano che fosse una buona cosa essere puri: tutte le purificazioni menzionate nel precedente paragrafo sono ex trabibliche. Per soddisfare il loro desiderio di essere puri, essi inven tarono le purificazioni. Per esempio, al posto del precetto biblico di non entrare nel tempio quando in stato d'impurità seminate, Filone ha «non toccare nulla>> : invece del bagno biblico dopo i rapporti ses suali, egli ha l'abluzione o l' aspersione (Spec. 3, 63). Per l' impurità da cadavere egli esige sia l' aspersione sia il bagno nella diaspora, cosa che egli distingue dal rito di purificazione cui i pellegrini si sot toponevano al tempio (Spec. 3 , 205 s.; cfr. l , 261 ). Il riferimento nella Lettera di Aristea al lavarsi le mani nel mare può spiegare il fatto che parecchie sinagoghe della diaspora fossero vicino all'acqua25• Secondo At 1 6, 1 3 , Paolo e i suoi compagni anda rono sulla costa vicino a Filippi, aspettandosi di trovare lì una sina goga. È molto probabile che, prima del servizio della sinagoga, molverie déliens, in «Bulletin de Correspondcnce Hellénique» 106 ( 1 982), pp. 465-504; cfr. pp. 491 -495 e le illustrazioni alle pp. 500 s. Il primo scavatore, A. Plassart, mise in rilievo il fano che la piscina non può essere stata una cisterna, dato che le pareti non erano intonacate (anche se i miqwaot in Palestina non avevano pareti intonaca te); Plassart, Fouilles de Délos, in «Bulletin de Correspondence Hellénique» 40 ( 1 9 1 6). pp. 1 45-256: p. 240. La piscina consiste in una cavità naturale nella roccia, alimentata da una sorgente d'acqua sonerranea, nella quale veniva scavato un con dono. Non ci sono gradini, ma Bruneau fa notare che una scala di legno poteva aver fornito l 'accesso alla piscina. C'era una piscina simile, ma con gradini di pielr.l po· rosa, in una casa privata che sembra sia appartenuta a un ebreo (Bruneau, Recher· ches, p. 49 1 n. 2; Lisimaco è menzionato in un ' iscrizione trovata nella casa e anche in una trovata nella sinagoga). Queste sono le uniche due 'cisterne' a De lo dove era possibile immergersi nell'acqua. Bruneau pensava che una possibile obiezione alla sua teoria fosse il fano che non c'era alcun modo di far defluire l'acqua usata (Re· cherches, p. 491 ) ; ma i miqwaot paleslinesi non possono essere prosciugati. Per quanto ne so, nessuno studioso di miqwaot palestinesi ha esaminato le piscine d i Delo. Le argomentazioni d i Bruneau, presentate prima dell'esplosione delle cono scenze sulle piscine d'immersione palestinesi, sembrano convincenti: meritano al meno un'ulteriore indagine. Per quanto riguarda l'identificazione dell'edificio come sinagoga, trovo del tuno convincenti Plassart e Bruneau. L' identificazione di Plassart venne accolta da Good enough, Jewish Symbols, n, pp. 7 1 -75. 25. E.I.. Sukenik, Ancie111 S_vnagogues in Pa/�stine and Greece. Cfr. inoltre JUM, p. 360 n. 8 (cap. IV. 8).
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ti ebrei della diaspora andassero alla spiaggia e si lavassero le mani, e probabilmente allo stesso modo i piedi. Vediamo che alcuni ebrei della diaspora si immergevano (così Giustino), alcuni si lavavano le mani nel mare o in fiumi (Aristea; si nagoghe vicino al mare); alcuni si aspergevano o si bagnavano (Filo ne). Forse queste purificazioni si sovrapponevano. Quello che era comune era il desiderio di essere puri e di significare la purità trami te un rito. b) L 'immersione: descrizione dettagliata26 Le piscine da immersione palestinesi ci forniscono una testimo nianza molto interessante sulla prassi religiosa, e così dedicheremo loro un'osservazione più dettagliata. Prima di tutto, le piscine da im mersione erano caraueristiche27• Non erano né vasche da bagno né cisterne-deposito, come vedremo oltre. Le piscine d'immersione (in ebraico miqwaot, sing. miqweh) erano abbastanza ampie, ma non tanto da contenere la riserva d'acqua per una famiglia. I miqwaot va riavano in dimensione, ma avevano in comune alcune caratteristiche generali : a) erano profondi, spesso 2 metri, ma talvolta di più; b) avevano un'ampia superticie, spesso circa 2 x 3 metri, anche se, an cora, molte erano più ampie; c) conseguentemente, contenevano una gran quantità d'acqua (una piscina con una superticie di 3, 6 x 2 me tri e una profondità di 2 metri conteneva 1 4.400 litri di acqua); d) gran parte dello spazio interno è occupato dai gradini, che vanno da ogni lato al fondo; e) frequentemente c'è una sorta di segno che divi de la destra e la sinistra di ciascuna gradinata; talvolta non c'è alcun segno, ma ci sono due rampe di scale; f) non possono essere svuota te: non c'è alcun tappo sul fondo. Queste piscine non sono vasche da bagno. Sono di gran lunga più vaste, l'acqua non poteva essere riscaldata, e poteva essere cambiata solo con grandissimo sforzo. I miqwaot non sono neppure cisterne per raccogliere l ' acqua da bere. Le cisterne sono comuni in Palesti na; vengono spesso scoperte a fianco dei miqwaot, e le cisterne sono molto più grandi. Gran parte dello spazio di un miqweh era occupato dai gradini che pennettevano a chi si immergeva di scendere finché
26. Per ulteriori particolari e riferimenti bibliografici, cfr. JUM, pp. 2 1 4-227 e nn. 27. Sulla storia dell'identificazione delle piscine a gradinate come miqwaot, cfr. IUM, pp. 2 1 5 s. e nn.
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l'acqua non superava la sua testa. Le cisterne, al contrario, o non ave vano affatto gradini (poiché l'acqua veniva attinta con un secchia) o avevano gradini che occupavano una piccola percentuale dello spa zio. Le cisterne hanno una piccola apertura in alto, e si espandono sottoterra. I fianchi delle piscine d' immersione sono verticali. Benché i regnanti in Palestina avessero piscine da nuoto e l 'uso ri creativo dell'acqua fosse ben conosciuto, le piscine identificate come miqwaot non erano per il piacere. Esse si trovavano al piano terra della casa o in una piccola struttura separata con un tetto basso (talvolta il tetto stesso era nella roccia, e l' ingresso della piscina era di lato). In breve, esse non avevano alcuno scopo immaginabile se non quello di purificazione religiosa. Una volta visto ciò, tutte le loro caratteristiche sono spiegate. Esse erano abbastanza antigieni che, ma il loro scopo non era l'igiene personale. Erano scomode, ma non erano fatte per il piacere. Anche la prassi di dividere i gradini, o intagliame una seconda serie, è spiegato: si discende impuri, si esce puri, e la differenza è marcata da una divisione fisica. Nel caso dei miqwaot pubblici, il contatto fisico tra i puri e gli impuri era evitato con la divisione dei gradini. I governanti e gli aristocratici potevano rendere l 'esperienza del miqweh (come potrebbe essere chiamata) non spiacevole. Nei bagni di Erode, il miqweh fungeva da bagno freddo nei suoi ambienti da bagno in stile ellenistico-romano, dove c 'erano anche una stanza cal da e, talvolta, una tiepida. Un aristocratico nella Città Alta poteva aver fatto scavare un miqweh come parte di un complesso tennale nel piano terreno, con pavimenti in mattonelle, spogliatoio, talvolta un bagno separato per i piedi, e di solito una vasca da bagno. L'ac qua nel miqweh sarebbe stata ancora stagnante e fredda, ma il ba gnante non avrebbe dovuto rimanere in essa, e a fianco poteva trova re ristoro. Una vasca da bagno era abbastanza piccola; il bagnante non poteva distendersi e giacere, e la vasca conteneva acqua molto scarsa. Dopo l' immersione, un membro del gruppo dei pochi privile giati poteva sedersi nella vasca da bagno, mentre qualcun altro, sen za dubbio un servo, gli versava addosso acqua calda pulita. La maggioranza delle persone, tuttavia, entrava in un'area molto piccola, svestita, scendeva i gradini fino al raggiungimento della completa immersione, tornava su, si asciugava (probabilmente usan do i propri vestiti), e si vestiva28• In alcuni casi lo spogliatoio era 28. L'esistenza di piscine d'immersione pubbliche indica che molte persone non
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completamente buio, e in tutti i ca�i l 'area stessa del miqweh era fredda e buia. Anche in un clima afoso, e perfino d'estate, una vasta piscina scavata nella roccia, coperta da un tetto, è fredda. Sappiamo che in Palestina c'era un disaccordo sostanziale sulla prassi religiosa. Abbiamo testimonianze dirette che mostrano che i 'pii' criticavano i sacerdoti (ad es. i Salmi di Salomone), che i farisei criticavano sia la gente comune sia i sadducei (letteratura rabbinica), e che gli esseni criticavano tutti (i rotoli del mar Morto, incluso il Documento di Damasco). Come intendere, allora, la felice armonia sull'immersione e le piscine? Esse ci forniscono la miglior testimonianza concreta dell' 'unità nella diversità' . Le decisioni fondamentali sui miqwaot, come abbia mo visto, erano esegetiche. La Bibbia, a dire il vero, non dice espli citamente «scavate piscine nella roccia profonde quattro cubiti e riempitele con acqua piovana o di sorgente>>, ma non è un' interpreta zione irragionevole quella di Lv I l , 36, 1 5, 1 3 e 1 5 , 1 6. Gli ebrei pa lestinesi concordavano tra di loro su questa esegesi, e conseguente mente non c'erano dispute tra fazioni. Ma se scaviamo più a fondo (per fare un gioco di parole), troviamo discordanze. Ne menzionerò in tutto tre, una rivelata dall'archeologia, le altre due dalla letteratu ra. Penso che sia possibile derivare dallo studio dei miqwaot dati so cio-religiosi e anche informazioni che riguardano la questione dell'influenza farisaica. Pertanto le considererò attentamente. l . Ci sono molte sotto-categorie di piscine d'immersione, ma tutte ricadono in uno dei due tipi di base: il miqweh vero e proprio è o a fianco di una piscina di pari dimensione senza gradini o non ha pi scina adiacente. Una minoranza delle piscine a gradini (miqwaot) che sono state scoperte finora hanno una piscina gemella senza gra dini, chiamata in ebraico tardo O!iar, 'piscina-deposito' , che è colle gata alla piscina a gradini da un condotto in cima. Un passo mishni co chiarifica la funzione della seconda piscina. Quando pioveva, en trambe le piscine si riempivano d' acqua. Durante le lunghe stagioni di aridità, il miqweh perdeva acqua per evaporazione, e forse parte di essa veniva rimossa con un secchia per permettere l'introduzione di acqua fresca. La nuova acqua avrebbe dovuto essere 'attinta' : portaosservavano le nonne della purità degli abiti. Parecchie impurità contaminano anche gli abili. Come si può recarsi a una piscina pubblica con abili impuri, immergersi, e non toccare di nuovo i propri abiti impuri? Sull'opinione dei farisei secondo cui gli abiti della gente comune erano impuri, cfr. ml.fagigah 2, 7 e ahri passi oltre, p. 593 s.
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ta i n u n secchio da una fonte vicina, o tirata su da una cisterna. I fari sei consideravano l'acqua 'attinta' come non valida per la purifica zione. Pensavano, tuttavia, che l'acqua attinta potesse essere purifi cata a contatto con l'acqua nell'o-!"ar, la piscina senza gradini. Il con dotto veniva aperto per un breve tratto, l'acqua mescolata, e il trasfe rimento di purità era compiuto. I farisei, cioè, pensavano che ci si potesse immergere solo in acqua piovana o di sorgente che si fosse raccolta naturalmente, per la forza di gravità, ma che se tale acqua scorreva fuori poteva essere ricreata col mettere insieme acqua at tinta e acqua . Ci sono poche piscine di questo tipo in Pa lestina, e sono spiegate da un passo della Mishnah (Miqwaot 6, 8). Il passo non può essere definitivamente attribuito ai farisei dell'età an teriore al 70, ma le piscine stesse, almeno quelle di Gerico e Gerusa lemme, sono precedenti al 7029• Dal momento che questa regola sull'uso di un O-!"ar si trova nella letteratura rabbinica, e dato che l'archeologia dimostra che qualcuno la seguì prima del 70, possiamo allribuirla ai farisei. I rivoluzionari che difesero Masada dopo la distruzione del tempio la accettarono anch'essi; essi costruirono un complesso di miqweh e O!far, nono stante avessero a portata di mano i capaci miqwaot singoli di Erode. I difensori di Masada erano sicari, e probabilmente pochissimi fari sei erano sicari. La deduzione è che la regola farisaica era accettata da almeno alcuni alui 'pii' (anche se non da quelli di Qumran). La distribuzione di complessi di miqweh e O-!"ar a Gerusalemme è inte ressante da questo punto di vista: un complesso di tal genere è stato trovato nell'aristocratica Città Alla, un buon numero nella più pove ra Città Bassa. Ce n'è uno anche nel palazzo asmonaico di Gerico. Almeno alcuni degli Asmonei avevano accettato la teoria, apparen temente farisaica, come fecero alcuni degli ostinati rivoluzionari e alcune persone nella Città Bassa. Erode, gli aristocratici, la setta di Qumran, i residenti a Gamia e alcuni dei residenti a Sefforis usavano miqwaot senza piscine-depo sito a fianco. Era sì richiesto parecchio lavoro per scavare la seconda piscina, ma anche coloro che meglio potevano perrnellerselo non se la fecero scavare. Essi ovviamente accettavano regole differenti su li' acqua e sulla sua validità. Scavarono le loro piscine nella roccia 29. La piscina fonnata dalla combinazione di miqweh e o$fJr a Gerico è all'inter· no del palazzo asmonaico, e risale probabilmente a un'epoca in cui i farisei avevano innuenza a eone. Su Gerico cfr. JUM, p. 2 1 8 e nn. 28, 43 e 48 (pp. 355 s.).
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e vi incanalarono l ' acqua piovana. I n seguito, tuttavia, la prassi si differenziò. La mia ipotesi è che tra una stagione delle piogge e l'al tra essi vuotassero parzialmente le piscine con un secchio e nello stesso modo aggiungessero acqua fresca, senza convalidarla per con tatto con l'acqua di una seconda piscina. È probabile che i farisei ap provassero questi miqwaot, anche se personalmente nutro dei dubbi al riguardolO. Il punto socio-religioso è questo: Erode e gli aristocratici di Geru salemme, le case di molti dei quali sono state scavate, avevano solo piscine singole (con una eccezione). Alcune case più piccole di Ge rusalemme e di Sefforis avevano anch'esse piscine singole, ma le doppie sono, con una sola eccezione, in case più piccole. I rivoluzio nari che difendevano Masada parimenti costruirono piscine d'im mersione doppie. Perciò ritengo probabile che la maggioranza delle persone, inclusi gli aristocratici, non seguissero le opinioni farisai che sulle piscine d' immersione, anche se altri 'pii' (come i difensori di Masada) possono aver condiviso la definizione farisaica di acqua valida. 2. Che alcune persone aggiungessero acqua 'attinta' alle loro pi scine, e che i farisei e i primi rabbini obiettassero, è provato da pas si rabbinici. Secondo uno di questi, i farisei, fino all'epoca di Sham mai e Hillel, portarono avanti un' accesa disputa tra di loro su quanta acqua attinta potesse essere aggiunta al miqweh. Essi concordarono che non poteva esserne ammessa molta; le proposte variavano da O, 9 a l O, 8 litri in una piscina che contenesse migliaia di litri (m 'Eduyyot l , 3). Presumibilmente i non-farisei ne avrebbero ammessa di più. 3. Il secondo passo è ancora più interessante. Secondo bShabbat 1 3b, la Scuola di Shammai (una delle ali principali del partito fari saico, ovviamente dopo l'epoca degli stessi Sharnmai e Hillel) «de cretò» che le persone che si immergevano in acqua attinta, o che si erano versate addosso acqua attinta, rendevano l'offerta d'innalza mento inadatta a mangiarsi. Questo sembra sia diretto contro la pras si dei sacerdoti aristocratici, che non usavano la seconda piscina fa risaica, ma probabilmente aggiungevano acqua fresca «attinta» al miqweh, e prendevano in seguito il bagno sedendosi in una vasca mentre un servo versava su di loro acqua calda. Gli shammaiti di chiararono che essi rendevano il loro cibo (l'offerta d'innalzamento) 30. Si lnltta di una questione controversa. Cfr. JUM,
pp. 220-227.
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inadatto e che non dovevano mangiarlo. I sacerdoti aristocratici sen za dubbio continuarono a fare come volevano. Sia che io abbia interpretato correuamente questo passo o no, ve diamo che, all'interno di una generale uniformità (miqwaot scavati nella roccia, riempiti stagionalmente con acqua piovana) c'erano di scordanze. Alcune persone usavano acqua che altre consideravano non valida. Non sappiamo quanto spesso le persone si immergessero. I sacer doti e i loro parenti stretti - tutti coloro che condividevano il loro ci bo sacro - probabilmente si immergevano ogni giorno. Dato che il cibo sacro deve essere mangiato in stato di purità, e dato che la puri là richiede l' immersione e il tramonto, la routine sacerdotale era pro babilmente un'immersione proprio prima del tramonto e il pasto principale dopo il sopraggiungere della notte3 t . Forse i sacerdoti non mangiavano durante il giorno (i tre pasti al giorno sono un' invenzio ne relativamente recente); forse nel corso della giornata mangiavano cibo non sacro. I laici che seguivano la legge biblica non avevano bisogno di immergersi molto spesso: solo prima di entrare nel tem pio e prima di mangiare il cibo sacro (la seconda decima, l'agnello di Pasqua e la vittima del sacrificio condiviso). Una routine annuale possibile per la gente comune sarebbe stata visitare Gerusalemme durante la settimana di Pasqua, mangiare la seconda decima mentre ci si trovava là, e offrire qualunque sacrificio fosse richiesto. Questo avrebbe loro permesso di mangiare la propria scorta annuale di cibo sa cro durante la settimana di Pa sq ua. La legge biblica, seguita stretta mente, richiederebbe alla gente comune di essere pura per una sola set timana all'anno, di più solo se si partecipava a più di una festività. L'esistenza di piscine d' immersione in zone remote, tuttavia, mo stra che le persone si immergevano più spesso di quanto andassero al tempio. Se l'immersione dopo le mestruazioni e il parto era gene3 1 . Cfr. mBerakhot l , I , dove i rabbini si riferiscono al tempo in cui i sacerdoti entravano nelle proprie case (non nel tempio: l'interpretazione di Danby è errata) per mangiare l'offerta d'innalzamento. La discussione riguarda il momento della re citazione dello Shema ' serale. e questa dichiarazione presuppone che i sacerdoti en· trassero nelle loro case per mangiare all'incirca al tramonto. I farisei ritenevano che una persona che si fosse lavata. ma sulla quale non fosse ancora tramontato il sole, fosse pura a metà. I sacerdoti farisei possono essere stati autorizzati a mangiare pri ma del tramonto. Maccoby (Early Rabbiuic Writings, p. 98) ritiene che i sacerdoti si immergessero di mattina ma aspettassero fino a sera per mangiare. Una rapida im mersione nel miqweh proprio prima del lramonto è più probabile: così non avrebbe ro dovuto preoccuparsi di ciò che toccavano durante il giorno.
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ralmente accettata, come è quasi certo, le donne avrebbero dovuto immergersi più frequentemente. Anche gli uomini che toccavano le mestruanti o i loro letti o sedie probabilmente si immergevano. Uo mini e donne, entrambi, possono essersi immersi dopo i rapporti ses suali. Abbiamo già notato che molte persone condividevano l'opi nione che la purità fosse un bene positivo e che non dovesse essere limitato solo alle occasioni richieste dalla Bibbia. Gli esseni e i fari sei osservavano regole speciali di purità (capp. 1 6 e 1 9). C' erano senza dubbio alcuni che vivevano all'altro estremo, e che si purifica vano tanto raramente quanto la legge lo permetteva. Possiamo im maginare un'intera gamma di prassi, dall' immersione solo quando è richiesta dalla Bibbia (cfr. gli abitanti di Tiberiade, che accettavano di portare impurità da cadavere fuorché quando andavano al tempio) all'immersione giornaliera. Molti ebrei pensavano di dover essere puri. A causa dell'impurità seminale e mestruale (entrambe dirette e indirette), la maggior parte degli adulti erano impuri per la maggior parte del tempo. Come ven ne risolto il conflitto? Quanto spesso si immergeva l'uomo medio? L' ipotesi del lettore vale quanto la mia (quasi), ma io presenterò la mia ugualmente. I più probabilmente ignoravano completamente l'impurità seminale e si immergevano una volta al mese, dopo che era finito il periodo mestruale della donna. Dato che le donne erano frequentemente in gravidanza, tuttavia, coloro che seguivano questa regola non avrebbero effettivamente dovuto immergersi ogni mese. Si sarebbero immersi dopo la prima fase dell' impurità da parto ma non di nuovo finché non fosse ritornato il ciclo mestruale della mo glie o non fossero andati al tempio. Dato che non solo le persone ma anche le cose potevano divenire impure, gli oggetti venivano immersi. Alcuni oggetti che venivano immersi scivolavano e cadevano sul fondo della piscina, dove gli ar cheologi moderni possono trovarli. I farisei e i sacerdoti proba bilmente immergevano i propri abiti. Un antico passo mishnico di scute quali abiti fossero più plausibilmente puri: l'abbigliamento di un fariseo era più probabilmente soggetto a impurità di quello di un sacerdote, ma gli abiti della gente comune erano considerati sempre impuri (mlfagigah 2, 7). Gli abiti acquistavano un' impurità seconda ria nel venire a contatto con le impurità di Lv 1 5 . Conseguentemen te, non solo gli altri membri della famiglia, ma anche i loro abiti era no resi impuri dal contatto con una mestruante, con il suo letto o con la sua sedia. Non sorprende dunque che una discussione rabbinica si
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riferisca all'immersione di un letto (mMiqwaot 7, 7). I farisei posso no senz'altro avere immerso abiti, letti e sedie dopo il periodo me struale della donna e la prima fase dell' impurità da parto. La mag gior parte delle persone ignorava alcune delle impurità secondarie, specialmente quelle relative al vestiarioJ2. 6. lA purità e la gente comune In Palestina gli ebrei rispettavano la maggior parte delle leggi bi bliche di purità. Neusner ha recentemente esclamato: «Come se le masse rispettassero le leggi di purità!>>33, dando a vedere di credere che non lo facessero. A prescindere dall 'ammonizione consueta a ri cordare che gli ebrei antichi credevano in Dio e pensavano che egli avesse dato le leggi bibliche, riassumerò qui le testimonianze che in dicano un'osservanza generalizzata. Un punto era stato notato sopra e sarà esplorato nel capitolo sui farisei: il materiale rabbinico mostra che perfino i farisei pensavano che le gente comune rispettasse mol te delle leggi di purità. Essi non erano interamente affidabili quanto al proteggere dall' impurità gli alimenti acquosi, e non evitavano l'impurità midras (l'impurità secondaria che è contratta toccando certe cose impure, come il letto di una mestruante). Erano, tuttavia, affidabili quanto al mantenere i liquidi (vino e olio) puri e al maneg giare la seconda decima in purità (precetti biblici), e superavano la legge biblica tenendo lontane certe impurità dal cibo dei sacerdoti34• L' amplissima distribuzione delle piscine d'immersione, dimostra ta in maniera così sorprendente dall'archeologia, mostra che le leggi di purità erano generalmente osservate. Si dovrebbe mettere partico larmente l'accento sul fatto che gli archeologi hanno trovato miq waot in ogni sito in cui abbiano esplorato resti consistenti del perio do del secondo tempio. Non dovremmo andare oltre i farisei e i rab bini e accusare la gente comune di non avere obbedito alle leggi di purità. Al contrario, una quantità di ebrei palestinesi accettavano più 32. Sopra. n. 28; ollre, pp. 593 s. 33. Neusner, Reading and Believing, p. 54.
34. Cfr. mDemai 6, 6 (protezione delle olive umide prima che siano pressate per produrre olio); mlfagigah 2, 7 (impurità midras); mlfagigah 3, 4 s. (vino, olio e of· fert.a d'innalzamento); mTevul Yom 4, 5 (seconda decima). Di questi passi, mlfagi· sah 3, 4 s. è anonimo e può non essere farisaico, ma gli altri con tuua probabilità lo sono.
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regole di purità di quanto richiedesse la Bibbia, come abbiamo visto quando abbiamo parlato del maneggio del cibo da parte dei sacerdoti. I critici moderni del giudaismo antico spesso trovano tutto questo passibile di obiezione. Spesso viene detto che solo i farisei sviluppa rono e si occuparono di leggi di purità, una supposizione che confer ma la superticialità e la banalità delle critiche al farisaismo. Di fatto, le purificazioni erano comuni a tutte le religioni antiche. I pagani si lavavano le mani prima di sacrificare e immergevano le mani o si spruzzavano prima di entrare in un tempio35• Tutti i gruppi all'inter no del giudaismo si purificavano in vari modi; c'era anche una di stinta tendenza a inventare nuove purificazioni o a estendere le leggi bibliche oltre la loro sfera originaria. Vediamo ancora che il giudai smo del nostro periodo era una religione dell'antichità. Le sue ceri monie esterne erano differenti da quelle di altre religioni nei dettagli, non nella tipologia. Gli ebrei e i pagani discordavano su una marea di cose: sulla carne di maiale, ma non sulla maggiore o minore pro prietà delle leggi dietetiche36; sul sabato, ma non sull' importanza dei giorni di festa. Se avessero dibattuto su questo argomento, i pagani avrebbero argomentato contro gli ebrei palestinesi che l'immersione era stupida: ci si doveva aspergere e bagnare. Le persone sollecite d el i' antichità, tuttavia, sia ebree sia pagane, interpretavano i loro rituali come l'espressione esterna della devo zione, non come un suo sostituto. Un rito era un rito e quello che im portava era il suo significato. Secondo Aristea, l' (Lv 1 9, 9 s.; cfr. 23, 22).
Il passo parallelo nel Deuteronomio contiene anch' esso il coman damento di non tornare indietro a ricuperare un covone che fosse stato dimenticato nel campo, ma di !asciarlo «per il forestiero, per l'orfano e per la vedova>>. Il passo è concluso dal ricordo che gli lsraeliti un tempo furono schiavi in Egitto (Dt 24, 1 9-22). La Mishnah mostra il modo nel quale i pii potevano specificare ed elaborare le leggi di carità. Il totale lasciato nel campo non doveva mai essere meno di un sessantesimo del raccolto, e i mietitori dove vano lasciare di più nei periodi duri (mPeah l , 2). Inoltre, andavano inclusi tutti i cibi che crescevano dalla terra, non solo quelli specifi cati nella Bibbia (frumento, olive e grappoli d'uva) (mPeah l , 4). La discussione del 'covone dimenticato' è basata sul presupposto che il padrone doveva essere certo di dimenticarsi un covone (mPeah 6). Dove il lettore della Bibbia incontra per la prima volta le leggi di carità, in Lv 1 9, ci sono numerose altre leggi connesse con le rela zioni tra gli uomini (cfr. sopra, pp. 265-27 1 ). Queste leggi comanda no agli ebrei di non rubare, commerciare disonestamente o mentire, specialmente di non mentire usando il nome di Dio (19, 1 1 - 1 2) . Pure se questa è un'offesa contro Dio, è anche contro il prossimo, dal mo mento che i giuramenti falsi possono essere usati per frodare. Questi versetti costituiscono il riassunto, da parte della legge sacerdotale, di
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alcuni dei Dieci Comandamenti. Ai lettori si raccomandava anche di non opprimere gli altri, di non essere tardi nel pagare i lavoranti, di non essere ingiusti nel giudicare, di non favorire i ricchi a svantag gio dei poveri, di non calunniare, di non odiare il proprio fratello, di non portare rancore (Lv 1 9, 1 3- 1 9a). l comandamenti che governano le relazioni tra ebrei sono così sintetizzati: «amerai il tuo prossimo come te stesso. lo sono il Signore» (Lv 1 9, 1 8). Proprio come la citazione da parte di Gesù dello Shema' («ama Dio>>, Dt 6, 4 s.) quale comandamento più grande non provocava sorpresa, neppure la provocava questa citazione di Lv 1 9, 1 8 quale secondo più grande comandamento (Mc 1 2, 28-34). Entrambi questi passi sono presentati nella Bibbia stessa come il riassunto dei due aspetti della legge: i comandamenti che regolano le relazioni con Dio e quelli che regolano le relazioni con gli altri. Dovremo osservare in particolare che !"amore del prossimo' e 'del forestiero' nel Levitico è molto specifico. Non è solo un vago sentimento (benché un sentimento giusto nel cuore sia raccomandato in 1 9, 1 7), ma piuttosto deve essere espresso attraverso azioni con crete e definite: non calunniare, non opprimere, non depredare e si mili. Vediamo ancora una volta lo spirito fondamentale della legge ebraica, che non solo abbracciava tutta la vita, ma che dava anche istruzioni specifiche e praticabili su come adempierla. La legge doveva essere interiorizzata, portata nel cuore e osserva ta naturalmente perché il proprio cuore è giusto. Questa è la chiara intenzione sia del comandamento «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello>> (Lv 1 9, 1 7 ) e anche delle disposizioni nello Shema ' che richiedono il costante ricordo dei principali aspetti della legge. In accordo con lo sviluppo generale della vita e del pensiero nel Mediterraneo, il giudaismo era divenuto sempre più individ ualiz zato e interiorizzato37• Come vedremo tra breve, l' idea dell'alleanza di Dio con un gruppo, il popolo di Israele, era molto forte nel I seco lo, ma cresceva l' aspettativa che gli individui accettassero inte riormente lo spirito della legge e orientassero le proprie vite in ac cordo con esso. D'altra parte, il fare del bene agli altri non doveva essere posposto finché il proprio cuore l'avesse comandato. Nella Scrittura e nella tradizione ebraica, il comandamento di amare è inseparabile dai co mandamenti di agire. L'amore può includere sentimento, ma nella 37. Cfr. sopra, introduzione al cap. I l .
