Gesù e il giudaismo 8821168093

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Gesù e il giudaismo
 8821168093

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E. P. S anders

Gesù e il giudaismo

Prefazione di Piero Stefani

MARIEITI

Edizione originale: ]esus and ]udaism (SCM Press Ltd, London) © E.P. Sanders 1985

Tradu:;;ione italiana di Piero Stefani

I Edizione 1992

© 1992 Casa Editrice Marietti Via Palestro 10/8 Te!. 010/8393789 -

16122 Genova

ISBN 88-211-6809-3

Indice

Nota all'edizione italiana di Piero Stefani

IX

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Prefazione Introduzione Il problema Come procedere Le prove più sicure I detti Una buona ipotesi

Lo stato della questione

7 7 11 11 22 30 36

Parte pnma La restaurazione di Israele I.

Gesù e il tempio La > 5o. La posizione di Knox non coinci­ de con quella della tradizione inglese che va da Rawlinson a Moule 51, 48 Anche R. Pesch si è dichiarato a favore di iniziare dalla controversia sul tempio, cfr. , Orientiernng 35, 1 9 7 1 . 4'! R. MoRG A N , ], 1-30, qui 7, 14s. Cfr. «Glinther Bornkamm in EnglanJ)>, Kirche Festschrift {iir Giinthcr Bomkamm xum 75° Geburts/dg (a c . di O . Luhrmann - G. Stcckcr), G i:it tingc n 1980, 491-506, spec. 499. '" ] . KNox, Jesus, Lord and Christ, New York 1958, 1 1 5. Sulla posizione di Knox vedi E.P. SA!'.IDI:Rs, �, Colloquy on New Tes tament 5tudies (a c. di B.C.

Corley), Macon. Ga. 1983, 1 1-28, qui 1 1- 1 4 , 20. n «From R.awlinson to Moule», vedi R. MoRGAN, «Non Angli», 14s.

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ma, per il problema qui discusso, esse possono venire considerate assie­ me. Quel che è in gioco nella discussione inglese, come mostrano i saggi di Morgan, è la cristologia incarnazionistica: mentre la ricerca storica in se stessa può ritrarre soltanto un Gesù storico e non può costituire la base della fede cristiana, qualche descrizione storica di Gesù sarà più congruente di altre nei confronti della dottrina dell'incarnazione n. L' argomentazione di Knox era diretta alla chie­ sa: il lettore cristiano può conoscere quel che Gesù realmente fu esa­ minando la chiesa primitiva in cui l'impatto della sua vita e della sua opera si inserì violentemente. Non desidero sfidare e neppure confermare le posizioni (per esem­ pio) di Lightfoot o di Knox 53. Tuttavia a volte tenterò di dedurre cause a partire dagli effetti. Tra l'altro cercherò di vedere che cosa si può conoscere di Gesù studiando quanto avvenne dopo la sua mor­ te. Nel perseguire questa linea d'indagine, avrò in mente soltanto la sequenza già descritta, quella che termina nella persecuzione del movi­ mento cristiano primitivo da parte di qualcuno interno al giudaismo, non quella che risulta nella confessione di Gv 20, 28 [«Mio Signore, mio Dio>>, N.d. T.] . Il problema è unicamente quello di sapere se Gesù abbia fatto o detto qualcosa. che spinse i suoi seguaci a formare una setta, un gruppo interno al giudaismo che si potesse individuare e puni· re. Premetto che non considero probabile che il legame tra Gesù e il rafforzamento e la persecuzione dei suoi seguaci risieda in una visione comune della sua persona. Paolo dà una sola motivazione per la perse­ cuzione: il problema della circoncisione, e perciò, per estrapolazione, il problema della legge 54. Qui non desidero cercare di risolvere que­ sto problema, ma soltanto porre in rilievo che c'è una differenza tra il mio sforzo di collegare cause ed effetti e quello che è stato più comune nella ricerca anglosassone. Nel sottoparagrafo Una buona ipotesi (p. 30) descriverò più compiutamente la mia visione del modo in cui dedurre cause a partire dagli effetti. I detti

Per quanto al materiale dei detti sia già stato assegnato un ruolo relativamente secondario, specie se si considera la funzione predomi­ nante di cui generalmente ha goduto, in questo studio esso resta imporMoRGAN, .Ciinther Bomkamm», 500-502. " A proposito di J.B. Lightloot, vedi R. MoRGAN, «Non Angli», 4. " Vedi spec. Gal 5, l; 6, 12; cfr. l Ts 2, 16. Vedi E.P. SANDF.RS, Pau/, the Law, and the Jewish Peop/e, Philadelphia 1 983 [Paolo, [, legge e il popolo giudaico, rr. it. di P.G. Borbone, rev. di C. Gianotto, Paideia, Brescia 1989, 185- 188, 199s., n. 77; in seguito cit. come Paolo, [, legge . ]. " R.

. .

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tante. Un esame completo dell'attendibilità e dell' autenticità del mate­ riale dei detti va al di là dei limiti di quest'opera 55, ma spiegherò in breve la posizione generale che si prenderà qui a tale proposito. lo appartengo alla scuola che fa propria la posizione secondo cui rara­ mente si può provare, al di là di ogni dubbio, la completa autenticità o la completa inautenticità di un detto attribuito a Gesù; essa però sostiene che ciascun detto debba essere messo alla prova attraverso cri­ teri appropriati e debba (in via sperimentale) venir assegnato a un autore - sia esso Gesù o un anonimo rappresentante di qualche ambito del­ la chiesa primitiva 56. Questa appare come una posizione neutrale, imponendo l'obbligo della prova sia a coloro che vogliono attribuire un detto a Gesù sia a coloro che vogliono attribuirlo alla chiesa. Se si scrivesse una storia del materiale dei detti contenuto nei sinottici, una tale posizione sarebbe probabilmente neutrale. Tuttavia, quando si scrive su Gesù, questo atteggiamento ha l'effetto di far gravare l' ob­ bligo della prova su coloro che affermano l'autenticità 57 di un detto o di un gruppo di detti. Ritengo che il mio studio non si riduca a pas­ sare al vaglio il materiale in modo neutrale, assegnandolo nel miglior modo che mi è possibile a un posto appropriato. Sto andando alla ricerca di informazioni su Gesù e la mia visione generale è in qualche modo scettica; prima di impiegare un detto trasmesso voglio essere convinto che esso sia almeno probabilmente di Gesù. La questione tanto spesso discussa su chi ricada l'obbligo della pro­ va, è in effetti molto semplice: esso ricade su colui che stabilisce qual­ cosa 5 8 . Se questo fosse un libro su Matteo, avrei bisogno di mostra­ re che il materiale da me usato rappresenta Matteo, non, per esem­ pio, un redattore prematteano. Poiché il libro è su Gesù, devo assu­ mere il peso della prova e mostrare che il materiale da me impiegato probabilmente fornisce una conoscenza accurata su Gesù. "' Attualmente è disponibile una ricca e il1uminante let teratura relativa ai criteri attraverso i quali attribuire l'autenticità. l lo trovato i titoli seguenti come i più utili: M.D. HooKER, «Chris­ tology and McthoJology», NTS, 1 7 , 1970- 1 9 7 1 , 480-487; «On Using the Wrong Tool», Theolo­ gy 75, 1972, 570-58 1 ; R.S. BARBOL'R, Traditio-llistoncal Cnticism of thc Gospels (Studies in Creative Criticism 4 ) , LonJon 1972; F G . DOWNtNG, , NTS, 18, 1971-72, 209-219; D.L MEALA�D, «The Dis­ similarity Test», S]T, 3 1 , 1978, 4 ! -50. 5 6 La più chiara affermazione della posizione è di M.D. HooK..ER , «Christology and Metho­ dology», 484-487; cfr. R.S. BARHOVR, Traditio-Historica/ Criticism, 1 1 . ' 7 La parola , Das Evanp_e/ium und dle Evange­ lien, Vortragc von Ti.ibingen Symposium 1982 (WUNT 28, a c . di P. Sruhlmacher); Tiibingen 1983, 79-102.

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Due punti sono di particolare importanza: al di fuori dei vangeli non si trova un sostanziale corpus di tradizioni su Gesù; all'interno dei vangeli abbiamo testi completi, non già apoftegmi 65 . Quando que­ sti due punti sono combinati tra loro, in effetti essi segnano il rifiuto della posizione fondamentale della «Storia delle forme>>, secondo cui buona parte del materiale fu creata in un «contesto vitale>> per servire a diversi bisogni della chiesa 66. Piuttosto abbiamo, come in Giacomo, delle parenesi senza materiale riferito a Gesù, e molto materiale rela­ tivo a Gesù che doveva servire alle parenesi (specialmente in Matteo), ma non abbiamo alcuna prova che il bisogno di esortazione etica con­ ducesse alla creazione di materiali su Gesù. Gerhardsson nota che in attività come quelle dell'esortazione e dell'apologia, la chiesa aveva biso­ gno innanzitutto di apoftegmi, non necessariamente della lettura di testi completi 67. Egli ricerca una particolare attività nella vita della chiesa che dia ragione della conservazione di testi contenenti detti di Gesù e la trova considerando la duplice trasmissione delle Scritture ebraiche. C'era una trasmissione libera, che spesso modificava in modo sensibile la Scrittura e che è rappresentata dall'haggadah midrashica e targumica. C'erano anche attività in cui veniva conservato il testo preciso: il culto, Io studio e la conservazione e trasmissione professio­ nale del testo scritto 68. Poiché il materiale relativo a Gesù esiste in testi completi, Gerhardsson avanza l'ipotesi che esso - o almeno una sua parte - sia stato tenuto e conservato in modo analogo a quello della Scrittura ebraica 69 . Ci sono due chiari esempi in cui si può essere sicuri che, fin dal primissimo tempo, la chiesa conservò testi: i detti sul divorzio ( l Cor 7, l Os . ; Mt 5 , J ls . ; Mt 1 9, 9; Mc 1 0, l ls . ; Le 16, 18), e le parole del­ l'istituzione dell'eucaristia ( l Cor 1 1 , 23-26; Mt 26, 26-29 e parr.) 70. È degno eli nota che neppure qui ci sia attenzione per una precisa enun­ ciazione, che Gerhardsson parecchie volte indica come ciò che ha carat­ terizzato la conservazione del materiale relativo a Gesù 7 1 • Non solo " Ibid. , 8 0 , 87. " Ibid , 8 3 . •1 Ibid , 87. " Ihid., 87s. (,') lbid., 93. In questo saggio Gerha rdsson non dice ancora quanta parte del materiale ave­ va in mente. A p. 93 scrive che la chiesa ebbe bisogno di «tradizioni di GesÙ» - prive sia di un articolo che d i un aggettivo che l e m odi fi ch i - nella stessa maniera i n c u i aveva bisogno di testi scritrurali. A p. I O , tuttavia, eg li scrive a proposito del materiale dei detti (con l 'esclu­ sione de l le parabo le) che il suo caraltcrc arca ico è meglio spiegato da l l i po tesi secondo cui, fin dall'epoca prepasquale, fu tr asmes so con formulazioni precise e con una scarsa riclahorazione. '" Gli esempi di G. Gerhardsson (ibid., 80) sono: l Cor 1 1 , 23-25; At 20, 35; l Cor 15, 3-8. 71 Ibid. , 94s. '

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l'enunciazione varia da una versione all'altra, ma vi sono anche varianti sostanziali. Gesù disse del calice «questo è il mio sangue» (Matteo e Marco) o «questa è la nuova alleanza nel mio sangue» (Paolo e Luca)? Egli proibì alle mogli di abbandonare i loro mariti (Paolo e Marco), o menzionò solo gli uomini (Matteo e Luca)? Gerhardsson a più riprese dice che la chiesa modificò il materiale: cancellò, aggiunse, alterò e occasionalmente creò del materiale su Ge­ sù n Ma una volta che ciò è dato per scontato e si vede che è vero anche nei due testi che sappiamo essere esistiti molto presto, sembra che si dovrebbe lasciar cadere l'analogia con il testo delle Scritture ebrai­ che. Gerhardsson mi ha persuaso che il materiale evangelico non è stato creato e trasmesso nei modi proposti dalla «Storia delle forme» - cioè singolarmente e in funzione delle svariate attività della chiesa primiti­ va, come l 'insegnamento e la disputa 7 3 . Ma non abbiamo ancora una situazione analoga proveniente dal mondo antico che ci spieghi come esso venne trattato. In effetti Gerhardsson rifiuta la visuale proposta dalla «Storia delle forme» sul come si esercitò la creatività della chiesa (in attività tipiche che fecero sorgere certe forme), ma non siamo in possesso di un'alternativa convincente, né si deve negare la creatività di per sé. Il punto più certo è quello con cui abbiamo iniziato e che Gerhardsson dà per scontato: il materiale fu soggetto a ogni sorta d'al­ terazione e noi lo possediamo nel modo in cui fu trasmesso dalla chiesa. 2) Le prove proposte dalla «storia delle forme», che venivano impie­ gate per stabilire la forma primitiva della tradizione e che sono state spesso usate nel tentativo di stabilire l' autenticità, risultano inatten­ dibili. Penso soprattutto ai semitismi, alla concisione e ai dettagli. In generale i detti non tendono a diventare più o meno «semitici» né più lunghi o più corti, né più o meno dettagliati 74• 3) Conosciamo molto poco della pratica e degli interessi della chie­

sa primitiva (a parte la missione paolina) anteriori alla stesura dei van­ geli 7 5 . In pochi casi esiste una prova indiscutibile che un detto sia 72 Ibid. , 82s., 89, 100, 102. 1 1 Cfr. G.N. STANTON, Jcsus o/ Nazareth, spcc. 172· 177. Stanton non è neppure soddisfat· to dell'attribuzione da parte della a diverse situazioni, c propone cile i ricordi storici su Gesù fossero inclusi nclia predicazione missiona ..ia. Vedi anche la mirabile trattazione di questi c di altri argomenti relativi alla ricerca sinottica compiuta da E . E . ELLIS, �Gospels Criticism . A Perspective an the State of An�), Das Evangelium und die Evange/ien (n. 37), 27-54. 7� E.P. SA:-.IDERS, Tendencies. Delle tendenze ipotizzare la sola che è rimasta in uso, nono­ stante le numerose critiche, è quella del scmitismo decrescente. Vedi, ad esempio, N.J. McELE­ NEY, «Authcnticating Critcria and Mark 7, 1·23», CBQ, 34, 1972, 4 3 1 -460. A p. 4 J 7 egli cita, approvandola, la mia opinione sui semitismi (cioè che essi non aiutano a stabilire l'autenticità), tuttavia anch'egli vi ricorre a pp. 4 38-440. n Questa posizione è ora sostenuta di frequente. La più completa presentazione � attual­ mente contenuta in The Church and ]esus, di F.G. Downing.

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stato alterato o forse creato dopo la morte di Gesù 76, ma non è pos­ sibile fornire qualcosa che assomigli a un elenco dei tipi di mutamenti che possono essere stati introdotti. Quando si considerano congiuntamente questi tre punti dobbiamo concludere che il materiale fu soggetto a mutamenti e che può essere stato modificato, ma che non sappiamo con precisione in che maniera lo sia stato 77 Non sto affermando di essere decisamente convinto che Gesù non disse la maggior parte delle cose attribuitegli nei vangeli sinot­ tici, ma piuttosto che considero il materiale come soggetto a mutazio­ ne in modi che non possono venire esattamente stabiliti. Perciò il mate­ riale dei detti non ci offre di per sé un terreno abbastanza saldo per esplorare con buon esito i problemi che ci siamo posti. La debolezza della «storia delle forme» non ci dovrebbe condurre al punto di vista secondo cui l'alternativa consiste nell'accettare la gene­ rale attendibilità della tradizione tranne nel caso in cui essa possa essere confutata. Gli > (p. 108) 1 14 . Nonostante la durezza di questi punti di contrasto - l'odio impla­ cabile tra Gesù e gli scribi e i farisei a causa della loro fondamentale antipatia religiosa, l'implicita abrogazione della legge da parte di Gesù e la sua embrionale universalizzazione della religione - la morte di Gesù - secondo la visione di Bousset - non dipende né da tutti questi punti né da alcuni di essi. Bousset nota che gli scribi e i farisei a Geru­ salemme furono sostituiti dai sommi sacerdoti e da altri avversari di Gesù (p. 16) e conclude sostenendo che la causa della morte di Gesù si trova nella sua affermazione messianica, la quale, più che gli scribi e i farisei, minacciava le gerarchie di Gerusalemme (p. 17) . Perciò il contenuto delle dispute sugli argomenti di significato religioso non influenzò effettivamente l'esito della vita pubblica di Gesù. Manca la connessione ricercata da Schweitzer. Come spiegazione storica l'opera di Bousset fallisce in ogni punto. Essa offre non credibili elementi di contrasto tra Gesù e i maestri ebrei, l'opposizione descrittavi dipende da una riprovevole denigrazione e da una descrizione perversamente fuorviante del giudaismo e in ogni caso l'opposizione non ha niente a che vedere con gli eventi successivi. Le circostanze del processo e della morte di Gesù sono affermate in modo nudo e crudo, senza alcun tentativo di spiegare perché un'affermazione messianica avrebbe dovuto condurre a morte. Io credo che il miglior modo di spiegare il libro di Bultmann su Gesù 1 1 5 sia quello di dire che fu allievo di Bousset e che seppe regi­ strare pienamente l'impatto di alcuni punti di Schweitzer (oltre alla classica e giusta osservazione stando alla quale egli operò innanzitutto in base a categorie esistenzialistiche). Bultmann e Dodd offrirono le repliche più importanti alla teoria dell' >. La base dell' affer­ mazione è l'indiscussa autenticità della prima, seconda e quarta anti­ tesi del . Kasemann trae immediatamente la seguente conclusione: «Infatti l'ebreo che si comporta in tal modo si autoelimina dalla comunità del giudaismo, oppure è colui che porta la Torah messianica, e quindi è il Messia>> (p_ 49). Kasemann si fa por­ tatore di una posizione destinata a diventare sempre più accettata, e cioè che Gesù si pose intenzionalmente al di sopra di Mosè, e che un tale comportamento era un'implicita affermazione messianica. Kase­ mann prosegue citando l' atteggiamento di Gesù verso il sabato e la purità cerimoniale come esempi in cui la Torah è infranta (p. 49). Infran­ gere le leggi che riguardano la purità cerimoniale, ciò che consente la frequentazione dei peccatori, è particolarmente significativo; infatti, così facendo, Gesù eliminò: «la distinzione fondamentale, per tutta l'an­ tichità, tra il temenos, cioè la sfera del sacro, e la profanità>> (p. 50) . Gesù fu così manifestamente il primo uomo moderno. Nella concezio­ ne di Kasemann, l'atteggiamento di Gesù verso la legge diventa causa 112 Tra le opere di questo periodo va soprattutto notato, per quanto non compaia nel nostro resoconto, il libro di M. GOGUF.L, ]ésus et /es orif!,ines du christianisme: La vie de ]ésus , Paris 1932 [tr. ing., The Li/e of Jesus, London-New York 1933, rist. 1960]. 1 33 C. KAsEMANN, «Il problema del Gesù storico��J>, 49-55.

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della sua morte, scuote le fondamenta del giudaismo e, molto più pro­ fondamentç , né un raggruppamento di una élite religiosa. Gesù casomai andò in cerca di tutto Israele. In effetti nella sua chiamata era preparato ad andare persino al di là dei confini d' Israele (p. 42, citando Mc 7, 1 5 . 29; Mt 8, l l s.). Perciò Schweizer accetta di buon grado l'opinione secon­ do cui Gesù contraddisse l'esclusivismo giudaico. Al di là di tutto ciò, tuttavia, l'intento di Gesù viene definito solo negativamente. Schwei­ zer insiste sul fatto che Gesù non si conformò a un modello stabilito, non ebbe un programma rispondente ai desideri di un qualche grup­ po, e non può rientrare in alcuna delle consuete categorie dell' attesa ebraica (pp. 42s.). Tutti coloro che sperarono in lui per vedere realiz­ zati i loro personali progetti restarono delusi (p. 43) . Concretamente, egli può dire che il proposito di Gesù era di dare fede (p. 45), ma è un po' difficile sapere quale fosse il contenuto specifico della fede. I punti negativi sono più chiari. Gesù si oppose nettamente alle com­ ponenti essenziali del giudaismo. Il punto principale è il consueto con142 A. ScuwEJTZER, Die Mysti'-..fles Apostels Paulus, Tiibingen 19542 [tr. ing., The Mysticism o/ Paul the Apostk, London-New York 1931; 1953, 334-339]. 1 4J E. ScHWElZER, ]esus.

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trasto tra l'autorità personale di Gesù e la legge: «È chiaro [ . . . ] che Gesù parlò ai pubblicani, che erano esclusi dal popolo di Dio [ . .], chia­ mandoli alla condivisione della sua tavola e, in questo modo, all 'ami­ cizia con Dio; in altre parole, offrì il perdono come se fosse al posto di Dio>> (p. 14). Egli aveva personalmente l'autorità di offrire il regno, e la Torah è abrogata attraverso le antitesi (p. 14). Schweizer cita come ulteriori esempi in cui Gesù abrogò la legge il detto sul divorzio, la trasgressione del sabato (da lui senz'altro ammessa) e la purità rituale (p. 32). L'affermazione riassuntiva che meglio distingue Gesù dai con­ temporanei e lo contrappone a essi è la seguente : .

Essi [i suoi contemporanei] avrebbero compreso e tollerato un asceta che annientasse questo mondo per amore del fuluro regno di Dio. Avrebbero compreso e tollerato un apocalittico [ . . . ]. Avrebbero compreso e tollerato un fariseo che chiamasse urgentemente la gente ad accettare il regno di Dio qui e ora in obbedienza alla legge, per desiderio di aver parte nel regno futuro. Avrebbero compreso [. . .] un realista o uno scettico che [. ..] si dichia­ rasse agnostico nei confronti di ogni aspettativa futura. Ma non potevano comprendere un uomo che affermava che il regno Ji Dio giungeva agli uomini in quel che lui stesso diceva e faceva, ma che ciononostante, con incomprensibile circospezione, si rifiutava di attuare miracoli decisivi; sanò degli individui ma rifiutò di por fine al tormento della lebbra o della ceci­ tà, parlò di distruggere il vecchio tempio e di edificarne uno nuovo ma non boicottò neppure il culto di Gerusalemme così come aveva fatto la setta di Qumran [ . . ], soprattutto parlò dell'impotenza di coloro che pos· sono uccidere soltanto il corpo ma si rifiutò di scacciare i romani dal pae­ se, lasciò tutte queste cose a Dio sapendo che Dio un giorno avrebbe ono­ rato le promesse e gli impegni ora assunti da Gesù (p. 26). .

Quindi il punto decisivo del contrasto con Gesù ebbe origine dalla sua totale non conformità alle loro aspettative e dal suo rifiuto di com­ piere qualcosa di decisivo, limitandosi piuttosto a richiedere fede e a lasciare il resto a Dio. Tuttavia a condurre alla morte di Gesù non fu la perplessità susci­ tata da questo suo non conformismo, né la sua opposizione alla Torah, bensì il rivendicare a sé il ruolo di Dio nel concedere il perdono ai peccatori: Con una sicurezza che deve essere parsa inaudita ai suoi ascoltatori, egli equipara la misericordiosa condotta di Dio a quella da lui tenuta nei con­ fronti dei pubblicani. Chi se non Gesù avrebbe potuto spingersi a descri­ vere una condotta così incredibile e assolutamente inaspettata da parte del padre nei confronti del proprio figlio dissipatore? Chi se non Gesù aveva l'autorità di rivendicare a sé, nella sua parabola, il ruolo di Dio stesso, e proclamare una festa per il peccatore che era stato restituito all'amicizia di Dio? Coloro che lo inchiodarono alla croce, perché trovavano blasfeme

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l e sue parabole, che proclamavano una condotta tanto scandalosa da parte di Dio, comprendevano le sue parabole meglio di coloro che in esse vede­ vano solo l'ovvio messaggio, che sarebbe dovuto risultare di per sé evi­ dente a tutti, a proposito della paternità e della benevolenza di Dio intese a sostituire la superstiziosa credenza in un Dio d'ira. Ma Gesù s'identifi­ ca a tal punto con la causa di Dio che muore per la verità delle sue para­ bole (pp. 28s.).

Vediamo qui la stessa mancanza d'interesse per una spiegazione sto­ rica credibile, che spesso contraddistingue la discussione sulla morte di Gesù. In breve, egli morì per il vangelo. Ma come avvenne ciò? Chi furono quegli ebrei che si opposero a offrire la grazia ai peccato­ ri? Dove si trova qualche indicazione che le parabole furono intese come bestemmia? Quali ebrei negavano la paternità e la misericordia di Dio e sostenevano credenze superstiziose a proposito della sua ira? Dove sono le prove che esiste una connessione tra l'insegnamento in parabole di Gesù, l'accusa di bestemmia e la crocifissione? Si resta stu­ piti della frase che esordisce così: «coloro che lo inchiodarono alla croce perché trovarono la presenza di una bestemmia nelle sue parabole»: i romani furono offesi dalla «bestemmia» costituita dall'offrire grazia ai peccatori? La mancanza di aderenza alla realtà storica è qui evidente. Per la verità, circa la connessione degli eventi è implicita un' inter­ pretazione che, una volta resa esplicita, mostra come la visione di Schweizer, per quanto storicamente dubbia, sia del tutto coerente. Lo sviluppo dell'argomentazione procederebbe pressappoco nel modo seguente: nelle sue parabole Gesù proclamò il perdono dei peccatori. Poiché il perdono è prerogativa di Dio, egli intese, e fu inteso, sosti­ tuirsi a Dio. Ciò costituisce una bestemmia. Il processo ebraico verte sull'accusa di bestemmia. Il processo romano di fatto si svolse per isti­ gazione dei capi giudaici, cosicché Gesù fu de facto, se non de jure, condannato a morte per bestemmia. In questo modo l'intento, l'inse­ gnamento e la morte di Gesù sono legati fra loro. Per amore di con­ trasto si può richiamare l'opinione di Bousset, condivisa da molti stu­ diosi, secondo cui l'opposizione che condusse alla morte di Gesù non fu necessariamente connessa a un'opposizione con il giudaismo intrin­ seca al suo insegnamento. Se c'è un orientamento divenuto quindi palese, esso è il seguente: sembra che si sia andata sviluppando una maggiore volontà di vedere Gesù porsi consapevolmente contro la legge e contro gli altri elementi portanti del giudaismo. Sulla spiegazione di questo suo comportamen­ to non vi è unanimità di consenso. Tutti concordano sul fatto che egli si comportò in tal modo in nome della volontà di Dio, ma non c'è accordo sul problema se egli abbia avuto o meno in mente qualcosa

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oltre che la semplice asserzione che in casi particolari egli poteva valu­ tare che la volontà di Dio richiedesse la diretta obbedienza alla legge. Negli studi che passeremo in rassegna in seguito, vedremo accentuarsi l'ipotesi di un intento positivo, secondo cui, cioè, a fondamento della resistenza di Gesù a certi particolari della legge, vi sarebbe stato un piano o un programma. Possiamo citare per prima la breve trattazione della questione com­ piuta d a Moule nel suo The Birth of the New Testament [Le origini del Nuovo Testamento] 1 4 4 . Dopo aver commentato la tendenza cristiana propensa a dimostrare una continuità con Israele, egli mette in evi­ denza come fosse presente anche l a consapevolezza di una differenza e di una novità. E prosegue: Non ci fu desiderio (a meno che non vi fosse in un tipo di pensiero radi­ cale - forse quello del martire S tefano) di distacco o di dar inizio a una nuova religione. Avvenne solo che il carattere deli' esperienza cristiana e il centro di gravità dell'insegnamento cristiano erano cosl diversi da dover, prima o poi, venire riconosciuti. E i semi di questo rivoluzionario distac­ co erano stati gettati da Gesù, anche se il suo esplicito insegnamento non lo formulò. Il suo ministero fu contrassegnato da una presa di posizione nei confronti di quelle autorità religiose con cui venne in urto e da una manifestazione d ella propri a autorità persona le , per loro del tutto inaccet­ tabili. L'autorità per costoro risiedeva nella tradizione e nei documenti scritti anziché in un incontro personale, nel dialogo, tra il Dio vivente e l'uomo [. .. ]. In breve, coloro con cui Gesù entrò in urto non erano «pro­ ferici» bensì facevano appello al principio di «autorità>>. Gesù al contrario si richiamò (nella misura in cui si è rifatto al passato e non ha sempre avuto lo sguardo fisso al futuro o non è sempre stato nuovo e originale) non alla religione basata sul principio d'autorità degli scribi del periodo postprofetico, ma ai possenti profeti d'Israele [. . . ]. Tutto ciò vuoi solo dire, in altre parole, che il ministero di Gesù preannunciava quel' nuovo patto di cui aveva parlato Geremia (cap. 3 1), quel rapporto tra Dio e uomo non fatto di proposizioni ma di obbedienza personale [ . . . ]. Possiamo esprime­ re la medesima realtà dicendo che l a comunità raccolta da Gesù intorno a sé era il popolo della nuova alleanza; era Israele, sl, ma l'Israele della fine. I Dodici, c altri con loro, nell'impegnarsi a essere fedeli a Gesù, veni­ vano a costituire una nuova comunità (pp. 52-54; cfr. tr. it., cit., pp. 65s.).

Egli prosegue facendo notare che il termine (ibid.). I discepoli sono sia «agenti di reclutamentO>> che membri fondatori (p. 99). Coloro che prestano ascolto a Gesù che chiama al pentimento sono membri dell' «> (p. 100) . La conclusione, va notato, è del tutto non-escatologica 146 Il cambiamen­ to non ha luogo nell 'eschaton, bensì all' interno della storia normale. «Nella compagnia dei discepoli di Gesù [ . . ] il popolo di Dio doveva morire per risorgere>> (p. 103). La morte di Gesù fu il risultato diretto di questa attività. In quanto fondatore dell'Israele futuro, egli ebbe per lo meno la funzione di messia. L'accusa per cui fu condannato a morte, cioè l'affermazione di essere «re dei giudei>>, è semplicemente il modo in cui i capi giudaici prospettarono la questione ai romani. L'accusa effettiva è di essersi proclamato messia. In quanto tale non solo «si accinse a costruire il nuovo Israele sotto la propria guida>>, ma

(p. 1 10). Gesù andò a Gerusalemme per provocare una risposta decisiva riguar­ do alla sua missione (p. 145; cfr. p . 150). La risposta, come abbiamo già visto, fu un'accusa che Io condusse a morte. Tuttavia dobbiamo fornire un resoconto più completo della descrizione proposta da Dodd circa il conflitto tra Gesù e i suoi contemporanei. Destinato a conclu­ dersi con la morte, esso fu preceduto da un periodo di crescente oppo­ sizione (p. 79). I termini con cui Dodd espone i motivi del conflitto sono davvero sorprendenti: egli aveva > (p. 2; cfr. p. 1 3 1 ) . Più compiutamente: La buona novella era in stridente contrasto con i sentimenti religiosi del tempo. Tenersi a debita distanza dai peccatori era il massimo dovere reli­ gioso per il giudaismo del tempo. All a mensa comune di Qumran poteva­ no assidersi solo i puri, i membri a pieno diritto della comunità. Per il fariseo il con i peccatori metteva in gioco la purezza del giu­ sto, e il suo diritto a essere membro del regno del santo e del divino 1 4 8 • «Un fariseo non s'intrattiene presso di loro (cioè presso i reietti, gli 'amme ha- 'are�) come ospite, né dà ospitalità ad alcuno di essi 149 [ ]. Il giudai­ smo sapeva certamente che Dio è misericordioso e può perdonare. Ma que­ sto beneficio è riservato ai giusti; ai peccatori è riservato il giudizio. Cer­ to, vi è salvezza anche per il peccatore, ma a una condizione: che abbia . • •

1, bensì , «affilia· lO>>. Jeremias di solito equipara non correttamente i due termini. Vedi E.P. SANDERS, Paolo. . . , 223-230, e più avanti cap. 6. 148 La

INTRODUZIONE

63

dimostrato la sincerità del suo pentimento col fare il bene e col mutare il suo modo di vita. Allora, ma allora soltanto, i farisei lo consideravano come oggetto dell'amore di Dio. Prima, doveva diventare giusto. Per Gesù invece, l'amore del Padre era diretto anche ai figli disprezzati o smarriti. Che egli chiamasse questi e non i giusti (Mc 2 , 1 7 ) , significò chiaramente la dissoluzione di ogni etica [ . . . ]. Così l'ostacolo sorse non tanto dall'invito di Gesù a pentirsi quanto direttamente dalla buona novella (Mt 1 1 , 6 e par.) (pp. 1 41s.).

Nonostante tutti gli errori che, a mio avviso, sono presenti nella descrizione del giudaismo proposta da Jeremias 1 50, bisogna ammette­ re che egli ha messo a fuoco un argomento centrale. Egli rileva che il giudaismo credeva senza il minimo dubbio nell'efficacia della peni­ tenza, cosicché non c 'è nulla di peculiare nell'affermare che Dio accetta i peccatori pentiti: se essi sono pentiti non sono peccatori. Gesù pro­ clamò l'amore di Dio per i peccatori prima che si pentissero . Jeremias considera la cosa eccezionale e nello stesso tempo offensiva. In segui­ to avremo modo di esaminare in dettaglio il problema 1 5 1 . Jeremias rende la chiamata di Gesù ancora più radicale: l'implica­ zione dell'enunciazione di Gesù è che sono chiamati soltanto i «pove­ ri>> e i «peccatori» (p. 143) . Oltre a quello fondamentale appena rilevato, Jeremias trova ulte­ riori punti di conflitto tra Gesù e gli ebrei suoi contemporanei. Gesù si oppose ai sacerdoti perché traevano profitto dal servizio del tem­ pio, e questo fu la causa immediata della sua morte (p. 1 70). Si oppo­ se agli scribi per il loro dire a cui non si conformava il fare (pp. 1 7 1s.). Si oppose ai farisei più strenuamente di tutti: o i «peccatori>> come il solo vero Israele. Quindi conclude che: «questa identificazione è la prova dell'illimitatezza e del carattere non condizionato della grazia divina nella predicazione di GesÙ» (p. 205 ) . Sembrerebbe che la sua stessa posizione lo porti a con­ cludere che Gesù capovolgesse semplicemente la società. Un «resto>> formato da un gruppo esclusivistico, proprio perché composto da coloro che prima erano visti come ribelli ed estranei, non è necessariamente superiore a un altro, proprio in quanto composto da coloro che cerca­ no seriamente di obbedire alle condizioni del patto. Per quanto riguarda la legge, Jeremias assume la posizione più o meno comunemente accettata, secondo cui Gesù abofi singoli punti del codice di Mosè (il divorzio, le antitesi di Mt 5 , 33-37 e 5 , 38-42; p. 237). Tutta­ via M t 5 , 1 7 mostra che per Gesù «non si tratta di distruggere la legge, ma di darle compimento nella pienezza escatologica>>. Gesù non si oppose al culto, per quanto ne abbia predetto la cessazione (p. 2 3 7 ) . La legge orale fu interamente respinta (Jeremias colloca qui la disputa sul sabato e sulla purità; Gesù non sfidò le leggi sugli alimenti, pp. 238-240). Fu dunque Gesù stesso a scuotere le fondamenta dell'amico popolo di Dio. La sua critica alla Torah unita all'annuncio della fine del culto, il suo rifiuto della ha!akah e la sua pretesa di promulgare la definitiva volontà di Dio, "2 Vedi E.P. SANDERS, Paolo , pp. 354s. e n . 35. 1 " Sul peccato come ribellione all'interno del giudaismo rabbinico vedi . I vv. 17s., 19 sono inserzioni successive. La cacciata dei mercanti (Mc 1 1 , 15) era originariamente seguita da un detto meglio conservato in Gv 2 , 16b. Nota anche l'opinione di Gogucl, sotto n. 4 . S i dovrebbe notare che Mc 1 1 , 16, assente sia i n Matteo sia i n Luca, i n quest'analisi svolge un ruolo trascurabile. La mia opinione personale è che questo tipo d! proibizione generale (vedi I. ABRAllAMS, Studies in Pharisaism and the Gorpels I, Cambridge 1917, New York 1967, 84s. [in seguito cit. come Studies . . . Il) non si accordi bene con il rovesciamento dei tavoli e cose simili ed è, probabilmente, un'aggiunta successiva, anche se di solito è data per scontato. Si può anche dubitare che l'ammonimento sia appropriato al tempio Ji Gerusalemme a causa detla collocazione dei cancelli. In ogni caso nella no-stra analisi esso non svolge alcun ruolo. 2 Per un'elencazione di studiosi che considerano Mc 1 3 , 2 inautcnrico (a causa di una far· ma indebolita di Mc 1 4 , 58, che è tale da suscitare imbarazzo) vedi: G.R. BEASLEY MuRRAY, A Commentary on Mark Thirteen, London-New York 1957, 23. Spesso si accetta il passo come autentico, tuttavia si è notato che, in effeui, il tempio fu tlistrutto dal fuoco (vedi V. TAYLOR, The Gospel According lo St Mark, 501). L. Gaston (No Stone on Anotht7, Leiden 1970, 12s., 65, 244, 424s.) ha correttamente notato che soltanto la struttura redazionalc di Mc 13, 2 e parr. menziona il tempio, c suggerisce che la profezia di distruzione si trovi, nella sua forma origina· ria, in Le 19, 4 4 , dove viene riferita alla distruzione di Gerusalemme. Egli fornisce (65, n. l) una bibliografia di studiosi che combinano tra loro Mc 1 3 , 2 con Mc 14, 58 e 15, 29, c conside­ ra che Gesù predisse o minacciò la distruzione del tempio - cioè l'opinione che abbiamo fatto nostra_ L'opinione di Taylor verrà discussa in seguito, nella nota 5 del prossimo capitolo. ' Per entrambe le opinioni, che cioè Mc 1 4 , 58 sia autentico o che al comrario non lo sia, vedi V. TAYLOR, St Mark, 566. V. Taylor considera il passo autentico.

