I Greci, i Romani e ... le stelle

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I Greci, i Romani e ... le stelle

Table of contents :
Indice
Introduzione
I. Le stelle nella vita di tutti i giorni: gli agricoltori, i soldati e gli innamorati
II. Le stelle nella vita di tutti i giorni: i viaggiatori
III. Le stelle nella filosofia e nella scienza
IV. Le stelle nell'astrologia
V. Dalla terra al cielo: i catasterismi
VI. Le stelle parlano
VII. Le stelle nell'arte
VIII. Le stelle come divinità
Bibliografia

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Sfere extra I Greci, i Romani e ... Serie diretta da Simone Beta e Tommaso Braccini

La serie illustra, attraverso le parole di famosi autori classici, gli aspetti più accattivanti, curiosi e attuali della vita degli antichi Greci e Romani: il loro rapporto con il mare e le stelle, gli animali e le piante, la magia, il riso, il cibo e il vino, la guerra, l'amore. n risultato sono piccole antologie di brani, corredati di commento, che compongono, come tessere di un mosaico, un quadro vivido e per molti versi inedito del mondo antico.

Simone Beta

I Greci, i Romani e... le stelle

Carocci editore

@ Sfere extra

1' edizione, novembre 2022 ©copyright 2022 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nel novembre 2022 da Eurolit, Roma ISBN

978-88-290-1043·1

Riproduzione vietata ai sensi di legge

(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633 )

Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/ caroccieditore www.instagram.com/ carocciedi core

Indice

Introduzione

7

Le stelle nella vita di tutti i giorni: gli agricoltori, i soldati e gli innamorati

17

2..

Le stelle nella vita di tutti i giorni: i viaggiatori

39



Le stelle nella filosofia e nella scienza

49



Le stelle nell'astrologia

85



Dalla terra al cielo: i catasterismi

139

6.

Le stelle parlano

161



Le stelle nell'arte

17 9

8.

Le stelle come divinità

191

Bibliografia

2.05

I.

Le traduzioni dei testi antologizzati sono a cura dell'autore. La parti di testo omesse sono indicate con[ ... ], mentre le lacune sono indicate con(... ).

Avvertenza

Introduzione

Quando, di notte, alziamo lo sguardo per contem­ plare il cielo stellato, noi lo guardiamo con gli stessi occhi dei Greci e dei Romani. Se per esempio ci mettiamo a scrutare il firma­ mento in una chiara e fredda notte invernale, c 'è una costellazione che spicca fra tutte, alta e ben visibile, verso sud : Orione. I nomi delle stelle luccicanti che la formano sono arabi, a dimostrazione che alla lunga storia dell 'astro­ nomia hanno dato il loro contributo diversi popoli e diverse culture. L'astro più luminoso, una supergi­ gante blu, si chiama Rigel, un nome che contiene il termine arabo che significa "piede" (perché, proprio come avevano fatto i Greci e i Romani, e come fa­ ranno molti altri popoli dopo di loro, anche gli Arabi vedevano nella costellazione il profilo di una colossale figura umana) ; la seconda stella, per quanto riguarda la sua lucentezza, è una supergigante rossa chiamata Betelgeuse, un altro nome arabo che fa riferimento, questa volta, alla mano. Ma, almeno per noi, la storia che si cela dietro questa costellazione proviene dai Greci, attraverso la mediazione dei Romani. Chi era Orione ? Era un personaggio della mitologia classica; secondo la ver7

sione più diffusa (i miti, si sa, sono spesso contraddit­ tori - ma è proprio questo che li rende affascinanti), era nato dall'unione di Poseidone, il dio del mare, con Euriale, una delle figlie di Minosse, l'antico sovrano di Creta, il signore del labirinto. Di mestiere, Orione faceva il cacciatore - ed è per questo motivo che gli antichi hanno creduto di ve­ dere, nelle due costellazioni che luccicano vicino a lui, i suoi due cani fedeli. La più grande, il Cane maggiore, è contraddistinta dall'astro più luminoso che splende nel nostro cielo dopo il Sole, la stella bianca Sirio (un aggettivo greco, che significa "splendente': ma anche "bruciante") ; nella più piccola, il Cane minore, spicca un altro astro molto brillante, che deve questa lucentezza non tanto alle sue dimensioni, tutt'altro che eccezionali, quanto alla sua vicinanza alla Terra, chiamato Procione (un nome che, in greco, vuol dire "che viene prima del cane': perché questa stella sorge "primà' del "cane" per antonomasia, cioè la costellazione del Cane maggiore). Orione non aveva un corpo normale: era un gi­ gante - e del resto, se la guardiamo con gli occhi della fantasia, la sua costellazione sembra davvero riprodurre la figura di un colosso celeste : in basso, abbiamo i due piedi (Rigel e Saiph), in alto le spalle (Betelgeuse e Bellatrix, un nome latino, questa volta, che significa "la guerriera") e, in mezzo, tre stelle quasi perfettamente allineate (anch'esse conosciute dagli astronomi con i loro nomi arabi: Alnitak, Alnilam e Mintaka), che aiutano coloro che non conoscono gli astri a riconoscere nel cielo questa bellissima costei8

!azione, formando quella che viene chiamata la "cin­ tura di Orione", dalle quali si stacca, perpendicolare, un'altra fila di corpi celesti meno luminosi ( la co­ siddetta "spada" ) . Ma le stelle parlano a tutti, anche a chi è completamente digiuno di mitologia. Alcune di queste costellazioni corrispondono infatti ai do­ dici segni dello Zodiaco, che interessano coloro che leggono tutti i giorni l'oroscopo perché sono convinti che la particolare posizione degli astri al momento della nascita influenzi il destino degli esseri umani. Purtroppo non tutti i segni zodiacali sono per­ fettamente visibili nel cielo notturno - anzi, spesso è vero il contrario : il mio segno, per esempio, che è il Cancro, prende il nome da una costellazione assai poco luminosa, che non presenta nessuna stella degna di nota e che risulta pressoché impossibile da indivi­ duare anche nelle notti più limpide ( a meno di non avere a portata di mano un telescopio e, soprattutto, un astronomo esperto ) . Più fortunati di me sono coloro che sono nati nei mesi che precedono e seguono il mio : le costellazioni dei Gemelli e del Leone sono molto più visibili del Cancro, soprattutto la seconda, che è contraddistinta da un sistema stellare molto luminoso, chiamato dai Greci ( come ci dice Tolomeo, uno dei padri dell'astro­ nomia antica) basiliskos, "piccolo re" - un nome che, in seguito alla traduzione latina letterale di Niccolò Copernico, uno dei padri della moderna astronomia, è diventato oggi Regolo ( dal latino regulus, "reuccio': "piccolo re" ) . Lo stesso vale per la Vergine, che è una delle co9

stellazioni più grandi del cielo ; la sua stella più lumi­ nosa si chiama Spica ( un nome latino, che vuoi dire "spiga" ) , perché risulta particolarmente visibile, verso occidente, ali' inizio dell'estate. Diverso il caso della Bilancia, che non presenta al suo interno astri parti­ colarmente luminosi ( un destino che riguarda anche altre costellazioni, come il Capricorno e i Pesci ) . Procedendo con lo Zodiaco, anche lo Scorpione risulta particolarmente facile da individuare durante l'estate ( essendo una costellazione australe, d'inverno è posizionata sotto l'equatore, ed è quindi invisibile per chi la cerca alle nostre latitudini ) , grazie non sol­ tanto alla sua forma caratteristica, contraddistinta dal pungiglione uncinato, ma anche alla luce rossa della sua stella principale, che è conosciuta con il nome di Antares, cioè la "rivale di Marte", perché è rossastra come il pianeta. Secondo una delle tante leggende relative al per­ sonaggio mitico di Orione, il gigante sarebbe morto proprio per la puntura di uno scorpione, mandato dalla dea Artemide per vendicarsi dopo che aveva cer­ cato di violentarla. L'odio tra Orione e lo scorpione era destinato a non estinguersi mai - e lo dimostra la posizione delle due costellazioni, che non sono mai visibili contemporaneamente : quando, d' inverno, Orione sale, lo Scorpione scende ; quando invece, d'e­ state, l'aracnide si affaccia sopra la linea dell'equatore, allora il colosso scompare. Ma - sempre restando nel campo delle leggende mitologiche - qual era il meccanismo che trasformava questi irregolari ammassi stellari dalla disposizione IO

del tutto casuale in personaggi dotati di una loro ben precisa individualità ? Per gli antichi (e non solo per i Greci e i Romani) si trattava di una sorta di ricom­ pensa che consentiva, a una figura del mito, di diven­ tare immortale, fissata per sempre nel firmamento. Questo fenomeno aveva un nome : si chiamava "cata­ sterismo': un termine che indicava proprio la trasfor­ mazione in una stella. Per i Sumeri, per esempio, il popolo che si era stabi­ lito nella Mesopotamia, tra il Tigri e l' Eufrate, a par­ tire dal IV millennio a.C., la costellazione che Greci e Romani avrebbero poi identificato con Orione era, almeno secondo alcune versioni, il risultato della tra­ sformazione celeste del protagonista del loro poema epico : Gilgamesh. Se torniamo al segno zodiacale dei Gemelli, ve­ diamo che questa costellazione era, per gli antichi, il risultato del catasterismo di Castore e Polluce, i due giovani nati dall'amore di Zeus per Leda, la bellissima moglie di Tindaro, signore di Sparta, con la quale il re degli dèi si era unito dopo essersi trasformato in cigno. Dall'uovo concepito da Leda erano nati, in­ sieme ai due gemelli maschi, anche Elena (bellissima come la madre, se non addirittura di più) e Clitenne­ stra, la futura moglie di Agamennone. E per quanto riguarda il Leone ? Secondo i Greci e i Romani, quella costellazione era il catasterismo del terribile leone di Nemea, l'animale strangolato da Eracle durante la prima delle sue tradizionali dodici fatiche. Dietro ogni asterismo c'è una storia simile - e Il

questo vale, a maggior ragione, anche per gli asterismi più famosi, come l' Orsa maggiore, la costellazione più celebre dell'emisfero boreale. Questo animale ce­ leste era il risultato della trasformazione in stella di un animale terrestre che, almeno in origine, era una ragazza bellissima: si chiamava Callisto (che significa, appunto, "la più bella") e faceva parte del seguito di Artemide, la divinità greca che presiedeva all'arte della caccia, corrispondente alla dea che i Romani chiamavano Diana. Sedotta da Zeus, che si era invaghito di lei per la sua grande bellezza, Callisto era stata trasformata in orsa da Artemide, che aveva voluto punirla in questo modo perché la giovane aveva infranto il voto di ca­ stità che lei pretendeva da tutte le sue seguaci; per risarcirla in qualche modo per il suo tragico destino, Zeus aveva a sua volta trasformato la giovane amante in una bellissima costellazione. Ma le sette stelle dell'Orsa maggiore (i septem triones dei Romani, che hanno dato il nome a una delle coordinate geografiche più importanti per l'orienta­ mento di quelle popolazioni che, come noi, vivono a nord dell' Equatore e del Tropico del Cancro) sono importanti anche per un altro motivo. Se infatti si congiungono tra di loro Dubhe e Merak, le due stelle che costituiscono la parte finale del Grande Carro (l'altro nome che la costellazione ha ricevuto grazie alla sua forma caratteristica), e si prolunga questa linea immaginaria verso l'esterno, si incontra un'altra stella, la cui lucentezza è molto meno importante della sua fama: sto parlando di Po12

laris, la stella polare, il timone dell'altro Carro, il Pic­ colo Carro (alias l' Orsa minore), che ha una forma ab­ bastanza simile a quello grande ma è meno luminoso. Grazie alla sua posizione, che corrisponde grosso modo al polo nord celeste, la stella polare è stata da sempre un fondamentale punto di riferimento, prima che gli uomini inventassero la bussola: di notte, per orientarsi e scegliere la giusta direzione, i marinai hanno sempre usato come guida questo astro, che è visibile per tutto l'anno nel cielo di chi abita nell'emi­ sfero boreale, dal momento che le due Orse (insieme a Cassiopea, facilmente riconoscibile grazie al suo aspetto che la rende simile, a seconda delle stagioni, o a una w o a una M) sono costellazioni circumpolari, che ruotano continuamente intorno al polo e, quindi, non scendono mai sotto la linea dell'equatore. Di giorno, invece, l 'orientamento era garantito dal Sole : il suo apparente movimento nel cielo da est a ovest (parlo sempre per noi che viviamo nell'emisfero boreale) permetteva a chi si spostava, per terra o per mare, di regolare la sua direzione, servendosi di ter­ mini legati proprio al moto di questo astro : "Oriente" (da orior, "nascere") indicava il luogo dal quale il Sole nasceva, collocato, per i Greci, nel territorio degli Etiopi, mentre "Occidente" (da occido, "morire") in­ dicava invece quello da dove il Sole moriva, che si trovava nella regione delle Esperidi, verso le colonne d' Ercole, l'attuale stretto di Gibilterra. Data l' importanza del Sole per la vita degli esseri umani (e non soltanto per questioni relative all'orien­ tamento), non ci dobbiamo stupire che gli antichi lo 13

credessero un dio - così come credevano che anche la Luna fosse una divinità: i due principali corpi ce­ lesti venivano identificati con Apollo (per i Romani, Febo) e con Artemide (per i Romani, Diana), i due figli che Zeus aveva avuto da Latona e che erano stati partoriti sull' isola di Delo, nel mar Egeo, nel cuore dell'arcipelago delle Cicladi. Ma il movimento regolare e la diversa posizione delle stelle del cielo indicavano anche il trascorrere delle stagioni dell'anno. La levata eliaca di Siria (vale a dire il momento in cui quella stella ritornava visibile, subito prima del sorgere del Sole - perché nei mesi precedenti non era possibile vederla, di giorno, pro­ prio a causa della luce del Sole stesso), che avveniva all' inizio di luglio, nei giorni del solstizio d'estate, se­ gnava il periodo più caldo dell'anno : il termine "cani­ cola", che indica la soffocante afa estiva, deriva proprio dal fatto che quelli erano, in latino, "i giorni del cane" (inteso come la costellazione del Cane maggiore, al cui interno Siria si trova) . Si trattava di un momento cruciale dell'anno - e non solo per i Greci: lo era per gli antichi Egizi, perché segnava l' inizio delle piene annuali del N ilo ; lo era per i Celti, perché indicava la festa di Lughnasadh, dedi­ cata al raccolto delle messi (e sacra al dio Lugh). La comparsa nel cielo, all' inizio dell'autunno, del­ la costellazione del Toro - caratterizzata dalla pre­ senza di Aldebaran, una gigante arancione - all' in­ terno della quale gli antichi distinguevano altri due ammassi stellari, le Pleiadi (le sette figlie che Atlante aveva avuto dalla ninfa Pleione) e le Iadi (anch'esse 14

figlie di Atlante, che forse le aveva avute da un'altra donna), segnava invece la fine del periodo della navi­ gazione, costringendo le navi a chiudersi nei porti per salvarsi dalle violente tempeste invernali. Del resto, spesso la poesia di tutti i tempi ha preso spunto dai movimenti delle stelle per indicare le sta­ gioni dell'anno. Nell'ode La caduta, composta da Giuseppe Parini nel 1785, troviamo subito nella prima strofa, per segnalare che siamo all' inizio dell'au­ tunno, i versi « Quando Orio n dal cielo l declinando imperversa; l e pioggia e nevi e gelo l sopra la terra ottenebrata versa [ .. ] » . Il poeta sta dicendo che, quando la costellazione di Orione comincia a scendere (a "declinare", a tra­ montare) verso occidente, quello è il momento cli­ maticamente peggiore dell'anno, che segnala l' inizio dell' inverno, con l'arrivo prima della pioggia e poi del­ la neve. Si tratta di un' indicazione che troviamo tale e quale anche nei testi antichi (che il Parini, da buon precettore, costretto controvoglia a guadagnarsi da vivere insegnando la letteratura a giovani signori vi­ ziati, conosceva benissimo), come per esempio nell'e­ pigramma funerario dove, nel III secolo a.C., il poeta tarantino Leonida racconta il naufragio di un' im­ barcazione che era salpata « al tramonto d'Orione » , cioè i n un periodo dell'anno nel quale era meglio che le navi rimanessero al sicuro nei porti. Questa antologia contiene un centinaio di testi greci e latini, in poesia e in prosa, che parlano di stelle in tutti i modi possibili (scientifico e fantasioso, serio .

IS

e scherzoso ) , raccontando le storie più svariate dove i corpi celesti sono sempre i protagonisti. È divisa in otto capitoli: il primo è dedicato alla maggior parte di coloro che, per diversi motivi, guar­ davano le stelle ( gli agricoltori, i soldati e gli innamo­ rati ) ; il secondo a una categoria particolare ( i viag­ giatori ) ; il terzo a coloro che le stelle le studiavano ( i filosofi e gli scienziati ) ; il quarto a quei dotti che, a forza di studiarle, si erano convinti che, dalla loro po­ sizione e dai loro movimenti, dipendesse il nostro de­ stino ; il quinto passa in rassegna alcune delle favole ce­ lesti, spiegando quali erano i personaggi che gli antichi immaginavano raffigurati nel cielo ; nel sesto, sono le stelle stesse a prendere la parola per parlare di sé; il set­ timo racconta di alcune delle opere d'arte ispirate al firmamento ; mentre l'ultimo, l'ottavo, spiega come i Greci e i Romani vedessero, nelle stelle e nei pianeti, le loro divinità. Non si tratta certo di un repertorio completo - ma è giusto così, perché sono talmente numerosi, nelle due letterature classiche, i riferimenti alle stelle, che superare il giusto limite provocherebbe un effetto contrario a quello che la bellezza del firmamento deve suscitare. Penso che questo numero di esempi sia sufficiente almeno a fare in modo che, chi alza adesso lo sguardo per osservare il cielo stellato, lo faccia provando la stessa meraviglia - ma con maggiore consapevolezza.

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I

Le stelle nella vita di tutti i giorni: gli agricoltori, i soldati e gli innamorati

Che la perfetta conoscenza del cielo stellato fosse un patrimonio dei Greci fin dai tempi più antichi ce lo dimostra O mero : nei suoi poemi, le stelle brillano spesso - e forniscono sempre al poeta lo spunto per alcune bellissime similitudini. Alcune segnano una parentesi di pace e di sere­ nità in mezzo ai devastanti furori della guerra che bruciano nel cuore dei due eserciti: nell'ottavo libro dell'Iliade, per esempio, i fuochi dell'accampamento troiano, accesi fuori dalle mura della città, brillano nella notte come le stelle nel cielo notturno, prima che giunga la luce della dea Aurora (qui definita "dal bel trono': invece dell'epiteto più consueto "dalle dita di rosa") a dissipare le tenebre. Altrove, però, celata dietro la loro bellezza, c 'è qualcosa di fosco e terribile : al vecchio re Priamo che, nel ventiduesimo libro del poema, sta osservando, dall'alto delle mura di Troia, Achille inseguire suo figlio Ettore, il bagliore delle armi del più forte eroe greco sembra tanto luminoso quanto Sirio, la più ful­ gida di tutte le stelle del cielo invernale. Ma questo bagliore è il presagio del destino di morte che aspetta l'eroe troiano - ed è lo stesso Omero a ricordarlo, di­ cendo che Sirio è un segno funesto. 17

Più avanti, nello stesso canto, viene ricordata un'altra stella che, con la sua luce, fa presagire la morte di Ettore, oramai molto vicina: la punta della lancia che Achille sta per scagliare verso il corpo dell'eroe nemico, destinata a conficcarsi nella sola parte del corpo scoperta (la gola), brilla come Espero, la stella della sera, quando sale nel cielo notturno. Si tratta, in realtà, non di una stella, ma di un pia­ neta: è Venere, che appare spesso visibile nel cielo del mattino, subito prima dell'alba, e nel cielo della sera, subito prima del tramonto. Per questo, nelle lettera­ ture classiche, il pianeta Venere ha spesso due nomi - anche se i Greci sapevano benissimo che si trattava di un unico corpo celeste : pare che il primo a sco­ prirlo sia stato Pitagora, il filosofo nato a Samo nel VI secolo a.C., che fu un esperto, oltre che di matema­ tica, anche di astronomia. I poeti amano spesso scherzare sul fatto che, pur avendo nomi diversi (al mattino, Lucifero ; alla sera, Espero/Vespro), si tratta sempre dello stesso astro. Così fa, per esempio, Meleagro, poeta vissuto tra il II e il I secolo a.C., in uno dei suoi epigrammi: quando, dopo una notte d'amore, giunge l'alba, chiede alla stella del mattino di ritornare presto (ma come stella della sera) per riportargli la donna amata, così che possa passare insieme con lei un'altra lunga notte. Paolo Silenziario, poeta attivo a Bisanzio nel VI d.C., si lamenta invece dell'arrivo della stella del mattino, perché segna la fine di una notte di passione - seguito in questo dal suo contemporaneo Macedonio, che vor­ rebbe Lucifero (la stella del mattino) sorgere più tardi, come accade di solito nelle regioni più settentrionali. 18

Su questa duplice funzione del pianeta aveva scher­ zato anche il filosofo Platone in un epigramma fune­ rario dedicato all'amico Astro, che, quando era vivo, splendeva come la stella del mattino, mentre dopo la morte splende nell'oltretomba, come la stella della sera. Tornando al contesto guerresco dell'Iliade, va sot­ tolineato che, nel corso della vita faticosa dei soldati, durante le lunghe veglie notturne, l'osservazione del movimento dei pianeti era spesso un modo per misu­ rare il passare del tempo: la sentinella che, nell'Aga­ mennone di Eschilo, da dieci lunghi anni passa le notti sul tetto della reggia dei sovrani di Argo aspettando che arrivi il segno ( la luce di una fiaccola) che dovrebbe indicare la fine della guerra di Troia, ha imparato a ri­ conoscere le ore e le stagioni scrutando come le stelle sorgono e tramontano nel firmamento ; le guardie che formano il coro del Reso di Euripide si danno il cambio regolandosi in base alla posizione delle costellazioni - in questo caso, le Pleiadi, le sette figlie di Atlante ( Maia, Elettra, Taigete, Asterope, Alcione, Celeno e Merope ) , il cui nome, nella forma Peleiades, significa "colombe" - che tramontavano nei primi mesi autun­ nali, dando inizio alla stagione fredda, per poi sorgere di nuovo a maggio, alle soglie dell'estate. Ma la conoscenza dei movimenti delle stelle era fondamentale anche per chi lavorava nei campi. Nel­ le opere didascaliche ampie sezioni sono dedicate a questo argomento : lo vediamo in Opere e giorni di Esiodo ( soprattutto nella sezione Igiorni) e nelle Geor­ giche di Virgilio, che al poema esiodeo si ispirano. Del primo, viene riportata in questa antologia la sezione dedicata alle costellazioni dell'estate e dell' au19

tunno ; del secondo, quella che riguarda le costella­ zioni dell'autunno e dell' inverno. Molte sono le stelle che abbiamo già avuto modo di incontrare. Per Esiodo (che è il più antico poeta della letteratura realmente esistito, attivo tra l'viii e il VII se­ colo a.C. ) , l'estate è contrassegnata dal sorgere di Sirio : in un passo famoso, che sarà ripreso due secoli dopo da Alceo, poeta originario di Lesbo, Esiodo spiega a suo fratello Perse che le alte temperature della canicola hanno forti conseguenze sugli uomini (che sono fiaccati da una grande stanchezza) e sulle donne (che vengono prese da un violento desiderio sessuale ) . La brillantezza di questa stella garantisce la sua continua presenza nella poesia greca: l'esempio più antico era stata una simili­ tudine di Omero che, nei primi versi del quinto libro dell'Iliade, aveva detto che le armi di Diomede ( in par­ ticolare l'elmo e lo scudo) avevano la stessa luce di Sirio quando sorge dalle acque dell'oceano. Virgilio dà un rilievo particolare all'arrivo dell 'au­ tunno, con la menzione della Bilancia, che rende uguale la durata dei giorni e delle notti: il succes­ sivo tramonto delle Pleiadi indica al contadino che è giunto il momento di seminare i campi. Non c'è poeta che non parli almeno una volta delle Pleiadi - e questo vale anche per le poetesse come Saffo, coetanea di Alceo e nata, come lui, nell' isola di Lesbo, vicino alle coste dell'Asia minore : in un frammento dalla dubbia autenticità, si lamenta della solitudine che la coglie quando, insieme alla Luna, tramontano anche le Pleiadi; in un altro, Saffo canta la luminosità della Luna piena che, con i suoi riflessi 2.0

argentei, offusca addirittura la luce delle stelle; un altro ancora (purtroppo le sue liriche, come quelle di Alceo, sono andate in gran parte perdute, e ce ne re­ stano solo frammenti) è dedicato alla stella della sera, che riporta gli animali nelle loro case e, con un verso che sarà poi ripreso a Roma da Catullo, porta via la figlia alla madre, perché, la sera delle nozze, dormirà nella casa e nel letto del suo fresco sposo. Gli esempi sono infiniti, e volendo non ci si ferme­ rebbe mai. Questo capitolo comprende anche (siamo di nuovo a Roma) altri tre brani. Il primo è una scena famosa dell'Anfitrione di Plauto, il poeta comico vissuto nel III secolo a.C. Lo schiavo Sosia, costretto a rimanere sveglio mentre quello che crede essere il suo padrone dorme con la sua sposa Alcmena, si accorge, vedendo che le stelle non si muovono, che sta succedendo qualcosa di molto strano. Ovvio : chi se la sta spassando con la bella Alcmena non è suo marito Anfitrione, ma Giove in persona, il quale, dopo aver preso le sembianze di An­ fitrione, ha ordinato alla notte di fermarsi e di durare il doppio del solito, per consentirgli di godere della donna il più a lungo possibile. E, per evitare di essere disturbato, si è fatto accompagnare da Mercurio, che ha preso le sembianze dello stesso Sosia, lo schiavo di Anfitrione. Inutile dire che l'incontro fra i due Sosia, quello vero (lo schiavo) e quello falso (il dio), è un capolavoro del teatro comico di tutti i tempi. Il secondo è un altro passo dell'Eneide di Virgilio : nella reggia di Didone (che si sta lentamente inna­ morando di Enea), Cartaginesi e Troiani ascoltano il li

canto dell'aedo Iopa, che racconta i movimenti delle costellazioni. Il terzo è un passo delle Metamorfosi di Ovidio (siamo agli inizi del I secolo a.C.): la Luna e le stelle (nello specifico, Boote e la Vergine) assistono impo­ tenti all'orribile delitto di Mirra, che, spinta dai fu­ nesti consigli della sua nutrice, entra nella stanza del padre Cinira per unirsi di nascosto a lui. Dalla loro relazione incestuosa, nascerà il bellissimo Adone. Quella delle due costellazioni (che sono, non a caso, padre e figlia) è una giusta reazione di orrore. Se­ condo la versione seguita da Ovidio, infatti, il "bovaro" (Boote) era il contadino ateniese !cario, a cui Dioniso aveva insegnato l'arte di ricavare il vino dall'uva; i con­ tadini dell'Attica, che ne avevano bevuto in quantità eccessiva, credendo, in preda ai fumi dell'alcol, di es­ sere stati avvelenati, l'avevano ucciso. Seguendo il fiuto della cagnolina Maira, la figlia Erigone aveva scoperto il cadavere del padre, si era impiccata ed era stata tra­ sformata, come il povero !cario, in una costellazione. Si tratta, in entrambi i casi, di un catasterismo. Ma di questo avremo modo di parlare più avanti. L'accampamento troiano

O mero , Iliade 8, sss-s6s Come quando, nel cielo, le stelle si mostrano luminose, intorno alla Luna che splende, nell'aria senza vento, e si vedono tutte le rupi, le cime dei colli e le valli, e sotto il cielo 22

si apre uno spazio infinito, e per la gioia del pastore tutti gli astri sono visibili; così, tra le navi e le acque del fiume Xanto, splendevano luminosi i tanti fuochi dei Troiani, accesi davanti alle mura di Ilio. Mille erano i fuochi che bruciavano nella pianura; accanto, davanti ai guizzi del fuoco splendente, sedevano cinquanta soldati. Fermi vicino ai carri, i cavalli brucavano l'orzo bianco e la spelta, aspettando l'arrivo di Aurora dal bel trono. Achille all'inseguimento di Ettore

O mero, Iliade 22, 25-32 Il vecchio Priamo fu il primo a vedere Achille mentre correva sulla pianura, luminoso come Sirio, la stella che splende in autunno : nel cuore della notte, i suoi raggi brillano in mezzo agli astri infiniti. Lo chiamano "il cane di Orione": di tutte le stelle, è la più luminosa. Ma è un segno funesto, perché porta febbre violenta ai mortali sventurati. Così, sul petto di Achille che correva, luccicavano le armi di bronzo. La lancia di Achille

Omero, Iliade 22, 3 17-321 Come, nel cuore della notte, tra le altre stelle sale l'astro della sera, Espero, che è la più bella di tutte le stelle che stanno nel cielo,

così risplende la punta aguzza della lancia che Achille stringe nella mano destra, pensando alla prossima morte del divino Ettore, mentre scruta quale punto del suo corpo possa offrire minore resistenza. L'estate e l'autunno

Esiodo, Opere e giorni 582-625 Quando il cardo fiorisce e, sull'albero, la cicala diffonde senza mai fermarsi il suo canto sonoro da sotto le ali, nell'estate che stanca tutti gli animali, allora le capre sono più grasse, il vino è più buono, le donne sono bruciate dal desiderio e gli uomini sono completamente privi di forza, perché Sirio prosciuga la testa e le ginocchia, rendendo secca la pelle per la canicola. Ed è in giorni come questi che sarebbe bello avere una pietra che fa ombra, un po' di vino di Biblo, una focaccia impastata con il latte, insieme al latte di capre che non allattano più, alle carni di una vitellina cresciuta nelle foreste che non ha ancora partorito, alle carni di capretti appena nati. Così, sdraiati all'ombra, potremmo berci sopra, con il cuore sazio di cibo, un po' di vino scintillante, con il viso rivolto al soffio veloce di Zefìro, miscelando una parte di vino con tre parti d'acqua, che sgorga da una fonte perenne, limpida e pura. Quando appare nel cielo il possente Orione,

ordina allora agli schiavi di trebbiare le cime del frumento, sacro a Demetra, nell'aia circolare, in un luogo ben ventilato : misuralo per bene e riponilo negli orci. Quando avrai riposto, in modo ordinato, tutto il raccolto dentro la casa, cerca uno schiavo che non abbia una famiglia, cerca una serva che non abbia figli, perché una serva che ha figli è un problema. Procurati anche un cane dai denti affilati, nutrendolo senza risparmiare sul cibo, perché altrimenti l'uomo che dorme di giorno, il ladro, porterà via tutte le tue ricchezze. Procurati tanto foraggio e paglia per i buoi e i muli. Dopo, lascia che gli schiavi riposino le ginocchia, senza dimenticarti di sciogliere i buoi. Quando Orione e Sirio arrivano al centro del cielo, quando Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere la stella Arturo, allora, o Perse, vendemmia tutti i grappoli e portali a casa. Lasciali al sole per dieci giorni e dieci notti; poi, per altri cinque giorni, mettili all 'ombra; al sesto giorno, versa negli orci il dono di Dioniso che rende lieto l'animo degli uomini. Quando saranno tramontate, insieme al forte Orione, anche le Pleiadi e le Iadi, ricordati che quello è il momento giusto per arare la terra: il corso dell'anno si deve concludere sotto terra. Ma se ti fai prendere dal desiderio della navigazione pericolosa, sappi che quando le Pleiadi si tuffano nel mare nebbioso 25

per fuggire la forza del possente Orione, è proprio in quella stagione che infuriano i soffi di ogni specie di venti. Non è più quello il momento di tenere le navi sul mare colore del vino : lavora la terra, e non dimenticarti di questo mio consiglio ! Tira in secco la nave, circondandola di pietre da tutte le parti, in modo che possa resistere all'umido soffio dei venti. La calda estate

Alceo, fr. 347 Voigt Bagna i polmoni di vino : la stella del Cane sta compiendo il suo giro ; la stagione è dura, ogni creatura vivente soffre di sete per l'arsura; sulle foglie degli alberi, la cicala canta dolcemente ; il cardo è fiorito. Ora le donne sono in preda al folle desiderio, mentre gli uomini sono sfiniti: Sirio, il Cane, brucia la testa e le ginocchia. Il plenilunio

Saffo, fr. 34 Voigt Le stelle, intorno alla bella Luna, nascondono di nuovo la loro luce splendente, quando, piena, luccica su tutta la terra ( .. ) ( ... ) dal colore d'argento. .

La stella della sera

Saffo, fr. 104 Voigt Espero, stella della sera, tu che riporti tutto ciò che ha disperso Aurora luminosa, che riporti la pecora, che riporti la capra, tu porti via la figlia alla madre ( ... ) ( . ) tu che sei la più bella di tutte le stelle ..

Solitudine

Saffo, fr. r 68B Voigt La Luna è tramontata insieme alle Pleiadi; è mezzanotte, il tempo passa, io dormo da sola. n canto della sentinella

Eschilo, Agamennone 1-11 SENTINELLA Questo chiedo agli dèi: liberatemi da queste fatiche, da questa veglia notturna che dura da anni. Mentre, come un cane da guardia, dormivo qui, sul tetto del palazzo dei sovrani di Argo, ho imparato come si muovono nel cielo gli astri notturni, i signori luminosi che portano agli uomini l' inverno e l'estate, le stelle accese nell'aria,

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quando tramontano e quando sorgono. Adesso sorveglio ancora il segnale della fiaccola, la luce di fuoco che porterà da Troia la notizia che la città è stata presa. È questo il desiderio che domina il cuore della mia regina Clitennestra, una donna che ha l'animo di un uomo. Le Pleiadi

Eschilo, da una tragedia sconosciuta, fr. 312 Radt Le Pleiadi, le sette figlie di Atlante, piangevano per la fatica grandissima del loro genitore, costretto a reggere il cielo sulle spalle, mentre, colombe senza ali, avevano l'aspetto di fantasmi notturni. La veglia delle guardie tracie

Euripide, Reso 5 27-556 Chi è di guardia ? Chi mi dà il cambio ? Tramontano le prime stelle, ed ecco le sette Pleiadi celesti; nel mezzo del cielo, vola l'Aquila. Svegliatevi ! Perché perdete tempo ? Alzatevi dal letto ! Tocca a voi fare la guardia! Non la vedete la luce della Luna ? L'alba è vicina, l'alba spunta: ecco la stella che la segnala. A chi tocca il primo turno ? A Corebo, il figlio di Migdone - dicono. CORO

2.8

E dopo di lui chi c 'è ? Peone ha svegliato i Cilici, i Misi hanno svegliato noi. Il sorteggio ha stabilito che i Lici si sveglino per il quarto turno. Lo sento : sul letto del fiume Simoenta, rosso di sangue, il melodioso usignolo canta la sua sofferenza per la morte del figlio, con la sua voce dalle molte tonalità. Già le greggi pascolano sul monte Ida: sento il suono della zampogna che freme nella notte. Il sonno accarezza gli occhi: sulle pupille cala dolcissimo, all'alba. Per un amico scomparso

Platone : Antologia Pa/atina 7, 670 Astro, o mio Astro, tu che prima splendevi luminoso tra i vivi, come la stella del mattino, adesso che non ci sei più splendi tra i morti, come la stella della sera. La lunga notte

Plauto, Anfitrione 270-283 MERCURIO Ma che sta succedendo ? Sosia, lo schiavo, sta guardando il cielo. Adesso vediamo che cosa combina.