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legge implica azioni concrete e specifiche. Come si può amare il prossimo? Abbiamo visto la risposta del Levitico e del Deuterono mio: primo, sii caritatevole; vale a dire, in àmbito agricolo, non mie tere il tuo campo fino ai bordi; lascia da parte un covone per i pove ri. Secondariamente, sii onesto: usa giusti pesi e misure. Filone ha colto il punto essenziale: «Quello che una persona non vorrebbe do ver soffrire, non deve farlo agli altri». Dopo questo riassunto, egli continuava: non raccogliere quello che non hai seminato; non ruba re; non lesinare nel dare il fuoco o il cibo; non peggiorare la condi zione di una persona che è in cattive acque; non maltrattare gli ani mali; «non fare calcoli ingiusti, né false misure, né conio fraudolen tO>>. Così si adempie il compendio fondamentale della legge, «Quel lo che una persona non vorrebbe dover soffrire, non deve farlo agli altri>> (Hypoth. 7, 6-8). Sembra quasi che i legislatori ebrei e i loro commentatori del 1 se colo conoscessero un grande segreto della psicologia umana, u n se greto che sarebbe stato spiegato più tardi, e parecchi decenni or sono, da Ryle e James: le azioni esteriori possono produrre reazioni emoti ve. Entra da solo in una stanza buia, siediti, stringi le braccia attorno al tuo corpo, spalanca gli occhi e guardati attorno: presto co mincerai a provare paura. Naturalmente funziona anche nell'altro senso, come il paroliere de Il re e io faceva notare: Quando sei spaventato, tieni alta la testa e fischielta un allegro motivetto, così nessuno sospelterà che sei spaventato.
Non soltanto si possono ingannare gli altri con questo semplicissi mo stratagemma, si può anche persuadere il proprio cuore a non bat tere forte; il sentimento della paura può essere parzialmente control lato tramite il comportamento esterno. Secondo le parole di Anna, «Quando inganno le persone di cui ho paura, inganno allo stesso modo me stessa>>. Quanto alla nostra tematica - la carità, l'amore e l'onestà -, la morale è chiara. Se si tratta bene il proprio prossimo si è anche me glio disposti nei confronti dell'altra persona. Un episodio relativo ad Abramo Lincoln serviva - almeno nella piccola città del Texas dove sono cresciuto - come racconto paradigmatico che suggeriva una legge. Quando era giovane, Lincoln una volta diede un resto sbaglia-
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to, una somma minore del dovuto. Essendosene accorto, dopo il la voro egli camminò per ore per risarcire la somma. Questa era la leg ge di un negoziante della mia infanzia. Posso attestare che molti ne gozianti la osservavano (anche se non richiedeva loro di camminare per miglia), e si potrebbe perfino dire che più o meno tutti la rispet tavano, i negozianti come i clienti. Quando si presentava l ' occasione di correggere un pagamento eccessivo o difettoso, tutti erano conten ti di tale atto e gli uni degli altri. Vorrei che fosse successo più spes so. Nell'Inghilterra che conobbi per la prima volta, nei primi anni '60, predominavano regole simili. Gli ombrelli lasciati su un treno potevano essere reclamati. l cittadini onesti li riconsegnavano, ed essi finivano in un ufficio centrale. Spesso articoli persi non veniva no reclamati, e dopo un certo periodo venivano venduti. La grande quantità di beni (specialmente ombrelli) che erano all'asta attestava la generale onestà della gente. Oserei dire che in ogni momento che qualcuno riconsegnava un ombrello, specialmente quelli costosi, quella persona si sentiva buona, non in verità in senso di giustifica zione di sé, ma buona nei confronti dello sconosciuto estraneo che poteva recuperare l'ombrello. È triste dover ammettere che né la legge del negoziante della mia infanzia né la legge dell'ombrello dei miei primi anni di adulto sono durate. Questi semplici esempi mirano a illustrare il modo in cui operava no le leggi ebraiche, ugualmente semplici, dell'onestà, della carità e della gentilezza. Rispettare la legge era amare il prossimo o il fore stiero, ma insieme serviva a produrre il sentimento di amore. L"amore' nel senso di 'trattare gentilmente l' altro' si supponeva dovesse regolare anche le relazioni con i pagani e perfino con i ne mici. Numerosi studiosi cristiani hanno esaminato minuziosamente la letteratura ebraica allo scopo di provare che l'atteggiamento ebrai co nei confronti dei pagani era uniformemente freddo, una critica cui ha dato risposta la citazione di un numero ancor più grande di passi che sono favorevoli nei confronti dei paganP8• Questo è un problema che richiede più buon senso e meno prooftexting39• Negli anni 69 e 70 d.C. sarebbe stato difficile trovare alcun residente di Gerusalem38. Ad es. Jeremias, Jesus' Promise to the Nations, pp. 40 s., 6 l s.; Sanders, P&PJ, pp. 206-212. 39. Prooftexting: tentativo di dirimere una questione citando affermazioni brevi estrapolate dal contesto (n. d.c.).
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me che parlasse in maniera molto favorevole dei pagani, forse perfi no più arduo che trovare un americano che parlasse gentilmente an che solo dei giardini giapponesi nel 1 942, o un londinese che elo giasse la filosofia e la musica tedesche nel 1 94 1 . Credo che a tutt'oggi i sopravvissuti di Mai Lai non compongano peana d i lode agli americani, e così via, finché si vuole. Nel 66, un gerosolimitano poteva essere in grado di affermare: «Oh, i romani non sono poi stati così malvagi>> e sopravvivere, ma non nel 69. Probabilmente gli ebrei a Sardi furono meglio disposti nei confronti dei pagani dopo che il consiglio della città richiese che il sovrintendente del mercato fornisse cibo ebraico di quanto non lo fossero stati quando vivevano di verdure, pane e acqua. Non è conveniente parlare dell"atteggia mento ebraico nei confronti dei pagani nel periodo del secondo tem pio', perché esso subì variazioni. Possiamo essere sicuri di alcuni elementi. Gli scrittori di lingua greca, come abbiamo visto sopra, mettevano in rilievo soprattutto il fatto che gli ebrei credevano nella philanthropia, 'amore per l' uma nità', che molto chiaramente includeva greci e romani. Sulla que stione le posizioni degli scrittori erano difensive: alcuni pagani accu savano gli ebrei di essere misantropi. Questa accusa sgorgò dal fatto che non volevano condividere molti aspetti della vita comune quelli contaminati (agli occhi degli ebrei) dall' idolatria. Prenderemo in considerazione il separatismo nel prossimo capitolo. Qui osservo soltanto che gli ebrei avveduti, i capi delle loro comunità, favorivano relazioni cordiali con i pagani. Questo si verificava sia in Palestina sia nella diaspora. Le affermazioni bibliche più severe riguardo agli idoli erano perfino state modificate, e la Bibbia veniva interpretata come se proibisse gli attacchi contro gli 'dèi' , perciò scoraggiando i monoteisti focosi dal deturpare i templi o le statue pagane40. Le dichiarazioni di 'amore per l'umanità' da parte di Giuseppe Flavio, Filone e altri non provano che tutti gli ebrei 'amassero' i pa gani, non più di quanto le affermazioni da parte dei pagani antisemiti che gli ebrei erano misantropi provino che tutti gli ebrei odiavano i pagani. Quello che possiamo sapere è che cosa insegnassero i mi gliori maestri ebrei: insegnavano a trattare onestamente, gentilmen te, chiunque: ad 'amare' in questo senso. E i nemici? In parte concordando con la legge biblica sul tratta40. Sull'interpretazione di Es 22, 27 cfr. oltre, p. 336. La nostra documentazione per la Palestina è per lo più indiretta. I pagani e gli ebrei vivevano insieme a Cesa rea. per esempio, e non sembra che gli ebrei abbiano attaccato i templi pagani.
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mento dei nemici, ma in parte superandola, Giuseppe Flavio scrisse che anche in stato di guerra agli ebrei era proibito bruciare i campi e le case dei nemici, abbattere gli alberi da frutto, depredare i caduti o violentare le donne (Ap. 2, 2 1 2; cfr. Dt 20, 1 9 s.; 2 1 , 1 0- 1 4). Nume rosi altri testi ebraici recuperano la proibizione delle rappresaglie contro i nemici da Pr 20, 22, «Non dire: 'Voglio ricambiare il male' ». Un esempio è rintracciabile in Giuseppe e Aseneth, una sto ria romanzata ebraica del 1 secolo, scritta in Egitto. Nel racconto, al cuni pagani vanno a caccia degli ebrei, e gli ebrei combattono per difendersi. Un ebreo ha appena ferito il figlio del Faraone, e si ap presta a finirlo, quando il suo compagno dice, «Per nessun motivo, fratello, compirai questo gesto, perché siamo uomini che venerano Dio, e non si addice a un uomo che venera Dio ripagare male per male, né calpestare un caduto, né opprimere il proprio nemico fino alla morte. E ora riponi la spada al suo posto, e vieni ad aiutarmi, e noi lo cure remo della sua ferita . » (29, 3 s.). .
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Nella vita reale, a dire il vero, queste nobili ammonizioni sul modo di trattare i nemici non sempre avevano sèguito, non più di quanto l'avessero da parte dei cristiani, che avevano di fronte non solo le esortazioni similari di Paolo, basate su Pr 20, 22 e passi colle gati (Rm 1 2, 1 7-2 1 ), ma anche l' ammonizione di Gesù ad amare i nemici e a pregare per i propri persecutori (M t 5, 43 s.). Le religioni, tuttavia, devono venire giudicate sulla base dei loro più alti ideali, non delle mancanze dei singoli. Il giudaismo abbracciò l' ideale della devozione nei confronti di Dio e della benevolenza e giustizia verso tutti, ebrei e non ebrei allo stesso modo. Esso chiamò entrambi gli atteggiamenti 'amore'41. Per il nostro studio, è importante vedere che questo non era un pio desiderio, ma era la legge. La misura perfino in tempo di guerra e i l trattamento leale dei pagani erano richiesti dalla Bibbia, e i l loro sta tus era riconosciuto nel periodo di nostro interesse. Ascrivendo que ste leggi a Dio, il giudaismo le rese importanti, nel suo giudizio, tan to quanto i sacrifici e la purità. Nel mondo antico, questo le elevava piuttosto che svilirle. Questa meta raggiunta dal giudaismo sarà rico nosciuta meglio se considereremo quanto tempo impiegarono i paesi dell'Occidente cristiano a richiedere per legge che le persone che la 41. Non tutti gli ebrei avevano questo ideale: Qumran era un'eccezione.
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maggioranza considerava 'diverse' fossero trattate alla stessa manie ra. Questo non accadde negli Stati Uniti fino al regolamento della Corte Suprema e alla legislazione sui diritti civili degli anni '50 e '60. Gli ebrei non ottennero i pieni diritti in Gran Bretagna fino al 189()42. La realtà sociale, naturalmente, arranca dietro alla legge, ma il giudaismo trovò almeno la legge giusta ed ebbe la saggezza di at tribuirla a Dio.
8. La legge: conclusione Con questi due capitoli non ho voluto comporre un resoconto en ciclopedico di ciascuna legge biblica e del modo in cui era conside rata dai vari ebrei nel tardo periodo del secondo tempio. Sarebbe uti le avere un'enciclopedia del genere, e al bisogno non soccorrono, e non hanno mai soccorso, le enciclopedie generali della Bibbia e del giudaismo. Le enciclopedie di giudaistica, dove ci si aspetta d i tro vare tali informazioni, dedicano troppo poca attenzione a Giuseppe Flavio, e di solito ancor meno a Filone e ad altre fonti della diaspora; e molti dei loro articoli trattano il materiale rabbinico di tutti i perio di come rappresentativo del giudaismo postbiblico in generale. I Tal mudim hanno opinioni su tutto, e chiunque li usi come la fonte prin cipale per il giudaismo del secondo tempio ha il vantaggio di essere in grado di esaminare nei particolari tutte le leggi. Il problema è che a quel punto uno si fa un'opinione gravemente distorta della prassi reale nel periodo di cui si occupa la nostra rassegna. U n trattamento critico di ciascuna legge o categoria di legge si ri solverebbe in molti punti interrogativi. In alcuni àmbiti avremmo solo la documentazione della diaspora, in altri solo quella dei Pale stinesi, e su tutti solo informazioni seletlive che potrebbero rivelare la prassi o le preferenze di un piccolo gruppo o di un individuo ec centrico. Uno studio attento potrebbe talvolta svelare la prassi comu ne (come ho tentato di fare su queste poche questioni), ma dubbi e incertezze rimarrebbero. Ciò, tutta via, sarebbe preferibile al presente stato della questione, nel quale si può scegliere se accettare i Talmu dim della tarda antichità come rappresentativi del giudaismo della media antichità, o pensare che nulla possa essere conosciuto su al42. C. Rolh, voce England in Enc. Jud., VI, cc. 747-758: c. 756.
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cun aspetto. Un vaglio accurato delle testimonianze, sia letterarie sia archeologiche, porterà a una buona conoscenza su molte tematiche. In questi capitoli mi sono occupato del culto, molti aspetti del quale non sono governati da leggi bibliche dirette, e solo pochi da leggi specifiche: il sabato, la circoncisione, il cibo, la purità, la carità e il modo di trattare amici e nemici. Delle leggi specifiche, le prime quattro fungono da tratti principali identificanti gli ebrei, e i partico lari sul sabato e sulle pratiche di purità identificano parimenti gruppi differenti all'interno del giudaismo (come vedremo più ampiamente nei capitoli seguenti). Le leggi di carità e di amore occupano un posto speciale nel giu daismo, dal momento che sono collegate alla legge cultuale e hanno la stessa origine divina. I versetti di apertura di Lv 1 9 fondano i co mandamenti sulla santità: «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vo stro, sono santo)) ( 1 9, 2). I versetti conclusivi fondano i comanda menti sulla storia della salvezza: «lo sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatti uscire dal paese d 'Egitto)) (I 9, 36). Il richiamo all'esodo fu comune a partire dall'epoca in cui fu compilato il Levitico. Una delle imprese dei sacerdoti che ne furono autori fu quella di collega re i comandamenti concernenti i rapporti tra gli uomini a quelli circa i rapporti tra gli uomini e Dio. La sacralità o santità di Dio richiede va che egli fosse avvicinato in stato di purità e che i suoi sacerdoti mangiassero in stato di purità. Tali regole erano comuni nel mondo antico, ed erano altamente considerate. Il Levitico va oltre. Possiamo così parafrasarlo: Io sono santo; anche voi dovete essere santi. Per emulare la mia santità amate il vostro prossimo e il forestiero come voi stessi. La legge divina copriva molti àmbiti qui nemmeno menzionati, né in questi capitoli né in quelli sul tempio e sulle offerte. Ho discusso poche ulteriori questioni in JUM (giuramenti e voti, bestemmia e digiuno). Per dare giusto un esempio della portata della legge, pos siamo osservare qui le regole sulle commistioni. Erano generalmente proibite, sia quelle di raccolti sia quelle di abiti o animali (Lv 1 9, 1 9; Dt 22, 9- 1 1 ). Tali leggi dovettero essere commentate e modificate. La proibizione di mischiare due tipi di semente nello stesso campo, per esempio, richiedeva una definizione di 'campo' che non facesse dipendere i contadini da un solo raccolto. La documentazione su questi problemi non è abbondante, e spesso abbiamo solo la lettera tura rabbinica. Il lettore di questo libro non ha visto niente di simile a una casistica completa, ha invece considerato ampiamente i punti
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che sono trattati più in particolare nelle fonti non rabbiniche, special mente Giuseppe Flavio e il De specialibus legibus di Filone. Abbiamo visto che la legge era studiata e seguita dalla maggio ranza degli ebrei, e anche che il suo studio non li conduceva tutti alle medesime conclusioni. A livello generale c'era un ampio accordo: la legge biblica doveva essere conosciuta e seguita. Ma 'seguire' non significò la stessa cosa per tutte le persone in ogni epoca. Anche i comandamenti più basilari, quali la proibizione dell'idolatria, come vedremo nel prossimo capitolo, erano soggetti a interpretazioni mu tevoli . Il tentativo di applicare la legge a ogni aspetto della vita, tut tavia, sembra essere stato assai diffuso. In questo capitolo e nel precedente abbiamo rivolto la nostra at tenzione alle leggi che venivano osservate generalmente e comune mente, sia in Palestina sia nella diaspora. In molti ampi àmbiti dell'esistenza gli ebrei di tutto il mondo facevano proprio le stesse cose: l . Rendevano culto a Dio giornalmente e settimanalmente, dicen do lo Shema', ricordando i Dieci Comandamenti e pregando. Di sa bato studiavano la legge ascoltandone la lettura e la spiegazione. Non penso che sia idealistico supporre che la maggior parte degli ebrei facesse tutte queste cose. Per alcuni, la frequentazione della si nagoga di sabato può essere stata in gran parte una questione di con formismo sociale, e alcuni possono non aver pregato veramente col cuore. Ma il puro e semplice scetticismo, che ha allontanato molte persone nell'Occidente moderno dall'osservanza religiosa regolare, era effettivamente inesistente nel mondo antico (per ripetere ancora una volta questa precisazione). La maggior parte degli ebrei crede vano in Dio e nella Bibbia, e pregavano l'uno e studiavano l'altra. 2. Allo stesso modo, essi rispettavano il sabato. Qui i gruppi pii elaborarono l'osservanza del sabato, ma il giorno era rispettato come giorno di riposo dalla maggioranza degli ebrei, in pratica da tutti. La maggior parte delle forme di trasgressione del sabato sono pubblica mente palesi - il negozio aperto, il fumo che esce dal focolare - e non è plausibile che ci fossero molti che disobbedissero al sabato. 3. Con poche eccezioni o nessuna (a seconda di quello che preci samente facevano gli allegoristi: n. 5 sopra), gli ebrei circoncidevano i loro figli maschi. 4. L'osservanza di alcune regole di purità era anch'essa generale. La peculiarità della dieta ebraica era famosa quasi quanto l' osser vanza del sabato. In Palestina c'era accordo sull' immersione, anche
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se possiamo solamente fare supposizioni sulla frequenza con cui la gente comune si immergeva. La prassi delle abluzioni nella diaspora è molto meno sicura. I riferimenti di Filone al lavaggio purificatorio rende dubbio il fatto che egli sia ricorso alla piscina d ' i mmersione, ed è improbabile che piscine speciali - che non erano, dopo tutto, ri chieste dalla Bibbia - fossero un tratto comune della vita nella dia spora. Quanto fosse diffuso il lavaggio delle mani non lo sappiamo. La spiegazione in Mc 7, 3 che «i farisei e tutti i giudei>> si lavavano le mani sembra indicare che l'autore non poteva aspettarsi da tutti i suoi lettori la conoscenza della prassi. 5. Come abbiamo visto in un capitolo precedente, c'era un altro vasto àrnbito sul quale la maggior parte degli ebrei concordava: il mantenimento del tempio. Dalla Palestina come dalla diaspora veni va portata la tassa del tempio. Molti ebrei della diaspora facevano doni aggiuntivi. Gli ebrei palestinesi pagavano le decime, le tasse sulle primi zie, quelle sui primi nati e probabilmente l'offerta d'innalza mento. Possiamo qui pensare che più persone cercassero di evadere almeno alcune di queste spese; e Filone, come abbiamo visto, una volta alluse a un caso del genere. Nondimeno, dobbiamo pensare al consenso come a un fatto comune, specialmente nei confronti della tassa del tempio. Il tempio aveva di fatto una grande ricchezza, come dimostrano gli episodi di sottrazione illegale. Inoltre, in questo àmbito si poteva far valere prontamente la pressione sociale. La nostra capacità di specificare il consenso generale rispetto ad altre parti della legge non è molto grande, a causa della penuria di informazioni. Quanti praticassero l' amore del prossimo in modi che avessero peso, non possiamo saperlo. Si confida che le ammonizioni nella sinagoga avessero qualche risultato. Abbiamo visto abbastanza che giustifichi il parlare di ortoprassi nel giudaismo di tutto il mondo. I cinque àmbiti della legge appena enumerati lo stabiliscono, anche se però nessuno di essi mostra un'uniformità assoluta. In tutto il mondo la prassi ebraica si fondava sulla Bibbia, che costituiva la radice comune. Inoltre, rappresentanti dell'ebraismo provenienti da una vasta area si incontravano tra loro a Gerusalemme, e anche questo favoriva certe forme di accordo. Un ebreo poteva viaggiare dalla parte più occidentale dell'impero alla Mesopotamia, andare in una sinagoga, riconoscere almeno aspetti della cerimonia, e forse trovare perfino un linguaggio comune. Se invitato a un pranzo, poteva trovare una combinazione di cibi e spe zie completamente insolita, ma non ci sarebbe stata carne di maiale e
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l a carne non sarebbe stata a l sangue. Di sabato, poche usanze pote vano essere strane, ma le lampade costantemente accese, l'assenza di lavoro e la cerimonia di preghiera e studio sarebbero state, almeno in termini generali, usanze identiche a quelle che egli aveva lasciato tante miglia più a ovest. Anche quando gli ebrei discordavano tra loro in modo clamoroso, solitamente sembra essere stata la legge ciò su cui discordavano; questo implica l'importante accordo che vivere secondo la legge era ciò che contava. Giuseppe Flavio rappresenta la conoscenza della legge come di primaria importanza per gli ebrei, anche in circostan ze che sembrano strane ai moderni, che sono pragmatici. Abbiamo notato che coloro che esaminarono la sua condotta nei preparativi della guerra in Galilea dovevano essere esperti biblici (Vita 198). La conoscenza della legge era una considerazione primaria nel valutare l'abilità di chicchessia. Comunque interpretassero la legge, gli ebrei erano zelanti nell'os servarla. Come ho sottolineato nel cap. 8, alcuni studiosi, forse pen sando ai nostri giorni, hanno proposto l' ipotesi che la maggioranza degli ebrei fosse costituita da fedeli 'tiepidi'4l. Poche asserzioni po trebbero riflettere in maniera meno adeguata l'impressione che si ri cava dalla lettura della letteratura antica, ebraica, cristiana o pagana. Paolo, nel lamentare il fatto che i suoi consanguinei non avessero ac cettato Gesù come Messia, concedeva loro che avevano zelo verso Dio (Rm l O, 2). La disponibilità degli ebrei a morire per la propria fede e la pro pria legge è un tema importante in questo libro, essendo emerso già più di una volta. Ciò è opportuno, dato che è un tema preminente in parecchie delle nostre fonti, ed è un aspetto molto importante del giudaismo del I secolo. Nel cap. 14 vedremo la relazione tra questa disponibilità e varie speranze per il futuro, e quando parleremo dei farisei (cap. 1 8) dovremo analizzare la loro opinione e confrontarla con quella di altri. Qui desidero dare una raccolta abbastanza com pleta di passi che hanno a che fare con gli ebrei comuni, ordinari, non con i fanatici, e non con i pii oltre misura. Relativamente all ' importanza di controllare il tempio, Giuseppe Flavio scrive che gli ebrei «avrebbero rinunciato alle loro vite piut tosto che al culto che erano soliti offrire a Dio>> (Ant. 1 5 , 248). Il punto è ampliato nel Contro Apione. Perfino gli spartani, mette in ri43. Rhoads, /srael in Revolution, p. 33.
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lievo Giuseppe Flavio, abbandonarono le proprie leggi quando per sero la loro libertà e indipendenza, mentre gli ebrei rimasero fedeli alle loro «a dispetto delle innumerevoli calamità nelle quali li coin volsero i cambiamenti di dominatori in Asia>> (Ap. 2, 227 s.). «Qual cuno ha mai sentito», egli chiede, «di un caso della nostra gente, non voglio dire in quantità cosl grandi [come gli spartani], ma solo di due o tre persone, dimostratesi traditrici nei confronti delle loro leggi o timorose della morte>>, perfino quando ebbero di fronte la morte sotto tortura? (2, 232 s.). La sua risposta è «DO>>: gli ebrei andarono incontro alla «morte in nome delle [loro] leggi con un coraggio che nessun'altra nazione può eguagliare>> (2, 234). Più tardi egli ritorna sul tema: «E da queste nostre leggi niente ha avuto il potere di disto glierci, né la paura dei nostri padroni, né l 'invidia per le istituzioni apprezzate da altre nazioni>> (2, 27 1 ) «Anche se fossimo depredati della ricchezza, delle città, di tutti i beni, la nostra Legge almeno ri mane immortale; e non c'è un ebreo così distante dal suo paese, così in soggezione di un crudele despota, che non abbia più paura della Legge che di lui>> (2, 277). Anche Filone affermò che gli ebrei •avrebbero tollerato perfino di morire di mille morti prima di accet tare alcunché di contrario alle leggi e alle usanze che [Dio] aveva or dinato>> (Hypoth. 6, 9). Alcune di queste affermazioni, a dire il vero, sono esagerate. Ci furono alcuni ebrei che preferirono la resa alla morte. Nondimeno, l 'asserzione della disponibilità ebraica a morire è vera: questa venne osservata dai pagani. Sesto Empirico (II sec. d.C.) scrisse che ((un sa cerdote ebreo o egiziano preferirebbe morire all'istante piuttosto che mangiare carne di maiale>>44• Non si può mostrare alcun'altra nazio ne che abbia combattuto così spesso a difesa del suo modello di vita, e la prontezza degli ebrei a morire per la propria causa è provata da un esempio dopo l'altro. Mentre il riassunto di Giuseppe Flavio è esagerato, i singoli esempi che fornisce qua e là nella sua storia sono probabilmente esatti, almeno in generale. Si può dubitare dei numeri («decine di migliaia>>), ma non possiamo negare che molli ebrei fos sero pronti a morire piuttosto che far erigere una statua di Caligola nel tempio (Ant. 1 8, 262). Questa minaccia spinse Filone a scrivere: ((Moriremo e non saremo più, perché la morte veramente gloriosa, incontrata in difesa delle leggi, può essere chiamata vita>> (Legai. .
44. Stem, Greek and wtin Authors, (IV sec .; Stem, op. cii., n, pp. 55 1 s.).
n,
p. 1 59; similmente Giuliano l'Apostata
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192). Similmente molti erano preparati a morire piuttosto che avere le insegne romane in Gerusalemme (Beli. 2, 1 69- 1 74). Le ripetute insurrezioni e rivolte dimostrano chiaramente la questione (sopra, Parte I, cap. 4). Abbiamo anche visto che la dedizione al rispetto del sabato spinse alla sconfitta e alla morte. Il punto è trattato non solo da l Maccabei e da Giuseppe Flavio (sopra, pp. 287 s.), ma anche dall'autore pagano Cassio Dione: «Se essi [i gerosolimitani] avessero dispiegato una simile resistenza ogni giorno, egli [Pompeo] non avrebbe preso il Tempio. Stava di fatto, che era no soliti lasciar passare i giorni chiamati di Saturno senza compiere alcuna azione, e così diedero ai Romani l'opportunità di danneggiare il muro in questi intervalli>> (Cassio Dione, Storia di Roma, 37, 1 6, 2).
Altrove Cassio Dione scrisse che quando Gerusalemme cadde, i suoi difensori giudicarono «Vittoria, salvezza e felicità» il fatto «che morivano insieme al tempio» (66, 6, 3). Egli considerò ben noto i l «fervore appassionato» che essi provavano per Dio (37, 1 7, 4)45• Gli ebrei, dunque, erano zelanti verso Dio e la sua legge. Essi di scutevano ferocemente tra loro sul suo preciso significato e sul modo migliore per adempiere a essa. Contro le minacce esterne era no preparati a combattere fino alla morte. È ora tempo di considerare la concezione teologica che soggiace all' adesione ebraica alla legge ed è da essa implicata.
45. Le citazioni dal libro 37 sono da Whittaker, Jews and Christians, pp. 55 e 69; quella dal libro 66 è da Cary nell'edizione della Loeb Classica! Library. Per i testi completi e le traduzioni cfr. Stem, Greek and wtin Authors, n, pp. 349-351, 37 1 37.5.