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LA RESTAURAZIONE DI ISRAELE

gabile probabilità che Gesù abbia fatto qualcosa nel tempio e abbia detto qualcosa a proposito della sua distruzione 4 L'accusa che Gesù lanciasse delle minacce contro il tempio è riflessa in tre altri passi: la scena della crocifissione (Mt 27, 39s.//Mc 15, 29s.); il discorso di Ste­ fano (At 6, 13s.); e l'interpretazione postpasquale di Gv 2, 1 8-22 . Il conflitto sul tempio sembra profondamente fissato nella tradizione e appare indiscutibile che questo conflitto si sia effettivamente verifi­ cato �La del tempio per potcrla non attribuire a Gesù, c seguo la maggior parte degli studiosi nel considerare come indice di autenticità la plwalità delle attestazioni. Andreb­ be notato che Gaston non trova alcun riscontro nel pensiero giudaico coevo in relazione alla distruzione c al rinnovamento dei tempio, e ciò diviene un sos[egno alla sua opinione che la minaccia sia inautentica. Nel prossimo capitolo si vedrà però che la minaccia, e il rinnovamento implicato da essa, trovano una corrispondenza nel pensiero giudaico.

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IL

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ca che aveva luogo nei cortili del tempio o nelle sue adiacenze 6. Per molti ciò rappresenta una palese degradazione della vera religione, e Gesù aveva l'intenzione di purificare il tempio così che esso potesse assolve­ re meglio alla sua funzione. Perciò, ad esempio, Edersheim era dell'o­ pinione che «la totalità di questo traffico - il cambio di denaro, la vendita di colombe, e il mercato delle pecore e dei buoi - fosse di per sé, e per le sue conseguenze, una terribile dissacrazione» 7 . E degno di nota che Abrahams, pur essendo in disaccordo con Edersheim, accet· tasse le sue premesse più importanti: quanto è esteriore è cattivo, e Gesù ebbe ragione ad at taccarlo. Edersheim ammise che l'accusa di corruzio­ ne («spelonca di ladri», Mc 1 1 , 1 7) è opportuna, in quanto parte di ogni commercio 8. Abrahams controbatté con l'osservazione secondo cui, mentre poteva esserci stato qualche abuso individuale, un'accusa gene­ ralizzata sarebbe stata ingiustificata 9. Tuttavia egli stesso scrisse di approvare l'attacco di Gesù all' «esteriorità». «Quando Gesù rovesciò i banchi dei cambiavalut! e scacciò i venditori di colombe dal tempio, fece un servizio al giudaismo>> 1 0 . Posizione davvero singolare per chi poi conclude che il comprare e il vendere costituivano attività necessa­ rie alla continuazione dei sacrifici del tempio 1 1 . Essa dimostra il gra­ do di diffusione dell'opinione secondo cui Gesù si opponeva all'esterio­ rità in nome della vera interiorità religiosa 12. 6 A volte si è discusso a proposito di quanto ebbe luogo entro il perimetro del tempio e quanto fu invece rclcgalO all'arca esterna. Secondo J. Klansncr (jesus o/ Nalareth, 3 1 4) i farisei non avrebbero permesso alcuna vendita o camblo di denaro nel tempio, per quanto i sadducci, che allora detenevano il potere, possano aver permesso l'uso del cortile esterno. Vedi anche I . AnRAHAMS, Studies. . . I, 86s.; i cambiavalute che operavano a fini commerciali non avrebbero avuto il permesso di agire all'interno del perimetro del tempio, ma coloro che devolvevano i profitti al tempio avrebbero avuto il permesso di operare all'interno per una settimana, precisa­ mente dal 25 Adar al l Nisan. L'acquisto c la vendita di animali sacrificali Ji so1ito aveva luogo all'esterno. Non si è in grado di stabilire il problema della precisa collocazione, ma si può ipotiz­ zare che il commercio fosse consentito soltanto nel canile dei gentìli, se in qualche punto fosse stato confinante col tempio. Attualmente si può screditare l'opinione secondo cui non fu mai possibile alcuno scambio di denaro all'interno del perimetro del tempio, nella misura in cui que­ st'opinione si fonda su m. Berakot 9, 5 (e parr .). Jeremias ha spiegato meglio quelJa Mishnah come qualcosa che si riferisce a coloro che facevano visita all'area del tempio (turisti e simili) a cui era proibito portare del denaro, e non a coloro che venivano per offrire sacrifici. Vedi ) . }EREMIAS, « Zwei Miszellen: l . Antik-Judische Miinzdeutungen. 2. Zur Geschichlichkeit der Tempelrcinigung», NTS, 23, 1977, 179s. 7 A. EnERSIIEIM, The Li/e and Times o/ Jesus the Messiah, 2 voli., Grand Rapids 1936, vol. I, 370. 8 lbid. : ).

9 I.

ARRAHAMS, Studies l, 87. Ibid. , 88. " Ibid. , 8 4 . 1 2 Cfr. ]. KLAUSNER, Jesur o/ Nazareth, 3 1 4 : il cambio delle monete era nf:cessario (egli lo !O

...

confronta con la vendita delle candele da parte dei cristiani), non è molto lontano da «distruzione». Ma questo che cosa significa? Su quali basi concepibili Gesù avreb­ be potuto accingersi ad attaccare quanto fu ordinato da Dio e a sim­ boleggiarne la distruzione? L'ovvia risposta è che la distruzione, a pro­ pria volta, mirava alla restaurazione 60. Lo si vedrà meglio quando si considereranno i detti sulla distruzione del tempio, che sono comple­ mentari c ci aiutano a comprendere l' azione 6 1 . I detti sulla distruzione del tempio

La prima forma in cui il lettore dei vangeli incontra un detto sulla distruzione del tempio è quella di una semplice predizione senza alcu­ na implicazione di minaccia: Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: «Maestro, guarda che grandi pietre e che belle costruzioni!». Gesù gli rispose: > (Mt 26, 61).

I racconti di quanto detto nella scena del processo sono notoriamente difficili da verificare. In effetti ci si può persino chiedere se l'intero «processo>> di fronte al sommo sacerdote o ad altri non sia ampiamen­ te immaginario 61. Tuttavia, anche se l'intera scena fosse da attribui­ re a una redazione postpasquale, resterebbe ancora probabile che que­ sta specifica accusa si sia basata su una precisa memoria del punto prin­ cipale sul quale Gesù offese molti dei suoi contemporanei. Si può imma­ ginare una successiva scrittura cristiana de nova della scena in cui Gesù è accusato della bestemmia di aver affermato di essere il Figlio di Dio (Mc 14, 6 1-64), ma è difficile ipotizzare un'origine puramente imma­ ginaria per l'accusa di aver minacciato la distruzione del tempio. Pri­ ma di tutto essa non conduce a nulla. Secondo gli evangelisti le dichia­ razioni dei testimoni su quanto detto da Gesù non sono concordi, e l'accusa fu manifestamente lasciata cadere. In secondo luogo è diffici­ le che un autore cristiano abbia spontaneamente pensato al tipo di atto violento che sembra implicato in quest'accusa. Luca esclude l'accusa dalla scena del processo e Matteo e Marco la caratterizzano come fal­ sa. Il contrasto di Marco tra «fatto da mani d'uomO>> e > [il tempio] . Se potessimo essere sicuri della storicità di una tale accusa contro Ste­ fano, sarebbe chiaro che Gesù aveva parlato in maniera tanto inequi­ vocabile che i cristiani continuavano ad attendere l' imminente distru­ zione del tempio. È degno di nota che l' autore degli Atti dica che l' ac­ cusa contro Stefano era adùotta Ùa falsi testimoni (A t 6, 13). Ciò rap­ presenta una prova ulteriore della riluttanza del cristianesimo primiti­ vo ad ammettere l' accusa, e aiuta a confermare che Gesù effettiva­ mente abbia detto qualcosa che fu inteso come minaccia. Dobbiamo infine citare Gv 2, 1 8-22 : Allora i giudei presero la parola e gli dissero: . Rispose loro Gesù: . Gli dissero allora i giudei: . Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Nel racconto di Giovanni questo scambio di battute segue immediata­ mente la del tempio. Questo passo è particolarmente significativo. Vediamo qui il caratteristico espediente giovanneo di far dire a Gesù qualcosa compreso dai suoi interlocutori a un determina­ to livello, ciò che fornisce all'evangelista l'opportunità di spiegare il vero significato, che si trova a un altro livello. Tuttavia, per i nostri scopi, l' affermazione di Gv 2, 19 mostra quanto nella tradizione fosse profondamente radicata la minaccia di distruzione e la promessa di rie· dificazione del tempio. Essa aveva messo così salde radici che non fu lasciata cadere, ma piuttosto interpretata. Va notato che Giovanni accantona la minaccia , a favore di un'affermazione in seconda persona che implica una condizione «Se distruggete>>. Il cam­ biamento è necessario per la spiegazione dell'evangelista, secondo cui il tempio è il corpo di Gesù. Gesù non avrebbe potuto dire che avrebbe distrutto il proprio corpo 65. E ragionevole giudicare il cambio di sog­ getto come proprio di Giovanni e supporre che Giovanni fosse in pos" Cfr. L. GAsToN, No Stone on Another, 7 1 .

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sesso della tradizione contenuta in Mc 1 4 , 5 8 ; Mt 26, 6 1 ; Mc 1 5 , 29; Mt 27, 40 e At 6, 1 4 : Gesù minacciò la distruzione del tempio (e for­ se preannunciò la sua riedificazione dopo tre giorni) . Sembra di essere qui in contatto con una tradizione storica molto salda, ma vi è ancora incertezza sul che cosa esattamente essa sia. Gesù p redine la distruzione del tempio (Mc 1 3 , 1s. e parr .) o la minacciò (Mc 14, 58 e altrove) 66? Egli accennò alla distruzione e alla ricostru­ zione o si limitò alla prima? L'uso cristologico della predizione che il tempio sarebbe stato ricostruito dopo tre giorni è evidente, ma anche così Gesù avrebbe potuto compiere semplicemente questa predizione, poiché il riferimento alla risurrezione non è sempre esplicito (ad esempio Mc 1 5 , 29 e par.). Se Gesù avesse minacciato o predetto la distruzio­ ne del tempio e la sua ricostruzione dopo tre giorni, cioè se il detto, in una qualsiasi delle sue forme, fosse anche approssimativamente auten­ tico, il suo significato risulterebbe chiaro e lampante: egli predisse l'im­ minente apparizione del giudizio e la nuova era. Il detto e l'atto quindi si corrisponderebbero. Entrambi indicano la distruzione dell' ordine presente e l'apparizione del nuovo. Dobbia­ mo probabilmente pensare che la sua attesa fosse che un nuovo tem­ pio sarebbe stato dato da Dio dal cielo, un'attesa attestata altrove in quel periodo, anche se può essersi trattato di qualcosa di non univer­ sale 67. In questo caso la caratterizzazione del tempio come egli considerò se stesso come l'agente di Dio. Finora quindi non abbiamo tentato di determinare la forma origi­ naria del detto, né è probabile che si possa farlo con certezza. Tutta­ via si possono escludere alcune possibilità. Dobbiamo innanzitutto osser­ vare che l'esistenza di una forma di minaccia («distruggerÒ>>, Mc 14, 58; implicita in Mc 1 5 , 29 e At 6, 14 e probabilmente in Gv 2 , 19) rende virtualmente incredibile che l'intero detto possa essere un vaticinium M Cosl R . Bulrmann: un detto sul tempio risale a Gesù, ma dobbiamo restare incerti sulla sua forma (Geschichte . . , tr. ing., 120s., Ergiinzungshe/t, 46, con bibliografia). Nella Ergàm:ung­ sheft egli corresse la sua opinione precedente secondo c.:ui i1 detto ha una base mitOlogica c lo pose correttamente nell'ambito dcU'apocaliuica giudaica (nel senso dell'escatologia). La discus­ sione dci detti di D. Liihrmann è assai istruttiva. Egli mette in luce che Marco considerava la minaccia di Mc 14, 58 inautentica, ma accettava la predizione di Mc 1 3 , 2. Si può essere certi che ci fu un d cuo c si può sospe[[arc che la versione di Mc 1 4 , 58 sia più prossim� all'originale. Vedi D. Lih-IHMA�N, > (24, 1 ) . Luca dà al detto un'am­ bientazione più vasta (2 1 , 5 ) . Qui, come altrove, si deve supporre che le ambientazioni siano secondarie. La natura pubblica dell' affermazio­ ne è implicita per il fatto che è stata impiegata come accusa contro Gesù e Stefano. Concludiamo quindi che Gesù predisse o minacciò pubblicamente la distruzione del tempio, che l'affermazione fu modificata dalla sua attesa del sopraggiungere dell'eschaton, probabilmente anche dalla sua attesa che un nuovo tempio fosse dato da Dio dal cielo, e dalla sua dimostrazione che simboleggiava profeticamente l'evento che stava per accadere. Roloff intese la «purificazione>> del tempio e la predizione della sua distruzione, per quanto tra loro «ovviamente contraddit torie>>, come consone alle parole e agli atti di un profeta. Gesù sia vide il tempio come il luogo della presenza di Dio che doveva essere purificato in relazione al suo attuale uso, sia ne predisse la distruzione 69 . Altri han­ no interpretato l' azione come «purificazione>> e hanno quindi permes­ so che questo significato sommergesse la forza del detto sulla distru­ zione. Perciò Bornkamm scrisse che la «purificazione>> del tempio è «qualcosa di più di un atto riformatore inteso a ridare la purezza ori­ ginaria (sic') al culto di Dio nel tempio». Gesù inoltre «purificava il santu ario per il Regno di Dio che viene>> 7 0 . Qui la minaccia di distruggere è lasciata cadere e con ciò la radicale connessione con l'esca­ tologia. Nell'ipotesi qui presentata l'azione e il detto formano un'unità. Gesù predisse (o minacciò) la distruzione del tempio ed effettuò un' azione ·

69 ]. RoLOFF, Der irdische ]esu, 97; cfr. B.F. MEYER, llims . . , 170. 70 G. BoR:.iKAMM, Gesù di Nazaret, 1 8 1 .

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LA RESTAURAZIONE DI ISRAELE

simbolica della sua distruzione, dimostrando contro l'attuazione dei sacri­ fici. Egli non desiderava purificare il tempio né da un commercio diso­ nesto né da un commercio in contrasto con il culto «puro». Né si oppose ai sacrifici del tempio comandati da Dio a Israele. Intendeva piuttosto indicare che la fine era alle porte e che il tempio sarebbe stato distrut­ to, affinché potesse sorgere un tempio nuovo e perfetto 7 1 . La nostra ipotesi riceve una parziale conferma dall'imbarazzo di Mat­ teo e Marco a proposito della minaccia di distruzione e dall'imbaraz­ zo di tutti e tre i sinottici riguardo all'azione del tempio. Matteo e Marco spiegano che la minaccia di distruggere fu attestata soltanto da falsi testimoni (Mt 26, 59s.; Mc 14, 56s.); e tutti e tre i sinottici, impie­ gando la citazione relativa a una «spelonca di ladri», fanno apparire che Gesù protestasse con molta ragionevolezza contro la disonestà (Mc 1 1 , 1 7 e parr.). Essi, pur riportando tutti e due gli elementi, tentano di rendere l' azione relativamente innocua, e negano la forza del det­ to. Nonostante i loro sforzi dovremmo mantenere nel loro pieno valo­ re sia I' azione che il detto. Dietro la facciata dei vangeli vediamo imme­ diatamente che Gesù minacciò (o predisse) la distruzione del tempio e che operò per darne la dimostrazione. La nostra interpretazione ha l'ulteriore vantaggio di chiarire l' acco­ glimento del culto del tempio da parte dei primi apostoli (A t 2, 46; J, l ; 2 1 , 26). Essi non ritennero che Gesù l'avesse considerato impu­ ro, ma soltanto che i giorni dell'attuale tempio fossero contati. Il solo problema che ancora emerge a questo punto è se i contem­ poranei di Gesù avessero o no compreso chiaramente il simbolismo pro­ fetico. Ho precedentemente sottolineato che i devoti ebrei e non già solo la classe sacerdotale, supposta profittatrice, sarebbero stati offesi dall' azione del tempio. Ciò risulta sia dalla probabilità intrinseca che dalla conseguenza - Gesù fu messo a morte a Gerusalemme eviden­ temente con l'approvazione di molti. Ma la folla comprese senza ambi­ guità che Gesù intendeva simboleggiare l'incombente atto escatologi­ co di Dio? Qui ci richiamiamo al problema se il significato dell'azione simbolica fosse di per sé evidente o meno. A tale problema non si può dare risposta sicura 72. Il capitolo immediatamente successivo dimo­ strerà che in alcuni circoli l' attesa per la distruzione e la ricostruzione 71 L'opinione secondo cui Gesù attendeva il nuovo tempio alla fine dei tempi non è affatto unica, per quanto, come ho indicato, sia spesso mescolata - ritengo in modo non opportuno - con l'intcrprctat:ionc dell'azione come purificazionc (ad esempio M. Trautmann e altri citati nella n. 60; }. Roloff, B.F. Meyer citati nella n. 69). Per l'opinione secondo cui Gesù auendeva un nuovo tempio vedi gli scritti recenti di G. KuNZrNG, Umdeutung, 205 (dove si cita dell'altra 168-170; 1 8 1 - 185; 197s. lelleratura); B.l'. MEYER, Jlims n A.E. HARVEY, Com-traints , 133s., sostiene che l'azione non venne immediatamente com­ presa, ma che sarebbe stata almeno visca come un'affermazione d'autorità. . . . •

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GESÙ E IL TEMPIO

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del tempio fu un dato consueto. Così è almeno ragionevole che l'in­ tento dell'azione di Gesù risultasse chiaro ai suoi contemporanei. Tut­ tavia, persino se egli fosse stato compreso l'azione e il detto restavano ancora altamente offensivi. Anche in questo caso Gesù avrebbe conti­ nuato ad attaccare il tempio allora in attività, dove venivano espiati i peccati d'Israele, e la folla avrebbe potuto semplicemente non pre­ stare fede alla sua predizione escatologica o provare risentimento per la sua autoaffermazione personale. Tuttavia tentare una risposta reale alla questione posta in questo paragrafo equivarrebbe a spingere trop­ po in là l'ipotetica ricostruzione. Nei capitoli successivi si presenterà la documentazione di sostegno all'interpretazione della parola e del­ l' azione di Gesù. Dubito che si giungerà mai a sapere con certezza da quanti suoi contemporanei Gesù sia stato compreso e quanto bene lo sia stato. La nostra discussione sul tempio dà l' avvio a due linee d'indagine bisognose di ulteriori approfondimenti: fino a che punto si deve collo­ care Gesù entro le visioni giudaiche sulla fine del tempo e sulla restau­ razione d'Israele? E quale fu la posizione di Gesù nei confronti di altre istituzioni, gruppi e realtà interni al giudaismo? I due estremi della nostra indagine sono stati spesso studiati e, inoltre, sono collegati tra loro. Per esempio si è spesso suggerito che Gesù si sia opposto all'in­ terpretazione farisaica della legge e persino che in linea di principio «abrogasse>> la legge in nome della venuta del regno di Dio. Per il momento percorreremo però i due itinerari separatamente, iniziando con altre testimonianze che incidano sul problema della relazione di Gesù con la speranza nella restaurazione. Prima però ci si deve rivol­ gere alla letteratura giudaica per vedere a quale tipo di attesa per un nuovo tempio potesse essersi riferito Gesù.

II. Nuovo tempio e restaurazione nella letteratura giudaica

Ho avanzato il suggerimento che la migliore spiegazione dell'azione dimostrativa di Gesù nel tempio e del suo detto contro il tempio (sia che si tratti di predizione sia che si tratti di minaccia) deve essere tro­ vata nella sua attesa escatologica. Il regno era alle porte e una delle cose che questo comportava era la sostituzione del vecchio tempio con uno nuovo. Si potrebbe contraddire questa spiegazione della parola e dell' azio­ ne di Gesù, se il significato proposto non avesse alcun contesto nel giudaismo, cioè se non fosse stata diffusa l'attesa che l' eschaton avrebbe portato con sé un nuovo tempio; d'altra parte, provare che molti soste­ nevano l'esistenza di una connessione tra l'eschaton e il tempio servi­ rebbe a sostenere la posizione testé proposta. Nel 1969 e nel 1970 furono pubblicate due tra le opere più rilevan­ ti dedicate al ruolo del tempio nel giudaismo 1 . L'opera di L . Gaston, No Stone on Another s'incentra direttamente sulla connessione nel pen­ siero giudaico tra tempio e eschaton. La sua posizione, se confermata, significherebbe che il significato escatologico finora proposto per l'azione di Gesù nell'area del tempio non sarebbe stato percepito. Nell'apocalittica giudaica prima del 70 d . C . non si trova alcun punto di riferimento all' affermazione > e alcuni di essi diverranno sacerdoti e !eviti. Dio farà un nuovo cielo e una nuova terra che rimarranno per sempre, così come avverrà per . Michea 4: Alla fine dei giorni sarà reso il monte più alto, dove molte nazioni verranno a imparare la legge, la parola del Signore. Dio radunerà gli zoppi, coloro che formeranno il resto d'Israele e sconfiggeranno le nazioni avversarie .

Questi passi testimoniano la sovrapposizione di temi già attestati sepa­ ratamente: la ricostruzione del tempio (anche Is 44, 28; Es 40-43) ; la restaurazione dell'Israele disperso (Ez 34, 3 7 , sotto la guida di ; 47, 13-23; 48, 1 -29, la divisione della terra tra le dodici tribù); la sottomissione delle genti (cfr. Is 54, 3 ; 60, 16; 61, 6 e in molti altri luoghi). Spesso si sono raggruppati e studiati questi e altri passi 3 ed è ben conosciuta l'influenza avuta da parecchi di loro sul movimento cristiano primitivo. L'attuale problema è il seguente: il complesso di temi ' C. WEsTERMANN, lsawh 40-66 [tr. ing., London-Philadelphia 1969, 296; Isaw (capp. 40-66), tr. it. di E . Gatti, a c . di F. Montagnini, Paideia, Brescia 1978] data il Trito-Isaia (capp. 56-66) attorno al 530 a.C. La dedicazione del cempio ebbe luogo nel 5 1 5 . ' Vedi R.). McKu.VF.Y, New 'Jimrplc, 12-17. ] . Jcrcmias portò questi e simili passi alla ribalta degli studi neo[estamcntari (]eru Verheissung fiir die VOlker, Stungart 1956) [tr. ing . , Jesus ' Pro­ mise lo the Nations, London-Napcrvillc 1958].

NUOVO TEMPIO E RESTAURAZIONE

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rappresentato qui sopra costituisce una nota e identificabile unità nel periodo postbiblico? A questa domanda si è spesso risposto in modo affermativo: G. Nickelsburg la presenta nel modo seguente: La distruzione di Gerusalemme e l'esilio significarono lo smembramento della vita e la rottura delle istituzioni la cui forma originaria non fu più restaurata. Molta della teologia e della letteratura giudaica postbiblica fu influenzata e a volte governata da una speranza di una restaurazione del genere: il ritorno dei dispersi; l'apparizione di un erede david.ico per togliere le catene di una dominazione straniera e restaurare la sovranità d 'Israele; il radunarsi di un sol popolo attorno a un nuovo e glorioso tempio ' .

È importante sottolineare la frase «non fu più pienamente restaura­

ta». Essa è tanto più vera quanto più si è lontani dalla realizzazione delle grandiose visioni di Isaia, Michea e Ezechiele . «Giacobbe» (le dodici tribù) non fu di nuovo riunito. La restaurazione di Gerusalem­ me non fece sì che le sue mura fossero ricostruite in pietre preziose; la ricchezza delle nazioni e i re non si riversarono ad adornare Geru­ salemme e il tempio; i confini davidici non furono ricuperati se non in epoca asmonea e anche allora non per molto. Frasi come è più grande di lui. Come ha posto in rilievo O'Ncill «Gesù non sta mettendo in contrapposizione tutti i nati di donna, con Giovanni alla loro testa, con qualche altro gruppo di uomini, il più piccolo dei quali è più grande di Giovanni ; egli sta mettendo in contrasto l'attuale stato del più grande degli uomini con il futuro ,

come prova principale Sir 48, lOs., dove tuttavia non c'è alcun messia. MI ) , 23 non pare avere avuto molta influenza, e quest'aspetto del «dogma messianico giudaico'> è attestato meno bene persino dell'attesa di un re daviJico, che di per sé non può dirsi > necessariamente significava . n

Per varie interpretazioni vedi E.P. SANDERS, Paolo. , 359s. .

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LA RESTAURAZIONE DI ISRAELE

I dodici discepoli

La prima testimonianza tradizionale dell 'esistenza di un gruppo spe­ ciale di seguaci di Gesù chiamato «i Dodici» è in l C or 1 5 , 5 : «appar­ ve a Cefa e quindi ai Dodici>>. Dal che si intende generalmente che Gesù dapprima apparve a Cefa da solo, quindi ai Dodici come gruppo (compreso Cefa) 26. Alcuni manoscritti correggono la lezione con «Undici», senza dubbio tenendo d'occhio la tradizione della morte di Giuda 27, ma è precisamente questa a confermare la lezione > (tutti e quattro i vangeli e gli Atti) e quindi alla creazione di un detto da parte di Gesù che il tradito­ re. Così vediamo che, dopo la fissazione della storia del tradimento di Giuda in Mt 19, 28, non sarebbe mai stato introdotto il numero dodici, proprio perché la chiesa non avrebbe mai inventato l'appari­ zione ai Dodici ( l Cor 1 5 , 5). Ma non è possibile - ci si può domandare - che il numero dodici e il tradimento da parte di uno di loro siano entrambe invenzioni e che la tradizione dei Dodici sia stata creata prima? Con Vielhauer si potrebbe allora concludere nel modo seguente: non ci fu alcun gruppo di Dodici attorno a Gesù. Un discepolo lo tradì. La chiesa, vivendo in un'attesa escatologica, prima fissò il numero dodici per i discepoli 26 Si noti anche l Cor 9, 5, dove Cefa è nominato a fianco degli apostoli e dei fratelli del Signore. Egli riceve una menzione separata, ma è uno degli apostoli . Vedi C.K. BARRF.IT, ,

Festschrift /iir Giinther Dehn. a c. di W . Schnecmlcher. Neukirchcn 1957, 62-64. Per la critica della posizione di Vielhauer cfr. R. MF.YE, Jesus and the Twelve, Grand Rapids 1968, 206s. 19

Vedi P. Vielhauer, «Gottcsreich und Menschcnsohn>>.

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LA RESTAURAZIONE DI ISRAELE

inventato un detto che presuppone il prolungamento dell'esistenza dei Dodici. Per la creazione di questo detto si dovrebbe trovare una terza ragione teologica, ma nessuna sembra essere appropriata. L'imbarazzo fu affrontato in modo diverso dagli evangelisti. I successivi cristiani dovettero spiegare che Gesù fin dal principio, o almeno in anticipo, sapeva che Giuda l'avrebbe tradito (Mt 26, 25; Gv 6, 64. 7 1 e frequen­ temente in Giovanni) 30 • Anche Matteo restringe a undici discepoli l'apparizione della risurrezione (Mt 28, 16), mentre Luca attribuisce il fatto che Giuda facesse parte dei Dodici alla necessità di adempiere le Scritture (At l , 16-20) . L'azione di Giuda è giudicata conforme alle profezie in M t 26, 1 5 (citando Zc 1 1 , 12), e il ricordo del salmo 4 1 i n Mc 1 4 , 1 8 mostra probabilmente la stessa tendenza: un fatto,viene «spiegato» citando la Scrittura, non inventato sulla base di essa. E pro­ babilmente anche l'imbarazzo relativo al tradimento che condusse Luca a omettere la parola «dodici» prima dei «troni» nel suo parallelo di Mc 1 9 , 28 («siederete in trono a giudicare le dodici tribù d'Israele»: Le 22, 30). Goguel considerò questa lettura tale da mettere in forse Mt 1 9 , 28, e perciò capace di costituire un'obiezione all'impiego del detto delle «dodici tribù>> per suffragare la primitiva tradizione dei Dodici 3 1 , ma è meglio attribuirla all'opera redazionale di Luca. Luca e Matteo si comportarono in modo diverso nei confronti dell'imba­ razzo causato dalla defezione di Giuda: Matteo attribuendone la pre­ scienza a Gesù e restringendo il numero di coloro che videro la risur­ rezione, Luca eliminando semplicemente la parte pregiudizievole di un detto che presuppone la continuità dei Dodici attorno a Gesù. Perciò la spiegazione più semplice e più probabile della tradizione relativa ai Dodici e a Giuda è che la chiesa si trovò di fronte a due fatti: l'esistenza dei Dodici come gruppo ( l Cor 1 5 , 5 ; Mt 19, 28), e il tradimento da parte di uno di loro. I restanti riferimenti a Giuda, compreso l'eco del salmo 4 1 , in Mc 1 4 , 1 7-2 1 , vengono prontamente spiegati come tentativi di chiarire questi due fatti e di fronteggiare l'imbarazzo causato dalla defezione di Giuda. Proprio come non si dovrebbe supporre che l'attribuzione da parte della chiesa di un ruolo inferiore a Giovanni Battista indichi che non ci fosse affatto connes­ sione tra Gesù e il Battista, così non dovremmo supporre che le spie­ gazioni teologico/bibliche del tradimento di Giuda significhino che non ci fu alcun tradimento da parte di uno dei Dodici 32. " ]. }E>.EMIAS, Predica,ione. . . , 266. " M. GOGUEL, LA vie de Jésus, tr. ing., 340s.; J. Jeremias (Predica,ione . , 264, n. 3) propo· ne l'ipotesi che Luca abbia semplicemente abbreviato il detto. lZ Per discussioni di più dane posizioni relative ai Dodici vedi R. MEYE, Jesus and the Twel­ ve, 192-209; M. TRAUTMANN, Zeichenhafte HandlunRen, 168 e nn.; ] . D . G . DuNN, Jesus and the Spirit, 2 5 . Una vasLa maggioranza di studiosi si dichiara a favore della sostanziale storicità dei Dodici come seguaci scelti da Gesù. . .

ALTRE INDICAZIONI SULLA RESTAURAZIONE ESCATOLOGICA

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Per quanto io abbia posto l'esistenza dei Dodici tra i fatti (quasi) inconfutabili a proposito di Gesù, la sua attività pubblica e il suo risul­ tato, si deve ammettere che tale esistenza rappresenta l'elemento più debole dell'elenco. Finora non si è affrontato il fatto che fa sorgere maggiori dubbi sulla chiamata dei Dodici da parte di Gesù: le elenca­ zioni dei nomi non sono identiche (Mt 10, 2-4; Mc 3 , 16- 19; Le 6, 1 4- 16; At l , 13) B . Ciò fa sorgere immediatamente il problema se ci fossero o meno dodici discepoli particolari ben individuati. Tutta­ via si deve immediatamente notare che non è facile spiegare come crea­ zioni successive le lievi variazioni delle liste. Perché la chiesa avrebbe dovuto inventare il numero dodici per poi produrre liste di nomi in disaccordo reciproco? Le discordanze (è degno di nota che appaiano alla fine delle elencazioni) sembrano indirizzare piuttosto al fatto che il concetto che fossero dodici era ancorato in modo più saldo del ricordo della loro precisa identità. Il disaccordo sui nomi di alcune delle figu­ re minori, come è stato posto in evidenza da Gaston e Meye, gioca piuttosto a favore che contro l'esistenza di un groppo, detto i Dodici, esistente durante il ministero di Gesù H . Si dovrebbe qui ricordare che Paolo, citando una tradizione conso­ lidata, impiegò il numero dodici quando, ammesso che il tradimento sia storico, non ci potevano più essere i Dodici. Vielhauer considerò decisamente contraddittorio il riferimento ai Dodici in l C or 1 5 , 5 e la storia del tradimento di uno dei Dodici. Egli, come si è visto, cercò la soluzione in una complicata teoria sulla capacità inventiva della comu­ nità cristiana: la chiesa creò i Dodici nell'elencazione delle apparizio­ ni della risurrezione e quindi la leggenda del tradimento da parte di uno di essi. Vielhauer ebbe senza dubbio ragiqne a vedere dietro il numero di l Cor 15 un simbolo importante. E probabile però che il simbolo fosse importante per Gesù e non facesse la sua prima com­ parsa dopo la risurrezione. Le variazioni dei nomi vanno nella stessa direzione. Fu Gesù che diceva che erano «Dodici», e la chiesa di con­ seguenza cercò di elencarli. Ci imbattiamo qui in uno strano tipo di storicità: la storicità di un simbolo. Nel primo periodo (testimoniato da l Cor 1 5 , 5) non si con­ tò quanti fossero. Che ciò avvenisse qualche tempo prima del momenH I n queste elencazioni Matteo e Marco hanno un Taddeo, mentre Luca e Atti hanno un Giuda, figlio di Giacomo. Giovanni non fornisce alcuna elencazione di nomi, per quanto chiami i discepoli «i Dodici)) (Gv 6, 67; 20, 24). In Gv l , 40-5 1 troviamo i nomi: Andrea, Simone (Pie­ tro), filippo e Natanaele. Quest'ultimo nome non compare nelle altre elencazioni. In Gv 20, 24 Tommaso è chiamato uno dei Dodici. J4 Cfr.: L. GASTON, No Stone on Another, 4 1 7: > in Le 22, 30) . Tutto ciò dimostra che la chie­ sa lottava per far quadrare riferimenti a un numero che non si poteva estirpare. Mi sembra del tutto ragionevole pensare che Gesù abbia impiegato il numero «Dodici>> simbolicamente, senza che nessuno, allora più che in seguito, fosse in grado di contare con precisione l'esistenza di dodici persone. I numeri simbolici devono essere escogitati da qualcuno e pos­ sono, ma non necessariamente devono, fondarsi su una precisa enu­ merazione (cfr. Mt l , 1 - 1 7). Che Gesù abbia impiegato il numero mi sembra più probabile del fatto che sia stata la chiesa la prima ad ado­ perarlo e che poi abbia avuto ogni sorta di difficoltà al suo riguardo, compreso il nome dei Dodici. I dodici discepoli sono in un certo modo come i sette colli di Roma: per quanto l'idea sia molto antica, è un po' difficile trovarli. Nel caso dei sette colli non possiamo dire che i fondatori di Roma creassero l'idea, perché presumibilmente la fon­ dazione di Roma non fu un singolo evento storico: e se lo fosse stata si sarebbe in ogni caso perduta nella notte dei tempi e della leggenda. E in questo che Gesù e i Dodici sono differenti da Roma e dai suoi sette colli. Il gruppo at torno a Gesù non è così remoto e la loro convinzione che il regno fosse alle porte e che si stesse per rive­ lare il dramma escatologico ha la massima concretezza. Essi ricevette-

ALTRE INDICAZIONI SULLA RESTAURAZIONE ESCATOLOGICA

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ro l'idea generale in qualche luogo e la specificazione «i Dodici>> sem­ bra risalire alla fonte stessa: Gesù. La ragione di soffermarsi su un punto generalmente accettato è dupli­ ce. C'è in primo luogo la necessità di stabilire questo e gli altri pochi fatti su cui il nostro studio è basato al di là di ogni ragionevole dub­ bio. In secondo luogo, a causa della crescente tendenza ad accettare la storicità del materiale un tempo considerato aperto a dubbi, ten­ denza, quest'ultima, sviluppatasi senza la debita garanzia, vi è la neces­ sità di mettere in discussione tutte le prove. Nell'introduzione ho messo in evidenza la crescente fiducia delle asserzioni fatte dagli studiosi a proposito di Gesù, e forse è tempo di ricordarci che la fiducia non si fonda su nessuna nuova prova, né su nuovi metodi per stabilire l' au­ tenticità. Il severo scetticismo degli anni Venti e Trenta ha fatto il suo tempo, ma questa di per sé non è una giustificazione per annove­ rare tra i validi risultati della ricerca cose reputate dubbie una cin­ quantina d'anni fa. Per ripeterei: la tradizione dei Dodici è il fatto meno sicuro tra quelli su cui si fonda questo studio. Tuttavia persino in questo caso si può dire che il numero indica un concetto molto antico, risalente, con ogni probabilità, a Gesù. In ogni caso, a mio parere, è impossibile recupe­ rare altre informazioni attorno ai discepoli: la loro chiamata, le loro storie precedenti 35, una precisa elencazione dei nomi (ammesso che ci fosse, persino durante la vita di Gesù, un invariabile gruppo di dodici persone) e la loro attività come seguaci di Gesù. Quasi tutti afferma­ no che essi non rappresentarono una comunità chiusa 36, un punto quest'ultimo che mostra come le argomentazioni di studiosi preceden­ ti, come Goguel e Guignebert, per la maggior parte dirette contro l'idea dell'esistenza di una qualifica di apostoli 37, non fossero affatto inef­ ficaci. Va al di là delle prove in nostro possesso sostenere che tra i Dodici si possano ri trovare esponenti dei vari movimenti del giudai­ smo (scrupolosi farisei, «zeloti>>, pubblicani, galilei ellenistici e simi­ li) 38. Non sappiamo quale attività svolgessero. Gli apostoli, in segui3� Può ben essere che, come riportato in Gv l, 25-40, alcuni dei discepoli di Gesù fossero originariamente discepoli di Giovanni Battista (cfr. R.E. BROWN , The Gospel According to ]ohn , vol. I. Ncw York 1966, 77) [te. it., Giovanni. Commento al vangelo spirituale, capp. l-IX, rr. it. di A . Sorsaja - G. Naralini, Cittadella, Assisi 1979, 101s.]. " AJ esempio: W.G. KiiMMEL, Lo teologia del NT, 40s.; G. BoRNKAMM, Gesù di Nozoreth, 219-223; ) . D.G. Du�N. ]esus and the Spirit, 8 1 . " Spec. C.! L GutG,EBF.RT, ]ésus, rr. irlj!., 2 19-223 [Gesù, rr. it. di M . Zini, Einaudi, Torino 19724, od loc.]; cfr. M. GoGUF.L, Lo vie de ]ésus, te. ing., J40s. l8 H. ScHi.JRMA:-.òN, > e recentemente si è preso tutto ciò come un chiaro dato di fatto 4 1 Ma Marco non poteva sapere che cosa c i fosse nella mente di Gesù. La chiamata dei primi discepoli, tanto vigorosamente presentata dai sinottici (Mt 4, 1 8-22//Mc l, 16-20; Le 5, 1 - 1 1 ) , viene intesa in vista dcii' edificazione della chiesa 42 e non ci dà alcuna conoscenza del modo con cui Gesù radunò attorno a sé un piccolo gruppo di seguaci, dei quali almeno una parte continuò a dedicarsi a lui dopo la sua morte. U problema di che cosa Gesù avesse in mente, quando radunò attorno a sé un particolare gruppo di dodici seguaci, mostra una volta di più la difficoltà di recuperare un'informazione storica sulla base di una pre­ cisa esegesi di singoli passi dei vangeli sinottici. Ho già indicato come personalmente consideri nel complesso autentico Mt 19, 28. Se è effet­ tivamente tale, esso conferma l'opinione secondo cui Gesù mirò alla restaurazione d'Israele. Noi apprenderemmo anche che la restaurazio­ ne include il giudizio. Ma che cosa accade se non è autentico? La Traut­ mann discute ampiamente il testo e il parallelo lucano 43 e offre infi­ ne un detto ricostruito (p. 196) che, tuttavia, non fa risalire a Gesù (pp. 197- 199). Argomenta nel modo seguente: l) La costituzione dei Dodici da parte di Gesù allo scopo di giudicare il loro stesso popolo all' eschaton sarebbe stata, tenuto conto degli sforzi operati da Gesù a favore di Israele, una contraddizione in se stessa. 2) Inoltre si deve negare che il circolo dei seguaci di Gesù si limitasse ai Dodici, ciò che è invece presupposto dal detto di M t 1 9 , 28 (p. 199). La Trautmann tuttavia pensa che l'invio dei Dodici a Israele (Mt 10) sia storico (pp. 200-225) e conclude a favore dell'autenticità di Mt 10, 6 >. Per il momento lasceremo da parte que­ sto argomento e quelli a esso connessi; essi riemergeranno nella pros­ sima parte dedicata alla concezione del regno propria di Gesù. Possia­ mo sottolineare qui che, se fosse stato il pentimento a caratterizzare il messaggio di Gesù, ciò non l'avrebbe distinto dagli altri. Nella let­ teratura giudaica non vi è tema più comune, e il pentimento è anche uno degli elementi più importanti in talune presentazioni del primiti­ vo messaggio cristiano 56. Quel che interessa adesso è l'osservazione, che può essere sorprendente, secondo cui esistono testimonianze mol­ to scarse che collegano direttamente Gesù al tema del pentimento col­ lettivo e nazionale in vista dell' eschaton. Questo tema naturalmente è il più importante relativo a quanto rac­ contato dai vangeli a proposito di Giovanni Battista. M t 3, 2 descrive Giovanni attribuendogli il detto: «Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino» (3, 2), e nel materiale più o meno parallelo (Mc l , 4//Lc 3, 3) si dice che egli ha proclamato un battesimo di penitenza per il perdo­ no dei peccati. Quelli che venivano fuori ad ascoltarlo si facevano bat­ tezzare «confessando i loro peccati» (Mt 3 , 6//Mc l , 5 ) . Nel più consi­ stente corpus di detti attribuito a Giovanni Battista, si afferma che questi abbia esortato i propri ascoltatori a produrre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8//Lc 3, 8)_ C'è un'evidente aggiunta redazionale in Mt 3, 1 1 che continua a ripetere che il suo battesimo era «per la " Vedi sotto: cap. 4, n . 44; cap. 6 , sezione 3 , 1 . " Vedi, ad esempio: N. I'ERRit> 60 . Le 13, 1-5 viene da lui invalidato ancor più rapidamente: se ne mostra la dipendenza da Giuseppe, A], XVIII, 87 6 1 • Altri hanno trovato ele­ menti autentici in questi passi 62 , e il detto su Giona ha prodotto un dibattito di ampie proporzioni. Ma l'incertezza che pesa sul detto è ben espressa da Perrin: se

Cosa significa ciò [il segno di Giona] nell'insegnamento di Gesù? La risposta a questa domanda è semplicemente che non lo sappiamo, perché non sap­ piamo cosa Gesù e i suoi contemporanei abbiano inteso con tale frase . . . 63 •

Il risultato complessivo è che non c'è alcuna singola informazione solida su Gesù che lo rappresenti come viene descritto d a Matteo e Marco all'inizio del loro vangelo: uno che chiamò a un pentimento gene­ rale in vista delkl venuta del regno. Persino Jeremias, che ritiene tutti e tre i passi autentici, in tutto o in parte, considera Le 1 3 , 1-5 come 'o;� Tornerò sul ruolo di Luca nel l ' attrib uire a Gesù detti sul pentimento, vedi sotto, pp. 227s., 266, 270, .357. Per il momento non mi pare necessario discutere il problema dell'au­ tenticità, tranne che per far notare l'inclusione lucana in Le 15, 7, 10. 60 R. BuLTMANN, Geschichte. . . , tr. ing . , 54s. , citando A. FRillliUCHSF.N, Le prob/ème du mim­ cle, Paris 1935, 49. Non trovo molto persuasivo l ' argomento struuuralc, ma la polemica anti­ giudaica mi sembra sufficientemente chiara. 61 R. BuLTMANN, Geschichte.. . , tr. i ng . , 54s. 6.2 Vedi ad esempio ]. }EREMIAS, Predica;zione . .. , 1 5 1 , 183. 6' N . 11:Juu� . RediscQVering . . . , 194. Egli considerò aurentici ma di di fficile interpretuione il rifiuto di un segno e il riferimento al «segno di Giona».

