Cultural Landscapes: Metodi, strumenti e analisi del paesaggio fra archeologia, geologia, e storia in contesti di studio del Lazio e della Basilicata (Italia) 9781407312668, 9781407342320

The ninth volume of Notebooks on Medieval Topography (Documentary and field research), gives much input into research ab

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Cultural Landscapes: Metodi, strumenti e analisi del paesaggio fra archeologia, geologia, e storia in contesti di studio del Lazio e della Basilicata (Italia)
 9781407312668, 9781407342320

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Copyright
NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY
INDICE GENERALE
Gli autori dei contributi, in ordine alfabetico
INTRODUZIONE
Parte I. Cultural landscapes: l’inquadramento nella ricerca multidisciplinare
CAPITOLO I. KULTURLANDSCHAFT, CULTURAL LANDSCAPE, PAYSAGE CULTUREL, PAESAGGIO CULTURALE
CAPITOLO II. IL PAESAGGIO CULTURALE ATTRAVERSO LA LETTURA DELLE CARTE TOPOGRAFICHE E LA GEOMORFOLOGIA
CAPITOLO III. USO DEL SUOLO ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO NELLE RAPPRESENTAZIONI ARTISTICHE
CAPITOLO IV. IL PAESAGGIO CULTURALE NEL DOCUMENTARIO
CAPITOLO V. FOTOGRAFARE I PAESAGGI
CAPITOLO VI. NUOVI METODI E TECNOLOGIE PER LO STUDIO DEL PAESAGGIO
CAPITOLO VII. IL PAESAGGIO CULTURALE COME PROGETTO
Parte II. Cultural landscapes, molteplicità di fonti ed analisi: la Basilicata (Italia)
CAPITOLO I. PAESAGGIO, STRUTTURE RURALI E ARCHITETTURA POPOLARE NELLE PROVINCE DI POTENZA E MATERA
CAPITOLO II. PAESAGGIO E STRUTTURE DELL’ACQUA: ARCHEOLOGIA E ARCHITETTURA DEI MULINI
CAPITOLO III. PAESAGGIO E ARTE: ARCHEOLOGIA, ARCHITETTURA E TERRITORIO NELLE RAPPRESENTAZIONI STORICO-ARTISTICHE
Capitolo IV. PAESAGGIO E LETTERATURA: DESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE DEL PAESAGGIO ATTRAVERSO LEFONTI LETTERARIE
Capitolo V. PATRIMONIO GEOLOGICO, GEODIVERSITÀ E PAESAGGIO: STRATEGIE DI CONSERVAZIONE, TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Capitolo VI. PAESAGGIO E CINEMA IN BASILICATA
CAPITOLO VII. PAESAGGIO TRA ARCHEOLOGIA E AMBIENTE: L’INTEGRAZIONE DELLA COMPONENTE CULTURALE NELLE SCHEDE DELLA RETE NATURA 2000 BASILICATA
CAPITOLO VIII. IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA E DELLA RURALITA’ PER LA VALORIZZAZIONE E LA SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO
Parte III. Cultural landscapes: il paesaggio agrario di Monte Romano (Viterbo, Italia)
CAPITOLO I. TOPOGRAFIA E STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO, PER UNO SVILUPPO ECONOMICO
CAPITOLO II. UN’ESPERIENZA PROGETTUALE: DAL MUSEO AL PARCO DEL PAESAGGIO AGRARIO
CAPITOLO III. THE RURAL LANDSCAPE OF MONTE ROMANO: HISTORY AND TOPOGRAPHY
Parte IV. Forme e infrastrutture per l’allevamento stanziale e latransumanza nel Medioevo: i territori di Corneto(Tarquinia) e Tuscania nel XV Secolo (Viterbo, Italia)
CAPITOLO I. ALLEVAMENTO E AGRICOLTURA: TRA CONVIVENZA E CONFLITTO
CAPITOLO II. LA PROVINCIA DEL PATRIMONIO E LA DOGANA DEI PASCOLI
CAPITOLO III. ALLEVAMENTO TRANSUMANTE E ALLEVAMENTO STANZIALE: ASPETTI DI UN CONFLITTO
CAPITOLO IV. LE RAZZE BOVINE PRESENTI SUI PASCOLI DELLA MAREMMA NEL QUATTROCENTO
CAPITOLO V. LA DOCUMENTAZIONE D’ARCHIVIO
CAPITOLO VI. DALLA RICERCA D’ARCHIVIO AL LAVORO SUL CAMPO: LA CATALOGAZIONE DEI FONTANILI (SECOLI XV-XX)
Parte IV. Fonti e bibliografia
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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Notebooks on Medieval Topography 9 (Documentary and field research) Edited by Stefano del Lungo

Cultural Landscapes Metodi, strumenti e analisi del paesaggio fra archeologia, geologia, e storia in contesti di studio del Lazio e della Basilicata (Italia) a cura di

Germano Gabrielli Maurizio Lazzari Canio Alfieri Sabia Stefano Del Lungo

BAR International Series 2629 2014

ISBN 9781407312668 paperback ISBN 9781407342320 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407312668 A catalogue record for this book is available from the British Library

BAR

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NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY Il nono volume della collana dei NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY (Documentary and field research), compresa nella più ampia produzione dei British Archaeological Reports, affronta il tema del Paesaggio Culturale. Il Lazio (Monte Romano; Viterbo) e la Basilicata (province di Potenza e di Matera) sono i territori italiani scelti per mettere a punto e applicare metodi, strumenti e analisi traendo dalla geologia, dall’archeologia, dalla storia, dall’agronomia, dalla storia dell’arte, dall’ingegneria, dall’architettura, dalla letteratura, dalla fotografia specialistica e dal cinema gli spunti necessari ad una migliore lettura del paesaggio culturale, ossia lo Spazio considerato attraverso il Tempo e l’azione dell’Uomo. In Basilicata l’attenzione è rivolta quasi all’intera regione, con alcuni approfondimenti soprattutto nei settori settentrionale e centro-orientale (beni artistici ed architettonici). Per il Lazio gli sforzi si sono concentrati sul borgo rurale di Monte Romano ed il suo territorio, ricostruendo e seguendo nei secoli, dall’epoca romana (III secolo a. C.) all’età contemporanea, l’evoluzione del paesaggio. L’ultima parte è dedicata ad un approfondimento della condizione delle campagne attraversate dal Marta tra Tuscania e Corneto (Tarquinia) nei secoli XV e XVI, con il ripresentarsi in forme organizzate dell’allevamento e la definitiva affermazione di una razza podolica (la Maremmana). Unendo la raccolta bibliografica, il recupero di documentazione d’archivio inedita e la verifica sul campo, condotta senza tralasciare nessun aspetto (vedasi ad esempio la catalogazione dei fontanili), il Paesaggio Culturale è stato approfondito con prospettive diverse, anche quelle apparentemente meno attinenti (dall’allevamento del bestiame alle colture agroalimentari). La ricerca, mostrata in un ventaglio di possibilità abbastanza ampio, vuole essere di stimolo a quanti si cimentano in una materia così complessa ed articolata qual’è il ‘paesaggio’ nella sua accezione ‘culturale’, e al tempo stesso intende respingere il tentativo di appropriazione esclusiva messo a segno da tante discipline, a scapito di un’effettiva collaborazione e condivisione nel rispetto reciproco. Sia il marchio sia il titolo sono stati creati appositamente da Stefano Del Lungo, l’editore di questa serie (e-mail: [email protected]); c/o BAR Publishing, 122 Banbury Road, Oxford, OX2 7BP, England; Tel +44 (0)1865 310431; email: [email protected]. Lo scopo di tali ‘blocchetti per appunti’ è la costituzione di una sede nella quale possano trovare rapida divulgazione i lavori di ricerca (in Italiano, Inglese, Tedesco, Francese e Spagnolo) maggiormente meritevoli sul piano scientifico (siano essi monografie, opere di autori vari e resoconti di convegni), mettendo a punto una serie di strumenti di agevole consultazione ed utilizzo per lo sviluppo degli studi topografici. La Topografia è una disciplina archeologica che, rispetto allo scavo, si pone in funzione propedeutica, integrando il recupero, la lettura e l’analisi dei documenti d’archivio (pergamene, mappe, note, disegni) alla verifica sul campo dei dati ottenuti. Le sono pertanto complementari la cartografia storica, la toponomastica, l’archeologia del paesaggio nelle sue diverse sfaccettature, la fotointerpretazione e qualunque altro ambito del Sapere aiuti a comprendere i diversi segni ed oggetti lasciatici da uomini e culture del passato. La ricognizione di superficie costituisce un primo strumento di verifica nella realtà di quanto raccolto altrove, con tutti i cambiamenti che il territorio oggetto dell’indagine possa avere conosciuto nel tempo. The ninth volume of NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY (Documentary and field research), a series within British Archaeological Reports, gives much input into research about Cultural Landscape. Latium (Monte Romano; Viterbo), and Basilicata (provinces of Potenza and Matera) are the Italian lands chosen to which methods, instruments and analyses, have been applied. Research from geology, archaeology, history, agronomy, history of art, engineering, architecture, literature, photography and cinema have all been used to contribute to a better analysis of Cultural Landcsape, i.e. the Space affected by Time and Human action. The whole area of Basilicata has been studied, especially the northern, central and eastern side (artistic and architectural heritage). In Latium the primary area of interest has been the village of Monte Romano and its county. The landscape evolution has been examined from the Roman period (III cent. B. C.) until the contemporary one. The last part discusses thoroughly the economic condition of the lands along the river Marta, between Tuscania and Corneto (Tarquinia) in XV and XVI cent. During this period there was organized cattle breeding and an ancient bovine race (the Maremmana). Combining survey, bibliographic and archival recovery of unpublished documents, without neglecting any aspect (such as the cataloguing of springs), the Cultural Landscape has been examined from different perspectives, even those that seem less relevant (cattle-breeding, agricultural and food), but are still an economic resource. Thus they are very important to a cultural development. The research, exploring a fairly wide range of possibilities, wants to be a stimulus to those who want to study a complex and articulate reality like Cultural Landscape. Stefano Del Lungo (e-mail: [email protected]) is the series editor and enquiries about publishing other books in the NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY series (in Italian, English, German, French and Spanish) should be directed to him c/o BAR Publishing, 122 Banbury Road, Oxford, OX2 7BP, England; Tel +44 (0)1865 310431; e-mail: [email protected]. Topography is an invaluable precursor, and indeed sometimes initiator, of archaeological research whereby information about sites is obtained using documentary analysis, historical cartography, toponymy, remote sensing &c. The intention is that this series will be a route of publication (and quick publication) for research in topographical studies whether as monographs or conference proceedings. i

Inquadramento geografico delle aree di studio (i settori principali sono indicati nei riquadri in grigio). Geographic location of the study areas (the main sector are in grey rectangols). ii

INDICE GENERALE Notebooks on Medieval Topography Indice generale Gli autori dei contributi Introduzione Parte I – Cultural Landscapes: l’inquadramento nella ricerca multidisciplinare

i iii viii 1 5

Capitolo I – Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale (S. Del Lungo, M. Lazzari) I.1 La vastità di un ambito I.2 Dal ‘paesaggio’ al ‘paesaggio culturale’ I.3 Il ‘paesaggio culturale’ nelle interpretazioni del territorio I.4 Le discipline alla ricerca del ‘paesaggio’ I.5 La ricerca sui ‘paesaggi culturali’ I.6 I Musei del Paesaggio

7 11 13 17 22 25

Capitolo II – Il paesaggio culturale attraverso la lettura delle carte topografiche e la geomorfologia (M. Lazzari) II.1 La Convenzione Europea del Paesaggio II.2 Lettura delle carte topografiche e storiche II.2.1 Il caso delle Carte Aragonesi II.3 Il Paesaggio Fisico II.3.1 I sistemi fluviali II.3.2 Pedologia e memoria di paesaggi scomparsi II.4 Considerazioni conclusive

27 27 29 29 31 33 34

Capitolo III – Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio nelle rappresentazioni artistiche (C. A. Sabia, D. Artusi) III.1 Il paesaggio italiano nella storia dell’arte moderna III.2 Un esempio di paesaggio nell’arte sacra: Giotto e il territorio di Assisi III.3 Spunti per l’analisi paesaggistica nelle raffigurazioni artistiche della Basilicata III.4 Un’analisi degli affreschi del Santuario di San Donato di Ripacandida III.5 Analisi dell’evoluzione dell’uso del suolo nel territorio di Marsico Nuovo (PZ) III.6 Analisi dell’evoluzione dell’uso del suolo nel territorio di Monticchio (Rionero in Vulture, PZ) III.7 Testimonianze figurative sul paesaggio del metapontino prima delle grandi opere di bonifica III.8 Considerazioni conclusive

39 42 43 43 44 45 48 51

Capitolo IV – Il paesaggio culturale nel documentario (C. Rizzo) IV.1 Dal paesaggio sensibile al paesaggio culturale IV.2 Dall’Antropologia Visuale ai documentari demartiniani IV.3 Forme di ritualità inscritte nel paesaggio lucano IV.4 Il paesaggio antropizzato nei documentari di propaganda IV.5 Presenza e assenza dell’uomo nel paesaggio

53 54 55 65 69

Capitolo V – Fotografare i paesaggi (M. Annunziata) V.1 Una premessa di metodo V.2 Gli esordi della fotografia del territorio V.3 Le metodologie V.4 La percezione: che cosa si intende per campo V.5 Approcci operativi V.5.1 Differenze tra formato panoramico, panorama grandangolare e orbicolare V.5.2 La prospettiva lineare V.5.3 Pianificare le riprese V.6 Nuove tecnologie V.6.1 Proiezione planare V.6.2 Proiezione cilindrica V.6.3 Proiezione sferica

73 73 74 75 78 78 79 83 83 86 86 86

Capitolo VI – Nuovi metodi e tecnologie per lo studio del paesaggio (M. Scavone) VI.1 Ontologia del paesaggio VI.2 Il paradigma strutturale e la Teoria della Complessità VI.3 Evoluzione di un concetto, dal modello strutturale a quello ecologico VI.4 Gli approcci analitici VI.4.1 L’Analisi scientifico-oggettiva iii

88 91 93 96 98

VI.4.2 L’Analisi visivo-percettiva VI.4.3 La descrizione attraverso la percezione VI.5 L’applicazione delle moderne tecnologie VI.5.1 Premesse teoriche e metodologiche VI.5.2 L’uso del telerilevamento VI.5.3 L’uso del LiDAR VI.6 GIS e Webgis come strumenti dello ‘spazio globale’ VI.6.1 Alcune applicazioni: la viewshed analysis, i modelli digitali e i webgis VI.7 Dalla microlettura tecnologica alla storia del paesaggio

98 100 102 104 106 110 112 113 116

Capitolo VII – Il paesaggio culturale come progetto (R. Reali) VII.1 Il paesaggio e le scienze esatte VII.2 Il Tempo fattore essenziale del paesaggio VII.3 L’interazione come chiave del paesaggio

121 122 123

Abbreviazioni e bibliografia

127

Parte II – Cultural Landscape, molteplicità di fonti ed analisi: la Basilicata (Italia meridionale)

129

Capitolo I – Paesaggio, strutture rurali e architettura popolare nelle Province di Potenza e Matera (M. C. Grano) I.1 La vastità di un ambito I.2 Architettura popolare in Basilicata I.2.1 Architetture rurali nella storia e modificazione del paesaggio agrario I.2.2 Classificazione tipologica delle masserie I.2.3 Distribuzione delle masserie nelle due Province I.3 Tutela e valorizzazione delle strutture rurali in un contesto di paesaggio culturale I.3.1 Conservazione programmata e restauro architettonico delle strutture rurali I.4 Bibliografia ragionata I.5 Conclusioni

131 132 133 138 142 144 145 146 148

Capitolo II – Paesaggio e strutture dell’acqua: archeologia e architettura dei mulini (A. Fortunato) II.1 Il paesaggio e l’acqua II.2 I mulini ad acqua II.3 Il funzionamento dei mulini II.4 I mulini in Basilicata: analisi preliminare II.4.1 Il campione esaminato II.5 Un acquedotto per mulini e per irrigare a Sarconi II.5.1 Alcuni dati tecnici II.6 Un caso di studio: Tramutola e i suoi mulini II.6.1 Il mulino di Capo l’acqua II.6.2 I mulini di S. Carlo e del Caolo II.7 Il paesaggio e i mulini ad acqua nella comunicazione e nel marketing

149 149 150 152 152 158 158 161 163 163 168

Capitolo III – Paesaggio e arte: archeologia, architettura e territorio nelle rappresentazioni storico-artistiche (C. Coppa) III.1 Per una lettura del paesaggio storico-lucano attraverso le opere artistiche 171 III.2 La committenza 171 III.3 Gli affreschi dell’Episcopio di Matera 173 III.4 Il Voyage Pittoresque 175 III.5 Il paesaggio agrario lucano fra ‘800 e ‘900 176 III.6 Realtà e descrizione di paesaggi urbani e rurali in Basilicata 179 1. Melfi 179 2. Montepeloso (Irsina) 180 3. Muro Lucano 180 4. Potenza 181 5. Matera 182 6. Moliterno 182 7. Montescaglioso 182 8. Tricarico 183 9. Metaponto 185 III.7 Considerazioni conclusive 185 Capitolo IV – Paesaggio e letteratura: descrizione ed interpretazione del paesaggio attraverso le fonti letterarie (M. Lazzari, I. Rondinone) IV.1 Lo stato dell’arte 187 iv

IV.2 Metodologie IV.3 Il paesaggio nelle opere letterarie degli autori lucani 1. Isabella Morra (Favale, 1520-1546) 2. Nicola Sole (Senise, 1821-1859) 3. Emilia De Cesare (Spinazzola, 1830-?) 4. Tommaso Claps (Lagopesole, 1871-1945) 5. Vincenzo Maria Plastino (Rionero in Vulture, 1877-1915) 6. Carlo Alianello (Roma, 1901-1981) 7. Emilio Mario Ottavio Gallicchio (Avigliano, 1902-1981) 8. Carlo Levi (Torino, 1902 - Roma, 1975) 9. Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 1908 - Roma, 1981) 10. Albino Pierro (Tursi, 1916 - Roma, 1995) 11. Giulio Stolfi (Potenza, 1917-2005) 12. Felice Scardaccione (Calvera, 1918-?) 13. Nicola Scarano (Calciano, 1921 - Potenza, 1990) 14. Rocco Scotellaro (Tricarico, 1923 - Portici, 1953) 15. Salvatore Cirigliano (Napoli, 1925 - Pavia, 1995) 16. Vincenzo Pecoriello (Pignola, 1925-?) 17. Ettore Liuni (Forenza, 1928-?) 18. Mario Martone (Bella, 1928-?) 19. Mario Trufelli (Tricarico, 1929-?) 20. Franco Tilena (Ferrandina, 1934-?) 21. Michele Martinelli (Valenzano, 1940-?) 22. Teresa Bruno (Stigliano, 1942-?) 23. Teresa Spagnuolo (Noepoli, 1943-?) 24. Raffaele Nigro (Melfi, 1947-?) 25. Antonio Lotierzo (Marsiconuovo, 1950-?) 26. Emilio D’Andrea (Barile, 1955-?) 27. Amalia Marmo (Miglionico) 28. Mariolina Venezia (Matera, 1961-?) IV.4 Considerazioni finali

189 189 189 190 192 192 194 194 194 195 198 200 201 202 204 205 207 207 208 208 209 211 213 213 213 214 215 215 216 216

Capitolo V – Patrimonio geologico, geodiversità e paesaggio: strategie di conservazione, tutela e valorizzazione del territorio (M. Lazzari) V.1 Caratteri generali 217 V.2 Geodiversità e Geositi 218 V.3 Stato dell’arte del censimento dei geositi e delle aree geologiche protette in Europa 225 V.3.1 La Basilicata 227 V.4 Considerazioni finali 227 Capitolo VI – Paesaggio e cinema in Basilicata (M. Lazzari, I. Rondinone) VI.1 Paesaggio e cinema VI.2 Il paesaggio nel cinema italiano VI.3 Paesaggio e set cinematografici in Basilicata

229 229 230

Capitolo VII – Paesaggio, archeologia e ambiente: l’integrazione della componente culturale nelle schede della Rete Natura 2000 Basilicata (A. Sannazzaro, S. Del Lungo) VII.1 Caratteri e linee della ricerca 235 VII.2 La schedatura di Rete Natura 2000 237 VII.3 Le aree SIC in Basilicata 237 VII.4 Le schede SIC 241 VII.4.1 SIC delle Coste e dei Rilievi Tirrenici 241 1. Acquafredda di Maratea 241 2. Isola di S. Janni e costa prospiciente 242 3. Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica, Foce Sinni 243 4. Costa Ionica, Foce Agri 245 5. Costa Ionica, Foce Cavone 247 6. Costa Ionica, Foce Basento 248 7. Costa Ionica, Foce Bradano 249 VII.4.2 SIC delle Colline e del Fondovalle 251 1. Lago Pantano di Pignola 251 2. Lago S. Giuliano e Timmari 253 3. Grotticelle di Monticchio 255 VII.4.3 SIC delle Montagne e dei Complessi vulcanici 256 1. Lago la Rotonda 256 v

2. Bosco Mangarrone (Rivello) 3. Faggeta di Moliterno 4. Abetina di Laurenzana 5. Faggeta di Monte Pierfaone 6. Abetina di Ruoti

257 258 259 260 261

Capitolo VIII – Il ruolo dell’agricoltura e della ruralità per la valorizzazione e la salvaguardia del paesaggio (C. A. Sabia) VIII.1 Il problema del significato e del ruolo della politica paesaggistica 265 VIII.2 La rilevanza del bene ‘paesaggio’ 266 VIII.3 Agricoltura e paesaggio, un rapporto funzionale reciproco 267 VIII.4 Il valore del bene ‘paesaggio’ 272 VIII.5 Alcune considerazioni 276 Abbreviazioni e bibliografia

277

Parte III – Cultural Landscapes: il Paesaggio agrario di Monte Romano (Viterbo, Italia) (S. Del Lungo)

281

Capitolo I – Topografia e storia del paesaggio agrario, per uno sviluppo economico I.1 Il paesaggio culturale di Monte Romano in una tradizione rurale millenaria I.2 Il paesaggio e la toponomastica I.2.1 Dal fiume Mignone a Monte Romano I.2.2 Da Monte Romano al Poligono I.2.3 Dal Poligono a Rocca Respampani I.2.4 Da Rocca Respampani al confine I.3 Il paesaggio agrario in epoca romana I.4 Il paesaggio agrario nella Tarda Antichità e nell’Alto Medioevo (secoli III-XI) I.5 Il paesaggio dei castelli e delle torri I.6 La nascita delle tenute di Monte Romano e Respampani I.7 Il catasto dell’Archiospedale di S. Spirito: Monte Romano I.8 Il catasto dell’Archiospedale di S. Spirito: Respampani I.9 Il nuovo abitato di Monte Romano, centro gestionale dell’omonima tenuta I.10 Dall’Ospedale di S. Spirito all’Università Agraria I.11 Alcune fonti e e la bibliografia essenziale

283 285 286 286 287 288 290 297 299 300 303 306 309 312 313

Capitolo II – Un’esperienza progettuale: dal Museo al Parco del Paesaggio agrario II.1 Il Museo e il Parco nel contesto normativo fondamentale II.2 Il Museo del Paesaggio agrario II.2.1 La prima sezione e il suo allestimento II.2.2 Gli ampliamenti e le attività II.3 Verso il Parco del Paesaggio agrario II.4 L’avvio dei sentieri II.5 Progettualità futura

317 317 318 319 320 322 323

Capitolo III – The rural landscape of Monte Romano: history and topography III.1 The rural landscape and its Museum III.2 The Roman age III.3 From Late Antiquity to Early Middle Age (II-XI cent.) III.4 Castles and towers III.5 The origin of Monte Romano and Respampani’s estates III.5.1 Monte Romano III.5.2 Respampani III.6 The new settlement of Monte Romano (XVI-XVIII cent.) III.7 From the S. Spirito Hospital to the Università Agraria

325 325 326 326 327 327 327 327 328

Parte IV – Forme e infrastrutture per l’allevamento stanziale e la transumanza nel Medioevo: i territori di Corneto (Tarquinia) e Tuscania nel XV secolo (Viterbo, Italia) (G. Gabrielli) 331 Capitolo I – Allevamento e agricoltura: tra convivenza e conflitto I.1 Dall’economia silvo-pastorale all’economia agricola I.2 Integrazione fra agricoltura e allevamento I.3 I danni dati vi

333 335 337

I.4 Allevamento e commercio dei prodotti I.5 La transumanza

338 340

Capitolo II – La provincia del Patrimonio e la Dogana dei pascoli II.1 La provincia del Patrimonio nel quadro delle vicende dello Stato pontificio nel XV secolo II.2 La Dogana dei pascoli II.3 Tuscania e Corneto

343 345 350

Capitolo III – Allevamento transumante e allevamento stanziale: aspetti di un contrasto III.1 Le Riformanze: fonti per la storia dell’allevamento III.2 Tuscania e i suoi rapporti con la Dogana III.3 La fida e i privilegi a favore di Tuscania III.4 La tutela dei buoi da lavoro: le bandite III.5 Le bandite di Corneto III.6 La corrispondenza con Nello da Bologna e Vianese degli Albergati

355 359 362 364 366 369

Capitolo IV – Le razze bovine IV.1 Le razze bovine presenti sui pascoli della Maremma nel Quattrocento IV.2 Glossario dei termini usati per indicare il bestiame

373 375

Capitolo V – La documentazione d’archivio V.1 Documenti dell’Archivio storico di Tarquinia V.2 Documenti dell’Archivio storico di Tuscania

377 385

Capitolo VI - Dalla ricerca d’archivio al lavoro sul campo: la catalogazione dei fontanili (secc. XV-XX) VI.1 Il censimento dei fontanili all’interno della proprietà dell’Università Agraria VI.2 L’Inventario di Beni immobili d’uso pubblico per natura: i fontanili n° 001, Fontanile Catone n° 002, Fontanile del Lasco di Picio n° 003, Fontanile del Prataccio n° 004, Fontanile Cupellaro Fancelli n° 005, Fontanile Nuovo n° 006, Fontanile dei Trocchi n° 007, Fontana Lea n° 008, Fontanile o Fontana Fiorita n° 009, Fontanile Piccasorceta n° 010, Fontanile dell’Ancarano n° 011, Fontanile di China n° 012, Fontanile o Fontana del Nasso n° 013, Fontanile Paolo Roma n° 014, Fontanile di Calisto n° 015, Fontanile Boschetto n° 016, Fontanile del Crognolo n° 017, Fontanile Cacciamano n° 018, Fontanile Selvarella n° 019, Fontanile del Torrione n° 020, Fontanile dei Giunchi n° 021, Fontanile Pampanare n° 022, Fontanile Sassone n° 023, Fontanile Poggio Barone n° 024, Fontanile Cupellaro Ceccotto n° 025, Fontanile Costacotella n° 026, Fontanile Lasco Bello

397 397 398 399 400 401 401 403 403 405 405 406 407 407 407 407 408 408 408 409 409 409 410 410 410 411 411 411

Fonti e bibliografia

413

Considerazioni conclusive (S. Del Lungo, M. Lazzari)

419

vii

Gli autori dei contributi, in ordine alfabetico

MARIO ANNUNZIATA, Fotografo professionista ([email protected]) DANIELA ARTUSI, Storica dell’arte, Contrattista CNR-IBAM ([email protected]) CARLA COPPA, Storia dell’arte, Corsista alta form. ([email protected]) STEFANO DEL LUNGO, Archeologo Topografo, Ricercatore CNR-IBAM ([email protected]) ANGELA FORTUNATO, Architetto, Corsista alta form. ([email protected]) GERMANO GABRIELLI, Beni Culturali, Direttore Tecnico dell’Univ. Agraria di Monte Romano ([email protected]) MARIA CARMELA GRANO, Scienze applicate ai Beni Culturali, Dottoranda di Ricerca, Corsista alta form. ([email protected]) MAURIZIO LAZZARI, Geologo, Ricercatore CNR-IBAM ([email protected]) ROBERTO REALI, Storico, Tecnologo CNR ([email protected]) CHIARA RIZZO, Antropologa ([email protected]) IMMACOLATA RONDINONE, Lettere moderne, Corsista alta form. ([email protected]) CANIO A. SABIA, Agronomo, Ricercatore CNR-IBAM ([email protected]) ANNARITA SANNAZZARO, Archeologa, Borsista CNR-IMAA ([email protected]) MANUELA SCAVONE, Ingegnere, Borsista CNR-IBAM, Corsista alta form. ([email protected])

viii

INTRODUZIONE Il volume nasce da un’iniziativa editoriale di ampliamento di un volume della collana Notebooks on Medieval Topography (Documentary and field research), incentrato sullo studio storico-topografico del paesaggio rurale della Maremma laziale nel XV secolo, sviluppato negli anni 2006-2008. Tale iniziativa è stata poi estesa territorialmente all'Italia meridionale, prendendo in esame la regione Basilicata, già interessata da attività di studio sviluppate sulla base di un progetto di ricerca nazionale promosso dal Dipartimento Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano (CNR), inerente al “Paesaggio Culturale” (Resp. Prog. Dr. Roberto Reali), e sviluppato dalla relativa commessa PC.P06.006 dell'IBAM (Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali) “Tutela del territorio e conservazione del Patrimonio Culturale in Basilicata in relazione all'evoluzione del paesaggio ed ai fattori di rischio geomorfologico” (Resp. Comm. Dr. Maurizio Lazzari). Il progetto s'inserisce nelle più ampie tematiche di interesse regionale e nazionale di difesa del territorio e conservazione del Patrimonio culturale (storico-architettonico ed archeologico), attraverso lo studio delle dinamiche di trasformazione naturale ed antropica del paesaggio1 e dell'impatto degli eventi calamitosi, quali frane, alluvioni e sismi sul costruito. L’occuparsi degli eventi calamitosi naturali, ed in particolar modo di quelli estremi, in relazione al Patrimonio Culturale nasce dall'esigenza di minimizzarne gli effetti catastrofici in una visione globale, che tenga conto di come la tutela di un patrimonio unico per qualità e quantità, qual’è quello italiano, non possa prescindere dal riconoscimento di una sua forte integrazione nella dimensione paesaggistica. Sulla base di queste linee di ricerca, il Gruppo di ricerca informale sul Paesaggio culturale del CNR-IBAM di Potenza, costituitosi nel 2011 in occasione della partecipazione come partner istituzionale ad un progetto di alta formazione per “Esperto in analisi e pianificazione territoriale integrata e tutela del patrimonio storico-architettonico”, promosso dall'Istituto Pilota srl e finanziato dal Dipartimento Formazione Lavoro Cultura Sport della Regione Basilicata (Fondi PO FSE Basilicata 2007/2013 Asse IV Capitale Umano), ha impostato la propria attività di ricerca sviluppando tre punti fondamentali: a) approfondimento dei presupposti che determinano il concretizzarsi dell’evoluzione di un territorio in un paesaggio2, ossia - le forme (linee, caposaldi, elementi fisici, naturali e antropici di vario genere) che ne hanno modellato gli spazi e le superfici, programmate dalla manualistica storica e documentate da fonti materiali e testuali di vario genere; - i contenuti, cioè le colture ed il loro differenziarsi, adattandosi alla straordinaria diversità geomorfologica della penisola italica e delle sue isole; b) costituzione di un’equipe multidisciplinare, composta da archeologi, geologi, agronomi, ingegneri, storici dell'arte ed architetti, dove uno dei punti di forza sta nella capacità di ciascuno di incrementare le potenzialità offerte dalla disciplina di propria pertinenza, per arrivare a definire modalità e una terminologia comuni, con le quali sviluppare dei risultati; c) utilizzo e sviluppo di innovative metodologie e tecnologie di osservazione della Terra e di analisi spaziale del Laboratorio di GIS e Telerilevamento del CNR-IBAM di Potenza, per un approccio semiquantitativo di supporto alle problematiche del rischio e agli studi volti a definire le relazioni spazio-temporali tra dinamiche di frequentazione umana e trasformazione ambientale. L'obiettivo principale dell'opera editoriale è, pertanto, quello di offrire, da una parte, un’overview ed analisi critica sulla tematica del paesaggio culturale in relazione alla molteplicità sia delle discipline che oggi tendono ad occuparsene sia delle definizioni e terminologie utilizzate sull'argomento; dall'altra, delineare percorsi metodologici conoscitivi, di studio ed analisi delle diverse componenti culturali del paesaggio, prendendo in esame due regioni campione dell'Italia centrale e meridionale, rispettivamente il Lazio e la Basilicata. Nel volume emerge la multiformità degli aspetti trattati per ogni tema, esplorando nuovi percorsi metodologici, conciliando la ricerca analitica sulle fonti con la verifica sul campo, riscoprendo le emergenze agronomiche, e con la diagnostica, le metodiche di osservazione della Terra (aerea e satellitare) e l’uso di tecnologie per il recupero e la conservazione delle evidenze materiali (ville, fattorie, castelli, torri, cascine, casali, masserie, palmenti, frantoi, mulini), che del paesaggio costituiscono importanti segni distinguenti, concretizzando nelle relative strutture la testimonianza delle attività rurali svolte nei secoli. In particolare, il volume si compone di cinque parti principali, di cui la prima introduce l’argomento del paesaggio culturale attraverso le sue molteplici letture intra- e multi- disciplinari, evidenziandone i diversi criteri interpretativi e di analisi realizzabili anche attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie. La seconda e la terza parte analizzano in dettaglio i paesaggi culturali dell’Italia meridionale (Basilicata) e centrale (Monte Romano, Viterbo, Lazio), corredando ciascun capitolo con una 1

Il Paesaggio, nei termini espressi dal D. Lgs. 42, del 22 gennaio 2004 (Testo Unico sui Beni Culturali e Paesaggistici), art. 2, quale unione di più ‘Beni Paesaggistici, è assieme ai ‘Beni culturali’ la componente di base del Patrimonio Culturale nazionale, riconosciuto e tutelato. È l’insieme composto da immobili e superfici «costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali ed estetici del territorio» e, come recita il comma 1 dell’art. 6 del medesimo testo, la sua valorizzazione si esplica attraverso sia la conoscenza, la ricerca ed il recupero di ogni linea e profilo di quel particolare territorio che nel tempo possa aver rivestito un significato ed espresso la cultura e la capacità di adattamento della comunità che lo viveva; sia la diagnostica e le applicazioni tecnologiche volte alla «riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati». 2 Nelle premesse della Convenzione Europea sul Paesaggio (Firenze, 20.10.2000), il ‘paesaggio’ è detto svolgere «importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale et sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica». Infine, «concorre all’elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’Europa», costituendo un elemento di base per il consolidamento della sua identità.

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Cultural Landscapes

ricca bibliografia di riferimento. Alla quarta parte è affidata l’analisi delle forme ed infrastrutture per l’allevamento stanziale e la transumanza nel Medioevo nei territori di Corneto (Tarquinia) e Tuscania nel XV secolo. Infine, alla quinta ed ultima sono affidate le considerazioni conclusive e di sintesi degli argomenti trattati nell’intero volume, anche attraverso la proposizione di un corretto approccio metodologico per lo studio del paesaggio culturale e la definizione di possibili strategie da utilizzare per la rappresentazione cartografica delle varie componenti culturali che definiscono il ‘Paesaggio locale’. Nella concezione più comune si è ormai consapevolmente affermata l'idea del ‘paesaggio’ come un insieme di elementi spaziali forgiati nel corso del Tempo dall'Uomo, dalle sue attività e dalle dinamiche di tipo sociale ed economico che si sono susseguite nella storia. In particolare, il paesaggio agrario e quello rurale suscitano un grande interesse culturale, in quanto rappresentano il risultato di ciò che l'Uomo imprime all’ambiente naturale con le sue attività produttive, che hanno sfruttato e garantito allo stesso tempo la tutela e la salvaguardia del territorio. L’interesse si traduce sempre più spesso in una ‘domanda’, che trova origine da una rinnovata attenzione verso una nuova dimensione territoriale, capace di esprimere una precisa identità culturale. Di conseguenza lo stesso concetto attuale di ‘paesaggio rurale’, all’interno del più ampio ‘paesaggio culturale’3, risulta facilmente integrabile nel principio di valorizzazione economica, sociale ed ambientale, che introduce qualunque processo di sviluppo di un determinato territorio, dove il paesaggio stesso si configura come il principale riferimento di cui tener conto. La Basilicata conserva un grande e variegato patrimonio di paesaggi culturali, modellati nel corso dei millenni e custodi ancora di evidenti testimonianze storiche della loro origine, che si esprime in modo lampante nelle tradizioni produttive poste alla base della straordinaria ricchezza delle produzioni tipiche locali. Ma soprattutto in una realtà globalizzata che tende all’omologazione e dove le piccole produzioni di nicchia fanno fatica ad inserirsi, la qualità di questi prodotti tipici che si vuole valorizzare deve ormai tendere al concetto di ‘qualità integrale’, che associ ad ogni prodotto il contesto che lo ha originato e la sua storia, al fine di generare nuovi processi di utilizzo adeguato e proficuo di tutte quelle risorse che un territorio può offrire. Pertanto, il recupero dell'identità e della storia del paesaggio pone le basi per tutte le azioni, i piani e i programmi che mirino a contrastare processi quasi irreversibili, responsabili, in numerosi casi ripetutisi nella storia, dell'abbandono delle campagne. Ne conseguono l'inevitabile degrado territoriale, che costituisce, tra l'altro, una delle maggiori concause del dissesto idrogeologico del nostro territorio, e gli effetti dei fenomeni evolutivi della politica agricola, che conducono spesso alla omologazione e all'impoverimento dei caratteri distintivi di un paesaggio. La ricerca, attivata in seno al CNR-IBAM di Tito scalo (PZ), si sforza di riuscire ad abbinare l’analisi dello stato attuale del territorio rurale, all’interno dell’economia nazionale, alla ricomposizione delle basi geomorfologiche e climatico-ambientali e alla ricostruzione diacronica di quadri generali su modalità e diversificazione delle forme insediative, nonché di divisione e messa a coltura o a frutto delle superfici utili, dai campi, ai pascoli alle selve. L'approccio multidisciplinare che si è inteso seguire nel volume ha permesso l’analisi e la ricostruzione diacronica di aspetti legati all’evoluzione, alla trasformazione, alla riconversione e alla rilettura del paesaggio, ed in particolare l’approfondimento dei seguenti temi: - quadri topografici ed ambientali specifici e dettagliati per ciascuna area paesaggistica studiata; - dissesti e calamità naturali in rapporto a fenomeni di abbandono di vaste aree, talora già sensibili, a causa del loro particolare assetto geomorfologico o se interessate da effetti al suolo sismo-indotti; - evoluzione di varietà colturali attraverso il confronto fra fonti bibliografiche, archivistiche e documentarie e la diversificazione biologica nota attualmente; - occupazione e gestione dello spazio agrario, compiuta tramite la conoscenza, il recupero e la valorizzazione delle evidenze monumentali connesse al suo sviluppo nel tempo, anche attraverso l’uso di tecnologie avanzate per la diagnostica ed il restauro. - redazione di una cartografia di dettaglio e tematica dei Beni Paesaggistici, redatta su piattaforma GIS e contenente tutte le informazioni, areali, lineari e puntuali, indispensabili ad una programmazione, più funzionali alla gestione delle risorse (agropastorali, culturali) e meglio documentata nel dato storico-topografico, rispetto a quanto già esistente nella cartografia ufficiale degli enti regionali e negli uffici statali preposti alla tutela. - studio del rapporto e delle relazioni esistenti tra ruralità, paesaggio e salvaguardia dell'ambiente e del territorio; - identificazione degli elementi distintivi (non soltanto di tipo fisiografico e geomorfologico, ma anche demografico, storico e ambientale) di un paesaggio e classificazione all’interno delle diverse tipologie rilevate anche dal punto di vista "percettivo"; - identificazione e caratterizzazione degli specifici caratteri morfotipologici che evidenziano le diverse parti dei paesaggi culturali (il mosaico a trama fitta dei contesti rurali periurbani, la maglia larga della monocoltura cerealicola, il paesaggio della frutticoltura e dell’olivicoltura, il contesto forestale esaminato secondo le pratiche selvicolturali applicate nei secoli, ecc.); - recupero degli elementi che hanno caratterizzato l'evoluzione di ogni tipologia di paesaggio rilevato; 3

Il ‘paesaggio rurale’, intendendo quanto si estende al di fuori dei centri urbani, è una componente essenziale dell’identità culturale e nazionale, che proprio sul piano economico costituisce un fattore essenziale di attrazione e di forza per l’Italia in Europa e nel Mondo.

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Introduzione

- studio e valutazione dello stato del paesaggio secondo l'applicazione delle recenti metodologie di applicazione degli indicatori appositamente individuati e della classificazione in base a considerazioni derivanti dallo studio sulle cause e sugli effetti che un determinato evento generato in un preciso contesto; - messa a punto di procedure di analisi quantitativa e semiquantitativa, basate su metodiche avanzate di spatial analysis, data mining e image processing di dati telerilevati su piattaforma aerea e satellitare, per la creazione e validazione di indicatori per l’analisi e valutazione del paesaggio (stato d’uso del paesaggio, problematiche di rischio etc..), di supporto alle decisioni in materia di pianificazione territoriale. Dalle considerazioni sopra esposte emerge chiaramente che la cultura, l’ambiente, la sostenibilità e la memoria storica sono fattori immateriali alla base della storia ed evoluzione di un qualsiasi territorio, la cui comunità ambisce ad utilizzare le proprie risorse per uno sviluppo economico e sociale di tipo integrato, accrescendo in tal modo la propria competitività in uno scenario globale sempre più omologante. In tal senso il presente volume non ha la presunzione di esaurire l’argomento trattato né di fornire formule di insindacabile efficacia per il raggiungimento degli obiettivi descritti, ma ha l’obiettivo di fornire un indirizzo di studio, definizione, analisi ed interpretazione dei costituenti fondamentali del paesaggio, da poter utilizzare in modo corretto anche per l’individuazione delle competenze scientifiche e professionali di settore, capaci di poter fornire un adeguato contributo intellettuale nelle successive fasi di Pianificazione urbana, rurale e territoriale.

Stefano Del Lungo Maurizio Lazzari Canio A. Sabia

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S. Giovanni (Ruoti, PZ): la freccia indica la posizione della villa romana, su un versante in frana attivatosi nel IV secolo d. C. Nel Paesaggio culturale rientra anche la comunità, che è attratta dal luogo ed esprime il desiderio di custodirlo e valorizzarlo. S. Giovanni (Ruoti, PZ): the arrow marks the position of the Roman villa, on a slope sliding down in the IV century A. D. In the Cultural landscape there are also peoples, attracted by place and wishful to guard and develop the site.

Parte I

Cultural landscapes: l’inquadramento nella ricerca multidisciplinare

Contributi di: Mario Annunziata Stefano Del Lungo Maurizio Lazzari Roberto Reali Chiara Rizzo Canio Alfieri Sabia Manuela Scavone

Cultural Landscapes

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CAPITOLO I KULTURLANDSCHAFT, CULTURAL LANDSCAPE, PAYSAGE CULTUREL, PAESAGGIO CULTURALE Stefano Del Lungo, Maurizio Lazzari Abstract∗

Animali come i Castori (sia il C. fiber o ‘Europeo’, sia il C. canadiensis o ‘Nord Americano’), invece, possono interagire in maniera intensa con il corso di un torrente. Le loro dighe, mediamente alte m 1,5 e ampie alla base oltre i m 3, producono piccole inondazioni con l’allagamento dei terreni a ridosso delle sponde e generano dei bacini che, se permanenti, inducono il trasferimento di una fauna più adatta ad un ambiente lacustre e meno alle acque correnti. Contribuiscono quindi alla regolazione del regime idrologico locale e, con il conclusivo interro della conca inondata, accrescono gli spazi utili per la crescita dei prati, grazie agli strati di detriti apportati dal torrente ed accumulatisi negli anni.

In this chapter we analyze the concept of cultural landscape through a multidisciplinary reading of the term, trying to highlight how different contextualization and disciplinary issues when discussing "landscape" cannot ignore the "time scale". The different terminology used in the literature to identify the many areas of expertise and study of the landscape is critically analyzed, concluding with a brief description of the current and possible future areas of interest for studies on the cultural landscape. Keywords Cultural landscape, analysis,

landscape

terminology,

landscape

L’antropizzazione si può dire subentri da quando l’Homo ha mutato le pratiche di sopravvivenza, inizialmente comuni e condivise con gli altri animali (caccia, raccolta), e ha usato dei mezzi (tipo l’inventio del fuoco e la comprensione del suo valore) non solo per migliorare le proprie azioni ma addirittura per modificare le superfici. Secondo la nuova ottica, le estensioni sono percorse non più all’inseguimento delle mandrie, ma guidando le proprie lungo linee preferenziali, dettate da punti essenziali alla sopravvivenza e alla moltiplicazione degli animali selezionati (sorgenti, pascoli, ripari). Altrimenti si tratta di superfici acquisite con l’introduzione dell’agricoltura nelle aree rivelatesi idonee alla dimora delle piante e, secondo la tradizione mitologica teogenica e cosmogenica, con l’imposizione dei primi confini.

I.1 La vastità di un ambito Non esiste disciplina, scientifica o umanistica, che non si occupi di questo tema, direttamente o in maniera parziale, chiamandolo in causa per affrontare, in realtà, un aspetto singolo dei molteplici che lo caratterizzano, tanti quante sono le variabili ammissibili nel concepirlo il momento che si adotti uno schema logico tridimensionale. Non esiste, infatti,’paesaggio’ se non si pone in relazione uno Spazio, nel Tempo, con l’Azione degli esseri viventi (le piante, gli animali e, da questi, gli esseri umani) che lo popolano, lo frequentano, reagiscono alle sue alterazioni e lo modificano. A livello concettuale, se l’Ambiente riunisce certamente le componenti geologica, botanica e zoologica, l’aggiunta dell’elemento antropico e delle variabili che comporta, determina la nascita del Paesaggio, quale modalità di percezione statica o dinamica della realtà circostante. Qualora poi si focalizzi l’attenzione sul rapporto fra essere vivente (vegetale o animale, comprendendo in questo secondo gruppo anche l’Uomo) e superficie frequentata e occupata, si ha il Territorio, con possibilità e capacità diverse di modifica ed alterazione, in funzione delle condizioni climatiche locali e globali e dei mutamenti che le stesse hanno subito nel tempo.

Il finis e qualunque elemento lo rappresenti, dalla semplice pianta o pietra al cippo, trasformano lo spazio in un reticolo geometrico e divengono i soli strumenti utili per difenderlo e riconoscerlo nelle parti prescelte, compensando la perdita dei Saturnia regna, nei quali il latte, ricavato poi con l’allevamento, e il miele, ottenuto dalla cura degli alveari nei campi e nelle selve, scorrevano ovunque liberamente. In quell’epoca remota e mitica la pastorizia e le colture non esistevano e per vivere bastava allungare semplicemente una mano e raccogliere direttamente i frutti della terra (l’Eden)2.

Le piante, nella colonizzazione di aree marginali o nella rioccupazione di superfici abbandonate o alterate dall’incidenza di fenomeni improvvisi e distruttivi (eruzioni, incendi, frane, valanghe, alluvioni, tempeste), apportano dei cambiamenti disponendosi e distribuendosi in maniera diversificata per effetto del vento, dell’acqua o dell’animale che ne ha trasportato il seme e in rapporto stretto con la disponibilità di un punto idoneo all’attecchimento1.

È il mito della Età dell’Oro, nella realtà riconducibile ad un’epoca preistorica, così poco conosciuta da essere favoleggiata e mitizzata. In contrapposizione si colloca la successiva Età del Ferro, pienamente storica, rappresentata direttamente nello spazio tramite il disegno delle superfici e concepita in una consapevole distinzione fra ‘ambiente’ e ‘paesaggio’, ossia lo spazio frequentato, ma sostanzialmente non toccato, e quello modificato, i cui signa, secondo la

∗ Il presente contributo è frutto della riflessione congiunta degli autori in ogni sua parte. Nello specifico però sono di S. Del Lungo i paragrafi I.1-3, I.5 e 6 di M. Lazzari ed I.4 di entrambi gli autori. 1 Esemplare la situazione offerta dall’isola di Krakatoa (Giava, Indonesia), negli anni immediatamente successivi alla violenta esplosione del 27 agosto 1883. La ricolonizzazione delle superfici superstiti, ridotte ad un deserto di cenere dall’attività vulcanica, si compie nell’arco di 25 anni, iniziando con varietà di piante, alcuni insetti ed una specie di aracnide, per giungere a contare, nel 1908, più di 250 specie, tra piante e soprattutto animali. L’isola è da subito riconosciuta dagli Olandesi quale laboratorio a cielo aperto dove

poter studiare la nascita della vita sulla Terra. Il materiale scientifico accumulato è attualmente ancora oggetto di attenzione, per valutare la capacità della Natura nel risanare le azioni distruttive dell’Uomo sull’ecosistema, talvolta così rapide e radicali da annullare qualunque possibilità di intervento nella componente intermedia del Paesaggio. Sull’argomento e per i riferimenti bibliografici relativi si rinvia al volume di R. H. MacArthur, E. O. Wilson, The Theory of Island Biogeography, Princeton (New Jersey, USA), 20012. 2 V. Gordon Childe, Il progresso nel mondo antico, (Biblioteca di Cultura storica, 33), Torino, 1949.

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Cultural Landscapes

Fig. I.1 – Novalesa (TO), cappella di S. Eldrado: il santo cura una vite coltivata con sostegno vivo ‘ad alberello’ (XI secolo). Pict. I.1 – Novalesa (TO), St. Eldrado chapel: the saint cares for a grapevine planted with retaining ‘ad alberello’ (XI century). indicare l’insieme degli spazi componenti l’ambito giuridicoamministrativo di una comunità.

dizione adottata poi dai Latini per indicarne gli elementi fisici marcati o modificati dall’azione umana, perché indispensabili al riconoscimento, rappresentano lo sforzo di rendere identificabile il ‘tutto’ tramite singoli punti inamovibili o difficilmente alterabili.

L’accezione di ‘veduta’, a carattere estetico, applicata alle rappresentazioni pittoriche, è concepita, invece, nella cultura francese, tedesca ed italiana agli inizi del Rinascimento, quando da più parti (nel 1493 Jean Molinet, nel 1552 il Tiziano) nei carteggi tra le corti europee si parla espressamente di ‘paesaggio’ e paysage, oppure di Landschaft, nella valutazione che Albert Dürer fa del pittore Joachim Paternier (1485-1524), definendolo un ‘paesaggista’ (landschaftmaler)4.

Il’paesaggio’ diventa, realmente e semanticamente, il prodotto diretto del pagus, originariamente semplice ‘cippo di confine fissato in terra’ (deriv. da lat. pango, ‘infiggo’)3, e dell’azione (lat. ago, ‘conduco’, ‘effettuo’) attraverso la quale, all’interno di un territorio molto più ampio, l’abitato delimitava la superficie riconosciuta come adatta allo sfruttamento agricolo (l’ager della cultura italica) e sufficiente a sfamare la comunità, e la distingueva dagli ampi spazi occupati dalla selva e riservati al pascolo (il successivo ager arcifinius, extra clusus o publicus, teorizzato dagli agrimensori latini), evitando così controversie e conflitti.

In Italia l’influenza del poema Arcadia, di Jacopo Sannazaro (1504), sulla pittura veneziana del periodo comprende la rappresentazione di una Natura placida, quasi sotto controllo anche nei momenti in cui sembrerebbe sul punto di manifestarsi in modo violento, come nella Tempesta (15051508) del Giorgione (Venezia, Gallerie dell’Accademia), limitata ad una saetta nel cielo nuvoloso.

È quindi la ripartizione definita e, via via, ordinata dello spazio, inserendo anche il disegno delle superfici laddove una particolare destinazione d’uso ne obblighi la suddivisione interna, secondo specifici parametri e l’adozione di elementi inamovibili che aiutino a perpetuarne lo schema al di là del limite biologico della vita di una generazione.

L’inserimento di sfondi naturali anche nei dipinti di scuola fiamminga, dove la loro rappresentazione crea il contesto, e l’ampio utilizzo generalmente diffuso già da diversi secoli nell’arte dei paesi mediterranei, agevola la diffusione del vocabolo nelle corti europee transalpine, consolidando per diverso tempo l’accezione ‘estetica’ nel suo impiego semantico abituale5, rispetto a precedenti rappresentazioni tipiche della pittura italiana, dalla fine dell’Alto Medioevo (ciclo di S. Eldrado nella cappella omonima del secolo XI; abbazia della Novalesa) al periodo gotico (in particolare la scuola senese), tese a dare all’immagine dei connotati topografici, che agevolino l’osservatore nell’individuare i luoghi, resi in forme prossime alla realtà e talvolta corredati persino dai nomi identificativi (fig. I.1 / pict. I.1).

Rispetto però alla più complessa evoluzione del vocabolo pagus, quasi interamente rivolta all’adattamento dell’attributo paganus al valore semantico di tipo dispregiativo conferitogli nella letteratura religiosa, la lingua italiana ha modulato il vocabolo ‘paesaggio’ in una valenza giuridica direttamente dal francese paysage e in tempi relativamente recenti, comunque posteriori alla seconda metà del XIX secolo. Nella prospettiva politica unitaria dell’Italia, infatti, ‘paesaggio subentra ai più comuni termini ‘paese’ e ‘terra’, ampiamente usati sino a quel momento nella documentazione ufficiale e nei dizionari corografici degli antichi stati italiani, per

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Filleron, [2008], p. 2. In generale sull’argomento si consulti il catalogo della mostra Tiziano e la nascita del paesaggio moderno, a cura di G. Algranti, M. Lucco, Firenze, 2012. 5

3 M. Cortellazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, 1985, vol. IV (O-R), pp. 860-861 (s.v. paese).

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale

Fig. I.2 – Siena: Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi (1330). Pict. I.2 – Siena: Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano in the siege of Montemassi (1330).

Fig. I.3 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegorie del Buon Governo (1338-1339), la Mietitura, la Battitura e il Trasporto del grano. Pict. I.3 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegories of Good Governance (1338-1339), the Harvest, the Threshing and the Transport.

Fig. I.4 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegorie del Buon Governo (particolare), alberate, vigneti e campi chiusi. Pict. I.4 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegories of Good Governance (detail), with tree-lines, vineyards and closed fields.

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Cultural Landscapes

a.

b.

Fig. I.5 – Il «Giardino mediterraneo»: a) la Tentazione (S. Donato a Ripacandida, PZ); b), gli Orti Saraceni (Tricarico, MT). Pict. I.5 – The «Mediterranean garden»: a) the Tentation (St. Donato in Ripacandida, PZ); b) Orti Saraceni (Tricarico, MT). Nella chiesa conventuale di S. Donato a Ripacandida (PZ), agli inizi del XV secolo, più che nel successivo (ipotetica attribuzione a Nicola da Novi, 1510), l’anonimo autore del ciclo dell’Antico Testamento sembra obbedire ai dettami paesaggistici delle esperienze pittoriche toscane, poiché dipinge, ad esempio, il Paradiso Terrestre riproducendo esattamente un hortus conclusus o il Giardino mediterraneo appena ricordato9, da cui la distesa di ‘orti a giardino’ nella media Val d’Agri, in territorio di Sant’Arcangelo (PZ) ed i cosiddetti Orti Saraceni nella Rabatana di Tricarico (MT). Solitamente ricondotti ai secoli IX-X, ma senza specifici riscontri significativi, al di là della suggestione del particolare appellativo10, sono dotati di una propria sorgente e vengono distinti fra ‘orti di crinale’, a ridosso delle mura e riservati agli alberi da frutto, ed ‘orti di valle’, sotto le balze rocciose e alle pendici del colle urbano, destinati alle colture orticole vere e proprie11.

Sono celebri, a tal proposito, gli affreschi per Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi (1330), di Simone Martini (Siena - Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo) (fig. I.2 / pict. I.2), con colline disboscate a miglior difesa dell’abitato in altura e riservate al pascolo entro un modello economico feudale ancora dominante, avente nel castello un suo caposaldo fisico e giuridico6; le Allegorie del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti in Città e in Campagna (1338-1339) di Ambrogio Lorenzetti (Siena - Palazzo Pubblico, Sala dei Nove), corredato in origine persino dai toponimi, ed esemplare nella definizione del paesaggio rurale in età comunale (in sequenza vigneti, campi chiusi delimitati da filari e dalle forme geometriche variabili nel parziale rispetto delle pendenze; campi aperti; spazi riservati a colture erbacee ed arboree; piani terrazzati; sistemi di raccolta delle acque di scorrimento superficiale) (fig. I.3-4 / pict. I.3-4)7. In Basilicata si ha una significativa riproposizione del paesaggio agrario medievale, evolutosi nell’estendere le colture alle parti più impegnative del territorio urbano, caratterizzate da pendii scoscesi (da cui sistemazioni con terrazzamenti) e balze rocciose, nelle quali si aprono cantine, magazzini e palmenti, ma ancora segnato dalla tradizione orientale, di impronta araba, del «Giardino mediterraneo»8.

Il modello di un ’orto di crinale’ sembra adottato a S. Donato nella rappresentazione del Paradiso Terrestre (per antonomasia posto sulla sommità della montagna del Purgatorio), con la stilizzazione della città nella ‘casa’ collocata lungo la costola del pennacchio di volta, le bocchette per la fuoriuscita delle sorgenti (i quattro fiumi del Mondo), già canalizzate per l’irrigazione delle aiuole coltivate interne al recinto, e gli alberi da frutto (fig. I.5 a-b / pict. I.5 a-b).

È difficile stabilire delle corrispondenze esatte fra luoghi specifici e particolari opere d’arte che li rappresentino. La persistenza, però, di una cultura diffusa, le cui radici affondano in un passato cronologicamente lontano, ma ancora vivo negli usi, nelle tradizioni e nel quotidiano della popolazione lucana, consente di riscoprire da più parti delle significative corrispondenze con realtà rappresentate in singoli dipinti o cicli pittorici.

9 Per un approfondimento si consulti L. Zangheri, B. Lorenzi, N. Mandana Rahmati, Il Giardino islamico, (Giardini e paesaggio, 15), Firenze, 2006. 10 Montanari, 1979, pp. 22-27. Risale ad appena pochi mesi fa (2012) l’iniziativa di tutela promossa in occasione di un convegno su Gli Arabi in Basilicata, organizzato a Tricarico. Nell’occasione si è avanzata l’ipotesi di un recupero degli Orti attraverso una loro nuova destinazione funzionale, con la costituzione di un Parco ecologico delle Erbe officinali. 11 M. Montanari, L’alimentazione contadina nell’Italia tardo-medievale, in Id., Campagne medievali. Strutture produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimentari, Torino, 1984, pp. 204-205; G. Vitolo, I prodotti della terra: orti e frutteti, in Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle VII giornate normanno-sveve, (Bari, 15-17 ottobre 1985), a cura di G. Musca, (Centro di studi normanno-svevi. Atti, 7), Bari, 1987, pp. 166-174; Il Liber Iurium della Città di Tricarico, a cura di C. Biscaglia, (Fonti e Studi per la Storia della Basilicata, X), Galatina (LE), 2003, t. I, pp. 209-214; t. II, pp. 51-55 (Demanialia bona).

6 Sereni, 2010, pp. 103-106. Il particolare peso dato dall’artista all’effetto visivo di una superficie priva della copertura forestale, quasi l’estensione di un deserto, si deve anche alla necessità di porre in primo piano l’assedio e la figura del comandante (Guidoriccio da Fogliano). In questo caso la mancanza di alcun tipo di vegetazione potrebbe anche essere stata determinata dalle esigenze belliche (fabbricazione delle palizzate), accentuando l’effetto di un campo di battaglia teatro di aspri combattimenti. 7 Sereni, 2010, pp. 132-142. 8 Sereni, 2010, pp. 98-102.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale

Fig. I.6 – S. Donato (Ripacandida, PZ): la Torre di Babele. Pict. I.6 – S. Donato (Ripacandida, PZ): the Babel Tower.

Fig. I.7 – Barile (PZ): il monte Vulture sul versante orientale. In primo piano, i terrazzamenti di antichi oliveti. Pict. I.7 – Barile (PZ): the Mount Vulture on the east side. In close-up, terraced hillside of ancient olive groves. I.2 Dal ‘paesaggio’ al ‘paesaggio culturale’

Il paesaggio dei contrafforti orientali del Vulture sembra, invece, rispecchiato, sempre in S. Donato, sui rilievi raffigurati presso la Torre di Babele in corso di costruzione, con un interessante esempio di cantiere medievale (fig. I.6 / pict. I.6). L’accentuazione dei salti di quota risponde al possibile e duplice intento di evidenziare sia il carattere primitivo e l’asperità del territorio, recente esito della Creazione, sia quella porzione di paesaggio dirimpetto a Ripacandida, in direzione di Barile, dove le balze rocciose sono adattate ed usate quali terrazzamenti, parzialmente sistemati per il comodo impianto di colture arboree (oliveti e vigneti). L’abbinamento di un paesaggio naturale ad uno antropico, corrisponde ai due principali elementi messi in evidenza nel dipinto: le colline e la torre (fig. I.7 / pict. I.7).

Non si vuole in questa sede proporre, per non dire ‘rincorrere’, la miriade di definizioni che fioriscono intorno alla parola ‘paesaggio’ ogniqualvolta si debba iniziare ad affrontarne i contenuti. Come ha chiaramente evidenziato nel 2008 il Filleron12, la complessità semantico-concettuale chiamata in causa dal suo impiego incute quasi soggezione in chi si vuole avventurare lungo la strada suggerita dallo stesso etimo e dalla pronuncia del termine, obbligando alla fine a ripercorrerere, come anche in questo caso si è fatto, seppure in breve e in maniera comunque parziale, la storia del 12

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Filleron, [2008], pp. 1-10.

Cultural Landscapes vocabolo. Di norma, anzi, la rassegna dei precedenti serve quasi a stabilire se si sia, o meno, autorizzati a parlarne e a chiarire quali siano i presupposti adottati nella sede specifica, per compiere gli approfondimenti suggeriti da una certa area di una data zona. In questo caso l’ennesimo abbozzo di definizione è funzionale alla comprensione della linea di pensiero adottata e delle metodologie messe in atto per la sua applicazione nel lavoro svolto dall’equipe di ricerca.

sommano gli effetti dell’avvio della Rivoluzione Industriale (con una corrispondenza calzante nella già ricordata Età del Ferro e teorizzata da Jules Verne in un celebre romanzo anticipatore anche dei successivi due conflitti mondiali)13. Accolto e variamente discusso in ambiti diversi, prettamente tecnici o accademici14, nel tentativo di valutare il peso effettivo da riconoscere alla componente ‘culturale’ aggiunta da singoli, ma soprattutto da gruppi più o meno organizzati, rispetto alla base ‘naturale’ preesistente, il concetto viene riconosciuto a livello anche internazionale nella sua importanza e dignità, e in modo definitivo e univoco all’inizio degli anni ’90 del XX secolo. La Natura costituisce, alternativamente, lo sfondo rispetto al quale il Bene Culturale si giustappone, a testimonianza di una passata civiltà ivi presente e poi scomparsa, e la componente integrante della comunità che prosegue nel “produrre” il Bene, mantenendolo in efficienza (ad esempio i terrazzamenti, i canali) o continuando a relazionarvisi dal punto di vista sia materiale sia spirituale.

Si tratta quindi di significati ed accezioni strettamente connessi al contesto nel quale il vocabolo ‘paesaggio’ è di volta in volta inserito. Lo Spazio e la relativa collocazione, analizzati nella prospettiva temporale, costituiscono il punto di partenza per questa indagine, compiuta in contesti diversi dell’Italia centro-meridionale, tra Lazio e Basilicata, aggredendo il tema del ‘paesaggio’ contemporaneamente da più versanti (geologia, storia, topografia antica e medievale, scienze agrarie, architettura, storia dell’arte, ingegneria per le tecnologie applicate all’osservazione della Terra), anche se non da tutte le discipline possibili ed ammissibili.

Il passaggio avviene in coincidenza con l’istituzione / riconoscimento del connotato di ‘paesaggio culturale’ al Parco Nazionale di Tongariro, nel 1993, il primo istituito in Nuova Zelanda, nel North Island (distretti di Ruapehu e Taupo), a tutela dell’ambiente locale e dei numerosi luoghi sacri (tapu, in lingua Maori) racchiusi al suo interno (UNESCO – World Heritage List). Lo sforzo, proseguito negli anni e tuttora in corso, di scoprire ed assicurare alla tutela angoli del pianeta di particolare valore ambientale e di significato nel rappresentare una tappa nel cammino di una civiltà, rispecchia tre principi fondamentali: - lo spazio ed il suo contenuto sono stati progettati e creati intenzionalmente dall’Uomo (‘paesaggio progettato’; landscape designed and created intentionally by man; paysage culturel créé intentionnellement); - lo spazio appare compiuto nella sua evoluzione o in corso di trasformazione, per effetto dell’azione combinata della Natura e dell’Uomo (‘paesaggio organicamente evoluto o relitto’; organically evolved, relict, fossil or continuing landscape; paysage culturel évolutif); - lo spazio abbina pregi naturali a valenze culturali, artistiche e cultuali (‘paesaggio culturale associativo’; associative cultural landscape; paysage associatif)15.

Come efficacemente schematizzato dal Filleron (2008) e, in questo stesso volume, dalla Scavone, si procede dalla percezione all’analisi integrata multidisciplinare, con studi ed approfondimenti mirati ad evidenziare, una volta di più, la condizione attuale e le prospettive di evoluzione future per consegnare alla diagnostica ambientale una base di ragionamento e sviluppo dei risultati, molto meno aleatoria di quanto non venga talvolta adottata secondo il principio induttivo che il particolare sia sufficiente a spiegare il ‘tutto’. Naturalmente, non si vuole restringere il campo d’azione o delineare un filone d’indagine preferenziale anteponendolo ad altri, esplorati in un passato anche recente e costituenti, oramai, la storia degli studi. Si intende solamente individuare l’ennesimo percorso utile per meglio definire un’entità reale non astratta, che, in Italia, come in Europa e nell’intero bacino del Mediterraneo, sino all’Asia centrale, vista dalla prospettiva culturale occidentale, e al cuore dell’Africa, somma in maniera indissolubile la base geografica (geologico-ambientale) alla storia del singolo o dei gruppi umani avvicendativisi nei secoli. Interagendo per tempi anche molto lunghi, ma dalla durata decisamente inferiore rispetto ad un’epoca geologica, queste due componenti contribuiscono alla cultura di un luogo, generando così un nuovo prodotto: il ‘paesaggio culturale’.

La ricerca, avviata alle soglie dell’evoluzione post-industriale della società, si pone in netta controtendenza al dualismo di impronta illuminista, che poneva l’essere umano al di sopra dell’ambiente, conferendogli la possibilità di intaccarlo e modificarlo senza curarsi delle conseguenze. La comprensione delle dinamiche distruttive innescatesi a partire dal Secondo Dopoguerra, con la Ricostruzione e la riqualificazione economica dei paesi belligeranti ha suscitato

Se la differenza tra la formulazione di un’idea e la sua affermazione passa necessariamente attraverso l’applicazione sistematica e pratica del contenuto, bisogna lasciar correre circa 80 anni dal momento in cui il ‘paesaggio culturale’ ha la sua affermazione concettuale ad oggi. Al 1908, infatti, si può far risalire la prima attestazione dell’espressione Kulturlandschaft, formulata dallo Schlüter all’interno del più ampio concetto Landschaftskunde, o ‘scienza del Paesaggio’, con cui si vuole affinare il valore della Geografia quale unica disciplina idonea ad occuparsi dello studio del pianeta Terra sia nella sua componente fisica, all’epoca non ancora del tutto alterata dall’azione umana (lo Urlandschaft, equiparabile all’Età dell’Oro teorizzata dalla mitologia classica) e concentrata nei continenti aperti alla colonizzazione, sia nelle parti già modificate, dove a distanza di quasi un secolo si

13 O. Schlüter, Die Ziele der Geographie des Menschen, München, 1906; J. Verne, Les 500 milions de la Begum, Paris, 1879. 14 C. Sauer, The Morphology of Landscape, in University of California Publications in Geography, 22 (1925), pp. 19-54. 15 Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, (WHC, 11/01), Paris, 1992, p. 84; Culture and Nature. International legislative texts referring to the safeguard of Natural and Cultural Heritage, a cura di C. Aňón Feliù, (Giardini e paesaggio, 5), Firenze, 2003.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale una saturazione delle possibilità di sviluppo del luogo e ad una conseguente regressione.

negli organi internazionali il bisogno di agire in modo tempestivo a tutela dei luoghi in cui le trasformazioni in atto sarebbero potute diventare irreversibili16.

Il controllo si esercita avviando da subito, e certamente prima che sia troppo tardi, le procedure conoscitive fondamentali previste nel 1939 e nelle successive modifiche delle leggi sui Beni Culturali sino al Testo Unico o Codice del 22 gennaio 2004 (n. 42), ossia il riconoscimento e identificazione, la documentazione e la catalogazione dei singoli beni, elementi, oggetti e componenti del paesaggio, con la definizione dei contesti e quindi la redazione di adeguati strumenti di pianificazione, tutela e programmazione (Carte dell’Agro, Piani paesistici, Piani regolatori). Accanto dunque all’esigenza di conservare, per mantenere il Patrimonio ereditato dalle generazioni passate e tramandarlo al futuro, si pone quella di mitigare il contrasto fra esigenze di espansione dell’edificato e necessità di mantenere un contesto ambientale culturale da cui la ‘Natura costruita’, ossia l’ambito urbano nel suo insieme di architetture e di spazi verdi, possa integrarsi e ricevere valore19, con il superamento della dicotomia della ‘città e della ‘campagna’, invocata da una discreta parte della Storiografia contemporanea e da una rilevante porzione delle Scienze dell’Antichità, per porre quanta più distanza sia possibile tra la “città” classica, interamente costruita, e i successivi “insediamenti” medievali, spesso loro eredi ma spopolati o semi-abbandonati ritenuti troppo “ruralizzati” e, quindi, “imbarbariti”, per poter essere studiati con sereno distacco o addirittura apprezzati20.

Accanto, quindi, alle abituali forme di conservazione dell’ambiente naturale e alla selezione di aree il più possibile incontaminate, si è rafforzata l’attenzione anche per i gli spazi antropizzati, dove risultasse ancora possibile fissare momenti specifici della civiltà (da quelle ‘storiche’ alla ‘rurale’ odierna) attraverso le forme conferite (dai limiti riconosciuti alle opere infrastrutturali) ed i contenuti materialmente percepibili (tipologie costruttive ed insediative). L’emergenza rappresentata dalla rapida espansione delle compagini urbane a scapito delle campagne, nel frattempo divenute periferie coltivate, ha comportato nel tempo iniziative di vario genere. Oltre un decennio prima della prmulgazione della L. n. 1497, del 29 giugno 1939, sulla Protezione delle bellezze naturali, distinte dalle cose d’interesse artistico e storico da poco definite con un altro significativo provvedimento (L. n. 1089, dell’1 giugno 1939), a Capri si ponevano le basi per una riflessione sul paesaggio che non si sarebbe mai più esaurita, ma avrebbe conosciuto numerose battute di arresto nel corso degli anni della ricostruzione, con pochi esempi virtuosi di trasformazione controllata dell’ambiente (la Costa Smeralda in Sardegna, tra il 1962 ed il 1973, sotto l’attenta supervisione del prof. Roberto Carità, Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici delle provv. di Sassari e Nuoro) in un generale panorama di espansione edilizia fuori controllo17.

I.3 Il ‘paesaggio culturale’ nelle interpretazioni del territorio Considerati insieme e non separatamente, il paesaggio e gli elementi che lo compongono giocano un ruolo vicendevole nella preservazione di un patrimonio materiale ed immateriale irriproducibile, per l’unicità fisica ed ambientale dei luoghi che lo compongono, sostenendosi reciprocamente. Il paesaggio, allora, diventa ‘culturale’ anche nel momento in cui figura all’interno di un solo bene riconosciuto di carattere culturale (ad esempio un dipinto)21, contenente uno o più elementi (forme dello spazio, destinazioni d’uso, edifici, varietà vegetali e colturali) che, come testimoniano gli stessi beni usati a supporto e testimonianza, hanno una tradizione plurisecolare22. Per la loro forte valenza ‘culturale’, al termine della ricerca condotta per restituirne la dimensione reale, divengono il propulsore economico e promozionale per qualunque iniziativa si voglia intraprendere, a cominciare dalla valorizzazione del semplice prodotto, del luogo che lo contiene o dei servizi correlati. La possibilità, offerta dalla

L’iniziativa di un convegno, tenuto nell’isola campana dal 9 all’11 luglio del 1922, coadiuvato dalla Direzione generale delle Belle Arti e dedicato espressamente a questo tema dal suo organizzatore, lo scrittore e naturalista Edwin Cerio (1875-1960), per arginare il tentativo di speculatori milanesi di alterare l’architettura isolana introducendo edifici di diversa concezione, pone in luce l’inesorabilità di dinamiche di trasformazione del paesaggio che, pur partendo da situazioni ottimali di conservazione e da una gestione mediamente oculata delle risorse correlate, portano comunque al cambiamento e al degrado18. L’abbinamento fra le peculiarità naturalistico-culturali di un luogo, evidenti nella composizione degli spazi, e la relativa economicità di una loro fruizione creano presto una domanda di mercato soggetta ad un’accelerazione che, se non controllata, porta infine ad 16 Negli Stati Uniti, ad esempio, dove le preesistenze culturali sono state fortemente compromesse e la componente naturale appare rilevante a fianco di quella antropica moderna e contemporanea, il Cultural Landscape è stato distinto in Designed L., per gli spazi artificiosamente modellati dall’opera di un architetto e frutto della creatività di un giardiniere professionista; Vernacular L., per i luoghi ove siano percepibili i segni degli interventi eseguiti dall’individuo, la famiglia (un ranch) o la comunità per adattare l’ambiente alle proprie esigenze, riflettendone lo stile di vita e la cultura; Historic Site, ossia la particolare villa, residenza o località associabile ad un evento o ad una personalità storica; ed Ethnographic L., contenente un insieme di evidenze naturali e culturali che il gruppo ivi stanziato considera una risorsa (W. Zelinsky, The Cultural Geography of the United States, Englewood Cliffs (N. J.), 1973, pp. 19-25). 17 Settis, 2010. 18 B. Fiorentino, Dal paesaggio del mito al mito del paesaggio, in G. Cantone, B. Fiorentino, G. Sarnella, Capri, la città e la terra, (Analisi del territorio e architettura, 1), Napoli, 1982, pp. 319-327.

19 Zevi, 1995, pp. 9-13, 93-96, con rimando anche alle opere selezionate nella nota bibliografica finale. 20 Zevi, 1995, pp. 39-42. Da ultimo, sull’argomento, si ricordano le lezioni confluite nella LVI Settimana di Studi di Spoleto, espressamente dedicata a Città e Campagna nei secoli altomedievali e pubblicata dalla Fondazione C.I.S.A.M. nel 2009. 21 Per la definizione di Bene Culturale si rinvia all’art. 10 del D.L. n. 42 del 22.01.2004. 22 Da notare che all’art. 17 (Sanzioni) della L.R. 14/2007, di cui nella precedente nota, gli importi pecuniari derivati dall’applicazione di ammende vengono equiparati ai “Proventi derivati dalle indennità pecuniarie per violazione delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali” e versati nel relativo capitolo di entrata dell’amministrazione regionale, nel pieno rispetto del comma 1, art. 2 del D.L. 42/2004, per il quale il Patrimonio Culturale è costituito dai Beni Culturali e dai Beni Paesaggistici.

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Cultural Landscapes di maggiore interesse per gli studi che si è deciso di sviluppare.

ricerca e dal recupero della dimensione ‘culturale’, di conferire un nuovo valore a terreni che il miraggio di un progresso industriale, prima, e la globalizzazione dell’economia, poi, hanno reso marginali e non più appetibili, comporta l’apertura di nuove opportunità economiche di recupero di superfici comunque di qualità e di conservazione dei suoli, scongiurando l’innesco di pericolose dinamiche di dissesto, e la ricerca di produzioni da riprendere ed inserire in un mercato ‘di nicchia’, con tanto di etichetta specifica23.

Al di là, allora, della varietà e molteplicità di definizioni elaborate per spiegare il ‘paesaggio’ e le relative modalità di applicazione, bisogna vedere come conciliare il principio e l’esigenza di una partecipazione scientifica collettiva, sforzandosi di inquadrarlo adeguatamente entro una grande variabilità dei contesti, e la competizione in realtà esistente fra le diverse discipline, sebbene non dichiarata in modo aperto. Invece di considerarsi alla pari nella dignità, perché coinvolte tutte quante nella complessa opera di decodifica delle numerose chiavi di lettura esistenti, si arrogano, ciascuna, il diritto di appropriarsi, da sola, della facoltà di interagire con esso, richiamandolo in ogni istante e predisponendosi a manipolarlo per i propri fini, in vista del conferimento di un vantaggio a livello conoscitivo, progettuale e di programmazione.

Il ‘paesaggio culturale’ o Cultural Landscape, come recepito dalla normativa europea anche in vista della programmazione degli obiettivi per Horizon 2020, non costituisce un diverso tipo di paesaggio, in confronto a quanto postulato nella Convenzione Europea del Paesaggio sottoscritta a Firenze nel 2000, ma la sottolineatura di un’attenzione rivolta globalmente al paesaggio, e non solo ad una cultura che se ne interessi24, e di un aspetto ed una dimensione della ricerca multidisciplinare applicata al territorio, letto nella sua duplice natura spazio-temporale. Una gran parte dei suoi elementi che lo costituiscono, o anche solo delle sue componenti, risulta spesso irriconoscibile e priva di una qualsiasi importanza degna di essere rilevata, se considerata al di fuori della dimensione temporale, espressa in termini ‘geologici’ o ‘storici’.

Questa sorta di emorragia concettuale, iniziata con la perdita da parte della Geografia della propria centralità e non solo in questo ambito, ha visto in primo luogo affrancarsi alcune discipline, alla ricerca, ad esempio, di un’autonomia scientifica, operativa e decisionale, talora anche di tipo rivoluzionario (come per l’Architettura); di un’adeguata definizione delle panoramiche disegnate e ricostruite attraverso l’analisi e l’interpretazione delle fonti scritte, dove l’Ambiente e lo Spazio sono oggetto di indagine diretta oppure sono considerati solamente in quanto chiamati in causa dal contenuto dei documenti esaminati, sebbene con una specifica valenza economica (per la Storia)25; o di una riqualificazione e di un ampliamento delle competenze in settori maggiormente spendibili sul piano dell’immagine, rispetto ad un profilo tradizionale eccessivamente tecnico (per la Geologia); o, infine, di un riscatto da una tradizionale restrizione ad applicazioni pratiche che limitino le capacità analitiche di chi indaga, e di beneficiare di un ampliamento di orizzonti senza scostarsi troppo dallo studio del materiale ricavato dall’attività di scavo, grazie all’uso di tecnologie e strumenti presi in prestito da altre discipline, come la Botanica (per l’Archeologia)26.

Per questa ragione il paesaggio, se inteso come ‘culturale’, non si presta più ad essere una semplice base spaziale su cui agire, e unicamente in una prospettiva futura, ma sollecita a sospendere i filtri interpretativi forniti dagli obiettivi di ricerca (un contesto e non un altro, un periodo di riferimento, un oggetto specifico) ed obbliga ad approfondire ciascun elemento o componente, nessuno escluso, per quanto possa risultare banale o non attinente ai fini immediati degli studi intrapresi. Attraverso la specifica cronologica (la data e la qualifica di una strada, di un edificio o di qualunque altro oggetto fisico, l’andamento di un corso d’acqua, la destinazione d’uso di una superficie, l’attestazione di un bacino, di un nome, di un allineamento, di un angolo o di una poligonale espressi in vario modo, o ancora di un confine, come riportato nella documentazione d’archivio testuale e grafica) si recupera una messe di informazioni altrimenti troppo evanescenti, se considerate singolarmente e non in una lettura ed analisi puntuale e interrelata, da avviarsi nella fase preliminare d’indagine, dove un oggetto registrato per l’epoca moderna (secoli XVI-XIX) potrebbe in realtà tradire, nella denominazione, nella natura e nella forma, origini ben più antiche e una matrice culturale propria di epoche antecedenti,

25 Per esempio i volumi di G. Traina, Ambiente e paesaggi di Roma antica, (Studi NIS Archeologia, 12), Roma, 1990 e di P. Brezzi, Paesaggi urbani e spirituali dell’Uomo medioevale, (Nuovo Medioevo, 29), Napoli, 1985, con ampia bibliografia citata al loro interno, per quanto oramai abbastanza datata, ma con le dovute eccezioni a seconda dei contesti esaminati. Si potrebbe estendere la casistica ad eventi congressuali, tipo quello tenuto a Costigliole d’Asti il 6 novembre 2010, sul tema Il paesaggio come archivio: le fonti, i documenti, le memorie per lo studio del modello di sviluppo industriale ed agrario nelle terre dello Spumante italiano, dove a parte l’introduzione, per un breve inquadramento generale sul paesaggio agrario ed il suo significato, si è parlato di fonti di archivio e di figure distintesi fra XVIII e XIX secolo nello sviluppo dell’economia agricola delle Langhe e del Monferrato, di strutturazione sociale di comunità prese a campione sulla base dei documenti, di lotte contadine, di musei della civiltà rurale e di argomenti legati direttamente alla produzione dello spumante. Nessuno si è occupato di tradurre topograficamente e in un ottica storica le informazioni ricavate dalle carte consultate. 26 Nell’ordinamento attualmente vigente in diverse università italiane l’Archeologia del Paesaggio è stata aggregata al settore L-ANT/10, Metodologie della ricerca archeologica, ma in realtà non risulta le sia stata riconosciuta né una dignità a sé stante né una supremazia rispetto alle materie a cui si è attinto per creare la nuova disciplina. Nel D.M. del 4 ottobre 2000 (Gazz. Uff. del 24 ottobre 2000, n° 249 – Suppl. ord. n° 175), tuttora vigente, il settore è servito a scorporare o, meglio, evidenziare nelle preesistenti materie archeologiche (L01Y - Preistoria e Protostoria; L03A

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F. Donato, F. Badia, La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio. Una prospettiva economico-aziendale, (Ferrara paesaggio estense, 2), Firenze, 2008; S. Del Lungo, I paesaggi culturali attraverso un’analisi conoscitiva integrata del territorio fra Tarda Antichità e Medioevo: dalle fonti al dato topografico, in Il dialogo dei Saperi. Metodologie integrate per i Beni Culturali, a cura di F. D’Andria, D. Malfitana, N. Masini, G. Scardozzi, (Monografie dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali, 3), Napoli-Roma, 2010, vol. II, pp. 897-901. 24 La Cultura del Paesaggio. Le sue origini, la situazione attuale e le prospettive future, a cura di R. Colantonio Venturelli, K. Tobias, (Giardini e paesaggio, 13), Firenze, 2005, con particolare riferimento ai contributi del Carpani, del Milani e del Santolini.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale riflessione sulle linee di continuità da rispettare nella considerazione di un contesto territoriale in cui si concentrano beni risalenti ad epoche diverse e di varia natura28, è diventato a sua volta, da un lato, motivo per supportare le azioni di conservazione e tutela e, dall’altro,

L’azione centrifuga si è avviata con le materie più vicine a considerare lo Spazio ed il Tempo, così come la Forma ed i Contenuti, i binomi fondamentali per arrivare a percepire il paesaggio nella sua vitalità, e ha alla lunga contagiato quelle maggiormente legate all’apparenza, alle modalità di percezione e alle reazioni degli individui, passati dal ruolo di attori e costruttori del paesaggio al livello di osservatori e fruitori passivi (l’Ecologia del Paesaggio, l’Estetica e la Psicologia ambientale).

pubblicazioni a carattere manualistico di F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’Archeologia dei Paesaggi, Roma, 1994 (I^ ediz.), con il prosieguo a firma di F. Cambi, Archeologia dei Paesaggi antichi: fonti e diagnostica, Roma, 2003. Entrambe prendono le mosse direttamente dagli atti del IV Ciclo di Lezioni sulla Ricerca applicata in Archeologia, (Certosa di Pontignano-SI, 14-26 gennaio 1991), a cura di M. Bernardi, Firenze, 1992, 2 voll., dove l’Archeologia del Paesaggio è concepita ancora come un modo per presentare con eleganza ed in maniera accattivante i dati ricavati dalle indagini archeologico-topografiche, per riconoscere l’apertura di diversi e nuovi canali analitici alle applicazioni statistiche e all’utilizzo delle tecnologie informatiche, e per stabilire un collegamento con le importanti premesse che la Geografia ha posto sull’argomento, come nel contributo di P. Sereno, L’archeologia del paesaggio agrario: una nuova frontiera di ricerca, in Campagna e Industria. I segni del lavoro, (Capire l’Italia, V), Milano, 1981, pp. 24-47. Nella pratica, però, si tratta della produzione, in altra veste, dei contenuti editi anche dalla manualistica sulla Topografia antica (ad esempio, N. Alfieri, Dispense di Topografia antica, Bologna, 1974; G. Bonora, P.L. Dall’Aglio, S. Patitucci Uggeri, La Topografia antica, [Manuali scientifici], Bologna, 2000; L. Quilici, S. Quilici Gigli, Introduzione alla Topografia antica, [Itinerari. Storia], Bologna, 2004), senza però garantire l’ampiezza di prospettiva e quel reale e rigoroso approccio integrato, multidisciplinare e multitemporale proprio della ricerca topografica: «Compito del Topografo è riconoscere e interpretare i dati pervenuti dall’Antichità; ricomporre in un quadro organico e stratificato per epoche la storia di un territorio, di una regione, di un ambito geografico, che può travalicare nazioni e continenti. Egli ricostruisce direttamente la storia dell’ambiente nel quale si sono svolti non solo eventi straordinari, ma la vita quotidiana, politica, amministrativa, economica, culturale. […] L’attività umana nel territorio si evidenzia riconoscendo quando, dove, come e perché sono state fondate città, borghi, ville e casali; sono state impiantate coltivazioni; sono state condotte bonifiche agrarie e idrauliche; sono state tracciate vie, perseguite attività artigianali ed industriali, aperte cave e miniere; quali erano i confini catastali, politici, militari, gli ambiti culturali e commerciali, i movimenti degli uomini e delle merci. […] Lo studio della Topografia antica si presenta come un ambito di ricerca che si serve pertanto di una base documentaria molto allargata, che parte dall’analisi comparata delle fonti letterarie antiche; delle fonti storiche, cartografiche, illustrative, toponomastiche, anche medioevali e moderne; dagli studi archeologici e dalla bibliografia non solo specialistica; dai dati d’archivio, dall’esame analitico del monumento e dal suo rilevamento; da una raffinata metodologia della ricerca sul terreno per una completa lettura ed interpretazione di ogni presenza antica e piega morfologica; dalla ricerca subacquea, dall’aerofotointerpretazione. La disciplina implica anche conoscenze tecniche, uso di strumentazioni e competenze specifiche che necessitano di una formazione particolare e specifica in campo archeologico» (Quilici, Introduzione cit., pp. 7-8). Tutti questi sono gli ingredienti e le linee costitutive della ricerca e dell’interpretazione topografica, e non un semplice esercizio erudito. Altrove e al di fuori tendono a mancare o ad essere parziali e incompleti, perché in molti dei contributi, editi da varie parti con la pretesa ed il fine ultimo di fare Archeologia del Paesaggio, si realizza in pratica una semplice carta archeologica (e la suddetta coppia di manuali teorizza come svilupparla). Tanto la ricerca ad ampio spettro quanto l’interpretazione mancano del tutto, o, nonostante le premesse di carattere “onnicomprensivo” date nei titoli e negli obiettivi, appaiono rigidamente limitate al dato archeologico puro, censito, inventariato, catalogato e non sempre adeguatamente capito quale prodotto dell’Uomo, quindi da inquadrarsi meno rigidamente in regole di stampo matematico-statistiche e più legato alla variabilità delle sue capacità e dei desideri effettivi di realizzazione. È sufficiente dare un’occhiata alla media dei convegni, congressi e giornate di studio dedicati espressamente all’Archeologia dei Paesaggi, anche per zone ben specifiche, e confrontare il titolo con il programma per rendersi conto che abbondano gli interventi su singole classi di materiali (ceramica, fittili, metalli), riservando uno spazio minimo se non nullo all’esame e alla ricostruzione di quadri ambientali e territoriali puntuali spazialmente e temporalmente, che rispondano, in effetti, all’argomento messo in discussione. 28 Fonti per lo studio del paesaggio agrario. Atti del 3° Convegno di storia urbanistica (Lucca, 3-5 ottobre 1979), a cura di R. Martinelli, L. Nuti, Lucca, 1981; L. Santoro, La trasformazione e l’abbandono delle opere difensive in Basilicata, in Napoli nobilissima, XXXIII (1994), 1-2, pp. 27-51; e ancora

L’Architettura, la prima a muoversi in ordine di tempo, ha implementato la propria competenza nella progettazione delle superfici e l’ha in parte trasformata, deviando l’attenzione sul Paesaggio. A questo punto, però, si è trovata di fronte ad un dilemma, determinato dalla difficoltà di conciliare le esigenze creative con la necessità di conservare un Patrimonio esistente (i cosiddetti “Saperi del Paesaggio”). Nella prima condizione la tendenza ad appiattire aprioristicamente tutti gli spazi, privandoli delle loro peculiarità e cancellandone la dimensione temporale, è divenuta la premessa per poter avere mano libera nella progettazione e creazione di nuove forme e strutture che lascino un’impronta. Ciò ha significato la scomposizione del paesaggio nelle sue componenti-base e la relativa creazione di filiere produttive legate al loro sfruttamento economico (da ‘paesaggio’ ad ’architettura dell’agro’), ma ha causato anche la sua trasformazione in una sorta di scatola vuota, con gravi danni soprattutto in Italia, dove al pari dell’Europa ma in netta differenza rispetto agli altri continenti, il suolo e le forme ricevute racchiudono in sé millenni di storia e segni dell’avvicendamento di culture diverse. Il rimedio, cercato nell’approfondimento della ricerca in chiave storica27 e nella – Etruscologia; L03B - Archeologia Classica; L03C - Archeologia Cristiana; L03D - Archeologia Medioevale; L04X - Topografia Antica; L05E - Archeologia Fenicio-Punica; L05F - Archeologia del Vicino Oriente Antico; L05G - Archeologia e Storia dell'Arte Musulmana; L05H Archeologia e Storia dell'Arte dell'Estremo Oriente; L05W - Archeologia e Storia dell'Arte dell'India e dell'Asia Centrale; L05Y - Egittologia e Civiltà Copta) le parti di applicazione strettamente metodologica e tecnologica, divenendo, in pratica, un ambito a carattere puramente tecnico e meno applicativo od interpretativo, dalla visione limitata a singoli aspetti: «Comprende gli studi relativi ai contenuti metodologici delle discipline archeologiche, con particolare riferimento agli aspetti tecnico-operativi, sul campo e in laboratorio, nei diversi ambiti geografici e culturali, con l'impiego di particolari metodi di indagine, dalle applicazioni archeometriche ai metodi informatici della ricerca archeologica, e con la collaborazione con altre competenze, comprese quelle di discipline appartenenti alle aree delle scienze esatte ed applicate, anche ai fini della conservazione e tutela del materiale archeologico» (fonte: MIUR, Cineca). La parte di conoscenza, approfondimento e rielaborazione è quindi rimasta alle materie di partenza, a loro volta costituenti settori disciplinari specifici e riconosciuti (L-ANT/01 – Preistoria e Protostoria; L-ANT/06 – Etruscologia e Antichità Italiche; LANT/07 - Archeologia Classica; L-ANT/08 - Archeologia Cristiana e Medievale; L-ANT/09 - Topografia Antica; L-OR/02 - Egittologia e Civiltà Copta; L-OR/05 - Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico; L-OR/06 - Archeologia Fenicio-Punica; L-OR/11 - Archeologia e Storia dell'Arte Musulmana; L-OR/16 - Archeologia e Storia dell'Arte dell'India e dell'Asia Centrale; L-OR/20 – Archeologia, Storia dell'Arte e Filosofie dell'Asia Orientale) ai fini dell’organizzazione degli ordinamenti universitari, con conseguente messa a bando di cattedre ad essi dedicate. Eppure, nonostante la normativa ministeriale non sia ancora cambiata, l’Archeologia del Paesaggio è entrata in aperta concorrenza con la Topografia, materia le cui origini risalgono ai primi decenni del XV secolo e che nel frattempo si è anche suddivisa in Antica e Medievale, per l’ampliamento delle prospettive di ricerca e dei relativi orizzonti cronologici, con un collegamento diretto con l’originario insegnamento di Archeologia e Topografia Medievale, postulato già nel 1956. Costituiscono un’occasione di riflessione le recenti

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Cultural Landscapes

Fig. I.8 – Canne della Battaglia (BA): il Paesaggio agrario dell’Oliveto secolare pugliese, incentrato solo sulle piante, diventa ‘paesaggio culturale’ considerando il menhir (età del Bronzo antico; h. 4,5 m, di cui 3 emergenti) e la vicina Masseria di Canne, testimoni di una continuità di frequentazione e di coltura. Pict. I.8 – Canne della Battaglia (BA): the Paesaggio agrario dell’Oliveto secolare pugliese, only to protect the trees, become ‘cultural landscape’ if it thinks also to the menhir (early Bronze age; h. 4,5 m, with 3 outside the ground) and the nearest Masseria di Canne, witnesses of a continuity in life and cultivation.

Fig. I.9 – Canne della Battaglia (BA): la Masseria di Canne (secoli XVIII-XIX), antica stazione di posta sulla S.P. 142. Pict. I.9 – Canne della Battaglia (BA): the Masseria di Canne (XVIII-XIX cent.), ancient post house on the S.P. 142.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale vegetali «sotto il profilo ecologico, paesaggistico e selvicolturale», e paesaggio rurale32. Non va inoltre dimenticato il loro riconoscimento, in data 7 marzo 2008, come elementi costitutivi e caratterizzanti del paesaggio, con una norma approvata in Commissione Ambiente del Senato per integrare l’enunciato dell’art. 136 comma 1 del già ricordato Codice dei Beni Culturali (n. 42/2004), con l’inserimento fra le ‘bellezze naturali’ dei ‘filari’, delle ‘alberate’ e degli ‘alberi monumentali’ propriamente detti ma nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 367 del 7 novembre 2007 sul ricorso delle regioni Piemonte, Toscana e Calabria in materia di «Tutela del paesaggio».

ragione per giustificare la creazione, e quindi l’inserimento, di strutture certamente appariscenti, ma non sempre armonizzate con il semplice contesto fisico, per non parlare del paesaggio. Si tratta di contraddizioni o anomalie sollecitate, quasi, dalla trattazione dell’argomento e comuni soprattutto alle discipline che risultino ancorate alla storia degli studi e al tempo stesso siano protagoniste nella progettazione dell’ambiente nel futuro. Nello sviluppo della tematica si assiste poi ad uno scambio di ruoli fra la ‘parte’ ed il ‘tutto’, dove l’attenzione e lo studio di un singolo oggetto o bene presente nel territorio, che ne costituisca una sorta di elemento rappresentativo ed esteticamente apprezzabile, diventa la ragione per poter parlare di ‘paesaggio’.

Nell’enunciato, infatti, si distingue nettamente l’elemento, o ‘bene’, da tutelare, con prerogativa affidata alle Regioni in quanto compresa fra le pratiche di ‘fruizione del territorio’, e il contesto che lo contiene, nel quale insieme ad altri elementi, o ‘beni’, di forme diverse e di analogo significato, concorre a creare il paesaggio, valore d’insieme, primario e assoluto la cui pertinenza, responsabilità e conservazione sono compiti esclusivi dello Stato, come stabilito già dall’art. 9 dalla Costituzione della Repubblica Italiana.

È recente candidatura del Paesaggio agrario dell’Oliveto secolare pugliese come Patrimonio dell’Umanità. La pratica illegale dell’espianto di esemplari ultracentenari ad uso ornamentale29 ha generato il proposito di trasformare un elemento comune del territorio (l’olivo), ampiamente diffuso in tutta l’Italia centro-meridionale, in un bene caratterizzante dei luoghi e un simbolo identificativo da evocare a supporto anche della produzione olearia e del relativo indotto economico. La pianta, pur nelle straordinarie forme assunte in secoli di vita, non basterebbe da sola a giustificare una simile operazione, se non si ampliasse la considerazione a tutti gli altri elementi (architettonici, archeologici, ambientali) osservabili a contesto dei luoghi nei quali sia possibile apprezzare il gigantismo delle piante (masserie, delimitazioni fondiarie in muri a secco, frantoi sia in elevato sia rupestri). L’olivo offre quindi anche il motivo per approfondire lo studio di componenti dello spazio che, prese da sole, potrebbero non essere ritenute sufficienti a giustificare un’azione di tutela tanto generale, quanto incisiva nell’agire su singoli aspetti (figg. I.8-9 / pict. I.8-9).

I.4 Le discipline alla ricerca del ‘paesaggio’ La distinzione tra “Bene” da tutelare ed il “contesto in cui il Bene ricade”, tanto concettuale e in apparenza capziosa, quanto pratica ed importante, non trova pari accoglienza nell’uso, per non dire “abuso”, che si giunge a fare del vocabolo ‘paesaggio’33, mettendolo in primo piano nel titolo di un lavoro senza un adeguato corrispettivo nei relativi contenuti, che prevedrebbero un rapporto di reciprocità fra ‘Elemento/Componente’ e ‘Contesto’ nel Tempo; oppure estrapolando la porzione di “propria” competenza isolandola dall’insieme geografico, storico e culturale di cui fa parte, e determinando persino delle curiose contraddizioni fra etichetta e contenuto.

Di seguito, sulla stessa linea potrebbe accennarsi alla legislazione promulgata in tempi diversi, dal 1992 ad oggi, nelle sedi regionali e specifica per la tutela degli alberi monumentali30, oppure più generale ma con richiami espliciti al rapporto fra risorsa forestale in genere,’biodiversità’ (equiparata a ‘paesaggio’, se riferita alla Botanica, o al Paesaggio culturale, se si intende la Silvicoltura e quindi la diversificazione varietale)31, rilevanza o meno di formazioni

Vale la pena sottolineare che le diverse contestualizzazioni tematiche e disciplinari in cui si discute di paesaggio non possono prescindere dalla scala tempo, che di volta in volta è presa in considerazione. In questo senso la trattazione del tema ‘paesaggio’ diventa di esclusiva competenza dei geologi/paleontologi-paleoecologi, nel caso in cui si discuta di trasformazioni ambientali (processi geomorfologici e geologici che modificano il paesaggio, conferendogli l’assetto che attualmente è apprezzabile dall’osservazione umana) avvenute in un arco di tempo superiore al milione di anni.

M. Coppa, Piccola storia dell’Urbanistica, 2. Paesaggio e Ambiente, Torino, 1990, con metà delle pagine assegnata all’analisi dell’Antichità (dalla Protostoria orientale alla fine del V secolo d. C.), il rimanente diviso fra Medioevo ed età Moderna ed una bibliografia limitata ad un titolo per ciascuno dei brevi capitoli nei quali è stata suddivisa la monografia. 29 L. n. 144 del 14.02.1951, recepita dalla Regione Puglia, con la L.R. n. 14 del 4.06.2007 ed estesa agli «alberi di ulivo monumentali, amche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale». 30 In ordine di tempo sulla materia si hanno la L.R. Valle d'Aosta n. 45 del 24.08.1992, la L.R. Basilicata n. 42 del 10.11.1998, la L.R. Liguria n. 4 del 22.01.1999, la L.R. Toscana n. 39 del 21.03.2000, la L.R. Veneto 20 del 9.08.2002, la L.R. Trentino n. 10 del 15.12.2004, la L.R. Piemonte n. 50 del 3.04.2005, la L.R. Molise n. 48 del 6.12.2005, la già ricordata legge pugliese e la L.R. Lombardia n. 16 del 16.07.2007. 31 Concetto ampiamente espresso e ribadito nella miscellanea su Paesaggio culturale e biodiversità. Principi generali, metodi, proposte operative¸a cura di R. Colantonio Venturelli, F. Müller, (Giardini e paesaggio, 7), Firenze, 2003.

Man mano che si riduce la scala tempo di riferimento e l’evoluzione delle specie di Ominidi (dall’Homo Erectus all’Homo Neanderthalensis fino all’Homo Sapiens, quindi dal Paleolitico inferiore fino al Neolitico) si determina una rivoluzione culturale tale da far sì che l’azione dell’uomo diventi sempre più incidente sui processi di trasformazione dell’ambiente, non più subito, ma in parte ora dominato; le 32 Così si legge, ad esempio, nella L.R. Lombardia n. 27 del 28 ottobre 2004, con particolare rimando agli artt. 1 (comma 2), 3 (commi 2.a, 4.d e 6), 4 (commi 2, 6.c e 8.d), 11 (comma 1), 12 (comma 4), 14 (commi 4 e 5), 15 (comma 2.c). 33 Sestini, 1963, pp. 9-12.

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Cultural Landscapes - il Paesaggio morale, sul rapporto fra Scienza e Religione, conflittuale e centrifugo nei confronti dell’Uomo, oppure sul processo di colonizzazione italiana dell’Africa e sullo stato disalute della Società, che pretende cambiamenti nella realtà senza lottare per ottenerli e si lamenta dell’inquinamento ambientale pur essendone la diretta responsabile38; - il Paesaggio fossile, perché contenente tutte le informazioni utili alla ricostruzione di un aspetto della vita di un territorio39 e per aver conservato intatti e cristallizzati elementi fisici ed antropici di un’epoca precisa (ad esempio Pompei, ma anche i roddon, alvei preistorici scoperti in Inghilterra sotto strati di torba, nelle fenlands fra Cambridge, Lincoln e Norfolk)40; - il Paesaggio sacro o consacrato, non riferito al confronto fra scelte insediative, conoscenza passata del territorio, dei suoi fenomeni, e correlata distribuzione dei luoghi di culto in ogni epoca, ma all’estetica della costruzione dei giardini rinascimentali e delle rappresentazioni artistiche dei secoli XVI e XVII, ritenute dai rispettivi creatori ‘luoghi della memoria’, estrapolata attraverso la cosiddetta microarchitettura da luoghi reali e, in generale, un’interpretazione del Libro della Natura scritto dal dito di Dio41; - il Paesaggio spirituale, ottenuto ricostruendo le forme di religiosità popolare in un certo periodo ed ambito spaziale42; - il Paesaggio mentale, come rapporto tra la nostra interpretazione del mondo e l'architettura, vista come fatto concreto di una conoscenza del mondo. L'architettura come una riedificazione di un paesaggio mentale43. - il Paesaggio industriale, sviluppatosi in Europa a partire dal Settecento attraverso l’innovazione tecnologica, con singoli

aree di competenza sul paesaggio si allargano ad altre discipline, come l’archeologia, la geografia, l’antropologia umana, la topografia antica, la storia, l’arte e le scienze agrarie (paleobotanica, paleocolture). Nell’insieme concorrono a definire tutti gli elementi costituenti il paesaggio che in parte oggi osserviamo e per completare tale osservazione è necessario ridurre ulteriormente la scala tempo avvicinandosi all’attuale, in cui l’incidenza e l’incisività dell’uomo è determinante ed invasiva in quasi tutte le componenti ambientali, tanto da interessare altre discipline come l’architettura, l’ingegneria e l’economia. Quanto detto trova riscontro in numerose terminologie esistenti in letteratura in cui il concetto di paesaggio è associato ad un termine aggettivante che ne definirebbe il settore di competenza o di trattazione parziale del tema o addirittura l’invenzione, forse anche a torto, di nuove professioni34, come ad esempio: - il Paesaggio geologico o geomorfologico tout-court (e non più Naturale con una rilevanza della componente geologica predominante nel determinare l’assetto morfologico attuale e nel ricostruire quello passato); - Paesaggio culturale marittimo35, termine nato durante l'indagine archeologica marittima della costa della Svezia Norrland tra il 1975 ed il 198036, come l'esigenza di individuazione di un termine scientifico per indicare le testimonianze culturali presenti sott'acqua così come avviene per quelle sulla terraferma, con alcune derivazioni terminologiche come paesaggio mariculturale; - il Paesaggio agrario, argomento anche del Rapporto annuale 2011 della Società Geografica Italiana (Il Sud, i Sud. Geoeconomia e geopolitica della Questione meridionale, n. IX, Scheda 3), ma incentrato sull’agricoltura in quanto tale e le produzioni di qualità, senza la minima cura per il contesto di cui fan parte e che contribuiscono a modellare, all’interno della più ampia ed articolata tematica del Paesaggio rurale37;

Lavorano, Rionero in Vulture (PZ), 2010, e nel VII Rapporto, del 2009, dedicato interamente a I paesaggi italiani. Fra nostalgia e trasformazione, a cura di M. Quaini, eppure poco efficaci nel sostenere la via di una pacificazione nel rapporto dello Stato con le Regioni in tema di tutela, valorizzazione del paesaggio e suo inserimento a pieno titolo in tutti i livelli e le fasi della pianificazione territoriale. E questo tenendo conto della creazione dell’Osservatorio nazionale per la qualità del Paesaggio con D.M. del 25.09.2008, con incarichi precisi anche in materia di ripristino di beni e di aree compromesse, di monitoraggio e di valutazione, affidate quasi esclusivamente ad architetti; e della successiva istituzione, in Umbria, di un corrispondente Osservatorio regionale (L.R. n.13 del 26.06.2009, art. 13). 38 S. Harris, Il paesaggio morale. Come la scienza determina i valori umani, Torino, 2012. 39 Da cui i Paesaggi cerimoniali, argomento dell’XI Incontro di studi su Preistoria e Protostoria in Etruria (Valentano, VT – Ptigliano, GR, 14-16 settembre 2012), «dedicato ai luoghi in cui le comunità antiche celebravano rituali legati a una qualche divinità o al seppellimento dei defunti, e ai monumenti che li caratterizzavano». 40 D. M. Smith, J. A. Zalasiewicz, M. Williams, I. P. Wilkinson, M. Redding, C. Begg, Holocene drainage systems of the English Fenland: roddons and their environmental significance, in Proceedings of the Geologists’ Association, 121 (2010), 3, pp. 256-269. 41 Le Paysage sacré. Le paysage comme exégèse dans l’Europe de la première modernité, (Giardini e paesaggio, 29), Firenze, 2011. 42 P. Brezzi, Paesaggi urbani e spirituali dell’uomo medioevale, (Nuovo Medioevo, 29), Napoli, 1985. 43 Il termine è trattato all’interno del corso di Progettazione Architettonica Assistita della Prima Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni Università la Sapienza di Roma, ed intende riferirsi alla costruzione dello spazio nella propria mente, con punti di riferimento, direzioni, significati, come delle mappe mentali. La parola “volta” ed i suoi diversi significati, volta architettonica, volta celeste, ciclo, copertura. Tutti significati che tornano alla base del contare e della costruzione matematica. Attraverso gli strumenti che si hanno a disposizione, si costruisce lo spazio, la piramide egizia costruita attraverso la conoscenza del triangolo e delle sue proprietà. La città romana ad esempio senza la conoscenza della groma, strumento che consentiva di avere allineamenti ortogonali, non avrebbe potuto crescere con la sua struttura basata sul cardo ed il decumano. Esisteva una matematica geometrica operativa, come base del sistema romano, con sistemi proporzionali che regolano la geometria al calcolo.

34 «Quasi tutti i giorni vado in giro per i paesi, vado a vedere che aria tira, a che punto è la loro salute e la loro malattia. Vado per vedere un paese, ma alla fine è il paese che mi vede, mi dice qualcosa di me, che nessuno sa dirmi». Così Franco Arminio, nel film documentario di Andrea D’Ambrosio a lui dedicato dal titolo ‘Di mestiere faccio il paesologo’. Dal film scaturisce la definizione di paesologia «una scienza che studia i paesi, partendo dall’idea che ogni paese è diverso dall’altro». L’Autore si è autoproclamato primo (e per ora unico) “paesologo” italiano, secondo una visione decisamente romantica ed estetica del paesaggio, ma altrettanto marcatamente poco incline ad intraprendere la benché minima azione per apportare un contributo alle comunità oggetto di osservazione. Introduce infatti la contemplazione fine a se stessa della dissoluzione, soddisfatta di esistere per potersi trovare sempre in prima fila nella visione della rovina, ma inutile ai fini di una qualunque azione costruttiva e di crescita per la comunità che invece resiste sul posto, pur fra innumerevoli carenze e svantaggi determinati dal progressivo abbandono di case ed infrastrutture. Come dimostrato da qualche esempio in Basilicata, la sedicente ‘paesologia’, sostenuta da Università in cerca di fama e di modi alternativi per mostrare un dinamismo nei confronti delle novità che di norma rifuggono, rischia di diventare l’ennesima truffa che, parafrasando il regista Giuseppe Tornatore, l’Uomo delle Stelle perpetra ai danni di collettività semplici ma energiche, desiderose piuttosto di riscatto che non di vane operazioni dialettiche. 35 C. Westerdahl, The maritime cultural landscape, in The International Journal of Nautical Archaeology, 21, 1, (1992), pp. 5-14. 36 C. Westerdahl, Norrlandsleden: The maritime cultural landscape of the Norrland sailing route, in Crumlin Pedersen, O. (Ed.), Aspects of Maritime Scandinavia AD 200-1200. Proceed. of the Nordic Seminar on Maritime Aspects of Archaeol., (13-15th March 1989), Roskilde, 1991, pp. 105-119. 37 Ben diversi i contenuti espressi nei Piani di Sviluppo Rurale regionali (2007-2013), nel volume Note di storia sul paesaggio agrario della Basilicata tra XIX e XXI secolo, a cura di P. Fuccella, A. Labella, E. M.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale interessanti di questo paesaggio sono spesso protagonisti nelle opere letterarie, sia nei romanzi sia nei resoconti di viaggio. Gli autori li usano per la loro forza evocativa, che aggiunge significato alla narrazione dei luoghi. Anche i suoni sono elementi caratterizzanti e hanno un forte potere evocativo. Così, il paesaggio sonoro ha la capacità di connotare i luoghi, legandosi alle attività e alle vicende che vi avvengono, perpetuandone il ricordo come può farlo un’immagine: il fruscio dell’aria, le cascate di un fiume o di un ruscello, il frinire delle cicale nella campagna assolata, il rumore del traffico, il passaggio di un treno, il vociare del mercato , il ripetersi anonimo degli annunci in aeroporto sono suoni che suscitano emozioni e restano legati alla memoria dei luoghi che hanno caratterizzato. - i paesaggi della globalizzazione sono l’icona del mondo contemporaneo: sono il prodotto visivo dell’economia e della cultura globalizzate e si possono rintracciare, con caratteri molto simili, in quasi tutti i Paesi del mondo, determinando talora persino un vero e proprio ‘inquinamento paesaggistico’, se gli elementi che li caratterizzano vanno al di là della multiculturalità e della mescolanza etnica per produrre una generalizzata omologazione, in forme e comportamenti49. La globalizzazione sta producendo paesaggi molto simili che si possono rintracciare praticamente in tutto il mondo. Gli elementi che li caratterizzano sono la multiculturalità e la mescolanza di etnie e culture. Ma la globalizzazione produce anche paesaggi conflittuali, dove gli scenari che si creano riguardano la contesa per le risorse, l’emigrazione verso i Paesi a economia ricca e la marginalità delle fasce di popolazione più deboli50. - Paesaggi televisivi e cinematografici: anche se la possibilità di viaggiare, negli ultimi anni, è aumentata, il numero di luoghi del mondo che una persona può vedere direttamente, nel corso della propria vita, è ancora molto limitato. Eppure, anche quando i turisti arrivano in un luogo per la prima volta, i suoi paesaggi non sono nuovi, sono già visti, già noti. Grazie ai mass media, in primo luogo la televisione e il cinema, i paesaggi del mondo «arrivano» direttamente nelle case. Il paesaggio televisivo non è frutto di esperienze dirette, ma di rappresentazioni basate sulle immagini. Sono i registi, gli autori di programmi, i giornalisti, i cameraman e gli sceneggiatori a scegliere gli angoli del mondo da far vedere e i significati da dare a queste immagini attraverso la narrazione o la descrizione; - la Land Art (Arte di o nel Paesaggio)51, corrente artistica statunitense degli anni ’60 e ’70 del XX secolo, considerata l’ultimo anello di una catena iniziata nel XV secolo in Italia e in area fiamminga, nella quale lo spazio diventa il luogo di espressione e la cornice per opere ecologicamente sostenibili

elementi (stabilimento, manifattura, fornace, viadotto) fortemente caratterizzanti di un’area e in completa dissonanza con un contesto ambientale, con il quale entrano per un certo tempo in contrasto e poi ne sono assorbiti, contribuendo paradossalmente al Paesaggio rurale44 sottoforma di Paesaggio dell’archeologia industriale45; - il paesaggio come occasione per dare dignità a ciò che un’azione umana ha mutato, qualunque essa sia (da cui il Paesaggio dell’agricoltura intensiva, distinto dal Paesaggio agricolo e forestale per il quale si evidenziano i possibili esiti di «abbandono, ampliamento, delocalizzazione e riconquista»; o il Paesaggio di residenza permanente e temporanea del turismo e della villeggiatura), e ridarla anche laddove l’intervento sia stato così radicale e con effetti sull’ambiente circostante tanto negativi da risultare difficile, sul momento, il dimostrare il contrario, nella prospettiva di una riqualificazione (il Paesaggio peri-urbano della produzione industriale e post-industriale)46; - il Paesaggio semi-nascosto, per indicare un luogo nel quale il Tempo ha quasi del tutto cancellato i segni lasciati da un fenomeno naturale di una certa rilevanza. Per quanto gli effetti siano stati disastrosi sugli spazi antropizzati, la memoria ne è quasi scomparsa, dando una falsa impressione di sicurezza a chi è tornato a vivere negli stessi luoghi, pensando di essere al riparo da certe calamità soggette invece a ripetersi47; - il paesaggio olfattivo e il paesaggio sonoro, dove la conoscenza di un luogo non si limita agli aspetti legati al senso della vista. Anche gli odori, i suoni e le percezioni tattili e gustative sono informazioni che contribuiscono alla conoscenza dei luoghi48. In geografia si usa l’espressione paesaggio olfattivo per descrivere quelle componenti sensibili del paesaggio che caratterizzano i luoghi e talvolta li connotano ancor più dell’aspetto visivo. Gli esempi più 44 La prima grande rivoluzione tecnologica della storia umana è stata quella agricola, che ha dato inizio alla diffusione del paesaggio rurale, ancora oggi il tipo di paesaggio umano più diffuso nel mondo. 45 A tal proposito il C.I.R.P. (Centro Interdipartimentale per la Ricerca sul Paesaggio), dell’Università Politecnica delle Marche, collegandosi alla Convenzione Europea del Paesaggio, esprime il proprio genere di approccio all’argomento sintetizzandolo in alcuni passaggi essenziali, dove la componente industriale costituisce non il punto di arrivo ma il presupposto di partenza per obiettivi di ricerca proiettati interamente nel futuro. «Il paesaggio è un sistema di interconnessioni tra popolazione e luoghi, tra società e ambiente, in cui dialogano realtà fisica oggettiva e percezione soggettiva. Solo un percorso sinergico tra scienze biofisiche e scienze umane permette di intervenire in una realtà così complessa. Questo percorso si fonda su alcune dinamiche chiave del XXI secolo, quali le trasformazioni urbano-rurali, il ruolo degli ecosistemi, la dimensione dello sviluppo postindustriale, la pervasiva e diffusa mobilità» (http://www.cirp.univpm.it/, Presentazione, § 4). L’inserimento dell’archeologia non è riferito alla disciplina in sé, ma, in realtà, al tipo di analisi che l’architettura compie nell’occuparsi di strutture in rovine di epoca moderna o contemporanea. 46 I concetti sono espressi e ribaditi nel volume La Cultura del Paesaggio in Europa tra storia, arte e natura, a cura di P. Donadieu, H. Küster, R. Milani, (Giardini e paesaggio, 24), Firenze, 2008, con alcuni approfondimenti sui paesaggi determinati dal particolare tipo di sfruttamento delle aree rurali una volta abbandonate dalle colture e riconvertite ad altro uso. 47 E. Guidoboni, Paesaggi seminascosti: sismicità e disastri sismici in Italia, in Il declino degli elementi. Ambiente naturale e rigenerazione delle risorse nell’Europa moderna, a cura di A. Caracciolo, Bologna, pp. 205-237. 48 Nel romanzo In Patagonia lo scrittore Bruce Chatwin inserisce un episodio incentrato sulla memoria olfattiva: «Una vecchia emigrata dalla Russia Bianca venne da noi in campagna. Eccitatissima, chiese di vedere tutte le stanze. Quando arrivammo su nel solaio, esclamò: Ah, lo sapevo! L’odore della mia infanzia». A distanza di anni e di migliaia di chilometri, un odore ha un grande potere evocativo, perché riaccende il ricordo emozionale di luoghi lontani.

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P. Rognini, La ‘vista amara’. L’inquinamento paesaggistico in Italia, in L’Universo, XCI, 2 (2011), pp. 179-205. 50 Un esempio può essere quello di un gruppo di persone, di diversa nazionalità, in fila per entrare a un concerto: europei, africani, asiatici, sudamericani, uniti dalla passione per un gruppo pop-rock; oppure la bancarella di un mercato o gli scaffali di un negozio con merci provenienti da tutti i continenti; o ancora una grande mostra d’arte contemporanea, come la Biennale di Venezia, che presenta artisti di tutte le nazioni, con opere che utilizzano le tecnologie video più innovative e con un pubblico di visitatori che arriva da tutto il mondo. 51 L’idea di intervenire nel paesaggio con installazioni che dialogano con esso dandogli nuovi significati e nuove forme nasce negli anni Sessanta. Il termine Land art («arte del paesaggio ») è del 1969, quando il tedesco Gerry Schum produsse un video sugli interventi degli artisti impegnati a trasformare in opera d’arte frammenti di paesaggi naturali.

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Cultural Landscapes

Fig. I.10 – Un esempio di land art. Pict. I.10 – An example of land art. per trovarsi di fronte, a livello sperimentale, ad un’esasperazione del rapporto fra ‘paesaggio’, inteso come ordine fra entità isolate, e capacità di trasformare ed associare le medesime entità in nuovi schemi, o ‘creazioni’ e ‘vedute d’insieme’, suggerite e consentite dalla tecnologia informatica. Il paesaggio diventa un ‘luogo della mente’ e uno spazio nel quale la New Architecture si muove alla ricerca di nuove relazioni e modelli per progettare le trasformazioni delle superfici54.

e, quindi, deteriorabili, con soggetti artificiali realizzati con materiali naturali su dimensioni fuori del comune; - il Paesaggio sostenibile, secondo parametri economici e sociali; e così via, citandone alcuni, per arrivare infine ad una dissoluzione e al tempo stesso esplosione concettuale dei Landscapes in innumerevoli scapes (lett. ‘vedute d’insieme’), intesi secondo l’accezione originaria tedesca degli schaffens (‘creazioni’); - il Paesaggio minerario, per indicare la ricostruzione di antichi paesaggi minerari come nel caso delle mineralizzazioni metallifere dell’Etruria52; lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo finalizzato a ricavarne il massimo vantaggio ha spesso condotto con il perpetuarsi plurisecolare dei lavori, soprattutto dopo l’avvento delle tecnologie di scavo moderne, allo sconvolgimento dell’ambiente e all’obliterazione pressoché completa delle evidenze connesse alle più antiche attività estrattive, con la scomparsa talora di intere porzioni di territorio; - il Paesaggio di parole, costruito selezionando autori moderni e contemporanei e componendoli in quadri descrittivi del territorio. L’esperimento, compiuto ad esempio nel Lazio centrale, ha portato a distinguere i Castelli Romani, la costa da Maccarese a Nettuno, la campagna dalla Flaminia alla Maremma Laziale e il corso dell’Aniene53.

L’approfondimento di singoli aspetti specifici, rispetto ad un’attenzione per il quadro ambientale, territoriale e culturale complessivo per un luogo, è pari a quello che si ha con l’Archeologia del Paesaggio e con l’uso disinvolto con cui talvolta si connettono la carta archeologica, nel senso di censimento sistematico delle emergenze archeologiche (spesso limitate a quelle di epoca protostorica, arcaica e classica, con una concessione alla Tarda Antichità ed un fugace rimando al Medioevo), e l’analisi storica del territorio, senza limiti di documentazione e di periodo cronologico. Come accennato precedentemente, se appare assodato a livello legislativo il carattere del ‘paesaggio’ quale «parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni» (art. 131, comma 1 del D. Lgs. 42/2004), non altrettanto si riscontra nella pratica.

È una sorta di ritorno al punto dal quale si è partiti in questa rapida, e comunque parziale, successione di esempi del rapporto fra uso del vocabolo ‘paesaggio’ ed applicazione,

L’affermazione dell’Archeologia del Paesaggio, come nuova forma di rendere gli studi e le metodologia di ricerca sino a poco tempo prima praticata dalla Topografia per la dissociazione dell’Archeologia classica, dedita agli scavi e

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C. Giardino, Paesaggi minerari dell’Etruria pre-protostorica, in Preistoria e Protostoria in Etruria, Atti dell’ottavo incontro di studi Valentano (Vt) Pitigliano (Gr), 15-17 Settembre 2006, Vol. I, 2008 Centro Studi di Preistoria e Archeologia, pp. 73-86. 53 Paesaggi di parole. La provincia di Roma, a cura di S. Bozzato, Roma, 2010, pubblicato per la Società Geografica Italiana.

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P. Gregory, Territori della complessità. New Scapes, Torino, 2003.

Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale

Fig. I.11 – Alta Val d’Agri (Potenza): il paesaggio culturale è espresso dalla visuale avuta da ‘ibn ‘Idrîs (1154), nel descrivere la valle con i suoi luoghi principali: «Il vâdî ‘akrî (fiume Agri) esce pure dal monte Sirino», a sinistra nell’immagine, «dal versante di ponente, corre verso sarqûn (Sarconi), passa vicino a śant martîn (San Martino [d’Agri]), arriva al castello di ‘alîân (Aliano) e quindi, scorrendo a poca distanza da ‘aklûn (Anglona), va al castello di b.l.qûrî (Policoro) e poi al mare» (‘ibn ‘Idrîs, Kitab nuzhat ‘al mus’ta^q, 103). Pict. I.11 - Alta Val d’Agri (Potenza): the cultural landscape has given by the point of view of ‘ibn ‘Idrîs (1154), when describes the valley with its places more important: «The vâdî ‘akrî (Agri river) come from the Sirino mount», on the left side of the picture «in the western slope, flows to sarqûn (Sarconi), goes near śant martîn (San Martino [d’Agri]), joins the ‘alîân castle (Aliano) and then flowing a little far from ‘aklûn (Anglona), goes to the castel of b.l.qûrî (Policoro) and then into the sea» (‘ibn ‘Idrîs, Kitab nuzhat ‘al mus’ta^q, 103).

Fig. I.12 – Armento (Potenza): il santuario campestre della Madonna della Stella (secolo XVIII) riproduce il modello di un santuario greco-romano, con il bosco sacro (lucus) intorno, la fonte d’acqua e l’altare esterno. Al centro della foto verso destra la rupe di Serra Lustrante, effettiva sede di un’area sacra ellenistica (IV-III secolo a. C.). Pict. I.12 – Armento (Potenza): the rural shrine of Madonna della Stella (XVIII century) gives the model of a greek-roman one, with the sacred wood (lucus) around, a spring and the altar outside. In the center of photo and at right the cliff of Serra Lustrante, real site of an hellenistic sacred place (IV-III century b. C.).

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Cultural Landscapes Se, in sostanza, si accetta il ‘paesaggio’ nel suo valore di fase di superamento della contrapposizione fra Natura e Uomo, permettendo al secondo di placare la cattiva coscienza per gli stravolgimenti, anche irreparabili, arrecati alla prima e di avere un’occasione di riscatto, il ‘paesaggio culturale’ può segnare il superamento definitivo del doppio polo concettuale, trasformando in Cultura, attraverso il prolungamento della prospettiva temporale (i percorsi della memoria e la rilettura dell’eseguito, senza più l’ansia di doverlo ancora realizzare), quel che sul momento è stato frutto di una decisione volta all’immediato e alla sola considerazione degli effetti.

attenta anche ai ritrovamenti in grado di dare visibilità e fama, è servita, da un lato, a risvegliare le cattive coscienze di quella parte di archeologi, di solito dediti esclusivamente allo scavo, circa l’opportunità di lanciare uno sguardo al di là del limite delle trincee e di iniziare a maneggiare anche altro materiale che non fossero unicamente le classi ceramiche o i fittili, certamente preponderanti ma non le uniche informazioni ad essere recuperate in un’indagine stratigrafica. Dall’altro, complice anche la riforma universitaria con l’ingannevole prospettiva di nuove possibilità di approfondimenti, ha contribuito a frammentare ulteriormente un programma formativo che dipersé disponeva già delle competenze utili a sviluppare le indagini sul territorio, aperte ad ogni possibile sviluppo concettuale fosse suggerito dagli indizi di ogni genere, diretti e indiretti, recuperabili sul campo e nella documentazione, e non limitatamente o esclusivamente nelle aree di scavo.

I.5 La ricerca sui ‘paesaggi culturali’ Attualmente, in linea con le direttive sul Patrimonio Culturale formulate per l’obiettivo la tematica comporta l’impegno di una molteplicità di discipline (geologia, topografia, archeologia, storia, biologia, agronomia) e l’impiego di tecnologie avanzate per la realizzazione di sistemi informativi geografici.

La produzione rapida di manuali, rispetto ad una storica assenza di corrispettivi testi di carattere topografico, ha fatto il resto, prelevando di sana pianta la metodologia della ricerca topografica e prendendola, per sottrarre la Carta archeologica e creare un programma editoriale parallelo alla Forma Italiae, arrivando infine al paradosso di cercare i ‘paesaggi culturali’ (tratti di superficie con edifici rurali o ville), parlando di Archeologia del paesaggio ma cercando di riprodurre la ricerca topografica nella parte teoricamente più semplice e alla portata del comune archeologo: la ricerca dei tanto amati materiali, parte di un Patrimonio ben più vasto che la carta archeologica non riesce e neanche può rappresentare.

La ricerca sul territorio coniuga le esigenze di conoscenza ai fini di una pianificazione (comunale, provinciale, regionale) e la possibilità di acquisire quantità di dati multi temporali, indispensabili per il supporto operazioni di valorizzazione del territorio. Divergente dall’Archeologia del paesaggio, che costituisce solo uno dei tanti approcci possibili, è la linea dalla più ampia multidisciplinarietà, condivisa con altri istituti (ICVBC, ITABC) all’interno di un Progetto Nazionale CNR (Uff. Programm. Strategica) e in relazione con l’obiettivo europeo Horizon 2020.

Quindi Archeologia del paesaggio diventa l’ennesimo taglio o prospettiva parziale che, aggiunta all’architettura, alla geologia, alla botanica fornisce una lettura del territorio, ma non ‘la lettura’, come invece trionfalmente si vorrebbe affermare55. Insomma, tornando a concetti già espressi, l’Archeologia di impostazione classica (indipendentemente dal periodo cronologico di riferimento), in assenza di un mercato e di interlocutori che le dessero retta, o di ritrovamenti eclatanti, ha pensato di riciclare delle sue parti (“meno nobili” secondo i suoi parametri), ossia le semplici fattorie o le ville di cui sono ricchi i territori italici, e rivenderseli come indagine sul paesaggio.

La ricerca si sviluppa attraverso metodi innovativi di analisi delle fonti grafiche e testuali, l’esplorazione integrata dello spazio fisico ed antropico e l’applicazione di tecnologie, a supporto della pianificazione, della valorizzazione e di una migliore e consapevole fruizione del territorio e delle sue identità. Ogni luogo della Terra ha quindi un suo paesaggio culturale, espressione delle interpretazioni e delle trasformazioni date dalla cultura umana all’ambiente naturale. Il paesaggio culturale è spesso il risultato di una stratificazione di trasformazioni avvenute nei secoli, che riflettono in modo unico le vicende del luogo e le culture che lo hanno costruito.

Il vizio di partenza è rimasto. La consuetudine di parlare di un singolo punto ha fatto in modo di creare tanti focolai ma di non connetterli alla quantità di dati ricavabili dalla ricerca globale e totalizzante rapprentata dalla topografia storica, che ti fa guardare laddove gli altri non posano gli occhi e raccogliere dove non si conosce.

Per questo, in un senso più specifico, il paesaggio culturale è in modo particolare quello che più chiaramente ha conservato e cristallizzato i segni delle culture umane, assumendo nel tempo valore universale. Il concetto specifico di paesaggio culturale è quindi molto simile all’idea di paesaggio espressa dall’UNESCO56 nell’elenco del Patrimonio dell’Umanità. Su scala mondiale l’UNESCO, muovendo dalle premesse formulate nella World Heritage Convention (Paris, 21 novembre 1972), definisce cultural landscapes quei territori in cui la combinazione fra forme e manifestazioni della natura, da una parte, e azioni antropiche, dall’altra, appare in

Al massimo ci si è spinti a carte diacroniche e a distribuzione di siti, con viabilità ricostruita solo laddove si hanno delle tracce materiali e analisi scippate ad antropologi e botanici, in precedenza snobbati, giusto per potersi fregiare di una maschera di progresso avanzato. Ma come al solito la partita è stata persa o meglio non può sperarsi di cambiare natura a scapito degli altri.

56 UNESCO World Heritage Centre, 2007. World Heritage: Challenges for the Millennium. Paris, UNESCO World Heritage Centre. Fowler P. 2003. World Heritage Cultural Landscapes 1992-2002. World Heritage papers 6. Paris, UNESCO World Heritage Centre.

55 G. Traina, ‘Continuità’ e ‘visibilità’: premesse per una discussione sul paesaggio antico, in Archeologia Medievale, XVI (1989), pp. 683-693.

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Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale

Fig. I.13 - Tabella con le tre categorie dei paesaggi culturali, adottate dalla Commissione nel 1992 ed incluse nel Paragrafo 39 delle Linee Guida Operative (2002). Pict. I.13 - The three categories of World Heritage cultural landscapes adopted by the Committee in 1992 and included in Paragraph 39 of the Operational Guidelines (2002). La nozione stessa di ‘paesaggio’ è altamente culturale e può sembrare ridondante parlare di paesaggi culturali; ma il termine descrittivo 'culturale' è stato aggiunto per esprimere l'interazione umana con l'ambiente la presenza dei beni culturali materiali e immateriali come valori del paesaggio. I geografi umani definiscono un paesaggio culturale come «un concreto e caratteristico prodotto dell'interazione tra una data comunità umana, che incarna alcune preferenze culturali e potenzialità, e una serie particolare di circostanze naturali. Si tratta di un patrimonio di molte epoche di naturale evoluzione e di molte generazioni di sforzo umano»58.

maniera così spiccata da testimoniare l’intima relazione esistente fra Ambiente e Uomo57. Nel 1992 la Convenzione del Patrimonio Culturale Mondiale diventa il primo strumento legale internazionale per riconoscere e proteggere i paesaggi culturali. Dal 2009 circa 66 paesaggi culturali sono stati iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale. La tendenza a tale riconoscimento favorisce un’apertura della Convenzione del Patrimonio Mondiale verso quelle culture non o sotto-rappresentate prima del 1992.

Nel contesto del Patrimonio Mondiale, la nozione di ‘paesaggio culturale’ ha conosciuto un nuovo impulso, e ha integrato paesaggi che portano solo i valori simbolici con i

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Una frase di Carl Sauer (Sauer, C. O., 1925, The Morphology of Landscape, in University of California Publications in Geography, 2, p. 46), richiamata dall’UNESCO, sembra sintetizzare al meglio il punto di vista globale sull’argomento: The cultural landscape is fashioned out of the natural landscape by a culture group. Culture is the agent, the natural area is the medium, the cultural landscape is the result.

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Da Wagner e Miskell, citato in Fowler, 1999, p. 56.

Cultural Landscapes paesaggi plasmati dalle attività umane. Appena un territorio è visto come un paesaggio, produce valori culturali; ma questi valori non sono necessariamente eccezionali e universali. Quei paesaggi in cui l'interazione tra le persone e il loro ambiente è considerato essere di eccezionale valore universale sono Paesaggi Culturali del Patrimonio Mondiale.

4. la Carta dei Paesaggi del territorio inteso come quadro istituzionale di riferimento del complessivo sistema di risorse fisiche, ecologico-naturalistiche, agroforestali, storicoculturali ed archeologiche, nonché delle rispettive relazioni e della disciplina di uso sostenibile che definiscono l’identità dei luoghi.

Un eccezionale valore universale è il concetto chiave per la selezione di siti per la Lista del Patrimonio Mondiale. Non è definito come tale nella Convenzione del Patrimonio Mondiale, ma interpretata in linee guida operative. Esso fornisce un collegamento tra universalità, unicità e rappresentatività di una certa cultura, fenomeno o caratteristica naturale.

La Carta dei paesaggi è costituita dai seguenti elaborati: risorse naturalistiche e agroforestali; sistemi del territorio rurale e aperto; carta delle strutture storico-archeologiche; schema di articolazione dei paesaggi dei territori. Una naturale evoluzione della Carta dei Paesaggi, redatta da Architetti del Paesaggio, potrebbe sicuramente essere La Carta del Paesaggio Culturale d’Italia. Per la prima volta si concepisce una cartografia dedicata al Paesaggio nella sua accezione più ampia, dove il fattore culturale somma l’insieme delle componenti spaziali e temporali (l’evoluzione della vita, dell’occupazione e delle risposte degli individui alle sollecitazioni dell’ambiente) di un territorio, lette attraverso l’interazione fra l’Uomo e l’Ambiente.

Ai fini della Convenzione, i paesaggi culturali sono adatti per l'inclusione nella Lista del Patrimonio Mondiale, se l'interazione tra le persone e la natura è di eccezionale valore universale. Affinché un sito possa essere inserito nella lista del Patrimonio Mondiale, è necessario che ogni proposta soddisfi le condizioni di integrità, e per i siti culturali anche i requisiti di autenticità. Questi concetti sono specificati negli orientamenti operativi (2005) Capitolo II.E. Nel contesto specifico dei paesaggi culturali, l'integrità è la condizione in cui gli strati storici, i significati e le relazioni tra gli elementi storici rimangono intatti e possono essere interpretati nel paesaggio; è anche l'integrità del rapporto con la natura che conta, non l'integrità della natura in quanto tale.

Questo particolare tipo di cartografia si pone a fianco di tematismi quali la Geologica, l’Archeologica e le generiche carte sulla distribuzione del Patrimonio. Precede, affianca e supera la realizzazione di strumenti di programmazione territoriali come i PTP, poiché i suoi contenuti si adeguano ad uno dei valori portanti del Paesaggio Culturale. Ogni carta “fotografa”, quindi, in modo istantaneo non una realtà specifica, ma tutto ciò che al momento presente si trova nel territorio in essa compreso, analizzato nella sua entità materiale ed interpretato in quella temporale. Attraverso di essa si compie una sorta di radiografia, cogliendo ed evidenziando l’ossatura di ciò che oggi si vede ancora, frutto di passato evolutivo tanto remoto (geologia) quanto prossimo (agronomia, topografia [archeologia], architettura, sismicità storica).

La continuità di un paesaggio riflette un processo di evoluzione delle forme e dei lineamenti che possono essere lette come documenti, ma la loro condizione di integrità storica può essere definita anche dalla continuità delle funzioni tradizionali e dalle relazioni tra le parti dell’intero paesaggio, come è il caso dei terrazzi di riso delle Filippine o i terrazzi con i vigneti delle Cinque Terre (Italia). La fase di riconoscimento e tutela dei paesaggi culturali può avvenire anche nell’ambito di fasi di progettazione urbanistica e territoriale, come ad esempio nei Piani Integrati Territoriali (PIT), nei Piani di Coordinamento Territoriale (PTC), nei Piani Paesaggistici Regionali (PSR), nei Piani del Parco (per i Parchi regionali e nazionali) e nei Piani Strutturali Provinciali e Comunali (PSP e PSC).

Una tale carta, potrebbe essere redatta per il territorio italiano in scala 1:50000 secondo la griglia dell’IGM, prendendo come area campione, p.e., un settore della Basilicata centrooccidentale, caratterizzato da un'elevata diversificazione di paesaggi naturali e interazioni antropiche, in cui possano essere compendiate tutte le componenti culturali che concorrono alla lettura integrata e multidisciplinare del paesaggio.

La Convenzione europea del paesaggio (CEP), ratificata dallo Stato italiano con la legge del 9 gennaio 2006 n° 14, e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs 22 gennaio 2004 n° 42 modificato dall’art. 14 del D.lgs del 24 marzo 2006 n° 157) definiscono:

Tra le diverse componenti culturali che verrebbero analizzate la toponomastica diviene un imprescindibile strumento di analisi di un territorio nei suoi molteplici aspetti fisici, antropici e culturali. Un fondamentale aspetto della ricerca condotta nel settore della toponomastica interpretata è senza dubbio l'approccio multidisciplinare. Esso consente di giungere ad una visione completa degli aspetti interpretativi, spesso complessi, dei nomi di luogo, che conservano traccia dei numerosi mutamenti subiti nel corso dei secoli. Solo a questo punto una ricerca sui toponimi assume due ulteriori e significativi valori:

1. i principi di sostenibilità, di tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio dei paesaggi e dello spazio rurale, 2. il quadro di riferimento strutturale con valore di statuto del territorio regionale, il quadro di coerenza per la definizione dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP) delle disposizioni in materia paesaggistica, difesa del suolo e delle acque, di protezione della natura, dell’ambiente e delle bellezze naturali; 3. gli indirizzi per lo sviluppo sostenibile e della valutazione dei carichi insediativi ammissibili sul territorio;

a) consente l’analisi di qualunque territorio nei suoi molteplici aspetti (fisico, ambientale, antropico e culturale), offrendo al ricercatore materiale sufficiente per poter 24

Kulturlandschaft, Cultural Landscape, Paysage Culturel, Paesaggio Culturale

Fig. I.14 - Esempio di carta dei geotoponimi nel Comune di Marsico Nuovo (Basilicata). In grigio sono riportate le aree in frana, mentre i puntini ed il triangolo indica dei geotoponimi classificati in base alla loro natura (es. il toponimo “Tremolizzo” (cerchio nero) indica esattamente l’area soggetta ad un movimento gravitativo franoso). Pict. I.14 - Geotoponym map of Marsico Nuovo municipality (Basilicata region). Landslide areas are indicated in grey colour, whereas the points and triangle indicate the toponyms classified according to their nature (eg the name "Tremolizzo" (black circle) indicates the exact area subject to a landslide movement). completare i propri rilievi ed offrire al tempo stesso materiale utile a costruire una frequentazione del territorio più consapevole, rivolta anche e soprattutto ai non addetti e ai visitatori. La loro attenzione viene, infatti, attirata su peculiarità naturali e culturali non altrimenti percepibili;

ma allo stesso tempo complesso e ricco di sfaccettature, che richiede un’analisi accurata al di là della semplice apparenza linguistica.

b) fornisce dati anche quando non risulti possibile raggiungere e penetrare in luoghi che, per varie ragioni, risultino impraticabili, non raggiungibili o difficilmente accessibili.

Tra gli sforzi profusi nello svolgere ricerche sui Paesaggi Culturali non bisogna da ultimo dimenticare le numerose iniziative volte ad illustrarli e ad esporli attraverso componenti che li caratterizzino. Si potrebbe quasi parlare del tentativo di catturare quanto in realtà risulti sfuggente e, nella sua complessità e capacità di variare di luogo in luogo, difficilmente imbrigliabile nei modelli usuali di rappresentazione adottati in una sede culturale espositiva. Una parte della diffferenza è ovviamente determinata dal grado di conoscenza raggiunto sul territorio oggetto di studio per il periodo di tempo che si è deciso di indagare.

I.6 I Musei del Paesaggio

In riferimento alla toponomastica interpretata si è lavorato a partire dal 1992, con raccolta dei dati, ricerca e applicazione diretta delle informazioni in ambito archeologico. Da qui si è provveduto ad estendere le valutazioni anche agli aspetti geologici e geomorfologici, definendo questi ultimi come Geotoponimi, ed arrivando a definire una Carta dei Geotoponimi in un’area campione della Basilicata centrooccidentale59. Questa carta ha permesso di ricostruire parte del paesaggio storico attraverso un approccio di studio multidisciplinare.

Un’esperienza, che dalla realizzazione di un simile museo ha portato ad un passo dall’organizzazione di un parco del paesaggio agrario, con formazione anche di un gruppo di accompagnatori storico-naturalistici, è illustrata nella parte III del presente volume. Altre invece sono visionabili in rete e in questo paragrafo se ne offre un campione. Innanzi tutto non si può non far riferimento al Museo del Paesaggio di Verbania la cui prima espressione risale al 1914, quando il Museo Storico Artistico del Verbano e delle Valli adiacenti, fondato da Antonio Massara (Meina 1878 - Como 1926) e dall’associazione intercomunale "Pro Verbano" a Pallanza nel

Tale Carta (fig. I.14 / pict. I.14) vuole costituire un esempio di lettura originale del paesaggio, da compiersi attraverso uno strumento semplice e alla portata di tutti (la toponomastica), 59 Del Lungo S., Lazzari M., Danese M. 2011, La Carta dei Geotoponimi dell’alta e media Val d’Agri (Basilicata): un nuovo strumento di conoscenza del patrimonio geostorico di un territorio. Atti del Quarto Convegno Nazionale di Geologia e Turismo, Bologna 21-23 ottobre 2010, pp. 98-100.

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Cultural Landscapes 1909, assume la denominazione di Museo del Paesaggio e trova sede nel palazzo Viani Dugnani. Oggi il Museo del Paesaggio offre al pubblico ricche collezioni di pittura, scultura, archeologia e religiosità popolare, le quali consentono di conoscere vari aspetti dell’arte e della storia del territorio del Verbano Cusio Ossola, ma anche di scoprire i legami che importanti artisti internazionali hanno intrecciato con personaggi e luoghi del lago e delle montagne che lo incorniciano.

artisti del Novecento che hanno operato prevalentemente nel Veneto e che hanno per tema principale la rivisitazione del paesaggio particolarmente della nostra regione. Il nucleo del suo programma espositivo e della costituenda collezione stabile, è il paesaggio e la rappresentazione del Veneto del primo Novecento, a partire dalla linea di confine tra terra e mare, la costa luminosa dell’Adriatico, tutta contrassegnata da lagune, marine strepitose, dune sabbiose, distese liquide che giocano perennemente con l’infinito orizzonte.

Dal 1978, recuperando le finalità originarie volute dal fondatore, il cui motto era “Non lodare, ma capire il paesaggio”, il Museo ha riacquistato un rapporto vitale con il paesaggio circostante, sviluppando un’attività continua di conoscenza e di tutela dei suoi beni culturali, artistici e ambientali.

- Museo del Paesaggio di Castelnuovo Berardenga (SI), realizzato non a caso nell'area estremamente significativa di uno dei più tipici paesaggi senesi e italiani, alle estreme propaggini meridionali del Chianti e in prossimità delle Crete senesi. Il percorso espositivo, attraverso pannelli, ricostruzioni grafiche e maquettes, immagini fotografiche, filmati e documenti, si propone di favorire la consapevolezza critica di un territorio prestigioso: particolare attenzione merita l'approfondimento sul concetto di paesaggio umanizzato; sulla sua rappresentazione nell'arte, nella letteratura e nel cinema; sulla progettualità condivisa (si pensi alla Convenzione Europea del Paesaggio del 2000) e sul concetto di ecosostenibilità. All'interno del museo è collocata una sezione archeologica che raccoglie i materiali rinvenuti sul territorio, disposti per aree significative, così da esemplificare l'evoluzione storica dei siti dalla protostoria al medioevo, attraversando l'età etrusca e quella romana, fra i quali spicca il corredo rinvenuto nel tumulo etrusco di Bosco Le Pici (VIII-VI secolo a.C.)

Lo Statuto del Museo del Paesaggio assegna all’Ente, sin dalla sua fondazione, un compito preciso: «Favorire lo studio delle bellezze naturali e artistiche della regione e promuoverne la tutela». Quest’attività, insolita per un museo e moderna per i tempi della sua istituzione, è stata promossa e sviluppata in modi diversi nel corso degli anni. Dal 1979, con la mostra dedicata alla Piana di Fondotoce, il Museo si muove attivamente in favore del paesaggio, e nel 1988 istituisce al suo interno il Centro Studi del Paesaggio, affidandogli le finalità generali di: - promozione della conoscenza e della tutela del paesaggio; - studio e la documentazione dei diversi tipi e delle componenti del paesaggio della provincia; - diffusione della conoscenza del paesaggio presso il pubblico, le scuole, le università, gli enti pubblici e privati.

- Museo del Paesaggio Storico dell’Appennino, significativamente ordinato nei locali della storica Abbazia di S.Pietro a Moscheta, e finalizzato a riconoscere i segni e le modalità secondo cui si è andato configurando nel tempo storico il rapporto tra ambiente naturale e azioni umane. L'itinerario museale è organizzato in modo da consentire una progressiva lettura dei caratteri peculiari del paesaggio dell'Appennino mugellano; uno spazio particolare è poi riservato ad esperienze conoscitive/percettive del mondo naturale nella sua globalità (geologia, fauna, flora).

Il Centro Studi del Paesaggio si compone di quattro Sezioni, che sviluppano studi e attività diversificate in relazione alle varie componenti del paesaggio: - aspetti storici e morfologici del paesaggio; - tutela e trasformazione del paesaggio; - immagine urbana; - archivio ville e giardini.

Infine, si cita un esempio di evoluzione moderna del concetto di Museo del paesaggio, offerta dal Museo del Paesaggio Sonoro di Riva presso Chieri (Torino) inteso non come una semplice esposizione di strumenti musicali, ma come una ricca testimonianza di usi, costumi e abitudini legate al territorio in cui sorge. Esso, caratterizzato da una precisa impronta antropologica, dominante sulle altre discipline, nasce grazie alla volontà dell’amministrazione comunale di valorizzare il pregevole percorso di ricerca condotto da Domenico Torta ed alcuni studiosi sui suoni, i rumori e le melodie che hanno caratterizzato il paesaggio locale, dalla cultura contadina sino alla contemporaneità.

Il paesaggio del Verbano Cusio Ossola, inteso nell’accezione massariana di fusione armonica tra l’attività trasformatrice dell’uomo e lo spazio naturale in cui si trova ad operare, si presenta ricco, vario, articolato, in quanto vi si trovano a stretto contatto laghi e monti, cittadine e alpeggi, terrazzamenti e cappelle, sacri monti e ville, castelli e chiese, e vari altri elementi ancora. Eppure questo paesaggio, come molti altri sul territorio nazionale, è sovente in pericolo. A seguito di una misconoscenza diffusa da parte della popolazione e degli amministratori, esso va incontro ad abbandono, rovina, modificazioni negative. Compito preciso del Museo del Paesaggio è invece sensibilizzare l’opinione pubblica alla conoscenza del territorio, in modo che vengano messe in atto le strategie migliori per la sua corretta gestione. Il Museo del Paesaggio di Verbania ha costituito un esempio nazionale emulato da altri musei più recenti. Tra questi ultimi alcuni interessanti esempi possono essere quelli del: - Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, ubicato in località Sant’Anna di Boccafossa, che raccoglie opere di 26

CAPITOLO II IL PAESAGGIO CULTURALE ATTRAVERSO LA LETTURA DELLE CARTE TOPOGRAFICHE E LA GEOMORFOLOGIA Maurizio Lazzari Abstract

evidente, pertanto, la necessità di poter distinguere le varie componenti naturali ed antropiche al fine di definire le relazioni ed i limiti di tolleranza tra di essi anche in funzione del tempo, utilizzando gli strumenti conoscitivi più idonei allo scopo.

This paper focuses on the analysis of the natural components of the cultural landscape (physical landscape) through the application of an geomorphological approach and mapping, which takes into account the different time scales at which the morphoevolutive processes occur also in relation to historical settlements.

Keywords landscape, geomorphology, geomorphological processes, cartography

A tal fine la lettura del paesaggio, inteso come definizione, sintesi ed interpretazione delle interazioni multiscala e multitemporali tra caratteri naturali e caratteri antropici di un territorio, può avvenire, per esempio, anche attraverso l'utilizzo della carte topografiche in cui è riportato un ampio contenuto che non raffigura solo elementi fisici del paesaggio naturale (orografia, idrografia, linee di costa, batimetria, vegetazione, sorgenti) o del paesaggio umano (edifici, vie di comunicazione, irrigazioni, cave, miniere, etc) di un determinato settore territoriale (fig. II.1 / pict. II.1), ma anche elementi immaginari come i limiti amministrativi, i reticolati, la toponomastica, etc.

II.1 La Convenzione Europea del Paesaggio

II.2 Lettura delle carte topografiche e storiche

La Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre del 2000, ovvero il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa (CPLRE), ha istituito uno strumento dedicato alla salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi europei, per conservarne e migliorarne la qualità in un’ottica di tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile e nel contempo per preservare i paesaggi naturali da un’irreversibile mutazione e trasformazione. In base all’art. 5 della suddetta Convenzione, il paesaggio assume un ruolo fondamentale nel consolidamento dell’identità europea in quanto «componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità […]», peraltro, la preoccupazione dello sviluppo sostenibile enunciata alla Conferenza di Rio del 1992 riconosce al paesaggio un ruolo essenziale in quanto fattore di equilibrio tra patrimonio naturale e culturale.

Le carte geografiche, siano esse geografiche in senso stretto, siano esse topografiche, ma specialmente queste ultime, sono rappresentazioni fedeli e talvolta assai minute delle numerose entità geografiche e della loro reciproca posizione in un dato territorio. Devono quindi ritenersi giustificate, le dizioni delle prime carte geografiche regionali, intitolate «Descriptio….»1, se la toponomastica era in latino, e «Descrittione….»2, se la toponomastica era in italiano, che talvolta si usavano per indicare la raffigurazione dei monti, dei fiumi, delle risaie, ecc.3

The text highlights the role of cartography in the landscape reading setting as example the use of Aragon maps and IGM topographic maps. Finally, it discusses the relationship between landscape and territory and, therefore, more generally between nature and culture.

Effettivamente le carte geografiche, intese come rappresentazione simbolica, ridotta ed approssimata della superficie terrestre, sono vere descrizioni dei territori con tutto quanto li caratterizza. Si differenziano dai comuni “testi descrittivi” perché, mentre questi ultimi si svolgono in successione di tempo, con procedimento di tipo analitico, le carte danno immediatamente la “visione d'insieme” della regione, descrivendone graficamente il paesaggio.

Il campo di applicazione della Convenzione europea del paesaggio riguarda l’insieme dei paesaggi europei, non limitandosi agli aspetti culturali o artificiali o agli elementi naturali del paesaggio, ma al complesso di questi elementi e delle relazioni fra loro, tanto che nella Convenzione viene enunciato: «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni […] Salvaguardia dei paesaggi indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano […]». Tale definizione tiene conto dell’idea che i paesaggi evolvono col tempo, per l’effetto di forze naturali e per l’azione degli esseri umani, sottolineando nel contempo ugualmente l’idea che il paesaggio è un tutt’uno, i cui elementi naturali e culturali vengono considerati simultaneamente. Appare

1 La Descriptio civitatum et regionum ad septentrionalem plagam Danubii (il cosiddetto Geografo Bavaro) è una fonte geografica del IX secolo che contiene la lista dei popoli barbari residenti oltre l’Elba e il Danubio, con riferimento al numero di civitates (fortificazioni) che appartengono al singolo popolo (Betti, M., 2013, La Descriptio civitatum et regionum ad septentrionalem plagam Danubii. Lo spazio oltre il « limes » nel IX secolo, in Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge, 125, 1, pp. on line. 2 Beltrano O., 1646, Breve descrittione del Regno di Napoli diviso in dodeci provincie : Nella quale con breuita si tratta della citta di Napoli ... delle citta, e terre piu illustri del Regno con le famiglie, nobili ... con i vescouadi, & arciuescouadi, e santi che sono in esso : Con un' catalogo di tutti i sette officij del regno, e di tutti titolati, con la ultima numeratione de fuochi e reg. pagamenti. Raccolti e dati in luce da Ottavio Beltrano. Napoli. 3 Capello, C.F., 1968, La lettura delle carte topografiche e l’interpretazione dei paesaggi. Torino.

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Cultural Landscapes

Fig. II.1 – Esempi di restituzione simbolica del territorio in basi cartografiche topografiche dell’IGM. Legenda: a) Punti geodetici su cime; b) Quote topografiche negative (doline); c) Versanti a balze alternati a pendii regolari; d) Calanchi; e) Cime piane; f) torrenti con alveo sabbioso; g) Isole fluviali; h) Conoidi di pendio (su fianco vallivo); i) Burroni (senza ruscelli); l) Boschi radi; m) Conoidi torrentizie; n) Cave; o) Fiumi; p) Boschi cedui; q) Argini in terra (a spina di pesce); r) Vigneti; s) Alvei di canali abbandonati. Pict. II.1 - Examples of symbolic representation of the territory in the IGM topographic base maps. Legend: a) Geodetic Points on peaks; b) negative topographic altitude (doline); c) steep slopes alternating with regular slope; d) Gullies; e) Fiat Tops; f) streams with sandy riverbed; g) River islands; h) Alluvial slope (on the volley side); i) Gullies (no streams); I) Sparse forests; n) Alluvial fans; n) Cave; o) Rivers; p) Coppice; q) Eembankments on earth; r) Vineyards; s) Ravines of abandoned channels. 28

Paesaggio Culturale, carte topografiche e geomorfologia Da un certo punto di vista, pertanto, le carte geografiche sono superiori alle comuni descrizioni, le quali, se pure sono in grado di dare minutissimi particolari, non possono raffigurare sinotticamente un paesaggio. Per avere tale visione sinottica dalle carte, necessita però saperle non solo leggere, ma anche interpretare, comprendendo il significato della simbologia e ricavando da essi l'aspetto del territorio raffigurato (fig. II.1 / pict. II.1).

regolamentava l'allevamento e il diritto di pascolo nel Tavoliere. Le Carte Aragonesi riportano una mole di informazioni molto importanti ed innovative in relazione all’epoca in cui furono redatte4. Da questo punto di vista, esse sono, infatti, comparabili con quanto oggi riportato nelle tavolette topografiche dell’IGM consentendo una lettura completa degli aspetti naturali ed insediativi di gran parte delle regioni dell’Italia meridionale e quindi del paesaggio (figg. II.2-3 / pict. II.2-3).

Con un tale processo analitico, si può passare dal riconoscimento del paesaggio alla descrizione, tenendo comunque conto che il processo è bilaterale, infatti, dalla descrizione di un territorio si potrebbe comporre una carta, così dalla carta si può dedurre una descrizione di quanto raffigurato. Vi è però una notevole differenza, poiché la carta può dare le proporzioni esatte, le distanze, le altitudini, riproducendo fedelmente le caratteristiche di una regione. Appare quindi giustificato l'affermare che chi sa leggere ed interpretare la carta di una regione, ne ritrae le stesse impressioni che sorgerebbero dalla diretta visione di quella data regione.

In particolare, le categorie richiamate nelle carte aragonesi sono le seguenti: A = casali, villaggi (una o più casette) ACQ = acquedotti, lunghe mura B = boschi, selve, foreste C = paesi con un solo campanile (o chiesetta), e casette CC = paesi con due o più campanili (o chiesette), e casette F = fiumi, fiumare, rivi, torrenti, fonti, sorgenti IS = isole, scogli L = laghi M = mercati (parallelepipedo) MI = miniere MT = monti, montagne, timponi N = aree, zone P = ponti (due rette parallele perpendicolari ai fiumi) PR = promontori PT = porti R = città fortificate, con cinta di mura e/o castello, e casette RV = rovine, ruderi, antichità SN = santuari, luoghi di culto (chiesette, entro C, CC, R) T = torri costiere

La lettura di una carta esige una preventiva conoscenza delle sue caratteristiche generali, di proiezione, di scala, ecc., per saperne valutare il grado di precisione. Mediante la conoscenza dei segni convenzionali o simboleggiatura, si deve in seguito riconoscere le caratteristiche territoriali della orografia, dell'idrografia, della flora e delle coltivazioni, delle sedi umane, delle costruzioni, delle vie di comunicazione, ecc. Naturalmente occorre conoscere, almeno nelle linee principali, i caratteri morfologici più salienti dei vari paesaggi (carsico, glaciale, vulcanico, ecc.) oltre ad adeguate nozioni di geografia generale ed una preparazione perfetta nella lettura della simboleggiatura: le prime nozioni consentono una più approfondita conoscenza del paesaggio, conoscenza che la semplice lettura dei simboli talvolta non può chiarire.

Nell’insieme l’indicazione di queste categorie permette il confronto con dati cartografici successivi e recenti, consentendo una prima analisi multitemporale delle trasformazioni del territorio e del paesaggio.

II.2.1 Il caso delle Carte Aragonesi

II.3 Il Paesaggio Fisico

Durante il Regno aragonese furono avviate e realizzate alcune operazioni scientifiche di notevole valore, tra le quali vanno certamente annoverate quelle di carattere astronomico e geografico, che diedero luogo al rilevamento del Regno e al disegno e suo territorio in termini assolutamente moderni. Con l’ascesa al trono di Napoli di Alfonso I d'Aragona (13941458) nel 1442, si crearono le premesse per la nascita di uno stato unitario del Mezzogiorno d'Italia, che fu inserito nella consociazione degli Stati della Corona d'Aragona. La corte aragonese favorì gli studi scientifici e geografici, come è attestato dalla ricca biblioteca del re e dalle cedole di tesoreria, ove sono registrati alcuni interessanti pagamenti a miniaturisti e cosmografi incaricati della redazione di carte geografiche.

Discutere degli aspetti fisici del paesaggio non può che richiamare l’osservazione geomorfologica dello stesso5. La Geomorfologia rimane, però, una scienza ancora troppo poco conosciuta dal grande pubblico ed essa non è generalmente considerata. Le ragioni risiedono nella difficoltà nel valutare caratteristiche geologiche e geomorfologiche del paesaggio, ma anche nel fatto che i geomorfologi sono poco coinvolti nella pianificazione del territorio e la tutela dell'ambiente, disciplina la cui competenza, nella visione più comune, è attribuita agli ingegneri ed architetti. Tuttavia, durante gli

La volontà e l'interesse verso una migliore conoscenza del territorio e, quindi, del suo controllo si manifestò nelle riforme delle magistrature e nel nuovo assetto dato alle strutture dello stato; infatti, nel 1444, con Ferdinando I (1458-1494) fu istituita la Regia Camera della Sommaria, organo amministrativo giurisdizionale e consultivo e nel 1447 la Dogana della mena delle Pecore, con la quale si

4 La Greca, F., Valerio, V., 2008, Paesaggio antico e medioevale nelle mappe aragonesi di Giovanni Pontano. Le terre del principato Citra, Acciaroli (SA). 5 Dramis, F., Bisci, C., 1998, Cartografia geomorfologica. Manuale di introduzione al rilevamento ed alla rappresentazione degli aspetti fisici del territorio, Bologna. Panizza, M., 2007, Geomorfologia, Bologna.

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Fig. II.2 – Rappresentazione della Basilicata parte della Val d’Agri nelle Cartes et Plans GE AA1305-4 (Bibl. Nat. de France). Pict. II.2 – Representation of the Basilicata, a sector of the Agri Valley in the Cartes et Plans GE AA1305-4 (Bibl. Nat. de France).

Fig. II.3 – Rappresentazione della Basilicata, parte della valle del Basento nelle Cartes et Plans ((Bibl. Nat. de France). Pict. II.3 – Representation of the Basilicata, a sector of the Basento valley in the Cartes et Plans (Bibl. Nat. de France).

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Paesaggio Culturale, carte topografiche e geomorfologia Bisogna inoltre considerare la variabilità nel tempo delle varie cause del modellamento del rilievo: variabilità a diverse scale, dalle variazioni climatiche avvenute nel Pleistocene o dai movimenti orogenetici via via fino a quelle a ritmo stagionale o diurno come l'alternarsi di periodi più o meno piovosi o i cicli di gelo-disgelo. Un problema di particolare importanza e la collocazione nel tempo delle forme del paesaggio terrestre: vi sono morfologie che si sono prodotte istantaneamente e altre che hanno richiesto un tempo più o meno lungo per realizzarsi alcune recenti o addirittura attuali ed altre più antiche.

ultimi 20 anni, molti studi si sono concentrati sul tema della valutazione del patrimonio geologico e geomorfologico, come evidenziato dagli studi di Panizza e Piacente6 e Grandgirard7. Tuttavia, alcuni tentativi metodologici di quantificare il valore scenico dei parametri geologici ed antropici del paesaggio furono proposti già da Leopold nel 1969 (fig. II.4 / pict. II.4)8. In generale, le forme del paesaggio fisico sono la conseguenza di due gruppi di forme per lo più antagoniste. Le une sono le forze endogene, che hanno origine all'interno della Terra e provocano le deformazioni della crosta terrestre. Esse determinano soprattutto i fenomeni di orogenesi e di accavallamento delle masse rocciose, fratturandole e piegandole in vario modo, e le manifestazioni vulcaniche. Le altre sono le forze esogene, che al contrario hanno origine all'esterno della Terra, e provocano alcune modificazioni della crosta terrestre. Esse consistono essenzialmente nella forza di gravità e nell'energia solare, che causano un insieme di movimenti di tipo vettoriale, o convettivo o tangenziale sulle asse solide, liquide o aeriformi presso la superficie di contatto tra la litosfera, da un lato, e l'atmosfera e/o l'idrosfera, dall'altro (fig. II.5 / pict. II.5)9.

L'interazione tra i vari aspetti di questi due tipi di forze e le loro possibili combinazioni sono molteplici e complesse. Fra gli elementi endogeni bisogna considerare anche le rocce stesse, la loro geometria, disposizione, composizione, compattezza, erodibilità, permeabilità, ecc.; tra gli elementi esogeni che causano modificazioni dirette o indirette del rilievo terrestre c'è anche la copertura vegetale e l'uomo stesso. In relazione all’evoluzione naturale del paesaggio si ritiene utile soffermarsi su due aspetti che in maniera determinante agiscono sul modellamento del territorio e nelle relazioni con le aree insediative, ovvero, rispettivamente, la geomorfologia fluviale e la pedologia.

Le forze endogene sono, ad esempio, causa dell'innalzamento progressivo di alcune catene montuose, dei terremoti e dei vari tipi di eventi vulcanici. Le forze esogene determinano invece perturbazioni atmosferiche, come la pioggia, la neve e il vento, sono causa delle onde marine, delle correnti fluviali e così via. Le prime tendono a creare il rilievo terrestre, le seconde a demolirlo: dall'antagonismo di queste due forze si modella via via il paesaggio fisico che noi osserviamo, secondo scale temporali differenti (fig. II.5 / pict. II.5), che includono eventi da istantanei (ore, giorni) ad eventi di lungo termine (decine di migliaia di anni fino a milioni di anni).

II.3.1 I sistemi fluviali

Schematicamente le varie cause che determinano gli eventi geomorfologici responsabili del modellamento fisico del paesaggio sono sintetizzate in fig. II.6 / pict. II.6.

L’analisi dei sedimenti fluviali (sedimentologia) è la chiave per l'interpretazione dei processi e le condizioni in cui i materiali si sono stati depositati, memorizzati e conservati negli ambienti deposizionali (laghi, fondovalle, aree costiere deltizie, bacini artificiali. Queste relazioni variano marcatamente secondo le diverse scale spaziali e temporali di riferimento. La conoscenza ed il riconoscimento di tali processi e dei loro effetti in un determinato ambiente permette la lettura multi temporale e multiscala degli aspetti fisici dell’evoluzione del paesaggio.

Nel concetto di evoluzione delle forme della superficie terrestre è insito il parametro temporale. La persistenza di una roccia di fronte all'erosione dipende, a parità di altre cause dalla durata dei processi che tendono a disgregarla e a demolirla. Vi sono forme del rilievo che si attuano in un breve spazio di tempo come ad esempio una scarpata di frana: altre invece necessitano di tempi di modellamento molto più lunghi, come ad esempio una dolina carsica.

Le forme del paesaggio attuali sono in gran parte ereditate dall’azione di processi avvenuti nel passato anche in condizioni climatiche diverse dalle attuali ed influiscono sulla morfologia fluviale contemporanea e sui modelli associati di erosione, trasporto e deposizione dei sedimenti. In questo caso, la memoria climatica riflette direttamente la memoria geologica ed i paesaggi conservano una memoria selettiva di eventi passati. A volte, però, la presenza di un limite erosivo molto marcato riflette un’importante discontinuità di sedimentazione avvenuta nel passato geologico, mettendo in evidenza la rimozione o cancellazione di una parte significativa del record stratigrafico deposizionale. In questo modo, alcuni paesaggi possono conservare una storia molto limitata degli eventi passati. Al contrario, soprattutto nei bacini deposizionali, alcune parti del paesaggio possono conservare la testimonianza deposizionale avvenuta in un tempo molto lungo.

6 Panizza, M., Piacente, S., 1993, Geomorphological assets evaluation, in Zeitschrift für Geomorphologie N.F., Suppl. Bd. 87, pp. 13–18. Panizza, M., Piacente, S,. 2003, Geomorfologia culturale, Bologna. 7 Grandgirard, V., 1995. Méthode pour la réalisation d'un inventaire de géotopes géomorphologiques, in Ukpik. Cahiers de l'Institut de Géographie de Fribourg, 10, pp. 121-137. Grandgirard, V., 1997a, Géomorphologie, protection de la nature et gestion du paysage. Thèse de doctorat, Institut de Géographie, Université de Fribourg, Grandgirard, V., 1997b. Géomorphologie et gestion du patrimoine naturel. La mémoire de la Terre est notre mémoir, in Geographica Helvetica, 2, pp. 47-56. 8 Leopold, L.B., 1969, Landscape Aesthetics, Nat. History, 78, 4, pp. 36-45. 9 Selby, M.J., 1985, Earth's changing surface: an introduction to geomorphology, Clarendon Press.

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Fig. II.4 - Valori scenici di alcuni parametri del paesaggio riferiti ad una valle fluviale (modificato da Leopold, 1969). Pict. II.4 - Scenic values of some parameters related to a river valley landscape (modified by Leopold, 1969).

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Paesaggio Culturale, carte topografiche e geomorfologia

Fig. II.5 - Classificazione delle forme in funzione delle loro dimensioni (modificato da Selby, 1985). Pict. II.5 - Landform classification depending on their size (modified by Selby, 1985).

Uno degli obiettivi delle scienze geologiche è appunto l'interpretazione dei processi che hanno generato la crosta terrestre, i continenti, i mari, i corpi rocciosi e le forme del paesaggio, ricostruendo, pertanto, la Storia geologica che è commisurata in 'tempi geologici', i quali, come sopra accennato, sono ben diversi da quelli dell'uomo. Qualunque frammento della Terra e, pertanto, qualsiasi bene geologico rappresenta la fase finale di processi che hanno seguito la storia di tutta la Terra: fase finale intesa però semplicemente come fase attuale. Tappa apparentemente immutabile solo per l'uomo, ma che in realtà rappresenta un periodo transitorio di successive evoluzioni delle forme del paesaggio e di tutta la Terra. Esistono dei cambiamenti che si realizzano in tempi lunghissimi come la formazione o lo smantellamento di una montagna. Misure geodetiche indicano negli Appennini sollevamenti in atto, che noi, però, non avvertiamo, superiori al millimetro l'anno. Da tutto ciò scaturisce l'immagine di una Terra in continua evoluzione in cui non solo l'interno è sede di processi dinamici complessi e imponenti, ma anche la superficie si evolve in continuazione a causa di numerose e differenti forze.

Il paesaggio è un insieme complesso di forme: concave, convesse, rettilinee, pianeggianti, ripide, regolari, irregolari e così via. Sia è tanto abituati a vederle che, probabilmente, non ci si è mai posti il problema della loro origine e della loro diversità. Queste forme sono differenti tra loro per una serie di motivi: innanzitutto risultano costituite da rocce diverse, rocce che sono state in vario modo deformate, fratturate, spostate da movimenti tettonici; le stesse rocce assumono poi forme diverse se situate in ambienti climatici diversi. Infine gli agenti del loro modellamento sono vari e molteplici: la forza di gravità, i fiumi, il mare, il gelo, la pioggia, il vento, gli esseri viventi via via fino all'uomo. II.3.2 Pedologia e memoria di paesaggi scomparsi. L'importanza di non trascurare l'azione dell'uomo in riferimento alla formazione dei paleosuoli, cosa che presenta notevoli implicazioni anche di carattere archeologico, può anche essere capovolta, nel senso di considerare i paleosuoli stessi come prodotti dell'azione dell'uomo. Le attività umane,

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Fig. II.6 - Cause degli eventi geomorfologici (Panizza, 2007). Pict. II.6 - Causes of geomorphological events (Panizza, 2007). infatti, modificano o distruggono, a seconda dei punti di vista, i paesaggi naturali attuali, e parallelamente tendono anche a far svanire le testimonianze dei paesaggi del passato, tra le quali rientrano a pieno titolo i paleosuoli. In molti casi sono proprio questi ultimi i primi ad essere, più o meno involontariamente, sconvolti e cancellati.

essere interpretate), che possono essere le più varie: granuli di polline e impronte di radici, sedimenti eolici e ceneri vulcaniche, segni di ristagni idrici e di periodi di siccità e, sovente, tracce dell'attività dell'uomo. La somiglianza del significato scientifico e culturale di un paleosuolo rispetto a qualsiasi altro stato geologico e archeologico, ovvero, la possibilità che esso contenga e integri tra loro memorie storiche naturali e antropiche, spesso arbitrariamente considerate in maniera separata, rende scontata ogni ulteriore argomentazione sulla legittimità di considerare i principali affioramenti di paleosuoli anche come potenziali geositi (v. parte I, cap. V del presente volume).

Da quanto detto appare evidente che, finché l'uomo riterrà giusto conservare le testimonianze del passato, anche i paleosuoli dovranno essere considerati beni materiali e culturali da rispettare e tutelare. Questa operazione risulterà, tanto più efficace quanto più si riuscirà a rendere di senso chiaro e popolare un termine come quello di paleosuolo, che si presta ad essere utilizzata per evidenziare concetti assai diversificati, a seconda che l'approccio sia quello di un pedologo, di un geologo, di un archeologo o di altro.

II.4 Considerazioni conclusive Alla luce di quanto descritto nei paragrafi precedenti appare evidente che il Paesaggio Culturale deve essere inteso nella sua accezione più ampia come una sintesi di contributi culturali derivanti da più discipline, tra le quali la Geomoroflogia e la cartografia storica ricoprono un ruolo tutt'altro che trascurabile. Esse, infatti, offrono la possibilità di leggere ed interpretare le trasformazioni naturali di un territorio avvenute nel passato geologico fino alla condizione attuale, anche in relazione alla stratificazione storica degli insediamenti.

Innanzitutto, per raggiungere questo obiettivo, è indispensabile una maggior divulgazione dei metodi e dei risultati della paleopedologia, il cui fondamento è la constatazione che nei paleosuoli si conservano memorie materiali di tutte le condizioni climatiche, vegetazionali, geomorfologiche, cioè ambientali in senso lato, che si sono succedute nel passato del pianeta (figg. II.7-8 / pict. II.7-8). Queste memorie sono rappresentate concretamente dalle cosiddette figure pedogenetiche (le quali sempre devono

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Paesaggio Culturale, carte topografiche e geomorfologia

Fig. II.7 - Schema cronologico dell'ultimo Glaciale e dell'Olocene (Panizza, 2007). Pict. II.7 - Chronological scheme of Last Glacial and Holocene age (Panizza, 2007).

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Fig. II.8 - Schema cronologico del Sub-atlantico in Italia (Panizza, 2007). Pict. II.8 - Chronological scheme of sub-Atlantic period in Italy (Panizza, 2007). Il fattore tempo è un elemento chiave per poter procedere all'analisi del paesaggio nel modo più corretto, tenendo conto dei processi naturali che producono quelle modificazioni o quei modellamenti del suolo che, unitamente alle valenze ecosistemiche, determinano la "struttura" attuale di un paesaggio, il quale è dotato di quel determinato assetto, colore, forma, presenza insediativa, esposizione e impatto visivo proprio in funzione della sua storia stratificata nel tempo e con tempi evolutivi diversi.

Ecco allora che la relazione tra paesaggio e territorio corrisponde alla relazione tra cultura e natura (fig. II.9 / pict. II.9), dove il territorio è il risultato dell'operare dell'uomo, delle azioni che lo trasformano e lo "umanizzano"10. Riuscire a riconoscere le diverse componenti, che spesso si compenetrano tra loro, è la chiave per la lettura delle possibili evoluzioni del paesaggio nel tempo, chiave fondamentale per chi opera nel campo della pianificazione, della tutela e della conservazione del territorio.

10 Turri, E, 2003, Il Paesaggio degli uomini, la natura, la cultura, la storia, Milano.

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Paesaggio Culturale, carte topografiche e geomorfologia

Fig. II.9 - Diagramma si sintesi delle relazioni esistenti tra territorio e paesaggio intese come proiezioni dei rapporti tra cultura e natura, le quali, a loro volta, si fondano sulle relazioni interne, relative a quelle sociali ed ecosistemiche. Pict. II.9 - Diagram of the relationship between territory and landscape understood as projections of the relationship between culture and nature, which, in turn, are based on internal reports related to those social and ecosystem.

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CAPITOLO III USO DEL SUOLO ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO NELLE RAPPRESENTAZIONI ARTISTICHE Canio A. Sabia, Daniela Artusi Abstract

Nel XV secolo il paesaggio è ancora percepito, per lo più, come uno ‘sfondo’ sul quale proiettare azione e storia, sicché, in una sintesi di luce, colore e forma, Piero della Francesca arriva a declinare in senso monumentale ed astratto la prospettiva e l’atmosfera di marca fiamminga; mentre Guido di Pietro, detto Beato Angelico, che più degli altri usa il paesaggio a commento delle proprie immagini, conferisce alla natura un valore sentimentale, di contrappunto e di tessitura ritmica rispetto alla storia.

Each territory encompasses and reflects the history of its inhabitants. Its inevitable transfiguration, on which the meeting with the human dimension acts deeply, was fortunately captured and immortalized by the artists in different forms during the centuries. Data relating to the metamorphoses more or less evident of landscapes are actually traced in the works of art, mostly in paintings, drawings , engravings and travel diaries, which, therefore, turn out to be functional to the recognition and to the diachronic study of identity characters of a specific location.

Nella seconda metà del Quattrocento, raccogliendo le eredità di Andrea del Verrocchio e di Piero della Francesca (di qui la profondità cromatica e l’idea di apertura spaziale di cui fu capace nel Ritratto di Francesco delle Opere), Pietro Perugino s’impone nel panorama artistico centroitaliano quale caposcuola del linguaggio pittorico umbro, in cui il paesaggio non è più soltanto un elemento di sfondo, quanto piuttosto, oramai, il comprimario delle eleganti figure di santi che affollano il primo piano, e perciò un passaggio imprescindibile della narrazione (fig. III.1 / pict. III.1). Pinturicchio e Raffaello dimostreranno il medesimo interesse peruginesco per la fusione della presenza umana con la natura2.

During the reading of this kind of information , the comparison between technical and humanistic skills generates a productive interdisciplinary approach, particularly suitable to the identification and, therefore, to the understanding of the historical, cultural and environmental traceable data. The artistic representations, in some cases, prove to be so useful for the definition of the local character of an area, knowledge of which increases the strategic importance for the formulation of plans and management guidelines and safeguards that comply with the vocations and peculiarities of the places. In this paper we report the studies of the evolutive stages of some territories , recognized thanks to the observation of landscapes as they have been immortalized in the works of art. The fundamental characteristic elements then have been compared with current events.

Pensando al Cristo nell’Orto del giovane Giovanni Bellini (XV secolo, seconda metà, London, National Gallery, fig. III.2 / pict. III.2), Lionello Venturi ha scritto: «il più antico quadro veneziano, ch’io mi conosca, in cui il sentimento del Cristo si rifletta nel paese in tramonto, in ispecie di dolore e di tristezza»3.

Keywords rural landscape, artistic representations, landscape modification, historical evidence, historical memory

In quest’opera, estremamente significativa per il Rinascimento veneziano, è il tipico paesaggio belliniano, in cui, con l’abilità espressiva che lo caratterizza, il pittore utilizza sapientemente la luce e il colore nei primi piani, in un ricercato contrasto con l’atmosfera livida all’orizzonte, nell’intento, raggiunto, di rimarcare il dramma del protagonista4.

III.1 Il paesaggio italiano nella storia dell’arte moderna* Dopo i primi, fondamentali spunti trecenteschi di Giotto, dei fratelli Lorenzetti e di Simone Martini, agli inizi del Quattrocento la ricerca della restituzione in termini pittorici dell’immagine della realtà nasce in Toscana nell’ambito delle ricerche di razionalizzazione dell’immagine avviate da Filippo Brunelleschi.

A tal proposito, introducendo con una ricognizione storica la pittura di paesaggio del XIX secolo, Marco Valsecchi comincia col celebrare Bellini e conclude che è con quest’artista che inizia l’interpretazione romantica del paesaggio, e anzi del paesaggio come stato d’animo, poiché nessuno come lui «ha sentito con tale struggente certezza

Per dirla però con Chiarini, «fu uno scultore, Donatello, più che un pittore, Masaccio (che non dimostrò mai un interesse specifico in questo senso) a darci una prima idea di spazio naturale indagato nei suoi rapporti di profondità prospettica sfruttando non il colore, ma il rapporto luce-ombra, nella predella del Tabernacolo di san Giorgio in Orsanmichele (1416 circa)»1.

                                                             2

Sulla prospettiva brunelleschiana, la tecnica dello stiacciato nel rilievo donatelliano a Orsanmichele e i loro effetti sulla pittura italiana del XV secolo: Santucci, P., 1992, La pittura del Quattrocento, 2 voll., I, Torino, pp. 5-7; Petrucci, F., 1986, La pittura a Firenze nel Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, 2 voll., edizione riveduta 1987, I, pp. 272-304; Caglioti, F., 2000, Donatello e i Medici: storia del David e della Giuditta, Firenze. 3 Venturi, L., 1913, Giorgione e il giorgionismo, Milano, p. 45. 4 Humfrey, P., La pittura a Venezia nel secondo Quattrocento, in La pittura in Italia, cit. (nota 2), I, pp. 184-209, in particolare pp. 192-193.

                                                            

* Il presente capitolo è il risultato di una ricerca congiunta. Tuttavia sono di C. A. Sabia i paragrafi III.4-8 e di D. Artusi i paragrafi III.1-3. 1 Chiarini, M., 1982, Il paesaggio, in Storia dell’Arte Italiana, XI, pp. 5-31, in partic. p. 6.

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Fig. III.1 - Perugino, Viaggio di Mosè in Egitto, 1482 circa (Cappella Sistina, Città del Vaticano). Pict. III.1 - Perugino, Journey of Moses in Egypt, 1482 (Sistine Chapel, Vatican City).

Fig. III:2 - Giovanni Bellini, Cristo nell’orto, seconda metà XV secolo (London, National Gallery). Pict. III.2 - Giovanni Bellini, Christ in garden, second half of the XV century (London, National Gallery). 40

Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio

Fig. III.3. - Giorgione, Tempesta, inizi XVI secolo (Venezia, Galleria dell’Accademia). Pict. III.3 - Giorgione, Storm, the beginning of the XVI century (Venice, Academy Gallery). Sarebbe Jacopo Bassano, secondo Bernard Berenson, il primo pittore moderno di paesaggio: «egli non poté esimersi, lavorando, come faceva in campagna e per gente rurale, dal dipingere paesaggi, che dovevano essere paesaggi veri […]. Tiziano, Tintoretto, Giorgione, ed anche Giambellino e Cima, avevano dipinto paesaggi bellissimi; ma di rado studiandoli direttamente sul vero. Si trattava di sfondi decorativi, d’ambientazioni bene armonizzate all’elemento umano o religioso d’una pittura […]. Ma il Bassano non ebbe bisogno di simili scenari per le rustiche versioni di storie bibliche; ed ancor meno gli occorrevano per i suoi studi di vita campestre. Il paesaggio colto dal vero costituiva il migliore scenario col migliore accompagnamento possibile […]. E così, senza saperlo o senza proporselo, il Bassano fu il primo italiano che tentasse di dipingere il paesaggio com’è: senza trasformarlo perché sembrasse uno scenario»7 .

quotidiana, e non solo ideale, l’esistenza della natura. Una certezza che gli ha permesso di riconoscere non solo l’ora che volge, ma il colore e il patetico che essa conduce»5. Tra gli epigoni di Giovanni Bellini è anche Giorgione da Castelfranco. La sua Tempesta (Venezia, Galleria dell’Accademia, fig. III.3 / pict. III.3) è innalzata dalla critica a manifesto del lirismo paesaggistico veneto. Sulla breve e ancora oscura vita di questo pittore sono risultate fondamentali le annotazioni di Marcantonio Michiel, il noto conoscitore e collezionista veneto che nel 1530 vide la Tempesta in casa di Gabriele Vendramin, catalogandola nei suoi appunti come un «‘paesetto’ su tela, con una tempesta, una zingara e un soldato»6 .

                                                             5

Valsecchi, M., 1972, I paesaggisti dell’800, Milano. Le note di Marcantonio Michiel sull’arte delle collezioni venete nella sua epoca, note raccolte a mo’ d’appunti e quindi non in maniera sistematica, furono pubblicate soltanto nell’anno 1800 dall’abate Iacopo Morelli, bibliotecario della Marciana (Notizia d'opere di disegno nella prima metà del secolo XVI, esistenti in Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia). Non ancora attribuite in questa occasione al Michiel, quanto piuttosto a un anonimo scrittore, poi indicato come ‘Anonimo morelliano’ dal nome del suo scopritore, fu Cesare Bernasconi (Studj sopra la storia della pittura italiana dei secoli xiv e xv e della scuola pittorica veronese dai medj tempi fino a tutto il secolo XVIII, Verona, 1864, pp. 107-117) a ricondurle alla penna dello scrittore veneziano. Sul giudizio espresso dal Michiel in merito al paesaggio di Giorgione, si veda anche il saggio di Ernst Gombrich, La teoria dell’arte nel Rinascimento e l’origine del paesaggio, redatto nel 1950 e pubblicato dallo stesso studioso in Norma e forma. Studi sull’arte del Rinascimento, Londra 1966, la cui edizione tradotta, qui 6

Gli sfondi di paesaggio nei dipinti di primo Cinquecento si collocano, formalmente, in continuità con la tradizione quattrocentesca. Nell’economia delle composizioni il paesaggio conserva una funzione complementare. La rappresentazione degli scenari naturali nelle opere d’inizi secolo generalmente non aspirano all’indagine scientifica,

                                                                                                       consultata, è uscita per i tipi Einaudi nel 1980, pp. 157-177 (in partic. pp. 159-160). 7 Berenson, B., 1930, Italian painters of the Renaissance, London, versione consultata: I pittori italiani del Rinascimento, Cecchi, E. (a cura di), Roma 2009, pp. 54-55.

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Cultural Landscapes

Fig. III.4 - Giotto, Francesco dona il mantello al povero, fine XIII secolo (Basilica Superiore di Assisi). Pict. III.4 - Giotto, Francesco gives his cloak to the poor, end of XVIII century (Upper Basilica of Assisi). perlappunto ad Assisi, icona mondiale di religiosità, il valore paesaggistico degli affreschi di Giotto passa spesso in secondo piano rispetto alle grandi novità di stile che con essi sono state introdotte nel campo dell’arte. In un percorso di visita assisiate, infatti, l’impatto con il pionere della ‘terza dimensionÈ risulta abbagliante, soprattutto per «una più intensa impressione di realtà e somiglianza col vero che non la realtà stessa» di cui l’artefice fu capace10. Ciò nonostante, concentrando la lettura sui panorami visti e interpretati da Giotto, come proposto da Lucilia Gregori, si è reso possibile un approccio nuovo alla fruizione dell’opera d’arte, finalizzata quindi al riconoscimento di paesaggi riconducibili a situazioni morfologiche locali perdute o comunque trasformatesi nei secoli, sino all’attualità.

operata però da Leonardo. Per lo più gli artisti fondano la propria esperienza sulla conoscenza di opere letterarie classiche, soprattutto le Metamorfosi di Ovidio, oppure idealizzano e connotano le composizioni d’invenzioni fantastiche. La nascita del paesaggio in forma autonoma nel Seicento, quando finalmente esso si distinse come pittura di ‘generÈ, ebbe impulso a Roma sin dal XVI secolo, a partire cioè dallo studio delle rovine classiche inquadrate dalla campagna. Le antiche vestigia romane erano divenute oggetto d’analisi per quanti producevano ‘vedute’, tema inesauribile per tutte le generazioni d’artisti europei che da allora in avanti crearono i presupposti per l’affermazione della pittura di paesaggio nel XIX secolo8.

All’immagine del santo, scrive Gregori, «spesso si associano gli scenari di rilievi montuosi divenuti simbolo degli eventi più importanti della sua vita: il Monte Subasio, la Verna o i monti di Rieti, ecc. e a uno di essi è forse riferibile il paesaggio raccontato dall’episodio della Predica degli uccelli. Lo skyline visibile alle spalle di Francesco e lo sfumato paesaggio cromatico riconducono, chi sappia coglierne il valore ambientale, a un monte (verosimilmente al Subasio) che viene descritto in un aspetto quasi crepuscolare. Nella scena del suggestivo Conferimento delle stimmate, il santo viene rappresentato in preghiera nell’area della Verna. Il paesaggio naturale è essenziale, ma estremamente caratterizzato negli elementi litologici e morfologici. Le rocce anche cromaticamente sono assimilabili a rocce arenacee

III.2 Un esempio di paesaggio nell’arte sacra: Giotto e il territorio di Assisi Le rappresentazioni paesaggistiche più dettagliate s’individuano solitamente negli sfondi di scene dipinte in funzione di un racconto. Se ne trovano in artisti oltremodo celebri, come Giotto, da considerarsi indubbiamente il pioniere della contestualizzazione di elementi litologici e botanici rispetto ai personaggi delle storie sacre nelle Scene della vita di san Francesco della Basilica di Assisi (fig. III.4 / pict. III.4). Come ha efficacemente rilevato Lucilia Gregori9,

                                                            

8 De Vecchi, P., Vergani, G. A., 2002, La natura e il paesaggio nella pittura italiana, Cinisello Balsamo; Valsecchi, cit. (nota 5). 9 Gregori, L., 2008, Geomorfologia d’autore, in La Cartografia, 18, pp. 2224.

                                                             10

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Berenson, cit. (nota 7), p. 66.

Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio (Macigno) e l’andamento morfologico dei rilievi presenta versanti abbastanza acclivi e una appena accennata stratificazione […]. La scena del mantello rappresenta molto bene le caratteristiche morfologiche di Assisi; la città appare dettagliatamente raffigurata dall’artista dalla prospettiva di Porta Nuova e separata da una profonda insellatura del crinale, rispetto all’altro rilievo su cui sorge l’Abbazia di S. Benedetto»11.

poco più che centenaria, immortalarono un particolare scorcio del territorio di Marsico Nuovo. Anche le raffigurazioni del Metapontino ad opera di ClaudeLouis Chatelet e Louis-Jean Desprez, principali illustratori del Voyage Pittoresque di Jean Claude Richard de Saint-Non (I ediz. 1781-1786), restituiscono peculiarità paesaggistiche non più esistenti. In particolare, le incisioni delle Tavole Palatine con il paesaggio circostante e il Lago di Santa Pelagina, prosciugato dalla bonifica nel secolo scorso, ci offrono la possibilità di ricavare informazioni fondamentali sullo stato di quei luoghi in un’epoca precedente alla bonifica e quindi alla riforma agraria, cause di una delle più vaste e repentine trasformazioni di paesaggio registrate nella storia13.

III.3 Spunti per l’analisi paesaggistica nelle raffigurazioni artistiche della Basilicata Tra le imprese decorative lucane è qui preso in esame il ciclo pittorico della chiesa di San Donato a Ripacandida, esempio tra i più eloquenti di rappresentazione pittorica del paesaggio in Basilicata. Risulta decisiva ai nostri fini la verifica delle scene bibliche collocate nelle volte, che sono attribuite dalla critica ai pittori Nicola da Novi Velia e ad Antonello Palumbo da Chiaromonte. Anche in questo caso le ambientazioni delle scene sono scandite da elementi litologici, botanici e faunistici, con rocce brulle e vegetazione rada, che, seppure stilisticamente derivate da Giotto, potrebbero effettivamente corrispondere alla vera morfologia del Vulture tra il XV e il XVI secolo. Specialmente nelle scene dell’Antico Testamento, si evidenziano i richiami alle attività produttive legate al mondo rurale dei secoli passati: pastorizia, uso del bosco e dei suoi prodotti, agricoltura in generale. Com’è logico ipotizzare, la rappresentazione degli ambienti rurali – che dunque costituiscono termini di confronto fondanti rispetto all’attualità – è ispirata al coevo paesaggio dell’area del Vulture, all’incirca, quindi, tra la seconda metà del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.

Infine, verrà analizzato il caso della individuazione delle fasi evolutive del paesaggio intorno alla Badia di San Michele a Monticchio, resa possibile dall’analisi di due raffigurazioni artistiche (Mallet e Santacchiotti), risalenti alla seconda metà del XIX secolo, che presentano notevoli corrispondenze nei caratteri fisici delle aree rappresentate, rilevabili anche dall’analisi della cartografia storica presa a confronto. In questo caso sarà possibile evidenziare i principali passaggi dei progressivi mutamenti ambientali che si sono susseguiti in quel territorio negli ultimi centocinquant’anni. III.4 Un’analisi degli affreschi del Santuario di San Donato di Ripacandida Sulle volte del santuario di San Donato sono raffigurati gli episodi salienti dell’Antico e del Nuovo Testamento, riconducibili a mani e cronologie diverse, sono attribuiti a Nicola da Novi Velia, autore che si ispira alla matrice giottesca, e ad Antonello Palumbo da Chiaromonte. In alcuni brani i paesaggi naturali e rurali si riferiscono al periodo storico degli artisti, fine XV-inizi XVI secolo.

Dati storico-culturali e ambientali di maggior interesse per lo studio diacronico dei territori sono tuttavia più frequentemente riscontrabili nelle antiche vedute prodotte prodotte dagli artisti sin dal primo Cinquecento, e particolarmente dalla seconda metà del XVII secolo, quando i dotti viaggiatori europei cominciarono a servirsi delle incisioni con scorci paesaggistici, a scopo illustrativo, per i propri diari12. Ad occhi esperti, infatti, proprio le vedute possono rivelarsi incredibilmente preziose, svelando informazioni circostanziate di carattere paesaggistico, spesso riferite anche all’uso del suolo e a volte in modo talmente esatto da agevolare la conoscenza di un territorio in un determinato periodo. Ovviamente, ciò si verifica massimamente nell’evenienza in cui un determinato luogo sia stato immortalato da mani diverse e, magari, in epoche tra loro distanti. Esattamente a quest’ultimo caso fanno riferimento le vedute di Francesco Cassiano de Silva (1703 circa) e di Salvatore Puglia (1844), artisti che, con cadenza

La scena indicata in fig. III.5a-b / pict. III.5a-b riporta l’episodio biblico della Creazione dei volatili e dei pesci che si inserisce nell’insieme dei quadri raffiguranti la creazione. In questo episodio si riconoscono diverse figure di uccelli, tra i quali la colomba che rappresenta lo Spirito Santo, due rapaci, un trampoliere, una gazza ed altri volatili. Inoltre, nelle acque sottostanti la figura del Padreterno sono individuabili diverse specie di pesci rappresentate con altrettanto diverse forme e grandezze. Ad un’analisi sulle figure degli animali presenti in questo affresco non sfugge la dovizia dei particolari che l’autore destina alla raffigurazione in particolare degli uccelli, diversamente da quanto accade in altre scene dove sono

                                                            

                                                            

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Gregori, L., Rapicetta, S., La geologia e la geomorfologia nell’arte sacra: Giotto e gli affreschi della Basilica Superiore di San Francesco di Assisi. Poster esposto al V Congresso Nazionale su Geologia e turismo: beni geologici e geodiversità, Bologna, 6-7 giugno 2013 (il testo è disponibile all’indirizzo web: http:// www.geologiaeturismo.it / sites / default / files / poster_Rapicetta.pdf). 12 Giorgio, B., 1989, Cultura del viaggio. Ricostruzione storico-geografica del territorio, Milano; De Seta, C., 1992, L’Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Milano; id., 1997, Viaggiatori e vedutisti in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino; id., 2005, Il mito dell’Italia e altri miti, Torino.

13

Per una bibliografia di riferimento sul vedutismo si vedano Alisio, G., 1984, Napoli nel Seicento. Le vedute di Cassiano de Silva, Napoli; La città di Napoli tra vedutismo e cartografia. Piante e vedute dal XV al XIX secolo, catalogo della mostra (Napoli 1988), G. Pane, V. Valerio (a cura di), Napoli 1987; Il paesaggio nell'incisione, catalogo della mostra (Lecce 1987), L. Miotto, I. Laudisia (a cura di), Galatina 1987; Briganti, G., 1970, I vedutisti, Milano; Dacos, N., 1995, Roma quanta fuit. Tre pittori fiamminghi nella Domus aurea, Roma (riediz. Roma 2001); Immagini della terra dei Re: cartografia, vedute e costumi della Basilicata, catalogo della mostra (Potenza 2001), Abita, S., Bellucci, E., Valerio, V. (a cura di), Napoli, 2001.

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Cultural Landscapes

Fig. III.5 – a) Ripacandida, Santuario di San Donato, dagli affreschi rappresentanti scene dell’Antico Testamento, particolare della Creazione dei volatili e dei pesci; b) i laghi di Monticchio sulla caldera del Monte Vulture. Pict. III.5 – a) Ripacandida, San Donato  sanctuary, particular the Creation of birds and fishes in the cycle of frescoes of Old Testament; b) Monticchio Lakes in the caldera of Mount Vulture. rappresentati animali terrestri non tutti altrettanto facilmente riconoscibili.

particolare. Infatti, tutto intorno alla figura di Cristo che compie il miracolo sono rappresentati filari di viti (fig. III.6a / pict. III.6a) che occupano l’intero versante dell’altura che fa da sfondo, sulla sommità della quale si ergono le mura della città di Gerusalemme, una torre e una chiesa.

Tale rilievo in qualche modo incoraggia a immaginare che l’autore possa essere stato ispirato dal contesto ambientale e paesaggistico del territorio circostante e che, di conseguenza, si sia ispirato a specie tipiche di quel territorio. Infatti, la presenza di un trampoliere e dei pesci richiama i caratteri dell’ambiente acquatico dei laghi di Monticchio, non molto lontano da Ripacandida, ove è possibile ancora oggi osservare specie tipiche di quel tipo di ecosistema, costituito da rilievi montuosi che si ergono fino ad un’altitudine di 1326 m.s.l.m e che coronano due laghi che occupano la caldera di un antico vulcano pleistocenico, le cui ultime manifestazioni eruttive risalgono a 130 mila anni fa14, in pieno periodo paleolitico. I laghi, che rientrano in un’ampia area protetta (SIC IT 9210210 “Monte Vulture”15), costituiscono il centro di un ecosistema che conserva ancora una complessa biodiversità vegetale ed animale16.

Il vigneto raffigurato che assume carattere predominante della scena pittorica trova immediata risonanza con il carattere principale del paesaggio in cui è inserito il sito monumentale, il Vulture-Melfese, costituito da un territorio (fig. III.6b / pict. III.6b) eletto alla produzione di uno dei vini più importanti del panorama vinicolo nazionale, l’Aglianico del Vulture, un fondamentale volano dell’economia agroalimentare locale. Nei due esempi sopra esposti, l’analisi della rispondenza degli elementi principali di un paesaggio proposti un una rappresentazione pittorica con i caratteri di un determinato territorio restituisce, in questo caso, la memoria di peculiarità paesaggistiche ed ambientali rilevabili nei secoli in cui furono dipinte, che possono ricondurre a peculiarità territoriali simili riscontrabili nell’attualità.

Un altro esempio significativo di caratteri e peculiarità paesaggistiche, sia pure non contestualizzati da chiari riferimenti geografici, rilevabili dagli affreschi di San Donato è rappresentato dalla scena neo-testamentaria delle Nozze di Cana dove l’autore utilizza un’ambientazione molto

III.5 Analisi dell’evoluzione dell’uso del suolo nel territorio di Marsico Nuovo (PZ)

                                                            

Un altro caso di studio esempio è dato dall’analisi degli elementi paesaggistici rinvenibili in due rappresentazioni artistiche che ritraggono l’abitato e la zona peri-urbana di Marsiconuovo in due momenti diversi della sua storia. Si tratta di due opere conservate presso il Museo nazionale di arte medioevale e moderna di Matera che qui proponiamo in

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Palestina, C., 2006, La Badia di San Michele in Monticchio, pp. 9-16. SIC è una sigla che indica la dicitura Sito di Interesse Comunitario, identificante aree di particolare pregio ambientale e naturalistico secondo la direttiva comunitaria n. 43 del 21 maggio 1992, (92/43/CEE) Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. 16 Spicciarelli, R., 2011, Un museo di storia naturale nell’Abbazia di Monticchio, in Basilicata Regione Notizie, n. 127-128, p. 203. 15

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Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio

Fig. III.6 – a) Ripacandida, Santuario di San Donato, dagli affreschi rappresentanti scene del Nuovo Testamento, particolare delle Nozze di Cana; b) vigneto in veste invernale nell’area del Vulture-Melfese. Pict. III.6 – a) Ripacandida, San Donato sanctuary, particular the Wedding at Cana in the cycle of frescoes of New Testament; b) vineyard in winter as in the Vulture-Melfese. al Regno d'Italia (1806), la cui forma originaria, evidenziata in giallo nella figura, è riconoscibile ancora oggi.

confronto: la prima, Fig. 7.a, è un’incisione su rame, mm 133x204, di Francesco Cassiano de Silva, Napoli 1703, mentre la seconda, Fig. 7.b, consiste in una litografia di Salvatore Puglia, Napoli 1844, mm139x19517. Partendo da due vedute di un medesimo scorcio paesaggistico di Marsico Nuovo, realizzate a centoquarant’anni di distanza l’una dall’altra, è possibile osservare cambiamenti nell’uso del suolo della zona periurbana del versante occidentale che hanno segnato il processo evolutivo del paesaggio rurale di questa area.

