Guida alla lettura di Pasolini 8804308044

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Guida alla lettura di Pasolini
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Negli Oscar: opere classiche e di narrativa contemporanea, testi di poesia e teatro, libri di storia e testimonianze, antologie, saggi, fumetti e manuali, romanzi gialli e di fantascienza, per ogni esigenza di lettura, di studio, d'informazione, di orientamento

Nella stessa collana potete leggere Guida alla lettura di Pirandello di Elisabetta Boschiggia

Guida alla lettura di Svevo di Micaela Pretolani Claar

Guida alla lettura di Verga Guida alla lettura di Leopardi di Vincenzo Guarracino

Guida alla lettura di Buzzati di Claudio Toscani

Guida alla lettura di Manzoni di Angelo Marchese

Guida alla lettura di Pavese di Gianfranco

Colombo

Guida alla lettura di Silone di Sebastiano Martelli - Salvatore Di Pasqua

Oscar manuali

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Fulvio Panzeri

Guida alla lettura di PASOLINI

ARNOLDO MONDADORI EDITORE

Serie a cura di Federico Roncoroni

© 1988 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione Oscar manuali settembre 1988

ISBN 88-04-30804-4

Questo volume è stato stampato presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in Italy

Redazione: Elena Albertini Coordinamento grafico: Vittorio Merico Impaginazione: Donata Sorrentino

Sommario

Presentazione

1LA VITA Le figure familiari Gli anni dell’infanzia La stagione delle amicizie Il fratello Guido La scoperta della Storia I primi anni romani I romanzi, le denunce Alla ricerca del « cinema di poesia » Lo scrittore « corsaro » La morte

2 LE'OPERE LA POESIA

Il dialetto friulano: forma della poesia « La meglio gioventù » « Seconda forma de “La meglio gioventù” » La poesia in lingua « L’usignolo della Chiesa Cattolica » « La religione del mio tempo » « Le ceneri di Gramsci » « Poesia in forma di rosa »

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« Trasumanar e organizzar ) Altre forme in versi: il teatro

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LA NARRATIVA

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Il mito del Friuli contadino « Il sogno di una cosa » « Amado mio » e « Atti impuri » «I promessi sposi »: un soggetto cinematografico La borgata romana come « sezione del mondo » « Ragazzi di vita » « Alì dagli occhi azzurri » « Una vita violenta »

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DALLA NARRATIVA AL CINEMA

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Il cinema come teoria: « Empirismo eretico » « Accattone » « Mamma Roma » Variazioni sul tema della Santità « La ricotta » « Il vangelo secondo Matteo » « Teorema » « San Paolo »: ipotesi per un film « La divina mimesis » « Alle fonti del mito « Trilogia della vita »

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SCRITTI DI SAGGISTICA

Gli esordi in rivista « L’Academiuta de lenga furlana » La passione critica degli anni cinquanta « Passione e ideologia » « Il portico della morte » « L’odore dell’India » Dialoghi attraverso il giornalismo « Le belle bandiere » « Il caos » « Descrizioni di descrizioni »

4

La polemica civile: ultimo atto « Scritti corsari » « Lettere luterane » Il dibattito pubblico LE OPERE

INEDITE

Le lettere

3 L'IDEOLOGIA Quale ideologia? Quale società? Quale impegno civile? 4 LO STILE

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La lingua come ricerca La lingua nella funzione sociale L’efficacia della comunicazione La lingua come riflessione

5 LA FORTUNA CRITICA L’esordio « Ragazzi di vita »: questione aperta Il primato della poesia L’opera di Pasolini e la storia letteraria Le occasioni perdute Dalla morte alla biografia Gli studi monografici Ultimi studi Bibliografia

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Guida alla lettura di Pasolini

A Giuseppe e Riccardo e ad Angelo Curtoni per l’apprendistato alla scrittura... e per la fiducia e i consigli

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Presentazione

Un discorso imperniato sulla lettura dell’opera di Pasolini può dirsi più che mai urgente in questo momento. Si può usare per esso il termine “lettura” oppure anche “rilettura”, purché la parola usata imponga un atto di ripensamento delle opere scritte e filmate del nostro autore. L’urgenza e il bisogno si configurano nella constatazione dello sviluppo distorto che, dopo la morte, ha assunto ogni riferimento al suo nome. Pasolini è stato interpretato, usato, manovrato e, in fin dei conti, appunto, distorto, se non addirittura calunniato: di recente un “intellettuale” emergente ha dichiarato che di lui non avrebbe pubblicato assolutamente nulla, quasi fosse nel potere di ognuno decidere quale letteratura è degna di superare il varco della comunicazione e quale debba essere lasciata ai Kimbi del nulla oscurante. Si può dunque parlare - e ve ne sono buone ragioni - di un lungo e prolungato tradimento nei confronti di Pasolini. Tale atto ha volutamente accantonato “l’opera”, fondamento essenziale per scoprire l’uomo. L’indagine pasoliniana ha avuto come culmine e interesse preminente il frainteso problema biografico che, di per sé, non significa nulla, ma che, nel caso pasoliniano, ha costruito vere e proprie devianze critiche. Raramente in uno scrittore italiano, l’opera coincide con la vita come avviene in Pasolini; anzi, in Pasolini, l’opera altro non è che corollario, esegesi e sviluppo autoanalitico 9

della vita stessa. Pasolini si è trasfuso nella sua opera, pro-

ponendo e affidando ad essa il compito di assumere la veste precisa, anche filologicamente, di un diario, nel quale il

percorso dell’esistere trovasse la sua costruzione di carta. In tale ottica lo scrittore ha cercato la forma di una finzione letteraria che potesse immergerlo come dentro una grembalità ritrovata: la parola, in forma di letteratura, è divenuta, per Pasolini, immagine e corpo di una seconda madre, alla quale affidare il peso delle sue contraddizioni, delle sue nostalgie, della sua immutata sete di dialogo.