CAPITOLO TREDICESIMO
LA TEOLOGIA COMUNE
La storia di Israele in generale, e del nostro periodo in particolare, mostra che gli ebrei credevano che il Dio unico dell'universo avesse dato loro la sua legge e che essi dovessero obbedirvi. Questa dottrina elementare e fondamentale implica anche la fede nell'elezione: Dio ha scelto Israele perché compia la sua volontà. Gli ebrei interpretaro no l'elezione come se imponesse loro l'obbligo all'obbedienza, ma implicasse anche promesse da parte di Dio: egli li avrebbe salvati e protetti. Uno dei fattori fondamentali che contribuirono alla loro di sponibilità a combattere, e se necessario a morire, era la convinzione che Dio avrebbe salvato coloro che erano fedeli a lui. Questa fiducia durò sino alla fine della grande rivolta. A dispetto della schiacciante disfatta che concluse la guerra, la stessa convinzione riprese vita e contribuì ad alimentare una seconda rivolta. Credere che il loro Dio era l'unico vero Dio, che li aveva scelti e aveva dato loro la sua legge, e che essi erano obbligati ad obbedirvi, sono elementi basilari della teologia ebraica, e si trovano in tutte le fonti. Questi punti sono spesso dichiarati esplicitamente, ma sono anche impliciti in una moltitudine di modi. Tuttavia, piuttosto che analizzare minuziosamente la letteratura per trovare testi d' appoggio che chiariscano ciascun punto, presenterò la teologia ebraica in ma niera analitica, cominciando con il comandamento di adorare Dio, e procedendo attraverso le varie forme di culto. Prenderemo in consi derazione anche i tentativi ebraici di analizzare e riassumere la leg ge. Le ripartizioni della discussione analitica sono le seguenti: ( I ) la teologia implicata dallo Shema ' e dai primi due dei Dieci Comanda menti; questo porta a (2) la visione di Dio come creatore del mondo e dominatore che controlla la storia; considereremo poi (3) la teolo gia che soggiace al sistema sacri li cale; (4) le implicazioni teologiche dei tentativi di riassumere la legge; (5) la teologia della preghiera. In li ne considereremo il 'nomismo del patto' come sintesi di alcuni degli aspetti principali della teologia ehraica.
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l . Adorazione del Dio unico
L'aspetto teologico più importante che è trasmesso dallo Shema' e dai Dieci Comandamenti è quello secondo cui Israele doveva ado rare solo l'unico vero Dio. In origine, il comandamento di adorare solo il Dio di Israele non costituiva una negazione dell'esistenza di altri dèi. A partire dal nostro periodo, tuttavia, gli ebrei erano giunti a ritenere che gli altri dèi non fossero veri dèi. In termini tecnici, il giudaismo progredl dall'enoteismo (il nostro Dio è il Dio numero uno) e dalla monolarria (adoriamo lui solo) al monoteismo (il nostro Dio è l'unico vero Dio; lui solo adoriamo). Il primo dei Dieci Comandamenti proibisce il culto di altri dèi, il secondo la costruzione di 'idoli', o, propriamente, «idolo né immagi ne alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra>> (Es 20, 3-4; Dt 5, 78). Lo Shema' specifica che il Signore Dio è unico, il che nel ! seco lo implicava un rigoroso monoteismo: il Signore è il solo Signore. La sensibilità ebraica per questi comandamenti era alla. La sensibilità cresceva come ci si avvicinava al tempio. Il mondo era densamente popolato di statue di vari dèi, e gli ebrei non andava no certo in giro per il mondo cercando di abbatterle. Fortunatamente, i traduttori della LXX fornirono agli ebrei di lingua greca una giusti ficazione biblica per tollerare gli dèi dei pagani. L'ebraico di Es 22, 27 signilica «Non bestemmierai Dio>> , ma 'Dio' è plurale, come al solito: l'ebraico distingueva il Dio di Israele da ogni altro dio usando il plurale per la singola divinità israelitica. In questo particolare ver setto (LXX Es 22, 28) la LXX mantenne il plurale, cosicché nel greco il comandamento recita «Non bestemmierai gli dèi>> . Sia Filone sia Giuseppe Flavio lo interpretarono nel senso che gli ebrei avevano la proibizione di bestemmiare contro gli dèi di altri popoli, e Giuseppe Flavio estese la legge, in modo che essa proibiva loro di depredare i templi stranieri e di prendere il tesoro (per esempio, in guerra) che era stato dedicato ad altri dèi. Filone escogitò inoltre l' interpretazio ne di Lv 24 , 1 5 (non maledire Dio) nel senso di non maledire gli dèi delle città 1• Gli ebrei tolleravano che fossero costruiti te m pii per altri dèi, sia fuori dalla Palestina sia nelle città della Palestina dove vive vano dei pagani (per es. a Cesarea). l . Cfr. Ant. 4, 207; Ap. 2, 237; Spec. l , 53; Mos. 2, 205.
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Essi erano estremamente sensibili, tuttavia, per quanto riguarda Gerusalemme. Alcune persone si opposero al teatro di Erode, perché temevano che fosse decorato con busti umani (Ant. 1 5 , 277-279). Abbiamo già visto il tumulto che fu sfiorato quando Pilato introdus se insegne romane a Gerusalemme (Bel/. 2, 1 69- 1 74); e, naturalmen te, erano ancora più sensibili riguardo a immagini improprie nel tem pio (l'aquila di Erode). Tutto ciò sembra chiaro e semplice, ma come sempre c'era una varietà di interpretazioni e di prassi. Durante l'esilio, Ezechiele pen sò che il tempio dovesse essere decorato con raffigurazioni di alberi di palma e cherubini (angeli) a due facce, una umana e una leonina (Ez 4 1 , 1 8-20.25). A partire dali secolo, le opinioni sugli idoli si fe cero più rigorose. Perfino Erode, nonostante avesse collocato l'aqui la sul tempio, in genere evitava le immagini di persone e di animali. Le sue monete non recavano la sua immagine, e neppure quella di Augusto, ma piuttosto emblemi come ghirlande, rami di palma, an core e cornucopie. È degno di nota il fatto che gli ebrei più rigorosi non intendevano 'idolo né immagine alcuna' in senso del tutto lette rale. Nessuno protestò contro le monete di Erode; alcuni dei suoi modelli, di fallo, erano mutuati dalle monete asmonaiche2• I discen denti di Erode talvolta usarono immagini umane. Il tetrarca Filippo, il cui regno era largamente popolato da pagani, coniò monete raffi guranti prima Augusto e poi Tiberio Cesare. Egli battè perfino mo nete recanti la sua immagine3, come fece Agrippa l all' inizio del suo regno. Dopo che la Giudea fu aggiunta al dominio di Agrippa, tutta via, a Gerusalemme egli coniò monete che non recavano un ritratto umano4• Quando Antipa costruì Tiberiade come sua nuova capitale, collocandola in parte su un'area di sepoltura, forse per assicurarsi che i sacerdoti lo lasciassero in pace, decorò anche il suo palazzo con rappresentazioni di animali (Vira 65). Egli può aver pensato che il suo palazzo era un suo affare privato; non collocò immagini offen sive sulle sue monete, ma impiegò raffigurazioni di piante tipiche della regione che govemava5• Nonostante la generale attenzione erodiana a non urtare troppo la sensibilità ebraica, monete che ritraevano esseri umani o perfino di2. Sui modelli asmonaici crr. Meshorer, Ancient Jewish Coinage, l, pp. 60-8; sulle monete di Erode, che pongono diverse difficoltà, cfr. n, 1 8-30. 3. Meshorer, Coinage, n, pp. 44-6. 4. lvi, n. pp. 51-64. 5. lvi, n, pp. 35-4!.
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vinità pagane circolavano nella Palestina ebraica. Erode, per esem pio, non coniò le sue personali monete d'argento, ma si basò sul si cio e il mezzo siclo di Tiro, che costituiva la principale moneta d'ar gento in circolazione6. Le monete di Tiro avevano un'immagine in cisa: la testa di un dio, Melqart (corrispondente all' Eracle greco). Ciò nonostante, esse circolavano liberamente e, secondo la Mishnah, erano la moneta richiesta dal tempio (mBerakhot 8,7)1. Il contenuto in argento delle monete di Tiro era alto (dal 90 al 92 %) e costante. I tetradrammi d'argento romani delle province, per esempio, erano puri solo all'SO %8, e questo probabilmente spiega la preferenza del tempio per le monete tirie. L'uso tanto esteso della moneta tiria in Palestina dimostra che l'esigenza del tempio capovolse la dottrina secondo la quale la moneta cattiva caccia la buona9 e prevalse anche sull'avversione generale per le monete con immagini di persone o divinità. Questo dà una buona idea di quale fosse il 'bersaglio' del tempio. In ogni caso, le monete che recavano immagini - sia di persone sia di divinità pagane - circolavano in Palestina (cfr. Mc 1 2, 1 3- 1 7), ma queste immagini non scatenavano rivolte. Come sempre capita, coloro che seguivano la Bibbia letteralmente dovevano decidere quando farlo: offese di grande portata a Gerusalemme suscitarono la collera della gente, ma altre di minore portata si lasciarono passare, e alcune immagini non erano considerate affatto offensive. Perfino le monete coniate dagli ebrei durante le rivolte impiegavano figure come viti, vasi e lulav. L'opinione pubblica accettava queste raffigu razioni come non infrangenti il comandamento di non fare 'immagi ne alcuna'. Questo comandamento potrebbe essere stato interpretato in modi completamente differenti. Il viaggiatore contemporaneo nei paesi arabi del Vicino Oriente si accorge immediatamente di che cosa possa significare un'osservanza rigorosa della legge. Le deco razioni nelle moschee includono solo disegni geometrici e passi dal Corano nella scrittura corsiva araba: niente ghirlande, ancore o cor6. lvi, pp. 5-9. Meshorer propone l'ipotesi che Erode e i suoi successori avessero effettivamente coniato le monete d'argento 'di Tiro' dal 1 9 a.C. al 66 d.C. (pp. 6 s.). 7. Io e altri abbiamo supposto in alcune occasioni che la moneta richiesta dal tempio non avesse un"immagine incisa', e qui desidero rettificare l'errore. Per la sua formulazione, cfr. J&J, p. 64; si noti anche l'esitazione di Hamburger, voce Mo MY in IDB, pp. 428 s. 8. Meshorer, op. cit n, p. 8. 9. Così Meshorer, ibidem. .•
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nucopie, ancor meno aquile, e certamente non volti umani. Durante il periodo del secondo tempio, gli ebrei non interpretarono il coman damento in modo così rigoroso. Proprio come gli 'idoli' sulle monete erano accettabili per la mag gior parte degli ebrei (anche se molti si accigliavano davanti alla raf figurazione di volti), così lo erano altre decorazioni in casa e perfino nel tempio. Gli scavi recenti a Gerusalemme hanno rivelato una casa che aveva «dipinti di uccelli nello stile di Pompei>>, benché la mag gioranza delle case avesse figure geometriche10• La facciata del tem pio era adornata nel Vangelo di Giovanni (Gv l , 9; 1 5, 1 ). Egli è la vera vite, e la vite di Bacco è falsa, ma la vite e ciò che essa simboleggiava erano la stessa cosa: la vita. Infine, possiamo notare che per pochi ebrei la professione di 'un solo Dio' significava la negazione completa dell'esistenza di altri es seri soprannaturali . La questione è illustrata nella maniera più sem plice da Paolo, il quale, prima di diventare un apostolo di Cristo, era un fariseo zelante (Fil 3, 2-6) 1 6. Egli scrisse che i galati erano stati «sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono>>, ma che erano, nondimeno, «elementi>> (Gal 4, 8. IO). Ai corinzi scrisse che ci sono «cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra>>, esseri impropriamente chiamati dèi, ma che nondimeno popolano sia il cielo sia la terra ( l Cor 8, 5). Egli gettò uno sguardo avanti al tempo in cui Cristo avreb be trionfato su «ogni principato e ogni potestà e potenza>> ( l Cor 1 5 , 24), quando «ogni ginocchio s i sarebbe piegato>> al nome d i Gesù, sia in cielo sia in terra sia sottoterra (Fil 2, l 0). Paolo, cioè, accettava che le divinità pagane esistessero, ma non voleva chiamarle veri dèi. In l Cor I O, 20 egli si soffermò sui «demòni>> (l'espressione è basata su LXX Dt 32, 17; ls 65, I l ). Questa riserva ci permette di chiamarlo, e con lui migliaia di altri ebrei del suo tempo, 'monoteista', ovvero una persona che pensava che ci fosse un solo Dio reale. Gli ebrei, dunque, che pronunciavano frequentemente lo Shema ' e richiamavano alla memoria i Dieci Comandamenti, credevano che ci fosse un solo vero Dio, e intendevano adorare solo lui. Il significato del monoteismo, tuttavia, era flessibile, e gli ebrei non erano affatto completamente isolati dali' influenza pervasi va del ricco e variegato mondo religioso che li circondava.
Goodenough, Jewish Symbo/s in the Greco-Roman Period, 1 3 voli. Cfr. ad la sua tranazione di The Lingua Franca of Symbolism, IV, pp. 3 7 s. 16. Su Paolo come fonte di conoscenza della teologia ebraica del periodo antece dente al 70 cfr. G. Carras, Pau/, Josephus and Judaism: The Shared Judaism of Pau/ and Josephus, 1989 (tesi di doltorato a Oxford, inedita). IS.
es.
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2. Creazione, provvidenza e storia Gli ebrei credevano che tutta la vita fosse governata dal volere di Dio. Dio ha creato e governa su tutto il mondo. La dottrina della creazione - che questo mondo è stato fatto da Dio, è buono, e deve essere curato come suo - è forse il più importante singolo contributo del giudaismo alla civiltà. La maggioranza degli ebrei credeva anche che Dio controllasse la storia. Osserveremo come queste idee furono elaborate nel giudaismo del ! secolo. Cominciamo col considerare l o rdine creato e la teologia derivata dal comandamento di osservare il sabato. La necessità di una re sponsabilità nei confronti dell'universo non era vista nel l secolo così chiaramente come lo è ora, ma era considerata parte integrante del tema generale secondo cui Dio si preoccupa di quanto può appa rire agli uomini di poca importanza o addirittura banale. Dal mo mento che il creatore si era riposato di sabato, egli ordinò che gli uo mini facessero lo stesso. Gli ebrei riflessivi videro che il riposo del sabato era giovevole, e fecero notare che l'obbligo di esso si applica va agli schiavi, agli animali, e alla terra stessa. Riguardo alla terra, che era lasciata a maggese nel settimo anno, Filone osservò che «la monotonia senza un'interruzione, particolarmente nel lavoro, è sem pre considerata dannosa>>. Egli mise in rilievo il fatto che l'anno sab batico per la terra non era osservato al fine di preservare i suoi pro prietari e coltivatori dal lavoro, dato che avrebbe potuto essere affit tato e dato in appalto, ma piuttosto era rispettato «al di fuori della considerazione per la terra>> stessa: il riposo era buono in sé (Hypoth. 7, 1 5- 1 8). Anche agli animali era garantito il riposo del sabato (Es 20, 1 0; Dt 5, 1 4). Giuseppe Flavio mise acutamente l' accento su altre leggi bi bliche riguardanti gli animali: non mettere il bavaglio ai buoi che trebbiano il frumento (Ant. 4, 233; Dt 25, 4) ed aiutare la bestia di un altro finita nel fango (Ant. 4, 275; Dt 22, 4). Sia Filone sia Giuseppe Flavio (quest'ultimo forse in dipendenza dal primo) affermarono che gli ebrei seguivano altre leggi di rispetto verso gli animali. «Non ci deve essere maltrattamento di animali contrario a[ll'uso concesso] da Dio [ ... ]; nessuna distruzione della loro stirpe >> (Hypoth. 7, 7). Secondo le parole di Giuseppe Flavio, Dio autorizzava «il loro im piego solo in accordo con la legge>> (Ap. 2, 2 1 3). Entrambi gli autori aggiungono un aspetto curioso: «Le creature che cercano rifugio nel le nostre case come supplici ci è proibito ucciderle» (Ap. 2, 2 1 3 ; '
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Hypoth. 1, 9). Inoltre, quando conducevano una campagna di guerra in un paese straniero, le truppe giudaiche avevano la proibizione di uccidere le bestie da lavoro (Ap. 2, 2 1 3). Filone riconobbe che molti lettori (che non sapevano nulla d'eco logia e di dirilli degli animali) avrebbero trovato tutto ciò insignifi cante, e replicò: «Queste cose non sono di alcun valore, potrete dire, però è grande la legge che le comanda e sempre vigile è la cura che esige>> (Hypoth. 7, 9). La grandezza della legge, agli occhi degli ebrei, sta in parte nel fatto stesso che essa copre ogni aspetto insigni ficante della vita e della creazione. Giuseppe Flavio pensava pure che Mosè avesse avuto ragione a non lasciare «nulla, per quanto in significante, alla discrezione e al capriccio dell'individuo» (Ap. 2, 1 73 ) i rabbini insistettero sullo stesso punto, anche se non in con nessione con gli animali: .
«Ben 'Azzai disse: Affréttati ad adempiere perfino il più futile dovere come se fosse il più pesante, e rifuggi dalla trasgressione; perché un dovere ne trascina un altro nella sua corrente, e una trasgressione ne trascina un' altra nella sua scia» (mA vot 4, 2).
Qui la vita è vista come un intero senza soluzione di continuità. In ogni suo aspetto si può o adempiere o trasgredire il volere di Dio, e una cosa trascina l'altra. L' uni verso è il giardino di Dio; gli uomini non solo le sue uniche creature. Giuseppe Flavio e Filone, coma abbiamo visto, trovarono il sim bolismo in molti aspetti del tempio, spesso un simbolismo cosmico. Questo corrisponde a vedere Dio come creatore dell'intero universo e anche come suo signore; esso continua a procedere nella direzione da lui voluta. Filone considerava la veste del sommo sacerdote come «una raffigurazione e copia dell'universo>>. Era circolare, perciò simboleggiava l'aria, mentre altri aspetti rappresentavano gli emisfe ri e lo zodiaco (Spec. l , 84-87). Agli occhi di Giuseppe Aavio il candelabro a sette bracci rappresentava i pianeti, e i dodici pani sul l'altare stavano per lo zodiaco e per l'anno, mentre le spezie simbo leggiavano il mare, la terra abitata e il deserto (Bel/. 5, 2 1 6-21 8)17• Tutlo questo dimostra, asseriva Giuseppe Aavio, che «ogni cosa è di Dio e per Dio>> (Bel/. 5 , 2 1 8) . Come egli dichiara altrove, Dio «è 17. Per altri casi di simbolismo cosmico secondo l'interpretazione di Filone e di Giuseppe Flavio cfr. la n. di Thackeray a Bel/. 5. 2 1 8.
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il principio, il mezzo e la fine di tutte le cose>> (Ap. 2, 1 90). Queste frasi ricordano una delle formulazioni, leggermente anteriori, di Pao lo: «per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui>>. Paolo poi includeva Cristo: «un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui>> ( l Cor 8, 6). Si suppone che, prima della sua chiamata a essere apostolo, Paolo avrebbe assegnato a Dio la mediazione ( ' per lui' nel senso di 'attraverso lui') così come l'origine e la destinazione ('dal quale' , 'in virtù del quale'). Era un comune sentire ebraico quello per cui, come Dio aveva condotto il mondo all'esistenza, egli con trollava il suo destino e la sua fine. «L'intero universo è governato dalla provvidenza>> (pronoia) (Arist. 20 l ). «Colui che si allontana da Dio dichiara che Lui è la causa di nul la>>, laddove si dovrebbe riferi re «ogni cosa a Dio>> (Filone, Spec. 3, 29 s.) tB . Questo ci porta al nostro secondo punto del presente capitolo, la fede nel fatto che Dio controllava la storia. Il mondo è pieno di di sgrazie e di mali, e tutte le filosofie e le religioni affrontano il pro blema di dame ragione. Nel nostro periodo, gli ebrei erano divisi tra una spiegazione esplicitamente monoteistica del male - Dio lo vuole - e una spiegazione dualistica c'è un altro potere (Satana) o una congerie di altri poteri (i demoni) -. Non mi spingerò molto adden tro alla questione del dualismo19 nella letteratura ebraica. Molti aspetti della religione persiana (zoroastrismo) erano penetrati in oc cidente, e avevano influenzato il giudaismo in particolare. Gli ebrei avevano fatto conoscenza con le credenze persiane durante l'esilio in Babilonia, e per alcuni secoli la Palestina era stata parte dell'im pero persiano. L'angelologia, la demonologia, la fede nella risurre zione e il dualismo sono alcune delle aree principali della teologia nelle quali è visibile l'influenza iranica2o_ Anche dove vediamo più chiaramente il dualismo, tuttavia, vediamo anche che i teologi ebrei mantennero simultaneamente il monoteismo. Due brevi esempi: i se guaci della setta di Qumran descrissero «la guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre>> ( l QM) e discussero «le vie dello spirito -
18. Sulla provvidenza in Filone, cfr. Mendelson. Philo 's Jewish ldentity, pp. 46-48. 19. 'Dualismo' è una dicitura adeguata, anche quando la gente credeva in una quantità di esseri maligni, dato che c'erano comunque, fondamentalmente, solo due parti: Dio contrapposto alle forze del male. 20. Cfr. S. Shaked, /ranian inf/uence on Judaism: first century B.C.E. to second century C.E. , in Cambridge History ofJudaism, l, pp. 308-325.
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della falsità» ( I QS 4, 9). Essi pensavano che la maggior parte delle persone fosse «dominata dall 'Angelo delle Tenebre» ( l QS 3, 2 1 ). È perfettamente chiaro, tuttavia, che nella loro concezione c'era un solo vero Dio. Paolo (le cui opinioni su questi aspetti non sembrano essere state alterate dalla chiamata ad apostolo di Cristo) scrisse che Satana (facente le veci dell'angelo delle tenebre) poteva mascherarsi da (2 Cor I l , 14) e che «questo mondo» è domi nato da un altro «dio>> (2 Cor 4, 4) o da altri «dominatori>> (l C or 2, 6) 2 1. Ma anche per lui c'era un solo vero Dio ( l Cor 8, 6). I teologi ebrei talvolta hanno fatto ricorso a una forma di dualismo per spie gare il male, ma, non essendo filosofi speculativi, non pensavano che questo implicasse la negazione del monoteismo. Per i nostri scopi presenti, la cosa più istruttiva è quella di vedere il grado al quale alcuni ebrei attribuirono il male direttamente a Dio. Questa è la naturale conseguenza del monoteismo, e nel periodo che studiamo molti ebrei erano monoteisti sufficientemente coraggiosi da imputare il male a Dio. Tessa Rajak ha formulato succintamente una delle principali dottrine di Giuseppe Flavio, quel l a del trasferimento di potere, pianificato da Dio, alla parte romana. Dio, o la Divinità, o il Fato, o il Destino, o la Provvidenza, o il Caso aveva deciso che i romani dovessero essere vittoriosi [ . .. ]. Vespasiano era il pre scelto ad agire [ ... ]. Nel favorire questo obiettivo, erano stati decisi specifi ci succ e ssi romani e disfatte ebraiche, e gli ebrei erano stati resi ciechi. La distruzione di Gerusalemme, con il Te m p i o, era solo una parte di questo piano,22. >, ripaga colui che ha ingiuriato aggiungendo in più il quinto, e . Il vero avvocato per il perdono è «la condanna profonda mente sentita>> da parte del fedele (Spec. l , 235-237). L'espiazione richiede «sia preghiere sia sacrifici per propiziare la divinità>> (Mos. 2, 1 47). Il sacrificio rappresenta la santificazione dell' «animo del fe dele>> (Spec. l , 203). Coloro che partecipano pertanto «Cambiano la loro via per la migliore>> ( l , 227). In breve, Mosè «stimò che il sacri ficio consistesse non nelle vittime, ma nell'intenzione dell'offerente e nel suo fervore>> ( 1 , 290). Dio valuta tanto il pentimento, che gli ha dato > (Spec. l , 1 97). Egli vide anche, tuttavia, che nel mangiare la loro porzione di questo sacrificio i fedeli condivide vano ciò che era essenzialmente di Dio: essi entravano in una 'asso ciazione' (koinonon) con l' altare (Spec. l , 22 1 ). Paolo era anch'egli dell'opinione che i sacrifici procurassero la comunione con Dio: «Guardate Israele [ . . . ]: quelli che mangiano le vittime sacrificati non sono forse in comunione (koinonoi, «partecipi di>> o «comunicanti con>>) con l'altare?>> ( l Cor I O, 1 8). Nella Prima lettera ai Corinzi, questa affermazione ill ustra il punto che parteci pare ai riti i quali implicavano il mangiare e il bere si risolve nella compartecipazione con Dio o con il demone i cui riti vengono osser vati. La teologia cultuale ebraica serve solo a provare la sua tesi. Ciò indica che egli prese per certa l'opinione secondo cui condividere un sacrificio procura la comunione con la divinità. Possiamo conclude re che gli ebrei comunemente consideravano i sacrifici condivisi in questo modo. 5. Come abbiamo appena visto, Filone interpretava il sacrificio condi viso, per il quale egli adottava la parola greca soterion «sal vezza», «sicurezza>>, o «preservazione>> - nel senso di «partecipazio ne alle cose buone» (Spec. l, 196) o di «miglioramento delle faccen de umane>> ( 1 , 1 97). Per un certo grado, il sacrificio costituiva parte cipazione a cose buone: forniva un banchetto. È probabile, tuttavia, che Filone lo vedesse anche come una richiesta di cose buone, spe cialmente dato che egli pensava che beneficasse o «preservasse>> sia l'anima che il corpo ( 1 , 222). Dal momento che la legge biblica non specifica la preghiera in connessione con il servizio al tempio, la richiesta di benedizioni non fa parte della teoria sacrificale della Bibbia. Eppure ne fu un naturale sviluppo, che possiamo rintracciare già a partire da Ben Sira. Egli descrive le preghiere dei fedeli non-sacerdoti nel tempio come o «richieste>> (deomai; Sir 50, 1 9). Dato che la cerimonia che l 'autore descrive è quella del Giorno dell'Espiazione (cfr. 50, 5), egli può avere avuto in mente principalmente richieste di perdono. Ben Sira conclude, tuttavia, offrendo una preghiera nella quale chiede a Dio di concedere la letizia del cuore, la pace, la misericordia e la li berazione (50, 22-24). È probabile che Ben Sira considerasse la ceri monia sacrificate come un'occasione per richiedere benedizioni di vine in generale. Infine, notiamo che Giuseppe Aavio scrisse che ai sacrifici veni vano offerte preghiere «per la salvezza (soteria) della comunità>> (Ap. 2, 1 96) e che alle festività le persone pregavano «per le grazie future>> (Ant. 4, 203). 6. Alcuni sacrifici erano offerti per il bene del mondo intero. An cora una volta, questa non è una categoria biblica, ma la incontriamo nella letteratura del 1 secolo. Filone interpretava i sacrifici della co munità come «per l'intera nazione>>, e poi si correggeva: «piuttosto [ . . ] per tutta l'umanità>> (Spec. l , 1 68). Egli contrapponeva la prassi ebraica a quella pagana: .
«Tra le altre nazioni i sacerdoti sono abituati a offrire preghiere e sacrifici per i loro parenti e amici e compatrioti soltanto, ma il sommo sacerdote de gli ebrei pronuncia preghiere e offre ringraziamenti non solo a favore dell'intero genere umano, ma anche per le pani della natura, la terra, l'ac qua. l' aria, il fuoco. Perché egli considera il mondo, come è in verità, il suo paese, e a suo favore egli è solito propiziare il Dominatore con suppliche e intercessioni, implorandolo di rendere la sua creatura partecipe della sua natura generosa e misericordiosa» (Spec. I , 97).
Non è sicuro quali sacrifici Filone avesse qui esattamente in men te. Gli ebrei offrivano sacrifici in favore (cioè, a intercessione per la salvezza) di Cesare e del popolo di Roma (Beli. 2, 1 97. 409; Ap. 2, 77), e Filone può avere pensato a questi28• In ogni caso i sacrifici a favore di Roma dimostrano che la nozione generale di intercessione
28. Secondo Filone, Cesare Augusto aveva ordinato che gli olocausti fossero sa· criticati ogni giorno, a sue spese, «come tributo al Dio altissimo» (Legai. 1 57; cfr. 232.31 7). È possibile che questi sacrifici non siano gli stessi offcni dagli ebrei, e a proprie spese, in favore di Roma (Ap. 2, 77; cfr. Bel/. 2, 197. 409). Alcuni studiosi, tuttavia, li considerano coincidenti, facendo l'ipotesi che Giuseppe Flavio fosse nel giusto dicendo che gli ebrei pagavano per le offerte, e che Filone fosse in errore (ad es. Rajak, Josephus, p. 1 1 8 n. 34).
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per altri non era assente dalla comprensione usuale del significato dei sacrifici. 7. l sacrifici, specialmente alle festività, stabilivano il sentimento di comunità tra tutti gli ebrei. Filone scrisse che quando le moltitudi ni di fedeli convenivano in Gerusalemme, essi formavano nuove amicizie, > per tutti gli altri ebrei, né erano tulti pienamente «dello stesso animo» (frasi di Filone), ma coloro che mandavano la tassa, e specialmente quelli che compivano il pellegrinaggio, mostravano di avere qualcosa in comune con altri ebrei. Immaginiamo la situazione concretamente. Diciamo che, di poche dozzine di famiglie ebraiche in una città dell'Asia Minore, cinque fossero state a Gerusalemme almeno una volta. Mentre erano là, avevano fallo amicizie, alcune con ebrei del Nordafrica, altre con ebrei dalla Mesopotamia, altre con giudei. Ri tornando a casa, si sarebbero ricordati dei loro amici e sarebbero sta ti consapevoli di quante cose avevano in comune. Questo sentimen to, a sua volta, sarebbe stato comunicato agli altri membri della loro sinagoga. La solidarietà ebraica divenne un grande fallo socio-reli gioso, uno di quelli che resistettero dopo che il tempio fu distrutlo: era espresso attraverso la frequentazione della sinagoga e il rispetto delle stesse leggi, specialmente quelle relative al sabato, al cibo e alla circoncisione. Finché il tempio esistette, tuttavia, esso fu un punto focale della fedeltà ebraica, e la partecipazione alle sue ceri monie, anche quando minori e remote (l' invio della tassa del tem pio), esprimevano la promessa fatta al Dio di Israele e pertanto allo stesso modo agli altri ebrei.