ALTRE INDICAZIONI SULLA RESTAURAZIONE ESCATOLOGICA

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il solo passo teso a indicare che Gesù predicò lo stesso messaggio di Giovanni Battista 64. D'altro lato Schlosser è dell'opinione che soltan­ to Mc l , 15 connetta esplicitamente il pentimento alla venuta del regno 65 • Per la verità gli studiosi spesso affermano che la chiamata al penti­ mento fu un elemento centrale nel messaggio di Gesù. Riches asseri­ sce che «al cuore del ministero e della predicazione di Gesù si trovano i suoi detti sul regno e la penitenza�>- Egli aggiunge che «un tale mes­ saggio lo pone chiaramente nel novero di coloro che cercavano un rin­ novamento e una restaurazione del giudaismO>> 66. Egli ha certamente ragione nell'affermare che l'attesa della restaurazione si accompagna­ va di solito a una chiamata al pentimento. Il problema sorge quando si afferma che tale connessione è contenuta nell'insegnamento di Gesù. La nota a piè pagina di Riches, relativa all'affermazione sul pentimen­ to, indica la sua consapevolezza del problema, poiché l' autore può rife­ rirsi soltanto ad affermazioni sulla «vigilanza�>- Inoltre il suo successi­ vo sommario dei detti che si conformano a è privo di una sezione sul 67 il che, se il messag­ gio di Gesù avesse avuto effettivamente al suo centro la chiamata al pentimento, l'avrebbe dovuto impressionare come un fatto singolare. Si può vedere la situazione ancora più chiaramente qualora si consi­ deri l'elenco di passi citati da Charlesworth per mostrare la «diffusa apologia del pentimento mantenuta in molte parabole di GesÙ». Egli si riferisce alle pecore e alle capre (Mt 25, 3 1-46); alla pecora perduta (Mt 1 8 , 12s. e par.); al seminatore (Mt 1 3 , 1-9 e parr.); all'ammini­ stratore infedele (Le 16, 1 - 13); e al grande banchetto (Mt 22, 1 - 14) 68 _ Questa è un'elencazione interessante che aiuta proprio a mostrare come nel messaggio di Gesù sia da leggere la presenza del «pentimento�>, in particolare nella forma di una chiamata a un pentimento nazionale, di cui ci si sta qui interessando. M t 1 8 , 12s. tratta del pentimento, ma evidentemente di quello individuale. Gli altri passi non menziona­ no questo argomento. Mt 25, 3 1-46 è incentrato sull' ammissione dei gentili (vedi 25, 32) e difficilmente può apparire autentico. In ogni caso non ci si riferisce alla penitenza quanto piuttosto alle buone opere. Né ci si riferisce al pentimento in Mt 1 3 , 1-9 o Le 16, 1 - 1 3 . Mt 22, 1 - 1 4, !ungi dall'essere una chiamata al pentimento, minaccia la distruzione degli empi. Nel corso del suo articolo Charlesworth con""' ]. ]EREMIAS, Predicazione. . , 183. J. Scru.ossER, Le règne. , 103. Egli ritiene che questi due punti siano frammenti autentici. " J. RICIIES, Jesus and the Trans/ormation o/ Jud>. Lo scambio in Matteo e Marco, che identifica Giovanni con Elia, collega positivamente Gesù alla speranza per la restaurazione, mentre la doman­ da negli Atti è accantonata dal Signore risorto, e l'implicazione gene­ rale è negativa: il regno non sarà per un Israele secondo la carne. La ricerca moderna ha guardato all' opera di Gesù in entram­ bi i modi.

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LA RESTAURAZIONE D I ISRAELE

Spesso si è sostenuto (ad esempio da C aird) 76 , che Gesù intendes­ se in qualche modo restaurare Israele, così come si è detto che «egli non dice una sola parola per confermare o rinnovare le speranze nazio­ nali del suo popolo» (Bornkamm) 7 7 . Possiamo risolvere un tale pro­ blema? Ritengo che lo studio dei tre temi finora affrontati (il tempio, il contesto fra Giovanni e Paolo, i Dodici) ponga il problema in ter­ mini più vasti: Gesù voleva la restaurazione giudaica. Ci si deve anco­ ra chiedere in che senso lo fece. Come sempre, la sfumatura è meno certa del quadro d 'insieme 7 8 . La maggior parte degli studiosi concor­ derà che Gesù non aveva di mira una vittoria militare o un'autono­ mia politica secondo l' ispirazione di Ps Sal 1 7 . Dapprima appare che, allorché nega che Gesù s'interessasse alle «speranze nazionali» del suo popolo, Bornkamm intende negare solo questo tipo di speranza nazionale 79. L'enfasi nella sua discussione sembra smorzarsi là e va osservato che è inadeguato definire la speranza nazionale nei termini di un messia davidico, che è uno dei temi meno frequenti della lette­ ratura giudaica. Bornkamm però prosegue argomentando che nelle para­ bole di Gesù vi è, almeno implicitamente, una forma d'universalismo, e in questo contesto cita il detto tratto da Mt 8, 1 1 relativo ai molti che verranno dall'oriente e dall'occidente so Perciò nella sostanza desidera chiaramente negare che Gesù intendesse qualcosa che potes­ se cadere sotto il termine di > 3°. Inoltre esso era il dramma tipico dell'attesa giudaica: «Anche per lui, come per i suoi contemporanei, era evidente che il regno di Dio sarebbe venuto per il popolo ebraico>> H . Ma è sufficiente leggere poco oltre per accorgersi che ciò è concesso a un livello di significato, soltanto per essere ritrat­ tato a un altro livello: «L' avvento del Regno di Dio non è perciò pro­ prio un evento che si pone nel corso del tempo, che deve capitare una volta e di fronte al quale si può assumere un preciso atteggiamento o tenersi neutrale>> l2. Non faremo una digressione dal problema del comprendere Gesù a quello del comprendere Bultmann, compito que­ st'ultimo che ha creato di per sé un apprezzabile corpus letterario JJ. Tuttavia è evidente che nei termini del linguaggio comune, qualora si riferiscano a Gesù, la prima e la terza delle affermazioni citate in precedenza sono semplicemente autocontraddittorie. Se Gesù «come " A. ScHWElTZER, Storia de/14 ricen:a . . , 508.

" Ibid , 5 1 3 . " lbid. 4.20- 523 . 28 Ibid. , 51 9. .

29

.

Vedi sopra pp. 4ls. e n.

'u R. BVLTNIA�N, Gesù, .3 4 .

" Ihid. , 37. " Ibid. , 4 4 .

" Vedi, ad esempio, N. i'ERRIN, Kingdom . , 1 1 5 - 1 1 7 . .

l DETTI

171

i suoi contemporanei» attendeva u n dramma escatologico, allora si sareb­ be trattato di . " Vedi recentemente ]. Sc!lLOSSER, Le règne. . . , 130, 134-139. Vedi anche N . Perrin, Bult­ mann c altri citati sono. 49 W . G . KiiMMEL, Verheissung und Erfollung, tr. ing., 105s. Vedi anche R. BuLTMANN, Geschichte. . . , 1 4 .

" R . BUI.TMANN, Geschichte. . . , 162. " N. PERRIN, Kingdom. . . , 8 7 . ' 2 I n a ç giunta a Dodd c Pcrri n citati in precedenza vedi D. BoscH, Die Heidenmission in der Zukunjtsschan Jesu, Zi.irich 1959, 4 7 : presente? Virtualmente su di noi? Pienamente giunto in tutta la sua forza e gloria? Quindi, prima di potersi pronunciare sul pieno significato di nel mes­ saggio di Gesù, si devono ripetere dozzine di volte tali esercizi e corre­ lare tra loro i risultati. E alla fine, per ripeterei, nessuno saprà mai se tutte queste decisioni siano giuste e tutti i giudizi complessivi sicuri. Ho deliberatamente scelto il caso più sicuro nell' arsenale di coloro che spiegano Gesù interpretando i detti, al fine di mostrare le severe limitazioni del metodo. Probabilmente non c'è nessun altro versetto del vangelo su cui ci sia tanta unanimità. Non è che io abbia la pro­ fonda convinzione che l'opinione non sia valida; ma non ritengo che percorrendo il cammino da me brevemente tracciato ci si muova effet­ tivamente verso > 64. Quando richiamia­ mo la catena di presupposti e argomentazioni (in qualche caso circola­ ri) richiesta per mettere in evidenza M t 12, 28 quale interpretazione decisiva compiuta da Gesù della propria attività, in particolare la sepa­ razione di Mt 12, 28 da 12, 27 e gli sforzi di trovare la precisa sfuma· tura di phthanein (come se Gesù avesse effettivamente usato la parola) può cominciare a delinearsi nettamente il fatto che gli studiosi si sono dimostrati troppo fiduciosi nell'atto di considerare «realizzazione>> e «presenza>> come le caratteristiche decisive e dominanti del messaggio di Gesù. Una delle cose principali poste in gioco nel lavoro dedicato a Mt 12, 28 e 1 1, 5s. (e a pochi altri passi che si possono chiamare a soste­ gno) è la specificità attribuita a Gesù sopra e contro altri profeti ed esor­ cisti ebrei e specialmente Giovanni Battista 65. Al fine di sostenere 60

R. BuLTMANN, Geschichte .. , 23. 6 ! lbid. " lbid. 126. " }.D.G. DuNN, Jesus and the Spiri!, 55-60; l a citazione è tratto do p. 59 ed è in corsivo nel reslo. 64 R. BULTM"�• Geschichte . , 162. " Vedi ad esempio: W.G. KvMMEL, Verheissung und Er{iillung, te. ing., 88; }.D.G. DuNN, fesus and the Spirit, 49, 64; J. REUMANN, Jesus, 15Js. .

o

.

1 80

IL

REGNO

che il regno era «in qualche modo» 66 presente nelle parole e negli atti di Gesù, specialmente negli esorcismi, e che questi miracoli, conside­ rati di tipo escatologico, distinguevano Gesù dagli altri, si deve, impli­ citamente o esplicitamente, presupporre che Gesù fosse unico. Di tanto in tanto, presumo a causa di un'infelice scelta di parole, qualcuno sem­ brerà suggerire che i miracoli siano stati il segno del regno e che, poi­ ché Gesù li attuò, egli portò il regno 67. Dobbiamo supporre che Gesù non fosse il solo operatore di miracoli dei suoi tempi e ritengo che nessuno sosterrà seriamente il contrario. Di recente Harvey ha propo­ sto l'argomentazione secondo cui Gesù sarebbe stato unico nel genere dei miracoli da lui attuati e che proprio questi indicassero il soprag­ giungere dell'epoca predetta dai profeti. Questa è una proposta inte­ ressante, ritengo però che essa non possa prevalere; in ogni caso ci si ritornerà sopra nel prossimo capitolo. Di solito il peso dell' argomen­ tazione s' incentra sull ' unicità dell'autocoscienza o dell'affermazione di Gesù : «Giovanni (a differenza di Gesù) non si riferisce mai a una cac­ ciata di demoni come un segno che "il regno di Dio è giunto fra voi"» 68. In relazione a questa coscienza di potere ci fu qualcosa di pienamente distintivo, in effetti di unico (in riferimento a Mt 12, 28//Lc 1 1 , 20) 69 . attraverso le parole e le opere di Gesù. Si possono notare gli sforzi di G. Born­ kamm: > (ibid. , 77). Cfr. anche W.G. KlrMMF.L, Verheissung und Erfiil/ung, tr. ing., 1 1 1 , citato più avanti; N. Perrin riconosce le diffi­ colcà di dire (Kingdom_ . . , 42s.). 67 ]. RF.UMAN:-\, ]esus, 154: , S]T, H, 1978, 557-570) conclude che Mt 1 3 , 47s. è amcntico. I l verseuo 49, che contiene la frase > (Mt 25, 3 1 ) : «Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consuma­ zione dei tempi>> (Mt 28, 20) . E infine, all'interno di una pericope mani­ festamente composita, vi è un passo dalla triplice tradizione: Mt 16, 27 Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli e renderà a ciascuno secondo le sue azioni

Le 9, 26 Chiunque si vergognerà di me e del· le mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi.

Mc 8, 38 Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adul­ tera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli san ti.

Di queste forme leggermente varianti quella matteana sembra la più antica. L'evangelista Matteo non avrebbe avuto alcuna ragione di tra­ lasciare (cfr. M t 10, 22, «a causa del mio nome>>) e la denuncia marciana a «questa gene­ razione» è simile alla critica di Mt 1 2 , 39-4 1//Lc 1 1, 29s., una critica che Matteo ripete in 12, 45 87. Questa categoria di detti è stata presentata con una certa ampiezza per parecchie ragioni. In primo luogo la tendenza generale della recente ricerca è stata di attribuire a essa scarso peso nei ritratti di Gesù. Que­ sto può venire attuato semplicemente non menzionandola, o negando­ ne l'autenticità, o (più frequentemente) assumendola sotto la catego­ ria generale di «attesa futura>>, la quale allora è definita in colori meno foschi 88. Non è mia intenzione concludere che (come si spiegherà fra breve) le si debba dare un posto preminente, ma temo che essa abbia perso d'importanza non tanto perché è effettivamente risultato che ha 87 La solita spiegazione, secondo cui Matteo nel riprendere Marco «rese più penetrante)>) il riferimento al Figlio dell'uomo (cfr. N. Pr:: R RtN, Kingdom. . , 139), è straordinariamente debole. Se Maneo avesse effettivamente ripreso Marco egli avrebbe cancellato un detto dire-no nei con­ fronti di Gesù e della sua parola. Questo è semplicemente un altro esempio in cui un'incrollabi­ le fedeltà all'ipotesi delle due fonti non porta a un buon esito. !!.!! Il problema dell'attesa futura viene spesso posto nei termini della difficoltà in cui si sono trovati i cristiani moderni per il fatto che Gesù abbia atteso una fine imminente. Vedi ad esem­ pio: H. BRA L:�, ]esus: der Mann . , tr. ing., 36-4 3 ; A.E. I IARVEY, Constraints . , cap. 4 . N. Perrin dà per scontato che > (in greco «Petros>>) . Il punto significativo è che, quando il nome passò in greco, a volte se ne conservò la versione ara­ maica (più volte in Galati e in l Corinti) ma spesso la parola fu tra­ dotta piuttosto che traslitterata, ponendosi così l'accento sul signifi­ cato, «Pietro>>, così come avviene in Gal 2 , 7s. e nel resto del Nuovo Testamento (in Gv l , 42 si usa l'aramaico e lo si traduce) . Non sem­ bra del tutto improbabile che quel fosse Gesù: e se Gesù chiamò Simone > pre­ vale perché, ponendo la tensione all'interno dell'esperienza umana, il regno, inteso come effettivo evento futuro, diviene di poca rilevanza. Dovremmo notare che non è affatto difficile riconciliare l'idea gene­ rale di con quella di . Quel che è difficile è consi­ derare la stessa cosa sia come presente che futura. G . B . Caird opera accurate dissezioni su una quantità di tentativi enfatici e tormentati di affermare contemporaneamente la dimensione del e quella del «futuro>> o di decidere tra loro: Il dibattito tra coloro che sostengono che Gesù abbia dichiarato che il regno era arrivato e coloro che sostengono che lo abbia dichiarato immi­ nente è riducibile ai termini più semplici quando ci si accorge che le parti che intervengono nel dibattito hanno identificato in modo diverso il signi­ ficato. Se Gesù si stava riferendo alla definitiva realizzazione degli scopi di Dio nel regno della giustizia c della pace, dove i giusti banchetteranno con Abramo, Isacco e Giacobbe (M t 8 , 1 1 ; Le 1 3 , 28s.), è un puro non­ senso persino suggerire che questo fosse presente sulla terra quando Caifa era sommo sacerdote e Pilato governatore della Giudea. D ' altra parte, se Gesù si stava riferendo alla sovranità redentrice di Dio che si stava dispie­ gando nel mondo per distruggere Satana e tutte le sue opere (Mt 12, 28; Le 1 1 , 20), sarebbe un completo nonsenso riferirsi al suo ministero per concludere che per lui ciò si trova ancora nel futuro 1 1 7 •

Non esiste perciò alcuna difficoltà a considerare il «regno>> in qual­ che senso presente, in altro senso futuro 1 18 . Quello che è sorprenden­ te è invece constatare che, come avviene per i vangeli sinottici, una stessa parola viene impiegata per esprimere un raggio di significati tanto ampio. Si ha inoltre un'ulteriore prospettiva se in relazion� alla questione del e del ci si riferisce a Paolo. E ben noto che egli considerava i cristiani come chi già stava sperimentando qualcosa e nel contempo stava ancora attendendo qualcosa. Egli poteva scrive­ re che i cristiani sono stati «giustificati>> (Rm 5, l); che sono una «nuova ' 1 ' Ibid. 199. 1 1 7 G .B. CAIRO, The Language and Imagery o/ the Bibil?, 12. 1 18 Cfr. B. CH!l.TON, sopra, p. 184, n. 78. .

198

I L REGNO

creazione>> (2 Cor 3, 1 8) e che sono «trasformati>> (2 Cor 3, 18) e «rin­ novati>> (2 Cor 4, 16). Egli tuttavia poneva la «salvezza>> nel futuro (Rm 5, 9s.; 10, 1 3 ; e in molti altri luoghi). Ciò non presenta difficoltà, in parte perché in alcuni luoghi, per esempio Rm 8, Paolo distingue in modo perfettamente chiaro tra lo stato presente e quello futuro, e descri­ ve il primo come qualcosa in cui si attende la realizzazione e il compi­ mento. Così Rm 8, 23: > (si confronti Rm 8 , 23 - futuro - con Gal 4, 6 - presente) e, come si è notato precedentemente, per il «regno>> (si confronti l Cor 15, 50 - futuro - con Rm 1 4 , 17 - presente) . Che cosa sarebbe successo se Paolo non fosse stato in possesso di termini da impiegare in modo coerente per l'attuale esistenza del cristiano (ad esempio Spirito) e per lo stato futuro (salvezza)? Che cosa sarebbe successo se fosse sempre ricorso a «giustificazione>>, «adozione a figli>> e molto più frequente­ mente di altri termini, ed essa fu forzata a esprimere un raggio molto vasto di significati. Non abbiamo alcun detto che ci permetta di con­ seguire la chiarezza che si può raggiungere con Paolo, proprio perché siamo in possesso di passi come Rm 8, 23. I termini e nell'insegnamento di Gesù costituiscono un problema che suscita imbarazzo, poiché non si può affermare chiaramente quanto sia pre­ sente - e neppure con precisione quanto Gesù ritenesse futuro, se un nuovo ordine o un cataclisma cosmico. Egli può ben aver creduto che il , inteso nel senso di , fosse all'opera nel mondo, ma che il tempo sarebbe giunto solo quando fosse stato eliminato tutto il potere che vi si opponeva e il regno di Dio, in un senso in qualche modo differente, fosse «venutO>>, fosse stato intro­ dotto. Il materiale dei detti a noi pervenuto non ci consente di pre­ sentare tutto ciò come se fosse precisamente la visione di Gesù, per quanto proprio questa appaia la supposizione più probabile.

199

l DETTI

Se, tuttavia, sulle basi delle prove attualmente in nostro possesso, si dovesse scegliere tra «presente» e «futuro» come elemento preva­ lente del messaggio di Gesù, dovremmo porre l'accento sul regno come immediatamente futuro 1 1 9 . Le prove sono le seguenti: l) un accento posto sul futuro corrisponde all 'antico sodalizio di Gesù con Giovan­ ni Battista. 2) Il comportamento degli apostoli indica che essi atten­ devano un evento drammatico nell'immediato futuro. Paolo, per la veri­ tà, pensava al regno come presente, ma ciò dipende dalla sua dottrina dello Spirito e dalla sua teologia sacramentale/mistica dell 'essere «in Cristo>>, non (per quel che possiamo dire) dalla conoscenza della visio­ ne personale di Gesù. Risulta che quanto i seguaci di Gesù appresero da lui fu che il regno era alle porte. Altri, oltre Paolo, sperimentarono la presenza di Cristo (vedi Mt 1 8 , 2 0 ; 28, 20) e senza dubbio membri devoti del movimento cristiano sentirono se stessi alla presenza di Dio come fecero altri devoti ebrei. Ma ciò non indica in alcun modo che essi appresero da Gesù che, nelle sue parole e nei suoi atti, il regno di Dio fosse pienamente presente. Il movimento cristiano si differen­ ziò dal resto del giudaismo in virtù della convinzione che presto il Signo­ re sarebbe ritornato, e ciò si deve vedere come un cambiamento della concezione di Gesù che il regno di Dio fosse vicino (vedi più avanti, capitolo ottavo). Questo fatto, più di qualsiasi altro, mostra dove por­ re l'accento nel messaggio personale di Gesù. 3) La predizione della distruzione del tempio mostra che si stava attendendo un evento futuro. j) L'attesa dell'arrivo del regno è ben fondata nel giudaismo dell'epo­ ca di Gesù. È anche vero che, in aggiunta al detto sul tempio, esistono nume­ rosi detti orientati verso un futuro atto di Dio; ma in se stesso lo stu­ dio del materiale dei detti non stabilisce l'accento dato al proprio mes­ saggio da Gesù stesso. Il detto sul tempio risalta a causa del fatto che si rivolge a un concreto evento futuro, ed è anche correlato a un' azio­ ne profetica. Ma la prova determinante non è l'analisi del materiale dei detti, che, come non ho cessato di ribadire sin qui, non ci condu­ ce più in là del campo della possibilità. Non siamo ancora in una situazione tale da tentare di descrivere quale tipo di evento at tendesse Gesù. Questo sforzo sarà compiuto nell'ottavo capitolo. Qualche elemento però è chiaro. Gesù guardava verso l'imminente intervento diretto di Dio nella storia, verso l' elimi­ nazione del male e degli operatori d' iniquità, verso la costruzione di un nuovo e glorioso tempio, e verso il raduno d'Israele con lui e i suoi discepoli come figure dominanti. L'elencazione armonizza parzialmente -

1 19

Per dubbi su questo, vedi sopra, cap. .3,

n.

83.

200

IL REGNO

le nostre categorie 3 e 4 (una fine sconvolgente e un nuovo ordine); ma la consonanza non è perfetta, perché vi è ancora conflitto a pro­ posito del giudizio. La categoria 3 , come si è notato in precedenza, prevede un giudizio (o una selezione) che ha luogo al tempo della venuta della figura celeste e degli angeli (Mt 16, 27 fine; 24, 3 1 e par.). Mt 1 9 , 28, che rientra nella categoria 4 , attribuisce il giudizio ai discepo­ li. Non possiamo sapere se una stessa persona non abbia potuto espri­ merli entrambi, poiché non è infrequente che palesi contraddizioni di questo tipo contraddistinguano le affermazioni di chi pensa per imma­ gini. I quadri rievocati da Mt 24, 3 1 da un lato e da Mt 1 9, 2 8 dall'al­ tro sono del tutto differenti; essi servono a mostrare che la ricerca di un' armonia non ci conduce a una coerenza logica. Tuttavia non c'è ragione per rigettare completamente l'una o l'altra. Gesù riteneva anche che fosse presente il potere di Dio. Quanto nella sua visione esso fosse presente con pienezza dipende da detti come Mt 12, 28 e 1 1 , 5s., che sono stati discussi con la debita ampiezza in una precedente sezione di questo capitolo. Tuttavia sulla base di pro­ ve più sicure possiamo dire qualche cosa sulla convinzione di Gesù rela­ tiva al potere presente di Dio. La dimostrazione del tempio comprova che Gesù credeva che in lui agisse il potere di Dio: egli era il portavo­ ce di Dio, l'agente di Dio. La dimostrazione del tempio fornisce un ampio contributo all'attestazione di quello che molti hanno sostenuto sulla base di prove più vacillanti, ad esempio la concezione che Gesù aveva dei propri esorcismi. Molti dei detti che taluni hanno conside­ rato rivolti alla presenza del regno si indirizzano in effetti verso la concezione che Gesù aveva della propria autorità: «Qui c'è uno più grande di Salomone>>, «Beati gli occhi che vedono quel che voi vede­ te» (Le 10, 23s. ; 1 1 , 32s.) . Perciò non c'è dubbio che Gesù pensasse al presente come a un momento importante - ·manifestamente il momento più importante di tutti i tempi. Ciò tuttavia non ci consente di trasferire l' accento della sua concezione del regno dal «futuro» al «presente». Futuro e pre­ sente erano, dobbiamo supporre, collegati. Ma se Gesù attendeva vera­ mente che Dio agisse in modo decisivo nel futuro, dobbiamo anche supporre che questa attesa abbia dominato e controllato la sua attivi­ tà e il suo messaggio e che fosse appunto l'evento futuro a definire principalmente la sua peculiare visione del «regno». La futura azione sovvertitrice di Dio deve, secondo Gesù, essere più importante della presente manifestazione del suo potere. Proprio come non possiamo dire con precisione ciò che, secondo Gesù, sarebbe successo in futuro, così non si può affermare che cosa egli ritenesse che avrebbe effettivamente avuto luogo nel presente. Il

l

DETTI

201

nostro studio sui detti conferma i punti generali - Gesù era orienta­ to verso un evento futuro e sapeva che la sua opera era importante - senza però definirli in modo preciso. Esso però offre alcune possi­ bilità e ne esclude altre. Forse l'evento futuro comporterà un dramma cosmico, forse un ordine sociale. Sembra però che si debba escludere la visione esistenzialistica secondo cui nel messaggio di Gesù il «futu­ ro» e il «passato» si riferiscano a tensioni interne all'attuale esperien­ za umana individuale. Ritengo che ci siano due spiegazioni del fatto che tanti studiosi sot­ tolineino la presenza del regno nell'insegnamento di Gesù, pur rico­ noscendo che egli pensava a esso come a una realtà futura 120 . Una è semplicemente teologica. In questo modo il messaggio di Gesù è reso più rilevante e si mette in sordina il problema del suo errore riguardo all ' immediato futuro 1 2 1 . La seconda spiegazione è che si desidera sot­ tolineare tutto quanto è giudicato come elemento distintivo. Si ritie· ne che sia la nozione della presenza del regno a distinguere Gesù dal­ l'escatologia giudaica, in cui si include innanzitutto e soprattutto Gio­ vanni Battista 122 . Tuttavia al fine di rendere il messaggio di Gesù veramente distintivo bisogna affermare non solo che egli ha proclama­ to che il regno era «in un certo senso» presente, ma anche che ha pro­ clamato che era presente in qualcosa che si avvicinava al potere stesso del tempo della fine; l'idea che Dio regna nel presente infatti non è sotto nessun aspetto significativa. Dire semplicemente che Dio è re (detto al presente) equivarrebbe a ripetere un luogo comune giudaico. O'Neill espone la concezione comune in modo molto appropriato: Il giudaismo confessava che Dio era re di tutti gli uomini, sia che lo rico­

noscessero sia che non lo riconoscessero come tale; molti ebrei credevano che sarebbe giunto il tempo in cui tutti gli uomini sarebbero stati aperta· mente sotto la sua sovranità, quando il regno del mondo sarebbe diventa­ to il regno del nostro Signore . . . m.

Dodd vide questo punto in modo chiaro: «Qualunque maestro ebreo avrebbe potuto dire: " Se vi pentite e vi impegnate nell'osservanza della Torah avete preso su di voi il regno di Dio"». Egli prosegue: Gesù invece dice: . Ma anche l larvcy considera seriamente questa dcscri· zione redazionalc come qua lcosa che può dare la motivazione di Gesù (Constraints . . . , 1 1 1). Alla fine egli respinge la compassione come mo tiv azi one di Gesù poiché gli stessi evangelisti non la presentano come primaria, presupponendo perciò manifestamente che essi la conoscessero.

MIRACOLI E FOLLE

209

La questione dell'impiego dei miracoli come autenticazione della sua missione è più complicata, e prima di poterei convenientemente rivol­ gere a essa sarà necessario introdurre qualche materiale comparativo. Per ora notiamo semplicemente che viene riferito che Gesù abbia rifiu­ tato un segno ai suoi avversari che ne chiedevano uno (Mt 16, 1-4 e par . ; Mt 12, 38s. e par.) e che abbia presentato i suoi miracoli come segni al Battista (Mt 1 1 , 2- 1 1 e par.) . Per il momento accantoniamo quest'argomento e analizziamo due recenti tentativi di spiegare il signi­ ficato dei miracoli per la comprensione di Gesù e specialmente il suo intento e il «tipo» in cui farlo rientrare. Recentemente Harvey ha fatto una proposta molto interessante per la comprensione della concezione dei propri miracoli avuta da Gesù. Egli osserva che tra i miracoli le storie d'esorcismo occupano un posto preminente. Ciò si accorda con altre storie (la tentazione) e parecchi detti che rappresentano «Gesù impegnato e vittorioso in un confron­ to con il diavolo» 10 . Tuttavia gli esorcismi possono - come avvenne effettivamente nel caso di Gesù - far sorgere I' accusa che l'esorcista «aveva più conoscenza del mondo degli spiriti maligni di quanta ne possa avere colui che non incontra i pericoli della magia nera» 1 1 • Har­ vey continua: Gesù evidentemente optò per un tipo di guarigione miracolosa destinata a essere pericolosamente ambigua; ma, almeno secondo i resoconti evan· gelici, egli la svolse proprio col minimo indispensabile di quei procedimenti tecnici che più sicuramente avrebbero fatto sorgere sospetti sulle sue auten­ tiche credenziali e motivazioni 12

Il punto principale immediatamente successivo è che c'è una considerevole congruenza tra i miracoli attribuiti a Gesù (quelli da lui «scelti») e quelli predetti in Is 35, 5s. Matteo, osserva Harvey in uno dei suoi compendi ( 1 5 , 3 1) , «rende esplicita la connessione». Harvey prosegue: ·

Tali guarigioni non erano del tutto prive di precedenti; esse erano carat­ teristiche della nuova era che, come si è visto, in un modo o in un altro era attesa dalla maggioranza dei contemporanei di Gesù. Per usare il lin­ guaggio tipico della ricerca neotestamentaria, furono miracoli escato­ logici ".

La sua conclusione è che le guarigioni compiute da Gesù (ma non gli esorcismi) si conformano in generale alle profezie di Isaia relative alla 10 A.E.

HARVF.Y, Constraints . . , 1 14. Ibid , 108. l2 /bid. ' 109. " Ibid., 1 13. Cfr. in particolare W.G. KUMMEL, Verheissung und Erfiillung, tr. 11

.

ing., 1 1 1.

210

IL

REGNO

nuova era, mentre gli esorcismi (privi di connessione con le profezie di Isaia) indicano il conforto a cui guardavano i contemporanei di Gesù all' arrivo della nuova era. La possessione demoniaca non fa parte del­ la visione del mondo di Isaia, ma nel giudaismo del primo secolo la si percepiva come parte della condizione umana. Perciò sia le guari­ gioni che gli esorcismi s 'indirizzano nella stessa direzione: la nuova era 1 4 . Harvey ammette che non tutti i miracoli rientrano in un solo mo­ dello '�, ma la sua argomentazione è che Gesù «scelse» di attuare innanzitutto quei miracoli che, ai suoi contemporanei, avrebbero pre­ sentato la promessa di una nuova era. Harvey, in relazione alle guari­ gioni compiute da Gesù di «quelle infermità che chiamiamo congeni­ te», sottolinea che: «Se un profeta doveva ispirare una genuina spe­ ranza di una nuova era in serbo per l'umanità, egli doveva offrire la garanzia che nel tempo della salvezza sarebbe stata rimossa questa intol­ lerabile costrizione che pesa sulla dignità umana e sulla libertà uma­ na» 16. E attraverso i suoi esorcismi, così come attraverso i detti «in cui egli proclamava la sua superiorità» nei confronti dei poteri demo­ niaci: Gesù sembrava dimostrare la possibilità di una vittoria finale sopra que­ sta costrizione demoniaca. In effetti si può dire che questo era il senso dell' asservimento al mondo degli spiriti provato da tanti suoi contempora­ nei che ben difficilmente Gesù sarebbe stato riconosciuto come loro sal­ vatore se non fosse apparso come chi ha inferto un colpo decisivo contro questo formidabile nemico 17

L' argomentazione secondo cui Gesù consciamente attuò delle gua­ rigioni - che, mentre 18 , erano modellate su Is 3 5 , 5s. è complementare all'argo­ mentazione successiva per cui l' attività pubblica di Gesù fu, sotto importanti aspetti, modellata su Is 6 1 , 1 '9. L' argomentazione di Harvey merita di essere attentamente valuta­ ta. La sua affermazione dell'unicità dei miracoli di Gesù è differente dall'affermazione considerata in precedenza, secondo cui Gesù aveva una consapevolezza unica del potere escatologico zo. L ' affermazione -

" A.E. HARVEY, Conrtraints, " IbiJ. , 1 16. 16

Ibid., Ibid. , " Ibid. , " Ibid., 17

20

1 16-1 18.

11 7.

118. 115.

141s.

La coscienza unica

di Gesù,

sopra,

180.

MIRACOLI E FOLLE

211

dell'unicità proposta da I larvey è soggetta - almeno in teoria - a una prova empirica. L'angelo che prende nota delle buone e delle cat­ tive azioni degli uomini non ci ha lasciato un'elencazioné di tutti i miracoli effettuati in Palestina. In ogni caso questa è la più ampia affer­ mazione di Harvey: . . .la maggior parte dei miracoli effettuati da Gesù consistettero da un lato in guarigioni di ciechi, zoppi, sordi e muti (guarigioni in pratica prive di precedenti nella sua civiltà) e dall'altro in esorcismi (che lo misero nelle condizioni di essere accusato di stregoneria) 2 1 .

