I telchini, le sirene: immaginario mediterraneo e letteratura da Omero e Callimaco al romanticismo europeo 9788881471959, 8881471957

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I telchini, le sirene: immaginario mediterraneo e letteratura da Omero e Callimaco al romanticismo europeo
 9788881471959, 8881471957

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DOMENICO MlJSTI

I TELCHINI,LE SIRENE lmrnaginario mediterraneo e letteratura da Dll1eroe Callimaco al romanticisrno europeo

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Capitolo primo

TELCHINI E SIRENE

1. I tennini del problema Per uno storico della letteratura la maggiore curiosità sul tema dei Telchini è forse, e legittimamente, quella di sapere chi sono quegli invidiosi rivali che Callimaco designa e bolla con il singolare epiteto; per uno storico e uno studioso, più in generale, della cultura greca, è forse ancor più interessante sapere che cosa essi sono. Alla prima domanda non è facile rispondere; un po' più facile anzi, a ben guardare, del tutto ovvia - appare la risposta alla seconda. E si può anche aggiungere con sicurezza che una chiara e documentata risposta alla domanda che cosa sono i Te/chini ci avvicina sensibilmente all'individuazione delle persone che Callimaco prende di mira. Da una serie di riflessioni risulterà un ampio quadro riguardo a una categoria mitica che è stata al centro di una disputa, anzi di una vera bega, letteraria: ma, attraverso un avvicinamento progressivo e persuasivo, si raggiungerà un livello di indagine più alto, che consente di scorgere il rapporto di quella categoria da bega letteraria con l'ambito dei grandi miti mediterranei e con i problemi esistenziali cha appaiono collegati con questo ambiente geografico e storico: un affondo sicuro, dunque, nell'esistenza reale, non meno che nel sogno, dell'uomo mediterraneo: nei suoi incubi, forse, ma certo almeno nella sua psicologia, come la cultura greca ce li trasmette. Le identificazioni dei Telchini finora proposte si muovono su un terreno insufficiente di confronti. Si va infatti dalla generica identificazione con dei demoni maligni, che è poco più che una tautologia, a quella con determinati animali realmente esistenti in natura, come ad esempio le foche, che, pur rispondendo al giustificato bisogno di identificare questi strani esseri con animali non dotati di arti corporei (o di tutti gli arti), non appare compiutamente aderente alle indicazioni delle fonti antiche 1. 1

Le;i:icon lconographicum A,~}1hologiaeClassicae (d'ora in poi indicato

8

/)0111eT1icoJ/11.~ti

Singolare appare, in RE I.e., 202 sg., la negazione di ogni rapporto con demoni della navigazione, dotati di un ruolo marittimo (più giustificato il rifiuto di entità vulcaniche o infernali, ibid.). Sulla loro fomrn, il loro aspetto, testimonianza decisiva è Suetonio. 3tEQÌ.j3ì..aoqrriµuùv,ed. J. Taillardat. Paris 1967, IV 92, p. 54, (RE 211 ) à µ XU'tEQOL Teì..xtveç aÀ.tTQEQuec;. fantasiosa figura dei Telchini con m1 animale portasfortuna eiettatore, quale la civetta: siamo sempre nell'ambito di quei volatili sentiti come potenti, potenzialmente minacciosi e spesso effetivamente malefici, salvo ovviamente in quei rari casi in cui l'animale malevolo riservi ad altri la sua forza malefica e all'interessato il rovescio della medaglia di potenza, per lui stesso benefica (come nel caso di Atena, rispettivamente per i nemici di Atene e per Atene stessa) 14• La Beozia, con la sua religiosità arcaica, anzi vero crogiuolo di esperienze religiose primordiali e anche di contatti con 13

RE 217, contro il parere di Blinkenberg.

H Per le diverse identificazioni proposte, nell'antichità con Cureti, Coribanti, Cabiri e Dattili Idei, Strab. X 466, RE 201, 204; per un rapporto con le credenze sull'aldilà e sulle anime, perciò identificazione con le KflQEç(Parche) o le Erinni o le Arpie ibid. 202. Per un aspetto del rapporto con i Cabiri, v. ol-

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l'Oriente, offre un caso di bacino collettore di miti e forme immaginarie, che è legittimo considerare nella sua interezza e complessità, come in sistema; e il sistema delle tradizioni telchinie dice qui, nel suo insieme e nelle sue articolazioni, rapporti col Mediterraneo, rapporti con l'Oriente, connessioni con volatili menagramo, parentela con le Sirene. Una bella conferma, dal vivo, della complessa fem1entazione di miti e immagini religiose, destinate a una larga utilizzazione nel mondo greco e a una proliferazione in direzioni diverse. E questa funzione «mitogena» della regione e dei suoi 1niti e della sua religiosità diventa anche il naturale contesto di quelle assonanze di fondo se non tra le figure (che lì non c'è affinità), però tra le funzioni (esistenziali, e incalzanti angosciosamente l'uomo) dei Telchini, delle Sirene, delle Sfingi (figure fra cui, in maniera parziale, la ricerca finora svolta ha pur parzialmente, e occasionalmente, intra\-;sto delle affinità, mancando però quella centrale fra tutte, e che tutte consolida, quella appunto fra le Sirene e i Telchini). Certamente la notizia è interessante per la connessione di nuovo delle figure dei Tclchini con un'isola mediterranea; e la identificazione, particolarmente discussa, come è noto, dal Van Gelder, dei Telchini con i Fenici, si fonda su passi di questo tipo. C'è forse da dire, che, data la identificazione corrente nella cultura greca, dei Fenici con i concorrenti dei Greci sul mare, e dato il ruolo che i Telchini asssumono di incarnare fantasiosamente le figure negative e invidiose, sul mare, una associazione dei due termini nell'immaginario (quando non si ricorresse, come è però la nonna, alla fondamentale assimilazione con un animale) ha un qualche fondamento. Se poi ora volessimo fare diacronia, potremmo dire che il termine Telchini nasce come ammaliatore-portadisgrazie in generale (livello etimologico), individua, almeno dal 11secolo, sempre di più la sua funzione di l'ersione maschile, controparte maschile delle Sirene (Senomede), matura come uccello delle anime come modello per l'alessandrino e cirenaico Callimaco, si identifica e restringe come metafora letterario-artistica, e via via ricupera il significato più generale di malanni, menagramo, demoni invidiosi, colpi apoplettici, disgrazie. Allora la identificazione con le Sirene vale tra tre, on. 17 e 21. Identificazioni, in considerazione del loro aspetto, in particoare del loro volto (occhi scuri, folte sopracciglia, sgusrdo fisso e minaccioso) con civette, gufi, ma anche con maschere teatrali, appaiono sempre possibili.