Ma certo, per Polluce ! Se c 'è qualcosa che devo credere, e che so per certo, è proprio questa: credo che questa notte il dio della Notte sia andato a dormire ubriaco. Le sette stelle del!' Orsa maggiore, nel cielo, non si muovono da nessuna parte ; la Luna non si sposta per niente dal luogo dove è sorta; non tramontano né Orione, né la stella della sera, e nemmeno le Pleiadi. E così le stelle rimangono immobili, là dove sono ; la notte non cede per niente il passo al giorno. MERCURIO 0 Notte, continua come hai cominciato ! Dai una mano a Giove, mio padre ! Tu stai facendo il servizio migliore, nel migliore dei modi, al migliore degli dèi, perché lo metti al posto giusto nel momento giusto. SOSIA A me non pare di avere mai visto una notte più lunga di questa - tranne una: quella che ho passato appeso, per un tempo interminabile, dopo essere stato frustato. Ma, per Polluce, questa notte di oggi vince in lunghezza, e la vince di molto, quella notte di allora ! Credo proprio, per Polluce, che il Sole, dopo aver bevuto tanto vino, stia dormendo della grossa. Ci sarebbe da stupirsi se, a cena, non avesse alzato troppo il gomito ... SOSIA

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L'aurora

Meleagro : Antologia Palatina 12, II4 Ti saluto, o stella del mattino, messaggera di Aurora ! Spero che tu possa ritornare presto, nei panni della stella della sera, per riportarmi di nascosto la donna che ora mi porti via. L'autunno e l'inverno

Virgilio, Georgiche I, 204-258 Dobbiamo poi scrutare l'arrivo della costellazione di Orione, i giorni dei Capretti e il Serpente luminoso, come fanno i marinai che, quando tornano in patria navigando sui mari ventosi, sfidano il Pomo e lo stretto dei Dardanelli, ricco di ostriche. Quando la Bilancia avrà reso uguale la durata delle ore del giorno e di quelle della notte, dividendo il mondo a metà tra l'ombra e la luce, allora aggiogate i tori e seminate l'orzo nei campi fino alle ultime piogge dell'autunno, perché l' inverno impedisce di lavorare. Ecco il momento adatto per ricoprire di terra, curvandovi sugli aratri, il seme del lino e il papavero di Cerere,

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finché la terra asciutta lo permette, mentre le nuvole sono sospese nel cielo. In primavera, si seminano le fave ; erba medica, quello è, per te, il tempo giusto per farti accogliere dai morbidi solchi; quello è il tempo della cura annale del miglio, quando la costellazione scintillante del Toro segna l' inizio dell'anno con le sue corna dorate, mentre il Cane minore tramonta, cedendo il suo posto all'astro che lo segue. Ma se, per raccogliere il frumento e il farro robusto, lavorerai la terra incalzando soltanto le spighe, lascia che tramontino le Pleiadi orientali, le figlie di Atlante ; lascia che scompaia la stella cretese della Corona ardente prima di affidare i semi ai solchi che se li aspettano, affidando la speranza di un anno a una terra che non la vuole. Molti cominciano a seminare prima del tramonto di Maia, una delle Pleiadi - ma aspettano invano le messi, perché le spighe vuote li ingannano. Ma se deciderai di seminare la veccia e l'umile fagiolo, senza disprezzare la cura delle lenticchie egiziane, al tramonto Boote ti manderà segni molto chiari: comincia pure a seminare, senza smettere, fino a metà dell' inverno. Ecco per quale motivo il Sole d'oro guida il suo giro intorno alla Terra, diviso in parti uguali attraverso dodici costellazioni. Cinque sono le zone che occupano il cielo : 32

una è sempre rossa di Sole abbagliante, sempre torrida per il fuoco ; intorno, a destra e a sinistra, si muovono le zone estreme, cupe, coperte di ghiaccio compatto, bagnate da piogge nere ; tra queste due zone e quella di mezzo, gli dèi ai poveri mortali ne hanno concesse, con magnanimità, altre due, attraversate da una via che le costellazioni percorrono obliquamente. Come il mondo si alza verso la Scizia e le cime dei monti Rifei, così si abbassa verso gli Austri che soffiano dalla Libia. Questo polo è sempre alto sopra di noi; l'altro polo, agli antipodi, lo vedono la nera palude Stige e le profonde anime dei morti. Nel primo polo scorre strisciando il grandissimo Serpente, che come un fiume circonda due costellazioni: le Orse, che hanno paura di bagnarsi nelle acque dell'oceano. Nel secondo polo, c 'è sempre una notte fonda e silenziosa, dicono, dove fitte tenebre si addensano - a meno che non sia proprio quello il luogo da dove Aurora torna verso di noi quando riporta il giorno, quello dove il rosso Vespro accende le luci della tarda sera quando il Sole che sorge corre verso di noi con i suoi cavalli ansimanti. Da qui possiamo conoscere in anticipo le stagioni, anche se il cielo non ce lo dice ; da qui 33

conosciamo il giorno e l'ora per seminare il grano, quello per colpire con i remi il mare pericoloso, quello per tirare in secca le navi equipaggiate o per abbattere i pini nelle foreste. Non è una perdita di tempo osservare quando sorgono e quando tramontano le stelle, come l'anno sia perfettamente diviso in quattro stagioni diverse tra loro. Il canto dell'aedo cartaginese

Virgilio, Eneide 1, 736-752 Così parlò Didone. Poi versò sulla tavola l'offerta del vino, bevendolo con le labbra; poi lo passò a Bizia, esortandolo a fare altrettanto. Senza perdere tempo, Bizia bevve dalla coppa spumeggiante, tuffandosi nel calice d'oro, che era pieno di vino ; dopo di lui, bevvero gli altri nobili cartaginesi. Accompagnandosi con la cetra d'oro, Iopa, il cantore dai lunghi capelli, allievo del gigantesco Atlante, canta le orbite della Luna e le fatiche del Sole, che sono la vita degli uomini e degli animali, che regolano l'acqua e il fuoco ; canta Arturo, le Iadi portatrici di pioggia, i due Carri; canta il motivo che spinge i soli invernali a tuffarsi con così tanta fretta nell'oceano, o quello che rende le notti più lente. I Cartaginesi non smettono di applaudire ; 34

i Troiani, imitandoli, li seguono. E la povera Didone, con vari discorsi, rendeva lunga la notte, bevendo un amore infinito : faceva molte domande su Priamo e su Ettore ; chiedeva con quali armi fosse giunto a Troia Memnone, il figlio di Aurora; di chi fossero i cavalli rapiti da Diomede ; quanto Achille fosse terribile in battaglia. Mirra

Ovidio, Metamorfosi 10, 446-464 Era l'ora in cui tutto tace, l'ora che vede Boote piegare il corso del carro tra le stelle dell'Orsa, muovendo il timone : Mirra si muove, pronta a commettere il suo delitto. La Luna d'oro fugge dal cielo, le nuvole nere coprono le stelle che stanno sparendo, la notte perde le sue luci di fuoco : il primo a nascondere il volto sei tu, !cario, insieme a tua figlia Erigone, assunta in cielo per averti amato. Per tre volte Mirra fu spinta indietro per il presagio nefasto, inciampando con il piede ; per tre volte il gufo portasfortuna le diede un segnale, con il suo verso di morte. Ma lei avanza: le tenebre della nera notte rendono meno pungente la sua vergogna. Con la mano sinistra tiene la mano della nutrice, mentre l'altra, brancolando, 35

esplora il cammino invisibile. Già tocca la soglia della camera da letto, già ne apre la porta, già si spinge dentro : ma cedono le gambe, tremano le ginocchia, le spariscono dal volto il colore e il sangue ; continua ad andare, ma il coraggio l'abbandona; quanto più si avvicina al suo delitto, tanto più prova orrore, pentendosi di quel che ha osato fare ; vorrebbe tornare indietro senza essere riconosciuta. Esita - ma la vecchia nutrice la prende per mano. Dopo averla avvicinata al letto, l'affida al padre Cinira dicendo : «Prendila, è tua ! » . E fa che quei corpi maledetti si uniscano fra loro. La stella del mattino

Macedonia : Antologia Palatina s. 223 O stella del mattino, non odiare l'amore ! Anche se sei vicina ad Ares, il dio della guerra, non imparare da lui ad avere un cuore spietato ! Come, una volta, nel vedere il Sole che stava nella casa insieme a sua moglie Climene, non ti sei messa a correre veloce, allontanandoti in fretta dalle regioni orientali, così, in questa notte che, per me che la desidero, sorge molto a fatica, ti prego di venire lentamente, come fai quando sorgi tra il popolo dei Cimmeri.

La breve notte

Paolo Silenziario : Antologia Palatina s, 283 Ho avuto sul mio letto, per tutta la notte, l'affascinante Teanò, che, piena di dolore, non ha mai smesso di piangere. Quando la stella della sera è salita sul monte Olimpo, Teanò l'ha rimproverata, perché annunciava l'arrivo dell'alba. La nostra vita dura lo spazio di un mattino, e nulla va come vorremmo : chi venera l'amore vorrebbe avere le notti altrettanto lunghe quanto le notti di quelli che vivono nell'Artico.

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Le stelle nella vita di tutti i giorni: i viaggiatori

Nel quinto libro dell' Odissea, Omero descrive il viag­ gio notturno di Odisseo che ha appena lasciato, su una solida zattera, l'isola di Ogigia, dopo aver tra­ scorso tanti anni in compagnia della ninfa Calipso. Sono proprio le stelle a guidare l'eroe durante la na­ vigazione che lo porterà finalmente nella sua amata ltaca: prima di partire, Calipso gli ha consigliato di tenerle sempre alla sua sinistra. Sono stelle che conosciamo già: oltre alle Pleiadi, Calipso gli aveva ricordato Boote, il "bovaro': una costellazione contraddistinta da un astro molto lu­ minoso. Il nome di questa stella non è cambiato da allora: si chiama ancora Arturo, che significa "il guar­ diano dell'orsa" ( perché l'astro si trova non lontano da Alkaid, il nome della stella che costituisce il ti­ mone del Grande Carro - cioè dell'Orsa maggiore ) . La descrizione di questa navigazione notturna viene ripresa, con alcune modifiche, da Virgilio nel­ l'Eneide: qui è il troiano Palinuro, il timoniere della nave di Enea, che si affida alle stelle per attraversare il mar Ionio dalla Grecia all'Italia. Dopo Arturo, troviamo citate le ladi, che vengono definite piovose perché segnavano l'inizio dell'autunno, con l'arrivo della stagione delle piogge ; poi i due Carri, che sono 39

contrapposti alla costellazione di Orione, le cui stelle luccicano come armi dorate. Si tratta di un motivo che diventa topico nei poemi epici latini delle età successive. Nella Guerra civile di Lucano, composta nel I secolo d.C., Pompeo, navigando verso l' Egitto dopo la sconfitta di Farsalo, si fa spiegare dal suo timoniere quali sono le stelle che bisogna seguire per non perdere la rotta - e tra queste c 'è anche Canopo, la seconda stella del cielo notturno ( per luminosità) dopo Sirio, una supergigante gialla che, essendo molto bassa sull'orizzonte, può essere vista solo dalle latitudini più meridionali. Canopo ( che era il nome del timoniere di Menelao, il fratello di Agamennone, comandante dell'esercito greco durante la guerra di Troia) fa parte della grande costellazione che i Greci chiamavano "la nave Argo", il risultato del catasterismo della mitica nave che aveva portato gli Argonauti dalla Tessaglia fino alle coste in­ terne del mar Nero, nella remota Colchide. Il mitico timoniere di Argo si chiamava Tifi - ed è proprio Tifi il personaggio che, nelle Argonautiche di Val eri o Fiacco, un poeta epico vissuto durante l'età Flavia, sempre nel I secolo d.C., rincuora i suoi com­ pagni spaventati dicendo che la dea Minerva gli ha insegnato a riconoscere le stelle per trovare la rotta nelle notti buie : non bisogna guardare solo Orione, ma anche Perseo ; non bisogna conoscere solo la po­ sizione dell'Orsa maggiore, ma anche quella della grande costellazione del Serpente ( chiamata anche Drago ) , che sembra avvolgerla nelle sue spire. « La mia guida è la costellazione che non deve mai

cadere in mare » : così afferma Tifi, alludendo al fatto che, per chi solca il mar Mediterraneo, le Orse sono due costellazioni che non tramontano mai - perché nell'emisfero boreale non scendono mai sotto la linea dell'orizzonte, cosa che capita invece ad altri gruppi di stelle (come, per esempio, Orione, che nei mesi estivi è visibile solo a chi si trova nell'emisfero au­ strale). Tifi (che nella tradizione antica è considerato il fondatore dell'arte della navigazione) non riuscirà a condurre la sua nave a destinazione : morirà infatti prima di raggiungere la Colchide - un destino fu­ nesto condiviso con il pilota di Enea: neanche Pali­ nuro vedrà le coste del Lazio, perché cadrà in mare navigando nel tratto che separa la Libia dall' Italia. Il posto di Tifi viene preso, nel poema di Valerio Fiacco, da Ergino, che era figlio di Poseidone, il dio del mare ; nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, composte nel III secolo a.C. (e che sono quindi il mo­ dello greco seguito da Fiacco per il suo poema latino), l'uomo prescelto per sostituire Tifi si chiama invece Anceo, anch'egli figlio di Poseidone. Il sorgere e il tramontare di alcune costellazioni erano un'altra delle conoscenze fondamentali per un esperto marinaio, perché indicavano i maggiori e i minori pericoli che si potevano correre durante la navigazione. Per esempio, il tramonto dei Capretti (molto probabilmente un riferimento a Capella, la "capretta", la stella più luminosa della costellazione dell'Auriga) segnava l' inizio della brutta stagione - e, come ci dice Callimaco, contemporaneo di Apollonio 41

Rodio vissuto anche lui tra il IV e il III secolo a.C., in un epitaffio fittizio ( un genere poetico molto diffuso a partire dall'età ellenistica) , i naviganti dovevano fare attenzione al tramonto dei Capretti. Analogo è il consiglio dato da un altro poeta el­ lenistico, Leonida, che era originario di Taranto : in un epigramma funerario inventato, piange la morte di un certo Callescro, travolto dalle onde del mare in tempesta per aver commesso l'errore di essere partito nonostante la stagione invernale, contrassegnata dal tramonto della costellazione di Orione. Il viaggio notturno di Ulisse

Omero, Odissea s, 2.62.-2.81 Dopo quattro giorni di lavoro, la zattera di Ulisse era pronta. Al quinto giorno, Calipso lo fece partire dall' isola di Ogigia, tutto lavato e ricoperto di vesti profumate. La dea posò sulla zattera un otre di vino nero e uno, più grande, pieno d'acqua; dentro una sacca, mise, come viveri, molti cibi, che gli dessero forza. Poi fece alzare dal mare un dolce vento favorevole. Felice, il divino Ulisse alzò le vele al vento. Seduto al timone, guidava la zattera con abilità. E il sonno non gli cadeva sugli occhi mentre guardava le costellazioni: le Pleiadi, Boote che tramonta tardi, l' Orsa ( chiamata anche Carro ) che guarda Orione, girando su sé stessa - l'unico astro, l'Orsa, che non si bagna mai nelle acque dell'oceano.

Calipso, divina tra le dee, gli aveva detto di tenerla a sinistra, durante la navigazione. Medea

Apollonio Rodio, Argonautiche 3, 744-751 Poi la notte portò l'oscurità sopra la terra: i marinai, dalle navi, sul mare, guardavano l'Orsa e le stelle di Orione, mentre chi viaggiava per terra e chi custodiva le porte desiderava dormire ; un sonno profondo avvolgeva perfino la madre che aveva perso i figli: per la città, i cani non abbaiavano più, né c'era rumore di suoni: la nera oscurità era avvolta dal silenzio. Ma il dolce sonno non aveva preso Medea. La morte di Lico

Callimaco : Antologia Palatina 7, 272 Lico, che era nato sull'isola di Nasso, non morì sulla terra: vide morire, in mare, la sua nave insieme alla sua anima, tornando, con la merce, da un'altra isola, Egina. n suo cadavere galleggia sulle acque, mentre a me, che sono la sua tomba, non rimane altro che il nome. A tutti dico questa assoluta verità: «0 marinaio, cerca di non avere a che fare con il mare quando tramonta la costellazione dei Capretti ! » . 43

La morte di Callescro

Leonida: Antologia Palatina 7, 273 Mi hanno ucciso il soffio di Euro, duro e violento, e la notte, e le onde, al tramonto di Orione, scuro. Io, Callescro, sono scivolato via dalla vita mentre attraversavo veloce il mare della Libia. Ed è così, sprofondato nel mare, cibo per i pesci, che sono morto : questa pietra, appoggiata sopra la mia tomba, non dice la verità. Palinuro, il pilota di Enea

Virgilio, Eneide 3, 504-524 Proseguiamo il nostro viaggio per mare verso l ' Epiro, davanti ai monti Cerauni, là dove è più breve l'attraversamento delle onde in direzione dell' Italia. Nel frattempo il Sole precipita e le montagne, coperte dall 'ombra, diventano buie. Ci sdraiamo nel grembo della terra che avevamo a lungo desiderato, vicino all 'acqua, dopo aver sorteggiato chi dovrà remare domani. Sulla spiaggia asciutta ci prendiamo cura del corpo : nelle nostre membra stanche si insinua il sonno. Trascinata dalle Ore, la notte non aveva compiuto la prima metà del suo giro, ed ecco che Palinuro, il pilota, si alza subito dal suo giaciglio per esplorare tutti i venti, cogliendo la brezza con le orecchie. Esamina tutte le costellazioni 44

che ruotano silenziosamente nel cielo : Arturo, le Iadi piovose, i Carri gemelli, Orione con le sue armi d'oro. Quando ha veduto la posizione di tutte le stelle nel cielo sereno, colloca a poppa un segnale luminoso. E noi leviamo il campo, pronti a superare lo stretto aprendo le ali alle vele. Già, messe in fuga le stelle, rosseggiava Aurora. Ed ecco che, da lontano, vediamo scure colline - e, bassa sull'orizzonte, l' Italia. «Italia!» , grida per primo il fido Acate, «Italia!» è il saluto dei compagni, con grida di festa. Il pilota di Pompeo

Lucano, La guerra civile 8, I 6 s-I 84 Spesso il triste peso delle sue preoccupazioni, unito alla paura del futuro, ha frenato gli slanci di Pompeo, stancando il suo animo esaltato. Chiede quindi consigli al timoniere, che riguardano tutte le stelle : come riesca riconoscere le terre, che cosa dica il cielo sulla rotta marina, quale costellazione possa guidarlo verso la Siria, qual è l'astro del Carro che porti diritto in Libia. Il pilota, che sa osservare il cielo che tace, risponde così: « lo non seguo tutte le costellazioni che sorgono e tramontano nel cielo stellato - le stelle che, con il loro continuo movimento, ingannano gli sfortunati navigatori. 45

L'astro che guida le navi non tramonta mai : luminosissimo, non si tuffa nel mare con le due Orse. Finché l' Orsa minore sarà sempre sopra di me, alta sopra le antenne, vuoi dire che la nave si dirige verso il Bosforo e il mar Nero, che diventa curvo lungo le cose della Scizia. Quando Boote scenderà dali'albero maestro e Cinosura, l' Orsa minore, si avvicinerà al mare, la nave andrà allora verso i porti della Siria. Poi vedremo Canopo, la stella che cammina solo nel cielo australe, per paura della fredda bora : se, andando oltre Faro, la tieni a sinistra, la nave si arenerà nelle Sirti, in mezzo al mare » . Tifi, il pilota di Giasone

Valerio Fiacco, Argonautiche 2, 34-71 Già il carro del Sole corre verso il mare spagnolo ; scendendo, l'auriga lascia andare le redini, mentre Teti, l'antica divinità marina, solleva il petto e le mani; il Sole, il sacro Titano, squarcia il mare sonoro. L'ora faceva aumentare i timori degli Argonauti: vedevano il cielo al momento del tramonto, vedevano le montagne sparire davanti agli occhi insieme alle terre, vedevano le tenebre cadere pesanti intorno a loro. Anche la quiete fa paura, anche il silenzio del mondo, gli astri, il cielo stellato percorso dalle comete. Come il viandante che, di notte, percorre

una strada in un territorio a lui sconosciuto, attento al poco che sente e al poco che vede, perché la paura della notte nera è resa più forte dalla campagna, da un albero che, per l'ombra, sembra più grande di quello che è davvero, così tremavano gli Argonauti. Ma Tifi, il timoniere, per incoraggiarli parlava così: «Questa nave io non la guido certo senza l'aiuto della divinità: la dea Minerva non mi ha insegnato solo le rotte da seguire, ma ha spesso guidato la nave di persona. Ma voi credete forse che io non abbia mai provato a guidare da solo la nave Argo, quando la luce scompare e comincia a piovere ? A quante tempeste di vento, per Giove pluvio, non sono stato capace di resistere ? Quante volte, grazie all'aiuto della dea Minerva, le onde gonfie e violente non mi hanno affondato ? Compagni, avanti ! Il cielo splende immobile ; la luna è sorta, limpida, senza nessun alone rosso ; il sole si è immerso intatto nel mare, lanciando bagliori dorati - e questo è un segno che non inganna mai. Aggiungete una cosa: di notte in mare i venti soffiano con più forza; la nave corre più veloce nelle ore silenziose; non ho intenzione di seguire le costellazioni che, tuffandosi in mare, riprendono le forze. Ecco, già tramonta il grande Orione ; già Perseo stride, scendendo tra le onde. Ma la mia guida è la costellazione che non deve mai cadere in mare : 47

il Serpente, che splende nel cielo, avvolgendo nelle sue spire le sette stelle dell' Orsa maggiore » . Dopo queste parole, elenca tutte le costellazioni che brillano nel volto sereno del cielo, mostrando dove sono le Pleiadi e le !adi, in quale costellazione rifulga la Spada di Orione. quale sia la luce che risplende nell'attico Boote. Finito questo discorso, gli uomini stanchi, mangiando e bevendo, riprendono le forze. Quando, alla fine, tutti si addormentano, la nave prosegue il suo viaggio, guidata dalle stelle.

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Le stelle nella filosofia e nella scienza

Uno dei padri della scienza astronomica greca è Claudio Tolomeo, vissuto ad Alessandria d' Egitto nel II secolo d.C. Il suo sistema geocentrico, che po­ neva la Terra al centro dell'universo e che rimase in vigore fino alla rivoluzione copernicana del Cinque­ cento, è descritto nella sua opera più famosa, La sin­ tassi matematica, più conosciuta con il titolo derivato dall'arabo di Almagesto (che significa "la disciplina più grande"). In questo lavoro Tolomeo, prendendo spunto dalle opere dei suoi predecessori (soprattutto Eudosso di Cnido, astronomo e matematico vissuto nel IV secolo a.C.), descrisse la volta celeste analiz­ zandone i movimenti e le variazioni; l'opera è per noi molto preziosa perché contiene l'elenco di tutte le stelle conosciute, basato su quello stilato da Ipparco di Nicea, un astronomo vissuto nel II secolo a.C., al quale si deve la scoperta del fenomeno della preces­ sione degli equinozi. Convinto, come molti di coloro che l'avevano preceduto, che l'astrologia e l'astronomia fossero due facce della stessa medaglia, Tolomeo scrisse anche un trattato intitolato Le previsioni astrologiche (più conosciuto con il titolo alternativo di Tetrabiblos, perché composto da quattro libri) dove affronta, in 49

modo estremamente scientifico, la questione del rap­ porto tra la posizione degli astri e la vita degli uomini. Stando a quel che ci racconta il mito, però, i padri dell'astronomia sarebbero stati altri personaggi - di­ vinità ed eroi. Secondo il poeta tragico Eschilo, vis­ suto nel v secolo a.C., a spiegare il significato dei mo­ vimenti delle stelle sarebbe stato il titano Prometeo - lo stesso personaggio che, spinto dal suo forte amore nei confronti del genere umano, aveva rubato il fuoco agli dèi per farne dono agli uomini (e che per questa azione era stato severamente punito da Zeus, il quale l'aveva fatto inchiodare ai monti del Caucaso, dove tutti i giorni un'aquila gli divorava il fegato, che subito dopo, miracolosamente, cresceva di nuovo). Sofocle, vissuto qualche decennio dopo Eschilo, at­ tribuisce questa scoperta a Palamede, un altro per­ sonaggio del mito (acerrimo rivale di Odisseo), che avrebbe insegnato agli uomini anche i numeri e le let­ tere dell'alfabeto. I primi filosofi, i cosiddetti presocratici, si occu­ parono anche delle cose del cielo - a volte con con­ seguenze ridicole, come dice Platone nel Teeteto, nel famoso aneddoto che racconta come Talete, tutto in­ tento nell'osservazione del cielo, finì per cadere in una buca e venne preso in giro per questo da una schiava originaria della Tracia. Si tratta di una storia che tro­ viamo anche in una favola di Esopo, che si conclude con la seguente morale : « Questa favola potrebbe es­ sere adatta a quelle persone che si vantano di cose in­ credibili ma non sono capaci di fare nemmeno le cose che fanno gli uomini normali » . so

Ma la competenza di Talete in campo astronomico non era una leggenda: nel primo dei suoi Giambi, Callimaco afferma che il filosofo di Mileto aveva mi­ surato le stelle del Piccolo Carro, il principale punto di riferimento per i navigatori fenici. Per la maggior parte dei presocratici (ma soprat­ tutto per alcuni di loro, come il già ricordato Pitagora, Anassimene e Anassagora), le fonti testimoniano un forte interesse nei confronti del cosmo. E questo va­ leva, in parte, anche per Socrate : nel Timeo, uno dei suoi ultimi dialoghi, Platone gli mette in bocca al­ cune dense riflessioni sulla creazione dei pianeti. Sap­ piamo, grazie a Senofonte (che era stato suo allievo), che lo studio dell'astronomia era uno di quelli che So­ crate consigliava ai suoi alunni. Ma si trattava di una disciplina che non ricopriva certo un ruolo di primo piano fra gli insegnamenti impartiti dal filosofo ate­ niese - nonostante la divertente caricatura che ne fa il poeta comico Aristofane nelle Nuvole, rappresentate nel 42.3 a.C., quando lo fa comparire in scena (grazie alla mechane, la macchina scenica che permetteva di muovere gli attori, alzandoli e abbassandoli) appeso su un cestello, mentre spiega al vecchio Strepsiade, venuto da lui per prendere lezioni private, che ha uti­ lizzato quell'espediente proprio per essere più vicino al Sole e poterlo quindi osservare meglio. Lo studio del cosmo era una parte fondamentale dell' insegnamento delle due principali scuole filoso­ fiche dell'età ellenistica, gli stoici e gli epicurei; per quanto riguarda Epicuro, il suo interesse per i feno­ meni celesti risulta chiaramente dalle ampie sezioni SI

astronomiche contenute nel secondo libro del poema di Lucrezio, La natura, composto nel I secolo a.C., che nei suoi sei libri traduce in latino la dottrina del filo­ sofo di Samo. Ampie sezioni dedicate a questo argomento le tro­ viamo in tutte le opere scientifiche del mondo antico greco e romano, da Aristotele, sia nelle opere auten­ tiche sia in quelle spurie, a Plinio il Vecchio ( che nel secondo libro della sua enciclopedia Storia naturale, composta nel I secolo d.C., riassume le principali dot­ trine stoiche ) , comprese le Etimologie, il compendio medievale di lsidoro, vescovo di Siviglia, scritto agli inizi del VII secolo. Anche i poeti, però, non erano da meno. Ovidio, in una delle sue opere meno conosciute, i Fasti, de­ dicati alle feste che i Romani celebravano nei primi sei mesi dell'anno ( purtroppo la parte che conteneva quelle degli altri sei mesi non ci è giunta - o forse non è stata mai scritta, a causa del provvedimento emanato da Augusto nell ' 8 d.C. che lo relegò a Tomi, l'odierna Costanza, sulle rive del mar Nero ) , elogia gli scienziati che, decidendo di occuparsi delle cose celesti, si sono elevati fino al cielo, avvicinandosi agli dèi. Ma il poeta che più di tutti si è dedicato all'astro­ nomia, mettendo letteralmente in versi la volta ce­ leste, fu Arato. Nel suo pometto didascalico di oltre mille versi intitolato Fenomeni, Arato, che era nato a Soli, in Cilicia, alla fine del IV secolo a.C., descrive ( rifacendosi ali'opera di lpparco ) tutte le costellazioni del cielo e dedica la sezione finale a questioni che ri­ guardano la meteorologia.

Il successo di quest 'opera fu enorme, e suscitò un grandissimo entusiasmo anche a Roma: la tradussero in latino Varrone Atacino, Cicerone e Germanico (il nipote dell' imperatore Tiberio ), senza dimenticare il rifacimento successivo di Avieno, nel IV secolo d.C. Ne esiste anche un corrispondente latino : a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., Marco Manilio scrisse Ilpoema degli astri; in bilico, come gran parte dei lavori antichi, tra astronomia e astrologia, l'opera può essere considerata la risposta stoica al poema epi­ cureo di Lucrezio, perché secondo Manilio l'universo non era regolato dal caso, come aveva sostenuto Epi­ curo, ma dalla ragione divina. Tra i tanti traduttori del poemetto di Arato ci fu, come ho detto, anche Marco Tullio Cicerone, che nei suoi dialoghi filosofici si occupa spesso di astronomia: oltre alla sezione dedicata ai pianeti nel secondo libro della Natura degli dei, dove l'autore, che pure era un fautore delle posizioni sostenute dagli eredi dell'Ac­ cademia platonica, espone la dottrina stoica, degna di nota è quella che troviamo nell'ultimo libro del dialogo intitolato La repubblica, noto con il nome di "Sogno di Scipione". Qui il protagonista del dialogo, Scipione Emiliano (il distruttore di Cartagine), racconta il viaggio che immagina di avere compiuto nell'aldilà sotto la guida di suo padre, Lucio Emilio Paolo, e del nonno adot­ tivo, Scipione l'Africano, il vincitore di Annibale ; du­ rante il sogno, i suoi antenati gli mostrano dall'alto la struttura dell'universo - in fondo alla quale si intra­ vede, piccolissima, lontano, la Terra. 53

Le invenzioni di Prometeo

Eschilo, Prometeo incatenato 442-461 PROMETEO Ascoltate come soffrivano gli uomini, che erano come bambini, prima che io li rendessi intelligenti e capaci di pensare. Senza volerli biasimare, vi dirò perché ho voluto dar loro questi doni, spinto da amore. Ali ' inizio, avevano gli occhi ma non vedevano, avevano le orecchie ma non sentivano ; simili alle ombre inconsistenti dei sogni, trascorrevano la loro lunga vita agendo a caso, mescolando tutto in modo confuso. Non erano capaci di costruire case di mattoni esposte al sole e non conoscevano le tecniche per lavorare il legno ; abitavano sotto terra, dentro profonde caverne prive di luce, come formiche laboriose ; non conoscevano i segni che indicavano con certezza l'arrivo del!' inverno, della primavera fiorita, dell'estate fruttuosa. Ogni cosa la facevano senza usare la ragione, finché non ho fatto vedere loro come le stelle sorgono e tramontano - che non è cosa facile. Poi, ho fatto vedere loro il numero, che è la più grande di tutte le scoperte, e le lettere : se le si mettono insieme, si possono ricordare tutte le cose, attraverso il lavoro faticoso che dà vita alla poesia.

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Le invenzioni di Palamede

Sofocle, Nauplio, fr. 432 Radt NAUPLIO Fu lui, mio figlio Palamede, l' inventore del muro a difesa dell'esercito di Argo ; sue le invenzioni dei pesi, dei numeri e delle misure ; insegnò lui a schierare l'esercito in questo modo ; lui scoprì i segni celesti. Fu sempre lui il primo inventore di queste cose : contare prima da uno a dieci, e poi da dieci a cinquanta, e poi a mille ; mostrò all'esercito come usare le fiaccole per segnalare la propria posizione ; fece vedere cose che prima non erano state mai mostrate. Inventò le misure e le rotazioni degli astri, segni veritieri per le sentinelle che vegliano mentre gli altri dormono ; per i timonieri che pascolano le navi nel mare, inventò i movimenti circolari delle sue Orse e il tramonto del Cane, che apre la stagione fredda.

Una divertente lezione di astronomia

Aristofane, Le nuvole 181-23 8 STREPSIADE

(al discepolo di Socrate)

Presto, su ! Apri il pensatoio ! Aprilo ! Voglio vedere Socrate ! Immediatamente ! Ho una tale voglia di imparare che non riesco più a trattenermi ... ss

Dai, aprimi questa porta !

(mentre il discepolo apre la porta delpensatoio, escono gli altri discepoli di Socrate) Per Eracle, e queste bestie chi sono ? D ISCEPOLO Perché ti stupisci ? Che cosa sarebbero, secondo te ? STREPSIADE Sembrano gli Spartani ! E perché questi qui guardano per terra ? D ISCEPOLO Cercano le cose che stanno sotto. Ma allora cercano le cipolle ! [ . . ] STREPSIADE E questi altri che fanno, così piegati in due ? D ISCEPOLO Scrutano gli abissi del Tartaro. E perché il culo guarda verso il cielo ? STREPSIADE D ISCEPOLO Impara da solo l'astronomia. (rivolto agli altri discepoli) Su, entrate, tutti quanti ! Se il maestro vi trova qui, sono guai... STREPSIADE Aspetta, aspetta ! Lasciali qui: voglio sentire il loro parere su una cosa che mi riguarda personalmente. D ISCEPOLO Non è possibile : non è permesso passare troppo tempo all'aria aperta. (mentre i discepoli rientrano nelpensatoio, Strepsiade si mette a guardare alcuni oggetti) STREPSIADE Per gli dèì, che sono queste cose ? Me lo vuoi dire, o no ? D ISCEPOLO Questa qui è l'astronomia. STREPSIADE E quest 'altra che cos'è ? DISCEPOLO La geometria. STREPSIADE E a cosa serve ? .

s6

Serve a misurare la terra. Quale ? La terra da sorteggiare tra i cittadini ateniesi ? DISCEPOLO No, tutta quanta la terra. Mi sembra un'ottima idea! STREPSIADE Geniale, utile e democratica ! [ ... ] STREPSIADE Ma dimmi: chi è quell'uomo che se ne sta lassù, appeso su quell'affare ? DISCEPOLO È lui. STREPSIAD E Lui chi ? DISCEPOLO Socrate. STREPSIADE Ehi, Socrate ! (al discepolo) Dai, grida anche tu, e forte ! Fammi questo favore ! DISCEPOLO Chiamatelo da solo. Non ho tempo da perdere, io. (entra nelpensatoio) STREP SIADE Ehi, tu, Socrate ! Socratuccio ! SOCRATE Perché mi chiami, creatura effimera ? STREPSIADE Dimmi che cosa stai facendo ! SOCRATE Cammino nel cielo, esaminando il Sole. STREPSIADE Quindi tu gli dèi li guardi dali' alto in basso, giusto ? Da un cestello, non dalla terra. SOCRATE Se non avessi appeso in alto il pensiero e la mente, se non li avessi mescolati con l'aria, che è sottile come loro, non sarei mai stato capace di scoprire nel modo corretto i fenomeni celesti. Se avessi studiato dal basso, da terra, le cose che stanno in alto, non le avrei mai scoperte. Non c 'è niente da fare, purtroppo : DISCEPOLO

STREPSIAD E

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la terra attira verso di sé l'umidità del pensiero. È lo stesso che succede all' insalata. STREPSIADE Ma che cosa stai dicendo ? Da quando in qua il pensiero attira l'umidità verso l' insalata ? Talete, lo scienziato distratto

Platone, Teeteto 173e-174a SOCRATE Tutte queste cose pratiche, il filosofo nemmeno sa di non saperle. Se ne tiene lontano non per accrescere la propria reputazione, ma perché è solo il suo corpo che abita e vive nella sua città: la sua mente considera queste cose di poco valore e prive di importanza. Nel disprezzarle, il filosofo vola « sopra la terra » , come dice Pindaro, misurando la superficie terrestre, studia le stelle «che stanno sopra il cielo » ( sempre Pindaro) e prende in considerazione il mondo intero investigando tutte le cose una per una - ma non si abbassa mai a considerare le cose che sono vicine, a portata di mano. TEOD ORO Che cosa vuoi dire, o Socrate ? SOCRATE Prendi, o Teodoro, il caso di Tale te. Men­ tre stava studiando le stelle e guardava verso l'alto, cadde in un pozzo. Una schiavetta tracia, arguta e spi­ ritosa, lo prese in giro dicendo che il desiderio di co­ noscere le cose del cielo era così forte da fargli dimen­ ticare di vedere le cose della terra che stavano davanti ai suoi piedi.

ss

n temp o e il cielo

Platone, Timeo 3 8b-39e ll tempo è nato insieme al cielo. Vuoi sapere perché ? Perché, essendo nati insieme, insieme si dissolve­ ranno, se mai dovessero dissolversi. Del resto, il tempo è stato creato seguendo il modello della natura eterna, perché fosse il più possibile simile a questo modello, almeno in potenza. Il modello è infatti qualcosa che dura per sempre, mentre il tempo, fino alla fine, per tutto il tempo è stato, è e sarà. Come conseguenza di questo pensiero razionale della divinità relativo alla nascita del tempo, per la nascita stessa del tempo sono stati generati il Sole, la Luna e cinque altri corpi celesti, i pianeti, per dividere e proteggere la misura stessa del tempo. Dopo aver creato i loro corpi, il dio li ha fatti muovere ciascuno secondo un'orbita diversa - e quindi abbiamo sette orbite per sette astri: la Luna percorre la prima orbita intorno alla Terra; il Sole percorre la seconda sopra la Terra; le orbite di Venere e Mercurio percorrono un'orbita veloce come quella del Sole, anche se vanno nella direzione contraria alla sua - ed è per questo che il Sole, Venere e Mercurio si raggiungono e sono a loro volta raggiunti secondo un principio costante [ ... ] . Per misurare in modo più chiaro la lentezza e la velocità di quelle orbite, il dio accese una luce nella seconda orbita che ruota intorno alla Terra, percorsa dall'astro che noi chiamiamo Sole : grazie a questa luce, che risplende per tutto il cielo, gli esseri umani

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hanno ricevuto meritatamente una legge numerica derivata dal movimento di ciò che è identico ed è si­ mile. È per questo motivo che sono nati il giorno e la notte, che corrispondono alla durata di quell'unica orbita, la più razionale. Ed è per questo che è nato il mese, che si ha quando la Luna, percorsa la sua orbita, raggiunge il Sole ; è per questo che è nato l'anno, che si ha quando il Sole ha percorso la sua orbita. Sono pochissimi gli uomini che si sono preoccu­ pati delle orbite degli altri pianeti, che hanno dato loro un nome e che le hanno osservate e misurate; la conseguenza è che non sanno che "tempo" è anche le orbite erratiche di questi pianeti, anche se è impossi­ bile contarle e se risultano straordinariamente varie. È tuttavia possibile capire che il numero perfetto del tempo porta a compimento l'anno perfetto quando le otto orbite, che si muovono tutte alla stessa velocità, tornano al punto di partenza secondo la misura del cerchio dell' identico che procede in modo costante. È secondo queste leggi e per queste ragioni che sono nati quei corpi celesti, che, nel loro movimento, cono­ scono ritorni regolari: in questo modo il mondo risulta molto simile all'essere vivente, che è perfetto e dotato di ragione, grazie all' imitazione della natura eterna. Socrate e l'astronomia

