C come paesaggio. Analisi configurazionale e paesaggio urbano 9788820767594, 9788820767600

È possibile "processare" il paesaggio? Partendo da questo interrogativo, il volume esplora l'attuale conc

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Frontespizio
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Indice
Configurazione spaziale e paesaggio urbano - Prefazione di Elvira Petroncelli
Capitolo 1 - Paesaggio – Percezione – Città
Capitolo 2 - Ad misuram corporis: metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano
Capitolo 3 - Leggere ed interpretare il paesaggio urbano
Capitolo 4 - Paesaggio e rendita fondiaria
Capitolo 5 - Paesaggio, città e rischi naturali
Analisi configurazionale e paesaggio urbano
Riferimenti bibliografici
Quarta di copertina

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VALERIO DI PINTO

C come Paesaggio Analisi configurazionale e paesaggio urbano Prefazione di Elvira Petroncelli

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Territorio & Aree urbane Collana diretta da Elvira Petroncelli

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Valerio Di Pinto

C come Paesaggio Analisi configurazionale e paesaggio urbano Prefazione di Elvira Petroncelli

Liguori Editore

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Comitato scientifico: Elvira Petroncelli, Francesco Domenico Moccia, Agata Spaziante, Marco Cremaschi, Luis Moya.

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I volumi pubblicati in questa collana sono preventivamente sottoposti a una doppia procedura di “peer review”.

Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche Liguori Editore Via Posillipo 394 – I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2018 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Marzo 2018 Di Pinto, Valerio : C come Paesaggio. Analisi configurazionale e paesaggio urbano/Valerio Di Pinto Territorio & Aree urbane Napoli : Liguori, 2018  ISBN 978 – 88 – 207 – 6759 – 4  (a stampa)   eISBN 978 – 88 – 207 – 6760 – 0  (eBook) 1. Urban network analysis  2. Percezione ambientale  I. Titolo  II. Collana  III. Serie Aggiornamenti: ————————————————————————————————————————— 26 25 24 23 22 21 20 19 18   10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

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Indice

Configurazione spaziale e paesaggio urbano

1

Prefazione di Elvira Petroncelli



Capitolo 1

5

Paesaggio – Percezione – Città

31

Capitolo 2

71

Capitolo 3



Capitolo 4

91

Paesaggio e rendita fondiaria

131

Capitolo 5

185

Analisi configurazionale e paesaggio urbano

191

Riferimenti bibliografici

Ad misuram corporis: metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano

Leggere ed interpretare il paesaggio urbano

Paesaggio, città e rischi naturali

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Configurazione spaziale e paesaggio urbano

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di Elvira Petroncelli

L’esperienza quotidiana nasconde, dietro la sua sequenzialità e per alcuni versi banalità, fatti e significati molto complessi. La visione, l’udito, l’olfatto sono meccanismi cui usualmente si pone poca attenzione, ma che mettono in moto processi d’interazione sociale e territoriale che influenzano fortemente la vita di ogni individuo. Invero, tutto il complesso delle relazioni tra uomo e territorio è dominato da atti singolarmente inconsistenti, ma significativi nella loro pluralità. Si potrebbe partire da queste semplici considerazioni per spiegare il concetto di paesaggio e per evidenziare l’idea che il processo di continua interazione uomo / territorio genera contesti con i quali il paesaggio stesso si arriva ad identificare. Il contesto, come il paesaggio, non è un qualcosa che va al di là dell’uomo o che assume propria autonomia oggettuale. Esso è espressione dell’uomo, nella sua manifestazione più tangibile e allo stesso tempo più difficile da cogliere pienamente e da razionalizzare. In breve, il paesaggio è percezione del contesto, ovvero dell’interazione uomo / territorio. Questo assunto, a mio avviso, sostanzia l’intero costrutto della Convenzione Europea del Paesaggio e segna un punto di sganciamento di portata epocale dalla precedente tradizione culturale. Il paesaggio si smaterializza, si virtualizza, assume una dimensione esclusivamente culturale in grado di soppiantare l’idea di immagine-visione dal carattere quasi fisico, per acquisire fisionomia sociale, esito ultimo dell’uomo che plasma se stesso, o quantomeno che si percepisce in quanto tale. Il comportamento dell’uomo non lascia una traccia sul paesaggio, ma è una componente che sta nel paesaggio, con il quale, consapevolmente o meno, l’uomo stesso si confronta in ogni sua azione. Tale assunto ha un risvolto immediato, e per certi versi intuitivo, nell’implicazione che qualunque forma di pianificazione, se non tiene adeguato conto del contesto, risulta impreparata alle sfide poste dalle comunità cui è rivolta e carica di immediate e reali responsabilità chi del pae-

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2  C come Paesaggio

saggio fa scienza e professione. Alla ricerca di strumenti per lo studio e la comprensione del paesaggio, nel corso degli anni, la modellistica si è prodigata in tentativi troppo spesso parziali e campanilistici, la cui spinta innovativa si è presto avvizzita, lasciando campo libero a strumenti utili, ma troppo legati alla tradizione per essere veramente condizionanti. In questo volume Valerio Di Pinto – alla ricerca di una chiave di lettura del paesaggio, prima, e di modelli affidabili, poi – si pone alcune domande fondamentali: in quale misura è possibile razionalizzare il paesaggio, in modo da poterlo comprendere profondamente, interpretare e comunicare? A quale costo e su quali basi esistono modelli o strumenti utili? Se ne possono creare di nuovi? L’autore ha una propria tesi, e cioè che il territorio, quale componente del paesaggio, celi gli elementi necessari per ricostruire l’intero contesto. Questi, però, devono essere opportunamente letti ed interpretati. Si tratta di indagare le modalità di lettura del territorio e di esplicitare il modo con cui la sua interazione con l’uomo si fa contesto. La sfida viene raccolta in ambito ristretto, ma comunque sufficientemente vasto da essere significativo, in riferimento all’insediamento urbano, ovvero alla città. Nel volume si racconta innanzitutto l’evoluzione del concetto di paesaggio negli ultimi otto decenni, sostanziando le ragioni dell’approccio socio-culturale, per focalizzare poi l’attenzione sulla percezione. Interessante è, in tal senso, la ricerca di una via possibile che medi tra le istanze multisensoriali, che l’autore definisce quelle del proprio spazio vissuto, e la preminenza della visione, dominante nella città degli occhi. Di Pinto non cerca di dare giudizi di merito, ma di trarre informazioni utili per un approccio sostenibile, tanto concettualmente, quanto computazionalmente, guidato dalla convinzione dell’opportunità, se non della necessità, di una chiara matrice oggettiva. Il risultato è sorprendente nel suo connubio tra semplicità, evidenza e robustezza e porta l’attenzione sull’analisi configurazionale. Da qui si sviluppa un percorso, quasi da matematico per sequenzialità logica, cui la ricerca sul paesaggio non aveva quasi mai ricorso. Ne deriva non solo un modello, ma un vero e proprio approccio, che può adattarsi modellisticamente attraverso l’uso di più tecniche e numerose variabili. Per dare sostanza a questa posizione l’autore costruisce tre casi di studio, ritenuti paradigmatici di fenomeni urbani molto differenti tra loro, ma tutti anche direttamente molto sentiti dalla popolazione

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Configurazione spaziale e paesaggio urbano  3

urbana: la rendita fondiaria e l’esposizione a diversi pericoli naturali. Essi non solo mostrano il contributo che scaturisce dall’approccio, ma evidenziano anche le vaste potenzialità, così come la flessibilità e l’adattabilità, dei modelli che ne derivano, tutti diversi, ma scientificamente rigorosi, riproducibili e, soprattutto, strettamente oggettivi. Il lavoro, per quanto articolato e completo, certo non manca di aspetti dove la ricerca necessita di ulteriori sviluppi e di approfondimenti, ma è un prezzo che è sovente da pagare anche quando ci si muove su terreni in un certo senso già calcati e si vuole guardare con occhi diversi per cercare risposte nuove e più efficaci. Il testo costituisce, dunque, innanzitutto un invito alla ricerca urbanistica a confrontarsi in maniera palese con il paesaggio, nonché un’interessante apertura agli approcci ed alla modellistica quantitativa verso gli orizzonti del mondo immateriale che è proprio delle culture locali. Le sfide che il futuro ci pone e le ombre che su di esso si proiettano dovrebbero indurre tutti a riconsiderare le nostre comunità ed il patrimonio di risorse che esse detengono. Patrimonio che si accresce solo indirizzando adeguatamente la prospettiva del proprio operare, nonché ricorrendo ad appropriati strumenti di supporto. Tutto ciò se è particolarmente vero per i decisori e i pianificatori, non lo è certo meno per le altre componenti sociali. In quest’ottica appare fondamentale parlare di paesaggio, nonché lavorare per sensibilizzare le comunità affinché riescano a coglierne i peculiari valori con il necessario pragmatismo e con l’opportuna chiarezza di pensiero.

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Capitolo 1 Paesaggio – Percezione – Città

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Evoluzione del concetto di paesaggio Allora che cosa è il paesaggio? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più. La Convenzione Europea del Paesaggio potrebbe iniziare proprio così; è questa, infatti, una frase adatta all’incipit di uno scritto dedicato al paesaggio ed alla sua dimensione concettuale. Pur non essendo questo il caso del presente lavoro, che non vuole in modo alcuno entrare in maniera diretta in un tema tanto dibattuto, è tuttavia inderogabile tratteggiare, seppure per grandi temi e con necessarie semplificazioni, la recente evoluzione del concetto di paesaggio, cercando soprattutto di metterne in luce gli aspetti latenti. Gli studiosi ed i professionisti che operano in quest’ambito culturale, qualunque sia la loro disciplina di appartenenza, sono sempre implicitamente chiamati a porre il loro pensiero a confronto con i temi portanti di quella che, per lunghezza, potrebbe definirsi una vera e propria questione del paesaggio. La concezione con cui esso è stato sostanziato, od anche più semplicemente etichettato, ha subito mutamenti notevolissimi, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, in Italia come nel resto d’Europa. Per godere fruttuosamente dell’immagine di questo cambiamento, bisogna innanzitutto chiarire che l’attuale significato ed importanza che vengono oggi attribuiti al paesaggio, sotto il profilo sociale, culturale e territoriale, sono profondamente diversi rispetto a quelli – ormai lontanissimi – dell’Italia del 1939, anno in cui si è cominciato a pensare, definire e legiferare, nel tentativo di dare organicità alla tutela del paesaggio ed alla sua pianificazione. Bisogna anche tenere conto di quali e quante novità, svolte, tappe evolutive, turbolenze e mutamenti di paradigmi culturali dominanti

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6  C come Paesaggio

si sono verificati, affermati e contraddetti nel corso di questi sette decenni. Si pensi solo all’impatto che sul paesaggio possono aver avuto eventi culturali come l’esplosione della questione ambientale, la presa di coscienza dei limiti dello sviluppo e la conseguente formulazione del patto-obiettivo dello sviluppo sostenibile.

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Pensare il paesaggio Nel corso degli anni la ricerca specialistica che ha riflettuto sul tema del paesaggio ha messo in campo una quantità di nuovi approcci e metodi di ricerca, disciplinari, pluridisciplinari e transdisciplinari, di grande ricchezza e, in alcuni casi, portata ed importanza. A questa ideale grande ricerca hanno contribuito senza dubbio i geografi, nella veste di primi specialisti del paesaggio, ai quali si sono affiancati studiosi del territorio, sociologi, semiologi, storici, antropologi, urbanisti e pianificatori. La frammentazione delle figure coinvolte, sia sotto il profilo professionale sia sotto quello culturale, ha contribuito a rendere il paesaggio un tema eccezionalmente multidisciplinare, marcandolo per complessità. Aspetto interessante, in tal senso, è che sia stata proprio la ricerca a rendersi sempre più trasversale e policentrica, esercitando una vera e propria spinta a quella che si potrebbe definire come una complessificazione positiva, che ha fatto emergere nel tema del paesaggio una ricchezza ed una portata conoscitiva non ancora del tutto chiare ed intellettualmente dominate. Questo lungo percorso trova origine, come si accennava, dall’approccio culturale giovannoniano. Esso, alla base del corpo legislativo del 1939, immaginava il paesaggio come una collezione di cose e località rare o persino uniche sotto uno o più aspetti – panoramicità, valore storico, valore estetico, ecc. – staccate dall’interezza del territorio, poiché appartenenti al privilegiato insieme degli elementi per i quali il giudizio di valore ha sentenziato positivamente. Le espressioni dell’epoca oggi suonano inequivocabili: «cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica», «non comune bellezza», «bellezza panoramica», «quadro naturale». (Legge 29 giugno 1939, n. 1497) Una concezione che si potrebbe definire di tipo visivo ed esteticoletteraria, per la quale si configura una vera e propria relazione di appartenenza ad un paesaggio-contenitore, e quindi intesa alla categorizzazione del bello e dell’eccezionale. Va ribadito, tuttavia, che al

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Paesaggio – Percezione – Città  7

tempo non esisteva una vera e propria cultura del territorio, né sotto il profilo ambientale né sotto quello strettamente urbanistico. La visione meramente estetica ha perdurato con una certa insistenza nel panorama definitorio-interpretativo del paesaggio, esaurendosi di fatto solo alla fine degli anni ’70. Di particolare rilevanza per la transizione verso una visione più ampia è stata l’opera di Rosario Assunto. Il filosofo siciliano ha contribuito in maniera determinante al passaggio da quello che si potrebbe definire il paesaggio dell’estetica all’estetica del paesaggio (Assunto, 1973). Passaggio, questo, che non è sola terminologia. La visione assuntiana, infatti, per la prima volta in maniera esplicita anche se non sempre sistematica, evidenzia il ruolo attivo dell’uomo nel processo di interiorizzazione del territorio, dando al concetto di bellezza l’accezione di identità trascendente. Pone, in altri termini, le basi concettuali per quello che solo molti anni dopo sarà il trinomio territorio / paesaggio / identità locale. Di fatto agganciandosi ad una visione sempre più antropocentrica, è il filone di studi sulla semiologia del paesaggio. Di grande successo tra studiosi ed operatori, anche se forse non sempre corroborato da altrettanti risultati scientifici (Beltrame, 2009), esso muove dall’idea che «l’atto umano generatore di nuovi ordini ecologici e territoriali si associa generalmente alla ricerca, da parte dell’uomo, di imprimere il segno di sé sulla natura, di generare effetti semiotici» (Turri, 2004: 85). Il paesaggio, in altri termini, viene concepito come il risultato, colto istintivamente, di un momento riflessivo dell’agire umano nel territorio: il paesaggio non è altro che la ricerca dell’uomo in sé. Tale approccio, che ha il non secondario pregio di aver spinto sempre più il paesaggio verso una dimensione spiccatamente culturale, trova però un muro pressoché insormontabile nell’impossibilità di una generale distinzione del significante dal significato. Turri, a tal proposito, parla apertamente di una disciplina del paesaggio altrui, vista l’impossibilità della distinzione citata quando chi studia e pianifica coincide con chi vive, opera e trasforma (Turri, 2004). Non è un caso che l’approccio sia stato privilegiato nell’applicazione concreta, evidenziando, in ogni caso, i limiti citati (Beltrame, 2009). La critica all’approccio semiotico potrebbe riassumersi dicendo che, purtroppo, il paesaggio non parla una propria lingua, né è lingua esso stesso. Grande portata sull’evoluzione concettuale del paesaggio ha avuto il ripensamento critico prodotto dai geografi sui limiti della propria disciplina, attraverso la riscoperta dell’opera del Dardel (Dardel, 1952).

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8  C come Paesaggio

Geografo purtroppo dimenticato, come dice Raffestin (Raffestin, 2005), egli teorizza il paesaggio come convergenza, come «un momento vissuto», da non intendersi alla stregua di un cerchio chiuso, ma come un «dispiegarsi». La sua sintesi vede nell’uomo, e nella sua tonalità affettiva, la giusta dimensione del paesaggio. È un punto di vista incredibilmente moderno, che alla fine degli anni ’90 avrà forte influenza. L’affermazione convinta del paradigma geostorico Braudeliano, cui ha fatto da cassa di risonanza l’introduzione della storia nel sapere sociale, per come portata avanti dalla scuola delle Annales, vale a dire interpretando la storia come una misura del mondo, estende la concezione geografica di paesaggio a quella di «immagine scritta sul suolo di una società e di una cultura» (Dematteis, 1985). Nasce in questi termini la tensione tra interpretazione del territorio e paesaggio, tutt’ora attuale: senza dubbio il dibattito contemporaneo sul paesaggio deve molto ai geografi. Ulteriore elemento di grande impatto per la maturazione del concetto di paesaggio è stata l’esplosione, in diversi ambiti disciplinari, della cosiddetta questione ambientale. La riflessione sull’inseparabilità del paesaggio dall’ambiente in cui esso si perpetua e caratterizza ha portato alla luce una vera e propria nuova disciplina, che si contraddistingue per la sua intenzione di modellizzare il paesaggio secondo una logica ed una visione eco-sistemica, interpretandolo come meta-ecosistema o come mosaico di ecosistemi: la cosiddetta landscape ecology. I fondamenti di questa disciplina stanno nella ricerca delle leggi e delle regole della natura che contribuiscono a creare il supporto ambientale di un determinato paesaggio, ai fini di comprenderle, riprodurle ed assecondarle, sostenendo l’evoluzione, la conservazione, la biodiversità. La critica principale che si può muovere a quest’approccio è la sua estraneità al senso più profondo che è proprio del paesaggio, ovvero la sua dimensione immateriale, storica e sociale. Nelle regole della natura non si può trovare il progetto culturale umano, né la sua storia, né il suo linguaggio. Aspetto, quest’ultimo, esplicitamente dibattuto anche dalla Convenzione Europa del Paesaggio (CEP). Più recentemente gli studi sul paesaggio hanno introdotto la distinzione tra il paesaggio vissuto ed abitato dagli insiders ed il paesaggio visto e visitato dagli outsiders. L’insider è colui che vive e conosce il territorio dall’interno. Appartiene al luogo, essendovi insediato, e a volte concorre alla sua trasformazione, essendo quel luogo il suo Paese o la sua Patria. L’insider, inoltre, appartiene anche esistenzialmente al luogo e in questi termini ne rappresenta la cultura, l’identità: ne rap-

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Paesaggio – Percezione – Città  9

presenta la conoscenza collettiva. L’outsider, per contro, è il visitatore esterno, colui che guarda, osserva o studia un luogo, senza parteciparne alla trasformazione in maniera diretta. L’outsider per eccellenza è il turista, come lo studioso. Egli, rispetto all’insider, ha il «privilegio di potere andarsene dalla scena così come noi possiamo allontanarci da un quadro» (Cosgrove, 1990). La distinzione tra insider ed outsider evidenzia, per la prima volta nel corso dell’evoluzione del concetto di paesaggio, l’esistenza di punti di vista diversi che generano paesaggi diversi. Partendo dal tema del rapporto e della conflittualità tra questi punti di vista/paesaggi diversi, non pochi sono stati gli studi intesi a fare chiarezza. La vastità d’approcci e contenuti tratteggiata, la complessità di cui il corpus della ricerca si connota e non ultima la trans-disciplinarietà evidentemente propria del paesaggio, spingono a domandarsi sull’adeguatezza e sull’opportunità di ragionarvi ancora intorno. La sola fortuna salvifica è l’esistenza di un innato e profondo senso del paesaggio, comune a tutti, come evidenziato dagli studi sociobiologici della metà degli anni ’80 ad opera di Edmund Wilson, secondo cui «esiste una profonda memoria genetica dell’ambiente ottimale dell’umanità» (Wilson, 1984). Il significato del paesaggio è scritto nei nostri geni: è questo corredo che sorregge ogni sforzo dell’operare nel paesaggio e ne costituisce causa e giustificazione. L’ultima acquisizione del paesaggio in tema definitorio è più di una concezione tutta nuova; è piuttosto un punto di vista critico e selettivo sull’intero dibattito precedente. Partendo dall’assumere il paesaggio come elemento/fenomeno primariamente culturale, di fatto intangibile, s’impernia attorno al paradigma della percezione ambientale. Riducendo all’essenziale, il paesaggio viene inteso come il risultato culturale di una speculazione sensoriale dell’uomo sull’ambiente che lo circonda; dove la parola ambiente assume il doppio significato sia di spazio circostante, sia di complesso di condizioni sociali, culturali e morali. Questa visione, di cui si dirà di più nel corso del testo, è alla base della Convenzione Europea del Paesaggio, elemento di primaria importanza nel piano europeo di unificazione e riforma della tutela e della valorizzazione del paesaggio comunitario: «il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 2000).

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10  C come Paesaggio

Al di là della inafferrabilità di alcuni termini, forse inevitabile, il paesaggio acquisisce una dimensione fondamentalmente locale. Lo stesso paesaggio, tuttavia, convive con tematiche di assoluta portata globale, tra cui quelle legate alla sua interpretazione ed alla sua rappresentazione. Sebbene si potrebbe essere portati a pensare che gli unici risultati prodotti dalla riflessione collettiva sul paesaggio siano culturali o teorici, in effetti interpretare e rappresentare operativamente ed in maniera efficace il paesaggio sono temi su cui si dibatte da lungo tempo: la capacità di leggere, interpretare e comunicare il territorio ed il paesaggio è andata evolvendo ed arricchendo in parallelo con la sua evoluzione concettuale, sebbene ad una velocità molto più bassa. Basta pensare, in tal senso, a come siano ormai comuni modelli operativi e concetti analitici, quasi ignoti in un passato anche recente, come l’uso dei concetti di sito e di luogo, il ricorso all’analisi storica e culturale sull’evoluzione locale del territorio e delle società, la ricerca per la definizione dell’identità dei luoghi.

Operare con il paesaggio La pratica progettuale, ed in alcuni casi persino la ricerca scientifica, ha mostrato sempre reticenze nell’adoperare concretamente i modelli che nel corso del tempo sono stati sviluppati per leggere ed interpretare il paesaggio, sia per la scivolosità dei nuovi approdi concettuali che li informano, sia per l’oggettiva difficoltà della loro applicazione. Non di rado, pertanto, gli strumenti operativi si riducono ad affascinanti traguardi stilistici, o peggio linguistici, che poco o nulla hanno a che fare con delle tecniche efficaci e da cui si può trarre effettivo beneficio. Questa situazione comporta l’infelice condizione di incongruenza tra il pensiero e la pratica, che porta a produzioni tecniche e tecnologiche risibili se confrontate con la profondità della teoria. L’interpretazione, come la rappresentazione, non sono adeguatamente indagate sotto il profilo operativo e ciò si riverbera sulla qualità della pianificazione del paesaggio. È evidente come la distanza tra le più significative acquisizioni culturali e i risultati della pianificazione paesaggistica sia enorme. Da un lato, ci si confronta con temi ormai condivisi, imperniati su di una concezione di paesaggio eminentemente culturale, in cui è di fatto negata un’esistenza materiale oggettiva (paesaggio delle cose o delle

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Paesaggio – Percezione – Città  11

sommatorie di beni, della bellezza e dell’eccezionalità, dell’individuabile e del circoscrivibile), capace di proiettarlo in una dimensione storica, quale elemento contribuente a dare senso e significato al nostro vivere ed a guidarci nel nostro rapporto con il territorio e l’ambiente. Un paesaggio di carattere universale, che riguarda tutto il territorio e riguarda ogni luogo: «elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana» (Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 2000). Un paesaggio non solo veduto, ma anche e soprattutto vissuto, ovvero frutto della percezione umana del territorio e del patrimonio nella sua accezione più generale. Un paesaggio necessario per le popolazioni, in quanto foriero del significato della loro cultura locale – il referente nella metafora linguistica – legato da un inscindibile rapporto di reciproca presupposizione dal territorio/ significante e che, in altre parole, è anche una misura della capacità di un gruppo sociale di rapportarsi al proprio territorio. Un paesaggio prezioso, in quanto risorsa territoriale non riproducibile. Dall’altro, si assiste alla quasi totalità delle esperienze progettuali più importanti a mascherature linguistiche che mistificano il reale impalcato culturale che le sottende. Troppo spesso si parla di percezione confondendo questo tema con quello della visibilità e ancora troppo spesso alla percezione si associa il giudizio di valore. Paradigmatico è, in tal senso, il Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) della Regione Toscana, oggetto di un’integrazione per fornirgli valore paesaggistico nel 2009. Citato negli anni precedenti quale documento paradigmatico di pianificazione coerente con il quadro concettuale della CEP, alla quale esso dichiara di riferirsi esplicitamente, è imperniato, oltre che sulle componenti fisiche ed antropiche, sulla percezione ambientale, quale variabile per la costruzione gli ambiti di paesaggio in cui il territorio toscano è scomposto. Dall’analisi delle singole schede d’ambito, emerge, con chiarezza, che la percezione è stata tenuta in conto come giudizio di valore rispetto ad alcuni elementi territoriali, spesso di scala gigante: un decalogo di elementi aventi valore estetico – percettivo. Si tratta del ritorno a categorie del pensiero ormai decisamente superate nel quadro definitorio. Nel 2011, tuttavia, la stessa Regione Toscana ha provveduto alla redazione di una nuova integrazione, oggi in corso di approvazione ministeriale, resasi necessaria per mancanza

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12  C come Paesaggio

di un preventivo accordo con il Ministero competente sui contenuti minimi del piano, che ha portato difficoltà operative in conferenza Stato-Regione. Nella nuova integrazione, tuttavia, non vi è un mutato impalcato concettuale in materia di percezione, come dichiarato nei documenti disponibili per la consultazione (Regione Toscana, 2011). Analogamente, altre Regioni si sono rapportate con il tema della percezione, anche in maniera più partecipativa, com’è il caso delle Marche. Ivi è stato proposto addirittura un questionario, ma sempre con un approccio valutativo: la percezione è intesa come un giudizio di valore su ciò che si percepisce visivamente, nell’intento di far emergere ciò che fa parte del paesaggio. La critica mossa alle esperienze di pianificazione, lungi dal voler essere un indice alzato, esplicita la crescente difficoltà dell’operare concretamente sul paesaggio. Se da un lato, infatti, non sono chiare le categorie cui riferirsi nella sua lettura, dall’altro la rappresentazione stessa del paesaggio è un aspetto critico, che limita tenacemente sia l’interpretazione che al paesaggio si può dare, sia la comunicazione che se ne può fare. Non a caso uno degli aspetti più controversi della moderna geografia è legato al tema dell’assenza di autenticità nella produzione cartografica moderna, accusata di aver fatto perdere specificità e senso alla rappresentazione dei luoghi. Problema analogo, alla scala complessiva, è quello del paesaggio. Lo stallo in cui si è impantanata l’operatività sul paesaggio impone una profonda analisi delle nuove componenti concettuali, nello spirito di una ricerca intesa a far emergere quei punti che possono divenire i cardini di una nuova modellistica su e per il paesaggio. La ricerca deve trovare lo spazio per porsi alcune domande fondamentali, innanzitutto circa l’opportunità di riferirsi a modelli e tecniche oggettive per la lettura, l’interpretazione e la comunicazione del paesaggio, o se preferire una via narrativa, maggiormente affascinante, ma di difficile accoglimento nel grembo della ricerca scientifica quale oggi la si intende. Bisogna poi che la ricerca si interroghi su come tutto ciò possa confluire in una nuova forma di pianificazione autenticamente paesaggistica. Non mancano in tal senso critiche feroci sull’assoluta inutilità di uno strumento di pianificazione paesaggistica, preferendo l’eventualità che il paesaggio diventi «un germe da inserire nelle pratiche progettuali correnti» (Castelnovi, Il senso del paesaggio. Relazione introduttiva, 1998), uno strumento di supporto alla contestualizzazione dei progetti di intervento e trasformazione del territorio.

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Paesaggio – Percezione – Città  13

Un processo di tale portata, non può in nessun caso non iniziare che da un’attenta analisi del più scivoloso degli elementi coinvolti: la percezione.

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Percezione e psicologia ambientale La percezione dello spazio ricade nella più generale casistica del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Un tema, questo, oggetto di un lungo e fervente dibattito, già proprio dei grandi pensatori dell’antichità ed ancor oggi attuale nel panorama scientifico ed accademico. Studiare le interrelazioni reciproche tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda è, del resto, una mission, più o meno riconosciuta, di un gran numero di discipline (quali l’architettura, l’urbanistica, la sociologia, la geografia, la psicologia, l’antropologia, per citarne solo alcune) e ciò ha comportato lo sviluppo di un ampio ventaglio di approcci e di metodologie. Se da un lato ciò ha permesso lo sviluppo di un quadro concettuale di ampio respiro che continua ad alimentare quel dibattito di cui si parlava, dall’altro ha portato ad una grande frammentazione degli approdi e ad una specializzazione dei contenuti tale da rendere complicata la ricostruzione di una storia e l’evoluzione di una teoria. È tuttavia pensiero condiviso in letteratura (Franceschini, 2003) considerare la Psicologia Ambientale quale ambito disciplinare di riferimento per lo studio della percezione del contesto spaziale degli individui, sebbene la stessa si presenti come una disciplina di recente autoconsapevolezza, se non di recente formazione (Craik & Zube, 1975). Su questa scorta è possibile definire una sorta di percorso evolutivo, che per addizioni, diversioni e conversioni ci lascia un quadro concettuale coerente. L’intera tradizione della psicologia ambientale deve molto al contributo fondativo della psicologia classica, ed in particolare alla scuola (psicologica) di Berlino, che è maggiormente nota come Gestaltpsychologie (psicologia della forma). Essa crea le basi di un approccio moderno allo studio del rapporto tra l’uomo e l’ambiente, riuscendo a separare il tema della percezione ambientale da quello più generale della filosofia. Sul piano della teoria della percezione, la Gestalt, che a dispetto del nome – ed in particolar modo nella sua traduzione in italiano – è una scuola di carattere generale che propone un approccio fenomenologico che riconosce l’esistenza di due tipi di ambiente, uno geografico

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(ciò che è) e uno comportamentale (ciò che si vive come fenomeno), concentrando il suo studio su quest’ultimo e sull’estrapolazione delle leggi che lo regolano. Secondo la Gestalt i processi psicologici sono il frutto di un sostrato materiale che agisce secondo leggi fisiche, invarianti sia rispetto all’esperienza passata dell’individuo, sia rispetto alla storia evolutiva della specie. A questa rinnovata visione dello spazio la Gestalt affianca due altre chiavi di lettura relative alla percezione ambientale: la cd. legge della formazione non additiva della totalità, secondo cui «le proprietà del tutto non sono il risultato di una somma delle proprietà delle sue parti» (Kanizsa, 1978), mentre «la proprietà di una parte dipende dal tutto nel quale è inserita» (Kanizsa, 1978); e la cd. legge della pregnanza, secondo cui proprio la pregnanza, nel senso di significato di qualcosa in un determinato contesto, è considerata un fattore strutturale della percezione, per cui le forme ambigue, incomplete o anche solo leggermente asimmetriche tendono ad essere percepite come più definite, complete e simmetriche. La quasi totalità delle successive visioni del meccanismo percettivo si sono sviluppate in forma critica proprio rispetto all’opera della Gestalt, mutuandone spesso con convinzione alcuni degli assunti fondamentali e rigettandone altri con veemenza. Nel giro di pochi decenni si è così sviluppato un vero e proprio dibattito accademico e scientifico, arricchito dall’apertura verso concetti nuovi, inquadrati in visioni psicologiche proprie di scuole eterogenee. Sul finire degli anni ’40, ovvero al termine della spinta propulsiva della psicologia della forma – per certi versi, quindi, sulla sua parabola discendente – si è affermata la scuola della New Look of Perception, prima ad introdurre all’interno, dell’assunto gestaltico della totalità del “gesto” percettivo, l’importanza dei bisogni e degli scopi (per certi versi della personalità), mettendo così in crisi l’approccio fenomenologico universale1. Negli stessi anni, lo psicologo statunitense di origine ungherese Egon Brunswick, opponendosi all’elementarismo della psicologia classica, ribadiva l’importanza della totalità degli avvenimenti nello studio dei fenomeni psicologici. Egli introdusse l’idea che il processo percet1

L’approccio fenomenologico universale sta a rappresentare l’idea, propria della Gestalt, secondo cui l’interpretazione dei fenomeni è sempre oggettiva e regolata da leggi invarianti: un vero e proprio meccanismo di percezione ambientale indipendente dall’individuo.

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tivo non fosse caratterizzato solo da una semplice analisi dei dati sensoriali esterni, ma costituisse un sistema dinamico di rapporti mutevoli (Brunswik, 1934). La sua teoria trova concretizzazione nel “modello a lente”: gli stimoli ambientali attraversano una lente che simboleggia il modo in cui ogni individuo percepisce, finendo poi per ricongiungersi in maniera anche diversa da come si presentavano prima di attraversare la lente. Secondo questo modello fenomenologico, il mondo non viene solo percepito ma anche inferito in base agli indizi percettivi a cui il soggetto dà più o meno peso (Baroni, 1998), trasformando l’esperienza percettiva in un «apprendimento probabilistico basato sul trattamento degli indizi forniti dall’ambiente» (Brunswik, 1934). La seconda metà del Novecento, in particolare gli anni ’60 e ’70, vede l’affermazione, pressoché in ogni ambito della psicologia, dell’approccio cognitivista. Assumendo la posizione ontologica del realismo critico, secondo la quale viene accettata l’esistenza di una realtà esterna strutturata, ma allo stesso tempo viene rifiutata la possibilità di conoscerla completamente, il cognitivismo riprende il pensiero gestaltico, configurando l’uomo come un immagazzinatore di informazioni globali capace, poi, di trattarle e desumerne informazioni percettive. L’individuo è quindi inteso quale possessore di modelli di interpretazione delle informazioni (modelli cognitivi) che gli provengono dagli stimoli ambientali. In questo quadro generale, ed in particolare con l’opera di Urlich Neisser, è stato introdotto il concetto, ancora attuale, di schema mentale (Neisser, 1976). Durante gli anni ’80, le risultanze sperimentali hanno messo fortemente in crisi l’impalcato concettuale del cognitivismo. La mancanza di una validità ecologia ha spinto, infatti, numerosi studiosi a lavorare per il suo superamento. Tra questi si annovera lo stesso Neisser. Un ruolo determinante si deve, in tal senso, al lavoro dei coniugi James Jerome e Eleanor Jack Gibson, che proposero il rifiuto dell’idea di uomo detentore di schemi interpretativi complessi, a favore di una visione secondo cui l’economizzazione – ovvero l’ottimizzazione efficace – del modello cognitivo umano è tale da favorire l’eliminazione di ogni processo d’elaborazione, a favore di un rapporto diretto tra sensazione e percezione. Questa visione è per l’appunto nota come ecologica o diretta. Gli approcci discussi, per quanto differenti ed in certi casi persino contrapposti, partono dal presupposto che la percezione è un atto dell’individuo sull’ambiente. Si parte, ovvero, dal presupposto che la realtà esista e che essa venga, in modo più o meno diretto o contin-

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gente, intesa attraverso alcuni meccanismi o modalità intuitive. Una corrente di pensiero nota come Scuola Transazionale, però, ha messo in discussione questo presupposto fondativo, proponendo d’intendere la realtà fisica come risultato, e non causa della percezione: l’ambiente come prodotto della percezione individuale. Questa visione causale della percezione è plausibile, oltre che in una ovvia accezione creazionistica, anche e soprattutto in accezione costruttiva: percependo non si costruisce la realtà ma le si dà significato. In questo senso, più vicino alle posizioni classiche (la Gestalt, per esempio, intende la percezione come un’attribuzione di forma) e dominante nel pensiero psicologico, gli influssi della Scuola Transazionale saranno indirizzati per lo più verso l’analisi comportamentale, approfondita dalla stessa scuola, nell’ottica di dimostrare la dipendenza dei meccanismi percettivi dall’esperienza.

Percezione e spazio urbano: lo spazio veduto e lo spazio vissuto Il rapporto tra l’uomo e l’ambiente si è detto essere un aspetto proprio della psicologia ambientale, che pur non esaurendosi nel suo studio, certamente lo elegge quale uno dei suoi elementi preminenti. In particolare, ha acquisito nel tempo autonomia e dignità proprie lo studio di uno specifico binomio, qual è quello individuo-ambiente di vita. Si tratta, in altri termini, del tema dell’interazione tra abitante e abitato, che in ragione della lampante preminenza numerica si sublima nel rapporto tra cittadino e città ovvero tra individuo e spazio urbano. Questo filone di studio vanta una propria letteratura, radicata nel tema percettivo, ma spinta verso aspetti alquanto specialistici. Due sono le grandi categorie di interpretazione del percetto urbano: la città come spazio veduto, che si approccia allo spazio urbano in termini percettivo-visivi; la città come spazio vissuto, che si approccia allo stesso spazio urbano con un approccio percettivo-sociale, tradizionalmente proprio dell’antropologia urbana.

Spazio veduto, ovvero la città degli occhi La città della percezione visiva è intesa in termini scientifici. È composta da poche variabili e ricostruibile in laboratorio; ciò ne permette una conoscenza limitata, ma precisa, che si riverbera con altrettante

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qualità sulla conoscenza e lo studio del rapporto tra gli individui e gli spazi che la compongono. Non si tratta, tuttavia, di una città superficiale, colta in maniera semplificata per ridurre il numero di variabili in gioco, ma di una città approfondita, descritta attraverso poche variabili effettivamente significative, nel caso specifico basate sulla visione, intesa quale elemento primario e determinante della percezione spaziale degli individui. Numerosi sono gli studiosi che hanno indirizzato in tal senso il loro lavoro, tra cui spicca l’opera di due personaggi – e la parola non è casuale, in quanto hanno profuso un impegno che ha avuto ed ha tutt’ora una eco che travalica l’ambito scientifico – che partendo da posizioni lontanissime sono stati in grado di esprimere non solo il loro pensiero, ma anche quello di un intero movimento culturale di dimensione mondiale. Si tratta di Rudolf Arnheim – di grande notorietà anche in discipline più lontane per aver affrontato con grande successo anche i problemi della percezione dell’opera d’arte – e di Gordon Cullen – forse di fama più specialistica, ma di grande influenza sul pensiero trans-disciplinare successivo. Rudolf Arnheim ha rivoluzionato il mondo della percezione dello spazio tridimensionale (ed in particolare quello dell’architettura e dell’urbanistica) pur rimanendo nell’ambito del pensiero classico, fedele ai principi di fenomenologia universale della Gestalt. Rifiutando l’indipendenza tra percepito e percettore, Arnheim teorizza la relazione indissolubile tra forma ed utenza, arrivando ad affermare la non esistenza delle forme al di fuori della percezione, ovvero che le forme non hanno vita propria al di fuori del rapporto con l’essere umano (Arnheim, 1954). Interpretando l’uomo quale soggetto attivo del meccanismo percettivo, per Arnheim è indispensabile capire il funzionamento dell’apparato percettivo. Egli intende quest’ultimo come un’operazione complessa in cui alla sensazione si accompagna il pensiero, strutturato come una sequenza di operazioni conoscitive. Nel suo intento di generalizzazione, egli individua 10 aspetti della percezione e ne struttura un metodo di analisi imperniato su tre fasi (Arnheim, 1954). Di capitale importanza è il rilievo dato dalla ricerca arnheimiana alla rappresentazione. Rispetto alla tradizione della psicologia ambientale, Arnheim inverte la struttura del pensiero, partendo dalla rappresentazione per arrivare a desumere le leggi della percezione della forma. Per primo egli introduce i termini di concetto espressivo, inten-

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dendo la capacità degli uomini di esprimere concetti attraverso uno strumento di rappresentazione, e di concetto rappresentativo, inteso come l’insieme delle qualità della forma grazie alle quali la struttura percepibile di un oggetto può essere rappresentata tramite le proprietà di un determinato strumento di rappresentazione. Pur concentrando il proprio sforzo nell’obiettivo di determinare un corretto approccio ed un efficace metodo per la lettura dell’opera d’arte, i principi espressi da Arnheim sono di portata molto più generale ed in particolare ben si estendono a tutte quelle discipline attente al rapporto tra uomo e ambiente di vita (Dal Piaz, Pollini, Privileggio, & Treu Gentile, 1980), urbanistica ed architettura in primis, che hanno la loro dominante nel continuo ed incessante processo di trasformazione che gli individui fanno del loro ambiente di vita a diverse scale. Ciò fa del contributo di Arnheim, qui solo tratteggiato nei suoi lineamenti fondamentali, un apporto notevolissimo al dibattito scientifico del suo tempo, nonché a quello attuale. Di minore risonanza, ma di non minore importanza, è l’opera di Gordon Cullen. Di diversa estrazione culturale rispetto ad Arnheim, occupandosi egli di architettura e pianificazione e non direttamente di psicologia, si rivolge esplicitamente all’urbanista ed al suo ruolo nella pianificazione, segnatamente del paesaggio, rifuggendo da uno studio sistematico della percezione. La sua opera, sintesi del lavoro decennale portato avanti dall’entourage della rivista Architectural Review, mira a riformare l’urbanistica classica, improntata su modelli zenitali2, proponendo una revisione del rapporto tra progetto e fruitore, che pone al centro della speculazione professionale la percezione dello spazio costruito. Cullen è un convinto assertore dell’esistenza di regole percettive, sottili ma determinanti, che regolano il rapporto individuo/ ambiente, basandosi sull’impatto visivo che le forme costruite hanno sugli individui stessi. Questa convinzione indirizza la sua ricerca non verso la sintesi di modelli univoci ed universali, ma verso l’identificazione di un lessico e di una sintassi adeguati a descrivere e valutare il contesto ambientale, con il pensiero rivolto quasi completamente allo scenario urbano. Associando alla percezione visiva una forte valenza emozionale, Cullen identifica tre chiavi di lettura dello spazio urbano: la serialità della visione in movimento; il rapporto corporale con i carat2 L’espressione “modello zenitale” è da intendersi, nel presente testo, con l’accezione di modello basato sul disegno in pianta in scala ridotta della realtà.

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teri fisici del luogo; l’esame del suo contenuto (materiali ed elementi che lo costituiscono) (Cullen, 1961) (Di Biagi, 2002). L’opera di Cullen ha il pregio di essere la prima che, di fatto disinteressandosi del meccanismo percettivo seppur non negandolo, incentra la propria attenzione sull’uso della percezione quale strumento per e della urbanistica. La città veduta quindi, al di là delle caratteristiche proprie del modello percettivo su cui s’incentra – ad ogni modo semplice, riproducibile ed oggettivo – evidenzia l’importanza di due elementi principali, quali l’esaltazione della variazione e la dipendenza dai concetti di ordine e caos. L’esaltazione della variazione inerisce alcune delle caratteristiche peculiari della percezione visiva, quale meccanismo di adattamento al contesto, finalistico (ovvero correlato ad uno scopo) e selettivo. Esso è dominato dagli stimoli indotti proprio dalla variazione e, pertanto, sensibile al divenire nella dimensione temporale ed in quella spaziale. In altri termini, sensibile al movimento. Interessante, in tal senso è quanto scrive Arnheim: «L’organismo, sulle cui esigenze la visione è modellata, è naturalmente più interessato ai mutamenti che all’immobilità. Quando qualcosa appare o scompare, o si muove da un luogo all’altro, o muta forma o dimensione o colore o luminosità, la persona o l’animale che osserva sente alterarsi la propria stessa condizione: un nemico che si accosta, un’opportunità che sfugge, un’esigenza cui adempiere, un segnale cui obbedire. Il più primitivo organo della vista, il punto o fibra nervosa sensibile alla luce di un mollusco o di un cirripede, limiterà l’informazione ai mutamenti di luminosità, consentendo così all’animale di ritrarsi dentro la propria conchiglia non appena un’ombra interrompe la luce solare. Contemplare le parti immobili dell’ambiente è qualcosa che si accosta a un vero e proprio lusso» (Arnheim, 1974, p. 26). In maniera per molti versi analoga si esprime anche Cullen quando, pur nelle differenze profonde che caratterizza lo scopo del lavoro dei due autori, introduce il concetto di visione seriale in movimento (Cullen, 1961). Passando al tema dell’ordine e del caos, Arnheim ne tratta parlando del ruolo e del valore dell’entropia nell’opera d’arte. Egli afferma che la visione è influenzata dal rapporto tra le parti nell’unità della struttura globale (Arnheim, 1954). Secondo Arnheim, sussiste una naturale attitudine della percezione a ricercare una forma di ordine, ovvero a ricondursi alle strutture più semplificate possibili, riprendendo un assunto proprio della scuola della Gestalt. Ne rimane che l’im-

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portanza del rapporto tra le parti travalica quello delle singole stesse parti. Semplificando, la percezione visiva è un fenomeno di speculazione essenzialmente relazionale. Anche il Cullen aderisce a questa posizione concettuale, ponendo di sovente, nel suo decalogo, l’effetto di una visione sotto l’egida del rapporto tra gli elementi componenti (Cullen, 1961). Si potrebbe così ridefinire l’assunto di partenza: la percezione visiva è un fenomeno di sostanziale adattamento al contesto, finalistico (ovvero correlato ad uno scopo), selettivo e relazionale, ovvero basato sulle relazioni tra le parti, colte nel susseguirsi di immagini in movimento.