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Stesicoro, Bacchilide e Senomede (cioè tra VIINI e V secolo), procedendo già in questo secolo e mezzo, da generici demoni invidiosi, creature ibride di malaugurio, identificabili con le Parche (Keres), a individuare e occupare la versione maschile delle Sirene che ormai si sono fissate sul genere femminile, tendenzialmente di carattere negativo, e competitivo con le Muse. Tra VII e V secolo le creature cattive invidiose e menagramo si sono dunque ormai specificate come Telchini, cioè come Sirene al maschile, separandosi dalle femminili Sirene omeriche di VII secolo. In questo quadro, al Rodio Sim(m)ia, circa il 300-270 a.C., cioè forse poco prima di Callimaco, spetta il compito di dare figura animale ambigua ad esseri, che appaiono ormai nominalmente separabili dalle Sirene, nonostante tutta la loro «reale» affinità profonda, e perciò, a questo punto, utilizzabili per altra funzione metaforica. La provenienza rodia dei Telchini callimachei è supportata anche da questo elemento di storia delle fonti sulla strana razza in questione. Vista dal versante dei miti sulla nascita e poleogenesi di Rodi, e dei livelli di civiltà, a cui fanno riferimento, rispettivamente, il mito dei Telchini, quello degli Eliadi e quello dei Dori di Tlepolemo (si veda più avanti), la VII Olimpica di Pindaro, per il pugile rodio Diagora, funge da terminus post quem, nella prima metà del V secolo (464 a.C.), per la definitiva formazione, con Senomede (v. sopra) della leggenda dei Telchini, per effetto del separarsi e rendersi distinguibile e in qualche misura autonoma la loro figura mitica da quella delle Sirene, a cui complessivamente appartiene. Qui Pindaro infatti conosce e celebra gli Eliadi e Tlepolemo, ma si limita forse ad adombrare il mito telchinio, che dunque sta ancora prendendo faticosamente corpo, emergendo dal contesto mitico delle Sirene, come sua controparte maschile. Lo stesso Bacchilide risente ancora di una nozione primordiale, che potremmo dire «stesicorea», di Telchini come personaggi invidiosi, come tremende iatture, discendenti di Nemesi e di Tartaro. Solo col tempo si definirà la loro figura mitica e la loro diversità-parentela con le Sirene, con tutto quel che segue, appunto, in Callimaco, in pieno III secolo a.C. Una mitogenesi questa che richiede dunque, per limitarsi alle testimonianze letterarie, dopo la premessa «omerica» ed Alcmane (VIl secolo, per le Sirene), un paio di secoli per la sua gestazione, fino a Bacchilide (fr. 52 Snell-Maehler) e Senomede: entrambi di Ceo, ed entrambi dm1que di un'isola dell'Egeo, che appartiene, per ciò stesso, a quell'ambiente geografico e culturale che ha prodotto il

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mito delle Sirene, e che, anche per questo, è naturale abbia dato vita o ahneno risonanza a un sottoprodotto della stessa categoria, i Telchini. Dunque a) c'è un livello omerico, di Sirene al femminile; b) a un livello arcaico-postomerico, ricostruibile tra Stesicoro, la ceramica ante 550, Pindaro, Bacchilide e Senomede, ci sono anche Sirene al maschile (Telchini); e) Callimaco-Zenone ne fissano i tratti anfibii e artistici, con particolare utilizzazione nella polemica di Callimaco e intorno a Callimaco; d) la versione omerica delle Sirene ha finito col prevalere nella raffigurazione di queste creature acquatico-aeree, mentre alla figura (post-omerica e callimachea) dei Telchini è rimasto, per il futuro, cioè per la loro immagine nella cultura tardoclassica e bizantina, solo il carattere popolare delle creature di malaugurio e, più in generale, di disgrazie. Anzi, quanto più si separano tra loro le figure, rispettivamente, delle Sirene omeriche e dei Telchini, dopo il V secolo a.C. e in particolare in età ellenistica, tanto più si riducono nella tradizione ed erudizione i punti di contatto, perciò le Sirene vere e proprie ormai sono e restano quelle omeriche, pur con occasionali sviluppi positivi delle loro doti canore, ai Telchini resta invece riservato il carattere nefasto-malaugurante-iettatorio, degno solo di esorcismo: e questo è particolarmente (e comprensibihnente) chiaro nella tradizione interpretativa scoliastica dell'Iliade e dell'Odissea. Sicché noi cogliamo, tra VII e III secolo a.C., la coscienza della loro natura vera (certo nell'ambito delle creature fantastiche e ibride) e della stretta parentela che sussiste tra Sirene e Telchini, mentre poi se ne perde il senso, senza che vengano mai meno le etimologiche fortissime conessioni. Non vorremo comunque trovare dei riscontri in natura di questi parti della fantasia! Se riscontri dovessero esservene, avrebbe senso indicarli, solo se fossero totali; altrimenti, a che serve dare un nome e cognome al preteso riscontro reale, quando questo non coincide in tutti i dettagli e per di più la creatura poetica è chiaramente fantastica? Chi mai ci impone di fare un matrimonio tra i Telchini e una realtà naturale, p. e. le foche, che non corrispondono in tutto a una creazione della fantasia, che per definizione, oltre che per chiara intenzione, non vuole e non può avere puntuali riscontri nella realtà? Chi ce lo fa fare di combinare un «matrimonio» tra animali come le foche (pur con tutta la visibile ed etimologica o paretimologica presenza delle foche nel nome e nelle monete della ionica cità di Focea) e i Telchini? Questo

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matrimonio non s'ha da fare: nessuno lo vuole, niente lo impone, sono gli stessi soggetti soggetti implicati i primi a rifiutarlo: la specie naturale, nella realtà; la specie poetica perché, dichiaratamente e comunque tradizionalmente, è solo un parto della fantasia. È opportuno invece appurare le suggestioni complessive: ambientali, culturali, letterarie, artistiche, associativo-mentali, e quant'altro. Un fidanzamento e un'intesa sì, un matrimonio, no: fuor di metafora, un'associazione che ci chiarisca i contesti e le suggestioni, sì, una identificazione, no: essa appare infatti o troppo precisa, e niente la impone, o troppo povera, quando ci precluda la possibilità di una comprensione strutturale-sincronica, cioè dei richiami associativi, e però anche diacronica, cioè degli sviluppi di tale creazione della fantasia. Come mostra in un'accurata disamina delle fonti Carlo Brillante 15, i Telchini sono nella versione diodorea figli di Thalassa, o di Ge e Pontos 16,o nati dalle gocce di sangue che stillano dai genitali di Urano (primo elemento di raccordo con l'aria) o figli di Nemesi e del Tartaro (Bacchilide, fr. 52 Snell-Maehler): entità primordiali, forze endogene; dalla varietà delle versioni si ricava essenzialmente questa connotazione storico-culturale di primordialità e di collegamento con i grandi regni della natura, la terra, il mare, il cielo. Conformemente essi hanno anche tratti di uccelli. Essi infatti, come risulta dal fondamentale passo del Suetonio, 15