Senofonte, Memorabili 4, 7, 4-7 Socrate consigliava di studiare anche l'astronomia: di questa disciplina, diceva che bisognava conoscere i periodi della notte, del mese e dell'anno, per poter 6o

viaggiare, navigare e fare la sentinella, e tutte le atti­ vità che si fanno di notte, nei mesi o nell'anno, così da avere indicazioni che risultano utili se si conoscono i momenti di ciò che ho detto. Questi insegnamenti si imparano facilmente dai timonieri, da coloro che vanno a caccia di notte e da molti altri che studiano queste cose. Sconsigliava invece con forza di studiare l'astro­ nomia fino a queste nozioni, vale a dire i corpi celesti che non stanno nella stessa orbita, i pianeti e le stelle non fisse, perdendo tempo nel cercare le loro distanze dalla Terra, i loro movimenti e le loro cause. Diceva che non vedeva in questa materia (che pure cono­ sceva) nessuna utilità, perché si trattava di nozioni ca­ paci di consumare la vita di un uomo distogliendolo da molte altre cose utili. In sintesi, sconsigliava di occuparsi delle cose ce­ lesti per capire come ciascuna era stata organizzata e strutturata dalla divinità: pensava che gli uomini non potessero scoprirlo, convinto che non fossero cari agli dèi gli uomini che volevano sapere cose che gli dèi non volevano che gli uomini sapessero. Diceva che chi si occupa di queste cose rischia anche di perdere il senno, come era capitato ad Anas­ sagora, che si era inorgoglito moltissimo perché era convinto di saper spiegare le leggi fissate e stabilite dalla divinità. Quando diceva che il fuoco e il Sole erano la stessa cosa, Anassagora non considerava due cose importanti: che gli uomini possono guardare fa­ cilmente il fuoco, ma non possono fissare lo sguardo verso il Sole ; che gli uomini illuminati dal Sole hanno 61

la pelle più scura, mentre quelli illuminati dal fuoco no. E non considerava neanche questa cosa: che nessun prodotto della terra può crescere bene senza i raggi del Sole, mentre quelli scaldati dal fuoco muoiono tutti. E quando affermava che il Sole è una pietra incande­ scente, non considerava che una pietra messa nel fuoco non splende e non dura per molto tempo, mentre il Sole resiste sempre, splendendo più di ogni altra cosa. La nascita della fìlosofìa

Aristotele, Metafisica 982h, 11-17 La metafisica non è una scienza che produce risultati concreti, come risulta chiaro da quello che hanno pensato i primi filosofi. Gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, e lo fanno ancora adesso, spinti dalla meraviglia : se, ali' inizio, hanno provato meraviglia davanti ad alcune cose singolari che capitavano loro nella vita di tutti i giorni, in un secondo tempo, se­ guendo una progressione graduale, hanno cominciato a porsi alcune domande rispetto a questioni più com­ plesse, come, per esempio, tutto quel che succede alla Luna e al Sole, quel che riguarda i pianeti e le stelle, e quel che concerne l'origine dell'universo. Dal momento che colui che si pone una domanda e prova meraviglia crede di essere ignorante ( del resto, è per questo motivo che chi ama i racconti mitici è, in un certo senso, un filosofo : i racconti mitici sono fatti di cose meravigliose ) , è stato proprio per sfuggire ali' ignoranza che gli uomini sono diventati filosofi,

dedicandosi a questa scienza. È quindi evidente che si sono dedicati alla scienza solo con l'obiettivo di cono­ scere, e non di ottenere un vantaggio pratico. Lo testimonia anche quel che è successo dopo : l' inizio di questa ricerca della conoscenza è avvenuto quando, dopo che ciò che è necessario alla vita è di­ ventato disponibile, gli uomini hanno cominciato a pensare a rilassarsi e a come occupare il tempo. Del resto, è evidente che noi non studiamo la filosofia per un motivo pratico : come, per noi, è libero l'uomo che esiste per sé stesso e non per qualcun altro, così chia­ miamo libera, tra tutte le discipline scientifiche, solo la filosofia, perché è l'unica che esiste per sé stessa. La struttura dell'universo

Pseudo-Aristotele, Il cosmo 2. li cosmo è un sistema composto dal cielo, dalla Terra e dagli elementi naturali che vi sono contenuti. In un'altra accezione, il cosmo è la disposizione ordinata di tutte le cose, custodita da dio e per mezzo di dio. Al centro del cosmo, che non si muove ed è fisso, c 'è la Terra "portatrice di vita", il focolare e la madre di tutti gli esseri viventi. Ciò che sta sopra la Terra, che costituisce un tutto e possiede dovunque un limite nella parte più alta, la casa degli dèi, è chiamata cielo. È pieno di corpi che siamo soliti chiamare astri; si muove con un movimento circolare, danzando eter­ namente insieme agli astri senza mai fermarsi. Il cosmo ha una forma sferica e si muove, come ho

detto, continuamente. Ma ci sono necessariamente due punti immobili, opposti tra loro (come quando un oggetto circolare viene lavorato al tornio ) , che riman­ gono fissi a tenere insieme la sfera. Intorno a questi punti ( i poli ) , tutta la massa gira su sé stessa con un movimento circolare. Se noi immaginiamo una linea retta che li congiunge ( l'asse ) , questa sarà il diametro del cosmo: al centro avrà la Terra, alle estremità i due poli. Uno di questi poli fissi è sempre visibile sopra la nostra testa, a nord: è il cosiddetto polo artico. Il se­ condo invece è sempre nascosto sotto la Terra, a sud: è il cosiddetto polo antartico. La sostanza di cui sono fatti il cielo e le stelle noi la chiamiamo etere (aither) : non perché, come so­ stengono alcuni, essa brucia (aithei), essendo fatta di fuoco ( sbagliano, perché le sue caratteristiche sono completamente diverse da quelle del fuoco ) , ma perché si muove rapidamente seguendo sempre un percorso circolare. L'etere, che è un elemento diverso dagli altri quattro, è puro e divino. Le stelle contenute nell'etere possono essere o fisse ( e si muovono insieme a tutto il cielo, mantenendo sempre la stessa posi­ zione : nella parte centrale c 'è un cerchio, lo Zodiaco, obliquo rispetto ai tropici, simile a una cintura, che è diviso nelle dodici sedi dei segni zodiacali ) o mobili ( i pianeti, che si muovono ciascuno secondo la loro natura, in modo diverso dalle stelle, e pure tra di loro, ognuno secondo la sua orbita, così che uno è molto vicino alla Terra mentre un altro è più alto ) . Gli uomini non sono stati capaci di trovare il nu­ mero delle stelle fisse, benché esse si muovano su una

sola superficie visibile, quella dell' intero cielo. I pia­ neti, che sono sette, si muovono seguendo altrettante orbite disposte in modo progressivo, così che quella più alta è sempre più grande di quella più bassa; tutte e sette le sfere sono contenute l'una nell'altra, a loro volta contenute nella sfera delle stelle fisse. La sfera che è la più vicina a quest'ultima è la sfera di Fenone ( il "brillante" ) , chiamata anche Crono ( Saturno) ; la successiva è quella di Fetonte ( il "luccicante" ) , detta anche Zeus ( Giove ) ; poi c 'è quella di Piro ( il "fuoco" ) , detta anche Eracle o Ares ( Marre ) ; poi Stilbone ( lo "scintillante" ) , che alcuni dicono sacra al dio Ermes ( Mercurio ) , altri ad Apollo ; poi la sfera di Fosforo, la "portatrice della luce': che alcuni chiamano Afrodite ( Venere ) , mentre altri Era ( Giunone ) ; poi quella del Sole e, alla fine, quella della Luna, che confina con la sfera terrestre. L'Orsa maggiore e l'Orsa minore nel cielo

Arato, Fenomeni 19-62 Le stelle, che sono tante e sono collocate in tutte le parti del firmamento, si spostano nel cielo tutti i giorni, con un movimento continuo che non ha mai fine. Ma l'asse non si sposta mai, nemmeno un poco, e rimane fissato per sempre : tiene la Terra nel centro, in equilibrio perfetto, facendo ruotare il cielo intorno a sé. Alle sue due estremità ci sono due poli: 6s

uno non si vede, ma l'altro, che si trova a nord, nella direzione opposta, è alto sopra l'oceano. Da una parte e dall'altra di questo polo, ruotano le due Orse - ecco perché le chiamano Carri. Le teste sono sempre rivolte verso le schiene ; ciascuna ha sempre l'altra che la segue, alle spalle, in direzioni diverse. Se è vero ciò che si racconta, le Orse sono salite nel cielo da Creta per volere del grande Zeus: quando, bambino, viveva nel Litta profumato, vicino al monte Ida, lo portarono in una caverna, dandogli da mangiare per un anno intero, mentre i Cureti di Ditte ingannavano suo padre Crono. Una gli uomini la chiamano Cinosura, mentre l'altra ha il nome di Elice. Quando i Greci sono in acqua, è grazie a Elice che sanno dove guidare le navi, mentre i Fenici, quando attraversano il mare, si fidano di Cinosura. Se la prima è facile da identificare con chiarezza, perché Elice è molto luminosa già all' inizio della notte, la seconda, che pure è piccola, è una guida migliore per i marinai, perché gira seguendo un percorso più ridotto : è grazie a Cinosura che i Fenici seguono la rotta più diretta. Tra queste due stelle si muove, simile a un fiume, il Drago : una grande costellazione, che desta meraviglia, lunghissima. Le Orse si muovono da una parte all 'altra delle sue spire, lontane dal nero oceano. Con la fine della sua coda 66

si stende sopra la prima, tagliando la seconda con il suo corpo sinuoso : la sua coda finisce là dove finisce la testa del!'orsa Elice, mentre Cinosura tiene la testa nelle spire del Drago. Il corpo avvolge la sua testa, arrivando fino ai suoi piedi, per poi scorrere di nuovo verso l'alto, in senso contrario. Non c 'è nessuna stella luminosa nella testa del Drago : due sono sulle tempie ; due negli occhi; una, più in basso, occupa la mascella del terribile mostro. La testa non è diritta: anzi, appare inclinata verso l'estremità della coda di Elice : la bocca e la tempia destra sono in linea retta rispetto alla fine della sua coda. La testa del Drago passa nel punto dove la fine dei tramonti si mescola con l' inizio delle albe. I nomi delle costellazioni

Arato, Fenomeni 370-382 Le stelle della costellazione della Lepre non sono disposte in modo da mostrare una forma ben definita, come invece succede a quelle numerosissime stelle che, disposte in fila, l'una dopo l'altra, seguono sempre, nel corso degli anni, le stesse strade. Parlo delle costellazioni che sono state immaginate da un uomo appartenente a una generazione che oramai non c'è più:

è lui che ha deciso di dare, a tutte le costellazioni che avevano una forma definita, un nome ben preciso : se le stelle fossero state isolate e separate, non avrebbe potuto dirne il nome, né conoscere il nome di tutte. Ce ne sono troppe, di stelle, in ogni parte del firmamento ; molte sono simili, per dimensioni e colori; tutte quante si muovono nel cielo, girando. Ecco perché gli è parso ragionevole riunire gli astri in gruppi, in modo che le linee che li congiungono formassero figure. Così le costellazioni hanno ricevuto il loro nome. Per questo motivo il sorgere di una stella non è più qualcosa di inatteso. La natura dei pianeti

Tolomeo, Le previsioni astrologiche 1, 4-6 L'attività del Sole consiste nel generare il caldo e, mo­ deratamente, il secco. Questi fenomeni li percepiamo in misura maggiore, rispetto a quanto succede per gli altri pianeti, a causa della grandezza del Sole e per l'evi­ denza dei cambiamenti che avvengono durante le sta­ gioni: quanto più il Sole si avvicina a quello che è per noi lo zenit, tanto più influisce sulla nostra esistenza. La caratteristica maggiore della Luna consiste nel ge­ nerare l'umido, evidentemente a causa della sua vici­ nanza alla Terra: essa raccoglie infatti i vapori umidi che ne esalano, facendo a sua volta maturare e marcire la maggior parte dei corpi. Inoltre, a causa dei raggi del 68

Sole, condivide con questo astro (ma in misura mode­ rata) la facoltà di generare il caldo. L'attività di Saturno consiste principalmente nel generare il freddo e, moderatamente, il secco: questo si verifica perché, a quanto sembra, è il pianeta più di­ stante sia dal calore del Sole sia dall'evaporazione delle sostanze umide provenienti dalla Terra. Ma alcuni ef­ fetti si producono quando Saturno (come succede anche agli altri pianeti) forma figure particolari con il Sole e con la Luna: a seconda di queste figure, modi­ ficano, in bene o in male, l'ambiente che ci circonda. Per la sua natura, Marre soprattutto secca e brucia, sia per il fuoco che colora la sua superficie sia per la vici­ nanza con il Sole (la cui sfera è la prima sotto quella di Marre). L'attività di Giove è temperata, perché si muove tra il freddo Saturno e il caldo Marre. Giove genera sia il caldo che l'umido; in virtù del calore che proviene dalle sfere sottostanti, fa nascere venti gene­ ratori. Anche l'attività di Venere è temperata - ma in senso opposto: genera poco calore, grazie alla sua vici­ nanza con il Sole, ma genera soprattutto umidità, come la Luna - e questo a causa dell' intensità della sua luce, che assorbe i vapori umidi provenienti da ciò che cir­ conda la Terra. L'attività di Mercurio è molto equili­ brata: a volte è secca, in quanto assorbe i vapori umidi a causa della sua distanza (mai troppo rilevante) dal calore del Sole; a volte è umida, a causa dell' influenza della Luna, la cui sfera è quella immediatamente sot­ tostante. Questi suoi cambiamenti, in entrambi i sensi, sono molto veloci, come se il suo rapido movimento intorno al Sole fosse provocato dal soffio di un vento.

Gli umori sono quattro : caldo, umido, secco e freddo. I primi due, il caldo e l'umido, creano e sono attivi, perché grazie a loro tutto si aggrega e cresce ; gli altri due, il secco e il freddo, distruggono e sono passivi, perché a causa loro tutto si disgrega e muore. Per questo motivo gli antichi hanno catalogato come benefici due pianeti, Giove e Venere, e pure la Luna, per la loro azione temperata, e per il fatto che la loro costituzione è per lo più calda e umida. Gli altri due pianeti li hanno catalogati in modo contrario, Sa­ turno per il troppo freddo e Marte per il troppo secco. Poiché, secondo gli antichi, il Sole e Mercurio pote­ vano avere entrambi gli effetti a causa della loro na­ tura comune, rendevano più forte l'effetto dei pianeti a cui si avvicinavano. Dal momento che i generi primi della natura sono due, maschile e femminile, degli effetti che ho appena ricordato è soprattutto femminile quello della so­ stanza umida ( perché la parte umida è preponderante nelle femmine, mentre gli altri effetti prevalgono nei maschi ) . Di conseguenza la Luna e Venere sono con­ siderati pianeti femminili, perché contengono soprat­ tutto umidità, mentre gli altri ( il Sole, Saturno, Giove e Marte ) sono considerati maschili; Mercurio parte­ cipa a tutti e due i generi, perché produce in ugual mi­ sura sostanza umida e secca. Dicono che i pianeti diventano maschili e femmi­ nili a seconda della posizione che assumono in rap­ porto con il Sole : diventano maschili all'alba, quando precedono il Sole, mentre diventano femminili al tra­ monto, quando lo seguono. 70

Gli universi infiniti

Lucrezio, La natura 2, 1023-II04 Ora presta attenzione al mio vero ragionamento. Sta per arrivare alle tue orecchie qualcosa di profondamente nuovo : ti si sta per rivelare un nuovo aspetto della natura. Ma, come non esiste nessuna cosa che, per quanto piccola, non sia difficile da credere, così non esiste nessuna cosa così grande, così meravigliosa, che a poco a poco tutti finiscano per non provare più meraviglia. Considera per prima cosa il cielo, con il suo colore luminoso e puro, senza dimenticare i corpi che contiene: le stelle che vagano qua e là, la Luna, il Sole che risplende con la sua luce intensa. Se queste cose fossero create ora per la prima volta, se si offrissero allo sguardo degli uomini all' improvviso, esisterebbe forse qualcos'altro più meraviglioso di tutte queste cose ? Quale altra cosa gli uomini potrebbero avere il coraggio di ritenere possibile ? Nessuna, credo - tanto una simile visione sarebbe sembrata meravigliosa. Ma ormai non c 'è nessuno che si degni di alzare gli occhi al cielo, come fosse già stanco, sazio di contemplare i suoi spazi luminosi ! Piantala dunque di scacciare malamente questo modo di ragionare dal tuo animo, 71

come se fossi spaventato dalla novità in sé. Soppesa piuttosto i fatti con intelligenza più acuta: se ti sembrano veri, arrenditi, mentre, se ti sembrano falsi, comincia a lottare. Poiché, fuori dai confini di questo mondo, la totalità dello spazio è infinita, l'animo pretende di sapere quello che si trova oltre, fin dove la mente vuole guardare e fin dove vuole volare il libero slancio dell'animo. Per prima cosa, per noi non esiste nessun confine : in ogni direzione, da ogni parte, né sopra né sotto. lo l'ho dimostrato, lo gridano le cose stesse, lo chiarisce la natura dello spazio profondo. Non si può credere che ciò sia verosimile : poiché da ogni parte lo spazio risulta infinito, poiché gli atomi volano innumerevoli in tutti i modi possibili, stimolati da un movimento eterno, come potrebbe essere possibile che siano stati creati solo questa terra e solo questo cielo ? Che fanno, fuori dalla terra e dal cielo, tutti gli altri corpi della materia ? Non bisogna mai dimenticare che questo mondo è opera della natura: gli atomi, i semi della materia, dopo essersi urtati tra di loro spontaneamente, dopo essersi addensati a caso nei modi più svariati, inutilmente, senza esito, si sono finalmente uniti all' improvviso per dare vita per sempre all' inizio delle cose grandi: la terra, il mare, il cielo e tutti gli esseri animati. Dobbiamo quindi ammettere che esistano altrove

altri raggruppamenti di materia simili a questo che l'etere tiene stretti in un avido abbraccio. Se poi c 'è a disposizione, pronta, molta materia, se c 'è lo spazio e non ci sono ostacoli di nessun tipo, è necessario che le cose avvengano e si compiano. Ora, se il numero degli atomi è così grande che nemmeno la vita degli esseri animati è così lunga da poterlo contare, e se la stessa forza naturale che raccoglie gli atomi, unendoli, agisce dovunque nello stesso modo, noi dobbiamo credere per forza che, in altre regioni dello spazio, esistano altri popoli, altre bestie feroci. Aggiungi questa considerazione : non esiste nessuna cosa che sia unica, che unica nasca, che unica e sola cresca, senza essere parte di una stirpe che comprenda molte cose dello stesso genere. Pensa per prima cosa agli esseri animati: scoprirai che vale per le fiere che vagano sulle montagne, per la duplice prole degli esseri umani, per i muti branchi dei pesci coperti di squame, per tutti i corpi degli uccelli. Bisogna quindi ammettere che, allo stesso modo, il cielo, la terra, il sole, la luna, il mare ( in una parola sola, tutto ciò che esiste ) non sono unici, ma, piuttosto, innumerevoli: tutti li attende la fine della vita, un termine profondamente conficcato ; hanno un corpo mortale, proprio come tutti i generi di queste creature, specie per specie. Se apprendi questi insegnamenti, 73

se non li dimentichi, la natura ti appare subito libera, priva di padroni altezzosi, capace di fare tutto da sola, spontaneamente, senza l'aiuto degli dèi. E proprio sugli dèi lo giuro, che vivono in santa pace una vita serena e tranquilla per tutto il passare del tempo : chi sarebbe mai capace di governare l' immensità del mondo, di stringere le redini robuste del profondo infinito, di far girare nel modo corretto tutte le sfere celesti, di scaldare le fertili terre con l'aria infuocata, di essere pronto a rendere il cielo scuro di nuvole, a scuotere il cielo sereno con il tuono, a scagliare i fulmini, a distruggere i propri templi e, ritirandosi in luoghi deserti, incrudelire usando un'arma che spesso risparmia i colpevoli, uccidendo persone innocenti che non hanno commesso nessun delitto ? L'universo visto dall'alto

Cicerone, La repubblica 6, 15-17 Quando smisi di piangere e fui di nuovo capace di par­ lare, chiesi a mio padre : «Ti prego, visto che, grazie alle parole di Scipione l'Africano, ho capito che cos'è la vita vera, perché rimango qui sulla terra ? Per me sa­ rebbe meglio venire da voi prima possibile » . Ma Emilio Paolo rispose : «Non si può : non è pos­ sibile che ti venga aperta la porta che conduce a questo luogo, se il dio che è venerato nel tempio che qui vedi non ti avrà prima liberato dalla prigionia del corpo. 74

Gli uomini sono nati infatti con il compito di custo­ dire la sfera che vedi al centro di questo tempio - parlo della Terra. Uomini che hanno avuto un'anima pro­ veniente da quei fuochi eterni che voi chiamate astri e stelle - fuochi che, come sfere animate da menti di­ vine, percorrono orbite circolari muovendosi con una velocità stupefacente. Per questo motivo, o figlio mio, tu e tutti gli uomini che rispettano la divinità dovete custodire l'anima dentro la prigione del corpo: non potete abbandonare la vita, a meno che non ve lo or­ dini colui che ve l'ha data. Se faceste così, tradireste il compito che vi è stato assegnato dal dio. Quindi, o Scipione, come ha fatto il tuo nonno Mricano e come ho fatto io, tuo padre, sii giusto e pio, perché il rispetto nei confronti degli dèi è importante non solo nei rap­ porti con i genitori e con i parenti, ma lo è ancora di più nei confronti della patria: un simile modo di vivere è la strada che porta verso il cielo e verso quel gruppo di per­ sone che, dopo aver vissuto, sono stati liberati dal corpo e vivono adesso nel luogo che vedi e che voi chiamate, secondo l'espressione coniata dai Greci, la Via Lattea » . D a quel luogo (un cerchio luminoso in mezzo ai fuochi astrali, bianco di un candore abbacinante) po­ tevo osservare tutte le altre cose, che mi parevano me­ ravigliose. C 'erano stelle che da qui, dalla Terra, non abbiamo mai visto - astri di una grandezza tale che noi non abbiamo mai sospettato : la stella più piccola era quella che, nel cielo, era la più lontana, ma che in realtà è la più vicina alla Terra, e brilla di una luce non sua. La grandezza delle stelle vinceva di gran lunga quella del globo terrestre. Anzi, la nostra stessa Terra 75

mi sembrò così piccola che mi vergognai del nostro impero, che è grande come un punto. Poiché continuavo a guardarla con interesse sempre crescente, Scipione l'Africano disse : «Dimmi, fino a quando i tuoi occhi saranno ancora fissi sulla Terra ? Non vedi in quali templi sei entrato ? Qui davanti a te ci sono sette cerchi, ma sarebbe meglio dire sfere, tutte collegate tra loro : una, la più esterna, che ab­ braccia e contiene tutte le altre, è la sfera del cielo - il dio supremo, che trattiene e contiene tutto quanto ; al suo interno sono fissate le orbite circolari che le stelle percorrono di continuo. Sotto questa sfera ce ne sono sette che si muovono all' indietro, con un'orbita con­ traria a quella del cielo. Una di queste sfere è occupata dall 'astro che viene chiamato Saturno. Poi c 'è quello chiamato Giove, luminoso, che porta agli uomini prosperità e salute. Poi c 'è quello rosso che voi chia­ mate Marte, terribile per la Terra. La regione succes­ siva, che si trova sotto e che potremmo quasi chiamare intermedia, la occupa il Sole, che è guida, sovrano e re degli altri astri; anima ed equilibrio del mondo, il Sole è così grande da illuminare e raggiungere ogni cosa con i suoi raggi. Dopo il Sole ci sono le sfere di Venere e di Mercurio ; in quella più bassa gira la Luna, illuminata dai raggi del Sole. Tutto quello che si trova sotto la Luna è mortale, destinato a cadere. L'unica eccezione sono le anime che la divinità ha assegnato al genere umano ; tutto quello che si trova sopra è eterno. La nona sfera, che si trova in mezzo, la Terra, non si muove ed è la più bassa di tutte ; contro di essa cadono tutti i pesi, per la loro inclinazione naturale » .

Lo Zodiaco

Manilio, Ilpoema degli astri 1, 255-274 Ora ti parlerò di quelle brillanti costellazioni che mandano ovunque le loro fiamme : per prime saranno cantate le stelle che, collocate in mezzo, cingono obliquamente il mondo portando attraverso le stagioni, in modo alterno, il Sole e le altre stelle che girano in senso opposto - stelle che potrai contare quando il cielo è sereno, dalle quali deriva l' intero schema del destino : ecco perché la prima parte del cielo sarà quella che ne tiene salda la struttura. Al primo posto, luminoso nel suo vello d'oro, l'Ariete guarda stupito il Toro sorgere dietro di sé, mentre quest'ultimo, abbassando il capo e la fronte, chiama i Gemelli; li seguono il Cancro, che è seguito dal Leone, che è seguito a sua volta dalla Vergine. La Bilancia, che rende la durata del giorno uguale a quella della notte, tira verso di sé lo Scorpione dalla stella ardente ; verso la sua coda il Sagittario, metà uomo e metà cavallo, punta l'arco teso, pronto a scagliare la sua freccia alata. Dopo di lui viene il Capricorno, stretto in una piccola costellazione. E, dopo ancora, l'Acquario piega la brocca versando l'acqua per i Pesci, che, abituati, vi si tuffano con bramosia: sono l'ultimo segno, che l 'Ariete tocca ponendo fine all'anno. 77

Elogio dei primi astronomi

Ovidio, Fasti 1, 295-3 1 6 Che cosa m i vieta d i parlare anche delle stelle ? Di come sorgono, di come tramontano ? È una promessa, e la voglio mantenere. Beati i cuori di coloro che, per primi, si sono preoccupati di studiare argomenti così difficili, salendo fino alle dimore degli dèi ! Possiamo certo credere che uomini simili abbiano alzato la testa anche più in alto, esplorando non soltanto le case, ma anche i vizi degli uomini. Quegli animi elevati non sono stati fiaccati dali' amore, o dal vino, o dai compiti del foro, o dalle fatiche militari; non sono stati attratti dalle vuote ambizioni, né dalla gloria ricoperta di porpora, né dalla fame di grandi ricchezze. Si sono avvicinati alle stelle lontane con gli occhi della mente, sottomettendo il cielo con il loro genio. È così che si sale al cielo ! Mica mettendo prima l' Ossa sopra l' Olimpo, e poi mettendo il Pelio sopra l' Ossa, perché la sua cima tocchi le stelle ! Anche noi, facendoci guidare da loro, riusciremo a misurare il cielo, assegnando alle mobili costellazioni i giorni che gli spettano. E dunque, quando sarà arrivata la terzultima notte prima delle None di gennaio, quando la terra sarà umida per la rugiada scesa dal cielo,

è inutile cercare le chele del Cancro con le sue otto zampe : si tufferà dritto nelle acque dell'Occidente. Che siano arrivate le None, lo saprai da questo segnale : le piogge che cadono dalle nuvole scure al sorgere della Lira. L'universo infinito

Plinio il Vecchio, Storia naturale 2, 1, 1-2 È giusto pensare che il mondo, e tutto ciò che gli uo­

mini, con un altro nome, hanno amato chiamare "cie­ lo", sia un dio, eterno, infinito, che non è nato e che mai morirà. Agli uomini non importa cercare di ca­ pire ciò che è fuori da questo mondo, perché supera le ipotesi formulate dalla mente umana. Il mondo è sacro, sottratto al tempo e allo spazio, tutto intero nel tutto, che coincide con il tutto, infinito e simile a qualcosa che è finito, determinato in ogni cosa e simile a qualcosa che è indeterminato, che abbraccia tutte le cose che stanno dentro e fuori, che è l'opera della natura ed è esso stesso natura. Pazzi sono quelli che hanno cercato di misurarlo e che hanno avuto il coraggio di divulgarlo, così come sono pazzi tutti coloro che (sia che si fossero ispirati ai primi sia che li avessero ispirati) hanno affermato che esistono mondi innumerevoli: se fosse davvero così, bisognerebbe credere che esistono innumerevoli nature o che, se una sola natura li inglobasse tutti, vi sono innumerevoli soli, altrettante lune e altrettante 79

stelle ( che sono sia infinite sia innumerevoli anche in un mondo solo ) , come se alla fin fine le stesse do­ mande non dovessero sempre presentarsi al pensiero umano, che è sempre alla ricerca di un qualche limite o, se questa dimensione infinita può essere attribuita a una natura che ha creato tutte le cose, non fosse più fa­ cile concepire una simile possibilità in un unico caso, soprattutto se si considera che questo caso ha una di­ mensione grandissima. Certo, sono davvero pazzi quelli che escono dal mondo e, come se tutto ciò che si trova al suo interno fosse conosciuto con chiarezza, si mettono a scrutare le cose che sono ali'esterno, pensando che chi non co­ nosce la misura di sé stesso possa misurare qualcosa, e che la mente umana sia in grado di vedere cose che nemmeno il mondo riesce a contenere. La misurazione del cielo

Plinio il Vecchio, Storia naturale 2, 19-20 Molti scienziati hanno cercato di scoprire anche le di­ stanze tra la Terra e le stelle; secondo loro, la distanza tra il Sole e la Luna sarebbe diciannove volte mag­ giore di quella tra la stessa Luna e la Terra. Secondo Pitagora, uomo di grande intelligenza, la distanza tra la Luna e la Terra sarebbe di 126.ooo stadi [circa 23.300 chilometri], mentre quella tra la Luna e il Sole sarebbe il doppio, e quella tra il Sole e le dodici costel­ lazioni zodiacali sarebbe il triplo [ .. . ] . Ma a volte Pitagora indica queste distanze usando la 8o

terminologia musicale : la distanza dalla Terra alla Luna sarebbe di un tono, quella tra la Luna e Mercurio un semi tono ( così come anche la distanza tra Mercurio e Venere ) , quella tra il Sole e Venere un tono e mezzo, quella tra il Sole e Marte un tono ( così come la di­ stanza tra la Terra e la Luna) , quelle tra Marte e Giove, e tra Giove e Saturno, un mezzo tono. La distanza tra Saturno e i dodici segni dello Zodiaco sarebbe invece di un tono e mezzo : questi sette toni complessivi for­ mano l'armonia che viene chiamata "diapason" ( dal greco dia pason ton chordon, cioè "attraverso tutte le corde" ) , vale a dire l'armonia universale. L'etimologia di "Settentrione"

Aulo Gellio, Notti attiche 2, 21 Parecchi di noi, Greci e Romani, studiosi delle stesse discipline, viaggiavamo sulla stessa nave sulla rotta che dall' isola di Egina va al porto del Pireo. Era una notte d'estate, il mare era calmo, il cielo sereno. Eravamo tutti seduti a poppa, a contemplare le stelle luminose. Gli esperti di cose greche discutevano in modo com­ petente su queste cose ( e pure su altre simili ) : che cos'era il carro (hamaxa ) , quale era il grande e quale il piccolo, perché si chiamava così, verso quale parte del cielo si muoveva durante la notte e per quale motivo Omero diceva che era la sola costellazione che non tramontava mai. Io faccio questa domanda ai giovani romani: « Pen­ sate forse che siamo ignoranti perché chiamiamo 8r

"Settentrione" quello che i Greci chiamano "Carro" ? Non basta che voi mi rispondiate che noi vediamo sette stelle : io voglio sapere con precisione quale sia il significato di quell' insieme di stelle che noi chia­ miamo "Settentrione" » . Così m i rispose allora uno d i loro che s i era de­ dicato allo studio delle opere letterarie e delle testi­ monianze antiche : «La maggioranza dei grammatici crede che la parola septentriones provenga solo dal numero delle stelle. Dicono che triones non ha in sé nessun significato : è solo un completamento della parola, come avviene per quinquatrus, dove quinque indica il numero dei giorni che seguono le Idi, mentre atrus non significa nulla. lo però la penso come Lucio Elio e Marco Varrone, secondo i quali triones è un ter­ mine del lessico dei contadini per indicare i buoi da lavoro - qualcosa come terriones, che significherebbe "adatti ad arare e coltivare la terrà'. Ecco perché la co­ stellazione che assomiglia a un carro gli antichi greci l'hanno chiamata in questo modo, mentre gli antichi romani, dai buoi aggiogati, l'hanno chiamata septem­ triones, cioè "sette stelle': perché sembrano raffigu­ rare sette (septem) buoi (triones) aggiogati a un carro. Varrone aggiunge che, oltre a questa ipotesi, ce ne sa­ rebbe un'altra ( che però lo lascia dubbioso ) : non è che queste sette stelle sono state chiamate triones poiché sono disposte in modo da formare, se si considerano le tre stelle più vicine, un triangolo ? » . D i queste due spiegazioni, la seconda sembrò la più ingegnosa e raffinata: guardando la costellazione, ci sembrò che essa avesse davvero una forma triangolare.

L'origine dell'astronomia

lsidoro di Siviglia, Etimologie 3, 24-28 L'astronomia, la "legge degli astri", studia attraverso un' indagine razionale i moti dei corpi celesti, la forma delle stelle e le loro abitudini, sia in relazione alle stelle stesse, sia in relazione alla Terra. I primi a studiare l'astronomia, scoprendone le leggi, furono gli Egizi. Ma i primi a insegnare l'astro­ logia, rivolgendo la loro attenzione agli influssi eserci­ tati dagli astri al momento della nascita di ogni indi­ viduo, furono i Caldei. Lo storico Giuseppe afferma nelle sue opere che fu Abramo a insegnare l'astrologia agli Egizi, mentre i Greci sostengono che questa disci­ plina era stata inventata da Atlante - ed è per questo che si dice che Atlante aveva sostenuto il cielo sulle spalle. Chiunque sia stato il suo inventore, costui, sti­ molato dal movimento del cielo e dal suo desiderio di dare a questo moto una spiegazione razionale, prese in considerazione per prima cosa le misure, calcolate attraverso indicazioni numeriche, relative all'alter­ nanza delle stagioni, alle orbite dei corpi celesti che avevano una durata costante e precisa, alle distanze regolari che separano gli astri, per poi collegare tutte queste cose all' interno di un sistema ordinato in base alle definizioni e alle distinzioni. E fu così che creò l'astrologia. Numerose sono le opere che sono state scritte in en­ trambe le lingue, in greco e in latino, sull 'astronomia. Fra gli autori, tuttavia, Tolomeo è considerato, dai Gre-

ci, il più importante : egli giunse a stabilire le regole con le quali si determina l'orbita dei corpi celesti. Tra l'astronomia e l'astrologia esistono alcune dif­ ferenze : se l'astronomia comprende infatti lo studio del movimento circolare del cielo, il sorgere, il tra­ montare e le orbite delle costellazioni, e pure l'eti­ mologia dei loro nomi, l'astrologia dà invece al suo approccio naturale una sfumatura superstiziosa. Essa è infatti naturale finché studia il corso del Sole e della Luna, o le cosiddette "stazioni" periodiche di alcuni corpi celesti, ma diventa superstiziosa quando i suoi seguaci leggono presagi nelle stelle, mettono i dodici segni dello Zodiaco in relazione alle singole parti dell'anima o del corpo e cercano di prevedere la nascita e il carattere degli uomini in base alle costel­ lazioni. La scienza astronomica comprende moltissimi ar­ gomenti: definisce cos 'è il mondo e cos'è il cielo, qual è la posizione e il movimento della sfera celeste, cosa sono l'asse terrestre e i due poli, quali sono le diverse regioni del cielo, quali sono le orbite del Sole, della Luna e degli astri, e molte altre cose simili a queste.