Spazio vissuto, ovvero la città dei sensi Lo spazio sociale, o vissuto, è l’ambito di ricerca proprio dell’antropologia, scienza nata dall’applicazione alla città delle metodologie che gli etnologi hanno da sempre applicato ai viaggi di esplorazione. Si tratta, pertanto, di una visione della città fatta dai suoi fruitori (i cittadini), per il cui studio non si parte dal riconoscimento dei caratteri fisici, ma vi si arriva come risultato dell’analisi del modo con cui i cittadini creano spazi, eludono occasioni di ritrovo sociale, utilizzano i luoghi. In queste ipotesi non c’è spazio per il lavoro di laboratorio; la città dell’antropologo è una città esperienziale in cui egli svolge più il ruolo del narratore che quello dello scienziato. Lo sviluppo dell’antropologia è stato, negli ultimi decenni, molto vasto, tanto da allargarsi verso aspetti molto specialistici che, in un senso o nell’altro, l’hanno portata e la portano in direzioni anche molto distanti dalla sfera d’interesse dell’urbanistica. Non sono mancati, però, esempi di grande affinità, com’è il caso dello psicologo statunitense Edward T. Hall. La sua speculazione parte dall’osservazione del comportamento animale per spingersi verso lo studio del comportamento dell’uomo in particolari condizioni di socialità: la prossemica, termine coniato dallo stesso Hall per indicare “le osservazioni e le teorie che concernono l’uso dello spazio dell’uomo, inteso come una specifica elaborazione di cultura” (Hall, 1966). Lo spirito della sua ricerca è quello di estendere i concetti propri della linguistica alla totalità della cultura, stigmatizzando, anche esplicitamente, i saperi esperti del progetto spaziale verso l’uso costruttivo dei comportamenti etici. Nonostante manchi una sistematizzazione delle conoscenze acquisite rivolta spe-

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cificamente all’urbanistica, il lavoro di Hall è di particolare interesse. Egli, infatti, proponendo l’idea che la percezione ambientale sia espressione di una specifica cultura locale, per primo relaziona esplicitamente la forma della città alla condizione contestuale dei suoi fruitori, individuando per ogni situazione e tipologia di comportamento la necessità o l’aspettativa della forma o della consistenza dello spazio urbano. Di notevole fama ed importanza è, inoltre, l’opera di Kevin Lynch, uno dei più noti ed influenti pensatori urbani del secolo passato. Egli è sicuramente il più urbanista degli autori presentati finora, avendo sempre dedicato la propria attività alla teoria ed alla pratica dell’urbanistica. Per quanto i suoi interessi abbiano spaziato in vari ambiti della disciplina, i suoi più interessanti contributi riguardano il tentativo di studiare l’immagine che la città offre ai suoi fruitori e l’aggettivazione della forma. Il suo primo contributo è finalizzato al tentativo di riportare l’urbanistica verso una dimensione estetica, indagandone il ruolo nella vita quotidiana, nell’attività professionale e nelle possibilità d’incrementare la partecipazione nelle trasformazioni ambientali (Andriello, 2002). Lo schema di lavoro portato avanti è di tipo concettuale, costituito da un criterio di catalogazione per smembramento della città in parti elementari, dettato da una visione del rapporto tra individuo e contesto come determinato da automatismi comportamentali, in cui la percezione anticipa ed indirizza la fruizione. La città assume, in questa ottica, le caratteristiche di un ente strutturato per elementi ricorrenti, declinato mutevolmente in relazione alle diversità di lettura che si possono dare alla città, in virtù dei molteplici tipi di mobilità e/o delle diverse condizioni imposte dal fluire del tempo. Per quanto concerne l’aggettivazione della forma, Lynch propone una collezione di categorie su cui si può intervenire in fase di progetto. Egli considera possibile dosare, ovvero leggere il dosaggio, delle sue categorie, per ottenere l’effetto voluto o spiegare l’effetto esistente. La solida concezione percettiva di Lynch, che ha fortemente influenzato non solo tutta la sua opera, ma l’intero movimento dell’urban design, si basa sull’idea cha la città sia innanzitutto un luogo, ovvero uno spazio identitario, storico e relazionale, con una forte caratterizzazione sociale. In tal senso, ogni individuo partecipa alla città quale elemento attivo, instaurando con essa un dibattito, e quindi non necessariamente come fattore modificante. Ne deriva una visione molto moderna, in cui città ed individuo sono inscindibilmente legati dall’idea di paesaggio: «Il paesaggio serve come un vasto sistema

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mnemonico per la ritenzione della storia e degli ideali del gruppo.» (Lynch, 2006). È in queste premesse che Lynch definisce la propria idea di percezione come meccanismo in cui sono legate una componente estetica e una apportatrice di significato, come egli stesso scrive: «Il nostro meccanismo percettivo è inoltre così adattabile che ogni gruppo umano è in grado di distinguere le parti del suo paesaggio, sa percepire e dare significato ad ogni particolare di rilievo.» (Lynch, 2006). Quest’accezione è feconda nella sua distinzione tra il percepire la forma e il darle significato. Ciò che si vede nella propria esperienza nel luogo urbano influenza in maniera preponderante il valore, in termini di significato soggettivo, che certi spazi assumono in quanto tali, ed in relazione all’osservatore e agli altri spazi che ne costituiscono il contesto. Tutto il lavoro lynchano è, in tal senso, basato sull’assunzione che non possono essere indagate le relazioni di significato che intercorrono tra un osservatore e l’oggetto osservato, se non attraverso l’analisi delle relative qualità estetiche, ovvero visive, in quanto esse, influenzando l’apposizione di significato, costituiscono l’oggetto della speculazione percettiva e, pertanto, sono elementi primigeni nella formazione dell’immagine comune. Lynch declina le qualità estetiche in due componenti distinte: l’identità e la struttura. La prima è intesa con il significato di individualità o unicità, ovvero connessa con l’importanza del riconoscimento di un elemento quale entità separabile. La seconda, invece, è intesa in termini di relazioni tra un elemento, gli altri elementi e l’osservatore. Se ne evince che per Lynch la percezione ha un ruolo fondamentale nella distinzione formale delle parti, nonché nella ricerca delle loro relazioni. Queste posizioni sono alla base di un metodo, sviluppato dallo stesso Lynch, indirizzato all’indagine delle possibilità di costruire l’immagine pubblica della città. Tale immagine, intesa come propria di un contesto locale, in quanto figlia di un retroterra culturale e comportamentale specifico del gruppo sociale dei suoi residenti, è basata sulla sovrapposizione di singole immagini personali, sviluppate attraverso il trattamento delle informazioni reperite attraverso il racconto dell’esperienza umana nello spazio urbano. La chiave concettuale del metodo, più che l’immagine ambientale comune, che ne è il risultato, è la figurabilità: «[…]la figurabilità è la qualità che conferisce ad un oggetto fisico una elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un’immagine vigorosa. Essa consiste in quella forma, colore o disposizione che facilitano la formazione di immagini vividamente indivi-

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duate, potentemente strutturate, altamente funzionali» (Lynch, 1960). Alla figurabilità Lynch riconosce, quindi, la capacità di sintetizzare il livello di chiarezza percettiva, ovvero di risposta al bisogno di identità e struttura nella percezione dell’ambiente urbano. In tal ottica, è la principale proprietà che uno spazio possa possedere, in quanto al livello di chiarezza dell’immagine sono legate numerose sensazioni che al crescere della stessa tendono verso il benessere. In generale, al crescere della chiarezza migliora il benessere personale, in quanto si accresce la rassicurazione emotiva (in particolare tendono a non manifestarsi fenomeni d’angoscia da disorientamento – che Lynch definisce come situazioni tragiche), e diventa più facile il movimento intenzionale, in quanto è più facile ubicare elementi utili o significativi nonché è più semplice relazionarli alla propria posizione. Quest’ultima fattispecie, in particolare, evidenzia che la scelta di alcune traiettorie di movimento rispetto ad altre apparentemente equivalenti od anche geometricamente o dimensionalmente convenienti, non è un fenomeno casuale, in quanto è strettamente influenzato dalla percezione spaziale, ovvero in primis dalle qualità estetiche di tali spazi. Al di là degli approdi operativi del metodo, di cui si avrà modo di discutere successivamente, il risultato principale delle asserzioni di Lynch è l’imposizione al dibattito scientifico di una riflessione innovativa sia sul ruolo dell’urbanista sia sugli strumenti che debbono essergli propri, in tal modo proponendo una forte rottura con l’urbanistica classica novecentesca.

Uno sguardo rinnovato sul paesaggio È quindi ancora attuale una riflessione sul paesaggio? Certamente lo è la ricerca di un modo diverso, se non rinnovato, di guardarlo, una sorta di nuovo sguardo. Uno sguardo indirizzato in maniera molto ampia e pronto ad accogliere tutti gli aspetti materiali ed immateriali che sono l’essenza complessa del paesaggio. Perché se esso è fatto prettamente di segni è altrettanto vero che «Ogni segno in esso [il paesaggio] fa parte di un discorso che si dispiega davanti a noi, un discorso che è il paesaggio stesso, e il cui linguaggio può essere compreso, sia pure sulla base di codici complessi.» (Turri, 1974). Così scriveva Eugenio Turri presentando la sua idea del paesaggio: lettura culturale di significati; linguaggio. Il paesaggio esprime le

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ragioni intrinseche di una cultura, essendo l’insieme dei suoi segni sul territorio. La modificazione del territorio si fa segno nel paesaggio. Ogni cultura esprime il suo paesaggio, ovvero parla una lingua che ci permette di interpretare le modificazioni del territorio, di dare un significato ai segni. In tal senso il paesaggio è in continuo divenire perché cambia il territorio e perché cambia la cultura. Per leggere la complessità culturale di una società è possibile classificarne i segni (Turri, 1974): • • • • •

la presenza fisica dell’uomo; la mobilità; la sedentarietà; lo sfruttamento economico dell’ambiente; l’offesa e la difesa.

La visione semiologica del paesaggio si fonda sulla scissione del significante dal significato delle modificazioni territoriali. Da un lato ci sono i segni con le loro forme (i significanti), frutto dell’azione di una società guidata dalla sua cultura formatasi nel corso del tempo ed in specifiche condizioni ambientali. Dall’altro c’è l’interpretazione delle forme (i significati), frutto della comprensione delle dinamiche della cultura che le ha prodotte. Il paesaggio è l’insieme dei segni, ma può essere inteso solo attraverso la comprensione dei significati, e ciò ne fa un’entità complessa, inafferrabile, in continuo divenire. Il paesaggio, peraltro, non può che essere colto proprio in questa scissione, e perciò necessita di un doppio momento di studio per essere razionalizzato: prima lo studio dei segni e poi quello dei significati. Ciò fa sì che non si possa studiare e comprendere, se non intuitivamente, il paesaggio che si contribuisce a definire, il proprio paesaggio, e che al contempo ci si possa riferire solo ad un paesaggio contemplato, al paesaggio altrui. Questo ci dice della complessità del paesaggio e della complessità di un sistema di significazione che voglia interpretarlo e leggerlo come sistema di segni, ma ci suggerisce anche come la complessità si possa superare cercando di far corrispondere ad un ordine categoriale di segni un ordine di motivazioni che ci rimandano alle strutture interne della società, per cui ad una certa società corrisponde un certo paesaggio e ad un certo paesaggio un certo tipo di segni. La corrispondenza tra strutture sociali e strutture territoriali è netta, per l’elementarità del contenuto segnico, nelle società etnografiche e premoderne, mentre non lo è allo stesso modo per le società più evolute. Le note classifica-

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zioni marxiane fondate sui modi di produzione semplificavano l’identificazione delle società, consentendo una lettura più facile e diretta dei paesaggi che esse producevano, mentre oggi una molteplicità di fattori, spesso esogeni alle culture locali, influenzano i comportamenti sociali in maniera profonda, rendendo il quadro più confuso e meno chiaro. La complessità del paesaggio nell’interpretazione semiologica aumenta ulteriormente se si aggiungono ai segni delle società che operano in un certo territorio le sedimentazioni storiche legate alle generazioni e alle società diverse che hanno operato in quello stesso ambito: ciò allarga lo spettro semantico a dismisura. Una chiave di lettura, in questi contesti ad alta complessità, può essere quella dell’instaurazione di diversi livelli di significazione. È possibile leggere i paesaggi se non si conosce la società che li ha prodotti? Certo di potrebbero studiare i territori, costruire una collezione di forme, ma non si sarebbe in grado di attribuire loro dei contenuti, dare loro dei significati: in sintesi si conoscerebbero tanti paesaggi ipotetici, ma non quello autentico, quello vissuto, che sta nella tensione tra segno e significato sociale. Conosceremmo «il mondo silente dei segni, ma non il rumore della parola» (Turri, 2000). Ciò significa che il paesaggio interpretato in tal modo perde la sua valenza di categoria della conoscenza, di manifestazione del segno in quanto tale. Non c’è paesaggio autentico senza società generatrice, ovvero non c’è significato nei suoi segni. Il paesaggio si forma col segno, ma diventa espressivo solo in quanto prodotto identitario. Espressività, peraltro, non accidentale, non suo malgrado (Castelnovi, 2002), ma voluta quale atto di ricerca dell’effetto semiotico che ogni società persegue. Il senso del paesaggio è racchiuso nell’obiettivo proprio di ogni società di modificarlo per lasciare il segno di sé, per rappresentare la propria auto-riflessività e la propria consapevolezza negli effetti del proprio operare. Il paesaggio e l’identità procedono insieme inscindibilmente; se non c’è identità non c’è paesaggio. Nel quadro dell’interpretazione semiologica la città rappresenta un segno; il più significante dei segni di una società. Essa è intesa come fosse testo, dotata di una grammatica delle forme, da significare, come si diceva, nel quadro della cultura locale. Questa visione trova nell’opera lynchana il proprio riferimento fondativo. Sebbene essa non sia dichiaratamente semiotica, di fatto interpreta pienamente i principi propri di questa concezione paesaggistica. Non a caso il più noto testo lynchano, nonché quello di più ampia diffusione, The image of the

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city, risalente al 1960 ed ivi già più volte citato testualmente nella sua edizione italiana (Lynch, 2006), è considerato il primo riferimento per lo sviluppo della semiotica sociale urbana (Zingale, 2013). Quest’ultima, nel suo indagare la relazione tra dimensione sociale e dimensione spaziale muove dal presupposto che solo nel momento in cui gli spazi acquistano significati e valori possono modellare interazioni, stimolare pratiche e incorporare forme di socialità. L’abitare stesso acquista un senso culturale e antropologico, come forma semiotica, con la società che vive lo spazio. Le categorie chiave attraverso le quali comprendere il rapporto tra società e spazio urbano sono quella di esperienza, narrazione, memoria, identità, immagine della città (Lynch, 1960). La città quale segno «non è soltanto oggetto di percezione (e forse di godimento) per milioni di persone profondamente diverse per carattere e categoria sociale, ma è anche il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei suoi grandi lineamenti essa possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. I controlli cui la sua crescita e la sua forza sono suscettibili, sono soltanto parziali. Non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi» (Lynch, 2006). L’interpretazione della città diventa quindi un problema duale. Bisogna riconoscere innanzitutto il dettato segnico, e poi dargli significato attraverso un’operazione di estrapolazione culturale antropologica. Entrambe le fasi pongono interrogativi metodologici complessi. L’insieme dei segni è larghissimo e quello dei significati quantomeno ambiguo: se il paesaggio non è semiologicamente polisemico (ad una cultura sociale corrisponde un univoco paesaggio) viceversa lo è l’interpretazione soggettiva di gran parte dell’immane numero di segni. La risposta di Lynch a queste problematiche è innanzitutto metodologica. Il suo metodo si basa su un approccio duale. Gli attori coinvolti sono di due tipologie: gli esperti esterni al contesto (outsider), che contemplano il paesaggio altrui secondo precise indicazioni, e gli insider, che rappresentano l’identità culturale necessaria a significare le forme. Analogamente la procedura di formazione dell’interpretazione del pae­saggio è duale: agli outsider è chiesto di classificare le forme sulla base oggettiva della loro formazione esperta, mentre agli insider è chiesto di raccontare, narrare, la propria esperienza urbana, in modo da poterne trarre informazioni culturali che, sovrapposte, definiscono il profilo identitario necessario. La formalizzazione di queste informazioni avviene attraverso un linguaggio secondario, puramente comu-

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nicativo, che fa ricorso alle ben note categorie. Un alfabeto formale, condiviso e codificato, funzionale alla spiegazione di un linguaggio complesso, informale e localmente polisemico. La critica contemporanea ha mosso radicali obiezioni all’approccio semiologico ed alle sue consequenziali implicazioni (Beltrame, 2009). La semiologia del paesaggio, come si dice sin dall’apertura del lavoro, nel suo scindere il segno ed il significato, associa al paesaggio la dimensione oggettiva del segno caricandolo successivamente di senso attraverso la corresponsione del significato. La dimensione culturale è, in tal modo, un attributo del paesaggio, non la sua natura. La posizione più recente e condivisa, almeno a livello europeo, è quella che al paesaggio associa una natura eminentemente culturale, derivante dal suo essere pura speculazione percettiva dell’uomo sul territorio, e, nello specifico, sul territorio dove egli stesso opera e vive. Ciò comporta implicitamente la negazione del principio semiologico secondo cui si può studiare solo il paesaggio degli altri: il paesaggio in sé non ha più ragione d’essere studiato in funzione della sua essenza di categoria relativa; bisogna studiare il rapporto tra l’uomo ed il territorio, come esso si svolge, su che basi si fonda. Non interessa più soltanto l’uso che si fa del suolo, ma anche e soprattutto come l’uomo percepisce quest’uso e come vi convive e vi si adatta, o come lo adatta a sé stesso nel modificarsi della propria cultura. C’è bisogno di un nuovo modo di approcciarsi allo studio del territorio finalizzato all’interpretazione del rapporto tra questo e l’uomo. La città, come tutti gli altri ambiti del territorio antropizzato, è un territorio da indagare. Territorio per eccellenza, in qualità di spazio sociale per eccellenza. Essa è stata finora oggetto di numerosissimi studi di ogni genere, mai però finalizzati ad una interpretazione territoriale oggettiva a fini antropici: o se ne è studiato l’aspetto funzionale, o se ne è studiata la natura formale ed esperienziale. C’è probabilmente la necessità di muoversi su livelli diversi, meglio correlati alla natura percettiva del rapporto paesaggistico. La psicologia cognitivista ha evidenziato l’importanza, nella comprensione e nella fruizione dello spazio urbanizzato, della struttura relazionale degli spazi (Montello, 1991). La primarietà della relazione sulla forma è stata fortemente indagata nella ricerca di formalizzazioni predittive delle modalità di scelta dei percorsi di spostamento in ambito urbano (Hillier & Iida, 2005; Turner, 2001). Si può pensare, in tal senso, di affiancare alla visione semiologica di una città composta

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grammaticalmente – la città come testo – quella di una città fatta innanzitutto di rapporti mutui, di relazioni tra spazi e fruitori – la città come diagramma. Non un diagramma che si limiti a tenere in considerazioni le sole componenti fisiche, cui approcciarsi con la modellistica territoriale tradizionale, bensì un diagramma socio-territoriale in cui lo spazio è il supporto dell’interazione sociale e dalla cui reciproca interazione derivano i modi dell’insediarsi. Studiare in tal maniera il livello relazionale significa innanzitutto creare un modello oggettivo e semplificato del territorio urbanizzato, su cui procedere per addizione dei contenuti ottenuti attraverso misure topologiche. Bisogna, di fatto, rinunciare all’idea di una esclusiva materialità del supporto spaziale, rifiutare la dipendenza dell’interazione spaziale dalla sola regola euclidea, ovvero bisogna immaginare lo spazio fisico innanzitutto come il risultato della proiezione virtuale dei rapporti sociali. Il superamento dell’assolutismo formale, ovvero dei segni, quale unico fattore del riconoscimento territoriale, garantisce, per altro, la semplificazione dell’oggetto di studio, che abbiamo già detto essere formalmente molto ricco. Non a caso la ricerca semiologica si è fortemente spesa nel cercare di mettere a punto modelli sempre più oggettivi ed efficienti per il riconoscimento, l’interpretazione e la categorizzazione delle forme. È ovvio, ad ogni modo, che il solo livello relazionale non esaurisce la problematica dello studio del territorio nell’ottica paesaggistica. Ai segni è comunque sempre associata la formalizzazione di aspetti culturali non secondari, che contribuiscono in maniera determinante nell’espressione del progetto culturale comune di una società. Dai segni è possibile riconoscere l’attitudine dei gruppi sociali a mettere in comune, o meno, i risultati del loro vivere: essi conservano il patrimonio dell’atto espressivo umano. I segni sono materiali, comunicativi. E se non fossero i segni la giusta chiave di lettura del paesaggio urbano, ma l’analisi del potenziale d’interazione che lo spazio urbano garantisce in virtù della propria struttura relazionale? Da questo interrogativo si sviluppa l’intero percorso di ricerca che, partendo dall’idea di fornirne una risposta convincente, arriva alla definizione di una proposta metodologica che sostanzia la risposta stessa in un approccio vero e proprio, in un nuovo sguardo sul paesaggio urbano. Uno sguardo fatto di nodi, archi e misure di centralità, che in una forma molto distante da quella che l’intuizione ci direbbe essere quella corretta, dischiude il funzionamento profondo della cit-

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tà, portando in luce il contributo che le strutture latenti dello spazio forniscono al sistema urbano. Uno sguardo basato sulla quantità, sulle misure, e quindi intrinsecamente oggettivo, perché ripetibile, confrontabile, discutibile in ogni suo aspetto. Uno sguardo critico, perché capace di scindere la forma dalla funzione, e quindi in grado di distinguere gli effetti funzionali da quelli estetici ed allo stesso tempo in grado di spiegare perché alcune forme sono generalmente preferite, se non addirittura archetipiche. Uno sguardo, però, tutto da spiegare, che pur essendo la risposta all’ultimo interrogativo proposto, parte da una domanda diversa e più essenziale sul rapporto tra relazioni e segni, ovvero tra forma e funzione, nella città. Uno sguardo, appunto, che come tale si pone ai margini del dibattito complesso e più che mai vivo sul paesaggio urbano – e sul paesaggio in generale – in cui non entra mai con acquisizioni di merito, ma su cui si dispiega sostanziandosi su posizioni sì selettive, ma anche scientificamente robuste e condivise, con lo spirito di portare avanti una lettura del paesaggio che non sia in contrapposizione con la letteratura del paesaggio.

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Capitolo 2 Ad misuram corporis: metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano

Segni o linee? L’essenza di un rinnovato sguardo al paesaggio urbano sta tutta nella ricerca di un modo nuovo di coniugare forma e funzione della città. Nuovo non necessariamente e completamente nell’idea, ma certamente nel fine e nello scopo. Forma e funzione sono concetti scivolosi, passibili di numerose definizioni e poche certezze. Si assuma come valida, tuttavia, l’idea che la forma dello spazio urbano sia un tema geometrico, ovvero basato sull’ordinamento dello spazio. Allora la forma avrà un carattere sincretico, basato sull’intuizione soggettiva dell’ordinamento geometrico stesso. Così come la geometria, in accezione generale, altro non è che l’insieme dei segni, è possibile ritenere valida l’ipotesi che la funzione dello spazio urbano sia un tema non-geometrico, ovvero non basato sull’ordinamento spaziale ma sulla sua struttura. La funzione, allora, avrà un carattere procedurale, basato sull’analisi razionale di una rappresentazione adeguata dello spazio. Questa rappresentazione può essere quella grafica, ovvero di rete: la urban network, che nella sua natura intrinseca è costituita essenzialmente da relazioni tra elementi; è l’espressione topologica di uno spazio geometrico; è un quadro relazionale. In tali ipotesi, il rapporto tra forma e funzione è per tanti aspetti riconducibile al rapporto tra geometria e topologia, oppure a quello tra quadro relazionale e quadro segnico. Come si esplichi questo rapporto non è un interrogativo banale. Se è vero che i segni non possono che muoversi in un quadro relazionale, è altrettanto vero che la percezione di quest’ultimo può essere determinatamente influenzata dalla conformazione dei segni: il rapporto tra segni e relazioni è implicito, oppure esso è duale, incastonato in una struttura gerarchica delle influenze?

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Nel primo caso, se esso fosse implicito, si potrebbe cercare una chiave di lettura univoca che correli entrambi gli aspetti; anche in termini metodologici. Nell’economia di questo lavoro si è proceduto innanzitutto a vagliare questa ipotesi, ipotizzando che possa esistere una teoria che coniughi forma e funzione in un unico quadro interpretativo. Si è proceduto, quindi, in maniera deduttiva, analizzando innanzitutto i risultati di due modelli d’analisi, riferiti esplicitamente al quadro segnico ed a quello relazionale in maniera distinta. In riferimento alla precedente suddivisione degli studi sulla città in approcci veduti ed approcci vissuti, sono stati considerati due diversi modelli d’analisi. Il primo, relativo alla città veduta, che riguarda gli aspetti relazionali, coinvolge una delle tecniche lineari appartenente alla famiglia Space Syntax. Il secondo, relativo alla città vissuta, che riguarda aspetti di categorizzazione semiologica, è il metodo lynchano (Lynch, 1960), per come precedentemente introdotto. Ci si è chiesti poi se, e nel caso affermativo in che modo, alle categorie lynchane fosse possibile attribuire caratteristiche topologiche, ovvero se esista sempre una diretta dipendenza tra struttura materiale e immateriale nella scena urbana, nei termini di dette categorie.

Metodi e tecniche per la lettura e l’interpretazione dello spazio urbano Le metodologie e le tecniche operative afferenti direttamente il campo di studi della psicologia della forma, così come quelle che vi si riferiscono indirettamente, in quanto finalizzate primariamente allo studio del paesaggio o dell’urbanistica e solo residualmente alla valutazione ed alla qualificazione dell’oggetto della percezione spaziale, si presentano del tutto inadeguate se comparate con la ricchezza della produzione teorica nei rispettivi campi. Pur cercando di mantenere ampia la finestra di osservazione su quanto si offre agli operatori della percezione spaziale, il set di strumenti effettivamente utili è molto esiguo. Esistono, tuttavia, esperienze di indubbio valore che possono essere prese in considerazione per il supporto che possono offrire al mondo professionale e della ricerca. Si tratta, nello specifico, del ben noto metodo Lynchano, paradigmatico nell’ambito della città vissuta e talmente noto nel passato da essere

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  33

riscoperto oggi, in maniera anche creativa, e di un approccio emergente che sta suscitando grande interesse nella comunità scientifica e professionale in quanto legge i temi della città veduta attraverso l’astrazione della rete urbana (urban network), nota come analisi configurazionale. Qualunque sia la specifica declinazione tecnica – Space Syntax, Multiple Centrality assessment o altre ancora – l’analisi configurazionale ben si presta all’analisi della città veduta, in quanto asseconda in pieno la natura relazionale che si è detto in precedenza caratterizzarla. Proprio questa natura relazionale rende difficilmente utilizzabili con successo metodi geometrico-quantitativi (ovvero che valutano le dimensioni dello spazio), essendo la città veduta intrinsecamente orientata verso le geometrie non euclidee. Non a caso tutti gli studi sulle reti urbane, e segnatamente l’analisi configurazionale, si basano sulla topologia. Branca della matematica moderna che si occupa di studiare le proprietà delle forme che non cambiano quando viene effettuata una deformazione senza “strappi”, “sovrapposizioni” o “incollature”. La topologia è alla base di una nutrita parte degli studi che si sono proposti di indagare la città come sistema complesso, sfruttando le potenzialità della semplificazione dello spazio ad una rete relazionale. L’importanza di questi studi è legata al fatto che essi propongono visioni teoriche, a seconda dei casi più o meno complete rispetto alla fenomenologia urbana, sempre accompagnate da metodologie di studio immediatamente spendibili, cercando di superare la dicotomia teoria/pratica. Ciò è in parte certamente dovuto alla loro natura essenzialmente induttiva, che però non ne sminuisce il valore. In questo senso, è rilevante l’opera di Christopher Alexander (Alexander, 1964; Alexander, Silverstein, & Ishikawa, 1977) e, soprattutto nell’ultimo trentennio, quella di Bill Hillier (Hillier & Hanson, 1984). Quest’ultimo, in particolare, ha proposto una innovativa visione della città, che sta riscuotendo un notevole successo nel quadro della ricerca internazionale. In qualità di direttore di un gruppo di ricerca attivo dalla fine degli anni ’70 presso lo University College of London, lo stesso Hillier ha sviluppato un approccio teorico corredato di tecniche operative noto come Space Syntax. Essa si basa sull’idea che lo spazio urbano abbia un ruolo primario nel conformare la struttura della città e nel determinare i fenomeni urbani. La sua formalizzazione avviene attraverso la riduzione dello spazio urbanizzato a specifiche e funzionali rappresentazioni, interpretate successivamente in termini relazionali (il grafo) e caratterizzate da indici numerici calcolati in

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maniera algoritmica. Secondo tale teoria è così possibile, tenendo la città al centro della speculazione, superare la necessità di ricorrere a strutture discorsive per descriverla nella sua conformazione e nel suo funzionamento. Il rifiuto del ruolo oggettivo dello spazio è stato il leit motiv della tradizione modellistica precedente, che si è indirizzata alternativamente verso una descrizione narrativa di ciò che è la città o verso la descrizione analitica di ciò che è in atto in essa. Le potenzialità di Space Syntax di cogliere i meccanismi di interpretazione e di fruizione degli spazi, possibile grazie alla natura delle sue qualità intrinseche, permettono di considerarla come un potenziale strumento in grado di ancorare un processo qualitativo (interpretazione spaziale) ad una misura quantitativa (indici numerici). In sintesi, Space Syntax, e più in generale l’intero approccio configurazionale, si pone come obiettivo quello di (Cutini, 2010): • interpretare e comprendere la geografia interna di un aggregato insediativo; • suggerire utilizzazioni e destinazioni d’uso dei suoli congruenti con le potenzialità offerte all’articolazione dello spazio urbano; • simulare gli effetti di trasformazioni in progetto sulle variabili materiali ed immateriali. Lo spazio urbano è quindi interpretato secondo una logica topologica, seguendo un’impostazione di matrice Euleriana, finalizzata ad indirizzare l’interpretazione della città verso la sua dimensione sociale. La caratteristica peculiare dell’approccio configurazionale è l’assumere che i fenomeni insediativi (abitare, muoversi, percepire, …) siano primariamente generati dalla griglia urbana. Quest’ultima è l’insieme di tutti gli spazi pubblici di un insediamento urbano fruibili senza alcuna limitazione, ovvero l’insieme di tutti gli spazi vuoti percorribili. In sostanza, l’approccio configurazionale dissocia la griglia dal contesto morfologico, e successivamente anche dal contesto geometrico, e valuta l’impedenza relazionale tra tutti gli elementi della griglia stessa, in base al concetto di profondità, definita come la distanza che separa ogni coppia di nodi sul grafo urbano associato alla griglia stessa misurata topologicamente nel numero dei nodi interposti lungo il percorso topologico minimo che li connette. La costruzione del grafo urbano a partire dalla griglia è una delle caratteristiche peculiari e distinguenti dell’analisi configurazionale, ed attiene all’esplicitazione del suo quadro relazionale.

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Tutte le tecniche d’analisi configurazionale riconducibili direttamente a Space Syntax condividono l’individuazione, quale elemento di base dell’approccio topologico, dell’insieme degli spazi convessi in cui è possibile suddividere la griglia urbana o, per meglio dire, dell’insieme degli spazi aperti della città, intendendo questi ultimi come spazi liberamente accessibili senza limitazioni1. Questo approccio alla costruzione della rete urbana è noto come duale (Porta, Crucitti, & Latora, 2006a) Uno spazio si definisce convesso quando la tangente ad ogni suo punto non risulta mai interna ad esso. Ciò implica che qualunque segmento congiungente due punti della frontiera di uno spazio convesso è contenuto completamente in esso. Se si considerano come segmenti le linee visuali che congiungono due osservatori posizionati sulla frontiera dello spazio convesso, si può definire quest’ultimo come il luogo dei punti di mutua visibilità, ovvero il luogo delle interconnessioni visive interne. La scomposizione della griglia in spazi convessi porta alla definizione della cosiddetta convex map. Sulla base di quest’ultima le tecniche operative si caratterizzano e diversificano in base a: • modalità di discretizzazione della griglia urbana (sulla base della convex map); • tipologia del rapporto spaziale tra gli elementi (frutto della discretizzazione); • variabili configurazionali. Le principali tecniche sviluppate nel quadro di Space Syntax (Cutini, 2010; Turner, 2001; Cutini, Petri, & Santucci, 2005; Batty, 2001; Turner, Doxa, & O’Sullivan, 2001; Hillier B. , 1996b) (Hillier & Hanson, 1984), possono essere collezionate in due grandi famiglie. Le tecniche bidimensionali, basate su concetto di isovista, partendo dalla disposizione di una griglia regolare di punti nel piano, analizzano le interazioni tra i bacini visuali di ogni punto. Per il loro alto costo computazionale sono adatte prettamente a studi alla scala architettonica o alla piccola scala urbana. La seconda famiglia di tecniche, cosiddette monodimensionali, si basano, diversamente, sul concetto di linea visuale di connessione tra 1 Gli spazi aperti non coincidono con gli spazi pubblici, anche se sono composti perlopiù proprio da spazi pubblici, quali le strade, le piazze, ecc.

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spazi convessi e sulla creazione di un sistema di rappresentazione schematica che riduce lo spazio ad una matrice di linee. La semplificazione che ne deriva abbassa il costo di computazione, rendendole più adatte al caso degli aggregati urbani. La migliore adattabilità delle tecniche lineari allo spazio urbano è ulteriormente sottolineato dalla maggiore aderenza ai fenomeni che vi possono essere in atto. Il movimento nello spazio urbano in particolare, variabile di riscontro principale dell’intero approccio, è essenzialmente di tipo lineare. Tale fattispecie favorisce, di conseguenza, un approccio alle linee visuali (Desyllas & Duxbury, 2001).

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Spazio vissuto – Kevin Lynch: il metodo e le categorie La concezione lynchana del rapporto uomo-ambiente nello scenario urbano si è già detto essere fortemente ancorata all’idea che esista una proprietà delle cose grazie alla quale l’osservatore, percependole, attribuisce loro un preciso significato, che non varia in maniera significativa al variare degli osservatori. Questa concezione implica l’idea che esista un’immagine pubblica delle cose, che si concretizza in un significato pseudo-invariante, o probabilisticamente invariante. La ricerca dell’immagine pubblica della città è alla base del metodo di Lynch, che nel corso degli ultimi 50 anni ha acceso dibattiti profondi e raccolto innumerevoli consensi e critiche, e che ha l’indubbio merito di aver lasciato una traccia indelebile nel pensiero dell’urbanistica contemporanea. Passando all’operatività del metodo, esso si basa su di un doppio registro analitico: un sistematico sopralluogo condotto a piedi da un osservatore addestrato, mirato alla creazione di una mappa degli elementi visivi giudicati soggettivamente; una lunga intervista, con un campione rappresentativo della popolazione, inteso a scoprire le immagini individuali da sovrapporre successivamente. Il linguaggio interpretativo e comunicativo del metodo è basato sulla riconduzione del valore di ciascun elemento, o gruppo di elementi, a una o più delle seguenti categorie, che costituiscono delle vere e proprie strutture di generalizzazione: • • • • •

percorsi; margini; quartieri; nodi; riferimenti.

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La percezione ambientale va sempre considerata come un fenomeno contestualizzato, in cui ognuna delle categorie non può esistere se non nel rapporto tra le altre. È possibile rintracciare sottozone percettive in cui queste relazioni sono indagate con grande precisione ed efficacia: Lynch le chiama località. All’interno di esse c’è grande consapevolezza spaziale, mentre più problematico è il posizionamento reciproco di più località. Lynch definisce con elevata precisione le proprie categorie nonostante esse siano di valenza generale e quindi molto ampie per contenuti ed ospitanti numerose famiglie segniche, suggerendone un’interpretazione semiologica. Tralasciando i problemi di polisemitismo locale, sempre presenti, esse spaziano da elementi di chiara matrice relazionale – i nodi ed i percorsi – ad elementi di valenza soggettiva, per quanto geometricamente definiti in maniera univoca – i riferimenti – fino ad arrivare ad elementi di valore essenzialmente narrativo – i margini ed i quartieri. Tutte le categorie, per altro, sono poste su di uno stesso livello gerarchico e descrivono un modello spaziale non definito a priori, ma costruito al passo con l’avanzamento delle fasi metodologiche. Si creano in tal maniera due diverse criticità. In primis, si impone un fuorviante isovalore dei fenomeni, che genera ambiguità nella determinazione della dipendenza tra le variabili urbane. In secundis, il prodotto finale dell’analisi è la descrizione di qualcosa di cui non si conosce l’origine e la reale consistenza, e che quindi non ammette nessuna possibilità di verifica, nemmeno indiretta. In termini generali, le categorie possono essere descritte come segue. Percorsi I percorsi sono i canali di movimento abituale, occasionale o solo potenziale. Generalmente sono i principali elementi che compongono e chiarificano l’immagine, in quanto si prestano bene ad indurre semplificazioni. Per lo stesso motivo, anche se è meno frequente, può accadere che alcuni percorsi, forzando delle rappresentazioni spaziali, inducano confusione. La riconoscibilità di un percorso è fortemente influenzata da fattori accessori, come la concentrazione di funzioni lungo di essi, i trattamenti delle superfici (pavimentazioni stradali e facciate), la presenza di alberature e la loro natura (arbusti, alto fusto, …) la gerarchizzazione visuale degli spazi (strada larga=strada princi-

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pale vs strada stretta=strada secondaria). Inoltre, è molto importante la continuità toponomastica. Essendo i percorsi incentrati sul movimento, sono fondamentali per la loro riconoscibilità i concetti di direzione e modulazione. Il direzionamento di un percorso avviene generalmente attraverso una contrapposizione od un gradiente di funzioni e/o attributi od anche, ed è fondamentale, attraverso la chiarificazione delle estremità. Un percorso direzionato può essere modulato, ovvero può essere trattato in modo da fornire lungo di esso indicazioni circa la posizione di un osservatore che lo percorre. Si può ottenere questo risultato attraverso la creazione di gradienti (direzionando allo stesso tempo il percorso) o riferendosi ad altre categorie, come nodi e riferimenti che saranno presentati in seguito. Un percorso direzionato può anche essere indagato circa il suo allineamento ad altri elementi del contesto. È questa l’operazione di maggiore complessità, in quanto facendo leva sul citato principio di tendenza alla semplificazione tende a stravolgere le geometrie reali in favore di geometrie semplificate. Margini I margini sono elementi lineari non adoperati, o considerati, come percorsi. Generalmente sono confini tra aree diverse, ove fungono anche da riferimenti laterali. Un margine acquisisce forza in ragione della sua preminenza visiva, della continuità formale e dell’impenetrabilità. Non sono infrequenti i casi in cui i margini sono continui solo in astratto, ma visibili in un numero limitato di punti: i cosiddetti margini frammentari. Quartieri I quartieri sono zone concepite con estensione bidimensionale in cui si può naturalmente entrare dentro. Sono riconoscibili in quanto in essi è diffusa una caratteristica individuante. Nodi I nodi sono elementi strategici verso i quali e dai quali ci si muove ed in cui l’osservatore può entrare. Sebbene siano elementi concettualmente puntuali, non è detto che siano fisicamente puntiformi, anzi, spesso sono elementi lineari di una certa estensione o, a seconda della scala di osservazione, anche areali di una certa consistenza (alla giusta scala anche un quartiere può essere inteso come un nodo). I nodi possono essere di due tipologie: di congiunzione o di concentrazione.

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Di frequente essi hanno una doppia valenza, e sono detti promiscui, essendo caratterizzati da fattispecie proprie di entrambe le tipologie, comunque considerabili separatamente. I nodi di congiunzione si originano da una interruzione nel sistema dei trasporti. Sono punti dove, pertanto, bisogna prendere decisioni. Ciò acuisce l’attenzione dell’osservatore permettendogli di cogliere maggiori particolari e dettagli, migliorandone la chiarezza d’immagine. Nodi di questo tipo risentono fortemente della loro ubicazione rispetto al contesto. Le congiunzioni sono elementi molto importanti nella generazione dell’immagine complessiva, tant’è vero che esse sono oggetto di sforzo percettivo anche quando non sono materialmente visibili, ma se ne conosce per certa la presenza, come nel caso delle stazioni della metropolitana. I nodi di concentrazione tematica sono elementi facilmente riconoscibili per la loro marcata unitarietà tematica. In alcuni casi la loro importanza percettiva è persino spropositata rispetto al loro valore funzionale. In linea generale, per tutti i nodi vale il principio della dominanza dell’unicità, secondo cui la forza percettiva è amplificata dalla rarefazione di elementi simili. In ultimo va evidenziato che la forza di un nodo non è detto che si manifesti in maniera isotropa (attrae verso di esso allo stesso modo di come spinge a partire da esso), quando prevalentemente attrae si parla di introversione, mentre quando spinge a partire da esso si parla di estroversione. In una immagine ambientale non possono essere contemplati troppi nodi, in quanto oltre una ragionevole soglia tende a generarsi confusione e si perde vividezza. Riferimenti I riferimenti sono elementi puntuali esterni all’osservatore, il quale, in altri termini, non vi può entrare, a differenza di quanto vale per i nodi. Possono essere riferimenti elementi fisici di scala e natura molto variabili. A seconda della loro posizione rispetto all’osservatore possono avere funzione radiale, se vicini, o direzionale, se sufficientemente lontani. Anche elementi che si muovono lentamente e in lontananza possono essere riferimenti direzionali, come accade per il Sole. La caratteristica fisica primaria di un riferimento è la singolarità, mentre la riconoscibilità è fortemente influenzata dal suo contrasto con lo sfondo della visione in cui è inserito. Anche per i riferimenti

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vale l’importanza, nella riconoscibilità, dell’ubicazione nel contesto e dell’eventuale concentrazione di funzioni nelle immediate vicinanze. Il ruolo dei riferimenti è principalmente quello di conferire unicità ai luoghi. Ciò significa che l’uso dei riferimenti aumenta al crescere del grado di conoscenza dell’ambiente, in una sorta di compiacenza dell’unicità: si tende a dimostrare l’elevato grado di conoscenza citando la presenza di unicità. Allo stesso modo, al crescere del grado di conoscenza cresce l’uso di riferimenti sempre più piccoli e locali, in un certo senso più deboli. Questi sono perlopiù ricordati in maniera sequenziale e difficilmente sono riconoscibili al di fuori della stessa sequenza, od anche se essa non è declinata completamente e direzionalmente (dall’inizio alla fine). In generale si fa ricorso a sequenza continue perché esse danno grande sicurezza e stabilità all’immagine La sistematicità del metodo si estende anche alla modalità di acquisizione delle informazioni attraverso la definizione di questionari-tipo, da adattare alle specifiche condizioni locali. Il risultato è uno strumento concettualmente pronto per l’uso e apparentemente molto pratico. La vera difficoltà, tuttavia, sta nell’interpretazione delle informazioni, mentre il vero limite è la soggettività dell’operatore esperto, ovvero di colui che traduce la narrazione dei soggetti intervistati nelle categorie generali. In definitiva, il metodo di Lynch, pur presentando limiti intrinseci, è uno strumento effettivamente utilizzabile per la decodifica delle idee soggettive sulla città e, di conseguenza, sul senso comune della città stessa. Resta, ad ogni modo, un modo indiretto di valutare la speculazione intuitiva e sincretica della città.

Spazio veduto – Analisi configurazionale: Space Syntax. Axial Analysis Space Syntax, quale approccio teorico-operativo allo studio del rapporto tra forma e funzione della città, annovera numerose tecniche, sviluppate nel corso degli anni, che sono indirizzate all’interpretazione ed alla predizione di numerosi fenomeni riconducibili all’interazione tra l’uomo e lo spazio. Come già introdotto, le tecniche si differenziano, in termini macrocategorici, per le dimensioni a cui viene ridotto lo spazio urbano, in

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  41

termini di grafo: monodimensionali (linee e nodi urbani che rappresentano linee visuali e relative intersezioni) e bidimensionali (insiemi di nodi urbani che rappresentano aree di iso-visibilità). Queste ultime sono particolarmente adatte allo studio di piccole aree urbane e, ancor di più, di ambienti architettonici. Le prime, invece, sono adatte allo studio della struttura urbana e dei fenomeni urbani a grande scala e costituiscono, pertanto, lo strumento principale a disposizione degli urbanisti interessati allo studio quantitativo e configurazionale degli insediamenti urbani. L’intero approccio configurazionale si basa sulle ricerche riconducibili a Space Syntax. Quest’ultima, a sua volta, ha avuto un potente impulso dall’analisi induttiva dei risultati ottenuti mediante lo sviluppo e l’applicazione di una primigenia tecnica monodimensionale, ancora oggi alla base delle più moderne tecniche configurazionali, nota come Axial Analysis. Pressoché tutte le più recenti declinazioni operative, anche quando non inquadrabili direttamente nell’ambito di Space Syntax, vi si pongono in continuità o vi si dissociano dichiaratamente, ma ne sono sempre significativamente influenzate. L’Axial analysis, introdotta sin dalla prima formulazione della teoria hilleriana (Hillier & Hanson, 1984), si basa sulla costruzione duale di una urban network, attraverso un processo che, partendo dall’isolamento dello spazio urbano aperto (ovvero dello spazio pubblico e privato accessibile senza alcuna limitazione), passa per la generazione di una specifica mappa, comunemente detta axial map, costituita dai segmenti (axial lines) che interconnettono gli spazi convessi in cui è possibile suddividere lo spazio (convex map), seguendo il procedimento fondamentale già introdotto. L’axial map consente di determinare il sistema di studio: solo le lines che sono direttamente connesse ad altre (c.d. relazione di intersezione) appartengono al sistema. Solo gli spazi convessi direttamente visibili da altri spazi convessi s’intendono interni al sistema urbano, individuando nell’intervisione spaziale l’elementare relazione di appartenenza al sistema urbano. Tale relazione di appartenenza si formalizza, in termini quantitativi, in una relazione di struttura nota come profondità, strettamente connessa alla struttura topologica del grafo urbano, ovvero del grafo duale associato alla axial map, di cui le lines costituiscono i nodi2 2 Il rapporto di dualità tra axial map e nodi e grafo urbano è biunivoco. Ciò consente di adoperare indifferentemente i concetti di line e di nodo.

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42  C come Paesaggio

(spazialmente collocati nel punto medio di ognuna di esse) e le loro intersezioni gli archi. Ciò crea, di fatto, un grafo urbano puramente topologico e senza proprietà locali dei nodi, cui corrisponde un duale spaziale, utilizzabile per considerazioni ed indagini esogene al processo di analisi topologica. Distanza universale e profondità

Ad misuram corporis 33 Ad misuram corporis 33

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Distanza universale e profondità Il concetto di profondità (depht) tra due lines si esplicita come la Distanza universale e profondità(depht) tra due lines si esplicita come la diIl concetto di profondità

distanza topologica tra coppie di lines. La lines profondità si misura come Il topologica concetto ditraprofondità due esplicita come la distanza coppie di (depht) lines. Latra profondità sisimisura come il numero il numero di nodi interposti tra due lines (la coppia di cui si sta misustanza tradue coppie lines. La profondità misura come il numero di noditopologica interposti tra linesdi(la coppia di cui si stasimisurando la profondità) rando la profondità) percorso breve che le di nodiilinterposti tra due lungo linespiù (lailbreve coppia di cui si sta misurando la profondità) lungo percorso topologico che le topologico connette. Ciòpiù impone il ricorso connette. Ciò impone il ricorso ad algoritmi del minimo percorso lungo il percorso topologico più breve le connette. il ricorso ad algoritmi del minimo percorso su diche un grafo lineareCiò nonimpone orientato, qualsuè di un grafo lineare non orientato, qual è il duale grafico dell’axial map. adduale algoritmi deldell’axial minimo percorso è il grafico map. su di un grafo lineare non orientato, qual La profondità minima tra una coppia di lines è 1, la massima è il duale grafico dell’axial map. La profondità minima tra una coppia di lines è 1, la massima è k-1, dove dove k ècomplessivo il numero complessivo delle ogni line si dove può profondità minima tra unalines. coppia lineslines. è 1,silaPer massima è k-1, kk-1, è ilLa numero delle Perdi ogni line può misurare la proo la profondità media: misurare la profondità totale D k è il numero complessivo delle lines. Per ogni line si può misurare la proT fondità totale DT o la profondità media: fondità totale DT o la profondità media: 𝐷𝐷𝑇𝑇 𝐷𝐷𝑀𝑀 = 𝐷𝐷𝑇𝑇 𝐷𝐷𝑀𝑀 = 𝑘𝑘 − 1 Il valore medio della profondità può essere, al minimo, pari ad 1, in caso 𝑘𝑘 − 1 Il valore mediodella profondità può al minimo, 1, Il valore medio profondità essere, al minimo, pariteorico adpari 1, inad caso di una line connessa adella tutte le altre, può mentre ilessere, valore massimo della in caso di una line connessa a tutte le altre, mentre il valore massimo di una line totale connessa a tutte profondità è pari a: le altre, mentre il valore massimo teorico della teorico della profondità pari a: profondità totale è pari a: totale è 𝑘𝑘−1 𝑘𝑘 𝑘𝑘−1 𝐷𝐷𝑇𝑇 = ∑ 𝑋𝑋 = 𝑘𝑘 𝐷𝐷𝑇𝑇 = 𝑋𝑋=1 ∑ 𝑋𝑋 = 2 2 Il concetto di profondità può essere 𝑋𝑋=1 esteso dalla line all’intera axial map. Il concettodidiuna profondità può essere esteso la dalla linedelle all’intera axial map. La profondità map si valuta calcolando media profondità meIl concetto di profondità puòcalcolando essere esteso dalladelle line all’intera La profondità map si valuta la media profonditàaxial medie delle lines di cheuna la costituiscono. map. Lalines profondità di una map si valuta calcolando la media delle die delle che la costituiscono. La profondità topologica dei nodi/lines sta alla base dell’intero impalprofondità medie topologica delle lines chenodi/lines la costituiscono. LaSpace profondità stasia allasotto basequello dell’intero impalcato di Syntax, sia sotto ildei profilo teorico, quantitativo. profondità topologica dei nodi/lines sta alla base dell’intero cato La di Space Syntax, sia sotto il profilo teorico, sia sotto quello quantitativo. Ad essa, infatti, è strettamente connesso il concetto di distanza univerimpalcato diB.infatti, Space siaquale sotto il profilo teorico, sotto quello Ad essa, èSyntax, strettamente connesso ildiconcetto di sia distanza universale (Hillier , 1996b) – intesa somma tutte le distanze di un nodo quantitativo. saletutti (Hillier B. ,nel 1996b) sommaladigeneralizzazione tutte le distanze di un nodo da gli altri grafo––intesa che nequale costituisce grazie alla Ad essa, èspaziale connesso il concetto distanza da tutti altri infatti, nel grafo –strettamente che ne costituisce generalizzazione grazie alla quale lagli configurazione costituisce unlaelemento centraledi nell’analisi universale (Hillier B. , 1996b) – intesa quale somma di tutte le distanze quale la configurazione spaziale costituisce un elemento centrale nell’analisi dello spazio urbano. La distanza universale, infatti, è un concetto fondamendi un nodo urbano. da tuttiLaglidistanza altri nel grafo – infatti, che neè ecostituisce generadello spazio universale, untopologia, concetto la fondamentale nell’interpretazione del rapporto tra geometria ovvero tra lizzazione grazie alla quale la configurazione spaziale costituisce un tale nell’interpretazione del rapporto tra geometria e topologia, ovvero forma e funzione dello spazio urbano, costituendo una misura del gradotra di forma e funzione dello spazio urbano, costituendo una misura del grado di elemento centrale dello spazio urbano. Ladidistanza unigeometrizzazione delnell’analisi grafo stesso. L’implicazione primaria queste consigeometrizzazione L’implicazione di queste consiversale, infatti, èdel ungrafo concetto fondamentale del derazioni è la possibilità di stesso. adoperare il concetto nell’interpretazione diprimaria profondità per definire derazioni ètra laurbano possibilità di adoperare ilovvero concetto diforma profondità per da definire rapporto geometria e topologia, e funzione dello se un layout è costituito da spazi tra lorotra vicini o viceversa spazi se un layout urbano è costituito da spazi tra loro vicini o viceversa da spazi mutuamente lontani. Nel primo caso, si può layout integrato, spazio urbano, costituendo una misura delparlare gradodidiun geometrizzazione mutuamente lontani. Nel primo caso, si può parlare di un layout integrato, nel secondo di un layout segregato. Ciò ha, ovviamente, implicazioni fortisnel secondo di un layout segregato. Ciò ha, aovviamente, fortissime in termini operativi, andando di fatto definire un implicazioni modo per quantifisimel’integrazione/segregazione in termini operativi, andando di fatto a definire un modo per quantificare spaziale. care l’integrazione/segregazione spaziale. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  43

del grafo stesso. L’implicazione primaria di queste considerazioni è la possibilità di adoperare il concetto di profondità per definire se un layout urbano è costituito da spazi tra loro vicini o viceversa da spazi mutuamente lontani. Nel primo caso, si può parlare di un layout integrato, nel secondo di un layout segregato. Ciò ha, ovviamente, implicazioni fortissime in termini operativi, andando di fatto a definire un modo per quantificare l’integrazione/segregazione spaziale.