III.6 Analisi dell’evoluzione dell’uso del suolo nel territorio di Monticchio (Rionero in Vulture, PZ) Un ulteriore esempio di studio dell’evoluzione del paesaggio, attraverso l’analisi dei caratteri territoriali presenti in alcune rappresentazioni artistiche è dato dallo studio di alcune raffigurazioni che hanno ripreso l’area circostante la Badia di San Michele di Monticchio.

In particolare, riguardo alla copertura arborea del versante in considerazione, sulla sommità del quale cui giace l’abitato, sono visibili nelle due riprese suddette alcuni cambiamenti significativi delle aree occupate da castagno (C), ulivo (O) e vite (V) evidenziati nelle tre fasi temporali i prese in esame. È innanzitutto possibile rilevare che attualmente queste specie arboree occupano grosso modo le stesse aree investite in passato, anche se con qualche cambiamento. Ad esempio, il grande vigneto situato a ridosso della chiesa di Santa Lucia (cerchiata di rosso in ogni raffigurazione riportata) non era presente nella prima raffigurazione risalente al 1703 (fig. III.7a / pict. III.7a) e ad oggi risulta spezzettato in tanti piccoli vigneti (fig. III.7c / pict. III.7c). Così come appare ridimensionato anche l’oliveto ed il castagneto il quale, in particolare, appare quasi del tutto scomparso nell’anno 1844 (fig. III.7b / pict. III.7b).

Tale area è stata descritta e raffigurata da Robert Mallet nel febbraio del 1858, in occasione il suo celebre viaggio in Lucania18 avvenuto a seguito del terremoto del 16 dicembre 1857 che devastò molte aree della regione ed in particolar modo la Val d’Agri. In una delle sue litografie che ritraggono alcuni luoghi visitati viene raffigurato il contesto ambientale dell’area di Monticchio in cui si erge la Badia (fig. III.8a / pict. III.8a). L’analisi dei caratteri paesaggistici rilevabili in questa litografia conduce a rilevare che un’altura sullo sfondo, posta al centro dell’inquadratura, identificata con il toponimo “Prete della Scimmia” con un altitudine di 881 m. s.l.m., risulta completamente priva di copertura boschiva; sono inoltre osservabili, lungo il versante meridionale di quella montagna, due grossi canali naturali di scolo delle acque di ruscellamento, evidenziate in figura da due coppie di frecce tratteggiate. Anche gli affioramenti rocciosi, evidenziati in

Inoltre, è possibile riscontrare, ancora nella fig. III.2b / pict. III.2b, la presenza del camposanto, edificato a seguito dell’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con estensione

                                                            

                                                            

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18 Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857, vol. II, Ferrari, G. (a cura di), Bologna, 2004, p. 333.

Immagini della terra dei Re, Abita, S. (a cura di), Potenza, 2001, pp. 58, 64, 93-94.

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Cultural Landscapes

Fig. III.7 – a) Marsico Nuovo di Francesco Cassiano de Silva, Napoli 1703, incisione su rame (immagine tratta da Abita, S., a cura di, 2001, Immagini della terra dei Re); b) Veduta di Marsico-Nuovo nella provincia di Basilicata di Salvatore Puglia, Napoli 1844, litografia, campo inciso (immagine tratta da Abita, S., a cura di, 2001, Immagini della terra dei Re); c) Marsiconuovo, veduta da satellite e riprese a terra dell’area interessata (Google Eart) Pict. III.7 – a) Marsico Nuovo of Francesco Cassiano de Silva, Napoli 1703, engraving on copper (picture from Abita, S., 2001, Immagini della terra dei Re); b) View of Marsiconuovo in the province of Basilicata of Salvatore Puglia, Napoli 1844, lithography (picture from Abita, S., 2001, Immagini della terra dei Re), c) view from satellite (Google Eart) and ground photos of the area concerned. 46

Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio

Fig. III.8 – a) The Great Crater of Vulture. With Monticchio Monastery, R. Mallet,1858 (da Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857, a cura di Ferrari, G., Bologna, 2004, vol. II, p. 338); b) Veduta dell’ex Convento di San Michele del Lago piccolo in Monticchio, di D. Santacchiotti, post 1872 (estratto da Santacchiotti, Monticchio, raccolta di tavole non numerate; Biblioteca Provinciale di Potenza, fondo bibliografico non catalogato); c) Monticchio, veduta dell’Abbazia di San Michele e del Lago piccolo nel 2013. Pict. III.8 – a) The Great Crater of Vulture. With Monticchio Monastery, R. Mallet,1858, (from Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857, ed. Ferrari, G., Bologna, 2004, vol. II, p. 338); b) Veduta dell’ex Convento di San Michele del Lago piccolo in Monticchio, by D. Santacchiotti, post 1872 (from Santacchiotti, Monticchio, book of plates without serial number; Biblioteca Provinciale di Potenza, bibliographical found uncatalogued); c) Monticchio, view of the Abbey of St. Michael and the small lake, in 2013. 47

Cultural Landscapes figura con frecce numerate, risultano quasi del tutto spogli di vegetazione arborea.

sfruttamento fu per di più incoraggiato dall’emanazione della prima legge forestale italiana del 1877, che si rivelò essere fin troppo liberalizzante riguardo ai criteri per il taglio di boschi rispetto alle normative precedentemente in vigore. Molte carte topografiche dell’epoca riportano frequentemente l’indicazione di “boschi devastati”, quasi a voler rimarcare l’irrazionale depauperamento subito dal patrimonio boschivo lucano21 nel periodo descritto.

Le stesse peculiarità paesaggistiche si riscontrano dall’osservazione di un’altra opera, un acquerello di Santacchiotti che ritrae anch’esso l’area attorno la Badia, riprodotto nella fig. III.8b / pict. III.8b, facente parte di una collezione di acquerelli realizzati intorno all’anno 1872 che riproducono, anche in questo caso, il paesaggio dell’area circostante i laghi di Monticchio. Dall’analisi di questa seconda opera emerge che i caratteri rilevati nella raffigurazione del Mallet, realizzata quattordici anni prima, si ritrovano puntualmente anche nella scena riprodotta dal Santacchiotti. In particolare, si può osservare che sia l’altura di Prete della Scimmia, sia gli affioranti rocciosi sottostanti appaiono nuovamente quasi del tutto privi di copertura boschiva.

Le due raffigurazioni dell’area attorno la Badia di San Michele a Monticchio, realizzate soprattutto allo scopo di documentare lo stato fisico dei luoghi, offrono molti elementi ed argomenti per una puntuale analisi del paesaggio e delle proprie dinamiche evolutive, almeno per il periodo preso in considerazione. Tale analisi ha potuto, in questo caso, avvalersi di una lettura di dettaglio dei caratteri fisici di un territorio e del notevole grado di corrispondenza, nelle due opere, di gran parte degli elementi usati nel rappresentare la scena. Infatti, è stato possibile individuare precisi punti di riferimento (es. gli affioramenti rocciosi, i canali di scolo naturali, la stessa Badia) che hanno reso possibile l’individuazione e la identificazione precisa delle aree di riferimento e permettere un efficace raffronto con la situazione osservabile nel presente.

In un raffronto con l’attualità (fig. III.8c / pict. III.8c), dove le porzioni di territorio prese in esame risultano completamente ricoperte da boschi, appare chiaro come i due casi di raffigurazione artistica sopra descritti testimonino gli effetti della estesa opera di disboscamento che ha avuto luogo in Basilicata in varie fasi a partire dal XVIII secolo. Già nella seconda metà del ‘700, infatti, iniziò lo sfruttamento intensivo e su ampia scala del patrimonio boschivo della Basilicata come conseguenza della politica economica voluta dai grandi feudatari dell’epoca, che individuava nell’ampliamento delle superfici destinate alla coltivazione di grano una grossa opportunità per incrementare le proprie rendite. Avviene, pertanto, in quel periodo, come documentano tra l’altro molti autori dell’epoca tra cui a il Giustiniani19, un irrazionale dissodamento di estese aree boschive che lasciarono il posto alle coltivazioni erbacee e al pascolo.

A completamento della lettura del quadro paesaggistico fin qui analizzato, sussistono ulteriori elementi documentati dalla cartografia storica. Ad esempio, dal Foglio 56 (Parte occidentale) della carta Topografica delle Provincia di Basilicata, Istituto Topografico Militare anno 1874 (scala 1:50000), si rileva l’assenza di copertura boschiva nell’area in esame (area evidenziata in fig. III.9a / pict. III.9a), carattere confermato anche nella Pianta Topografica del Bosco Monticchio realizzata da Angelino Fusco nel 1883 (area evidenziata in fig. III.9b / pict. III.9b). Inoltre, dal raffronto con quanto rappresentato della Carta d’Italia IGM (scala 1:25000) del 1955, è possibile rivelare anche un passaggio intermedio nella evoluzione di quell’area verso la ricostituzione del bosco, che appare in quel periodo interessata ancora da una sporadica copertura forestale. Pertanto, in questo caso, la lettura delle fasi evolutive del paesaggio è arricchita da una serie di informazioni che, prendendo spunto da caratteri territoriali evidenziati in raffigurazioni artistiche del passato, trovano poi corrispondenza e conferma anche in un’analisi di tipo cartografico.

L’azione di disboscamento sistematico e progressivo subisce poi un forte rallentamento in tra il 1806 e il 1815 per effetto dell’applicazione in tutto il Regno di Napoli delle leggi della eversione feudale volute da Gioacchino Murat per consentire una ordinata ricognizione dei beni privati e demaniali del regno20, questi ultimi spesso usurpati nel corso dei secoli precedenti. In questo breve lasso di tempo, di conseguenza, viene consentito il lento ripristino naturale della copertura vegetale arborea di gran parte aree disboscate, fatta eccezione per quelle ormai destinate definitivamente a pascolo che, per effetto del perpetuarsi di questo esercizio, rimasero nude.

III.7 Testimonianze figurative sul paesaggio del metapontino prima delle grandi opere di bonifica

Con l’unità d’Italia riprende con maggior vigore in Basilicata l’attività di disboscamento indiscriminato, agevolato dell’emanazione di nuove leggi sull’eversione volute dallo Stato italiano che di fatto aprirono di nuovo le porte allo sfruttamento generalizzato del patrimonio boschivo della regione da parte di grandi ditte boschive e degli speculatori provenienti, questa volta, da altre parti d’Italia. Tale

Nel gruppo di disegni di Claude-Louis Chatelet e Louis-Jean Desprez, principali illustratori per Jean Claude Richard de Saint-Non che scrisse il celebre Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile (Parigi 1781-1786), è possibile rilevare lo stato di alcuni luoghi della Magna Grecia nella piana del metapontino così come dovevano apparire ben prima della grande opera di bonifica avvenuta nel corso del XX secolo che comportò un radicale

                                                             19

Per un approfondimento si veda Giustiniani, L., 1797-1816, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli. Per un approfondimento si veda Pedio, T., 1964, La statistica murattiana del Regno di Napoli. Condizioni economiche, artigianato e manifatture in Basilicata all'inizio del sec. XIX, Potenza.

                                                            

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21 Formica, C., 1964, I Boschi della Basilicata e i disboscamenti del secolo XIX, in La Geografia nelle scuole, IX, pp. 14-16.

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Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio

Fig. III.9 – Estratti cartografici dell’area dei Laghi di Monticchio: a) particolare del Foglio 56 Parte occidentale (Melfi) della Carta Topografica delle Provincia di Basilicata ITM, anno 1874 (scala 1:50000) - Archivio di Stato di Potenza; b) particolare della Pianta Topografica del Bosco Monticchio di A. Fusco, 1883 - Archivio di Stato di Potenza; c) particolare della Carta d’Italia IGM, Foglio 187 IV-NE (Melfi), anno 1955, scala 1:25.000. Pict. III.9 – Lakes of Monticchio area, extracts cartographic: a) detail of plate 56, Part western (Melfi), from Carta Topografica delle Provincia di Basilicata ITM, year 1874 (1:50000) - Archivio di Stato di Potenza; b) detail of Pianta Topografica del Bosco Monticchio, by A. Fusco, 1883 - Archivio di Stato di Potenza; c) detail of Carta d’Italia IGM, plate 187 IV-NE (Melfi), year 1955, 1:25.000. cambiamento strutturale del territorio, consentendo di rendere coltivabili aree paludose fino ad allora per lo più abbandonate o utilizzate, nei casi migliori, per il pascolo e per coltivazioni di tipo estensivo.

paludose più estese, il lago di Santa Pelagina che al tempo della colonizzazione greca, aveva le dimensioni di una laguna sulla quale si affacciava uno dei porti antichi tra i più strategici del Mediterraneo.

Una rappresentazione di questo stato dei luoghi è offerta anche dall’incisione intitolata Vue des Marais formés par la Eauxdel a Mer dans le lieu où l’on pense devoit etre situeé l’Ancien Port del Metaponte di L.J. Deprez, F. Dequauviller, Parigi 1783 (fig. III.10b / pict. III.10b), in cui si evidenzia in primo piano una scena di caccia alle folaghe in una delle aree

Oggi, invece, queste stesse zone costituiscono importanti aree agricole, tra le più produttive del meridione d’Italia, caratterizzate da una notevole variabilità del paesaggio rurale (fig. III.10a / pict. III.10a) dovuta alla presenza di innumerevoli coltivazioni fruttifere ed orticole. I suoli freschi e profondi, il clima mite e le imponenti infrastrutture irrigue 49

Cultural Landscapes

Fig. III.10 – a) rappresentazione della variabilità del paesaggio rurale nell’area di Metaponto, attraverso la classificazione dell’uso del suolo secondo la Corine Land Cover, anno 2006; b) scena di caccia nei pressi dell’area paludosa di Santa Pelagina in Vue des Marais formés par la Eauxdel a Mer dans le lieu où l’on pense devoit etre situeé l’Ancien Port de Metaponte di L.J. Deprez, F. Dequauviller, Parigi 1783; c) animali al pascolo, tra cui bufali presso le Tavole Palatine di Metaponto in Vuë latérale du Temple de Metaponte di C.L. Chatelet., E.N. de Ghendt, Parigi 1783. Le immagini delle incisioni sono tratte da Immagini della terra dei Re: cartografia, vedute e costumi della Basilicata, a cura di S. Abita, Foggia, 2001, p. 87, 89. Pict. III.10 – a) representation of the variability of the rural area of Metaponto, in accordance with the land use classification of the Corine Land Cover 2006; b) hunting scene near the swamp of Santa Pelagina, from Vue des Marais formés par la Eauxdel a Mer dans le lieu où l’on pense devoit etre situeé l’Ancien Port de Metaponte of L.-J. Deprez, F. Dequauviller, Paris 1783; c) grazing animals, including buffalo, at the Tavole Palatine of Metaponto, from Vuë latérale du Temple de Metaponte, by C.-L. Chatelet., E. N. de Ghendt, Paris 1783. Pictures from Immagini della terra dei Re: cartografia, vedute e costumi della Basilicata, a cura di S. Abita, Foggia, 2001, p. 89, 87.

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Uso del suolo ed evoluzione del paesaggio

Fig. III.11 – a) bufali al pascolo in Vuë prise dans l'Environs et près du Lieu ou l'on pense qu'etait autrefois situeé l'antique Ville d'Heraclea, dans la G.de Grece sur les bords du Golfe de Tarente et près la petites Ville d'Anglone et Policoro dans la Basilicate di C.L. Chatelet., C.P. Marillier, EJ.N. de Ghendt, Parigi 1783 (estratto da Abita S., a cura di, 2001, Immagini della terra dei Re: cartografia, vedute e costumi della Basilicata, p. 91); b) il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli su un carro trainato da bufali nei pressi di Policoro in una fotografia del 1902 (immagine tratta dal sito www.storiain.net/arret/num169/artic1.asp) Pict. III.11 – a) animals kept in open pasture, from Vuë prise dans l'Environs et près du Lieu ou l'on pense qu'etait autrefois situeé l'antique Ville d'Heraclea, dans la G.de Grece sur les bords du Golfe de Tarente et près la petites Ville d'Anglone et Policoro dans la Basilicate di C.L. Chatelet., C.P. Marillier, EJ.N. de Ghendt, Paris 1783 (from Abita S., 2001, Immagini della terra dei Re: cartografia, vedute e costumi della Basilicata, p. 91); b) the Premier Giuseppe Zanardelli on a cart pulled by buffalo near Policoro, year 1902 (from site: www.storiain.net/arret/num169/artic1.asp). bufali ai territori tendenzialmente paludosi, costituisce un vero e proprio indicatore utilizzabile per la determinazione delle caratteristiche fisiche dell’area in esame.

hanno favorito lo sviluppo di una moderna agricoltura intensiva che ha di fatto modificato l’aspetto di questo territorio e cancellato del tutto, anche dalla memoria, i caratteri del paesaggio originario.

Pertanto, dall’analisi degli elementi utilizzati per la rappresentazione scenica delle opere descritte è possibile, da un lato, ricavare un tipo di informazioni che confermano la natura acquitrinosa del paesaggio storico del metapontino, che ha conservato le proprie caratteristiche fino ai primi decenni del ‘900, secolo in cui avvenne come detto una grande opra di bonifica, e dall’altro rilevare una sorta di documentazione della pratica dell’allevamento bufalino che doveva essere molto comune in quei territori, tanto da influenzare la vita quotidiana di quelle popolazioni, come testimoniato da una fotografia del 1902 che ritrae il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli su di un carro trainato da bufali nei pressi di Policoro, durante la sua storica visita in Basilicata (fig. III.11b / pict. III.11b).

Nel corso del suddetto viaggio che attraversò quei luoghi tra il 1777 e il 177822 gli autori assieme a Jean-Augustin Renard e a Dominique Vivant Denon, produssero otto vedute, poi incise da Emmanuel J. N. de Ghent. A tale gruppo di disegni appartiene la Vuë latérale du Temple de Metaponte (fig. III.10c / pict. III.10c), nel quale è possibile riconoscere un paesaggio pastorale dove capre, pecore, vacche e bufali sono condotti al pascolo. Bufali al pascolo sono anche riscontrabili in un’altra incisione intitolata Vuë prise dans l'Environs et près du Lieu ou l'on pense qu'etait autrefois situeé l'antique Ville d'Heraclea, dans la G.de Grece sur les bords du Golfe de Tarente et près la petites Ville d'Anglone et Policoro dans la Basilicate (fig. III.11a / pict. III.11a) dove è rappresentato l’ambiente rurale attorno al sito dell’antica Heraclea, tra Anglona e Policoro (tra l’altro, questo disegno ha assunto un particolare valore di testimonianza storica perché inquadra al centro della scena una fontana ritenuta l’ultimo segno evidente rimasto dell’antico insediamento magno-greco).

III.8 Considerazioni conclusive Lo studio del paesaggio che utilizza la ricerca e l’analisi degli elementi che nel tempo ne hanno modellato l’aspetto e la funzione risulta tanto più valido ed efficace quanto più sia in grado di rilevare la dimensione culturale dei fenomeni che sono alla base della sua evoluzione. Di indubbia utilità risulta, pertanto, l’apporto che può derivare da un approccio multidisciplinare della ricerca, che però non si limiti ad aggiungere semplicemente informazioni ad altre di diversa natura, ma che invece consenta di ottenere una lettura integrata di ogni singolo fattore preso in esame.

Il riscontro della presenza della specie bufalina nelle raffigurazioni sopra descritte offre un importante elemento per la lettura dei caratteri paesaggistici dei luoghi rappresentati. Infatti, la peculiarità che lega l’allevamento dei

                                                            

22 Settembrino, G., Strazza, M., 2004, Viaggiatori in Basilicata (1777-1880), Potenza, pp. 19-23.

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Cultural Landscapes In questo lavoro si è voluto offrire alla discussione attorno allo studio del paesaggio una modalità di approccio che parta dall’analisi di raffigurazioni artistiche (dipinti, affreschi, incisioni, ecc.) che nei diversi periodi della storia documentano particolari caratteri fisici o antropici presenti in un territorio e che costituisco la memoria della identità storico-culturale di una determinata comunità. L’identificazione e l’analisi dei caratteri del paesaggio e la messa in evidenza dei fenomeni principali che nel corso del tempo hanno segnato i suoi mutamenti, assumono quindi un’importanza fondamentale per il riconoscimento di questa identità, aiutando a comprendere il valore attribuito dalle società umane nei diversi periodi storici al proprio territorio e alle potenzialità che questo ha potuto manifestare. In molti casi, come quelli esaminati in questo lavoro, le rappresentazioni artistiche possono offrire un proprio concreto contributo alla ricostruzione del quadro evolutivo di un paesaggio, o più genericamente di un territorio. Si è potuto infatti analizzare le diverse modalità utilizzate dagli autori per riferirsi ai vari richiami paesaggistici ripresi nelle loro opere, potendo apprezzare un linguaggio più o meno di dettaglio a seconda delle finalità comunicative delle loro composizioni e che risulta in ogni caso utilissimo per la fase di ricostruzione dei caratteri di un territorio. In questo lavoro, è stato quindi proposto un percorso a varie tappe nel panorama raffigurativo artistico della Basilicata con a tema la descrizione del paesaggio, che ha evidenziato la possibilità di recepire informazioni dalle diverse opere analizzate sia da contesti scenici ampi e mancanti di riferimenti geografici specifici, come nel caso degli affreschi di San Donato di Ripacandida, sia da scenari più o meno carichi di precisi riferimenti territoriali, come nel resto dei opere qui riportate, che consentono una vera e propria ricostruzione storica dei mutamenti succedutisi nel tempo e della complessiva fase evolutiva dei territori rappresentati. Naturalmente il limite consiste nel fatto che per la descrizione oggettiva di fenomeni responsabili delle trasformazioni di un territorio si ricorra, come in questo caso, alla valutazione di elementi artistici che per loro natura dipendono fortemente dalla percezione soggettiva di chi li compone. Ma quasi sempre occorre partire da indizi per completare con successo una ricerca e di certo le raffigurazioni artistiche offrono molto spesso un punto di partenza.

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CAPITOLO IV IL PAESAGGIO CULTURALE NEL DOCUMENTARIO Chiara Rizzo all’opera e al paesaggio in essa raffigurato, oltre che di interagire con esso attraverso i propri modelli culturali.

Abstract The aim of this study is to describe the cultural landscape through the analysis of documentaries produced during the 1950s and reconstruct the changes which occurred in the Basilicata region scenario after the second post-war period. Thanks to the study of the documentaries produced by several ethno-filmmakers, it is possible to talk about the originality of the landscape’s space-time reality which was seen as a typical anthropocentric place in rural culture and the way it interacts with the environment in a mutual exchange process and influence. The cultural landscape becomes the setting for identifying images of places rightfully in history and it forms an important part of the collective memory through those visual experiences.

La figura dell’osservatore, come parte essenziale del paesaggio, implica un riferimento all’atto del guardare che è propria del linguaggio cinematografico ma che ha anche caratterizzato i primi viaggi di inglesi come Edward Lear o di tedeschi come Karl Wilhelm Schnars, e di coloro che dal 1700 in poi, da Oltralpe, giungevano nella “terra incognita” della Basilicata. Tra il Settecento e l’Ottocento infatti, si avvicendano viaggiatori che, attraverso diari, studi e disegni, come la maggior parte dei vedutisti dell’epoca, ci trasferiscono descrizioni di luoghi, usi e costumi, legate per lo più all’aspetto geografico e geomorfologico del paesaggio, inteso però ancora in senso estetico. In determinate aree le finalità dei viaggi realizzati possono essere anche scientifiche, perché determinate da calamità naturali e terremoti verificatisi in quegli anni. In altre, invece, è la curiosità di conoscere la storia del luogo a generare “spedizioni” e da questo momento in poi le impressioni da loro avvertite, a seguito del contatto con le popolazioni del posto, cominciano ad essere annotate e sono la testimonianza di una diversa attenzione nei confronti degli abitanti dei luoghi visitati.

Referring to Visual Anthropology, Urgent Anthropology and the role of documentary as an instrument of social compensation, the focus shifts to the works inspired by Ernesto de Martino, the rituality into rural world and then the influence of the figure of Carlo Levi on the Basilicata region, in relation to the coeval documentary production. Finally, this study shows the works produced during the Land Reform and identifies the metamorphosis of the anthropic landscape and the socio-cultural consequences of the presence or absence of man in the landscape.

Per rimodulare in ambito cinematografico il significato di paesaggio non si può prescindere dalla considerazione che quest’ultimo esiste in funzione dei suoi componenti: ambiente naturale da un lato e azione umana dall’altro. Vale a dire che il paesaggio esiste in virtù di un territorio inteso come «un organismo vivente ad alta complessità, un ecosistema in continua trasformazione prodotto dall’incontro tra eventi culturali e natura, composto da luoghi (o regioni o ambienti insediativi) dotati di identità, storia, carattere, struttura di lungo periodo, che formano i ‘tipi’ e le individualità di territori urbani»2.

Keywords Cultural landscape, territory, rural world, Urgent Anthropology, demo-ethno-anthropological documentary, rituality, anthropisation. IV.1 Dal paesaggio sensibile al paesaggio culturale Per parlare del paesaggio culturale nel documentario è necessario ancora una volta, e in breve, ritornare su concetti già espressi nei capitoli precedenti, sottolineando in particolare l’evoluzione da una visione estetica di 'veduta' intesa, richiamando il geografo Renato Biasutti, come «ciò che l’occhio può abbracciare in un giro di orizzonte, o, se si vuole, percettibile con tutti i sensi»1 ad una concezione di paesaggio inteso come ambiente, cioè come insieme di uomini e luoghi che, a livello normativo, lascia spazio al concetto di territorio popolato, così come sancito dall’art. 9 della Costituzione Repubblicana che tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.

Il paesaggio che affolla le immagini della nostra cultura cinematografica è spesso rappresentato come uno spazio d'azione, un luogo chiuso e funzionale alla vicenda narrata, uno spazio definito in cui il kosmos, l’insieme organizzato di elementi, ha soppiantato il kaos. Altre volte, assume significati diversi: nei film per esempio di genere western oppure nei film di Michelangelo Antonioni, il paesaggio, non più semplice spazio dell’azione, diventa un luogo vago e indefinito in cui anche i personaggi rischiano di perdersi. Esso diviene il luogo dell’inquietudine dei sentimenti.

Nell’ambito delle arti visive l’autonomia del paesaggio inizia ad emergere già a partire dal 1500 secondo quanto dice Ernst H. Gombrich che, riferendosi alla Tempesta di Giorgione, considera il paesaggio come il vero protagonista del dipinto che non fa più da sfondo ai protagonisti ma è esso stesso elemento significativo a sé stante. Il paesaggio inizia così non solo ad avere una autonomia ma anche ad esistere grazie alla presenza di uno spettatore attivo, del dipinto nell’arte pittorica come del film nel cinema, in grado di relazionarsi 1

Secondo quanto riferisce Sandro Bernardi «Riflettere sul paesaggio significa anche riflettere su tre esperienze visive: lo sguardo dei personaggi dentro il film, lo sguardo del film, lo sguardo dello spettatore sul film»3. La diversità dei punti di vista sta quindi a significare una molteplice prospettiva da cui osservare la realtà o la sua rappresentazione, in cui 2 V. Giambersio, C. Menchise, La trasformazione del paesaggio agrario in Basilicata nel XX secolo in Note di storia sul paesaggio agrario della Basilicata tra XIX e XXI secolo, Lavello, 2010, p. 104. 3 Bernardi, 2002, p. 16.

R. Biasutti, Il paesaggio terrestre, Torino, 1962, p. 2.

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Cultural Landscapes identità ambigua che la società si appresta ad assumere, che non è solo identità, ma naturalmente, anche dis-identità: coesistenza di passato e presente»5.

all’osservazione distaccata si sostituisce una partecipazione cosciente. Nel cinema, la rappresentazione del paesaggio implica un rapporto tra i differenti punti di vista dell’osservatore, della cinepresa e dello spettatore che interpreta il film secondo i propri codici e modelli culturali e presuppone, nella coscienza di quest'ultimo, la consapevolezza di possedere un ruolo determinante nel processo di attribuzione di senso alle immagini proiettate.

La contaminazione tra retaggi culturali del passato e scenari del presente è propria della produzione documentaria del dopoguerra che riesce a cogliere, grazie all’oggettività del metodo scientifico delle riprese, questa compresenza ancora molto forte in alcune culture popolari. «Ignoti linguaggi, lavori, fatiche, dolori, miserie e costumi, non soltanto animali e magia, e problemi antichi non risolti, e una potenza contro il potere, ma l’alterità presente, la infinita contemporaneità, l’esistenza come coesistenza, l’individuo come luogo di tutti i rapporti, e un mondo immobile di chiuse possibilità infinite, […] e l’eternità individuale di questa vicenda, la Lucania che è in ciascuno di noi, forza vitale pronta a diventare forma, vita, istituzioni»6. Il paesaggio lucano, che Carlo Levi durante il suo confino in Basilicata sente e percepisce come 'ignoto', diventa uno scenario altrettanto unico che fotografa, all’interno della sua cornice, una serie di elementi storici, ambientali, architettonici, rurali, umani irripetibili, in un determinato momento ed in cui la compresenza di passato e presente, antico e moderno, è evidente proprio nel paesaggio che, secondo Walter Benjamin, è per questo un'immagine dialettica.

Il documentario, nato dai fratelli Lumière per la necessità di rappresentare la realtà senza mediazioni e relegato successivamente ai margini del cinema come il suo fratello minore, insieme con le opere prodotte a partire dagli anni ’50 del XX secolo in Basilicata, guarda al paesaggio come uno spazio che da indefinito diviene essenzialmente luogo antropocentrico. Il paesaggio così, pone al centro di se stesso l’uomo e la sua osservazione, ed esiste in funzione dell’uomo e del suo bisogno di appartenenza ad un territorio, ad una località in cui risiedono tutti i valori identitari di un mondo, quello contadino ad esempio. Molto spesso nel cinema di finzione, la necessità di evocare luoghi e ricostruire gli scenari o i mondi possibili, ha visto il paesaggio trasformarsi in una scenografia intesa come un artificio estetico in grado di modificare la realtà e di ergersi a skenè, ricostruzione fittizia di una rappresentazione.

Nella società industriale in cui, dice Benjamin, l’arte rischia di perdere la sua aura, il cinema, in cui la tecnica non esclude la riflessione, rimane un'arte in grado di produrre copie originali, che mantengono il loro valore auratico di unicità, proprio perché mostrano immagini di luoghi e avvenimenti scomparsi e non replicabili. L’originalità delle immagini si fa ancor più evidente nel documentario in cui, proprio la non replicabilità della realtà, conferisce valore di unicità all’opera rappresentata che quindi, viene colta nel momento stesso del suo disvelamento, nello spazio e nel tempo preciso in cui l’evento si colloca e viene così osservato e registrato nell’unicità dell’esperienza visiva ed è nella produzione documentaria che il confronto-scontro tra le culture del passato e del presente emerge, facendo del paesaggio un vero e proprio protagonista della scena.

Nel documentario invece, che prevede un rapporto ontologico con la realtà filmata, il film è il documento di tale realtà, la prova che gli avvenimenti si sono svolti così come risultano proiettati. In esso, la macchina da presa è al servizio della realtà che le sta di fronte mentre, nel film di finzione, la realtà viene rielaborata. Non si ha più l’esigenza di ricorrere ad una location, non ci si appella più alla ricostruzione degli ambienti e all’evocazione di altri luoghi o altri paesaggi appunto, ma ci si limita a coglierli e a documentarli nella loro verità. La scenografia del documentario è molto spesso proprio il paesaggio che si carica di una componente esteticoantropologica poiché il suo orizzonte, da limite visivoestetico, diviene un confine culturale-antropologico. Il paesaggio assume cioè un significato figurato oltre il cui confine è possibile incontrare le origini dell’ignoto, «le radici profonde e arcaiche del nostro sapere»4 e per questo è possibile parlare di paesaggio culturale. All’interno del limite estetico-antropologico i valori culturali vengono ad essere circoscritti, al di là di essi invece, l’uomo cerca di cogliere il vero alla ricerca di nuovi orizzonti di conoscenza e la stessa cultura quindi è soggetta a trasformazione.

IV.2 Dall’Antropologia Visuale ai documentari demartiniani Per parlare di paesaggio, e più propriamente di paesaggio culturale nei documentari sulla Basilicata, è necessario fare riferimento al periodo storico nel quale il documentario nasce e si afferma con forza, come elemento di produzione artistico-culturale, sottolineando come esso diviene elemento di testimonianza diretta dei cambiamenti sociali, culturali e identitari, delle tradizioni e della memoria popolare.

Negli anni del dopoguerra, si va affermando un sincretismo culturale tra presente e passato, segnato dalle profonde trasformazioni dettate dall’industria e dalla contemporanea permanenza di forti elementi di conservazione, evidenti anche nelle forme residue di superstizione a carattere popolare, ancora presenti in molte realtà del Sud. «Questa promiscuità culturale, questo stato ibrido in cui ogni cosa ha due volti, uno presente e attuale, l’altro remoto e arcaico, produce anche un tipo particolare di sguardo sul mondo e in questo sguardo può essere letta, ritrovata, compresa. Il paesaggio e lo sguardo costituiscono la forma simbolica di questa nuova

A partire dagli anni ’50 del XX secolo, mentre in ambito cinematografico si può parlare di Neorealismo, insieme con il rinnovato interesse per le discipline antropologiche e per la ricerca sociale, nasce la figura dell’etno-cineasta e il documentario, a carattere demoetnoantropologico come strumento dirompente, testimonia la vera realtà di una Italia ancora profondamente arretrata a livello sociale ed 5

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6

Bernardi, 2002, p. 19.

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Bernardi, 2002, p. 75. Levi, 1990, p. XVIII.

Il paesaggio culturale nel documentario denuncia perché è in grado di rappresentare una realtà dimenticata ai margini del progresso, in cui il tempo si è cristallizzato e lo spazio ha assorbito in sé tutti i caratteri identitari diventando paesaggio culturale.

economico. Già l’Antropologia visuale, disciplina nata nella seconda metà dell’Ottocento, aveva studiato gli ambiti in cui la cultura umana era in grado di esprimere se stessa attraverso i segni visivi. Con l’ausilio degli strumenti come il cinema e la fotografia, era riuscita ad avvicinare il linguaggio cinematografico e l’antropologia, dando vita all’Urgent Anthropology. Il paesaggio è lo sfondo su cui si staglia la vasta produzione documentaria dei film etnografici, realizzati sulla scia di questi studi. Esso non può prescindere dal riferirsi ad una comunità di appartenenza, necessaria per descrivere un mondo contadino in un quadro di assoluta verità, dove l’ambiente raccoglie tutti gli elementi che agiscono nel momento stesso dell’azione.

È possibile rintracciare il concetto di paesaggio come elemento culturale, all’interno della vasta produzione etnografica realizzata in Basilicata, attraverso più criteri di osservazione e di analisi. Il paesaggio che traspare dalle immagini di molte opere può essere osservato nella totalità dei suoi elementi visibili e sensibili, come entità oggettiva. Esso è sicuramente un territorio ben delimitato, di una comunità o di un paese, con le sue forme e le sue caratteristiche geo-morfologiche determinate anche dal lavoro dell’uomo, dalla sua presenza, dalla sua assenza o dall’abbandono. Diversamente, il paesaggio può essere osservato come un'entità soggettiva, cioè come un protagonista della scena e sempre come una fonte di esperienza collettiva. Talvolta è un'entità in grado di suscitare sensazioni ed emozioni attraverso i documentari che parlano dei riti arcaici, altre volte è una serie di segni e simboli da interpretare: la falce, il fuoco, il grano, la grotta, fino a divenire un'immagine interiore in grado di contenere e trasmettere uno stato d'animo che sarà poi interiorizzato dall’osservatore, come si evince dai documentari che fanno riferimento al Cristo si è fermato a Eboli ed ai dipinti di Carlo Levi. Nel documentario le immagini esistono come realtà oggettiva, catturata dalla macchina da presa, ma anche come realtà soggettiva che produce senso per lo spettatore che la interpreta secondo i propri modelli culturali poiché, come afferma Wunenburger, «non si dà rappresentazione di un oggetto senza la mediazione corporea dei sensi»8.

In Italia, il film etnografico nasce alla fine degli anni '50 sotto il nome di cinematografia “demartiniana”, perché legata alla figura di Ernesto de Martino che influenza profondamente l’approccio di antropologi, fotografi e cineasti ai fenomeni popolari. Le spedizioni antropologiche documentano la civiltà popolare contadina in tutte le sue forme, non solo utilizzando supporti cartacei e reperti sonori, ma soprattutto usufruendo di strumenti meccanici quali la fotografia che, a distanza di anni, ha il merito di aver ritratto un mondo che stava per scomparire, soffermandosi soprattutto sui temi relativi ai rituali magici, al tarantismo, ai lamenti funebri. La tecnologia, al servizio dell’antropologo cineasta, funziona come proiezione dell’occhio e dell’orecchio e consente di osservare nei dettagli la vita quotidiana cogliendo l’imminenza del mondo reale. Non solo il dettaglio ma la profondità di campo, data dall’uso nelle riprese del campo totale, diventano gli espedienti cinematografici necessari per contestualizzare un rito, un momento particolare inserito in un tempo e in uno spazio definiti, in un territorio e in una comunità. Il metodo antropologico di cui si avvalgono i cineasti si basa su alcuni parametri: la scelta degli interpreti sui luoghi d'azione, l’improvvisazione dei dialoghi e delle situazioni, le lunghe osservazioni dirette, le inchieste. Uno dei criteri di rappresentazione cui l’etno-cineasta deve attenersi è la verità intesa nel senso di verità scientifica, un documentario «deve essere utile alla scienza, deve essere creato sul veridico e non sul verosimile, cioè deve essere un film in cui la verità storica degli elementi che riproduce deve essere rispettata al cento per cento»7. Il paesaggio quindi deve essere altrettanto veritiero e rispondere ai caratteri di autenticità, non può risultare avulso dal contesto rappresentato sulla scena, ma è necessario che sia l’ambiente effettivo in cui si svolge e in cui viene documentata la realtà nella sua varietà culturale. Ciò che si rappresenta è la realtà ontologica, c’è totale adesione dell’occhio dell’uomo con il cine-occhio della macchina che coglie il paesaggio, lo percorre e lo attraversa per come è realmente e in cui la visione è la realtà: il cinema e la realtà coincidono.

IV.3 Forme di ritualità inscritte nel paesaggio lucano Nei primi anni del dopoguerra nasce e si sviluppa in Italia il desiderio di riscattare l’immagine distorta che, nel Ventennio del regime fascista, i cinegiornali LUCE avevano dato dell’Italia e del mondo contadino, falsificandone la realtà e ignorando le condizioni di effettiva miseria ancora presente tra le fasce sociali. Nonostante la Legge Speciale per la Basilicata promossa da Zanardelli e varata nel 1904 da Giolitti, estrema è la povertà presente in Basilicata ancora intorno agli anni ’50 del XX secolo, quando la situazione socio-economica risulta scossa da forti avvenimenti come le lotte contadine per l’occupazione delle terre. Erano già sorte le prime inchieste parlamentari sulla miseria condotte da Stefano Jacini nel 1880 (di cui era stato relatore Ascanio Branca per la Basilicata) e poi da Gaetano Ambrico nel 1951, ma è proprio attraverso testimonianze fotografiche, sonore, spedizioni demoetnoantropologiche che si ha contezza delle reali condizioni di vita.

Il numero cospicuo di produzioni audiovisive, che diventano testimonianza di fattori identitari delle comunità locali quali i riti arborei, le processioni, i culti alle Vergini, le feste, i canti funebri e quant’altro compone questa ricchezza culturale, non tralasciano di ritrarre l’arretratezza economica, ove coesistente. Il documentario diviene allora anche strumento di

Il paesaggio della Lucania non mostra ancora i segni di un vero progresso e dell’innovazione anzi, quelli del tutto opposti di un territorio e di un popolo fermi in uno spazio e in un tempo remoto, in un mondo mitico e arcaico. Per questo, si avverte forte la necessità di conoscere la realtà del Sud. Sebbene le sorti della regione siano state in parte risollevate

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8

Marano, 2007, p. 16.

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J.J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, Torino, 1999 p. 32.

Cultural Landscapes da opere infrastrutturali, come la razionalizzazione dei corsi d'acqua, la realizzazione di reti di comunicazioni e strade, la messa a punto di bonifiche dei terreni paludosi e malarici, la Basilicata infatti, rimane ancora una delle regioni più povere.

naturali, fuoco e acqua, sono al centro del rito che la comunità compie per allontanare i malanni della stagione passata e assicurarsi ed ingraziarsi la sopravvivenza per la stagione futura.

«Sotto la direzione o sotto l’influenza di de Martino, furono prodotte migliaia di immagini che costituiscono una documentazione di estremo interesse per comprendere come parte cospicua dell’intellighentia italiana guardava al Mezzogiorno in particolare alla realtà culturale e sociale delle sue masse contadine, e per illuminare aspetti assai importanti delle teorie e delle pratiche etnografiche di colui che, indubbiamente, fu il fondatore della moderna antropologia in Italia»9. L’intento della prima spedizione in Basilicata di de Martino, condotta a Tricarico nel 1952, è quello di testimoniare la vita dei braccianti locali, le forme di ritualità e di superstizione. Così, egli documenta la religiosità mediante la fotografia di Arturo Zavattini, si avvale della collaborazione di Ando Gilardi in Lucania nel 1957 e di quella di Franco Pinna nel 1959. In seguito, molti documentaristi come Michele Gandin, Luigi Di Gianni, Gianfranco Mingozzi, Mario Gallo, Libero Bizzarri, attraverso le loro opere, gran parte delle quali sono conservate presso la Cineteca Lucana di Oppido Lucano in Basilicata10, prendendo spunto proprio dalle fotografie, dalle inchieste e grazie alla consulenza scientifica di de Martino, raccontano quello stesso mondo e quegli stessi riti nella verità del bianco e nero, senza alcun tentativo di occultare la tragicità delle situazioni.

Per il contadino, la natura è quella forza sconosciuta che bisogna assecondare o placare per scongiurare le avversità atmosferiche, le siccità, le frane, i terremoti. È onnipresente, avvolgente e nello stesso tempo distante, estranea, a volte avversa, potenza sconosciuta e nota insieme e, in questo rapporto complesso, conoscenza e intuizione si intersecano e la forza della natura viene esorcizzata e governata attraverso i riti propiziatori che si rivestono di una componente prettamente pagana. Il ripetersi dei ritmi, delle cadenze e delle movenze è garanzia di sicurezza e rappresenta il perpetuarsi di un ciclo che ricorda il susseguirsi delle stagioni. Il paganesimo e il richiamo delle civiltà elleniche, come il culto del dies lampadarum o delle divinità greche della fertilità, rappresentano il legame con la terra ed i suoi prodotti e diventano icone del paesaggio culturale. Ritornano alla mente le figure del dio Pan, nella visione panteistica della natura che abbraccia in sé il tutto e di Demetra, dea del grano, e della sua influenza sul corso delle stagioni che condizionano la raccolta e la mietitura nei campi. Il paesaggio culturale è quindi il più delle volte un paesaggio rurale, rappresentato da una cospicua produzione di documentari come Uomini e grano di Oddy Fiory (1948), La Passione del grano di Lino Del Fra (1960) dove l’oggetto di osservazione è il campo di grano, luogo in cui si svolge il rito della mietitura mediante la falce, simbolo della morte. Nel primo atto del lavoro di Del Fra, per occultare l’arcaico terrore dell’horror vacui e il doloroso momento della raccolta del grano che lascia un vuoto “vegetale”, simbolo della disoccupazione, si mette in scena il rito della caccia al capro: il contadino, travestito da capro che ha danneggiato il raccolto e le messi, deve essere ucciso. «Ecco noi ti stiamo mietendo. Noi con le falci abbiamo ucciso il capro che danneggia le messi»11. In una società la cui economia è prevalentemente agraria, l’uomo si avvale del rito per rendere meno aspra la realtà, alla quale ritorna con la propria insicurezza e precarietà, mentre il grano rappresenta una sicurezza e una fonte certa di reddito (figg. IV.1-2 / pict. IV.1-2).

Il documentario diviene quindi la testimonianza della matrice agricola che trasferisce e riconduce il suo rapporto con la natura, posto alla base della sua sussistenza e della sua sopravvivenza, all’interno della comunità attraverso, per esempio i riti arborei. Così, l’albero è la forza vitale e l’elemento centrale dei riti arborei come ne L’albero della cuccagna del 1960 di Agostino Di Ciaula o come nel documentario di Antonio Michetti, conosciuto con il nome di Lino Del Fra L’inceppata del 1960, dove il grosso ceppo di legno, da trascinare per boschi e per vallate per essere poi depositato davanti la porta di casa della donna promessa in sposa, diventa il simbolo arcaico della natura. Ancora oggi, si celebra il matrimonio dell’albero in alcune comunità lucane, come per esempio ad Accettura, dove si rinnova l’inno alla fertilità della terra attraverso l’unione simbolica di un tronco ed una cima che rappresenta il rinnovamento della vita.

Nel secondo atto interviene una figura femminile a rappresentare “la sposa” del grano, simbolo del momento della nuova fecondazione del campo mietuto, che così sarà rianimato per il nuovo raccolto. Del Fra pone però l’accento soprattutto sull’ultima fase del rito, quella che prevede la svestizione e la derisione del padrone del campo, ad opera degli stessi mietitori. La profanazione del padrone diviene una forma di sovvertimento sociale di tutte le gerarchie: il padrone è interpretato dal sindaco del paese, che diviene oggetto della derisione di tutti e poi è costretto ad offrire da bere ai mietitori. In questo atto c’è tutta la volontà di esprimere, attraverso il rito, alcune forme di protesta sociale che comunque, proprio grazie alla drammatizzazione, anziché esplodere, vengono espresse ma in maniera controllata e contenuta. Il riferimento alla fotografia di Franco Pinna, che

Nel documentario di Gian Vittorio Baldi Vigilia di mezza estate del 1959, nella notte di San Giovanni il 24 giugno, la comunità si riunisce intorno ad un falò e si dà fuoco alle stoppie di grano raccolto, ballando e pregando in cerchio intorno alle fiamme. La commistione tra la componente pagana e quella cristiana del rito appare evidente. Il paesaggio circostante è immerso nella notte e gli elementi 9 Arturo Zavattini fotografo in Lucania, a cura di F. Faeta, Milano, 2003, p. 6. 10 La Cineteca Lucana è un archivio privato vastissimo, nato grazie a Gaetano Martino nel 1997, che ad oggi conserva oltre 15.000 lungometraggi e altrettanti cortometraggi, (in formato 35 e 16 millimetri), diverse migliaia di trailers e pubblicità, circa 150.000 manifesti e locandine di film dal cinema muto in poi, macchine del cinema e del pre-cinema, alcune migliaia di libri e di fotografie e numerosi fondi e materiale inedito di notevole interesse.

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Dal documentario di Lino Del Fra, La passione del grano (1960).

Il paesaggio culturale nel documentario

Figg. IV.1 - S. Giorgio Lucano (MT): un mietitore mascherato da Capro, giugno 1959 (da Pinna, 2002, p. 95). Pict. IV.1 - S. Giorgio Lucano (MT): a reaper masked like a goal, June 1959 (from Pinna, 2002, p. 95).

Fig. IV.2 - Il rito della Caccia al capro (dal documentario La Passione del grano, di Lino Del Fra, 1960; APCL). Pict. IV.2 - The rite of the goat hunting (from the documentary La Passione del grano, by Lino Del Fra, 1960; APCL).

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Cultural Landscapes

3.

4.

Fig. IV.3-4 – S. Giorgio Lucano (MT): il rito del Gioco della Falce; la “Sposa” del grano simbolo della nuova fecondazione del campo, giugno 1959 (da Pinna, 2002, p. 127). Pict. IV.3-4 - S. Giorgio Lucano (MT): the rite of Gioco della Falce (the Scythe Game); the “Sposa” (Bride) of wheat, symbol of the new field fecundation, June 1959 (da Pinna, 2002, p. 127).

Fig. IV.5 – Derisione del Padrone da parte dei Mietitori (dal documentario La Passione del grano, di Lino Del Fra, 1960; APCL). Pict. IV.5 - The Owner derision by the Reapers (from the documentary La Passione del grano, by Lino Del Fra, 1960; APCL). 58

Il paesaggio culturale nel documentario esempio la montagna come elemento sacro della natura, il cielo quale riferimento figurato al sovrannaturale, la terra, gli alberi, sono tutti espressione della presenza della natura all’interno della comunità. Natura e uomo sono posti così sullo stesso piano, necessari l’una per la comprensione dell’altro e viceversa, in un continuo confronto e scontro sempre vivo.

si era interessato agli stessi temi, è evidente nelle immagini che colgono i molteplici livelli di coinvolgimento nel rito, attraverso una ben definita scansione temporale delle scene (figg. IV.3-8 / pict. IV.3-8). La forza del rituale descritto nel documentario è quella di destorificare il momento di crisi coincidente con il raccolto: «Il simbolismo mitico-rituale permette di costruire una dimensione protetta, astorica, in cui risolvere i momenti nei quali ad essere messo in pericolo è l’esserci dell’uomo nella storia [...] il rito è perciò uno strumento di denuncia della condizione di forte dipendenza dalla minaccia non solo della natura, ma anche dell’oppressione di classe»12. La memoria collettiva, rivissuta e condivisa, alimenta l’identità della comunità, l’assimilazione dei suoi valori, dei rapporti, della stratificazione sociale e favorisce la stessa relazione con il territorio antropizzato.

In queste comunità, anche la sofferenza, il dolore, la lotta esistenziale, rientrano nell’ordine naturale delle cose ed il lutto è vissuto come una presenza costante, come leggiamo nel romanzo di Levi: «Quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte»13. Il tema della morte ed il conseguente processo di elaborazione del lutto sono presenti nel «pianto funebre come tecnica di controllo e reintegrazione in un momento particolarmente critico dell’esistenza, quale quello della scomparsa di una persona cara»14, come nei documentari di Franco Pinna Dalla culla alla bara e di Michele Gandin Lamento funebre che è la prima delle voci dell’Enciclopedia Cinematografica Conoscere insieme con le altre due, Pisticci e Costume lucano.

Rispetto all’impostazione demartiniana, nel lavoro di Del Fra si avverte l’impossibilità, da parte del regista, di vivere il rituale tragicamente, cioè nell’immanenza della condizione temporale in cui si verificano i fatti: questa impossibilità di vivere il tempo storico del rituale si trasforma in ricostruzione ludica del gioco della falce. Al centro dell’analisi di de Martino c’è la volontà di cogliere il gesto nella sua efficacia simbolica che, il più delle volte, è affidata al racconto della voce fuori campo che segue l’alternarsi di campi lunghi e primi piani o alle registrazioni, effettuate sul posto, delle voci dei protagonisti. La passione del grano si avvale della musica d’accompagnamento di Domenico Guaccero, che sottolinea il pathos crescente verso il culmine, rappresentato dall’uccisione del capro nelle messi con un ritmo incalzante. L’accompagnamento sonoro copre però i suoni ambientali, registrati sul luogo durante le riprese, impedendone una ricostruzione pienamente fedele della realtà, senza comunque nulla togliere alla comprensione antropologica. Le voci fuori campo spiegano e illustrano un'esperienza prima ignota ed ora osservata e ripresa in modo oggettivo e soggettivo insieme.

Gandin si sofferma sulla figura femminile e sul canto della vedova e termina con un'inquadratura dall’alto di Pisticci. Il riferimento del regista al paesaggio circostante è voluto, in quanto si avverte la necessità di contestualizzare il momento del rituale, mostrando tutto il contesto entro il quale esso si svolge. Dalle inquadrature delle prefiche, attraverso l’utilizzo di panoramiche più ampie, il regista ci mostra lo scenario di argilla bianca che fa da sfondo alle case tutte uguali, anch'esse bianche, simmetricamente allineate, immobili nel loro bagliore. E questo colore bianco contrapposto al nero del lutto, questo bagliore quasi accecante contrapposto al buio della morte, ci riporta alla descrizione di Levi relativamente ai «precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano librate come nell’aria; e d'ognintorno altra argilla bianca, senz'alberi e senza erba, scavata dalle acque in buche, coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare. Le porte di quasi tutte le case, che parevano in bilico sull’abisso, pronte a crollare e piene di fenditure, erano curiosamente incorniciate da stendardi neri, alcuni nuovi. Altri stinti dal sole e dalla pioggia, sì che tutto il paese sembrava in lutto, o imbandierato per una festa della Morte»15.

Il montaggio di Renato May segue l’aumentare del ritmo proprio del rituale dove, alle inquadrature iniziali ed alle lente panoramiche, seguono inquadrature più veloci e le immagini si richiamano tra loro in un susseguirsi di danze e luci, restituendone l’intera composizione visiva. Ci si immerge così, nel mondo arcaico di un tempo mitico che, attraverso il rito, esorcizza la paura dell’ignoto, del vuoto e della morte. Come nel documentario di Baldi, Vigilia di mezza estate, anche nel rito del gioco della falce di Del Fra, il lavoro di documentazione è tutto incentrato sul grano. È inevitabile del resto, che il tema non possa essere diverso perché in una società basata sul latifondo, è proprio la cultura cerealicola a rivestire maggiore importanza, costituendo una fonte di guadagno certo, se non l’unica.

Il riferimento al pianto rituale è proposto anche da Luigi Di Gianni in Magia Lucana nel 1958. Il documentario è incentrato sulle forme di sopravvivenza magica in Basilicata e sul rapporto tra la vita contadina e le tecniche arcaiche e mitico-rituali. La voce fuoricampo di Arnoldo Foà accompagna lo scorrere di sequenze di grande suggestione e intensità, che rappresentano un'incredibile testimonianza di un misterioso ed affascinante mondo ormai dimenticato. La scena su cui Di Gianni si sofferma è quella del funerale in cui le donne vestite a lutto, le prefiche, intonano i loro lamenti ai quali fanno da sfondo i panorami naturali ancestrali. Il simbolo della magia lucana è racchiuso anche nella figura

Il rapporto stretto con la natura, che caratterizza quindi il mondo popolare dei contadini, si esprime anche attraverso una serie di riti arcaici che trasformano l’elemento naturale in simbolo del loro mondo culturale. Il singolo elemento, per

13

Levi, 1990, p. 3. F. Mirizzi, Indagini etnografiche e studi demologici nella Basilicata degli anni Cinquanta, in Basilicata Regione Notizie, 24, 3 (1999), p. 98. 15 Levi, 1990, p. 7. 14

12 G. Sciannameo, Nelle Indie di quaggiù. Ernesto De Martino e il cinema etnografico, Bari, Palomar, 2006, p. 29.

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Cultural Landscapes

6.

7.

8. Figg. IV.6-8 - S. Giorgio Lucano (MT): Svestizione del Padrone, costretto ad offrire da bere ai Mietitori, giugno 1959 (da Pinna, 2002, p. 98). Pict. IV.6-8 - S. Giorgio Lucano (MT): the Owner Undressing, obliged to offer a drink to the Reapers, June 1959 (from Pinna, 2002, p. 98). 60

Il paesaggio culturale nel documentario

9.

10.

Figg. IV.9-10 – Il Saluto al Sole, dal documentario Magia Lucana, di Luigi Di Gianni, 1959 (APCL). Pict. IV.9-10 – The Greeting to the Sun, from the documentary Magia Lucana, by Luigi Di Gianni, 1959 (APCL). in Basilicata nel 1949. Il lavoro può essere definito un piccolo poema antropologico poiché il regista, avvalendosi di espedienti tecnici, quali l’uso della semi-soggettiva nelle riprese e della voce fuori campo, attraverso la partecipazione cosciente dell’osservatore attenua l’osservazione distaccata propria del metodo scientifico. Una religione che «quando non era superstizione, aveva il carattere dei luoghi: una religione dura e paurosa, quasi crudele, mitigata solo dall’intervento del protettore – un santo»17.

della fattucchiera seduta dietro la finestra o in quella del contadino che saluta il sole che sta per sorgere, invocando così presunte forze magiche e soprannaturali. La coscienza della potenza del negativo, nell’ambito della dura vita quotidiana, giustifica l’invocazione al sole, il lamento funebre o i riti d'amore e di fattura, con i quali si tenta di esercitare una sorta di controllo sugli eventi quotidiani (figg. IV.9-10 / pict. IV.9-10). Evidentemente gli studi di de Martino influenzarono la corrente dei documentaristi dell’epoca che forse, avvertirono le stesse suggestioni del loro maestro che aveva detto: «Io e l’amico Pierro abbiamo vissuto la stessa Lucania, la terra di funebri memorie, quasi al riparo dalle grandi tempeste della storia, come Levi per il primo ce la indicò […] queste e altre immagini io non riesco a staccarle dalle risonanze che per me hanno acquistato le terre tra il Bradano e il Sinni, durante il mio viaggiare: risonanze che avviarono il corso dei miei pensieri verso l’esperienza della morte, a favore della quale parlavano la precarietà dello stesso suolo (le frane, i terremoti) e il paesaggio, e i volti “chiusi di nero e senza voci” onde poi la mia attenzione si concentrò sul lamento funebre, come frammento e rottame del modo di patire la morte e di oltrepassarla che fu caratteristico delle civiltà religiose del mondo antico»16.

Il riferimento alla religione non può prescindere dalla presenza evocativa dei santuari, luoghi di culto e di devozione che costituiscono un riferimento al tema del pellegrinaggio che si svolge in alcuni periodi dell’anno, soprattutto nei mesi estivi. Tra i maggiori santuari ritroviamo quelli di San Donato a Ripacandida, di San Rocco a Tolve, della Madonna del Carmine ad Avigliano, della Madonna del Belvedere ad Oppido Lucano, della Madonna del Sacro Monte a Viggiano, della Madonna del Pollino nei pressi di S. Severino Lucano. La descrizione che Francesco Saverio Nitti ci ha lasciato dei luoghi e dei pellegrinaggi sembra quasi una voce fuori campo che commenta i documentari, incentrati sulle processioni: «In quelle aspre regioni ogni paese, ogni zona, ha il santuario lontano, in cima ai monti; chiese perdute tra i boschi, e costruite su antiche caverne, abitate da pellegrini o da santi. Si va ai santuari, dopo aver digiunato, pregando per via, qualche volta con i fiori in cima alle canne, gli umili fiori dei campi e dei boschi: molto spesso si va a piedi nudi, salmodiando e orando. Lunghi cortei di uomini e di donne salgono le erte faticose fino ai luoghi da cui si spazia l’orizzonte lontano»18.

Nella cultura contadina, altro elemento costantemente presente in ogni momento della vita è la religione e spesso, come i riti arborei e i riti arcaici, mediante rituali, processioni, preghiere e litanie, si ricollega ai ritmi delle stagioni e della natura. Il sentimento religioso è costantemente modulato su criteri magico-popolari. Da un lato, c’è quindi la presenza religiosa con il riferimento al cielo e all’entità divina, dall’altro c’è la superstizione con la magia che diventa l’unico modo per esorcizzare la paura della morte e la caducità della vita, come si evince dal documentario Superstizione che Michelangelo Antonioni gira

Nel rito di devozione alla Madonna si mescolano le usanze di derivazione pagana ai cerimoniali cristiani, le preghiere dei fedeli al sangue dei sacrifici animali, le invocazioni agli stati di meditazione che rasentano l’esaltazione o l’estasi. Tra i luoghi di culto spicca il Santuario di San Donato a

16 E. de Martino, Mondo popolare e magia in Lucania, a cura di R. Brienza, Matera, 1975, pp. 96-97.

17 18

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Nitti, 1910, p. 96. Nitti, 1910, p. 90.

Cultural Landscapes alla celebrazione della festa e diventano così non solamente luoghi della memoria ma luoghi e paesaggi dell’anima «dove l’esterno incontra l’interno e ritrova nell’unità il senso della vita»21. Il paesaggio si evolve, diventa spazio interiore, luogo in cui le montagne rugose, i campi, gli alberi, i cieli azzurri, i sentieri solitari, attraverso la rappresentazione vengono interiorizzati anche dall’osservatore. «E la mestizia delle nostre pianure desolate e la tristezza solenne dei nostri monti lasciano tracce indelebili nell’anima nostra e noi siamo veramente un popolo perché abbiamo un'anima collettiva»22.

Ripacandida nel documentario di Luigi Di Gianni Il male di San Donato (1965) in cui sono ancora gli ambienti chiusi e i primi piani dei fedeli a dominare la scena della rappresentazione. Anche Le feste dei poveri del 1970 di Antonio Di Ciaula fa riferimento a quei pellegrini che ogni anno lasciano le proprie case per recarsi, dalle regioni limitrofe di Puglia e Calabria, verso i santuari della Lucania. Il documentario del 1965, sempre di Luigi Di Gianni, La Madonna di Pierno invece, sottolinea maggiormente il rapporto della comunità con la natura. La vetta della montagna del Santuario, posta ad oltre mille metri d'altezza, viene faticosamente raggiunta dai devoti dopo aver compiuto un lungo percorso dentro il bosco e intorno alla chiesa. Per adempiere ad un voto o per ottenere una grazia, i pellegrini portano manufatti votivi realizzati con le candele, detti cinti, talvolta abbelliti con fiori e nastri. Il territorio di Pierno, tra i paesi di Atella e di San Fele, è luogo di richiamo per tutta la comunità della Valle di Vitalba (figg. IV.11-14 / pict. IV.1114).

Il documentario, in quanto cinema diretto, può essere definito, secondo Ambrogio Artoni, come cinema del contatto in cui i diversi punti di vista culturali non perdono la propria identità anche se entrano in relazione gli uni con gli altri. Si stabilisce un rapporto tra la macchina da presa del soggetto che riprende e l’oggetto ripreso dall’osservatore che diviene rapporto dialettico. Così, nel viaggio che Levi e de Martino compiono nell’Italia Meridionale si verifica un incontro-scontro tra lo spazio e il tempo di due mondi, uno esteriore incarnato nel paesaggio e uno interiore, quello dell’anima. Quel limite geografico che Carlo Levi con il suo romanzo Cristo si è fermato ad Eboli traccia, diventa quindi un confine tangibile: storico, culturale, identitario del mondo popolare e contadino che rimane escluso dai fattori legati al progresso e risulta ancorato ad una forma mitica di passato e nel quale «non si entra senza una chiave di magia»23. La Basilicata del confino è da Levi raffigurata come segnata da una vacuità e da una assenza, evidenti anche nei volti ritratti dei pellegrini, delle prefiche, delle donne vestite a lutto, che sembrano riflettere i calanchi di Grassano e Aliano. Il tema del paesaggio è sempre stato una costante nella produzione pittorica di Carlo Levi che ha anche ispirato numerosi registi come Massimo Mida Puccini, Carlo Prola e Fabrizio Palombelli.

Ne La Madonna del Pollino di Luigi Di Gianni del 1971, titolo ripreso nel 1979 da Mario Carbone, la montagna diventa una sineddoche del paesaggio, una figura retorica del linguaggio cinematografico. L’uomo si identifica con le pietre, con la roccia, con la stessa montagna e si riavvicina, mediante essa, alla natura e all’ambiente che lo circonda. In questo rapporto simbiotico dell’uomo con la natura, con la vetta, ogni luogo assume un significato simbolico, diviene mitico e rappresenta il mondo dell’individuo che si sente nuovamente parte di un tutto. La montagna ci ricorda, secondo l’idea di Humboldt, il luogo in cui il potere, «che è massimo in pianura, si attenua e anzi sparisce sui rilievi» che rappresentano «la casa della libertà [...] poiché è dalla vetta delle montagne che la lontananza nebulosa provoca un incanto pieno di mistero»19. Nel documentario in questione, vi è la visione della grotta come spazio e tempio sacro dell’apparizione della Madonna del Pollino e come luogo di arrivo del pellegrinaggio che assume significato taumaturgico di un cammino lungo e faticoso. La grotta rappresenta il momento di incontro tra donne e uomini di frazioni e di masserie isolate che vivono emarginati e cercano, attraverso questi riti, di sentirsi nuovamente parte di una comunità. «Essi vogliono che queste giornate senza luce, vissute in tane immonde, che stanno di mezzo tra la tomba, la grotta e la stalla, siano notificate al mondo, acquistino carattere pubblico mediante il giornale, la radio, il libro e formino così tradizione e storia; essi vogliono che quel loro cercarsi in questo mondo di tenebre tendendosi le mani e chiamandosi frate, frate si costituisca in immagine altrettanto storica, come gli affreschi della Cappella Sistina o la Cupola di Michelangelo»20.

Determinante è stato il contributo dato dalla fotografia alla rappresentazione della Lucania. Notevole infatti è l’apporto di artisti come Mario Carbone le cui foto, scattate in occasione del viaggio che Carlo Levi fece in terra lucana, furono lo spunto per la realizzazione delle scene del documentario di Massimo Mida Puccini, La Lucania di Levi, del 1962. Il regista, attraverso il montaggio di Pino Giomini e la fotografia di Luigi Zanni, ripercorre il Sud, parla dei suoi problemi e riesce a dare un senso corale alle scene tratte dai dipinti di Levi. In esse la vita contadina e la vita intellettuale della Lucania si fondono nella figura di Rocco Scotellaro, vero protagonista di questa composizione, e le inquadrature fisse e le panoramiche orizzontali e verticali ricompongono l’unità del dipinto Lucania '61, esposto a Torino nel Padiglione lucano alla Mostra delle Regioni, in occasione delle celebrazioni per il Centenario dell’unificazione italiana. Non solo la piazza gremita di gente, il vicolo assolato ma il paesaggio ritorna sempre presente sullo sfondo dei contadini che risalgono verso il paese attraverso i campi e della spirale delle figure femminili alle porte del cimitero. Come Italo Calvino e Renato Guttuso affermano nel documentario:

I monti e il paesaggio lunare dei calanchi attraversati dai contadini durante le processioni sacre, diventano luoghi densi di senso e valore identitario. Essi sono interiorizzati proprio da quegli uomini e da quelle donne che partecipano al rito,

21 P. Dell’Aquila, Il paesaggio dei fotografi: una ricognizione sulle immagini della Basilicata in Note di storia sul paesaggio agrario della Basilicata dal XIX al XXI secolo, Rionero in Vulture, 2010, p. 219. 22 F. S. Nitti, [Discorso] in Michele Lacava, Città di Castello, 1900, p. 7. 23 Levi, 1990, p. 14.

19

F. Farinelli, Geografia: un'introduzione ai modelli del mondo, Torino, 2003, p. 48. 20 Marano, 2007, p. 42.

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Il paesaggio culturale nel documentario

11.

12. Figg. IV.11-12 – Il Santuario e la Statua della Madonna di Pierno (S. Fele, PZ), la festa del 14-15 agosto 1956 (da Pinna, 2002, p. 54, 63). Pict. IV.11-12 – Sanctuary and Statue of the Madonna di Pierno (S. Fele, PZ), the feast on 14-15 August 1956 (from Pinna, 2002, p. 54, 63). 63

Cultural Landscapes

13.

14. Figg. IV.13-14 - Santuario della Madonna di Pierno (S. Fele, PZ): ex voto in cera nella festa del 14-15 agosto 1956 (da Pinna, 2002, p. 60, 63). Pict. IV.13-14 - Sanctuary of the Madonna di Pierno (S. Fele, PZ): ex-voto in wax, in the feast on 14-15 August 1956 (from Pinna, 2002, p. 60, 63). 64

Il paesaggio culturale nel documentario luoghi incorporati nella storia. Lo sfondo scenografico dei documentari è quello naturale delle montagne, dei mari, delle piccole comunità popolari e rurali, delle architetture rupestri (figg. IV.17-18 / pict. IV.17-18).

«Il quadro riunisce in sé i diversi piani che sono presenti nei nostri pensieri: conoscenza storica e conoscenza poetica, trasfigurazione lirica e realtà pratica […] credo che tutta la pittura italiana debba essere riconoscente a Carlo Levi per quest'opera così umana, ricca, profondamente popolare»24 (fig. IV.15 / pict. IV.15).

A partire dal 1949, con il film di Carlo Lizzani Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, anche i Sassi scavati nel tufo diventano parte di quell’immaginario cinematografico che ispirerà gran parte della produzione filmografica che rappresenterà una forma di riscatto e una presa di coscienza della situazione sociale della regione. Il film di Lizzani descrive la realtà delle città come Salerno, Bari, Matera e delle campagne meridionali e si apre con l’avvio dei lavori per la rinascita del Mezzogiorno realizzati per contrastare il sottosviluppo, la miseria e l’arretratezza aggravate dalla guerra da poco terminata. Lizzani mostra non solo cifre e dati relativi alla presenza industriale nel Mezzogiorno, alla distribuzione della proprietà terriera e alla percentuale di campagna incolta e abbandonata, ma dà risalto anche alle lotte operaie nelle fabbriche e alle lotte per l’occupazione delle terre che hanno contribuito nel tempo a migliorare le condizioni del Sud. Il documentario, che si conclude con una manifestazione politica a Melissa, cui parteciparono esponenti politici e intellettuali di tutta Italia, costituisce la più ampia inchiesta cinematografica girata nel Mezzogiorno negli anni del dopoguerra.

Il realismo figurale di Levi, come lo definisce Giovanni Battista Bronzini, risiede proprio nella capacità di inscrivere la realtà in un mondo, disincantato e mitico insieme, attraverso però una consapevolezza antropologica e scientifica. Spazio e tempo sono importanti tanto quanto i personaggi che sfilano dinanzi alla cinepresa. La percezione dell’assenza e della lontananza dalla storia e dal tempo è anche assenza di un dio e, questa assenza, genera una sensazione di immobilismo. Il tempo è sempre uguale a se stesso, fisso, lo spazio è immobile, statico, fermo al di qua di un confine oltre il quale il paesaggio diviene sempre più arido, sterile, lunare, quello delle «desolate terre di Lucania»25. Un tempo immobile e lontano dalla Storia, permeato di magia e ritualità, quello della Basilicata, eternamente sospesa tra passato e presente. Il paesaggio culturale diviene l’elemento essenziale di questo universo semantico e si trasforma in terra di confine tra i vari mondi possibili, eterno presente ed eterno passato. Come aveva già detto Libero Bizzarri nel 1967 con il suo documentario Lucania dentro di noi, anche Carlo Prola, nel documentario La Lucania di Levi del 1991, afferma che, a distanza di oltre cinquant'anni dal confino politico di Carlo Levi ad Aliano, i miglioramenti sono ancora carenti, le poche strade collegano paesi che sembrano fantasmi, quasi destinati a scomparire, «Cristo, dicono è arrivato fin qui, si è trattenuto un po’, poi se ne è tornato ad Eboli, per sempre» (fig. IV.16 / pict. IV.16)26. IV.4 Il paesaggio propaganda

antropizzato

nei

documentari

Nel Sud migliaia di contadini tra il 1948 e il 1950 manifestano per l’abolizione del latifondo e per la spartizione delle terre e per questo, sorgono i primi movimenti organizzati di occupazione, alcuni dei quali duramente repressi. Anche in Basilicata è evidente il malcontento della popolazione che protesta per l’inflazione e l’aumento dei prezzi del grano e della farina, denunciando le condizioni di miseria in cui è costretta a vivere. Ai temi incentrati sulla lotta contadina e sulle conseguenti tragiche vicende, ma anche al duro lavoro dell’uomo nei campi, alla natura franosa e argillosa, si ispirano diversi documentari di propaganda e altri di denuncia. Tra questi Pericolo a Valsinni, girato nel 1960 da Di Gianni e Frana in Lucania del 1959 che, ambientato a Cersosimo, racconta le vicissitudini di una famiglia costretta ad abbandonare il luogo in cui ha sempre vissuto, perché non più sicuro.

di

Possiamo affermare che ogni cultura, e a maggior ragione la cultura contadina, interagisce con il paesaggio circostante in un processo di scambio reciproco, di osmosi tra l’uomo e l’ambiente, in cui il primo influisce sul secondo con le sue azioni e relazioni e allo stesso tempo ne è condizionato. Tanto è vero che il paesaggio e la sua definizione non possono esistere senza la presenza dell’uomo e del suo coinvolgimento sentimentale di commozione e di partecipazione alla sua rappresentazione: «un paese può esistere anche senza di noi, non un paesaggio»27.

Nelle testimonianze audiovisive, il paesaggio nasce sempre dal territorio, sia quando lo si considera oggettivamente, sia quando lo si filtra in una interpretazione artistica, figurativa, emotiva. Il paesaggio culturale è così inteso grazie alla presenza umana, diviene una sorta di memoria in cui si registra e si sintetizza la storia dei disegni territoriali prodotti dagli uomini, ma può anche essere lo specchio di uno spazio nel quale si vive una mancanza, come nel caso dell’assenza delle vie di accesso ai paesi, strumento di collegamento con il mondo esterno. La carenza di infrastrutture viarie è un elemento presente nel paesaggio per lo più montano della Basilicata, le cui uniche strade sono quelle realizzate nel primo ventennio del XX secolo, come attesta anche il documentario Via Appia del 1950 di Vittorio Gallo.

Al centro delle rappresentazioni, il paesaggio è visto quindi, come spazio vissuto da un'entità collettiva con i suoi valori storico-relazionali ed è il tòpos della memoria collettiva, trasmessa e raccontata. Il paesaggio, come detto in precedenza, è la scenografia autentica del documentario che non ha bisogno di location cinematografiche e di ricostruzioni, ma raccoglie in sé le immagini identitarie dei 24

Dal commento di Italo Calvino e di Renato Guttuso nel documentario di Massimo Mida Puccini, La Lucania di Levi, 1962. 25 Dal film di Francesco Rosi, Cristo si è fermato ad Eboli, 1979. 26 Dal documentario di Carlo Prola La Lucania di Levi, 1991. 27 O. Marinelli in C. S. Imarisio, C. Giorda, Il paesaggio come “dono” per l’ambiente rurale in Il paesaggio nel futuro del mondo: esperienza e riflessioni sul territorio torinese, a cura di A. Peano, Firenze, 2006, p. 25.

Con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, che fa proprie le politiche keynesiane favorevoli al decollo delle aree depresse e alla ridistribuzione delle risorse, ha inizio un 65

Cultural Landscapes

Fig. IV.15 - Italo Calvino commenta il dipinto Italia '61 di Carlo Levi. Dal documentario La Lucania di Levi di Massimo Mida Puccini, 1962 (APCL). Pict. IV.15 - Italo Calvino comments on Carlo Levi’s painting Italia '61. From the documentary La Lucania di Levi, by Massimo Mida Puccini, 1962 (APCL).

Fig. IV.16 – Veduta di Matera. Dal documentario Lucania dentro di noi di Libero Bizzarri, 1967 (APCL). Pict. IV.16 – View of Matera. From the documentary Lucania dentro di noi, by Libero Bizzarri, 1967 (APCL). 66

Il paesaggio culturale nel documentario

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18. Figg. IV.17-18 - Dai calanchi di Missanello al Becco della Civetta a Castelmezzano (PZ), 5-11 agosto 1956 (da Pinna, 2002, p. 76). Pict. IV.17-18 – From the Calanchi of Missanello to the Beck of the Owl in Castelmezzano (PZ), 5-11 August 1956 (from Pinna, 2002, p. 76).

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Cultural Landscapes rinnovamento agricolo, la fine parziale del latifondo ed un miglioramento socio-economico che investe l’intero territorio. Ed è così che molte aree interne della regione, grazie alla realizzazione di infrastrutture, escono fuori dall’isolamento atavico che le ha caratterizzate fino a quel momento. La testimonianza di una delle prime costruzioni di strade di collegamento, opera degli stessi abitanti di Salvia (conosciuta poi come Savoia di Lucania), è riportata in un cinegiornale inserito nella Rassegna mensile d'Europa. L’evento descritto assume un significato dirompente per l’intera comunità poiché finalmente consente l’arrivo di una corriera all’interno del paese.

paesaggio si configura così come il substrato di una risorsa presente nel sottosuolo, che nasconde e ottunde una ricchezza che dalla sua superficie di osservazione non traspare. Il metano diventa elemento emblematico per descrivere una contraddizione di tutto il territorio, arido e ingrato eppure inconsapevolmente ricco. Infatti, nel 1959 iniziano i lavori di perforazione del sottosuolo materano, documentati in CH4 in Lucania di Giuseppe Ferrara del 1964, con la fotografia di Luigi Sgambati e prodotto da Giorgio Patara. Sotto gli occhi dei contadini, negli aridi campi, si materializza una lenta e progressiva trasformazione della zona e del paesaggio della Valle del Basento. L’insediamento dei pozzi petroliferi, a ridosso delle terre coltivate a grano, determina di conseguenza un mutamento nei connotati del paesaggio che, pervaso e invaso sempre più dalla presenza di nuove industrie, perde la funzione vitale, strettamente connessa alla presenza dell’uomo, tipica invece di una economia agraria.

L’intervento dell’uomo e del rinnovamento apportato dalla Riforma Agraria, varata per favorire l’insediamento di piccole imprese agricole attraverso l’accertamento delle proprietà da espropriare, le opere di bonifica, il risanamento dei campi, costituiscono un altro aspetto del paesaggio culturale sul quale si soffermano soprattutto i documentari “propagandistici”. Conquiste nel Sud del 1953 di Edmondo Cancellieri è incentrato sul lavoro compiuto nel Meridione grazie alla costruzione di infrastrutture viarie, alla ricerca dell’acqua, alle opere di irrigazione, alla riforma fondiaria, alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio turistico. Gaudiano, Matera, la piana di Metaponto, Scanzano, Policoro sono tra i paesi di Borgate della riforma, di Luigi Scattini del 1955, interessati da questi processi di rinnovamento.

Ed è proprio in questi anni del boom economico che Enrico Mattei, Commissario straordinario dell’Agip, nata nel 1926 durante il Fascismo, decide di rafforzarne il ruolo creando l’ENI nel 1953 e di intraprendere in Basilicata le operazioni di ricerca dei giacimenti di metano in Val Basento. L’Italia quindi, e in particolare la Basilicata, non è più un paese povero, adesso che è stato scoperto il metano che potrà finalmente consentire alla regione di risollevarsi dalla sua condizione di miseria. Per testimoniare il cambiamento in atto e la possibilità di rinnovamento e di riscatto per il Sud, Mattei affida a Joris Ivens, uno dei più grandi documentaristi, l’incarico di girare un film per la televisione, L’Italia non è un paese povero del 1960, che diventerà una fotografia dell’Italia e in particolare del Meridione.

Nei documentari Terra nuova 1951, Accadde in Lucania e Una Regione da scoprire del 1953 di Francesco De Feo, l’attenzione è incentrata sull’introduzione di mezzi innovativi che consentono di lavorare il terreno più arido, far crescere il grano più rigoglioso dove prima c’erano solo sterpaglie, costruire dighe per disciplinare le acque del Bradano, far sorgere nuovi villaggi rurali al posto delle solitarie ville di latifondisti. Il regista non tralascia di esaminare i motivi della depressione socio-economica della Lucania. Il paesaggio, in questi documentari appare fortemente antropizzato, l’uomo con la sua presenza e con i suoi interventi lo ha plasmato, modificando anche le caratteristiche più peculiari, come nel caso del Metapontino, dove la bonifica ha cambiato i connotati orografici e geo-morfologici ed ha sottratto la pianura lucana al paludismo malarico, trasformando la piana, e di conseguenza il suo paesaggio, come è evidente nei lavori di Lorenzo Fiore del 1950 Lavoro millenario, di Giampiero Pucci Braccia e lavoro del 1952 o di Camillo Mastrocinque, Oltre Eboli del 1951. Proprio quest'ultimo lavoro è emblematico della produzione documentaristica di propaganda, perché offre una ricostruzione della Basilicata che, attraverso il viaggio dei protagonisti diretti a Bernalda, illustra i progressi realizzati e le opere di ricostruzione presenti nella regione. Attraverso le immagini di Pisticci, di Matera, dei Sassi scavati nelle pareti del torrente Gravina, del fiume Bradano e della diga di San Giuliano, costruita per regolarizzare i corsi d'acqua, il regista descrive un paesaggio non più aspro, faticoso, caratterizzato da montagne, sentieri irti e colline, ma aperto, pianeggiante e rassicurante.

Nell’episodio La storia dei due alberi, ambientato a Grottole, i protagonisti sono l’albero di ulivo, unica ricchezza per sette famiglie, e l’albero metallico, ancora in costruzione, della trivellazione, addobbato con cavi e nastri multicolori, come un albero di Natale. Insieme rappresentano il divario sociale ed economico e l’arretratezza ancora presente, nonostante i nuovi ritrovamenti. «Il documentario diviene così l’espressione di una realtà nel suo aspetto causale e inevitabile […] il mezzo migliore per trovare le vere strade del cinema»28. Il suo merito è quello di denunciare un contesto del tutto opposto all’immagine ufficiale che si vuole far trasparire. Ne L’Italia non è un paese povero appare anche Matera che, con in suoi Sassi, rappresenta il paesaggio culturale per eccellenza poiché è il più antropizzato e in cui, ciò che si mostra agli occhi dello spettatore è lo scenario delle grotte scavate nel tufo e abitate. Le immagini rappresentano un contesto nel quale l’attività umana è fortemente legata al territorio che appare per questo, denso di significati culturali e identitari. Le immagini dei Sassi, privi di illuminazione e di igiene e sulle quali la macchina da presa indugia per rivelarne lo squallore, ritenute troppo forti e crude, sono censurate dalla RAI che manderà in onda pertanto Frammenti di un film di Joris Ivens. Si tratta di un lavoro cinematografico che

Sempre negli anni '50, l’attenzione della politica di rinnovamento si focalizza sulla terra lucana, non solo come territorio da bonificare e da sanare ma anche come risorsa da sfruttare, visti i giacimenti di metano e di petrolio rinvenuti. Il

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V. Tosi, Joris Ivens. Cinema e utopia, Roma, 2000, p. 57.

Il paesaggio culturale nel documentario rapporto diverso con la comunità e rafforzano un senso di appartenenza. Sono luoghi che testimoniano la storia della Lucania, la sua evoluzione attraverso il tempo, i cambiamenti, lo sviluppo e costituiscono un altro aspetto del paesaggio culturale lucano e delle sue forme di antropizzazione.

testimonia un importante cambiamento in atto in una realtà ancora profondamente segnata socialmente ed economicamente. L’unicità architettonica dei Sassi di Matera conferisce una riconoscibilità al paesaggio e lo rende produttore di senso per l’osservatore. Del resto, lo spazio territoriale si configura in rapporto alle azioni e alle relazioni che l’uomo instaura ed è definito luogo, perché assume un valore aggiunto dato dalla sua accezione antropologica: «nei luoghi infatti ci identifichiamo, abbiamo i nostri legami sociali, i nostri morti, le nostre memorie, i nostri interessi vitali»29. Come scrive Eugenio Turri in riferimento all’esperienza della percezione «tutti i paesaggi sono il riflesso di un'organizzazione dello spazio, di una maniera propria degli oggetti di ordinarsi e rivelarsi nel territorio, delle storie che tali ordini hanno determinato»30 e introduce il concetto di iconemi, come parti che esprimono il tutto, unità elementari di percezione che, all’interno di un insieme organico di segni, incarnano il genius loci, l’anima di un luogo. Il genius loci o l’insieme degli iconemi in questo caso, definiscono un luogo in relazione alla sua storia e all’immagine che richiama nello spettatore e che nel documentario è l’immagine della realtà.

IV.5 Presenza e assenza dell’uomo nel paesaggio Alla luce di quanto detto finora, è evidente che la bellezza del paesaggio che appare agli occhi dello spettatore è frutto anche del lavoro che l’uomo ha prodotto su esso, attraverso pratiche agricole antiche che lo hanno modificato nel corso del tempo. Senza l’uomo e senza il suo interesse per il territorio, come ad esempio avviene con la dismissione dei campi arati o con l’emigrazione, si giunge ad un ineluttabile processo di distruzione di senso del paesaggio, che ritorna ad essere semplice spazio naturale. Nonostante tutti i tentativi di modernizzazione, tema che ritorna puntuale come già si era verificato negli anni successivi all’unificazione italiana con l’istituzione per esempio delle Cattedre ambulanti per l’agricoltura, si crea uno spopolamento demografico all’interno di molti insediamenti d'origine. Anche l’industrializzazione di altre aree del Paese determina la ripresa del fenomeno dell’emigrazione che, nato già nell’Ottocento e acuitosi agli inizi del Novecento, costringe adesso le forze lavoro ad abbandonare le campagne della Basilicata. I contadini non hanno altra scelta se non lasciare i propri paesi per andare lontano, anche in Venezuela e in America Latina, dove vengono chiamati musiù e sognano di ritornare nella loro terra d'origine, come appare nel documentario di Vincenzo D'Ambrosio I sogni dei Musiù o La ballata dell’emigrante di Antonio De Gregorio, del 1961 dove ci si sofferma sul momento della partenza, enfatizzato da toni drammatici. Il paesaggio lucano diviene allora terra d'abbandono, di solitudine, soprattutto nelle aree più interne che si spopolano. L’inchiesta condotta ad Albano di Lucania nel documentario di Saverio Ungheri Lettera dalla Lucania del 1964, testimonia proprio il progressivo impoverimento demografico mentre, Massimo Mida Puccini ambienta a Tricarico Lettera dal Sud del 1962, in cui si racconta di una troupe di documentaristi recatasi in una scuola elementare per far scrivere ai bambini una lettera ad un parente lontano. Le campagne si svuotano della presenza di uomini, braccianti, manovali, carbonai, mentre le donne sono costrette a svolgere il lavoro nei campi, sostituendosi ai loro mariti, come testimonia il documentario di Giovanni Vento Donne di Lucania del 1969, in cui di notevole valore artistico è la fotografia di Giovanni Raffaldi (figg. IV.19-25 / pict. IV.1925).

L’attenzione rivolta alla valorizzazione del patrimonio paesaggistico della Basilicata costituisce un tema presente anche nelle produzioni audiovisive che assumono una vocazione definita “turistica”. Il documentario commentato da Michele Placido, Basilicata: una regione fra due mari (1986) di Luigi Di Gianni ad esempio, tratta proprio gli aspetti culturali, artistici e paesaggistici della Lucania, lungo un itinerario che va da Metaponto fino a Maratea, attraverso le tracce delle diverse civiltà che si sono susseguite in questi luoghi. Così pure i documentari Le Chiese rupestri di Matera di Vittorio di Giacomo e Le laure di Agostino Di Ciaula in cui si mostra Matera con gli affreschi delle sue chiese bizantine, sottolineando la fusione della loro matrice orientale ai motivi occidentali. I riferimenti sono anche ai paesi fortificati dai Saraceni nel IX secolo e ristrutturati nel XII secolo dagli Svevi, al castello di Melfi e a Federico II, all’arte del XIII secolo caratterizzata dalle sculture lignee, ancora presenti nelle chiese lucane. L’attenzione alla morfologia del paesaggio che assume un valore essenzialmente geografico è invece presente in Geografia della Basilicata di Agostino Di Ciaula del 1961, in cui si descrivono i confini, i rilievi, i fiumi principali: il Bradano, il Basento, l’Agri e il Sinni, il clima della regione e la sua economia. Da queste testimonianze visive si coglie l’unicità del paesaggio lucano, si spazia dalla coste lambite dai due mari, alle valli verdeggianti, ai paesi arroccati sui dirupi, alle bellezze archeologiche, alle pitture rupestri. La Basilicata è infatti una terra estremamente ricca di beni culturali e di insediamenti diffusi di antiche civiltà.

Il movimento migratorio riguarda però anche le popolazioni delle comunità Albanesi che, immigrate in Lucania, si sono insediate in diversi paesi. La loro presenza determina una contaminazione della cultura popolare lucana come attesta il documentario Anonimo lucano di Atte Basile del 1985. La ricchezza delle tradizioni albanesi, evidente nei riti del fidanzamento o nella celebrazione del matrimonio grecoortodosso, ancora fortemente radicato nel territorio di San Costantino Albanese, è presente in Albanesi d'Italia di

Le trasformazioni sociali ed i cambiamenti di scenario, evidenziati all’interno dei documentari, determinano la trasformazione del paesaggio nelle sue forme e generano un 29 M. Augè, Non luoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, 1993, p. 52. 30 E. Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, 1998, p. 20.

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Cultural Landscapes

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Figg. IV.19-22 – Scene dal documentario Lettere dalla Lucania, di Saverio Ungheri, 1964 (APCL). Pict. IV.19-22 – Scenes from the documentary Lettere dalla Lucania, by Saverio Ungheri, 1964 (APCL). Adriano Barbano del 1954. Questi e altri documentari dello stesso genere sono la riprova del fatto che la cultura è un insieme di condivisione, di esperienze comuni, di partecipazione ai medesimi sentimenti che, attraverso gioie, fatiche e lavoro, generano il senso di appartenenza comunitaria ed in essa le “contaminazioni” costituiscono una ricchezza, non certo un impoverimento (figg. IV.26-28 / pict. IV.26-28).

paesaggi, sembra che il territorio della Basilicata si sia cristallizzato nel tempo. «Al pellegrino che s'affaccia ai suoi valichi / a chi scende per la stretta degli Alburni / o fa il cammino delle pecore lungo la Serra, / al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte / con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato, / a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme / negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante, / la Lucania apre le sue lande, / le sue valli dove i fiumi scorrono lenti / come fiumi di polvere. / Lo spirito del silenzio sta nei luoghi / della mia dolorosa provincia»31.

L’immagine della Basilicata è stata oggetto di una vasta produzione cinematografica da parte di cineasti italiani e stranieri, basti pensare che la prima ripresa documentaria risale ai primi anni trenta, quando l’Istituto LUCE documenta Melfi in occasione della visita di Vittorio Emanuele III e della Regina Margherita, a seguito del terremoto del 23 luglio 1930, verificatosi nella zona del Vulture. I documentari prodotti in terra lucana rappresentano un patrimonio altrettanto importante che attesta le tradizioni e le culture storiche di una popolazione e di un territorio che rimane fisso, non solo nei fotogrammi, ma anche nell’animo dell’osservatore. Attraverso i rituali arcaici e mitici, la ricchezza, l’incontro di culture, di tradizioni e la forza dei

Guardare le immagini identitarie dei luoghi che hanno rappresentato la Lucania attraverso questi documentari, significa cogliere, mediante l’osservazione dello scenario e del contesto di rappresentazione di quelle realtà, il paesaggio che, non è più solamente una porzione di terra che può essere compresa con un'occhiata fino al confine visibile dell’orizzonte, ma è anche e soprattutto paesaggio culturale. Scaturito dall’analisi delle testimonianze visive, il paesaggio diviene allora il più ricco archivio in nostro possesso. 31

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L. Sinisgalli, I nuovi campi elisi: poesie (1942-1946), Milano, 1947, p. 11.

Il paesaggio culturale nel documentario

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Figg. IV.23-25 - Ruoti (PZ), Donne al lavoro nei campi, 14-16 agosto 1956 (da Pinna, 2002, p. 87). Pict. IV.23-25 - Ruoti (PZ), Women working in fields, 14-16 August 1956 (from Pinna, 2002, p. 87).

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Cultural Landscapes

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28. Figg. IV.26-28 - San Costantino Albanese (MT), celebrazione del matrimonio in rito greco-ortodosso. Dal documentario Albanesi d'Italia, di Adriano Barbano, 1954 (APCL). Pict. IV.26-28 – San Costantino Albanese (MT), Greek Orthodox wedding ceremony. From the documentary Albanesi d'Italia, by Adriano Barbano, 1954 (APCL). 72

CAPITOLO V FOTOGRAFARE I PAESAGGI Mario Annunziata Abstract

certi versi, maggiormente introspettivo. Crediamo possa essere utile ricordare alcuni aspetti che inquadrano il senso e la direzione intrapresa.

The territories of the photography are many as well as the possible approaches: from pure artistic research to scientific investigation (microscopic, photogrammetric, etc).

V.2 Gli esordi della fotografia del territorio Nel 1851 nasce a Parigi la Societè Hèliographique, e con la Missions Hèliographique la prima campagna di rilevamento fotografico. Si fotografano monumenti, sculture e bellezze architettoniche. Il frammento di paesaggio viene catturato solo quando è “monumento” in se stesso. I concetti di ‘territorio’ e di ‘paesaggio’ non sono ancora nati.

We are concerned with a territory of exploration that, through the photographic gaze may improve the awareness of the landscape around us (and in this sense we will make no distinctions between the different meanings of the landscape: urban, rural or 'natural' / 'artificial'). So the photography will be driven by the left hemisphere of the brain, rational, devoted to integrate form and content, very different from photography led by the right hemisphere, instinctive, sensory. The landscape as a laboratory for creativity, for pure form, colour and sign, leaves the place to a more reflective and, in some ways, more introspective approach.

Sono, invece, gli Stati Uniti a dar vita ad un nuovo genere: il paesaggio, ed è con la fotografia che i due concetti cominciano a sovrapporsi e alla “documentazione” dei monumenti si affiancano l’esplorazione ed il “rilievo” (dal punto di vista fotografico). Si può cogliere dunque sin dall’inizio l’illusione di aver trovato uno strumento e un linguaggio totalmente o oggettivo, obiettivo, come l’ebbe a definire W. H. Talbot tra gli inventori della fotografia “The pencil of nature” la matita della natura, quasi volesse significare l’estranietà della mano dell’uomo nella realizzazione che “magicamente” si scrive da sola.

Keywords Landscape photography, analysis and identification, visual field, computer-camera controlled, multi-camera shoot. V.1 Una premessa di metodo

Nella Mission Hèliographique e delle successive esperienze americane, per giungere infine alle più recenti indagini territoriali europee, le modalità di utilizzazione della fotografia sono state differenti. Oltre alle difficoltà materiali che resero problematiche le realizzazioni delle prime campagne fotografiche, è interessante verificare anche il cambiamento di posizione che gli stessi fotografi hanno assunto nei confronti del paesaggio e del territorio, in relazione all’epoca e al tipo di mandato ricevuto.

Le note che seguono sono il tentativo di individuare degli spunti, sollecitazioni per quanti nel proprio percorso di studi e ricerche affrontano problemi di documentazione e visualizzazione fotografica. Pur non avendo pretese, che potrebbero apparire velleitarie e oltre le intenzioni, si è voluto comunque fornire il più possibile un quadro di riferimento complessivo.Quanto segue è inoltre occasione per provare a fare una sintesi dell’esperienza personale maturata nel campo fotografico e del trattamento delle immagini digitali nell’ambito dei Beni culturali e ambientali. I riferimenti bibliografici saranno lo strumento per quanti vorranno approfondire i temi. Qui proveremo a fornire una traccia.

La fotografia di paesaggio è caratterizzata inizialmente da una funzione di certificazione dell’esistente, successivamente da una fase di presa di coscienza del territorio sino a giungere, con le fotografie degli Alinari, all’impostazione di uno stile riconoscibile. La Mission Photographique de la DATAR, in Francia, famosa campagna fotografica durata 5 anni, che ha coinvolto numerosissimi fotografi di diverse nazionalità, assegnando ad ognuno porzioni di territorio da descrivere, caratterizza tutto il decennio degli anni Ottanta del XX secolo1. Con la DATAR si giunge all’idea di un rilievo, che attraverso le immagini permetta di tracciare una memoria non solo dei luoghi ma, anche attraverso segni e persone, di un periodo storico nel suo complesso, ampliando pertanto il concetto di paesaggio. Diviene così sempre più evidente l’importanza di un progetto culturale alla base delle ricerche condotte sul reale.

I territori della fotografia, come ben sappiamo, sono molteplici così come gli approcci possibili: dalla ricerca artistica pura all’indagine scientifica (microscopica, fotogrammetrica, ecc). Quello di cui ci occuperemo è un territorio di esplorazione che attraverso lo sguardo fotografico aiuti la presa di coscienza, la consapevolezza di un paesaggio (e in tal senso non faremo distinzioni tra le diverse declinazioni del paesaggio: urbano, rurale o ancora della coppia oppositiva ‘naturale’ / ‘artificiale’). La fotografia sarà quindi quella che potremo definire guidata dall’emisfero sinistro del cervello, razionale, volta ad integrare forma e contenuto differente dalla fotografia guidata dall’emisfero destro, istintivo, sensoriale. Il paesaggio come laboratorio di creatività, di forma e segno puro, di ricerca cromatica, lascia il posto ad uno sguardo più riflessivo e, per

Sorgono allora domande sul senso di tali operazioni, tese a tracciare una memoria proprio di quel territorio che sta così rapidamente mutando. La fotografia, anche per questo, si 1 Fotografia e paesaggio : la rappresentazione fotografica del territorio / a cura di M. Galbiati, P. Pozzi, Roberto Signorini, Milano, 1996.

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Cultural Landscapes trova sempre in bilico tra l’essere oggettiva e soggettiva, come i lati di una medaglia, con in più i limiti dati dalle sue caratteristiche strutturali, tecniche e linguistiche. La fotografia è, dunque, un evento nel tempo, è un mondo che si “scrive” in una dimensione temporale e che, come la scrittura, può avere una sua linearità e scansione, richiedendo successivamente una lettura, che nuovamente si colloca in un tempo.

mettiamo noi, e che sorte della fotografia non è saper sorprendere un mondo in flagrante reato di concordare con le nostre idee, ma vederlo così com’è in sè, assurdo»4. V.3 Le metodologie L’insieme di metodi di lettura del territorio, della città, degli spazi urbani, che caratterizzano il corpo delle discipline architettoniche-urbanistiche, ci propongono modi e metodi di descrizione della città e del territorio che rispondono ad una logica di un sapere universale.

La lettura delle immagini, attuata in un tempo diverso a seconda dell’interpretante, conferisce allora un senso, un significato, e per questo il fotografo ha una responsabilità, cioè opera, come chi scrive, in una dimensione etica. La questione del senso è senza dubbio molto delicata, si potrebbe forse pensare che la stessa domanda sul senso possa essere senza significato o che l’unico senso sia l’esistente, il reale, quasi che l’immediata concretezza, come la linearità della scrittura, potesse implicitamente costituire la garanzia di un orizzonte significativo. In Italia esperienze in parte paragonabili, ma limitate al solo territorio settentrionale, sono state le campagne Archivio dello Spazio, promossa dalla Provincia di Milano, e Linea di confine, della Provincia di Reggio Emilia. Pur essendo poche, queste esperienze hanno tuttavia definitivamente consolidato quella che A. C. Quintavalle ha chiamato “scuola italiana”2 e che C. Marra definisce «fotografi italiani di paesaggio degli anni Ottanta»3.

Sul piano della rappresentazione hanno da sempre utilizzato la fotografia essenzialmente come strumento oggettivo (lo stencil of nature) per documentare. Osservando, invece, con attenzione un luogo abitato, una città, uno spazio costruito, ognuno di noi mette in campo un punto di vista che tende a dar risalto solo a certi oggetti, situazioni che mutano alvariare delle condizioni che abitiamo nel momento dell’osservazione. Molte sono dunque le immagini che costruiamo con il nostro sguardo quando attraversiamo un luogo. Ma se ognuno costruisce, a partire dalla propria pratica, il proprio universo di senso di un territorio vi sono pluralità di letture e, fotograficamente parlando, di scritture, che portano rapidamente di fronte a visioni differenti di tipo storico, artistico, sociale, tecnico e così via.

Pur non trattandosi di un gruppo ufficialmente mai costituito quanto piuttosto di un clima culturale o di una new wave visiva (Marra). Marra individua in due mostre, e nei relativi cataloghi, questa esperienza, segnandone con una l’inizio e con l’altra una prima valutazione critica e storicizzante, espressa nei contributi Viaggio in Italia, del 1984, e Muri di carta, del 1993, con introduzione, in entrambi i casi, del Quintavalle.

Il farsi segno del mondo (dall’edificio alla città, dal paesaggio al territorio) è oggetto dell’interpretazione nel momento i cui entra a far parte del dominio di osservazione di un soggetto ed è scelta di scala, oppure di uno sguardo che sappia collocarsi tra l’infinitamente piccolo e dettagliato e la grande distanza, che però deve rinunciare ai particolari. A proposito della prima foto della Terra scattata da un astronauta Luigi Ghirri scriveva: «Contemporaneamente la rappresentazione del mondo e tutte le rappresentazioni del mondo in una sola volta. Eppure questo sguardo totale, questo ridescrivere tutto, annullava ancora una volta la possibilità di tradurre il geroglifico totale. Il Potere di contenere tutto spariva davanti all’impossibilità di vedere tutto in una sola volta»5.

Nel decennio racchiuso tra queste due date la fotografia italiana di paesaggio ha avuto un nucleo costante costituito da autori quali Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, Guido Guidi, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Giovanni Chiaromonte, Olivo Barbieri e altri, accomunati da «una nuova attitudine dello sguardo». Quintavalle, presentando nel 1984 Viaggio in Italia, enunciava una sorta di manifesto per una fotografia che fosse «riflessione sul fare immagine e rifiuto del paesaggio in cartolina», e poi «ricerca dell’Italia dei margini, dell’ambiguità, del finto, del doppio, dell’Italia sostanzialmente esclusa»

Queste considerazioni portano a chiederci quale sia l’utilità della fotografia nelle pratiche di un progetto in relazione ad un oggetto, ad un edificio ad una porzione di territorio. Gli architetti e gli urbanisti spesso si pongono questa domanda: che cosa ci può dire in più la fotografia rispetto alle mappe o alla cartografia, che, da sole, sono sufficientemente esaustive nel rappresentare e descrivere il territorio? Una risposta è possibile individuarla se proviamo a sostituire la parola ‘strumento’ fotografico con ‘metodo’. Dalla ‘oggettività’ alla ‘soggettività’, dalla ‘descrizione’ alla ‘concezione’ dello spazio e del progetto, per una educazione alla visione e alla percezione visiva.

La genealogia, le radici e le matrici di questo sguardo sono da ricercare in nomi quali Robert Frank, Atget e soprattutto Walker Evans, fotografo americano esponente di spicco della Farm Security Administration, una delle più importanti esperienze di reportage fotografico della prima metà del novecento. Jean Claude Lemagny scrive che «cade la pretesa di cogliere il bell’ordine del mondo in uno di quei fuggevoli istanti in cui sembra cristallizzarsi»; da allora «il fotografo sa che i momenti significativi non esistono, che i significati ce li

La percezione è la presa di coscienza che noi facciamo del mondo esterno tramite l’osservazione. Mettere in prospettiva non significa, allora, soltanto concepire lo spazio attraverso

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A. C. Quintavalle, Muri di carta, Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie, Milano, 1993, pp. 10-11, 13-14. 3 C. Marra, La sovversiva normalità dello sguardo, Fotografi italiani di paesaggio degli anni ottanta, Ravenna, 1995.

J. C. Lemagny, A. Rouillé, Storia della fotografia, Firenze, 1988, con particolare riferimento al capitolo La fotografia insicura di sè (1950 -1980). L’allusione è a Henry Cartier Bresson. 5 L. Ghirri, Kodachrome, Modena, 1978.

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Fotografare i paesaggi categorie formali riconoscibili, e comprendere è operazione ben più complessa di una registrazione è la traduzione, il passaggio ad una simbolizzazione, che ne è la comprensione più profonda, e la capacità di cogliere tutte le relazioni spazio-temporali presenti in un luogo ed in una struttura.

buona vista e acuta intelligenza, eppure non vedono le forme, non ne comprendono la genesi, e tanto meno il mondo dei significati che esse trasmettono. Ciò che ci fa leggere e capire i segni è la percezione. Eward Bullough, psicologo inglese, noto studioso dei problemi della percezione relativi all’apprezzamento estetico della forma, ha individuato quattro tipi di percezione7: a) di tipo oggettivo (espressione enumerativa); b) di tipo fisiologico e intra-soggettivo (espressione empatetica); c) di tipo associativo (espressione immaginativa); d) di tipo caratterizzante (espressione organica, ritmica, strutturale).

V.4 La percezione: che cosa si intende per campo La definizione che soddisfa l’idea di ‘percezione’ è la seguente: diciamo che il campo è lo spazio, che presenta alcune caratteristiche costanti in ogni suo punto, come Il foglio da disegno, il terreno su cui è edificata una casa, o un piatto, o ancora una sedia6. Perché, però sarebbero ‘campi’ tutti questi oggetti così disparate tra di loro? Lo sono perchè si tratta di spazi aventi al proprio interno certe caratteristiche omogenee (colori, materiali, forma, funzioni) e sempre all’interno si compiono determinate operazioni.

Questi quattro tipi di percezione ben si coniugano con i quattro tipi di campo: 1) il campo geometrico-intuitivo educa la nostra percezione visiva di tipo oggettivo; 2) il campo ghestaltico educa la nostra percezione di tipo fisiologico e psicologico; 3) il campo topologico educa la nostra percezione visiva di tipo associativo; 4) il campo fenomenologico educa la nostra percezione visiva di tipo caratterizzante.

Se per esempio si traccia un disegno alla lavagna, si percepisce subito che non si potrà farlo con una matita, dato il materiale e il colore del supporto, ma si capisce anche di quali dimensioni dovrà essere il disegno se si vuole che tutto sia compreso nel rettangolo della lavagna. Ogni campo possiede quindi delle determinate caratteristiche e in esso si compiono specifiche operazioni. Il campo agisce su queste operazioni, ma a loro volta le operazioni agiscono sul campo e da questa interazione nasce la tensione, il movimento, la continua trasformazione.

Poniamo un tavolo. Prima di tutto questo tavolo lo vediamo nella sua fisionomia geometrica, che ci fa dire che è un tavolo prima ancora di conoscere le misure ecc.: lo vediamo dal punto di vista del campo geometrico-intuitivo. Ciascuno può osservarlo da una posizione diversa, dall’alto o dal basso, in ombra o in luce e, a seconda dello stato d’animo, può piacere o non piacere. Ora il tavolo è stato osservato dal punto di vista del campo ghestaltico (dal ted. Ghestalt, ‘forma in mutamento’) e la percezione visiva è di tipo psico-fisico. Il tavolo può avere degli oggetti vicino, essere posto su una pedana, o altro, e lo vediamo dal punto di vista del campo topologico, che è lo spazio della relazione e la percezione è di tipo associativo. D’altra parte possiamo guardare il tavolo nei suoi componenti, materiali e soluzioni costruttive. Il tavolo lo vediamo, allora, dal punto di vista del campo fenomenologico e la percezione è di tipo ‘caratterizzante’. Consideriamo comunque che il campo è un unico elemento, come lo è la percezione, anche se si esplica in quattro tipi distinti e successivi.

Si porti l’esempio di una stanza con dentro una lavagna, una cattedra, dei banchi e delle sedie. L’organizzazione di questi oggetti non è definitiva, si può mettere in discussione il modo in cui questi oggetti siano stati fatti, o come siano stati disposti, e cioè implica il nostro modo di concepire la scuola, senza però mettere in discussione che siamo in una aula scolastica. A questo punto supponiamo di portare fuori dalla stanza tutti gli oggetti: avremo una stanza vuota. Immaginiamo allora di portare dentro tutta un’altra serie di oggetti: un grosso banco con macchina da caffè, bottiglie, tazzine e lavello, tavolini con sedioline, specchi alle pareti ecc. Non si dirà più di trovarci in un’aula, ma in un caffè-bar. Anche in questo caso la disposizone potrà variare ma è inequivocabile l’idea di stare in un bar. Dunque gli oggetti hanno modificato il campo.

Per chiarire meglio i concetti di ‘tipo’ e ‘sistema percettivo’ pensiamo all’elemento principale della fotografia, cioé la luce (fig. V.1 / pict. V.1). Possiamo definirla attraverso le caratteristiche della sorgente e allora parleremo di composizione spettrale e di lunghezza d’onda e avremo come grandezze fotometriche il flusso radiante, la trasmittanza radiante ecc., analizzando il fenomeno dal punto di vista fisico. Poniamo invece la sorgente in relazione all’occhio umano, parleremo allora di energia luminosa e avremo come grandezze il flusso luminoso, la trasmittanza, la cromaticità ecc., osservando il fenomeno dal punto di vista psicofisico. Se infine parliamo di luce come percezione di colore, avremo come attributi la luminosità, la tinta e la saturazione. In questo caso l’osservazione è di tipo psicologico.

D’altra parte anche il campo pone le sue condizioni agli oggetti. Non potremo mai trasformare una stanza in una autorimessa o collocarvi un armadio alto cinque metri. Questa è l’azione reciproca dello spazio sugli oggetti e degli oggetti sullo spazio, l’interazione oggetti-campo che noi riscontriamo ovunque, anche nella città e nel territorio. Dovremo poi sempre tener presente che in questa interazione entra un terzo fattore fondamentale per la composizione, cioé l’uomo. Ma allora non si vede solo con gli occhi, o meglio, non bastano gli occhi per vedere. Si potrebbe dire che per vedere è fondamentale il binomio occhio-cervello, eppure anche questo non è del tutto vero. Vi sono infatti persone con 6 A. Marcolli, Teoria del Campo. Corso di educazione alla visione, Firenze, 1995.

7

75

H. Read, Educare con l’arte, Cremona, 1962.

Cultural Landscapes Fisiche

Psicofisiche

Psicologiche

Sorgente

Sorgente in rapporto all’occhio

Percezione del colore

Caratteristiche dell’energia radiante

Caratteristiche dell’energia luminosa

Attibuti del colore

Flusso radiante Radianza Trasmittanza radiante

Flusso luminoso Luminanza Illuminamento

Luminostà Tinta Saturazione

Fig. V.1 – La luce: lo stesso fenomeno descritto attraverso diverse grandezze ed unità di misura a seconda del punto di vista. Pict. V.1 – The light: the same phenomenon described with different physical quantity depending on observation. Facciamo un esempio: un ambiente arredato sottoposto a tre diversi osservatori. Lo specialista in strutture si soffermerà sugli elementi costruttivi (fisico), l’ architetto osserverà la funzionalità degli spazi organizzati (psicofisico) e l’arredatore gli schemi cromatici (psicologico). Per la fotografia del paesaggio e del territorio il campo topologico (dal gr. tòpos, ‘spazio’) è lo spazio d’elezione, dove avviene lo studio della relazione della parte con il tutto e che ben corrisponde ad uno dei momenti della percezione individuati: quella di tipo associativo con espressione estetica di tipo immaginativo.

Oggetto

Analisi

INDIVIDUAZIONE

individuazione caratteri morfologici e strutturali, e funzioni peculiari

SISTEMA NATURALE

analisi geologica: a) geomorfologia (altimetria, acclività, esposizione dei versanti); b) idrologia

SISTEMA ANTROPICO

- analisi degli insediamenti e delle infrastrutture urbane; - analisi degli insediamenti connessi all'agricoltura; - analisi della rete della viabilità e dei percorsi; - analisi degli insiemi correlati di elementi architettonici; - urbanistici, agrari

Trattando il campo topologico ci muoviamo quindi su un terreno che, pur considerando alcuni elementi, è uno spazio non-metrico. Ciò che conta nello spazio topologico è la relazione della parte con il tutto (di oggetto-insieme, di persona -ambiente), e la reciproca connessione. Il paesaggio ed il territorio che esploriamo sono un paesaggio stratificato, multiforme, abitato e trasformato dall’uomo, al concetto di spazio topologico si aggiunge quindi il concetto di spazio psicologico inteso appunto come lo spazio di vita che è di natura fisica, sociale, concettuale. Questo spazio implica rapporti di relazione, cioè di regioni (lo spazio interno ad un confine) e di frontiere (le barriere dentro la regione) che hanno un carattere spaziale (Marcolli, 1995). La lettura estetico-percettiva consente di analizzare e valutare le qualità visive dei paesaggi così come essi, in occasione di viaggi o di spostamenti quotidiani abituali, si

PROCESSI DI - analisi dell'evoluzione storica del TRASFORMAZIO- paesaggio NE - individuazione delle soglie storiche significative di riferimento - individuazione delle trasformazioni naturali in atto (geomorfologiche, vegetazionali, floristiche) - individuazione delle trasformazioni antropiche in atto (socioeconomiche, urbanistiche, agricole) Fig. V.2 – Tappe di studio degli elementi presenti nello spazio. Pict. V.2 – Steps of study to the elements being in space. 76

Fotografare i paesaggi

Fig. V.3 – Esempio di analisi e lettura identificativa del paesaggio culturale attraverso la fotografia. Da Craco verso agro di Ferrandina (MT) (per gentile concessione del Dipartimento Ambiente e Territorio – Regione Basilicata, Osservatorio Virtuale del paesaggio Mediterraneo – Progetto PaysMed – Unione Europea). Pict. V.3 – An Example of analysis and identification of the cultural landscape through photography. From Craco to land of Ferrandina (MT) (Courtesy of Dipartimento Ambiente e Territorio – Regione Basilicata Osservatorio Virtuale del paesaggio Mediterraneo – PaysMed Project – European Union).

presentano nelle loro immagini ed espressioni figurative agli occhi dell'osservatore; questo tipo di lettura, certamente la più diffusa e spontanea, porta a confrontare le immagini di quel determinato paesaggio con quelle di altri luoghi conosciuti e di verificare, in quegli stessi siti, anche inconsapevolmente memorizzati dall'osservatore, i cambiamenti che si sono succeduti nel tempo.

approfondita dagli specialisti della materia che, in relazione alle rispettive competenze, se ne occupano, ciascuno, dal proprio angolo visuale. Gli storici, gli archeologi, i topografi, gli architetti ed urbanisti, i geografi, i geologi, gli agronomi, i sociologi e quanti altri ancora approfondiscono in vario modo la conoscenza del paesaggio antropico e delle vicende della sua evoluzione (fig. V.3 / pict. V.3).

Ben differente è la lettura del paesaggio - naturale e/o costruito - compiuta in modo analitico (fig. V.2 / pict. V.2) ed 77

Cultural Landscapes V.5 Approcci Operativi In questa sezione daremo alcuni suggerimenti sulla pratica operativa. Non é intenzione nè lo scopo fare un manuale tecnico per cui eviteremo di soffermarci su aspetti legati alla fotografia di base e ci concentreremo su alcuni concetti e modalità di ripresa che spesso sono distrattamente sorvolati o ignorati, pensando che un paesaggio sia estremamente semplice da riprodurre. V.5.1 Differenze tra formato panoramico, panorama grandangolare e orbicolare Un’ottica di lunghezza focale di 40 mm per il formato 6X6, ad esempio, copre un angolo di campo di 93° sulla diagonale, da considerarsi molto ampio poiché consente di abbracciare una vasta aerea del campo visivo. Perchè allora non è sempre una scelta operativa d’elezione nella fotografia di paesaggio? Intanto la fotografia grandangolare non è sinonimo di fotografia panoramica. L’occhio umano in visione binoculare ha un rapporto tra il campo orizzontale e quello verticale vicino al rapporto 3:1 cioè un formato rettangolare. La retina dei due occhi in realtà, come possiamo vedere nel diagramma di Goldman (fig. V.4 / pict. V.4), copre un angolo di campo di 160° in orizzontale e di 120° in verticale. La struttura è molto complessa e la retina è una sorta di sensore fotografico dalle dimensioni variabili. In particolare la fovea copre i soli 10° centrali, la macula copre circa il 25°, il polo posteriore il 60°, la media periferia il 90°. In pratica solo la parte centrale è quella deputata alla distinzione dei dettagli; man mano che ci spostiamo verso la periferia la visione è più grossolana.

Fig. V.5 - Obiettivo grandangolare 40mm su formato quadrato. Gli elementi sullo sfondo, a causa della prospettiva esasperata, sono di difficile lettura. Pict. V.5 - Wide-angle lens 40mm on medium format photography. The elements in the background, causes the accentuated perspective, are difficult to identificate.

Un formato panoramico con proporzioni 3:1 o 5:1 è più corretto e vicino alla fisiologia. Prima dell'avvento della fotografia digitale esistevano per questo macchine di formato panoramico quali il 6X12 o il 6X17 (fig. V.6 / pict. V.6).

Fig. V.6 - Formato panoramico 6X17. Pict. V.6 - Panoramic photograpy widescreen 6X17.

Oltre al corretto rapporto altezza larghezza ci sono altri motivi che portano a valutare come non sempre utili i grandangolari spinti nel paesaggio. Dobbiamo considerare che la costruzione dell’immagine è in ogni caso centro-bordi con i raggi laterali catturati dall’obiettivo fotografico molto obliqui. Fig . V.4 - Diagramma di Goldmann. Pict. V.4 - Goldmann Perimeter of Visual Field.

L’effetto grandangolo si manifesta con un allungamento delle immagini fuori asse di oggetti tridimensionali. Una sfera tenderà ad essere deformata mano a mano che ci si allontana dall’asse (fig. V.7 / pict. V.7), avremo quindi deformazioni ‘geometriche’. Le deformazioni ‘ottiche’ non sono da confondere con le ‘prospettiche’, tipiche dei grandangolari quali linee di fuga accentuate.

Il rapporto dimensionale tra primo piano e sfondo, nel caso dei grandangolari spinti (fig. V.5 / pict. V.5), sarà inoltre esasperato al punto da rendere difficile l’identificazione degli elementi sullo sfondo. 78

Fotografare i paesaggi La prospettiva lineare è data dalla convergenza delle linee parallele del soggetto e dalla diminuzione delle dimensioni progressiva a mano a mano che ci si allontana dal punto di vista (fig. V.9 / pict. V.9). La variazione relativa di grandezza degli oggetti dovuta alla loro diversa distanza dal punto di ripresa è la prospettiva lineare. Osservando un edificio di scorcio (fig. V.10 / pict. V.10) l’effetto prospettico ci fa apparire la parte più vicina tanto più alta di quella lontana quanto più la parete è lunga8.

Fig. V.7 - Deformazione geometrica asse-bordi nel grandangolare. Pict. V.7 - Geometric distortion center-edge wide-angle lens.

La panoramica orbicolare, di cui parleremo meglio più avanti, permette, attraverso la rotazione dell'ottica angoli di ripresa fino a 180°, con la rotazione del sistema corpo macchina e obiettivo-angoli di ripresa fino a 360°. Sincronizzando la rotazione e l’esposizione, l'asse ottico è sempre ortogonale al piano di ripresa evitando la deformazione geometrica. V.5.2 La prospettiva lineare Già Euclide nell’VIII Teorema diceva che (fig. V.8 / pict. V.8) «grandezze uguali poste a distanze disuguali non vengono viste proporzionalmente a quegli intervalli, ma agli angoli che le comprendono». Il controllo della prospettiva è importante per restituire il senso della tridimensionalità, per Leonardo da Vinci i quattro indizi di profondità erano infatti la ‘prospettiva lineare’, la ‘grandezza relativa’, la ‘sovrapposizione’ e il ‘gradiente di densità della tessitura’.

Fig. V.9 - La grandezza dell'immagine è inversamente proporzionale alla distanza dell'oggetto. Dall'alto in basso è 2:1, 3:1 e 4:1. Pict. V.9 - The image size is inversely proportional to the object distance. From top to bottom is: 2:1, 3:1 and 4:1.

Fig. V.10 - Un muro ripreso obliquamente appare più allungato o più appiattito a seconda della distanza di ripresa. Pict. V.10 - A wall photographed obliquely seems longer or flatter depending on shooting distance.

Fig. V.8 – Profondità dello spazio, data dalla modulazione dell’angolo visuale, non del piano base (Marcolli, 1995). Fig. V.8 – Space depth, made by modelling of view angle, not of basic flat(Marcolli, 1995).

8 L. Stroebel, J. Compton, Basic Photographic Materials and Process, Rochester, 1993.

79

Cultural Landscapes

a.

b.

Fig. V.11 a-b – a) Prospettiva schiacciata data dalla distanza (lontano) e dal teleobiettivo; b) Prospettiva accentuata data dalla distanza (vicino) e dal grandangolare. Pict. V.11 a-b – a) Compressed perspective of distance and telephoto lens; b) Emphasized prospective of distance and wideangle lens.

a.

b.

c.

Fig. V.12 a-c - Cambiando la lunghezza focale, lasciando invariata la distanza di ripresa, varia l'ampiezza del campo inquadrato mentre la prospettiva rimane immutata. Pict. V.12 a-c - Changing the depth of focus and leaving unchanged the distance of shooting, changes the size of visual field but not the perspective. La prospettiva di un oggetto cambia quindi con la distanza del punto di ripresa. Variando la lunghezza focale dell’ottica utilizzata per la ripresa e modificando la distanza, avremo uno strumento per controllare la resa prospettica e l’illusione della profondità sul supporto bidimensionale della fotografia (fig. V.11 a-b / pict. V.11 a-b).

Per vedere come la distanza di ripresa e la lunghezza focale ci permettono di controllare la prospettiva, osserviamo adesso uno stesso soggetto ripreso dalla medesima distanza (figg. V.12 a-c / pict. V.12 a-c) con tre lunghezze focali differenti e successivamente lo stesso soggetto a tre distanze diverse (figg. V.13 a-c / pict. V.13 a-c). 80

Fotografare i paesaggi

a.

b.

c.

Fig. 13 a-c - Il soggetto in primo piano è stato ripreso con tre lunghezze focali differenti, modificando la distanza di ripresa in modo da averlo delle stesse dimensioni. Osserviamo come in questo caso la prospettiva (rapporto dimensionale tra la statua e l’edificio), cambia. Pict. 13 a-c - The subject in the foreground was shoted up with three different focal lengths, changing the shooting distance to obtain the same size. We can notice how in this case the perspective (ratio between the statue and the building), changes.

b.

a.

Fig. V.14 a-b – a) Per inquadrare tutta la struttura senza deformazioni l'eccessiva distanza introduce un eccesso di primo piano; b) Inclinando la fotocamera verso l'alto si introduce il fenomeno delle linee cadenti. Le linee verticali, anziché essere parallele, tendono a convergere in un punto. Pict. V.14 a-b – (a)To frame the whole structure without deformations the excessive distance introduces an excess of close up; (b) camera tilting upwards introduces the phenomenon of falling lines. The vertical lines, instead of being parallel, tend to converge. Concentriamo l'attenzione sul rapporto dimensionale tra la statua e l’edificio sul fondo. Se la distanza di ripresa e la lunghezza focale ci consentono quindi un certo controllo sulla resa prospettica, la scelta del punto di vista è molto importante. Un punto di vista ad altezza d’occhio soprattuto nelle riprese di strutture verticali spesso introduce un eccesso di primo piano (fig. V.14 a / pict. V.14 a). Avvicinandosi al soggetto può rendersi necessario, per inquadrare tutta la

struttura, il dover inclinare verso l’alto l’obiettivo con il fenomeno delle linee cadenti. (fig. V.14 b / pict. V.14 b) Questi problemi sono presenti maggiormente nella fotografia di architettura, sia esterna che interna, ma anche nella fotografia del territorio e più avanti vedremo come correggere questi aspetti. Per poter avere una vista che comprenda e consenta di apprezzare l’insieme, pensiamo per esempio a 81

Cultural Landscapes

Fig. V.15 – Palo pneumatico di ausilio per le riprese aeree a bassa quota da 5 a 30 m (TotalMast© Solution Limited England). Pict. V.15 – Pole for low-altitude aerial photography from 5 to 30 mt (TotalMast© Solution Limited England).

Fig. V.16 – Palazzo Grazioli (Grottaferrata, Roma): ripresa al suolo e ripresa aerea a bassa quota. Pict. V.16 – Palazzo Grazioli (Grottaferrata, Roma): photography on ground and low-altitude aerial photography. 82

Fotografare i paesaggi

Fig. V.17 - Software dedicato alla previsione della posizione del sole in un dato luogo, ad un dato giorno ad una precisa ora (TPE Photographers Ephemeris©). Pict. V.17 - Software for the prediction of the position of the sun at a precise place, exact day and exact hour (TPE Photographers Ephemeris©). quando ci si trovi ad operare all’interno di valli molto strette, calanchi o vicoli spesso è necessario avere un punto di vista sopraelevato, posizionandosi, quando è possibile,in adeguata posizione sul terreno. Nella fotografia professionale si utilizzano spesso ausili come pali di sollevamento, una sorta di treppiedi molto alto con la possibilità di montare una macchina fotografica pilotata in remoto (fig. V.15 / pict. V.15) Con altezze variabili da 5 a 20 m permettono di ottenere riprese molto efficaci in diversi ambiti: dall’architettura, al paesaggio, all’archeologia, al monitoraggio di Beni Culturali (fig. V.16 / pict. V.16).

questi siano di difficile attuazione. Software appositamente realizzati (fig. V.17 / pict. V.17) per prevedere ad un dato giorno ed a una data ora la posizione del sole, l’angolo di azimuth e altre caratteristiche sono di grande aiuto nell’evitare di trovarsi con il soggetto di interesse principale in condizioni sfavorevoli, quali coni d’ombra, controluce totale ecc. Ribadiamo in ogni caso che solo una reale frequentazione dei siti interessati può portare a risultati soddisfacenti ovvero immagini utili al fine preposto perchè «la mappa non è il territorio» (A. Korzybski),,ovvero esiste sempre la distinzione tra modello e realtà.

La vista sopraelevata consente inoltre di limitare l’eccesso di presenza di cielo nelle inquadrature paesaggistiche ampie puntando leggermente verso il basso la fotocamera Montata sul supporto. Tuttavia il modo migliore per garantirsi una ripresa efficace è riprendere quel dato soggetto con la luce più appropriata.

V.6 Nuove tecnologie Grazie allo sviluppo delle tecnologie digitali oggi molti strumenti consentono, da una parte, il superamento di alcuni dei limiti e problemi che abbiamo visto, e dall’altro nuovi approcci prima non praticabili. Grazie alle moderne tecniche di stitching, per esempio, è possibile ottenere immagini panoramiche di alta qualità otticamente e geometricamente corrette ed è possibile ottenere immagini con proiezione piana, cilindrica o sferica. L’immagine sarà composta dalla somma di più fotografie e non è richiesto l’uso di un grandangolare, eliminando così i problemi di deformazioni ottiche.

V.5.3 Pianificare le riprese Trattando di riprese fotografiche ai fini dell’analisi e della documentazione sistematica e non come fatto occasionale è molto importante poter prevedere le condizioni. La luce in fotografia è l’elemento che modella le forme, evidenzia le texture, definisce i volumi e il colore. Il sopralluogo preventivo è sempre necessario e spesso è l’elemento che da solo determina la maggior efficacia delle immagini prodotte. Esistono tuttavia metodi e strumenti di previsione che possono in molte situazioni sostituire i sopralluoghi, quando

Molto spesso la movimentazione della macchina fotografica avviene attraverso servomotori pilotati da computer e le fotografie sono elaborate con software dedicati (fig. V.18 / pict. V.18). 83

Cultural landscapes

Fig. V.18 - Testa panoramica servoassistita con controllo computerizzato su 3 assi (© Dr. Clauss Bild- und Datentechnik GmbH). Pict. V.18 - Computer-controlled servo pan and tilt head with 3-axis (© Dr. Clauss Bild- und Datentechnik GmbH).

Fig. V.19 - Sviluppo interattivo di panorama sferico a 360°. Pict. V.19 - Interactive panorama spherical on 360°. Successivamente le immagini vengono unite e fuse insieme, stitching e blending. Il risultato della fusione può essere sviluppato come proiezione in piano o mappato su un cilindro. Nel caso di sviluppo in piano in pratica è come se srotolassimo il cilindro e lo distendessimo.

Lo sviluppo lineare, cioè ‘proiezione piana’, è un tipo di ripresa utilizzato dove il dato metrico è importante (affreschi, superfici oggetto di restauro, ecc.). Le fotografie sono catturate scorrendo lungo un doppio binario ortogonale all'oggetto sul piano orizzontale e verticale (fig. V.20 / pict. V.20). La ‘proiezione cilindrica’ consiste in una serie di fotografie in circolo con centro il punto nodale dell’obiettivo (fig. V.21 / pict. V.21), che non corrisponde con il centro del treppiedi, e per questo è necessario dotarsi di testa panoramica apposita.

È possibile avere anche la proiezione del cilindro completo di 360° (fig. V.22 / pict. V.22) ma ai fini della restituzione in piano, per i motivi concernenti la visione di cui abbiamo parlato, non è utile avere immagini superiore ai 120° gradi di 84

Fotografare i paesaggi

Fig. V.20 - Ripresa multipla ortogonale con stitching digitale. Pict. V.20 - Multi-camera shoot, orthogonal to the object and digital stitching.

Fig. V.21 - Ripresa cilindrica, per evitare l'errore di parallasse la rotazione avviene intorno al punto nodale dell'ottica. Pict. V.21 - Cylindrical shoot, to avoid parallax error the rotation occurs around the nodal point of the lens.

Fig. V.22 - Proiezione in piano di immagine a 360°. Pict. V.22 - Plan projection of a picture on 360°. 85

Cultural landscapes sviluppo orizzontale. Differentemente dallo sviluppo lineare la proiezione cilindrica in piano non ha caratteristiche metriche. Anche in questo caso non è richiesto l’uso di grandangolari.

procedure di analisi fotogrammetriche e di ortorettificazione tali da avere punto per punto quote, scala e rapporti precisi. L’utilizzo di immagini all’interno di strumenti GIS (Geographic Information System) prevede la georeferenziazione delle fotografie attraverso coordinate GPS.

La proiezione sferica, invece, ai fini della restituzione in piano non è utilizzata ed è la scelta principale nel caso dei panorami virtuali interattivi (fig. V.19 / pict. V.19).

L’analisi dell’immagine per lo studio del suolo è un altro utilizzo, analizza le diverse bande spettrali (fig. V.26 / pict. V.26) e si spinge fino alle lunghezze d’onda dell’infrarosso o, al lato opposto, dell’ultravioletto.

V.6.1 Proiezione planare Vantaggi: consigliata per gli scatti architettonici, perché è l'unico modo che non curva le linee ritenute rette.

Da evidenziare, infine, l’estrazione di dati tridimensionali dalle immagini satellitari per la modellazione del terreno con un DEM (Digital Elevation Model) o il wrap texture (fig. V.27 / pict. V.27) di un DTM (Digital Terrain Model).

Svantaggi: Può essere utilizzato solo se l'angolo di vista è inferiore a 180 gradi lungo la diagonale dell'immagine, in pratica mostra che oltre i 90 gradi l'allungamento dell'immagine è visibile lungo i bordi e negli angoli. Oltre 120 gradi, il risultato non è più accettabile, a causa dello stiramento del dell'immagine provoca uno sgradevole perdita di nitidezza. V.6.2 Proiezione cilindrica Vantaggi: Può essere utilizzato fino a 360 ° (orizzontale). Svantaggi: Le linee parallele all'orizzonte (cordoli, piani degli edifici) sono curvi. L'angolo verticale è limitato, è imperativo che sia inferiore a 160 ° ma la deformazione con l’allungamento nella parte superiore e inferiore dell'immagine comincia quando supera 45 gradi sopra o sotto l'orizzonte. V.6.3 Proiezione sferica Vantaggi: consente il montaggio di tutti i panorami. Crea la possibilità di panorami immersivi e interattivi. Svantaggi: Per la visualizzazione di un panorama è necessario uno strumento software, fruibile solo sullo schermo. Vedremo adesso come attraverso la proiezione planare e appositi strumenti sofware è possibile sopperire anche ad uno dei problemi che avevamo già visto: le linee cadenti. (figg. V.23-25 / pict. V.23-25). Osserviamo allora che un eccesso di correzione restituisce un’mmagine fotografica meno gradevole, dovuto al complesso sistema visione-percezione. In pratica una immagine meno efficace. Questo ci dice che siamo arrivati al limite della fotografia per come l’abbiamo fin qui descritta, uno strumento per la scoperta, un metodo di osservazione. Oltre si entra nel campo del rilievo tecnico e dell’analisi dell’immagine in senso stretto. Eidomatica è il termine che indica tutto ciò che è il mondo dell’informatica delle immagini, la modellazione, la rappresentazione e le descrizioni. Molto brevemente faremo dei cenni, per completare il discorso, a tecniche che vanno oltre le normali metodologie fin qui discusse: il raddrizzamento visto prima, per esempio, non ha caratteristica metrica per il quale bisogna adottare 86

Fotografare i paesaggi

Fig. V.23 - Fase di blending (fusione) di tre immagini con linee cadenti per effetto della prospettiva dal basso. Pict. V.23 – In this image we see the blending of three images and we can observe the lines crumbling due to the effect of perspective from below.

Fig. V.24 - All’interno del software individuiamo le linee che dovrebbero essere parallele e non convergenti. Pict. V.24 – By the software we can identify the lines that should be parallel and not convergent.

Fig. V.25 - Il risultato del raddrizzamento, con quasi una sovracorrezione, che sembra produrre una deformazione prospettica al contrario. Si tratta però di è un effetto ottico, poiché le linee in realtà sono perfettamente ortogonali. Pict. V.25 – The result of the straightening. We can see almost a overcorrection such that seemes an inverse perspective deformation In effect t it is an optical effect, the lines are perfectly orthogonal, but for the eye the feeling ia little photographic. 87

Cultural landscapes

Fig. V.26 – Colli Albani (Roma): immagine satellitare elaborata a falsi colori. Pict. V.26 – Colli Albani (Roma): false color satellite image processed.

Fig. V.27 – Colli Albani (Roma): modello 3D fotorealistico elaborato da immagine satellitare. Pict. V.27 – Colli Albani (Roma): photorealistic 3D model of satellite image.

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CAPITOLO VI NUOVI METODI E TECNOLOGIE PER LO STUDIO DEL PAESAGGIO Manuela Scavone Abstract

paisaje) è, pertanto, usato secondo una valenza impropria e, come precedentemente notato, esso viene inteso solo come panorama, ossia come bene estetico-culturale, ma anche storico-letterario, o come ambito di percezione geografica1.

In this research project it wants to test and propose innovative tools and methods of analisys for the landscape, according to an engineering and scientific perspective in the complexity of the relationship between informative segments that compose the landscape systems. After an accurate theoretical treatment about the landscape ontology and analytical approaches (scientific and perceptive), it illustrates the use of modern technologies that allow the identification of characteristics morphological elements of landscapes and their dynamic transformation.

Connesso ad un genere la cui identificazione è stata ricondotta il più delle volte non a dati formali o a regole e definizioni ben precisi, ma unicamente al tema della raffigurazione di un luogo naturale, dove la figura umana non era presente o, pur essendolo, non costituiva il soggetto principale, il termine paesaggio, riprendendo l’etimo linguistico corrente, rimane identificato con la veduta o il panorama, ovvero «la parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato»2.

The main applications of techniques go with the proposing of methodological tools about micro-reading of the landscape. Through analysis spatio-temporal, multi-disciplinary, integrated, dynamic and multiscale, it allows to interpret spatial phenomena, environmental dynamics and evolutionary processes, in accordance with sustainability principles and actions of intervention, protection and enhancement.

Si parla, inoltre, di paesaggio geografico considerando un ambiente in cui gli elementi caratterizzanti prescelti sono quelli fisici del suolo, mentre la prevalenza di elementi antropici permette di denominare come paesaggio urbanizzato il complesso sistema interagente di elementi che costituiscono i tratti fisionomici di una data parte della superficie terrestre.

Keywords landscape ecology, perception, remote sensing, LiDAR, GIS, WebGIS, viewshed analysis, digital models, micro-reading

Secondo tale accezione, quindi, il paesaggio può essere definito come la sintesi astratta dei paesaggi visibili, in quanto rileva di essi solo i caratteri che presentano le più frequenti ripetizioni su uno spazio più o meno esteso, superiore a quello compreso da un unico orizzonte.

VI.1 Ontologia del paesaggio Il paesaggio come sistema complesso è stato definito in molti modi dalle diverse discipline che se ne sono occupate, spesso creando conflitti concettuali ed incomprensioni semantiche. Da elemento di visione ampia di un territorio (panorama) ad entità meta-ecosistemica, mostrando, comunque si affronti l’argomento, l’insufficienza e spesso l’inadeguatezza con cui questa entità è stata trattata.

In termini più generali, è comunemente equiparato a tutto il complesso degli elementi naturali che sono parte fondamentale dell’ambiente e che conferiscono una qualità allo spazio, rendendolo degno di un apprezzamento estetico. Inoltre, il vocabolo paesaggio ha la particolarità di contenere al suo interno sia significato che significante (fig. VI.1 / pict. VI.1)3, tali da non poter essere distinti l’uno dall’altro e, per tale grado di ambiguità, può essere al contempo equiparato all’unica «immagine del mondo in grado di restituire qualcosa della strutturale opacità del reale, dunque il più umano e fedele, anche se il meno scientifico, dei concetti»4.

Al fine di liberare il campo dalle più evidenti contraddizioni si vuol tentare di articolare una definizione della nozione stessa di paesaggio, considerato una sintesi tra i diversi aspetti, ecologico, strutturale e cognitivo e, in rapporto alle numerose modalità di analisi dei sistemi paesaggistici, di precisarne l’ambito di interesse all’interno della rappresentazione e della modellazione grafica, operazione fondamentale di presa di conoscenza del paesaggio.

Sulla base di tali considerazioni è possibile analizzare il concetto di paesaggio come definito nei principali riferimenti giuridici e normativi, che propongono la rinascita generale dei valori ed interessi nei suoi confronti, con aggiornamento e

Definire il paesaggio significa, per la maggioranza degli interlocutori, e secondo visioni riduttive e non biologicamente corrette, considerare un semplice supporto geofisico alle attività degli organismi viventi o, in termini più generali, una struttura estetica con connotazioni storicoculturali, quando il termine paesaggio non viene confuso, banalmente, con quello di panorama.

1

Sestini, 1963, p. 10. Lemma Paesaggio, in Vocabolario Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1998, p. 764. 3 L’immagine riproduce il Triangolo dei piani di discussione del Paesaggio, ai cui vertici si dispongono: - la realtà territoriale cui il paesaggio è riferito, che appartiene al contesto ontologico e può essere intesa come costituita da significati; - la rappresentazione della realtà territoriale che appartiene al contesto semiotico o semiotico geografico ed è costituita da segni; - la spiegazione, costituita dalla teoria, dall’immagine mentale e dal concetto, che appartiene al contesto epistemologico ed è costituita da significati. 4 F. Farinelli, L’arguzia del Paesaggio, in Casabella, n° 575-576, GennaioFebbraio (1991), pp. 10-12. 2

Per paesaggio si intende uno specifico sistema dell’organizzazione biologica, ossia un’entità vivente derivante dall’integrazione di comunità naturali e antropiche in opportuni ambienti territoriali, che permettono di configurare il paesaggio come un sistema bioecologico ipercomplesso. Il termine (paysage, landscape, landschaft, 89

Cultural Landscapes

Fig. VI.1 - Il Triangolo dei piani di discussione del Paesaggio. Pict. VI.1 – The triangle of layers under debate about Landscape. ragione, nella Convenzione si fa esplicito riferimento alla comprensione e percezione del territorio da parte delle popolazioni, evidenziando tra i due elementi una relazione che individua, interpreta ed esprime la capacità etica e sociale degli uomini nei confronti del territorio. Una risorsa preziosa, trasformabile ma non rinnovabile e, come tale, da proteggere sia individuando gli obiettivi di qualità specifici che segnano il rapporto fra territorio e abitanti, sia mediante l’applicazione dei principi di sostenibilità che disciplinano e vincolano i cambiamenti.

ampliamento del significato semantico, sostenendone la reale centralità in tutti i momenti di confronto con le istanze di trasformazione del territorio. La Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000, superando la specificità dei singoli temi per affermare la dimensione collettiva e pubblica del paesaggio, segna una significativa svolta, eliminando ogni settorialità nel concetto, da quello puramente estetico a quello naturale, per affermare il valore unico e unificante del paesaggio ritenuto elemento di identità di un luogo ed una delle principali chiavi di lettura e interpretazione della forma5.

Su tale indirizzo si è inserita la legislazione italiana con il recepimento della Convenzione Europea attraverso il Testo Unico dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004) in cui si evince con chiarezza l’affermazione del principio di unicità del paesaggio e della sua cultura e memoria attuale, passata e in evoluzione e se ne conferma con coerenza la necessità di una pianificazione ed analisi integrata. Si propone, in tal modo, un nuovo paradigma ed un nuovo modello intellettuale, che sviluppando nuove attitudini, suggeriscono un diverso statuto del paesaggio, concependolo come uno spazio di condivisione.

Riprendendo la definizione proposta dalla Convenzione Europea, il paesaggio «designa una determinata parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interazioni»6, appare evidente una complessa azione culturale che somma l’immagine, ciò che appare ed è visibile e percepibile, del sito con l’essenza stessa dei paesaggi visti nelle loro stratificazioni e sedimentazioni apparenti e da decifrare, che attengono alle trasformazioni superficiali e storiche, oltre che a quelle profonde e geomorfologiche.

Uno sguardo sull’ambiente fisico da un buon punto di osservazione permette di percepire quella realtà naturale, complessa e articolata che viene indicata come ‘paesaggio’, la cui composizione sembra legata sia ad elementi di naturalità che a dimensioni variabili, indifferentemente grandi o piccole, da cui l’uomo può trarre emozione e ispirazione ed in cui può ben inserirsi.

L’identità dei luoghi si aggiunge, pertanto, a quella delle popolazioni che ci vivono come risultato delle interazioni fra fattori umani e naturali, la cui valorizzazione trova nella sostenibilità del suo sviluppo la principale ragione di un’azione responsabile verso le future generazioni. Per tale

Appare, pertanto, comune l’idea che il paesaggio è concepito sempre in funzione di un osservatore e non solamente come la somma di un fatto fisico e vegetazionale; infatti, una determinata forma del substrato, come una rupe, oppure della

5

La forma rappresenta l’insieme delle linee che hanno consentito all’uomo di modellare lo spazio circostante nel tempo. 6 Convenzione Europea del Paesaggio, Cap. 1, art. 1, lettera a.

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Nuovi metodi e tecnologie ma di una realtà complessa che si sintetizza in due dimensioni con uno spessore ed una profondità in continua e naturale metamorfosi.

vegetazione, un bosco, hanno un’esistenza autonoma, mentre il paesaggio che essi possono costituire esiste solamente in quanto l’uomo, che ne è sempre stato parte, ne ha percezione7.

Il paesaggio, attraverso un tipo di analisi integrata con nuove idee e conoscenze di grande sensibilità di osservazione e di lettura, richiede l’uso di nuovi strumenti, moderne tecnologie e tecniche sperimentali, sia teoriche che pratiche, non più semplicemente geografiche, che svelano gli elementi costitutivi del puzzle infinito del paesaggio, da esplorare nella consapevolezza di creare un processo di conoscenza e di progettualità interattiva con il territorio.

Lo studio del paesaggio, sviluppato sulla base del metodo scientifico tradizionale e delle acquisizioni delle ricerche sperimentali, richiede un approccio multidisciplinare che considera molteplici discipline, come la geologia, l’ingegneria, l’ecologia, ma anche l’economia, la sociologia, l’archeologia, l’architettura, la topografia, la geografia, la botanica, la storia dell’arte, a cui necessariamente oggi si collegano moderne ed innovative tecnologie.

VI.2 Il paradigma strutturale e la Teoria della Complessità Per lavorare sul paesaggio occorre utilizzare dei paradigmi concettuali differenti da quelli disciplinarmente legati allo studio e alla descrizione tradizionale, e considerarlo come un complesso insieme di entità di natura sistemica che non riusciamo più ad abbracciare con un solo sguardo interpretativo o con quello delle normali discipline.

Il paesaggio è oggi il luogo della complessità in cui natura, storia e cultura convergono dando vita ad una costellazione di immagini eterogenee e multiformi. È una realtà in trasformazione, dove grandi variazioni coesistono con processi di rinaturalizzazione che amplificano tale complessità a cui contribuisce anche il recente ripensamento sulle funzioni che il paesaggio può svolgere e che ha fatto emergere una nuova idea circa le potenzialità di operazioni di analisi del paesaggio, in vista di un processo di riqualificazione ambientale e paesisitica e di tutela di valori storico-culturali sedimentati.

Per la comprensione del paesaggio è necessario ricorrere al più generale concetto di sistema complesso, inteso come insieme di elementi interagenti, che può venire analizzato e scomposto nei suoi componenti; tuttavia parlando di ‘sistema’ si fa riferimento allo stato di interazione tra le singole parti che formano il tutto e non solo alla loro somma. La concezione sistemica del paesaggio ha una conseguenza importante, legata all’impossibilità di studiarlo attraverso l’uso del solo metodo riduzionistico, che consiste nell’indagare una singola variabile del sistema, mantenendo le altre sul momento invariate, e viene comunemente usato nella ricerca sperimentale. Nello studio risulta, invece, necessario mantenere un approccio globale che, selezionando i singoli componenti, permette di non perdere l’unità di ordine superiore, ossia il paesaggio nel suo insieme e nella sua complessità.

Per studiare ed analizzare il paesaggio è necessario operare secondo un atteggiamento complesso che vuol mettere in risalto l’insufficienza del solo approccio riduzionistico concettuale e chiede l’integrazione con un approccio globale. Il concetto di base è espresso dalla dimostrazione dell’impossibilità di comprendere un sistema complesso attraverso il solo esame delle sue componenti. Le cause e le configurazioni finali di tale sistema non coincidono con quelle delle sue parti, pertanto questo non può essere risolto mediante semplice scomposizione, ma richiede l’interazione tra questa ed una visione d’insieme.

Tali considerazioni permettono di comprendere come sia necessaria un’indagine su due distinti livelli, considerando il tutto in una rappresentazione globale o le sue parti singole, unità fisiche o geografiche caratteristiche e, quindi, omogenee dal punto di vista dei parametri significativi, al fine di un’analisi strumentale. Pertanto, il paesaggio è articolato in maniera gerarchica e tale struttura è solo apparente, poiché si tratta di una proiezione del nostro sistema mentale sulla realtà ed uno strumento operazionale quantizzabile per la lettura e l’interpretazione del paesaggio.

Il paesaggio non è più considerato come ambito restante e spazio aperto a qualsiasi trasformazione, né tantomeno come esclusivo supporto spaziale ai processi di antropizzazione. Il territorio, quindi, la matrice del paesaggio che ci circonda sta assumendo un’importanza inedita in passato che richiede la configurazione ed elaborazione di un nuovo modello sostenibile di analisi e studio che, sul piano dei metodi operativi, ma anche dei contenuti, impone una costante apertura a molteplici chiavi di lettura, coinvolgendo realtà disciplinari diverse e varie competenze specifiche.

Questa gerarchia non costituisce una struttura rigida e lineare, ma al contrario dinamica, multidimensionale e multistratificata, spaziale, temporale e funzionale che designa il paesaggio non più come una semplice questione visiva ed estetica, ma l’insieme di tutte le entità che contribuiscono a costruire e definire l’ambiente in cui viviamo.

In generale, lo studio di un sistema complesso, in cui struttura e funzioni sono interconnesse e si influenzano reciprocamente, richiede una descrizione delle stesse e degli elementi che lo compongono, considerati dei sottosistemi. Traslando tale principio metodologico al particolare studio del paesaggio, sistema complesso di unità ecosistemiche elementari e risultato dell’integrazione di componenti, della loro configurazione spaziale e delle relazioni esistenti tra insiemi funzionali ben definiti posti in un contesto di substrati variabili nella dimensione spazio-temporale, si propone una

Quindi, non si tratta di una superficie bidimensionale, occupata da funzioni umane e caratterizzata dalla composizione e dal bilanciamento tra naturale e artificiale, 7

Sestini, 1963, p. 10.

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Cultural Landscapes lettura dettagliata dei suoi elementi costitutivi che, come già sottolineato, non può essere affrontato per tematiche separate ma necessita di un opportuno modello strutturale sistemico, cioè proprio del paesaggio stesso.

Filtrare la complessità del paesaggio attraverso l’analisi della sua struttura è quindi il solo modo per evitare il rischio di formulare improbabili regole di carattere manualistico, il cui risultato inevitabile sarebbe la negazione della specificità dei luoghi.

Per esercitare la capacità di lettura generale di semplici immagini fotografiche, oltre che di complesse riprese satellitari, e constatare come una preliminare descrizione sia possibile anche senza un ulteriore approfondimento scientifico, ritenuto però necessario al fine della ricerca, si possono osservare, scomponendo progressivamente il paesaggio, quattro gruppi di diversi elementi, rappresentati dalle componenti naturali, semi-naturali, urbanizzate e dalle configurazioni integrative, relative alle interrelazioni ed eterogeneità tra le componenti citate.

Enucleare poi in tale indagine il carattere della totalità significa osservare il paesaggio stesso non come una semplice sommatoria di fattori, bensì come un sistema complesso di relazioni ecologiche, visive, funzionali, economiche, storiche, sociali e culturali, affermando una visione globale e riconoscendo che le proprietà delle componenti non sono intrinseche e date a priori, ma possono essere comprese solo nel contesto di un insieme più ampio, e studiando l’organizzazione del tutto.

Formalizzare un corretto percorso di studio significa individuare le procedure e gli strumenti attraverso cui analizzare l’attuale scenario in un sistema strutturato secondo valori d’ordine storico, ecologico, culturale, sociale, ed estetico-percettivo, sperimentando un’azione progettuale sistemica, comprensiva ed integrata, che implica il passaggio su scale diverse attraverso lo spazio ed il tempo, in modo da poter intuire la sincronia e la consequenzialità dei processi di evoluzione, evitando di minimizzare il continuum paesistico in sequenze di fatti isolati.

In termini operativi, ciò comporta una significativa inversione di metodo, passando dall’analisi degli elementi componenti, secondo una visione riduzionistica, a quella dei principi di organizzazione. Le componenti della struttura sono gli elementi da sottoporre ad analisi, ma non configurano l’obiettivo ultimo dell’indagine, né tantomeno può essere ritenuta esaustiva, per quanto approfondita, una loro descrizione morfologica o una catalogazione tipologica, in quanto nulla dice sui processi e sui valori propri del paesaggio.

Pertanto, questo approccio che, considerando il paesaggio non come insieme disgiunto di singoli elementi, ma come organizzazione strutturata di componenti interagenti, ne riconosce e riflette la complessità, che inevitabilmente pone criticità interpretative ed operative ma, se analizzata in maniera concreta, può rivelarsi un’efficace risorsa cui un’indagine consapevole deve poter attingere per preservare, valorizzare e far emergere la qualità dei luoghi e dare una risposta al difficile confronto con le istanze di utilizzazione e di trasformazione del territorio.

La disaggregazione o segmentazione del continuum del paesaggio in componenti minute, unità culturali pertinenti e dotate di senso autonomo, deve essere soltanto un’operazione preliminare, che deve essere necessariamente seguita, per avere una conoscenza più raffinata, da una rigorosa analisi sincronica che, in un’ottica progettuale e non meramente descrittiva, possa concentrare l’attenzione delle singole componenti alle loro relazioni dinamiche. Il sistema di relazioni sincroniche così evidenziate definiscono una struttura che non appare statica ed immutabile, bensì in continua trasformazione ed evoluzione, percorsa da molteplici flussi dinamici di energia e, quindi, certamente è qualcosa di più di una configurazione stazionaria, risultante dalla sommatoria di componenti stabilizzate e fisse.

La natura complessa dei problemi insiti nell’analisi del paesaggio impone, quindi, il passaggio da una visione statica e meccanicistica ad una teoria sistemica che permetta di avvicinarsi alla tipologia della complessità più che a quella della tipicità. Appare necessaria l’adozione di un paradigma di analisi di tipo strutturale che, mediante un paziente e dettagliato lavoro di individuazione, scomposizione e ricomposizione in elementi, depositari di una maggiore ricchezza di informazione, permetta di distinguere i valori e le relazioni che strutturano l’intero sistema paesaggio, di risalire all’articolazione delle forme che lo caratterizzano e di coglierne il funzionamento decifrando, quindi, la tensione fondamentale fra le parti e il tutto.

La comprensione della struttura di ogni specifico paesaggio non può quindi prescindere dal riconoscimento delle trasformazioni e delle leggi, universali o contingenti, immanenti o mutevoli, che regolano tali trasformazioni. Ciò, in termini operativi, si traduce nella ricostruzione dei processi che hanno coinvolto il territorio e dei passaggi significativi sottesi a configurazioni temporali differenti. In tale direzione, l’indagine diacronica, ripercorrendo i più significativi cambiamenti subiti dal paesaggio ed evidenziando i processi di trasformazione in atto, diventa il naturale completamento dell’analisi sincronica delle relazioni tra le singole componenti e consente di ricostruire l’evoluzione, di comprenderne il funzionamento e di individuare regole ricorrenti che, anche se non sufficienti a delineare con certezza assoluta gli andamenti, permettano di analizzare il paesaggio stesso.

Indagare la struttura del paesaggio significa individuare il più attendibile metodo di lettura di un universo di elementi molteplici e di fenomeni che, a prima vista, differiscono gli uni dagli altri come se fossero reciprocamente irriducibili, e ciò appare tanto più indispensabile se si osserva che nel contesto sopra tratteggiato è assolutamente rischioso, se non del tutto improponibile, tentare di proporre ed elaborare delle regole o degli indirizzi mirati di validità generale, senza addentrarsi profondamente nei caratteri distintivi dello specifico luogo. 92

Nuovi metodi e tecnologie Sulla base di tali considerazioni si propone un modello per descrivere scientificamente la struttura del paesaggio che si avvale dei principi dell’ecologia del paesaggio12 che scompone l’ambiente in parti e in ambiti di studio più semplici tali da poter analizzare meglio e riconoscere gli elementi caratteristici, l’estensione e la localizzazione delle tessere del mosaico in cui il territorio è stato suddiviso, dal punto di vista degli ecosistemi. Il risultato è l’individuazione e la descrizione delle unità elementari omogenee, ossia le più piccole unità di paesaggio in cui prevale un ecosistema dello stesso tipo e che, conseguentemente, contiene analoghe caratteristiche.

Nell’ambito della ricerca appare necessario, pertanto, considerare la struttura8 del paesaggio ed i suoi caratteri di totalità, trasformazione e complessità, da interpretare secondo due direttrici complementari, di espansione dell’arco temporale di riferimento e della scala spaziale di indagine. VI.3 Evoluzione di un concetto, dal modello strutturale a quello ecologico L’approccio di tipo sistemico viene ripreso dalla Landscape Ecology9, che definisce il paesaggio come un insieme interagente di ecosistemi che si ripetono in un intorno e lo studia attraverso la scomposizione nelle sue componenti elementari, quali macchie, corridoi e matrici ecologiche, e complesse, come ecomosaici, ecotessuti ed apparati paesistici. Lo scopo è lo sviluppo di un sistema di analisi non di tipo quantitativo bensì, seguendo il principio metodologico qualitativo-funzionale, che partendo dall’analisi generale del sistema arrivi allo studio delle singole parti, per cui in un sistema, il tutto è qualcosa di più complesso della somma delle singole parti10.

Per definire scientificamente la struttura di un paesaggio è necessario, pertanto, parlare di tessuto ecologico o ecotessuto, cioè di una struttura multidimensionale individuata da un mosaico di base e da una serie gerarchica di mosaici correlati, nonché da una serie di informazioni gerarchicamente integrabili, ma non rappresentabili sotto forma di mosaico13. La maggiore importanza del concetto di ecotessuto risiede soprattutto nella necessità di integrazione dei processi in un sistema complesso, quale un paesaggio, che si realizza in maniera gerarchica e coinvolge una gamma di scale spaziali, da quella regionale a quella locale, un insieme di mosaici e di informazioni tematiche con le relative variabili e parametri caratteristici, ed infine un insieme di scale temporali che esprimono l’evoluzione dinamica del paesaggio, la cui struttura complessa può ritenersi derivata dall’integrazione delle componenti temporale, spaziale, tematica.

La Landscape Ecology, pertanto, privilegiando gli aspetti oggettivizzanti che consentono un più facile passaggio dalla fase descrittiva alla fase valutativa, tralascia in parte l’analisi delle componenti più soggettive derivanti dai valori simbolici, estetici e culturali, ritenendo tali aspetti percettivi e sensibili come estranei alla metodologia ecologica di impostazione scientifica, non perché la percezione paesistica non sia importante nei rapporti tra uomo e ambiente, ma perché «lo studio visivo, percettivo-culturale ed estetico del paesaggio non è lo studio del paesaggio, bensì lo studio dell’ambiente visivo dell’uomo»11.

L’approccio ai paesaggi e alle loro sub-unità deve essere rivolto non ad un’integrazione a posteriori delle componenti e delle tematiche, che ridurrebbe il paesaggio ad un supporto geografico, ma allo studio dell’integrazione intrinseca, cioè compiuta sui caratteri ed i comportamenti propri di quel livello di organizzazione biologica14.

8 Per l’analisi del paesaggio la ricerca, considerando gli insegnamenti dello strutturalismo, ha assunto il concetto di struttura come categoria universale che trascende la contingenza delle singole realtà fenomeniche, ma che contemporaneamente, poiché permette di formalizzare eventi concreti ed oggettivi, assume il ruolo di strumento operativo, in cui il metodo d’indagine e conoscenza si incentra sulla valutazione di alcuni caratteri costitutivi quali la totalità, la trasformazione e la complessità, che diventano parte integrante del processo di formalizzazione finale. 9 La Landscape Ecology è una scienza applicata, nata come interfaccia tra geografia ed ecologia e, secondo Carl Troll, che ne ha dato la prima definizione (1939), può essere sintetizzata come «a marriage of geography (land and landscape) and biology (ecology)» volta a studiare «le strutture territoriali complesse e le loro trasformazioni». Tali strutture sono formate dagli ecosistemi e dalle loro modalità distributive che influenzano funzioni ed aspetti visuali del paesaggio, oggetto di studio e definito come «un sistema complesso di ecosistemi» in cui si integrano gli eventi della natura e le azioni dell’uomo. In altri termini, la Landscape Ecology indaga, attraverso molteplici matrici disciplinari, la complessità delle strutture territoriali e le loro trasformazioni, consentendo di superare gli approcci settoriali caratteristici della pianificazione, in quanto permette di analizzare tutti i processi che nel loro insieme danno forma al sistema paesistico. Uno dei principi di base della Ecologia del Paesaggio è l’esistenza di una relazione biunivoca tra struttura e processi che definiscono i paesaggi: i processi caratterizzano la struttura, la quale a sua volta determina le trasformazioni fisiche del territorio ed attribuisce un significato funzionale alle configurazioni spaziali degli ecosistemi, ovvero al “disegno” del paesaggio. Corollario di ciò, è che ogni tipologia di paesaggio può essere riferita ad un modello di base, definito pattern e che riguarda fondamentalmente gli aspetti strutturali e può assumere configurazioni semplici (patch, ecotopi, corridoi, matrici) o complesse (apparati, ecomosaici, tessuti paesistici). 10 M.G. Gibelli., L’ecologia del paesaggio nei P.R.G.: un esempio pratico, in Sistema del Verde. Ecosistema Urbano, Firenze, 1996, pp. 53-57. 11 V. Romani, Il paesaggio: teoria e pianificazione, a cura di F. Angeli, Milano, 1994, p. 19

È necessario, quindi, studiare gli apparati specifici, le relative modalità di trasformazione ed i complessi gerarchici propri dell’entità in esame, che costituiscono il mosaico di base, attuando un disegno che in maniera critica sia in grado di decodificare i segni sul paesaggio ed intuirne il senso della complessità, che riduce gli elementi soggettivi, per evidenziare quelli che oggettivamente caratterizzano il contesto indagato. L’ecotessuto, che rappresenta la multidimensionalità della struttura di un sistema complesso di unità ecosistemiche elementari, appare composto da elementi strutturali semplici, riconducibili a tessere distribuite in configurazioni caratteristiche in rapporto alla geografia locale e ai processi ecologici di sistema, da configurazioni di elementi, ottenute dall’insieme di più parti semplici, e che possono anche essere visti come macchie e corridoi disposti su una matrice di base, ed infine da sottosistemi funzionali, formati da unità funzionali del mosaico ambientale, dagli habitat che si evidenziano in sottosistemi geomorfologici e in apparati paesistici. Gli ecotessuti sono eterogenei e differiscono 12

A. Farina, L’ecologia dei sistemi ambientali, Padova, 1995, p. 73. V. Ingegnoli, Fondamenti di ecologia del paesaggio, Torino, 1993, p. 58 14 Farina, 2001, p. 123. 13

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Cultural Landscapes

CORRIDOIO ANTROPICO (Strada)

CORRIDOIO NATURALE (Filari arborei)

PATCHES BOSCHIVE

FASCE RIPARIE MASSERIE TESSERE (Campi)

Fig. VI.2 - Immagine aerea raffigurante un mosaico del paesaggio agrario che consente di riconoscere vari elementi, tra cui boschi, filari arborei (corridoi naturali), campi, fasce riparie, strade (corridoi antropici), masserie, diverse tessere, la matrice agraria, patches boschive e margini. Pict. VI.2 - Aerial image showing a mosaic of rural landscape that allows to recognize many 'landscape elements', including woods, tree rows (natural corridors), fields, riparian strips, roads (anthropic corridors), farms, cards, rural matrix, patches forested and edges. paesistica16 (landscape patch) come ogni area che differisce dall’intorno circostante, ed è generalmente costituita dal raggruppamento di tessere simili e si concretizza in una porzione non lineare di superficie il cui aspetto differisce dall’ambiente circostante, definito come matrice, ossia il tipo di elemento del paesaggio più estensivo e connesso fra tutti che svolge un ruolo funzionale dominante, in quanto la densità di macchie su una matrice e la distribuzione spaziale dei loro tipi caratterizza un paesaggio. Una stretta striscia di territorio che differisce da ambo i lati della matrice, è invece chiamata corridoio ecologico17 ed è costituito da elementi

secondo una struttura articolata riconducibile a macchie, corridoi, matrici e loro insiemi caratteristici, il cui più piccolo sottosistema è l’unita funzionale del mosaico che costituisce il paesaggio (fig. VI.2 / pict. VI.2). Considerando l’ecotessuto come riferimento strutturale, è possibile definire la tessera15 come l’elemento più piccolo dell’ecomosaico di base concretamente rinvenibile sul territorio, con caratteristiche di omogeneità, di multifunzionalità e di integrazione delle componenti funzionali e spaziali rispetto ad un certo contesto di un intorno geografico e che concretizza in modo riconoscibile e mappabile il paesaggio complesso. Generalizzando il concetto di tessera, è possibile definire la macchia

16 Si definisce Macchia paesistica o patch una porzione non lineare di superficie territoriale, relativamente omogenea, il cui aspetto differisce dall’ambiente circostante. La macchia rappresenta, in altri termini, la singola tessera del mosaico ambientale, la sua unità strutturale. In un sistema dinamico ed eterogeneo, qual è il paesaggio, si individuano moltissime tipologie di macchie, che possono variare ampiamente per origine, dimensione, forma ed andamento dei bordi. Hanno un ruolo determinante per il flusso di energia, i movimenti degli organismi e dei materiali attraverso il paesaggio. 17 Si definisce corridoio (corridor) un ecosistema di forma lineare, una stretta striscia di territorio, che rappresenta un ambiente relativamente omogeneo e che differisce da ciò che lo circonda (matrice). Sono elementi che connettono macchie all’interno di una matrice o di aggregati di macchie diverse e posso no essere comunemente identificati con il reticolo idrologico

15

Una tessera può presentare una differenza strutturale fra la sua fascia di margine e il suo interno, dato che i limiti periferici di solito risentono delle influenze dell’ambiente circostante e possono scambiare qualche specie o mostrare elementi con comportamento strutturale diverso da quello di interno (per esempio, per motivi anche solo di luminosità e densità). Per individuare una tessera direttamente sul campo è necessario osservare i caratteri della vegetazione, della geomorfologia, rilevando anche quelli meno evidenti, degli usi antropici, anche solo parziali, degli habitat e il ruolo dell’area in esame nel contesto paesisitico.

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Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.3 - Schema grafico di analisi ecologica di un paesaggio formato da un mosaico di differenti tipi di copertura del suolo, costituito da corridoi e da tessere (patches) la cui disposizione spaziale risponde a motivi di natura ecologica. Pict. VI.3 - Graphic scheme of ecological analysis of a landscape formed by a mosaic of different land cover types, consisting of corridors and patches whose spatial disposition satisfies ecological reasons. applicazione coerente di una teoria del paesaggio è possibile tracciare i confini tra un’unità e l’altra.

paesisitici concatenati lungo una linea, che collegati tra loro formano la rete ecologica. Lo studio dei rapporti fra configurazioni di macchie e corridoi capaci di caratterizzare un paesaggio si può sviluppare solo tenendo conto della cosiddetta matrice paesistica18 formata dalla componente funzionale più estensiva e connessa di una certa unità di paesaggio (fig. VI.3 / pict. VI.3).

Una data area, infatti, può essere suddivisa in diverse unità di paesaggio, intese come «ambiti caratterizzati da specifici e distintivi sistemi di relazioni visive, ecologiche, funzionali, storiche e culturali, che conferiscono loro una precisa fisionomia ed una riconoscibile identità»21 e che permettono, in un’ottica globale, di evidenziare le eterogeneità, le differenze e di individuare le relazioni strutturanti tra le parti.

Il paesaggio è stato quindi definito come un complesso intertesto di unità di paesaggio19 e questo richiede necessariamente la sua discretizzazione secondo unità minime, che si possono appunto chiamare unità di paesaggio20. Un’appropriata definizione dell’unità di paesaggio può solo avvenire a seguito di una preliminare definizione del modello teorico del paesaggio e solo come

Le unità di paesaggio, quindi, non corrispondono necessariamente a entità ecologiche o territori omogenei, ma piuttosto ad ambiti di solidarietà complessiva, non sempre confinabili ed anzi spesso parzialmente sovrapposti o separati da labili confini. Riconoscerle e analizzarle significa porre in evidenza regole di coerenza e processi di significazione che le dinamiche trasformative, spontanee o stimolate dall’azione antropica, dovrebbero rispettare e valorizzare.

(fiumi e affluenti, canali), il reticolo stradale (strade, autostrade e ferrovie), i filari alberati e le siepi, ma anche con i bordi di grandi macchie rispetto a un esterno molto diverso, per esempio il margine di una foresta rispetto a vaste praterie circostanti o una fascia di aree non costruite intorno a un ambiente urbanizzato. Inoltre, per corridoio, non si può mai intendere soltanto l’elemento generatore della linearità, come un fiume o una strada, ma sono comprese anche le sue parti marginali, intrinsecamente caratterizzanti, come un bosco di ripa o un filare alberato. 18 Si definisce matrice paesistica la parte maggiormente estesa e connessa del paesaggio e che gioca un ruolo funzionale dominante (controllo dei flussi di materiali, di energia, di organismi). La definizione della matrice paesistica è dipendente dalla scala di analisi, inoltre in paesaggi molto frammentati la matrice perde di significato fino a creare un paesaggio senza matrice, dove le singole patches hanno la stessa importanza dimensionale. 19 Farina, 2001, p. 174. 20 Si definisce l’unità di paesaggio come l’unità elementare omogenea che corrisponde alla più piccola parte di paesaggio in cui prevale un ecosistema dello stesso tipo e che, conseguentemente, presenta stesse caratteristiche e particolarità.

L’individuazione delle unità di paesaggio, che non si configurano come sistemi statici e chiusi, ma spesso sono legate tra loro da reti ecologiche che generano unità più vaste e complesse, dipende dalla struttura geomorfologica del territorio, sul quale si individuano numerosi elementi quali crinali, conoidi, impluvi, giaciture rocciose, faglie, cambiamenti di pendenza, paleoalvei, terrazzamenti; alla configurazione morfologica si aggiungono ulteriori caratterizzazioni dovute ai caratteri storico-geografici e storico-antropici, come le infrastrutture differenti, i tipi di

21

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Giannini, 1997, p. 32.

Cultural Landscapes

STRUTTURALE

FUNZIONALE

ESTETICA - PERCETTIVA

Configurazione geomorfologica, geografica, ecosistemica Organizzazione spaziale del paesaggio, in cui ogni elemento svolge un ruolo specifico Elementi strutturanti il paesaggio

Interazioni ecologiche tra sistemi naturali e antropici Influenze dei caratteri geomorfologici sulla vegetazione

Qualità estetiche

Influenze della vegetazione caratteri geomorfologici

Impressioni visive Significati sociali e culturali

sui

Apprezzamento estetico

Fig. VI.4 – Tipi di analisi del Paesaggio. Pict. VI.4 – Types of Landscape analysis. cogliere la molteplicità delle interazioni che ne costituiscono l’essenza e ne alimentano il divenire.

colture diverse, le barriere artificiali, e le opere di urbanizzazione, ed infine alla distribuzione della vegetazione e alle formazioni differenti a parità di stato ecologico e substrato.

Per definire metodologie idonee a tale studio sono stati adottati metodi di analisi differenti legati alle diverse posizioni culturali e ai diversi orientamenti nei confronti del paesaggio. Tra questi il più diffuso definisce il paesaggio come l’espressione visibile, l’aspetto esteriore del territorio e rivendica una connotazione prevalentemente visuale ed estetica, derivando ogni considerazione sul paesaggio da quelle generate dalla percezione.

Considerando due unità di paesaggio, l’analogia è garantita dall’omogeneità delle strutture morfologiche, ossia di quelle componenti costituite da colori, tessiture, andamenti di superfici e linee, pertanto per avere strutture semiotiche simili, è necessario rilevare non solo analoghi contenuti relativi agli spazi dell’azione, del contesto e dello sfondo, ma anche all’analoga struttura morfologica22.

Una seconda posizione, invece, di derivazione geograficoecologica, lo considera come la somma di dati oggettivamente rilevabili con l’apporto di diverse discipline naturalistiche e come complesso intreccio di elementi naturali e antropici e delle loro interrelazioni dinamiche.

L’approccio ecologico di tipo paesistico-ambientale, che è stato alla base della presente analisi, non può certo escludere studi di tipo scientifico-oggettivo e visivo-percettivo, trattati in seguito, che non consentono di definire il luogo senza il soggetto che interagisce con la fisicità del territorio, ed istituisce il luogo come unità di paesaggio, ossia come spazio che, poiché percepito, viene trasformato nel senso proprio del paesaggio.

Recenti e consolidati studi ricercano una necessaria e opportuna integrazione tra la concezione geograficoecologica che comprende l’analisi degli elementi oggettivi costituenti la struttura del paesaggio, oltre che dei fenomeni e dei processi evolutivi naturali e di origine antropica, e quella percettivo-visiva, riconoscendo la validità di entrambe, se utilizzate in modo opportuno e integrate tra loro nel processo di interpretazione.

Tale metodologia di lettura e studio deve essere condotta secondo due tipi di approccio diversi che concorrono parallelamente fra loro e fra loro devono interagire nella focalizzazione e nell’analisi del paesaggio attraverso le moderne tecnologie, da attuarsi nella pratica, non solo attraverso i diversi strumenti tecnico-operativi, ma anche mediante un dialogo costruttivo e continuamente aggiornato con il mondo della ricerca.

Tali metodologie di analisi, descritte in seguito, diventano innovative tecniche di studio e scomposizione del paesaggio, la cui immagine ritrovata attraverso i suoi spazi aperti (vuoti) e chiusi (pieni) costituisce la base di affermazione della potenzialità estetica del paesaggio, in entità elementari; si analizza, si dà identità attraverso i segni esteriori che il paesaggio è in grado di recepire e di trasmettere all’osservatore (fig. VI.4 / pict. VI.4).

VI.4 Gli approcci analitici La lettura del paesaggio, se condotta in modo completo ed integrato tra le varie discipline, consente di comprendere come il territorio non può essere considerato una realtà geometrica ed una superficie inanimata al servizio delle attività antropiche ma è caratterizzato da dinamismi naturali e processi antropici, fortemente connessi strutturalmente e funzionalmente.

Inoltre, il paesaggio può essere interpretato secondo una lettura storica ed appare il risultato del conflitto tra il territorio e la collettività che, nei secoli, ha tentato di dominare le risorse naturali, di ricercare nuovi mezzi utili a contrastare l’ostilità di fenomeni naturali, come alluvioni, frane e siccità e di applicare tecniche idonee per adattare i territori alle necessità antropiche, dissodando i territori, coltivandoli e irrigandoli, disciplinando i corsi d’acqua, tracciando sentieri, consolidando pendii, diradando boschi e costruendo abitazioni. Segni visibili di questo lento e inesorabile processo sono impressi nei territori e testimoniano le numerose e stratificate azioni che hanno trasformato la

Di fronte a tale complessità strutturale, qualsiasi prospettiva di studio di tipo settoriale, che privilegia singoli aspetti specifici, rischia di risultare di scarsa efficacia e di non

22

V. Ingegnoli, Ecologia del paesaggio. Manuale per conservare, gestire e pianificare l’ambiente, Napoli, 2005, p. 253.

96

Nuovi metodi e tecnologie

STORIA DEL PAESAGGIO

Individuazione delle permanenze storiche Individuazione delle fasi significative di trasformazione Ricostruzione dell’evoluzione storica del paesaggio metodo di confronto delle cartografie storiche dalla più recente alla più antica TOPOGRAFIA ANT. E MED., ARCHEOL. DEL PAESAGGIO Rilevamento delle tracce dell’evoluzione storica del paesaggio Ricostruzione delle scelte di localizzazione degli insediamenti Individuazione della sovrapposizione e permanenza degli usi del suolo Individuazione della struttura organizzativa degli insediamenti storici

ECOLOGIA STORICA Ricostruzione cronologica della copertura vegetale, delle associazioni vegetali e animali Analisi della distribuzione delle associazioni e comunità animali, vegetali ed umane Individuazione degli effetti di deforestazione, di diffusione di pratiche agricole e produttive sui sistemi naturali Individuazione delle influenze delle comunità umane sui caratteri geomorfologici e vegetazionali e viceversa

ARCHEOLOGIA AMBIENTALE Ricostruzione dell’evoluzione delle condizioni ambientali Individuazione delle trasformazioni del paesaggio determinate dai cambiamenti climatici Individuazione dei processi di formazione dei suoli in relazione agli insediamenti umani Individuazione delle modificazioni del corso dei fiumi, dei laghi e delle fasce costiere in relazione agli insediamenti umani

- rilevamenti archeologici - toponomastica storica - analisi cartografiche - analisi di documentazione e di rappresentazioni iconografiche storiche

- analisi vegetazionali - analisi floristiche - analisi stratigrafiche dei sedimenti

- geoarcheologia - climatologia storica - archeobotanica - paleoecologia - paleopedologia

- colture agricole tradizionali - usi del suolo storici - insediamenti - siti archeologici - reti di percorsi - reti irrigue e sistemi di irrigazione - tracce della cultura materiale - edifici e manufatti architettonici - parchi e giardini - tecniche costruttive tradizionali

- aree seminaturali gestite dall’uomo

- specie vegetali indicatrici - linee di costa e fasce fluviali - formazioni geologiche - caratteri dei suoli

Fig. VI.5 – Mappa concettuale dell’Analisi storica del Paesaggio. Pict. VI.5 – Conceptual map of Landscape historical analisys. del tipo di coltura e dei confini di proprietà, che ha caratterizzato i paesaggi mostrando l’evoluzione delle tecniche agrarie, delle opere di bonifica e di irrigazione, le recinzioni dei campi realizzate con siepi, muri in pietra, filari arborei, hanno evidenziato, insieme alla struttura del paesaggio, la capacità di elaborare le forme in modo congruente ai luoghi, ed infine, torri, castelli, nuclei abitati collocati in luoghi emergenti e panoramici hanno espresso un rapporto comprensibile tra natura e umanizzazione, divenendo l’immagine delle ragioni storiche e sociali e delle civiltà che hanno sovrinteso alla formazione del paesaggio.

natura primitiva in paesaggi, conferendo agli stessi precise conformazioni e differenti assetti paesistici. Si tratta di segni, strutture, configurazioni artificiali, sovrapposti, in vario modo, a quelli naturali che, se correttamente letti e interpretati, aiutano a stabilire l’origine storica delle forme assunte nel tempo dal paesaggio, permettono di cogliere il tessuto di relazioni che lega tra loro i vari elementi e di proporre letture interpretative (fig. VI.5 / pict. VI.5). Appare, quindi, evidente come la collettività ha saputo trarre dall’osservazione dei luoghi e dalla comprensione territoriale, prima intuitiva, poi acquisita attraverso l’esperienza e in seguito indagata scientificamente, le principali indicazioni su come agire per trasformare l’ambiente naturale, sfruttandone le potenzialità e rispettandone i vincoli. I paesaggi sono mutati lentamente, contraddistinti da strade che hanno riproposto a lungo gli stessi tracciati, con un preciso reticolo dei campi, variabile in funzione della morfologia del suolo,

Leggere il paesaggio, per conoscerlo, comprenderne le caratteristiche (Landscape Characters), definirne le tipologie (Landscape Typologies), le qualità e le peculiarità, è un'operazione che ciascun osservatore compie, in modo più o meno consapevole e con sistemi di interpretazione diversi in funzione dei propri interessi, conoscenze e cultura. 97

Cultural Landscapes Anche se gli attuali orientamenti della disciplina paesistica sono molteplici, la letteratura scientifica è unanime nel sottolineare che il paesaggio, per essere compreso e opportunamente valutato, nelle sue qualità, vulnerabilità e potenzialità d’uso, deve essere analizzato attraverso i due canali conoscitivi, quello oggettivo e quello soggettivo.

rilevare e registrare numerosi dati territoriali, naturali ed antropici, disaggregandoli nello spazio, scomponendoli nelle differenti categorie di indagine e analizzandoli secondo i metodi delle discipline tradizionali. Se i dati raccolti servono ad analizzare la natura e i caratteri del paesaggio, per ricostruirne l’unità originaria, e cioè il sistema di processi interagenti in continua mutazione che lo costituiscono, occorre ricomporre i dati ottenuti riaggregandoli secondo diversi criteri, in relazione alle necessità e agli obiettivi dello studio.

Il paesaggio, per essere compreso nella sua unità, varietà e complessità deve essere studiato nei vari elementi e processi che lo caratterizzano, separatamente e nelle loro interazioni, con particolare sensibilità di lettura verso i processi naturali di evoluzione spontanea e indotti dalle trasformazioni antropiche, in vista del processo percettivo che determina la conoscenza e l’interpretazione del territorio.

Il rilevamento dei dati territoriali, naturali e antropici, viene compiuto, in genere, seguendo alcuni percorsi analitici fondamentali. I dati naturali vengono raccolti secondo la geomorfologia, la clivometria, l’esposizione, la geologia, la pedologia, l’idrologia, la copertura vegetale, la fitosociologia ed altre ulteriori analisi che possono rendersi necessarie, di volta in volta, per individuare e registrare particolari valori del paesaggio (storici, geologici, ecologici, agricoli, botanici, faunistici).

L’analisi oggettiva considera, come ambito delle proprie attività, l’insieme dei dati ‘oggettivamente rilevabili’, biotici e abiotici, spontanei e antropogeni, che costituiscono la struttura del paesaggio e fanno capo a diversi settori scientifici, come geologia, botanica, pedologia ed altri e, poiché nessuna scienza da sola può spiegare una realtà che si presenta al tempo stesso unitaria e multiforme ed è il risultato di interazioni complesse, le singole analisi devono essere utilizzate, separatamente e in modo integrato, al fine di individuare le relazioni e le interdipendenze tra fenomeni al fine di approfondire l’aspetto dinamico del paesaggio che si può cogliere attraverso l’approssimazione sistemica.

Gli studi sulla morfologia del paesaggio analizzano l'acclività, l'esposizione dei versanti, il reticolo idrografico, la copertura vegetale e dispongono anche di un apposito codice di lettura per analizzare il substrato litologico, la giacitura degli strati, le trasformazioni operate dal clima e dagli eventi metereologici (fig. VI.6 / pict. VI.6).

L’analisi soggettiva, invece, pone l’accento prevalentemente sul processo visivo, su come il paesaggio si manifesta all’osservatore, in forme, sequenze, ordinamenti sensibili e percepibili, attraverso la vista, e subordina le considerazioni sul contenuto intrinseco dell’oggetto a quelle derivanti dalla percezione. Tale tipo di lettura, certamente la più diffusa e spontanea, consente di analizzare e valutare le qualità visive dei paesaggi così come essi si presentano nelle loro immagini ed espressioni figurative agli occhi dell'osservatore, elaborando un confronto tra l’immagine di un determinato paesaggio, che genera una data percezione, con quelle di altri luoghi e attribuendo un valore, anche inconsapevolmente, allo stesso paesaggio. Alla luce di tale distinzione metodologica, i paesaggi che risultano maggiormente apprezzati sono quelli che offrono aspetti di naturalezza o mostrano una ricca e chiara presenza di segni storici, di nessi leggibili tra struttura e uso del suolo e che denotano il modo equilibrato in cui l’intervento umano si è rapportato a fenomeni ed elementi naturali.

Si analizza, inoltre, con un approccio biologico e multidisciplinare, il modo in cui i sistemi ecologici, antropici e non antropici si distribuiscono sul territorio e ne esprimono la struttura e la dinamica. I paesaggi, per la grande complessità e diversità di fenomeni e processi che li struttura e per la vasta gamma di assetti e configurazioni che li caratterizza, devono essere analizzati secondo precisi criteri ordinatori desunti dalla realtà stessa. Devono essere conosciuti, compresi e valutati nelle loro caratteristiche strutturali e funzionali, negli eventi naturali e nelle azioni umane che con essi interagiscono e nelle motivazioni materiali e culturali di queste ultime (fig. VI.7 / pict. VI.7). Per consentire una più agevole raccolta ed elaborazione dei dati il territorio viene generalmente suddiviso in zone o ambiti più o meno estesi in funzione del carattere e della morfologia dei luoghi, oltre che delle finalità dello studio. Un metodo di studio di grande interesse è quello basato sull’analisi spaziale informatica, rappresentata dai Sistemi Informativi Territoriali, di seguito illustrati con maggior precisione, che sta ottenendo importanti affermazioni nell’analisi del territorio, in quanto consente di manipolare una notevole quantità di dati spaziali e di formulare, attraverso la loro integrazione, nuove interessanti ipotesi per la sua utilizzazione e pianificazione.

Si tratta, in molti casi, di panorami in cui si riesce a controllare la dimensione spaziale e l’organizzazione naturale e antropica del territorio, come le pianure coltivate e i versanti consolidati con particolari tecniche agricole, i pendii terrazzati per lo sfruttamento agricolo ed i borghi arroccati sulle alture, dove la modellazione del suolo e l’organizzazione delle forme antropiche hanno introdotto nel paesaggio nuovi equilibri sia sotto il profilo ecologico che estetico.

VI.4.2 L’Analisi visivo-percettiva L’analisi conoscitiva di tipo percettivo si basa su un processo cognitivo più complesso che consiste nell’elaborare le immagini percepite tramite molteplici funzioni mentali, come la memoria, e in relazione ad altri parametri, che permettono

VI.4.1 L’Analisi scientifico-oggettiva Per descrivere in modo scientifico e quindi ‘oggettivo’, i vari elementi e i sistemi che costituiscono il paesaggio occorre 98

Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.6 – Mappa concettuale dell’Analisi conoscitiva del Paesaggio: prima fase. Pict. VI.6 – Conceptual map of a Landscape cognitive analisys: first step.

Fig. VI.7 – Mappa concettuale dell’Analisi conoscitiva del Paesaggio: seconda fase. Pict. VI.7 – Conceptual map of a Landscape cognitive analisys: second step. 99

Cultural Landscapes di vedere e, quindi, di penetrare nei fenomeni osservati ed elaborare le forme percepite, sulla base delle informazioni o segnali che recano all’osservatore. L’apprezzamento estetico per determinati paesaggi, che è spesso individuale, è stato oggetto di espressioni molteplici in pittura, letteratura, poesia e fotografia; paesaggi ‘naturali’ e ‘selvaggi’, ritenuti nell’antichità ‘temibili’ o ‘spaventosi’, sono stati definiti ‘sublimi’ nel periodo illuminista, mentre in epoca romantica un nuovo interesse estetico nei confronti della natura, fondato sull’ ‘apprezzamento scientifico’ della perfetta armonia del mondo naturale, ha portato ad ammirare la natura nella diversità dei suoi aspetti, suscitando in seguito un tale interesse estetico-scientifico da essere giudicati meritevoli di conservazione e tutela. Considerando come alcune immagini abbiano evocato, nel tempo, precise risposte estetiche e come particolari apprezzamenti estetici siano stati ricorrenti nei confronti del paesaggio, sono stati proposti diversi metodi empirici fondati sulle componenti della figurabilità (imageability)23, ossia basate sulla percezione degli osservatori, per i quali «la soddisfazione estetica, sperimentata nella contemplazione del paesaggio che nelle forme, nei colori, nelle disposizioni spaziali e in altri attributi visibili, agiscono come stimoli segnalatori delle condizioni ambientali favorevoli o contrarie alla sopravvivenza»24. Nella chiarezza di orientamento e di lettura del paesaggio è riconosciuto un obiettivo perseguibile e valutabile attraverso una serie di nuovi strumenti, detti mental maps, ossia mappe cognitive che consentono di cogliere «la qualità sensoriale di un luogo che è costituita dall’interazione tra la sua forma e chi la percepisce»25. Il tema della percezione dell’ambiente è stato proposto secondo una lettura semiologica e comportamentale, che consente di individuare valori paesisitici da contrapporre a quelli estetici, nel tentativo di semplificare la complessità del giudizio estetico, di recuperare validità oggettiva nelle valutazione visiva del singolo e di individuare le modalità intrinseche della percezione, della valutazione e delle preferenze che l’uomo, o la collettività, hanno dell’ambiente. Seguendo tali ipotesi interpretative, il paesaggio veniva classificato e scomposto secondo caratteristiche morfologiche rilevanti26 che, analizzate singolarmente e poi riaggregate, in una sintesi complessiva consentivano di definire un sistema di landscape typologies, tra loro comparabili e classificabili. 23 La figurabilità o imageability, definita da K. Lynch, è quella qualità contenuta da un oggetto fisico che permette a un osservatore la formazione immediata o meno di un’immagine e può essere riconducibile a una forma, un colore e altre qualità dell’oggetto osservato. Se per i ridotti spazi naturalistici o le piccole città è relativamente semplice per l’osservatore l’elaborazione di quest’immagine, negli spazi molto estesi l’uomo non è abituato a rapportarsi e ne è disorientato. Per tale motivo, lo sviluppo di mappe mentali e cognitive consentono all’uomo l’individuazione delle immagini ambientali con cui rapportarsi. 24 J. Appleton, The experience of landscape, in Estetica, 2009, pp. 145-157. 25 K. Lynch, L' immagine della città, P. Ceccarelli (a cura di), Padova, 2006, pp. 3-7, 31-35. 26 D. L. Linton, The Assessment of Scenery as a Natural Resource, in Estetica, 2009, pp. 7-23.

La visione e la percezione si configurano come i due momenti iniziali del complesso processo conoscitivo del reale e l’individuazione delle relazioni visive, che rendono riconoscibile il paesaggio ed i suoi elementi caratterizzanti, è la finalità dell’analisi visivo-percettiva. Semplificando, l’equazione ‘sensazione + selezione + percezione = visione’27 possiede al suo interno la variabile della percezione che, al di là delle capacità proprie di un soggetto, è assolutamente dipendente dall’esperienza individuale. Il processo percettivo, nell’avvicinarsi a problematiche complesse, come nella ricerca di comprensione di un paesaggio, dato il suo alto grado di soggettività, appare guidato in un percorso critico, in cui la metodologia e i processi sono stabiliti a priori e forniscono elaborazioni confrontabili tra di loro28. VI.4.3 La descrizione attraverso la percezione La metodologia appena descritta si basa su un processo di semplificazione di realtà complesse, attraverso l’individuazione di sistemi, unità e componenti la cui analisi propone i primi spunti per la fase interpretativa29. Insieme a componenti che si possono definire come strutturanti l’unità di paesaggio si individuano le componenti di tipo visuale-percettivo, il cui riconoscimento permette di descriverle e rappresentarle, secondo un processo di selezione che è, anche in questo caso, la prima fase di lettura. La caratterizzazione morfologica del territorio con la molteplicità di piani e quinte visive, rappresenta il primo elemento di riconoscibilità del paesaggio, per il quale l’uniformità dei caratteri, gli effetti di tessitura e colore, gli skyline o profili ed i landmarks o riferimenti visivi, costituiscono gli elementi di varietà e caratterizzazione. Rispetto alle condizioni oggettive del territorio, cioè le caratteristiche formali della scena paesaggistica, tra i fattori che influenzano l’esperienza visuale vi sono gli effetti di luce ed ombra, l’ampiezza del campo della visuale, le proprietà fisiche di alcuni elementi del paesaggio, gli effetti della rifrazione atmosferica e la dinamicità dell’osservazione, se statica o in movimento. La percezione del paesaggio dipende da numerosi fattori quali la profondità e l’ampiezza della veduta, la successione dei vari piani, l’esposizione, l’illuminazione e il punto di 27

Il processo della visione può essere scisso analiticamente in tre processi distinti: sensazione, selezione e percezione. La sensazione è seguita dalla selezione, un processo per cui una parte del campo visivo viene distinta e separata dal complesso. La selezione fa riferimento oltre che ad una capacità fisiologica anche ad una psicologica in quanto, in qualsiasi momento, c’è nel campo visivo qualcosa che interessa distinguere più chiaramente di tutto il resto. Il processo finale è quello percettivo e comporta il riconoscimento dell’entità sentita e selezionata come apparenza di un oggetto fisico esistente nel mondo esterno. In altre parole, ad una prima osservazione si percepisce solo un’entità senza alcun riferimento ad un oggetto fisico esterno che appare soltanto dopo che è stato selezionato e viene poi usato per percepire. 28 Lo scopo principale dell’organizzazione visiva a livello progettuale è di creare forme che possano essere facilmente comprensibili attraverso la semplificazione che permette all’occhio di comprendere la forma rapidamente e agevolmente e di presentare al cervello un’informazione che sia meno equivoca possibile. 29 Giannini, 1997, p. 70

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Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.8 - La posizione dell’osservatore rispetto agli oggetti osservati può modificarne notevolmente l’immagine: schema rappresentativo della visuale dall’alto. Pict. VI.8 - The position of the observer than the observed objects can greatly change their picture: sketch of the top view.

Fig. VI.9 – Schema rappresentativo della visuale diretta. Pict. VI.9 - Sketch of the direct view. visuale preferenziale, ossia la posizione dell’osservatore rispetto a ciò che si osserva. Il punto di visuale preferenziale è costituito da un luogo fisico che può qualificarsi come elemento geomorfologico, come un monte o una collina, ma anche come elemento antropico, come una torre, in generale si tratta di un luogo da cui si può percepire in maniera unitaria ciò che è oggetto di studio da parte dell’osservatore. Un solo punto di vista, però, fornisce una visione unidirezionale di una realtà che è invece tridimensionale, pertanto appare necessario identificare altri punti dai quali poter percepire con le stesse modalità lo stesso paesaggio per tentare di comprendere meglio le componenti che lo costituiscono e che possono essere identificate come appartenenti alla stessa unità (figg. VI.8-9 / pict. VI.8-9). Questo primo processo di visione per punti permette di individuare in maniera più precisa la reciproca posizione delle singole componenti nell’ambito di studio interessato e stabilire il tipo diverso di relazione tra le differenti parti. Il tipo di visione che si può fruire da tali punti è di tipo statico, la rappresentazione è di tipo prospettico30 e consente di evidenziare le emergenze di carattere paesistico-ambientale e la posizione degli elementi che si incontrano nel campo visuale (cono ottico) che possono essere localizzati in primo, secondo o terzo piano. Tali differenti piani prospettici che contengono, a profondità diverse, questi stessi elementi, potranno in un secondo tempo essere riportati su base cartografica, in opportuna scala (1:25.000 o 1:10.000), 30 M. De Simone, Disegno Rilievo Progetto, (Nuova Italia Scientifica), Roma, 1990, p. 8.

delineando i margini visivi31, che in parte concorreranno ad identificare l’unità di paesaggio. I punti di osservazione collocati in posizione elevata ed emergente consentono vedute particolarmente ampie che, in condizioni di buona visibilità e di illuminazione favorevole, possono estendersi anche per alcuni chilometri. Da questi luoghi è possibile cogliere la disposizione e l’orientamento dei principali rilievi e delle distese d’acqua, individuare il rapporto tra gli elementi naturali e antropici, le principali diversità del paesaggio e i maggiori insiemi paesistici. Numerose porzioni di territorio rimangono però nascoste alla vista a causa della presenza di ostacoli visuali di ogni genere e ciò accade, in particolare, quando il terreno si presenta accidentato e la sua giacitura è ricoperta di oggetti naturali e antropici di vario tipo. 31

A seconda dell’ampiezza dei bacini visuali relativi all’osservazione di un determinato ambito, possono essere individuati, per ogni punto di visuale preferenziale, differenti margini visivi distinti in tre differenti categorie: - margini visivi di primo piano, in cui la veduta di insieme di un paesaggio la si ha a partire da una determinata distanza, difficilmente definibile, prima della quale la percezione si limita ad elementi di dettaglio, ovvero elementi di cui non si può percepire il contesto nel quale sono inseriti. - margini visivi di secondo piano sono le linee verso le quali si focalizza l’immagine, dove ancora di distinguono i profili collinari delimitati da differenti tipi di vegetazione, gruppi insediativi di piccola e media dimensione. Su questo piano si può avere effettivamente una visione complessiva degli elementi strutturanti il paesaggio. - margini visivi di terzo piano che corrispondono allo sfondo dove gli elementi costituenti il paesaggio, a seguito del velo atmosferico, si appiattiscono e si uniformano in colore e volume ma permettono di distinguere comunque i caratteri morfologici principali del territorio e il tipo di paesaggio.

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Cultural Landscapes Punti di osservazione meno emergenti, definiti ‘secondari’, offrono bacini visivi più ristretti, ma permettono una visione maggiormente distinta dei caratteri e delle particolarità dei luoghi e sono spesso i più idonei nello studio del paesaggio. La posizione dell’osservatore rispetto agli oggetti osservati influenza notevolmente non solo l’immagine delle cose, ma anche l’impressione che se ne trae, e spesso, nel paesaggio, il modo di percepire le cose è più importante della realtà stessa. È perciò opportuno definire con esattezza la posizione dell’osservatore (posizione elevata, medio e bassa) rispetto al quadro e precisare se l’osservatore è fermo o in movimento. A volte è più opportuno scegliere una posizione intermedia, rispetto alla morfologia, o addirittura ‘dal basso’ come nelle aree montane dove l’osservazione dei versanti è certamente migliore da posizioni intermedie o inferiori piuttosto che da posizioni elevate (fig. VI.10 / pict. VI.10). Nel paesaggio vengono generalmente individuati e definiti, a seconda della profondità della visione, tre differenti piani di percezione: primo, secondo e terzo o piano di sfondo (fig. VI.11 / pict. VI.11). Nel primo piano, che si estende tra alcune decine e alcune centinaia di metri, l’occhio distingue i dettagli di forma e tessitura, percepisce il colore degli elementi del quadro paesisitico, il disordine e il degrado del paesaggio. Nella zona successiva, compresa tra alcune centinaia di metri e un chilometro, definita secondo piano o paesaggio propriamente detto, la maggior parte degli elementi sembrano congiungersi, le colline si presentano come catene di colline e i gruppi separati di vegetazione appaiono come estensioni arboree continue. L’occhio non coglie più i dettagli, ma identifica con chiarezza gli oggetti isolati sui crinali e quelli di colore e forma fortemente contrastanti con il contesto, distingue le forme e i rapporti delle masse tra loro e cioè la struttura del paesaggio e sono più evidenti i contrasti di scala, forma e colore. Ampliando il campo della visione, si leggono meglio le forme delle valli, dei rilievi, delle montagne, degli altopiani e i grandi insiemi morfologici e sempre meno le forme e i colori degli elementi e i segni del paesaggio. Nei piani di sfondo, i più lontani dall’osservatore, situati fino a una decina di km dal luogo di osservazione e visibili anche oltre, in situazioni di particolare limpidezza atmosferica, le forme sembrano appiattirsi e uniformarsi, gli oggetti e gli elementi che compongono il paesaggio si colgono con distinzione sempre minore e sfuggono le qualità e i caratteri degli oggetti percepiti. L’osservazione di ogni piano o porzione di paesaggio contribuisce, in modo diverso alla conoscenza e alla comprensione, pertanto, appare necessario privilegiare le osservazioni ritenute più utili agli obiettivi da raggiungere e alle analisi, al fine di individuare, mediante la determinazione dei diversi margini o piani visivi, le diverse unità di paesaggio.

le costruzioni, il secondo piano fa cogliere le forme dei campi e delle superfici idriche, il disegno degli agglomerati urbani di piccola dimensione e la diffusione dell’insediamento. Infine, nel piano di sfondo è possibile osservare la forma generale del territorio, l’estensione della copertura vegetale e delle frange periurbane, le grandi scansioni agricole e le grandi interruzioni del paesaggio. Si assume, pertanto, che tali caratteristiche oggettive possano considerarsi predittive dell’esperienza paesaggistica soggettiva, nella quale entrano in gioco i molteplici codici di lettura che conducono all’attribuzione del significato al paesaggio. L’analisi dell’assetto scenico percettivo può essere condotta attraverso un’indagine diretta, tramite sopralluoghi, e un’indagine indiretta che, attraverso l’uso di moderne tecnologie, di software e di modelli digitali del terreno, è finalizzata a misurare in modo oggettivo la sensibilità scenica del paesaggio. L’esistenza di un soggetto immerso nel paesaggio, in una determinata posizione spaziale e temporale, è condizione fondamentale per la percezione visiva e la complessità della scena paesaggistica osservata è colta dall’osservatore come un continuum di segni, in cui le diverse componenti sono riconoscibili nei loro differenti livelli di organizzazione e in sequenze sintattiche. Considerando un paesaggio rurale, questo appare caratterizzato da una generalizzata panoramicità, con importanti riferimenti visivi posti anche a lunga distanza, e con limiti visuali come colline e montagne, sostanzialmente definiti, ma che consentono una buona intervisibilità tra i diversi elementi (fig. VI.12 / pict. VI.12). La caratterizzazione prevalente è data dal paesaggio variato in alcune aree dall’alternanza con campi e coltivazioni arboree. Il gioco delle linee curve, che dividono le superfici coltivate, sottolinea il rilievo delle colline e le trame dei campi che costituiscono un elemento preponderante della scena. In tal modo il paesaggio è contraddistinto per una certa uniformità ed omogeneità percettiva che determina in queste aree una forte impressione di naturalità. Lo skyline, poi, è caratterizzato dall’emergenza di luoghi di riferimento identitario che assumono un notevole peso per la riconoscibilità del luogo, grazie alla presenza di tipologie e componenti edilizie facilmente individuabili e riscontrabili da alcune particolari prospettive. VI.5 L’applicazione delle moderne tecnologie

Il paesaggio costituisce un luogo in cui senso artistico e analisi progettuale devono fondersi con una serie di implicazioni di carattere tecnico, in un’attenta sintesi tra realtà geometriche e aspetti naturalistici. L’analisi di un paesaggio, inteso come organizzazione razionale di fenomeni e strutture tra loro interrelate, costituito da un insieme di elementi diversi e di sistemi di varia natura e qualità, naturali, In particolar modo, mentre il primo piano consente di leggere seminaturali e artificiali, che si presentano come una con chiarezza la tessitura del suolo generata dalle diverse continuità di segni e forme che non possono essere coltivazioni, dalla vegetazione arborea e arbustiva, dai interpretati con la sola osservazione, trae il suo fondamento materiali utilizzati per le divisioni dei campi, i terrazzamenti, da un approfondito studio della situazione topografica 102

Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.10 – Schema rappresentativo della visuale dal basso. Pict. VI.10 – Sketch of the bottom view.