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Le stelle nell 'astrologia

Né in greco né in latino esisteva un termine speci­ fico per indicare l'astrologia come disciplina sepa­ rata dall'astronomia: in sostanza, entrambi i termini erano sinonimi, perché l'osservazione dei corpi celesti era ritenuta, in misura maggiore o minore, connessa alle considerazioni sugli influssi degli stessi astri sulla vita dell'uomo. Anche in questo campo uno degli autori di mag­ giore rilievo era Tolomeo : non tanto per La sintassi matematica, quanto per Le previsioni astrologiche, dove l'autore difende con ricchezza di argomentazioni la sua assoluta convinzione che, una volta determinata con precisione la posizione dei corpi celesti al momento della nascita di un individuo, sia possibile stabilirne, con altrettanta precisione, non solo il carattere, ma anche il destino ( compresa la famiglia e il numero dei figli, il lavoro e i viaggi, la salute e le malattie, e perfino la morte ) . E se a volte qualcuna di queste previsioni non si avvera, la colpa non è della disciplina, ma di chi non è capace di metterla in pratica nel modo corretto. Tra tutte le descrizioni antiche degli influssi dei corpi celesti sulla vita umana ( e, in particolare, quelle esercitate dai dodici segni dello Zodiaco ) , una delle più affascinanti è quella offerta da Manilio, che nel ss

quarto libro del Poema degli astri passa in rassegna tutte le qualità che contraddistinguono gli uomini a seconda del loro segno zodiacale. Quella quindi che, per noi, non è affatto una scienza, per gli antichi lo era, eccome. E, proprio in quanto tale, possedeva una lunga storia, che è rac­ contata in modi diversi da numerosi autori. Luciano di Samosata, per esempio, nel suo trattato intitolato L astrologia, composto nel n secolo d.C., ne fa risalire l'origine agli Etiopi; sarebbero stati loro a traman­ dare questa scienza, seppur in forma incompleta, ai loro vicini Egizi. L'autore del trattato (che fosse ve­ ramente Luciano è stato messo in discussione) non si dilunga troppo sul ruolo avuto dai Babilonesi (e, per la precisione, dai Caldei, una popolazione che abi­ tava le regioni meridionali della Mesopotamia) nella nascita dell 'astrologia, ma preferisce parlare più dif­ fusamente delle conquiste raggiunte dai Greci, soste­ nendo che la disciplina sarebbe stata introdotta da un personaggio a metà strada tra il mito e la storia: il cantore Orfeo, figlio della musa Calliope. Nella Teogonia di Esiodo, un poema composto in­ torno al VII secolo a.C. per dare una sistemazione alla complicata genealogia delle divinità greche, il dio del cielo stellato si chiamava Astreo : come Prometeo, era un Titano, che, dopo essersi unito ad Aurora (Eos), aveva generato i venti (Borea, Zefiro e Noto) e le stelle, tra le quali spiccava Lucifero, la stella del mat­ tino (qui chiamata Fosforo : "la portatrice della luce"). Astreo ritorna nell'ultimo poema della letteratura greca, le Dionisiache di Nonno di Panopoli, composte 86

intorno al v secolo d.C.: qui il dio, che è raffigurato come un esperto conoscitore della tecnica che con­ sentiva di conoscere il futuro degli uomini grazie all'osservazione delle stelle, predice alla dea Demetra il destino della figlia Persefone, che era stata rapita da Ade, il dio dell'oltretomba, e portata nel regno dei morti per diventarne la regina. Come avviene anche per noi, però, non tutti cre­ devano agli oroscopi - e ci sono molte opere antiche dove, su queste credenze più o meno superstiziose, si scherza. Nel Satyricon di Petronio, un romanzo composto nel I secolo d.C. e giuntoci purtroppo in forma in­ completa, tra le succulente portate che il ricco cafone Trimalcione offre ai suoi altrettanto cafoni invitati, c'è anche un piatto che riproduce lo Zodiaco : su un vassoio, il cuoco ha disposto una serie di portate che alludono ai dodici segni. Non tutti i cibi indicano con chiarezza a quale segno si riferiscono : se si capisce bene perché i testicoli e i rognoni sono associati ai Ge­ melli ( per somiglianza) e perché la vulva di scrofa, che era una vera leccornia per i Romani, è connessa alla Vergine ( per antifrasi ) , il rapporto fra il misterioso uccello oclopeta e il Sagittario continua a lasciare per­ plessi gli studiosi. E non sempre le spiegazioni date dal padrone di casa ( che si vanta di essere nato sotto il segno del Cancro ) risultano persuasive. Nella commedia greca troviamo altri passi, al­ trettanto spiritosi, in cui vengono ricordate portate simili: Alessi descrive un piatto che riproduceva la volta celeste ( compresi alcuni ingredienti - pesci, ca-

pretti e scorpioni - che alludevano ai corrispondenti segni zodiacali) . Siamo nel IV secolo a.C., un periodo nel quale i poeti comici amavano mettere in scena il personaggio del cuoco dotto e sapiente che, nei suoi monologhi, faceva sfoggio delle sue vaste conoscenze in molti campi, compresa l'astronomia (una dottrina che, a detta di commediografi come Damosseno, Ni­ comaco e Sosipatro, un valido chefdoveva necessaria­ mente conoscere per sapere, per esempio, quali erano i pesci più adatti per essere mangiati in ogni particolare periodo dell'anno). Ma sono soprattutto i filosofi a scagliarsi contro questa deriva astrologica della scienza astronomica. Nel trattato Della divinazione, scritto tra il 45 e il 44 a.C., poco prima della sua morte per mano dei sicari di Antonio, Cicerone, dopo aver lasciato parlare (nel primo libro) suo fratello Quinto a favore delle dottrine stoiche che sostenevano che fosse possibile "divinare" il futuro, confutava (nel secondo libro) una per una tutte le affermazioni del fratello, sostenendo che la divina­ zione non fosse altro che una forma di superstizione. Anche il retore Favorino, nato ad Areiate (il nome romano della città francese Arles) e vissuto nel n se­ colo d.C., in un passo che conosciamo grazie alle Notti attiche del suo contemporaneo Aulo Gellio, criticava gli insegnamenti dei Babilonesi e dei Caldei; lo stesso faceva, proprio in quegli anni, il filosofo scettico Sesto Empirico, che nell'opera intitolata Contro gli astrologi, dopo aver polemizzato contro i maestri di grammatica e di retorica, se la prendeva, con vigore assai polemico, anche con coloro che insegnavano l'aritmetica, la geo88

metria, la musica e l'astronomia; le stesse accuse ven­ gono riprese (ma siamo in un altro periodo, tra il IV e il v secolo, e soprattutto in un contesto molto diverso, perché il punto di vista non è più pagano, bensì cri­ stiano) da sant 'Agostino, che, nel trattato L 'istruzione cristiana, definiva « schiavi » coloro i quali credevano che l'essere nato sotto un particolare segno zodiacale influenzasse necessariamente il destino di ogni essere umano. Anche gli storici si ponevano la questione sull'at­ tendibilità delle previsioni degli astrologi: negli Annali, scritti nel I secolo d.C., Tacito, dopo aver raccontato un aneddoto relativo ali' imperatore Tiberio (che, essendo molto superstizioso, non faceva niente senza aver in­ terpellato un esperto sul proprio futuro), si chiedeva, senza peraltro riuscire a dare una risposta definitiva, se la vita umana fosse regolata dal destino o dal caso. Quel che è certo è che la gente comune, alla possi­ bilità di conoscere il futuro, ci credeva eccome - e ce lo dimostrano svariate testimonianze. La prima sono i testi papiracei che ci riportano al­ cuni frammenti di manuali di astrologia: è il caso di un papiro del II o del III secolo d.C. ritrovato a Tebtunis, una città del Basso Egitto, che mostra come simili prontuari fossero molto diffusi, accanto a lavori più strutturati come quelli che ci sono giunti da parte di Vettio Valente (autore greco imitatore di Tolomeo, vis­ suto fra il II e il III secolo d.C.) e di Firmico Materno (autore romano nato a Siracusa nel IV secolo d.C.). Per la seconda, basta leggere le interessanti pagine che, nel II secolo d.C., Artemidoro di Daldi dedica al

presunto significato che avevano i pianeti e le stelle quando facevano la loro comparsa durante le visioni notturne. Nel secondo dei cinque libri della sua opera intitolata L 'interpretazione dei sogn i ( un lavoro co­ nosciuto anche da Sigmund Freud, che lo tenne pre­ sente nel suo lavoro omonimo pubblicato nel 1899 ) , Artemidoro passa in rassegna con estrema precisione tutte le possibili spiegazioni che potevano essere date quando qualcuno, durante il sonno, vedeva il Sole, la Luna o le stelle. Un piatto originale

Alessi, da una commedia sconosciuta, fr. 263 KA Senza che io me ne accorgessi, mi ritrovai nel posto dove era giusto che mi trovassi. I servi mi portarono l'acqua per le mani. Un altro servo, poi, venne con un vassoio, dove non c 'erano né formaggi, né olive, né piatti che ci offrissero ricchi profumi, insieme ad altre leccornie. Ci fu servita, invece, una portata dal meraviglioso aroma delle Stagioni, che riproduceva metà della volta celeste. Nel piatto c 'erano tutte le cose belle che si trovano nel cielo : pesci e capretti, con in mezzo uno scorpione che correva; le stelle erano indicate da mezze uova. Allungammo le mani verso il cibo. Il mio vicino non smetteva di parlarmi, continuando a fare cenni con la testa;

il compito di lottare toccò tutto a me. Alla fine, a forza di scavare nel piatto, lo trasformai in un crivello. Un bravo cuoco deve conoscere l'astronomia

Sosipatro, Il calunniatore, fr. 1, 14-43 KA Noi siamo i cuochi che tengono in vita la scuola di Sicone : è stato lui il fondatore della nostra arte. Sicone ci ha insegnato prima a indagare le stelle. B Davvero ? A Poi, subito dopo, a diventare architetti. Padroneggiava tutte le teorie relative alle scienze naturali. Infine, a coronazione di tutto questo, ci spiegò le tattiche militari. Queste sono le materie che Sicone ci ha fatto imparare, prima di insegnarci l'arte culinaria vera e propria. B Vuoi proprio darmi sui nervi ? A Per niente ! Sto solo cercando di darti qualche informazione che possa esserti utile, mentre il mio schiavo ritorna dal mercato : sarebbe un peccato non fare due chiacchiere ! B Per Apollo ! La cosa diventa faticosa ... A Ascoltami, amico mio. n cuoco deve, per prima cosa, sapere tutto sul cielo, sul sorgere e sul tramontare degli astri; deve sapere quando il giorno del Sole è lungo, A

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e quando è breve ; deve conoscere quali sono i segni zodiacali nei quali si trova. Questo perché i pesci, e quasi tutti i cibi in generale, hanno un gusto particolare che varia nel tempo, in base al movimento circolare dell'universo. Il cuoco che padroneggia queste conoscenze, se tiene a mente le varie stagioni, userà ogni cibo nel modo più utile e conveniente, mentre è giusto che chi non ha studiato faccia una figura ridicola. A questo punto, immagino che tu ti chiederai quale sia il contributo che l'architettura fornisce alla nostra professione di cuochi. E chi ti dice che io me lo sia chiesto ? B Non importa : te lo dirò lo stesso. A Orientare la cucina nel modo corretto, per poter ricevere tutta la luce necessaria, nonché osservare la circolazione dell'aria, è molto utile al nostro lavoro. La direzione del fumo, da questa o quella parte, non è priva di conseguenze, perché contribuisce a dare ai singoli piatti un sapore particolare. Un elogio dell'astrologia

Tolomeo, Le previsioni astrologiche 1, 2-3 Risulta chiaro a tutti, e non c'è bisogno di dilungarsi troppo, che esistono alcune forze che, scaturendo dagli elementi naturali aerei ed eterni, si diffondono su tutta la superficie terrestre, a sua volta continuamente sog92

getta a cambiamenti: gli elementi primi che si trovano sotto la Luna, il fuoco e l'aria, sono compresi nell'e­ tere, che li modifica con il suo movimento, e compren­ dono e modificano a loro volta anche gli altri elementi, vale a dire la terra, l'acqua, le piante e gli animali. Il Sole influisce quasi sempre su tutte le cose che si tro­ vano sulla Terra, insieme all'ambiente che le contiene. E lo fa non solo facendo nascere gli animali, crescere le piante, scorrere le acque e modificare i corpi grazie allo scorrere delle stagioni, ma anche generando il caldo, il freddo, il secco e l'umido grazie ai suoi movimenti giornalieri, con un ritmo regolare che corrisponde alle sue posizioni rispetto al nostro zenit. La Luna, il corpo celeste più vicino a noi, esercita un grandissimo influsso sulla Terra. I cambiamenti che riguardano la maggior parte degli esseri inanimati e animati dipen­ dono dalla Luna e seguono la sua influenza: le correnti dei fiumi aumentano e diminuiscono a seconda delle fasi lunari; lo stesso vale per le maree, che sono alte o basse a seconda che la Luna sorga o tramonti; anche se in misura diversa, le piante e gli animali diventano più grandi o più piccoli in relazione alla Luna. I movimenti delle stelle fisse e dei pianeti forni­ scono molte indicazioni in rapporto ai cambiamenti climatici ( il passaggio dal caldo al vento e alla neve ) , influenzando in modo analogo ciò che sta sulla Terra. Anche le posizioni degli astri producono moltissimi cambiamenti, a causa dei reciproci influssi che gene­ rano tra di loro. Se il Sole gioca senza dubbio un ruolo di primo piano, anche gli altri corpi celesti hanno il loro peso, in senso sia positivo che negativo : gli effetti 93

della Luna sono più evidenti e più frequenti (quando è nuova, mezza o piena), mentre quelli delle stelle sono meno visibili e meno ravvicinati (quando sor­ gono, tramontano o sono in congiunzione) [ ... ] . Ora, se abbiamo studiato con precisione i movi­ menti di tutti i corpi celesti, compresi il Sole e la Luna, così da conoscere come e dove si posizionano ; se, grazie a tutte le nostre precedenti osservazioni, ab­ biamo imparato la natura dei loro effetti (che il Sole suscita calore, la Luna umidità ecc.); se siamo capaci di cogliere, grazie all'analisi dei fenomeni naturali e, nello stesso tempo, mediante una serie di congetture, le caratteristiche specifiche che nascono dalla combi­ nazione di tutti gli elementi - insomma, se sappiamo tutte queste cose, che cosa ci impedirà di prevedere, volta per volta, in base alla posizione dei corpi celesti in quel preciso momento, le condizioni atmosferiche particolari dell'ambiente ? E, di conseguenza, che cosa ci impedirà di prevedere, per ogni singolo individuo, le sue caratteristiche particolari, a partire dalla situa­ zione che si era verificata al momento della sua nascita (cioè, per esempio, che il suo corpo era fatto in un certo modo e la sua anima in un altro) ? Che cosa ci impedirà di prevedere gli eventi che si verificheranno di volta in volta, dal momento che una certa situa­ zione, se è consona a un particolare temperamento, è favorevole allo stare bene, mentre un'altra, se non è consona, è favorevole allo stare male ? Da queste cose, e da altre simili, si comprende come determinate co­ noscenze diventino possibili. Cercheremo ora di spiegare come le critiche severe 94

secondo le quali le previsioni sarebbero impossibili, pur avendo una loro giustificazione, sono infondate. Per prima cosa, dal momento che questa scienza, es­ sendo complessa, riguarda molte cose, può capitare che chi non è esperto nella materia commetta molti er­ rori, al punto che si è pensato che, quando le previsioni risultano vere, ciò sia dovuto al caso. Ma questo ragio­ namento è sbagliato : se i risultati non sono corretti, la colpa non è della scienza in sé, ma di chi la pratica. Secondo : ci sono molte persone che, per guadagnare soldi, chiamano ( mentendo ) con il nome di "scienza astrologicà' un altro tipo di scienza, ingannando sia chi non ne sa niente, spingendolo a credere probabili le previsioni che non hanno alcuna speranza di realiz­ zarsi, sia chi possiede un minimo di conoscenza della materia, spingendolo a non credere alle previsioni che potrebbero invece realizzarsi. Ma anche qui non ci siamo : non bisogna rifiutare le teorie filosofiche che sono dietro questa scienza solo perché ci sono alcuni che, inventandosela, si comportano male. È chiaro, tuttavia, che, anche se si seguono gli insegnamenti di questa disciplina in modo accurato e corretto, succede spesso di sbagliare: non per i motivi che ho ricordato prima, ma per la natura stessa della previsione, che è fragile rispetto alla grandezza delle promesse. Se infatti si considera la qualità della materia che è oggetto di studio, ogni tipo di disciplina si basa su con­ getture che non sono mai sicure, e questo vale a mag­ gior ragione per la nostra, che è formata da una serie di elementi diversi tra loro. C 'è poi un altro aspetto da considerare : gli antichi, attraverso l'osservazione 95

delle posizioni dei pianeti che si erano verificate nel passato, ne avevano tratto alcune previsioni che noi applichiamo alle posizioni che si verificano ai giorni nostri; tuttavia le posizioni planetarie che si verificano dopo un lungo intervallo temporale non si possono presentare assolutamente identiche, ma solo più o meno simili, dal momento che la ripetizione precisa delle posizioni di tutti i corpi celesti e della Terra o non si verifica per niente o, se si verifica, non lo fa in un periodo di tempo che la vita di un uomo può spe­ rimentare, a meno che non si pensi scioccamente di poter afferrare ciò che non è possibile afferrare. Ecco il motivo per cui, a volte, le previsioni possono essere sbagliate : la colpa sta nel fatto che gli esempi a nostra disposizione non sono mai gli stessi. Questa potrebbe essere l'unica difficoltà relativa all'osservazione dei fenomeni atmosferici: non esiste infatti nessun'altra causa relativa al movimento dei corpi celesti [ . . ] . A questo punto ci è diventato chiaro, almeno in ge­ nerale, in che modo è possibile fare pronostici grazie allo studio dell'astronomia. Abbiamo visto inoltre che essa riguarda soltanto i cambiamenti che si producono nell'ambiente che ci circonda e le conseguenze che ne derivano sugli uomini - vale a dire, le caratteristiche iniziali (sia in potenza sia in atto) del corpo e dell'a­ nima, le malattie che li colpiranno con il passare degli anni, la durata (breve o lunga) della vita, oltre alle cir­ costanze esterne che riguardano la condizione iniziale a seconda delle tappe principali della vita umana (per quel che riguarda il corpo, le ricchezze e il matrimonio ; per quel che riguarda l'anima, l'onore e la fama). .

Resterebbe adesso da discutere l'utilità di questa disciplina - e, in particolar modo, come essa può es­ sere utile, e rispetto a quale scopo. Se infatti pensiamo ai beni dell'anima, a quelli che riguardano lo spirito, quale altro pronostico potrebbe essere più vantag­ gioso, relativamente alla felicità, alla gioia e al pia­ cere, di questo, che ci fa conoscere complessivamente le cose umane e divine ? Se invece pensiamo ai beni del corpo, non c 'è niente che, più dell'astrologia, per­ metta di comprendere ciò che è adatto e conveniente alle attitudini di ogni individuo per quel che riguarda la sua vita. Se anche non ci procura né ricchezza, né fama, né altri vantaggi simili, possiamo dire che i van­ taggi dell'astrologia non sono diversi da quelli che ci procura ogni tipo di filosofia: l'astrologia non ci può procurare, di per sé stessa, nessuna di queste cose belle. Ma se noi condannassimo sia la filosofia che l'astro­ logia solo per questo motivo, non ci comporteremmo giustamente, perché finiremmo per trascurare quello che ci procura i vantaggi più grandi. A chi considera la questione da un punto di vista complessivo, coloro che criticano le previsioni astro­ logiche per la loro inutilità sembrerebbero essere poco interessati alle cose più importanti, perché considere­ rebbero solo questo, e cioè che prevedere il futuro è del tutto inutile. Ma anche questo giudizio è troppo semplicistico e non meditato. Per prima cosa, bisogna considerare che, quando si verificano in modo del tutto inaspettato eventi ai quali non è possibile porre rimedio, le conseguenze sono, per quelli negativi, sconvolgimenti eccessivi, mentre per quelli positivi 97

sono entusiasmi sfrenati; se invece questi eventi è possibile prevederli, la conoscenza anticipata abitua l'animo, attraverso l'esercizio, ad accettare le cose lontane come se fossero presenti, preparandolo ad accogliere con serenità ed equilibrio tutti gli eventi che si verificheranno. In secondo luogo, non bisogna pensare che ogni cosa che succede agli uomini derivi da una causa che proviene dal cielo, come se per cia­ scuno di noi tutto sia stato stabilito fin dall' inizio da un comandamento divino che non può essere modifi­ cato, destinato necessariamente ad avverarsi senza che nessuna forza vi si possa opporre : piuttosto, sarebbe più corretto credere che, se i movimenti celesti si com­ piono eternamente secondo un destino divino che non può essere mai cambiato, i cambiamenti terreni si compiono invece secondo un destino che dipende da una legge fisica che può essere modificata, dal mo­ mento che traggono le loro cause ultime dalle leggi del caso e dell'evoluzione. Una critica dell'astrologia

Cicerone, Della divinazione 2., 87-93 Passiamo adesso alle follie mostruose dei Babilonesi. Secondo Eudosso di Cnido, allievo di Platone, rite­ nuto dai dotti il più grande esperto in astronomia, non bisogna credere affatto ai Caldei (e lo ha pure scritto !) quando affermano che il segno zodiacale di ogni individuo al momento della nascita può predire e determinare il suo destino [ ... ] .

Ma lasciamo da parte quello che è stato scritto dagli esperti e cerchiamo di affidarci al buon senso. Coloro che difendono i Caldei per quel che riguarda le pre­ dizioni determinate dal segno della nascita seguono questo ragionamento : nel cerchio delle costellazioni che i Greci chiamano "Zodiaco" è contenuta una forza che fa sì che ogni parte di quel cerchio influenzi il cielo, modificandolo in modo diverso a seconda delle stelle che, in momenti ben precisi, si trovano in quelle parti e in quelle vicine. Secondo i difensori dei Caldei, quella stessa forza viene modificata in vari modi dalle stelle "erranti" (i cosiddetti pianeti) : quando quegli astri sono arrivati in quella parte dello Zodiaco che coin­ cide con la nascita di qualcuno (ma anche in una parte che sia in un certo modo vicina a quella), si formano figure che vengono chiamate triangoli e quadrati. E non basta: poiché, nel corso dell'anno, stagione dopo stagione, si verificano nel cielo moltissimi rivol­ gimenti e mutamenti, dovuti al fatto che le stelle si av­ vicinano e si allontanano, e poiché i fenomeni che ve­ diamo sono provocati dalla forza del Sole, essi (parlo degli astrologi) ritengono non solo verosimile, ma as­ solutamente vero, che ogni bambino che nasce riceva un'anima e un corpo a seconda della composizione dell'aria, che plasmerebbe quindi le inclinazioni, il carattere, l'anima, il corpo, le azioni che compirà nel corso della sua vita e le vicende che gli capiteranno. Questo, a me, sembra un vero delirio al quale non vedo come si possa credere - e se il termine "delirio" vi sembra troppo forte, non dimenticate che non è possibile definire ogni errore una semplice "stupidag99

gine"... Il filosofo stoico Diogene di Babilonia am­ mette qualcuna di queste cose : secondo lui, è possibile predire solo il carattere e le inclinazioni di ogni sin­ golo nato, mentre non crede che si possano sapere le altre cose che dicono i Caldei. Lo provano i gemelli: se l'aspetto è identico, la vita e la sorte sono quasi sempre diverse. I re spartani Prode ed Euristene, che erano gemelli, non solo non vissero lo stesso numero di anni (Euristene morì un anno dopo Prode), ma ebbero un destino diverso, perché le imprese compiute da Prode furono molto più gloriose. Ma io sono certo che è im­ possibile sapere anche le cose che quel buon diavolo di Diogene concede ai Babilonesi, per una specie di accordo - se vogliamo chiamarlo così - stretto con i suoi compatrioti. Se, come dicono gli stessi Caldei, la Luna regola le nascite dei bambini, al punto che loro prendono in considerazione i segni zodiacali che sono in congiun­ zione con quel pianeta, vuol dire che giudicano con la vista, che è il più ingannevole dei cinque sensi, quello che dovrebbero invece osservare con la ragione. I cal­ coli degli astronomi, che i Caldei avrebbero dovuto conoscere, mostrano alcune cose molto importanti sulla Luna: come la sua orbita sia bassa (al punto che quasi tocca quella della Terra) ; come sia lontana da Mercurio, che è la stella più vicina; come sia ancora più lontana da Venere ; quanto sia grande l' intervallo che la separa dal Sole (che, a quanto si dice, l' illumina con la sua luce) ; quanto siano immensi, infiniti gli altri intervalli (dal Sole a Marte, da Marte a Giove, da Giove a Saturno) ; infine, quanto lo sia la distanza 100

dalla volta celeste, che è il limite ultimo dell'universo. Che influsso ci può essere allora da una distanza quasi infinita fino alla Luna, per non parlare di quella tra la volta celeste e la Terra ? Non vi basta ? Sentite questo, allora: quando di­ cono ( e non possono non dirlo ) che tutte le nascite di coloro che nascono in ogni angolo della terra abi­ tata sono uguali ( e, quindi, che la vita di tutti coloro che sono nati sotto la stessa posizione del cielo e delle stelle deve per forza essere identica) , non si ha l'im­ pressione che questi interpreti del cielo non cono­ scano la struttura del cielo ? Poiché le circonferenze che dividono il cielo a metà, definendo e limitando quello che noi possiamo vedere con gli occhi ( circon­ ferenze che i Greci chiamano horizontes, "orizzonti", e che noi potremmo chiamarefinientes, "definizioni" ) , sono diverse tra loro e non sono mai le stesse in ogni luogo, ne deriva che le costellazioni non possono sorgere e tramontare nello stesso tempo presso tutti i popoli. E se l' influsso delle costellazioni fa assumere al cielo composizioni di volta in volta differenti, come è possibile che le persone nascano con lo stesso influsso se il cielo è così diverso ? Dove abitiamo noi, il sorgere della Canicola avviene al momento del solstizio d'e­ state, anzi alcuni giorni dopo ; nel paese dove abitano i Trogloditi, invece, la costellazione sorge prima del solstizio : ragion per cui, se anche dovessimo ammet­ tere che l' influsso del cielo abbia un certo effetto su coloro che nascono sulla terra, gli astrologi dovreb­ bero ammettere che anche persone che nascono nello IO I

stesso giorno possono ricevere nature diverse a causa della diversità del cielo. Ma questo fatto non piace per niente a coloro che sono a favore dell'astrologia: esi­ gono che tutti coloro che sono nati lo stesso giorno abbiano lo stesso destino, in qualunque luogo essi siano nati. L'oroscopo di Mecenate

Orazio, Odi 2, 17, 9-25 Al giuramento

che ho fatto, io presto fede : andremo, andremo, e tu, o Mecenate, sarai per sempre la mia guida. Noi siamo compagni, pronti ad affrontare il viaggio supremo. Non c 'è niente che mi dividerà mai da te, né l'alito infuocato della Chimera, né Briareo, il gigante dalle cento mani, dovesse mai risorgere : così hanno voluto la potente Giustizia e le tre Parche, dee della morte. Non mi importa quali astri mi guardino benevoli, se la Bilancia, se lo spaventoso Scorpione, che è più forte nell'ora che mi ha visto nascere, se il Capricorno, che regna sul mare occidentale : quel che importa è che le nostre due stelle vanno d'accordo in modo incredibile. Brillando su di te, la protezione di Giove ti ha strappato al crudele Saturno, rallentando le ali del destino veloce. 102

Gli influssi dei segni zodiacali

Manilio, Ilpoema degli astri 4, 1 22-29 3 Adesso ti dirò nell'ordine le caratteristiche dei segni zodiacali, le inclinazioni, le qualità predominanti, i mestieri diversi. L'Ariete, ricco nel vello di lane feconde, che ricrescono di nuovo quando vengono tagliate, avrà sempre davanti a sé una speranza: cadrà rialzandosi tra la rovina improvvisa e le ricchezze che rendono felici; i suoi desideri speranzosi lo porteranno al disastro. Distribuirà i suoi frutti, i bioccoli di lana che, attraverso innumerevoli iniziative, generano diversi guadagni: ora raggomitolando lane grezze, ora sbrogliandole di nuovo, ora tessendo tele, ora trasformandole in un filo sottile, ora comprando e vendendo, per procurarsi un guadagno, vestiti, senza i quali i popoli non avrebbero saputo vivere, nemmeno i più morigerati. Tessere è un'attività così importante che l'ha scelta per sé perfino una dea, Pallade Atena, ritenendola degna delle sue mani, orgogliosa per aver sconfitto Aracne. Ecco le inclinazioni, ecco i mestieri, insieme ad altri simili, che l'Ariete vaticinerà a tutti i nati sotto questo segno, creando in un animo spaventato un cuore incerto, sempre desideroso di offrire sé stesso 10 3

pur di ottenere una frase di elogio. Il Toro riempirà i campi di contadini semplici che lavoreranno la terra sereni; non distribuirà i doni di una lode, ma i frutti della terra. Piega il collo tra le stelle chiedendo per le sue spalle un giogo. Quando porta sulle corna il Sole, il disco di Apollo, dichiara guerra alle terre richiamando le pigre zolle alle antiche coltivazioni. Lui stesso guida il lavoro, senza mai sdraiarsi nei solchi, né abbandonare il petto nella polvere. Sotto questo segno sono nati Serrano e Curio ; ha consegnato i fasci, simbolo del potere, in mezzo ai campi; è venuto un dittatore, Cincinnato, che aveva lasciato l'aratro. Il Toro ama la gloria silenziosa; forgia animi e corpi provvisti di una forza massiccia, che agisce con studiata lentezza; sul loro volto abita Cupido, il figlio della dea dell'amore. Le inclinazioni dei Gemelli sono più delicate, così come la loro vita è più tranquilla: ci sono canzoni diverse, voci melodiose, strumenti a fiato delicati, strumenti a corda che accompagnano parole che paiono nate per loro : in questo modo, perfino il lavoro è un piacere ! Vogliono tenere lontano le armi, le trombe di guerra e la triste vecchiaia; trascorrono nell'amore una vita tranquilla, immersi in un'eterna giovinezza. Scoprono anche le strade per le stelle, dotando il cielo di numeri e misure,

correndo più veloci degli astri. Al loro talento cede la natura, che si sottomette a loro in ogni cosa. Queste sono le cose che nascono dai fecondi Gemelli. Luminoso sul punto dell'asse terrestre intorno al quale, come un traguardo intermedio, il carro del Sole gira le ruote per tornare indietro dopo aver raggiunto la sua massima altezza, il Cancro occupa la piega del mondo riducendo la lucente durata del giorno. Tenace nell'animo, per niente propenso a concedersi ad altri, questo segno zodiacale, abile nell'arte del profitto, distribuisce diversi guadagni: mettere insieme una fortuna commerciando con città straniere, affidare il patrimonio ai venti speculando sui prezzi che salgono, vendere al mondo i beni del mondo, intrecciare rapporti commerciali che uniscono tra loro terre lontane e sconosciute, cercare prede nuove sotto un Sole diverso, accumulare rapidamente ricchezze vendendo merci a caro prezzo. Diventa armatore : contando, per la sua sorte, sul veloce trascorrere del tempo, fa i suoi dolci guadagni anche d' inverno. Un carattere solerte, insomma, pronto a combattere per i propri profitti. Qualcuno ha dubbi sulla natura del grande Leone ? O sulle attività che prescrive per coloro che vedono la luce sotto il suo segno ? IOS

L'animale prepara sempre nuovi combattimenti, nuove lotte con le altre bestie feroci, vivendo delle spoglie degli animali che uccide ; i nati del Leone desiderano ardentemente adornare di pelli i ricchi portali, appendere alle pareti le prede catturate, rendere mute le foreste dalla paura, regnare nei luoghi sottomessi. Gli animi di alcuni di loro non potrebbero essere tenuti a freno nemmeno dalle mura di una città: scorrazzano nel centro con membra di animali da appendere alle insegne delle taverne, uccidendo per soddisfare il loro desiderio di strage grazie al guadagno. Il loro carattere è duplice : pronto all' ira, ma facile al pentimento ; nel loro cuore puro, semplici sentimenti. Il carattere di chi nasce sotto il segno di Erigone, la Vergine morigerata nel volto e negli abiti a causa della sua funzione, sarà rivolto allo studio : i loro animi saranno educati nelle arti, dediti non tanto alla ricerca del guadagno, ma ali' indagine dei segreti dell'universo. Darà nobiltà di linguaggio e maestria nel parlare ; aprirà gli occhi della loro mente, perché possano vedere tutte le cose, anche quelle celate nei misteri della natura. Da lei nasceranno scrittori veloci che racchiudono una parola intera in una sola lettera per superare la lingua con i suoi segni, stringendo lunghi discorsi in sintesi sorprendenti. ro 6

Nei loro difetti c'è qualcosa di buono : la timida ritrosia frena l'ardore dei loro anni giovanili, trattenendo i grandi doni della natura. Ecco perché non saranno fecondi ( siete sorpresi ? Non dovreste : il segno è la Vergine ! ) . Soppesando il tempo della notte e del giorno, la Bilancia, dopo un anno che si è rinnovato il dono di Bacco maturo, ci darà, insieme all'uso delle misure e dei pesi delle cose, figli capaci di gareggiare con i pregi di Palamede, che per primo ha dato i numeri alle cose e, a questi stessi numeri, i nomi, e fisse misurazioni, e simboli propri. I nati sotto questo segno conosceranno le tavole della legge, le sentenze pronunciate, le parole riassunte nelle sigle ; sapranno ciò che è lecito e le pene che toccano a chi fa ciò che gli è vietato fare, difensore pubblico anche nella sua casa privata. Un giurista come Servio Sulpicio Rufo non avrebbe potuto nascere sotto un altro segno : fu lui a stabilire le sue leggi quando studiò il diritto. I piatti della Bilancia dirimeranno le ambiguità, tutte le questioni che hanno bisogno di un giudice. Con la sua coda armata di un pungiglione potente, grazie alla quale taglia in due la terra, mescolando i semi nei solchi, quando conduce il carro del Sole attraverso le sue stelle, lo Scorpione genera cuori che ardono per la guerra, pazzi per gli accampamenti di Marre : cittadini che godono del sangue, 10 7

che preferiscono le stragi ai delitti. Perfino in tempo di pace si vive sotto le armi: entrano nelle forre, percorrono le foreste, combattono contro gli uomini e le bestie feroci, vendono la loro testa per la morte, per celebrare il funerale nell'arena, trovandosi sempre un nemico personale anche quando la guerra tace silenziosa. Ce ne sono alcuni ai quali combattere piace a tal punto che amano anche le guerre finte, soltanto per giocare con le armi, imparando nel tempo libero le tattiche dei comandanti, tutte le imprese che nascono dall'arte della guerra. Quelli che la sorte ha voluto nascessero sotto il duplice corpo del Centauro, amano aggiogare carri, guidare con dolce morso cavalli focosi, seguire animali che pascolano lungo campi sconfinati, domare ogni razza animale con l'aiuto di professionisti, calmare le tigri e rendere placidi i leoni, parlare con gli elefanti rendendo adatta, con il semplice suono della voce, la loro mole smisurata a comportarsi come esseri umani, per spettacoli di ogni tipo. Dal momento che, in questa costellazione, il corpo umano si mescola con quello del cavallo pur rimanendo superiore, ecco perché l'uomo domina su quelle stelle. E, poiché porta frecce tese sull'arco di corno ricurvo, procura forza al corpo, acutezza all'animo, movimenti veloci e cuore che non si stanca mai. 108

Nel suo santuario, o Capricorno, la dea Vesta tiene sempre accesa la fiamma: provengono da qui i tuoi mestieri e le tue inclinazioni, poiché dipendono da te tutte le attività che, bisognose di fuoco, per funzionare chiedono nuove fiamme. Cercare metalli nascosti, fondere le ricchezze che giacciono nelle vene profonde della terra, modificare con le proprie mani, servendosi di tecniche esperte, la materia, per fabbricare oggetti d'argento e d'oro. Risulteranno essere tuoi doni il ferro e il rame fusi dalle tue calde fornaci, il grano cotto dai forni. A queste cose aggiungi, oltre alla cura per i vestiti, l'attenzione per il legno che fa scappare il freddo : conservando nei secoli la tua posizione invernale, che rende più brevi le notti giunte fino alla loro massima estensione, fai nascere l'anno allungando le ore di luce. Da qui la tua mutevolezza, perché la mente, spesso, ondeggia volubile : schiavi di Venere, e pure troppo, sono i suoi nati nella prima metà della loro vita, mentre migliore è la vecchiaia, perché si unisce ai Pesci. Anche il giovane Acquario, che versa una fonte d'acqua dalla brocca inclinata, stimola attività collegate alla sua funzione : scoprire acque sotterranee e portarle in superficie, trasformarle in gocce per spruzzare le stelle, prendere in giro il mare costruendo nuove spiagge per chi cerca il lusso, fabbricare laghi 109

e fiumi artificiali, far passare sopra gli acquedotti le correnti che vengono da lontano. Sotto questo segno vivono molte occupazioni regolate dall'acqua, che si realizzano proprio grazie ali' acqua e alle sorgenti. L'acqua cambierà anche l'aspetto del mondo : muoverà le sedi delle stelle, dando al cielo una nuova rotazione. Miti e dolci sono tutti coloro che nascono sotto il segno dell'Acquario : i loro cuori sono puri; patiscono facilmente danni; le ricchezze non gli mancano, e non sono eccessive. Questa è l'acqua che sgorga dalla brocca. Gli uomini generati dai Pesci, l'ultimo segno, ameranno il mare : affideranno la vita agli abissi preparando navi, insieme ai loro allestimenti, tutte le cose che il mare richiede a chi lo sfida. Le occupazioni saranno innumerevoli: non ci sono nomi sufficienti per tutte quante, numerose come le piccole parti di uno scafo. Aggiungici il piacere di sedere al timone, ed ecco che arriva fino alle stelle, unendo al cielo il mare. Conoscerà il firmamento, i fiumi e i porti, il mondo e i venti; dovrà piegare l'agile barra del timone di qua e di là, frenando l' imbarcazione e tagliando le onde, oppure faticare sui remi e piegare a ritmo i legni. Altre prerogative dei nati sotto questo segno sono posare le reti per rastrellare il mare calmo, stendere i pesci catturati sulle loro stesse spiagge, nascondere ami nei cibi o trappole nelle nasse IlO

- ma anche le battaglie navali, guerre galleggianti che rendono le acque del mare sporche di sangue. Prolifici, amano il piacere ; si muovono veloci, senza essere mai uguali a sé stessi. Ecco i caratteri, ecco le attività che i dodici segni danno ai loro figli, potenti per le loro prerogative. Un cuoco geniale

Petronio, Satyricon 3 5-39 Poi venne portato in tavola un piatto meno grande di quanto ci saremmo aspettati - ma la sua stranezza at­ tirò gli occhi di tutti noi: era un vassoio rotondo che conteneva i dodici segni zodiacali disposti in cerchio. Su ciascuno di questi lo chef aveva messo il cibo che corrispondeva al segno: sull'Ariete, ceci cornuti aretini; sul Toro, un pezzo di bue; sui Gemelli, testicoli e ro­ gnoni; sul Cancro, una corona; sul Leone, un fico afri­ cano; sulla Vergine, una vulva di scrofa; sulla Bilancia, una stadera che aveva su un piatto una focaccia salata e sull'altra una focaccia dolce; sullo Scorpione, un pe­ sciolino di mare ; sul Sagittario, un uccello oclopeta; sul Capricorno, un'aragosta; sull'Acquario, un'oca; sui Pesci, due triglie. Al centro del vassoio, una zolla di terra compresa di erbe sosteneva un favo [ .. ] . Un po' delusi, c i accostiamo a queste vivande poco invitanti, mentre Trimalcione, il padrone di casa, ci esorta a mangiare : « Questo è il succo del discorso, questa è la legge della cena » . Non ha ancora finito di parlare che subito arri.