Questa è un'affermazione assai attenta. Giuseppe afferma che gli ebrei erano particolarmente dediti agli esorcismi 22, e Harvey mette tra parentesi l'indicazione, in quanto non erano i soli, ma erano pericolo­ si (tuttavia se gli ebrei erano famosi per la pratica degli esorcismi, come potevano essere pericolosi?) . Ed è vero che è difficile trovare nel giu­ daismo resoconti di guarigioni miracolose di data recente di ciechi e di altri simili menomati. Ci si chiede però perché Harvey non abbia discusso il ciclo di Eliseo, dove ci sono narrazioni di guarigioni che trovano un parallelo con quelle attribuite a Gesù, come la guarigione del lebbroso (2 Re 5 , 1-4; cfr. Mc l , 40-45 e par.) e la risurrezione di un bimbo morto (2 Re 4, 32-37; cfr. Mc 5, 2 1-43 e parr.). Queste si possono scartare in quanto lontane nel tempo, e tuttavia sono pur tali da ridurre l'unicità dei miracoli attribuiti a Gesù. Ma l' affermazione dell'unicità, persino lasciando da parte le storie di Eliseo, può contare molto nel fornirci la pista per giungere all'in­ tenzione personale di Gesù? Come abbondantemente chiarito da Smith, simili guarigioni erano abbastanza comuni nell'area mediterranea n , e appare molto tenue argomentazione il supporre che la Palestina fosse isolata al punto che la scarsità di attestazioni di simili miracoli nella letteratura giudaica palestinese precedente a Gesù significhi che Gesù e i suoi contemporanei considerassero tali guarigioni come uniche 24• Una parte dell'affermazione di Harvey in favore dell'unicità di Gesù, non contenuta nella citazione appena fornita, è che a Gesù non è attri­ buita la preveggenza, attrezzatura comunemente necessaria per l'atti­ vità dei maghi 25. Si deve presumere che Harvey abbia scartato come non autentici un gran numero di passi 26• Ma anche così tale negazio21 A.E. HARVF.Y, Constraintr. . , 1 1 1 . A p. 1 1 5 wirtualmente senza precedenti» è diventato «completamente senza precedenti>•. " Giuseppe. A], VIII, 4 6 . lJ M . SMITH, Maf!ici.an, 109, 1 9 5 nn. 24 Sullo stesso punto riguardo al magico vedi ibid. , 68s. " A.E. I!ARVCY, Constraìnts , 1 05s. u; Ad esempio le predizioni della passione, la predizione della distruzione di Gerusalemme e la predizione del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro. .

...

212

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ne è errata, a meno che l' autore intenda compiere una distinzione tanto sottile da rendere la questione di nessun valore. Ègli definisce la pre­ veggenza come basata su > deve continuare a essere considerato il più adeguato. Si vedrà subito l'importanza di tale distin­ ZIOne. Ma i miracoli in se stessi, come ho osservato più di una volta, non ci spingono più in là verso la concezione che Gesù fosse un profeta escatologico. Non c'è nulla riguardo ai miracoli che provocasse, nel mondo giudaico del primo secolo, l'attesa che la fine fosse alle porte. Tuttavia ciò non equivale a dire che a un profeta escatologico o, per quanto riguarda ciò, a qualsiasi profeta - non sarebbe stato richiesto un >) chiamandolo un goes, un mago o ingannatore (AJ, XX, 97) 66. La qualifica viene intesa in modo peg­ giorativo. Teuda si considerò un profeta; Giuseppe lo chiamò un mago. Se il segno di Teuda si fosse compiuto, se i romani fossero stati scon­ fitti o se fosse successo qualcosa che avvicinasse ((il regno», Giuseppe avrebbe senza dubbio trovato un altro titolo. Similmente Filostrato definì Apollonio un > pesa il sospetto che siano creazioni della chiesa successiva 4 • Anche se queste afferma­ zioni fossero tali, risulterebbe comunque che la chiesa ha amplificato un motivo autentico. I passi relativi ai «peccatori» ci mostrano ancora una volta quanto sia precario fare affidamento sull'autenticità di un qualsiasi singolo det­ to. Quel che mi prefiggo è quanto segue: l) la chiesa non avrebbe creato la descrizione della proclamazione di Gesù come espressamente diret­ ta verso i «peccatori»; 2) ciononostante alcune delle affermazioni rias­ suntive (specialmente Mt 9, 1 1 - 1 3//Mc 2 , 16s.//Lc 5 , 30-32, Gesù è venuto a chiamare i peccatori e non i giusti) furono probabilmente crea­ zioni della chiesa primitiva. Qui come altrove, più che sull'analisi di qualsiasi siQgolo passo, possiamo fare affidamento su una probabilità generale 5 . E improbabile che la chiesa abbia creato dal nulla l'accusa che Gesù si associasse con i peccatori, ma una volta che l'accusa fu fissata nella tradizione, può darsi che si sia potuto generare qualche altro detto. Il detto di Mc 2, 16s. e par. sembra avere una nota apolo­ getica, esso infatti in parte è protettivo nei confronti dei giusti: essi sono a posto; tuttavia la speciale missione di Gesù fu di chiamare i peccatori. Luca accentu,a la componente apologetica aggiungendo «a convertirsi» (Le 5 , 32) . E anche del tutto possibile che la prima affer­ mazione «egli mangia in compagnia dei pubblicani e dei peccatori>> (Mc 2, 16a), sia un'aggiunta. Matteo e Luca altrove non fanno obiezioni a incorporare nel loro testo tale descrizione. Similmente Le 1 5 , ls. è (come vedremo in seguito) quasi certamente una creazione redaziona­ le; e guarderei anche alla parabola del «fariseo e del pubblicano>> (Le 1 8 , 9-14) , con il suo marcato accento sul battersi-il-petto e sul penti­ mento, come a una creazione lucana (o prelucana) 6 . La storia di Zac­ cheo, che promette pubblicamente la restituzione di tutto quello che ha guadagnato in modo disonesto, è anch'essa peculiare di Luca (Le 1 9, 1 - 10) 7. Si può anche ritenere dubbia la conclusione lucana della parabola della «pecora smarrita>> (c'è più gioia per un peccatore che 4 Vedi: Il.]. CADBURY, The Perii of Modernizing Jesus, 1 35-145; A.J. HULTGREN, Jesus and His Advenaries, 109-1 1 1 (con bibliografia). Qualcuno si dichiara propenso per l'autenticità, ad esempio M. TRAUTMANN, Zeichenhafte Handlungen . . . , 1 5 7 . ' Cfr . : A.]. HuLTGREN, Jesus and His Advmaries, 109- 1 1 1 ; P. FIEDLER, Jesus und die Stin­ der, 2 7 1 ; H.K. McARTHUR, «Basic Issues: A Survcy of Recent Gospel Research», Interpr, 1 8, 1964, 48. 6 P. FIEDLER, ]esus und die Stinder, 228-239, 2 7 1 . 7 P . fiedlcr (ibid. 129- 1 3 5 , 2 7 1 ) , i n modo corretto dal mio punto di vista, guarda alla sto­

ria come a una costruzione secondaria.

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si converte, Le 1 5 , 7) che è un' aggiunta edificante non presente nel parallelo passo di Matteo (Mt 18, 10- 14) 8 Luca conclude la parabola della > siano più o meno termini equiva­ lenti; 2) che all'epoca di Gesù i farisei (haverim) controllassero il giu­ daismo; 3) che il termine «peccatori>> includa la gente comune, coloro che nella letteratura rabbinica sono chiamati gli 'amme ha-are�; 4) che i leader del giudaismo (fatti coincidere con i farisei) ebbero buon gio­ co nel far sì che questa gente si sentisse esclusa; 5) che l'unicità di Gesù consiste in parte nel suo offrire perdono ai peccatori pentiti (la gente comune) ; 6) che Gesù offese i farisei associandosi alla gente comu­ ne e offrendo loro il perdono. Questa associazione, nella forma di far­ si commensale, viene valutata come trasgressione del codice di purità farisaico; 7) il comportamento di Gesù risultò così offensivo che fu responsabile, in non piccola misura, della sua stessa morte. La discussione che seguirà immediatamente s'incentrerà sul primo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto di questi punti; ma si considere­ ranno anche alcuni aspetti relativi al secondo e al settimo. La discus­ sione sarà un po' complicata e, per rendere nette le posizioni, ho fat­ to ricorso alla classificazione decimale Dewey. Inizieremo con argo­ menti terminologici (riferendoci al punto l) e proseguiremo con quelli relativi alla gente comune e alla salvezza (riferendoci al punto 2). Infi­ ne offriremo una nuova proposta in relazione al significato dell'inclu­ sione compiuta da Gesù dei «peccatori» (riferendoci al punto 3 ) . Poi­ ché, per definire le opinioni dei farisei, la maggior parte delle discus­ sioni sui peccatori e sugli 'amme ha-are� si affida alla letteratura rabbi­ nica, la nostra discussione includerà il tema dei rabbi. Cercherò tutta­ via di distinguere tra la situazione antecedente al 70 e quella successi­ va a tale data.

l . Tenninologia 1 . 1 . I peccatori

Sebbene molti studiosi abbiano riconosciuto come non corretta l'in­ clusione della gente comune sotto l'appellativo di «peccatori>> !5, tut­ tavia questa concezione errata sembra ancora piuttosto diffusa, ed è contenuta in libri abbastanza importanti, perché sia opportuna un'ul" Vedi ad esempio S . WESTERHOLM, Jesus and Scribal lluthority, Lund 1978, 69s. Vedi l'ul­ teriore discussione contenuta in P. FIEDLER, ]esus und die Siinder, 140- 144.

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teriore confutazione. Non ci dovrebbe essere alcuna confusione sul signi­ ficato base del termine nel vangelo. La parola > e nella «pecora smarrita>> i corrispondenti dei pubblicani e dei peccatori con cui Gesù si associava. Se si può compiere quest'equazione, allora pos­ siamo notare che essi sono chiamati «gli smarriti» (Le 1 5 , 4. 6 . 9. 32) e il figliol prodigo definisce se stesso come uno che ha «peccato» (Le 1 5 , 18). L'ambientazione proposta da Luca in 1 5 , 1s. (pubblicani e pec­ catori si avvicinano a Gesù e i farisei e gli scribi affermano che Gesù mangia con i peccatori) è naturalmente un suo apporto redazionale, così come lo sono i commenti alle prime due parabole («ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito>>, Le 1 5 , 7 , 10) 26. Ma Luca sembra essere stato sulla traccia giusta. Gesù s'interessò degli «Smarriti». Perciò, per concludere questa sottosezione, possiamo affermare che Gesù considerò la propria missione diretta agli «smarriti>> e ai «pecca­ tori», cioè agli empi. Egli senza dubbio si interessò dei poveri, dei miti e degli oppressi c con ogni probabilità ebbe un certo seguito tra di loro. Ma l'accusa contro di lui non fu che egli amasse gli 'amme ha­ arer, la gente com,une. Se ci fu un conflitto, esso sorse attorno allo status degli empi. E un errore pensare che i farisei fossero turbati per­ ché egli andava incontro alla gente comune, di solito pia ed economi­ camente impoverita n Per giungere a un'affermazione conclusiva su questo punto, dobbiamo ora rivolgerei alla relazione - o meglio alla mancanza di relazione - esistente tra gli empi e la gente comune. 2 4 Si possono mettere in questione anche queste parabole, di solito considerate sacrosante. Per amore della presente argomentazione, tuttavia, non spingerò lroppo avanti i dubbi. Sul carat tere dubbio di Le 1 5 . 25-32, vedi J.T. SA�DERS, "Tradition and Rcdaction in Luke XV. 1 1 -32» NTS, 1 5 , 1969, 433-438. Per l'opinione secondo cui l'intera parabola sia lucana, vedi L. SCIIOT· TROFF, "Das Gleichnis vorn verlorcnen Sohn», ZTK, 68, 1 9 7 1 , 27-52. 2' Vedi l'avvertimento di N. PERRIN, Rediscavering . , 97. 26 Vedi sopra, n. 9; oltre, cap. 10, nn. 38-40. 27 A. Nolan (]ejus be/ore Christianity, 96-98) avanza l'ipotesi che i farisei opprimessero i pove­ ri e che Gesù li abbia atlaccati proprio per questa ragione. I vangeli però non si adattano sem­ plicemente a teorie socioeconomiche. Gli (Gv 7 , 49). Inoltre la parabola del fariseo e del pubblicano può venire letta in modo da attribuire ai farisei l'opinione secondo cui tut­ ti gli altri sono e simili (Le 18, 9·14) . (La nota a quest'ultimo passo nella New Oxford Annotated Bible descrive que­ ste colpe come se fossero mancanze rituali. Ciò indica molto bene quan­ to sia radicata nella scienza neotestamentaria l'opinione secondo cui i farisei si siano interessati solo al rituale e alle minuzie) . Nessuno dei due passi può venire considerato effettivamente indicativo delle opi­ nioni dei farisei prima del 70 30, e il secondo può essere solo un rifles­ so dell'atteggiamento antifarisaico di Luca l i . Al massimo questi pas­ si possono venire presi come espressioni che riflettono una qualche com28

E.P. SANDF.RS, Paolo. vedi l'indice analitico alla voce �.

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nel tempo. Prima del 70 tuttavia la gente comune non accettava que­ sta prassi. È così per principio: se avessero fatto tali cose essi avreb­ bero soddisfatto una delle richieste dei qaverim. Ma il loro insuccesso nell'essere qaverim in questo modo, come in altri, non li rendeva pec­ catori. Ciò è vero anche se si dovesse supporre che al tempo di Gesù a governare i qaverim fossero le leggi della Mishnah 5 1 . 1 . 3 . 3 . Purità: conclusione. L a ragione di queste semplici osservazio­ ni è che, come ho detto in precedenza, questo argomento sembra molto nebuloso. Braun ritiene che Mc 7, 6-9 (sull' abluzione delle mani) sia da considerarsi un esempio con cui Gesù castigò «specifici abusi nella pratica giudaica del suo tempo» 52. Braun, a quanto dobbiamo presu­ mere, non conosceva la motivazione religiosa sottesa al programma dei qaverim (la santificazione della vita quotidiana), e lo definisce come «abuso>>. Ma il punto nodale qui è che egli guarda alla norma dell'a­ bluzione delle mani come a una comune pratica giudaica, mentre in effetti essa era limitata a un piccolo gruppo. In modo simile Aulén, riassumendo la recente ricerca neotestamentaria, scrive che la conce­ zione di Gesù era che le prescrizioni della legge di Mosè, «per esem­ pio quelle relative al sabato e alla purità», dovessero cadere quando entravano in conflitto con il comandamento dell'amore 5 3 . Ma l' ablu­ zione delle mani è l'unico problema di purità messo in discussione dai sinottici, ed essa non è una prescrizione della legge di Mosè. In ogni caso le prescrizioni della legge che si occupavano della purità non pote­ vano essere messe in contrasto con il comandamento di amare il pro·n I talmudisti che hanno discusso l'allargamento ai laici del codice dell'abluzione delle mani (vedi n. 49) non sono, a quanto mi risulta, vcnllti a capo del problema di fondo: perché l'ablu­ zione delle mani? Il mio collega A. B aumgar ten mi ha fatto notare che la visione biblica è �·glo­ bale»: una persona che è impura dovrebbe venir immersa e a spet t are il tramonto del sole (vedi la precedente sottosczionc). BUchler mise in evidenza che la semplice abluzione delle mani non rimuove la vera (biblica) impurità !evitica (A. BUCHLER, us, 49.

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prio prossimo, in quanto esse non riguardavano le relazioni interper­ sonali 5" . Per ripetere: le leggi di purità valide per tutti non riguardavano «la condivisione della mensa» bensì, principalmente, l'accesso al tempio. Incorrere in impurità in base alla regola biblica, di solito non rendeva una persona «peccatrice». Il non conformarsi alle speciali leggi dei l?ave­ rim, preposte al mangiare, rendeva semplicemente una persona un non­ l?aver, cioè un 'am ha-arer Quando perciò gli studiosi s'incentrano sulla purità come problema sotteso alle critiche relative al fatto che Gesù mangiasse con i peccato­ ri, quel che affermano, a volte senza saperlo, è che i l?averim accusa­ vano Gesù di mangiare con gli 'amme ha-are�, non che Gesù si asso­ ciasse a coloro che trasgredivano la legge biblica 5 5 . Rendere la purità e la condivisione della mensa il punto centrale del dibattito, banalizza l'accusa mossa a Gesù. Essa diviene una semplice disputa tra i f?ave­ rim e gli 'amme ha-are�, in cui Gesù attaccò le piccolezze dei primi. Si perde così il punto essenziale dell'accusa: Gesù era accusato di asso­ ciarsi a coloro che secondo i normali parametri del giudaismo erano empi, e di offrire loro il regno. Essi erano indubbiamente anche impuri, ma non era l' impurità in quanto tale a renderli empi, né si può interpre­ tare la loro inclusione nel regno da parte di Gesù principalmente come una sfida alle leggi della purità rituale. l . 3. 4. I-Javerim e farisei. Prima del 70 i !?averim quasi certamente erano un gruppo esiguo, ed esiste il dubbio che fossero tutt'uno con i farisei. Si può sostenere questa identità solo se si presuppone una diretta equiparazione tra i farisei e i rabbi; infatti i rabbi certamente ritenevano che i laici (o almeno una parte di essi) dovessero prendere cibo in uno stato di purità semi-sacerdotale. Ma l'equazione tra è essa stessa incerta. Quando poi ci rivolgiamo alla let­ teratura rabbinica, ci imbattiamo in ulteriori complicazioni. Un rabbi propose che nessun f?aver dovesse toccare un cadavere (il !?aver sareb­ be diventato anche in questo modo come un sacerdote) 56. Se tutti i rabbi fossero stati f?averim e se l'opinione secondo cui i l?averim non dovessero toccare un cadavere avesse prevalso (essa però non preval�4 Esse naturalmente parevano avere delle ripercussioni sulle relazioni con i gentili (come moslra Gal 2, 1 1 - 1 4). Questo tuttavia, nel materiale relativo a Gesù, non costituisce un problema. 5 � S. W(.'stcrholm, che percepisce chiaramente come gli empi non coincidano con gli 'amme ha-are$, nondimeno scrive che «Nel rivolgere il proprio messaggio ai peccatori più notori, Gesù indicò che l'argomento della purità rituale era al massimo una considerazione molto subordina­ ta>>, Jerus and Scribal Authority, 7 ! . '6 M. Demai 2,3, R. Judah.

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se), allora chi si sarebbe preso cura dei morti? Né i rabbi, né le loro mogli, né alcuno che seguisse le loro regole. Perciò è dubbio che anche tutti i rabbi siano stati l{averim. Prima del 70 vi fu probabilmente una sensibile coincidenza tra farisei e l{averim; e dopo il 70 i rabbi accet­ tarono il punto principale dei l{averim. Ma questi collegamenti non per­ vengono a un'equivalenza. Le persone che hanno appreso da Jeremias, che si suppone autorità attendibile, chi fossero i farisei, troveranno imbarazzanti tali distin­ zioni terminologiche. Ciò avviene perché Jeremias, ritenendo ovvia­ mente che tutti i farisei fossero l{averim e che tutti gli f?averim fossero farisei, scrisse semplicemente la parola «farisei>> quando stava discu­ tendo un testo contenente la parola l{averim. Perciò, per esempio, tra­ ducendo Demai 2, 3, scrisse che «un fariseo non abita con loro [gli 'amme ha-are�] come ospite» 5 7 ; ma il termine «farisei» non compa­ re nel testo, in esso invece si legge �{aver. Quando si aggiunge la supposizione (a lungo sostenuta, e che Jeremias condivise con mol­ ti altri) che i rabbi rappresentassero sotto ogni aspetto i farisei, l'uso del termine «farisei» per f?averim nella traduzione dei testi rabbi­ nici diede luogo alla pura equivalenza, da noi notata in precedenza, tra haverim, farisei e rabbi, e naturalmente creò l' impressione - anzi in effetti sembrò comprovare in modo deciso - che il farisaismo nel periodo anteriore al 70 fosse caratterizzato dalla insistenza sull' obbli­ go che i laici dovessero osservare le leggi sacerdotali relative al tocca­ re con le mani e al prendere cibo. Ma questo è proprio ciò che non sappiamo. Tutto quanto apprendiamo attorno al farisaismo da perso­ ne che furono effettivamente farisei prima del 70 è che il partito era definito dal suo zelo per la conoscenza della legge, per la fede nella risurrezione e per la sua strenua fedeltà alla tradizione degli antich P8• La tradizione degli antichi insisteva sul fatto che i laici si comportas­ sero come sacerdoti? No, per quanto ne sappiamo. È degno di nota che Giuseppe faccia rilevare che gli esseni non volessero prendere cibo con altre persone (B], II, 143s. ) , ma non dice nulla sull'osservanza da parte dei farisei di speciali leggi sul cibo che li collocassero in disparte rispetto agli altri ebrei. Neusner in anni recenti ha argomentato in favore dell'opinione for­ mulata da Jeremias e da altri - cioè che i farisei furono una piccola setta caratterizzata dalla purità - m a la sua analisi dei testi rabbinici J. JF.REMIAS, Predicazione . , 1 4 1 . 6 ; cfr. Ar 23, 6 ; Giuseppe, B], 162 (Cohen, rurravia, avanza dei dubbi a proposito del farisaismo di Giuseppe, vedi sotto, n. 81). '7

" Paolo, Gal l , 1 4 ; fil 3 ,

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IL REGNO

non è convincente ed è resa particolarmente dubbia dalle testimonianze che si trovano in Giuseppe 59. Le descrizioni dei farisei compiute da Giuseppe, come vedremo nel capitolo successivo e anche nell'undicesimo, sono sospette sotto un solo aspetto: la grande influenza che egli attribuisce loro nelle Antichità; tuttavia egli non avrebbe avuto alcuna ragione per celare le loro leggi peculiari relative al cibo e alla purità, se tali leggi li avessero effettiva­ mente contraddistinti dagli altri. Egli, al pari di molti altri, mostra " Per una breve esposizione vedi ). NEUSNER, From Politics to Piety, Engclwood Cliffs, N.}. 1973, spec. 80, 83. Egli conclude che, dopo Hillel, i farisei furono essenzialmente haverim cioè un piccolo, pacifico gruppo interessato alla purità. Neusner considera ciò come qualcosa di provato dal suo studio sul materiale rabbinico (Thc Rabbinic Traditions about the Pharisees be/ore 70, 3 voli. , 1971). Le leggi farisaiche che sopravvivono, conclude, hanno innanzitutto a che fare con il governo interno di una setta incentrata sulla purità. Le leggi agricole sono un elemento secondario, ma anche queste influenzano la «condivisione della tavola,> (vol. III, 288). TI terzo gruppo consiste nelle regole del tempio, ma queste non sono numerose poiché i farisei non controllavano il culto (288, 290). Tuuavia la sua argomentazione si fonda su un'analisi di tradizioni attribuite a individui o a case. Perciò il riepilogo non riflette le numerose leggi anoni­ me che probabilmente rappresentano la convinzione e la pratica comuni, compresi ampi insiemi di leggi su argomenti civili, di culto, di feste c sul culto del tempio. Neusner è disposto a dare per scontato che i farisei e gli altri condividessero un'ampia area di terreno comune (287s. ) , ma ciò viene curiosamente canceiiato dalla sua definizione del movimento farisaico come una setta di purità. Raramente si può mostrare come singole pericopi anonime dedicate ad argomen­ ti non connessi alla purità risalgano a un periodo antecedente al 70 (o, in effetti, siano tali da poter essere datate con una certa precisione), ma non si dovrebbe mutare questa difficoltà nel­ l'asserzione che i farisei prima del 70 non si siano interessati in modo sostanziale a questi argo­ menti. Se si aggiunge alla definizione di farisaismo la base comune a tutti i partiti - di cui, in linea generale, Neusner è disposto a dare per scontata l'esistenza - si vedrà che anche la Mishnah si indirizza verso una definizione di farisei consona a quella fornita da Giuseppe, laici esperti della legge, non già una setta di purità. Ncusner , in Rahbinic Traditions, I II , 239-244, mostra di essere consapevole del problema creato da Giuseppe nei confronti della sua visione e ha tentato di rispondervi in >. «Se qualcuno del­ la nostra nazione fosse interrogato sulle leggi, egli risponderebbe più prontamente di quanto direbbe il proprio nome» (Ap. , II, 177s.). Giu­ seppe, in tutta questa sezione, si impegna in un'esagerazione ovvia e facilmente comprensibile. Nella stessa sezione enfatizza la lealtà giu­ daica nei confronti della legge (cfr. nono capitolo, n. 4) . In questi casi, e in quelli a essi collegati, sembra fondarsi su osservazioni comuni che dovevano suonare vere ai lettori gentili: nella cultura greco-romana i giudei effettivamente si distinguevano per la loro conoscenza e osser� vanza della legge. Su questo punto non possiamo presumere che Giu­ seppe parli a nome dei saggi; probabilmente rappresenta invece l'opi­ nione comune. In terzo luogo dobbiamo ricorrere al buon senso. Ci aiuterà a libe­ rarci dalle assurdità. La legge ebraica, come ho scritto altrove, appare ardua per i cristiani moderni ma non lo era per gli antichi giudei 68 . Del resto possiamo guardarci attorno. È vero che oggi gli incolti non possono osservare la legge? Tra i violatori del codice della strada (un genere di legge assai dettagliato) vi è forse un'alta percentuale d' in­ colti? O se ne annoverano forse tra coloro che sono colpevoli di frodi fiscali (l'attuale sistema fiscale può considerarsi l'equivalente moder­ no per complessità delle leggi di purità, se non che queste ultime, al confronto, sono molto semplici)? Nella valutazione dell'affermazione che i farisei considerassero gli incolti come esclusi da Israele e perciò dalla salvezza, può aiutarci il fatto di porre il problema in termini umani; ci si può riferire all 'esem­ pio di J o, il protagonista di La casa desoL1ta di Dickens. J o non solo è del tutto analfabeta, ma ha anche, per dirla in termini moderni, un quoziente intellettivo molto basso. Tuttavia ne sa abbastanza per par­ tecipare a un'inchiesta e per essere pronto a rispondere a delle domande (per quanto il coroner disdegni di rivolgergliene). Sa che deve > del tempio - sacerdoti, !eviti, altri guardiani, tesorieri, musici e servi erano più frequenti di quanto non fossero i farisei 89; e in seguito dimostrarono a migliaia la loro lealtà al sommo sacerdote e al governo ufficiale del tempio, morendo per loro (B], IV, 313). I farisei non ave­ vano nessunissimo controllo sul tempio. Esso veniva fatto funzionare dai sacerdoti e fruito dal popolo. Similmente, nulla ci vien detto sull'esclusione degli 'amme ha-are� dal culto delle sinagoghe. Si può in effetti dubitare che nella Galilea, durante la vita pubblica di Gesù, i farisei abbiano esercitato un ruolo abbastanza grande da influenzare in un modo o in un altro il culto della sinagoga 90 . M a anche se lo avessero esercitato, non abbiamo ragione di ritenere che essi abbiano controllato la sinagoga ed escluso 87

Vedi E.P. SANDERS, Paolo. . , 230-245. " E. SmiiRF.R , a c. di G. Vermes e altri, The History o/ fewish Peopk. . . II, 284 [tr. it., cit., ad loc.J. 89 Vedi gli interessanti calcoli sui numeri in J. ]EREMIAS, Gerusalemme al tempo di Gesù, .

3 10-323. 90 M . Smith («Palestinian Judaism in the First Cent ury>>) ha proposto che le sinagoghe gali­

laichc non fossero dominate dai farisei: ), Magician, 157 . Così anche S. CoHEN, ]osephus in Galilee and Rome, 226: > benché Giuseppe li chia­ masse «farisei>> (B], II, 162) 9 1 . Si deve certamente riconoscere loro una certa influenza. Gli effettivi nuclei della questione sono tuttavia i seguenti: l) che essi non hanno controllato le istituzioni del giudai· smo e nella maniera più assoluta le sinagoghe galilaiche; 2) che nulla di quanto attualmente conosciamo sia sui farisei che sui qaverim indi­ ca che essi abbiano inteso escludere la gente comune dal culto e dallo studio. Si è spesso detto che il tempio e la sinagoga erano i due centri della vita religiosa giudaica. Ne esisteva tuttavia un terzo: la casa. Le per­ sone comuni di normale pietà senza dubbio osservavano la pasqua, suk­ kot e altre feste, e dobbiamo ipotizzare che esse si considerassero par­ tecipi a pieno titolo della religione nazionale. Perciò dobbiamo concludere che i farisei non esclusero, né potero­ no escludere, i non farisei dalla vita sociale e religiosa del giudaismo. 2 . 4 . Conclusione: G esù, i farisei e la gente comune

Molti studiosi, non però Jeremias, osservando che nei vangeli esi­ stono dei passi che menzionano i «poveri>>, presumibilmente la gente comune della Galilea e altri definiti dal termine , li acco­ munano tra loro. Essi quindi combinano insieme altri due fatti - pri­ mo, che i qaverim ebbero speciali regole di purità e che si separarono per certi aspetti dalla gente comune, e, secondo, che tutti gli ebrei osservanti, non già i soli farisei, considerarono gli empi - per rendere manifesto che le autorità della gerarchia giudaica (in questa ricostruzione ritenute tutt'uno con i farisei) consideravano la gente comu· ne come recisa a motivo dell'impurità e dell'ignoranza. Gesù divenne quindi il campione della gente semplice contro un intollerabile gruppo di bigot ti. Credo che questa opinione sia errata in ogni sua parte. Ho già dimo­ strato che l' associarsi con i peccatori - l'effettiva accusa contro Gesù - non ha niente a che vedere con l'associarsi con la gente comune, per quanto ritenga che Gesù vi si associasse e appartenesse a essa. Non 91 Insegnanti laici chiamati : ad esempio E. ScHÙRER, a c. di G. Vermes e altri, The History of ]ewish People . . II, 238s [tr. i t . , cir ad loc.]. Si è spesso discussa la relazione tra •scribi)) e «farisei,>. Vedi cap. 9, n . 1 5 . A mio avviso è pi ù ragionevole equiparare i farisei con gli scrib i di quanto non lo sia l'equipararli con i haverim. .

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si può tuttavia intendere la sua chiamata rivolta ai peccatori e agli esclusi come una chiamata diretta alla gente comune. In secondo luogo è errato fare della purità l'argomento di contrasto tra Gesù e i suoi critici. Terzo punto: il nucleo dell'offesa non poteva essere costituito dal fatto che Gesù includesse la gente comune nel regno. I farisei - almeno coloro che furono f?averim possono avere preso la distanza dalla gente comu­ ne, ma essi non controllavano la vi ta religiosa del giudaismo in modo tale da far sì che i non farisei si sentissero da un lato esclusi e dall'al­ tro grati per l'offerta di unirsi al regno di Dio. Infine tutte le testi­ monianze si oppongono all'ipotesi che i farisei si dimostrassero ostili a includere la gente ordinaria nel regno. Uno degli aspetti più incresciosi della concessione che è stata ampia­ mente accettata, sta nel fatto che essa ha impedito d'indagare su cosa abbia significato l'offrire il regno agli empi. Intendere la questione «Gesù e i farisei» come se fosse svilisce e falsifica il giudaismo e banalizza Gesù. Dobbiamo comprendere il conflitto su altre basi. Prima di affrontare il problema dell'effettivo significato della pro­ clamazione fatta da Gesù ai peccatori, desidero fare un'ultima osser­ vazione, tesa a eliminare dalla presente ricerca l'opinione secondo cui Gesù fu criticato per essersi associato alla gente comune. Il fatto che i dotti e gli scrupolosi considerassero i meno dotti e scrupolosi pecca­ tori al di fuori della redenzione e che i primi facessero sì che i secondi si sentissero esclusi, è in realtà frutto di una propaganda religiosa. Que­ sta concezione non offre una seria spiegazione storica a un conflitto del primo secolo. Indubbiamente, senza saperlo, coloro che l'hanno pro­ posta hanno promosso una polemica teologica: noi, dal nostro lato, abbiamo amore, misericordia, pentimento, perdono e persino sempli­ ce decoro e questo è il motivo per cui la nostra religione è superiore alla sua progenitrice. Questo tuttavia non rappresenta un modo di pen­ sare storico: esso s'incentra su astrazioni religiose e fluttua nel regno dell' irrealtà. Gli studiosi che hanno scritto, scrivono e scriveranno in questo modo, mancano d 'immaginazione storica. Essi non riescono a immaginare le affollate strade di Gerusalemme, i villaggi della Gali­ lea, le fattorie della valle di Izreel. Se avessero fatto questo tentativo si sarebbero resi conto che nessun piccolo gruppo di bigotti superpii e supercolti (nell'ipotesi che costituissero davvero un siffatto gruppo) poteva in qualunque modo escludere di fatto dalla vita religiosa e sociale coloro che non si conformavano ai loro modelli: meno ancora un tale gruppo avrebbe avuto una qualche ragione di adombrarsi per un gua­ ritore e predicatore itinerante galileo che si associava con la gente comu­ ne, né essi sarebbero stati in grado di costringere il governo romano a ucciderlo o di persuaderlo con lusinghe a farlo. -

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3. Gesù e i peccatori

Ma se il significato della proclamazione del regno di Dio agli empi da parte di Gesù non è di promettere la partecipazione a tale regno alla gente comune, che era esclusa dagli iniqui farisei, dove sta il cen­ tro del problema? Perché i «peccatori» compaiono tanto spesso nel van­ gelo? Anche se ritengo impossibile pervenire a una chiarezza assolu ta, penso tuttavia che si possano restringere le possibilità di alternative. A questo punto sarà utile rivolgersi a Norman Perrin, quale rappre· semame della posizione che gode il consenso della ricerca scientifica in questo campo. 3 . 1 . L'offesa era perdonata?

Perrin, a differenza del suo maestro Jeremias, non confonde i nor­ mali ebrei che hanno peccato con i «peccatori» 92 Tuttavia anche le sue proposte su come si debba intendere l'inclusione dei peccatori da parte di Gesù non colgono ugualmente il bersaglio. Egli infatti affer­ ma che gli ebrei, non essendo in grado di riceverlo all'interno della struttura quotidiana del giudaismo, bramavano l'ultimo perdono alla fine dei tempi. Il giorno dell'espiazione, gli altri riti, e le opere supe­ rerogatorie, ci assicura, 93 . E degno di nota che Per­ rin non parli del pentimento, che è cruciale nella concezione giudaica dell'espiazione. Inoltre ci si può chiedere chi, nella consueta visione giudaica, perdonasse i peccati il giorno dell'espiazione. In un'ipotetica descrizione storica delle concezioni giudaiche non si dà alcuna giusti­ ficazione per la separazione che Perrin compie ponendo, da un lato, il giorno dell'espiazione e le altre occasioni sacrificali e, dall' altro, quel che «Dio stesso fa». Ponendo la questione nei termini usati in prece­ denza, dubito fortemente che i comuni ebrei, che portavano i sacrifici per i peccati occasionali e pregavano e digiunavano il giorno dell'e­ spiazione, provassero la necessità di qualche ulteriore perdono escato­ logico. Possiamo ragionevolmente pensare che molti si aspettassero che la venuta della fine fosse contrassegnata da un pentimento su vasta scala (sopra, cap. 3 par. 4) e Perrin può aver frainteso questa aspetta­ tiva come se significasse che la gente in genere ritenesse che il vero perdono potesse conseguirsi soltanto nell' eschaton. Qualunque sia la base del fraintendimento, questa opinione non ha comunque alcun fon­ damento. .

92 N . PERR.IN, Rediscovering. . , 91-94. " Ibid. , 91.

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Egli prosegue attribuendo un significato ancora superiore a ciò che lui considera come la nuova visione di Gesù e cioè che i peccatori pote­ vano venire perdonati. I veri «peccatori», afferma, furono equiparati ai gentili 94• Ma in tal modo egli mostra ancora una volta la sua man­ canza di comprensione della normale teologia giudaica: tali ebrei «era­ no estesamente considerati al di fuori della speranza di pentimento o di perdono . . . » 95. Gesù offrì loro il perdono, e perciò avviò il giudai­ smo sulla strada della «crisi» (p. 97). Si trattava quindi di una situazione in cui la realtà di Dio e il suo amore si stavano rivelando in modo nuovo e decisivo, e in cui, perciò, le gioie del tempo della salvezza furono improvvisamente disponibili per coloro che le avevano bramate tanto a lungo e con tanto ardore (ibid. ) .

La promessa di Gesù a tali persone costituì «un'offesa molto grave . . . per i suoi contemporanei>> (p. 1 02). Le sue dispute attorno alla legge non furono particolarmente offensive e la purificazione del tempio non è tale da spiegare la sua condanna a morte (ibid.) . Se egli fu ucciso lo fu perché offrì il perdono ai peccatori. Essere diventato lui stesso un proscritto come lo erano i pubblicani avrebbe rappresentato un oltraggio molto minore di quanto non lo fosse il racco­ gliere quelle persone all 'interno della comunità nel nome della speranza ultima di quella comunità. È in effetti necessaria un'intensa convinzione per spiegare un tale atto da parte di Gesù, e un tale atto da parte di Gesù è necessario, diremmo, per dare senso al fatto della croce (p. 103).