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Integrazione e segregazione urbana La dialettica tra integrazione e segregazione dello spazio urbano, può 34 C come paesaggio essere trasferita in termini quantitativi nella normalizzazione della misura della distanza di ogni spazio da tutti gli altri del sistema urbano o, in parole, nella distanza di ognidinodo tutti da gli tutti altri del grafodel urbano altre parole, nella distanza ognidanodo gli altri grafocorrelato urbano a quel sistema spaziale. deriva Ne chederiva si può che analizzare il grado di ilintegracorrelato a quel sistemaNe spaziale. si può analizzare grado zione di uno spazio misurando esso sia vicinoesso a tutti altri. aCiò in di integrazione di uno spazio quanto misurando quanto siagli vicino tutti termini rappresenta l’inverso di una misura di profondità e sangli altri.concettuali Ciò in termini concettuali rappresenta l’inverso di una misura cisce la correlazione quantitativa tra profondità ed integrazione. Spostando di profondità e sancisce la correlazione quantitativa tra profondità ed il discorso sul piano degli indici configurazionali, l’integrazione può essere integrazione. Spostando il discorso sul piano degli indici configuraziocalcolata valutando per spazio/line/nodo l’inversoper della suaspazio/line/ profondità nali, l’integrazione puòogni essere calcolata valutando ogni media:l’inverso il cosiddetto di integrazione. Questo è il più significativo innodo dellaindice sua profondità media: il cosiddetto indice di intedice configurazionale, essendo l’intera analisi configurazionale basata sui grazione. Questo è il più significativo indice configurazionale, essendo concetti analisi che lo sottendono. l’intera configurazionale basata sui concetti che lo sottendono. In termini quantitativi, l’indice di integrazione può essere visto come la In termini quantitativi, l’indice di integrazione può essere visto misura di quanto la profondità media di un nodo si discosti dalla sua profoncome la misura di quanto la profondità media di un nodo si discosti dità media teorica minima. Questa misura è nota come Asimmetria Relativa dalla sua profondità media teorica minima. Questa misura è nota come (Hillier & Hanson, 1984) e costituisce una normalizzazione della profondità, Asimmetria Relativa (Hillier(0,1): & Hanson, 1984) e costituisce una normacon variabilità nell’intervallo lizzazione della profondità, con variabilità nell’intervallo:

𝑅𝑅𝑅𝑅 =

𝐷𝐷𝑀𝑀 − 1 2(𝐷𝐷𝑀𝑀 − 1) = 𝑘𝑘 𝑘𝑘 − 2 −1 2

Una linecon con𝑅𝑅𝑅𝑅 è massimamente integrata in quanto hahaprofondità Una line = 0 è massimamente integrata in quanto profondità media minima,ovvero ovvero è direttamente connessa le altre lines media minima, è direttamente connessa a tutte ale tutte altre lines dell’axial dell’axial map. Per contro, se la line è in condizione di massima segremap. Per contro, se 𝑅𝑅𝑅𝑅 = 1 la line è in condizione di massima segregazione. gazione. L’asimmetria relativa ha il limite di non riuscire a paragonare efficaceL’asimmetria relativa ha il limite di nondiriuscire paragonareAeffimente i valori di lines appartenenti a mappe diversaadimensione. tal cacemente valori di lines appartenenti a mappe di diversa dimensione. proposito è istata sviluppata una sua ulteriore normalizzazione, nota come A tal proposito stata sviluppata una sua ulteriore1984). normalizzazione, Reale AsimmetriaèRelativa (RRA) (Hillier & Hanson, Per una line nota come Reale Asimmetria Relativa (RRA) (Hillier & Hanson, 1984). appartenente ad un’axial map costituita da  lines, la reale asimmetria relativa è definita come il rapporto tra il valore della sua asimmetria relativa e quello dell’asimmetria relativa, calcolata nel quadro di un’axial map, costituita da  lines e caratterizzata dall’avere un grafo duale a diamante5 della line corrispondente al nodo apicale. Esistono, inoltre, ulteriori forme di norwww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply. malizzazione della reale asimmetria, basate su grafi di riferimento diversi dal

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Per una line appartenente ad un’axial map costituita da k lines, la rea­ le asimmetria relativa è definita come il rapporto tra il valore della sua asimmetria relativa e quello dell’asimmetria relativa, calcolata nel quadro di un’axial map, costituita da k lines e caratterizzata dall’avere un grafo duale a diamante3 della line corrispondente al nodo apicale. Esistono, inoltre, ulteriori forme di normalizzazione della reale asimmetria, basate su grafi di riferimento diversi dal grafo a diamante. Accanto all’asimmetria relativa, sono stati sviluppati metodi differenti per il calcolo dell’indice di integrazione, anche se di minore diffusione (Teklenburg, Timmermans, & Van Wagemberg, 1993). Prescindendo dalla modalità con cui si calcola, l’indice di integrazione è un indice di valenza globale (ovvero su di esso incide qualsiasi trasformazione della griglia e lo stesso fornisce indicazioni utili per qualsiasi elemento della griglia), ma può essere reso di valenza locale definendo un intorno di ogni line per limitarne il calcolo. Tale intorno – nella formulazione originaria si sostanziava in una circonferenza topologica – grazie al rapporto di dualità tra grafo ed axial map può basarsi su più formulazioni del concetto di distanza4, sfruttando la posizione geografica dei nodi, quali centri delle lines, nonché il modo in cui ogni coppia di lines s’interseca reciprocamente. Restringendo il ragionamento all’ambito topologico, una circonferenza topologica è univocamente definita dal cosiddetto raggio topologico, che rappresenta la profondità massima dei nodi da prendere in riferimento per il calcolo dell’integrazione del nodo in esame. La possibilità di limitare il calcolo dell’indice di integrazione ad un intorno locale, ovvero ad un sotto-grafo per ogni nodo, consente di valutare la distribuzione, sull’intera rete, della centralità a diversi livelli. In tale maniera, è possibile descrivere la città come un’entità multiscalare la cui struttura è costituita da una rete in primo piano di valenza globale (global foreground network) e da una rete locale di secondo piano (local background network), nidificate l’una nell’altra. Questo tipo di struttura si è dimostrata essere un quasi-invariante della città quale categoria generale (Hillier B. , 1996b, p. 262-267), indipenden3

I grafi a diamante sono caratterizzati dalla proprietà di dimezzare il numero dei nodi ad ogni cambio di livello, fino ad arrivare al numero di 1, che ne costituisce il nodo apicale. 4 Ulteriori tipologie d’intorno sono state sviluppate e testate nell’ambito dell’Angular Segment Analysis (Turner, 2001), che costituisce una delle principali evoluzioni tecniche dell’Axial Analysis.

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  45

temente dalle specificazioni territoriali, marcate per gli insediamenti urbani come per tutti i prodotti antropici, specialmente se stratificati. Nonostante che l’integrazione sia senza dubbio il principale tra gli indici configurazionali, e certamente quello più studiato e concettualmente più solido, il suo utilizzo presenta alcune limitazioni operative, che necessitano di essere affrontate per evitare l’affioramento di fenomeni distorsivi. In particolare, l’indice di integrazione globale soffre di sottostima dei valori liminari, dovuta al fisiologico diradamento dei nodi nei pressi del bordo della mappa. Per controllare questo effetto, si può ricorrere alla cosiddetta radius-radius integration, ovvero al calcolo dell’indice di integrazione locale di raggio topologico pari alla profondità media della line più integrata (detta integratore principale) (Hillier B. , 1996b). Come si può immaginare, tuttavia, il vero problema non è la scarsità di nodi al bordo, ma la definizione del bordo stesso. L’individuazione del limite del sistema, infatti, è uno degli aspetti più controversi di Space Syntax in quanto inerente e determinante sia questioni e ragioni pianificatorie, sia aspetti topologico-matematici. In questo Space Syntax patisce le difficoltà di conciliare indici di natura essenzialmente sociale – e di questo si discuterà più diffusamente in seguito – e quindi virtuale, con considerazioni di natura spaziale. Scelta, efficienza ed efficacia delle localizzazioni urbane L’interpretazione dello spazio urbano, tuttavia, non può esaurirsi nella dialettica integrazione/segregazione, seppure questi due aspetti appaio­no essere dominanti nello svilupparsi della dinamica degli insediamenti urbani. La centralità di vicinanza, su cui si basa la definizione di spazio integrato (valori alti) e segregato (valori bassi) si può intendere, infatti, esprime il grado di indipendenza di un nodo sulla rete, e quindi di uno spazio nello scenario della città. Essa, quindi, può essere interpretata come una misura di efficacia localizzativa: più sono vicino agli altri e più facilità avrò di giovare dei fenomeni urbani. Manca, in tal senso, una misura di efficienza localizzativa. La risposta a questa constatazione è il ricorso ad una diversa misura di centralità, intesa a valutare il posizionamento probabilistico rispetto a tutti i percorsi minimi esistenti nella rete/sistema urbano. Si parla, in tal caso di centralità di medietà. In termini configurazionali, questo tipo di centralità viene calcolata attraverso il cosiddetto Indice di scelta, che è formalmente definito come la frequenza con la quale una line ricade sui percorsi di

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efficacia efficacia localizzativa: localizzativa: più più sono sono vicino vicino agli agli altri altri ee più più facilità facilità avrò avrò di di giovare giovare dei fenomeni urbani. Manca, in tal senso, una misura di efficienza dei fenomeni urbani. Manca, in tal senso, una misura di efficienza localizzalocalizzativa. tiva. La La risposta risposta aa questa questa constatazione constatazione èè il il ricorso ricorso ad ad una una diversa diversa misura misura di di centralità, intesa a valutare il posizionamento probabilistico rispetto centralità, intesa a valutare il posizionamento probabilistico rispetto aa tutti tutti ii percorsi percorsi minimi minimi esistenti esistenti nella nella rete/sistema rete/sistema urbano. urbano. Si Si parla, parla, in in tal tal caso caso di di 46  C comediPaesaggio centralità medietà. In termini configurazionali, questo tipo di centralità centralità di medietà. In termini configurazionali, questo tipo di centralità viene viene calcolata calcolata attraverso attraverso il il cosiddetto cosiddetto Indice Indice di di scelta, scelta, che che èè formalmente formalmente definito come la frequenza con la quale una line ricade sui definito come la frequenza con la quale una line ricade sui percorsi percorsi di di minore minore minore lunghezza topologica (percorsi minimi) che ogni connettono ogni lunghezza topologica (percorsi minimi) che connettono line lunghezza topologica (percorsi minimi) che connettono ogni line aa tutte tutte le le line a tutte le altre del sistema. Standardizzando il calcolo sulla numealtre altre del del sistema. sistema. Standardizzando Standardizzando il il calcolo calcolo sulla sulla numerosità numerosità dei dei nodi nodi della della rosità dei nodi della urbana, globale l’indicevale: di integrazione globale vale: rete urbana, l’indice di integrazione rete urbana, l’indice di rete integrazione globale vale: 𝑁𝑁 − (𝑘𝑘 − 𝑁𝑁𝑙𝑙𝑙𝑙 − (𝑘𝑘 − 1) 1) 𝐶𝐶 𝐶𝐶ℎℎ = = 𝑁𝑁 − (𝑘𝑘 − 1) 𝑁𝑁𝑡𝑡𝑡𝑡 − (𝑘𝑘 − 1) èè pari numero di combinazioni 22 di di dove Ntpari pari alnumero numerodi di combinazioni combinazioni di didiclasse classe di un insieme di kk dovedove Nt èNt al al classe 2 un di insieme un insieme elementi: elementi: di k elementi: 𝑘𝑘! 𝑘𝑘! 𝑁𝑁 = 𝑡𝑡 𝑁𝑁𝑡𝑡 = (𝑘𝑘 − 2)! 2! (𝑘𝑘 − 2)! 2! Il valore standardizzato dell’indice di globale varia 00 (caso di Il valore standardizzato dell’indice di scelta scelta globale varia tra tra (caso di0 Il valore standardizzato dell’indice di scelta globale varia tra line interessata da percorsi solo come terminale) ee 11 (caso di line che si trova line interessata da percorsi solo come terminale) (caso di line che si trova (caso line interessata da percorsi solo come terminale) e 1 (caso di su tuttidiii percorsi che connettono ogni coppia di su percorsi che connettono ogni coppia di lines). lines).ogni coppia di lines). linetutti che si trova su tutti i percorsi che connettono Anche Anche per per l’indice l’indice di di scelta scelta valgono valgono le le considerazioni considerazioni sulla sulla muti-scalamuti-scalaAnche per l’indice di integrazione. scelta valgono le risente considerazioni sulla mutirità già fatte per l’indice di Esso meno, rità già fatte per l’indice di integrazione. Esso risente meno, diversamente, diversamente, scalarità già fatte per l’indice di integrazione. Esso risente meno, diverdell’effetto dell’effetto di di bordo. bordo. samente, dell’effetto di bordo. intensa la ricerca, essendo tutt’ora decisaSull’indice di scelta Sull’indice di scelta èè ancora ancora intensa la ricerca, essendo tutt’ora decisaSull’indice di scelta è ancora la ricerca, essendo tutt’ora mente di integrazione. mente meno meno sviluppato sviluppato dell’indice dell’indice di intensa integrazione. decisamente meno sviluppato dell’indice di integrazione.

Indici configurazionali e centralità nelle reti sociali I principali punti di forza della teoria configurazionale derivano dalla considerazione dello spazio urbano come un contenitore di interazione sociale. La sociologia strutturale è stato, infatti, uno dei principali riferimenti nella formulazione hilleriana di una teoria in grado di coniugare forma e funzione della città senza contrapporle e senza trascurare deliberatamente uno dei due aspetti (Hillier & Hanson, 1984). Questo stretto rapporto ha lasciato una traccia profonda anche nella formulazione matematica degli indici configurazionali, che si presentano come modificazioni ed adattamenti di misure di centralità già sviluppate nell’ambito delle reti sociali. L’idea di studiare la centralità applicata alle reti sociali è stata introdotta già nel 1948 con l’opera di Bavelas (Bavelas, 1948), nei termini dell’individuazione di una relazione tra centralità ed influenza nei processi di gruppo. La ricerca immediatamente successiva, ispirata dal suo lavoro e tendenzialmente indirizzata al problem-solving, giunse alla conclusione che la centralità è relazionata all’efficienza del gruppo, alla percezione della leadership e alla soddisfazione personale dei partecipanti. Da allora questo campo di ricerca si è continuamente sviluppato,

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di centralitànell’ambito già sviluppate di delle reti di centralità centralità già già sviluppate sviluppate nell’ambito dellenell’ambito reti sociali. sociali.delle reti sociali. L’idea di studiare la centralità sociali è stata introdott L’idea di studiare la centralità applicata alle reti sociali stata introdotta L’idea di studiare la centralità applicata alle retiapplicata sociali èèalle statareti introdotta già nel 1948 con l’opera di Bavelas (Bavelas, 1948), nei termini dell’indivi già nel 1948 con l’opera di Bavelas (Bavelas, 1948), nei termini dell’indivigià nel 1948 con l’opera di Bavelas (Bavelas, 1948), nei termini dell’individuazione di una relazione tra centralità ed influenza nei processi di gruppo duazione duazione di di una una relazione relazione tra tra centralità centralità ed ed influenza influenza nei nei processi processi di di gruppo. gruppo. La ricerca immediatamente successiva, ispirataeedal suo lavoro e tendenzial La successiva, ispirata dal lavoro tendenzialLa ricerca ricerca immediatamente immediatamente successiva, ispirata dal esuo suo tendenzialMetodi e tecniche per l’analisi della città del lavoro paesaggio urbano  47 mente indirizzata al problem-solving, giunse alla conclusione mente indirizzata al problem-solving, giunse alla conclusione che la mente indirizzata al problem-solving, giunse alla conclusione che la centracentra- che la centra lità è relazionata all’efficienza del gruppo, alla percezione leadership lità è relazionata all’efficienza del gruppo, alla percezione della leadership ee lità è relazionata all’efficienza del gruppo, alla percezione della leadership della alla soddisfazione personale dei partecipanti. Da allora questo campo di ri alla soddisfazione personale dei partecipanti. Da allora questo campo di rialla soddisfazione personale dei partecipanti. Da alloradiquesto campo rifornendo numerose interpretazioni e formulazioni centralità. Didiparcerca si è continuamente sviluppato, fornendo numerose interpretazioni cerca si è continuamente sviluppato, fornendo numerose interpretazioni e cerca si interesse è continuamente fornendo ticolare sono i sviluppato, contributi di Bavelasnumerose (Bavelas,interpretazioni 1950) e Shawe formulazioni di centralità.interesse Di particolare interesse sono i contributi di Bave formulazioni di centralità. Di particolare sono i contributi di formulazioni di centralità. Di particolare interesse sono i contributi di BaveBave(Shaw, 1964) negli anni ’50 e ’60, secondo cui quando una persona è las (Bavelas, 1950) 1964) e Shawnegli (Shaw, anni ’50cui e ‘60, secondo cu las ee Shaw anni ’50 ‘60, secondo las (Bavelas, (Bavelas, 1950) 1950) Shaw (Shaw, (Shaw, 1964) negli anni1964) ’50 ee negli ‘60, cui strategicamente posizionata sui percorsi di comunicazione chesecondo collegano quando una persona è strategicamente posizionata sui percorsi di comunica quando una persona èè strategicamente posizionata sui di comunicaquando di unaaltre persona strategicamente sui percorsi percorsi comunicacoppie persone, allora essa èposizionata centrale. Una personadiche occupa zione che collegano coppie di altre persone, allora essa perè centrale. Una per zione che collegano coppie di altre persone, allora essa è centrale. Una zione che collegano coppie di altre persone, allora essa è centrale. Una peruna posizione del genere può influenzare il gruppo, omettendo o distorsona che occupa una posizione del genere può influenzare sona che occupa una posizione del genere può influenzare il gruppo, ometsona che occupa una posizione del genere può influenzare gruppo, omet-il gruppo, omet cendo ildistorcendo flusso tendo delle informazioni. La centralità di certeil localizzazioni o distorcendo il flusso delle informazioni. La centralità di certe loca tendo o il flusso delle informazioni. La centralità di locatendo o distorcendo ilpotenzialità flusso delle informazioni. La centralità di certe certe locaèlizzazioni definita dallo loro nel controllo dei flussi. Questo tipo di lizzazioni è definita dallo loro potenzialità nel controllo dei flussi. Questo definita dallo loro nel dei Questo lizzazioni èèviene definita dallo betweenness loro potenzialità potenzialità nel controllo controllo dei flussi. flussi. Questo centralità definita centrality (centralità di medietà) di definita centralità viene definita betweenness centrality (centralità di medietà tipo viene betweenness centrality (centralità di tipo di di centralità centralitàtipo viene definita betweenness centrality (centralità di medietà) medietà) (Freeman, 1978). Per lala misura misura della centralità dimedietà medietà bisogna fare bisogna fare ri (Freeman, 1978). Per la misura della centralità di medietà (Freeman, 1978). Per della centralità di bisogna fare (Freeman, 1978). Per la misura della centralità di medietà bisogna fare ririricorso al concetto di percorso minimo. Essa può essere definita con un al concetto di percorso minimo. puòcon essere definita con un ap corso di minimo. Essa essere definita un corso al al concetto concettocorso di percorso percorso minimo. Essa può può essereEssa definita con un apapapproccio probabilistico secondo cui la probabilità che un flusso d’inforproccio probabilistico secondo cui la probabilità che un flusso d’informa proccio probabilistico secondo cui la probabilità che un flusso d’informaproccio probabilistico secondo cui la probabilità che un flusso d’informamazione tra due punti passi per un determinato percorso è pari al recizione tra due punti passi per un determinato percorso è pari al reciproco de zione tra due punti passi per un determinato percorso è pari al reciproco del zione tra due punti passi per un determinato percorso è pari al reciproco del proco del numero dei percorsi minimi tra i due punti. Detti p e p i due numero dei percorsi minimi tra i due punti. Detti p e p i due punti, tale pro numero dei percorsi minimi tra i due punti. Detti p i i tale j j pronumero dei percorsi minimi tra1 i due punti. Detti pii ee ppjj ii due due punti, punti, tale pro1 1 ,babilità vale , dove 𝑔𝑔 numero di percorsi minimi babilità vale dove 𝑔𝑔 è il numero di percorsi minimi tra i due punti. punti, tale probabilità vale dove g è il numero di percorsi minimi ijpercorsi minimi tra i due punti. Il babilità vale , dove 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 è il numero di𝑖𝑖𝑖𝑖 Iltra i due punti. I 𝑔𝑔 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑖𝑖𝑖𝑖

𝑖𝑖𝑖𝑖

𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖

tra i due punti. Il potenziale di controllo diterzo unallora: terzo allora: potenziale controllo punto punto 𝑝𝑝𝑘𝑘 valevale allora: potenziale di di punto vale 𝑘𝑘 potenziale di controllo controllo di un unditerzo terzo puntodi𝑝𝑝 𝑝𝑝un 𝑘𝑘 vale allora: (𝑝𝑝 ) 𝑔𝑔 (𝑝𝑝 ) 𝑔𝑔 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝𝑏𝑏𝑘𝑘 𝑘𝑘 )(𝑝𝑝 ) = 𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑘𝑘 (𝑝𝑝 )) = 𝑏𝑏 𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑘𝑘 𝑏𝑏𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝𝑘𝑘 𝑘𝑘 = 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑔𝑔 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑔𝑔𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝 ) percorsi è percorsi il numero dei percorsi minimi 𝑝𝑝𝑖𝑖 e 𝑝𝑝𝑗𝑗 che passano dove 𝑔𝑔 (𝑝𝑝 dei minimi tra ii punti 𝑝𝑝 che passano 𝑘𝑘 𝑗𝑗tra 𝑔𝑔 ildove numero dei percorsi minimi tratra punti 𝑝𝑝𝑖𝑖𝑖𝑖 eep𝑝𝑝 𝑝𝑝 passano dove g𝑖𝑖𝑖𝑖 (p𝑘𝑘𝑘𝑘k))) èèèil ilnumero numero dei minimi i punti pij punti che pas𝑖𝑖𝑖𝑖 ij (𝑝𝑝 i 𝑗𝑗e che . Per definire il potenziale complessivo del punto pk, rispetto per il punto 𝑝𝑝 . Per definire il potenziale complessivo del punto pk, rispetto per il punto 𝑝𝑝 sano il punto . Per definire il potenziale complessivo delpk, punto pk, il𝑘𝑘potenziale complessivo del punto rispetto per il per punto 𝑝𝑝𝑘𝑘𝑘𝑘 . Perpkdefinire a tutti i punti che formano la rete, bisogna procedere alla somma dei poten arispetto tutti i punti che formano la rete, bisogna procedere alla somma dei potena tutti i punti formano la rete, bisogna alla sommaalla deisomma potena tuttiche i punti che formano la rete,procedere bisogna procedere ziali parziali: ziali parziali: zialipotenziali parziali: parziali: dei 𝑛𝑛 𝑛𝑛 𝐶𝐶𝐵𝐵(𝑝𝑝 𝐶𝐶 )=∑𝑛𝑛 )=∑𝑛𝑛 ), 𝐾𝐾𝑖𝑖>𝑗𝑗 𝑛𝑛 ∑ 𝑛𝑛 𝑏𝑏𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝𝐾𝐾 𝐶𝐶𝐵𝐵(𝑝𝑝 𝑖𝑖 ∑𝑗𝑗 𝑏𝑏𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝𝐾𝐾 ), 𝑖𝑖>𝑗𝑗 𝐵𝐵(𝑝𝑝𝐾𝐾 𝐾𝐾 )=∑𝑖𝑖𝑖𝑖 ∑𝑗𝑗𝑗𝑗 𝑏𝑏𝑖𝑖𝑖𝑖 (𝑝𝑝𝐾𝐾 ), 𝑖𝑖>𝑗𝑗 dove n è il numero dei punti che appartengono al grafo. È evidente come la definizione data per la centralità di medietà sia del tutto equivalente a quella data, in ambito Space Syntax, per l’indice di scelta globale. Estendendo all’ambito urbano le considerazioni fatte nel campo delle reti sociali, è possibile delineare ulteriori potenzialità dell’indice di scelta. Se esso misura il potenziale di controllo di un punto sulla rete, in quanto sintetizza la probabilità che sia attraversato da flussi, può misurare spazialmente la potenzialità di un tronco viario5 di influen-

5 In termini rigorosi non si dovrebbe parlare di tronchi viari, ma più generalmente di spazi pubblici. Il riferimento ai tronchi viari è accettabile nella misura in cui è fatta salva la consapevolezza che le lines (ovvero i punti della rete dello spazio urbano) non rappresentano le strade, ma che generalmente le ricalcano, ovvero sono ad esse sovrapposte, in quanto buona parte dello spazio pubblico nelle città è costituito da strade.

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È evidente come la definizione data per la centralità di medietà sia del tutto equivalente a quella data, in ambito Space Syntax, per l’indice di scelta globale. all’ambito urbano le considerazioni fatte nel campo delle 48  CEstendendo come Paesaggio reti sociali, è possibile delineare ulteriori potenzialità dell’indice di scelta. Se esso misura il potenziale di controllo di un punto sulla rete, in quanto sintetizza sia attraversato da flussi, può misurare spazialmente zare la il probabilità movimentoche (flusso di persone) negli spazi di uso pubblico. Se 7 la potenzialità di un tronco viario di influenzare il movimento (flusso di perne ottiene la misura di quanto sia probabile che un tronco viario sia sone) spazi di uso Se necoppia ottienedi lapunti misurasulla di quanto prosceltonegli per muoversi trapubblico. una qualsiasi rete o,sia in altri babile che un tronco viario sia scelto per muoversi tra una qualsiasi coppia termini, qual è l’attrattività di un tronco viario in una scelta di trought di punti sullaLa rete o, indi altri termini, qual è l’attrattività di unimportanza tronco viario in movement. stima quest’ultimo è di fondamentale neluna scelta di trought La stima quest’ultimo è di fondamentale la localizzazione di movement. tutte le attività che di traggono la propria attrattività importanza nella localizzazione di tutte le attività che traggono dalla visibilità casuale, come per alcune attività commerciali.la propria attrattività dalla visibilità casuale, come per alcune attività commerciali. Nel quadro della ricerca nel campo delle reti sociali non mancano altre formulazioni del concetto di centralità. Di particolare interesse è Nel quadro della ricerca nel campo delle reti sociali non mancano altre l’idea, ancora introdotta dal Bavelas (Bavelas, 1948) (Bavelas, 1950), formulazioni del concetto di centralità. Di particolare interesse è l'idea, andi correlare ladal centralità prossimità: parla in1950), questodicaso di cencora introdotta Bavelasalla (Bavelas, 1948) si(Bavelas, correlare la tralità di alla vicinanza o closeness-based. Lacaso più di funzionale centralità prossimità: si parla in questo centralità formulazione di vicinanza o analitica di questa tipologia di centralità è quella proposta Sabicloseness-based. La più funzionale formulazione analitica di questadal tipologia dussi (Sabidussi, 1966). Essa interpreta la centralità di vicinanza come di centralità è quella proposta dal Sabidussi (Sabidussi, 1966). Essa interl’inverso della somma della come distanza topologica di un punto rispettoto-a preta la centralità di vicinanza l'inverso della somma della distanza tutti gli altri rete. pologica di unpunti punto della rispetto a tutti gli altri punti della rete. Se si definisce d(p , p ) comeililnumero numero elementi componSe si definisce 𝑑𝑑(𝑝𝑝𝑖𝑖i, 𝑝𝑝𝑘𝑘k) come di di elementi cheche compongono gono il percorso minimo tra i punti , allora la centralità di vicinanza il percorso minimo tra i punti 𝑝𝑝𝑖𝑖 , 𝑝𝑝𝑘𝑘 , allora la centralità di vicinanza secondo secondo Sabidussi si misura come: Sabidussi si misura come: −1

𝐶𝐶𝑐𝑐 (𝑝𝑝𝑘𝑘 )

𝑛𝑛

= ∑ 𝑑𝑑(𝑝𝑝𝑖𝑖 , 𝑝𝑝𝑘𝑘 ) 𝑖𝑖=1

Normalizzando l’indice per renderlo indipendente dal numero di nodi Normalizzando l’indice per renderlo indipendente dal numero della rete, la centralità di vicinanza può essere interpretata come l'inverso di nodi della rete, la centralità di vicinanza può essere interpretata della distanza media tra un punto e tutti gli altri della rete (𝑛𝑛 − 1) come l’inverso dellaL'indice distanza tra eunlapunto e tutti gli altri della (Beauchamp, 1965). di media Sabidussi standardizzazione di Beaurete (Beauchamp, 1965). L’indiceindivari Sabidussi e la standardizzazione champ possono essere interpretati modi. Innanzitutto come misura di Beauchamp possono essere interpretati in vari modi. Innanzitutto come misura diretta della distanza media di un punto da tutti gli altri 7della rete. Secondariamente, considerando come la somma minima teoIn termini rigorosi non si dovrebbe parlare di tronchi viari, ma più generalmente di spazi pubblici. Il riferimento tronchi viaritopologiche è accettabile nellatra misura cui è fatta salva lagli consapevolezza che le lines rica delle aidistanze un inpunto e tutti altri (condizione (ovvero i punti della rete dello spazio urbano) non rappresentano le strade, ma che generalmente le diricalcano, un punto connesso in maniera diretta con tutti gli altri – centro ovvero sono ad esse sovrapposte, in quanto buona parte dello spazio pubblico nelle cittàdi è costituito da un grafo astrade. stella), la centralità di vicinanza può essere interpretata come l’inverso del rapporto che esplicita di quanto supera la distanza minima teorica dagli altri punti: essa è, quindi, una misura diretta dell’indipendenza di un punto sulla rete. Quest’ultimo concetto è stato già esplicitato in merito all’indice di integrazione, che infatti riprende sia concettualmente che formalmente la centralità di vicinanza nella formulazione di Sabidussi e Bavelas.

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  49

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Riprendendo il discorso già avviato nel presentare l’indice di integrazione, è possibile pensare ad un luogo indipendente come ad un luogo autonomo, ovvero al cui interno tendono a manifestarsi la maggior parte dei fenomeni urbani che lo interessano. Ad alti valori dell’indice di integrazione corrisponde un’alta probabilità di trovarsi in un luogo verso cui si tende naturalmente a spostarsi, con tutte le considerazioni che ne possono derivare. Parlando lo stesso linguaggio adoperato per la centralità di medietà, si può dire che l’integrazione è una misura del to-movement.

Muoversi nella città delle persone: economia di movimento ed analisi configurazionale dello spazio urbano L’analisi configurazionale in generale, e Space Syntax in particolare, hanno da sempre evidenziato una capacità interpretativa e predittiva rispetto alla potenzialità degli spazi urbani di accogliere flussi di movimento. Tale capacità, tuttavia, non assume un carattere incidentale e semplicemente ricorsivo, ma si basa sulla teoria fondamentale dell’intero approccio configurazionale, ovvero l’interpretazione unitaria della dinamica urbana essenziale in termini di economia di movimento: una logica che regola le attività antropiche nella città, legando ed armonizzando topologia, movimento e presenza di attrattori. Partendo dal movimento, la modellistica tradizionalmente dedicata allo studio degli spostamenti in aree urbane si basa sull’adattamento di modelli generali sviluppati per il traffico veicolare. Essi sono di tipo attrattivo, ovvero identificano il movimento con una funzione di trasferimento da un punto d’interesse, segnatamente una forma costruita, ad un altro. Lo spazio è ridotto ad un elemento di frizione che si manifesta solo per quanto si oppone allo spostamento stesso, di fatto non essendo una variabile che appartiene al modello. È tuttavia intuitivo

Figura 1 – Possibili interazioni tra configurazione (C), movimento (M) e attrattori (A).

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50  C come Paesaggio

che lo spazio abbia un ruolo nell’influenzare gli spostamenti. Si pensi alla disposizione di qualche elemento attrattore in un generico punto di una semplice griglia urbana, costituita da una strada principale molto lunga ed una serie di strade secondarie ad essa ortogonali: ovunque l’attrattore sia posizionato, la strada principale ospiterà sicuramente flussi più importanti delle altre. Ciò è banale, ma dipende esclusivamente da come lo spazio è strutturato, ovvero da qual è la sua configurazione. A seconda della posizione dell’attrattore, il movimento sulla strada principale può essere di solo passaggio (movimento mediale o through movement) ovvero di destinazione (movimento finalizzato o to-movement). Ciò significa che il potenziale di movimento in un punto della griglia urbana non può dipendere esclusivamente dalla presenza o meno di un attrattore, ma deve dipendere anche dalla configurazione che lo caratterizza. Ci si trova, pertanto, di fronte al problema di dover correlare tre variabili che si influenzano vicendevolmente: il movimento pedonale nello spazio urbano (M), la presenza di attrattori (A) e la configurazione dello spazio (C) (Figura 1). Questa correlazione ha dei limiti concettuali. Se, infatti, la configurazione dello spazio può influenzare la disposizione degli attrattori e la distribuzione del movimento, ciò non è vero al contrario, in quanto è evidentemente impossibile che questi ultimi due aspetti possano modificare la struttura spaziale. Diversamente, essi si influenzano reciprocamente: gli attrattori capitalizzano gli spostamenti in virtù della loro offerta, il movimento sancisce il successo degli attrattori in funzione dei flussi (si pensi ai meccanismi del successo delle attività commerciali al dettaglio). Questa fattispecie evidenzia come nelle reali situazioni urbane la questione sia più semplice di quanto possa sembrare. Se infatti esiste una stretta correlazione tra le variabili, è naturale che essa avvenga come conseguenza primaria della configurazione dello spazio. Del resto, nella stragrande maggioranza dei casi, la distribuzione degli attrattori è clusterizzata in localizzazioni specifiche – i negozi sulle strade principali, ad esempio – ed è quindi naturale attendersi che tale scelta localizzativa dipenda dalla configurazione e comporti un incremento dei flussi non lineare dovuto all’effetto moltiplicativo degli attrattori stessi. Nei casi in cui gli attrattori siano equamente distribuiti, a maggior ragione ci si attende un forte ruolo della configurazione, in ragione dell’indipendenza del movimento dalla presenza degli attrattori. In termini teorici, l’unica situazione in cui la dipendenza tra le variabili tende ad escludere il ruolo della configurazione è il caso di una distribuzione di forti attrat-

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tori, squilibrati ed incoerenti con la sintassi spaziale; condizione da verificare, ma oggettivamente poco probabile se non in casi specifici. In definitiva, quindi, la configurazione si può considerare come il fattore generativo primario degli spostamenti in ambito urbano. Gli attrattori, di conseguenza, assumono il ruolo di moltiplicatori, causando l’incremento dei flussi negli spazi che essi dominano. Ciò non significa che la configurazione è sempre la causa determinante della maggiore aliquota del movimento registrato, ma anzi, essa può avere effetti numericamente secondari rispetto al contributo moltiplicatore degli attrattori, tuttavia il suo ruolo di substrato attrattivo le conferisce la capacità di interpretare e spiegare le modalità con cui lo spazio è potenzialmente adatto ad accogliere il movimento. Di conseguenza, la comprensione delle dinamiche della configurazione è imprescindibile per comprendere quelle del movimento, nonché i meccanismi di distribuzione localizzativa degli attrattori. Space Syntax, ponendo la configurazione spaziale al centro della propria attenzione consente di validare le considerazioni effettuate in precedenza, nonché di aprirsi ad una nuova interpretazione della città. Grazie alla misurazione dei flussi di movimento (principalmente pedonali) è possibile costruire un modello di regressione in cui lo spostamento e gli indici configurazionali sono correlati da curve di interpolazione. Studiando le diverse forme di queste relazioni (lineare, esponenziale, …) è possibile ricavare per via teorica (ovvero senza procedere ad un rilievo in loco) la presenza e, nel caso, la capacità moltiplicativa degli attrattori. La letteratura internazionale evidenzia in tal senso importanti risultati. La correlazione tra gli indici configurazionali e il numero di spostamenti pedonali è molto robusta e presenta due macro-casi: le aree residenziali a bassissima concentrazione di attività e le aree di uso misto o prettamente terziario. Nel primo caso, la correlazione mostra

Figura 2 – Scatterplot tra l’indice di integrazione, il logaritmo del movimento registrato (sinistra), il movimento registrato (centro) ed il movimento registrato escludendole strade con alta concentrazione di attività commerciali. (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993).

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52  C come Paesaggio

una capacità interpretativa della varianza superiore in media al 70% (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993), con punte anche molto superiori al 90% (Cutini, 1999), denunciando una diretta proporzionalità di tipo lineare. Ciò esprime l’idea che in assenza di fattori di attrazione è effettivamente la configurazione della griglia urbana a generare i flussi di spostamento. Nel secondo caso, invece, la qualità della correlazione si assesta sui livelli precedenti prendendo in considerazione il logaritmo naturale del movimento registrato. Ciò conferma il ruolo moltiplicatore degli attrattori e ne rappresenta una misura diretta. In definitiva, Space Syntax chiarisce, con evidenze oggettive, che esiste un’aliquota di movimento legata alla configurazione dello spazio urbano, il movimento naturale (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993), sulla cui base la distribuzione degli attrattori agisce da moltiplicatore, determinando la reale distribuzione dei flussi.

Figura 3 – Scatterplot tra l’indice di integrazione, il movimento pedonale registrato (sinistra) ed il suo logaritmo naturale (destra) (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993).

Figura 4 – Scatterplot tra le coorti omogenee di integrazione e il logaritmo naturale del movimento registrato (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993).

Tecniche nuove – nuove opportunità: Space Syntax oggi L’analisi configurazionale sta vivendo, negli ultimi due decenni, un periodo di eccezionale sviluppo ed affermazione. Ciò è testimoniato dai notevoli risultati raggiunti (Vaughan, 2007), favoriti dall’amplia-

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  53

mento del numero di ricercatori che la adoperano e la sviluppano in tutto il mondo (Cutini, 1999; Porta, Crucitti, & Latora, The Urban Network Analysis of Urban Streets: A Primal Approach, 2005; Cooper, Fone, & Chiaradia, 2014). Pur conservando di fatto inalterato l’impalcato teorico e gli assunti tecnici fondamentali, questo processo di rapida e significativa evoluzione si è verificato e si verifica tutt’ora anche in ambito Space Syntax, mirando al rafforzamento dell’affidabilità di quanto già esiste ed allo sviluppo di nuove tecniche operative. Un significativo passo in avanti, proprio in tema di affidabilità e semplicità di utilizzo delle tecniche monodimensionali, è stato fatto con l’introduzione della cosiddetta Angular Segment Analysis (ASA) (Turner, 2001). Questa tecnica, in termini esemplificativi, si basa sul frazionamento delle axial lines6 nei rispettivi punti di incidenza (segment), nonché sul calcolo della somma degli angoli “spazzati” nello spostamento tra coppie di lines sulla rete. La somma angolare è considerata come il costo di un supposto spostamento sul grafo. In base a tale costo è possibile calcolare il percorso minimo di un determinato spostamento: least angle path. Quest’aspetto differenzia sostanzialmente questa tecnica dall’originaria axial analysis, dove il percorso minimo veniva individuato esclusivamente in termini topologici, ovvero valutando semplicemente il numero delle intersezioni tra lines (i cosiddetti step topologici). La scelta di riferirsi primariamente all’angolo è supportata da evidenze scientifiche in campo cognitivo (Montello, 1991), nonché da capacità predittorie degli spostamenti più aderenti alla realtà (Hillier & Iida, 2005). Le migliori performance dell’ASA si registrano soprattutto nello studio multi-scalare, in quanto consente di apprezzare con maggiore definizione i fenomeni locali e la loro correlazione con il generale contesto urbano, ovvero descrive con maggiore affidabilità la struttura urbana costituita dalla nidificazione della foreground network e della background network. Ciò sembra essenzialmente legato ad una migliore capacità di esprimere il rapporto tra geometria e topologia urbane: la struttura urbana percepita dai suoi utilizzatori è molto sensibile alla geometria della città (la forma) – essendo questa la parte visibile ed intuibile dello spazio urbano – di conseguenza quanto più essa viene ben letta in campo topologico, tanto più i fenomeni urbani vengono predetti con accuratezza (la funzione della città). 6

Si tratta delle lines precedentemente introdotte parlando di axial analysis

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54  C come Paesaggio

In termini operativi, l’ASA non si discosta troppo dalla axial analysis, tant’è che è possibile estendervi pressoché tutti i concetti generali, con opportune modificazioni formali. Innanzitutto, va modificata la formulazione della nozione di profondità. In ASA essa viene misurata come la somma angolare di svolta minima nello spostamento ideale tra due lines del sistema, ovvero la somma angolare calcolata lungo i loro least angle path. Al fine del calcolo è indifferente la direzione della svolta, potendosi considerare gli angoli sempre positivi. Oltre all’ampiezza di tali angoli, diventa 44 C come paesaggio determinante la direzionalità: considerando impossibile entrare ed 44 C come paesaggio uscire dallo stesso estremo di un segmento nel corso di un singolo 44 C come paesaggio spostamento si elimina la possibilità di seguire percorsi innaturali con corso di un singolo spostamento si elimina la possibilità di seguire percorsi corso di scopo uncon singolo spostamento si elimina la possibilità di seguire percorsi l’unico di abbassare costo angolare. innaturali l’unico scopo diil abbassare il costo angolare. corso di spostamento si èelimina possibilità di seguire percorsi innaturali conun scopo abbassare il costo angolare. Definita lal’unico profondità tradidue lines possibile procedereprocedere alla definizione Definita lasingolo profondità tra due lines èlapossibile alla innaturali con l’unico scopo di abbassare il costo angolare. Definita la profondità tra due lines è possibile procedere alla definizione della profondità media, ovvero all'Indice di Integrazione (angular integradefinizione della profondità media, ovvero all’Indice di Integrazione Definita la profondità due linesdiè possibile procedere allaintegradefinizione della profondità media, ovverotraall'Indice Integrazione (angular tion): (angular integration): 𝑛𝑛 della profondità media, ovvero all'Indice di Integrazione (angular integration): 𝑛𝑛 tion): 𝐶𝐶𝜃𝜃 (𝑥𝑥) = ∑ 𝑑𝑑𝑛𝑛𝜃𝜃 (𝑥𝑥, 𝑖𝑖)⁄𝑛𝑛 − 1 𝐶𝐶𝜃𝜃 (𝑥𝑥) = ∑ 𝑖𝑖=1 𝑑𝑑𝜃𝜃 (𝑥𝑥, 𝑖𝑖)⁄𝑛𝑛 − 1 𝐶𝐶𝜃𝜃 (𝑥𝑥)𝑖𝑖=1 𝑖𝑖)⁄𝑛𝑛 −in1precedenza. =di∑ 𝑑𝑑𝜃𝜃 (𝑥𝑥,definita dove, 𝑑𝑑𝜃𝜃 (𝑥𝑥, 𝑖𝑖) è la somma angolare svolta dove, d (x, i) è la somma angolare di svolta definita in precedenza. θ dove,L’angular 𝑑𝑑𝜃𝜃 (𝑥𝑥, 𝑖𝑖) è integration la somma angolare di𝑖𝑖=1 svolta definita in precedenza. risente fortemente della frammentazione del siL’angular integration risente fortemente della frammentazione dove, 𝑑𝑑 (𝑥𝑥, 𝑖𝑖) è la somma angolare di svolta definita in precedenza. integration risente fortemente frammentazione deldel sistemaL’angular ed è 𝜃𝜃pertanto necessario effettuarne una della normalizzazione ponderando sistema ed èdi pertanto effettuarne una normalizzazione risente fortemente della frammentazione del sistema edL’angular è pertanto necessario effettuarne unacosto normalizzazione ponderando il contributo ogniintegration linenecessario alla formazione del angolare in base allaponsua stema iled è pertanto necessario una normalizzazione ponderando derando contributo ogni lineeffettuarne alla del costo angolare in il contributo di ogni(euclidea). linedi alla formazione del costo angolare in base alla sua lunghezza metrica L’idea allaformazione base della normalizzazione è che contributo di (euclidea). ogni line alla formazione deldella costonormalizzazione base alla baseil alla sua lunghezza metrica (euclidea). L’idea alla baseindella lunghezza metrica L’idea alla base che sua segmenti più lunghi hanno una maggiore probabilità diangolare appartenere aiènorperlunghezza metrica (euclidea). L’idea alla base della normalizzazione è che malizzazione è che segmenti più lunghi hanno una maggiore probabisegmenti più lunghi hanno unamodificato maggiore vale: probabilità di appartenere ai percorsi di spostamento. L'indice 𝑛𝑛 𝑛𝑛 segmenti più lunghi hanno una maggiore probabilità di appartenere ai perlità di appartenere ai percorsi di spostamento. L’indice modificato vale: corsi di spostamento. L'indice modificato vale: 𝑙𝑙 L'indice 𝑛𝑛 𝑛𝑛 corsi di spostamento. modificato vale: 𝐶𝐶𝜃𝜃 = ∑ 𝑑𝑑(𝑥𝑥, 𝑖𝑖)𝑙𝑙(𝑖𝑖)⁄∑ 𝑙𝑙(𝑖𝑖) 𝑛𝑛 𝑛𝑛 𝐶𝐶𝜃𝜃𝑙𝑙 = 𝑙𝑙 ∑ 𝑖𝑖=1 𝑑𝑑(𝑥𝑥, 𝑖𝑖)𝑙𝑙(𝑖𝑖)⁄∑ 𝑖𝑖=1 𝑙𝑙(𝑖𝑖) 𝐶𝐶𝜃𝜃 𝑖𝑖=1 = ∑ 𝑑𝑑(𝑥𝑥, 𝑖𝑖)𝑙𝑙(𝑖𝑖)𝑖𝑖=1 ∑ 𝑙𝑙(𝑖𝑖) ⁄ dove 𝑙𝑙(𝑖𝑖) è la lunghezza euclidea della i-esima line. 𝑖𝑖=1 doveAnalogamente 𝑙𝑙(𝑖𝑖) è la lunghezza euclidea della si può procedere peri-esima l'indiceline. di𝑖𝑖=1 scelta globale: dove l(i)𝑙𝑙(𝑖𝑖) è laè lunghezza euclidea della i-esima line. 𝑛𝑛 dove la𝑛𝑛lunghezza euclidea della i-esima line. Analogamente si può procedere per l'indice di scelta ∑ ⁄ (𝑛𝑛 𝐵𝐵𝜃𝜃 (𝑥𝑥) = ∑ 𝜎𝜎(𝑖𝑖, 𝑥𝑥, 𝑗𝑗) − 1) (𝑛𝑛 − 2) , 𝑖𝑖 ≠ 𝑥𝑥globale: ≠ 𝑗𝑗 𝑖𝑖=1 si 𝑗𝑗=1 Analogamente può per l’indicedidiscelta scelta globale: 𝑛𝑛 𝑛𝑛 si Analogamente puòprocedere procedere per l'indice globale: (𝑥𝑥) ∑ ∑ ⁄ (𝑛𝑛 𝐵𝐵 = 𝜎𝜎(𝑖𝑖, 𝑥𝑥, 𝑗𝑗) − 1) (𝑛𝑛 − 2) , 𝑖𝑖 ≠ 𝑥𝑥 ≠ 𝑗𝑗 𝜃𝜃 𝑥𝑥, 𝑗𝑗) è un dove 𝜎𝜎(𝑖𝑖, 𝑖𝑖=1contatore 𝑛𝑛 𝑗𝑗=1 𝑛𝑛 di appartenenza ai percorsi minimi. ∑𝑖𝑖=1 ∑𝑗𝑗=1 𝜎𝜎(𝑖𝑖, 𝑥𝑥, 𝑗𝑗)⁄(𝑛𝑛 − 1) (𝑛𝑛 − 2) , 𝑖𝑖 ≠ 𝑥𝑥 ≠ 𝑗𝑗 𝜃𝜃 (𝑥𝑥) doveAnche 𝜎𝜎(𝑖𝑖,𝐵𝐵𝑥𝑥, 𝑗𝑗) questo è=un contatore di appartenenza ai percorsi in caso valgono le considerazioni fatteminimi. in precedenza, ed dove 𝜎𝜎(𝑖𝑖, 𝑥𝑥, 𝑗𝑗) è un contatore diformazione appartenenza ai percorsi minimi. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte in precedenza, ed èdove quindi ragionevole pesare, nella dei percorsi minimi, il contriσ(i, x, j) è un contatore di appartenenza ai percorsi minimi. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte in precedenza, ed èbuto quindi ragionevole pesare, nella formazione dei percorsi minimi, il contridi ogni segmento base valgono alla sua lunghezza. Anche in questoincaso le considerazioni fatte in preceè quindi ragionevole pesare, nella formazione dei percorsi minimi, il contributo di ogni in base alla sua lunghezza. denza, ed èsegmento quindi ragionevole pesare, nella formazione dei percorsi buto didegli ogniaspetti segmento in base alla sua lunghezza. Uno di maggiore interesse dell’ASA è l’opportuminimi, il contributo di ogni segmento innell’uso base alla sua lunghezza. Uno degli aspetti di maggiore interesse nell’uso dell’ASA è l’opportunità Uno di disporre di maggiori risorse nello studio dei fenomeni locali. Sulla degli aspetti di dimaggiore interesse nell’uso dell’ASA l’opUno degli aspetti maggiore interesse nell’uso dell’ASA è èl’opportunità di disporre di maggiori risorse nello studio dei fenomeni locali. Sulla scorta di quanto già possibile per l'axial analysis, ovvero la limitazione del portunità di disporre di maggiori risorse nello studio dei fenomeni nitàdidegli diquanto disporre maggiori nello studio dei fenomeni Sulla scorta già di possibile perrisorse l'axial analysis, ovvero la limitazione calcolo indici ad un intorno (segnatamente topologico). Per locali. l'ASAdel è scorta di quanto già possibile per l'axial analysis, ovvero la limitazione calcolo degli indici ad un intorno (segnatamente topologico). Per l'ASA è possibile ricorrere a tre diverse limitazioni, corrispondenti ad altrettanti con- del degli topologica, indici ad un (segnatamente topologico). Per conl'ASA è possibile ricorrere a tre diverse limitazioni, corrispondenti ad altrettanti cetticalcolo di distanza: delintorno costo angolare di svolta, euclidea (metrica). possibile ricorrere a tre diverse limitazioni, corrispondenti ad altrettanti cetti di distanza: topologica, del costo angolaredelle di svolta, euclidea (metrica).conQuest'ultima, in particolare, anche in ragione diffuse normalizzazioni www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised usersdi only. License restrictions apply. cetti di distanza: topologica, del costo angolare svolta, euclidea (metrica). Quest'ultima, particolare, anche in ragione delle diffuse normalizzazioni metriche, è di in comune utilizzo. È prassi approcciarsi allo studio di fenomeni

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  55

locali. Sulla scorta di quanto già possibile per l’axial analysis, ovvero la limitazione del calcolo degli indici ad un intorno (segnatamente topologico). Per l’ASA è possibile ricorrere a tre diverse limitazioni, corrispondenti ad altrettanti concetti di distanza: topologica, del costo angolare di svolta, euclidea (metrica). Quest’ultima, in particolare, anche in ragione delle diffuse normalizzazioni metriche, è di comune utilizzo. È prassi approcciarsi allo studio di fenomeni locali attraverso ASA adoperando indici a diversi raggi metrici decrescenti. A tal proposito, si precisa che la tecnica rimane sempre assolutamente di tipo angolare e che il ricorso alla limitazione metrica è solo un espediente tecnico e concettuale per la definizione di sottoreti urbane riferite ad ogni nodo/segmento del sistema. Le caratteristiche e le potenzialità dell’ASA rendono oggi questa tecnica uno strumento preferibile rispetto all’axial analysis, soprattutto per condurre studi sulla struttura dello spazio urbano in relazione a fenomeni d’interazione globale – locale, come ad esempio la ricerca dell’assetto delle centralità in formazioni urbane complesse. A supporto e complemento dell’angular segment analysis sono nate numerose altre tecniche, spesso mirate ad analizzare problemi specifici od intese a facilitare la lettura di fenomeni particolari, spesso basandosi sulla manipolazione e l’aggregazione/disaggregazione di dati derivati dall’ASA. In tal senso, ha assunto grande importanza una tecnica di analisi nota come Step Depth (letteralmente profondità di passo), prima sviluppata per l’utilizzo complementare all’axial analysis e poi estesa con grande successo all’ASA ed in questo contesto fortemente sviluppata (Turner, 2001). L’analisi Step Depth risponde all’esigenza di estrinsecare in maniera chiara alcune proprietà specifiche di singole localizzazioni sulla rete, sia per elementi unitari (singolo nodo/segmento) che per gruppi di elementi (sottoinsieme dei nodi/ segmenti del sistema). Nello specifico è possibile calcolare, per ogni nodo/segmento, sul percorso minimo di spostamento tra lo stesso ed ogni altro nodo/segmento della rete: il valore della variazione angolare cumulativa (Angular Step Depth); il valore cumulativo dei cambiamenti di direzione7 (Topological Step Depth); il valore metrico puro, in forma cumulativa (Metric Step Depth) (Hillier & Iida, 2005). A seconda dell’oggetto dell’analisi è possibile avvantaggiarsi dei tre diversi 7 Pesati in funzione dell’angolo d’incidenza, come già visto più in generale per l’Angular Segment Analysis.