Mai, Pasolini, per questo, ha voluto e potuto dominare la parola, ma si è da essa lasciato dominare, perché dentro il suo pulsare sillabico si sentiva immerso. La parola ha così costruito il suo imperioso comando, di dolcezza e obbligo, sul genio creativo. Lo scrittore da essa si è lasciato impadronire onde potervi trasfondere il proprio io e la propria sete di realtà. Mai, però, Pasolini ha osato andare oltre, giocare l’estremismo linguistico che sarebbe stato come una dominanza, una sorta di straniamento da quel potere magico e incatenante che la parola inscena su di lui: ha preferito, immerso nelle acque amniotiche della parola, dal suo primo pulsare oracolante, apprenderne il ritmo, percorrerne le costruzioni, smontarne i meccanismi, sia a livello sintattico, sia a livello fonico, sia a livello sociolingui-

stico. Un legame di tale sorta con la parola può dare, in primo luogo, frutti espressivi e semantici legati alla natura sanguigna, alle forme dell’inconscio e ai frammenti del mito. In ordine di valutazione, invece, può solo generarsi nel modello di Narciso, che unicamente tramite se stesso si assume il peso di un giudizio o controlla, continuamente, sul percorso della vita la propria dimensione all’interno del mondo. E questa precisa mimesi che Pasolini ha voluto fosse incarnata tra sé e il sistema linguistico o tra sé e la dimensione creativa: dare alla parola e ai segni comunicabili il principio di sé come origine e come creazione letteraria. 10

Tutto, in tale prospettiva, si presume, quindi, alla stregua di una ripetizione ossessiva di uno stesso tema, quello di un mito arcaico e originario che nutre l’io, lo sostanzia e lo libera dal reticolo delle falsità. Tale mito percorre l’io in maniera fremente: lo incatena e gli restituisce la forza del volo; gli apre la vista sui paesaggi inconsci e getta fuori di sé il bisogno della realtà. L’ossessione non ha, tuttavia, sul percorso della linea encefalica delle sue pulsazioni, il ritmo regolare di una gra-

fia pulsante: sbalza, cerca punte di rabbia, ricade in dolcezze nostalgiche, precipita nel bruciore della nevrosi, si ridesta al fuoco delle utopie, ricrea il suo mito creante sotto altre forme. Si tratta, comunque e sempre, di una ossessione, seppur lucida come percorso; è quella che nutre il sogno di Narciso e il suo bisogno di accondiscendere a un’immagine, ritratta a sé, di realtà, perché solo in tal modo - ovvero istituendo le immagini del reale quali flessioni del sé istituito — effettua la valenza catartica dello specchio. Lo scrittore si può guardare e si può generare come Narciso solo se in sé ha trasfuso l’humus del mondo. Dare rilievo a un interesse biografico, in Pasolini, resta, dunque, un sottile equivoco. Sviluppare tale interesse equivale già a prender atto dell’intera opera che si figura, dalla narrativa alla poesia, dal giornalismo alle forme scritte del teatro, dal cinema alle teorie linguistiche, come il repertorio di un diario, immediato o tessuto negli anni, ma sempre composto di fogli interni, di frammenti di specchio che continuamente la realtà cerca di ricomporre. Non si riescono a capire, del resto, se non in questo senso, i vari tentati-

vi autobiografici che lo scrittore costruisce fin dalle prime prove narrative (Amado mio e Atti impuri) e che investono varie forme: la poesia con // Poeta delle Ceneri, il cinema con Edipo Re, il teatro con Bestia da stile. Il paradosso si pone, quindi, in questi termini: è possibile ricostruire un tessuto biografico se, in primo luogo, per 1l

giungere ad esso, bisogna ricostruire l’indagine sull’opera? E, indagare l’opera, a cosa equivale? In quanto personaggio pubblico Pasolini ha subìto la sorte di chi è stato costretto ad assistere al formarsi di una frattura tra la sua immagine personale e la sua creazione letteraria: l’opera è passata in second’ordine per lasciar spazio al personaggio - che è ben diverso, nel tessuto significante, dal termine “persona” - e, in tal senso, ha dovuto

assistere allo svisceramento del suo corpo pubblico e privato, solo in funzione della sua biografia. La corsa allo “scandaloso”, allo scoop giornalistico e alle interpretazioni personali sul Pasolini personaggio ha ristretto, in questi ultimi anni, il campo d’indagine e l’ha reso nullo: un deserto da attraversare all’orizzonte del quale si intravedono le carcasse di ciò che è stato propugnato in ordine a una presunta sua rivelazione. Proprio dal deserto è forse più facile riallacciare il discorso, ora, su un’integrale lettura pasoliniana, anche se la carcassa scheletrita del ritratto a tema ha precluso, con fe-

rite profonde, la possibilità di districarsi nella forra intima dell’uomo-poeta, dell’uomo-narratore, dell’uomo-provocatore e dell’uomo-regista. Se, però, il punto determinante diviene la persona e, quale base documentaria per l’unica possibilità analitica integrale, si prende l’opera, la prospettiva muta e il districamento, pur se sempre all’insegna dei nodi da sciogliere, risulta formarsi in piena libertà di lavoro.

Del resto, è funzione precipua, atto determinato e deterministico della critica odierna, il bisogno di riallacciare un discorso e un dialogo col Pasolini compagno di viaggio intellettuale e sul Pasolini operante sui termini dei valori. La cultura italiana con il suo bisogno di continue instaurazioni arcadiche e accademiche, entro le quali inserire i propri spazi personali e dar luogo, così, a castelli neobarocchi o post-illuministi se non addirittura neo-edonisti, dopo la 12

scomparsa di Pasolini ha visto calare il vuoto sulle sue possibilità dialettiche. Quali dibattiti intellettuali, se non interni alle stesse arcadie e alle stesse accademie, si sono potuti imbastire? Chi ha avuto il coraggio di imbastirli, propugnarli e considerarli, in una dinamica di vitalità culturale? Sul vuoto che si è creato nella società italiana va ripreso il dialogo con Pasolini, perché in lui è ancora fremente la lezione del Narciso-sovvertitore, la cui sovversione chiama in causa la costante verifica critica sull’applicazione dei valori da parte della società: in tale discorso rientrano anche la natura di tali va/ori e le rispondenze umane che suscitano. Di fronte al vuoto dialettico ci si chiede se il bisogno di una verifica sia scomparso: la cultura è diventata tanto certa di sé, da avere a questione preminente solo la forma letteraria e non il sangue della società, il viscerale comporsi delle nature umane? Il confronto con l’opera di Pasolini non sta, dunque, in un’azione di agiografia e, tanto meno, in una selezione impietosa di risultati stilistici letterari: è una lunga dichiarazione di ipotesi che cercano di essere poste sul tappeto. Il “corpo a corpo” con essa avviene non nel giudizio di merito, ma nella destinazione che le si attribuisce d’essere base

e origine per la permutazione dell’assetto metodologico che, nell’opera, è tracciato. L’opera di Pasolini chiede tali presupposti: che su essa non cada la massificante e grezza, rozza e spettacolare luce del conformismo imperante, privo di vertebre e d’ossa, senza contraddizioni né rabbie, senza dolcezze e senza pentimenti. Pasolini chiede di essere lasciato a parte come personaggio e di ritornare nell’amniotico, profondo torpore del grembo-parola: nelle pagine di chi, insomma, vorrà restituire all’opera non solo un senso globale e una ricognizione specifica - come a noi, qui, accade di fare - ma ne distillerà i metodi, le prospettive e ne produrrà sviluppi critici, viscerali, interiori. L'unica salvezza è che il dialogo abbia come prospettiva una parola e non un museo delle 13

cere, composto da un unico protagonista che, volta a volta, mostra facce diverse e, forse, già per la natura della cera, spettrali.