L'invidia dei Te/chini e l'origine delle arti, in «Aufidus• 19, 1993, pp. 7-42. In generale, sul carattere di maghi malefici, nella direzione degli studi di A. Brelich e M. Detienne - J.-P. Vemant, P. REALACCI, / Telchines, «maghi» nel segno della trasformazione in Magia. Studi di storia delle religioni in memoria di Raffaela Garosi, Roma 1976, pp. 197-206. L'affinità con nani e coboldi della mitologia germanica era chiaramente detta in una breve e limpida voce enciclopedica di A. Rostagni, nella Enciclopedia Italiana, voi. XXXIII,1937, s.v. Te/chini, dalla quale si avverte comunque l'assenza, nella tradizione degli studi, di qualsiasi diretto collegamento con le loro parenti prossime, le Sirene; la conferma dell'assenza di questa consapevolezza si ha anche dalla lettura di quadri complessivi sulla fantasiosa popolazione del mare come A. Lesky, Thalatta, Wien 1947, p. 88. 16 La duplice ascendenza da Terra e Mare corrisponde eccellentemente alla loro duplice ambientazione e funzione, mineraria e marittima, con tutto quel che abbiamo detto seguire a questa doppia connotazione, e che ha larghe corrispondenze anche in elaborazioni nord-europee di leggende attinenti a personaggi, femminili e maschili, dell'immaginario delle acque (v. avanti).

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pì..a in maniera come inafferrabile - e tuttavia alla fine inconfondibile tra la forma delle Sirene, quella di Leucotea, quella dei Telchini. Sono tutte figure ambigue tra il bene e il male, tra l'incanto e il malefico incantesimo, tra il soccorso e l'invidia per i naviganti: materializzano, in questo loro fluttuare, l'ondeggiare stesso del mare, cioè l'esperienza di fondo del greco, e perciò nel contempo costituiscono una grande metafora dell'esistenza. umana, con tutte le sue incertezze e le sue angosce. La localizzazione presso e nella penisola sorrentina è indiscussa. Più problematico, ma neanch'esso da tacere, appare un altro nesso possibile, quello tra le Sirene e la stessa etimologia di Surrentum. Probabilmente Surrentum, e in particolare il gruppo consonantico Sm, sono da ricondurre a una radice srsrto, e da associare alla radice che ha prodotto il nome del fiume Samo. Tuttavia, nelle tradizioni che sono frutto dell'immaginario costruttivo del mito e della storia delle fondazioni, la paretimologia, cioè l'etimologia popolare, dovuta ad una associazione delle immagini, conta non molto meno della etimologia vera e «scientifica», che pur resta la prima da tener presente. Strabone di fatto nel parlare di Syrrenton sia nel libro I (22) sia

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nel libro V (247), stabilisce un rapporto direttissimo nella topografia tra quel toponimo e le isole Sirenusse. Sulla intenzione di Strabone di sottolineare, con la costruzione sintattica dei due passi (dei cui particolari diremo dubito anche di più), la diretta pertinenza topografica tra le Sirene, le isole Sirenusse e Sorrento non vi è alcun dubbio. Ma l'assimilazione tra i due nomi greci assonanti per le Sirene e per Sorrento, comunque resa possibile dalla disinvolta fantasia etimologica degli antichi, diventava ancor più facile grazie alla verosimile presenza di fenomeni fonetici, o almeno di loro remote premesse, che rendono assai simili la pronuncia della parte iniziale, e di per sé dominante, dei nomi l:u Q QEVtÒv(*Sir rentòn) e l: E t Q fi v E ç (*Sirines) o anche l:E1.Q11vouooat(*Sirinusse ), tanto più se si pensa che all'epoca di Strabone (età augusteo-tiberiana) la resa latina Sir enae aveva già aperto la strada ad una resa i del greco -Et. Per il toponimo Sorrento invece avrà vinto la ambivalenza, nella resa latina del suono, tra i ed u, come nel caso di Silla/Sulla, e la storia del toponimo latino ha proceduto per una sua via, come Surr(i)entum. Così, in I 22 di Strabone leggiamo: tàç youv l: E t Q fi v a ç toùç µèv btì. tijç IIEÀ.roQuiboç xaihbQUEtv, toùç bÈ: btì. trov l: E t Q 11v o u o o ro v x>..ei.ouçii burxv..i.ouçbtexouorov otabi.ouç· dvat b' aùtàç cnwxEÀOV tQtxÒQu cercheremo di spiegarlo meglio più avanti. Fin qui abbiamo toccato il mito delle Sirene, partendo dallo specifico tema dei Telchini. L'aver stabilito l'inoppugnabile e stretto, anche se finora non visto, rapporto tra Telchini e Sirene serve certo a capire la natura e la specie di quegli animali immaginarii che sono i Telchini. Ma viceversa, poiché i Telchini callimachei altro non sono che figure mitiche divenute con Callimaco compiuta metafora letteraria, questo processo di metaforizzazione sollecita il lettore dell'Odissea di Omero a chiedersi se dietro le stesse Sirene omeriche non ci sia un significato più specificamente letterario, una prima, embrionale indicazione di una poetica letteraria, quale maturerà in Callimaco, e quale potrebbe suggerire proprio il confronto con il poeta ellenistico, tanto più che il contenuto del canto malioso e pernicioso delle Sirene altro non è che l'Iliade, e, più in generale, l'epos continuato (di cui in fin dei conti la stessa Iliade rappresenta, rispetto al complesso della tradizione orale, soltanto un pezzo scelto). Della decennale guerra contro Ilio, il poema omerico rappresenta, come tutti sanno, solo un breve episodio. Quantificata in numero di giorni, l'azione del poema di guerra comprende solo 50 giorni. Ma, tolti i «tempi morti», che scorrispondono a 40 giorni o poco più, i tempi di azione si riducono ancora 31 , e perciò la stessa Iliade costituisce una selezione: ma ovviamente si poteva andare parecchio avanti su questa strada della riduzione e variazione della materia epica tràdita. Ai versi 189-191 del XII libro dell'Odissea leggiamo: «noi conosciamo tutto quel che nella vasta Troia Argivi e Troiani soffrirono per volontà degli dei, e quante cose accadono sulla terra che molti nutre>). 31

Cfr. per es. A. 1957/8, pp. 36 sg.