L'affermazione di Perrin che Gesù offese i suoi contemporanei offrendo il perdono ai peccatori è estremistica, ma l'ho presentata con partico­ lare risalto in quanto rappresenta una chiara affermazione di un'opi­ nione largamente diffusa. A offendere i farisei, che si affidavano al merito e a una punizione inesorabile, fu la grazia . Perrin qui riecheg­ gia Jeremias, il quale scrive che Gesù si assunse un «rischio senza pari>> quando si contrappose ai farisei chiamando i peccatori alla penitenza, e che 96 L'opinione di Riches è ugualmente netta. Egli tenta di rispondere alla seguente domanda: «perché Gesù credeva così fortemente nella !14 Ibid. , 93s. L'equivalenza di ��peccatori» e non è del tutto corretta, per quamo possa essere vero che la maggior parte dei gentili fossero considerati «peccatori» dalla maggior parte degli ebrei (vedi ad esempio Gal 2, 1 5 ) . Ma un apostata ebreo, non importa quanto nefan­ do fosse il suo peccato e quanto privo di penitenza fosse il suo atteggiamento, rimaneva ancora un ebreo. Su questo vedi L. ScHIFFNI A:>.�, > da un'altra fonte (l' impegno teologico) 10 1; e il radicatissimo desiderio cristiano che Gesù sia morto per la verità del vangelo: per la sua fede nella grazia. Il nesso tra il vangelo di Gesù e la sua morte è attuato in vari modi. A volte la catena causale passa dal mangiare con i peccatori, all'oppo­ sizione da parte dei farisei, alla crocifissione 102 , mentre altri trovano " ] . RICHES, ]esus and the Transformalion of ]udaism, 99, 108. 98 E. KASEMA�N. «Blind Alleys in the Jesus of l listory•, 5 1 . 99 E . Fuc11S, (, 2 1 . 100 ]. BEHM, «�uavotw, �uovouf>>, TWNT, IV, 998 [GLNT, VII, 1 178]. 10 1 Per quesri punti vedi E.P. SANDERS, Paolo. . . , 65s., 95, 323. 102 Vedi ad esempio W .R. PARM:F..R , , Christian History and Interpretation, a c. di W . R . Farmer e altri, Cambridge 1967, 103.

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il nesso nel fissarsi sulle parabole invece che nell'atto del mangiare.

Nelle parabole, Gesù proclamò la grazia ai peccatori e perciò offese i giusti. «Gesù va in croce a causa della sua profonda adesione alla parola della grazia» 1 0>. A ucciderlo furono coloro contro cui Gesù pronunciò le parabole: «Egli muore per la verità delle sue parabo­ le» 1 0·1 . La posizione è sostanzialmente questa: Noi (i cristiani, o i veri cristiani) crediamo nella grazia e nel perdono. Queste qualità religiose caratterizzano il cristianesimo e perciò non sarebbero potute essere pre­ senti nella religione da cui il cristianesimo deriva. Diversamente per­ ché vi fu la spaccatura? Ma gli ebrei, o almeno i loro capi, i farisei, non credevano nel pentimento e nel perdono. Essi non solo non vole­ vano estendere il perdono alle loro stesse pecore erranti, m a avrebbe­ ro ucciso chiunque avesse proposto di fare altrettanto. La posizione è così incredibile che mi augurerei che bastasse defi­ nirla per dimostrarne la ridicolaggine. Ma moltissimi la credono vera e cercherò di mostrare quel che in essa vi è di sbagliato. Innanzitutto concentriamoci sulla novità di un'offerta del perdono. I pubblicani e i peccatori, ci assicura Perrin, «risposero con lieta accoglienza>> al det­ to di Gesù secondo cui essi avrebbero ricevuto il perdono 1 0 5 . Ma si trattava proprio di una novità? Non sapevano forse che, se avessero rinunciato a quegli aspetti della loro vita che costituivano UI_? affronto alla legge di Dio, sarebbero stati accettati a braccia aperte? E davvero una proposta seria quella di sostenere che i pubblicani e gli empi ricer­ cassero il perdono, ma non poterono trovarlo all'interno del tradizio­ nale giudaismo? Essi credettero davvero che soltanto nell'età messia­ nica avrebbero trovato perdono e perciò «risposero con lieta accoglienza a GesÙ>> 106? Perrin, citando soltanto prove di nessuna consistenza, afferma che i peccatori 101 , e perciò nega una delle verità del giudaismo che ognuno dovrebbe conoscere: c'era la convin­ zione universale che il perdono è sempre a disposizione per coloro che ritornano sulla via del Signore 1os. 1" R.W. FUNK, LllnRuage. Hermeneutic and Word of God, 17s. 104 E. ScHWF.I.ZER, ]esus . . , tr. ing., 297. Per quest'opinione in generale vedi anche J. Scrn.os­ SER, Le règne .. , 68 3. 1 0 ' N . PERRIN, Rediscovering. . , 97. 106 Vedi anche �- PER.Rrr-., Kingdom, 75. Pentimento non esclusivo della fine dei tempi: vedi sopra cap. 3, n. 54. 10' La di N. Perrin è m. Tohorot 7, 6, che afferma che un pubblicano contamina le case in cui entra, N. PFRRIN, Rediscovering . . . , 94. Non riesco a comprendere perché ritenga che ciò comporti che il pubblicano non si possa pentire. 108 Nella leueramra rabbinica l'affermazione classica sulla penitenza è attribuita a R. Simeon (probabilmente ben Jol)ai): persino la persona completamente empia che si pente alla fine sarà .

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In secondo luogo egli presenta u n quadro ben singolare dei pubbli­ cani e peccatori: essi volevano il perdono ma non sapevano come atte­ nerlo. Ritengo che un rapido colloquio con un qualsiasi capo religioso - cioè un sacerdote - avrebbe chiarificato il problema: Dio accetta sempre i peccatori pentiti che tornano sulla sua via. In terzo luogo è inesatto affermare che Gesù reintegrò la gente «all'in­ terno della comunità>> 109• Gesù non controllava l'accesso al tempio. Dobbiamo continuare a cercare di pensare realisticamente. È del tut­ to possibile (anzi, come apparirà subito, del tutto probabile) che Gesù ammettesse gli empi nella SUIJ comunità senza avanzare la normale richie­ sta di reintegrazione e d'impegno nei confronti della legge. Ciò pote­ va dare ai suoi seguaci una impressione di appartenere a una comuni­ tà, m a non è esatto affermare che «reintegrò quella gente - i pecca­ tori - facendola ritornare nella comunità». Essi, se desideravano esse­ re considerati a pieno titolo membri del patto, avrebbero saputo benis­ simo che cosa fare. In quarto luogo bisogna ricordare che Gesù stesso non fu principal­ mente un predicatore di penitenza. Abbiamo visto in precedenza che sono piuttosto scarsi i materiali che descrivono Gesù come uno che chiama Israele al pentimento. Le parabole sulla ricerca da parte di Dio degli smarriti (Le 1 5 , 3-6; 15, 8s.), una volta messe da parte le conclu­ sioni lucane (Le 1 5 , 7. 10), vanno considerate incentrate non sul pen­ timento bensì sull' azione di Dio 1 1 0 • Questa, è vero, può implicare il pentimento, ma è difficile mostrare che Gesù si fosse fatto portavoce di un ritorno dei peccatori alla comunità. La storia di Zaccheo (Le 19, 1-9) ripropone la singolarità dell' accusa già riferita, secondo cui Gesù mangiò con i pubblicani e i peccatori e promise loro un posto nel regno. Questa storia fu, come già suggerito sopra, creata da Luca (o forse da uno scrittore pre-lucano) per porre in evidenza il pentimento e il cambiamento di vita 1 1 1 . Essa rimarca queste qualità con tanta efficasalvata (t. Qiddushin, l, 15s.). Un singolo fatto non prova che una concezione sia universale, e lo cito per illusrrare una concezione di cui si può dimostrare che era universale, o almeno virtualmente universale, in rutta la letteratura esistente tlal 200 a . C . al 200 d.C. Vi t qualche eccezione di minor portata nella regola Ji l Q S . Si possono vedere le varie sezioni sull' «espia­ zione�� in ciascuno dei primi tre capiroli di E.P. SANDERS, Paola . . . 109 Così N. PF.RRIN, Rediscovering. . . 1 03. "' Vedi sopra, pp. 145. Questo punto è ben posto in luce da G. AuLÉN, Jesus, 66. 111 Vedi sopra, n. 7. Cfr. R. BUI.TMANN, Geschichte. . , tr. ing., 3 4 : il passo è ((ma nifes ta ment� immaginario, una versione estesa di Mc 2 , 1 4 che, combinata con i vv. 1 5 - 1 7 , diede ori­ gine a questa storia,). P. Ficdler (jesus und die Siinder, 139) conclude che la storia è ramo forte­ mente contrassegnala dai linguaggio e dalla teologia lucane che non vi è bisogno di ricercare una storia precedente che sarebbe stata poi rielaborata. ] . Jeremias (PredictJzione. . . , 1 8 3 ) tratta tutti i dettagli della storia come se fosse reale. ,

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eia da far diventare sorprendente il fatto che esse scarseggino in altri luoghi. Gesù senza dubbio credeva nella riconciliazione tra gli empi e Dio, ma l'assenza dei passi che richiamano al pentimento e alla ripa­ razione mostra, come minimo, che egli non aveva come scopo la rein­ tegrazione degli empi nella comunità. Se Gesù, mangiando con i pub­ blicani, li avesse condotti al pentimento e al risarcimento di coloro che avevano derubato, e all'abbandono della loro professione, sarebbe stato considerato un eroe nazionale. Questo ci conduce al quinto e più decisivo punto. Nessuno si sarebbe offeso se Gesù avesse convertito i «collaborazionisti». Il caso è simile a quello degli altri «peccatori». Facciamo l'esempio di un peccatore di professione, un usuraio. Se un tale soggetto fosse stato convinto da Gesù a restituire l'interesse che aveva accettato, e avesse intrapreso una vita in accordo con la legge, chi mai gli avrebbe obiettato qualco­ sa? Coloro che avevano bisogno di prendere a prestito del denaro, per esempio gli agricoltori che ogni anno chiedevano prestiti in previsione del raccolto successivo, si sarebbero trovati certamente in difficoltà se il loro solito usuraio avesse abbandonato la professione. Ma proba­ bilmente ci sarebbe stato qualcun altro a cui chiedere prestiti e la scom­ parsa di un usuraio dal mercato del denaro non avrebbe intaccato seria­ mente l'economia. Gli zelanti in fatto di legge, come i farisei, se ne sarebbero anzi rallegrati. L'idea che la conversione dei peccatori fosse un'offesa ai farisei è, quando vi si pensi in mondo concreto, ridicola. 3 .2. L'offesa

Come ho detto in precedenza, è arduo stabilire con certezza quello che fosse offensivo nel comportamento di Gesù. Questo non creò pro­ blema alcuno agli studiosi fino a quando ritennero che l' offerta del pentimento ai peccatori fosse un atto senza precedenti e tale da risulta­ re offensivo per i capi del giudaismo. Gesù proclamò che gli empi che si pentivano avrebbero condiviso il regno e questo avrebbe condotto i farisei a una inimicizia fatale. Ma una volta visto l) che tutti (tran­ ne i romani) avrebbero favorito la conversione dei pubblicani e degli altri traditori del Dio d' Israele, e 2) che il messaggio di Gesù in ogni caso non fu primariamente orientato a una chiamata al pentimento, allora diviene difficile determinare il significato dell' accusa mossa a Gesù di essere stato amico dei pubblicani e dei peccatori. Il successo che ebbe la spiegazione circa il carattere offensivo della conversione tuttavia ha impedito che si avanzassero altre proposte e noi non abbiamo una ricca serie di possibilità alternative.

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Ce n'è un'altra che dovrebbe essere ricordata. Qualche volta si è sostenuta la polemica che Gesù avrebbe offerto il perdono (l'inclusio­ ne nel regno) prima di richiedere l'emendamento, e per questa ragia· ne sarebbe stato accusato di essere amico dei pubblicani e dei pecca· tori. Se, avessero già cambiato vita non si sarebbe più trattato di pec­ catori. E questo uno dei modi in cui Jeremias espose la questione: il giudaismo offre il perdono solo a coloro che sono giusti. Essi, per venire perdonati, devono prima diventare giusti 1 1 2 . Inoltre l'offerta antici­ pata di Gesù è a volte chiamata un perdono incondizionato 1 1 J . Ma questo che cosa significa esattamente? Il contrasto intenzionale è, natu­ ralmente, quello con il giudaismo, in cui veniva offerto un perdono condizionato. Prescindendo completamente dal fatto che Jeremias, sepa­ rando cronologicamente il cambiamento di vita dal perdono, ha offer­ to un quadro caricaturale del giudaismo, dobbiamo ancora affrontare questa questione: siamo di fronte a un contrasto significativo? Ancora una volta dobbiamo pensare attenendoci alla realtà. Se il condividere il cibo da parte di Gesù con un pubblicano avesse avuto come esito la restituzione del denaro e il cambiamento di vita di un pubblicano, come Zaccheo (ricordiamo che J eremias considera autentica la storia), la proclamazione del perdono da parte di Gesù non sarebbe stata incon­ dizionata. La condizione della su a efficacia è ovviamente la conver­ sione. Giudico la distinzione proposta troppo limitata per creare una tale disputa. Per chiarezza ripeterò la distinzione. Gesù affermava: Dio vi perdona e ora voi dovete pentirvi e correggere il vostro modo di vivere; tutti gli altri dicevano: Dio vi perdona se voi vi pentirete e vi correggerete. In questa distinzione i teologi moderni trovano, e forse non a tor­ to, una differenza significativa. Che il dono preceda la richiesta è un'in­ tuizione acuta e il porre chiaramente i due elementi in tale sequenza è soddisfacente sul piano teologico . Essa può anche avere efficacia nelle relazioni umane. Ma è una materia che può scatenare un'offesa? Come distinzione teologica, quanto sarebbe stata chiara nel primo secolo? Infatti, occorre sottolinearlo, si può discutere soltanto su una distin­ zione teologica. Gesù non disse ai peccatori che potevano entrare nel tempio prima di purificare se stessi, senza portare un sacrificio e rivol­ gere insieme una preghiera di pentimento. Insistere e agire in tal modo sarebbe stato certamente fatale. Ma non vedo come si possa afferma­ re la stessa cosa per l'azione simbolica di Gesù di mangiare con i pec­ catori. Egli con ciò può avere inteso simboleggiare la priorità della grazia 112

Ibid., 142. Vedi anche G. AuLÉN, Jesus, 66, 7 1 . Ibid. , 177. Vedi tra le pubblicazioni recenti: W.R. FARMF..R , Jesus and the Gospel, 41; M. TRAUTMA�N, Zeichenhafte Handlungen, 162; G. AuLÉN, fesus, 89. 111

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rispetto al pentimento, ma agli occhi dei pii estranei egli, con tale gesto, si sarebbe semplicemente unito alle schiere degli empi. Avrebbero potu­ to dolersene, ma non per questo motivo di certo lo avrebbero ucciso. Nel loro sforzo di vedere Gesù morire per la verità del vangelo, gli studiosi moderni che trovano in quel motivo il punto cruciale dell'of­ fesa si spingono persino al di là degli evangelisti nel creare trame da parte dei farisei. Dubito che i pubblicani e gli usurai si aggirassero per la Galilea in tale stato d'ansietà a proposi to del perdono da far sì che la distinzio­ ne tra e diventasse un problema scottante. Allo stesso modo dubito che la for­ mulazione attribuita a Gesù () costituisse un'offesa per chicchessia. Posso ben immaginare che dire a un pubblicano che sarebbe entrato nel regno precedendo il giu­ sto (Mt 2 1 , 3 1 ) fosse irritante per quest'ultimo, ma non che il giusto covasse un odio mortale nei confronti di Gesù per avere posto la gra­ zia prima del pentimento se scopo di quest'ultimo fosse stato in effetti il far cambiare vita. Dobbiamo cercare altrove. Possiamo, considerando ulteriormente il pentimento e il perdo­ no, ottenere una traccia per il significato del tema dei peccatori. È un fatto interessante e in qualche modo curioso che la maggior parte degli studiosi di questo tema presente nei vangeli non esprimano fino in fondo quello che pensano. L'opinione di Jeremias è chiara: egli accetta la storia di Zaccheo. Ma Perrin, per esempio, ha scritto pagine e pagi­ ne sul pentimento e sul perdono senza mai dire se nella concezione di Gesù il pentimento esiga o meno la restituzione 1 14• Westerholm ha un paragrafo interessante pur nella sua ambiguità: secondo la conce­ zione di Gesù tutti erano nella stessa situazione, tutti avevano biso­ gno di pentirsi. Qualcuno: -

. . . afferrò con gratitudine la possibilità di entrarvi . Per altri, però, la natu­ ra indiscriminata del messaggio risultò offensiva . . . Aggrappandosi con forza alla loro proclamazione di essere giusti, si rifiutarono di entrare in un regno . . . dove e si sedevano assieme a una mensa pre­ parata da Dio ' " ·

La descrizione del banchetto proposta da Westerholm sembra impli­ care che i peccatori ammessi da Gesù rimanessero tali, ma egli non lo dice esplicitamente. Al contrario, al pari di altri, scrive sul penti­ mento. Si ha qui una caratteristica mancanza di chiarezza sul signifi1 1 4 N. PERRIN, Rediscovering. . . , 90- 108.

"' S. WESTERHOLM.

]esus and Scribal Authority, 132.

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cato di «peccatori», «pentimento» e > al di sopra dell'osservanza della legge; infatti almeno il digiuno del giorno dell'espiazione (Lv 16, 29) era solennemente osservato. Il pas­ so nella sua forma attuale sembra però riferirsi a qualche digiuno più lieve o a digiuni non osservati da tutti e non comandati dalla Torah. Purtroppo non possiamo risalire all'applicazione originale del detto, ma essa si armonizza bene con l'attuale contesto 1 1 9 . t u ! Concordo con R. Bultmann (Geschichte . . , tr. ing., 28, 5 6 s . ) che i passi che descrivono la chiama ta dci discepoli siano (57). Con si dero però ancora probabile che alme­ no un pubblicano fosse tra i seg u aci di Gesù. R . Pesch ha concluso che la storia del banchetto a cui intervennero molli pubblicani c pecc at ori (Mc 2, 1 5 - 1 7 ) è sostanzialmente a u te nt ic a («Das ZollnergaS, Méidnges Bibliqucs en hommagc au R.P. Bédd RiKaux, a c. di A. Deschamps e altri, Gembloux 1970, 63-87). Il problema è trattato in modo ammirevole, ma è un classico es empio di quell'analisi attenta e meticolosa di passi che, t e mo, non ci dirà mai molto su Gesù. L'accusa generale sembra attendibile, ma resto non persuaso dal fatto che parec­ chi pubblicani si riunissero in un luogo della Galilea per prendere un pasto assieme a Gesù. Un simile evento, se mai fosse a vv enut o i} direbbe di più a pro posi to della densità dei pubbli­ cani in Galilea di quanto possa informarci su Gesù. 1 19 Quest'imerprcrazionc assume il deuo di Mc 2, 1 9 come originario, per quanto se ne sia inventata l'ambientazione. Vedi anche R. BuLTMANN, Geschichte . . . , tr. ing., 18s. .

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Il solo passo che si potrebbe citare contro la concezione qui propo­ sta è Mc l , 44 e parr., in cui Gesù dice al lebbroso mondato di pre­ sentarsi al sacerdote e di compiere il sacrificio richiesto. Questo curioso passo - che in ogni caso non ha nulla a che fare con una eventuale trasgressione - evidenzia la mancanza di qualsiasi prescrizione del gene­ re rivolta da Gesù ai pubblicani o agli altri peccatori che lo accettaro­ no. Persino nella storia lucana di Zaccheo Gesù non richiede al pub­ blicano di compiere la restituzione e non viene nominato alcun sacri­ ficio 120 . A mio avviso, quindi, la novità e l'offesa costituite dal messaggio di Gesù furono che gli empi che gli avessero prestato ascolto sarebbe­ ro stati inclusi nel regno anche se non si fossero pentiti nel modo in cui il pentimento era allora normalmente inteso - cioè persino se essi non avessero compiuto la restituzione, il sacrificio e non si fossero con­ vertiti all 'obbedienza della legge. Gesù offrì l'amicizia agli empi d'Israele come segno che Dio li avrebbe salvati, e non condizionò la sua asso­ ciazione con loro alla conversione alla legge. Egli può benissimo aver pensato che essi non avrebbero avuto tempo di crearsi una nuova vita, ma che se avessero accettato il suo messaggio si sarebbero comunque salvati. Se a questo Gesù aggiunse affermazioni come quella che i pub­ blicani e le prostitute sarebbero entrati nel regno prima dei giusti (Mt 2 1 , 3 1) , l'offesa si sarebbe fatta più grave. L'implicita pretesa di sape­ re chi Dio avrebbe incluso o no nel regno e l'ugualmente implicito porre in secondo piano le normali procedure di giustificazione avrebbero spin­ to la posizione di Gesù vicino, o addirittura al di là, al confine che separa il carisma individuale dall'empietà. Sono consapevole del fatto che la mia proposta non sarà popolare. Certamente Gesù desiderava la conversione dei peccatori . Ma se ciò era tutto quel che desiderava come poteva sorgere una controversia riguardo a lui? Tenendo conto della natura congetturale della mia proposta, la con­ sidero molto più probabile di quella comune, secondo la quale Gesù chiamò i peccatori al pentimento e perciò le componenti guida del giu­ daismo, poiché si opponevano al pentimento e al perdono, cercarono di ucciderlo. Ma prima di poter concludere la nostra discussione a proposito di Gesù e di coloro che sarebbero stati inclusi nel regno, c'è da conside­ rare un ultimo luogo classico . 120 C . F.D. Moule (Le origini dei NT, 35) si accorge che il problema consiste nel fatto che Gesù abbia o meno approvato i] sacrificio.

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La condivisione della mensa

Nella recente discussione su Gesù, il tema della «condivisione nella mensa» è apparso importante. Il suo condividere il pasto con pubbli­ cani e peccatori è stato, probabilmente in maniera corretta, visto come un'indicazione anticipatrice che essi sarebbero stati inclusi nel regno: il pasto è un' ansiosa attesa del «banchetto messianico», quando molti verranno da Oriente e da Occidente e m angeranno con i patriarchi (Mt 8 , 1 1 ) 12 1 . Molte parabole ci dicono che il regno è come un ban­ chetto a cui molti sono chiamati. E , in modo ancora più significativo, Gesù, prima della sua morte, anelò a bere il frutto della vite nel regno di Dio (Mc 14, 25; M t 26, 29; Le 22, 18). Perciò sembrerebbe che la condivisione da parte di Gesù della mensa con «pubblicani e peccatori» sia stata una promessa, tanto chiara come se fosse stata verbale, che essi avrebbero ereditato il regno; è perciò probabile che Gesù vedesse il fatto di essere commensale dei pubbli­ cani e peccatori come una promessa della loro partecipazione al regno che stava per venire. La condivisione della mensa con i peccatori da parte di Gesù aiutò a preparare la strada alla chiesa che, in luogo del regno, seguì al suo ministero? In questa proposta c'è un ovvio incon­ veniente. Coloro che condivisero la mensa con Gesù, a eccezione di Pietro e di Giovanni, non divennero figure preminenti nella chiesa. Per rendere la questione chiara basterebbe nominare Giacomo (il fra­ tello del Signore), Paolo e Barnaba. Sarebbe bello pensare che Gesù avesse legato a sé i suoi compagni in modo tale che essi dopo la sua morte non potessero fare altro che proseguire la sua opera 122 . Ma in effetti almeno tre dei principali capi del primitivo movimento cristia­ no non furono discepoli - e molti dei discepoli scomparvero dalla sce­ na. E come abbiamo osservato all'inizio è difficile trovare dei «pecca­ tori» nella chiesa primitiva. Risulta perciò evidente che la forza che tenne assieme il movimento cristiano delle origini non fu la condivi­ sione della mensa con i pubblicani e i peccatori da parte di Gesù. 1 2 1 ]. }F.REMIAS, Predicazione . , l 3 8; N. PERRIN, Rediscovering . , 107s.; M. I IESGEL, Nach­ {o/ge , 67; M. TRAt:TMAN�, Zeichenhafte Hand!ungen, l l 6s. Dalla discussione della Trautmann apparirebbe che > ha messo in luce qualche problema, uno o due dei quali erano già emersi in precedenza. l . Qual è il significato dello spazio relativamente scarso concesso al tema del pentimento d'Israele? (Vedi anche il terzo capitolo) . A tale riguardo ho proposto una risposta parziale: Gesù non chiamò i pecca­ tori a pentirsi nel senso normalmente inteso del termine, che implica la restituzione e/o il sacrificio, ma piuttosto propose di accettare il suo messaggio che prometteva loro il regno. Questo sarebbe stato offensi­ vo per la comune pietà. 2. Se Gesù considerò i peccatori che lo accolsero come candidati al regno persino se non avessero modificato la propria vita in confor­ mità alla legge, dovremmo attribuirgli uno scopo settario? Nel terzo

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quarto capitolo abbiamo osservato che la raccolta dei detti ha un' ac­ centuazione individuale. Dovremmo unire insieme l'individualismo dei detti, la mancanza di una chiamata d'Israele alla conversione, e la pro­ messa ai peccatori, e quindi concludere che Gesù, dopo tutto, non fu un profeta della salvezza escatologica nazionale? 3 . La posizione di Gesù rispetto ai peccatori lo pose in conflitto con i suoi contemporanei a proposito della legge? Nel nono capitolo torneremo espressamente su questo problema. 4. Come dobbiamo comprendere la chiamata dei peccatori da parte di Gesù, alla luce del fatto che la chiesa sembra non avere continuato la prassi di ammetterli nel suo seno? Questi e altri problemi verranno affrontati nei prossimi capitoli. Pri­ ma però dobbiamo considerare, sotto il tema «il regno», un ultimo pro­ blema: Gesù e i gentili. e

VII. I gentili

Abbiamo visto in precedenza che una delle prove più sicure per cui l'attività pubblica di Gesù debba essere considerata all'interno del con­ testo generale dell'attesa escatologica giudaica è costituita dal fatto che il movimento da lui iniziato diede origine a una missione rivolta ai gentili 1 • In uno studio che lo ha identificato con la speranza per la restaurazione d'Israele, sorge naturalmente il problema dell 'atteggia­ mento personale di Gesù nei confronti dell'ammissione dei gentili nel regno. L' argomento ha ricevuto un'apprezzabile attenzione 2 e può essere più conveniente iniziare la nostra discussione considerando due libri che affrontano tale argomento: uno classico, incentrato sui genti­ li, e l'alrro un'opera recente, su Gesù e il giudaismo. Nella sua monografia dedicata a Gesù e ai gentili (jesu Verheissung (iir die Vdlker) [La promessa di Gesù alle genti] l, Joachim Jeremias argomenta che Gesù limitò la sua missione (e durante la sua vita anche quella dei suoi discepoli) a Israele (Mt 10, 5s.), ma che egli predisse per la fine la proclamazione del vangelo «a tutte le genti»: non attra­ verso missionari umani, bensì attraverso l' angelo di Dio (Mc 14, 9//Mt 26, 1 3 ; Mt 24, 1 4//Mc 1 3 , 10) 4 . Egli si serve di Mt 8, l l s.//Lc 1 3 , 28s. per mostrare che Israele (almeno quello della presente genera­ zione) sarebbe stato escluso dal regno, mentre vi sarebbero entrati i gentili 5 . Gesù cioè si conformò alla visione biblica della raccolta dei gentili all'ultima ora 6, mentre si oppose al giudaismo contemporaneo, 1 Vedi cap. 3, par. l , Da Giovanni Battista o Paolo. 2 Vedi la breve rassegna comenura in f. I IAHN, Das Verstiindnis des Mission im Neuen Terta­ meni, Neukirchen-Vluyn 19652 [ la parola regno «dalle sue asso­ ciazioni esistenti» (cioè quella di vendetta) ( 100) c dal suo aver (95), si pensa immediatamente al detto secondo cui , un'affermazione questa che compare nel mezzo di prescrizioni abbastanza elaborate relative alla purità (Sifra Nm, 1). Riches sembra avere appreso da Neusner che i rabbi si interessavano della purità e aver tratto da questo fatto le proprie considerazioni, ignorando le loro. 1 6 J. ]F.RF..MIAS, ]esu Verheissung , tr. ing., 40. . . .

17 Ibid. , ! 3 .

280

IL

REGNO

N e i profeti biblici si possono individuare almeno sei differenti spe­ cie (per quanto spesso coincidenti) di predizioni sui gentili nel tempo escatologico e tutte qui o là sono ripetute nella successiva letteratura giudaica. È forse degno di nota che quattro di esse compaiano nel Deu­ teroisaia. Le elencazioni non vanno comunque considerate esaustive. l . Le ricchezze dei gentili affluiranno verso Gerusalemme: ls 45, 14; cfr. Is 60, 5- 16; 6 1 , 6; Mie 4, 1 3 ; Sof 2, 9; Tb 1 3 , 1 1 ; l QM 12, 13s. 2 . I re delle genti si prostreranno e le nazioni gentili serviranno Israe­ le: Is 49, 23; cfr. 45, 14, 23; Mie 7, 1 7 (leccando la polvere); I En 90, 30; l QM 12s. (citando ls 49, 23) . 3 . Israele sarà una luce per le genti; la sua salvezza si estenderà fino ai confini della terra: Is 49, 6; cfr. Is 5 1 , 4; Is 2, 2s. ; Mie 4, l . Il che è in sintonia con il fatto che i gentili si potranno aggregare a Israele e perciò si potranno salvare: Is 56, 6-8; Zc 2 , 1 1 ; 8 , 20-23; Is 45, 22; Tb 14, 6s.; I En 90, 30-33. Qui si potrebbe includere anche l'unico passo che predice una missione affidata ai gentili, Is 66, 1 9 1 8 . 4. I gentili saranno distrutti. Le loro città saranno devastate e saran­ no occupate da Israele: Is 54, 3 ; cfr. Sir 36, 7 . 9; I En 9 1 , 9; Bar 4, 25. 3 1 . 35; l QM 12, 10. 5. Come supplemento al tema della distruzione si possono aggiun­ gere predizioni di vendetta e la sconfitta dei gentili: Mie 5 , 1 0- 1 5 ; Sof 2 , lOs.; Test Mos 10, 7; Giubilei 23, 30; Ps Sal 1 7 , 25-27. 6. Gli stranieri sopravvivranno ma non abiteranno con Israele: Gl 3, 17; Ps Sal 1 7 , 3 1 . Questo tipo di elencazione trascura naturalmente sfumature e com­ plicazioni. Si noteranno ad esempio alcune difficoltà osservando che gli stessi passi o passi strettamente collegati provenienti da uno stesso libro appaiono in più di una categoria. Is 45, 22s. promette salvezza a tutti coloro che si volgono al Signore e aggiunge che : cioè prigionieri. L'intera sezione l s 60, 5-16 verte sulla sottomissione e il . .

tributo - o, venendo a mancare questi, sulla distruzione. 21 J . jF.RE...'\flAS, Jesu Verheissung. . , rr. ing., 62, accettato da D. BoscH, Heidenmission. . . , 29. 21 ] . }ERE..'VtlAS, ]esu Verheissunp,. . . , tr. ing., 6 1s. Sulla sua difficoltà a proposito del ((tardo giudaismm>, persino in base alle testimonianze addotte da lui stesso, vedi sopra. " T. Sanhedrin, 1 3 , 2. .

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IL REGNO

opposto di R. Joshua, arrivando quindi alla conclusione che ci sono gen­ tili giusti che condivideranno il mondo avvenire. Il fraintendimento delle concezioni rabbiniche presente in Jeremias procede oltre con la citazione di solo metà di un passo: egli non cita alcun detto favorevo­ le ai gentili tratto dalla letteratura rabbinica, quando in realtà tali detti risultano predominanti 24. Nonostante questo sforzo di correggere l'equilibrio, si dovrebbe nota­ re che nella letteratura postbiblica, parallelamente all'importanza del tema della meritata punizione d'Israele 25, cresce quello della punizio­ ne dei gentili. Poiché la punizione d'Israele per mano delle nazioni si era già dispiegata, sembrava che i portavoce di Dio avessero certa­ mente meno ragioni per affermare che i peccati d' Israele richiedevano una punizione 26• In modo analogo i gentili, poiché varie potenze stra­ niere continuavano a tenere in soggezione Israele, erano sempre con­ siderati come i nemici del popolo di Dio. Perciò le caricature presen­ tate da Jeremias e da Riches (e da altri), mentre ben difficilmente pos­ sono considerarsi modelli di quella accuratezza ed equilibrio che dovreb­ bero essere propri degli studiosi, non appaiono invenzioni pure e sem­ plici. La Palestina del primo secolo non era terreno favorevole allo svi­ luppo di atteggiamenti filoellenici o filoromani 27. E dopo gli orrori della prima rivolta il detto di R. Joshua, che ci sono giusti tra i genti­ li, deve avere richiesto un certo coraggio morale. Ma, ci si potrebbe chiedere, il problema dell'atteggiamento genera­ le che cosa ha mai da spartire con un'attesa escatologica 28? Un ebreo non deve per forza rivelarsi un ammiratore dei gentili nell'attuale ordine di cose per credere che alla fine, quando Israele sarà restaurato e vit­ torioso, i gentili si pentiranno e si volgeranno a Dio. Questo ci indi­ rizza verso un'altra distorsione, in qualche modo più grave, contenuta nella descrizione propostaci da Jeremias del tardo giudaismo, così come viene rappresentato dalla letteratura rabbinica. Nessuna delle discus­ sioni rabbiniche sui «giusti delle nazioni» ha a che fare con il fatto che i gentili, nel giorno del Signore, si convertiranno e saranno salva­ ti, né con il suo contrario di tutto ciò, tema che invece rappresenta 24 Vedi: B. W. l h::.LFGOTI, The Doctrine o/ liiection in Tann.tJitic Literature, New York 1954, spec. 140s.; M. KADUSiliN, The Rabbinic Mind. New York 19652, spec. 28; E. P. SANDERS, Pao­

lo. . . , 295-303 .

" Vedi sopra, pp. 129- 1 3 1 . L a visione tuttavia è ancora ripetuta in Ps Sal 1 7 , 6 . 27 Cfr. ] . ]EREMIAS, ]esu Verheissung . , rr. ing . , 40. 28 Spesso si trascura l'importanza del problema. F. Hahn (Das Vmuindnis. . . ) vede, in gene­ rale, che l'attesa escatologica è cruciale per l'idea di missione propria del Nuovo Testamento, ma il suo capitolo su «Antico TeSlamento e presupposti giudaici» si occupa maggiormente del prosclitismo non escatologico e dell'atteggiamento generale. 26

.

I GENTILI

283

l'argomento tanto del libro di Jeremias quanto di questo capitolo. È ben noto che, probabilmente a causa delle due rivolte, la primitiva !et­ teratura rabbinica tace sul trionfo del Dio d'Israele negli ultimi gior­ ni 2 9 . Le discussioni rabbiniche come t. Sanh. 1 3 , 2 trattano dell'inter­ rogativo se, nell' attuale corso delle cose, sia o meno possibile che i gentili non proseliti siano giusti. In connessione con ciò, evidentemente in un periodo successivo, sorse la discussione sui comandamenti noachici 30 . L'opinione rabbinica sull'argomento è che Dio non si aspetta che i gentili obbediscano a tutta la legge 3 1 L'interrogativo allora diventa se tutti loro obbediscano più o meno a sufficienza a quelle parti della legge per cui essi possono ragionevolmente essere ritenuti degni di meritare il nome di «giusti». L'atteggiamento prevalente, come ho indicato, è che ciò sia possibile. Jeremias su questo argomento cita un'opinione minoritaria (quella di R. Eliezer) come se rappresentasse la c9ncezione del «tardo giudaismo» sul tema della salvezza dei genti­ li. E ben difficile che citare un'eccezione quale regola, per di più in relazione a un differente argomento, possa bastare a determinare la comune opinione giudaica! Tuttavia è difficile stabilire quale fosse, all'epoca di Gesù, la con­ cezione di ogni singolo gruppo. Se, partendo dalla letteratura rabbini­ ca, dovessimo dedurre la concezione dei farisei, concluderei che essi sperarono nella conversione dei gentili. Se, dopo il 70, erano ormai pronti ad ammettere che alcuni gentili sono giusti nella vita quotidia­ na, perché, prima del 70, non avrebbero dovuto pensare che al tempo della giustificazione d'Israele, molti gentili si sarebbero volti al vero Dio? Se chiediamo prove dirette, troviamo l'ostacolo della ben nota scar­ sità proprio della letteratura giudaica palestinese di documenti risalenti al periodo che va dalla conquista di Pompeo alla distruzione di Gerusa­ lemme. Giuseppe e i mano::critti del Mar Morto non sono di grande aiu­ to per il presente argomento - cioè se gli ebrei, che attendevano una vittoria escatologica, potessero o no, durante un'epoca di effettivo asser­ vimento, immaginare la conversione dei loro oppressori. Giuseppe non è utile in quanto ha troppe cose da far quadrare. L'una è che, quando non erano in questione il monoteismo e i suoi corollari 32, gli ebrei, 1 , . _,

19 Vedi J. NEUSNER, Messiah in Context, imminente. " B. Sanhedrin, 26a-b.

H J rabbi sembrano avere avuto un concetto ben sviluppa[O della responsab ilità limitata: gli anche tratlati con maggiore indulgenza dei dot t i (b. Bava Mesi'a, 33b). 12 L'esempio più elaborato è connesso con ii desiderio di Caligola di vedere posta nel rem� pio la propria statua, B], II, 184-203. Per il desiderio di Giuseppe di presen tare, mentre narra una sommossa dopo l 'a l tr a , il quadro di una maggioranza lcal.ista, vedi ad esl'mpio B], II, 72s. Cfr. anche II, 236-240, 244, 294-300. Sulle •autocensure» di Gi u seppe, vedi M. SMITH, «Pale­

ig noram i sono

stinian Judaism».