Fig. VI.11 – Schema grafico di sintesi dei piani di percezione del paesaggio: primo piano, secondo e terzo o piano di sfondo. La comprensione del paesaggio, la lettura delle forme, dei dettagli e della tessitura dei vari elementi variano in funzione della distanza, delle condizioni di illuminazione e della limpidità atmosferica. Pict. VI.11 – Sketch summarizing the landscape plans perception: first floor, second and third one or background. The understanding of landscape, the looking of forms, details and texture of various elements changes with distance, lighting conditions and atmospheric clarity.

Fig. IV.12 – Schema di sintesi della visuale diretta dell’osservatore rispetto al paesaggio caratterizzato da un panorama con importanti riferimenti visivi. Pict. IV.12 – Sketch of synthesis of the observer's direct view over the landscape with panoramic quality and important visual references. 103

Cultural Landscapes

Fig. VI.13 - Visualizzazione dell’immagine satellitare in falsi colori. La parte ‘arida’ è di colore grigio con elementi lineari di colore più scuro, mentre la ‘coltivata’ è bianca o nera. Pict. VI.13 – View of a satellite image in false colors. The part ‘arid’ is greyr with linear elements of a darker color, while the ‘cultivated’ one is white or black.

Fig. VI.14 – Classificazione dell’immagine con metodo SAM (Spectral Angle Mapper). Il grigio scuro è la roccia compatta, il bianco la sabbia e il grigio il suolo. Pict. VI.14 – Image classification with SAM (Spectral Angle Mapper) method. The dark grey is ‘solid rock’, the white is ‘sand’, and the gray is ‘soil’.

esistente. È spesso la morfologia del territorio, unita ad altri aspetti, quali l’organizzazione del territorio, la presenza di rilevanze architettoniche da valorizzare o di cannocchiali prospettici da evidenziare, a dettare i criteri e le metodologie di analisi e interpretazione da realizzare.

attraverso l’analisi spaziale consentono di svincolare dal fragile strumento cartaceo, di adattare la mappa a sistemi di riferimento molteplici e renderla confrontabile con qualunque altro piano informativo georeferenziato, in modo da superare la lettura elementare che deriva dalla sovrapposizione fisica di due o più strati informativi, mettendo a disposizione numerose soluzioni basate su algoritmi di calcolo statistici.

Appare, quindi, indispensabile una corretta conoscenza, completa dal punto di vista tematico e significativa dal punto di vista metrico, dell’insieme territoriale su cui il paesaggio insiste, in modo da poter realizzare un’opportuna modellizzazione dello spazio studiato (fig. VI.13 / pict. VI.13). Per l’analisi di paesaggi storici è possibile utilizzare note storiche, rappresentazioni pittoriche spesso alterate e poeticamente idealizzate, viste prospettiche a volo d’uccello e frammenti cartografici che appaiono importanti per interpretare correttamente l’impostazione iniziale del territorio ed il suo processo evolutivo32. Oggi, il moderno sviluppo delle tecniche topografiche, fotogrammetriche, cartografiche e satellitari permette di ottenere delle modellizzazioni del territorio valide sotto gli aspetti metrici e significative dal punto di vista grafico. Le applicazioni di GIS e Telerilevamento agli studi di Earth Observation (EO) e, più in particolare, agli studi del paesaggio, sebbene siano ancora in fase di sperimentazione, costituiscono un fenomeno in forte crescita, in quanto 32

G. P. Brogiolo, Dall’aerofotointerpretazione all’indagine sul terreno: esperienze e applicazioni, in Archeologia del territorio. Metodi, materiali e prospettive. Convegno Internazionale di studio (Trento, 23-25 novembre 2000), Trento, 2001, pp. 7-14.

In tal modo, l’analisi condotta su basi oggettive e secondo criteri quantitativi e qualitativi consente di analizzare fenomeni di varia natura tra cui la contrazione o l’espansione delle aree urbane, le trasformazioni dell’uso del suolo, della viabilità, delle reti idrografiche, delle canalizzazioni e delle opere di bonifica, dell’organizzazione della proprietà e, più in generale, di tutti i segni, le strutture e le configurazioni naturali ed artificiali che, se correttamente interpretati, permettono di stabilire le forme assunte nel tempo dal paesaggio ed il complesso tessuto di dinamismi presenti sul territorio (fig. VI.14 / pict. VI.14)33. VI.5.1 Premesse teoriche e metodologiche Le più innovative metodologie di indagine per la lettura dei paesaggi come il telerilevamento, il LiDAR, l’uso di SIT (Sistemi Informativi Territoriali) e di piattaforme WebGIs con accesso multi-utente per cartografare e catalogare i dati, permettono di ricostruire e proporre le caratteristiche e le variabili ambientali e paesaggistiche, di interpretare le strategie del sito e di relazionarle alle dinamiche storicoculturali e insediative del territorio. 33

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Baiocchi-Lelo, 2002, pp. 2-9.

Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.15 – Visualizzazione di immagine satellitare mediante il software ENVI (ENvironment for Visualizing Images). Pict. VI.15 – View of s satellite image using the software ENVI (Environment for Visualizing Images). L’applicazione di questi metodi facilita il controllo delle relazioni diacroniche e sincroniche tra i diversi elementi per un approccio dinamico alla realtà territoriale, in una logica improntata alla multidisciplinarietà che coinvolge molteplici e differenti conoscenze che collaborano in sinergia alla ricostruzione degli aspetti dello spazio e del paesaggio. Il lavoro di analisi mira ad individuare i paesaggi che, documentati e posizionati sulla cartografia, acquistano significato nel contesto spaziale e come elementi del palinsesto paesaggistico, che occorre scomporre e ricomporre nelle sue fasi di vita, analizzando i caratteri socio-economici e culturali presenti, le trasformazioni e le stratificazioni successive che si sono fossilizzate e sono ancora oggi decifrabili. In una prospettiva interpretativa la storia di un paesaggio può essere meglio compresa indagandone le dinamiche di interazione con l’ambiente nel quale è inserito e, quindi, nell’ottica della multidisciplinarietà, ricorrendo alle analisi storico-archeologiche sviluppate con la fotointerpretazione di immagini aeree del paesaggio e all’indagine in situ. Il dialogo costruttivo tra le tecniche innovative di analisi e studio del paesaggio e l’attenzione alle particolarità e caratteristiche di rilevanza ecologica richiede lo sviluppo sequenziale di differenti fasi ed operazioni, tra cui l’analisi, senza preconcetti cronologici, di paesaggi e infrastrutture, emergenze architettoniche ed elementi di architettura rurale, tracce e residenze di attività tipiche dell’economia montana, a cui segue l’organizzazione della ricerca su diversi, ma intersecantisi, piani di lettura, ed infine l’analisi delle relazioni spaziali e funzionali tra i diversi segmenti e porzioni di territorio indagate.

Il sistema paesaggio, oggetto della ricerca, inteso come parte di un ecosistema, che include anche le risorse ambientali e che comprende le diverse forme di paesaggio generate sul territorio dall’interazione tra uomo e ambiente, deve essere indagato ed analizzato secondo una visione generale che permette di definire progressivamente gli elementi componenti il quadro complessivo. Alla base di tale metodo operativo vi è la concezione del paesaggio come un palinsesto cumulativo di tracce, risultato di molteplici attività, di tipo antropico e naturale, che descrivono la storia del territorio stesso (fig. VI.15 / pict. VI.15). Seguendo un approccio top-down, ossia ‘dall’alto’, è possibile osservare una gerarchia di elementi e features più o meno visibili che delineano differenti segmenti del paesaggio complessivo. La visibilità diretta di tali tracce non si deve ritenere un indicatore di carattere cronologico, poiché i processi di formazione e trasformazione del paesaggio, non permettono di definire una relazione certa tra l’elemento rilevato e l’epoca storica, ma richiedono un riscontro in situ e l’integrazione con fonti diverse. Al contrario, la visione ‘dal basso’ fa riferimento all’azione diretta sul campo e applica con rigoroso dettaglio le regole di pattern recognition34 identificando e rilevando bordi, forme e contorni, collegandoli tra loro al fine di produrre una carta tematica che possa orientare la EO (Earth Observation). Pertanto, da una scala territoriale di dettaglio e dalle tracce ed elementi riconosciuti sul terreno, quali emergenze architettoniche, strutture insediative, infrastrutture e particelle 34

S. Campana, F. Forte, From Space to Place. Atti della II Conferenza Internazionale sul Telerilevamento in Archeologia, (Roma, 4-7 dicembre 2006), (BAR Int.S. 1568), Oxford, 2006, pp. 219-226.

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Cultural Landscapes

Fig. VI.16 - Immagine satellitare in seguito ad operazione di data fusion. Pict. VI.16 - Satellite image after data fusion operation. agricole, si giunge a «delineare lo sviluppo storico di una singola area paesaggistica»35 Si propongono premesse teoriche e metodologiche che delineano un percorso di ricerca che non deve adottare modelli interpretativi aprioristici considerati universali, ma con carattere induttivo, ossia basato sui dati materiali e sulla varietà di fonti disponibili, risulti improntato alla flessibilità, alla multiscalarità e all’aggiornamento in itinere. Il lavoro può essere condotto secondo le diverse fasi operative di identificazione degli elementi che creano l’entità del paesaggio e la loro codificazione per tipologie, attraverso la scomposizione in siti, unità di paesaggio, infrastrutture ed architetture. A tale fase seguono la definizione e costruzione di gerarchie secondo parametri di natura ecologica, archeologica, architettonica, socio-economica, politica, iconografica, simbolica e letteraria e la successiva ricomposizione degli elementi di connessione tra la stratigrafia dei paesaggi ottenuta con Remote Sensing e la sequenza cronologica dei siti.

VI.5.2 L’uso del telerilevamento Il segmento disciplinare dell’Osservazione della Terra che si dedica a ricavare informazioni qualitative e quantitative sull'ambiente e su oggetti posti a distanza ha impiegato le innovazioni tecnologiche dovute all’uso oramai esclusivo di tecniche digitali ed informatiche che hanno provocato una serie straordinaria di profonde innovazioni nella raccolta e gestione dei dati, nell’analisi spaziale e nelle modalità di rappresentazione. Inoltre, la disponibilità di notevoli quantità e varietà di dati, principalmente di provenienza satellitare, ha favorito lo sviluppo dei sistemi GIS generando modalità sempre più evolute per la rappresentazione di modelli tridimensionali del territorio (DTM).

Il moderno processo per l’analisi e la rappresentazione territoriale inizia con l’illustrazione della morfologia dei luoghi ed espone, sulla base di viste tridimensionali o bidimensionali, la più articolata fenomenologia legata all’ambiente oggetto di analisi. È facilmente intuibile il ruolo Nella parte seguente, pertanto, si propone un accenno ad strategico che in questo processo rivestono i dati satellitari, in alcune possibilità offerte dalle attuali tecnologie per l’analisi modo particolare per quanto riguarda l’ampiezza e la qualità dei paesaggi e la successiva resa bidi-mensionale e della copertura territoriale delle rilevazioni. Attualmente, tridimensionale dello stesso ed alle possibilità offerte per infatti, è possibile studiare la copertura planetaria attraverso l'archiviazione delle numerose informazioni sulle sue diverse la gestione informatizzata di foto satellitari, disponibili in rete, legate ad un completo modello tridimensionale del componenti. terreno che, sulla base dei dati satellitari, consente di studiare il paesaggio nella molteplicità delle sue complesse ed articolate componenti, oltre a rappresentare lo spazio urbano 35 C. Tosco, Il paesaggio storico. Le fonti e i metodi di ricerca, (Grandi nelle sue componenti architettoniche. opere), Bari, 2009, p. 87. 106

Nuovi metodi e tecnologie Nell’ambito delle Scienze della Terra, il Telerilevamento o Remote sensing36, rimandando ad un ambito disciplinare molto esteso che per ragioni intrinseche ha carattere spiccatamente applicativo ed interdisciplinare, è definito dai principali esperti come la scienza che studia l’acquisizione di dati riguardanti il territorio e l’ambiente (oggetti o fenomeni) attraverso misure radiometriche registrate a distanza da sensori installati su piattaforme terrestri, aeree o spaziali, nonché l’insieme dei metodi per la successiva elaborazione ed interpretazione. È altresì comunemente accettato limitare il termine alle sole tecnologie legate all’impiego di onde elettromagnetiche, siano esse nella banda del visibile o in altre regione dello spettro elettromagnetico. Grazie alla grande disponibilità di tali dati, alla relativa economicità rispetto ai costi dei metodi tradizionali e al miglioramento, in termini di qualità e accessibilità, queste metodologie stanno trovando sempre nuovi campi di applicazione nelle più diverse discipline37. L’affermazione di nuove tecniche di ripresa ha permesso di considerare il Telerilevamento come la scienza cui ricondurre tecniche e metodi di analisi sia innovativi sia con una lunga tradizione di studi, come la fotografia aerea. Negli ultimi anni la disciplina ha avuto un rapido sviluppo con la messa a punto di nuovi sensori che permettono lo studio della superficie terrestre in tutta quella parte dello spettro elettromagnetico che si estende dall’ultravioletto alle microonde. L’approfondimento concettuale del processo interpretativo compiuto nel corso degli anni dagli studiosi con il superamento della semplice fase di lettura, relativa all’osservazione limitata agli oggetti visibili in superficie, e lo svolgimento della fase deduttiva che consiste nel riconoscimento della presenza di strutture obliterate o sepolte, ha permesso di applicare con successo il Telerilevamento alle Scienze della Terra e allo studio del paesaggio (fig. VI.16 / pict. VI.16). Il potenziale della tecnologia del telerilevamento, definita una metodologia di tipo orizzontale, ossia multidisciplinare perché può essere impiegata a molte applicazioni ed elaborazioni, applicato all’osservazione del territorio dallo spazio, aggiuntivo a metodologie di indagine in situ di per se esaustive, si inserisce nello scenario della pianificazione territoriale, della gestione e del monitoraggio delle risorse come uno strumento che permette lo studio e la comprensione di fenomeni in altro modo non investigabili. Il processo di indagine si articola in fasi interconnesse che si succedono a cascata, tra cui acquisizione delle immagini, 36 Negli anni Cinquanta viene coniato negli Stati Uniti il termine Remote Sensing da Evelyn Pruitt, geografo dell’Ufficio di Ricerca Navale, con lo scopo di rimpiazzare i concetti di ‘fotografia aerea’ e ‘aereofotointepretazione’ divenuti ormai troppo limitati. Con il termine Telerilevamento si definisce la scienza che studia l’insieme delle tecniche e delle metodologie di acquisizione, elaborazione ed interpretazione che permettono l’analisi di oggetti o di fenomeni senza entrare in diretto contatto con essi. 37 N. Masini, Note storico-topografiche e fotointerpretazione aerea per la ricostruzione della “forma urbis” del sito medievale di Monte Serico, in Tarsia, 16 (1995), pp. 45-64.

trattamento, analogico e/o digitale, interpretazione e verifica sul campo finalizzata alla raccolta di elementi diretti per la messa a punto delle chiavi interpretative. Il risultato più completo si ottiene, pertanto, utilizzando insieme dati generati dalle varie bande spettrali utili, spesso prodotti da sistemi spaziali diversi e integrando i dati del telerilevamento con le misure eseguite sul terreno. Ciò può essere ottimizzato utilizzando sistemi informativi geografici (GIS), potenti strumenti informatici che permettono di accettare dati di svariate sorgenti ed elaborarli con algoritmi specializzati per generare, infine, un prodotto personalizzato per ogni tipo di utenza. Il telerilevamento è, dunque, una metodologia complessa che, attraverso l’uso integrato dell’informazione generata da più sistemi di satelliti, il cui contributo è solo uno degli apporti informativi che permettono di ricostruire, valutare, per giungere poi ad una corretta analisi e osservare con straordinaria continuità l’ambiente ed il territorio, presenta numerosi vantaggi legati principalmente all’aspetto sistematico ed oggettivo dell’osservazione che consente di confrontare dataset di dati attuali con quelli del passato ed identificare, quindi, eventuali cambiamenti. Con il miglioramento dei sistemi satellitari è stato possibile, sfruttando le apparecchiature a bordo dei satelliti, realizzare immagini della Terra differenti dalle immagini fotografiche tradizionali, definite analogiche, in contrapposizione alle foto digitali, in cui l’immagine è in realtà costituita da una matrice numerica in cui gli indici di riga e di colonna individuano univocamente le coordinate (x,y) del punto immagine, detto pixel, mentre il valore numerico esprime il livello di grigio, ossia l’intensità del segnale luminoso che ha colpito il sensore nel punto corrispondente. Un’immagine di tale tipo non è direttamente visibile e interpretabile dall’uomo, ma può essere letta ed elaborata da un calcolatore che consente, oltre alle primarie elaborazioni di correzione che tengono in conto della curvatura terrestre, dell’effetto di rotazione terrestre nel momento della formazione dell’immagine e dei vari movimenti del satellite, di eseguire varie tecniche di elaborazione e processing dell’immagine. Si tratta del miglioramento del contrasto fotografico con evidenziazione dei contorni tra gruppi di pixel aventi caratteristiche radiometriche simili; del composite tra varie bande spettrali, sia nel visibile che nell’infrarosso, in grado di enfatizzare porzioni di immagine non rilevabili; e di vari tipi di classificazione, automatica o assistita dall’operatore, volta al raggruppamento delle porzioni omogenee di pixel che rappresentano particolari tematismi (fig. VI.17 / pict. VI.17). A tali operazioni se ne aggiungono altre di enhancement e visualizzazione delle immagini, con lo scopo di migliorare l’interpretabilità visiva, variando il contrasto o la forma degli istogrammi, la codifica in colori dei dati, evidenziando i contorni tra oggetti differenti o diminuendo la variabilità in aree omogenee (fig. VI.18 / pict. VI.18)38. 38 M. A. Gomarasca, Introduzione al telerilevamento e GIS per la gestione delle risorse agricole e ambientali, Varese, 1997.

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Cultural Landscapes

Fig. VI.17 - Subset dell’immagine satellitare classificata. Pict. VI.17 - Subset of the classified satellite image.

Fig. VI.18 - Classificazione dell’immagine satellitare secondo gli algoritmi K-Means e Isodata. Pict. VI.18 - Classification of the satellite image by K-Means and Isodata algorithms. Alle tecniche di enhancement si affiancano le elaborazioni delle immagini, che hanno lo scopo di eliminare errori ed artefatti provocati dal sistema di ripresa ricostruendo la scena osservata a partire dall’immagine corretta. In tale classe rientrano le tecniche di filtraggio del rumore di tipo aleatorio, di miglioramento della focalizzazione, di eliminazione degli effetti del movimento del sistema di ripresa. Infine, si considerano le elaborazioni di interpretazione delle immagini che hanno lo scopo di determinare per ogni pixel le caratteristiche e le sue proprietà, come nel caso del riconoscimento delle forme e delle strutture (pattern recognition), di segmentazione delle immagini, ovvero di

assegnazione di una classe di appartenenza a tutti i pixel dell’immagine. La possibilità di poter impiegare dati teleosservati e di poterli collegare tra loro è una delle potenzialità offerte dalle moderne tecnologie per lo studio del paesaggio. Nel caso di tracce e features individuate con operazioni di Telerilevamento, è necessario operare un confronto con i diversi tipi di fonti che mostrano scenari a volte completamente differenti; la visibilità ed il rilievo della medesima traccia può cambiare radicalmente in base al supporto e, nel caso specifico di ambienti e paesaggi culturali, la definizione della potenzialità informativa dei dati

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Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.19 - Immagine satellitare (Quickbird) e relativo subset rappresentativi di un’area urbana. Pict. VI.19 - Satellite image (Quickbird) and related subset of an urban area. risulta fondamentale. Per affrontare e risolvere tali problemi è necessario un approccio multitemporale e multispettrale che consente di valutare il periodo di acquisizione e l’ontologia del dato, variabili fondamentali per comprendere come utilizzare il dato stesso. Considerando, in primo luogo, gli strumenti tradizionali quali ortofoto verticali in tonalità di grigio ed a colori, appare evidente come queste abbiano potenzialità variabili in base all’area di ripresa e ciò risulta ascrivibile principalmente, trattandosi di fotografie aeree, alla particolare conformazione del suolo ed alla copertura vegetativa. Tali zone, infatti, intensamente vegetate, sono caratterizzate da una vegetazione che compromette la visibilità, ponendo un forte limite al dato telerilevato; tuttavia, i siti paesaggistici e le emergenze architettoniche, conservati in elevato o allo stato di rudere, possono apparire sulle ortofoto con una soddisfacente evidenza come tracce da micro rilievo, enfatizzate dalla differente crescita della vegetazione spontanea39. Un vantaggio notevole legato all’utilizzo di questi dati è la multi-temporalità che, utilizzando acquisizioni distanziate nel tempo, consente di rilevare ed apprezzare, per quanto in un lasso cronologico ristretto, i mutamenti del paesaggio analizzato e di conseguenza il diverso grado di visibilità delle tracce.

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S. Campana, Le immagini da satellite nell’indagine archeologica: stato dell’arte, casi di studio, prospettive, in Archeologia Aerea. Studi di Aerotopografia Archeologica, 1 (2004), pp. 279-299.

La grande efficienza nella descrizione dell’ambiente e del paesaggio è una caratteristica propria delle rappresentazioni fotografiche, quali foto aeree, ortofoto e immagini satellitari. In un’immagine satellitare, infatti, la rappresentazione masterizzata consente la lettura dei vari fenomeni territoriali non attraverso la lettura geometrica vettoriale, con cui si ha la visualizzazione degli elementi costitutivi (punti, linee, poligoni) che perimetrano gli stessi fenomeni, ma attraverso la colorazione dei vari pixel di cui è costituita l’immagine e la significatività del singolo punto resta limitata alla sua grandezza fisica, riportabile attraverso i parametri di scala alla sua grandezza fisica reale al di sotto della quale, l’immagine non è più in grado di comunicare l’informazione (fig. VI.19 / pict. VI.19). Inoltre, la qualità finale della restituzione ottenuta dall’immagine satellitare è strettamente legata alla discrezione del dato rilevato ed alla risoluzione dell’immagine. Le foto aeree e satellitari restano lo strumento caratterizzato dalla più completa capacità di comunicazione40, rendendo suggestiva la lettura dei fenomeni territoriali e permettendo la formulazione di una propria sintesi che riguarderà espressamente il tema d’indagine. La precisione dimensionale di dati aerei e satellitari è originariamente bassa a causa degli errori di proiezione prospettica, propri della rappresentazione fotografica, che

40

G. Ferranti, Valorizzazione delle informazioni storico cartografiche ai fini dello studio e della conoscenza del territorio. Atti della V Conferenza Nazionale ASITA, (Rimini, 14-16 ottobre 2001), Rimini, 2002, pp. 7-12.

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Cultural Landscapes rendono difficile l’utilizzo per misurazioni di precisione e vengono corretti con parametri di precisione dimensionale e geometrica alti41. L’uso delle foto aeree, oblique e zenitali, utilizzate nell’individuazione e nel rilievo di paesaggi e siti spesso abbandonati, può essere integrato alla tecnologia LiDAR che permette di creare DTM sui quali non compare la vegetazione, rendendo evidenti gli aspetti strutturali e volumetrici che la lettura delle foto aeree può soltanto suggerire. VI.5.3 L’uso del LiDAR Le tecniche di rilievo innovative basate su scansioni laser dello spazio costituiscono al momento la più efficiente innovazione nella materia del rilevamento dello spazio e dell’ambiente. Tale tecnica di rilievo è caratterizzata dalla misurazione dello spazio attraverso un raggio laser che misura con eccezionale precisione la posizione tridimensionale del punto rilevato rispetto al centro di ripresa, che può essere collocato su aerei o elicotteri per la ripresa di rilievi terrestri. Si parla, in tal caso, di sistema di ripresa Airborne LiDAR42 costituito da un laser scanner interfacciato con una coppia di GPS connessi in modalità differenziale e, cioè, capaci di calcolare con elevatissima precisione le coordinate relative dell’aereo rispetto al GPS posizionato a terra; conosciuta la posizione dell’aereo si stima con la stessa precisione la coordinata del punto misurato (fig. VI.20 / pict. VI.20). Limitazioni funzionali alla bontà di tale tecnica di rilievo sono costituite dalla ridondanza dei dati rilevati, talvolta affetti da problemi di diffrazione rispetto agli spigoli degli elementi misurati, all’impossibilità di rilevazione di elementi fisici nascosti coperti, per esempio, dalla copertura vegetale ed alla scarsa capacità di rilievo di caratteristiche fisiche, quali i materiali degli elementi rilevati. I dati LiDAR richiedono un’interpretazione e restituiscono una nuvola di punti (fig. VI.21 / pict. VI.21) tridimensionali che permettono di identificare un modello tridimensionale dello spazio, scansito nel campo delle applicazioni da punto di ripresa statico a terra o di una sorta di modello tridimensionale del terreno quando applicati a bordo di aerei o elicotteri. Il modello tridimensionale costituito dalla nuvola di punti, fornita dal laser scanner, mostra delle fasce colorate che si riferiscono a diverse fasce di altezza utilizzate per una lettura facilitata del modello. Tali modelli 3D del terreno così resi necessitano di un’operazione di classificazione che permetta di identificare i vari elementi scansiti, distinguendo il terreno, gli edifici, la copertura vegetale ed altri oggetti presenti nello spazio indagato. Questa tecnica di rilievo, pur essendo caratterizzata da un’elevata precisione metrica, che risulta in parte limitata per la difficile organizzazione e filtratura dei dati rilevati, mostra 41 G. Scardozzi, Ricerche topografiche e telerilevamento, in Hierapolis di Frigia, 2007, pp. 67-86. 42 La tecnologia LiDAR (Light Detection and Ranging) consiste in scansioni del terreno realizzate da un aeromobile che utilizza un impulso laser e, calcolandone il Time of Flight (TOF), determina la distanza dalla sorgente ed acquisisce nuvole di punti con densità variabili da un punto per m² fino a 1520 punti per m².

alcuni limiti relativi alla catalogazione dei punti rilevati rispetto ai tematismi secondo i quali deve essere ordinato il rilievo quali volumi edificati, marciapiedi, recinzioni, muri etc., tanto che in relazione agli aspetti di fruizione dei dati, questo tipo di rilievo può essere assimilato ai rilievi derivati da immagini raster, quali foto aeree o satellitari. Attraverso le più recenti innovazioni apportate alle tecnologie laser è possibile superare i limiti funzionali legati al rilievo delle caratteristiche del materiale e, mantenendo alta l’accuratezza e la precisione di rilievo, garantire una buona misurazione degli elementi che appaiono coperti dal verde, attraverso l’abbassamento della complessità delle nuvole di punti e la restituzione di forme geometriche con la conseguente eliminazione dei punti ridondanti. Inoltre, la lettura delle restituzioni LiDAR richiede una costante verifica e connessione con dati e metodi tradizionali di studio del territorio, quali l’aerofotointerpretazione, lo studio delle fonti scritte e cartografiche, la ricerca e ricognizione in situ e le prospezioni di superficie e solo se affiancata a tali tecniche si dimostra un valido strumento per lo studio dei siti, dei sistemi particellari, dei terrazzamenti, della rete viaria e, in generale, dei paesaggi. Tale metodo d’indagine può essere applicato e calibrato anche su differenti e specifiche tipologie di paesaggi storicamente documentati, in quanto permette di individuare tracce ed elementi difficilmente visibili attraverso la fotografia aerea, soprattutto a causa della forte crescita della vegetazione. La visione tridimensionale, combinata alle diverse funzioni di enhancement e filtraggio delle immagini, permette di apprezzare aree ed evidenze difficilmente individuabili nella visione a due dimensioni. La fotografia aerea, inoltre, sovrapposta al modello tridimensionale del terreno, rappresenta un ulteriore strumento utile per contestualizzare i singoli elementi e le emergenze del paesaggio naturale ed antropico circostante, generalmente costituito da vie di comunicazione, risorse idriche ed edifici. Alcuni limiti relativi all’uso del LiDAR come strumento d’indagine del paesaggio riguardano la difficoltà di individuare features in presenza di forti pendenze, che influiscono negativamente sulla qualità del rilievo tridimensionale, alle alte quote in cui la risoluzione del rilievo è spesso minore o ancora in presenza di vegetazione molto fitta o molto bassa, in cui permane un ‘rumore di fondo’ o speckle che rende difficoltosa l’individuazione di tracce antropiche. Per tali ragioni è necessaria una buona conoscenza dell’area da indagare e delle caratteristiche specifiche delle evidenze su cui focalizzare l’analisi, nonché la necessità di far seguire all’analisi remota una campagna di survey43. L’analisi da Remote sensing e, in particolare, l’osservazione del DTM del LiDAR in tre dimensioni, correlata ad un esame mirato e alle notizie storiche derivate dalla bibliografia e dalla ricerca archivistica, permette di ricostruire il paesaggio modellato dalle attività antropiche e naturali ed ipotizzare rapporti stratigrafici relativi tra le 43

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Azzari-De Silva-Pizziolo, 2002, pp. 30-31.

Nuovi metodi e tecnologie

Fig. VI.20 - Il sistema Lidar. Schema delle tecnologie integrate: laser scanner (LRF, Laser Range Finder), GPS e piattaforma di navigazione inerziale (INS). Pict. VI.20 - Lidar system. Scheme of integrated technologies: laser scanner (LRF, laser range finder), GPS and inertial navigation platform (INS).

Fig. VI.21 - I dati Lidar restituiscono la nuvola di punti tridimensionali che permette di ottenere un modello tridimensionale dello spazio indagato. Pict. VI.21 - Lidar data give a 3D point cloud to do a tridimensional model of the investigated area.

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Cultural Landscapes

Fig. VI.22 - Rilievo laser scanner di una cava. Pict. VI.22 - Laser scanner survey of a quarry. diverse tracce individuate e, con un ulteriore approfondimento, permette di sviluppare una cronologia assoluta (fig. VI.22 / pict. VI.22). Nonostante alcuni limiti di tale tecnologia, che derivano principalmente dall’acquisizione stessa e dall’elaborazione dei dati, le restituzioni LiDAR appaiono fondamentali per lo studio del paesaggio, in quanto permettono non solo la ricognizione remota di aree coperte da bosco e da altra vegetazione, ma anche la creazione di un modello digitale del terreno estremamente dettagliato ed una lettura finale ed approfondita delle aree indagate. Lo strumento LiDAR, inoltre, garantisce un’attendibilità del dato notevole che richiede sistematicamente una verifica attraverso le ricognizioni sul terreno che, spesso, consentono di rilevare e mostrare come tracce visibili sulla scansione non corrispondano alla prima classificazione fatta da remoto. In situazioni particolarmente agevoli, inoltre, è possibile scoprire paesaggi nascosti e ‘de-stratificare’ sistemi paesaggistici complessi, formatisi nel tempo. Infine, lo sviluppo di tali metodologie innovative mostra numerose conseguenze ed aspetti positivi, relativi allo studio delle dinamiche insediative di un territorio e dei processi di trasformazione dei paesaggi e può essere considerato un utile strumento per l’analisi del territorio e dei paesaggi culturali per i quali si propone un intervento di tutela e di valorizzazione. VI.6 GIS e Webgis come strumenti dello ‘spazio globale’

le varie tipologie di dati e illustrazioni. I GIS, con una struttura ed un’ossatura costituita dall’integrazione di differenti tecnologie informatiche e know-how, sono assimilabili ad una tecnologia modulare per la gestione grafica di dati spaziali e database alfanumerici, che consentono di gestire, analizzare ed integrare dati geografici di diversa natura ed i relativi attributi44. Inoltre, poiché permettono di acquisire, trasformare, analizzare e riprodurre i dati spaziali riferiti al territorio, costituiscono uno strumento comunicativo e analitico di particolare rilievo nello studio dei paesaggi della contemporaneità45. In una geografia che presenta strutture sempre più complesse e poliedriche ed in uno spazio in cui la dimensione temporale, a causa delle intersezioni culturali e della compresenza di strati culturali diversi, risulta particolarmente complessa, i GIS appaiono come lo strumento più adatto, in grado di ordinare una serie di informazioni che altrimenti risulterebbero di difficile gestione, per la rappresentazione e l’analisi delle nuove articolazioni territoriali. L'attuale cartografia è generata da dati di tipo numerico che, inseriti in sistemi informatici, rendono immediato l'editing e l’organizzazione delle informazioni acquisite interfacciando e trasformando, in tempo reale, le coordinate ricavate dalla coppia di foto aeree in coordinate relative del territorio e traducendo direttamente in formato vettoriale numerico le immagini. L'evoluzione tecnologica, la sempre più frequente disponibilità di cartografia di tipo numerico e la necessità di più complesse elaborazioni ha incentivato la produzione di nuovi strumenti automatici che nell'elaborazione dei dati

Decisamente più difficile, rispetto al Telerilevamento, è riuscire a definire in modo univoco ed esaustivo i Sistemi Informativi Geografici che, negli ultimi vent’anni, si sono diffusi ed affermati con una forza costantemente in crescita come una scienza interdisciplinare dell’informazione 44 Caratteristica dei sistemi GIS e quella di voler combinare funzionalità di geografica, influenzando principalmente le discipline tipo CAD e di trattamento di dati provenienti da cartografia digitale afferenti alle Scienze della Terra. Con lo sviluppo delle (georeferenziata) con dati di tipo attributo attraverso strumenti di gestione di tecnologie informatiche i Sistemi Informativi Geografici Database, qualificandosi sia come strumento di supporto alle decisioni (DSS Decision Support System) sia come aiuto nell'organizzazione e (GIS), hanno ampliato le possibilità di accesso, gestione ed sistematizzazione del patrimonio informativo. elaborazione di dati geografici, rendendo integrabili tra loro 45 Baiocchi-Lelo, 2002, pp. 2-9. 112

Nuovi metodi e tecnologie acquisiti fossero di adeguato supporto nei possibili interventi sul territorio, fornendo un aiuto nelle scelte di tipo politico, pianificatorio, tecnico e progettuale.

essenziale di analisi per una geografia, materiale e virtuale, creata dalla relazione tra realtà e rappresentazione della stessa.

È questo lo scopo principale per il quale nascono i sistemi GIS, in cui vengono inserite non solo le informazioni georeferenziate relative ai dati geometrici sul territorio, ma anche informazioni di tipo qualitativo e quantitativo del singolo elemento contenuto nella carta consentendo, inoltre, di estrapolare rapporti topologici del singolo elemento con l'intorno.

VI.6.1 Alcune applicazioni: la viewshed analysis, i modelli digitali e i webgis

Allo stato attuale i sistemi GIS si qualificano come gli strumenti informatici più potenti per la gestione, organizzazione e rielaborazione di dati sul territorio e, attraverso la relazione fra i vari tipi di archivi associati agli elementi grafici delle mappe che possono essere anche disposti su differenti livelli, è possibile ottenere informazioni relative alla localizzazione di un oggetto, espressa con il nome della località o con una coppia di coordinate. Inoltre, è possibile visualizzare informazioni relative alle trasformazioni subite nel tempo dall’area indagata, in maniera da immaginarne i possibili sviluppi, oltre ad elaborare modelli in cui mostrare le simulazioni inerenti l'inserimento di un nuovo progetto sul territorio analizzato per verificare le eventuali trasformazioni del paesaggio. Pertanto, a seguito di questo miglioramento tecnologico, viene proposta sempre più frequentemente l’elaborazione relativa all’illustrazione volumetrica dello spazio attraverso i modelli tridimensionali del territorio che permette una rappresentazione esatta dello spazio urbano46. Lo scenario di riferimento è, dunque, la rappresentazione dello spazio, ottenuta integrando molteplici tecnologie di realtà virtuale per la rappresentazione realistica dell’ambiente, con conseguente aumento esponenziale della capacità comunicativa dei modelli realizzati, dotati di contenuti illustrativi di straordinaria leggibilità. L’applicazione di tali metodologie permette di plasmare e strutturare un contesto immaginario, conferendogli credibilità a tal punto da farlo coincidere, sia pure in maniera virtuale, con la realtà, creando un’interazione tra realtà e immaginazione, tra elemento fisico e sua percezione. Inoltre, l’analisi di uno scenario reale caratterizzato da un gioco di spostamenti e di trasferimenti, in cui l’interazione umana diventa la chiave di comprensione di un paesaggio che rappresenta la realtà, le elaborazioni GIS e l’analisi spaziale consentono di ricercare e analizzare i luoghi in cui prendono corpo nuove configurazioni tra uomo e ambiente, e di visualizzare un’analisi geografica che elimina, per quanto possibile, lo scarto esistente tra realtà e rappresentazione.

Tra le principali applicazioni ed elaborazioni implementabili con i GIS si propongono l’analisi della sensibilità visiva del paesaggio, interpretato secondo una lettura quantitativa ed estetico-percettiva e la modellazione dello spazio che permette di sintetizzare in una rappresentazione tridimensionale di un modello virtuale equivalente ad un plastico fisico, l’osservazione diretta del sito geografico originale analizzato da punti di vista posizionati ad altezza d’uomo così come da punti di vista aerei. Nel caso dell’analisi di visibilità (Viewshed Analysis), le aree maggiormente visibili del territorio possono essere individuate in modo automatico ed informatizzato, e le analisi dei bacini visuali consentono di ottenere una simulazione complessa delle relazioni tra morfologia del paesaggio e punti di osservazione (fig. VI.23 / pict. VI.23). Si tratta di una tecnica di analisi spaziale che utilizza gli algoritmi delle lines of sight per determinare la visibilità di aree da un determinato punto di osservazione del territorio; si calcola il campo di osservazione, definito bacino visuale, rispetto alla posizione e all’orizzonte visivo di un osservatore, e sulla base di un modello digitale del terreno (DTM), si determina la visibilità relativa da punti di vista predeterminati per ogni cella in cui è discretizzata l’area di studio. Il risultato finale di tale analisi è la creazione di una carta della sensibilità visiva del paesaggio, che permette di suddividere in classi il numero di sovrapposizioni e valutare le aree più visibili rispetto alle altre. Graficamente è possibile attribuire alle classi precedentemente ottenute un range di colori semaforici, evidenziando le aree a maggiore sensibilità visiva che sono, quindi, interpretate come quelle che presentano maggiore sensibilità visiva rispetto alle trasformazioni territoriali e del paesaggio, ossia quelle in cui l’impatto della trasformazione è potenzialmente maggiore, perché visibili da più punti. Tale analisi appare di notevole utilità in quanto consente di valutare i criteri localizzativi di eventuali interventi sul territorio, soprattutto di quelli potenzialmente impattanti, rappresentando così uno strumento di grande interesse per l’analisi del paesaggio esistente e delle trasformazioni in atto.

Considerando l’applicazione relativa alla costruzione di un modello virtuale tridimensionale, questa offre la possibilità, tramite l’ombreggiamento ed altre tecniche di Ciò si ottiene tramite la costruzione di un’immagine che sia rappresentazione sviluppate nella realtà virtuale, di nello stesso tempo dinamica e poliedrica, mutevole, priva di avvicinarsi sempre più al sistema percettivo umano, rendendo modelli teorici e risultato di una visione complessa che possibile la comunicazione immediata di informazioni prevede più voci e punti di vista. I GIS, creando immagini complesse che riguardano il territorio, inserite in un contesto digitali del paesaggio indagato, rappresentano uno strumento di emergenze naturalistiche proprie del paesaggio o, analogamente, di volumetrie architettoniche proprie dello spazio urbano. 46 Azzari-De Silva-Pizziolo, 2002, pp. 30-31. 113

Cultural Landscapes

Fig. VI.23 - Visibilità delle celle da un punto o una linea di osservazione. Pict. VI.23 - Visibility of the cells by a dot or a line of observation.

Fig. VI.24 - Modelli digitali del terreno (Digital Terrain Model – DTM). Pict. VI.24 - Digital terrain models (DTM).

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Nuovi metodi e tecnologie

CAMPI DI APPLICAZIONE DEI MODELLI DIGITALI DEL TERRENO SCIENZE DEL SUOLO

- predizione e zonizzazione dell’umidità del suolo, di materia orga-nica, dello spes-sore degli oriz-zonti dei suoli - mappatura dei suoli - predizione della distribuzione degli agenti inquinanti

IDROLOGIA

GEOMORFOLOGIA

- modellizzazione spazio-temporale e mappatura del deflusso dei bacini idrografici, della pro-fondità della falda idrica, del ruscella-mento - modellizzazione e zonizzazione dell’evapotraspirazione - mappatura della re-te idrica - delineazione del bacino idrografico

- classificazione quantitativa delle forme morfologiche - predizione e zonizzazione del ri-schio di erosione dei suoli - modelli tridimensionali del sistema ambientale

GEOLOGIA

- individuazione di lineamenti ed altre strutture geologiche - predizione e zonizzazione del ri-schio di erosione dei suoli

SCIENZE FORESTALI

- zonizzazione della copertura vegetale

Fig. VI.25 - Campi di applicazione del Modelli digitali del terreno (Digital Terrain Model – DTM). Pict. VI.25 - Application fields of digital terrain models (DTM). Il sistema di rappresentazione permette di illustrare le relazioni tra forma e misura nelle scale proprie dello spazio indagato, garantendo la valutazione degli aspetti percettivi e la produzione di modelli orografici virtuali che, operando con elementi planari cui è attribuita la quota di elevazione, gestiscono veri modelli tridimensionali e, tramite appositi algoritmi, operano sulla geometria e generano dei modelli con una rappresentazione finale, di modesta complessità (fig. VI.24 / pict. VI.24). L’uso di tali tecniche di modellazione consente la costruzione del contesto territoriale, che appare tanto preciso da poter essere utilizzato come una sorta di matrice spaziale sulla quale sovrapporre e integrare oggetti provenienti da campagne di rilievo diretto, correttamente georelazionati al contesto e, infine, rappresentare in modalità realistica, con l’ausilio di tecniche di rendering, delle immagini di straordinaria completezza formale e straordinaria precisione e rispondenza alla realtà (fig. VI.25 / pict. VI.25). I modelli digitali del terreno costituiscono una forma di rappresentazione del paesaggio che consente, attraverso la possibilità di gestire un alto numero di dati, di superare la bidimensionalità delle rappresentazioni fornite da mappe o da fotografie aeree, arrivando a controllare la terza dimensione (fig. VI.26 / pict. VI.26).

strumenti utili alla condivisione dei dati ed alla comunicazione immediata della complessità della ricerca47. Si tratta, in termini generali, di un’ampia base di dati georeferenziati, consultabile sotto forma di tabelle relazionate tra loro oppure sotto forma di cartografia complessa, visualizzabile, implementabile, confrontabile, sovrapponibile in uno spazio bidimensionale e collegato ai dati alfanumerici (attributi) e modificabile in rete. La realizzazione e l’uso del WebGis, strumento comune con accesso multiutente, permette di cartografare e catalogare i dati relativi all’intero territorio analizzato e non lo considera come luogo finale dove i risultati di ricerche pregresse vengono pubblicati sul web. La ricerca e l’analisi del Paesaggio, come dimostrato in precedenza, non può limitarsi al concetto puntuale di sito, ma deve considerare tutto il territorio come risultato di una lunga evoluzione, in un processo diacronico di trasformazione che risulta ancora leggibile attraverso la lettura del paesaggio stratificato. Lo studio propone, pertanto, come punto di partenza la definizione delle unità di paesaggio (udp) come unità spaziali che si caratterizzano per omogeneità nella forma e nelle funzioni e, probabilmente, risultanti da un unico intervento antropico o da interventi ravvicinati nel tempo, e in una piattaforma WebGis tali elementi, connessi ad altre eventuali emergenze, quali elementi idrografici ed infrastrutture vengono cartografati e rilevati con i dati alfanumerici ad essi collegati. La catalogazione delle evidenze appare possibile

Molteplici sono le tipologie di modelli tridimensionali che si possono generare attraverso tali metodologie che offrono la possibilità di sovrapporre allo stesso oggetto realtà passate o virtuali o di creare infinite viste, configurandosi come un mezzo di supporto per il controllo delle trasformazioni subite dal paesaggio in un certo arco di tempo e per immaginarne 47 Con i WebGIS le applicazioni GIS tradizionalmente sviluppate per utenze virtualmente i successivi sviluppi (fig. VI.27 / pict. VI.27). stand-alone o in ambienti LAN possono essere implementate su web server, Infine, si propone un’ulteriore metodologia che si presenta anche detto map-server, consentendo l'interazione attraverso internet con la come l’estensione al web dei GIS, da cui il nome WebGIS, cartografia e con i dati ad essa associati. 115

Cultural Landscapes

Fig. VI.26 - Rappresentazione del DEM (Digital Elevation Model) Ikonos e della aree in frana. Pict. VI.26 - View of Ikonos DEM (Digital Elevation Model) and landslide areas.

Fig. VI.27 - Rappresentazione dei Modelli DTM (Digital Terrain Model) e DSM (Digital Surface Model). Pict. VI.27 - View of DTM (Digital Terrain Model) and DSM (Digital Surface Model). mediante l’utilizzo delle risorse cartografiche quali i tematismi vettoriali elaborati relativamente ai differenti strati informativi (viabilità, idrografia, uso del suolo, etc) oltre all’uso di ortofoto digitali e foto aeree e satellitari, delle superfici DTM e DSM ad alta risoluzione ottenuti tramite tecniche LiDAR, e di carte storiche georeferenziate, a cui deve seguire necessariamente uno studio approfondito sviluppato con ricognizioni e ricerche d’archivio. L’analisi condotta su una piattaforma webgis, con un aggiornamento costante, permette di visualizzare la stratificazione delle fonti e creare per ciascun elemento del paesaggio, caratterizzato da rapporti stratigrafici, di tipo fisico e geometrico con il contesto, la ricostruzione in sequenza del paesaggio stesso, inteso come un «sito dilatato»48. L’elaborazione e l’implementazione nella piattaforma GIS, permettono il controllo delle relazioni diacroniche e sincroniche tra i diversi elementi e il costante arricchimento delle conoscenze, aumentando in tal modo le prospettive e gli 48 J. M. Martin Civantos, Il territorio stratificato: proposte dall'Archeologia del Paesaggio, Atti del IV Congresso nazionale di Archeologia Medievale, (Firenze, 2006), R. Francovich, M. Valenti (a cura di), Firenze, 2006, pp. 38.

spunti di analisi in funzione di un approccio dinamico alla realtà ecologica e culturale del paesaggio analizzato. VI.7 Dalla microlettura tecnologica alla storia del paesaggio L’utilizzo delle tecniche di Telerilevamento, unitamente con il GIS è di fondamentale supporto per la mappatura del paesaggio e l’analisi multitemporale dei cambiamenti (Change detection)49. Le problematiche di carattere ambientale e territoriale, data la loro complessità, per essere affrontate e studiate necessitano anche di un enorme numero di informazioni specifiche su grandi scale spaziali che devono poi essere sintetizzate opportunamente e rese fruibili per la comprensione dei fenomeni e dei processi, nonché per le conseguenti azioni di intervento sul territorio stesso. Tale tipo di informazioni, con le relative metodologie di esecuzione, può essere ottenuto attraverso l'adozione di sistemi di indagine che utilizzano congiuntamente le 49

Si definisce Change Detection Analysis l’analisi delle trasformazioni territoriali, condotta mediante il confronto tra le immagini satellitari relative alla medesima scena ma acquisite in epoche differenti.

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Nuovi metodi e tecnologie tecnologie aerospaziali di Telerilevamento (TLR) e quelle connesse ai Sistemi Informativi Territoriali (GIS). In particolare, le tecniche di Telerilevamento rappresentano la principale e più importante sorgente di dati ed informazioni per lo studio del paesaggio e dei suoi cambiamenti nel corso del tempo. Infatti, utilizzando dataset multi-temporali di immagini telerilevate è possibile identificare e mappare i cambiamenti nel paesaggio, valutarne le caratteristiche in differenti periodi di tempo, comprenderne le dinamiche spazio temporali ed elaborare un’interpretazione analitica di supporto alle attività di pianificazione e monitoraggio del territorio50. Quanto detto dimostra forti connessioni tra le microstorie dei paesaggi e la storia che, nei secoli, ha fatto da sfondo alle trasformazioni verificatesi in ambiti ristretti e riconoscibili nei cambiamenti delle forme del paesaggio e nei modi di relazione tra uomo ed ambiente all’interno degli scenari ecosistemici analizzati51. L’analisi e lo studio del paesaggio e del territorio affronta il suo oggetto a diversi livelli spaziali e richiede, a seconda della scala d’analisi scelta, strategie e tecniche innovative specifiche. Dall’analisi alla macro e micro scala, si giunge ai sistemi paesaggistici complessi, ai siti e, infine, alle singole unità di paesaggio, il cui studio, partendo dagli aspetti della viabilità e dei flussi ad ampio raggio, attraverso la definizione dei rapporti di simbiosi tra le diverse unità di paesaggio, guarda ai collegamenti a breve raggio, alla sistemazione del territorio e, identificati gli elementi interni al sito e le unità topografiche, fornisce indicazioni sulle caratteristiche, sulla formazione e sullo sviluppo nel tempo, evidenziando distinte tematiche e costruendo distinti modelli da integrare tra loro. I diversi livelli corrispondono a spazi reali, delimitabili fisicamente, per la cui caratterizzazione sono da valutare i molteplici aspetti e le valenze culturali, a cui si giunge con un primo fondamentale apporto conoscitivo fornito, ai diversi livelli, dall’aerofotointerpretazione che, integrata allo studio della geomorfologia e del rilievo e alla consultazione delle mappe, rappresenta un approccio globale al territorio e può piegarsi agevolmente anche ad analisi spazialmente più complesse.52 La ricognizione diretta del territorio, mirata e realizzata attraverso verifiche puntiformi, orientate alla leggibilità, rappresenta il necessario complemento ed assume il duplice aspetto di verifica sul campo degli elementi individuati sulle foto aeree e satellitari e di allargamento sistematico dell’indagine a quelle zone del territorio che forniscono le chiavi interpretative del paesaggio indagato. Allo stesso scopo, è necessario che l’attività foto interpretativa sia 50 A. M. Dewan, Y. Yamaguchi, Using remote sensing and GIS to detect and monitor land use and land cover change in Dhaka Metropolitan of Bangladesh during 1960-2005, in Environ Monit. Assess., 150 (2009), pp. 237-249. 51 G. Schmiedt, Contributo della fotografia aerea allo studio delle relazioni fra l’uomo e l’ambiente naturale, in L’uomo e il suo ambiente, Quaderni di san Giorgio, 1963, p. 34. 52 P. Sereno, Archeologia del paesaggio rurale: i limiti dell’aerofotointerpretazione, in Archeologia Medievale, II (1975), pp. 424427.

preceduta dalla consultazione di fonti di vario tipo e dalla costruzione di un documento di base e di confronto che comprenda dati molteplici ed in continuo aggiornamento e collegamento. Pertanto, l’aerofotointerpretazione si configura come uno strumento di lettura del paesaggio non esclusivo e non rigido, in quanto è connesso alla rielaborazione di altre fonti e all’applicazione combinata di differenti metodologie d’indagine e consente la lettura del paesaggio, coniugando gli aspetti della ricerca scientifica e della sperimentazione con quelli della valutazione e dell’analisi spaziale, con particolare attenzione all’aspetto tecnico ed al dato puntiforme, oltre che a quello sintetico e ricostruttivo.53 La metodologia d’analisi prevede l’osservazione stereoscopica delle strisciate fotografiche che permette di cogliere sinotticamente la configurazione geomorfologica e i caratteri del paesaggio, quali il tessuto particellare, la viabilità e la tipologia d’occupazione dell’area, a cui necessariamente segue il grado più approfondito e mirato di analisi raggiunto con l’elaborazione informatica delle immagini, con operazioni di image processing ed image ehnancing, con trattamenti finalizzati alla rimozione di eventuali disturbi (image rectification and restoration), a manipolazioni e ad elaborazioni in pseudo colori e falsi colori, al fine di esasperare i segni osservati e le anomalie rilevate sul paesaggio. Alla base dell’analisi foto interpretativa e della campionatura del paesaggio oggetto di studio, viene necessariamente posto il concetto di sistema paesaggistico che ha valore principalmente sul piano operativo, in quanto aiuta a costruire, per ambiti ristretti e opportunamente determinati, modelli interpretativi e permette di confrontarli tra loro. La lettura del territorio per singole unità o per sistemi più complessi di paesaggio consente di rilevare gli insediamenti, le aree destinate all’agricoltura ed i siti con funzioni particolari e permette di valorizzare gli elementi e le evidenze costituite da emergenze architettoniche e naturalistiche, la cui considerazione è imprescindibile per definire la storia del paesaggio nella sua globalità. I criteri di interpretazione del paesaggio richiedono, inoltre, una particolare attenzione alle molteplici variabili connesse alla visibilità del paesaggio all’attuale destinazione del territorio, alla specifica geomorfologia, alla distribuzione degli insediamenti ed alla stagionalità dei lavori agricoli, che determinano sia le caratteristiche del territorio sia la sua resa fotografica. Appare necessario, pertanto, calibrare i dati con considerazioni sulla visibilità, per poter valutare le variazioni cromatiche e tonali, che appaiono di difficile interpretazione e che dipendono dalle differenti caratteristiche geomorfologiche, naturali ed antropiche del territorio, intervenendo sui fattori di disturbo e sulla resa tonale delle riprese fotografiche. La fotointerpretazione, connessa a riscontri e ricognizioni in situ che portano ad un incremento delle informazioni proporzionale al maggior grado di visibilità del paesaggio, si 53

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Schmiedt, 1966, pp. 773-837.

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Fig. IV.28 - Mappa concettuale di metodo per lo studio del Paesaggio. Pict. IV.28 - Methodological conceptual map to study the Landscape. configura come la strategia d’analisi più adatta ma, finalizzata allo studio del paesaggio e dei suoi cambiamenti nel tempo, oltre che al rilievo di elementi e tracce da decifrare, fornisce indicazioni che risultano utili se integrate con la lettura stratigrafica del paesaggio stesso, con i dati della cartografia storica e con l’analisi multitemporale, in modo da ricostruire l’ideale mosaico rappresentato dal paesaggio. La fotointerpretazione, che si dimostra particolarmente idonea per l’analisi di paesaggi per i quali la visibilità a terra è scarsa o nulla, non va confusa con la lettura della fotografia aerea poiché non si tratta di una semplice osservazione, ma di un vero e proprio processo intellettuale di analisi e di sintesi, che attraverso l’identificazione di elementi visibili, consente di dedurre alcuni aspetti di ciò «che non si può vedere». La fotografia aerea e satellitare è un «documento ricco di dati ma muto»54 che per poter parlare e descrivere ogni aspetto del paesaggio raffigurato richiede un approccio sistemico ed un quadro completo del territorio, dal punto di vista storico, culturale, topografico e geomorfologico. L’immagine osservata viene decifrata e scomposta in una serie di realtà ed elementi nascosti appartenenti ad epoche diverse e visibili solo attraverso l’interpretazione dei segni presenti sul territorio, che non può essere ridotta alla redazione di un’anonima planimetria, ma richiede ulteriori informazioni ottenute attraverso la ricostruzione diacronica di ciò che è osservabile sul paesaggio. La verifica a terra, puntuale e sistematica, contribuisce alla comprensione del paesaggio indagato, delle dinamiche evolutive e delle 54

Schmiedt, 1966, pp. 773-837.

trasformazioni dei rapporti esistenti tra i punti cardine della maglia insediativa e l’organizzazione del territorio. Utile a tale scopo è la sovrapposizione di voli realizzati in epoche diverse che rende possibile la valutazione delle trasformazioni territoriali causate da fenomeni naturali e/o antropici, e affiancata al confronto con altre fonti, come la cartografia storica e i documenti d’archivio, permette di sperimentare le potenzialità e le problematiche della foto interpretazione tradizionale attraverso le moderne elaborazioni con visualizzazioni multi livello da cui è possibile leggere in chiave diacronica il paesaggio pluristratificato, in ambiente GIS. L’approccio analitico proposto, appare strutturato in due momenti diversi, di cui il primo con uno sguardo globale volto all’individuazione di macro evidenze ed elementi, quali le tracce di parcellizzazioni, di viabilità e di terrazzamenti, ed il secondo caratterizzato da uno zoom di dettaglio volto all’individuazione puntuale. Le due fasi saranno in sinergia tra loro, poiché è indispensabile il collegamento tra un’analisi del territorio su macro scala e una successiva visione, volta all’individuazione delle caratteristiche del paesaggio. Questo studio vuole proporre la sperimentazione e la valutazione delle più attuali metodologie di ricerca ed indagine associate alla fotointerpretazione che con l’impiego di tecnologie informatiche e di strumenti propri di altri ambiti disciplinari, contribuiscono alla ricostruzione del paesaggio, attraverso l’individuazione dei suoi segni caratterizzanti. Tali metodologie, in parte d’impostazione prettamente tradizionale, oltre alla foto aerea di impostazione tradizionale che prevede la lettura ed interpretazione di tracce, elementi

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Nuovi metodi e tecnologie ed anomalie, visibili mediante stereoscopia e successivi raffronti su voli di epoche differenti, propongono un approccio multi-metodologico di sintesi, possibile con l’uso del GIS, che svolge un ruolo di supporto all’acquisizione e all’informatizzazione dei dati, con successiva georeferenziazione, integrazione degli elementi riscontrati entro i sistemi cartografici, elaborazione delle immagini aeree e satellitari, e trattamento e processamento delle stesse fino alle visualizzazioni tridimensionali (fig. VI.28 / pict. VI.28). Le visualizzazioni multi livello, così ottenute, consentono la ricostruzione dell’ossatura dei vari sistemi di paesaggio e le visualizzazioni tridimensionali con le applicazioni di analisi spaziale, permettono una migliore valutazione dell’impatto che eventi naturali e antropici hanno avuto nel corso del tempo sul territorio. La presente trattazione fornisce la descrizione di una parte specifica di una più ampia linea di ricerca, riguardante l’analisi e la comprensione del paesaggio e dei fenomeni di trasformazione del territorio, attraverso innovative e moderne tecnologie. I risultati qui ottenuti confermano la capacità delle tecniche di TLR, combinate ai GIS, di fornire strumenti utili ed efficaci per comprendere le dinamiche del cambiamento nell’uso del suolo, mediante dettagliate analisi spazio-temporali, di interpretazione della realtà paesaggistica secondo modelli predittivi fondati sulla foto interpretazione, di gestione in modo integrato delle informazioni spaziali dell’area di interesse, costituendo altresì la base per strumenti di localizzazione, tutela e valorizzazione dei paesaggi stessi.

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CAPITOLO VII IL PAESAGGIO CULTURALE COME PROGETTO Roberto Reali Il telefono, a quell’epoca, non era ancora di uso corrente come oggi. Eppure l’abitudine fa così presto a spogliare del loro mistero le forze sacre con cui siamo messi in contatto che, non avendo avuto subito la comunicazione (…), trovavo che non fosse, per i miei gusti, sufficientemente rapida (Marcel Proust) Abstract

il ‘si dice’, ‘si ritiene che’, rappresenta il compito principale di chi vuole trattare leggi della chimica o della fisica.

The landscape is not simply an aesthetic representation, or a succession of static images. The elements that characterize the landscape are the result of unconscious action of the nature and of man throughout history and its value is ensured by the presence of both. These characteristics make the landscape an instrument of knowledge that can be used as a signal of something that is beyond of the definitions of traditional science. The contemporary world has realized that the experience and observation of natural phenomena can not be reduced to individual events but they need an overall view can communicate the complexity. Keywords Scientific Knowledge, Technology, Art, Nature, Human Action, History, Natural Environment VII.1 Il paesaggio e le scienze esatte Tutti si affrettano, parlando di ‘paesaggio’, a dichiarare che nella sua definizione vi sia la caratteristica fondamentale di essere interdisciplinare1. Eppure il continuo richiamo alla sua trasversalità fa sorgere il sospetto di non sapere quasi mai di cosa si parli discutendone. L’attributo ‘interdisciplinare’ dovrebbe, in realtà, sorgere come conseguenza di un chiarimento del concetto di ‘paesaggio’ e non essere invece presupposto come un dato implicito od acquisito. Il termine di confronto, per comprendere allora come si possa definire un oggetto d’indagine, potrebbe essere richiamato dallo statuto delle cosiddette scienze esatte. Queste ultime partono, com’è noto, da una rigorosa definizione di ciò di cui trattano. La formulazione di un’ipotesi, la sua conferma attraverso prove sperimentali e l’avanzamento della conoscenza alla luce dei risultati acquisiti rappresentano, metodologicamente, il loro terreno d’elezione. Avanzare con prudenza eliminando

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La citazione di apertura è stata tratta dall’opera di M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La parte di Guermantes, a c. di G. Raboni, Milano, 1986, vol. II, p. 156.

Ma la rigorosa elaborazione di questo metodo è stata sottoposta, soprattutto nella prima parte del ‘900, ad un dibattito critico approfondito. La costruzione dell’oggetto dell’osservazione scientifica fu rivoluzionata, ad esempio, dalla fisica di Heisenberg. Il teorema sull’indeterminatezza ha mostrato come la divisione tra osservante ed osservato risulta impossibile nella descrizione di particolari fenomeni fisici ed è necessario utilizzare una nozione di oggettività più flessibile e critica per comprendere modalità differenti di acquisizione del sapere: «l’oggetto conosciuto, infatti, l’oggetto quale risulta dalla conformazione del senziente, è l’oggetto che (…) è sempre formato anche dalle immancabili sensazioni con la loro natura qualitativa»2. Accanto a questa trasformazione dell’oggetto della scienza ci si è anche resi conto, soprattutto per le indagini riguardanti le scienze biologiche, che molte osservazioni non potevano fermarsi ad un esame meramente quantitativo. Vi è stato allora un progresso in quest’ambito quando si è spinta l’analisi verso territori più complessi: «da diversi anni (…) alcuni settori delle scienze biologico-ambientali avanzano una precisa richiesta di storia sollecitando, nelle ricostruzioni delle trasformazioni ambientali, documentazione e metodi ancora poco abituali nella corrente ricerca storica e geografica»3. Nel frattempo gli stessi storici hanno ormai compreso come, accanto allo studio tradizionale delle fonti, è stato necessario affiancare studi sui cicli naturali e ambientali, visti come elementi di esperienza e dotati di vis oggettive e testimoniali per interpretare gli avvenimenti del passato. Vi è, in questo, una sorta di similitudine allo studio delle testimonianze archeologiche. Nessuno studioso di Storia oserebbe rifiutare un’evidenza monumentale come elemento del proprio lavoro d’interpretazione4. 2

Scaravelli, 1968, p. 156. Moreno, 1989, p. 883. 4 P. Bevilacqua, I caratteri originali della storia ambientale italiana. Proposte di discussione, in I frutti di Demetra, 8 (2005), pp. 5-13, e Id., La terra è finita, breve storia dell’ambiente, Bari, 2008. Si veda anche M. Agnoletti, Il paesaggio e le scienze forestali in Italia, in I frutti di Demetra, n. 8 (2005). Agnoletti ha ben colto il problema di una naturalità senza cultura nelle vicende contemporanee che si occupano di cura del territorio posto in maniera semplicemente astratta o naturalizzante: «All’inevitabile degrado del 3

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Cultural Landscapes Possiamo dire che accanto ad un Universo, presupposto come un meccanismo obbediente a leggi universali che presiede all’osservazione di un fenomeno naturale, si sono introdotti due elementi problematici e bisognosi di riflessione. Il primo è il problema di come il Tempo intervenga nelle trasformazioni ambientali e quindi modifichi anche i campi di osservazione di alcune scienze; il secondo è il problema, sollevato dalla fisica contemporanea, dell’interazione tra soggetto osservante e cosa osservata. L’indagine scientifica che prendeva le mosse dall’idea di un modello interpretativo posto in un universo atemporale e formulato con una distinzione rigorosa tra oggetto e soggetto è ormai sottoposto ad una considerazione critica tale da ridurre il campo entro cui assume validità e certezza5. La mappa delle scienze esatte non ha più confini così rigidi per cui la conoscenza non debba sentire la necessità di tornare, ogni volta, sui suoi presupposti per fondare la legittimità delle sue leggi ed anche la ricerca di una definizione di paesaggio non solo è resa possibile dalla nuova riflessione sul sapere scientifico ‘oggettivo’ ma si può ipotizzare che alcuni dei suoi elementi distintivi possano essere utili per comprendere meglio questo cambiamento. Va comunque chiarito immediatamente che il tentativo di creare un terreno comune di lavoro non appartiene ad una ridicola confusione tra discipline differenti: «gli scienziati, gli studiosi di scienze sociali e gli storici, lavorano tutti, in branche diverse nella stessa direzione: lo studio dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda, lo studio dell’azione dell’uomo sull’ambiente e dell’ambiente sull’uomo. L’oggetto della ricerca è identico per tutti: accrescere la conoscenza dell’ambiente e la possibilità di dominarlo. I presupposti e i metodi dei fisici, dei geologi, degli psicologi e dello storico differiscono notevolmente tra loro nei particolari (…) Tuttavia lo storico e il fisico sono uniti dallo scopo fondamentale di cercare spiegazioni, e dal metodo fondamentale basato sulla domanda e risposta»6. I due elementi così identificati: il Tempo e l’Interazione soggetto/oggetto possono allora essere utilizzati come spie di questo terreno comune e il costante richiamo alla loro necessità si trova nei tentativi di definire il paesaggio. Se queste caratteristiche si presentano come domande anche nelle riflessioni contemporanee sulla scienza, possiamo considerare questi ambiti di lavoro contigui e cominciare a pensarli in una prospettiva dialogica e non certo di contrapposizione. paesaggio culturale italiano, dovuto a processi socioeconomici, si aggiungono le attuali tendenze di una parte della gestione forestale, che agiscono non solo a livello universitario ma anche a livelli di enti pubblici. In molti casi il concetto di paesaggio viene associato ad altre funzioni svolte dai boschi, quali assorbimento di CO2, biodiversità, produzione, suolo, ricreazione ecc.» (ibid., p. 24). 5 «Fisica classica e concezione einsteiniana, insomma, si rappresentano cartesianamente l’universo come un gigantesco meccanismo di cui, possedendo i dati del suo stato iniziale, si può rigorosamente descrivere tutta l’evoluzione, localizzandone le parti nello spazio e le modificazioni nel tempo.» (Scaravelli, 1968, p. 22). 6 Carr, 1967, p. 93.

VII.2 Il Tempo fattore essenziale del paesaggio Nelle Postille al Nome della Rosa, pubblicate quindici anni or sono,7 l’autore accenna al problema dell’inizio del romanzo, la necessità cioè di dover sottoporre il lettore a centocinquanta pagine di lentissima vita monacale per entrare poi nel vivo della narrazione. Senza quella introduzione, sostiene Eco, sarebbe stato difficile comprendere non solo la natura della vicenda ma l’insieme dei significati nascosti e simbolici del racconto. Potremmo utilizzare la stessa metafora nel dire che il paesaggio non è opera ingegneristica, né frutto di pianificazioni a tavolino ma una lenta costruzione che ha il Tempo come vero protagonista. Anche un momento dopo la costruzione di un’opera ingegneristica, un ponte, una strada, un edificio, l’opera così immaginata è affidata al trascorrere del tempo e diviene necessariamente parte del paesaggio. Oggi siamo poi abituati a considerare, grazie anche all’accrescersi e al diffondersi di rappresentazioni grafiche, fotografiche, elettroniche, alcuni elementi distintivi di un territorio, di una cultura, di un ambiente come realtà immediatamente fruibili eliminandone alla radice la temporalità che li contraddistingue. La fecondità della tecnologia della riproduzione: «può, inoltre, introdurre la riproduzione dell'originale in situazioni che all'originale stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare incontro al fruitore, nella forma della fotografia o del disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta nello studio di un amatore d'arte; il coro che è stato eseguito in un auditorio, oppure all'aria aperta può venir ascoltato in una camera. (…) Ciò che vien meno è quanto può essere riassunto con la nozione di 'aura'; e si può dire: ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è l'aura dell'opera d'arte»8. Quello che Benjamin chiamava ‘aura’ è, in realtà, quella dimensione temporale come contesto che appartiene ad un manufatto artistico il quale ha la sua condanna all’abitudine e all’indifferenza proprio nella perdita di quella dimensione. È il pericolo che si nasconde dietro la generalizzazione dell’evento estetico, il suo appiattimento in funzione della tecnica riproduttiva: «la fissazione di uno stereotipo unico di città, sorto sulla scorta di quello già esistente in età medioevale e moderna, [che] va comunque rintracciata nell’ambito della pittura di storia dove cioè si verifica la necessità di ambientare sinteticamente l’avvenimento in una località di facile identificazione per tutti»9. L’effetto di quella riproducibilità è stato ritenuto, per molti anni, un momento di quel processo di omologazione culturale dovuto allo sviluppo della cosiddetta società di massa. Ma anche assegnando al fenomeno in questione una delle ragioni della perdita di valore dell’opera d’arte vi è il rischio di una eccessiva semplificazione poiché: «non si sa verso quale centro andranno a gravitare in un prossimo avvenire le cose 7

Ora in appendice a U. Eco, Il nome della Rosa, Milano, 2004. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, 1966, pp. 22-23. 9 M. A. Fusco, Il luogo comune paesaggistico, in Storia d’Italia. Annali 5, Torino, 1982, p. 766. 8

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Il Paesaggio Culturale come progetto umane, e perciò la vita del mondo si abbandona a una scandalosa provvisorietà. Tutto quello che oggi si fa pubblicamente e privatamente (…) senza eccezione, se non per alcune zone di qualche scienza, è provvisorio. Indovinerà colui che non si fidi di quanto oggi si predica, si ostenta, si tenta, si esalta»10. Di fronte ad un irrigidirsi delle forme dovuto alle conseguenze di un’assuefazione dei simboli o alla produzione di banali associazioni di beni monumentali e stereotipi culturali è necessario quindi fare attenzione ai fenomeni che mutano questo rapporto, lo rovesciano, lo rendono visibile in maniera diversa e ci restituiscano lo stesso oggetto, lo stesso monumento, la stessa formulazione di quel rapporto con la comunità che lo vive in una modalità nuova e diversa. È necessario far riemergere, per evitare questo schiacciamento nel provvisorio, quell’affanno e quella fatica che, nel tempo, si sono compiuti per la realizzazione di ciò che si mostra. Se consideriamo allora lo studio del territorio come semplice analisi del tempo presente o di un tempo immutabile, il pericolo è di guardare il territorio come una sorta di “laboratorio” in cui la parte diventa il tutto. La tendenza è di scorgere, nell’ambito naturale, non i segni di un passaggio temporale ma di congelarlo come un evento statico. Ogni specialista conosce bene e può mostrare concretamente che negli eventi biologici esiste, ad esempio, un equilibrio con l’ambiente che si forma progressivamente. Le forme viventi si sviluppano avendo il tempo come presupposto ed esso entra come fattore fondamentale per la loro osservazione. E non si parla qui solo di un tempo generico o di lentissime ere dell’evoluzione. Un tempo che non si misuri anche attraverso la descrizione e la trasformazione dei fenomeni è un tempo senza durata. È un dato freddo come il peso, l’altezza, la superficie. Dire che la formazione delle piante di agrumi copre un arco temporale di 2.000 anni non ci rappresenta quasi nulla di quel fenomeno. Affermare invece che la pianta dell’agrume, in otto secoli dalla sua introduzione, ha mutato completamente l’equilibrio ecologico e naturale della Sicilia a causa della sua coltivazione ci rende più chiaro di come l’introduzione di un elemento naturale, costretto da forze esterne come il lavoro umano, abbia fatto sorgere un nuovo ecosistema. Distinguere perciò le manifestazioni possibili degli equilibri naturali nel tempo si avvicina di più a rappresentare una scienza che oggi: «è più incline a ricordare che l’induzione può condurre logicamente soltanto ad affermazioni di probabilità o a supposizioni fondate, e preferisce considerare le proprie affermazioni come indicazioni o regole generali, la cui validità può essere saggiata soltanto alla prova dei fatti»11. Una scienza che si muove criticamente all’interno dei propri oggetti e una rinnovata visione del paesaggio inteso come storia del territorio ci permettono così di sfuggire a immagini statiche o a stucchevoli cartoline di quello che si osserva. 10 11

J. Ortega Y Gasset, La ribellione delle masse, Bologna, 1962, p. 167. Carr, 1967, p. 75.

Anche grazie ai sistemi di riproduzione contemporanei, la fotografia, la copia, lo strumento digitale, sarà allora possibile far emergere da immagini o fenomeni creduti del tutto noti, nuove connessioni. Chi oggi potrebbe richiamare alla mente il medioevo europeo senza far riferimento alle grandi cattedrali di Francia. Espressioni di una comunità religiosa e concreta rappresentazione di un sistema spirituale storicamente determinato sono divenute, nel XX secolo, una specie d’immagine richiamante un generico medioevo: immagini e riproduzioni di queste chiese sono state utilizzate in ogni situazione fino a generare un vero e proprio corto circuito in cui la percezione diffusa del medioevo è rappresentata solamente da quello stereotipo12 Così senza una ricerca puntuale e profonda della sua particolare vicenda, ogni singolo elemento naturale o frutto dell’opera dell’uomo diviene, di per sé, una semplice astrazione. Come per le scienze naturali, si tratta di definire ambiti di ricerca dibattendone, volta a volta, la loro legittimità così anche nel paesaggio, senza un’opera di ricostruzione dell’insieme delle sue componenti, ci fa cadere in vuote ed inutili riproduzioni. Potremmo considerare tutto ciò come un insieme di spunti che si avvicinano per singolarità o unicità alla natura di un evento storico? È un’ipotesi, ma formularla significa gettare un primo sottile filo nella considerazione degli eventi naturali come strutture portanti del divenire umano e non più come muto contesto in cui altri fattori giocano la loro vicenda. Le forme viventi assumono così un ruolo di protagonisti e sono elementi imprescindibili della natura temporale e storica che definiamo come paesaggio. VII.3 L’interazione come chiave del paesaggio Se può sembrare allora che le tecniche riproduttive abbiano messo in crisi l’opera d’arte, oggi ci rendiamo conto che molte di queste hanno invece rappresentato uno strumento importante per la ricerca della loro peculiare unicità. L’avvento di Internet e delle nuove tecnologie hanno permesso la ricostruzione non solo della individualità storica e stilistica di quei monumenti ma ne hanno accresciuto la nostra conoscenza inserendo, in quel contesto, elementi che appartenevano alla storia della cattedrale, al suo farsi materiale e ce ne hanno restituito la realtà e non il suo simbolico simulacro. È questa impostazione che nel grande progetto della Columbia University sulla cattedrale di Amiens, diffuso sulla rete, ha permesso di consultare il patrimonio archivistico dove, insieme alle forme della cattedrale, sono consultabili i documenti sui vari contratti d’opera stipulati per la sua costruzione restituendoci così un aspetto essenziale di quella vicenda13. 12

Un caso significativo di questo fenomeno è quello dei castelli costruiti da Ludwig II di Baviera. Edifici realizzati nella seconda metà del XIX secolo, sono divenuti veri e propri stereotipi di un periodo storico che sono poi transitati, grazie alle raffigurazioni del cinema disneyano, nella percezione di massa del periodo storico denominato come medioevo. 13 Vedasi al riguardo il sito http://mcah.columbia.edu/Amiens.html.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.1 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegorie del Buon Governo e degli Effetti in Città e in Campagna (1338-1339). Pict. VII.1 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegories of Good Governance and its Effects in Town and Countryside (13381339). Quest’approccio testimonia forse più di ogni altra considerazione la complessa interazione tra opera d’arte, natura, società e sua rappresentazione che nel paesaggio appare come elemento distintivo per la sua esistenza. Emilio Sereni ha colto questa interazione: «nel suo complesso, nel suo panorama, l’elaborazione del paesaggio agrario resta affidata alla casuale combinazione di queste iniziative individuali: e solo attraverso questa spontanea casualità arrivano ad affermarsi quelle leggi obiettive (…) alle quali la configurazione di questo paesaggio pure ubbidisce»14. L’interazione tra ambiente naturale e società degli uomini e la percezione di questo rapporto è la chiave fondamentale per comprendere e definire un paesaggio. Percezione è termine che pensiamo, nel nostro lessico, con una connotazione di tipo passivo. Io percepisco qualcosa che tocca i miei sensi o sollecita le mie facoltà mentali e fisiche. Diverso invece è affermare che essa è il risultato di uno sforzo di comprensione: «la fienagione, ad esempio, è un’attività ormai cessata sulla montagna genovese. Nel dialetto di chi ha partecipato a quel lavoro il fieno non si “raccoglie”: si “fa”.(…) è il fare – i tempi e i modi della raccolta – che determina la produzione della risorsa ed il mantenimento della copertura erbacea dei pendii»15. Il paesaggio è dunque la riscoperta dell’interazione tra l’uomo e la natura ma soprattutto è un’inter-azione, rapporto attivo tra lo svolgersi di alcune azioni umane e il risultato di un progressivo adattamento delle realtà naturali a queste e viceversa. Ricreare, ogni volta, questa relazione è lo scopo fondamentale del percepire un paesaggio: «il fatto che le cose visibili su un pezzo di terra siano ‘natura’ certo insieme alle opere dell’uomo, che tuttavia si inquadrano nella natura – non tratti di strada con grandi magazzini e automobili, non fa

ancora di questo pezzo di terra un paesaggio. Per natura intendiamo l’infinita connessione delle cose, l’ininterrotta nascita e distruzione delle forme (…) che si esprime nella continuità dell’esistenza temporale e spaziale»16. È necessario quindi pensare al paesaggio ancora come veicolo di conoscenza per cogliere questa interazione, dove il passivo percepire ci riporta di nuovo alla adorazione del “momento”, dell’istante atemporale, alla massificazione e alla ubiquità delle realtà paesaggistiche, in una sorta di ridicolo catalogo del bello e del brutto. La percezione è quindi una azione complessa in cui: «per ciò che riguarda l’oggetto fisico, i paleografi e filologi, restitutori dei testi nella loro fisionomia originale, i restauratori di quadri e di statue, e altrettanto industri lavoratori, si sforzano appunto di conservare o ridare all’oggetto fisico tutta l’energia primitiva. Certamente, sono sforzi che non sempre riescono, o non riescono sempre completamente. (…) A reintegrare in noi le condizioni psicologiche che si sono mutate attraverso la storia, lavora da sua parte l’interpretazione storica, la quale ravviva il morto, compie il frammentario, ci dà modo di vedere un’opera d’arte (un oggetto fisico) quale la vedeva l’autore nell’atto della produzione»17. Che cosa non sia il paesaggio possiamo finalmente definirlo. Non è studio settoriale dell’ambiente naturale perché se fosse solo questo, nessuno scorgerebbe un’evoluzione temporale di questa realtà e non è intervento umano dominato da uno spirito di razionalità tecnica perché la pianificazione non ha nulla a che fare con gli elementi naturali costitutivi del paesaggio. Per dirla con le parole di Rosario Assunto, il 16

14

Sereni, 2010, p. 138. 15 Moreno, 1989, p. 892.

G. Simmel, Saggi sul paesaggio, Roma, 2006, p. 54. B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Milano 1990, pag. 160. 17

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Il Paesaggio Culturale come progetto

Fig. VII.2 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegorie del Cattivo Governo e degli Effetti in Città e in Campagna (1338-1339). Pict. VII.2 – Siena: Ambrogio Lorenzetti, Allegories of Bad Governance and its Effects in Town and Countryside (1338-1339).

Fig. VII.3 – Colline senesi. Pict. VII.3 – Hills of Siena.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.4 – Il Supramonte di Oliena (SS). Pict. VII.4 – The Supramonte of Oliena (SS). paesaggio è l’introduzione della natura nello spazio urbano, la sua penetrazione e quindi il diverso significato che assume, in questa sintesi, sia l’una che l’altro. Di conseguenza il paesaggio non è un problema conservativo. Molti ritengono che il paesaggio sia affare di un ministero della cultura che sorveglia aree protette o vincolate che, una volta confinate, si ritrovano sempre e comunque identiche a se stesse. Seguendo l’idea comune del paesaggio ‘statico ed oggettivo’ ci ritroviamo, ad esempio, ogni volta a celebrare Siena come prototipo ed esempio del paesaggio italiano. Metafora del governo ottimo della città, l’affresco del palazzo civico è il prototipo esemplificativo dell’interazione uomonatura (fig. VII.1 / pict. VII.1). La ricostruzione dell’ordinata armonia tra la città e il suo contado è la metafora, nella visione a volo d’uccello, di quell’interazione di cui parlava Assunto e del rapporto paesaggio descritte nell’affresco bisogna studiare ed esplorare altri luoghi in cui la stessa interazione tra uomo e natura è rievocata e quell’equilibrio recuperato, come si nota in questa foto scattata, nel 2007, nella valle dell’Oliena in Sardegna (fig. VII.4 / pict. VII.4).

rappresentazione dell’affresco senese ma è comunque presente questo continuo e inconsapevole rapporto tra uomo e natura che restituisce il frammento di un’azione riconoscibile come tale. Che cosa allora si deve tutelare come paesaggio? La morta associazione natura/cultura dipinta su un muro oppure, di nuovo, quell’interazione che ne rappresenta una versione mutata ma anche una sua vitale continuità? Tornando quindi all’affermazione iniziale, è possibile meglio scorgere ora quanto il sistema delle conoscenze abbia in realtà esigenze e forze comuni, al di là della loro impostazione metodologica, e se il paesaggio riflette su esigenze e domande di questa natura, possiamo considerarlo un terreno fertile per il confronto tra discipline che si consideravano mondi separati. A patto di rispettare però la necessità di ricostruire ogni volta lo sforzo di riflessione che vi sta al fondo ed accogliere le sollecitazioni e i paradossi che ogni sguardo consapevole sul mondo ci presenta.

Non è detto che il paesaggio sia allora da cercare dove era un tempo e, anzi, questa ricerca deve essere compiuta in un continuo sforzo di comprensione delle realtà sottoposte all’osservazione. Al paesaggio sardo manca l’interazione tra spazio urbano e natura che è l’architrave della 126

Parte I

a. Abbreviazioni

Nitti, F. S. 1910, Il brigantaggio meridionale durante il regime borbonico in La vita italiana nel Risorgimento 1815-1861, Firenze. Note di storia sul paesaggio agrario della Basilicata tra XIX e XXI secolo, Fuccella P., Labella A., Lavoràno E. M. (a cura di), Rionero in Vulture, 2010.

APCL, Archivio privato della Cineteca Lucana ASITA, Associazioni scientifiche per le informazioni territoriali ed ambientali

Pinna, G. 2002, Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna 1952-1959: catalogo generale dei provini, Trieste.

C.I.S.A.M., (Fondazione) Centro Italiano di Studi dell’Alto medioevo.

Scaravelli, L. 1968, Kant e la fisica moderna, in Scritti kantiani, Firenze, pp. . Schmiedt, G. 1966, Contributo della foto-interpretazione alla ricostruzione del paesaggio agrario altomedievale, in Agricoltura e mondo rurale in Occidente nell'Alto Medioevo, Settimane di studio (Spoleto, 22-28 aprile 1965), C.I.S.A.M. XIII, Spoleto, pp. 773-837. Sereni, E. 2010, Storia del Paesaggiuo Agrario italiano, (Biblioteca Universale Laterza, 69), Bari. Sestini, A. 1963, Il paesaggio, in Conosci l’Italia. Volume VII, (Touring Club Italiano), Milano, pp. 9-12. Settis, S. 2010, Paesaggio, Costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, (Passaggi Einaudi), Torino.

Abbreviazioni e bibliografia

b. Bibliografia Azzari, M., De Silva, M., Pizziolo, G. 2002, Cartografie del passato e GIS per l’analisi delle trasformazioni del paesaggio, in Geostorie, 10, 1-2, pp. 30-31. Baiocchi, V., Lelo, K. 2002, Georeferenziazione di cartografie storiche in ambiente GIS e loro verifica mediante rilievi GPS. Atti della V Conferenza nazionale ASITA (Rimini, 14-16 Ottobre 2001), Rimini, pp. 2-9. Basilicata, Il fascino discreto di una terra antica, Roma-Bari 1987. Bernardi, S. 2002, Il paesaggio nel cinema italiano, Venezia.

Zevi, B. 1995, Controstoria dell’Architettura in Italia. Paesaggi e città, (Il sapere, 61), Roma.

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Masseria Ciccotti (Oppido Lucano, PZ): pars rustica della villa imperiale. Sullo sfondo una masseria a Grignano. Masseria Ciccotti (Oppido Lucano, PZ): pars rustica of the imperial villa. In the background, a masseria at Grignano.

Parte II

Cultural landscapes, molteplicità di fonti ed analisi: la Basilicata (Italia) Contributi di: Carla Coppa Angela Fortunato Maria Carmela Grano Maurizio Lazzari Immacolata Rondinone Canio A. Sabia

Cultural Landscapes

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CAPITOLO I PAESAGGIO, STRUTTURE RURALI E ARCHITETTURA POPOLARE NELLE PROVINCE DI POTENZA E MATERA Maria Carmela Grano Abstract

custodiscono, per ipotizzare e proporre un piano di tutela della memoria storica che rappresentano, garantendo la loro conservazione e valorizzazione.

From the perspective of rural structures and popular architectures, the definition of landscape allows to analyze the cultural imprint left by humans, on the environment in a certain historical period. Among the forms of popular architecture in Basilicata, there are the so called masserie (manor farms), ancient rural buildings of architectural and symbolic value, scattered in the territory of a region, with a rich rural tradition. In the past masserie were the main center of the local economy, contributing the general agricultural landscape.

La ricerca si è soffermata principalmente sull’analisi delle masserie, le più antiche testimonianze dell’insediamento sparso in Lucania1 (le cui prime tracce risalgono alla colonizzazione greca), in quanto, più di altre costruzioni, esse hanno determinato e condizionato la vita economica e sociale della regione e, fino alla metà del 1900, hanno rappresentato la concretizzazione della storia del popolo contadino, vissuto quasi sempre alle dipendenze dei grandi proprietari terrieri2.

Research made it possible to classify more than 250 masserie, showing a remarkable architectural heritage, which certainly requires urgent actions for its protection and conservation. Moreover masserie, if properly promoted and organized in a network of places to visit, can give centrality to the local economy and provide development opportunity and new wealth for Basilicata.

La parola massae in latino classicheggiante designava «un complesso di fondi rustici affidato al governo del massaro»3, che aveva l’obbligo di rimanere per sempre sulla terra (massericio iure). L’insieme dei corpi di fabbrica che componevano la masseria con le sue pertinenze (abitazione, stalle, magazzini, ovili o iazzi) costituivano un'unica realtà giuridica, di proprietà del dominus.

Keywords masserie, manor farms, popular architectures, landscape modification, rural cultural heritage I.1. La vastità di un ambito

Con il tempo il termine ha allargato la sua valenza semantica, individuando e ricomprendendo tutte le forme di insediamento rurale presenti sul territorio, anche non gestite da un massaro4, fino a significare qualsiasi azienda rurale autonoma, connessa all’agricoltura e all’allevamento.

Lo studio delle strutture edilizie rurali della Basilicata si inserisce all’interno della più ampia ricerca sul paesaggio culturale di questa area geografica dell’Italia meridionale, spesso identificata anche con l’antico nome di Lucania. I ‘paesaggi culturali’ sono territori che in modo peculiare rappresentano l'opera combinata della natura e dell'uomo, la cui conoscenza e valorizzazione è finalizzata a riconciliare uno dei più pervasivi dualismi del pensiero occidentale, quello di natura e cultura.

Il paesaggio disegnato dalle antiche strutture è rintracciabile, oltre che dal riconoscimento diretto delle masserie nel territorio, anche nei dipinti e nelle descrizioni letterarie e scientifiche (filtrato attraverso il punto di vista storico e personale dell’osservatore che lo ha tradotto in simboli o in parole). Il racconto di un viaggiatore nostalgico o una antica mappa catastale rappresentano il pretesto per verificare la sussistenza di un certo edificio (e di un certo paesaggio) o la sua eventuale trasformazione a distanza di tempo.

La cultura, infatti, si esprime anche come forza capace di modellare la superficie terrestre, per cui ogni ambiente fisico diventa il mezzo, con il quale e attraverso il quale, gli uomini agiscono. Accanto allo studio di tutte le espressioni culturali di un popolo (dalla religiosità, alla lingua e alla letteratura), risulta indispensabile e significativa la conoscenza del territorio, che da quel popolo è stato plasmato. Ogni paesaggio è indelebilmente caratterizzato dalle realizzazioni umane che vi si sono sedimentate nel corso dei secoli, imprimendovi, come su un antico palinsesto, il segno della civiltà che le ha prodotte.

La descrizione, ad esempio, di Montescaglioso (Mt), scritta da un anonimo tra il 1725 e il 1740, contenuta in un fascicolo di 12 carte nel terzo volume del Dictionarium Universale totius Regni Neapolitani geographicum, historicum, scarum, prophanum, vetus an novum in quo describuntur ipsius regni provinciae populi principatus, urbes, oppida, castra ac pagi, montes ac valles, maria locus, flumina, rivi, balnea, fretapromontoria, insulae ac peninsulae, archiepiscopatus, episcopatus, abbatiae ac prioratus, balliatus ac commendae. Ipsorum cum periplo totius regni nel fondo della Biblioteca di San Martino della Biblioteca Nazionale di Napoli (mss. 435-438), ci consente di conoscere il paesaggio di tre secoli fa: «Have un territorio vastissimo di circa settantasei miglia di giro piano e da per tutto carrozzabile, che si rende particolare tra gli altri luoghi del regno e per tal vastità si rende atto per tutte le sorte d’industrie facendovisi

Uno dei più importanti elementi del paesaggio culturale è costituito dagli antichi fabbricati rurali, che oltre ad avere un notevole valore architettonico, sono una testimonianza dell’organizzazione economica e produttiva di un certo territorio.

1 2

Franciosa, 1942, p. 146.

L’obiettivo della ricerca avviata è stato quello di sottolineare 3 Palestina, 1995, p. 277. Spano, 1952, pp. 271-290. la valenza culturale delle strutture rurali e dei paesaggi che le 4 Palestina, 1995, p. 193. 131

Cultural Landscapes grossissime massarie di campo, oltre gran quantità di erbaggi, di maniera che le vacche della Basilicata nell’inverno gran parte vanno al pascolo nelle difese del territorio di detta città, e li padronali degl’animali fanno a gara nell’affitto di dette difese, non solo perché sono fornite di tutti i commodi, come di acque sorgive ed altro, ma anco per sfuggire l’orridezza dell’inverno nelle montagne della Basilicata»5. L’insieme dei dati raccolti sul patrimonio architettonico rurale della Basilicata, rilevato direttamente sul territorio, o reperito nelle fonti letterarie (testi specifici, articoli di riviste scientifiche, giornali locali, relazioni tecniche, schede A della Soprintendenza per i Beni architettonico-paesaggistici di Potenza e fondi archivistici privati), è stato organizzato in un database, distinto secondo i vari Comuni di appartenenza. I.2. Architettura popolare in Basilicata Sulle costruzioni rurali lucane è stato scritto molto poco fino al 1942, quando il ricercatore Luchino Franciosa, insieme ad un gruppo di collaboratori, si è dedicato a questo tema, nell’ambito di una ricerca nazionale sulle strutture contadine. Partendo dai criteri generali proposti dal Professor Biasutti6 nel 1938, il Franciosa ha classificato le dimore rurali della Basilicata, basandosi principalmente sulla loro struttura, analizzando la posizione dell’abitazione rispetto al rustico (ovvero a tutti gli ambienti interni o esterni di lavoro) e servendosi della terminologia utilizzata per descrivere le antiche villae romane. Secondo tali presupposti, tre sono le principali strutture rurali che si incontrano nella regione: 1. abitazione e rustico nello stesso edificio e in un unico vano; 2. abitazione e rustico nello stesso edificio, ma articolato in più vani, giustapposti o sovrapposti; 3. abitazione e rustico in edifici separati. La varietà delle strutture è in funzione della configurazione estremamente variegata della regione, che presenta zone pianeggianti, collinari e montuose, dei diversi sistemi di proprietà e delle tipologie colturali. Ad esempio, la parte orientale della Basilicata, a prevalente andamento collinare, è caratterizzata da grandi proprietà terriere, con colture estensive e pascoli, cui corrispondono strutture rurali più ampie e complesse; mentre nella parte occidentale, orograficamente accidentata e montuosa, le proprietà sono generalmente piccole e frazionate, munite di piccole costruzioni sparse nel territorio.

c) forme particolari, come masserie e casini di villeggiatura, con caratteri strutturali variabili (numero e collocazione dei vani) a seconda della conformazione del suolo e della disponibilità dei materiali da costruzione. Dallo studio del Franciosa emerge come in Basilicata siano frequenti le forme elementari e quelle unitarie; mentre le forme particolari, architettonicamente più pregevoli o di più antica costruzione, risultano piuttosto rare e si ritrovano essenzialmente nella zona di Matera, Maratea, Venosa, Melfi, Lavello, Ferrandina e Stigliano7. Quanto alla diffusione nelle varie aree geografiche della regione, il Franciosa ha descritto le forme stilistiche in base alla conformazione del suolo, distinguendo le tipologie di pianura, di collina e di montagna8. Le prime sono più grandi, essendo legate a sistemi latifondistici di proprietà terriera; le tipologie unitarie di collina, per via del clima mite, sono caratterizzate da una scala esterna per collegare i due livelli di cui sono formati gli edifici; invece, le tipologie di montagna presentano solitamente una scala interna e un tetto a due spioventi molto inclinati. In ambiti territoriali più ristretti sono state identificate altre tipologie edilizie contraddistinte da caratteri unitari: il cosiddetto tipo marateota (che si diffonde in agro di Maratea grazie alle rimesse degli emigranti dall’America a partire dagli ultimi anni del XIX secolo) munito di porticato e scala esterna coperta; il tipo marchigiano (costruito alla fine del XIX secolo a opera di un gruppo di coloni marchigiani, nella zona di Monticchio Bagni, tra Rionero in Vulture, Atella e Melfi) con rustico e abitazione sovrapposti e scala esterna; il tipo della bonifica (massicciamente edificato nell’agro Metapontino a partire dall’inizio del XX secolo) formato da abitazione con stalla annessa e talora concepito anche in forme elementari. Caratteristico è il tipo di pendìo (presente soprattutto nella zona di Lagonegro, a Sud della Basilicata, nell’alta valle dell’Agri e nel circondario di Laurenzana) legato alla giacitura particolarmente acclive del suolo, mentre il tipo a casetta rifugio è diffuso in tutte le zone rurali della regione, usato come riparo per i pastori ed edificato in materiali poveri. Tra le forme più rare compare, a partire dal ‘900 e soprattutto nel secondo dopoguerra, il casino di villeggiatura, solitamente edificato in posizione elevata e ricadente entro un raggio di 4-5 km dai centri abitati; esso si trova soprattutto nelle zone collinari, dove sono più intense le colture di viti, olivi, frutteti e ortaggi, e presenta caratteri prevalentemente residenziali, con gli ambienti da destinare all’attività produttiva ubicati all’interno della stessa costruzione.

Per meglio descrivere le diverse architetture rurali, il Franciosa ha introdotto, come criterio discriminante per la classificazione, quello delle caratteristiche stilistiche delle strutture edilizie, distinguendo: a) forme elementari, con abitazione e rustico nello stesso edificio e sullo stesso piano, in uno o due vani; b) forme unitarie, sviluppate su due piani o con abitazione e rustico sovrapposti (con la cucina al primo piano) o parzialmente giustapposti (con la cucina al piano terreno);

Nella tipizzazione del Franciosa le masserie sono descritte come fabbricati ampi, formati da vari ambienti sviluppati su due livelli; si presentano talora come edifici compatti e altre volte come complessi di più edifici. Nell’area nordoccidentale della regione il Franciosa ha potuto riscontrare la presenza di case rurali sparse di forma elementare o unitaria,

5

7

6

Nigro, 1983, pp. 77-88. Biasutti, 1938, pp. 23-27 e 185-196.

8

132

Franciosa, 1942, p. 141. Franciosa, 1942, pp. 148-149.

Strutture rurali e architettura popolare chiamate anch’esse masserie, di tipo montano o collinare, case che tuttavia «differiscono in taluni aspetti stilistici e di amplitudine dalle masserie composite del Melfese e del Materano»9. Tra le masserie della Basilicata, un’ulteriore classificazione operata dal Franciosa, è quella che fa riferimento alla composizione planimetrica di tali complessi architettonici. In proposito egli distingue le seguenti tipologie: - masserie di forma semplice: aziende di piccola estensione, condotte direttamente dai proprietari e costituite da un edificio ad un solo livello ove insiste sia l’abitazione del proprietario sia il rustico; una variante di questa tipologia contiene fino a tre o quattro edifici elementari affiancati in serie fino ad una lunghezza massima di 40 metri; - masserie di forma compatta: aziende di tipo misto (ovvero destinate sia alla cerealicoltura che all’allevamento) con estensione di più di 100 ettari, in cui il fabbricato principale è generalmente di tipo unitario, con il rustico a piano terra e l’abitazione del proprietario al primo piano, o in torre situata al centro o ai lati; tra le masserie compatte rientrano anche quelle di forma composita, in cui il fabbricato principale (unitario o con torre) è circondato da costruzioni sparse adibite a rimessa per attrezzi, magazzino, pagliera, cappella votiva e alloggio per salariati fissi e per i fittuari, come nel caso della masseria Amendolecchia di Melfi10; - masserie a corte: aziende formate da fabbricati abitativi, ambienti a rustico e muri perimetrali posti a margine di un ampio cortile centrale chiuso, presenti soprattutto nelle proprietà terriere di maggiore estensione; questo tipo poteva garantire, tra l’altro «la difesa dagli assalti dei leggendari predoni e dei briganti che infestavano le vicine contrade»11; - masserie-villaggio: grandi case padronali, spesso di origine medioevale, cui erano associate, a poca distanza, costruzioni più modeste per i lavoranti; - masserie-casini (o masseriole): case di tipo unitario con scala esterna, in cui l’abitazione padronale poteva trovarsi anche in torre di due piani. Il Franciosa, pur non trattando diffusamente delle grangie (volgarmente dette anche grancìe), osserva che «alcune case rurali risultano da trasformazioni di antiche sedi di religiosi, di comunità ecclesiastiche, di vaste costruzioni già feudali aventi, talvolta, l’aspetto di piccoli fortilizi»12. Si trattava di strutture rurali di proprietà ecclesiastica che, dopo la soppressione degli ordini religiosi, furono incamerate dalla borghesia rurale o definitivamente abbandonate al degrado. Attraverso di esse venivano coltivati i possedimenti terrieri ubicati a grande distanza dal convento di appartenenza, per la produzione di generi alimentari destinati ai religiosi. Le grancìe in genere si sviluppavano intorno a un ampio cortile interno, con i fabbricati per l’abitazione dei contadini su un

lato e le stalle, i magazzini e le officine di trasformazione dei prodotti agricoli, sul lato opposto. Considerata la loro origine religiosa, esse erano provviste di una cappella per il culto, o almeno di un’edicola votiva. Nella Tabella 1 alla pagina seguente sono riportate le principali tipologie costruttive presenti nei diversi luoghi della Basilicata. I.2.1. Architetture rurali nella storia e modificazione del paesaggio agrario In regione le più antiche tracce di stabili strutture rurali risalgono al periodo della colonizzazione greca che interessò le pianure alluvionali da Taranto a Sibari, a partire dall’VIII secolo a.C.; si trattò della prima, consistente modificazione del paesaggio lucano, prodotta dalla minuziosa lottizzazione del territorio e dalla costruzione di fattorie, per la piccola e media proprietà terriera13. Le Tavole di Heraclea, prezioso documento epigrafico sulla legislazione agraria dell’epoca, hanno descritto i tracciati dell’antica suddivisione geometrica delle terre e degli insediamenti umani facenti capo alle fattorie14. Tale suddivisione è stata confermata dallo studio delle fotografie aeree scattate prima della Riforma Agraria sulla piana del Metapontino. Grazie alla aerofotogrammetria, due archeologi, Schmiedt e Chevallier, riconobbero tra le valli del Bradano, del Basento, dell’Agri e del Sinni (i quattro principali corsi d’acqua che attraversano la Lucania e sfociano nel mar Jonio), una fitta serie di limites paralleli distanziati circa 220 metri, costituiti da stradine interpoderali di circa 2 metri di larghezza. La fotografia aerea ha permesso anche di identificare i resti di più di 300 abitazioni risalenti al VI sec. a.C.15, edifici originariamente di uno o due ambienti, che si sono gradualmente ingranditi col passare del tempo, assumendo l’aspetto di vaste case rurali munite di cortile centrale, come nel caso della fattoria individuata nei pressi di una masseria, nella zona di San Salvatore, in agro di Bernalda16. Col declino della civiltà greca, il paesaggio mutò considerevolmente a causa dell’assenza di manutenzione degli argini fluviali e per il progressivo abbandono dell’agricoltura, fenomeno che generò un paesaggio (saltus) caratterizzato da campi incolti destinati esclusivamente al pascolo17. Furono poi i Romani, nuovi padroni del territorio lucano, ad introdurre, a partire dal III secolo a.C., una forma di gestione agraria non più basata sulla piccola proprietà. Sorsero le villae, aziende latifondistiche in cui l’abitazione del proprietario terriero si distingueva dal rustico, destinato ai lavoranti e alle produzioni agricole. Una delle più importanti costruzioni di questo genere è stata rinvenuta nell’alta valle del Bradano, in agro di Oppido Lucano, in località Masseria Ciccotti. La villa, costruita in più fasi a partire dall’epoca imperiale, fu frequentata sicuramente fino al IV-V secolo. 13

9

Franciosa, 1942, p. 40. 10 Franciosa, 1942, p. 26. 11 Franciosa, 1942, p. 83. 12 Franciosa, 1942, p. 68.

Tommaselli, 1986, p. 19. Sereni, 2010, p. 35. Adamesteanu, 1973, pp. 61-67. 16 Tommaselli, 1986, p. 20. 17 Sereni, 2010, p. 63. 14 15

133

Cultural Landscapes

Zona

Forme elementari

Comuni

Vulture

Atella, Barile, Forenza, Lavello, Maschito, Melfi, Montemilone, Rapolla, Rionero in Vulture, Ripacandida, Venosa.

Area montana N-W

Bella, Castelgrande, Muro Lucano, Rapone, Ruvo accentrate e sparse del Monte, San Fele.

Potentino

Abriola, Acerenza, Albano di Lucania, Anzi, Avigliano, Balvano, Baragiano, Brienza, Brindisi di Montagna, Calvello, Campo Maggiore, Cancellara, Castelmezzano, Laurenzana, Oppido Lucano, Picerno, Pietragalla, Pietrapertosa, Pignola, Potenza, Ruoti, Sasso di Castalda, Sant'Angelo le Fratte, San Chirico Nuovo, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Tito, Tolve, Trivigno, Vaglio, Vietri di Potenza.

accentrate nei centri

Forme unitarie

Forme particolari

tipo marchigiano

casini di villeggiatura e masserie di pianura

accentrate in casali

tipo lucano occidentale

poche masserie semplici di tipo montano e collinare

Val d'Agri

Armento, Corleto Perticara, Gallicchio, Guardia Perticara, Grumento Nova, Marsico Nuovo, Marsico Vetere, Missanello, Moliterno, Montemurro, San Chirico Raparo, San Martino d'Agri, Spinoso, Tramutola, Viggiano

accentrate e sparse

tipo di collina con annessi e casini di villeggiatura torre

Lagonegrese

Lagonegro, Lauria, Maratea, Nèmoli, Rivello, Trécchina, Castelluccio Superiore e Inferiore

accentrate

tipo marateota e di pendio

Pollino

Rotonda, Viggianello, Terranova di Pollino, Casalnuovo Lucano, San Costantino Albanese, San Severino Lucano, Francavilla sul Sinni.

accentrate e sparse

dette masserie o casinimasserie

Valle del Sinni

Calvera, Carbone, Casal Nuovo Lucano, Castel Saraceno, Castronuovo Sant'Andrea, Cersosimo, Chiaromonte, Colobraro, Episcopia, Francavilla sul Sinni, Latronico, Noepoli, Novasiri, Roccanova, Rotondella, Sant'Arcangelo, San Costantino Albanese, San Giorgio Lucano, San Severino Lucano, Senise, Tursi, Valsinni.

poche spar-se, accen-trate

tipo di collina molto diffuse

casini di villeg-giatura e masserie composite

Materano

Accettura, Aliano, Banzi,Calciano, Cirigliano, Craco, Ferrandina, Garaguso, Genzano, Gorgoglione, Grassano, Grottole, Irsina, Matera, Miglionico, Montescaglioso, Oliveto Lucano, Palazzo San Gervasio, Pomarico, Salandra, San Mauro Forte, Stigliano, Tricarico.

masseriole e casini di villeggiatura

masserie semplici, composite e a corte

Metapontino e colline sovrastanti

Bernalda, Montalbano Jonico, Nova Siri (in parte), Rotondella (in parte), Pisticci.

tipo di bonifica

masserie-villaggio

di bonifica e casini delle masserievillaggio

Tabella 1 – Distribuzione geografica dell’architettura rurale in Basilicata, nella suddivisione del Franciosa (Franciosa, 1942). Plate 1 – Geographic distribution of the rural architectur in Basilicata, in the partition made by Franciosa (Franciosa, 1942).

134

Strutture rurali e architettura popolare

Fig. I.1 - Masseria Ciccotti (Oppido Lucano, PZ): pianta della villa romana con le fasi edilizie (Gualtieri, 1999, p. 133). Pict. I.1 - Masseria Ciccotti (Oppido Lucano, PZ): plan of the roman villa with phasis of buildings (Gualtieri, 1999, p. 133). Nella seconda fase edilizia della villa, compresa tra la fine del II secolo e i primi decenni del III secolo, fu costruito un monumentale complesso termale, alimentato da un acquedotto, che sfociava nel castellum aquae, serbatoio a due camere18. Sulla struttura della cisterna romana all’inizio del 1900, fu edificata la Masseria Ciccotti, che conferma la vocazione produttiva dell’area, ancora oggi coltivata a grano. La massiccia diffusione del latifondo, avvenuta tra l’età imperiale romana e quella altomedioevale, contribuì al fenomeno dello spopolamento e della decadenza delle città; la popolazione andava insediandosi attorno alle villae, le quali assunsero sempre maggiore autonomia amministrativa ed economica, accentrando intorno a sé, nelle epoche successive, una nuova e fitta rete di piccoli nuclei abitati, detti casali. Lo sviluppo di un’economia pastorale, in un ambiente dominato da boschi e pascoli, fu causa di incuria agricola, di graduale impaludamento delle pianure e di un decadimento della coltura del grano, solo in parte contrastata dalla colonizzazione operata dal monachesimo basiliano, di origine bizantina. I monaci basiliani, insediatisi nel mezzogiorno d’Italia a partire dall’VIII secolo per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste, tornarono a diffondere l’agricoltura e il lavoro dei campi, insegnando a trarvi il massimo prodotto. Curarono il prosciugamento delle paludi e destinarono le terre incolte alla cultura dell'olivo, della vigna e del grano. Agevolando la piccola proprietà contadina, resero di uso comune il sistema dell’enfiteusi (diritto di lavorare un fondo altrui con l' obbligo di apportarvi migliorie e di corrispondere periodicamente un canone). 18 M. Gualtieri, Nuove forme di utilizzo dell’acqua in età romana, in Archeologia dell’Acqua, Potenza, 1999, p. 133, 147.

I Longobardi, che governarono per circa tre secoli la regione, si insediarono nelle antiche villae romane, trasformandole in fortilizi e favorirono il passaggio ad un’organizzazione produttiva feudale, ove al signore spettava parte del raccolto del massaro. È questa l’epoca in cui nasce quella particolare variante della masseria, costituita dalle citate strutture agricole di proprietà degli ordini religiosi, dette grancìe, affidate ai monaci benedettini, arrivati dal Nord per ripristinare il rito latino-germanico e contrastare la precedente colonizzazione agraria e religiosa operata dal monachesimo basiliano, di rito ortodosso. In pieno Medioevo, la monarchia normanna apportò notevoli miglioramenti fondiari e costruì numerosi ponti e opere di pubblica utilità19 sulle proprietà pubbliche. Con i Normanni si assistette ad una accentuazione della organizzazione feudale del territorio; attorno alle roccaforti militari nacquero borghi e strutture rurali decentrate, a prevalente carattere pastorale. Altra innovazione fu la regolamentazione della transumanza ad opera di Ruggero il Normanno, che emanò norme precise che garantissero il diritto di passaggio delle greggi sulle terre demaniali e feudali, con pene durissime per chiunque ne avesse ostacolato il transito o negato il riposo nei pascoli privati20. Con Federico II di Svevia (1194-1250) il popolo rurale acquisì finalmente il diritto di possedere beni, di far testamento e di accasarsi senza l’autorizzazione del feudatario, al pari dei ceti sociali di rango più elevato. Per la valorizzazione delle terre demaniali gli Svevi costruirono numerose regiae masseriae, aziende a seminativi e a pascolo, denominate in seguito difese, ubicate lungo i tratturi, in modo 19 20

135

Bruno-Pani, 1999, p. 188. Di Cicco-Musto, 1970.

Cultural Landscapes da essere facilmente raggiungibili; essi inoltre trasformarono ampie zone della regione in grandi riserve di cavalli di razza imperiale21. Sotto gli Angioini, in un paesaggio prettamente pastorale, dovuto anche alla convenienza economica del commercio della lana, venne istituita la Dogana di Foggia, un tribunale speciale per i pastori, al quale competeva di stabilire il prezzo delle tasse per la transumanza delle greggi lungo le vie erbose (o tratturi). Gli Aragonesi, nel XV secolo, mantennero e ampliarono la regolamentazione della transumanza, istituendo la Regia dogana per la mena delle pecore (1443) per regolamentare i proventi del pascolo. In questo periodo storico sorsero numerose nuove masserie (molte delle quali tuttora presenti in agro di Ferrandina). A metà del XVI secolo, con l’avvento degli Spagnoli, si assiste ad un processo di rifeudalizzazione delle campagne ad opera di nuovi nobili di origine mercantile e dei monaci, soprattutto dei certosini, dipendenti dal monastero di Padula, che in terra lucana fondarono la grancìa di Brindisi di Montagna, oggi purtroppo in completo stato di abbandono e degrado. Il malgoverno spagnolo e il crescente interesse economico per la produzione della lana favorirono un impressionante degrado del paesaggio agrario, che continuò a rimanere incolto e destinato al pascolo. Il nuovo sistema giuridico denominato anarchia feudale ed ecclesiastica si protrasse ancora per circa tre secoli, con i contadini che tornarono ad essere assoggettati a leggi e tribunali baronali, all’interno di un regime di terrore, con frequenti episodi di violenza e rivolte contadine, contrastate da bande armate di emissione baronale. Comparvero in questo periodo le prime masserie fortificate, che con limitate varianti sono giunte fino al 1800 inoltrato; esse a volte risultano costruite intorno ad antiche torri, e in altri casi si presentano come il potenziamento, mediante idonei sistemi di difesa, di strutture agricole preesistenti 22. Nel 1647 la rivoluzione di Masaniello, contro l’oppressione e lo sfruttamento da parte della nobiltà e dell’alto clero che sostenevano la Spagna, provocò durissime repressioni e feroci reazioni, causando un peggioramento delle condizioni economiche dei contadini e il loro netto regresso sociale. La conseguenza fu l’abbandono dei campi, con il fenomeno dell’avanzamento incontrollato e disordinato dei terreni boschivi. La rivoluzione, tuttavia, non riuscì a scuotere le fondamenta del dominio spagnolo, né a capovolgere il privilegio fiscale della manomorta ecclesiastica, sottratta da qualsiasi assoggettabilità fiscale. A reclamare, in seguito, la soppressione della manomorta non furono, tuttavia, i contadini che lavoravano le terre ecclesiastiche a condizioni tutto sommato miti, né i pastori che godevano del pascolo

promiscuo su quei terreni, ma l’aristocrazia feudale, desiderosa di impossessarsi dell’ingentissimo patrimonio terriero della Chiesa, formatosi nel corso di molti secoli, per effetto di lasciti e donazioni. Nel XIX secolo le leggi napoleoniche di eversione della feudalità (1806) e la legge di soppressione dei beni degli enti ecclesiastici (emanata nel 1809 da Gioacchino Murat), favorirono l’ascesa della nuova classe borghese, espropriando i coltivatori dai feudi e concedendo ai contadini solo piccole quote di dimensioni inadeguate alle necessità produttive, che in breve tornarono a concentrarsi nelle mani della borghesia terriera, la quale assunse subito caratteristiche semifeudali23, usurpando spesso perfino i demani delle municipalità. L’avvento della nuova borghesia rurale, costituita in parte da massari e da fittavoli delle antiche masserie feudali, portò ad una necessaria ristrutturazione delle strutture nella forma e nell’organizzazione del lavoro: furono edificate nuove strutture fisse per il ricovero delle greggi, essendo l’allevamento la forma produttiva privilegiata insieme all’azienda capitalistica fondata sull’alternanza biennale dei campi a maggese-grano. A differenza del periodo in cui i padroni spagnoli si disinteressavano del lavoro dei campi, i nuovi proprietari terrieri apparvero subito direttamente interessati a gestire le loro aziende e a garantire una migliore resa dell’attività agricola. Con l’Unità d’Italia, i contadini analfabeti e sfruttati che avevano sperato nel nuovo Stato unitario per superare il sistema dei rapporti socio-economici semifeudali cui erano assoggettati, cominciarono a ribellarsi. Essi chiedevano di attenuare l’ormai insostenibile pressione fiscale e una più equa ridistribuzione terriera. Il malessere contadino prese la forma del brigantaggio, aspramente contrastato e represso dalla classe dirigente settentrionale, in alleanza con i grandi proprietari minacciati dalla rivolta contadina. Il movimento dei briganti trovò iniziale sostegno solo nei lealisti, sostenitori borbonici e clericali, ma ben presto, dopo i primi fallimenti dei moti di reazione, essi furono lasciati al loro destino. In questo, sia pur breve, frangente le masserie furono assalite e saccheggiate, oppure diventarono rifugio dei briganti, come nel caso della Masseria Parasacco, di Luigi Aquilecchia, a Melfi. Anche per scongiurare il pericolo di aggressioni, molte masserie, non ancora attrezzate per la difesa, vennero dotate di garitte pensili, caditoie, torrette sopraelevate o in sporto, mura di cinta perimetrali e feritoie24. In seguito alla legge del 15 agosto 1867, che soppresse gli enti ecclesiastici e liquidò l’asse religioso, i beni immobili della Chiesa furono assegnati al demanio e rivenduti solo ai proprietari terrieri più abbienti, stante il periodo di forte crisi agraria. Questi ultimi poterono così rafforzare la propria influenza sociale ed economica25, anche grazie ai dazi statali a protezione della cerealicoltura meridionale, dazi che 23

21

Bruno-Pani, 1999, p. 19. 22 Tommaselli, 1986, p. 23.

Sereni, 2010, p. 300. Tommaselli, 1983, pp. 57-58. 25 Palestina, 1995, p. 243. 24

136

Strutture rurali e architettura popolare contribuirono ad aggravare il divario con il Nord in via di industrializzazione, determinando nuovi ostacoli per lo sviluppo sociale del mondo contadino26. Di particolare interesse risulta, in proposito, la vicenda della foresta di Monticchio, proprietà ecclesiastica incamerata dallo Stato, che fu ceduta all’ingegner Annibale Lanari di Ancona, quale compenso per la costruzione della linea ferroviaria Avellino-Foggia-Potenza. Il nuovo proprietario trasformò a coltura parte della zona boschiva e fece costruire oltre 35 Km di strade e numerose case coloniche in stile marchigiano, che affidò a coloni chiamati da Ancona. Fu in tal modo introdotto in Basilicata, per la prima volta, il sistema della coltura a mezzadria, con dotazione alle aziende di aratri metallici e moderne trebbiatrici27. Nel corso del XX secolo i primi coloni marchigiani della zona di Monticchio furono sostituiti da mezzadri locali: ciò garantì un ottimo rendimento delle terre, essendo il raccolto equamente diviso tra mezzadri e proprietari. Dalla fine degli anni ‘70, cessato il diritto di mezzadria, le terre sono state lavorate da operai dipendenti, retribuiti a salario fisso e quindi meno motivati dei mezzadri a garantire maggiori rese agricole. Delle originarie case coloniche di Monticchio, alcune sono state pesantemente trasformate, ma non mancano quelle che ancora ricordano con evidenza una positiva stagione di trasformazione del paesaggio forestale. L’esempio di Monticchio restò tuttavia pressoché unico e isolato. Invece di un disboscamento programmato, mirato esclusivamente alla creazione di nuovi suoli agricoli, si è purtroppo assistito in gran parte del territorio lucano, a partire dalla fine del XIX secolo, alla indiscriminata distruzione di migliaia di ettari di bosco e ai conseguenti dissodamenti montani provocati dai contadini, che potevano trarre dalla vendita del legname una certa fonte di sopravvivenza e riuscivano solo in questo modo a fronteggiare le alte tasse imposte dal Regno d’Italia. La regione ricadde così in una situazione di arretratezza e povertà, a causa della mancanza di strade per il trasporto delle derrate e dell’assenteismo dei proprietari dei terreni, disinteressati anche ai minimi investimenti di miglioramento fondiario. L’arcaicità del sistema semi-feudale protrattosi fino alle soglie e oltre l’inizio del XX secolo, l’insufficienza dei mezzi di produzione e la mancanza di infrastrutture rurali, sono stati la causa del decadimento del sistema produttivo e del degrado delle masserie. L’unica soluzione per decine di migliaia di lucani apparve, quindi, l’abbandono delle terre e l’emigrazione.

tutela forestale e di rimboschimento, oltre a provvidenze per l’agricoltura. Tra i buoni risultati della legge nel settore agricolo occorre annoverare il sistema delle cattedre ambulanti e i concorsi per incoraggiare la costruzione di nuove dimore per la popolazione rurale29. Nel settore delle opere pubbliche venivano inoltre disposti il completamento della rete stradale e ferroviaria e la bonifica idraulica delle pianure per combattere la malaria e agevolare la produttività. Tuttavia, a parte pochi esiti positivi, la limitatezza dei fondi stanziati e l’insufficienza degli organi destinati all’attuazione del programma, non consentirono di risolvere tutti i gravissimi problemi della Basilicata, problemi che si aggravarono ulteriormente nel primo dopoguerra e in epoca fascista. Nel secondo dopoguerra il dissenso e il malcontento contadino, che in passato si era concretizzato nelle forme del brigantaggio e dell’emigrazione, tornò a manifestarsi attraverso l’occupazione delle terre. Finalmente, dopo 200 anni dalle prime ribellioni contadine seguì, nel 1950, la Riforma Fondiaria, che sancì l’esproprio delle proprietà maggiori di 300 ettari in cui non fossero stati apportati significativi miglioramenti colturali. La Riforma ridisegnò il territorio in poderi mediamente di circa sei ettari, da assegnare ai nulla tenenti, ed in quote di due o tre ettari, da aggiungere alle piccole proprietà dei contadini. In seguito a queste leggi, l’antica masseria perse definitivamente il suo ruolo economico e sociale, fenomeno che si è tramutato spesso in abbandono delle strutture che un tempo erano state centri vitali di produzione e luoghi di posta per i viaggiatori e di ricovero per le greggi in transumanza che pascolavano sui tratturi, con le loro campane dal suono ipnotico, tra le urla dei mandriani e il rincorrersi dei vitelli. Le terre espropriate dagli enti di Riforma furono convertite dal sistema del maggese a quello della rotazione triennale specializzata. Gli enti impegnati a coordinare la Riforma furono progressivamente smantellati, perché ancora una volta le classi dominanti preferirono mantenere caratteri capitalistici nell’economia italiana, piuttosto che favorire la crescita dei contadini. Con la Riforma si portò a termine la bonifica del Metapontino, infestato dalla malaria e, per far posto ai poderi fu abbattuta un’antichissima selva estesa per circa 200 ettari, furono inoltre costruite numerose case coloniche nella zona di Scanzano e di Policoro. Nel Metapontino la bonifica ha contribuito a modificare il paesaggio naturale caratterizzato dalla successione di battigia, cordone dunale e laguna retrodunale, attraverso il colmamento delle aree malariche di ristagno e la successiva riconversione ad attività agricola, ancora oggi molto redditizie30.

Le rimesse degli emigranti, tuttavia, costituirono comunque una consistente fonte indiretta di entrate economiche nella regione e cominciarono presto a produrre l’effetto di una nuova ristrutturazione delle case rurali, soprattutto in agro di Lagonegro e di Maratea28. In verità, la legge speciale per la Basilicata, voluta da Zanardelli nel 1905, aveva previsto l’esecuzione di opere pubbliche e specifiche iniziative di

Come nel Metapontino, anche nelle valli del Vulture e dell’Agri l’attività agricola non è scomparsa, ma al contrario è stata potenziata con l’adozione di moderni sistemi agrari. Ne è un esempio l’antica tenuta Rotondo (fig. I.8 / pict. I.8) a Barile, dove a fianco della masseria originaria è stata fondata

26

29

Note di storia, 2010, p. 108. Franciosa, 1942, p. 24. 28 Franciosa, 1942, p. 54. 27

Ranieri 1961, p. 38. Per un approfondimento si rimanda ai contributi di Sabia e della Coppa nella parte II del presente volume. 30

137

Cultural Landscapes

Fig. I.2 - Masseria Giardino (Grumento Nova, PZ): le grandi stalle moderne (A.) e gli edifici della Riforma (B.) accanto ai vecchi fabbricati (C.). Pict. I.2 - Masseria Giardino (Grumento Nova, PZ): the big cattle shed (A.), the buildings of the Reform (B:) near the old farms (C.). una moderna azienda vinicola. Con l’aumento della produttività, alle antiche strutture rurali sono stati aggiunti volumi che hanno compromesso l’unità stilistica o, come nella masseria Giardino di Grumento, sono stati aggregati, a una certa distanza, edifici prefabbricati (fig. I.2 / pict. I.2).

nel caso delle aree produttive sorte per effetto della Legge 219/1981 per la ricostruzione dopo il sisma del 1980, o dell’insediamento FIAT nella zona del Vulture, strategicamente collocata tra i bacini di manodopera della Campania e della Puglia.

Spesso, nei casi in cui le masserie sono state trasformate in case di campagna, è avvenuta una ricostruzione totale delle strutture e solo la presenza di annessi non ristrutturati ricorda la natura originaria del luogo, come nel caso della stalla della masseria Lombardi di Tramutola (fig. I.6 b / pict. I.6 b). La ristrutturazione di molti edifici rurali, convertiti in agriturismi o in seconde case di campagna, oltre ad essere realizzata con materiali moderni, ha apportato numerose superfetazioni quali garage, verande, porticati, infissi in metallo ed ha causato l’alterazione delle forme originarie dei tetti e delle aperture.

Ai nuovi paesaggi industriali, pur importanti per l’economia locale, rischiano tuttavia di sottomettersi gli antichi paesaggi agrari, portatori di identità storica e culturale. Appare, pertanto, urgente e necessario contrastare il totale snaturamento dell’ambiente e il consumo eccessivo dei territori aperti, regolamentando le nuove costruzioni, tutelando le masserie e le testimonianze della civiltà agricola attraverso norme che consentano la loro conservazione materica e il loro riuso appropriato. Analogamente sarà necessario selezionare elementi arborei e colturali coerenti con l’ecosistema formatosi nel corso dei secoli.

Nelle aree montane e in quelle più interne della regione, negli ultimi anni, il paesaggio ha subito trasformazioni dovute all’abbandono delle pratiche agrarie e al declino della transumanza (per mancanza di manodopera e a causa di una concorrenza spietata del mercato estero): nei campi incolti oggi è frequente trovare distese di pannelli fotovoltaici, costruzioni moderne o capannoni industriali.

I.2.2. Classificazione tipologica delle masserie

Altro fattore che ha accentuato la deruralizzazione in atto è la riconversione del territorio agricolo in usi industriali, come

La gran parte delle testimonianze di masserie presenti in regione sono databili dal XVIII secolo fino al 1950 circa; rarissimi sono i segni materici delle strutture greche, poche le preesistenze di età svevo-angioina e aragonese. Le masserie, oltre che per essere state edificate in tempi diversi, si differenziano in base alle attività a cui presiedevano in masserie di campo o di allevamento (legate alla qualità dei terreni circostanti). La gran parte delle masserie conduceva

138

Strutture rurali e architettura popolare

Fig. I.3 – S. Angelo Le Fratte (PZ): modificazione del paesaggio attorno alla masseria elementare con torre-colombaia. Pict. I.3 – S. Angelo Le Fratte (PZ): changing of the landscape around a masseria elementare with pigeons tower. attività miste, in cui erano praticati sia la cerealicoltura che l’allevamento; la coltivazione di olivo, vite e mandorle, invece, era praticata solo nelle zone più calde. La distinzione delle masserie in base all’attività produttiva principale era già in vigore nel XVI secolo, quando iniziò a diffondersi la pratica di illustrare con disegni e mappe gli inventari delle grandi proprietà fondiarie ecclesiastiche31. «È difficile fare classificazioni tipologiche per organismi edilizi che hanno risentito, nel lunghissimo periodo della loro evoluzione, di disparate influenze politiche, sociali, produttive: dalla matrice religiosa a quella feudale, a quella borghese; dall’indirizzo della pastorizia transumante a quello dell’allevamento aziendale, dei seminativi, dei “parchi” arborei, della trasformazione dei prodotti»32. Alla difficoltà di classificare strutture, che hanno subito diverse trasformazioni nel tempo, ad opera di vari interessi produttivi e del gusto di differenti classi sociali, si associa quella di uniformare tutte le classificazioni compiute dagli autori che si sono occupati dell’argomento. Le classificazioni, brevemente descritte di seguito, discendono chiaramente dalla suddivisione del Franciosa, ma propongono varianti e semplificazioni, che dimostrano l’interpretazione personale. Il Tommaselli33, per le masserie fortificate del Materano, ha definito tre classi tipologico-strutturali, che corrispondono a quelle descritte dal Franciosa e che hanno anche un riscontro dal punto di vista della localizzazione geografica sul territorio. Sottolineando la grande variabilità delle strutture presenti nella stessa classe e la numerosità delle soluzioni intermedie, egli ha distinto:

- masserie fortificate a corte, soprattutto nei complessi rurali più grandi dell’areale Materano; - masserie fortificate-villaggio, nel Metapontino; - masserie fortificate-palazzo, soprattutto nelle aree interne della Provincia di Matera, presentano pianta regolare, con torrette d’angolo. Costruite dal XVII secolo dalla nuova borghesia rurale, possono presentare una piccola corte interna che illumina i locali del piano terra, solitamente senza apertura sull’esterno. Questa classe è pensabile come un sottoinsieme delle masserie-compatte del Franciosa. Alessandro Bruno e Tiziana Pani34 hanno operato una classificazione per elementi omogenei dividendo le masserie della Provincia di Potenza in: - masserie-palazzo di tipo fortificato, strutture a scopo residenziale, lavorativo e difensivo; - masserie-castello, vere e proprie fortezze con prevalente scopo residenziale e di allevamento; - masserie semplici, di tipo montano collinare, piccole abitazioni rurali su uno o due livelli, senza decori e fortificazioni; - casini di villeggiatura e casolari, dimore stagionali dei proprietari, con torre quadrata o circolare. Il Cerere, nel 1998, ha raggruppato le masserie in quattro classi35: - masserie-palazzo strutture a pianta quadrangolare, sviluppate su due piani, in cui la residenza del proprietario si eleva sulle costruzioni adiacenti (categoria che include le masserie a corte del Tommaselli e del Franciosa); - masserie composite, aziende rurali composte da numerosi edifici aggregati attorno alla dimora padronale, fino a costituire un’unica struttura composta da più corpi di fabbrica, talvolta circuenti una piccola piazza, o allineati;

31

Palestina, 1995, p. 195. Tommaselli, 1986, p. 51. 33 Tommaselli, 1986, p. 59. 32

34 35

139

Bruno-Pani, 1999, p. 20. Cerere, 1988, pp. 41-45.

Cultural Landscapes

Classificazione tipologica delle masserie di struttura composita Elementare e composita

Struttura costituita da un solo corpo di fabbrica o da più volumi elementari aggregati linearmente o attorno all’abitazione padronale, che può presentarsi di tipo elementare o unitario. Masseria Giardino (Grumento Nova, PZ)

Compatta o palazzo

Struttura compatta a pianta regolare, in genere con torrette d'angolo, sorta tra il XVIII e il XIX secolo. Costituita da un unico edificio, architettonicamente definito, con funzione residenziale prevalente. Il rustico e le altre costruzioni sono attorno, raramente addossate al corpo. Masseria Palazzo (Marsiconuovo, PZ)

A corte

Struttura ad uno o due piani che si sviluppa attorno ad una corte, con al piano terra gli ambienti per la lavorazione dei prodotti agricoli, le stalle, i servizi e gli ambienti di residenza dei salariati e al piano superiore la residenza del proprietario o del massaro. Masseria Caprarico (Tursi, MT)

Villaggio

L'abitazione del proprietario isolata e maestosa, a volte fortificata con mura di cinta, è attorniata dalle casette dei salariati, che formano un vero e proprio villaggio, insieme alla cappella e ad eventuali uffici. Castello di Policoro (MT)

Tabella 2 – Classificazione delle masserie a struttura composita della Basilicata. Plate 2 – Classification of the masserie with composite architecture in Basilicata.

140

Strutture rurali e architettura popolare

Fig. I.4 – Piante e prospetti delle principali tipologie di masserie in Basilicata. Pict. I.4 – Plans and elevation of main types of masserie in Basilicata.

141

Cultural Landscapes - masserie elementari, strutture di medie e piccole dimensioni e di minor pregio estetico (assimilabili alle masserie semplici del Franciosa); - masseriuole, case unitarie collinari a due piani, descritte secondo la definizione del Franciosa. Le classificazioni degli autori che si sono occupati delle masserie della Lucania e vari sopralluoghi hanno permesso di proporre una sistemazione basata su quattro diverse tipologie di masserie. Per ogni classe, si riporta nella tabella 2, una breve descrizione e una foto esplicativa36. Sono state identificate come masserie elementari e composite, non solo le forme più semplici composte da pochi edifici allineati, ma anche forme caratterizzate da più edifici semplici affiancati o disgiunti (annessi vari), strutture che il Franciosa inserì tra le forme compatte, basando la classificazione solo sulla forma dell’edificio principale. Rientrano in questa classe dunque le così dette masseriole del Materano e le case con torre della Val d’Agri.

nella trabeazione del tetto) con fori triangolari o quadrati, muniti di piccole mensole in cotto, sporgenti verso l’esterno39.

Per quanto riguarda le fortificazioni, nel testo di Luchino Franciosa non si parla di masserie fortificate; questa definizione è stata introdotta dal Tommaselli, che ha incentrato la sua ricerca solo sugli edifici che presentano elementi di fortificazione. Un elemento ricorrente in molte masserie è la torre: il Franciosa ha scritto che essa rappresenta l’abitazione padronale in molte masserie di tipo compatto, nelle case unitarie della Val d’Agri e nei casinimasserie (masseriole) del Materano. Il Franciosa aggiunge che «in tempi storicamente non tranquilli, per le fosche lotte tra i vari feudatari e tra questi e i loro vassalli, la casa rurale assumeva l’aspetto di un vero fortilizio per difesa contro qualsiasi invasore e non meno contro i briganti che infestavano i territori. Con la casa sorse la torre che fece parte delle abitazioni dei proprietari, munita di feritoie, uscite segrete, rifugi mascherati nei muri e nel sottosuolo, in cui si rinchiudeva il proprietario durante le razzie che i briganti o altri invasori operavano»37. A detta del Franciosa, soprattutto nelle costruzioni moderne, la torre risulta essere un puro motivo ornamentale e stilistico38.

Nel palazzo delle masserie-compatte si trovano l’abitazione del proprietario e al massimo alcuni depositi, così come nel palazzo delle masserie-villaggio, circondato dalle casette in cui risiedono i dipendenti (massari, pastori e contadini fissi e lavoratori stagionali). Solo in questo caso e raramente nelle masserie elementari o a corte i contadini e i pastori avevano alloggio presso le strutture; più spesso erano costretti a lunghi tragitti (anche di alcune ore) per raggiungere le masserie più decentrate dai borghi, dalle quali ogni sera muovevano per tornare verso casa. Per i lavori stagionali (l’aratura, la semina e la mietitura), erano chiamati a lavorare nelle masserie operai giornalieri; le donne, meno pagate, si occupavano della vendemmia, della raccolta delle olive e delle spighe di grano, dopo la mietitura.

Per quanto riguarda la distribuzione degli ambienti, generalizzando, si può dire che nelle masserie a 2 piani, l’alloggio padronale, con locali rifiniti e decorati, si trova al piano superiore; l’abitazione del massaro, invece, può trovarsi o al piano terra (posizione che garantisce un miglior controllo sui luoghi del lavoro) o in un semplice edificio annesso. Nelle masserie elementari e a corte gli ambienti di lavoro, situati al piano terra, comprendono stalle, fienili e locali per la trasformazione di latte, lana, olio e vino, oltre alle rimesse per carri o attrezzi agricoli. Tra gli annessi, frequenti soprattutto nel caso delle masserie più grandi, ci sono anche locali di lavoro alquanto distanziati dalla struttura principale, come i cosiddetti iazzi per l’allevamento e il ricovero degli ovini ed i porcili.

I.2.3 Distribuzione delle masserie nelle due Province Allo scopo di determinare la presenza delle varie strutture sul territorio, sono state quantificate le masserie presenti in ogni Comune, suddividendole per classi (fig. I.5 / pict. I.5).

A proposito di fortificazioni, il Tommaselli ha sostenuto invece, che la torre è l’elemento più importante della struttura difensiva delle masserie, con forme e funzioni diverse a seconda dell’epoca in cui è stata costruita. A volte si tratta di torri preesistenti all’edificio rurale, incorporate poi nella struttura agricola come nel caso della Torre Normanna del XII secolo, inglobata nella masseria di San Basilio o la Torre Spagnola del XVII secolo inglobata nella masseria omonima del Materano. Altre torri, generalmente di forma circolare, furono invece inserite, a partire del XVI secolo, nel sistema di fortificazione di masserie preesistenti. Nel caso delle masserie-palazzo, le torri sono coeve alla costruzione della fabbrica. Pani e Bruno scrivono che nelle torri delle masserie palazzo la parte superiore era adibita a ripostigli o a servizi igienici, in alto era ricavata la colombaia (presente anche 36 Le foto riportate in tabella sono della dott. Simona Buono, che ringrazio per la collaborazione. Sono state scattate durante il Convegno itinerante sui Paesaggi Culturali della Basilicata (11-13 ottobre 2011), organizzato dal CNR-IBAM di Tito scalo (PZ), per la cura di M. Lazzari, con il supporto di S. Del Lungo e C. A. Sabia. 37 Franciosa, 1942, p. 77. 38 Franciosa, 1942, pp. 146-147.

Fig. I.5 – Distribuzione delle masserie censite. Pict. I.5 – The distribution of registered masserie. 39

142

Bruno-Pani, 1999, p. 22.

Strutture rurali e architettura popolare

Masserie censite nella Provincia di Potenza Comune Abriola Anzi Armento Atella Avigliano Balvano Barile Bella Brindisi di Montagna Campomaggiore Castelgrande Corleto Perticara Filiano Forenza Genzano di Lucania Grumento Guardia Perticara Laurenzana Lavello Marsico Nuovo Marsicovetere Melfi Moliterno Montemilone Montemurro Muro Lucano Noepoli Oppido Lucano Palazzo San Gervasio Picerno Potenza Rapone Rionero in Vulture Roccanova Rotondella San Chirico Raparo San Giorgio Lucano Sant'Angelo Le fratte Sant'Arcangelo Savoia Senise Tito Tolve Tramutola Vaglio di Basilicata Venosa Viggiano TOT.

Classificazione tipologica

Numero di masserie 1 1 1 6* 12 1 3* 1 1 2 1 2* 2 4 4 3 1 1 11* 1 2 12* 1 2* 1 1 2 3 1* 2 2 1 1 2 5 5 2 2 24* 1 7* 2* 4 4 1 9* 12* 170

Elementare

Palazzo

Corte

Villaggio 1

1

11 1 2 1 1 1 1 1 1 1 3 1

1 3 1

1 6

4

1 2 9 1

1

1 1 1 1

1 2

2 1 1 1 2 2

2 1 3 2 1 1

1 1

1

1 6 1 1 3 1 1 5 68

3 1 1 3 39

3 7

2

* masserie non classificate o parzialmente classificate Tabella 1 - Masserie censite nella Provincia di Potenza, suddivise per Comune. Plate 3 – Masserie registered in the Provincia of Potenza, divided into municipalities. I valori relativi al numero delle masserie contate nella Provincia di Potenza (tabella 3) e nella Provincia di Matera (tabella 4), sono parziali e suscettibili di modifiche nel corso di future ricerche. Osservando le due tabelle si evince che nella Provincia di Potenza è stato censito un maggior numero di masserie rispetto alla Provincia di Matera: questo fenomeno è spiegabile statisticamente dalla constatazione che la Provincia di Potenza è a capo di 100 comuni, contro i 30

della Provincia di Matera; un altro motivo è legato al fatto che non sono ancora state fatte ricerche nella Soprintendenza di Matera. Per visualizzare la miriade di dati raccolti nel database, di cui le tabelle 3 e 4 rappresentano una semplificazione, si sta utilizzando, a supporto della ricerca, un Sistema Informativo Territoriale (o più comunemente G.I.S), che permette di

143

Cultural Landscapes

Masserie censite nella Provincia di Matera Comune Accettura Aliano Bernalda Colobraro Ferrandina Grottole Irsina Matera Missanello Montalbano Jonico Montescaglioso Nova Siri Oliveto Pisticci Policoro Pomarico San Mauro Forte Scanzano Jonico Stigliano Tricarico Tursi Uliveto Lucano TOT.

Numero di masserie 3* 1 2 3 41* 1 2* 9 1* 3* 2 5* 2 4* 1 1 1 2 9* 7* 2 1 103

Classificazione tipologica Elementare

Palazzo

Corte

Villaggio

2 1 1

1

14

12

1

1 1

6

1 1

1 1

10

1 3 1 1 1 2 2

1 1 1

1 1 1

20

27

14

10

* masserie non classificate o parzialmente classificate Tabella 4 - Masserie censite nella Provincia di Matera, suddivise per Comune. Plate 4 – Masserie registered in the Provincia of Matera, divided into municipalities. localizzare precisamente nello spazio di una cartina geografica digitale, una grande mole di informazioni, contenute in un database. Nel G.I.S ad ogni masseria censita, digitalizzata e georeferenziata sulla carta geografica è associato, in una tabella attributi, tutto il suo corredo informativo: Comune di appartenenza, nome della struttura, tipologia, annessi presenti, vincolo, stato di conservazione, danni o eventi calamitosi subiti, materiali costruttivi e tecniche, caratteristiche dell’ambiente circostante, informazioni storiche e fotografie. Inoltre, qualsiasi altra indicazione, recuperata in seguito alle ricognizioni d’archivio, ai sopralluoghi e alle indagini diagnostiche sui materiali, potrà essere sempre aggiunta, essendo il sistema in grado di implementare continuamente le informazioni. Per suddividere i dati in ordine cronologico, il Sistema Informativo Territoriale delle masserie della Basilicata, sarà strutturato secondo una serie di strati informativi o layers isocroni. Tutte le masserie costruite nel XVI secolo saranno visualizzate su uno strato della carta geografica col colore blu; in un altro layer, col colore rosso saranno inserite le masserie costruite nel XVII secolo e così via. La sovrapposizione degli strati corrispondenti ai diversi secoli mostrerà, sulla carta geografica, l’insieme di tutte le informazioni, differenziate per colore (e quindi per secolo), permettendo una visione diacronica e sinottica di tutti i dati raccolti. Da un esame attento della sequenza cronologica delle informazioni, potrebbe essere possibile determinare le

trasformazioni del paesaggio o la continuità di alcune strutture nel tempo. Il G.I.S., inoltre, permetterà l’esame comparato dei documenti cartacei storici con i rilievi dello stato attuale, evidenziando anche strutture non più presenti nel territorio, che, comunque, concorrono a determinare il valore del paesaggio e le sue trasformazioni. Visualizzare, in una carta geografica, il paesaggio culturale ricostruito a partire dalla ricognizione delle masserie, faciliterà le decisioni di tutela e le coordinerà seguendo fili geografici, storici e logici. I.3 Tutela e valorizzazione delle strutture rurali in un contesto di paesaggio culturale Le strutture rurali sono indissolubilmente legate al paesaggio che le contiene: un’azienda contadina (come la masseria Granata di Rionero in Vulture o la masseria elementare di Potenza, ai piedi del complesso edilizio di Rione Cocuzzo detto Serpentone, in via Tirreno), inserita in area urbanizzata viene snaturata, perde la sua identità rurale e rischia di essere invisibile o di disturbo al contesto cittadino (fig. I.6 a / pict. I.6 a). Per la sopravvivenza del valore estetico e simbolico di una struttura rurale è necessario non stravolgerne la spazialità e conservare e valorizzare il paesaggio agrario che la circonda: solo così la masseria può continuare ad essere

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Strutture rurali e architettura popolare

a.

b.

Fig. I.6 a-b – a) Potenza: la masseria elementare ai piedi del c.d. Serpentone (Rione Cocuzzo); b) Tramutola (PZ): stalla della Masseria Routis in abbandono. Pict. I.6 a-b – a) Potenza: the masseria elementare down the s.c. Serpentone (Rione Cocuzzo); b) Tramutola (PZ): the cattle shed of deserted Masseria Routis. simbolo della cultura contadina e del fecondo uso del suolo circostante. Obiettivo della conservazione degli edifici storici, in un contesto rurale, è il mantenimento della loro autenticità ed integrità non solo nei loro spazi interni, ma anche in quelli esterni. Dal punto di vista della valorizzazione di un territorio in cui è inserita una struttura rurale, dopo averne riscoperto l’identità, risulta fondamentale ampliare il focus d’interesse agli elementi geologici, idrologici, archeologici e culturali. Risulterà dunque più facile promuovere una masseria, inserendola all’interno di un percorso lungo gli antichi tratturi, associandola ad un parco archeologico o a un particolare ambiente naturale, o legandola al territorio di produzione di un prodotto D.O.P. La zona di Tramutola, ad esempio, poiché è un luogo ricco di acque e combustibili fossili, potrebbe vedere le sue masserie, accanto ai mulini, inserite in percorsi di turismo energetico, in quanto strutture che da sempre hanno saputo utilizzare, in maniera sostenibile, le risorse insite nel territorio. A Tricarico si potrebbero realizzare percorsi guidati alle masserie del territorio (fig. I.9 / pict. I.9), in continuità con la visita dell’antico centro storico e dei palazzi cittadini dei proprietari terrieri. La sfida è quella di concepire la tutela e la valorizzazione del paesaggio in maniera globale: il paesaggio infatti, non è solo un mero contenitore di strutture, ma è il substrato che lega elementi archeologici, storici, geologici, culturali, religiosi, ecologici, enogastronomici. I.3.1 Conservazione programmata e restauro architettonico delle strutture rurali Studiare lo stato di conservazione di un manufatto rurale significa indagare sul suo passato, oltre che sul suo presente, traendo informazioni da fonti inusuali, come i materiali

costitutivi e gli strati di alterazione, le serie storiche dei dati ambientali (climatici e calamitosi) e i sintomi della presenza di organismi (dai batteri infestanti agli esseri umani) che hanno modificato le strutture a seconda delle diverse esigenze nei secoli. A causa dell’abbandono delle pratiche agrarie, masserie, mulini, lavatoi, abbeveratoi, iazzi, cantine e oleifici sono oggi a rischio di degrado e di perdita dei caratteri tipologici originari. Le cause del degrado sono molteplici e si differenziano da caso a caso, a seconda dei materiali da costruzione, della storia dei danni subiti, delle caratteristiche ambientali, climatiche e geologiche del luogo in cui la struttura sorge. Lo studio materico di una struttura, propedeutico al recupero e finalizzato alla valorizzazione, è un esame multidisiciplinare che prevede la realizzazione di: - rilievo architettonico, per conoscere le dimensioni, le norme di esecuzione e il rapporto della struttura col contesto esterno40 e per analizzare similitudini e differenze con altre strutture (come è stato dimostrato per tre masserie del Vulture41), permettendo di precisare la descrizione delle classi tipologiche; - analisi delle caratteristiche strutturali e dei principali elementi tecnologici (strutture di fondazione, murature, intonaci, solai, volte, coperture, porte e finestre) e del loro stato di conservazione; - analisi dei materiali e delle alterazioni, per mettere in luce la storia conservativa delle strutture, evidenziando la stratificazione degli strati originali dagli strati di restauro; - analisi delle tecniche costruttive, per fornire indicazioni 40 41

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Conte, 2008, p. 33. Masiello, 2000, pp. 26-42.

Cultural Landscapes sulle influenze artistiche e sulle conoscenze pratiche tramandate nei secoli; - analisi dei fattori ambientali, dal rischio idro-geologico e sismico alle caratteristiche climatiche e d’inquinamento, per determinare la percentuale di rischio di collasso di una struttura.

metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza estetica, storica e materica; momento di riscoperta della storia conservativa, delle tecniche costruttive e della storia del luogo.

I fenomeni di degrado più frequenti, riscontrati su una campionatura di masserie del Vulture42, sono: - piccoli crolli di intonaco; - lesioni localizzate; - ossidazione dei tiranti metallici (usati in corrispondenza degli orizzontamenti per garantire maggiore stabilità sismica alle strutture); - coperture danneggiate; - dilavamento delle malte di allettamento tra i conci; - deterioramento di porte ed infissi lignei. Piccoli interventi localizzati basterebbero a garantire la conservazione degli edifici affetti da queste patologie, che non intaccano, a breve termine, l’efficienza della struttura portante.

La ricerca bibliografica sul tema “Masserie della Basilicata”, ha prodotto risultati utili a fornire una base di conoscenza sulle costruzioni tipiche della cultura contadina e sul loro significato economico e sociale.

Affinché la salvaguardia sia duratura, gli interventi localizzati devono essere inseriti in un progetto di conservazione programmata, essendo il degrado, inesorabilmente in agguato. Questa tecnica messa a punto negli anni ‘70 del secolo scorso, dal Direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro (I.C.R) Giovanni Urbani, si basa sulla conoscenza e sul controllo periodico dei materiali e dell’ambiente circostante, allo scopo di avere nozione delle criticità connesse alla buona conservazione del manufatto. Conoscere in anticipo le criticità significa prevedere eventuali trasformazioni, avendo la possibilità di evitarle o almeno di renderle il meno aggressive possibile, agendo sulle cause con i dovuti trattamenti di manutenzione43. La conservazione programmata è da preferire ai restauri classici, sia perché è più rispettosa del manufatto, poiché previene il degrado anziché curarlo, sia perché risponde a criteri di maggiore economicità dell’intervento. Ovviamente, nei casi di strutture abbandonate da secoli, laddove il degrado generalmente è in stato avanzato, è necessario intervenire con azioni di restauro architettonico, da realizzarsi per mezzo di tecniche costruttive tradizionali e utilizzando materiali affini agli originali, sebbene distinguibili. Un corretto approccio al restauro e alla conservazione, basato sullo studio dello stato di salute del bene e di documenti storici ad esso inerenti (inclusi rilievi e fotografie d’epoca), permette di approfondire le conoscenze sul vissuto del manufatto e sul livello tecnologico dei suoi antichi costruttori (ad esempio sui sapienti accorgimenti, filtrati nel corso di una esperienza millenaria, per attenuare il freddo d’inverno e scongiurare il caldo d’estate, o per resistere ai moti tellurici o alle alluvioni). Solo così il restauro, secondo le parole di Cesare Brandi44, viene ad essere davvero il momento 42

Fabrizio-Manera-Margiotta, 2008, pp. 48-56. Urbani, 2000, p. 104. 44 Brandi, 2000, p. 54. 43

I.4 Bibliografia ragionata

La maggior parte delle informazioni sulle strutture rurali è contenuta in numerosi testi specifici, in articoli di riviste tecniche o nelle relazioni della soprintendenza, che sono stati punto di partenza per impostare correttamente questo studio. I principali sono brevemente descritti di seguito: - il testo, ormai introvabile del Franciosa, La casa rurale nella Lucania (1942), è risultato fondamentale per inquadrare il campo di ricerca e individuare le forme tipiche delle case rurali e la loro distribuzione su tutto il territorio lucano. - il testo del Tommaselli (1986), essendo corredato di informazioni storiche e di schede tecniche molto dettagliate sugli elementi architettonici delle masserie fortificate, è risultato molto utile per conoscere le strutture rurali del Materano e le principali forme strutturali. - le relazioni del Faggella, funzionario della Soprintendenza ai Beni Monumentali della Basilicata, raccolte nel 1988, sono molto importanti perché forniscono informazioni sullo stato di conservazione delle masserie, oltre a tracciarne similitudini costruttive ed economiche. - la raccolta del Marino (1993), pur essendo concisa e relativa solo alle strutture del Materano e a quelle delle Val d’Agri, fornisce informazioni precise sulle caratteristiche costruttive delle masserie, di cui riporta anche belle fotografie a colori. - il testo del Palestina (1995) pur non analizzando le caratteristiche architettoniche delle masserie, è davvero interessante dal punto di vista metodologico, essendo basato su ricerche archivistiche e catastali e corredato di platee e informazioni storiche molto utili per avere un quadro della società rurale di Ferrandina dal 1500 ad oggi. - l’articolo del Masiello, Tre masserie fortificate nell’Agro tra Lavello e Venosa (2000) dà un approccio innovativo allo studio delle masserie, perché si basa sulle caratteristiche geometriche ed architettoniche, per analizzare similitudini e differenze di tre strutture attigue. - riguardo alla Provincia di Potenza, il testo di Bruno e Pani (1999) offre bellissime fotografie in bianco e nero e qualche informazione storica, molto uitle per una prima ricognizione sulle masserie del territorio. - il volume edito dalla scuola media statale di Lavello “La memoria di masserie, poste e tratturi nel tempo a Lavello” (2002), offre deliziosi acquerelli delle numerose masserie e informazioni storiche e di tradizione orale molto utili per approfondire un aspetto della storia locale del paese. - il testo del Molfese (2003), purtroppo assente in tutte le Biblioteche della Regione Basilicata, è un trattato interessante sulla civiltà rurale e sulle condizioni di vita e di salute dei contadini, ma poco utile dal punto di vista della ricerca storica e tecnica sulle masserie.

146

Strutture rurali e architettura popolare

Fig. I.7 – S. Angelo le Fratte (PZ): un esempio di masseria elementare. Pict. I.7 - S. Angelo le Fratte (PZ): an example of masseria elementare.

Fig. I.8 – Barile (PZ): Masseria Rotondo. Pict. I.8 – Barile (PZ): Masseria Rotondo. - un importante contributo metodologico sullo studio delle strutture rurali è dato dagli articoli scientifici, pubblicati da riviste di settore, basati sulle ricerche del Di.T.Ec (Dipartimento Tecnico Economico per la gestione del Territorio Agricolo e Forestale) dell’Università di Basilicata, effettuate dei Professori Fabrizio, Manera, Margiotta, Dal Sasso, Carretta, Gioviale, che si sono dedicati al tema in maniera tecnica, proponendo l’uso di G.I.S e strumenti tecnologici per la ricostruzione di paesaggi agrari.

- il testo degli architetti Falvella e Laveglia (2007), è di grande rilevanza per il taglio tecnico delle descrizioni e delle fotografie degli elementi costruttivi delle strutture rurali di Viggiano; inoltre fornisce un’importante proposta di norme per disciplinarne gli interventi di recupero. Il censimento delle masserie è stato condotto anche attraverso il supporto di siti internet e di libri di storia locale. In futuro la ricerca sarà supportata da sopralluoghi molto più

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Cultural Landscapes

b.

a.

Fig. I.9 - Tricarico (MT): a) Masseria Laureano-Artlas; b) Masseria Santoro. Pict. I.9 - Tricarico (MT): a) Masseria Laureano-Artlas; b) Masseria Santoro. consistenti, in cui si prenderà in considerazione, oltre alla collocazione territoriale e alla tipologia, anche lo stato di conservazione degli elementi strutturali e impiantistici. Lo studio di archivi privati di famiglie della borghesia agraria e di documenti cartografici, redatti a partire dal XVI secolo, per descrivere le grandi proprietà, feudali ed ecclesiastiche, solo parzialmente avviato in questa prima fase, sarà ampliato. A tal proposito potranno essere consultati: - il testo di Angelini (1988) che analizza le principali cartografie della Basilicata, dal 1500 al 1800, conservate all’archivio di Stato di Potenza; - il testo di Romano (2004), che consente di ricostruire la storia dei possedimenti della famiglia Caracciolo di Torella, nella zona del Vulture-Melfese e dei territori limitrofi, essendo basato sull’analisi di cartografie storiche, redatte in occasione della vendita di un terreno o del passaggio delle città da un signore all’altro, quali: la platea generale dei territori appartenenti alla casa di Torella e gli apprezzi di Atella (1615, 1642), Lavello (1629, 1668), Ripacandida (1642, 1693), Ruvo del Monte (1740), Venosa (1635, 1696, 1713).

territorio da secoli e quindi possono essere studiate per analizzare l’evoluzione del paesaggio culturale lucano, inteso come luogo geografico delle trasformazioni agrarie e come luogo umano di formazione e sviluppo di cultura e di tradizioni popolari. L’importanza storica e culturale delle masserie per la ricostruzione e la conoscenza del passato della Basilicata, incentiva a credere nella loro valorizzazione e conservazione, intravedendo in esse potenziali strutture ricettive del turismo culturale, o luoghi di formazione e “siti del sapere popolare” (agriturismi, parchi letterari, scuole di danze popolari, fattorie didattiche, ecomusei) o, ancora, aziende agricole di prodotti biologici e di qualità, che assecondino la naturale funzione produttiva. La conoscenza dei materiali e delle tecniche di costruzione dell’architettura popolare lucana, potrebbe consentire di indirizzare, gli interventi di conservazione programmata e di restauro architettonico degli edifici rurali, meritevoli di interesse e di doverosa attenzione da parte dei privati cittadini e delle pubbliche istituzioni.

I.5 Conclusioni La ricerca condotta principalmente su fonti bibliografiche e secondariamente attraverso sopralluoghi, ha inteso implementare le conoscenze sul paesaggio culturale della Basilicata, riconoscendo vedute, ambienti e strutture che costituiscono un simbolo e una traccia di storia locale da conservare. Al fine di proporre interventi di pianificazione territoriale in armonia con il testamento paesaggistico della Regione, sono state censite oltre 250 masserie, che rappresentano testimonianze materiche di eventi che hanno descritto o modificato il territorio nel passato, sia dal punto di vista economico che sociale. Le masserie hanno rappresentato il centro di vita e di governo delle campagne, prima di ordine feudale (laico e religioso) e poi borghese. Sono presenti sul 148

CAPITOLO II PAESAGGIO E STRUTTURE DELL’ACQUA: ARCHEOLOGIA E ARCHITETTURA DEI MULINI Angela Fortunato Abstract The paths of the water are the symbol of a stratification in progress, with many signs that form the landscape. They can change its look but not its propensity to have water everywhere. An historical analysis of mills and their mechanism, linked to the presence of water, with a special study about their distribution in the lucanian territory, introduces the historical and urbanistic placement of mills in Tramutola with a particular attention to the local aqueducts (S. Carlo and Cavour). The chapter ends with some telling about the relationship of landscape and water mills in the communication and marketing. Keywords architecture, water mills, millstone, aqueduct, vertical or horizontal axis, hydraulic wheel, activity of milling, Tramutola, Sarconi, communication, marketing, Mulino Bianco II.1. Il paesaggio e l’acqua Nel corso del tempo l’uomo ha sempre cercato di insediarsi, e dunque stabilirsi, in luoghi che fossero favorevoli alla sopravvivenza. Conseguentemente si potrebbe sostenere che il paesaggio, nel senso di ambiente, ha sempre rappresentato un elemento importante per la sua vita. Tutti gli elementi che lo compongono, in ogni momento della storia, si sono integrati con l’azione degli individui nello spazio. Parafrasando l’immagine biblica dei quattro fiumi che fuoriescono dal Paradiso Terrestre (Nilo, Tigri, Eufrate, Gange), nel corso del IV millennio a. C. le prime grandi civiltà sono sorte e si sono sviluppate lungo i principali fiumi del mondo allora conosciuto. L’acqua si è presto trasformata in una vera e propria infrastruttura, capaca di garantire un forte sviluppo economico e culturale. La sopravvivenza si pone in netto contrasto con qualunque considerazione di tipo estetico e, quindi, dal punto di vista della lettura di un architetto, paesaggistico. Uscendo dalla prospettiva storica si potrebbe comunque pensare che l’uomo, intuendo la straordinaria importanza delle risorse offertegli dalla natura, ha cercato di adattare sempre più la propria vita ad esse, evitando quasi di alterarne, almeno in un primo momento, la composizione e, di conseguenza, la bellezza.

paradossalmente, un ostacolo per le proprie attività quotidiane. Si è in pratica dimenticato il valore dell’acqua come uno dei quattro elementi fondamentali della vita, senza il quale non si sarebbe nemmeno mai arrivati a parlare di progresso. Affinchè si attivi un’inversione di tendenza, sarebbe necessario non soltanto salvaguardare la risorsa, ma anche l’ambiente naturale e creare una serie di regole che, in maniera inequivocabile, vadano ad incrementare processi virtuosi. Per riuscire in un simile progetto bisognerebbe anche ripercorrere in senso critico tutte le fasi storiche che hanno determinato cambiamenti peggiorativi ed eventualmente prendere in considerazione anche tutte le nuove coordinate storico-sociali utili e specifiche di ogni luogo, per agire di conseguenza. In questo il mulino, di cui in questo breve saggio si offrono alcune informazioni utili di carattere storico e tecnico, rappresenta quasi un simbolo del variegato e multiforme rapporto tra l’uomo e l’acqua, intesa nell’accezione di una forza motrice per ottenere la quale nei millenni si è canalizzata una parte della corrente di torrenti e fiumi e la si è portata laddove fosse necessario, restituendola al suo corso d’origine solo dopo ulteriori passaggi in alvei artificiali attraverso orti e superifici coltivate. II.2 I mulini ad acqua La storia dei mulini ha origine remota, tuttavia essa assume una connotazione nuova nel momento in cui, nel patrimonio tecnologico, entra un meccanismo azionato dall’acqua corrente: la ruota idraulica. Fino a questo momento, infatti, le macine per la frantumazione sono state gestite dalla sola forza muscolare di uomini e animali. Sono stati rinvenuti diversi documenti chi ci consentono di collocare i primi mulini ad acqua del bacino del Mediterraneo, intorno al I secolo a. C., a cominciare dal trattato De Architectura di Vitruvio. Ciononostante, soltanto con la fine dell’Impero Romano d’Occidente il mulino ad acqua viene adoperato in Italia e poi, a seguire, in Inghilterra, Germania e, più tardi ancora, nel resto d’Europa, con influenza anche delle Crociate1. La diffusione di questo genere di mulini contribuisce a determinare un vero e proprio cambiamento delle tecniche agricole, che di fatto iniziano ad impiegare sempre di più l’acqua come fonte di energia e sempre meno l’energia muscolare. Ne consegue che l’applicazione della ruota idraulica venga estesa, soprattutto in ambito monastico, anche ad altri tipi di macchine (gualchiere, forge) e consenta in media di incrementare le produzioni con uno sforzo inferiore.

Inconsapevolmente, si è venuta da subito a creare una vera e propria integrazione uomo-paesaggio, con l’attribuzione allo spazio di un’identità calibrata sulle esigenze degli individui e delle comunità. Il progresso, inteso in chiave moderna, ha portato ad accelerare ed incrementare lo sfruttamento della risorsa idrica sino alle estreme conseguenze, utilizzandola per rimuovere gli scarti delle produzioni e nascondere i rifiuti, L’esempio più antico di mulino azionato da energia idraulica senza preoccuparsi più di mantenere gli alvei. I corsi d’acqua ed usato per la macinazione risale al I secolo a. C. e vede sono stati, prima, cementificati e soffocati da processi di edificazione selvaggia e, poi, emarginati, perché divenuti 1 In generale sull’argomento vedasi la miscellanea Mulini da grano nel pericolosi, costituendo un fattore di rischio e, Piemonte medievale, a cura di R. Comba, Cuneo, 1993. 149

Cultural Landscapes

Fig. II.1 – Il mulino ad acqua in una miniatura del XIV secolo (da Benassi 1986). Pict. II.1 – The water mill in a miniature of the XIV century (from Benassi 1986). l’impiego della ruota orizzontale a palette, che trasferisce dalla ruota alla macina il moto dato dall’albero di trasmissione verticale. Provvedere alla costruzione, alla gestione e al funzionamento di un mulino risulta sempre piuttosto complicato, poiché obbliga la richiesta di autorizzazione al detentore riconosciuto del diritto sulle acque (barone, conte, duca, principe, re oppure prelato, priore, abate e vescovo) e richiede la disponibilità di somme di denaro per sostenere lo sforzo economico necessario alla realizzazione della struttura e del macchinario e all’avvio dell’attività, legata anch’essa al rilascio di una concessione che abiliti al beneficio di un introito (l’obbligo di molitura presso quel dato mulino per tutti i contadini ed i cittadini di un ampio territorio) di natura fiscale, solitamente di pertinenza statale o signorile. Proprio per questi motivi la pertinenza di gran parte dei mulini è feudale o comunale, impedendo, sino alla piena età moderna e, in ampie zone d’Italia, come il Regno di Napoli, fino agli inizi del XIX secolo, la costruzione di impianti privati. I mulini costituiscono una fonte certa di reddito, dal momento che chiunque li utilizzi è tenuto a cedere al titolare / concessionario una percentuale del prodotto ottenuto oppure a versargli una somma di denaro corrispondente. La figura del ‘mugnaio’, cioè di colui che lavora nel mulino inquadrato in una sorta di esercizio della libera professione, si diffonde con l’economia comunale nel corso del XIII secolo, di pari passo con l’affermazione del concetto di uso pubblico delle risorse naturali, comunque regolamentato e sottoposto a tassazione. Sono regole che, ampliate e modificate nel corso del tempo, risultano in vigore ancora oggi, nonostante siano mutate le infrastrutture produttive ed i mulini, che in gran numero ancora punteggiano le campagne, e ancor più quelle lucane, si apprestano a scomparire del tutto. Con la scomparsa dei macchinari, autentici gioielli di archeologia

industriale, l’asportazione delle macine, trasformate in elemento di arredo per giardini, e l’interro dei canali di adduzione delle acque, rimangono solo degli edifici anonimi, che solo le carte topografiche dell’Istituto Geografico Militare, nelle edizioni dal 1936 al 1962 registrano e permettono di riconoscere per ciò che realmente sono state. Per questo e tanti altri motivi il valore storico-culturale dei vecchi mulini non deve essere sottovalutato. Fanno portavoce della storia di un dato territorio, delle sue metodologie produttive, della capacità via via dimostrata di adattare le risorse naturali al fabbisogno dell’uomo. Ma soprattutto testimoniano il progressivo la sua capacità di adattamento e, per esprimersi con parole care alla comunicazione odierna e al mondo dell’architettura, di integrarsi in maniera ecocompatibile con lo spazio che lo ha accolto. II.3 Il funzionamento dei mulini Il termine mulino deve la sua origine al fatto che le prime macchine messe in uso lavorano grazie allo sforzo muscolare svolto dagli animali, prevalentemente muli. Nel tempo il loro funzionamento è stato legato anche ad altri fattori, che man mano hanno portato a diversi tipi di strutture. Infatti siamo soliti fare una distinzione fra mulini ad acqua o a vento, a seconda che il loro funzionamento derivi dall’una o dall’altra fonte di energia. Questi tipi di mulino, ma soprattutto quelli ad acqua, iniziano a trovare larga diffusione a partire dall’Alto Medioevo. I primi mulini ad acqua sorgevano direttamente nei torrenti e parte dell’acqua veniva deviata su una ruota con pale creando in questo modo una forza che faceva girare la ruota intorno al proprio asse («Una forza applicata su corpo rigido vincolata genera un momento che porta in rotazione il corpo rigido»; Legge della Statica delle Strutture). Potevano avere inoltre una doppia ruota, di cui una in pietra che fungeva anche da

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Paesaggio e strutture dell’acqua

b.

a.

Fig. II.2 –Esempi di mulino: a) ad asse verticale (disegno di F. Corni); b) ad asse orizzontale (da Bloch, 1996). Pict. II.2 – Examples of mill: a) with vertical axis (drawing of F. Corni); b) with orizontal axis (from Bloch, 1996) macina, e collegata tra loro da un asse e un sistema di ingranaggi (fig. II.2 a-b / pict. II.2 a-b). Questo tipo di mulino ben presto costrinse ad agire sul corso naturale dei fiumi e a creare quindi una serie di derivazioni che, attraverso un canale, convogliavano l’acqua al mulino stesso. In questo processo l’acqua in eccesso veniva usata per l’irrigazione o immessa nuovamente nel fiume. In alcuni casi, per poter far fronte anche al problema della siccità, venivano creati laghi artificiali in prossimità dei mulini. Se è vero che un’immagine stereotipata della città medievale ci porta a considerarla come un insieme di torri, mura di difesa e cattedrali, è altrettanto vero che le iconografie dell’epoca ci consegnano rappresentazioni di città attraversate da fiumi, torrenti e canali. Anzi, proprio nel corso del Medioevo tra acqua e città si instaura un rapporto molto stretto, dal momento che essa viene impiegata per vari scopi, tra cui anche il funzionamento dei mulini. Di conseguenza molte opere finalizzate alla raccolta e alla regolazione delle acque sono proprio legate a questo tipo di attività. Infatti i mulini, dotati di una ruota poggiata direttamente in acqua, presto iniziano a diminuire poiché anche una semplice piena potrebbe danneggiarli. Venendo costruiti più lontano dai corsi d’acqua, diviene necessario scavare canali artificiali o addirittura costruire acquedotti, per permettere il funzionamento dei meccanismi. Attraverso l’utilizzo di pietrame e tronchi di albero, viene creato uno sbarramento, detto ‘traversata’, con accumulo di acqua regolato da una serie di chiuse, aventi il compito di far aumentare o diminuire il flusso e di indirizzarlo nella ‘gora’, ossia un canale che gli permette di giungere fino alla struttura del mulino, alimentandone la ruota. Alcuni mulini hanno anche una riserva d’acqua detta ‘bottaccia’, che si trova leggermente al di sopra della ruota e può essere attivata in periodi di scarso afflusso idrico, dovuto ad una siccità prolungata o a una diversa destinazione d’uso dell’acqua.

Rispetto al tipo di ruota da impiegare, ci sono delle differenze tra i mulini costruiti in pianura e quelli in montagna. Per i primi solitamente si impiega una ruota verticale a pale piane, alimentata da sotto; per i secondi, invece, una ruota orizzontale con pale a cucchiaio azionata lateralmente, o una ruota a cassette, le quali venivano alimentate dall’acqua per caduta dall’alto e per accumulo tra una pala e l’altra. Nel processo di molatura, un ruolo fondamentale è svolto dal mugnaio il quale doveva intervenire per garantire il giusto funzionamento del mulino. Infatti era proprio lui che, canalizzando l’acqua verso la paratoia, metteva in funzione l’intera macchina. Lo stesso regolava la distanza tra le macine, inseriva il cereale nella tramoggia, controllava il prodotto, ne scartava le impurità ed effettuava lavori di falegnameria e rabbigliatura, ossia rifaceva i solchi radiali presenti sulla superficie interna delle macchine. Ogni mulino presentava una ‘merla’, che finendo nell’albero verticale della ruota creava il movimento alla macina superiore; e un ‘bossolo’ che andava a chiudere perfettamente l’occhio della macina inferiore ed impedire così la fuoriuscita di cereale. A dirigere il grano verso la macina superiore e a regolarne la quantità di caduta c’erano il ‘coppo’ e la ‘canterella’. La distanza poi delle macine era garantita dalla ‘temperatoia’ ad argano a vite, che aveva anche il compito di sostenere il rocchetto di trasmissione del movimento. A cambiare la direzione del moto da verticale a orizzontale e ad aumentare il numero dei giri, c’era un ingranaggio formato dal ‘lubecchio’ (una ruota a pioli) e da una ‘lanterna’ (una ruota a gabbia), che trasmetteva il movimento dalla ruota idraulica alla macina. I mulini erano strutture studiate ogni volta per rispondere alle funzioni e ai compiti da svolgere, pur mantenendo le

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Cultural Landscapes caratteristiche tecnologiche comuni, ed erano integrati nell’ambiente da cui prendevano la forza motrice. In montagna, ad esempio, si sfruttava il salto d’acqua, quindi la forza d’urto di una pressione maggiore ma con una portata minore, favorendo la spinta per di sotto con ruote piccole e robuste. In pianura, invece, i mulini erano solitamente posizionati sulle rive dei fiumi, dove esisteva un certo dislivello d’acqua. Ad indirizzare il flusso sulla ruota idraulica provvedeva uno stretto canale artificiale, chiamato ‘gora’. Ad aumentarlo e a ridurlo, invece, era la saracinesca della chiusa, che regolava la velocità dell’acqua. Esistevano diversi tipi di ruote, dette, a seconda della posizione, ‘per di sotto’, meno efficiente, ‘per di sopra’, molto più efficace, e ‘per di fianco’, inventata da John Smeaton. Nell’insieme, però, la struttura di base non cambia, poiché il mulino ad acqua risulta sempre composto da una ruota a pale, detta ‘idraulica’, fissata ad un albero (l’asse) e azionata dalla corrente che le provoca un movimento rotatorio continuo, trasmesso direttamente a macine, seghe e macchine varie attraverso una serie di ingranaggi.

del mulino, preceduto dal numero d’ordine provvisorio, conferito in questa sede per maggiore chiarezza del dato esposto; il Comune in cui ricade la struttura, la Provincia di appartenenza, la Localizzazione, con rimando al corso d’acqua o al vocabolo più vicino, le Note, per registrare eventuali modifiche subite dalla struttura, osservazioni sullo stato di conservazione (distinto secondo i gradi di valutazione ‘ottimo’, ‘buono’, ‘discreto’, ‘mediocre’, ‘pessimo’), presenza ancora sul posto del macchinario o delle pietre, e commenti o, laddove disponibili, rimandi a fonti testuali e cartografiche; e il Periodo storico in cui la struttura risulta costruita, fermo restando che la gran parte risale ai primi decenni del XIX secolo. Il censimento, limitatosi in questa sede ad un semplice campione, è stato eseguito in Basilicata nell’ambito della provincia di Potenza, selezionando luoghi distinti fisicamente e diversificati a livello geomorfologico, unendo informazioni recuperate in bibliografia, sebbene non omogenea per gli esempi recuperati e spesso lacunosa, e nella cartografia di dettaglio in scala 1:25.000 (edizioni del 1954-1962) dell’Istituto Geografico Militare. II.4.1 Il campione esaminato

Come già è stato detto, nei mulini ad acqua più antichi l’intera ruota è immersa nell’acqua e l’asse è verticale rispetto alla direzione della corrente. Il disco superiore della macina, fissato direttamente all’albero in rotazione, ruota alla stessa velocità delle pale e, strofinando su un disco fisso, macina il grano. Solo sfruttando tecniche costruttive più perfezionate, le ruote idrauliche vengono fissate orizzontalmente. In età romana un mulino che presentasse un ruota del diametro di 2 m riusciva a macinare ben 180 kg di grano ogni ora, mentre un mulino messo in movimento dallo sforzo muscolare dell’uomo ne macinava solo 4 kg. Con l’avvento di ruote idrauliche alimentate dall’alto, tutto il sistema di macinazione diventa più efficiente perché infatti la ruota inizia ad essere azionata sia dalla corrente, sia dal peso dell’acqua in caduta. Cresciuti poi i diametri delle ruote, aumenta la potenza del mulino stesso cosìcche con una ruota di un diametro di 3 m si arriva a macinare fino a 3 tonnellate di grano ogni ora. Solo a partire dalla rivoluzione industriale i mulini inizieranno ad essere sostituiti dai frantoi, azionati da una ruota orizzontale con asse verticale, detta ‘turbina’.

1. Nome Mulino il “Tnedde” Comune Brienza Provincia Potenza Localizzazione sul fiume Pergola Note: rimane parte del perimetro murario dell’edificio. Stato di conservazione mediocre. Periodo Storico XIX secolo 2. Nome Mulino della Corte Comune Brienza Provincia Potenza Localizzazione sul fiume Fiumicello Note: in ottimo stato, ma manca dell’apparato meccanico. Periodo Storico XIX secolo 3. Nome Mulino S. Giovanni Comune Castelluccio Inferiore Provincia Potenza Localizzazione sul fosso S. Giovanni Note: ottimo stato di conservazione; mantiene ancora tutti i macchinari e le macine. Periodo Storico XIX secolo

II.4 I mulini in Basilicata: analisi preliminare In considerazione della rilevanza che fin dall’Antichità hanno avuto la cerealicoltura e l’energia idraulica attraverso l’uso di ruote idrauliche, che caratterizzano le strutture produttive preindustriali, l’indagine svolta è stata finalizzata all’avvio della catalogazione dei mulini, preliminare ad una loro tutela, salvaguardia, conservazione e fruizione.

4. Nome Mulino della Contessa Comune Castelmezzano Provincia Potenza Localizzazione nella valle del Camastra Note: trasformato nell’omonimo agriturismo; mantiene ancora il macchinario in efficienza e funzionante. Periodo Storico XIX secolo

Il censimento ha portato ad una numerazione degli stessi che 5. Nome Comune al momento è convenzionale e parziale, in attesa di Provincia completare la raccolta dei dati per arrivare a dare un numero Localizzazione definitivo di inventario. Per ogni struttura rilevata è stata Note: verificato in cartografia. stilata una scheda riassuntiva, nella quale far risaltare le Periodo Storico caratteristiche principali secondo le seguenti voci: il Nome 152

Mulino Barone Castelsaraceno Potenza località Torretta XVIII-XIX secolo

Paesaggio e strutture dell’acqua

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Fig. II.3 a-b – Missanello (Potenza), Mulino d’Agri: a) la gora; b) il meccanismo ad asse verticale per la macina. Pict. II.3 a-b – Missanello (Potenza), Mulino d’Agri: a) the gora; b) the mechanism with vertical axis for the stone-mill. 11. Nome Comune Provincia Localizzazione Cogliandrino Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

6. Nome Comune Provincia Localizzazione Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

Mulino Maltese Castelsaraceno Potenza località Racanello

7. Nome Comune Provincia Localizzazione Serra Vecchia Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

Mulino Ferrara Francavilla sul Sinni Potenza località lago Grosso, fosso

8. Nome Comune Provincia Localizzazione Serra Vecchia Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

Mulino Sergio Francavilla sul Sinni Potenza località Bruscata, fosso

9. Nome Comune Provincia Localizzazione fosso S. Giovanni Note: verificato in cartografia Periodo Storico

Mulino Damuzzo Francavilla sul Sinni Potenza presso Fontana Tierzi, sul

10. Nome Comune Provincia Localizzazione Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

Mulino Luglio Lauria Potenza torrente Cogliandrino

XVIII-XIX secolo

XIX-XX secolo

XIX-XX secolo

XIX-XX secolo

XIX-XX secolo

Mulino Manfredelli Lauria Potenza località Casale, torrente XIX-XX secolo

12. Nome Mulino d’Agri Comune Missanello Provincia Potenza Localizzazione presso fosso Fontana, località Giardini Note: in ottimo stato di conservazione. Trasformato in agriturismo (Antico Mulino), conserva ancora la macina e parte del meccanismo, con la ruota ad asse verticale (figg. II.3 a-b / pict. II.3 a-b). Periodo Storico XIX-XX secolo 13. Nome Mulino Cornaleto Comune Pignola Provincia Potenza Localizzazione località Ponte Mallardo, torrente Fiumicello Note: il mulino è anche detto Cammarota, dal nome della famiglia proprietaria. L’appellativo Cornaleto, invece, rimanda al legno di Corniolo, usato negli ingranaggi. In ottimo stato di conservazione; il meccanismo è stato interamente ricostruito (fig..II.4-6 / pict. II.4-6) Periodo Storico XIX secolo 14. Nome Mulino Pizzolante Comune Rivello Provincia Potenza Localizzazione contrada Verneto Note: pessimo stato di conservazione Periodo Storico XIX secolo

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Cultural Landscapes

a.

b. Fig. II.4 a-b – Pignola (Potenza), il Mulino Cornaleto prima dei restauri: a) gli edifici; b) il meccanismo (foto M. Cammarota). Pict. II.4 a-b - Pignola (Potenza), the Mulino Cornaleto before the restauration: a) the buildings; b) the mechanism (foto M. Cammarota). 154

Paesaggio e strutture dell’acqua

a.

b. Fig. II.5 a-b – Pignola (Potenza), il Mulino Cornaleto dopo i restauri: a) gli edifici; b) le macine (foto M. Cammarota). Pict. II.5 a-b - Pignola (Potenza), the Mulino Cornaleto after restaurations: a) the buildings; b) the mill stones (foto M. Cammarota).

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Cultural Landscapes

c. Fig. II.6 – Pignola (Potenza), il Mulino Cornaleto dopo i restauri: le ruote del meccanismo (foto M. Cammarota). Pict. II.6 - Pignola (Potenza), the Mulino Cornaleto after restaurations: the wheels of the mechanism (foto M. Cammarota). 15. Nome Comune Provincia Localizzazione fraz. di Casalnuovo Lucano Note: verificato in cartografia. Periodo Storico

Mulino Blumetti San Paolo Albanese Potenza sul torrente Sarmento, in XIX-XX secolo

16. Nome Mulino Spolidoro Comune dove si trova Viggiano Provincia Potenza Localizzazione sul torrente Alli Note: lo stato di conservazione è buono, sebbene la struttura necessiti presto di interventi di restauro. Periodo Storico XIX secolo 17. Nome Mulino del Principe Comune Viggiano Provincia Potenza Localizzazione sul torrente Alli Note: lo stato di conservazione è mediocre. Periodo Storico XIX secolo

19. Nome Mulino S. Carlo Comune Tramutola Provincia Potenza Localizzazione località S. Carlo Note: servito da un acquedotto; oggi ristrutturato e in buono stato di conservazione, ma resta solo la struttura esterna. Del meccanismo rimane solo una mola in pietra (per un approfondimento vedasi il paragr. II.6). Periodo Storico XVI secolo 20. Nome Mulino Capo l’Acqua Comune Tramutola Provincia Potenza Localizzazione nel centro storico del paese Note: ristrutturato, in buono stato di conservazione, anche nella parte dei canali. Il macchinario è stato sostituito con un impianto idroelettrico (per un approfondimento vedasi il paragr. II.6). Periodo Storico XIX secolo 21. Nome Mulino a Caolo Comune Tramutola Provincia Potenza Localizzazione sul torrente Caolo Note: in pessimo stato di conservazione, rimane solo la struttura esterna (per un approfondimento vedasi il paragr. II.6). Periodo Storico XVII secolo

18. Nome Mulino sul Maglia Comune Sarconi Provincia Potenza Localizzazione sul fiume Maglia, in contrada Madonna del Carmine Note: verficato in cartografia (fig. II.7 a-b / pict. II.7 a-b). Periodo Storico XIX-XX secolo 156

Paesaggio e strutture dell’acqua

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b. Fig II.7 a-b - Sarconi (Potenza), mulino sul fiume Maglie: a) l’edificio; b) resti del meccanismo ad asse verticale (foto M. Delli Santi). Pict. II.7 a-b – Sarconi (Potenza), mill on the river Maglie: a) the building; b) remains of the mechanism with vertical axis (photo M. Delli Santi).

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Cultural Landscapes

Fig. II.8 – Sarconi (Potenza): l’acquedotto Cavour prima dei restauri del 1997 (dalla raccolta dell’Arch. G. Tempone). Pict. II.8 – Sarconi (Potenza): the aqueduct Cavour before the restaurations in 1997 (from the collection of Arch. G. Tempone). II.5 Un acquedotto per mulini e per irrigare a Sarconi L'acquedotto Cavour rappresenta uno dei pochi esempi conservati in Basilicata di opera idraulica complessa, finalizzata non al semplice trasferimento e rifornimento di acqua, ma ad alimentare dei mulini. È stato realizzato tra il 1865 ed il 1867, con duplice scopo, differenziando l’irrigazione (sul livello inferiore) e l’alimentazione dei mulini (nel superiore). I condotti risultano sorretti da due ordini di arcate a sesto ribassato, in muratura di pietra e mattoni, di ampiezza variabile soprattutto in corrispondenza dell’attraversamento del fiume Sciaura ed indispensabili al mantenimento di una quota sufficiente a garantire il flusso e quindi una corrente, utile per l’azionamento di pale con meccanismo ad asse orizzontale. L’attribuzione a Camillo Benso di Cavour si deve quale riconoscimento del merito di aver sperimentato per il Piemonte, in condizioni fisiche analoghe a quelle riscontrabili nel territorio compreso fra Sarconi e Moliterno, il piano di dirigere l’abbondante acqua disponibile sia per l’irrigazione dei campi sia per l’alimentazione dei mulini distribuiti sul territorio, riducendo per le strutture il rischio derivato dall’esposizione alla piena dei fiumi. Tutto inizia nel 1865, precisamente il 25 del mese di novembre, allorquando cinque proprietari, di cui quattro di Moliterno e uno di Sarconi, costituiscono con scrittura privata il Consorzio di irrigazione fiume Maglia – canale Cavour, ricadente nei comuni di Moliterno e Sarconi con una superficie irrigabile, all’epoca, di oltre 67 ettari. Con la stessa

scrittura affidano la progettazione e l’esecuzione delle operazioni all’architetto Gennaro Pizzicara, che con successo porta a termine l’incarico. II.5.1 Alcuni dati tecnici Il Canale Cavour ha origine dal fiume Maglia, attraversa la pianura di Sarconi con andamento da SO verso NE, oltrepassa il fiume Sciaura e percorre la piana tra Sarconi e Moliterno per poi terminare il percorso in contrada Pantanelle di Moliterno. La lunghezza dell’asta principale, costituita da archi in pietra con ricorsi alterni di mattoncini in cotto e le spallette ed il fondo in mattoni, secondo quanto previsto nello Statuto del Consorzio, è di circa 5,6 km, per una larghezza media di circa 1,25 m ed una pendenza mantenuta nel valore dello 0,25%. Al canale principale si unisce una rete di alvei secondari, che riescono a servire circa 70 ettari di terreno. I tratti più importanti di questa grande opera sono quelli che ancora oggi in parte conservati, ossia l’opera di presa sita nel comune di Moliterno in contrada Piani di Maglia, dove è possibile vedere la captazione dell’acqua ed il sistema di regolamentazione del flusso, e l’acquedotto a doppia arcata nel Comune di Sarconi (fig. II.8 / pict. II.8). Nel restauro, iniziato dopo il 19972, il tratto di Sarconi è stato interessato da un progetto di recupero delle luci di arco di 2

Nelle vesti di Presidente della Proloco di Sarconi, l’Architetto Giovanni Tempone, a nome di tutta la popolazione, denunciò al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali di Roma, alla Soprintendenza dei Beni Ambientali e Architettonici di Potenza, al Prefetto di Potenza e al Comune di Sarconi lo

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Paesaggio e strutture dell’acqua

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Fig. II.9 a-d – Sarconi (Potenza): l’acquedotto Cavour durante i restauri del 1997 (dalla raccolta dell’Arch. G. Tempone). Pict. II.9 a-d – Sarconi (Potenza): the aqueduct Cavour during the restaurations in 1997 (from the collection of Arch. G. Tempone).

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Cultural Landscapes

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b. Fig. II.10 a-b – Sarconi (Potenza): l’acquedotto Cavour durante i restauri del 1997 (dalla raccolta dell’Arch. G. Tempone). Pict. II.10 a-b – Sarconi (Potenza): the aqueduct Cavour during the restaurations in 1997 (from the collection of Arch. G. Tempone). 160

Paesaggio e strutture dell’acqua

b.

a.

c. Fig. II.11 a-c – Sarconi (Potenza): l’acquedotto Cavour dopo i restauri del 1997 (dalla raccolta dell’Arch. G. Tempone). Pict. II.11 a-c – Sarconi (Potenza): the aqueduct Cavour after the restaurations in 1997 (from the collection of Arch. G. Tempone). circa 350 metri lineari, di cui 150 per un’unica arcata e la restante su due. Interessante è il ponte sul fiume Sciaura, costituito da una coppia di archi ribassati a mattoni, che poggiano ai reni su quattro grossi conci in pietra3. Dal punto di vista architettonico l’opera costituisce sicuramente un progetto rilevante di ingegneria idraulica. I materiali impiegati per la costruzione dell’acquedotto, ossia il mattone e la pietra, e le soluzioni adottate (l’arco a tutto sesto, l’arco ribassato sul ponte), nonché le proporzioni e le stato di abbandono e degrado dell’acquedotto Cavour. Dopo pochi giorni dall’invio della lettera, sia la Prefettura che la Soprintendenza presero a cuore il problema. Ai sensi dell’art.4 della L. 1089 del 1939 quest’ultima vincolò l’opera e predispose, sulla base dell’art. 21 della medesima, una fascia di rispetto di proprietà privata, provvedendo di lì a poco a mettere insieme fondi sufficienti per recuperare l’acquedotto. 3 Il completamento dei lavori si deve all’allora Soprintendente, dott. Attilio Maurano, all’arch. Spaziante e a tutti i loro collaboratori.

matrici si diffondono anche per altro genere di opere, legate all’edilizia rurale. Tutte le abitazioni sono progettate in pietra con l’utilizzo del mattone per le ornie, ossia gli elementi di abbellimento delle finestre, per le soglie e i cornicioni ‘a romanella’. Gli archi invece, con la variante del sesto ribassato a mattoni, si diffondono per segnare gli accessi alle abitazioni (fig. II.9-11 / pict. II.9-11). II.6 Un caso di studio: Tramutola e i suoi mulini Se la presenza di acqua può determinare, e anche condizionare, nel bene e nel male, la scelta del luogo dove costruire un insediamento, per Tramutola, paese dell’Alta Val d’Agri (Potenza), l’abbondanza di acqua è persino all’origine del toponimo e la ragione stessa dell’esistenza di mulini idraulici.

Secondo il dialetto del posto, il carattere intermittente di 161

Cultural Landscapes molte delle sorgenti presenti avrebbe suggerito il termine tramutola. Il Racioppi, invece, sostiene che, essendo l’etimo terra motola, cioè ‘terra imbevuta di acqua’, ‘fangosa’. Secondo altri invece, il pianoro di Tramutola collega le due valli dell’Agri e del Tanagro, quindi rappresenta il ‘passaggio’, o trames, quindi Tramutola4. Attraverso diversi documenti, parte in originale, parte in copia o trascrizione, tanto editi quanto inediti, consultati anche in occasione di questa ricerca, si riescono a ricostruire le vicende del paese, sebbene per grandi linee. Il primo nucleo si sviluppa da una comunità di monaci greci, fra X ed XI secolo, e, in seguito, da una di benedettini dipendenti dall’Abbazia di Cava de’ Tirreni. La prima notizia della presenza di un mulino risale, invece, al 1136. Dagli scritti si evince che le acque dell’attuale torrente Fosso Lupo5, attraversando l’abitato, erano convogliate in una vasca di raccolta e destinate all’alimentazione di un mulino. Il loro uso era regolato, nel diritto, da una serie di disposizioni legislative che definivano i beneficiari a scapito, quasi sempre, della comunità e, nella pratica, dalla costruzione di chiuse e di un canale artificiale per convogliarle alle ruote in legno e alle macine collegate. Il contributo della comunità monastica benedettina fu fondamentale per lo sviluppo dell’attività molitoria a Tramutola e nei paesi limitrofi. D’altro canto non è nuovo sapere che in tutto il meridione d’Italia, in quel periodo, mulini, forni, gualchiere erano tutte gestite dai monaci. L’interesse che dedicavano all’utilizzo delle risorse idriche per la molitura prosegue anche dopo il periodo medioevale, come confermato da una platea del 1521, che registra quattro mulini tutti di proprietà dell’abate. Di essi solo uno è ben localizzato, poiché il suo nome (‘sotto l’Acqua’ o ‘della Torre’) ricorre ancora nel XVIII secolo e sino ad oggi come Capo l’Acqua (cioè ‘la sorgente’), posizionato in modo decentrato rispetto all’ambito urbano. Sulla collocazione degli altri mulini si sono avanzate solo ipotesi. Poco distante dall’attuale località Pantani, a pochi chilometri a valle dell’abitato vi è una struttura servita da un acquedotto sopraelevato in località S. Carlo e si presume possa trattarsi del mulino delle Pantane. A NO di Tramutola, all’incirca a 300m di distanza dal centro, in quella che oggi è la contrada Convento, si presume sia esistito il mulino ‘sotto l’Abadia’. Per quello chiamato ‘della Corte’ permangono dubbi (fig. II.12 / pict. II.12). In generale, i mulini erano sempre gestiti dai monaci, oppure erano dati in fitto ai cittadini dietro pagamento di una somma in denaro o di grano. I mulini ad acqua costituivano una categoria a sé stante, non riuscendo ad imporsi come avrebbero dovuto, a causa degli alti costi di gestione e manutenzione, nonostante le rese fossero molto più elevate rispetto ad altri sistemi di molitura, come quelli azionati da cavalli, asini o braccia (per le installazioni di piccole 4

C. Marcato, s.v. Tramutola, in G. Gasca Queirazza, C. Marcato, G. B. Pellegrini, G. Petracco Sicardi, A. Rossebastiano, Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, 1997, p. 782. 5 Nei documenti risulta originariamente chiamato Busentino.

dimensioni ed in grado di funzionare anche in periodi di magra). La concorrenza fra i diversi tipi di molitura, con il rischio di una proliferazione di quelli azionati da forza animale o umana, sufficienti a soddisfare l’esigenza di un o più famiglie, avendo anche costi di “esercizio” bassi, determina a Tramutola e altrove l’imposizione di una sorta di jus privativo, che conferisce all’autorità monastica, religiosa o signorile in genere, il monopolio sui mulini con connesso divieto di erigerne o mantenerne altri a spese proprie, pena la confisca e la distruzione dell’impianto. La vigilanza era stretta e costante, come dimostra quanto capitato nel 1610 alla locale universitas dei cittadini. Riceve in dono un mulino sul torrente Caulo, ridotto in pessime condizioni, lo restaura in modo che gli abitanti possono servirsene, risparmiando sul macinato spettante ai monaci. La sua attività, però, dura poco, poiché il caso è portato in giudizio, con l’accusa che tale operazione va contro i diritti acquisiti e riconosciuti all’abate e al monastero in materia. Il dibattimento si conclude con una sentenza favorevole ai monaci, forti di precedenti simili in cui avevano avuto comunque la meglio sui concorrenti del momento, e il mulino sul torrente viene assegnato al patrimonio e alla gestione diretta dell’abate. Agli abitanti non resta, allora, che occuparsi della macinatura vera e propria e dell’ “acconcio delle moline”, ossia la manutenzione degli impianti, dovuta in prestazione d’opera. Solo i più intraprendenti prendono dai monaci in gestione uno dei mulini, sempre dietro pagamenti di ingenti somme di denaro o, ancora una volta, di grano. Per vedere l’abolizione del monopolio si deve attendere la fine del XVIII secolo, grazie agli uomini di governo del re Ferdinando IV (17591825), che accolgono l’ennesima protesta e richiesta della popolazione di eliminare lo ius proibitivo. Da questo momento in poi a Tramutola si liberalizza la costruzione e l’amministrazione dei mulini, con conseguente aumento delle loro fondazioni ed attivazioni, durata sino all’Unità d’Italia, quando gli effetti del disastroso terremoto del 1857 e la successiva conquista sabauda compromettono in modo irrimediabile l’economia del Regno di Napoli, avviando l’emigrazione ed un processo di spopolamento degli abitati non ancora arrestato6. Come considerazione conclusiva di questo breve excursus storico bisogna tenere a mente il gran numero di corsi d’acqua e di sorgenti presenti a Tramutola, per capire e giustificare la numerosa presenza di mulini, aggiungendo anche l’abbondanza dei raccolti in cereali, favorita dalle condizioni climatiche e dalla cura e vigilanza sulle colture garantita dai monaci, che, sebbene a proprio esclusivo vantaggio, fanno dell’attività molitoria la principale voce di entrata economica, valorizzando nel miglior modo anche le risorse del territorio. Importante è, infatti, considerare l’uso “integrato” che si faceva delle risorse idriche, abbinando la molitura 6 Architetture Ecologiche nel turismo, nel recupero, nelle città-natura della Basilicata, a cura di I. Macaione, A. Sichenze, Milano-Roma, 1999, p. 180.

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Paesaggio e strutture dell’acqua

Fig. II.12 – Tramutola (Potenza): platea del 1911 relativa all’abitato e al territorio, con la distribuzione dei mulini (dalla raccolta dell’Arch. A. Noviello). Pict. II.12 – Tramutola (Potenza): platea of 1911 about the settlement, its landscape and distribution of mills (from the collection of Arch. A. Noviello). all’irrigazione dei campi con le acque di deflusso, canalizzate e sfruttate anche dopo aver azionato il meccanismo dei mulini, nell’alimentare gli abbeveratoi per gli animali e le gualchiere per la macinazione e lavorazione del lino. Si può anzi parlare di un vero e proprio “ciclo dell’acqua”, dove le diverse fasi sono strettamente legate alle attività economiche della comunità. II.6.1 Il mulino di Capo l’acqua Il mulino Capo l’Acqua già ricordato si trova tuttora ai margini dell’antico perimetro cittadino. Rappresenta un luogo di scambi sociali e di incontri, una sosta rinfrescante grazie al torrente canalizzato, dove ancora oggi le donne lavavano la biancheria e nel secolo scorso fu realizzata una fontana. Il percorso seguito dall’acqua da monte a valle dell’edificio ha, prima, la vasca di raccolta, poi un cunicolo ad imbuto, che immette nel vano dove si trova la turbina ad asse verticale in legno (il ‘ritrecine’, solitamente in quercia), ed infine il canale principale di deflusso ed una fontana, dove attingere acqua per uso domestico. La piazza, oggi Largo Fontana, costituisce un elemento urbanistico di raccordo fra le due uscite dell’acqua e in passato costituiva, come sopra accennato, un polo di aggregazione sociale alternativo alle piazze del Sagrato e del Seggio. La sorgente (fig. II.13 / pict. II.13) da cui proviene l’acqua si trova in località Casamasone, a S dell’abitato, ad un’altitudine di circa 850 m. Segue Fosso Lupo, e con un salto di quota di quasi 180 m giunge nei pressi del mulino, riempendo la vasca interrata o artificiale di raccolta, che con la sua pendenza garantiva la corrente e una portata sufficiente

per muovere le pale del ritrecine. Quest’ultimo era montato in orizzontale e tramite un asse consentiva la rotazione del rotore (‘macina mobile’). Nel vano del ritrecine, sotto il piano di calpestio, vi sono la saracinesca, che veniva azionata da un meccanismo sopra il pavimento, e una trave di legno, solidale con una turbina tramite un cuneo d’acciaio Un sistema di leve e di aste consentiva di sollevare il ritrecine e con esso l’asse di trasmissione e il rotore. Al di sopra delle due macine, posizionate sopra un soppalco ligneo, c’era infine la tramoggia, un cassone che conteneva il grano. Al di sotto, invece, una specie di ugello faceva passare i chicchi di grano che entravano nel foro, arrivavano al centro del rotore e venivano schiacciati fra le pietre delle due macine (figg. II.14-16 / pict. II.14-16). II.6.2 I mulini di S. Carlo e del Caolo Fuori dell’abitato di Tramutola, in località San Carlo si trovava un altro mulino, con meccanismo similare a quello esaminato per il precedente. La singolarità sta nella dotazione di un acquedotto, portato da cinque pilastri di piccole dimensioni rispetto alle frecce degli archi, tanto da dare l’impressione, visto da lontano, di poggiare sul terreno a livello delle imposte. In questo caso non c’è una vasca di raccolta, la differenza di di quota, con relativa caduta d’acqua da un’altezza di circa 9 m, si otteneva tramite una torre a base poligonale. Dalla tecniche costruttive possiamo ipotizzare una datazione intorno alla prima metà del XVI secolo, escludendo il periodo medioevale e approssimandoci alla datazione della platea ricordata in precendenza. Del mulino restano la fabbrica, la

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Fig. II.13 – Tramutola (Potenza): platea dell’ing. Maria Michelangelo de Blasi, Ichonografia di un Giardino nella Terra di Tramutola in prov. di Basilicata posseduto dall’Ill.mo R.mo Barone Abbate del Real Monistero della SS.ma Trinità della Cava (25 aprile 1732; dalla raccolta dell’Arch. A. Noviello). Pict. II.13 – Tramutola (Potenza): platea of the eng. Maria Michelangelo de Blasi, Ichonografia di un Giardino nella Terra di Tramutola in prov. di Basilicata posseduto dall’Ill.mo R.mo Barone Abbate del Real Monistero della SS.ma Trinità della Cava (25 April 1732; from the collection of Arch. A. Noviello). 164

Paesaggio e strutture dell’acqua

Fig. II.14 – Tramutola (Potenza): il mulino di Capo l’acqua, con il canale, a sinistra, ed il fontanile, a destra, sotto la torre di caduta dell’acqua. Pict. II.14 – Tramutola (Potenza): the mill of Capo l’acqua, with its channel, on the left, and the fountain, on the right, under the tower of the water fall.