LESKY,

Geschichte der griechischen Literatur, Bern

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La domanda fondamentale, su questo tema, è ora: perché il poeta dell'Odissea, o almeno del XII libro del poema, per dare un contenuto al canto bello e mortifero delle Sirene non trova di meglio che mettere nel loro canto, e sulle loro labbra, le vicende dell'epos acheo-troiano, e in generale dell'epos dei grandi fatti umani? Potremmo rispondere: «perché questo è da considerare, nel contesto epico, come il sapere per eccellenza». Ma perché poi questo canto, oltre ad essere dolcissimo, è anche rovinoso? Noi non possiamo naturahnente interpretare il prius con il posterius, il prima con il dopo; ma correttamente possiamo chiederci: perché mai i Telchini, per Callimaco, per il fautore della poetica dell'epillio, del poema breve, diventano il simbolo della conoscenza e della tecnica epica tradizionale? E che ruolo ha, nell'adozione di questa categoria dei Telchini, il fatto che le Sirene, quelle che ora ci si rivelano come le loro strette parenti, hanno come oggetto del loro canto, malioso e pernicioso, proprio l'epos continuo, che conserva la memoria di tutti i fatti di Troia, e in genere di tutta la sterminata materia epica? 32 Il senso generale del prologo degli Aitia callimachei restituitoci dal Pap. Oxy. XVII 1927, 2079 fr. 1 (= fr. 1 Pfeiffer, vv. 1-40) è stato illustrato da R. Pretagostini 33 , che ha sottolineato la presa di posizione del poeta contro i Telchini, suoi detrattori, che gli rimproveravano di non aver composto un carme uno e ontinuato, che si caratterizzano come ~aoxavoi.. cpDoveQol, YOtl'tEç(maldicenti, invidiosi e imbroglioni), e a cui egli contrappone orgogliosamente la sua ÒÀl.yoonxlri(arte dei pochi versi, gusto per i componimenti brevi), corroborata con un confronto tra la preziosa, anche se piccola, pianta del grano e altre e più grandi e meno utili piante, cioè, come è stato lungamente creduto, tra le poesie di di Filita di Cos o 32

Ch. SEGAL, op. cit. in n. 7, caratterizza bene il significato letterario del canto delle Sirene nell'Odissea, come qualcosa di freddo e cristallizzato, privo di vita, statico, morto e passato (100). «... the past of which the Sirens song has the deadly vacuity of what is long dead» ( 1O1). Ma dobbiamo passare alla conclusione naturale che il parallelo esatto al loro canto mortalmente noioso è appunto il canto dei Telchini, il poema lungo, continuo, tradizionale, contro cui Callimaco inalbera il suo programma di ÀVttÒV. Diversamente però, sulle Sirene, CERRI,in «Dioniso• 55, pp. 165 sg., e BREGUA Pu1..c1 DoRIA,art. cit. in n. 6, p. 66. 33 Nelle Ricerche sulla poesia alessandrina. Teocrito, Callimaco, Sotade, Roma 1984, pp. 121 sgg.

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di Mimnermo, e la Lide di Antimaco di Colofone ('tà o'>J.yrov o,;lxwv Vta1t0Litµa'ta Mi.µvéQµou'toO KoM>w'ta 'toO Ku ~e>.:tiova't(G>v)xoì..uo,;txrovaù-t(rov)q>aoxwvelvaL (ivi, pp. 125 sg.) o, come ora si pensa, mediante il confronto all'interno della stessa produzione, rispettivamente, dunque, tra le loro poesie brevi e lunghe. Ritengo comunque che già l'Omero dell'Odissea (al più tardi), a una retta interpretazione del mito delle Sirene e di quelle figure di demoni seduttori e maligni, che ci si sono ormai rivelate come le strette parenti prossime, abbia costituito la premessa per una utilizzazione letteraria del mito medesimo, proprio perché cita nell'Odissea l'Iliade, e annuncia di fatto una battaglia per il rinnovamento del gusto nella narrazione epica, che nell'Odissea è ancora contenuta entro i limiti decorosi della competizione, mentre diventa, negli sviluppi e anche nelle deformazioni di età ellenistica, una polemica e una autentica bega letteraria. Tutti gli elementi che compongono il mito delle Sirene si rivelano dunque fecondi ai fini della formazione del mito dei Telchini, come adottato da Callimaco. Anche sotto il profilo della forma assunta dal contrasto letterario, dunque, il mito omerico delle Sirene si rivela «ricco di futuro•, pur se, come ho detto, allora si presenta nella forma di una innocente competizione e, qualche secolo dopo, in quella di una astiosa e rissosa rivalità. Così la cultura dello q>irovoç;e della lite crescit eundo, trascinando nel suo vortice, e avvilendo non poco, un grande mito esistenziale mediterraneo. Da parte sua A. Cameron 34, mette in evidenza la natura di «Rhodian metallurgist-magicians• dei Telchini; trova però scarsi i riferimenti al malocchio, attenua il rapporto di quelle figure con le Muse e la letteratura, e data il prologo degli Aitia circa il 270 a. C., e non nell'ultima fase dell'attività compositiva di Callimaco. Egli tende dunque a considerare più tardi del prologo degli Aitia gli altri due testi (Inno a Delo 31 e il Cidippe) dove compaiono i Telchini. Dunque ci sono anche dei buoni Telchini, che vengono salvati dalla strage, e sono Dexithea che si giacque con Minosse, e il figlio di questa, Euanthios, il fondatore di lulide nell'isola di Ceo, della cui fondazione parla Senomede (cfr. Bacchilide, Epinicio 1 ) : ma anche un «ammaliatore», una volta tanto, può riuscire benevolo e benefico! A parte le considerazioni di cronologia callimachea, accettiamo .H

Callimachus and his critics, Princeton 1995, pp. 259 sg.

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che nel Cidippe Callimaco scelse di impiegare «così vaghi concetti come insolenza ed empietà, in nessun luogo puntando al malocchio, molto meno ad ogni connessione con le Muse o con la letteratura» 35 • In linea di principio, credo anch'io che fosse più facile isolare dei buoni Telchini all'interno di una precedente rappresentazione negativa, passando ad una rappresentazione positiva «di circostanza», per una fonna di ossequio verso i Cei e verso la città di Iulide in particolare, che non passare, all'inverso, da una rappresentazione positiva ad una demoniaca e infausta (con quel vizio principe nella cultura mediterranea che è l'invidia dello sguardo e del sentimento, oltre che della parola, che caratterizza i Telchini fondamentalmente come personaggi malefici). Non condivido però l'opinione che si debbano svalutare come tarde le fonti che parlano della baskania dei Telchini, come un tratto che risulterebbe solo dalla influenza del prologo degli Aiti.a, perché, scrive Cameron, p. 260, «in nessun luogo noi troviamo una chiara spiegazione o anche solo illustrazione della loro malignità», e Strabone, XIV 653 sg., offrirebbe solo la «razionalizzazione secondo cui essi stessi erano colpiti da rivali gelosi della loro abilità artigianali». D'accordo che il considerarli oggetto, oltre che soggetto, di invidia, può apparire come una razionalizzazione, che eleva a sistema il tipo di rapporti sociali interpersonali e affettivi che si determinano nella società dei letterati ellenistici, e in particolare nella società dei letterati di corte. Ma il legame profondo, originario, radicale e strutturale, e non soltanto secondario e callimacheo, dei Telchini con la malignità e con la letteratura e, in genere, con varie fonne di professionalità, risulta assai più che da un confronto fra diverse versioni su questi parti della fantasia mitopoietica dei Greci: risulta già dalla strutturale, primigenia connessione di queste figure con quelle delle Sirene, e garantita da immagini arcaiche e da ruoli, e dallo stessso comune rapporto di competizione fra loro e le Muse. Insomma: può anche darsi che le figure mitiche dei Telchini siano messe a frutto per una polemica letteraria solo da Callimaco nel III secolo a.C. Ma, una volta chiarito che i Telchini sono fondamentalmente l'equivalente maschile delle Sirene, è possibile fare un passo ulteriore? Siamo in ogni caso stimolati dal fatto che in definitiva, per il poeta di µ, il contenuto di quel canto dannato è costituito proprio dall'Iliade e dall'epica tradizionale. Di fronte ad essa "jj