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output: a) l’angular step depth esprime, con maggiore attendibilità, la facilità con cui è possibile raggiungere la localizzazione analizzata (ovvero la linea di partenza dei percorsi minimi) in uno spostamento generalizzato (ovvero indipendente dalla modalità di trasporto) ; b) la topological step depth esprime, al pari dell’angular, la facilità con cui è possibile raggiungere la localizzazione analizzata in uno spostamento generalizzato, ma tende ad enfatizzare i picchi, risultando efficace nella ricerca di localizzazioni ad altissimo valore aggiunto; c) la metric step depth esprime, con maggiore attendibilità, la facilità con cui è possibile raggiungere la localizzazione analizzata in uno spostamento pedonale. Un vantaggio operativo dell’analisi Step Depth è la sua flessibilità rispetto alla numerosità degli oggetti studiati (da 1 a n-1 in una rete di n nodi/segmenti). Considerando il caso di più nodi/segmenti analizzati contemporaneamente come sottoinsieme della rete urbana, i percorsi minimi vengono tracciati avendo come origine i nodi non appartenenti al sottografo in analisi. Questo aspetto permette di considerare un insieme di segmenti adiacenti che formano una strada (in modo da isolare un tronco viario costituito da più segmenti e studiarlo in modo unitario), oppure una serie di nodi/segmenti non adiacenti che formano degli attrattori omogenei rispetto ad obiettivi specifici, come ad esempio nell’erogazione di un servizio (ad esempio per studiare l’efficacia localizzativa nel posizionamento dei servizi, potendo anche distinguere quelli di quartiere – che si debbono poter raggiungere anche a piedi – da quelli generali – raggiungibili anche solo con modalità di trasporto differenti – capitalizzando così le tre modalità di analisi (Angular/ Topological/Metric Step Depth). Un’ulteriore tecnica di post-processing dei risultati dell’ASA, nota come Foregroung vs. Background analysis (FBA) (Al Sayed, Turner, Hillier, Iida, & Penn, 2014) pone l’accento sulle caratteristiche geometriche della segment map, mirando a far emergere le componenti locali e quelle globali del sistema urbano in termini essenzialmente geometrici ed in maniera particolarmente evidente. L’idea di fondo è quella di estrapolare i tessuti locali come una tassellatura di aree che hanno una estensione metrica simile, mentre la struttura portante globale come un insieme di linee pseudo-continue, rappresentative dei percorsi minimi tra qualunque coppia di origini e destinazioni sulla rete urbana. Questa tecnica permette, da un lato, di leggere la traccia spaziale dei processi di agglomerazione, taglio e diffusione locali, facendo emergere i nuclei urbanamente più densi e, di conseguenza, ricchi di funzioni,

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Figura 5 – Patchwork Analysis – esempio di background scatter plot.

anche promiscue – ovvero aventi un certo grado di autonomia, anche solo mono-funzionale – mentre, dall’altro, di leggere la struttura globale che li tiene assieme nel contesto territoriale, formando, di fatto, il sistema urbano. Analogamente a quanto succede per l’ASA, l’analisi locale e quella globale si differenziano per la dimensione dell’intorno analizzato, ma in tal caso si adopera esclusivamente la distanza euclidea (raggio metrico d’analisi). I risultati della FBA non hanno una stretta correlazione con i flussi urbani (e quindi con l’economia di movimento): la loro predittività decade in maniera direttamente proporzionale all’ampiezza del raggio metrico di analisi. La formalizzazione dei risultati della FBA avviene attraverso la redazione di mappe tematiche di livello locale (background) e globale (foreground). Per ciò che concerne l’analisi del sistema locale (Background Patchwork Analysis) è inoltre possibile costruire appositi grafici in forma di scatter plot che correlano indici rappresentativi della scala globale e locale, ad un determinato raggio metrico d’indagine. Nello specifico, tali indici sono la profondità metrica media globale e locale. La prima consiste nel rapporto tra la lunghezza totale cumulativa dei percorsi minimi tra ogni coppia di lines sulla segment map e il numero totale dei segmenti. La seconda, invece, differisce dalla prima per la definizione di un intorno metrico d’analisi, calcolato circolarmente dal centro metrico di ogni segmento. Questi grafici consentono una lettura agevolata della struttura delle centralità locali di un insediamento urbano, in quanto

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ove esse si manifestano il grafico presenta dei picchi molto evidenti. Ove mai tali picchi non si verificassero affatto, vi sarebbe un’altrettanto chiara indicazione di una patologia, in quanto il sistema urbano non si presenterebbe clusterizzato geometricamente in modo sufficiente e ciò ne minerebbe la possibilità di un corretto funzionamento, ed il suo trattamento richiederebbe il ricorso ad altre tecniche configurazionali. L’FBA, quindi, costituisce un ottimo modo per approcciarsi allo studio di un sistema urbano e per diagnosticarne specifiche patologie, in quanto consente di leggere il potenziale topologico dello spazio partendo dalla sua struttura geometrica. Le innovazioni delle tecniche monodimensionali in ambito Space Syntax sono oggetto di ricerca continua ed il contenuto di questo paragrafo non ne rende certamente giustizia. La loro solidità ed affidabilità, tuttavia, necessita di grande sperimentazione e per questo il set delle tecniche effettivamente utilizzabili è relativamente limitato.

Linee! È quindi possibile coniugare forma e funzione nella città? È possibile pensare al paesaggio urbano come l’essenza stessa di questa coniugazione? È possibile spingere la riflessione sino ad affermare che la città in sé non esiste, ma esiste solo la sua rappresentazione soggettiva e collettiva che definiamo paesaggio urbano? Le questioni aperte sono tante e provocatorie, le risposte non banali e forse non univoche. Tuttavia esse sono razionalizzabili e costruibili partendo dalla ricerca, innanzitutto, di una coniugazione tra città vissuta e città veduta. Coniugazione concettualmente complessa e dispersiva, ma che può essere affrontata in termini induttivi e semplificati, provando a comparare, su di un caso di studio i risultati dei metodi che si è già detto essere adeguatamente rappresentativi delle due grandi visioni, ovvero il metodo di Lynch e l’analisi configurazionale in declinazione hilleriana. L’esperienza, condotta su di un contesto urbano di piccole dimensioni (Piedimonte Matese, ca.10.000 abitanti) – per incrementare la significatività degli inevitabili piccoli campioni e per favorire la distinzione dei contributi dei vari elementi – ha evidenziato, come ci si attendeva, una ottima capacità interpretativa dell’ASA in relazione alle categorie definite in precedenza relazionali (Nodi e Percorsi). Le

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Figura 6 – L’immagine della città di Piedimonte Matese (CE), costruita attraverso l’applicazione del metodo di Lynch.

modalità di tracciamento della quasi totalità delle mappe mentali del metodo lynchano, da parte dei soggetti coinvolti nelle interviste, hanno peraltro evidenziato la tendenza a definire lo spazio partendo proprio dai nodi e dai percorsi, ed in particolar modo da quelli che registrano alti valori configurazionali. Per le altre categorie non è stato possibile riscontrare, almeno al livello di dettaglio della scala urbana, una qualsiasi forma ricorsiva rispetto all’andamento degli indici configurazionali. Non è stato possibile notare neppure forme di alterazione/ correlazione che intuitivamente si attendeva che si verificassero, come una forma di corrispondenza tra configurazione locale ed estensione del quartiere/categoria. Da quest’esperienza è derivata la considerazione che nell’astrazione, nella comprensione e nella comunicazione dello spazio urbano tendano a prevalere gli aspetti relazionali, che si esplicitano nella conformazione degli spazi di movimento e nel quadro dei loro rapporti mutui. I soggetti intervistati, infatti, hanno tutti iniziato a sentirsi a proprio agio nell’inserire elementi che non fossero percorsi e nodi, solo una volta definita la struttura urbana degli spazi pubblici accessibili

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Figura 7 – Andamento dell’indice di integrazione nell’Angular Segment Analysis dell’area di interesse – La gamma cromatica varia in base alla luminosità: le linee più luminose hanno valori più alti dell’indice (gradiente di luminosità), ovvero, nel caso specifico, hanno maggiore probabilità di essere percorse.

(percorsi e nodi), corretta o meno rispetto alla realtà. Numerosi sono stati i casi d’errore nella costruzione della struttura spaziale, ma tutte le mappe ottenute presentano coerenza interna. Ciò confuta l’implicita ipotesi d’indistinguibilità causale dell’interiorizzazione e della figurazione ambientale proposta dal Lynch, ed anzi suggerisce la necessità di far leva essenzialmente e primariamente su di un sistema relazionale solido, non necessariamente corretto nel suo svolgimento geometrico. È possibile caratterizzare lo spazio solo quando sussiste la capacità potenziale di muoversi in esso: il principio generatore dell’esperienza urbana è la potenzialità del movimento. Questa condizione sembra essere il vero elemento di distinzione tra l’esperienza percettiva dell’ambiente di vita e quella della fruizione pittorica o fotografica. La gerarchia nell’accrescimento d’informazioni riconducibili allo spazio urbano, evidenzia come si possa pensare di staccare la matrice relazionale dall’insieme segnico. In tal senso, il proposito di ricerca della sintesi metodologica tra le due istanze trova un punto morto. La dualità metodologica si può probabilmente considerare come un percorso battibile e più fruttuoso. È in questi termini che nasce un diverso scenario di ricerca che si incentra sul problema relazionale, inteso come primo step di un approccio duale che se da un lato non intende rifiutare le forme, dall’altro le pone su di un piano diverso, stu-

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diandone soltanto gli effetti che esse lasciano sulla mappa relazionale. In tale ottica esse possono funzionalmente essere interpretate come la sofisticazione da apportare alla mappa mentale per facilitare la sua comunicazione informale, nei termini della narrazione. La scelta di studiare separatamente le due componenti presenta, inoltre, l’indubbio vantaggio di poter salvaguardare in pieno l’oggettività della matrice topologica, attraverso le caratterizzazioni proprie della ricerca nel campo delle reti. Si apre, per contro, un legittimo dubbio d’efficacia di un approccio relazionale allo studio di un fenomeno di grande valenza formale, qual è quello dello spazio urbanizzato. Per le sue dimostrate doti di efficacia nella predizione dei comportamenti umani nella fruizione dello spazio urbanizzato, Space Syntax può rappresentare un supporto fecondo, a patto che se ne riesca ad estrapolare con chiarezza il supporto teorico che la sostiene rispetto alla percezione ambientale di tutti gli aspetti spaziali della città, ovvero senza tralasciare il modo con cui s’interiorizzano le forme. Diversamente, essa non potrebbe essere altro che un modello empirico di interpretazione di ricorrenze nei fenomeni urbani. Nel seguito del lavoro si vuole proprio indagare circa questa potenzialità, con l’intento di esplicitare le basi teoriche a supporto delle evidenze ricorsive. È sulla coniugazione tra forma e funzione nell’analisi configurazionale che poggia la risposta al quesito d’apertura e che si sostanzia una proposta concettuale e di metodo originale, se non innovativa. Essa, tuttavia, non solo va verificata, ma va anche giustificata, essendo sviluppata in termini induttivi su un campione sì significativo, ma anche numericamente marginale. È con questa intenzione, e su questi presupposti, che è necessario analizzare i meccanismi profondi dell’analisi configurazionale, soprattutto per quanto attiene il rapporto tra geometria e topologia, ovvero tra layout spaziale e grafo urbano.

Note metodologiche sul modello di analisi L’applicazione operativa dell’analisi configurazionale – attraverso la tecnica dell’angular segment analysis – e dell’analisi lynchana, sulla figurabilità dello spazio urbano – attraverso l’implementazione delle indicazioni fornite dallo stesso Lynch (Lynch, 1960), è stata portata avanti mirando ad assicurare l’oggettività delle risultanze. A tal proposito, sono state seguite indicazioni metodologiche condivise dalla

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comunità scientifica, che, a beneficio di chiarezza, nel seguito si riassumono brevemente, accompagnate dai principali risultati, precedentemente discussi.

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Il metodo di Lynch Il metodo di Lynch, presentato dall’autore in uno dei suoi contributi più noti: L’immagine della Città (Lynch, 1960) si palesa come una proposta per fasi ed attori, dettagliata e suggerente i risultati attesi in caso di corretta applicazione. In termini sintetici essa può essere così descritta nella sua formulazione generale8: Step 1.a – Analisi in sopralluogo – Osservatore esperto – Sistematica copertura dell’area al fine di esplicitare le categorie percettive (nodi, margini…) qualificandole anche per forza d’immagine e vividezza (maggiore o minore). Ad ogni scelta deve corrispondere un’analisi del giudizio. L’analisi in sopralluogo descrive bene la reale figurabilità di un contesto urbano (nello studio di Lynch più dei due terzi degli elementi delle interviste d’ufficio corrisponde alle valutazioni in sopralluogo), sebbene sia fallace rispetto a due questioni: 1. la tendenza a sorvolare sugli elementi minori, di solito molto importanti nello spostamento, specialmente veicolare; 2. la tendenza a sorvolare sulle caratteristiche minori dei quartieri, che sono importanti per il prestigio sociale che trasmettono. In generale, l’analisi in sopralluogo è più efficace nell’analisi degli spazi urbani ben differenziati, in cui gli elementi di spicco sono più facilmente riconoscibili e, se corredata da un’analisi veicolare, riflette bene l’immagine pubblica complessiva dello spazio, a meno degli effetti legati al prestigio ed all’esclusività che certe localizzazioni posseggono, in ragione di una effettiva unicità della loro offerta o di un condiviso senso comune.

8 Nell’ambito della presente sezione, le citazioni, letterali e non, sono tutte desunte da (Lynch, 2006)

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Figura 8 – Sovrapposizione tra immagine della città ed ASA di Piedimonte Matese (Figura 7). Si può notare la corrispondenza tra i percorsi principali e le line a maggiore integrazione.

Step 1.b – Interviste d’ufficio – Campione rappresentativo9 della popolazione Si tratta della somministrazione di un questionario effettuata per via orale al fine di esplicitare l’immagine pubblica della città. Le interviste vengono registrate per essere analizzate in un successivo momento da soggetti esperti. Nella formulazione lynchana, per il caso studio di Boston, il set di domande è il seguente: 1. Che cosa le viene in mente anzitutto, che cosa simbolizza la parola “Boston” per Lei? Come potrebbe approssimativamente descrivere Boston sotto l’aspetto fisico? 2. Vorremmo che Lei tracciasse una rapida pianta del centro di Boston, all’interno o downtown rispetto a “Massachussetts avenue”. La tracci come se dovesse fornire ad un estraneo 9

Lynch considera rappresentativo un campione di 30 individui.

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una rapida descrizione della città, che ne contempli tutte le principali caratteristiche. Non ci attendiamo un disegno accurato – solo un rozzo schizzo. [L’intervistatore deve prendere appunti sulla sequenza in cui viene disegnata la pianta]10. 3. Suddivisa in due parti: a. Prego, mi fornisca istruzioni complete ed esplicite sul tragitto che lei compie di solito per andare al lavoro da casa sua. Immagini di compiere effettivamente tale tragitto, e descriva la sequenza delle cose che lei vedrebbe, udirebbe o fiuterebbe lungo la strada, includendo i riferimenti di percorso che sono diventati importanti per lei, e le indicazioni che sarebbero necessarie ad un estraneo per prendere le medesime decisioni che prende lei. A noi interessano le caratteristiche fisiche delle cose. Non importa se lei non riesce a ricordare i nomi di strade o di luoghi. [Insistere, ove possibile, per avere informazioni più dettagliate]. b. C’è alcuna emozione particolare che lei prova nelle varie parti del tragitto? Quanto tempo le prende? Vi sono parti del tragitto nelle quali lei si sente incerto sulla sua ubicazione? Questa domanda (3a e 3b) può essere formulata anche per altri tragitti ricorrenti 4. Ora noi desideriamo sapere quali elementi del centro di Boston lei considera maggiormente distintivi. Possono essere grandi o piccoli, ma mi dica quali sono per lei i più facili da individuare e ricordare. [Per due o tre degli elementi citati l’intervistatore procede con la domanda 5] 5. Si suddivide in tre sotto-domande: a. Vorrebbe descrivermi…? Se la conducessero la ad occhi bendati, quando le togliessero la benda, di quali indizi lei si servirebbe per identificare con certezza il posto in cui si trova? b. C’è alcuna particolare emozione che lei prova guardando a …? c. Vorrebbe indicarmi sulla sua pianta dove si trova…? (e, se applicabile) Dove sono i suoi confini? 10 Nelle parentesi quadre vengono riportate indicazioni operative per i diversi attori del metodo, così come descritte dall’autore.

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6. Vorrebbe mostrarmi sulla pianta la direzione del Nord? 7. Ora l’intervista è finita, ma sarebbe utile poter aver giusto qualche minuto di libera conversazione: a. Che cosa pensa che noi stiamo cercando di appurare? b. Che importanza hanno per la gente l’orientamento ed il riconoscimento di elementi della città? c. Prova alcun piacere nel sapere dove si trova e dove sta andando? O, in caso contrario, alcun dispiacere? d. Le pare che Boston sia una città facile per trovarvi la strada, o per identificarne le parti? e. Quale città di sua conoscenza offre un buon orientamento? Perché? A valle della somministrazione del questionario, per un campione limitato di soggetti, va mostrato un mazzo di fotografie scelte in modo da coprire sistematicamente l’intera zona, ma consegnate in ordine casuale e frammiste di immagini di altri contesti. Va richiesto ai soggetti di classificare in qualunque modo essi preferiscano le fotografie, identificandole ed esplicitando quali elementi prendano in considerazione per farlo. Va poi chiesto di disporle su di un tavolo come a comporre una pianta della città. Gli stessi soggetti vanno in ultima istanza portati sul posto per compiere uno dei loro tragitti immaginari. L’intervista in ufficio approssima sommariamente l’immagine pubblica della città, sebbene essa per ovvie ragioni risente della composizione e della rappresentatività del campione della popolazione individuato (ristretto a soli 30 elementi). Step 2 – Raffronto tra interviste ed analisi – Operatori esperti Il raffronto tra i risultati dell’intervista e dell’analisi in sopralluogo serve a mettere in evidenza il grado di corrispondenza tra l’immagine pubblica e le qualità della forma visiva del contesto di studio. La problematica dell’esiguità del campione, con cui il metodo precedente può essere ragionevolmente applicato in ragione della sua complessità, ha spinto Lynch a mettere a punto una metodologia semplificata, più snella, volta ad ampliare il numero dei soggetti coinvolti, ovvero a maggiorare la rappresentatività del campione della popolazione. Tale metodo, noto come Metodo semplificato, sebbene proposto non è stato mai validato con applicazioni, nemmeno dal suo stesso ideatore. Esso è così formato:

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a. Disegnare una rapida pianta dell’area di studio, mostrando le caratteristiche più interessanti ed importanti, e in modo da fornire ad un estraneo sufficienti informazioni per circolarvi senza troppe difficoltà. b. Tracciare un simile schizzo della strada e degli eventi lungo uno o due itinerari immaginari, scelti in modo da coprire l’area in lunghezza e larghezza. c. Scrivere un elenco delle parti della città avvertite come più distintive, dopo che l’esaminatore abbia illustrato il significato di “parti” e “distintività”. d. Rispondere per iscritto ad alcune domande del tipo: “dove è situato…?”. e. Rispondere alla domanda “quale elemento del paesaggio simbolizza e localizza meglio degli altri la sua città?”. Esame di ricorrenza delle citazioni: 1. elementi 2. connessioni 3. sequenza di disegno 4. vividezza degli elementi 5. senso di struttura 6. immagine aggregata Dall’insieme dell’analisi in sopralluogo e dei risultati dell’intervista è possibile evidenziare i punti critici ed individuare sistemi richiedenti particolare attenzione. Interviste a campione ridotto per l’analisi dei punti critici. Illustrazione del significato di “parti”: 1. margini 2. nodi 3. riferimenti 4. percorsi 5. quartieri Per il caso di studio, si è provveduto ad una personalizzazione dei contenuti del Metodo nella sua formulazione più ampia, principalmente in ragione della possibilità di beneficiare della discussione dei risultati, mancante, come si diceva, per il metodo semplificato. Il questionario somministrato è stato adattato individuando 2 percorsi di riferimento oltre a quello casa-lavoro, per favorire l’attraversamento

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Metodi e tecniche per l’analisi della città e del paesaggio urbano  67

trasversale del centro abitato in relazione a riferimenti di generale riconoscimento. Sono stati coinvolti nell’intervista 30 soggetti (numerosità lynchana) escludendo dal campione, come suggerito nel metodo stesso, gli operatori tecnici nei settori professionali in cui si opera su base cartografica. Le interviste sono state registrate e catalogate su supporto digitale, i disegni delle mappe sono invece conservati in formato cartaceo. Il risultato dell’analisi è sintetizzato dalla mappa dell’immagine pubblica della città, di cui alla Figura 6.

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L’Angular Segment Analysis (ASA) La costruzione dell’ASA di Piedimonte Matese ha seguito le fasi canoniche descritte in letteratura, per come introdotte in precedenza 1. In termini sintetici e schematici11, il processo di applicazione è partito dalla costruzione dell’axial map per poi procedere con la sua frammentazione e ripulitura, finalizzata all’ottenimento della segment map. Da quest’ultima mappa è stato desunto il grafo duale su cui si è proceduto al calcolo degli indici configurazionali, grazie ai quali sono state redatte mappe tematiche, di cui la Figura 7 è un esempio. L’intero processo è stato portato avanti con ricorso al software UCL DepthMap X (Varoudis, 2012), con l’eccezione della creazione delle mappe tematiche, realizzate in ambiente GIS (ESRI, 2012). L’esiguità dimensionale dell’ambito di studio ha reso relativamente agevole sia il tracciamento della griglia degli spazi pubblici, sia la successiva caratterizzazione per linee ed il relativo calcolo degli indici configurazionali. I principali risultati, in forma grafica, sono sintetizzati nelle immagini seguenti.

11

Ulteriori informazioni e maggiori dettagli in termini metodologici saranno di volta in volta riportati nei successivi capitoli, in relazione alle diverse applicazioni presentate nel testo.

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Figura 9 – Mappa degli spazi aperti dell’area di studio. In trasparenza, è visibile uno stralcio cartografico della stessa area.

Figura 10 – Ingrandimento della Figura 9.

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Figura 11 – Distribuzione dell’indice di integrazione globale (vedi Figura 7).

Figura 12 – Distribuzione dell’indice di scelta globale (Gradiente di luminosità).

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Capitolo 3 Leggere ed interpretare il paesaggio urbano

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Topologia e paesaggio urbano La discussione critica sull’adeguatezza e sui limiti di Space Syntax quale strumento di lettura, interpretazione e “valutazione” del paesaggio, non può prescindere da una discussione inerente alle modalità e alle motivazioni che le permettono di interfacciarsi con lo spazio urbano. Ad un’analisi anche solo superficiale infatti, emerge l’interrogativo su come possa un approccio essenzialmente topologico, ovvero basato sulla riduzione dello spazio ad un grafo e sulla sua successiva analisi, essere affidabile nel valutare la percezione di uno spazio materiale e misurabile. Di fatto si pone un problema di conciliabilità tra un’entità sentita come essenzialmente geometrica, lo spazio urbano, ed una sua lettura essenzialmente relazionale, attraverso le mappe e gli indici configurazionali. Parlando di paesaggio, per dipiù, le qualità multidimensionali dello spazio, nei termini delle superfici e dei volumi, assumono una primarietà che appare indiscutibile, e che è stata così finora considerata, spingendo la ricerca verso la bipartizione, evidenziata in precedenza, tra lo studio del territorio e delle sue forme e lo studio dei fenomeni antropici in esso, ovvero tra forma e funzione. Rispondere in maniera completa e convincente a questo interrogativo significa rispondere di fatto ad un diverso quesito: perché Space Syntax funziona quando sembra logico che essa non debba funzionare? Ovvero, in altri termini, quanta geometria c’è in un grafo urbano? Quanta ce ne deve essere affinché studiando la topologia che esprime la si tenga in debito conto? Il rapporto tra geometria e topologia si sostanzia come un problema del tipo ordinamento – struttura. Nella città coesistono, infatti, un ordine geometrico ed una struttura non geometrica (Hanson, 1989). Il primo è palese, in ragione del fatto che elementi che presentano geo-

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Figura 13 – Opzioni algoritmiche per il tracciamento delle linee visuali (lines).

metrie simili sono messi in rapporto simile tra di loro e ciò permette di coglierne attraverso l’occhio la tessitura globale. Il secondo è di più difficile comprensione, nella misura in cui le relazioni tra gli spazi si presentano nella loro evidenza nel susseguirsi delle esperienze locali e non sono, quindi, gestibili per similarità nel quadro globale. Ad ogni modo, esso viene verificato ogni giorno negli spostamenti e nell’uso comune degli spazi. La tensione tra ordinamento e struttura, ovvero tra esperienza della città come elemento globale ed esperienza della città come trama relazionale locale, caratterizza il rapporto tra geometria e topologia degli spazi urbani. Esistono chiare corrispondenze tra questi due mondi. Il primo si può ben considerare un fenomeno ricorrente negli studi di Space Syntax. Le axial maps, come già accennato in precedenza, rappresentano un insieme di lines costruite algoritmicamente come prolungamenti delle linee congiungenti i vertici dei blocchi inseriti nello spazio urbano, fino alla loro intersezione con un altro blocco alle rispettive estremità. Le lines così costruite intersecano necessariamente almeno un’altra line del sistema, in virtù di quella che in precedenza è stata chiamata relazione di appartenenza. Se si procede alla misurazione degli angoli di incidenza, si scopre che gran parte di essi è prossimo ai 90°, in un intorno di 15°, oppure molto ottuso – 180° ± 15°. Più raramente le intersezioni formano angoli prossimi a 45°. In definitiva, la quasi totalità degli angoli è concentrata in poco più di un terzo delle possibili ampiezze disponibili. Questa ricorrenza è molto improbabile che si verifichi per pura casualità; è probabile che sia in atto un fenomeno. Rimanendo nel campo delle correlazioni geometriche, se si procede alla misurazione della lunghezza delle lines e se ne correla il valore con l’ampiezza angolare vista in precedenza, si può notare un’ulteriore ricorrenza. Agli angoli ottusi sono generalmente associate lines incidenti più lunghe, mentre a quelli prossimi ad essere retti, le lines risultano più corte. In termini crudamente statistici ciò equivale a dire che più una line è lunga più è alta la probabilità che si intersechi con la successiva e la precedente con un angolo d’incidenza ottuso. Viceversa,

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Leggere ed interpretare il paesaggio urbano  73

più una line è corta, più è probabile che incida a 90° con le lines di testa e di coda. Succede inoltre, ed è un fenomeno interessante, che le lines che incidono tra di loro a 45° hanno mediamente una lunghezza compresa tra quelle che incidono con angoli ottusi e quelle che incidono con angoli retti. In definitiva, la relazione tra ampiezza angolare d’incidenza e lunghezza delle lines tende a clusterizzare lo spazio. La sussistenza di un fenomeno ricorsivo così robusto invita a fare considerazioni sulle modalità di fruizione dello spazio urbano. La tendenza a poter prevedere la lunghezza e l’incidenza angolare della successiva line in funzione della lunghezza di quella precedente, suggerisce che il movimento nello spazio urbano possa essere inteso come un processo stocastico markoviano. In processi di questo tipo, infatti, la probabilità di transizione che determina il passaggio ad uno stato di sistema dipende unicamente dallo stato di sistema immediatamente precedente (proprietà di Markov) e non dal come si è giunti a tale stato. Ciò significa che se un osservatore sta percorrendo una strada lunga può essere pressoché certo che la successiva sia lunga altrettanto. Il processo di Markov è la chiave di lettura che aiuta ad intuire, ed in una certa misura a capire, come è conformato lo spazio urbano in cui ci si sta muovendo. Tale fenomeno è riscontrabile in città di ogni forma e dimensione, sebbene il rapporto tra angoli e lunghezze non sia un’invariante, ma dipenda da una serie di fattori dipendenti da una lunga serie di variabili culturali, temporali e morfologiche. L’intuizione predittiva è il generale meccanismo di costruzione dell’ordine geometrico della città. Del resto, che la città sia un’entità vissuta e intesa dai fruitori in maniera assolutamente geometrica è evidente in molti aspetti. Uno di quelli più eclatanti è l’importanza che la geometria riveste nel modo in cui ogni conoscitore di un determinato spazio urbanizzato fornisce indicazioni direzionali in esso ad un soggetto non conoscitore dello stesso spazio. È ovvio che non si possono dare le stesse indicazioni per tutti gli spazi, ma che esse debbano essere fortemente ancorate alla natura dei luoghi, per essere efficaci. Ciò significa che non si danno mai indicazioni puramente relazionali, ma che si cerca sempre di fare leva sull’intuibilità geometrica dell’interlocutore. Non è un caso che alcune situazioni spaziali tendano ad essere considerate continuative, come per le intersezioni ottuse, mentre altre fortemente variative, come per le intersezioni pseudo-rettangole. Questa tendenza, che si può definire di semplificazione kantiana e invita a super-geometrizzare gli angoli retti e a sotto-geometrizzare gli angoli

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ottusi, trova giustificazione nel fatto che il processo di trasferimento di dati di navigazione fa leva sulla conoscenza allocentrica che l’uomo ha delle mappe. Esse, per poter essere utilizzate, necessitano di una conoscenza globale, quantomeno di un certo intorno. La conoscenza globale, a sua volta, fa leva sul concetto di intuitività e di conseguenza su quello di geometria. Si pensa alla città in maniera globale e per farlo bisogna ricorrere all’ordinamento geometrico. L’assecondamento di questa naturale tendenza, evidente perché da tutti sperimentato nell’esperienza quotidiana, dimostra l’esistenza di un pervasivo grado di geometrizzazione della struttura dello spazio urbano. Spostandoci sul versante relazionale, lo studio degli integration cores1 di grandi e piccole città asiatiche, europee e statunitensi ha mostrato la tendenza a combinare due distinti elementi: la presenza di sequenze ottusangole dal centro del core verso l’esterno e la presenza di una struttura pseudo-regolare a maglie nel centro del core, spesso caratterizzata dalla riduzione della dimensione dei blocchi edificati. Il primo fenomeno è quello che porta alla formazione di percorsi radiali, il secondo a quello di strutture pseudo-ortogonali centrali. Entrambi, sia chiaro, presenti tanto nelle città pianificate – e quindi ritenute geometrizzate e regolari – quanto in quelle organiche. In definitiva, emerge una proprietà quasi-invariante della città: la griglia orto-radiale. È interessante notare come nell’analisi topologica (si stanno analizzando gli integration cores) si ritrovino con chiarezza e ricorrenza i due concetti che più degli altri hanno animato la fantasia degli urbanisti, in tempi anche molto distanti fra loro, e che si ritrovano alla base anche delle cosiddette città ideali, costituite di pura geometria: la radialità e la ortogonalità. Nel seguito se ne capirà la profonda motivazione. L’ordine che si ritiene comunemente frutto dell’elaborazione razionale dell’uomo è sorprendentemente una proprietà insita anche nella struttura casuale della città non pianificata, rintracciabile attraverso un’indagine topologica. 1 In ambito Space Syntax si definisce integration core l’insieme delle lines che presentano i valori di integration più alti della mappa. Generalmente, ma non è un criterio assoluto, si considerano appartenenti al core solo le lines appartenenti all’80-esimo o, al più, al 90-esimo percentile, a seconda dell’uso che se ne deve fare o dei fenomeni che vogliono essere evidenziati. Un ampliamento del core è generalmente impraticabile, in ragione di una eccessiva diluizione dei fenomeni, viceversa non è molto praticato nemmeno il suo restringimento, in quanto può provocare una eccessiva frammentazione della mappa risultante.

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Figura 14 – Palmanova (a sinistra) e Ferrara (a destra): due città dalla forma ideale che esaltano i concetti estetici di radialità ed ortogonalità.

Rimanendo nell’ambito topologico della Space Syntax, è possibile porre l’attenzione sulla dinamica evolutiva dello spazio urbano. La misura degli indici configurazionali, ed in particolar modo della profondità, dell’integrazione e della scelta, rappresenta la quantificazione del potenziale di movimento che la griglia in quanto tale tende a generare: il cosiddetto movimento naturale. A tale potenziale tende a corrispondere la scelta di alcune attività – quelle che dipendono dal movimento – di posizionarsi coerentemente con la loro crescita, ovvero di posizionarsi dove il potenziale insito nello spazio è più elevato. Ciò a sua volta genera fenomeni attrattivi secondari, in quanto a queste nuove localizzazioni corrisponde la generazione di una nuova aliquota di movimento che attira altre attività. Questo circolo virtuoso tende a rimanere in piedi fino alla saturazione delle potenzialità del sistema. Il fenomeno è essenziale, ma al tempo stesso complesso e retroattivo, nonché fortemente differito nel tempo. Evidenzia come il funzionamento della città sia essenzialmente topologico e come tale sia anche la sua dinamica evolutiva. In accordo con quanto affermato in precedenza si può dire che la città si pensa geometricamente attraverso il ricorso all’intuizione, ma funziona topologicamente. L’insieme di queste evidenze, ad ogni modo, per quanto interessante non risolve l’interrogativo posto alla base di queste considerazioni. Rimane ancora da comprendere come effettivamente un metodo topologico possa funzionare in termini predittivi, se la predizione stessa è un fenomeno essenzialmente geometrico. Per muoverci in questa direzione è necessario focalizzare l’attenzione sui grafi in quanto tali. La comparazione tra due grafi sintatticamente uguali è

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ricca di difficoltà se la loro geometria è fortemente differente. Ciò è dovuto alla naturale tendenza, già in precedenza descritta, di intuire la globalità attraverso il ricorso alla geometria. In sostanza, si trova difficoltà nel fare il paragone sopra enunciato perché si tenta di farlo in base alla virtuale sovrapposizione dei nodi nella loro globalità, ovvero tutti insieme e nello stesso momento. Differentemente, se si accetta di procedere per via analitica, si approda al risultato voluto senza dubbi, ma al prezzo di una dispendiosa successione di fasi ripetitive. Si ci trova ancora una volta di fronte al dualismo tra l’ordine e la struttura, ovvero tra il sincretismo e il proceduralismo. Il grafo in quanto tale non possiede struttura geometrica, per definizione, e per questo è imperscrutabile e non predicibile. Per comprendere gli effetti di una modificazione su di esso bisogna necessariamente procedere ad uno studio analitico. I grafi non sono in grado di sopportare il peso dell’ordinamento geometrico. Ciò significa che la fattispecie grazie alla quale Space Syntax riesce a descrivere lo spazio urbano partendo da una sua riduzione in grafo non è una proprietà del grafo in sé, ma è dovuto ad una forma di interazione non esplicita tra geometria e topologia. Un’analisi specifica di tale interazione può essere approcciata facendo riferimento alla teoria del partizionamento (Hillier B. , 1996b). Essa si basa sulla tassellazione regolare quadrata del piano cartesiano. Ricorrendo alla semplice misura della profondità è possibile estrapolare alcune ricorrenze che rendono predicibili alcuni effetti in termini di integrazione/segregazione dei tasselli. Nello specifico, tali effetti sono riconducibili ai concetti di centralità, estensione, contiguità e linearità. A parità di superfici si verifica che: –

il posizionamento di blocchi compatti alle estremità del piano è meno segregativo di quello di blocchi lineari; – il posizionamento di blocchi compatti all’estremità del piano è meno segregativo di quello di blocchi compatti al centro; – il posizionamento di blocchi lineari al centro del piano è meno segregativo di quello di blocchi lineari all’estremità del piano; – i fenomeni precedenti si invertono se al posto dei blocchi si posizionano dei vuoti.

Ulteriori ricorrenze riguardano specificamente i concetti di estensione e contiguità:

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– la segregazione aumenta all’aumentare della dimensione dei blocchi;

Figura 15 – Tassellazione regolare del piano.



la segregazione aumenta all’aumentare delle discontinuità fra blocchi di uguale estensione.

Figura 16 – Rapporto tra posizione dei blocchi e variazione dell’indice di integrazione globale: procedendo dal quadrante 1 al 4 i valori della profondità totale aumentano (96 – 128 – 184 – 420), sancendo il relativo decremento dell’integrazione.

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Figura 17 – Rapporto tra morfologia dei blocchi e integrazione globale: l’estensione (1) causa la diminuzione del valore dell’indice rispetto alla configurazione iniziale (2).

Figura 18 – Rapporto tra morfologia dei blocchi e integrazione globale: la diminuzione di continuità (2) causa l’aumento del valore dell’indice rispetto alla configurazione iniziale (1).

Le ricorrenze mostrate dal modello di partizionamento rendono in una certa misura il grafo predicibile. Ciò è dovuto esclusivamente a come la tassellazione è costruita. Essendo essa regolare e quadrata, alla profondità corrisponde la distanza euclidea tra i tasselli, ovvero alla profondità totale corrisponde un nuovo tipo di distanza: la distanza universale, distanza di un elemento da tutti gli altri del sistema. Ciò introduce per la prima volta nel discorso l’importanza della non-località quale punto di contatto tra geometria e topologia. Questa fattispecie si chiarirà meglio in seguito, per ora si consideri che il modello di

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partizionamento funziona sia sotto il profilo strutturale che di quello dell’ordinamento, grazie all’introduzione di una proprietà non-locale nel grafo. Esso funziona, in altri termini, non per la topologia che esprime in sé, ma per la topologia espressa da una certa geometria. Ciò ha per effetto che il disordinato universo grafico diventa compatibile con la geometrica legge d’intuitività. Il meccanismo mostrato per la tassellazione può essere esteso al caso delle axial lines. Esse, infatti, nella loro formulazione algoritmica, dipendono esclusivamente dai vertici dei blocchi presenti nella mappa, in ragione di quanto in precedenza detto per ciò che riguarda il loro tracciamento. Al variare del numero dei blocchi varia quello delle lines, nonché la loro struttura relazionale. Il grafo delle axial lines porta in sé un grado di geometria sufficiente per essere intuito ed è proprio su questo aspetto che si basa l’effettiva funzionalità di Space Syntax. Il grafo associato alla restituzione degli spazi urbani sotto forma di una matrice di linee (Axial Map) è reso predicibile grazie al concetto di distanza universale ed in ragione del sufficiente grado di geometria che pervade gli spazi urbani.

Figura 19 – Variazione del numero delle lines in funzione del numero dei vertici: l’immagine 2 rappresenta un sistema a 12 lines, l’immagine 1 un sistema a 16 lines. La variazione è dovuta alla bipartizione del blocco centrale superiore, con la conseguente creazione di due nuovi vertici.