Fig. II.15 – Tramutola (Potenza), mulino di Capo l’acqua: una donna lava i panni nel canale. Pict. II.15 – Tramutola (Potenza), mill of Capo l’acqua: a woman washes dresses in the channel.

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Cultural Landcsapes

Fig. II.16 – Tramutola (Potenza), mulino di Capo l’acqua: impianto idroelettrico per la produzione di energia. Pict. II.16 – Tramutola (Potenza), mill of Capo l’acqua: hydroelectric machine to product energy.

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Paesaggio e strutture dell’acqua

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c. Fig. II.17 a-c – Tramutola (Potenza), il mulino S. Carlo e il suo acquedotto (a-b, particolari; c. veduta d’insieme). Pict. II.17 a-c - Tramutola (Potenza), the mill S. Carlo and its aqueduct (a-b, particolars; c. general view).

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Cultural Landscapes

Fig.II.18 – Tramutola (Potenza): il mulino sul torrente Caolo. Pict.II.18 – Tramutola (Potenza): the mill on the Caolo river. copertura restaurate, le pareti intonacate di recente e il vano dove si trovavano la ruota e le pale, poste sempre in orizzontale. La posizione della ruota anche in questo caso ci suggerisce l’ipotesi che fosse una caratteristica comune dei mulini costruiti a Tramutola tra XV e XVI secolo. Dei meccanismi rimane poco, una macina, parti di perni, punteruoli, nottole, ed elementi lignei del “castello” del mulino (fig. II.17 a-c / pict. II.17 a-c). A parte rimane il mulino costruito in contrada Caolo, attualmente in pieno abbandono e di cui resta solo la struttura esterna, piuttosto deteriorata dal tempo e nascosta quasi dalla vegetazione. Dei macchinari del mulino nessuna traccia. Quanto alla datazione, l’impianto risalirebbe, secondo alcune ipotesi, al XVII secolo (fig. II.18 / pict. II.18). II.7 Il paesaggio e i mulini ad acqua nella comunicazione e nel marketing. L’immagine del mulino è diventata familiare, poiché per molto tempo è entrata quotidianamente nelle case attraverso gli spot pubblicitari della Mulino Bianco. L’idea partiva dalla necessità di rappresentare un mondo che, per quanto in continua evoluzione, fosse sempre capace di gettare uno sguardo al passato, andando a ricreare un legame stretto ed indissolubile con la Natura. Partì quindi da queste promesse l’intuizione di rappresentare una famiglia capace di riscoprire le autentiche antiche tradizioni della vita, allietando le proprie giornate con torte e biscotti come quelli della nonna, preparati con ingredienti naturali.

Natura, simboleggiata dalle spighe, la Tradizione, indicata dal mulino, e valori saldi ed importanti che trovano riscontro nel nome stesso. A livello grafico tutto è rappresentato con estrema semplicità ed efficacia: un mulino circondato da spighe, in una campagna dove i colori predominanti sono il bianco del fabbricato, il giallo rassicurante del grano e il blu del cielo che lascia ampio spazio all’immaginazione. Il lavoro di preparazione, lungo e minuzioso, ha poi portato all’elaborazione finale del marchio, diventato sinonimo dei grandi valori della vita e della famiglia. Per più di dieci anni il Mulino Bianco ha proiettato tutti in una sorta di valle magica e felice, fatta di cose semplici, di un campo di grano e di corsi d’acqua tra i quali si erge il mulino della memoria. Per anni, e forse ancora oggi, il Mulino Bianco ha significato l’autenticità e la serenità dei rapporti umani che sono derivati prevalentemente dal mondo contadino. Progressivamente, però, cambia l’immagine della valle felice e inizia una nuova storia, che ci riporta ancora indietro nel tempo, alle nostre origini, alle nostre tradizioni e ad un passato fatto di sentimenti veri come gli ingredienti naturali.

Mutano di conseguenza anche gli spot, in cui i veri protagonisti diventano proprio i contadini, gli unici in grado di ricreare l’autenticità della loro stessa storia. Se nei primi 15 anni il Mulino Bianco vive nel nostro immaginario attraverso delle xilografie, subito dopo diventa reale e viene identificato con il medievale Mulino delle Pile, che si trova nelle campagne di Chiusdino (Siena). L’essere costruito in pietra a vista spinge presto gli organizzatori della campagna È il 1975 quando si diffonde ufficialmente il marchio Mulino pubblicitaria ad offrire una consistente somma di denaro ai Bianco, che sin da subito condensa in se tre elementi: la proprietari, che nel frattempo l’hanno trasformato in un 168

Paesaggio e strutture dell’acqua

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Fig. II.19 a-b – Mulino Bianco: a) Chiusdino (Siena), il Mulino delle Pile (secolo XIII); b) l’ultima variazione del marchio. Pict. II.19 a-b – Mulino Bianco: a) Chiusdino (Siena), the Mulino delle Pile (XIII cent.); b) the last change in the trade-mark. agriturismo di lusso, per poterlo intonacare completamente o almeno nella parte inquadrata durante le riprese (fig. II.19 a / pict. II.19 a). A livello comunicativo si viene a creare una nuova rivoluzione. Nel 1990, infatti, assieme al mulino, divenuto realtà tangibile, viene rappresentata un’intera famiglia in carne e ossa, che vive la propria quotidianità con semplicità, spontaneità e genuinità. Costituita da genitori, due figli e un nonno, diventa l’emblema della famiglia desiderosa di vivere uno stretto legame con la Natura e che soprattutto si fa portatrice di valori sani, quali appunto l’Amore, l’Onestà e la Semplicità. Il set, che ha trovato spazio nelle colline senesi, consacra come protagonista indiscusso il mulino, poco lontano dalle magiche atmosfere evocate dall’abbazia di S. Galgano e dalla vicina cappella, nella quale si conserva la Spada nella Roccia (figg. II.20-21 / pict. II.20-21). Il luogo diventa presto meta di visite e pic-nic fatti all’aria aperta e la valle felice, idealizzata per anni, diventa un luogo concreto che offre la possibilità di allontanarsi dal caos cittadino. Un’autentica rivoluzione avviene attraverso la comunicazione. Infatti dopo l’inarrestabile progresso che ha coinvolto prevalentemente le città, sono tanti gli Italiani che desidererebbero vivere nella pace della campagna e così, con il tacito consenso anche degli ecologisti, parte una nuova serie di spot incentrata sulla storia di una famiglia che dalla città si trasferisce in campagna alla ricerca delle proprie radici. Ma il tempo passa e la famiglia del Mulino Bianco inizia a diventare troppo distante dalla vita frenetica condotta dalla gran parte delle famiglie italiane. Siamo nel 1994 quando il marchio decide di spostare i propri spot nelle piazze delle principali città della penisola lasciando però inalterata l’importanza e la necessità di continuare a nutrirsi con prodotti naturali. Sono anni di grandi cambiamenti che coinvolgono anche la comunicazione. Infatti, se fino a questo momento il Mulino Bianco aveva voluto farsi portavoce di

una realtà fatta di tradizioni e cose semplici e genuine, ora urge la necessità di pubblicizzare direttamente il proprio prodotto senza tuttavia cancellare la grande magia che questo marchio porta ormai con se. Così il vero slogan diventa: «Mangia sano, torna alla natura», che in modo impercettibile diviene «Mangia sano, trova la natura». Parallelamente alla vita delle persone, cambia anche il messaggio lanciato da questi prodotti. Infatti, se è vero che è necessario alimentarsi correttamente, è altrettanto vero che la genuinità dei prodotti naturali può irrompere continuamente anche all’interno delle nostre città, cancellando così il sogno di vivere, un giorno, un contatto diretto con la Natura. Dunque, mangiando sano si riesce a trovare un pò di Natura anche in città come Roma, Milano, Torino o Firenze, con ambientazioni campestri che circondano i principali monumenti, annullando l’asfalto e la principale fonte di inquinamento urbano costituita dalle automobili. Nel 2007 al centro di questi spot torna un mulino. Si tratta tuttavia di un mulino diverso rispetto a quello che per tanti anni ha accompagnato la nostra infanzia e stimolato la fantasia. Si tratta di un mulino, se possibile, moderno posizionato in una grande pianura di grano dove tuttavia è assente un elemento fondamentale, l’acqua. Se a livello commerciale l’idea funziona, va detto che dopo anni l’immagine del Mulino Bianco diventa inverosimile, poiché la presenza di un mulino in pianura, e per di più senza corsi d’acqua, è pressoché impossibile. Mancano, infatti i due presupposti fondamentali al funzionamento di una simile struttura: l’acqua corrente e la pendenza, che la portano a collocarsi sempre ai margini dei campi coltivati, non al loro interno, e in punti dove il paesaggio si inasprisce, poiché è là che le acque hanno inciso gli alvei, mettendo a nudo lo scheletro di superfici altrimenti invisibili, colonizzate da una vegetazione intricata e disordinata. In questo modo si procede sempre più verso una sorta di stilizzazione del paesaggio che ne trascura gli elementi essenziali, dissipandone l’originalità e forse anche l’identità (fig. II.16 b / pict. II.16 b).

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Fig. II.20 – Chiusdino (Siena): l‘abbazia di S. Galgano (1181-1474) nei campi presso il Mulino delle Pile (il Mulino Bianco). Pict. II.20 – Chiusdino (Siena): St. Galgano’s abbey (1181-1474) in the fields near the Mulino delle Pile (the Mulino Bianco).

Fig. II.21 – Chiusdino (Siena): la Spada nella Roccia entro l’Eremo di Montesiepi, presso l’abbazia di S. Galgano. Pict. II.21 – Chiusdino (Siena): the Sword into the Stone, inside the Hermitage of Montesiepi, near St. Galgano’s Abbey. Quest’ultimo breve approfondimento vuole mettere in evidenza anche un altro paradosso: se, come ha dimostrato la fortunata serie legata ad un marchio pubblicitario dal successo pluridecennale, i mulini sono così importanti nella memoria e nella comunicazione, perché condannarli all’abbandono? Perché, invece, non si provvede ad

incentivarne un recupero sistematico delle evidenze materiali ancora esistenti ed un restauro delle strutture, solitamente fatiscenti e presto destinate ad una completa scomparsa, privando il paesaggio culturale italiano di uno dei suoi elementi maggiormente caratterizzanti?

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CAPITOLO III PAESAGGIO E ARTE: ARCHEOLOGIA, ARCHITETTURA E TERRITORIO NELLE RAPPRESENTAZIONI STORICO-ARTISTICHE Carla Coppa Abstract The essay on the analysis of the historical lucanian landscape gives a corpus of images and iconographies that invite us to better know and preserve a speciphic territory. This excursus wants to kindle an interesting elaboration about traditional voyages and tours into Lucania. It wants also to increase aspect and moments of a not common cultural experience. History of the landscape represents a new frontier for the study of the architectures and the figurative Arts, because it helps to understand the relations between Man and Environment, buildings, establishments and territory by images painted (either artistic depiction of landscapes or simply figurative subjects in background of Holy representations). The study of the historical landscape lets us to piece together a natural background that today has been distorted and changed by the anthropic development. The knowledge of the artistic phenomenons is basic not only to establish the characteristics of every period and the way followed to draw the reality, but also to know the purpose of images language, the meanings of artist’s works and the feeling with their maecenas. Keywords History of art, depiction of landscapes, tours, artistic school of Naple, landscape modification, rural cultural heritage, iconography. III.1 Per una lettura del paesaggio storico-lucano attraverso le opere artistiche L’intento di questo contributo sulla lettura del Paesaggio storico lucano è la ricerca e l’analisi delle opere di artisti, letterati e incisori che hanno rappresentato la Lucania nel periodo che va dal XVI (periodo detto Manierismo) al XX secolo (Contemporaneo), al fine di fornire una chiave di lettura su aspetti ed elementi del territorio evolutisi nella storia e divenuti fondamentali per il paesaggio. Recuperare la conoscenza iconografica del nostro patrimonio culturale, in molti casi deteriorata o completamente distrutta ma più spesso dimenticata, dovrebbe fornire una nuova spinta per riscoprire quello che la storia e la tradizione hanno trasmesso anche nella forma conferita dallo spazio. Da questo tipo di raffronto del paesaggio e dalla modalità di rappresentazione si vuole ottenere un doppio risultato: recuperare le opere d’Arte e allo stesso tempo trasformare il territorio in una risorsa economica e culturale.

Per riuscire ad utilizzare queste fonti bisogna ovviamente inquadrare il periodo di attività degli autori e le forme dell’intenzione1 da essi adottato per rappresentare lo spazio. Le molteplici ragioni per cui l’uomo dal ‘400 in poi, descrive lo spazio-significativo in cui egli vive, sono dettate da specifiche qualità: appartenenza e dominio, finalità strategiche (difesa e fortificazione), ragioni politiche (controllo dello spazio), imposizioni fiscali, cartografia privata (scopi patrimoniali, interessi eruditi). III.2 La committenza Le rappresentazioni storico-artistiche del paesaggio lucano dal XVI al XX secolo, rappresentano gli obbiettivi principali di questo lavoro. Le vedute di città, riflettono l’interesse suscitato verso la geografia, la cartografia e la conoscenza del territorio, per cui l’uomo dal 1400 in poi rappresenta lo spazio urbano significativo. Ne è un esempio la Sala degli Stemmi nell’Episcopio di Matera2, opera tra le più significative del meridione. La ricerca e l’analisi sul paesaggio culturale nella sua dimensione storica non poteva che partire dalle raffigurazioni di città, del frate agostiniano Angelo Rocca (La breve descrizione delle città, e terre d’Italia è una raccolta d’ immagini di città)3, costituite negli ultimi decenni del XVI secolo con l’intento di creare un atlante di piante di città. Si tratta di 92 piante manoscritte e 187 descrizioni di città e paesi che Rocca visitò in occasione di un lungo viaggio, compiuto come Segretario dell’Ordine Agostiniano, nel territorio del viceregno spagnolo di Napoli, dal 26 settembre al 12 giugno del 1584. Nella raccolta si documenta l’esistenza, in quegli anni, delle strutture difensive di Matera e Montescaglioso. Altre città della Lucania descritte dal frate sono Atella, Melfi, Metaponto, Picerno e Venosa, ma ne mancano le vedute. Tratti caratteristici che accomunano le vedute di paesaggio, nei diversi periodi sono, in primo luogo, le rappresentazioni medievali, dove il concentramento o addensamento del tessuto urbano è all’ interno delle mura in contrapposizione al paesaggio rurale, la campagna o foresta. Nei secoli XVIXVII, le vedute accentuano il dettaglio dell’organismo difensivo e le torri campanarie fungono da punti di osservazione e di difesa. L’interesse del XVII secolo è enciclopedico, documentale ed illustrativo per quanto riguarda i rilievi antichi, mentre nel XVIII e XIX secolo vi è una rivoluzione nell’osservare la realtà urbana. L’interesse, infatti, si focalizza sui sistemi di trasporto, le vie di comunicazione, la nascita di nuovi linguaggi artistici (vedutismo) e l’espressione territoriale di un sistema socioculturale. Tra le opere prese in considerazione come documento iconografico, enciclopedico e illustrativo di eccezionale importanza vi è il lavoro dell’abate Giovan

Le principali attività svolte sono caratteristiche di un approccio di studio multidisciplinare, basato in gran parte la raccolta di fonti ed analisi storico-artistiche su opere di 1 M. Baxandall,Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere incisioni, dipinti, carte topografiche e corografiche d’ arte, (titolo originale Patterns of Intention), Torino, 2000. riguardanti la Lucania, da riconoscere e confrontare poi nella 2 Vedute di Antonio ( o Giambattista ) Conversi, 1709- Episcopio di Matera realtà. 3 Angelo Rocca fondò la Biblioteca Angelica di Roma nel 1604. 171

Cultural Landscapes

Battista Pacichelli, 4dove le città sono raffigurate ancora con le mura, le porte urbiche, e poi torri, castelli e l’abitato contornato dai vecchi palazzi civili e religiosi. Infatti, già in epoca normanna, palazzo e castello vengono imposti,o contrapposti, alla città come simbolo e strumento di potere. Ne sono un esempio la città di Irsina (Montepeloso), Tricarico, Tursi, Marsico Nuovo, Acerenza, Matera, Muro, Potenza, Bernalda, Saponara (Grumento Nova), Rapolla, Montescaglioso, Muro, Trecchina, Moliterno e Lavello. Il Pacichelli nei suoi lunghi viaggi attraversò l’Europa per adempiere ai doveri assunti e legati all’incarico ricoperto (nel 1672 fu nominato uditore generale, alla Nunziatura apostolica di Colonia). Rientrato in Italia nel 1677 e postosi al servizio di Casa Farnese, si trasferì a Napoli dove nel 1683, era agente farnesiano. Lo studioso rimase nella capitale meridionale fino alla morte, pubblicando con i due editori Parrino e Muzio le carte nelle quali aveva raccolto i ricordi di viaggio. L’interminabile e faticosa gestazione dei volumi del Regno di Napoli in prospettiva coinvolse anche il Cassiano De Silva; egli non fu solo incisore, ma anche responsabile dei disegni elaborati in una o forse più campagne di rilevamento svolte nelle province meridionali, nell’intento di costituire un dossier di immagini di quei centri rimasti privi di documentazione iconografica. Nel XV-XVI secolo, infatti, la tecnica a stampa dell’ incisione fu fondamentale come mezzo di comunicazione e memoria storica. Due i metodi principali con cui sono realizzate le incisioni d’arte : a rilievo (xilografia) e ad incavo; si divide a sua volta in due categorie in incisione diretta (bulino, puntasecca, maniera nera), ed incisione indiretta (acquaforte, acquatinta e vernice molle). L’album si pone come prezioso intermediario per la conoscenza del territorio nel quale viene posto in risalto il patrimonio accumulato, come documento storico. Lo stesso de Silva collaborò con gli editori più importanti della Napoli dei secoli XVII e XVIII, come Antonio Bulifon, Domenico Antonio Parrino (quest’ultimo spesso in società con il piemontese Luigi Muzio) e, da ultimo, l’abate Pacichelli. Gli studiosi che, negli ultimi anni si sono occupati della figura di Francesco Cassiano de Silva hanno prodotto poche notizie biografiche che lo riguardino, tranne alcune informazioni ritrovate nei fondi napoletani. Molto scarne e contraddittorie sono le notizie fornite dallo stesso autore, che nell’ album viennese conservato nella Biblioteca Nazionale della città, si dichiara nobile milanese, mentre in un’altra produzione firmata, si dichiara spagnolo. Solo un’attenta lettura condotta sui suoi manoscritti permette di ricostruire una precisa sequenza diacronica; grazie alle date dei suoi lavori si suppone che il de Silva entrò in contatto con personaggi sia della corte spagnola che austriaca. Fu uno dei

più prolifici vedutisti, attivo anche come cartografo, sebbene per poche esperienze non innovative, è presente sin dal 1690 nella capitale del viceregno, ove lavorò fino ai primi anni del dominio austriaco. Nella documentazione archivistica rinvenuta sono presenti alcuni riferimenti utili per formulare l’acquisizione, da parte del Cassiano, della conoscenza puntuale del territorio vicereale. La prima notizia sulla sua vita ci viene da Matera: nella chiesa di Santa Maria della Valle, nell’arcosolio di una cappella, è ancora leggibile, anche se con alcune incertezze, l’iscrizione Hoc opus d.e.d. Franciscus de Silva ispanus 16905. Poiché l’artista dedicò la cappella a S. Francesco, è plausibile che risiedesse a Matera, o almeno avesse interessi economici in città, che potrebbero avergli consentito di dedicarsi allo studio di vedute e di paesaggi naturali e urbani, che in quel periodo arricchivano molte delle sale e dei palazzi nobiliari. Il programma decorativo della cappella non a caso descrive uno sfondo paesaggistico. L’incontro con Bulifon e il successivo impegno nell’elaborazione della cartografia dei territori sotto il dominio spagnolo, indussero il de Silva a studiare la bibliografia delle ricerche dei geografi, inoltre in virtù dei suoi interessi artistici, egli entrò in contatto con i promotori del progetto del Regno di Napoli in prospettiva. Il Cassiano, nei suoi continui viaggi per conoscere le regioni e raffigurare le realtà urbane più importanti, fu coinvolto nei giri dei governatori, che al tempo acquisivano incarichi di nomina vicereale, della durata di uno o due anni, muovendosi nelle diverse città demaniali del regno, per controllare i vasti territori delle autorità comunali; nel 1700 assunse la carica, per un anno, di capitano a Matera e nel 1702 fu capitano della città di Sorrento. In seguito il de Silva decise di abbandonare il lavoro di geografo per dedicarsi al disegno prospettico, utile per acquisire dati sulla situazione delle Province, che confluirono nell’Album conservato nella biblioteca di Vienna. Il ricordo lasciato dall’erudito abate Giovan Battista Pacichelli, suo collaboratore, che aveva percorso il Meridione in lungo e largo e aveva scritto i testi per il Regno, suggeriscono con ogni probabilità i percorsi al nostro funzionario. La stampa del volume, iniziata in quegli anni, conobbe numerose interruzioni, con ogni probabilità per la morte del Pacichelli, avvenuta secondo le fonti nel 1695, ma soprattutto per i necessari aggiornamenti dei testi e per il completamento del corpus iconografico, che ne ritardarono la pubblicazione al 1705. La maturazione acquisita negli anni di lavoro nel ritrarre le città, portò il Cassiano ad essere l’unico depositario di una specializzazione del tutto nuova fra i contemporanei incisori e disegnatori di immagini da inserire nei sempre più richiesti volumi illustrati. Il Cassiano utilizzò punti di vista alti e lontani, che gli consentirono una raffigurazione ben più precisa e dettagliata della realtà (detta ‘a volo d’uccello’),

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G. Amirante, M. R. Pessolano, Immagini di Napoli e del Regno. Le raccolte di Francesco Cassiano de Silva, con un saggio di O. Zerlenga, Napoli, 2005.

5 S.Iusco, Note sugli affreschi delle chiese rupestri di Matera, in Turismo possibile. Basilicata Regione Notizie, 3-4 (1977), pp. 119-128.

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Paesaggio e arte illustrando sia il contesto morfologico che le vie più comode per raggiungere l’abitato. Le vedute acquerellate dell’Album, acquistano maggior risalto rispetto alle vedute in rame forniteci dall’abate, conferendo maggior precisione al lavoro viennese del Cassiano. La più importante novità dell’Album viennese (del Cassiano) rispetto all’esemplare napoletano (del Pacichelli) è costituita dall’inserimento di 40 fogli dedicati alle illustrazioni di 175 città del Regno: in ogni foglio sono inserite quattro vedute incorniciate in medaglioni circolari con al centro un’immagine di formato rettangolare o in alternativa due medaglioni circolari posti tra due vedute rettangolari per un totale di 65 vedute in formato rettangolare e 110 medaglioni circolari. Mentre quarantaquattro centri sono privi di immagini nell’opera del Pacichelli. Il contesto paesaggistico che fa da cornice alle diverse vedute acquista risalto nel disegno a penna acquerellato della raccolta austriaca rispetto alla più essenziale raffigurazione delle incisioni in rame del Pacichelli. De Silva, propone nelle raffigurazioni di città, oltre all’immagine, testi descrittivi che non a caso assumono caratteristiche diverse dalle stesse raffigurazioni realizzate per i volumi dell’abate; l’obbiettivo dello spagnolo era fornire una conoscenza morfologica completa del territorio, dalla raffigurazione dell’abitato, al quale dedicò ampio spazio, ponendo in particolare l’attenzione ai collegamenti stradali, alle opere di fortificazione, ma anche alle risorse economiche e alla produzione agricola delle masserie. Nel manoscritto del Cassiano le brevi relazioni seguono uno schema, suddiviso in paragrafi nella parte iniziale: informazioni sulle origini e denominazioni dell’abitato e in seguito la descrizione di cattedrali, conventi, ospedali, mulini, reliquie e casali. Nelle vedute che riguardano la Lucania il volume ne descrive ben 16 ove mancano Acerenza e Bernalda documentate solo nel volume del Pacichelli. Con ogni probabilità il Cassiano curò solo l’incisione redatta da altri aggiungendo nella veduta di Acerenza un albero sulla sinistra e il solito viandante in primo piano. Acerenza non è analizzata nel volume viennese: la veduta inserita nel Regno di Napoli in prospettiva non è redatta dal Cassiano perché si tratta di una veduta sicuramente di epoca precedente. Infatti la stessa città viene raffigurata nell’affresco dell’Episcopio di Matera;di Bernalda c’è un immagine in Saint-Non anche qui però la prima veduta dell’insediamento è nell’Episcopio di Matera, nel volume composto dai singoli insediamenti vi sono descritte in prevalenza vedute settecentesche anche precedenti al Cassiano gli apprezzi dei feudi, le descrizioni che redigevano delle città in occasione di valutazioni per vendite.

‘600 e i primi del ‘700 di un genere artistico che conobbe una immensa fortuna. III.3 Gli affreschi dell’Episcopio di Matera Un’altra serie di illustrazioni di circa un secolo posteriore a quelle considerate, è costituita dagli affreschi settecenteschi dell’Episcopio di Matera (Salone degli Stemmi)6 documento iconografico eccezionale, soprattutto per lo studio del territorio appulo-lucano e dei suoi centri. Nelle figure maggiori è rappresentata la città di Matera dove la veduta esalta la zona della Civita con numerosi edifici fortificati e torri non ancora abbattute; Tursi (Anglona–Tursium) con il castello e una cinta di mura; Venosa; Acerenza; Potenza con gli edifici religiosi e civili; Tricarico dove è stata evidenziata la Torre Normanna e il fornice della Porta delle Beccarie alla destra del seggio. Vi compaiono anche le cittadine di Grottole, Montescaglioso, Pomarico, Laurenzana e Trivigno. Nell’Atlante Civitates Orbis Terrarum, pubblicato a Colonia da Braun e Hogemberg a partire dal 15727, è presente una delle immagini che ebbe subito un gran successo e che ritrae la città di Tricarico, uno dei paesi più importanti della Lucania perché sede di vescovado (fig. III.21 / pict. III.2). La stessa città è riprodotta in bel pannello ligneo del XVII secolo8, nel quale l’abitato è rappresentato secondo un modello iconografico più dettagliato, evidenziando la presenza di diversi punti di vista, ciò serve a farsi un idea della produzione grafica e mentale che separa le diverse interpretazioni, le differenti culture degli artisti ed i loro committenti. Nel XVI e XVII secolo sono rintracciabili alcuni scorci di paesaggio anche nei dipinti di pittori eccellenti come Pietro Antonio Ferro9. In alcune sue opere pittoriche si intravedono scorci di paesaggio lucano con raffigurazione della città. Ne è un esempio la tela nella Chiesa di S. Rocco di Pomarico (MT), rappresentante la Trinità con Cristo deposto e i SS. Antonio e Giacomo Maggiore, sul cui sfondo si scorgono la città di Pomarico e, in primo piano, viandanti che attraversano un piccolo ponte di pietra (fig. III.2 / pict. III.2). Dato il tipo di struttura, potrebbe trovarsi sul Basento, tra la Madonna della Strada e la Masseria Fiorentino, anche se a quel punto si perderebbe la visuale dell’abitato, nascosto dietro la cresta delle colline prospicenti il fiume. Altrimenti va cercata direttamente nella valle del Fosso Pezzillo, quasi alle pendici della catena collinare su cui sorge il paese e in corrispondenza dell’attraversamento da parte dell’antico percorso campestre proveniente dalla sopra accennata Masseria Fiorentino, sulla riva sinistra del Basento, e diretto al castello di Pomarico. Le vedute rintracciabili in molti dipinti di quest’epoca rappresentano solo sporadiche rappresentazioni di città

La preziosa raccolta iconografica del Cassiano servì soprattutto a diffondere un’immagine del territorio 6 Vedute di Antonio ( o Giambattista ) Conversi, 1709- Episcopio di Matera. 7 G. Braun, F. Hogemberg, Theatrum Praecipuarum Totius Mundi Urbium Meridionale non ancora conosciuto, veicolando l’attenzione (1572-1618), Coloniae Agrippinae. non solo al carattere morfologico del territorio ma anche ad 8 Il pannello si trovava ed è tuttora conservato nella chiesa cattedrale di S. una approfondita conoscenza di città e ambienti urbani, Maria Assunta a Tricarico. facendo attenzione alle architetture degli edifici delle quali 9 Non si ha notizie certe sul luogo di nascita, che alcuni ritengono sia a sono riprodotti i particolari più importanti. Egli è considerato Ferrandina, nel 1570. Da recenti studi e riscontri nella documentazione notarile, però, si suppone che il Ferro sia nato a Tricarico, dove c’era un unico referente in ambiente meridionale fra gli ultimi del palazzo di proprietà della sua famiglia 173

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Fig. III.1 – Veduta di Tricarico secondo Braun e Hogemberg (1572-1618) PIct. III.1 – View of Tricarico by Braun and Hogemberg (1572-1618).

Fig. III.2 – Chiesa di Rocco (Pomarico, MT): la Trinità con Cristo deposto fra i SS. Giacomo Maggiore e S.Antonio. Nel particolare, la collina di Pomarico ed i viandanti su un ponticello in pietra. Pict. III.2 – St. Rocco’s church (Pomarico, MT): Trinity with Jesus between Saint Giacomo Maggiore and Saint Antonio. Particularly, the hill of Pomarico and wayfarers on a stone small bridge. 174

Paesaggio e arte lucane, d’altronde ha avuto peso, l’incapacità degli artisti, in molti periodi storici, di sviluppare un proprio gusto e una personale corrente artistica e dovendo importare da Napoli sia le opere che le immagini di paesaggio riferite non ai luoghi familiari, ma a città classiche immaginarie, che facevano da sfondo in moltissime opere del tempo, forse anche diretta conseguenza dell’impossibilità di godere di un autonomia culturale e politica.

sull’orizzonte non esiste, in quanto i punti di osservazione sono all’ infinito; - Veduta a volo d’uccello, dove la città è ripresa da un punto di vista immaginario posto su in cielo e l’autore si serve di una pianta, su cui fornisce un’assonometria ortogonale o obliqua agli edifici in forma pseudo-prospettica; - la Pianta, la città è raffigurata attraverso la restituzione planimetrica del costruito e può essere utilizzata una proiezione di tipo ortogonale o tipo zenitale.

III.4 Il Voyage Pittoresque Nel 1778 un gruppo di intellettuali, artisti e disegnatori discesero in Italia, guidati dall’interesse verso un paese di grande tradizioni storiche ed artistiche. Uno di questi è Claude Richard (1727-1791), nato a Rue du Roule a Parigi da Jean Pierre Richard, consigliere e segretario del re, e MarieAnne Boullongne, figlia del primo pittore del sovrano. Studiò teologia e giurisprudenza ed a soli 20 anni divenne suddiacono di Notre Dame e avvocato della Corte di Cassazione del Parlamento di Parigi. Nel 1753 ricevette l’ordine dal re di recarsi in esilio a Poitiers, perché parlamentare ribelle. In questi anni si dedicò ad apprendere l’arte dell’incisione e del disegno, sua grande passione. Nel 1759, incoraggiato dal suo amico Conte Caylus e libero dagli incarichi ufficiali decise di intraprendere un lungo viaggio in Italia, che lo porterà al compimento di una delle opere più importanti dal titolo Voyage Pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicilie (17611786), edito a Parigi dalla tipografia Clousier. Le stampe sono state eseguite con tecnica d’acquaforte ed interventi in puntasecca, bulino e occasionalmente in acquatinta. L’opera si compone di 558 tavole di incisioni, di cui 8 relative alla Lucania. Nel corso del lavoro collaborò con i più importanti artisti dell’Accademia di Francia, tra cui Louis Jean Despez (Auxerre, 1743 – Stoccolma, 1804) e C. Louis Chatelet (Parigi, 1749/50 – 1795), e il risultato sarà una composizione in sei volumi con un interessante repertorio di immagini del Regno di Napoli e di Sicilia, lavoro di limpida illustrazione e fondamentale mezzo di comunicazione e memoria storica. Il ricorso spesso a rappresentazioni di città per illustrare le particolarità estetiche dei territori attraversati impone l’apertura di una parentesi di approfondimento. Dal Quattrocento in poi l’illustrazione urbana e topografica era stata una delle più importanti caratteristiche dell’arte italiana. Già allora, infatti, le più influenti città esibivano i ritratti o le vedute di se stesse. L’invenzione della tecnica prospettica aveva fornito uno strumento che consentiva l’illustrazione delle architetture e di tutto il contesto urbano, con una complessa metodologia di costruzione prospettica che si articola e si differenzia in base a specifiche qualità di tipo celebrativo, ideologico e morfologico del sito.

Sulla riproduzione degli ambiti urbani si esercita e si incrementa l’abilità degli artisti e dei viaggiatori, mettendoli poi nelle condizioni di rappresentare qualunque scenario ed invitandoli a cimentarsi nella resa di quadri naturali. Nell’Italia meridionale poi l’intento dei viaggiatori è quello di conoscere e riscoprire un territorio quasi sconosciuto, illustrando la magnificenza della civiltà greca in una natura splendida e incontaminata, dove l’elemento antropico, richiamato dalle antiche rovine, si mescola all’ambiente rinselvatichito dopo secoli di incuria, come ad esempio a Metaponto. «Durante il tragitto ci si imbatte nell’antico porto di Metaponto, immerso in una palude descritta da un grande ovale, nel quale il mare si riversava attraverso un gran canale; Bernalda piccolo borgo di 3000 anime costruita interamente di mattoni; abbiamo visto innanzi ad una porta un troncone di colonne le cui scalmanature erano di sette pollici di diametro, ciò segnalava i resti di qualche edifici di grandi dimensioni, sapevamo inoltre che si trovavano vasi e monete c’era di che eccitare la nostra curiosità, non tardammo a renderci conto che sebbene vi fosse in questo borgo una sola pietra, una solo mattone che non fossero stati trafugati dalla città di Metaponto tutti resti che avevano cambiato forma tanto da non poterli più riconoscerli. raggiungendo la torre di Policoro, edificata nella parte alta della città, per poi raggiungere Anglona e tentare di scoprire l’antica Pandosia, rinvenimento mai coronato da successo» (figg. III.3-4 / pict. III.3-4)10. Nel XIX secolo Francois Lenormant (1837-1883), in uno dei suoi viaggi nel mondo, discende in Italia meridionale, dando vita ad un corpus intitolato: La Grandè –Grèce, Paysages et histoire, opera di straordinario pregio, che rappresenta ancora oggi un testamento geografico. In questa raccolta viene sottolineata non solo la bellezza dei paesaggi ma anche la storia dei Normanni e degli Angioini. Altre relazioni dettagliate vengono dai viaggiatori del Gran Tour (XVII-XIX secolo), da Londra alla Campania passando per Milano o Venezia11, spingendosi anche in Lucania dopo la fortuita ed eclatante scoperta delle città perdute di Pompei, Ercolano e Paestum. Ne sono un esempio, il barone Richard Keppel Craven (1821), il pittore Arthur John Strutt (1790-1864) che muovendosi da Roma nel 1838, attraversa a piedi tutta l’Italia 10

I. Settembrino, Il viaggio in Magna Grecia 1778, in Voyage Pittoresque a In generale, le vedute si articolano in quattro casistiche di Naples et en Sicile, catalogo della mostra con presentazione di P. immagini urbane: Rosemberg, Napoli, 1995, pp. 32-33. L’aggiunta ad ogni immagine di queste - Veduta prospettica, dove la città viene ripresa da un punto brevi descrizioni permette di cogliere e recuperare un paesaggio che allo stato attuale risulta ormai trasformato e non sempre, certo, nel rispetto dei di vista reale posto in alto rispetto al sito; - Veduta di profilo, in cui la città è colta a livello del suolo e 11codici che tutelano l’ambiente. G. Fierro, Il Mito della Lucania sconosciuta. Antologia di viaggiatori la sua immagine appare frontale e piatta. L’angolazione stranieri tra Settecento e Novecento, Venosa, 1994. 175

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Fig. III.3 – J.L. Desprez, Veduta di Bernalda (1783). Pict. III.3 - J.L. Desprez, View of Bernalda (1783).

Fig. III.4 – J.L. Desprez, Veduta della Torre di Policoro presso l’antica Eraclea (1783). Pict. III.4 - J.L. Desprez, View of the Tower of Policoro near the ancient Eraclea (1783). meridionale e la Sicilia in un viaggio dettato dal desiderio di conoscenza, ma anche per ammirare meravigliosi posti della Lucania.

grande numero di immagini, fondamentali per comprendere le trasformazioni del paesaggio. III.5 Il paesaggio agrario lucano fra ‘800 e ‘900

Infine, per concludere con gli autori più rappresentativi, il pittore Edward Lear (Viaggio in Basilicata) nel 1847, attratto dai poeti lucani come Orazio, ci lascia innumerevoli e pregevoli litografie, tratte da i suoi acquerelli, che rappresentano Melfi, Castello del Monte,Venosa e San Michele del Vulture. L’analisi e il confronto delle immagini, che rappresentano le vedute di città, realizzate in epoche diverse, evidenziano la presenza di diversi punti di vista, che consentono di farsi un’idea della produzione grafica e mentale che separa le diverse interpretazioni,e le diverse culture degli artisti e dei loro committenti. Fornendoci un

Volendo estendere l’analisi alla raccolta di dati utili alla ricostruzione del paesaggio culturale nella sua componente agraria nel 1800 e nel 1900 va capita ed interpretata la capacità visiva degli artisti di rappresentare una terra in evoluzione. In tal senso sono un esempio le opere di Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975), scrittore e pittore, che nel periodo del confino ad Aliano e delle brevi trasferte a Grassano (MT) ricreò suggestive immagini del mondo lucano. La produzione

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Paesaggio e arte

Fig. III.5 – L’abitato di Grassano (MT), ritratto da Carlo Levi nel 1936 . Pict. III.5 – The settlement of Grassano (MT), painted by Carlo Levi in 1936..

Fig. III.6 – L’abitato di Grassano (MT). Pict. III.6 – The settlement of Grassano (MT). pittorica suggerisce una interpretazione della pittura come un ininterrotto racconto in cui le singole opere, quasi episodi, si collegano tra loro nelle descrizioni dei paesi di confino che rappresentano un momento di studio psicologico dei posti e della gente di Grassano (Grassano come Gerusalemme; figg. III.5-6 / pict. III.5-6) e Aliano (la Fossa del Bersagliere; figg. III.7-8 / pict. III.7-8), dove ancora oggi lo scenario dei calanchi riporta ad epoche passate, tra i colori e le forme mutevoli (ventaglio, a lama di coltello, a dorso d’elefante) e stupiscono, facendo rivivere le opere letterarie e artistiche di Carlo Levi.

Nel confrontare le immagini fotografiche contemporanee e le opere degli artisti è possibile osservare come il paesaggio lucano, che ha ispirato tra i più grandi letterati e viaggiatori, si è in parte preservato fino ad oggi. Tuttavia non vi è una reale valorizzazione lungimirante che permetta di guardare lontano, cosicché il patrimonio storico-artistico e paesaggistico da noi ereditato costituisce un’enorme ricchezza e una risorsa poco sfruttata e poco valorizzata. Lo stesso si può dire di Remigio Claps (Avigliano, 1911 – Potenza, 1985). Nelle sue rapide e fuggevoli descrizioni del

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Fig. III.7 – La Fossa del Bersagliere ad Aliano (MT), ritratta da Carlo Levi nel 1936. Pict. III.7 – The Fossa del Bersagliere in Aliano (MT), painted by Carlo Levi in 1936.

Fig. III.8 – La Fossa del Bersagliere ad Aliano (MT). Pict. III.8 – The Fossa del Bersagliere in Aliano (MT).

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Paesaggio e arte

Fig. III.9 – La città di Melfi (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.9 – The town of Melfi (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli). paesaggio di Avigliano, ai piedi del Monte Carmine, di una sensibile e malinconica realtà. Michele Giocoli (Potenza, 1903 - 1989), nelle sue prime opere dipinge la campagna potentina, ispirato dal senso di sobrietà e nudità essenziale, cogliendo particolari del paesaggio lucano e meridionale.

salvaguardare e proteggere. Questo excursus vuole suscitare un interessante approfondimento del viaggio in Lucania (terra poco nota agli Italiani ed identificata unicamente con Matera) e contribuire ad accrescere aspetti e momenti di una non comune esperienza culturale.

Mauro Masi (Potenza,1920-2011) nei suoi periodici soggiorni lucani segue con attenzione le trasformazioni in atto nella società, componendo una serie di tele sui temi città-paese,nel paesaggio rivelese l’artista cattura le luci e colori di un paesaggio ancora inalterato nella sua architettura ‘500 circondato da severe montagne innevate e una campagna immersa di piante di rosmarino e dentisco come si nota nei suoi acquerelli.

III.6 Realtà e descrizione di paesaggi urbani e rurali Di seguito si presentano alcune delle descrizioni di città, tratte da Immagini di Napoli e del Regno, raccolte da Francesco Cassiano de Silva12 e dalle illustrazioni inserite nel Voyage Pittoresque già ricordato. 1. Melfi in Basilicata (fig. III.9 / pict. III.9):

I lavori sono influenzati dalla pittura moderna astratta-cubista e da armoniche luci che riprendono l’arte impressionista. Senza dimenticare i paesaggi lucani di Rocco Falciano (Potenza, 1933-2012) (Le Mammalìe e Paesaggio con campo giallo), meravigliosi acquerelli che riportano alla memoria paesaggi incontaminati della terra Lucana. Maria Padula (Montemurro, 1915-1987), legata alla Lucania da un vincolo profondo di grande identità, oltre che per origine e nascita, trarrà dalla realtà ispirazione per i suoi dipinti caratterizzati da un suggestivo realismo come nelle opere di paese: Lago Val d’Agri con neve e Calanchi del ’70 e Monte Viggiano del ’75. Gerardo Corrado (Potenza, 1936) nelle sue ricerche pittoriche (Sposalizio in campagna) riprende ed esplora il tema del microcosmo vivente, il paesaggio naturale che contiene l’uomo, in un susseguirsi di immagini tra paesaggio antropologico, vissuto come quotidianità nella tradizione contadina e paesaggio fisico colto nella pura nudità di natura.

Benché si veda questa città in Basilicata, fu altre volte per eccellenza di prerogative capo della Puglia, quando in realtà divide l’una e l’altra Provincia. Poggia tra i lombi del Monte Vulture sopra una soave collina, cinta da forti mura, dolcemente bagnata dal Melfia fiumicello non lontano dal rapido Ofanto con belle fontane dentro e fuori di essa. Ospitò due secondi Pontefici, Nicola ed Urbano, convocandovi due sinodi generali e Federico Secondo Imperatore un parlamento in cui stabilì e pubblicò le Costituzioni del Regno. Fu feudo di più personaggi Acciaiuoli, Caraccioli e il Principe Andrea Doria. Magnifica è la sua cattedrale con fiorito Clero, in numero più di 100 preti con Santi reliquiari, sei parrocchie, cinque conventi e due fuori con un monasterodi suore, un seminario di preti e varie cappelle di laici.

Questi pochi accenni alla pittura dagli anni ‘30 e oltre rappresenta un corpus di immagini e iconografie che ci rimanda ad una geografia territoriale da conoscere,

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Le immagini e le citazioni della fonte sono tratte direttamente dal volume di G. Amirante, M. R. Pessolano, Immagini di Napoli e del Regno. Le raccolte di Francesco Cassiano de Silva, con un saggio di O. Zerlenga, Napoli, 2005.

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Fig. III.10 – La città di Montepeloso (Irsina) (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.10 – The town of Montepeloso (Irsina) (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli). Osservando oggi la città di Melfi, ci si accorge di come la situazione possa esser cambiata. Nell’incisione si scorge il tratto descrittivo del Cassiano , la veduta è a volo di uccello (vista dall’alto). Alla sommità un grande castello con torri, costruito in epoca normanna e successivamente ricostruito da Federico II. Con la caduta degli Svevi il castello divenne proprietà degli Angioini e fu residenza di Maria d’Ungheria. Entrando dalla Porta del Bagno, eretta su un grande arco, si arriva al palazzo vescovile; in basso Porta Calcinaia, e ancora a sinistra Porta Venosina, sino a rintracciare gli splendidi palazzi e il campanile. La cittadina si è allargata al di fuori del suburbio dove vi era l’antica fontana sulla sinistra e a destra il mercato. Alcune delle porte d’entrata oggi sono scomparse; ne sono un esempio Porta del Bagno, Porta S. Maria, Porta San Antolino, saccheggiate e distrutte da terremoti. La Porta Calcinaia, la più vicina al castello, conduceva nella zona artigianale (da cui il nome), mentre Porta Venosina, ubicata sulla cinta muraria, oggi è ancora esistente. Sopravvive la cinta muraria, rimaneggiata nei secoli dagli Acciaiuoli e i Caracciolo, con mura turrite si estende per molti chilometri ed è un raro esempio di fortificazione nel sud Italia. Melfi rimane una delle splendide città della Provincia con i suoi suggestivi panorami e la sua storia millenaria abitata da genti Lucane e grandi uomini come l’Imperatore Federico di Svevia. 2. Montepeloso (Irsina) (fig. III.10 / pict. III.10) La città di Montepeloso situata su di un colle, ai piedi di un lago artificiale circondato di mura e torri si trovano memorie sin dal 1060 . Roberto il Guiscardo cercò di sottometterla ma non gli riuscì per le sue valide mura e sempre fedele ai suoi Regnanti dalla quale ottenne solo privilegi come dal Re Alfonso la Fiera e da Carlo D’Angiò la torre nella piazza per sedile de suoi Nobili. Città di Santa Eufemia vergine e martire ne è la protettrice liberando la città dalla tempesta

nella chiesa si conserva e si venera il suo braccio e la sua statua di porfido posta ad oro. Col titolo di Marchesato la Casa Riaria ne tiene il dominio con 625 casate. Nell’osservare la veduta della città di Irsina, l’antico borgo sorge su una piccola altura con cinta murarie possenti e torri circolari di guardia che circondano il perimetro del borgo; in avanti vi troviamo la Chiesa di San Francesco ricavata da una torre quadrangolare del castello normanno, sulla sinistra il palazzo ducale e la chiesa della Vergine (oggi Santa Eufemia), distrutta dai saraceni e poi ricostruita dal principe di Salerno già presente nel 1123 in una bolla papale di Callisto II. L’attuale ricostruzione risale al XVIII secolo. L’elemento più antico è il campanile di due ordini: romanico nella parte inferiore e la struttura superiore in stile tardo gotico. Porta Maggiore, attuale Porta Santa Eufemia. Alle spalle della cattedrale sorge la chiesa della Annunziata eretta nel 600 come la chiesa del Purgatorio e la chiesa di Santa Lucia e infine Santa Maria La Vecchia vicino le mura. 3. Muro Lucano (fig. III.11 / pict. III.11) Piccolo borgo comunque popolato e città vescovile su i confini del Principato di Citra in larga Campagna e tutto che antica non ha di vaso che il sepolcro della prima Giovanna Regina ivi relegata da Carlo III benché si vegga nel Real Convento di Santa Chiara a Napoli. La cattedrale è officiata da cinque Dignità, sei Canonici ed alcuni seminaristi con altre quattro chiese due conventi regolari, un monastero di Donne, ed un ospedale per gli infermi. Sede vescovile da sei secoli, è contea degli Orsini di Gravina. Per quanto riguarda Muro l’incisione rappresenta il piccolo borgo che si inerpica su un ripido crinale sottostante al castello costituito da una torre tozza, edificato nel IX secolo dai Longobardi e poi ristrutturato nei secoli, dove nel 1382

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Paesaggio e arte

Fig. III.11 – La città di Muro Lucano (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.11 – The town of Muro Lucano (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli).

Fig. III.12 – La città di Potenza (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.12 – The town of Potenza (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli). venne uccisa la regina Giovanna I. Il primo borgo denominato il Pianello collega il centro urbano sino ad arrivare alle pendici della montagna. Sulla sinistra si notano i vari edifici religiosi come i Cappuccini e San Francesco, alle pendici i resti dei mulini ad acqua e il ponte medievale denominato di Annibale, dove si narra si svolse la battaglia tra Annibale e Marcello, il ponte è medievale erroneamente noto come ponte di Annibale in fondo alle ripe collegamento con i mulini ad acqua e con la frazione di Capodigiano (terra di capri).

boschi e monasteri. È contea dei Signori Loffredi , che vi predomina il sontuoso palazzo .La cattedrale più devota che vasta ,dove si venerano più reliquie fra i quali il corpo di San Gerardo suo Vescovo e protettore. Nel gran tempio degli Osservanti in un calice del Sangue di Gesù. Nella sacrestia del Duomo e piena di paramenti di ricamo d’ oro e di gioie ,benché all’ antica , dove si ammira un Stinco smisurato , e curioso di animale gigantesco .vi spiccano fuori le mura i Cappuccini con giardini e belli paesaggi13. Nell’incisione si nota come la città non fosse così estesa

4. Potenza (fig. III.12 / pict. III.12)

13 Cassiano inserisce nell’Album viennese una veduta di Potenza, che si differenzia sia dall’incisione del Pacichelli sia dall’Affresco di Matera, proponendo una visuale opposta a quella elaborata in precedenza e conferendo maggior risalto alla cattedrale e al vescovado.

Non vi è città in tutto il Regno che diletti più la vista con le sue bellezze, passeggiandovi l’occhio fra le terre, fiumi, 181

Cultural Landscapes

Fig. III.13 – La città di Matera (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.13 – The town of Matera (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli). come oggi. La veduta del Cassiano mette in risalto la chiesa di Santa Lucia, il borgo antico, Porta Salza la più famosa di tutte oggi non più esistente come anche Porta Amendola e Porta della Trinità; mentre ancora esistenti sono le Porte San Giovanni (edificata nel 1186) quella di San Luca nei pressi della torre Guevara, che è ciò che rimane dell’ antico castello. In rilievo la chiesa di San Michele Arcangelo edificata nel XII secolo in stile romanico, la Trinità esistente prima del XI secolo insieme al Vescovado, i Cappuccini e il caratteristico ponte di San Vito o Orazio, di grande interesse per il chiaroscuro a punta secca nelle zone in ombra del crepaccio.

Matera, antico nucleo formato da innumerevoli grotte scavate nella roccia con la sua architettura arcaica, ha dato origine ad una vera opera di attrazione turistica. Viene descritta in tutta la sua estensione dalla Cattedrale al campanile, gli edifici nobiliari come palazzo Porcari nella parte destra vicino al convento dei Riformati, la chiesa di S. Agostino, il Grande Vallone con il suo fiume in piena, la chiesa di San Pietro Caveoso e in sommità il castello Tramontano. Nella raffigurazione l’artista vedutista non tralascia nessun particolare: dalla natura nelle zone limitrofe al di fuori del suburbio ai chiaroscuri del crepaccio del grande vallone con i soliti personaggi messi in risalto al di fuori del abitato.

5. Matera (fig. III.13 / pict. III.13) 6. Moliterno (fig. III.14 / pict. III.14) Unito all’Arcivescovato di questa città vi è quello di Acerenza 40,00 miglia distante nella cui cattedrale vi è La cittadina di Moliterno viene raffigurata dal Cassiano come conservato e si adora il Santo Martire Leone, suo primo nelle altre vedute sempre a volo di uccello; lo sguardo si vescovo sin dall’ anno 799 con molte altre reliquie. Città focalizza sul grande castello normanno alla sommità della molto antica per esser stata costruita da Metello console collina, la torre merlata. Pittoresche sono le stradine che romano, chiamatasi Meteola come afferma il nome di una collegano il castello al centro storico con i palazzi nobiliari torre, che vi si scorge presso le sue mura , e di stravagante delle famiglie Levito, Giberti e Valinoti, fino ad arrivare ad struttura poiché situata in tre valli profonde. Fece parte un grande arco d’entrata. Singolare è la raffigurazione di della Santa sede di Otranto per poi incorporarsi nella già faggeti all’interno delle mura nella parte bassa della città. citata Acerenza. Venne dominata da Aborigeni, Romani, Infatti Moliterno rimane per eccellenza un territorio ricco di Greci, Longobardi e Saraceni, dalla nazione Sveva, arbusti di faggetti e roverelle e ulivo. Fu feudo delle grandi Francese, Aragonese e Spagnola dalla quale oggi dipende. dinastie Angioine, Sanseverino poi Pignatelli e nel XVIII Fu patria di molti Santi e personaggi di ogni venerazione. secolo divenne un importante centro culturale. Abbonda di acque freschissime di erbe, e soprattutto di vini più preziosi d’Italia. Vi risiedono il tribunale e chiese di 7. Montescaglioso (fig. III.15 / pict. III.15) osservanti, conventuali, domenicani, agostiniani e cappuccini oltre il seminario, e altri tre chiostri di suore e un ospizio dei La cinquecentesca veduta della città è accompagnata da due Padri Gesuiti e patrizi. descrizioni dell’abitato conservate presso l’Archivio Carte 182

Paesaggio e arte

Fig. III.14 – La città di Moliterno (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.14 – The town of Moliterno (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli).

Fig. III.15 – La città di Montescaglioso (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.15 – The town of Montescaglioso (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli). Antiche (Istituto Geografico Militare), e nell’Episcopio di opera a Lagonegro,Oppido Lucana in San Pietro e Paolo e Matera. Nell’immagine si scorge la Porta maggiore, Porta nelle chiesa di Santa Maria Maggiore in rabatana a Tursi. Il S.Angelo, Porta Pescara e infine non più esistente Porta campanile in stile romanico presenta due bifore per lato e Portella; il palazzo baronale, il palazzo degli Agostiniani, la nella parte superiore la lanterna. Il convento di S. Agostino, torre antica, la chiesa madre, il convento dei Benedettini, le che risale al XIV secolo, si sviluppa su tre livelli ed è mura che ricerche archeologiche hanno evidenziato posizionato vicino alla Torta Antica della città;ed infine il ritrovando resti di strade e mura risalenti al periodo palazzo baronale della famiglia Grillo-Cattaneo, mecenati di ellenico,infatti a valle in località Porta Schiavone gli scavi Torquato Tasso. Al di fuori delle mura ritroviamo l’edificio archeologici hanno rintracciato mura risalenti al III secolo religioso della chiesa di S. Rocco che nel 1684 divenne il a.C.. Nell’incisione si scorge la chiesa intitolata a San Pietro patrono del paese. e Paolo di origine medievale, poi riedificata nel 1776 in stile barocco, con un gran portale. L’Abbazia benedettina di S. 8. Tricarico (fig. III.16 / pict. III.16) Michele, di fondazione medievale, con un interessante portale, è opera di grandi artisti-scultori come Altobello Cittadina importante della provincia famosa per la sua Persio capostipite di una famiglia lucana; a Matera realizza il grandezza e per i suoi numerosi ruscelli che rendono fertile il presepe e l’altare nella cattedrale nel 1534,successivamente suo territorio producendo buon vino, fu città dominata da 183

Cultural Landcsapes

Fig. III.16 – La città di Tricarico (da Il Regno di Napoli in prospettiva, di G.B. Pacichelli). Pict. III.16 – The town of Tricarico (from Il Regno di Napoli in prospettiva, by G.B. Pacichelli).

Fig. III.17 – Le paludi nell’area dell’antica città di Metaponto (di J.-L. Desprez). Pict. III.17 – The shrine in the area of the ancient town of Metaponto (by J.-L- Desprez).

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Paesaggio e arte diversi baroni e oggi riconosce l’ illustre casa dei Revertera dei duchi della Salandra. Nelle sue vie e piazze di buona apparenza si vedono belle e comde fabbriche. Quelle del Duomo dedicata alla Nostra Signora, ornato e riguardevole per i suoi suppellettili. Città di innumerevoli vescovi, vi si adorano diverse reliquie oltre ai Santi Anacoreti, San Luca, gran parte dei corpi di San Potito e Pancrazio e di S. Antonio Abate. Cittadina con 11 canonici e diversi preti e chierici con 15 parrocchie, 3 conventi uno di monache con numerose cappelle laiche.

rappresentazione e quindi potenziale fonte di informazioni sulla topografia storica di un luogo, permetta di riscoprire l’immagine materiale delle città e del paesaggio lucano (dal Medioevo ad oggi) come rivelatrici di una forma, di una struttura, recuperando il paesaggio italiano anche attraverso l’arte, dove lo spazio costituisce un modello, estetico ed ideologico. L’opera d’arte diventa, così, documento prezioso, intermediario per la conoscenza del territorio e collegamento con una realtà modificata dagli eventi storici, chiave di lettura su aspetti ed elementi del territorio evolutisi nel tempo.

Nel raffigurare la città di Tricarico il Cassiano mette in risalto la parte più interessante degli antichi quartieri arabo e normanno del Monte e del Piano e la grande porta Rabatana, insieme a Porta Monte e Porta delle Beccarie. Nella parte esterna al borgo la chiesa di S. Rocco non più esistente e il convento del Carmine, interamente affrescato nel XVI secolo dal pittore Pietro Ferro. All’interno del borgo spiccano il palazzo Vescovile e la chiesa dell’Assunta, voluta da Roberto il Guiscardo e nella quale fu incoronato re di Napoli Luigi d’Angiò 1338. Sul colle la possente torre normanna alta 27 metri, alla sua sinistra il convento di Santa Chiara, dove si conserva la cappella del Crocifisso, affrescata del XVII secolo. Infine, la chiesa di San Francesco e il campanile. Nella piazza principale il Seggio dei nobili, oggi cappella dedicata al Santo patrono, e alle spalle il maestoso palazzo Ducale dei Principi Sanseverino-Revertera e infine i meravigliosi orti-giardini terrazzati di origine araba. Infine la fontana vecchia, realizzata al di fuori del borgo con i grandi conventi di Sant’Antonio e dei Cappuccini o S. Maria delle Grazie. IL ruolo svolto dalla città nei secoli le ha fruttato di essere raffigurata nel famoso Atlante seicentesco di Braun e Hogemberg Theatrum Urbium Mundi.

Al centro della discussione si pongono diversi quesiti, dalla ricerca, per esempio, delle molteplici ragioni per cui l’ uomo rappresenta lo spazio significativo, all’interesse e alla verifica anche dei punti e criteri di osservazione scelti dall’artista per la riproduzione dello spazio. L’espressione figurativa (sia essa un’incisione, un affresco o della cartografia) costituisce un vero e proprio documento iconografico enciclopedico ed illustrativo, fondamentale per la riscoperta dei luoghi nella loro matrice storica e culturale. Dal confronto delle immagini raffiguranti le vedute, realizzate in epoche diverse, si evince la presenza di differenti punti di vista, utili a farsi un’idea della produzione grafica e mentale che separa le diverse interpretazioni e culture degli artisti e dei loro committenti. La pratica del Gran Tour offre al riguardo un gran numero di esempi utili, mettendo a disposizione un gran numero di rappresentazioni del territorio, in un periodo in cui la pittura, l’incisione e l’acquerello costituiscono l’unico documento utile per trasferire ricordi e documentare lo spazio, con tutte le sue bellezze: ruscelli, cascate d’acqua, valloni e dirupi tra i quali fiorisce una natura incontaminata.

9. Metaponto (fig. III.17 / pict. III.17) L’incisione di J.-L. Desprez è all’interno del famoso Atlante Voyage Pittoresque del 1781 nella quale l’artista raffigura le antiche paludi nei pressi dell’antico porto di Metaponto. Il sistema idrografico comprendeva diversi bacini retrodunali, il lago di S. Pelagina, sede dell’antico porto greco, che Desprez descrive come un enorme ovale, nel quale il mare entrava attraverso un bacino di 400 m popolato da uccelli acquatici, piante e arbusti, rispecchiati nella limpidezza dell’acqua salmastra. In lontananza si scorge una cittadina, forse Montescaglioso, con numerosi monasteri benedettini, tra i quali l’antico complesso di S. Maria del Vetrano, fortificato. Sorge nella campagna della città ed è stato edificato dai Normanni negli ultimi anni del XI secolo e concesso ai benedettini di S. Michele Arcangelo nel 1119. Organizzato intorno ad un cortile, ha un’imponente torre quadrata e la chiesa conserva un portale del ‘500 con lo stemma abbaziale e tracce di affreschi, analoghi al ciclo del 1632 nel chiostro del monastero. Sulla collina un castello normanno mentre sul lato sinistro si nota in una fitta boscaglia una piccola chiesetta forse della Trinità del XII secolo. Infine nella parte anteriore si vedono i personaggi che Desprez e gli artisti del tempo usavano raffigurare per abbellire e creare un senso di tridimensionalità all’immagine.

Nuovo tema fondamentale, accanto alla riproduzione della Natura, diventa l’Antichità, secondo una tradizione che da Winckelmann si diffonde in tutta l’Europa del XVIII secolo, ed «è la storia che consente di recuperare la natura attraverso le opere antiche» (De Seta). Il Gran Tour, allora, svela l’immagine della cultura italiana nell’accezione più ampia dalle scienze alle arti - attraverso gli occhi dell’appassionato e del cultore di classicità europea, e segna l’inizio di una lunga serie di campagne, condotte prevalentemente da Inglesi e Francesi, alla scoperta dei territori sconosciuti dell’antica Lucania, consentendoci di recuperare l’immagine di una terra legata a doppio filo con la Magna Grecia. In questo si inserisce il tema della conservazione del patrimonio, a sua volta sostenuto dal contesto di riferimento, ossia il paesaggio. Si tratta di una ricchezza regalataci dal passato plurimillenario dell’Italia e della quale è nostro dovere assicurarne il futuro, entro una più ampia strategia di tutela e messa in sicurezza del nostro territorio, con tutto quello che l’Uomo ha creato di meraviglioso nel corso del tempo. Opere che da secoli hanno reso bello e attraente il nostro territorio. II.7 Considerazioni conclusive

Questa rapida successione di esempi mostra come il rapporto La ricerca ha fornito ampi spunti di riflessione sul ruolo fra opera pittorica, grafica e territorio, inteso come oggetto di svolto dall’opera d’arte (incisioni, dipinti, affreschi, ecc) 185

Cultural Landscapes nell’interpretazione dello spazio e del territorio, potenziale fonte di informazioni per la ricostruzione storica, ambientale e paesaggistica della Basilicata. L’opera d’arte diventa così documento prezioso, intermediario per la conoscenza del territorio e collegamento con una realtà evolutasi e modificata dagli eventi storici. Recuperare la conoscenza iconografica del nostro patrimonio culturale, in molti casi deteriorata o completamente distrutta, ma più spesso dimenticata, dovrebbe fornirci una nuova spinta per riscoprire quello che la storia e la tradizione ci hanno trasmesso anche nella forma conferitaci dallo spazio. Da questo tipo di raffronto si può ottenere un doppio risultato: recuperare le opere d’arte e allo stesso tempo trasformare il territorio in una risorsa economica e culturale. Il tema della conservazione del patrimonio è assolutamente globale, tanto che, specie in un Paese come l’Italia, ove l’uomo ha letteralmente e culturalmente creato opere di grande importanza, la politica di medio e lungo periodo dovrebbe saper guardare lontano. In questo senso il paesaggio va considerato come ricchezza futura, che sia, innanzitutto, politica di tutela messa in sicurezza del nostro territorio. La conoscenza dei fenomeni artistici è fondamentale per definire le caratteristiche di una data epoca, il modo di percepire il reale, la funzione del linguaggio delle immagini e i concetti nelle opere degli artisti, (en troc)14 e dei loro mecenati. La cultura di un periodo, infatti, si costruisce con l’arte non meno che col pensiero scientifico, politico e religioso, avanzando l’esigenza di una ricomposizione di unità delle diverse manifestazioni dell’attività umana. Si tratta così di progettare un recupero per tutte le opere esistenti del nostro paese e per la totalità dei valori culturali complessivi dell’ambiente, e di restituire ai paesaggi urbano e rurale una propria dimensione. È pertanto fondamentale riprendere la nozione di bene culturale come bene comunitario e di identità per contribuire alla qualità della vita.

mentale che separa le diverse interpretazioni e culture degli artisti e dei loro committenti. La pratica del Gran Tour offre al tal riguardo molti esempi utili, mettendo a disposizione un gran numero di rappresentazioni del territorio, in un periodo in cui la pittura, l’incisione e l’acquerello costituiscono l’unico documento utile per trasferire ricordi e documentare lo spazio, con tutte le sue bellezze: ruscelli, cascate d’acqua, valloni e dirupi tra i quali fiorisce una natura incontaminata. Nuovo tema fondamentale, accanto alla riproduzione della Natura, diventa l’Antichità, secondo una tradizione che da Winckelmann si diffonde in tutta l’Europa del XVIII secolo, ed «è la storia che consente di recuperare la natura attraverso le opere antiche» (De Seta). Il Gran Tour svela l’immagine della cultura italiana nell’accezione più ampia dalle scienze alle arti - attraverso gli occhi dell’appassionato e del cultore di classicità europea, e segna l’inizio di una lunga serie di campagne, condotte prevalentemente da Inglesi e Francesi, alla scoperta dei territori sconosciuti dell’antica Lucania, consentendoci di recuperare l’immagine di una terra legata a doppio filo con la Magna Grecia. Studiare il paesaggio storico attraverso le immagini significa cercare di ricostruire i contesti naturali, oggi necessariamente alterati e trasformati dallo sviluppo dei processi di antropizzazione, delineando così un percorso di storia globale che offre una lettura più attenta per comprendere gli sviluppi delle arti figurative nel tempo e nella società.

La ricerca e l’analisi delle immagini iconografiche pone diversi quesiti, tra cui le ragioni che abbiano guidato la scelta dei luoghi reali da rappresentare. L’espressione figurativa (sia essa un’incisione, un affresco o della cartografia) costituisce un vero e proprio documento iconografico enciclopedico ed illustrativo, fondamentale per la riscoperta dei luoghi nella loro matrice storica e culturale. All’interno delle stesse rappresentazioni lo spazio urbano assume nel tempo un ruolo significativo, in quanto cessa di essere indistinto e privo di relazioni, e si fa, invece, conosciuto, dominato, amato e, pertanto, raffigurato. Nella maggior parte dei casi si disegnano luoghi che da questa particolare peculiarità sono legati ai produttori e fruitori di quelle immagini. Segno questo del puro piacere, mai affievolito, di afferrare, tenere insieme e allo stesso tempo conoscere intellettualmente uno spazio significativo. Dal confronto delle immagini raffiguranti le vedute, realizzate in epoche diverse, si evince la presenza di differenti punti di vista, utili a farsi un’idea della produzione grafica e 14 Troc, letteralmente ‘baratto’ o ‘scambio’ e ‘relazione del pittore con la sua cultura’.

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Capitolo IV PAESAGGIO E LETTERATURA: DESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE DEL PAESAGGIO ATTRAVERSO LE FONTI LETTERARIE Maurizio Lazzari, Immacolata Rondinone Abstract* The study of the literary landscape is dealt with as local knowledge, in relation to natural and anthropogenic changes of the same and through the reasoned reading of the lucanian (Basilicata) authors, who drew it a source of inspiration, from the sixteenth century up to the twentieth century. From every work of each author, the most significant parts that depict the landscape of Lucania were extrapolated, because it can be a very close bond that unites the author's place of belonging, to its local context or the landscape becomes an outlet to turn to escape mentally and heart, where the landscape can also be the deciding factor that strongly urges the emotions and feelings. The bibliographical survey of 28 authors took place through a careful and meticulous research of literature texts, mainly based on books and periodicals, as part of which have been identified in detail, in the descriptions of each verse or prose, work that concerned the Lucanian landscape with particular reference to those areas of Basilicata and / or location, rivers or mountain ranges that had inspired the writers in the composition of their works. A multidisciplinary approach to the study of the landscape cannot be separated from an analysis of the literary texts, which over time have described and referred to the same 'window' of the landscape (i.e. gullies of Aliano or Basento valley), pointing from time to time morphological features, colors, visual horizons, personal memories, mutations and transformations that have occurred due to human activities or natural events. The texts become, in this sense, an instrument of knowledge of the landscape, which go beyond the purely aesthetic sense-perception, taking on a role basis in a complete analytical vision of its components. Keywords landscape, literature, geography, lucanian authors IV.1 Lo stato dell'arte Il concetto di paesaggio è di codificazione talmente recente che se ne sono date diverse definizioni, senza riuscire a abbracciarne tutte le caratteristiche naturali, antropiche e cronologiche. In un modo o nell'altro sembra che qualcosa venga lasciata fuori, trascurata o minimizzata. Il tema del ‘paesaggio’ si presta, dunque, ad una lettura multidisciplinare, richiamando intrinsecamente e, in determinati contesti, anche direttamente discipline quali l’archeologia, la geografia, la letteratura, la geologia fino all’architettura. Questo è estendibile molto più all’aspetto letterario del paesaggio che per ogni altra sua caratteristica. In

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Il presente contributo è frutto della riflessione congiunta degli autori in ogni sua parte. Nello specifico però sono di M. Lazzari i paragrafi IV.1, IV.2 e IV.4, mentre il paragrafo IV.3 è stato curato per i primi 14 autori da M. Lazzari ed i successivi 14 da I. Rondinone.

Italia, sebbene le descrizioni di paesaggi siano tra le più belle e celebrate di tutta la letteratura, non si è mai dato molto peso ad una storia del paesaggio letterario, che è un settore di interesse spesso del tutto estraneo alle professioni del giardiniere e dell'architetto, ma certamente molto più consono ed affine al poeta e al narratore. Il paesaggio in letteratura non dovrebbe essere pensato come un sostituto di modi più convenzionali di studi geografici, ma piuttosto come una risorsa supplementare e speciale di paesaggio intuito che è rimasto inutilizzato fino ad oggi. Nella letteratura, infatti, questo aspetto è spesso richiamato, se non in maniera diretta, da quegli autori la cui esperienza letteraria e la loro fonte d’ispirazione sono direttamente connesse al concetto ed all’essenza stessa del paesaggio, in una forma indiretta, la cui consistenza è legata al valore ed al rapporto di ciascun autore con il paesaggio. Lo stretto ed intimo legame tra paesaggio e letteratura è evidente già in epoca classica quando, ad esempio, Orazio, ispirandosi alla poesia bucolica di tradizione ellenistica, in vari passi delle Epistole, mostra il profondo radicamento nel suo animo dell'affetto per il paesaggio rurale1. Una visione, quella oraziana, che si contrappone fortemente ad una personale visione più asettica e negativa che Strabone offre della Lucania e del suo paesaggio, descrivendo gli insediamenti dei Lucani come «privi di ogni importanza», dove «non sopravvive nessuna organizzazione politica» e nessuna tradizione. Più di recente la “scuola inglese” e la “scuola tedesca” hanno dedicato riviste e numerosi volumi alla tematica della lettura del paesaggio attraverso i tesi letterari. Non è, infatti, un caso che Michael Jakob2 anteponga alla trattazione uno stralcio di una poesia di Emerson, che sostiene che il territorio è posseduto sì dagli individui, ma il paesaggio può essere abbracciato solo dal poeta. Jakob non lascia spazio a fraintendimenti: il concetto di ‘paesaggio letterario’ esprime qualcosa di estremamente preciso, e cioè il ritrovare se stessi attraverso la visione del paesaggio. La pura descrizione estetica del paesaggio, per quanto elevata, aulica e nobile, non rientra nella sua sfera d’interesse. Il paesaggio è un limite tra soggetto ed oggetto, e solo il poeta riesce a restituirlo agli altri, appropriandosene,

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«Pensieri e sentimenti di Orazio lirico sono spesso determinati dalla natura che lo circonda: egli o si sente in accordo perfetto con essa o si ribella alle impressioni che da essa riceve». Con queste parole Giorgio Pasquali apre «uno dei capitoli più felici del suo Orazio lirico», quello che s’intitola Il sentimento della natura. E ancora: «Orazio sente la natura [...] perché gode con lei e perché si ribella quando ella lo invita a rattristarsi con lei; vale a dire, egli sente di dipendere da lei». Nella natura, nel paesaggio, «egli ricerca non maestà né sublimità ma amoenitas, […] la campagna amena e riposante», verso la quale le città brulicanti di vita e di traffico nate con l'età alessandrina indirizzavano la fuga degli uomini, un locus amoenus che talvolta assumeva le sembianze del «porto dell’atarassia» o dell’ «ambiente ideale per il culto delle Muse». 2 Jakob M. 2005, Paesaggio e letteratura, Firenze.

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Cultural Landscapes

Fig. IV.1 - Frontespizi di alcune pubblicazioni di riferimento sulla tematica del paesaggio in letteratura. Pict. IV.1 - Title pages of some reference publications on the theme of landscape in literature. unicizzandolo, e non descrivendolo come si fa per una cartolina. Non è neanche un caso che l'autore sia tedesco, poiché dalla Germania, più che da qualsiasi altra nazione europea, poteva provenire una riflessione pienamente storicistica e romantica della letteratura e del paesaggio. La natura secondo Jakob non è accessibile per mezzo della pura visione estetica, ma per mezzo della ragione, del discorso (ed in ciò si sente forte l'influsso della filosofia tedesca di tipo hegeliano). Per tale motivo Jakob afferma che l’uomo è più portato ad apprezzare la natura plasmata dall'uomo, dove l'elemento naturale e quello antropico si incontrano, dove insomma ci sia un'identificazione tra natura e soggetto3. A partire dall’antica Grecia, Jakob sviluppa la storia del paesaggio non tanto seguendo un filo cronologico, ma piuttosto attraverso la trattazione di tematiche. L'analisi si sofferma in quel periodo di transizione dall'Illuminismo al Romanticismo, in cui la descrizione poetica del paesaggio raggiunge la sua pienezza, cioè sul periodo che vede la nascita dei giardini “naturali”, e del tema dell'ut pictura poesis cioè del legame e della dipendenza reciproca tra pittura e poesia. Il progressivo straniamento dell'uomo dalla natura è uno dei motivi per il quale il paesaggio letterario acquisterà pienamente il suo attuale significato solo nel XVIII secolo, quando l'uomo si separa definitivamente dalla natura. Fino al 1700 più o meno tutte le descrizioni di paesaggi erano convenzionali e frutto di tecnica letteraria, trattandosi di descrizioni estetiche che non andavano oltre la ricerca del "barocchismo linguistico". Solo in seguito gli autori acquisteranno l'uso dell'auto-osservazione soggettiva,

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Il paesaggio letterario può esistere, secondo Jakob, infatti solo laddove esista la grande città, la metropoli (non necessariamente una metropoli moderna), dove, insomma, l'uomo sia ormai estraneo ai pericoli ed alle conoscenze del mondo naturale. Solo in questo contesto storico «il cittadino puro, del tutto isolato dalla campagna circostante, e che non possiede più un sapere immediato e ingenuo dei processi naturali, soltanto all'uomo civilizzato e sofisticato, dalle capacità di osservazione atrofizzate, la natura appare come l’altro, opposto e desiderabile, a cui egli si abbandona con sentimento e nostalgia».

caratteristica imprescindibile del paesaggio letterario vero e proprio. Solo negli ultimi anni lo studio del paesaggio attraverso la lettura dei testi letterari (fig. IV.1 / pict. IV.1) è andato via via assumendo un ruolo di primo piano grazie alla scuola inglese (Sheeran, 2003), ma anche ad una maggiore attenzione di studiosi italiani come Bertone (2001; 2004; 2006), Fonnesu et alii (2005) e Bottalico et alii (2007). In particolare, Bertone, uno dei maggiori studiosi italiani del tema del paesaggio in letteratura, tratta la tematica attraverso la rilettura della figura e dei romanzi brevi di un grande scrittore ligure, Francesco Biamonti, scomparso nel 2001, ma anche attraverso l'idea di paesaggio che emerge dai saggi di alcuni autori fondamentali della letteratura italiana come Montale, Caproni, Calvino e Levi. Sheeran, in Landscape and Literature (2003), esamina, invece, i modi diversi in cui il paesaggio è stato rappresentato nella letteratura nel corso dei diversi periodi letterari dal neoclassicismo alla poesia del XX secolo da Marvell, Wordsworth, Eliot, Hardy, Lawrence fino a Heaney e Hughes. L’obiettivo principale del presente contributo è stato, pertanto, quello di sintetizzare ed analizzare, anche attraverso comparazioni coeve e diacroniche degli autori, le fonti letterarie lucane che, citando e richiamando all’interno delle opere riferimenti al paesaggio naturale, agrario e rurale lucano ed i relativi contesti geografici in cui gli autori delle stesse avessero vissuto e/o lo avessero descritto attraverso le notizie raccontate da terzi o desunte da altre fonti. Lo studio del paesaggio letterario, viene affrontato, dunque, come conoscenza del territorio, in relazione alle trasformazioni naturali ed antropiche dello stesso e attraverso la lettura ragionata degli autori lucani o di origini lucane, a partire dal XVI secolo fino ad arrivare al XX secolo, che hanno tratto da esso fonte d’ispirazione.

L’arco temporale preso in esame fa ricadere la maggior parte degli autori nel Novecento, mentre al Cinquecento si riferisce la produzione poetica di Isabella Morra ed all’Ottocento quella di Nicola Sole e Tommaso Claps; per i secoli XVI, 188

Paesaggio e letteratura XVII e XVIII si registra una vera e propria carenza di fonti o documenti di autori lucani. Da ogni opera di ciascun autore sono state estrapolate le parti più significative che descrivono il paesaggio lucano: può esserci un legame strettissimo che unisce l’autore al suo luogo di appartenenza, al suo contesto territoriale oppure il paesaggio diventa una valvola di sfogo a cui rivolgersi per evadere mentalmente e con il cuore, come accade per Isabella Morra, in cui il paesaggio può anche rappresentare l’elemento decisivo che sollecita fortemente le emozioni e i sentimenti.

17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28.

sec. XX - LIUNI ETTORE sec. XX - MARTONE MARTONE sec. XX - TRUFELLI MARIO sec. XX - TILENA FRANCO sec. XX - MARTINELLI MICHELE sec. XX - BRUNO TERESA sec. XX - SPAGNUOLO TERESA sec. XX - NIGRO RAFFAELE sec. XX - LOTIERZO ANTONIO sec. XX - D’ANDREA EMILIO sec. XX - MARMO AMALIA secc. XX-XXI - VENEZIA MARIOLINA

IV.2 Metodologie La ricognizione bibliografica degli autori è avvenuta attraverso un’attenta e meticolosa ricerca di testi letterari, prevalentemente basata su monografie e periodici, nell'ambito dei quali sono state individuate nel dettaglio le descrizioni in versi o in prosa di ogni opera che riguardassero il paesaggio lucano, con particolare riferimento a quelle aree della Basilicata e/o località, fiumi o catene montuose che avessero ispirato gli scrittori nella composizione delle loro opere. I riferimenti paesaggistici, spesso descritti dagli autori minuziosamente nelle loro caratteristiche, richiamano, di fatto, l’intera regione Basilicata, andando dalle aree del Vulture-Melfese (Melfi, Lagopesole, Atella, Rapolla, Rionero in Vulture, Ginestra), alla collina materana (Matera, Graraguso, Ferrandina, Aliano, Oliveto Lucano, Calciano), alla costa jonica (Policoro, Metaponto, Scanzano Jonico) e i paesi confinanti (Tursi, Rotondella, Nova Siri), alla Val d’Agri (Viggiano, Moliterno, Montemurro), alla Valle del Basento fino alle zone montuose del Pollino, tutte aree completamente diverse tra loro a livello ambientale, geologico e paesaggistico. IV.3 Il paesaggio nelle opere letterarie degli autori lucani La descrizione del paesaggio attraverso gli occhi ed il cuore dei letterati lucani viene illustrata seguendo un ordine cronologico degli autori, preceduta da una breve contestualizzazione storico-geografica e biografica degli stessi. In particolare, gli autori selezionati in base ai suddetti criteri sono stati i seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.

sec. XVI - MORRA ISABELLA sec. XIX - SOLE NICOLA secc. XIX-XX - DE CESARE EMILIA secc. XIX-XX - CLAPS TOMMASO sec. XIX - PLASTINO VINCENZO sec. XX - ALIANELLO CARLO sec. XX - GALLICCHIO EMILIO sec. XX - LEVI CARLO sec. XX - SINISGALLI LEONARDO sec. XX - PIERRO ALBINO sec. XX - STOLFI GIULIO sec. XX - SCARDACCIONE FELICE sec. XX - SCARANO NICOLA sec. XX - SCOTELLARO ROCCO sec. XX - CIRIGLIANO SALVATORE sec. XX - PECORIELLO VINCENZO

1. ISABELLA MORRA (Favale, 1520-1546) Nella Provincia di Basilicata della seconda metà del Cinquecento caratteri di emarginazione e arretratezza erano particolarmente accentuati; al di fuori del castello dei Morra nell’antica Favale, attuale Valsinni, regnavano l’ignoranza, la miseria e la brutalità di uomini servi o la prepotenza dei signori rimasti sull’onda della fortuna; Isabella nonostante fosse così colta, era reclusa nel castello e sottratta ad ogni rapporto con la rimanente società4. Lei vedeva la propria solitudine accentuata ed esasperata dalla incomprensione e sordità della gente del paese, assolutamente incapace di partecipare ai suoi bisogni di cultura e di bellezza, una simile vita per la poetessa era una condanna e una crudeltà del fato; la poetessa si rifugia nel colloquio con la natura che diventa la confidente dei suoi sentimenti, quella natura che poteva conoscere ed osservare dal castello ove era reclusa, immaginando il mare e l'approdo delle navi, che avrebbero riportato il padre a casa per liberarla, molto più vicino di quanto non fosse. Il paesaggio osservato si integra così con il paesaggio immaginato (rispetto ai suoi limiti geografici), che dal Monte Coppolo, su cui non salì mai, le avrebbe fatto scorgere il mare. Le principali località descritte nelle sue opere, in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti, sono Favale, oggi Valsinni (fig. IV.2 / pict. IV.2), ed il Monte Coppolo. Fonte indiretta tratta da: Caserta 1976, Isabella Morra e la società meridionale del Cinquecento, p. 81. Per voi, grotta felice, boschi intricati e ruinati sassi, Sinno veloce, chiare fonti e rivi, erbe che d’altrui passi… O valle inferna, o fiume alpestre o ruinati sassi, o spirti ignudi di virtute e cassi udrete il pianto e la mia doglia eterna… o fere, o sassi, o orride ruine, o selve incolte5, o solitarie grotte6 […]

                                                             4

G. Caserta, Storia della letteratura lucana, Venosa, 1993, pp. 91-95. La selva che volge intorno il Castello di Favale. È tutto rivolto alla sua valle il sonetto che Domenico Bronzini ha intitolato La selvaggia vallata, perché non spira un segno di luce né nel paesaggio, né in coloro che vi abitano. 5 6

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Cultural Landscapes

Fig. IV.2 - Visione panoramica di Valsinni (Favale) e delle rive ghiaiose (sassosa riva) del fiume Sinni (Siri) dal castello dei Morra. Pict. IV.2 - Panoramic point of view of the Valsinni village (Favale) and Sinni (Siri) pebbly bed river (sassosa riva) from the Morra's Castle. Fonte indiretta tratta da: Cambria 1969, Isabella. La triste storia di Isabelle Morra, p. 22, 49, 64, 66. (p. 22) Quanto pregiar ti puoi, Siri7 mio amato, de la tua ricca e fortunata riva e de la terra che da te deriva… (p. 50) D’un altro Monte. D’un alto monte8 onde si scorge il mare Miro sovente io, tua figlia … … Ch’io non veggo nel mar remo né vela (così deserto è lo infelice lito) che l’onde fenda o che la gonfi il vento. (p. 64) … Ogni monte udirammi, ogni caverna, ovunqu’io arresti, ovunqu’iomova i passi… (p. 66) Torbido Siri9, del mio mal superbo,

                                                            

or ch’io sento da presso il fin amaro, fa tu noto il mio duolo al padre caro … Tosto ch’ei giunga alla sassosa riva … inqueta l’onde con crudel procella e dì: - Me accreber sì, mentre fu viva, non gli occhi no, ma i fiumi10 d’Isabella. 2. NICOLA SOLE (Senise, 1821-1859)

7 Il Siri diventa qui un fiume “amato” e la riva “dolce e fortunata”, perché scorre accanto a “colei che il cielo irato” ecc. Nelle opere di Isabella Morra è possibile rintracciare, una certa simbologia, secondo la frequenza che vi hanno alcuni momenti del paesaggio. Il fiume, in particolare, è spesso il confidente della poetessa, proprio perché lei stessa vive nel più totale isolamento e nella solitudine di quel castello. Esso sembra simboleggiare il bisogno di correre, per andare verso un’umanità più vasta. Il fiume Sinni passa ai piedi del castello di Favale (l’antica Valsinni), ma non vi si ferma. Scorre verso il mare, mescolandosi con le acque di altri fiumi, che vengono da altre terre; abbandonandosi alle sue onde, Isabella potrà uscire dalla sua prigione: il castello. Se, attraverso il fiume, Isabella si proietta verso il mondo esterno, dal mare, invece, aspetta le novità del mondo. Dall’alto del Monte Coppolo lei protende lo sguardo verso lo sconfinato orizzonte marino, sperando di vedere qualcosa che la salverà. 8 Trattasi del monte Coppolo, mentre il mare è lo Ionio nel Golfo di Taranto. Nelle giornate serene difatti dall’alto del monte Coppolo, che domina l’abitato di Valsinni e lo stesso castello dei Morra, si intravede l’azzurro luminoso del mare.

Nicola Sole è stato il massimo rappresentante della poesia lucana del primo Ottocento. Egli nacque a Senise, ma la sua vita si svolse tra Napoli, Potenza e il paese natale; la sua fama però andò oltre i confini della Basilicata e del Regno di Napoli. La sua opera più famosa è l’Arpa Lucana, una raccolta di poesie in cui vagheggia un’Italia libera e nuova11. Le località descritte nelle sue opere in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti sono la costa Jonica, la Val d’Agri e Viggiano (fig. IV.3 / pict. IV.3). Fonte indiretta tratta da: F. NOVIELLO 1984, Nicola Sole e la sua poesia, pp. 88-90. (p. 88) Come sei bella,

                                                                                                      

9 Ancora una volta, sullo sfondo di un paesaggio che si avverte solitario e distaccato, se non addirittura, come il Sinni, crudelmente “superbo” del male che affligge una creatura umana, la poesia si proietta verso la vallata. Al fiume Isabella Morra si rivolge con accenti particolarmente appassionati, cercando di intenerirlo alla sua sorte, almeno ora che avverte di essere vicina al “fin amaro” cioè alla sua morte. 10 Fiumi di lacrime che lei versava nel fiume Sinni. 11 Caserta, 1993, pp. 226-228.

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Paesaggio e letteratura

Fig. IV.3 - Visione panoramica da NO a SE dell'alta val d'Agri. In primo piano è visibile l'abitato di Paterno ed in lontananza quello di Viggiano ed il Monte della Madonna di Viggiano. Pict. IV.3 - Panoramic view from NW to SE of the high Agri valley. In the foreground is visible the Paterno village and in the distance that of Viggiano and il Monte peak of the Madonna di Viggiano. Fonte diretta tratta da: N. SOLE, 1984 L’arpa lucana, pp. 2135.

Terra dei forti, or che discende il cielo Un manto azzurro sulle tue montagne, E nel suo riso la recente luna i tuoi boschi inargenta!... Tutto a te diede Clemente il cielo; le montagne e i mari, I vulcani e le nevi, il fosco abete, e l’aureo pomo oriental, franati12 Brulli dirupi ed ondulati piani Ricchi d’alberi d’acque e di verzura, E pampinosi poggi, e lauri, e tutto! (pp. 89-90) Una luce di rose e di viole Soavemente iva a ferir lontana Borghi, rupi, foreste, archi e chiesuole; E muta per la varia erta montana Salia la sera, e la pace notturna Su la industre scendea gente lucana… E qui, per questi profumati colli Vanno insonni le notti… Fumano i monti e tremano prostrati Quasi mansi arieti ai tuoi ginocchi. … Fumavan gaie le sue colline13 Dove il folto grano Le coste indora del mio paese E fiorisce anche la vite.

Al mare Jonio14 (p. 21) È bello il ciel, che ti fa tenda, o antico Jonio sublime: del più fosco azzurro Antelucano ei pinga i tuoi profondi Seni vocali … e tu sublime Jonio, quell’acque irrequiete accogli Fra le cerule braccia, e le componi… (p. 22) Eccomi: io solco, Jonio, le tue pianure. Alta ne’ cieli La notte assorge. Nel tuo curvo lido Splendono i fuochi dei casali… (p. 23) Jonio sentisti in grembo a le sonanti Acque novelle; e qui, dove or tu posi, Eran campi, pasture, alberi, monti Uomini, colpe…e tirannia fors’anche … Le decrescenti acque composte, e gaie Vennero a l’aria le montagne, e Dio Benedisse a la Terra, allor tu forse Solennemente trasmigrasti ai curvi Lidi, ch’or bagni. Meraviglia al sole, Fiorir di boschi i disertati abissi, E suonar di città.

                                                            

                                                            

Per Sole “le frane, i terremoti, le pesti” riguardano soltanto la zona del metapontino, quella stessa che nei tempi greci era splendente di gloria. 13 I versi si riferiscono alla zona di Viggiano prima del terremoto del 1857.

Affacciandosi al mare che vide lo splendore e la grandezza della Magna Grecia, lui rivive, attraverso immagini mitiche, la storia illustre della sua Lucania (Caserta, 1993, pp. 226-228).

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Cultural Landscapes

Fig. IV.4 - Il vulcano del Monte Vulture visto da est ad ovest. La struttura del vulcano è ciò che rimane di una grande caldera, formatasi per collasso dell'antica morfostruttura vulcanica, che ospita al suo interno due laghi craterici. Pict. IV.4 - The volcano of Vulture Mount observed from East toward West. The volcano structure is the remaining of a large caldera due to the collapse of the old volcanic morphostructure. It conserves inside two crater lakes. 3. EMILIA DE CESARE (Spinazzola, 1830-?) (p. 25) O Magna Grecia, qui fosti! Questo mar fu specchio, A le tue scuole cittadine, ai tuoi Interrogati oracoli supremi… Su quest’onde non arda, e di quei colli Pei soavi contorni alto sull’ale Del sovvenir non erri? Oh quante ville, Quante città per quel ricurvo lido! ... Popolate di spirti: alberi, fonti, boschi, dirupi, eran d’arcane Intelligenze alberghi… O fantastico Jonio; e tu parevi Anfiteatro d’acque, a cui ghirlanda fean umili colline, alte montagne Greche, Japigie, Sicule, Lucane… (p. 27) La Ionica Cibele il piè tuffava Entro a l’acque del Bradano; l’antica Metaponto famosa, alta metàbo … (p. 28) Volge il Bradano al mar l’onda romita… Quelle glebe deserte in elmi antichi…ove Eraclea stette, ombreggiando i boschi; e il cinghial scava Fra le macerie e i lividi pantani Frantumate colonne … (p. 35) O mia Lucania, è questo ampio mar, che veleggio, a le tue prische Marittime città. Lucano anch’io, Da questo mare ti contemplo e canto, Terra Lucana! ... Tutto a te diede, Lucania, il cielo: le montagne e i mari, I vulcani e le nevi, il negro abete, E l’aureo pomo oriental, franati Brulli dirupi e facili pianure biondeggianti di grani e d’oliveti, E pampinosi poggi e lauri e tutto.

Della poetessa non si hanno notizie dirette se non quelle tratte da La Banca (2009). Tra le località descritte nelle sue opere in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti, quella del Vulture è l’area dominante (fig. IV.4 / pict. IV.4). Fonte indiretta tratta da: V. LA poeti lucani, p.51

BANCA

2009, Antologia di

Il Vulture Fra l’Appule pianure e le Lucane erto dominator degli Appennini, o Vulture sublime, in te le arcane … E da lungi sboccar mira torrenti di foco da tue viscere profonde, e turbinose dalle cime ardenti uscir le fiamme e tutte le gioconde campagne dilagar liete e fiorenti15. Delle riflesse lave rubiconde mire le valli e rosseggiare un fiume di solfo e di metallo e di bitume … fuggon dai boschi e le diserte ville … 4. TOMMASO CLAPS (Lagopesole, 1871-1945) Il poeta lucano è un giurista che insegnò diritto civile presso l'università di Camerino, cattedra che abbandonò per tornare a Potenza dove fece carriera come magistrato, fino ad essere nominato primo presidente di Cassazione. Nel 1896 pubblicò 

                                                            

15 Il vulcano è ad oggi inattivo e l'ultima sua eruzione risale a circa 125.000 anni fa. La poetessa, nella sua descrizione, immagina un paesaggio dominato dall'attività vulcanica e dagli effetti di colore derivanti dall'interazione tra le lave e l'ambiente circostante (fiumi, boschi, ville).

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Paesaggio e letteratura

Fig. IV.5 - Castello di Lagopesole (Avigliano, PZ), posto su un rilievo costituito da quarzoareniti della formazione geologica del Flysch Numidico. Ai piedi del versante si sviluppa la depressione morfologica del Piano del Conte, dove esisteva un lacus pensilis da cui nasceva il fiume Bradano. Pict. IV.5 - Lagopesole castle (Avigliano, PZ) located on a rilief constituted by quartzarenites of the Numidic flysch geological formation. At the bottom, the Piano del Conte morphological depression develops, where there was a lacus pensilis from which the Bradano river was originated. Manfredonia ... Da presso, si stendevano pochi altri campi coltivati, fino alla strada carrozzabile Avigliano-Rionero, e più in là, verso ponente, le boscaglie e i pascoli estivi di Montecaruso, a' fianchi del quale si annida il casale de Frusci. Più lontano ancora, spiccavano alti, a bordi netti nell'azzurro del cielo, i sette culmini del Vulture famoso, e di fronte, nel piano, dominante dal turrito castello medioevale di Lagopesole, si perdevano le ampie pianure e le fertili masserie di Sarnelli e d'Isca lunga, tutte circondate da boschi e tutte sparse di villaggi e casali, da quelli antichi e ormai Fonte diretta tratta da: T. CLAPS 1995, A piè del Carmine16, spopolati di Agromonte e Monte Marcone, ai più recenti e Bozzetti e Novelle basilicatesi, pp.53, 54, 55, 77, 139, 140. popolosi di possidente, Sarnelli, Filiani, Signore, Masi, Vaccaro, Sant'Ilario,Sterpito. (p. 53) Da che era tornato da Lagopesole, dove stavano (p. 77) ... i frugali e laboriosi coloni aviglianesi delle varie scacciando (al piano del Conte,in località di Avigliano) una masserie e delle quote comunali sparse in territorio di zona boschiva a lu Chianu di lu Conte, ogni tre o quattro Potenza, tra Montocchio e Lavangone!...in mezzo ai rispettivi giorni, zappando, … (pp. 54-55) … A quell'ora, da tutta la fondi, tutti brulli e deserti, coltivati a solo grano e granturco, circostante campagna a tratti a tratti coltivata e solo qua e là senza l'ombra di un albero fruttifero o di ornamento, senza interrotta da lunghe strisce di roccia bianca e rossastra una vite che desse segno ... presso le falde del Carmine, si levavano per solito leggere (p. 139) A S. Giorgio, che è posto in tenimento di Pietragalla, nebbie di vapori, che salivano come incenso fin sulla cima ma l'abitano tutti i contadini di Avigliano ... il Casale di San del sacro monte, dove s'aderge la grossa e rozza fabbrica Giorgio è uno dei più belli di quanti se ne incontrano lungo della cappella votiva intitolata alla Madonna del Carmelo,e la carrozzabile Avigliano-Rionero: dalle scarse capanne di donde si domina tutta l'antica Valle di Vitalba, da Forenza a Ciccolecchia, Lazzi e Spingole, Cacabotte, San Francisco, e Bella, e i giorni sereni, si scorge anche il Golfo di San Nicola in mezzo alle cui ultime casupole la strada si incrocia con quelle che vanno a Potenza, a Pietragalla, ad                                                              Acerenza; fin sul castello di Lagopesole, attraverso le 16 Tragica e pietosa è la rappresentazione della realtà lucana in questa borgate di Possidente e Sarnelli; e poi ancora nel piano, fino raccolta di novelle. Queste ultime hanno in comune lo sfondo, il vasto alle masserie di Masi, Vaccaro ... territorio aviglianese e l’estrazione sociale dei personaggi, contadini e popolani, masciare e briganti, insomma la plebe delle zone interne del (p. 140) … l'antica Acerenza, gode davvero a riposar lo mezzogiorno. Claps contribuisce volutamente e consapevolmente a definire sguardo in quella varia campagna verde, già prima l’iconografia più tipica delle genti lucane, cercando di far emergere le doti monotona e brulla lungo i lividi e limacciosi torrenti della positive del popolo, i suoi valori antichi e profondi ma allo stesso tempo i Tiera e di Rivisco presso Potenza ... difetti del popolo (Caserta, 1993, pp. 271-273). 193 Studi e considerazioni sulla natura giuridica del pegno. Pubblicò altri scritti, non solo di carattere giuridico ma anche letterario, come per esempio alcuni studi su Orazio. Nelle opere letterarie le località descritte in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti sono: Lagopesole (zona boschiva a Piano del Conte, loc. del comune di Avigliano, fig. IV.5/pict IV.5), Valle di Vitalba (Forenza, Bella, Avigliano, Rionero, Montecaruso), Potenza (comuni tra Montocchio e Lavangone), Ruoti, Pietragalla (San Giorgio), Acerenza.

Cultural Landscapes 5. VINCENZO MARIA PLASTINO (Rionero in Vulture, 18771915)

Fonte diretta tratta da: C. ALIANELLO, 1963, L’eredità della priora, p. 126, 127, 237.

Un poeta semplice, delicato, di grande sensibilità paragonato, in un certo qual modo, a Giovanni Pascoli, col suo “fanciullino”. Infatti, Vincenzo Maria Plastino amò le forme della sua arte con l’entusiasmo di un bambino, che in lui era animato da una spiritualità fervente e da uno sconfinato bisogno di credere nell’ideale e di rifugiarvisi tutto, con tutto il suo sogno di bontà e di perfezionamento umano. Il suo talento letterario e la limpidezza della sua poesia non sfuggirono al senatore Giustino Fortunato, che con grande generosità protesse e incoraggiò il suo concittadino, avendo con acume colto il lui una persona degna di attenzione. Pubblicò ancora, fra l’altro, la raccolta di versi Il Natale, nel 1892 e Su le condizioni presenti e l’avvenire agricolo della Basilicata, nella Nuova Gazzetta Venosina n. 297, anno VIII del 31.12.1899.

(p. 126) Fin dal passo di Toppa Taverna sulla strada di Melfi, avevano incontrato una truppa di cafoni che scendevano verso la fiumara di Atella, taciturni, accigliati perfino … (p. 127) L’aria era limpida e frizzante; lo sguardo sarebbe andato liberamente avanti per la vallata lunga e amplissima, se la strada a ogni svolta non l’avesse costretto a misurare, alzando gli occhi, i grandi blocchi di granito tra due speroni del monte. Davanti a lui si apriva tutta la vallata e il colle di Lagopesole e la foresta intorno fino all’orizzonte e, su una collina, erta fra selva e monte, il castello grande, turrito, quadro, infinitamente triste. (p. 237) Sul Vulture la primavera tarda a venire, però esplode poi tutta insieme quasi come nei paesi nordici, quando il bosco di Fagosa e più in là la foresta di Monticchio s’ingemmano di tenerissimo verde, mentre fra le pieghe del terreno in ombra, la neve candeggia ancora, e attorno i prati sono macchie tremule d’ogni fioritura e d’ogni colore al primo tepore del vento.

Il lavoro, che però colloca Vincenzo Maria Plastino fra i poeti meritevole di grande attenzione, è senza dubbio Il Poema dei Fati, edito a Melfi nel 1902. Si tratta di una raccolta, piccola di mole ma densa di anima e di pensiero, in cui è intenso il riferimento alla sua terra: l’area del Vulture. Fonte diretta tratta da: il Poema dei Fati Vulture ameno!17 … O quanta paziente opra di secoli ti grava addosso, ne l’immenso azzurro de’l tuo cielo lucano, o solitario Vulture ameno! ... ora vigili’l verde, alto de’ piani, i cosparsi villaggi … 6. CARLO ALIANELLO (Roma, 1901-1981) Carlo Alianello è stato un docente, scrittore e sceneggiatore italiano18. Egli è considerato il capostipite del revisionismo del Risorgimento e le sue opere sono un punto di riferimento per vari revisionisti moderni.  Il romanzo L'eredità della priora è il terzo di tre romanzi storici scritti da Alianello ed è incentrato sugli aspetti politici della sconfitta borbonica e dell'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna. Tema centrale del romanzo è il brigantaggio, attraverso la narrazione dei tentativi di riconquista del Regno da parte dei legittimisti difensori della vecchia dinastia, riconoscendo, però in alcuni briganti come Carmine Crocco «il motore e il banditore della rivoluzione contadina, piuttosto che della reazione borbonica». Nel romanzo l’autore si sofferma su alcuni aspetti e descrizioni del paesaggio del Vulture e della Valle di Vitalba, come la fiumara di Atella e gli abitati di Melfi e Lagopesole, soffermandosi sulle ampie coperture boschive.

7. EMILIO MARIO OTTAVIO GALLICCHIO (Avigliano, 19021981) Emilio Mario Ottavio Gallicchio nasce ad Avigliano l'8 Settembre 1902. Il padre lo avvia agli studi nella Scuola Normale di Matera dove consegue l'abilitazione all'insegnamento elementare. Vincitore di concorso, fu assegnato alla scuola di Poggiomarino (NA), dove sposa Anna Palumbo dalla quale avrà due figli. Laureatosi in pedagogia, e superato il concorso per Direttore Didattico, fu assegnato prima ad un Circolo di Taranto e successivamente alla Direzione Didattica del I Circolo di Potenza. Nelle sue poesie non manca mai il riferimento al paesaggio della sua terra natia ed alle sue dinamiche di trasformazione che variano da stagione a stagione. Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 81. Voglio restare qui. Voglio restare qui tra questi monti bianchi d’inverno, coperti di ginestre a primavera; …tra i pendii o nelle valli, corrose dai torrenti tumultuosi; voglio sentire ancora le cicale, impazzire d’estate tra le siepi; voglio ascoltare a sera i mietitori, cantar sull’aia con la luna piena…

Casolari lontani Casolari lontani, sperduti, tra le argille della valle,                                                              17 è troppo gonfia, da più giorni, Con questi meravigliosi versi Vincenzo Maria Plastino saluta il suo bel Vulture, la montagna che sovrasta la cittadina di Rionero. la fiumara, 18 Lo scrittore pur non essendo nato in Basilicata, ma di origini lucane, che un dì scorreva attraverso i suoi racconti, ricerca la radice solida e moralmente compatta dei tacita e tranquilla… suoi avi (Caserta, 1993, pp. 363-364). 194

Paesaggio e letteratura

calanchi

Fig. IV.6 - La foto scattata lungo la strada che dal fondovalle dell'Agri conduce ad Aliano, mostra come lungo le due rive del corso d'acqua contrastino due paesaggi sensibilmente diversi: in sinistra è presente un paesaggio a calanchi modellato nelle argille sabbiose; sulla destra un paesaggio collinale con ulivi e vegetazione bassa. Il fattore determinante, a parità di litologia, è l'esposizione: a sud ovest il paesaggio a calanchi e a nord est quello con gli ulivi. Pict. IV.6 - The photo taken along the road that leads from the Agri valley to Aliano, shows how along the two banks of the watercourse conflict two significantly different landscapes: on the left there is a badlands landscape shaped in sandy clays, on the right a hill landscape with olive trees and low vegetation. The determining factor, considering the same lithology, seems to be the exposure at southwest in the badlands landscape and at north east in that with the olives. 8. CARLO LEVI (Torino, 1902 - Roma,1975) Carlo Levi è stato uno scrittore e pittore italiano, tra i più significativi narratori del Novecento.  Fin da ragazzo dedicò molto del suo tempo alla pittura, una forma d'arte che coltiverà con gran passione per tutta la vita raggiungendo anche importanti successi.  Levi, per una precisa posizione culturale coerente con le sue idee, considerava espressione di libertà la pittura, in contrapposizione non solo formale, ma anche sostanziale alla retorica dell'arte ufficiale, secondo lui sempre più sottomessa al conformismo del regime fascista e al modernismo ipocrita del movimento futurista. Nel 1931 si unisce al movimento antifascista di "Giustizia e libertà". Per sospetta attività antifascista, nel marzo 1934 Levi viene arrestato, e l'anno successivo, dopo un secondo arresto, condannato al confino, nel paese lucano di Grassano e successivamente trasferito nel piccolo centro di Aliano. Da questa esperienza nascerà il suo romanzo più famoso, Cristo si è fermato a Eboli, che nel 1979 verrà anche adattato per il cinema e la televisione. Nel 1936 il regime fascista, sull'onda dell'entusiasmo collettivo per la conquista etiopica, gli concede la grazia, e lo scrittore si trasferisce per alcuni anni in Francia, dove continua la sua attività politica. Lo scrittore torinese morì a Roma il 4 gennaio 1975 e la sua salma riposa nel cimitero di Aliano, dove volle essere sepolto

per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti, lasciando il paese. In realtà Levi tornò più volte in terra di Lucania nel secondo dopoguerra. Nelle sue opere tra le località descritte si annoverano quelle di Matera, Aliano (figg. IV.6-7 / pict. IV.6-7), Grassano, Sant’Arcangelo, Senise, Accettura, Pietrapertosa, Irsina, Salandra, Banzi, Brindisi di Montagna, Garaguso, Tricarico. Fonte diretta tratta da: C. LEVI 1980, In Lucania con Carlo Levi19 Tra queste solitudini, argille desolate e deserte, sacre alla malaria e alla frana, in queste terre remote di Lucania…nelle migrazioni quotidiane prima dell’alba verso i campi lontani, e dai campi, la sera, verso i paesi solitari in cima ai colli…Ancora gli alberi stenti stanno là, tra le argille. Ancora i vincoli di Grassano si stendono al sole, e nell’unica stanza dei lamioni ancora vivono gli uomini, le donne, i bambini, con gli animali, l’asino, la capra… I Sassi di Matera, spopolati e semideserti, stanno al sole come meravigliosi ruderi di un foro, del Foro dell’antichissima capitale contadina, e aspettano una vita

                                                            

19 Testo scritto da Carlo Levi come commento al documentario cinematografico «Lucania dentro di noi», diretto da Libero Bizzarri.

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Cultural Landscapes

Fig. IV.7 - La foto è stata scattata dalla casa di Levi da cui egli osserva e descrive il paesaggio in parte nascosto dietro un fico ancora oggi esistente. Pict. IV.7 - The photo was taken from the Levi's house, from which he observes and describes the localities and the landscape, partially hidden behind a fig tree still exists today. nuova, la forma nuova di quella civiltà, che è la radice stessa del nostro essere… Ancora, nei deserti delle argille, passano i contadini, nel silenzio delle lontananze. Ma, come disse il loro poeta, «lungo il perire dei tempi, l’alba è nuova», qui, come tutte le infinite Lucani e contadine del mondo. E nei sentieri non si torna indietro, anche se il passo del cavallo, nelle solitudini, è quello di sempre, verso il paese in cima al colle. Fonte diretta tratta da: C. LEVI 1975, Cristo si è fermato a Eboli20, pp. 5, 6, 10, 11, 18, 64, 66, 75, 96, 140, 142, 147, 148, 165, 199, 200, 216, 217, 224, 225, 232. (p. 5) Grassano, come tutti i paesi di qui, è bianco in cima ad un alto colle desolato, come una piccola Gerusalemme immaginaria nella solitudine di un deserto … Mi pareva di aver intuita l’oscura virtù di questa terra spoglia, e avevo cominciato ad amarla; e mi dispiaceva di cambiare…Mi rallegrava invece il viaggio, la possibilità di vedere quei luoghi di cui avevo tanto sentito … di là dai monti che chiudono la valle del Basento.

                                                            

20 È il libro più famoso di Carlo Levi, scrittore, pittore, medico che attraverso quest'opera racconta la sua storia di confino in Basilicata sotto il regime fascista. Secondo Levi, la condizione dei contadini della Lucania è definibile, come anteriore alla storia e il Cristo, che si è davvero fermato a Eboli; Eboli come limite storico, non solo geografico, di un mondo, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate e aride terre di Lucania, nel libro segna il limite tra due epoche: quella umana e quella pre-umana.

(p. 6) … La Lucania, la terra dei boschi, è tutta brulla; e il rivedere finalmente degli alberi, e il fresco del sottobosco, e l’erba verde, e il profumo delle foglie, era per me come un viaggio nel paese delle fate. (p. 10) Mi fecero largo, me ne andai, solo, sulla piazza, donde la vista si allarga per i burroni e le valli, verso Sant'Arcangelo. Era l’ora del tramonto, il sole calava dietro i monti di Calabria e, i contadini si affrettavano per i sentieri lontani nelle argille, verso le loro case … (p. 11) La piazza non è veramente che un lungo slargo dell’unica strada del paese, in un punto più piano, dove finisce Gagliano di Sopra, la parte alta. Di qui si risale un altro po’, e si ridiscende poi, attraversando un’altra piazzetta, a Gagliano di Sotto, che termina sulla frana. La piazza ha casa da una parte sola; dall’altra c’è un muretto basso sopra un precipizio, la Fossa del Bersagliere21. (p. 18) La fossa del Bersagliere è piena d’ombre e l’ombra avvolge i monti viola e neri che stringono d’ognintorno l’orizzonte. Brillano le prime stelle, scintillano di là dall’Agri i lumi di Sant' Arcangelo e più lontano, appena visibili quelli di qualche altro paese ignoto, Noepoli forse o Senise. (p. 64) Le ore passavano, il sole calava, le cose prendevano l’incanto del crepuscolo quando gli oggetti pare risplendano di luce propria, interna, non comunicata. Una grande luna esile, trasparente, irreale stava sopra gli ulivi grigi e le case, nell’aria rosata, come un osso di seppia corroso dal sale sulla riva del mare …

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Così chiamata per esservi stato buttato un bersagliere piemontese.

Paesaggio e letteratura

Fig. IV.8 - Dipinto di Carlo Levi (Lucani ‘61) in cui emergono i caratteri più significativi del paesaggio rurale e naturale di quel settore di Lucania che l'autore ha conosciuto durante il suo esilio. Particolarmente evidenti appaiono i calanchi sulla destra e le aree coltivate sulla sinistra, marcando quel repentino passaggio laterale di paesaggio legato alla differente esposizione dei versanti. Pict. IV.8 - Painting by Carlo Levi (Lucani '61) in which the author shows the most significant features of the rural and natural landscape of Lucania sector, known during his exile. Badlands appear particularly evident on the right of picture while the cultivated areas are on the left, marking the sudden change of landscape related to the different slope lateral aspect. (p. 66) Il sentiero continua per un breve tratto di campi di (p. 142) Aspettammo a lungo, che l’automobile di Grassano stoppie con qualche magro ulivo, e si perde in un complicato scendeva più tardi, per l’arrivo del treno di Taranto, a labirinto di monticcioli e di buche di argilla bianca, che si prendere gli eventuali passeggeri. Rimasi a guardare il greto rompe improvviso verso il Sauro, su un altro precipizio. Qui del fiume, dove il primo arco del ponte, rotto da una piena, aspettava da molti anni invano di essere riparato. Davanti a passeggiavo e dipingevo. (p. 75) In quel precipizio è Matera…di faccia c’era un monte me si alzava, come una grande onda di terra, uniforme e pelato e brullo, di un brutto colore grigiastro, senza segno di spoglio, il monte di Grassano, e in cima, quasi irreale nel coltivazione, né un solo albero: soltanto terra e pietre battute cielo, come l’immagine di un miraggio, appariva il paese … dal sole. In fondo scorreva un torrentaccio, la Gravina, con (pp. 147-148) Risalii e ridiscesi da solo, per le stradette poca acqua sporca e impaludata fra i sassi del greto. Il fiume sconosciute…in cima al paese, per ridare uno sguardo a tutto e il monte avevano un’aria cupa e cattiva, che faceva l’orizzonte, che spazia immenso oltre i confini della Lucania. Di qua ai miei piedi…e poi la discesa ondulata e grigiastra stringere il cuore … (p. 96) Dinanzi a me, verso occidente, dietro le larghe foglie del monte, fino al Basento e in faccia le montagne di verdi e grigie del fico dell’orto e i tetti delle ultime Accettura da quelle più a Valle che nascondono Ferrandina catapecchie digradanti in pendio sorgeva il Timbone della alle Dolomiti di Pietrapertosa dietro cui si perde il greto del Madonna degli Angeli, un monticciuolo di terra tutto incavi e fiume. Da tutti gli altri lati, il grande mare di terra informe, sporgenze, con poca erba rada qua e là nella parte meno delle grotte dei brigoni e di Irsina, irta su un colle ispido. dirupata…A sinistra del Timbone, per un tratto lunghissimo, Paesi lontanissimi appaiono da ogni parte, come vele fino laggiù in fondo, verso l’Agri, dove il terreno si spianava sperdute su questo mare, fin laggiù dove si intravede in un luogo detto il Pantano, era un susseguirsi digradante di Salandra, e Banzi … Monticelli, di buche, di coni di erosione rigati dall’acqua, di (p. 165) Gagliano mi riprese e richiuse, come l’acqua verde grotte naturali, di piagge, fossi e collinette di argilla di un pantano raccoglie la rana… uniformemente bianca, come se la terra intera fosse morta, e Il tempo si fece freddo. Dal fondo dei burroni il vento saliva ne fosse rimasto al sole il solo scheletro imbiancato dalle con i suoi vortici gelidi, soffiava continuo, come venisse da acque. Dietro questo ossame desolato era nascosto, su una tutte le parti, penetrava nelle ossa, e si perdeva, ruggendo, piccola altura sul fiume malarico, Gaglianello, e più lontano nelle gole dei camini … Vennero le piogge, lunghe, si vedeva il greto dell’Agri. Di là dall’Agri, su una prima fila abbondanti, senza fine: il paese si coprì di nebbie biancastre di colline grigie, sorgeva bianco Sant’Arcangelo, il paese di che stagnavano nelle valli: le cime dei colli sorgevano da Giulia, e dietro, più azzurre, si levavano altre colline ed altre quello sfatto biancore, come isole su un informe mare di ancora, schierate più indietro, con dei paesi vaghi nella noia. Le argille cominciarono a sciogliersi, a colare lente per distanza, e più in là ancora i borghi degli albanesi, sulle i pendii, scivolando in basso, grigi torrenti di terra in un prime pendici del Pollino, e dei monti di Calabria che mondo liquefatto … (p. 199) La giornata era serena: i prati e le argille spettrali chiudevano l’orizzonte … (p. 140) La miseria e l’arsura desolata di Grassano, quel della sera mi si stendevano innanzi, nudi e solitari nell’aria paesaggio senza dolcezze e sensualità, quella monotona ancora grigia … tristezza, erano il luogo migliore, il meno offensivo per (p. 200) Il sole era alto e brillante, l’aria tiepida; il terreno tutto a gobbe e monticcioli, tra cui la via serpeggiava in questo ritorno. 197

Cultural Landscapes continui giri e salite e discese brevi, impediva allo sguardo di spaziare lontano …

Fonte diretta tratta da: C. LEVI 1990, Poesie inedite19341946, pp. 69-95.

(p. 216) Il freddo era finito, soffiavano venti gagliardi ma l’erba non cresceva sulle prode, né i fiori, né le viole. Nulla cambiava nel paesaggio: le argille si stendevano grigie tutto attorno, come sempre …

Aliano Arso giallo antelucano Sul malarico acre fiume In cospetto al Santo Arcangelo Tace al vento arido Aliano Precipizio senza rupi sacrificio senza lume purgatorio senza l’angelo pazientissimo dei lupi.

Tornavo a casa, una sera, ripercorrendo i noti saliscendi della strada fra Gagliano di Sopra e Gagliano di Sotto, e fermandoni qua e là a riguardare meccanicamente quei monti di cui sapevo a mente ogni macchia e ogni ruga, come visi di persone familiari che diventano quasi invisibili per troppa lunga conoscenza … (p. 217) Rividi ancora una volta da lontano il monte di Grassano, e quel paese così prosaicamente angelico: poi entrai nelle terre per me nuove, sempre più brulle, desolate e deserte, tra il Basento, il Bradano e la Gravina, oltre Grottole e Miglionico verso Matera. (p. 225) Mi risvegliò il sole alto, dopo Potenza, tra le scoscese pendici di Brindisi di Montagna…Entrammo nella valle del Basento, passammo le stazioncine solitarie di Pietrapertosa, Garaguso, Tricarico, e non tardammo a raggiungere la nostra destinazione: la stazione di Grassano. Qui dovevamo scendere, e aspettare, come al solito, qualche ora, il passaggio della corriera postale. La stazione era deserta: rimasi a passeggiare avanti e indietro, sulla strada provinciale, con la mia guardia, conversando. Grassano mi risultava dalla cima del monte, periodica amichevole apparizione: ma il suo aspetto era mutato. Mi resi conto allora di quell’aspetto strano del paesaggio che avevo veduto al mio risveglio dal finestrino del vagone. Il colle si alzava, come sempre, con le sue lente ondulazioni e le sue fratture improvvise, fino al cimitero e al paese: ma la terra, che avevo sempre veduta grigia e giallastra, era ora tutta verde, d’un verde innaturale e imprevedibile. La primavera era scoppiata d’un tratto anche qui, durante i pochi giorni della mia assenza; ma quel colore, altrove così pieno di allegra armonia e di speranza, aveva qui qualche cosa di artificioso, di violento; suonava falso, come il rossetto sul viso bruciato al sole di una vita contadina. Gli stessi verdi metallici mi accompagnarono attraverso la salita, verso Stigliano…I monti tornarono a chiudersi alle mie spalle, come i cancelli di una prigione, quando scendemmo verso il Sauro e riprendemmo la salita verso Gagliano. Sulle argille bianche, le piccole chiazze di verde, sparse qua e là, brillavano al sole ancora più intense e più strane, come delle grida …

Perenne aridità Aridità assolata Dell’arse paglie gialle degli orizzonti uguali al sole e al vento, non conosce farfalle fiori né primavera. Fredde piogge invernali Non portan erba: spento, ogni verde, impera aridità bagnata. 9. LEONARDO SINISGALLI (Montemurro, 1908 - Roma, 1981) Leonardo Sinisgalli nacque a Montemurro il 9 marzo 1908. La sua casa natale si trova in corrispondenza di una scarpata che delimita il fosso di Libritti, caratterizzato da una fitta vegetazione boschiva che fu anche rifugio di briganti, luogo a cui il poeta rimase sempre legato. Sinisgalli apparteneva alla generazione inquieta dei Montale, dei Moravia, dei Pavese, dei Vittorini, dei Piovene, i quali, formatisi nei duri anni del fascismo, ebbero sempre un angoscioso travaglio intellettuale dettato dalle difficoltà di quegli anni di cambiamento. In ragione del forte condizionamento sociale e politico coevo dell’autore, la sua poesia, quindi, è sempre stata caratterizzata da una certa amarezza di fondo ed un senso di insoddisfazione continuo, soprattutto verso la  sua condizione di emigrante, costretto a lasciare la sua terra su consiglio del suo maestro, che dopo la licenza media convinse la madre a mandarlo in collegio per proseguire gli studi. Molto spesso nelle sue opere sono presenti aneddoti e luoghi della sua infanzia, del suo paese, di cui soffri sempre il distacco forzato. Negli scritti le località a cui più di frequente l’autore si ispira sono la Val d’Agri, la valle del Bradano, del Basento, Metaponto, Montemurro (fig. IV.9 / pict. IV.9) e Moliterno.

(p. 232) L’effimera, strana primavera era ormai finita. Il verde non era durato che una decina di giorni, come un’assurda apparizione. Poi quella poca erba era seccata Fonte diretta tratta da: L. SINISGALLI, 1979, Belliboschi, fiori sotto il sole e il vento ardente di un maggio improvvisamente pari fiori dispari- Racconti, pp. 32-33. estivo. Il paesaggio era tornato quello di sempre, bianco, monotono e calcinoso. Come quando ero arrivato, tanti mesi Andavamo insonnoliti lungo la rotabile polverosa che prima, sulla distesa delle argille silenziose l’aria ondeggiava scendeva verso la Diga, in mezzo al bosco. I sugheri avevano per il caldo; e pareva che, da sempre, su quello stesso subito da poco la maschiatura, sembravano tinti, di un rosso desolato mare biancastro oscillasse grigia l’ombra delle di zolla brullo e carico. stesse nuvole. Conoscevo ogni anfratto, ogni colore, ogni Ma eravamo arrivati già sul ponte in fondo alla valle, dove piega della terra. Con il nuovo caldo, la vita di Gagliano erano state costruite le grandi opere di tenuta dell’acqua del fiume … pareva più lenta che mai … 198

Paesaggio e letteratura

Fig. IV.9 - Foto aerea prospettica di Montemurro e della val d’Agri, luoghi dove Sinisgalli trascorse la sua infanzia ed a cui rimase sempre legato. L’abitato sorge su un terrazzo fluviale inciso nei depositi fluvio-lacustri quaternari della Val d’Agri. Pict. IV.9 - Aerial oblique photo showing Montemurro village and high Agri valley where Sinisgalli lived during his childhood. The village is located on a fluvial terrace cut into fluvial lacustre quaternary deposits of the Agri valley. Risalimmo un ripido viottolo fino a perdere di vista il lago e il fiume…Sull’altopiano la sterpaglia era secca e i sassi pareano affumicat i… Spuntava a tratti tra le aride ramaglie un ciuffo verde di arbusti o si allargava una conca di melisse. Fonte diretta tratta da: L. SINISGALLI 1984, L’albero bianco, pp. 13-15, 93-95, 107. Parenti lontani (p. 13) Da Montemurro, grappolo di case tra le “dolci colline della Val d’Agri, un bambino a dorso di mulo, si portava in certe albe estive sulla vetta del Casal Aspro: lontano, sulla linea dell’orizzonte, luminose come tizzi incandescenti, brillavano le case di un paese di mare. La Serra22 che difende il paese dallo scirocco è stata abbandonata dai contadini, e i sentieri che conducevano un tempo fino in cima sono quasi scomparsi sotto le dune23 di sabbia che lassù, a più di mille metri di altezza, hanno reso certe zone dell’altipiano addirittura inaccessibili. (p. 14) Per vedere il mar Jonio, infatti…bastava aspettare il sorgere del sole nei mesi caldi sulla vetta del Monte Aspro.

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Collina a sud di Montemurro. Cumuli.

Due primavere (p. 93) Una precoce primavera sorprende Leonardo a Montemurro in uno dei suoi sempre più rari ritorni al paese…S’era rotto il gelo nelle campagne e i neri rami dei mandorli gocciolavano al sole… Viaggio (p. 107) In una corriera salimmo più tardi fino a mille metri, percorremmo dentro un bosco di castagni più di dieci chilometri di rotabile fino a scoprire tra i fusti le acque del fiume. L’Agri costeggiava di spume i territori del mio mandamento, separava con la nettezza di una lama le querce dagli ulivi, i fagioli dalle viti … Fonte diretta tratta da: L. SINISGALLI 1974, L'ellisse: poesie 1932-1972, pp. 55-56. Lucania. Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi, a chi scende per la stretta degli Alburni… la Lucania apre le sue lande, le sue valli dove i fiumi scorrono lenti come fiumi di polvere. Lo spirito del silenzio sta nei luoghi Della mia dolorosa provincia da Elea a Metaponto… cresce con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati… terra magra dove il grano cresce a stento (carosella, granoturco, granofino)

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Cultural Landscapes

Fig. IV.10 Vista panoramica della Rabatana di Tursi dove è possibile osservare la strada sterrata Petrizza che conduce al paese posto più a valle, i profondi valloni incisi nella formazione geologica delle Sabbie di Tursi e, sulla destra, la chiesa madre di S. Maria Maggiore con il campanile. Pic. IV.10 Panoramic point of view of the Rabatana quarter (Tursi), where it is possible to distinguish the Petrizza dirt road that leads to the Tursi village, the deep gullies cut in the geological sandy formation of the Sabbie di Tursi and, on the right, the main church of S. Maria Maggiore with the bell tower. e il vino non è squillante (menta dell’Agri, basilico del Basento), e l’uliva ha il gusto dell’oblio, il sapore del pianto. In un’aria vulcanica, fortemente accensibile, gli alberi respirano con un palpito inconsueto; le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo. 10. ALBINO PIERRO (Tursi, 1916 - Roma, 1995) L’Autore è famoso soprattutto per la sua svolta dialettale e per essere stato più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura. Fu consacrato fra i grandi lirici del novecento italiano a cui si riconosce il merito di aver recuperato nelle sue opere il dialetto ed una lingua poetica, un complesso nodo tra tradizione e innovazione. Nacque a Tursi in provincia di Matera, nel più antico quartiere della Rabatana, dove ebbe un'infanzia molto travagliata segnata dalla prematura morte della mamma che gli lasciò una profonda ferita nell’animo, ma che allo stesso tempo gli fece amare ancora di più i luoghi in cui era nato, la sua casa, chiamata volgarmente pahàzze (palazzo) e il suo rione, la Rabatana (fig. IV.10 / pict. IV.10): Fonte diretta tratta da: A. PIERRO, A Ravatène … Ma ié le vògghie bbéne 'a Ravatène cc'amore ca c'è morta mamma méie: le purtàrene ianca supr' 'a sègge cchi mmi nd'i fasce com'a na Maronne cc'u Bambinèlle mbrazze. Chi le sàpete u tempe ch'è passète ... e nun tòrnete ancore a lu pahàzze.

Le passeggiate (p. 90) Nel mese di ottobre, facevamo le passeggiate da un paese all’altro; portavamo certe canne che non finivano mai, e tante volte il vento le faceva fischiare … la strada che ci gioca coi dirupi e si sbroglia poi nel rettifilo che va a Policoro tagliandole a metà le masserie che mi vedevano piangere, se partivo; ma che abbracciavo ridendo, se tornavo. Fonte diretta tratta da: Vorrei ritornare, (1982), A. PIERRO, pp. 38, 39.

Fonte diretta tratta da: A. PIERRO 1996, La voce di un paese, pp. 77, 90. La Rabatana (p. 77) Per arrivarci alla Rabatana

si sale la pitrizze (strada irta di pietra) che sembra una scala addossata a una timpa (parete argillosa) in rovina. Quando il tempo è limpido, intorno intorno la terra dei burroni ci lampeggia al sole come lo specchio, e quando si fa notte c’è un fruscio di vento che si nasconde nei fossi e sveglia il cuculo e ci fa nascere un mare d’erba…

Deve finire questa notte (p. 38) Ci tornerò per sempre dove scorre, come fra i dirupi l’acqua, la vita mia; … Ci passerò il rasoio su quell’erba e la terra levigherò come il cristallo … E poi come nell’impeto in una sega che taglia anche le pietre e ci si aiuta a non spezzarcisi, io, in una guerra, fiaccherò questo vento che mi dirupa…

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Paesaggio letterario

Fig. IV.11 - La città di Potenza ubicata in sinistra orografica del fiume Basento su una collina terrazzata modellata sui depositi argillosi e sabbiosi pliocenici. Pict. IV.11 - Potenza town located on orographic left of the Basento river to the top of a terraced hill shaped on the sandy clayey Pliocene deposits. Fonte diretta tratta da: A. PIERRO 1963, Metaponto, pp. 10-12, 14. (pp. 10-11) … Un cipresso laggiù sembra un gigante della notte, ch’è prossimo al cammino disperato fra gli astri … O precipizi a picco di ginestre odorosi e di mentastro … 24 (p. 12) … da un intreccio viola di acque il nostro paesello mi gurdava con il pallore dei morti, mentre dalla balza ingiallita, fulmineo nero sul bianco. È il paese antichissimo dove «una mano potente/ rivelava il peso dei millenni / alle radici profonde del diruto castello» dove il vento è mitico e «il nero dei burroni e delle colline» è come «respiro tenuto fermo dai sotterranei»; dove «precipitava azzurra la sera sui burroni estatici sotto un filo di luna», e all’alba «dal silenzio profondo / che vide irrompere i mondi…e la voce giocava con gli echi delle montagne». (p. 14) Benvenuto, mio paese, col viottolo oscuro incassato nell’argilla, benvenuta voce della pineta nel calmo chiarore della luna eterna 25. 11. GIULIO STOLFI (Potenza, 1917-2005) Nacque a Potenza da una antica famiglia originaria di Avigliano e si laureò in Giurisprudenza presso l'università di Napoli "Federico II" nel 1939. Fu magistrato, presidente del T.A.R. e Consigliere di Stato. La sua produzione letteraria, non vastissima, gli ha tuttavia valso importanti riconoscimenti. Ha vinto diversi premi letterari fra cui il Metaponto (Matera), l'Ortigia (Siracusa), il Saturo d'argento (Leporano), il Golfo (La Spezia). Nel 1999 gli fu assegnato,

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Lucania Mia - Le nuove liriche In Metaponto, pp. 11-12, in cui Pierro si era rivolto al paesaggio lucano (i campi, i tuguri, i silenzi notturni, il canto dei grilli), della casa paterna, dei famigliari. 25 Il transito del vento in Liriche, del ’57.

dalla giuria del Premio Letterario Basilicata, il premio speciale Una vita per la cultura lucana. Di lui hanno scritto famosi critici letterari ed è stato definito . Per Stolfi la natura è lo scenario più adatto per collocare le presenze umane, siano contadini che taglialegna che pastori. Essa vale ad ingentilire lo sfondo e ad addolcire la pena. Nelle sue poesie si stabilisce un forte legame tra paesaggio naturale e paesaggio umano: se talvolta la natura può essere matrigna, e quindi nemica dell’uomo, è però molto più spesso rasserenante e pacificatrice. La poesia Lucania, del 1954, è la descrizione reale e cruda dalla regione di appartenenza dell'autore che suona come una testimonianza e quasi una denuncia della miseria attraverso riferimenti precisi e puntuali oltre che concreti. L'acqua dei fiumi è nociva per il carattere degli stessi, secchi d'estate e pronti a straripare d'inverno; la malaria è ancora presente nelle zone paludose; il terreno quasi ovunque è franoso e, in alcuni punti, la roccia mostra strapiombi e dirupi. Tutt'intorno è desolazione, eppure nonostante il terreno sia cretoso e quindi improduttivo, ugualmente e con tenacia il contadino pianta l'ulivo secolare e coltiva la terra avara dalla quale ricava a fatica del grano che riesce a sopravvivere tra le erbacce. Malgrado tutto questo, forte e immutabile è rimane il suo attaccamento alla propria terra ed alla propria città di origine: Potenza (fig. IV.11 / pict. IV.11) 26.

                                                            

26 All’interno dell’opera il paesaggio, secondo Giampaolo D’Andrea, irrompe in tutta la sua corposità, diviene esso stesso elemento narrativo, parte attiva. Non è solo un elemento estetico, spunto per una variante lirico descrittiva, o di contesto, funzionale alla corposità del racconto. Nella prosa di Giulio Stolfi, al pari dei suoi versi, la geografia dei luoghi, caratterizzata da un maestoso quasi indistinto rilievo montuoso, che accorcia la prospettiva

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Cultural Landscapes Fonte diretta tratta da: G. STOLFI 2009, L’albero senza radici, pp. 11-15, 19.

lunghi ed eguali, fermati senza domani nel tempo …

(p. 11) Sottile striscia di casupole sormontate dalla sagoma ardita dei campanili, piccolo borgo arrampicato sulla cresta di un colle impervio nell’arco ampissimo dei monti dell’Appennino Lucano, così appariva la città di Potenza sul cadere del secolo decimottavo …

Lucania28 (p. 16) È amara l’acqua dei nostri fiumi: troppe lacrime abbiamo versato. Se ci mangia la frana i magri campi E ci spia la malaria dei canneti, più ci attacchiamo a questa terra dura … terra chiusa tra roccia e dirupi, noi che amiamo l’ulivo che piantiamo nell’argilla e il grano stento, conteso alla gramigna e alla palude.

(p. 13) Certo anche Potenza e la valle, i villaggi, i monti tutt’intorno passavano attraverso le altre fasi dell’anno ma…Mentre sulle pendici l’oro delle ginestre addolciva il profilo della roccia nel diffuso, opaco splendore, falso orpello delle contrade, tra i canneti del Basento e la misteriosa distesa dei boschi … (p. 15) Subitanea vampata, stemprandosi in un torpore stagnante, snervava la città invischiandola nell’afrore delle zolle e dei selciati arroventati; l’arsura insidiava gli scarsi raccolti e la terra screpolata, spaccata con le sue innumerevoli bocche tortuose invano chiedeva il balsamo della pioggia. E l’autunno era fuggevole visione di toni degradanti dallo scarlatto dell’aceto al verde rugginoso delle querce … Mi accorgo di parlare della città e della campagna come di un tutt’uno, ed infatti non si potevano tracciare distacchi ben definiti fra le case e gli alberi, i prati e le piazze. Ad ogni angolo, attraverso gli archi o alla svolta delle viuzze, apparivano i seminati, le siepi, i filari, vicinissimi, a portata di mano. Quel contatto determinava, inevitabilmente, la compenetrazione di vicende per tanti motivi simili, parallele, ma il poco che la terra poteva dare nelle stagioni più propizie non bastava a mutare l’essenziale fisionomia della città … (p. 19) Impregnato di gelo, calando dalle cime nevose, il vento flagellava la mole cupola del Duomo, massa grigiastra dominante l’antica cinta delle fortificazioni al ciglio di un’erta sterposa … Fonte diretta tratta da: G. STOLFI 1954, Giallo d’argilla e ginestre27, p. 15, 16, 17, 21.

Dietro i vetri (p. 17) Sul tratturo del larice rosso Si è risvegliato l’inverno … lungo il torpido corso del fiume. Ancora draghi di fumo sulle pareti di canne, ma i sarmenti non danno calore, e l’improvviso bagliore, nel buio delle capanne … Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA, 2009Antologia di poeti lucani, p. 101. Nel nido di vento Rimarrò qui Nella mia casa rossa spalancata Ai tramonti violetti del Basento. L’aria della vallata Mi empirà le pupille Di argute farfalle di sole. Guarderò le stie nere Delle carbonaie i sentieri Pallide vene segnate Sul dorso scurito dei monti… Sull’esile corso del fiume Incroceranno piroghe di freschi germogli Luglio avrà il petto bruciato Dei mietitori, l’autunno alle coste di Vaglio fermerà perdute faville di rame… 12. FELICE SCARDACCIONE (Calvera, 1918-?)

Paesi sui monti (p. 15) Paesi della mia terra, caparbiamente piantati sugli aspri monti a sfidare l’urto rabbioso del vento, chiusi nel cerchio dei giorni

Felice Scardaccione è poeta e scrittore dalla forte vena polemica, specie sui problemi sociali ma è anche uomo che ha vissuto esperienze particolari capaci di lasciare il segno, come testimonia la sua partecipazione alla guerra in Africa.

                                                             dell’orizzonte, identifica, un preciso fattore storico. “Tra gli uomini e il paesaggio- avverte- si istaura una specie di intesa interiore, un che di connaturale, nel riporto ad identiche origini, tanto da risultarne quella familiarità strettissima che meglio potrebbe definirsi complicità”. 27 Il volume contiene alcune liriche scritte secondo un gusto neorealistico ma portato a un tono contemplativo. La sua poesia ha due termini entro cui si muove: da una parte, un amaro pessimismo che si raccoglie in un paesaggio deserto, se non lunare e spettrale; dall’altra, una condizione umana, quella lucana, che appare umile e frustrata, benché tenace e caparbia nella sua disperata volontà di aver sostentamento persino dall’argilla (Caserta, 1993, p. 354).

Infatti, nel 1941, fresco di laurea, fu mandato al fronte e combatté anche l'epica battaglia di El Alamein come testimonia il bel romanzo dal titolo omonimo. L'esperienza di guerra e di prigionia in Egitto, in Scozia e in Inghilterra, durò circa cinque anni e, al rientro in Italia, gli consentì di battersi

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In questa lirica, secondo Michele Rio, la terrestrità è assunta a una vera consistenza poetica, e da codesta terrestre certezza proviene un intensivo grado di immanenza della sua poesia: ed è questo forse il motivo per cui l’autore mantiene coerentemente in primo piano “il paesaggio”.

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Paesaggio letterario

Fig. IV.12 - Panoramica del Monte Caruso posto a 1200 mt. di altitudine tra i comuni di Filiano ed Avigliano. Pict IV.12 - Photo of the Mt. Caruso (1200 meters a.s.l.) place of exceptional panoramic views, between the municipalities of Avigliano and Filiano. per la causa dei combattenti e dei reduci, praticamente abbandonati ed ignorati da tutti. La poesia di Scardaccione esprime una meravigliosa fusione tra l'anima dell' autore e la sua terra, di cui più di frequente si ispira alla Val d’Agri, al Vulture, al Monte Caruso (Fig. IV.12) ed alla costa jonica. Fonte diretta tratta da: F. SCARDACCIONE, 1970, Terra mia: canto della Lucania29,pp. 11, 17-19, 21-23, 45, 46. (p. 11) Sulle sponde dell’Agri … Lungo la valle bianca il fiume è vuoto … (p. 12) Ma più di notte è notte Fiume senza bocca Argini di creta ad afferrare Se arriva il pianto30. (p. 17) Salve Lucania. Alle case fatte di povera gente arrivano i fiumi a mordere, agli alberi staccano le unghie, che tutto lentamente cade quando è l’inverno … Ma le fiumane son secche … Perché in un’oscura speranza qualcosa veda l’uomo singhiozzare almeno tra il grigio delle argille. Le strade si arrampicano per borghi scoscesi (p. 18) Sui dorsali ribelli tra monti di boschi

                                                            

29 Il desiderio che ha mosso l’autore a scrivere l’opera è stato quello di tracciare un quadro non convenzionale della sua terra, nel quale alla rievocazione del paesaggio, delle tradizioni e della vicenda storica, si innesta il senso della nova realtà sociale. Un tributo d’amore alla sua terra povera e generosa, sacra e dolente. In particolare, nella seconda parte del libro le immagini sono dedicate al paesaggio immobile ed eterno delle sperdute contrade lucane. 30 “Gli argini di creta ad afferrare se arriva il pianto”, ricordano le crete (argille) di Aliano, col paesaggio lunare di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, di fronte alle quali è S. Arcangelo, sulla riva destra dell’Agri, vigilato da un antico castello, che ricorda le vicende della dominazione greca e poi di quella normanna.

e fasci di ginestre. Frammenti di cielo Toccano appena su, in alto, la pietra e le guglie delle ardite montagne immobili nel tempo di tanti anni fa divorate dal vuoto … (p. 19) Dai fiumi scoscesi, franosi, fino all’ultimo campanile dei tuoi cento borghi … come sementa, che cresce sotto la roccia nella tua dura terra… (p. 21) Lucania Mia!... Spighe sui campi muove il vento. Lo scirocco ventila le ceneri tue verso lo Jonio sulle Repubbliche di Magna Grecia … (p. 22) … Come le vette dei monti, che toccano la luce del cielo, come le valli immense e selvagge intrigate tra i mille paesaggi tra fiumare ribelli oscurate dall’ombra dei boschi. Mia solitudine amica, dal Monte Caruso al Vulture, dal Carasale al Carmine, dal Volturino al Lama, dal Papa al Sirino, dall’Alpe al Raparo, dalla Serra Giumenta alla Serra Spina … (p. 45) Lucania Mia! In un linguaggio di voli le catena dei monti coronano precipizi in un morso aspro e selvaggio di freddo e di forza …

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Cultural Landscapes

Fig. IV.13 - Vista aerea di Accettura e del paesaggio caratterizzato da profonde valli e da aree in frana che bordano il paese. Pict. IV.13 - Aerial view of the Accettura landscape characterized by deep valleys and wide landslides areas around the village. 13. NICOLA SCARANO (Calciano, 1921 - Potenza, 1990) La poesia di Nicola Scarano si estende su un lungo arco temporale (dalla prima pubblicazione Gocce al mare, che risale al 1956, all’ultima, Luci sul Basento, del 1986), di circa trenta anni particolarmente significativi non solo per le trasformazioni politico-economico-sociali del nostro Paese e della Basilicata (ricostruzione, questione agraria, processo generalizzato di acculturazione, miracolo economico, fuga in massa verso il Nord, industrializzazione e suo fallimento, diverse crisi), ma anche per l'evoluzione della poesia nel passaggio dall'ermetismo e dal neorealismo, alla poesia delle avanguardia prima ed a quella post-moderna, dopo. Nelle sue opere i luoghi che vengono spesso citati e descritti sono: Accettura (fig. IV.13 / pict. IV.13), Potenza e la valle del Basento. Fonte diretta tratta da: N. SCARANO 2007, Il mio Basento, pp. 56-59, 73-75, 80, 81. Calvario p. 56- 57. M’annego d’altezza Sulla croce del Calvario d’Accettura, donde vedo una piana lontana, i monti più vicini e il paese a sinistra con tre braccia. Manda il fuma dai tetti Il paese… Sotto ai piedi c’è la roccia muschiata E sopra, nel Cielo… su quel Calvario fatto di rocce dirupanti che pare come il mondo sgretolantesi sotto il peso del suo male.

Lucania p. 58. Ansare di monti, nerbuti petti antichi, ricurvi dagli anni … Dirotto pianto Per immemori fiumi E per torrenti disperati Lungo aride brulle balze scatenanti. Grigiore di cieli: caligine o bruma … Il mio Basento alba sul Basento 1954. Quest’alba di sole Che irrora i rigagnoli lenti del Basento e le ripide frane e i brevi squarci di verde fra i calanchi … quest’alba che si perde scialba per cime disadorne e impallidisce inquieta … Fonte diretta tratta da: N. SCARANO 1986, Luci sul Basento, pp. 8-15. Ritorno (p. 8, 9) Quelle pianure dell’infanzia Dai tramonti rapidi Di ristoppie inospitali E d’uve nere … I sogni di paesaggi Cime sbilenche Boschi sommessi Borbottio di fiumare sonnolente … Potenza Giù giù fino al Basento

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Paesaggio letterario

Fig. IV.14 – Tricarico (MT): Tomba di Scotellaro, su cui è stata edificata una finestra da cui scorgere la valle del Basento che fu di grande ispirazione per l'autore lucano. Pict. IV.14 – Tricarico (MT): Scotellaro's tomb on which was built a narrow windows from which it is possible to see the Basento valley that was a great inspiration to the author. annaspi tra i fumaioli e poco più in là ancora t’aggrappi su scabre vette e bevi avide fette di cielo. 14. ROCCO SCOTELLARO (Tricarico, 1923 - Portici, 1953) Rocco Scotellaro è stato uno scrittore, poeta e politico italiano. Nel 1946, all’età di ventitré anni, viene eletto sindaco di Tricarico e nello stesso anno incontra per la prima volta Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, che l’autore individuerà come suo mentore. Nel dopoguerra partecipò attivamente all’occupazione delle terre incolte di proprietà dei latifondisti e fu tra i maggiori promotori della Riforma Agraria del Sud e in modo particolare della Basilicata. Tutte le opere di Scotellaro sono strettamente collegate alla società contadina a cui orgogliosamente lui afferma di appartenere. Gran parte degli scritti e delle composizioni di Scotellaro furono pubblicate dopo la sua morte, anche grazie all’impegno e all’interessamento di Levi e Rossi-Doria, e valsero all’autore lucano diversi premi e riconoscimenti. L’ambito letterario in cui Scotellaro si dimostrò più prolifico fu la poesia (con oltre cento liriche), ma fu autore anche di un romanzo (L’uva puttanella), un’inchiesta (Contadini del sud), un’opera teatrale (Giovani soli) e diversi racconti, raccolti nell’opera “Uno si distrae al bivio”.

dicembre del 1953. Tra le località descritte nelle sue opere in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti ricorrono: Acerenza, Oppido L., Trivigno, Albano, Brindisi di Montagna, Piane del Materano e del Metapontino, Miglionico, Grottole, Grassano, Salandra, Oliveto L., Garaguso, Tricarico (fig. IV.14 / pict. IV.14). Fonte diretta tratta da: R. SCOTELLARO 1982, È fatto giorno31, pp. 5-13, 41, 65, 70, 72, 81, 128. Lucania (p. 41) M’accompagna lo zirlio dei grilli E il suono del campano al collo Di un’inquieta capretta. Il vento mi fascia Di sottilissimi nastri d’argento E là, nell’ombra delle nubi sperduto, giace in frantumi un paesetto lucano. Capostorno. (p. 65) Tu non ci fai dormire cuculo disperato. Tutt’intorno le montagne brune È ricresciuto il tuo colore Settembre amico delle mie contrade. Ti sei cacciato in mezzo a noi,

                                                            

31 È una raccolta di poesie che comprendono gli anni dal 1940 al 1953; i temi rilevanti del volume sono gli usi, le abitudini, i costumi, le sofferenze del mondo contadino; essi sono raccontati in maniera spontanea, e sincera e, solo successivamente, il poeta approderà alla ricerca sociologica e all'inchiesta. Non mancano, tuttavia, riferimenti complessi e allargati pur nella obbligata denuncia di uno stato di difficoltà estremo, assurdo, inconcepibile ed è presente nella modulazione e nello stile poetico una malinconia spesso evidente.

Nel 1950 accetta la proposta di Rossi Doria per un incarico all’Osservatorio Agrario di Portici, dove compie ricerche e studi sociologici, oltre ad un’inchiesta sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud che però non riuscì a terminare per la prematura morte avvenuta nel 205

Cultural Landscapes a seicento metri a livello del mare, digradanti erano le terre fino al fiume, e dal fiume si alzavano altre terre di fronte e il bosco nerastro di Cognato; e le Dolomiti sterili in fondo da dove veniva il fiume, e dietro il nostro bosco, nascosto allo sguardo. Dove il Basento pareva specchio era per la sua vena allargata in un grande pozzo. Tutto questo, i boschi le terre il fiume mi pareva che riempisse il cielo, il cielo col suo colore solito era lontano e alto come una tela …

t’hanno sentito accanto le nostre donne quando naufraghi grilli dalle ristoppie arse del paese si sollevano alle porte con un grido. E c’è verghe di fichi seccati E il pomodoro verde sulle volte E il sacco del grano duro, il mucchio delle mandorle abbattute. Tu non ci fai dormire Cuculo disperato, col tuo richiamo: Sì, ridaremo i passi alle trazzere, ci metteremo alle fatiche domani che i fiumi ritorneranno gialli sotto i calanchi e il vento ci turbinerà i mantelli negli armadi [1 settembre 1947].

(p. 49) Si vedevano Acerenza e Oppido da una parte e Albano, Trivigno, Brindisi…i paesi parevano o massi di roccia o piccole cappelle addossate… Arrivarono al fosso Rummolo sotto Vaglio, il paese era su, nel vallone scendevano le pietre, che forse cadendo dal paese avevano sfregiato le poche querce brutte e vecchie … Fonte diretta tratta da: R. SCOTELLARO 2000, Contadini del Sud33, pp. 123-125.

Era la cavalcata della Bruna. (p. 81) Afflitti ulivi Sui tufi di Matera. O gli amari poemi delle morte stagioni! È una notte che fugge la faina Coi suoi occhi di brace. E gli antenati ecco sentirsi in canti per la campagna aquattata: erano i cafoni in quadriglie, passava la cavalcata della Bruna a risvegliare le caverne sui bordi delle roccie al di là della collina, era il silenzio dell’acqua infossata che faceva tuonare la Gravina.

(p. 123) Quella parte della Basilicata che viene generalmente chiamata l’Alto Materano, dove le ultime propaggini delle montagne sono state raschiate dai boschi e si affacciano nude e gialle sulla nuda e gialla piana collinare di Matera, sulla Fossa Premurgiana e sulla Pianura di Metaponto, comprende alcuni paesi che rappresentarono, nell’immediato dopoguerra, la zona grigia del risveglio contadino: Miglionico, Tricarico, Grottole, Grassano lungo la via Appia e in destra del Basento: Salandra, Oliveto Lucano, Garaguso. (p. 125) È tutto il centro, e specialmente il centro occidentale della regione- il basso Potentino, l’alto Materano, le medie valli del Basento, dell’Agri, del Sinni e di tutti i loro affluenti: un territorio tormentato, desolato, di nude argille, che smottano, franano, vanno al mare. É il regno quasi incontrastato del grano e della più dura fatica contadina.

L’agosto di Grassano. (p. 128) per Carlo Levi Grassano, qui da Santa Lucia Io t’abbraccerei. Hai morbide trecce le tue piante arruffate sulla nuca. Il mandorlo che mise i suoi veli di nozze quando ancora si sfaldavano le nevi. Vidi che crebbero al fico i corbezzoli. Ora l’ulivo ti presta sontuoso Lo scialle di primavera Sulle tue arse pendici. …

Fonte diretta tratta da: SCOTELLARO R. 2004, Tutte le poesie1940-1953, p. 128, 129, 192-197, 218, 262. La Corriera dell’alba. (p. 192) Le dieci luci di Calciano, il paesino all’altra del Basento… le luci di Calciano.

(p. 30) E il treno, che usciva al di là del Basento dalla galleria, luccicava come uno specchio e le vigne e le ristoppie tutt’intorno mi chiudevano in questo punto di un enorme anfiteatro. Vedevo stranamente le cose: potevo essere

Mare di nebbia. (p. 197) Che giro di valzer Delle querce nelle lastre: hai visto il mare sotto Ferrandina? É la nebbia della mattina E le montagne più alte coi paesi Che penisole snelle!... Respirano gli ulivi È vero che il mare Illumina la terra.

                                                            

                                                            

Fonte diretta tratta da: R. SCOTELLARO 2000, L’uva puttanella32, p. 30, 49.

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È un romanzo autobiografico incompiuto che avrebbe dovuto comprendere almeno sei parti. In quest’opera Scotellaro si prefiggeva di raccontare la sua storia di povero ragazzo, che, scoperto il socialismo, si rivolgeva alla lotta politica e conseguiva la carica politica di primo cittadino del suo paese, finché gliene derivava la più crudele e bruciante delusione. Le prime pagine sono dedicate alla fuga da Tricarico, quelle della lontananza tra i monti degli Alburni, alcuni rapidi paesaggi, in cui palpita il cuore dell’esule e del fanciullo solitario.

33 «È un’indagine sociologica iniziata nel 1950, anch’essa incompiuta. È costituita dalla narrazione di storie individuali, fatte dagli stessi protagonisti, molto differenti tra loro;attraverso le loro testimonianze e alcuni scritti lasciatigli dalla madre, l’autore riesce a dipingere il variegato quadro della civiltà contadina, fatto certamente di dolore e sconforto, ma anche carico di voglia di riscatto dato anche da un certo “risveglio politico”» (N. Tranfaglia, introduzione al volume Contadini del Sud di Rocco Scotellaro, Bari, 2009 p. 4.

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Paesaggio e letteratura

Fig. IV.15 - Panoramica della valle del torrente Sarmento dall’abitato di Noepoli. Pict. IV.15 - Panoramic point of view of the Sarmento river from Noepoli village. 15. SALVATORE CIRIGLIANO (Napoli, 1925 - Pavia, 1995) L’autore trascorre l’infanzia a diretto contatto con il mondo di una società contadina ed in un’epoca ridondante del "mito" della gioventù fascista. La sua formazione scolastica si sviluppa tra Noepoli (fig. IV.15 / pict. IV.15) e Cersosimo, nell’arsa vallata del fiume Sarmento, proseguendo poi a Potenza e conseguendo la laurea in giurisprudenza a Bari. Gli studi, l’alone di poesia e romanticismo della mitologia classica, formano il carattere, i gusti e la sensibilità del giovane lucano che non si distaccherà mai più, per tutto il corso della sua vita dallo spirito classico - ellenistico. Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 115. Alla nuova poesia Finalmente/ ho nuove di te! Hai preso tutto:/ le rane, le bisce…e le montagne. Non potrò più parlare… negli occhi del vecchio Sarmento… Ritorno Dopo tant’anni/ son tornato/al Sarmento. Tra Noepoli e San Giorgio Lucano, lungo la riva sinistra, si estende un piano d’umide terre: è il Pantano. / In quelle terre ho sentito il calore dell’estate… Mi son trovato là nel mite inverno, ho visto scendere torbidi i rivi

verso il torrente dopo il temporale. A volte sono andato più lontano, dove il Sarmento corre in mezzo ai banchi di antichi mari che son sabbie gialle piene di morte conchiglie e di cose passate che furono ed or non sono. Il Sarmento con intento superbo In fondo tra le conchiglie ha scavato Alti lasciando nelle ripe buchi Delle taccole, che volano nere In ogni stagione. Le taccole sono vecchie e senza tempo Come le sabbie marine/ piene di conchiglie Come il sole dell’estate che arroventa le pietre del greto. Noepoli Di lassù domina/ i campi fecondi Di messi e di ulivi/ Noa la vetusta. Passano i motori / per le frequentate Strade polverose. Il fiume mormora l’eterna canzone. Le voci / i canti / gli strepiti Riempiono il giorno. 16. VINCENZO PECORIELLO (Pignola, 1925-?) Poeta lucano la cui produzione letteraria è stata sempre condizionata dal grande amore per la propria terra e le sue tradizioni. In particolare, l’area del Vulture, Pignola e Metaponto sono le località spesso richiamate nelle sue opere.

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Cultural Landscapes

Fig. IV.16 - Paesaggio agrario nei dintorni della città di Forenza. Pict. IV.16 - Agricultural landscape around the Forenza town. Fonte diretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 117. Notti di Lucania … Il mistero del silenzio s’asconde Nelle notti maestose / della mia terra o scivola segreto sugli asfalti dei burroni che portano / luci fiochi di fanali in gara le stelle dell’orizzonte: s’immerge nel cielo solenne la croce spenta del Vulture … Tutto è immobile, muto: solo dalle greche arcate di Metaponto – ampie vibrano, tese nel cristallo del cielo note antiche di cetra, palpitano amori eterni di Numi …

bianche casette abbarbicate a un colle, della Lucania prima sentinella, troppo curiosa di ciò che accade a valle! Ti slanci verso il ciel o mia Forenza … 34 Lucania Lucania Lucania / dal nome di luce, che al romano / indicavi la fonte del sole, per aspre giogaie / e boschi profondi, e al greco / guidavi passi sapienti, per cinque fiumi / dal mar di Metaponto, a te recante doni, / dell’ellenica vite tralcio fecondo, / e il seme prodigioso d’un albero stupendo, / ch’ancor oggi, porgendo a tutti / spande la sua chioma, dai remi tesi in ogni direzione … 18. MARIO MARTONE (Bella, 1928-?)

17. ETTORE LIUNI (Forenza, 1928-?) L’autore, pur essendo tra i meno noti rispetto a quelli selezionati, esprime nelle sue opere un forte attaccamento al territorio di provenienza ed alla sua città di origine, Forenza (fig. IV.16 / pict. IV.16), che riesce a descrivere, sebbene con pochi versi, utilizzando quei vincoli paesaggistici che conducono il lettore ad una immediata visione dei luoghi.

L’autore molto legato alla sua città di origine, Bella, di cui ha ricoperto anche la carica di sindaco, si ispira a temi legati allo scorrere del tempo ed al senso inesplicabile dell'esistenza da viversi, senza rancori e senza rabbia, ma con convinta accettazione e con realismo, pur con qualche nota di malinconia e di rimpianto per le cose passate. Egli nelle diverse sue opere descrive o cita diverse località lucane sottolineando la diversità dei paesaggi. In particolare, oltre alla città di Bella vengono citati i paesi di Spinoso e Viggiano, ma anche la costa jonica e la Val d’Agri.

Fonte indiretta tratta da:  V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 125. Omaggio a Forenza Forenza, o mia città, Forenza bella,

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Forenza è ubicata sulla dorsale appenninica più orientale a ridosso dell'area di piana alluvionale bradanica, assumendo così, dalla sua posizione apicale, il ruolo di "sentinella" della Lucania.

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Paesaggio e letteratura

Fig. IV.17 - Affioramento di sabbie ed argille nei dintorni di Aliano con morfologia a calanchi. Pict. IV.17 - Outcropping of the sands and clays around Aliano village with a characteristic badland morphology. Fonte diretta tratta da: M. MARTONE 1999, Emozioni, pp. 1112, 15, 16. (pp. 11-12) Dolce paese dai lanti armenti lungo i declivi riarsi d’Appennino, terra di selve e pascoli ridenti … per le tue valli placide, di selve nel cupo fondo … l’onda furiosa dai torrenti in piena straripa a valle. Il fulmine sovrano talora i tronchi percotendo frena il passo umano … Nei vasti prati, candidi, gli armenti, nel sole immoti, già vincea l’arsura … Poi dalla Ionia sulle spiagge apriche … valli fonde … Barbari, poi, a insanguinar le valli … Viggiano, 23.9.1968. (p. 15) Nel cielo azzurro è grigio il Sacro Monte, o Viggiano ventosa; la piana verde sfuma a l’orizzonte nelle luce radiosa. Il vento passa fra le querce annose … aspra è la vetta alla ricerca antica … o Viggiano pietosa l’eco dell’avvenire già risuona su la balza rocciosa. (p. 16) Triste giornata di marzo ventosa

fra le colline a la campagna verde, dove la via s’inerpica e si perde, come l’anima, nella chiarità. Cima solenne del Rapar nevoso ... a lenti giri alla lontana valle, tra querce spoglie e pascoli più magri, già scolora, com’incubo, a le spalle, San Martino dei Poveri in Val d’Agri. 19. MARIO TRUFELLI (Tricarico, 1929-?) Mario Trufelli è un giornalista, scrittore e poeta, le cui poesie sono raccolte nel libro Prova d'addio (Scheiwiller, 1991), che gli permise di vincere nel 1992 il Premio Flaiano per la poesia. Lo specchio del comò (1990) raccoglie invece i suoi racconti. Da citare anche Amore di Lucania, una serie di interviste sulla cultura lucana e L'erbavento antologia di scritti vari, pubblicato in occasione della cittadinanza onoraria concessagli dal comune di Montemurro, paese natale di Sinisgalli. Maestro e grande amico di Trufelli fu, infatti, Leonardo Sinisgalli, che costituì per l’autore sempre un punto di riferimento importante in ambito letterario ed umano.

Tra gli altri riconoscimenti vanno ricordati il premio Guido Dorso, per l’impegno meridionalistico, e il Premio Letterario 209

Cultural Landscapes

Fig. IV.18 – Vaglio di Basilicata (PZ): santuario della Dea Mephitis in località Rossano di Vaglio. Pict. IV.18 – Vaglio di Basilicata (PZ): sanctuary of the Mephitis goddes in Rossano di Vaglio site. Carlo Levi di Aliano. La sua opera più famosa resta comunque L'ombra di Barone - Viaggio in Lucania, viaggio appunto nella poetica e nella poesia della sua terra. Fonte diretta tratta da: M. TRUFELLI 2003, L’ombra di Barone: Viaggio in Lucania, p. 25, 37-39, 69-109, 115, 123. Resterà la poesia (p. 25) La visita si conclude quando il sole è già alto sul paesaggio arso, disseccato di Tursi. La strada che porta al cimitero segna il punto finale del tragitto, più avanti c’è il dirupo. Torno al paese, profondamente segnato dai calanchi che cadono a strapiombo nella valle. Sulla collina, che si affaccia proprio sui calanchi, indifferente ai capricci della natura e del tempo, intristisce la Rabatana (la tana degli arabi), il quartiere più antico di Tursi che spartisce lo spazio tra la terra e il cielo lungo il confine dell’orizzonte. Il paese nuovo è cresciuto a valle e l’ha tagliata fuori … Sono nel cuore della Rabatana (fig. IV.17 / pict. IV.17), cioè nel vecchio cuore di Tursi, e mi muovo come in sospensione tra storia e leggenda…Se dovessi fotografare questo luogo (e con lo sguardo l’ho già fatto), mi soffermerei sui camini spenti, sulle porte chiuse, sulle stradine vuote, in penombra. Il parco delle nuvole (p. 37) … si direbbe che a Valsinni esiste un’ora un po’ magica che avvolge ogni cosa, avvolge gli uomini, le case con le porte socchiuse. È il mezzogiorno, e il paese per qualche tempo si ferma tra il verde degli alberi- alberi che non producono nulla- e una cascata di case che scende dolcemente verso il fiume. Ho appena lasciato, sospeso nell’aria, in balia dello scirocco, il profumo degli aranceti in

pieno rigoglio della piana di Tursi, tra i bacini del Sinni e dell’Agri, i fiumi della Magna Grecia. (p. 38) Da un ristretto belvedere, che serva anche da parcheggio, mi fermo a guardare la valle del Sinni. Il fiume è quasi prosciugato per via degli sbarramenti: la diga di Senise a una ventina di chilometri è la più importante d’Europa in terra battuta. L’ombra di barone (p. 69) Guardare il cielo con un branco di nuvole che si rincorrono in una giornata di sole e di vento, è la prima cosa che fai appena metti piede ad Aliano. Il vento risale i calanchi, scuote le cime dei possenti cipressi del cimitero, fa volare foglie, polvere e fiocchi di asfodeli…Si affaccia su un campo di ulivi che non dà tristezza. Più in là Aliano, con le sue case, con i suoi calanchi, con la sua dannazione … (p. 108) Impettito nel suo mantello di castagni e di faggi, il monte Vulture ci rimanda, idealmente, un sogno, con la poesia di Orazio. Dietro al vulcano spento c’è Venosa, la patria del poeta … (p. 109) La macchia di Rossano viene dopo un tratturo aspro, in discesa, con fossi e massi in disordine, tra cespugli di biancospino sfiorito, senz’anima. È l’antica strada dei pellegrini, la mulattiera che collegava Serra, la città fortificata, con la divinità, nel tempio della Mefitis (fig. IV.18 / pict. IV.18), una dea popolare, opulenta, munifica. Il rompicapo degli entomologi. (p. 115) Basta guardare nella conca vulcanica, nel centro del cratere, per capire che a Monticchio, si può anche vivere di silenzio … Il Vulture, il vulcano spento che ha vomitato fuoco poche volte, l’ultima centomila anni fa, qui ha fatto tutto: ha scolpito il paesaggio con gli incantevoli laghi, ha fatto

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Paesaggio letterario crescere in maniera lussuriosa i boschi, ha fatto sgorgare le preziose acque minerali orgoglio nell’industria lucana. Un calvinista raccoglitore di cifre. (p. 123) Sulla vetta del Vulture…è il rifugio privilegiato del falco … ti costringe ad ammirare il paesaggio, uno scenario verde che cambia di continuo intonazioni. Fonte indiretta tratta da: LABANCA V. 2009, Antologia di poeti lucani, p.167. Lucania Io non conosco Questo fruscio di canneti Sui declivi aridi Contesi alla frana E queste rocce magre Dove i venti e le nebbie Danno convegno ai silenzi che gravano a sera sul passo stanco dei muli. È poca l’acqua che scorre e le vallate son secche spaccate, d’argilla. Di qui le mandrie migrano Con l’autunno avanzato Per la piana delle marine Tuffando i passi nelle paludi. Di qui è passata la malaria Per le stazioncine sul Basento, squallide, segnate d’oleandri…

La primavera ritorna (p. 50, 51) … La primavera ritorna e presto le siepi adoreranno di biancospino. Guarda nella valle del Basento, specchio delle argille, come corre verso il mare! Fonte diretta tratta da: F. TILENA 2008, Il casello sul fiume, p. 5, 7, 21, 71, 93-94, 96, 120.

20. FRANCO TILENA (Ferrandina ,1934-?) Franco Tilena è poeta delicato come risulta sin dalla sua prima pubblicazione dal titolo "Sotto il cielo del Sud" che si sviluppa tra un sentimento di intimo rimpianto ed un velo di malinconia; entrambi sono percepibili e resi con efficacia mediante una scrittura poetica discorsiva e colloquiale, con richiami non solo al più noto corregionale Sinisgalli ma anche ad altri poeti lucani. Il romanzo Via Veneto, un libro scritto sulla scia della memoria riproponendo esperienze adolescenziali con le inevitabili storie d'amore che si intrecciano e con le descrizioni dettagliate degli ambienti e del territorio, dei suoi colori, dei suoi profumi e delle sue bellezze naturali e peculiarità paesaggistiche. Tra le località descritte nelle sue opere in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti, dominano la valle del Basento, Matera, Ferrandina e le aree del Pollino. Fonte indiretta tratta da: A. LOTIERZO, R. NIGRO 1981, Poeti della Basilicata, p. 50, 51. Tramonto sul mare (p. 50) Come un disco di fuoco Il sole si spegneva In una schiuma di sangue E torrenti di luce Cadevano nel mare in tremule pagliuzze.

Due vele vaganti all’orizzonte … Si perdevano nelle opalescenze lontane … E stendeva sulla città un velo impalpabile di brume.

(p. 5) Era estate e scendeva la sera sulla valle del Basento. Lievi vapori galleggiavano sulle anse argentee del fiume, illuminato dal pleniluni Un esercito invisibile di grilli sciorinava le sue più belle melodie d’amore, rotte ogni tanto dal gracidare roto e monotono delle rane nel pantano. Le luci dei paesini lontani già brillavano nell’aria tiepida e carica di aromi … (p. 7) Nel cielo di rame splendeva un sole selvaggio, che sferzava uomini e piante, laggiù in fondo a quella conca deserta, solcata dal fiume, ridotto ormai a un esile rivolo d’acqua, per la lunga siccità. Non pioveva da mesi e la terra era ricoperta da una spessa crosta giallastra, deturpata da profonde incisioni … (p. 21) Tra le radici erbose degli alberi facevano bella mostra fiorellini selvatici dalle tinte a volte tenui, delicate, a volte violente, ardenti. L’aria era carica di un miscuglio di aromi…Nella valle il fiume sanguinava tra le ombre scure dei monti, mentre il sole spariva all’orizzonte, lasciando dietro di sé una ferita luminosa. (p. 71) … Roberto la condusse alle grotte rupestri che lei non conosceva. Si fermarono su un ampio piazzale, da cui si godeva un paesaggio veramente pittoresco. Sullo sfondo, case e palazzi antichi con la maestosa cattedrale romanica, lungo i dirupi un torrente verdastro e limaccioso, da inferno dantesco, e tutta una teoria di anfratti e grotte naturali con sante e madonne dipinte sulle pareti, di una suggestiva bellezza. (p. 93) La piena arrivò di notte, con muggiti di toro. Il fiume ruppe gli argini in più punti e inondò le campagne circostanti, gli orti, i frutteti, i vigneti, fino alla ferrovia, producendo danni incalcolabili alle colture…Ciccillo da oltre una settimana aveva visto nuvoloni grigi carichi di pioggia veleggiare tra le cime dei monti lontani, su cui avevano scaricato torrenti di acqua che aveva ingrossato il Basento, facendolo straripare … (p. 94) Il sole, sorto da un pezzo, incendiava quel vasto bacino, dando al paesaggio un aspetto insolito, mai visto prima di allora, con i calanchi argillosi che si riflettevano nell’acqua, il bosco lontano che tingeva di verde cupo le rive del lago…La valle si era mutata in un lunghissimo estuario pieno di detriti, di frammenti, di rovine di un mondo che si era inabissato. Vapori lievi fuggivano dalle pendici dei colli e si innalzavano nello spazio, invadendo l’orizzonte. Una leggera brezza increspava la superficie del lago, sovrastato in alto da brandelli di cirri che frantumavano la luce del sole in barbagli incandescenti. Il paesaggio aveva perso il suo

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Cultural Landscapes

Fig. IV.19 - Vitigni di Aglianico nei pressi del Vulture. Pict. IV.19 - Vines of Aglianico wine located around Mt. Vulture. aspetto famigliare ed era diventato come la terra morta di un pianeta disabitato … (p. 96) Soffiava il maestrale e la luce era così violenta che svelava le gole, le pianure, i boschi, i paesi lontani. Tra i pioppi mossi dal vento e la fitta cortina di salici piangenti sulle rive del fiume brillavano ancora gli ultimi stagni della recente inondazione … (p. 120) Era una grigia mattina. Il cielo era avvolto da nubi che coprivano il sole e il maestrale fischiava tra i canneti e le chiome degli alberi. Intorno, il paesaggio era mutato e sembrava più tetro e selvaggio… I crinali dei monti scabri segnavano l’orizzonte, soffocato dai vapori tra cui tremavano vestigia di paesi in agonia. Fonte diretta tratta da: F. TILENA 1998, Via Vittorio Veneto, p. 13, 47-49, 108-110, 139, 155. (p. 13) … la vista spaziava su sterminate distese di olivi, che in lento digradare, scendevano dolcemente lungo i declivi dei colli, fino a raggiungere il Basento nella valle, chiusa all’orizzonte dal nastro azzurro del mare. Una corona di paesini biancheggiava tutt’intorno, sui fianchi, sui pianori, sulle cime dei monti, culminanti nel massiccio del Pollino, avvolto nei suoi boschi impenetrabili e immobile come un gigante posto a segnare il confine tra la Calabria e la Basilicata. (p. 47) Gran parte della mattina era passata, quando giungemmo in fondo alla valle, dove tra le sponde muscose del Basento scorreva un fresco rivolo di acqua… la superficie del fiume, ravvivò i colori del bosco del canneto e orlò di un tenero azzurro le sagome lontane dei monti. In alto sul cucuzzolo argilloso di un colle, attraverso le foglie

argentee dei pioppi, tremavano le case bianche del paese. (p. 48, 49) … Percorremmo un bel tratto…col diradarsi della rigogliosa vegetazione, si aprì dinanzi ai nostri sguardi l’immensa pianura … Nelle vicinanze della stazioncina solitaria e del ponte tetro e butterato, sospeso nello spazio con le sue argille arcate, fummo costretti ad uscire dal letto del fiume e a proseguire sul greto. In quel punto il Basento raggiungeva la sua massima larghezza di verde damasco. (p. 108) Un sole rutilante brillava nel cielo e ravvivava un poco il verde scolorito dei vigneti, l’argento opaco degli ulivi, il turchino sbiadito dei monti, il giallo malinconico delle foglie appassite … (p. 109) Non soffiava un alito di vento e su quelle terre brulle e desolate il cielo ostentava tutto il suo splendore. Arrivammo sulla sommità del monte ansanti, dopo aver fatto sosta più volte per riprendere fiato. Il castello era ancora distante . Si scorgevano dall’alto i bastioni in lontananza, su un cocuzzolo argilloso, fasciato da roveti e cespugli di lentisco … (p. 110) Scorreva un torrentaccio verdaccio e limaccioso che dava al paesaggio un aspetto infernale… Il sole era ormai alto e i suoi raggi dorati cadevano a picco su di noi che ci facevamo strada nel fitto del groviglio, lasciandoci dietro una scia di erba calpestata… (p. 139) Il trenino della calabro-lucana correva sbuffando nella vallata del Bradano, tra campi di un pallido verde, costellati di fiorellini multicolori che preannunziavano la primavera. (p. 155) Mi ero seduto sul balcone e guardavo il Basento, livido e malinconico… Il cielo impallidiva e solo sulle creste dei monti persisteva ancora il rosso del tramonto.

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Paesaggio letterario 21. MICHELE MARTINELLI (Valenzano, 1940-?) È uno degli artisti, poeta e pittore, più rappresentativi della città di Matera. Ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Bari per la Scenografia, interrompendo gli studi per dedicarsi all'insegnamento di disegno e storia dell'arte negli Istituti superiori per poi passare al Liceo artistico statale di Matera, dove ad oggi insegna discipline geometrico-architettoniche. Partecipa alla vita artistica nazionale e internazionale dal 1970 ottenendo premi e segnalazioni in numerosi concorsi. Ha progettato, disegnato e dipinto scenografie teatrali per favole e commedie musicali di Nino Rota, di Edoardo De Filippo e di Marcello Cagnacci. Nel 1987 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga del titolo di Benemerito della scuola, della cultura e dell'arte, per l’attività svolta e che ancora oggi svolge nella carriera scolastica e artistica. Come egli afferma in una recente intervista, . Le tematiche ispiratrici che manifesta sotto forma di poesia e di pittura sono molteplici di cui alcune universali (umanistiche, sociali, politiche, religiose) altre di carattere equestre, ludiche, ironiche e giocose. Fonte diretta tratta da: M. MARTINELLI 2003, Quadretti lucani: percorrendo i tratturi dell’aglianico A Federico II di Svevia. Il silenzio è l'anima della Lucania che mi travolge a benefiche aspirazioni a tempo immortale con canti e segni di poesia che salva l'umore dello spirito … Si fa breve il viaggio tra esami e vigneti dai sapori duri dell'aglianico ... Filari d'alberello vigneto (fig. IV.19 / pict. IV.19) si arrampicano alle pendici del Vulture ozioso da anni sempre a dominare colline e sentieri ... Nella terra dei Normanni ... querce d'alto fusto castagneti dal profumo ancestrale che fan corona al Vulture sempre adombrato fin sulla cima ... A nastro grotte e cantine si stendono ai piedi di promontori e colline ... girasoli sparsi tra lembi di cielo vedo nei calanche dell'Ofanto cosparsi di grani duri ... Fonte diretta tratta da: M. MARTINELLI, 1994, Ai confini della Lucania e oltre, p. 9, 38-39. (p. 9) Il silenzio all’estuario del Basento scoppia d’amor senza senso e la scritta sulla dorata sabbia ormai senza traccia lasciano immobili i corpi assolati colmi all’orizzonte. (pp. 38-39) Oltre Eboli In terra di Lucania

le spighe si piegano nella bocca del vento e corsi d’acqua serpeggiano tra l’arida terra. Odor di ginestre e canti d’uccelli si odono tra infinita quiete dove solo germoglia il grano … Lasciatemi oltre i confini di rimpetto al Sud, ad Est dove continuerà a sorgere il sole della vita. 22. TERESA BRUNO (Stigliano, 1942-?) Pittrice, poetessa e scrittrice, la Bruno, diplomata presso l’Istituto Tecnico di Potenza, ha completato il percorso formativo a Milano, dove ha insegnato e, tuttora, svolge la sua “professione” con sempre crescente successo. Ha partecipato a tantissime collettive, anche all’estero, ottenendo prestigiosi premi, tra cui la Medaglia d’Oro alla carriera del Centro d’Arte Sever di Milano e l’Oscar di Montecarlo .Fa parte, tra l’altro, di importanti Accademie e Sodalizi artistici e è stata più volte riconosciuta dai critici come una delle più brillanti protagoniste del panorama artistico milanese. Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 193. La mia cara Lucania Lucania, oasi di luce! Sei la mia beata terra, … verdeggiante di quell’erba, con frutteti rigogliosi e centenari oliveti, con quei bianchi sassi, coperti di morbido muschio … E quell’acqua pulita del mare Metapontino! ... 23. TERESA SPAGNUOLO (Noepoli, 1943-?) Poetessa lucana trascinata nelle sue opere da sentimenti d’amore per la sua terra e per i suoi affetti. La Lucania ed il suo paese natio Noepoli (fig. IV.15/ pict IV.15) sono spesso richiamati in maniera diretta o sfocata, ma sempre con una novizia di particolari legati ai profumi, al paesaggio ed alla vegetazione. Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, pp. 198-199.

Lucania mia Basilicata Vecchia Lucania mia … I fitti boschi di farnie profumati di eriche Le querce immense/ vecchie come il tempo Lungo la macchia punteggiata 213

Cultural Landscapes di more e di bacche. Antica terra di lupi … di grotte e rupi di argilla di valli amene … ti specchi nel Tirreno … e scendi sullo Ionio … bionda di spighe prosperose ti allacci ai terreni di Puglia arida e assetata nei sassi ti fai fresca e rigogliosa in montagna ammantata di castagne e poi di faggi ricamata di funghi e di fragole. Del pino loricato ti fai vanto e di cappelle sacre in vetta ai monti su nevi bianche solcate a valle in discesa e fondo. Spesso t’appartengono campagne desolate impraticabili scoscese e franose cadenti che attendono nell’ansia di un arrivo un po’ di caldo umano/ un po’ d’amore e assaporano intanto quotidianamente il gusto amaro dell’abbandono nel naturale logorio del tempo. Muschiosa quasi sempre presso i monti tra specchi di smeraldo trasparenti immergi nelle acque le tue cime innevate e lucenti …

Dalle sue opere emerge con forza il tentativo di inventare una nuova tipologia letteraria in contrapposizione a quella convenzionale, utilizzando con decisione metafore ed invenzioni fantastiche. Tra i suoi libri vanno ricordati anche i reportage "Viaggio in Albania", "Viaggio in Basilicata", "Viaggio in Puglia"  e “Sopra i tetti del Bradano e del Basento”, particolarmente significativi anche per la bellezza delle descrizioni come risulta, per esempio nel testo inerente il capoluogo della regione, Potenza. Tra le località descritte nelle sue opere in relazione ai luoghi conosciuti o vissuti, ricorrono la Valle del Basento, Castelmezzano, la Valle di Vitalba, Albano, Pietrapertosa, Pietragalla, Acerenza, Genzano, Irsina, Grassano e Tricarico. Fonte diretta tratta da: R. NIGRO 1993, Sopra i tetti del Bradano e del Basento, p. 16, 20, 29-20, 35, 41, 50.

(p. 16) La strada si dissesta in molti punti, tradisce il carattere argilloso del suolo e dopo la confluenza da Pomarico scopre immensa e ariosa la Valle del Basento. Il fiume serpeggia in una piana che ha offerto molti letti all’acqua e sul costone opposto, quasi strapiombato sulla valle, tra gli olivi e i castelli di sabbia dei calanchi si leggono, sfumati dalla foschia, i tetti di Ferrandina, campanili e comignoli…Poi il paesaggio lunare, tra canneti e montagnole di sabbia e di fango smottanti, gialli e crepati, aguzzi e dirupati, accompagna la nostra fuga verso Potenza. Un paesaggio aperto, disteso nella valle, che si restringe verso le gole delle montagne…Il Basento che ha pochi salti, Paese mio abbevera tofe ortiche malvoni pioppi pinastri olmi, abbevera (Antica “NOIA”- Oggi “Noepoli”) un paesaggio che si fa sempre più aspro, man mano che si “Paese mio che stai sulla collina sale, chiuso da dirupi e pauroso, o fascinoso, quando ci si Disteso come un vecchio …” accosta alle alture di Castelmezzano … Abbandonato … (p. 20) … E sull’ultimo dosso, dopo lo svincolo per la valle di nella magia avvolgente della valle del Sarmento … Vitalba, dovrebbe apparire Potenza. Ma preferiamo inerpicarci per i tornanti che affrontano la costa a destra del 24. RAFFAELE NIGRO (Melfi, 1947-?) Basento e fermarci ad Albano, prima tappa di questo nostro L'autore, originario di Melfi (area del Vulture), è un viaggio. giornalista. Vincitore del Campiello nel 1987 con il romanzo Alle nostre spalle la valle del Basento si incunea tra le I fuochi del Basento, Nigro ha svolto e svolge tuttora fiancate erte degli Appennini che si arrampicano al cielo un’intensa attività di promozione della cultura meridionale in nelle punte delle Dolomiti lucane, verso Pietrapertosa. genere e lucana in particolare, sia sul versante delle ricerche (pp. 29-30) … E proprio con un infernale giro, toccando erudite sia sul versante etnografico e popolare. Narratore Pietragalla e Acerenza siamo venuti a Genzano. La strada affascinante, inventore di storie, viaggiatore instancabile sia ghirigora tra vallate e monta rozzi, attraversa boschetti di metaforicamente sia geograficamente. Infatti, gran parte della roveri, colline brulle, montagnole di querce. A Genzano sua scrittura è dedicata al viaggio. Testimone oculare del arriviamo con la sera che cala e ad attenderci … Ma la brutale trapasso dalla civiltà orale dei contadini «leviani» alla nostra meta è Irsina. La raggiungiamo al mattino toccando nuova società lucana della Fiat e degli immigrati, Nigro è una Taccone e il Basentello e cavalcando le cime di Monte S. voce originale della letteratura italiana dei nostri giorni. Marco … (p. 35) Riprendiamo la strada per Potenza. Le mura di Irsina L'inizio della sua attività di scrittore risale alla metà degli appaiono nella loro poderosa bellezza man mano che anni settanta quando pubblicò le risultanze di alcune ricerche scendiamo nella valle del Bradano e le montagna si eleva coi condotte nell'ambito della cultura lucana e della storia del sud tetti e con la frastagliatura della cattedrale. Per Serra (Centri intellettuali e poeti nella Basilicata del secondo dell’Acqua Fredda e toccando una fiumara che va a morire Cinquecento e Basilicata tra Umanesimo e Barocco, premio nel fiume veniamo a Tolve … Basilicata per la saggistica), oltre ad una serie di saggi su (p. 41) Ed eccola Tolve di fronte a noi, sistemata su due colli Antonio Persio, Donato Porfido Bruno, Maria Carlucci, gemelli nella cornice dei Monti Moltone, Macchia di Rossano Rocco Scotellaro e ad antologie di poeti meridionali della e Cupolicchio … La strada si getta prima in un vallone, dove seconda metà del XX secolo.  Quella di Nigro può essere confluiscono i torrenti Castagna e Fiumara e poi sale sale, in considerata una scrittura sperimentale e "antropologica". una vegetazione montana fatta di roveri querce faggi. Una 214

Paesaggio e letteratura vegetazione sempre più alta e fitta e che diventa lussureggiante al colmo dell’appennino, quando la strada si fa ben asfaltata e i margini sono accompagnati da staccionate e improvvisamente si ha la sensazione che ci sia pure cura per il bosco…In prossimità del Borgo Tre Cancelli,,,La strada corre crinale crinale. Sotto di noi, a destra c’è la Valle del Basento e, a sinistra, improvvisa appare Tricarico … (p. 50) Dirigiamo verso Grassano per acquistare il vino da un vignaiolo…La strada ghirigora tra i boschi arrugginiti dell’autunno, non ci accorgiamo per i continui saliscendi ma stiamo passando dalle cime dell’Appennino … Fonte diretta tratta da: R. NIGRO 1987, I fuochi del Basento35, pp. 29-31, 50, 96, 121, 171. (p. 29, 30) Di qui era passata al monastero di Sant’Ippolito e, salendo per Vallescura e Feminamorta, boscaglia oltre i laghi e i torrenti di acquacidola, era pervenuta fin dietro Atella, sulla strada arrampicata sul castello di Lagopesole dove c’è un’ aria finissima e dove nei periodi di colera i civili e la nobiltà delle valli di Vitalba e del Bradano usavano rifugiarsi. (p. 31) Dopo la piana di Atella c’è il pagliericcio, tra le valli di Spaccatornese e Strascinati … La piana di Gaudiano si stende tra le colline di Montemilone e la vallata ofantina. Il fiume si lascia appena intuire negli intrichi del fogliame e, al mattino, è avvolto in un muro di nebbia terragna. (p. 50) Dirigiamo verso Grassano…la strada ghirigora tra i boschi arrugginiti dell’autunno…passando dalle cime dell’appennino… (p. 96) Una volta sulla sommità delle Serre, la valle dell’Ofanto scompare e si apre quella di Vitalba, che se ne va storta come un serpe con la fiumara Melfia verso Ripacandida, Barile, Ginestra, paesi fondati dagli albanesi e si distende sotto i colli di Atella, Rionero, Melfi e Lagopesole, città appese alla montagna del Vulture. (p. 121) In reparti separati salirono in direzione di Ferrandina, tagliando per i calanchi argillosi di Pisticci. (p. 171) I fiumi lucani scorrevano ora tumultuosi ora lenti tra letti sassosi, sabbiosi, per foreste e lande deserte. 25. ANTONIO LOTIERZO (Marsiconuovo, 1950-?)

Fonte diretta tratta da: A. LOTIERZO 1986, Narratori di Basilicata,p. 21. … Era partito da mezz’ora dalla stazione di Metaponto e correva nella valle del Basento, serpeggiante con le sue anse cerulee tra colline argillose. Il sole volgeva al tramonto e lanciava gli ultimi bagliori dalle creste viola dei monti…era un alternarsi fantasmagorico di alberi, di campi, di casette sperdute nella pianura, affogata nella luce rossastra. Fonte diretta tratta da: A. LOTIERZO, R. NIGRO 1981, Poeti della Basilicata p. 37. ... Girano a vuoto i nostri paesi con cerchi lunghi e rumorosi … il campanile alto sulla scoscesa roccia… 26. EMILIO D’ANDREA (Barile, 1955-?) Poeta e giornalista lucano, fin da ragazzo ha scritto poesie, racconti e considerazioni ispirate alla vita quotidiana e alle contraddizioni della società. Ha vinto diversi premi di poesia. Nei suoi versi D’Andrea canta e racconta i sentimenti, l’amore, le aspirazioni e i sogni dell’uomo, ma anche le ansie, le apprensioni, i tormenti e le debolezze dell’anima, insieme all’intrinseco e viscerale attaccamento alla terra natia e alla travagliata ma meravigliosa storia della gente lucana. Il volume La fontane dei ricordi è un libro documento sulla cittadina di Barile, attraverso il racconto delle fontane nella triplice indicazione: le fontane rurali, le urbane perimetrali e le urbane centrali. Il linguaggio utilizzato è accessibile, chiaro, lineare, ed è sempre arricchito da vicende, racconti, descrizioni, richiami a situazioni lontane, a storie antiche, giochi, abitudini, usi, tradizioni riferimenti religiosi e rimandi a riti svariati. Fonte diretta tratta da: E. D’ANDREA 1984, Le fontane dei Ricordi36, p. 15, 33, 47.

Ha pubblicato nel 1977 la sua prima raccolta di poesie, Il rovescio della pelle, descrivendo il mondo rurale contemporaneo del Sud Italia col linguaggio del dadaismo e della neoavanguardia. Il suo stile poetico include anche elementi dell'ermetismo di Leonardo Sinisgalli, dell'uso creativo del dialetto di Albino Pierro, con influenze abbastanza evidenti anche di Montale, Attilio Bertolucci e Pascoli. Dopo la seconda raccolta di poesie Moritoio marginale (1979), si dedicò allo studio della storia contemporanea e all'antropologia positivistica, pubblicando saggi in entrambi i settori e partecipando a concorsi universitari. Nello stesso

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periodo curò la prima pubblicazione delle opere del folklorista Michele G. Pasquarelli (1876-1923) e tradusse I canti popolari di Spinoso. Fra le opere storiografiche pubblicate da Lotierzo ci sono monografie su Spinoso, San Martino d'Agri e Marsicovetere; su Marsico Nuovo pubblica invece un volume di toponomastica.

Raffaele Crovi definisce l’opera come una saga corale che tra il 1784 e il 1861 insegue tra Puglia, Basilicata e Calabria il sogno impossibile di una repubblica contadina che si ridesta dai suoi cento e più anni di solitudine;

(p. 15) La fontana è in piena campagna, sulla rotabile per Ginestra, incastonata in un antro ricoperto di muschio, seminascosta dal fogliame e dalle radici degli alberi … (p. 33) È in mezzo ai boschi, ad est del Monte Vulture … percorrendo la carraia che dalla contrada “Serro” si inerpica sulla collina delle “Pietre Nere” ed arriva,

                                                             Nigro all’interno dell’opera propone un vasto campionario di problemi sociali, un’animata galleria di tipi umani, un variegato affresco sociale, un minuzioso atlante ambientale: nel romanzo ci si muove per masserie e boschi, si entra in case coloniche, ci si rintana in fienili e grotte, ci si addormenta in letti e cespugli. 36 È un libro documento sulla cittadina di Barile, attraverso il racconto delle fontane nella triplice indicazione. Il linguaggio accessibile, chiaro, ed è sempre arricchito da vicende, racconti, descrizioni, richiami a situazioni lontane, a storie antiche, giochi, abitudini, usi, tradizioni riferimenti religiosi e rimandi a riti svariati.

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Cultural Landscapes attraverso il ponte di “Baldassarre”, alla zona di “Pantano”. (p. 47) I fiumi ed i torrenti erano chiari ed incontaminati, le radici e le erbe fresche e genuine, le estensioni della flora vaste e contigue … 27. AMALIA MARMO (Miglionico) Insegnante di lettere nelle Scuole Medie, ha conseguito molti riconoscimenti letterari regionali e nazionali, per la sua carriera.  É presente in varie antologie di poesia e critica letteraria e si impone per qualità estetiche del linguaggio e dei temi affrontati. L’autrice presenta una struttura dinamica, che catalizza l’attenzione del lettore, lo strega  con uno stile a volte non ben definito, incostante, e con un linguaggio forbito.  Di lei Mario Trufelli ha detto: «la lirica di Amalia Marmo è poesia essenziale, non si dilata, si ferma al punto giusto per dare al lettore preziosi spunti di profonda riflessione, obiettivo principe della vera e bella poesia». Fonte indiretta tratta da: V. LABANCA 2009, Antologia di poeti lucani, p. 227. Lucania Contestai la mia terra Per la sua aridità, per le sue argille Per i suoi fitti e consistenti boschi… Eppure nella sua aridità, dalle sue argille, sbocciano solidali le ginestre, pennellate dal colore del sole…

IV.4 Considerazioni finali Se si riconosce che il nostro rapporto con la realtà si fonda sulle relazioni che si stabiliscono fra due diversi mondi dell'esperienza, quello delle cose e degli stati materiali (il mondo inorganico, biologico e antropologico con il prodotti della creatività umana, della tecnica e del lavoro) e quello della coscienza soggettiva (emozioni, ricordi, immaginazione creativa ecc.) e della conoscenza oggettiva (presente nelle eredità culturali, nelle codificazioni letterarie, artistiche, filosofiche, scientifiche ecc.), possiamo dire che il paesaggio costituisce una sorta di porta di accesso tra il primo e il secondo mondo e viceversa. In questo senso l'analisi diacronica dei testi letterari affrontata in questo capitolo, sebbene riferita ad una specifica realtà territoriale, può costituire un valido esempio di modificazione e trasformazione storica del concetto e dell'idea stessa di paesaggio, trasmessa al lettore attraverso l'esperienza e, in taluni casi, la fantasia degli autori. Un approccio di studio multidisciplinare del paesaggio non può prescindere da un’analisi dei testi letterari, che nel tempo hanno descritto e richiamato una stessa 'finestra' di paesaggio (per esempio i calanchi di Aliano o i fondovalle del Basento), evidenziandone di volta in volta i lineamenti morfologici, i colori, gli orizzonti visivi, i ricordi personali, le mutazioni e trasformazioni avvenute per opera dell'uomo o di eventi naturali. I testi diventano, in questo senso, uno strumento di conoscenza del paesaggio, che travalicano il suo senso puramente estetico-percettivo, assumendo un ruolo base in una visione analitica completa delle sue componenti.

Pallidi calanchi Vegliano i calanchi Sotto una tenda di latte, di stanca sabbia s’adornano nei contorni di luna… 28. MARIOLINA VENEZIA (Matera, 1961-?) Venezia è una scrittrice e sceneggiatrice italiana, autrice del romanzo che nel 2007 ha vinto il premio Campiello: Mille anni che sto qui, edito da Einaudi, saga familiare ambientata a Grottole, piccolo comune della Basilicata, che narra le vicende umane di cinque generazioni dall'Unità d'Italia fino alla caduta del muro di Berlino. Nel 2009 l’autrice si è cimentata con il genere del giallo, pubblicando per Einaudi Come piante tra i sassi, ambientato a Matera in Basilicata, ma con riferimenti ad altri paesi della provincia come Scanzano Ionico e Nova Siri. Ha, inoltre, pubblicato diverse raccolte di poesie e ha lavorato come sceneggiatrice di fiction televisive di successo. Fonte diretta tratta da: M. VENEZIA, 2008, Come piante tra i sassi, p. 218. (p. 218) Il giorno dopo, un venerdì, Imma, si trovava in giro con l’auto di ordinanza…avevano percorso la vasta pianura alluvionale che da Scanzano porta a Nova Siri e stavano attraversando un paradiso terrestre di collinette verdeggianti, fiori di campi e masserie scalancate …

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Capitolo V PATRIMONIO GEOLOGICO, GEODIVERSITÀ E PAESAGGIO: STRATEGIE DI CONSERVAZIONE, TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO M. Lazzari Abstract In this paper an overview on geological heritage linked to geosite and geodiversity concepts have been discussed, taking in account the evolution of the terms during last twenty years and their possible application to the landscape protection and valorization. In fact, the original meaning and use of these terms was focused on a main esthetic recognition of geological and geomorphological site, giving often a specific value as it occurs for ecological approach considering the biodiversity. Only more recently the study approach changed trying to associate to the geomorphological and geological landscapes and geosites besides a didactic, esthetic and perceptive value also one quantitative in order to permit the comparison between different sites and use this parameter in local and national landscape planning as it occurs for the other environmental parameters. Keywords landscape, geosites, geodiversity, geoparks, geomorphology, landscape planning. V.1 Caratteri generali Molti siti geologici di straordinario rilievo scientifico ed attrazione scenica, riscontrabili in tutto il mondo, a diverse scale di osservazione, costituiscono parte degli elementi conoscitivi di base di un territorio che, unitamente alle altre valenze naturali ed antropiche, possono favorire la nascita di proposte strategiche di tutela e conservazione del paesaggio naturale e dei contesti insediativi ad esso legati. Tali siti sono stati diversamente catalogati e denominati secondo le differenti normative e strumenti amministrativi presenti in ciascuno dei propri paesi di appartenenza; tuttavia tutti trovano una loro precisa collocazione nell'ambito delle categorie messe a punto dalla IUCN, The World Conservation Union, il massimo organismo internazionale in tema di conservazione della natura, che prevede specifici riferimenti agli elementi geologici all'interno dei criteri individuati per la classificazione delle aree protette. Secondo la definizione della IUCN un’area protetta si identifica in un'area di terra e/o di mare dedicata in modo particolare alla protezione delle diversità biologiche e delle risorse naturali e culturali ad essa associate, gestita con leggi o mezzi efficaci. Nel 1994, dopo alcune modifiche ed integrazioni apportate a precedenti classificazioni, la WCPA (Commissione Mondiale per le Aree Protette), sempre nell'ambito della IUCN, ha individuato sei categorie di gestione nelle quali suddividere e catalogare tutte le aree protette istituite, ovvero: - Categoria I: Riserva naturale in senso stretto/ wilderness area (area naturale selvaggia). Area protetta gestita

principalmente per ricerche scientifiche e per la protezione della wilderness; - Categoria II: Parco Nazionale. Area protetta gestita soprattutto per la conservazione dell'ecosistema e per la ricreazione; - Categoria III: Monumento Naturale. Area protetta gestita principalmente per conservare specifiche caratteristiche naturali; - Categoria IV: Area per la gestione di habitat e specie. Area protetta gestita principalmente per la conservazione attraverso interventi di gestione; - Categoria V: Paesaggio terrestre e/o marino protetto. Area protetta gestita principalmente per la conservazione del paesaggio terrestre e/o marino e per la ricreazione; - Categoria VI: Area protetta per la gestione delle risorse. Area protetta gestita principalmente per l'utilizzo sostenibile degli ecosistemi naturali. Nell’ambito della classificazione IUCN, il patrimonio geologico è ampiamente riconosciuto ed i criteri di selezione individuati forniscono un ampio campo di azione per indirizzare le specifiche misure di tutela dei siti geologici. Nella Categoria I, per esempio, ricadono le Riserve Naturali in senso stretto, la cui definizione dettagliata parla di «aree di terra e/o di mare caratterizzate da ecosistemi particolarmente significativi, elementi geologici o fisici e/o specie animali e vegetali, disponibili soprattutto per la ricerca scientifica ed il monitoraggio ambientale». Tra gli obiettivi principali delle aree protette rientra anche la salvaguardia delle caratteristiche del paesaggio (fisico, aspetti geomorfologici) e degli affioramenti rocciosi. In particolare, nel caso dei Monumenti Naturali (Categoria III), questi dovrebbero contenere una o più caratteristiche di rilevante significato (ivi inclusi cascate spettacolari, grotte, crateri vulcanici, livelli fossiliferi, dune di sabbia e caratteristiche marine). Un altro importante atto di riconoscimento nei confronti della tutela degli elementi geologici deve essere ricondotto alla Convenzione sulla protezione del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale del 16 novembre 1972, adottata dall'UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, le Scienze e la Cultura) nella Conferenza Generale riunitasi a Parigi tra il 17 ottobre ed il 21 novembre 1972. Nell'ambito della "Convenzione" (strutturata in 38 articoli), l'art. 2 è dedicato alla definizione del "patrimonio naturale" ove sono compresi: - i monumenti naturali, costituiti da formazioni fisiche e biologiche oppure da gruppi di tali formazioni, aventi valore universale eccezionale dal punto di vista estetico o scientifico; - le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone rigorosamente delimitate, costituenti l'habitat di specie

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Cultural Landscapes animali e vegetali minacciate, che hanno valore universale eccezionale dal punto di vista della scienza o della conservazione; - i siti naturali oppure le zone naturali rigorosamente delimitate, aventi valore universale eccezionale dal punto di vista della scienza, della conservazione o della bellezza naturale. All'interno del concetto di patrimonio naturale, d'altra parte, si inserisce più specificamente il concetto di "Patrimonio Geologico" che, in base a quanto stabilito dalla Dichiarazione internazionale dei diritti della memoria della Terra, significativo documento, approvato a Digne-les-Bains (Francia) nel 1991, al termine del I Simposio internazionale per la protezione del Patrimonio Geologico, è definito come «l’insieme di risorse naturali non rinnovabili, di valore scientifico, culturale o educativo, quali formazioni o strutture geologiche, forme del paesaggio o giacimenti paleontologici e mineralogici, ecc., che permettono di riconoscere, studiare ed interpretare l’evoluzione della storia geologica della Terra ed i processi che l’hanno interessata». Richiamando nuovamente la Convenzione di Parigi del 1972 si segnala, innanzitutto, l’esistenza dell’Elenco del Patrimonio Mondiale (World Heritage List) che in base all'art. 9 della Convenzione contiene una lista di siti di interesse culturale e naturale, annualmente aggiornata da uno specifico organismo denominato Comitato per il Patrimonio Mondiale (World Heritage Committee). A seguito dell’aggiornamento approvato nel Giugno 2009 a Siviglia (Spagna), l'elenco del Patrimonio Mondiale comprendeva 890 luoghi o siti in 186 Stati membri, di cui 689 a carattere culturale, 176 a carattere naturale e 25 a carattere misto. Per quanto concerne i siti italiani, anche in questo caso nell'ambito dei 44 siti segnalati in Italia nell'ambito della World Heritage List (aggiornamento al Giugno 2009), per motivi sia di carattere culturale, sia di carattere naturale, alcuni assumono una particolare rilevanza per elementi di pregio geologico-geomorfologico. Tali elementi, in taluni casi, caratterizzano in maniera così peculiare il sito tanto da condizionarne l'assetto paesaggistico e la sua stessa riconoscibilità.