Nota al testo Il presente lavoro, per le ragioni che sono state sviluppate nella Presentazione, vuole offrire un ampio spazio al capitolo su La fortuna critica. Diversamente non poteva essere, a meno di limitare l’assunto della ricognizione a una mera cavalcata tra i titoli che non avrebbe potuto offrire l’iter delle fortune, delle sfortune e delle occasioni perdute del rapporto tra Pasolini e la critica. Per le stesse ragioni si è voluto avere come compagno di guida lo stesso scrittore, riportando ampie citazioni dalle sue opere e dalle interviste che rilasciò. Tale assunto non è solo vezzo dimostrativo, ma ha l’intento di offrire una testimonianza documentaria che si inserisce nel testo, come forma parallela e implicante. La sezione dedicata alle Opere non si sviluppa in ordine strettamente cronologico, perché si è ritenuto opportuno dar luogo a una sostanziale integrazione tra tematiche coincidenti, nel rimando a confronti, paralleli e modifiche risultanti nel passaggio da un’opera all’altra e rilevati nell’analisi.

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Le figure familiari Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell’incrocio... Un prodotto dell’unità italiana. Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano nel ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma...!

Lui, il padre, si chiama Carlo Alberto Pasolini ed è un ufficiale di carriera dello Stato italiano. Lei, Susanna Colussi, è maestra elementare. Il loro matrimonio non è dei più felici soprattutto a causa di quella che lo scrittore ricorda come « una cattiva intesa » tra i due genitori, anche se sottolinea quanto il padre amasse la madre: di « un amore eccessivo e imperfettamente espresso ». La crisi coniugale insorgerà nel momento in cui questo amore cesserà di essere fondato sulla reciprocità dei sentimenti. Il matrimonio tra i due è celebrato nel dicembre 1921 a Casarsa. Dopo il matrimonio Carlo Alberto e Susanna si trasferiscono a Bologna, dove, il 5 marzo 1922, nasce il primogenito, cui viene dato il nome di Pier Paolo. Parlare comunque di primogenitura non è cor-

retto in quanto, come riferisce Nico Naldini, « un primo figlio, nato clandestinamente durante il lungo fidanzamento, 1 P.P. Pasolini, // sogno del centauro, a cura di Jean Duflot, Editori Riuniti, Roma, 1983, pag. 17.

de

era vissuto solo pochi mesi e la sua scomparsa aveva cancellato lo scandaloso avvenimento anche dalla memoria futura dei figli venuti dopo ».! A Bologna i Pasolini restano poco: nel 1923 si trasferiscono a Parma, poi a Conegliano, a Belluno, a Sacile, a Idria, a Cremona e poi ancora a Bologna e in altre città del Nord-Italia. Annota lo scrittore: Hanno fatto di me un nomade. Passavo da un accampamento all’altro, non avevo un focolare stabile.

L’unico punto fisso, di riferimento, permane quindi Casarsa, dove ogni anno, d’estate, lo scrittore ritorna con la madre. Nel 1925 a Belluno, nasce un nuovo figlio, un altro maschio: Guido. La madre agli occhi di Pier Paolo è bellissima: « piccola, fragile, aveva il collo bianco bianco e i capelli castani ». Lo scrittore ricorda anche di avere di lei, nei primi anni d’infanzia, un « ricordo quasi invisibile » scrive « poi salta fuori improvvisamente verso i tre anni ». Da quel momento tutta la vita di Pier Paolo si muove in simbiosi con lei. Col padre vive una situazione conflittuale, di rifiuto e di ostilità per-

manente. Col fratello Guido, nonostante i frequenti litigi, instaura invece una forte amicizia, consolidata anche dall’ammirazione che il piccolo Guido nutre nei confronti del fratello maggiore, molto bravo a scuola e anche più forte nel gioco.

Gli anni dell’infanzia È ricorrente e ormai classico, nelle biografie pasoliniane, un passo dei “quaderni rossi”, scritti negli anni quaranta e rivelati dal cugino Nico Naldini. Il passo, noto come Teta veleta, rievoca un episodio della primissima infanzia:

! Nico Naldini, Cronistoria, in P.P. Pasolini, Lettere 1940-1954, Einau-

di, Torino, 1986, pag. XIII.

18

Fu a Belluno, avevo poco più di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavo l’essere grande in quel gesto di giovinetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l’intenerimento, l’accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell’irraggiungibile, del carnale - un senso per cui non è stato ancora inventato un nome -. Io lo inventai allora e fu «teta veleta ». Già nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo « teta veleta », qualcosa come un solletico, una seduzione, un’umiliazione.!

L’icona infantile è vissuta nel segno del viaggio e del paesaggio friuliano, ripercorsi da Pasolini in un’estasi incantata: Le rotaie che puntavano drittissime su Casarsa, come su un luogo assoluto dell’universo, correvano in una campagna assolata: la prima campagna del mondo, appena creata. La vedevo per la prima volta in tutta la storia umana. Era una campagna verde ma bruciata, con dei cespugli sotto l’argine della ferrovia, le cui traversine dovevano ardere al sole. Probabilmente poco più in giù, cominciavano le file di gelsi e di vigne, e le macchie dei boschetti lungo le rogge. Ma io non vedevo altro che una grande radura erbosa, bruciante, irta di qualche polveroso cespuglio che arrivava fin sotto la scarpata. E l’odore di quel caldo mi pareva stupendo, come la vita stessa.?

Pier Paolo frequenta le scuole elementari con un anno d’anticipo, prima d’aver compiuto, come di norma, i sei anni. E molto piccolo e ricorda che, « benché stranamente robusto », era anche « minuto di forme ». I primi anni di scuola sono segnati da continui trasferimenti dovuti al lavoro del padre. Ciò non toglie che il bambino possa mostrare già i 1 P.P. 2 P.P. Franco vapore,

Pasolini, in Nico Naldini, Cronistoria, cit., pag. XVI. Pasolini, // treno di Casarsa, in « FMR », n. 28, novembre 1984, Maria Ricci, Milano, pag. 122; poi in AA.VV., Le cattedrali del ivi, Milano, 1985.

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frutti della sua prematura creatività. Del 1928 è l’esordio poetico: Pasolini frequenta la seconda elementare e scrive brevi poesie accompagnate da disegni, su un quadernetto. Ricorda ancora Naldini che in quel periodo il bambino « dice alla madre: “Mamma, quando sarò grande voglio fare il capitano di marina e il poeta” e il padre lo osserva con orgoglio ricordando che nella sua famiglia c’è stato un altro Pier Paolo poeta. Il quadernetto, conservato per tanti anni, andrà perduto durante gli spostamenti del periodo della guerra».!