Nell’esplicitazione del rapporto di interazione tra topologia e geometria riveste un importante ruolo il movimento negli spazi urbani. Esso si connota per essere sempre tendenzialmente lineare. Ciò è testimoniato dal generale allineamento dei blocchi di edifici, inteso evidentemente a favorirlo in questa sua caratteristica. Desta meraviglia, in relazione a tali evidenze, come una certa parte della ricerca del XX

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secolo si sia indirizzata verso la cardinalità degli spazi confinati, quali le enclosures o le piazze, individuandoli come il vero motore della fruizione e della formazione dello spazio urbanizzato. Sembra ovvio che il movimento negli spazi aperti in ambito urbano sia lineare; ed in effetti così è, per grande evidenza (Hillier B. , 1999b). Il tema dell’efficienza, rispetto a quest’interpretazione dello spostamento nello spazio urbano, concerne un problema di minimizzazione della lunghezza del percorso. Esso è talmente pervasivo nel governo dell’esperienza urbana che ne governa l’evoluzione degli spazi, sebbene vada dinoccolato in due componenti relative alle diverse tipologie di spostamento, cui corrispondono altrettante strutture urbane. Nelle aree urbane ci si può muovere essenzialmente in due modi: dall’estremità verso il centro (ed ovviamente al contrario), ovvero da una determinata origine ad una determinata destinazione; oppure all’interno della griglia dei percorsi possibili in un tessuto insediativo, senza una precisa destinazione. Nei due casi l’efficienza assume caratteri diversi. Nel primo, infatti, c’è la necessità di una efficienza specifica, ovvero legata al minimo percorso tra quella specifica origine e quella specifica destinazione. Nel secondo, invece, l’efficienza che si persegue è di tipo globale, ovvero legata ad ogni possibile origine ed ogni possibile destinazione. Nella prima fattispecie, trattandosi essenzialmente di un problema di posizione, ovvero di minimizzazione della distanza tra una coppia di punti (tante coppie quanti sono i punti esterni da cui ci si muove verso il centro), si crea naturalmente una struttura di tipo lineare, con strade lunghe ed angoli di incidenza tra di esse ampi: nell’insieme di tutti gli spostamenti si genera una maglia di tipo radiale. Nella seconda, per contro, ciò che va ottimizzato non è la distanza per coppie di punti, ma la distanza di ogni punto da tutti gli altri: la distanza universale. Applicando a questo problema il modello di partizionamento per la localizzazione di blocchi costruiti, si ottiene come risultato una disposizione a scacchiera. Essa rappresenta, al negativo, una maglia ortogonale dei percorsi. Si ritrovano, in tal maniera, i due paradigmi del disegno urbano, già reperiti in precedenza partendo dall’evidenza geometrica. In questo caso essi sono emersi non per come sono, ma per come funzionano; ciò significa che non è la geometria di questi spazi che li rende adatti, e quindi appetibili, per i relativi tipi dello spostamento, ma la loro topologia. Non è importante l’ortogonalità o la radialità in sé, ma la topologia che ne deriva. Queste considerazioni evidenziano come geometria e topologia interagiscono nel rapporto percezione/fruizione degli spazi, quali

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Figura 20 – Anello topologico indotto da intersezioni pseudo-rettangole e relativo grafo.

aspetti complementari ed inscindibili. Va ad ogni modo ancora meglio precisato in che modo la geometria entri nei grafi, anche complessi. L’internalizzazione delle proprietà geometriche può essere analizzata singolarmente. Innanzitutto c’è la lunghezza delle lines. Essa non può essere introdotta come attributo dei nodi del grafo, in quanto si è visto in precedenza come il grafo stesso non sia in grado di sopportare il peso delle informazioni geometriche utili a far leva sul principio di intuitività. Essa è quindi presente in una maniera diversa, che si basa sul principio di non-località. Grazie alla irregolarità delle lines gli effetti indotti dalla lunghezza sul piano geometrico si ritrovano su quello topologico. L’irregolarità va intesa nel senso complessivo, quale proprietà globale del grafo, ovvero nel senso di diversità intrinseca al grafo quale sistema. In altri termini, la lunghezza di ogni line non permea il supporto topologico come una proprietà nodale, ma in modo esattamente inverso, come una proprietà complessiva, ovvero della configurazione del grafo. La geometria comporta effetti topologici leggibili solo nella scala non-locale, ma evidenti, individuabili e sfruttabili per la comprensione del grafo. Allo stesso modo entra nel grafo la componente angolare. Le intersezioni angolari prossime all’angolo retto hanno un’alta probabilità di formare anelli topologici in pochi steps. Ciò significa che, in accordo con la dinamica markoviana descritta in precedenza, è generalmente ricorrente in maglie ortogonali la formazione di strutture circolari, che hanno una specifica natura topologica. Allo stesso modo, ma con risultati inversi, le intersezioni ottusangole tendono a rifuggire dalla formazione di piccoli anelli, portando alla formazione di strutture teniali che tendono ad allontanarsi dalla line di

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Figura 21 – Struttura teniale indotta da intersezioni ottusangole e relativo grafo.

partenza, inducendo anche in questo caso precisi effetti topologici sul sistema globale (Hillier B. , 2002; Carvalho & Penn, 2004). In definitiva, tutti i fenomeni intuibili geometricamente si ritrovano leggibili analiticamente nel grafo, grazie alla connettività di ogni line. I fenomeni descritti sono riscontrabili anche per situazioni più complesse. Se si considera una maglia ortogonale e se ne costruisce il grafo in forma bipartita, nonché si introduce successivamente in esso una piccola anomalia, gli effetti topologici possono essere addirittura più marcati di quelli geometrici, con ciò che ne deriva sugli aspetti funzionali. L’internalizzazione dell’ordine geometrico nella struttura topologica grafica comporta la naturale internalizzazione anche delle considerazioni fatte in relaziona al movimento ed alla relativa distribuzione dell’attrattività spaziale. Le misure topologiche proprie dell’approccio Space Syntax, permettono in tal senso di caratterizzare in maniera molto precisa l’attrattività potenziale degli spazi urbani, sebbene essa sia registrata in maniera più diluita di quanto appaia nella realtà. I risultati di un’analisi della sintassi spaziale tralasciano necessariamente le agglomerazioni di origini e destinazioni di particolare forza ed evidenza. Questa fattispecie rappresenta sicuramente un limite dell’approccio, nella misura in cui è necessario distinguere il fenomeno in atto dalla naturale potenzialità degli spazi. Va però considerato che i fenomeni agglomerativi sono sempre l’effetto dell’essenziale dinamica di evoluzione dello spazio urbanizzato vista in precedenza, su cui l’attrattività si è moltiplicata per effetti secondari. Ciò significa che, sebbene con le dovute cautele, la Space Syntax è in grado di individuare

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Figura 22 – Effetti topologici indotti, su di una maglia ortogonale, da un’anomalia che a livello geometrico appare poco rilevante. A destra sono rappresentati i relativi grafi.

gli ambiti di particolare forza attrattiva in ragione della loro naturale tendenza a rivestire tale ruolo, necessariamente sempre presente. Questa affermazione, oltre che conseguenza logica del discorso portato avanti, trova solidi riferimenti nella ricerca scientifica che si dedica da anni a tali tematiche (Vaughan, 2007). Per quanto si è detto, è ormai in una certa misura chiaro il meccanismo di internalizzazione della geometria all’interno della maglia relazionale. Resta in ombra, invece, un ulteriore aspetto che istintivamente ci si attende di dover trovare in un modello d’interpretazione del paesaggio: il contenuto formale degli elementi che popolano lo spazio urbano – la consistenza dell’edificato – e la morfologia del territorio

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che li supporta. La terza dimensione dello spazio urbano distingue la pratica mappale dalla sua reale consistenza. Sebbene si sia precedentemente chiarito che l’approccio configurazionale ha una qualche probabilità di successo proprio in ragione della semplificazione dello spazio e della rinuncia allo studio delle forme, è indubbio che esse entrino nel gioco relazionale. Per dare soddisfazione a questa istanza e rafforzare l’idea dell’idoneità paesaggistica di Space Syntax si può cercare di darne conto al di là del ridursi a considerazioni qualitative. Per quanto riguarda la morfologia del territorio, essa è indubbiamente uno dei fattori più caratterizzanti lo spazio urbano. L’alternanza di salite e discese, o il distendersi di elementi pianeggianti, influiscono in maniera determinante sulla formazione dei tessuti urbani e sulla loro caratterizzazione e fruizione. L’approccio sintattico è in grado, però, di collezionare solo informazioni bidimensionali2. L’interrogativo che si pone è quindi legato a se e come gli effetti morfologici lasciano traccia sul piano e quindi se e come possono essere interpretati in termini bidimensionali. La risposta è duplice e riguarda due questioni distinte. Una concerne l’influenza della morfologia territoriale sulla formazione dei tessuti urbani. In tal caso, è ovvio un rapporto causale: la variazione della quota e della pendenza, ovvero dell’orografia, influenzano la disposizione degli edifici e ciò è avvertibile anche nella mappa bidimensionale, in quanto è una caratteristica conformativa del tessuto urbano. La mappa si rapporta con questa fattispecie con grande chiarezza, in quanto al crescere delle discontinuità orografiche tendono a manifestarsi strutture caratteristiche, quali i cul de sac o, nel caso di discontinuità molto marcate, strutture teniali corrispondenti all’andamento dei tornanti. In sintesi, se non è ravvisabile in mappa una evidente segnalazione, il fenomeno orografico non raggiunge una soglia di incidenza tale da poter essere considerato come una componente influente sulla dinamica degli insediamenti. Diverso è il caso, e siamo alla seconda questione, dell’incidenza dell’orografia sulla visibilità dei fruitori. È indubbio il fatto che una variazione della pendenza e della quota incidano in maniera più o meno determinante su quanto e come è possibile vedere lo spazio urbano. Su 2

Si vedrà in seguito come la rinuncia all’internalizzazione di informazioni sulla terza dimensione, nel modello spaziale delle tecniche riconducibili all’approccio configurazionale, non sia dovuta ad un problema tecnico o concettuale, ma ad una precisa scelta modellistica.

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come ciò incida sui meccanismi di percezione ambientale, però, non c’è una linea di pensiero chiara, mentre è di più ampio dibattito l’interrogativo su come abbia effetti sulle misure configurazionali. La più interessante ed innovativa sperimentazione in tal senso si basa sul ricorso ad un modello digitale del terreno raster (DTM) ed alla introduzione di marcatori puntuali nei punti di variazione della pendenza. Attraverso tale tecnica è possibile effettuare misure configurazionali che tengono in conto l’effetto visuale della terza dimensione, comparabili con le tradizionali misure bidimensionali. L’analisi dei casi di studio dove essa è stata già applicata, tutti pubblicati in letteratura, ha evidenziato alcuni aspetti importanti. Effettivamente ci sono variazioni delle misure, che tendono a renderle più performanti ed aderenti alla reale distribuzione delle attività sul territorio. Tali variazioni, però, sono sempre di modesta entità: «The three-dimensional extension of Ma.P.P.A. (ndr. è il nome dato alla tecnica) provides results that appear so brilliant as to slightly improve those of the existing tecniques» (Rabino & Cutini, 2012). L’incremento del costo di computazione, per contro, è piuttosto rilevante: «[…] some limits of the new approach are worth mentioning, especially regarding the increase of computational burden it involves, which in some cases can be considered exorbitant with respect to the slight improvement of the outcome» (Buffoni, Cutini, & Petri, 2012). In definitiva, l’influenza della terza dimensione sulle misure configurazionali non appare per ora commisurata né all’incremento del costo computazionale né al miglioramento della qualità assoluta dei dati di output. Per quanto si possa certamente affermare che il futuro sviluppo delle tecniche configurazionali vada nella direzione di tenere in conto l’orografia degli spazi urbani, non è ancora pensabile di considerarla un aspetto determinante della questione, almeno nei termini modellistici. Coerentemente con la posizione assunta rispetto alle capacità interpretative di Space Syntax, ciò significa che la morfologia influisce marginalmente sulla costruzione dell’immagine dello spazio urbano, ovvero sui meccanismi percettivi che ne governano la fruizione e la dinamica evolutiva. Il tema della terza dimensione non si esaurisce su quest’aspetto. Le consistenze volumetriche e formali degli edifici sono, infatti, cosa ben diversa dalla morfologia territoriale. L’altezza dei manufatti edilizi, in particolare, è intuitivamente considerata una delle principali variabili tra il novero di quelle che hanno influenza sull’uso e sulla interpretazione dello spazio urbano. L’assenza dell’altezza, oltre che della terza dimensione in generale, è stata fin dalla prima diffusione delle

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tecniche configurazionali una delle principali obiezioni che le sono state mosse. Partendo dal presupposto che non v’è dubbio di una loro certa influenza nell’interpretazione dello spazio, è possibile cercare di definirne l’importanza. È preventivamente necessario richiamare uno degli assunti alla base di questo lavoro: la percezione dello spazio è la condizione necessaria e sufficiente per la sua interpretazione. Quest’ultima, a sua volta, ne governa l’uso e, come si è discusso in precedenza, ne sancisce la dinamica evolutiva. In tal senso, il movimento è considerabile come un parametro di verifica degli effetti che gli spazi hanno sulla percezione e, di conseguenza, la predizione delle potenzialità degli spazi di generare movimento diventa una misura delle capacità d’influenza percettiva che gli stesi spazi posseggono. Nel merito dell’altezza dell’edificato, essa non rappresenta un elemento problematico in sé per la Space Syntax. Ciò significa che non sarebbe un ostacolo tenerla all’interno del modello spaziale. Tuttavia, l’aggiunta nel modello di elementi appartenenti al mondo dei segni, ovvero delle forme, avrebbe senza dubbio un effetto offuscante sulle capacità d’interpretazione proprie dell’approccio configurazionale. Delle altezze si può tener conto compiutamente nel modello di regressione, ovvero nel modello di correlazione tra le misure sintattiche, le altre variabili urbane ed i fenomeni in atto. In questo quadro si incentrano interessanti lavori, soprattutto della fine degli anni ’903. La comparazione tra spostamento pedonale, misure configurazionali ed una serie di variabili metriche, tra cui l’ampiezza delle strade e l’altezza degli edifici, ha evidenziato come nessuno degli aspetti metrici fosse correlato allo spostamento pedonale in maniera comparabile con quanto lo fossero le variabili configurazionali. Ciò conferma che l’influenza degli aspetti metrici, e in particolare dell’altezza dei manufatti, è secondaria nella fruizione dello spazio rispetto a quella della griglia spaziale: «axial maps may work because they capture key properties of urban complexity in a simple way. These properties include not only that both urban space and movement are essentially linear phenomena, but also perhaps that linearity is the key aspect of the way in which we cognise urban space.» (Hillier B. , 2004) In definitiva è possibile affermare che Space Syntax rappresenta uno strumento di interpretazione topologica dello spazio urbano che, nella consapevolezza della presenza nel grafo di informazioni sull’or3

Segnatamente (Penn, Hillier, Banister, & Xu, 1998)

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dinamento geometrico di scala non-locale, mette insieme gli aspetti funzionali dello spazio con quelli intuitivi e di figurazione dello stesso. Permette, in altri termini, di coniugare l’esperienza locale nello spazio, di tipo essenzialmente topologico e sequenziale, e l’astrazione che di esso se ne ha a livello globale o mappale, di tipo geometrico, indispensabile per risolvere i problemi di navigazione. Space Syntax descrive analiticamente ciò che chi fruisce gli spazi urbani percepisce facendo leva sulla sua intuitività geometrica. Essa va anche oltre, superando un ruolo induttivo: suggerisce che la chiave di lettura dello spazio urbano non passi attraverso il riconoscimento delle forme, ma si basi sulla importanza della linearità dei percorsi e sulla successione dei loro mutui collegamenti nel quadro non locale del sistema-città. Si arriva, quindi, a dare solidità all’assunto su cui si è chiusa la dialettica tra città vissuta e città veduta, ovvero a poter effettivamente considerare Space Syntax come uno strumento in grado di cogliere la congiunzione tra forma e funzione, considerando la città come una configurazione, ovvero un insieme di relazioni che tengono conto di altre relazioni. Entità, la configurazione, che porta nel grafo urbano un grado di geometrizzazione sempre sufficiente per tenere in conto allo stesso tempo della geometria e della topologia della città, o meglio, per considerare la città come un’entità ben più complessa di un insieme di oggetti fisici e ben più materiale di un insieme di relazioni: un paesaggio. La città è un paesaggio e l’analisi configurazionale riesce a leggerlo e ad interpretarlo.

Paesaggio urbano e configurazione spaziale Il paesaggio è un’entità culturale, frutto della speculazione dell’uomo sul proprio ambiente di vita. È da questo concetto che si è partiti ed è su questo concetto che ruota l’intero approccio che si sta costruendo. L’ambiente di vita, in particolare, è inteso nei termini generali dell’insieme di ciò che ci circonda e che di volta in volta capitalizza la nostra attenzione in maniera più o meno consapevole. Gli attori nello spazio creano quindi infiniti paesaggi, continuamente mutevoli, irrequieti. Non è possibile dominare tutti questi paesaggi, ma è possibile definire come alcune circostanziate qualità dello spazio influenzino i fruitori nella formazione di immagini ambientali comuni e stabilire se esse siano sufficienti a definire gli aspetti fondamentali del paesaggio:

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quelli che la maggior parte degli individui riconosce e sulla cui base “costruisce” i propri paesaggi. In quest’ottica, la disciplina alla base dello studio del paesaggio non può essere ricondotta ad uno dei campi tradizionali della ricerca territoriale o antropologica. La psicologia ambientale, ovvero la disciplina che studia il rapporto tra l’uomo e lo spazio, è il nuovo fondamento per una ricerca coerente sul paesaggio. Essa suggerisce un ampio quadro interpretativo, riconducibile ad uno schema duale, che da un lato colleziona un approccio essenzialmente visuale, ovvero legato alla primarietà della visione nel sistema di acquisizione e trattamento delle informazioni spaziali, mentre dall’altro suggerisce un approccio più ampio, di matrice antropologica, che si rifà, esplicitamente, più al racconto dell’esperienza spaziale che alla sua oggettivazione. La contrapposizione tra visione e narrazione marca profondamente anche gli approcci che dalla psicologia ambientale derivano, anche se non sempre in maniera esplicita. Ciò si verifica anche per il campo d’analisi specificamente urbano, essendo il paesaggio urbano un argomento forse da rinnovare, ma non certamente nuovo. Le teorie, i modelli interpretativi, o solo gli approcci più modestamente empirici che sono stati proposti, seguono lo stesso dualismo della disciplina da cui discendono. La città è stata traguardata, alternativamente, da un punto di vista da cui si potessero mettere a fuoco gli aspetti formali dello spazio, o dall’altro, diametralmente opposto, da cui ci si potesse incentrare esclusivamente sul ruolo dell’esperienza dell’uomo nello spazio, nei termini della sua narrazione o grazie allo studio comportamentale. I modelli riconducibili alla prima tipologia d’approccio, hanno privilegiato lo studio del territorio (urbanizzato), nel quadro di una visione allocentrica. I secondi, invece, ponendo esclusivamente l’uomo al centro di ogni valutazione, hanno sviluppato un profondo antropocentrismo, che ne fa modelli egocentrici. La dualità di fondo può essere altresì riformulata nella contrapposizione tra una città allocentrica ed una città egocentrica. I risultati conseguiti nei vari campi d’indagine sono caratterizzati tutti da scarse completezza e generalizzabilità. Ne sono testimonianza i pur affascinanti modelli sviluppati in forme e modi molto diversi da Kevin Lynch e da Gordon Cullen. Entrambi restituiscono formidabili resoconti del fenomeno urbano, ma si distinguono anche per l’impossibilità di essere adoperati in maniera estensiva e al sicuro da effetti di scala. Per dipiù entrambi hanno la pecca di dipendere quasi com-

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Leggere ed interpretare il paesaggio urbano  89

pletamente dalla sensibilità e dalla capacità dell’operatore. In ultimo, e non è secondario, sono stati entrambi oggetto di numerose applicazioni su altrettanti contesti urbani, evidenziando l’impossibilità di garantire risultati non inquinabili discrezionalmente. L’importanza del tema del paesaggio urbano, e l’urgenza di individuare una nuova e più soddisfacente strumentazione, ha suggerito di estendere la ricerca modellistica verso approcci più specificamente oggettivi, in grado cioè di restituire un’immagine, casomai parziale, ma univoca, dei fenomeni urbani. Tra la nuova modellistica non consacrata a fenomeni specialistici, come possono essere quelli riguardanti i trasporti o la logistica, sempre più interesse sta conseguendo l’analisi sintattica dello spazio. In quest’ambito, la famiglia più innovativa di strumenti, nonché l’approccio che oggi sembra poter garantire migliori prospettive è quello riconducibile alla ricerca inglese, ormai internazionale, nota come Space Syntax, di cui in precedenza sono stati approfonditi i principali aspetti. Cercando di superare la contrapposizione tra allocentrismo ed egocentrismo (in sostanza tra mappatura oggettiva dello spazio e narrazione soggettiva) si è ritenuta percorribile l’ipotesi di una sintesi metodologica tra il modello lynchano e l’analisi sintattica del grafo urbano, nella speranza di poter rintracciare corrispondenze tra le categorie e gli indici configurazionali. È apparso però evidente, grazie alla comparazione dei risultati dell’applicazione dei due modelli sullo stesso contesto territoriale, la loro profonda inconciliabilità. Essi hanno presentato elementi comuni solo negli ambiti d’appiattimento reciproco. Tale inconciliabilità è probabilmente riconducibile, oltre che ad un problema di difficoltà di sintesi tra due modelli eterogenei, anche alla totale differenza delle modalità con cui i due modelli si propongono di descrivere lo spazio urbano: il modello lynchano è nei fatti semiologico, e si occupa quindi di categorizzare segni sul territorio, sebbene con la mediazione antropica; mentre quello sintattico è topologico-relazionale e si profonde in una rappresentazione semplificata dello spazio che abbandona dichiaratamente il mondo segnico in termini diretti. L’analisi lynchana ha evidenziato la generale tendenza alla ricerca di un sistema relazionale coerente quale elemento primale nella costruzione delle immagini mentali. Ciò ha suggerito di lavorare nell’ottica di approfondire il rapporto tra sistema delle forme e delle relazioni, partendo da quest’ultimo, nell’intento di far emergere “quanta forma” ci sia in un grafo urbano costruito in ottica e con metodo-

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logia configurazionali. Alla luce di quanto evidenziato nel precedente paragrafo, Space Syntax ha mostrato qualità esplicative dello spazio urbano sicuramente più soddisfacenti di quanto si ci potesse attendere ragionevolmente da un approccio di matrice puramente topologica. La naturale caratteristica di studiare i fenomeni, anche locali, nei termini dell’intero sistema relazionale (il cosiddetto approccio configurazionale) ha infatti fornito, unitamente alla non uniformità della distribuzione spaziale dei nodi urbani, il supporto per l’inclusione, all’interno del quadro relazionale, delle proprietà geometriche minime per tenere in conto la componente d’intuitività spaziale propria del modo con cui l’uomo figura gli spazi urbanizzati che fruisce, anche solo virtualmente, ovvero in un processo immaginativo di costruzione di una mappa mentale o di narrazione di un’esperienza nello spazio urbano. La complementarietà tra aspetti topologico-relazionali e geometrico-figurativi, permette a Space Syntax di essere uno strumento d’indagine delle qualità percettive che pervadono lo spazio urbanizzato nella sua accezione duale: percettivo-relazionale alla scala locale, in ragione del cinematismo proprio dell’acquisizione delle informazioni spaziali; intuitivo-geometrico alla scala globale (configurazionale), in ragione del naturale meccanismo di figurazione ambientale. Sulla base di Space Syntax si può quindi costruire un modello di studio del paesaggio, che ne colga gli aspetti percettivi e che a loro correli le dinamiche fenomenologiche ed evolutive della città. La flessibilità che esso sembra poter garantire attraverso l’oggettivazione della mappa topo-geometrica, permette di poterlo adoperare, oltre che come strumento di lettura ed interpretazione, anche come strumento di valutazione dell’effetto che le trasformazioni in ambito urbano hanno sia sull’esperienza locale che sulla figurabilità complessiva della città. In questi termini, Space Syntax è un approccio certamente innovativo e rassicurante, in quanto esporta sul piano delle discipline funzionali la tematica propria del paesaggio, tendenzialmente annoverata tra quelle antropologiche e narrative in virtù della sua natura culturale. Grazie a Space Syntax è in tal visione possibile relazionare al paesaggio urbano fenomeni quantitativi, cosa prima più impensabile che irrealizzabile. È quindi possibile chiedersi, e poter rispondere oggettivamente, quale sia il ruolo del paesaggio in tanti aspetti della vita urbana, dalla sicurezza alla rendita fondiaria, dalla vulnerabilità alla resilienza.

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Capitolo 4 Paesaggio e rendita fondiaria

Tra i numerosi fenomeni urbani che è interessante, e potenzialmente molto utile, relazionare al modo con cui la città funziona in termini socio-spaziali, ovvero al modo con cui la città/paesaggio si manifesta nella sua complessità, sicuramente la rendita fondiaria svolge un ruolo di primo piano. Essa, infatti, ha influenza diretta sia sui residenti, sia su altri attori della pianificazione e delle trasformazioni urbane. Si pensi all’attuazione del piano o alla creazione di nuove infrastrutture per la mobilità ed a come il loro contributo geometrico-topologico alla città sia influente per la ridefinizione dei prezzi delle abitazioni e degli altri immobili. Si tratta in tal senso, di poter quantificare ed affrontare l’annosa questione della rendita differenziale, non solo proponendosi di mitigarne gli effetti, ma anche riuscendo a definirli e a definirne il perimetro d’influenza. Allo stesso modo, la distribuzione della rendita fondiaria è un fenomeno particolarmente interessante per costruire la validazione esperienziale dell’approccio configurazionale al paesaggio, in quanto ha a che fare allo stesso tempo con aspetti strettamente materiali (l’aspetto fisico di un immobile o di una trasformazione) e con altri estremamente virtuali (il valore che viene dato a certe localizzazioni per caratteristiche contestuali). Nei successivi paragrafi si procederà, pertanto, prima ad estrinsecare gli aspetti tradizionali dell’econometria urbana, per poi addentrarsi nel loro studio configurazionale, arrivando a dimostrare quantitativamente la possibilità di relazionare la distribuzione dei prezzi degli immobili con la distribuzione degli indici configurazionali, attraverso l’implementazione di un caso di studio inerente alla città di Napoli.

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Il prezzo della città: econometria dello spazio urbano Molti studiosi del fenomeno urbano ritengono che gran parte dei problemi della città derivino dalla scarsa conoscenza e dalla conseguente inadeguatezza degli interventi inerenti al meccanismo di crescita dei costi immobiliari. Tale affermazione tende tuttavia a contrastare con la nutrita pubblicistica consacrata a questo tema. Gli economisti, in particolare, si sono a lungo interessati del problema della formazione dei prezzi, ma le teorie che riguardano il suolo urbano, elaborate da almeno un secolo, risultano ampiamente contrastanti. I contributi sembrano poter essere categorizzati secondo un doppio binario: da una parte sono state costruite teorie sugli aspetti che incidono sulla formazione dei prezzi fondiari, dall’altro sono stati costruiti veri e propri modelli teorici, adattando e specificando i contributi degli economisti classici. Tutti questi hanno certamente permesso di comprendere meglio l’influenza dei meccanismi fondiari sulla crescita urbana e viceversa, ma al costo di notevoli semplificazioni, che mostrano tutti i loro limiti quanto più l’oggetto dello studio è complesso e caotico.

Le principali teorie fondiarie Le teorie inerenti alla rendita fondiaria affondano le proprie radici nell’opera deli economisti della cosiddetta Scuola Classica1, nonostante essi non si siano interessati specificamente del problema dei valori fondiari in ambito urbano. Nel loro intendimento la rendita fondiaria è associata alla differenza di fertilità e di posizione dell’appezzamento, ma la nozione di rarità del suolo non viene ancora intuita. Nello stesso periodo il fondatore dell’economia spaziale – von Thünen – analizza le conseguenze che tali rendite differenziali di posizione hanno sulla diffusione e sul tipo di coltura praticate intorno ai centri urbani, ma considera questi ultimi come punti senza dimensione e struttura interna (von Thünen, 1826). Va ad ogni modo ascritta proprio alla nozione di rendita differenziale il germe dello sviluppo delle future teorie sui prezzi fondiari urbani. 1 Generalmente si considerano di scuola classica gli economisti fisiocratici e i contributi di A. Smith, Malthus e Ricardo.

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Si deve a Stuart Mill la cauta introduzione del concetto di rarità del suolo urbano e l’individuazione della concorrenza come fattore che ne determina il costo (Mill, 1848). L’importanza delle posizioni classiche rispetto alla rendita fondiaria è ulteriormente testimoniata dal fatto che lo stesso Marx, nel riferirsi alla rendita fondiaria di terreni destinati alla costruzione di edifici, si rifaccia esplicitamente al concetto di rendita differenziale di posizione. I veri e propri ideatori di una teoria fondiaria sono i componenti della cosiddetta Scuola Neoclassica, ed in particolare Alfredo Marshall. Questi considera che il valore del suolo urbano sia uguale al suo valore agricolo aumentato di quello derivante dai vantaggi offerti dalla sua localizzazione. La concorrenza tra gli usi potenziali di una particella innesca un meccanismo di rincari per cui essa risulterà acquistata dal migliore offerente. D’altra parte il costruttore, prima di comprare, confronterà il reddito che potrà trarre dalla costruzione con la somma dei costi del terreno e della costruzione stessa (Marshall, 1890). La concorrenza tra i diversi utilizzatori potenziali del suolo spiega anche i mutamenti delle destinazioni d’uso delle aree urbane e giustifica ad esempio il trasferimento delle industrie dal centro verso la periferia di un’agglomerazione. Per ogni appezzamento di terreno che accoglie una costruzione, secondo Marshall, si è sempre realizzato l’equilibrio tra il costo del cambio di destinazione, il prezzo di mercato ed il reddito futuro attualizzato dal proprietario. Tale ipotesi suppone che le condizioni di concorrenza perfetta e di equilibrio del mercato siano rispettate, per cui ogni particella troverà necessariamente la sua utilizzazione ottimale e il proprietario tenderà sempre ad adattarne l’utilizzazione alla domanda. L’incidenza della concorrenza tra i diversi utilizzatori potenziali è stata meglio precisata dalla formulazione teorica di Hurd, il quale ha dimostrato come lo sviluppo topografico di una città crei una vera rendita di posizione (Hurd, 1903). I valori fondiari debbono essere stabiliti procedendo dalla periferia verso il centro e sono proporzionali alla grandezza della città. La concorrenza degli utilizzatori spiega, come per Marshall, le differenziazioni nell’ambito dello spazio urbanizzato. Hurd sottolinea, peraltro, anche il peso che i servizi pubblici di trasporto hanno nella formazione dei valori: il loro sviluppo, aprendo i terreni all’urbanizzazione, può infatti provocare una diminuzione dei prezzi fondiari in tutte le direzioni, senza che il valore totale delle proprietà fondiarie in tutta la città diminuisca necessariamente.

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Nella stessa ottica della rendita di posizione si muove anche il sociologo francese Halbwachs, utilizzando a sostegno della sua tesi i prezzi degli espropri effettuati a Parigi tra il 1860 ed il 1900 (Halbwachs, 1896). In tal modo egli introduce l’importanza che i fattori soggettivi hanno sulla formazione del prezzo. Il valore di opinione è il risultato dell’immagine attribuita ad un determinato quartiere, od anche più capillarmente ad una singola strada. Il parere di una larga fascia di utilizzatori potenziali fissa il prezzo dei terreni, che non dipende più solo dalla loro utilità oggettiva. In questi termini la speculazione può essere intesa come il risultato di valutazioni fondate sulle prospettive future di un terreno. Lo speculatore acquisterà in funzione dei vantaggi che nel futuro egli prevede potrà offrire il terreno e lo rivenderà quando questi vantaggi saranno percepiti da un largo numero di utilizzatori e si rifletteranno di conseguenza sui prezzi di mercato. Il ruolo, già percepito da Hurd, giocato nella determinazione dei valori fondiari dalla presenza di servizi pubblici di trasporto, è al centro dell’analisi di Haig, fortemente influenzato dal pensiero degli economisti americani. L’accessibilità costituisce una delle principali preoccupazioni di tutti gli utilizzatori. Il centro è dunque privilegiato perché permette di raggiungere facilmente il più ampio numero di localizzazioni nella città, e la formazione dei prezzi fondiari tiene conto di quanto si è disposti a pagare per ottenere tale privilegio, o comunque un determinato livello di accessibilità. Al limite di questo ragionamento sta l’affermazione che il fitto ed il costo di trasporto sono complementari: il costo del terreno corrisponde al risparmio nel costo di trasporto. Un potenziamento del sistema dei trasporti pubblici, di conseguenza, ha un effetto calmierante sui valori fondiari. Secondo Haig il criterio che dovrebbe guidare l’organizzazione di un territorio urbano dovrebbe essere la riduzione dei costi di trasporto, cui corrisponde un abbassamento dei valori fondiari (Haig, 1923). Tutte le teorie finora brevemente richiamate si basano sull’assunzione di trovarsi nel soddisfacimento della condizione di concorrenza perfetta, sebbene alcuni autori, segnatamente Marshall, hanno intuito la possibilità dell’intervento di fenomeni discorsivi degli schemi assunti. Diversamente alcuni studiosi anno sviluppato studi specifici sui meccanismi di perturbazione. Turvey ha proposto che la transazione si possa realizzare quando il prezzo massimo che alcuni acquirenti potenziali sono disposti a pagare supera quello stabilito dal proprietario e ritiene pertanto che i prezzi di offerta e di domanda trovino un rapido

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equilibrio soltanto in un mercato ampio (Turvey, 1957). Poiché nella realtà il mercato si presenta il più delle volte ristretto ed affetto da altre distorsioni, si deduce che non può esistere un equilibrio permanente del mercato immobiliare. Il modello generale di Haig è dunque turbato da aspetti di varia origine e soprattutto dal gioco delle accessibilità individuali, che limita la concorrenza restringendo il mercato. Il centro ne risulta rafforzato nell’importanza, perché tende a sommare i vantaggi dell’accessibilità generale a quelli delle accessibilità individuali. Non tutti gli autori, tuttavia, concordano sull’approccio neoclassico. Uno di questi è Wendt. Egli, pur ammettendo il principio teorico di Marshall dell’uguaglianza tra il costo di sostituzione di un bene, il prezzo del mercato ed il reddito futuro attualizzato, si dichiara fermamente convinto che solo il prezzo del mercato consenta di formulare stime attendibili (Wendt, 1957). I valori fondiari sono quindi il risultato del rapporto tra il fitto netto ed il tasso di attualizzazione, anche se numerosi fattori intervengono a turbare i due termini di questo rapporto. Wendt addita le teorie degli studiosi che l’hanno preceduto per l’eccessiva semplificazione della realtà sotto numerosi punti di vista. In particolare si concentra sulla staticità della città descritta nei modelli fondiari nonché sulla eccessiva semplificazione dei modelli di trasporto unidirezionali, inaeguati a descrivere l’autonomia e la facilità di spostamento garantita dall’automobile. Peraltro fa notare come la concorrenza non viva di estremi: non è né perfetta né imperfetta, il più delle volte è condizionata dalla presenza di un monopolio. La critica di Wendt mette bene in evidenza la complessità dei meccanismi che intervengono nella formazione dei valori fondiari. Tuttavia in molti casi il loro peso non è tanto determinante da mettere in discussione i pur semplificativi modelli classici. Non a caso ad essi si è continuata a rivolgere l’attenzione della ricerca successiva. A sostegno delle teorie relative alla formazione dei valori fondiari, alcuni autori hanno cercato di formalizzare matematicamente il loro pensiero, dedicandosi essenzialmente al quadro circoscritto dell’agglomerazione urbana. È in questo ambito, infatti, che si impone con particolare acutezza l’esigenza di conoscere i meccanismi di formazione del prezzo dei fondi, e con essi il loro più diretto sottoprodotto: le tipologie d’utilizzazione del suolo. Le teorie formulate di una certa originalità e solidità sono poco numerose e tendono tutte a collocarsi attorno alla metà degli anni ’60. Successivamente l’interesse per questo tipo di ricerche sembra

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essere scemato, forse in ragione delle difficoltà incontrate nella fase di applicazione. Ad ogni modo, i modelli teorici relativi alla formazione dei valori fondiari hanno costituito la base per lo sviluppo dei modelli per la simulazione della crescita urbana2 in quanto hanno agevolato enormemente la comprensione dei meccanismi di crescita della città. Tra i contributi in tal senso più interessanti vi è quello di Wingo, che affronta il problema del mercato fondiario, e dunque della crescita urbana, considerando come parametri fondamentali la presenza ed il tipo di trasporto offerto ai cittadini: i valori fondiari in un determinato quartiere possono essere dedotti dal costo generalizzato degli spostamenti verso il centro di agglomerazione (Wingo, 1964). Ogni persona cerca di insediarsi quanto più vicino possibile al suo posto di lavoro o altrimenti non accetta di allontanarsene se non per realizzare un’economia sulla spesa per il suo alloggio. Si genera in tal maniera una competizione per l’occupazione degli spazi residenziali. Secondo Wingo esiste, in breve, una relazione tra il tempo di tragitto (ovvero il costo generalizzato di trasporto) e i valori fondiari. In quest’ottica, all’aumento della dimensione della città corrisponde l’accrescimento dei costi di trasporto generalizzato per chi abita ai suoi limiti, così come le rendite di posizione in ogni punto della città. Se i redditi degli abitanti rimangono costanti, essi dovranno ridurre lo spazio residenziale a loro disposizione. In altri termini, lo sviluppo topografico di una città provoca l’aumento dei valori fondiari e delle densità territoriali. Per arrestare questo processo la soluzione più ovvia è quella di migliorare il sistema dei trasporti, facendo abbassare i costi generalizzati di spostamento e, di conseguenza, le rendite di posizione. Sebbene le ipotesi alla base del modello siano estremamente semplificative (città monocentrica, popolazione omogenea, indipendenza delle necessità dal trascorrere del tempo), e trascurino tutte le attività umane non lavorative, esso è rilevante per l’aver dimostrato in un certa misura che al sistema dei trasporti è associata la capacità di far espandere topograficamente la città, calmierando i mercati e riducendo la densità abitativa. Ciò ne fa un importante strumento di valutazione delle politiche di crescita. Il contributo di maggiore portata in questo ambito è senza ombra di dubbio quello di Alonso, padre di un modello per l’interpretazione 2 Si pensi, ad esempio, al modello di Herbert e Stevens oppure a quello di Lowry od anche solo ai cosiddetti modelli parziali.

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dei valori fondiari dal grande successo, spesso alla base dei successivi approcci al tema (Alonso, 1965). Esso muove, oltre che dalle teorie sulla rendita fondiaria, anche dalle analisi dell’economia spaziale, inaugurata un secolo prima dal von Thünen. Tale dipendenza è evidente nell’accettazione delle relative ipotesi di base, quale la pianura uniforme e l’interesse sia verso il mercato fondiario che quello rurale, dal duplice punto di vista del nucleo familiare e dell’impresa. Secondo Alonso una famiglia tende a ricercare, conformemente alla teoria economica, l’utilità massimale compatibile con le sue disponibilità economiche scomponibili in tre voci: Documento acquistato da () il 2023/04/27.



spesa per beni diversi dal terreno sul quale è costruito l’alloggio e dai trasporti; – spesa per il terreno sul quale è costruito l’alloggio (funzione della distanza dal centro della città); – spesa per i trasporti (funzione della distanza dal centro della città). Il budget familiare definisce una superficie, detta superficie di budget, con equazione di equiparazione del reddito familiare alla somma delle tre aliquote precedenti. Alonso definisce una seconda superficie, detta superficie di utilità, che esprime l’utilità che trae la famiglia dalle tre voci di spesa. In condizione di equilibrio le due superfici sono tangenti e ciò significa che il rapporto delle utilità marginali delle tre categorie di spesa è uguale al rapporto dei loro costi marginali, e dunque dei loro prezzi. In base a questa considerazione è possibile stabilire la curva di offerta dei nuclei familiari, cioè la curva che indica la serie dei prezzi del terreno che la famiglia è disposta a pagare, in relazione alla distanza dal centro della città, mantenendo lo stesso livello di soddisfazione. Il modello di Alonso permette di fare valutazioni predittive sul sistema delle rendite in funzione della variazione di uno o più parametri. Se ad esempio c’è una variazione dei livelli di reddito, le curve di offerta tendono a crescere. Quanto più la crescita è rapida tanto più si cerca di ammassarsi al centro della città, o inversamente, verso la periferia. Ciò porterà rispettivamente all’aumento dei prezzi centrali o di quelli periferici. Ancor più interessanti sono le considerazioni che dal modello di Alonso possono trarsi in relazione alla pianificazione. Essa rappresenta un elemento di rigidezza del sistema in quanto le particelle tenderanno ad essere occupate da chi è disposto a pagarle

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Figura 23 – Rappresentazione grafica delle sezioni piane delle superfici di Alonso nel piano (dimensione dell’alloggio; quantità di beni complementari).

di più, mentre il prezzo tenderà ad essere uguale o inferiore a quello che si registrerebbe in assenza di regole pianificatorie a fronte dell’inasprimento della concorrenza tra i potenziali utilizzatori delle rimanenti particelle. Sul tema del potenziamento del sistema dei trasporti, anche il modello alonsiano concorda sulla sua centralità. Esso tende a far diminuire il costo generalizzato di trasporto con la conseguenza che le curve di offerta sono meno ripide e ciò corrisponde ad un abbassamento dei valori immobiliari centrali e ad una disponibilità a spostarsi verso la periferia, ovvero la città tende ad espandersi topograficamente. In definitiva il modello di Alonso è quello di più ampie implicazioni e potenzialità nell’interpretazione dei fenomeni urbani dipendenti dalle modalità di variazione delle rendite di posizione. Il modello di Alonso ha certamente influenzato in maniera determinante la formulazione del modello di Mayer, che ha il merito di ricercare una formulazione semplice quanto plausibile. Secondo l’autore, i fattori che influenzano la variazione dei valori fondiari sono quelli localizzati (sito, diritto a costruire, …) e quelli di posizione (intesi come la distanza dai diversi poli attrattori della città) e solo questi ultimi possono essere considerati in una formulazione teorica (Mayer,

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1965). Il modello suppone che il valore fondiario diminuisca dal centro verso la periferia di un valore pari a quello del tempo speso per gli spostamenti verso il centro, dove si considerano concentrate tutte le attività. I valori vengono pertanto stabiliti progressivamente a partire da un valore al limite della città. Tale valore può essere scomposto in quattro voci: 1. prezzo dei terreni a coltura, che dipende dalla loro produttività; 2. prezzo delle attrezzature di viabilità che rendono il terreno edificabile; 3. rendita speculativa, legata al valore che acquisterà il terreno dopo l’urbanizzazione; 4. rendita di rarità, che non è speculativa, ma legata alla generale carenza di terreni edificabili. L’obiettivo di una buona politica fondiaria è quello di eliminare la rendita speculativa e quella di rarità, garantendo sempre una sufficiente quantità di terreno edificabile. Il valore supplementare del terreno corrisponde all’economia di tempo realizzata quando si risiede vicino al centro e si suppongono tutti gli spostamenti centripeti in ragione della concentrazione delle attività economiche e delle attrezzature. Il modello di Mayer presenta una semplificazione apparentemente impropria: la superficie di terreno occupata da ogni nucleo familiare, ovvero la densità di popolazione, non viene presa in considerazione. Essa viene, in realtà, reintrodotta nel modello attraverso il ricorso ad un vincolo di popolazione. In ragione di questo vincolo si formeranno attorno alla centralità delle corone circolari, ciascuna corrispondente ad una classe di popolazione che attribuisce un determinato valore al suo tempo; la ripartizione dipende pertanto dai livelli di reddito. Lo stesso modello di Mayer, in ragione delle sue ipotesi semplificative, fa emergere ulteriori principi elementari e le loro conseguenze. In particolare evidenzia come l’espansione della città e l’aumento del suo raggio provochino la lievitazione dei valori fondiari. Nasce in questo modo l’idea di una imposta fondiaria tendente a recuperare la rendita di posizione così prodotta per destinarla alla creazione delle infrastrutture per i nuovi quartieri, in modo da avere un successivo effetto calmierante su tutto il mercato. Come per tutte le teorie precedentemente esposte, anche la teoria di Mayer privilegia i fattori di posizione rispetto a quelli derivanti dal

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sito, ovvero le infrastrutture, le condizioni ambientali, la qualità architettonica o la vicinanza ai servizi. La città è intesa come una struttura pseudo-radiocentrica turbata esclusivamente dalle caratteristiche del reticolo stradale e dalla presenza di centralità, sia uniche (città monocentriche) sia più o meno diffuse (città policentriche). In definitiva, il panorama in cui si muove l’econometria urbana è effettivamente piuttosto variegato. È certamente vero, d’altronde, che sono state prese in considerazione solo le teorie fondamentali, tralasciando gli sviluppi più recenti e certamente interessanti, nell’idea di evidenziare quale fosse lo scenario concettuale in cui l’econometria stessa si muove, piuttosto che addentrarsi in un trattato su quest’ultima. Al di là della capacità di descrivere un fenomeno sotto determinate ipotesi, infatti, si è interessati a ricondurre la dinamica stessa del fenomeno alla logica del paesaggio urbano, nell’idea che esistono ed esisteranno sempre modelli molto complessi in grado di apprezzare anche aspetti di grande dettaglio con altrettanto grande affidabilità, ma che vi sia necessità di stabilire i limiti concettuali e pratici in cui il fenomeno stesso si muove. Ciò significa che il presente studio, ed il relativo modello di analisi, non si collocano in continuità o contrapposizione agli studi econometrici, ma si vi si pone accanto, cercando di costruire una cornice generale, di indubbio supporto anche ai più raffinati modelli specialistici.

Analisi configurazionale e rendita di posizione Quali sono gli aspetti che inconsciamente si tendono ad ottimizzare nell’esperienza spaziale nello e dello spazio urbano? E come essi influenzano la formazione dei prezzi? Questi due quesiti, nella forma, sono relativamente simili ai quesiti propri dell’econometria, ma hanno implicazioni significativamente differenti. La psicologia ambientale e le scienze sociali ci suggeriscono che le considerazioni estrinsecate dal racconto dell’esperienza soggettiva nello spazio urbano conducono raramente alla conscia ottimizzazione di variabili misurabili, quali ad esempio le distanze metriche. Il più delle volte sono altri gli aspetti che prevalgono, senza che essi si riescano compiutamente ad elencare e classificare. Si ricordava in precedenza come le misurazioni degli spostamenti non forzati nello spazio urba-

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Paesaggio e rendita fondiaria  101

Figura 24 – Mappa degli spazi aperti (stralcio).

Figura 25 – All-line map.

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Figura 26 – All-line map – stralcio.

Figura 27 – Fewest-line map.

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no sovvertano tale regola della distanza metrica relativa, in favore di quella di distanza topologica universale, molto più legata all’angolo di svolta che alla lunghezza del percorso. Alla luce di queste considerazioni, si rafforza l’idea di pensare ad una modellistica territoriale in cui al centro dei fenomeni vi sia il motore della dinamica degli insediamenti, ovvero il modo con cui il territorio urbanizzato è percepito, che abbiamo detto di poter chiamare paesaggio urbano. Per l’analisi del caso di specie, si è quindi provveduto ad implementare l’analisi configurazionale del sistema urbano dell’area di interesse (Napoli), utilizzando l’angular segment analysis quale tecnica operativa e facendo leva sull’intero impalcato concettuale descritto e validato in precedenza. L’analisi configurazionale è stata condotta seguendo le fasi canoniche già introdotte sinteticamente e che si provvederà ad analizzare in dettaglio. I risultati configurazionali sono stati successivamente relazionati ai dati sulle transazioni immobiliari rilevate nell’area di studio, per trarne conclusioni di ordine generale sul fenomeno della rendita. L’implementazione dell’angular segment analysis è partita dal lavoro di sistemazione e di adattamento del supporto cartografico, sulla base di una aerofotogrammetria in rapporto 1:5000. La scelta di tale taglio cartografico è stata ritenuta opportuna in ragione della necessità di comprendere al meglio la funzione di tutti gli spazi e delle loro connessioni reciproche, spesso sorprendentemente complessi. Su questa base cartografica si è proceduto alla delimitazione dell’insieme degli spazi pubblici o di pubblico accesso, fruibili senza alcuna limitazione. Si è definita in tal modo la cosiddetta griglia degli spazi aperti. Essa può fruttuosamente essere rappresenta come il negativo dell’insieme degli spazi delimitati ed inaccessibili della città, nonché del costruito. La mappa è la base di lavoro per la suddivisione degli spazi pubblici in un insieme di regioni convesse, costruite secondo il criterio della dimensione massima e del numero minimo. Come già esplicitato in precedenza, non è più necessario affrontare questo passaggio in quanto è più affidabile il ricorso ad un approccio algoritmici, implementato dal software UCL DepthMap (Varoudis, 2012), basato sul tracciamento di tutte le possibili linee dai vertici della mappa degli spazi pubblici, successivamente ridotte in numero, utilizzando lo stesso software, attraverso l’implementazione di un algoritmo greedy. Si sono ottenute in tal maniera due mappe: l’All line map, contenente tutte le

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possibili lines rispondenti ai tre criteri dell’algoritmo; e la Fewest line map, costituita dalle sole lines necessarie a simulare il presidio di tutte le regioni convesse. In termini numerici, l’abbattimento del numero delle linee che si registra passando dalla All line Map alla Fewest line Map è dell’ordine di circa un ventesimo. Nel caso di Napoli si passa da 92.963 a 5.589 lines.

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Figura 28 – Modalità di tracciamento delle lines: vertice concavo – vertice concavo; vertice concavo – vertice convesso; vertice convesso – vertice convesso.

Prendendo a base la Fewest-line Map è possibile procedere all’analisi sintattica vera e propria. Nel caso specifico si è deciso di adoperare l’Angular Segment Analysis. È stato pertanto necessario procedere ad una frammentazione della mappa nei punti di intersezione delle lines. Anche per questo step si è proceduto in maniera automatizzata, adoperando UCL DepthMap, procedendo preliminarmente alla correzione dei collegamenti topologici aggiuntivi (inserendo i punti di connessione/sconnessione – cd. links/unlinks) necessari in presenza di spazi urbani apparentemente connessi a causa di differenti posizioni altimetriche (caso che si verifica, ad esempio, in presenza di gallerie sormontate da strade – vedi Figura 33). Si è quindi provveduto alla definizione dei parametri di post-processing, in modo da ridurre la numerosità della mappa da analizzare, eliminando i nodi non necessari. Nello specifico è possibile eliminare i cosiddetti axial stubs, ovvero i mozziconi di lines di piccola lunghezza derivanti dal procedimento di frammentazione. Nel caso in analisi si è scelto di eliminare gli stubs di lunghezza inferiore al 25% della lunghezza della line originaria. In questo modo è stata ottenuta la segment map, utilizzata per le analisi di centralità, con un numero di nodi/segmenti, per il caso di studio, di 17.757 elementi. L’analisi sintattica vera e propria, intesa come il calcolo degli indici configurazionali (integrazione e scelta globali e locali) è stata quindi condotta, sempre ricorrendo alle specifiche funzionalità del software UCL DepthMap 10. In questa fase si svolge anche la dualità dell’approccio configurazionale: gli indici di centralità vengono calcolati sul

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Figura 29 – Segment map.