Molti dei siti ricadenti nelle categorie definite dalla WCPA e dalla Convenzione dell’UNESCO del 1972 vengono oggi definiti come Geositi o Geotopi, ovvero «aree o località che rappresenta in modo esemplare eventi geologici, geomorfologici e regionali e in cui, quindi, è possibile definire un interesse geologico-geomorfologico per la conservazione» ovvero «quegli elementi fisici del territorio o singolarità del paesaggio quale espressione e testimonianza dei processi che hanno formato e modellato il nostro Pianeta e quindi in grado di fornire un contributo indispensabile per la comprensione della storia geologica di una certa area o regione». II termine geosito1 è una forma abbreviata che sta a significare sito geologico, che può essere considerato pressoché equivalente al termine geotopo. II termine geosito può essere utilizzato in molti contesti: sia per affioramenti superficiali circoscritti, miniere e simili, che per elementi isolati con caratteri notevoli (monumenti geologici nella vecchia accezione), sia per gruppi di siti o territori di maggiore estensione. Tale definizione, opportunamente ragionata, è stata ulteriormente precisata nell’ambito del gruppo di lavoro che ha elaborato il progetto Geosites per i paesi del Nord Europa. Per questi autori un “geosito” è un’area o una località che rappresenta in modo esemplare eventi geologici, geomorfologici e regionali; la storia, lo sviluppo e i rapporti geologici, rivestendo la funzione di modelli per un’ampia fascia di territorio o a livello globale. Un geosito è di eccezionale importanza soprattutto in base al contesto scientifico e culturale (in quanto in grado di fornire un contributo indispensabile alla comprensione della storia geologica di una regione, stato o continente), ma esso riveste grande interesse anche in relazione al paesaggio, alla biodiversità, alla didattica, ma anche per il valore economico. I geositi possono includere siti di valenza provinciale, regionale, nazionale, fino a quelli di più ampio significato internazionale, territori o siti complessi (composti da numerosi luoghi o tipi) oppure, all'estremo opposto, piccole aree ma di elevato interesse, o siti di importanza locale insieme ad altri complementari, contribuendo così, nell’insieme, ad estendere la conoscenza di un aspetto particolarmente interessante.

Stando alla definizione del gruppo di lavoro sulla protezione dei geotopi nei paesi di lingua tedesca, il termine geotopo In particolare, tra questi ricadono: 1) Le incisioni rupestri della Valcamonica (Lombardia) – descrive la più piccola unità spaziale, geograficamente 1979 2) Venezia e la sua laguna (Veneto) – 1987 3) I Sassi di Matera (Basilicata) – 1993 4) Pompei, Ercolano e Torre Annunziata (Campania) – 1997 5) Portovenere, le Cinque Terre e le isole di Palmaria, Tino e 1 Reynard E., 2001, Geosites, in Goudie A. (ed.), Enciclopedy of Tinetto (Liguria) – 1997 Geomorphology, London; Poli, G., 1999, Geositi: testimoni del tempo. 6) La Costiera Amalfitana (Campania) – 1997 Regione Emilia-Romagna, Servizio Paesaggio, Parchi e Patrimoni Naturali, 7) Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano con i siti Bologna; Wimbledon, W.A.P., 1993, World Heritage Sites and geological archeologici di Paestum e Velia e la Certosa di Padula conservation. Geotechnica Abstracts, Cologne; id., 1996°, Geological World Heritage: Geosites a global comparative site inventory to enable (Campania) – 1997 prioritization for conservation. Proceedings 30th International Geological 8) Isole Eolie (Sicilia) – 2000 Congress, Beijing. Abstract Vol 1, p. 74; id., 1996b, National site selection, 9) Dolomiti (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia a stop on the way to a European Geosite list. Proceedings of the Special Symposium Geological Heritage in South East Europe (May 1995), Giulia) - 2009 Geologica Balcanica 26, pp. 15-27; id., 1996c, Geosites a new conservation V.2 Geodiversità e Geositi initiative, Episodes 19, pp. 87-88. 218

Patrimonio geologico, Geodiversità e Paesaggio

Fig. V.1 – Quadro di sintesi delle Normative Internazionali dal 1971 al 2000. Pict. V.1 – Sinthesys of the international laws from 1971 to 2000.

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Cultural Landscapes omogenea (parti di paesaggio con caratteri e struttura relativamente uniformi), individuato e riconosciuto come tale anche in funzione della sua rarità assoluta o relativa. È questo un aspetto particolarmente “caro” ai principi dell’Ecologia del Paesaggio che richiama di conseguenza il concetto di diversità geografica (ciò che è raro in Italia è comune in Algeria) e di scala temporale (ciò che è comune oggi potrebbe diventare raro domani).

12. sottomarino - piattaforme oceaniche e continentali, “fumarole nere”, fosse oceaniche profonde, montagne sottomarine, scarpate di faglia; 13. geomorfologico - caratteri e processi di erosione e deposito, forme del paesaggio e paesaggi (desertici, carsici, vulcanici, fluviali, costieri, glaciali e periglaciali ecc.); 14. cosmico - evidenze di intervento extraterrestre, crateri d’impatto meteorico.

Quanto accennato riporta all’importanza di inquadrare il geotopo all’interno del paesaggio di appartenenza sia per comprenderne l’importanza effettiva relativamente ai diversi ruoli che questo può assumere anche in riferimento alle diverse scale spaziali alle quali il paesaggio si organizza, sia per impostare criteri gestionali idonei.

Sulla base di tale presupposto, i geotopi rappresentano quelle parti della geosfera che sono riconoscibili o accessibili sulla superficie terrestre, sono spazialmente limitati e chiaramente distinguibili dalle zone circostanti in relazione a caratteri e processi geologici e morfologici definiti. In tale contesto, il termine “geotopo” può assumere la stessa funzione che il termine “biotopo” ha per la pianificazione territoriale e la protezione della natura.

Per l’analisi dei geotopi lo strumento di conoscenza e di pianificazione preferenziale è certamente il PTCP (piano territoriale di coordinamento provinciale). Questo piano, che è riduttivo definire come “strumento di pianificazione”, è complesso e consente di analizzare al meglio i geotopi nella scala vasta, individuandone quindi anche ruoli funzionali e rapporti con il sistema paesistico di appartenenza. Poiché detta indirizzi, il PTCP consente non solo di individuare il geotopo nel contesto, ma anche di segnalare alle amministrazioni comunali le modalità per approfondire l’analisi dei siti, difenderli, riqualificarli, fornendo quindi indicazioni di gestione a tutte le scale spaziali interessate. Nel complesso i geotopi ed i biotipi possono avere carattere: 1. stratigrafico - eventi, sequenze, stratotipi di maggiore estensione, intervalli di stratotipi, biozone, cronostratigrafie e datazioni assolute, siti tipo di significato generale, onotemi ed eratemi, evidenze paleomagnetiche ecc; 2. Botanico - associazioni vegetazionali particolari e singolari) 3. Faunistico - fauna terrestre e fluviale tipica dell’ambiente naturale in studio) 4. paleoambientale - climi del passato, geologia sedimentaria globale, indicatori fossili, eventi e processi sedimentari; 5. paleobiologico - macro e micro animali e piante, pseudofossili e/o elementi incertae sedis, tracce, depositi biochimici, stromatoliti, evoluzione; 6. petrografico - eventi e province ignee e metamorfiche, petrografia ignea, metamorfica e sedimentaria, tessiture e strutture; 7. mineralogico - processi e tipi; 8. economico - di tutti i tipi, intrusivo, effusivo, depositi e/o intrusioni stratiformi, camini diamantiferi, processi metallogenici nel tempo, risorse metalliche e non, miniere e cave; 9. strutturale - maggiori strutture tettoniche o di gravita; 10. continentale/oceanico - caratteri a scala geologica, tettonica delle placche e margini ecc., fosse (africana, antartica ecc.) archi insulari, faglie (di San Andrea ecc.). Tali caratteristiche spesso possono essere viste nel modo migliore dallo spazio; 11. relazionale - tettonica delle placche e distribuzione dei terreni;

Come per i biotopi ci si può riferire più in generale al concetto di biodiversità, riferendosi alla diversità di specie presenti nell’ecosfera o negli ecosistemi, così si potrebbe definire per i geositi il concetto di geodiversità, intesa come specificità geologica ed estesa non più ai tipi biologici ma a quelli abiotici come le rocce, il paesaggio, etc. Il concetto di ‘geodiversità’2 si focalizza, infatti, sulle variazioni del substrato roccioso, dei depositi, delle forme del terreno e dei processi geologici che modellano i paesaggi. La geodiversità trova dunque fondamento e si manifesta nelle significative diversità del paesaggio, descrivendo, quindi, la varietà dei fenomeni geologici e dei relativi processi in una determinata area. La geodiversità è l’espressione di differenti ambienti geologici (come quello vulcanico, glaciale, fluviale o litorale), e differenti tematiche, come per esempio la stratigrafia e la morfologia. La biodiversità dipende essenzialmente anche dalla geodiversità, dall’ambiente geologico e dalle sue variazioni. Per esempio, alcune piante necessitano di determinati minerali ed elementi; alcune associazioni di piante sono radicate su uno specifico substrato, taluni animali sono adattati alle dune sabbiose, altri alle rive dei fiumi; infine, certi tipi di vegetazione indicano la presenza di specifiche caratteristiche geologiche. La diversità è uno dei fattori e criteri che determinano il valore naturale di un sito o di un paesaggio. Siti e aree possono avere apparentemente un’alta diversità, con molti elementi geologici, o una bassa diversità, in presenza di uno o pochi elementi. Il carattere uniforme può essere particolarmente significativo e rappresentativo. La rarità, la rappresentatività e l’importanza scientifica sono stabilite da comparazioni basate su una più estesa conoscenza. Le condizioni eccezionali, come ad esempio uno scenario (spettacolare) sono, al contrario, criteri più soggettivi. La geodiversità disegna, attraverso i “materiali da costruzione” geologici, i paesaggi, i loro profili, i singoli

2 Zwolinski, Z., 2001, Geodiversity, in Goudie A. (ed.), Enciclopedy of Geomorphology, London.

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Patrimonio geologico, Geodiversità e Paesaggio compongono. La tipologie naturali e di paesaggio sono tutti caratteristici per le regioni fisico geografiche di appartenenza. Essi possono apparire senza importanza in una prospettiva locale, ma molti di essi assumono grande importanza internazionale poiché sono veramente caratteristici e rappresentativi per le loro regioni, per le tipologie naturali e paesaggistiche, per l’evoluzione dei processi geologici e morfologici. La geodiversità, pertanto, è correlata a tipi geologici naturali, alla morfologia e alle regioni fisiografiche. Questi elementi sono stati sviluppati e descritti in diverse definizioni del termine che nel tempo sono state proposte da parte di diversi autori, a cominciare da Sharples, nel 19933, che lo definisce come “la diversità degli elementi e dei sistemi della Terra”. Al di là della definizione, molti autori hanno cercato di definire i valori della geodiversità, come ad esempio Wilson4 che ne individua due principali: il valore economico, che si esplica nello sfruttamento delle risorse fisiche del pianeta e il valore culturale-estetico, il cui scopo e quello di preservare le bellezze fisiche dell’ambiente ed allo stesso tempo di farne oggetto di ricerca. Dixon, nel 19965, definisce la geodiversità come la varietà o la diversità delle forme, dei sistemi e dei processi in ambito geologico, geomorfologico e pedologico. Nello stesso anno Barthlott e Placke6 sottolineano la stretta relazione biunivoca esistente tra i concetti di biodiversità e geodiversità, definita dall’ecodiversità, la quale mette in collegamento i biotopi ed i geotopi; esiste, infatti, una forte interazione tra gli organismi biologici ed il substrato geologico che si condizionano e mutuano vicendevolmente. Eberhard nel 19977, evidenzia tra gli aspetti della geodiversità, l’eredità della storia della Terra come testimonianza di ecosistemi, ambienti e processi (biologici atmosferici ed idrologici) che agiscono e modificano le rocce, il paesaggio ed i suoli. Bennett e Doyle8, hanno esteso la classificazione ed i valori proposti da Wilson (1994) definendo 4 gruppi di valori: -Valore intrinseco: si riferisce al principio etico secondo cui alcune cose (in questo caso la Geodiversità della natura) hanno valore soltanto in quanto tali e non per ciò che possono rappresentare per le persone (in contrapposizione quindi al valore utilitaristico); 3 Sharples C., 1993. A Methodology for the Identification of Significant Landforms and Geological Sites for Geoconservation Purposes. Report to Forestry Commission, Tasmania, Stanley, M. (2000) Geodiversity Earth Heritage, 14, pp. 15–18. 4 Wilson C., 1994. Earth Heritage Conservation. Geological Society London & Open University, Milton Keynes, pp. 1-272. 5 Dixon, G., 1996, Geoconservation: An International Review and Strategy for Tasmania. Parks & Wildlife Service, Occasional paper No. 35, Tasmania, pp. 1-126. 6 Barthlottw., L. W., Placke, A., 1996, Global distribution of species diversity in vascular plants: towards a world map of phytodiversity, Erdkunde, 50/4, pp. 317-327. 7 Eberhard, R., 1997, Pattern and Process: Towards a Regional Approach to National Estate Assessment of Geodiversity, Technical Series n. 2, Australian Heritage Commission & Environment Forest Taskforce, Environment Forest Taskforce, Environment Australia, Canberra, pp. 1-102. 8 Bennett, M. R., Doyle, P., 1997, Environmental Geology: Geology and the Human Environment, New York.

-Valore culturale ed estetico: assegnato dalla società ad un elemento dell’ambiente fisico (es. figg. V.2-4 / pict. V.2-4) perché riveste un particolare significato per la società o la comunità (in questo senso all’interno possiamo considerarvi il Folklore, la “Geomitologia”, il significato archeologico e storico, oppure spirituale, o ancora legato al senso del luogo e del paesaggio locale, nonché il luogo stesso inteso come fonte di ispirazione artistica); -Valore economico: inteso come risorsa naturale da sfruttare (idrocarburi, metalli, minerali preziosi, materiali da costruzione e per l’industria, fossili etc.); -Valore didattico e di ricerca: l’ambiente fisico può essere considerato come un laboratorio di ricerca; pertanto i danni ai sistemi fisici danneggiano irrimediabilmente la nostra capacita di studiarlo e comprenderlo. Se si prende in considerazione, ad esempio la storia della terra si evince come molti dei nomi assegnati ai periodi del tempo geologico derivano da toponimi, questi siti sono riconosciuti come “standard” a livello internazionale e devono essere conservati in modo da poterli tramandare alle generazioni future. Il riferimento alle caratteristiche fisiografiche delle diverse regioni ed ai tipi geologici che esse sottendono sono alla base di uno schema abbozzato da Johansson et alii per i geositi nel Nord Europa9. Le linee guida della struttura sono: le principali caratteristiche del substrato roccioso, la copertura quaternaria, le forme del terreno e le regioni geomorfologiche. I tipi geologici naturali e i paesaggi geologici dei paesi nordici di particolare importanza in una prospettiva esterna, sono, per esempio: i geyser e le distese di lava dell'Islanda, i campi a sandur (sabbie e ghiaie depositate da ruscelli d'acqua di fusione alla fronte di ghiacciai) delle Svalbard, dell'Islanda del Sud e della Danimarca occidentale, i fiordi e le piane costiere norvegesi, gli arcipelaghi rocciosi della Svezia orientale e della Finlandia sud-occidentale, gli arcipelaghi morenici del Golfo e del Mare di Botnia, i paesaggi morenici "sommersi" della Danimarca, i ghiacciai, i depositi di margine glaciale ed esker, i campi sopraelevati di ciottoli, i campi di dune, e gli estesi acquitrini in Svezia e Finlandia. La tipologie naturali e di paesaggio sopra menzionati sono tutti caratteristici per le regioni fisico geografiche di appartenenza. Essi possono apparire senza importanza in una prospettiva locale, ma molti di essi assumono grande importanza internazionale poiché sono veramente caratteristici e rappresentativi per le loro regioni, per le tipologie naturali e paesaggistiche, per l'evoluzione dei processi geologici e morfologici.

9 Johansson, C. E., Andersen, S., Alexandrowicz, Z., Erikstad, L., Federe, I., Freden, C., Gonggrijp, G. P., Karis, L. O. Raudsep, R., Satkunas, J., Suominen, V., Wimbledon, W.A.P., 1997,A framework for Geosites in northern Europe. Proceedings of ProGEO Conference Tallinn, June 1997. Geological Survey of Estonia.

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Cultural Landscapes

Fig. V.2 - Esempio di integrazione dei caratteri geomorfologici e del valore insediativo storico-culturale della Cappadocia (Turchia). Pict. V.2 - Example of integration of geomorphological features and cultural and historic settlements value of Cappadocia (Turkey).

Fig. V.3 - Integrazione tra i valori storico-culturali e geomorfologici della costiera amalfitana (Positano) . Pict. V.3 - Integration between the cultural - historical and geomorphological values of Amalfi Coast (Positano).

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Patrimonio geologico, Geodiversità e Paesaggio

Fig. V.4 – Il valore culturale dei terrazzamenti artificiali delle Cinque Terre integrato nelle valenze geomorfologiche della costa ligure. Pict. V.4 – The cultural value of artificial terraces of Cinque Terre integrated into geomorphological values of the Ligurian coast. Partendo da questo approccio Johansson10 arriverà a definire nel 2000 la geodiversità come «la varietà dei fenomeni geologici e geomorfologici e dei relativi processi in una determinata area», ovvero, «il complesso delle variazioni del substrato roccioso, dei depositi, delle forme del terreno e dei processi che modellano il Paesaggio», così come Patzak11 riprende l’utilizzo dei termini biodiversità e geodiversità definendoli concettualmente analoghi, in quanto evidenziano l’uno l’importanza della conservazione biologica per la salvaguardia dell’eterogeneità delle specie e l’altro l’importanza della conservazione delle caratteristiche e dei processi rappresentativi della grande varietà del patrimonio geologico12. Una tale moderna visione concettuale del termine non è stata accolta e compresa contemporaneamente in tutta la comunità scientifica, tanto è vero che Burnett et alii 13 e Nichols et alii14, scrivendo negli Stati utilizzavano un altro termine di "geomorphological heterogeneity", suggerendo, appunto, che la "geodiversity" ha stentato, di fatto, ad entrare nell'uso linguistico almeno fino al 2002. A sua volta Erikstad nel 199915 sottolinea la fondamentale importanza della 10 Johansson, C. E., 2000, Geodiversitet i Nordisk Naturv˚ard, Nordisk Ministerr˚aad, Copenhagen. 11 Patzak, M., 2000, Tourism and Geodiversity. The Case of Geoparks, Division of Earth Sciences, UNESCO, Paris, pp. 1-8. 12 Piacente, S. et alii 2003, Geositi e Geomorfositi testimoni della Geodiversità in Emilia Romagna, in AA.VV., La Memoria della Terra, la Terra della Memoria, a cura di Piacente, S., Poli, G., Bologna, p. 50. 13 Burnett, M., August, P., Brown, J., Killingbeck, K., 1998, The influence of geomorphological heterogeneity on biodiversity. I. A patch-scale perspective, in Conservation Biology, 12, 2, pp. 363-370. 14 Nichols, W. F., Killingbeck, K. T., August, P. V., 1998, The Influence of Geomorphological Heterogeneity on Biodiversity: II. A Landscape Perspective, in Conservation Biology, 12, 2, pp. 371-379. 15 Erikstad, L., 1999, A holistic approach to secure geoconservation in local physical planning, in Barrettino, D., Vallejo, M., Gallego, E. (eds.), Towards

geodiversità come elemento di base per gli ecosistemi ribadendo la necessita ad un approccio olistico al tema della conservazione della natura. Un po' più tardi, il termine è stato utilizzato come il titolo di un articolo di Stanley16 adottato dalla Royal Society for Nature Conservation (RSNC) nel titolo del sua newsletter trimestrale di scienze della terra Geodiversity Update, lanciata nel gennaio 2001, ma terminata nel 2002, quando RSNC ha deciso di cessare la serie di scienze della terra. Nella prima edizione della newsletter, Stanley17 pose la domanda: «Allora, qual è la geodiversità?», a cui la risposta data è stata: «è il legame tra le persone, paesaggi e cultura; è la varietà di ambienti geologici, fenomeni e processi che li rendono tali. Paesaggi, rocce, minerali, fossili e dei terreni che costituiscono il quadro di riferimento per la vita sulla Terra». Questa è una definizione molto ampia, ma Stanley18 va anche oltre sostenendo che «la biodiversità è parte della geodiversità». Prosser, in utili discussioni terminologiche, accetta la validità del termine ‘geodiversità’19. A questa definizione si collega strettamente quella fornita da Stanley (2001) che definisce la Geodiversità come «il link tra le persone, il paesaggio e la cultura; la

the balanced management and conservation of the Geological Heritage in the New Millennium, Sociedad Geologica de Espana, Madrid, pp. 69-72. 16 Stanley, M., 2000, Geodiversity, in Heart Heritage, The geological and landscape conservation magazine, 14 (summer 2000), pp. 15-18. 17 Stanley, M. 2001. 18 Stanley, M. 2002, Geodiversity, linking people, landscapes and their culture. Abstract for Natural and Cultural Landscapes Conference. Royal Irish Academy, Dublin, p. 14. 19 Prosser, C., 2002. Terms of endearment. Earth Heritage, 17, pp.12–13. Prosser, C., 2002. Terminology: speaking the same language. Earth Heritage, 18, pp. 24–25.

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Cultural Landscapes

Tab. V.1 - Valori della Geodiversità (Gray, 2004). Tab. V.1 – Values of geodiversity (Gray, 2004) varietà degli ambienti geologici, delle componenti, dei fenomeni e dei processi che li costituiscono e che si esplica nella varietà delle forme rocciose, dei minerali, dei fossili e dei suoli che forniscono l’intelaiatura per la vita sulla terra». Stanley fornisce, in questo modo una delle definizioni più ampie ed esaustive e si spinge ancora oltre arrivando ad affermare che «la Biodiversità è parte della Geodiversità». Nieto20 definisce la geodiversità come il numero e la varietà delle strutture e dei materiali geologici che costituiscono il substrato fisico naturale di una regione. Per Lick21 la geodiversità, oltre a rappresentare la varietà degli ambienti geologici e dei processi attivi che contribuiscono alla formazione dei paesaggi, delle rocce, dei minerali, dei fossili, dei suoli e dei depositi superficiali che costituiscono la base della vita sulla Terra, risulta essere anche un concetto fortemente integrato con le persone, il loro ambiente e la loro cultura, attraverso un’interazione tra biodiversità, terreni agrari e fenomeni evolutivi all’interno dell’ambiente circostante considerato nella sua totalità.

20 Nieto, L.M., 2001, Geodiversidad: propuesta de una definicion integradora, in Boletino Geologico y Minero, 112, n. 2, pp. 3-12. 21 Lick, S., 2001, Geodiversity strategy, in ProGEO News, n. 1.

Erikstad e Stabbetorp22 hanno usato il termine in relazione alle aree naturali ed alla valutazione di impatto ambientale, e sembra che ad oggi sia divenuta di uso comune nei paesi scandinavi. Un’ottima sintesi di Gray23 riporta l’elenco dei valori della geodiversità (Tab. V.1) e definisce la stessa come «la diversità dei caratteri geologici (rocce, minerali, fossili), geomorfologici (forme, processi), idrologici e pedologici presenti in una data area». Infine, lo stesso Gray nel 200824 definisce la ‘geodiversità’ come la versione abbreviata della dicitura «diversità geologica e geomorfologica […] la Geodiversità è l’equivalente abiotico della Biodiversità».

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Erikstad, L., Stabbetorp, O., 2001, Natural areas mapping: a tool for environmental impact assessment, in Gordon, J. E., Leys, K. F., Earth Science and the Natural Heritage, Stationery Office, Edinburgh, pp. 224– 227. 23 Gray, M., 2004, Geodiversity valuing and conserving abiotic nature. John Wiley & Sons, Ltd. 24 Gray, M., 2008, Geoheritage 1. Geodiversity: A New Paradigm for Valuing and Conserving Geoheritage, in Geoscience Canada, 35, n° 2, pp. 51-59.

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Patrimonio geologico, Geodiversità e Paesaggio L’evoluzione del termine è strettamente legata all’utilizzo dello stesso come ad esempio hanno mostrato Benito-Calvo et alii25 nel 2009 stimando la geodiversità della Penisola Iberica attraverso una metodologia integrata basata su un approccio classico di rilevamento sul terreno ed una successiva analisi in GIS dei dati. Tale procedura ha permesso di ottenere degli indici quantitativi di geodiversità attraverso operazioni di overlay di mappe tematiche (morfometriche, morfoclimatiche, geologiche) e di giungere ad una classificazione del paesaggio in funzione delle caratteristiche morfologiche e geologiche regionali. V.3 Stato dell’arte del censimento dei geositi e delle aree geologiche protette in Europa Una breve disamina delle situazioni presenti in alcuni paesi europei evidenzia come il patrimonio geologico rappresenti una valenza significativa nell'ambito della più vasta strategia di conservazione della natura e del paesaggio. A partire dal 199826, infatti, sono stati predisposti censimenti dei geositi (puntos de interes geologico) in diverse regioni europee ed extraeuropee. In Spagna quasi il 25% delle aree protette sono state sottoposte a provvedimenti di tutela per esclusive o principali componenti di tipo geologico; la quasi totalità di queste aree presentano valenze di carattere specificamente geomorfologico. In Gran Bretagna, dove la geologia è nata e si è sviluppata a partire dalla fine del '700 e dove le caratteristiche geologiche, stratigrafiche, paleontologiche, ecc., offrono esempi di notevole interesse scientifico, tanto da essere spesso utilizzate come riferimento nell'ambito della didattica e della codificazione cronostratigrafica adottata a livello internazionale, si registra una sensibile attenzione nei confronti del patrimonio geologico. In tal senso i diversi Enti Pubblici preposti alla conservazione della natura (English Nature, Countryside Council for Wales, Scottish Natural Heritage, Wildlife for Trust) gestiscono diverse aree che risultano protette per motivazioni geologiche e dove grande attenzione viene assicurata alle attività di divulgazione scientifica e didattica (SSSI - Sites of Special Scientific Interest; RIGS - Regionally Important Geological /Geomorphological Sites; ecc.) In Francia molti degli oltre 130 parchi naturali istituiti mostrano peculiarità o attributi di pregio per quanto concerne i caratteri fisici del territorio. Censimenti, più o meno completi, sono stati svolti e sono, in taluni casi, in fase di continuo aggiornamento in Germania, Svizzera, Olanda, Belgio e Austria. Anche nei Paesi Scandinavi (Norvegia, Svezia e Finlandia) e nell'Europa

dell'Est (Croazia, Yugoslavia, Albania, Repubblica Ceca, Romania, Polonia, Bulgaria, Estonia, ecc.) viene riconosciuto un ruolo importante del paesaggio fisico come elemento peculiare nell'ambito della conservazione del patrimonio naturale, con programmi di ricerca sui geositi ben avviati. Tra i succitati programmi vanno ricordati: - il programma GILES finalizzato a realizzare una Lista Indicativa Globale dei Siti Geologici, che ha visto il coinvolgimento anche di altri organismi quali IUGS (International Union of Geological Sciences), IGCP (International Geological Correlation Programme) e IUCN (The World Conservation Union); tale programma ha rivelato diverse lacune nelle conoscenze ed ha chiaramente evidenziato quelle Regioni e quei Paesi in cui l'informazione era carente; - il programma GEOSITES: programma di ricerca finalizzato ad ottenere una selezione rappresentativa dei siti di rilevanza internazionale, a partire dalla compilazione di elenchi comparativi regionali e nazionali. Fu costituito un Gruppo di lavoro Globale dei Geositi (GGWG) che coordina le attività di ricerca nei diversi Paesi, mentre in Italia per l'attuazione del progetto Geosites, nel 1996, si costituì il gruppo di ricerca ProGeo a cui afferirono ricercatori dell'Università, dell'ENEA e del CNR. - il programma GEOPARKS: ultimo programma, in ordine di tempo, lanciato dall'UNESCO, in collaborazione con la IUGS. Tale programma, che scaturisce da un'ampia collaborazione tra diversi organismi internazionali, quali la Divisione Scienze della Terra dell'UNESCO, l'International Union for Geological Sciences (IUGS), il World Heritage Centre (WHC) sempre dell'UNESCO, la Rete Mondiale delle Riserve della Biosfera (MAB) e l'International Geological Correlation Programme (IGCP), ha il duplice obiettivo: 1. di incrementare il valore dei siti che costituiscono una testimonianza fondamentale della storia geologica ed evolutiva della Terra; 2. di creare, con tali presupposti, anche occasioni di sviluppo socio-economico compatibile a livello locale. Nell'ambito del progetto è stato istituito un nuovo riconoscimento internazionale denominato "UNESCO Geopark", destinato a quei territori aventi elementi di grande pregio dal punto di vista geologico nel senso ampio del termine, nei quali si attuano strategie di gestione partecipate finalizzate alla conservazione del patrimonio geologico, contestualmente allo svolgimento di attività di ricerca e divulgazione scientifica, di ricreazione turistica e di educazione ambientale.

25 Benito-Calvo, A., Pérez-González, A., Magri, O., Meza, P., 2009, Assessing regional geodiversity: the Iberian Peninsula, in Earth Surf. Process. Landforms 34, pp. 1433-1445. 26 Wimbledon, W.A.P., 1998, A European Geosite Inventory, in Comunicaciones de la IV Reunion Nacional de la Comision de patrimonio Geologico, pp. 15-18.

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Cultural Landscapes Anche singoli Paesi Europei si sono fatti promotori di molte iniziative a favore delle politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio geologico agendo sostanzialmente su tre livelli: - governativo, con Enti di ricerca distaccati, specifici nel campo geologico o dediti in maniera più ampia alla tutela della natura e del territorio (sono questi i casi dei paesi britannici e di quelli scandinavi); - universitario con il coinvolgimento dei diversi Istituti che si occupano delle Scienze della Terra e delle Scienze Naturali; - organizzazioni non governative (NGO) e associazioni scientifiche, talvolta anche in collaborazione con musei e centri di educazione ambientale. In Italia la necessità di proteggere gli elementi fisici del territorio, compresi più genericamente nell’ambito delle bellezze naturali e degli aspetti del paesaggio, è stata avvertita fin dai primi del 900 con i primi importanti dispositivi di legge; successivamente, ed in maniera sempre più articolata in questi ultimi anni, molte normative nazionali e regionali hanno avuto come oggetto la salvaguardia e la valorizzazione dei beni ambientali, facendo spesso riferimento anche alla tutela delle formazioni geologiche, dei processi geomorfologici, delle associazioni paleontologiche, ecc. Tuttavia è utile richiamare le parole del Prof. Antonio Praturlon (1986), che oltre 25 anni fa, apriva il proprio intervento sulla “Protezione dei beni geologici e paleontologici” in occasione della Giornata dell’Ambiente dell’Accademia Nazionale dei Lincei del 1985, dicendo: «abbiamo tolto all’Italia il suo bene geologico di gran lunga più prezioso, la libertà di evoluzione del suo territorio. […] L’intero paese è ora un sistema altamente rigido, nel quale non possiamo più assolutamente permetterci di lasciare alla Natura di seguire il suo corso, adottando eventualmente contro i rischi geologici più minacciosi una sorta di difesa elastica. Questo è il bene geologico più prezioso che è andato perduto, la possibilità per il territorio di evolvere verso la sua maturità libero da ingessature innaturali. Tutto il resto: versanti deturpati; colline sventrate; morene quaternarie, terrazzi marini e fluviali, alvei e paleoalvei trasformati in cave; dune costiere rase al suolo; fiumi e torrenti imbrigliati e cementati; decine di km di coste protette da barriere; acque sotterranee inquinate; tutto questo è conseguente, è un fatto scontato, quasi inevitabile, legato com’è all’antropizzazione forzata, cieca e affannosa di un territorio sul quale potevano forse vivere in armonia con l’ambiente non più di 20 milioni di persone […]. In questa situazione, l’idea di identificare dei beni geologici da salvare può sembrare quasi provocatoria. Salveremo qualche grotta, qualche duna costiera, qualche affioramento di rocce rare, più o meno come si tutelano gli ultimi bisonti. Ma il territorio è una realtà viva, non un oggetto da museo, e questa realtà è stata ormai sacrificata alla possibilità di estendere ovunque la nostra presenza, le nostre esigenze, le nostre strade, i nostri campi, i nostri alberghi, le nostre industrie. Abbiamo il dovere di salvare il salvabile, è vero, e difatti solo di questo ormai si tratta. Ma del territorio italiano e dei suoi beni geologici c’è purtroppo ben poco da

salvare. Comunque, è nostro dovere fare un inventario di ciò che è rimasto e tentare di impedire, non tanto altri scempi, quanto altri disastri». Già 20 anni prima di Praturlon, Michele Gortani (1964) scriveva in maniera quasi premonitoria che «il concetto di bellezza naturale, quale insito in noi naturalisti, è logicamente diverso da quello che hanno gli artisti. Diverso perché molto più ampio; poiché, mentre abbraccia tutto quello che può rallegrare lo spirito ed il senso estetico, non può prescindere dalla rarità dell’oggetto, dal suo significato, dal bisogno di tutelarlo contro le insidie in atto o in potenza. […] La strapotenza dei mezzi a disposizione della tecnica moderna rende attuali pericoli che fino a poco tempo addietro non erano o non parevano tali». Cronologicamente (1973), tra i riferimenti sopraccitati si pone La conservazione dei beni geologici di Ricci Lucchi e Vai, relazione della comunicazione presentata al convegno Beni culturali ed enti locali: la tutela, la conservazione e la valorizzazione come pubblico servizio del 1971. Essi affermano che «si parla molto dell’interdisciplinarietà come metodo indispensabile per un approccio globale al problema dei beni culturali. […] Come geologi pensiamo quindi di avere parte in questo gruppo interdisciplinare a) a livello indiretto per mettere in evidenza la sfaccettatura geologica dei problemi della conservazione, e b) a livello diretto per dare alla dizione beni culturali e naturalistici un’accezione più completa e reale, includendovi tutta una serie di cose e fenomeni naturali che costituiscono l’oggetto delle così dette Scienze Geologiche o Scienze della Terra e che possiamo definire beni geologici». Concludono con un auspicio: «Per ora saremmo soddisfatti anche se avessimo solo stimolata la presa di coscienza di aver a disposizione ancora un insieme di beni geologici che sono parte non indifferente nella formazione del nostro ambiente naturale e culturale, e la cui conoscenza e fruizione possono aiutarci a ritrovare un più giusto rapporto col mondo naturale in cui viviamo». Analizzando queste considerazioni appare evidente che, a partire dalla seconda metà del ‘900, la voce dominante della “triade” conoscenza-tutela-valorizzazione che sintetizza lo studio sul patrimonio geologico è rappresentata dalla ‘tutela’: la necessità di individuare i beni geologici è strettamente connessa ad un’esigenza primaria di proteggerli dalla loro distruzione, sia essa naturale o antropica. In passato, invece, si può affermare che la necessità di tutela dei siti non fosse così pressante e ricoprisse un ruolo determinante la “scoperta/conoscenza” degli aspetti geologici del territorio, modificato dall’uomo ma con strumentazioni assai meno invasive. Un desiderio di scoperta che si accresceva via via con lo sviluppo della Geologia moderna, con gli studi di importanti scienziati, come l’imolese Giuseppe Scarabelli. Più di recente alcuni gruppi di ricerca in Italia hanno realizzato diversi progetti mirati al censimento e studio del patrimonio geologico per la tutela e la valorizzazione dei siti. Tra questi viene ricordato il PRIN (Progetto di Rilevanza

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Patrimonio geologico, Geodiversità e Paesaggio Nazionale) COFIN 2001-2003 sui Geositi nel paesaggio italiano: ricerca, valutazione, valorizzazione, che ha avuto come principali obiettivi: a) la definizione dello “stato dell’arte” delle ricerche sui Geositi, con particolare riguardo agli aspetti metodologici; b) la proposta di una metodologia comune di ricerca, censimento, selezione e valutazione dei Geomorfositi; c) la predisposizione di una scheda standardizzata da collegare a una banca dati; d) mettere a punto dei progetti esemplificativi di conoscenza e valorizzazione di geositi di diverse aree geografiche. Altri due progetti da citare sono quelli MIUR-COFIN sviluppati dal 2001-2006, ossia Geositi nel paesaggio italiano: ricerca, valutazione, valorizzazione e Il Patrimonio geomorfologico come risorsa per un turismo sostenibile (resp. S. Piacente e P. Coratza). In questi progetti si è cercato, non solo di evidenziare e valutare, ma anche di esaltare, rimarcando significati e valori nuovi, l'identità topologica di luoghi caratterizzati da una marcata geodiversità e numerosi geositi. Una visione della geologia, quindi, che non è soltanto physis, ma, che racchiude e trasmette tracce e segni, ed è anche humanitas e quindi anche memoria: una peculiarità paesaggistica che tutti i paesi, seppur in grado diverso, possiedono, e quindi patrimonio culturale senza frontiere.

ambientale ed allo scopo di realizzare un rapporto equilibrato con l’ambiente, persegue tra i vari obiettivi «il rispetto e la valorizzazione dei biotopi di pregio e dei geositi» (art. 1, comma 1, lett. a). Anche alla luce di tali normative tra il 2001 ed il 2003 in Basilicata è stato condotto un primo censimento dei geositi dalla Provincia di Potenza (quaderno 5 Provincia di Potenza), durante il quale furono censiti 61 geositi, sinteticamente schedati28; per la Provincia di Matera, esiste un riferimento bibliografico di Masiello29, che, prendendo in considerazione le direttive del gruppo di lavoro italiano ProGeo, ha censito 30 geositi. Altre informazioni sono reperibili dalla letteratura geologica legata ad eventi specifici realizzati su tali tematiche30. In particolare, va segnalato un primo tentativo di definire la geodiversità regionale attraverso una carta dei paesaggi geologici proposta da Lavecchia et alii31, che prende in considerazione le diverse tipologie di paesaggio legate ai contesti geologici e geomorfologici della regione (fig. V.5 / pict. V.5). Un tentativo che anticipa quanto poi fatto da Benito-Calvo et alii nel 2009 in maniera più estesa ed approfondita per la Spagna.

Dei suddetti due progetti, il primo ha inteso proporre una metodologia per il rilevamento, la selezione, la catalogazione e la valutazione dei Beni geologici, ponendo maggiore attenzione a quelli geomorfologici, i Geomorfositi27, mentre il secondo, partendo proprio dai risultati raggiunti dal primo, ha inteso sviluppare conoscenze specifiche e proporre metodi ed esempi che rispondessero a una riqualificazione del turismo, attraverso una maggiore attenzione verso gli aspetti culturali e tra questi quelli di tipo naturalistico e in particolare geologico e geomorfologico.

Tuttavia anche se la tutela e la conservazione di siti, ambiti e paesaggi a valenza principalmente geologica, a vario grado viene praticata da più di 100 anni, e considerata ancora come “ultimo livello” del diritto alla conservazione naturalistica. Milton (2002) esprime bene questo concetto dicendo come «la diversità in natura e comunemente intesa come diversità della materia vivente»; d’altro canto numerosi geologi e geomorfologi vedono, invece, la ‘geodiversità’ non solo come un nuovo e vantaggioso approccio concettuale verso la natura abiotica, ma anche come stimolo per promuovere la geoconsevazione e per elevarla almeno al rango che viene riconosciuto alla conservazione della biodiversità32.

V.3.1 La Basilicata

V.4 Considerazioni finali

Per quanto concerne la Basilicata, esiste la base normativa di riferimento in materia parte dalla L.R. del 2 settembre 1993, n. 50, Modifica ed integrazione alla L.R. 4 agosto 1987, n. 20 contenente norme in materia di tutela dei beni culturali, ambientali e paesistici - Snellimento delle procedure, in cui l’art. 3, comma 2, punto 1, in cui si stabilisce la compilazione di due elenchi, di cui all’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n.1497, da parte della Commissione Regionale di cui nel primo elenco saranno inserite “le cose immobili che hanno cospicuo carattere di bellezza naturale o singolarità geologica”.

Da quanto descritto in questo e precedentemente nel capitolo II (parte I), appare evidente come la lettura del paesaggio, secondo una scala temporale variabile dalle migliaia alle centinaia di migliaia di anni, non può prescindere dalla definizione ed interpretazione degli aspetti fisici del territorio, legati all’evoluzione geologica e geomorfologica dei luoghi. Alcuni fra questi ultimi sono caratterizzati da peculiari aspetti

Un altro riferimento normativo è quello della L.R. del 20 maggio 2002, n.17, inerente le Modifiche e integrazioni alla legge L.R. 14 aprile 2000, n. 51: Norme per la programmazione, lo sviluppo e la disciplina della viabilità minore e della sentieristica in Basilicata, che stabilisce che la Regione Basilicata nell’ambito delle azioni tese alla conoscenza, valorizzazione e tutela del proprio patrimonio 27 Panizza, M., 2001, Geomorphosites: concepts, methods and examples fo geomorphological survey, in Chinese Bulletin, 46, suppl. December 2011, pp. 4-6.

28 Provincia di Potenza, 2003. Il patrimonio geologico: risorsa naturale e bene culturale. primo censimento dei Geositi nella Provincia di Potenza. Ambiente & Territorio, Quaderno n° 5, p. 60. 29 Masiello, D., 2002, I geositi della Provincia di Matera (Basilicata). In Geologia dell''Ambiente, 2, pp. 41-44. 30 Lazzari M., 2003. I geositi di Madonna del Pollino: da percorso storico ad itinerario geologico-ambientale (Parco Nazionale del Pollino), in Geologia dell’Ambiente, suppl. (1), pp. 131-142; Conoscenza, valorizzazione e gestione dei siti di interesse geologico. Convegno SIGEA sul patrimonio geologico come bene culturale ed ambientale da tutelare (Rionero in Vulture (PZ) 13-14 aprile 2002); Il Patrimonio Geologico: una risorsa da proteggere e valorizzare. Convegno Nazionale (Sasso di Castalda (PZ), 29-30 aprile 2010). 31 Lavecchia, G., Schiattarella, M., Tropeano, M., 2003, Paesaggi geologici e linee guida per l’individuazione dei geositi in Basilicata, in Geologia dell’ambiente. Periodico della Sigea, suppl. 1, pp. 53-54. 32 Prosser, C., King, A. H., 1999, The conservation of historically important geological and geomorphological sites in England, in The Geological Curator, 7, pp. 27–33.

227

Cultural Landscapes

Fig. V.5 - Carta dei paesaggi geologici proposta da Lavecchia et alii (2003). Pict V.5 –Geological landscapes map proposed by Lavechia et alii (2003). che testimoniano in maniera esemplare i processi geomorfologici e geologici responsabili del loro assetto fisico attuale e che in letteratura vengono definiti geositi o geotopi. Nell’insieme essi definiscono un concetto moderno di geodiversità che integra, in un senso più allargato, il rapporto con gli insediamenti, in cui l’uomo diventa negli ultimi millenni, agente stesso del modellamento ed artefice dei cambiamenti della superficie terrestre e degli ecosistemi. L'introduzione del concetto di geodiversità è, dunque, diretto anche ai pianificatori, a chi gestisce ambienti naturali e a coloro che assumono decisioni in relazione all'utilizzo del suolo e alla gestione della natura, e anche nella didattica e per il pubblico. La gestione include la pianificazione, il governo delle situazioni e le analisi di impatto ambientale, in relazione all'utilizzo delle risorse naturali e all'influenza su paesaggi, geositi e biotopi per diversi tipi di uso del suolo. Una

gestione strategica deve comprendere molto di più che una selezione e delimitazione di siti e aree. Tutti gli strumenti di gestione dovrebbero prefiggersi obiettivi finalizzati alla protezione paesaggistica e naturalistica con particolare riguardo sia alla geodiversità che alla biodiversità. La diversità biologica e quella paesaggistica, vengono qui considerate come il dritto ed il rovescio della stessa medaglia. In quest’ottica la conservazione dei paesaggi e delle caratteristiche geologiche, che riguardi la Basilicata, l’Italia o il resto del mondo, rappresenta una sfida da raccogliere per impedire un loro ulteriore deterioramento e per giungere ad una percezione organica dei paesaggi, intesi come mosaico unico delle caratteristiche culturali, naturali e geologiche.

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Capitolo VI PAESAGGIO E CINEMA IN BASILICATA Maurizio Lazzari, Immacolata Rondinone Abstract* This work focuses on the relationship between landscape and cinema trying to trace the main lines of thought on the subject and proposing the Basilicata as a natural laboratory in which several sets movie were made. As part of the Italian cinema, the landscape takes the fundamental task of telling the story of the masses through the neo-realism of 1950, holding a strong connection with the literature of the period, so that many novels have become the basis of the same name film. In Basilicata in more than fifty years have been realized more than forty films, whose themes have touched on aspects such as the neo-realism, the film-truth, cinematography impressive biblical spirituality, portraits of the peasants, Italian comedies, costume dramas , dreams, miracles and magic. Basilicata is, thus, became in time a set without limits that has exalted and extolled as unique, multi-temporal and multidimensional. Keywords landscape, cinema, movies VI.1 Paesaggio e cinema La pittura, la letteratura e la rappresentazione cinematografica costituiscono tre capisaldi, tre diverse forme di rappresentazione ed interpretazione del paesaggio, testimonianza dell’evoluzione culturale dell’uomo e delle forme di comunicazione da lui scelte sin dalla origine dei tempi. Ciascuna di queste arti non solo mette a nudo un’evoluzione mentale che ha imposto all’individuo stesso la trasformazione del paesaggio, ma costituisce un prezioso documento testimonianza storica dei mutamenti strutturali degli ambienti e delle tecniche di cui ci si è avvalsi. Se nella produzione letteraria l’immaginazione del lettore può prevalere sul pensiero dell’autore, in quanto la parola suggerisce l’interpretazione personalizzata di un determinato ambiente, l’immagine teatrale e successivamente quella filmica impongono quasi categoricamente una realtà paesaggistica determinata, in cui lo spettatore non può immaginare, ma solo osservare e trarre considerazioni. Il termine ‘paesaggio’, riferito al cinema, farebbe pensare ad un tema ideale sulla cui base commentare opere cinematografiche ed anche alludere all’idea di un cinema come interpretazione della realtà, con la ferma convinzione che l’occhio della macchina da presa inglobi in sé ogni sapere. L’interesse per lo studio del paesaggio attraverso i film è piuttosto recente, risalendo a circa vent’anni fa, e ha preso le mosse da due correnti del pensiero geografico: la

                                                             *

  Il

geografia umanistica e quella culturale e sociale, come definite da Kennedy e da Lukinbeal nel 1997. Nel cinema, paesaggio significa non solo rapporto fra personaggio e spazio, fra uomo e mondo, ma anche rapporto fra diversi livelli di sguardo; c'è l'osservatore, che è un personaggio, e la cinepresa, che osserva l'osservatore. Si articola un gioco più complesso di punti di vista, e quando tale rapporto si propone come confronto fra due sguardi, fra due punti di vista, il paesaggio cinematografico diventa punto di partenza per una riflessione non solo sul cinema, ma implicitamente anche sull'atto del guardare inteso come atto conoscitivo. Le scene di paesaggio, in cui un uomo guarda il mondo, diventano spesso esperienze-limite, soglie che trascinano al di là della cultura, del comune modo di vedere il mondo, senza comunque abbandonare questo modo. Da un punto di vista tecnico, oggi le possibilità di lavorare con il paesaggio nel cinema sono numerose e notevolmente migliorate rispetto al passato, ottenendo un risultato di grande credibilità delle immagini. L'aggiunta del colore, una migliore qualità del film, nuovi formati e stili ed anche l'uso di riprese aeree, sono alcuni dei fattori che hanno contribuito a migliorare le possibilità di presentare paesaggio o la sua rilevanza. Oltre a queste considerazioni, la produzione di film in generale ha teso nel passato e tende ancora oggi a considerare paesaggi esotici o caratterizzati da una evidente bellezza naturale. La natura, infatti, attraverso un mezzo potente come il cinema, viene modificata dalla percezione umana e si trasforma facilmente in paesaggio. In questo senso, la visione del film verso la natura è cambiata nel tempo passando dalle originarie idee di "timore reverenziale", ad altre idee inerenti lo sfruttamento delle sue risorse, e, più recentemente, focalizzando l'attenzione sul degrado derivante dalle attività produttive della società moderna fino alla capacità di vendetta della natura, come nel caso di film catastrofici. VI.2 Il paesaggio nel cinema italiano Se in generale le scene di paesaggio sono momenti di riflessione, sembra che nel cinema italiano, o almeno in una parte di esso, che abbraccia una visione della realtà neorealista. Il paesaggio diventa spesso un vero e proprio personaggio, un interlocutore, molte volte uno spietato antagonista nei confronti dei personaggi; non è più uno specchio dell'anima, non è più spazio dell'azione ma, al contrario, diventa spesso un luogo vasto, opaco, in cui l'azione e a volte anche i personaggi rischiano di perdersi. Nel rapporto personaggio-paesaggio il cinema italiano spesso mette in discussione, più o meno consapevolmente, la cultura, cioè tutto il sistema di codifiche tradizionali dentro le quali ogni soggetto esiste e senza il quale non avrebbe identità.

L’efficacia del cinema italiano della seconda metà del Novecento nell'esaltare i grandi paesaggi trova le sue ragioni nelle grandi trasformazioni del dopoguerra italiano che 229

presente contributo è frutto della riflessione congiunta degli autori in ogni sua parte. Nello specifico però sono di M. Lazzari i paragrafi VI.1 e 2, mentre il paragrafo VI.3 è stato curato da I. Rondinone.

Cultural Landscapes

FILM

AREA GEOGRAFICA DI AMBIENTAZIONE

ANNO

Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato

Matera

1949

La lupa A porte chiuse Italia ’61 Gli anni ruggenti

Matera Maratea Matera Matera

1953 1960 1961 1962

La vedovella Il demonio I basilischi Il Vangelo secondo Matteo Made in Italy

Maratea Matera Matera Matera Matera

1962 1963 1963 1964 1967

Cristo si è fermato a Eboli

Aliano, Craco, Matera, Guardia Perticara

1979

King David Il sole anche di notte L’uomo delle stelle Del perduto amore

Matera Matera Matera Irsina, Ferrandina, Matera

1985 1990 1995 1998

Terra bruciata

Matera, Aliano, Stigliano, Senise

1999

Io non ho paura The Passion Il Rabdomante

Vulture-melfese Matera Matera Maratea, Trecchina, Lauria, Tramutola, Sarconi, Aliano, Craco, Scanzano Ionico

2002 2004 2005

Basilicata Coast to Coast

2009

Fig. VI.1 - Sintesi delle principali rappresentazioni cinematografiche ambientate in Basilicata. Pict. VI.1 - Synthesis of the main cinematographic representations located in Basilicata. interessano il tessuto culturale e sociale; un periodo in cui, per usare una frase famosa ‘tutto cambia e tutto rimane com’è’. La cultura industriale si afferma, ma viene a confrontarsi con i residui di culture antiche e persistenti. In questo confronto con il passato la moderna visione del mondo si scontra con quelle più remote e incontra in esse il suo limite, il suo confine. È qui che il gioco dei punti di vista messo in atti dal cinema diventa essenziale per illustrare la sovrapposizione, la coesistenza di immagini e di culture, la molteplicità di centri e di prospettive che esistono e agiscono simultaneamente. Questo rapporto fra vecchio e nuovo, fra mutamento e identità, fra movimento e immobilità, anticipatore per molti versi di un disagio presente, di conflitti e incertezze attuali, è leggibile come sfondo permanente nel rapporto fra personaggi, cinepresa e paesaggio. Nell’ambito della cinematografia italiana il paesaggio assume il compito fondamentale di raccontare la storia delle masse attraverso il neorealismo degli anni cinquanta, stringendo un forte legame con la letteratura dell’epoca; non a caso molti romanzi sono divenuti la base di omonimi film.

VI.3 Paesaggio e set cinematografici in Basilicata In Basilicata in più di cinquant’anni sono stati girati oltre quaranta film (fig. VI.1 / pict. VI.1), le cui tematiche hanno toccato aspetti quali il Neorealismo, i film-verità, la cinematografia biblica di imponente spiritualità, ritratti del mondo contadino, commedie all’italiana, melodrammi in costume, sogni, miracoli e magie. La Basilicata, regione dai mille volti, continua, da oltre mezzo secolo, a stupire con incanti e suggestioni i grandi cineasti italiani e internazionali, ospitando come "terra palcoscenico" luoghi e storie che si sono prestate al grande schermo in tutta la loro magnificenza, basti pensare ai Sassi di Matera, città patrimonio dell'umanità UNESCO, al paesaggio lunare dei calanchi, alle terre assolate del Vulture, ai paesini incastonati sulle montagne. Il paesaggio è protagonista da sempre, della vecchia e nuova grammatica cinematografica condividendo con la storia il suo destino. La forza dei suoi paesaggi è espressione di più linguaggi, di colori dinamici, di significati e di metafore. Lo spettatore che arriva qui è condotto nell’universo dei luoghi, delle storie, delle emozioni del grande cinema. Da Pier Paolo Pasolini a

230

Paesaggio e cinema in Basilicata Francesco Rosi, da Dino Risi a Roberto Rossellini, da Luigi Di Gianni ai fratelli Taviani fino ad arrivare alle grandi major hollywoodiane, con registi come Mel Gibson e Catherine Hardwicke, la Basilicata è la protagonista indiscussa, celebrata ad Hollywood come a Cinecittà. I Sassi di Matera, oggi definiti “paesaggio culturale” unico al mondo, hanno rappresentato la location ideale in cui girare numerosi film a partire dagli anni Cinquanta, diventando un’immagine attraverso cui lo spettatore può imparare a conoscere i modi di teatralizzazione del rapporto tra l’uomo e il paesaggio. Il denominatore comune di tutti i film girati nei Sassi, è il rapporto tra uomo e natura: scene in cui pecore e maiali pascolano liberamente, uomini che passano a dorso degli asinelli, strade tortuose e dissestate, case contadine dove si vive in un’unica stanza e dove c’è posto anche per la stalla. Sono questi gli ambienti, teatro dell’azione, che sottolineano gli stati d’animo e le situazioni drammatiche che rievocano le miserie e lo spirito di lotta per la sopravvivenza della società contadina che ha popolato i Sassi. Quel meraviglioso insieme di architetture rupestri, i cui primi insediamenti possono riferirsi al Paleolitico, fanno dei Sassi un prodigio che la natura ha donato all’umanità, e che il cinema ha scelto per raccontare preservandone il valore, il significato intrinseco della materia, l’autenticità dei suoi panorami, diventando in questo modo, l’immagine di una civiltà scomparsa che rivela le tracce della sua esistenza nel paesaggio stesso. I registi che hanno conosciuto e vissuto i Sassi hanno raccontato la storia di questa civiltà attraverso l’immagine del Mezzogiorno contadino che è il soggetto cinematografico dominante nella maggior parte dei film girati a Matera. Il continuo intreccio tra scenografia e racconto consente di parlare di paesaggio cinematografico. Tra i primi registi che approdarono a Matera ci fu Carlo Lizzani, che nel 1949, con Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, inaugurava la stagione del neorealismo materano, mostrando i Sassi nella loro carica realistica, come emblema dell’arretratezza diffusa nel Sud italiano, con immagini eloquenti sull’evoluzione dei rapporti che la civiltà contadina del Sud intratteneva con il suo ambiente e con gli altri gruppi sociali nel resto d’Italia. Pur essendo solo scenografia, i rioni di tufo entrano così nell’immaginario cinematografico e classificano un genere di film che coglie nel paesaggio urbano lo spunto per l’ambientazione di film in cui vale anche la presa di coscienza, così come la fiducia nel riscatto.

Film come Italia ’61 (1961) di Jan Lenica, Gli anni ruggenti (1962) di Zampa, Il demonio (1963) di Brunello Rondi, I basilischi (1963) di Lina Wertmuller, ricalcano i luoghi redenti da Cristo ormai senza vita, dove il paesaggio materano si prestava naturalmente alle esigenze scenografiche dei registi. Nel film di Zampa, i Sassi si inseriscono nelle inquadrature senza creare tuttavia effetti stonati: la profonda gravina, la casa grotta e i vicinati sono immersi in un deplorevole degrado, nel quale il paesaggio è coprotagonista dell’azione. Nel film di Rondi, invece, la macchina da presa segue anche la bellezza sublime e spirituale della natura dominata dall’immensità della Murgia materana, alcuni posti di Montescaglioso e Miglionico. Nel 1964 i Sassi furono conosciuti da Pasolini il quale, in quel deserto di case vide una scenografia dalle forme e dai colori mediorientali, quasi metafisica, senza tempo. I Sassi acquisivano il fascino surreale tipico di un deserto roccioso della Palestina. Pasolini, cogliendone la verosimiglianza e vi girò Il Vangelo secondo Matteo. I tratti scarni e aridi caratterizzavano lo stile di Pasolini: al suo paesaggio e ai suoi personaggi, il regista voleva dare quel senso di desolazione profonda che aveva scoperto nella realtà dei Sassi, diventati simbolo della civiltà contadina. Pasolini esaltò l’aspetto anacronistico dei Sassi, estranei sia al tempo sia allo spazio, luogo perfetto per una riproduzione del fascino surreale di Gerusalemme di duemila anni fa. Negli anni Sessanta anche Maratea, “la perla del Tirreno”, viene immortalata, prima nel film A porte chiuse (1960) di Dino Risi, poi nel film La vedovella (1962) di Silvio Siani, dove la celebre e rinomata piazzetta del centro storico fa da sfondo alla commedia all’italiana. Lo stesso Rosi girò nel 1979 Cristo si è fermato a Eboli, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, che racconta la sua storia di confino in Basilicata sotto il regime fascista (fig. VI.2 / pict. VI.2). Eboli (SA) rappresenta dunque il limite storico, non solo geografico, di un mondo perché Eboli è il paese dove la strada e il treno abbandonano la costa e si addentrano nelle terre aride, desolate della Basilicata. All’interno del film il paesaggio cinematografico si scopriva in tutta la sua pregnanza, come luogo del mistero. Il film è stato girato tra Aliano, luogo di confino dello scrittore, Craco, le zone dei calanchi, alcune masserie di Matera e Guardia Perticara. Nel film Craco è un set cinematografico aperto: le sue case strette, la roccia calcarea, le stradine e gli scalini a picco, dominati da una torre normanna e da un castello del XII secolo.

Nel 1953 Alberto Lattuada con La lupa, offrì la prima manifestazione di uno stile fondato sulla produzione di Come il libro, il film esplora criticamente la società arcaica immagini dirette della realtà, usando un codice più sella Lucania percorrendo una vicenda umana, dispiegandola immediato. I Sassi, che Lattuada conobbe attraverso il libro come un’occasione di cambiamento individuale che tocca di Levi (Cristo si è fermato a Eboli) e visitò personalmente, valori e concezioni della vita e del mondo. Rosi però va oltre gli apparvero come lo scenario ideale per girare il film la visione leviana e mostra una complessa e multiforme ispirato all’omonimo romanzo di Verga, ambientato in un immagine della Basilicata. Il film attraversa le quattro paesino siciliano di fine ottocento con tratti aspri e nudi del stagioni dall’autunno alla primavera e Rosi coglie nel paesaggio che muta la ricchezza dei linguaggi diversi. paesaggio. 231

Cultural Landscapes

Fig. VI.2 - Locandina del film Cristo si è fermato ad Eboli, ambientato tra le città di Aliano, Craco e Matera. Sullo sfondo si intravede il paesaggio a calanchi che domina la bassa valle dei principali fiumi della Basilicata. Pict. VI.2 - Poster of the movie Christ Stopped at Eboli, set between the cities of Aliano, Craco and Matera. In the background it is possible to see the badland landscape overlooking the lower valley of the main rivers of Basilicata.

Fig. VI.3 - Immagine del film The Passion con lo sfondo sui Sassi di Matera. Lo scenario riconduce lo spettatore ad un paesaggio tipico della Palestina. Pict. VI.3 - Image of the film The Passion with the background on the Sassi of Matera. The set leads the viewer to a typical landscape of Palestine. 232

Paesaggio e cinema in Basilicata

Fig. VI.4 - Due immagini tratte dal film Io non ho paura, in cui è possibile osservare il paesaggio rurale estivo con distese di grano e le colline della valle dell'Ofanto e dell'area bradanica (sinistra) e dell'area del MonteVulture (destra), dove si apprezza, sullo sfondo, il profilo del vulcano estinto. Pict. VI.4 - Two images from the film "Io non ho paura", where it is possible to see the summer rural landscape with wheat fields and hills of the Ofanto valley and bradanic area (left) and the area of the Mount Vulture (right) where the background is characterized by the profile of the extinct volcano.

Fig. VI.5 - Immagine dal film Basilicata Coast to Coast, dove i protagonisti osservano la diversità e la bellezza del paesaggio, traendo ispirazione per le loro canzoni. Pict. VI.5 – Picture from the movie Basilicata Coast to Coast, where the main characters observe the diversity and beauty of the landscape, drawing inspiration for their songs. Nel 1985 e nel 2004 i Sassi sono diventati, ancora una volta, la Gerusalemme di duemila anni fa rispettivamente con King David di Beresford e con The Passion di Gibson (fig. VI.3 e 6 / pict. VI.3 and 6). Nel 1990 i fratelli Taviani per le scene del film Il sole anche di notte scelgono alcuni luoghi della campagna materana e dei Sassi per ambientarvi il meridione italiano e il ‘700. Il dopo Mel Gibson è stato un periodo di grande fermento cinematografico per i Sassi: nell’arco di un anno che va dall’estate del 2005 fino alla successiva del 2006, la magia dello scenario rupestre ha incantato altri registi. Il toscano Fabrizio Cattani, ha scelto l’immagine di paesaggio rurale dei Sassi per girarvi Il Rabdomante.

Nel 1995 la capitale del cinema lucano, nel film di Giuseppe Tornatore L’uomo delle stelle, rappresenta la Sicilia degli anni ’50. Nel 1998 Michele Placido ha girato le scene del film Del perduto amore tra Irsina, Ferrandina e Matera. L’anno successivo il critico e video-maker Fabio Segatori approda in Basilicata per realizzare il film Terra bruciata (1999). Ambientato sulla Murgia, e in alcuni paesini della Lucania, tra cui Aliano, Stigliano, Senise e la sua magnifica diga in terra battuta, mostra anche alcuni angoli interessanti della città di Matera e l’interno di alcune chiese rupestri. Nel 2002 il regista Gabriele Salvatores, incantato dal paesaggio del vulture-melfese, gira nelle campagne dorate le

233

Cultural Landscapes

Fig. VI.6 - Scena della crocifissione di Cristo, tratta dal film The Passion, sul Golgota (dall'aramaico Gûlgaltâ con il medesimo significato di "luogo del cranio"), richiamato nei tratti paesaggistici dall'altopiano calcareo di Matera (visibile sullo sfondo). Pict. VI.6 – Scene of the crucifixion of Christ (drown from the film The Passion) on the Golgotha (in Aramaic Gûlgaltâ,  with the same meaning as "place of the skull) recalled from the landscape features of the Matera limestone plateau (in the background). scene del film Io non ho paura (fig. VI.4 / pict. VI.4). Tra le spighe di grano aureo, prende vita la storia del rapimento di un bambino, ambientata tra quattro abitazioni situate una di fronte all’altra, circondate da colline gialle, infiniti spazi e un cielo sempre visibile. È la vicenda vista con gli occhi di un bambino, dove dominano i colori primari di una natura incontaminata. La zona delle Murge appare luminosissima, grazie ai riflessi del grano, grazie agli infiniti spazi e ad un cielo sempre visibile sopra le teste.

è, così, divenuta nel tempo un set senza confini che ha esaltato e decantato un paesaggio unico, multitemporale e multidimensionale.

Nel 2009 Rocco Papaleo gira in Basilicata il film Basilicata Coast to Coast (fig. VI.5 / pict. VI.5), i cui protagonisti percorrono paesini dal Tirreno allo Ionio a piedi in 10 giorni, alla scoperta di paesaggi naturali e agricoli dell’interno per ritrovare se stessi, per portare a termine un progetto artistico e di vita, folle e per questo divertente, con un Festival del teatro-canzone come meta finale. Quattro amici, quattro musicisti per hobby, attraversano l’intera regione passando da un paesino all’altro. Attraversare la Basilicata significa intraprendere un viaggio dentro il cinema, scoprire nuovi teatri di posa, con scenografie sempre diverse: dagli sfondi naturali di mari e montagne ai piccoli e grandi insediamenti urbanistici, dall’architettura rupestre ai sapori dei luoghi incontaminati, dai linguaggi diversi all’aria pura che si respira. La Basilicata 234

CAPITOLO VII PAESAGGIO TRA ARCHEOLOGIA E AMBIENTE: L’INTEGRAZIONE DELLA COMPONENTE CULTURALE NELLE SCHEDE DELLA RETE NATURA 2000 BASILICATA Annarita Sannazzaro, Stefano Del Lungo Abstract This chapter provides an analysis of the “Rete Natura 2000 Basilicata”. The research objective is to complete the information from the informative cards with the proposal for a deepening historical and archaeological providing the necessary content in the section "The Signs of Man" to understand the meaning of Cultural Landscape as a Landscape Living in History comprehensive both natural and man-made component. Keywords Cultural landscape, Archaeological heritage, Sites of Community Interest. VII.1 Caratteri e linee della ricerca Il presente lavoro si basa su un ampliamento tematico relativo alla schedatura dei siti di Rete Natura 2000, istituita ai sensi della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE per la conservazione della biodiversità e costituita da Siti di Interesse Comunitario (SIC) e da Zone di Protezione Speciale (ZPS), ai sensi della Direttiva 2009/147/CEE “Uccelli”. La Regione Basilicata contiene al suo interno cinquanta SIC e diciassette ZPS per una superficie pari al 17% dell’estensione regionale. Il programma Rete Natura 2000 in Basilicata, messo in opera dall’Ufficio Tutela della Natura del Dipartimento Ambiente, Territorio Politiche della Sostenibilità, si pone come obiettivo principale la realizzazione di misure ed interventi per lo sviluppo sostenibile su scala regionale attraverso tre fasi operative: analisi di campo, redazione di misure di tutela e conservazione, redazione di Piani di Gestione. Dal 4 al 6 aprile scorso ad Aliano (MT) è stato organizzato dalla Regione, con la partecipazione di Enea, Comunità Europea e Forum Plinianum, il Convegno Natura 2000 in Basilicata: percorsi di contaminazione tra natura, scienza, arte e cultura dei luoghi. L’incontro prevedeva una Sessione Posters suddivisa in quattro diverse sezioni (1. Rete Natura 2000 e le Regioni italiane: esperienze e risultati; 2. Scienza, Arte e Letteratura raccontano i luoghi di Rete Natura 2000; 3. I parchi e Rete Natura 2000; 4. Per un nuovo umanesimo delle aree interne: riflessioni, idee e progetti dai territori lucani). La partecipazione alla Sezione 2 (per la quale si rimanda all’indirizzo web http://natura2000basilicata.it/poster-sessione-2), con la pubblicazione del poster Cultural Landscape: dalle stipi votive alle pergamene medievali (fig. VII.1 / pict. VII.1), ha creato i presupposti per raccogliere dati informativi sull’argomento, impostare una nuova metodologia e procedere con la ricerca. In contemporanea, partecipando all’evento, si è potuto notare, passando rapidamente in

rassegna i posters di questa sezione, che non tutti gli argomenti trattati rispondevano alla tematica proposta. Nella Sezione legata all’Arte e alla Letteratura, la Scienza potrebbe risultare fuori luogo qualora si limitasse a descrivere un territorio senza fornire alcun tipo di approfondimento. Questa, dunque, avrebbe dovuto raccogliere contenuti più strettamente culturali, intendendo per ‘Cultura’ l’interazione Uomo-Ambiente nel Tempo. Infatti, la Natura in Basilicata è pregevole, ma qualunque approfondimento se ne voglia fare rimarrà incompleto, se non si tiene conto dei Lucani, veri custodi delle ragioni per cui vale realmente la pena di proteggere ogni luogo. La Natura è lo Spazio (S) che indossa il suo abito più bello. L’Uomo vi agisce e ne scandisce il Tempo (T). Insieme producono Cultura (C), che il Paesaggio (P) racchiude in sé, mostrandosi a chiunque ne sappia cogliere i caratteri e assaporarli (S x T = C > / < P). Molte delle peculiarità ambientali e naturalistiche che hanno suggerito la creazione di aree SIC sono anche l’esito di attività antropica. Senza di questa, diffusa in tutta Italia, molto di quanto apprezzato naturalisticamente, ad iniziare ad esempio dalle tartufaie appenniniche, in rapporto con la gestione collettiva dei boschi e dei pascoli, non si sarebbe avuto. Il risultato che si vorrebbe considerato in ogni SIC e ZPS, è il Paesaggio Culturale (Cultural Landscape), come valore aggiunto di importanza chiave per una più efficae e completa azione di tutela di un territorio nel quale siano state evidenziate delle peculiarità naturalistico-ambientali. L’Italia non dispone di nemmeno mezzo centimetro quadrato nel quale l’Uomo non abbia messo piede almeno una volta, si sia soffermato e, magari, sia intervenuto con qualche azione per modificarne le condizioni a proprio favore. Con questo volume il CNR-IBAM di Tito scalo (PZ) ha riunito e sperimentato competenze diverse (archeologici, storici, storici dell’arte, geologi, agronomi, ingegneri, fotografi professionisti), necessarie alla ricerca della straordinaria varietà di siti esistenti nella regione, meritevoli di essere conosciuti, indagati, tutelati e valorizzati. Il palcoscenico è la “Lucania”, che rispetto al nome di “Basilicata” inserisce la prospettiva storica e si pone nella stessa proporzione esistente tra “paesaggio” e “territorio”. L’obiettivo è arrivare a porre il Patrimonio Culturale, ad iniziare da quello archeologico, al centro di qualunque azione conoscitiva, di tutela e di valorizzazione del territorio, facendolo uscire dalle stanze dell’erudizione e della burocrazia per farne un riferimento ed un punto di forza di ogni lucano. In gioco c’è l’identità e la salvaguardia di una terra che la disponibilità di risorse strategiche (il petrolio e

 Il presente contributo è frutto della riflessione congiunta degli autori in ogni sua parte. Nello specifico però sono di A. Sannazzaro i paragrafi VII.2-4 e di S. Del Lungo il paragrafo VII.1.

235

Cultural Landscapes

Fig. VII.1 – Il poster esposto al convegno per Natura2000. Pict. VII.1 – The poster exposed to the congress of Natura2000.

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Paesaggio e tutela l’acqua, ad esempio) mette in serio pericolo, poiché gestita in maniera talvolta avventurosa e superficiale, per non dire corrotta, sorvolando sui danni di un inquinamento incontrollato, nella sicurezza che tanto, per quanto sono pochi i Lucani, nessuno protesterà. Il paesaggio lucano, in questo capitolo scisso ed evidenziato nelle componenti ambientale ed archeologica, ha nella rete di aree protette un’efficace forma di protezione. Come però evidenzia il lavoro esposto nei paragrafi seguenti, necessita di un completamento. I Segni dell’Uomo, nella dicitura romantica assunta sul modello di scheda adottato da Rete, sono solo parzialmente considerati. Riconosciutane comunque l’importanza, si è avviato in forma sperimentale il loro completamento, cercando di indirizzare l’attenzione su tutti gli elementi ricavati dalla ricerca archeologica e topografica e pertinenti alle medesime aree. I risultati ottenuti, con il corredo bibliografico, sono illustrati di seguito, ad iniziare dall’apertura del sito di riferimento. VII.2 La schedatura di Rete Natura 2000 Consultando il sito allestito per il Programma Natura 20001, è possibile esaminare varie sezioni con i relativi pulsanti, tra cui si distinguono: Tutti i SIC, Ambienti, Flora e Fauna, Ricerca Avanzata e un’area tematica dedicata ai Parchi in Basilicata. Nella sezione Tutti i SIC è presentata una cartina della Basilicata con la suddivisione in aree contrassegnate da colori: Rilievi costieri e litorali (8 siti) in blu, Colline e pianure (13 siti) in verde, Ambienti Montani (29 siti) in marrone. Accedendo all’area contenente i Siti SIC e selezionando il toponimo è possibile entrare in una pagina contenente una scheda dal titolo Carta di identità del sito, contenente le seguenti voci: Nome, Codice, Tipo, Estensione, Comune, Provincia, Habitat, Specie, Note, Descrizione, Paesaggio vivente, Flora e fauna, Segni dell’uomo e Approfondimenti. Inoltre a corredo della scheda sono inseriti la cartina, gli itinerari e la photogallery. Per quanto allo stato attuale lo studio delle aree di interesse naturalistico appaia ancora in corso, in particolar modo per l’aspetto culturale in senso lato, risulta eccessivo il numero delle informazioni incomplete e delle voci non sviluppate, se confrontato con i propositi espressi nelle pagine di apertura del sito. Per molte di queste aree, inserite in un apposito elenco, mancano la documentazione cartografica con la perimetrazione dell’area selezionata e i dati di riferimento sia puntuali sia di approfondimento. L’obiettivo, quindi, di questa ricerca è di completare l’informazione desunta dalle schede relative con la proposta di un approfondimento sul contesto storico-archeologico, che fornisca i contenuti necessari alla sezione ‘I Segni dell’Uomo’ e completi lo scopo dell’operazione di tutela promossa con questa grande iniziativa su scala europea.

1

Con questa definizione sul sito si intendono le attività dell’uomo che hanno necessariamente modificato il paesaggio, comprendendo l’uso del suolo, gli ecosistemi naturali, le attività agricole e pastorali, le colture cerealicole intensive, l’agricoltura tradizionale di tipo estensivo, le reti stradali, la presenza di nuclei di rimboschimento, i sistemi zootecnici, lo sfruttamento della risorsa forestale, solo in taluni casi si fa riferimento a presenze antropiche antiche. Premesse interessanti e stimolanti ma non rispettate nella complessità e articolazione culturale che questa espressione comporta, considerando che nelle schede pubblicate in modo completo si ripropongono contenuti a carattere prettamente naturalistico e non culturale. Per questo motivo si intende inserire nella medesima sezione un’analisi di tipo storicotopografica e archeologica, che miri alla comprensione dei segni lasciati dall’Uomo nel territorio nell’Antichità e nel corso del Medioevo, rimanendo in continuo contatto con esso e talvolta modificandolo. I siti SIC sono rappresentativi non solo delle peculiarità naturalistiche ma anche del patrimonio culturale che in varia misura vi insiste o le contestualizza. Risulta così necessario includere la componente antropica e analizzarla in una prospettiva storica affinché entrambi i patrimoni, naturalistico e culturale, possano costituire i fondamenti per comprendere la trasformazione di un ‘territorio’ in ‘paesaggio’ e progredire nell’accezione di ‘Paesaggio vivente’, comprensivo della componente antropica in senso lato, che può condurre alla definizione di Paesaggio Culturale, ossia un Paesaggio vivente nella Storia. Il metodo adottato nell’implementare i dati contenuti nelle schede è scientifico e analitico, conservando della Scheda di Natura 2000 Basilicata innanzitutto le voci di inquadramento geografico (Nome, Codice, Tipo, Comuni, Province) ma approfondendo la tematica “I Segni dell’Uomo” con l’integrazione delle seguenti voci: Definizione, Descrizione e Bibliografia di Riferimento, per offrire alla curiosità della consultazione testi di approfondimento dei principali luoghi e argomenti trattati. In tutto i siti integrabili, perché corredati almeno da una cartografia, con queste ulteriori informazioni sono sedici. VII.3 Le aree SIC in Basilicata Per completezza si fornisce in primo luogo un elenco dei siti SIC, contrassegnati dal codice di riferimento, per una facile identificazione e reperibilità, e con la specifica dei dati informativi mancanti nelle schede pubblicate via web. È necessario precisare che nella numerazione dei siti (fig. VII.2 / pict. VII.2) si è deciso di mantenere quella edita nella carta geografica consegnata ai partecipanti al Convegno (fig. VII.3 / pict. VII.3), tralasciando l’altra riscontrabile in internet (ad esempio l’area di Monte Coccovello - Monte Crivo - Monte Crive = n. 9 sulla carta e n. 22 in rete).

http://natura2000basilicata.it.

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Cultural Landscapes Sito

Codice

Dati informativi

1

Acquafredda di Maratea

IT9210015

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

2

Isola di Santo Janni e Costa Prospiciente

IT9210160

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

3

Marina di Castrocucco

IT9210155

4

Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni IT9220055

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti)

5

Costa Ionica Foce Agri

IT9220080

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

6

Costa Ionica Foce Cavone

IT9220095

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

7

Costa Ionica Foce Basento

IT9220085

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

8

Costa Ionica Foce Bradano

IT9220090

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

9

Monte Coccovello - Monte Crivo - Monte Crive

IT9210150

Studi in corso

10 Valle del Noce

IT9210265

11 Bosco Magnano

IT9210040

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Studi in corso

12 Bosco della Farneta

IT9210025

Studi in corso

13 Lago Pertusillo

IT9210143

Studi in corso

14 Murge di S. Oronzio

IT9210220

15 Valle Basento Ferrandina Scalo

IT9220255

16 Valle del Tuorno – Bosco Luceto

IT9210266

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Studi in corso

17 Lago Pantano di Pignola

IT9210142

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

18 Valle Basento Grassano Scalo - Grottole

IT9220260

19 Lago S. Giuliano e Timmari

IT9220144

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti)

20 Gravine di Matera

IT9220135

21 Grotticelle di Monticchio

IT9210140

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti)

22 Lago del Rendina

IT9210201

Studi in corso

23 Lago La Rotonda

IT9210141

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

24 Monte La Spina, Monte Zaccana

IT9210185

Studi in corso

25 Madonna del Pollino Loc. Vacuarro

IT9210145

Studi in corso

26 Serra di Crispo, Porta del Pollino e Pietra Castello

IT9210245

Studi in corso

238

Paesaggio e tutela 27 Lago Duglia, Casino Toscano e Piana di S. Francesco 28 La Falconara

IT9220075

Studi in corso

IT9210120

Studi in corso

29 Timpa delle Murge

IT9210250

Studi in corso

30 Bosco Mangarrone (Rivello)

IT9210045

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

31 Monte Sirino

IT9210200

Studi in corso

32 Monte Alpi – Malboschetto di Latronico

IT9210165

Studi in corso

33 Bosco Vaccarizzo

IT9220070

Studi in corso

34 Monte Raparo

IT9210195

Studi in corso

35 Faggeta di Moliterno

IT9210110

36 Monte della Madonna di Viggiano

IT9210180

Scheda completa (mancano la Flora, la Fauna e gli Approfondimenti) Studi in corso

37 Monte Volturino

IT9210205

Studi in corso

38 Monte Caldarosa

IT9210170

Studi in corso

39 Abetina di Laurenzana

IT9210005

Scheda completa (mancano Approfondimenti)

40 Serra di Calvello

IT9210240

Studi in corso

41 Bosco di Montepiano

IT9220030

42 Faggeta di Monte Pierfaone

IT9210115

Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti)

43 Bosco di Rifreddo

IT9210035

44 Dolomiti di Pietrapertosa

IT9210105

45 Foresta Gallipoli – Cognato

IT9220130

46 Monte Li Foi

IT9210215

47 Bosco Cupolicchio

IT9210020

48 Abetina di Ruoti

IT9210010

49 Monte Paratiello

IT9210190

50 Monte Vulture

IT9210210

Fig. VII.2 – L’elenco delle aree SIC di Rete Natura2000 Basilicata. Pict. VII.2 – The list of SIC areas into the Rete Natura2000 Basilicata.

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Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito Scheda completa (mancano Approfondimenti) Cartina non disponibile sul sito

Cultural Landscapes

Fig. VII.3 – La carta delle aree SIC di Rete Natura2000 Basilicata. Pict. VII.3 – The map of SIC areas into the Rete Natura2000 Basilicata.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.4 – Cartina dell’area SIC Acquafredda di Maratea. Pict. VII.4 – Map of SIC area Acquafredda di Maratea. VII.4 Le schede SIC

Strutture abitative e commerciali databili all’epoca romana in località Capo La Secca. Villa maritima con peschiera, composta da due vani, l’uno rettangolare e l’altro quadrato, inseriti in strutture preesistenti (seconda metà del I sec. a.C.IV sec. d.C.). Sei torri costiere, tra le quali la Torre di Acquafredda mal conservata perché riutilizzata in età moderna come cava di mattoni. Ruderi di un castello in località Castroccucco (porta d’accesso, bastioni e alcuni tratti delle mura), abbandonato nel XVII secolo. Nelle vicinanze necropoli di IV secolo a.C.

VII.4.1 SIC delle Coste e dei Rilievi Tirrenici 1. Acquafredda di Maratea (fig. VII.4 / pict. VII.4) (Sito n. 1; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210015 Tipo B Comune/i Maratea Provincia Potenza Segni dell’Uomo: - Definizione Tracce di frequentazione in Grotte Strutture commerciali e villa di epoca romana Torri costiere Castello Necropoli - Descrizione Tracce di frequentazione nelle grotte costiere “Antro” e “Grotta occidentale” di Fiumicello (industria litica e resti di fauna pleistocenica).

Bibliografia di riferimento Bottini, P. 1985, Recupero di ceppi d’ancora a Maratea, in Archeologia Subacquea 2: Isole Eolie, in BdA, pp. 149-150. Bottini, P. 1996, Maratea: dall’Età del Bronzo a quella Romana, in Basilicata Regione Notizie, 2-3, pp. 151-152. Bottini, P., Freschi, A., De Magistris, E. 1984, Archeologia subacquea a Maratea: Catalogo della mostra, Matera. Bottini, P., Freschi, A. 1993, Sulla rotta della Venus: storie di navi, commerci e ancore perdute. Catalogo della Mostra Maratea 1991, Taranto.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.5 – Cartina dell’area SIC Isola di Santo Janni e Costa Prospiciente. Pict. VII.5 – Map of SIC area Isola di Santo Janni e Costa Prospiciente. 2. Isola di Santo Janni e Costa Prospiciente (fig. VII.5 / pict. VII.5) (Sito n. 2; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210160 Tipo B Comune/i Maratea Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Tracce di frequentazione in Grotte Insediamento eneolitico Insediamento e impianto produttivo Strutture per la produzione di garum Giacimento di ancore - Descrizione Tracce di frequentazione in grotte databili al Paleolitico Medio. Insediamento dell’Eneolitico sul promontorio costiero di Capo La Timpa. Insediamento di capanne con pavimento in ciottoli e focolare centrale databile alla Cultura Appenninica. La località presenta una continuità di vita dal XV al III secolo a.C.

Utensili in ossidiana nelle frazioni Massa e Brefaro che testimoniano scambi commerciali con le Isole Eolie. Insediamento rurale e impianto artigianale di IV secolo a.C. per la produzione ceramica e laterizia in località Massa. Strutture per la produzione di garum a Santo Janni con sette vasche in cocciopesto sul pendio sud, utilizzo delle cavità della scogliera al livello del mare e costruzione di setti murari e paratie in legno (cetariae: vasche-vivaio). Nei fondali a Nord rinvenimento del più grande giacimento di ancore del Mediterraneo e numerose anfore che testimoniano i traffici commerciali con la Spagna e l’Africa. Bibliografia di riferimento Bottini, P. 1985, Recupero di ceppi d’ancora a Maratea, in Archeologia Subacquea 2: Isole Eolie, in BdA, pp. 149-150. Bottini, P. 1996, Maratea: dall’Età del Bronzo a quella Romana, in Basilicata Regione Notizie, 2-3, pp. 151-152. Bottini, P., Freschi, A., De Magistris, E. 1984, Archeologia subacquea a Maratea: Catalogo della mostra, Matera. Bottini, P., Freschi, A. 1993, Sulla rotta della Venus: storie di navi, commerci e ancore perdute. Catalogo della Mostra Maratea 1991, Taranto.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.6 – Cartina dell’area SIC Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni. Pict. VII.6 – Map of SIC area Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni. 3. Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni (figg. VII.6-7 / pict. VII.6-7) (Sito n. 4; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220080 Tipo B Comune/i Policoro, Rotondella Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Colonia greca - Descrizione Colonia greca di Siris (VII secolo a.C.) ubicata sul versante meridionale della Collina del Barone a Policoro. Tra la I e la III e tra la IV e la V insula strutture arcaiche con pavimentazione in argilla e alzato in mattoni crudi, annessa fornace, con ad O nuclei di sepolture. Sul limite N della punta orientale della collina muro di difesa in mattoni crudi.

Edificio templare lungo il declivio meridionale della collina con ex voto databili alla piena età arcaica. Necropoli in località Schirone sul lato sud-occidentale dell’abitato antico con 60 sepolture, e in contrada Madonnelle sul versante O della collina con circa 450 sepolture (fine dell’VIII e i primi decenni del VI secolo a.C.). Bibliografia di riferimento Adamesteanu, D. 1971, Greci e indigeni nell’agro di Heraclea (Policoro), in RAL, S. VIII, XXVI, pp. 643-651. Adamesteanu, D. 1981, Siris. Il problema topografico, in Atti Taranto XX, 1980, Napoli, pp. 61-93. Adamesteanu, D. 1984, Siris e Metaponto alla luce delle nuove scoperte archeologiche, in ASAtene, 60, pp. 301-313. Adamesteanu, D. 1985, Siris, in Bianco, S., Tagliente, M. (a cura di), Il Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro. Archeologia della Basilicata meridionale, Bari, pp. 57-64. Adamesteanu, D., Dilthey, H. 1978, Siris. Nuovi contributi archeologici, in MEFRA, 90, pp. 515-565.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.7 – La Siritide. Pict. VII.7 – The Siritide. Antonelli, L. 1998, Ancora su Siris “città simile a Troia”. Origine e sviluppo di un motivo propagandistico, in Hesperìa 14, pp. 41-57. Beloch, J. 1894, Siris, in Hermes, XXIX, pp. 604-610. Berlingò, I. 1980, La necropoli di Siris in contrada Madonnelle, in Atti Taranto XIX, 1979, Taranto, pp. 412415. Berlingò, I. 1981, Policoro (Matera). Contrada Madonnelle, in StEtr, XLIX, pp. 485-487. Berlingò, I. 1993, La necropoli di Siris, in BA, XXII, pp. 1121. Bianco, S. 2001, La chora di Siris-Herakleia, in Atti Taranto XL, Taranto, pp. 808-812. Cozzoli, U. 1968, Siris, in MGR, II, pp. 291-294. Denti, M. 2002, Linguaggio figurativo e identità culturale nelle più antiche comunità greche della Siritide e del Metapontino, in Moscati Castelnuovo, L. (a cura di), Identità e prassi storica nel Mediterraneo greco, Milano, pp. 33-61. Galli, E., Bracco, E. 1936, Policoro. Scoperte ed accertamenti archeologi nell’agro di Heraclea, in NSc, pp. 143-155. Guzzo, P.G. 1989, Ipotesi sulla forma archeologica di Siris, in Studi su Siris-Eraclea, Roma, pp. 37-47. Lacava, M. 1889, Del sito dell’antica Siri, dagli avanzi delle sue terme di Cersosimo Vetere, Serra Maiori ed altri luoghi antichi (Da scavi eseguiti nel 1888), Potenza, pp. 3-20. Lombardo, M. 1983, Polieion e il Basento: tradizioni etimologiche e scoperte archeologiche, in Attività archeologica in Basilicata. Studi in onore di Dinu Adamesteanu, Galatina, pp. 59-75. Lombrugo, C. 2005, Siris, in BTCG, Pisa-Roma, pp. 387-424. Moscati Castelnuovo, L. 1989, Siris. Tradizione storiografica e monumenti della storia di una città della Magna Grecia, in Atti Taranto XXVIII, 1988, Taranto, pp. 53-84. Nuraghi, N. 1990, La fondazione di Siris ionica: problemi di cronologia, in Hesperìa 1, pp. 9-17.

Muggia, A. 2001, s.v. Siris, in Der Neue Pauly, XI, pp. 594595. Neutsch, B. 1968, Siris e Eraclea. Nuovi scavi e ritrovamenti archeologici di Policoro, in QUCC, V, pp. 187-24. Orlandini, P. 1981, L’espansione di Siris tra l’Agri e il Basento, in Atti Taranto XX, 1980, Taranto, pp. 211-221. Orlandini, P. 1981, Il problema dell’espansione di Siris, in Magna Grecia, XVI, 5-6, pp. 5-7. Orlandini, P. 1999, La colonizzazione ionica della Siritide, in Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 197-210. Osanna M. 1989, Il problema topografico e toponomastico di Siris-Polieion, in Studi su Siris-Eraclea, Roma, pp. 75-84. Pais E. 1906, Le origini di Siris d’Italia, in RAAN, XX, pp. 111-118. Pianu, G. 2000, Note sul problema della localizzazione di Siris, in Multas per gentes. Studi in memoria di Enzo Cadoni, Sassari, pp. 279-288. Pugliese Caratelli, G. 1999, Siris e Metaponto, Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 183-196. Quilici, L. 1967, Siris-Heraclea, Roma. Sacchi, C. 1990, Problemi della Siritide e del Metapontino tra VIII e VII secolo, in PP, XLV, pp. 135-160. Siritide e Metapontino. Storie di due territori coloniali, Atti Convegno Policoro 1991, Napoli 1998. Tagliente, M. 1986, Nuclei di abitato arcaico nel territorio di Policoro, in I Greci sul Basento. Mostra degli scavi archeologici all’Incoronata di Metaponto 1971-1984, Como, pp. 193-198. Tocco Sciarelli, G. 1981, L’espansione di Siris tra l’Agri e il Sinni, in Atti Taranto XX, 1980, Taranto, pp. 223-235. Tocco Sciarelli, G. 1981, La penetrazione di Siris, in Magna Grecia, XVI, , pp. 22-23. Viola, L. 1990, Anhang: un tetto fittile arcaico di Siris, in Hesperìa, LIX, , pp. 249-250.

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Fig. VII.8 – Cartina dell’area SIC Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Agri. Pict. VII.8 – Map of SIC area Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Agri 4. Costa Ionica, Foce Agri (fig. VII.8-9/ pict. VII.8-9)

Presenza di strutture sacre (Tempio di Atena, santuario di Demetra) nella parte bassa, acropoli con impianto urbano regolare caratterizzato da assi stradali ortogonali e quartieri abitativi composti da abitazioni ed annesse fornaci. Zone di necropoli sul lato occidentale dell’abitato: nelle vicinanze dell’angolo settentrionale (contrada Madonnelle) e meridionale (Contrada Schirone) della fortificazione.

Nome (Sito n. 5; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220055 Tipo C Comune/i Policoro, Scanzano Jonico Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Colonia greca - Descrizione Colonia greca di Herakleia (V secolo a.C.) suddivisa in tre diverse aree corrispondenti alla Collina del Castello, la vallata mediana e la terrazza meridionale che sfruttarono le diversità orografiche della zona.

Bibliografia di riferimento Adamesteanu, D. 1967, L’acropoli di Eraclea. Appunti di fotointerpretazione archeologica, in Neutsch, B., Archäologische Forschungen in Lukanien. II. Herakleiastudien, in MDAI(R), Suppl. XI, pp. 96-99. Adamesteanu, D. 1969, Siris-Heraclea. Scavi, ricerche e

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Fig. VII.9 – Policoro (Matera): l’ambiente retrodunale prossimo alla colonia greca. Pict. VII.9 – Policoro (Matera): the environment before the sandy dunes, near the greek colony. considerazioni storico-topografiche, in Policoro 1959-1969: dieci anni di autonomia comunale, Matino, pp. 197-241. Adamesteanu, D. 1974, La Basilicata antica. Storia e monumenti, Cava dei Tirreni, pp. 12-15, 93-119, 120-128. Adamesteanu, D. 1977, L’antico aspetto del terreno delle colonie di Metaponto, Heraclea, Sybaris e di altri centri indigeni della Lucania, in Thèmes de recherches sur les villes antiques d’Occident, Atti del colloquio di Strasburgo 1971, Paris, pp. 347-377. Adamesteanu, D. 1985, Heraclea, in Bianco S., Tagliente M. (a cura di), Il Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro. Archeologia della Basilicata meridionale, Bari, pp. 93-102. Adamesteanu, D. 1986, Heraclea Lucaniae: problemi urbanistici, in ActaALov, 25, pp. 3-10. Giardino, L. 1976, Il periodo post-annibalico a Heraclea, in Atti Taranto XV, 1975, Napoli, pp. 549-560. Haensel, B. 1973, Policoro (Matera). Scavi eseguiti nell’area dell’acropoli di Eraclea negli anni 1965-67, in NSc, pp. 400492. Giardino, L. 1990, Heraclea, necropoli meridionale. Le sepolture di II e I sec. a.C., in Emergenze e problemi archeologici. Manduria-Taranto-Heraclea, Manduria, pp. 73-125. Fraschetti, A. 1969, Sulla fine di Siri d’Italia, in PP, XXIV, pp. 45-47.

Giardino, L. 1998, Herakleia (Policoro). Contesti e materiali arcaici dal settore occidentale della Collina del Castello, in Siritide e Metapontino. Storie di due territori coloniali, Atti del Convegno Policoro 1991, Napoli, pp. 171-207. Giardino, L. 1992, Policoro e la sua chora, in de Lachenal L. (a cura di), Da Leukania a Lucania. La Lucania centroorientale fra Pirro e i Giulio-Claudii, Catalogo della Mostra Venosa 1992, Roma, pp. 151-185. Giardino L. 1996, Architettura domestica a Herakleia. Considerazioni preliminari, in D’Andria, F., Mannino, K. (a cura di), Ricerche sulla casa in Magna Grecia e Sicilia, Atti del Colloquio Lecce 1992, Galatina, pp. 133-159. Giardino, L. 1996, L’urbanistica di Herakleia. Una nuova proposta di lettura, in Otto, B. (a cura di), Herakleia in Lukanien und das Quellheiligtum der Demeter, Innsbruck, pp. 62-69. Giardino, L. 1996, Herakleia, in Lippolis, E. (a cura di), I Greci in Occidente. Arte e artigianato in Magna Grecia, Napoli, pp. 35-43. Giardino, L. 1999, Herakleia: città e territorio, in Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 295-337. Pianu, G. 1986, Policoro, santuario di Demetra- Campagna di scavo 1985, in Atti Taranto XXV, 1985, Taranto, pp. 472474. Pianu, G. 1989, Scavi al santuario di Demetra a Policoro, in Studi su Siris-Eraclea, Roma, pp. 95-112.

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Fig. VII.10 – Cartina dell’area SIC Costa Ionica Foce Cavone. Pict. VII.10 – Map of SIC area Costa Ionica Foce Cavone 5. Costa Ionica, Foce Cavone (fig. VII.10 / pict. VII.10) (Sito n. 6; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220095 Tipo B Comune/i Pisticci, Scanzano Ionico Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Fosse dell’età del Bronzo Villa romana - Descrizione Infossamenti e cavità troncoconiche, distribuite su tutto il pianoro di Termitito con funzione di silos interrati o di vani per l’alloggiamento di fornelli. Grande fossa A/80 (4 m di profondità) nello spigolo nord-occidentale, ricavata artificialmente nel deposito marino di base. Impianto rustico di età repubblicana nella stessa località (estensione di 3.000 mq) articolato secondo una partizione in settori funzionali: intorno al grande cortile centrale si distribuiscono la parte residenziale (a E), un grande magazzino (a N), il settore produttivo (a O) e gli ambienti di servizio (a S).

Bibliografia di riferimento Bianco, S., De Siena, A. 1981, Termitito. Scavi e scoperte, in StEtr XLIX, pp. 492-493. Bianco, S. 1986, Aspetti delle età del Bronzo e del Ferro sulla costa ionica della Basilicata, in Siris-Polieion, pp. 1725. De Siena, A. 1982, Termitito (Montalbano Ionico, Matera), in Atti Taranto XXIII, Taranto, pp. 69-96. De Siena, A. 1984, Termitito, in Marrazzi, M., Tusa, S., Vagnetti, L., Traffici micenei nel Mediterraneo, Atti Convegno Palermo, pp. 41-48. De Siena, A. 1986, Termitito e S. Vito di Pisticci: dati archeologici e problemi interpretativi, in Siris-Polieion. Fonti letterarie e nuova documentazione archeologica. Incontro di studi (Policoro 1984), Galatina, pp. 27-34. De Siena, A. 1995, Termitito (Scanzano Ionico, Matera), in Guida Archeologica Puglia e Basilicata, in A.B.A.C.O., Forlì, pp. 223-224.

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Fig. VII.11 – Cartina dell’area SIC Costa Ionica Foce Basento. Pict. VII.11 – Map of SIC area Costa Ionica Foce Basento De Siena, A., Giardino, L. 2001, Trasformazioni delle aree urbane e del paesaggio agrario in età romana nella Basilicata sud orientale, in Lo Cascio, E., Storchi Marino, A. (a cura di), Modalità insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana, Bari, pp. 153-157. Nava, M.L. 1998, L’attività archeologica in Basilicata nel 1998, in Atti Taranto XXXVIII, Taranto 1997, Napoli, pp. 722-723. 6. Costa Ionica, Foce Basento (fig. VII.11 / pict. VII.11) (Sito n. 7; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220085 Tipo B Comune/i Pisticci, Bernalda Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Tomba in lastroni di carparo Fornace

- Descrizione Tomba, in località Torretta San Basilio, del tipo a cassa di lastroni di carparo, intonacati di bianco e recanti in alto una decorazione fitomorfa, con corredo funebre composto da un alabastron, una pisside cilindrica in marmo e una statuetta in calcare rappresentante Elena nascente dall’uovo (V secolo a.C.). Fornace a pianta rettangolare con due larghi praefurnia individuata in una cavità artificiale della stessa località (VI-V secolo a.C.). Terrecotte arcaiche e frammenti di statuette votive legate ad un culto agreste di divinità femminile, probabilmente Artemis in località Masseria Gallotta (VI secolo a.C.). Bibliografia di riferimento Bottini, A. 1988, Elena in Occidente. Una tomba della chora di Metaponto, in BA, LXXIII, pp. 1-18. Bottini, A. 1992, Archeologia della salvezza. L’escatologia greca nelle testimonianze archeologiche, Milano. Lo Porto, F.G. 1992, Metaponto (Matera). Rinvenimenti nella città antica e nel suo retroterra ellenizzato, in NSc, XLIIXLIII, 1988-89, pp. 299-441.

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Fig. VII.12 – Cartina dell’area SIC Costa Ionica Foce Bradano. Pict. VII.12 – Map of SIC area Costa Ionica Foce Bradano 7. Costa Ionica, Foce Bradano (fig. VII.12-14 / pict. VII.1214) (Sito n. 8; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220090 Tipo C Comune/i Bernalda Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Colonia greca - Descrizione Colonia greca di Metaponto (VII secolo a.C.) contrassegnata da una cinta muraria con fondazioni in pietra, un impianto regolare con assi stradali perpendicolari, platèiai (larghe fino a 15 m) e stenopòi (dai due ai 5 metri; disposti ad intervalli di 35 m l’uno dall’altro), da quartieri residenziali e artigianali, dalla architettura monumentale degli spazi pubblici.

Tra questi si distinguono gli edifici assembleari ubicati nell’agorà e i templi nel santuario urbano. Ai margini dell’agorà è un edificio per riunioni politiche (ekklesiastèrion), sostituito nel corso del IV secolo a.C da un teatro, e sul limite orientale della grande piazza è una doppia stoà. La zona viene utilizzata in epoca romana come castrum. Il santuario urbano è composto dal Tempio C, sacro ad Atena (fine VII secolo a.C- V secolo a.C.), tempio A ad Hera, tempio B ad Apollo, entrambi in stile dorico (metà del VI secolo a.C.) e orientati secondo la principale arteria stradale (Plateia A), tempio ionico D, ad Artemis (V secolo a.C.). Davanti ai templi si sviluppavano gli altari, accompagnati da numerose basi, iscrizioni ed oggetti votivi e il sacello E, dedicato, con ogni probabilità, al culto di Dioniso (III e il II secolo a.C).

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Fig. VII.13 – Metaponto (Bernalda, MT): la pianura della colonia greca. Pict. VII.13 – Metaponto (Bernalda, MT): the plain of the greek colony.

Fig. VII.14 – Metaponto (Bernalda, MT): un canale di drenaggio taglia strutture della colonia greca. Pict. VII.14 – Metaponto (Bernalda, MT): a drainageway cut buildings of the greek colony. Paesaggio e tutela

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Bibliografia di riferimento Adamesteanu, D. 1965, Metaponto (Matera). Appunti fotointerpretativi, in Nsc, Suppl., pp. 179-184. Adamesteanu, D. 1973, Metaponto, Napoli. Adamesteanu, D. 1979, Problèmes de la zone archéologique de Metaponto, in RA, 34, pp. 3-38. Adamesteanu, D. 1974, Problemi topografici ed urbanistici metapontini, in Atti Taranto XIII, 1973, Napoli, pp. 153-186. Adamesteanu, D. 1976, Santuari metapontino, in Nue Forschungen in griechischen Heiligtümern, Tübingen, pp. 151-166. Adamesteanu, D., Mertens, D., De Siena, A. 1975, Metaponto. Santuario di Apollo, tempio D (tempio ionico). Rapporto preliminare, in BA, 60, pp. 26-49. Bérard, J. 1936, Appunti su Metaponto e Lagaria, 2. Il tempio delle Tavole Palatine a Metaponto, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, VI, pp. 333-335. De Petra, G. 1896, Il gheison nel tempio di Apollo Lycio a Metaponto, in Atti Accademia Napoli, XVII. De Luynes, Debacq, F.J. 1883, Mètaponte, Paris. De Siena, A. 1979, Scavo del Teatro-Ekklesiasterion di Metaponto, in Atti Taranto XVIII, 1978, Napoli, pp. 357-366. De Siena, A. 1980, Note stratigrafiche sul santuario di Apollo Licio a Metaponto, in Attività archeologica in Basilicata 1964-1977. Scritti in onore di Dinu Adamesteanu, Matera, pp. 83-108. De Siena, A. 1990, Il castro romano di Metaponto, in Salvatore, M. (a cura di), Basilicata. L’espansionismo romano nel Sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del Convegno Venosa 1987, Venosa (PZ), pp. 301-314. De Siena, A. 1996, Metapontino: strutture abitative ed organizzazione territoriale prima della fondazione della colonia achea, in D’Andria, F., Mannino, K. (a cura di), Ricerche sulla casa in Magna Grecia e Sicilia, Atti del Colloquio Lecce 1992, Galatina, pp. 161-195. De Siena, A. 1999, La colonizzazione achea del Metapontino, in Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 211-246. De Siena, A., Giardino, L. 1994, Herakleia e Metaponto. Trasformazioni urbanistiche e produzione agricola tra tarda repubblica e primo impero: i nuovi dati archeologici, in Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des débuts de la Rèpublique jusqu’au Haut Empire, Atti del colloquio internazionale Napoli 1991, Napoli-Roma, pp. 197211. Giardino, L. 1978, Metaponto 1977, la campagna di scavo nel Castrum, in Atti Taranto XVII, 1977, Napoli, pp. 413429. Giardino, L. 1982, Metaponto tardo-imperiale e Turiostu: proposte di identificazione in margine ad un miliario di Giuliano l’Apostata, in StAnt, 4, pp. 155-173. Giardino, L. 1991, Grumentum e Metaponto. Due esempi di passaggio dal tardoantico all’alto medioevo in Basilicata, in MEFRA, 103, 2, pp. 827-858. Lacava, M. 1891, Topografia e storia di Metaponto, Napoli. Mertens, D. 1974, Metaponto. L’Architettura, in Atti Taranto XIII, 1973, Napoli, pp. 187-235. Mertens, D. 1976, Zur archaischen Architektur der arcäischen Kolonien in Unteritalien, in Nue Forschungen in griechischen Heiligtümern, Tübingen, pp. 167-196. Mertens, D. 1979, Der ioniche Tempel von Metapont: ein Zwischenbericht, in RM, 86, pp. 103-139.

Mertens, D. 1985, Metapont. Ein neuer Plan des Stadtzentrums. Ein Kurzbericht über die Arbeiten des DAI Rom im Rahmen der gemeinsam mit der Soprintendenz der Basilicata durchgeführten Ausgrabung, in AA, pp. 645-671. Mertens, D. 1999, Metaponto: l’evoluzione del centro urbano, in Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 247-294. Mertens, D., De Siena, A. 1982, Metaponto. Il teatroekklesiasterion, in BA, 67, 16, pp. 167-196. Metaponto I 1975: Adamesteanu, D., Mertens, D., D’Andria, F., in NSc XXIX, 1975, Suppl. (1980). Metaponto II 1983: Autori vari in NSc XXXI I, Suppl. (1983). Schmiedt, G., Chevallier, R. 1959, Caulonia e Metaponto. Applicazioni della fotografia area in ricerche di topografia antica nella Magna Grecia, in L’Universo, XXXIX, II parte, fasc. 5 (Metaponto), pp. 993-1032. Sestieri, P.C. 1940, Metaponto. Campagna di scavi (marzoaprile 1939), in NSc, VII, 1, pp. 51-122. VII.4.2 SIC delle Colline e del Fondovalle 1. Lago Pantano di Pignola (figg. VII.15-16 / pict. VII.1516) (Sito n. 17; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210142 Tipo C Comune/i Pignola Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Villa romana Insediamento fortificato - Descrizione Resti di villa romana (muri in opus incertum con mattoni marchiati HELENI, OSID e HVB, tracce di acquedotto, frammenti di dolia, ceramica aretina e monete databili all'età di Caligola e Nerone) di probabile proprietà imperiale in località Le Tegole. Due lapidi di calcare, con iscrizioni latine a Castelglorioso (Abriola), in prossimità dell’abitato medievale. Resti di un grande rialzo ellittico circondato da fossa e argine (lungh. asse magg. 102,50 m.; asse min. 71,50 m.) con all’interno numerosi frammenti ceramici a Tito Vecchio. Bibliografia di riferimento Di Cicco, V., Pignola di Basilicata. Scoperta di un «pago» dell’età romana, in NSc, pp. 443-444. Di Cicco, V. 1897, XXII. Tito – Avanzi di recinto antichissimo a scarpata, esistenti a , in NSc, pp. 184-185. Fiorelli, G. 1883, Pignola, in NSc, pp. 378-379. Small, A.M. 1999, L’occupazione del territorio in età romana, in Storia della Basilicata, a cura di De Rosa, G., Cestaro A., I. L’Antichità, a cura di Adamesteanu D., Bari, pp. 559-600.

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Fig. VII.15 – Cartina dell’area SIC Lago Pantano di Pignola. Pict. VII.15 – Map of SIC area Lago Pantano di Pignola.

Fig. VII.16 – Castel Glorioso (Abriola, PZ): la collina del castello. Pict. VII.16 – Castel Glorioso (Abriola, PZ): hill of the castle.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.17 – Cartina dell’area SIC Lago S. Giuliano e Timmari. Pict. VII.17 – Map of SIC Lago S. Giuliano e Timmari 2. Lago di S. Giuliano e Timmari (figg. VII.17-18 / pict. VII.17-18) (Sito n. 19; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9220144 Tipo C Comune/i Matera, Miglionico, Grottole Provincia Matera Segni dell’Uomo - Definizione Necropoli Edificio ellenistico Insediamento Aree di frammenti Santuario

- Descrizione Necropoli sulle pendici nord-occidentali del Monte Timbro databile alla facies culturale proto-villanoviana; sulla sommità del Monte tracce di uno stanziamento preistorico. Necropoli del VII-IV secolo a.C. sui pianori Camposanto e Montagnola; in quest’ultima località edificio di età ellenistica, composto da cinque ambienti. Insediamento di età arcaica sul pianoro di San Salvatore e riutilizzo dell’area, insieme a località Camposanto, per un insediamento fortificato di IV secolo a.C. Frammenti eneolitici, tomba arcaica a sarcofago e focolare in località Lama Campana. Stipe votiva di IV-III secolo a.C. (statuette tanagrine, busti femminili, ex voto dedicati alle divinità Demetra e Kore), strutture murarie ed edificio quadrato appartenenti al santuario in località Lamia San Francesco.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.18 – Lamia S. Francesco (Timmari, MT): la collina dell’antico santuario. Pict. VII.18 – Lamia S. Francesco (Timmari, MT): the hill of ancient sanctuary. Bibliografia di riferimento Adamesteanu, D. 1966, La documentazione archeologica in Lucania, in Atti Taranto IV, Napoli, pp. 134-136. Adamesteanu, D. 1971, Timmari, in Popoli anellenici della Basilicata, Catalogo della Mostra, Napoli, pp. 39-44. Barra Incardona, A. 1976, Timmari. L’abitato. Timmari. La necropoli, in Il Museo Nazionale D. Ridola di Matera, Matera, pp. 92-96. Bianco, S., Orlando, A.M. 1995, A proposito di un dolio del tipo 'cordonato' di Timmari, in SAL, VIII, , pp. 171-181. Bracco, E. 1935-1936,Una tazza di Timmari, in Bollettino dell’Associazione Internazionale di Studi Mediterranei, VI, 16, pp. 47-50. Bracco, E., 1950Timmari. Tombe dei bassi tempi, in NSc, pp. 179-181. Canosa, M.G. 2005, La Tomba n. 33 di Timmari, in La céramique apulienne bilan e perspectives, Actes de la table ronde, Naples 2000, Naples, pp. 77-87. Canosa, M.G. 2007, Una tomba principesca da Timmari, Roma. Carter, J.C. 1996, Timmari, its Necropoleis and Votive Deposits, in JRA, XI, pp. 321-323. Demetrio, R. 1994, Necropoli e abitato di Timmari, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera e della Sezione Materana della Deputazione di Storia Patria per la Lucania, XV, 23-24, pp. 53-68. Frisone, F., Cristofaro, F. 2011, s.v. Timmari, in BTCG, PisaRoma-Napoli, pp. 582-604. Lattanzi, E. 1974, Scavi a Timmari, Potenza, Tolve, in Atti Taranto XIII, 1973, Taranto, pp. 269-275.

Lattanzi, E. 1976, Timmari-Necropoli arcaiche. TimmariNecropoli di età classica. La Stipe votiva di Timmari, in Il Museo Nazionale D. Ridola di Matera, Matera, pp. 122-126. Lattanzi, E. 1980, L’insediamento indigeno di San SalvatoreTimmari (Matera), in Attività archeologica in Basilicata 1964-1977. Scritti in onore di Dinu Adamesteanu, Matera, pp. 239-272. Laviano, R., Muntoni, M.L., Canosa, M.G. 2006, Tecnologie di manifattura di alcune ceramiche a figure rosse dalla Tomba 33 di Timmari (Mt), in Atti del Convegno dell’Associazione Nazionale di Archeometria, Caserta 2005, Bologna, pp. 229-242. Lo Porto, F.G. 1991, Timmari. L’Abitato, le Necropoli, la Stipe Votiva, Roma. Lo Porto, F.G. 1998, Il santuario di Timmari, in Nava M.L. (a cura di), Il sacro e l’acqua. Culti indigeni in Basilicata, Catalogo della Mostra, Roma, pp. 19-25. Lo Porto, F.G. 2003, Il santuario di Timmari, in Le sacre acque. Sorgenti e luoghi del rito nella Basilicata antica, Lavello (PZ). Osanna, M. 2010, Greci e indigeni nei santuari della Magna Grecia. I casi di Timmari e Garaguso, in Grecs et indigènes de la Catalogne à la Mer Noire. Actes des rencontres du programme europèen Ramses (2006-2008), ed. par. H. Tréziny, Paris, pp. 605-611. Quagliati, Q. 1997, Le scoperte di Domenico Ridola su Timmari: epistolario Quagliati, Matera.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.19 – Cartina dell’area SIC Grotticelle di Monticchio. Pict. VII.19 – Map of SIC Grotticelle di Monticchio Siciliano, A., 1978, Tesoretto monetale della stipe votiva di Timmari, in AnnIstItNum, XXV, pp. 45-73. Togninelli, P. 2004, La necropoli arcaica in località San Salvatore di Timmari, in Siris, V, pp. 69-157. 3. Grotticelle di Monticchio (fig. VII.19 / pict. VII.19) (Sito n. 21; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210140 Tipo B Comune/i Rionero in Vulture, Atella Provincia Potenza

- Descrizione Ruderi di un castello normanno (tre ambienti a pianta pseudoquadrata e una cisterna con pareti in conci non squadrati e legati da malta biancastra) in località San Vito di Monticchio Sgarroni, abbandonato nel corso del XIV secolo. Una struttura emergente conserva un arco acuto ghierato del XIII secolo. Bibliografia di riferimento Palestina, C. 2006, Monticchio. Il Cenobio, la Badia, il Convento, Potenza, p. 79. Rescio, P. 2003, Basilicata. Terra di castelli, Napoli, pp. 220-223.

Segni dell’Uomo - Definizione Castello normanno

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Cultural Landscapes

Fig. VII.20 – Cartina dell’area SIC Lago La Rotonda. Pict. VII.20 – Map of SIC Lago La Rotonda VII.4.3 SIC delle Montagne e dei Complessi Vulcanici 1. Lago La Rotonda (fig. VII.20 / pict. VII.20) (Sito n. 23; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210141 Tipo B Comune/i Lauria Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Ruderi del castello Chiesetta d’età tardo-bizantina

- Descrizione Torre edificata dai Saraceni e sostituita dal castello dell’ammiraglio aragonese Ruggiero di Lauria (XII-XIV secolo). Rovine della Chiesetta, detta Madonna di Crocicedda, in località Serra Rotonda. Orientata in senso est-ovest, l’edificio di culto doveva presentare in origine forma quadrata (4,8 m di lato) con setti murari in pietrame e calce biancastra. Tutt’intorno correva un recinto in pietrame a secco. Bibliografia di riferimento Boccia, A. 1993, Lauria tra leggende e realtà, Lauria (PZ). Boccia, A., Petraglia, G. 2009, Il castello di Lauria: elementi per la storia ed il recupero, Lauria (PZ). Quilici, L., Quilici Gigli, S. 2003, Carta archeologica della Valle del Sinni, Sito 906, Vol. 7, Roma, pp. 217-219.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.21 – Cartina dell’area SIC Bosco Mangarrone. Pict. VII.21 – Map of SIC Bosco Mangarrone 2. Bosco Mangarrone (Rivello) (fig. VII.21 / pict. VII.21) (Sito n. 30; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210045 Tipo C Comune/i Rivello Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Santuario Insediamento Necropoli - Descrizione Fortificazione in località Serra la Città (zoccolo in pietra, doppio paramento in blocchi squadrati con emplecton in scaglie di pietra) che racchiude un’area di 6,6 ettari ad una

quota media di 420 m s.l.m. (IV secolo a.C.). Alle pendici occidentali tracce di un abitato costituito da edifici con piccoli ambienti (IV secolo a.C.). Tre aree di necropoli al di fuori del circuito murario dell’acropoli (VI-IV secolo a.C.). Necropoli ed abitato di età ellenistica ad oriente di Serra la Città, in località Mascalcia. Necropoli di età ellenistica e santuario (seconda metà del VI-III a.C.) dedicato ad una divinità femminile al di sotto delle pendici sud-occidentali di Serra la Città, in località Colla. Abitato di età ellenistica con carattere produttivo in località Filoto. Bibliografia di riferimento Bottini, P. 1984, Rivello, in StEtr, LII, pp. 481-482. Bottini, P. 1985, Rinvenimenti archeologici nella valle del Noce negli anni 1981-82, in Magna Grecia: caratteri e continuità nella tradizione italiota, Atti del convegno nazionale (Maratea 1983), Lagonegro (PZ), pp. 51-55.

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Cultural Landscapes

Fig. VII.22 – Cartina dell’area SIC Faggeta di Moliterno. Pict. VII.22 – Map of SIC Faggeta di Moliterno Bottini, P. 1988 (a cura di), Archeologia Arte e Storia alle sorgenti del Lao (Catalogo della mostra Castelluccio: un centro “minore” tra Beni Culturali e memoria storica), Matera. Bottini, P. 1996, Le necropoli di Serra la Città tra età classica ed età ellenistica, in Bianco, S., Bottini, A., Pontrandolfo, A., Russo Tagliente, A., Setari, E. (a cura di), Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale, Napoli, pp. 61-83. Bottini, P. 1996, Corredi funerari nel territorio di Rivello, in Bianco, S., Bottini, A., Pontrandolfo, A., Russo Tagliente, A., Setari, E. (a cura di), Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale, Napoli, pp. 103-113. Bottini, P. 1996, Il santuario rurale di Colla, in Bianco, S., Bottini, A., Pontrandolfo, A., Russo Tagliente, A., Setari, E. (a cura di), Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale, Napoli, pp. 115-155. Bottini, P. 1998 (a cura di), Greci e indigeni tra Noce e Lao, Lavello. Lattanzi, E. 1981, Il problema di Sirinos, in Atti Taranto XX, Taranto 1980, Napoli, pp. 115-122. Guandalini, F. 2003, Il territorio di Rivello e il problema di Sirino, in Quilici, L., Quilici Gigli, S., Carta archeologica della Valle del Sinni, Vol. 6, Roma, pp. 189-225. 3. Faggeta di Moliterno (fig. VII.22 / pict. VII.22) (Sito n. 35; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it)

Codice IT9210110 Tipo B Comune/i Moliterno Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Sito protostorico Fortificazione  Tomba  Castello - Descrizione Insediamento in grotta a carattere stagionale nella collina di Murgia Sant’Angelo, con probabile frequentazione cultuale (XV-XIV secolo a.C.). Fortificazione a doppio paramento con emplecton sulla Collina di Madonna del Vetere che racchiude tutta la parte superiore della collina ed un pianoro sito a quota più bassa verso N.

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.23 – Cartina dell’area SIC Abetina di Laurenzana. Pict. VII.23 – Map of SIC Abetina di Laurenzana Edificio a pianta rettangolare con muri a secco all’interno della cinta fortificata (IV secolo a.C.). Corredo funerario databile all’ellenismo nei pressi del ponte sul torrente Rimintiello. Castello nel centro antico di Moliterno con primo nucleo longobardo composto da una torre quadrata (alta 25 m, diam. 8 m) e secondo nucleo databile all’epoca normanna. Il castello presenta uno schema planimetrico a doppia corte interna, la prima con funzione di fortificazione l’altra di residenza nobiliare. Nel tempo il castello ha subíto una serie di rimaneggiamenti e restauri; oggi è caratterizzato da un loggiato cinquecentesco ed elementi architettonici seicenteschi. Bibliografia di riferimento Bottini, P. 1989, L’Alta val d’Agri nell’antichità, Lagonegro (PZ). Bottini, P. 1992, Moliterno, in BTCG, Pisa-Roma, pp. 185187.

Bottini, P., Bianco, S. 1997, L’insediamento appenninico di Murgia S. Angelo presso Moliterno, in Bottini P. (a cura di), Il Museo Archeologico Nazionale dell’Alta Val d’Agri, Lavello (PZ), pp. 53-61. Rescio, P. 2003, Basilicata. Terra di castelli, Napoli, pp. 198-199. 4. Abetina di Laurenzana (fig. VII.23 / pict. VII.23) (Sito n. 39; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210005 Tipo C Comune/i Laurenzana Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Castello

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Cultural Landscapes

Fig. VII.24 – Cartina dell’area SIC Faggeta di Monte Pierfaone. Pict. VII.24 – Map of SIC Faggeta di Monte Pierfaone Ripostiglio monetale - Descrizione Castello, nel nucleo antico di Laurenzana, edificato dai Normanni nel XII secolo e abitato fino agli inizi del XX secolo. L’accesso si apre sul lato nord-orientale attraverso tre rampe sostenute da tre arcate in pietra. L’impianto presenta forma di un semicerchio unito ad un poligono di tre lati. Nei dintorni è stato messo in luce nel 1936 un ripostiglio monetale, conservato al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, costituito da sei didrammi di Napoli e 1 di Velia. Bibliografia di riferimento Procopio, G. 1955, Il riordinamento del Medagliere del Museo Nazionale di Reggio Calabria, in AnnIstItNum, II, pp. 166-171. Rescio, P. 2003, Basilicata. Terra di castelli, Napoli, pp. 180-181. 5. Faggeta di Monte Pierfaone (fig. VII.24 / pict. VII.24) (Sito n. 42; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it)

Codice IT9210115 Tipo B Comune/i Abriola, Sasso di Castalda Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Aree di frammenti ceramici e bronzei Centro fortificato - Descrizione Frammenti ceramici ad impasto e frammenti in bronzo in contrada Castiglione. Resti di piccoli insediamenti a nuclei sparsi databili nel IV

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Cultural Landscapes

Fig. VII.25 – Cartina dell’area SIC Abetina di Ruoti. Pict. VII.25 – Map of SIC Abetina di Ruoti secolo a.C. nei pressi del Campo sportivo e della Contrada Masseria al Convento. Piccolo centro fortificato, databile alla seconda metà del IV secolo a.C., nella zona La Maddalena. Bibliografia di riferimento Di Cicco, V. 1900, IX. Abriola (comunicazione), in NSc, p. 33. Adamesteanu, D. 1984, Abriola, in BTCG, Pisa-Roma, pp. 34. 6. Abetina di Ruoti (fig. VII.25-27 / pict. VII.25-27) (Sito n. 48; vd. scheda su sito www.natura2000basilicata.it) Codice IT9210010 Tipo B Comune/i Ruoti Provincia Potenza Segni dell’Uomo - Definizione Villa romana Santuario lucano

- Descrizione Villa romana in località San Giovanni composta da un primo nucleo misto, residenziale (ambienti disposti intorno ad un atrio centrale) e produttivo (mulino ad acqua). Nel IV d.C. nella parte residenziale gli ambienti si fondono in una grande aula absidata (m 25x12) con l’aggiunta di un balneum. Dopo una frana, nella II metà del V d.C., fase di ristrutturazione con grande aula absidata nell’estremità nord, occupazione dell’atrio da parte di ambienti e maggior articolazione della parte residenziale (palatium). Santuario in località Fontana Bona (IV secolo a.C.) posto in prossimità di una sorgete e dedicato ad una divinità femminile, probabilmente Mefite come si riscontra dall’analisi dei numerosi ex-voto (statuette fittili, thymiateria, louteria). Il santuario presenta due vasche e sistemi di canalizzazione e recinzione delle fonti utilizzati per i riti con l’acqua. Bibliografia di riferimento Barra Bagnasco, M. 2008, L’area sacra di Fontana Bona di Ruoti: aspetti della religiosità lucana, in Russo, A., Di Giuseppe, H. (a cura di), Felicitas temporum. Dalla terra alle genti: la Basilicata settentrionale tra archeologia e storia,

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Paesaggio e tutela

Fig. VII.26 – S. Giovanni di Ruoti (Potenza): l’area della villa romana. Pict. VII.26 – S. Giovanni di Ruoti (Potenza): the area of roman villa. Lavello (PZ), pp. 177-203. Buck, R.J., Small, A.M. 1985, Inscriptions from near San Giovanni di Ruoti (Potenza), in Epigraphica 47, pp. 98-109. Costantini, L. 1983, Piante coltivate e piante spontanee a S. Giovanni di Ruoti (Potenza), in Gualtieri, M., Salvatore, M., Small, A.M. (a cura di), Lo scavo di San Giovanni di Ruoti ed il periodo tardoantico in Basilicata, Atti della tavola rotonda Roma 1981, Bari, pp. 85-90. Dunbabin, T.J. 1983, The San Giovanni Mosaic in the context of Late Roman Mosaic Production in Italy, in Gualtieri, M., Salvatore, M., Small, A.M. (a cura di), Lo scavo di San Giovanni di Ruoti ed il periodo tardoantico in Basilicata, Atti della tavola rotonda Roma 1981, Bari, pp. 47-62. Dunbabin, T.J. 1984, The Mosaics, in Small A.M, Buck R.J., The excavations of San Giovanni di Ruoti, I. The villas and their Environment, Toronto-Buffalo-London, pp. 111-116. Fabbricotti, E. 1979, Ruoti (Potenza). Scavi in località Fontana Bona 1972, NSc, pp. 347-413. Freed, J.Z. 1982, Late Roman Pottery from San Giovanni, Unpublished PhDs thesis University of Alberta. Freed, J.Z. 1983, Pottery from the late middens at San Giovanni, in Atti della Tavola Rotonda Lo scavo di San Giovanni di Ruoti e il periodo tardoantico in Basilicata (Roma 1981), Bari, pp. 91-106. Freed, J.Z. 1985, S. Giovanni di Ruoti: Cultural Discontinuity between the Early and Late Roman Empire in Southern Italy, in Malone C.- Stoddart S., Papers in Italian Archaeology IV, Classical and Medieval Archaeology, BAR, Int. Series 246, Oxford, pp. 179-192. Freed, J.Z. 1986, S. Giovanni di Ruoti (Basilicata). Il contesto della villa tardo-romana. II. Osservazioni sull’economia della villa tardo-romana di S. Giovanni di

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Cultural Landscapes

Fig. VII.27 – S. Giovanni di Ruoti (Potenza): alcune epigrafi nell’area della villa romana. Pict. VII.27 – S. Giovanni di Ruoti (Potenza): some inscriptions in the area of roman villa. Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia 12-14 febbraio 2004), Bari, pp. 609-622. Simpson, B.G. 1986, The Italian Terra Sigillata from San Giovanni di Ruoti: A compositional study, Unpublished MA thesis, University of Alberta. Simpson, B.G. 1990, The Terra Sigillata from San Giovanni di Ruoti, in ReiCretActa, 27/28, pp. 59-66. Simpson, C.J. 1997, The excavations of San Giovanni di Ruoti, II. The Small Finds, Toronto-Buffalo-London. Small, A. 1980, San Giovanni di Ruoti, in Atti Taranto XIX, 1979, Taranto, pp. 415-418. Small, A. 1983, San Giovanni di Ruoti, in Atti Taranto XXII, 1982, Napoli, pp. 473-475. Small, A.M. 1985, The early Villa at San Giovanni, in Malone, C., Stoddart, S. (a cura di), Papers in Italian Archaeology IV. The Cambridge Conference, part. IV, Classical and Medieval Archaeology, BAR, 246, pp. 165-177. Small, A.M. 1986, S. Giovanni di Ruoti (Basilicata). Il contesto della villa tardo-romana I. La villa e la sua storia, in Giardina A. (a cura di), Società romana ed impero tardoantico III. Le merci, gli insediamenti, Roma-Bari, pp. 97-113. Small, A.M. 1999, La Basilicata nell’età tardo-antica: ricerche archeologiche nella valle del Basentello e a S. Giovanni di Ruoti, in L’Italia meridionale in età tardoantica, in Atti Taranto XXXVIII, Taranto 1998, Napoli, pp. 331-343.

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Cultural Landscapes A conclusione di questa breve ricerca a carattere, come si è detto, sperimentale, nella disamina di tutte le aree SIC sono stati presi in considerazione sia dati puntuali sui luoghi oggetto di tutela, sia presenze antropiche a carattere storico, di cui rimangano testimonianze archeologiche. Non necessariamente insistono strettamente nell’area definita dai SIC ma si inseriscono nel contesto e possono suggerire l’eventuale ampliamento dell’area tutelata ad altri siti ubicati nelle vicinanze, altrettanto significativi e non ancora esplorati dal punto di vista naturalistico e culturale. Soltanto con questo tipo di approccio multidisciplinare ed integrato sarà possibile comprendere il significato di Paesaggio nella sua accezione completa, non solo come unità politico-amministrativa ma soprattutto come un insieme di aspetti peculiari di un luogo composto, si, da caratteristiche fisico-ambientali, ma dove l’Uomo ha giocato un ruolo spesso da protagonista.

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CAPITOLO VIII IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA E DELLA RURALITA’ PER LA VALORIZZAZIONE E LA SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO Canio A. Sabia

Abstract

preciso quadro normativo di riferimento per lo sviluppo di una vera e propria politica paesaggistica nazionale.

The gradual depopulation of internal and mountainous rural areas is today one of the main causes of the continuos (or incessant) and inexorable loss of cultural identity of an area. Moreover, the resulting scarcity or absence of landscape "keeper" in these areas promotes additional mechanisms of gradual impoverishment of the social and economic structure. Due to the above mentioned causes, any form of environmental protection and cultural or territorial planning loses its consistency and usefulness, causing drastic change of 'appropriate land use'. Thus, we are frequently now powerless witnesses with regard to primarily the different forms of waterproofing of agricultural land or forest, as the widespread urbanization in rural areas and large wind turbines or photovoltaic installations occupying land previously cultivated or wooded areas. Evidently, this kind of phenomena is still active, although l about 41% of Italian territory has been submitted to this serious problem of land consumption. It is really necessary to promote new economic, but not only, criteria to avoid widespread problems of land use consumption and make more effective regulatory framework for its protection and encourage a more appropriate land use planning corresponding to local vocations. Keywords rural landscape, depopulation, landscape value and policy VIII.1 Il problema del significato e del ruolo della politica paesaggistica A partire dall’Unità d’Italia, la definizione di una qualche politica paesaggistica di valenza nazionale, che formuli i basilari principi ed orientamenti per l'adozione di misure di salvaguardia e per la pianificazione territoriale, avviene per la prima volta nel 1939 con l’approvazione della legge 1497 sulla Protezione delle bellezze naturali. Questa norma però si limitava ad individuare quelle porzioni di territorio meritevoli di salvaguardia, senza definire quali fossero i principi utilizzati per tale selezione. Occorre poi attendere un lungo arco temporale, che arriva fino all’anno 1985 con la legge 431 per sentire parlare di nuovo, dal punto di vista normativo, di tutela e di vincoli paesaggistici, sia pure non definendo ancora il significato di paesaggio e quali fossero i termini di riferimento per una valutazione meno soggettiva della sua valenza. Dal 2004, con l’emanazione del D.Lgs. n. 42 dal titolo Codice dei beni culturali e del paesaggio ed a seguito della Convenzione Europea del Paesaggio adottata dal Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000 e firmata dagli Stati membri a Firenze il 20 ottobre 2000, ha inizio nel nostro Paese una sorta di proliferazione di leggi che tenta di definire un più

 

Infatti, a tale provvedimento legislativo ne seguono altri che vengono emanati nel giro di pochi anni, come la legge n. 14 del 2006 che ratifica la Convenzione Europea del Paesaggio, seguita dal D.L. n. 157 del 2006 e dal D.L. n. 63 del 2008. che di volta in volta tentano di ampliare la definizione stessa del paesaggio che arriva ad assumere ormai diversi significati solo in parte coincidenti tra loro e che necessariamente devono essere considerati in senso complementare1. In particolare, la Convenzione Europea del Paesaggio definisce il paesaggio quale «determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni»; ne riconosce, inoltre, il ruolo fondamentale nella elaborazione delle culture locali, in quanto componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’intera Europa. Non manca nel testo un’esortazione per le autorità pubbliche ad adottare politiche e provvedimenti a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale per la salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei paesaggi nel territorio europeo, riferendosi a tutti le tipologie di paesaggio, sia quelli eccezionali, che quelli ordinari, e ne riconosce il ruolo rilevante nel determinare la qualità della vita degli abitanti. Inoltre, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, le cui ultime modifiche sono affidate al citato D.L. n. 63 del 2008, specifica che «Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici», intendendo per beni paesaggistici «gli immobili e le aree ... costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio». Tale asserzione influisce sulla definizione che la stessa legge dà del paesaggio che di conseguenza viene inteso come quel «territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni», pertanto ai fini dello stesso codice «la tutela del paesaggio ... è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime». Tracciando una linea evolutiva della politica paesaggistica in Italia, occorre tener presente, come descritto, pochi riferimenti normativi che comunque non esauriscono del tutto il problema della indeterminatezza dell’oggetto ‘paesaggio’ e del definire in moto categorico i criteri per una valutazione oggettiva del bene paesaggistico, come base certa per la pianificazione e la tutela. Tale considerazione appare ancora più evidente se ci si sofferma sulle definizioni che di volta in volta le norme utilizzano per descrivere il paesaggio. Si passa, infatti da una assenza di definizione nella legge del

                                                            

1 Tempesta, T., 2010, Politica paesaggistica: il punto di vista dell’economia, in Agronomi e Forestali, n. 4, pp. 11-14.

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Cultural Landscapes

Fig. VIII.1 – Schema semplificato del processo evolutivo del paesaggio. Pict. VIII.1 - Simplified diagram of the evolutionary process of the landscape. 1936 ad un susseguirsi di accezioni che, pur mostrando un progressivo arricchimento nella composizione dei concetti e dei termini che attengono al significato di paesaggio, non riescono a mettere in chiaro i criteri che inducano a considerarlo un bene. Nel passaggio, infatti, da una definizione che potremmo indicare come di tipo tradizionale che consiste nel ritenere il paesaggio come la risultante dell’interazione avvenuta nel tempo tra attività antropiche, ambiente naturale e carattere fisico di in un territorio (fig. VIII.1 / pict. VIII.1), ad un’altra derivante dalla Convenzione europea che si potrebbe definire come arricchita dell’accezione percettiva (fig. VIII.2 / pict. VIII.2), che di fatto influenza le normative successive ed amplia il concetto di paesaggio mettendo in gioco la presenza di un osservatore, con la propria sensibilità e la propria cultura che influiscono necessariamente sulle proprie capacità di percepire la realtà, si ottiene sostanzialmente un ulteriore allontanamento dalla possibilità di valutare oggettivamente tale bene. Contemporaneamente è utile sottolineare che grazie alla discussione che sta avendo luogo in Europa su funzioni e tutela del paesaggio, che ha ispirato i sopra accennati provvedimenti normativi, si è affermata una nuova consapevolezza, quella della necessità di legare la tutela del paesaggio allo sviluppo rurale. Di qui la scelta in vari Paesi europei, Italia compresa, di implementare i principi della politica paesaggistica nei cardini dei piani di sviluppo rurale,

 

anche al fine di governare le trasformazioni del paesaggio2. Ma in molti casi le Regioni italiane mostrano ancora oggi ritardi nella trasformazione di tali principi in regole per la pianificazione e questa condizione, in un epoca di rapidi mutamenti economici, produttivi e sociali, sta mettendo a serio rischio il riconoscimento stesso del ruolo del paesaggio nella tutela e nello sviluppo del territorio. VIII.2 La rilevanza del ‘bene’ paesaggio Nel linguaggio economico un bene è rappresentato da un oggetto disponibile in quantità limitata, che sia reperibile e utile, cioè in grado di soddisfare una domanda. In altri termini, un bene implica qualcosa di desiderabile, per la fruizione del quale occorre sostenere uno sforzo o un costo che può determinare in qualche modo il valore del bene stesso. Pertanto ad ogni bene è possibile attribuire un valore, quantificabile anche dal punto di vista monetario; resta soltanto da chiarire in modo inequivocabile se nel nostro caso il paesaggio costituisca effettivamente un bene economico. Ciò è utile per comprendere che alla base della vulnerabilità di un territorio, di cui soffrono molte aree interne soggette al continuo spopolamento, che può condurre sia nella direzione del degrado ambientale che in quella del cambiamento della destinazione d’uso del suolo senza tener conto della sua

                                                            

2 Agnoletti, M., 2006, Paesaggio e sviluppo rurale, in I frutti di Demetra, n. 10, pp. 45-50.

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Agricoltura e ruralità nel paesaggio

Fig. VIII.2 - Il paesaggio secondo l’accezione percettiva. Pict. VIII.2 – The landscape within the meaning of perceptual. originaria vocazione, vi è la mancata consapevolezza che i diversi aspetti che costituiscono il paesaggio (estetica, ambiente, tradizioni, prodotti, cultura, ecc.) siano in grado di soddisfare determinate esigenze umane. Anzi l’esperienza ci porta spesso a ritenere che a volte comunità e amministrazioni locali risultano ignari rispetto alla cognizione dell’esistenza di una ‘domanda’ di paesaggio. In un contesto internazionale l’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development) indica che il valore del paesaggio dipende dalle funzioni che esso svolge, cioè dal tipo di bisogni che può soddisfare e, quindi, dai benefici che può produrre. Pertanto il paesaggio assume un ‘valore’ se in grado di soddisfare una certa domanda, ma occorre necessariamente che tale domanda nasca, si sviluppi e sia riconosciuta e in qualche modo quantificata. In Italia, secondo i dati ISTAT, dal settore turistico deriva il 30% del prodotto interno lordo e gran parte delle attività legate al turismo risultano direttamente collegate alla fruizione del paesaggio, sia esso a prevalente carattere naturalistico-ambientale o storico-culturale. Inoltre anche il comparto delle produzioni agroalimentari affida gran parte del valore aggiunto di molte produzioni al territorio da cui derivano, basti pensare ai paesaggi evocati da prodotti come il vino o l’olio d’oliva e ai prodotti a marchio di denominazione d’origine come DOP, IGP e STG (regolamento CE n. 509/2006 che sostituisce il precedente n. 2082/92).

 

In definitiva, si può ricavare che il valore del paesaggio non può che derivare, da un lato, da un’approfondita conoscenza del territorio e delle dinamiche ambientali, produttive, storiche, sociali e culturali e di tutto ciò che contribuisce a comporre la propria intrinseca funzione identitaria, dall’altro, dalla possibilità e capacità di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di questo bene. Resta quanto mai necessario, a questo punto, porsi la questione di come fare in modo che il paesaggio viva, per così dire, di vita propria, ossia che il territorio con le sue risorse e le sue caratteristiche continuino ad essere funzionali alla sussistenza economica e sociale delle popolazioni che lo presidiano (fig. VIII.3 / pict. VIII.3) e garantire in tal modo la sussistenza dell’oggetto di una determinata domanda. Il problema è tutto qui: la sopravvivenza stessa del territorio e di tutte le potenzialità che può esprimere in termini di paesaggio, dipende dalla sopravvivenza economica e sociale della popolazione che lo occupa. Del resto, come abbiamo visto, ogni definizione teorica di paesaggio implica la presenza e l’attività dell’uomo in quel determinato territorio. VIII.3 Agricoltura e paesaggio, un rapporto funzionale reciproco La componente fisica prevalente del paesaggio è costituita dalle aree agricole e rurali in generale ed è proprio in questa caratteristica, come già accennato, che risiede l’origine del, problema della sua tutela in rapporto alla sua funzione. Infatti,

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Cultural Landscapes

Fig. VIII.3 – Veduta dal Monte Santa Maria (Anzi). Il presidio del suolo, in un’ottica ecosostenibile, garantendo la preservazione e la manutenzione del territorio, genera biodiversità nel paesaggio rurale. Pict. VIII.3 - Sustainable use and care of the soil ensures the preservation and maintenance of the land and generates biodiversity in the rural landscape (view from Monte Santa Maria in Anzi). come si vedrà anche di seguito, l’evoluzione del paesaggio dimostra che i suoi cambiamenti più recenti sono innanzitutto in funzione dell’agricoltura e delle necessità economiche, produttive e sociali delle popolazioni, considerando che proprio sull’uso del suolo si sviluppano le tante tante attività, in primis quelle agro-silvo-pastorali, che servono e sono servite al sostentamento di ogni comunità. Innanzitutto, per meglio identificare i termini dell’argomento, occorre partire dalla nota definizione di Sereni che per paesaggio agrario intendeva «quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale»3. Proprio in considerazione di tale definizione, appare subito evidente che allo stato attuale sia forse più corretto parlare, nella grande maggioranza dei casi, di paesaggio rurale piuttosto che di paesaggio agrario sic et simpliciter, dato che quegli stessi territori che fino a qualche decennio addietro ospitavano quasi unicamente attività agricole, oggi rappresentano un contesto produttivo nel quale l’agricoltura non costituisce più l’attività esclusiva. In molte aree rurali, infatti, lo sviluppo delle attività economiche non agricole e delle opere infrastrutturali, legate entrambe attualmente soprattutto al fenomeno dilagante della urbanizzazione diffusa e non più concentrata soltanto nei centri urbani, rende difficile la distinzione tra area agricola e

                                                             3

 

Sereni, E. 1962, Storia del paesaggio agrario, Roma-Bari, p. 29.

area rurale. Più corrispondente alla realtà potrebbe essere l’affermazione che il paesaggio agrario è parte di quello rurale4. Ma questa non è l’unica trasformazione avvenuta nel paesaggio agrario negli ultimi decenni. La Rete Rurale Nazionale del MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) ha di recente evidenziato che il 95% del territorio italiano è rappresentato da due tipologie di paesaggio: una in cui domina la matrice agricola ed un’altra a prevalente matrice boschiva ed altri ambienti seminaturali. Inoltre, per la matrice agricola si registra una predominanza sia di seminativi e prati permanenti, sia di aree agricole eterogenee con poca incidenza delle colture arboree, che invece occupano una quota minoritaria di paesaggio. Tale situazione è da considerarsi uno dei principali risultati dell’evoluzione del paesaggio italiano negli ultimi 150 anni5. Ma in una condizione generalmente diffusa nel territorio nazionale, che ha cominciato a manifestarsi già al termine di un ciclo di sfruttamento intensivo e di depauperamento delle risorse forestali iniziato diversi secoli addietro e che ha avuto il suo apice nei primi decenni che seguirono l’unità d’Italia, si è assistito dai primi anni del ‘900 ad oggi ad una estensione progressiva della superficie boschiva a scapito di quella

                                                            

4 Distaso, M., 1998, L’economia del paesaggio rurale, in Agribusiness. Paesaggio & Ambiente, 1, pp. 22-3.9 5 Cortignani, R., Natali, A., 2009, Politica agricola comunitaria e paesaggio: quali opportunità per la risorsa paesaggio con la riforma dell’Health check?, in Agriregionieuropa, 5, 19, pp. 32-34.

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Agricoltura e ruralità nel paesaggio

Fig. VIII.4 - Aree soggette al rimboschimento naturale, che avviene a seguito del non utilizzo ai fini agricoli, nella parte occidentale del comune di Viggiano, confronto tra gli anni 1988 e 2011 (elaborazione grafica su ortofoto estratte del portale www.rsdi.regione.basilicata.it). Pict. VIII.4 - Areas subject to natural reforestation, which occurs as a result of non-use for agricultural purposes, in the western part of the town of Viggiano, comparison between 1988 and 2011 (our graphic processing on photos extracted from the portal www.rsdi.regione.basilicata.it ).

 

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Cultural Landscapes

Fig. VIII.5 - Esempio di vigneto in impianto promiscuo in aree interne dell’alta Val d’Agri. Pict. VIII.5 - Example of a vineyard in mixed crops in the inland areas of high Agri valley. agricola soprattutto nelle aree montuose. Questo fenomeno è legato in modo evidente al processo apparentemente irreversibile dello spopolamento continuo delle aree interne della penisola italiana, che nel meridione e in Basilicata in particolare registra i numeri più allarmanti, e costituisce esso stesso causa di mutamenti anche repentini del paesaggio. In queste aree infatti si assiste ad una ‘rinaturalizzazione’ di zone precedentemente disboscate ed utilizzate prevalentemente per il pascolo e per le coltivazioni erbacee, come la cerealicoltura e la foraggicoltura. Nella fig. VIII.4 / pict. VIII.4 è possibile osservare come il fenomeno sopra ciato generi dei mutamenti nella composizione paesaggistica ambientale rilevabile in modo significativo anche in un breve arco temporale. Inoltre, dal dopoguerra in poi la diffusione dell’agricoltura specializzata ha contribuito ulteriormente a modificare l’aspetto del paesaggio agrario. Da quel momento, infatti, si è assistito ad un veloce diffondersi della monocoltura che ha man mano soppiantato le colture promiscue o quelle avvicendate, modificando non soltanto l’aspetto del paesaggio ma anche la natura stessa dell’attività agricola. Grazie alla modernità e ai progressi in campo scientifico e tecnologico, infatti, le piccole masserie si sono tramutate in aziende vere e proprie, i contadini sono diventati agricoltori, i braccianti operai specializzati ed il lavoro in campagna è diventato impresa agricola. La principale conseguenza di tali diffusi cambiamenti nel contesto dell’attività agricola italiana è stata una progressiva omogeneizzazione e semplificazione del paesaggio e la perdita di molti caratteri tipici dell’agricoltura per così dire tradizionale. In Basilicata, ad esempio, è ancora possibile ritrovare i ‘relitti’ di antichi sistemi di coltivazione promiscui in cui filari di viti sono posti ad una distanza media di 6-7 metri l’uno dall’altro per consentire la coltivazione nello stesso appezzamento di colture erbacee ed ortive (fig. VIII.5 / pict. VIII.5); in altri casi i segni superstiti di un antico paesaggio consistono del ritrovare in vecchi frutteti o vigneti alcuni alberi di gelso, utilizzati in passato per la bachicoltura6,

                                                             6

Ad es. Giustiniani, L., 1797-1805, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, (rist. Bologna, 1969), vol. I, p.12 s.v. Abriola; vol. III, pp. 37-38 s.v. Calvera; vol. IV, p. 7 s.v. Chiaromonte.

 

ormai non più praticata; oppure è ancora possibile ritrovare nel Cilento una forma di coltivazione della vite di cui si ha testimonianza già in epoca etrusca: la vite maritata che consiste nella sistemazione di filari di viti lungo filari di alberi (pioppi, olivi o altro) che fungono da tutori 7 . Il metapontino costituisce un esempio non frequente di territorio soggetto a ricorrenti trasformazioni del paesaggio rurale che da oltre duemila anni si susseguono a causa di importanti processi storici che vanno dalla colonizzazione greca, a quello che si potrebbe definire “feudalesimo tardivo” di impronta spagnola, intercorso tra i secoli XVI e XVII, fino ai processi della bonifica e della riforma fondiaria del secolo scorso. In questo territorio per un lunghissimo tempo si è assistito ad un utilizzo quasi “passivo” della risorsa suolo, attraverso pratiche agricole ancestrali come la cerealicoltura e il pascolo, praticati in modo estensivo. Del resto, la falda acquifera molto superficiale ha da sempre determinato in molte aree di questo territorio condizioni difficili per qualunque tipo di coltivazione, a causa della formazione di paludi ed acquitrini durante le stagioni fredde che invece risultavano completamente secche e con una spessa crosta superficiale indurita, a causa della siccità nel periodo estivo. In queste condizioni anche la vegetazione spontanea risultava in quel periodo di rifermento abbastanza rada o del tutto assente, generando paesaggi desolati e spogli. Ma da un secolo e mezzo ad oggi si sono susseguiti una serie di interventi e processi, la costruzione grandi opere di bonifica (canali, dighe, nuove strade ed acquedotti), che hanno consentito il recupero ai fini agricoli di circa 27 mila ettari di suolo, prima inutilizzabili, e la ridistribuzione della grande proprietà fondiaria attraverso la Riforma Agraria, approvata con la legge n . 845 del 21 Ottobre 1950, con l’effetto di favorire la biodiversità colturale che intanto poteva contare anche su nuove infrastrutture irrigue e di avviare la proliferazione degli insediamenti abitativi nelle campagne (Tabella 1), è avvenuto una profonda e radicale

                                                            

7 Buono, R., Vallariello, G., 2002, La vite maritata in Campania, in Delpinoa, n.s. 44, pp. 53-63.

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Agricoltura e ruralità nel paesaggio

Tabella 1: Principali differenze nella caratterizzazione dello scenario paesaggistico rurale del Metapontino ante e post Riforma Fondiaria ante Riforma

post Riforma

proprietà terriera

latifondo

prevalenza di piccola proprietà terriera

uso agricolo del suolo prevalente

cerealicoltura, pascolo

orticoltura, frutticoltura

aspetto dominante del soprassuolo

prevalenza di grandi estensioni di terreni nudi con pochissimi alberi

alta variabilità dovuta presenza di suoli arborati frammisti a terreni nudi

evoluzione demografica

bassissima densità di popolazione con un notevole incremento in alcuni periodi dell’anno per l’incremento della manodopera stagionale

aumento esponenziale della popolazione residenziale dovuto all’incremento della manodopera stanziale (piccoli proprietari, affittuari, conduttori, ecc.)

tipologia degli insediamenti abitativi

piccoli insediamenti concentrati ai limiti del latifondo (es. casalini di Policoro e Scanzano), destinati ad ospitare manovalanza stagionale

trasformazione degli abitati originari in borghi sempre più grandi e contemporanea diffusione di insediamenti abitativi anche nelle campagne lungo la rete viaria secondaria

presenza e tipologia della rete viaria

rete stradale costituita da assi principali di collegamento tra i principali insediamenti abitativi; assenza di viabilità secondaria

rete stradale costituita da assi principali e secondari, con funzione di collegamento con gli insediamenti diffusi nelle campagne e di servizio per le infrastrutture della bonifica

trasformazione: l’antico paesaggio agrario, costituito inizialmente da aree destinate al pascolo e da limitate zone coltivate con poche unità colturali, ha subito una radicale trasformazione in favore di una grande diversità paesaggistica, conseguenza dello sviluppo nuove colture agrarie, arboree ed erbacee, e della diffusione sul territorio di insediamenti abitativi nelle aree rurali (fig. VIII.6 / pict. VIII.6). Successivamente a queste grandi e repentine trasformazioni che hanno interessato interi comprensori, ormai serviti da infrastrutture fondamentali per la moderna agricoltura, come strade, reti irrigue, dighe, ecc., si è assistito alla nascita e allo sviluppo di attività industriali legate la trasformazione e commercializzazione delle nuove produzioni agricole. In pratica questo territorio era ormai in grado di offrire lavoro e reddito, costituendo un allettante richiamo per le popolazioni dell’entroterra dove il processi evolutivi legati all’agricoltura seguivano ritmi molto più rallentati. In pratica l’agricoltura specializzata e moderna ha richiamato sempre più verso di se risorse umane ed economiche, contribuendo al fenomeno del parallelo e progressivo abbandono delle aree interne dove, intanto, il settore primario assumeva pian piano sempre più il carattere di attività produttiva marginale. In termini paesaggistici, i mutamenti avvenuti in agricoltura negli ultimi cinque-sei decenni hanno delineato i principali caratteri dell’evoluzione del territorio non solo lucano, ma nazionale ed europeo, che un po’ ovunque è divenuto sempre meno ‘agrario’ e sempre più ‘rurale’, anche se alcune vaste aree a forte vocazione e caratterizzazione cerealicola stanno

 

attualmente registrando un fenomeno che segue una direzione contraria, ossia il paesaggio da rurale, con la presenza dell’edilizia diffusa nelle aree agricole e dell’agricoltore sul territorio, ad un paesaggio agrario ‘semplificato’ caratterizzato da un’agricoltura fortemente estensiva in vaste aree quasi del tutto disabitate . È il caso, ad esempio della vasta area cerealicola che si sviluppa nella parte nord orientale della Basilicata a cavallo delle due provincie, Potenza e Matera, dove ormai sta prendendo piede un certo crescente latifondismo, frutto anch’esso del progressivo abbandono delle campagne da parte di piccoli proprietari terrieri che ha consentito la concentrazione dei fondi agricoli nelle mani di pochi grandi possidenti. Il principale effetto di questo fenomeno è consistito nella semplificazione del sistema colturale e, di conseguenza, del passaggio: quel territorio che un tempo era modellato da una complessa trama di appoderamento, determinata dalla presenza di diverse tipologie di elementi divisori (siepi, canali, alberate, muretti a secco, ecc.), risulta oggi interessato da una trama a maglie larghe o molto larghe formata al più dalle linee dove si concentra naturalmente la vegetazione (corsi d’acqua, scarpate, strade, confini di proprietà) che racchiudono il ‘vuoto’ di estesi appezzamenti di seminativi (fig. VIII.7 / pict. VIII.7). Il paesaggio rurale, come si evince dai diversi esempi sopra accennati, può essere considerato il testimone fedele di eventi, fenomeni e processi che si sono susseguiti nel corso della storia. Esso conserva, infatti, tutte le tracce dei cambiamenti

271

Cultural Landscapes

Fig. VIII.6 - Principali elementi costitutivi del paesaggio agrario/rurale dell’area di Metaponto, nella sua evoluzione: a) rappresentazione grafica della omogeneità del paesaggio agrario nel 1869; b) attuale mosaico agricolo lungo le sponde del fiume Basento; c) esempio di attuale variabilità colturale nelle aree agricole del metapontino (foto Alsia). Pict. VIII.6 - Main elements of the agricultural landscape / rural area of Metaponto, in its evolution: a) graphical representation of the homogeneity of the agricultural landscape in 1869, b) current agricultural mosaic along the banks of the river Basento c) example of the current variability in crop agricultural areas of Metaponto (photo Alsia). sociali, economici e culturali che hanno interessato le popolazioni locali nel loro rapporto con contesti umani e territoriali anche più ampi, che sembrano indicare sempre la stessa regola: quanto più si è in presenza di un’agricoltura poco produttiva o comunque non aperta alle esigenze di mercato, con conseguente scarso accumulo di capitali da reinvestire, tanto più le modifiche al paesaggio sono lente e di tipo conservativo; viceversa maggiore è la dinamicità economica e produttiva nel settore agricolo, più significativi e più repentini sono i cambiamenti che subisce un territorio. Occorre soltanto aggiungere che nell’ultimo secolo, o poco più, lo sviluppo industriale e tecnologico ed il progresso economico che ne è derivato hanno determinato una nuova tendenza, quella del progressivo abbandono delle attività agricole soprattutto delle aree interne, causa, come abbiamo visto, della rinaturalizzazione delle aree rurali o anche della semplificazione colturale e del fenomeno del neolatifondismo, con la conseguente perdita della complessità del paesaggio e la diminuzione del suo valore e della sua attrattività. VIII.4 Il valore del bene ‘paesaggio’

riguardano l’attribuzione di un valore economico ad un bene capace di soddisfare una domanda, ma che rimane comunque intangibile. Gli stessi principi dell’estimo classico sembrano inadatti a misurare con precisione gli effetti diretti e indiretti derivanti dalla fruizione del bene paesaggio. Riconsiderando il Sereni (1962), oltre che l’esperienza evolutiva degli emblematici casi sopra descritti, si potrebbe condividere l’affermazione secondo la quale il paesaggio, essendo soggetto a continue trasformazioni, che abbiamo definito funzionali ai bisogni di sussistenza delle popolazioni, assume necessariamente una dimensione storica per la quale gli si deve conseguentemente riconoscere anche la valenza di bene culturale. Perciò il paesaggio, quello rurale in particolare, non rappresenta soltanto un contesto produttivo ma anche un bene pubblico, capace di contribuire a migliorare la qualità della vita. L’apprezzabile valenza paesaggistica di un territorio rurale costituisce quindi, per utilizzare termini del gergo economico, una esternalità 8 positiva prodotta da un agricoltura che, a ragione di quanto fin qui affermato, deve necessariamente avere una dimensione ‘sostenibile’, in quanto l’attività agricola genera benefici produttivi ed economici per chi la pratica, ma anche importanti esternalità in ordine alla manutenzione del territorio, alla funzione culturale e ricreativa e alla salvaguardia ambientale, ossia al ruolo e alla

Quanto detto sin qui mostra sempre più di attualità l’esigenza di tutelare il bene paesaggio, soprattutto laddove ancora sussistono quei caratteri legati all’operosità contadina all’interno di un territorio intimamente vissuto. Ma la tutela                                                              di bene è legata al suo valore in un rapporto imprescindibile e 8 Per esternalità si intende l’accezione classica utilizzata in economia, che la questa condizione, anche nel caso del paesaggio, determina definisce un sottoprodotto o un effetto collaterale di un processo produttivo una serie di importanti implicazioni per quanto concerne la che interessa terze parti, ossia soggetti diversi da quelli che lo conducono. Le sua valutazione. È allora qui che nasce il problema irrisolto esternalità possono, pertanto, essere sia positive (es. bellezza di un paesaggio) che negative (es. inquinamento) e determinare, in altri termini, un del continuo confronto tra i diversi approcci metodologici che beneficio oppure un costo. 272  

Agricoltura e ruralità nel paesaggio

Fig. VIII.7 – Confronto tra paesaggi di due diverse aree destinate a seminativi: a) l’estesa area cerealicola della Collina materana, soggetta al neo-latifondismo, che può essere definita a ‘campi aperti’; b) un’area collinare dell’alta Val d’Agri, dove sussiste ancora la piccola proprietà, che può essere definita a ‘campi chiusi’. Pict. VIII.7 – Comparison between two different landscapes of land for arable crops: a) the extended area of cereals in the Hill Matera, subject to the new latifundism, which can be defined as 'open fields', b) a hilly area of Alta Val d'Agri , where there is still a small property, which can be defined as 'closed fields’. fruizione del paesaggio. Nella Tabella 2, ad esempio, sono riportati gli effetti positivi, neutri e negativi riferiti alle qualità potenziali delle principali esternalità generate dai due principali tipi di agricoltura che fin qui abbiamo distinto.

avviene9. In altri termini, lo sviluppo di esternalità dipende non solo da come e in che modo si utilizza e si è utilizzato un determinato territorio, ma anche da quanto gli effetti positivi e negativi vengono percepiti.

Naturalmente questo tipo di valutazione può essere sviluppano considerando valori numerici misurati e categorie di esternalità appositamente definite, ma nel nostro esempio si è voluto evidenziare che quanto più un territorio agricolo è interessato dalla presenza attiva dell’uomo, tanto più è capace di generare esternalità positive sia in termini di tutela dell’ambiente e del territorio stesso, sia in termini di mantenimento delle condizioni per lo sviluppo economico complessivo.

Intanto, però, si propone una riflessione sulla possibilità di valutare concretamente il bene paesaggio, impresa non certo semplice e che risulta tutt’ora oggetto di indagini, ricerche ed analisi attraverso modelli matematici, ma che in qualche modo deve poter costituire il principale punto di riferimento per una corretta definizione delle strategie di gestione territoriale, che sia più corrispondente alle potenzialità e alle vocazioni di un determinato territorio.

Occorre però ricordare che la produzione di esternalità da parte dell’attività primaria è variabile e mutevole tanto nello spazio quanto nel tempo, poiché dipende dallo sviluppo raggiunto dall’agricoltura e dal contesto sociale, economico, tecnologico, istituzionale, culturale e territoriale in cui questo

 

Tra i metodi di stima per la valutazione dei servizi qualitativi, come quelli forniti dalla fruizione delle esternalità positive legate al paesaggio, sono spesso utilizzati i cosiddetti metodi

                                                             9

Aimone, S., Biagini, D., 1999, Le esternalità dell’agricoltura un primo approccio alle problematiche della valutazione a scala locale, in W.P. n. 128, p. 14.

273

Cultural Landscapes Tabella 2 - Principali esternalità generate attualmente dall’attività agricola e indicazione della loro qualità potenziale Plate 2 – Main outers factors generated at present by agricultural activity and their quality in progress categorie di esternalità

Agricoltura tradizionale Agricoltura estensiva e e piccola proprietà grande proprietà fondiaria fondiaria

+

-

mantenimento biodiversità

+

-

tutela dell’equilibrio ambientale

+

-

TUTELA AMBIENTALE

difesa equilibrio idrogeologico

 

 

+

0

valenza storico-culturale

+

-

valenza estetica

+

0

TERRITORIO

presidio del territorio

 

+

0

stimolo allo sviluppo di altri settori (artigianato, turismo, commercio)

+

0

contrasto allo spopolamento

+

-

SVILUPPO ECONOMICO

stimolo alla multifunzionalità aziendale (turismo, attività educative e ricreative, vendita diretta dei prodotti, ecc.)

(simbologia della qualità potenziale delle esternalità: + positivo; 0 neutro; - negativo) 

diretti che mirano ad individuare le preferenze di eventuali utenti/fruitori simulando il mercato del bene oggetto di stima. Il metodo diretto più noto è conosciuto come contingent valuation (valutazione ipotetica di contingenza) e consiste nel far esprimere ad un campione di individui la propria disponibilità a pagare per l’utilizzazione di un determinato bene. La valutazione della utilità del bene oggetto dell’indagine è quindi data dalla somma dei prezzi indicati dal campione. Tale metodo ha però il limite di non considerare la diversa capacità reddituale dei singoli individui, cosa da non sottovalutare soprattutto se l’oggetto/prodotto in questione, il paesaggio appunto, non rientra nella categoria dei bisogni primari ed immediati. Naturalmente esiste la possibilità di utilizzare altri metodi diretti basati su tipologie di indagini più specifiche rispetto alle diverse categorie degli individui del campione, ma, come è facile attendersi, esiste una diretta proporzionalità tra il maggior grado di dettaglio e il maggior costo dell’indagine, anche in termini di tempi e difficoltà per la sua realizzazione. I metodi indiretti, invece, consistono nella definizione di una relazione di sostituibilità e/o complementarietà che è possibile stabilire tra un bene privo di mercato e altri beni per i quali esiste realmente un valore di scambio (beni economici). Da questi è possibile desumere indirettamente la disponibilità a pagare. Affinché il procedimento possa essere

 

utilizzato è però necessario conoscere il grado di sostituibilità esistente tra i due beni. Il metodo del travel cost (determinazione del costo di viaggio), per indicare ancora una volta il più noto, consiste nel rilevare il valore d’uso di una determinata risorsa (es. un determinato paesaggio di un’area montana), attraverso la valutazione della funzione ricreazionale, storico-culturale o artistica offerta da un bene similare (es. un parco naturale o culturale noto). Tale valore, in pratica, è dato dall’accumulazione dei costi di viaggio sostenuti dai visitatori reali. Anche nel caso di questo metodo, che resta comunque poco costoso e facile da utilizzare, sono rilevabili alcuni imperfezioni date ad esempio dalla impossibilità di determinare i cosiddetti costi ombra, ossia costi collegati e non rilevati, come ad esempio il costo dovuto al tempo impiegato per il viaggio e per la permanenza che influiscono comunque sul valore del bene reale usato nell’indagine. Un ulteriore metodo indiretto, molto utilizzato per valutare l’interesse alla conservazione di particolari contesti agrosilvo-pastorali è quello del costo-opportunità che consiste nella stima della perdita dei benefici monetari derivanti dall’impiego alternativo di una determinata risorsa (il territorio in questo caso), rispetto ad un suo utilizzo economico ottimale. Procedendo all’attualizzazione dei mancati guadagni, derivanti dall’ipotizzato cambiamento d’uso, si ottiene il valore economico minimo di quel bene.

274

Agricoltura e ruralità nel paesaggio

Fig. VIII.8 – Tipico esempio di cambio di destinazione d’uso del suolo in un’area interna della Basilicata (alta Val d’Agri). Pict. VIII.8 – Typical example of the change of land use in an internal area of Basilicata (Alta Val d'Agri). Se si provasse ad analizzare, quindi, con i criteri metodologici appena descritti, il mutamento di destinazione d’uso di molte zone del paesaggio rurale del meridione d’Italia ed in particolare di quello delle aree interne lucane, si potrebbe dedurre che i benefici economici derivanti dall’occupazione di suoli agricoli da parte di impianti eolici e fotovoltaici siano stati stimati evidentemente come maggiori rispetto a quelli legati alla conduzione agricola di quei suoli. Naturalmente in quest’ultima affermazione non si è voluto far mancare un sia pur sottile significato ironico che vorrebbe indicare, in riferimento particolare alla Basilicata, con quanta facilità, pur in assenza di una definita pianificazione paesaggistica, si sia dato avvio a questi processi di trasformazione del paesaggio con conseguenze inevitabili ed oggettive che attengono innanzitutto alla diminuzione della valenza estetica in aree che magari si distinguono per caratteri paesaggistici di rilievo, ma anche per quanto attiene le prospettive future dello sviluppo economico di un determinato territorio che evidentemente punta sull’utilizzo energetico della risorsa suolo/paesaggio (fig. VIII.8 / pict. VIII.8).

Infatti, come fin qui riportato nei casi descritti, nel momento in cui si verifica uno scostamento tra valore potenziale del paesaggio e capacità reale del territorio di sostenere economicamente le proprie popolazioni attraverso l’agricoltura, l’artigianato e il turismo, si espone il fianco al fenomeno del cambiamento d’uso del suolo e del ‘diverso’ sfruttamento della risorsa territorio. Pertanto, anche le più differenti forme di tutela (aree parco, vincoli paesaggistici, ecc.) destinate alla salvaguardia di paesaggi rurali di riconosciuto interesse culturale, storico, ambientale devono necessariamente essere accompagnate da una politica economica paesaggistica che comprenda efficaci forme di sostegno per le attività produttive locali, soprattutto quelle legate al settore primario. Solo in questo modo, infatti, si potrebbe contrastare la tendenza progressiva che si registra soprattutto per le aree interne ad assumere carattere di residualità e marginalità, dal momento che, come ribadito spesso in letteratura, ogni paesaggio, inteso come contesto territoriale di pregio, presenta un suo costo-opportunità dato dai minori redditi che il sistema sociale ed economico locale nel suo complesso può ricavare dall’uso delle risorse territoriali, qualora si intenda conservare un determinato assetto10.

Le ragioni di questi ultimi cambiamenti del paesaggio risiedono, però, non soltanto nel vuoto normativo dei provvedimenti legislativi e della pianificazione locale, ma in primo luogo dagli effetti dell’antico postulato, richiamato più                                                              volte nel presente lavoro, secondo il quale l’evoluzione del 10 Tempesta T., Thiene, M., 2006, Percezione e valore del paesaggio, Milano, paesaggio è soggetta alle leggi dell’economia. p. 21. 275  

Cultural Landscapes

Fig. VIII.9 – Aliano (MT): paesaggio di oliveti e calanchi. Pict. VIII.9 – Landscape of olive groves and badlands in Aliano. VIII.5 Considerazioni conclusive Il paesaggio rurale, custode e segno evidente del passaggio della storia delle vicende umane, nella politica paesaggistica nazionale stenta a vedersi riconosciuto e quantificato il suo ruolo di bene economico. Questa condizione deriva innanzitutto dal fatto che, a differenza di quanto accade per molti beni culturali, esso non possiede un vero e proprio mercato dove sia definibile e misurabile una domanda e un’offerta. Eppure il paesaggio è capace di soddisfare diversi bisogni essenziali che attengono alle sfere culturali, ambientali e a quelle legate alla salubrità e alla bellezza, ma non come prodotto confezionato, piuttosto come esternalità positive generate da attività economiche, l’agricoltura in primis, che producono benefici concreti, garantendo la sua stessa sopravvivenza. Lo studio e l’emersione dei caratteri storici del paesaggio rurale, dove si affiancano e convivono componenti paesaggistiche apparentemente distinte tra loro (aree coltivate, aree naturali, testimonianze storiche, artistiche, ecc.) contribuisce efficacemente alla ricomposizione del puzzle dell’identità di un territorio, che deve costituire la base di ogni strategia di valorizzazione e non solo. Ad esempio, l’osservazione degli estesi oliveti sistemati a ridosso dei calanchi, visibili dal centro abitato di Aliano (fig. VIII.9 / pict. VIII.9), ad esempio, evoca nell’osservatore la memoria di vicende e spaccati della vita quotidiana delle popolazioni lucane negli anni ‘30, narrati nel celebre romanzo «Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi. Ed è possibile rilevare, in questo caso emblematico, in che modo tutte le componenti del paesaggio (così come precedentemente definite, ossia: caratteri fisici, attività antropiche, ambiente naturale e percezione dell’osservatore) partecipino alla sua composizione e restituiscano all’osservatore un effetto comunicativo completo. Risulta

 

evidente, pertanto, come il decadimento o la non valorizzazione di una sola di queste componenti, che sia in grado di trasmettere efficacemente le chiavi di lettura di ciò che si osserva, porti ad una inevitabile riduzione del valore del paesaggio. Il paesaggio svolge, quindi, molte funzioni che dipendono dalle diverse esternalità positive legate all’uso del territorio. Ma oggi più che in passato la sua salvaguardia è legata alla funzione produttiva della sua componente principale, l’ambiente rurale, e dall’attività agricola in grado di garantire il sostentamento delle popolazioni che lo vivono e lo modellano. La politica paesaggistica deve dettare le regole perché la pianificazione territoriale garantisca il sostegno concreto ed efficace al mantenimento del tessuto economico-produttivo che costituisce l’ossatura di qualunque territorio oggetto di interesse paesaggistico. La necessità di produrre energie alternative a quelle di origine fossili rappresenta una priorità per le politiche mondiali. Ma l’impressione che si ricava dall’osservazione dei processi evolutivi del paesaggio osservabili in molti contesti del meridione d’Italia, fa rilevare che finora sia mancata un’analisi attenta di tutti i fattori in gioco e che alcune scelte di pianificazione economica e territoriale non abbiano tenuto conto delle potenzialità legate alla possibilità di rilanciare il tessuto economico preesistente. Del resto appare superfluo ricordare che la produzione di energie rinnovabili implica degli effetti ambientali comunque rilevanti oltre che drastici cambiamenti nei sistemi paesaggistici. Occorre pertanto restituire il vero ruolo alla pianificazione territoriale e alle politiche di gestione delle risorse locali, avendo presente, grazie anche alla ricerca e all’analisi, il contributo essenziale che il paesaggio offre allo sviluppo economico locale e contrastare, in tal modo, il declassamento della valenza storica-culturale ed ambientale del territorio a semplice opportunità di sfruttamento per attività economiche non necessariamente legate alla propria vocazione.

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Selvarella (Monte Romano, VT): la cisterna romana detta Saracinesca e un esemplare di vacca Maremmana, sullo sfondo. Selvarella (Monte Romano, VT): the Roman cistern and an exemplar of a cow ‘Maremmana’ in the background.

Parte III

Cultural landscapes: il paesaggio agrario di Monte Romano (Viterbo, Italia) Contributi di: Stefano Del Lungo

Cultural Landscapes

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CAPITOLO I TOPOGRAFIA E STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO, PER UNO SVILUPPO ECONOMICO Abstract The shire of Monte Romano has a long time history. Topographic research, archaeological knowing and an intense work in archives very strong bases to reconstruct and follow the evolution of this rural village and its landscape. The beginning is on III century B.C. It also knows an etruscan phasis (V-IV century B.C.), from the ancient and nearest Tarquinia (la Civita), but not every new is believeble. Infact many of them come from unauthorized excavations. The research goes till the XX century, having an Universitas agraria (as a cooperative of field, not an university) that preserves the Cultura Heritage of a very interesting land from the destruction. Keywords Longtime agrarian tradition, place-names, III B.C.-XIX A.D., archivistic documents I.1 Il paesaggio culturale di Monte Romano in una tradizione rurale millenaria Il territorio del Comune di Monte Romano (Viterbo) occupa una posizione chiave nella Tuscia, estendendosi, nel senso della lunghezza, dalle propaggini collinari prossime a Tuscania alla media valle del Mignone, dalla cui sponda destra è delimitato e tramite la quale si collega alla Provincia di Roma (figg. I.1-2 / pict. I.1-2). Da diverso tempo, nella sempre crescente consapevolezza del valore avuto dal ‘paesaggio agrario’, valorizzato nella sua accezione ‘culturale’ più ampia, sono state avviate diverse iniziative, mirate a rafforzare il valore aggiunto costituito dallo stretto rapporto della comunità con l’ambiente e le sue risorse, in un continuo sforzo a preservare il primo per garantirsi l’apporto delle seconde. Uno sforzo che ha quasi un sapore antico, con le stesse dinamiche che sin dalle origini hanno guidato gli Uomini nel seguire e rispettare le stagioni, scandendo la propria esistenza quotidiana e le occasioni di festa (i santi patroni Isidoro e Corona, la Merca, il Pane e la Mietitura, la Carne Maremmana e i Prodotti Tipici, per citarne alcune), in un calendario nutrito di eventi che copre l’intero arco dell’anno. L’acqua, il sole, il vento, la terra costituiscono gli elementi fondamentali del paesaggio e del nostro vivere, eppure troppo spesso sono sistematicamente dimenticati, per far spazio a fallaci chimere di uno sviluppo, di fatto, controproducente. Nell’ottica di riscoprire, invece, il valore profondo di questi elementi e di trarne il beneficio che assicurano, si è cominciato a pensare a Monte Romano, un borgo rurale fondato intorno al 1535-1540 ed erede di un più antico abitato (Arx Montis Romani, poi Poggio della Rotonda) come ad un insediamento che attraverso le sue risorse potrebbe intanto dare un contributo alla produzione di energia pulita.

la produzione con l’impianto di prossima realizzazione, da parte dell’ENEL, di una stazione eolica, affiancata, a seguito di un accordo quadriennale con l’Università Agraria, da una postazione per il monitoraggio biologico della qualità dell’aria ed il suo impatto sulla vegetazione. In contemporanea, negli estesi boschi di Rocca Respampani (S.P. ‘Vetrallese’, km 13.300; Monte Romano, VT) si stanno conducendo, in collaborazione con la Facoltà di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università degli Studi della Tuscia, molteplici e prolungate indagini sull’incidenza delle piante nel metabolismo dell’anidride carbonica1; e la stessa Rocca, nello splendido complesso di edifici del XVII secolo, è divenuta anche sede della Fattoria didattica, creata e coordinata da Erina Fiorucci e da Roberto Petretti, Direttore della locale Azienda Agricola (2500 ettari di bosco e campi coltivati, in precedenza appartenenti all’ Ospedale del S. Spirito)2. Il vicino Poligono dell’Esercito Italiano divide e al tempo stesso unisce le terre della Rocca e quelle ricadenti, in origine, nella tenuta di Monte Romano, sempre dell’Ospedale e ora, in massima parte, gestite dall’Università Agraria (estensione di circa 6000 ettari). La presenza dell’autorità militare e la preclusione dell’area a qualunque attività, escluso l’allevamento brado del bestiame bovino di qualità3, consentono tutt’oggi una protezione integrale dell’ambiente. Per questo l’Unione Europea ha iscritto l’intera area fra le Zone a Protezione Speciale (cod. IT6010021, nella Regione Biogeografica Mediterranea), tutelando le molteplici varietà di orchidee presenti e, fra le specie animali più significative, diversi predatori e poi il gatto selvatico, l’istrice, la martora e numerose varietà di uccelli, anfibi e rettili, propri della fauna maremmana. Un’altra ZPS racchiude l’intero territorio compreso fra la periferia meridionale di Monte Romano e la riva destra del Mignone, unendo il Comune al più vasto comprensorio dei Monti della Tolfa. Tale densità di aree protette, completate ed arricchite dall’Azienda Agricola Zootecnica Biologica in località Lasco di Picio, non costituisce un ostacolo ma anzi è un riconoscimento per la capacità che l’intera comunità, l’Università Agraria e l’Azienda su alla Rocca, assieme all’Esercito, dimostrano nel continuare a vivere, a mettere a frutto e a mantenere un territorio, in forme e modalità di sfruttamento della campagna che continuano quasi immutate da almeno 550 anni. 1

Dal Comune è stato ottenuto l’importante riconoscimento del premio Un Bosco per Kyoto, con la destinazione di alcuni terreni un tempo coltivati, prossimi ad un corso d’acqua, ad accogliere un nuovo bosco, la cui diversificazione nelle specie (cerro, rovere, sughero e leccio) lo pone quale estensione della selva naturale cresciuta intorno. 2 Nell’arco dell’anno, in una cornice territoriale che, per un insieme di suggestioni legate al paesaggio, alla storia ed alla tradizione rurale, risulta tra le più affascinanti della Tuscia, la Fattoria organizza per le scuole una serie di visite guidate all’azienda e alla tenuta circostante. Nel complesso si tratta di uno spazio dove gli allievi sono coinvolti in molteplici attività pratiche, fra cui il Laboratorio didattico del pane. 3 Si tratta della razza Maremmana, una delle cinque pregiate d’Italia, assieme alla Marchigiana, alla Chianina, alla Podolica e alla Romagnola, tutelate con Disciplinare del Libro Genealogico delle Razze Bovine Italiane da Carne, approvato con Decreto il 3 marzo 2009.

Nella pletora di facili allarmismi, su un letale e generalizzato surriscaldamento del pianeta, si vuole fornire un segnale in controtendenza, incominciando a sfruttare il sole per rendere energeticamente autonome le scuole comunali ed integrando 283

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Fig. I.1 – Il borgo rurale di Monte Romano (Viterbo). Pict. I.1 – The rural village of Monte Romano (Viterbo).

Fig. I.2 – L’abitato visto dal Poggio della Rotonda verso il Poligono dell’Esercito Italiano. Pict. I.2 – Panoramic view of the settlement from Poggio della Rotonda to the Range of the Italian Army. Il Paesaggio Culturale trova la sua sintesi migliore nella forma di questo territorio considerata dal punto di vista agrario. Lo studio e la promozione, ideati, curati e coordinati scientificamente da chi scrive negli anni dal 2005 al 2009, hanno trovato una prima sintesi nella realizzazione del Museo Civico di Monte Romano, inaugurato all’interno dell’antico borgo nella sezione dedicata proprio al Paesaggio Agrario4. Il Museo, che nell’offerta culturale affianca il già esistente Deposito Archeologico Comunale – Antiquarium, è di tipo storico e demo-etno-antropologico. La sezione è ospitata, nel cuore di Monte Romano, entro uno dei locali ad uso commerciale (bottega e, più di recente, Ufficio postale) del Borgo Calino, realizzato negli anni tra il 1760 ed il 1776. Tramite una sequenza di pannelli, il relativo apparato fotografico e l’esposizione di materiali, fra cui una sezione 4

Comune di Monte Romano, D.G. n° 199, del 29 dicembre 2005.

del secolare Cerquone di Scansarote, si aiuta il visitatore a comprendere i caratteri e l’evoluzione culturale del paesaggio, nell’estensione apprezzabile entro i confini del territorio comunale. All’esposizione si prevede l’abbinamento di una serie di itinerari di visita ai luoghi via via descritti, seguendo i percorsi delle antiche strade delle tenute, accessibili dall’abitato, a S, o da Rocca Respampani, a N. Nello specifico si tratta di una rete di sentieri e strade, pedonabili e ciclabili, che collegano e attraversano in ogni senso l’intero territorio. Tale griglia si unisce al più articolato percorso di circa 50 km realizzato da parte della Provincia di Viterbo sull’intero bacino del fiume Marta, muovendo dalla sponda meridionale del lago di Bolsena a Tarquinia. Questo intervento costituisce il primo passo verso la creazione del Parco Fluviale del Marta, un’ulteriore perla ad

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b. Fig. I.3 a-b – Il paesaggio dal fiume Mignone a Monte Romano: le località dette a) il Mignone Morto, b) la Selvarella verso Poggio del Finocchio e Poggio della Rotonda. Pict. I.3 a-b – The landscape from the Mignone river to Monte Romano: the places named a) the Mignone Morto, b) the Selvarella to Poggio del Finocchio and Poggio della Rotonda. una rosa già ampia di aree tutelate, che non costituiscono ostacolo, tramite vincoli impositivi, ma un incentivo e un riconoscimento della qualità delle azioni che si stanno svolgendo localmente, per rafforzare l’integrazione fra pratiche agricole, vita del territorio, tutela delle individualità e rispetto per l’ambiente. Gli sforzi dell’Università Agraria per il riconoscimento del marchio DOP alla carne bovina maremmana ed il piano di interventi per il Centro storico di Monte Romano, iniziati con il restauro della storica Torre dell’Orologio, sono solo due dei tanti progetti che l’intera comunità, le sue associazioni, l’Università Agraria ed il personale tecnico-scientifico, ivi operante e sopra ricordato, portano avanti, con l’obiettivo definire per Monte Romano un futuro come comune di qualità.

maturata dagli individui, o dai gruppi insediatisi, di approfittare al meglio dei suoi connotati fisici (fertilità di una superficie e disponibilità di acqua), e di distinguere il livello produttivo di ogni appezzamento utile di terra, stabilendo delle proporzioni fra le aree da coltivare e quelle da destinare al pascolo o al taglio periodico della selva.

I.2 Il paesaggio e la toponomastica

I toponimi ne sono il codice parlante e, se correttamente interpretati, ne offrono la decodifica, in quanto unico grande serbatoio di dati di diverso carattere, frutto del ricordo di eventi significativi verificatisi nel territorio e dei diversi modi di percepirne sia gli elementi fondamentali (fisici e antropici) sia le trasformazioni avvenute nel tempo. Costituendo una sorta di carta d’identità per ciascun posto, consentono di recuperare, oltre a relitti linguistici, il punto di vista di chi, in passato, ha vissuto nello spazio ed ha assunto tali luoghi a riferimento, per sé e per gli altri. Sfortunatamente può ritenersi perduta la toponomastica del periodo romano e solo una quantità molto limitata di nomi si conserva per il Medioevo, mentre numerose sono le attestazioni dei secoli dal XVII al XIX. La cartografia attuale ne registra 89 per Monte Romano e di ciascuno si riporta il significato, elencandole in ordine topografico e non alfabetico, procedendo dalle rive del Mignone verso N, in direzione dell’abitato e poi del Poligono e di Rocca Respampani, sino al confine con Tuscania.

Il ‘paesaggio’ è il modo che ogni luogo ha di presentarsi ad un osservatore, in una visione panoramica dello spazio. L’equilibrio, o altrimenti il contrasto, di elementi fisici (rilievi, avvallamenti, rupi, corsi d’acqua, selve, macchie, prati) ed antropici (cave, campi, pascoli, canali, dighe, ponti, strade, abitati) ne compongono la struttura. Il trascorrere dei secoli ed una frequentazione prolungata sono, invece, gli artefici del sovrapporsi di modifiche, apportatevi per adattare l’ambiente alle esigenze di chi vi abita e dare una risposta adeguata alle alterazioni imposte da cambi del clima, da eventi naturali traumatici (alluvioni, terremoti, frane) o dallo stesso sfruttamento del territorio. Il paesaggio agrario si caratterizza per il peso rilevante avuto in un territorio dallo sfruttamento, a fini produttivi, delle risorse naturali che offre. La conservazione dell’impronta conferitagli nel tempo varia in proporzione alla capacità

I nomi dei luoghi e la definizione di sezioni visuali del paesaggio (tipo la fig. I.3 a-b / pict. I.3 a-b) costituiscono gli strumenti essenziali di analisi di un qualunque spazio del quale non si abbia avuta alcuna conoscenza e nel quale si intenda avviare un esame approfondito, alla ricerca dei caratteri peculiari e con una loro visualizzazione attraverso panoramiche scelte secondo prospettive specifiche.

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b. Fig. I.4 a-b – Il paesaggio dal fiume Mignone a Monte Romano: le località dette a) i Prati e le Cime e b) Ara Grande, Doganelle, Piantato e Poggio Barone. Pict. I.4 a-b – The landscape from the Mignone river to Monte Romano: the places named a) i Prati and le Cime, and b) Ara Grande, Doganelle, Piantato and Poggio Barone. I.2.1 Dal fiume Mignone a Monte Romano (figg. I.3-4 / pict. I.3-4) 1. il Morto: da uno dei rami secondari del fiume Mignone, detti anche Mignone Morto o Relitto del Mignone. 2. la Selvarella: bosco riservato alla caccia e al taglio della legna da ardere. 3. Cacciamano: riserva di caccia. 4. Fosso del Nasso: da un boschetto di tassi. 5. Fosso di Natale: forse riferito al momento della nascita del primitivo abitato di Monte Romano, negli anni 1535-1540. 6. Fontanile di China: dal cognome di Simone China, affittuario nel 1819 dell’Ospedale di S. Spirito. 7. Fontanile dei Giunchi: dalla presenza di canne negli affioramenti d’acqua prossimi al fontanile. 8. Poggio del Finocchio: dalla pianta usata dagli speziali e masticata dai contadini per sedare i morsi della fame. 9. Fontanile Paoloroma: dal nome di un affittuario, agli inizi del XIX secolo, dell’Ospedale di S. Spirito. 10. Calisto: dal nome del papa Callisto III, che nel 1456 ipoteca a favore dell’Ospedale di S. Spirito la vasta tenuta di Monte Romano, per finanziare una Crociata volta alla liberazione di Costantinopoli, caduta il 29 maggio 1453 nelle mani dei Turchi, ma non riscattandola più. 11. Fontanile Principe: dai principi Borghese, proprietari, nei secoli XVII-XIX della vicina tenuta della Turchina. 12. Ara Grande: da una delle superfici interne alle Solagne, adoperate per la battitura del grano. 13. Poggio Barone: dalla memoria di uno dei nobili romani concessionari di parti della tenuta nel 1816.

14. Poggio Cisterna: dai resti di una cisterna romana visibili a mezzacosta del versante SO dell’altura. 15. Poggio della Rotonda: dall’andamento quasi circolare assunto dalle mura dell’abitato medievale dell’Arx Montis Romani, visibili sulla cima del poggio. 16. Fosso Lavatore: definizione catastale per indicare un corso d’acqua ‘(di)lavatore’, in quanto responsabile del trasporto a valle della terra asportata dalle superfici intorno. 17. i Prati: superfici destinate originariamente al pascolo e al taglio del fieno per il bestiame. 18. Fontanile Pampanare: dalla presenza di un vigneto. 19. Poggio Feliciolo o Felicioso: dall’abbondanza di felci sulla sua superficie, cresciute dopo il taglio del bosco. I.2.2 Da Monte Romano al Poligono (fig. I.5 / pict. I.5) 20. Doganelle: superficie nella quale la produzione e la raccolta dell’erba per il bestiame è sottoposta ai vincoli della Dogana dei Pascoli. 21. Piantato: dalla presenza di un frutteto, anche con abbinamento di una specie produttiva ad alberi di alto fusto. 22. gli Orti: dai molteplici appezzamenti assegnati e destinati esclusivamente alle colture orticole. 23. Fontanile Pasqualino: dal nome di uno degli affittuari dell’Ospedale di S. Spirito. 24. il Casalaccio: da un fabbricato agricolo in rovina. 25. le Cime: da una cresta collinare che segna il confine orientale del Quarto delle Valli. 26. Bufolareccia: dalla destinazione della superficie al solo pascolo del bestiame bovino.

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b. Fig. I.5 a-b – Il paesaggio da Monte Romano al Poligono: le località dette a) Casa Liblandi, Ara Grande e Banditella, e b) Ancarano. Pict. I.5 a-b – The landscape from Monte Romano to the Range of Army: the places named a) Casa Liblandi, Ara Grande and Banditella, and b) Ancarano. 27. le Cimette: da una catena di colline assunta a riferimento confinario tra il Quarto di Poggio Tondo ed il Quarto delle Valli. 28. Fontanile Radicone: dal ricordo di una macchia di querce, espiantata per lasiare il posto al pascolo. 29. Poggio Ficonaccia: da una pianta di fico cresciuta sui resti di una villa romana. 30. la Madonnella: dalla memoria di un’edicola o di una cappelletta della Vergine, collocata lungo l’antica strada da Monte Romano a Rocca Respampani. 31. Fontana Lea: dal nome di Leo, uno degli affittuari dell’Ospedale di S. Spirito. 32. Poggio Viterbese: nome dato in contrapposizione all’apparente anomalia di avere un “Monte Romano” in territorio viterbese. 33. Fontanile Nuovo: dai restauri effettuati agli inizi del XIX secolo per migliorare la fruibilità del fontanile. 34. i Laschetti: dagli spazi ottenuti diradando la macchia e destinati al pascolo. 35. Poggio della Guardiola: dai resti di una torre sulla sommità del poggio. 36. Poggio Pecoraro: dall’aver destinato l’altura al pascolo. 37. Fontana Catone: dal nome di uno degli affittuari dell’Ospedale di S. Spirito. 38. Polledrara: da una superficie riservata al pascolo dei cavalli. 39. Macchia Pascolare: da una selva nella quale era concesso il pascolo brado del bestiame. 40. Monumenti: dai resti di una grande cisterna romana e della vicina villa.

41. il Querceto: da un terreno nel quale si è mantenuto un bosco ceduo di querce. 42. Poggio Tondo: dal particolare profilo tondeggiante del rilievo, percepibile soprattutto da chi lo osserva da Est. 43. Fontana del Prataccio: dalla scarsa qualità del prato che cresce intorno al fontanile, poco appetibile per il bestiame. 44. Macchia S. Vincenzo: bosco all’interno del quale si trovano i resti della chiesa medievale di S. Vincenzo. 45. Fontanile di Lasco di Picio: dal nome Picio o Dicio di uno degli affittuari dell’Ospedale di S. Spirito. 46. Casa Liblandi: da una superficie pertinente al demanio regio longobardo e dall’insediamento medievale posto al di là del Fosso Ficonamara. 47. Fosso Ficonamara: dal nome dialettale del fico selvatico o Caprifico. 48. Costa Bella: dalla particolare esposizione ai venti e al sole, rendendola favorevole al pascolo. 49. le Grotte: dagli ambienti rupestri dell’abitato medievale di Casa Liblandi. 50. Civitella-Torrionaccio: da una torre e dai resti dell’abitato medievale di Civitella. 51. Fontanile Trappolino: dal pericolo di rimanere immobilizzati nei pantani che circondano il fontanile. I.2.3 Dal Poligono a Rocca Respampani (fig. I.6 / pict. I.6) 52. Poggio Vallicelle: dai piccoli avvallamenti visibili attorno all’altura e percorsi dal fosso omonimo. 53. Canaparolo: dall’abbondanza di acque del Marta, tale da consentire la lavorazione della canapa.

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Fig. I.6 - Il paesaggio dal Poligono a Rocca Respampani: un tratto dell’antica Via Clodia alle Vallicelle-Banditella. Pict. I.6 - The landscape from the Range to Rocca Respampani: a stretch of the Via Clodia in the Vallicelle-Banditella. 54. Ara Grande: da una delle superfici interne al Quarto della Marta, adoperate per la battitura del grano. 55. Fontanile Francesco: dal nome di uno degli affittuari dell’Ospedale di S. Spirito. 56. Piana Bella: dalla qualità del terreno, reso fertile dai depositi del Marta. 57. Greppa Alta: dagli scoscendimenti che delimitano l’altura, percorsa da una dirmazione della strada da Tuscania ad Allumiere. 58. Fontana Murata: da un fontanile in muratura, costruito in sostituzione di una precedente raccolta d’acque di fortuna. 59. Valle degli Olmi: dalla passata abbondanza di olmi, residuo di precedenti coltivazioni promiscue della vite. 60. Banditella: dalla superficie della tenuta di Rocca Respampani riservata a bosco. 61. Banditella di Monte Romano: da un bosco riservato, in precedenza pertinente alla tenuta di Rocca Respampani. 62. Poggio Caroso: dalla superficie destinata all’allevamento del bestiame e dei cavalli. 63. Poggio della Fichina: da una pianta di fico cresciuta in corrispondenza di una necropoli antica. 64. Costarone: margine rilevato del pianoro culminante con il Poggio della Fichina. 65. Poggio Infernetto: in allusione ai pericoli connessi all’attraversamento nei periodi di piena del fosso omonimo che scorre lungo le pendici meridionali del colle.

66. Poggio Querciabella: da una quercia utilizzata quale caposaldo per i confini delle tenute di Monte Romano (quarti di Rocca Vecchia e Poggio Tondo) e di Norchia. 67. Ara del Tufo: ampio spazio del Quarto della Marta, in cui l’affioramento del banco di tufo e l’esposizione della località ai venti favoriva la battitura del grano. 68. Fontanile della Salute: dalla qualità dell’acqua, raccolta in uno dei pochi fontanili disponibili nel Quarto della Banditella. 69. Muracciolo: dai resti di una villa romana, visibili in mezzo alla boscaglia. 70. Morgano: dall’abbondanza di argilla che caratterizza il suolo della selva. 71. Piano della Mezzagna: dalla porzione del pianoro nella quale viene periodicamente sospesa la semina. I.2.4. Da Rocca Respampani al confine (figg. I.7-8 / pict. I.78) 72. Torrente Traponzo: dalle strutture di tre ponti, due dei quali in rovina (il terzo è quello di fra’ Cirillo), gettati sul torrente e funzionali ai castelli di Rocca Respampani. 73. Ponte Fra Cirillo: dal nome di fra’ Cirillo Zabaldani, castellano della rocca nuova di Respampani (XVII secolo). 74. Rocca Vecchia: originario abitato medievale di Rocca Respampani.

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Fig. I.7 – La cosiddetta Rocca vecchia di Rocca Respampani (foto per gentile concessione di R. Petretti). Pict. I.7 – The so called old Rocca of Rocca Respampani (photo by kind of R. Petretti).

Fig. I.7 – La Rocca o Rocca nuova di Rocca Respampani (foto per gentile concessione di R. Petretti). Pict. I.7 – The Rocca or Rocca nuova of Rocca Respampani (photo by kind of R. Petretti). 289

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Fig. I.8 – Una villa e la sua proprietà nel disegno di un agrimensore romano (dal manoscritto Arcerianus ‘A’ Wolfenbüttel, Guelferb. 36.23). Pict. I.8 – A villa and its property in a drawing of a roman land surveyor (from the handschrift Arcerianus ‘A’ Wolfenbüttel, Guelferb. 36.23). 75. Pontone: pianoro delimitato su tre lati da pendii scoscesi. 76. Fosso Catenaccio: dalla vorticosità delle acque, che consente di gettarvi solo dei ponti di fortuna. 77. la Rocca: rocca nuova di Rocca Respampani, fondata nel 1607. 78. Fontanile del Pidocchio: dalla scelta del fontanile quale luogo di abbeverata per bestiame ovino e suino. 79. Valle Regina: dal nome dela strada principale con la quale si raggiungeva l’abitato medievale di Rocca Respampani e la successiva Rocca nuova. 80. Cioccato S. Maria: area destinata a bosco ceduo e riservata al mantenimento della locale chiesa di S. Maria. 81. Pontone della Querce: pianoro ricoperto da un bosco di querce. 82. Porcareccia: superficie del bosco ceduo che per la qualità delle ghiande viene riservata all’allevamento del bestiame suino. 83. Giardinetto: nome beneaugurante attribuita ad una porzione di bosco ceduo del Quarto di Grotte nova. 84. Bufalareccia: dalla destinazione della superficie al solo pascolo del bestiame bovino. 85. Borgo Rio Secco: agglomerato sorto nelle vicinanze di uno degli affluenti del Fosso Catenaccio. 86. Ponte Tre Cancelle: dalla presenza di tre chiusure di altrettanti terreni recintati, all’interno dei quali pascola il bestiame in libertà. 87. Piano dei Ghigi: da una delle famiglie di Monte Romano che nel XIX secolo assumono la conduzione di una parte dei terreni dell’Ospedale di S. Spirito. 88. Campo di Casa: nel senso di campo appartenente alla “Venerabile Casa”, ossia l’Ospedale di S. Spirito. 89. lo Spiano: dalla superficie pianeggiante del Quarto di Campo Maggiore, sfruttata in parte dalle coltivazioni.

I.3 Il paesaggio agrario in epoca romana (fig. I.8 / pict. I.8) Storicamente la superficie delle future tenute di Monte Romano e di Rocca Respampani è compresa nel più ampio territorio di Tarquinia (la Civita), riorganizzato a livello fondiario alla fine del II secolo a. C. (lex Sempronia). In piena età imperiale le ville e le fattorie, poste sulla sommità delle colline (Poggio Barone, il Morto, Poggio della Rotonda, Poggio Cisterna, Calisto, Casa Liblandi, Ancarano) o su uno dei versanti (Grottarenaria, i Monumenti, le Cime, la Selvarella, Doganelle, il Piantato, Fontanile dell’Oro, Fontanile del Prataccio, Polledrara), al riparo dai venti di Tramontana, si dividono la campagna in una serie di appezzamenti (fundi o praedia), nei quali prevalgono le colture dell’olivo e dei cereali. I terreni più adatti, soprattutto per la produzione di olio, e la migliore esposizione si ritrovano sui rilievi che chiudono la valle poi occupata dall’abitato di Monte Romano. I pascoli si estendono sui pendii delle alture, ai margini delle superfici boscate ed in prossimità dei fossi, nella zona attraversata dalla Clodia (forse il tracciato Vallicelle-Banditella). Un limite è costituito dalla selva, che copre le colline a Nord del Fosso dell’Infernetto e dalla quale si estrae legname per vari impieghi (edilizio e da ardere). L’approvvigionamento idrico, ad uso delle ville e delle fattorie, è garantito da serbatoi (i Monumenti, Grottarenara, Doganelle, gli Orti, Poggio Cisterna, Poggio della Rotonda, Calisto), posti direttamente sulla cima dei rilievi o nei punti dove sfruttare meglio accumuli di acqua piovana (fig. I.9 / pict. I.9). Nel resto delle proprietà, dei pascoli e delle selve la cura è rivolta direttamente a mantenere pulite le sorgenti e a

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Fig. I.9 – Monte Romano: alcuni esempi di cisterne (rilievi: Fortini, 1984). Pict. I.9 – Monte Romano: some examples of cisterns (plans and sections: Fortini, 1984).

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Fig. I.10 – Ancarano (Monte Romano): l’anonimo affluente del Fosso di Civitella, regimato con uno sbarramento. Pict. I.10 – Ancarano (Monte Romano): the nameless tributary of Fosso di Civitella, regulated by a dam.