Altri quadernetti si aggiungeranno al primo: nel bimbo il bisogno di poesia è naturale, intimo. In quegli anni Pasolini legge libri d’avventure e s’infervora per storie di cow-boy e per tutto Salgari. Gli studi continuano: dopo l’esame per il passaggio dalle elementari al ginnasio, si reca tutti i giorni col treno da Sacile a Conegliano. È un treno per pendolari: studenti, impiegati, operai. Pier Paolo, però, segue semprei trasferimenti del padre e quindi, ancora, deve continuamente cambiare scuola. Per sua stessa ammissione il periodo dell’infanzia ha una data precisa in cui concludersi: La mia infanzia finisce a tredici anni. Come tutti: tredici anni è la vecchiaia dell’infanzia, momento perciò di grande saggezza. Era un momento felice della mia vita. Ero stato il più bravo a scuola. Cominciava l’estate del ’34. Finiva un periodo della mia vita, concludevo un’esperienza ed ero pronto a cominciarne un’altra. Questi giorni che hanno preceduto l’estate del ’34 sono stati tra i giorni più belli e gloriosi della mia vita.?

La stagione delle amicizie L’adolescenza del giovane Pasolini trascorre in balia di due ansie esistenziali: da una parte il ragazzo crede in Dio, « con l’intransigenza dei ragazzi »; dall’altra sente «le violenze 1 Nico Naldini, Cronologia, cit., pag. XXII. 2 P.P. Pasolini, in AA.VV., P.P. Pasolini. Una vita futura, Associazione Fondo Pasolini, Garzanti, Milano, 1985.

20

delle prime libidini », e confessa di aver iniziato in quel periodo la pratica dei suoi « atti impuri ». Da tale situazione esistenziale insorge una forma cosciente di peccato: « alla sera prima di dormire » scriverà « facevo penitenza dei peccati che ancora oggi avrei vergogna di confessare ». Pasolini conclude gli studi liceali. Qualche anno prima, a Reggio Emilia, aveva conosciuto Luciano Serra, col quale resterà sempre legato e col quale, insieme con Franco Farolfi, Ermes Parini, Fabio Mauri, darà vita a una specie di gruppo letterario che discute di poesia e di poetica. A diciassette anni si iscrive all’Università, presso la facoltà di Lettere. Nell’ambito universitario si sviluppano i primi grandi incontri del giovane Pasolini, quelli con Roberto Longhi e con Francesco Arcangeli. Prendono corpo anche le prime idee per concretizzare i suoi interessi letterari e artistici. Un primo progetto di rivista, « Eredi », sviluppato nel 1941 con Serra, Leonetti e Roversi, non si realizza a causa delle leggi sul consumo della carta. Ma Pier Paolo non si nega alla collaborazione con « Il Setaccio », il periodico del GIL bolognese: l’esperienza inizia negli ultimi mesi del 1942 per concludersi nel maggio del 1943. In quel periodo Pasolini scrive poesie in dialetto friulano e in lingua italiana, e nel 1942 appare il suo primo volumetto, Poesie a Casarsa, pubblicato da una libreria bolognese. Del libro si occupa, con una recensione pubblicata sul « Corriere del Ticino », Gianfranco Contini. Nel ringraziare l’interessamento, Pasolini parla anche a nome che, come dice, sarebbe « molto più ambiziosa di riconoscimento » di lui, nei riguardi del suo

il critico per della madre e desiderosa lavoro poe-

tico. Quanto agli studi universitari, nell’agosto di quello stesso 1942 Pasolini scrive a Roberto Longhi, professore di Storia dell’ Arte a Bologna e gli chiede una tesi da discutere: quali argomenti propone uno studio «intorno alla “Gioconda ignuda” di Leonardo », oppure uno « sull’odierna pittura italiana, intorno a cui» scrive « possiedo già una preparazione abbastanza approfondita, quasi appassiona21

ta»!. Dopo varie discussioni con Longhi, Pasolini inizia a lavorare a una tesi sull’arte del Novecento da Morandi a De Pisis. Il manoscritto, però, va perduto durante i vari trasferimenti dovuti alla guerra e, alla fine, Pasolini cambia addirittura materia e decide di laurearsi su Pascoli. La tesi, intitolata Antologia della lirica pascoliana (introduzione e commenti) verrà discussa nel 1945. In quegli anni gli interessi letterari del giovane si concretizzano in una rivista, « Stroligut », cui partecipano vari amici friulani e nella formazione di un gruppo di lavoro, composto dagli stessi amici, chiamato « Academiuta di lenga furlana ». L’interesse per il dialetto diviene, a suo modo, in quegli anni, per Pasolini, una sorta di opposizione al fascismo. Scrive egli stesso in un poema autobiografico: Il fascismo non tollerava i dialetti, segni / dell’irrazionale unità di questo paese dove sono nato / inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti. / Per questo quel mio libro non fu recensito nelle riviste ufficiali. / E Gianfranco Contini dovette inviare la sua recensione / (la gioia letteraria, quella più grande della mia vita) / ad un giornale di Lugano.

Il fratello Guido La guerra vede Pier Paolo Pasolini solo per pochi giorni impegnato sotto le armi, a Livorno, nel 1943. L’indomani dell’8 settembre, infatti, Pasolini disobbedisce agli ordini di consegnare le armi ai tedeschi e dopo varie peregrinazioni lungo la penisola riesce a raggiungere il Friuli. Casarsa, però, non è più un paese tranquillo, assediato com’è dai tedeschi e dai bombardieri degli alleati. Perciò Pasolini e la ma! P.P. Pasolini, Lettera a Roberto Longhi, 12 agosto 1942, in Nico Naldini, « Professor Longhi, la prego di scusare i miei dubbi », in « Corriere della sera », 19 luglio 1987. 2 P.P. Pasolini, // Poeta delle Ceneri, a cura di Enzo Siciliano, in « Nuovi Argomenti », n. 67-68, Roma, luglio-dicembre 1980; ora anche in

AA.VV., P.P. Pasolini. Una vita futura, cit.

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dre decidono di recarsi a Versuta, al di là del Tagliamento. In quel piccolo borgo Pasolini insegna materie letterarie ai ragazzi delle prime classi del ginnasio e fa dei suoi interessi letterari di critica e di indagine storica e filologica l’oggetto dei suoi programmi didattici. Il fratello Guido segue strade diverse: fugge sulle montagne come partigiano armato e si arruola nella divisione Osoppo. Nel febbraio 1945 viene ucciso con i suoi compagni da alcuni partigiani italiani legati agli sloveni di Tito che operavano per annettere i territori friulani alla Slovenia. La famiglia saprà del tragico avvenimento molto tempo più tardi, a guerra conclusa. Pier Paolo avrebbe poi sempre rivissuto in sé la figura del fratello, recuperandola in un’aura di luce. Scrive in proposito: Spesso penso al tratto di strada tra Musi e Porzus percorso da mio fratello in quel giorno tremendo, e la mia immaginazione è fatta radiosa da non so che candore ardente di nevi, da che purezza di cielo. E la persona di Guido è così viva.