4. La teologia dei sommari della legge Abbiamo visto sopra che i libri giuridici offrono i loro sommari o epitomi delle categorie maggiori della legge: i comandamenti che governano le relazioni tra gli uomini e Dio e quelli che governano le relazioni tra gli uomini. Il Deuteronomista sembra avere inteso lo Shema' (Dt 6, 4-9) come un sommario parziale delle leggi che erano appena state date. Esso spinge Israele ad ascoltare e ad amare il Si gnore che ha appena parlato, a tenere sempre a mente i comanda menti, e a realizzarli. Similmente l' autore sacerdotale di Lv 1 9 rag gruppò parecchi comandamenti che governano le relazioni tra gli
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uomini e poi concluse con un'affermazione che li condensava tutti: «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 1 9, 1 8). Abbiamo anche visto che era ampiamente riconosciuto che l'amo re di Dio e l'amore dell'umanità erano i due aspetti principali della legge: sia Gesù sia Filone li citavano come tali (Mc 1 2, 29-3 1 ; Spec. l , 299 s. 324), e numerosi autori consideravano la 'giustizia' (nei confronti degli uomini) e la 'devozione' (nei confronti di Dio) come la sintesi della corretta vita religiosa29• Desidero qui dedicare la mia attenzione a epigrammi e altre epito mi in forma sentenziosa della legge, che erano generalmente basate non sullo Shema' (ama Dio), ma su Lv 1 9, 1 8 (ama il prossimo) e 19, 34 (ama i forestieri). Le epitomi di forma sentenziosa includono sia 'il prossimo' sia 'il forestiero', dal momento che parlano del 'po polo' e degli 'altri '30• La più famosa è la 'regola aurea' : «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa è infatti la Legge e i Profeti>> (M t 7, 1 2). La conclusione di mostra che si intendeva con questo riassumere l ' intera legge, anche se in termini di contenuto si riassume solo la seconda tavola. In for ma negativa, la sentenza compare in altra letteratura. Tb 4, 1 5 ha «Non fare a nessuno ciò che non piace a te>>, anche se in Tobia que sta è un' ammonizione tra le tante piuttosto che un'epitome dell ' inte ra legge. In Filone, tuttavia, la sentenza «Quello che si odierebbe di soffrire, non lo si deve fare ad altri» viene all' inizio di una lista di comandamenti, alcuni dei quali sono anche rifusi come sentenze, quali > (Rm 1 3, IO). Vale a dire, Paolo conosceva la forma negati va del detto e la trovò utile. Due chiarimenti sono necessari sull'epitome sentenziosa della legge, «fa' agli altri ... >> oppure «non fare agli altri ... ». Uno ha a che fare con la differenza tra la forma positiva (Gesù) e quella negativa (Tobia, Filone, Paolo e il Talmud). «Non fare ciò che tu odieresti>> proibisce una trasgressione e corrisponde al modo in cui le leggi sono usualmente formulate: non uccidere, non rubare, non eccedere i limiti di velocità. Anche in Lv 1 9 i comandamenti «Ama il tuo pros simo» e «Ama il forestiero>> riassumono leggi che sono di per sé spesso espresse negativamente: non mietere il tuo campo fino ai suoi bordi; non raccogliere ciò che cade a terra, ma !ascialo per i poveri. Negativo e positivo sono le due facce della stessa medaglia, ma il negativo è più chiaro e più di carattere legale. «Sostenta i poveri» non è esattamente così esplicito come . «Fa' agli altri quello che vuoi sia fatto a te>> è un di scorso a esito aperto e richiede un ragionamento creati vo al fine di dargli sostanza. In termini di forza retorica, esso è più provocatorio. Non dobbiamo pensare, tuttavia, che le persone che usavano la for ma negativa intendessero solo proibire le cattive azioni e non anche incoraggiare quelle buone. Filone fece seguire, alla sua versione dell'epitome negativa, dei comandamenti positivi, come quello che una persona deve dare cibo ai poveri e agli invalidi (Hypoth. 7, 6). Nel più ampio riassunto della legge in Paolo, Rm 1 3 , 8- I O, il coman damento di fondo è positivo («ama il tuo prossimo>>), ma gli altri sono negativi, inclusa la riformulazione personale di Paolo: «L' amo re non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l 'amore>>. Non dobbiamo prendere questo nel senso che egli deside rasse scoraggiare buone azioni positive.
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In secondo luogo, dovremmo souolineare che non si possono de terminare i contenuti pieni dell'etica o della teologia di un maestro dalla personale epitome del maestro. Gli studiosi talvolta pensano che, dal momento che Paolo presentò Lv 1 9, 1 8 come «l'intera leg ge>>, egli intendesse escludere dalla 'legge' quelli che essi chiamano i comandamenti 'rituali'. Ciò non ne è conseguente31 • Abbiamo no tato che due differenti riassunti sono auribuiti a Gesù: uno nel passo sui più grandi comandamenti, dove egli dà il comandamento di base solto ciascuno dei due rami della legge; l 'altro è la 'regola aurea', dove egli dice che solo il secondo di questi è 'la Legge e i Profeti '. Questo non significa che egli desiderasse ritrattare il comandamento di amare Dio. Lo stesso vale per Paolo: il suo riassunto sentenzioso non significa che egli intendesse opporsi alle leggi della prima tavo la. Egli non era favorevole all'idolatria, e credeva veramente nel 'servire' solo il Dio d'Israele, che è quanto il secondo comandamen to richiede (implicitamente). In Rm 9, 4 Paolo elenca come uno dei vantaggi di Israele il fatto che a loro apparteneva 'il culto' (latreia), vale a dire il servizio del tempio. Paolo accettava i cosiddetti coman damenti 'rituali' , quelli della prima tavola (anche se non credeva che i suoi conveniti pagani dovessero rispettare il sabato). Similmente Filone, che impiegò la 'regola aurea negativa', credeva pienamente nei comandamenti della prima tavola. Hillel - o qualunque altro rab bino debba ottenere la paternità del suo riassunto sentenzioso della legge - può difficilmente essere sospettato di opposizione al sacrifi cio, anche se esso non è logicamente incluso in >32• Penso che nel complesso questo sia corretto, anche se dobbiamo pure tenere a mente che non c'era un servizio di culto regolare nelle sinagoghe che garantisse che gli stessi temi liturgici fossero diffusi nel giudaismo universale (sopra, pp. 286 s.). Nondimeno, sarà utile vedere quali siano le questioni dominanti della liturgia sinagogale tarda, per le ragioni indicate sopra: l . Dio come creatore 2. L' unicità di Dio 3. I l suo >, e nella seconda per aver porta to Israele fuori dall'Egitto e avergli concesso la Torah. La terza be nedizione si appella alla compassione per Israele, Gerusalemme e la stirpe di Davidel4. Abbiamo riscontrato questi tre temi principali nelle nostre altre fonti. La credenza che l'unico Dio è il creatore del mondo e ha cura dell' intera creazione è emersa dalla nostra analisi dello Shema' e dei primi due comandamenti. L'insistenza sull'ortoprassi, che abbiamo discusso nei capp. I l e 12, riflette la fede fondamentale che Dio ab bia rivelato la legge ad Israele e richiesto obbedienza a essa. Che la 32. Heinemann, Prayer in lhe Talmud, 33. lvi, pp. 3 1 -35. 34. lvi, pp. 32 s.
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30.
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redenzione sia possibile per i singoli è riscontrabile nello studio dei sacrifici di intercessione e di espiazione. Nel prossimo capitolo rica pitoleremo le diverse speranze ebraiche per la redenzione collettiva. Abbiamo, dunque, una struttura teologica basilare per il giudaismo comune e generale, basata sullo studio analitico dello Shema ', dei primi due dei Dieci Comandamenti, dei sacrifici, delle epitomi della legge, e delle preghiere: l'unico Dio del cielo e della terra ha scelto Israele; egli solo deve essere adorato; il suo popolo deve obbedire alla sua legge; essi pertanto sono un popolo a parte; essi devono di mostrare amore verso tutti indistintamente; Dio rimarrà fedele alla elezione e redimerà il suo popolo. 6. Il nomismo del patto Questa analisi dimostra che, nell'opinione ebraica, la grazia di Dio precede ed è più vasta dell'elezione di Israele: include l ' intero ordine creato. Eppure in un altro senso la teologia ebraica comincia con l'elezione. Gli ebrei credevano che il Dio che li aveva scelti fos se il creatore del mondo, ma era l'elezione che poneva a parte Israe le e dava al popolo ebraico il suo carattere particolare. La reazione appropriata era obbedire alla legge. Fissandomi su questi due punti, ho dato precedentemente il nome di 'nomismo del patto' al comune giudizio degli ebrei di 'essere eletti e stabiliti' come popolo di Dio. In questa formula il 'patto' rappresenta la grazia di Dio nell'elezione (l'entrare nella religione), e il 'nomismo' la richiesta di obbedienza alla legge (nomos in greco; il rimanere nella religione). Il nomismo del patto non copre l'intero corpo della teologia ebrai ca, meno ancora l' intero corpo del giudaismo3s. Ha a che fare con il 35. Fergus Millar, osservando l'espressione 'giudaismo palestinese' nel titolo di P&PJ, mi critica per non assegnare «un ruolo centrale (anzi, nessun ruolo) al culto e al sacrificio comunitari nel tempio», il che significa che ho tralasciato gli aspetti col lettivi del «giudaismo palestinese», facendone una religione puramente individuale (Ref/ections on the Triai of Jesus, pp. 379 s.). Sarebbe stato meglio se avesse osser vato l'argomento del libro (pp. 1 6 s.: come gli adepti concepivano il funzionamento della religione: non quello che facevano giorno per giorno, ma il modo in cui com prendevano l'entrare a fame parte e il rimanervi. La frase «anzi, nessun ruolo» non tiene conto delle numerose trattazioni sul sacrificio, parte di ciò che gli ebrei ritene vano di dover fare per rimanere nella religione: pp. 80, 162-168 (come i rabbini in tendevano il sacrificio). 299 (il sacrificio nel Documento di Damasco), 302-304 (so stituii del sacrificio a Qumran). 338-34 1 (Ben Sira sul sacrificio), 379 s. (Giubilei),
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giudizio teologico della costituzione del popolo di Dio: come viene scelto, come viene stabilito. In tennini di giudaismo come religione, questo tralascia molti dettagli sul comportamento delle persone, an che se richiede un'analisi del motivo per il quale essi pensassero di dover fare quello che facevano: non i dettagli del sacrificio, ma come essi spiegassero la richiesta di sacrificio. Teologicamente, tra lascia la creazione (cfr. sopra) e il futuro (cap. 14). Quanto è incluso, tuttavia, è cruciale per interpretare il giudaismo, che è una religione nazionale e un modello di vita, convergente sul Dio di Israele e sul popolo di Israele: Dio lo ha chiamato; essere ebreo consiste nel ri spondere a quella chiamata. Sintetizzerò ora gli aspetti principali del nomismo del patto, citan do pochi esempi dalla letteratura precedente al 70 per ciascun punto, avvalendomi occasionalmente di una delucidazione dal materiale rabbinico del II secolo, e per la maggior parte usando il materiale che non ho usato nel mio Paolo e il giudaismo palestinese. Là argomen tavo che queste credenze costituiscono i l denominatore comune teo logico di una vasta gamma di materiale ebraico, che va da Ben Sira ai rabbini tannaiti, cioè dal 200 a.C. al 200 d.C., inclusi i rotoli del mar Morto, parte dell' altra letteratura dei 'pii', e le maggiori apoca lissP6. Nessuno che abbia affrontato quest'argomentazione l'ha mes sa in discussione, e numerosi studiosi, quando hanno avuto a che 398 (l'assenza del sacrificio dai Salmi di Salomone). Quanto all'eliminazione da pane mia dell'aspeuo colleuivo della religione, ho serino che «la concezione collet ti va venne mantenuta»; vi sono « affenn azi oni da cui risulla che il peccato del singo lo causa la punizione di tutto Israele»; «il mode ll o di religione che abbiamo discus so dimostra come la religione individuale e collettiva fossero combinate; si osserva che il posto dell'individuo nel disegno di Dio trovava il proprio compimento altra· verso i l suo essere membro del gruppo: penanto, nella leueratura rabbinica non vi è praticamente traccia di ricerca individuale della salvezza. La que stione è se si sia israeliti di buona reputazione o meno•> (p. 237). Similmente alle pp. 367 e 547. 36. Joseph Fitzmyer mi cri tica perché ritengo che la leueratura rabbinica «rap presenti il 'giudaismo palestinese' con cui Paolo sarebbe stato in contallo» ( in J. Reumann, Righteousness in the New Testament, p. 2 17). Quello che ho scritto è: l ) ero alla ricerca di quanto fu comune nell'arco d i quattrocento anni d i giudaismo pa lestinese (ad es., pp. 422 s.); 2) la letteratura rabbinica di epoca tannaitica era il cor· pus le tterari o più tardo da addurre a confronto; 3) ritenevo che per la maggior pane risalisse al periodo tra i l 1 35 e il 200 (pp. 24 e 60 s.). Non proponevo la tesi che la letteratura rabbinica rappresenti i l giudaismo palestinese, ma solo che sia una fonte fra le tante (cfr. P&PJ, pp. 1 8 e 24 s.: il libro contiene più di un solo capitolo). Né dicevo nulla riguardo al genere di giudaismo con cui Paolo era in conta/lo. Il para gone era un paragone, non uno studio delle fonti del pen si ero di Paolo (P&PJ, pp. IO s., 19 e spesso).
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fare con parti della letteratura, ne hanno confermato alcuni aspetti. Io rimango persuaso che il denominatore comune teologico c' era ve ramente, ma qui non ripeterò l' argomentazione effettiva, vale a dire che l 'opinione comune era presupposta come pure enunciata esplici tamente. Provare una supposizione richiede un'analisi troppo lunga, da cui ora mi asterrò37. Nella sezione presente, citerò asserzioni indi viduali a scopo di chiarificazione. Esse non hanno, a mio giudizio, la forza probante della mia prima argomentazione su quello che era co mune e presupposto, ma possono essere presentate in modo sinteti co, e dimostrano la circolazione delle idee teologiche che costitui scono il 'nomismo del patto'. l . L 'elezione e il patto. Dio, benché sovrano del mondo, scelse Israele in particolare e diede loro la legge3B. Filone formulò la dottrina in maniera diretta: «Eppure tra tutto il genere umano egli scelse come specialmente meritevo li, e giudicò degni di preminenza su tutti, coloro che sono in senso vero uo mini, e li chiamò al servizio di sé, fonte perenne di cose eccellenti . .. » (Spec. 1 , 303).
Nei Salmi di Salomone parecchie affermazioni sono ugualmente dirette. L'autore di PsSal 9 scrisse un toccante appello a Dio perché non togliesse la sua misericordia dalla casa di Israele, e la ragione portante dell'appello era che « tu hai scelto i discendenti di Abramo fra tutte le nazioni, e hai posto il tuo nome su di loro, Signore, e non cesserà in eterno. Tu hai stretto un pat to con i nosui antenati riguardo a noi . » (PsSa/ 9, 9- 10). .•.
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Similmente, i codici giuridici provenienti da Qumran - sia quelli 37. La presupposizione è dimostrata quando vi sia un punto non esplicitato che condizioni una data discussione: cfr. ad es. la discussione dei mezzi di espiazione (pp. 562 s.) e altre in questo libro (pp. 274. 585 s., 670 s.). Si deve studiare il mate riale al fine di sapere quando la mancanza di un'affermazione esplicita sia prova di dissenso, quando di accenazione, e quando né dell'uno né dell'altra. Cfr. JUM, pp. 1 79 s. e 322-324. 38. Come riconosce la maggior parte degli studiosi, l' idea del palio era centrale per tulle le forme del giudaismo. Così Geza V ermes ha osservato che �la chiave di qualsiasi comprensione del giudaismo dev'essere la nozione di patto» (Perspectives, pp. 1 63-1 64). e Alan Segai descrive il 'palio' come «la metafora che sta alla radice della sociel.à ebraica» (Rebecca 's Children. p. 4).
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che erano rivolti a governare la sètta sia la Regola messianica ( I QSb), che riguarda la nuova generazione - sono esplicitamente le gati al patto. I membri della sètta potevano dire sia che apparteneva no al (CD 1 5 , 5), sia al patto con i sacerdoti sadociti ( I QS 5, 8-9; 6, 1 9) , sia al patto di Dio ( l QSa l , 2). Gli appartenenti alla sètta consideravano il loro patto, che era in un certo senso 'nuovo', identi co al 'patto di Dio'. Vale a dire, essi vedevano la loro separazione dal resto di Israele come una questione circa il possesso del giusto patto, quello che conteneva alcune delle loro regole specifiche. Il modo in cui argomentarono le loro tesi (a loro proprio uso e consu mo) presuppone l'opinione comune secondo cui ciò che contava era stare all' interno del patto. Nelle Antichità bibliche, lo Pseudo-Filone considera l'inizio dato al patto da Dio come tema principale, elaborando affermazioni espli cite nel suo sommario del racconto biblico. Tra le citazioni di Es 1 9, l («Essi arri varono al deserto del Sinai») e 1 9, 1 5 («Siate pronti» a ricevere la legge), l'autore pone queste parole in bocca a Dio: «Darò una luce al mondo e illuminerò le loro dimore e stabilirò il mio pano con i figli degli uomini e glorificherò il mio popolo sopra tutte le nazioni» (LAB I l , l s.).
In un passo successivo la misericordia di Dio è motivata dal patto «e il giuramento che egli ha fatto di non abbandonarvi in eterno» (30, 7), e ci sono molte affermazioni simili. Paolo offre un'eccellente testimonianza del presupposto di una re lazione tra Dio e Israele in termini di patto. Egli scrisse che agli israeliti appartengono «l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la le gislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne» (Rm 9, 4 s.). Inoltre, egli pensava che questi doni e la chiamata di Israele fossero «irrevocabili» (Rm I l , 29); «quanto alla elezione, sono amati a causa dei padri» (Rm I l , 28). In certo modo colpisce perfino di più il fatto che nella Lettera ai Galati Pao lo argomenti contro l'opinione che Israele sia l'eletto: la benedizione di Abramo, egli sostiene, «saltò» da Abramo a Cristo, e ora passa a coloro che sono in Cristo, che diventano «discendenza di Abramo» (Gal 3, 1 5 - 1 8 .29). Qui egli si oppone a ciò che era essenziale al giu daismo - l'elezione dei discendenti fisici di Abramo - e contempo raneamente cerca di appropriarsi della categoria di «discendenza eletta di Abramo» per coloro che sono in Cristo.
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Infine, notiamo la critica degli ebrei che restavano legati ali' ele zione e confidavano in essa in MI 3, 9, dove si dice che Giovanni il Battista ammonì Israele a non confidare nella sua discendenza da Abramo (cfr. anche Gv 8, 39). La dottrina de li' elezione è l 'espressione teologica del sentimento di comunità che legava assieme gli ebrei del mondo antico. Abbia mo notato questo sentimento sopra, nel discutere dei sacrifici (p. 354). È espresso frequentemente e in una varietà di modi. Così Giu seppe Flavio parlava della «mutua armonia>> che dominava tra i «membri della comunità>> (Ap. 2, 170). Ciò compare in una lista di virtù che è modellata sulla scuola platonica, fuorché per l' 'armonia' che sostituisce la 'saggezza' (le altre tre sono giustizia, temperanza e fortezza; cfr. Ap. 2, 170 e la nota di Thackeray). La mutua armonia non prevalse, di fatto, sempre, e la storia del periodo è piena di contese micidiali. Eppure lo spirito di comunità era reale. Gli ebrei di una parte dell'impero erano colpiti dagli eventi di un'altra; sia gli ebrei sia i pagani vedevano la comunità ebraica internazionale come un singolo gruppo. Gli ebrei di tutto il mondo pagavano la tassa del tempio. La solidarietà ebraica è illustrata nel modo più vivido, tuttavia, notando certi eventi militari e politici. Quando Ircano li e Antipatro (il padre di Erode) decisero di aiutare Giulio Cesare nelle guerre civili romane, essi inviarono un esercito in Egitto. Divenne necessario persuadere gli ebrei egiziani a coope rare, e Antipatro lo fece appellandosi alla e mostrando loro una lettera da parte di Ircano, il sommo sacerdote (Ant. 14, 1 27-1 32). L'appello ebbe successo, e gli ebrei egiziani so stennero l'intervento militare palestinese nella causa di Cesare. Ce sare rispose concedendo favori non solo ad Antipatro, a Ircano e agli ebrei palestinesi, ma anche agli ebrei in tutte le zone della diaspora, non solo in Egitto. Inoltre, incoraggiò le città semi-indipendenti a fare lo stesso (Ant. 14, 1 37.143- 1 48; seguono vari decreti). Erode in seguito aiutò gli ebrei della Ionia (in Asia Minore) a ottenere il risar cimento per i torti subiti (Ant. 1 6, 27-6 1 ). Gli ebrei di tutto il mondo furono allarmati dalla minaccia di Caligola di far innalzare una sua statua nel tempio, e Filone minacciò una rivolta universale (sopra, p. 1 99). Agrippa I I ed Erode di Calcide spinsero Claudio ad agire favo revolmente nell'interesse degli alessandrini e di altri ebrei (Ant. 1 9, 279.288). Dopo la prima rivolta, Vespasiano impose una tassa (che rimpi azzava la tassa del tempio) a tutti gli ebrei dell' impero, non solo ai palestinesi. Tutto questo corrisponde alla percezione ebraica di sé come di un popolo messo a parte dall'elezione di Dio.
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Una delle facce della dottrina dell'elezione è I'esclusivismo39• Gli studiosi cristiani talvolta affermano che le leggi di purità significava no che gli ebrei non volevano mescolarsi in nulla con i pagani. Que sto non è vero, come una considerazione di fatti elementari renderà chiaro. Gli ebrei viaggiavano, molti vivevano in città pagane, e molti vivevano in città miste perfino all'interno della Palestina; l ' idea di ghetti completamente chiusi in se stessi non era ancora sorta. Gli ebrei erano felici quando i pagani frequentavano la sinagoga, e acco glievano calorosamente i 'timorati di Dio' o i 'simpatizzanti' . I capi ebrei, da quelli inferiori fino al sommo sacerdote incluso, e, nella diaspora, i membri più rispettati della comunità, dovevano negoziare con ufficiali romani. In Palestina il sommo sacerdote talvolta si con sultava con il prefetto o il procuratore. Filone guidò una delegazione a fare una petizione all' imperatore. Giuseppe Flavio fece appello alla moglie di Nerone, Poppea, quando viaggiò alla volta di Roma per cercare di assicurarsi il rilascio di sacerdoti imprigionati ( Vita 1 6). È ben dubbio che gli ebrei conducessero questi negoziati restan do in stanze speciali purificate e urlando40• La letteratura antica che insiste sull'esclusivismo sostiene anche, nella maggior parte dei casi, relazioni sociali cordiali. Aristea, il quale scrisse che gli ebrei erano circondati da palizzate «per evitare il nostro mischiarci con alcuna delle altre persone>> (Arist. 1 39), pensava che sarebbe stata una cosa molto buona per gli ebrei pranzare con un monarca pagano ( 1 80 s.). L'autore di Giuseppe e Aseneth, che si opponeva non solo al matri monio misto ma anche al mangiare alla stessa tavola, nondimeno rappresentò il suo eroe, Giuseppe, in visita da un sacerdote egiziano nella sua casa e nell'atto di intrattenere con lui e con la sua famiglia relazioni cordiali, basate sul mutuo rispetto (capitoli 3-7). Benché gli ebrei mantenessero diversi tipi di relazioni con i paga ni, l'esclusivismo era parte integrante del giudaismo. Abbattere tutte le barriere avrebbe significato, in definitiva, accettare l' idolatria, che era fortemente avversata. La via più sicura per entrare in contatto con il paganesimo sarebbe stata sposare un pagano, ossia qualcuno che mangiasse il cibo offerto agli idoli, preferisse la carne di maiale a quella di agnello, e offrisse una libagione per ogni brocca di vino: perciò non deve sorprendere il fatto che gli ebrei generalmente si op39. Cfr. più nei panicolari il mio saggio su Jewish Association with Gentill!s. 40. Abbiamo visto parecchie volte come si possa anche dubitare che gli ebrei considerassero impuri i pagani o che. se lo facevano, ritenessero contagiosa tale im· purità.
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ponessero ai matrimoni misti. Si può vedere questo non solo nei libri settari o semi-settari, come i Giubilei (30, 7 . 1 4- 1 7}, ma allo stesso modo in molte altre opere, come le Antichità bibliche dello Pseudo Filone (9, 5 e altrove) e Tobia (4, 12). L'aggiunta deuterocanonica a Est 1 4, 1 5 (LXX Est 4, 1 7u) indica che le donne ebree dovevano evi tare i rapporti sessuali con maschi non circoncisi. La cosa che più colpisce è che Giuseppe Flavio scrisse che «non [era] in accordo con le leggi [ebraiche]» prendere una moglie non ebrea (Ant. 1 8, 345). Secondo l'opinione di Giuseppe Flavio, Salomone aveva trasgredito la legge di Mosè quando sposò donne pagane (Ant. 8, 1 9 1 )41 . Anche Filone attribuì a Mosè la proibizione del matrimonio con una perso na di altra nazionalità (Spec. 3, 29). Ebrei ancor meno pii - se di po sizione sociale sufficientemente elevata - osservavano la proibizio ne: quando Drusilla, la figlia di Agrippa I, sposò un re pagano, costui accettò la circoncisione (Ant. 20, 1 39). La teologia dell'esclusivismo non era ritenere che lo snobismo fosse un valore, ma che Dio aveva messo da parte Israele in modo che esso sarebbe stato «preservato dalle false convinzioni» e avreb be adorato > ( 1 30). Secondo le parole di Filone, gli ebrei non si mischiano con al tri (Spec. l , 324). Giuseppe Flavio mise in rilievo il fatto che, mentre gli ebrei accoglievano i convertiti, non ammettevano nell' > (adikia, 'ingiustizia') (Arist. 1 5 2). Nelle liste di peccati di Paolo, l ' idolatria e l' immoralità sessuale vengono innanzitutto (Rm l , 1 832; l Cor 5, 1 1 ; 6, 9- 1 1 ; Gal 5, 1 9 2 1 ); questi passi riflettono le opi nioni della diaspora ebraica riguardo ai pagani. Per quanto riguarda l'idolatria, l 'autore della Sapienza di Salomo ne aveva una gerarchia di colpe. Egli nutriva una certa simpatia per coloro che, ammirati davanti agli elementi della natura o ai corpi ce lesti, l i riverivano: -
«Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza» (Sap 13, 3).
Per queste persone «leggero è il rimprovero>>, ma ciononostante erano nel torto, perché avrebbero dovuto risalire al Creatore dal creato. Il verdetto è che non sono «scusabili>> ( 1 3, 6-9). Altre forme di idolatria erano peggiori: «Infelici sono coloro le cui speranze sono in cose morte e che chiamarono dèi i lavori di mani d 'uomo . . >> ( 1 3, I O). Costruire un idolo e poi adorarlo era stupido, e conduceva a tutti gli altri generi di peccati, specialmente all ' immoralità sessuale ( 1 4, 1 2). Eppure l 'autore poteva vedere una spiegazione del motivo per adorare idoli in forma umana. Alcuni, egli proponeva, fecero un' im magine di un essere umano morto, o di un monarca distante, e nel corso del tempo queste immagini finirono per essere venerate, spe cialmente a causa della loro estrema bellezza ( 1 4, 1 5-2 1 ). Questo era più grave che adorare gli elementi del cosmo, ma ancora comprensi bile; l'abisso della degradazione non era stato ancora raggiunto. Quest'ultima impresa spettava agli egiziani, che adoravano non solo gli animali, ma perfino quelli che erano così sgradevoli che nessuno li voleva ( 1 5, 1 8 s.). Gli egiziani erano stati debitamente puniti al tempo dell'esodo ( 1 8. 7 s.; 1 9, 1 -5). La punizione, di fatto, sarà in generale il destino dell'empio (3, l 0- 13 ). .