Figura 30 – Sovrapposizione della Segment map (linea continua) e della Fewest-line map (linea tratteggiata). Come si può notare le due mappe coincidono, a meno degli elementi terminali dei segmenti (stubs): onde evitare distorsioni nel calcolo dei valori degli indici configurazionali essi vengono eliminati se più corti di un valore di soglia stabilito come una percentuale della linea da cui è stato generato il segmento.

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Figura 31 – Sovrapposizione della Segment map sulla All-line map.

Figura 32 – La Segment map nel quadro degli spazi aperti (stralcio).

grafo urbano e successivamente associati ad ognuna delle lines, di cui ogni nodo è il centro. In tal maniera è possibile, come meglio esplicitato in precedenza, visualizzare la distribuzione degli indici configurazionali sul supporto cartografico, con evidenti benefici in termine di comprensione dei fenomeni urbani ed altrettanto evidenti vantaggi dal punto di vista operativo, essendo possibile correlare informazioni spaziali ai dati configurazionali sfruttando il concetto di congruenza spaziale. A

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Figura 33 – Post-processing della Fewest-line map: le linee bianche con cerchi terminali rappresentano delle connessioni topologiche, necessarie per prevenire l’intersezione di linee su diversi piani geomorfologici. Queste connessioni vengono inglobate nella Segment map.

tal proposito per il caso di studio si è optato per l’esportazione dei dati ottenuti in ambiente GIS, ricorrendo al software ESRI ArcGis 10.13. In definitiva, l’implementazione dell’ASA per il caso di studio non ha presentato fattispecie anomale ed ha permesso di ottenere una mappa configurazionale di grande dettaglio, congruente, con le più avanzate esperienze internazionali in materia di analisi spaziale quantitativa.

Reti complesse e distribuzione dei valori immobiliari Lo studio della rendita immobiliare è stato preceduto dalla costruzione di un database geografico contenente la sintesi delle informazioni di 3

Il software UCL DepthMap 10, tuttavia, consente di visualizzare i dati tematizzati sulla base dei valori configurazionali, come anche la loro manipolazione e correlazione a coppie. È inoltre possibile personalizzare gli indici e combinarli anche attraverso script in linguaggio Sala. La scelta di lavorare in ambiente GIS è essenzialmente dettata dalle più ampie potenzialità che questo tipo software possiede in riferimento alla gestione di dati territoriali ed all’implementazione di tecniche geo-statistiche.

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Figura 34 – Aree di prezzo omogeneo (277). In gradazione di grigio le Municipalità in cui è suddivisa l’area di studio. I poligoni bianche corrispondono ad aree per cui non è possibile la rilevazione dei prezzi (aree non edificate, …).

3402 transazioni normalizzate, relative al secondo semestre 2011, sulla base delle quali è stato possibile suddividere il territorio della città di Napoli in 277 aree di prezzo omogeneo. I dati sono stati reperiti dalla Borsa Immobiliare di Napoli, che pubblica periodicamente un listino immobiliare della Città e della Provincia di Napoli4. Il formato con cui le aree ed i dati di transazione sono resi disponibili alla consultazione (raster) ha reso necessaria la georeferenziazione delle immagini e la compilazione manuale del database. Si è, pertanto, innanzitutto proceduto alla pulizia dei supporti, viziati da alcuni effetti grafici, ed al successivo posizionamento sulla cartografia numerica. Questo procedimento è stato affrontato con l’ausilio del software Autodesk Autocad Map 2013, adatto alla gestione di cartografia numerica vettoriale in formato CAD in ambiente geo-referenziato. Sulla base delle immagini geo-riferite si è proceduto al tracciamento, mediante lucidatura manuale, delle singole aree omogenee, in modo da ottenere 4 Il Listino Ufficiale della Borsa Immobiliare di Napoli è reperibile, previa registrazione, all’indirizzo http://www.binapoli.it/listino/intro.asp.

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Figura 35 – Listino della Borsa Immobiliare di Napoli, riportante la mappatura delle aree di prezzo omogeneo (Borsa Immobiliare di Napoli, 2013, p. 31).

una mappa vettoriale nella corretta posizione geografica. Essa è stata esportata in formato Shapefile di tipo poligonale ed importata nel software GIS per la compilazione del relativo database. La strutturazione del database dei valori immobiliari ha seguito la forma con cui sono pubblicati i dati: otto campi riportanti per ogni area i valori degli

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Figura 36 – Stralcio del modello informativo territoriale unificato: i poligoni in scala di grigi rappresentano le aree di prezzo omogeneo raggruppate per Municipalità; le linee continue bianche costituiscono l’axial map; le linee continue di spessore maggiore rappresentano il sistema stradale non locale che attraversa la città (Tangenziale di Napoli); le linee tratteggiate rappresentano le linee ferrate principali della città (Metronapoli e RFI).

immobili relativi a contratti di cessione e fitto per quattro tipologie di destinazione d’uso – residenziale, commerciale, box, capannoni. A queste informazioni sono stati aggiunti alcuni dati di base per la localizzazione, quali la municipalità (valore identificativo numerico) e il quartiere (stringa di testo) d’appartenenza. È stato possibile associare in maniera univoca queste indicazioni in ragione del fatto che la divisione delle aree è stata condotta, dalla stessa Borsa Immobiliare di Napoli, all’interno delle suddivisioni amministrative locali della città. Il risultato complessivo è un geo-database costituito da un’informazione geografica di tipo poligonale e dalle relative informazioni numeriche associate riguardanti i valori di sintesi dell’indagine immobiliare. Questo tipo di base di dati è facilmente aggiornabile alle successive edizioni del listino fornite, ad oggi con cadenza semestrale, dalla Borsa Immobiliare di Napoli. Le due basi di dati geografiche costruite possono facilmente essere riunite in un unico database in ambiente GIS sulla base della compatibilità delle rispettive informazioni di posizionamento, ed in modo

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Figura 37 – Stralcio del modello informativo territoriale unificato: il taglio cartografico di dettaglio evidenzia il rapporto tra spazio aperto, linee visuali e aree di prezzo omogeneo.

da garantire la possibilità di permeare mutuamente le informazioni che contengono ricorrendo agli strumenti propri dei software dedicati. Nel caso specifico, essi sono stati importati in ambiente ArcGis 9.3, in ragione delle potenzialità specifiche di tale software, soprattutto in previsione dell’utilizzo di strumenti di statistica spaziale. Di un certo interesse è il trasferimento in questa tipologia d’ambiente dei dati relativi all’analisi configurazionale. Non esiste, infatti, una modalità di esportazione diretta nel formato shapefile (SHP), che permette lo sfruttamento di tutte le potenzialità di ArcGis. Si è pertanto proceduto ad una prima esportazione in formato MapInfo5 (MIF), in modo da estrarre congiuntamente i dati geografici e gli attributi geometrici (indici configurazionali e chiavi d’identificazione). Solo successivamente, con ricorso al software Autocad Map 3D 2013, è stato possibile costruire il ricercato file con estensione SHP. Questo tipo di esportazione, apparentemente molto banale, richiede molta accortezza nella sistemazione del database degli attributi (che di fatto va creato manualmente nell’importazione del file MIF), ma garantisce la corretta corrispondenza tra questi e gli elementi grafici, in quanto essi non vengono mai separati. 5

MapInfo è un software GIS realizzato in ambiente Windows.

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Tutti i dati sono stati assemblati su base orto-fotografica – scala nominale 1/10.000 – e corredati delle principali informazioni infrastrutturali – strade principali, ferrovie, aeroporto – e morfologiche – isoipse di 25m. Lavorare all’interno di un unico database permette di adoperare con pienezza tutti gli strumenti di modellazione delle automazioni, di grande aiuto nella gestione di un gran numero di dati, come nel caso in questione. In tal modo, tutte le operazioni di manipolazione dei componenti del modello sono state trattate in forma di flusso delle azioni, ricorrendo alla compilazione automatizzata degli scripts necessari, attraverso l’utilizzo del Model Builder6. Ciò garantisce sia il rapido aggiornamento dei dati derivati, sia la certezza che essi possano essere successivamente generati conformemente. In definitiva, il ricorso al modello unico delle informazioni e, successivamente delle manipolazioni e dei risultati, per quanto di più pesante gestione, è la premessa per la costruzione di un percorso d’analisi coerente, sostenibile e di chiara interpretazione e condivisione. Il modello di analisi comparata dei risultati asseconda la struttura del modello informativo: da un lato l’analisi configurazionale, che consente di leggere la struttura urbana del caso di studio, dall’altro i valori immobiliari che permettono di vedere la rendita fondiaria. Non esistendo, di fatto, una letteratura di riferimento, si è portato avanti un procedimento basato sulla formulazione di ipotesi induttive e sulla loro successiva verifica, attraverso la costruzione di una procedura ad hoc. Il modello, pertanto, non si qualifica come uno strumento di supporto ad una teoria generale formulata a priori, ma come uno strumento di studio di evidenze empiriche, da inquadrare nella generale teoria configurazionale, confrontando i risultati in termini quantitativi con quelli disponibili in letteratura per altri fenomeni urbani. In tal senso, è con l’applicazione che il modello assume le sue qualità interpretative e per queste motivazioni non lo si può considerare un modello generale, ma un modello specifico per il caso di studio, i cui risultati sono estendibili alle altre realtà urbane solo a posteriori, ovvero prendendone in considerazione l’output e confrontandolo con quello di altri modelli ed altri fenomeni. Preliminarmente alla costruzione delle correlazioni tra le diverse variabili su cui si basa il modello, è interessante notare come l’analisi 6 Il Model builder è un’applicazione del pacchetto software ArcGis Desktop in cui è possibile creare, modificare e gestire modelli operativi.

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Figura 38 – Modello digitale del terreno della città di Napoli. Luminosità inversamente proporzionale alla quota altimetrica al suolo.

configurazionale interpreti le dinamiche urbane del caso di studio. Si ricorda, a tal proposito, che Napoli è una città resa particolarmente complessa dalla presenza di numerosi fattori concomitanti. Essa è innanzitutto di inconsueta dimensione nel panorama delle città italiane, ed ancor più del Meridione d’Italia, contando 970.185 residenti – 8298,2 ab. /kmq – (ISTAT, 2017), che valgono più del 16% della popolazione residente in Campania, ovvero circa il 31% di quella provinciale. Questi dati, tuttavia, non restituiscono un’idea realistica della condizione di affollamento della città che, per i molteplici ruoli che riveste, ogni giorno è oggetto di un’imponente mole7 di spostamenti per studio, lavoro e turismo La città, inoltre, è la meta di molti migranti, anche non regolari e quindi non censiti all’anagrafe, ma di fatto residenti in città. Gli spostamenti urbani, e particolarmente quelli interni, sono concentrati perlopiù verso il centro della città, comunemente individuato come l’area di irradiamento della viabilità urbana princi-

7

Basti pensare che il Piano Comunale dei Trasporti della città di Napoli, del 2001 (Comune di Napoli, 2001) stimava all’anno di redazione in circa 470.000 gli utenti giornalieri della rete metropolitana prevedendo un aumento negli anni successivi a circa 700.000, mentre le rilevazioni del traffico in Tangenziale hanno evidenziato una presenza distribuita (senza picchi) di oltre 5000 veicoli l’ora nei giorni feriali (Comune di Napoli, 2001).

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pale, corrispondente alle zone adiacenti il centro antico e verso poche altre zone periferiche (Comune di Napoli, 2001). A ciò si accompagna la complessa orografia urbana, con un sistema collinare che digrada verso il mare, in alcuni casi molto repentinamente, e che taglia la città nella sua zona pianeggiante. Ciò ha reso storicamente necessario lo sviluppo di un importante sistema di attraversamenti in galleria. Riferendosi ai risultati della sola analisi configurazionale, si può descrivere la città in maniera sorprendentemente precisa. A livello globale, l’andamento dell’indice di integrazione e dell’indice di scelta descrivono una città palesemente monocentrica, in pieno accordo studi di diverso approccio pubblicati sulla città di Napoli e, in particolare, con i risultati delle analisi finalizzate alla stesura del Piano Comunale dei Trasporti (Comune di Napoli, 2001). In termini configurazionali questa situazione si è evinta definendo un livello di soglia del valore dei due indici, fissato al 95-esimo percentile8. Per l’’indice di integrazione, si parla comunemente in questo caso di integration core: l’insieme delle linee a maggiore centralità di vicinanza, ovvero oggetto del maggior numero di spostamenti finalizzati. L’indice di scelta, invece, si è già detto rappresentare una misura della centralità di medietà, descrivendo la distribuzione dell’attrattività per le attività che dipendono direttamente dai flussi di spostamento. In concomitanza dell’alto valore di entrambi si è in presenza di uno spazio potenzialmente centrale ad uso misto. La commistione delle destinazioni d’uso, infatti, è una caratteristica propria degli spazi centrali. Nel caso di Napoli, esiste un’unica area in cui c’è la concentrazione di entrambi gli indici, ovvero quella corrispondente all’integration core. L’indice di scelta restituisce molto chiaramente l’effettiva distribuzione delle strade commerciali, anche quando esse hanno una localizzazione apparentemente incoerente. È il caso, ad esempio, di via Scarlatti (tratto pedonale) nel quartiere Vomero, o di Piazza dei Martiri, nel quartiere San Ferdinando, intuitivamente non appartenenti alla struttura principale di attraversamento della città. Il punto di irradiamento del sistema stradale principale, prima citato, è localizzato, geograficamente, nel mezzo dell’integration core e ciò spiega, in termini configurazionali, il sovraccarico di traffico delle arterie. Dal punto di vista dell’andamento degli indici locali, per contro, si manifesta una notevole presenza di aree ad indipendenza configura8

Fissare la soglia al 95-esimo percentile significa considerare solo il 5% dei nodi/ segmenti con il più alto valore di un indice configurazionale.

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Figura 39 – Mappa tematica dell’andamento dell’indice di integrazione globale. Scala di luminosità: più alta è la luminosità di una linea, più alto è il relativo valore dell’indice.

Figura 40 – Mappa tematica dell’andamento dell’indice di integrazione locale, calcolato con raggio d’intorno metrico (400 metri) – Scala di luminosità.

zionale media ed alta, formalizzata attraverso il calcolo dell’indice di integrazione con raggio di 400 metri. Ciò si traduce in una grande frammentazione delle centralità locali, presupposto alla strutturazione per piccole comunità, che sembra effettivamente rispecchiare la condizione della città di Napoli. Non a caso uno dei principali temi del governo del

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Figura 41 – Integration core: 5% dei nodi/segmenti con il valore più alto dell’indice di integrazione globale.

Figura 42 – Mappa tematica dei nodi/segmenti costituenti la struttura portante dell’area di studio: in bianco l’integration core; in grigio chiaro le linee ad alto indice di scelta (95-esimo percentile) non appartenenti all’integration core; in grigio scuro le linee ad alta scelta appartenenti anche all’ integration core.

capoluogo partenopeo è legato alla difficoltà di creare un efficiente sistema di trasporto pubblico, anche in ragione della grande diffusione delle aree insediative di piccola scala e della mancanza di centralità coagulanti

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alternative a quella centrale. È il caso di citare il ben noto piano delle Cento Stazioni che è nato con l’obiettivo di incrementare il numero delle stazioni da 57 a 114 nel periodo 2003 – 2011 in cui il maggior numero dei nuovi interventi è indirizzato proprio al raggiungimento delle tante aree urbanizzate periferiche (Comune di Napoli, 2003). In definitiva, l’analisi configurazionale del caso di studio presenta un alto grado di coerenza tra i fenomeni in atto, mutuati nella loro evidenza anche dagli studi propri di altre discipline, e l’andamento degli indici: condizione di fondamentale importanza per l’affidabilità delle regressioni inerenti al fenomeno della rendita. La correlazione tra le variabili in un modello empirico rappresenta una fase molto delicata in quanto un errore d’impostazione dei problemi da analizzare si riverbera sulla qualità e sull’utilità del modello stesso. Nel caso in esame si è quindi cercato di tenere ben presente quale dovesse essere lo scopo principale del modello: evidenziare correlazioni tra la variabilità del mercato immobiliare e l’andamento degli indici configurazionali nel quadro generale dei risultati già acquisiti da Space Syntax. Ciò significa che ci si è sempre riferiti al quadro delle conoscenze note e che tutti i fenomeni sono stati interpretati coerentemente ad esse. A dispetto di quanto ci si potesse attendere, sono emerse fattispecie interessanti che, se da un lato confermano la bontà del modello hilleriano, dall’altro ne ampliano la robustezza rispetto al generale fenomeno che è la città. Si è cercato, innanzitutto di far muovere il modello su due piani diversi, corrispondenti alle diverse scale della struttura urbana. Uno globale, che riferisse di fenomeni legati alla struttura portante della città (ovvero alla foreground network) ed uno locale, inteso ad evidenziare il rapporto tra i prezzi e la fluttuazione degli indici nelle diverse centralità locali (background network). Nel primo dei due piani, si è ovviamente cercato di approfondire il ruolo dell’unica grande centralità evidenziata, il cui ruolo, in coerenza con la letteratura scientifica, va inteso come il risultato della tendenza alla minimizzazione della distanza universale di un numero limitato di elementi (quelli centrali), che pertanto si localizzano nei punti di irradiamento della struttura principale dello spazio urbano. Di fatto le centralità globali individuano i punti dello spazio dove l’economia di movimento ha più probabilità di manifestarsi, ovvero dove la dinamica dello spazio urbano ha potenzialmente maggiore forza e può essere più determinante (Hillier B. , 1999). Questa interpretazione di fatto associa

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Figura 43 – Kriging, il poligono con contorno nero costituisce il limite della centralità locale, mentre il cerchio crociato rappresenta la posizione del suo centroide ponderata sulla localizzazione dei punti medi delle lines (crocette nere).

alla centralità globale il ruolo di traccia per la successiva individuazione delle centralità locali: più queste ultime sono prossime ad essa, più costituiranno un sistema dotato di indipendenza, ma allo stesso tempo integrato, compatto, suddiviso e con un più chiaro rapporto tra globalità e località. Ciò lascia presupporre che tutte queste proprietà siano legate alla possibilità di interagire con i flussi di spostamento, molto accentuati, che il quadro globale garantisce. Per contro, più ci si allontana dall’integration core e più le centralità locali saranno piatte, segregate e mal rapportate al livello globale. In questo quadro, il primo intento della ricerca è stato quello di verificare se questi caratteri emergono nel campo delicato della rendita immobiliare. Ci si è chiesti, pertanto, come il mercato si rapporti alla distanza dal centro globale. Per farlo è stato innanzitutto necessario definire le centralità locali, per poi studiare come il mercato si presenti nei loro intorni. Il concetto di centralità locale è legato al concetto di configurazione bidimensionale della griglia. Ciò permette di qualificarla in funzione dell’andamento degli indici configurazionali in un intorno metrico limitato. In tal senso, mentre la centralità globale dipende essenzialmente dal posizionamento degli spazi, quella locale dipende anche dalla forma della griglia. Per l’individuazione delle centralità locali si può procedere innanzitutto all’analisi dell’andamento dei

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Figura 44 – Local centralities – Localizzazione dei centroidi delle 47 centralità locali.

valori dell’indice di integrazione. Il raggio di analisi è stato fissato su base metrica e consistenza di 400 m, per simulare il limite di percorribilità pedonale e, per certi versi, la dimensione del quartiere (Mehaffy, Porta, Rofè, & Salingaros, 2010). Il risultato è l’emersione di 47 aree, selezionate nel quadro di centinaia di punti d’attenzione. Per facilitare la lettura degli elementi emergenti, non agevole soprattutto nelle aree molto integrate, è stato fatto ricorso al kriging9, strumento di statistica spaziale. Questo si basa sulla regionalizzazione della stima ottimale di una grandezza, partendo da una distribuzione puntuale di suoi valori. Attraverso gli strumenti propri dell’ambiente di modellazione (ArcGis 10.1) si è proceduto alla riconduzione delle lines in punti, attraverso l’individuazione del loro punto medio (che peraltro è il punto di collocazione spaziale del nodo duale di ogni line), trasferendo ad essi i valori degli indici configurazionali. Ciò ha permesso di ottenere una mappatura poligonale dell’andamento degli indici, utile a far emergere le aree di effettivo addensamento dei valori. 9

Il kriging è un metodo lineare per la stima ottimale di una grandezza.

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Figura 45 – OLS – Scarto tra valore registrato e valore atteso – Scala di luminosità: lo scarto aumenta all’aumentare della luminosità.

Una volta individuate le centralità si è, di fatto, ridefinito il perimetro urbano di studio. Al suo interno si è provveduto innanzitutto a calcolare per ogni centralità locale la distanza dal core. Alle stesse centralità, per altro, è stata assegnata la dimensione media delle aree di prezzo omogeneo su cui esse insistono, con un raggio di gravitazione di 400 m – lo stesso applicato per gli indici configurazionali finalizzati alla loro definizione. Il risultato è una mappatura della distanza delle centralità e della dimensione media delle aree di prezzo dal core. Il piano di studio locale, si basa sull’analisi delle centralità locali appena individuate. All’interno di esse, si è cercato di approfondire il ruolo giocato dalla forma dello spazio nell’influenzare le dinamiche del mercato locale. Nella consapevolezza che alla distanza dal core corrisponde un logico aumento della segregazione ed un’altrettanto logica mono-funzionalizzazione residenziale degli spazi, si è cercato di correlare la variabilità dei valori immobiliari con l’andamento degli indici. Ciò permette di verificare l’attendibile fattispecie secondo cui allontanandosi dal core gli indici dovrebbero descrivere più efficacemente il mercato in quanto esso dovrebbe risentire meno dell’effetto distorcente degli attrattori, che, per logica configurazionale, tendono ad ammassarsi verso il centro globale. Per contro, com’è altrettanto attendibile, ci si aspetta che nei pressi del core il mercato locale sia

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governato da molti più fattori e pertanto solo marginalmente descritto da Space Syntax. Per produrre tali analisi è stato necessario adoperare una tecnica di statistica spaziale per la correlazione a più variabili: l’Ordinary Least Squares10 (OLS). Quest’ultima è una tecnica di interpolazione lineare – nel caso specifico – attraverso cui è possibile la correlazione di una variabile dipendente e di più variabili indipendenti. Nel caso di specie, volto ad evidenziare il solo contributo configurazionale, si è proceduto adoperando come variabile dipendente il valore di mercato degli immobili residenziali e come variabile indipendente l’indice di integrazione locale (R= 400 m). La tecnica adoperata permette di evidenziare i valori attesi dei prezzi degli immobili lungo le lines in funzione del relativo valore di integrazione locale. Ciò permette di evidenziare lo scarto tra il valore atteso e il valore effettivamente registrato. Per sua natura, per altro, la tecnica dà risultati di qualità crescente all’aumentare delle linearità della correlazione tra le variabili. Ciò induce ad ipotizzare che essa funzioni molto meglio nelle aree periferiche, dove la variabilità che s’attende è proprio lineare, in funzione della nota relazione tra movimento ed integrazione locale negli spazi decentrati11.

Napoli: una discussione non-discorsiva della rendita di posizione L’applicazione del modello di analisi consente di concludere in maniera non-discorsiva che la distribuzione dei valori immobiliari risente di effetti configurazionali a diversi livelli. Come si vedrà con maggiore dettaglio nel seguito, s’individua chiaramente un effetto di livello globale, che si formalizza nella correlazione tra il numero delle centralità locali, la superficie media delle aree di prezzo omogeneo su cui esse insistono (scenari di prezzo) e la distanza dall’ integration core; ed un effetto a livello locale, che si manifesta nella corrispondenza tra le aree di picco dei prezzi degli immobili e i segmenti/nodi a più alto valore dell’indice di integrazione e dell’indice di scelta locali.

10 Si tratta del metodo dei minimi quadrati. È stata adoperata la dizione inglese (OLS) in quanto è quella presente all’interno del software adoperato (ArcGis 10.1) 11 Non si preclude, peraltro, che possano manifestarsi fenomeni propri del mercato immobiliare non direttamente dipendenti dagli indici configurazionali, comunque evidenziati dalla struttura del modello.

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Figura 46 – Distribuzione di frequenza del numero di centralità locali in relazione alla loro distanza dall’Integration core.

Il contributo globale e l’effetto d’area Lo studio del livello globale è stato condotto attraverso la preventiva concentrazione delle informazioni inerenti al mercato immobiliare nei 47 punti rappresentativi delle centralità locali. In tal maniera è stato possibile ridurre la dispersione delle variabili in gioco, mantenendo alto il livello della loro rappresentatività. Ad ognuno dei 47 punti è stata associata la dimensione media delle aree di prezzo, calcolata come media aritmetica della consistenza delle aree distanti non più di 400 metri dal perimetro di ogni centralità locale di cui il punto è elemento rappresentativo, nonché la superficie delle centralità locali stesse – calcolata in base all’estensione del poligono derivante dall’implementazione del kriging. Grazie a tali informazioni è stato quindi possibile valutare diverse correlazioni, sia in termini di distribuzione di frequenza, sia in termini di regressione. Nello specifico, guardando alla distribuzione di frequenza del numero delle centralità locali, in relazione alla distanza dall’integration core (rappresentata in classi di ampiezza pari a 500 metri), si nota che allontanandosi dal centro globale della città il numero delle centralità locali diminuisce vistosamente. Allo stesso modo, prendendo in considerazione la distribuzione di frequenza dimensionale delle centralità locali stesse (con classi di ampiezza pari a 300 m2), si nota che la maggior parte delle centralità sono di piccola estensione. I risultati ci dicono, inoltre, che la dimensione

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Figura 47 – Distribuzione di frequenza della superficie delle aree di prezzo omogeneo (classi di ampiezza multiple di 300 m2).

delle centralità locali diminuisce nell’allontanarsi dall’integration core. Risultato, questo, che appare coerente con la teoria configurazionale: la disponibilità sempre maggiore di spazio che generalmente si registra spostandosi dal centro verso la periferia favorisce la nascita di tessuti, più o meno razionalmente imposti, caratterizzati dall’uso monotipologico del suolo (generalmente residenze), sempre meno sensibili alla localizzazione e, quindi, tendenzialmente crescenti in dimensione e scarsamente integrati. Il diradamento delle centralità locali ne è pertanto un effetto diretto, che esprime l’abbassamento tendenziale dell’indipendenza territoriale, che si traduce nella necessità di spostarsi, anche per lunghi tratti, per raggiungere gli attrattori indispensabili (prima di tutti le attività commerciali). Spostando l’attenzione dalle centralità locali alle aree di prezzo omogeneo, la correlazione tra la loro superficie (concentrata nei punti rappresentativi delle centralità locali in termini di media aritmetica delle aree dominate) e la distanza dall’integration core è ben resa da un funzione di regressione lineare, che interpretando circa l’80 percento della varianza si presenta sufficientemente robusta. Questa correlazione ci racconta che la superficie delle aree di prezzo omogeneo tendono ad aumentare in estensione allontanandosi dall’integration core, di fatto ricalcando quanto già descritto per le centralità locali (poligoni di kriging) e quindi segnalando una certa similitudine tra sensibilità alla rendita fondiaria e sensibilità alla localizzazione topologica rispetto alla centralità globale. Un’interpretazione più rigorosa di questo feno-

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Figura 48 – Rapporto tra dimensione delle aree di prezzo omogeneo e loro distanza dal core.

meno necessita di un rimando a quanto già detto in riferimento alla stretta relazione tra configurazione della griglia urbana, movimento ed attrattori. In particolare, la correlazione tra la distribuzione dei flussi di movimento (segnatamente pedonale) e la distribuzione dell’indice di integrazione globale assume forma logaritmica nei pressi dell’integration core e forma lineare ad una certa distanza da esso (Hillier, Penn, Hanson, Grajewski, & Xu, 1993). La variazione del grado della funzione di correlazione è attribuibile al contributo degli attrattori, che fungono da moltiplicatori del movimento indotto dal quadro relazionale della griglia urbana (prima definito movimento naturale) (Cutini, 1999). Diversamente, a livello locale la correlazione tra indici configurazionali (in particolare l’integrazione) e movimento, non segue questo quadro correlativo. Ciò si traduce nella dipendenza significativa tra la variazione degli indici configurazionali globali e la distribuzione dei flussi, indipendentemente dal layout locale. Il fenomeno registrato in termini di aree di prezzo omogeneo appare in tal quadro molto coerente con quello descritto, il che significa molto coerente con la dinamica essenziale delle aree urbane, che si è detto essere alla base dell’interpretazione configurazionale della città. Esiste, quindi, un contributo alla formazione degli scenari del mercato direttamente attribuibile all’andamento degli indici globali

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(in particolare dell’indice di integrazione), indipendente da quanto succede all’interno delle aree caratterizzate da elevati valori dell’indice di integrazione locale (400m). Ciò è particolarmente indicativo per il paesaggio, in quanto fornisce un’evidenza di come la centralità globale agisca da moltiplicatore della sensibilità all’accessibilità ed all’attrattività degli spazi urbani: più ci si trova vicini alla centralità globale è più diventa determinante la propria localizzazione. È straordinario come questo fenomeno sia pervasivo nei comportamenti, sebbene si possa ritenere del tutto inconsapevole. È significativo, peraltro, che emerga con tale chiarezza da un’analisi che tiene in conto esclusivamente gli spazi e non i comportamenti in esso, che anzi si propone di stimare e predire. In definitiva s’individua la naturale propensione della griglia a moltiplicare l’attrattività naturale delle aree dotate di alta indipendenza locale (centralità locali) esclusivamente in ragione della loro distanza dal centro di integrazione globale, ovvero in funzione dell’andamento degli indici configurazionali calcolati sull’intero grafo urbano. Ciò significa che esiste una sorta di effetto d’area congruente con il concetto di economia di movimento e quindi, più in generale, con la teoria configurazionale. Tale effetto, ovviamente, ha una valenza probabilistica. È fuori di dubbio, infatti, che si manifesti essenzialmente in ragione della distribuzione non omogenea degli attrattori sulla griglia urbana e che su questa fattispecie incida la localizzazione dei servizi e degli attrattori monopolistici. A quest’ultima categoria appartengono molti dei servizi urbani, ma in particolare le infrastrutture per la mobilità. Nelle città dotate di sistemi di trasporto collettivo di massa, ad esempio le linee metropolitane su ferro, infatti, l’alterazione della configurazione è generalmente tanto significativa da necessitare la modellazione topologica dei sistemi stessi. Anche per il caso di studio, essendo la città di Napoli dotata di più linee ferrate di servizio urbano, l’incidenza del fenomeno è molto evidente: tre12 delle 47 centralità, infatti, si presentano incoerenti con la struttura configurazionale in assenza di modellazione dei detti servizi di trasporto. Fattispecie che non si veri12

Si tratta di 3 aree inquadrate nella zona di Fourigrotta-Bagnoli, storicamente dotata di importanti servizi (tra cui l’Università “Federico II”, la Mostra d’Oltremare e polo industriale dell’acciaio – ora dismesso), e servita da più linee ferrate metropolitane indipendenti, corredate da numerose stazioni.

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fica analizzando il sistema corredato di questi elementi, sotto forma di nodi ed archi da aggiungere al grafo urbano. Esprimendosi in termini esemplificativi, in questo caso le infrastrutture di trasporto hanno l’effetto di avvicinare virtualmente le centralità locali all’integration core, di fatto rafforzando, ma solo selettivamente, il sistema pseudoradiale costituito dai nodi/segmenti ad alto indice di scelta, ovvero ad alta centralità di medietà. Fattispecie questa che si può generalizzare nell’idea che il contributo delle infrastrutture di trasporto va considerato soprattutto per l’alterazione che produce sulla distribuzione dell’indice di scelta. In definitiva, quindi, dall’analisi del livello globale è possibile trarre due conclusioni principali. La prima è che la distribuzione dei prezzi immobiliari, quale fenomeno urbano, è congruente con la teoria configurazionale. Quest’ultima, tra l’altro, trova nel caso di Napoli un’ulteriore conferma della sua validità, essendo pienamente verificata la dinamica essenziale che la sottende. In termini di paesaggio urbano, questa prima conclusione è di particolare interesse, in quanto fornisce una prima comprova della validità dell’approccio configurazionale alla sua interpretazione. La seconda conclusione di livello globale riguarda più specificamente le infrastrutture di trasporto ed esula il caso specifico della rendita fondiaria, assumendo valore rispetto all’intera fenomenologia urbana: il contributo che esse danno alla struttura della città è valutabile in termini di alterazione della distribuzione dell’indice di scelta. Su quest’ultimo punto, ovviamente, c’è necessità di ulteriori approfondimenti di ricerca. Il contributo locale e l’effetto moltiplicatore degli attrattori Lo studio dei fenomeni locali in ambito urbano è molto più complesso di quello dei caratteri globali. Ciò è dovuto alla fattispecie che i fenomeni in atto simultaneamente sono molti di più e risentono variabilmente del fattore di scala: cose apparentemente insignificanti hanno un grande impatto sulle dinamiche a differenza di altre che, ben più evidenti, non producono apprezzabili effetti. Fatte salve queste premesse è comunque possibile evidenziare alcuni interessanti aspetti locali basandosi sull’analisi comparativa degli indici configurazionali (calcolati con raggio metrico di 400 m) e dei valori immobiliari. Il raffronto tra le variabili è stato formalizzato, attraverso il ricorso all’Ordinary Least Squares (OLS), adoperando

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Figura 49 – Correlazione tra distanza dal core e percentuale di lines che appartengono all’intervallo di confidenza del ±5%.

l’indice di integrazione locale come variabile indipendente e il valore di mercato degli immobili residenziali come variabile dipendente. Il risultato è l’associazione ad ogni nodo/segmento di un valore immobiliare residenziale atteso. Si è potuto pertanto calcolare lo scarto tra quest’ultimo ed il valore effettivamente registrato, tematizzando in base ad esso i segmenti stessi. Definito un intervallo di confidenza degli scarti ritenuto accettabile per la volatilità dei prezzi (±5 %) si può notare come il numero di segmenti appartenenti ad esso cresca logaritmicamente nel muoversi dall’integration core verso l’esterno della città. Questa situazione conferma, dal punto di vista locale, quanto è emerso dallo studio dei fenomeni globali. Nello specifico, come prima si è detto che all’allontanamento dall’integration core si accompagna una progressiva diminuzione di sensibilità alla localizzazione, adesso si verifica come a questa diminuzione di sensibilità faccia eco non solo un ovvio appiattimento dei prezzi (risultato banale), ma anche una sostanziale crescente corrispondenza tra l’andamento dei valori configurazionali e la variabilità dei prezzi stessi. Ciò significa che i parametri

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Figura 50 – Interazione tra indici globali e variabilità locale del mercato: correlazione tra sovrastima dei valori immobiliari e valori registrati entro zone dell’integration core (linea superiore) ed in corrispondenza dell’integration core (linea inferiore).

configurazionali interpretano direttamente il mercato quanto più esso è indipendente dagli attrattori. All’interno dei bacini delle centralità locali posizionate nell’integration core, per contro, il fenomeno appare completamente differente. Ciò è dovuto all’interferenza tra fenomeni locali e fenomeni globali; molto evidente e profondamente alterante il mercato. Nello specifico, all’aumentare della percentuale di scarto tra il valore di mercato atteso e quello effettivo, aumenta linearmente il numero dei segmenti che appartengono direttamente all’integration core o che si trovano entro 20 m da esso. Questa situazione evidenzia come l’effetto moltiplicatore delle attività commerciali incida in maniera determinante sulla formazione dei valori immobiliari, conformemente a quanto accade per i flussi di movimento. La forza di questo fenomeno, che non può essere evidenziato in maniera più chiara in ragione del tipo di dati a disposizione, è devastante per l’andamento del mercato nelle zone ad uso misto. È il vero fenomeno in atto, da cui dipende sostanzialmente la variabilità dei prezzi. Ciò spiega come mai basta spostarsi anche poco dai segmenti appartenenti all’integration core per registrare un calo sostanziale degli scarti tra valori attesi e valori registrati.

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Fenomeni di natura locale a scala minore, certamente presenti, non sono riconducibili a chiari contributi configurazionali, almeno nel quadro dei dati disponibili. È ipotizzabile, ad ogni modo, che possa emergere il ruolo di attrattori secondari, che va verificato attraverso il loro rilevamento e posizionamento. In definitiva, dall’analisi locale del mercato si possono trarre alcune conclusioni. Innanzitutto esso si presenta bipartito in due grosse gruppi di aree con caratteristiche assimilabili. Il primo gruppo comprende le aree monofunzionali decentrate, con patrimonio edilizio prevalentemente residenziale, dove la correlazione tra andamento degli indici configurazionali e valori immobiliari è di tipo lineare e presenta bassa variabilità. Questo tipo di correlazione è perfettamente coerente con la teoria configurazionale, nel campo dell’analisi degli spostamenti. Nella stessa tipologia di aree, infatti, la correlazione tra spostamento e indici configurazionali è proprio di tipo lineare e i livelli di spostamento, intesi come quota parte del totale degli spostamenti nell’intero sistema urbano, sono tendenzialmente molto bassi. Diversamente il secondo gruppo comprende le aree centrali ad uso misto, in cui convivono destinazioni d’uso residenziali e destinazioni d’uso diverse, principalmente commerciali, del patrimonio edilizio esistente. In queste aree la correlazione tra valori immobiliari, segnatamente residenziali, ed indici configurazionali è molto meno coerente rispetto a quelle del primo gruppo. Ciò è dovuto, per una quota presumibilmente molto consistente, all’effetto distorcente legato alla presenza di nodi/segmenti con alti valori dell’indice di integrazione – spesso anche appartenenti all’integration core – e caratterizzati da altissimi valori dell’indice di scelta globale. Proprio su questi nodi/segmenti si verifica un notevole addensamento degli elementi a maggiore sopravvalutazione, ovvero con maggiore scarto positivo tra valore registrato e valore atteso. La fattispecie sembra evidenziare il ruolo strategico giocato dagli attrattori nell’influenzare la dinamica degli spazi urbani, moltiplicando le loro naturali qualità configurazionali. Peraltro, nella stessa tipologia di aree, si registra la presenza di andamenti indipendenti del mercato rispetto alla configurazione dello spazio, dovuti, presumibilmente, al contributo di attrattori secondari (emergenza di fattori tipologici di dettaglio, considerazione sulla composizione sociale degli immobili, …), che s’immagina diventare sempre più determinante procedendo verso scale di analisi molto ridotte. La quasi totalità del mercato è ad ogni modo governata dall’effetto cen-

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tripeto delle aree commerciali, che tendono a soverchiare la gerarchia urbana, sebbene di fatto l’assecondino, in forza della moltiplicazione del valore configurazionale degli spazi. Tale aspetto collima, anche se solo in sub-regioni urbane circoscritte, con l’approccio centrico, proprio della modellistica classica. La rendita immobiliare sembra quindi comportarsi, coerentemente ad altri fenomeni urbani, in maniera configurazionale, ovvero la sua distribuzione viene interpretata correttamente nel quadro della dinamica sintattica degli insediamenti. Il più importante dei risultati, tuttavia è un altro: il paesaggio urbano sembra poter essere efficacemente ed effettivamente ricondotto a parametri oggettivi e misurabili, premessa per lo sviluppo di una pratica del paesaggio che rifiuti un suo apprezzamento meramente statico e qualitativo. In questo senso, l’approccio configurazionale al paesaggio mostra straordinarie potenzialità, non solo descrittive dell’esistente, ma anche valutative delle futuribili trasformazioni, cui gli operatori sono chiamati a non sottrarsi nel dovere comune di governare il paesaggio e non solo di conservare un territorio irrealisticamente immutato. La Convenzione Europea del Paesaggio costituisce in tal senso un fertile terreno di riflessione che invita la ricerca a concentrarsi su come il paesaggio possa essere indagato, considerato ed “adoperato” quale variabile territoriale più che come inafferrabile prodotto di una realtà spaziale complessa, a priori non indagabile fruttuosamente. Il paesaggio-variabile necessita di una definizione inequivocabile e di una forma di misurabilità che ne assicuri la comunicazione. Aspetto, quest’ultimo, imprescindibile: solo la definizione di un linguaggio comune può garantire al paesaggio il suo primario ruolo. Troppo spesso si sente ancora parlare di paesaggiolinguaggio, quale strumento di lettura della grammatica territoriale. Il paesaggio è qualcosa di più e di diverso rispetto ad un linguaggio convenzionale condivisibile: è il modo con cui lo spazio si fa proprio, si pensa, si usa, si fruisce. Necessita perciò esso stesso di un linguaggio e l’analisi configurazionale può rivendicare questo ruolo, seppure solo nel caso specifico del contesto urbano.

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Capitolo 5 Paesaggio, città e rischi naturali

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Aree urbane e rischi naturali Da che dipende la vulnerabilità di una città agli eventi naturali? Esiste un nesso tra paesaggio urbano e rischi naturali? La vulnerabilità di un aggregato urbano ad eventi catastrofici di origine naturale dipende in stretta misura dal rapporto, sovente non lineare, tra l’intensità dell’evento ed il danno atteso, che può ben definirsi come curva di vulnerabilità. Ogni aggregato, a seconda delle proprie caratteristiche intrinseche, ha una propria curva di vulnerabilità rispetto ad un dato fenomeno. Su tale curva incidono non solo variabili strutturali, quali possono essere la lunghezza media delle strade, l’altezza degli edifici e le loro caratteristiche costruttive, ma anche variabili economico-sociali, o meglio comportamentali, ovvero legate al modo con cui lo spazio costruito viene usato dalla popolazione residente e presente. La fonte del danno – ovvero il fenomeno catastrofico naturale – ha invece proprie caratteristiche intrinseche, esplicitabili attraverso il concetto di pericolo. A livello di pianificazione territoriale è determinante conoscere, per i principali fenomeni disastrosi naturali, le relative curve di vulnerabilità, in modo da poter stabilire soglie di accettabilità del danno e quindi stimare probabilisticamente il rischio. È intuibile che quanto più le probabilità di accadimento di un evento catastrofico naturale, dovuto ad una o più fonti di pericolo, sono sottostimate dalla popolazione, tanto più il danno che esse possono provocare è grande, facendo salire significativamente il livello di rischio. Molteplici fattori incidono sul modo con cui una comunità valuta il pericolo di un evento naturale, primi su tutti: la frequenza con cui

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l’evento si è manifestato in passato; il tempo che è trascorso dall’ultimo evento e i danni che esso ha generato, la spiegazione che è stata data all’evento. In generale gli uomini, e quindi le comunità, tendono a non considerare gli eventi rari, in quanto l’essere umano è per propria natura propenso ad estendere a tutti i fenomeni le conoscenze derivanti dalle esperienze passate, oppure acquisite nel proprio processo formativo. Ciò significa che, in linea di principio, ogni evento realmente critico proviene dall’inaspettato e che la scienza, pur avendo aggiunto conoscenza all’esperienza, non impatta in maniera determinante sulla possibilità per ogni comunità di essere vittima di un evento inaspettato e di esserne fortemente turbata. Questi concetti, alla base della cosiddetta Teoria del Cigno Nero (Taleb, 2007), incidono fortemente sugli scenari di rischio da fenomeni di origine naturale. Dal punto di vista della pianificazione territoriale è possibile suddividere le fonti naturali di pericolo in due grandi categorie: (i) gli eventi che si verificano con bassa probabilità o come tali percepiti; (ii) gli eventi a media ed alta probabilità di avvenimento o come tali percepiti. La percezione di un evento come ad alta o bassa probabilità di accadimento dipende non solo dalla sua frequenza assoluta di manifestazione, ma anche dal grado di affinità del fenomeno che lo causa con altri fenomeni territoriali. Ciò significa, ad esempio, che la percezione della probabilità del crollo di un grattacielo non dipende solo dal numero dei crolli di grattacieli nel mondo, ma anche da tutti i crolli di altri manufatti. In termini generali, ciò si traduce nell’assunto che quanto più un fenomeno ha precursori o affini, anche causalmente non riconducibili ad esso, tanto più esso è percepito con maggiore probabilità di accadimento. Per verificare questa posizione è possibile seguire diversi approcci, sia orientati allo studio dei fenomeni, sia legati allo studio dei comportamenti rispetto ad uno scenario di danno atteso in rapporto ad uno specifico fenomeno. Partendo da quest’ultimo punto di vista, ci si può domandare se e quanto la percezione di una fonte naturale di pericolo incida, o meglio abbia inciso, sulla strutturazione di un aggregato urbano e come possa incidere sulle sue trasformazioni future, così come sulle strategie da adoperare in caso di evento critico. In altre parole, ci si può chiedere qual è il ruolo del paesaggio urbano nei diversi scenari di rischio naturale. A tal fine, nei seguenti paragrafi ci si rifà due studi preliminari: uno avente ad oggetto il pericolo vulcanico (ricadente nella catego-

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ria dei fenomeni naturali a bassa probabilità di accadimento) ed un altro (considerato come percepito ad alta probabilità di accadimento) avente ad oggetto le alluvioni da esondazione fluviale. Entrambi gli studi vengono condotti in maniera induttiva su altrettanti casi di studio, adoperando l’approccio al paesaggio urbano basato sull’analisi configurazionale.

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Vulcani ed eruzioni I vulcani rappresentano una delle più spettacolari ed iconiche manifestazioni naturali e sin dall’antichità sono stati considerati con rispetto e timore dalle popolazioni che abitano nelle loro dirette propaggini. Le credenze popolari, tuttavia, associavano ai vulcani l’idea di soprannaturalità, intrecciando saldamente nel mito le cause delle loro manifestazioni. Il concetto di rischio legato agli eventi catastrofici indotti dall’attività vulcanica è, infatti, di relativamente recente formulazione. Anche in questa fase “razionalizzata” il rapporto tra uomo e vulcani è di difficile interpretazione. Sono infatti oltre 300 milioni i residenti in zone potenzialmente oggetto di vulcanesimo attivo e questo numero è aumentato vertiginosamente nell’ultimo secolo. Ciò non può essere che dovuto ad una sorta di saldo attivo tra il pericolo ed i vantaggi percepiti che una tale localizzazione ha offerto e continua ad offrire. In questo senso si può pensare ad una sottostima del reale pericolo legato all’attività vulcanica che nel corso dei secoli ha portato alla strutturazione di aree antropizzate molto estese ed in alcuni casi sufficientemente dense da evolvere prima in città e poi in vere e proprie conurbazioni. Tra le motivazioni che hanno contribuito a far percepire come improbabile l’attività vulcanica vi è sicuramente la scarsa cognizione della sua reale frequenza, su cui incide la bassa densità geografica dei vulcani, anche se fortemente disomogenea. Ad oggi infatti, seppure sono censiti nel mondo solo poco più di 1.300 vulcani attivi, ovvero che hanno dato manifestazioni negli ultimi 10.000 anni di cui 10 in Italia, vi è un’attività quotidiana anche molto significativa. Se si paragona l’attività vulcanica con altre fonti di pericolo, quali ad esempio quella fluviale e marittima, si intuisce da subito la sua apparente marginalità numerica e si comprendono le motivazioni che inducono l’opinione comune a tenerne relativo conto, ovvero a non pubblicizzarne i possibili effetti.