.

· · Op. Clf., p. 260.

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già l'Odissea significava dunque una scelta particolare, quella di un tema specifico, di un argomento a parte, di una vicenda, di una «avventura» particolare. In qualche modo, rispetto al «solito vecchio film» delle sofferenze di Argivi e Troiani sotto Troia (Iliade e dintorni), l'Odissea rappresentava qualcosa di nuovo, quanto a estensione (ridotta), a tematica (di avventura), a scelta monografica, in una misura anche più forte della pur monografica Iliade 36 . Significava qualé·osa di nuovo, che ·in termini storico-politici corrisponde alla grande novità dell'VIII e del VII secolo (colonizzazione, seguita appunto dal grande poema sull'Occidente e sulla relativa avventura coloniale greca). Era un tema «nuovo», individuato grazie alla tecnica del selezionare una sola, se pur cospicua, parte di un discorso epico altrimenti onnicomprensivo, in quanto rivolto a «tutto quel che hanno sofferto Argivi e Troiani, tutto quel che accade sulla fertile terra!». Nello stesso Omero, dunque, l'Odissea è una scelta monografica nuova: nuova tematicamente, nuova formalmente, nuova storicamente. Vediamo dunque quanto feconda sia questa identificazione di fondo Telchini/ Sirene, che qui abbiamo dimostrato. Ma per concludere, e senza comodi equivoci: 1) capiamo ormai meglio perché Callimaco abbia scelto i Telchini, versione maschile delle Sirene, per bollare i suoi avversari e rivali di poetica epica. 2) Forse - e qui il forse è davvero d'obbligo - già nell'Omero dell'Odissea, libro XII si coglie la proclamazione di una: poetica diversa. Del resto, rispetto alla nebulosa (o galassia) dell'epos tradizionale, la stessa Iliade, come abbiamo visto, era una scelta monografica parziale. Con l'Odissea, tuttavia, è innegabile che il passo avanti sia ancora più netto e sensibile, a) perché è un racconto romanzesco, un autentico «romanzo» di avventura, b) perché porta in un ambito geografico extra egeo e perciò fondamentalmente nuovo per i Greci che vivono nell'area tutt'intorno al mare su cui si affaccia la penisola d'origine, e perciò consegna fantasiose e mitiche memorie dei nuovi luoghi acquisiti alla grecità nel Mediterraneo. 3) In ogni caso, qualunque sia stata l'originaria intenzione del poeta del XII libro dell'Odissea, è almeno da ammettere - una volta che abbiamo stabilito la equivalenza «di fondo» tra Telchini e Sirene che Callimaco abbia potuto essere ispirato, e incoraggiato alla ~ Sul numero di giom.i di azione nell'Iliade, v. A. LEsK\', op.

l'inizio del capitolo.

cit., cit. al-

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adozione della metafora dei Telchini verso i suoi avversari di produzione poetica, proprio dal fatto che le Sirene, nell'Odissea si presentano come autrici delle Lungaggi.ni (lungaggini tristi!) dell'Iliade e del diffuso ciclo epico. E ora possiamo riferirci al testo più importante sull'argomento in discussione Si tratta, del prologo degli Aitia callimachei e dei relativi scolli. Callimaco, nel prologo citato scrive: «A me stridono addosso (epitryzousin) i Telchini ignoranti che non furono amici alle Muse, perché non ho fatto un poema continuo (ev aeLt.Y,.,flELç anche lui forza endogena, anzi propriamente vulcanica, legata alla terra e al mare, ai terremoti e ai maremoti e, come tale, in un fecondo continuo contatto con i preziosi beni del sottosuolo, capace anch'egli di trasformare in materia vivente (e semovente) l'inerte metallo 46 • Non sorprende, sotto questo aspetto, che la fantasia greca consideri figura divina congrua con la entità immaginaria dei Telchini Posidone, il dio del mare e del terremoto, spettante, in termini di storia della civiltà, a un livello più aspramente primordiale di quello di Zeus (che pur ne è il fratello) o del Sole (che, sotto il dio del cielo, quale è Dieus-Zeus, naturalmente trionfa). p. 51, un sospetto di rapporto (con i Cabiri), che mi sembrerebbe del tutto giustificato; i Cabiri sono per altro evocati espressamente a p. 47, dallo stesso autore, come figure associabili ai Telchini. Su Leukothea, nel mito che Diodoro attinge al rodio Zt::-.o-..:,ibid. p. 52. 46 D. ML'STI, Storia greca, Roma-Bari 1()99, a•ed. (Manuali Laterza), p. 107, sull'automazione nel mito di Efesto.