III

vano, ballando a tempo di musica, quattro camerieri: tolgono il coperchio del vassoio e, sotto, vediamo cap­ poni, mammelle di scrofa e, in mezzo, una lepre con le ali che la rende simile a Pegaso, il mitico cavallo alato. Ai quattro angoli del vassoio notiamo anche quattro statuette del satiro Marsia che versano da quattro pic­ coli otri il garum, una salsa pepata fatta di interiora di acciughe lasciate seccare al sole, sopra un piccolo branco di pesci che nuotavano come se fossero in un canale. Gli schiavi applaudono, applaudiamo anche noi e ci gettiamo felici sopra quelle leccornie [ ... ] . I piatti erano stati portati via e gli allegri com­ mensali avevano cominciato a dedicarsi al vino e alle chiacchiere. Ma le nostre piacevoli conversazioni fu­ rono interrotte da Trimalcione, che, piegato sul go­ mito, disse : « Dovete fare onore a questo vino, perché i pesci devono nuotare. Credete forse che io mi ac­ contenti della cena che avete visto sul coperchio del vassoio ? "È forse così che conoscete Ulisse ?" (tanto per citare Virgilio) Allora ? Anche quando si mangia bisogna essere filologi. Che le ossa del mio patrono ri­ posino in pace : è grazie a lui se sono un uomo tra gli uomini. Non c 'è nulla che sia così strano da potermi sorprendere. E la portata di prima dovrebbe avervelo dimostrato. Questo cielo, dove abitano dodici dèi, si trasforma in altrettanti segni. E subito diventa Ariete. Pertanto, chi nasce sotto quel segno ha molte pecore e molta lana; poi ha la testa dura, la faccia da schiaffi e le corna appuntite. Sotto questo segno nascono mol­ tissimi professorini aggressivi » . Neanche il tempo di lodare lo spirito dell'astrologo, che quello prosegue : II2

«Poi tutto il cielo diventa Torello : è così che nascono gli scontrosi, i bifolchi e le persone che sanno pro­ curarsi da mangiare da soli. Sotto i Gemelli nascono quelli che corrono sulle bighe, i buoi, i coglioni e quelli che tengono i piedi in due staffe. Sotto il segno del Cancro sono nato io : ecco perché mi reggo su molti piedi, e possiedo molti beni sia in mare sia in terra. Infatti il Cancro sta bene sia nel mare che sulla terra. Ecco perché prima non ho fatto mettere niente su quel segno : non volevo schiacciare la mia buona stella. Sotto il Leone nascono i mangioni e i prepotenti; sotto la Vergine i femminielli, gli schiavi che sono riu­ sciti a scappare e quelli che sono stati messi alla catena; sotto la Bilancia i macellai, i profumieri e tutti quelli che vendono a peso ; sotto lo Scorpione gli avvelena­ tori e gli assassini; sotto il Sagittario gli strabici, che vanno al mercato, guardano le verdure e prendono il lardo ; sotto il Capricorno gli sfortunati che per le loro disgrazie gli crescono le corna; sotto l'Acquario gli osti e gli zucconi; sotto i Pesci i cuochi e gli avvocati. È così che gira il mondo : come la macina del grano, che porta sempre agli uomini qualche disgrazia, sia che nascano sia che muoiano. E se poi vedete in mezzo una zolla, e sopra la zolla un favo, sappiate che per ogni cosa che faccio c 'è sempre un motivo. In mezzo ci sta la madre Terra, arrotondata come un uovo. E contiene dentro di sé tutto ciò che è buono, come un favo di miele » . « Geniale ! » , gridiamo tutti insieme. Poi, con le mani alzate verso il soffitto, giuriamo che scrittori come lpparco e Arato non sono per niente paragona­ bili a lui. 113

Un indovino fortunato

Tacito, Annali s . 20-22 Ci tengo a ricordare una profezia pronunciata dall' im­ peratore Tiberio contro Gaiba, che allora ricopriva la carica di console : fattolo chiamare, dopo averlo messo alla prova con diversi discorsi, gli disse, in greco, questa frase : «Anche tu, o Gaiba, un giorno o l'altro assaggerai l' impero » , alludendo al fatto che Gaiba sarebbe stato imperatore, anche se in tarda età, e per breve tempo - cosa che aveva potuto profetizzare grazie alla dottrina dei Caldei, che aveva imparato a Rodi, quando non era ancora diventato imperatore, grazie al suo maestro Trasillo, che era un vero pro­ fessionista in quell'arte. Ecco come Tiberio lo aveva messo alla prova. Tutte le volte che Tiberio faceva una consulta­ zione sul futuro, andava nel punto più alto della sua villa di Capri. L'unico a sapere questa cosa era un suo liberto, di cui l' imperatore si fidava. Quest 'uomo, che era ignorante ma robusto, precedeva l' indovino che Tiberio aveva deciso di consultare passando per sentieri impervi e scoscesi (sotto la casa c 'erano gli scogli) ; durante il ritorno, se l' indovino aveva dato all' imperatore il sospetto di essere o un ciarlatano o un ingannatore, Tiberio ordinava al liberto di farlo precipitare nel mare sottostante per far scomparire il testimone della profezia. Trasillo, che era stato portato in casa attraverso quel percorso in mezzo alle rocce, fu quindi imer114

rogato dall ' imperatore, che rimase turbato dalle sue precise rivelazioni a proposito dell' impero e del suo personale futuro. Quando Tiberio gli chiese se si fosse mai informato sul proprio oroscopo e quale fosse il suo destino relativamente a quell'anno (anzi, proprio a quel giorno), Trasillo, dopo aver misurato la posizione delle stelle e le distanze tra di loro, prima cominciò a balbettare, e poi a spaventarsi: quanto più si immergeva nei suoi calcoli, tanto più tremava per lo stupore e la paura. Infine si mise a gridare, dicendo che su di lui incombeva una sventura misteriosa, forse anche una catastrofe definitiva. Allora Tiberio lo abbracciò e si congratulò con lui, perché, avendo previsto i pericoli che stava per correre, ne sarebbe uscito sano e salvo : avendo segnato tutte le cose che aveva detto come se fossero state il responso di un oracolo, fece entrare Trasillo nella cerchia dei suoi amici più intimi. Quando sento queste cose, non so che giudizio dare : le cose degli uomini sono regolate dal destino, guidato dall' inevitabilità che non può essere modi­ ficata, oppure dal caso ? Se pensi a quello che hanno sostenuto i più saggi tra i filosofi antichi e quelli che hanno proseguito sulla loro strada, troverai che la pensano in modo diverso : molti sono convinti che gli dèi non si preoccupano né dell' inizio né della fine della nostra vita - in una parola, non si preoccupano di noi uomini: basta vedere come molto spesso le per­ sone oneste sono colpite dalle disgrazie, mentre quelle disoneste hanno una vita felice. Altri, invece, credono che il destino abbia una relazione con le cose umane : IIS

non nel senso che la nostra sorte deriva dai percorsi casuali delle stelle, ma dalle cause prime e dai rapporti tra le singole cause - e, nonostante questo, ci lasciano la possibilità di scegliere la nostra vita, da cui deriva una serie di fatti legati gli uni agli altri. La gente è convinta che le cose non siano in sé né cattive né buone : esistono uomini che sono felici anche se sembrano lottare con le avversità (perché tollerano la cattiva sorte con fermezza), mentre ce ne sono altri che sono infelici benché possiedano grandi ricchezze (perché godono della loro prosperità in modo poco assennato). Tuttavia è difficile togliere dalla testa della maggior parte delle persone la con­ vinzione che, al momento della nascita di ciascuno, le cose che gli capiteranno siano già state fissate - e so­ prattutto che, se dovessero accadere in modo diverso da come sono state predette, la colpa sarà tutta delle bugie di coloro che hanno voluto profetizzare cose che in realtà non conoscevano. In questo modo, però, viene tolta credibilità e fiducia a questa scienza, l'arte divinatoria, di cui ci restano famose testimonianze sia per fatti del passato che per fatti del presente. I Caldei e l'astrologia

Favorino, in Aulo Gellio, Notti attiche 14, I, 2-8 Questa famosa scienza dei Caldei non è così antica come vogliono far credere. E nemmeno sono stati i fondatori e gli autori di questa disciplina quelli che loro dicono : anzi, a dare vita a questo genere di chiacu6

chiere ingannevoli sono stati scrocconi che hanno ricavato cibo e denaro dalle loro bugie. Avendo no­ tato che alcuni fenomeni terrestri che capitavano agli uomini erano causati dall' influsso e dal movimento dei corpi celesti (come il fatto che l'oceano aumenta e diminuisce insieme alla Luna, come se questa fosse un suo compagno), hanno cercato di convincerci a cre­ dere che tutte le cose umane, sia piccole che grandi, sono guidate e governate dalle stelle e dai pianeti, come se vi fossero collegate [ . . ] . 1. Se i primi Caldei, che vivevano nelle aperte pia­ nure, attraverso l'osservazione dei movimenti delle stelle, delle loro orbite, di come si allontanano e si avvicinano, hanno scoperto quali erano gli effetti provocati da tutti questi fenomeni, i loro eredi conti­ nuino pure a praticare questa disciplina - ma soltanto dalla stessa posizione rispetto alla volta celeste nella quale si trovavano gli antichi Caldei: non è infatti possibile che il loro sistema di osservazione rimanga valido anche se qualcuno lo vuole applicare rispetto a diverse regioni del cielo. Chi non vede infatti quanto siano diverse le zone del cielo che derivano dall' incli­ nazione e dalla convessità del mondo ? .

Contro l'astrologia

Sesto Empirico, Contro gli astrologi r-8, 21-22, 29-3 8 Il mio obiettivo consiste nello studiare l'astrologia o la matematica: non mi riferisco alla disciplina com­ pleta, che è composta dall'aritmetica e dalla geome1 17

tria, e nemmeno alla capacità di predire il futuro, che alcuni chiamano anche astronomia (la disciplina stu­ diata da Eudosso, da Ipparco e da altri sapienti, che consiste, come le tecniche usate dagli agricoltori e dai marinai, nell'osservazione di determinati fenomeni che permettano di prevedere in anticipo la siccità e le alluvioni, le pestilenze e i terremoti, nonché altri sconvolgimenti simili provocati dal cielo) . Parlo in­ vece della dottrina che potremmo chiamare "gene­ alogica". I Caldei, infatti, la abbelliscono con nomi solenni e si definiscono astrologi e matematici, op­ ponendosi così in modo artificioso alla vita con la costruzione di credenze superstiziose che non ci per­ mettono di agire seguendo la ragione. Queste cose le capiremo dopo aver esaminato le basi sulle quali si fonda il loro metodo di indagine, anche se la no­ stra spiegazione sarà molto rapida: lascio volentieri a chi si occupa in modo specifico di questa dottrina il compito di analizzarne con cura tutti i particolari, dal momento che a me basta ricordare i presupposti senza i quali non è possibile mettersi a confutare le teorie dei Caldei. Partendo dunque dal presupposto che le cose ter­ restri sono in relazione a quelle celesti e che le prime cambiano sempre in base agli influssi delle seconde, come afferma Omero nell' Odissea ( « la mente degli uomini che vivono sulla terra è tale e quale il giorno che manda il padre degli uomini e degli dèi » ), i Caldei, dopo aver osservato in modo troppo sottile la volta celeste, affermano che i sette astri hanno un rap­ porto di causa efficiente rispetto a ciascuno dei fatti u8

che succedono durante la vita, e che le parti dello Zo­ diaco collaborano con le stesse stelle. In base a quello che sappiamo, dividono il cerchio dello Zodiaco in dodici segni; ogni segno è diviso in trenta parti; ogni parte è divisa in sessanta minuti (questo il nome che danno alle sezioni più piccole, che non posso essere divise a loro volta). Alcuni dei segni li chiamano maschili, altri femminili; alcuni li chiamano bicorporei, altri non bicorporei; alcuni li chiamano "tropici", altri "solidi". Quelli maschili e femminili sono i segni che hanno una natura tale da renderli in grado di generare o maschi o femmine : di­ cono che l'Ariete è un segno maschile mentre il Toro è femminile ; i Gemelli sono un segno maschile, mentre gli altri, seguendo un'alternanza derivante dal loro rapporto, chi maschile chi femminile [ ... ] . Alcuni Caldei hanno messo ogni parte del corpo umano in rapporto a ciascuno dei segni, come se ci fosse tra loro un rapporto di simpatia: chiamano Ariete la testa, Toro il collo, Gemelli le spalle, Cancro il petto, Leone i fianchi, Vergine i glutei, Bilancia il grembo, Scorpione il membro maschile e quello fem­ minile, Sagittario le cosce, Capricorno le ginocchia, Acquario le gambe e Pesci i piedi. Queste cose ven­ gono dette con uno scopo preciso : se, al momento della nascita, uno degli astri cattivi si trova in uno di questi segni, produce una menomazione della parte che ha lo stesso nome [ ... ] . Dicono inoltre che alcuni astri hanno effetti po­ sitivi, mentre altri hanno effetti negativi: tra i primi ci sono Giove e Venere, mentre tra i secondi ci sono 1 19

Marre e Saturno. Ci sono poi gli astri che vengono detti comuni, come per esempio Mercurio, che ha ef­ fetti positivi se sta con gli astri buoni, mentre li ha ne­ gativi se sta con quelli cattivi. Altri Caldei ritengono però che gli stessi astri possono avere effetti positivi e negativi a seconda della posizione in cui si trovano. A seconda, infatti, del segno zodiacale in cui si trova, o delle configurazioni degli altri astri, né l'astro cattivo è completamente cattivo né quello buono è completa­ mente buono. Pensano poi che il Sole e la Luna siano superiori agli altri cinque, che avrebbero un potere minore rispetto alla realizzazione degli esiti. Sarebbe questo il motivo per cui gli Egizi assimilano il Sole al re e all'occhio destro, la Luna alla regina e all'occhio sinistro, i cinque pianeti alle guardie e le altre stelle fisse al resto del popolo. Affermano inoltre che, dei cinque pianeti, Sa­ turno, Giove e Mercurio sono in accordo con il Sole e si uniscono a lui (sono detti "diurni" proprio perché il Sole domina su coloro che nascono di giorno), mentre Marte e Venere collaborano con la Luna. Sostengono infine che gli stessi astri hanno un effetto maggiore se si verificano queste circostanze : o perché sono nelle "case': o nelle "esaltazioni", o nei "confini"; op­ pure perché alcuni sono accompagnati da altri, come guardie del corpo [ ... ] . Queste sono le loro "case": la casa del Sole è il Leone ; quella della Luna è il Cancro; quelle di Sa­ turno sono il Capricorno e l'Acquario ; quelle di Giove, il Sagittario e i Pesci; quelle di Marte, l'Ariete e lo Scorpione ; quelle di Venere, il Toro e la Bilancia; 120

quelle di Mercurio, i Gemelli e la Vergine. Chiamano "esaltazioni" i luoghi dove gli astri hanno molta forza e, per analogia, "depressioni" quelli dove ne hanno poca: l'esaltazione del Sole è l'Ariete (per essere pre­ cisi, il diciannovesimo grado), mentre la depressione è il segno diametralmente opposto. L'esaltazione della Luna è il Toro ; quella di Saturno è la Bilancia, di Giove è il Cancro, di Marte è il Capricorno, di Venere i Pesci e di Mercurio la Vergine. Chiamano "confini" i luoghi dove ogni astro, all' interno di ciascun segno, ha una forza maggiore, a partire da un grado posto in un determinato punto della serie fino a un altro grado, posto anch'esso in un punto determinato ; ma riguardo a questi confini non c 'è assolutamente accordo, né tra di loro né tra le loro tavole celesti. Dicono che gli astri sono "accompagnati" tutte le volte che si trovano in­ sieme ad altri astri, come se fossero guardie del corpo, in relazione di continuità con i segni: per esempio, se nello stesso segno un primo astro occupa i primi gradi, un secondo quelli centrali e un terzo gli ultimi, si dice che l'astro centrale è accompagnato o scortato dai due astri che occupano i gradi estremi. L'origine dell'astrologia

Luciano, L 'astrologia 1-w Quest 'opera parla del cielo e delle stelle. Ma non del cielo e delle stelle in assoluto : parla della divinazione e della verità, che dal cielo e dalle stelle finiscono per andare nella vita degli uomini. Le cose che voglio dire 121

non sono né consigli né insegnamenti per diventare eccellenti profeti: sono piuttosto un rimprovero ri­ volto alle persone che, pur essendo sapienti, si dedi­ cano a tutte le altre discipline (e le insegnano perfino ai loro figli), tranne la sola astrologia, che non apprez­ zano né studiano. Eppure si tratta di una scienza an­ tica, che non è giunta tra noi da poco tempo, ma è il frutto raccolto da antichi sovrani amati dalla divinità. I nostri contemporanei, invece, per ignoranza, per mancanza di cura e per pigrizia la pensano in modo opposto : quando incontrano uomini che fanno false predizioni, accusano gli astri, scaricando il loro odio nei confronti dell 'astrologia e ritenendola un ragiona­ mento che non è sensato né vero, ma falso e privo di senso. Ma questo modo di pensare le cose è, secondo me, ingiusto : se un architetto è inesperto, la colpa non è dell'architettura; se un flautista non è capace di suo­ nare, non bisogna criticare la musica. Sono gli inter­ preti a non conoscere la loro disciplina, perché questa in sé è una disciplina piena di sapienza. I primi che misero le basi per lo studio di questa dottrina a vantaggio degli uomini furono gli Etiopi. Ciò dipende sia dalla sapienza di questo popolo (gli Etiopi sono infatti più sapienti degli altri popoli an­ che in altre discipline) sia dal clima favorevole della loro terra: là, infatti, il cielo è sempre sereno e il mare sempre calmo ; non sono nemmeno soggetti ai cam­ biamenti provocati dall'alternarsi delle stagioni, per­ ché vivono in una sola stagione. Avendo notato, per prima cosa, che la Luna non si presenta sempre nella medesima forma, ma ha molti aspetti e si muta ora in 12.2.

un modo ora in un altro, pensarono che questo feno­ meno fosse degno di meraviglia e di suscitare lo studio. Partendo da qui, gli Etiopi scoprirono, grazie alla loro ricerca, che la luce della Luna non deriva da lei, ma proviene dal Sole. Poi scoprirono anche il movimento degli altri astri, quelli che noi chiamiamo "pianeti" (che significa "erranti" - dal momento che solo loro, di tutti i corpi celesti, si muovono), scoprendo inoltre la natura, il potere e le opere che ciascuno di questi pia­ neti compie. Diedero infine agli astri i nomi [ ... ] . Ecco l e cose che gli Etiopi hanno visto nel cielo. Poi hanno trasmesso questa scienza (ma in forma in­ completa) agli Egizi, che erano loro vicini. Gli Egizi, che avevano ricevuto l'arte divinatoria in questa for­ ma incompiuta, la svilupparono grazie a due innova­ zioni: l' indicazione delle misure del movimento di ogni corpo celeste e la definizione del numero degli anni, dei mesi e delle stagioni. La misura dei mesi era stabilita dalla Luna e dal suo movimento di rotazione ; la misura dell'anno dal Sole e dal suo movimento di rivoluzione. Ma gli Egizi fecero anche scoperte molto più importanti: divisero il cielo (comprese le stelle fisse) in dodici parti in relazione alle stelle che si muo­ vono, rappresentando queste ultime in una forma di­ versa (un pesce, un essere umano, una bestia feroce, un uccello, un animale domestico), basata sull' imita­ zione di creature viventi a loro familiari. È per questo motivo che le loro divinità hanno, nella loro concezione, forme diverse : non tutti gli Egizi prendevano i loro oracoli da tutte e dodici le fi­ gure, perché c 'era chi si serviva di alcune figure e chi di 1 23

altre. Per esempio, venerano l'ariete quelli che hanno guardato l'Ariete nel cielo ; non mangiano pesci quelli che hanno visto i Pesci; non uccidono un caprone quelli che hanno riconosciuto il Capricorno - e così, seguendo lo stesso criterio, anche gli altri Egizi si pro­ piziano ciascuno uno degli altri segni. Naturalmente venerano anche il toro in onore del Toro celeste : il bue Api, che è per loro una divinità dal forte valore sacrale, pascola nel loro paese, ed è per questo che gli abitanti gli hanno dedicato un segno zodiacale, in segno dell'arte divinatoria di quel toro. Non molto tempo dopo pure i Libici si sono de­ dicati a quell'arte : anche l'oracolo libico di Ammone era stato fondato in relazione alla conoscenza del cielo stesso - tant'è che pure i Libici raffigurano Ammone con la testa di un ariete. Anche i Babilonesi hanno avuto queste conoscenze : stando a quel che dicono, le avrebbero avute prima ancora degli altri, ma credo che le abbiano raggiunte più tardi. Le conoscenze dei Greci riguardo all 'astrologia non vengono né dagli Etiopi né dagli Egizi: il primo a parlare loro di quest'arte fu Orfeo, figlio di Eagro e della musa Calliope. Ma non parlò in modo chiaro : non fece sfociare la dottrina nella luce, ma, secondo il suo pensiero, nella magia mistica. Dopo aver costruito una lira, Orfeo celebrava riti misterici cantando for­ mule sacre ; con le sue sette corde, la lira si accordava con l'armonia dei sette astri che si muovono nel cielo. Mentre indagava e studiava questa scienza, Orfeo af­ fascinava e dominava ogni cosa: non guardava la lira che aveva tra le mani, e non gli importava nessun altro 12 4

tipo di musica, perché la sua era la grande lira che si trova nel cielo, al punto che i Greci, per tributare il giusto onore alla sua dottrina, gli riservarono quella parte del firmamento dove si trova la costellazione chiamata "lira di Orfeo". Se un giorno ti capiterà di vedere Orfeo scolpito su una pietra o raffigurato su un dipinto, noterai che è simile a un uomo che canta tenendo tra le mani la lira, in mezzo a tanti animali, tra i quali un uomo, un toro, un leone e via via tutti gli altri segni zodiacali. Quando avrai veduto questa immagine, ricordati di tutte le altre cose - com'era il suo canto e com'era la lira, come il toro e il leone ascoltavano Orfeo: quando avrai riconosciuto che la causa di tutte queste cose sono le parole che ti sto dicendo, osserva anche tu nel cielo ciascuna di queste cose. Le congiunzioni dei pianeti

Papiro di Tebtunis 276, 10-39 Saturno in erigono con Marre indica sfortuna. Giove in erigono con Marre, ma anche in congiunzione, produce grandi regni e poteri. Venere in congiunzione con Marre produce prostituzioni e adulteri, mentre, se è in congiunzione con Mercurio, produce comportamenti scandalosi e dissoluti. Mercurio in congiunzione con Giove, I lS

ma anche in erigono, farà avvenire attività e commerci positivi ( ... ) grazie all' intelligenza, sostentamento della vita ( ... ) nella buona sorte ( ... ) Marre in erigono con Giove e Sarurno produrrà molta prosperità, farà acquisire beni ( ... ) La congiunzione di Giove, Mercurio e Venere produce gloria, potere e grandi successi; e se saranno in levata marrucina, i successi cominceranno dalla giovinezza. I sogni e le stelle

Arremidoro, L'interpretazione dei sogn i 2, 36 Quando il Sole sorge a oriente e tramonta a occidente è un buon segno per turri: ad alcuni predice affari, perché sveglia dal sonno ed esorta all'azione ; ad altri predice la nascita di figli, perché i genitori danno ai figli maschi il vezzeggiativo "soli". Un sogno simile rende liberi gli schiavi, perché gli uomini chiamano "Sole" la libertà. Ad altri ancora, il Sole è utile perché porta una crescita delle proprie sostanze. Per quelli che cercano di passare inosservati e di nascondersi, in­ vece, è dannoso, perché il Sole scopre ogni cosa, ren­ dendola facile a vedersi. Quando il Sole sorge a occidente, scopre i segreti 12.6

di coloro che pensano di essere passati inosservati; fa alzare chi, malato, aveva ricevuto dai medici una prognosi negativa; dice a chi ha problemi agli occhi che non diventerà cieco (dopo essere stato a lungo nell'oscurità, vedrà la luce). Fa tornare chi era partito per un viaggio, anche se aveva perso le speranze di ri­ tornare. È un buon segno per chi ha deciso di partire verso occidente, perché gli predice che farà ritorno da lì. E questo vale anche per chi aspetta qualcuno che viene da occidente, perché segnala che è già partito per il viaggio di ritorno. Per le altre persone, un sogno si­ mile indica l'esito contrario di ciò che si è intrapreso e di ciò che si è sperato, perché non consente che i loro propositi si realizzino : se il Sole si muove infatti in una direzione contraria a quella che sarebbe la sua dire­ zione naturale, è verosimile che si ammalino sia l'uni­ verso sia le sue singole parti - e colui che ha avuto quel sogno è sicuramente una parte dell'universo. Vanno interpretati allo stesso modo anche i sogni nei quali il Sole sorge da mezzogiorno o da settentrione, oppure tramonta da mezzogiorno o da settentrione. Quando il Sole è oscurato, colorato di sangue o di aspetto spaventoso, è un segno negativo per tutti: in­ dica mancanza di lavoro, malattia per i figli di chi lo ha sognato, un pericolo generico o una malattia agli occhi. È stato osservato tuttavia che questo sogno è vantaggioso per quelli che cercano di passare inos­ servati e per quelli che hanno paura: i primi infatti non saranno visti, mentre ai secondi non capiterà nulla di male, perché, quando è oscurato, il Sole brucia di meno. Il Sole che scende sulla terra indica un in1 27

cendio e un rogo ; identico è il suo significato se entra in una casa. Il Sole che giace minaccioso nel letto di qualcuno è segno di una grave malattia e di un' infiam­ mazione ; se invece dice qualcosa di buono e si mostra benevolo, è un segno che indica prosperità ( a molti.ha anche predetto la nascita di figli ) . L'eclissi di Sole è un presagio negativo per tutti, tranne per quelli che cercano di passare inosservati e compiono azioni proibite : nella maggior parte dei casi, preannuncia una malattia agli occhi o la morte dei figli. Il Sole che viene visto non come è ma come ci si immagina che fosse se avesse l'aspetto di un auriga è un presagio favorevole per gli atleti, per chi sta per fare un viaggio e per chi guida i carri; per chi è malato, però, è un segno che indica pericolo e morte. È sempre meglio sognare che entri in casa un raggio di Sole piut­ tosto che tutto il Sole : il primo sogno preannuncia che il patrimonio è destinato a crescere, perché la casa diventa più luminosa, mentre il secondo indica che gli abitatori della casa non saranno in grado di soppor­ tare le disgrazie future, perché non è possibile guar­ dare il Sole senza alcuna protezione agli occhi. Il Sole che dà o toglie qualcosa non è un buon presagio : se dà qualcosa, preannuncia un pericolo ; se toglie qualcosa, preannuncia la morte. È sempre meglio sognare una statua del dio Sole posta sul suo piedistallo ali' interno di un tempio piuttosto che vederlo in persona: un sogno simile predice che i vantaggi saranno maggiori e gli svantaggi minori. Se il Sole viene sognato così come è e così come appare nel cielo, anche in questo caso si tratta di un segno propizio. 12.8

La Luna indica la moglie e la madre di chi l'ha sognata, perché è considerata una nutrice. È un pre­ sagio che indica pure la figlia e la sorella, perché la Luna viene chiamata anche con il nome di kore (che significa "fanciulla"). Indica denari, prosperità, affari, perché i conti si fanno alla fine di ogni mese. Indica la navigazione, perché i piloti navigano seguendo i suoi movimenti. Indica il viaggio, perché si muove sempre. Indica gli occhi di chi l'ha sognata, perché la Luna è causa del vedere. Indica anche la padrona, perché tutti gli dèi hanno a che fare con i padroni: le divinità ma­ schili con gli uomini, quelle femminili con le donne. È giusto, infatti, quello che dice l'antico verso di Me­ nandro : « Ciò che domina, ha la potenza di un dio » . La Luna crescente vuol dire un vantaggio da parte delle padrone o grazie a loro ; la Luna calante è un danno, sempre da parte delle padrone o grazie a loro. Hanno lo stesso significato la comparsa di più lune e la scomparsa della Luna. Credere di vedere la propria immagine nella Luna significa, per un uomo senza figli, la nascita di un figlio maschio, mentre, per una donna, è il presagio della nascita di una figlia: cia­ scuno dei due vedrà infatti la propria immagine, vale a dire un figlio. Questo stesso sogno è un presagio favorevole anche per i banchieri, per i creditori e per chi ha il compito di riscuotere le quote di un'associa­ zione, perché raccoglierà molti soldi. Lo stesso vale anche per chi vuole mettersi in vista, mentre denuncia chi vuole tenersi nascosto. Per i malati e per i navi­ ganti significa morte : i primi li fa morire per idropisia, perché la Luna è per natura umida; i secondi li fa mo-

rire in un naufragio. La Luna annuncia gli stessi van­ taggi che annuncia il Sole. Idem per gli svantaggi (ma in misura minore, perché è meno calda del Sole). La Luna indica inoltre che i presagi non si compiranno se non ci sarà l' intervento di una donna. Sognare le stelle che risplendono luminose e pure è un buon segno per chi deve viaggiare, per chi deve fare altre cose e per chi deve compiere azioni segrete : esse non hanno lo stesso significato del Sole o della Luna, perché sono visibili solo se il Sole e la Luna non ci sono ; quando questi due astri ci sono, sono completamente invisibili o appaiono più fioche. Se non si vuole sbagliare, ogni singola stella deve es­ sere interpretata o per il colore, o per la grandezza, o per il movimento, o per la posizione che risulta dal movimento. Questo concetto risulta più chiaro se si tiene conto delle leggi dell'astronomia. Ogni stella fa sì che i presagi si compiano in base alle proprie pre­ rogative : per esempio, le stelle che sono causa di una tempesta predicono sofferenze, pericoli e sconvolgi­ menti, mentre quelle che sono causa di tempo sereno predicono benessere, fortuna e guadagno. Le stelle che segnalano il cambio di stagione predicono un cambiamento verso il meglio (quelle estive) o verso il peggio (quelle invernali). Alcune stelle producono esiti che corrispondono ai miti che le riguardano. Sarebbe lungo discuterle una per una, soprattutto perché i racconti mitici che le vedono protagoniste sono noti a tutti, o quanto meno alle persone che non sono completamente ignoranti. Il cielo privo di stelle preannuncia ai ricchi povertà

e solitudine : il cielo corrisponde infatti alla casa di chi lo ha sognato, mentre le stelle corrispondono agli og­ getti e alle persone che stanno nella casa. Per i poveri, invece, un sogno simile predice la morte. Questo sogno sarebbe favorevole solo alle persone che vogliono com­ piere un grave delitto, perché riusciranno a commet­ terlo, anche se il misfatto al quale stanno pensando è molto grave. Ho sentito qualcuno raccontare che un uomo aveva sognato che le stelle erano scomparse dal cielo ed era diventato calvo : questo perché, se il rap­ porto che il cielo ha con l' intero universo è lo stesso che la testa ha con il corpo, le stelle hanno con il cielo lo stesso rapporto che i capelli hanno con la testa. Le stelle che cadono sulla terra non sono un buon segno, perché preannunciano la morte di molti uo­ mini: le stelle grandi indicano la morte di uomini famosi, mentre quelle piccole indicano quella di uo­ mini comuni e poco noti. Non è un buon segno so­ gnare di rubare le stelle. In seguito a questo sogno, al­ cuni uomini sono diventati ladri sacrileghi di templi dedicati agli dèi, ma sono stati visti e colti sul fatto : hanno fatto quello che volevano fare, poiché si erano impadroniti delle stelle, ma sono stati arrestati perché avevano cercato di compiere un'azione che va al di là dei limiti umani. Sognare di mangiare le stelle è un segno negativo per tutti, tranne che per gli indovini e per coloro che osservano i fenomeni celesti: a questi predice lavoro, unito a grandi guadagni, mentre per tutti gli altri è un segno di morte. Sognare le stelle sotto il tetto della propria casa è un presagio infausto : o predice che la

casa perderà il tetto e verrà abbandonata ( perché in questo modo le stelle si vedono anche dall' interno ) , oppure che il suo padrone morirà. Le profezie di Astreo

Nonno di Panopoli, Dionisiache 6, 15-103

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Demetra andava alla casa di Astreo, il divino profeta, di buon passo ; i venti le scompigliavano, incostanti, i capelli ricci, che erano spinti indietro. La stella del mattino la vide e la annunciò ; sentita la notizia, il vecchio Astreo si alzò. Stava tracciando disegni sulla polvere scura che aveva sparso sul piano del tavolo : prima, con un compasso di ferro dalla punta ricurva, disegnava un cerchio ; poi, sulla cenere accesa, tracciava una base quadrata, sulla quale costruiva un'altra forma, un triangolo equilatero. Ma Astreo lasciò perdere tutte queste cose per andare verso la porta, incontro a Demetra. La stella della sera li guidò dentro il palazzo, facendo sedere Demetra su un trono, vicino al seggio di suo padre. Mossi da analogo senso di rispetto, dopo aver mescolato il vino in un cratere, i Venti, figli di Astreo, lo versarono, brindando alla dea nelle coppe che sciolgono le preoccupazioni. Ma Demetra, già ubriaca per il dolore che provava per sua figlia, si rifiutava di bere :

i genitori che hanno un solo figlio tremano sempre per i loro adorati ragazzi. Astreo, tuttavia, servendosi della persuasione che affascina il cuore, con le sue dolci parole faticosamente la convinse, anche se lei diceva di no. Il vecchio fece preparare un grande pranzo, per scacciare, con la tavola, le angosce che mordevano l'animo di Demetra. I quattro Venti, servi del padre, presa una cintura, se la cinsero intorno ai fianchi; Euro versava da bere, porgendo le coppe vicino al cratere ricolmo di nettare ; Noto aveva nella brocca l'acqua che si doveva bere dopo il pranzo ; Borea, che portava l'ambrosia, la posava sul tavolo ; Zefiro, il vento dotato di grazia femminile, faceva uscire dalle canne una musica di primavera, premendo i fori del flauto. E la stella del mattino intrecciava corone legando fiori rigogliosi ancora umidi per la rugiada dell'alba, mentre la stella della sera muoveva i piedi a passo di danza, tracciando evoluzioni circolari, alla luce consueta della fiaccola notturna. Espero è infatti il messaggero degli Amori, a cui stanno a cuore gli intrecci delle danze nuziali. Ma quando, dopo il pranzo, Demetra, allontanato il fastidioso tormento del dolore che l'aveva turbata, fu sazia di queste danze, interrogò l'oracolo, toccando con la mano sinistra le ginocchia del vecchio e sfiorando con la destra, a mo' di supplica, la sua foltissima barba. Gli disse che Persefone, sua figlia, 1 33

aveva avuto molti pretendenti, chiedendo a lui una profezia che le desse conforto : con le speranze relative al futuro gli oracoli allontanano le sofferenze. Il vecchio Ascreo non disse di no : quando seppe la posizione che avevano gli astri . quando Demetra aveva partorito la sua unica figlia, e il momento preciso dell'ora della nascita, piegando le dita in successione, calcolò, muovendo per due volte una mano dopo l'altra, tutte le rotazioni fatte dagli astri per tornare nella sede iniziale. Poi chiese al suo servo Asterione di sollevare una sfera girevole, l' immagine del cosmo, che riproduceva il cielo, di prenderla e di posarla su uno scrigno. A questo punto il vecchio si mise al lavoro : ruotando il perno dell'asse, guardò lo Zodiaco, esaminando da una parte e dali' altra i pianeti e le stelle fisse. Poi fece girare il cielo : grazie al movimento vorticoso, questo cielo falso girava, con le sue stelle non vere, su un'orbita infinita in una corsa senza fine, bucato nel mezzo da un asse. Guardando la sfera, il dio scoprì che la Luna, quando è piena, attraversava il dorso ricurvo di un nodo, mentre il Sole, che girava sul culmine inferiore, era sulla stessa linea della Luna, opposta a lui. Ma un cono di tenebre, che rapido si era levato dalla Terra verso il cielo, nascondeva tutta la Luna, controfigura del Sole. Quando seppe 134

chi erano i rivali che lottavano per le nozze, cercò, più di tutti, Marte. E vide che questo ladro di nozze stava sopra la sua sede occidentale, insieme alla stella della sera. E, sotto la Spiga celeste, l'astro della costellazione della Vergine, trovò la sorte dei genitori: è intorno a questa stella che corre Giove vivificante, il pianeta che manda la pioggia. Ma quando, dopo aver misurato il percorso degli astri, comprese ogni cosa, ripose nel concavo scrigno la sfera adorna di stelle che non si ferma mai. Tre furono le profezie della voce divina che Astreo diede alle richieste della dea: « O Demetra che ami tua figlia, quando il raggio della Luna, coperto da un cono d'ombra, non sarà più luminoso, proteggi Persefone da uno sposo rapace che ruberà di nascosto a tua figlia la sua verginità, sempre se lo permettono i fili delle Parche. Prima delle nozze, all' improvviso vedrai un falso sposo, un ingannatore nascosto, metà uomo metà animale : lo dico perché, nel centro del suo tramonto, vedo Marte, l'adultero, che cammina insieme alla dea di Pafo, Venere, insieme al Drago che si alza in cielo insieme a loro. La profezia più felice che ti dico è questa: donando alla terra infeconda il frumento, tu darai alle quattro parti del mondo un frutto luminoso. Sopra la parte di cielo 135

riservata ai genitori della ragazza, la Vergine astrale tende la mano piena di spighe » . Così parlò Astreo. E, nella sua bocca, tacque la voce profetica. I cristiani e l'astrologia

Agostino, L'istruzione cristiana 2, 21-22 Tra le persone che predicano dottrine fondate sulla dannosa superstizione noi dobbiamo comprendere quelli conosciuti con il nome di "genetliaci" (e che adesso sono comunemente chiamati "astrologi" ) perché prendono in considerazione il giorno del compleanno. Se infatti è vero che questi, nella ricerca della vera po­ sizione delle stelle al momento della nascita di qual­ cuno, qualche volta ci azzeccano, tuttavia commettono grandissimi errori quando tentano di predire o le no­ stre azioni o gli esiti di queste nostre azioni, vendendo a persone inesperte una miserabile servitù. Chi infatti entra libero nella casa di un simile astrologo lo paga per uscirne schiavo o di Marte, o di Venere, o di tutte le stelle : i primi che hanno sbagliato trasmettendo questo errore ai posteri hanno dato infatti il nome o di qualche animale, a causa della somiglianza, o di qualche uomo, per onorarli. Non ci dobbiamo quindi meravigliare se, in tempi recenti e vicini a noi, i Romani hanno tentato di dedicare la stella del mattino al culto e al nome di Ce­ sare. E forse la cosa sarebbe riuscita, e sarebbe riuscita da tempo, se la stella da chiamarsi con questo nome non se la fosse già presa Venere, antenata di Cesare - che, pe­ raltro, non aveva nessun diritto di trasmettere agli eredi

una cosa che, quando era viva, non aveva mai posseduto né rantomeno chiesto di possedere. In effetti, quando c'era un posto libero che non aveva dovuto essere dedicato a qualcuno che era morro in precedenza, si è farro ciò che si è solito fare in occa­ sioni simili. li quinto ( quintile ) e il sesto ( sesrile ) mese noi li chiamiamo luglio e agosto in onore di Giulio Ce­ sare e di Cesare Augusto, che erano due uomini: è facile quindi capire ( sempre se uno lo vuole ) che quelle stelle hanno farro i loro giri nel cielo anche quando non ave­ vano i nomi che hanno adesso. Però, quando moriva un personaggio che gli uomini o dovevano onorare perché obbligati dall'autorità dei regnanti, o volevano farlo per compiacere la vanità umana, grazie all' impo­ sizione del suo nome a una stella finivano per innal­ zare al cielo un uomo che era morro lì, in mezzo a loro. Comunque, indipendentemente da come gli uomini le chiamino, sono pur sempre stelle che Dio ha creato e sistemato come ha voluto, con i loro movimenti ben definiti, contrassegnati da tempi ben distinti. Non è difficile individuare quale sia il movimento delle stelle nel giorno della nascita di ogni singolo individuo, dal momento che le leggi che lo regolano sono state sco­ perte e messe per iscritto da coloro che la Sacra Scrit­ tura condanna con le seguenti parole: « Se sono stati capaci di scoprire così tante cose da riuscire a valutare il mondo, come mai non hanno trovato con maggiore facilità il Signore di quello stesso mondo ? » . Ma è un grave errore, ed è prova di grande pazzia, pensare di voler conoscere in anticipo, a seguito di una simile indagine, il comportamento, le azioni e le 1 37

cose che capiteranno a ogni persona che nasce. Una si­ mile superstizione viene respinta senza nessun tenten­ namento anche da coloro che hanno imparato a di­ simpararla. Quelle che infatti chiamano costellazioni sono la posizione delle stelle al momento della nascita di una persona a proposito della quale questi disgra­ ziati sono consultati da altri ancora più sciagurati di loro. Può capitare infatti che due gemelli escano dal grembo della madre a una distanza talmente ravvi­ cinata che non si possa contare nessun intervallo di tempo da riferire alla misurazione delle costellazioni: ma è inevitabile che ci siano alcuni gemelli, che pure nascono sotto lo stesso segno zodiacale, i quali non solo si trovano a vivere situazioni differenti (sia cau­ sate che subite da loro), ma hanno nella maggior parte dei casi un destino così diverso che uno vive una vita felicissima mentre l'altro ne ha una molto infelice. Non è forse quello che è successo a Esaù e Gia­ cobbe, due gemelli che nacquero a una distanza tal­ mente ravvicinata l'uno dall'altro che, al momento del parto, Giacobbe, nato per secondo, teneva con la mano il piede del fratello che era nato per primo ? Il giorno e l'ora della loro nascita furono senza ombra di dubbio così vicini che è inevitabile assegnare a tutti e due la stessa costellazione. Eppure le Sacre Scritture ci dicono (e tutti lo sanno) che i loro caratteri furono molto diversi, così come le loro azioni, le loro diffi­ coltà e i loro successi.