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In questo scenario è di particolare interesse valutare come la percezione del territorio, in particolare quello urbanizzato, si rapporti alla presenza dei vulcani, nell’intento di valutare se le espansioni antropiche del secolo scorso abbiano o meno tenuto conto dell’esposizione al pericolo vulcanico. Ciò porta a chiedersi se nel paesaggio urbano collettivo dei residenti giochi effettivamente un ruolo la presenza del vulcano. A tal proposito, è possibile procedere induttivamente, lavorando in un’area urbana in diretto rapporto con un vulcano attivo, definendo scenari diacronici rispetto all’espansione degli insediamenti e valutando quantitativamente, secondo l’approccio proposto nel testo, la curva di vulnerabilità dell’area rispetto al fenomeno dell’eruzione vulcanica. Adoperando una logica induttiva è cioè possibile trarre alcune considerazioni generali, seppure preliminari, a sostegno o confutazione dell’assunto da cui si è partiti, ovvero l’idea che il vulcanesimo viene percepito come un fenomeno a bassa probabilità di accadimento e per questo sottostimato. La scelta del caso di studio rappresenta un elemento cruciale in ogni metodo induttivo ed è importante che esso sia effettivamente rappresentativo del fenomeno, ovvero che vi sia il reale pericolo di un’eruzione vulcanica, nonché che vi sia un’adeguata massa antropica, ovvero che la popolazione potenzialmente esposta al pericolo sia numericamente rilevante ed organizzata in una struttura insediativa a tutti gli effetti urbana. Le pendici del Vesuvio, dal lato occidentale del vulcano, rappresentano, in tal senso, un caso che appare pienamente adeguato alla fattispecie. Esse ospitano una delle aree urbane più problematiche d’Europa, oggetto peraltro di un dibattito di scala mondiale, che non tacita accenti di preoccupazione (Barnes, 2011). Oltre un milione di persone sono attualmente insediate in un’ampia fascia urbanizzata che costituisce un vero e proprio agglomerato urbano senza soluzione di continuità, sviluppatosi nel corso dei secoli in assenza di piani o politiche di governo del territorio, o con essi spesso in contrasto. Il Vesuvio peraltro è ancora un vulcano in piena attività, nel senso più stretto del termine, essendo stata registrata un’ultima eruzione nel 1944 ed essendo fortemente temuto, se non addirittura atteso, un possibile prossimo evento catastrofico, tanto da generare ciclicamente momenti di vera e propria paura collettiva, risvegliando gli atavici ricordi del terribile racconto di Tacito e di Plinio dell’eruzione del 79 d.C. La storia eruttiva del Vesuvio

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va avanti da oltre 400.000 anni senza soluzione di continuità, ripetendosi ciclicamente l’alternanza di grandi eruzioni, fortunatamente non tutte a carattere catastrofico, e di un’attività secondaria, con cicli ventennali abbastanza regolari. Gli ultimi eventi di maggiore portata di cui vi è una testimonianza diretta sono stati otto e risalgono ad un periodo che va dal XVII al XX secolo (1631 – 1760 – 1794 – 1834 – 1861 – 1872 – 1906 – 1944). Una sequenza così regolare di eventi è presumibile che abbia lasciato, sedimentata nella memoria storica delle comunità locali, una profonda ed ancestrale paura del vulcano, nonché la piena consapevolezza dei terribili rischi che derivano dalla sua incombente presenza. La crescita esponenziale negli ultimi 50 anni degli insediamenti in prossimità del Vesuvio, lascerebbe intuitivamente supporre che tale paura e consapevolezza abbiano in qualche modo orientato l’evoluzione della forma e della struttura dello spazio costruito al fine di renderlo più sicuro ed incrementare quella che oggi si definisce la resilienza dell’insediamento. D’altro canto, però, la Teoria del cigno nero suggerisce una diversa possibilità, in quanto nell’esperienza diretta delle popolazioni insediate nell’area vesuviana dagli anni ’50 del XX secolo non vi sono stati eventi eruttivi veri e propri, in quanto l’eruzione del 1944, ultima manifestazione significativa del vulcano, è stata spesso derubricata ad un’azione bellica ostile causata da un bombardamento alleato nel cratere, creando l’idea comune di un Vesuvio tutto sommato quiescente. La sottovalutazione del fenomeno potrebbe aver portato, pertanto, ad un’evoluzione dello spazio urbano non coerente con il pericolo indotto dal vulcano, facendo diminuire la resilienza dell’insediamento e causando un cambiamento, in negativo, della curva di vulnerabilità dell’area. Ad accrescere quest’ultima possibilità vi è, tra l’altro, un ampio insieme di fattori che vanno dagli aspetti economico-sociali a quelli dell’attaccamento e dell’appropriazione culturale, trattandosi di un’area insediata da millenni. Vi è inoltre un’indiscutibile attrattività naturale dell’area, in quanto i lapilli e le ceneri vulcaniche che fuoriescono dal cratere del Vesuvio con regolarità sono stati e sono ancora un ottimo fertilizzante che rende particolarmente produttive le sue pendici, tanto da favorire la coltivazione di varietà eccellenti di ortaggi e frutta, cui si accompagna un microclima eccezionalmente favorevole e una vista mozzafiato sul golfo di Napoli e di Sorrento che rendono le pendici occidentali del Vesuvio anche una localizzazione residenzia-

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Figura 51 – L’area di studio, evidenziata in toni chiari sul DTM della costa tirrenica campana.

le particolarmente appetibile. Ciò è testimoniato dal grande sviluppo edilizio che negli ultimi 50 anni hanno visto anche le aree a mezza costa, abbastanza lontane dalla linea della costa, ormai costellate da un patrimonio spesso usato solo stagionalmente (ISTAT, 2011). In definitiva, ciò che fa di quest’ampia fascia costiera uno dei più pericolosi contesti insediativi del pianeta, esposto ad una fonte di rischio terribile e non eliminabile, è allo stesso tempo ciò che le permette di essere una delle più ricche ed attrattive aree agricole italiane, fonte di benessere ed occupazione, nonché forte elemento identitario della cultura locale e, infine, area di grande richiamo per il turismo naturale e culturale.

Il Vesuvio e la “zona rossa” Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso è stata per la prima volta individuata un’area ad elevato rischio vulcanico che circonda il Vesuvio, denominandola zona rossa, contornata da cinture concentriche a rischio progressivamente decrescente, rispettivamente denominate zona arancione, zona gialla e zona verde. Variata nel suo perimetro più volte nel corso degli anni, nel 2001 l’area costituente la zona

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rossa contava 18 Comuni, sul cui territorio si prospettava il rischio di una completa distruzione in caso di forte eruzione del Vesuvio. Aggiornata nel suo perimetro l’ultima volta nel 2013, oggi essa conta 27 Comuni, copre più di 350 km2 e coinvolge una popolazione di oltre 1.100.000 abitanti. Che l’area sia effettivamente esposta ad un rischio vulcanico eccezionale e che necessiti di una specifica pianificazione dell’emergenza sono aspetti su cui c’è una precisa consapevolezza tecnica da almeno vent’anni. La prima stesura del Piano di Emergenza Nazionale per l’evacuazione dei residenti all’interno della zona rossa in caso di evento eruttivo, redatta dal Dipartimento della Protezione Civile, risale al 1995 e prevede lo spostamento degli sfollati attraverso diverse modalità di trasporto e secondo predeterminati percorsi, in modo da distribuirli in 18 Regioni italiane, dal Piemonte alla Sicilia. La parte più esposta della zona rossa, è senza dubbio proprio l’area di studio, ovvero la fascia costiera che si distende dalle pendici del Vesuvio fino al mare, essendo la più densamente abitata, la più morfologicamente penalizzata in caso di colate laviche, nonché quella con la minore disponibilità di infrastrutture di collegamento utilizzabili in emergenza. Essa confina a nord con l’area meridionale di Napoli e, a sud, con le propaggini settentrionali della penisola sorrentina, per complessivi 120 km2 (Figura 51). L’area interessa 9 comuni, fra i quali Pompei ed Ercolano, ed una popolazione complessiva di circa 380.000 abitanti (Tabella 1). Comune Portici Ercolano Torre del Greco Trecase Bosco Trecase Bosco Reale Torre Annunziata Pompei Scafati TOTALE

superficie (km2)

popolazione

4,52 19,64 30,66 6,14 7,49 11,20 7,33 12,41 19,00 118,39

60.218 56.738 90.608 9.179 10.638 27.618 48.013 25.751 50.275 379.038

densità di popolazione (abitanti/km2) 13,322 2,889 2,955 1,495 1,42 2,466 6,55 2,075 2,646 3,202

Tabella 1 – Quadro anagrafico dei Comuni interessati.

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Figura 52 – Analisi dei flussi nell’area di studio sulla base del modello digitale del terreno, quest’ultimo derivato dal rilievo LIDAR (Sistema informativo territoriale della Città Metropolitana di Napoli – http://sit.cittametropolitana.na).

L’intera area, completamente urbanizzata, attualmente si presenta come un’unica estesa conurbazione distribuita longitudinalmente tra la linea di costa e le pendici del vulcano, frutto di un rapido sviluppo che nel dopoguerra ha portato alla saldatura di nuclei urbani preesistenti, anche di antica fondazione. Tra questi, i centri più importanti sono Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata e Pompei, ma tutti i centri si presentano fortemente urbanizzati, facendo registrare una densità abitativa media di 3.202 abitanti/km2 ed una densità di picco di 13.222 abitanti/km2, nella città di Portici, tra le più alte d’Europa. La fusione dei nuclei antichi concorre a formare una vera e propria regione urbana, che attualmente copre l’intera pendice occidentale del Vesuvio, con una struttura a densità variabile, in cui le dense aree propriamente nucleari si alternano ad aree a minore densità, negli spazi interstiziali e di corona. Osservando la storia urbanistica recente dell’area, il processo di sviluppo è avvenuto in massima parte in maniera disorganizzata e non pianificata e la vicinanza ad una fonte di pericolo e di opportunità, qual è il Vesuvio, apparentemente sembra aver avuto poca influenza.

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Le tecniche di analisi configurazionale possono essere quindi utilizzate per rispondere all’interrogativo inerente l’effettiva capacità dell’insediamento di fronteggiare il pericolo e di sfruttare le opportunità che il Vesuvio offre. In termini concreti e più generali, la questione riguarda il modo, se un modo è identificabile, con cui le comunità locali materializzano il proprio timore dei rischi naturali e la propria attrazione verso le opportunità territoriali, sviluppando ed adattando i propri insediamenti per salvaguardarsi dai primi e per sfruttare le seconde. Peraltro, al di là dello specifico caso dell’area vesuviana, dagli esiti di questo studio preliminare è attesa una risposta di portata più generale sulla capacità dei sistemi urbani auto-organizzati di fronteggiare e mitigare gli effetti di eventi disastrosi di origine naturale, tanto da manifestare doti di stabilità e di resilienza probabilmente inattese.

Metodologia e backgrounds Due sono le linee tematiche principali che s’intrecciano sotto il singolo caso dell’area vesuviana. Da un lato, lasciando al margine la presenza del vulcano, il caso di specie rimanda alla più generale tematica della genesi di una conurbazione a partire dalla crescita di un insieme di nuclei insediativi preesistenti, che si sono andati sviluppando fino a fondersi ed a formare una struttura urbana completamente differente, dotata di una nuova e diversa geografia interna. Quest’aspetto può essere correttamente analizzato ricorrendo all’uso delle tecniche di analisi configurazionale su scenari diacronici, in modo da rendere evidente la trasformazione della geografia interna di ogni singolo subsistema nel corso della sua progressiva crescita, della sua fusione con gli altri nuclei e del suo contributo nella formazione di un sistema globale di scala superiore. È noto, peraltro, che la geografia interna di una conurbazione – qualora essa derivi dalla crescita di città di dimensione analoga o similare – svuoti i nuclei originari della loro centralità, trasferendo quest’ultima verso il tessuto degli ambiti insediativi che li connettono. Tale fenomeno è stato già osservato nell’area metropolitana di Firenze, che si è sviluppata grazie alla crescita ed alla fusione di un elevato numero di insediamenti preesistenti gravitanti attorno al capoluogo toscano: in questo caso lo strutturarsi della conurbazione ha causato lo spostamento delle localizzazioni a maggiore centralità dalle zone più interne dei nuclei originari verso un’ampia area di sviluppo posta a nord-ovest della città di Firenze (Cutini, 2016).

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La seconda tematica, legata in modo specifico al caso di studio, riguarda la prossimità della conurbazione vesuviana alla incombente fonte di pericolo del Vesuvio. Nell’intento di studiare il comportamento di un aggregato urbano in caso di una calamità naturale, come un’eruzione vulcanica, si entra nell’ampio – e ampiamente discusso – tema del rapporto tra rischio e vulnerabilità urbana. Si è già detto che è fondamentale per il governo del territorio la conoscenza della curva di vulnerabilità rispetto ad un fenomeno naturale. Allo stesso modo è importante conoscerne un elemento causalmente ad essa connesso, qual è la capacità di far fronte all’evento stesso, oggi comunemente, ma non univocamente, declinato in termini di resilienza urbana. Molte interpretazioni sono state a tal proposito formulate, attribuendo a quest’ultima significati diversi e considerandone, di volta in volta, aspetti specifici: la resilienza è stata considerata e valutata come la capacità di un’organizzazione territoriale di salvare e mettere in sicurezza la popolazione colpita (Gil & Steinbach, 2008; Mohareb, 2009; Mohareb, 2011); la capacità degli aggregati urbani di mantenere in efficienza i suoi impianti e le sue infrastrutture (Jha, Miner, & Stanton-Geddes, 2013); la solidità della sua integrità e coesione sociale (Paton & Johnston, 2006; Pelling, 2003; Cutter, Boruff, & Shirley, 2003); la capacità di rimettersi rapidamente in sesto dopo un disastro (Carpenter, 2013); o la capacità di un sistema urbano di assorbire, grazie alle caratteristiche spaziali della sua griglia urbana, le perturbazioni di un evento catastrofico senza che queste comportino significative alterazioni della geografia interna (Cutini, 2013), e così via. L’aspetto che collega tra loro tutte queste declinazioni è il riferimento ad un pericolo incombente che non può essere evitato, nonché l’obiettivo di assorbirne e sostenerne gli effetti, nonostante gli sconvolgimenti che esso può indurre. Nell’ambito di queste tematiche le tecniche di analisi configurazionale hanno già fornito un contributo, permettendo di evidenziare il ruolo della configurazione dei tessuti urbani, o più propriamente della griglia urbana, rispetto alla vulnerabilità ai disastri, e suggerendo l’uso di alcuni indici configurazionali per specifiche finalità, quali: la determinazione del livello di resilienza in relazione al rischio sismico (Sari & Kubat, 2012); l’evidenziazione dei fattori spaziali che garantiscono la capacità di riprendersi dopo un evento disastroso (Carpenter, 2013), di assorbire l’impatto del cambiamento sulle residenze e sull’identità culturale (Koch & Carranza, 2013), oppure di diluire spazialmente il rischio, generando fasce di espansione e facilitando

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la riorganizzazione (Marcus & Colding, 2014); l’investigazione delle caratteristiche spaziali che possono assicurare la capacità di sostenere alterazioni locali dei tessuti urbani con modificazioni limitate sul loro comportamento globale, proprietà generalmente definita come network resilience (Cutini, 2013; Abshirini & Koch, 2017). Quest’ultima declinazione ben si presta a ricondurre ai rischi naturali, e più in generale a tutti i cambiamenti spaziali, il tema del paesaggio urbano. Se infatti si parte dall’idea che la coerenza/continuità spaziale nel tempo costituisce un elemento essenziale per la costruzione e l’appropriamento dei paesaggi urbani di ogni residente/utente della città, la capacità di un aggregato spaziale di assorbire un cambiamento con il minore impatto possibile sulla percezione del suo stesso spazio ne rappresenta una proprietà intrinseca rilevante. Il tema, in tal senso, non è la resistenza al danno indotto da un evento perturbante, ma la capacità di far fronte al danno stesso minimizzando le variazioni rispetto allo stato non perturbato. La resilienza diventa, quindi, una proprietà intrinseca dello spazio che attiene il modo con cui lo stesso si usa e, quindi, è percepito. Per tali motivazioni la tematica può essere affrontata in termini configurazionali. Misurare la resilienza sintattica è faccenda tuttavia non banale. Se da un lato la resilienza stessa è una proprietà intrinseca dello spazio, essa è allo stesso tempo anche una proprietà intrinseca del fenomeno, in quanto rappresenta, in altri termini e con accezione ampliata, una misura del rapporto tra natura, intensità del fenomeno e danno inflitto, ed è quindi una forma di rappresentazione della curva di vulnerabilità. Per il caso del rischio vulcanico, il problema principale è rappresentato dal riversamento e dal successivo deposito sul territorio di magma, lapilli ed altri elementi che da un lato portano distruzione diretta e dall’altro causano la successiva inutilizzabilità degli spazi, anche aperti. Tuttavia esiste anche un differente registro di problematiche, legato essenzialmente alla necessità di un allontanamento rapido e di massa dalle aree in cui si manifestano i segnali precursori di un’eruzione. In questi termini si può approcciare alla resilienza configurazionale inerente il rischio vulcanico partendo dall’idea di considerarla innanzitutto come una proprietà correlata alla ridondanza di percorsi alternativi tra qualsiasi origine e destinazione. In tal senso tre sono i principali parametri e indici configurazionali fin qui introdotti e testati: (a) connettività media della griglia urbana; (b) indice di frequenza; (c) indice di sinergia.

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considerarla innanzitutto come una proprietà correlata alla ridondanza di percorsia)alternativi trabasilare qualsiasiindice origine destinazione. In tal sensomedia tre sono Un primo, è ilevalore della connettività del-i principali parametri e indici configurazionali fin qui introdotti e testati: (a) la griglia urbana (mean connectivity), che in maniera generale esprime connettività media della griglia urbana; (b) indice di frequenza; (c) indice di la densità e la varietà dei percorsi che connettono ogni nodo/segmento sinergia. (o nodo/line) a tutti gli altri della rete. A bassi valori della connettivia) Uncorrispondono primo, basilare strutture indice è ilurbane valore della della tà media riccheconnettività di percorsimedia obbligati, urbana (mean connectivity), che in maniera esprime la denegriglia quindi dotate di limitate alternative nel casogenerale dell’interruzione dei sità e la varietà dei percorsi che connettono ogni nodo/segmento (o percorsi. Una situazione opposta si manifesta nel caso di elevati valori nodo/line) a tutti gli altri della rete. A bassi valori della connettività media della connettività media, che attestano al contrario una ricca dotazione corrispondono strutture urbane ricche di percorsi obbligati, e quindi dotate di percorsi alternativi. Questo parametro varia tra 2 e n, ed esprime, di limitate alternative nel caso dell’interruzione dei percorsi. Una situazione proprio in manifesta ragione della ridondanza percorsi misura opposta si nel caso di elevatidei valori dellaalternativi, connettivitàuna media, che della capacità di un sistema urbano di assorbire una alterazione delattestano al contrario una ricca dotazione di percorsi alternativi. Questo pala grigliavaria senza variazioni quadro della topologico (ovverametro tra 2significative e 𝑛𝑛, ed esprime, propriodel in ragione ridondanza dei ro dell’insieme delle sue relazioni): e quindi, in termini più generali, percorsi alternativi, una misura della capacità di un sistema urbano di assoresprime la capacitadella di un sistema insediativo di variazioni adattare lo bire una alterazione griglia senza significative delschema quadro distributivo dei suoi flussi a differenti disegni urbani. fisiologica topologico (ovvero dell’insieme delle sue relazioni): e quindi,La in termini più grossolanità di questo parametro deriva evidentemente dalla sua esclugenerali, esprime la capacita di un sistema insediativo di adattare lo schema siva dipendenza dalflussi numero delle connessioni sull’intera grigliagrossoe non distributivo dei suoi a differenti disegni urbani. La fisiologica anche dalla loro distribuzione gerarchica né dalla loro distribuzione lanità di questo parametro deriva evidentemente dalla sua esclusiva dipennello denza spazio. dal numero delle connessioni sull’intera griglia e non anche dalla loro b) La resilienza essere misurata in termini configurazionali distribuzione gerarchicapuò né dalla loro distribuzione nello spazio. b)prendendo La resilienzainpuò essere misurata in termini configurazionali anche anche considerazione la distribuzione dei percorsi topoprendendo in considerazione la distribuzione dei percorsi topologici di milogici di minima lunghezza, secondo l’idea che un sistema è tanto più nima lunghezza, l’idea che un sistema è tantominimi più resiliente quanto resiliente quantosecondo più la distribuzione dei percorsi è omogenea più lagriglia distribuzione dei percorsi minimi omogenea sullaun griglia (Abshirini sulla (Abshirini & Koch, 2017).èDiversamente, sistema è tan& Koch, 2017). Diversamente, un sistema è tanto meno resiliente quanto più to meno resiliente quanto più questi sono concentrati su alcuni dei suoi questi sono concentrati su alcuni dei suoi elementi. Su questa base concetelementi. Su questa base concettuale è stato introdotto (Cutini, 2013) tuale è stato introdotto (Cutini, un indicatore resilienza, calcolarsi un indicatore di resilienza, da2013) calcolarsi come il di rapporto trada il massimo come il rapporto tra il massimo valore dell’indice di scelta globale calcolato valore dell’indice di scelta globale calcolato sulla griglia – ovvero una sulla griglia – ovvero una misura di centralità di medietà – ed il massimo misura di centralità di medietà – ed il massimo valore teorico di frevalore teorico di frequenza per un nodo/segmento/line – dipenquenza topologica per un topologica nodo/segmento/line – dipendente solo dalla dente solo dalla numerosità totale dei nodi di una urban network – che si numerosità totale dei nodi di una urban network – che si registrerebbe registrerebbe nel caso di un nodo/segmento/line appartenente a ciascuno dei nel caso di un nodo/segmento/line appartenente a ciascuno dei percorsi percorsi minimi tra ogni coppia di nodi/segmenti/lines della rete. Se si conminimi tra ogni coppia di nodi/segmenti/lines della rete. Se si considera sidera una rete di 𝑛𝑛 nodi/segmentilines, è possibile dimostrare (Cutini, 2013) una rete diindice, nodi/segmentilines, è possibile dimostrare che questo denominato indice di frqeuenza (frequency(Cutini, index), 2013) si può che questo indice, denominato indice di frqeuenza (frequency index), calcolare come: si può calcolare come: 𝑐𝑐ℎ𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜ℎ𝑒𝑒𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 𝑣𝑣 = ⁄ 𝑛𝑛2 ( ⁄2 − 3⁄2 𝑛𝑛 + 1) www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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L’indice di frequenza può assumere valori variabili tra 0 e 1, crescenti al decrescere della resilienza. Se un singolo nodo/segmento/line risultasse infatti su tutti i percorsi di minima lunghezza tra qualsiasi coppia di nodi/segmenti/lines sulla rete (v = 1), il sistema sarebbe massimamente vulnerabile, in quanto tutti i percorsi dipenderebbero da quel singolo nodo/segmento/line. c) L’idea che la resilienza di specie dipenda in qualche misura dalla capacità del sistema di subire e assorbire una perturbazione locale ha suggerito di considerare un ulteriore parametro configurazionale, idoneo a riprodurre la robustezza della correlazione tra la distribuzione dell’indice di integrazione – una misura di centralità di vicinanza – a diverse scale (locale e globale). Giacché l’integrazione esprime la distribuzione delle centralità urbane a diversi valori del raggio topologico di indagine (scale locali), una stretta corrispondenza tra integrazione locale e globale può essere considerata come un indizio di solidità del sistema: è infatti da attendersi che l’alterazione indotta da una perturbazione sul pattern dell’accessibilità locale sia tanto meno significativa quanto più questo è solidamente ancorato a quello globale. In altre parole, il coefficiente di correlazione (R2) tra l’integrazione di raggio topologico 3 e raggio (noto come coefficiente o indice di sinergia – synergy coefficient) sembra idoneo, insieme con gli altri due indici presentati in precedenza, ad esprimere una misura della vulnerabilità di un sistema insediativo esposto al pericolo di significativi eventi naturali di carattere vulcanico. In termini metodologici, i tre indici sono stati calcolati per il caso di studio in riferimento a diversi scenari, dopo aver fornito un’interpretazione configurazionale del sistema allo stato attuale. Nello specifico, si tratta di due scenari integrativi che affiancano lo scenario descrivente lo stato di fatto: uno di tipo diacronico, finalizzato a poter comparare i valori degli indici di resilienza prima e dopo la grande espansione urbana dell’area di studio degli anni ’60 – ’90; uno di tipo sincronico, teso ad evidenziare il ruolo svolto dalle infrastrutture per la mobilità sovra-locale nel funzionamento dell’insediamento costiero vesuviano e, di conseguenza, misurandone l’impatto sulla sua resilienza di specie. I risultati attesi mirano così, da un lato, ad evidenziare se nel corso degli ultimi 50 anni di espansione urbana spontanea vi sia stata una variazione degli indici di resilienza in qualche modo riconducibile all’interiorizzazione del pericolo vulcanico, mentre, dall’altro, a stimare il grado di dipendenza del sistema urbano, nel funzionamento ordina-

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Figura 53 – Individuazione ortofotografica dell’area di studio.

rio ed in emergenza, dalle infrastrutture non-locali per la mobilità, in modo da restituire un’idea più chiara del reale funzionamento dell’insediamento nelle diverse condizioni di “esercizio”. In ultimo, sulla base delle risultanze sperimentali, è possibile trarre considerazioni preliminari di carattere generale, inerenti sia il concetto di resilienza, sia la probabilità di accadimento percepita del pericolo vulcanico.

Struttura configurazionale dell’insediamento e vulnerabilità alle eruzioni vulcaniche L’analisi configurazionale del caso di studio è stata condotta adoperando l’approccio Space Syntax ed implementando la tecnica dell’Angular Segment Analysis. Il modello topologico è stato redatto sulla base della Carta Tecnica Regionale Numerica della Regione Campania, nell’ultima edizione disponibile (riprese anni 2004/2005), aggiornata, ove necessario, ricorrendo alle riprese fotografiche AGEA (AGenzia per le Erogazioni in Agricoltura). L’integrazione dei dati vettoriali locali e dei dati raster diffusi attraverso i servizi WMS pubblicati dal Geoportale Nazionale italiano (www.pcn.minambiente.it), è avvenuta in ambiente ESRI ArcGIS. La discussione dei risultati dell’analisi capitalizza la capacità di lettura multi-scalare della struttura urbana che caratterizza l’approccio configurazionale. È quindi possibile parlare in termini scala globale, che

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Figura 54 – Angular Segment Analysis – Distribuzione dell’indice di integrazione globale. (Gradiente di luminosità).

interessa l’intero insediamento colto come un’unica rete urbana, e di scala locale, che pur riguardando sempre l’interezza dell’insediamento, lo declina come un insieme di sotto-reti integrate e complementari. L’approccio multi-scalare è di particolare utilità, considerando l’esis­tenza e la continua interazione, nelle città reali, di fenomeni a scala globale-locale e di fenomeni a scala locale-globale (Hillier & Hanson, 1984). Per meglio comprendere quest’aspetto, si consideri il caso del cosiddetto way-finding: un osservatore che intenda raggiungere una strada di scorrimento da una strada locale posta in un tessuto urbano denso si trova a concepire e strutturare una realtà spaziale che acquisisce in maniera diretta e connetterla correttamente in un sistema complesso molto più esteso; ciò che quindi si configura come un fenomeno di tipo locale-globale. In tale esempio, l’osservatore si trova, allo stesso tempo, anche a concepire la struttura del sistema delle strade di scorrimento (ad esempio il percorso per uscire dalla città) ed il modo per raggiungere da queste ogni diversa specifica localizzazione: si trova quindi di fatto a implementare un fenomeno inverso al precedente, ovvero un fenomeno di natura globale-locale. Come si può notare, queste tipologie comportamentali sono sempre strettamente legate tra di loro e costituiscono una chiave interpretativa utile ad indagare diversi fenomeni urbani.

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Figura 55 – Angular Segment Analysis – Distribuzione dell’indice di scelta globale. (Gradiente di luminosità).

In termini quantitativi inerenti la scala globale, la distribuzione dei valori assunti dagli indici configurazionali mostra che l’integration core, ovvero l’insieme delle lines con il 20% dei valori più elevati dell’indice di integrazione, ricalca le strade principali che attraversano l’inte-

Figura 56 – Angular Segment Analysis – Distribuzione dell’indice di integrazione locale – raggio d’indagine topologico: 3. (Gradiente di luminosità).

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Figura 57 – Angular Segment Analysis – Distribuzione dell’indice di scelta locale – raggio d’indagine metrico: 1600, 800, 400, 200. (Gradiente di luminosità).

ro sistema, mentre la distribuzione dell’indice di integrazione appare seguire una funzione di abbattimento proporzionale alla distanza dal core stesso (Figura 54). La distribuzione dell’indice di scelta appare simile, ancorché caratterizzata da un picco molto enfatizzato sugli assi principali (Figura 55). Alla scala locale, la distribuzione dell’indice di integrazione di raggio topologico 3 (Figura 56) evidenzia con chiarezza i nuclei storici da cui è andata originandosi la conurbazione, così come le loro aree lineari di saldatura, che si svolgono lungo gli assi principali di collegamento dell’attuale conurbazione. La dinamica processuale di questa fusione è evidenziata dalla comparazione della distribuzione dell’indice di scelta locale calcolato in relazione a raggi metrici d’indagine decrescenti, da 1.600 a 200 metri (Figura 56). L’analisi della griglia urbana mostra come il sistema urbano vesuviano costiero dipenda, in termini funzionali, da un insieme molto ristretto di nodi/segmenti/lines. Questo risultato ha probabilmente origine nelle modalità di fattuale generazione della struttura urbana conurbativa attuale, frutto della saldatura di nuclei urbani prima isolati lungo le principali arterie di collegamento e di attraversamento dell’intera area.

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Allo scopo di valutare la resilienza sintattica dell’intero sistema, i tre indicatori precedentemente presentati sono stati calcolati sull’intera conurbazione vesuviana, prendendo a base i dati numerici ottenuti dall’analisi configurazionale (Angular segment analysis), assumendo il raggio topologico 3 per le analisi locali. I risultati numerici sono sintetizzati nella tabella seguente (Tabella 2). Mean Connectivity

Synergy

Frequency Coefficient

4.62

0.169

0.396

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Angular Segment Analysis – T1024 – Raggio topologico R3 Tabella 2 – Indici di resilienza configurazionale (stato attuale della conurbazione).

Nessuno degli indici di resilienza calcolati è stato finora standardizzato in riferimento ai valori che assume, complice il loro sviluppo ancora parziale e la mancanza di una completa sistematizzazione (Conroy Dalton, 2010). Riferendosi ai soli risultati disponibili in letteratura (Cutini, 2013), i valori di mean connectivity e di frequency coefficient risultanti dal calcolo appaiono pienamente coerenti con quanto emerge dalla distribuzione degli indici di integrazione e scelta: il sistema si conferma essere una rete scarsamente connessa (basso valore dell’indice di mean connectivity), con una elevata concentrazione dei percorsi minimi (alto valore del frequency coefficient) . Peraltro, lo scarso valore del synergy coefficient evidenzia una debole corrispondenza tra scala locale e globale, a tutto svantaggio della resilienza del sistema urbano. In riferimento al concetto stesso di resilienza, nell’ambito degli studi urbani non vi è convergenze concettuale e definitoria (Esposito, Di Pinto, 2014). La posizione che qui si assume, in coerenza con il concetto di vulnerabilità, è che la resilienza non sia scindibile dal fenomeno urbano, o dalla fonte di pericolo, cui è associata una perturbazione del sistema, ovvero un danno: vi sono diverse resilienze in relazione ad ogni fonte di pericolo. La configurazione della griglia urbana, tuttavia, non è né un fenomeno urbano, né tantomeno una fonte di pericolo. Il valore concettuale della resilienza sintattica si può apprezzare se si considera che la configurazione sia il linguaggio spaziale comune che influenza i fenomeni urbani (Hillier B. , 1999) (e quindi una proprietà intrinseca della rete urbana), in cui il movimento, nella veste di interfaccia tra la configurazione stessa ed i fenomeni che avvengono lungo

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Paesaggio, città e rischi naturali  149

i suoi percorsi, interpreta il ruolo di collante: la città è il luogo ed il prodotto di movement economies (economie di movimento) (Hillier B. , 1996b). Non può quindi che essere il movimento una delle componenti che deve sostanziare la nozione di resilienza sintattica, quale proprietà intrinseca della rete urbana. Ne deriva l’idea che la resilienza sintattica si possa considerare come una proprietà intrinseca della rete urbana che esprime la predisposizione di un insediamento a riorganizzarsi rispetto ad un generico evento perturbante. Predisposizione che poi si specifica, a seconda delle reali perturbazioni, in una serie di resilienze, che descrivono il reale comportamento della città. L’analisi configurazionale, peraltro, rappresenta uno strumento dalle potenzialità interessanti anche sotto un diverso profilo. Se, infatti, si considera il rischio come costituito da due componenti, quali l’entità di un potenziale danno e la probabilità che questo danno si verifichi, le strategie per la sua mitigazione possono essere mirate sia a ridurre il primo, sia a ridurre la seconda. Soffermandosi sul concetto di danno, esso può essere interpretato come il risultato della sovrapposizione tra una perturbazione indotta da un fattore esogeno e l’endogena riorganizzazione del sistema. L’analisi configurazionale è uno strumento che si presta adeguatamente ad operare in entrambi i domini, attraverso un approccio integrato. Lo scopo può essere raggiunto attraverso la comparazione dei risultati numerici dell’Angular segment analysis ottenuti modellando differenti reti urbane, anche in prospettiva diacronica pre e post –evento. L’analisi configurazionale può dare un contributo di portata ancora maggiore ragionando in termini di relazione tra la scala globale e la locale, tanto della struttura, quanto dei fenomeni urbani. In particolare, l’approccio configurazionale consente di valutare la potenzialità di un sistema di riorganizzarsi a seguito di una modificazione della sua struttura, a prescindere dalla localizzazione, dal tipo e dalla forza della perturbazione che l’ha indotta. Grazie a questa caratteristica è di fatto possibile valutare la resilienza di qualunque fenomeno urbano, o fonte di pericolo cui un’area urbana è esposta, in ragione della configurazione spaziale: cosa che attualmente completa ed estende il concetto di network resilience. Ne deriva l’idea che la resilienza sintattica sia effettivamente una proprietà fondamentale sulla quale si costruiscono le diverse resilienze, relative agli altrettanti fenomeni/fonti di pericolo cui un insediamento è esposto. Da una buona resilienza sintattica possono manifestarsi/costruirsi buone resilienze specifiche, ma difficilmente

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può accadere il contrario, in quanto sarebbe necessario affrontare gli effetti di un cambiamento agendo in maniera necessariamente incoerente con le potenzialità naturali dello spazio urbano. Sulla base di queste considerazioni è possibile implementare uno studio di maggiore specificità legato al caso in esame. In considerazione del fatto che l’analisi configurazionale dello stato di fatto fa emergere la “presenza” di una forte impedenza spaziale che contrasta il movimento verso i margini della conurbazione, causando drammatiche conseguenze nel caso di un evento catastrofico, è su quest’ultima che è interessante focalizzare l’attenzione, anche nell’ottica di pensare a possibili soluzioni per la mitigazione del rischio vulcanico.

Configurazione spaziale e mitigazione del rischio Il sistema urbano vesuviano si è detto dipendere da un insieme molto limitato di nodi/segmenti/lines, corrispondenti ad un sottosistema di spazi urbani altamente accessibili, quale esito di un processo di crescita di lungo periodo, che da un insieme di singoli nuclei urbani di modeste dimensioni ha portato alla formazione di una conurbazione che conta poco meno di 400.000 abitanti. In termini di resilienza, questa dinamica di crescita sembra aver determinato una ridotta capacità del sistema di reagire e riorganizzarsi a seguito di una perturbazione della griglia, a causa della sua polarizzazione intorno a questi pochi nodi/segmenti/ lines ed alla conseguente difficoltà di surrogare il ruolo che svolgono. Alla luce della posizione esplicitata in materia di resilienza sintattica, intesa quale proprietà intrinseca della rete urbana e fondamentale elemento per lo sviluppo di resilienze specifiche, è possibile dare una lettura più ampia ed estensiva degli indici descritti in letteratura e precedentemente introdotti, che si è peraltro detto ancora non completamente sviluppati. Nello specifico, la connettività media può essere letta come un indicatore della ridondanza delle connessioni interne alla rete, l’indice di sinergia come l’espressione dell’impedenza media del tessuto locale agli spostamenti da ogni nodo della rete verso gli elementi principali della sua struttura; l’indice di frequenza come l’espressione del grado di concentrazione dei percorsi minimi lungo la griglia: nel caso di un elevato valore dell’indice di frequenza, l’interruzione di un limitato numero di nodi/segmenti/lines può facilmente portare ad uno stravolgimento dei percorsi di spostamento lunga la

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Paesaggio, città e rischi naturali  151

Figura 58 – Scenario SC_1957 – Segment Map.

griglia, o addirittura determinare un collasso dell’intero sistema ed il suo frazionamento in sotto-reti urbane autonome ed isolate. Per capitalizzare le informazioni fornite dai tre indici – per come reinterpretati – sono stati generati ed analizzati due scenari complementari rispetto a quello descrivente lo stato di fatto. Il primo, diacronico, è finalizzato alla comprensione dell’andamento della resilienza del sistema a seguito della dinamica di crescita degli insediamenti negli ultimi decenni. Il secondo, riferito allo stato attuale del sistema ma modificato nei contenuti, è invece finalizzato alla comprensione del ruolo giocato dalle infrastrutture per il traffico veicolare non-locale in relazione alla configurazione del sistema ed alla sua resilienza. Il primo scenario (denominato SC_1957) rappresenta il sistema all’anno 1957, in epoca immediatamente antecedente alla fase di grande sviluppo urbanistico nell’area (Figura 58). Il secondo (SC_2015_MWY) descrive il sistema all’anno 2015 con l’inclusione del tracciato dell’Autostrada A3, che lo attraversa in tutta la sua lunghezza (Figura 59). Gli indicatori di resilienza sono stati calcolati, pertanto, su tre diversi scenari. La loro comparazione (Figura 60) evidenzia innanzitutto gli effetti della dinamica degli insediamenti, caratterizzata dalla transizione dal sistema lineare per nuclei alla ininterrotta conurbazione costiera. L’effettivo incremento del valore del coefficiente di sinergia tra il 1957 (SC_1957) e il 2015 (SC_2015; SC_2015_MWY) è riconducibile alle conseguenze indotte dalla trasformazione in un

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Figura 59 – Scenario SC_2015_MWY – Segment Map – La linea tratteggiata indica il tracciato dell’autostrada A3.

unico sistema insediativo (dotato di elevata sinergia) di un insieme di parti interconnesse (dotate di elevata sinergia all’interno dei singoli nuclei e bassi valori nel complesso). Allo stesso modo, la significativa diminuzione nel tempo della connettività media esprime, in termini configurazionali, la diminuzione della densità dell’intero sistema urbano, dovuta essenzialmente alla modalità di urbanizzazione delle aree di nuovo sviluppo, tipica dello sprawl periurbano. Lo straordinario incremento del valore dell’indice di frequenza esprime infine la fortissima concentrazione dei percorsi minimi su di un numero ridotto di nodi/ segmenti/lines, comportando, in termini di funzionamento del sistema urbano, seri problemi di traffico veicolare oltre che, cosa di maggiore interesse specifico, un probabile e significativo decremento della resilienza di rete. In definitiva, l’andamento dei tre indici nel corso degli ultimi 60 anni di urbanizzazione non regolamentata del sistema insediativo vesuviano sembra aver determinato un rilevante incremento della sua vulnerabilità al pericolo vulcanico, esponendolo al concreto rischio dell’isolamento di alcune sue parti, nonché alla possibilità di completo collasso in caso di evento disastroso. In relazione alla presenza dell’Autostrada A3, la comparazione tra i due scenari al 2015 esprime una sostanziale equivalenza. L’unico parametro sul quale si registra una variazione significativa è il coefficiente di frequenza, che tende a diminuire comportando una distribuzione più

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Paesaggio, città e rischi naturali  153

Figura 60 – Confronto dei valori numerici assunti dagli indici di resilienza sintattica nei tre scenari analizzati.

omogenea dell’indice di scelta globale. Questo risultato va messo in relazione con l’effetto positivo indotto dalla presenza dell’autostrada, che arricchisce il sistema dei percorsi urbani e, in maniera impropria rispetto alla sua funzione infrastrutturale, rafforza l’interconnessione all’interno dell’intera area, finendo per incrementare la resilienza del sistema. È naturalmente da sottolineare, a tale proposito, che questo ruolo surrettizio di percorso intra-urbano dell’A3, una delle arterie autostradali più importanti e trafficate del meridione, con funzioni fondamentali di collegamento su scala nazionale, ne penalizza la funzionalità e ne aggrava le condizioni di esercizio, che infatti risultano attualmente soggette ad abituali problemi di congestione ed eccessivo traffico veicolare. La funzione promiscua (traffico extraurbano e traffico locale o intra-urbano) di fatto svolta dall’autostrada A3, che emerge dalla analisi configurazionale della griglia urbana della conurbazione, è chiaramente confermata dai dati di traffico veicolare resi disponibili dal gestore dell’infrastruttura, la società Autostrade Meridionali. Ricordando che l’area di studio rappresenta la propaggine meridionale del sistema metropolitano di Napoli, i flussi di traffico veicolare interessanti l’A3 possono considerarsi composti da tre distinte aliquote: (1) movimenti di scala nazionale, (2) movimenti da e per Napoli e (3) movimenti interni all’area vesuviana. Concentrando l’attenzione sul

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154  C come Paesaggio

Figura 61 – Flussi veicolari lungo l’Autostrada A3 nel tratto Napoli – Salerno Matrice O-D tridimensionale. I quadrati con riempimento bianco indicano assenza di relazione tra l’origine e la destinazione.

solo traffico locale (le categorie 2 e 3), il grafico di Figura 61 rappresenta una sintesi dei passaggi elementari in entrata ed uscita dai 34 caselli autostradali dell’area vesuviana. Particolarmente interessanti per la loro chiarezza sono inoltre i dati riportati nel grafico in Figura 62, che evidenziano come oltre il 69% del movimento veicolare totale che accede all’autostrada all’interno dell’area vesuviana ha una destinazione interna all’area metropolitana di Napoli; inoltre, circa il 50% del traffico veicolare riguarda movimenti dall’area vesuviana alla città di Napoli e viceversa, in ragione di intensi flussi di pendolarismo; ciò che è confermato dal fatto, anch’esso evidenziato in Figura 62, che la distribuzione delle percentuali di traffico non risente di variazioni stagionali, rimanendo pressoché costante durante l’intero anno. I dati sopra riportati restituiscono l’immagine di un sistema autostradale fortemente promiscuo col traffico locale, dominato dal pendolarismo da e per l’area metropolitana di Napoli. Una significativa parte del traffico dell’A3 è addirittura completamente locale (o intraurbano), ovvero si origina e trova destinazione all’interno della conur-

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Figura 62 – grafico a barre bidimensionale che rappresenta la percentuale di movimento veicolare all’interno ed all’esterno dell’area vesuviana. Per ogni mese dell’anno 2015, due barre rappresentano il movimento in direzione sud e nord, attraverso 6 categorie di spostamento: EXT-INT: veicoli da un casello esterno (all’area vesuviana) ad un casello interno (all’area vesuviana) INT – INT: veicoli da un casello interno ad un altro casello interno. EXT-EXT: veicoli da un casello esterno ad un altro casello esterno. INT – EXT: veicoli da un casello interno ad un casello esterno. OUTSIDE South: veicoli da un casello esterno ad un altro casello esterno, entrambi a SUD dell’area vesuviana. OUTSIDE North: veicoli da un casello esterno ad un altro casello esterno, entrambi a NORD dell’area vesuviana.

bazione vesuviana. Se si considera quest’ultima come una propaggine del sistema metropolitano di Napoli, e se si prende in considerazione un’intera “conurbazione napoletana”, si può evidentemente affermare che il traffico autostradale dell’A3 è assolutamente dominato dal traffico locale, nonostante il suo utilizzo comporti il pagamento di un pedaggio, peraltro abbastanza oneroso in relazione all’entità delle distanze coperte. I 34 caselli (15 in entrata e 19 in uscita in entrambe le direzioni di marcia), in definitiva, appaiono funzionare come nodi della rete dei percorsi metropolitani, piuttosto che come terminali del sistema sovra-locale (o interurbano). L’autostrada risulta pertanto completamente inglobata ed integrata nel sistema urbano, svolgendo un ruolo fondamentale per la distribuzione del traffico interno, rappresentadone di fatto la vera spina dorsale, come l’analisi configurazionale già aveva evidenziato con chiarezza. Gli stessi esiti sono confermati anche da un diverso approccio di studio e sintesi dei risultati dell’analisi configurazionale. Provvedendo ad analizzare la distribuzione di 10 diversi indici configurazionali, sia alla scala globale che a quella locale, attraverso il ricorso in successione

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Figura 63 – Percorso dell’Autostrada A3. Il colore delle etichette distingue i caselli interni (bianco) da quelli esterni (nero) all’area vesuviana.

Figura 64 – Analisi delle component principali (PCA) della urban network relativa allo scenario SC_2015_MWY: l’insieme (cluster) delle linee che interpretano un ruolo cruciale nel funzionamento del sistema globale (linee chiare) e nel sistema locale (linee scure).

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all’analisi delle componenti principali (PCA), prima, ed all’Analisi Cluster, poi, è possibile ottenerne un’interpretazione, anche visiva, nel piano delle componenti principali, secondo un approccio descritto altrove (Esposito, Di Pinto, 2015). Applicando tale metodologia allo scenario SC_2015_MWY, il ruolo dell’autostrada A3 può essere chiaramente evidenziato, in ragione del fatto che il metodo permette di definire gruppi di nodi/segmenti/lines che assumono uno specifico ruolo configurazionale, e quindi rispetto al funzionamento del sistema urbano. In relazione al caso di studio, i nodi/segmenti/lines che rappresentano l’autostrada sono esattamente quelli che appartengono al gruppo di elementi critici per il funzionamento del sistema alla scala locale (Figura 63). La consapevolezza del ruolo rivestito dagli spazi pubblici nel funzionamento di un sistema urbano complesso, com’è quello di una conurbazione assai stratificata, fornisce un evidente supporto all’orientamento e all’attuazione di efficaci strategie di governance e piani strutturali ed operativi. Proprio in riferimento alla mitigazione ed alla gestione del rischio naturale, d’altra parte è stato sviluppato il Piano Nazionale d’emergenza della area vesuviana, regolarmente aggiornato tra il 1995 ed il 2016 (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, 1995). Lo strumento è corredato da un Piano di evacuazione, sviluppato nel 2006 con specifico riferimento al caso dell’eruzione vulcanica del Vesuvio (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, 2006). In tale piano, la strategia di allontanamento dall’area si basa sull’obiettivo del raggiungimento di aree sicure esterne attraverso l’uso di veicoli privati autonomi. Il processo di evacuazione è fondato sulla suddivisione del sistema stradale in due livelli, in riferimento alla classificazione gerarchica delle infrastrutture stradali, connessi da gates: un primo livello, che include l’autostrada, ed un secondo livello, che è costituito dal sistema stradale residuale al primo. La logica è quella di raggiungere un gate attraverso il sistema di secondo livello, quindi un’area sicura esterna attraverso il sistema di primo livello. Il meccanismo, apparentemente solido e semplice, è probabilmente meno affidabile di quanto sembri: infatti, non tiene in alcuna considerazione il ruolo naturale dei percorsi di secondo livello, così da determinare, in caso di evento, le precondizioni per situazioni di conflitto tra il comportamento spontaneo e quello pianificato. Questa fattispecie appare peraltro plausibile, in quanto già

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si è concretamente verificata durante l’evacuazione simulata nell’occasione dell’attuazione di MESIMEX (Somma Vesuvio Mesimex – Major Emergency SIMulation EXercise), ovvero dell’esercitazione di protezione civile europea tenutasi nell’area vesuviana dal 18 al 23 ottobre 2006, promossa dalla Regione Campania e coordinata dalla Protezione Civile Italiana, specificamente dedicata al caso dell’eruzione del Vesuvio. In riferimento alla problematica emersa, nel report tecnico definitivo sull’implementazione di MESIMEX si legge testualmente che «During the population evacuation to the checkpoints some (minor) problems were encountered due to traffic and car accidents (not involving exercise vehicles); however this kind of problem should not occur in a real evacuation as no private traffic will be allowed and all roads will be severely controlled by the police. » (Barbieri, Zuccaro, 2004: 32). Il rapporto riconosce, quindi, che durante l’esercitazione si sono effettivamente manifestati problemi legati alla sovrapposizione tra veicoli con comportamento conforme a quello pianificato (veicoli coinvolti nell’esercitazione, e quindi a conoscenza del comportamento pianificato) e veicoli con comportamento difforme (veicoli non coinvolti nell’esercitazione, ovvero non a conoscenza del comportamento pianificato); problemi che, però, il rapporto considera non riscontrabili in una evacuazione reale, quando si suppone che i veicoli assumano un comportamento assolutamente conforme a quello pianificato, e comunque sotto il controllo della polizia. Queste affermazioni appaiono tuttavia paradossali. Di fatto esse confermano che per la corretta attuazione del piano di evacuazione è necessario confidare nell’operato della polizia, lasciando evidentemente trasparire che il comportamento dei veicoli difficilmente risulterà conforme in tutti i casi: essi, in altri termini, devono essere guidati verso i gates e le aree sicure esterne. Il ricorso all’approccio configurazionale, basato sul concetto di movimento naturale, per contro, avrebbe permesso di considerare il naturale ruolo del tessuto urbano nel processo di evacuazione, utile al fine di minimizzare le possibilità di “errore” e permettere alla polizia di focalizzare l’attenzione su di un limitato numero di percorsi critici. In definitiva, di fatto, il report conferma piuttosto l’elevata vulnerabilità del sistema nella sua globalità, in particolare nel caso di un evento disastroso incidente sulla struttura urbana. L’inconsapevolezza della naturale attitudine degli spazi urbani di attrarre ed accogliere flussi pedonali e veicolari, inoltre, rende potenzialmente meno efficaci e mirate le misure di emergenza, in

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considerazione di una scarsa prevedibilità dei comportamenti e dell’intrinseca aleatorietà che inevitabilmente caratterizza le simulazioni di eventi così complessi.