La scoperta della Storia Nel dopoguerra,

si stabilisce definitivamente

in

Friuli dove insegna nella scuola media di Valvassone,

Pasolini

un

paese della provincia di Udine. Nel 1947 si iscrive al PCI e l’iscrizione al partito segna l’inizio del suo impegno politico e della sua partecipazione ai dibattiti pubblici sul problema della disoccupazione dei braccianti della sua terra. A quello stesso anno risale anche l’inizio dell’amicizia con Silvana Mauri, con la quale Pasolini avrà un lungo rapporto epistolare, intessuto sulle corde di una confidenza così stretta che egli non esita a rivelare alla ragazza il dramma della sua omosessualità. L’omosessualità è anche il tema dei romanzi Amado mio e Atti impuri che lo scrittore va elaborando in quel periodo, insieme a // sogno di una cosa che si incentra, invece, sull’impegno politico e sul mondo rurale friulano. AI giovane intellettuale non mancano le collaborazioni a 23

importanti riviste a livello nazionale e frequenti sono anche gli interventi sulla sua poesia: tra essi ricordiamo quello di Giorgio Caproni che gli dedica alcune pagine di critica benevola. L’apparente felicità friulana di quegli anni è rotta da una denuncia per « corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico » che viene inoltrata nell’ottobre 1949 nei confronti del giovane professore della scuola di Valvassone. Tutto era accaduto in una sera dell’estate appena trascorsa. A Ramuscello, una frazione di San Vito al Tagliamento, Pasolini si era appartato con due o tre ragazzi. La cosa si era venuta a sapere e anche se i genitori dei ragazzi non avevano voluto far nulla contro di lui, finisce a conoscenza dei Carabinieri e della Pretura. La posizione di Pasolini, aggravata dal suo ruolo di intellettuale comunista e anticlericale, diviene l’esca per varie strumentalizzazioni ideologiche. Il risultato dell’accesa campagna stampa che viene imbastita per l’occasione è l’allontanamento di Pasolini dall’insegnamento e la sua espulsione dal PCI, con la motivazione di « indegnità morale e politica ». Preso nel frangente di uno scandalo pubblico che rischia di travolgerlo definitivamente, Pasolini prende quella che poi avrebbe definito «la decisione più importante della sua vita »: decide, infatti, di andare a Roma. Scriverà in proposito: Fuggii con mia madre e una valigia e un po” di gioie che risultarono false, / su un treno lento come un merci, / per la pianura friulana coperta da un leggero e duro strato di neve. / Andavamo verso Roma. / Andavamo dunque, abbandonato mio padre / accanto a una stufetta di poveri, / col suo vecchio pastrano militare / e le sue orrende furie di malato di cirrosi e sindromi paranoidee. / Ho vissuto quella / pagina di romanzo, l’unica della mia vita: /per il resto, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso.!

1 P.P. Pasolini, // Poeta delle Ceneri, cit.

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I primi anni romani All’inizio degli anni cinquanta Pasolini è a Roma, la Roma dei poveri, che si batte, povero lui stesso, contro la miseria e contro una vita quanto mai dura. La madre è costretta a fare la domestica; lui, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce da anni, per pudore, cerca da solo di trovarsi un lavoro. Tenta col cinema e, aiutato da Ennio De Concini, ottiene una parte di generico a Cinecittà; fa il correttore di bozze e arriva, per racimolare pochi soldi, a vendere i suoi libri alle bancarelle. Tutto questo affaticarsi dura fino a che trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino. Il dramma di tante difficoltà sarà sempre presente in lui, anche negli anni a venire: Era un periodo tremendo della mia vita. Giunto a Roma dalla lontana campagna friulana; disoccupato per molti anni; ignorato da tutti; divorato dal terrore interno di non essere come la vita voleva; occupato a lavorare accanitamente a studi pesanti e complicati; incapace di scrivere se non ripetendomi in un mondo ch’era cambiato. Non vorrei mai rinascere per non rivivere quei due o tre anni... Finalmente, dunque, avevo trovato un lavoro, che mi veniva pagato venticinquemila lire al mese: io, felice, disperato, ogni mattina affrontavo il lungo viaggio, che si concludeva a pomeriggio avanzato, sotto il sole che ormai cominciava a declinare sulle infinite, tremende periferie.!

Pasolini in quegli anni sta preparando le antologie sulla poesia dialettale e sulla poesia popolare che usciranno da Guanda, a Parma. Collabora anche a « Paragone » la rivista di Anna Banti e Roberto Longhi che, in quegli anni, annovera tra i collaboratori intellettuali che il tempo designerà come i migliori autori della generazione di Pasolini: Giovanni Testori, Alberto Arbasino, Carlo Cassola e Manlio Cancogni. E, proprio su « Paragone », Pasolini pubblica la prima versione del primo capitolo di Ragazzi di vita. Poi, Angioletti lo chiama per un incarico di prestigio, 1 P.P. Pasolini, // treno di Casarsa, cit., pag. 124.

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quello di far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cattaneo. Gli anni duri sembrano definitivamente passati e aumentano, per Pasolini, le richieste di collaborazione a riviste letterarie importanti. Perciò, nel 1954 Pasolini prende la decisione di abbandonare l’insegnamento e di stabilirsi a Monteverde Vecchio. Pubblica anche il suo primo volume importante, le poesie dialettali di La meglio gioventù. L’editore è Sansoni, di Firenze.

Iromanzi, le denunce Con Ragazzi di vita, che viene pubblicato da Garzanti nel 1955 e gli procura un inatteso successo e la notorietà, ricominciano per Pasolini le polemiche, anzi gli ostracismi ideologici. La critica marxista gli è ostile, ma il fatto più grave è la denuncia! per oscenità che porterà il libro in tribunale. Stessa sorte toccherà a Una vita violenta, pubblicato, sem-

pre da Garzanti, nel 1959. La critica marxista, in questo caso, però, si dimostra favorevole. Dello stesso parere non è “la base” che intesse una polemica attraverso una lettera, pubblicata su « Rinascita », in cui si lamentano le « troppe volgarità e oscenità della più bassa specie » contenute nell’opera. La cosa è aggravata dal fatto che ciò viene visto dallo scrittore come prerogativa del « mondo della povera gente ». In quegli anni, insomma, è un continuo succedersi di “scandali” che portano il nome di Pier Paolo Pasolini addirittura sulle colonne di “nera” dei quotidiani. Nel novembre 1961, infatti, Pasolini deve rispondere davanti alla seconda sezione del tribunale di Roma di favoreggiamento, con altre persone accusate di rissa e furto. Il fatto si riferisce a un an1 Per quanto riguarda le denunce cui è stato oggetto l’uomo e l’opera di Pasolini si rimanda, nel dettaglio, a: AA.VV., P.P. Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano, 1977.