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Dalla terra al cielo: i catasterismi

Abbiamo già visto più volte come, dietro ogni co­ stellazione, ci fosse un personaggio della mitologia. A questi "catasterismi", alle trasformazioni in stelle di una figura mitica, sono espressamente dedicate alcune opere specifiche della letteratura greca e latina. La prima, la più antica, la dobbiamo a un autore che, nel corso della sua vita, si occupò di moltissimi argomenti, tutti diversi tra loro, e sempre con grande competenza: sto parlando di Eratostene, che era nato a Cirene, in Libia, intorno al 290 a.C. Uomo di lettere e di scienza, filologo e filosofo, matematico e geografo (fu lui il primo a calcolare, con una semplice equa­ zione, la lunghezza del raggio terrestre), esperto di musica e di cronologia, scrisse (ed è l'unica sua opera che si sia conservata per intero, seppure in una forma largamente rimaneggiata) i Catasterismi, in cui de­ scrisse con estrema precisione una quarantina di co­ stellazioni (compresi i pianeti e la Via Lattea), dopo aver raccontato per ognuna di queste, per sommi capi, la vicenda leggendaria sulle loro origini. Questo lavoro è stato poi in larga parte ripreso e citato da un autore latino vissuto durante l'età di Augusto. Si tratta di Igino, un bibliotecario, al quale 139

sono attribuite due opere che, per quanto differenti, hanno molti punti in comune : le Fabulae (Miti) e gli Astronomica (Mitologia astrale). La prima consiste in un repertorio di vicende mitologiche, raggruppate per argomenti e derivate per la maggior parte dalle trame di alcune tragedie (soprattutto di Euripide), che qualche volta si concludono con la trasforma­ zione del personaggio in una costellazione ; la se­ conda è invece un manuale di astronomia in quattro libri dove, insieme alla descrizione precisa di ogni costellazione, l'autore racconta spesso anche il cata­ sterismo corrispondente. Molte di queste trasformazioni leggendarie le ri­ troviamo anche nei Fasti di Ovidio. Per ognuno dei primi sei mesi dell'anno, vengono trattate, insieme alle feste del calendario romano, le costellazioni che, in quel periodo preciso, dominavano nel cielo. Questo naturalmente offriva al poeta l'occasione per raccontare, in modo più ampio e diffuso, leggende magari poco note ma molto affascinanti e curiose : è il caso di Arione, il suonatore di lira che, buttato in mare dai pirati mentre stava ritornando in Grecia dopo un viaggio in Sicilia, fu salvato da un delfino, poi trasformato nell'omonima costellazione (anche se in altri autori, come per esempio Eratostene, il del­ fino celeste era il catasterismo dell 'animale che aveva aiutato Poseidone, il dio del mare, a conquistare l'a­ more di Anfitrite); è il caso di Amaltea, la "capretta" (Capella è il nome con il quale è conosciuta dagli astronomi) che aveva allattato il piccolo Giove in una caverna del monte Ida, sull' isola di Creta, dove

la madre l'aveva nascosto per salvarlo dal padre Sa­ turno ; oppure, ancora, è il caso dei Gemelli, con il racconto patetico della rinuncia di Polluce alla sua immortalità per condividerla con il fratello Castore, che era invece mortale ( perché nato da un dio, Giove, e da una donna, Leda) . Spesso, infatti, la letteratura ( e, in particolare, la poesia epica) ha voluto incorporare queste leggende nelle sue narrazioni per impreziosirle. Nel terzo li­ bro delle Argonautiche, il poeta ellenistico Apollonia Rodio racconta l'amore sbocciato tra Giasone, il capo degli Argonauti, e la giovane Medea, figlia di Eeta, il re della Colchide : per convincere Medea a dargli una mano nella conquista del vello d'oro ( cosa che la giovane, innamorata, avrebbe poi fatto, grazie alle sue arti magiche ) , Giasone le ricorda la storia di Arianna, la principessa cretese che, per aver aiutato Teseo a trovare l'uscita dal labirinto grazie al suo filo provvidenziale, aveva ottenuto dagli dèi l'onore di essere trasformata in una costellazione ( la "corona d'Arianna", oggi nota con il nome di Corona Bo­ reale ) . Peccato che Giasone si dimentichi di ricor­ dare a Medea come questo catasterismo fosse stato in realtà la ricompensa data ad Arianna da Dioniso per alleviare le sue sofferenze, dopo che la giovane era stata abbandonata da Teseo, al ritorno da Creta, sull ' isola di Nasso. Il catasterismo della "corona di Arianna" è ricor­ dato in dettaglio anche da Nonno nell'ultimo libro delle Dionisiache ( perché Dioniso, innamoratosi di Arianna, l'aveva sposata) : prima, però, nel penultimo

libro, il quarantasettesimo, quando Dioniso raggiunge finalmente Atene, la città dove il suo culto terreno era destinato ad avere, in età storica, il massimo risalto, il poeta racconta a lungo le dolorose vicende di uno dei primi seguaci del dio ( il contadino !cario ) , che, in­ sieme a sua figlia Erigone e alla cagnolina Maira, aveva ricevuto una parziale consolazione alla sua disgrazia proprio · grazie alla successiva trasformazione in una costellazione celeste. Anche il teatro poteva sfruttare, con risultati ugual­ mente efficaci, leggende dello stesso tenore. Ad aprire la tragedia Il furore di Ercole di Seneca ( siamo nel 1 secolo d.C. ) troviamo infatti la dea Giunone, che esprime tutto il rancore per i continui tradimenti di suo marito Giove ( da uno dei quali era nato il prota­ gonista del dramma - Ercole/Eracle era infatti, come abbiamo già detto, il frutto della sua relazione adul­ terina con Alcmena ) constatando amaramente come l' intero firmamento costituisse una prova degli amori extramatrimoniali del re degli dèi. Dietro la costellazione dell' Orsa c 'era Callisto ; dietro quella del Toro c 'era Europa ( per sedurre la quale Giove si era per l'appunto trasformato in toro ) ; dietro quella di Perseo c 'era Danae ( per sedurre la quale il dio si era trasformato addirittura in pioggia d'oro - l'unico modo per penetrare nella torre dove sua padre Acrisio l'aveva rinchiusa) ; dietro quella dei Gemelli c'era Leda; dietro il Sole ( Apollo ) e la Luna ( Diana) c'era Latona; dietro l'asterismo della corona di Arianna c 'era Dioniso, anche lui figlio di una scap-

patella, perché nato da una relazione di Giove con la principessa tebana Semele ... Va detto infine che i catasterismi potevano riguar­ dare (almeno in poesia) anche personaggi storici. Nell'ultimo libro delle Metammjòsi, Ovidio si rivolge a Venere chiedendole di occuparsi della trasforma­ zione di Giulio Cesare in una stella: la dea viene esor­ tata a prendere il cadavere del suo discendente (lagens Iulia vantava come suoi lontani progenitori Enea, il figlio che Venere aveva avuto dal troiano Anchise ; e Iulo, l'altro nome di Ascanio, il figlio che Enea aveva avuto da Creusa, la sua prima moglie troiana), ancora martoriato dalle pugnalate dei congiurati, per portarlo in cielo. Il motivo è chiaro, e lo si capisce leggendo con attenzione i versi che vengono subito dopo, quando Ovidio prefigura un secondo catasterismo, che do­ vrebbe riguardare questa volta il figlio adottivo di Ce­ sare : il poeta vuole così adulare (o, più semplicemente, celebrare) Ottaviano Augusto, che in quel momento (siamo nell ' S d.C.) ricopre ancora il ruolo di impe­ ratore. Si tratta dello stesso atteggiamento che troviamo nel proemio delle Argonautiche (latine, questa volta) di Valerio Fiacco : qui, dopo aver descritto il cataste­ risma della nave Argo, che non era presente nelle Argonautiche di Apollonia Rodio forse perché in quegli anni la costellazione non era stata ancora indi­ viduata e catalogata come tale, il poeta anticipa la fu­ tura divinizzazione (con conseguente trasformazione in astro) dell' imperatore Vespasiano. 1 43

La "corona di Ariannà'

Apollonia Rodio, Argonautiche 3, 975-1007 « O fanciulla, perché hai così tanta paura di me ? Sono solo. E non sono una persona arrogante, come ce ne sono tante. Non lo sono mai stato, nemmeno prima, quando abitavo nella mia patria. O fanciulla, non vergognarti troppo di me ! Se tu mi vuoi dire o mi vuoi chiedere qualcosa che ti sta a cuore, fallo senza paura ! Siamo giunti in questo luogo sacro, dove non è giusto comportarsi in modo disonesto, con animo rispettoso l'uno nei confronti dell'altra: parla liberamente e chiedimi quello che vuoi. So che non mi ingannerai con dolci parole, dal momento che hai promesso a tua sorella di darmi i filtri potenti. Ti supplico, in nome di Ecate, dei tuoi genitori e di Zeus, che alza la sua mano a protezione degli stranieri che chiedono ospitalità. lo sono giunto qui come uno straniero che chiede di essere accolto abbracciando supplichevole le tue ginocchia, spinto da un destino ineluttabile : senza di te non riuscirò mai a superare la difficile prova. Poi, in un futuro, ti ricompenserò per il tuo aiuto : è giusto che, chi abita lontano, dia al tuo nome una fulgida fama. Allo stesso modo ti celebreranno gli altri eroi quando saranno tornati in Grecia, insieme alle loro mogli e alle loro madri 1 44

- che forse, adesso, sedute sulla spiaggia, ci piangono già: volesse il cielo che tu potessi disperdere il loro duro dolore ! Tanto tempo fa la saggia Arianna, la vergine figlia di Minasse, nata da Pasifae, figlia del dio Sole, aiutò Teseo a superare prove difficili. Quando l' ira del padre si placò, Arianna, salita sulla nave di Teseo, lasciò Creta, la sua patria - e gli dèi immortali vollero mostrarle il loro amore, collocando nel mezzo del cielo la "corona di Arianna", la costellazione che ruota per tutta la notte insieme alle altre immagini celesti. Allo stesso modo gli dèi si mostreranno grati con te se salverai un esercito di così tanti eroi valorosi: alla tua bellezza non si può che aggiungere anche l'ornamento di una dolce bontà » . La costellazione del Leone

Eratostene, Catasterismi 12 Quella del Leone è una delle costellazioni più lu­ minose del firmamento. Sembra che abbia ricevuto questo onore da Zeus perché è il re degli animali, anche se alcuni dicono è che finito in cielo per ricor­ dare la prima impresa di Eracle. Spinto dall'amore per la fama, l'eroe non lo uccise con le armi (a differenza degli altri animali), ma lo soffocò dopo avergli stretto il collo in una morsa; Pisandro di Rodi dice che, per 145

rendere l' impresa ancora più degna di nota, ne ricavò una pelliccia. L'animale venne ucciso a Nemea. Il Leone ha tre stelle sulla testa, una sul petto e due sotto, una stella luminosa sulla zampa destra, una in mezzo al ventre e una sotto, una sull'anca, una sul gi­ nocchio posteriore, una luminosa sull'estremità della zampa, due sul collo, tre sulla schiena, una in mezzo alla coda, una luminosa alla fine della coda. In totale, le stelle sono diciannove. Sopra di lui, vicino alla coda, si vedono sette stelle poco luminose disposte in forma triangolare, chiamate i Riccioli di Berenice, la moglie di Tolomeo. La costellazione del Toro

Eratostene, Catasterismi 14 Si dice che il Toro sia stato collocato tra le stelle per aver portato Europa dalla Fenicia a Creta attraverso il mare : come ricompensa, ha ricevuto da Zeus l'onore di essere una delle costellazioni più luminose. Altri dicono invece che si tratterebbe di una mucca, che ri­ produce le fattezze di Io, la sacerdotessa di Era: come ricompensa, anche lei è stata onorata da Zeus. I contorni della fronte e del volto del Toro sono definiti da un'altra costellazione, le !adi: all'altezza del dorso si trova la costellazione delle Pleiadi, che conta sette stelle ( ed è per questo motivo che viene chiamata "Eptastero", cioè "i sette astri" ) ; però se ne vedono solo sei, perché la settima è davvero poco luminosa. Sulla testa il Toro ha sette stelle e si sposta all' in-

dietro, facendo rientrare la testa verso il corpo: una all'inizio dei due corni (la più luminosa è quella che si trova sul corno sinistro), una sui due occhi, una sulle froge, una su entrambe le spalle (e queste sono chia­ mate !adi). Poi ce n'è una sul ginocchio anteriore si­ nistro, due sugli zoccoli, una sul ginocchio destro, due sul collo, tre sul dorso (di cui l'ultima luminosa), una sotto il ventre, una luminosa sotto il petto : in totale, diciotto. La costellazione di Perseo

Eratostene, Catasterismi 22 Di Perseo si dice che sia stato collocato tra le stelle per la sua fama. Era figlio di Zeus, che l'aveva gene­ rato dopo essersi unito a Danae sotto forma di pioggia d'oro ; mandato da Polidette contro le Gorgoni, prese da Ermes il copricapo e i sandali alati, che gli permi­ sero di fare il viaggio volando ; sembra che abbia preso da Efesto una falce d'acciaio. Le Gorgoni avevano come sentinelle le Graie (le "vecchie") , che avevano un occhio solo e se lo scambiavano per fare la guardia; Perseo, che si era messo a spiare il momento dello scambio, glielo prese e lo gettò nella palude Tritonide ; così, giunto dalle Gorgoni mentre erano addormen­ tate, tagliò la testa di Medusa, che poi la dea Atena si mise sul petto. Però ne fece anche un catasterismo a favore di Perseo : ecco perché lo si vede in cielo mentre tiene in mano la testa della Gorgone. Perseo ha queste stelle : una stella luminosa su ogni 1 47

spalla, un'altra stella luminosa sulla mano destra, una sul gomito, una sull'estremità della mano sinistra, con la quale sembra tenere la testa della Gorgone ; una stella sulla testa della Gorgone, una sul ventre, una stella lu­ minosa sull'anca destra, una stella luminosa sulla co­ scia destra, una sul ginocchio destro, una sulla tibia destra, una poco luminosa sul piede, una sulla coscia sinistra, una sul ginocchio sinistro, due sulla tibia si­ nistra, tre intorno ai capelli della Gorgone. In totale, le stelle sono diciannove. La testa e la falce sono prive di stelle, anche se qualcuno crede di vederne in mezzo a un ammasso nebuloso. La costellazione di Giulio Cesare

Ovidio, Metamorfosi 15, 8 1 6-8s i « L'uomo per il quale, o Venere, ti dai tanto da fare, ha concluso il suo tempo, portando a compimento gli anni che doveva alla terra. Tu, con suo figlio, farete in modo che, come un dio, salga al cielo e sia venerato nei templi. Suo figlio Ottaviano, ereditandone il nome, sosterrà da solo il peso ricevuto ; vendicata, con grande coraggio, la morte del padre, ci avrà al suo fianco durante le guerre. Sotto i suoi auspici le mura di Modena, stretta nella morsa di un assedio, sconfitte chiederanno la pace. Anche Farsalo ne proverà la forza; per la seconda volta, Filippi sarà bagnata di sangue. Un grande nome sarà vinto nelle acque della Sicilia.

E la sposa egiziana di un comandante romano, avendo sbagliato a fidarsi di questo matrimonio, cadrà, dopo aver minacciato inutilmente di rendere il nostro Campidoglio schiavo della sua Canopo. Perché elencare i popoli barbari che vivono alle due estremità dell'oceano ? Tutti i luoghi sulla terra che possono essere abitati saranno suoi; perfino il mare sarà un suo suddito. Dopo aver dato alla terra la sua pace, dedicherà la sua attenzione alle leggi civili, emanando norme giustissime. Con il suo esempio, renderà saldi i costumi; in previsione del tempo futuro e dei futuri nipoti, ordinerà al figlio nato dalla sua santa moglie di assumere, con il suo nome, anche la sua missione. E, raggiunta la venerabile età di Nestore, raggiungerà anche lui le sedi celesti, nelle stelle dove ci sono i suoi parenti. Nel frattempo tu, o Venere, dopo aver tolto l'anima dal suo corpo pugnalato, trasformala in una stella: così il divo Giulio Cesare potrà guardare per sempre, dalla sua sede altissima, il Campidoglio e il foro » . Non appena il sommo Giove finì di parlare, l'alma Venere si fermò in mezzo al Senato per strappare dal cadavere di Cesare l'anima appena nata, non permettendo che si dissolvesse nell'aria, e la porrò tra gli astri del cielo. Mentre era con sé, si accorse che prendeva fuoco, diventando luminosa. Smise allora di abbracciarla: l'anima vola oltre la Luna, trascinandosi dietro per un lungo spazio una cometa fiammeggiante, 1 49

luminosa come una stella. Vedendo dall'alto le belle opere che il figlio aveva fatto sulla terra, Cesare ammette che sono superiori alle sue, godendo di essere vinto da lui. La costellazione del Delfìno

Ovidio, Fasti 2, 79-218 La costellazione del Delfino, che fino a poco fa vedevi con la sua corona di stelle, scomparirà dal tuo sguardo la notte successiva - l'animale che svelò un amore nascosto o quello che salvò la lira di Lesbo con l'uomo che la suonava. Quali mari, quali terre non hanno mai sentito parlare del nome di Ariane ? Con il suo canto, Ariane tratteneva la corrente delle acque dei fiumi. Spesso la sua voce fermò un lupo che inseguiva un'agnella, spesso fermò un'agnella che fuggiva da un lupo famelico ; spesso i cani e le lepri si addormentarono sotto la stessa ombra; spesso la cerva si fermò su una roccia, stando molto vicino alla leonessa; spesso la cornacchia chiacchierona si posò, senza litigare, insieme alla civetta, sacra a Pallade, mentre la colomba stava accanto allo sparviero. Si dice che spesso Diana sia rimasta a bocca aperta davanti ai tuoi canti, o melodioso Ariane, proprio come quando ascoltava le melodie di suo fratello Apollo. Il nome di Ariane aveva riempito le città della Sicilia; le rive dell' Italia erano state catturate dal suo canto sonoro. ISO

Da lì Arione salì su una nave per ritornare a casa, con le ricchezze guadagnate con la sua arte. Forse ti facevano paura, infelice, i venti e le onde : ma le acque del mare erano per te più sicure della tua nave ! Il timoniere si presenta davanti a te con la spada sguainata, insieme ali'equipaggio, che è armato e colpevole proprio come lui. A che ti serve la spada ? Se sei un timoniere, pensa piuttosto a guidare la nave, che non sa dove andare : non sono queste le armi che devono tenere le tue dita. Terrorizzato dalla paura, Arione dice : «La morte non la temo : consentimi soltanto di suonare un poco la mia lira » . Gli consentono di rimandare la morte, prendendolo in giro. Arione prende una corona degna dei tuoi capelli, o Apollo ; prima aveva indossato un mantello che era stato bagnato due volte nella porpora. Toccate dal pollice, le corde mandano suoni tristi, simili a quelli dolorosi che canta il cigno quando una freccia gli trafigge le tempie. Subito dopo, si tuffa in mezzo alle onde vestito, bagnando la poppa azzurrina con l'acqua schizzata. Dicono (ma crederci è un atto di fede) che un delfino abbia accolto sul dorso ricurvo questo nuovo peso. Seduto sull'animale con in mano la cetra, lo ricompensa del viaggio con il suono, accarezzando le acque del mare con il canto. La buona azione pietosa non sfugge agli dèi: Giove accoglie il Delfino fra le stelle, comandando che abbia nove stelle.

La costellazione della Capretta

Ovidio, Fasti s, m-128 Nella prima parte della notte si vede la stella che si è data da fare intorno alla culla di Giove : nasce la capretta Olenia, un astro portatore di pioggia, che ha avuto il cielo come premio per il suo latte. Si dice che Amaltea, una Naiade famosa, una ninfa che viveva a Creta, alle pendici del monte Ida, avesse nascosto Giove nelle foreste. Aveva una bella capra, madre di due capretti, che pascolava sul monte Ditte, dotata di alte corna che si incurvavano sul dorso, fornita di grosse mammelle, degne di chi era destinata a diventare la nutrice di Giove. Ma, mentre allattava il dio, ruppe un corno, spezzandolo contro un albero, perdendo così metà della sua bellezza. La ninfa Amaltea lo raccolse, decorandolo con erbe appena colte, lo riempì di frutti e lo accostò alla bocca di Giove. Quando il dio, sul trono di suo padre Saturno, ebbe saldamente in pugno il potere sul cielo ; quando non ci fu nulla che fosse più grande di Giove, invincibile e grandissimo, il dio trasformò in una costellazione la nutrice insieme al suo ricco corno, che porta ancora adesso il nome della sua padrona.

La costellazione dei Gemelli

Ovidio, Fasti s , 6 9 3-720 « Soddisfa, ti prego, questa mia richiesta, o Mercurio : dimmi in quale giorno il Sole entra nel segno dei Gemelli » . « Il Sole farà il suo ingresso in quel segno quando vedrai che, alla fine del mese, mancano dodici giorni, il numero delle canoniche fatiche di Ercole » . « Spiegami allora l'origine di questa costellazione » . Ed eccone l'origine, così come fu raccontata dalle parole eloquenti del dio : « Castore e Polluce, i due figli gemelli di Tindaro, che erano il primo cavaliere e l'altro pugile, avevano rapito Febe e sua sorella Ilaria, le figlie di Leucippo, re di Messenia. Ma Ida e suo fratello Linceo, che avevano promesso a Leucippo di diventare suoi generi, si preparano alla guerra per riprendersi le loro promesse spose. Ma se era l'amore a spingerli a riprenderle, era sempre l'amore a far sì che i due gemelli non le volessero restituire : tutti e quattro i giovani erano in lotta per lo stesso motivo. Castore e Polluce avrebbero potuto sfuggire, correndo, ai due inseguitori, ma vincere grazie a una fuga veloce

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sembrò loro un gesto di vigliaccheria. C 'era una radura priva di alberi, perfetta per un combattimento : si fermarono in quel luogo, che è chiamato Afìdna. Colpito nel petto dalla spada di Linceo, preso alla sprovvista Castore cade a terra; per vendicarlo, Polluce colpisce Linceo nel punto dove il collo è attaccato alle spalle. Contro Polluce si scaglia Ida: il fulmine di Giove respinge l'uomo a fatica, ma non riesce (dicono) a fermare la mano di Ida che brandisce la spada. Per te, o Polluce, si apriva la strada che porta in alto, nel cielo. Ma tu dicesti a Giove : "Ascolta, padre mio, queste parole : il posto che stai per dare in cielo solo a me, dividilo in due : averne la metà, sarà per me un dono più grande che averlo tutto intero". Con queste parole, riscattò il fratello, alternandosi con lui nella sede celeste. Entrambe le stelle sono utili a chi naviga quando il mare è in tempesta » . Il destino delle amanti di Giove

Seneca, Ilfurore di Ercole I-I 8 Io, Giunone, la sorella del dio tonante (è questo l'unico titolo che mi è rimasto), ho lasciato mio marito Giove, che è sempre con un'altra donna, 154

e gli spazi del cielo altissimo : sola, scacciata dall' Olimpo, ho ceduto il posto alle mie rivali. Sono costretta ad abitare sulla terra, perché il cielo è in mano alle rivali: da questa parte, dalla cima del polo gelato, l'altissima costellazione dell'Orsa guida le navi di Argo ; da quest'altra parte, dove la luce del giorno si allunga per l'arrivo della primavera, splende la costellazione del Toro, che ha trasportato, sulla groppa, Europa dalle rive di Tiro fenicia fino alla Grecia; da quest 'altra parte le figlie di Atlante, le Pleiadi vaganti, mostrano le loro stelle, che spaventano il mare e le navi; da quest'altra parte il minaccioso Orione terrorizza gli dèi con la sua spada, mentre Perseo, il figlio dell'oro, fa luccicare le sue stelle ; da quest'altra, infine, splende la luminosa costellazione dei Gemelli, i figli di Tindaro, insieme ai due astri che, con la loro nascita, fecero fermare la terra. Hanno raggiunto gli dèi celesti non solo Bacco, insieme alla sua mamma: perché non esista nessun angolo del cielo che sia privo di colpe e di delitti, il firmamento indossa anche la corona di Arianna cretese, la fanciulla di Cnosso. I SS

La costellazione dell'Orsa maggiore

Igino, Miti 177 Si dice che Callisto, figlia di Licaone, fu trasformata in orsa a causa dell' ira di Giunone, perché aveva fatto l'amore con Giove. In seguito Giove la inserì nel nu­ mero delle costellazioni, con il nome di Settentrione, un segno che non si muove e non tramonta. Teti, mo­ glie di Oceano e nutrice di Giunone, le proibisce in­ fatti di tramontare nell'oceano. Questa costellazione è il Settentrione maggiore, che Arato canta così: «E a te, nata dal seme della ninfa trasformata, la figlia di Licaone, a te che sei stata rapita dalle vette gelate dell'Arcadia, a te proibisce Teti di bagnarti per sempre nell'oceano, perché un giorno hai osato prendere, nel letto, il posto della dea che lei aveva allevato » . I Greci quest 'arsa la chiamano Elice. Ha sette stelle poco luminose sulla testa, due per ciascun orecchio, una sulla spalla, una luminosa nel petto, una sulla zampa anteriore, una luminosa sulla punta della coda, due sulla coscia posteriore, due all'estremità della zampa e tre nella coda: in totale, venti stelle. Le costellazioni delle due Orse

Igino, Mitologia astrale 2., 2.,

1 - 2.

Cominciamo quindi, come abbiamo detto prima, con l' Orsa maggiore. Esiodo dice che si chiamava Callisto ed era figlia di Licaone, re dell'Arcadia. Per rs6

amore della caccia, si unì a Diana, che le era molto legata perché avevano un carattere simile. Violentata da Giove, non ebbe il coraggio di rivelare a Diana che cosa le era successo. Ma non poté nasconderlo a lungo, perché la pancia diventava sempre più grande ; quando il giorno del parto era ormai prossimo, mentre Callisto faceva il bagno in un fiume per ritemprare il corpo stanco dopo una battuta di caccia, Diana si accorse che la giovane non era riuscita a conservare la sua verginità e le inflisse una punizione non minore rispetto alla gra­ vità della colpa. Dopo averle tolto il suo volto di ra­ gazza, la trasformò in orsa, che in greco si dice arctos. Sotto forma di quel!' animale, Callisto mise al mondo un figlio, che chiamò Arcade. Il poeta comico Anfide racconta invece che Giove, dopo aver preso l'aspetto di Diana, seguiva la fanciulla con il pretesto di aiutarla nella caccia; dopo averla allontanata dalle sue compagne, la vio­ lentò. Quando Diana, avendo visto che la pancia di Callisto era diventata molto grande, le chiese che cosa era successo, la giovane rispose che la colpa era proprio di Diana: fu quindi per questa sua risposta che Diana le diede l'aspetto di cui abbiamo parlato prima. Mentre vagava per la foresta sotto forma di orsa, fu catturata da alcuni cacciatori dell' Etolia, che la portarono con il figlio in Arcadia per donarla a Li­ caone. Si racconta che qui, non conoscendo la legge vi­ gente, corse nel tempio di Giove Lido, immediata­ mente seguita dal figlio. Gli Arcadi li inseguirono 1 57

e tentarono di ucciderli, ma Giove, che non aveva dimenticato la sua colpa, prese Callisto insieme al figlio e li collocò tra le costellazioni, dando a lei il nome di Arctos ( "Orsa" ) e a lui quello di Arcto­ phylax ( il "Custode dell 'arsa" ) - ma di questo parle­ remo più tardi. Alcuni hanno anche detto che, dopo che Callisto era stata violentata da Giove, Giunone, indignata, l'a­ veva trasformata in arsa. Uccisa da Diana, che se l'era trovata davanti durante una battuta di caccia, venne collocata fra le stelle una volta riconosciuta. Altri dicono ancora che, quando Giove si mise a seguire Callisto nella foresta, Giunone, avendo so­ spettato quello che poi avvenne, aveva cercato di co­ glierlo in flagrante. Ma Giove, per nascondere la sua colpa, dopo aver trasformato Callisto in un'arsa, l'a­ veva abbandonata. Invece di una fanciulla, Giunone trovò in quel luogo un'arsa. La segnalò a Diana, che stava cacciando, perché l'uccidesse. Per far vedere che il fatto l'aveva addolorato, Giove trasformò l'arsa in una costellazione. Come hanno detto in molti, questa costellazione non tramonta mai: quelli che vogliono spiegare questo fenomeno sostengono che è Teti, la moglie di Oceano, che non la vuole accogliere nel mare in­ sieme alle altre stelle che tramontano, poiché Teti era stata la nutrice di Giunone, che in quel modo aveva avuto la meglio sulla rivale Callisto [ ... ] . Aglaostene dice che l' Orsa minore si chiamava Cinosura, una delle nutrici di Giove, una ninfa che viveva insieme alle sue compagne a Creta, sul monte

Ida [ ... ] . La ninfa era vissuta tra i Cureti, i servitori di Giove. Alcuni dicono che le ninfe Elice e Cinosura erano le nutrici di Giove : per questo motivo, come ricompensa furono collocate nel cielo e chiamate le due Orse, che noi romani abbiamo chiamato "Set­ tentrione". Molti hanno detto però che l'Orsa maggiore è si­ mile a un carro (i Greci l'hanno chiamata hamaxa, "carro"). Ecco quello che si tramanda. In un primo momento gli osservatori del cielo, quelli che raggrup­ parono le stelle all' interno di costellazioni a seconda delle loro figure, non la chiamarono Orsa, ma Carro : delle sette stelle, le due che erano simili e molto vi­ cine, furono ritenute buoi, mentre le altre cinque imi­ tavano l' immagine di un carro. Ecco perché vollero dare alla costellazione più vicina il nome di Boote, che significa "il bovaro". Arato non è d'accordo : non è stato per questo motivo che le due costella­ zioni hanno ricevuto i nomi di Boote e di Carro, ma il fatto che l' Orsa sembra girare come un carro intorno al polo che è chiamato "boreale" - carro che sembra essere guidato da Boote. Una simile os­ servazione sembra contenere un errore non piccolo : in seguito, infatti, come afferma Parmenisco, alcuni astrologi hanno inserito quei sette astri in un gruppo più ampio formato da venticinque stelle, così da non limitare l' immagine dell'orsa alle prime sette. Ecco perché anche la figura che prima seguiva il carro con il nome di Boote venne chiamata Arctophylax (il "Custode dell ' Orsa"), mentre al tempo di Omero la prima figura venne chiamata Orsa. 1 59

Le costellazioni del Boote e della Vergine

Nonno di Panopoli, Dionisiache 47, 246-264 Zeus ebbe pietà di loro : collocò Erigone accanto al dorso del Leone, in un cerchio stellato. La Vergine campestre ha in mano una spiga: non volle sollevare il grappolo dal colore del vino che aveva causato la morte di suo padre !cario. Zeus prese il vecchio, lo mise vicino alla figlia nel cielo percorso dagli astri e lo chiamò Boote luminoso, che sfiora il Carro dell' Orsa arcade. E pose la stella infuocata del Cane scintillante che insegue la Lepre in quella parte del firmamento dove la Nave marina naviga astralmente intorno alla volta dell'Olimpo. Tutte queste storie le hanno inventate i miti achei, mescolando la solita persuasione alle bugie. Ma la verità è questa: Zeus aggiogò l'anima di Erigo ne alla stella della Vergine celeste, ponendo vicino al Cane astrale un altro cane, simile ali' aspetto, chiamato Siri o, che sorge in quello stesso tempo ; l'anima di !cario, che vaga nel firmamento, l'aggiogò a Boote. Questi furono i doni offerti all'Attica, la terra dove cresce la vite, da Zeus, figlio di Crono, che fece a Pallade e a Dioniso un unico omaggio.