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Gli ebrei della diaspora accettavano l'opinione, comune nel loro àmbito culturale, secondo cui la vita doveva essere in accordo con la 'natura'. I filosofi greci e romani avevano differenze di vedute su quello che la natura richieda, ma gli ebrei erano in disaccordo con la gran maggioranza dei pagani su due punti: l'idolatria e il sesso. Ab biamo appena visto l'autore della Sapienza di Salomone argomenta re che, mentre l' idolatria greca e romana è comprensibile, essa mo stra un'incapacità di comprendere la natura: essi confondono le creature con il creatore ( 1 3, l ). Paolo sosteneva precisamente le stes se argomentazioni: che Dio sia il creatore è stato rivelato ai pagani non dai profeti ebrei, ma dalla natura: «la sua eterna potenza e divi nità>> possono essere «Contemplate nelle opere da lui compiu te>>. I pagani «hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'im magine . >> (Rm l , 1 8-23). Le pratiche sessuali dei pagani erano anch'esse ( 1 , 26). Paolo pronunciò lo stesso verdet to dell'autore della Sapienza di Salomone: colpevoli. «Sono inescu sabili>> (Rm l , 2 1 ); «Tutti quelli che hanno peccato senza la legge periranno anche senza la legge>>, dove 'perire' significa non solo morire, ma anche essere ritenuti colpevoli nel giudizio finale (Rm 2, 1 2 s.). Alcuni pagani rispetteranno la legge «scritta nei loro cuori>> e pertanto saranno trovati innocenti (2, 1 4- 1 6). Qui non abbiamo di fronte Paolo l'apostolo, che sostiene che tutti, ebrei e greci alla pari, possono essere salvati solo dalla fede in Cristo, ma il Paolo ebreo del la diaspora, che sostiene che i pagani sono colpevoli agli occhi di Dio esattamente come gli ebrei, perché avrebbero dovuto sapere dalla na tura alcune delle cose che gli ebrei appresero tramite la rivelazione43. I rabbini svilupparono la categoria dei 'pagani giusti'44• Non c'è un'unica definizione, ma ci sono commenti sporadici sul fatto che tutti dovrebbero rispettare i comandamenti 'noachici', quelli dati pri ma del diluvio. Una lista antica dei comandamenti noachici com prende un precetto, quello di stabilire tribunali, e cinque proibizioni: quella dell'idolatria, quella di 'maledire il nome' (di Dio), quella d eli' incesto, quella di spargere sangue e quella di rubare (t 'A vodah Zarah 8, 4). Il 'decreto apostolico' di At 1 5, 1 9 s. punta in una dire zione simile, e pertanto consente di datare questo tipo di lista al i se.
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43. Sulla dipendenza di questa pericope di Roma"i da materiale omiletico ebrai co standard cfr. il mio Pau / the l..a w and the Jewish People, pp. 1 23- 1 35 . 44. Moore, Judaism, l, p. 279; I l , pp. 3 8 5 s . ; 111, p. 205 (correzione di un errore di ttaduzione); P&PJ, pp. 206·2 1 2. ,
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colo. Il 'decreto' proibisce l'idolatria, l'immoralità sessuale, la carne di ani mali che sono stati 4s e la consumazione di sangue. L'argomentazione in base alla 'natura', che conosciamo dalla let teratura della diaspora, non era primariamente esegetica. l rabbini mostrano la tendenza, anche se non uno sforzo efficace e coerente, a trovare una base biblica per definire i precetti che un pagano doveva osservare. Che cosa c'era di comune? Sembra che gli ebrei in genere considerassero come peccati caratteristici dei pagani l 'idolatria e l'immoralità sessuale, specialmente le relazioni omosessuali. Come fossero giunti a queste conclusioni non possiamo saperlo con sicu rezza. Sia l' appello alla natura sia quello ai comandamenti noachici erano probabilmente razionalizzazioni secondarie. Essi 'sapevano' che l' idolatria e le pratiche omosessuali erano sbagliate. Entrambe erano condannate nella legge mosaica. Eppure la stragrande maggio ranza degli ebrei (lo Pseudo-Filone è un'eccezione) riconosceva che la legge di Mosè non governava i pagani. Potevano quindi fare tutto quello che volevano e restare senza colpa? Gli ebrei non la pensava no così. Alcune leggi dovevano applicarsi ai pagani. Penso che le prassi finite in varie liste di cose che rendono i pagani colpevoli agli occhi di Dio - piuttosto che non a quelli degli ebrei - fossero larga mente istintive. Gli ebrei trovavano alcune cose ripugnanti. L'idola tria è ovvia. La sessualità e il cibo vengono subito dopo, per le nor mali ragioni culturali. Molte società hanno visioni rigide sulla ses sualità e sul cibo, e queste visioni di solito sembrano ovvie e natura Ii. Molte persone oggi trovano repulsiva l' idea di un'attività omoses suale. La questione è perfino più facile da illustrare se usiamo il cibo: pochi dei lettori di questo libro avranno il desiderio e l'inten zione di mangiare insetti e roditori. Quegli ebrei - forse non molti - che pensavano a un giudizio fina le, probabilmente pensavano che i pagani sarebbero stati condannati e puniti per l' idolatria e l'immoralità sessuale46• Essi possono aver pensato che i pagani meritavano una punizione per queste offese in questo mondo, ma la lasciarono a Dio. Filone può avere optato per la condanna a morte, ma perfino in Palestina la prassi pagana era tolle rata, e non ci sono testimonianze di tentativi da parte degli ebrei di punire i pagani per l 'idolatria e le colpe sessuali. Coloro che pensa-
45. Cap. 1 2, n. I l . 46. La comprensione delle varie concezioni greche e romane sulle pratiche ses auali che erano in accordo con la 'natura' va oltre i fini di questo libro. Cfr. Dover, Gruk Homosnua/ity; Richlin, The Garden of Priapus.
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vano che ci fossero 'pagani giusti' probabilmente ritenevano che essi evitassero l'idolatria, l'immoralità sessuale, e forse una o due ulteriori trasgressioni. Tali pagani (secondo gli ebrei che sostenevano questo opinione) avrebbero avuto parte nel mondo a venire (tSanhedrin 1 3, 2; cfr. Rm 2, 1 4 s.). Vale a dire, anche se essi non facevano parte del patto o dei patti cui appartevano gli ebrei (con Abramo e Mosè), essi erano in un patto, il patto con Noè, o il patto racchiuso nella creazione e scrit to 'sui loro cuori ' . Essi sarebbero stati salvati. Il 'legalismo del patto' era pertanto potenzialmente espandibile. Dio aveva fatto promesse all'umanità prima di averle fatte ad Abramo. Le promesse comportava no degli obblighi; coloro che li accettavano erano 'dentro'. Quanti pagani accettavano le leggi che, nell'ottica ebraica, dove vano essere seguite anche dai non pagani? Non possiamo saperlo, ma azzarderò un' ipotesi : molto, molto pochi. C'era probabilmente un buon numero di simpatizzanti del giudaismo, persone attratte dal monoteismo e dai suoi alti modelli etici47• Ma è improbabile che i simpatizzanti abbandonassero realmente l' idolatria senza convertirsi pienamente al giudaismo. Questo avrebbe fatto di loro. un niente del tutto: religiosamente non sarebbero stati né pagani né ebrei, e legal mente la loro posizione sarebbe stata instabile: non avrebbero potuto partecipare pienamente alla religione civica, e la non partecipazione poteva condurre all'accusa di 'ateismo ' , che poteva essere un crimi ne punibile con la morte48• L'esistenza della categoria dei 'giusti del le nazioni del mondo' mostra generosità di spirito, ma discende an che logicamente dal modo in cui gli ebrei intendevano la propria re lazione con Dio. Essi erano in un patto, e avevano degli obblighi. Il loro Dio, tuttavia, aveva creato il mondo e aveva stretto un patto con l 'umanità. Doveva essere almeno teoricamente possibile per i pagani fame parte. 3 . Ricompensa e punizione, giustizia e misericordia49• Gli ebrei credevano che Dio fosse giusto, e che conseguentemente avrebbe ri compensato l'obbedienza e punito la trasgressione. La lezione prin cipale da imparare dalla storia ebraica, secondo Giuseppe Flavio, era che 47. Cfr. la discussione sul timor di Dio a cap. I l n. 34. 48. Cfr. ad es. Whiuaker, pp. 90s. 49. In questa parte come in alcune altre evito per lo più di citare materiale già usato in P&PJ, dove si troveranno abbondanti riferimenti.
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«le persone che si conformano al volere di Dio, e non si arri schiano a tra sgredire leggi che sono state ottimamente stabilite, prosperano in tutto più di quanto si aspettassero, e per loro ricompensa sono ricolmati della felicità di Dio; laddove, man mano che si distaccano dalla stretta osservanza di queste leggi, le cose (ulteriori) praticabili diventano impraticabili, e qua lunque cosa buona immaginaria essi si sforzino di fare si risolve in disastri irreparabili» (Ant. l , 14).
Nessun empio può sfuggire: Dio conosce tutto e la punizione è si cura (Ant. 3, 3 2 1 ; 4, 286). Filone scrisse un intero trattato su Ricompense e punizioni (De praemiis et poenis). L'unanime consenso sul fatto che il male sareb be stato punito e il bene ricompensato non ha bisogno di essere pro vato adducendo un elenco di passi; questa concezione accompagna l'idea che Dio è giusto. Se non ricompensasse e punisse appropriata mente ed esattamente, sarebbe capriccioso e iniquo. È più interessante considerare come questa concezione si combi nasse con altre: quelle secondo cui Dio è misericordioso, i peccatori possono pentirsi ed espiare per le loro trasgressioni, l'appartenenza al patto è per grazia divina e non dipende strettamente dal compor tamento. Il pentimento è diretto: Dio perdonerà coloro che si pentono dei loro peccati e che fanno ammenda (se il peccato è contro un altro es sere umano). Il pentimento funziona per lutti, non solo per coloro che sono nel patto ma anche per altri. Gli esterni si pentono allonta nandosi dall' idolatria e ((abbraccia[ndo] il credo di uno invece che di una molteplicità di sovrani>> (Filone, Virt. 1 7 9 ) . In questo caso, c'è una 'reciprocità di scelta' : chi è stato idolatra sceglie Dio, e Dio lo o la annovera tra gli eletti; chi ama Dio è anche amato da Dio ( Virt. 1 84 s.). L'autore di Giuseppe e Aseneth chiamò parimenti la decisio ne di Aseneth di convertirsi al giudaismo 'pentimento' (GiusAsen 1 5, 7). Giuseppe Flavio, come abbiamo visto, scrisse che la sua storia vo leva dimostrare la credibilità di ricompensa e punizione. La sua sto ria dimostra inoltre che egli pensava che il pentimento evitasse la punizione. La profetessa Culda, nella revisione operata da Giuseppe Flavio della storia di Giosia, raccontò al re che poiché Israele non si era pentito, benché gli fosse stato concesso molto tempo per farlo, la nazione avrebbe dovuto essere condotta fuori dal suo paese dopo la sua morte (Ant. 1 0, 59-61 ) . Precedentemente, Dio aveva accettato la preghiera di pentimento di Ioacaz, aveva ammonito i potenti piutto-
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sto che distruggerli, e aveva ristabilito la prosperità del paese (Ant. 9, 1 7 5s . ) Similmente Filone pensava che Dio avrebbe restaurato la nazione di Israele se essi avessero > e avessero «dimenticato l'insegnamento della loro stirpe e dei loro padri>>, avrebbero potuto fare «una piena confessione e un rico noscimento di tutti i loro peccati» (Praem. 1 62 s.). Nel linguaggio rabbinico, una persona che fosse completamente empia poteva pen tirsi alla fine ed essere salvata (ad es. tQiddushin l , 1 5 s.). Azaria è rappresentato mentre confessa che lui e i suoi compagni hanno «pec cato in ogni cosa e non [hanno] obbedito [ai] comandamenti>> (cfr. sopra). Dio aveva un altro modo di cancellare i peccati delle persone che gli erano fondamentalmente fedeli : la punizione. Paolo condivideva un'opinione comune, secondo la quale la punizione in questo mondo è appropriata; uno non viene punito sia in questo mondo sia nel mondo a venire; non c'è un 'doppio pericolo'. Nel linguaggio teolo gico, la sofferenza e la morte espiano i peccati. Le persone di Corin to che mangiavano e bevevano indegnamente si ammalarono o mori rono; non andarono all'inferno ( l Cor I l , 30). L'uomo della Chiesa di Corinto che commise incesto meritava la morte, ma il suo spirito si sarebbe salvato ( l Cor 5, 1 -5). I rabbini del II secolo elaborarono questo tema: ci si doveva preoccupare del fatto di non soffrire in questo mondo, dato che poteva significare che la punizione era an cora in serbo. I giusti soffrivano in questo mondo per i loro (pochi) peccati51• L'idea che la sofferenza fosse una punizione o un castigo di Dio era molto comune nel nos tro periodo, così come prima e in seguitoS2, e ad essa si aggiunse la concezione secondo cui giustizia sarebbe stata fatta quando una persona avesse sofferto. Un'ulteriore punizione sarebbe stata ingiusta, ma Dio era giusto. La punizione per i peccati non era la dannazione, ma la sofferenza e, al peggio, la morte. Se questo non funzionava, la ricompensa e la punizione potevano essere rimandate al mondo a venire. Paolo pensava che i cristiani ('noi') sarebbero tutti apparsi «davanti al tribunale di Cristo, ciascu no per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male>> (2 Cor 5, I O). Questa non è una mi naccia che alcuni cristiani saranno distrutti, ma solo che possono esS I . Per passi rabbinici sulla sofferenza come espiazione cfr. P&PJ, pp. 168- 1 72; sulla preoccupazione se non si soffre in questo mondo cfr. Sifre Deuteronomio 32 e Mekhilra, Ba-}Jodesh, l O (ed. Lauterbach, 11, pp. 280-282). 52. PsSa/ 8, 25 s.; IO, l e altrove; I QS 8,3 s.; Sap 12, 2.20-22; per passi rabbini ci cfr. n. preced.
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sere puniti. Perciò, parlando di sé e di Apollo, egli scrisse che l ' ope ra di un apostolo incapace sarebbe finita nel fuoco e lo stesso apo stolo si sarebbe salvato solo «attraverso il fuoco>>, cioè bruciato ( l Cor 3 , 1 5). Nello stesso contesto, Paolo affermava di non sapere nul la che p�tesse valere contro di lui al giudizio finale, ma che Dio po teva pensare a qualcosa e, si presume, punirlo per essa (come se non avesse già sofferto abbastanza!). Quando verrà il Signore, continua va Paolo, Dio darà a ciascuno una 'lode' appropriata ( l Cor 4, 4 s.). In questi casi la ricompensa non è il cielo e la punizione non è l'in ferno. Paolo sta parlando di persone che saranno salvate, ma saranno 'lodate' o punite leggermente nel giudizio finale, a seconda delle loro azioni. Durante i periodi di persecuzione, gli ebrei dovettero pensare ad altre spiegazioni della sofferenza e della felicità in questo mondo, dato che erano precisamente i più fedeli a Dio che soffrivano di più. Persecuzioni precedettero e seguirono il nostro periodo, ma mi limi terò a poche indicazioni sui modi in cui i teologi ebrei potevano te ner fronte quando la concezione usuale incontrava difficoltà. Dopo le persecuzioni sotto Antioco IV Epifane, per esempio, alcune perso ne interpretarono le morti di martiri giusti come dotate di funzione vicaria, e affermarono che i martiri non erano morti invano, dato che la loro causa era stata in seguito vendicata: gli ebrei avevano vinto quella rivolta53. Dopo la seconda rivolta contro Roma, che era stata preceduta dalla proscrizione della circoncisione da parte di Adriano, furono ancora una volta i più giusti che soffrirono di più. In questo caso i rabbini trasferirono ricompensa e punizione nel mondo a veni re. . Dio è «Un Dio verace e senza malizia>> (Dt 32, 4); pertanto, pro prio come «ripaga il perfetto giusto con la ricompensa di un comandamento che egli ha adempiuto in questo mondo [dopo che egli è] nel mondo a venire, cosl egl i ripa ga il perfetto empio con la ricompensa di un comandamento che egl i ha adempiuto in questo mondo [mentre è) in questo mondo ... » (Sifre Deuteronomio 307).
Questo passo, come 2 Cor 5, l O e l Cor 4, 4 s., ha esplicitamente 53. Cfr. J&J. p. 4 1 2 n. 3 1 , su Barre!!, The Background of Mark 10:45, a cura di Higgins. pp. 1 - 1 8 .
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in vista il giudizio finale: «Nel futuro, quando sederà sul trono di giustizia, sederà a giudizio [ ... ) e darà a ciascuna persona ciò che gli è proprio>>!\4• Non intendo proporre l' idea che nel nostro periodo fosse comune trasferire ricompensa e punizione nel mondo a venire. Al contrario, la maggior parte degli ebrei sembra aver accettato la concezione del Deuteronomio, secondo cui la giustizia di Dio si esercita all'interno di questo mondo (benché moderata dalla sua misericordia). Giusep pe Flavio, contemplando l'orrore della prima rivolta, rimaneva anco ra fedele all'opinione secondo cui il suo popolo aveva meritato quel lo che aveva avuto. Io ho argomentato, piuttosto, che ricompensa e punizione non sono la «soteriologia ebraica>>. Perfino quando sono rimandate al mondo a venire, come nel caso di Paolo e di alcuni rab bini dell'epoca dopo il 1 35 d.C., non sono ancora soteriologia. Se la giustizia non è amministrata in questo mondo, sarà amministrata nel mondo a venire. La salvezza dipende da una posizione complessiva, che uno sia o meno 'in ' ; per gli ebrei non-cristiani, la salvezza di pendeva dall'essere nel patto (con Mosè) o, nel caso dei pagani, in un patto (con l'umanità o con Noè). Per Paolo, naturalmente, la que stione era se si faceva parte o meno del corpo di Cristo. Nella conce zione di tutti gli ebrei, incluso Paolo, ricompensa e punizione dipen devano dalle azioni. Paolo e i rabbini non elaborarono questi princìpi esattamente nella stessa maniera. I rabbini sostenevano che la puni zione dei giusti è completata in questo mondo, mentre la loro ricom pensa è dilazionata; Paolo contemplò la possibilità che i giusti potes sero essere leggermente puniti nel mondo a venire. Troviamo ciò che li accomuna scoprendo i princìpi sottesi, che Dio salva secondo la sua misericordia e secondo la posizione di base dell'individuo, ma ricompensa e punisce secondo la sua giustizia, tenendo pertanto con to di particolari buone e cattive azioni. Gli ebrei ritenevano, naturalmente, che ci fosse una generica cor relazione tra i buoni e i salvati, e tra i malvagi e coloro che non otte nevano la felicità eterna. Questo non significa 'giustificazione dalle opere ' , ma solo buon senso, come vedrà chiunque si immagini il contrario. «Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere>>, secondo le parole di Gesù (Mt 7, 1 6.20). Sarebbe irragionevole pensare che le persone che amavano Dio e desideravano essere membri a pieno ti tolo del patto non cercassero di rispettare le sue leggi, o almeno la S4. Sulla retribuzione oltremondana cfr. P&PJ, pp. 1 25-128.
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loro maggioranza, per la maggior parte del tempo. Similmente Paolo non poteva immaginare che coloro che vivevano secondo lo Spirito avrebbero portato il frutto della 'carne' (ad es. Gal 5, 1 6-24), ed era sempre meravigliato quando lo facevano. Nel giudaismo normale, una persona che ignorasse sistematicamente e regolarmente i co mandamenti sarebbe stata considerata un apostata, e ci si sarebbe aspettati che Dio trattasse quella persona di conseguenza. Peccare intenzionalmente e deliberatamente, 'con malizia premeditata' , e ri fiutare di pentirsi, esclude dalle benedizioni derivate dal patto. C'era una tendenza generale a dividere il mondo in 'empi' e in 'giusti' , ma non si trattava di compartimenti stagni. In particolare, era ben noto che i giusti potevano peccare. Questo era il motivo del loro soffrire; Dio li castiga va. Il castigo non era in proporzione al peccato, come abbiamo visto sopra. Coloro che trasgredivano veni vano corretti «poco alla volta>>, puniti (Sap 1 2, 2.20). Dio corregge i trasgressori solo temporanea mente e «non con ira>> (LAB 1 9, 9). Egli non punisce le persone «in proporzione alle loro offese né in base alla grandezza della sua for za, ma esercita clemenza>> (Arist. 1 92). Questo è un tema centrale dei Salmi di Salomone, che devono essere datati all' inizio del nostro periodo, circa al tempo dell' invasione di Pompeo. Dio distinguerà tra i giusti e gli empi, liberando i primi ma punendo i secondi «per sempre>> (PsSa/ 2, 34 s.). i giusti, a dire il vero, soffrono, ma lo ac cettano come castigo (3, 3 s.; 8, 26; I O, l s.). «Non simili sono il ca stigo dei giusti (per peccati commessi) nell'ignoranza, e la rovina dei peccatori» ( 1 3, 7).
7. UTUl religione della grazia
Fondamentale per la religiosità ebraica era la concezione secondo la quale la grazia divina precedeva la richiesta di obbedienza ed è sottesa sia alla vita di Israele sia anche all'intero universo. I temi della creazione e dell'elezione lo dimostrano in modo particolare: Dio ha creato il mondo e benedetto la sua opera, dichiarandola buo na, prima di dare i comandamenti; e ha scelto Israele e ha liberato il popolo dall'Egitto prima di dare la legge. La grazia antecedente di Dio sta alla base dell'esistcnt.a umana: (Ant. 4, 2 1 2 s.; il cor sivo è mio).
Secondo questo passo, l'adempimento dei comandamenti di in dossare i tefillin e di affiggere le mezuzot non guadagnava meriti, ma attestava a tutti quelli che passavano !"amorevole cura' di Dio. La stessa teologia si ritrova nella trattazione della preghiera nel tempio da parte di Giuseppe Flavio. Se questa rifletta preghiere sa cerdotali, o sia un' indicazione più generale del modo in cui Giusep-
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pe Flavio concepiva il dovere per tutti gli ebrei di pregare durante il culto, non può essere stabilito con certezza. In ogni caso il passo mostra la teologia di un sacerdote fariseo di prima del 70: «Al momento de[i) sacrifici le preghiere per la salvezza della comunità de vono avere la precedenza su quelle per noi stessi; perché noi siamo nati per la fratellanza, e chi pone le esigenze di questa al di sopra dei suoi interessi privati è particolarmente beneacceuo a Dio. Dovremmo implorare Dio non di concederci benedizioni, perché egli ce le ha date spontaneamente e le ha poste a disposizione di tutti. ma per la capacità di riceverle, e, una volta ri cevute, di mantenerle» (Ap. 2, 1 96 s.).
Anche le buone azioni non appartengono interamente alle persone che le hanno compiute: «Dio porta a compimento le azioni di tutti e [li) guida con il [suo) potere sovrano>> (Arist. 195). Allo stesso modo fama e ricchezze non derivano dai meriti delle persone, ma sono concesse come doni da Dio (Arist. 196). La concezione generale ebraica della religione, dunque, aveva come suo centro la grazia precedente di Dio - ciò che i teologi cri stiani più tardi avrebbero chiamato 'grazia preveniente' - e il suc cessivo comando all' obbedienza. Le discussioni sulla teologia del Nuovo Testamento contrappongono spesso la teologia cristiana, nel la quale !"indicativo' precede !" imperativo', alla teologia ebraica, che - così si crede - funziona al contrario. Vale a dire, mentre il cri stianesimo dice «Dio vi ama: perciò amatevi gli uni gli altri>>, il giu daismo direbbe: «Amatevi gli uni gli altri e allora otterrete l'amore di Dio>>. Il cristianesimo è una religione della grazia, il giudaismo una religione del merito e della giustizia retributìva, nella quale le persone devono sforzarsi di conquistare il favore di Dio, e sono sem pre ansiose al pensiero di non aver fatto tutto il necessario per otte nerlo. A favore di questa distinzione, i cristiani possono citare Gv l , 1 7: «La legge fu data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità venne ro per mezzo di Gesù Cristo». Questo prova che il cristianesimo fu la prima religione della grazia. Storicamente, non fu così. È naturalmente vero che molti dì colo ro che trovarono Dio attraverso Gesù lo videro come l'unico media tore della grazia di Dio. Ma dal punto di vista della memoria storica, i teologi ebrei precristiani e non cristiani sostenevano che la grazia di Dio era alla base di tutta la vita, che Dio aveva scelto e liberato Israele dalle catene prima di esigere obbedienza alla legge, e che Dio sarebbe rimasto fedele alle sue promesse nonostante la disobbedien-
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za. Essi compresero che obbedire alla legge era la risposta più ap propriata degli ebrei alla grazia precedente di Dio. Accorgendosi, del tutto correttamente, che nel descrivere il giu daismo in questo modo ho talvolta usato espressioni tratte dalla teo logia cristiana («il dono preq0de la richiesta>> e simili)55, alcune per sone hanno sostenuto che io ho sovrapposto questa teologia alla let teratura ebraica, dove di fatto non doveva essere trovata56• Tutto quello che posso fare è esortare tali lettori a studiare i passi che ho citato sopra, così come i passi in Pau/ and Palestinian Judaism che non ho citato qui (cfr. le nn. 5 1 , 54, 55). Penso che sarebbe impossi bile asserire la priorità della grazia ancor più chiaramente di quanto fecero questi antichi teologi ebrei. Come ha osservato David Daube, «l'astratto o il generale riman gono a lungo inosservati laddove il concreto o lo specifico monopo lizzano J'attenzione>>s7. l termini generalizzanti 'grazia preveniente', 'priorità del dono sulla richiesta', e 'l'indicativo precede l'imperati vo', rivelano un'astrazione teologica basata su questioni concrete. L'episodio di Dio che ha liberato Israele dall'Egitto prima di richie dere obbedienza alla legge è nell Eso do ma l'Esodo non usa queste frasi o altre simili. Anche Paolo non coniò l'espressione generaliz zante «la grazia precede la richiesta>>. Ma questa idea è chiara nella letteratura ebraica non cristiana tanto quanto nella lettere di Paolo. l rabbini insistevano sul fatto che gli ebrei in Egitto meritavano l'estinzione, ma che Dio li salvò ugualmente58• Perché Dio aspettò fino a Es 20 prima di dare i Dieci Comandamenti? Perché scelse di liberare prima il suo popolo, e solo allora di esigere che obbedisse alla sua legge59• Perché gli ebrei portano le primizie e recitano la '
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55. Cfr. P&PJ. pp. 92-97: si osservi 'indicativo e imperativo' a p. 27. Ho anche argomentato diffusamente che la grazia era percepita come antecedente alla legge (ad es. pp. 85-87, 1 76- 1 79. 29 1 -298, 4 1 9-423, 543, 548 s.). 56. Sono lieto di riferire che la maggioranza degli studiosi cristiani è stata d'ac cordo con la mia argomentazione, ma alcuni hanno mosso obiezioni. Talune di que ste sono state alimentate dall'ira per il fatto che io osi definire 'religione di grazia' una religione non cristiana, e alcuni hanno insistito, nonostante tutta la documenta zione, che il giudaismo era in reallà una religione del merito contrapposto alla gra zia. Credo tuttavia che in qualche caso i lettori possano essere stati tratti in inganno dai termini che usavo. 57. Daube, Standing in for Jack Coons, in «Rechtshistorisches Joumah> 7, pp. 179-190: p. 1 80. 58. P&PJ, p. 99. 59. lvi, p. 86.
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confessione? In ringraziamento a Dio per aver liberato il suo popolo e per avergli dato una terra da coltivare. Che cosa pregano gli ebrei nel tempio? Offrono ringraziamenti a Dio per le sue grazie. Perché gli ebrei affiggono le mez.uz.ot e indossano i tefillin? Per mostrare l 'amorevole cura con cui Dio li circonda (tutto da Giuseppe Flavio). Finora abbiamo visto che, secondo l'opinione ebraica comune, Dio scelse benignamente Israele e diede loro la sua legge; che essi dovevano obbedirle; che la trasgressione era punita e l'obbedienza ricompensata; che la grazia di Dio modificava la punizione in diversi modi, dal momento che Dio non desiderava condannare né distrug gere; che egli mostrava misericordia in modo da condurre le persone al pentimento; che essi potevano pentirsi ed espiare; che Dio poteva anche compiere l ' espiazione punendo coloro che gli erano fonda mentalmente fedeli; che l'obbedienza e l'espiazione mantenevano le persone nel patto della grazia. Finora, tuttavia, abbiamo anche detto assai poco sui destini ultimi della vita umana. Che cosa riservava il futuro?