Fig. I.11 – Ancarano (Monte Romano): lo sbarramento (I secolo d. C.). Pict. I.11 – Ancarano (Monte Romano): the dam (I century A.D.). 292

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Fig. I.12 – Selvarella (Monte Romano): una cisterna (la cosiddetta Saracinesca, lungo il Viottolo che tende a Bieda nel 1818) di una delle tre ville romane esistenti nella località. Pict. I.12 – Selvarella (Monte Romano): a cistern (the so-called Saracinesca, along the Viottolo che tende a Bieda in 1818) in one of three villas being in the place. sgombrare periodicamente i fossi dai detriti, tenendoli puliti e riservandoli all’abbeverata degli animali. Solo laddove l’eccessiva pendenza degli alvei potrebbe favorire fenomeni erosivi, si costruiscono degli sbarramenti in blocchi di pietra squadrata, finalizzati a creare dei bacini di raccolta e a rallentare la velocità della corrente con una serie di cascate (Ancarano, F° 142 I NE, UTM 32TQM356886; m 8,80 x 2,35 x 0,72 nella porzione visibile; dim. media dei blocchi m 0,58 x 0,23 x 0,29) (figg. I.10-11 / pict. I.10-11). Una rete di viae privatae e vicinales (di servizio a diverse proprietà e spesso oggetto di lite con chi se ne è impadronito abusivamente) si dirama a raggiera dalla valle di Monte Romano, percorsa da una via publica (l’odierna Strada Statale n° 1 bis), e risale le alture, seguendone le creste o muovendosi a mezzacosta. Queste viae sono realizzate, in prevalenza, in terra battuta e mantenute a spese dei possessori che le utilizzano. Dei ponti in legno, facilmente ricostruibili in caso di distruzione a seguito di una piena, consentono il superamento dei fossi. Alcune di esse, raccordate tra loro da ulteriori percorsi minori, si mantengono quasi invariate nel tracciato anche dopo la costituzione, nel XV secolo, delle tenute, diventando la Strada che va a Civitavecchia, dalla villa di Poggio Barone a quella de il Morto; la Strada che va a Bieda, tra il Poggio della Rotonda e Calisto; la Strada che va a Viterbo, risalendo

Grottarenara; la Strada da Toscanella a Monte Romano, da Casa Liblandi al Poggio Ficonaccia; e la Strada che va alla Roccha, per i Monumenti e le Vallicelle. L’accesso alla valle del Marta è, invece, assicurato da una serie di tagliate, che incidono le rupi circostanti, per consentire ai semita di abbassarsi gradatamente di quota, sino a portarsi a livello del fiume. Ipotizzando l’esistenza, in contemporanea, di tutte le ville e delle fattorie conosciute nel territorio e volendo ricostruire il catasto (forma) impostato dagli agrimensori romani, ciascun fundus o praedium ha una superficie media di 300 iugeri (circa 75 ettari; Piantato, Poggio Cisterna, Poggio della Rotonda), con punte massime di 750 (Poggio Barone) e di 1000 (circa 250 ettari; Poggio Ficonaccia, i Monumenti - fig. I.13 a-d / pict. I.13 a-d - e Ancarano). I loro confini vanno a coincidere in prevalenza con viae di diverso ordine e grado (tra le ville di Poggio Ficonaccia e Polledrara) e corsi d’acqua (ad esempio il Fosso di Natale, tra il fundus della villa delle Doganelle e quella di Poggio Barone). Macchie ed alberi isolati completano il repertorio dei caposaldi stabiliti su elementi naturali e, dove questi mancano, si integra con l’uso di cippi di basalto (termini silicei) e di arche in calcestruzzo, in tutto identiche a delle cisterne ma di dimensioni ridotte (Fontana Lea, Ancarano fig. I.14 / pict. I.14 - e Casa Liblandi).

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Fig. I.13 a-d – La villa romana detta I Monumenti (Monte Romano): a) la rappresentazione (sulla destra) in una mappa del 1661 (Archivio di Stato di Roma, Archiosp. S. Spirito, b. 1479, reg. 22, pianta 2 A2), b) nella cartografia e su Google Earth; cd) le cisterne. Pict. I.13 a-d – The roman villa named I Monumenti (Monte Romano): a) its drawing (on the right) in a map of 1661 (Archivio di Stato di Roma, Archiosp. S. Spirito, b. 1479, reg. 22, plan 2 A2), b) in the map and on Google Earth; c-d) the cisterns.

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Topografia e storia

Fig. I.14 – Ancarano (Monte Romano): la cisterna e arca confinaria lungo il Fosso di Civitella. Pict. I.14 - Ancarano (Monte Romano): the cistern and boundary ark along the Fosso di Civitella.

Fig. I.15 – Poggio della Rotonda (Monte Romano): l’antica strada per Blera. Pict. I.15 – Poggio della Rotonda (Monte Romano): the ancient road to Blera. Per completare il dato catastale di questa porzione dell’agro Maria di Falleri, presso Fabrica di Roma, VT), e presenti a tarquiniese, mancano solo i nomi dei proprietari e rimane Capena, nel Reatino e ad Amiternum (S. Vittorino, AQ), ancora incerta l’identità di coloro i quali rimane memoria quasi a segnalare un loro legame con il commercio del nella res (privata) Pampini (o forse Pomponii), a Rocca bestiame e la transumanza. Nell’area, invece, che si estende Respampani. Le famiglie (gentes), ricordate nelle epigrafi da le Cime a Poggio Cisterna e Calisto si avrebbero i sinora rinvenute, sono poche ma significative. Nelle colline a Pompeii, dalla Gallia Narbonense, gli Statilii, da Sud di Monte Romano, tra il Fosso di Natale ed il confine Centumcellae (Civitavecchia, RM) e Castrum Novum (Torre con la Macchia di Blera, si hanno i Quintilii (Doganelle-Ara Chiaruccia-S. Marinella, RM), gli Iulii e i Curtii, entrambi Grande), imparentati con i Lutatii di Forum Clodii (S. noti anche a Tarquinia (i Montarozzi) e nelle campagne ad Liberato, presso Bracciano, RM) e con i Nonii di Falerii (S. Ovest di Sutri (fig. I.16 / pict. I.16). 295

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Fig. I.16 – Ipotesi di organizzazione del territorio di Monte Romano, del paesaggio rurale e delle produzioni agricole in epoca romana, ottenuta incrociando il dato vocazionale odierno a quello storico-documentario (base cartografica scala 1:10.000). Pict. I.16 – Hypothesis about rural landscape organisation, composition and agrarian productions in the Roman Age, had by linking historical documents and know-how about traditions of cultivations (map on a 1:10.000 scale) .

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Fig. I.17 – Il praedium Ancharanum e la valle del Marta nell’Alto Medioevo (foto: Università Agraria di Monte Romano, tav. n° 2, conc. SMA n° 587, del 7 luglio 1993). Pict. I.17 – The praedium Ancharanum and the Marta valley in the Early Middle Age (photo: Università Agraria di Monte Romano, tav. n° 2, conc. SMA n° 587, del 7 luglio 1993) I.4 Il paesaggio agrario nella Tarda Antichità e nell’Alto Medioevo (secoli III-XI) La crisi economica, che nel corso del III secolo d. C. ha coinvolto ampie parti dell’impero romano e l’Italia, pur con eccezioni nelle regiones meridionali, determina in questo settore dell’agro tarquiniese il progressivo abbandono di molte ville ma non delle proprietà circostanti. Si riconosce, anzi, la tendenza all’accorpamento di singoli appezzamenti in entità fondiarie di maggiore ampiezza (saltus), con allargamento delle superfici destinate alle colture cerealicole, al bosco e all’allevamento del bestiame (ovino, suino, bovino ed equino), a scapito ed in parziale sostituzione dell’olivicoltura.

del Forno e di Poggio Tondo), alle Doganelle e a Poggio Cisterna, ma coinvolge anche due luoghi (Monte Romano e Ancarano), che dal cambiamento traggono motivi per assicurarsi una continuità di vita. Nei catasti, con la denominazione Mons Romanus, che qui corrisponderebbe all’intero rilievo del Poggio della Rotonda, si intende la pertinenza di un complesso montano all’ager publicus, ossia al demanio statale, gestito localmente dal centro amministrativo più vicino (nel caso specifico Tarquinia, sulla Civita). Forse al IV secolo d. C. risale il trasferimento della proprietà del Poggio della Rotonda, e della relativa villa, dal possesso privato al pubblico (il mons), con conseguente nascita di un primo agglomerato, a sviluppo più ampio rispetto al passato.

Il pascolo e la selva iniziano a diventare gli elementi dominanti del paesaggio agrario e la viabilità locale allunga i propri tracciati per raggiungere punti più distanti, incrociando la Clodia e arrivando alle estensioni boschive della res (privata) Pampini (Rocca Respampani). Questa evoluzione si coglie soprattutto a Fontana Lea (tra i futuri quarti di Poggio

L’Ancarano è uno dei pochi ambiti del territorio per il quale il dato archeologico, la persistenza del nome della proprietà e la conservazione dei confini offrano un modello ed aiutino a ricostruire l’assetto e la conformazione del paesaggio agli inizi dell’Alto Medioevo (fig. I.17 / pict. I.17). La gens Ancharia, presente anche a Tarquinia (i Montarozzi), si

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Fig. I.18 – La frontiera longobardo-bizantina nel VI-VII secolo. Pict. I.18 – The longobard-byzantine frontier in the Vi-VII century. distingue nell’Italia centrale, dalle coste tirreniche a quelle L’invasione longobarda e l’acuirsi degli scontri lungo la via adriatiche, per la continuità di vita all’interno dei suoi Clodia, tenuta dai Bizantini, comportano, alla fine del VI e possessi e la persistenza, immutata, dell’identità originaria. I per tutto il VII secolo, il rafforzamento di alcune posizioni limiti del suo praedium e poi, forse, del saltus in questo (Civitella, Poggio della Guardiola, Poggio della Rotonda) e la territorio coincidono probabilmente con quelli assunti dal nascita di un sistema di difesa limitaneo (combinazione di castello e, in futuro, dalla tenuta omonima, attestandosi, fra strada di confine e di punti fortificati, lungo il suo percorso; gli altri, sull’arca prossima a Fontana Lea (o i Tre Confini). fig. I.18 / pict. I.18). Accanto ad essa si intersecano possessi privati ed aree demaniali, la maggior parte delle quali tenute a bosco e a Lo sfondamento della linea, agli inzi dell’VIII secolo, si pascolo, che costituiscono un assetto molto simile a quello traduce nell’occupazione longobarda delle difese (con riscontrato in queste zone dai Romani al momento della passaggio, forse, da Mons Romanus ad un Mons conquista, agli inizi del III secolo a. C. Le delimitazioni sono Arimannorum, sul Poggio della Rotonda) e nella affidate, secondo le prescrizioni degli agrimensori incaricati riorganizzazione, anche in termini catastali, del territorio dall’amministrazione gota, ai corsi d’acqua, regolarizzati in nuovamente riunificato. Il demanio regio (il gahagium alcuni punti (Ancarano, Fontana dell’Oste), alle loro Liutprandi, da cui Casa Liblandi) si appropria delle fasce di confluenze, agli alberi isolati e di dimensioni ragguardevoli terra contese sino a poco tempo prima e stabilisce un (le varie Querciabella), alle catene collinari (le Cimette, le importante caposaldo su una delle arche confinarie romane (il Pes Liutprandi, sempre a Casa Liblandi). La frontiera con i Cime, Poggio Tondo), alle rupi (Greppa Alta) e alle strade. 298

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Fig. I.19 – La frontiera longobardo-bizantina nell’VIII secolo. Pict. I.19 – The longobard-byzantine frontier in the VIII century. Bizantini si sposta definitivamente sulle rive del Mignone ed il sistema limitaneo cambia solo orientamento. I luoghi eretti a difesa sorvegliano il territorio contro una minaccia proveniente non più da Est ma da Sud, mentre Ancarano e Pian Fasciano si dispongono a chiusura del passaggio del Marta verso Tuscania, con l’estensione di una linea arretrata di insediamenti, tra il Marta ed il Biedano, che va da Ancarano e Casa Liblandi a Norchia, in opposizione al Mignone, con Luni, Blera ed il baluardo dei Monti della Tolfa (fig. I.19 / pict. I.19).

così le basi per una rapida crescita ed espansione nelle aree circostanti, sino al mare. La minaccia degli Arabi, insediatisi sulla costa, e le successive scorrerie degli Ungari non interrompono questo processo, che nel X ed XI secolo vede il territorio suddividersi fra comunità ben definite e riconosciute sul piano giuridico (Ancarano, Casa Liblandi), e la progressiva sostituzione dei montes con le arces (Respampani e Monte Romano). Le circostanze che hanno, invece, determinato la costituzione ed il riconoscimento dell’arca confinaria di Casa Liblandi nel Pes Liutprandi sfumano ormai nella leggenda, curiosamente raccolta e raccontata solo nelle Cronache dall’abbazia di Novalesa (TO), in Val di Susa.

L’accentramento della popolazione, sinora distribuita nelle campagne, in agglomerati prosegue anche dopo la conquista franca, comportando un diverso accorpamento degli antichi possessi agricoli e delle aree incolte attorno a questi nuovi I.5 Il paesaggio dei castelli e delle torri punti (massae). Le superfici demaniali sono in parte privatizzate o attribuite ad istituzioni monastiche, come la Il prevalere, tra l’XI ed il XIV secolo, di alcune sedi abitate vicina cella farfense di S. Maria del Mignone, che pongono su altre, per ragioni economiche (disponibilità di terre, 299

Cultural Landscapes pascoli e selve di qualità migliore) e strategiche (posizione chiave su luoghi elevati o lungo la viabilità principale), comporta un diverso genere di accorpamento delle precedenti proprietà fondiarie. Le superfici, in passato pertinenti al demanio, vengono ripartite, assieme agli antichi saltus, fra i nuovi insediamenti, costituendone il territorio.

(detto anche Venanzio, Vivenzio o Vincenzo) potrebbe legarsi al transito, nelle vicinanze, dell’antica Clodia, il cui tracciato, da Blera a Tuscania, è stato nel frattempo trasformato in percorso di transumanza, per agevolare lo spostamento degli armenti. I.6 La nascita delle tenute di Monte Romano e Respampani

Le delimitazioni sono affidate alle strade e agli stessi elementi fisici (soprattutto fossi, alture, alberi isolati) che in precedenza erano stati usati per delle ripartizioni minori e ora vengono elevati di importanza, segnando la massima estensione riconosciuta a questi centri. Il Fosso scolatore della Banditella (ora Fosso dell’Infernetto), ad esempio, separa Respampani da Casa Liblandi, mentre la linea di colline, con la successione dei poggi Caroso, Agnello e Carlo, ne marca il limite con Norchia (fig. I.20 / pict. I.20). Il vocabolo castrum, usato nei documenti per definire gli abitati, ha un valore soprattutto giuridico, sottolineandone una certa autonomia di gestione degli spazi circostanti. I segni più evidenti di questa transizione si hanno negli insediamenti di Anchariano (Ancarano), derivato direttamente dall’ampio praedium romano ed altomedievale; di Campus Maior (Campo Maggiore), ossia la proprietà di maggiore ampiezza e miglior qualità, definita probabilmente già nel VI secolo e consolidatasi attorno ad un agglomerato organizzato; e, infine, Casa Liblandi (le Grotte), sviluppatosi all’interno dell’area demaniale. Data, invece, la posizione in elevato, visibile a notevole distanza, e la difesa garantita da bastioni naturali di roccia e pendii scoscesi, Mons Romanus (Monte Romano, sul Poggio della Rotonda) e l’antica Res (privata) Pampini (Respampani, a Rocca vecchia) offrono, agli occhi di chi vive nelle campagne circostanti, l’immagine di antiche acropoli (arces). Come tali esercitano un controllo diretto sulla viabilità ed i confini territoriali, ricorrendo alla costruzione o al recupero delle torri preesistenti, che sorgono in punti chiave, tanto sulla sommità di colline (Poggio della Guardiola, il Torrionaccio) quanto nel fondovalle (il Torrione o Torre della Valle). Lo sfruttamento della selva, l’attività di estrazione dello zolfo alla confluenza del Fosso Traponzo con il Marta, la lavorazione della pietra e l’allevamento, soprattutto dei maiali, segnano il territorio di Respampani e ne caratterizzano l’economia. L’agricoltura è invece alla base della vita di Campo Maggiore, dell’Ancarano e di Monte Romano, che riprende la coltivazione dell’olivo e la produzione del grano, alternando appezzamenti definiti da limiti naturali, per gli uliveti, a più ampie superfici, per i cereali, ai margini della selva. Casa Liblandi, arroccata su un altopiano tufaceo, associa, invece, la coltura del grano alla lavorazione dei vigneti, sfruttando i pendii e la pianura del Marta. I tralci delle piante vengono sostenuti da olmi disposti a filari (le piantate), la cui memoria rimane nel toponimo Valle degli Olmi.

Nel corso del XIV secolo, in assenza dei papi da Roma, la forte ingerenza dei Prefetti di Vico, nelle contese per il controllo della media e bassa valle del Marta, ed i ripetuti scontri con i Farnese determinano una diffusa instabilità. La crisi economica conseguente, nonché gli effetti, nel 1349, del forte terremoto, che colpisce il Viterbese, e della grande epidemia della peste nera, favoriscono un generale stato di abbandono, scoraggiando le forme di occupazione stabile della terra (abitati ed aree coltivate). I danni, inoltre, provocati alle strutture fortificate dagli assedi (Respampani nel 1345, Ancarano nel 1356 e nel 1373, quasi in contemporanea a Monte Romano) non vengono più riparati e la tendenza diffusa è verso lo spopolamento, con ritorno alla selva e all’allevamento del bestiame (pecore e maiali). I terreni in precedenza coltivati sono in parte rioccupati dal bosco o ridotti a pascolo e, forse, già a questo periodo può farsi risalire la selezione della razza bovina Maremmana, maggiormente adatta a sopravvivere in condizioni ambientali non ottimali. Quando, agli inzi del secolo XV, con la definitiva distruzione del castello dell’Ancarano, si è ristabilita la pace ovunque nel Patrimonio di S. Pietro, il paesaggio si è già trasformato. Prevalgono gli ampi prati, la selva e la macchia, che riconquista gli avvallamenti e gli spazi meno accessibili (le rive dei fossi e i margini delle rupi). Una concentrazione di orti e campi si rinviene nelle immediate vicinanze dei centri, ancora popolati, salvo qualche eccezione, ma definiti legalmente, nel 1416, destructi et inhabitati, in quanto occupati da un numero di persone inferiore alla soglia minima, stabilita per il versamento delle imposte e la riscossione della quota di sale, destinata ad ogni nucleo familiare che vi abita. Monte Romano (Poggio della Rotonda), Respampani (Rocca vecchia) e Campo Maggiore sono fra questi e quando, nel 1456, papa Callisto III (di cui rimane memora nella località Calisto) cerca di recuperare ingenti somme di denaro, per finanziare una crociata contro i Turchi dopo la caduta di Costantinopoli, divengono facilmente merce di scambio. I rispettivi territoria et castra diruta vengono scelti, assieme a Carbognano, Vallerano e Vignanello, per essere ipotecati. Costituiti in tenute (tenimenta) e sono ceduti temporaneamente all’Ospedale di S. Spirito, in cambio della somma di 12.000 fiorini d’oro. La cifra è particolarmente elevata e simbolo della ricchezza del territorio prescelto, se si considera che gli altri tre centri, assieme, vengono valutati solo 4000 fiorini d’oro (fig. I.21 / pict. I.21).

In contemporanea, la macchia viene riservata al pascolo del bestiame e alla sua cura e gestione è, probabilmente, delegata Nonostante il parziale riscatto dell’ipoteca, versato da Pio II la chiesa di S. Vincenzo. La fondazione di questo luogo di (1458-1464), con il recupero di Carbognano e degli altri due culto, collegabile alla devozione dei Blerani per S. Senzia paesi del comprensorio cimino, non si riesce a trovare il 300

Topografia e storia

Fig. I.20 – Abitati, castelli, torri e relativi territori tra i fiumi Marta e Mignone Pict. I.20 – Settlements, castles, towers and their territories between the rivers Marta and Mignone.

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Fig. I.21 – Pergamena con la quale il 26 agosto 1456 papa Callisto III cede all’Ospedale di S. Spirito le tenute di Rerspampani, Campo Maggiore e Monte Romano (Archivio di Stato di Roma, Pergamene, cass./cart. 55/65). Pict. I.21 – Parchment, where on 26 august 1456 the pope Callisto III sells to the Ospedale di S. Spirito the estates of Rerspampani, Campo Maggiore and Monte Romano (Archivio di Stato di Roma, Pergamene, cass./cart. 55/65). denaro necessario per saldare il debito rimanente. Per questo il 25 febbrario del 1471 (Romae apud S. Petrum, 5 Kal. 1471) papa Sisto IV rinuncia definitivamente ad ogni pretesa su Respampani e Monte Romano, riconoscendone il pieno possesso all’Ospedale di S. Spirito5.

Il bipolarismo delle due antiche arces, tuttora riscontrabile nell’ambito del territorio comunale, nasce in questi anni e viene equilibrato a favore di Monte Romano, incrementando l’estensione della sua tenuta con l’accorpamento di Civitella e Casa Liblandi.

5 Testo riprodotto in una copia a stampa Ex Typographia Rev. Cam. Apost. MDCLXI: Dudum siquidem felicis recordationis Calistus Papa III praedecessor noster pro Christianorum tutela fervente animo intendens parare classem maritimam, magnosque exercitus contra Turcas Christianae religionis infestos, ac illius vigiles inimicos, et persecutores fidelium, pro supportandis oneribus, et impensis huiusmodi, ac pecuniis sufficienter habendis, de Venerabilium fratrum nostrorum tunc suorum consilio, voluit, et mandavit, quod de Casalibus, praediis, et possessionibus dicti Hospitalis tot venderentur, quod ex eorum pretio summa duodecim millium florenorum auri de Camera, ad effectum classis huiusmodi praeparandae perveniret, pro cuius quidem summae recompensa, dicto Hospitali Castrum dirutum, seu arcem Rispampani, cum omnibus pertinentiis, et iuribus montis Romani, passus, atque pedagii, et aliis tenimentis coniunctis, et annexis con l'aggiunta dei castra di Carbognano, Vallerano e Vignanello (del valore, da soli, di 4000 fiorini d'oro, da aggiungersi ai precedenti) e la clausola di rientrare in possesso di tutto al momento della restituzione della somma versata dall'Ospedale. Pio II riscatta questi tre centri. Non essendo poi in grado di restituire il resto, nè potendo abbonare il debito, senza causare grave danno agli assistiti dell'Ospedale e Certificati etiam, quod dilectus filius modernus Praeceptor Hospitalis eiusdem pro dicti Castri Rispampani, et illius arcis, et tenimenti praedictorum reparatione plurimas fecit expensas, et magnas pecuniarum summas exposuit, ac ipsum Castrum iamdudum depopulatum, et ruinosum vetustate murorum, et ruina arcis pro maiori parte consumptum renovavit, ac reparavit, ac nonnullas familias, et incolas ad illud habitandum conduxit, et non absque sumptibus, et expensis gravioribus possessiones steriles, et incultas ad fertilitatem, et culturam reduxit: Insuper fructiferas arbores, videlicet vites plantari, et inseri sua industria, et diligentia fecit,

Il confine con Respampani e Campo Maggiore è attestato, allora, sul Fosso della Banditella (ora dell’Infernetto) e, per garantire l’unità di questi nuovi possedimenti, viene scoraggiato qualunque tentativo di rioccupare le sedi dei castelli ormai fatti decadere (come Ancarano, nel 1474). I soli altri provvedimenti che segnano la storia delle nuove tenute, alla fine del XV secolo, riguardano la definizione dei rapporti con la Dogana dei Pascoli, per i diritti di sfruttamento dell’erba delle ampie estensioni prative. considerando quindi tutto questo e che l'Ospedale, per la meritoria opera di assistenza che svolge, deve ricevere ogni sostegno, il papa rinuncia ad ogni diritto sul Castrum Respampani, arcem, tenimentum, territorium, et alia e poi, con maggiore dettaglio, su Castrum, et arcem Rispampani, Montis Romani, Civitellae, Casalibrandi, Campi maioris, tenimenta, territoria, tenutas, aliaque omnia eis incorporata, et annexa, quae per ipsum Hospitale possidentur ad praesens. Tali beni sono dichiarati inalienabili in quanto destinati pro sustentatione pauperum e si conferma il diritto riconosciuto da Paolo II super libertate vendendi herbas, et pascua Castri, et tenimentorum eorundem, et aliorum tenimentorum dicti Hospitalis, tramite il Precettore o i Doganieri (questo diritto viene ulteriormente confermato da Alessandro VI il 26 ottobre 1495).

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Fig. I.22 – La tenuta di Monte Romano e le sue divisioni interne (quarte) nel 1661. Pict. I.22 – The Monte Romano estate and its inner partitions (quarte) in 1661. I.7 Il catasto dell’Archiospedale di S. Spirito: Monte Romano La più chiara ed efficace descrizione della Tenuta di Monte Romano si legge, e si visualizza con mappe di dettaglio, dipinte a colori su carta con supporto in pergamena, nel registro n° 49 (o 22, secondo un’altra segnatura) dell’Ospedale (o Archiospedale) di S. Spirito, del 1661, conservato nell’omonimo fondo presso l’Archivio di Stato di Roma (busta n° 1479).

riva destra Mignone, a Sud, comprendendo tutta la parte centrale e meridionale dell’odierno ambito comunale. I confini, dal XV secolo in poi, sono rimasti invariati e percorrere le strade interne alla tenuta significa poter procedere in un viaggio a ritroso nel Tempo, alla riscoperta di paesaggi ancora oggi curati nell’aspetto e nelle forme originarie (figg. I.22-23 / pict. I.22-23).

L’abbinamento di ogni illustrazione catastale, tratta dal registro dell’Ospedale, alla cartografia attuale, con riporto dei Divisa in quattro quarte (Poggio Tondo, le Valli, Grotte confini delle particelle e del dettaglio fotografico degli sfondata e Mignone), con l’aggiunta del Quarto della Marta, elementi interni più significativi, consente di avere subito ossia il territorio dei castelli di Casa Liblandi e Civitella, si innanzi agli occhi un quadro chiaro dei luoghi raffigurati nel estende dal Fosso scolatore o della Banditella, a Nord, alla XVII secolo. Le immagini sono completate dal ricorso alle 303

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Fig. I.23 – La tenuta di Monte Romano nella mappa catastale del 1661 (Archivio di Stato di Roma). Pict. I.23 – The estate of Monte Romano in the cadastral map of 1661 (Archivio di Stato di Roma). descrizioni delle singole parti, effettuate in contemporanea alla redazione del registro, nel 1661, e a distanza di quasi 80 anni, tra il 1738 ed il 1742, alla perizia effettuata da un anonimo, per verificare l’evolversi delle condizioni della tenuta nelle sue singole parti. Dal registro n° 49 o 23, Monte Romano, del 1661 (Archivio di Stato di Roma, Archiospedale di S. Spirito, b. 1479, f. 5r): La Valle o le Valli «Piglia questo nome dall’essere li lavorativi di questo Quarto in mezza una Valle infra la Macchia di Monte Calvo, e la Macchia di Poggio Tondo, e la Macchia della Rotonda, o sia Monte Romano. (sulla mappa Fosso scolatore = Fosso di Natale; l’Aurelia bis = Strada alla Torchinaccia) Partic. V (Fontanile dell’Oste): Lavorativo il Campo della Fontana è confinato da capo con le Case di Monte Romano, mediante la strada, metà compresa, da piedi la strada della Fontana, metà compresa, e la macchia della mede(si)ma

Fontana, da un lato la strada che conduce a (Corneto) metà compresa, declina a Ponente, buono ma di cattivo aspetto, il fosso del Fontanile lo divide per mezzo. Contiene rubbia 6. Partic. VI (Poggio Barone): Lavorativo vocabolo il Campo di tre Confini è confinato da capo con il fosso scolatore, metà compreso, e la strada che va a Corneto, metà compresa, da un lato la macchia (di fosso Natale) da piedi la strada che va (non risulta in pratica alcuna strada, ma si tratta di quella per Civitavecchia, come appare dal quadro di unione) metà compresa, buono, declina a Ponente con gradi dodici d’aspetto medioecre, con poche Cerque, et è quasi tutto ramacchiato e Contiene rubbia 22. Partic. XXXI (Ara Grande, sponda destra del fosso di Natale): Sodo cerquato vocabolo la Macchia di fosso Natale è confinato da capo con il Campo delle Solagne, da piedi il Quarto del Mignone, mediante il fosso Natale metà compreso, macchia di Cerque, Cerri, et altro, declina verso il fosso Natale con gradi quindeci, cioè a dire verso Levante,

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Fig. I.25 – La Selvarella (Monte Romano): un esempio di ‘pascolare’, come descritto nel XVII secolo. Pict. I.25 – La Selvarella (Monte Romano): an example of ‘pascolare’ (grassland), like in the description of XVII century. aspetto buono, polita, che si gode da ogni Bestia. Contiene rubbia 14. Partic. XXXII (Ara Grande): Lavorativo il Campo delle Solagne è confinato da capo con la strada che va da Monte Romano a Corneto, da un lato la pezza num. 33, da piedi la sudetta Macchia, et il fosso Natale, metà compreso, lavorativo buono, declina a mezzo dì con gradi diece, aspetto ottimo con alcune macchiozze, e Cerque; di questa pezza non se ne semina doi parti, bisogna farla seminare tutta e starvi sopra. Contiene rubbia 61. Partic. XXXIII: Lavorativo vocabolo il Campo delle Solagne è confinato da capo con la strada delle Lumiere, da un lato la strada, che va da Monte Romano a Corneto, metà compresa, dall’altro lato la Tenuta di Santa Maria delle Lumiere, mediante il fosso del Passo metà compreso; paese quasi tutto rammacchiato buono d’ottima bontà declina a mezzo dì con gradi otto, vi sono perfette piane, e buone, che paiono Prati. Contiene rubbia 30». Tenuta di Monte Romano (Perizia del 1738-1742; Archivio di Stato di Roma, Archiospedale di S. Spirito, b. 1479, f. 7r): «viene questa Tenuta coltivata dall'Abitanti e dalli Popoli de Paesi convicini, cioè dà Vetrallesi, Biedani, Canepinesi, Barbaranesi, e Popoli di S. Gio(vanni) di Bieda. Li Terreni di questa Tenuta sono di buona qualità, ma in maggior parte macchiosi, e sterposi, che però si lavorano con qualche incommodo de Coloni. Rispondono in Maggesi un Rubbio di Grano ben concio p(er) ogni Rubbio di Terreno, et in Colti quarte due grano parimente concio come sopra [...]. È dotata

questa Tenuta di un’ottima adiacenza in maggior parte verso il mezzo giorno, e ben ricca d'acque, e Fontanili, li confinano ancora due Fiumi, uno detto il Mignone, che la divide con la Tenuta delle Lumiere della R(everen)da Camera, l'altro nominato la Marta, che la divide con il Territorio di Toscanella. È scarsa di pianure, poiché in maggior parte si stende in colli commodi però alla Coltura. 1°: Quarto delle Solagne nel quale si comprende anche Poggio Tondo [...] Sterpaglioso, e macchioso che al presente vi sono li Dicioccatori, quali dicioccano p(er) la futura staggione (!) della Rompitura. In d(ett)o quarto vi è un piccolo Prato di capacità di quarte tre incirca. 2°: Quarto detto il Pascolare [...] p(er) il passato è stato sempre una Macchia, che serviva p(er) pascolare de' Lavoratori; l'anno 1739. 1740, e 1741 fu tutto smacchiato, e tagliato a Cese, che ancora porzione si semina sotto nome di Cese, e si metterà a coltura come l'altri quarti. 3°: Quarto di Mignone [...] porzione sterpaglioso e porzione macchioso. 4°: Quarto delle Valli [...] Sono Prati fra vecchi, e nuovi, porzione di detti Prati sono liberi della Casa, porzione sono de’ lavoratori, che ne pagano il quinto dell'Erbe a falce, e l’Erbe d'Inverno restano libere p(er) la Casa; in detto quarto vi sono r(ubbi)a 47 tra chiuse e Vigne incirca, p(er) le quali pagano il Canone, vi sono r(ubbi)a 2 incirca d’Orticelli, intorno alle Case, e r(ubbi)a 25 e più dicioccate nel 1741, che al presente sono seminate a la spesa di detta dicioccatura.

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Fig. I.26 – Rocca Respampani (Monte Romano): veduta aerea della Rocca nuova. Sullo sfondo, in alto a destra, si intravede la collina della Rocca vecchia (foto per gentile concessione di R. Petretti). Pict. I.26 – Rocca Respampani (Monte Romano): aerial view of the Rocca nuova. On the background, high on the right, it can see the hill of Rocca vecchia (photo by kind of R. Petretti). 5°: Quarto di S. Vincenzo, e Vallicelle [...] terreno sterpaglioso, e macchioso. (in parte è stato dicioccato nel 1741 e 1742 assieme al quarto delle Valli). 6°: Quarto della Marta [...] (dicioccato nel 1741 ma alcune parti) restano tra sterpagliose e fossi». I.8 Il catasto dell’Archiospedale di S. Spirito: Respampani Anche per la Tenuta di Respampani la descrizione più efficace del paesaggio si legge, e si visualizza con altrettante mappe dipinte a colori su carta e supporto in pergamena, in un registro dell’Ospedale (o Archiospedale) di S. Spirito (il n° 23), del 1659, conservato nello stesso fondo archivistico (busta n° 1480). L’esemplare, però, depositato presso l’Archivio di Stato di Roma è una copia difettosa e probabilmente scartata, all’epoca, dall’amministrazione. Manca, infatti, della pianta generale della tenuta e contiene qualche errore nella legatura dei fascicoli. Le stesse mappe di dettaglio sono incomplete e, alcune, prive del titolo, rimasto solo con una segnatura preliminare a matita. Divisa in quattro quarte (Roccarespampana, Rocca Vecchia, Porcareccia e Banditella), la tenuta ne comprende anche altre due (Campo Maggiore e Grotte nova), ottenute dall’accorpamento del territorio dell’insediamento medievale di Campo Maggiore, e dal Fosso scolatore o della Banditella (Fosso dell’Infernetto), a Sud, si estende verso Nord sino ai limiti settentrionali del comune di Monte Romano, comprendendone per intero la parte settentrionale (fig. I.24 / pict. I.24). Dal 1607 il centro di riferimento della tenuta viene spostato dalla sede originaria, divenuta Rocca Vecchia, alla

nuova sede, poco distante. Fondata dal precettore Ottavio Tassoni d’Este, viene successivamente concepita dal più celebre fra’ Cirillo Zabaldani nelle forme di un imponente palazzo, fortificato ma con le funzionalità di una fattoria. Nonostante le vicende di cui è protagonista il suo castellano determinino, a distanza di qualche anno, l’interruzione dei lavori e la sospensione di ogni progetto, l’anonimo perito che intorno al 1742 si reca ad ispezionarla la descrive così: «Vi è un bellissimo Palazzo con molta commodità di stanze, Chiesa, Forno, Mola, Cantine, Tinello, Stalle, Fienile, con una Cisterna in mezzo al Cortile; vi sono div(ers)i pezzi di Prati compresi in d(ett)e misure vi è una bellissima Porcareccia con il commodo p(er) fare allievi, commodo p(er) li Pastori» e ospita 85 scrofe, 15 verri e 300 porcellini, dati dall’Ospedale agli affittuari. «Vi è la Cava di Solfo abondantissima di acque passandovi molti fossi p(er) tutte le parti. Vi è la Riserva della Caccia de' Cignali, e Capri, e Riserva della Pesca costando il tutto dalle Bolle de' sommi Pontefici spedite a favore della Casa di S. Sp(iri)to». Come si vede di seguito, l’abbinamento di ogni illustrazione catastale alla cartografia attuale, con riporto dei confini delle particelle, è integrato dalle descrizioni delle singole parti, risalenti al 1659 e confrontate con le parole della Perizia del 1742. Respampani (1659) Primo Quarto vocabolo Roccarespampana I. Lavorativo vocabolo il Campo di Casa [...] al presente à sodo, qui stà compreso il sito della Rocca, e spazzo avanti la Rocca. Cattivo nudo, e tufo rosso.

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Topografia e storia

Fig. I.27 – La tenuta di Rocca Respampani e le sue divisioni interne (quarte) nel 1661. Pict. I.27 – The Rocca Respampani estate and its inner partitions (quarte) in 1661. II. Lavorativo vocabolo il Campo della Casetta. III. Sodo cerquato vocabolo la Selva (di Rocca vecchia). IV. Lavorativo vocabolo Val Regina […] (confinante con la macchia di Fosso Spinoso) Questa macchia di Cerque, Cerri, et altro declina infra Levante, e Tramontana, aspetto pessimo, è macchia poco buona, la quale parte è in piano, e parte declina a Tramontana di cattivo Tufo rosso, et hora è smacchiata. V. Sodo cerquato vocabolo Fosso Spinoso. VI. Lavorativo avanti la Rocca sotto la Strada vocabolo di Casa, in piano tufo rosso. VII. Arboreto, e vitato. VIII. Sodo cerquato vocabolo la macchia della Mola […] Questa macchia è poco buona, declina a Tramontana con gradi trenta, et è aspetto cattivo. IX. Canneto della Rocca nuova. X. Prato sopra la strada vocabolo Prato di Roccavecchia […] paese cattivo, e secco, in tufo rosso, e fa poche herbe. XI. Prato sotto la strada vocabolo come sopra. XII. Vigna vocabolo la Vigna della Roccha vecchia […] vecchia con poche viti, e poco vista dal Levante, e ne’ meno dal Ponente in Valle, se non si rifà presto finirà. XIII. Lavorativo vocabolo il Campo avanti la Rocca vecchia. XIV. Lavorativo vocabolo Rocca vecchia. XV. Canneto della Vigna della Rocca vecchia. XVI. Sodo cerquato vocabolo la Selva di (Rocca vecchia).

Tenuta della Banditella di Rocca Respampani, e Campo Maggiore (Perizia del 1738-1742) 2°: Quarto Respampani […] è quasi la maggior parte macchioso d’Alberi da frutto p(er) il bestiame Porcino, e porzione si coltiva. Respampani (1659) Quarto della Rocca Vecchia I. Lavorativo vocabolo il Campo delle Spartite. II. Prato in piano buono, nudo il Sole non lo vede solo che dalle 20 sino le 22. III. Prato sudetto. IV. Prato come sopra. V. Sodo cerquato vocabolo la Selva di Rocca Vecchia, ò sia Banditella […] macchia di Cerque, Cerri, et altro legname la maggior parte godibile ad herba, declina a Tramontana con gradi quindeci, aspetto cattivo. Quarto della Porcareccia I. Prato vocabolo il Prato della Porcareccia […] cattivo nudo di terreno porcino rosso, declina verso il fosso San Pantaleo con gradi otto, aspetto cattivo, e tanto più questo il Levante, e mezzo dì gli lo leva la macchia, che li soprasta. II. Lavorativo vocabolo il Campo della Porcareccia […] è di cattivo terreno porcino, rosso, e nudo, come sopra. III. Sodo cerquato vocabolo la Selva della Porcareccia, o sia

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Fig. I.28 – La tenuta di Rocca Respampani nella mappa catastale del 1659 (Archivio di Stato di Roma). Pict. I.28 – The estate of Rocca Respampani in the cadastral map of 1659 (Archivio di Stato di Roma). Di Grotte nuova. […] Questa macchia è di Cerque, perazzi, spini, et altro, e di medioecre bontà; una parte è verso il fosso Traponzolo poco godibile, e sterile; questa declina infra mezzo dì, e Levante con gradi trenta, aspetto ottimo, e l’altra parte alla medesima positura con gradi sei. Quarto della Banditella […] è nome generale, comprendendo tutte le macchie, guasi cominciano dal fosso del Traponzolo, e seguitano fino che la Marta esce da questa Tenuta, e poi tirano su per il fosso della Banditella, et il Confine di Norchie fino, che torna al fosso del Traponzolo. Qual Quarto s’affida per Bovi l’Inverno, cominciando nel mese di Novembre, e dura per tutto febraro prossimo avvenire, e pagano tanto Bovi quanto Vacche paoli dicidotto per ciascheduno di dette Vaccine, et a una fida, che è sino sant’Angelo di Maggio pagano paoli quattro di più. Questo Quarto assieme con tutta la Tenuta di Rocca respampana è libera (!) della Casa. Questo Quarto segue al fosso della Banditella verso il Confine di Norchie, ma non v’arriva per lo spatio di venti Catene, e doppo cammina senza fosso; ma vi sono in questo spatio quattro Cerque grosse segnate con Croce ordinaria, e nell’ultima che fa tre Confini

vi sono molti sassi assieme ammucchiati nel punto in Pianta segnato *. III. Lavorativo vocabolo la Casetta della Banditella […]. In questo pezzo vi è una Casa di primo, e secondo piano, et è divisa in tre stanze, che hoggi solo è coperta quella di mezzo, e l’altre sono scoperte. Questo è un terreno di ottima qualità, e di buon salime, sodo di quindeci, et in dicidotto anni, che pare a punto un Prato nudo, declina a mezzo di’ con gradi quindeci, aspetto perfettissimo. In questa Casetta altre volte in tempo di Monsig(no)r Vai v’erano li Bifolci, e si faceva il Campo assieme con le terre di Monte Romano. II. Sodo cerquato vocabolo la Macchia Tonda […] macchia di bellissime Cerque, polita sotto, che commodamente si gode l'herba da Bovi, declina a mezzo di' con gradi dicidotto, aspetto bonissimo, ricevendo il sole dal levare sino, che a noi si nasconde, sarebbe ottima a lvorare, et è da credere, che il presente Affittuario lo farà. III. Lavorativo vocabolo li Decioccati [...] In mezzo a questo Campo li passa un fosso scolatore, che poi vi entra in piedi acqua viva, e si va ad unire con la Marta nell'uscire di questo

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Topografia e storia quarto, è di ottima bontà di terreno porcino negro, declina per il più a mezzo di' con gradi dodici, aspetto ottimo, e sono molti anni, che non si semina, che pare a punto un Prato, benchè sia battuto da Bestiami ogni giorno.

terreno da Basilico et essendo sempre pascolo di Bestie, e tutto stabbio, questo si puol seminare quattro, o cinque anni in fila, paga di risposta a maese quarte sei, et a colti quarte tre (su un totale di rubbia 26).

IV. Sodo cerquato vocabolo la selva della Banditella [...]. Questa è una macchia di Cerque, e Cerri bellissimi, et ha diverse declinationi con ottime Valli, ma pero' dolci, e pero' sempre gode il Sole, et è polita sotto, che si gode da Bovi. V. Prato vocabolo Solferata. VI. Lavorativo vocabolo Valle Fichina [...] nudo buono d'ottima bontà declina verso mezzo di' con gradi dodici, d'ottima qualità, e bontà a piedi di questa pezza li passa un fosso d'acqua viva, e si va ad unire con la Marta.

I.9 Il nuovo abitato di Monte Romano, centro gestionale dell’omonima tenuta

VII. Sodo cerquato vocabolo la Selva della Banditella [...] In questa pezza cominciando da piedi al fiume Marta, dove termina con la strada, che va dalla Rocca a Corneto, e tirando su per il fiume la strada, e sopra la strada per sette in diece Catene di larghezza per fino, che la strada rivolta verso la Grotte fichina vi è una bellissima piana, è d'ottima qualità con pochissimi sterpi, che sarà circa rubbia otto in dieci, e poi la poca macchia, che sta in Costa declinando a Ponente, sarebbe medesimamente ottima a lavorare, si dice la Piana dell'Alborone, cioè le dette rubbia diece, che si possono lavorare. Tenuta della Banditella di Rocca Respampani, e Campo Maggiore (Perizia del 1738-1742) 1°: Quarto detto la Banditella [...] porzione di questo va à coltura in Terzaria e porzione resta macchioso, o sia sterpaglioso, benchè se ne potrebbe parte dicioccare e parte cesare. Respampani (1659) Quarto vocabolo Poggio Tondo In questo Quarto assieme con il Quarto della Banditella di contro si potrebbe fare un Campo di cento quaranta, et anco cento cinquanta rubbia lavorativo tutto d'ottima qualità e con poca spesa si potrebbe streppare alcune macchiozze, che lo disuniscono, e cosi' rendere fruttifero l'infruttifero. Queste macchie sono d'ottimo salime, et abbondante d'acque perfettissime. I. Prato vocabolo il Prato della Rocca vecchia. II. Sodo cerquato vocabolo la macchia di Poggio Tondo [...] Macchia di Cerque, Cerri, et altro legname buono bellissima, e polita, che si gode per pascolo d'herba, et anco per ghianne, declina per il più a mezzo di' con gradi dodici. III. Lavorativo nudo vocabolo il Campo di Poggio Caroso [...] buono, terreno porcino, si rammacchia per non lavorarsi, e sono guindeci, e più anni, che non si lavora, declina a mezzo di' con gradi dodici, et è poco discosto dalla strada, passante un fosso d'acqua viva, che viene dal Lasco di Mastro Santi. IV. Lavorativo nudo vocabolo il Lasco di Mastro Santi.

Con la nascita delle tenute di Respampani e Monte Romano l’abitato medievale di quest’ultima, concentrato sul Poggio della Rotonda, continua ad esistere ma è privo di importanza giuridica. La sua chiesa di S. Maria resta comunque un punto di riferimento, per le famiglie di contadini ed allevatori distribuiti verso il Mignone, a Sud, e nelle campagne, a Nord, mentre la sede amministrativa e la residenza del Castellano sono collocati a Respampani (la Rocca vecchia). La cessione delle erbe alla Dogana dei Pascoli ed i rapporti stretti dall’Ospedale con il centro di Barbarano agevolano l’inserimento di nuovi coloni provenienti dall’esterno. L’abbandono progressivo dell’arx Montis Romani, sulla cima del poggio, avviene, forse alla fine del XV secolo, a favore della nascita di un nuovo agglomerato a valle, sulla strada da Corneto a Vetralla e Viterbo. Alla costruzione di una cappelletta, negli anni 1535-1540, seguono quella di un caseggiato per i lavoranti, di un’osteria, posta a ridosso della viabilità, in quanto eletta anche a sede per la riscossione delle gabelle, e forse di un magazzino. La specializzazione produttiva riconosciuta alle tenute, con Respampani riservata allo sfruttamento delle risorse boschive (legname ed allevamento di maiali e pecore) e con Monte Romano coltivata quasi interamente a grano, con i pascoli lasciati solo al bestiame da lavoro (le Maremmane), influiscono sulla vita dell’agglomerato. La sospensione, nel 1572, della vendita delle erbe alle Dogane ed una migliore distribuzione dei terreni da coltivare incrementano la presenza di lavoratori intenzionati a risiedere sul posto. La realizzazione del granaio di Agucchi, nel 1602, oltre ad accrescere il fabbricato dell’osteria, risolve ai contadini il problema del deposito per il raccolto, sinora obbligato a Corneto o a Civitavecchia. Nel 1615, invece, il Castellano di Respampani (la Rocca nuova), fra’ Cirillo Zabaldani, fa edificare una nuova chiesa, in sostituzione della precedente cappella ed elevata nel 1630 dall’Ospedale a sede priorale. A distanza di circa 30 anni «la sua habitatione», cioè l’abitato, «posta in una Valle […], consiste in una Chiesa dove sono annesse quattro stanze, le quali s’appiggionano a’ lavoratori, che lavorano in questo territorio, e benché piccole e cattive se ne cava buona piggione (!) […]. Nella sopradetta Habitatione vi è anco poco distante della Chiesa l’Hosteria con bonissima commodità, et avanti a detta Hosteria vi è una torretta, che al Pian terreno vi è la stalla, e sopra una stanza habitabile e fenile». La rapida espansione della popolazione comporta la nascita, a partire dal 1665, di due nuovi complessi abitativi (Castello Alessandro, in onore di papa Alessandro VII, e Monte Cavallo), fisicamente separati tra loro e dal nucleo originario, per sfruttare posizioni migliori dove risiedere.

V. Lavorativo vocabolo Monte Pelone buono d'ottima qualità, nudo, declina verso mezzo di' con gradi quindeci, aspetto buonissimo, ricevendo il Sole dal Levante fino a Tramontare, sodo in modo tale, che pare un prato, e sono guindeci anni, Il nuovo edificio delle carceri, nel 1737, ed il centro che non si lavora, terreno porcino negro, che pare a punto direzionale, nel 1759, diventano i primi elementi urbanistici 309

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Fig. I.29 – Monte Romano nella mappa catastale del XVII secolo (Archivio di Stato di Roma). Pict. I.29 – Monte Romano in the cadastral map of XVII century (Archivio di Stato di Roma). di raccordo fra i due quartieri precedenti ed un terzo, il Borgo Calino (dal nome del commendatore monsignor Ludovico Calino), progettato a fianco della prima chiesa di Monte Romano. L’opera è affidata all’architetto Pietro Sardi nel 1760, in contemporanea a molte altre opere di manutenzione alle infrastrutture della tenuta (ponti e fontanili). La consegna, nel 1776, dell’intero corpo di fabbrica, caratterizzato da una sucessione di case a schiera sopra botteghe, è solo parziale, poiché ancora nel 1783 si deve provvedere ad ultimarne le rifiniture. Intanto, però, tra il 1765 ed il 1770, sono stati ultimati il cantiere del centro direzionale (ora sede dell’Università Agraria), della nuova chiesa annessa, della Torre dell’Orologio, contigua alle carceri, e della Fontana del Mascherone. L’ultima attività edilizia si ha negli anni 1787, 1789 e 1791, durante la commenda di Francesco degli Albizi, con la costruzione di altri tre edifici (le cosiddette ‘case in linea’), concepiti al fine di completare i nuclei già consolidati di Castello Alessandro, Monte Cavallo e Borgo Calino e destinati ad ospitare le famiglie dei contadini. Sul piano civile ed amministrativo l’ultimo intervento diretto del S. Spirito nella gestione della comunità di Monte Romano si ha nel 1831, con la realizzazione di un piano urbanistico, che armonizzi in maniera definitiva la giustapposizione e la crescita dei diversi nuclei dell’abitato. Il risultato del lavoro, affidato all’architetto Raffalele Folo, si concretizza nella pianta generale del paese, ormai elevato a Comunità civile autonoma, di cui si riproduce l’immagine ingrandita. A titolo esemplificativo delle attività e del dinamismo edilizio che caratterizza Monte Romano in questo periodo si estrapolano alcuni passaggi relativi al tessuto urbano, alle componenti fondamentali e all’organizzazione dei servizi da

diversi documenti, ad iniziare dalla Perizia del 1738-1742 (Tenuta di Monte Romano): «In detti quarti vi è il Castello di Monte Romano [...]. Vi sono da n° 40 Case, porzione di q(ue)ste pagano il Canone, e Porzione la piggione, come si riconoscerà dai libri della Castellania. Vi è un'Osteria, Forno, pizzicaria, e Macello colla gabella del passo [...]. Vi sono diversi Magazzeni che servono per riporre il grano, vi è una palazzina p(er) commodo dei Ministri, vi sono tre stalle, e due fienili, molte altre Case di Particolari che alcune di queste pagano il Vassallaggio di due Galline e n° 12 Ova ogn'anno. Vi è la Chiesa assistita dall'Arciprete e Cappellano, che paga la Casa, et all'Arcip(ret)e gli si dà il commodo della Casa, letto e Biancaria. [...] In detta Tenuta vi è una nobile Masseria di Pecore di Lanaggio finissimo di n° 3000; Vi è una razza di cavalle unite a d(etta) Masseria che li Polledri sono da Tiro». Un esempio di casa (consegna del 16 gennaio 1802) «Una Stanza Superiore con Stalletta sotto di una Casetta sul principio di Castel Fangoso, incontro il Lavatore Stanza Superiore Pavimento mattonato, con molti mattoni triti, ma' senza mancanza di mattoni, muri incollati ed imbiancati, coperta con tetto impianellato di tevole (!), e canali, gronde murate, scopato, e pulito senza mancanza. Un Cammino con focolare di pietra, spallette, e muro stabilito, telara di travicello, con tavola sopra, muro della Cappa sopra di mattoni in cervello stabilita, senza mancanza. Alle due fenestre vi sono li telari con sportelli,uno de' quali fatto di nuovo, metà tavole, e metà inpannate, con fusti di due partite foderati servibili, con serramenti, e nottole di legno senza mancanza, e mattoni p(er) soglie. Tre tavole servibili nella Scanzia, conlegato in faccia di una di dette, con mattonato nel repiano.

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Topografia e storia

Fig. I.30 – Monte Romano: una pietra confinaria dell’Ospedale del S. Spirito. Pict. I.30 – Monte Romano: a boundary stone of Ospedale del S. Spirito. Fusto di due partite foderato servibile alla porta che mette alla Cordonata, con serramenti,, Serratura, chiave, due catenacci uno con passatore, e soglia lagra (!) di più pezzi. La cordonata scoperta, che scende alla strada, è con Selciata, ineguale di piano, ma' senza mancanza di selci, muri rustici, con muro del parapetto da un lato parimente rustico, con cappello alla Cima tondo ricciato attorno, trattato, e senza mancanza. Stalletta sotto la detta Stanza Selciata nel pavimento brozzolosa, ma' senza mancanza, muri rustici, solaro rustico, senza mancanza. Una mangiatora di muro rustica, con labro di legno con un passone, servibile. Ad’una fenestra vi è il fusto servibile, con serramenti, e una croce di legno p(er) serrata, con catenaccetto tondo, e occhi. Fusto di due partite con traverse alla porta che mette alla detta stalla, in medioecre stato con serramenti, serratura, chiave, catenaccio con suoi occhi, passatori, e ritenga soglia di sassi appiedi (!), senza mancanza. Muri esterni rustici, selciata da un lato ineguale di piano, ma' senza mancanza di selci, larghe sino alla guida s. 12».

mostra l'acqua con boccaglia di ferro, due murelli dalli lati ricciati sfratacciati in faccia, con lastre alla cima di travertino, e muri p(er) tre lati, che la circondano, reggono il terreno superiore, selciata, spurgata, e pulita, sino ove corre l'acqua del fosso, larghe s. 26 senza mancanza. Di fianco la detta Fontana vi è una vasca di muro che riceve il sopravanzo della detta Fontana, con sponde di muro stabilite di ricciatura sfrataccia(fog. 147v)ta nell'esterno, e cocciopisto di dentro, con correlate alla cima, spurgata, e pulita senza mancanza. Da un lato vi è una scaletta con scalini di muro, con sassi sopra il tutto Rustico, ma' senza mancanza. Il condotto, che porta l'acqua alla detta Fontana resta sottoterra, con chiavichetta murata, con acqua, che viene in buona quantità alla detta Fontana, senza mancanza. A Capo di detto Condotto vi è la botte in forma circolare, con muri esterni ricciati sfratacciati senza mancanza, smacchiata attorno, e nell'interno pulita, senza mancanza».

Un esempio di strada (consegna del 16 gennaio 1802) «La Strada detta di Monte Cavallo Dalla Selciata della Piazza incomincia una guida di selciata Un’opera pubblica (consegna del 16 gennaio 1802) nel mezzo della Strada in Salita tra le case, detta di Monte «Fontana detta dell'Oste Cavallo, con guide dalli lati, ineguale di piano, riattate e La detta Fontana contiene una sola vaschetta con pilo di senza mancanza di Selci, e termina al Cordone di Sassi avanti travertino, Frontone, con zinna simile di travertino, dove fa la porta del Forno di Gabrielli». 311

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Fig. I.31 – Monte Romano (Università Agraria): un esempio di stratificazione di un confine con combinazione di caposaldi (secoli XV-XIX): l’albero secolare, il muro a secco ed il cippo. Pict. I.31 – Monte Romano (Università Agraria): an example of a board stratified with some benchmarks mixed (XV-XIX century): the secular tree, the wall without masonry and the boundary stone. I.10 Dall’Ospedale di S. Spirito all’Università Agraria Il passaggio della gestione della terra, dall’Ospedale all’Università Agraria, è graduale. L’elevato rendimento ottenuto, alla fine del XIX secolo, con la vendita dell’erba dei pascoli spinge gli amministratori del S. Spirito a trascurare le tenute e a ridurre sensibilmente le superfici coltivabili, con notevole danno per gli abitanti di Monte Romano. Costituitasi, allora, formalmente l’Università Agraria nel 1907, si sollecita l’Ospedale a lasciare ai contadini la gestione diretta dei quarti della Rotonda e di Poggio Tondo, più vicini di altri a Monte Romano, in cambio di un canone annuo. Essendo però lo spazio insufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione agricola, si richiede la concessione anche di una parte della confinante tenuta di Corneto (Tarquinia). Tra il 1927 e il 1982 si compie il progressivo trasferimento all’Università Agraria della terra e degli usi civici (diritto di pascolo, semina e legnatico), imposti su altre cospicue porzioni dell’antica tenuta di Monte Romano. I suoi confini, con l’aggiunta di Respampani e di Campo Maggiore, coincidono con quelli dell’attuale Comune e la plurisecolare ripartizione interna, in porzioni di varie dimensioni, viene

garantita dalla permanenza dei medesimi elementi, naturali o artificiali (alberi, creste collinari, corsi d’acqua, strade, fontanili, cippi, etc.), assunti a riferimento topografico (fig. I.31 / pict. I.31). Presi nell’insieme, questi costituiscono il paesaggio attuale e ne tramandano l’assetto ereditato da secoli di lavoro della terra e di sfruttamento delle risorse locali. Alla loro conservazione provvede, fra gli altri, la stessa Università Agraria, con la manutenzione continua delle infrastrutture, a cominciare dai 26 fontanili, sia antichi (il Fontanile Nuovo, del 1818) sia di recente costruzione (il Fontanile Costacotella, del 1992), censiti nell’Inventario di beni immobili d’uso pubblico per natura (Fontanili). La lunga tradizione agraria, vantata dal territorio di Monte Romano, è sottolineata da diverse occasioni di festa, celebrate in onore di S. Antonio Abate (17 gennaio) e dei patroni S. Corona e S. Isidoro (14-15 maggio), o riservate al “pane e dei buoni sapori” (10-11/17-18 giugno) e alla razza bovina Maremmana (la Merca, l’1 maggio, e la Sagra della carne maremmana, dal 18 al 20 agosto), allevata biologicamente negli stessi luoghi che dal 1456 l’hanno vista impiegata nei lavori agricoli.

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Topografia e storia Libro della Consegna delle Fabbriche di Monte Romano (1811), fogg. 1-212 Per comodità del lettore si riproducono le segnature del - b. n° 1011, Indice degli istromenti Istromenti, dal 1467 al 1778 materiale più utile a svolgere una ricerca, Topografica o semplicemente Storico-Documentaria su Monte Romano. - b. n° 1012, Istromenti, dal 1563 al 1793 L’attenzione è rivolta principlamente al fondo - b. n° 1013, Istromenti, dal 1759 al 1768 dell’Archiospedale di S. Spirito [inv. 26/III/46] nell’Archivio - b. n° 1014, Istromenti, dal 1768 al 1772 di Stato di Roma (ASR), nel quale si concentra il maggior - b. n° 1015, Istromenti, dal 1771 al 1783 - b. n° 1016, Istromenti, dal 1777 al 1788 numero di documenti e di mappe. - b. n° 1017, Istromenti, dal 1789 al 1793 Questo non significa che altri fondi, sempre specifici per - b. n° 1018, Istromenti, dal 1801 al 1810 l’amministrazione locale nel medesimo archivio (Camerale, - b. n° 1019, Istromenti, dal 1814 al 1839 Sunti d’istromenti Congregazione del Buon Governo e relative sezioni) e altrove Copie d’istromenti (Biblioteca ed Archivio Segreto Vaticano) non abbiano pari carietà e disponibilità. Pertanto si sconsiglia di ritenere - b. n° 1020, Editti e bandi Esenzioni e privilegi conclusa una ricerca, limitandosi allo spoglio di queste carte e Impiegati di una bibliografia definita volutamente ‘essenziale’. È Medico circoscritta ad alcuni aspetti descritti nel quadro storicotopografico ed ambientale appena concluso, dall’Antichità ai - b. n° 1021, Lettere del governatore ed altri (1755-1758) tempi odierni, e non all’altezza delle pubblicazioni esistenti - b. n° 1022, Lettere del governatore ed altri (1762-1788) che menzionino e studino le storiche tenute di Monte - b. n° 1023, Lettere del governatore ed altri (1789-1790) - b. n° 1024, Priorato Romano e Respampani in ogni aspetto di interesse. Giurisdizione spirituale Chiesa a) Alcune fonti Indulgenze Scomuniche Brogliardo della mappa Tassa sulle sepolture in Chiesa ASR, Archiospedale di S. Spirito, buste n° 1477 e 3159, Brogliardo della Mappa dei terreni ristretti dati in enfiteusi o - b. n° 1025, Stato degli abitanti Abitanti (atti privati) enfiteutici in perpetuo, di altri di assoluta proprietà, ecc. Notizie Sanitarie (1851). Confini dei beni Misure dei terreni Catasto Strade ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 3156, Monte Romano: Catasto (1851-1898), forse identificabile con il - b. n° 1026, Affitti e vassallaggio Enfiteusi Catasto Mastrozzi dei fondi rustici ed urbani (1851), segnato Macchie in inventario quale contenuto della busta n° 1478, mancante. Rendite - b. n° 1027, Rendite e spese (dal 1762 al 1767), 7 fascc. Catasto di canoni ASR, Archiospedale di S. Spirito, buste n° 1476, n° 2, Monte - b. n° 1028, Rendite e spese (1768), 7 fascc. Romano: Catasto di canoni, case, vigne e terreni (1771), e n° - b. n° 1029, Rendite e spese (dal 1769 al 1771), 5 fascc. - b. n° 1030, Rendite e spese (dal 1772 al 1774), 5 fascc. 3157. - b. n° 1031, Rendite e spese (dal 1774 al 1776), 5 fascc. - b. n° 1032, Rendite e spese (dal 1777 al 1780), 6 fascc. Catasto Gregoriano ASR, Presidenza Generale del Censo, Catasto Gregoriano, - b. n° 1033, Rendite e spese (dal 1780 al 1783), 6 fascc. Patrimonio di S. Pietro, Delegazione di Civitavecchia, mappe - b. n° 1034, Rendite e spese (dal 1784 al 1791), 6 fascc. e brogliardi n° 16, Marta; 17, Monte Romano (sezz. I-II); 27, - b. n° 1035, Rendite e spese (dal 1792 al 1797), 6 fascc. Campo Maggiore; 64, S. Vincenzo; 87, Banditella; 95, - b. n° 1036, Rendite e spese (dal 1798 al 1801), 6 fascc. - b. n° 1037, Rendite e spese (1765; dal 1810 al 1822), 5 Respampani. fascc. - b. n° 1038, Rendiconto del Ministro (dal 1752 al 1759) Elenco dei Fondi ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 1479, fasc. s. n°, - b. n° 1039, Salda conti di debitori e creditori Esercizi pubblici e privative Elenco dei Fondi si' Urbani che Rustici situati nel Territorio Tasse di Monteromano (Catastino delli beni fatto dal 1831 al 1850 Gabella del passo e Nota dei Canoni). Istruzione agraria Colonia Feudi e priorati. Monte Romano Raccolto in grano ASR, Archiospedale di S. Spirito, Feudi e priorati. Monte Carestie Romano, buste nni 1009-1053: - b. n° 1009, Documenti storici ed affari generali Molino - b. n° 1010, Documenti storici ed affari generali Acque Inventari Miniere Fabbriche, prospetti e piante Reati 313 I.11 Alcune fonti e e la bibliografia essenziale

Cultural Landcsapes - b. n° 2507, dal n° 82 al n° 160 (1764-1765) - b. n° 2508, dal n° 1 al n° 44 (1766) - b. n° 2509, dal n° 1 al n° 71 (1767-1768) - b. n° 2510, dal n° 1 al n° 74 (1769-1771) - b. n° 2511, dal n° 75 al n° 107 (1769-1771) - b. n° 2512, dal n° 108 al n° 143 (1772) - b. n° 2513, dal n° 144 al n° 172 (1773) - b. n° 2514, dal n° 1 al n° 63 (1774) - b. n° 2515, dal n° 64 al n° 104 (1775) - b. n° 2516, dal n° 105 al n° 175 (1776-1777) - b. n° 2517, dal n° 1 al n° 97 (1778-1780) - b. n° 2518, dal n° 1 al n° 102 (1781-1783) - b. n° 2519, dal n° 1 al n° 50 (1784) - b. n° 2520, dal n° 51 al n° 73 (1785) - b. n° 2521, dal n° 1 al n° 14 (1787) - b. n° 2522, dal n° 16 al n° 29 (1788) - b. n° 2523, dal n° 30 al n° 57 (1789) - b. n° 2524, dal n° 58 al n° 75 (1790) - b. n° 2525, dal n° 1 al n° 19 (1791) - b. n° 2526, dal n° 1 al n° 28 (1792) - b. n° 2527, dal n° 1 al n° 28 (1793) - b. n° 2528, dal n° 1 al n° 22 (1794) Feudo di Monteromano ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° - b. n° 2529, dal n° 1 al n° 163 (1795) 1479, fasc. prot. n° 1850, Feudo di Monteromano. Stato de’ - b. n° 2530, dal n° 1 al n° 17 (1836) Canoni attivi della Pia Casa di S. Spirito all’epoca del 1 - b. n° 2531, dal n° 18 al n° 43 (1836) - b. n° 2532, Parte 1a (1837) Ottobre 1838, contenente: - Nota de Capollari [!], e Ristretti, quali sono sparsi La - b. n° 2533, Parte 2a (1837) - b. n° 2534, Parte 1a (1838) Tenuta di Monteromano (2 fogg.); - Elenco dei Canoni in Contanti che corrispondono alla Pia - b. n° 2535, Parte 2a (1838) - b. n° 2536, Parte 1a (1839) Casa di S. Spirito gl’Enfiteuti; - b. n° 2537, Parte 2a (1839) - Case poste in Monte Romano all’epoca del 1 8bre 1838; - Catasto del Canonico Spagnoli (10 pratiche con le quali si - b. n° 2538, dal n° 1 al n° 4 (1840) attesta il passaggio di proprietà di terreni dell’Ospedale, - b. n° 2539, dal n° 5 al n° 22 (1840) mantenendo inalterati i canoni concessi, dal 16 al 27 ottobre - b. n° 2540, dal n° 1 al n° 4 (1841) 1850, in loc. il Torron, le Valli, Poggio Pecoraro e Pian delle - b. n° 2541, dal n° 5 al n° 22 (1841) Reste, Terzo del Mignone, Prati delle Valli, Pascolaro di S. - b. n° 2542, dal n° 1 al n° 4 (1842) - b. n° 2543, dal n° 5 al n° 23 (1842) Vincenzo, Pascolaro, Punton del Lavatore, Piano e le Cime); - b. n° 2544, dal n° 1 al n° 4 (1843) - Monteromano. Catastino delli beni fatto dal 1831 al 1850; - b. n° 2545, dal n° 5 al n° 20 (1843) - Nota dei Canoni - b. n° 2546, dal n° 1 al n° 4 (1844) - b. n° 2547, dal n° 5 al n° 15 (1844) Inventario delle case ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 73, Inventario - b. n° 2548, dal n° 1 al n° 4 (1845) delle case e degli Ospedali di S. Spirito (secolo XVI), con - b. n° 2549, dal n° 5 al n° 19 (1845) - b. n° 2550, dal n° 1 al n° 4 (1846) frontespizio miniato. - b. n° 2551, dal n° 5 al n° 21 (1846) - b. n° 2552, dal n° 1 al n° 4 (1847) Libri Mastri ASR, Archiospedale di S. Spirito, Libri Mastri, Priorati, - b. n° 2553, dal n° 5 in poi (1847) - b. n° 2554, Parte 1a (1848) Monte Romano, buste nni 3076-3083: - b. n° 3076, dal 1763 al 1765 - b. n° 2555, Parte 2a (1848) - b. n° 2556, Parte 1a (1849) - b. n° 3077, dal 1766 al 1768 - b. n° 3078, dal 1769 al 1773 - b. n° 2557, Parte 2a (1849) - b. n° 2558, Parte 1a (1850) - b. n° 3079, dal 1774 al 1791 - b. n° 2559, Parte 2a (1850) - b. n° 3080, dal 1792 al 1795 - b. n° 2560, dal n° 1 al n° 4 (1851) - b. n° 3081, dal 1796 al 1800 - b. n° 2561, dal n° 5 in poi (1851) - b. n° 3082, dal 1807 al 1809 - b. n° 2562, dal n° 1 al n° 4 (1852) - b. n° 3083, Relativo agli Enfiteusi [!] dal 1850 al 1852 - b. n° 2563, dal n° 5 al n° 20 (1852) - b. n° 2564, dal n° 1 al n° 4 (1853) Mandati, Del Libro Mastro ASR, Archiospedale di S. Spirito, Mandati, Del Libro Mastro - b. n° 2565, dal n° 5 al n° 20 (1853) - b. n° 2566, [dal n° 1 al 4] (1854) di Monte Romano, buste nni 2505-2571: - b. n° 2505, dal n° 1 al n° 27 (1762-1763) - b. n° 2567, dal n° 5 al n° 21 (1854) - b. n° 2506, dal n° 1 al n° 81 (1762-1763) - b. n° 2568, dal n° 1 al n° 4 (1855) 314 - b. n° 1040, Formule per contratti Misure (sistema) Costo dei lavori e mano d’opera Licenze varie Caccia e pesca Spettacoli e feste - b. n° 1041, Atti civili (dal 1756 al 1774), 8 fascc. - b. n° 1042, Atti civili (dal 1774 al 1782), 7 fascc. - b. n° 1043, Atti civili (dal 1783 al 1792), 2 fascc. - b. n° 1044, Atti civili (dal 1792 al 1805), 3 fascc. - b. n° 1045, Atti civili (dal 1805 al 1808), 1 fascc. Iura civilia (dal 1768 al 1777) - b. n° 1046, Iura civilia (dal 1778 al 1794) - b. n° 1047, Atti criminali (dal 1762 al 1764) - b. n° 1048, Atti criminali (dal 1769 al 1795) - b. n° 1049, Danni dati (dal 1766 al 1779), 2 fasc. - b. n° 1050, Danni dati (dal 1779 al 1792), 2 fasc. - b. n° 1051, Danni dati (dal 1792 al 1807), 3 fasc. - b. n° 1052, Iura diversa (dal 1732 al 1760) - b. n° 1053, Iura diversa (dal 1761 al 1808)

Topografia e storia - b. n° 2569, dal n° 5 al n° 23 (1855) - b. n° 2570, dal n° 1 al n° 4 (1856) - b. n° 2571, dal n° 5 al n° 18 (1856) Mastrozzi, Corografia del Territorio di Monte Romano (pianta e legenda allegata) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, cart. 50, n° 6, F. Mastrozzi, Corografia del Territorio di Monte Romano e Tenute nel Territorio di Corneto. Provincia di Civitavecchia, Proprietà del Venerabile Archiospedale di S. Spirito in Saxia di Roma a norma degli attuali affitti ed estratti dalle Mappe e Brogliardi Censuari (8 luglio 1853). Mastrozzi, Pianta Topografica (pianta e legenda allegata) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, cart. 2, n° 5, F. Mastrozzi, Pianta Topografica di due Appezzamenti (30 ottobre 1850). Moneti, Pianta della lega ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, n° 17, G. B. Moneti, Pianta della lega per la Mola di Monte Romano (maggio 1780). Monte Romano (catasto) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, registro n° 49, Monte Romano: Piante e Catasto dei terreni (1661). Pergamene (Ospedale di S. Spirito) ASR, Pergamene, serie Roma - Ospedale di S. Spirito: - cass. 55/65, l’Ospedale di S. Spirito prende possesso di Campomaggiore, Rispampani e Monte Romano (not. Antonio Bartoli, il 26 agosto 1456, senza sigillo) - cass. 58/219, breve del papa Urbano VIII circa il priorato di Monte Romano (16 novembre 1630, senza sigillo) - cass. 66/359, Accesso libero nei tenimenti di Civitella, Cazalibrandi e Monte Romano per i cittadini di Toscanella e degli abitanti di Rocca Respampani (24 ottobre 1474, senza sigillo) Pianta della Tenuta di Calisto (pianta) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, cart. 50, n° 3, Anonimo, Pianta della Tenuta di Calisto posta in Territorio di Monte Romano di Proprietà della Venerabile Pia Casa di S. Spirito in Sassia di Roma Elevata il 22 gennaio 1830. Respampani (catasto) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1480, registro s. n., Respampani (catasto del 1661). Ristretto dei canonisti ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 3158, Ristretto dei canonisti (rubricella del nuovo catasto) (1851), forse corrispondente al doc. Rubricella del catasto. Rubricella del catasto ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 1477, Rubricella del catasto rustico ed urbano, forse corrispondente al doc. Ristretto dei canonisti.

Sicotti, Pianta dei Terreni di Monteromano (pianta) ASR, Archiospedale di S. Spirito, Catasti e piante, busta n° 1479, cart. 50, n° 2, P. Sicotti, Pianta dei Terreni di Monteromano concessi in enfiteusi a diversi particolari della stessa Terra da Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Ercole Dandini Commendatore di S. Spirito in Sassia. Elenco de Terreni ristretti nel Pascolaretto di S. Vincenzo, ed altrove (18 aprile 1823). Tenute ASR, Archiospedale di S. Spirito, Tenute, buste nni 1090, 1092 e 1095: - b. n° 1090, Stati amministrativi delle tenute: Ancarano - b. n° 1092, Stati amministrativi delle tenute: Coste di Calisto - b. n° 1095, Stati amministrativi delle tenute: Rocca Respampani Tenute (filze) ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 54, Casa di S. Spirito – Tenute (filze) (secoli XVII-XVIII). Tenute del Banco ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 56, Tenute del Banco (secolo XVII). Tenute e vigne ASR, Archiospedale di S. Spirito, busta n° 65, Tenute e vigne (filza) (1816). Tofani, Appunti manoscritti Biblioteca dell’ASR, Manoscritti, n° 97, F. Tofani, Appunti manoscritti sulla coltura della vite, del grano e dell’olivo, Santa Severa 1779-1790, fogg. 1-208, con un’appendice sui pronostici del tempo.

b) Bibliografia essenziale Ago, 1990 R. Ago, Un feudo esemplare. Immobilismo padronale e astuzia contadina nel Lazio del ‘700, Fasano (BR), 1990. Del Lungo, 2004 S. Del Lungo, La pratica agrimensoria nella Tarda Antichità e nell’Alto Medioevo, (Testi, studi, strumenti, 17), Spoleto, 2004. Fortini, 1984 P. Fortini, Ville romane a Monte Romano, «ager Tarquiniensis», in R. Lefevre (ed.), Ville e parchi nel Lazio, (Lunario Romano, XIII), Roma, 1984, pp. 55-69. Monte Romano, 1987 Monte Romano. Indagine di un territorio e materiali dell'Antiquarium, a cura di P. Fortini, Roma, 1987. Munari, 1980 M. Munari, Monteromano 1456-1853. Quattro secoli di urbanistica, Viterbo, 1980.

315

Cultural Landscapes

a.

b. Fig. I.32 – la Rotonda (Monte Romano): la Torre della Valle a) nelle mappe dell’Archivio di Stato di Roma e b) nella realtà. Pict. I.32 – la Rotonda (Monte Romano: The Torre della Valle a) in the maps of Archivio di Stato di Roma and b) in the land. 316

CAPITOLO II UN’ESPERIENZA PROGETTUALE: DAL MUSEO AL PARCO DEL PAESAGGIO AGRARIO Abstract A landscape well preserved can become an economic resource very important, to employ local human resources and develop a new positive (ecologic) image of a village. Then, it will be not only a rural village, where the population works in agriculture or in breeding, but a place where a traditional agriculture and breeding of a cow race known there are many centuries ago, made in the same lands in similar forms, are a cultural landscape. Peoples can sell everything they produce with a particular value, more than other places without an egual history, tradition and ladscape that represent them. A Museum of rural paysage could be the point to begin this type of develop, introducing inhabitants, pupils and tourists to the knowledge of all rural culture. A park will be the better open space to learn and view the reality already described, drawn in ancient maps with the same elements in the same places, taled in the archivistic documents, breeded and produced in the same made. Everything is to taste and drink. Keywords Laws, projects, economic develop, museum and park of rural paysage II.1 Il Museo e il Parco nel contesto normativo fondamentale Non volendo ripetere per l’ennesima volta quanto introdotto e discusso in altri contributi del presente volume, si considera per cenni il contesto normativo in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio. Volendo infatti evitare la ridondanza dei contenuti, si limita la citazione degli articoli di legge al semplice riferimento indispensabile a recuperarli o alle poche righe necessarie per afferrarne il senso. La scelta avviene muovendo dall’esperienza maturata e dall’iniziativa attuata negli anni passati nel Lazio settentrionale, seguendo tutti i passaggi, dalla progettazione alle delibere comunali di istituzione e alla realizzazione effettiva. Lo scopo è di segnalare la strada percorsa con ragionevole successo a quanti, in un futuro che si spera non troppo lontano e condiviso fra più luoghi, intraprenderanno il medesimo percorso, volto alla valorizzazione del patrimonio culturale locale attraverso le comunità residenti, vere custodi e destinatarie ultime sia dei contenuti sia della resa economica che se ne può ricavare.

accogliere la sede espositiva cada su un edificio meritorio esso stesso di tutela e valorizzazione. L’art. 138 (Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico) consente di addentrarsi nelle procedure da seguire, coinvolgendo Soprintendenze e Uffici provinciali e Direzioni regionali perché un’area candidata a parco o un’immobile d’interesse possano ricevere dallo Stato il riconoscimento, che introduca e ne agevoli, in una seconda fase, l’applicazione degli articoli dei codici Civile e Penale sulla tutela e la salvaguardia dai reati previsti. Il successivo art. 142 (Aree tutelate per legge) agevola nell’individuare quelle porzioni di territorio (fascia costiera, corsi d’acqua, aree umide, montagne, vulcani, ghiacciai, boschi, foreste, superfici assegnate alle Università agrarie, usi civici, zone di interesse archeologico o ambientale riconosciuto a livello internazionale, attraverso l’istituzione di vincoli SIC o ZPS ai sensi delle direttive CEE 92/43 e 79/409)1 che per loro carattere geografico o peculiarità godano comunque di protezione, anche in assenza di esplici provvedimenti. Tra i primi frutti ottenuti dall’applicazione del testo legislativo, negli indirizzi e negli articoli appena evidenziati è da annoverarsi ad esempio il Parco Museo minerario delle miniere di zolfo delle Marche2, a livello nazionale, secondo un piano di integrazione delle componenti antropica, letta in chiave storico-culturale, sulla base ambientale, ricca di peculiarità ad iniziare dalla geologia dei luoghi interessati. Niente, però, al di là delle formulazioni generali del ‘paesaggio’, intendendolo in funzione di contenitore di altre particolarità oggetto di interesse, sembra approfondire realmente la tematica né appare passarla da uno sfondo generico ad un di significativo richiamo in primo piano. Le ragioni forse risiedono nell’effettiva impossibilità di realizzare questo cambio di visuale oppure si devono ricercare in una resa davanti all’evidenza che la complessità e, al tempo stesso, la genericità del tema da trattare siano tali da impedirne una soddisfacente riproduzione in qualunque forma si decida di adottare (visuale, testuale, grafica). II.2 Il Museo del Paesaggio agrario L’idea di dedicare al Paesaggio agrario un Museo nasce dal proposito di accogliere la sfida di riuscire a cogliere e racchiudere il paesaggio in una sede espositiva, per poterlo comunicare al visitatore, interpretandolo e traducendolo per suo conto. In mancanza di un Patrimonio Culturale che si presti ad un uso e consumo immediato e circoscritto da parte del turista (chiesa, palazzo, parco o castello), il paesaggio può anche diventare l’ultima, e subito dopo principale, opportunità che una comunità abbia per valorizzare se stessa, migliorando l’aspetto e riscoprendo la memoria del passato, anche attraverso le peculiarità produttive. La ricerca storica e

Il testo di legge al quale si ricorre costantemente è la n° 42 del 22 gennaio 2004, iniziando dall’art. 131 (Salvaguardia dei valori del paesaggio), sulla definizione e le principali azioni da perseguire, per inquadrare in quale ambito si sia scelto di agire nella complessa ed articolata materia dei Beni Culturali. Poiché, poi, il Museo ed il Parco costituiscono due aspetti del medesimo progetto da realizzare, si va all’art. 136 (Immobili ed aree di notevole interesse pubblico), da cui si può ricavare un orientamento, utile a grandi linee per avere conferma che il territorio prescelto abbia delle peculiarità 1 D. Min. Amb. 25 marzo 2005 e successive integrazioni meritorie di un apprezzamento e di una condivisione (comma dell’8.07.2005; n. 168 del 21.07.2005) 1.d) e in generale per orientarsi qualora la scelta per 2 D. Min. Amb. 20 aprile 2005 (G.U. n. 156, del 7.07.2005). 317

(G.U. n. 157,

Cultural Landscapes topografica contribuisce a consolidare le basi della tradizione, fornendo ingredienti significativi alla successiva candidatura di tali peculiarità all’acquisizione di marchi di qualità, come si evince dalle procedure adottate per il loro conferimento e la stesura dei relativi disciplinari. A Monte Romano l’esperienza di valorizzazione ha preso l’avvio rimettendo in luce il forte legame della comunità con il suo territorio ed evidenziando il carattere agricolo dell’abitato insediamento, che vanta una tradizione plurisecolare, e la forte conservazione delle estensioni e delle modalità di gestione collettiva e di sfruttamento dei terreni appartenuti all’Archiospedale di S. Spirito di Roma. Le sue campagne mantengono invariate l’aspetto e la forma ricevute a partire dalla costituzione, nel 1456, delle tenute di Monte Romano e di Rocca Respampani. Ricostruirne il paesaggio e la storia vuol dire recuperare, capire e poterne tutelare meglio l’identità. I molteplici segni che lo caratterizzano rendono, infatti, l’intero territorio comunale un esempio da manuale di conservazione degli spazi e delle relative vocazioni produttive, e danno ai suoi frutti il valore aggiunto derivato dalla continuità, attraverso i secoli, nell’attenzione e nella cura per la produzione, che li rende unici nel loro genere, assieme alla tradizione gastronomica che li ha saputi tramandare ed esaltare, traducendoli in sapori. Il Museo, civico, che con D.d.G. del 21.06.2007 n° 70 è istituito e interamente dedicato al Paesaggio agrario, è a carattere storico-topografico e demo-etno-antropologico e si pone in rapporto ad altre entità espositive (ad esempio il Deposito-Antiquarium), presenti a Monte Romano e nel suo territorio. Per rimarcare la propria natura di museo dedicato allo spazio, che rappresenta, analizza e descrive nella sua evoluzione storica. Si tratta, inoltre di un Museo diffuso, perché non è circoscritto alla sola sede nella quale è stato allestito ma è esteso a tutti i luoghi con i quali si pone in relazione attraverso immagini, grafici, descrizioni e qualunque accorgimento utilizzi per rappresentarli. Considerando la data di istituzione, che segue di quasi un anno la progettazione e l’avvio dell’allestimento, ed i presupposti con i quali è stato concepito, nel tema e nella natura, si inserisce in contesto nazionale ed europeo nel solco dell’esperienza dei cosiddetti Ecomuseo, secondo la definizione introdotta dall’archeologo francese Hugues de Varine, alla fine degli anni ’60 del XX secolo, quando già si avvertiva il pericolo costituito dalla crescita repentina delle periferie urbane ai danni del territorio3, e rielaborata su scala regionale anche da appositi strumenti normativi4. 3

M. Maggi, Ecomusei: guida europea, Torino, 2002. Al momento sono solo 7 le regioni italiane dotatesi di leggi dedicate espressamente all’argomento. Il Piemonte (L.R. 14 maggio 1995, n. 31, Istituzione di Ecomusei del Piemonte con modifiche apportate dalla successiva L.R. 17 agosto 1998, n. 23) all’art. 1 motivava l’atto con la necessità «di ricostruire, testimoniare e valorizzare la memoria storica, la vita, la cultura materiale, le relazioni fra ambiente naturale ed ambiente antropizzato, le tradizioni, le attività ed il modo in cui l’insediamento tradizionale ha caratterizzato la formulazione e l’evoluzione del paesaggio». Pochi anni dopo la Provincia autonoma di Trento interviene in materia con la L.P. 9 novembre 2000, n. 13, Istituzione degli ecomusei per la valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali, seguita dal Friuli Venezia Giulia (L.R. 20 giugno 2006, n. 10, Istituzione degli Ecomusei del Friuli Venezia Giulia), dalla Sardegna (L.R. 20 settembre 2006, n. 14), dalla Lombardia (L.R. 3 4

Data la particolare estensione del territorio del Comune di Monte Romano in senso longitudinale, senza un collegamento diretto fra le due estremità che sia agevole, il Museo viene pensato articolandolo in più ambienti espositivi, distribuiti tra i due poli insediativi costituiti dal paese, a Sud, e da Rocca Nuova di Respampani, a Nord, uniti da un reticolo di itinerari di visita che coprano l’intera superficie intermedia, recuperando i tracciati che fin dai primi secoli del Medioevo permettevano il movimento su questo asse, intersecando quasi perpendicolarmente la via Clodia, da Norchia a Tuscania. II.2.1 La prima sezione e il suo allestimento Il Museo ha un suo Responsabile Scientifico e si affida per la custodia, l’apertura e la cura delle visite guidate a personale appositamente formato ed abilitato dal Comune. Prevedendone possibili ampliamenti, strutturalmente si considerano quattro sezioni all'interno di un contenitore generale sul Paesaggio agrario, che costituisce la base ed il nucleo dell’intero sistema Museo-itinerari, coprendo cronologicamente i periodi dalle origini, nel III secolo a. C., all’età moderna e alla costituzione dell’attuale Università Agraria. Allestita su una superficie di 40 mq, suddivisa in due ambienti di, nella sede dell'ex Ufficio Postale (Via Vittorio Emanuele, n° 51, tratto urbano della Via Aurelia bis), accoglie, come si è potuto vedere in dettaglio nel capitolo precedente, una panoramica attraverso i secoli dei luoghi più significativi, compresi nel territorio comunale, e delle vocazioni produttive, con introduzione e rimando alle sezioni successive del Museo e ad itinerari di visita la territorio; e si compone di 10 pannelli illustrativi in due lingue (italiano e inglese), 2 pannelli fotografici, un plastico dell’abitato di Monte Romano, ricostruito rispettando il progetto disegnato dal Folo nel 1831, il frammento di un cippo confinario in travertino, pertinente al complesso del Piede di Liutprando (località Casa Liblandi), e la sezione di una quercia secolare, recuperata dopo il taglio del tronco, crollato per incuria nei primi mesi del 2005 (fig. II.1 a-b / pict. II.1 a-b). L'albero era un Rovere (Quaercus petraea, Liebl.), conosciuto come la Cerqua o il Cerquone di Scansarote (alt. m 18, circonf. del tronco m 5, diam. a m 1,30 di alt. = m 1,55, diam. della chioma m 29), datava 112 anni ed era cresciuto sul margine dell'antica strada da Corneto a Vetralla, ripresa recentemente dalla S.S. n° 1bis 'via Aurelia', pur con uno spostamento del percorso di alcuni metri. L'appellativo gli era stato attribuito perché l'allargamento dell'apparato radicale sul piano viario comportava in quel punto, nell'urto, lo spostamento o scivolamento delle ruote dei carri al passaggio, divenendo per i conducenti un punto di riferimento chiaro dell'approssimarsi di Monte Romano. Una delle rotelle ricavate al momento del taglio è stata collocata nel Museo e, per una migliore percezione dell'età raggiunta dalla pianta, si

luglio 2007, n. 56, Riconoscimento degli ecomusei per la valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali ai fini ambientali, paesaggistici, culturali, turistici ed economici), dall’Umbria (L.R. 14 dicembre 2007, n. 34, Promozione e disciplina degli ecomusei) e dal Molise (L.R. 28 aprile 2008, n. 11, Istituzione di ecomusei in Molise).

318

Un’esperienza progettuale

a.

b.

Fig. II.1 a-b - Piantato (Monte Romano, VT): il Cerquone di Scansarote a) dopo il crollo di metà dell'albero e b) al momento del taglio. Da notare le dimensioni del tronco messe a confronto con il motoseghista. Pict. II.1 a-b - Piantato (Monte Romano, VT): the Cerquone (Big oak) of Scansarote a) after the fallen down of half tree and b) during the cut. It notes the trunk size and the lumberjack close of it. sono evidenziate, con segnalini infissi negli anelli, le principali date della storia recente dell'Università Agraria di Monte Romano, a partire dalle prime date del 1894 (affrancazione delle servitù civiche nel circondario di Civitavecchia, Tenuta della Rotonda) e del 1907 (costituzione dell'Università e primo avvio della gestione diretta dei terreni da parte della popolazione). II.2.2 Gli ampliamenti e le attività Gli ampliamenti predisposti progettualmente per il Museo riguardano le quattro sezioni previste subito dopo l'allestimento del nucleo principale. In un ordine stabilito prestando attenzione alle peculiarità economiche locali e volendo supportare le principali attività produttive, in vista di un supporto sostanziale alla valorizzazione attraverso il contributo alla compilazione del disciplinare, e alla conseguente commercializzazione con marchio di qualità, si hanno: Sez. I - Agricoltura storica e allevamento: i luoghi, le strutture e i mezzi (dalle origini, nel III secolo a. C.), all’età moderna e contemporanea): esame dei luoghi di produzione ed allevamento (campi, pascoli), delle strutture funzionali (ville, castra, mulini, frantoi, celle) e degli strumenti. Si compone di 8 pannelli illustrativi in due lingue (italiano e inglese), di cui 2 sull’epoca romana, 2 sul Medioevo, 2 di dettaglio su Monte Romano e Rocca Respampani e 2 sull’età moderna e contemporanea; di 7 plastici (villa, palmento e frantoio romano; castrum, mulino e cella medievale; i granai di Monte Romano e Rocca Nuova di Respampani), di alcuni attrezzi agricoli recuperati e di campioni dei pesi e delle misure adoperati nei secoli.

uso a Monte Romano e nel comprensorio maremmano laziale attraverso i secoli. Si compone di 6 pannelli illustrativi in due lingue (italiano e inglese), di cui 2 sull’epoca romana, 2 sul Medioevo e 2 sull’età moderna e contemporanea; di 4 disegni esplicativi, sui sistemi di carico; di 2 modelli di imbarcazione da trasporto (una romana e l’altra moderna). A questo si aggiunga la riproduzione in scala di tutte le forme di contenitori da trasporto note nel territorio, con ampio spazio riservato alle anfore, realizzate in sezione trasparente, da poter riempire con liquidi e granaglie, a seconda della destinazione d’uso. La ricerca condotta su queste forme contribuisce alla creazione di una banca-dati da inserire in rete e mettere a disposizione di chiunque, studente e studioso, ne voglia usufruire. Sez. III – Agricoltura storica e allevamento: i prodotti e la loro tipicità: la tracciabilità di un prodotto attraverso la definizione delle vocazioni produttive nel territorio comunale, con attenzione ai terreni nella loro dimensione storica e allo stato attuale, raffrontando la distribuzione e la diversificazione delle colture nei secoli (vigneti, oliveti, cereali, risorse boschive) e dell’allevamento (ovino e bovino). Si compone di 6 pannelli illustrativi in due lingue (italiano e inglese), a cui si unisce un’esposizione dei prodotti locali, con una parte riservata ad una raccolta di campioni dei diversi tipi di piante superiori ed inferiori note nel territorio di Monte Romano. Sez. IV – L’Università Agraria di Monte Romano: la storia dell’Università Agraria, ad un secolo dalla sua costituzione, vista attraverso raccolte di documenti, mappe, un repertorio fotografico e filmati che testimoniano la sua attività. Si compone di 10 pannelli illustrativi in due lingue (italiano e inglese) e di una raccolta di oggetti (stendardi, divise), che raccontano la sua vicenda.

Sez. II - Agricoltura storica e allevamento: la conservazione ed il trasporto dei prodotti(dalle origini, nel III secolo a. C.), all’età moderna e contemporanea): analisi di tutti i Le attività previste, una volta ultimato l'ampliamento del contenitori, per lo stoccaggio ed il trasporto dei prodotti, in Museo, con l'aggregazione di locali recuperati all'interno 319

Cultural Landscapes degli edifici più significativi della storia del borgo rurale, si articolano in tre momenti principali, diretti rispettivamente: 1) all’incremento dell’offerta espositiva e divulgativa del Museo del Paesaggio agrario; 2) alla crescita del patrimonio di conoscenze e di materiale edito sul territorio, estese alle pratiche agricole e di allevamento, dalla tradizione plurisecolare; 3) alla diffusione dei risultati tramite la formazione di esperti locali, in grado di coinvolgere ancor meglio la cittadinanza, a cominciare dai giovani in età scolare, ed un pubblico sempre più ampio e di trasmettere sia le conoscenze, acquisite tramite la ricerca, sia una maggiore consapevolezza e senso di responsabilità nei confronti di un territorio, nel quale pratiche agricole e peculiarità naturali convivono ed interagiscono da sempre in modo armonico5. Il secondo, dei tre punti previsti vuole concretizzarsi con l’avvio di una ricerca su Agricoltura storica e paesaggio agrario. La cura per il territorio a Monte Romano dall’Antichità all’età Moderna. Tale ricerca, svolta sia negli archivi documentari di Roma, Tuscania e Viterbo, sia direttamente sul territorio, si propone di sottolineare e di diffondere ad un pubblico ampio il peso e l’importanza avuti dalla presenza e dall’impegno della comunità di Monte Romano, nel perpetuare una tradizione agricola6 e di allevamento le cui origini risalgono ai periodi etrusco e romano. L’insieme della attività svolte nei secoli dagli agricoltori e dagli allevatori locali ha consentito la conservazione di un paesaggio che al suo interno contiene ancora le linee, le forme e le destinazioni d’uso concepite e messe in pratica a partire dal I millennio a. C. Questa lunga consuetudine con l’ambiente e la comprensione che dalla sua conservazione è sempre dipesa la sopravvivenza della comunità ha determinato uno straordinario equilibrio con specie naturali (animali e vegetali) pregiate, la felice interazione con esse, riconosciuta in ambito regionale con la definizione di ben due ZPS (IT6010021, Monte Romano, e IT6030005, sino al Mignone e a tutti i Monti della Tolfa) ed una vocazione alle produzioni e all’allevamento biologico che beneficia di secoli di amore per la terra. L’approfondimento di questo patrimonio di saperi, da indagare ed illustrare in ogni sua 5 L’indagine mira ad arricchire e a migliorare (sia in generale, sia in dettaglio) la conoscenza del territorio, diffondendo la consapevolezza di spazi il cui uso responsabile consenta di accrescere ulteriormente le capacità di interazione ed integrazione fra pratiche agricole, allevamento ed ambiente naturale, da secoli dimostrate dalla comunità di Monte Romano e costituenti un notevole potenziale economico, da destinare anche ad una fruizione turistica. Il momento della diffusione dei risultati può quindi coincidere anche con corsi di formazione e aggiornamento incentrati sul tema dell’Agricoltura storica e del Paesaggio agrario, finalizzato a creare esperti storico-naturalistici del territorio, in grado di operare nell’informazione e nell’accompagnamento di scolaresche e gruppi alla visita e alla conoscenza dei luoghi più significativi del territorio e del paesaggio agrario di Monte Romano. 6 La lunga tradizione agraria, vantata dal territorio di Monte Romano, con lo svolgimento delle stagioni e dei cicli produttivi e i molteplici livelli di scambio e di interdipendenza fra colture agrarie e sfera cultuale, è sottolineata da diverse occasioni di festa, celebrate in onore di S. Antonio Abate (17 gennaio) e dei patroni S. Corona e S. Isidoro (14-15 maggio), o riservate al “pane e dei buoni sapori” (10-11/17-18 giugno) e alla razza bovina Maremmana (la Merca, l’1 maggio, e la Sagra della carne maremmana, dal 18 al 20 agosto), allevata biologicamente negli stessi luoghi che dal 1456 l’hanno vista impiegata nei lavori agricoli.

peculiarità sull’intera superficie del territorio comunale, in accordo con l’autorità militare del Poligono, costituisce un’occasione per diffondere gli esiti di un’esperienza maturata e sviluppata dagli abitanti nella gestione armonica della terra, consentendo di proporla a modello di sviluppo sostenibile e utilizzandola per conferire maggiore visibilità e la giusta importanza alle produzioni locali (ad esempio, l’olio)7. In previsione, poi, dell’acquisizione di appropriati marchi di Denominazione, la ricerca costituisce un’utile base storico-documentaria, da usare a supporto e a prova della legittimità delle aspirazioni di riconoscimento delle tipicità del luogo. III.3 Verso il Parco del Paesaggio agrario Vicissitudini locali, con una caduta repentina d’interesse per la progettualità e l’operato espressi ed appoggiati da precedenti amministrazioni, hanno determinato, nel 2008, l’interruzione delle attività ipotizzate quattro anni prima e poi avviate sino alla realizzazione di quanto sinora esposta nei precedenti paragrafi. Considerando il periodo trascorso con il coinvolgimento della comunità una stagione, non necessariamente conclusa del tutto, si riporta l’ultimo degli atti compiuti. È la delibera di intenti, non di attuazione, con la quale, avvenuto il riconoscimento del valore culturale espresso dall’intero territorio comunale, la Giunta in carica dichiara, dopo un dibattito in aula sui rischi di apporre altri vincoli ad una popolazione già costretta al rispetto di servitù demaniali e provvedimenti di tutela ambientale, la disponibilità a compiere comunque i passaggi necessari per giungere alla costituzione di un Parco del Paesaggio agrario ed accoglie la definizione di linee e propositi generali, in linea con la normativa esistente in materia di salvaguardia delle risorse naturali e agro-pastorali e di valorizzazione delle peculiarità e tipicità agro-alimentari. Grazie a questo provvedimento, redatto da chi scrive in uno schema approvato poi quasi integralmente, con l’aggiunta di alcune premnesse, si prevede di interagire e trarre vantaggio immediatamente da altre iniziative simili, esistenti o intraprese quasi in contemporanea nel territorio comunale e

7

Manca a tutt’oggi na ricerca di carattere topografico e storico sulla coltura dell’olivo a Monte Romano, che ponga in relazione le testimonianze archeologiche e documentarie ad essa relative alle superfici attualmente occupate da piantagioni, frammentate nel limitare la produzione all’uso familiare. Lo studio dovrebbe comprendere un’indagine approfondita sulla filiera dell’olio dall’Antichità ad oggi, esaminando le vocazionalità dei terreni, i luoghi, l’evoluzione della loro forma (superficie, confini, distribuzione, rapporto con la viabilità), le tradizioni e le modalità produttive secondo le indicazioni contenute nelle fonti classiche (Columella e Varrone) e tardoantiche (Rutilio Tauro), mettendo in raffronto gli spazi, i suoli, le potenzialità ed i contenitori destinati alla raccolta del prodotto, distinti per i vari periodi dal III secolo a. C. al V d. C. e oltre, con prosecuzione nel Medioevo e nell’età Moderna, sino alle soglie dell’Unità d’Italia. In una procedura per la stesura di un disciplinare di qualità e la candidatura di un prodotto al conseguimento di un marchio, lo studio offre un sostanziale supporto alla produzione del bene e alla sua commercializzazione, inserendolo in un più ampio contesto, che nei secoli dell’età di Mezzo ha la chiave di volta per stabilire un legame fra le colture antiche e le attuali. Ciò significa riscoprire, da un punto di vista storico-culturale, la discendenza di prodotti che grazie a queste origini protratte nel tempo non sono riproducibili altrove.

320

Un’esperienza progettuale promosse direttamente da enti provinciali (Parco fluviale del fiume Marta)8, interessati all’applicazione della legislazione europea e veicolo di canali di finanziamento, indispensabili per il mantenimento del territorio. Il testo riprodotto di seguito è esemplificativo di un’iniziativa arrivata molto vicino alla realizzazione e lo si propone con l’obiettivo di fornire un esempio indicativo, a carattere metodologico, di quanto sia possibile fare in un contesto territoriale in cui la ricerca abbia reso evidente come non si possa conservare il carattere di paesaggio di una superficie senza tener conto o addirittura escludendo quanti vi hanno sempre vissuto e da generazioni hanno contribuito a mantenere, coltivandolo e sistemandolo con opere di conservazione del suolo e regimazione delle acque. Comune di Monte Romano (D.d.G. 23.07.2007, n. 22) Il Consiglio Comunale SU PROPOSTA del Sindaco del Comune; VISTO l’art. 9 della Costituzione Italiana che detta: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. VISTO l’art. 8 dello Statuto Comunale sulla valorizzazione dell’Azienda Agricola Roccarespampani; VISTA la Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 Ottobre 2000; VISTA la definizione di paesaggio formulata nell’art. 131 (Parte III Beni Paesaggistici, Titolo 1 Tutela e valorizzazione, Capo 1 Disposizioni generali) del Testo unico dei Beni Culturali (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), per il quale (comma 1.) Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. (comma 2.) La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili; VISTA la Legge quadro sulle aree protette (L. 6 dicembre 1991, n. 394), con particolare riferimento all’art. 1, comma 3 b), sulla applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali; VISTA la Direttiva 79/409/CE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici, in base alla quale sono state designate 8 I tracciati ciclabili che attraversano il territorio di Monte Romano e costituiscono il percorso naturalistico del Fiume Marta (http://www.provincia.vt.it/ambiente/percorso/default.asp), per i settori C (percorsi 1. Tuscania, 2. Rocca Vecchia, 3. Forra del Marta, 4 Trekking delle Solfatare) e D (percorsi 2. Monte Romano, 3. Castello Ancarano, 4. I Monumenti) sono stati definiti da chi scrive assieme al gruppo di lavoro formatosi attorno al progetto sul Museo e sul parco del Paesaggio agrario e a cui questa parte del volume è dedicata.

la Zona di Protezione Speciale “Monte Romano” e “Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate”, parzialmente ricadenti nel territorio comunale; VISTA la Direttiva 92/43/CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche; CONSIDERATA l’unicità del paesaggio locale, che mantiene, entro i confini comunali, le sue peculiarità naturalistiche e ambientali, grazie alla vocazione agricola della comunità di Monte Romano, alla continua lavorazione della terra e agli interventi per la conservazione e la messa a frutto dei terreni e delle risorse boschive, svolti dai privati e dall’Università Agraria, eredi di una tradizione che affonda le sue origini e ricalca le forme di un paesaggio rimasto sostanzialmente invariato nell’arco di sei secoli, dal momento della costituzione, nel 1456, delle tenute di Respampani e Monte Romano ad oggi; CONSIDERATA la stratificazione cronologica esistente nel paesaggio e tutt’ora percepibile nelle sue componenti fisiche e antropiche, riassunte nella prima sezione del costituendo Museo Civico di Monte Romano, dedicata propriamente ed interamente al Paesaggio agrario locale, dall’epoca romana ai tempi odierni; CONSIDERATO che già una parte del territorio comunale rientra in aree sottoposte a varie forme di protezione ambientale e storico-culturale, nella porzione immediatamente a S di Monte Romano, dalla periferia dell’abitato alla riva destra del fiume Mignone (ZPS -FIT6030005) ed entro tutto il perimetro del Poligono Militare (SIC e ZPS -C- IT6010021), all’interno della più ampia Regione Biogeografica Mediterranea (Unione Europea); CONSIDERATA la stretta integrazione tra le caratteristiche del paesaggio rurale e il mantenimento del ricco patrimonio di biodiversità, che costituisce la motivazione della designazione delle Zone di Protezione Speciale, e la necessità del mantenimento delle caratteristiche territoriali e delle forme tradizionali di utilizzo del territorio che hanno permesso il mantenimento di tali valori naturalistici in funzione dello svolgimento delle attività tradizionali da parte delle comunità locali; CONSIDERATI i benefici arrecati alle specie animali e vegetali da una plurisecolare cura e presenza dell’uomo nel territorio e l’opportunità di aprire dei corridoi di collegamento fra le due aree ZPS sopra indicate; VISTE le Deliberazioni della Giunta Regionale 4 agosto 2006 n. 533 “Rete Europea Natura 2000: misure di conservazione transitorie e obbligatorie da applicarsi nelle Zone di Protezione Speciale”, e 4 agosto 2006 n. 534 “Definizione degli interventi non soggetti alla procedura di Valutazione di Incidenza”;

VISTA la Deliberazione della Giunta Regionale del 19 luglio 2005, n. 651 “Direttive 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”; 321

Cultural Landscapes

DELIBERA

- l’attivazione di progetti e iniziative in accordo con le finalità del parco che permettano di usufruire pienamente delle fonti di finanziamento provinciali, regionali, nazionali e comunitarie, quali ad esempio il programma comunitario LIFE+ e il Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013;

- l’avvio delle procedure con le quali si provvede all’istituzione del Parco del Paesaggio Agrario di Monte Romano, i cui confini ricalcano quelli del territorio comunale, nella porzione compresa tra la riva destra del Mignone e la Rocca Nuova di Respampani, includendo e collegando le aree già definite in sede regionale quali SIC e ZPS (F- IT6030005 e SIC e ZPS -C- IT6010021);

- di eleggere i centri di Monte Romano e Rocca Nuova di Respampani a punti di riferimento ed accessi principali del parco, nei quali si trovino sedi espositive (quali, ad esempio il Museo Civico di Monte Romano, nelle sue diverse sezioni) e sia possibile ricevere informazioni, usufruire di servizi e muoversi con itinerari di visita guidata all’interno dei limiti del suddetto parco;

- di definire linee e propositi generali, coerentemente con la normativa esistente in materia di tutela delle risorse naturali e agro-pastorali e di valorizzazione delle peculiarità e tipicità agro-alimentari.

II.4 L’avvio dei sentieri

VISTO il Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio del 20 settembre 2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR);

- di definire le finalità del parco, ripartite nel modo seguente: a) recuperare, sostenere e valorizzare le vocazioni produttive del territorio, riscoprendo ed accentuando gli elementi e le tradizioni che consentano di riscoprire forme ed usi del paesaggio agrario; b) sostenere ogni attività privata e pubblica volta a migliorare ed arricchire, nel rispetto dell’economicità aziendale, il paesaggio agrario, attraverso la riscoperta ed il recupero delle sue peculiarità produttive e della rete di infrastrutture (come strade, macere, fontanili, fabbricati); c) promuovere, attraverso studi, ricerche, convegni ed elaborati (tesi di laurea, specializzazione e perfezionamento universitario) la conoscenza e la tutela del territorio; d) la valorizzazione turistica del territorio comunale, definendo e attrezzando itinerari a carattere storico-naturalistico e attraverso la riscoperta di prodotti tipici e delle peculiarità gastronomiche9; - di stabilire le attività che si possano svolgere all’interno del parco, in contemporanea ed equilibrio con le pratiche agricole in corso a) didattica e di formazione, in accordo anche con enti pubblici ed istituti di istruzione, di ogni ordine e grado; b) divulgazione e diffusione dei valori di rispetto della natura, del territorio e delle sue peculiarità fisiche ed antropiche; c) visite guidate, seguendo gli itinerari definiti ed illustrati con apposite tabelle ed arricchiti con pannelli esplicativi; - il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie per le quali le ZPS sono state designate, anche attraverso la definizione di misure di conservazione e gestione che verranno definite, in accordo con l’Amministrazione Comunale, dall’Agenzia Regionale per i Parchi nell’ambito della definizione dei piani di gestione la cui realizzazione è stata affidata all’Agenzia da parte dell’Assessorato all’Ambiente e cooperazione tra i Popoli;

9 Oltre all’olio e ad una varietà di uva bianca da vino denominata localmente Piciocchione, riconducibile forse alla famiglia dei Belli o Belloni, si ricordano i funghi Ferlenghi, il Tartufo, gli Asparagi e la Cicoria selvatici, la pregiata carne podolica della Razza Maremmana, le Salsicce di fegato (dolci e piccanti), le forme di Cacio e Ricotta, il Miele, il Pane e, per le tipicità gastronomiche, il Pan’unto, la Pizza strascinata, la Pizza di Pasqua e l’Acquacotta.

Con l’ideazione e la nascita del Museo del Paesaggio agrario e la delibera di intenti per giungere alla costituzione di un Parco si è avviata la creazione di una rete di sentieri storiconaturalistici, che di questo paesaggio consentissero la riscoperta. L’abitato di Monte Romano si trova al centro di molteplici circuiti differenti, di bassa e media difficoltà, che percorrono in ogni senso l’intero territorio, unendo fra loro parchi, come quello fluviale del Marta, e aree classificate di Interesse Comunitario dal punto di vista ambientale, tra il Poggio della Rotonda e il fiume Mignone, a Sud, e fra il Fosso di Civitella e il Torrente Traponzo, a N, delimitanti il Poligono. La rete di sentieri comprende e attraversa anche questi spazi, ma l’accesso è consentito solo in occasioni concordate direttamente con l’autorità militare. Dalla piazza antistante il Municipio hanno origine tutti i principali percorsi, ciclabili e percorribili a piedi e a cavallo. Procedendo lungo Via Vittorio Emanuele e uscendo da paese in direzione di Vetralla, dopo circa 100 m e poco oltre il bivio per Blera, si prende a sinistra la strada asfaltata della Madonnella, verso l’ingresso principale del Poligono e, seguendo le indicazioni, si raggiungono l’area della cisterna romana dei Monumenti e la sterrata, a sinistra, che consente di raggiungere la Macchia del Pascolaro e la Guardiola, per poi inoltrarsi nel cuore delle campagne in direzione delle vallate del Marta e del Traponzo, per raggiungere le due rocche di Respampani. In corrispondenza di ciascun punto significativo si possono trovare un'area attrezzata oppure un semplice pannello, contenente un'illustrazione sia dei luoghi, la cui visuale si stende davanti, sia di un monumento. A titolo di esempio si propongono i contenuti di due tabelle esplicative, realizzate per altrettanti punti di sosta, collocate, la prima, all'interno del paese, all'interno dell'area attrezzata subito alle spalle dell'edificio del Comune che, a seconda dell'ordine scelto per l'itinerario da seguire, coincide con la partenza, l'arrivo o il transito per altre mete, e, la seconda, sulla sommità del Poggio della Guardiola, lungo il sentiero a poca distanza dalla struttura da cui la collina prende il nome.

Pannello 1 Monte Romano «L'abitato di Monte Romano risulta documentato per la prima volta nel XIV secolo come arx Montis Romani (e poi Castello dei Quattro Venti), un agglomerato fortificato posto sulla sommità del Poggio della Rotonda. 322

Un’esperienza progettuale L’abbandono progressivo del castello avviene, forse, alla fine del XV secolo, poco dopo la nascita di un nuovo agglomerato a valle, sulla strada da Corneto a Vetralla e Viterbo, deciso dall'Archiospedale di S. Spirito (Roma), a seguito dell'acquisto, nel 1456, dell'intero territorio circostante e con la partecipazione di gruppi di coloni provenienti dai centri di Barbarano e Canepina, dove la stessa istituzione detiene diverse proprietà. Alla costruzione di una cappelletta intitolata a S. Maria, negli anni 1535-1540, seguono quella di un caseggiato per i lavoranti, di un’osteria (l'attuale ristorante "da Checchino"), eletta anche a sede per la riscossione delle gabelle, e forse di un magazzino. Nel XVII secolo, con la crescita delle superfici coltivate a grano e lo sfruttamento dei pascoli per l'allevamento del bestiame da lavoro (razza Maremmana), l'abitato si ingrandisce. La realizzazione del granaio di Agucchi, nel 1602, oltre ad accrescere il fabbricato dell’osteria, risolve ai contadini il problema del deposito per il raccolto, sinora obbligato a Corneto o a Civitavecchia. Infine, la rapida espansione della popolazione comporta la nascita, a partire dal 1665, di due nuovi complessi abitativi (Castello Alessandro, in onore di papa Alessandro VII, e Monte Cavallo), fisicamente separati tra loro e dal nucleo originario, per sfruttare posizioni migliori dove risiedere. Nel corso del XVIII secolo si compie lo sviluppo definitivo dell'abitato, con l'aggiunta delle Carceri, del Centro direzionale (ora sede dell'Università Agraria), del fabbricato di Borgo Calino, della Torre dell'Orologio e della Fontana del Mascherone, oltre ad alcuni edifici ad uso di abitazione (le 'case in linea') per le famiglie dei contadini. Sul piano civile ed amministrativo l’ultimo intervento diretto del S. Spirito nella gestione della comunità di Monte Romano si ha nel 1831, con la realizzazione di un piano urbanistico, che armonizzi in maniera definitiva i diversi nuclei dell’abitato, prossimo a diventare una Comunità civile autonoma e poi un Comune a tutti gli effetti, quale adesso si vede, con il territorio formato dall'unione delle vecchie tenute di Respampani e Monte Romano, riscattate dall'ospedale».

Torrionaccio), Casa Liblandi, Ancarano e Monte Romano, con l'aggiunta della sottostante Torre della Valle e degli abitati gravitanti sul bacino del Mignone (Luni, la cella monastica di S. Maria e la città, poi castello, di Cencelle)». II.5 Progettualità futura Nell’ambito degli obiettivi generali fissati dalla programmazione regionale ai sensi della L.R. 10 luglio 1978 n. 32 così come modificata dalla L.R. 28 settembre 2007 n. 17, e dalla D.G.P. n. 31 del 12.2.2008, il progetto dal titolo La Crociata perduta: i luoghi del S. Spirito nell’antico territorio tarquiniese e la rinascita di Monte Romano propone di valorizzare la precisa identità di Monte Romano, quale insediamento dalla plurisecolare tradizione agricola, sviluppatasi in seno all’antico territorio della città di Tarquinia (la Civita) e resa ancor più marcata dalla formazione, intorno alla metà del XV secolo, della grande tenuta di Monte Romano, Respampani e Corneto. Il progetto si pone all’interno di un più ampio programma, avviato nel 2005, di recupero, conoscenza, valorizzazione e divulgazione del patrimonio storico, archeologico, monumentale, ambientale e paesaggistico espresso e materialmente visibile in ogni angolo dell’abitato di Monte Romano e del suo territorio. La sollecitazione e la necessità di far conoscere ancora di più questo patrimonio ricco e variegato e di porlo a confronto con gli stimoli provenienti dalla tradizione culturale, che nella contemporaneità ancora si esprime attraverso precise ricorrenze, induce a ricercare anche nuove occasioni per riproporlo, combinando le conoscenze acquisite tramite l’approfondimento degli studi scientifici all’allestimento di nuovi percorsi comunicativi, che abbinino lo spettacolo all’esposizione divulgativa e alla formazione, compiute direttamente nei luoghi oggetto dell’esposizione. Occupandosi delle origini della presenza del S. Spirito nella Tuscia, strettamente connessa alla tragica vicenda della conquista ottomana di Costantinopoli, nel 1453, il progetto arriva a coprire i territori comunali di Monte Romano e di Tarquinia, fra le vallate del Marta e del Mignone, e coinvolge direttamente la Biblioteca, l’annesso Archivio ed il Museo Civico di Monte Romano, per il settore relativo all’esposizione del ‘Paesaggio agrario’.

Pannello 2 Macchia Pascolaro-la Guardiola «Sulla cima del colle, lungo la pista che nel Medioevo unisce i castelli di Ancarano, Civitella (o Torrionaccio) e Casa Liblandi all'arx di Monte Romano, sorge la cosiddetta Guardiola. La struttura comprende una cisterna romana (I-II secolo d. C.), di forma parallelepipeda e in calcestruzzo, ed una sopraelevazione successiva, funzionale sempre alla In dettaglio, si propone una giornata di studio-spettacolo, da raccolta dell'acqua, da inviare a pressione ad una serie di tenersi nel mese di settembre (il 14), sul tema de La Crociata serbatoi, costruiti a quote inferiori e distribuiti sui versanti perduta, nel quale l’esposizione dei relatori, selezionati nel numero di 2 (due), con competenze topograficodella collina. Intorno al XIII secolo i resti cospicui di questa struttura archeologiche e storico-culturali, avviene direttamente nei vengono riutilizzati ed inglobati in una torre, tramite luoghi di interesse storico-artistico e paesaggisticorifasciatura esterna, con paramento in blocchetti di pietra sia ambientale (il Poggio della Rotonda, nel sito dell’abitato squadrati sia semilavorati. Non si sa a chi debba essere medievale di Monte Romano; il Centro Direzionale, sede attribuito l'intervento, sebbene sia plausibile ricondurlo ad della locale amministrazione del S. Spirito nel XVIII secolo), un'azione congiunta dei vari castelli della zona, con un scelti come location, e si combina nei medesimi posti con la duplice obiettivo. Si vuole acquisire un migliore e più rappresentazione teatrale (riproduzione di quadri di vita organico controllo dei territori dipendenti da ciascuno di essi, locale e di avvenimenti significativi della storia passata). con la dotazione di luoghi distaccati dove difendere il frutto L’intervento scientifico, quindi, introduce e segue la dei raccolti depositativi temporaneamente, e so vuole rappresentazione scenica, aiutando a circostanziarla e costituire una linea di contatto visivo e diretto che da Nord a ricevendone supporto per intensificare i processi di Sud unisca tra loro la rocca di Respampani, Civitella (o conoscenza culturale del pubblico presente, in rapporto ai 323

Cultural Landscapes

Fig. II.2 – il Morto (Monte Romano): materiali di una villa romana ai margini di un campo. Pict. II.2 – il Morto (Monte Romano): materials of a roman villa on limitis of a field. contenuti espressi dai relatori e alla pratica degli attori e dei figuranti. Gli esiti della giornata trovano poi spazio in una pubblicazione a carattere scientifico-divulgativo, che costituisca un ulteriore fattore di arricchimento per la conoscenza di un ambito territoriale esteso ed omogeneo, diviso fra Tarquinia e Monte Romano ma accomunato da una storia simile, all’interno della più ampia vicenda delle tenute dell’Archiospedale del S. Spirito.

Il primo passo, compiuto nel 2005 progettando un’intera sezione del locale Museo Civico e dedicandola interamente al Paesaggio Agrario, vera e propria caratteristica e risorsa di Monte Romano, conservatasi intatta nell’arco di 550 anni in tutto il suo territorio, potrà dunque ad arricchirsi di un nuovo importante tassello, che integri in modo stabile e concreto il suo patrimonio culturale e umano. E questa è solo una delle idee progettuali possibili da realizzare …

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CAPITOLO III THE RURAL LANDSCAPE OF MONTE ROMANO: HISTORY AND TOPOGRAPHY III.1 The landscape and its Museum1

in the panels), easily accessibles from the village (South) and from Rocca Respampani (North).

The landscape is the way in which every place shows itself to an observer, in a panoramic vision of the space. The balance, or else the contrast of physical (i. e. mountains, depressions, cliffs, rivers, woods, meadows, maquises) and anthropological components (quarries, fields, pastures, canals, dams, bridges, roads, hamlets), all marked by placenames2, makes its structure. The passing of the centuries and an extended frequenting are the makers of the stratified changes that the Man created to adapt the environment to his demands and also to adapt himself to the climatic changes, even the traumatic ones (i.e. floods, earthquakes, landsplites) or the ones caused by the soil exploitation. The agrarian lanscape is marked by an intensive exploitation of the soil. The maintenance of this trace during the centuries depends on the skill of the different people to profit the feature of the territory (fertility and water availability), differentiating the productive power of the soil and distinguishing the cultivated fields, the pastures and the periodic woods cutting.

III.2 The Roman age Historically, the area of the future estates of Monte Romano and Rocca Respampani is included in the broader territory of Tarquinia (the Civita), reorganized at the end of the II century b.C. During the imperial age, the villae and the farms, placed on the top of the hills or on one of the versants sheltered from the North wind, have many fields (fundi or praedia) in which the most common cultivations are the olive and the cereals. The best fields, especially for the production of oil, are on the hills which close the valley, where it will be built the village of Monte Romano. The pastures extend on the hills slopes, at the border of the woods and near the rivers, close to via Clodia. A border is the wood on the hills in the North of Fosso dell’Infernetto: this wood was very useful for the firewood.

The project to dedicate a museum to the agrarian landscape comes from the purpose to turn Monte Romano to better accourts. It can beast a centuries old agrarian tradition. In fact, its country keeps unchanged the characteristics given in 1456, when the Monte Romano’s and Rocca Respampani’s estates were built.

The other supplying for the villae and the farms is sguaranteed by the reservoirs, placed on the top of the hills or where the rain gathers. In the rest of the estates, the main care of the pastures and woods is keeping the sources clean, and clearing the ditches periodically, to water the animals. Just where the extreme slope of the river-beds could favours the erosion, a kind of barrage is builded with big square blocks and makes a dam, slackening the running of the water by a series of falls.

The story of this landscape, explained into this museum, has a main purpose, that is the knowledge and the defence of this heritage. The whole city territory is a typical example of spaces’manteinance, regarding to its different cultivated areas. Through the centuries, besides, people paid attention to the agriculture. Even the gastronomical tradition had handed down these kind of cultivations, expressing them in tastes.

A system of private roads (viae privatae and vicinales) branches off radially from Monte Romano Valley, which is covered by a public road (the modern State Road n°1 bis) and it climbs up the hills, following the ridges. These roads (viae) are often country roads and they are kept by their owners. Wooden bridges, easily rebuildable in case of floods, allow the overcoming of the rivers.

This museum, financed by Viterbo’s district, is located into one of the ancient shops in Borgo Calino, which dates back between 1760 and 1776. Through a sequence of panels, related photos and exhibition of some founds, the visitor can understand the characteristics and the development of the landscape, within the municipal borders of Monte Romano.

Some of these roads keep unchanged their layout, even after the building of the estates, during XV century. So they become the Strada che va a Civitavecchia, from the Poggio Barone villa to “il Morto”, the Strada che va a Bieda, between Poggio della Rotonda and Calisto, the Strada che va a Viterbo, near Grottarenara, the Strada da Toscanella a Monte Romano, from Casa Liblandi to Poggio Ficonaccia, and the Strada che va alla Roccha, through i Monumenti and Vallicelle. Marta Valley is reachable by a series of cutting roads, so that the semita can gradually pull down their elevation, until the river level.

The visit of the museum is connected with a series of routes, following ones of the ancient roads into the estates (explained

1 Text has been translated by Paola Carità, when it has been made the Museum set-up. Pictures of reference are the same ita can see in chapter I into this section. 2 The place-names are a big reservoir of informations, because they are the memory of significant events that have occurred in a landscape during the centuries. So, they are a kind of identity card of each place, they recover the ancient language and also a pint of view of who, in the past, has lived in the territory. The place-names are the landmark of people who has always lived there. Unfortunately, the roman and medieval’s toponymy is almost completely lost; on the contrary, there are many signs, from XVII to XIX century. In the modern cartography, that you can see below, except the area in the North of Rocca Respampani, there are 62 place names, each with its meaning.

If we imagine the contemporary existence of all the villae and the farms known in the territory and we want to reconduct the cadastre (forma) maked by the roman land-surveyors, each fundus or praedium has an extension of 300 iugeri (about 75 hectares), who can increase untill 1000 iugeri (about 250 hectares). Their borders often coincide with roads or rivers. Maquites and isolated trees are other natural data points; sometimes there are also basalt cippi (termini silicei) and arks. Anyway, which were the name of these estates’ owners? The families (gentes) remembered on the epigraphs found 325

Cultural Landscapes until now, are very significant. On the hills in the South of Monte Romano, there is the Quintilii family, known also in Capena, in the Reatina valley and in Amiternum (S.Vittorino, AQ). Maybe they trade in sheeps and went here with the transhumance. On the contrary, in the area extending from le Cime to Poggio Cisterna, would be the Statilii, the Iulii and the Curtii. III.3 From Late Antiquity to Early Middle Age (II-XI cent.) The economical crisis of the Roman empire, in the III century A.D., causes the progressive neglect of many villae, except their surrounding estates. There you can see the plot of lands unified, making broader estates (saltus), expanding the cultivated areas (cereals) and pastures (ovines, suine, equies) instead of the olive cultivation. The pastures and the woods are the main components of the agrarian landscape. The local roads extend their logouts to reach the far places, crossing the via Clodia and leading to the woods near Rocca Respampani. This development spreads mostly in Fontana Lea, Doganelle and Poggio Cisterna, but even Monte Romano and Ancarano, so that they guarantee themself a continuity of life. In the cadastres, the name Mons Romanus (Poggio della Rotonda) corresponds to a mountain area in the ager publicus (state property), which locally is managed by the closer towns (in this case, Tarquinia). Maybe the transfer of Poggio della Rotonda’s estate and villa dates back to the IV century A.D. This estate become public (mons), the first settlement (village) borns and it is bigger than the first one. Thanks to the archaeological finds, Ancarano is one of the areas where we can reconstruct the landscape in the beginning of the Early Middle Age, by the continuity of its name and the keeping of its borders. The gens Ancharia, which extends its properties all over the central Italy (and in the ancient Tarquinia) has a continuity of life in it. The borders of its praedium and saltus are the same ones of the castle and future estate. Beside it, other private and public areas cross one another. Most of them are woods and forests. This is the same situation that the Romans find during their conquest, in the beginning of III century b.C. There are natural borders, like rivers, big isolated trees, hills, rocks and streets. These ones are decided by the gothic administration, and they are maid by land-surveyors.

turns into a different unification of the ancient estates and uncultivated lands around these new places (massae). The state areas are partially made private or attributed to monasteries, as the near S. Maria del Mignone, whose owner is the Farfa abbey. The surrounding areas grow and expand themselves until the sea. The threat of the Arabs, settled down on the coast, and the Ungarian invasions don’t interrupt this phenomenon. In the X-XI century the territory is subdivided among well definied communities (Ancarano, Casa Liblandi) and the progressive substitution of the montes (mountains) with the arces (fortresses). On the contrary, the circumstances which have produced the establishment of the border ark in Casa Liblandi, and its identification as the Pes Liutprandi, become a legend, that you can read just in the Chronicles (XI century) of the Novalesa abbey, in Susa Valley (Piemonte). III.4 Castles and towers The prevailing, between XI and XV century, of some settlements rather than others, because of economical (availability of lands, pastures, woods) or strategical (hills) reasons, requires a different kind of union of the former landed properties. The areas, formerly pertaining to the State, are divided, together with the ancient saltus, in new settlements, making a new territory. The delimitations are entrusted to the roads, rivers, isolated trees or hills, that formerly were used for the minor divisions. Now those borders become very important. These settlements (castra) have a juridical value, because they show a certain authonomy of the surrounding areas. The most evident example of this transition is at Ancharano (present Ancarano), which comes from the roman and early medieval praedium. Campus Maior (present Campo Maggiore) is the best and the biggest estate, because it exists since VI century and it is grown up around a pre-existent settlement. Casa Liblandi (le Grotte), on the contrary, grows up into the state area. Mons Romanus (present Monte Romano, Poggio della Rotonda) and the ancient Res (privata) Pampini (Respampani, Rocca Vecchia) offers the image of ancient achropolis (arces), because they are visible even from a long distance, and their defence is guaranteed by the natural rocky ramparts and slopes. They control the roads and the borders, so they build or restore pre-existent towers. These towers are placed in strategical points, both on the hills and in the valleys (Torrione or Torre della Valle).

The longobard invasion and the clashes among armies along via Clodia, under byzantine control, requires, at the end of VI century and in the beginning of VII century, the reinforcement of some sites and the building of a defence system as a limes (combination of border streets and castles The exploitation of the wood, the digging out of the sulphur along the route). The breaking of the line, in the beginning of at the confluence of the stream Traponzo with the river VIII century, turns the defences into the Longobards, who Marta, the stone-working and the breeding, mark the territory make the reorganization of the reunified territory (even of Respampani and they are also the most important cadastrally). The Crown state property (gahagium Liutprandi, economical resources. On the contrary, the agriculture is present Casa Liblandi) take possession of the territory and it important in Campo Maggiore, Ancarano, Monte Romano, establishes an important datum point on one of the roman especially the olive growing, the grain production, alternating border arks (the Pes Liutprandi). The byzantine frontier fields for the olive groves, with broader areas for the cereals, moves definitively along the river Mignone: the border at the border of the woods. Casa Liblandi, on its tufa plateau, system only changes its orientation. The centralization of the has both the grain cultivation and the vineyards, exploiting people, until now spattered in the countryside, within the slopes and the Marta’s plain. The shoots of the plants are settlements, carries on even after the frank conquest and it supported by elms, arranged in rows: their memory still lives 326

The rural landscape of Monte Romano in the place name Valle degli Olmi (Elms Valley). At the same time, the maquis is exploitated for the breeding. Its care is delegated to S. Vincenzo church. III.5 The Monte Romano and Respampani’s estates In the XIV century, during the absence of the Pope from Rome, there are some conflicts between the Prefetti di Vico with the Farnese family, to control the middle and low valley of river Marta. These conflicts produce a lot of unsteadiness. The economical crisis, added to the consequences of the 1349’s earthquakes and plague, favours a situation of neglecting, discouraging the building of villages and the agriculture. Besides, the damages caused by the sieges to the fortresses are no more restored. The trend is the depopulation, with the return of the woods and the breeding (sheeps and pigs). The lands formerly cultivated are now partially wooded. When, in XV century, the Ancarano castle is destroyed, the landscape is transformed. The broad meadows, the woods and the maquis prevail in the hollows. There are many vegetable gardens and cultural fields in the neighbouring of the villages, which are still inhabitated, even if in the taxes official registers, they are called, in 1416, destructi (destroyed) and inhabitati (depopulated). When, in 1456, pope Callisto II tries to recover some money to finance a crusade against the Turkish, Monte Romano (Poggio della Rotonda), Respampani (Rocca Vecchia) and Campo Maggiore easily become an exchange goods. Their territoria (territories) et castra diruta (destroyed castles) are chosen, together with Carbognano, Vallerano and Vignanello, and they are mortgaged. They become estates (tenimenta) and they are temporary given up to the S.Spirito Hospital, in exchange for 12.000 golden florins. In spite of the partial redemption from the mortgage, paid by pope Pio II (1458-1464), which allowed the recovery of the two other villages in the Cimino territory and of Carbognano, it’s hard to find the money to settle the rest of the debt. That’s why on 25 february 1471, pope Sisto IV gives up at Respampani and Monte Romano (the two ancient arces), so that they remain as properties of S. Spirito Hospital. The Monte Romano’s estate increases its lands, joining to Civitella and Casa Liblandi. The border with Respampani and Campo Maggiore is placedon the stream Banditella (present Infernetto). It is discouraged every attempt of reoccupation in the ancient and destroyed castles (like Ancarano in 1474). This is made to guarantee the union of these nwe possessions. The other measures that marks the history of these new estates, at the end of the XV century, regard the settlement of the relation with Dogana dei Pascoli, for the exploitation’s rights of the meadows’ grass.

Liblandi and Civitella castles, the estate spread from the Fosso Scolatore or Banditella, in the North, and to the right side of the river Mignone, in the South. It comprises all the central and southern part of the present village. The borders are still the same as in XV century. If you go all over the streets into the estate, you go backwards in the Time, discovering again the landscape, the same that the men of the XV century saw. III.5.2 Respampani A clear description of the Respampani estate is in a register of St. Spirito Hospital, which dates back to 1659. The estate is divided in four parts (Rocca Respampana, Rocca Vecchia, Porcareccia, Banditella) and it comprises other 2 parts (Campo Maggiore and Grotte nova), obtained by the junction of the medieval settlement Campo Maggiore and its territory. From Fosso scolatore o della Banditella (Fosso dell’Infernetto), it spreads towards North until the northern borders of Monte Romano. In 1607 the main part of the estate is moved by its originary seat, Rocca Vecchia, to a new one. Founded by the governor Ottavio Tassoni d’Este, it is built by his successor, friar Cirillo Zabaldani, like a manor. Although an interruption of the works leaves it unfinished, the anonymous expert who, in 1742, goes to check its conditions, describes it in this way: “There is a wonderful palace with many comfortable rooms, a church, a bakery, a mill, a cellar, a stable, a barne, a well in the middle of the courtyard”. III.6 The new settlement of Monte Romano (XVI-XVIII cent.) The medieval settlement of Monte Romano survives after the birth of the estates: it is gathered on Poggio della Rotonda. Its church, S. Maria, is the landmark for the countrymen and the breeders who live in the neighbouring of the river Mignone, in the South, and in the countryside, in the North. The administrative seat and the lord’s manor are in Respampani (Rocca Vecchia). The assignement of the grass to the Dogana dei Pascoli and the relations between the Hospital and the village of Barbarano make easy the inclusion of the new countrymen. The progressive neglecting of the arx Montis Romani, on the top of the hill, dates back to XV century. A new settlement is founded in the valley, on the road between Corneto, Vetralla and Viterbo. In 1535-1540 a little church is built: afterwards a warehouse and a inn.

The estates are specialized in different kind of productions. Respampani exploits its woods, Monte Romano is entirely grain-cultivated: the pastures are only for the working livestock. The interruption, in 1572, of the selling of the grass to Customs and a better organization of the fields, improve the phenomenon of the resident workers. The building of the Agucchi’s granary, in 1602, solves the problem of the III.5.1 Monte Romano warehouse for the harvesting, because until now the In the register of the S. Spirito Hospital there is the most warehouse was in Corneto or near Civitavecchia. In 1615 the complete description of the Monte Romano estate. A series of lord of manor Respampani, friar Cirillo Zabaldani, builds a maps, painted on paper with a parchment support, allows to new church which, in 1630, becomes a seat of the priorate. see the appearance in the 1661. Divided in four parts (Poggio The quick expansion of the people involves the birth, in 1605, Tondo, le Valli, Grotte sfondata and Mignone) with the of two new settlements, Castello Alessandro, in honour of addition of Quarto della Marta, i.e. the territory of Casa pope Alessandro VII, and Monte Cavallo. 327

Cultural Landscapes

Fig. III.1 – La villa romana detta I Monumenti (Monte Romano): le cisterne. Pict. III.1 – The roman villa named I Monumenti (Monte Romano): the cisterns. The new prison, in 1737, and the administrative seat, in 1759, become the first buildings which join two former quarters and a third one, Borgo Calino, planned in 1760 next to the former church in Monte Romano. This building, made by the architect Pietro Sardi, is almost finished in 1776. The building is a series of houses with shops downstairs. Between 1765 and 1770, the building of the administrative seat is completed (now it is the seat of Agrarian University), as the building of the church annexed, the Clock Tower, next to the prison, and the Mascherone fountain. In 1787, 1789 and 1791 other three buildings complete the settlement of Castello Alessandro, Monte Cavallo and Borgo Calino. They will become the countrymen’s houses. In 1831, the S. Spirito Hospital makes another urbanistic plan in Monte Romano. The plan of the village is made by the architect Raffaele Folo.

Between 1927 and 1982, there is a progressive transfer of powers to the Agrarian University, becoming from the rights to gather firewood and to pasture the cattle, which were imposed on some big parts of the ancient estate of Monte Romano. Its borders, together with Respampani and Campo Maggiore, clash with the modern communal borders. The inner division in different parts is guaranteed by the permanence of some characteristics, both natural and artificial (trees, hills, rivers, roads, cippi, troughs), which are a topographical landmark. These ones make the modern lanscape and inherit it from the past land working. The Agrarian University provides for its care, with the maintenance of its infrastructures, as the 26 troughs (the most ancient dates back to 1818). These troughs have been inventoried in the “Inventario di beni immobili d’uso pubblico per natura (Fontanili)”.

III.7 From the S. Spirito Hospital to the Università Agraria The passage of the land administration from the Hospital to the Agrarian University is gradual. The big income obtained, at the end of XIX century, with the sale of the pastures’ grass, urges the S. Spirito administrators to neglect the estates and to reduce notably the cultivated areas. It is a big damage for the inhabitants of Monte Romano. The Agrarian University is founed in 1907. The countrymen can administrate some areas (paying a rent), like Rotonda and Poggio Tondo, because they are closer than others to Monte Romano. Moreover, it is also requested a part of the neighbouring estate of Corneto (Tarquinia).

The agrarian tradition of Monte Romano is kept up by many festivals. These are celebrated in honour of S. Antonio Abate (17 January) and the patron saints, S. Corona and S. Isidoro (14-15 May). Other festivals are “Bread and Good Tastes” (10-11/17-18 June) and the round up festival: the Maremma bovin race is really valuable. On 18-20 August there is the village festival of the Maremma beef. This cattle is biologically breeded in the same places that, since the roman age 1456, have seen it used for the land working, in the roman age and since the 1456.

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The rural landscape of Monte Romano

Fig. III.2 – La cisterna romana in località Calisto-Lascobello (Monte Romano). Pict. III.2 – The roman cistern in the place named Calisto-Lacobello (Monte Romano).

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Fontanile Nuovo (Monte Romano, VT), nella Tenuta di Monte Romano (Quarto di Poggio Tondo), del 1818. Fontanile Nuovo (Monte Romano, VT), in the Estate of Monte Romano (Quarto di Poggio Tondo), 1818.

Parte IV

Forme e infrastrutture per l’allevamento stanziale e la transumanza nel Medioevo: i territori di Corneto (Tarquinia) e Tuscania nel XV Secolo (Viterbo, Italia)

Contributi di: Germano Gabrielli

Cultural Landscapes

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CAPITOLO I ALLEVAMENTO E AGRICOLTURA: TRA CONVIVENZA E CONFLITTO Abstract Anywhere in the world agriculture and livestock mark the evolution of civilization. Fields, pastures and woods become, themselves, essential components of a land through the centuries and will mark its transformation, like archaeological evidence of cultural changes. Middle Ages is the period chosen to examine them and attention is focused in the countryside between Tarquinia and Tuscania (Viterbo province) in central Italy. Keywords Cultural Landscapes, Middle Age, Archaeology and agricultural tradition, woods and grasslands, place-names I.1 Dall’economia silvo pastorale all’economia agricola Nell’Alto Medioevo l’economia silvo-pastorale affiancava la coltura dei campi. Gli incolti e i boschi erano gelosamente custoditi ed utilizzati per l’allevamento, al quale si accostava la cerealicoltura, effettuata con metodi rudimentali e basata non tanto sul frumento, quanto sui cereali minori (segale, orzo, spelta, farro, miglio), più robusti e meno esigenti1. L’economia silvo-pastorale era legata principalmente allo sfruttamento dei boschi ed incolti, utilizzati sia per la caccia che per l’allevamento del bestiame allo stato brado. Nei secoli IX-X, si era raggiunto un equilibrio tra popolazione e risorse dovuto all’integrazione dei prodotti dell’economia silvo-pastorale con quelli agricoli e al basso numero di persone da nutrire; infatti, dopo la crisi produttiva e demografica, iniziata nel III secolo e proseguita nel primo medioevo, accompagnata da carestie, guerre e pestilenze, la popolazione si era notevolmente ridotta2. Gli animali da allevamento erano tuttavia molto diversi dai nostri: dalle fonti iconografiche dell’epoca e dai reperti ossei che gli archeologi studiano con sempre maggiore interesse, essi ci appaiono dalle dimensioni molto più piccole e dall’aspetto più selvatico, i maiali, per esempio, sembravano

1 Non si vuol certo sostenere che la cerealicoltura in quel periodo avesse un’importanza del tutto marginale. Certo non forniva il prodotto primario come durante i secoli successivi. Come dimostrato dal Montanari (M. Montanari, Il cibo dei contadini: mutamenti economico-sociali e trasformazione del regime alimentare dei ceti rurali, in Le campagne italiane prima e dopo il Mille. Una società in trasformazione, Bologna, 1985, pp. 195-215 e in particolare p. 200), è errato affermare che il pane fosse la base dell’alimentazione. Bisogna inoltre stare attenti a generalizzare quello che è vero solo per il Basso Medioevo. Solo in questo periodo, infatti, dopo un’ondata di disboscamenti e di messa a coltura di aree marginali, l’alimentazione si basò principalmente sui prodotti cerealicoli. In precedenza, nell’ambito di quello che era il settore agricolo, sembra che sia stata data una maggiore preferenza all’orticultura, quando lo spazio riservato agli orti, oltre ad essere di dimensioni considerevoli, era tutelato con norme giuridiche e contrattuali. «Nel sistema agrario del IX secolo, i campi non occupavano che un posto assi limitato in rapporto ad altri settori anch’essi produttori di cibo: la natura vergine da cui si potevano trarre molte cose da mangiare, e soprattutto la piccola chiusura dell’orto». 2 Montanari, Il cibo dei contadini, p. 202. Per le vicende demografiche dell’Italia nel periodo medievale si veda A. Bellettini, La popolazione italiana dall’inizio dell’era volgare ai giorni nostri. Valutazioni e tendenze , in Storia d’Italia,, V, Torino, 1973, pp. 501-507.

quasi dei cinghiali3. Solo l’allevamento scientifico avrebbe cambiato, secoli dopo, l’aspetto di questi animali. Che i boschi fossero utilizzati per l’allevamento del bestiame è d’altronde comprovato dal fatto che la foresta si misurava in base alle unità di bestiame suino che vi si poteva allevare: «Silva Magna […] ubi possumus pascuare porcos mille»4. Era questo, un metodo di misurazione delle aree incolte molto frequente nell’alto Medioevo, che scomparì con il passare del tempo e con la necessità di stabilire con esattezza le superfici, sia per una loro messa a coltura sia, più tardi, per una loro preservazione. L’allevamento dei suini non era il solo, accanto a questo si allevavano ovini, caprini, bovini ed equini. Nella Maremma toscana e laziale si hanno notizie di bestiame allevato allo stato brado, soprattutto equini e bovini, già dall’VIII secolo5. Il contadino medievale aveva a disposizione ampi spazi incolti e il permesso di accedervi a titolo individuale o collettivo gli permetteva, oltre che coltivare i campi, di essere anche allevatore, cacciatore, pescatore e raccoglitore di prodotti spontanei. Questo è attestato dalla sua dieta, che era ricca di carne: carne di maiale, che il pascolo brado nei querceti permetteva di ottenere in abbondanza; carne di ovini, dai quali traeva anche formaggio e latte; carne di animali selvatici, cervi, caprioli, cinghiali, lepri, che un ambiente naturale integro gli permetteva di cacciare in grande quantità6. Oltre alla carne, nella dieta contadina era compresa anche una grossa quantità di pesce, che poteva essere pescato in abbondanza, sia nei fiumi, laghi e torrenti, sia lungo le coste. Come hanno messo in rilievo le ricerche di Montanari, questi prodotti dell’economia silvo-pastorale permettevano al contadino altomedievale di praticare una dieta variegata, che costituiva una garanzia di sicurezza nei momenti di crisi. Infatti, facendo affidamento su un notevole numero di prodotti, la carenza di uno di essi, per un qualsiasi motivo, non costituiva un grave pericolo per la sopravvivenza. Se il raccolto dei cereali era inferiore a quello previsto, c’erano i prodotti del settore silvo-pastorale che permettevano di attutire il colpo e superare la crisi, tanto è vero che nell’alto medioevo le menzioni di carestie sono meno numerose che nei secoli successivi, o meno drammatiche7. 3 Si veda il particolare dell’affresco di A. Lorenzetti conservato nel palazzo pubblico di Siena Gli effetti del Buon Governo (F. Negri Arnoldi, Storia dell’arte, Milano, 1993, p. 172, figg. 250-251). 4 Era una proprietà del monastero di Nonantola, nel territorio piacentino, verso la fine del X secolo (V. Fumagalli, L’evoluzione dell’economia agraria e dei patti colonici dall’alto al basso Medioevo, in Le Campagne italiane, cit., p. 16). 5 Ivi, p. 17; che in Italia, nell’alto medioevo, venisse allevato bestiame bovino allo stato brado è testimoniato anche anche da Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, composta tra il 787 e il 799, libro secondo capitolo 24: Sive ob hoc Italia dicitur, quia magni inea boves, estitali, habentur. Ab eo nacque quod est italus per diminutionem licet una lettera addita altera inmutata vitulus, appelatur. L’Italia era chiamata tale per il fatto che in essa vi prosperavano grandi buoi, cioè itali: italus infatti, secondo Paolo Diacono, dunque, togliendo una lettera e mutandone un’altra, è un’abbreviazione di vitulus, vitello. 6 Montanari, Il cibo dei contadini, cit., p. 198. 7 Ivi, pp. 198-199. Sulle carestie medievali si veda C. Walford, The famines of the world : past and present, London, 1879; A. Corradi, Annali delle

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Cultural Landscapes Una testimonianza che può supportare quanto sopra esposto è riportata da Montanari. Nella vita di S. Benedetto di Aniane, vissuto tra VIII e IX secolo, si parla di una grave carestia che condusse molta gente alle porte del monastero; per sfamarli si distribuiva ogni giorno carne ovina e di bestiame grosso, oltre al latte di pecora8. Un altro documento che attesta l’abbondanza di carne e, conseguentemente, di una diffusa pratica allevatizia si può ricavare dagli Annales Laureshamenses, i quali ci informano che, durante la spedizione dei figli di Carlo Magno - Pipino e Ludovico- in terra beneventana, si verificò una grandissima carestia, tanto che molti mangiarono carne anche durante la Quaresima9. A partire dal secolo XI, con la continua crescita della popolazione si ruppe l’equilibrio che si era creato nei secoli precedenti. La richiesta sempre maggiore di prodotti per l’alimentazione non poteva essere soddisfatta da un’agricoltura praticata in modo estensivo e dal basso livello delle tecniche produttive. L’unica via di uscita era la ricerca di nuove terre da coltivare a scapito dei boschi e degli incolti10. La difficoltà di migliorare le tecniche produttive, costrinse gli uomini ad allargare le aree coltivate riducendo gli spazi utilizzati fino allora per il pascolo, la caccia e la raccolta11. Nel corso del XII secolo l’assalto alle aree incolte intensificò i suoi ritmi12. La ricerca di rese cerealicole sempre maggiori portò a grandi disboscamenti nonostante gli ostacoli dovuti a fattori climatici e all’arretratezza delle tecniche allora conosciute. Infatti, mentre la conquista di aree da coltivare in collina, in montagna e pianura fu relativamente facile, in quanto per lo più si trattava di procedere a semplici disboscamenti, la conquista si arrestò di fronte alle aree paludose per l’arretratezza della tecnica. Si hanno comunque notizie di bonifiche di aree paludose portate avanti in modo organizzato e con esiti positivi da epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Bologna, 18651894, VIII, pp. 273-275 (rist. anast. Bologna, 1973). 8 Vita Sancti Benedicti Ananiensis, autore Ardone seu Smaragdo eius discipulo, in Patrologia Latina, 103, c. 361. Questo il passo decisivo: «carnes etiam armentorum oviumque dabantur per singulos dies, lac etiam vervecum praebebat auxilium» . 9 Annales Laureshamenses, I, 35, ed. G. H. Petz, in MGH, Scriptores, I Hannover 1826. Per un caso analogo si veda J. Le Goff, La civiltà dell’Occidente medievale, Torino, 1982, p. 259. 10 Montanari, Il cibo dei contadini, cit., pag. 203. Montanari riporta che la incapacità della «tenuta» delle strutture produttive altomedievali fu dovuta soprattutto alla la mancata integrazione fra settore agrario e settore silvopastorale; l’agricoltura e l’allevamento coesistevano ovunque, ma gli animali da lavoro erano pochi e il letame si disperdeva nei boschi; a causa di questo, la resa cerealicola rimaneva bassa tanto da rendere necessario l’utilizzo di vaste superfici per la semina; il terreno a pascolo veniva così fortemente ridotto e così anche l’allevamento stabulare che avrebbe permesso di disporre di animali da lavoro e di concime. 11 V. Fumagalli, Il paesaggio si trasforma: colonizzazione e bonifica durante il Medioevo: L’esempio Emiliano, in Le campagne italiane, cit., pp. 96-127; id., La società rurale nell’opera del Muratori. L’occupazione del suolo nel Medioevo, in L.A. Muratori storiografico, Firenze, 1975, pp. 41-50. 12 V. Fumagalli, Terra e società nell’Italia Padana. I secoli IX e X, Torino, 1976, pp. 25-60; id. Colonizzazione e insediamenti agricoli nell’occidente altomedievale: la valle padana, in «Quaderni storici», 14 (1970), pp. 319338.

diverse città, come la bonifica della palus comunis Verone, con la quale, alla fine del XII secolo, il comune di Verona riuscì a conquistare alle acque circa 1.200 ettari di terreno che sarebbero divenute il granaio della città13. Le prove più notevoli di un’azione collettiva per la conquista delle terre incolte da mettere a coltura, si hanno nella valle Padana con la realizzazione di opere per il controllo delle piene e per l’irrigazione. Importante, in Lombardia, fu l’ordine dei Cistercensi che provvide alla costituzione di grange, vaste aziende agrarie per l’organizzazione delle quali fu importante la canalizzazione delle acque di scorrimento. Grazie ad essa fu possibile ottenere un duplice risultato: il drenaggio dei terreni e la formazione delle marcite, ovvero di prati stabili irrigati che permisero di incrementare l’allevamento del bestiame stabulare14. Iniziative per la conquista delle aree da coltivare, portate avanti da singoli individui o organizzate dalle comunità, oppure dalle singole città, si verificarono in gran parte dei territori italiani. Solo nel Lazio, nel Meridione e nelle isole, dove si era avuto un maggiore sfruttamento del terreno nell’antichità classica, le testimonianze di grandi imprese di dissodamento, bonifica e colonizzazione sono contenute, anche se in queste regioni non mancò un allargamento dell’area coltivata15. Questo affermarsi dell’economia agricola comportò l’acquisizione di aree incolte e la conseguente scomparsa delle attività ad esse legate, specialmente l’allevamento del bestiame brado. Il pascolo nel corso del secolo XII perdette sempre più terreno di fronte all’avanzare dei campi, si affermarono nuovi metodi di misurare la terra, si costruirono delle siepi che impedirono al bestiame di entrare nei campi coltivati e si intensificarono sempre di più gli scontri tra coloni ed allevatori16. L’uso del terreno per il pascolo del bestiame venne sottoposto a vincoli da parte dei signori e delle stesse città, che ne regolarono l’utilizzo con norme statutarie. Philip Jones osserva che, sin dal periodo dei primi statuti urbani, il sistema dei campi aperti, che consentiva il pascolo delle bestie sul terreno dopo la mietitura, in molte zone del basso Milanese era venuto meno. In altre, come la Toscana e Liguria nel XIII secolo, si assiste alla limitazione o all’abolizione dei diritti collettivi di ghiandatico e di spigolatura, che poi nel tardo medioevo scompariranno del tutto nell’Italia settentrionale e centrale17. 13 A. Castagnetti, Primi aspetti di politica annonaria nell’Italia comunale. La bonifica della «palus comunis Verone» (1194-1199), in «Studi medievali», ser. III, XV (1974), p. 397. Per un quadro complessivo sul territorio veronese: Id., La pianura veronese nel Medioevo. La conquista del suolo e la regolamentazione delle acque, in Una città e il suo fiume. Verona e l’Adige, 2 voll., Verona, 1977, vol. I, pp. 33-138. 14 Ph. Jones , La società agraria medievale all’apice del suo sviluppo L’Italia, in storia economica Cambridge, vol. I, L’agricoltura e la società rurale nel Medioevo, trad. it., Torino, 1976, p. 436. 15 A. Cortonesi, Terre e signori nel Lazio medioevale - un’economia rurale nei secoli XIII-XIV, Napoli, 1988; A. Lanconelli, La terra buona, produzione, tecniche e rapporti di lavoro nell’agro viterbese tra Due e Trecento, Bologna, 1994, pp.126-127; G. Cherubini, L’Italia rurale del basso Medioevo, Bari, 1996, pp. 23-24. 16 V. Fumagalli, l’evoluzione dell’economia agraria e dei patti colonici dall’alto al basso Medioevo in Le campagne italiane cit., pp. 15-35. 17 Sulla progressiva limitazione, nel pieno e basso Medioevo, dei diritti d’uso sull’incolto, e la gravità delle conseguenze che ne derivarono alla popolazione rurale v. Jones, L’Italia, pp.429-448. Per un quadro europeo del problema v. R. Grand, R. Delatouche, Storia agraria del Medioevo,

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Allevamento e agricoltura La chiusura degli spazi incolti e la recinzione dei campi riflettono il mutamento delle realtà economiche e sociali che si verificò nel pieno Medioevo e che per una buona parte della popolazione rurale comportò un’espropriazione di diritti collettivi a lungo goduti e il conseguente aumento della povertà. Tuttavia c’è da dire che tra il XIII e XIV secolo si riscontra, in più parti, una certa preoccupazione per lo stato dei boschi e delle aree incolte e assistiamo a processi tra varie comunità per la contesa di boschi e pascoli, o a provvedimenti statutari per la loro salvaguardia18. Nel Lazio, numerose comunità castrensi, tra il Duecento e Trecento, si preoccupano della sorte dei loro boschi : a Cave, sulla via Prenestina , vengono presi dei provvedimenti per proteggere il mons Tyneosus dal danneggiamento degli uomini, e degli animali, e dal fuoco; a Castel Fiorentino, nell’alto Lazio, gli statuti prevedono la salvaguardia della Silva plani Rotundi dagli incendi e dal bestiame minuto 19. I.2 Integrazione fra agricoltura e allevamento Con il passaggio ad un’economia prevalentemente agricola venne meno l’equilibrio con l’allevamento del bestiame; un equilibrio che, attraverso l’utilizzo dei prati e del concime animale, avrebbe permesso di migliorare la quantità e la qualità delle rese agricole dei cereali, senza procedere alla messa a coltura delle poco fertili aree marginali20. Studi recenti condotti da Montanari hanno ridimensionato le ipotesi ottimistiche circa l’aumento delle rese che si sarebbe registrato a partire dal secolo XII21. In realtà analizzando i dati emersi per alcune aree (Piemonte, Lucchesia, Inghilterra)22 Montanari ha evidenziato come nonostante la Milano, 1968, pp. 505-507. Per un periodo posteriore si veda G. Procacci, Classi sociali e monarchia assoluta nella Francia della prima metà del secolo XVI, Torino, 1955, pp. 73-75, dove si mette in luce il rapporto fra recinzione dei terreni comuni e diffusione del pauperismo. 18 Lanconelli, La terra buona, cit., pp. 123-140. 19 A.Cortonesi, Ruralia, Economie e paesaggi del medioevo italiano, Roma, 1995, p.33. 20 Si veda M. Montanari, Tecniche e rapporti di produzione: le rese cerealicole dal IX al XV secolo, in Le campagne italiane, cit., pp. 41-58. 21 Il tema delle rese cerealicole nelle campagne italiane dell’Alto Medioevo fu affrontato da G. Duby, il quale utilizzando l’inventario del monastero di Santa Giulia di Brescia (X secolo) stabilì che il rapporto semente/prodotto era di circa l’1,7 per uno (G. Duby, il problema delle tecniche agricole, in Id., Terra e nobiltà nel Medio Evo, Torino, 1971). Anche per la Francia, attraverso l’inventario del IX secolo delle proprietà della corte regia di Annapes, Duby riuscì a calcolare rendimenti dell’1,7 per il frumento, dell’1,8 per la spelta e dell’1,6 per l’orzo. Duby sostenne che un aumento sostanziale delle rese si ebbe a partire dal XII secolo; da un inventario dell’abbazia di Cluny si apprendono casi di rendimenti che vanno dal 4 al 6 per uno. Dopo questo raddoppio dei livelli produttivi altomedievali, sempre secondo Duby, non si ebbero più notevoli cambiamenti fino alla rivoluzione agraria del del XVIII-XIX secolo. 22 Montanari ritiene che l’ipotesi di Duby debba essere ridimensionata, secondo lui i dati di resa calcolati da quest’ultimo per l’alto medioevo e utilizzati per il confronto con dati delle epoche successive, sono troppo bassi e falsano la realtà. Per il XIII e la prima metà del XIV, le rese cerealicole accertate per il Piemonte da C. Rotelli, Una campagna medievale. Storia agraria del Piemonte fra il 1250 e il 1450, Torino, 1973, p. 104, non si discostano dal livello altomedievale del 2-3 per uno. Rotelli sostiene che dall’esame degli indici di resa cerealicola si può affermare, per quanto riguarda le tecniche agricole, che nulla di nuovo è cambiato nelle campagne piemontesi; le variazioni di produzione della prima metà del XIV secolo, secondo lui, sono dovute principalmente ad una conquista di terre rimaste fino ad allora incolte. Valutazioni simili, sono valide non solo per l’Italia del

mancanza di serie documentarie che permettano di studiare il tema delle rese cerealicole attraverso metodi statistici, si può calcolare che fra alto e basso medioevo l’indice di resa rimase attestato a ql. 2,5 / 3,5 per uno e che un vero incremento si ebbe solo a partire dal 40023. L’integrazione tra agricoltura ed allevamento era ostacolata dalla diffusione della coltivazione in ciclo triennale e quadriennale, attestata dai documenti dei secoli XII-XV24, che soppiantò il tradizionale ciclo biennale della coltura mediterranea, che prevedeva un anno con semina di cereali vernini ed un anno a maggese, cioè terreno lasciato a riposo. Nel ciclo triennale il terreno riposa un anno su due e nel quadriennale un anno su tre. Per la Campagna e Marittima e anche l’Alto Lazio, il ciclo triennale prevedeva un anno a maggese e due di messa a coltura (1° anno frumento, 2° anno spelta o orzo)25. Questo ciclo riduceva notevolmente la quota di coltivo utilizzabile per il pascolo del bestiame, anche se ormai nell’Italia mezzadrile del centro-nord sembra ovunque ristretto l’uso collettivo dei seminativi a riposo e delle stoppie per il pascolo26, che regge ancora nel Lazio Campanino, dove nel maggese e nei terreni appena liberati dal grano può pascolare il bestiame degli allevatori27. Nord, ma anche per altre zone, Montanari cita i contratti agrari lucchesi dei secoli XII-XIII dai quali la Kotelnikova ha dedotto un rapporto semente/prodotto del 3 per uno (L. A. Kotelnikova, L’agricoltura ed il rendimento agricolo nella Toscana e specialmente nella zona di Lucca nei secoli XII-XIV, in Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII, Firenze, 1981, pp. 67-68). La stessa situazione sembra attestata nel resto d’Europa; dai dati ottenuti dalla documentazione inglese del XIII-XIV, si può calcolare una resa che oscilla tra il 2,5 e il 3,5 per uno, e raramente raggiunge il 4 per uno (M. M. Postan, Economia e società nell’Inghilterra medievale, Torino, 1978, pp. 77-78, 89). Montanari sostiene che «secondo tutte le apparenze, dunque, un indice di resa fra il tre e il quattro per uno, ottimale nell’alto medioevo, tale sostanzialmente rimase fino al ‘200 e al ‘300». 23 Sicuramente si verificarono, nel corso del pieno medioevo, piccoli miglioramenti delle tecniche agricole, che permisero di raggiungere più facilmente quelle rese che in passato si ottenevano raramente; ma a parte qualche annata eccezionale ed alcuni terreni fertili e ben coltivati, l’indice di resa del 4 per uno sembra essere rimasto, nella maggioranza dei casi, un miraggio. Per quanto riguarda il rapporto semente/prodotto, dagli studi effettuati sulla scarsa documentazione disponibile, sappiamo che le rese cerealicole per le campagne mantovane si attestavano tra i 4,5 e i 5,5 quintali per ettaro (P. Torelli, Un comune cittadino in territorio ad economia agricola, I, Mantova 1930, pp. 269-270); per le campagne toscane del TreQuattrocento, le rese andavano dai 4 e gli 8 quintali per ettaro, con valori medi intorno ai 5-6 quintali (G. Pinto, Coltura e produzione dei cereali in Toscana nei secoli XIII-XV, in Civiltà ed economia agricola in Toscana nei secc. XIII-XV. Problemi della vita delle campagne nel tardo medioevo, Pistoia, 1980, pp. 252-253); per il bolognese la produttività si attestava tra i 5 e gli 8 quintali per ettaro (A. I. Pini, Forme di conduzione, rendita fondiaria e rese cerealicole nel Bolognese dopo la peste del 1348; l’azienda del convento di San Domenico, in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà contadina, a cura di V. Fumagalli, G. Rossetti, Bologna, 1980, pp. 280-281). Dopo l’incremento quattrocentesco gli indici di resa si stabilizzarono a livelli più bassi, per l’Italia del Nord dei secoli XVI-XVII si sono calcolati valori medi tra i 3 e i 6 quintali per ettaro con punte massime del 9 (A. De Maddalena, Il mondo rurale italiano nel Cinque e nel Seicento, in «Rivista Storica Italiana», LXXVI (1964), pp. 424-425). 24 Cortonesi, Ruralia, cit, pp. 3-19; Cherubini, L’Italia rurale,. pp. 299-300; in riferimento a singole regioni: G. Pinto, La Toscana nel tardo medioevo. Ambiente, economia rurale, società, Firenze, 1982, pp. 117-120; Cortonesi, Terre e Signori cit., pp. 41-43. 25 Cortonesi, Terre e Signori, cit., pp. 41-45; id., Ruralia, cit., pp. 8-11. 26 Jones, L’Italia, cit., pp. 447-449. 27 A. Cortonesi, Colture, pratiche agrarie e allevamento nel Lazio bassomedievale. Testimonianze dalla legislazione statutaria, in «Archivio della Società romana di Storia patria», 101 (1978), p. 111; Id., Il lavoro del

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Cultural Landscapes Le cause delle basse rese erano molteplici: la limitatezza delle tecniche utilizzate, l’arretratezza degli strumenti, ma quella che influiva di più era sicuramente la mancanza di una concimazione appropriata, con l’apporto di azoto organico necessario alla crescita delle piante. L’insufficiente produzione dei foraggi non permetteva di allevare bestiame stabulare, il quale a sua volta avrebbe fornito concime naturale in quantità apprezzabili. L’esistenza del maggese nelle rotazioni era dovuta appunto alla mancanza di concime; lasciando riposare il terreno, o coltivandolo con le leguminose, si riusciva, anche se in maniera minima, a ripristinarne la fertilità. Altri sistemi utilizzati per apportare fertilità al suolo era la bruciatura delle stoppie e l’utilizzo della cenere di legna ridotta in soluzione alcalina. Ma tutti sapevano che il miglior concime era quello animale, tanto che nel XIII secolo in molte parti dell’ Italia ne è attestato un regolare commercio28. La concimazione dei seminativi poteva avvenire anche tramite la «stabbiatura», ovvero con il pascolo del bestiame sulle stoppie e sui maggesi in quei campi che non erano ancora stati chiusi. Ma l’ostacolo più grosso, che impediva di avere a disposizione il concime naturale, era appunto la mancanza di prati coltivati. Alla mancanza di foraggio, si sopperiva, per nutrire gli animali delle aziende, con l’utilizzo di paglia, frasche, ghiande, vinacce; spesso la paglia era l’unico foraggio disponibile, che a causa della presenza della lignina non era tanto digeribile e nutriente; l’unica sostanza nutritiva contenuta nella paglia è la cellulosa, che, se non scissa dagli altri componenti con procedimenti chimici, non può venire assimilata. Questa carenza di foraggi, costringeva molte aziende rurali a mantenere pochi animali da carne e da lavoro, determinando una «strozzatura» che Cherubini schematizza nel modo seguente: poco foraggio = poco bestiame = poco concime = poca produttività della terra = molto lavoro umano = molte bocche da sfamare = molte terre a grano = poca produzione di foraggi29. Per poter allevare alcuni capi di bestiame, il contadino poteva allora fare affidamento solo sul libero pascolo degli arativi, degli incolti, dei campi aperti, delle stoppie. In alcune campagne della Penisola presero vita sistemi di coltivazione attraverso i quali si realizzò in una certa misura, l’integrazione fra agricoltura e allevamento. Un primo esempio è offerto da prati irrigui presenti nelle aziende della pianura lombarda30. All’inizio questo non sembra avere contadino.Uomini, tecniche, colture nella Tuscia tardomedievale, Bologna, 1988, p. 125. 28 Cherubini, L’Italia rurale, cit. p. 29. 29 Ivi, p. 30. 30 G. Chittolini, Avvicendamenti e paesaggio agrario nella pianura irrigua lombarda (secoli XV-XVI) in Agricoltura e trasformazione dell’ambiente secolo XIII-XVIII. Atti della XI settimana di studio dell’Istituto internazionale di storia economica “F. Datini” (Prato, 25-30 aprile 1979), Prato, 1984, pp. 555-556; e inoltre: L. Chiappa Mauri, Un’azienda agraria basso medievale: le‘ possessiones’ della Certosa di Pavia nel territorio di S. Colombano nella prima metà del XV secolo, in L’azienda agraria nell’Italia centro-settentrionale dall’antichità a oggi. Atti del Convegno (Verona, 2830 novembre 1977), Napoli 1979, pp. 137-164. Per il Veronese: G. M. Varanini, Un esempio di ristrutturazione agraria quattrocentesca nella ‘bassa’ veronese: il monastero di S. Maria in Organo e le terre di

avuto delle connessioni profonde con lo sviluppo dell’allevamento stabulare che restò ancora limitato. La presenza di prati sarà molto più significativa nel XV secolo31, rispetto ai secoli precedenti, anche a causa della minore pressione demografica e della conseguente diminuzione della domanda di cereali. Soltanto nel XV secolo si ha un incremento dello sviluppo dell’allevamento ed è a questo punto che si può parlare di una connessione tra agricoltura, prati, allevamento, che non si era realizzata nel XIII secolo, quando le due attività procedevano su due binari distinti e non integrati. La piena integrazione si avrà nel XVI – XVII, nella pianura Padana, che mostra una marcia in più rispetto alle altre zone dell’agricoltura italiana, con un allevamento bovino sempre più orientato verso la produzione di carne, latte e formaggio, grazie anche all’introduzione di nuove razze32. Un’altra forma d’integrazione tra cerealicoltura ed allevamento, la si può riscontrare nella Campagna romana, che si inserisce tra le campagne altolaziali e tra quelle meridionali del latifondo puro. L’ordinamento produttivo della Campagna romana è basato su un assetto binario: cerealicoltura e allevamento. Nel XIV secolo l’ordinamento fondiario della Campagna romana è segnato dalla presenza del casale che non costituisce un nucleo insediativo, ma una struttura abitativa dove la mano d’opera salariata trova riposo durante i lavori stagionali33. Il reddito ottenibile dalla gestione dei casali romani, non dipende solo dalla semina dei cerali, ma anche dallo sfruttamento degli stessi per l’allevamento del bestiame sia stanziale che transumante. L’impianto fondiario del casale romano è molto vasto e supera il podere della mezzadria dell’Italia centrosettentrionale. In questa unità di produzione, di marca latifondistica, caratterizzata dall’integrazione della pratica cerealicola con quella allevatizia, si ha in prevalenza il pascolo del bestiame ovino, anche se non mancano quello suino e bovino, quest’ultimo utilizzato oltre che per l’allevamento da carne e produzione casearia, per la lavorazione dei terreni. E’ un’integrazione che produce effetti Roncanova, in «Studi Storici Veronesi ‘Luigi Simeoni’», XXX- XXXI (1980-81), pp. 97-100; Id., Le campagne veronesi nel 400 fra tradizione e innovazione, in Uomini e civiltà agraria in territorio veronese dall’alto medioevo al sec. XX, a cura di G. Borelli, Verona, 1982, I, pp. 222-224. 31 Si veda L. Chiappa Mauri, Paesaggi rurali di Lombardia, Roma-Bari, 1990, pp. 96-99. la quale riporta che testimonianze quattrocentesche relative alla proprietà dei cistercensi di Chiaravalle consentono di accertare che «nei prati irrigui si effettuavano normalmente tre tagli successivi tra maggio e ottobre, invece di uno o al massimo due come quelli naturali, dopo di che, tra S. Ambrogio e aprile, essi venivano aperti al pascolo brado degli animali da lavoro o comunque allevati nella grangia». 32 Cherubini, L’Italia rurale, cit., pp. 48-49. 33 Per la conoscenza del casale romano, struttura portante dell’economia rurale romana fra tardo medioevo ed età moderna: Cortonesi, Terre e signori, cit., pp. 41-45; Id. Ruralia cit., pp. 105-118; R. Montel, un ‘casale’ de la Campagne Romaine de la fin du XIV siècle au début du XVII siècle : le domaine de Porto d’après les archives du Chapitre de Saint-Pierre, in «Mélanges de l’Ècole Française de Rome. Moyen Age-Temps Moderne», 83 (1971), pp. 31-87; Id., Le casale de Boccea, d’après les archives du Chapitre de Saint-Pierre, I, ivi, 91 (1979), pp. 593-617; J. - CL. Maire-Vigueur, Classe dominante et classes dirigeantes à Rome à la fin du Moyen Age, in «Storia della città», 1 (1976), pp. 4-26; J. Coste, I casali della Campagna di Roma all’inizio del Seicento, in «Archivio della Società romana di Storia patria», XCII (1969), pp. 41-115; Id., Description et délimitation de l’espace rural dans la campagne romaine, in Gli atti privati nel tardo Medioevo.

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Allevamento e agricoltura positivi che si realizzano con rese cerealicole attestate intorno a 7 o 8 ql. per ogni ql. seminato, al di sopra della media dei seminativi tardomedievali34. L’integrazione può avvenire perché nel casale è prevista una rotazione triennale, basata su una tripartizione del terreno che impegnava direttamente nella produzione meno della metà delle terre disponibili (4/9)35. Infatti, si praticava il seguente avvicendamento: 1° anno maggese – 2° anno frumento - 3° anno a riposo senza aratura, la cosiddetta “terra soda” che per 1/3 veniva però sottoposta a nuova semina. La semina veniva effettuata solo per un anno, mentre gli altri due anni (maggese e terra soda) il terreno restava a disposizione del bestiame per il pascolo (herbaticum). Sulle superfici a maggese, il bestiame poteva essere introdotto a partire dal 29 di settembre. Questo ciclo colturale consentiva la pratica dell’allevamento con letamazione del suolo e conseguente apporto di azoto. Il pascolo avveniva anche dopo il raccolto del grano sulle stoppie (spicaticum), e il divieto della loro bruciatura prima del 15 agosto, tra l’altro, mirava a garantirne, per un certo periodo, l’uso per il pascolo36. Altro elemento di originalità è lo sfruttamento a pascolo del terreno per il bestiame transumante, specialmente nel periodo invernale. La gestione del casale è tutt’altro segnata dall’assenteismo, come nei latifondi del meridione. I proprietari che investono il capitale mostrano un deciso interesse per la rendita fondiaria; si tratta di esponenti di un ceto di mercanti (bovattieri) che imprimeva alla gestione del casale un andamento di tono speculativo connesso con il mercato cittadino37. I.3 I danni dati Tra XI e XII secolo i comuni cominciano a mettere per iscritto tutto quanto veniva deciso in merito all’ amministrazione civile e giurisdizionale; nascono così gli statuti, costituiti da un insieme di norme aventi vigore di legge. Si tratta di una raccolta di argomenti di natura diversa, divisi in sezioni e libri che rappresentano il quadro generale di tutta la vita di una istituzione. Tra le varie sezioni degli statuti, riveste una particolare importanza, soprattutto per le comunità che avevano un’economia prettamente agricola-allevatizia, quella riservata Fonti per la storia sociale, a cura di P. Brezzi, E. Lee, Roma, 1984, pp. 185200. 34 Montanari, Tecniche e rapporti di produzione cit., pp. 45-68. 35 Cortonesi, Ruralia cit., p. 110. 36 Ivi, p. 112. 37 I bovattieri prendevano in affitto i casali dagli enti ecclesiastici e dalla nobiltà, e la loro ricchezza avveniva attraverso la gestione di questi casali, che non conducevano direttamente, ma che subaffittavano o che facevano lavorare per mezzo della mano d’opera salariata. Cortonesi in Ruralia, cit., p. 109, riporta che gli affitti avevano una durata triennale per agevolare il ciclo di coltivazione che si dispiegava in tre anni. I contratti di affitto avevano per oggetto il casale e le sue pertinenze (tenimentum); il locatario aveva generalmente la piena disponibilità dei terreni e la quasi totalità dei contratti esaminati impegnava l’affittuario a maiesare ogni anno «tertiam partem totius tenimenti» e a lavorare inoltre, 1/3 delle terre seminate l’anno precedente (culta): 4/9 della superficie totale sono pertanto arati e altrettanti vengono seminati, soltanto la nona parte non viene lavorata ( terra sodata).

ai “danni dati”. Col termine dati si indicano i danni arrecati dal bestiame e tutte le misure adottate per salvaguardare la proprietà privata; i danni che sono maggiormente presi in considerazione negli statuti sono quelli causati dal bestiame, sia grosso che minuto, alle coltivazioni agricole e agli orti. Le rubriche consentono di delineare un quadro molto realistico delle consuetudini contadine dei comuni, delle coltivazioni più importanti che venivano praticate e delle diverse modalità e tempi di esecuzione dei lavori agricoli. Emerge un panorama che vede intorno alle mura dei comuni gli orti domestici, chiusi da siepi per proteggerli dall’intrusione accidentale di animali (bovini, equini, suini , ovini). Altre proprietà private esistevano in campagna, che ospitavano oltre agli orti, alberi da frutto, olivi, o erano destinate alla semina di cerali e foraggi. Nella disamina delle rubriche riservate ai danni dati si può constatare che particolare attenzione è riservata ai danni causati alle vigne, rivelando così l’interesse a difendere un prodotto molto importante che , in alcune zone, oltre a coprire il fabbisogno famigliare, rappresentava una fonte di reddito per la sua notevole commercializzazione38. Un altro settore particolarmente protetto era quello inerente i terreni coltivati a foraggio o lasciati a prato naturale. Le pene previste per il bestiame introdotto furtivamente a pascolare in questi campi, erano molto severe, e questo sta a testimoniare l’importanza riservata al settore allevatizio, che in un periodo, in cui ancora non si era raggiunta l’integrazione tra agricoltura e allevamento, trovava notevoli difficoltà per il suo mantenimento39. Della stessa premura erano oggetto i campi seminati a cereali ed in particolar modo i covoni; quest’ultimi, rappresentando l’ultima fase lavorativa sul campo seminato a cereali prima della battitura sull’aia, erano spesso mangiati e danneggiati dal bestiame brado, immesso sulle stoppie prima della scadenza dei termini previsti con notevoli danni economici agli agricoltori e seri problemi per l’approvvigionamento cerealicolo delle comunità. Per il Lazio, conosciamo nel dettaglio la realtà di Ferentino, una tra le città più importanti della provincia pontificia di Campagna, recentemente studiata grazie ai dati contenuti nei “libri camerariatus” quattrocenteschi, nei quali sono riportate, tra le entrate ed uscite del comune, le annotazioni delle multe inflitte ai proprietari del bestiame sorpreso a danneggiare le colture40. La più grave minaccia per le colture era costituita dall’allevamento suino, e sembra che i porci prediligessero i terreni seminati a cereali. Il più alto numero di violazioni si 38 Per la produzione e la commercializzazione del vino nel medioevo si veda: Agricoltura e tecniche nell’Italia medievale, i cereali, la vite, l’olivo, in A. Cortonesi, G. Pasquali, G. Piccini, Uomini e campagne nell’Italia medievale, Roma-Bari, 2002, pp. 191-270, alle pp. 217-240; A. I. Pini, La viticoltura italiana nel Medioevo. Coltura della vite e consumo del vino a Bologna dal X al XV secolo, in «Studi Medievali», XV (1974), pp. 795-884. 39 Si veda l’esempio illustrato da Cortonesi con riferimento ai “danni dati” nel territorio di Ferentino, A. Cortonesi, Microanalisi di un conflitto: allevamento stanziale e “danno dato” nella campagne di Ferentino (secolo XV) in Ruralia, cit., pp. 70-102. 40 Ibidem.

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Cultural Landscapes aveva durante l’utilizzo del pascolo sulle stoppie, soprattutto in luglio, quando in alcuni campi erano presenti ancora i covoni e il terreno non era disponibile per la pastura. Danneggiamenti si verificavano anche ai cereali già raccolti e ammassati sulle aie, nel momento in cui veniva meno la sorveglianza, e potevano essere di notevole entità, in quanto le mandrie di suini, spesso, raggiungevano una ventina di capi. Oltre ai seminativi, irruzioni di porci si avevano sui terreni coltivati a legumi e nei prati. Più rari erano i danni causati alle vigne e agli orti grazie alla protezione degli appezzamenti attraverso la costruzione di recinzioni.

diffuso. I bovini destinati al macello erano quelli non più idonei per il lavoro, e si mangiava più spesso carne di pecora, montone e maiale. Lo storico Cherubini riporta che Bonvesin de la Riva ci informa che nella Milano del Duecento si macellavano, «nei giorni in cui è permesso ai cristiani mangiare carne», circa settanta buoi, ma che calcolare il numero dei maiali, delle pecore, degli arieti, degli agnelli e dei capretti, sarebbe stato difficile quanto contare «le foglie e i fili d’erba»; Giovanni Villani ci dice che, nella Firenze del 1338, si macellavano, in un anno, di fronte a 4.000 bovini, ben 60.000 ovini, 20.000 caprini e 30.000 suini42.

Minori risultano le denunce relative ai danni causati dalle pecore e dalle capre, e si riferiscono principalmente al pascolo abusivo entro i seminativi. Più consistenti sono le violazioni del bestiame grosso (circa 400 violazioni) e al primo posto troviamo i bovini a cui viene attribuito il 65% dei danneggiamenti. A subire i danni dei bovini sono soprattutto i seminativi, e maggiormente nel periodo maggioluglio; non sono comunque esenti dal danneggiamento i prati, le vigne e gli oliveti.

Anche l’esame delle ossa residuate dai pasti medievali, condotto nel corso delle campagne di scavo a Tuscania, Pavia, Genova, Lunigiana, confermerebbe quanto riportato dai cronisti medioevali, infatti, risulta che la carne bovina era rara e proveniva, in maggior misura, da bestiame logorato dal lavoro. Si trova più spesso, carne di maiale, di capra o di pecora, oltre ad avifauna43.

Meno frequenti sono le violazioni del bestiame equino: piccole mandrie di cavalli o asini che agiscono per lo più singolarmente. Ancora una volta a subire il danno sono terreni seminati a cereali, seguiti da oliveti e vigne. Per evitare il più possibile i danni alle colture, si ricorre a Ferentino alla nomina annuale di 64 custodes, ai quali è demandato il compito di vigilare sulle campagne alternandosi in turni. Il giovedì e la domenica, a fine giornata, dovevano riferire al podestà gli esiti del servizio che avevano svolto, e il notaio registrava eventuali accuse fatte dai custodes. La pena prevista per i proprietari del bestiame che arrecavano danno era diversa a seconda dei casi, e ad essa si accompagnava l’obbligo del risarcimento del danno. Era anche previsto un accordo fra chi arrecava il danno e chi lo subiva, in questo caso non si procedeva alla denuncia. Quando non si riusciva ad individuare il colpevole, erano gli stessi custodes che dovevano risarcire il danno41. Tuttavia, nonostante la vigilanza sulle campagne adottata dal comune di Ferentino al fine di evitare contrasti tra agricoltori e allevatori per una tranquilla coesistenza, i risultati erano modesti. Il consistente numero di danneggiamenti effettuati dal bestiame sui coltivi, annotato sui libri camerariatus, dimostra la inadeguatezza dei provvedimenti adottati, mettendo ancora una volta in risalto la mancanza di integrazione tra l’attività agricola e quella allevatizia. I.4 Allevamento e commercio dei prodotti Per quanto riguarda il bestiame bovino, è diffusa l’opinione che questo venisse allevato soprattutto per il lavoro, anche se la piccola mole degli animali non permetteva un grande capacità di trazione. Nella quasi totalità dell’Italia, per le cause già ampliamente trattate, tra XIII e XIV secolo l’allevamento dei bovini da latte e da carne era ancora poco

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Cortonesi, Microanalisi di un conflitto cit., pp. 88-89, 91, 93, 95.

Tuttavia, nonostante la penuria di bestiame, le fonti disponibili ci informano che quello da lavoro e da carne era un oggetto di esportazione44. D’altra parte, anche se si era verificato un cambiamento dell’economia, da quella silvopastorale a quella agricola, la varietà del regime alimentare si manteneva ancora a livelli accettabili. Montanari sostiene che nei secoli del pieno Medioevo restavano ancora tracce, talvolta consistenti, dell’economia silvo-pastorale; le strutture di sussistenza non erano ancora semplificate, come avverrà nell’età moderna, quando la scelta cerealicola diverrà sempre più esclusiva. Non bisogna inoltre dimenticare che la produzione agricola non era orientata solo dai bisogni locali, ma anche dalle richieste dei mercati forestieri, che necessitavano soprattutto di grano, bestiame, pellami, lana. Nel 1360 a Bologna si vendeva carne di vitello proveniente dalla regione di

42 Cherubini, L’Italia rurale, p. 48; Bonvesin della Riva, De magnalibus Mediolani. Le meraviglie di Milano, traduzione con testo a fronte di G. Pontiggia, introduzione e note di M. Corti, Milano, 1974, pp. 94-95; E. Fiumi, Economia e vita privata dei fiorentini nelle rivelazioni statistiche di Giovanni Villani in «Archivio storico italiano», CXI (1953), pp. 207-241. 43 G. Barkher, The economy of medieval Tuscania: the archaeological evidence, in «Papers of the Britisch School at Rome», XLI (1973), pp. 155177; id., Alimentazione della guarnigione di stanza sul monte Igino, Gubbio, in «Archeologia medioevale», III (1976), pp. 267-274; G. Barkher, A. WHeeler, Informazioni Sull’economia medievale e postmedievale di Pavia: le ossa dello scavo [della Torre Civica], in «Archeologia medievale», V (1978), pp. 249-255; J. Cartledge, Le ossa animali dell’area sud del chiostro di San Silvestro a Genova, ivi, pp. 437-451; G. Barkher, La fauna [della rocca posteriore di Gubbio], ivi, pp. 469-474; M. Biasotti, P. Isetti, L’alimentazione dall’osteologia animale in Liguria, ivi, VIII (1981), pp. 238-246; M. Biasotti, R. Giovinazzo, I reperti faunistici di Filattiera, ivi, IX (1982), pp. 358-262. 44 Cherubini, L’Italia rurale, cit., p. 111; M. Del Treppo, I mercanti catalani e l’espasione della corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli, 1972, pp. 219220; A. Grohmann, Le fiere del regno di Napoli in età aragonese, Napoli, 1969, pp. 310-342; A. Sapori, Una fiera in Italia alla fine del Quattrocento. La fiera di Salerno nel 1487, in Studi di storia economica, Firenze, 1955-67, vol I, p. 448; F. Melis, Documenti per la storia economica dei secoli XIIIXVI, Firenze, 1972, p.468; A.Leone, Amalfi e il suo commercio nel secolo XV, in M. Del Treppo, A. Leone, Amalfi medioevale, Napoli, 1977, pp. 195229.

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Allevamento e agricoltura vendeva carne di vitello proveniente dalla regione di Trento45; nella Toscana e in particolar modo a Firenze, si consumava carne del bestiame che giungeva dalla Puglia, come affermava un cronista del Trecento: «del bestiame di Puglia ne solea venire assai a Firenze»46. Importante era l’esportazione del bestiame dal Regno di Napoli, come è attestato dalle contrattazioni effettuate durante le fiere del Mezzogiorno: tra il 1447 e il 1470, in dieci fiere che si tennero a Lanciano, furono contrattati circa 77.000 capi di bestiame, dei quali circa 48.000 vennero esportati e circa 29.000 rimasero nel Regno. Alla fiera di Salerno nel 1478, 75 operatori forestieri (genovesi, fiorentini e catalani) stipularono contrattazioni di valore pari a quelle di 211 operatori meridionali. In queste fiere era prevalente l’esportazione di animali da carne rispetto a quelli da lavoro. Il bestiame esportato era composto in maggior misura dai castrati e suini, ma erano presenti anche vitelli, vacche e cavalli47. Oltre al commercio del bestiame, circolavano in abbondanza anche gli altri prodotti legati all’allevamento degli ovini e dei bovini: formaggio, lana, pelli e cuoio. Per quanto riguarda i formaggi, sappiamo che quelli della Puglia erano presenti sul mercato veneziano e quelli della Campania giungevano a Pisa. Nel Quattrocento, nei mercati genovesi si trovavano i formaggi siciliani e formaggi sardi, quest’ultimi raggiungevano anche Firenze e Porto Pisano. I formaggi meridionali e delle isole venivano esportati anche in Provenza, mentre, tra quelli prodotti nelle regioni centrosettentrionali, soltanto quelli di Parma, ed in seguito quelli piacentini e lodigiani, furono esportati al di fuori della loro zona di produzione48. Anche la lana, per il suo utilizzo nella fabbricazione degli indumenti, non poteva non avere un vasto commercio. C’e da dire però che la lana prodotta nella maggior parte delle regioni italiane, era considera di qualità scadente, a causa delle sue fibre spesse e dure; così era per la lana prodotta in Puglia e in Sardegna, utilizzata per la fabbricazione dei feltri e dei tessuti rudi. Soltanto la lana prodotta nell’Italia settentrionale veniva considerata di qualità media, al pari di 45 Corpus Chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rerum Italicarum Scriptores, 2ª ed., tomo XVIII, parte Iª, vol. III, p. 114. 46 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rerum Italicarum Scriptores, 2ª ed., tomo XXX, rubr. 723, p. 275. 47 Cherubini, L’Italia rurale, cit., pp.100-117. Cherubini riferisce che in sei fiere di Castel di Sangro, svoltesi tra il 1453 e il 1469, vennero contrattati 34.739 capi, dei quali 16.472 vennero esportati e 18.267 rimasero nel regno. I castrati erano al primo posto del bestiame esportato: 16.458 su 28.803. Per quanto riguarda i cavalli, insieme al Meridione la regione italiana che ne produceva di buoni e ne esportava era la Lombardia. Nelle regione meridionali gli allevamenti più importanti si trovavano nella Calabria, nell’Abruzzo e nelle Puglie, e delle razze ebbero cura sia i sovrani, a partire da Federico II, quanto i baroni. 48 Cherubini, L’Italia rurale, cit., p. 112; B. Colangelo, I pesi, le monete e le misure nel commercio veneto pugliese alla fine del XIII e principio del xiv secolo. Da un documento inedito, in «Rassegna Pugliese», XVIII, nn. 8, 9, Trani-Bari, 1901; I. Imberciadori, Il commercio dei prodotti, agricolopastorali sardi nel Medioevo e nell’età moderna, in Fra il passato e l’avvenire. Saggi storici sull’agricoltura sarda in onore di Antonio Segni, Padova, 1965, p. 173.

quella della Provenza49. Nessuna lana poteva però competere con quelle prodotte in Inghilterra, considerate di qualità pregiata per le loro fibre fini e corte, anche se non mancavano quelle con fibre più lunghe e più spesse50. Comunque, anche se le lane italiane erano di qualità mediocre venivano ugualmente utilizzate dalle manifatture del tempo. Le lane della Sardegna, attraverso i porti di Genova e Pisa , giungevano nel nord e in Toscana51; le lane della Romagna venivano utilizzate per produrre panni più rozzi per i ceti più poveri. Le lane pugliesi erano esportate a Venezia e quelle della Campania e della Sicilia sono menzionate nelle tariffe daziarie di Milano52. Un cenno va fatto anche al commercio delle pelli e dei cuoi che aveva una sua rilevanza economica. Il centro più importante per il commercio di questi prodotti era Pisa, dove esistevano numerose concerie e manifatture per la trasformazione; la sua importanza in questo settore era dovuta soprattutto all’abbondanza di acqua, a foreste che fornivano le sostanze tannanti per la concia, al bestiame presente nelle zone incolte della Maremma53. Con le pelli venivano realizzate calzature, guanti, pergamene, elmi, corazze, selle e finimenti per cavalcature: un mercato che dava lavoro a calzolai, pellicciai e conciatori. Anche a Firenze e Perugia la lavorazione del cuoio aveva una sua importanza e ad Ancona, nella seconda metà del XV secolo, i pellami ed i cuoi erano tra i prodotti più esportati via mare. Oltre alle pelli provenienti dalla Toscana, venivano importate pelli dalla Sardegna, dalla Sicilia, dall’Africa settentrionale, dalla Catalogna e dal Portogallo54. 49 F. Cherchi Paba, Lineamenti storici dell’agricoltura sarda nel secolo XIII, in Studi storici in onore Di Francesco Loddo Canepa, Firenze, 1969, vol II, p. 180; F. Melis, Origini e sviluppi delle assicurazioni in Italia (secoli XIVXVI) Vol. I, Le fonti, Roma, 1975, p.304; L. Stouff, Ravitaillement et alimentation en Provence aux XV et XVI siècles, Paris-La Haye 1970, p. 196. 50 J. A. Van Houte, Production et circulation de la laine comme matière première du XIII au XVII siècle, in «La lana come materia prima. I fenomeni della sua produzione e circolazione nei secoli XIII-XVII», a cura di M. Spallanzani, Firenze, 1974, pp. 381-395; Y. Renouard, L’industrie et le commerce de la laine au Moyen Age, in «Ètudes d’histoire médiévale», Paris, 1968, vol. I, pp. 363-371. Le lane inglesi costituivano uno dei beni maggiormente presenti nel commercio a lunga distanza, venivano esportate in Fiandra, nell’Italia settentrionale e in Toscana dove venivano trasformate in stoffe. Anche le lane francesi e spagnole giungevano sui mercati italiani, soprattutto nelle manifatture dell’Italia centro-settentrionale. 51 C. Manca, La lana di Sardegna, in La lana come materia prima, cit., pp. 169-176. 52 Cherubini, L’Italia rurale, cit., pp. 112-114; E. Rossini, M. Fennel Mazzaoui, La lana come materia prima nel Veneto sud-occidentale (secc. XIII-XV), in La lana come materia prima, cit., pp. 381-395; G. Barbieri, La produzione delle lane, ivi, pp. 133-148; G. De Gennaro, Le lane di Puglia, ivi, pp. 149-167; M. Lecce, Vicende dell’industria della lana e della seta a Verona dalle origini al XVI secolo, Verona, 1955, p. 11, 45-47, 88-89; J. A. Van Houte, Production et circulation de la laine, cit., pp. 381-395. 53 Cherubini, L’Italia rurale, cit., p. 49, 115; T. Antoni, I costi industriali di una azienda conciaria della fine del Trecento (1348-1388), in «Bollettino storico pisano», XLII (1973), pp. 9-52; M. Tangheroni, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel trecento, Pisa, 1973, pp. 115, 126; B. Casini, Aspetti della vita economica e sociale di Pisa dal catasto del 1428-1429, in Biblioteca del «Bollettino storico pisano», Pisa 1965, p. 82; id., Bilancio patrimoniale del coiaio Jacopo di Corbino, in Fatti e idee di storia economica nei secoli XII-XX. Studi dedicati a Franco Borlandi, Bologna 1977, pp. 186-87; R. Pierotti, Aspetti del mercato e della produzione a Perugia fra la fine del secolo XIV e la prima metà del XV. La bottega di cuoiame di Nicolò di Martino di Pietro, in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», LXXII (1975), pp. 12-14. 54 Gascon, Grand commerce, cit., p. 115.

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Cultural Landscapes Le pelli siciliane, soprattutto quelle di coniglio e di volpe, nella prima metà del Cinquecento raggiungevano anche Lione55. Nel nord, le città più importanti per la lavorazione del cuoio erano Venezia e Genova. Da quanto sopra esposto, sembrerebbe che, nonostante tutti i problemi esaminati, il bestiame da lavoro e da carne e gli altri prodotti dell’allevamento avessero un loro mercato. Ovviamente era un mercato dalle potenzialità limitate, rispetto agli sviluppi che si avrebbe potuto avere se l’aumento demografico, con la ricerca continua di maggiore produzione cerealicola, non avesse reso quasi impossibile l’instaurarsi di un equilibrio tra l’attività agricola e quella allevatizia. I.5 La transumanza Dalla seconda metà del XIV secolo, una profonda crisi economica e demografica vide le attività silvo-pastorali riprendere per qualche tempo il sopravvento. Il calo della pressione demografica e la carenza di mano d’opera, sembrano aver favorito l’espansione del pascolo, creando i presupposti per un maggior sviluppo dell’allevamento, in special modo di quello transumante56. La minore richiesta di mano d’opera nel settore allevatizio, in un momento in cui i salari erano molto alti a causa della riduzione della popolazione, certo fu uno dei fattori che portarono alla fine del ‘300 e nel ‘400 allo sviluppo di questo settore produttivo. Si vide un incremento della pastorizia transumante soprattutto nella Maremma toscana, nella Campagna romana e nel Tavoliere delle Puglie. In tutte e tre le località, la gestione dei pascoli fu organizzata dai rispettivi governi che li gestivano attraverso apposite dogane istituite per l’assegnazione dei pascoli, il transito del bestiame e la sua custodia. Gli ovini costituivano la parte più importante del bestiame transumante, ma erano presenti anche caprini, e animali grossi: bovini ed equini, come attestato dai registri delle dogane57. La pastorizia transumante creava un legame tra l’economia di montagna e quella delle pianure, che si realizzava oltre che nell’arco alpino, anche in gran parte della zona appenninica58. Ogni anno, centinaia di migliaia di animali, si spostavano da un luogo all’altro, costretti dalla variazioni climatiche stagionali; questa circostanza naturale costringeva gli animali

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Melis, Documenti, cit., pp. 302, 306. Cortonesi, Ruralia, cit. pp. 61-66. 57 I. Claude Maire Vigueur Les pâturages de l’Église et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV – XV siècles), Roma 1981, pp.154-155. Nel XV secolo, il totale del bestiame entrato nella dogana dei pascoli del Patrimonio ammontava a 1.998.801 capi, suddivisi in 1.811.024 pecore, 76.878 bovini, 5.933 cavalli, 104.996 porci. 58 Cherubini, Le campagne italiane, cit., pag.330; Cortonesi, Ruralia, cit., pagg. 15-19; S. Pugliesi, La civiltà appenninica origine delle comunità pastorali in Italia, Firenze 1959; G. Pulle, La pastorizia transumante nell’Appenninico umbro-marchigiano, in «L’Universo», 1937, pp. 307-332 e 387-410; L. Franciosa, La transumanza nell’Appennino centro-meridionale, Napoli 1951; S. La Sorsa, Storia e folclore della mena delle pecore in Puglia, in «Archivio storico pugliese», 6 (1953), p. 487-499; A. Grenier, La transumance des troupeux en Italie et son role dans l’histoire romaine, in «Mélange de L’Ecole Française de Rome», 25 (1905), pp. 293-328; N. Paone, La transumanza, immagini di una civiltà, Isernia, 1987; L. Mammarella, La storia del pastore, Roma, 1990. 56

ad utilizzare i pascoli d’altura durante la stagione estiva ed a spostarsi verso climi più temperati durante l’inverno. Pur considerate le differenze storiche e geografiche dei vari sistemi di pastorizia, la cultura transumante è comune in tutti i paesi del Mediterraneo. Per le migrazioni delle greggi, nell’Italia meridionale e insulare venivano percorsi dei sentieri erbosi denominati tratturi in Abruzzo e Puglia e trazzere in Sicilia. In particolare in Abruzzo la transumanza permetteva di giovarsi in estate delle enormi zone di pascolo della regione, che per un terzo dell’anno erano molto erbose per poi essere ricoperte di neve e delle grandi distese del tavoliere di Puglia che, ricche di erba nella stagione invernale, diventavano aride in estate. In questo modo si potevano sfruttare tutto l’anno le zone più ricche di pascolo ed allevare un numero maggiore di bestiame rispetto a quello che si sarebbe potuto gestire restando nella propria regione59. I tratturi erano dunque grandi vie battute dagli armenti nella loro trasmigrazioni periodiche primaverili ed autunnali. Nel corso del tempo, lungo i bordi di queste strade erbose sorsero paesi, santuari, stazioni di sosta. Nel periodo di massimo sviluppo la rete viaria dei tratturi che collegava l’Abruzzo con il meridione, si estendeva per circa 3.000 chilometri60. Vi furono tratturi la cui larghezza, in età moderna, raggiunse i 111 metri; i tratturelli, la cui ampiezza era compresa tra i 32 e i 38 metri, e i bracci,dai 12 ai 18 metri. Il transito e il pascolo sui tratturi era gratuito, in quanto sorti su terreni di proprietà demaniale. Alla loro sicurezza e manutenzione dovevano provvedere in particolare i Comuni, ai quali il bando del doganiere ricordava in modo categorico di tenere i tratturi ampi e spaziosi per almeno sessanta passi61. Inoltre le comunità dovevano provvedere alla manutenzione dei ponti e sorvegliare i territori dove transitava il bestiame transumante al fine di evitarne i furti. L’inizio del tratturo era segnato da un masso ben visibile tra l’erba: il “titolo”, il più lungo, detto “tratturo magno” (243 Km), partiva da L’Aquila e giungeva a Foggia62. La transumanza è una delle più antiche e diffuse attività dell’uomo, caduta in disuso solo in età contemporanea. Limitatamente all’Italia peninsulare, testimonianze archeologiche di essa risalgono alla Media Età del Bronzo (XVI-XIV sec. a.C.) ed appartengono alla cultura Appenninica, così denominata per il ruolo centrale svolto 59 D. Di Marzo, I tratturi, Roma, 1905; Franciosa, La transumanza, cit.; La Sorsa, Storia e folclore, cit. 60 E. D’Orazio, Storia della pastorizia abruzzese, Cerchio, 1991; R. Colapietra, Transumanza e società, Cerchio (AQ), 1993. Il nome tratturo comparve per la prima volta durante gli ultimi secoli dell’impero romano come formazione fonetica del termine latino tractoria, vocabolo che, nei codici di Teodosio e Giustiniano, designava il privilegio dell’uso gratuito del suolo di proprietà dello Stato, di cui beneficiavano i pubblici funzionari, esteso anche ai pastori della transumanza per l’uso delle vie pubbliche. 61 V. Spola, Documenti de l secolo XV relativi alla Dogana di Foggia. Il registro del Doganiere Nicola Caracciolo (1478-79), in «Archivio storico pugliese», 1953, pp. 131-182; Id., I precedenti storici della legislazione della dogana di Foggia nel regno di Napoli, in «Archivio storico pugliese», 25 (1972), pp. 469-482. 62 Di Marzo, I tratturi, cit.; Franciosa, La transumanza, cit.; A. De Matteis, L’Aquila e il contado. Demografia e fiscalità (secolo XV –XVIII), Napoli, 1973, pp. 29-37; D. Musto, La regia dogana della mena delle pecore di Puglia, Roma, 1964.