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6

Le stelle parlano

Se i corpi celesti, sia le stelle che i pianeti, sono il risul­ tato della trasformazione di un essere vivente, non ci si deve stupire se sono in grado di parlare. Ecco perché molti di loro, nelle letterature classiche, prendono la parola. Lo fa il Sole, per esempio : astro che a volte è visto come un dio (in questo caso, l'Apollo dei Greci e il Febo dei Romani), mentre più spesso è raffigurato, con il nome di Elio (Helios), come un Titano, figlio a sua volta di un altro Titano, chiamato Iperione (che significa "colui che si muove sopra di noi"), con il quale viene spesso confuso. Gli antichi credevano che tutti i giorni il Sole fa­ cesse il suo giro da oriente verso occidente guidando un carro di fuoco trainato da quattro velocissimi ca­ valli alati, i cui nomi (Piroide, Eoo, Etone e Flegone) sono tutti etimologicamente legati al fuoco. Due sono le vicende più note che lo riguardano. La prima la troviamo nell' Odissea, quando, nel palazzo di Alcinoo, re dei Feaci, l'aedo Demodoco racconta agli invitati (fra i quali c 'è anche, in incognito, Odisseo) gli amori adulterini fra Afrodite, la dea dell'amore, e Ares, il dio della guerra: è il Sole a rivelare al dio Efesto, marito di Afrodite, che, quando lui era lon-

tano, la moglie lo tradiva, accogliendo l'amante nel suo letto nuziale. Efesto decide allora di costruire una trappola per sorprendere i due amanti - ed è sempre il Sole (che, passando con il suo carro, poteva vedere ogni cosa) a rivelargli che il suo agguato è riuscito per­ fettamente e che i due traditori sono stati imprigio­ nati da una rete robusta. Ma la vicenda più famosa è senz'altro quella di suo figlio Fetonte (un nome parlante : "il luminoso"), che ritroviamo in numerosi autori e che qui ascoltiamo narrata, in tono serio, da un poeta (Ovidio nelle Meta­ morfosi) e, in tono scherzoso, da un prosatore (Lu­ ciano in uno dei Dialoghi degli dei). Per dimostrare ai suoi compagni (che non ci cre­ devano) che lui era veramente figlio del Sole, Fetonte chiede a suo padre di permettergli, almeno per una volta, di guidare il suo carro. Il Sole, che sa benissimo quanto sia difficile tenere a freno i suoi cavalli, dice di no ; ma, davanti alle preghiere sempre più insistenti del figlio (spalleggiato, secondo Luciano, anche da sua madre Climene) , finisce per acconsentire. Se ne pentirà amaramente : Fetonte, che non riesce a guidare il carro lungo il percorso stabilito, a volte si allontana troppo dalla terra, finendo per farla conge­ lare, mentre a volte le si avvicina troppo, rischiando addirittura di bruciarla. Quindi, per evitare guai peg­ giori, Zeus scaglia il suo fulmine abbattendo il povero giovane e facendolo precipitare con tutto il carro nel fiume Eridano (identificato con il Po). A piangere la sua morte, non ci sono solo il padre e la madre, ma anche le sei sorelle, le Eliadi (un nome che significa

"le figlie di Elio"). Si prendono loro l' incarico di sep­ pellirlo e, dopo, vengono trasformate non in stelle, ma in piante (un altro tipo di trasformazione molto amato dagli autori classici, come dimostrano le Meta­ morfosi di Ovidio) : sono i pioppi, gli alberi che cre­ scono lungo le rive dei fiumi; dal loro pianto, ha avuto origine la preziosissima ambra. Anche la Luna parla: è sempre Luciano, in un altro dei suoi arguti Dialoghi degli dei, che mette a con­ fronto la Luna (che ha qui il nome greco di Selene) con Afrodite, la dea dell 'amore (che per i Romani diven­ terà Venere) . Ad Afrodite che le chiede per quale mo­ tivo, tutte le notti, quando, nel corso della sua orbita celeste, arriva sopra la regione della Caria, fa sempre una sosta sul monte Latmo, la Luna risponde che lo fa per andare a trovare il giovane di cui si è innamorata. Si tratta di Endimione, un bellissimo cacciatore : è con lui che Selene passa una parte delle sue notti. La Luna (che, come il Sole, era figlia anche lei del Titano lperione) prende la parola anche in un passo del quarto libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Quando vede Medea che, approfittando dell'oscurità della notte, abbandona la propria casa per raggiungere gli Argonauti ed esortarli a partire immediatamente per evitare di incorrere nell' ira di suo padre Eeta (che ha scoperto il vero motivo che ha spinto gli eroi guidati da Giasone ad affrontare così tante peripezie per rag­ giungere quella terra remota, vale a dire la conquista del vello d'oro), esulta perché vede nella ragazza una vittima di quello stesso sentimento - Eros, l'amore che la spingeva a desiderare Endimione.

Tra le stelle che, nelle letterature antiche, par­ lano, la più curiosa è senza dubbio Arturo, alla quale Plauto assegna il compito di recitare il prologo nella commedia (di ambientazione marina: i suoi protago ­ nisti sono in gran parte pescatori) intitolata La fune. Come tutti gli altri corpi celesti (lo afferma lo stesso Arturo, che è l'astro più luminoso della costellazione del Boote), ha avuto da Giove l' incarico di osservare il comportamento degli uomini e di denunciare quelli che agiscono nel modo sbagliato, mentendo e sper­ giurando : solo coloro che si comportano bene otter­ ranno la felicità che sperano di avere. Quale sia il suo ruolo preciso nella trama della commedia, Arturo lo svela solo alla fine del prologo : essendo una stella che, con il suo sorgere e il suo tra­ montare, può fortemente influenzare i fenomeni at­ mosferici ( « io sono il più terribile di tutti gli astri del cielo » , afferma), ha deciso di scatenare una violenta tempesta per impedire alla nave del lenone Labrace (il tenutario di un bordello a Cirene, la città dov 'è am­ bientata la commedia) di portare via Palestra, la fan­ ciulla amata dal protagonista, il giovane Pleusidippo. Ma la costellazione parlante più famosa è sicura­ mente la "chioma di Berenice': scoperta da Canone di Samo, l'astronomo di corte dei Tolomei, i signori dell' Egitto, che le aveva dato questo nome per ono­ rare Berenice n , la moglie e sorella di Tolomeo m l' Evergete (un epiteto che significa "il benefattore"). Quando il marito era partito per l'Oriente per com­ battere contro Antioco III, il re della Siria, Berenice si era tagliata una ciocca di capelli e l'aveva offerta in voto

alla dea Mrodite che era venerata nel tempio di Ca­ nopo, sul promontorio Zefìrio, perché il marito facesse ritorno in patria sano e salvo. Ma un giorno gli Egiziani si accorsero che la treccia della regina era misteriosa­ mente scomparsa dal santuario dove era custodita; Conone credette allora di identificarla in una costel­ lazione apparsa nel cielo, altrettanto misteriosamente, tra il segno zodiacale del Leone e la stella Arturo. Questa storia affascinante è stata narrata per la prima volta nel III secolo a.C. dal poeta ellenistico Callimaco, che era, come Berenice, originario di Ci­ rene, una città della Libia. Il carme, che faceva parte di una raccolta di com­ ponimenti elegiaci intitolata Aitia (Le cause), fu poi tradotto in latino, nel I secolo a.C., da Catullo, che ha conservato la stessa struttura dell'originale greco, cioè quella di un lungo monologo pronunciato dalla chioma stessa dopo che era stata trasformata in una costellazione : dopo aver biasimato i Calibi, la mitica popolazione dell'Anatolia famosa per aver scoperto per prima l'arte della lavorazione del ferro (il ma­ teriale di cui erano fatte le forbici che l'avevano ta­ gliata), la ciocca racconta come sia stata la stessa Afro­ dite a trasformarla in una costellazione. La "chioma di Berenice" per i Greci

Callimaco, Aitia 4, fr.

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Pfeiffer

Dopo aver contemplato tutto l'orizzonte nei suoi disegni, insieme al movimento ( ... ) , Conone vide me nel cielo, il ricciolo di Berenice,

che la regina aveva dedicato a tutti gli dèi [ . ] . Morte alla stirpe dei Calibi che lavorano il ferro, gli uomini malvagi nati dalla terra che, per primi, l' hanno fatto venire alla luce grazie alla fatica dei magli ! Ero stata appena tagliata, suscitando il rimpianto delle altre chiome mie sorelle, quando Zefiro, il vento generatore, fratello dell'etiope Memnone, si scagliò muovendo le ali screziate, come un cavallo di Arsinoe locrese cinta di viole : mi spinse con il soffio e, portando mi per l'aria umida, mi depositò sul grembo di Afrodite. Per questo Zefiro era stato inviato da Arsinoe, la regina venerata presso il capo Zefirio, che abita sulla spiaggia di Canopo : non doveva esserci, a risplendere tra gli uomini, soltanto la corona di Arianna, la fanciulla cretese. Anch' io, il bel ricciolo di Berenice, dovevo essere contato tra le tante luci del cielo - io, collocata da Afrodite come stella nuova, in mezzo alle stelle vecchie, mentre salivo verso gli dèi immortali lavandomi nelle acque del mare [ . . ] . O vergine di Ramnunte, dea della giustizia, non ti arrabbiare : non ci sarà nessun bue a bloccare la mia lingua, impedendomi di parlare ! [ . . . ] La gioia che mi danno queste cose non è pari al dolore che io provo non potendo più toccare la sua testa - una testa che, quando ero ancora vergine, ha versato su di me molti poveri profumi, . .

.

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senza godere dei ricchi unguenti nuziali. ( ... ) Vicini ( ... ) l'Acquario ( ... ) Orione ( ... ) Salve, tu che sei cara ai figli ( ... ) La Luna e Medea

Apollonio Rodio, Argonautiche 4, 54-65 Spuntando all'orizzonte, la Luna, la dea figlia del Titano, vide Medea fuggire affannosamente, e ne fu felice, con malizia. Così disse al suo cuore : «Non sono quindi la sola ad andare verso le caverne del monte Latmo, la sola ad ardere d'amore per il bellissimo Endimione. Vergognati ! Per colpa dei tuoi incantesimi maligni spesso mi sono ricordata del mio amore, consentendoti nel buio della notte di lavorare tranquilla ai tuoi amati veleni. Anche tu hai incontrato una disgrazia simile alla mia: Eros, il dio che procura sofferenza, ha scelto per te, come pena dolorosa, Giasone. Ora va', impara a sopportare il tuo lacerante dolore : l'essere intelligente non ti servirà a nulla ! » . Il monologo della stella Arturo

Plauto, Lafune I -3 I Nella città del cielo, io sono il concittadino di colui che regna su tutti i popoli, i mari e le terre. Come vedete, sono una stella che splende luminosa,

un astro che sorge sempre al momento dovuto, qui e nel cielo. Mi chiamo Arturo. Di notte mi si vede luminoso nel cielo e tra gli dèi; di giorno cammino tra gli uomini, come le altre stelle che scendono dal cielo alla terra. Giove, il re degli dèi e degli uomini, ci divide tra i popoli, chi di qua chi di là, per farci conoscere che cosa fanno gli uomini, qual è il loro carattere, se venerano gli dèi e se rispettano la parola data: solo così li aiuta la buona sorte. Se c 'è chi intenta falsi processi prezzolando falsi testimoni, se c 'è chi giura il falso in tribunale rifiutando di saldare un debito, noi ne scriviamo il nome e lo portiamo a Giove : ogni giorno il dio sa chi è che, qui sulla terra, merita di essere punito. Se uno qui pretende di vincere un processo spergiurando il falso, se uno ottiene da un giudice beni che non ha alcun diritto di ottenere, Giove fa appello contro la sentenza: emette un secondo giudizio e lo punisce con una pena che è molto più grande del guadagno che ha ottenuto nel processo. E se gli scellerati si immaginano nell'animo che l' ira di Giove possa essere placata con doni o vittime offerte in sacrificio, perdono tempo e denaro, perché non succede che il dio accetti qualcosa da uno spergiuro, anche se questi lo supplica. È più facile che, con le sue suppliche, un uomo rispettoso degli dèi ne ottenga il perdono, piuttosto che un criminale. !68

Questo è quindi il consiglio che do a voi - voi che, uomini onesti, vivete venerando gli dèi e rispettando la parola data: se sarete rispettosi, grazie alle vostre azioni otterrete la felicità. La "chioma di Berenice" per i Romani

Catullo, 6 6 Lui, Conone, che h a distinto fra loro tutte le luci del grande cielo, che ha scoperto come sorgano e tramontino le stelle, come la fiammante luminosità del Sole si eclissi, come le costellazioni si facciano da parte in momenti fissi e stabiliti, e che, quando la Luna si nasconde tra le rocce del monte Latmo, lo fa perché il dolce amore la allontana dalla sua orbita, proprio lui vide, nel fulgore del cielo, me, la chioma tagliata dalla testa di Berenice, chiara e luminosa, che la regina, tendendo le lisce braccia, aveva promesso in voto a molte divinità, quando il re, sottratto alla recente festa nuziale, era andato a devastare le terre degli Assiri, portando con sé i dolci segni delle lotte notturne sostenute per trionfare sulla sua vergine moglie. Le giovani spose odiano forse Venere ? Con le false lacrime che versano copiose al momento di entrare nella stanza da letto, ingannano i genitori, frustrandone la gioia.

Ma non sono mica vere, quelle lacrime ! Lo giuro sugli dèi ! Me lo dimostrò la mia regina con i suoi tanti lamenti, quando il suo fresco sposo scatenò dure battaglie : abbandonata, non hai pianto solo per il talamo vuoto, ma anche per la dolorosa separazione che ti ha allontanata dal tuo amato fratello. Quando le angosce penetrarono fino al fondo delle tue tristi viscere, ti vennero meno le forze, per la preoccupazione che ti prendeva il petto ! Ma io lo sapevo, che tu eri d'animo grande : lo sapevo fin da quando eri bambina . . . Hai forse scordato qual è l a grande impresa che ti ha procurato le nozze regali - un' impresa così grande che nessuno, per quanto più forte, oserebbe mai ? Ma quando lo hai salutato triste alla partenza, che parole gli hai detto ? Com'era mesta, o sommo Giove, la mano che ti asciugava il pianto ! Quale dio fu così potente da farti cambiare ? Non sarà forse che gli innamorati non sono capaci di rimanere lontani dal corpo che a loro è caro ? Ed ecco che allora per il tuo dolce marito, insieme al sangue dei tori offerti in sacrificio, a tutti gli dèi hai promesso, se fosse tornato, me. E, poco tempo dopo, lui aveva reso schiava l'Asia, aggiungendola alle terre egiziane. Affidata, dopo il suo ritorno, alle compagne del cielo, io sciolgo l'antico voto con un dono nuovo. A malincuore mi sono allontanata, o mia regina, dal tuo capo : a malincuore ! 170

Lo giuro su di te e sulla tua testa - e chi giura il falso, sia giustamente punito ! Ma chi oserebbe pretendere di essere pari al ferro ? Ha dovuto cedere anche il monte Athos, il più alto tra quelli che il Sole scintillante supera volando lungo la costa, quando i Persiani crearono un nuovo mare, nuotando con una flotta straniera in mezzo alla montagna. Che cosa possono fare i capelli se perfino le montagne cedono al ferro ? Che muoia tutta la stirpe dei fabbri Calibi ! E muoiano quelli che hanno cercato per primi, sotto la terra, le vene del ferro, per lavorare il duro metallo ! Ero stata tagliata da poco (e mi piangevano le mie sorelle, le altre chiome del tuo capo ) , quando Zefiro, il fratello dell'etiope Memnone, l'alato cavallo dell'egiziana Arsinoe, venne da me muovendo le penne nell'aria: sollevandomi sulle onde dell'aria, mi posa sul casto grembo di Venere. Era stata lei stessa, la dea onorata sul capo Zefirio, dove abita per la gioia delle spiagge di Canopo, che aveva ordinato al suo servo di non lasciare sola, tra le tante stelle del cielo luminoso, la corona d'oro che prima era stata fissata sulle tempie di Arianna, ma di far sì che vi luccicassi anch' io, l'offerta di una testa bionda promessa in voto agli dèi. Mentre salivo, umida di pianto, fino alle dimore dei celesti, Venere mise me, come nuova stella, in mezzo alle costellazioni antiche. 17 1

Sfiorando le stelle della Vergine e del feroce Leone, giro nel cielo insieme a Callisto, l'Orsa, la figlia di Licaone, verso occidente, davanti al lento Boote, che tardi, e mai del tutto, si tuffa nel profondo oceano. Eppure, anche se di notte mi premono le orme degli dèi, mentre il giorno mi restituisce alla bianca Teti, non sono felice di questo (consentimi di dirlo, o vergine di Ramnunte : niente mi potrà impedire di dire la verità, nemmeno se le stelle dovessero rovinarmi per le mie parole sgradite, che rivelano i pensieri sinceri che tengo nel petto). Io soffro, piuttosto, perché sarò sempre lontana, sempre, dalla testa della mia padrona, con la quale, finché è stata vergine, ho sentito l'odore di semplici unguenti, perché non usava i profumi delle donne sposate. Adesso mi rivolgo a voi, o donne che la fiaccola nuziale ha unito nel giorno desiderato : non affidate il vostro corpo ai complici mariti, facendo cadere la tunica e mostrando il seno, prima di versare dali'onice, in mio onore, una gradita libagione - parlo con voi che onorate i patti, mantenendo casto il letto nuziale. Ma i doni della donna che ha commesso un impuro adulterio, se li beva la polvere impalpabile : nessun dono io chiedo alle donne che non sono degne di me. A voi, donne sposate, auguro che nelle vostre case abiti sempre la concordia; auguro che abiti, costante, l'amore. E tu, o regina, quando, nelle giornate di festa, 172

guarderai le stelle, pregando la dea Venere, non permettere che io, che sono tua, resti priva di sangue : offrendole piuttosto tanti doni, permetti ( perché aumentare il numero delle stelle ? ) che io diventi di nuovo la chioma della regina: vuol dire che, vicinissimo all'Acquario, Orione risplenderebbe. Salve, gioia del tuo dolce marito, salve, gioia dei tuoi genitori ! E che, con il suo aiuto, Giove ti sia propizio ! Fetonte e il carro del Sole

Ovidio, Metamorfosi 2, 54-89 Il dono che tu mi chiedi, Fetonte, è grande. E non è adatto né alle tue forze, né ai tuoi anni, che sono quelli di un ragazzo. La tua sorte è mortale, ma mortali non sono i tuoi desideri. Anzi, quel che desideri è molto superiore a quello che può toccare a un dio, anche se tu non te ne rendi conto. A tutti sarà sempre lecito desiderare ciò che vogliono : ma salire sul carro di fuoco sarà concesso solo a me. Nemmeno Giove, che regna sul vasto Olimpo scagliando con la mano destra fulmini crudeli, potrà mai guidare questo carro. E cosa c 'è di più grande di Giove ? La prima parte della strada è dura: anche se, di notte, si sono riposati, i cavalli al mattino la percorrono a fatica, con grande sforzo. La strada che si deve seguire, 173

quando si arriva alla metà del cielo, è altissima: perfino io provo paura nel guardare da lassù il mare e le terre ! Il cuore mi batte nel petto, pieno di trepidazione e spavento. L'ultima parte della strada, che è in discesa, deve essere percorsa guidando il carro con grande fermezza: perfino Teti, la dea che mi accoglie in basso tra le onde del mare, ha paura che io precipiti. Aggiungi un'altra considerazione : il cielo ruota vorticosamente senza fermarsi mai, trascinando con sé le alte costellazioni, che si muovono con grande velocità. Io mi muovo in senso contrario, ma la rotazione celeste, che pure è superiore a tutte le altre, non è in grado di fermarmi. La strada che percorro con il carro si oppone al giro vorticoso della sfera celeste. Immagina che ti conceda di salire sul carro : che cosa pensi che potrai mai fare ? Pensi forse di poter andare contro al movimento rotatorio dei poli, senza che l'asse veloce ti trascini via ? Pensi forse che lassù si trovino i boschi sacri, le città degli dèi, i templi ricchi di doni ? L' itinerario passa attraverso numerose insidie che hanno l'aspetto di bestie feroci: se anche riuscissi a seguire la giusta traiettoria senza commettere nessun errore, passerai tuttavia attraverso le corna del Toro puntate contro di te, 1 74

l'arco del Centauro tessalo, le fauci del feroce Leone, le pinze crudeli dello Scorpione, disposte in forma ricurva, e quelle del Cancro, piegate nella direzione opposta. Non è facile guidare i cavalli, resi impetuosi dal fuoco che brucia dentro di loro, nascosto nel petto, pronto a venir fuori dalla bocca e dalle narici: faccio fatica perfino io a tenerli quando il loro animo pungente si scalda, quando scuotono i colli per liberarsi dalle briglie. Figliolo mio, ti supplico : non costringermi a darti un dono di morte. Muta la tua richiesta, finché puoi. La Luna innamorata di Endimione

Luciano, Dialoghi degli dei 1 9 O Selene, che cos'è questa cosa che dicono che fai ? Tutte le volte che sei sopra la Caria, fermi il carro per guardare Endimione (che, essendo un cacciatore, dorme all'aperto). E si dice pure che a volte interrompi il tuo viaggio e scendi da lui. SELENE Chiedilo a tuo figlio Eros ! È colpa sua. AFRODITE Lascia perdere ! È davvero terribile, quel ragazzo ... Guarda che cosa ha fatto a me, che sono sua madre: ora mi fa scendere sul monte Ida per il tro­ iano Anchise, ora mi fa andare in Libano per Adone, quel ragazzo assiro di cui ha fatto innamorare pure Persefone, la dea dell'oltretomba - così mi tocca di­ viderlo con lei, metà anno sulla terra e metà nel regno dei morti. Sapessi quante volte ho minacciato di romAFRODITE

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pergli l'arco e la faretra, se non la smetteva di com­ portarsi in questo modo ... Gli ho anche detto che gli avrei tagliato le ali, e l'ho pure preso a calci nel sedere, con tutto il sandalo ! E lui, non so come, al momento si è spaventato e ha cominciato a supplicarmi di non farlo. Ma poco dopo ha dimenticato tutto. E tu dimmi: è bello questo Endimione ? Se è bello, allora la tua rovina è davvero senza rimedio. SELENE O Afrodite, a me sembra davvero bellis­ simo, soprattutto quando dorme, dopo aver steso il mantello sulla roccia. Tiene le frecce nella mano sini­ stra, che quasi gli stanno per cadere ; la mano destra, piegata intorno alla testa, con il palmo verso l'alto, gli incornicia il volto, rendendolo ancora più bello ; lui, poi, mentre dorme, rilassato, esala quel suo profumo d'ambrosia. Io allora scendo senza fare rumore e cam­ mino in punta di piedi, perché non voglio che si svegli e si spaventi. . . Insomma, tu lo sai come vanno le cose, non c 'è bisogno che ti racconti quello che succede poi. Ti dico solo questo : muoio d'amore. La tragica morte di Fetonte

Luciano, Dialoghi degli dei 24 Che cosa hai combinato, scelleratissimo tra tutti 1 Titani ? La terra è completamente rovinata perché tu ti sei fidato a dare il tuo carro in mano a un ragazzino senza testa, che alcune regioni le ha bru­ ciate perché si è avvicinato troppo, mentre altre le ha congelate perché si è allontanato troppo. In una pa­ rola, non c 'è niente che non abbia sconvolto e messo ZEUS

sottosopra. E se io non me ne fossi accorto e non lo avessi colpito con un fulmine, degli uomini non sa­ rebbe rimasto nulla. Ci hai proprio mandato un bel cocchiere, uno che ci sapeva fare con le redini . . . HELIOS Ho sbagliato, Zeus. Però non te la pren­ dere se ho ceduto alle tante preghiere di mio figlio Fetonte : come avrei potuto pensare che avrebbe fatto un disastro così grande ? ZEUS Non lo sapevi quanta precisione richieda un simile compito ? E che basta allontanarsi un poco dal per� orso stabilito per rovinare tutto ? Non dirmi che non conoscevi la foga dei cavalli, e come bisogna te­ nerli a freno con grande forza ... Appena si cede, ecco che smettono subito di sentire le redini: sta' sicuro che è proprio quello che è successo a tuo figlio, trascinato ora a sinistra, ora a destra, a volte pure al contrario insomma, trascinato là dove volevano i cavalli. E lui non sapeva come guidarli. HELIOS Tutte queste cose le sapevo bene, ed è per questo che per un bel pezzo ho detto di no, non vo­ lendo affidargli la guida del mio carro. Ma dopo che lui, sostenuto da sua madre Climene, mi aveva sup­ plicato piangendo, l'ho fatto salire spiegandogli come doveva muoversi, per quanto tempo doveva sa­ lire verso l'alto allentando le briglie e scendere verso il basso, come controllare le redini senza cedere allo slancio dei cavalli. Gli ho anche detto quanto sarebbe stato pericoloso non andare diritto. Ma Fetonte (non dimenticarti che era un ragazzo !), una volta salito su un carro così pieno di fuoco e dopo aver guardato verso il basso, nell'abisso sconfinato, rimase scon1 77

volto - non ti sembra forse una reazione naturale ? Ma i cavalli, non appena si accorsero che non c 'ero io a guidarli, senza tener conto del ragazzo hanno de­ viato dal loro percorso consueto, combinando tutto questo disastro. E lui ha lasciato andare le redini e si è aggrappato alla sponda del carro - per paura di ca­ dere, penso. Ma ha già avuto la sua punizione. E per me, Zeus, è sufficiente il dolore che provo. ZEUS Sufficiente ? Dici davvero ? Dopo quello che hai avuto il coraggio di fare ? Per ora, ti perdono. Ma se in futuro commetterai uno sbaglio simile o farai sa­ lire sul tuo carro un altro sostituto come quello che hai appena mandato, saprai immediatamente quanto il mio fulmine sia molto più caldo del fuoco ... Fetonte lo seppelliscano le sorelle, lungo il fiume Eridano, là dove è caduto dopo essere stato sbalzato giù dal carro : che versino sul suo cadavere lacrime d'ambra e siano trasformate in pioppi per il dolore. Tu pensa ad aggiu­ stare il carro - si è rotto anche il timone, e una delle ruote è finita in mille pezzi. Poi aggioga i cavalli, e parti di nuovo. Ma ricordati bene tutto quello che ti ho detto !

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Le stelle neli' arte

Ancora all 'Iliade di Omero dobbiamo guardare per trovare la prima raffigurazione della volta celeste in un'opera d'arte : lo scudo che Efesto, il dio del fuoco, c�sella per Achille. Fermamente deciso a non scendere più sul campo di battaglia dopo i torti e le offese ricevute da Agamen­ none, Achille aveva acconsentito a prestare le sue armi personali ali' amico Patroclo perché spaventasse i Tro­ iani, che si erano pericolosamente avvicinati alle navi dei Greci; ma, dopo che il giovane era stato ucciso da Ettore con la collaborazione di Apollo, le armi erano state strappate dal suo cadavere. Per questo motivo Teti, la madre di Achille, aveva chiesto al dio, che era abilissimo a lavorare i metalli nella sua fucina nascosta nelle viscere dell' Etna, nuove armi per il figlio, perché potesse tornare in battaglia per aiutare i Greci nella lotta contro i Troiani, divenuta sempre più difficile, e, soprattutto, per vendicare l'amato Patroclo. Efesto obbedisce e si mette subito al lavoro : prende i metalli necessari ( oro, argento, rame e stagno ) e co­ mincia proprio con lo scudo : vi scolpisce due città ( la prima in pace e la seconda in guerra) , un campo arato, una fattoria, una vigna, una mandria al pascolo insieme a giovani che danzano - ma, prima di tutto 1 79

questo, incide sulla sua superficie circolare la terra, il mare, l'oceano, il cielo e le stelle che vi luccicano. Sono le stesse che vede Odisseo dalla sua zattera, le costellazioni che splendono nel firmamento di chi vive alle latitudini settentrionali: Orione, le Pleiadi e le due Orse. Un altro scudo decorato in modo simile lo tro­ viamo all'estremità opposta della letteratura greca : quando, a metà delle Dionisiache di Nonno, arriva fi­ nalmente per Dioniso il momento di affrontare in battaglia gli Indiani e di scontrarsi in duello con il loro re Deriade, eccolo sfoggiare un bellissimo scudo, costruito anch'esso da Efesto. Al centro si trova la terra circondata dal cielo ; insieme alla terra, c 'è il mare ; nella volta celeste, oltre ai due carri del Sole e della Luna, sono raffigurate le stelle - tra le quali spiccano soprattutto le due Orse, avvolte e circondate dalla lunga costellazione del Drago. Questa attenzione di Nonno nei confronti della disposizione degli astri del cielo la troviamo anche nel passo che descrive la costruzione della città di Tebe, in Beozia, da parte del suo fondatore Cadmo. Le famose sette porte (quelle davanti alle quali si schiereranno i sette comandanti dell'esercito di Argo nell'episodio mitico della guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, i figli di Edipo, raccontato in modo diverso dai tre poeti tragici nei Sette contro Tebe di Eschilo, nell'Antigone di Sofocle e nelle Fenicie di Euripide) sono idealmente collegate ai sette astri principali del cielo : il Sole e la Luna, Mercurio, Venere, Marre, Giove e Saturno. Tra il poema che apre e quello che chiude la lette!80

ratura greca, troviamo altre opere d'arte simili (ma di dimensioni decisamente minori) descritte in due epi­ grammi. Nel primo di questi, Antipatro di Tessalonica, un poeta vissuto al tempo dell' imperatore Augusto, fa parlare due splendide coppe intarsiate che, cesellate seguendo le indicazioni dell'astrologo Teogene, erano state donate al politico romano Lucio Calpurnio Pi­ sone; al loro interno, contenevano l'una le costellazioni boreali e l'altra quelle australi, che il bevitore poteva vedere solo dopo aver vuotato le coppe. li secondo epi­ gramma, opera di un poeta anonimo, descrive invece un missorium, un grande piatto d'argento dove erano raffigurati, uno di fronte all'altra, il Sole e la Luna, cir­ condati dai pianeti e dai dodici segni zodiacali. Dimensioni più grandi avevano invece le sfere ar­ millari che, costruite a imitazione del famoso plane­ tario modellato da Archimede, arricchivano le case dei ricchi Romani. L'originale (ricordato da Cicerone, oltre che nella Repubblica, anche nelle Tuscolane, e soprattutto da Ovidio nel sesto libro dei Fasti) era stato portato a Roma da Siracusa intorno al 2 1 2 a.C. e collocato nel tempio dell'Onore e della Virtù, che si trovava fuori porta Capena, all' inizio della via Appia. Ma la volta celeste poteva essere raffigurata anche su oggetti decisamente più singolari. Lo dimostra il ricco mantello conservato nel tesoro di Delfi che, nello Ione di Euripide, il re di Atene, Xuto, stende sul tetto del santuario di Apollo : sul tessuto (che era un dono di Eracle al dio a cui era dedicato il santuario) un ignoto artista aveva disegnato l' intera volta celeste, con il Sole, la Luna e le principali costellazioni. 181

Stando a quel che racconta, fra il I e il n secolo d.C., Plutarco nella Vita di Demetrio, in un passo derivato probabilmente da una testimonianza dello storico elle­ nistico Duride di Samo, Demetrio Poliorcete, sovrano della Macedonia, che amava vestirsi in modo strano e ricercato, aveva dato ordine al sarto di corte di tessere per lui un prezioso mantello che doveva raffigurare il firmamento, compresi i dodici segni dello Zodiaco. E, se prestiamo fede a quello che, più o meno in quegli stessi anni, ci racconta Diogene Laerzio nelle sue biografie dei filosofi greci, i gusti del filosofo socra­ tico Menedemo di Eretria in fatto di abbigliamento non erano molto diversi da quelli di Demetrio : Me­ nedemo amava infatti andare in giro calzando i co­ turni, gli zoccoli tipici degli attori tragici, con il corpo avvolto in una tunica grigia che gli arrivava fino ai piedi tenuta stretta alla vita da una cintura di porpora e, sul capo, un cappello di foggia arcadica che recava ricamati i dodici segni zodiacali. Uno scudo per Achille

Omero, Iliade 18, 478-489 Per prima cosa, Efesto faceva uno scudo, grande e robusto, tutto ricoperto di decorazioni. Intorno metteva un orlo scintillante, luminoso, a tre giri, dotato di una cinghia d'argento. Gli strati di questo scudo erano cinque. Sopra scolpiva con tecnica sapiente molte figure. Vi fece la terra, il cielo, il mare, il Sole

che non si stanca mai di viaggiare, la Luna piena insieme a tutte le stelle che sono la corona del cielo : le Pleiadi, le !adi, il possente Orione e l' Orsa, chiamata anche con il nome di Carro, che guarda Orione girando su sé stessa, l'unica costellazione che non si bagna mai nelle acque dell'oceano. Un dono di Apollo

Euripide, Ione 1141-1162 Poi Xuto prese dal tesoro di Delfi i tessuti sacri, che erano meravigliosi agli occhi degli uomini, usandoli per procurare ombra. Per prima cosa dispose, come fossero un'ala, mantelli intorno al tetto - un dono offerto ad Apollo da Eracle, parte del bottino preso alle Amazzoni. E sulla trama del tessuto erano disegnate queste immagini: Urano che raduna gli astri nella superficie circolare del cielo ; il Sole che guida i suoi quattro cavalli verso l'ultimo bagliore infuocato del giorno, trascinandosi dietro la luce luminosa di Espero, la stella della sera; la Notte dal manto nero, che spinge un carro trainato da una coppia di cavalli, accompagnando la dea con le sue stelle ; in mezzo al cielo avanza la Pleiade, insieme a Orione armato di spada, mentre sopra di loro l'Orsa ruota la coda dorata intorno al polo settentrionale ;

la Luna, piena, a metà del suo ciclo mensile, scaglia le sue frecce verso l'alto, con le Iadi, il segno più chiaro per i naviganti, e con Aurora, che porta la luce mettendo in fuga le stelle. Alle pareti Xuto appendeva altri mantelli, tessuti dai barbari: barche dai remi ben costruiti collocate di fronte a navi greche, creature metà uomini e metà animali, cavalieri a caccia di cervi, battute di caccia contro leoni selvatici. Le coppe di Teogene

Antipatro di Tessalonica: Antologia Palatina

9, 541

Teogene manda a Lucio Calpurnio Pisone noi, che siamo due coppe intarsiate. Dentro di noi c 'è il cielo : eravamo una sfera, che è stata poi tagliata in due parti; una di noi ha le costellazioni australi, l'altra quelle boreali. Non serve più che leggi i Fenomeni di Arato di Soli: quando avrai vuotato il contenuto delle due coppe, vedrai sul nostro fondo tutti i fenomeni celesti. L'astrolabio di Archimede

Cicerone, La repubblica I,

1 4 , 21-22

Ricordo un fatto capitato a Gaio Sulpicio Gallo, che, come voi ben sapete, era un uomo coltissimo. Un

giorno che si trovava a casa di Marco Marcello, che ricopriva insieme a lui la carica di console, ordinò di esporre la sfera celeste che suo nonno aveva portato a Roma da Siracusa, quando aveva conquistato quella città bellissima e ricchissima - l'unico oggetto che aveva portato a casa sua, di rutto il borrino che ave­ vano preso. Ora, quando vidi con i miei occhi quella sfera ( che conoscevo di fama perché l'avevo sentita nominare rame volte, soprattutto in relazione alla gloria di Archimede ) , non fui colto da grande ammi­ razione : quell'altra sfera celeste, anch'essa costruita da Archimede, che lo stesso Marcello aveva farro col­ locare nel tempio della Virtù, è molto più bella, ed è molto più conosciuta dalla geme comune. Ma quando Gallo cominciò a spiegare con gran­ dissima competenza il profondo significato di quell'o­ pera, ho capito che quel siciliano era dorato di un ingegno molto più grande di quello che si può imma­ ginare. Gallo ci disse infarti che l'altra sfera, solida e compatta, era più amica, costruita da Talere di Mileto e, dopo di lui, decorata da Eudosso di Cnido ( un disce­ polo di Platone ) con le costellazioni che sono appese nel cielo. Ci disse inoltre che, molti anni dopo, rutta la struttura, compresa la decorazione e le illustrazioni, era stata raccontata in versi da Arato, il quale, pur non conoscendo l'astronomia, era dorato di un notevole talento poetico. Ma quella sfera particolare che contiene i movi­ menti del Sole, della Luna e dei cinque astri che sono chiamati "pianeti" ( che significa "vaganti", poiché porremmo dire che "vagano" nell'universo ) non può 185

essere una sfera solida. Ecco perché l' invenzione di Archimede è degna di maggiore ammirazione : egli aveva infatti scoperto il modo per rappresentare in maniera accurata, grazie al singolo strumento usato per far ruotare la sfera, i diversi movimenti con le loro diverse velocità. li mantello di Demetrio

Plutarco, Vita di Demetrio 41, 6-8 Intorno a Demetrio c 'era davvero un grande teatro : la sua testa era circondata da cappelli a tesa larga ai lati dei quali scendevano doppie fasce ; il suo corpo era riccamente avvolto in mantelli di porpora orlati d'oro ; i suoi piedi, poi, erano calzati da babbucce di feltro intime in porpora pura luccicante d'oro. Si era addirittura fatto tessere un mantello che aveva dato da fare ai sarti per molto tempo : un lavoro incredi­ bile, che riproduceva l'universo e tutti i corpi celesti che compaiono nel cielo. Rimasta incompiuta, a causa del mutamento della sorte, nessuno dei re macedoni venuti dopo di lui ebbe mai il coraggio di indossarla, benché fossero tutti grandi amanti dello sfarzo. Un piatto con lo Zodiaco

Anonimo : Antologia Palatina

9,

822

D 'argento è fatta questa volta celeste dove la Luna guarda il Sole, riempiendosi del suo splendore riflesso. Da una parte e dall'altra, !86

le stelle fisse e, muovendosi nella direzione opposta, i pianeti guidano tutto il destino degli esseri umani. Cadmo disegna la mappa di Tebe

Nonno di Panopoli, Dionisiache s, 63-87 Dopo aver tracciato il perimetro di Tebe, la sua città, disegnandovi sette porte, Cadmo riproduce, con la sua arte, le sette zone del cielo. Lascia ad Anfione le mura per i suoi abitanti: che sia lui, con la sua cetra, a costruirle. Le sette porte le consacra, facendole di forma uguale, ai sette pianeti del cielo. Costruisce per prima la porta Onchea, dedicandola a Mene, la Luna, dagli occhi azzurri, che deriva il suo nome dal muggito di una vacca: Selene, che è raffigurata cornuta come un toro che guida un carro di buoi, ha la stessa triplice forma di Atena Tritonide. La seconda porta è dedicata al dio Ermes, luminosa, vicino alla Luna. Mentre disegna la quarta porta, la chiama Elettra, il nome dell'ambra, per ricordare il Sole : infatti, quando sorge, con la sua luce mattutina l'astro manda gli stessi bagliori dell'ambra. Questa porta, che è collocata in mezzo, rivolta verso oriente, verso la stella infuocata, è dedicata al Sole perché, tra i pianeti, quello si trova in posizione mediana. E, proprio per fare in modo che il Sole

si trovi tra il dio Ares e la dea Afrodite, dedica a quello la quinta porta, mentre a quella è dedicata la terza: così Venere è separata da Marte, il suo vicino violento e bellicoso. La sesta porta, che Cadmo ha lavorato avendo davanti a sé l' immagine di Zeus, è più luminosa ed è collocata più in alto ; l'ultima è dedicata a Crono, la settima stella. Ecco la sede che Cadmo ha costruito per sé : dopo aver fondato questa città sacra, le ha dato lo stesso nome che possiede la Tebe che si trova nell' Egitto, realizzando una multiforme struttura terrena simile all'Olimpo celeste. Uno scudo per Dioniso

Nonno di Panopoli, Dionisiache 25, 3 83-414 Dioniso agita con il braccio lo scudo istoriato, arma d' Olimpo, sapiente lavoro d' Efesto. La gente si accalca, per vedere le meraviglie multicolori dell'arte divina, prodigi scintillanti fatti da una mano celeste che ha cesellato lo scudo dai molti colori. Al centro, Efesto ha inciso la terra circolare ; intorno ha messo, come una sfera, il cielo, punteggiato dagli astri danzanti; insieme alla terra, ha inciso il mare ; nell'aria, ha lavorato il Sole, che viaggia su un carro d'oro, !88

splendente come fiamma; usando il bianco, un colore che ha preso dall'argento, ha disegnato l'orbita veloce della Luna. Vi ha fatto poi tutte le stelle, che rendono bello l'etere con il loro ornamento luminoso, fasciato dalla corona delle sette zone. Nel cerchio dell 'asse, mette il corso gemello del Carro celeste, che non si bagna mai; entrambi si mettono in fila lungo un percorso sopra l'oceano, ai fianchi l'uno dell'altro : sempre, quanto si piega verso il basso la testa dell' Orsa che tramonta, t�nto si tende il collo dell'altra che sorge. In mezzo al duplice carro ha disegnato il Drago : questa costellazione, collegando quasi le membra separate di entrambi, si piega con il solco a spirale del suo ventre celeste, subito trascinando indietro il suo corpo screziato (proprio come fa, fragorosa, la corrente tortuosa del fiume Meandro, che viaggia obliquo attraverso la terra, piegando il suo corso in una serie continua di spire) : il Drago tende il suo sguardo di fronte a sé, verso la testa di Elice, fasciando di squame stellari il corpo delle Orse, che lo avvolgono di stelle : sulla punta della lingua brilla l'astro proteso, sputando la luce e mandando la fiamma tra i suoi molti denti, vicino alle labbra. Erano queste, al centro dello splendido scudo, le immagini cesellate con arte dal fabbro sapiente.