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IL REGNO

a eccezione di una frangia fanatica, furono leali nei confronti di Roma. L'altra è che solo pochi, e tutti prontamente eliminati dalla salda mano di Roma, attendevano la redenzione. Perciò da lui non possiamo sape­ re quel che i seguaci dell'Egiziano e di altri pensas­ sero riguardo alla conversione dei gentili J J . Gli aderenti alla setta di Qumran, per quanto liberi di scrivere ciò che pensavano, devono essere considerati casi atipici. Essi ritenevano che tutti coloro che non si alli­ neavano al loro patto, sotto i loro capi, sarebbero stati distrutti. I mano­ scritti del Mar Morto sono avari di notizie sulla futura riunione della diaspora ebraica quanto lo sono a proposito della conversione dei gen­ tili. Tuttavia l' aspettativa della riunione della diaspora è il punto più saldo e coerente dell'attesa escatologica giudaica. Dobbiamo guardare all'angusta soteriologia dei rotoli come a qualcosa di non rappresen­ tativo. Proprio sopra ho definito pura congettura il fatto che i farisei avreb­ bero creduto che, alla fine, molti gentili si sarebbero volti al Dio d'Israe­ le. La congettura era basata sul fatto che dopo il 70 molti rabbi erano disposti a credere che alcuni gentili fossero giusti nella loro vita di tutti i giorni. Tuttavia siamo in possesso anche di una testimonianza di prima mano. Esiste una persona di cui si può sapere che è stato un fariseo che si è espresso a proposito dei gentili e dell' eschaton: Paolo. Duran­ te la sua attività di apostolo dei gentili in preparazione della venuta della fine, egli evidentemente pensava che questi ultimi potessero vol­ gersi al Dio d'Israele ed essere salvi. Tuttavia cogliamo nelle stesse espressioni di Paolo un forte disprezzo dei gentili: essi sono (Gal 2, 15) e, a quanto è risaputo da tutti, commettono ogni tipo di trasgressione sessuale (Rm l , 1 8-32; l Ts 4, 5 ) . Sembra probabile che Paolo rappresentasse un'opinione corrente sia nel ritenere che i gentili nella loro vita quotidiana fossero dei peccatori che nel credere che alla fine molti di loro si sarebbero convertiti a Dio abbandonando gli idoli ( l Ts l , 9) e avrebbero conformato il proprio comportamento alle normali esigenze della legge (Rm 13, 8- 10). Possiamo vedere la stessa combinazione di opinioni in Or Sib 3 , discusso in precedenza. Paolo, naturalmente, riteneva anche che i gentili non avrebbero dovuto accet­ tare quelle parti della legge che distinguono l'ebreo dal greco, special­ mente la circoncisione, se questo atto era inteso come condizione neces­ saria per far parte del popolo di Dio. Quest'ultima opinione lo distin­ gue dagli altri. Molto probabilmente l'aspettativa generale della con­ versione dei gentili alla fine era invece comune. B Vedi l'utile rassegna di P.W. BARNF.TI, ((The Jewish Sign Prophcts.,.

I

GENTILI

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Un tale atteggiamento verso i gentili compare in un altro dei pochis­ simi passi, ascrivibili a un periodo anteriore al 70 e dedicato al tema dell'eschaton e dei gentili: Ps Sal 1 7 . Qui l'accento batte sulla sconfit­ ta delle nazioni che calpestano Gerusalemme ( 1 7 , 25), sulla futura riu­ nione delle tribù e sulla punizione dei peccatori appartenenti al popo­ lo ebraico (17, 28s.), sull'esclusione dei gentili dalla terra ( 1 7 , 3 1) e sulla loro sottomissione ( 1 7 , 32). Tuttavia il salmista dice anche che Geru­ salemme, in modo palese soprattutto nel tempio, sarà resa gloriosa «Cosicché le genti verranno dai confini della terra per vedere la sua [di Dio] gloria, portando come doni i suoi figli che erano venuti meno e per vedere la gloria del Signore» ( 1 7 , 34s.). Il tema del riconosci­ mento del Dio d'Israele e dell'adorazione nel tempio non è lontano dalla conversione e dal pellegrinaggio compiuto dai gentili (con una loro condizione di inferiorità, espressa o implicita) , che troviamo per esempio nel Deuteroisaia. Perciò persino in questo salmo, che tanto enfatizza il trionfo di Israele sui gentili e la sua separazione da essi, è lasciato a questi ultimi spazio per convertirsi e adorare - o almeno ammirare il Dio unico. Scopo di questa mia esercitazione che, ripeto, è ]ungi dal rappre­ sentare lo studio completo che pur un tale argomento meriterebbe, è di mostrare, come ho fatto fin qui, come il rigido modello buono-cattivo­ buono che informa l'opera di Jeremias, qi Riches e di molti altri, non regga a livello di descrizione storica. E un modello che scaturisce da interessi teologici al cui servizio si pone: la religione biblica alme­ no nei grandi profeti era buona; il tardo giudaismo fu una religione cattiva 34; Gesù riformò il tardo giudaismo ritornando in parte al pun­ to di partenza della tradizione profetica. In relazione alla questione dell'atteggiamento verso i gentili (col connesso presupposto che atteg­ giamenti favorevoli contraddistinguano una religione buona! ) , ho con­ cluso che il contrasto buono-cattivo nella storia del giudaismo si fon­ da su una distorsione e ipersemplificazione delle testimonianze. I dati in nostro possesso non ci consentono un preciso resoconto delle opi­ nioni dei contemporanei di Gesù a proposito della conversione dei gen­ tili alla fine dei tempi. Tuttavia sarebbe assai sorprendente se una tale speranza fosse stata generalmente abbandonata a favore di una conce­ zione come quella presente a Qumran. Sembra molto più probabile che la maggior parte degli ebrei che riflettevano su questo argomento in un modo o in un altro si aspettassero che, quando si fosse rivelata la sua gloria, molti gentili si sarebbero convertiti al Signore. -

ni

'4 Perciò J. RICHES, Transformation , 86: «lo stato relativamente impoverito delle tradizio-­ religiose che Gesù ereditò)>. ..

286

IL REGNO

Gesù e i gentili

Sono ben noti i passi dei sinottici dedicati a quest'argomento U : essi sono le due forme della parabola del banchetto (Mt 22, 1 - 10; Le 1 4 , 1 6-24), in cui il ); Mt 8, 5 - 1 3 , (un'altra guari­ gione compiuta da lontano). Gli ultimi due passi, proprio per la loro reticenza, depongono contro il fatto che Gesù si sia considerato per­ sonalmente incaricato di una missione verso i gentili. Tutti gli evan­ gelisti confermano la missione nei confronti dei gentili, eppure la tra­ dizione su Gesù dovette essere forzatamente estesa per farlo entrare in contatto con i gentili. Qui la conclusione di Jeremias sembra ben fondata: Se lasciamo da parte citazioni, sommari e interpretazioni allegoriche di parabole, troviamo che Matteo produce lo stesso risultato di Marco e Luca: l'unica solida prova dell'attività di Gesù tra i gentili consiste nel resocon­ to di due casi di guarigione a distanza (Mt 8, 5-13 e par . ; Mc 7, 24-30 e par.), accanto a cui si può forse porre la storia dell'indemoniato di Gadara. Questo è tutto '6•

Questo è uno dei numerosi casi in cui la scelta di basarsi su considera­ zioni generali più che sull'affermazione diligente e sempre ipotetica dell'autenticità di uno o più detti ci porterà a un buon risultato. L'ipo­ tesi secondo cui si può ricostruire l'atteggiamento di Gesù applicando vari criteri al materiale dei detti ha condotto, come era prevedibile, J5 Vedi ad esempio D. BoscH, fleidenmission , che, in modo compelente, pasS;a al vaglio le opinioni sui passi. Sulle parabole del banchetto c Mr 8, l ls., vedi 124- 1 3 1 ; su Mt 19, 21-28 e IO, 5-16, vedi 84-86; su Mc 1 3 , IO, vedi 1 4 4 - 1 7 1 . " ] . ]ERFMIAS, Jesu Verheissung . . , tr. ing., 29. ...

.

l GENTILI

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a risultati molto differenti nello stabilire il suo atteggiamento verso i gentili. L'opinione di Jeremias è stata brevemente esposta all'inizio di que­ sto capitolo: Gesù limitò la propria attività a Israele, ma predisse l'in­ clusione dei gentili e l'esclusione della generazione degli ebrei suoi con­ temporanei. Bosch, indagando sugli stessi passi, accetta come autenti­ co Mc 1 3 , 9b . 10; Mt 10, 18; 24, 14; Le 2 1 , 12s. e, seguendo Beasley­ Murray, offre un logion ricostruito, basato su quei passi, come un detto di Gesù J7: Essi vi condurranno davanti ai sinedri, e sarete percossi nelle sinagoghe, e starete di fronte a governatori e re per amore [del mio nome] [Ciò sarà] come una testimonianza per voi. E [sarà testimoniato] davanti ai gentili. Prima è necessario che il vangelo sia predicato [Prima della venuta] della fine.

Si potrebbero immaginare altre combinazioni di serie potenzialmente autentiche dei passi citati in precedenza. Una di esse, a mio avviso, non è improbabile: in Mt 8, 1 1s. si potrebbe facilmente argomentare che il commento sui figli gettati fuori nelle tenebre è matteano e che soltanto la pericope «molti verranno dall'oriente e dall' occidente» è autentica >8. Se si lascia cadere Mt 8, 12, non è necessario che Mt 8, 1 1 si riferisca ai gentili, ma potrebbe riferirsi alla dispersione ebrai­ ca, come in detti simili: ls 49, 12; 4 3 , 5; Sal 107, 1-3 (LXX 106, 1-3); Bar 5, 5; Ps Sal 1 1 , 3-7. " D . Basca, Heidenmission . . . , 158; G.R. BF.ASLEY·MURRAY, Jeous and the Future, New York­ London, 1954, 253. l8 M t 8, 1 1//Lc 13, 28s. è g eneralmente considerato autentico, e la forma di Mattco come la più antica tra le due. Vedi ad esempio F. IIAHN, Das Verrtàndnis. . . , tr. ing., 34s. Ma Mt 8 , 12 è ben più ch e leggermeme dubbio: per gli ebrei è impiegato aluove solo in Mt 1 3 , 38, e lo stesso uso di «regno'> compare in M t 2 1 , 4 3 (il regno tolto a voi, gli ebrei), entrambi passi propri del solo Maueo. o che parlano di condann11 degli ebrei e di salvezza dei gentili: Mt 1 1 , 20-24 e par.; M t 12, 41s. e par. Vedi sopra, pp. 145s.

IL REGNO: CONCLUSIONE

291

usati termini collettivi come «piccolo gregge», i «poveri» e i «peccato­ ri», essi non implicano . L'assenza della specifica terminologia riferita a «tutto Israele>> è tanto sorprendente da far addirittura supporre che Gesù coltivasse interessi di parte 2• Egli pensava che soltanto i peccatori che lo accettavano avrebbero avuto parte nel regno? Che dire di quelli che di solito sono annoverati tra i giusti? L'ambiguità della posizione di Jeremias è istrut­ tiva e indica l'esistenza di un problema. Dapprima Jeremias propone la tesi che nel regno Gesù intendesse includere soltanto i suoi seguaci, i «poveri>> ed escluderne gli scribi e i farisei. Egli poi argomenta curio­ samente che questo dimostra che Gesù non intendeva fondare una setta esclusiva, bensì chiamare tutto Israele J. Ciò indica piuttosto un diva­ rio tra l' intento di convocare tutto Israele, che sicure attestazioni ci inducono ad attribuire a Gesù, e la dinamica interna di molto mate­ riale dei detti, in cui si può trovare un'implicazione settaria. Non avanzo l'ipotesi che Gesù intendesse fondare una vera setta, dotata di una propria interpretazione del patto e della legge. Piuttosto intendo indi­ care che il problema prima rilevato nel discutere sul «pentimentO>> è sostanziale. Non credo di trarre eccessive conclusioni dall'assenza di argomenti attesi. La chiamata al pentimento e la minaccia di un giudizio genera­ le furono preminenti nel messaggio di Giovanni e molto probabilmen­ te fecero parte della primitiva predicazione cristiana. Gli evangelisti non furono avversi a esse. Si deve dar ragione dell'esiguità del mate­ riale che attribuisce a Gesù simili motivi e a volte tale esiguità è stata considerata degna di nota da parte di altri studiosi 4. Inoltre Martin Hengel, percorrendo un diverso cammino, è pervenuto a un'analoga conclusione. Egli argomenta che Gesù chiamò a seguirlo soltanto sin­ goli individui, per quanto sentisse il bisogno di un messaggio rivolto a tutto Israele 5. L'individualismo della chiamata di Gesù a seguirlo, come mette in evidenza Hengel, (p. 59). D ' altra parte, l' istituzione dei Dodici «indica chiara­ mente la [sua] apertura nei confronti di tutto Israele» e dimostra che egli non intendeva «una comunità del "sacro resto" separata dal mondo 2 Vedi la conclusione al cap. 6. ' ]. ]EREMIAS, Predicazione. . , l39s., 202. Anche la Trautmann nota l'esistenza del proble­ ma. Ella rileva che è errato ritenere che Gesù escludesse il giusto. Piuttosto egli considerava .

tutti gli ebrei peccatori c invitava i puhblicani considerandoli un esempio estremo di cuna Israe­ le, M. TRALTMAi>JN, Zeichenhafte Handlungen, 162-164. Non riesco a t rovare un fondamento ade­ guato all'opinione secondo cui gli empi rappresentino tutto Israele. 4 Ad esempio Jeremias e Schlosser, vedi sopra, cap. 3 , nn. 58, 74. ' M. IIENGEL, Nachfolge. . , 59-62. .

292

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esterno» (p. 60; cfr. p. 68). Cioè se ci sono testimonianze che indicano l'ambizione di includere tutto Israele, altre comprovano piuttosto che egli, a differenza di altri, non rivolse direttamente un simile appello. Alla indicazione di Hengel secondo cui Gesù si differenziò da Giuda e Teuda aggiungo che egli allo stesso modo si differenziò anche da Gio­ vanni Battista, in quanto non rivolse un pubblico appello al pentimento. Si può vedere il divario tra le due serie di dati anche mettendo in contrasto la condanna a morte di Gesù con il suo insegnamento. Gesù fu messo a morte dai romani come uno che voleva essere re, cioè come un pretendente messianico (vedi sotto, undicesimo capitolo). Non solo i romani, ma probabilmente anche le >, fatto che si potreb­ be considerare come la seconda parte della sua risposta alla richiesta di Giacomo e Giovanni. C'è quindi ogni ragione per ritenere che fos­ se in atto una discussione relativa a chi sarebbero stati riservati i posti d'eccellenza nel regno . I passi sui discepoli tradizionalmente, però, non giocano alcun ruolo quando si discute la concezione del regno propria di Gesù. Penso che andrebbero presi seriamenre come indicativi della convinzione dei discepoli e quindi sottolineo che tali discussioni risal­ gono alla vita di Gesù e che i suoi discepoli non fraintesero completa­ mente il loro maestro. c) L'attesa del raduno delle dodici tribù diven­ ta una vera attesa, non già un vago ricordo simbolico della storia d'Israe­ le. d) La proibizione del divorzio e del risposarsi assume anch'essa un posto in una visione del mondo globale. Può essere compresa non come esempio di un'etica interinale e neppure come uno scopo ideale impos­ sibile da raggiungersi, bensì come un decreto vero e proprio per una nuova età e un nuovo ordine. 5 . Infine possiamo comprendere perché avvenne che i discepoli rite­ nessero Gesù messia. Si è spesso osservato che un uomo crocifisso che diviene un redentore celeste non si qualifica facilmente per un tale titolo. Secondo l'ipotesi qui proposta, i discepoli già pensavano a Gesù come a - o meglio come a viceré sotto il vero re, Dio. Se Gesù insegnò ai suoi discepoli che ci sarebbe stato un regno e che essi vi avrebbero avuto un ruolo, egli certamente, almeno implicitamente, asse­ gnò un ruolo anche a se stesso. andrà perfettamente bene per la persona che è superiore ai giudici d'Israele, anche se non è un guerriero. Finché i discepoli si aspettavano che ritornasse e stabilisse il regno (Mt 20, 2 1), essi avrebbero potuto ritenere Gesù messia. Una volta che si accetti il fatto che Gesù non sia stato frainteso, si mette in luce diversa la questione di come la sua visione del regno si differenziasse da quella degli altri. Non può avere differito moltis­ simo. Nella letteratura giudaica la nozione di un miracolo escatologico non è affatto sconosciuta. Ho già indicato i paralleli con Qumran e altrove si può vedere che ci fu un'attesa di un nuovo cielo e di una nuova terra. Per esempio si implica una tale visione ogni qual volta il tempio viene descritto in termini che vanno al di là dell'ordinario 2l. " Ad

esempio, Ps Sal 17, 32;

vedi

sopra, cap. 2.

IL

RE G NO : CONCLUSIONE

305

In tali casi non si possono escludere esagerazioni profetich� o oracola­ ri, ma è anche facile passare da esagerazioni verbali a concezioni gran­ diose. Teuda, al pari degli altri di cui non si conoscono i nomi, attendeva un miracolo escatologico 24. Sfortunatamente non sappiamo che cosa essi si aspettassero in seguito. Nel caso dell'Egiziano, che evidente­ mente suscitò un disturbo più grave degli altri, si può compiere una buona congettura. Egli probabilmente promise un miracolo e si aspet­ tò che a esso seguisse una sconfitta militare dei romani (questo pre­ suppone che ci sia una qualche verità in ciascuno dei due resoconti di Giuseppe) 25 • Ma gli altri, a cui Giuseppe non attribuisce alcuna azione militare né nelle Antichità, né nella Guerra, possono avere atte­ so soltanto un miracolo e non avere creduto che un segno potente avreb­ be fatto radunare tutto Israele dietro di loro per sconfiggere i romani. Essi avrebbero potuto pensare che Dio avrebbe continuato a interve­ nire miracolosamente e ripristinato le dodici tribù d'Israele e creato il proprio tempio glorioso. Forse si attendevano un nuovo cielo e una nuova terra, in cui non ci sarebbero stati né fame né lamento, e in cui il popolo non avrebbe più appreso l'arte della guerra. Le possibili­ tà potevano svilupparsi sempre di più. Il fatto è che Gesù non fu il solo a leggere i grandi profeti e non possiamo sapere se la sua concezione del regno fosse più spirituale di quella di altri, o se egli abbia assegnato un posto più alto all' amore di Dio e del prossimo. Qui come altrove faremo meglio a non basare la nostra concezione di Gesù sul presupposto che egli credesse in astra­ zioni religiose negate da altri. Tuttavia si può constatare uno stile peculiare di Gesù. Egli non compì grandi gesti né promise grandi eventi che fossero intesi a convincere tutti. Ci sono azioni pro/etiche e simboliche ma esse non sono miracoli e i miracoli non furono accampati come qualcosa che su/fragasse la sua pretesa. Possiamo spingerei oltre. Egli deliberatamente mostrò, cavalcando un asino, che la pretesa a un ruolo speciale nel regno di Dio era com­ piuta da uno «mite e umile» 26. Naturalmente è Matteo che ha valo­ rizzato il passo e ha citato le parole «umile e in sella a un asino» (Mt 2 1 , 5 citando Zc 9, 9) , ma l'azione parla da sola. Gesù si vide come un servo di tutti (Mt 20, 28a//Mc 1 0 , 45a), non come un glorioso capo in una marcia trionfale attraverso le acque divise. 24 Teuda si attendeva di dividere il Giordano: A], XX, 97. Per gli altri senza nome, vedi: B], II, 258-260; 11], XX, 167s. Cfr. Gionata di Cirene B], VII, 437-4 4 1 . " AJ, XX, 170: l'Egiziano predisse che sarebbero crollate le mura d i Gerusalemme; B], II, 261-263: ce rcò di aprire in esse una breccia con la forza. 26 Assumo l'evento come storico. Vedi più avanti, cap. 1 1 .

306

I L REGNO

Si è osservato in precedenza che se Gesù fosse stato frainteso, ciò

è stato ritenuto una prova che egli non aveva una strategia chiaramente soppesata al fine di far avere successo al suo messaggio. Ora però appare

che non fu tanto frainteso. L'affermazione su se stesso è notevolmen­ te diversa da quella di Teuda o dell'Egiziano, ma la concezione secon­ do cui Dio avrebbe miracolosamente fatto giungere il regno è la stes­ sa. Questo ci fornisce un modo migliore per comprendere il fatto che Gesù non aveva un piano che includesse una strategia pratica. Non ne aveva bisogno poiché, per la verifica del suo messaggio e della sua pretesa, si rivolgeva a Dio. Quando decise di andare a Gerusalemme e di far mostra di gesti simbolici per indicare quel che doveva avveni­ re (la sostituzione del tempio) e il suo ruolo personale in esso (un re, ma che cavalca un asino) , è improbabile che pensasse effettivamente che i capi e gli aristocratici fossero stati convinti che il regno fosse alle porte e che egli fosse l'ultimo inviato di Dio prima della fine. Egli attuò le sue azioni profetiche ed esse furono comprese, ma neppure valutate come parte di uno sforzo orchestrato a convincere. Egli sen­ za dubbio sapeva che le loro menti erano indurite. Perciò vediamo che Gesù aveva un piano che includeva l'espediente di un effettivo mezzo di comunicazione, ma che era sprovvisto di una politica di ampio rag· gio che avrebbe conquistato alla sua convinzione gli abitanti di Geru­ salemme. E in questo senso che noi possiamo dire che egli non aveva un programma che potesse colmare il divario tra coloro che lo accetta­ rono (alcuni dei poveri e degli emarginati della Galilea) e i capi di Geru­ salemme. Infine mi sono indotto a porre l'accento su un gruppo di detti sul regno, quelli che descrivono la venuta del regno come qualcosa che ha l' aspetto di un ordine sociale. Se le sole fonti su Gesù fossero una collezione di detti - e molti studiosi scrivono su di lui come se le cose stessero effettivamente cosl - non saremmo necessariamente por­ tati a rendere determinante questo gruppo di detti (vedi la fine del quarto capitolo) . Siamo stati spinti a fare ciò dalla necessità di spiega­ re la storia e di dare ragione dei fatti. Dopo la morte di Gesù i disce­ poli formarono un gruppo che aveva attese concrete e che non fu pro­ prio un'assemblea di persone impegnate nelle stesse astrazioni. Gesù senza dubbio credette nell'amore, nella misericordia e nella grazia, e altrettanto fecero i suoi discepoli, ma queste credenze non li avrebbe­ ro condotti a diventare un gruppo identificabile all'interno del giudaismo 27. Inoltre dobbiamo spiegare il fatto che Gesù fu condan­ nato a morte, ma che i suoi discepoli non lo furono. E videntemente 27 Per

l'opinione serondo cui

Gesù non

aveva

in mente alcun

programma vedi sopra, pp. 48, 55.

IL REGNO: CONCLUSIONE

307

non ci si attendeva che le loro idee sul regno, per quanto concrete, si realizzassero con la forza delle armi. Ancora più in là: due dei nostri stessi fatti base implicano un regno ultramondano con analogie con l'ordine presente: la dimostrazione con­ tro il regno e il detto su di esso, che indicano un tempio nuovo o quanto meno purificato e rinnovato, e la chiamata dei dodici discepoli, che prefigura il ristabilimento delle dodici tribù. Resta però il fatto che non abbiamo ancora basi per scartare, in linea di principio, qualsiasi altro gruppo di detti sul regno. Quelli posti in posizione preminente in questo capitolo potrebbero sembrar escludere quegli altri che predicono un cataclisma cosmico, poiché entrambi inclu­ dono detti sul giudizio; e non è ragionevole pensare che il giudizio, nella visione di Gesù, potesse venir effettuato sia da angeli alla venu­ ta del Figlio dell'uomo (Mt 24, 3 1 e altrove) che dai dodici discepoli seduti su dodici troni (Mt 19, 28) . Potrebbe sembrare che il principio di coerenza esiga da noi la negazione dell'autenticità del detto sugli angeli e sul Figlio dell'uomo. Il problema è che non sappiamo fino a che punto dobbiamo spingere il principio di coerenza. Nel menziona­ re in precedenza questo punto, ho osservato che la gente che pensa e parla per immagini ne può usare alcune manifestamente contraddit­ torie e questa osservazione resta tuttora valida . Tutti gli altri gruppi di detti si armonizzano abbastanza bene con la nostra conclusione su Gesù e il regno. Quei detti e quelle parabole che parlano di un rovesciamento di valori o almeno lo implicano sono coerenti con l'aspettativa che Gesù e i suoi seguaci avrebbero assunto una posizione dominante nel regno e che esso avrebbe incluso i o l' «età messiani­ ca>> cronologicamente prima della . Qualche rabbi da ulti­ mo compì una tale sistemazione e si può vedere una simile «escatolo­ gia in due fasi>> nel Rotolo del tempio 29. Gesù e i suoi seguaci avreb­ bero potuto facilmente compiere la medesima operazione. Non c'è alcu­ na salda prova, né c'è la necessità di supporre che l'abbiano fatto. Molti individui hanno combinato una fede nell'immortalità personale e indi­ viduale con la fede in una risurrezione generale, senza soffermarsi a calcolare il modo preciso in cui i due elementi sono tra loro collegati. Forse Gesù pensò al «regno>> in due modi e non pose mai i due in relazione sistematica. Non vedo prove, però, che ci consentano di anda­ re al di là di una pura possibilità. Gesù come tipo religioso Dobbiamo ora riunire quei punti della nostra discussione che ci con­ ducono al problema di quale tipo di figura sia stata Gesù. Lo si può fare molto brevemente; infatti su questo punto ritengo che la posizio­ ne di Hengel sia persuasiva. Egli confronta Gesù con i capi di «movi­ menti profetico-carismatici di stampo escatologica>> (Charismatic Lea­ der, pp. 20s.), e si ferma sul termine «escatologico-carismatico>>, come 28 Vedi E.P. SANDERs, Paow . . . , 222, n. 19; 414, n. 156; 492, n. 18; 535, n. 4. 29 Una discussione su un periodo messianico che precede la risurrezione costituisce una parte standard dei manuali sull'escatologia giudaica.

IL REGNO: CONCLUSIONE

309

il più adatto al tipo di Gesù (ad esempio pp. 44, 48, 63, 68). L'inse­ gnare non esula dallo scopo di una simile persona e Hengel fa presen­ te la descrizione di Giuda il Galileo come un sophistes proposta da Giu­ seppe. Oltre Giuda, gli altri più prossimi a Gesù e di cui ci è stato conservato il nome sono Teuda e l'Egiziano (pp. 20-24) , menzionati tanto di frequente in questo capitolo. Ce ne furono anche altri, non nominati da Giuseppe. Hengel esplora anche altre possibilità, princi­ palmente quella costituita dal tipo del rabbi, con risultati largamente negativi. Gesù però non può, conclude Hengel, venire compreso sotto ogni aspetto nell'ambito indicato. Egli è meglio descritto dalla categoria di «carismatico escatologicO>>, per quanto egli vada «ben al di là di tutti quelli che si possono addurre come prototipi profetici o paralleli tratti dall'ambito dell'Antico Testamento e dal periodo neotestamentario>> (p. 68). Ilengel è evidentemente pronto a seguire Fuchs nel parlare di Gesù come di chi sta al posto di Dio (ibid.) e aggiunge: Egli infrange il potere del maligno, invita i peccatori al banchetto messia­ nico, compie l' affermazione che il suo messaggio della vicinanza della sal­ vezza e del giudizio di Dio è legato senza riserve a tutto Israele, compren­ dendovi la città santa e il tempio (ibid. ).

Quest'affermazione fu unica. Fu un'> egli resta in ultima istanza incommensurabile e ciò confonde radicalmente ogni tentativo d i collocarlo nelle categorie propo· ste dalla fenomenologia o sociologia della religione (ibid. ) .

Possiamo richiamare qui il parere di Morton Smith. Egli concorda con il fatto che Gesù si conformi con un tipo generale rappresentato da Giuda il Galileo e Teuda. Il primo fu >: e il confronto con Teuda orienta anche verso la considerazione di Gesù come profe­ ta e profeta di un certo tipo: quello chiamato da Hengel un «carisma­ tico escatologico>>. Questa non è una conclusione nuova. Molti studiosi concordano che, tra i vari ruoli con cui lo si può identificare, Gesù si conforma meglio a quello di «profeta>>. Si riconosce anche generalmente che nel defi­ nirlo si deve tenere conto della reputazione di Gesù come operatore di miracoli. Perciò non infrequentemente si leggerà che egli combinò stili e tipi 32. Abbiamo quindi un accordo abbastanza vasto su una categoria gene­ rale, ma è una categoria che comprende persone che differiscono tra loro in modi sostanziali n . Offrirò un'elencazione sottolineando i fat­ tori che distinguono gli uni dagli altri. · l . Giovanni Battista può essere considerato un profeta. Da quel che sappiamo di lui, aveva un messaggio con una connotazione base: pen­ titevi in vista del giudizio che sta per venire. Ebbe dei discepoli, ma essi non furono considerati potenziali rivoltosi. Risulta aver confinato il suo operare in un'area remota vicino al Giordano (in aggiunta ai vangeli, vedi A], XVIII, 1 1 6-1 19). 2. Giuda il Galileo e i suoi successori furono dei veri rivoltosi. Giuda insegnò, ma non operò miracoli, né promise un grande segno escatolo­ gico (vedi BJ, II, 1 18. 433). ,2 Gesù vide se stesso come un profeta e come un carismatico, un operatore di miracoli, J.D.G. DuNN, ]esus and the Spirit, 35, 52, 7 1 , 82-84. Per un'enfasi su Gesù in quanto operatore di miracoli, vedi G. VERMES, Gesù l'ebreo, 68- 1 0 1 . B. Gerhardsson nota, correttamente, che un profeta ha molto in comune con un maestro, «Der Weg der Evangeliemraditiom>, 92; cfr. R. RIESNF.R, ]esus als Lehrer, 276-298. A.E. llarvey (Constraints. . . , 84-86) si dimostra scettico sull'analogia con Teuda e gli altri (ed egli accoglie la descrizione di Giuseppe sulle loro motiva­ zioni, 85). Harvey opta �r una descrizione di Gesù come di un personaggio che combinò vari modeUi (9 1). H G. Theissen, Sozio/ngie. . , tr. ing., 60-62 [tr. it., ci t . ad loc.] distingue vari tipi di «movi­ menti di rinnovamento». Gesù è catalogato, accanto a Teuda e all'Egiziano c altri, come capo di «un movimento profcricm>. Giuda, J'altra parte, guidò un «movimento Ji resistenza�>. Cfr. la categoria di Barnett, . .

,

IL REGNO: CONCLUSIONE

311

3 . Teuda (al pari degli altri di cui non si conoscono i nomi) prean­ nunciò un miracolo che richiamava l'esodo. Non sappiamo che qual­ cuno di loro abbia in precedenza attuato miracoli, né che qualcuno si attendesse una sollevazione armata. Il resoconto di Giuseppe nella Guerra sembra mostrare che essi probabilmente non lo fecero, perché in quest'opera attribuisce un attacco militare all'Egiziano (vedi: BJ, II, 258-260; AJ, XX, 97s. 1 67s.). 4. L'Egiziano voleva rovesciare il presidio romano e stabilirsi come re (BJ, II, 26 1-263 ) . Ci fu, probabilmente, la promessa di un miracolo escatologico, ed è questo punto quello fissato da Giuseppe nelle Anti­ chità (AJ, XX, 169- 1 72) . 5 . Gesù, a differenza di tutti gli altri - per quel che ne sappiamo - acquistò fama dai miracoli. Come posto in rilievo da Smith, il sar­ casmo contro Gesù che salvò gli altri ma che non poteva salvare se stesso riflette proprio questo punto 34• Inoltre, come Giuda, fu un maestro. A differenza dell' Egiziano, ma come Giovanni e Teuda e gli altri di cui non conosciamo il nome, non si aspettò una rivolta arma­ ta. Tuttavia differì da Teuda e dagli altri nel non promettere un mira­ colo escatologico. Come posto in rilievo in precedenza, i gesti simbo­ lici che si rivolgevano all'eschaton non furono miracoli. Inoltre egli può non aver cercato affatto una massa che lo seguisse, e in ciò sarebbe diverso da tutti gli altri. Nell'undicesimo capitolo esamineremo più da vicino la questione dei numeri e qui è necessario richiamare solo la posizione di Hengel secondo cui Gesù non chiamò tutto Israele a seguirlo. In tal modo si può distinguere Gesù tra i principali rappresentanti di una categoria assai vasta. Non dubito che nei modi già indicati egli sia stato unico; in un modo o in un altro ognuno è unico. Non so però se fosse unico a motivo dell'avere rivendicato un'autorità maggiore di quella di Teuda e di Giuda (così Hengel, p. 69), così come non so se sia andato al di là di loro a moti vo di un regno in cui sugli esclusi si riversa l'amore di Dio. I seguaci degli altri tipi profetici vennero da qualche parte e probabilmente non da circoli aristocratici. È del tutto probabile che non fossero tutti pii - e forse alcuni furono pec­ catori. Essi furono come minimo (termine di Theissen) si rivolgono agli esclusi. Non possia­ mo sapere quanta autorità Teuda e l'Egiziano affermarono di posseH M. Sr-.urn, Magician, 142. Il riferimento è Mc 1 5 , 30 e parr . " A], XX, 168; cfr. B], VII, 438. Vedi G. THEISSEN, Soziologie . . . , tr. ing . , 36 [tr. it., cit.,

ad loc.].

3 12

IL REGNO

dere, ma sappiamo che alcuni dei loro seguaci, a differenza di quelli di Gesù, pagarono con la vita la loro dedizione. L'affermazione spes­ so ripetuta secondo cui è esage­ rata. Spesso si dice che l' abbia fatto nell'atto di perdonare i peccati 36; ma va notato che egli enunciò solo il perdono, il che non è una prero­ gativa di Dio, bensì dei sacerdoti. Non conosco nessun altro esempio in cui si possa ragionevolmente affermare che Gesù si ponesse al posto di Dio 37• In breve devo dubitare di molte delle affermazioni dell'u­ nicità di Gesù. Non desidero minimizzare l'affermazione di Gesù relativa a se stes­ so. Ovviamente essa fu davvero grande. Affermò di conoscere che il regno era alle porte e che si trovava nelle condizioni di dire chi vi sarebbe stato incluso. Sapeva persino che egli stesso e i suoi discepoli sarebbero state figure rilevanti in esso, per quanto palesemente rifiu­ tasse di designare posti precisi. Non è affatto improbabile che pensas­ se a se stesso come futuro viceré. Ma mi infastidisce un poco la paro­ la «unicO>>. Altri hanno creduto di parlare per Dio e di essere diretta­ mente incaricati di guidare il suo popolo verso il regno. Quanto è unico è il risultato. Ma, ancora una volta, non possiamo sapere che il risultato deriva dall'unicità del Gesù storico. Senza la risurrezione i suoi discepoli avrebbero resisti to più a lungo di quelli di Giovanni Battista? Lo possiamo solo congetturare, ma io faccio tale congettura in senso negativo. I n alcune parti di questa conclusione allo studio del regno abbiamo dovuto spingerei avanti nella nostra trat tazione e nella discussione è dovuto comparire il problema della condanna a morte. È ora il tempo di tornare a una successione appropriata e di prendere in considera­ zione i punti su cui possono essere sorte delle opposizioni e i gruppi da cui esse possono essere provenute.

Vedi sotto, cap. 10, n. 1 4 . 1 7 E . Fuchs ( 43. Entrambe le metà di questa proposta sono improbabili, sia pure su basi diverse. Abbia­ mo già notato che la posizione generale di B anks in relazione a Gesù e alla legge è che Gesù in un modo o in un altro non si collega diret­ tamente a essa; la sorpassa senza contrapporvisi direttamente. Nel nostro caso Banks suppone che Gesù avesse in mente una chiamata positiva per il discepolato, ma non la considerasse in contrasto con l 'obbedien­ za alla Torah. Ciò che è improbabile a proposito di una simile opinio­ ne riferita tanto a questo caso specifico quanto, in generale, all ' atteg­ giamento di Gesù nei confronti della legge, è che è davvero difficile credere che un qualsiasi ebreo del primo secolo che affrontasse argo­ menti compresi nella Torah non si fosse consciamente accorto che o l'accettava come vincolante o la rigettava. È difficile credere che Gesù vedesse nella richiesta di seppellire i genitori morti soltanto una e che non sapesse che si trattava di un comanda­ mento che proveniva da Dio. In relazione alla seconda metà della pro­ posta di Banks secondo cui il detto è proverbiale senza alcun riferi­ mento diretto a un caso reale 44, è opportuno rivolgersi a Hengel: l' at­ teggiamento indicato è così scandaloso non solo all'interno del giudai­ smo, ma per l'intero mondo greco-romano, che il detto che sono corrispettive a (A], XVIII, 37) e può ben darsi che non vi si rispettassero regolar­ mente le leggi sul cibo e sul sabato. Ma non pare che Gesù abbia avuto dci contatti con quella città.

LA LEGGE

341

S i deve quindi notare che ciò significa che i dibattiti con i farisei

perdono d'importanza. Appartengo al crescente numero di studiosi che dubitano che ci fosse qualche sostanziale punto d 'opposizione tra Gesù e i farisei (cioè con i farisei in particolare, distinti dal resto del giudai­ smo palestinese) . Ancora una volta non si può provare una negazione. Ma tutte le scene del dibattito tra Gesù e i farisei hanno più che una vaga aria di artificiosità. Nel prossimo capitolo considereremo ulterior­ mente tale problema. Bultmann e molti altri hanno posto in rilievo il carattere non reali­ stico («immaginaria>>) delle scene 67. Tuttavia sembra che molti non si siano accorti di come molte di esse siano incredibili. Harvey, per esem­ pio, discute seriamente la storia narrata in Mc 2, 23-26 come qualcosa che rappresenta un evento reale in cui Gesù trasgredì la legge, consen­ tendo ai suoi discepoli di strappare il grano di sabato 68. Similmente egli sembra pensare che i farisei andassero effettivamente in Galilea a ispezionare le mani dei discepoli di Gesù (Mc 7, 2) w . Nel secondo caso e anche discutendo Mc 2, 18 Harvey non nota che, secondo la narrazione evangelica, l'accusa non è rivolta a Gesù, bensì ai suoi discepoli 70. Nel considerare le storie nel loro valore nominale Harvey sembra anche negare quello che aveva appena accettato come un «risul­ tato assicurato>> della storia delle forme; cioè che le narrazioni relative al conflitto sono state composte alla luce delle discussioni tra cristia­ nesimo e giudaismo 7 1 . C i si dovrebbe accorgere della collocazione straordinariamente irrea­ listica di molte delle narrazioni relative a conflitti: i farisei non si orga­ nizzarono in gruppi per trascorrere i loro sabati tra i campi di grano della Galilea nella speranza di sorprendere qualcuno a commettere tra­ sgressioni (Mc 2, 2 3 s . ) , né è credibile che scribi e farisei compissero un viaggio speciale da Gerusalemme alla Galilea per ispezionare le mani 67 R. BuL1MAN:'Il, Geschichte. . , tr. ing., 68 A . I IARVF.Y, Constraints. . , J8s. .

39.

.

" Ibid. , 50. Jbid.