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Allevamento e agricoltura dalla catena montuosa degli Appennini nello spostamento stagionale di uomini e bestiame verso le zone costiere dell’Adriatico e del Tirreno63. Gli antichi romani consideravano la pastorizia arte nobile oltreché redditizia e ne fecero un settore portante della loro economia, come testimoniano anche gli scritti di autori quali Varrone, Columella, Catone, Cicerone; i pastori maggiormente presenti nei dintorni di Roma erano quelli della Sabina, i quali giungevano in autunno e vi si fermavano tutto il periodo invernale64. Nel 296 a.C., secondo Tito Livio, gli incassi ottenuti dalle multe ai proprietari di pecore permisero la realizzazione di opere pubbliche e di grandi spettacoli. La migrazione stagionale degli armenti dai monti dell’Abruzzo e del Molise verso le pianure delle Puglie era un fatto secolare, documentato sin dall’età imperiale di Roma65. La prima testimonianza di un controllo e organizzazione della transumanza ci è data dalla lex agraria del 111 a.C., che regolamentava l’uso dei pascoli pubblici e dei percorsi per lo spostamento del bestiame66. Con la caduta di Roma (476 d.C.) e fino all’anno Mille la transumanza scomparve a causa dell’assenza di un potere centrale forte, e del frazionamento politico che non garantiva la sicurezza sulle vie da percorrere67. La transumanza, infatti, non poteva esistere in regimi politici poco stabili, che non davano sicurezza, poiché i proprietari degli armenti non potevano rischiare di vedersi confiscato il proprio bestiame o spostarsi senza contare su una protezione adeguata. La ripresa si ebbe nell’ XI secolo, sotto i re normanni, quando nella Puglia risultano destinate al pascolo vaste zone Re Ruggero ne favorì lo sviluppo emanando una costituzione contenente delle norme che tutelavano pastori ed animali, sia lungo i tratturi che nelle zone di pascolo, prevedendo contro i trasgressori pene molte severe68. Una nuova crisi della pastorizia transumante, si ha nel XIII secolo, quando gli Angioini alienarono molte terre a pascolo del regio demanio per favorire l’agricoltura. Fu comunque con gli Aragonesi che la transumanza crebbe di importanza, tanto da diventare il settore trainante dell’economia del Regno di Sicilia, al quale fu destinato un apposito ufficio per la gestione. Si chiamò “Regia dogana della mena delle pecore di Puglia”, e fu istituita nel 1447 da Alfonso I D’Aragona che ne affidò la direzione ad un alto funzionario detto doganiere69. Oltre alle greggi del Regno, si cercò di attirare nei pascoli del Tavoliere anche il bestiame dello Stato pontificio, adottando una riduzione dell’importo della fida e

innescando così una concorrenza con la dogana che era stata istituita anche in quello stato. Durante il XV secolo la pastorizia abruzzese conosce il periodo di maggiore sviluppo, si stima infatti che in quel periodo circa 500.000 ovini venivano condotti annualmente a svernare in Puglia. Nel 1508 il numero delle pecore che poteva essere accolto nei pascoli demaniali della Puglia veniva valutato in circa 950.000, e l’importo della fida della dogana raggiungeva spesso i 100.000 ducati70. Se la Dogana delle pecore del Regno di Sicilia era la più importante, c’è da dire però che una parte consistente degli armenti dell’ Appenino centrale, durante l’inverno si dirigeva verso la Campagna romana e la Tuscia, ad eccezione di quelli delle montagne umbre-marchigiane, che scendevano nella la maremma toscana. Nel 1462-63 le pecore dell’aquilano scese a svernare nell’agro romano sarebbero state più di 100.00071. Nel 1402, con bolla emanata da Bonifacio IX, anche nello stato pontificio venne istituita la Dogana pecudum la quale consentiva il libero passaggio delle greggi in tutto il territorio della Chiesa72. Nel 1402 la Dogana dei pascoli del Patrimonio avrebbe fruttato alla Camera Apostolica circa 9.000 ducati d’oro, contro gli 8.000 ottenuti dall’esportazione del grano prodotto in tutto il territorio dello stato73. Nel 1462-63, secondo quanto riportato dalla documentazione esistente, le greggi scese dagli Abruzzi nell’agro romano, durante il periodo invernale, sarebbero state composte da un totale di circa 100.000 pecore. Negli anni intorno al 1480, dai registri del Tesoriere del Patrimonio, risulta che le entrate della Dogana dei Pascoli, occupavano il terzo posto tra i redditi demaniali con la somma di circa 10.000 ducati l’anno74. La Campagna romana era una fascia di litorale tirrenico che iniziando dalla maremma etrusca giungeva fino a Terracina, includendo l’Agro romano e le Paludi Pontine. Nel Viterbese, se le condizioni climatiche di gran parte della provincia, unite alla buona ritenzione idrica dei terreni tufacei, consentivano una fiorente agricoltura, caratterizzata dalla policoltura (olivo-vite-cerali-ortaggi-lino-canapa)75, in alcune aree come in prossimità della Maremma, i suoli perlopiù sedimentari (argille-marne-sabbie), poco permeabili, si prestavano meglio al pascolo. La presenza di vasti acquitrini, soprattutto in prossimità della costa, utili all’approvvigionamento idrico degli animali, favorì la pratica dell’allevamento transumante.

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U. Relllini, Stazioni enee delle Marche di fase seriore e la civiltà italica, in «Mon. Ant. Linc.», XXXIV (1932); Pugliesi, La civiltà appenninica, cit. 64 G. Antonelli, Storia di Roma Antica, dalle origini alla fine della Repubblica, Roma, 1996, pp. 12-13. 65 D’Orazio, Storia della pastorizia abruzzese, cit.; Franciosa, La transumanza, cit.; Grenier, La transumance des troupeux en Italie, cit. 66 S. Riccobono, Fontes Iuris Romani, Leges, Firenze, 1968, p. 107; K. Johannsen, Die lex agraria des Jahers 111 v. Chr., Munchen, 1971. 67 Cherubini, L’Italia rurale cit., p. 52. 68 Ibidem, p. 52. Cherubini riporta che nel 1254, al tempo di Manfredi, l’ammontare della contribuzione della transumanza fu di 5.200 once. 69 Musto, La regia dogana, cit.; Spola, I precedenti storici della legislazione, cit.; Id., Documenti del secolo XV, cit.; Colapietra, Transumanza e società, cit.

Cherubini, L’Italia rurale, cit., p.54. Ibidem, p. 54 . A. Theiner, Codex Diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, III, Roma, 1861, pp. 121-122; la bolla, datata 7 settembre 1402, accordava il salvacondotto dell’autorità pontificia a tutte le greggi che si recavano nei «pascua Romana seu provincie nostre Patrimonii beati Petri in Tuscia et loca finitima ad hyemandum». Secondo Maire Vigueur, l’istituzione della Dogana del Patrimonio che porta ad una intensificazione dei rapporti tra l’area montana umbro-margiana e la maremma laziale va collocata tra il 1402 e il 1424 (in particolare sotto il pontificato di Martino V). 73 Cherubini, L’Italia rurale, cit., p. 54 74 C. Bauer, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato di Sisto IV, in «Archivio della Società romana di storia patria», (1927), pp. 319400. 75 Lanconelli, La terra buona, cit. 71 72

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Cultural Landscapes Lo svernamento delle greggi nella maremma laziale è documentato a partire dal XIV secolo76. Importante per la pastorizia transumante era anche la maremma grossetana, dove all’inizio del Quattrocento giungeva un rilevante numero di greggi dal Casentino, dal territorio di Camerino, dal Mugello, dal bolognese, dal lucchese, dal perugino. In quegli anni, il comune di Siena, che aveva ereditato dai signori feudali i diritti di transito e di pascolo, istituì un’ apposita dogana per lo sfruttamento organizzato dei pascoli77. Le strade della Dogana dei pascoli pontificia, lungo le quali pastori e greggi godevano di un particolare status giuridico, erano più di una e si snodavano su tre direttrici principali che, a seconda della provenienza delle greggi, facevano capo a tre punti di raccolta: Foligno, Spoleto e Rieti78. Uno dei principali percorsi che collegava la Maremma laziale all’interno della Tuscia, e da qui a Viterbo ed alla valle del Tevere, era denominata “Via della Dogana”, utilizzata principalmente dai pastori provenienti dai monti Sibillini e dalla zona di Visso, che dopo Spoleto, evitata la Valnerina, traversava il Tevere nei pressi di Attigliano, evitando i centri abitati, attraversava i territori di Bomarzo, Viterbo, Vetralla, Blera, passava il Mignone al cosiddetto “Passo di Viterbo” ed evitando il massiccio tolfetano a sud, raggiungeva il litorale tirrenico79. Essa ricalcava un tracciato antico che passava per Luni sul Mignone e San Giovenale, a controllo del quale sorsero dei siti fortificati. In alcuni tratti, come nel territorio di Blera, la strada si conserva ancora nel suo aspetto originario e la sua carreggiata è larga circa dodici metri. Più avanti, nella campagna vetrallese, ai margini della Via della Dogana, sono ancora presenti il casale dell’Ave Maria e la chiesa omonima80. Queste strutture costituiscono un tipico esempio di stazione di transumanza, organizzata sia per accogliere le greggi che per l’alloggio e l’assistenza spirituale dei pastori e loro famigliari. La transumanza, nella Campagna Romana e nella Tuscia è stata praticata sino a qualche decennio fa, come testimoniano le foto in bianco e nero delle campagne in cui appaiono i caratteristici insediamenti a capanne coniche dei pastori, la 76 Nel totale delle greggi si ha una netta prevalenza del bestiame abruzzese rispetto a quello umbro marchigiano che veniva condotto nei più vicini pascoli di San Severino e Recanati, a tal proposito si veda F. Bettoni, Economie, società, istituzioni nell’Umbria meridionale, in dall’Albornoz all’Età dei Borgia, Terni, 1990, pp. 83-97. 77 Cherubini, L’italia rurale, cit., p. 51. 78 Maire Vigueur Les pâturages de l’Église, cit., pp. 130-132. 79 L. Santella, F. Ricci, La chiesa dell’Ave Maria sulla strada della Dogana delle pecore, in Informazioni, III,10, (1994), pp. 56-63. Santella e Ricci riportano che «un altro esempio di stazione di transumanza, a giudicare dalla struttura (simile a quella della chiesa dell’Ave Maria) e dalla posizione, potrebbe essere il Casalone S. Nicola nel territorio di Bomarzo. Il complesso è composto da un fabbricato di notevoli dimensioni, da una chiesetta, stalle per il ricovero del bestiame e fontanile, il tutto in un vasto appezzamento di terreno sul fronte della moderna Strada Statale Ortana (poi S. P. n° 151) che ha lo stesso orientamento della vecchia Strada della Dogana. Peraltro, verso il Casalone S. Nicola si dirige una carrareccia che, partendo dal Tevere presso Attigliano, sale verso Mugnano e prosegue in direzione di Poggio S. Anselmo. Sarebbe interessante approfondire la ricerca per verificare questa ipotesi ed eventualmente riconoscere sul terreno un altro tratto della strada della Dogana». 80 Santella-Ricci, La chiesa dell’Ave Maria cit., pp. 57-58.

cui struttura portante era realizzata con pali di legno, mentre le pareti e il tetto venivano costruite con paglia di grano intrecciata e fissata con vimini. L’intreccio era molto fitto ed isolava perfettamente l’interno della capanna dove era sistemata, al centro, la “fornacetta”, una buca circondata da pietre sulla quale si cuoceva il latte per fare il formaggio. Minori correnti di transumanza si avevano anche altrove: nel Meridione le greggi dell’Aspromonte scendevano a svernare nel litorale ionico; dalla Basilicata una parte del bestiame si dirigeva in Puglia e una parte più consistente verso la piana del Metaponto; In Sardegna, forte produttrice di lana, si contavano centinaia di migliaia di ovini, molti dei quali, per svernare venivano fatti scendere nelle pianure, dando vita anche qui ad un importante fenomeno di transumanza, dalla Barbagia e dall’Ogliastra si dirigevano nel Campidano di Cagliari ed Oristano81. Comunque, se l’allevamento stanziale, come abbiamo avuto modo di vedere, si doveva scontrare quotidianamente con una serie di problemi che creavano contrasti sociali tra agricoltori ed allevatori, anche l’allevamento transumante aveva i suoi , e non va «confinato su percorsi suoi propri, quasi completamente defilati dal contesto territoriale e produttivo entro cui si dipanano»82. Infatti, il bestiame transumante, era un delle prime vittime delle guerre e razzie e spesso i pastori dovevano scontrarsi con gli agricoltori, banditi e delinquenti. D’altro canto, il rapporto fra agricoltori e pastori non era sempre conflittuale e la frase del Cherubini, secondo il quale «i percorsi della transumanza sono ricostruibili, a grandi linee, grazie alle lamentele dei contadini contro i pastori che indugiavano troppo a lungo sui campi»83, è vera solo in parte. Ci sono delle testimonianze raccolte dall’antropologa Anna Rita Severini che, anche se si riferiscono a tempi più vicini a noi, ci attestano un rapporto cordiale tra le due categorie: «Durante la transumanza si dormiva all’aperto, sotto l’ombrello; non c’erano rifugi per i pastori. Quando ci dovevamo fermare per la notte, i contadini ci facevano montare gli stazzi sui loro terreni, così avevano anche la terra concimata. Noi li conoscevamo, perché passavamo da loro ogni anno» (Pescocostanzo – Aq). Oppure: «Avevamo delle tappe fisse, dove ci fermavamo tutti gli anni. I contadini erano ormai nostri amici; loro di davano qualcosa da mangiare e, quando noi ripassavamo in primavera, lasciavamo in cambio il formaggio» (Padula, TE)84.

81 C. Manca, La lana di Sardegna: cenni sulla produzione e sulla distribuzione nei secoli XIII-XVII, in La lana come materia prima, cit., pp. 169-170; F. Cherchi Papa, Lineamenti storici, cit., p.181. 82 Cortonesi, Ruralia, cit., p. 15. 83 Cheubini, L’Italia rurale, cit. p. 50. 84 A. R. Severini, Raccolta di memorie, Teramo, 2002.

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CAPITOLO II LA PROVINCIA DEL PATRIMONIO E LA DOGANA DEI PASCOLI Abstract The landscape analysis changes from a general to a concentrated view about the medieval province of Patrimonio (now the Viterbo district in the northern Latium). The objective is explaine how the fiscal system, based also over grasslands and movement of sheeps and their shepherds, develops itself in the late Middle Age and during the Renaissance. The history is mixed with topographical study and reconstruction of landscapes around Corneto (the medieval Tarquinia) and Tuscania, belong the river Marta valley. Keywords History, medieval topography, fiscal system, grassland, sheeps, shepherds II.1 La provincia del Patrimonio nel quadro delle vicende dello Stato pontificio nel XV secolo Nella prima metà del XV secolo le vicende italiane sono caratterizzate dal continuo insorgere di conflitti locali tra i diversi stati della Penisola impegnati ad espandere i propri territori. In particolare, l’espansionismo visconteo portò ad una guerra ventennale (1423-1447) che avrebbe visto Filippo Maria Visconti1 opposto a Venezia, a Firenze, al Papa e al duca di Savoia2. Nel 1433 la pace di Ferrara segnava una prima pausa di questo conflitto, riconoscendo alla signoria veneta i territori sottratti ai Visconti3. Nel frattempo, il conflitto si allargava all’Italia meridionale, dove Alfonso V si stava confrontando con Luigi III d’Angiò per la successione al Regno di Napoli4. La Chiesa rimaneva pressoché estranea agli eventi italiani. Certo, non era facile che essa potesse profondamente influire sulla politica della penisola e del continente, dato lo stato di divisione in cui permaneva. Nel 1409 al Concilio di Pisa si tentava di ricomporre lo scisma del 1378 (Grande scisma d’occidente) con una terza elezione che in realtà aggiunse un nuovo pontefice, Alessandro V, ai due già in carica, Urbano VI e Clemente VII5. Solo con il Concilio di Costanza (1414-17) si arrivò all’insediamento di un unico pontefice: l’11 novembre 1417 fu eletto il cardinale diacono Oddone Colonna che assunse il 1 P. C. Decembrio, Vita di Filippo Maria Visconti, trad. a cura di E. Bartolini, Milano, 1983. 2 Arbitri della situazione erano però anche i capitani di ventura, capi delle milizie mercenarie che costituivano il nerbo delle diverse forze in campo, si veda A. Fabretti, Biografie dei capitani venturieri, voll. I e II, Montepulciano, 1842-43. 3 M. Caravale, A. Caracciolo, Lo stato pontificio da Martino V a Pio IX, Storia d’Italia, Torino, 1997, p. 53. L’anno seguente (1434) un avventuriero al soldo di Filippo Maria Visconti, Francesco Sforza tentava la conquista di Marche e Abruzzo, ma poi tradiva passando al campo avversario. Per la vita di Francesco Sforza si veda P. C. Decembrio, Vita Francisci Sfortiae mediolanensum ducis Commentarii, in L. A. Muratori, Rerum italicorum Scriptores, XX, Mediolani, 1731, coll. 1031-1032. 4 Crisi dinastica che terminò nel 1442 con l’ascesa al trono di Alfonso, re di Aragona e di Sicilia, chiamato successivamente il Magnanimo (CaravaleCaracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 58). 5 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., pp. 16-17.

nome di Martino V6. In questa sede, inoltre, trovò espressione la dottrina conciliaristica, che sosteneva la superiorità del Concilio universale rispetto al papa7. Nel 1418 Martino V lasciava Costanza e tornava in Italia8. Purtroppo le condizioni di anarchia in cui si trovavano Roma e lo Stato Pontificio, del tutto sottratti alla sovranità della Chiesa, rendevano difficile il suo ritorno nella Sede apostolica. La riconquista delle terre della Chiesa non era cosa semplice. Le autorità che vi si erano affermate, erano unite dallo scopo di contrastare la riaffermazione del potere del papato. L’unica linea politica per rientrare in possesso dei diritti fiscali della S. Sede, necessari per riattivare le finanze dopo la limitazione delle entrate spirituali, era quella di rispettare i privilegi e le autorità che si erano affermate. C’è da dire però, che Martino V era avvantaggiato dal potere della sua famiglia, i Colonna, una delle maggiori famiglie feudali romane, che controllava la Campagna, la Marittima, e parte della provincia del Patrimonio, e aveva inoltre un certo controllo su Roma9. I primi accordi furono quelli con Braccio da Montone10, che controllava una gran parte del territorio pontificio dell’Italia centrale. Gli accordi prevedevano la cessione al condottiero delle città di Perugia ed Assisi come feudo, oltre al titolo di vicario della Chiesa; in cambio, Braccio restituiva al papato le città di Orvieto, Narni, Orte e le terre occupate nella valle del Tevere e nel ducato di Spoleto, impegnandosi inoltre a mettere a disposizione della Chiesa le sue truppe e a pagare un censo annuo alla Camera Apostolica11. Nel frattempo, dopo la fine delle lotte contro Braccio e contro Bologna, veniva raggiunto anche un accordo con Giovanna II regina di Napoli e le truppe napoletane abbandonavano Roma. Il 28 settembre 1420, lasciata Firenze, Martino V entrava a Roma accolto con entusiasmo dal popolo che, dopo 135 anni, vedeva finalmente un concittadino papa12. Martino V, oltre alla riconquista delle terre sottratte alla Chiesa, si preoccupò subito di ridare un decoro alla città,13 6

Ivi, p.18; sull’elezione di Martino V si veda B. Fromme, Die Wehl des Papstes Martin V., in «Römisch Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte», X (1896), pp. 133-161; sulla vita di Martino V si veda C. Rendina, I papi storia e segreti, Roma, 1996, pp. 460-464. 7 Sul concilio di Costanza e la crisi dell’autorità papale si veda G. Falco, La Santa Romana Repubblica, Milano-Napoli, 1966, pp. 381-95. 8 Caravale-Caracciolo Lo stato pontificio cit., p. 20; M. Dykmans, D’Avignon à Rome, Martin V et le cortegè apostolique, in «Bulletin de l’Institut historique Belge de Rome», XXXIX (1968), pp. 203-293. 9 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., pp. 18-19. 10 R. Valentini, Braccio di Montone ed il Comune di Orvieto, in «Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria», XXVI (1923), p. 56. 11 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 23. Sulla lotta di Martino V contro Braccio di Montone si veda Platynae Historici, Liber de vita Christi ac omnium Pontificum (aa. 1-1474), in Rerum Italicarum Sciptores, 2ª ed., III, I, a cura di G. Gilda, pp. 308-309. 12 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 24; Rendina, I papi cit., p. 462. 13 Martino V restaurò le chiese e pose le basi per la ricostruzione della città, cercando però, attraverso la Curia, di limitare le libertà cittadine per control-

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ristabilendo prima di tutto la sicurezza nelle strade attraverso la sorveglianza di magistri viarum14. S’impegnò per ridare allo Stato pontificio una forte unità monarchica, cercando di centralizzare in Roma il governo di quell’aggregato di comuni e province governate con diritti speciali e statuti eterogenei. Per riuscire in questo suo intento di restaurazione politica, si servì soprattutto di parenti, gli unici di cui poteva fidarsi, ampliando i loro possedimenti15 e facendo intervenire le truppe pontificie contro le parti avverse. Dopo la morte di Martino V (1431), il nuovo pontefice Eugenio IV16 accettò la convocazione del Concilio di Basilea (1431), che era tra gli impegni da lui assunti al momento dell’elezione. Il 14 dicembre 1431 veniva aperta la prima sessione del concilio, ma Eugenio IV, con bolla del 18 dicembre 1431, ordinò la sospensione dei lavori e il loro trasferimento a Bologna. La maggioranza dei padri conciliari si rifiutò di obbedire al pontefice e si oppose alla Sede apostolica. Un tentativo di convincere il papa ad un atteggiamento meno ostile nei confronti del concilio venne dal re dei romani, Sigismondo del Lussemburgo, incoronato imperatore a Roma il 31 maggio 1432, ma senza ottenere risultati concreti, infatti il pontefice non revocò i decreti adottati; a sua volta il concilio privò Eugenio IV delle entrate fiscali, ingiungendo di inviarle a Basilea ( 1433). Questo stato di cose fu assunto come pretesto dal Visconti e in nome del Concilio inviò contro lo Stato pontificio i suoi condottieri Francesco Sforza e Niccolò Fortebraccio. Il primo invase un parte delle Marche, gran parte dell’Umbria e il Patrimonio, mentre il secondo, con l’appoggio dei Colonna, e dei di Vico occupava il Lazio meridionale. Eugenio IV, per porre riparo alla nuova situazione creatasi nei territori pontifici, decise con il 15 dicembre 1443 di revocare la bolla di scioglimento del Concilio, ma non ottenne alcun risultato dal momento che i condottieri del Visconti continuarono la loro occupazione17. Né la mossa del pontefice di convincere lo Sforza a passare dalla sua parte, dietro concessione del vicariato apostolico per le terre occupate e il titolo di rettore

lare in modo adeguato il comune dove aveva stabilito la propria sede. Per le condizioni di Roma al momento dell’arrivo di Martino V si veda, Diario della città di Roma di Stefano Infessura Scribasenato, a cura di O. Tommasini, in Fonti per la Storia d’Italia, 5, Roma, 1890, p. 23 e Platynae Historici, Liber de vita Cristi cit., p. 310; L. Von Pastor, Storia dei papi, I Roma, 1958, pp. 224-227; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, vol. III, Torino, 1973, pp. 1832-1833. 14 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 34; La magistratura per la riparazione e l’igiene delle vie pubbliche, derivava da quella dei magistri aedificiorum, per la quale si veda L. Schiaparelli, Alcuni documenti dei magistri aedificiorum Urbis (secoli XIII e XIV) in «Archivio della R. Società romana di storia patria», XXV (1902), pp. 5-60. 15 R. Lanciani, Il patrimonio della famiglia Colonna al tempo di Martino V (1417-1431), in «Archivio della R. Società romana di storia patria», XX (1897), pp. 369-449; P. Paschini, I Colonna, Roma, 1955, pp. 30-31. Certamente quello di Martino V fu un nepotismo da condannare, ma che fu probabilmente necessario per la riorganizzazione politica dello stato pontificio; del resto come notava il Gregorovius, Martino V per economia disdegnò pompe e splendori. Martino V moriva il 20 febbraio 1431 dopo aver nominato il cardinale Cesarini presidente del concilio di Basilea. 16 Sulla vita e pontificato di Eugenio IV si veda C. Rendina, I papi storia e segreti cit., pp. 464-468; P. Partner, The Lands of St. Peter, London, 1972, pp. 405-418. 17 Caravale, Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 53.

della Marca, risultò vincente; il Visconti inviò il suo capitano generale Niccolò Piccinino in aiuto di Fortebraccio attaccato dallo Sforza, e insieme si diressero verso Roma. Eugenio IV fu costretto a fuggire di nascosto dalla città e si rifugiò a Firenze18. La perdita del controllo di gran parte delle terre dello stato, indusse Eugenio IV a stringere alleanza con i Medici, che nel 1434 avevano conquistato il potere a Firenze con Cosimo il Vecchio19. Il sostegno finanziario di Firenze diede la possibilità al papa di costituire un esercito per riconquistare i territori perduti; la difficile impresa fu affidata al cardinale Vitelleschi20, nominato commissario e riformatore del Patrimonio (Roma 23 maggio 1435) e legato per il Regno di Napoli, conteso tra Angioini e Aragonesi. Prima di dedicarsi al Regno il cardinale Vitelleschi si occupò dei baroni romani. Dopo aver riconquistato la città di Roma nell’ottobre del 1434, proseguì la riconquista dei territori occupati dai Colonna e dei loro alleati. L’avversario più minaccioso era il prefetto Jacopo di Vico21. Vitelleschi gli tolse Caprarola, che fece saccheggiare ed incendiare, e poi lo assediò a Vetralla22 con Orsino Orsini, Everso dell’Anguillara23 e le milizie viterbesi; da là il di Vico aveva fatto partire un’offensiva su Corneto, i cui abitanti erano stati quasi tutti fatti prigionieri24. Il Cardinale Vitelleschi

18 Diario della città di Roma di Stefano Infessura Scribasenato, a cura di O. Tommasini, (Fonti per la Storia d’Italia, 5), Roma, 1890, pp. 32-33; Platynae Historici, Liber de vita Christi cit., p. 316. 19 Caravale-Caracciolo Lo stato pontificio cit., p. 55. 20 Giovanni Vitelleschi più che un prelato fu un condottiero, il massimo stratega della Curia romana sotto il pontificato di Eugenio IV. Iniziò la sua carriera (1417) al servizio di un capitano di ventura (Tartaglia di Lavello, signore di Toscanella) e in poco tempo diventò uno degli uomini più potenti di Roma. Sotto di lui caddero i Prefetti di Vico, i Malatesta di Rimini, i Varano di Camerino, i Trinci di Foligno; quando il Patriarca Alessandrino, questo era uno dei suoi titoli, entrava a Roma vincitore, le campane del Campidoglio suonavano a lungo e i cittadini esponevano i drappi alle finestre. Nell’aprile del 1440, Vitelleschi, al culmine della sua ascesa politica e militare, cadde in un agguato al Castel Sant’Angelo; fu imprigionato nel castello e alcuni giorni dopo morì, quasi sicuramente ucciso. Per ulteriori notizie su Giovanni Vitelleschi si vedano i volumi I Vitelleschi, fonti, realtà e mito. Atti dell’Incontro di studio (25-26 ottobre 1996), a cura di. G. Mencarelli, Tarquinia, 1998; e Bartolomeo Vitelleschi, il passaggio e gli altri scritti del 1463, a cura di G. Insolera, Tarquinia, 1996. 21 Per notizie su Jacopo di Vico si veda C. Calisse, I prefetti di Vico, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», X (1887), pp. 393-412. 22 P. Santoni, Giovanni Vitelleschi ed Everso Anguillara: due personaggi nella storia viterbese del Quattrocento in I Vitelleschi, fonti, realtà e mito cit., pp. 61-66 (in particolare p. 62). Il 30 settembre Vetralla cadeva, anche perchè alcuni cittadini, forse corrotti, aprirono le porte alle truppe del cardinale gridando “viva la Chiesa” (Calisse, I Prefetti cit. p. 425). 23 Il cardinale Giovanni Vitelleschi seppe valutare quale fosse l’importanza di avere ai propri ordini un personaggio come Everso Anguillara. Egli probabilmente si adoperò presso Eugenio IV affinchè il conte fosse ricondotto alle sue dipendenze; i risultati si videro ben presto, quanto il pontefice richiamò al suo servizio Everso con 200 cavalli nel 1434. Da quel momento iniziò la fase più intensa di collaborazione ed amicizia tra il conte e il cardinale, infatti prima dell’assedio di Vetralla, il cardinale Vitelleschi aveva incaricato il conte Everso di assediare la città di Tolfa in mano ai prefetti di Vico; la città dopo una tenace resistenza cadde l’11 agosto 1435 (Santoni Giovanni Vitelleschi cit., p. 62). Per notizie su Everso di Anguillara si veda V. Sora, I conti di Anguillara dalla loro origine al 1465, Everso conte di Anguillara, in «Archivio della Società Romana di storia patria», XXX (1907), pp. 63-118. 24 Santoni, Giovanni Vitelleschi cit., p. 62.

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La provincia del Patrimonio e la Dogana dei Pascoli

saccheggiò il contado e conquistò la cittadina (31 agosto 1435) facendo decapitare Jacopo da Vico nella rocca di Soriano e ponendo fine alla dinastia dei Vico durata tre secoli. Il successo fu premiato con la nomina a patriarca titolare d’Alessandria d’Egitto ed a vescovo di Firenze25. Dopo i di Vico fu la volta dei Savelli, ai quali Vitelleschi distrusse Castelgandolfo, Marino (31 marzo 1436), Albano e Montesavello. I Savelli raccolsero altri fuoriusciti romani ed ingaggiarono il condottiero Antonio da Pontedera con 500 cavalieri e 2000 fanti, ma Vitelleschi li sconfisse a Piperno (15 maggio 1436), dove con Everso Anguillara catturò Pontedera (impiccato il 19 maggio)26, Francesco Savelli, Onorato Caetani ed altri capitani. Infine affrontò i Colonna, ottenendo la resa di Civita Lavinia, poi di Castelnuovo e di Palestrina, caduta per fame, da Lorenzo Colonna (12 giugno– 18 agosto 1436). Questa cittadina, roccaforte del potere colonnese, venne rasa al suolo e i Colonna furono costretti a porre fine alle lotte contro lo Stato pontificio. L’impresa del Vitelleschi proseguì anche in Umbria dove riconquistò Foligno, sconfigendo Corrado Trinci che aveva ripreso le ostilità contro la Chiesa dopo che i capitani viscontei avevano invaso i territori dello Stato pontificio27. L’appoggio di Firenze permise a Eugenio IV di continuare la lotta contro il concilio di Basilea, e nel 1437 con bolla del 9 aprile ne decretò il trasferimento a Ferrara e successivamente a Firenze (1439)28. Il concilio procedette invece all’elezione di un nuovo papa, Felice V, l’ex duca di Savoia Amedeo VIII. Solo nel 1449 anche questo scisma (Piccolo Scisma d’occidente) si concluse con il riconoscimento del pontefice romano Niccolò V29. Gli ultimi anni di Eugenio IV furono caratterizzati dalla riconquista della maggior parte delle terre ecclesiastiche perdute e dalla restaurazione dell’autorità temporale della S. Sede. Si assiste, nella prima metà del XV secolo, alla creazione di spazi economici e politici più vasti e coordinati. Dovunque si avverte la spinta al rafforzamento di strutture statali capaci di organizzare le diverse forme di particolarismo ereditate dai secoli precedenti. Questa tendenza alla creazione di più ampie strutture territoriali finisce per giocare a favore di istituzioni monarchiche già presenti, lo Stato della Chiesa, il Regno di Napoli, rafforzandole e meglio subordinando ad esse i nuclei di particolarismo30.

25 J. Easton Law, Profilo di Giovanni Vitelleschi, in I Vitelleschi, fonti, realtà e mito. Atti dell’incontro di studio (Tarquinia, 25-26 ottobre 1996), Tarquinia, 1996, pp. 85-88 (in particolare p. 85). 26 Della battaglia tra Everso e il Pontedera ci ha lasciato una testimonianza il Nicodemi che, nella sua storia di Tivoli si esprime in tal senso «fuerint hi de Porta ab Everso Anguillariae comite, a Pontibus autem Latio atque Hernicis a Iohanne Vitellesco Cornetano, patriarca Alexandrino ponteficii exercitus imperatore, eversi» (M. A. Nicodemi, Storia di Tivoli, (Studi e fonti per la storia della Regione Tiburtina, 4), Roma, 1926, p. 192). 27 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 55. 28 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 60. 29 Sull’elezione di Niccolò V si veda J. Calmette, L’elction du pape Nicolas V (1447) d’après une lettre du prieur catalan de Sent Lorens del Mont, in «Mèlanges d’Archaeologie et d’Histoire», XXIII (1903), pp. 419-425; sulla vita di Niccolò V si veda Rendina, I papi cit., pp. 464-472. 30 G. Chittolini, La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato del Rinascimento, Bologna, 1979, pp. 7-40.

Nel 1454 venne stipulato il nuovo trattato di pace di Lodi31, che fortemente voluto dalla politica di pacificazione di papa Nicolò V, riconosceva il titolo ducale allo Sforza, ma anche le conquiste veneziane in Lombardia. Per rinsaldare poi la pace finalmente raggiunta, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, si unirono nella Lega Italica32, il cui compito era quello di mantenere l’equilibrio tra le potenze italiane, reprimendo ogni loro tentativo di espansione. All’accordo aderirono quasi tutti gli organismi politici della Penisola, concordi anche nella reciproca difesa da attacchi esterni. La lega italica riuscirà a dare un quarantennio di equilibrio ai vari stati della Penisola, anche se si era preso atto dell’incapacità degli stati regionali di assurgere al ruolo di centri di unificazione a livello nazionale. La politica dell’equilibrio fu, quindi, la conseguenza della mancata nascita di un’ Italia unita. Dopo, il trattato di pace di Lodi, i pontefici continuarono a lottare contro le congreghe di cospiratori il cui scopo era la caduta del dominio papale33. I pontefici dovevano o soggiacere a tali assalti o domare con la forza le fazioni dei grandi, e questo fu appunto il compito che si propose in seguito Sisto IV, eletto papa il 9 agosto 147134. La sua politica interna fu caratterizzata dal tentativo di costruire forti signorie in Romagna e nella Marca per i suoi nipoti, sull’esempio di Pio II. Non esitò ad assegnare ai suoi parenti terre appartenenti al dominio diretto della S. Sede, il suo obiettivo, come del resto quello di Pio II, era quello di controllare alcune regioni particolarmente indipendenti dalla politica della S.Sede e più inclini alle influenze delle altre potenze italiane35. II.2 La Dogana dei pascoli Nella maremma laziale, per tutto il periodo avignonese (1305-1377) e per i decenni successivi al ritorno del papa a Roma, il tesoriere del Patrimonio, gestiva i pascoli compresi nei territori di un gran numero di castelli acquisiti dal Papato a partire dalla metà del XII secolo36. Questi pascoli appartenevano tutti alla Camera apostolica ma non 31

Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., p. 68. G. Soranzo, La lega italica, Milano, 1924. 33 Nel 1460 Tiburzio organizzò una cospirazione contro Pio II, ne facevano parte parecchi nobili romani, tra i quali il principe di Taranto e il condottiero Jacopo Piccinino; sulla vita e pontificato di Pio II vedasi Rendina, I papi cit. pp. 474-479. 34 Sul conclave si veda U. Manucci, Le capitolazioni del conclave di Sisto IV (1471), in «Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte», XXIX, 2, (1915), pp. 73-90. Sulla vita e pontificato di Sisto IV si veda Rendina, I papi cit., pp. 482-486. 35 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit., pp. 99-101. Sisto IV nominò cardinali i nipoti Giuliano della Rovere e Pietro Riario; nel 1473 affidò il governo di Imola al nipote Girolamo Riario, imponendo per la prima volta in Romagna un vicariato dipendente dalla S. Sede che fungesse da suo effettivo rappresentante nella regione. Nel 1474 assegnò al nipote Giovanni della Rovere la signoria di Senigallia. 36 P. Toubert, Les Structures du Latium médiéval. Le Latium meridional et la Sabine du IX siècle à la fin du XII siècle, (Bibliotheque de l’École Française d’Athène et Rome, 221), Rome, 1973, vol. II, pp. 1068-1080. La provincia del Patrimonio comprendeva tutti i territori posseduti dalla Chiesa a destra del Tevere e del Chiana; a questi vanno aggiunti, sulla riva sinistra del Tevere, i vescovati di Narni, Terni e Amelia, la terra Arnolphorum e la Sabina, regioni queste che erano amministrate da vicari e legati, nominati dal rettore del Patrimonio; G. Silvestrelli, Città, castelli e terre della regione romana, 2 ed. Istituto di Studi Romani, Roma, 1970, vol. I, pp. 941; I. Clau32

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Cultural Landscapes formavano un’unica entità territoriale; inoltre, il loro numero ed estensione variava annualmente in base alle vicissitudini politiche e militari, alle concessioni in feudo o in beneficio, al numero delle greggi che venivano a svernare nel Patrimonio37. Entrando nel merito della gestione dei pascoli della Chiesa nel XIV secolo, c’è da dire che questi non sono mai stati amministrati nella stessa maniera; prendendo come esempio quelli più importanti ed estesi, Badia di Ponte, Montalto e Tuscania, vediamo che il tesoriere, prima del 1339, li affittava abitualmente ogni anno ad un solo affittuario o ad un consorzio di persone38 per un importo stabilito e versato in anticipo che, anche se era sicuramente di molto inferiore alla somma ricavata dagli affittuari, era in ogni caso sicuro e metteva il tesoriere al riparo da ogni responsabilità per l’amministrazione diretta dei pascoli. Situazioni particolari, come la mancanza degli abituali acquirenti dei pascoli, il disaccordo tra loro, rischi di guerra nella provincia, o altre agitazioni, costrinsero in seguito il tesoriere a gestire direttamente la vendita dei pascoli della Chiesa, tramite l’ausilio di una o due persone denominati collectores o exactores39. Quest’ultimi avevano il compito di riscuotere il canone per ogni gregge immesso nei pascoli, calcolato in proporzione al numero dei capi; dopo la riscossione, l’incasso ottenuto veniva versato nelle casse del tesoriere che periodicamente verificava i conti tenuti dai collettori. Il nuovo sistema di gestione dei pascoli, si affermò de Maire Vigueur Les pâturages de l’Église et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV–XV siècles), Roma, 1981, p. 55; Maire Vigueur, riporta che per attestare la proprietà della Chiesa sui pascoli gestiti dal tesoriere nel XIV secolo sono disponibili numerose fonti, tra queste le più importanti sono: a) il Registrum Curiae Patrimonii beati Petri in Tuscia, che si compone di parti diverse, riunite nel 1354 per ordine del cardinale Albornoz al fine di ricollegarsi ai diritti e titoli posseduti dalla Santa Sede nella provincia del Patrimonio. Si tratta di una raccolta incompleta tanto che più tardi l’Albornoz ordinerà la compilazione di un repertorio più sistematico; b) il lavoro pubblicato da P. Fabre, un registre caméral du cardinal Albornoz en 1364, un repertorio dove sono registrati tutti i diritti esecitati dalla Chiesa nel Patrimonio nel 1364, elencati e numerati per luogo; tra questi diritti sono compresi i beni demaniali della Santa Sede e pertanto i pascoli amministrati dal tesoriere della provincia. Il manoscritto, purtroppo, è giunto incompleto, su un totale di trentacinque fogli ne mancano sedici che oltretutto riguardano la zona della Maremma dove erano ubicati i migliori pascoli. 37 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 51. 38 Ivi, p. 90; per i pascoli di minore importanza, la concessione in affitto ad una sola persona o ad un consorzio di acquirenti, restò in vigore fino alla fine del XIV secolo; Gli acquirenti dei pascoli nominati nei registri agiscono generalmente per conto di un gruppo di soci ed è tra loro che al momento di affermazione del nuovo sistema, i tesorieri reclutano i collettori; essi appartenevano alla classe dirigente dei più importanti comuni della provincia del Patrimonio. Maire Vigueur cita come esempio la vendita dell’erba di La Badia nell’ anno 1333, i pascoli sono divisi in due parte uguali, ed una metà è acquistata da due rappresentanti della famiglia Farnese, nobilis vir Raynuccius e Cola, vescovo di Castro; non mancano tuttavia acquisti di pascoli effettuati per conto degli allevatori di una comunità, come è il caso dei pascoli di Orchia, Centocelle, Carcarella, Montebello e Pain Fagiano acquistati nel 1357 dai rectores pecudiariorum civitatis Viterbii, (I.E. 264, f. 282v, 339r.); cfr. Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 94. 39 Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 90-91. Maire Vigueur riporta che il passaggio da un sistema all’altro, si verifica tra il 1326 e 1339, come testimoniato dai registri delle entrate e uscite di quegli anni: Col.175 per gli anni 1326, 1329, e 1330, I.E. per gli anni 1331-1335, Col. 174 per il 1336 e I.E. 154 per il 1339 e 1440. A partire da questo periodo, il tesoriere affida ai collettori il compito di vendere i pascoli di Montalto e della Badia, in seguito quello di Tuscania, e di riscuoterne gli affitti che dovevano essere rimessi nelle mani del tesoriere, il quale ne verificava l’esattezza attraverso i registri.

definitivamente dopo il 1336, e i tesorieri compresero che per trarre il maggior profitto, occorreva adoperarsi per fornire agli allevatori i migliori servizi e soprattutto garantire la sicurezza al loro bestiame40. Con l’amministrazione diretta dei pascoli della Chiesa si sentì la necessità di una migliore organizzazione per la loro gestione, che si raggiunse con l’istituzione della Dogana del bestiame della Provincia del Patrimonio, fatta risalire all’anno 1402, con bolla emanata da Bonifacio IX; c’è da dire, però, che il primo documento che ne rivela l’esistenza in modo specifico è del 142441. Contemporaneamente alla creazione di questo ufficio, si assiste nel XV secolo ad un ampliamento dei pascoli che il doganiere prendeva in affitto ogni anno dai vari possessori, vietando loro di locarli ad altre persone. Questi nuovi pascoli si trovavano ad est di quelli di La Badia e di Montalto, e formavano due o tre compagini. La prima a sud - sud-est di Montalto, costituita dai pascoli di Tarquinia, Nontiscianella, Sant’Ansinella, Pian d’Arcione, San Savino, Civitavecchia e Santa Maria dl Mignone, che andavano ad ampliare notevolmente quelli già amministrati dalla Chiesa in quella zona (Montebello, Pian Fagiano, Carcarella e Centocelle)42. La seconda compagine, ubicata ad Est, all’interno della diocesi di Viterbo, in una zona dove in precedenza la Camera apostolica non possedeva nulla, era composta dalle località denominate Rispampani, Campo Maggiore, Monte Romano, Civitella Cesi, Montemonastero, Ischia, San salvatore, Rota e Monterano. La terza, intorno al lago di Vico, era formata dai pascoli di Vetralla, Bieda, Vico, Casamaria, Montefogliano e Soriano; si trattava di pascoli riservati ai bovini (Vetralla e Bieda) e ai porci, che durante l’inverno venivano fatti pascolare all’interno dei querceti ricchi di ghianda43. Già nel Trecento la vendita dei pascoli forniva entrate molto elevate alla Camera apostolica44, anche se c’è da tener presente che il 40 A partire dal 1347, il dettaglio dei conti dei collettori è riportato sul libro del tesoriere, grazie al quale si pùò conoscere la provenienza e la quantità del bestiame che frequentava i pascoli della Chiesa; cfr. Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 91. 41 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 104. Si tratta di una bolla di nomina del primo doganiere conosciuto del Patrimonio, trascritto nel Reg. Vat. 350; cfr. P. Partner, The Papal State under Martin V. The administration and governement of the temporal power in the early fifteenth century, London 1958, p.119. Nel 1442 comincia la serie dei registri della Dogana conservati all’Archivio di Stato di Roma. Maire Vigueur riporta che alcuni autori sostengono che la Dogana sia stata istituita con una bolla di Bonifacio IX, datata 7 settembre 1402, ma la bolla accorda solo il salvacondotto dell’autorità pontificia a tutte le greggi che si recavano nei pascoli della provincia del Patrimonio, e non parla di alcuna istituzione per la gestione dei pascoli. Sempre secondo Maire Vigueur, la creazione della Dogana del Patrimonio, andrebbe situata tra il 1402 e il 1424, più per opera di Martino V (1417-1431) che dei suoi predecessori. 42 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 52. 43 Ivi, p. 53. 44 A partire dal 1450 le entrate della dogana dei pascoli raggiungono un livello che non era mai stato raggiunto nel XIV secolo; in media i benefici del XV secolo sono due o tre volte maggiori rispetto a quelli del XIV secolo, soprattutto quando la dogana del Patrimonio ha acquisito un’importanza notevole in tutta l’Italia centrale (Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 4647).

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La provincia del Patrimonio e la Dogana dei Pascoli papato era più propenso allo sviluppo delle colture cerealicole, meno redditizie, ma che consentivano un occupazione del territorio attraverso la rete di villaggi popolati, e di conseguenza un miglior controllo dello stato45. Dai registri delle entrate della Dogana dei pascoli, si viene a conoscenza che i pascoli venivano venduti per la maggior parte a bestiame minuto e in particolar modo alle greggi di ovini, anche se vi era una buona percentuale di bovini e cavalli46. Per un’idea sulla quantità del bestiame grosso e di quello minuto entrato nel XV secolo sui pascoli della dogana del Patrimonio, diviso per regioni d’origine, si riportano di seguito le tabelle realizzate da Maire Vigueur47: a) Entrata di ovini Regione di origine

Totale

Percentuale

Tuscia Patrimonio orientale Umbria Regno di Napol Marche Montefeltro–Faggiola Toscana Siena Non identificato

417.879 102.228 548.183 210.482 263.130 45.786 133.300 34.876 55.160

23,0% 5,7% 30,2% 11,2% 14,5% 2,5% 7,3% 2,0% 3,0%

Totale

1.811.024

100%

Tuscia 45

Bovini

Cavalli

39.773 (51,7%)

1.175 (19,8%)

2.121 (2,8%) 13.010 (17,0%) 824 (1,0%) 1.930 (2,5%) 10.782 (14,0%) 4.667 (6,0%) 2.337 (3,0%) 306 (0,5%) 1.128 (1,5%)

292 (5,0%) 1.952 (33,2%) 793 (13,3%) 1.082 (18,2%) 164 (2,6%) 189 (3,2%) 90 (1,5%) 30 (0,5%) 156 (2,6%)

Totale

76.878 (100%)

5.933 (100%)

Per rendersi conto della quantità annua di bestiame presente sul territorio della dogana nel periodo centrale del XV secolo, si è preso come riferimento l’anno 1451, quando nei pascoli della doganali del Patrimonio erano affidati i seguenti capi di bestiame: 82 giovenchi, 745 bufale, 111 bestie vaccine, 151 cavalle, 3.580 porci, 4.862 vacche e 121.659 pecore48. Oltre allo scopo meramente fiscale, la dogana del Patrimonio perseguiva anche quello annonario, in quanto faceva giungere abbondante bestiame nei dintorni di Roma, garantendo così il rifornimento di carne ai macelli romani. Per quanto riguarda il funzionamento della Dogana, c’è da dire che non ci sono pervenuti gli statuti che regolamentavano le attività di questa istituzione, forse, come sostiene Maire Vigueur, non sono mai esistiti; comunque sia, questa mancanza non ci impedisce di conoscere quali fossero i compiti del doganiere che sono riportati da un buon numero di costituzioni pontificie49. Le principali disposizioni che doveva far applicare durante il suo ufficio erano quelle di obbligare al pagamento della fida tutti gli allevatori; di controllare che i proprietari dei pascoli affittassero le loro terre esclusivamente alla dogana; di impedire che le comunità e i signori soggetti alla autorità della Chiesa elevassero dei pedaggi nei confronti del bestiame transumante.

b) Entrata di bovini e di cavalli Regione di origine

Patrimonio orientale Umbria Regno di Napoli Marche Montefeltro–Faggiola Toscana Siena Roma Non identificato

M. Antonelli, Nuove ricerche per la storia del patrimonio dal 1321 al 1341, in «Archivio della società romana di storia patria», LVIII (1935), pp. 130-135; A. Cortonesi, Pascolo e colture nel Lazio alla fine del Medioevo, in Fatti e Figure, Bologna, 1977, pp. 577-589. Tentativi di popolare il territorio, per un miglior controllo politico e militare, furono portati avanti con i castelli di Piansano, Montebello, Marano, Castellaccio, Carcarella e Ghezzo. Pochi di questi tentativi ebbero successo e l’importanza dei pascoli nella Maremma andò sempre di più affermandosi. Ma come sostiene il Vigueur, il Papato non ha fatto nulla per favorire nel XIV secolo l’estensione dei pascoli a discapito delle culture cerealicole; questo processo è stato causato soprattutto dalla crisi demografica. 46 La documentazione relativa alla vendita dei pascoli della Chiesa è composta da due serie di registri, conservata una all’Archivio Vaticano e l’altra all’Archivio di Stato. La prima riguarda la vendita dei pascoli della Chiesa effettuata dal tesoriere nel XIV secolo fino all’anno 1364; la seconda si riferisce ai pascoli venduti dalla dogana del bestiame del Patrimonio e ricopre gli anni dal 1442 al 1489 con delle lacune fino al 1469. all’Archivio Vaticano nei Fondi della Camera Apostolica sotto le voci a) introitus et Exitus sono conservati i registri: Introitus province Patrimonii beati Petri in Tuscia - n°. 11 (1315-17) – n° 21 (1317-24) n° 39 (1320) – n° 110 e 115 (1331-36) – n° 154 ( 1337- 40) – n° 158 (1337) – n° 264 (1350 -59) – n° 265 (1348-50); Exitus province beati Petri in Tuscia n° 116 e 118 (1331-33) – n° 186 (1340-41) – n° 253 (1349 -50) – n° 266 (1350-59). b) Collectorie n° 174 (1337) – n° 175 (1326-31) – n° 176 (1351-59) – n° 177 ( (1363) – n° 241 (1304) – n° 247 (1359-62) – n° 383 (1340-41) – n°388 (1369-70) – n° 446 (1299); mentre all’Archivio di Stato di Roma sotto la voce Camerale I sono conservati i registri relativi agli anni compresi tra il 1442 e 1489 con numerose lacune. Maire Vigueur, Les pâturagese cit., pp. 141-169. 47 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 164.

Il canone per la vendita dei pascoli delle dogane era composto dall’erbatico, cioè l’utilizzo vero e proprio dell’erba dei pascoli, e dalla camera o fida, che designava la garanzia accordata dalla amministrazione pontificia a tutto il bestiame che pascolava e transitava sul territorio della Dogana50. C’è da dire però, che i documenti mostrano come molte volte, le regole prescritte dalla legislazione pontificia venissero disattese dagli stessi doganieri, i quali si contentavano spesso di percepire la camera o fida, senza il pagamento dell’erbatico. Ovvero, i doganieri permettevano 48

Cfr. A. M. Oliva, La dogana dei pascoli del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia nel 1450-51, in Aspetti della vita economica e culturale a Roma nel Quttrocento, Roma, 1981, p. 234. 49 Le Constituzioni di Pio II del 21 marzo 1459 e di Alessandro VI del 27 ottobre 1495, relative all’obbligo per gli allevatori di pagare la fida; P.-A. De Vecchis, De Bono Regime, t. I, p. 1 e 4-6; A. Theiner, Codex Diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma, 1861, t. III, n° 359, pp. 414-415. Le Constituzioni di Pio II del 5 gennaio 1461 e di Alessandro VI del 27 ottobre 1495, relative all’obbligo per i proprietari di affittare i loro pascoli soltanto ai doganieri (De Vecchis, De Bono Regime cit., t. I, p. 1-2 e 4-6; Theiner, Codex Diplomaticus cit., t. III, n° 367, pp. 420-421. Le Costituzioni di Pio II del 23 ottobre 1461 e di Paolo II del 31 gennaio 1464, relative al divieto per le comunità e signori dello stato pontificio di elevare delle tasse di pedaggio per il bestiame transumante che transitava sui loro territori (De Vecchis, De Bono Regime cit., t. I, pp. 2-3). 50 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 108, 115.

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Cultural Landscapes che alcuni allevatori si procurassero i pascoli per il loro bestiame rivolgendosi direttamente ai proprietari dei prati. Dai registri della dogana veniamo a conoscenza del ristretto numero di proprietari che avevano la prerogativa di affittare essi stessi i loro pascoli agli allevatori: potenti signori, come il conte Everso di Anguillara, importanti personaggi della Chiesa, come il cardinale di Siena Francesco Piccolomini, o importanti istituzioni religiose come l’Ospedale del Santo Spirito51. Si ha motivo di credere che questi personaggi ed istituzioni tenevano ad affittare direttamente i loro pascoli, perché sicuramente ottenevano dagli allevatori un affitto più elevato di quello che offriva loro la Dogana. Ritornando ai compiti del doganiere, a parte quelli sopra descritti, tutto il resto era lasciato alla sua iniziativa o a quanto veniva concordato con la Camera apostolica con la quale aveva un rapporto diretto.

come momento di aggregazione e di festa e aveva luogo tra gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre. Il bestiame era riunito in alcuni punti precisi della dogana perchè potesse essere contato: tanto per citare alcuni esempi, nel 1443 era stato riunito a Vetralla, Corneto e Montalto, nel 1444 a Viterbo, Montalto e Corneto54. In questi zone di raduno, il personale alle dipendenze dei doganieri verificava che i capi di bestiame portassero il marchio del proprietario, in caso contrario ne veniva apposto uno; venivano contati tutti gli animali che formano le singole mandrie o greggi e si assegnavano i pascoli. Inoltre, veniva consegnata al proprietario una bolletta dove era registrato il numero delle bestie dichiarate e il canone che doveva corrispondere alla dogana; il pagamento avveniva normalmente durante l’inverno ed era annotato su una ricevuta che rilasciata all’allevatore gli permetteva, in primavera, di lasciare i pascoli doganali senza problemi55.

Normalmente vi era un solo doganiere che dirigeva la dogana, ed era coadiuvato nel suo compito da un notaio, da alcuni guardiani e dai cavalieri. I guardiani erano destinati alla sorveglianza dei pascoli e controllavano che nessun gregge vi fosse introdotto con frode; quando i pascoli confinavano con i terreni coltivati, cercavano di impedire gli sconfinamenti del bestiame che avrebbe arrecato notevoli danni alle colture. Erano assunti per circa cinque o sette mesi e percepivano un salario mensile di un ducato e alcuni bolognini. I cavalieri invece, avevano una maggiore importanza dei guardiani, raggiungevano un numero che variava da cinque a quindici per ogni annata e restavano spesso per più anni di seguito al servizio della Dogana.

È probabile che la Dogana traesse dal suo monopolio un profitto diretto, dovuto alla semplice differenza tra il prezzo pagato ai proprietari dei pascoli e quello richiesto agli allevatori; purtroppo a causa della maniera con cui veniva tenuta la contabilità delle entrate dei pascoli, è impossibile fare una comparazione tra i due canoni56. Come osserva Maire Vigueur nel suo studio sulla dogana del bestiame, in alcuni registri della dogana dei pascoli la contabilità delle entrate non prevede una divisione per zona, essendo queste raggruppate tra loro secondo un criterio che non è quello della proprietà. Si conosce così il totale delle riscossioni fatte sui pascoli senza che si possa attribuire ad ognuno di essi la parte che gli spetta nel totale delle entrate57.

Normalmente essi venivano reclutati nelle zone dove era maggiormente praticato l’allevamento del bestiame. Il loro salario era molto più alto di quello dei guardiani: percepivano 5 ducati al mese ed erano impiegati per la maggior parte dell’anno. Iniziavano il servizio a settembre, quando venivano inviati nelle regioni di provenienza del bestiame transumante, al fine di convincere gli allevatori a portare le loro greggi nei pascoli della Dogana del Patrimonio. Il loro compito successivo era quello di scortare le greggi durante il tragitto per giungere ai pascoli estivi doganali; durante l’inverno venivano impiegati dai doganieri per la ricerca di trasgressori o per compiti di rappresentanza presso le altre dogane. In primavera scortavano nuovamente le greggi che ritornavano nelle regioni di provenienza52.

Un registro relativo alla vendita dei pascoli di Montebello e di San Savino (territorio di Tuscania), ci permette tuttavia una valutazione approssimativa della differenza tra i prezzi d’acquisto e prezzi di vendita per l’erbatico dei due pascoli, che procurano alla Dogana un’entrata totale di 1260 ducati nell’anno 146958; la parte dell’erbatico ammonta a circa 620 ducati.

La riscossione dei canoni per l’affitto dei pascoli e la loro assegnazione, era preceduta dalla conta del bestiame: la “calla”53. Questa operazione veniva vissuta dagli allevatori 51 Il registro n. 40, b. 11 (1464-1465) della Dogana del bestiame del Patrimonio, conservato all’archivio di Stato di Roma, contiene alla seconda pagina il testo dei bandi che il notaio ha fatto proclamare, su ordine del doganiere, a Viterbo, Bagnoregio, Corneto, Montefiascone, Acquapendente, Tuscania e Bolsena; il primo di questi bandi ricorda il divieto di tutte le locazioni di pascoli tra singoli individui; nell’ultima pagina è riportato il testo di un provvedimento del vice camerlengo in favore dell’Ospedale del Santo Spirito che riceve il privilegio di affittare esso stesso tutti i pascoli che possiede nella Provincia del Patrimonio, senza passare attraverso la Dogana, come era stato obbligato fino ad allora. 52 Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 108–109, 112-113. 53 Ivi, p. 114.

La locazione di S. Savino è costata 240 ducati. Si ignora il valore delle erbe di Montebello, appartenente alla Camera apostolica, ma si sa che dal 1442 al 1453 le erbe di Montebello e di Pian Fagiano sono state acquistate dai doganieri ad un prezzo che andava da 150 a 200 ducati. Stimando in 400 ducati gli affitti dei due pascoli, si può ritenere che la Dogana li ha rivenduti ad un prezzo superiore del 50% al prezzo di acquisto59. Molte volte, proprio per cercare di aiutare le comunità, private dei loro territori, la Camera apostolica concedeva loro 54 Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Reg. 11 (1443-1444); Reg. 12 (1444-1445). 55 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 114. 56 Ivi, p. 73 n. 49; grazie agli acquisti delle erbe, si conoscono i prezzi pagati per pascolo (per esempio 50 ducati per Orchia nel 1443) o per gruppo di pascoli (per esempio 800 ducati al cardinale Ludovico Scarampi per Rispampani, Campo Maggiore, Monte Romano e Civitella nel 1443). 57 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 73 n. 49. 58 Archivio di Stato di Roma, Camerale I, busta 15, registro 53, (1469-70). 59 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 74.

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La provincia del Patrimonio e la Dogana dei Pascoli dei benefici, esentandole dal pagamento della “fida”, così per gli abitatati di Tuscania60; o addirittura beneficiandole di un’esenzione totale, della fida e dell’erbatico, come per gli abitanti di Montalto61. Queste concessioni, se servivano in parte a calmare gli animi degli allevatori di bestiame, certo non eliminavano i danni alle colture causati dal bestiame transumante durante gli spostamenti da una località all’altra, oppure dagli sconfinamenti una volta raggiunti i pascoli assegnati, assistiamo così a continue lamentele e richieste di pene da parte dei cittadini nei confronti del bestiame fidato nei pascoli della dogana62. Ovviamente, l’imposizione del monopolio dei pascoli e la concentrazione di centinaia di migliaia di capi di bestiame nella provincia del Patrimonio provocarono una certa opposizione da parte dei signori locali63 e delle comunità che, sottoposte ai doganieri che esercitavano il diritto di prelazione64 nella contrattazione dei pascoli, si sentivano danneggiate nei loro diritti di proprietà. Nonostante le pene molto severe, alcuni signori si rifiutarono di rispettare le normative emanate dai doganieri e continuarono a vendere direttamente i loro pascoli ai pastori, pretendendo anche gabelle e pedaggi per il transito delle greggi sui loro terreni; questa ribellione comportò, ovviamente, l’intervento diretto dei pontefici65 e la creazione delle strade doganiere, 60

Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 119. Nicola V, con bolla del 14 ottobre 1459, concede agli abitanti di Tuscania di condurre il loro bestiame all’interno dei pascoli della Dogana della Provincia del Patrimonio, senza pagamento della fida. Decisione giustificata dal fatto che la più grande parte del territorio del Comune di Tuscania era utilizzato dalla Camera apostolica come pascolo per il bestiame della dogana (A. Theiner, Codex Diplomaticus cit., t. III, pp. 412-413, n° 356). 61 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 120. 62 A. Lanconelli Il «tranquillo e pacifico stato» nelle città del Patrimonio a metà Quattrocento attraverso la Lettura delle riformanze in Storie a confronto. Le Riformanze dei comuni della Tuscia alla metà del Quattrocento, Roma, 1995, p. 196. Lanconelli riporta che nel memoriale affidato nel febbraio 1453 agli oratori della comunità di Corneto, inviati presso il pontefice, per sottoporgli alcune richieste, troviamo al terzo punto la questione degli «infinita damna» sostenuti dalla comunità «ab animalibus pecudinis et aliis animalibus fidatis in doghana Patrimonii pascentibus iusta tenimentum Corneti», che sempre più spesso invadono il tenimentum cittadino, tanto che la comunità chiede che siano colpiti con una pena; Rif Corneto, 1453, c. 59v. 63 L. Santella, F. Ricci, La chiesa dell’Ave Maria sulla strada della Dogana delle pecore, in «Informazioni», III, 10, (1994), p. 63 n. 10. Nel XV secolo i baroni della Tuscia cercarono di contrastare energicamente il potere temporale della papato che andava consolidandosi, e che, tra l’altro, danneggiava i loro interessi economici attraverso la dogana dei pascoli. I di Vico, gli Anguillara, i Vitelleschi e i Farnese, cercarono di opporsi a questo monopolio dei pascoli, ma con esiti negativi. 64 Nei numerosi bandi del doganiere della dogana dei pascoli, registrati nelle riformanze del comune di Tuscania (cfr. Rif. 1449 c.6r. - Rif. 1450 c.111v. Rif. 1451 c.159r.) si comandava, per parte dei doganieri dei pascoli che «niguno di qualunque stato, conditione o preheminentia se sia, ardisca over presuma per alcun modo o quesito colore, vendere o comprare nisuna quantitade de erba, giande, paschi o tenute che fossero ne le dicte provintie, ne de le predicte cosse disponete alcuna cossa sotto pena de ducati cento doro, daplicare ala Camera apostolica senza alcuna remissione, Et se niguno ne havesse vendute, comparate, overo altramente contractate, infra termino de octo di li abiano havere consegnate agli detti dohanieri, o a chi per loro fosse, sotto la sopradetta pena daplicare ala detta camera, come de sopra è detto, a qualunque contrafacesse». 65 Caravale-Caracciolo, Lo stato pontificio cit.. Eugenio IV fu particolarmente impegnato contro il conte Everso dell’Anguillara che tentò di costituire un dominio personale nella parte meridionale della Tuscia, in quelli che erano stati i possedimenti dei Prefetti di Vico e che vennero recuperati dalla Chiesa con la guerra che portò all’uccisione dell’ultimo rappresentante di questa famiglia nel 1435, fatto decapitare dal cardinale

alternative a quelle ordinarie, sulle quali le persone e il bestiame potevano transitare liberamente e in sicurezza. Le regioni di provenienza del bestiame transumante erano, oltre alla provincia del Patrimonio, l’Umbria, il Regno di Napoli, le Marche, la Toscana, e la parte meridionale della campagna di Siena66. Come si è visto, esistevano altre istituzioni simili alla dogana del bestiame del Patrimonio, le più importanti risultavano essere la Dogana di Foggia, la Dogana di Siena, e quella di Roma67. Queste istituzioni erano in continuo antagonismo tra loro per attirare il bestiame transumante sui propri territori e arrivavano persino ad inviare propri cavalieri nei vari pascoli delle altre dogane per convincere gli allevatori a passare nella propria zona di competenza, promettendo migliori pascoli e riduzioni dei canoni68. Non si sa comunque se gli inviati dei doganieri facessero questa pubblicità apertamente o clandestinamente. Queste pratiche sono attestate in alcuni registri della dogana del Patrimonio69 ma in seguito non se ne fa più menzione. Non mancano comunque rapporti tra le varie dogane per scambio di servizi, per esempio i doganieri della dogana di Siena e quelli del Patrimonio, propongono ai maestri dei pascoli di consegnarsi reciprocamente i fuggiaschi dell’una e l’altra parte. Tra la dogana del Patrimonio e quella di Roma, i rapporti riguardavano soprattutto i servizi: i doganieri procedevano a dei trasferimenti di bestiame da un territorio all’altro, secondo la più o meno abbondanza di erba nei pascoli delle due dogane70. Questa vendita massiccia di pascoli da parte della Dogana del Patrimonio e delle altre simili dogane, porta ad interrogarci sulla quantità di territorio che rimaneva a disposizione delle comunità per le loro attività agricole e al pascolo del bestiame. Sicuramente vi era un grande antagonismo tra la Dogana e le comunità e per attenuare questi contrasti la Camera apostolica riconosceva a queste diritti di uso sui suoi pascoli, oppure riservava delle zone ad uso esclusivo del loro bestiame: le bandite. Nel XV secolo gli abitanti di Montalto e Vitelleschi nella rocca di Soriano. Tutti i papi da Eugenio IV a Pio II, dovettero sopportare le prepotenze di Everso che, oltretutto, pretendeva notevoli somme di denaro dal doganiere per l’acquisto dei suoi pascoli (cfr. Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 68-69). Dopo la sua morte, anche i figli seguirono il suo esempio, ma Polo II se ne liberò nel 1465 con una battaglia combattutasi tra Vetralla e Blera. Si veda anche A. Sora, I conti di Anguillara dalla loro origine al 1465. Everso conte di Anguillara in «Archivio della società romana di storia patria», XXX (1907), pp. 71-74. 66 Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 143-146. 67 Per la dogana di Siena si veda I. Imberciadori, Il primo statuto della dogana dei Paschi Maremmani (1419), in Per la storia della società rurale: Amiata e Maremma tra il IX e XX secolo, Parma, 1971, pp. 107-140. All’inizio del XV secolo la dogana dei paschi maremmani procura al comune di Siena un’entrata di circa 15.000 fiorini. Notevole importanza rivestiva anche la dogana di Roma, negli anni 1446-1447 incassò circa 18.000 ducati contro i 13.000 circa della dogana del Patrimonio (Maire Vigueur, les Pâturages cit., p. 184 n. 14). Per quanto riguarda la regia dogana di Foggia si è già ampiamente nel paragrafo relativo alla transumanza. 68 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 123. 69 Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Reg. 11 (1443-1444); Reg. 12 (1444-1445). 70 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 123.

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Cultural Landscapes Tuscania71 dispongono di bandite dove solo loro possono pascolare con il proprio bestiame. Vi sono comunque continui attriti tra le comunità e i doganieri, desiderosi quest’ultimi di estendere il territorio della Dogana. I cittadini, ovviamente, difendono aspramente i loro privilegi contro gli sconfinamenti dei doganieri72. Attraverso i numerosi bandi emanati dai doganieri, presenti nei registri delle riformanze, veniamo a conoscenza che nessun privato cittadino poteva vendere i propri pascoli, ma doveva cederli alla dogana, oltre a tutta una serie di disposizioni che regolavano nel dettaglio l’uso del pascolo e alle pene comminate per chi contravveniva a quanto previsto dal bando73. Questo contrasto tra doganieri e comunità, si attenuò in parte nel corso del XV secolo, quando si verificò nella maremma laziale, un certo spopolamento dei castelli, e il conseguente aumento delle aree incolte, disponibili per il pascolo del bestiame stanziale. II.3 Tuscania e Corneto I comuni di Tuscania e Corneto (l’attuale Tarquinia), risultano per un lungo tratto confinanti e si incastrano tra loro lungo una linea sinuosa che per la maggior parte della sua estensione è materializzata sul terreno dall’alveo del Fiume Marta. Fanno parte entrambi di quella zona definita dai geografi “maremma laziale”74 che comprende tutta la fascia

71 Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Tesorerie provinciali, Patrimonio. b. 2, reg. 9, c. 53rv e b. 4, reg.14, c. 24rv. 72 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 61; P. Supino, La Margarita Cornetana. Regesto dei documenti, (Miscellanea della Società romana di storia patria, XXI), Roma, 1969, p. 143, n° 558 del 1432: Eugenio IV decreta che la tenuta di “Rocca Jorii”,occupata dai doganieri sin dal tempo di Martino V, ritorni in possesso del comune di Corneto, con libertà per gli abitanti di affittare le erbe alla Dogana in cambio di un giusto prezzo. Il registro 40, b. 11, 83v, contiene la copia di un breve di Paolo II che accorda soddisfazione alla gente di Tuscania per il rispetto della loro bandita da parte dei doganieri. 73 Rif. Tuscania, 1450, c. 122r - 1451, c. 159r. Si veda la nota n. 163 del presente paragrafo dove è trascritto il bando del doganiere registrato nelle rif. Tuscania 1449, c. 6r. 74 Per le origini del nome Maremma si veda S. Del Lungo, La toponomastica archeologica della provincia di Viterbo, Tarquinia, 1999, p. 12. Il Del Lungo riporta che il termine Maremma, proprio di tutta la fascia costiera tirrenica, deriva da una deformazione linguistica, prodottasi nei secoli XV-XVI in una vasta area dagli Appennini alla costa. La forma originaria era “Maritima (regio)”, introdotta nel VIII secolo ma attestata a partire dal IX, con la quale si intendeva tutta la serie di lagune costiere, di dune e pianure soggette ad impaludamento, presenti sul litorale antistante i Monti della Tolfa fino al Golfo Baratti, ai piedi dell’etrusca Populonia. Divenuta termine di riferimento giuridico-territoriale, la forma “Marittima” è usata nel IX secolo al posto del generico “Tuscia”, di origine romana, per indicare l’area collinare con la presenza di centri abitati, prospiciente la zona acquitrinosa e servita da quello che restava della viabilità classica (Via Aurelia). Nel periodo 1004-1018 il nuovo centro di Corneto, rivale della vicina Tarquinia, viene definito in alcune pergamente con la dicitura «Castello aut turre de Corgnetu, qui est in finibus Maritime infra comitato Tuscanense» (Codex Diplomaticus Amiatinus, a cura di W. Kurze, Tubingen 1974-1982, vol. II, pp. 90-93). L’uso del termine Maritima e poi di Maremma nel linguaggio parlato e nei documenti, avviene al contemporaneo affermarsi di un altra denominazione, quella di Patrimonium S. Petri o più semplicemente Patrimonium, conosciuta nell’alto medioevo e utilizzata solo per l’attuale entroterra viterbese fino alla sponda destra del Tevere. Con il XII questo termine si estende verso la zona costiera ed è utilizzato in seguito anche negli atti pubblici effettuati dalla Chiesa. Nello stesso periodo Marittima è l’appellativo dato alle terre dello Stato pontificio situate sulla costa

costiera dalla foce del Tevere al confine provinciale tra Viterbo e Grosseto. I due territori comunali, a parte le pianure alluvionali del Marta costituite da fertili terreni sabbiosi limosi e condivise da entrambi, possono essere in linea di massima divisi geologicamente in due zone ; nel territorio di Tuscania: “la zona vulcanica”, originatasi dalle ultime colate laviche del gruppo dei Vulsini, dove gli agenti della pedogenesi hanno dato origine ad un complesso di terreni permeabili con una notevole potenzialità produttiva policolturale, specie se scassati ed irrigati; nel territorio di Tarquinia: “la zona plioceanica argillosa”, costituita da suoli bruni calcarei e lisciviati con elevato contenuto di argilla e scarsa permeabilità75, più adatti alle colture cerealicole ed ai prati. In entrambi i territori sono presenti estese coperture boschive ancora oggi utilizzate per il pascolo del bestiame bovino ed equino di razza maremmana, caratteristico di questa zona. Le due cittadine nascono durante il periodo etrusco76 anche se le prime tracce di antropizzazione dei loro territori sono quelle degli insediamenti paleolitici e villanoviani. Per quanto riguarda Tuscania, l’urbanizzazione vera e propria dell’acropoli ebbe inizio a partire dall’VIII sec. a. C., periodo in cui si assistette nella regione, al proliferare di piccole cittàstato. La Tuscania etrusca era fondamentalmente una città a vocazione agricola anche se non è possibile parlare di un unico centro abitato. Le dodici necropoli rupestri rinvenute sul territorio erano una probabile testimonianza di un insieme di piccoli villaggi, che avevano come punto di riferimento economico, amministrativo e religioso il colle S.Pietro77. Alcuni recenti ritrovamenti testimoniano infatti che Tuscania era circondata da una fitta rete di insediamenti minori sorti in posizione strategica lungo le strade di collegamento con le grandi città etrusche78. Nessuno storico riferisce di combattimenti tra Tuscania, a quei tempi uno dei più importanti centri della zona, e Roma. Certamente la piccola città etrusca non prese parte alle battaglie decisive che portarono alla sottomissione delle città etrusche dell’Alto Lazio, tra le quali Tarquinia. Il passaggio sotto Roma avvenne attorno al 280 a.C. e, probabilmente, in maniera del tutto pacifica. Da quel momento in poi la presenza della Via Clodia79, una delle maggiori vie di comunicazione di quei meridionale del Lazio, mantenuto dalla consuetudine locale anche per la costa settentrionale, anche se in maniera distorta (Maremma). 75 F. Mancini, Carta dei suoli d’Italia, Firenze, 1966. 76 Come tutte le antiche cittadine anche Tuscania e Tarquinia possono vantare nobili origini leggendarie. La prima, secondo lo storico viterbese Annio sarebbe stata fondata, su consiglio di Marte, da Ascanio, figlio di Enea, nel luogo in cui avrebbe rinvenuto un cane con dodici cuccioli; da qui il nome Tus-Cana. La seconda, come riporta Cicerone (De Divin., II, 50, ed. S. Timpanaro, Milano, 1999, pp. 148-151) sarebbe stata fondata da Tarconte, connesso al mito del fanciullo prodigio Tagete, nato dalla terra nei campi di Tarquinia. 77 W. Potter, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale. Archeologia e trasformazione del territorio. Roma, 1979, pp. 173-176. S. Quilici Gigli, Tuscana, (Forma Italiae, regio VII, vol. 2), Roma, 1970; G. Giontella, Tuscania attraverso i secoli, Grotte di Castro, 1980, pp. 11-13. 78 S. Quilici Gigli, Tuscana cit. 79 M. Lopes Pegna, Itinera Etruriae- Via Clodia, in «Studi Etruschi», XXI (1950-51), pp. 403-409; si veda anche M. Giacobelli, Via Clodia, (Antiche strade del Lazio), Roma, 1991.

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La provincia del Patrimonio e la Dogana dei Pascoli tempi, consentì a Tuscania di assumere il controllo strategico e il dominio politico e amministrativo di un vasto territorio tanto da divenire uno dei maggiori centri dell’Alto Lazio. Anche l’antica Tarquinia sorgeva su un colle: quello di Pian di Civita, poco distante dall’attuale città, a circa 100 Km da Roma, alla quale era collegata dalla cosiddetta Via Tarquiniese80, riportata dalla carta geografica detta Tabula Peutigenaria, ed a circa km. 6 dal litorale tirrenico, dove si trovavano due scali, il principale dei quali noto con il nome di Gravisca. L’importanza di Tarquinia (Tarquinii) nel periodo etrusco è universalmente conosciuta: nei secoli VIII – VI a.C. la città assunse un ruolo primario nella confederazione delle dodici locumonie, una federazione di stati-città, dodici in origine, la cosidetta Dodecapoli etrusca, saliti poi a quindici, ciascuno retto da un re o «locumone»81. La federazione aveva una capitale religiosa, Fabum Voltumnae, situata nella zona centrale, presso il lago di Bolsena, e non ancora identificata con certezza82. Con il VI secolo, Tarquinia iniziò il lento declino, che legato al sorgere della potenza di Roma, continuò sino al 348 a.C. quando i Romani conquistarono la città. Tarquinia divenne una colonia romana, fu elevata a municipio (90 a.C.) e conseguì la cittadinanza romana, conservando una certa importanza83. Importanza attestata anche dal fatto di essere sede vescovile: Il vescovo di Tarquinia, Apuleio, è presente nel Concilio del 465. Dopo il Concilio di papa Simmaco del 499, in cui è presente il vescovo Luciano84, non si hanno più notizie dei vescovi di Tarquinia. Tuscania divenne sede vescovile nel V secolo, privilegio che, diversamente da Tarquinia, conserverà per tutto il medioevo. Verso la fine del VI secolo, (574-575) entrambe le due città vengono occupate dai Longobardi di Alboino. Quando i Franchi pongono termine alla dominazione longobarda, le

80 A. Solari, topografia storica dell’Etruria, I, Pisa, 1918, pp. 101-106; E. A. Stanco, Ricerche sulla topografia dell’Etruria, in «Mélanges de l’École Française de Rome - Antiquité», CVIII (1996), pp. 83-98. 81 La federazione aveva una capitale religiosa, Fanum Voltumnae, situta nella zona centrale, presso il lago di Bolsena, e non ancora identificata con certezza. Una sola di queste città si affacciava sul mare, Populonia, le altre sorgevano in posizioni strategicamente migliori, sulle colline in vista del mare si trovavano da sud a nord: Cere (Cerveteri), Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia; più all’interno erano situate Veio, Volsinii (Bolsena), Orvieto, Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Volterra, Fiesole. 82 Sulla Tarquinia etrusca sono innumerevoli gli scritti; se ne citano alcuni: M. Pallottino, Tarquinia, in «Mon. Ant. Linc.», XXXVI (1937), pp. 5-615; P. Romanelli, Tarquinia, Scavi e ricerche nell’area della città, in «Notizie degli Scavi di Antichità», 1948, pp. 193-270; H. Hencken, Tarquinia, Villanovans and Early Etruscans, Cambridge, 1968; F. Weege, Etruskische Malerei, Halle, 1921. 83 M. Sordi, Tarquina e Roma, in Tarquinia: ricerche, scavi e prospettive. Atti del Convegno Internazionale di Studi “La Lombardia per gli Etruschi”, a cura di M. Bonghi Jovino e C. Chiaramonte Treré, Milano, 1986, p. 168; M. Bonghi Jovino, Tarquinia nelle fonti classiche, in Gli Etruschi di Tarquinia, Modena, 1986, p. 35. 84 L. Duchesse, Le sedi episcopali nell’antico ducato di Roma, in «Archivio della Società Romana di storia patria», XV (1982), p. 486 e 503; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, 1864, vol. V, pp. 688-689; J. Raspi-Serra, Le diocesi dell’Alto Lazio, (Corpus della Scultura altomedievale, VIII), Spoleto, 1974, pp. 250251.

due città entrano a far parte del patrimonio di S. Pietro con la donazione da parte di Carlo Magno che risale al 774. Una tradizione storica locale, generalmente accettata, voleva che Tarquinia nel 828 fosse stata distrutta dai Saraceni, unitamente alla vicina Centum Celle che subì la stessa sorte85. La Supino ha dimostrato però che un castello de Tarquinii o de Tarquinio è esistito fino al sec. XIV (1311)86, rivale del comune di Corneto, che dopo averlo sottomesso, porrà in seguito fine alla sua esistenza87. Dalla bolla dell’anno 85388 emanata da papa Leone IV ( 847-855) ed indirizzata a Virobono, vescovo di Tuscania, Tarquinia risultava ormai dipendente dal vescovo di Toscanella89, la cui diocesi risaliva 85

G. Silvestrelli, Città e Castelli e Terre della Regione Romana, Roma 1970, vol. I, pp. 7 e 15; Pallottino, Tarquinia cit., col. 13; L. Dasti, Notizie storiche archeologiche di Tarquinia e Corneto, Corneto-Tarquinia, 1910, pp. 76-78; M. Polidori, Croniche di Corneto, Tarquinia ,1977, pp. 71-73. 86 Supino, La Margarita Cornetana cit., p. 305; Per la coesistenza di Corneto e Tarquinia si veda Supino, Corneto precomunale e comunale, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e Archivio Muratoriano», 79 (1968), p. 131. 87 Il Polidori (Polidori, Croniche di Corneto cit., p. 187) riporta che nel mese di agosto del 1307, «fu dai Cornetani guerreggiato il Castello della Tarquinia, perchè il Signore di detto Castello et gl’habitatori d’esso non erano obedienti et fedeli di Corneto, come conviene a’ Vassalli, anzi pretendevano diverse esenzioni et armavano a danno de Cornetani, sì che dato l’assalto fu preso, disfatto et diroccato, e per sempre è restato desolato, et il suo territorio, conforme era del distretto, così restò unito con questo di Corneto»; Cfr. Supino, La Margarita Cornetana cit., pp. 244-241: 21 febbraio 1308, nel palazzo del rettore a Montefiascone, davanti a Pietro di Marsilio, canonico di Amiens, rettore super spiritualibus nel Patrimonio, il giudice Gualtiero del fu Guglielmo, Francesco del fu Foldray, Cola del fu Alessandro (...) et plures alii testes, «in seguito al versamento di 1300 lire di denari paparini esguito presso il tesoriere del patrimonio Pietro de Lalanda da Pietro Riccio, sindaco e procuratore del Comune di Corneto, Bertrando de Milignano, vicario del Patrimonio, per il rettore e capitano Amanieu d’Albret, dichiara di rimettere tutte le colpe, i delitti, le trasgressioni dei quali la Curia riconobbe colpevole il podestà, il consiglio e determinate persone di Corneto, e in particolare, dell’assedio dei Cornetani contro il castello di Tarquinia e de diruitione dicti castri, nonchè dei mancati pagamenti del focatico, della taglia e della tratta dovuti dal Comune alla Curia. Ordina quindi a Vagnolo, pubblico gastaldo del palazzo di Montefiascone, di cancellare tutte le condanne inflitte a Corneto fino al 17 maggio dell’anno precedente e di annunciare pubblicamente l’annullamento delle sentenze di bando emanate contro il Comune e i suoi uomini». Distrutto il castello e l’abitato, Tarquinia cessa di esistere ma la famiglia dei Signori di Tarquinia, menzionata nelle carte della Margarita sino alla seconda metà del secolo XIV (Supino, Margarita Cornetana cit., pp. 327-328) conserva ancora i diritti sulle proprietà possedute entro la Castellina, nel suo territorio o direttamente a Corneto. Secondo l’opinione di F. Guerri, (F. Guerri, Il registrum cleri cornetani, in «Fonti di storia cornetana», 1, Tarquinia, 1908, pp. 266-267) alla fine del 1300 il castello di Tarquinia fu riedificato, ma nessuna documentazione certa lo conferma. Per ulteriori notizie su Tarquinia medioevale si veda anche, La Civita di Tarquinia. Testimonianze di una città medievale rivale di Corneto, a cura di S. Del Lungo, Tarquinia, 1999. 88 Leone IV con la bolla del 21 febbraio 853, conferma a Virobono i diritti su numerose proprietà e definisce i confini della diocesi tuscanese (P. Egidi, L’archivio della Cattedrale di Viterbo, in «Bullettino dell’Istituto Storico italiano», VII (1906), pp. 35-37, n° I), la cui struttura portante appare costituita, in ambito religioso, da ecclesiae e monasteria, senza distinzione fra quelli esistenti e quelli in costruzione (episcopatum Tuscanensem cum terris omnibus ecclesiis, et monasteriis, quorum infra subscriptos fines esse videntur et in futurum construentur); sul piano laico primeggiano urbes e castella (il solo castellum o castrum nominato nel documento è Viterbo, mentre civitaes riconosciute sono Tuscania e Norchia), ed attorno ad essi orbitano oppida, ovveo luoghi fortificati, massae, villae e burgi, cioè poli di scambio e di sorveglianza posti lungo le strade principali (tam per urbes, et castella, quam etiam per diversa oppida, massas, burgos, et villas), tutti con presenza di chiese presbiteriali o monastiche, sottoposte all’autorità diocesana (Del Lungo, la toponomastica archeologica cit., p. 97). 89 Per quanto riguarda Tarquinia la bolla non ne definisce la consistenza ma riporta «Fundum, qui vocatur Turrreranzula cum integritate sua. Plebem S.

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Cultural Landscapes all’anno 64990 e aveva un territorio vastissimo; i suoi confini comprendevano i territori di Blera, Vetralla Valentano.

morte di Matilde di Canossa avvenuta nel 1115, si eresse a libero comune97.

Con la fine del XII secolo, Tuscania avvertì i segnali di una lenta e inevitabile decadenza a causa delle ripercussioni economiche legate all’abbandono della via Clodia; dopo l’occupazione di Federico Barbarossa, cominciò a perdere prestigio a spese della vicina Viterbo che nel 1192 venne elevata a diocesi, anche se equiparata a Tuscania, dal pontefice Celestino III91.

Nel periodo comunale le vicende di Tuscania e Corneto si configurarono come un alternarsi di guerre, paci, vittorie, sconfitte, perdita e riacquisto delle proprie libertà, espansione nel contado, tipiche di tutti i comuni del tempo.

Nell’ager tarquiniensis, poco distante da Tarquinii, nel XI secolo assunse importanza un centro sorto forse già nel V secolo: Corneto92. Il primo nucleo di Corneto nasce come luogo fortificato, prima con la sola torre, poi con torre e castello, ovvero come un castrum, e si sviluppò nel luogo dove attualmente sorge la chiesa di S. Maria in Castello93. Nel XI secolo, Corneto, che già gravitava nell’orbita del Patrimonio di San Pietro, acquistò la qualifica di civitas,94 e questo grazie soprattutto allo sviluppo economico dovuto alla vicinanza del mare e dei fiumi Marta e Mignone, allora navigabili, nonchè del suo porto, che fu per lungo tempo il più importante scalo della costa tirrenica. Infatti, intraprese rapporti commerciali con Pisa e con Genova, e stipulò con queste dei trattati, rispettivamente nel 117395 e nel 117796, riguardanti accordi di non ostilità nel commercio e nella navigazione. Per tutto il medioevo, Corneto fu un fiorente centro agricolo e commerciale. Nel 1140, dopo il disfacimento del marchesato di Toscana, successivo alla Marie, quae posita est in Tarquinio cum vineis, terris, pratis, et cum omnibus suis pertinentiis» (Egidi, L’archivio cit. pp. 35-37). 90 La data 649 è riportata dal Duchesne, Le sedi episcopali cit., p. 486 e 489, seguito dalla Raspi Serra, Le diocesi cit.; p. 250; G. Signorelli, Viterbo nella storia della chiesa, vol. I, Viterbo, 1907, p. 49, non da una data precisa pur propendendo per la fine del sec. VI. A partire dal VII secolo ha inizio la costruzione delle due basiliche romaniche di S. Maria Maggiore e più tardi, di S. Pietro. Le due chiese sono il frutto di un lavoro lunghissimo: sorte probabilmente sulle rovine di templi arcaici, furono più volte modificate e infine in gran parte ricostruite nel XII secolo (S. Campanari, Delle Antiche chiese di S. Pietro e S. Maria Maggiore nella città di Toscanella, Montefiascone, 1852). 91 Signorelli, Viterbo nella storia cit., vol. I, p. 145. 92 Per notizie sulla fondazione di Corneto si vedano: Supino, Corneto precomunale cit., pp. 114-147; Silvestrelli, Città cit., v. I, p. 7 e n. 1; Dasti, Notizie cit., pp. 48-49, 78, 81; P. Bartolozzi, M. Migliori, Tuscia Viterbese, vol. II, Roma, 1968, pp. 340-341; G. B. De Rossi, I primitivi monumenti cristiani di Corneto-Tarquinia, in «Bullettino di Archeologia Cristiana», V (1874), p. 82. 93 P. Egidi, un documento cornetano del secolo decimo, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», n. 34 (1914), pp. 4-6, a. 976: castello... turre de Corgetu; Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, a cura di U. Balzani, (Fonti per la Storia d’Italia, 34), Roma 1903, vol. II, p. 16 n. 1, a. 1003: castello Corgniti; C. Calisse, Documenti del Monastero di San Salvatore sul Monte Amiata riguardanti il territorio romano (secoli VIII-XII) in «Archivio della Società Romana di storia patria», XVI (1893), p. 335, a. 1004: castello aut turre de corgetu; ibidem, n° XLV, p. 137, a. 1005-1006: vico de castello et turre de corgetu. 94 Così in una bolla di Sergio IV, aa. 1009-1012: in castello et civitate Corginto. (vedi P. F. Kehr, Italia Pontificia, vol. II, Berlino, 1906, p. 62.); a 1015: civitate de Corgnieto (vedi Calisse, Documenti del Monastero cit., XVII (1895), pp. 106-108; a. 1045-1046: castellum turris de corgnito qui civitas vocatur (Il Chronicon Farfense cit., vol. II, p. 125). 95 L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, (rist. anast.), Bologna, 1965, vol IV, coll. 401-402; Dasti, Notizie cit., doc. XXXII, pp. 443-445. 96 I. Giorgi, Il trattato di pace e d’alleanza del 1165-66 fra Roma e Genova. in «Archivio della Società Romana di storia patria», XXV (1902), p. 459 e 463-466.

Nel XIII secolo Corneto aveva un territorio che dal mar Tirreno si inoltrava verso l’interno, delimitato a nord dal fiume Arrone e dai castelli di Montebello, Montevalerio, Monteleone, Rocca Giorgio, Castelnuovo, a sud-est dai castelli di Tarquinia, Marinello, Centocelle, Sant’Arcangelo, Casagnele, Civitella, Rota, Montemonastero, Tolfavecchia, Tolfanuova e dal fiume Mignone98. Si legò sempre più a Roma, maggior acquirente della sua notevole produzione cerealicola, tanto è vero che nel 1221, i cornetani aiutarono i romani nella lotta contro i viterbesi, per la contesa del castello di Cencelle99, di notevole importanza per il controllo viario e del territorio. Nel 1245, la città si oppose anche all’assedio di Federico II, che scomunicato dal papa Innocenzo IV dopo il concilio di Lione, aveva invaso la provincia del Patrimonio in Tuscia; la resistenza e il rifiuto di sottomettersi all’imperatore costò comunque la morte di 44 ostaggi100. Anche Tuscania, in questo periodo, esercitò il proprio dominio su una zona vastissima comprendente ben undici castelli tra cui quelli di Cellere, Piansano, Canino, Tessennano, Ancarano, Acquabona, Cacarella e Montalto101. Per tutto il XIII secolo Tuscania fu coinvolta nella lotta tra i comuni e l’impero, disputa che culminerà nel 1245 con il ritorno al Papato e nel 1300 con la sottomissione della città al Campidoglio102. Nel 1301, approfittando del momentaneo periodo di difficoltà, il castello di Piansano si rese autonomo. Negli anni successivi a ribellarsi furono i castelli di Cellere, Canino e Musignano. L’intervento di Roma ristabilì il dominio tuscanese e tra i due comuni iniziò un periodo di collaborazione che durerà fino al 1329 anno in cui Tuscania tornò a far parte del Patrimonio di S. Pietro103. Nel XIV secolo Tuscania incominciò a diventare un centro economico di una certa importanza, il grano prodotto nel suo distretto veniva ammassato nei magazzini della dogana

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Supino, Corneto precomunale cit., pp. 141-142. Supino, La Margarita Cornetana cit., doc. 539, pp. 399-400. Dasti, Notizie cit., doc. XXXII, p. 303. 100 Ivi, pp. 304-309; Silvestrelli, Città cit., vol. II p. 9. 101 Giontella, Tuscania cit., pp. 66-72; F. Giannotti, Storia di Tuscania, Tuscania, 1969. 102 Giannotti, Storia di Tuscania cit., pp. 83-84. Nel 1300 i due senatori Riccado Annibaldi e Gentile Orsini dietro la richiesta di collaborazione da parte di Bonifacio VIII per reperire vettovagliamento in vista dell’arrivo dei pellegrini per il Giubileo, inviarono dei rappresentanti a Tuscania per chiedere del grano; la città rifiutò e i due senatori la attaccarono con il loro esercito conquistandola e togliendola al dominio della Chiesa, dichiarandola sottomessa al Campidoglio. Da quel momento in poi, Tuscania ricevette i suoi podestà dal Campidoglio che la obbligava inoltre ad inviare dei giocolieri a Carnevale, per le feste di Testaccio, e circa 2.500 quintali di grano ad ogni raccolto o 1000 libre di denari in caso di cattivo raccolto. 103 Giannotti, Storia di Tuscania cit., pp. 105-109. 98 99

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La provincia del Patrimonio e la Dogana dei Pascoli pontificia. Il grano, poi, trasportato al porto di Corneto, era inviato a Roma via mare. Accanto alle due attività principali, l’agricoltura e l’allevamento, si affiancò il commercio: gli artigiani che compaiono nei documenti notarili sono fabbri, calzolai, vasai. Da alcuni resti delle fornaci e dai reperti rinvenuti nei “butti” medievali tuscanesi, sembra che fossero presenti a Tuscania numerosi laboratori di ceramica e non sembra azzardato parlare di “ceramica tuscanese”104. Agli inizi del XV secolo, la situazione economica e sociale a Tuscania si fece preoccupante, l’economia ristagnava e le casse del comune erano quasi sempre vuote105. Mentre a Tuscania, si cercava di risolvere il problema economico, nel resto del territorio della Chiesa regnava l’anarchia. I papi erano sempre due: quello avignonese, Benedetto XIII e quello romano che dal 1406 era Gregorio XII106. Quest’ultimo si interessava più ai suoi problemi che al controllo dei territori dello Stato pontificio. In questi anni (marzo 1407), Tuscania fu saccheggiata proprio da colui che la doveva proteggere: Paolo Orsini, il capitano generale dell’esercito pontificio107. Con il vuoto di potere che causò la contemporanea elezione, dal 1409 al 1413, di tre papi, Tuscania era dominata da conquistatori e signori, passando di mano in mano a seconda del prevalere nella Tuscia di un esercito o una fazione papale. In occasione della conquista di re Ladislao delle terre del Patrimonio, nel 1413 il capitano di ventura Angelo Broglio da Lavello detto “Il Tartaglia”,108 decise di impossessarsi di Tuscania, allorché fu abbandonata da Paolo Orsini, quando gliene fu affidato il governo da Ladislao di ritorno a Napoli. Nel 1414 con la morte di Ladislao, Tartaglia ottenne dal neo papa Giovanni XXIII, con il quale si era schierato, il possesso ufficiale della città con il titolo di vicario, nonché di rettore del Patrimonio109. Il Tartaglia tenne la città per sette anni (dal 1414 al 1421), nel corso dei quali fece costruire un nuovo tratto di mura civiche a ridosso della sua residenza110. In questo periodo fu anche ristrutturata ed elevata la torre che porta ancora il nome di Torre di Lavello, sulla quale si trovano le insegne del Tartaglia111. Nel 1421 Tartaglia, accusato di tradimento verso la Chiesa, fu fatto decapitare da Martino V ad Aversa. Alla notizia della sua morte i cittadini di Tuscania presero le distanze dalla famiglia Tartaglia e rivendicarono beni e robe, fino a chiederne l’allontanamento dalla città al papa Martino V, il quale accolse la richiesta il 16 agosto 1422112. Dopo il 104

G. Mazza, La ceramica medioevale di Viterbo e dell’Alto Lazio, Viterbo, 1983, p. 16, 42, 47, 59, 67. 105 Giontella, Le riformanze di Tuscania, in Storie a confronto, le riformanze dei comuni della Tuscia alla metà del Quattrocento, Roma, 1995, p. 94. 106 C. Rendina, I papi, storia e segreti, Roma, 1996, pp. 454-460. 107 Giontella, Tuscania cit., p. 137. 108 Sulla vita del Tartaglia vedansi le relazioni di G. Giontella ed E. Staccini in Atti del convegno di studi sul condottiero Angelo da Lavello detto il Tartaglia”, in corso di stampa; A. Di Chicco, Tartaglia da Lavello, condottiero del primo Quattrocento, in «Tarsia», a. IV, n. 9, (1990), pp. 1516. 109 Staccini, relazione contenuta negli atti citati alla nota precedente. 110 D. Andrews, The walls of Tuscania: a study in medieval urban topofraphy and defence, in «Papers in Italian Archaeology» II, (BAR, Int. S.125), Oxford, 1982, pp. 164-165, 188, 215. 111 Per la torre vedi lo studio di D. Pringle, Medieval towers in Tuscania, in «Papers of the British School at Rome», XLII (1974), pp. 207-209. 112 Staccini, relazione cit.

Tartaglia si avvicendarono altri capitani di ventura113. Nel 1443 Tuscania tornò definitivamente alla Chiesa ed il papa, nel 1446, vi mandò Napoleone Orsini. Sul finire del secolo, nel 1495, con il saccheggio per opera dell’esercito francese di Carlo VIII, Tuscania inizia il suo definitivo declino che nei secoli successivi la vedrà rivestire un ruolo del tutto marginale nei principali avvenimenti che si succederanno nel suo territorio. Anche la città di Corneto, similmente a Tuscania, non si salvò dallo sperimentare l’istituto della signoria, seppure nei vari casi che si verificarono, ebbe sempre vita breve: nel 1328, Matteo Vitelleschi con un colpo di mano si impadronì del potere, ma venne presto ucciso114. Nel 1353, Corneto, unitamente a Toscanella, fu conquistata dal Prefetto Giovani di Vico, a causa dell’anarchia regnante in quel momento nella provincia del Patrimonio. Nel 1354 le due città furono ricondotte sotto la sovranità pontificia dalle truppe del cardinale legato Allbornoz, comandate da Giordano Orsini, rettore del Patrimonio di Tuscia. Il prefetto Giovanni di Vico prestò giuramento di obbedienza alla Chiesa e in cambio gli fu concesso di restare a Corneto come vicario papale115. Nel 1415 Corneto fu nuovamente assediata, questa volta dal capitano papale Tartaglia di Lavello, a causa dell’appoggio dato dalla città a Ladislao di Durazzo che era in lotta con il papa Giovanni XXIII; la città tornò sotto l’autorità pontificia lo stesso anno116. Nel 1435 papa Eugenio IV, per interessamento del cardinale Giovanni Vitelleschi,117 con bolla del 5 dicembre, erigeva Corneto al rango di civitas e di sede vescovile, separandola dalla sede episcopale di Toscanella alla quale era prima soggetta, e unendola con parità di grado alla sede vescovile di

113 Nicolò da Tolentino (1422), Paolo Colonna (1429), Francesco Sforza (1431), Giovanni da Crema (1434) (Giontella, Tuscania cit., p. 137). 114 Antonelli, Vicende della dominazione pontificia cit., in «Archivio della Società Romana di storia patria», XVI (1903), pp. 258-259, 262-263, 267; Dasti, Notizie cit., pp. 315-316. 115 Antonelli, Vicende della dominazione pontificia cit., in «Archivio della Società Romana di storia patria», XXVII (1904), pp. 109-112, 130-131, 134136, 140; C. Calisse, Costituzione del Patrimonio cit., in «Archivio della Società Romana di storia patria», XV (1892), pp. 48-49; Dasti, Notizie cit., pp. 318-319. 116 Supino, La Margarita Cornetana cit., doc. 530, 1415, gen. 1, pp. 393-395; Signorelli, Viterbo nella storia cit., vol. V, pp. 32-33; Dasti, Notizie cit., pp. 335-338. 117 I Vitelleschi, Fonti, realtà e mito cit. I successi militari del Cardinale Giovanni Vitelleschi portarono notevoli benefici al suo luogo di nascita, oltre all’elevazione di Corneto a civitas e sede episcopale fece ottenere la cittadinanza romana ai cornetani; il cardinale Vitelleschi promosse anche una serie di interventi incisivi sul tessuto urbano della città (costruzione del Palazzo Vitelleschi e della cattedrale) che sembravano voler preludere all’istituzione della signoria dei Vitelleschi; infatti, nello stesso periodo, il cardinale aveva assegnato ai nipoti le rocche di Civitavecchia e di Tolfa Nuova. L’agguato di Castel S. Angelo del 1440 interruppe il suo disegno politico di egemonia sulla città. Proseguì la sua linea il vescovo Bartoleomeo, erede del cardinale, ma che in seguito scelse la via di Gerusalemme e abbandonò ogni ambizione di potere. Nel seconda metà del XV secolo, la famiglia conservava ancora intatta la propria potenza, sia a livello politico che economico; i Vitelleschi oltre ad occupare sempre un ruolo primario in seno alla magistrature cornetane, (dal secondo registro delle riformanze che va dal settembre 1452 all’aprile 1455 sappiamo che su 17 gonfalonieri che entrano in carica, cinque sono Vitelleschi) diventarono anche i principali sostenitori della comunità nei momenti difficili. Infatti nel 1545, per porre rimedio ai debiti del comune di Corneto, Sante Vitelleschi acquistò dalla comunità le tenute di Anacarano e della Roccaccia per il prezzo di seimila scudi d’oro cum pacto retrovendendi, vale a dire a condizione di rivenderle al comune di Corneto dopo un certo periodo di tempo.

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Cultural Landscapes Montefiascone118. Tra la fine del XV secolo ed inizio del XVI, la città di Corneto, nonostante la presenza dell’ importante famiglia dei Vitelleschi119 che si adoperò per la salvaguardia degli interessi della città, si avviò verso il declino, causato in parte anche da due pestilenze che decimarono la popolazione e fecero crollare la sua fiorente economia.

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Signorelli, Viterbo nella storia cit., vol. V, pp. 81-82; Dasti, Notizie cit., p.344; Polidori, Croniche di Corneto cit., pp. 144-150 e 230-231. 119 Il canale preferenziale che i Vitelleschi utilizzarono per gli interessi di Corneto, fu il vescovo Bartolemo Vitelleschi. Presso di lui vennero ripetutamente inviati i suoi due fratelli Sante e Alessandro, affinchè Corneto potesse ottenere i finanziamenti da Roma per il rifacimento del ponte sul fiume Mignone e per la ristrutturazione delle mura cittadine. Che Corneto e i Vitelleschi abbiano avuto un simile protettore giovò molto alla città e soprattutto al loro prestigio famigliare; cfr. C. Canonici, I Vitelleschi nel panorama politico-amministrativo della Corneto quattrocentesca, in I Vitelleschi, Fonti, realtà e mito cit., p. 48.

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CAPITOLO III ALLEVAMENTO TRANSUMANTE E ALLEVAMENTO STANZIALE: ASPETTI DI UN CONFLITTO Abstract The history of conflict between two diferrent types of cattle breeding (nonmigratory and nomade) has been established by the use of many documentary sources. It begins from the Riformanze, i. e. acts of local public administrations where the major and his counselors decide about lands. There are many differences in choosing place to do ‘bandite’ (reserves of grasslands). The reconstruction is supported by mails of general responsibles known to these pontifical appointments. Keywords History, Middle Age, cattle breeding, reserves of grasslands III.1 Le Riformanze: fonti per la storia dell’allevamento Gran parte del presente lavoro è stata portata avanti attraverso lo studio delle riformanze conservata negli archivi storici di Tuscania e Tarquinia che forniscono dati e informazioni di grande interesse per quanto riguarda i rapporti fra le comunità e la Camera apostolica relativamente al problema dei pascoli. Le riformanze sono il prodotto dell’attività deliberante e di autogoverno di un comune e vedono la loro genesi con la maggiore articolazione sociale della vita cittadina verso la metà del XIII secolo. Una panoramica degli argomenti trattati da questi atti consigliari ci è data dall’incipit che il cancelliere Ursinus Almadianus de Viterbo redige nel registro delle riformanze di Corneto relative all’anno 14521: «Hic est liber reformationum civitatis Corneti continens in se omnes et singulas reformationes, consilia, decreta, deliberationes, provisiones factas tam per officium magnificorum dominorum officialium quam consilia segreta et generalia eiusdem civitatis, ac etiam commissiones bannorum ipsorumque relationes, locationes et venditiones gabellarum. Continens insuper litteras dictis officialibus transmissas et quamplures alias varias et diversas scipturas pertinentes et spectantes ad cancellariam civitatis Corneti». Questi registri sono dunque un grande contenitore di notizie, offrono elementi di conoscenza sia per quanto riguarda la vita politica sia per un studio delle questioni relative all’economia, alla società ed alla cultura. Purtroppo la storiografia municipale italiana, che ha avuto certamente in considerazione i verbali dei consigli cittadini (reformationes reformantiae - consilia), al momento di procedere ad uno studio più accurato e all’edizione delle fonti ha preferito, come oggetto di maggiore interesse, i codici diplomatici, gli statuti, i protocolli notarili. Ancora oggi sono queste tipologie che dominano nel campo delle edizioni delle fonti come fa notare Paolo Cammarosano 1 Rif. Corneto, 1452, c.1r. Si veda anche C. Canonici, Le Riformanze di Corneto, in Storie a confronto. Le riformanze dei comuni della Tuscia alla metà del Quattrocento, Roma, 1995, p. 67, il quale riporta che «nella forma con cui si presenta, l’incipit si può anche configurare come una delle varie formule di sottoscrizione a cui si riconosceva il valore di autenticazione di un registro di riformanze; formule che, nella forma più completa com’è nel nostro caso, riportavano, oltre ai riferimenti al contenuto del registro, alla annotazione delle autorità cittadine e politiche, anche la vera e propria subscriptio notarile».

«clamorosa è poi la disattenzione degli eruditi moderni per queste fonti. Molto giustamente l’editore di uno dei pochi frammenti superstiti delle reformationes di Perugia del Duecento segnalando come un ignoto archivista trecentesco avesse definito “quasi inutilis” il registro, annotava: “a guardar bene, dopo molti secoli, il giudizio non è cambiato […]”»2. Questa disattenzione è purtroppo comprovata dal divario che esiste tra le limitate edizioni relative alle riformanze e quelle relative agli statuti ed altre fonti3. Forse questo limitato interesse è dovuto al carattere un po’ disordinato degli atti consigliari che comprendono sia atti di natura legislativa, con riforme anche di norme statutarie, sia provvedimenti di ordinaria amministrazione. Ma è proprio per questa promiscuità di momenti diversi che le riformanze sono una fonte di grande importanza per la conoscenza della storia politica, economica, culturale e sociale di una determinata comunità. Il vero problema è che per incuria o distruzione degli archivi i registri più antichi sono andati distrutti ed è solo con l’età moderna che disponiamo di serie continue. Comunque, anche il poco che ci rimane offre una mole di notizie importanti che possono soddisfare le ricerche in campi specifici della storia urbana: si trovano spesso annotati su questi registri i provvedimenti presi per la costruzione di opere pubbliche, costruzioni di strade, acquedotti, palazzi, ponti, mura; sono notizie che consentono, tra l’altro, di stabilire con esattezza la datazione degli edifici ed altre infrastrutture delle città. I registri delle riformanze della città dominante possono illustrare i rapporti esistenti tra questa e le comunità rurali ad essa soggetta; informare su iniziative di popolamento promosse dalle autorità cittadine nel contado, oppure su richieste di sgravi fiscali, utili per cercare di capire le cause del calo demografico e impoverimento di un determinato 2 P. Cammarosano, Italia Medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, 1991, p. 161. Cammarosano afferma che si manifesta ancora la tradizionale predilezione per le formulazioni chiuse e giuridicamente compiute, quali i diplomi da un lato, gli statuti e le consuetudini dall’altro, rispetto ai testi che riflettono l’andamento della vita politica e sociale, e che in parte sono matrici di quelle stesse produzioni legislative. 3 M. Miglio, le riformanze e la memoria comunale, in Storie a confronto cit., p. 1-2. Miglio riporta che l’unico testo complessivo disponibile sulle riformanze è ancora quello di P. Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale, Mondovì, 1915, la cui prima parte era stata pubblicata nel 1911. C’è però da dire che gli studi del Torelli limitano le indagini al periodo podestarile dei comuni interni dell’Italia settentrionale. Tra le altre edizioni di questo tipo di fonti, Miglio cita quelle delle Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, edite dal Cessi tra il 1931 ed il 1950, nella Serie terza degli Atti delle assemblee costituzionali italiane dal Medioevo al 1831, editi dall’Accademia dei Lincei; le Deliberazioni miste del Consiglio dei Dieci, edite a cura di F. Zago nelle Fonti per la storia di Venezia, sez. I, Archivi pubblici (Venezia, 1962-1968); Le «Consulte» e «Pratiche» della Repubblica Fiorentina nel Quattrocento, edite in un primo volume da Elio Conti nel 1981, accolte quindi nelle Fonti per la Storia d’Italia dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo; Alcuni volumi degli Acta Italica della Fondazione italiana per la storia amministrativa voll. 1-17 pubblicati a Milano, 1962-1969. Tra le edizioni singole: Le Reformationes Communis Perusii quae extant anni MCCLII, a cura di U. Nicolini, Perugia 1986; Le Riformanze del Comune diOrte, I, 1449-1458, a cura di G. Giontella, Orte, 1990; come dice Miglio: «A ben riflettere un panorama non sconsolante, sicuramente insufficiente rispetto al materiale disponibile, ma che rivela ancora del tutto aperti ampi settori d’investigazione, soprattutto nell’analisi della tipologia della fonte».

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Cultural Landscapes territorio4. Gli atti consiliari si possono inoltre utilizzare per lo studio dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame e, nel caso di riformanze emanate da un comune soggetto alla Chiesa, per l’analisi dei i rapporti con l’autorità centrale e le relative imposizioni fiscali. Nello studio di questi atti occorre tener nella debita considerazione la loro natura mediata, scaturita appunto dalla posizione politica del consiglio cittadino, dal lavoro del cancelliere comunale e in parte anche dal campanilismo cittadino. Tuttavia, nonostante questi limiti, si può dire che questa mediazione penalizzi solo in minima parte la conoscenza che un tale tipo di fonti può darci del vissuto quotidiano delle comunità medioevali. C’è comunque da tener presente che le riformanze sono emanate da consigli composti da persone che avevano una propria visione politica e di parte, e venivano poi redatte dal cancelliere comunale, che trascriveva in lingua latina le discussioni e decisioni che all’interno della seduta consigliare si svolgevano in lingua volgare; pertanto, proprio in questa sua opera di trascrizione e traduzione il cancelliere volontariamente o inavvertitamente poteva tralasciare alcune parti importanti relative a determinate decisioni; d’altra parte, occorre considerare che anche lui aveva una propria visione politica e non veniva certamente incaricato del suo ufficio dalle classi sociali meno abbienti e tanto meno da persone che non erano in sintonia con l’autorità centrale. Si è parlato finora di riformanze dei consigli cittadini, ma attraverso gli archivi ci sono giunte le diverse serie di carte, con i processi verbali delle discussioni o con le semplici registrazioni delle deliberazioni, di altri organismi deliberanti: consigli del podestà, del capitano del popolo, di sapientes nominati su determinati questioni. Ai registri delle riformanze si possono trovare accluse petizioni, minute di istruzioni per gli ambasciatori, lettere a personaggi importanti e altri testi che dovevano essere comunque sottoposti all’approvazione del consiglio; ed è proprio questa ricchezza di articolazione che dovrebbe portare ad accrescere l’attenzione per questo tipo di documenti rispetto al limitato interesse che si è riservato ad essi sino ad oggi5. 4

Cammarosano, Italia Medievale. cit., p. 165. Cammarosano cita come esempio una petizione del 1463 presentata dalla comunità di Montelaterone sul Monte Amiata, registrata nelle riformanze del consiglio generale di Siena, con la quale si lamenta «le molte et intollerabili gravezze et spese che si truovano et infinitissimi debiti et grandi in comune et in particularità [.] et soleano essere homni 400 o più, exercitati et bene aviati, che d’artefici v’erano 300 o più et maxime di calzolari, che fornivano tucta quella Montagna, et governavansi ancora in sul vino, perchè le loro vigne erano fertili et abondanti. Havieno di gravezza da le Vostre Signorie F(iorini) 100 in tucto, el sale a s(oldi) 30 lo staio, et ogi lo levano a L.(ire) 4, né havieno gravezza di cabella di mosto. Hora sono ridotti al numero di Huomini 120 o meno et pagano di gravezza l’anno più di F. 300, cioè per tasse ordinarie L. cento, per tassagione di pane, vino et carne L. 65, agli offitiali vostri [podestà e vicario] L. 524, per censo a la vostra Chiesa Cathedrale L. 100, a l’Abate di Montagnia L. cento; et simile L. 300 o più pagano in ricevere offitiali, cabellieri di mosto et altri cittadini et maxime quelli che vengono a rischuotare: campaio, ambasciadori, loro offitiali et messi [.]». 5 Per una trattazione sulle lettere a personaggi importanti, petizioni, e istruzioni per gli ambasciatori accluse alle riformanze si veda G. Lombardi, in I rapporti con Roma e con il governatore, in Storie a confronto cit., pp. 139-185.

Entrando più nello specifico, attraverso i vari momenti della seduta consigliare (“propositio” di uno o più “capitola” all’ordine del giorno, discussione con i diversi consilia espressi dai componenti del consiglio comunale, votazione e, in caso di approvazione, redazione della delibera o “Reformationes”) riusciamo ad avere un panorama quasi completo di tutti i problemi che assillavano un determinato comune. Nell’ambito dello Stato pontificio riusciamo a comprendere quali erano i rapporti di queste città con la Chiesa, gli interessi del pontefice in carica e dei suoi rappresentanti (il rettore del Patrimonio) diretti al mantenimento della pace e del buon governo al fine di un migliore controllo del popolo e degli organismi amministrativi del comune. Dell’interesse del papa di procedere alla riparazione delle mura cittadine soggette, delle fortezze, di rocche e di ponti per il controllo e difesa del territorio, possiamo trovare un esempio nel finanziamento concesso da Niccolò V alla comunità di Corneto per la ristrutturazione del ponte sul fiume “Mignone”6, nella concessione di 500 ducati d’oro che il Papa ha promesso alla comunità di Tuscania per i lavori di restauro della chiesa di S. Pietro e della cinta muraria7. Come hanno messo in luce gli interventi tenuti nel Convegno di Orte del 16-17 ottobre 1993 che ha assunto come tema le Riformanze dei comuni della Tuscia, attraverso questi documenti si può avere una visione completa di quelli che erano i rapporti delle comunità con il rettore della provincia del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia inerenti a problemi di carattere militare, civile e amministrativo, con nomine di ufficiali e interventi legislativi. Rapporti che non furono sempre positivi, come scrive 6 Le vicende sono ricostruite da Canonici, Le riformanze di Corneto, in Storie a confronto cit., p. 78; Rif. Corneto, 1453, cc. 59v e 76v.; la comunità di Corneto, dovendo realizzare riparazioni urgenti alle mura cittadine e al ponte sul fiume Mignone, in mancanza di fondi nella cassa comunale chiede dei finanziamenti al papa, facendo presente la non brillante situazione finanziaria del comune: «Communitas Corneti propter defectum introitus communitatis in presentiarium impotens est» (Rif. Corneto, 1452, c. 7v.). Il papa comunica che è disposto ad intervenire con un finanziamento di «ducatos centum auri pro reparatione pontis Mineonis e pro reparatione dictorum murorum ducatos centum» (Rif. Corneto, 1453 c. 76v), ma a patto che la comunità di Corneto intervenga sugli stessi lavori con altri 300 ducati. C’è da dire che il ponte sul fiume Mignone, oltre ad essere di vitale importanza per il commercio cittadino, aveva anche una grande importanza strategica-militare per il collegamento della via Aurelia con Roma; questo era ben presente a Niccolò V e il desiderio di vederlo riparato è testimoniato dal suo famigliare Nello da Bologna in occasione di una visita a Corneto, il quale, tra l’altro, rimprovera anche la lentezza degli esecutori, come risulta dalla lettera riportata da Lombardi, in I rapporti con Roma e con il governatore, in Storie a confronto, cit, p. 171: «più lettere et a boccha ò detto alla M.V. che si faccia fare quello ponte. Parmi, secundo sento, che niuna provisione sin ci faccia. N.S. per omne modo vuole si faccia [...] Et maravigliome grandemente come per utilità et honore della terra vostra aspectiate che se facciane tante parole che lo deveriate fare da vui medesimi. Et cossì vi prego facciate» (Rif. Corneto, 1453 c. 49). Dalla relazione dell’ambasciatore Angelo Vitelleschi, registrata il 31 marzo 1453 nelle riformanze di Corneto alla c. 78r., sappiamo che il papa Niccolò V, con un suo breve, ordina al tesoriere del Patrimonio che paghi alla comunità, dai soldi del sussidio, cento ducati per la riparazione del ponte sul fiume Mignone; mentre per la riparazione delle mura, il papa vuole che prima il comune paghi tutta la spesa, poi contribuirà con cento ducati d’oro. 7 Giontella, Le riformanze di Tuscania, in Storie a confronto cit., p. 92; Rif. Tuscania, 1452, cc. 166v. e 170v.

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Aspetti di un conflitto Lombardi8, indicando un elenco redatto da Niccolò della Tuccia verso il 1469, dove compaiono i nomi di tutti i cattivi rettori del Patrimonio e della città «che per lor demeriti son partiti dal reggimento con vergogna, nel tempo della mia vita»9; Lombardi cita anche un’altra testimonianza, quella di Battista Lunense che in una nota marginale alla sua copia autografa delle Vite di Svetonio (1460), commentando la vita di Domiziano, scriveva: «hodie autem et rapacissimi et iniustissimi sunt provinciarum et civitatum presides prolapsique in omnes flagitorum licentiam aeris excutiendi gratia, et hoc maxime ex negligentia principum»10. Ritroviamo la corrispondenza relativa agli spostamenti, le missioni degli ambasciatori, le visite di personaggi importanti, l’arrivo di imperatori a Roma con le richieste della Chiesa alle comunità che si trovavano sulle vie di passaggio di riceverli in modo convenevole e di inviare a Roma soldi o prodotti vari (grano, orzo e biade). Si può ricordare come esempio, l’arrivo di Federico III in viaggio verso Roma per esservi incoronato imperatore nel marzo del 1452; nella documentazione contenuta nelle riformanze pervenuteci sono annotate le richieste del papa trasmesse dal governatore alle città. Al comune di Tuscania, con un breve pontificio del 2 febbraio 1452, viene richiesto di partecipare all’importante evento inviando ambasciatori11. Ad Orte, il governatore Vanesio Albergati, con una lettera datata 5 febbraio 1452, non richiede ambasciatori ma l’invio di 30 ducati, similmente a quanto richiesto ad altri comuni,12 (il papa aveva chiesto al governatore di raccogliere offerte per la venuta di Federico III a Roma). A Tuscania, invece, con lettera registrata nelle riformanze il 5 febbraio 1452, il governatore chiede 40 some di orzo e 60 paia di polli e capponi13. 8

Lombardi, I rapporti con Roma cit., p.147. Cronaca della città di Viterbo, in I. Ciampi, Cronache e statuti della città di Viterbo, (Documenti della storia italiana a cura della R. Deputazione degli studi di storia patria per la Toscana e per l’Umbria, 5), Firenze, 1872 (rist. anast. Sala Bolognese, 1972), p. 95. 10 Lombardi, I rapporti con Roma cit., p.148; il brano è tratto dal Lat. 5806, f. 173r., Paris Bibliothèque Nationale. Per quanto riguarda il termine praeses, Lombardi riporta che indica umanisticamente, il rettore del Patrimonio. Su Battista Lunense si veda M. Miglio, Cultura umanistica a Viterbo nella seconda metà del Quattrocento, in Cultura Umanistica a Viterbo. Atti della giornata di studio per il V centenario della stampa a Viterbo (Viterbo, 12 novembre 1988), a cura di G. Lombardi, T. Sampieri, Viterbo, 1991, pp. 1146. Non esistono per il Quattrocento prospetti prosopografici dei governatori o di altri ufficiali del Patrimonio, cariche rivestite sempre da personaggi illustri che testimoniavano le scelte politiche dei pontefici. 11 Lombardi, I rapporti con Roma cit., p.150; Rif. Tuscania, 1452, c. 169r. breve del 2 marzo 1452 (Roma), registrato il 6. 12 Lombardi, I rapporti con Roma cit., p. 151; Rif. Orte, 1452, c. 54v. 13 Ibidem; Rif. Tuscania, 1452, c. 169v. La lettera spedita da Viterbo il 5 febbraio 1452 , registrata il 6, e trascritta dal Lombardi è la seguente: Egregii ac prudentes viri amici carissimi. Salutem. Hora semo tornati da Roma, dive havemo havuta commine da nostro S. a provedere per la passata de lo Imperatore, la quale intende sia cum suo Honore quanto sia possibile. Il che siando vuy devotissimi de Sancta Chiesia, et fideli de la S.tà sua, dovete cum bonissimo animo et liberamente dare aiuto al nostro S. ad questo facto, come facino etiandio l’altre terre del Patrimonio. Unde per parte de la S.tà sua vi confortiamo vogliati mandare fra lo termino de quarto over cinque dì qui a Viterbo some XL d’orzo, et para LX de caponi et pulli, in la qual cossa fareti vestro debito, et compiacciete grandemente ad nostro S. et ad nuy, et de quanto mandarete se ne farà mentione et refferirassi al nostro S. ut erga suam S.tem appara la fede vostra cum effecto. Vogliati in questa picola cossa rendervi grati ad nostro S. di che anche nuy ve ne saremo ubligati, et extendendossi la facultà vostra più oltra, quanto più fareti, tanto serà più 9

Ma soprattutto le riformanze sono documenti di notevole importanza per la ricostruzione di quella che era la vita economica e sociale, nonché dei vari contrasti che esistevano tra le classi sociali. Da una lettura attenta di questi registri emergono le principali preoccupazioni delle amministrazioni per evitare contrasti tra i vari gruppi e corporazioni, e l’impegno profuso per poter giungere ad una soluzione che accontentasse tutti. Così si verifica a Tuscania, quando i rettori della Corporazione dei bovattieri e lavoratori agricoli, in una seduta consigliare, presentano una petizione con la quale si lamentano della grave crisi economica causata dalla carenza di pascolo e dalla quantità di pecore e vacche che consumano la scarsa erba della bandita a discapito dei buoi da lavoro, che secondo i lavoratori agricoli sono la vera economia della cittadina14; se si dovesse cessare tale attività, molti cittadini sarebbero costretti a lasciare la città per trovare lavoro altrove. Il Consiglio, per placare gli animi trova una soluzione approvando degli ordinamenti che vietano l’accesso della bandita al bestiame brado dal primo di settembre fine al mese di maggio15. In egual modo, a Corneto vengono prese delle misure per confinare le pecore che sono causa di danni alle colture, al di là del fiume Mignone16 ma questo provvedimento, se accontenta la maggioranza, comporta le proteste di quanti lavorano e possiedono le terre in quella località, i quali fanno presente al consiglio che quella decisione causa loro «grandissima destructione et danno [...] ciò è che le pecore tutte si siano levate dalle spalle di tucto el resto della communità et siano recurse a mangiarsi l’ossa di spitial persone, che pur parte dessa comunità fanno [...]»; la supplica continua facendo presente che, in fin dei conti, l’allevamento degli ovini riguarda un piccolo numero di pastori, ed è di poca utilità per la comunità, mentre se il terreno venisse lavorato, il comune incasserebbe dai terratici un utile maggiore: «[...] perchè dello laureccio che si fa et fariesi magiure di la da Mignone non essendo impedito dalle pecore ne vene grandissimo utile al detto communo [...] et così ne verria la communità ad consequire questo utile di terratici che seria grandissimo, tale che per essi terratici si porria supplire alli bisogni che tucto dì occorrono al communo». Troviamo tra le riformanze di Tuscania la redazione di veri e propri regolamenti per l’utilizzo delle bandite, con una descrizione particolareggiata dei confini che le delimitano, il bestiame che poteva venire immesso, le deroghe a persone povere e le numerose pene previste per i trasgressori17.

grate a nostro S. Valete. Ex Viterbio quinto februarii 1452. V. de Albergatis prothonotarius Patrimonii etc. Gubernator. 14 G. Giontella, Le riformanze di Tuscania, in Storie a confronto cit., p.95; Rif Tuscania, 1452, c. 187v. A rendere più difficoltoso il problema del pascolo per i tuscanesi vi era anche il fatto che quasi tutto il territorio di Tuscania si trovava incluso entro i confini della Dogana dei pascoli del Patrimonio, per cui restava poco a disposizione dell’allevamento stanziale. 15 Rif. Tuscania , 1452, cc. 189v-190r. 16 I fatti sono ricostruiti da A. Lanconelli, Il “tranquillo e pacifico” stato cit., p.197. Il provvedimento di confinare le pecore nell’area compresa tra il ponte sul Marta e quello sul Mignone, escluse le bandite di Cucumelleti, Pisciarello e Butinale, adottato dal consiglio generale è registrato nelle Rif. Corneto, 1453, c. 81r.; mentre la supplica dei proprietari delle terre arative del fiume Mignone contro l’assegnazione delle terre alle pecore è registrata nelle Rif. Corneto, 1453, c. 83rv. 17 Rif. Tuscania, 1452, cc. 216 r-219v.

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Cultural Landscapes Sempre rimanendo nell’ambito dell’attività agricola e del pascolo, importanti sono i rapporti con il doganiere della Dogana dei pascoli della provincia del Patrimonio, non sempre rosei, in quanto i cittadini di Tuscania pretendono ed ottengono delle riduzioni sul pagamento delle tasse previste perchè i pascoli della cittadina sono quasi completamente inclusi all’interno del territorio gestito dalla dogana. Dalla lettura delle riformanze si può constatare con quale assiduità il comune svolgesse un controllo sui prodotti destinati all’alimentazione, con il frequente assectamentum carnium e assectamentum piscium, per stabilire i prezzi di vendita di carne e pesci; sui prodotti posti in vendita vi era un severo controllo, ad esempio, ad Orte era proibito ai macellai di esporre sullo stesso banco carni di diversa qualità e pregio al fine di evitare frodi ai danni dei consumatori18. A Corneto, addirittura, venivano nominati due revisores carnium con l’incarico di controllare la qualità delle carni poste in vendita; i revisores, potevano disporre di far bruciare le carni che secondo la loro competenza non era più idonee al consumo19. Attraverso le riformanze, inoltre, veniamo a conoscenza del controllo sul funzionamento dei macelli con l’emanazione di capitula et ordinamenta macellariorum molto dettagliati20. Sembra poi, di rivivere con gli amministratori la preoccupazione di poter garantire la presenza di mano d’opera nei momenti importanti del calendario agricolo, specialmente nei lavori della mietitura dei cereali, quando si arrivava perfino a concedere la cittadinanza e l’esenzione dal pagamento di alcune gabelle ai lavoratori giunti da fuori21. Inoltre, cosa non da poco, si viene a conoscenza di problemi di natura sociale, quali potevano essere gli ordinamenti suntuari emanati a Tuscania nella Quaresima del 1452, relativi soprattutto al lusso dell’abbigliamento femminile e ornamenti superflui, che ci permettono, tra l’altro, di approfondire la conoscenza sulla moda femminile dell’epoca22. 18

A. Modigliani, La vita economica cittadina, in Storie a confronto cit., pp. 131-132; Rif. Orte, 1452, p. 125. 19 Ibidem; Rif. Corneto, 1453, c. 149v. 20 Ibidem; Rif. Tuscania, cc. 177r.-179v., La Modigliani riporta che i capitula et ordinamenta macellarorium, emanati dal gonfaloniere ed anziani di Tuscania il 15 marzo 1452 (cc. 177r.-179v.) articolati in 32 punti, erano molto dettagliati; ma proprio per questa loro puntigliosità, accadde che nessuno dei macellai presenti a Tuscania si volle impegnare a proseguire l’attività secondo i nuovi capitoli; soprattutto perchè questi, nella parte relativa alle pene da pagare in caso di trasgressione, prevedevano che la terza parte dovesse essere versata alla Camera Apostolica, con la quale loro invece non volevano avere alcun rapporto. Soltanto il 21 marzo tre gruppi di nuovi macellai si offrirono di aprire tre banchi con grande soddisfazione degli ufficiali comunali che, nell’imminenza della Pasqua, erano fortemente preoccupati per i problemi che sarebbero scaturiti dalla mancanza di macelli aperti ai consumatori. 21 Modigliani, La vita economica cit., p. 134. Condizioni particolarmente favorevoli, per favorire l’immigrazione, erano riservate agli artigiani della lana, in quanto svolgevano un’attività redditizia per la comunità e soprattutto perchè la Tuscia era ricca di materia prima per l’abbondanza dei pascoli. 22 Giontella, Le riformanze di Tuscania, in Storie a confronto cit., pp. 99102; Rif. Tuscania, 1453, c. 250r. Giontella ricostruisce i fatti avvenuti durante la Quaresima del 1453, quando a Tuscania è presente, in veste di predicatore, fra’ Bartolomeo dell’Ordine dei Frati Minori. Quest’ultimo, dopo essersi scagliato contro la bestemmia, prendendosela con gli ufficiali comunali che non applicano le pene previste, se la prende con il lusso dell’abbigliamento femminile. Nella seduta consigliare del 4 marzo, fra’ Bartolomeo, oltre a far approvare la proposta di applicare in maniera più

Siamo in grado di ricostruire, attraverso le riformanze, i momenti di folclore locale: le fiere di merci e bestiame, i festeggiamenti per le ricorrenze dei Santi patroni con i loro giochi e gare23; l’invio di giocolieri che i comuni soggetti alla supremazia militare di Roma dovevano effettuare durante le feste di Testaccio, per ottemperare alla richiesta dei magistrati romani24. Possiamo inoltre ricostruire il sistema fiscale, con le varie gabelle e imposizioni alle quali i Comuni dello Stato della Chiesa erano sottoposti da parte della Camera apostolica, come ad esempio l’imposta del sussidio, quella del sale e le imposizioni straordinarie legate a determinate esigenze25. Oltre ai settori economici, politici e sociali, sopra esposti, sono ancora molteplici i campi che possono essere indagati attraverso uno studio attento delle riformanze. C’è solo da augurasi che queste importanti fonti vengano sempre più prese nella debita considerazione da parte dei ricercatori storici. Si potrebbero condurre degli studi specifici per singoli settori, ricompresi a loro volta nelle categorie maggiori della sollecita le multe previste contro chi bestemmia, ottiene l’approvazione di severe sanzioni contro l’abbigliamento femminile e gli ornamenti superflui. Viene nominata una commissione di otto cittadini che emanano gli ordinamenti suntuari in 25 capitoli (Rif. Tuscania, 1453, c. 249v). Nei primi sedici capitoli sono descritte le fogge degli abiti e dei copricapi femminili consentiti, con le relative dimensioni e valore; sono proibiti i ricami d’oro e d’argento le stoffe pregiate. Il capitolo 17 prevede la pena per i padri o parenti che spendono in abbigliamento più della terza parte della dote della ragazza, mentre il capitolo 18 stabilisce la multa per le donne che non rispettano gli ordinamenti suntuari, il capitolo 19 esclude dalle disposizioni le mogli dei personaggi in vista (medici, avvocati, cavalieri, dottori). Il capitolo 21 tratta delle frodi, da parte dei genitori o fratelli, sulla dote stabilita per la ragazza prossima alle nozze. Interessanti sono i capitoli 22-24 che pongono dei limiti alle spese relative al pranzo di nozze; lo sposo poteva scegliere di far preparare o il pranzo o la cena, ma solamente per 33 invitati e dovevano essere servite soltanto vivande lesse o arrostite. 23 Si vedano: Modigliani, La vita economica cit., p. 133; Giontella, Le riformanze di Tuscania, in Storie a confronto cit., pp. 106-107. 24 Miglio, Ad honorem et gloriam, in Storie a confronto cit., p. 203; Miglio riporta che il mancato invio dei giocolieri a Roma era multato con 1500 ducati. Ai giocolieri del Comune di Orte da inviare a Roma, i consiglieri raccomandavano, per una questione di prestigio e di onore, «di bene et diligenter facere dictum ludum et omnia facere et dicere que et ad que tenetur secundum antiquate consuetudines»; ma a ben vedere questo non era sufficiente, infatti nella lettera che i giocolieri riportano a Orte da Roma vi è espresso un giudizio alquanto negativo: «Remiro, portatore de questa, se è presentato denante da noi con tre compagni, come avete soluto fare li anni passati. Confortamove che per lo advenire ve piaccia mandarli meglio in ordine, perchè li avremo più cari e riceveremoli con più honore». Negli anni successivi, a causa della situazione economica non tanto florida, i consiglieri del comune di Orte, per adempiere all’obbligo di cui sopra e per reperire gli abiti per i giocolieri da inviare a Roma sono addirittura costretti a contrarre un prestito con il maestro Salomone. Per gli episodi riportati si veda anche. Giontella, Le Riformanze del comune di Orte, I, 1449-1458, Orte, 1990, pp. 92-94, 120, 41,44, 118. 25 Al riguardo si veda A. Cortonesi, Sulle finanze del comune di Orte, in Storie a confronto cit., pp. 239-240; Alla metà del XV secolo le comunità appartenenti alla provincia pontificia del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, versavano alla Camera Apostolica l’imposta del sussidio e quella del sale, oltre a quelle straordinarie. Cortonesi riporta che nell’imposta del subsidium, furono sicuramente riunite, a partire dal XV secolo, le tre tasse che precedentemente gravavano sulle comunità della provincia del Patrimonio: il focatico, la tallia militum e la procuratio. L’imposta del subsidium era divisa in tre parti da versare solitamente ogni quadrimestre. Il pagamento delle imposte era un peso molto gravoso per le comunità della Tuscia; nel caso di Corneto, il governatore per costringere il comune a pagare la grossa somma di 480 ducati, non esita, nell’inverno del 1454, a trattenere alcuni cittadini corrnetani a Viterbo compreso lo stesso ambasciatore (Rif. Corneto, 1454, cc. 180r-186r, 191rv.).

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Aspetti di un conflitto politica, dell’ economia e della società. Questo, certamente, porterebbe ad una migliore conoscenza della vita quotidiana delle varie comunità durante il periodo bassomedievale, con tutti i loro problemi e preoccupazioni di varia natura, anche se, come già detto in precedenza, occorre tenere nella debita considerazione la natura mediata delle riformanze. III.2 Tuscania e i suoi rapporti con la dogana Come già accennato nella premessa, quasi tutto il territorio di Tuscania era incluso entro i confini della dogana dei pascoli del Patrimonio. Questo stato di fatto era motivo di continui problemi: scontri tra allevatori e agricoltori per lo sfruttamento dei pochi spazi e delle bandite che rimanevano a disposizione del bestiame stanziale; rapporti tesi con il doganiere dei pascoli, al quale, insensibile alle esigenze della comunità, interessavano soltanto le entrate per la Camera apostolica. Tutto questo è attestato da una considerevole documentazione costituita da riformanze, bandi dei doganieri, corrispondenza con funzionari della Camera Apostolica, petizioni di agricoltori e regolamenti per le bandite. Diversa è la situazione di Corneto: il suo territorio non era incluso nei territori della dogana dei pascoli26, disponeva di numerose bandite e il problema di reperire il pascolo per l’allevamento del bestiame era meno sentito, conseguentemente Corneto, rispetto a Tuscania, non ha una documentazione relativa ai rapporti con i doganieri dei pascoli; tuttavia, nei registri delle riformanze sono presenti dei documenti che interessano il settore allevatizio: petizioni di agricoltori contro i pastori, regolamenti per il pascolo delle pecore, provvedimenti contro le trasgressioni degli allevatori e per la salvaguardia delle vigne dai danni degli animali, bandi della Camera apostolica inerenti il divieto di transito sui pascoli della dogana. Nella 2ª metà del XV, Tuscania aveva perso tutti i castelli su cui esercitava il proprio dominio (Canino, Cellere, Musignano, Montalto, Tessennano, Ancarano). In questo periodo, dalla lettura delle riformanze, Tuscania si presentava come un paese i cui abitanti conducevano una vita quotidiana dura e con un’amministrazione comunale che faticava a far pareggiare i conti. La maggior parte degli abitanti era rappresentata da braccianti occasionali, contadini, allevatori, piccoli commercianti ed artigiani27. Le classi sociali in cui era divisa la città erano tre: maiores (o digniores), mediocres e minores,28 tutte le classi, erano in ogni modo rappresentate nelle varie decisioni da prendere nel campo dell’attività amministrativa, e gli eletti di ogni terziere venivano scelti tra le tre classi sociali. Tra i cittadini, quelli che incontravano più difficoltà nel loro lavoro, erano senza dubbio gli allevatori e gli agricoltori, 26 Eugenio IV con breve del 31 ottobre 1446, confermava il divieto per i doganieri di introdurre bestiame nel territorio cornetano: «Cupientes dilectos filios comunitatem civitatis nostre Corneti in sui consuetudinibus conservari volumus et nobis mandamus quod nulla animalia Doane presenti anno aut futuris in territorio dicte civitatis poni faciatis nisi dumtax at pro anno ques quas Camera Apostolice habuit debonis confiscatis» (Archivio comunale di Tarquinia, Pergamene sciolte, n. 72). 27 Vedi Giontella, Le riformanze di Tuscania cit., p. 94. 28 Ivi, p. 95; Rif. Tuscania, cc. 216r; 252r; 266v.

spesso in conflitto tra loro, e riuniti nella corporazione dei bovattieri e lavoratori. L’arte dei bovattieri comprendeva bovari, pecorai, caprai ed armentari in generale. Quella dei lavoratori (laboratores) riuniva gli agricoltori, da non confondere con i lavoratori della terra (laboratores terrae) che non costituivano un’arte riconosciuta come le altre, ma erano dei semplici braccianti stagionali29. Essendo quasi tutto il territorio di Tuscania incluso entro i confini della “Dogana dei pascoli del Patrimonio”, il fabbisogno in erba per il bestiame era solo in parte soddisfatto dalla ristretta superficie delle bandite appositamente create. Già nel XIV secolo, i pascoli, amministrati allora dal tesoriere del Patrimonio, si estendevano su un territorio che coincideva grosso modo con la diocesi di Tuscania, con l’eccezione dei pascoli di Pereta a Ovest e di Centocelle e Orchia a Est. Nella prima metà del XIV secolo i pascoli de La Badia del Ponte, di Montalto e di Tuscania coprivano una superficie più grande di tutti gli altri pascoli riuniti e facevano entrare nelle casse della Camera apostolica, negli anni cinquanta e sessanta, un somma di circa 5.000 fiorini per ogni anno30. Quando poi non c’era il tesoriere del Patrimonio a gestire i pascoli, troviamo che questi venivano concessi dai papi, soprattutto sotto il pontificato di Martino V e Eugenio IV, ai condottieri per procurarsi i loro servizi armati. Il primo a beneficiare di queste concessioni territoriali sembra sia stato Angelo Broglio da Lavello detto il “Tartaglia”, che addirittura assunse la carica di rettore del Patrimonio della Chiesa durante il Concilio di Costanza e stabilì la sua residenza a Tuscania31. Tartaglia, ricevette, sotto forma di vicariato, numerosi castelli situati nelle diocesi di Castro, Montefiascone e Tuscania, conosciuti per l’estensione dei loro pascoli32. A loro volta, questi beneficiari, affittavano i pascoli alla Camera apostolica, dietro il pagamento di canoni molto elevati; è il caso di Ludovico Scarampi, che durante il periodo 1443-1450 per aver aiutato il papato contro Giovanni di Vico, ricevette delle ricche concessioni comprendenti i pascoli di Rispampani, Campo Maggiore (territorio di Tuscania), Monte Romano e Civitella, affittati poi dallo stesso ai doganieri della Camera apostolica33. Queste concessioni non facevano che aumentare enormemente le somme spese dai doganieri per procurarsi i pascoli necessari alla loro impresa. Ad ogni modo, che fossero venduti direttamente dalla Dogana dei pascoli della provincia del Patrimonio, o dati in beneficio dai papi ai condottieri per servigi ricevuti, i pascoli venivano comunque tolti dal territorio di cui disponevano le comunità soggette al dominio diretto della Chiesa, nel nostro 29 G. Giontella, Tuscania attraverso i secoli, Grotte di Castro, 1980, p. 66; Giontella, Le riformanze di Tuscania cit., p. 95. 30 I. Claude Maire Vigueur Les pâturages de l’Église et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV – XV siècles), Roma, 1981, p. 51. 31 Sulla vita del Tartaglia si vedano. le relazioni di G. Giontella e E. Staccini in Atti del convegno di studi sul condottiero Angelo da Lavello detto il Tartaglia, in corso di stampa, cit.; Di Chicco, Tartaglia da Lavello cit., pp. 15-16. 32 P. Partner, The Papal State under Martin V. The administration and government of the temporal power in The early fifteenth century, London, 1958, pp. 58-59. 33 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 70.

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Cultural Landscapes caso Tuscania. Prima di trattare i rapporti tra le comunità e i doganieri, occorre rilevare che fin dal XV secolo esistono due Costituzioni estremamente chiare sul monopolio dei pascoli riservato ai doganieri del Patrimonio. Una fu promulgata da Pio II nel 1461; questa imponeva in termini molto vigorosi, a qualsiasi proprietario di pascoli, infra limites dohane, di affittarli esclusivamente ai doganieri34. Per i trasgressori, che accoglievano il bestiame sulle loro terre contro le disposizioni della Costituzione, erano previste pene molto severe: «(...) quatenus sub interdicti in Communitates, et excommunicationis in particulares personas, necnon mille florenorum auri de Camera et perditionis infrascriptorum animalium apostolice Camere applicandorum, in quamlibet Communitatum, populorum, Universitatum, Collegiorum, Capitulorum, ac quemlibet Baronem, Comitem, dominum et quamcunque particularem personam ecclesiasticam vel secularem, (...) verum sub penis predictis teneantur et obligati sint ea omnia et singula pascua, tenutas, banditas et herbatica vendere et concedere dohanerio seu dohaneriis predictis pro tempore existentibus pro apostolica Camera, et in usum et utilitatem dohane predicte ementibus pro iustis er rationabilibus preciis». La seconda Costituzione, promulgata da Alessandro VI nel 1495, recepisce le disposizioni precedenti, ricorda che nessun proprietario di bestiame, né di pascoli, può pretendere di sfuggire alle regole della Dogana ed insiste sul monopolio di locazione dei pascoli in favore dei doganieri con l’obbligo per gli allevatori di pagare la fida35. Quelle sopra riportate non erano le uniche costituzioni pontificie relative ai pascoli della dogana; precedentemente a quella del 1495 di Alessandro VI erano state promulgate altre due: quella di Pio II del 23 ottobre 1461 e quella di Paolo II del 31 gennaio 146436, con le quali, per invogliare gli allevatori a scegliere i pascoli della dogana del Patrimonio, si vietava alle comunità e ai signori dello stato pontificio di elevare delle tasse di pedaggio per il bestiame transumante che transitava sui loro territori. Tornando a trattare della cittadina di Tuscania, o Toscanella come allora veniva chiamata, e dei suoi rapporti con i doganieri della Dogana dei pascoli della Provincia del Patrimonio nella 2ª metà del XV secolo, disponiamo della documentazione contenuta nel I registro delle riformanze del comune di Tuscania comprendente gli anni dal 1449 al 1456 e conservato presso l’archivio storico dello stesso comune. La maggior parte della documentazione è costituita da bandi che periodicamente i doganieri facevano leggere pubblicamente per le vie e i luoghi consueti del comune. Un primo esempio lo abbiamo con il bando del 14 settembre 144937: il banditore del comune, Malavolta, riceve l’incarico dal cancelliere Bomporto38 di bandire per le vie e i luoghi consueti, per parte 34 P.-A. De Vecchis, De bono regimine t. I, p. 1-2 e Theiner, Codex Diplomaticus, t. III, pp. 420-421. 35 De Vecchis, De bono regimine cit., t. I, p. 4-6. 36 Ibidem, t. I, pp. 2-3. 37 Rif. Tuscania, c. 6r. 38 Di ser Bomporto di Francesco de Bomportis da Vicenza, disponiamo di alcune notizie riferite da Giontella in Le riformanze di Tuscania cit., p. 86: «sappiamo che è stato cancelliere di Tuscania per sei anni, dalla fine dei Luglio 1449 alla fine di novembre 1455, salvo un trimestre dalla fine di

e comandamento dei doganieri dei pascoli delle terre di Roma e della Provincia del Patrimonio, che nessuno, di qualunque stato o condizione, poteva vendere o acquistare alcuna quantità di erba, ghiande o pascoli che fossero nella detta provincia. La pena prevista era molto alta: 100 ducati d’oro da versare alla Camera Apostolica senza alcuna remissione. Nel caso qualcuno avesse già acquistato o venduto pascoli, entro il termine di otto giorni li doveva consegnare ai doganieri o a loro rappresentanti, in caso contrario era sottoposto alla pena prevista. Come possiamo rilevare dal tenore del bando, i rapporti tra i doganieri e i cittadini non erano tra i più rosei. Le pene previste per i trasgressori erano molto alte, e questo ci porta a credere che spesso e volentieri le norme impartite dai bandi non venissero rispettate; era troppo rilevante l’importanza economica dei pascoli in un’economia quasi totalmente rurale come quella di Tuscania. D’altra parte era scontato che la Camera apostolica applicasse delle norme rigide, la vendita dell’erba costituiva una delle più alte entrate, tanto che a partire dal 1450, i benefici ottenuti dalla vendita dei pascoli raggiungono un livello mai stato raggiunto durante il XIV secolo, in media sono due tre volte più elevati dei profitti della metà del 130039. Il 4 ottobre 145040, un altro bando riprende quanto disposto in quello sopra menzionato. Questa volta il bando è ancora più restrittivo di quello precedente: nessuna persona nel distretto di Toscanella poteva tenere il bestiame senza la bolletta rilasciata dal doganiere, né poteva vendere o acquistare alcun pascolo. La pena stabilita era ancora più dura di quella prevista dal bando del 1449: oltre al pagamento di cento ducati d’oro, era prevista la perdita del bestiame. Inoltre, chi denunciava il fatto otteneva il quinto dell’ammenda. Nel mese di novembre, quando ormai il bestiame dell’Appennino era entrato in dogana ed era avvenuta l’assegnazione dei pascoli, il doganiere Arcangelo Clarelli da Camerino41 emana un altro bando, nel quale ordina a tutti gennaio ai primi di maggio 1450 e qualche altra assenza per malattia. Oltre ad essere nobilis vir, (Rif. Tuscania,1449, c. 62r.), ser Bomporto è certamente una persona istruita ed apprezzata dalla curia romana, dal momento che per ben 19 mesi, dall’agosto 1452 al marzo 1454, pur considerando la titolarità nell’ufficio di cancelliere, viene distaccato (forse a Roma) per incarichi non precisati ed è proprio lui a nominare il suo sostituto vicecancelliere, che il gonfaloniere e gli anziani di Tuscania si limitano ad accettare. Alla fine della missione, ser Bomporto rientra e riprende le sue funzioni di cancelliere, ininterrottamente fino al novembre del 1455. Non so dire altro su di lui ed aggiungo che la redazione dei suoi verbali è esteticamente molto curata, la più bella e la più chiara scrittura cancelleresca dell’Archivio comunale tuscanese». 39 Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 46-47. Dalla tabella realizzata da Maire Vigueur possiamo rilevare che nell’annata 1450-51, le vendite d’erba portano nelle casse della Camera Apostolica un’entrata di 8.449 ducati papali contro una spesa di 2.849 ducati per l’acquisto dei pascoli da riaffittare agli allevatori. 40 Rif. Tuscania, c. 111v. 41 Il doganire Arcangelo Clarelli da Camerino riveste la carica dal 1450 al 1451, sotto il pontificato di Niccolò V (1447-1455). Per la lista completa dei doganieri della Dogana del bestiame della provincia del Patrimonio nel XV secolo si veda l’elenco, diviso per pontificato, in Marie Vigueur Les pâturages cit., p. 110. Alla testa della Dogana vi è normalmente un solo doganiere. La funzione tuttavia è stata sdoppiata più volte tra il 1458 e il 1467. In un solo caso, nell’inverno del 1467-1468, documentato dal registro

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Aspetti di un conflitto coloro che conducevano il bestiame, sia grosso che minuto, a pascolare nei pascoli della Dogana del Patrimonio, di comunicare il numero dei capi al doganiere entro otto giorni dalla data del bando. Questo infatti viene emanato nel periodo della “calla”, ossia la conta del bestiame con la marchiatura dei capi non contrassegnati. Nel bando si dispone anche che nessun cittadino di Toscanella o forestiero, con bestiame assegnato alla dogana, potesse uscire dal territorio o distretto della città senza la bolletta o licenza rilasciata dal Doganiere, pena la perdita del bestiame e il pagamento di 25 ducati. Si faceva anche presente, che i cittadini che avevano bisogno di erba per il loro bestiame, dovevano rivolgere istanza al doganiere entro tre giorni dal bando. Come si può notare, era tutto ben regolamentato e per i cittadini e forestieri allevatori non c’era via di uscita, dovevano per forza di cose passare sotto il controllo attento del doganiere che per far rispettare i bandi si avvaleva del servizio dei cavalieri e guardiani stipendiati dalla Dogana42.

bestiame. Gli allevatori interessati ai pascoli estivi nella Maremma erano poco numerosi e l’entrata che se otteneva raggiungeva poche dozzine di ducati; il bestiame interessato alla “fida d’estate” era sicuramente quello delle comunità della provincia del Patrimonio e non quello transumante che in quel periodo era ritornato nelle zone montane di provenienza. Un bando, emanato dai doganieri e datato 23 novembre 145244, tratta principalmente di bestiame porcino, portandoci a conoscenza dell’esistenza della “fida dei porci”45. Quest’ultima era un’attività molto più interessante per la Dogana rispetto alla “fida d’estate”. Il totale delle entrate percepite sulle mandrie dei porci, accolti nelle terre della Dogana, si calcolava in centinaia di ducati. Per un’idea sulla quantità dei porci che entravano sui pascoli del Patrimonio, si riporta di seguito una tabella relativa agli anni dal 1442 al 1469 (gli unici anni dove nei registri della dogana risulta presente la rubrica “fida dei porci”) compilata utilizzando in parte i dati trascritti da Maire Vigueur46:

Il concentrarsi dei bandi relativi ai pascoli e al bestiame nei mesi autunnali sta a significare che questo era il periodo durante il quale giungevano sul territorio del Patrimonio, e nel nostro caso specifico di Toscanella, le greggi di pecore e le mandrie di bovini ed equini, destinati a passare l’inverno nei pascoli della Dogana; si trattava in particolar modo di bestiame proveniente dall’Appennino Centrale: Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo. Nelle riformanze di Tuscania, per il periodo che ci interessa, non è stato trovato nessun bando riguardante la “fida d’estate”. Questa era un altra attività della Dogana del Patrimonio,43 anche se molto meno importante dei pascoli invernali, a partire dal 1455 è l’oggetto di un conto specifico in tutti i registri della Dogana. La “fida d’estate” sta ad indicare l’accoglienza del bestiame sul terreno della Dogana durante l’estate e l’entrata che se ne ritraeva. I canoni erano molto bassi, da uno a cinque ducati per ogni centinaio di capi, e a seconda della natura del della Dogana n. 47, i due doganieri sono affiancati da un commissario; questi tre personaggi hanno una loro proprio contabilità delle entrate e delle spese. In ogni modo che siano stati uno o due, il salario prelevato dalle entrate della Dogana non cambiava affatto: era di 150 ducati, che i doganieri quando erano due dovevano dividersi. Essi percepivano in più una parte delle ammende inflitte agli allevatori il cui bestiame aveva arrecato danni alle colture o alle bandite confinanti con la Dogana. Supponendo che la loro parte fosse uguale a quella messa a credito della Camera apostolica, questa rappresenta per i doganieri un guadagno supplementare che varia secondo le annate da qualche dozzina di ducati a più di 150, per esempio, 168 ducati nel 1450-1451 (registro 17, F. 74) e 34 ducati nel 1453-1454 (registro 19, f. 5). Per quanto riguarda il loro reclutamento, c’è da dire che a partire dagli anni 50 del XV secolo subisce un cambiamento. Fino a quel momento i doganieri erano per la più parte originari dell’Italia centrale ed in particolare delle regioni da dove provenivano le greggi che frequentavano durante l’inverno i pascoli della Maremma, essi offrivano all’amministrazione pontificia il vantaggio di conoscere bene la pratica della transumanza e l’ambiente degli allevatori; in seguito il reclutamento si allarga a tutta l’Italia per il fatto che più papi affidano la carica di doganieri a dei membri della loro famiglia. Più volte, a partire da Pio II (1458-1464) è un parente del pontefice che occupa la carica di doganiere; è il caso, sotto Pio II, di Guido Piccolomini, tre volte doganiere. La carica di doganiere figura allora nel numero delle buone prebende, senza essere tuttavia tra le più ambite. 42 Per quanto riguarda le notizie su i guardiani e cavalieri si veda il paragrafo relativo alla Dogana dei pascoli del Patrimonio. 43 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 124.

Anno

Suini

Bovini

Cavalli

1442 1450 1452 1453 1455 1458 1459 1463 1464 1467 1469

332 9.160 4.191 8.787 4.778 8.187 12.003 4.124 11.386 34.385 7.363

685 6.099 10.955 6.136 2.684 6.018 1.787 1.826 2.340 6.160 10.306

262 199 267 344 113 548 429 545 103 256 839

Totale

104.696

54.996

3.095

Adoperando la tabella sopra riportata e facendo alcuni calcoli, nell’anno 1459, quando la tassa per la fida dei porci era stata fissata in 12 ducati per ogni centinaio di capi47, la Camera apostolica percepì per il pascolo dei soli porci circa 1.440 ducati; nell’anno 1467, quando si registra la maggiore presenza di porci, fu riscossa dalla dogana la cospicua somma di circa 4.100 ducati. C’è da dire che se l’entrata dei porci avveniva come per l’altro bestiame, in autunno, l’origine geografica dei proprietari era quasi per tutti quella della provincia del Patrimonio, a parte una piccola minoranza che giungeva dai paesi senesi. Il bando portava a conoscenza di tutti i cittadini di Toscanella e forestieri, che chi aveva porci o bestiame porcino nel distretto della città, lo doveva assegnare presso il doganiere entro il giorno della domenica a venire. Inoltre si 44

Il bando è contenuto nella c. 233r. del 1° registro delle riformanze di Tuscania. 45 Il bando, apprendiamo che è stato commissionato dal doganiere del Patrimonio Jacopo di Antonio di Bologna, anche se nella lista dei Doganieri compilata dal Vigueur e contenuta a p. 110 del suo contributo su Les pâturages cit., per i periodi: 1452-53 registro 18 e 1453-54 registro 19, risulta in carica Iacopo di Tommaso del Dottore de Bologna; forse questa divergenza è dovuta ad un errore di trascrizione del notaio sul registro delle riformanze. 46 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 155. 47 Ivi, p. 124.

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Cultural Landscapes faceva presente che coloro che conducevano o facevano condurre il loro bestiame in altri pascoli, di qualunque genere fosse, ovino, vaccino od equino, dovevano egualmente assegnarlo presso il doganiere entro la domenica; la pena prevista era ad arbitrio del doganiere. III.3 “La fida” e i privilegi a favore di Tuscania Anche se il bando non ne fa menzione, sappiamo che gli abitanti di Tuscania, come in alcune annate quelli di Montefiascone , beneficiavano di un ribasso sui prezzi stabiliti per i capi porcini, fissati per tutti gli altri a 9 ducati nel 1450, 11 ducati nel 1453 e 12 ducati a partire dal 1459, pagati per ogni centinaio di animali48. Questa riduzione sui prezzi era applicata a tutti i generi di bestiame e veniva decisa dal papa o dal camerlengo. Gli abitanti di Tuscania erano esentati dal pagamento della «camera», ma pagavano l’erba al prezzo abituale. Con la parola «camera» si intendeva la protezione che veniva fornita al bestiame da parte della Camera apostolica, attraverso il personale della Dogana; ma, con lo stesso significato, si utilizzava anche la parola “fida” che deriva dal verbo “fidare” o “affidare”, perchè l’allevatore metteva il suo bestiame sotto la protezione di un’autorità in cambio del pagamento di una tassa. Anche gli abitanti di Viterbo pagavano l’erba alla tariffa normale, ma avevano una forte riduzione sulla fida: solo due ducati per le pecore e 12 ducati per i bovini, quando le tariffe normalmente pagate erano rispettivamente di 5 ducati e 20 ducati49. Questi tassi e allo stesso tempo il riferimento ad un testo dell’autorità papale che giustifica il ribasso o l’esenzione di cui i cittadini beneficiano, sono attestati in maniera continua dai registri della Dogana del Patrimonio a partire dagli anni 1458-145950. Nei registri precedenti i cittadini di Tuscania, poco numerosi, sono iscritti nelle entrate a «mezza fida»51. Tuttavia, sappiamo che nel 1459 Niccolò V concesse agli abitanti di Tuscania l’esenzione dal pagamento della fida52, giustificando la sua decisione con la motivazione che la maggior parte del territorio di Tuscania era utilizzato dalla Camera apostolica come pascolo per il bestiame della Dogana. Inoltre il pontefice accorda ai Tuscanesi di poter condurre le loro greggi in qualsiasi pascolo, al di fuori o all’interno delle dogane del Patrimonio e di Roma senza pagamento «(...) Sane nobis nuper exponi fecistis opportuisse vos dudum, opporteatque continuo, pro vestris pascuandis animalibus herbam, spicas et glandes in alienis emere territoriis, 48

Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 124. Ivi, alle pp. 114-116 è riportata una tavola con i tassi più comunemente praticati nella Dogana del Patrimonio, al XV secolo, in ducati e per centinaia di capi di bestiame. L’anno che riporta i più alti tassi è il 1450 quando le pecore pagano 5½ per la fida e 5¼ per l’erba; mentre il bestiame grosso paga 22 ducati per la fida e 25 per l’erba. 50 Archivio di Stato di Roma, Camerale I, reg. 30 (1458-1459). 51 Maire Vigueur, Les pâturages cit., p. 119. 52 La bolla di Niccolò V è stata pubblicata il 14 ottobre 1459 ed è edita da Theiner, Codex Diplomaticuscit., t. III, n. 356, pp. 412-413, Tuscanensibus conceditur exemptio a solutione alicuius gabellae herbatici pro animalibus extra eorum tenimenta. 49

propterea quod Civitatis nostre tenimentum pro maiori parte singulis annis in utilitatem Camere apostolice pro dohana pecudum provincie Patrimonii recipitur, et per affidatorum animalia depascitur in vestrorum non modicum dampnum, incommodum et iacturam, supplicando ut opportunitatibus vestris in premissis de benignitate apostolica providere dignaremur. (...) vos omnes et singulos cives et incolas Civitatis nostre predicte pro vestris dumtaxat cuiuscumque generis animalibus extrahendis, sive intra limites dohanarum pecudum province Patrimonii et alme Urbis, sive extra eos limites ad quecumque loca, partes et territoria vos ea conducere et pascuare contingat, deinceps in perpetuum a solucione cuiuscumque dohane, fide, tracte vel exitus, aut cuisvis alterius oneris et exactionis respectu dictorum vestrorum animalium cuiscumque fuerint generis auctoritate apostolica tenore presentium penitus et omnino eximimus et totaliter liberamus»53. L’enunciato del privilegio parla dell’esenzione dalla fida per il bestiame di Tuscania, ma non fa menzione dell’erbaticum. Infatti, dai registri della dogana risulta che il bestiame di questa città era sottoposto al pagamento dell’erba. Quanto sopra esposto prova che, avanti al 1458, i rapporti tra gli allevatori e la Dogana del Patrimonio erano molto tesi; questi avevano a disposizione, per il mantenimento del loro bestiame grosso e piccolo, i soli pascoli comunali non inclusi nel territorio della Dogana. Poi, quando questi erano esauriti, dovevano negoziare con i doganieri l’entrata del loro bestiame nei pascoli doganali. Sicuramente questo stato di tensione portò l’autorità pontificia, in un periodo in cui Niccolò V mirava al mantenimento della pace da poco ristabilita e al consolidamento delle istituzioni cittadine, a concedere agli abitanti di Tuscania un privilegio preciso e indiscutibile che i doganieri del Patrimonio erano tenuti a rispettare. 53 La bolla prosegue con l’ulteriore concessione ai Tuscanesi di poter pascolare con il loro bestiame all’interno o al di fuori delle dogane del Parimonio e di Roma senza alcun pagamento della fida: «Ut insuper vobis uberiorem graciam facientes, ut.omni tempore sine licencia dohaneriorum et cuiuscumque alterius pro dictis vestris animalibus herbam, spicas et glandes emere valeatis a quibuscumque hominibus et personis, Communibus et Universitatibus in quibuscumque locis, partibus et territoriis, extra tamen limites et terminos fluminis Minionis, Fossati piscie, menium Civitatis Montisflasconis et fluminis Tiberis per directum versus Viterbium, illis autem annis dumtaxat exceptis, quibus per se Camera circa dohanam Urbis industriam facere vellet, etiam quod emere possitis herbam, spicas et glandes, que sunt et in futurum erunt in territoriis dilectorum filiorum nobilium virorum Angeli de Farnesio et fratrum, et eorum successorum sine cuiuscumque licencia cum immunitate exemptionis predicte, tenimento Abbacie sic appellato in territoriis nobilium predictorum dumtaxat excepto, auctoritate predicta licenciam et potestatem plenariam concedimus per presentes, Mandantes propterea tam dictarum dohanarum provincie Patrimonii et Urbis dohaneriis, eorumque substitutis, factoribus et ministris presentibus et futuris et cuilibet eorum, quam omnibus aliis et singulis, ad quos pertinet et in futurum quomodolibet poterit pertinere, quatenus emptiones, immunitates et exemptiones predictas, omniaque alia et singula per nos vobis in presuntibus nostris litteris concessa firma et illibata tenere et observare, et per alios teneri et observari facere inviolabiliter teneantur et debeant, Constitutionibus et orbus apostolicis, statutis et consuetudinibus ceterisque in contrarium facentibus non obstantibus quibuscumque. Nulli ergo etc. nostre exemptionis, liberationis, concessionis et mandati infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem etc. Datum Rome apud Sanctum Petrum Anno Incarnationis dominice MCCCCLX pridie Idus Octobris, Pontificatus nostri anno tercio» (ibidem).

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Aspetti di un conflitto L’esenzione del pagamento della fida stabilita con la bolla di Niccolò V nel 1459, sembra modificare le indicazioni riportate nel registro del 1362 del tesoriere del Patrimonio nel quale, per la prima volta, gli abitanti di Tuscania sono registrati nei conti del collettore con l’annotazione dei motivi della loro assenza nei registri precedenti dovuta all’esenzione del pagamento dell’erbatico: «cum Tuscanenses non solverint neque solvat pro eorum animalibus herbaticum». Dei tassi particolari sono applicati in quell’anno agli animali che essi introducono sui pascoli della Chiesa, in virtù di contratti di soccida effettuati con dei locatari che sono soggetti al pagamento dei tassi abituali. Il collettore applica le seguenti regole: un terzo delle greggi è esentato da qualsiasi pagamento, i due restanti terzi devono corrispondere una tassa di 3 fiorini per centinaio di pecore e di 7 soldi per ogni capo di bestiame grosso. Sembra che gli abitanti di Tuscania siano i soli ad essere totalmente esentati dal pagamento dell’herbaticum54. A conferma dell’esonero dal pagamento dell’erbatico, prima dell’ emanazione della bolla del 1459 di Niccolò c’è anche una disposizione del commissario Nello da Bologna “Tenor Capitulorum Magnifici Nelli”, datata XIII maggio 145055 in cui è stabilito: «che se detta comunità e uomini di essa volesse libere tremila pecore, ridurre le vacche ad pecore, cioè quatro pecore per bestia grossa, che del resto del bestiame detta comunità siano tenuti e debbano pagare ala Camera Apostolica per ciascun centenaro de bestie minute ducati oro de Camera cinque e mezo, e per ciascuno centenaro de bestie grosse ducati venti due». Ora, confrontando questi tassi con quelli stabiliti per l’anno 1450, contenuti nella tabella menzionata alla nota 271 del presente paragrafo, si può facilmente constatare che in quell’anno i 5 ducati e mezzo per le pecore, e i 22 ducati per il bestiame grosso, corrispondono al pagamento della fida e non dell’erbatico, per il quale sono invece fissati ducati 5 e un quarto per le pecore e ducati 25 per il bestiame grosso. A questo punto ci si domanda per quale motivo, sia nell’anno 1362 che nel 1450, il bestiame di Tuscania è esonerato dal pagamento dell’erbatico, mentre la bolla di Niccolò V del 1459, menziona in modo specifico solo l’esonero del pagamento della fida ed altri oneri, quali la tratta. È pur vero, che come dice Maire Vigueur, si tratta di un enunciato un pò ambiguo, infatti si potrebbe supporre che l’esenzione dell’erbatico sia compresa tra quella degli oneri e esazioni; purtroppo questa supposizione viene meno quando si passa ad esaminare i registri della Dogana successivi al 1459, nei quali il bestiame dei Tuscanesi compare tra quelli sottoposti al pagamento dell’erba. Così, come rilevato dai documenti sopra indicati, la bolla di Niccolò V sembra più un inasprimento delle agevolazioni preesistenti che una concessione di privilegio per i Tuscanesi. Specialmente se si prendono per riferimento i tassi stabiliti nel 1450 per il bestiame grosso, tra il tasso della fida (ducati 22) e quello fissato per l’erba (ducati 25), c’è una differenza 54

Maire Vigueur, Les pâturages cit., pp. 102-103. Il documento è registrato alla c. 82r del I registro delle riformanze di Tuscania. 55

di 3 ducati d’oro per ogni centinaio di capi, e questa non sembra essere cosa da poco. C’è però da sottolineare che a partire dalla data della bolla (1459) e fino al 1488, i tassi stabiliti per l’erba e per la fida sono eguali: 20 ducati per ognuna delle due tasse per il bestiame grosso e cinque ducati per le pecore56. A questo punto, per il bestiame di Tuscania, in termini monetari, non ha alcuna importanza essere esonerato dal pagamento della fida o da quella dell’erbatico, dato che come già detto, le due tasse corrispondono. Le relazioni del doganiere della Dogana dei pascoli del Patrimonio con i Tuscanesi, non si limitano al solo uso dei pascoli, ma i loro rapporti interessano anche altri settori della vita cittadina, essendo il palazzo della Dogana ubicato all’interno della mura cittadine, tra via della Rocca e Largo Torre del Lavello. Dalle riformanze del 145257, sappiamo che il papa ha promesso la somma di 500 ducati d’oro per la riparazione della Chiesa di S. Pietro e per restaurare le mura di cinta. L’explicanda contenuta nella riformanza del 145258 “Conmissio data oratoribus missis Romam” recita: «Cum sua Santitas sua immensa celementia, elargita fuerit huic Comuni nostro, pro reparatione murorum Civitatis et Ecclesie Santi Petri ecclesie cattedralis nostre, ducatos auri quinquegentos, nobis dandos per dohanerios pascuorum huius provintie quod per tempora extiterint in quinque annis, videlicet ducatos centum singolo anno. Et cum hactenus tamen haverimus ducatos centum. Supplicandi eidem Sue Santitati dignetur jubere quod residuum dictorum quingentorum ducatorum nobis persolvatur et effectualiter detur per partem dohanerium pascuorum huius provintie Patrimoni ut valeamus et muros et dectam Ecclesiam Santi Petri reparare cum reverentia maxima indigeant reparatione». Dunque, l’incaricato dal Papa a consegnare i 500 ducati d’oro, in cinque rate annuali, per il restauro della chiesa di S. Pietro e delle mura cittadine, è il doganiere dei pascoli del Patrimonio. Ma anche in questo caso possiamo costatare che i rapporti non sono ottimali, infatti il doganiere non ottempera a quanto stabilito con il breve di concessione dal papa, tanto che i Tuscanesi sono costretti a rivolgersi nuovamente a Roma. Il doganiere Pietro da Sarzana ha già versato la prima rata59 ma il suo successore, Angelo Clarelli da Camerino sembra non essere intenzionato a pagare le altre rate. I Tuscanesi, nell’aprile 1453, visto il rifiuto del doganiere, inviano dal papa il gonfaloniere Croniso di Simone de Anna60 per reclamare le altre quattro rate, ammontanti a 400 ducati. Croniso non sembra avere successo, ed è solo con l’interessamento del cardinale Lodovico Scarampi, camerlengo del Sacro Collegio, al quale i Tuscanesi inviano doni, che la città di Toscanella ottiene nel 1455 la seconda rata61 e nel 1456 la terza, versate dal nuovo doganiere 56

Maire Vigueur, Les pâturages, cit. A p. 116 è riportata la tavola con i tassi più comunemente praticati nel XV secolo dalla Dogana del Patrimonio, comprendente gli anni che vanno dal 1442 al 1488. 57 Rif. Tuscania, 1452 cc. 166v. e 170v. 58 Rif. Tuscania, 1452 c. 170v. 59 Rif. Tuscania, 1452 c. 233 v 60 Rif. Tuscania, 1453, c. 249v. 61 Rif. Tuscania, 1455, c. 369v.

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Cultural Landscapes Raffaele Brugnoli da Mantova62. Non si è in grado di stabilire se le altre due rate siano state versate in quanto mancano le riformanze. Alla luce di quanto sopra esposto, si può dire, senza ombra di dubbio, che i doganieri rappresentavano una spina nel fianco dei Tuscanesi e anche al di fuori di quella che era la loro specifica competenza, quando potevano, creano ostacoli alla risoluzione dei problemi della cittadina. Ovviamente questo loro comportamento scaturisce dall’ampia libertà d’azione concessa loro dalla Camera apostolica, alla quale interessano, più di ogni altra cosa, le cospicue entrate ottenute dalla vendita dei pascoli della Dogana del Patrimonio. III.4 La tutela dei buoi da lavoro: le bandite La ricerca di notizie e disposizioni sui pascoli, effettuata sul primo registro delle Riformanze di Tuscania, comprendente tutti gli atti redatti dai cancellieri comunali tra gli anni 1449 e 1456, ha consentito di rilevare un’ampia trattazione di problemi relativi alle bandite riservate al bestiame bovino da lavoro, nonché l’emanazione di ordinamenti e capitoli a queste riferite. Come già detto nel capitolo relativo ai rapporti tra la città di Tuscania e il doganiere dei pascoli, gli allevatori e gli agricoltori, riuniti nella Corporazione dei bovattieri e laboratores, erano le categorie dei cittadini che incontravano maggiori difficoltà economiche, perchè la maggior parte del territorio di Tuscania si trovava entro i confini della dogana dei pascoli. Il fabbisogno in erba per il bestiame era in minima parte soddisfatto dalle bandite create dal comune, che solitamente erano riservate ai buoi aratori. Proprio per questo, anche per i pascoli della bandite, spesso, si assiste a degli scontri tra proprietari di buoi da lavoro e quelli delle pecore e bestie brade da macello. In una seduta consigliare del 124 maggio 1452,63 alla la presenza di numerosi cittadini, i rettori della corporazione dei bovattieri e laboratores, lamentavano la continua diminuzione della lavorazione dei campi (industria laborerii), dovuta all’elevato numero delle pecore e vacche che consumavano la poca erba della bandita a discapito dei buoi da lavoro. Per evitare il trasferimento altrove della maggior parte dei cittadini di Tuscania, che viveva con il lavoro dei campi, i rettori invitavano i consiglieri a prendere i giusti provvedimenti. Il consiglio, per porre rimedio alle polemiche, approvava un nuovo ordinamento mediante il quale si cercava di trovare un equilibrio tra il numero dei buoi da lavoro e le bestie brade all’interno delle bandite64. L’ordinamento è composto da 13 capitoli, il cui contenuto si è cercato di riassumere nelle righe che seguono. La custodia della bandita era demandata ai rettori dei lavoratori e ai quattro cittadini eletti che, per le spese necessarie, avevano l’autorità di imporre delle tasse ai proprietari del bestiame. Gli stessi erano incaricati di prendere i necessari provvedimenti per la salvaguardia del 62 63 64

Rif. Tuscania, 1456, c. 435v. Rif. Tuscania, 1452, c.187v. Rif. Tuscania, 1452, cc. 189v-190r.

bestiame dei cittadini in caso di guerra o di scorribande. L’esecuzione di quanto disposto dai rettori e dai quattro cittadini eletti era di competenza del podestà in carica. Passando ad analizzare le disposizioni relative alla specie ed alla quantità del bestiame da immettere nella bandita, si constata che ai proprietari dei buoi da lavoro erano riservate alcune facilitazioni; a chi aveva oltre quattro buoi domiti all’interno della bandita, era consentito immettere anche quattro vacche con vitelli al disotto di un anno e altre quattro bestie sopra l’anno senza vitelli. Chi invece aveva immesso due buoi, unitamente a questi poteva tenere nella bandita soltanto due bovini bradi sopra l’anno. In entrambi i casi, il proprietario di buoi domiti, oltre al bestiame bovino già menzionato, aveva la possibilità di far pascolare nella bandita anche due equini con puledri di due anni. Particolare attenzione era riservata ai fratelli o a coloro che avessero avuto in comune i buoi da lavoro, in tal caso la licenza di tenere bestiame brado nella bandita valeva per uno soltanto di loro. Solo in caso di divisione, le disposizioni avrebbero avuto valore per entrambi. L’ordinamento prevedeva dei divieti e delle pene molte severe nei confronti di chi trasgrediva quanto previsto dagli articoli. Per favorire i buoi aratori si vietava a chiunque di immettere nella bandita il bestiame brado, di qualsiasi tipo, dal primo giorno di settembre a tutto il mese di maggio. I porci, poi, non potevano entrare nella bandita, se non nel solo mese di agosto. Coloro che avessero introdotto arbitrariamente il bestiame grosso (bovini, equini e bufali) all’interno della bandita, era sottoposti ad una pena che li obbligava al pagamento di dodici bolognini per ciascun capo. Per i capi minuti, pecore e porci, la pena era di dieci ducati d’oro per ogni centinaio. Inoltre, al proprietario delle bestie immesse abusivamente all’interno della bandita, era addebitato il pagamento di qualsiasi danno causato a cose o ad animali che si fosse verificato durante il tragitto del bestiame dalla bandita alla città, evitando così di accollare qualsiasi responsabilità ai conducenti incaricati dal podestà di eseguire lo spostamento. Nell’ordinamento era prevista la possibilità per qualsiasi persona di accusare, sotto giuramento, chi avesse contraffatto alle disposizioni sulla bandita; al denunciante andava la metà della pena prevista. Il potestà aveva dieci giorni di tempo dalla presentazione della denuncia per procedere alla esecuzione della pena; in caso contrario, doveva procedere il tesoriere. Pene molto più esose erano previste per chi avesse, in qualche modo, contraffatto o annullato le disposizioni, infatti oltre ai cento ducati d’oro previsti dalla riformanza, erano aggiunti altri cento da versare alla Camera Apostolica. Si stabiliva inoltre, che i cittadini ed abitatori di Tuscania erano obbligati al pagamento dell’erbatico per le bestie che tenevano all’interno del tenimento della città, come era consuetudine. Per quanto riguarda il pagamento dell’erbatico, occorre dire che il comune di Tuscania non procedeva direttamente alla riscossione della gabella, ma la dava in

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Aspetti di un conflitto appalto al miglior offerente, come si può riscontrare da una disposizione del 145265, contenuta nelle riformanze, dove è riportato il bando relativo alla vendita della gabella degli erbatici e di quella dei pesi e misure, il cui contenuto può essere riassunto nel seguente modo: il banditore del comune era incaricato dai confalonieri, dagli anziani e dai sei cittadini appositamente eletti per la vendita delle gabelle, ad andare nei luoghi pubblici e consueti del comune ed avvisare, ad alta voce, che le persone interessate all’acquisto delle gabelle anzidette, dovevano recarsi in comune e presentare l’offerta al vicecamerario66. Nonostante i provvedimenti presi, le lamentele contro il comune non si calmavano, non era facile trovare la giusta soluzione per accontentare i proprietari delle diverse specie di bestiame. Sembra che ci riuscì, temporaneamente, Matteo Boncambi da Camerino, commissario deputato dal governatore della provincia del Patrimonio, Vianesio degli Albergati di Bologna, con l’emanazione di nuovi ordinamenti e capitoli relativi alla istituzione di una bandita riservata al bestiame bovino da lavoro67. Con questi ordinamenti, di notevole importanza perché ci danno un quadro esatto e dettagliato del funzionamento delle le bandite, si decretava che all’interno della bandita generale della città di Toscanella si doveva creare una bandita speciale, i cui confini erano ben descritti: a Nord iniziava da via San Giuliano, fino al cancello di Herrigi, di là proseguiva fino alla fontana di Podigloli e vadum Palmentarum (guado delle macine) fino a giungere alle pendici del fiume Marta68. Per evitare errori e controversie, i rettori dei laboratores, erano tenuti a far realizzare dei solchi ben visibili da un luogo all’altro, delimitanti la bandita. Gli ordinamenti continuavano stabilendo dei periodi ben precisi, durante i quali il bestiame non poteva pascolare all’interno della bandita generale: dal giorno di S.Angelo del mese di settembre, fino alle calende del mese di febbraio, nessun cittadino della città di Toscanella o qualsiasi altra persona soggetta alla sua giurisdizione poteva trattenere nella bandita generale, per sé o per conto di altri, nessun animale indomito, minuto o grosso, ed anche vacche e giovenche fino a trenta mesi, domite o indomite. Questa disposizione andava certamente a favore dei proprietari dei buoi da lavoro che si lamentavano per la scarsità dell’erba a loro disposizione. Ovviamente, per i proprietari degli animali trovati al pascolo all’interno della bandita, durante il periodo interdetto, erano previste delle pene pesanti: per 100 pecore si dovevano 65

Rif. Tuscania, 1452, c.226v. Rif. Tuscania, 1452, alle cc. 229r-230r, anno 1452, giorno 8 del mese di ottobre, è registrato l’atto di vendita della gabella degli erbatici: I confalonieri, gli anziani e i cittadini eletti, vendono ad Antonio di Silvestro, cittadino di Tuscania, la predetta gabella per un anno, al prezzo di centoventisei ducati d’oro, che è risultata essere la migliore offerta tra quelle presentate. L’acquirente si impegna per sé e per i suoi eredi e successori a versare al comune quanto stabilito e nei modi previsti dai patti e capitoli. 67 Rif. Tuscania, 1452, cc. 216rv–219r, 1452. 68 Da un’analisi della carta I.G.M. F. 136, II SE, La Rocca, si è potuto riscontrare il toponimo Banditella di San Giusto, in direzione sud rispetto all’abitato di Tuscania ed ad una distanza di circa Km. 2. Considerato che il toponimo comprende un’area limitrofa alle pendici del Fiume Marta, non è escluso che potrebbe trattarsi della bandita speciale menzionata dagli ordinamenti. La ricerca sulla carta I.G.M. degli altri toponimi, delimitanti la bandita e riportati nell’ordinamento, non ha dato esito positivo.

versare 15 libre di denari papalini, per 100 porci le libre salivano a 20, mentre per ogni bestia vaccina, equina o bufalina la pena era di dieci soldi. Una parte della pena (la metà di un terzo) andava agli accusatori, purché non facessero parte dei cavallari, personale addetto alla custodia della bandita che, come recita il capitolo, dovevano accontentarsi del loro salario. Il podestà della città era obbligato a far esigere la pena prevista, in ogni modo e senza remissione, la quale, anche se fosse stata fatta dal consiglio o dagli ufficiali della città, non aveva alcun valore. Una deroga a quanto sopra disposto era prevista per le persone povere, le quali se possedevano fino a sei buoi da lavoro, potevano, nonostante la proibizione, tenere all’interno della bandita generale, e di quella speciale, due vacche domite o indomite con i loro vitelli maschi. Al contrario, le vitelle e le giovenche che sarebbero nate dalle vacche, potevano essere trattenute nelle bandite fino all’età di un anno, e dopo l’anno, fino alla nuova proibizione del mese di settembre. Chi possedeva oltre sei buoi domiti, poteva tenere nella bandita anche due giovenchi di due anni. Le disposizioni riguardanti le bestie bovine erano valide in tutto e per tutto anche per quelle bufaline. Il permesso di cui sopra, non aveva valore per quelli che avessero avuto le bestie vaccine brade sotto altra custodia e fuori della bandita, in quanto, come recita l’ordinamento, «quia dicte permissiones ordinate fuerunt pro pauperibus et pro hiis qui non habent alium pastorem seu custodem cum aliis bestiis, ne pro duabus vaccis et eorum fetibus substinerent honus unios custodis seu pastoris». Si disponeva inoltre, che si potessero tenere nelle bandite bestie domite equine, asini e muli, adatte al trasporto; potevano avere al loro seguito i giovani nati, fino a due anni, ma comunque era stabilito il limite di due madri con i loro nati, per ciascuna famiglia o persona singola della città . Il potestà poteva procedere contro coloro che avessero violato le disposizioni per inquisizione, accusa o denuncia. L’accusa poteva esser fatta dai cavallari, dal guardiano, o da normali cittadini che avessero un teste degno di fede e con loro giuramento, purché il teste non fosse della stessa famiglia dell’accusatore. Le bestie trovate all’interno delle bandite, in violazione a quanto disposto, specialmente se di proprietà di un forestiero, potevano essere radunate e condotte in città dai cavallari e guardiano. Nel caso che, durante il tragitto dalla bandita alla città, si fosse verificato qualche danno a cose o al bestiame stesso, i danni erano a carico del proprietario delle bestie. Questa disposizione era simile a quella prevista al capitolo 11° dei precedenti ordinamenti.

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Era anche ordinato che dalle calende del mese di febbraio fino alle calende del mese di giugno nessuno potesse trattenere animali nella bandita speciale, con le stesse disposizioni stabilite per la bandita generale dalla festa di S. Angelo del mese di settembre fino alle calende del mese di febbraio. Tuttavia, i rettori dei lavoratori, con i confalonieri e gli anziani eletti della città, potevano spostare l’inizio del divieto di pascolo della bandita generale dalla festa di S. Angelo del mese di settembre al primo giorno dello stesso mese. Questo era possibile quando durante il mese di agosto si fossero verificate copiose piogge che avessero fatto 365

Cultural Landscapes germinare in fretta l’erba; in tal caso il bestiame brado,pascendo e calpestando, avrebbe danneggiato l’erba nuova. La stessa disposizione valeva anche per il periodo previsto per la bandita speciale e il termine del divieto di pascolo, fissato alle calende di giugno, si restringeva alle calende del mese di maggio, in quegli anni dove la fertilità del mese di maggio, avesse permesso una crescita rigogliosa dell’erba dei pascoli, tanto da essere sufficiente per tutto il bestiame della città. La commutazione non era comunque attuabile se le due parti, i rettori dei lavoratori e i confalonieri con gli anziani, non fossero stati d’accordo. Il podestà della città, con il vincolo del giuramento e sotto la pena di dieci libre di denari trattenute dal suo salario, dopo la presentazione della relazione da parte dei cavallari, doveva procedere senza alcun processo, ad applicare, entro venti giorni, le pene previste contro i padroni del bestiame trovato nelle bandite nei periodi vietati. Quando la denuncia o l’accusa fosse stata fatta dal guardiano o altra persona non appartenente ai cavallari, il podestà era tenuto ad iniziare il processo entro otto giorni, in modo che, entro un mese dall’inizio, fosse pronunciata la sentenza. Eccetto le proibizioni anzidette, ad ogni cittadino abitante o residente a Tuscania era concesso di poter tenere animali bradi di qualunque genere all’interno della bandita generale dalle calende del mese di febbraio fino alla nuova proibizione del mese di settembre; mentre nella bandita speciale, il bestiame poteva pascolare dalle calende del mese di maggio o di giugno, a seconda delle disposizioni predette, fino alla proibizione di settembre. Era comunque vietato di far bagnare i porci nel fosssato Capecchi69, da sopra la fonte Gubitorum, in direzione della chiesa di San Bartolomeo, rispettando tale divieto, i porci potevano liberamente pascolare all’interno delle bandite. Tuttavia era riservato all’arbitrio dei confalonieri, degli anziani e dei rettori dei lavoratori, restringere la licenza di pascolo concessa ai porci dal mese di agosto al mese di settembre, così come potevano proibire ai porci di entrare nella bandita, salvo che dalle calende del mese di agosto e fino alla nuova proibizione del mese di settembre. L’ordinamento proseguiva con lo stabilire che tutto quello che era stato decretato per i padroni delle bestie, doveva valere in tutto e per tutto, per quelli che avevano le bestie in soccida. È interessante constatare come questi capitoli siano stati redatti tenendo presenti le varie fasce economiche dei cittadini, particolare attenzione è rivolta alle persone povere; infatti si precisa che se qualche povero non avesse avuto buoi domiti all’interno della bandita, volendo, avrebbe potuto egualmente portarvi due vacche con vitelli, sotto la propria custodia o quella dei famigliari, nè quello che aveva i buoi era privato di questa comodità. 69

Dallo studio della carta dell’I.G.M. F. 136, II SE, è stato possibile ritrovare il toponimo “fosso Capecchio”, a sud di Tuscania, indicante un corso d’acqua affluente del fiume Marta. É interessante notare la sua vicinanza al toponimo “Banditella di San Giusto”. Del toponimo “Fonte gubitorum” non è stata trovata traccia, anche se nei pressi del Fosso Capecchio sono riportati diversi fontanili, che nel corso del tempo potrebbero aver cambiato nome.

Era inoltre stabilito, che in caso di società dei buoi tra due persone, tutto quello che era previsto dai capitoli aveva valore per uno solo di loro; similmente, era stabilito per i fratelli abitanti insieme che avessero avuto buoi in comune; tuttavia una volta fatta la divisione, le disposizioni valevano per ciascuno di loro. Era comunque precisato che, chiunque avesse osato frodare l’ordinamento, presentando una falsa divisione o contratto, era sottoposto ad una pena di 25 ducati d’oro, senza diminuzione e da pagare al comune. Per l’accusa era sufficiente un testimone idoneo e si poteva procedere anche per inquisizione; al potestà che faceva pervenire in comune il pagamento della pena, andava la quarta parte. Per evitare contrasti tra le varie categorie che in qualche modo erano impegnate con il bestiame: allevatori, bovattieri e macellai, era stabilito che anche le pecore e le bestie da macello potevano stare nelle bandite, come stabilito dall’ordinamento dei macelli, ed avendone il permesso dal comune. Aprendo una parentesi sul bestiame da macello, nelle riformanze del comune di Tuscania70, è riportata l’assegnazione di una parte della bandita per il bestiame da macello. I confalonieri con gli anziani ed i cittadini eletti per il problema dei macellai, stabilivano ed ordinavano che quest’ultimi potevano immettere bestiame ovino da macello nella porzione della bandita del comune che era compresa da via «casari Canini supra versus pantallam et prout trahit acqua pantelle ultra versus casarum Canini». I macellai erano comunque obbligati a far marchiare il loro bestiame con il marchio del comune, e per il lavoro di marchiatura era appositamente nominato un cittadino dai confalonieri e anziani. Ritornando agli ordinamenti sulla bandita, appendiamo che alle spese di gestione e custodia delle bandite dovevano provvedere i rettori dei lavoratori, i gonfalonieri e gli anziani nel mese di agosto di ogni singolo anno, come meglio avessero ritenuto opportuno. Infatti, gli stessi, avevano l’autorità di esigere del denaro da coloro che avessero avuto il bestiame all’interno delle bandite, al fine di pagare i cavallari incaricati della custodia. Tuttavia, era previsto che se gli introiti ottenuti dalle pene inflitte per l’inosservanza delle disposizioni sulle bandite fossero stati sufficienti per pagare le spese di custodia, il denaro pagato dai proprietari del bestiame doveva essere loro restituito. Una deroga al divieto di pascolo nei periodi interdetti, era stabilita in caso di guerra o di scorribande per dare modo agli allevatori di porre al riparo il loro bestiame brado; le decisioni da adottare ogni volta, per provvedere alla sicurezza del bestiame, erano comunque demandate ai gonfalonieri, agli anziani e ai rettori. Anche questo capitolo si rifà al capitolo 8° dei precedenti ordinamenti. Per impedire contraffazioni ai capitoli dell’ordinamento sulle bandite, era prevista una pena di cento ducati d’oro da infliggere a tutti coloro, cittadini o ufficiali della città, che 70

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Rif. Tuscania, 1452, c. 226v.

Aspetti di un conflitto avessero tentato di contraffarli o annullarli, nonché al cancelliere che avesse apposto qualche cosa in contrario a quanto stabilito. La pena doveva applicarsi senza alcuna remissione o diminuzione, e andava per metà alla camera apostolica e per metà al comune. Nel caso poi, i capitoli fossero stati in qualche modo riformati o corretti, questi non avrebbero avuto più alcun valore o forza. La parte finale dell’ordinamento era riservata ad alcuni divieti stabiliti per il bestiame ovino, porcino e caprino. Qualunque cittadino di Tuscania, proprietario di pecore, era autorizzato a portarle al fiume Marta per l’abbeveraggio attraverso la via diretta di Rustialvecchi e S. Stefano, la quale sicuramente attraversava la bandita71; infatti, dopo l’abbeveraggio e balneazione, si ordinava che le pecore, dovevano essere ricondotte a pascolare fuori della bandita speciale dei buoi. Sempre per le pecore, era previsto che potevano essere condotte in città, per la mungitura, attraverso la via Rustialvecchi e via S. Lazzaro72; dopo la mungiutura, dovevano essere ricondotte, sempre attraverso le predette strade, a pascolare fuori delle bandite, quando si fosse nel periodo proibito. Per quanto riguarda le bestie porcine, era vietato a chiunque di portarle a partorire o a pascolare nelle grotte vicino alla città attraverso la via che andava a S. Maria Maggiore, verso la città; né potevano i porci entrare o pascolare nel “plano Civite”. Per il loro spostamento era comunque concesso di utilizzare la via del ponte e la via. S. Stefano. Infine, nelle bandite, durante il periodo nel quale non potevano pascolare le bestie indomite, non potevano essere immesse a pascolare nemmeno le bestie caprine. Tuttavia era concesso loro di attraversare le bandite per andare e ritornare dalla città, percorrendo un tragitto retto, sotto la pena prevista per gli animali minuti. Era inoltre data facoltà ai confalonieri, agli anziani e ai rettori dei lavoratori, nei singoli anni, derogare ai capitoli riguardanti le bestie caprine. A chiusura dell’ordinamento, si ordinava che altri capitoli, provvedimenti o riformanze già fatte sopra le bandite, fossero cancellate e annullate, e che solo le ultime disposizioni fossero inviolabilmente osservate. Come già evidenziato all’inizio del presente capitolo, ci troviamo di fronte a dei documenti molto importanti, che ci consentono, con la loro dettagliata trattazione, specialmente quest’ultimo, di farci un’idea precisa di quali fossero i problemi e le preoccupazioni inerenti l’allevamento del bestiame, sia da lavoro che da macello, che incombevano sugli amministratori e cittadini del comune di Tuscania e crediamo, per analogia, su quelli degli altri comuni aventi in qualche modo, un economia basata principalmente sull’allevamento e sull’agricoltura. Si resta inoltre meravigliati nel ritrovare in questi ordinamenta dei termini ancora utilizzati nel linguaggio 71 Dallo studio della carta dell’ I.G.M. F. 136, II SE, non è stato possibile trovare i due toponimi. 72 La località “S. Lazzaro” è presente sulla carta I.G.M. F. 136, II SE ed è ubicata a circa due Km da Tuscania in direzione S.E. ed a circa un Km. dalla sponda sinistra del Fiume Marta in direzione Est. e poco distante dal toponimo “Banditella di S. Giusto”.

attuale del settore agrozootecnico delle medesime comunità. Ad esempio, ricorre spesso il termine giovenco o giovenca, riferito al bestiame di età compresa tra i due e tre anni (il bovino maschio è castrato); ancora oggi gli allevatori dell’area ricompresa tra i comuni di Tuscania, Tarquinia, Monte Romano, utilizzano il medesimo termine con la stessa valenza. Lo stesso si può dire per il termine fida che si riferisce alla custodia del bestiame brado immesso nei pascoli della dogana della provincia del Patrimonio, termine che, come sostiene Maire Vigueur, venne utilizzato per la prima volta nel 1419 negli statuti della dogana di Siena73. Ebbene, ancora oggi, questo termine viene utilizzato per indicare la cifra in denaro che gli allevatori dei bestiame bovino ed equino del Comune di Monte Romano devono versare alla locale Università Agraria, quale compenso per l’utilizzo dei pascoli di uso civico e la fornitura dei servizi (costruzione dei chiudende in legno, manutenzione e costruzione dei fontanili per l’abbeveraggio del bestiame, costruzione dei remessini, e vigilanza sui pascoli). III.5 Le bandite di Corneto Nell’estendere la ricerca sulla documentazione relativa alle bandite anche al comune di Corneto, si è purtroppo constatato che a causa delle lacune presenti nella raccolta dei registri delle riformanze74 conservate all’archivio storico di questa città, per il periodo preso in esame dal presente lavoro non ci sono pervenuti ordinamenti relativi ai pascoli delle bandite. Possiamo però ritenere con certezza che questi esistessero in quanto Niccolo’ V, con breve del 19 settembre 1449, confermava le riforme sopra i pascoli cornetani75: «Dilecti filii salute et apostolicam benedictione. Nuper receptis vostris litteris inter cetera continentibus ut reformationem quandam per vos super divisione pascuorum vostrum solenniter editam qua caveturne pecudes extra flumen Marta versus Montealtum et in tenuta Ancarani a festo Sancti Angeli septembris usque ad festam sancti Angeli mensis maii et pari tempore ne ultra dictum flumen versus urbem vacce et animalia grossa, certis pro bobus utrinque reservatis bannitis pascuare possint aut debeant, confirmare dignaremur». Per Corneto, anche se non coevo agli ordinamenti di Tuscania, ci è pervenuto un istrumento del 1560 relativo alla riforma di capitoli ed ordinanze in merito al pascolo nelle bandite comunali che ci permette di fare un raffronto tra i due provvedimenti evidenziandone le analogie presenti76. Come già detto in precedenza Corneto aveva una situazione diversa rispetto a Tuscania, non essendo inclusa nel territorio della dogana del Patrimonio non aveva problemi per reperire i pascoli per il bestiame dei suoi cittadini. Infatti, dalla riforma del 1560 apprendiamo che il comune di Corneto disponeva di ben tredici bandite per il pascolo del bestiame; pur tenendo nella debita considerazione la data del documento, 73

Maire Vigueur, Les pâturages ,cit., p. 115. Il primo volume delle riformanze del comune di Corneto conservato preso l’Archivio storico di Tarquinia, comprende il periodo che va dal 1422 al 1425; purtroppo il secondo registro conservato inizia dall’anno 1452 e comprende il 1455 con una lacuna di circa 30 anni. 75 Archivio storico di Tarquinia, Pergamene sciolte, 7. 76 L’istrumento sulla riforma dei pascoli delle bandite è presente nell’Archivio storico di Tarquinia come carta sciolta nel registro delle riformanze di Corneto 1558, gen. 3 – 1561, gen. 1. 74

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Cultural Landscapes cronologicamente distante dal periodo storico preso in esame, si può ritenere che la situazione non dovesse essere tanto dissimile da quella del Quattrocento poichè, come già riportato nel presente lavoro, ai doganieri era vietato introdurre bestiame nel territorio cornetano. La riforma dei capitoli e degli ordinamenti, fatta eccezione per le bandite di San Pantaleo e delle Cuccumellette riservate espressamente per i buoi da lavoro, si riferiva a 11 bandite che il comune di Corneto vendeva agli allevatori che avessero offerto il maggior prezzo rispetto a quello stabilito. Le bandite erano denominate: “Banditella” - “Monte Quaglieri” “Coste del Bagnuolo” - “La Fontana della Torre” - “Il Bolognano” - “ Forca di Palma” - “la 1ª parte di Pian di Spilli” - “la 2ª parte di Pian di Spilli” - “la 3ª parte di Pian di Spilli” - “ la 1ª parte della selva di Cazzanello” - “la 2ª parte della selva di Cazzanello”. Similmente agli ordinamenti dei pascoli di Tuscania, anche in questi di Corneto la prima preoccupazione dei priori era quella di far apporre termini ben visibili per delimitare i confini delle diverse bandite al fine di evitare litigi tra gli allevatori. Da una attenta lettura della dettagliata descrizione dei confini riportata sul documento e dal raffronto con le attuali carte topografiche 1:25.000 realizzate dall’Istituto Geografico Militare (I.G.M.) : F.° 142 I N.O. Tarquinia e F.° 142 IV N.E. Montalto Marina, si è constatato che la maggior parte dei toponimi sono ancora esistenti e si è potuto approssimativamente stabilire quale fosse l’ubicazione di ciascuna bandita. Una sola bandita, quella denominata “Banditella”, si trovava sulla sponda sinistra del fiume Marta e ad Est di Tarquinia, in località S. Savino, tutte le altre erano disposte sulla sponda destra del Marta senza soluzione di continuità, descrivendo un arco che con ipotetico centro su Corneto, in direzione Ovest – Nord-ovest, iniziava dal mar Tirreno, si inoltrava fino al fosso di Pian d’Arcione (a circa km. 10 da Corneto), affluente del torrente Arrone, e terminava in direzione nordest sul fiume Marta, oltre il fosso della Leona. La vendita delle bandite77 avveniva pubblicamente il giorno di S. Angelo di settembre dopo che per quindici giorni ne era stato dato pubblico avviso mediante il banditore del comune. L’offerte, da presentare per iscritto e per ogni singola bandita, avvenivano con il metodo della candela accesa, cioè dovevano essere consegnate nelle mani del cancelliere prima che la fiamma si spegnesse; la bandita veniva aggiudicata al miglior offerente, cittadino di Corneto, che ne poteva usufruire dal giorno di S. Angelo di settembre fino al giorno di S. Angelo di maggio, rimanendo per il restante periodo disponibile per coloro che stavano nel tenimento della città. Agli acquirenti erano riservate facilitazioni ma anche obblighi; in caso di guerra se al compratore veniva impedito di poter far pascolare i suoi animali nella bandita il comune avrebbe provveduto a decurtare dal pagamento il periodo non

usufruito. Per dare la possibilità di trarre un maggior profitto dalle bandite acquistate era concesso di poter vendere i pascoli ai forestieri, ma solo se questo non avesse arrecato danno ai doganieri dei pascoli. Tra gli obblighi vi era quello di realizzare gli stazzi e le capanne esclusivamente all’interno della bandita acquistata, sotto la pena di 25 scudi. Inoltre, dato che vi erano numerose bandite carenti di acqua, si doveva permettere il transito, per raggiungere i punti di abbeveraggio, al bestiame degli altri allevatori su qualsiasi bandita, eccetto quelle riservate ai buoi da lavoro; in caso di danno all’erba era comunque previsto il risarcimento. Un’altro obbligo per gli acquirenti era quello di dover permettere ai cittadini di Corneto di tagliare liberamente la legna, per uso domestico, all’interno delle bandite e di non ostacolare la rompitura delle colti (aratura dei terreni su cui era stato effettuato il raccolto) ivi presenti fino al giorno otto di ottobre. Anche in questi ordinamenti, in analogia con quelli di Tuscania, si riscontra una particolare attenzione per le persone economicamente disagiate, infatti con una disposizione relativa ai poveri agricoltori che facevano lavoreccio, si concedeva loro di poter immettere nelle bandite, oltre ai buoi domi, anche quattro vacche indomite senza alcun impedimento. Per ultimo, affinché i capitoli sulla riforma dei pascoli non venissero dimenticati e fossero sempre fatti rispettare, si dava incarico al cancelliere del comune di registrarli nei libri dei decreti e di farli approvare dal vicelegato apostolico. La disponibilità di tante bandite, se da una parte permetteva al comune di Corneto una fiorente attività allevatizia, dall’altra era fonte di continue preoccupazioni per gli amministratori a causa della tensione che si creava tra allevatori e agricoltori per i danni causati alle colture dal bestiame. Dell’esistenza di questo problema ne abbiamo testimonianza soprattutto dalle rubriche più significative dello statuto del comune di Corneto78, relativamente ai danni dati. In questo statuto, datato 1545, il capitolo VIII del libro IV dei “Danni civili”(«Delle pene del bestiame che causa danni nelle biade, orti, legumi, lino e canneti»), elenca una dettagliatissima serie di possibili danni, tanto da costituire il capitolo più esteso del libro79. Il capitolo X «della pena di chi causa danni nei campi coltivati ad erbaggi o nei prati» prevedeva pene severe per il bestiame da mandria che pascolava furtivamente nei campi coltivati ad erbaggi o nei prati, dalle calende di marzo fino al momento in cui dette erbe venivano falciate e sgombrate80. Il capitolo XVIII, «Della pena delle bestie che pascolano vicino alle vigne» prevede che «gli animali che vanno in mandria, eccetto buoi, ed i bufali domestici, gli asini, i cavalli ed i muli, non debbano fermarsi né pascolare vicino alle vigne di tutto il territorio di Corneto per lo spazio di una cavalcata, sotto pena di cinque carlini (…) e ciò trovi applicazione dalle 78

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Sommando i prezzi di vendita fissati per ciascuna bandita dalla riforma sui pascoli del 1560, si può calcolare che le 11 bandite fruttavano annualmente alle casse del comune di Tarquinia oltre 1500 ducati d’oro.