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no e mezzo prima. Nella sua difesa, alla domanda su come mai sl trovasse sul posto del “crimine”, Pasolini così si difende: Facevo una passeggiata per raccogliere le impressioni sull’ambiente destinato a fare da sfondo a un’opera letteraria che dovevo scrivere.

L’episodio viene ingigantito e fatto oggetto di pura scandalistica, tanto che il settimanale « Gente » titola il suo servizio “Il ragazzo di vita l’ha fatta troppo grossa”. Si replica un anno dopo, nel 1962, quando lo scrittore viene processato per l’accusa di rapina a mano armata ai danni di un piccolo bar, vicino a un distributore di benzina dalle parti di San Felice Circeo. È il ragazzo del bar ad accusarlo. Effettivamente Pasolini si è recato in quel luogo e le circostanze sono quelle descritte dal ragazzo, ma non ha assolutamente commesso la parte delittuosa della scena. Non è dello stesso parere il giudice che ad un simile reato reputa di dover dare più importanza del dovuto, al punto che ordina una perizia psichiatrica, firmata da Aldo Semerari, dalla quale risulta che il « Pasolini è omosessuale e skeptofilo... è un soggetto dagli istinti profondamente tarati e con grossolani radicali di insicurezza ». Al processo non convincono né la tesi del ragazzo, né quella di Pasolini. Gli echi sono profondi. La cultura di destra cerca di approfittare dell’occasione per scagliarsi contro Pasolini. « La Notte » lo definisce « personaggio di cronaca nera »; « Il Borghese » lo trova un « cantore del sordido, del maleodorante... un giovane squallido...», le cui «parole di cartapesta » divengono segno « della finzione dell’equilibrista e del furbacchione ». Solo la stampa comunista prende le sue difese, e « Rinascita » parla « della persecuzione alla quale da tempo Pier Paolo Pasolini è sottoposto ». Nel 1961, dopo essere rimasto fermo per tempo, senza ottenere il nulla osta della censura, il primo film di Pasolini, Accattone, viene eccezionalmente giudicato « Vietato ai minori di diciotto anni ». Presentato alla XXII Mostra del Ci277

nema di Venezia suscita non poche polemiche. Toccherà invece a La ricotta, un episodio del film Ragopag, nel 1963, di essere condannato per « vilipendio della religione di stato ». Il Pubblico Ministero che chiede e ottiene quella sentenza si chiama Giuseppe Di Gennaro. Così, a distanza di tempo, Di Gennaro giudicò il suo operato: Giudico quella sentenza giusta e ritengo che, nelle stesse circostanze, dovrebbe ancora essere data oggi. Per quanto riguarda quel processo, in particolare, devo ricordare che Pasolini in quel momento rappresentava —- nella stagnazione della cultura italiana —- un’espressione di particolare vivacità e di significato veramente eccezionale. Quindi era seguito con grande attenzione da tutti, da quelli che andavano allora per la maggiore anche come persone colte - un po’ l’establishment, l’intelligenza culturale era con lui. Mentre, dall’altra parte, la cultura tradizionale, specialmente quella di derivazione cattolica, era praticamente inesistente o, addirittura, direi intimidita dalla presenza di Pasolini che indubbiamente, al confronto, era un gigante.

L’attenzione di cui parla Di Gennaro deriva dal fatto che, nonostante il successo ottenuto, il lavoro di Pasolini sulla “realtà” si esprime in varie forme e cerca di introdurre nel suo iter di gestazione il “dialogo”. Gli anni tra il cinquanta e il sessanta vedono Pasolini impegnato nella rivista « Officina » accanto a Leonetti, Roversi, Fortini, Romanò, Scalia. Nel 1957 egli aveva pubblicato i poemetti Le ceneri di Gramsci presso Garzanti, e l’anno dopo aveva dato alle stampe, da Longanesi, L’usignolo della Chiesa Cattolica. Nel 1961 esce un altro volume di versi, da Garzanti, La religione del mio tempo. Nel 1960, sempre da Garzanti, escono i saggi Passione e ideologia. Accanto ai temi foschi di una “narrativa d’appendice”, quali erano giudicati i temi dei suoi romanzi dai suoi oppositori politici, Pasolini dimostra a chiare lettere che le prove narrative non erano vocazione al verismo o a un neorealismo rivisitato e corretto, ma che è determinante il ruolo espressivo di letture

precise e attente del fenomeno storico che lo scrittore deve, 28

ner forza di cose, non negare, ma far parte di sé attingendo alla sua realtà viva.

Alla ricerca del « cinema di poesia » Già nel 1957 Pasolini, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini Le notti di Cabiria e ne stende i dialoghi nella parlata romana. È, comunque, grazie al grande sviluppo del cinema italiano di quegli anni che le occasionali collaborazioni di Pasolini col mezzo cinematografico diventano assidue presenze. Egli firma infatti sceneggiature e soggetti insieme a Mauro Bolognini, Franco Rosi, Florestano Vancini e Carlo Lizzani, col quale esordisce anche come attore nel film // gobbo del 1960. Collabora anche con Ennio De Concini che di lui poi scriverà: Devo dire che Pier Paolo va molto elogiato come sceneggiatore; aveva delle doti eccezionali, era rapidissimo, capacissimo di intuire subito, rapidamente... Io di solito lavoro di notte e Pier Paolo anche lui, anzi era capace di fare tutto in una notte. Ad esempio, per La lunga notte del ’43, ci dividemmo il lavoro: il primo tempo a me, il secondo tempo a lui. Dopo due o tre giorni è arrivato con il secondo tempo

già fatto. Veramente un talento eccezionale.!

Nel 1961 Pasolini esordisce come regista con Accattone. Non smette comunque di scrivere sceneggiature, come dimostra il fatto che collaborò con registi allora esordienti come Bernardo Bertolucci. Da quell’anno l’attività cinematografica di Pasolini, fino alla morte, è molto intensa. Pasolini realizza quasi un film all’anno e ogni film è seguito da polemiche, sequestri e censure. Da Mamma Roma a Il vangelo secondo Matteo, da Uccellacci e Uccellini a Teorema, Porcile, Medea alla “trilogia” composta dal Decameron, I rac-