70

7 1 Per la frase �risultato certo)) vedi ibid. por ta men to di G es ù sono «attestati in modo

49, n . 69. Egli spiega che alcuni aspetti del com· così costame e coerente nelJc narrazioni eva ngel i­ che che si possono impiegare con fiducia come prova che Gesù, per quanto condivida un gran numero delle credenze c Jei presupposti Jcl farisaismo, non poteva essere accolto come mae s tro all'in terno della tradizione farisaica)> (49s.). Egli prosegue affermando che Gesù «fu accusato di freq uen te di non conformarsi ai tipici rnodeiJi del comportamento religioso}> come invece i farisei si aspettavano che facesse (50), citando come prova Mc 2, 1 8 (digiuno) c Mc 7, 2 (l' ablu­ zione delle mani). Questa lin ea argomen t a tiva è mollo Jcbolc: ( l ) nessuno ha proposto che Gesù fosse un maestro fariseo, e qui l larvey avanza una proposta facilmente confutabile; (2) > (B], VII, 2 1 8) ; vedi anche fiLONE, Legai. , 1 56. 1 I settari di Qumran ritenevano ovviamente che la classe sacerdotale di Gerusalemme fos­ se illegittima. Per altre critiche vedi ad esempio, Ps Sal 8, 1 3 ; cfr. l, 8; 2, 3; T_ Mos . , 7. 4 Erode sequestrò c mise sotto custodia i paramcnti del sommo sacerdote. La loro custodia fu riconsegnata ai sacerdoti a opera di Vitdio con il permesso dello stesso Tiherio. Dopo la mor­ te di Erode Agrippa I sorse una disputa in proposito. Tutto ciò mostra l'immenso prestigio pro­ prio del sommo sacerdote semplicemente in virtù del suo ufficio, senza riguardo al suo carattere o alle sue qualificazioni. Per i paramenti vedi A], XV, 403-408; XVIII, 90-96. ' W. HoRDURY, «New Wine in Old Wine-Skins: I X . The Tempie», F .xpT 86, 1 9 7 4 - 7 5 , 38. 6 A favore della teoria in base alla quale si riteneva che la profezia fosse cessata vedi: ]. }ERI.:.'VUAS, Predicazion�. . - . 98-100; J. RElJMA�N, ]esus, 220. VcJi le ampie e precise discussioni di: R. LEIVF.STAD, > il punto chiave che condusse all 'ostilità degli scribi e dei farisei 1 1 . Bornkamm è costretto a ridimensionare, ricorrendo a un' abile esposizione, la sua affermazione sull' > non era di essere ritualmente impuri e il detto che essi sarebbero stati inclusi nel regno era offensivo poiché essi erano vistosi trasgressori, non perché non si lavassero le mani prima di mangiare; non c'è alcun conflitto sostanziale sulla legge e le discussioni esistenti non s'incen­ trano sul legalismo. L'opinione secondo cui Gesù criticò l'esteriorità e il legalismo, meglio esemplificata dal codice di purità (la pratica cavillosa per eccellenza), " Ibid.

..\

2 1 J . REUMANN, jesus, 253. 2 2 Ibid. , 152. " Ibid. , 1 72 . 7"1 Coloro che

considerano autentico il passo saranno costretti a difenderlo contro l'accusa che sia meschino, e possono affermare che il suo autore intendeva incoraggiare il giusto arteg· giamenro nei confronti del digiuno. Nel giudaismo la stessa difesa sarà concessa anche ad altri più scrupolosi di quanto imposto dalle regole?

354

CONFLITTO E MORTE

di solito si accompagna con l'opinione che i suoi principali avversari fossero i farisei 25. Discuteremo il problema degli avversari più com­ piutamente nel prosieguo di questo capitolo, ma qualcosa va detto fin d'ora. Persino se fossero effettivamente in gioco l'esteriorità e il lega­ lismo, ciò non significherebbe che il conflitto di fondo fosse con i farisei. Il giudaismo richiede alcuni atti esteriori (ad esempio la circoncisione) e ne proibisce altri (ad esempio il mangiare certe carni). Altri, mentre non sono sbagliati in se stessi (ad esempio il contatto con un morto o con il sangue mestruale), producono un'impurità che, a sua volta, è eliminata attraverso un atto esterno. I farisei non inventarono queste leggi, né ne erano i pubblici guar­ diani. La maggior parte di esse non sono sorvegliabili, ma in ogni caso i custodi ufficiali della legge erano i sacerdoti. Giuseppe a volte esa­ gera il grado in cui i sacerdoti potevano far rispettare la legge, ma l'esa­ gerazione mostra comunque che si trattava di una loro responsabi­ lità 26• Come ho scritto in precedenza, si sbaglia nel ritenere che solo i farisei fossero interessati al rispetto della legge 27. Non si può con­ testare che essi fossero particolarmente zelanti nel rispetto della legge 28, ma Giuseppe ci dice che anche i sadducei la rispettavano 29. In precedenza si è anche notato che le leggi sulla purità venivano ampia­ mente rispettate JO Credo che tra Gesù e i suoi contemporanei non fosse in gioco l'osservanza esteriore. Ma se lo fosse stata ciò lo avreb­ be condotto a un conflitto con la gente (la maggior parte della quale osservava molte delle leggi esterne) e con i responsabili ufficiali, i sacer­ doti, non soltanto con i farisei. L'idea che Gesù e Paolo si opponessero al legalismo giudaico è ampia­ mente e profondamente sostenuta e non la si può correggere limitan­ dosi a riassumere i risultati esegetici dei precedenti capitoli. Numero­ se opinioni sul giudaismo, Paolo e Gesù, si saldano in modo tale da offrire un quadro coerente di una continua lotta tra grazia e legali" Per un esempio esplicito vedi J. ]ERF.MIAS, Predica:àone. . , 141. In seguito egli afferma che Gesù si oppose ai farisei per la loro credenza nei meriti, nelle opere supererogatorie, nella casi· stica e simili, ibtd., 168-174. "' Ap, Il, 185-187; 194; cfr. 178: difficile sfuggire alla punizione. D'altra parte Giuseppe riconosce un altro punto, che l'osservanza delle leggi non poteva avvenire in modo cosLrittivo e che perciò esse venivano osservate volontariamente, Ap., Il, 2 1 8 , 220. 27 Vedi sopra, pp. 239s. c n. 48, p. 323. 2 8 Giuseppe afferma in modo coerente che i farisei furono «rigorosi» o -«esatti» in relazione alle. legge, anche se la sua descrizione di essi in relazione ad altri aspetti, specialmente riguardo alla loro importanza, subl delle variazioni. Per la loro «rigorosità» vedi A . I . BAUMGARTEN, «The Name of the Pharisees», ]RL, 102, 1983, 4 13s. "' Cioè la legge scritta: A], Xli, 297; XVIII, 18. 10 Vedi sopra, pp. 240s. .

355

OPPOSIZIONE E AVVERSARI

smo. Dietro questa concezione si trovano decenni di ricerca e la si per­ cepisce come se fosse fondata su valide prove J 1 . In te�inini generali la visione contiene questi elementi: l. Almeno un filone del giudaismo, il farisaismo, come è stato mostrato dallo studio del materiale rabbinico, è stato dominato dal lega­ lismo. 2. Paolo attaccò il giudaismo in quanto legalistico. 3 . Gesù venne in conflitto con i farisei a proposito del legalismo e dell'esteriorità. Egli si oppose alla loro fiducia autogiustificativa nei propri meriti e li offese offrendo la grazia e il perdono ai peccatori. Si oppose alla loro legalistica interpretazione della legge come statuto e considerò la Torah come qualcosa che rivela la genuina volontà di Dio. 4 . I punti 2 e 3 sono di sostegno al punto l . 5 . Il cristianesimo è differente dal giudaismo e sono centrali in esso l'avere fiducia nella grazia e il rigetto del legalismo.

Questa sezione del capitolo in effetti non ha bisogno di molto di più che di una sintesi dei miei commenti al punto 3 ; ma è chiaro che, perché una risposta sia efficace, si deve essere in grado di rispondere altrettanto bene agli altri punti. Tenterò di farlo brevemente. l . Una lettura del materiale giudaico più o meno contemporaneo a Gesù (cioè esteso all'incirca per duecento anni) non rivela il giudai­ smo legalistico e esteriorizzante che si ritiene sia stato criticato da Gesù e Paolo. Non dirò di più a questo proposito in questo luogo, avendo­ ne già scritto a sufficienza altrove. 2 . Dopo la pubblicazione di Paolo e il giudaismo palestinese, uno stu­ dioso mi disse che accettava la dimostrazione che il legalismo non carat­ terizzasse la letteratura rabbinica. Ma perché, domandò, se i farisei erano cosl buoni come da me implicato, Paolo li criticò in tal manie­ ra? La risposta è che non lo fece. Ma altri mi hanno contrapposto che il giudaismo deve essere stato legalistico perché Paolo lo criticò sotto l'intestazione «giustizia proveniente dalla legge», il che significa lega­ lismo. Ma il significato di quel dibattito non è questo. lnnanzitutto Paolo usa quella frase nel corso del dibattito con altri ebrei cristiani, non in una discussione con il giudaismo, e si riferisce al problema se i gentili che si convertono al cristianesimo debbano o no diventare ebrei. Egli si oppose alla posizione che si debba essere ebrei per appartenere al popolo di Dio. I suoi avversari ritenevano che la circoncisione, l'osn Si confronrino i miei rilievi a proposito della falsa sicurezza accademica a lun go garanti­ ta dall'uso di Billerbeck come «letteratura rabbinica», vedi E.P. SANDERS, Paolo . , 74. .

.

356

CONFLITTO E MORTE

servanza del sabato e il rispetto del codice dietetico fossero condizio­ ni richieste per la partecipazione al popolo di Dio - non credevano che un numero sufficiente di buone opere facesse meritare la salvez­ za. È vero che la controargomentazione di Paolo, quando è spinta più a fondo, specialmente nella lettera ai romani, tocca alla fine il giudai­ smo. Ma quando lo fa, essa implica un rigetto dell'elezione d'Israele, un rigetto reso occasionalmente esplicito. Perciò non apprendiamo da Paolo che il giudaismo fosse legalistico, bensì che era basato sull' ele­ zione, la stessa cosa che impariamo dallo· studio della letteratura giudaica J 2 . 3 . Ma la cosa può essere differente nel caso di Gesù. Qui abbiamo Mt 23, e se le accuse di quel capitolo risalgono a Gesù, egli accusò gli scribi e i farisei di ipocrisia e legalismo - la preferenza data alle minuzie rispetto ad argomenti di maggior sostanza (tuttavia ancora una volta non alla ricerca della salvezza attraverso l'enumerazione dei meri­ ti) . Il ritornello di e il detto in M t 23, 23 mostrano che qualcuno accusò i farisei di ipocrisia e di legalismo, ma non credo che si trattasse di Gesù. In relazione a questi detti, come per quasi tutti gli altri, non si raggiungerà mai un accordo completo. Ma qui l'argomentazione negativa sembra molto forte. Come ho con­ cluso nel precedente capitolo, il Gesù di M t 23, 5-7. 23-26 non è un Gesù storico. Egli muove obiezioni ai farisei perché non sono abba­ stanza giusti, e favorisce una più alta giustizia secondo la legge, men­ tre non nega alcuna cosa della legge, neppure le sue minuzie (vedi anche Mt 5, 1 7-20, 43-48; 6, l . 8. 16- 1 8) J J . Inoltre le accuse di Mt 23 sono riferite all'uso del termine volto a significare , detto che non considero autentico di Gesù. La critica rivolta ai farisei di far mostra di sé nelle sinagoghe (Mt 23, 5s.) è collegata sia tematica­ mente che terminologicamente alla critica degli ipocriti espressa sulla stessa base in Mt 6, 2 . 5 34• Questi ultimi passi, a loro volta, sono solo un lato di un'unica medaglia, l'altro lato della quale è rappresentato da M t 5, 46s. I seguaci di Cristo sono spronati in Mt 5 , 46s. a essere superiori ai gentili e ai pubblicani e in Mt 6, 1-8 a essere superiori agli ipocriti. Possiamo essere sicuri che Gesù non usò come è usato in M t 5, 46, e questo va a scapito dell'autenticità dei passi " Per l'ultimo punto, vedi: ibid. ,

256-268. B Alcune

755s.;

E.P. SA"nERS, Paolo, la

lcfJ',e..

108, 105,

n.

142,

di queste accuse trovano un parallelo in Luca. Un'accusa di ostentazione è mossa nei confronti degli seribi (non dei fari sei ) in l\.1c 12, .38s. Vedi sopra , pp. 336 e n. 1 5 9 . 34 D. Garland (The lntention of Matthew 2 3 , Lciden 1979, 1 2 1) conclude che il termine «ipo­ criti» in M t 6, 2. 5 . 16 non si riferisce ai farisei. Tultavia, nell'attuale sistcma:r.ione del materia­ le, è difficile negare che in Matteo ci sia una connessione tra il cap. 6 e il cap. 2 3 . Vedi W .D. DAVIES, The Setting of the Sermon an the Mount, 291s.

357

OPPOSIZIONE E AVVERSARI

sull'ipocrisia (Mt 6, 1-4. 5-8. 16- 18) e di conseguenza contro l'autenti­ cità delle accuse contro i farisei in M t 2 3 . Come ho concluso nel sesto capitolo, Gesù promise l'ammissione al regno dei pubblicani e dei pec· catari senza esigere da loro una rigida obbedienza alla legge. La chie­ sa, in quanto istituzione sociale grandemente interessata al comporta­ mento, diede peso al loro cambiamento di vita (specialmente Luca) c almeno una sua componente, quella rappresentata da questi gruppi di materiale matteano, sollecitò i discepoli di Cristo a obbedire alla !et· t era della legge in tu t ti i particolari e di andare in vari modi al di là della rigida esigenza della legge 1 5 . Nel far ciò, questa componente del­ la chiesa doveva insistere sul fatto che, nonostante la politic a di stret­ ta osservanza, essa era ancora ben individuabile e continuava a di ffe­ rire dal giudaismo farisaico. Questo, come risulta chiaro, è lo Sitz im Leben della critica dei farisei in M t 2 3 J6. Perciò l'esegesi del materiale mi convince che nel caso di Gesù, come in quello di Paolo, la critica della fede giudaica contemporanea non fu diretta contro qualche grossolano e ovvio errore che guastava l'in­ tera struttura c la rendeva un facile bersaglio per chiunque credesse nell'amore, nella misericordia e nella grazia. Ma non può forse darsi che, per quanto il farisaismo fosse un movi­ mento abbastanza soddisfacente e il giudaismo una religione abbastanza soddisfacente, Gesù accusasse qualche fariseo di ipocrisia e offendesse qualcuno offrendo grazia ai peccatori? In ogni religione, si può sugge­ rire, ci sono bigotti legalisti ed esteriorizzanti n Gesù può essersi opposto a costoro ed essere stato ucciso per loro istigazione. Non è infrequente che i bigotti legalisti prendano il predominio nelle religioni. La prima risposta consiste nel ripetere le nostre osservazioni su Mt 2 3 . Ma coloro che propongono che almeno qualche fariseo fosse lega­ lista e che Gesù si opponesse loro, possono porre in rilievo che nei sinottici c'è dell'altro materiale che attacca l'autogiustificazione. C'è la parabola di Luca del fariseo e del pubblicano (Le 18, 9-14) e il pas­ so lucano sui farisei che giustificano se stessi davanti agli uomini n Per l'ammonimento alla perfezione o s. Si può continuare a replicare esegeticamente, il che comporterebbe una dimostrazione della forma speciale di antigiudaismo propria di Luca n e del modo in cui Jeremias accettò semplicemente la colloca­ zione delle parabole lucane 4 0 . Tuttavia ci si accorge subito, in rela­ zione al problema del legalismo farisaico e del supposto attacco di Gesù nei suoi confronti, che vi è qualcosa di più dell'esegesi. L'esegesi qui s'infrange contro una roccia enorme ma per la maggior parte sommer­ sa: il presupposto secondo cui, nel discutere di Gesù e di Paolo, si stia discutendo attorno a ciò che è vero sul piano religioso 4 1 . Questo presupposto ha come suoi corollari gli ulteriori presupposti che Gesù o Paolo debbano aver favorito tutto quanto è vero su questo piano e si siano opposti a tutto quanto nella religione è falso e deplorevole. Il peccato di confidare nella propria capacità di giustificarsi da parte della persona religiosa è ben conosciuto. La verità religiosa, in tutti i tempi e i luoghi, deve perciò opporsi al rendersi giusti da soli, cioè al legalismo. Gesù (e Paolo) espressero la verità religiosa. Perciò deb­ bono essersi opposti all' autogiustificazione legalistica. E se essi vi si " J . ]EREMIAS, Le parabole di Gesù, 43-45; 160-162. Cfr. sopra, cap. 6, n. 8. Si può vede­ re l'influsso deU'opinione di Jcremias secondo cui le parabole attaccano i farisei, ad esempio in: R. fiDIK, LanguaRe. Hermeneulic, and Word o/ God, 1 4 - 1 8 ; 1 97s . ; G . AULh, fesus, 66-74; W.R. FARMER, e astrattamente concepite, per quanto una parte dell' argomentazione terminologica possa far ritenere che le cose stes­ sero effettivamente così, bensì su determinati particolari. Tutte le com­ ponenti che prendevano parte alla disputa favorivano l' avere fiducia in Dio e l'attuazione di buone opere. La questione verteva su quali atti si dovessero compiere per affermare di essere parte del popolo di Dio. Anzi si trattava di qualcosa di ancora più particolare: al fine di ereditare la benedizione di Abramo i gentili devono compiere quegli atti che separano l'ebreo dal gentile 46? Con Gesù ci troviamo di fron­ te a una situazione analoga. Egli non si trovava in disaccordo con i suoi contemporanei a proposito del fatto che Dio sia o meno clemente e grande nel perdono . Tutti potevano in tutta serenità essersi seduti a tracciare un'elencazione di astrazioni religiose su cui concordare: amo­ re, misericordia, carità, giustizia e simili. Essi potevano essere d'ac­ cordo anche su molti particolari: il Dio d'Israele è il solo Dio del mondo; è stato attivo nella storia d'Israele; parla attraverso i profeti. Fino a oggi ebrei e cristiani possono accordarsi su questi e su altri punti (repli­ cando al punto nr. 5 di p . 355). Dove Gesù e i suoi contemporanei si trovavano in disaccordo? Su argomenti specifici. l) Se per Gesù l'ac­ cettazione del suo messaggio esentava dalle forme di pentimento e di restituzione previste dalla legge, il conflitto non verteva sull' astratto valore della grazia contro le opere, bensì sulla concreta manifestazio­ ne della grazia e sulle precise condizioni connesse alla sua offerta. Il conflitto non verteva cioè sul fatto che Dio fosse o meno misericor­ dioso e grande nel perdono, ma nei confronti di chi e a quali condizio­ ni lo fosse: rispetto ai peccatori, a patto che accettassero Gesù e il suo messaggio, o rispetto a coloro che indicavano la propria intenzio­ ne di restare all'interno del patto facendo quanto richiesto dalla legge 47? 2) Quando predisse in modo minaccioso la distruzione del tempio, Gesù era un portavoce di Dio o un empio? "' E.P. 47

SA�DF.Rs, Paow, Vi legge , 246s. Per l'elaborazione rabbinica di . Perciò si sostiene che la persecuzione doves­ se derivare dalla stessa fede cristiana. Se la persecuzione fosse sempli­ cemente il risultato della fede nella c roce di Cristo, non ci direbbe nulla a proposito della ragione dell'opposizione a Gesù . Tuttavia deve essere abbastanza dubbio che tutto ciò sia base della persecuzione. Se lo fosse, ne dovrebbe conseguire che il cristianesimo fu perseguitato c braccato ovunque ci fossero abbastanza ebrei da far passare ai seguaci di Gesù tempi duri. Tuttavia, per ripeterei, è chiaro dalle lettere di Paolo che i capi degli apostoli di Gerusalemme non furono perseguita­ ti, almeno durante l' attività pubblica di Paolo, anche se essi credeva'H Vedi ad esempio A. HULTGRF.N, «Paul's Pre-Chrisrian Pcrsecutions of the Church: Their Purpose, Locale, and Nature», JBL, 95, 1976, 97· 1 1 1 , qui 97· 104.

366

CONFLITTO E MORTE

no che Gesù fosse il messia. La loro relativa immunità indica che non fu la fede nella croce di Cristo a differenziare coloro che furono per­ seguitati da coloro che non lo furono. Tuttavia, anche indipendente­ mente dal problema della «circoncisione», ci vengono testimoniati esem­ pi di persecuzioni. Possiamo determinarne la causa? Enumereremo bre­ vemente i resoconti degli Arti e di Giuseppe. Secondo At 4, 5-22, Pietro e Giovanni furono arrestati dai capi ebrei (specificatamente il sommo sacerdote e altri membri della famiglia som­ mo sacerdotale, At 4, 6) per aver guarito un uomo «nel nome di Gesù Cristo il Nazareno» (At 4, I O) . Essi furono ammoniti a «non parlare assolutamente, né a insegnare nel nome di GesÙ» (At 4, 18). Secondo At 5 , 1 7-42, il sommo sacerdote e i suoi colleghi (cioè, ci dice Luca, i sadducei) fecero arrestare gli apostoli. Dopo un'evasione e un altro arresto, essi furono fustigati per ordine del sinedrio e ammoniti a «non continuare a parlare in nome di GesÙ>> (At 5, 40) . Stefano fu accusato di parlare contro il tempio e la legge (At 6, 1 3 ) . Il suo discorso (At 7, 2-5 3) indica che I' accusa fu almeno in parte giustificata ed egli fu lapidato (At 7, 57-60). Infine apprendiamo che Erode Agrippa I fece uccidere Giacomo, il figlio di Zebedeo e, trovando che ciò era gradito ai «giudei>>, fece anche arrestare Pietro (A t 12, 1-3). In Giuseppe vi è una concreta fonte informativa a proposito della persecuzione. Quando non c'era alcun procuratore a Gerusalemme, il sommo sacerdote aveva condannato a morte Giacomo, il fratello di Gesù. Ciò andava chiaramente contro la politica romana e il sommo sacerdote fu di conseguenza deposto (vedi AJ, XX, I 99-202) . Possiamo accettare senza discussione le ragioni date per la morte di Stefano: egli parlò contro il tempio e di conseguenza contro la leg­ ge, che stabilisce il tempio. Tuttavia negli altri casi non possiamo essere sicuri di quale fosse il motivo dell'accusa. I primi cristiani videro se stessi perseguitati tra 1 laici 59. Presumibilmente tali persone consideravano con sospetto i �8 E.P. 59

.

SANDERS, Paolo , 755s. Sul «potente)>, vedi cap. 1 1 . ..

OPPOSIZIONE E AVVERSARI

371

demagoghi e i sedicenti demagoghi, ed esse senza dubbio fecero così per ragioni di ordine normale: una combinazione di interesse persona­ le e di disaccordo sincero. Le storie di Giuseppe sui profeti, a cui ci siamo spesso riferiti, mostrano come i demagoghi possano essere peri­ colosi. I capi giudaici potevano ragionevolmente opporsi a un capo cari­ smatico persino senza provare timore per la sicurezza delle loro posi­ zioni. Il loro desiderio poteva essere semplicemente quello di salvare il loro popolo dall'azione diretta dai romani (Gv 1 1 , 50 riferisce per­ fettamente un tale ragionamento) . Nella categoria generale dei Gesù ovviamente costituì una minaccia considerevolmen­ te minore dell'Egiziano, ma tutti coloro che affermavano di parlare per Dio e che attraevano un seguito avrebbero allarmato coloro che non volevano insidiare lo status quo, già in qualche modo precario, con Roma. La leadership si sarebbe allarmata anche se non esisteva il sospetto che la figura principale stesse segretamente preparando un eser­ cito e possedesse una riserva di armi. Parlare di un «regno» avrebbe potuto eccitare una folla e questa eccitazione sarebbe stata pericolosa. La condanna a morte di Giovanni Battista mette mirabilmente in luce la questione. Egli non presentò alcuna minaccia militare, ma stimolò l'eccitazione popolare. E questo fu sufficiente Go . Il messaggio di Gesù rivolto ai peccatori presumibilmente lo scredi­ tò ancora di più agli occhi dei normalmente pii. Se i suoi ascoltatori lo intesero come se stesse sfidando l'adeguatezza della legge, l'offesa poteva essere stata generale. L'inclusione dei peccatori nel regno, per quanto negasse il valore dell'obbedienza alla legge, è anche più teori­ ca del gesto contro il tempio e di per sé non sarebbe stata fatalmente offensiva. Può essere che, a causa del significato teologico di questo punto, siamo pronti a sopravvalutarlo come base di un problema tra Gesù e gli altri. Ritengo che sia sicuro dire che i pii sarebbero stati irritati dal fatto che uno che si autoproclamava portavoce di Dio soste­ nesse che essi sarebbero stati preceduti nel regno dai grandi peccato­ ri: irritati, ma non minacciati. Essi, dopo tutto, non avrebbero suppo­ sto che Gesù sapesse effettivamente tutto ciò. Tuttavia la proclama­ zione ai peccatori illumina la sua autoaffermazione. Risulta chiaro che Gesù non si spinse fino all'estremo di dichiarare che solo coloro che lo seguivano avrebbero preso parte al regno 6 1 , ciononostante egli pro­ clamò che non solo parlò nel nome di Dio, ma che Dio avrebbe rove­ sciato l'attuale ordine. Gli ultimi sarebbero stati i primi. Se in nome Cosl ].P.M. SwEET, (, 5. '" Seguendo M. I lcngel, sopra pp. 292s., 297. Questo si oppene all 'opinione di T. W. MAN­ SON, The Teaching o/ Jesus, 205s. 6oo

372

CONfLITTO E MORTE

di Dio si fosse limitato a proclamare un messaggio tipico (ad esempio che gli empi dovevano pentirsi, compiere le prescritte restituzioni e vivere una vita in conformità alla legge), l'offesa provocata dalla sua autoproclamazione probabilmente si sarebbe ridotta. Perciò possiamo enumerare come probabili oppositori di Gesù i pii, i capi e il volgo . Si è frequentemente detto che Gesù si attirò l' oppo­ sizione di tutti i gruppi 62. La mia proposta differisce in due modi da tale formulazione. In primo luogo non propongo di equiparare proble­ mi e avversari: Gesù offese i farisei mettendo in discussione la legge orale; i sadducei attaccando il tempio e così via. Questa equiparazio­ ne risulta da una ipersemplificazione sia dei partiti che dei problemi, e oscura la situazione storica. Dobbiamo presumere che molti saddu­ cei, al pari di molti farisei, fossero pii e si sarebbero risentiti del sen­ tirsi dire che gli empi li avrebbero preceduti nel regno. d pii», in effetti, presumibilmente includevano persone che non pensavano a se stesse come a un «partito>>. La maggior parte delle persone non potevano identificarsi con un partito e certamente alcuni di que­ sti «indipendenti>> erano pii. In ogni caso non c'è ragione di limitare «i pii>> ai farisei. In secondo luogo dobbiamo essere preparati a vedere un grado di rifiuto popolare di Gesù, specialmente dopo l'incidente del tempio, e forse più in generale da parte del volgo di Gerusalemme. «Le folle>> nei vangeli e negli Atti servono alla convenienza dei narratori. Un giorno acclamano Gesù, un altro giorno ne chiedono la condanna a morte e un altro giorno ancora proteggono Pietro e gli altri dall'essere violen­ temente perseguitati 6 l . Da questi resoconti non possiamo apprende­ re il modo di valutare le loro reazioni nei confronti di Gesù. In prece­ denza ho suggerito che Gesù possa aver avuto un impatto pubblico minore di quello di Giovanni Battista e certamente più piccolo di quel­ lo di un demagogo temporaneamente pieno di successo come l ' Egi­ ziano 64. Questa è l'impressione che si ricava dalla lettura di Giuseppe, per quanto, a causa della corruzione del suo passo su Gesù, non si possa conseguire una piena certezza 6 5 . L'impressione è tuttavia confermata dal fatto che i discepoli di Gesù non furono condannati a morte. Inol­ tre vi è l'intrinseca probabilità che tutti coloro che parlavano e agiva62

Vedi: ]. ]EREMIAS, Predicazione. . . , 168- 1 7 4 ; ]. REUMANN, ]esus in the Church "s Gorpe/s, 259; G. BAuMnACH, ]esus von Nazareth im Lichte der iiidischen Gruppenbitdung, 96s . " Ad esempio: Mc 1 1 , 8; 1 5 , 1 3 ; AL 4, 2 1 . " Sopra, p. 295; cfr. pp. 3 10-312.

" A], XVIII, 63s.

OPPOSIZIONE E AVVERSARI

373

no contro il tempio in qualunque modo avrebbero provocato gli abi­ tanti di Gerusalemme. Perciò non credo che Gesù fosse qualcuno che guadagnò un soste­ gno effettivamente massiccio da parte del volgo e che fosse condanna­ to a morte per aver costituito una minaccia reale nei confronti dei capi di Gerusalemme. D'altra parte non possiamo dire che tutta Gerusa­ lemme fosse contro di lui. Egli senza dubbio ebbe un seguito di gali­ lei, ma non ne sappiamo abbastanza per essere in grado di dire che il volgo di Gerusalemme gli si oppose perché era un galileo 66. Non possiamo dire che il problema consistesse né nelle aries, 159.

n.

79 lbid. , 153. 110 M. SMITH, Mogicion . . . , 15.3-157. La citazione 90. Si A . E . HARVEY, Constroints . . . , 49s.

è tratta da p .

157. Vedi

sopra,

p. 259 e

377

OPPOSIZIONE E AVVERSARI

inventato l'intero quadro di una controversia di comportamento tra Gesù e i saggi del suo tempo» 82 . Io ritengo invece che sia del tutto concepibile. Molti di noi lo con­ cepiscono. D'altra parte è impossibile confutare direttamente l'opinione secondo cui «dove c'è fumo c'è fuoco>>. Mi accontenterò di ripetere qui l'opinione a cui sono già pervenuto: non siamo a conoscenza di alcuna sostanziale disputa sulla legge, né di alcun conflitto sostanziale con i farisei. Conclusione

Gesù offese molti dei suoi contemporanei su due punti: il suo attacco al tempio e il suo messaggio relativo ai peccatori. A proposito di entram­ bi i punti si può dire che abbia sfidato l'adeguatezza della legislazione mosaica, ed entrambi sono di ampia pciiTata, ·vasti e appariscenti. La sua presunzione di parlare in nome di Dio fu certamente approvata da parte di coloro che si convinsero che lo facesse effettivamente, e probabilmente non fu generalmente offensiva. Tuttavia può essere diventata tale quando il portavoce di Dio si volse verso il tempio. Egli attuò tale gesto, il più offensivo di tutti, in Gerusalemme nel tempo di pasqua, cosicché era impossibile che passasse inosservato. Aggiun­ giamo a queste considerazioni soltanto che egli aveva un notevole segui­ to, e non abbiamo bisogno di cercare altre ragioni per comprendere perché fu giustiziato. A questo livello di offesa non abbiamo bisogno di trovare un grup­ po che si oppose a Gesù e che fomentò i romani a giustiziarlo. Tutta­ via, a un altro livello, si può compiere una ragionevole deduzione a proposito degli istigatori della sua morte. Fu giustiziato dai romani, e se gli ebrei avevano qualcosa a che fare con ciò - cioè se egli non fu condannato a morte semplicemente in quanto provocò una pubbli­ ca agitazione - gli istigatori della sua morte sarebbero stati coloro che avevano udienza presso Pilato. Principali tra costoro furono i capi dei sacerdoti R J .

" !bid., 5 1 . 8' Sul predominio dei sacerdoti nel sinedrio e, in generale, nel governo del giudaismo, vedi:

M . STERr>;,

«Aspeccs of Jewish Sociecy: Lhc Priesthood and other Classes», spcc. 580, 603; E . ScaiiRER, a c . d i G . Vermes e altri, The Hislory of the Jewish People . . , I I , 199·236, spec. 228 [tr. it., cit., od loc.]. .

XI . La morte di Gesù 1

I fatti

szcun

Dobbiamo iniziare il nostro studio partendo da due fatti sicuri che abbiamo davanti: Gesù fu giustiziato dai romani come un sedicente «re dei giudei» 2 e i suoi discepoli in seguito costituirono un movimen­ to messianico non basato sulla speranza di una vittoria militare. La difficoltà di spiegare il modo di coesistenza di questi due fatti costituisce il problema fondamentale implicito nel tentativo di com­ prendere la morte di Gesù. Il problema della sua condanna a morte è posto chiaramente da Harvey: Siamo manifestamente di fronte a una contraddizione: da un lato gli eventi e i procedimenti legali conducono al fatto che la morte di Gesù si può stabilire con ragionevole certezza in quanto applicazione della nuda affer­ mazione che egli fu crocifisso; e l' accusa in base alla quale fu crocifisso è data da un resoconto che, ancora una volta, appare altamente attendibi· le: re dei giudei . D ' altra parte appare incredibile che la persona condan­ nata in base a questa accusa fosse Gesù di N azaret ' .

La ragione per cui i fatti sembrano incredibili è che tutto quello che conosciamo su Gesù indica che egli non cercò alcuna regalità mondana 4• Harvey conclude che . .

·

LA MORTE D I GESÙ

381

d'Israele, a parlare nel nome di Dio, avrebbe sfidato sotto tutti gli aspetti la loro leadership. Un gesto contro il tempio, anche se fisica­ mente di scarsa rilevanza, rappresentava un gesto contro l'entità religioso-politica base: Israele. In precedenza abbiamo esaminato, in modo abbastanza dettagliato, i resoconti evangelici sugli avversari e sui punti di contrasto. Il nostro compito ora è semplicemente quello di concentrarsi su coloro che, secon­ do i vangeli, hanno svolto un ruolo nella condanna a morte di Gesù. In Matteo e in Marco un complotto per mettere a morte Gesù ini­ zia dopo la guarigione, in giorno di sabato, di un uomo con la mano arida. Marco individua i membri del complotto nei farisei e negli ero­ diani, Matteo semplicemente nei farisei (Mt 12, 14//Mc 3 , 6) . Secon­ do tutti e tre i vangeli sinottici la parabola dei vignaioli omicidi ispirò trame contro Gesù 1 1 • Matteo nomina i sommi sacerdoti e i farisei e Luca gli scribi e i sommi sacerdoti (Mt 2 1 , 45s.//Lc 20, 19). Marco in questo punto non nomina i partecipanti al completo (Mc 1 2 , 12) e per individuare un soggetto per il verbo > (Mt 26, 64). Luca separa il titolo e li presenta come due domande separate. In risposta alla domanda se sia il Cristo, Gesù, secondo Luca, risponde evasivamente e si riferisce al Figlio dell'uomo. Nel risponde­ re alla domanda se sia Figlio di Dio, Gesù, in Luca, risponde: (Le 22, 67-70) . Il solo Marco attribuisce a Gesù un inequivocabile «SÌ» alla domanda se affermi di essere il Figlio di Dio (Mc 14, 62) 1 4 . È sorprendente che Giovanni, che in preceden­ za aveva scritto che «i giudei>> cercarono di uccidere Gesù a causa del fatto che ne che l'intero vangelo sia costituito come Wl «processo� dove si avanza l'accusa che afferma di essere uguale a Dio e vi si risponde.

LA MORTE DI

GESÙ

383

babile che l'accusa di bestemmia non fosse saldamente radicata nella tradizione 16. 3 . Gli scambi di battute tra il sommo sacerdote e Gesù nei reso­ conti sinottici, specialmente in Matteo e Marco, non sono convincen­ ti. Si è affermato in precedenza che fu avanzata un'accusa, quasi cer­ tamente vera, quella del detto contro il tempio; ma i vangeli indicano che Gesù non era giudicato colpevole rispetto a quell'accusa. Marco specialmente afferma che coloro che testimoniarono a proposito della minaccia di Gesù nei confronti del tempio erano in disaccordo (Mc 14, 59). Matteo dichiara che tutti i testimoni erano falsi testimoni (Mt 26, 59), ma egli esplicitamente trasferisce, all'interno della domanda del sommo sacerdote, l'accusa che Gesù minacciò il tempio, ed essa non riceve una replica esplicita. L'argomento che secondo Matteo e Marco conduce all'accusa di bestemmia, l'essere Gesù il Cristo (il mes­ sia) e il Figlio di Dio, non è costrittivo. Innanzitutto la combinazione dei due appellativi appare più cristiana che giudaica: al di fuori del movimento cristiano non è testimoniata la combinazione tra e . Inoltre, come viene ampiamente riconosciuto, nes­ suna delle due frasi può ritenersi bestemmia. Non abbiamo bisogno di accettare la definizione rabbinica di bestemmia (la pronuncia espli­ cita del Nome) (m. San. 7, 5) al fine di depennare e «Figlio di Dio>> dal novero delle affermazioni blasfeme. I successivi sedicenti messia non furono accusati di bestemmia e di Mt 26, 63//Mc 14, 6 1//Lc 22, 67. 70 23. Similmente Harvey •ammette correttamente che gli evangelisti avevano soltanto uno scarno profilo dei fatti. Egli considera elemento indiscutibile una convocazione davanti al sinedrio, anche se non neces­ sariamente un processo. In seguito afferma che la presunta risposta di Gesù al sommo sacerdote è «manifestamente non storica». Tuttavia più avanti presenta come un dato di fatto che a Gesù fosse mossa l'accusa di bestemmia e che la bestemmia consistesse nel suo adoperare il ter­ mine nel rispondere a un'accusa di bestemmia 2 4 • Non vedo come, avendo detto che gli evangelisti conoscevano soltanto un scarno profilo dei fatti e che la risposta di Gesù alla domanda «sei tu il Cristo?>> è astorica, possa poi offrire una dettagliata interpretazione dell'altra metà della risposta di Gesù al sommo sacerdote. - Tutto quanto abbiamo bisogno di fare è di accettare ciò che è ovvio, cioè che non siamo in possesso di una dettagliata conoscenza di quel che successe quando il sommo sacerdote e forse altri interrogarono Gesù. Non possiamo sapere neppure se comparve davanti al «sinedrio>>. Inoltre dubito che i più antichi seguaci di Gesù lo conoscessero. Essi non erano al corrente dell'elenco dei partecipanti; se la gente si preci­ pitò di notte nella casa del sommo sacerdote non c'era nessuno a iden­ tificarli e a trascriverne i nomi. Non dubito che Gesù fu arrestato per ordine del sommo sacerdote e interrogato. Ma non possiamo sapere molto di più. Gli studiosi continueranno a dissezionare i resoconti del «processm>, ma temo che la nostra conoscenza non avrà un grande incre­ mento. Non penso di asserire che gli evangelisti ci abbiano deliberatamen­ te ingannato. Appare del tutto chiaro che essi non conoscevano il motivo 1 1 W . Horbury (, ma la siscemarono all'interno di strutture differenti. 22 ]. Rr:u�1ANN, ]esus in the Church 's Gospels, 64s. " Ibid. , 266. " A.E. IIARVF.Y, Constraints... , 32, 136, 170s.