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
SPERANZE PER IL FUTURO
Il giudaismo non fu primariamente una religione della salvezza individuale. Un elemento costante di interesse fu che Dio doveva mantenere il suo patto con il popolo ebraico e che la nazione doveva essere salvata. Una delle rivendicazioni più forti e più convincenti di Giuseppe Flavio fu quella secondo cui gli ebrei erano rimasti fedeli all'elezione e alla legge nella buona e nella cattiva sorte. Nessun'al tra nazione dimostrò una tale fedeltà alla propria costituzione (ad es. Ap. 2, 234). La salvezza nazionale si profila molto più grande della vita individuale dopo la morte, e pertanto cominceremo con le spe ranze per il futuro della nazione.
l . Ilfuturo di Israele La maggior parte degli ebrei in Palestina nel periodo romano desi derava la 'libertà'. È dubbio se perfino i leader sacerdotali importan ti e i 'potenti', i principali beneficiari del governo romano diretto sulla Giudea, gradissero veramente di dover rispondere a Roma. Erode godette di autonomia nelle questioni interne, ma deve aver de siderato a volte che Roma non lo controllasse da vicino. Ai discen denti di Erode fu impedito di guerreggiare tra loro perché tutti dove vano rispondere delle loro azioni a Roma, e questo fu senza dubbio un vantaggio per loro: ma alcuni avrebbero preferito essere monar chi indipendenti. La 'libertà' , fino a che rimase indefinita, fu qualco sa su cui gli ebrei potevano concordare, ricchi e poveri insieme, an che se possono aver esitato a impiegare il termine. l romani conosce vano perfettamente bene uno dei suoi significati. Questo consenso sul termine ebbe fine: non durò molto a lungo. La libertà di una persona era la schiavitù di un' altra. Gli Asmonei, discendenti della famiglia che aveva liberato Israele dal giogo dei Seleucidi, erano considerati da molti come coloro che ne avevano imposto uno peggiore. Il governo diretto da parte di Roma sarebbe
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stato migliore. Aprite le porte a Pompeo ! (Bell. l , 1 42 s.). In seguito, alcuni desiderarono che le porte fossero aperte a Erode piuttosto che essere governati da Antigono (Ant. 1 5, 3). Ci furono periodi nei qua li gli unici in pace erano coloro che definivano il proprio desiderio di libertà in modo tale che non entrasse in conflitto con il desiderio di dominio di altri. I farisei, pare, alla fine padroneggiarono quest'arte (cap. 1 8). Essi provocarono la fuga degli aristocratici da Gerusalem me durante la loro permanenza al potere sotto Salome Alessandra (76-67); ma quando Aristobulo II, il sostenitore degli aristocratici, si impadronì del trono e del sommo sacerdozio dopo la morte di sua madre (Beli. l , 1 1 7- 1 2 1 ), i farisei ovviamente caddero. Non ci viene riferito di esecuzioni di massa. Decenni dopo (ca. 20 a.C.) essi rifiu tarono di giurare fedeltà a Erode; quindici anni più tardi due dei loro maestri spinsero alcuni giovani ad abbattere l'aquila d'oro di Erode dal tempio (5-4 a.C.); dopo un altro decennio alcuni sostennero Giu da il Galileo (6 d.C.); ma per lo più mantennero il loro malcontento per se stessi. Possiamo supporre che fossero liberi di fare quello che pensavano fosse più importante: adorare Dio e vivere secondo la legge. Ma si può essere certi che continuarono a sperare in qualcosa d'altro che non l 'alleanza tra gli amministratori romani e i sacerdoti importanti. La speranza per il futuro andò da un estremo all'altro, dal tramare rivolte e accumulare armi al pregare quietamente affinché Dio faces se qualcosa per cambiare il corso degli eventi. In teoria, potremmo distinguere il fine - il desiderio di tempi migliori - dai mezzi - la preghiera, l'uso delle armi e simili. Alcune persone avevano speran ze molto modeste, come un sommo sacerdote migliore o una mag giore prosperità, mentre altri avevano sogni grandiosi, come la sotto missione o la conversione dei pagani. Alcuni erano disposti, e altri no, a incoraggiare o a usare in prima persona la violenza allo scopo di realizzare i propri intendimenti. Le nostre informazioni, tuttavia, sono incomplete, e non possiamo sempre descrivere sia i mezzi sia i fini. Ci sono più testimonianze su ciò che le persone erano disposte a fare per affrettare tempi migliori che non su quel che essi erano, ma in entrambi i casi possiamo discernere una grande varietà. È questa vasta gamma che desidero qui esemplificare. È possibile che gli ari stocratici sadducei non sperassero molto per il futuro. l migliori spe ravano che nulla andasse male, che gli amministratori romani fosse ro leali e perbene, che i raccolti non scarseggiassero e che il popolo non s i rivoltasse. I peggiori desideravano diventare più ricchi. Eppu-
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alcuni, come dimostrerò, avrebbero preferito un cambiamento, come voleva la maggioranza della gente.
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2. Guerra e resistenza La speranza per il futuro spesso si esprime in forma negativa: la mentele, proteste, insurrezioni. Prenderemo in considerazione per prime queste modalità. l . C'era chi era pronto, appena si presentasse un'opportunità ra gionevole, a imbracciare le armi. Giuseppe Flavio attribuisce questa opinione alla 'quarta filosofia' , fondata da Giuda il Galileo e da Sad dok i l fariseo nel 6 d.C. (Ant. 1 8, 3-1 0.23-25; Beli. 2, 1 1 7 s.). In quell'anno Archelao era stato deposto, Roma aveva inviato il suo primo prefetto a governare direttamente, e c 'era stato un censimento a scopo di tassazione. Gli ebrei erano stati abituati a pagare tasse indirette a Roma, dato che Roma imponeva i tributi a Erode e ai suoi discendenti. Giuda il Ga l ileo e i suoi seguaci scelsero di combattere per resistere all'ulteriore significativa imposizione di un governo straniero rappresentata dalla tassazione diretta (questo è il motivo assegnato loro in Ant. l S, 4). Nella Guerra giudaica Giuseppe Flavio scrisse che il partito di Giuda non aveva niente in comune con gli altri, mentre nelle Anti chità giudaiche affermò che c'era un pieno accordo tra il partito e i farisei, ad eccezione del fatto che i suoi membri amavano più la li bertà della vita. Si tratta di due diversi tentativi di negare che gli ebrei, in generale, volessero la libertà politica e fossero disposti a combattere per essa e, se necessario, a morire. Di fatto, come abbia mo visto al cap. 4, l'insurrezione guidata da Giuda il Galileo fu pre ceduta e seguita da incidenti analoghi ; la quarta filosofia non era del tutto nuova. Nel cap. 1 8 indagheremo più ampiamente la relazione tra la quarta filosofia e i farisei; per ora ci limitiamo a notare la loro alleanza. Una convenzione radicata della critica è quella di identificare la 'quarta filosofia' con un partito o una sètta, chiamando i suoi mem bri 'zeloti' e ritenendo che il partito degli zeloti fosse il movimento libertario che alla fine portò Israele alla guerra contro Roma. Secon do questa opinione, un singolo partito resistette dal 6 d.C. fino alla caduta di Masada, ergendosi a paladino della rivoluzione per l'intero
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periodo. Il partito degli zeloti aveva un'ala radicale, chiamata i 'sica ri' (gli 'assassini').
Ci sono due pecche in questa visione. Sul piano terminologico, è meglio usare l' etichetta 'gli Zeloti' (con la maiuscola) come faceva Giuseppe Flavio: il nome di un gruppo che emerse nel corso della grande rivolta, attaccò e sconfisse i capi aristocratici, giustiziò alcuni degli aristocratici rimasti, e difese Gerusalemme ad oltranza (Be/l. 2, 65 1 ; 4, 1 60, 1 48; 7, 268). I sicari non erano un braccio di questo gruppo; essi sorsero prima ed ebbero una storia separata. È conve niente, lo riconosco, avere un'etichetta generale per gli insorti, e quella di 'Zeloti' sembra adatta, poiché l'ideale dello zelo per la leg ge era ben radicato. Nondimeno, sarebbe meglio non impiegare un singolo nome, e in special modo non chiamare tutti gli insorti 'Zelo ti' : a) tale nome si riferisce a un gruppo specifico in un periodo spe cifico; b) l'uso di un'etichetta partitica per inglobare diversi movi menti nell ' arco di un lungo periodo implica erroneamente che i mo tivi e le basi logiche delle insurrezioni siano rimasti costantil. Ci fu, naturalmente, la questione comune della libertà: l ibertà di vivere se condo la legge come noi la vediamo; libertà dagli Asmonei, da Roma, da Erode, e così via. È tuttavia fuorviante pensare che ci fos se un unico interesse sovrastante che accendesse ogni insurrezione. La questione più importante è se ci fu o no un partito che durò nel tempo con una filosofia coerente: la rivolta armata. Nominando la quarta filosofia assieme con gli altri partiti (farisei, sadducei ed esse ni), G iuseppe Flavio implica che ci fosse. Molti studiosi, perfino al cuni che sanno che Giuda il Galileo non dovrebbe essere chiamato uno zelota, e che non mescolano tutti i diversi contestatori in un uni co partito, accettano l 'implicazione di Giuseppe Flavio e parlano di Giuda come del fondatore di una 'sètta' duratura. La difficoltà di ciò sta nel fatto che il partito scompare dal resoconto di Giuseppe Flavio per sessant'anni (6-66 d.C.). Se durante questo periodo un partito l . Horsley e Hanson osservano che «alcuni distinti studiosi americani» hanno sottolineato come i sicari non fossero zeloti, come gli zeloti non siano stati un parti to che durò dal 6 al 74 d.C. (bensì ebbero origine nell'inverno del 67-68) e come molte delle caratteristiche attribuite al presunto partito zelota fossero comuni (Ban dirs, Prophers, and Messiahs, pp. XI·XXVIII: p. Xlii). Gli studiosi che hanno fatto tali affermazioni sono Foakes Jackson - Lake, The Beginnings of Chrisrianiry, 1, pp. 421 -425; S. Zeillin, Zealors and Sicarii, in JBL 8 1 ( 1 962), pp. 395-398; M. Smilh, Zealors and Sicarii: Their Origins and Relarions, in HTR 64 ( 1 97 1 ), pp. 1 - 1 9. K. Lake e J. Foakes Jackson erano inglesi.
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importante guidò la rivolta armata, perché non ne sappiamo di più? Ci furono parecchie occasioni, durante quei sessant'anni, nelle quali un partito impegnato nella rivoluzione avrebbe potuto essere impie gato per fomentare una rivolta aperta. Rhoads cerca di giustificare questo fatto, pur accettando ancora l'asserzione di Giuseppe Flavio che Giuda fondò una 'filosofia' ; egli conclude che Giuda fondò una setta (anche se non veniva chiamata 'degli Zeloti '), ma questa rima se inerte per un'intera generazione, dal 6 al 44 d.C., e perfino dopo i l 44 fu troppo debole pe r meritare una menzione separata2• Sarebbe meglio ammettere che non ci sono testimonianze di una continuità del partito. Giuda ispirò uno scoppio rivoluzionario tra i tanti. Giu seppe Flavio voleva isolare i ribelli, e lo fece in parte relegandoli in una 'filosofia' separata. La filosofia che Giuseppe Flavio attribuisce a Giuda il Galileo è 'Nessun padrone tranne Dio' (per usare la parafrasi usuale di svaria te espressioni dello scrittore: Bel/. 2, 1 1 8 ; Anr. 1 8 , 23). La determi nazione a essere governati solo da Dio è attribuita anche ai sicari, che difesero Masada (Bel/. 7, 323 ; per l' identificazione di questi ri belli come sicari cfr. Bel/. 4, 5 1 6) e si uccisero piuttosto che sotto mettersi a Roma. Altri sicari scapp arono in Egitto (Beli. 7, 410 s.), dove alla fine vennero catturati. > (Ant. 1 8, 267). Speravano, cioè, che se la ragione non fosse prevalsa Dio avrebbe interceduto per loro, o combattendo al loro fianco (su questo cfr. oltre, al punto 3 sotto), o facendo un mira colo che confondesse i nemici del suo tempio. N el caso dei maestri che ispirarono alcuni giovani ad abbattere l'aquila offensiva, essi prima di tutto speravano che Erode fosse troppo vicino alla morte per fare alcunché. La loro seconda speran za, nel caso che ciò non risultasse vero, era la vita individuale dopo la morte: «l'immortalità e un senso eternamente presente di felicità>> (Beli. l , 650). Non importa se i partecipanti a questi due eventi ragionassero ef fettivamente così o meno. Giuseppe Flavio, da buono storico elleni-
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stico, attribuì loro sentimenti appropriati all'occasione. I ragiona menti secondo cui Dio avrebbe potuto intervenire direttamente, o avrebbe dato la vita eterna a coloro che lo avevano servito, erano correnti ai suoi giorni e su di essi confidavano quelli che rischiavano le proprie vite per un futuro diverso. 3. A metà strada tra questi due tipi c'erano coloro che guardavano con impazienza a una grande guerra, nella quale Dio, direttamente o per procura, avrebbe giocato il ruolo cruciale, ma nella quale anch'essi dovevano impugnare le armi. Alcuni di questi lasciarono scritte le proprie visioni del futuro. I due documenti principali sono PsSal 1 7 e la Regola della guerra proveniente da Qumran. Secondo il primo dei due, il Messia davidico entrerà a Gerusalemme, caccerà i pagani e anche gli ebrei peccatori (specialmente i sacerdoti asma nei), e stabilirà il nuovo Israele, con le tribù riunite, come regno ideale. Anche se il figlio di Davide non farà assegnamento sulle armi e sui numeri, ma soltanto su Dio, si suppone che l' autore del salmo pensasse che avrebbe sparso un po' di sangue. Secondo la Regola della guerra gli appartenenti alla sètta - che saranno diventati un Israele pienamente vero, con tutte le dodici tribù rappresentate - di struggeranno per primi gli israeliti peccatori e poi i pagani, mentre Dio stesso darà i colpi decisivis. I pii dei Salmi di Salomone e i membri della sètta di Qumran non erano i soli a nutrire la speranza che Dio combattesse al loro fianco. Quando Felice era procuratore (52-59 d.C.), un uomo noto solo come 'l'Egiziano' radunò una moltitudine e marciò su Gerusalem me. (La moltitudine viene stimata da Giuseppe Flavio, Bel/. 2, 26 1 , in 30.000, e da At 2 1 , 38 in 4.000.) Secondo uno dei racconti d i Giu seppe Flavio, l'Egiziano marciò dal deserto al monte degli Olivi. Egli intendeva «forzare un ingresso di Gerusalemme e, dopo aver sopraffatto la guarnigione romana, autonominarsi tiranno del popo lo>> (Beli. 2, 26 1 -263). Secondo l 'altro racconto, l' Egiziano chiamò a raccolta «le masse della gente comune» perché si unissero a lui sul monte degli Olivi. Egli sosteneva che «al suo comando le mura di Gerusalemme sarebbero crollate» (Ant. 20, 1 69-1 72). In entrambi i casi, le truppe romane equipaggiate con armi pesanti posero fine alle sue speranze, uccidendo molti dei suoi seguaci, benché egli riuscisse a scappare. S i deve dubitare del fatto che l 'Egiziano pensasse seriamente che S. l..a Regola d�lla guerra è discuua piil partic:ol���eggiatamrnle ollre, pp. 409 s.
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la sua marmaglia potesse conquistare Gerusalemme con mezzi con venzionali. L'affermazione, presente nelle Antichità giudaiche, se condo cui egli e i suoi seguaci si aspettavano che le mura crollasse ro, probabilmente mostra la direzione giusta, almeno in parte. I suoi seguaci non avevano certo contato le spade, le !ance e le corazze, concludendo che potevano prevalere e annientare i romani; pensava no, piuttosto, che se avessero fatto il primo passo, se mettendo a ri schio le proprie vite avessero assestato il primo colpo, Dio stesso avrebbe pensato al resto. All' inizio, quando era procuratore Fado (44-46), un profeta evi dentemente ancor meno militarista, Teuda, aveva raccolto «la mag gioranza del popolo>> nel deserto (400 persone, secondo At 5, 36), li aveva persuasi a portare con sé i propri beni, e aveva promesso loro che quando fossero giunti al Giordano il fiume si sarebbe diviso. Fado inviò la cavalleria e molti furono uccisi, incluso Teuda, la cui testa fu portata a Gerusalemme (Ant. 20, 97-98). In sommari Giuseppe Aavio indica altri casi del genere. Al tempo di Felice vari «ingannatori>> persuasero folle a seguirli nel deserto «con la convinzione che Dio avrebbe là dato loro pegni di liberazio ne>> (Bel/. 2, 258-260; An t. 20, 1 67 - 1 68). Sembra che, ad esclusione della plebaglia guidata dall'egiziano, nessuno di questi gruppi intendesse combattere, o per lo meno non molti. Le persone che seguirono altri profeti nel deserto si aspettava no che Dio desse loro 'pegni di liberazione', come quelli che aveva no accompagnato l'esodo e la conquista della terra di Canaan (sepa razione delle acque, crollo delle mura). Essi probabilmente pensava no che, buttandosi allo sbaraglio e rischiando la vita, avrebbero af frettato il giorno della loro liberazione, ma guardavano a Dio come al comandante in capo che avrebbe inferto il colpo decisivo. La loro visione del futuro probabilmente differiva da quella dei lettori della Regola della guerra solo nel grado. Essi avrebbero dovuto combat tere meno aspramente di quanto pensassero i membri della setta di Qumran. In tutti questi casi la redenzione era fondamentalmente nel le mani di Dio. Questa speranza non svanì mai completamente. Quando le truppe romane appiccarono il fuoco all 'ultimo portico del tempio, «le don ne e i bambini poveri del popolo e una moltitudine mista>> - lo stesso genere di persone che seguivano i primi profeti della salvezza - fu rono bruciati vivi, avendo seguito un profeta che diceva che Dio co mandava loro di andare al tempio, per ricevere là . Giuseppe Aavio aggiunge che questo profeta non era il solo e che altri avevano invitato la gente ad «attendere aiuto da Dio>> (Beli. 6, 283-287; cfr. l , 347). Si dovrebbe sottolineare il fatto che la maggior parte degli antichi si aspettava che Dio (o uno degli dèi) ponesse direttamente mano alle faccende umane; e, di fatto, essi lo vedevano come colui che ciò aveva compiuto, a prescindere dall'esito. Se il fallimento e la morte erano il risultato, era perché Dio lo aveva voluto. Come abbiamo vi sto nel cap. 1 3, Giuseppe Flavio riteneva che Dio progettasse la sconfitta degli ebrei nella guerra contro Roma. Il tempio era stato contaminato dagli omicidi dei sicari e c 'erano state altre trasgressio ni. Il risultato fu che Dio «fece prevalere i romani su di noi e purifi cò la città col fuoco, mentre inflisse la schiavitù a noi con le nostre mogli e i nostri bambini: giacché egli voleva punirei con queste ca lamità>> (Ani. 20, 1 66). Dal punto di vista dei pensatori antichi, le cose avrebbero potuto altrettanto facilmente concludersi nell'altro modo. Non era una que stione di calcolo della forza militare, ma piuttosto di quello che Dio sceglieva. Gli ebrei di tutte le sètte continuarono a sperare che egli scegliesse di appoggiarli. Giuseppe Aavio descrive gli «impostori e imbroglioni>> che promettevano al popolo segni di salvezza come gente che riteneva di agire «in armonia con il progetto di Dio>> o con la «provvidenza>> (Ani. 20, 1 68)6• Giuseppe Aavio attribuisce la fede nel libero arbitrio ai sadducei, ed è per lo meno probabile che essi non credessero al controllo di Dio sulla storia. Ma chiunque altro ci credeva. Si riteneva che Dio prendesse tutte le decisioni reali. Coloro che speravano di provocare l'intervento divino nella causa per la libertà non erano, secondo gli standard del tempo, membri dell'ala estrema. La questione reale era se Israele avesse sofferto abbastanza - come il Deuteroisaia aveva da molto tempo proclamato (Is 40, 2) - o se i peccati del popolo ri chiedessero ancora una punizione per mano dei pagani. Molte perso ne ritenevano che fosse giunto il momento per Dio di liberare il suo popolo dalle catene: secondo la loro opinione non avevano da fare molto, se non soltanto procurare l'occasione giusta e incoraggiare l 'azione divina dimostrando la loro fiducia in lui. La loro fiducia, dopo tutto, si fondava sulla garanzia della parola stessa di Dio, come 6. Sulla provvidenza cfr. sopra. pp. 346·349.
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era riportata da Isaia: > (Is 49, 25; cfr. più ampiamente oltre, p. 4 1 1 ). Sembra probabile, come ho appena accennato, che almeno alcuni sadducei pensassero che Dio poteva intervenire direttamente. Possia mo prendere in considerazione la carriera del sacerdote aristocratico Anano, figlio di Anna. Era un sadduceo ed era stato sommo sacerdo te per un breve periodo (Ant. 20, 1 99-202); nel 66 d.C. favori la ri conciliazione con Roma, come fecero gli altri sacerdoti aristocratici, ma alla fine si unì al partito della guerra e divenne uno dei capi della rivolta (Be/l. 2, 563.647-65 1). Quando cadde, difendendo il tempio contro gli zeloti e gli idumei, Giuseppe Flavio lo pianse, dicendo tra le altre cose che «mantenere la pace fu il suo scopo supremo. Egli sapeva che il potere ro mano era irresistibile, ma, dovendosi occupare di uno stato di guerra, si sforzò di assicurare che, se gli ebrei non fossero venuti a patti, la lotta fosse almeno condotta con abilità. In una parola. se Anano fosse vissuto, essi senza dubbio avrebbero concordato delle clausole ... , oppure, se le ostilità fossero continuate, avrebbero grandemente ritardato la vittoria dei Roma ni . . . » (Beli. 4, 320 s.).
Ci viene presentato un ritratto credibile di un nobile: egli guidò il combattimento al fine di protrarre la guerra e di assicurare migliori condizioni di resa. C'è, tuttavia, un'ulteriore possibilità. Dopo le fasi iniziali della ri volta, il legato di Siria, Cestio, avanzò su Gerusalemme. Il suo eser cito subì una sconfitta di scarsa entità ma minacciava ancora la città. Cestio inaspettatamente ritirò le sue truppe dall'assedio, e come si ri tirarono furono attaccate con successo dai giudei insorti (Be/l. 2, 499-555). «Molti distinti giudei>> abbandonarono a quel punto Geru salemme, sapendo che Roma avrebbe compiuto rappresaglie (2, 556). Immediatamente dopo di questi fatti Giuseppe figlio di Gorion e Anano, l'ex-sommo sacerdote, furono eletti da una folla radunatasi nel tempio a capi del governo rivoluzionario (2, 562 s.). Mi sembra del tutto probabile che gli aristocratici che rimasero, incluso il sad duceo Anano, vedessero nella ritirata di Cestio un segno che Dio era con i giudei. A mio parere non dovremmo escludere interamente la possibilità che perfino i sadducei, i quali non credevano nel fato, pensassero ancora che Dio potesse intervenire per salvare il suo po polo. Dopo tutto, avevano letto la Bibbia.
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Questa categoria intermedia - pronti a combattere, ma pieni di speranza in un intervento miracoloso - era probabilmente una cate goria vasta e includeva una gamma di posizioni diverse. Secondo l Maccabei, Giuda Maccabeo aveva ricordato ai suoi seguaci come i loro antenati fossero stati salvati al mar Rosso e li aveva esortati a «gridare al Cielo, per vedere se ci sarà propizio e si ricorderà del suo patto con i nostri padri e distruggerà questo esercito oggi davanti a noi)) ( l Mac 4, 8- 1 1 ). Eppure, come sappiamo, i Maccabei furono dei pianificatori molto concreti e sapevano come organizzare una guerriglia, e così pure come sfruttare le divisioni all'interno dell'im pero seleucide. Se sapessimo abbastanza, probabilmente ci accorge remmo che l'ala militaristica o concreta del nostro gruppo 'interme dio' avrebbe compreso quelli della categoria l , lo zoccolo duro dei rivoluzionari calcolatori. Anch'essi, senza dubbio, confidavano in Dio. II nostro gruppo intermedio aveva anche un'ala pacifista, for mata da coloro che non avrebbero pianificato e calcolato una rivolta, ma che comunque si sarebbero uniti se i segni fossero sembrati favo revoli. 4. Alcuni pregavano pacificamente perché Dio liberasse il suo po polo. Il loro atteggiamento è forse reso nel modo migliore dalla fine del Testamento di Mosè: nel capitolo 1 2 Dio improvvisamente tra sporta Israele in cielo. Altri possono aver pregato per diversi tipi di miracoli e diverse vie di scampo, ma possiamo essere certi che molte persone desideravano non fare nulla se non aspettare e pregare. Non avrebbero presentato le proprie gole alle spade romane al fine di pro testare contro una trasgressione: invece, le nascondevano. Gli ele menti «più deboli)) del popolo di Gerusalemme (come li chiamava Giuseppe Flavio, Bel/. l , 347) tendevano a riunirsi attorno al tempio nei momenti di disordine (cfr. sopra), pensando probabilmente che l'attività redentrice di Dio sarebbe cominciata da lì. Come chiunque altro, i miti (come potremmo meglio definirli) avevano un certo tipo di teologia. Se Dio voleva che le cose cambiassero, se ne sarebbe oc cupato. Se non voleva, non c'era alcun motivo di fare alcunché. È interessante fermarsi a riflettere sulla posizione personale di Giuseppe Flavio. Egli era uno dei sacerdoti aristocratici che parteci parono alla guerra, ed ebbe la responsabilità della Galilea. A un cer to punto della prima fase della guerra, egli si persuase che Dio inten deva far vincere Roma, e si trovò un nuovo compito, quello di co municare sia ai giudei sia ai romani la solenne verità: la fortuna era passata dalla parte dei romani. Dio, lo sentiva, aveva scelto lui per
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«annunciare le cose che stanno per venire», incluso il fatto che il ge nerale romano Vespasiano sarebbe diventato imperatore (Bel/. 3, 350-354.401 ). Questo non significa che avesse perso ogni speranza di rinascita giudaica. Pur scrivendo sotto la protezione romana e in gran parte per un uditorio pagano. e pur desiderando sostenere che i giudei erano membri dell'impero rispettosi della legge, egli si lasciò ancora sfuggire alcune osservazioni sornione provanti che egli spe rava i n un cambiamento per il futuro. Dio, spiegava, «che ha fatto il giro delle nazioni, portando a ciascuno a turno il bastone dell' impe ro, ora si è fermato sull' Italia» (Be/l. 5, 367): ora si era fermato, non si sarebbe fermato là nel futuro. Giuseppe Flavio notò che il profeta Daniele aveva predetto la profanazione del tempio da parte di Antio co IV Epifane e la sua restaurazione, e mise in evidenza il fatto che entrambe le profezie si erano realizzate. Daniele, egli scriveva, ave va anche predetto l'avvento dell'impero romano. Qui si interrompe va, e discorreva genericamente sulla provvidenza di Dio, che gover na le faccende umane (An t. I O, 276-28 1 ). Non dubito che egli si sen tisse impedito a dire che anche l ' impero romano sarebbe giunto alla fine e che Gerusalemme sarebbe stata restaurata; non lo poteva dire, ma probabilmente lo pensava. All'inizio del suo commento su Da niele aveva scritto così: «E Daniele rivelò anche al re [Nabucodonosor] il significato della pietra, ma ho pensato che non fosse opportuno raccontarlo, dato che ci si aspetta che io scriva ciò che è passato e compiuto e non ciò che deve essere; se, tuttavia, c'è qualcuno che ha un desiderio cosl ardente di informazioni esatte da non volersi fennure sul margine di un'indagine più ravvicinata, ma desidera sapere le cose na.o;coste che devono accadere, si prenda la briga di leggere il libro di Daniele, che troverà tra le Sacre Scritture>> (Anr. I O, 2 1 0)
Perfino il lettore contemporaneo di Daniele può vedere che la pie tra che rompe tutti gli altri regni è il regno di Dio, Israele (Dn 2, 34. 44 s.). Si tratta di un'esplicita allusione a ciò che Giuseppe Flavio pensava che dovesse succedere: qualcosa che non poteva scrivere. Giuseppe Flavio sembra essersi spostato dal nostro punto 3 (com battiamo come meglio possiamo; forse Dio ci aiuterà) al punto 4 (aspettiamo, preghiamo e speriamo per il meglio). Perfino lui, che giunse a credere che Dio desiderasse la vittoria romana, non abban donò la speranza che un giorno Dio avrebbe deciso altrimenti.
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3. Speranze positive Mi sono occupato ampiamente di azioni negative e dei mezzi che le persone scelsero per portare a compimento quello che volevano: guerra, 'resistenza passiva', atti simbolici di provocazione e simili. Coloro che erano pronti a rischiare la vita, naturalmente, spesso si nutrivano di visioni di un'era nuova e migliore. In generale, i visio nari miravano alla piena restaurazione di Israele. Che cosa questo si gnificasse esattamente, sarebbe variato da gruppo a gruppo e perfino da persona a persona, ma c'era un'ampia base comune, e le linee principali possono essere individuate chiaramente. Le speranze prin cipali erano: il ristabilimento delle dodici tribù; la sottomissione o conversione dei pagani; un glorioso nuovo tempio, purificato o rin novato; la purità e la reuitudine sia nel culto sia nella morale. Queste speranze risalgono ai profeti biblici, e per convenienza il lustrerò i quattro punti citando Isaia. 1 . L' intero popolo d ' Israele sarà riunito. In particolare, le dieci tri bù disperse dagli assiri saranno riportate alla patria. Questa speranza � espressa quando si parla di Giacobbe, il padre delle dodici tribù. Il profeta immagina che Dio dica al suo servo «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele>> (ls 49, 6a).
2. Il passo appena citato continua dicendo che il servo del Signore sarà «Una luce per i p ag ani >>7 , cosicché la salvezza potrà giungere > (60, 6b). «Perché il popolo e il regno che non vorranno servirti pe ri ran no» (60, 12).
7. Cosi Sanders (che per 'pagani' usa quasi sempre Genti/es); la traduzione della C.E.!. ha «luce delle nazioni» (il termine goyim vale 'genti non israel ite' tanto nell'ebraico biblico quanto in quello più tardo) (n.d.c.).