1 Ennio De Concini, in AA.VV., Manzoni sullo schermo. Atti del convegno, Comune di Lecco, 1986.

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conti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte, fino a Salò o le centoventi giornate di Sodoma i film di Pasolini non sono mai passati inosservati: i rapporti con gli attori scelti e gli stessi temi dei film portano spesso l’autore a 0ccupare, oltre alle pagine di spettacolo dei quotidiani, le crenache rosa dei settimanali popolari, come succede tra il 1969 e il 1970 quando sta girando il film Medea con Maria Callas; le foto ritraggono regista e attrice mentre si baciano affettuosamente e subito si parla di “grande amore”. Sul rapporto tra Pasolini e Maria Callas e, in generale, sull’atteggiamento di Pasolini nei confronti degli amici che chiamava a interpretare i suoi film, è interessante la testimonianza di Francesco Leonetti, sodale dello scrittore friulano fin dai tempi dell’Università a Bologna: La fisicità o la presenza di Maria Callas rimane immaginabile a rivedere Medea, il film di Pierpaolo Pasolini. Perso-

nalmente io sono stato a lavorare sul set di Pasolini quattro o cinque volte: per dare la mia “voce” al Corvo petulante e dotto del film Uccellacci e uccellini e poi recitando con Laura Betti, Adriana Asti, Totò, Franchi, Davoli, Citti, Julian Beck, Carmelo Bene, Alida Valli. Non ero presente quando ci fu Maria Callas. So bene come Pierpaolo agiva con delicatezza nei suoi suggerimenti, per rendere consapevole l’attore e poi lasciarlo libero. Aveva ragione Pierpaolo di immettere la Callas nel passato antropologico, nella preistoria, nel mito magico greco (quando gli incesti erano praticati). Lei è stata in Medea un’eccezionale attrice. Del loro rapporto personale così dolce Pierpaolo (di cui sono stato molto amico fin dai venti anni, facendo poi insieme una rivista di letteratura) mi accennò una volta; e a me parve di poter cogliere un riferimento a una certa somiglianza con sua madre. Ciò vuol dire molto per Pasolini particolarmente come “diverso”. Conoscevo bene la madre di Pierpaolo in casa loro: Susanna era sensibilissima, mite, colta e discreta, forte, con viso contadino e aristocratico insieme.!

Il cinema diviene anche l’occasione per lunghi viaggi e, quindi, per la conoscenza di vari aspetti di un mondo mitico che in Pasolini è destinato a sostituire « lo squallore della ! Francesco Leonetti, Dieci anni fa la sua voce entrò nella storia, in « Sette », supplemento del « Corriere della sera », 19 settembre 1987.

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nostra società degradata e imbarbarita ». Così, nel 1961, con Elsa Morante e Moravia Pasolini visita l'India, nel 1962 il Sudan e il Kenia, nel 1963 il Ghana, la Nigeria, la Guinea, Israele e la Giordania (di cui parlerà nella raccolta Poesie in forma di rosa del 1964 e da cui ricaverà un documentario Sopralluoghi in Palestina). Nel 1966, in occasione del Festival di New York, dove presenta Accattone e Uccellacci e uccellini, compie il suo primo viaggio in America e resta affascinato dalla metropoli. Oriana Fallaci così si rivolge al poeta, ricordando i suoi viaggi americani: Ricordi, vero, quei giorni

a New York. Venivi nel mio ap-

partamento, sedevi sul vecchio divano, chiedevi una Coca Cola (non ti ho mai visto ubriaco) e mi raccontavi di amare

New York perché era sporca, senz'anima. Di quella città straordinaria vedevi soltanto la miseria morale, da ex-colonia dicevi, da sottoproletariato, e una povertà che paragonavi alla povertà di Calcutta, Casablanca, Bombay. Un pomeriggio esclamasti: « Mi dispiace di non esser venuto qui prima, venti o trent’anni fa, per restarci. Non mi era mai successo d’innamorarmi così di un paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare, per non ammazzarmi. Sì, l’Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti. New York invece è una guerra che affronti per ammazzati ».!

Nel 1968 Pasolini ritorna in India per un documentario su quel paese, e nel 1970 riprende la strada dell’Africa, con tappe in Uganda e Tanzania: ne nascerà un documentario, Appunti per un’Orestiade africana, che propone una serie di sopralluoghi per la trasposizione della tragedia di Eschilo nel cuore del mondo “nero”. AI cinema, in questo periodo, Pasolini dedica anche studi teorici e partecipa a dibattiti in cui sostiene le sue tesi interpretative. Al Festival del Cinema di Pesaro, nel 1965, al quale, tra gli altri, partecipa il francese Roland Barthes, lo

1 Oriana Fallaci, Lettera a Pier Paolo, in « Europeo », 14 novembre 1975; ora anche in AA.VV., Dedicato a P.P. Pasolini, Gammalibri, Milano, 1976.

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scrittore tiene una relazione incentrata sulla teorizzazione del Cinema di poesia. Gli interventi teorici di Pasolini sul cinema saranno raccolti in Empirismo eretico, un volume del 1972, di cui formanola parte più consistente.

Lo scrittore “corsaro” Nel 1968, anno della contestazione giovanile, Pasolini si affianca ad altri intellettuali nel tentativo di boicottare le « istituzioni borghesi », come il Premio Strega, dal quale ritira il romanzo Teorema. Nello stesso anno Pasolini, invitato da Luigi Chiarini, è presente alla XXIX Mostra del cinema di Venezia dove, come gli è stato garantito, non ci saranno né votazioni né premiazioni. Il 4 settembre si proietta, per la critica, il suo film Teorema, in un clima già arroventato dalle contestazioni. Pasolini invita i critici a disertare la proiezione, ma l’invito non viene accolto. Segue una conferenzastampa in cui volano accuse reciproche tra scrittore e critici, sugli atteggiamenti contraddittori che lo scrittore-regista ha tenuto nei suoi interventi. Nel frattempo Pasolini emette un durissimo giudizio sulla contestazione giovanile nella poesia // PCI ai giovani, composta all’indomani dei fatti di Valle Giulia e destinata a « Nuovi Argomenti» ma anticipata, a sua insaputa, su « L’Espresso ». Nella contestazione dei giovani di quegli anni, infatti, Pasolini non trova una vera motivazione, ma vede solo una sorta di “guerra civile” perpetuata dallo spirito borghese: La borghesia sta trionfando, sta rendendo borghesi gli operai, da una parte, e i contadini ex coloniali, dall’altra. Insomma, attraverso il neocapitalismo, la borghesia sta diventando la condizione umana. Chi è nato in questa entropia, non può in nessun modo, metafisicamente, esserne fuori. È finita. Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé chel’entropia borghese.! ! P.P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972, pag. 158.

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Qualche anno più tardi, nel 1972, pur non abiurando le idee espresse sui giovani nel ’68, Pasolini decide di collaborare con un gruppo di giovani compagni di Lotta Continua, tra cui Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, che firmano il soggetto e la sceneggiatura, al documentario /2 dicembre. Pasolini accetta perché ritiene che « la tensione rivoluzionaria reale - la stessa dei lontani ’44 o ’45 - sia vissuta oggi dalle minoranze di estrema sinistra ». Il lavoro “alternativo” ha come oggetto la strage del 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano e, oltre a interviste sul caso Pinelli, racconta con immagini le tensioni di quell’“autunno caldo”. Il documento è un chiaro esempio di cinema militante, un’altra dimensione espressiva sperimentata da Pasolini. Nei primi anni settanta, lo scrittore diventa definitivamente non solo un personaggio pubblico, ma anche un personaggio popolare, grazie agli scandali e al successo che riscuotono i suoi film, dal Decameron in poi. Il regista stesso li ha definiti « film abbastanza facili », realizzati per opporre al presente consumistico un passato recentissimo dove il corpo umano e i rapporti umani erano ancora reali, benché arcaici, benché preistorici, benché rozzi.