386

CO:\FLIITO E MORTE

per cui Gesù fu giustiziato a partire dal punto di vista dei capi giudai­ ci. Vedremo in effetti che essi ignoravano persino la composizione di un tribunale giudaico. I neotestamentaristi, parlando tra loro e con i loro studenti, dicono tutti che gli scrittori del vangelo non erano sto­ rici nel senso moderno del termine, ma noi non applichiamo questo fatto in modo abbastanza rigoroso. Uno degli aspetti del corso degli eventi in cui gli scrittori antichi erano in generale più deboli è quello relativo alla causa e all'effetto. Perciò quando l'impero era florido, gli storici romani avrebbero detto che lo. era perché l'imperatore era vir­ tuoso e giusto. Ramsey MacMullen pone la cosa nel modo seguente: Vegezio e Girolamo, discutendo argomenti che sembrano esigere l'effet­ tuazione di paralleli con i loro tempi a partire dal 200 d . C . , invece si spin­ gono indietro fino al 200 a.C. Essi non sono ignoranti. Hanno i loro libri. La stori a si squaderna davanti ai loro occhi, ma vedono sol tanto even ti e persone ondeggiare liberi in un passato senza tempo e privo di reciproci legami causali - il tutto diviene una galleria di ritratti e d i aneddoti iso­ lati resi classici dal loro essere remoti.

Egli continua: «È sempre stato cosÌ» 25. Ritengo che questo descriva molto bene i nostri scrittori dei vange­ li. È ancora più facile mostrare che Luca, cioè colui che fece il massi­ mo per essere uno storico accurato, abbia le stesse carenze degli scrit­ tori suoi contemporanei. Tutto quello che si deve fare è esaminarlo a proposito del censimento, di Teuda e di Giuda il Galileo. Quirinio, Teuda, Giuda, un censimento - sembrano tutti galleggiare senza precisi riferimenti e Luca li inserisce nella sua narrazione. Ma egli in realtà non sa in che modo essi vi trovino la giusta collocazione e neanche se la trovino 26 . Perché le cose dovrebbero stare altrimenti quando Luca giunge ai motivi della !eadership giudaica, ai dettagli come la com­ posizione del sinedrio e agli eventi che effettivamente causarono la mor­ te di Gesù? E in effetti, come vediamo dalle testimonianze reciproca­ mente conflittuali e dai resoconti non convincenti, le cose stanno dav­ vero così. Naturalmente si potrà sostenere che la narrazione della passione pro­ viene da un periodo molto prossimo agli eventi. Ciò è senza dubbio 25 R. MAcMULLEN , Roman Govemment's Response to Crisis A.D. 235-337, New Haven 1976, 25. Cfr. E. BrcKERMAN, «La chaine de la tradition pharisienne�>, Studies in Jewish and Christian History Il, Leiden 1980, 257-269, spec. 257-259. 26 Sul censimenlO (Le 2, l) vedi recen temente J. f-rrzMYER, The Gospel According to Luke I-IX, New York 1 98 1 , 400 («una vaga memoria�> di censimenti che ebbero luogo sotto Cesare Augusto - nessuno dci quali corrisponde al tipo descritto da Luca). Il riferimento a Teuda e

Giuda (AL 5 , 36s.) è ancora «più vago»: la loro successione è capovolta, e Teuda, di cui si dice che venne prima di Gesù, in effetti visse dopo di lui. Vedi Giuseppe, AJ, XX, 97-99.

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vero, ma la prossimità temporale non attribuisce necessariamente agli autori una qualsiasi penetrazione nelle cause e negli effetti e negli intimi meccanismi degli eventi. C'è un'impressione generale di una notte con­ fusa e ciò probabilmente corrisponde al vero (come dedurrò più avan­ ti). È improbabile che qualcuno, anche se prossimo alla scena, conoscesse precisamente le azioni di ciascuno. Sembra impossibile che coloro da cui attinsero gli evangelisti conoscessero le motivazioni interne di colo­ ro che agirono 27. L'inverosimiglianza dell' accusa di bestemmia ha condotto qualcuno a vagliare la scena del processo e la legge giudaica per trovare la prova di un'accusa formale su cui Gesù fosse trovato colpevole nel corso del presunto processo davanti al sinedrio. Coloro che seguono questa linea sostengono che ci fu un processo ufficiale e un verdetto di colpevolez­ za in base alla legge giudaica, così come sostenuto dai vangeli sinotti­ ci, ma che l'accusa non era quella di «bestemmia». Bowker ha propo­ sto la soluzione che Gesù fosse stato condannato in quanto era un «anziano ribelle» 28 e altri hanno proposto «falso profeta>> o «inganna­ tore>> (mesit) 29. Tuttavia una volta che si conceda che non sappiamo che cosa avvenne all'interno - cioè quando ammettiamo che la lunga scena del processo di Matteo e di Marco non sia storica - allora dob­ biamo anche ammettere che non sappiamo l) se ci sia stato un proces­ so; 2) se effettivamente fosse convocato l'intero sinedrio; 3) se ci fos­ se un' accusa formale; 4) se ci fosse un formale verdetto di colpevolez· za in base alla legge giudaica. Ci sono moltissime possibilità. In prece­ denza ho detto che l'attacco contro il tempio poteva venir considera­ to una bestemmia. Presumo che lo si potesse anche considerare l'atto di un «anziano ribelle>>, e che la predizione della distruzione del tem­ pio poteva ridursi alle parole di un . Ma la verità è che non conosciamo le risposte a una qualsiasi delle domande qui elenca­ te. Noi non sappiamo, come non sape�no gli evangelisti. Se, come sembra altamente probabile, essi sbagliarono circa il fatto che Gesù fosse dichiarato colpevole di bestemmia a opera di un tribunale uffiVedi anche D. Li.'rHRMANN, «Markus 14, 55-64�>, 464s. " ]. BowKER, ]esus and the Pharisees, 38-52. P• v 29 Vedi, fra le pubblicazioni recenti, A. STROBEL, Stunde der Wahrheìt, 80-92. A . E . Harvey (Constraints . . , 59) mette in evidenza in modo corretto che , al pari di . Tuttavia si dovreb­ be notare che non è schernito solo il profcri:aare, ma lo è anche il guarire c l'affermazione di essere re. Questa testimonianza non è adcguatà a provare che ci fu un'accusa formale che Gesù fosse un falso profeta. 3 1 Vedi sopra, pp. 262-272. " Vedi sopra, p. 349. " Non le prerogative di Dio: vedi sopra, pp. 35 1-353. .

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Così dobbiamo ancora cercare la causa immediata della morte di Gesù, una causa tale che non implicò pubblicamente e ovviamente lui e i suoi seguaci come ribelli contro Roma, ma che poté essere presen­ tata al procuratore come meritevole di morte. Il solo punto che non potrà essere confutato è l'attacco (sia attra­ verso la parola che attraverso il gesto) contro il tempio. Nella scena del processo Matteo e Marco tendono a occultare la minaccia di distrug­ gere il tempio, mentre essa è del tutto omessa da Luca. Tuttavia riaf­ fiora in seguito (Mt 27, 40//Mc 1 5 , 29; cfr. At 6, 4). Marco collega il complotto decisivo per uccidere Gesù all'azione (non al detto) (Mc 1 1 , 18). Non c'è ragione di supporre che qui egli abbia avuto accesso al pensiero dei capi giudaici, ma questa volta (diversamente da Mc 3, 6), sembra che abbia colto nel segno. Come vedremo meglio più avanti, la scena del tempio è l'ultimo evento pubblico della vita di Gesù: egli visse abbastanza per questo, ma non molto di più. In questo caso sembra assolutamente ragionevole dimostrare post hoc ergo propter hoc. Ciò significa che dovremmo fare un collegamento tra la minaccia di distruzione e I' atto contro il tempio (come ho ampiamente discusso nel quarto capitolo) . Il collegamento non viene fatto nel vangelo. Secon­ do Marco i nemici di Gesù complottano contro di lui a causa dell ' a­ zione profetica ed egli è accusato a motivo della minaccia verbale, ma le due cose non sono tra loro collegate. Marco, infatti, comprese l'azione alla maniera seguita dagli studiosi moderni: era una puri ficazione per preparare il tempio per il culto dei gentili (Mc 1 1 , 17). Dovremmo fare una deduzione in relazione alla connessione interna degli eventi e al rapporto di causa ed effetto, che gli evangelisti non avevano né la capa­ cità né l'interesse di compiere. Probabilmente Gesù, in uno stesso breve arco di tempo, non fece una cosa nel tempio e ne disse un'altra a suo riguardo senza che ci fosse una qualche connessione reciproca. Possia­ mo anche vedere che l' azione e la minaccia (o la predizione) erano entrambe offensive. A nche se Gesù concepì,_se stesso come chi purifica certamente l'azione il tempio per i gentili cosa che non credo afu tto sarebbe stata reputata ostile. Quando l' azione e il detto giunsero all'at­ tenzione dei capi giudaici, certamente essi percepirono entrambi come arroganti e empi. Torneremo più tardi sulla dramatis personae. Qui si deve ripetere che sia la parola che ]'azione sarebbero state offen sive per la maggioranza degli ebrei. Il gesto, anche se non suscitò un grosso tumulto, potreb­ be senza difficoltà avere indotto i romani a pensare che Gesù fosse una minaccia per l'ordine pubblico. In particolare la dimostrazione fisica contro il tempio da parte di chi aveva un notevole seguito si mostra come occasione tanto ovvia per la condanna a morte che non c'è biso­ gno di rivolgersi ad altro. -

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CONl'LITTO E MORTE

Le frasi «dimostrazione fisica>> e «seguito notevole)) costituiscono due punti importanti. Il solo parlare contro il tempio - profetandone la distruzione - avrebbe condotto a una punizione e come minimo alla minaccia di morte. Lo vediamo, riferito a un precedente periodo della storia d' Israele, in Ger 26, dove Geremia è minacciato di morte per aver predetto la distruzione del tempio e della città. In seguito, giusto prima dello scoppio della prima rivolta, vi è la storia di un altro soli­ t ario annunciatore di sventure: un uomo chiamato Gesù andò per le strade gridando. Una voce dall'est, una voce dall'ovest, una voce dai quattro venti; una voce contro Gerusalemme e il santuario, una voce contro tutto il popolo.

Egli fu «castigato» da alcuni dei notabili di Gerusalemme e fustiga­ to fino all'osso, ma alla fine fu rilasciato per continuare il suo grido di sventura 3 4 . Egli non aveva un seguito, non toccò fisicamente una sola delle cose sacre del tempio e fu considerato più o meno inoffensi­ vo, per quanto irritante ed eccentrico. Non dobbiamo aggiungere molto a tali storie per porre le condizioni per la condanna a morte: un' azio­ ne fisica, anche se molto piccola, e un notevole seguito. Non possiamo dire quanto notevole doveva essere un seguito al fine di far sl che un governatore civile agisse senza essere sollecitato. Secondo Giuseppe, Erode il tetrarca agì sollecitamente per giustiziare Giovan­ ni poiché la sua predicazione eccitava il volgo - non sappiamo quale percentuale di esso 35. Risulta chiaro che i «profeti dei segni>> non era­ no maniaci insignificanti con uno o due seguaci 36. Giuseppe dice che Teuda (AJ, XX, 97). Secondo A T, 5, 36 il numero fu di quattrocento. I profeti dei segni di cui non conosciamo il nome furono seguiti dalla «folla>> e da molti (AJ, XX, 1 6 7s.). L'Egiziano era alla guida del volgo (AJ, XX, 169) o di trenta­ mila uomini (BJ, II, 261), oppure quattromila (AT, XXI, 38). Risulta chiaro che per ridurre all'impotenza l' Egiziano ci volle una vera e propria battaglia. Giuseppe (BJ, II, 263) specifica il ricorso agli opliti, fanteria dotata di armatura pesante. Pilato contro i samaritani impiegò sia la cavalleria che gli opliti. Alcuni furono uccisi in batta­ glia, e in seguito Pilato fece giustiziare molti dei capi (AJ, XVIII, 85-89). Teuda e gli altri possono essere stati soppressi ricorrendo a qualcosa di più simile a un'azione di polizia e per Teuda Giuseppe specifica il ricorso a uno squadrone di cavalleria (AJ, XX, 98) . Probabilmente " Giuseppe, B], VI, 300-309, la citazione è tratta Giuseppe, A], XVIII, 1 1 6-1 19. 188). " M. SMtTH, «Palestinian Judaism», 72 (

"

=

da

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c'è un'approssimativa corrispondenza tra i numeri e l'esito. I profeti solitari potevano cavarsela con una semplice fustigazione, quelli con migliaia di seguaci avrebbero condotto non solo se stessi ma anche i loro seguaci a combattere e a morire. (Tuttavia lo scaltro Egiziano fug­ gì) . Ritengo che si possano considerare le storie di Giuseppe come qual­ cosa che fornisce dei parametri approssimativi entro cui possiamo com­ prendere la condanna a morte di Gesù. Egli, al pari di Giovanni Bat­ tista, si colloca in mezzo tra il solitario annunciatore di sventura e l'Egi­ ziano. Il capo fu giustiziato, ma i suoi seguaci no. Tuttavia ci furono abbastanza seguaci per farne un espediente per uccidere Gesù piutto­ sto che limitarsi a flagellarlo e poi !asciarlo libero, come si fa con chi provoca dei fastidi. Queste osservazioni relative ai numeri sono in genere sostenute da prove provenienti dal Nuovo Testamento. L'impressione generale data dai vangeli è che Gesù ebbe un piccolo gruppo di seguaci effettivi. Richiamiamo il punto che egli chiamò a seguirlo non tutto Israele, bensì soltanto un piccolo gruppo selezionato e che il suo messaggio fu in genere individualistico e non espresso nei termini di un pentimento e di una restaurazione nazionali che avrebbe potuto attrarre un largo seguito di popolazione che si attendeva esiti drammatici (ottavo capi­ tolo) . Ricordiamo inoltre che sembra che Giovanni Battista sia stato ucciso da Erode il tetrarca senza alcuna sollecitazione sacerdotale. Una particolare testimonianza indica un apprezzabile numero di seguaci da parte di Gesù, la menzione di Paolo stando alla quale cinquecento per­ sone videro il Signore risorto ( l Cor 1 5 , 6). Non si può fare affida­ mento sul modo in cui gli antichi fornivano valutazioni sulla consi­ stenza di una folla. La cifra di Paolo non fa eccezione. Possiamo rite­ nere che non «tutta la folla» salutò effettivamente Gesù come re o si stupì del suo insegnamento, né che in seguito tutto il volgo di Geru­ salemme sostenne Pietro e gli altri (vedi Mt 2 1 , 8; Mc 1 1 , 18; At 5, 26) . Probabilmente non è vero che il sostegno popolare a Gesù sia stato tanto grande da fare sì che i sacerdoti �e i romani avessero timore di agire contro di lui (ad esempio Mc 12, 12). Le testimonianze vanno in altra direzione; se il sostegno fosse stato massiccio, a soccombere non sarebbe stato il solo Gesù. Non sto accusando gli autori cristiani di essere sia disinformati che disonesti. Essi facevano i loro resoconti secondo le consuetudini del periodo . Non è neppure vero che un'ef­ fettiva maggioranza della popolazione seguì Teuda, e altri riferimenti di Giuseppe al «volgo» e alla «folla» sono allo stesso livello di accura­ tezza di quelli dei vangeli e degli Atti. In difesa degli antichi autori, possiamo osservare che la scienza di stimare quatitativamente le folle è in effetti molto recente, ancora parzialmente inattendibile e in par­ te dipendente dalle fotografie aeree.

3 92

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La discussione sui numeri mi conduce a sottolineare ancora un rilie­ vo compiuro in precedenza: nessuno fraintese la minaccia posta da Gesù . N é i sacerdoti né i romani ritennero che una folla financo di cinque­ cento persone potesse esercitare un'effettiva influenza. Essi avranno agito contro il c apo per prevenire il diffondersi dell'eccitazione, ma i capi del giudaismo non avvertirono che fossero state scosse le fonda­ menta della loro posizione. Possiamo rendere più precisa l 'attuale pro­ posta prendendo atto di quelle di Smith e di Trocmé. Smith disse che fu innanziturto il numero, della gente che, attratta dai miracoli, consi­ derò Gesù messia, a condurlo alla sua condanna a morte n . Trocmé suggerì che Gesù divenne una figura pubblica solo attraverso la sua azione contro il tempio }S. La verità sembra stare nel mezzo. Non si trattò proprio del numero, poiché un seguito sufficientemente ampio avrebbe scatenato una risposta da parte dei romani, anche senza la sollecitazione dei sacerdoti. Né si trattò proprio del disordine di minor entità avvenuto nel tempio. A spiegare e a condurre immediatamente alla morte di Gesù fu la combinazione di un'azione fisica con un apprez­ zabile seguito. I capi giudaici poterono quindi ragionevolmente e per­ suasivamente proporre a Pilato che Gesù dovesse essere giustiziato. Pilato si trovò d' accordo. È probabile che i capi giudaici non conside­ rassero i seguaci di Gesù, una volta rimosso il loro capo, un gruppo in grado di suscitare una qualche minaccia. Ma, se lo fecero, non riu­ scirono a persuadere Pilato. Mi si potrebbe obbiettare che tra il gesto contro il tempio e la con­ danna a morte si frappongono troppi capitoli perché il primo risulti causa sufficiente della seconda. Ma non sappiamo se i considerevoli blocchi di materiale posti tra i due eventi siano stati collocati nel posto giusto. Jeremias, tra gli altri, ha proposto che si Mc 12 e 13 e parr., e la proposta sembra ragionevole }9. Molti han­ no visto la «questione sull'autorità» come qualcosa che all'origine seguiva immediatamente il resoconto dell'episodio del tempio e ciò potrebbe essere corretto 40 Tuttavia non ci sono particolari ragioni per pensa­ re che la parabola della vigna (Mc 1 2 , 1-12 e parr.), l'ulteriore disputa con farisei e sadducei (Mc 12, 1 3-34), la domanda sul figlio di Davide (Mc 12, 35-40) , l 'obolo della vedova (Mc 12, 4 1-44), o la «piccola apo­ calisse» (Mc 1 3 e parr.) rappresentino l'insegnamento e la controver­ sia, che effettivamente ebbero luogo tra gli eventi narrati in Mc 1 1 1 7 M. SMITH, Magician, 16s.; 38-44. " E. TROCMÉ. «L'cxpulsion des marchands du tempie», NTS, 15, 1968, 1-22, }9 J . ]EREMIAS, Predicazione . , 170, n. 15. 40 Vedi sopra, cap, 1, n . l . .

.

spec.

20-22.

LA MORTE DI GESÙ

393

e quelli di Mc 1 4 . Sappiamo tanto poco della relazione tra gli eventi e la sistemazione del materiale dei vangeli, che il materiale che ora si trova tra il gesto contro il tempio e il «processo>> non ci dovrebbe impedire di vedere il conflitto relativo al tempio come l'ultima cosa accaduta prima della condanna a morte di Gesù e probabilmente come la sua causa immediata. Non voglio concludere che a offendere molti dei suoi contempora­ nei fossero soltanto l' azione e il detto contro il tempio. In precedenza si è visto che la presunzione di Gesù di parlare nel nome di Dio avrebbe provocato risentimento. Persino il solitario annunciatore di sventura suscitò irritazione. Inoltre Gesù, in quanto guaritore, attrasse una fol­ la sufficiente da essere accusato di guarire per mezzo di uno spirito cattivo. Tali questioni possono ben avere reso i capi giudaici diffiden­ ti e sospettosi nei suoi confronti. Dal pari, se i capi di Gerusalemme avessero pensato che Gesù avrebbe attratto l 'ostile attenzione di Roma, essi sarebbero stati ugualmente pronti a individuarlo come un indesi­ derabile perturbatore dell'ordine 4 1 . Giovanni attribuisce a Caifa il detto secondo cui «è meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 1 1 , 50). Giovanni ha in mente la morte salvifica di Gesù, ma il detto in se stesso senza dubbio coglie lo spirito della leadership giudaica. Dobbiamo anche tenere presente che nel periodo di pasqua i romani prendevano speciali precauzioni per impedire ogni disordine 42. Molti fattori - la straordinaria autoaf­ fermazione da parte di Gesù; il gruppo costituitosi attorno a lui, la preoccupazione da parte dei capi giudaici di non dare occasione ai roma­ ni di punire in modo generale il popolo, l'ansietà degli stessi romani nei confronti dei profeti e della folla duran te un periodo di festa senza dubbio aiutano a spiegare il fatto che Gesù sia stato crocifisso. Ma egli non fu crocifisso se non dopo aver avuto tempo di compiere una dimostrazione contro il tempio, la quale risulta chiaramente come l'ul­ timo gesto da lui compiuto (eccezion fat'ta per l'ultima cena con i suoi discepoli) prima di essere giustiziato. Il fucile poteva già essere punta­ to, ma fu la dimostrazione contro il tempio che fece premere il grilletto. Anche se si può ammettere tutto ciò, restano importanti questioni ancora irrisolte: perché Gesù fu giustiziato come re? Si può decidere il preciso ruolo dei capi giudaici? Per quanto si siano già toccate entram­ be le questioni, esse sono tali da esigere un ulteriore studio e le affron­ teremo una alla voita. 4 1 Per l'ultimo punto vedi spec.: ] . KLAUSNER, Jesus o/ Nazareth, 345-348. Per l'elencazione del1c cause che vi hanno contribuito, cfr. M. SMITII, Magician, 38-44. 4 2 Giuseppe, B], Il, 224. Egli menziona tutte le feste come mornemi di speciali preparativi da parte dei romani.

394

CONFLITTO E MORTE

L 'entrata trionfale

I vangeli ci offrono un evento precedente all'azione nel tempio che, se si trattasse di una genuina verità, potrebbe ben aver condotto alla condanna a morte di Gesù: l'entrata in Gerusalemme. L'affermazione di essere re è esplicita soltanto in Matteo o Giovanni che citano Zc 9, 9 (Mt 2 1 , 4s. ; Gv 12, 15) e dicono che le folle non gridarono sol­ tanto «Osanna», ma anche «Figlio di Davide» (Mt 21, 9) o «re d'Israele>> (Gv 12, 1 3 ) . Ma anche Marco e Luca raffigurano Gesù a cavallo di un asino, e la maggior parte di coloro che si trovavano in Gerusalem· me si sarà ricordata del passo profetico, specialmente se i seguaci di Gesù gridarono «Benedetto colui che viene nel nome del Signore�> (Mt 2 1 , 9//Mc 1 1 , 9//Lc 19, 38; citando Sal 1 18, 26 LXX 1 1 7, 26). E una storia vera? Forse. Gesù fu giustiziato come uno che affermò di esse· re «re dei giudei». L'entrata e la condanna a morte si corrispondono precisamente l'una con l'altra 4 J . Ma, come sempre, c'è un problema. I vangeli pongono anche molti giorni tra l'entrata e l'esecuzione della condanna a morte; durante questo periodo si dice che Gesù sia andato e venuto senza che il popolo lo salutasse come re. Se effettivamente l'entrata fu quel che ci viene detto che sia stata, perché ci volle tanto tempo ai romani per giustiziare Gesù? Perché i discepoli non furono circondati e uccisi? E perché i vangeli non fanno giocare alcun ruolo alla leadership giudaica? I romani non erano lenti ad agire quando si minacciava una sedizione, né, se si fos­ se trattato di un' ampia dimostrazione, essi avrebbero avuto bisogno di un «processO>> giudaico al fine di essere spinti a intervenire. Forse l 'evento ebbe luogo, ma fu di modesta entità e restò inosservato; sol­ tanto pochi discepoli lasciarono cadere senza ostentazione i loro vesti­ ti davanti all'asino (cfr. Mt 2 1 , 8//Mc 1 1 , 8//Lc 19, 36), mentre sol­ tanto pochi mormorarono quietamente «Osanna>> 4 4 . Considero il passo come uno dei più imbarazzanti fra quelli con­ tenuti nei vangeli. Ammesso che sia avvenuto davvero, certamente i discepoli erano a conoscenza del segreto e sapevano che Gesù sta­ va affermando di essere re. In precedenza si è visto che è molto probabile che essi capissero questa situazione e anche che sapessero �J Proprio quando questo capitolo stava per essere dattiloscri tto, potei leggere un articolo di D. Catchpole che conclude che la testimonianza non è affatto storica (>, Jesus and the Politics of His Day. a c . di E. Bammel · C.F.D. Moulc, 3 1 9·334, spec. 330). I lo lasciato inalterata questa sezione, ma ora si dovrebbe sottolineare ancora di più la natura provvisoria di ogni c.:onclusione basata suiia narrazione dell' ingresso. 4� Per la difficollà di considerare il passo in grado di mostrare qualcosa di relativo all'acco· glienza pubblica di Gesù, vedi E. TROCMÉ, ]ésus de Naxareth vu par !es témoim de sa vie, tr. ing., 63, 1 1 1 ltr. it., cit., ad. /oc.].

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che doveva trattarsi di un genere di re del tutto particolare. L'attesa di un nuovo ordine del mondo (sia esso «nell'aria» o in una nuova Geru­ salemme) , in cui Gesù e i suoi discepoli sarebbero stati le figure domi­ nanti, ma che non sarebbe stato stabilito dalla potenza umana, mi sem­ bra la migliore spiegazione dell'imbarazzante passo dell'entrata «trion­ fale>>. Gesù e i suoi più prossimi seguaci compresero che egli stava entrando come >, 384; cfr . : W.W. Bt;EHLER, Civi/ War, 47; Z.W. Falk (lntroduction to ]ewish Lo.w. . , 54) è più vicino a Giuseppe allorché afferma che i sacerdoti sadducei erano esclusi dal sinedrio. . . . •

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(B], I, 1 14; A], XIII, 4 17s.). È evidente che questi avversari non assun­ sero semplicemente la posizione di minoranza in un organo governati­ vo. In verità il quadro tracciato da Giuseppe sembra escludere I' esi­ stenza di un organo governativo. Il dominio dei farisei sembra che sia andato incontro a un brusco arresto con la morte della regina. Giu­ seppe non at tribuisce loro un ruolo direttivo nei governi successivi. È assai incerto vedere il regno della regina Salome Alessandra come un'epoca a partire dalla quale i farisei assunsero un ruolo permanente nel sinedrio.

2. Anche al processo di Erode il grande si fa riferimento sia nella Guma (BJ, l, 208-2 1 1) che nelle Antichità (A], XIV, 165- 1 84), ma questa volta le due versioni non si trovano in stretto accordo. Nella Guerra Giuseppe dice che molti a corte, cioè attorno al re !reano I I (en tois basileiois) Io spinsero a compiere passi contro Erode. Essi vole­ vano che Erode comparisse davanti alla > poiché . Un rifles­ so di quest'opinione si trova anche nel Talmud babilonese 67, ma Giu­ seppe non ci fornisce nessun esempio speci fico e l' affermazione del dominio dei farisei sembra sia contraddetta dai fatti. Così come lo espo­ ne Smith «l' influsso dei farisei sul popolo, riportato da Giuseppe, non è dimostrato dalla storia da lui riferita>> 68. Gli asmonei (con l'ecce­ zione di Salo me Alessandra), gli erodiani e i sommi sacerdoti sadducei sembrano aver seguito i loro personali punti di vista. Perciò, per esem" Vedi sopra, cap. VI, pp. 253-260; cfr. pp. 239, 261. 66 R . MARCUS, ( a c . di) fosephus (LCL) VII, 3 7 3 . 6 7 Vedi S. SAFRAI, del processo così come descritto dai sinouici, la sua relazione con la giurispru­ denza giudaica c la competenza da parte del sincdrio di comminare condanne a morte sono argo­ menti di intenso dibauito. Per una bibliografia e una discussione vedi: P. WI;"..T ER, On the Triai o/ Jesus, capp. 3 , 7-9; D. CATCIIPOLF., ((The Problem o( thc Historicity of Sanhedrin Triah>. R . E . Brown riassume correttamente che > la combinazione di tutti questi fattori, ma ciò dimostra

4 12

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E IL GHJDAISMO

che egli era un individuo, non un piatto rappresentante di un tipo. Il suo insegnamento può essere stato profondo, perspicace e creativo in un modo unico. Certamente le parabole attribuite a Gesù rappre­ sentano un corpus migliore di quello attribuito a chiunque altro. Il pro­ blema, qui come altrove, è che non siamo in possesso di un materiale comparativo sufficiente per consentirci un giudizio assoluto. Per esempio Giuda il Galileo fu conosciuto come un maestro, ed ebbe dei seguaci, ma non sappiamo che cosa insegnò e come lo insegnò. Inoltre non sap­ piamo se tutte le parabole attribuite a Gesù siano state effettivamen­ te da lui pronunciate. Nel primitivo movimento cristiano ci possono essere stati grandi narratori di parabole. Non si può neppure dire che Gesù fu un uomo buono e grande in maniera unica. Convengo con John Knox che la memoria della chiesa può garantire la sua «personale statura morale>�, ma concordo altresì con lui nel ritenere che la storiografia critica non produrrà mai una figura di sufficiente grandezza morale per soddisfare coloro che han­ no sentito le loro vite nobilitare ed elevate a opera sua 1• In effetti la storia ha grandi difficoltà con la categoria «unicO>>. Non è mai dispo­ nibile un'adeguata informazione comparativa tale da permettere giu­ dizi come «buono in modo unico>>, «compassionevole in modo unico>> e simili. È piuttosto una lacuna della ricerca neotestamentaria consta­ tare che tanti non si accorgono che l'uso di parole come «unico>> e «senza precedenti>> mostra che essi hanno fatto slittare la loro prospettiva dalla storia e dall'esegesi critica alla fede 2_ Si può accettare senza discus­ sioni la grandezza di Gesù come uomo, ma dobbiamo por fine al modo di spiegare il suo impatto facendo appello alle sue qualità personali assolutamente uniche. ' Quanto è senza dubbio unico a proposito di Gesù è il risultato del­ la sua vita e della sua opera. Esse culminarono nella risurrezione e nella fondazione di un movimento duraturo. Non posse{o alcuna spiegazio­ ne o razionalizzazione specifica delle esperienze della risurrezione avute dai discepoli. La loro vivezza e la loro importanza vengono viste al meglio nelle lettere di Paolo. Stando alle mie conoscenze esse sono uniYork 1962, 5 3 - 5 5 . s . E . K3scmann, ad esempio, parla di e nel ca p 9 . Secondo altri Gesù identHicò se stesso in qualche altro modo, per esempio come Figlio dell'uomo (W.G. KuMMEL, Teologia dei NT, 92-104; cfr. sopra, n. 8). Per l'opinione secondo cui Gesù si comportò come il «servo sofferente)> vedi J. ]EREMIAS, Predicllzione. . . , 33.3. Vedi appena sorto. 26 I v . , Gernsalemme al tempo di Gesù, 409: egli fu giu s ti zi a to a causa dciia s u a chiamata al pentimento, In., Predicazione. . . , 309- 3 3 3 : come il «servo sofferente�> mor1 «per molti». 27 C. H. Dooo, l/ fondatore ... , 1 1 7 : egli morì offrendosi spontaneamente in sacrificio per altri; 107-125: egli fuse l'idea di «servo sofferente)> e di messia e le applicò a se stesso, usando l'espres­ sione > come al comune deno­ minatore che sottostà a tutti i tipi e varietà di giudaismo. Pochi pas­ sarono il loro tempo a proclamare questi due punti intesi come un siste­ ma. Qualcuno era principalmente impegnato a discutere i come e i per­ ché dell'obbedienza - mentre pregavano nelle sinagoghe affinché Dio onorasse le promesse del suo patto. Qualcuno trascorse piamente la propria vita compiendo attività necessarie per i sacrifici - sacrifici richiesti dalla legge che furono considerati una parte necessaria della responsabilità d'Israele sotto il patto 4 3 . Qualcuno si fissò sulle pro­ messe di Dio e scrisse e parlò di come esse si sarebbero mantenute - cioè attendeva la redenzione d'Israele. Gesù si colloca qui. Poiché egli non trascorse il proprio tempo a discutere il patto storicamente (per­ ché Dio scelse Israele, perché lo trasse fuori dall'Egitto e interrogativi simili), né a discutere le sottigliezze relative all' obbedienza, ma piut­ tosto a preparare i propri seguaci e uditori alla venuta della redenzio­ ne, sono riuscito a scrivere praticamente un intero libro senza l' espres­ sione «nomismo del patto». Ora, alla fine, essa salta fuori, ma sola­ mente per mostrare un ulteriore modo in cui Gesù si colloca nel suo ambiente. Ora torno ai modi in cui non si dovrebbe impiegare il Nuovo Testa­ mento per descrivere il giudaismo dell'epoca di Gesù. Molti passi neoo Vedi

sotto, sulla motivazione.

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testamentari, seguiti da vari studiosi del Nuovo Testamento, rendono chiaro che Gesù si situa nel suo contesto per contrasto piuttosto che per consonanza: egli va inteso come l'antitesi del giudaismo, o di quella che si suppone sia la sua forma dominante, il farisaismo. Richiamo dal decimo capitolo le espressioni che asseriscono che Gesù «distrusse il farisaismo», «pose fine al giudaismo», o «infranse la legge». Per quel poco in cui si possono intendere come affermazioni storiche, esse pos­ sono significare che egli si oppose al farisaismo, al giudaismo o alla legge. Il nostro attuale compito non è di fare appello ancora una volta alle valutazioni realistiche e dotte, ma di porre in evidenza il caratte­ re dei passi neotestamentari addotti a sostegno di queste opinioni. Esse sono a carat tere polemico. Noi dobbiamo, per capirli, fare attenzione ai temi classici della pole­ mica e al loro significato. Di solito indicano malcontento e non sono veracemente descrittivi. Ne offro qualche esempio. l . Paolo dice che Pietro agì ipocritamente e non conservò la verità del vangelo (Gal 2, 13s.). Non dovremmo permettere a questo passo, ovviamente polemico, di persuaderei che Pietro fosse infedele al van­ gelo e ipocrita. Capovolgiamo la situazione di Antiochia. Supponiamo che Pietro dapprima avesse mangiato soltanto con gli ebrei e poi quando Paolo mandò un'ambasciata modificasse il suo atteggiamento e iniziasse a mangiare con i gentili. Paolo non l'avrebbe chiamato ipocrita, ma avrebbe applaudito al fatto che il suo comportamento si allineasse con il vangelo. Allora Giacomo avrebbe potuto chiamarlo ipocrita per avere abbandonato la posizione e per esporre il movimento all'accusa di non essere giusto. Se egli professava la fede nel Dio d'Israele, perché non credeva anche nell'importanza della separazione degli eletti? Perché danneggiare le sue credenziali presso gli ebrei che potevano essere con­ quistati al movimento? Così, cosa fu effettivamente Pietro? Egli fu un uomo conteso tra due impegni. Non comprendiamo nulla di lui chiamandolo ipocrita. Apprendiamo qualcosa su di lui e sul suo movimento vedendo il con­ flitto in cui era preso - e che tenne anche Paolo nella sua morsa. E Paolo che annunciò il principio di vivere come giudeo per conqui­ stare i giudei e di vivere come gentile per conquistare i gentili ( l Cor 9, 20s.). Criticare Pietro perché non poteva fare entrambe le cose simul­ taneamente mostra che Paolo, nella foga del momento, non si mise nei panni del pescatore.

2. Secondo le stesse linee, dobbiamo altresì supporre che i falsi fra­ telli (Gal 2 , 4) agirono anch'essi per principio, che coloro che predica­ vano la circoncisione avessero degli altri motivi oltre a quello di fug-

CONCLUSIONE

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gire la persecuzione (Gal 6, 12) e che mentre Paolo era in prigione nes­ suno predicò Cristo semplicemente per invidia o per spirito di conte­ sa (Fil l, 15). Ripetutamente Paolo attribuisce agli altri cattive inten­ zioni. Era impegnato in una polemica e di solito le polemiche implica­ no il mettere in discussione le intenzioni nascoste degli altri. La pole­ mica non ci dice nulla su quali fossero le intenzioni degli altri dal loro punto di vista. Lo storico deve fare del suo meglio per ricostruirle e questo non dovrebbe comportare il ripetere con credulità la polemica. 3 . Due o tre volte mi sono riferito alle accuse secondo cui i sacer­ doti servivano nel tempio quando erano impuri a causa del contatto con il sangue mestruale. Troviamo l'accusa nel Documento di Dama­ sco, nei Salmi di Salomone, e un suo riflesso nella letteratura rabbini­ ca 44. Che cosa significa? Se una tale accusa contro i sacerdoti fosse attribuita a Gesù, non dubito che molti studiosi del Nuovo Testamento lo avrebbero riferito come un fatto in base al quale i sacerdoti avesse­ ro dei rapporti sessuali quando le loro mogli erano mestruate. Ma l' ac­ cusa deve basarsi su un disaccordo in relazione all'interpretazione legale. Ovviamente vari gruppi pii volevano estendere il periodo durante il quale una donna doveva essere considerata impura. I sacerdoti segui­ vano invece la legge biblica. Le cose non stanno certo nel senso che i pii che avevano mosso tali accuse avessero conoscenze private sulle consuetudini dei sacerdoti nelle loro camere da letto. Ho appena detto che i neotestamentaristi sono spesso creduli riguardo alle affermazioni del Nuovo Testamento. L' abbiamo visto in differen­ ti contesti, compresi molti che non sono polemici. È effettivamente vero, sostiene qualcuno, che Gesù abbia volto attentamente lo sguar­ do attorno a sé e che le sue viscere siano state mosse a compassio­ ne 45. Naturalmente la stessa credulità si estende alle polemiche e per­ ciò Mt 23, 23 può diventare una lineare affermazione del fatto che descriva i farisei: essi si interessavano semplicemente delle minuzie e trascuravano gli argomenti sul piano religioso. Non sorprende che le affermazioni polemiche composte da redattori siano prese come effet­ tive: è realmente vero che la parabola di Le 18, 10- 1 4 fosse pronun­ ciata contro «alcuni che presumevano di essere giusti e che disprezza­ vano gli altri» (Le 18, 9) e perciò impariamo a che cosa erano simili " Vedi sopra, pp. 90s.

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