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Loro connotazione è la perniciosità, che si esprime come volontà di nuocere, come baskania, cioè come invidia e malocchio, in questo senso essi sono creature gufacee. Ma la ~aoxavi.a, nella cultura mediterranea, è soprattutto la forma complessiva delle relazioni, delle relazioni sociali interpersonali, sotto il profilo negativo. Non è quindi facile limitare il concetto di baskanìa, a un malaugurio, un malocchio, una jella, esercitati in una sola direzione: fosse così, «basterebbe», per così dire, che il minacciato dal malocchio se ne difendesse con strumenti altrettanto superstiziosi quanto quelli da cui si crede minacciato. Ma sta di fatto che quello del malocchio è un tipico terreno di influssi negativi indotti reciprocamente e coinvolgenti l'umanità intera che vi crede, in una rete, anzi in un vero sistema, di relazioni negative, che operano pluri-, o almeno bi-direzionalmente. Perciò nel quadro fornito da Strabone c'è una qualche incertezza - che si presenta come duplicità di versioni - sul tipo di collegamento tra l'invidia e i Telchini: «alcuni - egli scrive in XIV 654 - ritengono che siano essi a invidiare (a «gufare», potremmo cl.ire!), secondo altri sono essi invidiati proprio in quanto grandi artisti». La cosa è meno chiara nella un po' precedente versione diodorea; potrebbe essere per esempio che la loro menomazione fisica sia ritenuta indotta da formule magiche (asmata), che avrebbero agito invidiosamente contro di loro (v. sopra). Se la varietà delle versioni riflette, come si è detto, la naturale forza onnicoinvolgente dell'invidia, tuttavia il fatto che i Telchini appaiano come artigiani e al tempo stesso invidiosi (in generale), e specificamente distruttori delle forze vitali, estendendo il loro potere malefico fino alle piante - scii. passando attraverso uomini e animali, perciò su tutti gli organismi viventi-, il tema dell'artista oggetto di invidia si rivela come uno dei percorsi attraverso i quali le figure dei Telchini, rivali, più in generale, nell'arte, potevano diventare, in mano a un poeta di relazioni sociali e di corte, come Callimaco, la celebre, e finora piuttosto oscura, metafora dei rivali in poesia e letteratura. Le componenti del sistema mitico costruito intorno alla figura dei Telchini sono ormai così tutte spiegate: forza primordiale, quindi qualità artistiche e artigianali, quindi avvolgente ed onnicoinvolgente rete di invidie (subìte, oltre che provate), quindi fascino (nel senso di qualità artistiche indubbiamente possedute ericonosciute, ma anche di fascinazione sinistra, perniciosa, nefasta).

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Così i Telchini (ed è questo il secondo contesto ambientale, dopo la terra e il sottosuolo, entro il quale appaiono collocati) sono collegati in maniera particolarissima al mare, e con essi è sempre connesso il dio del mare Posidone, che ne sposa la sorella Halia, «Marina» (un altro argomento, questo, se ancora servisse di individuare l'orizzonte ambientale dei Telchini: l'elemento marino, certo associato alla luminosità solare) ,fl. Ma, come alla ambientazione terrestre e «mineraria» dei Telchini compete una qualità artistica che consiste nella lavorazione dei metalli duri, come bronzo e ferro, così all'ambientazione marina corrisponde la sua propria e specifica qualità ed eccellenza artistica, che è il canto, un canto fascinoso, come fascinosa è, sull'altro versante, la loro metallurgia: ma anche in questo secondo ambito la loro qualità artistica non è dissociata, anzi è fortissimamente associata con l'effetto nefasto, dovuto a un 'invidia che trasforma in rovina la fascinosa performance. Ed essi appaiono come cantori per il tramite dell'ambientazione e connotazione marina, e però anche solare. E anche sta qui nel senso di secondariamente, in quanto si tratta di una connotazione aggiuntiva, senza con ciò volere sminuire minimamente il valore di una componente, che in ogni caso va vista come sopraggiunta sull'ambientazione originaria e radicale, che è quella marina: proprio come per le Sirene! A voler completare l'analisi del «quadrato sistema» entro cui si colloca il mito dei Telchini, come essi, presi per sé, sono figure sia minerarie sia marine (o marino-solari), così essi vengono - nella diacronia storico-culturale dell'isola di Rodi, costruita nel mito dei suoi successivi popolamenti - a rappresentare la prima fase del popolamento rodio, quello primordiale, a cui fa seguito come secondo, e sempre mitico, popolamento, quello degli Eliadi. Rodi, la rosa, è dunque figlia innanzi tutto del mare; ma, come ci informa Diodoro, l'isola fu sommersa dalle acque al tempo del Diluvio universale; e l'argilla tutta impregnata di acqua poi fu prosciugata e resa secca dal Sole; ed allora la popolarono gli Eliadi, e tutto questo diede origine alla nuova Rodi, che successivamente fu occupata dall'Eraclide Tlepolemo 48 • 47

Meno insistita in Van Gelder, pp. 53-55, questa consequenzialità mare-sole. Rodi è una donna che sposa Helios, onde gli Eliadi (cfr. Pind. 01. VII 39 sg., 71 sg.). Sul tema, Asct:u 8F.RSARDISI, op. cit. in n. 20. -tS Il nome di Cidippe ricorre nella tradizione locale di Ceo e di Nasso, in

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In questa sequenza i Telchini rappresentano un popolamento primordiale rispetto a quello degli Eliadi; la figura divina che a tale popolamento primario corrisponde è, come già detto, il dio del mare Posidone, che, in quanto tale, rappresenta anche l'elementobase della storia di Rodi; ed è anche l'epoca del regno di Zeus, un momento più evoluto di quello di Posidone. Dunque, i Telchini, che, in quanto collocati in un orizzonte terrestre, esercitano arti minerarie e manuali, si esprimono e manifestano invece nel canto e nel seducente - e all'occorrenza anche infido - fascino del mare, in quanto collocati in un orizzonte marino. E come, nella storia mitica di Rodi, gli Eliadi rappresentano uno stadio successivo anche se contiguo a quello dei Telchini, così alla fondamentale connotazione marina si connette immediatamente quella solare. Anche per questa via, la loro identificazione di fondo con le Sirene, in quanto ne rappresentano il versante maschile, è particolarmente chiara. In mare essi cantano e affascinano e, invidiosi, uccidono, esattamente come le Sirene: il loro canto infatti, come quello delle Sirene, è solo incantesimo; e, come le Sirene, essi sono seduttori, ammaliatori, ma ingannatori, ciurmadori. Verso di loro possono valere solo cautela e scongiuri, e un intimo «non ti curar di lor ma guarda e passa», proprio come nel XII libro dell'Odissea fa lTiisse: salvo che egli però almeno ascolta (nella nave egli ascolta, e guarda, proprio come uno spetttatore, inchiodato al suo posto di teatro: ma con la nave passa oltre!). Così un grande mito mediterraneo, quello delle Sirene, diventa il paradigma di una disputa o addirittura di una vera bega letteraria. altro contesto, quello dello stratagemma di Aconzio, per sposare la ragazza (la mela d'oro, recante incisa una formula di giuramento, tanto involontario quanto nondimeno vincolante). Il nome, se non il personaggio. collega fra loro tradizioni di Ceo e delle Cicladi, i generale, e di Rodi, disf'gnamln così un orizzonte insulare, intorno ai discendenti deU'Eliade, che coincide latamente con quello del mito dei Telchini. La tradizione su Cidippe-Aconzio ricorre in Senomede di Ceo, che è lo stesso da c1ù noi ricaviamo dati importanti sui Telchini. Sembra che Senomede abbia fw1to da spartiacque, per una tradizione cea (distinta da quella rodia) su Cidippe, e, in maniera analoga, per le figure degli ammaliatori maschili, i Telchini, enucleati ormai dalle figure, nel VI secolo a.e. fissatesi come femminii, delle Sirene. Prima del 550 a.e. circa le Sirene presentano una ambiguità anche nel sesso, riscontrabile particolarmente in ambiente corinzio (cfr. E4ACO, s.v., cit.). Numero e caratteri degli Eliadi appaiono d'altra parte come riflessi, al negativo, nei Telchini: e viceversa.