In essi Pasolini trova anche il pretesto per « una battaglia per la libertà sessuale,... una battaglia dei progressisti ». Parallelamente, lo scrittore non trascurerà la sua azione controcorrente di intervento civile. L’intento è quello di attaccare il nuovo consumismo, colpevole di una omologazione culturale che, appiattendo e distruggendo i valori, genera violenza e malessere esistenziale. Quale sede per i suoi interventi, Pasolini sceglie il quotidiano più diffuso e prestigioso di quegli anni, il « Corriere della sera ». La collaborazione inizia nel gennaio 1973 e i suoi interventi, che toccano via via i problemi della vita nazionale, l’assetto politico e la chiesa, suscitano dibattiti e polemiche di vario genere e natura, sia sulle colonne dello stesso giornale, sia in sede orale, a contatto con il pubblico. Nel 1970 Pasolini acquista nell’Alto Lazio la torre di 33

Chia, ovvero quello che resta di un castello medievale, dalle

parti di Viterbo, con l’intento di rifugiarvisi e vivere in solitudine, in quello che definisce il paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri.!

Adatta infatti la costruzione ad abitazione, con lavori di restauro, e dal 1972 vi si reca per dipingere e per riposare. Sarà nella torre di Chia che lo scrittore inizierà a sviluppare il progetto del romanzo Petrolio, un’opera imponente, alme-

no negli intenti, rimasta incompiuta. Nel 1975 Pasolini raccoglie in volume gli articoli di intervento civile sotto il titolo Scritti corsari, dà alle stampe una sceneggiatura inedita, risalente ai primi anni sessanta, // padre selvaggio e ripropone le poesie friulane in una curiosa rivisitazione, sotto il titolo La nuova gioventù. Gira anche il film Salò o le centoventi giornate di Sodoma, una elegia disperata e tragica in cui afferma di aver usato il sesso come qualcosa di terribile,... metafora di quello che Marx chiama la mercificazione del corpo, l'alienazione del corpo.

Il film, ora, appare quasi una dolente premonizione della tragedia personale dell’autore. Sottolinea in proposito il poeta friulano Biagio Marin: Pare incredibile, ma le nostre generazioni, dopo i tempi e le opere dello Shakespeare, hanno perduto il senso della tragedia. Non si sa neanche che cosa voglia dire una vita tragica; questo perché la razionalità moderna, e anche il benessere, hanno eliminato quasi dal mondo quelle contraddizioni e quelle spaccature nelle quali l’uomo, abbattendosi, veniva rotto. Si è parlato e si è scritto molto della persona e dell’opera di Pier Paolo Pasolini ma, forse, il problema di porlo, con la sua vita e la sua opera, nella mortale contraddi-

1 P.P. Pasolini, // Poeta delle Ceneri, cit.

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zione della sua tragedia, non lo si è ancora né impostato né risolto.!

Rimane, a conclusione, l’enigma di una sera d’autunno, di un giorno dei morti su una terra nuda e desolata, lacerata nel segno della violenza.

La morte

La mattina del 2 novembre 1975, a Roma, nella zona dell’Idroscalo, in uno sterrato tra baracche e orti viene ritrovato un corpo squarciato e leso, tutto insanguinato, col volto deformato. È una popolana, Maria Teresa Lollobrigida a fare la scoperta, alle prime luci dell’alba. Al primo momento, da lontano, crede sia immondizia, poi la dura realtà le si rivela: è il corpo di un uomo che la Lollobrigida così descrive: Aveva la testa fracassata. I capelli impastati di sangue. Stava a faccia in giù, con le mani sotto. Era vestito male. Aveva una canottiera verde a maniche corte, un blue jeans macchiato di grasso di macchina, stivaletti marrone alti fino alla caviglia, una cintura marrone.

Lo riconosce l’amico Ninetto Davoli: è Pier Paolo Pasolini. Nella notte un nucleo mobile dei carabinieri aveva fermato un giovane, Giuseppe Pelosi, detto “Pino la Rana”, a bordo di una Giulia 2000 Alfa Romeo che era risultata di proprietà dello scrittore. I due fatti coincidono e il ragazzo, di fronte all'evidenza, è costretto a confessare di essere l’assassino dello scrittore. Pasolini lo ha incontrato alla Stazione Centrale e ha combinato un incontro. Il Pelosi è salito nell’auto dello scrittore, e i due si sono recati prima in una trattoria, perché il ragazzo aveva fame e poi hanno raggiunto un campetto dell’Idroscalo. Il Pelosi afferma che lo scrittore gli avrebbe chie1 Biagio Marin, Amava tanto la madre che solo lei aveva un’anima, in « Il Sabato », 11 dicembre 1982; ora in B.M., Fame di Dio. Lettere e ricordi, a cura di Fulvio Panzeri, La Locusta, Vicenza, 1987.

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sto prestazioni sessuali alle quali egli non voleva accondiscendere. Pasolini allora l’avrebbe aggredito e lui avrebbe reagito. La confessione e la condanna del ragazzo non risolvono comunque i misteri su quella notte all’Idroscalo. Molti indizi (oggetti non appartenenti né a Pasolini né a Pelosi trovati sulla Giulia 2000; un misterioso anello del Pelosi trovato accanto al cadavere; impronte di scarpe, rilevate dalla polizia scientifica, non attribuibili né alla vittima né all’assassino) fanno presupporre il concorso di terzi nell’aggressione. Si ipotizza anche un agguato a scopo “politico” per liquidare il polemista che dalle colonne del « Corriere della sera », senza remore accusa l’inefficienza del Potere e le efferatezze dei “nuovi” ragazzi di vita. Anche la sentenza del processo Pelosi, pur condannando il ragazzo, non chiarisce definitivamente le circostanze e le eventuali complicità di quella notte di novembre, tra sabato e domenica. Il corpo di Pier Paolo Pasolini viene sepolto nell’amato Friuli materno, nel paese delle estati felici e rifulgenti di una luce smeraldina di purezza. Scrive Naldini: Per qualche tempo la cassa di legno contenente i resti di Pasolini è stata chiusa in un loculo del recinto nord-ovest del cimitero di Casarsa. Dopo è stata interrata vicino all’ingresso principale, a sinistra di chi entra. Gli è accanto sua madre Susanna Colussi a pochi passi lontano nella fila antistante Giannina Colussi, sorella di Susanna.!

1 Nico Naldini, Nei campi del Friuli (La giovinezza di Pasolini), All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1984, pag. 64.

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