Gli statuti della città di Corneto MDXLV, a cura di M. Ruspantini, Tarquinia, 1982. 79 Ivi, pp. 430-432. 80 Ivi, p. 436.

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Aspetti di un conflitto calende di agosto fino alle calende di novembre (…) Fanno eccezione i castrati, le pecore e le capre dei macellai, per le quali bestie non si applichi alcuna pena, purché le bestie siano da macello (...)»81. Il capitolo XXVI “Della pena di chi fa guasto ai carichi dei carri od ai mucchi di covoni per far mangiare il bestiame” stabiliva che qualsiasi pastore che avresse guastato i carichi dei carri o i mucchi di covoni di qualsiasi tipo di cereale per dar da mangiare alle bestie, era punito con la pena di dieci ducati, se il fatto era avvenuto di giorno, con il doppio, se il fatto era avvenuto di notte. Inoltre doveva risarcire il proprietario del doppio del danno arrecato, in caso contrario, doveva essere frustato nella la piazza del Comune. Come si evince da questa breve rassegna delle rubriche dei danni dati, gli statutari di Corneto, consapevoli dei problemi sociali ed economici che sarebbero potuti scaturire dai contrasti tra allevatori e agricoltori, hanno cercato di evitarli stabilendo delle norme ben precise e pene molte severe; purtroppo, come in tutte le zone con un’economia agricola e allevatizia, queste si sono dimostrate un deterrente solo in parte efficacie e non sufficiente ad evitare del tutto i danni del bestiame alle colture. III.6 La corrispondenza con Nello da Bologna e Vianese Albergati Le comunità tuscanese e cornetana erano particolarmente attente ai vari problemi inerenti il settore allevatizio che costituiva una delle principali risorse della loro economia. Pur di giungere alla soluzione di problemi, che quotidianamente si presentavano in questo settore, fanno il possibile per ottenere amicizie e protezioni ai livelli più alti delle cariche pontificie, alle quali chiedono aiuto e consigli, anche se questo, come abbiamo già detto, avrà certamente costituito un peso per le casse del comune. Nella ricerca portata avanti attraverso la lettura delle riformanze dei due comuni Tarquinia e Tuscania, per il periodo preso in esame, 2ª metà del XV secolo e specificatamente gli anni 1449-1456 per Tuscania e 14521455 per Corneto (Tarquinia), è stata riscontrata, relativamente al problema dei pascoli ed allevamento del bestiame, una consistente corrispondenza con il famigliare del papa Nello da Bologna e con il governatore o rettore del Patrimonio Vianese Albergati per gli anni che vanno dal 1449 al 1454. Nello da Bologna, «una figura tanto sconosciuta quanto importante per i problemi amministrativi, responsabile del vettovagliamento dell’Urbe per il Giubileo del 1450 assieme a Giovanni di Iuzzo, cronista viterbese, che lo chiama “suo compare”; “vir et matura aetate et matura prudentia praeditus” come di lui dice l’umanista Antonio Tridento»82. Nello, compare in alcuni documenti esaminati come familiare del papa e commissario apostolico generale. Vianese Albergati era governatore o rettore del Patrimonio83. 81

Gli statuti della città di Corneto cit., p. 436. Lombardi, I rapporti con Roma cit., pp. 139-185 (in particolare p. 172). 83 Rif. Tuscania, 1449, c. 15v., 1450, cc. 85v – 86r., Rif. Corneto, 1452, c.5r. G. Ermini, I rettori provinciali dello Stato della Chiesa da Innocenzo III all’Albornoz. Ricerche storico giuridiche, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», 4 (1931), pp. 29-104, e con riferimento al Patrimonio, C. Calisse, 82

I numerosi compiti che era chiamato a svolgere nella sua veste di massimo esponente del governo pontificio nella provincia del Patrimonio possono essere riassunti: nella difesa territoriale e gestione delle strutture difensive; nella salvaguardia della pace interna, sia in casi di sommossa o di liti fra comuni o fra privati; nella riscossione di tributi speciali, distinti da quelli di competenza del tesoriere, per il quale era un’autorità di riferimento84. Le due comunità si rivolgono a Nello con toni di adulazione per la soluzione di problemi economici; quella di Tuscania, in particolar modo, per le questioni legate ai pascoli della Dogana. Le lettere di risposata di Nello hanno un tono amichevole e disponibile, ma sicuramente queste amicizie con i famigliari del papa dovevano costare ai comuni regali e ricche accoglienze durante le loro visite. Per quanto riguarda Tuscania, alla c. 15v (1449) del 1° registro delle riformanze, è registrata una “Littera Nelli”, datata 17 ottobre 1449, con la quale il famigliare del papa, comunica agli “Spectabiles viri uti patres honore recomandatione promissa....” che ha parlato del loro problema, riguardante il bestiame immesso nei pascoli della dogana e da immettersi per l’avvenire, al vicecamerlengo. Però, per una buona definizione della questione, affinché i Tuscanesi possano meglio mostrare le loro ragioni, li esorta ad inviare a Roma un ambasciatore con pieno mandato. Successivamente, con lettera del 25 ottobre 1449,85 Nello, sollecita, questa volta un pò seccato, l’invio del rappresentate già richiesto, per discutere con lui e con il vicecamerlengo Lorenzo Altieri il problema dei pascoli, «altrimenti provederemo in quel modo che meglio ci parerà. Non altro per questa. Christo vi guardi». Messo alle strette, il consiglio, nella seduta del 6 novembre 1449,86 nomina Johannes Tuti et Stefanus Baptista come oratori da mandare a Roma per la soluzione del problema dei pascoli acquistati dai cittadini di Tuscania dal doganiere della dogana del Patrimonio, ed ai quali viene richiesto il pagamento di metà fida; la qual cosa se si dovesse verificare «redundaret in perpetuum damnum et detrimentum dicta comunitade iccirco placet consulere et reformare quid sit circa hoc faciendi». Le proteste della comunità di Tuscania non sembrano finite, alle cc. 85v – 86r del 1° registro delle riformanze, con la data del 27 maggio 1450, troviamo una Ellectio Johannis Jutii oratorem iturum Romam, con la quale il consiglio elegge un nuovo oratore presso Nello per far presente che la comunità rifiuta di accettare i tre capitoli sui pascoli doganali87, Costituzione del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia nel secolo XIV, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», XV (1982), pp. 5- 70. 84 Lombardi, I rapporti con Roma cit., p. 146. 85 Rif. Tuscania, 1449, c. 15v. 86 Rif. Tuscania, 1449, c. 20r. 87 Rif. Tuscania, 1450, c. 82r. «Tenor capitolorum magnifici Nelli: Primo che la comunità et homini de Toscanella siano tenuti et debbano pagare ala Camera apostolica per ciaschuno cenetenaro de bestie minute, duchato uno oro de camera et per ciascuno centenaro de bestie grosse duchati cinque de oro de camera eschano o non del territorio de Toscanella. Secondo che detta comunità et homini dessa siano tenuti ed debbano pagare ala Camera apostolica per ciaschuno centenaro de bestie grosse, ducati octo oro de came ra uscendo fora del territorio de Toscanella. Tertio che se detta comunità et

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Cultural Landscapes presentati da Barholomeum de Perusio, doganiere dei pascoli del Patrimonio, in quanto «cum ipsis non videantur in congrua forma formata». All’ambasciatore viene consegnata una littera consilii directiva Nello, con la quale, scusandosi per il ritardo dell’invio dell’oratore, si chiede a Nello di prestargli piena fede in tutto quello che dirà per parte della città di Toscanella, quale ultima intenzione del comune, e tutto quello che per lui sarà concluso verrà approvato e firmato. Tutte queste proteste e richieste di aiuto indirizzate a Nello, famigliare del papa e commissario apostolico generale, sembrano aver dato i loro frutti, se alla fine, come già detto, Niccolò V con la bolla del 14 ottobre 1459 accorda agli abitanti di Tuscania di poter condurre le loro greggi in qualsiasi pascolo delle dogane del Patrimonio o di Roma senza pagamento della fida 88. Passando ad analizzare i rapporti di Corneto con Nello, si può rilevare che questi non concernono specificatamente i problemi di pascolo o di bestiame con la dogana dei pascoli del Patrimonio. Come abbiamo già detto, Corneto, rispetto a Tuscania, aveva una maggiore disponibilità di pascoli a disposizione della comunità 89 e, inoltre, vigeva il divieto ai doganieri di introdurre il bestiame nel suo territorio, confermato da Eugenio IV con breve del 31 ottobre 1446, conservato nell’archivio storico di Tarquinia 90. Tra i documenti registrati nel libro delle riformanze di Corneto (1452-1455), riguardanti i rapporti con Nello, uno si riferisce alla costruzione del ponte sul fiume Mignone91: “Accessio magnificorum dominorum ad visitandum Nellum”. Relazione delle autorità cittadine sulla loro visita a Nello che è venuto a Corneto. Nello fa presente che il Pontefice vuole che si ripari il ponte del fiume Mignone e le autorità, in seguito, fanno sapere a Nello che il comune non ha soldi sufficienti per l’esecuzione dei lavori. Quindi, attraverso lui, chiedono al pontefice una serie di agevolazioni, tra cui quella di ripristinare la tassa per il transito del bestiame, di qualsiasi genere, sul territorio di Corneto 92. Successivamente, Nello, con lettera da Roma del 29 marzo 145393, comunica ai Magnificis viris Confalonerio, Consulibus et Capitaneo homini dessa voleno libere tremila pecore riducte le vache ad pechore, cioè quatro pecore per bestia grossa, che del resto del bestiame ha detta comunità siano tenuti et debbano pagare ala Camera apostolica per ciaschuno centenaro de bestie minute ducati oro de camera cinque et mezo, et per ciaschun centenaro de bestie grosse ducati vinti duy». 88 Cfr. A. Theiner, Codex Diplomaticus domini temporalis S. Sedis, Roma, 1861, t. III n. 356, p.412-413. 89 Dall’istrumento sulla riforma di capitoli ed ordinanze in merito al pascolo nelle bandite comunali dell’anno 1560, presente in carta sciolta nelle riformanze del 1558-1561, veniamo a sapere che oltre alle due bandite riservate al pascolo dei buoi: “Cuccumelletta” e “ San Pantaleo” la comunità di Tarquinia aveva a disposizione per il pascolo del loro bestiame, altre undici bandite. Purtroppo non si è potuto trovare un eguale documento per il periodo preso in considerazione nel presente lavoro, probabilmente contenuto nelle riformanze mancanti che coprono un periodo che va dall’anno 1426 al 1451. 90 Archivio storico comunale di Tarquinia, 1446 ottobre 31 – Roma S. Pietro. Breve di Eugenio IV col quale conferma il divieto per i doganieri di introdurre bestiame nel territorio cornetano. 91 Rif. Corneto, 1452, c. 7rv. 92 Lombardi, i rapporti con Roma cit., p. 180. 93 Rif. Corneto, 1453, c. 78r.

Quingentorum Civitatis Corneti suis ut patribus honorandis etc., che il papa ha concesso che il tesoriere paghi cento ducati al comune di Corneto, quale contributo per la riparazione del ponte. Conclude dicendo: «se da qua posso fare cosa vi sia grata lo farrò volentieri per la vostra communità quanto è possibile». Il “Magnificus Nellus” lo troviamo nuovamente nominato nella «cohadunatio novem civium electis super ad previdendum pro subsidio et pro mittendo ad dominum nostrum super facto portus cum expositis ambasciate per oratorem», datata 17 novembre 145494. In breve, nella riunione si decide di nominare degli oratori da mandare a Roma da Nello, al fine di chiedere un sussidio per la ricostruzione della torre del porto di Corneto, ricordando che lo stesso all’inizio della costruzione, aveva promesso che il doganiere avrebbe consegnato al camerario del comune, la somma di trecento ducati d’oro. Come si può vedere, i rapporti tra la comunità di Corneto e il famigliare del papa, nonchè commissario apostolico generale, Nello, diversamente dal comune di Toscanella, e ad eccezione dei bandi emanati a suo nome sul divieto di transito del bestiame, nel territorio della Camera Apostolica, senza la preventiva licenza95, non riguardano i problemi legati ai pascoli della dogana e al bestiame della comunità, ma si riferiscono maggiormente a concessioni di contributi per la realizzazione di opere murarie. Problemi di pascolo e di danni causati dal bestiame nel tenimento di Corneto, vengono invece trattati dal consiglio con Vanesio Albergati, governatore o rettore della provincia del Patrimonio. C’è da dire comunque che Corneto è il centro che ha la corrispondenza più ricca con il governatore, a dimostrazione anche della sua importanza politica ed economica nella provincia del Patrimonio, seconda solo a Viterbo 96. Tra le lettere appartenenti al carteggio ufficiale fra il governatore e il comune, per gli anni 1452-1456, sono registrate sul registro delle riformanze alcune che riguardano gli argomenti trattati dal presente lavoro. Con lettera da Viterbo del 2 maggio 145397, indirizzata agli Spectabilis viris confalonerio, consolibus et capitaneo quingentorum civitatis Corneti amicis carissimis, il governatore dà la sua conferma solo su una parte delle riforme fatte dal consiglio sulle pene da comminare alle bestie, e in particolare ai buoi, che avessero causato danni alle vigne. Infatti, approva la pena di dieci soldi per ciascun capo di bestiame che avesse arrecato danni alla vigna, ma respinge la riforma del consiglio cornetano, in a base alla quale i buoi non debbono avvicinarsi di notte o pernottare a non meno di cinquanta passi dalle vigne98, scrivendo: «(...) Quod autem si boves noctu vineis appropinquaverint ad XL passus statueritis ut it idem multentur non placet nec observari volumus (...)». 94

Rif. Corneto, 1454, c. 264v. Si veda il bando del 8 ottobre 1452, registrato nelle Rif. Corneto, 1452, c. 5r). 96 Lombardi, I rapporti con Roma cit., p. 149. 97 Rif. Corneto, 1453, c.90v. 98 Rif. Corneto, 1453, c. 85r. 95

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Aspetti di un conflitto

Fig. III.1 – Panoramica dei coltivi e dei pascoli a ridosso della Valle del Marta. Pict. III.1 – Panoramic view of cultivated and grazing lands close the river Marta valley. Il governatore ha la prerogativa di confermare riforme o decisioni particolari, e in questo caso, trattandosi di riforme sulla rubrica dei danni dati, ritiene forse un pò eccessiva e restrittiva la seconda parte del provvedimento, nei confronti dei proprietari di bestiame. Un’altra lettera scritta dal governatore del Patrimonio da Viterbo in data 8 giugno 1453, è indirizzata allo spectabilis viris postestati et officialibus Civitatis Corneti99. Questa volta non si tratta di una conferma del rettore su delle riforme o decisioni adottate dal consiglio cornetano, ma di una deroga agli statuti della comunità100. Il governatore, fa presente che un certo Matteuccio da Orbetello, avendo recuperate alcune sue cavalle che gli erano state rubate dai soldati del duca di Calabria, e temendo che ritornando ad Orbetello gli siano rubate di nuovo, si fermerebbe volentieri a Corneto per tutta l’estate, utilizzando le cavalle per tritare la biada. Cosa questa che risulterebbe molto utile per la comunità di Corneto, ma contrastante con quanto stabilito dagli statuti. Il governatore continua dicendo «il perchè semo contenti gli diate licentia che ci possa stare 99

Rif. Corneto, 1453, c. 101v. Lombardi, i rapporti con Roma cit., p. 161.

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non obstante statuto alcuno o riformatione in contrario deli quali noi non havemo però informatione alcuna». Questo è uno dei tanti episodi che stanno a testimoniare l’interferenza delle autorità pontificie nella vita amministrativa delle comunità della provincia del Patrimonio. Come ultimo caso di rapporti tra il governatore e la comunità di Corneto, per problemi inerenti al settore allevatizio, si può segnalare la lettera scritta in data 22 gennaio 1454101 per decisione del consiglio, con la quale lo si porta a conoscenza, per la relativa approvazione, della deliberazione consiliare102 di procedere al sequestro di bestiame ad un certo Menichetto Boccalesci;. Quest’ultimo deteneva nel tenimento di Corneto circa cento trenta capi di bestiame in più rispetto a quelli per i quali gli era stata concessa la licenza. Il Consiglio, «unanimiter et concorditer nemine discordante declaraverunt illa plura animalia et Camere Apostolice pro medietate et communi Corneti pro reliqua medietate confiscata fuisse, predicta declarando omni meliori modo ect».

101 102

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Rif. Corneto, 1453, c. 184r. Rif. Corneto, 1454, c. 183rv.

Allevamento stanziale e transumanza nel Medioevo

Fig. IV.1 – Bestiame bovino di razza ‘Maremmana’ a Monte Romano. Pict. IV.1 – Bovine cattle of ‘Maremmana’ race in Monte Romano.

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CAPITOLO IV LE RAZZE BOVINE PRESENTI SUI PASCOLI DELLA MAREMMA NEL QUATTROCENTO Abstract A special place is to bovine races that, as documentary sources say, it was possible to meet in the grasslands of Maremma during XV century. Many terms in local dialects were used to speack about them and distinguish different races (Indigena Romana, Maremmana), levels of grown, age and physical characteristics. Keywords Middle Age, bovine races, Maremmana, Indigena Romana, dialect, terms IV.1 Le razze bovine Considerando che le bandite erano realizzate soprattutto per il pascolo dei buoi da lavoro, si è creduto opportuno procedere ad effettuare una ricerca per stabilire se i bovini di razza maremmana presenti attualmente sul territorio della provincia di Viterbo siano i discendenti della razza bovina che nel XV secolo veniva allevata nello stesso ambito geografico. Prima di tutto occorre fare una premessa in merito all’origine delle razze bovine italiane. Sembrerebbe che in Italia i bovini della specie Primigenius, dalla quale derivano quasi tutte le razze europee, esistessero fin dai tempi preistorici. Il Bos Primigenius pare avesse il manto bianco, alta statura e cornatura molto sviluppata, caratteristiche presenti nelle attuali razze maremmana e pugliese1. Il Poli e Magri2 tendono a non far discendere le due razze dal Primigenius, in quanto la colorazione nera di molte estremità (come i bordi delle orecchie e degli occhi, il contorno del muso, le estremità della coda e delle corna, gli unghioni) sono caratteristici di bovini allevati anche fuori d’Italia, anche se derivati dal Bos Primigenius. Tuttavia, è da ritenere che come il bue Primigenius ha dato origine ai buoi delle steppe, e quindi a quelli della Podolia e dell’Ungheria, dai quali discenderebbe la razza podolica importata in Italia nel II secolo d.C., abbia dato origine anche al primitivo bue italico, che avrebbe occupato le attuali zone di allevamento fin dal tempo degli etruschi. Questo spiegherebbe la preesistenza di una razza bianca, nera o rosso-bruna, che ci viene indicata da Varrone, Columella, Virgilio, Plinio, prima dell’importazione della razza podolica fatta da Traiano. Columella, nel suo trattato sull’agricoltura, afferma che i buoi della Campania erano bianchi, quelli dell’Umbria grossi, bianchi e rossi, ma in ogni caso, secondo il suo parere, l’aratore doveva cercare animali giovani, dalle grandi membra, con corna lunghe, scure e robuste, con occhi e labbra nere, con narici larghe, giogaia ampia che arrivava quasi alle ginocchia. Anche se la nuova razza podolica od ungarica finì per imporsi e diventare prevalente, è da 1 T. Bonadonna, Le razze bovine, Milano, 1959; E. Mascheroni, Zootecnica generale, Torino, 1932. Uno scheletro del Bos Primigenius, del periodo neolitico, è stato recuperato nel 1949 in località Campo di Gallo nel comune di Grotte Santo Stefano (VT); attualmente si trova al museo di Paleontologia dell’Università di Roma “La Sapienza”. 2 A. Poli, G. Magri, Il bestiame bovino in Italia, razze e varietà principali mezzi per migliorarle, Torino, 1884.

supporre che non tutti i derivati dal tipo italico fossero scomparsi subito dopo quell’importazione. Il bue italiano doveva costituire, per ragioni topografiche, razze diverse, adatte al piano ed alla montagna, diverse nella statura e molto resistenti. Tutti i bovini che ora sono in Italia, derivano pertanto dal bue primitivo italiano, indigeno, e dal bue delle steppe, importato; anche se tuttavia altri tipi diversi potrebbero essere stati importati dai romani o altri popoli invasori. Anche il Bonadonna afferma: «(...) autoctoni sembrano essere, in Italia, i generi Bos, Sus, e Capra.(...) già nell’età del bronzo erano conosciute tutte le specie domestiche, compreso il cavallo (...) Nell’Evo medio, la zootecnia trasse vantaggio dall’importazione di razze animali (cavalli, bovini, ovini) da parte degli invasori con il loro eserciti. (...) L’allevamento dei bovini era prevalentemente per la produzione della carne e del lavoro»3. Secondo Poli e Magri discendenti del Bue Italico si trovano nel Lazio, nel Friuli, nell’Appennino Centrale e nell’Emilia, nel centro di Sicilia ed in Sardegna. Del Bue delle Steppe o meglio Podolico od Ungarico, si trovano discendenti, specialmente nel Veneto, nel Lazio, nell’Emilia, nelle Romagne, nelle Marche, in Umbria, in Piemonte, in Toscana e nel nord ovest della Sicilia. Per Poli e Magri, tra le razze più importanti che discendevano dal bue italico c’era la Indigena Romana. In epoca romana sembra che vi fosse grande abbondanza di bestiame vaccino in tutta la regione. Da un’analisi dei reperti archeologici iconografici di epoca etrusca e romana possiamo immaginare i caratteri morfologici dei buoi indigeni romani: statura elevata, corna lunghe e divaricate, testa grossa, pelo corto e liscio, manto bianco, struttura robusta; caratteristiche che si avvicinano molto alle descrizioni di Varrone e Columella sui buoi presenti al tempo dei romani. Secondo Columella (trattato di agricoltura), già all’epoca etrusca e durante i primordi di quella romana, si allevavano nell’Italia centrale due tipi di bovini, uno di grande mole, con pelame bianco e corna brevi, ricercato per sacrifici divini e per il latte delle vacche, l’altro più rustico, con mantello fulvo, corna lunghe, utilizzato per il lavoro. Sempre secondo il Poli e Magri, in seguito hanno finito per prevalere i bovini con mantello grigio, derivati dall’incrocio del Bue Italico con quello Podolico, distinti poi con il nome di razza bovina dell’agro Pontino, e successivamente con razza bovina Maremmana, il cui nome deriva dall’area di allevamento che era ed è rappresentata dalla Maremma tosco – laziale, un ampio e non ben delimitato tratto del litorale tosco – laziale che raggiunge nell’interno le propaggini della dorsale Appenninica. Una razza caratterizzata da una corporatura massiccia, muscolosa e tarchiata, statura variabile a seconda del territorio, elevata nelle zone costiere, meno nelle parti più montagnose; la testa tozza è forte con corna lunghe e grosse alla base, la pagliola discretamente pronunciata, petto ampio, pelle grossa e coperta di pelo ruvido di colore grigio, più o meno scuro4. 3 4

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T. Bonadonna, Zootecnica speciale, vol. I, Varese, 1950. Poli, Magri, Il bestiame bovino in Italia cit.

Cultural Landscapes

Fig. IV.2 – Disegno di un Uro (Bos Taurus primigenius) secondo Charles Hamilton Smith (da un originale del XVI secolo). Pict. IV.2 – Drawing of an auroch (Bos Taurus primigenius), by Charles Hamilton Smith (from an original one of XVI century). Secondo Bianchini5 i bovini maremmani «costituiscono una varietà del Bos Taurus Primigenius, e sembrano derivare dal bovino podalico, ed originariamente dalla stirpe asiatica, la quale, dall’altopiano dell’Iran si diffuse in Europa (...) Tutt’ora menano vita libera, allo stato brado, (...) riuniti in armenti più o meno numerosi, esposti continuamente alle intemperie ed ai rigori delle stagioni (...) senza ricoveri di sorta, od in mezzo alla macchia, (...) tale sistema di vivere contribuisce a mantenere caratteristiche primitive. (...) La razza Romana o Maremmana presenta invariato anche l’altro carattere etnico riguardante il mantello. Questo (...) nell’animale adulto vedesi grigio-marino più o meno intenso. Invece il vitello nasce con manto fromentino, il quale, un pò alla volta per effetto del rimuoversi del pelame, diviene grigio oscuro» (fig. IV.2 / pict. IV.2). Il bovino maremmano, oltre ad essere il rappresentante più tipico del Bos primigenius, progenitore dei bovini del suddetto ceppo podolico, è soprattutto il prodotto dell’ambiente in cui vive da secoli, proprio la Maremma Tosco-Laziale; secondo Giuliani6 è «l’espressione di un integrale adattamento a condizioni dure e primitive di vita le quali hanno provocato una autentica selezione naturale del 5

B. Bianchini, Il bestiame vaccino della Campagna Romana, Catania, 1913. R. Giuliani, La razza bovina maremmana ed il suo avvenire, in «Rivista Zooetcnica», anno V, n. 10 (1928). Sulle origini della razza maremmana vedi anche M. Lucifero, G. Jannella, P. Secchiari, Origini, evoluzione, miglioramento e prospettive della razza bovina maremmana, Bologna, 1977.

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più adatto, eliminando inesorabilmente e sistematicamente, gli individui più deboli ed incapaci di procacciarsi di che vivere nella prateria, nella palude e nel bosco sotto la sferza del sole e nei rigori invernali». Una delle attitudini principali del bovino maremmano è stata l’attitudine al lavoro, dovuta sia alla peculiare struttura anatomica dell’apparato locomotore che ad una resistenza fisica insuperabile, caratteristiche che hanno contribuito a valorizzare questa importante funzione economica. Veniva utilizzato in tutti i lavori agrari, dall’aratura all’erpicatura, oltre che nei trasporti delle derrate e dei prodotti agricoli. In conclusione, si può certamente affermare, in base ad un notevole patrimonio di testimonianze zoo-archeologiche, artistiche e letterarie, nonché agli studi fatti, che nel XV secolo i bovini che pascolavano sul territorio della provincia del Patrimonio appartenevano non alla razza rosso-marrone, che sembra essere stata quella più diffusa in Italia, come riportato dal Cherubini,7 ma a quella Maremmana, autoctona di quell’area, formatasi nel tempo da tipi genetici di bovini macroceri, presenti in Italia sin dal periodo Neolitico. Una razza che si è adattata bene ai più naturali sistemi di allevamento, sfruttando le aree marginali e le sterpaglie boscose, e che, capace di sopportare senza danni permanenti 7

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Cherubini, L’Italia rurale, p. 26.

Le razze bovine

Fig. IV.3 – Campi coltivati e pascoli in direzione della Rotonda, il castello medievale di Monte Romano sulla cime del colle. Pict. IV.3 – Cultivated and grazing lands near the Rotonda, the medieval castle of Monte Romano on the top of the hill. anche periodi di sottoalimentazione, è giunta integra fino a noi, attraverso oltre 20 secoli di storia . IV.2 Glossario dei termini usati per indicare il bestiame Per quanto riguarda le varie fasi dell’allevamento, è sembrato interessante, per i termini adottati, riportare ancora un brano tratto dagli scritti del Bianchini8: «(...) in quei tenimenti dove si alleva un numero abbastanza considerevole di vacche da frutto, da 500 a 1000, si pratica la selezione dei vitelli, conservando i migliori per la riproduzione o per farne buoi da lavoro, e destinando gli altri al macello. Ad un anno i vitelli, quando cioè si mercano, diconsi “asseccaticci”. La femmina si sottomette per la prima volta alla monta, tosto che ha raggiunto l’età di due anni. Allora prende il nome di “nùtola”; giammai conservansi i prodotti delle nutole, ma si uccidono dopo aver poppato fino ad arrivare a Kg. 70-100 di peso. Allor che la nutola ripartorisce, viene designata col nome di “vacca”, e tra i figli di esse scelgonsi quelli da mantenere». «Durante i vari mesi dell’anno i tori sono tenuti lontani dalle vacche, in rimesse dette “torazziere”; fanno eccezione le mandrie destinate a produrre il latte, nelle quali il toro è in 8

permanenza. Si assegnano circa venti-venticinque vacche per ciascun toro, avendo per altro cura di tenerlo separato da quello d’un altro branco [...] Le femmine impiegate alla prole, diconsi “vacche da frutto” o “vacche da corpo”, in contrasto a quelle che a causa della sterilità o vecchiaia annualmente si scartano e vanno al macello; quest’ultime [...] si chiamano “cacciatore”, e l’insieme costituisce la “capata”, da temersi ovunque passi, e vengono condotte al mattatoio di notte, scortate da conveniente numero di cavalcature. Entro marzo ed aprile le vacche vanno in calore, cosicchè figliano nel cuore dell’inverno; allattano per 4 mesi scarsi, e dopo 3 mesi dal parto riprendono il toro. Il poppante segue la madre alla postura, dove succhia il latte [...] avvicinandosi la primavera [...] finisce per alimentasi di sola erba. [...] a tre mesi circa o a 4 comincia lo slattamento; allora i vitelli si avviano gradatamente al regime verde e vi si abituano, senza ricercare più la poppa materna. Vengono quindi condotti in pascoli separati dalle madri, e fra essi scelgonsi poscia i tori da monta, e quelli che in seguito diverranno buoi pel lavoro necessario all’amministrazione rurale; il resto si vende per altri branchi o portato alle fiere. Per converso, le vitelline quando hanno venti giorni od un mese, son esitate al macello come “mongane” di carne finissima e si lasciano soltanto le migliori, per il rimpiazzo nell’azienda medesima.

Bianchini, Il bestiame vaccino cit.

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Cultural Landscapes Dopo lo svezzamento, le madri si mungono durante la resa di 7 mesi. Frattanto l’allievo cresce, nutrito a sufficienza dal buon “salime” delle erbe primaverili, ed il pascolo è un ottimo succedaneo del latte. Ma al sopravvenire del nuovo inverno cambiano le circostanze alimentari e gli animali soffrono la fame, e li vediamo magri, sparuti, con il pelo lungo ed irto, e si osserva una reale diminuzione della vita vegetativa fino alla ventura primavera». In considerazione del fatto che molti termini riportati dal Bianchini e utilizzati nella Campagna Romana nei primi anni del 1900 per indicare le varie categorie del bestiame bovino sono gli stessi che troviamo spesso negli ordinamenti relativi alle bandite emanati nel Quattrocento e che sono ancora oggi utilizzati dagli allevatori, si è ritenuto utile compilare il seguente glossario con la classificazione del bestiame bovino: Bravazzame od allevame, fino all’età di 8 mesi; Vitello o vitella, da 8 mesi ad un anno; Asseccaticci, da 1 a 2 anni; Nùtola o annutola, se femmina fino a 3 anni Giovenco, se maschio castrato fino a 3 anni; Birracchio o torazzo, se intero fino a tre anni; Vacca, la nutola dopo il primo parto; Toro, quando il biracchio comincia a montare (la carriera del toro riproduttore dura fino a 7 anni); Bue, è il giovenco domato; Mongarola, la vacca da latte che si tiene per la riproduzione fino a 11-12 anni; Maglione, toro castrato dopo i 7 anni; Cacciatora, vacca scartata dopo i 12 anni; Camarro, il bove che diventa vecchio, si fa lavorare fino a 12-13 anni, poi si ingrassa per la macellazione; Mandarino, il giovenco più bello e mansueto che si addestra a guidare le mandrie.

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CAPITOLO V LA DOCUMENTAZIONE D’ARCHIVIO Abstract A collection of inedit documents has been done working directly into historical archives of Tuscania and Tarquinia and gives many important information about historical places and their organization of farm animals in the middle of XV century. Keywords Middle Age, archives, historical documents V.1 Documenti dell’Archivio storico di Tarquinia 1 1452 ottobre 8 Il doganiere Giacomo di Tommaso dÈ Dottori di Bologna ordina che nessuno possa far transitare animali nel territorio della Camera apostolica o portarli fuori senza licenza. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 5v. Commissio bannimenti de habentibus animalia in tenimentis Camere Apostolice ex parte Magnifici Nelli. Spectabilis vir Jacobus Thome de Doctoribus de Bononia dohanerius pro Camera apostolica veniens in palatio magnificorum dominorum officialium commisit Georgio tubicene comunis ut eat per loca consueta dicte civitatis et in eis banniat et preconizet sono tube premisso alta et intelligibili voce quod nullus cuiusvis conditionis vel gradus existat habentes cuiuscunque generis animalia audeat vel presumat quod ipsa animalia transitum faciant per territorium Camere apostolice prius non habita licentia a dicto Jacobo dohanerio ad penam perditionis animalium. Et hoc ex parte et mandato magnifici viri Nelli familiaris S.D.N. Commissio alterius bannimenti ex parte eiusdem Nelli. Item ex parte eiusdem magnifici viri Nelli mandato predicto Georgio tubicene communis commisit idem Jacobus ut similiter banniat et preconizet in dictis locis, ut moris est, quod omnes et singuli habentes aliquod genus bestie in tenimentis dicti ecclesie non debeant illas bestias inde removere nec removeri facere ad penam centum ducatorum auri Camere apostolice applicandorum nisi id prius notum fecerint predicto dohanerio et ab eo removendi licentiam obtinuerint et etc. Relatio bannimenti Qui Georgius predictus iens et rediens retulit mihi Ursino cancellario predicte civitatis Corneti omnia que in mandatis habuit fecisse et in locis debitis et consuetis in quibus huiusmodi bannimenta seu preconia fieri consuetum est ex parte magnifici Nelli bannivisse dixisse et preconizasse omnibus audientibus legaliter et bona fide et e cetera. 2 1452 dicembre 27

Convocatis cohadunatis et congregatis civibus de mandato magnificorum dominorum in sala ultima dictorum dominorum solite residentie deputatis super fatto animalium, unanimiter et concorditer nemine discrepante deliberaverunt et ordinaverunt ex brevitate temporis quod omnibus habentibus animalia blada detur iuramentum de veritate dicenda et dato iuramento per cancellarium dicant numerum animalium ipsorum. Et secundum dictum numerum imponatur datia. Deliberatio supradictorum et commissio bannimenti Deliberaverunt deinde ac Georgio tubice commiserunt ut per loca publica dicte civitatis vadat et in eis preconizzet quod omnes et singule persone habentes animalia blada debeant illa denumptiasse cancellario Corneti infra terminum duorum dierum, aliter dicto termino elapso quod ipsi novem cives secundum ipsorum discretionem facient numerum et cetera. 3 1453 aprile 11 Il podestà di Corneto consegna al gonfaloniere e al vice doganiere dei pascoli 12 animali equini forestieri trovati a pascolare nel territorio del comune in violazione delle norme statutarie. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 80v. Consignatio certarum bestiarum perditarum facta magnificis dominis per potestatem Corneti. Constituti coram magnificis dominis Confalonerio et sociis in sala capelle ipsorum solite residentie existentibus, honorandus potestas civitatis Corneti ac eius iudex, presentaverunt et assignaverunt ipsis dominis pro medietate et Bettocelle vice dohanerio pro alia medietate nomine camere, duodecim bestias cavallinas, videlicet equas quinque, equum unum et pullos sex, quas omnes bestias invenisse contra formam statutorum in tenimento Corneti repperisse et illas perditas de iure statuti in huiusmodi re loquentis esse confirmat, cum sint forensis et stare non debeant in dicto tenimento Corneti, et probatum sit sic esse verum per testem sive testis idoneos etc. Qui quidem magnifici domini pro parte communitate tangente et dictus Bettuscilla pro parte Camere Apostolice dictas bestias omni meliori modo via et forma acceptaverunt etc. 4 1453 aprile 15 Il consiglio generale e speciale delle arti e delle società di Corneto nomina una commissione di sei cittadini perché individui una zona da destinare al pascolo delle pecore così da evitare che danneggino le vigne e che creino problemi ai buoi. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, cc. 81r-82v

Convocato cohadunato et congregato consilio spetiali Una commissione di nove cittadini dispone che tutti i proprietari di bestiame brado denuncino quanti animali et generali artium et societatum civitatis Corneti in numero posseggono. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. sufficienti in sala maiori domini potestatis solite residentie ad sonum campane et requisitionem famulorum ac bayulorum ut 38v. est moris (...). Congregatio novem civium super facto animalium 377

Cultural Landscapes Secunda proposita: secundo proposuit quod pecudes que sunt pro mungendo ne destruant aliorum blada et bobus impedimento sint, quod provideatur de loco in quo sint seperate ad aliis animalibus (...). Quarta: quarto cum in vineis plurima damna de nocte fiat in preiudicium et destructionem vinearum quod bonumesset providere quod boves de nocte non intrarent in destrictu vinearum sub pena per eos imponenda qui eligerentur in consilio. Quinta: (...) Johannes Blaxii unus in dicto consilio existens et accedens ad locum arengandi longa quadam invocatione fatta dixit: (...) super fatto pecudum que sunt pro lacte mungendo quod de dando eis tenimentum in quo solum debeant permanere quod sex homines, duo pro quolibet terzerio, vocandi habeant facultatem providendi. Tertio dixit quod boves nullo patto habeant introhire in destrictu vinearum sub pena imponenda per illos qui vocati erunt. (...) Fuerunt postea posita ad partitum consulta reddita per Johannem Blaxii super fatto officialis eligendi ne damna fierent et super proposita pecudum que sunt pro mungendo, quibus declaratis, fuerunt reddite fabe in scrutiniis, in quorum uno scrutinio, videlicet in albo, fuerunt invente fabe del sie triginta tres et in nigro del non decem et septem quibus obtentis partitis elegerunt domini et consiliarii infrascriptos videlicet: Johannem Blaxii, Ciotum Angeli, pro terzerio Podii Ser Antonium Cerrinum, Angelum Cubelli, pro terzerio Vallis Angelum de Vitellensibus, Bartholomeum Joni, pro terzerio Castrinovi 5 1453 aprile 15 I proprietari delle terre arative di là del fiume Mignone chiedono al Consiglio cittadino di revocare l’assegnazione di quelle terre al pascolo delle pecore. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 83r-v. Consilum generale (...) Fuerint presentate deinde in dicto consilio duo supplicationes quas immediate legi infrascripti tenoris : Dinanzi a vui Magnifici Signori et a vuj altri egregi expetiali in spectabel consiglio si expone per parte di tutte quelle persone li quali anno terreno laureccio et posessioni di la dal Mignone che, considerate la comunità nostra habia proveduto per utilità et bene di tutto el communo universalmente di tutte persone desso communo che nesciuna pecora possa pascuare nel tenimento di Corneto in nesciuna parte salvo dal Mignone in la et in A, et quando questo sia stato paruto insino ad hora esser stato utile universal del communo se demostra, perchè le persone le quale hanno lor laurecci et terre di la dal Mignone sonno anche gran parte dessa comunità et questo è certo et esse persone cognoscono manifestamente questo essere stato in lor grandissima destructione et damno et per consequente essere anche dissutile et damno in parte desso communo. Considerato ancora loro esser persone di communo, cio è che le pecore tutte si siano levate dalle spalle di tucto el

resto della communità et siano recurse a magnarsi l’ossa di spitial persone, che pur parte dessa communità fanno, maxime essendo piccolissimo numero di persone culoro li quali hanno pecore et anche piccolissimo comodo o vero niente ne venga alla communità desse pecore, ansi più tosto damno. Donne si le S.V. et anque la spectabilità del conseglio vorrà cognoscere questo fatto vederanno certamente le predecte pecore più tosto damnificare el detto communo che li dia utile alcuno, o vero vederanno magiur commodo et utilità sequire al decto communo del laureccio che delle pecore, perchè dello laureccio che si fa et fariesi magiure di la da Mignone non essendo impedito dalle pecore ne vene grandissimo utile al detto communo, perchè dove che piccola parte delli terreni del prefato communo hora si lavora, non essendoci le pecore si lavorariano quasi tucti o vero magiur parte dessi terreni, et cossì ne verria la communità ad consequire questo utile di terratichi che seria grandissimo, tale che per essi terratici si porria supplire alli bisogni che tucto dì occurrono al communo. Ma delle pecore che utilità ne vene al communo? Nisciuna nanti damno, perchè non che el grano si mangino ma el terreno consumano. Et che li poveri homini sperano ad tempo havere qualche fructo di lor lavori et le pecore di due o tre persone levi tucta la lor speranza et caccili allo hospitale, quanto questo sia iusto le signorie vostre col conseglio lìabiano ad iudicare. Lassiamo stare li bovi che si scorticano l’anno per le pecore che, non essendoci, stariano li bovi como più utili et necessarii bene, per la qual cosa, per parte delle persone haventi lor laurecci et terreni di la da Mignone, si suplica humilmente alle vostre segnorie si degnino providere ad questo fatto, el quale è utilità grandissima del communo, come se dicto, et maxime essendo cosa iniustissima et for di dovere che spetial persone maxime poverissime portino el peso et lu damno che portava tucto el communo. Et havendo veduto la prefata communità che lu pascere delle pecore per tucto el tenimento di Corneto era la disfatione dello communo, or quanto magiur disfacimento et damno è delle spetial persone essendoli posto el peso che tutta la communità non possiva portare senza suo grandissimo damno, et pertanto piaccia alle vostre magnifiche segnorie volere in tucto providere al bene d’esso communo che seria si non ci potessero stare pecore in nisciuno luoco del tenimento d’essa comunità, perchè non faria seria la disfatione di moltissime povarissime persone ma utile di tucti generalmente et questo si vede chiaro, perchè come per havere proibito el pascuare di qua da Mignone è utile d’una grandissima parte del communo, così levarle di la seria in tucto proveduto al bene d’esso communo et di sue poverissime persone, maxime non essendo si non circa tre o quattro persone quelle le quali hanno pecore, et lo damno che si fa per esse pecore si rivolta sopra moltissime persone et questo fa domanda di grazia speciale dalle S.V. le quali Dio conservi suo loro disiderio. 6 1453 aprile 17 La commissione di sei cittadini nominata il 15 aprile descrive i confini della zona da destinare al pascolo delle

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La documentazione pecore così da evitare che danneggino le vigne e che creino problemi ai buoi. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 84r-v. Confirmatio super fatto pecudum mungendarum et super fatto officialis.Supradictis sex civibus superius in consilio generali vocatis, cohadunatis in sala cappelle dominorum solite residentie, unanimiter et concorditer deliberaverunt quod pecudes que sunt pro mungendo non posint stari in aliquo tenimento nisi a ponte Marte usque ad pontem Mineonis, exceptis dumtaxat bannitis Cucumelleti Pisciarelli ac Butinalis, secundum forma statutorum. Et super fatto officialis conducendi quod ex defectu pecuniarum non conducatur aliquis alter, sed quod sollicitetur potestas ad custodiam bonam ne damna fiant et quod protestetur militi quod vadat bis in ebdomoda per tenimenta Corneti, prout tenetur secundum formam statutorum, et si non iverit quod procedatur secundum illorum tenorem in fine officii. 7 1453 aprile 23 La commissione di sei cittadini nominata il 15 aprile stabilisce che i buoi non possano pernottare dentro o presso le vigne. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 85r. Congregati quatuor ex sex civibus electis in consilio generali super non nullis rebus et maxime super fatto bovum, deliberaverunt pro maiori parte et ita fuit obtentum quod boves non possint pernoctare in vineis nec prope vineas per quinquaginta passus, sub pena decem soldorum ultra penam contentam in statuto sed quod non intelligatur pro transitu quando moverentur de uno et in alium locum irent. etc. Post hec deliberaverunt quod contrata Sancte Marie Magdalene habeant et possint habere unum aliud caput decem. etc. 8 1453 maggio 2 Il governatore della provincia del Patrimonio, Vianese degli Albergati, conferma le disposizioni prese dalla commissione dei sei cittadini di Corneto circa il pascolo delle pecore e dei buoi. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 90v.

commodum vestrum concernentia. Valete, Viterbii secunda may mccccliii. V(ianesius) de Albergatis prothonotarius Patrimonii etc. gubernatoris. A tergo: Spectabilibus viris Confalonerio Consulibus et Capitaneo Quingentorum Civitatis Corneti amicis carissimis. 9 1453 giugno 8 Il governatore della provincia del Patrimonio, Vianese degli Albergati, chiede al comune di Corneto che conceda a Matteazzo di Orbetello di tenere nel territorio della comunità alcune sue cavalle. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 101v. A tergo: Spectabilibus viris potestati et officialibus civitatis Corneti amicis carissimis. Spectabiles viri amici carissimi salutem. Uno Mattheazzo da Orbitello havendo recuperate certe sue cavalle, le quale gli erano state menate via per alcuni soldati del duca di Calabria, et temendo di tornare ad Orbitello per dubio non li siano tolte un’altra volta volontieri staria li a Corneto, maxime venendo la estate a tritare li biadi con le dette cavalle. Il che cognoscemo essere utele più tosto che altro a quella communità. Ma non pare ci possa stare per alcuni statuti et reformationi senza licentia. Il per che semo contenti gli diate licentia che ci possa stare non obstante statuto alcuno o riformatione in contrario, de li quali noi non havemo però iniformatione alcuna. Valete. Viterbii vii junii 1453. Vianiesius de Albergatis prothonotarius Patrimonii etc. gubernatoris. 10 1453 settembre 9 Il podestà Giovanni del Doctore ordina di rendere pubblico il bando del doganiere relativo al divieto per chiunque di comprare o vendere l’erba senza permesso della Camera Apostolica. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 133r. Bannimentis per Cameram apostolicam et commissio bannimenti. Johannis del Doctor(e) venditionem erbatici Camere apostolice nomine domini doganerii conmisit, imposuit et mandavit Gorgio, tubicine comunis Corneti, presenti audienti et intelligenti quatenus vadat per civitatem Corneti et in locis deputatis baniat, gridet et preconizet ac omnibus notitiam et ad notitiam deducat quod nullus cuiuscumque conditiones existat audeat vel presumat emere vel vendere aliquam tenutam erbatici, ad penam centum ducatorum sine licentia et voluntatem et requisitionem domini doganieri Camere apostolice de facto aplicandorum et exigendorum commictendo predicti omni modi etc.

Littere domini Gubernatoris Post cuius quidem consilii celebratione, ego Ursinis Almadianus presentavi litteras infrascriptas sub tenore videlicet: Spectabiles viri amici carisimi salutem. Venit ad nos spectatus et integre vir Ursinus cancellarius vester. Intelleximus que dixit, eidem responsum dedimus. Ipse coram viva voce referet circa aliqua cui credatis tamque nobis ipsis. Ad reformationem autem illam quam nuperrime fecistis quod bestie et maxime boves damnificantes vineas pro quolibet capite multentur in X solidis ultra penam statutariam, auctoritate nostra et presentium tenore confirmamus ac servari mandamus. Quod autem, si boves 11 noctu vineis appropinquaverint ad XL pasus statueritis ut 1454 gennaio 20 itidem multentur, non placet nec observari volumus. Le magistrature comunali decretano la confisca di 130 In reliquis audietis Ursinum. Si quid possumus, habebitis nos semper paratissimos ad omnia honorem et animali di Menichetto Boccalesci trovati a pascolare nel 379

Cultural Landscapes tenimento di Corneto, in quanto eccedenti il numero dichiarato. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, cc. 183r-184r. Consilium secretum supra quadam declaratione. Convocato cohadunato et congregato consilio secreto ac spetiali hominum civitats Corneti de mandato dominorum officialium in ultima sala predictorum dominorum solite residentie ad sonum campane et requisitionem famulorum ac bayulorum communis ut est moris. In quo interfuit Johannes de Doctoribus de Bononia, honorandus potestas civitatis predicte, et in eo magnificus dominus confalonerius cum consensu voluntate et presentia sotiorum, fatta prius invocatione, proposuit et ad notitiam omnium consiliariorum in sufficienti numero ibidem existentium deduxit quatenus dominus potestas, habita relatione a nonnullis, Menichettum Bocchalesci plura animalia tenere in tenimento Corneti quam ipse deberet, cum eius familia equitavit, et dictum Menichettum in ditto tenimento circa centum triginta animalia plura retinuisse invenit, illaque ad civitatem deinde duci fecit tamquam perdita ect. Unde cum vigore cuiusdam decreti positi in volumine statutorum circa finem, incipientis NERIUS miseratione divina etc. necesse sit quod declaratio debeat fieri per officiales et duos partes consilii animalia illa ne an perdita sint. Quare, lecto et per me cancellarium vulgarizzato dicto decreto, prelibatus dominus Confalonerius petiit consuli providere et id declarari debere. Quoniam quicquid super ea re per consiliarios ibidem existentes declaratum fuerit, ipsi domini officiales debite executioni mandabunt ac eorum dictis et deliberationi aderebunt. Dictum Consultoris Generosus miles dominus Cardutius de Vitellensibus surgens dixit quod ipse postquam iuramentum habuit ut debite consuleret in rebus pro communitate occurentibus et si condolendum sit unicuique civi de damnno alterius ne periurus sit, retulit Menichetto tempori quo ipse fuerat confalonerius, denuntiatum fuisse quod secundum extimationem suorum bonorum ipse Menichettus non poterat tenere nisi centum novaginta animalia vacenia, et ipse assignaverit tricenta animalia. Unde, ex illis animalibus pluribus repertis id fiat quod ex forma decreti faciendum est, cum ipse alter facere non possit. Que plura animalia, viso illorum numero per Menichettum assignato ac cognita ipsius extimatione, declaravit predicta animalia sic plura reperta perdita et pro medietate Camere apostolice et pro reliqua medietate communi Corneti confischata esse, salvo veriori iudicio etc. Dictum alterius consultoris Spectabilis vir ser Fatius alter ex consiliarii surgens dixit ac confirmavit prout supra retulit dominus Cardutius etc. Post cuius rei discussionem, magnificus dominus confalonerius, consules, capitaneus quingentorum ac omnes et singuli consiliarii ibidem existentes unanimiter et concorditer, nemine discordante, declaraverunt illa plura animalia et Camere Apostolice pro medietate et comuni Corneti pro reliqua medietate confiscate fuisse, predicta declarando omni meliori modo etc.

Die vigesimo secundo Januarii. Magnifici domini, volentes executioni mandare prout dominus gubernator imposuerat militi domini potestatis, eligerunt in oratorem ad dominum gubernatorem ser Johannem Angeli, qui ser Johannes acceptans dictam legationem habuit memoriale cum litteris credentialibus ad dominum gubernatorem et dominum thesaurarium quarum litterarum domini gubernatoris iste iste videlicet: Reverendissime in Christo pater, domine ac benefactor noster singularissime, commendatione premissa etc. Miles presentis nostri potestatis ex parte dominationi vestre exposuit ut unum ex nostris concivibus super fatto Menichetti pro communitate ipsius rationes allegaturum pariter et eandem vestram dominationem informaturum quam primum mitteremus. Vestris igitur mandatis obedire cupientes, ser Johannem de Angeli nostrum dilectum concivem ad vestram dominationem de huiusmodi negotio satis informatum mittimus. Qui quicquid ea in re nostra ex parte exposuerit placeat fidem indubiam adhibere. Preterea quoniam ex forma cuiusdam decreti, cuius copiam videndam ac ostendendam dominationi vestre transmittimus, opus est quod declaratio fiat per officiales et duas partes consilii secreti si qua essent plura animalia quam ipsius extimatio sufferret. Iccirco paternitati vestre notum facimus per nos et consilium secretum nemine discordante declaratum fuisse predictum Menichettum in nostro tenimento longe plura animalia numero videlicet circa centum triginta retinuisse quam ipsius facultas pateretur, non alia nisi quod communitatem hanc dominationi vestre semper facimus commendatam, eo nunc presertim quo pro necessitatibus in ea incumbentibus et favore et paternitatis vestre auxilio indigeat. Parati semper ad mandata etc. 12 1454 aprile 6 Appalto del macello. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 206v207r In nomine Domini amen. Anno Domini millesimo quadrigentesimo quinquagesimo quarto indictione, sanctissimi in Christi patris et domini nostri domini Nicolai divina providentia pape quinti, die sexto aprilis. Magnifici domini Apollonius Petri confalonerius, Sanctes Johannis consul pro terzerio Vallis, Simon Johannis capitaneus quingentorum civitatis Corneti et tres cives, videlicet dominus Cardutius, Petrus Jacobus et Antonius Ungarus electi et deputati per consilium super allocatione macelli, autorictate eis concessa pro uno anno in hoc Paschate futuro incipiendo et ut sequitur finiendo, deliberaverunt et locaverunt macellum civitatis Corneti cum duobus banchis Nicolao Vicarii civi Viterbensi presenti et acceptanti cum infrascriptis capitulis, pactis, conventionibus, promissionibus et obligtionibus etc. (...) Item prelibati domini concesserunt predicto Nicolao conductori dicti macelli posse retinere in tenimento

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La documentazione Corneti, videlicet in bannita Sancti Matthei a ponte Mineonis usque ad pontem Marta, septigentos castratos pro uso macelli, tenuta tamen illa Butinalis excepta, in qua non possint stare nec permanere quia proibitum est, prout constat ex ordinatione quadam ab arte et societate laboratorum facta. Item promiserunt quod pecudes usque ad numerum trigentos pecudarum ipsius cum agnis possint stare in his locis in quibus pecudes civium existunt, aut in quibus predictis castrati starent. Cum hoc quod, agnis deficientibus mortuis aut macellatis, pecudes predicte non possint permanere nisi in locis pro pecudibus civium deputatis, que pecudes si quando de locis montanis redirent possint in eodem loco pro omnibus civium deputato similiter permanere. De quibus et non de aliis pecudibus predictus Nicolaus teneatur extra macellum ut supra macellari. Item concesserunt quod pro mungendo predictus Nicolaus possit retinere quadrigentas pecudes ad griptas in quibus possint agni educari sine aliqua contradictione. Et casu quo quadrigenti pecudes predicte non mungerentur, debeant ire et stare cum supradictis tricentis pecudibus, videlicet in locis in quibus pecudes civium existant et existere posunt etc. Et numerus totus intelligatur septingentarum pecudarum. 13 1454 ottobre 2 Il doganiere del Patrimonio Raffaele dei Brugnoli di Mantova fa divieto a chiunque di vendere o comprare senza licenza le erbe delle tenute che sono solite vendersi o che sono soggette alla dogana, e di farvi entrare il bestiame grosso o minuto senza l’autorizzazione del doganiere. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 250v. Bannum pro partem doganieri Patrimonii Per parte del magnifico homo Raffaele de Brugnoli de Mantuva per la santità di nostro Signore et de Santa Ecclesie del Patrimonio etc. doghaniero, se fa bannire, notificare et commandare che non sia persona alcuna forastiera o similare de qualunque grado, stato o conditione sia ardischa ne presumi vendere o far vendere erbatico né tenuta alcuna con erba, mediate overo in mediate, alla dicta dogana subiecta né solita de vendersi senza ex premissa licentia del domini doganieri. Et per lu simile modo nesciuna persona ardischa ne presuma in dicte tenute con le bestie né grosse né minute entrare in esse tenute, comparare ne facere comparare senza licentia del domini doganieri, alla pena ducati mille de oro, da applicarsi alla Camera Apostolica tante volte quante se contrafacesse e per ciascheuno che contrafacesse et senza remissione alcuna et senza facere diminutione. Et ciascheuno abia sgomerare el suo bestiame dalle dicte tenute alla pena del perdimento desso bestiame.

Ultimum bannimentum de posessionum rerum immobilium et animalium bladorum allibratione. Magnifici domini officiales pro ultimo banno commiserunt imposuerunt et mandaverunt Georgio Ungaro pubblico tubatori aut bannitori vel tubicino presenti audienti et intelligenti quatenus, per loca publica dicte Civitatis in quibus bannimenta huiusmodi fieri solent, vadat dicat et preconizet alta et intelligibile voce,quod unusquisque sive habitator dicte civitatis habens animalia blada debeat dicta eius animalia ac bona ipsius immobilia, infra terminum duorum dierum a die banni futurorum, denuntiasse prout in aliis annis fuit consuetum. Alioquin procedetur contra eos qui contrafecerint prout iuris remedia et statuta dictaverint, predicta omnia commitendo omni meliori modo via et forma quibus magis et melius potuit etc. Relatio. Qui Georgius iens et rediens retulit mihi Ursino cancellario per dicta loca ivisse et in eis bannivisse et preconizasse prout habuit in mandatis. Quoniam cives illi qui electi fuerunt super extimatione bonorum et animalium civium deliberaverunt una cum dominis quod notificaretur etiam ultra bannum per cedulam quod cives habentes animalia blada deberent illa consignasse. Magnifici domini ut voluntas illorum civium ad hoc deputatorum executioni manderetur, commiserunt bayulis communis ut predicta notificentur. Qui baiuli retulerunt ex parte dominorum quod civibus ac habitantibus Corneti animalia habentibus notificasse etc. 15 1454 novembre 1 Una commissione di nove cittadini, eletti per provvedere alla riparazione della torre del porto di Corneto, dispone di mandare un ambasciatore presso il papa per chiedere il sussidio promesso dal commissario apostolico Nello da Bologna. ASC Tarquinia, Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 264v-265r.

Cohadunatio novem civium electi super ad providendum pro subsidio et pro mittendo ad dominum nostrum super facto portus cum expositione ambasciate per oratorem. Cohadunatis, congregatis et convocatis otto civibus ex novem electi a consilio generali sub die xv septembris proxime preteriti celebrato, ad providendum super fatto subsidii et ad mittendum oratorem ad D.N. pro reparatione turris portus, in sala ultima dominorum solite residentie, magnificus dominus Confalonerius, qui fuit missus ad dominum nostrum ex causa dicte turris reparande, notificavit dictis civibus et ordine retulit quicquid fecit et operatus est. Et finaliter post multa dixit qualiter dominus noster vult ad dictam turrim reparandam dare et concedere pro turri predicta medietatem expense, cum hoc quod dicta communitas Corneti debeat pro relique medietate 14 quomodocunque et qualitercunque voluerit providere. Et 1454 ottobre 6 quod in principio huius costructionis magnificus Nellus Gli ufficiali del comune ordinano di rendere pubblico promisit dohanerio ut det et consignet illi camerario, qui il bando relativo all’obbligo per tutti i possessori di beni deputaretur per communitatem super dicta fabrica, ducatos, immobili e di animali bradi di denunciarli alle magistrature tricentos auri, cum hoc quod dicta communitas totitem entro due giorni dalla data del bando. ASC Tarquinia, solveret, quibus omnibus pro dicta fabrica solutis, predictus dohanerius teneatur solvere bolonenos quatuor de pecuniis Riformanze, aa. 1452 – 1455, c. 252r. 381

Cultural Landscapes tracte pro quolibet modio dicte Camere Apostolice debitis, predicto camerario deputando per supradictam communitatem donec et quousque opus predictum esset absolutum , cum eadem conditione tamen quod communitas pro totidem pecuniis quot camere solverit, teneatur providere etc. Quam gratiam inscriptis, predictus orator, se non potuisse habere exposuit propter infirmitatem domini nostri et infirmitatem et malam valitudinem magnifici viri Nelli, tamen pro evitandis expensis ex urbe recessisse et dictam gratiam inscriptis habere sollicitandam per reverendum patrem et dominum preceptorem Sancti Spiritus dimississe etc. Qui reverendus pater et dominus preceptor promisit dictam rem sollicitare. Item dictus confalonerius dixit quod, cum ipsi cives habeant autoritatem a dicto consilio providendi ad reperiendas pecunias pro subsidio, placeat providere unde exigi debeant ducati quadrigenti quos communitas tenetur dare per totum mensem decembris proxime venturi thesaurario. Et est providere quantum pertinet ad salarium magistri Valerii qui debet forsitam habere ducatos centum quatriginta vel circa. Qui omnes unanimiter et concorditer deliberaverunt cras venire ad videndum omnes introitus et exitus dicte communitatis et postmodum in omnibus necesariis super premissis se provisuros dixerunt . Quod Deus udit etc. 16 1446 ottobre 31, Roma S. Pietro Breve di Eugenio IV col quale conferma il divieto per i Doganieri di introdurre bestiame nel territorio cornetano. Originale, ASC Tarquinia, Pergamene sciolte, 72. Eugenius papa IIII. Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Cupientes dilectos filios, comunitatem civitatis nostre Corneti in suis consuetudinibus conservari, volumus et vobis mandamus quod nulla animalia Doane presenti anno aut futuris in territorio dicte civitatis poni faciatis nisi dumtaxat pro anno presenti oves quas Camera Apostolica habuit de bonis confiscatis ipsi camere, que quidem oves debent esse ad decem et septem sive ad decem octo centenaria, pro quibus predicte comunitati volumus satisfieri eo modo quo cives Corneti satisfacere consueverunt. Datum Rome apud Sanctum Petrum sub anulo nostro secreto, die ultima octobris MCCCCXLVI, pontificatus nostri anno sextodecimo. Blondus a tergo : Dilectis filiis doaneriis provintie nostre Patrimonii Sancti Petri presentibus et futuris. 17 1449 settembre 19, Fabriano Breve dei Niccolò V con il quale conferma le riforme sopra i pascoli cornetani ed ordina che non si introducano in essi le pecore dei forestieri. Originale, ASC Tarquinia, Pergamene sciolte, 78. A tergo : Dilectiis filiis Confalonerio, Consulibus et capitaneo quiginta civitatis nostre Corneti.

Nicolaus papa V Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Nuper receptis vestris litteris inter cetera continentibus ut reformationem quandam per vos super divisione pascuorum vestrorum solemniter editam qua cavetur ne pecudes extra flumen Marta versus Montemaltum et in tenuta Ancarani a festo Sancti Angeli septembris usque ad festum sancti Angeli mensis maii et pari tempore ne ultra dictum flumen versus Urbem vacce et animalia grossa, certis pro bobus utrinque reservatis bannitis, pascuare possint aut debeant, confirmare dignaremur. Nos eisdem paterne caritatis affectu perlectis vestris iustis postulationibus grato concurrentes assensu, reformationem ipsam auctoritate apostolica confirmamus, et presenti nostri brevis patrocinio in perpetuum communimus. Et in super ad nostram deducto notitiam, quod aliqui salutis eorum animarum immemores, sub quibusdam ficticiis contractibus et viis aliis, pecudes ut suas in dictis pascuis ad hiberna conducentur, non sine propriorum vestrorum animalium iactura, et Camere Apostolice non modico detrimento. Cupientes huic morbo salubriter providere, tenore presentium declaramus omnes et singulos pecudum huiusmodi vel quorumuis aliorum pecorum sub his artibus directe vel indirecte conductores, non solum penis omnibus in statutis et reformationibus vestris contentis imposterum subiacere, sed etiam excomunicationis sententiam et indignationem Sedis Apostolice atque nostram incurrere volumus ipso facto, scituros nos adversus eos hoc commissum severius post hac investigaturos et animadversuros fore. Super aliis vero partibus litterarum earundem curabimus prope diem taliter providere, quod devotiones vestre, quas in nostros et ecclesie tanquam filios peculiares habemus, intelligent nos rebus omnibus oportune consuluisse. Mandantes vobis hoc nostrum breve statim post illius receptionem iuxta dictam reformationem in libro statutorum vestrorum scriptam registrari faciatis, ut cunctis illius series innotescat. Datum Fabriani, Camerinensis diocesis sub anulo piscatoris, die XIX septembris Mccccxlviiiii, pontificatus nostri anno tertio. Pe(trus) de Noxeto 18 1452 marzo 30, Roma S. Pietro Breve dei Niccolò V col quale conferma le riforme fatte sopra il pascolo delle pecore nel territorio cornetano. Originale, ASC Tarquinia, Pergamene sciolte, 84. A tergo : Dilectis filiis Confalonerio, Consulibus et Capitaneo Quiginta Consilio generali civitatisi nostre Corneti. Nicolaus papa V Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionemVisa proxime diebus ex actis quadam reformatione facta et obtenta in consilio vostro generalis e habentibus et tenentibus animalia eorum pecudina in territorio Cornetano, illam tamquam utilem in communi vestro et ad Camere utilitatem redundantem autoritate apostolica confirmandam et futuris temporibus observandam duximus ut in bulla nostra super inde confecta plenius continetur. Volentes itaque ut reformatio et confirmatio vostra debitum sortiantur effectum et executioni demamdentur, vobis presenti tenore mandamus

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La documentazione quatinus notificatione de contentis in ea prius facta in publico et generali consilio vestro ac inde registrata et posita in archivio communis vostri, per publicum preconem banniri iubeatis ut omnes et singuli habentes animalia pecudina in dicto tenimento infra terminum dierum quadraginta, a dat(a) presenti precise et perentorie computandorum, debeant contenta in predicta bulla observasse sub pena in ea specificatis et expressis, ad quarum exactionem si contrafecerint quod non credimus per potestatem et alios Camere nostre officiales procedi volumus ac iubemus. Datum Rome apud Sanctum Petrum, pontificatus nostri anno sexto. P. Lunensis 19 1560 settembre 25 Riforma di capitoli ed ordinamenze sul pascolo nelle bandite comunali. Anno Domini 1560 inditione 3ª, IIII° Regnante Pio Pontefice maximo, die vero vigesima quinta mensis septembris. Congregati et cohadunati (...) et quatenus opus sit reforamndum capitula et ordinationes factas super herbis et pascuis banditarum omnium vendeadarum ipsius comunitatis exceptis banditis reservatis pro bobus Cuccumelletarum scilicet et Sancti Panthalei. Congregati duo in cancelleria nova Palatii solite residentie predictorum magnificoru Domini Prioris, ubi pro talibus negociis per tractandis huiusmodi congregationes fieri solent, visa auctoritate et facultate sibi ipsis ad hoc attribuita pariter et concessa, prout latius in preallegato consilio, visisque variis ac diversis capitulis et ordinationibus super hac materia hactenus factis et ordinatis, presentibus in diversis libris reformationum predicte comunitatis ab anno 1543, usque in presentem diem, ac super illis diligenter discurso, ac maturo colloquio habito inter eos, cupientes pro eorum iuribus publicet utilitati consulere et quea que quodamodo oblivioni tradita sunt ob temporum intervalla in recentem notitiam deducantur. Ordinaverunt, statuerunt, declaraverunt et capitularunt ut infra videlicet Primo. Volsero primamente et ordinorno che ad effetti che non nasca mai alcun litigio o disparere tra i compratori circa i termini e confini di esse bandite che qui di sotto le siano annotate e terminate con l’infrascritti confini e termini, li quali s’habbino da osservare esprissamente sotto la pena di rifare intieramente al terzo tutto quel danno, che gli sarà perciò pregiudicato, et altri ad arbitrio di Monsignor vice legato del patrimonio e de suoi reverendissimi successori le quali bandite e termini loro sono questi cio è: La Banditella comincia dalle mura della città alla strada che va a Pozzo Rotondo, porta per detta strada alla vigna di Rebechino e di li volta alla cava e tira per la strada di Viterbo, confina con la bandita dei bovi e va al fosso che esce dalla bandita confina con Sansavinello e tira fosso fosso voltando per una salciata fin alla porta che va alla cinta e confina con la tr...ena e con la Marta e ne vien Marta Marta fin’ al ponticello e siegue per una carbonara verso la vigna di Mascarone e l’orto di messer Giulio Martellani e vira fin alla accaccia salvando il ristretto delle vigne. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità scudi 100.

Monte Quaglieri comincia al fosso della Leona e va Leona Leona fin che entra nella Marta, e tira in su Marta Marta, confino con montebello e va per i confini di Montebello e ritorna in detta Leona . Alla qual bandita posero prezzo per la comunità di scudi 50. Le Coste del Bagnuolo comincia dalla vigna di messer Mario Corsini a Monterano e di li tira per la strada di Canino fin’ al terzuolo ne vien per i confini di detto Terzuolo fino alla Leona e per il fosso di essa Leona ne vien fin alla Marta pigliando tutti i prati, ritorna nel fosso della sudetta vigna di messer Mario. Alla qual bandita posero prezzo per la comunità di ducati 120. La Fontana della Torre comincia alla strada di Castro di la dal fosso della bandita di San Pantaleo e va per detta strada di Castro sino al Ponthone e va su per il fosso della Rienza fin alla strada di canini, dove ci sono certi perazzi segnati, sopra uno de quali vi è una zucca di morto per segno. Nella qual bandita s’intenda inchiuso il pontone della suera torta, dove altre volte ci è nato litigio. Alla qual bandita posero prezzo per la comunità di ducati 160. Il Bolognano comincia al fosso di Malpertuso e va per la strada di Castro infino al fosso di Pian d’Arcione e torna giù per detto fosso fin’ alla strada di Montalto e torna per detta strada fin’ a detto fosso di Malpertuso. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 100. Forca di Palma comincia al fosso della Rienza e va per la strada di Castro fin’ al fosso di Pian d’Arcione e va per detto fosso fin’ alla strada di Canino. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 140. La prima parte di Pian di Spilli qual si nomina di Montecimoli comincia a San Lazzaro e va per lo stradello che va a Castro per fin al fosso della bandita di San Pantaleo e va giù per detto fosso verso mare sin alla strada che va alla Castellaccia e torna per detta strada fin’ alla casa di messer Braccio e va morra morra confinando con li Prati di continuo fino alla detta strada di San Lazzaro. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 130. La seconda parte di Pian di Spilli verso la bottaccia quale si nomina sotto la strada della Castellaccia, comincia per la via della Castellaccia e va per fine al fosso di Spilli e volta per detto fino alla marina e torna mare mare per fine alla focie della Marta e viene Marta Marta fin al Ponticello della Grotte di messer Giulio Martili e va morra morra, e torna per detta strada della Castellaccia. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 200. La 3ª parte di Pian di Spilli quale si nomina la parte della Ficunaccia, Thesoro, comincia alla focie di Spilli e viene su per detto fosso fin alla strada di Montalto, e va per detta strada fin al passo di Cazzanello e volta giù per detto fosso fin’ alla marina e torna mare mare per fine alla focie di Spilli. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 150. La prima parte della selva di Cazzanello comincia dallo stradello di Castro passato il fosso della Rienza e

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Cultural Landscapes confina con Pian D’Arcione e viene verso Corneto per la strada di Castel Mattheo e viene fino Cazzanello poi torna alla strada di Castro come va detto fosso di Cazzanello. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 165. La seconda parte di detta selva comincia sotto la strada di Castel Mattheo e va come va fosso di Cazzanello la Martha e L’Arrone. Alla quale bandita posero prezzo per la comunità di ducati 165. 2°. Oltre di questo ordinorno e statuirono che nel vendere e deliberare dette bandite si tenga questo stile e quest’ordine, ciò è che li magnifici signori che per tempi saranno, quindici giorni innanzi al festività di Sant’ Angelo di settembre per pubblico bando debbino pubblicamente fare intendere per li luoghi soliti della città di Corneto dal publico trombetta, qualmente dette bandite s’habbino da vendere e deliberare il giorno di Sant’Angiolo suddetto, e così debbino fare continuare ogni giorno fin’ al suddetto di Sant’Angelo. Con questo che inanzi li detti quindici dì, ne proponghino in consiglio generale di tal herbe da vendersi, acciò che parendo ad esso consiglio moderar alcun capitolo, sminuirvi o aggiungere di nuovo ci sia luogo di poterlo fare. E quanto s’innoverà, sminuendo, moderando o aggiungendo procurino detti magnifici signori che tutto sia annotato e descritto in questo libro dei decreti da farlo confirmare poi da Reverendissimi rettori della provincia, seguendo questo ordine cominciato, sotto la pena ad essi magnifici signori per ciascuna volta che trasgrediranno in ciascun di detti casi di scudi cinquanta, da tuorseli di fatto finito l’officio loro. Et al cancellario che sarà in quel tempo che fusse negligente in descrivere detti innovamenti in questo libro, di scudi venticinque, da tuorseli di fatto e da applicarsi ambo le su dette pene per duo terzi alla Camera del comune di Corneto e l’altro terzo all’esecutore che si harà fatto l’essecutione. Giunto poi il detto giorno di Sant’Angelo circa le 20 o 21 ora, debbino essi magnifici signori insieme ad il loro cancellario e trombetta, conferirsi in luogo detto l’Arco della Gabbella generale dove fatto prima prechiamare per detto Trombetta a suon di Tromba tutti quegli che vogliono attendere a comprare dette bandite, esso cancellario debba leggere publicamente a notizia d’ogn’uno li predetti e li seguenti capitoli e s’altro per all’hora sarà innovato come di sopra , acciò nissuno possa pretendere ignoranza, sotto la sudetta pena di scudi 25 da tuorsi da detto Cancellario e da applicarsi come di sopra. Di poi si faccino bandire dette bandite distintamente ad una ad una, facendo accendere un pezzolin di candela a giudizio dessi magnifici signori per ciascuna di dette bandite. Le quali accese e mentre che ardono ad ogni cittadino di Corneto o suoi ellegenti e non ad altri, sia lecito d’offerire a dette bandite distintamente come di sopra, e tale offerte si faccino in scriptis e dare all’hora evidentemente dette polize d’offerte serrate in mano del su detto Cancellario e nominando scudi absolutamente sempre s’intendino d’oro. E smorzata la fiamma di dette candele, a nessuno sia più lecito d’offrire et offerendo, tale offerta non habbia luogo e si reputi per non fatta. Anzi subito s’aprino dette polize presentate et a colui s’intenda esser venduta e deliberata tal bandita che gli harà più offerto sopra i prezzi

posti per la comunità. Con questo che ciascuno che offerirà meno del prezzo a che dette bandite son poste per la communità predetta s’intenda esser incorso in pena di quel meno che harà offerto, la qual pena de facto s’habbia da esigere e da applicarsi intieramente alla camera del comune di Corneto. 3°. E per lievar via ogni scrupolo dechiarorno che tal erbe da vendersi s’intendono esser del compratore dal giorno di Sant’Angelo di settembre che gli saranno vendute per tutto Sant’Angelo del mese di Magio che gli viene prossimo, che del resto dell’anno s’intendono libere franche e communi per quegli che possono stare nel tenimento di Corneto. 4°. Et ad effetto che la comunità si possa prevalere delle sue entrate, all’hora quando si ha più di bisogno e che siano preparate quando si hanno a pagare i sussidi triennale et apostolico, ordinorno espressamente che i danari che s’offriranno per haver dette bandite s’habbiano da pagare da i compratori in quattro paghe compartitamente in questo modo ciò è : la prima a mezzo ottobre, la seconda a mezzo gennaio, la terza a mezzo aprile e la quarta a mezzo luglio, con ordine però delli Magnifici Signori che per tempi saranno, da darsi per scritto dal loro cancellario, sigillato col sigillo di essa comunità in mano di chi essi ordinaranno. Escettuato che detti signori col consiglio generale non ordinassero altrimente ciò è che commettessero a detti compratori o ad alcuni di essi lo smorzo del triennale in tutto o in parte, dell’Apostolico o, di qualche altro debito del publico. Con questo inteso espressamente che non solo la comunità habbi sempre l’essecutione parata contro di quelli che non pagheranno al tempo come di sopra e contro le segurtà e depositi loro con autorità di posserli far astrengere personalmente in Corte e di farli pignoreggiare ma che anche tutte l’essecutioni, represaglie, cavallari e spese simili vadino tutte sopra di essi compratori, così che la comunità non ne senta interesse veruno. 5°. Per prevedere anche satisfatione di certo orzo compro in comunità per uso di cavallegeri e d’alcuni altri debiti quali non patiscono dilatione, ordinorno e dechiarorno che detti compratori siano tenuti et obligati di pagare in mano di chi sarà ordinato per essi Magnifi signori anticipatamente , a conto della prima paga, scudi cinque d’oro per ciascun centinaro che sarà offerto sopra dette bandite. E questi s’intendino esser d’haversi a pagar oltre le dette offerte. 6°. Di più volsero e ordinorno che quei tali compratori a quali come a più offerenti dette bandite saranno state vendute e deliberate, siano tenuti e ciascun di loro sia tenuto fra il termine di tre giorni immediate da finirsi doppo tali deliberazioni haver data idonea segurtà in forma di deposito nelle mani del cancellario della comunità tanto sopra le paghe da farsi come di sopra quanto anche sopra l’osservanza delli presenti capitoli e d’altri che per l’avvenire si potessero innovar come di sopra. Altrimenti siano tenuti di rifare in doppio alla comunità tutti danni et interessi che per ciò gli ne potessino incorrere! e che tale segurtà da darsi come di sopra siano approvate per detti Magnifici signori che per tempi saranno e che li piglino buone et idonee, altramente siano tenuti loro come approvatori ad ogni danno spesa et interesse et in ogni evento. 7°. Inoltre per riparare che non nasca alcun litigio fra questi compratori e la comunità et acciò non si faccia

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La documentazione pregiuditio a veruno, ordinorno e statuirno che essendo ma per li pascitivi e luoghi mancho dannosi e più vicini guerra o in questo paese o nei luoghi convicini, che Idio non all’acqua. Et essendo herba netta in quel caso impetie licenza lo voglia, per il che fusse impedito ad essi compratori il poter dal padron di detta herba qual sia tenuto dargli il passo da una goder le dette herbe, con loro animali, che da essa comunità banda, e gli la paghi per stima da farsi per dui huomini da gli sia fatto buono pro rata del tempo che non haranno chiamarsi communemente. Ordinorno anche e dichiarorno possato goderle. Con questo che cessato tal impedimento che a quegli che hanno bestiame nella bandita delle abbino ritornare a godere e non ritornando il pregiudicato da Cuccumellette sendo che detta bandita patisce molto quello in poi torni sopra di essi e non sopra la comunità. E in dell’acqua sia lecito e possino passar per la banditella per ogni altro caso che potesse succedere, detti compratori non andare a beverare al fosso che viene da S.ta Ristuta alla fonte possino ne debbino domandare da issa comunità verun’ di Ripacretta, et alla Marta, dove più lor tornerà commodo, difalco ne interesse veruno. senza che il compratore di detta banditella gli possa prohibire 8°. Di più ad effetto che ogn’uno si goda il suo, ne sia passo per alcun di detti luoghi. 13°. Inoltre per proveder al publico commodo, da alcuno molestato, volsero et ordinorno che tutti quegli che compraranno dette bandite da essa comunità non posino ne ordinorno che ad ogn’uno di questa città sia lecito di poter debbino far mandrie, capanne nè stazzi si non in quella parte legnare in ciascuna di dette bandite liberamente senz’altro. In propria di herba e bandita che haranno comprata, sotto la quelle però che è solito di legnarvi, e che non sono prohibite, pena a, i, padroni di scudi venticinque da applicarsi per duo ma una balestrata al meno lontano dalla lestra del compratore terzi alla Camera del Commune di Corneto e per il resto di detta bandita. all’essecutore che ne harà fatto l’esecutione, et a, i, garzoni e 14°. E per tuor via ogni litigio et ad effetto che pastori di tre tratti di corda. l’agricoltura si mantengha in augumento, ordinorno che sia 9°. E perchè Forca di Palma una delle sudette tenute è lecito ad ogni lavoratore di questa città di poter rompere carestiosa d’acqua, a causa per tal difetto non si manchi quelle colti che egli è solito di rompere nelle dette bandite, d’haverne il dovuto prezzo, ordinorno e dichiaronrno che il per tutto il dì otto di octobre e non più là, senza quale sia compratore della Fontana della Torre, altra bandita, sia tenuto impedimento. et obligato dare il passo a i bestiami del compratore di detta 15°. Per far anchora che li compratori di dette bandite bandita di Forca di Palma, secondo i confini e strada non venghino in parte alcuna defraudati, ordinorno che a designata gli anni passati a questo effetto. nessun lavoratore sia lecito di riguardar mezzagne di dette 10°. Per procurar ancora che delle dette bandite se ne bandite che avessero ne i loro lavori da dui some in su. Anzi facci quel maggior ritratto che sia possibile, ordinorno e sia lecito a i compratori di esse di poterle pascere con loro dichiarorno che i compratori di esse possino e gli sia lecito di animali, e detto lavoratore sia tenuto di dargli il passo, qual vendere i pascitivi a i forastieri, quando però si faccia senza recusandogli, in quel caso lo possin pigliar da loro e di loro pregiudizio delli signori Dohanieri. Sopra di che venendone propria autorità. Eccetto però che non fusse prato. E prato alcun interesse, sia sempre di essi compratori e non della s’intenda che sia solito di falciarsi e che sia stato falciato per comunità. Utimo ad effetto che di tali ordini e capitoli se ne più d’un anno. habbi sempre buona notitia e che si habbino inviolabilmente da osservare, ordinorno che per me Lodovico Cancellario si V.2 Documenti dell’Archivio storico di Tuscania notino e descrivino ad urgenza nel libro di decreti e doppo che si faccino appruovare da Monsignor Vicelegato et 1 interporvi sopra il suo decreto seguendo questo modo, stile, 1449 settembre 14 ne gli anni futuri come di sopra nel 2° capitolo. I doganieri dei pascoli di Roma e del Patrimonio fanno 11°. Anchora per lievar via ogni romore, ordinorno che chi lavorarà in una delle dette bandite, non possa con il divieto a chiunque di comprare erbe, pascoli o ghiande e suo bestiame domo andare a pascuare nell’altre, fuorchè nel ordinano che chiunque lo abbia fatto ne dia comunicazione. Piano dove sia lecito et ad alcuno non sia prohibito, sotto la ASC Tuscania, Riformanze, c. 6r. predetta pena da applicarsi come di sopra. E per tuor via ogni contentione et ogni difficultà ordinorno e dichiarorno che per Bannum dohanerii. Die XIIII septembris. ciasche aratro di bovi a serta s’intendino dodici bestie tra bovi Malavolta, tubicina comunis, retulit mihi Bamporto domi e giovenchi sopra trenta mesi, e per ciasche aratro di cancellario infrascripto isto die exprimisse infrascriptum bufali e di bovi a parecchio s’intendino sette bestie tra dome e bannum in locis pubblicis et consuetis: giovenchi sopra trenta mesi come di sopra. Per parte et comandamento de gli dohaneri di pascoi de terre Inoltre per mostrare qualche gratitudine a i poveri de Roma et de la provintia del Patrimonio se fa banno che agricoltori, ordinorno e statuirno che a ciasche casa che faccia niguno di qualunche stato, conditione o preheminentia se sia, lavoreccio sia lecito e possa tenere tra il suo bestiame domo ardisca over presuma presuma per alcuno modo o quesito quattro vacche indomite senza alcun impedimento, conforme colore vendere o comparare nisuna quantitade de erba, a quanto fu ordinato sollennemente nel generalissimo giande, paschi o tenute che fossero ne le dicte provintie, ne de Conseglio il dì di Santa Lucia dell’anno passato 1559. le predicte cosse disponete alcuna cossa sotto penna de ducati Ordinorno anchora che nelle dette bandite da vendersi non si cento doro, d’aplicare ala Camera apostolica senza alcuna remissione. Et se niguno ne havesse vendute, comparate, possa rompere prima che nel giorno doppo Sant’Antonio. 12°. E perchè ci sono alcune di dette bandite che overo altramente contractate, infra termino de octo di li patiscono d’acqua, ordinorno e volsero che ad ogn’uno sia abiano havere consegnate agli detti dohaneri, o a chi per loro lecito passar per qual si voglia bandita, eccetto per quelle de fosse, sotto la sopradetta pena d’aplicare ala detta Camera, bovi, con ogni sorte di bestiame domo per andare a beverare, come de sopra è detto, a qualunche contrafacesse. 385

Cultural Landscapes 2 1449 ottobre 17 Il consiglio prende in esame la richiesta del commissario apostolico Nello da Bologna di inviare a Roma due rappresentanti per discutere insieme con il vicecamerlengo Renzo Altieri dei problemi del bestiame. ASC Tuscania, Riformanze, c. 15v. Littera Nelli Spectabiles viri uti patres honore recomendatione promissa. Inmediate fui qui tochane del facto vostro a monsignor vicecamerlengo per finirlo et che non steste più in questa intrigatione del vostro bestiame haveti messo in dogana, et che per lavenire metterete. Et per che per questa vi dico ad ciò podiate meglio mostrare le vostre regione che infra tri di da poi lavuta di questa mandiati qualcuno de vostri cum pieno mandato ad cio possiamo terminare omni cossa in buonissima forma. Nec plura. Vale. Roma XVII octobre 1449. Nellus de Bononia A tergo: Spectabilis viris uti patribus honore Confalonierii et antianis civitatis Tuscanelle. Presentata fuit suprascripta littera prefatis dominis XXIIII octobris Alia littera Nelli Spectabiles viri tamque fratres carissimi salutem. Ad questi di passati vi scrissi una lettera che vui dovissivo mandare uno viro mandato qui per la commissione facta in monsignor vicecamerlengo, Riencio d’Altieri et me, lo quale aspectiamo che debbia venire. In caso chel venga bene quidem. Altrimenti provederemo in quel modo che meglio ci parerà. Non altro per questa. Christo vi guardi. Roma die xxv mense octobris. Nello famiglio di Nostro Signore A tergo: Spectabilibus viris prioribus terre Tuscanelle. Presentata fuit suprascripta littera prefatis dominis xxv octobris. Quare cum ipsis dominis videatur necessarium esse elligere duos cives ituros Romam ad prefatos dominos vicecamerarium, Nellum et Rentium Alterii et videant dictos esse elligendos per consilium generale ut roboris firmitates habeant pro ipsos fienda et concludenda, per vos consiliarios petunt viris sanum et utile consilium attribui quid circa hoc sit providendum pro utilitate comunis dicte civitatis. 3 1449 novembre 16 Il Consiglio prende in esame la proposta del commisssario apostolico Nello da Bologna sul problema del pagamento dei pascoli che si trovano fuori del territorio di Toscanella. ASC Tuscania, Riformanze, c. 20r. Primo quia circumspecti viri Johannes Tuti et Stefanus Baptista, nuper missi oratores ad magnificum Nellum comissarium sanctissimi domini nostri pape pro facto solutionis pascuorum emptorum vel emendorum per cives Tuscanenses extra territorium, petite per doanerium a dicti

civibus, sint reversi et retulerint pro parte dicti Nelli et reverendissimi domini. vicecamerari quod debeat solvi pro dimidia fida que quidam res si fierit redundaret in perpetuum damnum et detrimentum dicta comunitade iccirco placet consulere et reformare quid sit circa hoc faciendi. 4 1450 maggio 14 Disposizioni del commissario apostolico Nello da Bologna sul pascolo del bestiame appartenente agli abitanti di Toscanella. ASC Tuscania, Riformanze, c. 82r. Tenor capitolorum magnifici Nelli Primo che la comunità et homini de Toscanella siano tenuti et debbano pagare a la Camera apostolica per ciaschuno centenaro de bestie minute duchato uno oro de camera et per ciascuno centenaro de bestie grosse duchati cinque oro de camera eschano o non del territorio de Toscanella. Secondo che detta comunità et homini dessa siano tenuti ed debbano pagare a la Camera apostolica per ciaschuno centenaro de bestie minute ducati duy oro de camera et per ciaschuno centenaro de bestie grosse ducati octo oro de camera uscendo fora del territorio de Toscanella. Tertio che se detta comunità et homini dessa voleno libere tremilia pecore riducte le vache ad pechore , cioe quatro pecore per bestia grossa, che del resto del bestiame ha detta comunità siano tenuti et debbano pagare a la Camera apostolica per ciaschuno centenaro de bestie minute ducati oro de camera cinque et mezo, et per ciaschuno centenaro de bestie grosse ducati vinti duy. 5 1450 maggio 27 Giovanni di Gioino di Toscanella, condannato per due sue bestie asinine trovate a pascolare nella chiusa di madonna Gada, chiede di poter presentare un documento che testimonia come egli avesse avuto dalla suddetta Gada il permesso. ASC Tuscania, Riformanze, c. 82v. Alle Vostre Magnifiche Signorie. Supplicando umilmente per parte di Giovanni di Gioino della città di Toscanella servitore di Sancta chiesia de la Santità di Nostro Signore e delle Vostre Magnifiche Signorie et dice et expone come del presente anno et mexe d’aprile Ser Nicolo, notaro de damni dati trovò duy soe bestie asinine ne la chiusa di madona Gada ne la contrada de la Pusterla, de la quale possessione luy haveva licentia da la detta madona Gada, dice anchora che non ostante luy habia allegato al detto notaro che luy aveva licentia la condempnato in certa quantitade de denari come appare ne la condempnatione de luy facta, per la qual cossa adimanda el dicto Giovani supplicante per le Vostre Magnifiche Signorie provedersi che lo detto Ser Nicolo li ammetta la detta licentia, offerendossi far fede de la detta licentia, la quale mai li ha voluto ammettere lo detto notario, et questo adimanda di Vostra solita benignitade et gratia humiliter supplicando.

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La documentazione 6 1450 maggio 27 Il consiglio incarica Giovanni Iuti Zai di recarsi a Roma per trattare con il commissario Nello da Bologna sui problemi del bestiame della comunità e gli dà istruzioni. ASC Tuscania, Riformanze, cc. 85v - 86r.

inmediate deputassemo et eleggessimo Giovani de Jutio ad questo presente exibitore et nostro ambasciatore, el quale subito seria venuto, ma per lo padre suo è stato in grave infirmitade, et anchora non è fora de pericolo non ha potuto venire piu presto. Al presente viene cum la ultima intenzione del nostro comune, elquale sera cum la signoria vostra et tracterà questo facto. Et tuto quello per lui sera concluso questo nostro comune havera firmo e rato. Si che piaccia ad essa vostra signoria prestarli pienissima fide in tuto quello exponera per parte di questa nostra civitade et recomendanronolo ad presto et bono spacio. Ex Tuscanella xxii maii 1450. Ab extra: Confalonierius et antiani comune magnifico viro Nello de Bononia, Commissario apostolico generali

Ellectio Iohannis Jutii, oratorem iturum Romam. Die xxvii maii. Cum magnifici domini confalonerius et antiani essent et una cum ipsis cives sex ellecti super facto solutionis bestiarum petite per magnificum Nellum in salla palatii eorum solite residentie provisuri ad eligendum unum civem iturum Romam ad prefatum Nellum pro dictis peragendis unanimiter et matura discussione nominaverunt eligerunt atque deputaverunt providum virum Johanem Juti Zai in oratorem iturum ad prefatum Nellum ex parte comunis 7 cum comissione huius tenoris videlicet: 1450 ottobre 4 Primo cum erit ipse Johanes ad presentiam magnifici Il doganiere dei pascoli del Patrimonio vieta a Nelli comittat devotioni sue confalonerium et antianos chiunque di acquistare pascoli senza bolletta della dogana. pariterque popolum tuscanum. Super facto solutionis bestiarum exponat qualiter ASC Tuscania, Riformanze, c. 111v. comunitas recusat acceptare velle neminem trium capitolorum presentatorum per Bartholomeum de Perusio Tenor bannum dohanerii. dohanerium pro ut iacent cum ipsis non videantur in congrua Malavolta tubicina comunis retuliter mihi cancellarius forma formata. Et si sua magnificentia deliberat ipsa capitula de mandato domini dohanerii provintie Patrimonii exprimisse mitigare, ne hoc comune cottidie stet occupatum pro tali infrascriptum bannimentum. causa et in tantis expensis dicto comuni occurentibus tamque Per parte del Dohanero de paschi de la provintia del cohacti consentient hoc modo, videlicet quod ementes erbas Patrimonio, fu fatto comandamento che non sia persona pro eorum bestiis solvant ducatum unum auri de camera ad alcuna de qual conditione o stato si sia, che del districto de plus pro centenario bestiarum minutarum et pro centenario Toscanella chavi alcuna quantitade de bestie de qual bestiarum grossarum ducatos aurii similes ad plus quinque conditione si sia senza bolletta del detto dohanero, ne venda declarando quod ista talis solutio intelligatur pro ne compari alcuna pastura sotto pena de perditione del extrahentibus bestias suas fienda pro tempore yemali tantum. bestiame, et de ducati cento doro, d’aplicarsi ad la Camera Et cuilibet extrahenti bestias suas et sic solventi undique Apostolica et ad cadauno sia licito acusare et habia lo quarto liceat emere erbas ad eius libitum. de la detta pena. Item quod pro temporibus retroactis comune Tuscanelle neque eius spetiales persone minime teneantur 8 neque graventur ad aliquam solutionem pro eorum bestis 1450 novembre 8 extractis. Et conclusive si prefatus magnificus Nellus intendit Il doganiere dei pascoli del Patrimonio ordina che tutti reformare dicta presentata sua capitula modo predicto, dictus coloro che portino il bestiame in dogana debbano dichiararne Johanes Jutii orator ne hoc comune amplius stet in his il numero entro otto giorni. ASC Tuscania, Riformanze, c. laboribus implicitum, consentiat nomine comunis ad 122r. solutionem dicto modo. Sim autem ipse dominus Nellus nolet Malavolta tubicina comunis retulit mihi confaloniero concedere sic petita dictus Johanes circa talem materiam non se extendat ad ulteriora, sed potius ad propios lares infecto proclamasse in locis pubblicis et consuetis per civitatem pro parte domini dohanierii Patrimonii infrascripta banna. negotio revertatur. Per parte del dohaneri dei paschi se fa comandamento Presente prefato Johane Jutii et hanc ellectionem eundi pro oratore ad magnificum Nellum acceptante cum ad tuti quelli che hanno conducto bestiame o conducesse ad pascolare in la dogana del Patrimonio tanto grosso quanto suprascripta comissione. Prefati domini Confalonerius et Antiani et Cives minuto lo debia havere consignato el numero desso al detto permanentes in cohadunatione, commiserunt mihi Bomporto dohanero infra tempo de octo di proximi da venire sotto la litteras duas infrascripti tenoris, una magnifico Nello, alteram pena de ducati xxv daplicarsi ad la Camera apostolica. Et più Bartholomeo de Perusio dohanerio, per dictum Johanem Jutii si fa comandamento che non sia veruno cittadino ni forestiero che in alchuna generatione de bestiame debbia uscire del portandas et presentandas. territorio et districto de Tuscanella senza bolleta et licentia Littera consilii directiva Nello. Magnifice domine nobis honorem post del detto Dohaneri sotto la pena de perdizione del bestiame, comendationem. Nel partire de qui del spectabile homo et de ducatorum xxv daplicarsi ad la Camera apostolica. Et Bartholomeo dohanero, rimanessimo cum lui in questa più si fa noto et bandimento ad ciaschaduno cittadino che conclusione questo nostro comune dovesse mandare uno viro volesse o avesse de bisogno de herba per loro bestiame, che cittadino alla vostra magnificentia per dare fine ad questi debbia comparere ad dimandarlo al detto dohaneri infra el nostri facti habiamo cum la signoria vostra. Et certo tempo di tre di, per che intende darli el loro bisognio. Et più 387

Cultural Landscapes fa comanadamento ad tuti quelli avesse comparato bestiame tanto grosso quanto minuto, che lo debba assegnare infra lo detto tempo di tre di sotto la pena de la valuta del detto bestiame. Archangelus subscripsit. 9 1451 gennaio 10 Il Consiglio dei rettori delle arti e delle società di Toscanella, in relazione alla richiesta avanzata dal doganiere Arcangelo della consegna di cento salme di grano, a saldo del pagamento della fida dovuta per gli anni passati, dichiara che è ingiusto che la paghino anche gli abitanti di Toscanella che non hanno mai portato il bestiame sui pascoli. ASC Tuscania, Riformanze, c. 128r. Publico generali ac spetiali consilio rectorum artium et societatum comunis et populi civitatis Tuscane heri sero pro hoc mane bandito per Malavoltam dicti comunis preconem de mandato viri spectabilis ser Iohannis de Mevania vicepotestatis dicte civitatis ad sonum campane vocemque preconis et tube ut moris est in sufficienti numero cohadunato, convocato et congregato in salla palatii solite residentie dominorum confalonerii et antianorum, in quo quidem consilio interfuerunt omnes cives infrascripti et in eo dicti domini confalonerius et antiani cum presentia et consensu prefati domini vicepotestatis per me cancellariun infrascriptum proponi et legi fecerunt infrascriptas propositas, videlicet: Primo quia Archangelus dohanerius huius provintie in executione mandatorum magnifici Nelli petiit salmas grani centum, ut dixit promissas ispsi domino Nello ex parte comunis per ambasciatores ipsius comunis pro remissione fidarum pro temporibus retroactis solvendarum camere, ut dicit per illos cives huius Civitatis qui extraxerunt eorum animalia de tenimento tuscano, pro quarum salmorum centum grani exactione cogi fecit cives tunc bestias et animalia habentes et qui extraxerunt et qui non ad solvere debendum ratam dictarum centum salmarum ipsos tangentem quod videtur ipsis iniustum quod qui non extraxerunt debeant cogi ad hana solutionem, et quia maior pars dictorum civium cohactorum habent reccursum ad prefatos dominos ispos requirendo nolint pati quod ad hanc solutionem indebitam cogantur, et velint ad hoc aliqualiter providere, ne inter hos cives aliqua oriatur et vertatur ambiguitas placeat huic rei aliqualiter providere. 10 1451 agosto 12 Il doganiere dei pascoli Nello da Bologna ordina che nessuno compri erbe nel territorio della provincia del Patrimonio. ASC Tuscania, Riformanze, c. 159r. Bannum missum ex parte magnifici Nelli. Malavolta tubicina comunis retulit mihi cancellarius infrascripto se proclamasse bannimentum tenoris infrascripti in locis pubblicis et consuetis per civitatem. Per parte del magnifico Nello famiglio de Nostro Signore et doganeri del Patrimonio per la prefata Santità si fa

bando et comandamento che nessuna persona de qualunche stato o conditione sia ardisca ne presuma comparare ne fare comparare niuna tenuta de erba ne bandita posta ne la provincia del Patrimonio, ne nisciuno la possa vendere alla pena di ducati mille de facto apricarse alla Camera apostolica qualuncha contrafaresse, et se nisciuno lavesse venduto o comparato subito lo debba havere notificato et denuntiato al detto Nello, et rimettarli le rascione havesse ne le dette tenute et herbe alla pena sopradetta qualuncha contraffacesse. Datum Rome, xiii augusti Mccccli. 11 1452 febbraio 15 Le magistrature del comune di Toscanella incaricano i due oratori Angelo Malmoneschi e Angelo di ser Simone di recarsi presso il papa per chiedere che sia elargita la restante parte dei 500 ducati d’oro promessi per la riparazione delle mura della città e della chiesa di S. Pietro, in quanto del contributo che doveva essere versato in cinque rati annuali da parte del doganiere dei pascoli del Patrimonio, la comunità ha ottenuto soltanto 100 ducati. ASC Tuscania, Riformanze, c. 170v. Commissio data oratoribus missis Romam. Dominus Angelus de Malmoneschis et Angelus ser Simonis oratores ituri Romam ad Santitatem domini nostri recesserunt isto die cum IIIbus equis in totum, et ipsis data fuit per dominos Confalonerium et Antianos commissio infrascripta tenoris, videlicet. Vos predicti oratores nostri ituri Romam ad Santitatem domini nostri in executione suorum mandatorum per breve beatitudinis suo observabitis hunc modum est Primo cum eritis ad predictos eiusdem Santitatis post eorum oscula, recomittetis Confalonerium et Antianos huius prefate nostre Civitatis, et universum popolum eius tam in genere quam in spetie. Item si vobis videbitur tempus congruum explicandi sue Santitati infrascripta, illa explicabitis sin antem illa taceatis. Explicanda Cum sua Santitas sua immensa clementia, elargita fuerit huic comuni nostro, pro reparatione murorum civitatis et ecclesie sancti Petri eccelsie cattedralis nostre, ducatos auri quinquegentos nobis dandos per dohanerios pascuorum huius provintie qui per tempora extiterint in quinque annis, videlicet ducatos centum singulo anno, et cum hactenus tamen habuerimus ducatos centum, supplicandi eidem sue Santitati dignetur iubere quod residuum dictorum quingentorum ducatorum nobis persolvatur et effectualiter detur per presentem dohanerium pascuorum huius provintie Patrimonii ut valeamus et muros et dictam ecclesiam sancti Petri reparare, cum re vera maxima indigeant reparatione. 12 1452 maggio 14 Il consiglio generale e speciale dei rettori delle arti e delle società di Toscanella, dopo aver letto la protesta dei rectores bovateriorum et laboratorum, che lamentano la crisi

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La documentazione dell’agricoltura a causa della gran quantità di vacche e di pecore che ogni anno consumano la poca erba disponibile a discapito dei buoi da lavoro, e dopo aver ascoltato ed approvato le proposte del consigliere ser Domenico di ser Giovanni, danno mandato alle magistrature del comune, ai rettori delle arti ed ai quattro cittadini appositamente eletti, di redigere gli ordinamenti sul pascolo per riequilibrare il rapporto tra buoi da lavoro e bestie brade nei pascoli del comune. ASC Tuscania, Riformanze, cc. 187v -190r.

novellus comparuit coram prefatis dominis confalonerio et Antianis et toto consilio, produxitque quandam supplicationem signatam per R.d.d. Gubernatorem Patrimonii qua concedebat d. sua licentia, quod circa factum condempnationem ex rixa quam habuit cum Rosapello in quocumque consilio posset proponi et arengari pariter que et gratia fieri produxit que aliam supplicationem prefato consilio, eius tenor hic est: **** Super quibus omnibus et singulis propositis et supplicatione et ab eisdem dependentibus connexis suie Cohadunatio consilii generalis Publico generali ac spetiali consilio Rectorum artum et emergentibus et earum unoquoque, prefati domini societatum Comunis et populi civitatis Tuscanelle heri sero Confalonerius et Antiani requirunt vos omnes consiliarios pro hoc mano bannito per Malavolta prefati comunis tubicina aliasque cives in dicto consilio existente et vestrum de mandato spectabilis viri Johanis de Tignosinis de Urbe, quemlibet, circa predicta velitis vestrum sanum et utilie dicte civitatis honoris potestatis nec non clarissimorum consilum reddere, et providere, prout vobis utilius et sanius virorum Egregii Artium et medicine doctoris magistri videbitur providendum. offerentes se paratissimos Melchioris ser Filippi confalonierii populi, Gregorii Pichari, quecumque per vos provisa executioni comendare Deo Petri Vanutii Princivallis, et Michaelis Meletti antianorum cohoperante. comunis eiusdem civitatis Tuscanelle, ad sonum campane et Prefatus dominus potestas admonuit omnes et singulos tube vocemque preconis, in sufficienti numero et moris est et consiliaros aliosque cives in dicto consilio existentes, quod cum additione aliorum civium ultra consilium generale et quilibet volens super predictis consulere et arengare ad locum spetiale et Rectores Artium et Sotietatum: solite arengarie se conferat in ea que stans consulet sive In sala magna palatii solite residentie ipsorum arenget e non aliter non exeundo de dictis propositis et dominorum Confalonerii et Antianorum convocato, supplicatione ad penam arbitrii sui: cohadunato, et congregato. In eo quidem consilio, de Vir doctus ser Domenicus ser Johannis, unus ex mandato prefatorum dominorum Confalonerii et antianorum consiliariis in dicto consilio existentibus surgens, et ad locum et cum presentia et consensu prefati domini potestatis per me solite arengarie se conferens, ipsamque ascendens et in ea cancellarium infrascriptum lecte fuerunt proposite permanens animo et intentione super premissis consulendi et infrascripte consiliariis et aliis concivibus in decto consilio arengandi perprius tamen celesti auxilio implorato, et existentibus, ipsas que propositas sibi dictis de verbo ad invocatione debite facta, super prima proposita consulendo verbum ad eorum claram et perfectam intelligentiam dixit: vulgarizavi quarum quidem propositarum tenor talis est: Quod a Sancto Angelo mensis septembris usque per totum mensem madii non possit intrare aliquid branchum pecudum Prima proposita. Primo quia rectores bovateriorum et laboratorum et necque vacharum in banitam comunis. Et quod quilibet civis quam pluries cives pluries accesserunt ad hos magnificos et continuus habitator civitatis Tuscanelle habens usque ad confalonerium et antianos, exponentes qualiter industria IIIIor boves domitos possit tenere tres bestias vacinas bradas laboretii cottidie diminuitur, cum boves et animalia propter in dicta bannita. Et si haberet a quatuor bobus supra, qui sint penuriam herbarum pereant, que penuria ut uniquique clarum ex suis propris, vel haberet eos in socittam a civibus vel est accidit propter maximam quantitatem pecudum et continuo habitantibus in dicta civitate possit tenere usque ad vacharum, que singulo anno et cottidie consumunt hanc numerum octo bestiarum bradarum et non ultra. Et siquis modicam herbam bannite huius civitatis et maior pars quin haberet a quator bobus infra et haberet aliquas bestias bradas, ymmo totus popolis iste vivat et se manuteneat ex industria domini confalonerii et antiani habeant ad providendum et laborecii, et relicta ipsa industria maior pars istorum civium limittandum quot bestias bradas possit tenere cum dictis cogeretur per alios lares vagando se transferre, quare pro bobus. Et siquis haberet vachas domitas ponantur pro bradis utilitate totius populi, quite et evitandis incovenientibus et non pro bobus domitis. Et quod nemo possit tenere socittas rogaverunt prefatos dominos vellent huic rei aliqualiter vacharum nisi haberet socittas bobum domitorum cum eis. Et providere. Et cum prefati domini noverint predictos hec idem dicit de equis quod dixat de vacis. Ad factum porcorum recordatos fuisse ut permittur ex utilitate totius populi et cum dixit dixit quod non possint stare in dicta bannita nisi industria laborecii sit manutentio divitum et pauperum, et tantummodo de mensibus augusti et septembris per totum sine ipsa non possit stare, terminarunt presens consilium annum. Et ad imponendas penas, et ad mittendum ad cohadunare et vos consiliaros aliosque cives in eo ad stantes Santitatem domini nostri, et ad inveniendum denarios dandos Romam pro confirmatione istorum de predictis certiorari, ut ab hec aliqualitenus providere mittendis valeatis, ne hec civitas de malo in peius deducatur, et quilibet ordinamentorum, domini Confalonerii et Antiani et cum ipsis possit vivere ex suo et laboribus suis et omnes cives Rectores laboratorum et cives quatuor per ipsos eligendi unaminiter et in perpetua quiete permaneant sub devotione pariter que ad omnia alia pro hoc necesaria providendum et faciendum habeant plenum arbitrium et potestatem. Sancte matris Ecclesie suorum que summorum pontificum. Reservato quod pecudes macellariorum possint stare Seconda proposita Secundo: quia tempus nundinarum celebrandarum in in dicta bannita prout ordinatum erit tempore ordinationis festo Sancte Marie de rosa appropinquatur, placeat providere macelli. hoc etiam addito quod prefati domini Confalonerius qualiter debeant celebrari vel libere secundum formam et Antiani, Rectores, et IIIIor Cives pro bestis grossis habeant statutorum, vel placeat providere pro ut vobis placet Iohanes ad imponendum penam pro quolibet capite. et pro bestis 389

Cultural Landscapes minutis a quinquaginta supra pro quolibet centenario, et a quinquaginta infra solvat pro capite, hoc declarato quod qundo erit tempus vendendi porcos possint duci ad civitatem per transitum sine ulla pena: Et quod as solutionem penarum imponendarum nullus civis vel continuus habitator dicte civitatis vel fidatus, vel non, possit se aliquo modo diffendere et excusare. Et quod dicte pene infraponende exigantur. Dominus potestas dicte civitatis presens et futurus teneantur facere executionem, et habeant tertiam partem penarum, tertia pars sit Camere Apostolice, et alia tertia pars sit comunis ipsius civitatis, que pars comunis expendatur in custodibus ponendus pro dicta bannita in quantum fuerit expediens, alias expendantur in muris comunis. Et casu potestas non procederet in predictis dominus thesaurarius debeat procedere et habeant partem pene potestati limitate, et qulibet ipsorum possit procedere tam pet inquisitionem quam per accusam. Et quod domini Confalonerii et Antiani de aliqua parte dictarum penarum comuni spectante non possint facere aliquam gratiam ad penam X ducatorum auri pro quolibet ipsorum et qualibet vice applicandorum Camere Apostolice. Et quod pro confirmatione et perduratione presentium reformationum in perpetuum mittatur ad pedes Santitatis domine nostri, et supplicentur in supplicatione eidem Santitati porrigenda quod dignetur concedere, quod alicui in predictis et infrascriptis contrafacienti et se appellanti non adimittatur aliqua appelatio. Et quod quilibet civis et continuus habitator civitatis Tuscanelle qui audeat attemptare palam vel occulte quod presentes reformationes et ordinationes anullarentur pro qualibet vire incidat in penam centum ducatorum auri prefate Camere Apostolice Applicandorum. Super secunda proposita de facto nundinarium dixit quod forenses sint liberi cives vero et continue habitantes civitatis Tuscanelle solvant debitam gabellam. Super facto supplicationis porrecte per Johenni novellum, dixit quod remittebatur hoc in pectus dominorum confalonerii et antianorum et quicquid circa dictam supplicationem per ipsos determinatum fuerit valeat et teneat addeo si per totum presentes consilium determinatum foret. Petrichalis nardi magi alter consiliarius surgens, ad arengeriam se conferens, ipsam que ascendens, et in ea permanens, consulendo dixit quod confirmabat dictum et consilium redditum per suprascriptum ser Domenicum supra omnibus dictis proprositis et supplicatione in omnibus et per omnia ecct. In reformatione cuius quidem consilii et dicti redditi per ser Domenicum super prima proposita, cum confirmatione Petrichalis nardi magi qui tale dictum et consilium ser Dominici confirmavit in omnibuis et per omnia, misso diligenti partito ad bussulas et palluctas hoc modo videlicet volentes quod istud dictum et consilium ser Dominici reformetursit una pars, et ponant eorum palluctas in bussola alba del sic: Volentes vero oppositum et contrarium sit altera partes, et ponant eorum palluctas in bussola nigra del non: unde datis ipsis palluctis indeque collectis, compertum fuit illud tale dictum et consilium ser Dominici placuisse centum viginti octo ex dictis consiliariis in dicto consilio existentibus ex eorum palluctis cxxviii inventis in bussola alba del sic: Et sic victum, obtentum, solempniterque

reformatum fuit non obstantibus palluctis quatuor repertis in contrarium in bussola nigra del non: In reformatione cuius quidem dicti et consilii redditi per suprascriptum ser Domenicum supra prima proposita, et suplicatione Johanis Novelli, cum confirmatione suprascritti Petricalis nardi magi: sine scrutino victum fuit ex voce omnium existentium in dicto consilio et nemine discrepante, reddita et dicentium, quod tale dictum et consilium ser Dominici locum habeant reformeturque. Eodem die xiiii Maii Clarissimi domini Confalonerius et Antiani et cum ipsis Rectores laboratorum, in executione dicti et consilii redditi per predictus ser Domenicum, qui consuliertur quod eligantur et nominentur quatuor cives, qui una cum ipsis habeant ad providendum circa contenta in predicta prima proposita pari eorum consilii nominaverunt et deputaverunt infrascriptos quatuor cives videlicet: ser Baldassarem Ser Filippi, ser Lodovicum Cole, ser Domenicum ser Johanis et Antonium Cecchi Giogie, presentes et acceptantes. Die xv maii Convenientes in unum domini confalonerius et antiani, Cecchus Guadagnoli et Petrus Minici Mactucii rectores laboratorum, predicti cives quatuor electi, in salla palatii solite residentie prefatorum dominorum, unaminiter et concorditer fecerunt infrascriptas reformationes et ordinamenta ecc. 1. Primo quod quilibet contrafaciens et intrans bannitam comunis contra consilium et dictum redditum per ser Domenicum ser Johanis pro qualibet vice et singulo die incurratur in penam x ducatorum auri, pro quolibet centenario bestiarum pecudinarum et a quinquaginta infra pro rata dictorum ducatorum decem pro centenario: Item pro quolibet centenario porcorum similiter ducatos auri decem: et a quinquaginta infra, pro rata dictorum ducatorum x. Item pro qualibet bestia vaccina, equina, seu buffalina, bononenos duodecim, que pene applicentur pro ut superius in dicto et consilio ser Dominici districtum est. 2. Item limittaverunt et declaraverunt quod ubi ser Dominicus supra consuluit et dixit quod habens a bobus IIIIor domitis supra possit tenere in dicta bannita usque ad numerum octo bestiarum bradarum hoc modo intelligatur videlicet quatuor vachas grossas cum fetibus infra annum, et reliquas IIIIor bestias sive mares sive feminas supra annum et sine fetibus. 3. Item limitaverunt et declaraverunt quod quilibet habens duos boves, possit tenere duas bestias bradas supra annum in dicta bannita. 4. Item reformaverunt et ordinaverunt quod dicti Rectores laboratorum, et cives quatuor eligendi ad eis habeant ad providendum pro custodia dicte bannite, prout eis videbitur. Et dicti eectores seu successores sui, successive singulo anno debeant eligere alios IIIIor cives, qui una cum eis habeant ad custodiam dicte bannite providere. Et dicti Rectores suique successores et quatuor cives habeant auctoritatem imponendi denarios pro fiendis expensis ad custodiendum dictam bannitam. Et dominus potestas civitatis Tuscanelle presens et futuri teneantur et debeant ad

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La documentazione petitionem et requisitionem dictorum Rectorum et quatuor in dicto termino, tunc prefatus dominus Thesaurarius civium facere quascumque executionesde predictis, ad penam procedat. viginti librarum denariorum paparinorum, de suo salario 12. Item reformaverunt et ordinaverunt quod in perdendarum pro qualibet vice fuerit negligens ad faciendum predictis cuicumque persone cuius vis conditionis existat dictas executiones et applicandarum Camere Apostolice. liceat quemcumque contrafacientem accusare seu denuntiare 5. Item reformaverunt et ordinaverunt quod cuilibet et sibi cum suo juramento credatur et pro qualibet vice habenti boves domitos ut supra liceat rettinere in dicta habeant medietatem partis pene applicande comuni bannita cum dictis bobus duas equas suas cum fetibus Tuscanelle. Item eandem penam incurrant forenses vel fidati vel non pro bestiis suis intrantibus dictam bannitam, quam duorum annorum. 6. Item reformaverunt et ordinaverunt quod si essent incurrunt cives tuscani pro bestiis suis. duo fratres aut plures qui devenirent ad divisionem omnium Que omnes supradicte pene intelligantur pro quolibet benorum suorum et separatim habitarent et quod unusquisque contrafatiente et qualibet vice et applicentur ut supra eorum laboraret de per se et non communiter quod tunc liceat declaratum est de facto et sine ulla diminutione. eis rettinere in dicta bannita vachas et equas cum suis fetibus et alias bestias bradas ut supra continetur. Sed si similiter 13 laborarent et haberent aliquid comune quod tunc non possint 1452 agosto 20 rettinere bestias in dicta bannita nisi ut supra continetur, videlicet pro uno laboretio et sie pro uno laboretio tantum Ordinamenti e capitoli relativi alla bandita riservata al intelligatur. bestiame bovino da lavoro decretati da Matteo Boncambi di 7. Item reformaverunt et ordinaverunt quod si essent Camerino commissario deputato dal governatore della duo vel plures qui facerent societatem ad iuvicem dictarum provincia del Patrimonio Vianesio degli Albergati di bestiarum vel bovum et simul facerent laboritium, ita quod Bologna. ASC Tuscania, Riformanze, cc. 216r-219v. communicarent comodum ut incomodum dictorum bovum habeantur pro uno: Sed si solum participarent laboritium et In nomine individue Trinitatis amen. Infrascripta sunt haberet boves quilibet eorum de perse tunc liceat cuisque quadam ordinamenta et capitula facta, decreta et ordinata per ipsorum rettinere cum dictis suis bobus bestias indomitas pro spectabilem virum et egregium doctorem dominum Macteum rata et etiam bestias equinas pro ut supra contenetur. de Boncambiis de Camerino auditorem et in hac parte 8. Item reforamverunt et ordinaverunt quod casu quo commissarium agittaretur guerra ut aliqua suspitio quod absit, tunc Rectores In primis ordinatum est quod de bannita generali dicti laboratorum una cum quatuor civibus electis per eos sive comunis Tuscanelle fiat una bannita spetialis que contineatur elegendis possint providere pro indemnitate omnium et sub infrascriptis confinibus incipiat . N . a via Sancti Juliani singulorum civium cuiusvis generis animalia habentium. et exeat ad cancellum Herrigi et exinde ad fontanam Podigloli 9. Item reformaverunt et ordinaverunt quod nemini et a dicta fontana ad Vadum Palmentarum et prout habeat a die primo mensis septembris per totum mensem maii extenduntur pendices Marte ita ut illa loca que sunt a dictis immettere in dictam bannitam bestias aliquas braddas pendicibus citra includantur in dicta spetiali bannita. Et ad videlicet pecudinas, vacinas, equinas seu buffalinas non tollendum omnes errores tenenatur rectores laboratorum in obstante reformatione superius facta que dicit a die Sancti his locis in quibus dubitari posset de confinibus dicte Angeli dicti mensis septembris, porci vero numquam possint spectialis bannite immicti facere sulcum notabilem et intrare dictam bannitam nisi per totum mensem augusti non visibilem ad uno dictorum locorum ad alium, ita ut super dictis confinibus nullam contingat controversiam exoriri. obstante aliqua reformatione superius facta. Item quod a die Sancti Angeli de mense settembris 10. Item addiderunt supradicte reformationi ubi dicit quod quicumque attentaret contra facere et anullare presentes inclusive usque ad kalendas mensis februarii nullus civis reformationes incidat in penam centum ducatorum auri quod dicte civitatis, incola, habitator seu quelibet alia persona solvat ultra dictos centum, alios centum auri ut sopra subiecta iurisdictioni curie dicte civitatis audetat vel presumat applicandos videlicet Camere Apostolice. Et quilibet civis et aliquo quesito colore retinere in bannita generali dicte continuus habitator civitatis Tuscanelle pro bestiis quas civitatis per se vel alios seu alium animalia quecumque tenent in tenimento eius solvere teneatur herbaticum prout indomita, minuta seu grossa, ac etiam vacchas domitas et iuvenchos a triginta mensibus infra domitos seu indomitos, hactenus consuetum est. 11. Item reformaverunt et ordinaverunt quod siquis vel sed dicta talia animalia ducere seu conduci facere teneantur siqui ducerent aliquos greges pecudinos vel aliarum durante dicto tempore extra dictam bannitam generalem dicti bestiarum invectarum in dicta bannita contra reformationes comunis. Si qua vero animalia contra dictam prohibitionem in predictas ad civitatem Tuscanelle et domini dictarum dicta bannita steterint, pasculaverint, seu inventa fuerint, bestiarum aliquod dannum sine deterioramentum paterentur dominus animalium seu ille qui dicta animalia in soccita ex tali ductione quod conducentes dictas bestias ad nullam haberet ipso facto incidat in penam seu penas infrascriptas, videlicet pro quolibet centinaio bestiarum pecudinarum penam seu interesse teneantur sed impune liceat ducere. Item limittaverunt et ordinaventur quod ubi dictus ser solvere teneatur libras quindecim denariorum paparinorum, Domenicus consuluit quod casu quo dominus potestas pro quolibet centinario porcorum libras viginti denariorum civitatis Tuscanelle non procederet in predictis et in similium et si fuerint plus vel minus centinario solvere infrascriptis, dominus Thesaurarius patrimonii debeat teneatur pro rata dicte pene pro qualibet vero bestia vaccina, procedere et habeat partem dicto potestati limittate, dictus equina seu bufalina soldos decem solvere teneatur. Que pene potestas habeat terminum decem dierum ad procedendum a pro duabus partibus applicentur Comuni Tuscanelle et pro die facte denuntie et non procedendo et executiones faciendo media parte alterius tertii potestati qui effectualiter dictas 391

Cultural Landscapes penas venire fecerit in Comuni et alia pars dicti tertii applicetur inventori seu accusatori, dummodo inventor vel accusator non sit de caballariis deputatis ad custodiendum dictam bannitam qui stare debeant contenti eorum salario, quo casu dicta dimidia dicti tertii applicetur dicto comuni. Quorum penarum per officiales et consilia dicte civitatis nulla possit fieri remissio et si facta fuerit non teneat ipso iure. Qua etiam remissione non obstante potestas dicte civitatis teneatur et debeat omnibus modis dictas penas effectualiter exigere facere. In quibus penis nullum admictatur beneficium alias ordinatum a formis statutorum dicte civitatis. Set quia iustum est pauperibus subvenire et ut possint boves eorum ad laboritium aptos manutenere, ordinatum fuit quod unusquisque qui habet sex boves actos ad laborandum et non ultra et a sex bobus infra possit cun dictis bobus ad laboradum actis non obstante proibitione suprascripta retinere duas vacchas domitas vel indomitas tam in dicta bannita generali quam in spetiali suprascripta cum omnibus et singulis eorum fetibus masculis, qui fetus masculi retineri possint in dictis bannitis semper et continuo. Fetus autem femenini vitule seu iuvence, que ex dictis vaccis nascerunt, retineri possint in dictis bannitis usque ad annum et post annum usque ad novam prohibitionem mensis settembris. Illi vero qui non haberent ultra sex boves qui dictas vacchas non retinerent possint et valeant in dictis bannitis retinere duos vitulos masculos seu iuvencos. Illi vero qui haberent ultra sex boves domitos pro conservatione suorum bobum et ut possint alios in locum deficientum subrogare valeant retinere in dictis bannitis cum eorum bobus domitis duos iuvencos duorum annorum. Que supradicta sunt de bestiis vaccinis in omnibus et per omnia locum habeant in bestiis bufalinis. Dicte vero permissiones locum non habeant in hiis qui haberent bestias vaccinas bradas sub alia custodia extra dictas bannitas, quia dicte permissiones ordinate fuerunt pro pauperibus et pro hiis qui non habent alium pastorem seu custodem cum aliis bestiis, ne pro duabus vaccis et eorum fetibus substinerent honus unios custodis seu pastoris. Item retineri possit in dictis bannitis bestie domite equine, asinine seu muline, domite et ad salmam apte, cum fetibus eorumdem usque ad annos duos, ita tamen quod in dictis bannitis unus seu una familia non possint dictos fetus bestiarum ad salmam aptarum retinere plurium matrum quam duarum. Possit potestas predictus et debeat super omnibus et singulis premissis, per inquisitionem, accusationem seu denumptiationes procedere condempnare et exequire. Caballariis uni seu pluribus ordinandis per mo... infrascriptum super custodia dictarum bannitarum de iure plena fides et relativo eorum vel alterius eorum habeatur pro plena probatione et guardiano cum sotio suo accusantibus cum eorum iuramento super premissis omnibus et singulis detur illa fides sicuti per statuta dicte Civitatis datur in inventionibus aliorum dampnorum datorum. Accusatori etiam cum uno teste fidedigno et suo iuramento dummodo testis non sit de eadem famiglia cum accusatore credatur inpremissis et habeatur pro li(giti)ma probatione. De numero autem bestiarum tam minutarum quam grossarum stetur relationi dictorum caballariorum et

guardiani, possit tamen inventionem petere numeratores si se gravaverint de relatione predictorum vel alterius eorum facta super numero dictarum bestiarum. Liceat quoque dictis caballariis et guardiano bestias inventas contra prohibitionem supra et infrascriptam accolligere et ad civitatem ducere maxime si dicte bestie fuerint forensium nec taliter ducendo teneantur ad aliquod dampnum dominis dictorum animalium si forte est alii conductione ad civitatem dampnum aliquod emerserit dominis vel patronis dictarum bestiarum. Item decretum fuit quod a kalendis mensis februarii usque a kalendis mensis iunii nemo possit retinere animalia prout supra dictum est in dicta bannita spetiali, ita ut omnia que dicta sunt in bannita generali a festo Sancti Angeli de mense settembris usque ad kalendas februarii locum habeant in omnibus et per omnia in dicta bannita spetiali a kalendis mensis februarii usque ad kalendas iunii. Item ordinatum fuit quia non possunt lege certa terminari que ex tempore variantur quod rectores laboratorum simul cum dominis confalonerio et antianis dicte civitatis possit dictam prohibitionem que incipit in festo Sancti Angeli de mense settembris commutare ut incipiat die primo mensis settembris quando de mense augusti essent alique pluvie que citius erbas germinare facerent ne quando talis casus eveniret bestie brade pascendo et calcando novas herbas illas deguastarent. Et similiter supra dicti possint et valeant tempus bannite spetialis quod se extendit usque ad kalendas mensis iunii restringere ad kalendas mensis maii quando esset propter anni fertilitatem in kalendis mensis maii illa moltitudo erbarum que omnibus animalibus dicte civitatis sufficeret. Dicte tamen commutationes fieri non possit nisi due partes eorundem fuerit in concordia. Item ordinatum fuit quod forenses quo eorum bestie steterint in dictis bannitis vel altera ipsarum contra prohibitionem suprascriptam incidant in pena seu penis suprascriptis ita ut forensis non sit melioris conditionis quam civis. Item fuit ordinatum quod potestas dicte civitatis vinculo iuramenti et sub pena decem librarum denariorum similium de suo salario retinendarum tempore sindicatus vice qualibet qua contrafacerit teneatur et debeat facta relatione per caballarios ad predictam custodiam deputandos de facto sine aliquo processu infra XX dies executionem facere contra dominos vel patrones seu soccios bestiarum inventarum pro pena seu penis suprascriptis realem seu personalem. Et quando denuntia seu accusa facta esset per guardianum dicte civitatis seu aliam spetialem personam supra premissis vel altero premissorum teneatur dictus potestas exigi sub iam dicta pena infra octo dies processum initiare et procedere contra tales accusatos seu denuntiatos ita quod postea infra unum mensem a die dicti initiati processus certo huiusmodi infra mensem per sententiam expediantur quibus casibus scilicet quando denuntia vel accusa fieret per dictum guardianum vel aliam spetialem personam que non sit de numero dictorum caballariorum procedatur supra premissis prout fit in dampnis datis et similiter fiat condempnato. Possit quoque potestas ad predicta omnia et singula exequenda procedere ad executionem realem et personalem et una relicta via alteram intentare et pignora capta rendere et subpignorare etiam si stabilia essent pro suo libitio voluntatis

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La documentazione usque ad integram solutionem dictarum penarum. Pecudes vero et bestie macellariorum possint stare in Item fuit ordinatum quod, exceptis prohibitionibus dictis bannitis prout ordinatum erit tempore ordinationis supradictis, unicuique civi abitatori et incole dicte civitatis macelli ad habentibus potestatem a dicto comune. liceat eorum animalia brada cuiuscumque generis retinere in Item fuit ordinatum quod dictis rectores laboratorum dictis bannitis, hoc est in bannita generali in ea parte que non simul cum quatuor civibus ab eis et dominis confalonerio et comprehendit bannitam spetialem liceat dicta animalia antianis eligendis, qui omni anno eligi debeant a predictis, de retinere a kalendis mensis februarii usque ad novam mense Augusti singuli annis debeant providere super custodia prohibitionem de mense settembris et in dicta bannita spetiali dictarum bannitarum prout eis melius videbitur. Qui habeant a kalendis mensis iunii vel mensis maii, quando illud auctoritatem imponendi denarios omnibus qui bestias ordinatum fuerit ut predictum est, usque ad dictam novam habuerint nutriendas per modum suprascriptum in dictis prohibitionem de mense settembris, excepto quod porci non bannitis pro expensis fiendis super dicta custodia et pro possit duci ad aquandum et calorem relevandum in fossato caballariis per eos deputandis super dicta custodia. Sed si Capecchi a fonte Gubitorum supra versus ecclesiam Sancti pene que in comuni pervenerint sufficerent ad dictas Bartolomei sub iam dicta pena; possint tamen dicti porci in expensas, restituantur dicte pecunie inposite illis qui eas dicto loco pascuare non entrando dictam acquam. Tamen solverint, et quatenus pene sufficient, pecunie ut prefertur reservatum fuit in arbitrio dominorum confalolonerii et exacte restituantur. Et quod dominus potestas civitatis antianorum et rectorum dictorum laboratorum quod possint Tuscanelle qui pro tempore erit, teneatur et debeat ad restringere licentiam porcis concessam ad mensem augusti petitionem dictorum rectorum et IIIIor civium facere usque ad novam prohibitionem ita ut possint dictos porcos quascumque exequtiones de predictis ad penam xx librarum prohibere intrare in dictis bannitis salvo quod a kalendis denariorum pro vice qualibet qua negligens fuerit ad mensis augusti usque ad novam prohibitionem de mense faaciendas dictas executiones. settembris. Sitque in arbitrio predictorum civium et rectorum et Item fuit ordinatum ut omnia que dicta sunt de confalonerii et antianorum adunere potestati partem de penis dominis bestiarum locum habeant in omnibus et per omnia in exigendis de inventionibus fiendis per dictos caballarios hiis qui bestias retinentr in soccitam, et illi talis quo ad deputandos per dictam custodiam si maior parte eorundem, hoc est due partes, ad predictam adentionem concordaverint. predicta omnia singula habeant loco dominorum. Ille tamen qui retinetur in dictis bannitis vel altera Item fuit ordinatum quod casu quo guerra aliqua ipsarum ultra dictum numerum sex bovum domitorum, vel moveretur vel immineret suspitio alicuius prede ita ut secure ille qui cum minori numero bovum retinetur vacchas sine bestie brade extra dictas bannitas stare non possent, supradicti permissionem de qua supra, non possit alteri habere sex domini confalonerii et antiani et quatuor cives et rectores boves et ab inde infra dare ad custodiendum aliquas vacchas laboratorum predicti possint et valeant providere pro in fraudem dicte ordinationis sub pena perditionis bestiarum indempnitate dominorum bestiarum bradarum et tali casu bradarum, quas, ut prefertur, ad custodiendum daret et dispensare et derogare presenti ordinationi. applicationis de facto camere dicti comunis et ad probandum Item fuit ordinatum quod quicumque civis seu quod dederint ad custodiendum et non sub alio contractu quicumque de officialibus dicte civitatis actentaret contra sufficiat unus testis idoneus. Sed bene possit unusquisque tali facere vel annullare presens ordinamentum seu aliquam eius habenti sex boves domitos et ab inde infra daret vacchas in particulam et cancellarius qui aliquid in contrarium soccitam et retineret possit in dictis bannitis ac si retinens apposuerit, incidat pro qualibet vice in penam ducatorum essent dominus dictarum vaccarum. centum auri applicandorum sine diminutione et Si contingeret aliquem pauperem vel alium qui boves inremissibiliter pro meditate Camere apostolice et pro alia domitos in dicta bannita non haberet velle retinere in dictis medietate dicto comuni. Et nihilominus ea que in contrarium bannitis vel altera ipsarum duas vacchas sub propria custodia, octenta, ordinata seu reformata fuerint sint nullus valoris, sui famuli vel filii, vel si tium forte ad percinpiendos exinde roboris vel momenti. boves, possit nihilominus retinire duas vacchas cum fetibus, Item fuit ordinatum quod cuilibus civi abitatori vel incole ut dictum est supra, ac si boves haberet in dictis bannitis, ne dicte civitatis habenti pecudes liceat ipsas pecudes ad usque illi qui boves non habet privetur dicta comoditate. aliqua pena tempore balneationis ducere et duci facere per Item fuit ordinatum quod si duo vel plures facerent viam rectam Rustialvecchii et Sancti Stefani usque ad flumen sotietatem de eorum bobus ita ut boves fiant communes ex Marte ad locum ubi balneare vellent, et ipsis bestiis pecudinis tali soccitate pro uno comparente et non pro pluribus balneatis debeant et teneantur ipsas reducere ad tondendum et quantum pertinet ad presentem ordinationem. Sed si solum pascolandum extra dicta bannita spetialem bobum. Non parteciparent laboritium et non boves, pro pluribus habeantur. tamen possint dicte bestie pecudine tempore balneationis Et similiter fratres vel consortes in unum habitantes quod ascendere morras Marte citra Martam ne transige haberent boves comunes pro uno habeantur, set statim, facta vaccharetiam ad penam supradictam ut supra applicandam. Item fuit ordinatum quod cuilibet civi, incole vel divisione vite et victus et bovum quos comunes haberent, pro pluribus. Nec quisque audeat ad fraudandam presentem habitatori dicte civitatis qui vellet suas pecudes emungere ordinationem divisiones factitias facere vel contractus liceat ipsas pecudes ducere et duci facere ad civitatem per simulatos ad penam xxv ducatorum auri sine diminutione viam Rustialvecchii et viam Sancti Lazeri per via rectam et dicto comuni persolvendam, ad que probanda sufficiat unus similiter retroducere per dictas vias extra dictas bannitas vel testis idoneus et quilibet ad accusandum admittatur et possit illam bannitam inqua tunc temporis esset prohibitio abusque contra predictos per inquisitionem procedi et quarta dicte aliqua pena non tamen possint in locis prohibitis pascuare. pene applicetur potestati qui dictam penam effectualiter in Item fuit ordinatum quod nemini liceat ducere bestias comuni fecerit pervenire. porcinas ad fetandum vel nutriendum porcellos nec aliquos 393

Cultural Landscapes porcos ad permorandum in gruttis iuxta civitatem a via per quam itur ad ecclesiam S. Marie Maioris citra, versus civitatem, ne possint dicti porci intrare nec pascuare in plano Civite ad supradictam penam; possint tamen ire et redire per vias rectas videlicet viam pontis et viam Sancti Stefani absque aliqua pena. Item ordinatum fuit quod tempore quo in dictis bannitis vel altera ipsarum stare non possint animalia indomita bestie caprine non possint immicti nec induci ad pascuandum nisi in eundo et redeundo ad civitatem per vias rectas sub pena supra imposita animalibus minutis. Cui tamen capitulo possint domini confalonerius et antiani ed dicti rectores laboratorum singulis annis dispensare eique derogare quantum pertinet ad dictas bestias caprinas. Ultimo fuit ordinatu quod alie provisiones et capitula et reformationes iam facte seu facta super dictis bannitis vel altra ipsarum sint casse et cassa, et irrite et irrita. Et quod presentes ordinationes dumtaxat inviolabiliter observentur. 14 1452 settembre 15 Disposizioni Riformanze, c. 226v.

sulle

bandite.

ASC

Tuscania,

Bannimentum de bestiis extrahendis de bannita. Malavolta publicos bannitor comunis retulit miehi vicecamerario infrascripto se ivisse per loca publica et consueta et in eis de comissione supradicti domini potestatis et dominorum confalonerii et antianorum alta et intelligibili voce bannuisse et proconizasse quod unus quisque civis vel habitatore civitatis Tuscanelle sive alia quecumque persona cuius gradus et conditionis sit teneatur et debeat per totum supradictum diem extraxisse eorum bestias grossas sive minutas indomitas de generali bannita comunis et in ea cum ipsis non stare nec pascuare nisi duntaxat cum bestiis permissis sed reformationes super dicta bannita factas ad penam in dictis reformationibus contentas pro quolibet contrafaciente et qualibet vice. Assignatio partis bannite pro bestiis macellariorum Magnifici domini confalonerius et antiani supradicti ac ser Loduvicos Cole, Petrutius Jutii et Cecchus Pertinelli, cives electi et deputati super factis macelli pro presenti anno ut patet manu Bonoporti cancellarius comunis absentis a civitates Stefano Baptiste altero ex dictis electis convenientes in unum in sala magna redidentie prefatorum dominos volentes aliqua ordinare, deputare et declarare circha dictum macellum et factum macellariorum unanimiter et concorditer ordinaverunt, reformaverunt et aclaraverunt autoritate eis concessa per capitola predictis super dicto macello quod dicti macellarii possint et valeant retractare bestias pecudinas in bannita comunis pro quolibet bancho videlicet a via casari Canini supra versus pantallam et prout trahit aqua pantelle ultra versus casarum Canini, quas quidem bestias debeant mercari facere per totum diem jovis proxime futurum mercho comunis ad penam contentam in dictis capitulis et ad istas bestias mercandis eligerunt et nominaverunt : Antonium Scappari de Aquila civem Tuscanelle cum salario per dictos confaloneriium et antianos deputando.

15 1452 ottobre 8 Capitoli per la vendita dell’erbatico del comune di Toscanella. ASC Tuscania, Riformanze, cc. 229r – 230r. Venditio erbatici In nomine Domini amen. Anno domini .MCCCLII. Indictionis XI pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini nostri Nicolai clementissimi pape quinti, mensis octobris, die VIII. Magnifici domini ser Nicola ser Angeli confalonerii populi, Leonardus Jutii Petruccioli, Cola Mancini et Paulus Stefani Giannocti, antiani comunis civitatis Tuscanelle, cum presentia consensu et voluntatem egregiorum virorum Johannis ser Colelle Laurentii, Johannis Bartholomei de Parma, Stefani Baptiste et Bartholomei Cialdini, civium electorum, vocatorum et deputatorum super venditione gabellarum erbatici sive pascui et baculi ac statere comunis, absente Michaele Solinei altero ex dictis civibus electis requisito per Antonium castaldum comunis et non ivento prout retulit, ac etiam prefati cives cum voluntate et consensu supradictorum dominorum confalonerii et antianorum volentes devenire ad effectum venditionis gabelle pascui sive erbatici comunis pro uno anno tantum proxime futuro, visa reformatione consilii generalis et arbitrio eis concesso et visis quam pluribus et multis bannimentis super dicta gabella missis et proclamatis in locis publicis et consuetis diversis diebus et horis et cum lucro usque ad carlenos decem cum dimidio pro quolibet ducato auri; et viso quod nemo obtulit ultra oblationem factam per ser Antonium Silvestri qui obtulit de dicta gabella erbatici ducatos CXXVI auri et omnibus aliis visis et consideratis que videnda fuerunt omni melio et modo, via, iudicio, forma, officio et arbitrio eis concessis et atributis pro evidenti comodo et utilitate supradicti comunis civitatis Tuscanelle per sese et eorum in officio successores ac vice et nomine comunis et hominum dicte civitatis vendiderunt et titulo venditionis cesserunt et tradiderunt ser Antonio Silvestri civi Tuscanelle presenti, ementi, recipienti et legitime stipulanti pro se et suis heredibus et successoribus et cui vel quibus dare et tradere valuerit, tamquam plus aliis offerenti, omnes et singulos introitus redditus et proventus gabelle erbatici seu pascui civitatis Tuscanelle cum omnibus juribus, comoditatibus, usibus et utilitatibus eidem gabelle spectantibus et pertinentibus de iure et facta secundum statuti et consuetudinum in predictis prefate civitatis et secundum formam pactorum et capitolorum. Cum quibus ser Nicola ser Angeli ipsam gabellam hoc anno proxime elapso, emit, tenuit et possedit, ponentes dicti venditores nomine quo supra dictum ser Antonium emptorem ex nunc in locum, jus et privilegium ipsorum et dicti Comunis, constituentes ipsum dominum et procuratorem ut in rem suam propriam pro uno anno proxime futuro ad habendum, tenendum, fructandum, exigendum et quodquod eidem placeverit faciendum tamquam verus et legitimus emptor et gabellarius dicte gabelle, pro pretio et nomine pretii centumvigintisex ducatorum auri, computatis vicibus lucratis, de quibus promisit solvere illis qui lucrati fuerint ipsas vices debitas ac etiam promisit solvere in presenti ad omnem requisitionem

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La documentazione dominorum confalonerii et antianorum in manibus generalis camerarii comunis predicti aut alterius per ipsos dominos deputandi et ordinandi recipienti nomine comunis predicti aut prefatis ipsius comunis ducatos viginti auri. Residuum vero usque ad quantitatem centum decem et novem ducatorum auri bononenos tresdecim et denari quinque quod restat pro comuni detractis vicibus, promisit et sollepniter convenit predictis dominis confalonerio et antianis ac civibus predictis presentibus et stipulantibus quibus supra dare, solvere et numerare cum effectus generali camerario dicti comunis vel cuicumque alteri habenti potestatem a isto comuni exigendi sive recipiendi istos denarios nomine ipsius comunis in festo nativitatis domini nostri Iesu Cristi proxime futuro et ab inde in posterum ad omnem petitionem, inquisitionem et valutatem dictorum confaloneri et antianorum tunc presidentibus pro tempore. Pro quibus voluit posse cogi compelli et costringi in curia civitatis Tuscanelle in qualibet alia curia diebus feriatis et non feriatis eorum. Et supradicti venditores quibus supra nominibus promiserunt dicto emptore quod dicta gabella non est alicui alteri vendita, alienata vel obligata. Et siquo tempore contrarium appareret vel apparebit promiserunt ipsum defendere autorizare et disbrigare ab omni molestaute persona omnibus supradictibus et expensis dicti comunis. Et reficere omnia dampna, expensas et interesse pro ipsum factum etc. Renuptiantes dicte partes exceptioni doli, mali, vi, metu etc. in factum presentis contractum non sit vel aliter celebrati etc. pro quibus omnibus et singulis firmiter observandis partes predicte ad iuvicem stipulantes, videlicet venditores obligaverunt omnia bona dicti comunis mobilia ut inmobilia, presentia et futura, et dictus emptor omnia eius bona mobilia et inmobilia presentia et futura iure pignoris et ypotece. Et voluerint posse conveniri, cogi et copelli etc. Et predicte partes ad iuvicem stipulantes promiserunt vicissim intendere et observaret et ipsam habere rata grata et firma et contra non facere vel venire per sese vel alium seu alios aliqua ratione, exceptione, modo titulo etc. sub dicta obligatione et ad penam dupli supradicte quantitates, qua pena conmissa petita exacta soluta vel non presens contractus perpetuo obtineat roboris firmitatem etc. Actum in Civitatis Tuscanelle, in palatio comunis residendia predictorum dominorum confalonerii et antianorum, in sala magna dicti palatii, presentibus ser Simoni petri et Mactheo Antonii Colutie civibus Tuscanelle testibus ad predicta venditionis habitis et rogatis. Vices lucratum in oblatione gabelle herbatici Ser Antonius Silvestri lucratus fuit carlenos XXX cum dimidio Johannes Franciscus Petri Arcangeli lucratus fuit carl. X. Angelus ser Simonis lucratus fuit carl. XX. Angelus Cole Minati lucratus fuit carl. XV.

Relatio bannimenti et conmissioni dohaneri. Malavolta plubicus bannitor et tubicina comunis retulit miehi vicecamerario se iuisse per loca publica et consueta civitatis Tuscanelle et ibidem ex commisione et mandato spectabilis viri domini Jacobi de Antonhi de Bononia dohanerii patrimonii etc. alta voce bannisse et proconizasse quod quicumque tam civic quam forensis seu continuum habitator civitatis Tuscanelle habeat porcos sive bestias porcinas in tenimento et distrecti civitatis Tuscanelle teneatur et debeat ipsos assignare ipsi dohanerio per totum diem dominicum proxime futurum ad penam sui arbitri. Item quod siquis ut siqua persona civis vel continuus habitator dicte civitatis extraxerit vel extrahi fecerit animalia aliqua cuiscumque generis sint pecudina, vaccina sive equina et ad alia pascua conduxerit vel duci fecerit debeat ipsas similiter assignare sibi dohanerio per totum dictum diem dominicum ut supra et ad predicta penam sui arbitrarii. 17 1454 settembre 25 Lettera riguardante i problemi sulla dogana dei pascoli, inviata dal camerario del papa al doganiere dei pascoli del Patrimonio Raffaele de Brugnoli di Mantova il quale né da comunicazione alle magistrature del comune di Toscanella per provvedere a quanto di loro competenza. ASC Tuscania, Riformanze, c. 403v. Spectabilis vir Rapahael de Brugnolis de Mantua dohanerius pascuorum Patrimonii presentavit litteras Reverendissimi Domini Camerarii, requirens dominos Confalonerium et Antianos ut in quantum eis spectet et comunitati circa contenta in dictis litteris vellent providere, qui prefati domini dictas litteras dederint mihi cancellario legendas, quarum tenor ad litteram talis est: Spectabilis vir amice noster carissime salutem. Havemo ricevuto le vostre lettere, et veduto quanto scrivete per le cose concernente la utilità della Dohana del bestiame. Al presente non vi faccemo altra risposta, se non che vi debbiate intendere cum lo Rettore del Patrimonio et vedere di rimediare come meglio si può a tutte le cose possono damnificare la detta dohana, tenendoci tutta via advisati come le cose succedano. In caso che bisognasse poi di qua farsi altra provisione si farrà. Inter cetera per questa vi comandamo che non lassiate chavare della provintia piu grano ad persona che ne cavasse se non havereti altro da noi in comandamento. Valete. Rome XVIII septembre 1454. Ab extra: L. Cardinalis Aquileyensis, domini pape camerario A tergo: Spectabili viro Raphaeli de Brugnolis de Mantua dohanerio Patrimonii, amico nostro carissimo.

16 1452 novembre 24 Il doganiere Giacomo di Antonio di Bologna ordina che qualsiasi persona in possesso di bestie porcine nel tenimento di Toscanella sia tenuta a denunciarle al doganiere entro la domenica successiva al bando. La stessa procedura deve essere rispettata da chi sposta il bestiame, di qualsiasi genere, in altri pascoli. ASC Tuscania, Riformanze, c. 233r. 395

Cultural Landscapes

Fig. V.1 – Un termine confinario a pilastro, costruito con mattoni e pietrame. Pict. V.1 – A boundary column, builded by bricks and stones.

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CAPITOLO VI DALLA RICERCA D’ARCHIVIO AL LAVORO SUL CAMPO: LA CATALOGAZIONE DEI FONTANILI (SECOLI XV-XX) Abstract In a Cultural Landscape every object, natural or anthropic, is important to understand which is the spatial and historical overview we are going to study. Not only buildings, mountains, woods or different types of ruins but also fountains help to reconstruct the use and destination of a land in the past. The interest increases if it can find answers to some questions, like when that fountain has been builded or which roads went there and who used it, animals or mens else. In Monte Romano country all principal fountains, dated from XV to XX century, have been recorded by an experimental sheet and drawings made directly in their location. Keywords Topography, Late Middle Age, fountain, inventory VI.1 Il censimento dei fontanili all’interno della proprietà dell’Università Agraria Il fontanile, costruito soprattutto ad uso del bestiame bovino allevato allo stato brado all’interno della grande tenuta di Monte Romano dell’Archiospedale del S. Spirito, costituisce il genere di struttura normalmente ignorato negli studi relativi al territorio e alla correlata dimensione storica che lo trasforma in paesaggio. Di dimensioni modeste e mediamente privo di peculiarità architettoniche od artistiche, tende a passare inosservato, a meno che non si sia deciso di dare alla ricerca sul campo un taglio decisamente topografico, finalizzato alla ricostruzione di un Paesaggio Culturale. Tale scelta conferisce ad ogni elemento, naturale e antropico, presente nello spazio un nuovo spessore e sollecita la riflessione e l’approfondimento sulle ragioni addotte in una certa data per realizzare un fontanile in un particolare punto piuttosto che in un altro, adottando lo schema a vasca semplice o multipla, con sistema di decantazione dell’acqua sorgiva per caduta e raccolta da un bacino all’altro, disposti in sequenza e a quote progressivamente minori.

(XV secolo) ai tempi odierni, trovano conferma nella sovrapposizione o nell’affiancarsi delle strutture, di epoche diverse ma con medesime natura e finalità (raccolta, conservazione e distruzione delle acque sorgive), ed incentivano il miglioramento della conoscenza dei fontanili. Il protrarsi, infine, ad oggi dell’utilizzo, per gli stessi scopi che ne avevano determinato in passato la costruzione costituiscono l’ultima delle ragioni da considerarsi alla base del progetto di un loro censimento sistematico (l’Inventario di Beni immobili d’uso pubblico per natura), indispensabile ad una tutela che si abbina strettamente alla gestione ordinaria dei terreni dell’antica tenuta del S. Spirito, trasferiti in possesso alla locale Università Agraria. La scheda, concepita nel rispetto dei criteri di semplicità nella compilazione e chiarezza nell’organizzazione ed esposizione dei contenuti, si compone di 9 voci compreso il numero d’ordine, in apertura. Le 4 che lo seguono riuniscono le informazioni indispensabili ad identificare (Denominazione) e collocare nello spazio (Comune, Provincia, Localizzazione) ogni struttura, rinunciando a dichiararne la distanza dal punto di riferimento più vicino e preferendo il ricorso alle coordinate topografiche del reticolo chilometrico UTM della cartografia ufficiale italiana (IGM) in scala 1:25.000 (F° 142 I NE). Le successive 4 hanno invece caratteri documentale ed illustrativo, comprendendo la Descrizione, le Dimensioni, la Datazione e lo Stato di conservazione di ciascun manufatto, valutata con gradi di giudizio da positivo (‘buono’, ‘discreto’) e propositivo (‘da restaurare’) a negativo (‘distrutto’). VI.2 L’Inventario di Beni immobili d’uso pubblico per natura: i fontanili

n° 001, Fontanile Catone n° 002, Fontanile del Lasco di Picio n° 003, Fontanile del Prataccio n° 004, Fontanile Cupellaro Fancelli n° 005, Fontanile Nuovo n° 006, Fontanile dei Trocchi n° 007, Fontana Lea n° 008, Fontanile o Fontana Fiorita La variabilità delle dimensioni e l’altezza contenuta delle n° 009, Fontanile Piccasorceta pareti delle vasche suppongono, la necessità di soddisfare il n° 010, Fontanile dell’Ancarano fabbisogno idrico di un gran numero di animali, distribuiti su n° 011, Fontanile di China ampie superfici a pascolo o, al contrario, se dotati di bacino n° 012, Fontanile o Fontana del Nasso profondo ma corto, la raccolta ad uso di contadini e viandanti. n° 013, Fontanile Paolo Roma La dislocazione lungo le strade campestri o al centro di un n° 014, Fontanile di Calisto campo sottolineano ancora queste differenze e la cura per n° 015, Fontanile Boschetto elementi architettonici definibili ‘di arredo’, tipo n° 016, Fontanile del Crognolo l’acciottolat,o messo in opera su tre lati attorno alla struttura, n° 017, Fontanile Cacciamano o lo stemma e, eventualmente, l’epigrafe contenenti le notizie n° 018, Fontanile Selvarella sul finanziatore e l’esecutore dei lavori sono connotati n° 019, Fontanile del Torrione importanti per restituire scopo, età ed identità ad opere n° 020, Fontanile dei Giunchi confinate altrimenti nell’anonimato. n° 021, Fontanile Pampanare n° 022, Fontanile Sassone La straordinaria conservazione di un paesaggio agrario n° 023, Fontanile Poggio Barone pluristratificatosi nei secoli nelle campagne di Monte n° 024, Fontanile Cupellaro Ceccotto Romano e la cura riservata alle sorgenti sparse su grandi n° 025, Fontanile Costacotella estensioni di terra, con continuità d’uso dal Basso Medioevo n° 026, Fontanile Lasco Bello 397

Cultural Landscapes

Fig. VI.1 - Fontanile Catone (Monte Romano). Pict. VI.1 – Fountain Catone (Monte Romano).

Scheda n° 001 Denominazione: Fontanile Catone Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM36758675 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche, realizzate con mattoni pieni e malta cementizia. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa mt. 500, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC, del diametro di cm 10. Lungo essa sono stati realizzati n° 4 pozzetti ispezionabili, con occhi in cemento prefabbricati del diamentro di m 1. A sua volta l’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato in muratura di mattoni eblocchetti di tufo. Dimensioni: Ia vasca m 6,80 x 2,55 x 0,65 (capacità lt. 8400); IIa vasca m 6,80 x 2,55 x 0,60 (capacità lt. 7800). Datazione: costruito nel 1975. Stato di conservazione: Buono.

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La catalogazione dei fontanili

Fig. VI.2 - Fontanile Lasco di Picio (Monte Romano). Pict. VI.2 – Fountain Lasco di Picio (Monte Romano).

Scheda n° 002 Denominazione: Fontanile Lasco di Picio Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM36388760 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche, realizzate in pietra calcarea e malta cementizia. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 30, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile realizzato in muratura di pietra calcarea. Dimensioni: I^ vasca m 7,60 x 2 x 0,70 (capacità lt. 6800); II^ vasca m 7,15 x 2 x 0,70 (capacità lt. 6600). Datazione: costruito prima del 1909. Stato di conservazione: Buono.

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Cultural Landscapes

Fig. VI.3 - Fontanile del Prataccio (Monte Romano). Pict. VI.3 – Fountain Prataccio (Monte Romano).

Scheda n° 003 Denominazione: Fontanile del Prataccio Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM37808695 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche, di cui una più vetusta, realizzata in pietra calcarea, ed una più recente, costruita con mattoni pieni e malta cementizia. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 60, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. Lungo essa è stato realizzato un pozzetto ispezionabile in muratura di mattoni. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato in muratura di pietra calcarea. Dimensioni: I^ vasca m 9,70 x 2,10 x 0,70 (capacità lt. 9500); II^ vasca m 7,20 x 2,10 x 0,65 (capacità lt. 6600). Datazione: costruito nel 1946, con l’aggiunta della seconda vasca nel 1976. Stato di conservazione: Buono. 400

La catalogazione dei fontanili

Scheda n° 004 Denominazione: Fontanile Cupellaro Fancelli Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM37808695 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche, realizzate in pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 20, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto prefabbricato in cemento, ispezionabile. Dimensioni: I^ vasca m 5,85 x 2,30 x 2,30 (capacità lt. 7350); II^ vasca m 5,85 x 2,30 x 2,30 (capacità lt. 7350). Datazione: costruito nel 1939 e restaurato nel 1991. Stato di conservazione: Discreto.

Scheda n° 005 Denominazione: Fontanile Nuovo Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM37458575 Descrizione: fontanile composto da n° 3 vasche, realizzate in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 200, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10, dove a circa metà è stato realizzato un pozzetto ispezionabile in muratura di mattoni e blocchetti di tufo. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino ispezionabile a volta, realizzato in muratura di pietra calcarea. Sulla fronte del fontanile, poco sopra il cannello, era visibile sino a poco tempo fa lo stemma del precettore dell’Ospedale del S. Spirito artefice del fontanile, come dichiara la sottostante tabella con iscrizione commemorativa: Hercules Dandini praeceptor | Archiospitalis utilitati | ac public(a) commoditati | prospiciens fontem | extruxit | Anno Domini MDCCCXVIII. Mani ignote hanno derubato lo stemma. Dimensioni: I^ vasca m 9,80 x 3,90 x 0,70 (capacità lt. 20390); II^ vasca m 9,40 x 3,90 x 0,70 (capacità lt. 20210; III^ vasca m 9,30 x 3,90 x 0,70 (capacità lt. 19740). Datazione: costruito nel 1818; ricostruzione della conduttura nel 1983. Stato di conservazione: Discreto.

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Cultural Landscapes

Fig. VI.4 – Il Fontanile nuovo (Monte Romano) visto da satellite (fonte: GoogleEarth). Pict. VI.4 – View from satellite of the Fontanile nuovo (Monte Romano) (by GoogleEarth).

Fig. VI.5 – Veduta prospettica del Fontanile nuovo. Pict. VI.5 – The Fontanile nuovo in a perspective view.

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La catalogazione dei fontanili

Fig. VI.6 – L’antico fontanile di Fontana Lea (seconda metà XV-inizi XVI secolo). Pict. VI.6 – The ancient fountain of Fontana Lea (second half of XV-beginning of XVI secolo). Scheda n° 006 Denominazione: Fontanile Trocchi Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM37908532 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante m 60, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato in muratura di pietra calcarea. Dimensioni: vasca m 9,20 x 2,40 x 0,70 (capacità lt. 10830).

realizzate in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 30, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato in muratura di mattoni. Dimensioni: I^ vasca m 18,10 x 2 x 0,70 (capacità lt. 20820); II^ vasca m 3 x 1 x 0,50 (capacità lt. 1200). Datazione: costruito nel 1949 restaurato nel 1991. Stato di conservazione: Buono.

Datazione: costruito prima del 1909. Stato di conservazione: Discreto. Scheda n° 007 Denominazione: Fontana Lea Comune: Tarquinia Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM35758532 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca grande e da n° 1 vasca di piccole dimensioni per l’abbeveraggio dei vitelli, 403

Cultural Landscapes

Fig. VI.7 – I fontanili vecchio e nuovo di Fontana Lea visti da satellite (fonte: GoogleEarth). Pict. VI.7 – View from satellite of old and new fountains of Fontana Lea (by GoogleEarth).

Fig. VI.8 – Il nuovo fontanile di Fontana Lea (1949) con i resti del piazzale pavimentato in pietra. Pict. VI.8 The new fountain of Fontana Lea (1949) with remains of the stone paved square. 404

La catalogazione dei fontanili

Fig. VI.9 – Il castello dell’Ancarano in una veduta da satellite. L’omonimo fontanile si trova alle pendici meridionali della collina (fonte: GoogleEarth). Pict. VI.9 – The medieval castle of Ancarano in a view of satellite. The homonym fountain is on the southern sideof the hill (by GoogleEarth). Datazione: costruito nel 1941 e restaurato nel 1979. La conduttura in polietilene è stata sostituita nel 2004. Stato di conservazione: Discreto.

Scheda n° 008 Denominazione: Fontanile o Fontana Fiorita Comune: Tarquinia Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM43808650

Scheda n° 009

Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche di contenimento, realizzate in muratura di mattoni pieni. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 160, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. Lungo essa è stato realizzato un pozzetto ispezionabile, realizzato parte in muratura di blocchetti di tufo, per la porzione fuori terra, protetto con copertura di tegole; e parte in muratura di mattoni, per la struttura interrata, il tutto intonacato all’interno e all’esterno. Dimensioni: I^ vasca m 3,40 x 2,20 x 0,70 (capacità lt. 3470); II^ vasca m 4,10 x 2,20 x 0,65 (capacità lt. 3950).

Denominazione: Fontanile Piccasorceta Comune: Tarquinia Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM34908490 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche di contenimento, realizzate in muratura di mattoni pieni. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 45, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino ispezionabile, realizzato parte in muratura di blocchetti di tufo e parte in muratura di mattoni pieni, provvisto di coperchio in ferro.

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Fig. VI.10 – Il Fontanile dell’Ancarano. Pict. VI.10 – The Fontanile of Ancarano. Dimensioni: I^ vasca m 4 x 1,90 x 0,75 (capacità lt. 5700); II^ vasca m 2,70 x 1,90 x 0,75 (capacità lt. 3850). Scheda n° 010 Datazione: costruito nel 1986. Stato di conservazione: Buono.

Denominazione: Fontanile Ancarano Comune: Tarquinia Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM34558835 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di mattoni pieni. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 15, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino ispezionabile, realizzato parte in muratura di blocchetti di tufo, per la struttura fuori terra, e parte in muratura di mattoni pieni, per la parte interrata. È intonacato internamente e provvisto di coperchio di ferro. Dimensioni: vasca m 2,30 x 1,20 x 0,70 (capacità lt. 2760). Datazione: costruito nel 1980. Stato di conservazione: Buono.

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La catalogazione dei fontanili Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM39808235 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasche di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea, con copertina di pietra calcarea arrotondata, scalpellinata a mano. Intonacato internamente ed esternamente. La struttura della vasca ha subito un assestamento, tanto da provocare due lesioni verticali lungo le fiancate, che, stuccate, non presentano attualmente problemi di perdite. Il fontanile viene alimentato da una sorgente ai piedi della collina della Rotonda, alla quale è collegato mediante conduttura in PVC e distante circa m 15. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto di recente costruzione, realizzato in muratura di matoni pieni, che ha sostituito quello vetusto in pietra calcarea situato più distante. Dimensioni: vasca m 10 x 2,20 x 0,70 (capacità lt. 15400). Scheda n° 011

Datazione: costruito prima del 1909. Stato di conservazione: Discreto.

Denominazione: Fontanile di China Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM37688169 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di mattoni pieni. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 20, alla quale è collegato tramite conduttura in ferro del diametro di cm 6. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino ispezionabile, realizzato parte in muratura di blocchetti di tufo, per la struttura fuori terra, e parte in muratura di mattoni pieni per la parte interrata, intonacato internamente. Dimensioni: vasca m 4,50 x 1,70 x 0,50 (capacità lt. 3820). Datazione: costruito prima del 1909. Stato di conservazione: Da restaurare. Scheda n° 012 Denominazione: Fontanile o Fontana del Nasso Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM35308315

Scheda n° 014

Descrizione: il fontanile risulta attualmente distrutto dall’alluvione dell’anno 1987. La vasca di contenimento è stata sommersa da detriti e fanghiglia. L’unica struttura rimasta illesa è il pozzetto di raccolta delle acque sorgive, costruito in muratura di pietra calcarea e blocchetti di tufo, chiuso con coperchio in ferro. Dimensioni: nessuna misura apprezzabile. Datazione: Stato di conservazione: Distrutto.

Denominazione: Fontanile Calisto Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM41208255 (carta IGM 1:25.000, F° 142 I NE; CTR 1:10.000, ) Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 150, alla quale è collegato mediante conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente è raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato in pietra calcarea. Dimensioni: vasca m 10,80 x 2 x 0,70 (capacità lt. 9900).

Scheda n° 013 Denominazione: Fontanile Paolo Roma

Datazione: costruito nel 1945 e restaurato nel 1991. Stato di conservazione: Buono. 407

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Scheda n° 016 Denominazione: Fontanile Crognolo Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM40808080 (carta IGM 1:25.000, F° 142 I NE; CTR 1:10.000, ) Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente; esternamente con paramento a faccia vista. Viene alimentato da una sorgente distante circa m 10, alla quale è collegato mediante conduttura in ferro del diametro di cm 5, attualmente rovinata e da sostituire. L’acqua della sorgente viene raccolta in un piccolo pozzetto in muratura di pietra calcarea. Dimensioni: vasca m 6 x 2,50 x 0,70 (capacità lt. 7180).

Scheda n° 015 Denominazione: Fontanile Boschetto Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM40708165

Datazione: costruito nel 1942. Stato di conservazione: Buono.

Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea, con copertina in pietra, arrotondata tramite scalpellinatura a mano. Intonacato internamente ed esternamente, sul frontone presenta una lapide marmorea con stemma del precettore Antonio Cioja, data del 1832 e testo in latino, celebrante la costruzione del fontanile (Gregorio XVI p(ontifici) m(aximo) | anno MDCCCXXXII | Antonius Cioja | domus S. Spiritus in Saxia (!) | praeceptor | ecudi potu laborant | fonte elicito deducto | aquarum fecit). Viene alimentato da una sorgente, presente sul fosso limitrofo e distante circa m 40, alla quale è collegato mediante conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto costruito lateralmente all’alveo del fosso. Dimensioni: vasca m 7,80 x 2,20 x 0,70 (capacità lt. 8000). Datazione: costruito nel 1832. Stato di conservazione: Discreto.

Scheda n° 017 Denominazione: Fontanile Cacciamano Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM39908140 (carta IGM 1:25.000, F° 142 I NE; CTR 1:10.000, ) Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente; esternamente con paramento a faccia vista. Viene alimentato da una sorgente distante circa m 50, alla quale è collegato mediante conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto ispezionabile, realizzato con tubi in cemento del diametro di cm 100, profondo circa m 2,50, che ha sostituito quello costruito in precedenza, in pietra calcarea, profondo m 0,60 e spostato sulla destra rispetto a quello attuale.

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La catalogazione dei fontanili Dimensioni: vasca m 4 x 2 x 0,70 (capacità lt. 5600). Datazione: costruito nel 1945 e restaurato nel 1991. Stato di conservazione: Buono.

Dimensioni: vasca m 4,90 x 2,60 x 0,70 (capacità lt. 6000). Datazione: costruito nel 1976; bottino ricostruito nel 1978. Stato di conservazione: Da restaurare. Scheda n° 019 Denominazione: Fontanile Torrione Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM40148325 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento di piccole dimensioni, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 40, alla quale è collegato tramite conduttura in PVC del diametro di cm 10, per un tratto di m 20 fino al primo bottino d’ispezione, realizzato in muratura di blocchetti di tufo con coperchio in ferro; e per un tratto di altri m 20 dal primo bottino al bottino principale, con una conduttura in ferro. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino profondo circa m 2 e con struttura fuori terra a cupola, realizzato in muratura di pietra calcarea e provvisto di sportello in ferro. Dimensioni: vasca m 1,20 x 2,20 x 0,50 (capacità lt. 1320).

Scheda n° 018 Denominazione: Fontanile Selvarella Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM38908203

Datazione: costruito nel 1915. Stato di conservazione: Da restaurare. Scheda n° 020

Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di blocchetti di peperino. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente situata nel Carraccio del Fontanile dei Giunchi, distante circa m 50, alla quale è collegato mediante tubo nero in PVC ad alta resistenza, che passa lungo il letto del fosso. L’acqua di alimentazione del fontanile viene raccolta in un pozzetto ispezionabile di piccole dimensioni, realizzato in muratura di mattoni pieni e provvisto di coperchio in cemento.

Denominazione: Fontanile dei Giunchi Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM39408275 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento di modeste dimensioni, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 8, alla

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quale è collegato mediante conduttura in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un bottino realizzato in pietra calcarea, intonacato internamente. Dimensioni: vasca m 2,80 x 2 x 0,60 (capacità lt. 1800). Datazione: costruito nel 1915. Stato di conservazione: Da restaurare.

Scheda n° 022 Denominazione: Fontanile Sassone Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM38458365 Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche di contenimento, realizzate in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente, esternamente rifinito con paramento a faccia vista, viene alimentato con acqua della condotta del paese. Dimensioni: I^ vasca m 4,30 x 2,55 x 0,60 (capacità lt. 4800); II^ vasca m 5,80 x 2,55 x 0,60 (capacità lt. 6400). Scheda n° 021 Denominazione: Fontanile Pampanare Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM41408290 (carta IGM 1:25.000, F° 142 I NE; CTR 1:10.000, ) Descrizione: fontanile composto da n° 2 vasche di contenimento, realizzate in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 30, alla quale è collegato tramite conduttura in ferro del diametro di cm 6, attualmente danneggiata. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto di piccole dimensioni, realizzato in pietra calcarea. Dimensioni: I^ vasca m 4,40 x 2,30 x 0,70 (capacità lt. 4520); II^ vasca m 4,60 x 2,30 x 0,60 (capacità lt. 4380). Datazione: costruito nel 1902. Stato di conservazione: Da restaurare.

Datazione: costruito nel 1946. Stato di conservazione: Discreto. Scheda n° 023 Denominazione: Fontanile Poggio Barone Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM38458320 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento di piccole dimensioni, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 40, alla quale è collegato tramite conduttura in ferro del diametro di cm 6 attualmente danneggiata. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto di muratura di in pietra calcarea. Dimensioni: vasca m 2,70 x 1,70 x 0,65 (capacità lt. 1700).

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La catalogazione dei fontanili mattoni e blocchetti di tufo, intonacato internamente e provvisto di coperchio in ferro. Dimensioni: vasca m 4,50 x 2 x 0,75 (capacità lt. 4100). Datazione: costruito nel 1945 e restaurato nel 1980. Stato di conservazione: Discreto.

Datazione: costruito nel 1958. Stato di conservazione: Da restaurare.

Scheda n° 025 Denominazione: Fontanile Costacotella Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM40658212

Scheda n° 024 Denominazione: Fontanile Cupellaro Ceccotto Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo Localizzazione: coord. UTM 32TQM39458565 (carta IGM 1:25.000, F° 142 I NE; CTR 1:10.000, ) Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di mattoni pieni. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 50, alla quale è collegato mediante conduttura in PVC del diametro di cm 10 per un tratto di circa m 50. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto profondo circa m 2, realizzato in muratura di

Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di blocchetti di peperino. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 50, alla quale è collegato tramite un tubo nero in PVC ad alta resistenza del diametro di cm 8. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto profondo circa m 2, realizzato in muratura di blocchetti di tufo, intonacato internamente, provvisto di coperchio in cemento. Esternamente al bottino, per un’altezza di circa m 1 dal basamento è stato eseguito un vespaio in pietra calcarea, per la raccolta delle acque. Dimensioni: vasca m 4,30 x 2,60 x 0,70 (capacità lt. 5600). Datazione: costruito nel 1992. Stato di conservazione: Buono. Scheda n° 026 Denominazione: Fontanile Lascobello Comune: Monte Romano Provincia: Viterbo

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Localizzazione: coord. UTM 32TQM37808695 Descrizione: fontanile composto da n° 1 vasca di contenimento, realizzata in muratura di pietra calcarea. Intonacato internamente ed esternamente, viene alimentato da una sorgente distante circa m 30, alla quale è collegato tramite tubo bianco in PVC del diametro di cm 10. L’acqua della sorgente viene raccolta in un pozzetto pozzetto profondo circa m 1, realizzato in muratura di pietra calcarea intonacato internamente, provvisto di coperchio in cemento a livello terra. A circa m 2 dal primo pozzetto con orientamento nord esiste un altro piccolo pozzetto di raccolta, collegato con quello principale, realizzato in muratura di pietra calcarea. Dimensioni: vasca m 3,40 x 1,80 x 0,55 (capacità lt. 2300). Datazione: costruito nel 1913. Stato di conservazione: Discreto.

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Stefano Del Lungo, Maurizio Lazzari Il lungo ed articolato percorso concettuale, metodologico e di analisi critica sviluppato in questo volume ha permesso di mettere in luce aspetti diversi della trattazione ed interpretazione europea, nazionale e regionale del concetto di Cultural Landscape, citato in inglese e non nel corrispettivo italiano di ‘Paesaggio Culturale’ in quanto è un’espressionechiave nelle strategie progettuali previste in ambito europeo. La descrizione e discussione sulle discipline, sugli approcci conoscitivi e sullo stato dell'arte della ricerca sui ‘paesaggi culturali’, esposti nel Capitolo I della Parte I, hanno mostrato quanto sia difficile sviluppare un tale concetto su un qualsiasi ambito territoriale di riferimento, se si prescinde da un ‘fattore scala’, che aiuti a definire il grado di approfondimento e, di conseguenza, l’estensione della superficie da esaminare, e non si mantiene nel contempo un doveroso equilibrio disciplinare (fig. 1 / pict. 1), che eviti o scoraggi la prevaricazione dell'una o dell'altra “scienza” sulle altre e scongiuri tentativi, purtroppo frequenti, di adoperare specularmente il termine. Il paesaggio è in continua evoluzione e anche in questi momenti, nei quali si impegna il tempo nella lettura delle considerazioni conclusive, sta mutando, con accelerazioni indotte dall’azione strutturante o distruttiva dell’Uomo. Quasi con la stessa velocità si moltiplicano sia gli eventi congressuali sia le pubblicazioni, nazionali ed internazionali, che in varia misura lo trattino o semplicemente lo menzionino, sia la sua settorializzazione in forme diverse, espresse da didascalie e persino da definizioni, talvolta al limite della logica e del plausibile. Non mancano infatti espressioni fantasiose o d’effetto e, poiché la parola ‘paesaggio’ richiama automaticamente un’idea di ‘contesto’ fisico, geografico, architettonico, storico, antropico, e così via, per un oggetto, indipendentemente dalla sua natura o genere, viene utilizzata e qualche volta anche abusata. Il contrasto fra semantica ed epistemologia del vocabolo si concretizza proprio nelle situazioni in cui l’importanza, o persino la centralità, riconosciutagli, ad esempio, in un titolo non corrisponda ad un effettivo inserimento in una metodologia e nel conseguimento di risultati reali, come anche evidenziato in recenti occasioni di convegni1, in tempi nei quali parte della ricerca sembra più interessata ad 1

Per citarne uno, si pensi al Colloquio Internazionale su Incontri sul paesaggio: tra letteratura e scienza, tenutosi a Napoli il 24-25 giugno 2013 ed organizzato dall’Università di Napoli aderente alla rete UNISCAPE, nata per favorire l’attuazione della Convenzione Europea sul Paesaggio. La rete raccoglie 52 istituzioni universitarie europee e si propone l’obiettivo di promuovere e potenziare la cooperazione scientifica interdisciplinare offerta da metodologie e ricerche di area scientifica e umanistica. L’evento, pur ponendosi l’obiettivo di far emergere la componente culturale e letteraria legata ad un territorio, per documentarne la storia e integrarne la percezione, ha proposto relazioni che hanno solo in minima parte centrato l’obiettivo. Sono infatti rimaste fondamentalmente ancorate ad una visione e ad un approccio di studio di tipo ingegneristico-architettonico, discutendo di tematiche oscillanti dal design ai giardini, alle vie dell’alimentazione, alla riqualificazione del paesaggio montano, alla vitivinicoltura fino alla pianificazione paesaggistica, dimostrando come, in realtà, molto spesso le dichiarate intenzioni di sviluppare le diverse componenti culturali (in questo caso letterarie), intrinseche nel concetto stesso di ‘paesaggio’, si tramutino in slogan accattivanti, ma privi di reali contenuti.

accaparrarsi uno spazio per ben figurare, fiduciosi che in alcune sedi conti di più un prodotto ben confezionato. Estremizzando ed assumendo il concetto anche in forma di autocritica, di un luogo si potrebbe raccontare quel che si vuole, tanto nessun revisore penserebbe mai di andare a controllare di persona la verità sul posto. L’ansia forse di mostrarsi in linea con obiettivi di visibilità e di apparire, in conseguenza, coerenti e al passo con i tempi può spingere talvolta a trasformare l’espressione Cultural Landscape in un’etichetta e a generare una speculazione. Confrontando il titolo nel quale la si evoca con i contenuti radunati a descriverla e giustificarla, si scopre una netta sproporzione tra l’apparenza mostrata e la realtà espressa nelle parole. La disparità appare ovviamente evidente nell’esposizione, allorquando si confrontino le percentuali di testo descrittive con quelle riservate alla ricostruzione effettiva di contesti di pertinenza, nei quali meglio si potrebbe esprimere il senso di un Cultural Landscape, difficile, per tutti, nessuno escluso, ma non impossibile, se accompagnata da un duro lavoro di ricerca. Tale sproporzione risulta ancor più evidente laddove, ad esempio, si considerino iniziative di formazione dai titoli impegnativi e omnicomprensivi (Detecting Cultural Landscape in Mediterranean Archaeology, quasi a dire che con un’etichetta così si ponga un copyright scientificointellettuale sulle parole chiave, saturando il campo di ricerca). In appena una manciata di giorni (cinque), come recita il volantino diffuso via web nelle bacheche virtuali universitarie, si imbastisce un corso che accoglie laureati in qualunque disciplina ed è «finalizzato a fornire competenze di ricerca teorica ed applicata sui paesaggi storicoarcheologici ed agroforestali, oltre che di progettazione, marketing e comunicazione». Fosse così semplice, significherebbe che la maggior parte delle istituzioni universitarie potrebbe chiudere, perché fanno solo perdere tempo, tenendo i giovani impegnati per anni nello studio di argomenti per i quali, stando sempre alla locandina, basterebbero pochi giorni e già si saprebbe tutto. Più articolata e strutturata come un vero corso universitario, con una proporzione tra ore frontali, spazi dedicati alla discussione seminariale e sopralluoghi, si direbbe invece l’iniziativa formativa e didattica presa dall’Osservatorio locale sperimentale del paesaggio della Pianura Veronese per un Corso di aggiornamento professionale sulla progettazione e pianificazione del paesaggio. La sottolineatura data agli aspetti e alle azioni progettuali sottintende un uso strumentale della storia dell’occupazione e della vita del territorio. Si dà però spazio alla bibliografia, per avere informazioni temporali, e non all’insegnamento né all’applicazione della ricerca topografica, che invece costituirebbe la componente essenziale della prima fase di una progettazione, per prendere dimestichezza e consapevolezza del territorio su cui ci si appresta ad operare, volendone migliorare la qualità, modificarlo o indirizzarlo in maniera sostenibile2. 2 In una prospettiva tipica di Architettura, si considera meno la visione “rivolta al passato” di un Paesaggio culturale a favore della prospettiva futura dello sviluppo di una «cultura del paesaggio», dichiarato nel corso.

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Fig. 1 – Il Cultural Landscape, generato dalla multidisciplinarietà, assume l’aspetto di un puzzle-sfera, la cui forma è generata dall’insieme delle diverse discipline che dialogano tra loro, con legami diretti e trasversali lungo direttrici spaziali tridimensionali. Pict. 1 – Created by an interdisciplinary link, the Cultural Landscape takes on the appearance of a puzzle-sphere, whose shape is generated from the different disciplines that interact each other with direct links and transverse directions along three.dimensionale space. Riprendendo ora in esame quanto in parte anticipato nel capitolo introduttivo della Parte I di questo volume, relativamente agli obiettivi operativi della rete UNISCAPE, non si può non far riferimento ad un documento finale sottoscritto dagli aderenti al consorzio universitario e denominato ‘Manifesto per il Paesaggio’. Tale documento è costituito da 14 punti suddivisi in tre parti, ovvero: Parte I – I1 concetto di paesaggio 1. Il paesaggio è costituito da elementi naturali e artificiali e da forme viventi in divenire «Il concetto di paesaggio prevede in se stesso crescita, cambiamento, deterioramento e mantenimento. I diversi elementi traducono i valori culturali in dimensioni paesaggistiche formali e spaziali che contribuiscono ad determinarne l’identità e la bellezza. Il paesaggio va concepito come “un cantiere eterno”, in perenne trasformazione. Vanno anche considerate e superate le contrapposizioni tra paesaggio come “dominio del naturale” e ambiente costruito come “dominio dell’artificia1e”. Il paesaggio è ad un tempo naturale ed artificiale.»

2. Il paesaggio è un elemento d’identità primario per una comunità ed è espressione delle forme di convivenza delle diverse culture «Il paesaggio rappresenta, nello stesso momento, la visione, la percezione e il carattere di una comunità verso il passato. Il presente e il futuro. La dimensione culturale del paesaggio è un elemento fondamentale e contribuisce alla costruzione della identità collettiva. A seconda che la comunità assuma comportamenti di tipo passivo, abitudinario, o attivo e anticipativi di un progetto, essa esprime la propria posizione di attore contemplativo o attivo rispetto al paesaggio. Tale posizione, però, per sua propria fisiologia, cambia incessantemente. L’arte, attraverso le modalità di imitazione, contestualizzazione e rappresentazione, ci ha insegnato a guardare e valutare gli scenari della natura, contribuendo fortemente, attraverso la pittura, la poesia, la letteratura, il cinema, l’arte del giardino … a descrivere il paesaggio e al configurarne il concetto.» 3. Il paesaggio è espressione di relazioni tra parti ed elementi (sistema di relazioni) «Il paesaggio ha una dimensione transcalare richiede una conoscenza di tipo trasversale. Occorre associare conoscenze

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Considerazioni conclusive diverse – non necessariamente relative alla scienza del territorio, come economia, antropologia, agronomia, ecologia, geografia, sociologia, estetica, semiotica –fino a stabilire relazioni anche a diverse scale di lavoro.»

gestirla, nonché di favorirne un uso socialmente significativo. Ogni azione che non rispetta le norme d’uso di un territorio (abusivismo) genera una forma di attacco al bene paesaggio, sfavorendone un uso socialmente significativo.»

4. La percezione del paesaggio è dinamica «La percezione del paesaggio non si riduce alla visione statica di un panorama, ma è legata alla percorrenza, alla fruizione dinamica del territorio o alla molteplicità delle forme che si dispiegano nel movimento. Godere di un paesaggio non significa più soltanto apprezzarne i suoi valori estetici, ma percepire i complessi fattori umani e naturali che lo hanno conformato momentaneamente in quella forma. Tempo e movimento sono sostanziali nella comprensione e concezione del paesaggio. Un paesaggio è cangiante perché è vissuto dall’interno ed è letteralmente modellato dal movimento dell’utente. Come avviene in numerose opere di arte contemporanea noi ci muoviamo “nel paesaggio “ e al contempo il paesaggio stesso cambia, cresce e si modifica L’architettura del paesaggio è soggetta alla temporalità e si propone di cercare spazi di relazione e relazioni tra gli spazi; più che spazi finiti nei quali celebrare riti antichi o moderni.»

Parte III - Il progetto di paesaggio 8. I1 progetto di paesaggio richiede un costante lavoro di scomposizione e di riaggregazione di elementi di differente natura, sociale, economica e culturale «Il tempo e la mutazione sono parte del progetto del paesaggio, il quale richiede un’azione coerente e un processo permanente. Nessun paesaggio può vivere senza un progetto, sia che sia fondato su di un’azione vincolante o di conservazione, sia che dia luogo a un intervento di gestione e mantenimento, o a un intervento innovativo di valorizzazione o riqualificazione. La prassi del progetto di paesaggio spesso snatura il progetto stesso e si confonde con quella della pianificazione il piano urbanistico. L’equivoco più usuale è quello di pensare o di orientare il progetto di paesaggio, la pianificazione territoriale o il progetto urbanistico come azioni del medesimo “tipo” a differenti scale, sia al dettaglio che alla “grande scala”. Il progetto di paesaggio è operazione complessa, che contiene aspetti tecnici, ma anche uno sguardo connesso ad un’interpretazione poetica della realtà, tesa a superare la mera funzionalità.»

Parte II – L’interpretazione del paesaggio 5. L’interpretazione del paesaggio deve trascendere l’individualità a favore di una dimensione collettiva. Godere di un territorio di qualità costituisce un diritto fondamentale di ogni persona «Il paesaggio è una risorsa alla quale possiamo attribuire la qualificazione di naturale, economico, sociale, culturale, turistico, ecc., e di conseguenza ha un potenziale di trasformazione, sfruttamento e gestione. In relazione al valore culturale ed economico che esso assume per la collettività, la tutela e valorizzazione del bene paesaggio costituiscono un interesse superiore a quello dell’individuo e del privato, i cui interessi pertanto vanno limitati e contenuti quando minacciano di alterarne l’integrità, natura, la fruizione e la valorizzazione. Nel riconoscimento del paesaggio come “bene comune”, si racchiude la potenzialità di definire un piano tanto di carattere normativa, con specifiche prescrizioni e con norme che limitano i diritti della proprietà privata relativamente agli usi ed agli interventi consentiti, quanto un piano d’azione e di gestione, supportato dal riconoscimento del valore del paesaggio e dalla condivisione del suo significato di lettura culturale e quotidiana.» 6. I1 nuovo concetto di paesaggio richiede il ripensamento dell’idea di spazio e nuovi strumenti urbanistici, tecnologici, architettonici e giuridici capaci di rinegoziare le idee di spazio e tempo, cosi come di luogo e situ «Il processo di ripensamento richiede la riformulazione di qualsiasi codice che presupponga un insieme di pensieri, azioni, obblighi o partecipazioni e di rivalutare a sua volta la concezione della rappresentazione della realtà, paradigma del nostro tempo convulso, effimero e dinamico.»

9. Gli obiettivi del progetto di paesaggio devono essere in sintonia con i principi dello sviluppo sostenibile, della salvaguardia ecologica, della qualità urbana della sicurezza dai rischi naturali «L’obiettivo del progetto di paesaggio è riaffermare, mantenere o stabilire ex-novo, in un’ottica di sostenibilità, "i caratteri" in determinati contesti che si ritengano strategici, nei quali si sperimentano le qualità che connotano il paesaggio. Il progetto di paesaggio deve rispettare la natura dei luoghi e le dinamiche naturali e deve essere orientato a prevenire/mitigare le condizioni di rischio naturale e antropico.» 10. Il progetto di paesaggio deve riconsiderare la dimensione dello spazio libero pubblico urbano e deve curarne le caratteristiche visive, percettive ed identitarie, al fine di elevare la qualità paesaggistica «I luoghi delle nostre azioni e relazioni cittadine si presentano sempre più complessi per la sovrapposizione e sedimentazione, attraverso il tempo, di azioni diverse coerenti e incoerenti. Essi finiscono spesso con il diventare soltanto un "ha avuto luogo", ovvero puri eventi. Lo spazio pubblico urbano deve essere considerato in continuità con gli spazi aperti in generale ed innescare legami di carattere visivo, simbolico ed ecologico in grado di superare la segmentazione e segregazione dell'ambiente di vita, restituendo alla comunità l'integrità del suo rapporto con il paesaggio.»

11. I1 progetto di paesaggio deve essere il risultato dell'interazione tra la concertazione e partecipazione 7. Agire sul paesaggio significa proporre sociale un’interpretazione interattiva (percettiva, sensoriale e «Il progetto deve prodursi assorbendo e restituendo energia esistenziale) del territorio e tradurla in un progetto con critica e creativa al paesaggio. Il progetto del paesaggio risulta efficace se rispondere in tempo reale ad una domanda una gestione adeguata «Intervenire sul paesaggio significa inserire un artificio nella di trasformazione dell'habitat, ogni giorno più rapida e natura, manipolandola al fine di proteggerla, trasformarla o mutevole. Il progetto di paesaggio deve essere volto non tanto 421

Cultural Landscapes alla costruzione di oggetti, quanto guardare alle relazioni tra i sistemi di elementi eterogenei che, se posti in sequenza, costituiscono un’unità semantica.» 12. Il progetto di paesaggio deve permettere di armonizzare le aspirazioni della comunità al progresso con le caratteristiche e identità del paesaggio «Il progetto di paesaggio deve contenere in se stesso una capacità diagnostica, saper riconoscere nel contesto le caratteristiche specifiche che contribuiranno ad evidenziare la qualità del luogo e del1’ambiente, comprendere la naturalezza dei valori culturali e riconoscere il loro significato storico. Le leggi evolutive e le proiezioni future. Questa percezione essenziale della nostra cultura è ispirata da due attitudini mentali apparentemente opposte: la nostalgia e la speranza. Queste due dimensioni del nostro pensiero, che si riferiscono al passato e al futuro, trovano espressione nella ‘memoria’ del paesaggio, riflesso vivo della cultura delle comunità e del congiurarsi del paesaggio attraverso il tempo. Pertanto il progetto di paesaggio deve stimolare e interpretare il sentimento della comunità nei confronti del proprio paesaggio con un compromesso estetico, etico e di conoscenza.» 13. I1 piano di gestione «Un sistema di gestione efficace deve essere concepito in relazione singolo contesto. A piano di gestione, facendo leva sul sistema della conoscenza, deve guardare alla salvaguardia, recupero, valorizzazione e sviluppo delle risorse materiali e immateriali, individuano i valori culturali, definendo obiettivi, metodi e strumenti (di tipo legale, tecnico e finanziario), nonché adeguate strategie e azioni volte ad elevare la qualità paesaggistica.» 14. Il progetto di paesaggio deve tutelare, anche attraverso tecniche di restauro, i valori identitari e di qualità delle aree sacrificate dalle esigenze di breve periodo e per interessi particolari, eliminando le alterazioni dei caratteri essenziali «Bisogna ricorrere all'eliminazione critica delle alterazioni, al ripristino delle condizioni di qualità, nel rispetto della stratificazione storica e delle sedimentazioni, nel tempo, delle culture che si sono succedute, adoperando, per analogia, i metodi del restauro.» L’insieme di questi punti sembra in gran parte sposare la filosofia posta alla base del presente volume, sebbene in alcuni si percepisca sempre quel sottile messaggio di prevaricazione disciplinare che più volte è stato richiamato ed a cui non si dovrebbe tendere. Rimane poi un’altra considerazione da fare. I proclami e le belle intenzioni danno il vantaggio di rispondere all’ambizione degli autori di divenire dei capiscuola, di addentrarsi per primi, almeno nelle promesse, in luoghi inesplorati. Questo a volte è persino sufficiente a supportare una carriera e una propria affermazione personale, essendo assunto a garanzia “sulla parola” che quanto dichiarato con tanta forza e ricercatezza di linguaggio sia poi sostenuto nella pratica. La pratica però e l’applicazione diretta di questi proclami costituiscono il rovescio della medaglia.

Finiti i festeggiamenti, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare, soprattutto su scale piccole per grandi estensioni, in modo da assicurare un buon dettaglio alla ricerca sul territorio e garantire dei risultati che abbiano la necessaria ricaduta economica, in termini di preservazione, valorizzazione e fruizione, per quello che riassume la parola ‘paesaggio’, tanto voluta quanto strapazzata e mal trattata. Ed è a questo punto che si fa la differenza tra un buon lavoro e del fumo buttato per l’ennesima volta negli occhi. Concettualmente del ‘paesaggio’ si sa e si dice sempre tutto, ma quanto si conosce del ‘paesaggio’ reale, che ci attende fuori della porta? Molto meno. Ormai, insomma, si è capito, bisogna fare meno discorsi e impegnarsi in un maggior numero di applicazioni dirette sul campo. Usando infine un gioco di parole, per “concludere” in modo definitivo questa “chiusura” del volume, realizzato in due anni e mezzo di lavoro da parte di tutti gli autori e curatori, si scrive un’ultima battuta e, nel farlo, si trae spunto dal duplice volto che possiamo fare assumere alla landscape art o land art, accennata sempre nel capitolo I della prima parte. Da un lato abbiamo i ‘cerchi del grano’, non più manifestazione di una presenza aliena sulla Terra ma espressione artistica propriamente umana (fig. 2 / pict. 2). A questo proposito a Todi, per il mese venturo di settembre (2014) è stato bandito un concorso, Arte in campo «per artisti del verde», che dovranno cimentarsi in «a landscape art contest», ossia, come dichiarato nella locandina, trasformare «un campo della collina di Todi in un’opera d’arte», presentando «progetti ecologici e sostenibili per opere d’arte di grande impatto paesaggistico, da realizzare su un campo di circa 2 ettari coltivato a frumento». Il premio per la migliore realizzazione sarà una foto aerea dell’opera vincitrice. Ad una landscape art opera dell’Uomo ne contrapponiamo provocatoriamente una realizzata dalla Natura, nel momento in cui si è riappropriata delle superfici sottrattegli in precedenza e ricopre i segni dell’occupazione umana, restituendoli sottoforma di ‘anomalie’ (marks) nel colore del suolo, nella forma, nel microrilievo e nella diversa crescita e disposizione delle piante, per usare espressioni tecniche dell’aerofotointerpretazione. Sono uno dei modi più usati per individuare delle aree di interesse archeologiche invisibili a terra. In condizioni climatiche stagionali favorevoli si possono avere eccellenti risultati da un volo e dare un notevole impulso alle ricerche. Da un anno all’altro la visibilità può variare ma le ‘anomalie’ sono sempre lì, a meno che non si decida di dare una diversa destinazione d’uso al terreno. La landscape art della Natura viene allora sostituita da quella dell’Uomo, con risultati che ognuno valuterà secondo la propria sensibilità e coscienza. Un caso si è verificato poco lontano da Masseria Saraceno, in contrada Lamalunga, nel comune di Minervino Murge (BT). Lo documentano le serie storiche delle riprese satellitari del servizio web Google Earth e del Geoportale Nazionale, per un lasso di otto anni dal 2004 al 2012. I fossati difensivi, i perimetri e i buchi di palo delle capanne di un villaggio pre- e protostorico appaiono in evidenza per la differente

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Considerazioni conclusive

Fig. 2 – Un esempio di ‘cerchio nel grano, opera umana di landscape art. Pict. 2 – An example of ‘crop circle’,a landscape art made by Man.

Fig. 3 – Lamalunga (Minervino Murge, BT): un esempio di landscape art, opera della Natura, che disegna le tracce di un villaggio dell’età del Bronzo. Pict. 3 – Lamalunga (Minervino Murge, BT): an example of landscape art, made by Nature, that draws the marks of Bronze age village. percentuale di umidità accumulatasi nella superficie durante la stagione primaverile e la conseguente crescita irregolare del grano seminatovi (fig. 3 / pict. 3). Il diverso grado di compattezza del suolo, con variazione della capacità di drenaggio, produce in appezzamenti confinanti anche un’inversione della colorazione (chiare le depressioni sepolte, entro aree scure non intaccate) o una scomparsa di segni altrimenti molto evidenti, secondo una dinamica verificata sul terreno per lo stesso genere di evidenze archeologiche in un contesto simile presso Lucera, interessato anche dalla sovrapposizione dei segni di un vigneto, ora scomparso3.

Le fotografie, simili a quelle che dovranno premiare l’artista vincitore del premio in Umbria, parlano da sole. L’opera d’arte prodotta dalla Natura sembra destinata a protrarsi nei decenni, in un territorio agricolo di qualità per la produzione cerealicola. Lo stesso dicasi per il sito archeologico, ad una profondità sufficiente da conservarsi, al riparo delle arature, e da risultare al tempo stesso visibile in superficie. Finché l’Uomo non decide di realizzare la sua opera “d’arte”: un campo di pannelli solari. Un quarto dell’insediamento scompare ed il paesaggio ad esso correlato si altera (figg. 4 ad / pict. 4 a-d).

3 L’esame di simili anomalie con il riscontro a terra è stato effettuato da C. A. Sabia, per una ricerca nella campagna pugliese comprendente una parte pratica a fianco dell’osservazione da satellite, ed inserito in un poster

presentato al 33rd EARsel Symposium di Matera (3-6 giugno 2013), ad oggi ancora in forma inedita.

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Cultural Landscapes

a

b

c

d

Fig. 4 a-d – Lamalunga (Minervino Murge, BT): le tracce a) nel novembre del 2004, b) nel marzo 2005, c) nel maggio 2009, d) nell’aprile 2010 ed e) nel 2012, il villaggio protostorico perduto sotto un campo solare (fonte: Google Earth). Pict. 4 a-d – Lamalunga (Minervino Murge, BT): the marks a) in november 2004, b) in march 2005, c) in may 2009, d) in april 2010 and e) in 2012, the protohistoric village lost under a solar camp (photos: Google Earth). 424

NOTEBOOKS ON MEDIEVAL TOPOGRAPHY (Documentary and Field Research) Edited by Stefano Del Lungo e-mail: [email protected]

No 1 Del Lungo, Stefano 2000 Bahr ‘as Shâm: La Presenza Musulmana nel Tirreno Centrale e Settentrionale nell’Alto Medioevo (= British Archaeological Reports, International Series S898) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 159 4. No 2 Del Lungo, Stefano 2001 Toponimi in Archeologia: La Provincia di Latina, Italia (= British Archaeological Reports, International Series S911) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 164 0. No 3 Padovan, Gianluca 2002 Civita di Tarquinia: Indagini Speleologiche. Catalogazione e studio delle cavità artificiali rinvenute presso il Pian di Civita e il Pian della Regina (= British Archaeological Reports, International Series S1039) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 309 0. No. 4 Carità, Paola 2004 Problemi di urbanistica giustinianea: Le città della Siria e della Mesopotamia (= British Archaeological Reports, International Series S1255) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 368 6. No 5 Padovan, Gianluca (a cura di) 2005 Archeologia del sottosuolo: Lettura e studio delle cavità artificiali (= British Archaeological Reports, International Series S1416) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 716 9. No 6 Benni, Giovanna 2006 Incastellamento e signorie rurali nell’Alta valle del Tevere tra Alto e Basso Medioevo: Il territorio di Umbertide (Perugia, Italia) (= British Archaeological Reports, International Series S1506) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 742 8. No 7 Aureli, Patrizia, De Lucia Brolli, Maria Anna, Del Lungo, Stefano 2006 (a cura di) Orte (Viterbo) e il suo territorio: Scavi e recherche in Etruria Meridionale fra Antichità e Medioevo (= British Archaeological Reports, International Series S1545) BAR Publishing, Oxford. ISBN 1 84171 758 4. No 8 Donnini, Luca & Rosi Bonci, Lorena 2008 Civitella d’Arna (Perugia, Italia) e il suo territorio: Carta archeologica ( = British Archaeological Reports, International Series S1798) BAR Publishing, Oxford. ISBN 978 1 4073 0219 5.

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