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3 . Negli (54, 1 2). II Libano fornirà «cipressi, olmi e abeti», e il tempio («il luogo dove poggio i miei piedi>>) sarà reso glorioso ( 60, 1 3 ). 4. 11 regno che verrà stabilito, in quanto sarà quello di Dio, sarà puro e giusto. «> : PsSa/ 17, 28-3 1 (cfr. 1 7, 50; 8, 34). Le dodici tribù saranno rappresentate nel servizio del tempio: IQM 2, 2 s. (cfr. 2, 7 s.; 3, 1 3 ; 5, l ). Il Rotolo del tempio vagheggia anch'esso la restaurazione delle dodici tribù: l l QT 8, 14-16; 57, 5 s. c) Letteratura della diaspora: Filone non menziona il numero 1 2, ma mira impaziente al ritorno degli ebrei della diaspora in Palestina: Praem. 1 64 s. (ebreo alessan drino, dagli inizi alla metà del l sec. d.C.). 2. I pagani saranno convertiti, distrutti o sottomessi. a) Letteratura d'età pre-romana: Ben Sira invoca Dio perché sollevi la sua mano «sulle nazioni straniere», per «distruggere l'avversario e abbattere il nemico», e prega che «gli avversari del tuo popolo vadano in perdizione»: Sir 36, 1 -8. L' autore dei Giubilei guarda con impazienza al tempo in cui «la nazione retta>> eliminerà i pagani; «nessun superstite sarà loro lascia to, né ci sarà alcuno che verrà salvato nel giorno della collera del giudizio»: 24, 29 s. Nella ricapitolazione della storia biblica dei Giu· bilei ciò è diretto contro i filistei, ma ai tempi dell'autore doveva probabilmente avere un significato più generale. Secondo l Enoc 90, 1 9 «l'agnello» (Israele) ucciderà le bestie sel vatiche (i pagani).
b) Letteratura palestinese d'età romana: Il re davidide «distruggerà le nazioni senza legge con la parole della sua bocca>>: PsSa/ 1 7, 24. Dopo che il re davidide avrà purificato Gerusalemme, «le nazioni verranno dai confini della terra per vedere la sua gloria>>: PsSal 1 7, 3 1 (perciò non saranno distrutti proprio tutti i pagani). Alla fine dei tempi Dio punirà i pagani e distruggerà i loro idoli: TestMosè 1 0, 7. Alla fine dei tempi i pagani saranno distrutti: Regola della Guerra. Il Documento di Damasco ammetteva i proseliti (1 4, 6), e dunque
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non possiamo attribuire la speranza della distruzione dei pagani a tutti gli esseni.
c) Letteratura della diaspora Il libro III degli Oracoli Sibillini (ebraico egiziano, t 60- t 50 a.C.) ha una vasta sezione di letteratura sui pagani, in parte in impaziente attesa della loro sconfitta e distruzione, in parte della loro conversio ne. Alcuni esempi: tutte le persone (3, 6 t 6 s.); coloro che attaccano il tempio saranno distrutti dalla > (3, 772 s.). I pagani giungeranno a riconoscere il valore degli israeliti tra di loro e li lasceranno ritornare alla loro terra. l pagani si salveranno se non cercheranno di fermare il ristabilimento e la ricostruzione della Palestina, ma se lo faranno incontreranno la sconfitta: Filone, Praem. 93-97; 164. 3. Gerusalemme sarà resa gloriosa; il tempio sarà ricostruito, fatto più glorioso o purificato. a) Letteratura d'età pre-romana: Gerusalemme sarà costruita con pietre preziose e metalli, e il tem pio sarà anch'esso ricostruito: Th 1 3 , t 6- 1 8; 14, 5. Il tempio sarà ricostruito: t Enoc 90, 28 s. Alla fine dei tempi (>, e i re dei pagani vorranno distruggerlo. Attaccheranno il santuario, ma «i figli del grande Dio vivranno tutti in pace attorno al Tempio», difesi da Dio stesso: OrSib 3, 657-709. Qui il tempio non viene ricostruito alla fine dei tempi, ma è già stato reso glorioso ed è difeso da Dio. Dio ricostruirà Gerusalemme in modo che sarà «più splendente delle stelle e del sole e della luna», e il tempio sarà «Straordinaria mente meraviglioso nel suo bel santuario>>; ci sarà «una grande e im mensa torre alta più di molti stadi che toccherà perfino le nuvole e sarà visibile a tutti»: OrSib 5, 420-425 (testo ebraico egiziano, fine del I sec. d.C.). Quando gli israeliti prigionieri saranno liberati ricostruiranno le città della Palestina e avranno grande ricchezza: Filone, Praem., 1 68. ·
4. Nel tempo a venire il culto sarà puro e il popolo sarà retto. Questo più o meno è sottinteso, ma fornirò pochi esempi. (Il tema della purità del popolo e del culto in parte si sovrappone a quello della purità del tempio, la categoria precedente.) a) Letteratura d'età pre-romana: Collocando il comandamento al tempo di Giacobbe, ma pensando alla sua epoca, l'autore dei Giubilei scrisse che «non ci sarà nulla di immondo davanti al nostro Dio nella nazione che egli ha scelto per sé come possesso>> (33, I l ), e che «Israele è una nazione santa sotto il Signore suo Dio [ ... ] e una nazione sacerdotale e reale [ ... ] ; e non comparirà tale impurità in mezzo alla nazione santa>> (33, 20).
b) Letteratura palestinese d'età romana: Coloro che piangevano le morti dei maestri implicati nei fatti dell'aquila d'oro spinsero Archelao a deporre il sommo sacerdote e a nominare un uomo «di maggiore devozione e purità>>: Bell. 2, 7.
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Nella congregazione degli ultimi giorni nessuna persona impura entrerà, «perché gli angeli della Santità>> saranno presenti: l QSa 2, 3 - 1 0. Nella Regola della guerra gli impuri sono esclusi dalla battaglia, ancora una volta perché gli angeli santi sono presenti: I QM 7, 5 s. Il Rotolo del Tempio esclude gli impuri da Gerusalemme: I I QT 45, 1 1 - 1 7. Il re davidide radunerà «un popolo santo, che guiderà in rettitudi ne [ .. ] e non permetterà all'ingiustizia di albergare più in mezzo a loro>>: PsSa/ 1 1, 26 s. .
c) Letteratura della diaspora: Nel tempo a venire ci sarà «una legge comune [ ... ] su tutta la ter ra>>; i pagani dovranno adorare Dio, evitare l'adullerio, astenersi dal le pratiche omosessuali, e non esporre i loro bambini; anche l'opu lenza sarà «retta>>: OrSib 3, 756-7 8 1 . Questi quattro elementi della speranza futura erano molto comuni, ma è ovvio che non si può parlare di uniformità delle attese. La spe ranza generale nella restaurazione del popolo d' Israele è la più anni presente di tutte. Le dodici tribù sono talvolta menzionate esplicita mente e spesso accennate indirettamente (per es. con l'uso del nome 'Giacobbe'), ma talvolta la speranza è definita in modo più vago: i figli di Israele saranno riuniti da tutto il mondo. In tali casi non pos siamo essere sicuri che avessero esplicitamente in mente le dieci tri bù perdute, anche se sembra abbastanza probabile; in ogni caso il ra dunamento del popolo d' Israele era generalmente atteso. Il 'radunamento' implica la focalizzazione di una meta, e le spe ranze per il futuro del popolo ebraico spesso includevano esplicita mente il libero possesso della Palestina. Filone, che in base alla sua concezione filosofica e mistica definiva 'Israele' come 'colui che vede Dio' e pensava che la visione mistica di Dio fosse il vero tra guardo della religione8, nondimeno aspettava con impazienza il mo mento in cui gli ebrei sarebbero ritornati in Palestina e avrebbero ri8. «La razza dotata di visione» «ha nome Israele» (Deus 1 44). Ciò sulla base di una presunta etimologia di 'Israele' da ish ra 'ah El ['l'uomo (che) vide Dio']; cfr. Wolfson, Philo, n, pp. 5 1 e 84. Sull'ambiguità in Filone tra un fine mistico, che era universalistico e individualistico, e la concezione del patto di ffusa nel giudaismo co mune cfr. Sanders, The Covenant as a Soteriological Category, pp. 25-39.
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costruito le sue città ( l .c sopra)9• Più in particolare, Gerusalemme era la meta focalizzata, e pertanto la sua ricostruzione, sviluppo o purificazione sono solitamente comprese anche quando non diretta mente menzionate. Questo vale ugualmente per il tempio. Non tutti coloro che non vedevano l'ora di adorare Dio nella Terra Promessa pensavano però che si dovesse provvedere a un tempio nuovo o più glorioso. La gamma delle attese andava da a «Dio costruirà il suo, il più glorioso edificio che il mondo abbia mai visto». Nel periodo che stiamo studiando, sembra che ef fettivamente nessun ebreo desiderasse escludere il culto presso il tempio quando prefigurava un ideale futuro. Quanto fosse comune il tipo di auesa si può vedere notando che nell'Apocalisse del Nuovo Testamento, quando il veggente ha una visione della nuova Gerusa lemme discendente dal cielo, egli esclude esplicitamente il tempio, dal momento che c'era un solo Agnello di Dio (21 , 22). Questo è un adattamento cristiano del tema ebraico di una nuova Gerusalemme . Gli ebrei non cristiani si aspettavano che i sacrifici continuassero. C'era un' immensa varietà di opinioni su quello che sarebbe acca duto ai pagani. La setta di Qumran era per la linea dura: i pagani sa ranno distrutti. Altri potevano prefigurare la loro conversione, ben ché quando pensavano ai pagani come nemici di Dio essi predices sero la loro sottomissione o distruzione. Entrambe le opinioni si tro vano nei profeti biblici, e pertanto sono entrambe riecheggiale nella letteratura più tarda (ad es. i Salmi di Salomone e il libro III degli Oracoli Sibillini). Filone dà prova di un alleggiamento di sottile equilibrio: i pagani saranno lasciati in pace se non impediranno il ri torno degli ebrei dispersi nel mondo e la ricostruzione delle città; al trimenti saranno sconfitti. Che nel futuro Israele dovesse essere puro e retto era l 'aspettativa generale. l membri della sètta di Qumran pensavano concretamente e in termini di legge biblica: quelli ritualmente impuri a causa di di fetti fisici (cecità e simili) saranno esclusi. Inoltre, essi applicavano l'esclusione alla città di Gerusalemme, non solo ai sacerdoti che ce lebravano nel tempio (come era nel caso della Bibbia). Altri autori parlano più genericamente di 'purificazione' e 'rettitudine' (ad es. PsSa/ 1 7). L'attesa di un messia non era la regola. È difficile trattare del messianismo in termini generali che siano soddisfacenti per tutti. Un 9. Sull'imponanza della Paleslina cfr. W.D. Davies, The Gospel and The Land.
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tempo era costume degli studiosi parlare della speranza di un re da vidide come di un'attesa diffusa tra gli ebrei del I secolo. La critica, poi, riconoscendo che c'erano relativamente pochi passi che attestas sero questa attesa, cominciò a minimizzarla10• Ora, come è da aspet tarsi, si riafferma l ' importanza del desiderio e della speranza di un ritorno del regno davidico11• Ci sono pochi passi biblici chiari, dei quali questi sono i più famosi: «Ecco, verranno giorni - dice il Signore nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra» (Ger 23, 5 s.) «Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre » (ls 9, 7). ...
La speranza manca in sezioni importanti del corpus profetico (come Is 40-66), ma, con asserzioni tanto chiare come queste nella Bibbia, non poteva essere stata del tutto abbandonata dagli ebrei del I secolo. Nonostante ciò, ci sono relativamente poch i - sorprendentemente pochi - riferimenti a un re davidide nella letteratura del nostro perio do: esso ricopre un ruolo chiave solo in PsSal 1 7. A Qumran si cre deva nell'avvento di due messia, un messia sacerdotale ('il Messia di Aronne') e un messia secolare ( 'il Messia di Israele') ( I QS 9, 1 1 )12. Il messia sacerdotale era il più importante. Secondo la Regola
IO. Ad es. Simon. Verus /srae/, p. 8; cfr. p. 332. I l . Ad es. Beasley-Murray, Jesus and rhe Kingdom ofGod, pp. 52·62. Gran par· te della documentazione che egli cita è generica, non comprendendo il termine 'Messia' e non nominando Davide. 1 2. Il Documelllo di Damasco menziona un messia di Aronne e d'Israele insieme (ad es., 14, 19; 20, l ). Non so se ciò denoti una concezione diversa tra gli antichi es seni o se riveli che un copista tardo non riuscl a spiegarsi i due messia. Due messia, uno di Giuda e uno di Levi, compaiono anche nei Tesramemi dei dodici patriarchi, ad es. TestSimeone 7, 2. Il discendente di Levi riceve un ruolo forse escatologico in TestRuben 6, 10- 1 2 e uno cenarnente escatologico in Testl.evi 1 8. Il problema dell'uso dei riferimenti messianici nei Tesramellli sta nel fatto d'essere stati profon· damente rielaborati da copisti cristiani. Per definizione, è meno verosimile che siano
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messianica, quando i due messia arriveranno ci sarà un'assemblea, nella quale i membri entreranno in quest'ordine: prima il messia sa cerdotale, poi i sacerdoti, solo allora il Messia di Israele, e infine i l resto. C i sarà un banchetto messianico, con gerarchie correttamente rispettate: il messia sacerdotale prenderà il primo posto (l QSa 2; DSSE3, p. 1 02). Non possiamo tracciare più particolareggiatamente come c i si immaginava che fossero i due messia e il profeta (menzionato anch' esso in l QS 9, I l ). Sembra che la setta si aspettasse che i l messia sacerdotale dirigesse l a nuova comunità e insegnasse ai suoi membri come vivere. Il Midrash escatologicon si riferisce aii"Inter prete della Legge' , che sorgerà negli ultimi giorni, e il Documento di Damasco attende con impazienza uno che «insegni la rettitudine alla fine dei giorni>> (CD 6, I l ). Questa persona ripete, in forma perfetta, il ruolo del Maestro di Giustizia originario. In base all'opinione ge nerale dei Rotoli, e all' importanza dei figli di Zadok per la comunità, il maestro dell'ultima ora è probabilmente il messia del sacerdote Aronne. Ci aspetteremmo che il messia secolare sia un discendente di Da vide e anche un grande guerriero. Si possono scorgere tracce di que sta opinione nei rotoli superstiti. Secondo il Midrash escatologico il 'Germoglio di Davide' , che sarà accompagnato dall' 'Interprete della Legge ' , «sorgerà per salvare Israele>> 14• Il Pesher alla Genesi affer ma che il 'patto della regalità' era stato garantito al Germoglio di Davide 15 • Al 'Principe della Congrega zione' è attribuito un ruolo di guerra nelle Benedizioni, un'opera che sembra riferirsi all'epoca a venire, ma i sacerdoti sadociti hanno una parte perfino più importante 1 6• La cosa che più colpisce riguardo all'aspettativa messianica della setta è che non c'è nessun messia da vidide nella Regola della guerra, dove ci si aspetterebbe che esso avesse un ruolo di guida. Nella guerra contro le forze delle tenebre, il sacerdote prescelto fa la sua parte incitando le truppe, ma i l Ramo cristiani i passi che mettono in risallo Levi piuttosto che quelli che pongono l'ac cento sul messia di Giuda (a Gesù fu attribuita un' ascendenza davidica, risalente a Giuda). 13. 4Q 174 l , 1 1 - 1 3; DSSEl, p. 294. 14. Ibidem. 15. 4QpGen 5, 2-5; DSSE l, p. 260. 16. IQSb 3, 22-4, 28 (i sacerdoti sadociti), col. 5 (il Principe della Congregazio ne) (DSSE3 , pp. 236 s.). Questa è un'opera diversa da quella ci t. alla n. prec.
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di Davide non fa nemmeno un'apparizione fugace. Gli angeli, spe cialmente l ' arcangelo Michele, i l 'Principe della Luce' , rivestono il ruolo maggiore, ma Dio stesso interviene a determinare la vittoria fi nale dei 'Figli della Luce' . «La battaglia è veramente tua!>>, procla ma l'autore ( l QM I l , 1 ). Dio radunerà «il regno di Michele» ( 1 7, 7), non di Davide, e darà il colpo finale: la vittoria dei Figli della Luce giungerà «quando la grande mano di Dio sarà sollevata in un colpo incessante contro Satana e tutti gli amici del suo regno>> ( 1 8, l )17• Credo che ci siano due spiegazioni di questi aspetti della speranza per il futuro a Qumran (la superiorità del messia sacerdotale e la mancata presenza di un messia davidide nella Regola della guerra). lnnanzitutto, la Bibbia non è affauo completamente a favore dei re, neppure dei re davidici. Ci sono due principali teorie sul governo nella Bibbia: una dice che governa un re davidide, ma l'altra vuole che governino i sacerdoti. Mosè diede la legge da amministrare ai sacerdoti, non a un re (Dt 3 1 , 9). Il governo nel periodo del secondo tempio era sacerdotale, pure se gli Asmonei assunsero anche il titolo di «re>>. Alcuni protestarono e vollero invece essere governati da sa cerdoti che non fossero anche re (Ant. 14, 4 1 ). La sètta di Qumran fu fondata da sacerdoti sadociti rovesciati, i quali credevano che i sa cerdoti fossero coloro che conoscevano certe cose e dovevano farle funzionare. Qumran è un caso speciale; nessun altro gruppo, a nostra conoscenza, enfatizzò allo stesso livello il sacerdozio. Nondimeno, i membri della sètta di Qumran non erano gli unici a ritenere che l'or dine proprio delle cose comportasse che i sacerdoti fossero al potere, come vedremo nel cap. 2 1 . La seconda spiegazione è meno sicura, anche se personalmente mi sembra probabile. Sospetto che la Regola della guerra non solo riveli che la battaglia culminante può essere immaginata senza men zionare Davide, ma suggerisca anche perché. La scala era diventata troppo larga per un semplice re. I membri della sètta di Qumran co17. Incoraggiamento pani colare per il «sacerdote destinato al tempo stabilito per la vendetta», I QM 1 5 , 6 (a quanto sembra, diverso dal capo sacerdote, 15. 4); più oltre viene prima il capo sacerdole, IQM 16, I l ; per Michele cfr. 17, 6-8; angeli, l , 1 0 e 1 2, 4 s . Talvolta è difficile dire quando Dio meni colpi e quando rinsaldi le mani dei suoi eleni. Così, in l QM I l , 8 s. Dio abba ne «le milizie di Beliah• «per mano dei poveri che saranno redenti», ma le spade che colpiscono non sono spade di uomini ( I l , I l s.). Può trattarsi di una metafora. ma in altri passi sembra che i membri della sella si aspenassero un aiuto mollo concreto da pane degli angeli e di Dio. Cfr. I QM 1 8, 1 -3 . 1 0- 1 3 ; cfr. 1 1 , 8- 1 2 . 1 7; 13, 12-16; 14, 1 6.
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nascevano le promesse bibliche a Davide e alla sua progenie, ma consideravano l' idea di combattere Roma, e sapevano che avevano bisogno dell'aiuto divino. Una volta che il combattimento principale venga considerato comunque opera di Dio, diminuisce la necessità di un re guerriero. I membri della setta non inventarono la teoria se condo la quale Dio avrebbe combattuto a nome del suo popolo. So pra (p. 398) abbiamo citato ls 49. 25, «avverserò i vostri avversari». Gli scrittori successivi, non solo a Qumran, spesso videro Dio come loro guerriero. Questa opinione domina, per esempio. TestMosè 1 0, 7: Dio stesso compirà la vendetta sui pagani e distruggerà i loro idoli (anche se I O, 2 pregusta la venuta di un angelo vendicatore); e OrSib 3,708 s.: «Nessuna mano di guerra empia. ma piuttosto I'Immonale stesso e la mano del Santo combatterà per loro>>. Perfino in PsSal 1 7, dove ci si aspetta che il figlio di Davide compia molte imprese da re, egli non «confiderà sul cavallo, il cavaliere e l'arco>>, perché «il Si gnore stesso è suo re, la speranza di colui che confida fonemente in Dio>> ( 17 , 33 s.). Secondo i Vangeli, Gesù era stato chiamato 'figlio di Davide' (Mt 2 1 , 9). e la discendenza da Davide è un elemento fondamentale delle genealogie in Matteo e Luca, così come viene menzionata in Paolo (Rm l , 3). L"imponanza di Davide nella concezione messianica cri stiana1 8 ha ponato a credere che tutti gli ebrei sperassero nel figlio di Davide. Ciò è fuorviante; la speranza ebraica per il futuro prese mol te forme. Dal momento che c'erano profezie bibliche sulla casa di Davide, pochi ebrei avrebbero voluto dire apenamente: «< nostri an tenati furono messi in guardia contro i re ( l Sam 8, 1 0- 1 8), e noi non ne vogliamo, davididi o nO>>. ma alcuni non erano entusiasti dei mo narchi. Pensavano. come l'autore del Deuteronomio, che i re doves sero essere controllati dai sacerdoti, i guardiani della legge (Dt 1 7, 1 8-20). Per restare più legati al tema presente, quando gli ebrei che pensavano concretamente al futuro si mettevano a descriverlo, non avevano un solo modello da seguire. Tutti confidavano in Dio: que1 8. È difficile spiegare l'imponanza che nel Nuovo Testamento riveste l 'ascen denza davidica di Gesù. Quando si riteneva che lutti gli ebrei attendessero un messia discendente da Davide, l'unico problema era il perché Gesù venisse ritenuto messia. Un messia davidide sarebbe dovuto essere una figura militare, quindi non era chiaro in quale momento i primi cristiani abbiano riconciliato quest' aspettativa con la loro concezione di Gesù, che non era un guerriero. Ora che sappiamo che la speranza in un figlio di Davide non era diffusa tra lUiti quanti gli ebrei, la questione diviene an c:or più difficile. Perché mai porre l'accento su �figlio di Davide»?
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sto era l'elemento comune. Sembra non esserci stato un consenso unanime su quali persone Dio avrebbe dovuto impiegare, e quali do vessero essere i loro discendenti; e certamente alcuni ritenevano che avrebbe fatto tutto da solo. Per concludere: molti ebrei aspettavano con impazienza un'era nuova e migliore. Questo vale in maniera molto ampia. Le stesse speranze si ritrovano nella letteratura dal tempo dei Maccabei fino alla distruzione di Gerusalemme, e nella diaspora di lingua greca allo stesso modo che in Palestina. Le speranze si accentravano sulla restaurazione del popolo, la costruzione o purificazione del tempio e di Gerusalemme, la disfatta o la conversione dei pagani, e lo stabilir si di purità e rettitudine.
4. La vita dopo la morte L'immortalità individuale o la risurrezione non sono un tema do minante della nostra letteratura, ma è probabile che la maggior parte degli ebrei si aspettassero che la morte non fosse la fine, anche se possono aver concepito assai vagamente il futuro. Molti furono in fluenzati dal pensiero greco; spesso alla lontana, a dire il vero. La diffusione della cultura ellenistica significò, tra le altre cose, che l 'accettazione dell'immortalità fu facile e, per molti, di per sé evi dente. Non intendo dire che la vita dopo la morte fosse un tema do minante nel mondo di lingua greca, ma era una supposizione genera lizzata che ogni persona avesse un elemento immortale. Nella mito logia tradizionale, le ombre vagavano nell'Ade, dove avevano un'esistenza debole e non molto soddisfacente. C'erano, tuttavia, opinioni molto diverse sull'anima, e non esisteva un'ortodossia elle nistica19. Ciononostante, l'irrevocabilità della morte sarebbe stata un'opinione contraria allo spirito dell'epoca. L' influenza persiana, acquisita durante l'esilio e la lunga signoria della Persia dopo il ri torno in Palestina, fu forse ancor più importante che quella greca. Dallo zoroastrismo persiano vennero idee come quella della risurre1 9. Cfr. il classico studio di E. Rohde, Psyche: The Cu/1 of Sou/s and Belief in lmmortality among the Greeks. Com 'è ovvio, molte delle idee di Rohde sono state
discusse o persino confutate. Nondimeno, il libro mostra una varietà di opinioni e anche la diversità dei termini e delle formulazioni.
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zione dell' individuo, del giudizio finale, della disuuzione degli empi e dell'eterna felicità dei giusti2°. Filone aveva assimilato una visione filosofica greca fondamenta le: Dio aveva fatto il mondo in parte di immortali, in parte di mortali (Praem. l ). Queste due nature si mischiavano allo stesso modo negli individui umani. Questa è la descrizione che Filone dà della morte di Mosè: «Venne il momento in cui dovette fare il suo pellegrinaggio dalla terra al cielo, e lasciare questa vita mortale per l'immortalità, chiamato ivi dal Pa dre che risolse la sua duplice natura di corpo e anima (soma kai pyYche) in una singola unità, trasformando l ' intero suo essere i n una mente (nous), pura come la luce del sole» (Mos. 2, 288).
Mosè, la cui duplice natura fu risolta in 'mente' (o 'spirito') alla morte, era un caso speciale. Ma tutti, nella concezione di Filone, avevano in vita queste due parti componenti, di cui una immortale, di solito chiamata 'anima' o 'mente' . L a parte immortale poteva talvolta sfuggire a l corpo anche mentre quest'ultimo era in vita, e contemplare direttamente il mondo im mortale, o almeno qualcosa di più vicino a esso che non il mondo percepibile con i cinque sensi. La mente può «giungere a un punto in cui supera il mondo intelligibile>> (più alto del mondo della percezio ne sensitiva), e «sembra essere sul punto di raggiungere il G rande Re stesso>>, anche se non può del tullo farlo (Opif. 70 s.)21. In ogni caso questa fuga si accompagnava alla morte. Filone non fornisce una descrizione del cielo: niente arpe, angeli o nuvole. Quello che accade esattamente all'anima non è del tutto chiaro22. Essa è, tutta via, immortale. Filone, forse è superfluo a dirsi, è un caso estremo. Mentre la va sta diffusione della cultura ellenistica può essere servita a rendere gli ebrei inclini a prendere per certa una qualche forma di esistenza fu tura, la piena accettazione dell 'immortalità dell'anima (che implica la preesistenza in qualche forma, cfr. ad es. Her. 274) sembra essere stata abbastanza rara. 20. Cfr. Boyce, Persian Religion in the Achemenid Age, e Shaked, /ranian In· fluence on Judaism, in Cambridge History of Judaism, l, pp. 301, 323. 2 1 . Cfr. anche Her. 69-73; 1 1 1 ; 264 s.; Spec. 3, 1 -6. La misura in cui l'anima po teva sfuggire al corpo che la imprigionava, essendo questo ancora in vi ta, è un argo mento difficile in Filone, di cui per fortuna non abbiamo bisogno di occuparci. 22. Cfr. ad es. Sandmel, Philo of Alexandria, p. 1 1 7.
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Giuseppe Flavio distingue i farisei e gli esseni dai sadducei in par te per la questione del 'fato' , in parte per quella della vita nell'aldilà. Considereremo i suoi passi su quest'ultima.
l . I farisei: a) Ogni anima, sostengono [i farisei], è imperitura, ma le anime dei buoni soltanto passano in un altro corpo, mentre le anime degli empi soffrono la punizione eterna (Beli. 2, 1 64). b) [I farisei] credono che le anime hanno il potere di sopravvivere alla morte e che ci sono ricompense e punizioni sotto terra per colo ro che hanno condotto vite virtuose o empie: l'eterna prigionia è la sorte delle anime empie, mentre le anime buone ricevono un facile passaggio a una nuova vita (Ant. 1 8, 1 4). 2. I sadducei: a) Per quanto riguarda la persistenza dell'anima dopo la morte, i castighi nel mondo degli inferi e le ricompense, [i sadducei] non hanno niente di tutto ciò (Beli. 2, 1 65). b) I sadducei sostenevano che l ' anima perisce assieme con il cor po (Ant. 1 8, 1 6). 3 . Gli esseni: a) È convinzione salda degli [esseni] che il corpo sia corruttibile [ . ..] ma che l'anima sia immortale e imperitura. Emanate dall'etere più sottile, queste anime vengono come irretite nella prigione del cor po, al quale sono trascinate da una sorta di fascino naturale; ma una volta che si sono liberate dalle catene della carne, allora, come se si fossero liberate da una lunga schiavitù, gioiscono e sono portate in alto. Condividendo la convinzione dei figli della Grecia, essi afferma no che alle anime virtuose è riservata una dimora al di là dell'oceano [ ... ], mentre relegano le anime spregevoli in una prigione tenebrosa e violenta, gravida di punizioni senza fine (Beli. 2, 1 54 s.). b) [Gli esseni] considerano l ' anima immortale (Ant. 1 8, 1 8). Varrà la pena di fornire altri passi nei quali Giuseppe Flavio ascri ve opinioni simili a se stesso, ad altri ebrei specifici, o agli ebrei in generale.
4. Giuda e Matthaia (i maestri della vicenda dell'aquila d'oro) in segnavano che
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«era un nobile gesto morire per la legge del proprio paese; perché le anime di coloro che avevano una tale fine ottenevano l'immortalitA e un senso eternamente presente di felicità» (Beli. l , 650).