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Ma, così come dobbiamo vedere nel mito dei Telchini la trasformazione, la rifunzionalizzazione, e in qualche modo il degrado di un grande mito esistenziale mediterraneo quale è il mito delle Sirene, altrettanto, per onestà, dobbiamo - e dovevamo - sottolineare come in definitiva premesse lontane, ma innegabili, siano implicite già nella struttura originaria del mito. E poiché sempre in Grecia - detto con le categorie aristoteliche - all'e,gon precorre la dynamis, all'atto precorre la potenza, così anche al processo di formazione del pensiero mitico greco va applicato il modulo interpretativo dello sviluppo organico, che aiuta a vedere le premesse contenute già nei remoti primordii e a interpretare le trasformazioni come sviluppo di componenti embrionali.

Capitolo settimo FIGURE IBRIDE E TEMATICA ESISTENZIALE

I Telchini, nella figura che la fantasia conferisce loro, appartengono a quella categoria di creature ibride, miste cioè di due o anche più specie animali, da un lato, e qualche tratto umano,dall'altro (il volto, in primo luogo), che i Greci a giudizio comune derivano spesso dall'Oriente. Il leone alato ad esempio, o il cavallo alato 49 , anche quando accettati e integrati nella cultura iconografica greca (anche quando si tratti solo di iconografia mentale, cioè di fantasticheria e relativa descrizione letteraria, comunque tradizionale), riconducono ad un'ultima matrice orientale, o ad ambienti greci che con l'Oriente sono in particolare rapporto. Le ragioni possono essere le più diverse: innanzi tutto ragioni naturali, come per esempio il fatto che l'Oriente presenta molti animali estranei alla quotidianità greca e, se pur questo non basta certo a inventare una creatura ibrida, una fauna siffatta suggerisce, all'emozione fantasticante, di associare fra loro tratti di più animali diversi: insomma, la conoscenza di animali rari moltiplica le rarità, intrecciandole nella fantasia, e sommandole arbitrariamente in una stessa fantastica figura. C'è poi una ragione di ordine storico-politco per l'affermarsi, dapprima in Oriente e poi in quella Grecia che più all'Oriente è aperta, di una combinazione di caratteristiche di specie animali diverse, soprattutto quando si tratta di specie naturali «dominanti> nel loro ambito. Infatti queste figure, dominanti e fra loro ibridate, si prestano ottimamente a una rappresentazione fantasiosa carica di terribilità, e perciò altamente simbolica della figura politica per eccellenza dominante nello stato, il sovrano (ciò vale in generale per l'aquila e il leone, in Egitto anche per il serpente). Queste creature ibride sono d'altronde fatte apposta per suggerire un'idea di mistero oltre che di terribilità; perciò essse «si incaricano> di rappresentare agli occhi dei Greci i grandi misteri (o, 49

Cfr. Eo. Wu.1.,Korinthiaka. Recherches sur l'art et la civiluation de Corinthe cit. (sopra, in n. 18), su Pegaso e figure ibride a Corinto, pp. 145 sgg., 152 163 gg., 170 sgg., 230.

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come oggi piuttosto si direbbe, i grandi temi e problemi) dell'esistenza umana. Così è per la Sfinge, leone con volto umano, che certamente simboleggia - e al tempo stesso rappresenta- il Faraone, e che, nella tradizione greca, serve a rappresentare il mistero dei misteri, che consiste, per quella «cultura della coscienza» che è la greca, nella domanda esistenziale di fondo: «uomo, chi sei tu?». Questo infatti e non altro è il senso del'indovinello posto dalla Sfinge ai tanti visitatori, che, se mancano la risposta, subiscono la conseguenza della morte. L'indovinello suonava «qual è l'animale che da piccolo cammina con quattro zampe, da adulto con due, da vecchio con tre?». Rivolta ad Edipo, alfine, la domanda riceve la giusta risposta, che è chiaramente: «l'uomo», che da piccolo si trascina per terra, non avendo ancora imparato a stare ed a camminare ritto sulle due gambe, e da vecchio dovrà supportarle con quella specie di terza gamba che è il bastone a cui si appoggia. L'incapacità dei tanti visitatori di rispondere a questo elementare (e però anche fondamentale) indovinello sta simbolicamente a significare che l'uomo non conosce sé stesso: anzi che non conosce nemmeno sé stesso! Dunque le figure ibride, di suggestione o propriamente di origine orientale, funzionano come piano di supporto, e simbolo, per i grandi interrogativi dell'esistenza. «Uomo, chi sei tu? e ti conosci?», è in buona sostanza la domanda posta dalla Sfinge (figura ibrida, uomo-leone). E «che senso ha vivere?» è la domanda implicita, il problema alla lettera angoscioso, posto dalle Sirene 50 . Queste ibride figure con corpo di uccello e volto umano, in definitiva, con le loro sollecitazioni a «lasciarsi andare», a morire, pongono e incarnano, nel racconto tutto spiegato, questa domanda esistenziale: «uomo, che senso ha vivere? non è meglio lasciarsi andare al gorgo, non è meglio morire?». Ebbene, nell'uno e nell'altro caso l'utilizzazione mirica di quelle figure, la loro portata esistenziale, le risposte date e le relative conseguenze sono diverse e stanno solo a testimoniare la ricchezza della riflessione e della immaginazione greca sui grandi temi dell'essere, del vivere e del morire. L'uomo, Edipo, che ha saputo dare la risposta all'indovinello ;;o Sulla Sfinge egiziana. cfr. E4ACO VII. Roma 1966. 2:30-234 (ss.vv. Sfinge. rnci diverse di S. Donadoni e L. Banti).