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Le stelle come divinità

Quando, da bambini, cominciamo a conoscere i per­ sonaggi della mitologia classica, una delle prime cose che ci viene insegnata è la corrispondenza tra le prin­ cipali divinità dell' Olimpo e i corpi celesti: Apollo (o Febo) è il Sole, Artemide (o Diana) è la Luna, Ermes (o Mercurio) è anche il pianeta e così via. Nelle letterature antiche queste considerazioni le troviamo, oltre che nei poemi omerici, soprattutto nella Teogonia, quando Esiodo descrive la nascita dell'universo : dopo la nascita del giorno e della notte, è la volta, secondo il poeta, della nascita del cielo, figlio di Gaia, la terra. E questo cielo è a sua volta un dio : si tratta di Crono, il Saturno dei Romani (e quindi un pianeta), dal quale in un secondo mo­ mento nascerà, insieme a Poseidone (il dio del mare) e Ade (il dio dell'oltretomba), Zeus, vale a dire il Giove dei Romani, il più grande di tutti i pianeti, destinato a diventare il re degli dèi e delle dee. Al dio Sole è dedicato un celebre frammento del poeta elegiaco Mimnermo, vissuto nel VI secolo a.C., che ne descrive il viaggio (ma insiste soprattutto sul ritorno, che avviene di notte, quando il dio si addor­ menta su un comodo letto costruito dal solito Efesto e viene trasportato via mare da occidente a oriente),

mentre la dea Luna ( che poteva essere tirata giù dal cielo dalle potenti maghe della Tessaglia) è la prota­ gonista di numerosi componimenti poetici, tra i quali spicca uno degli Epodi di Orazio, dove compare l'or­ ribile maga Canidia, che invoca, insieme alla notte, anche Diana, dea della Luna. L'essenza divina del Sole e della Luna era per gli antichi un argomento di discussione, soprattutto a livello filosofico. Lo dimostra, nel I secolo d.C., Plu­ tarco, che, nel dialogo su Iside e Osiride, riporta, ac­ canto alle principali credenze dei Greci, anche quelle degli antichi Egizi; lo aveva dimostrato, cinque se­ coli prima, anche lo scambio di battute tra Socrate e Meleto, uno dei suoi accusatori, sul valore divino dei due astri, collocato all' interno della polemica relativa agli insegnamenti non convenzionali di Socrate ( che tanta parte ebbero nelle accuse che portarono al suo processo e, in seguito, alla sua condanna a morte ) . Il valore divino degli astri è sottolineato da una serie di componimenti che si configurano come veri e propri inni detici (costituiti da invocazioni ri­ volte alle divinità ) . All' interno dei cosiddetti "inni omerici", una raccolta di poesie composte in epoche diverse ( si tratta, per la precisione, di brevi proemi costruiti secondo gli schemi caratteristici dell'epica) che raccontano con abbondanza di dettagli le più fa­ mose vicende mitologiche delle principali divinità del mondo greco ( da Demetra ad Afrodite, da Apollo ad Artemide, da Ermes a Dioniso ) , c 'è un intruso : l' inno dedicato al dio Ares è piuttosto una preghiera rivolta al dio della guerra perché porti la pace ( una supplica

che sarebbe incongrua se il componimento fosse un inno, mentre lo è meno se si tiene invece conto della sua dimensione cultuale ) . E preghiere sono anche i tre inni "orfici" dedicati agli astri, al Sole e alla Luna ( qui invocata anche con il nome di "Mene", che rimanda al mese, men): com­ posti tra il n e il III secolo d.C., fanno parte di una raccolta allestita da un'associazione di figure devote al dio Dioniso, che, per conferire a queste preghiere un prestigio maggiore, le aveva volute attribuire al mitico Orfeo. Figlio della musa Calliope, con il dolce suono della sua cetra ( come racconta la vicenda più celebre che lo vede protagonista) era stato capace di toccare il cuore delle divinità dell'oltretomba, Ade e sua moglie Persefone, che gli avevano consentito di riportare in vita la sua amata Euridice, a patto che non si voltasse indietro durante il cammino verso la luce del giorno. La raccolta, preceduta da un proemio nel quale Orfeo dedica questi brevi componimenti al suo disce­ polo Museo, contiene, insieme ad alcune poesie dedi­ cate alle principali divinità degli amichi, anche molte preghiere rivolte a figure minori, quasi tutte legate a Dioniso, una figura chiave nella religione orfica ( ma non mancano anche altre divinità celesti, come per esempio le nuvole ) . Composte in Asia minore ( molto probabilmente a Pergamo, come ha sostenuto Otto Kern, uno dei più grandi esperti dell'orfismo ) , sono tutte precedute dall' indicazione di un profumo che doveva essere bruciato durante il rito ( e questo con­ ferma che si trattava di un libro d'uso liturgico, desti­ nato ad accompagnare i riti di iniziazione ) : a volte il 193

profumo non viene specificato, e troviamo la semplice indicazione "aromi"; in altri casi, abbiamo l' incenso e la mirra, che sono le due resine più frequenti, in­ sieme al papavero, al croco e allo storace ; per l' inno alla notte, che in una delle teogonie orfiche era la divi­ nità più antica, dalla quale erano nati il cielo e la terra, il profumo è sostituito dalle fiaccole ( che avevano il compito di attenuare l'oscurità notturna) . Le ultime tracce di questa discussione le troviamo nelle opere che segnano ormai la fine delle due lette­ rature antiche : nel proemio del suo grande trattato astrologico composto nel IV secolo, il siracusano Giulio Firmi co Materno celebra il Sole e la Luna come due vere divinità, prima di scrivere un'apologia dell'a­ strologia affermando che, sulla scorta delle riflessioni dei filosofi stoici, la lotta del destino contro il libero arbitrio si risolve affermando che l'anima, grazie alla sua origine divina, è in grado di avere la meglio .sugli influssi che provengono dalle stelle. Dopo essersi convertito al cristianesimo, Firmico Materno scriverà un trattato sugli errori delle religioni profane, esortando gli imperatori a sconfiggere il pa­ ganesimo una volta per tutte. Ma la religione pagana avrebbe resistito ancora, prima di sparire : qualche decennio dopo, agli inizi del v secolo, Macrobio, nei Saturnali, che sono il resoconto di un lungo ban­ chetto durato tre giorni e tenutosi durante il mese di dicembre, nel corso delle feste in onore del dio Sa­ turno ( che corrispondevano al nostro Carnevale ) , ri­ prenderà per l'ennesima volta questi temi, discutendo a Roma, come avevano fatto gli antichi Greci, del rap­ porto tra Apollo e il Sole, tra Artemide e la Luna ecc. 1 94

L'origine delle stelle

Esiodo, Teogonia ns-128 Dunque, all' inizio, nacque il Caos; dopo di lui nacque Gaia, la terra dall'ampio petto, sede sempre sicura di tutti gli immortali che abitano le cime dell'Olimpo ricoperto di neve ; dopo ancora, nacque il Tartaro nebbioso, nell'abisso della terra dalle ampie strade ; poi Eros, tra tutti gli dèi immortali il più bello, il dio che scioglie le membra, fiaccando nel cuore degli dèi e degli uomini la mente e la saggia volontà. Dal Caos nacquero anche l' Erebo e la nera Notte ; dalla Notte nacquero poi Etere e Giorno, generati dopo essere stati concepiti con Erebo. Ma Gaia, la terra, generò per primo, simile a sé, Urano, il cielo stellato, perché l'avvolgesse tutta, per essere la sede sempre sicura di tutti gli dèi beati. Il viaggio del Sole

Mimnermo, fr. 12. Gentili-Prato Il Sole ha avuto in sorte una fatica quotidiana: non c 'è mai nessun riposo, né per i suoi cavalli né per lui, quando Aurora dalle dita di rosa lascia il suo sposo Oceano e sale nel cielo. Al ritorno, lo porta sull'onda divina l'amato letto dai molti colori, lavorato dalle mani di Efesto, 195

alato, d'oro prezioso - e lo porta mentre lui dorme tranquillo, alto sull'onda, dal paese occidentale delle Esperidi fino alla terra orientale degli Etiopi. Qui si ferma il carro veloce insieme ai cavalli, finché non arriva Aurora mattutina. E il figlio di Iperione sale di nuovo sul suo cocchio. Una preghiera al dio della guerra

O mero, Inno ad Ares Ares fortissimo, che pesi sul carro da guerra, dali'elmo d'oro, coraggioso, che porti lo scudo e salvi le città, armato di bronzo, dalla mano potente, forte con la lancia, instancabile, difesa dell' Olimpo, padre della Vittoria e sostegno della Giustizia, che regni sui nemici e guidi gli uomini giusti, che reggi lo scettro del coraggio ruotando la tua sfera infuocata fra i pianeti che percorrono le sette vie del cielo, dove i cavalli ardenti ti portano per l'eternità lungo il terzo giro : ascoltami, protettore dei mortali, tu che ci doni la baldanzosa giovinezza versando dali' alto su di noi la tua dolce fiamma, insieme alla forza guerriera, perché io sia in grado di allontanare dal mio capo l'aspra malvagità, di piegare nell'animo la passione che inganna l'anima, di porre un freno ali'amara forza dell' ira, che mi stimola a gettarmi nella mischia che fa gelare il sangue: ma tu, o dio beato, dammi il coraggio di rimanere saldo

nei patti sereni della pace, scampando all'assalto dei nemici e al destino crudele. Socrate e gli dèi celesti

Platone, Apologia 26cd Io non riesco a capire se tu dici che io insegno ai miei allievi a credere in alcune divinità (e quindi, sia detto tra parentesi, dal momento che io credo che gli dèi esistano, non sarei assolutamente un ateo - perciò, da questo punto di vista, non sono col­ pevole), anche quando non sono quelle a cui crede la città, ma altre divinità, oppure dici invece che io non credo affatto agli dèi, e che sarebbe questo l' insegna­ mento che io impartisco ai miei allievi. MELETO È proprio questo quello che dico : che tu non credi affatto agli dèi. SOCRATE Ma caro il mio Meleto, come fai a sostenere una cosa simile ? Dici forse che io non credo che il Sole e la Luna siano divinità come credono gli altri uomini ? MELETO Ma è così, signori giudici ! Socrate so­ stiene che il Sole è una pietra e la Luna è fatta di terra. SOCRATE

Una preghiera alla Notte

Inno orfico 7 Ricciardelli Profumo degli astri (aromi) Canterò la sacra fiaccola degli astri del cielo con voci adatte al rito, invocando le sacre divinità. Astri del cielo, o cari figli della nera Notte, 197

voi che vi muovete in giro correndo intorno con vortici circolari, scintillanti, infuocati, eterni genitori di tutte le cose, voi che segnalate la sorte perché guidate ogni sorte, voi che regolate la strada divina degli uomini mortali, voi che sorvegliate le zone dalle sette luci, voi che vagate per l'aria, voi che siete celesti e terrestri, dalla corsa di fuoco, sempre indistruttibili, voi che illuminate il mantello tenebroso della notte, voi che luccicate di lampi, benevoli e notturni, venite alle gare molto sapienti delle cerimonie adatte al rito, compiendo una corsa valorosa per imprese gloriose. Una preghiera al Sole

Inno orfico 8 Ricciardelli Profumo a Sole ( grano d' incenso ) Ascolta, o Sole beato, tu che hai un occhio eterno che vede ogni cosa, Titano dalla luce d'oro, Iperione dalla luce celeste, tu che sei nato da solo, impermeabile alla fatica, dolce vista dei vivi, che generi a destra l'aurora, a sinistra la notte, che mescoli le stagioni danzando su quattro piedi, veloce corridore, sibilante, fiammante, scintillante, auriga che indirizzi il cammino con i vortici del rombo infinito, benevolo per le persone pie e violento con le persone empie, che trascini la corsa armoniosa dell'universo

con la tua cetra d'oro, segnalando le azioni buone, o fanciullo che nutri le stagioni, dominatore del mondo, suonatore di siringa, che corri nel fuoco seguendo un percorso circolare, portatore di luce e di vita, dalla forma mutevole, Apollo fecondo, sempre giovane, incontaminato, padre del tempo, Zeus immortale, sereno, luce per tutti, occhio dell'universo che corri dappertutto, che ti spegni e ti accendi con i bei raggi luminosi, che indichi la giustizia, che ami i fiumi, padrone dell'universo, custode della lealtà, sempre altissimo, un aiuto per tutti, occhio di giustizia, luce di vita: o te che guidi i quattro cavalli del carro con il tuo frustino sonoro, ascolta il canto e mostra la dolce vita agli iniziati. Una preghiera alla Luna

Inno orfico 9 Ricciardelli Profumo a Luna ( aromi ) Ascolta, dea regina, portatrice di luce, divina Luna, astro mensile dalle corna d'oro, che corri di notte e giri nell'aria, notturna, portatrice di fiaccole, fanciulla, bell'astro mensile, crescente e calante, femmina e maschio, luminosa, amante dei cavalli, madre del tempo, fruttifera, luccicante, malinconica, che rischiari con i tuoi raggi notturni, che vedi tutto, che non ami dormire, che sei circondata da stelle belle, 1 99

che godi della tranquillità e della notte che porta fortuna, astro lucente, che dispensi grazia e che porti a compimento, gioiello della notte, guida degli astri, dall'ampio mantello e dal movimento circolare, fanciulla sapientissima, vieni, beata, benevola, dai begli astri, rifulgente, tu che salvi i tuoi nuovi supplici, fanciulla. Le maghe della Tessaglia

Orazio, Epodi

s, 4 1 - 5 4

Che tra le maghe ci fosse la riminese Polia, donna dalle smanie amorose tipiche di un uomo, lo dimostrano Napoli, la patria dei perditempo, e tutte le altre città vicine : è una donna che tira giù dal cielo, con le formule magiche della Tessaglia, le stelle e la Luna. Allora l'orribile strega Canidia, rosicchiando con i denti neri il pollice dall'unghia tagliata male, che cosa ha detto ? Che cosa ha taciuto ? « O tu, che senza mai tradirmi osservi le mie imprese, o Notte ; e tu, o Diana, dea della Luna, che imponi il silenzio quando si compiono i riti arcani, adesso assistetemi, adesso ! Adesso volgete la vostra ira e la vostra potenza contro le case che mi sono ostili » .

2.00

Le divinità celesti del Sole e della Luna

Firmico Materno, Dottrina s. s-6 E voi, orbite degli astri perenni, e tu, o Luna, che sei la madre dei corpi umani, e tu, o Sole, che sei la prima di tutte le stelle, tu che doni e togli con regolarità la luce ai movimenti mensili della Luna, o Sole grandis­ simo, tu che governi tutte le cose ogni singolo giorno con la tua grandezza, tu che, per ordine degli dèi, sei l'origine della vita immortale di tutti gli esseri dotati di respiro, tu che solo apri le porte della tua sede al­ tissima, tu che con la tua volontà regoli la sorte dei nostri destini, perdonaci - sempre che le nostre fra­ gili parole raggiungano le pieghe più nascoste della tua potenza divina. A spingerei a dedicarci a questa occupazione non è né un desiderio sacrilego né una follia che brucia la nostra mente profana: è il nostro animo che, così formato a causa dell ' ispirazione di­ vina, si è sforzato di spiegare quello che aveva im­ parato, per portare a Roma, ai templi che sorgono vicino alla rupe Tarpea, tutte le scoperte divine che gli antichi avevano ricavato dalle profondità dell ' E­ gitto. Datemi quindi la vostra protezione e, con la vostra autorità, scacciate la paura dal mio animo rendendolo saldo : solo in questo modo, se non sarò privato dalla difesa del vostro immenso potere, sarò in grado di esporre in modo ordinato quello che ho scoperto.

201

L'etimologia di Apollo, il dio del Sole

Macrobio, Saturnali 1, 17, 7-1 1 Il nome di Apollo viene collegato al Sole secondo diverse interpretazioni, che riporterò qui in modo ordinato. Platone afferma che il Sole fu chiamato, in greco, Apollon dalla frase apopallein tas aktinas, che si­ gnifica "lanciare i raggi"; Crisippo, invece, dice che si chiama così perché è formato "non" (a) dalle "molte" (pollo n) proprietà negative del fuoco, attraverso la negazione indicata dalla prima lettera del nome (a­ pollon ) , oppure perché "è solo e non molti", che è una spiegazione che corrisponde anche al termine latino, perché, essendo il solo (solus) ad aver avuto uno splen­ dore così luminoso, è stato chiamato "Sole" (sol). Per Speusippo, al contrario, il suo nome deriverebbe dal fatto che è composto "da" (apo) "molte" (pollon) pro­ prietà di fuoco. Secondo Cleante, poi, il Sole si chia­ merebbe in questo modo perché sorge ora da (ap') alcune (allon), ora da (ap') altre (allon) zone del cielo. Per Cornificio, il nome deriverebbe dal verbo anapo­ lein ( ''girare" ) , perché, spinto dal suo movimento, il Sole torna sempre al punto di partenza senza uscire mai dalla sfera dell'universo, che i Greci chiamano polos ( ''polo" ) . Altri ancora sostengono che si chiama così perché "uccide" (apollunta) gli esseri viventi: infatti toglie loro la vita privandoli del soffio vitale quando, per il troppo caldo, causa una pestilenza. Lo dice Euripide nel Fetonte : «0 Sole dai raggi d'oro, sei tu che mi hai fatto morire (apolesas) : si ca2. 0 2.

pisce perché i mortali ti chiamano Apollo » . E lo dice anche Archiloco : «0 signore Apollo, facci vedere chi sono i colpevoli e poi uccidili (ollue) come tu sai uccidere ( ollueis) » . Infine, i Greci chiamano coloro che muoiono consumati da una malattia sia "colpiti da Apollo" (apollobletous) sia "colpiti al Sole" (helio­ bletous) ; dal momento che gli effetti della Luna, sia quelli positivi che quelli negativi, sono simili a quelli del Sole, ecco che le donne colpite da alcune malattie sono chiamate sia "colpite dalla Luna" (selenobletous) sia "colpite da Artemide" (artemidobletous) .

2.0 3

Bibliografia

Per comprendere tutti gli aspetti relativi alle stelle nel mondo antico manca purtroppo, in lingua italiana, un volume ricco e completo come quello curato da A. ZUCKER, L'Encyclopédie du ciel. Mythologie, astronomie, astrologie, Robert Laffont, Paris 2.0 1 6 . L a tradizione francese in questo campo è del resto testimo­ niata dal volume di A . BOUCHÉ-LECLERCQ, L'astrologie grecque, Leroux, Paris 1 8 99, sull 'astrologia dei Greci, che rimane ancora un lavoro imprescindibile. Fra i contributi più recenti in lingua italiana, il libro di G. PLATANIA,

Costellazioni e miti, Bibliopolis, Napoli 2.009, è

molto agile ma non dettagliato ; interessante, soprattutto per le informazioni relative anche agli altri popoli, è il libro di A. F. AVENI,

Star Stories: Constellations and People, Yale Univer­

sity Press, New Haven ( CT ) -London 2.01 9, recentemente tradot­

to in italiano con il titolo Stelle. Il grande racconto delle costella­ zioni, Il Saggiatore, Milano 2.02.0; alcune curiosità sulle dodici costellazioni dello Zodiaco le troviamo in M . CAPAC C I O L I ,

C 'era una volta nel cielo. 3 0 brevi storie astronomiche, Carocci, Roma 2.02.1. Per quanto riguarda invece i lavori scientifici, le raccolte antolo­ giche e gli atti di convegno dedicati all'astronomia e all 'astrolo ­ gia greca e romana, di seguito presentiamo una scelta dei più

significativi ( senza dimenticare che la maggior parte dei contri­

buti sull 'argomento è in lingua tedesca ) .

Sull 'astronomia e sull'astrologia nel mondo antico, gli studi

2.0 5

principali ( in ordine cronologico) sono i seguenti : F. CUMO NT,

Astrology and Religion among the Greeks and Romans, Putnam, New York 1 9 1 2 ; o . R. D I C KS , Early Greek Astronomy to Aristotle, Thames and Hudson, London 1 9 7 0 ; F. B O L L , c . B E Z O L D , w.

GUNDEL, Storia dell'astrologia, Laterza, Roma-Bari 1 9 77 (ed.

or. Sternglaube und Sterndeutung: Die Geschichte und das

Wesen der Astrologie, Teubner, Leipzig 1 9 3 1 ) ; G. AUJAC, J. S O UBIRAN ( éds. ) , L 'astronomie dans l'antiquité classique, Actes du colloque tenu à l ' Université de Toulouse-Le Mirai! ( 2 1 - 23 octobre 1 9 77 ) , Les Belles Lettres, Paris 1 9 79 ; R. S I CUTERI, Astrologia e mito. Simboli e miti dello Zodiaco nella psicologia delprofondo, Astro­ labio, Roma 1 9 7 8 ; J. D O RSAN, Retour au zodiaque des étoiles, Dervy, Paris 1 9 8 0 ; L. ROUGI ER, Astronomie et religion en Occi­ dent, P U F, Paris 1 9 8 0 ; w. KNA P P I C H , Histoire de l 'astrologie, Vernal-Lebaud, Paris 1 9 8 6 ; H . S T I E R L I N , L'Astrologie et le pouvoir, Payot, Paris 1 9 8 6 ; G . BEZZA, "Arcana mundi". Antolo­ gia delpensiero astrologico antico, Rizzoli, Milano 1 9 9 5 ; J. EVANS, The History and Practice ofAncient Astronomy, Oxford Univer­ sity Press, Oxford-New York 1 9 9 8 ; P. DUTARTE, Les instruments de l 'astronomie ancienne. De l'Antiquité à la Renaissance, Vuibert, Paris 2 0 0 6 ; F. GUI DETTI (a cura di), Poesia delle stelle tra antichità e Medioevo, Atti del c o nvegno ( P i s a , S cuola Normale Superiore, 3 0- 3 1 ottobre 201 3 ) , Edizioni della Norma­

le, Pisa 2016. Sui nomi delle stelle e delle costellazioni : R. H. ALLEN, Star Names: Their Lore and Meaning, Stechert, New York-London 1 8 9 9 ; v. E . ROB S ON, The Fixed Stars & Constellations in Astrol­ ogy, Palmer, London 1 9 2 3 ; E. J. WEBB, The Names ofthe Stars, Nisbet, Lo n don 1 9 5 2; A. LE B O EUFFLE, Les noms latins d'astres et de constellations, Les Belles Lettres, Paris 1 9 77 ; T. C O N D O S (ed . ) , Star Myths of the Greeks and Romans: A Sourcebook Containing the Constellations ofPseudo-Eratosthenes and the Poetic Astronomy ofHyginus, Phanes Press, G rand Rapids ( MI ) 1 9 9 7· Per quanto riguarda la scienza e la letteratura greca: TU CKER, L 'astrologie de Ptolémée, Payot, Paris 1 9 8 1.

206

w.

J.

Invece, sul mondo romano : F. H. C R A M E R , Astrology in Roman Law and Politics, American Philosophical Society, Phila­ delphia ( PA ) 1 9 5 4 ; A. L E B O E U F F L E , Le ciel des Romains, de Boccard, Paris 1 9 8 9 ; P. D OMENICUCCI, Astra Caesarum. Astro­ nomia, astrologia e catasterismo da Cesare a Domiziano, ETS, Pisa 1 9 9 6 ; E . G E E , Ovid, Aratus, and Augustus: Astronomy in Ovid's "Fasti," C a m b ridge Univers i t y Press, C a m b ridge 2 0 0 0 ; B . BAKH O U C H E , L'astrologie a Rome, Peeters, Paris-Louvain 2002; P. D O MENI CUCCI, Il cielo di Lucano, ETS, Pisa 201 3 . Di seguito sono elencate le opere di autori antichi: in caso di più edizioni e opere citate per lo stesso autore, indichiamo per prime quelle su cui sono state condotte le traduzioni dei testi greci e latini presenti in questo volume (per la comodità del lettore sono state privilegiate, quando è stato possibile, le edizioni che conten­ gono la traduzione a fronte in italiano), mentre in seconda battu­ ta segnaliamo le principali edizioni moderne di opere che tratta­ no in modo esplicito di questi temi ( in italiano, se disponibili, altrimenti in altre lingue). AGOSTINO

L'istruzione cristiana, a cura di M. Simonetti, Mondadori­ Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1 9 9 4 . ALCE O

Sappho et Alcaeus: Fragmenta, ed. by E.-M. Voigt, Polak & Van Gennep, Amsterdam 1 9 7 1. ALES S I

Poetae Comici Graeci (PcG), ed. b y R. Kassel, C. Austin, vol.

n:

Agathenor - Aristonymus, D e Gruyter, Berlin-New York 1 9 9 1 . ANTIPATRO D I TESSALONICA

Antologia Palatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 200 5 - 1 1.

APOLLONIO RO D I O

Apollonii Rhodii '51rgonautica", recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. Frankel, Clarendon Press, Oxford 1 9 6 1 . ARATO

Phénomenes, texte établi, traduit et commenté par J. Martin, Les Belles Lettres, Paris 1 9 9 8.

Fenomeni, a cura di V. Gigante Lanzara, Garzanti, Milano 2018. ARISTOFANE

Le nuvole, a cura di G. Guidorizzi, Mondadori-Fondazione Lo­ renzo Valla, Milano 1 9 9 6. ARISTOTELE

The Metaphysics, with an English translation by H . Tredennick, 2 voli., Harvard University Press-Heinemann, Cambridge (MA)-London 1 9 3 3- 3 5 .

On the Cosmos, e d . b y D . ) . Furley, Harvard University Press­ Heinemann, Cambridge (MA) -London 1 9 5 5 . ARTEMI D O RO

Artemidorus' "Oneirocritica", ed. by D. E. Harris-McCoy, Oxford University Press, Oxford 2012. AULO GELLIO

Auli Gelli "Noctes Atticae'', ed. by P. K. Marshall, Clarendon Press, Oxford 1 9 6 8 . CALLI MA C O

Aitia, Giambi, Frammenti elegiaci minori, Frammenti di sede in­ certa, a cura di G. B. D 'Alessio, Rizzoli, Milano 1 9 9 6. Antologia Patatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 2005- 1 1 . CATULLO

Le poesie, a cura di A. Fo, Einaudi, Torino 2018. 208

CI CERONE

Della divinazione, a cura di S. Timpanaro, Garzanti, Milano 1988.

De re publica, De legibus, with a n English translation b y C. W. Keyes, Putnam's sons-Heinemann, New York-London 1 9 2.8. ERATOSTENE

Catastérismes, éd. critique par J. Pàmias i Massana, traduction par A. Zucker, Les Belles Lettres, Paris 2.01 3 .

Epitome dei catasterismi. Origine delle costellazioni e disposizione delle stelle, a cura di A. Santoni, ETS, Pisa 2.009. ESCHILO

Aeschyli septem quae supersunt tragoediae, recensuit G. Murray, Clarendon Press, Oxford 1 9 37.

Tragicorum Graecorum Fragmenta (rrGF), vol. 3 , hrsg. von S. Radt, Vandenhoeck & Ruprecht, Gi:ittingen 1 9 8 5 . ESIODO

Hesiodi "Theogonia'; "Opera et dies� "Scutum", ed. by F. Solmsen, Clarendon Press, Oxford 1 9 7 0. EURI PIDE

Euripidis Jabulae, recensuit ]. Diggle, 3 voli., Clarendon Press, Oxford 1 9 8 1-9 4 . FIRMICO MATERNO

Iulii Firmici Materni "Matheseos libri

S", hrsg. von W Kroll,

F. Skutsch, Teubner, Stuttgart 1 9 6 8. IGINO

Astronomie, texte établi et traduit par A. Le Boeuffie, Les Belles Lettres, Paris 1 9 8 3 .

Fabulae, hrsg. von P. K. Marshall, K. G. Saur, Mi.inchen-Leipzig 2.002.. 2.09

Miti, a cura di G. Guidorizzi, Adelphi, Milano 200 5 . Mitologia astrale, a cura di G. Chiarini, G. Guidorizzi, Adelphi, Milano 2009.

Inni orfici, a cura di G. Ricciardelli, Mondadori-Fondazione Lo­ renzo Valla, Milano 2000. I S I D O RO DI SIVIGLIA

Etimologie o Origini, a cura di A. Valastro Canale, 2 voli.,

UTET,

Torino 200 4 . LEO N IDA

Antologia Palatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 200 5 - 1 1 . LUCANO

Lucani opera, recensuit R. Badalì, Istituto poligrafìco e Zecca dello Stato, Roma 1 9 9 2. LUCIANO

Opere, a cura di V. Longo, 3 voli., UTET, Torino 1 9 9 2 . LU CREZIO

De la nature, texte établi et traduit par A. Ernout, Les Belles Lettres, Paris 1 9 4 2. MACEDONIO

Antologia Patatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 200 5 - 1 1 . MACRO BIO

Saturnali, a cura di N. Marinone, UTET, Torino 1 9 67. MANILIO

Ilpoema degli astri (Astronomica), a cura di R. Scarcia, E. Flores, S. Feraboli, Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2001. li O

M ELEAGRO

Antologia Patatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 2.00 5 - 1 1. MIMNERMO

Poetarum elegiacorum testimonia et.fragmenta, Pars prior, hrsg. von B. Gentili, C. Prato, Teubner, Leipzig 1 9 79. NONNO DI PANOPOLI

Les Dionysiaques, texte établi et traduit par

F. Vian, 19 voli., Les

Belles Lettres, Paris 1 9 7 6-2.006. O MERO

Homeri opera, recognoverunt brevique adnotatione critica in­ struxerunt D. B. Munro, T. W. Allen, Clarendon Press, Ox­ ford 1 9 0 8 .

Inni omerici, a cura di

F. Càssola, Mondadori-Fondazione Lo­

renzo Valla, Milano 1 9 7 5 . O RAZIO

Q Horati Flacci opera, recensuit E. C. Wickham, ed. by H W. Garrod, Clarendon Press, Oxford 1 9 1 2. . OVIDIO

Fasti e.frammenti, a cura di F. Stok, UTET, Torino 2.009. Metamorfosi, a cura di A. Barchiesi, 6 voli., Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2.01 5 . PAOLO SILENZIARIO

Antologia Patatina, a cura di

F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

3 voli., UTET, Torino 2.00 5 - 1 1. PAPIRO DI TEBTUNIS

Arcana mundi, vol. n : Divinazione, astronomia, alchimia, a cura di G. Luck, Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1999· 2. 1 1

PETRONIO

Petronius, "Satyricon''; Seneca, "Apocolocyntosis", ed. by G. Schme­ ling, Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 20 20. PLATONE F. Conca, M. Marzi, G. Zanetto,

Antologia Palatina, a cura di

3 voli., UTET, Torino 200 5 - 1 1 .

Oeuvres completes, vol. I : Introduction. Hippias mineur - Alci­ biade - Apologie de Socrate - Euthyphron - Criton, texte éta­ bli et traduit par M. Croiset, Les Belles Lettres, Paris 1 9 2 5 .

Oeuvres completes, vol.

VIII, t. 2:

Théétete, texte établi et traduit

par A. Diès, Les Belles Lettres, Paris 1 9 2 4 .

Oeuvres completes, vol. X: Timée - Critias, texte établi et traduit par A. Rivaud, Les Belles Lettres, Paris 19 2 5 . P LAUTO T.

Macci Flauti comoediae, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay, 2 voli., Clarendon ·Press, Oxford 19 0 5 .

PLINIO IL VEC C H I O

Storia naturale, a cura di G. B. Conte, 5 voli., Einaudi, Torino 1 9 82-88. PLUTARCO

Le vite di Demetrio e di Antonio, a cura di L. Santi Amantini, C. Carena, M. Manfredini, Mondadori-Fondazione Loren­ zo Valla, Milano 1 9 9 5 . SAFFO

Sappho et Alcaeus: Fragmenta, ed. by E.-M. Voigt, Polak & Van Gennep, Amsterdam 1 9 7 1 . SENECA

Ilfurore di Ercole, a cura di F. Caviglia, Ateneo, Roma 1 9 7 9. 212

SENO FONTE

Mémorables, texte établi par M. Bandini et traduit par L.-A. Dorion, Les Belles Lettres, Paris 2.000. SESTO EMPIRICO

Contro gli astrologi, a cura di E. Spinelli, Bibliopolis, Napoli 2.000. S O F O CLE

Tragicorum Graecorum Fragmenta (TrGF) , vol. 3 , hrsg. von S. Rade, Vandenhoeck & Ruprecht, Gi:ittingen 1 9 8 5 . S O S I PATRO

Poetae Comici Graeci (PCG) , ed. by R. Kassel, C. Austin, vol. I I : Agathenor - Aristonymus, D e Gruyter, Berlin-New York 19 9 1. TAC ITO P.

Cornelii Taciti libri qui supersunt. Teil 1: Ab excessu divi Augu­ sti, hrsg. von H. Heubner, Teubner, Stuttgart 1 9 8 3 .

TOLOMEO

Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos}, a cura di S. Feraboli, Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1 9 8 5 . VALERIO FLACCO

Gai Valeri Flacci Setini Balbi ':Argonauticon libros octo", recensuit W.-W. Ehlers, Teubner, Stuttgart 1 9 8 0. VIRGILIO P.

Vergili Maronis Opera, a cura di M. Geymonat, Paravia, Torino 1 9 73 ·

Eneide, traduzione e cura di A. Fo, Einaudi, Torino 2.012..