5. G iuseppe Flavio ascrive a se stesso l 'opinione secondo la quale coloro «che lasciano questa vita in accordo con la legge della natura e ripagano il mutuo ricevuto da Dio, quando Egli che glielo ha prestato si compiace di reclamarlo, ottengono eterna rinomanza; [ ... ] le loro case e famiglie sono sicure; [ ... ] alle loro anime, rimanendo senza macchia e obbedienti, è asse gnato il posto più santo in cielo, da dove, nell'evoluzione delle epoche, essi ritornano per trovare in corpi puri una nuova dimora. Ma per quanto riguar da coloro che hanno levato forsennatamente le mani su se stessi, le regioni più buie del mondo degli inferi ricevono le loro anime, e Dio, loro padre, castiga la posteritA per gli atti oltraggiosi degli antenati» (Beli. 3, 374 s.).
6. G iuseppe Flavio compose per Eleazar, il capo degli ultimi difen sori di Masada, un lungo discorso sull'immortalità dell'anima, nel quale egli diceva che «la vita, non la morte, è la sfortuna di una persona. Perché è la morte che dà la libertà all'anima e le permette di ritornare alla sua dimora pura [ ... ]. Finché, liberata dal peso che la trascina sulla terra e le sta attaccato, l'ani ma non è restituita alla sua propria sfera, essa non gode di un'energia beata e di un potere libero da ogni parte, rimanendo, come Dio stesso, invisibile agli occhi umani» (Beli. 7, 343-346).
7. Infine, egli ascrive agli ebrei in generale la seguente opinione: «Ogni individuo [ .. ] è fermamente persuaso che a coloro che osservano le leggi e, se è necessario morire per esse, volontariamente affrontano la mor te, Dio ha garantito un'esistenza rinnovata e nella rivoluzione [delle epo che] il dono di una vita migliore>> (Ap. 2, 2 1 8). .
Si possono fare un certo numero di distinzioni all' interno di questi passi. Gli ultimi due non dicono che la punizione è riservata ad alcu ni; dal momento che il tema era il morire per la legge, tuttavia, la questione della punizione non emerse. Il passo l .a implica la trasmi grazione dell'anima, che è di versa da un'esistenza felice sotto terra ( l . b). In 5 le anime attendono in cielo fino a che non migrano in un'altra persona. La frase «rivolu;r.ione delle epoche>> (5; in forma
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Pane seconda
breve in 7) può indicare la trasmigrazione (l'anima ritorna ai corpi puri), anche se forse riflette l 'idea stoica che periodicamente il mon do sia consunto dal fuoco e ricominci tutto da capo. Non è saggio dare troppa importanza ai particolari di questi passi. Giuseppe Aavio voleva presentare le 'scuole' ebraiche sotto foggia greca, come è chiarissimo quando paragona il futuro stato in cui spe ravano gli esseni alle isole greche dei Beati (Beli. 2, 1 56)23. La fede nella trasmigrazione (o reincamazione) delle anime affiora anche in vari pensatori greci24• In alcuni dei passi sopra segnalati di Giuseppe Flavio le anime sono descritte come fondamentalmente immortali, ma tali da mantenere l'individualità di un singolo essere umano, piuttosto che migrare da una all'altra: alcune vivono per sempre nel la beatitudine, altre nei tormenti ( l .b; 3.a). Una beatitudine o una sofferenza individuale duratura sono più probabili, come concezione palestinese, della trasmigrazione, dato che sono più vicine al pensie ro persiano che alle scuole greche che influenzarono la descrizione dei partiti di Giuseppe Flavio, e inoltre corrispondono al naturale im pulso del giudaismo a distinguere gli empi dai giusti e a sostenere che Dio punisce ogni persona secondo giustizia. Il tentativo di usare categorie greche fatto da Giuseppe Flavio è tuttavia così deciso, che non possiamo dire con sicurezza che cosa veramente pensassero i fa risei e gli esseni, neppure, nel discorso che Giuseppe Flavio attribui sce a se stesso, che cosa lui stesso pensasse esattamente. A un altro livello, ci si può probabilmente fidare di ciò che impli cano le sue discussioni: non erano solo i farisei, ma la maggior parte degli ebrei, forse tutti esclusi i sadducei, a pensare che ci fosse una vita dopo la morte, anche se spesso la loro concezione può essere stata molto vaga. Il resto della letteratura più importante è di qualche aiuto per quanto riguarda i farisei e gli esseni. I rabbini, come abbiamo visto sopra (pp. 380 s.), credevano nella ricompensa e nella punizione do po la morte, ma erano riluttanti a discutere i particolari. «Tutto Israele si radunò assieme davanti a Mosè e gli disse: 'Mosè nostro maestro, dicci quali beni il Santo, che sia benedetto, ha in serbo per noi per i l futuro'. Egli replicò: 'Non so che cosa dirvi. Siate contenti di quello che vi è stato preparato' » (Sifre Deuteronomio 356, secondo la trad. di Harnrner). 23. Cfr. Rohde, Psyche, cap. 2. 24. Rohde auribuisce questa concezione agli Orfici (pp. 342 s. e 346 s.). a Pila gora (p. 375), a Pindaro (pp. 4 1 5 ss.), a Platone (p. 467) e ai Traci (pp. 263 s.).
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L a letteratura d i Qumran offre molto poco materiale sulla risurre zione o l'immortalità. La risurrezione sembra presente a chi scrive in IQH 6, 29 s.: «E allora al momento del Giudizio la Spada di Dio farà presto, e tutti i figli della sua verità si leveranno per [rovesciare] l'empietà; tutti i figli dell'iniquità non ci saranno più».
Qui, come in genere nei rotoli, l'attenzione deli'autore è fissata sulla distruzione degli empi e la vittoria dei Figli della Luce, ma egli può includere tra questi ultimi coloro che erano 'addormentati' . Aspettarsi che gli 'empi' (cioè coloro che non erano membri della setta) subiranno gravi afflizioni e saranno distrutti è molto comune. Le maledizioni che aprono la Regola della Comunità forniscono ab bondanti esempi: «Siate maledetti a causa della vostra colpevole empietà! Possa egli conse gnarvi nelle mani dei Vendicatori perché siate torturati ! Possa egli colpirvi con la distruzione per mano di tulli gli Esecutori della Vendetta! Siate ma ledetti senza misericordia a causa delle tenebre delle vostre azioni! Siate dannati nel luogo d'ombre del fuoco eterno! Possa Dio non prestarvi auen zione quando lo invocherete . !>•25• ..
Questa maledizione è rivolta agli ebrei che non si uniscono alla sètta. Le maledizioni successive, che sono dirette contro i membri della sètta apostati, sono veramente dure. Passi del genere sembrano abbastanza vicini a una delle affermazioni di Giuseppe Flavio, se condo cui gli esseni relegavano , discendente degli ebrei condotti a Babilonia secoli prima e anche stimato amico di lun ga data di Erode ( 1 5 , 39-4 1 ) . È logico che il primo incaricato di Ero de sia appartenuto a un'antica famiglia aristocratica, presumibilmen te sadocita almeno in origine, e che sia stato un mediocre. La corona non era ancora saldamente sul capo di Erode, che non voleva com petitori. D'altra parte, nominando un membro di antica famiglia ari stocratica egli può aver voluto togliere la scena ai 'nuovi arrivati' Asmonei. 4. Meshorer, Coinage, l, fornisce esempi dalle monete di quattro Asmonei; cfr. ad es. pp. 1 23 (lanneo), 1 34 (Aristobulo Il), 1 36 ([reano 11 ), 155 (Antigono). S. Meshorer, op. cii., 1, pp. 47 s. e nn. 6. Cfr. cap. 3 n. 3.
Gruppi e partiti
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Pochi anni più tardi (36 a.C.), Erode depose Ananel e nominò Aristobulo III, un Asmoneo e, inoltre, il cognato di Erode, cioè il fra tello della moglie di questi, Mariamne. Aristobulo III era di bell'aspetto, come anche Mariamne, e la menzione di ciò permette a Giuseppe Flavio di diffondere un po' di pettegolezzo salace. Marco Antonio, che aveva visto un ritratto del fanciullo, voleva che Erode lo mandasse in Egitto, presumibilmente per la sua 'educazione' . Erode capì i l gioco e comprese che Antonio, «che era i l più potente tra i romani del suo tempo, [ ... ) si disponeva ad abusare sessualmen te [di Aristobulo]>>. Erode differi la richiesta, dicendo che Aristobulo era troppo popolare in patria. Poi decise di nominare il fanciullo sommo sacerdote, col che lo trattenne a casa, al sicuro dalla depra vazione, ma contemporaneamente sotto l'occhio vigile di Erode, e con l'ulteriore vantaggio di soddisfare in parte le ambizioni della moglie e della suocera. Così Erode depose Ananel e nominò Arista buio III sommo sacerdote (Ant. 1 5, 23-4 1 ). I buon propositi di Erode fallirono. Il giovinetto, non ancora ven tenne, bello, Asmoneo, cognato del re, in grado di indossare il diade ma e i magnifici ornamenti del sommo sacerdote, aveva un seguito considerevole. La folla (Ant. 1 5, 52). Erode era comprensibilmente allarmato. Dopo la Festa delle Capanne, la nu merosa famiglia andò in vacanza a Gerico, nel palazzo degli Asma nei, dove c 'erano delle piscine. Aristobulo andò a nuotare con alcuni degli altri amici e dei servi tori di Erode, e questi, giocando, lo tenne ro sott'acqua. Per un incidente, senza alcun dubbio, lo tennero sotto troppo a lungo ( 1 5, 50-56). Di lì a non molti anni non rimaneva nes sun Asmoneo. Frattanto, Ananel veniva rinominato sommo sacerdo te ( 1 5, 56). Il sommo sacerdozio era una carica assai ambita, e il sommo sa cerdote era la guida naturale del popolo. Con l'eccezione degli anni 76-67 a.C., durante il regno di Salome Alessandra, il sommo sacer dote era stato la figura principale in Giudea sin dall' inizio del perio do persiano: in cifre tonde, per 500 anni. Aristobulo lll, naturalmen te, era un caso a parte. Era il rampollo della Casa di Asmoneo, e sua madre e altri possono bene aver sperato che alla fine rovesciasse Erode. La carica di sommo sacerdote, comunque, aveva la sua im portanza. Anche Aristobulo lli era più importante da sommo sacer dote che se non lo fosse stato: in quanto sommo sacerdote, costituiva una minaccia per Erode. Erode aveva già messo a morte un sommo
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Parte tena
sacerdote (Antigono, che venne ucciso per ordine dei romani, e quindi solo indirettamente da Erode). Disponeva di un esercito. Si crederebbe che non dovesse avere alcun timore di un sommo sacer dote. Purtuttavia, doveva fare attenzione a chi rivestiva la carica. Per fortuna c'era nei paraggi il buon Ananel, amico fedele, di famiglia antica. La storia di Aristobulo m e di Ananel è interessante da un altro punto di vista. Era tradizione che il sommo sacerdote, una volta no minato, rimanesse in servizio per la vita. Nel raccontare la deposi zione di Ananel, Giuseppe Flavio scrisse che >, a detta di Giuseppe Flavio) cominciò a lamentare la perdita di coloro che erano stati giu stiziati per aver abbattuto l'aquila. I contestatori ritenevano che la ri forma dovesse cominciare con la deposizione di Ioazar, poiché «ave vano diritto di scegliere un uomo più religioso e più puro» (Beli. 2, 5-7). Questo movimento non ebbe successo: Archelao tenne loazar e poi si recò a Roma per essere confermato nella propria carica. Ritor nato da Roma quale etnarca anziché quale re (come aveva sperato), depose Ioazar per essersi schierato con coloro che si erano opposti a lui (An t. 1 7, 339). Nel 6 d.C., comunque, Archelao rinominò Ioazar. Archelao stesso venne poi deposto e Quirinio, legato di Siria, venne inviato a fare un censimento della Giudea. Naturalmente si manife stò opposizione alla registrazione delle proprietà per scopi fiscali, ma Ioazar persuase buona parte del popolo ad adeguarsi alla volontà dei romani (Ant. 1 8, 3). Nonostante i suoi sforzi, tuttavia, ci furono sollevazioni, e Quirinio lo depose perché era stato «sopraffatto da una fazione popolare» (Ant. 1 8 , 26).
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Parte terza
Si tratta di una carriera assai istruttiva. l . Si vede che il potere lai co si attendeva che il sommo sacerdote controllasse la situazione senza !asciarsela sfuggire: un sommo sacerdote non era stato in gra do di prevenire la rimozione dell' aquila, un altro non era stato i n grado d i prevenire alcune sollevazioni, e d entrambi furono rimossi. 2. È evidente la prontezza con cui l ' autorità laica cambiava i sommi sacerdoti, in cerca di uno che fosse efficace. 3. I pii e gli zelanti quelli che lamentavano l'esecuzione degli uomini che avevano tirato giù l'aquila - volevano che il sommo sacerdote stesse dalla loro par te e che fosse anche pio e zelante come loro. 4. Anche un sommo sa cerdote che fosse sostanzialmente fedele al governante laico poteva unirsi alle agitazioni contro colui al quale doveva la propria carica (il che fa supporre che i sospetti di Archelao avessero un qualche fon damento). 5. Molta gente poteva venire persuasa dal sommo sacer dote anche quando questi sosteneva una causa impopolare (la regi strazione delle proprietà). Circa i punti 4 e 5 , non sappiamo chi fos sero gli alleati di Ioazar, e dunque non possiamo sapere se egli si schierasse da solo con la 'plebaglia' nella protesta contro Archelao, né se egli persuadesse da solo la maggioranza del popolo a sottomet tersi al censimento romano. Può darsi che parecchi vedessero che la questione non meritava la rivolta armata. Nondimeno, si vede la po sizione che ci si aspettava fosse occupata dal sommo sacerdote, e la potenziale ampiezza delle sue responsabilità8• Durante gli anni del governo romano diretto, e in misura minore durante il governo di uno dei discendenti di Erode, il sommo sacer dote era l'intermediario tra il governante laico e il popolo. Le sue re sponsabilità comprendevano la rappresentanza del popolo presso i l governante e quella del governante presso i l popolo. A tal fine egli formava alleanze con altre figure predominanti, raccoglieva intorno a sé dei consiglieri e si avvaleva dei mezzi consueti della diploma zia: spesso incontri privati, ma talvolta anche appelli pubblici. La sua riuscita nel prevenire disordini gravi dipendeva da diversi fattori , alcuni dei quali erano al di fuori del suo controllo. Alcuni sommi sa cerdoti erano più abili di altri e alcuni generalmente più rispettati di alui. Tutti disponevano di una certa autorità in virtù della loro cari ca. Parecchi di coloro che la rivestirono si sforzarono con diligenza di soddisfare sia il governante laico sia i desideri della plebe, anche 8. Sono grato a Mani n Goodman per i suoi consigli riguardo a questo paragrafo.
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se, quando la situazione volgeva al peggio, quasi sempre incitavano la folla alla sottomissione, in modo da mantenere la pace.
I sommi sacerdoti dovevano essere in grado di andare d'accordo con il potere laico, fosse esso erodiano o romano: questa non era una possibilità di scelta, ma una condizione necessaria per il manteni mento della carica. Il carattere del sommo sacerdote ebbe poca im portanza finché Erode fu re, dal momento che era lui a prendere tutte le decisioni importanti. Poteva permettersi un sacerdote che fosse una nullità, e in effetti lo prefen, per quanto anch'egli si aspettasse che il sommo sacerdote adempiesse compiti piuttosto ovvi, come evitare che il tempio venisse devastato vandalicamente. Dopo la morte di Erode e la deposizione di Archelao, tuttavia, la carica ridi venne importante, sia in termini di influenza sia di autorità effettiva. I prefetti e procuratori romani risiedevano di solito, con la maggior parte delle loro truppe, a Cesarea, e il sommo sacerdote, il suo consi glio e le loro guardie armate amministravano Gerusalemme, come mostrano numerosi passi di Giuseppe Flavio e anche le storie di pro cessi nei Vangeli e negli Alti (Mc 1 4, 53- 15, l e paralleli; Gv 1 8, 1 232; At 5 , 1 7 42 ; 7, l ; 23, 2-5). Sotto Roma, la situazione rimase so stanzialmente la stessa dei tempi dell'impero persiano e dei regni el lenistici: il sommo sacerdote governava il tempio e Gerusalemme, ed è probabile che governasse effettivamente la Giudea. Le cittadine e i villaggi avevano i propri magistrati per trattare gli affari minori, e probabilmente anche piccoli consigli9. Tuttavia, una differenza tra gli imperi precedenti e Roma che si ripercuoteva particolarmente su Gerusalemme era che il fiato di Roma si faceva sentire più pesante mente sul collo dei governanti giudei locali. Dei sommi sacerdoti durante il periodo dal 6 al 66 d.C., alcuni fu rono corrotti, per il proprio tornaconto e per quello dei propri paras siti, mentre altri usarono il proprio potere e la propria influenza per proteggere il popolo dall' intervento diretto di Roma: ossia, tentarono onestamente di governare Gerusalemme in modo tale da salvare una certa misura d ' indipendenza senza offendere Roma. Per complicare ulteriormente la nostra valutazione, una persona poteva ricadere in entrambe le categorie, come vedremo più avanti in questo capitolo. Eminente e in generale fattiva fu la famiglia di Anna (Ant. 20, 1 98)10• Questi fu sommo sacerdote dal 6 al 1 5, e cinque dei suoi figli -
9. Sull " ' autogovemo' cfr. ohre. cap. 2 1 . IO. Que&to &Ommo sacerdote � çhiamato "Anna" nel Nuovo Testamento (ad es.,
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furono sommi sacerdoti dopo di lui. Il sommo sacerdote di maggior successo durante il periodo romano fu Giuseppe Caifa, che manten ne la carica dal 1 8 al 36. Secondo il Nuovo Testamento, egli era il genero di Anna (Gv 1 8, 1 3). Nel cap. l O abbiamo notato che Giuseppe Aavio riportava storie che screditavano alcuni sommi sacerdoti. Queste sono strettamente connesse con storie che rappresentano altri aristocratici (i leader sa cerdotali e gli erodiani) come coinvolti in attività illegali e vergo gnose. Tali narrazioni devono essere viste come un gruppo. Ci sono sei passi principali, che riassumerò in ordine cronologico. l . All'epoca del sommo sacerdote Ismaele figlio di Fabi (ca. 59-61 d.C.) tra i leader sacerdotali vi era mutua ostilità, e vi era anche con tesa tra costoro e «i sacerdoti e i membri di spicco della plebe di Ge rusalemme>> (Ant. 20, 1 80)1 1 • 2. I servi tori di alcuni dei leader sacer dotali raccoglievano le decime direttamente sulle aie, con il risultato che alcuni dei sacerdoti ordinari erano ridotti alla fame (Ant. 20, 1 8 1 ). 3. Il sommo sacerdote Anania permetteva ai suoi servitori di rubare le decime, e a costoro si unirono altri fra i sacerdoti importan ti . Quando i coltivatori si opposero, volendo serbare le decime per i sacerdoti ordinari, vennero percossi. Di nuovo, alcuni sacerdoti furo no ridotti alla fame (Ant. 20, 206 s.). 4. Quando Agrippa II sostituì il sommo sacerdote Gesù figlio di Damneo con Gesù figlio di Gamala (ca. 63 d.C.) si instaurò una faida, e i sostenitori dei due sacerdoti ri corsero agli scontri di strada (Ant. 20, 2 1 3). 5. Durante le ostilità tra questi due sacerdoti, Anania «prese in mano la situazione avvalen dosi delle proprie ricchezze per attirare quanti fossero disposti a la sciarsi corrompere>> . 6. Due discendenti di Erode, Kostobar e Saul, «radunarono bande di scellerati>> e saccheggiarono le proprietà di gente più debole di loro (Ant. 20, 2 1 4). Tutte queste storie risalgono al periodo in cui Agrippa 1 1 aveva il potere di nominare il sommo sacerdote, potere che esercitò per sei volte in circa sette anni (ca. 59-65 d.C.). Esse rivelano anzitutto una Le 3, 2; Gv 1 8, 3), ma 'Anano' da Giuseppe Aavio. Poiché uno dei suoi figli si chiamava Anano (Giuseppe Aavio: Anano figlio di Anano), ho deciso di utilizzare la versione neoleslamemaria del nome. I l . Goodman (Ruling Class, p. 1 38 n. 2) souolinea che il lesto va leno secondo quesla traduzione, piuuoslo che come •Ira il sommo sacerdote da una parte e i sa· cerdoli e i capi della plebe [ . . . ] dall'allra» (secondo la traduzione di Feldman nell'edizione della Loeb Classica( Library). Feldman sembra seguire l'Epitome, che cila nelle nole (E).
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lotta tra fazioni entro l ' aristocrazia•z. I sommi sacerdoti lottavano contro i predecessori; i leader sacerdotali si opponevano non solo ai sacerdoti ordinari ma anche ai leader (protoi, i «primi>>) della plebe; Anania usava la propria ricchezza per mantenere la propria influenza sulle persone più importanti, il procuratore e il sommo sacerdote in carica (Ant. 20, 205), senza dubbio a spese degli altri aristocratici. Faremo ritorno a queste storie dopo aver passato in rassegna gli altri gruppi di aristocratici. Qui noteremo che sommi sacerdoti come questi chiaramente svilivano la carica. Si sarebbe pensato che essa avrebbe perduto completamente di credibilità, e tale è l'impressione che queste storie danno ad alcuni lettori moderni. Molti studiosi af fermano che i sommi sacerdoti erano corrotti: quelli che rivestivano la carica usavano la corruzione per aprirsi la strada. Inevitabilmente, generalizzazioni come queste si riferiscono a un solo passo, la de scrizione data da Giuseppe Flavio del modo in cui Anania mantenne la propria influenza dopo essere stato deposto (Ant. 20, 205)13• Il suo comportamento è poi attribuito ai sommi sacerdoti in generale. Ma questo procedimento è fuorviante. Si devono anche ricordare coloro che, al momento della rivolta, vennero scelti per guidare i l popolo, a quanto sembra, per acclamazione popolare (Beli. 2, 562 s.); che rimasero, si batterono e caddero; che sembrano essersi com portati con nobiltà. Giuseppe Flavio riserva le lodi più alte a un som mo sacerdote, Anano figlio di Anna. Questi rimase in carica soltanto per pochi mesi nel 62, venendo deposto per aver convocato un syne drion (tribunale) e aver messo a morte Giacomo, il fratello di Gesù, senza l'autorizzazione dei romani (Ant. 20, 1 99-203). Rimase un personaggio eminente e fu uno dei prescelti a condurre le operazioni di guerra (insieme con un altro aristocratico, Giuseppe figlio di Go rion: Beli. 2, 563 s.). La stessa assemblea del popolo assegnò posti di comando a parecchi altri sacerdoti (Beli. 2, 566-568). Nella tremen da guerra civile che segnò l'ultima fase della rivolta, i due capi che cercarono di opporsi agli sforzi degli zeloti e degli idumei per pren dere il controllo della situazione furono due leader sacerdotali, Gesù figlio di Gamala e Anano: parecchie migliaia di giudei (8.500, se condo Giuseppe Flavio) morirono combattendo in loro difesa (Beli. 4, 238.305-3 1 8), ed è ad Anano che Giuseppe Flavio tributa il rico noscimento più sentito nelle proprie pagine (Beli. 4, 3 19 - 325 ) . Cito qui la sua valutazione generale: Cfr. Goodman. Ruling C/ass, pp. 140-147. 13. Ad es. Rajak, Josephus, p. 22.
12.
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«Uomo riverito ovunque e di somma integrità, Anano, pur con tutta la di stinzione dei suoi natali, del suo rango e degli onori che aveva ottenuto, era lieto di trattare anche i più umili come suoi pari. Unico nel suo amore per la l ibertà e fervente democratico, antepose in ogni circostanza il bene pub blico ai propri interessi privati>> (Beli. 4, 3 1 9-320).
E questa è solo una parte dell'elogio, che va ancora avanti. È chiaramente un passo costruito ad arte, pieno di espressioni conven zionali, alcune in contesto e altre no (15• Ho sostenuto questo ricorrendo all'aneddotica, vale a dire raccontando le storie di Ioazar, di Anano, di Anania e dei paramenti. Anche la documentazione ulteriore sarebbe aneddotica: basterebbe raccontare tutte le storie sui sommi sacerdoti o sui leader sacerdotali. Non lo farò qui, anche se citerò qualche altra storia più oltre o nel capitolo sull' autogoverno. L'impressione generale che tutte le storie danno, ribadisco, è che il sommo sacerdote mantenesse molta influenza sul popolo in virtù della sua carica, benché sia vero che i sommi sacerdoti del periodo romano non avessero il prestigio di quelli asmonei o sadociti che li avevano preceduti. Ora dovremmo richiamare alla memoria un punto della storia de gli Asmonei. Esisteva un'opposizione a loro in quanto sommi sacer doti, non in quanto governanti laici. A certuni non piaceva la combi nazione delle cariche - quasi che il re potesse tornare dalla battaglia con mani impure e sacrificare a Dio -, ma fondamentalmente le criIS.
Goodman, Raling Class, p. 40.
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tiche si basavano sul rispetto per il sommo sacerdozio. Dopo l a con quista da parte di Pompeo, a lrcano II non fu concesso di fregiarsi del titolo di 're', ma solo di quello di 'etnarca' ; eppure era sommo sacerdote. Allora, naturalmente, i giudei pensavano che l'idumeo Antipatro e i suoi figli Fasael ed Erode dovessero essergli subordina ti (cfr. oltre, p. 650). Per molti, moltissimi ebrei la carica di sommo sacerdote era quella che contava davvero. In assenza di un re davidi de, il presupposto naturale era che il sommo sacerdote fosse ordinato da Dio a guida del popolo. I paramenti erano sacri ed erano il simbo lo della santità della sua carica, sia che chi li indossava ne fosse de gno o no.
2. / leader sacerdotali Per certi versi il sommo sacerdote non era che un primus inter pa res. Nei rapporti quotidiani con i romani e con il popolo, i sacerdoti che avevano la leadership tra gli altri spesso agivano in gruppo e con efficacia. Hanno un ruolo importante nelle faccende di governo in tutte le pagine di Giuseppe Flavio (fuorché nel periodo di Erode) e anche nelle scene di processi nei Vangeli e negli Atti. Non sappia mo come si ottenesse la qualifica di 'leader sacerdotale ' : la designa zione non era ufficiale; la qualifica non si otteneva per elezione n per ordinazione dall'alto. In questo studio mantengo una distinzione tra 'sommo' per il sommo sacerdote in carica e 'leader' per gli altri, ma in greco non c'è distinzione fra i due termini. Il sommo sacerdo te in carica, nelle nostre fonti greche, viene chiamato archiereus; i leader sacerdotali in gruppo vengono chiamati archiereis, fom1a plurale del medesimo nome. Anano, quando era sommo sacerdote in carica, era archiereus; dopo essere stato deposto, era ancora archie reus. Non si può dire con certezza se il titolo venisse mantenuto con valore onorifico (così come a un ex-presidente degli Stati Uniti ci si rivolge ancora chiamandolo 'Signor Presidente', anche se non lo si chiamerebbe più 'il Presidente') o se il significato avesse subito un leggero mutamento, per indicare il quale possiamo comodamente usare le espressioni moderne 'sommo sacerdote' e 'leader sacerdo tale'. Inoltre, non sappiamo come un ex-sommo sacerdote o il grup po dei leader sacerdotali venissero chiamati nell'ebraico parlato o in aramaico. Nella Regola della guerra il medesimo aggettivo (rosh,
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'testa', e non gadol, 'grande') è usato sia al singolare sia al pluraJet6. Il termine ufficiale per indicare il sommo sacerdote era kohen gadol, come provano le monete asmonaiche. Una distinzione terminologica fra i sacerdoti importanti e il sommo sacerdote in carica sarebbe pos sibile tanto in ebraico quanto in greco: tuttavia, una distinzione del genere non è documentata in alcuna delle due lingue, e la documen tazione del greco sembra indicare che non la si facesset7• II motivo per cui si indaga la terminologia è il seguente: se l'aggettivo per i leader sacerdotali era lo stesso per il sommo sacerdote, come sem bra, è probabile che i leader sacerdotali fossero strettamente collega ti alla carica di sommo sacerdote. Aggettivi differenti permettereb bero una definizione più generale dei 'leader sacerdotali' . Queste osservazioni hanno relazione con l e due principali propo ste di definizione dei 'leader sacerdotali' : che fossero membri delle quattro o cinque famiglie dalle quali venivano tratti i sommi sacer dotit8, oppure che fossero i sacerdoti che detenevano una delle cari che particolari (ad es., quella di tesoriere)t9• Sulla scorta di Schiirer, Vermes, Millar e Goodman, io ritengo preferibile la prima spiega zione: membri delle famiglie di rango sommo-sacerdotale20• Questo significa che c'era un buon numero di leader sacerdotali, dal mo mento che alcune famiglie, anche nell'arco di una o due generazioni, avrebbero generato parecchi maschi, specialmente se anche i fratelli del sommo sacerdote avevano la qualifica di leader sacerdotali. Nel descrivere i capi della rivolta, Giuseppe Flavio fa distinzioni di status tra i leader sacerdotali. Chiama Anano , il che denota il rango, o l'età, o entrambe le cose (Beli. 4, 1 5 1 ). Secondo Beli. 4 , 1 60 Anano e Gesù figlio di Gama1a 16. Cfr. sopra, n. 3. I QM 2, l fa riferimento al 'capo sacerdote' o ai 'capi dei sa cerdoti ' (rashe ha-kohanim). 1 7 . Jeremias (Jerusa/em, pp. 177 s.) propose l'ipotesi che in ebraico i sacerdoti importanti venissero chiamati