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della Sfinge, si sottrae certo nell'immediato al destino di morte, ma in realtà questo destino è soltanto differito. La cecità sul proprio essere, superata per ciò che concerne la prova del momento, è per Edipo una pena soltanto rinviata. Egli conoscerà (si veda l'Edipo re di Sofocle) solo tardivamente le sue terribili colpe e il suo vero essere, e mostrerà alla fine la superiorità della Sfinge: come dire che Edipo può pur risolvere brillantemente l'indovinello, ma resta incapace di chiaroveggenza su se stesso, confermando con ciò quella condizione di radicale, esistenziale cecità, che la Sfinge con la sua sfida ha svelato agli uomini e in particolare a Edipo. 11suo destino è comunque di non conoscere sé stesso, il suo destino è comunque la cecità sulle sue responsabilità, cecità morale di cui la cecità fisica, che lui stesso si infliggerà, è solo l'estrema somatizzazione. Alla fine del percorso della sua vita, Edipo sarà battuto proprio su quel terreno di chiaroveggenza esistenziale su cui credeva di aver battuto la Sfinge. Ma anche la Sfinge, il cui compito è quello di porre il puzzle (o Raetsel) e di non lasciarsi battere ma di indurre alla morte l'avversario, una volta sconfitta non può non prendere atto della sua propria sconfitta (anche se, nell'ordine generale delle cose, si dimostra una sconfitta provvisoria) e non può che uccidersi. Sotto questo aspetto le Sirene sono figure simili alle Sfingi, poiché anch'esse, una volta deluse nella loro seduzione di morte, quando Odisseo è riuscito a sottrarsi alla tentazione autodistrutiva, secondo la tradizione, non potranno che cercare il suicidio, lanciandosi in mare dall'alto di una rupe, come dice Licofrone, che nell'Alessandra parla delle aÙ'tOX'tOVOL Qupatdi Partenope, Leukosia e Ligeia (714-731) 51 • Le Sirene appaiono comunque sul piano iconografico chiaramente distinguibili dalle Sfingi 52 . L'affinità di significato delle due figure nella tematica esistenziale dell'uomo è il punto di arrivo e di incontro di percorsi comuni nella costruzione di figure ibride. La Sfinge egiziana, la Sfinge di Gizah, che sembra rappresentare il Faraone Chephren, è anch'essa una figura composita, quale nel mondo egiziano compete al sovrano e agli dei. Il Faraone è rappresentato come un leone con testa umana, così come le divinità, con evidente specularità, vengono 51

Sul suicidio e la sepoltura delle Sirene, Licofrone, 719 sgg.: e bihl. recente citata sopra, in nn. 6 e 18. 52 L/MC VIII 1 Suppi. 1096.

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rappresentate come uomini con testa belluina: l'ibrido è dunque il segno dell'eccezionalità, dell'eminenza. Ma la Sfinge presenta fra le componenti del suggestivo mélange un paio di ali, elemento che ricorre sia nella iconografia delle Sirene sia in quella dei Telchini. Come le Sirene, le Sfingi presentano un'ambiguità nel sesso, anch'esse presentano tratti femminili e ali, ma evolvono in Egitto verso forme realistiche e più decisamente maschili, con la riproduzione della criniera leonina e maschile. Anche questo parallelo ci legittima a ricercare, come abbiamo fatto, lo sviluppo di un tipo particolarissimo di Sirene al maschile, quali i Telchini; evidentemente queste figure ibride e ambigue presentano, a seconda delle epoche e a seconda dei significati, che via via assumono, una disponibilità a presentarsi sotto specie sessuali diverse, anche con possibilità di evolvere nel tempo e nel tempo specializzarsi in una di esse, con un processo ai nostri occhi ricostruibile e razionalizzabile. In Grecia (dove è presente già in età micenea e vitale in età arcaica) la Sfinge, ipostasi della montagna incombente, misteriosa, fatale, è femminile e alata, e mostra con ciò che la figura egiziana è arrivata attraverso la mediazione siriana, che ha dato spazio particolare alle figure alate, cioè alle ibridazioni con specie animali volatili. È interessante il fatto che anche per l'iconografia delle Sfingi, come in quella delle Sirene, si possa individuare un decisivo apporto della ceramica corinzia ed anche di quella etrusca di imitazione corinzia, del VII e soprattutto VI secolo a.C., ché in queste produzioni vascolari, così aperte agli influssi orientali, i caratteri maschili (figure barbate) sono particolarmente presenti, ma sono solo un altro aspetto del carattere radicalmente ibrido di queste creature della fantasia, il cui oscillare fra i due sessi è soltanto un fantasioso sviluppo del loro oscillare fra diverse specie animali. Analogamente, fino alla metà del VI secolo, si hanno rappresentazioni di Sirene barbate; un ceramografo corinzo, attivo tra il 570 e il 550 a.C., viene individuato come il pittore delle Sirene con barba a punta. Nel progressivo declino delle «barocche» costruzioni e ibridazioni arcaiche (VII-VI secolo), si colloca anche il declino della figurazione maschile, destinata a lasciare il posto alla canonica rappresentazione femminile: dove però poteva accadere, come ci è sembrato, che la versione maschile avesse una sua diversa funzione e un suo specifico spazio, come per i Telchini contro le origi-

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narie, e in definitiva prevalenti, figurazioni femminili delle Sirene, dopo il VI secolo, perciò innanzi tutto nel V, cioè nell'età di Bacchilide e di Senomede, e poi, con rinnovato vigore e con esiti di notevole portata, in età ellenistica, che fu tra l'altro epoca di nuovi e poderosi scambi con l'Oriente 53 • E, come orizzonte geografico, o geo-culturale, si individua l'area corinzia ed egea, o anche più specificamente egeo-orientale, rodia in maniera significativa, quella cioè più fortemente investita dalle influenze culturali e artistiche dell'Oriente siro-palestinese e dell'Egitto. I miti di Edipo e di Ulisse suggeriscono che un destino complessivo di infelicità avvolge il mondo. Nella concezione del greco, il destino di cecità dell'uomo che ha sconfitto l'ignoranza di sé, Edipo, come anche il destino di morte in mare di Ulisse, è solo rinviato dalla sua brillante ma provvisoria vittoria. Il male colpisce e avvolge l'uomo e si rivela come il vero, perché definitivo, vincitore. Il desiderio di vedere, di essere spettatore fino in fondo, una conoscenza teatrale che accompagna Ulisse fino e oltre Dante, è proprio quel che alla fine lo porterà ad arrendersi e consegnarsi a quel mare che si segnala attraverso il mito delle Sirene come l'ineluttabile vincitore, per i Greci che, da sempre e con particolare fecondità storica e registrazione poetica in quest'epoca (VIII-VIIsecolo), questo mare, e soprattutto il mare occidentale, frequentano. Certamente la bellezza di quel paesaggio marino è un elemento di seduzione che alimenta il mito delle Sirene; il paesaggio bello, ricco, seducente, rasserenante - finché va bene! - del Tirreno, dell'Italia occidentale in particolare, cioè l'orizzonte geografico e culturale dei miti dei Pelasgi e dei Tirreni, destinato ad accogliere tanta colonizzazone greca, e a dare tante risposte ai bisogni di un popolo in movimento.

1 '~

E4ACO VII cit., 340-:345, ss. vv. Sirena, Sirene (H. S1e1m:R\IA'II'-, L.

BA:11T1, E.

PARIBE'III,

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