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Dal Vesuvio al “Vulcano” La spontanea e incontrollata crescita dell’area vesuviana ha provocato effetti lievemente positivi sulla possibilità di abbandonare la conurbazione, quale risultato del moderato incremento dei percorsi di uscita (e quindi fuga) dall’area. Per contro, il decremento della densità del sistema insediativo, dovuta all’organizzazione spaziale delle aree di espansione, e la loro polarizzazione attorno al sistema stradale dominante, favoriscono l’esposizione al rischio di collasso del sistema e di isolamento di sue parti in caso di evento disastroso. L’Autostrada A3 sembra svolgere effettivamente un ruolo fondamentale nel supportare il sistema di trasporto locale dell’area, sia nel caso dell’ordinario funzionamento giornaliero, sia nel caso di un evento catastrofico; anche se, come è stato discusso in precedenza, questo ruolo surrettizio di infrastruttura intra-urbana assoggetta l’autostrada ad enormi problemi di congestione del traffico. Si può, quindi, concludere che lo sviluppo degli ultimi decenni ha significativamente ridotto la resilienza dell’intera area, aumentando la sua vulnerabilità in caso di eruzione del Vesuvio. L’auspicio che la paura del vulcano potesse in qualche modo essere stata interiorizzata nelle scelte comportamentali delle comunità locali – lasciandone traccia nella conformazione dei propri insediamenti – è rimasto disatteso: appare evidente che l’attrattività delle caratteristiche territoriali del Vesuvio abbia svolto un ruolo assai più rilevante rispetto al ricordo, sempre più sbiadito, delle passate eruzioni. C’è solo da sperare che la debole resilienza del sistema non venga messa alla prova nel prossimo futuro. Ciò, peraltro, fornisce una conferma diretta della sottostima del pericolo eruttivo del Vesuvio, ampiamente e definitivamente testimoniata dalla completa disattenzione di qualsivoglia strategia di crescita e sviluppo con esso coerente. La storia urbanistica dell’area è invero testimone della quasi completa assenza di una strategia, anche parziale, per lo sviluppo dell’area o di sue parti. Questa fattispecie, che di fatto è un’ulteriore conferma della sottostima del “pericolo Vesuvio”, apre

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ad una riflessione sulla portata dei risultati dello studio preliminare proposto in relazione al tema del paesaggio urbano. Se, infatti, la crescita dell’insediamento è avvenuta in maniera spontanea ed episodica, ovvero seguendo le disponibilità spaziali e le esigenze insediative, è intuibile il ruolo dominante giocato – in termini probabilistici – dalla percezione spaziale nelle scelte localizzative. In assenza di pianificazione o di regole comunemente rispettate sono proprio i meccanismi percettivi a dominare l’evoluzione della città e delle aree urbanizzate in generale, con esiti non necessariamente negativi, ed anzi spesso migliori di molti casi di pianificazione. L’auto-governo dei processi di crescita e sviluppo urbano, però, seguono esclusivamente le necessità ed i bisogni imposti dal senso comune, ovvero gli elementi significativi percepiti dalla popolazione. In tal senso, ne deriva che se in un determinato periodo di osservazione non vi è riconoscimento popolare di elementi territoriali o altre fattispecie, vuol dire che essi non hanno lasciato una traccia significativa nel palinsesto percettivo comune. Quest’ultimo sembra proprio essere il caso del Vesuvio in relazione allo studio di specie. Spostando l’attenzione dal quadro territoriale specifico al quadro generale, gli esiti di questo studio, per quanto preliminari a da ampliarsi, sembrano sostenere con chiarezza l’idea che il pericolo vulcanico sia effettivamente sottostimato. Ciò deve far suonare un campanello d’allarme negli operatori tecnici e politici di tutte le aree potenzialmente interessate, in quanto è dal riconoscimento comune che partono i processi più significativi di monitoraggio e di difesa del territorio che possono contribuire a limitare la sua fragilità e ad aumentarne la resilienza.

Corsi d’Acqua ed esondazioni I corsi d’acqua rappresentano da sempre una delle principali risorse territoriali. Non è un caso, infatti, che alcune tra le più grandi città del mondo abbiano visto la loro fondazione lungo uno o più di essi e vi si siano sviluppate in loro dipendenza nel corso dei secoli. Le grandi masse di acqua in movimento che li compongono hanno costituito un importante valore aggiunto per le città fluviali, sia in termini di risorsa pura – acqua dolce – sia in termini di energia, sfruttabile in diversi modi. I fiumi, peraltro, hanno per lungo tempo rivestito un ruolo insur-

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rogabile quale capillari vie di comunicazione per il traffico di merci e di persone, peraltro presentando in tal senso alcuni indubbi vantaggi rispetto alle aree costiere, molto più esposte ai pericoli naturali ed alle azioni antropiche ostili. Prendendo in considerazione le sole acque superficiali, la copertura idrografica delle aree urbanizzate è di sovente molto alta, soprattutto nei paesi a più alta piovosità e dotati di una morfologia territoriale variegata, ove alle zone pianeggianti, tipiche degli insediamenti urbani, si alternano zone collinari e, soprattutto, montuose. Solo in Italia si contano più di 1.200 corsi d’acqua principali (fiumi), di cui 58 con lunghezza superiore ai 100 km e 75 con una portata media alla foce superiore ai 10 m3/s. Le stesse acque, molto spesso, forniscono un importante sussidio alle comunità urbane, sia in termini di risorse idriche potabili, sia in termini di corpi recettori dei reflui e delle acque di ruscellamento, molto copiose nelle città in ragione della bassa percentuale di superfici permeabili. Questi corsi d’acqua, tuttavia, non rappresentano che una piccola frazione di tutte le acque superficiali, che in molti casi assumono un carattere rilevante solo nelle stagioni più piovose, quando contribuiscono in maniera spesso determinante al drenaggio delle acque territoriali. I corsi d’acqua, tuttavia, non rappresentano solo una importante risorsa, ma anche una fonte di pericolo non trascurabile. Restringendo l’attenzione all’Italia, dalla metà del ’900 sono più di venti gli eventi alluvionali maggiori dovuti alle esondazioni fluviali, di cui molti verificatesi nelle principali aree urbane del Paese, con una preoccupante intensificazione nell’ultimo decennio. Sebbene vi siano numerose concause di tale intensificazione, l’incremento dell’esposizione delle aree urbane al pericolo alluvionale è sicuramente tra di esse. Ciò porta a pensare che, sebbene il rapporto tra cittadini e corsi d’acqua sia per molti versi simbiotico e di lunga data, e la frequenza degli eventi alluvionali sembri alta a sufficienza da poter affermare che tali eventi siano comunemente considerati ad alta probabilità di accadimento, la crescita delle aree urbane sia avvenuta in sostanziale sottostima del rischio alluvionale. Da qui l’idea, da un lato, di indagare se effettivamente vi sia o vi sia stata nel corso degli anni tale sottostima e, dall’altro, di cercare di ricavarne considerazioni più generali sui rischi naturali. Va tenuto in considerazione che il fenomeno dell’esondazione fluviale presenta caratteristiche tali per cui è possibile determinare il corso delle acque esondanti se sono note la portata idrica del fiume

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e le caratteristiche fisiche del suo corso. La distribuzione delle acque che fuoriescono dagli argini, infatti, dipende principalmente dalle caratteristiche morfologiche, territoriali ed urbane, dell’area su cui si riversano, nonché, in via residuale, ma significativa, dal grado di permeabilità dei suoli. Partendo dall’evidenza che in area urbana i suoli sono prevalentemente non permeabili o scarsamente permeabili e le reti di drenaggio delle acque superficiali inadeguate ed inadatte allo smaltimento di volumi d’acqua di alcuni ordini di grandezza superiori a quelli dovuti alla pioggia, ne deriva la possibilità di determinare, con buone approssimazione ed attendibilità, lo scenario d’esondazione, basandosi sulla combinazione di modelli idraulici di portata e di altezza del tirante idrico e di modelli digitali del terreno. In tal maniera è possibile stabilire, nota l’entità idraulica dell’evento, quali siano le aree materialmente interessate dal fenomeno (aree bagnate) – e pertanto non funzionali durante e nell’immediato post-evento1 – e quali siano le aree che ne restano escluse (aree asciutte), permettendo di costruire uno scenario di funzionamento urbano direttamente legato all’evento esondativo stesso. In altri termini, è possibile considerare l’evento e l’immediato post-evento, come uno scenario noto, e, pertanto, modellabile ed analizzabile. Per il caso delle esondazioni fluviali assume interesse non solo conoscere e valutare la predisposizione dell’insediamento ad assorbire una generica azione perturbante della sua struttura – quella che prima si era definita resilienza sintattica –, ma anche analizzare il comportamento durante e dopo uno specifico evento – e ciò riconduce al più generale concetto di resilienza quale proprietà caratteristica di un insediamento oggetto di una determinata perturbazione. Si tratta, di fatto, di avere interesse nel valutare una specifica resilienza, in un altrettanto specifico scenario di rischio. In questo contesto, l’analisi configurazionale, se da un lato può essere adoperata per valutare la resilienza sintattica, e quindi fornire una misura indicativa della stima che del rischio naturale è stata data nei processi di evoluzione urbana di lunga durata, dall’altro può essere impiegata per supportare le

1 L’immediato post-evento è una fase critica nell’ambito di ogni fenomeno naturale/ antropico maggiore, in quanto è il momento in cui si muove la macchina dei soccorsi e si fornisce una prima risposta alle problematiche poste dagli effetti del fenomeno. Il ritorno alla normalità, o comunque ad una nuova condizione di equilibrio, dipende in maniera diretta dalla qualità gestionale ed operativa del post-evento.

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analisi di resilienza in uno scenario esplicativo di un concreto rischio alluvionale, valutando come cambia, e se cambia, il funzionamento di un insediamento dopo il verificarsi di un evento significativo. Ciò che si propone in questo studio è l’utilizzo di Space Syntax per due finalità principali: (i) la valutazione della resilienza configurazionale di un aggregato urbano che si sviluppa in prossimità di uno o più fiumi (città fluviale), attraverso il calcolo degli indici di resilienza sintattica2, finalizzato alla stima del grado di attenzione posta da una comunità locale al proprio territorio, in riferimento all’evidente esposizione di quest’ultimo al pericolo di un’esondazione fluviale, ovvero ad una fonte di pericolo ad alta probabilità di accadimento di un evento maggiore; quest’ultimo da modellarsi; (ii) la misura delle proprietà topologiche della stessa città fluviale prima e dopo l’evento maggiore, attraverso il ricorso ad un approccio statistico (Esposito & Di Pinto, 2015), basato sulle tecniche dell’analisi delle componenti principali (PCA) e dell’analisi cluster (CA), e volto all’esplicitazione dei risvolti funzionali dello specifico evento ed alla connessa valutazione della resilienza dell’insediamento nei sui confronti. In coerenza con quanto già fatto per il caso del pericolo vulcanico, si è proceduto ad uno studio di tipo induttivo, individuando come caso di studio l’area urbana della città di Torino, nel Nord dell’Italia. L’area è stata selezionata in ragione di due fattori principali, quali: (i) lo sviluppo lungo tre fiumi che s’incrociano, ovvero il Po (principale fiume italiano con una lunghezza complessiva di 652 km – di cui circa 1 km nell’area di studio – ed una portata media alla foce di 1.540 m3/s), la Dora Riparia (con lunghezza complessiva di 125 km – di cui 0,8 nell’area di studio – ed una portata media alla foce di 26 m3/s) e la Stura di Lanzo (corso d’acqua minore); (ii) la presenza di un’ampia area urbana, densamente abitata e racchiusa in un’infrastruttura per la mobilità sovra-locale che la definisce con chiarezza.

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A tal proposito si può fare riferimento al paragrafo inerente al rischio vulcanico.

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Lo scenario di rischio è stato modellato sulla base dei dati idraulici condivisi dall’Autorità di Bacino del Fiume Po, considerando un evento con probabilità di accadimento di 500 anni.

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Background e metodologia Nell’ottica di descrivere l’impatto di uno specifico evento alluvionale di origine fluviale sul quadro sintattico di un aggregato urbano è prioritario definire uno o più scenari di danno, rappresentativi degli effetti di uno o più eventi con determinate probabilità di accadimento e poi studiare le caratteristiche configurazionali dei sistemi che ne derivano. Ben si presta allo scopo il ricorso alla tecnica dell’Angular segment analysis, per come già introdotta e descritta. Sulla base dei risultati configurazionali è possibile valutare, oltre alle caratteristiche stesse configurazionali, anche la resilienza sintattica nei diversi scenari, in modo da ottenere una stima dell’entità dell’effetto perturbante3. La costruzione dei diversi scenari può avvenire modellando portate d’acqua, significative rispetto ad eventi precipitativi o di drenaggio, con i relativi tiranti idraulici, valutando l’entità e la durata di un’eventuale esondazione in tratti specifici del fiume. Esistono in tal senso anche modelli già sviluppati e coerenti con quest’approccio, prodotti dagli Enti chiamati alla gestione del bacino idrografico4 di cui il fiume fa parte, che definiscono scenari di danno con determinate probabilità di accadimento, secondo l’idea che più è alto il danno e più è bassa la probabilità che esso si manifesti, esprimendo quest’ultima in termini di periodo di ritorno, con valori che spaziano dai 50 ai 500 anni e più. La disposizione fortemente asimmetrica del patrimonio edilizio rispetto al corso dei fiumi, che generalmente si registra in ogni città fluviale, porta spesso ad avere scenari di rischio in cui la città viene suddivisa in più parti tra loro non più collegate e di dimensioni molto differenti. In tali contesti l’analisi configurazionale rappresenta uno strumento di effettivo supporto, in quanto permette di leggere le caratteristiche funzionali di questi insediamenti urbani resi, di fatto, autonomi dall’evento calamitoso, da cui dipende il comportamen-

3

Allo scopo è possibile adoperare gli indici di resilienza sintattica già introdotti: la connettività media, l’indice di frequenza e l’indice di sinergia. 4 Ovvero di più bacini nel caso dei fiumi più lunghi.

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to dell’intero aggregato urbano nella fase di evento e di immediato post-evento. In termini configurazionali ciò si traduce nel raffronto tra diverse reti, generatesi dalla soppressione temporanea di connessioni prima esistenti e quindi considerabili quali sotto-reti del grafo urbano rappresentativo dell’intera città. Tali sotto-reti possono presentare numerosità dei nodi molto differenti tra loro e ciò pone dei problemi metodologici significativi in ambito configurazionale. Il raffronto tra mappe di dimensioni molto differenti è, infatti, risultato un aspetto da sempre scivoloso, essendo l’analisi configurazionale imperniata sul calcolo di misure relative di centralità e non su valori assoluti, ovvero mirata a discutere della distribuzione della centralità e non della sua magnitudine: in linea generale gli indici di centralità dipendono dalla dimensione del grafo. Per superare tale limite concettuale e tecnico l’approccio di maggiore diffusione è stato quello di identificare modalità di normalizzazione degli indici, rendendoli indipendenti dal numero dei nodi del grafo. Nonostante i numerosi tentativi proposti, tuttavia, permangono forti limitazioni nell’affidabilità delle misure derivate, in ragione, in primis, di significativi effetti di scala che si riverberano sul calcolo stesso degli indici di centralità, prima che su quello delle loro misure normalizzate. Le distorsioni nei risultati si riverberano, ovviamente, anche sul calcolo degli indici ottenuti dalla combinazione degli indici fondamentali. L’idea che si propone in questo studio è quella di spostare l’attenzione dal raffronto degli indici per diverse mappe al raffronto della loro distribuzione statistica, secondo il principio che il rapporto tra le variabili configurazionali costituisca una proprietà intrinseca della mappa, nativamente indipendente dalla numerosità dei suoi nodi/ segmenti//lines. Attraverso lo sviluppo di un approccio statistico alle variabili configurazionali si mira, inoltre, a far emergere con maggiore chiarezza quale sia l’effettivo rapporto tra le variabili configurazionali e, quindi, ad evidenziare caratteristiche latenti della rete non desumibili dall’analisi singolare, o solo parzialmente combinatoria, delle variabili configurazionali. In tal senso, si è portata l’attenzione dal modo con cui gli indici configurazionali si calcolano a quello con cui sono statisticamente legati tra loro. Se si considera per una rete urbana l’insieme delle 10 variabili configurazionali principali in ambito ASA (connettività angolare [Ang. Conn.]; connettività [Conn.]; lunghezza dei nodi/ segmenti/lines [Segm. Lenght]; integrazione globale [Int R.n]; integrazione locale di raggio topologico 3 [Int R.3]; scelta globale [Choice

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R.n]; scelta locale di raggio topologico 3 [Choice R.3]; numerosità dei nodi locale di raggio topologico 3 [Node Count R.3]; profondità totale globale [Depth R.n]; profondità totale locale di raggio topologico 3 [Depth R.3]) esse possono essere collezionate in una matrice, sia X, di ordine (n × p), dove è il numero dei nodi/segmenti/lines della rete urbana e il numero delle variabili configurazionali principali (p = 10). Ciò significa che X colleziona p differenti misure quantitative calcolate per ognuno degli n nodi/segmenti/lines che costituiscono la rete urbana. Sulla base di questi dati è possibile costruire una matrice di covarianza, sia S, di ordine (p × p). Le variabili presentano tra loro una correlazione statistica dovuta al processo di calcolo, che per tutte si basa sull’analisi della struttura topologica di uno stesso sistema a rete. Ne deriva che solo alcune di esse forniscono informazioni indipendenti e significative o, in altri termini, descrivono e spiegano la maggior parte della varianza della matrice X. Questa considerazione è alla base dell’analisi delle componenti principali (PCA), una tecnica statistica di analisi multivariata, finalizzata a riprodurre tutta la varianza di una matrice di ordine l con un numero k di nuove variabili, chiamate componenti principali (PC), dove k < l. Di fatto la PCA sintetizza le variabili, ponendo l’accento sul significato del data-set l-dimensionale. Le componenti principali si ottengono come trasformazioni lineari delle variabili iniziali, elencate in ordine decrescente secondo il valore della loro varianza. Nota la matrice S, le basi teoriche della PCA sono da ricercarsi in considerazioni di tipo algebrico, dipendendo le componenti principali dagli auto-vettori e dagli auto-valori di S5. Usualmente i risultati della PCA sono espressi sotto forma di X valori di deviazione dalla media. Tuttavia questa notazione non può essere adoperata se le p variabili differiscono per la scala dei valori e per la dimensione delle realizzazioni. In tali casi è necessario procedere alla normalizzazione di X, che si ottiene attraverso la costruzione di una matrice Z di ordine (n × p). Ciò corrisponde, in termini analitici, al ricorso ad una matrice di correlazione R di ordine (p × p) in luogo di S.

5 Nello specifico, ogni auto-vettore di S contiene i coefficienti attraverso cui è possibile effettuare la trasformazione lineare delle p variabili. Se av è un auto-vettore di S, può essere definita una componente PCv, la cui varianza corrisponde al relativo auto-valore di S (λv). Essendo S di ordine (p × p), si possono calcolare p diversi autovalori di S, corrispondenti ad altrettanti auto-vettori di S stessa.

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Per una data componente PCv, dove (1 ≤ v ≤ p), il rapporto tra λv (auto-valore di S) e la varianza totale del data-set originale, computabile su S o su R a seconda dei casi, rappresenta la percentuale della varianza originaria totale che è spiegata dalla componente PCv. Considerando tutte le p componenti principali, la varianza originaria risulterebbe completamente spiegata, ma, ovviamente, non si otterrebbero benefici sulla riduzione delle dimensioni del data-set. Per la scelta del numero delle componenti ottimali per la descrizione del data-set la letteratura scientifica propone numerosi criteri. Una volta che un numero k (k < p) di componenti è stato individuato, è possibile calcolare i relativi auto-vettori av=1…k necessari per determinare i valori di ogni componente principale PCv=1…k per ognuno degli n elementi (denominati scores): PCi1 = xi1a11 + … + x1p a1p (i = 1 … n). Gli scores possono essere collezionati in una matrice Y di ordine (n × k), che rappresenta il data-set X originale in un nuovo spazio a ridotte dimensioni (da p a k). Se è inferiore o uguale a 3, il data-set può essere rappresentato graficamente. Per ogni componente principale è possibile calcolare: (i) la correlazione statistica con le p variabili originarie, misura utile a valutare quale delle p variabili contribuisce maggiormente alla definizione di ogni componente PCv; (ii) la percentuale di varianza di ognuna delle p variabili spiegata da ogni componente PCv, misura che stima il grado di approssimazione della conoscenza dovuto al numero ridotto di variabili che si usano rispetto al numero totale delle variabili (p); (iii) la varianza totale spiegata dalle componenti principali PCv=1…k, ottenuta come somma delle singole varianze spiegate da ognuna delle k componenti. I coefficienti di correlazione tra le variabili e le componenti principali PCv=1…k, che numericamente variano tra –1.0 e +1.0, possono essere visualizzate nel cosiddetto component plot. In tale grafico le p variabili sono rappresentate come punti in uno spazio i cui assi corrispondono alle k componenti principali PCv=1…k: più un punto nel grafico è vicino ad un cerchio di raggio 1 (denominato correlation circle), più la corrispondente variabile è ben modellata dalle componenti selezionate. In termini geometrici, è possibile tracciare un vettore che collega ognuno dei p punti con l’origine di ogni asse: più è piccolo l’angolo che si forma tra questo vettore e l’asse, maggiore è la correlazione tra la variabile

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e la componente principale rappresentata dall’asse stesso. Gli angoli che si formano tra gli p vettori, invece, esplicitano la correlazione tra le variabili. I risultati della PCA così ottenuti risultano completamente indipendenti dalla numerosità degli elementi che costituiscono il dataset cui le p variabili si riferiscono. Nei casi in cui è valida l’opzione di lavorare con sole due componenti principali, ovvero con k = 2, si ottengono grafici piani in cui le coordinate di ogni punto, che rappresenta una delle p variabili, corrisponde ai relativi valori assunti dalle componenti PC1 e PC2. In forma analoga è possibile costruire un diverso grafico di tipo scatter plot, noto come score plot, in cui il data-set iniziale può essere rappresentato in veste di un nuovo data-set composto da una matrice Y di ordine (n × 2) contenente gli score values relativi alle due componenti principali. Ne deriva che ogni punto, rappresentativo di un elemento del data-set iniziale (ovvero quale singola realizzazione delle p variabili), corrisponde ad una coppia di valori/coordinate (PC1, PC2). Nel piano delle componenti principali, più un gruppo di punti è vicino all’origine degli assi, più i valori delle variabili che essi realizzano tendono alla media dei valori dell’intero data-set. Diversamente, punti lontani dall’origine degli assi, ma vicini ad uno di essi, hanno un alto valore della componente (PCv) che lo stesso asse rappresenta. I punti che sono posizionati nella direzione di un determinato vettore – inteso come una semiretta uscente dall’origine degli assi e formante con questi ultimi un determinato insieme di angoli – si caratterizzano per avere un alto valore delle variabili che vi sono relazionate, essendo il vettore stesso una rappresentazione grafica del grado di correlazione tra una o più variabili e le componenti principali. In definitiva, l’analisi delle componenti principali sembra essere uno strumento effettivamente valido ed efficace per evidenziare aspetti nascosti che non sempre sono desumibili dall’analisi delle singole variabili, cui si aggiunge l’importante caratteristica di non dipendere dalla numerosità del campione analizzato: aspetto cruciale per gli obiettivi di un’analisi comparativa di diversi scenari. Contestualizzando l’uso della PCA al caso dell’analisi configurazionale, ognuno dei punti corrisponde ad un nodo/segmento/line della rete urbana, mentre le variabili che essi realizzano corrispondono agli indici configurazionali (indici di integrazione e di scelta, connettività,

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…). Ne consegue che le caratteristiche di gruppi di punti nello spazio6 delle componenti principali possono essere rappresentative di proprietà spaziali e topologiche della griglia urbana. È per queste implicazioni che l’individuazione di gruppi omogenei di punti/nodi acquisisce un valore determinante nello studio dei risultati della PCA. Rifacendosi ancora al caso di due sole componenti principali, è possibile applicare tecniche di Analisi Cluster gerarchica (CA) per individuare statisticamente gruppi di punti significativi. Questo tipo di analisi può essere fatta sulla matrice Y (n × 2) degli score values. In tal caso, l’obiettivo principale dell’analisi cluster è quello di divedere gli score plots per individuare gruppi aventi le due seguenti caratteristiche: (1) diversità reciproca – ovvero ogni gruppo è diverso dagli altri; (2) alto grado di omogeneità interna – le proprietà configurazionali degli elementi, dedotte dalla PCA, sono similari all’interno di ogni gruppo. Il clustering gerarchico è finalizzato alla progressiva aggregazione di elementi sulla base della loro differenza, che è possibile valutare secondo diversi approcci legati ad altrettante concezioni di distanza tra gli elementi (Zani & Cerioli, 2007). Adoperando l’approccio average linkage (Zani & Cerioli, 2007), gruppi di elementi a bassa distanza reciproca vengono progressivamente fusi per fornire un’interpretazione significativa dei dati. L’intero processo di fusione può essere visualizzato ricorrendo ad una rappresentazione grafica ad albero nota come dendrogramma alla cui base sono presenti tutti gli elementi, intesi come gruppi unitari, ed alla cui cima è presente un solo gruppo, frutto delle progressive fusioni, ricostruibili per via grafica percorrendo il grafico in ascensione verticale. Le linee verticali del dendrogramma indicano la distanza cui un certo numero di elementi sono combinati insieme per formare i diversi cluster, rappresentati per mezzo di linee orizzontali. In tal modo il dendrogramma mostra tutti i cluster e le loro distanze. Il processo di clustering è fortemente influenzato dalle scelte inerenti il numero di cluster in cui dividere il data-set. Troppi cluster non permettono di semplificare i dati, troppo pochi non salvaguardano il loro significato globale. Esistono pertanto diverse strategie per supportare la scelta ottimale del numero dei cluster. Frequente è il ricorso al calcolo, per ogni elemento, del cosiddetto valore di silhouette (Rousseeuw, 1987). Considerando un elemento appartenente al 6 Il numero delle dimensioni dello spazio dipende dal numero di componenti principali adatte a descrivere il data-set.

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generico cluster A, ed assumendo che d(i, C) sia la distanza di i dal cluster più vicino (C), il valore di silhouette dell’elemento (si) si calcola rapportando d(i, C) alla distanza di i da tutti gli altri elementi che appartengono al cluster A; si varia tra –1 e +1: se tende a 1 per tutti gli elementi di ogni cluster, la suddivisione del data-set è corretta. Adoperando in cascata la PCA e la CA è possibile, prima, ridurre il numero delle variabili (realizzate dagli elementi del data-set) ad un numero significativo e non ridondante e, successivamente, interpretare l’insieme dei dati in maniera quantitativa ed oggettiva per evidenziare proprietà nascoste del data-set, difficili da estrapolare in un’analisi globale non supportata da tecniche specifiche. Quanto sopra mostra l’opportunità di ridurre il numero delle variabili configurazionali e di trovare gruppi omogenei di elementi, indipendentemente dalla posizione nello spazio, ma in relazione alle rispettive caratteristiche topologiche. Potendo estrapolare informazioni sintetiche sulla globalità della rete urbana, indipendentemente dalla numerosità degli elementi che la compongono, ne consegue la possibilità di paragonare mappe diverse senza standardizzare i valori delle variabili configurazionali, ma le procedure per la loro interpretazione.

Rischio alluvionale da esondazione ed analisi configurazionale: il caso di Torino La metodologia descritta è stata applicata all’area metropolitana di Torino, quarta città italiana per popolazione, che si sviluppa all’incrocio dei fiumi Po, Dora Riparia e Stura di Lanzo, in un quadro geo-morfologico vallivo ben delineato dai rilievi collinari di Superga e della Maddalena, cui si aggiunge la presenza di un’infrastruttura perimetrale per la mobilità, ovvero la Tangenziale Nord (E64) e la Tangenziale Sud (E70), che insieme determinano l’interruzione del continuum urbano nella zona. La modellazione dello scenario di rischio è stata portata avanti sulla base dei dati pubblicati dall’Autorità di Bacino del Fiume Po, inerenti alle aree potenzialmente inondabili con una piena dal periodo di ritorno di 500 anni (Figura 65). In tale scenario, denominato 1 per distinguerlo dallo scenario in assenza di evento, individuato come 0, l’area di studio è frammentata in 4 parti non relazionate, di cui due marginali (tralasciate nel successivo studio) e due principali, denominate SUB1 – posizionata tra il Po e la Dora Riparia – e SUB 2 – posizionata tra la Dora Riparia e la Stura di Lanzo (Figura 66).

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Paesaggio, città e rischi naturali  171

Figura 65 – Spazi aperti urbani (in nero), inviluppo dell’area di studio – minimum convex hull – (linea tratteggiata bianca) ed aree potenzialmente inondabili in caso di evento con periodo di ritorno stimato in 500 anni (trasparenza di bianco).

Nel quadro degli scenari 0 e 1 si è quindi proceduto all’implementazione dell’Angular segment analysis (ASA), adoperando per le misure locali il raggio topologico di profondità 3. Sulla base dei risultati dell’ASA si è proceduto al preventivo calcolo degli indici di resilienza sintattica, già proposti per il caso del rischio vulcanico, raccolti nella Tabella 3. Mean connectivity (Cm) Frequency index (v)

Synergy (R2)

Scenario 0

3,338

0,335

0,473

Scenario 1- SUB1

3,425

0,518

0,271

Scenario 1 -SUB2

3,373

0,612

0,319

Tabella 3 – Indici di resilienza sintattica calcolati per i tre scenari di analisi. Come si può notare, i risultati sono tra loro incoerenti, decretando l’incapacità degli indici di cogliere le variazioni di resilienza in sistemi così profondamente modificati dagli effetti di un evento catastrofico.

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Figura 66 – Le sotto-reti urbane che si formerebbero in caso di scenario critico. In bianco la sottorete n. 1 (SUB1), in nero la numero 2 (SUB2), in grigio le sotto-reti non considerate significative. L’immagine è completata dal poligono dell’area di studio (linea puntinata bianca), dal corso dei tre fiumi d’interesse per l’area di studio (linee puntinate nere) e dalle aree inondabili con periodo di 500 anni.

Figura 67 – Scenario 0 – Distribuzione dell’indice di integrazione globale (gradiente di luminosità).

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Paesaggio, città e rischi naturali  173

Figura 68 – Scenario 1 – Distribuzione dell’indice di integrazione globale (gradiente di luminosità).

I suddetti indici, tuttavia, mostrano dei limiti nell’interpretazione delle proprietà topologiche e spaziali dei tre scenari, palesando lievi ma significative incoerenze nei valori che ledono la portata dei risultati (Abshirini & Koch, 2017). Nello specifico, come si è potuto in precedenza evidenziare, l’indice di frequenza (v) è inversamente proporzionale alla resilienza sintattica di un aggregato urbano, mentre lo sono direttamente sia la connettività media (Cm) che l’indice di sinergia (R2). Nel caso di Torino i tre indici non portano ad un risultato coerente tra i due scenari d’analisi. Ciò è presumibilmente dovuto a due fattori principali: (1) la grande differenza dimensionale tra le tre reti analizzate, che favorisce fenomeni di polarizzazione dei valori degli indici configurazionali; (2) l’asimmetria del processo di eliminazione dei nodi/segmenti/lines dovuto alla localizzazione delle fasce fluviali. Il verificarsi di questa distorsione appare perfettamente coerente con i limiti già palesati dall’analisi configurazionale, in termini generali, nel raffronto tra mappe molto diverse per numero di elementi. Il ricorso ad uno studio che nasce indipendente dal numero degli elementi delle

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Figura 69 – Correlogrammi riferiti alle tre sotto-reti del caso di studio.

mappe urbane rappresenta, quindi, un elemento di particolare interesse anche per fornire indicazioni utili per supportare l’interpretazione di risultati non chiari ottenuti con il calcolo di indici configurazionali e che, in molti casi, forniscono indicazioni difficilmente surrogabili, com’è il caso degli indici di resilienza sintattica. A tal proposito, pertanto, si è proceduto all’applicazione della metodologia precedentemente esposta, ad iniziare dall’implementazione dell’analisi PCA, effettuata con ricorso al software R (R Core Team, 2014). La correlazione tra le 10 variabili configurazionali per ogni sottorete urbana nei due scenari è esplicitata nei correlogrammi di Figura 69. Per la definizione delle componenti principali si è assunto che il loro insieme (PCv=1…k) dovesse assicurare in media almeno il 95% della varianza di ognuna delle p = 10 variabili (Zani & Cerioli, 2007).

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Paesaggio, città e rischi naturali  175

Figura 70 – Component plots riferiti alle tre sotto-reti del caso di studio.

Adottando questo criterio, in riferimento ad ognuna delle variabili per entrambi gli scenari, si è stabilito che il numero di componenti k dovesse essere in grado di interpretare almeno il 59,87% della varianza di ogni data-set. In queste condizioni sono risultate significative solo le prime due componenti principali (k = 2), che totalizzano gran parte della varianza totale (Tabella 4). Come è possibile valutare dai component plot di Figura 70, per le tre reti urbane le componenti PC1 e PC2 interpretano correttamente tutte le variabili configurazionali, ad eccezione della lunghezza dei segmenti. Quest’ultima variabile, tuttavia, pur fornendo informazioni utili per l’interpretazione ed il calcolo degli indici configurazionali è, di fatto, una variabile del tutto esogena al quadro della topologia della città. Tutte le ulteriori nove variabili, infatti, trovano collocazione nei pressi del cerchio di correlazione, presentando valori del coefficiente di correlazione prossimi all’unità.

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Scenario 0

Scenario 1- SUB1

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Scenario 1- SUB2

percentuale di varianza spiegata parziale cumulativa 55,0 % 55,0 % 12,2 % 67,2 % percentuale di varianza spiegata parziale cumulativa 49,2 % 49,2 % 16,5 % 65,7 % percentuale di varianza spiegata parziale cumulativa 50,7 % 50,7 % 14,4 % 65,1 %

Tabella 4 – Varianza spiegata dalle componenti principali (valori percentuali).

Spostando l’attenzione dalle variabili ai singoli elementi del dataset (intesi come loro realizzazioni), che corrispondono ai nodi delle tre reti urbane in analisi, gli score plots (Figura 71) mostrano, per tutti gli scenari, la presenza di un gruppo di punti numericamente dominante nei pressi dell’origine degli assi, e che quindi presentano valori medi per tutte le variabili configurazionali, nonché di un secondo gruppo, con meno elementi che hanno alti valori degli indici globali di integrazione e di scelta. Sono infine presenti pochi elementi isolati con basso valore dell’indice di integrazione. Per tutti gli scenari, quindi, la forma dello score plot si presenta come un fuso, con un gran numero di punti a valori medi e medio-bassi delle variabili configurazionali ed un gruppo secondario che collaziona i nodi con picchi elevati degli indici a valenza globale, che costituiscono la foreground net – e quindi la struttura portante – del sistema urbano nelle tre configurazioni. In considerazione della corrispondenza tra i punti del grafo di Figura 71 ed i nodi della rete urbana, si può pensare ai gruppi di punti, e quindi alla forma del grafo, come a proprietà spaziali di ognuna delle mappe. Va tuttavia evidenziato che le tre mappe sono il risultato dei cambiamenti urbani indotti (o non indotti nel caso dello scenario 0) dall’evento alluvionale modellato sul sistema degli spazi aperti. Ne deriva, quindi, che le tre urban network sono state create ed analizzate in maniera completamente indipendente e che, pertanto, non vi è corrispondenza di punti/nodi/segmenti tra le tre mappe. L’attenzione va quindi posta, come

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Figura 71 – Score plots riferiti alle tre sotto-reti del caso di studio.

da metodologia, non sul ruolo di un nodo nelle tre mappe, ma sul modo con cui le mappe, grazie alla topologia che esprimono, assegnano nuovi ruoli agli spazi sopravvissuti all’evento. La resilienza, in tal senso, viene valutata sempre come una proprietà globale della rete in riferimento al cambiamento indotto dall’evento critico. La ricerca di gruppi distintivi di punti, omogenei per le caratteristiche configurazionali per come descritte dalle componenti principali, assume il valore dell’individuazione di aree urbane con specifiche proprietà topologico-funzionali. Seguendo il profilo metodologico tracciato, si è provveduto all’implementazione del clustering gerarchico (CA) e, quindi, all’individuazione di sotto-insiemi autonomi di punti/ nodi, adoperando come discriminatore spaziale la distanza euclidea. Il risultato dell’analisi è sintetizzato in Figura 72. La definizione del numero di cluster più adeguato per la descrizione dei tre data-set è stata ottenuta dal raffronto dei valori di silhouette

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Figura 72 – Cluster Analysis – Score plots e dendrogrammi per le tre sotto-reti del caso di studio.

pesata sul numero degli elementi di ogni cluster, lavorando sull’ipotesi di considerarne 2 – 3 o 4. Nello specifico, è stata scelta la soluzione per la quale il valore della silhouette pesata è più alto. In tutti i casi il miglior clustering è risultato essere la suddivisione dei punti in due gruppi distintivi, di fatto confermando le suddivisioni già intuibili con l’analisi visiva degli score plots.

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Figura 73 – Cluster Analysis – Scenario 0 – Mappa tematica in cui è indicata la suddivisione in cluster dei nodi urbani. I colori (grigio e nero) dei nodi/segmenti corrispondono a quelli della Figura 72, permettendo l’individuazione del cluster di appartenenza.

Figura 74 – Cluster Analysis – Scenario 1 – Mappa tematica in cui è indicata la suddivisione in cluster dei nodi urbani. I colori (grigio e nero) dei nodi/segmenti corrispondono a quelli della Figura 72, permettendo l’individuazione del cluster di appartenenza.

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180  C come Paesaggio

Per ottenere un’ulteriore verifica della significatività della suddivisione è stata valutata la correlazione tra le distanze originarie tra i punti e le loro distanze dopo la loro fusione in gruppi (cd. cophenetic). Più il valore della cophenetic si avvicina a 1, meglio il processo di clustering interpreta i dati. Per il caso di specie, i valori non scendono mai sotto 0,730 (Tabella 5), confermando la correttezza del procedimento implementato e la sua significatività statistica.

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Cophenetic Scenario 0

0,784

Scenario 1 - SUB1

0,730

Scenario 1 - SUB2

0,783

Tabella 5 – Cluster Analysis – Valori di cophenetic per le tre sotto-reti

La suddivisione in cluster del data-set può essere anche visualizzata sulla segment map, sfruttando la corrispondenza tra punti dello score plot e nodi/segmenti del grafo urbano. Lo studio sulla città di Torino fa emergere interessanti aspettichiave dell’approccio metodologico proposto. Innanzitutto, le tre configurazioni spaziali analizzate (ovvero le tre reti autonome che si formano: scenario 0; scenario 1-sub 1; scenario 1-sub 2), nonostante presentino una forma reciproca intuibilmente molto differente nel quadro geometrico, sia per layout che per numerosità dei tronchi viari e degli spazi aperti in generale, evidenziano un funzionamento, attestato dal quadro configurazionale, molto simile: la distribuzione statistica delle variabili configurazionali, infatti, è analoga per tutti i casi. In ogni rete urbana, infatti, solo un numero molto limitato di spazi svolge un ruolo nodale ed in apparenza difficilmente surrogabile nella struttura urbana del relativo insediamento7. Ciò emerge in particolare alla scala globale, dove i segmenti relativi a tali spazi sono allo stesso tempo sia gli elementi maggiormente attrattivi come destinazioni di spostamento (in quanto mediamente i più vicini a tutti gli altri elementi della rete, ovvero ad alto indice di integrazione globale), che gli elementi probabilisticamente più attraversati negli spostamenti urbani (in quanto presenti su un’alta percentuale 7 Si tratta, in questo caso, dei tre insediamenti duali delle tre reti autonome risultanti dalla modellazione dei due scenari diacronici 0 e 1.

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Paesaggio, città e rischi naturali  181

di percorsi minimi tra qualunque coppia di nodi del grafo urbano, ovvero ad alto indice di scelta globale). Questa osservazione rispecchia uno dei principali vantaggi offerti dalla metodologia proposta, che sfruttando la capacità della PCA di combinare significativamente le variabili configurazionali consente di esprimere il quadro topologico-sintattico di un insediamento a diverse scale di analisi tra loro interagenti in maniera sintetica. Ciò fornisce una panoramica chiara dello stato funzionale di un insediamento urbano, utile a definirne le principali dinamiche, in maniera più diretta e forse oggettiva rispetto all’analisi per singole variabili, che inevitabilmente necessita di un processo soggettivo di aggregazione critica dei dati. La PCA, peraltro, consente di giungere a risultati indipendenti dalla numerosità della rete analizzata, senza comprometterne la significatività statistica e senza incidere sulla loro accuratezza, caratteristica, questa, di capitale utilità nel raffronto tra aree urbane differenti per dimensione. L’integrazione della PCA con l’analisi cluster di tipo gerarchico (CA) ha mostrato di costituire un efficiente supporto per l’esplicitazione delle caratteristiche statistiche del quadro configurazionale di un insediamento. Grazie alla possibilità di aggregare oggettivamente i nodi del grafo urbano con caratteristiche similari nel piano delle componenti principali, la visualizzazione dei risultati ne beneficia in immediatezza e chiarezza e contribuisce a marginalizzare l’apporto soggettivo nell’interpretazione dei fenomeni urbani principali. È utile, inoltre, evidenziare, come anche la CA è del tutto indipendente dalla numerosità del campione analizzato, e quindi non modifica il valore delle considerazioni prima introdotte sulla capacità nativa della metodologia proposta di consentire il paragone tra mappe urbane di diversa consistenza ed estensione. Caratteristica, quest’ultima, utile sia nel raffronto di città eterogenee, sia nella valutazione dei cambiamenti indotti da un elemento modificante o perturbante in un’unica città, i quali determinano la genesi di più scenari di analisi, com’è stato per il caso di Torino. Rimanendo nel contesto specifico e, quindi, focalizzando l’attenzione sul tema del rischio naturale di origine fluviale, una volta valutate le variazioni indotte da un evento ad esso correlato al quadro configurazionale dell’insediamento, si può considerare resiliente un sistema capace di offrire le stesse funzioni urbane di quello pre-evento, riorganizzandosi per surrogare il ruolo degli spazi resi inutilizzabili dall’evento stesso. I risultati dell’analisi per il caso di Torino mostrano, in tal senso, come la

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182  C come Paesaggio

città possa dirsi molto resiliente, in quanto le funzioni urbane risultano completamente assicurate nelle due reti dello scenario post-evento (1), come testimoniato dalla congruenza degli out-put della PCA. Ciò è significativo, in particolare, se si tiene in considerazione che l’evento modellato è di particolare rilevanza e forza (il periodo di ritorno di 500 anni è, infatti, particolarmente ampio) e l’effetto che esso induce sul quadro geometrico della città tanto invasivo da fratturarla. L’assicurazione delle funzioni urbane è direttamente correlata alla possibilità di fornire supporto ed assistenza nella fase di immediato post-evento, nonché di favorire la transizione verso l’auspicabile ritorno allo scenario pre-evento. In tal senso, la resilienza sintattica assume un valore ulteriore e di più specifico respiro, e la metodologia proposta si qualifica come uno strumento dalle effettive potenzialità sia nel quadro delle più generali analisi di resilienza sintattica, sia, soprattutto, nelle analisi in tale ambito correlate al rischio di alluvione fluviale. In conclusione, la metodologia proposta ha evidenziato come sia possibile effettivamente ridurre a sole due dimensioni un data-base configurazionale deca-dimensionale, senza scalfirne la capacità di esprimerne le caratteristiche principali e maggiormente significative, nonché riuscendo a trarre informazioni sintetiche e chiare sulla struttura topologica di un insediamento, indipendentemente dalla numerosità dei nodi del grafo urbano. Dal punto di vista operativo, la metodologia proposta si è dimostrata potenzialmente applicabile all’analisi di resilienza urbana, sia nell’intento di supportare la valutazione delle caratteristiche non-euclidee che la determinano (c.d. resilienza sintattica), sia in quello di studiare in maniera diretta la risposta funzionale di un insediamento in caso di alluvione di origine fluviale. Essa si è dimostrata potenzialmente valida per sostanziare il raffronto del quadro configurazionale, e quindi degli aspetti funzionali della fenomenologia urbana, tra due insediamenti di origine omogenea od eterogenea, indipendentemente dalla numerosità degli elementi della rete urbana che li rappresenta, senza dover normalizzare gli indici configurazionali. La metodologia a tal proposito si contraddistingue per il potenziale innovativo che possiede rispetto alle attuali esperienze scientifiche nel settore. Grazie a questa caratteristica l’approccio proposto è potenzialmente applicabile in tutte le analisi di scenario basate sulla comparazione tra diversi stati di uno stesso sistema, che di sovente vengono effettuate sia per la redazione degli strumenti di pianificazione, sia per il supporto decisionale agli investimenti.

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Paesaggio, città e rischi naturali  183

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Spostando l’attenzione sulla più generale questione circa l’esistenza o meno di un rapporto di correlazione tra la probabilità con cui si percepisce la ricorrenza o il verificarsi di un evento e il grado di sensibilità che la comunità che vi si raffronta ha nei suoi confronti, il caso di Torino sembra sostanziare l’assunto di partenza mutuato dalla teoria del cigno nero: gli eventi non rari non patiscono la sottostima propria degli eventi rari. In tale ottica e con i limiti propri della portata specifica di questo studio, in questo senso decisamente preliminare, pare potersi affermare che sia proprio l’intuizione del pericolo ad incidere nelle scelte sociali e, di conseguenza, in quelle delle comunità.

Stimare il rischio e non misurare la città Il rapporto tra aree urbane e pericoli naturali presenta complessità intrinseche che travalicano certo gli aspetti strettamente tecnici propri delle discipline direttamente connesse con le numerose criticità della città. La componente umana gioca in questo scenario un ruolo non necessariamente razionale e di certo non proporzionale a quella naturale. Il risultato è la creazione di insediamenti spesso incoerenti con la morfologia del territorio ed intuitivamente molto esposti alle perturbazioni che quest’ultimo può indurre, in termini di disastri naturali. Comprendere il rapporto tra città e rischio naturale, al fine di pianificare meglio i nostri insediamenti e permettere risposte più efficaci, sembra essere innanzitutto una questione di interpretazione oggettiva della percezione umana tanto degli spazi, quanto dei pericoli naturali. In tal senso, l’idea esposta nel presente lavoro è che vi sia un nesso tra la probabilità di accadimento di un evento naturale e l’influenza che esso, inteso in termini categorici, ha nella definizione dell’assetto di un insediamento urbano. Dai risultati emersi da due esperienze preliminari, considerate paradigmatiche delle categorie degli eventi a bassa e ad alta probabilità di accadimento percepito (rispettivamente l’eruzione vulcanica e l’esondazione fluviale), le città sembrano effettivamente essersi strutturate e sviluppate con l’idea di dover fronteggiare solo alcuni dei pericoli loro imposti dalla natura, sia nel passato più remoto, che in quello più prossimo. Ciò fornisce, da un lato, un’indicazione per la ricerca, secondo cui è feconda la strada dell’approfondimento della dimensione percettiva nello studio del rapporto tra città e rischio

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184  C come Paesaggio

naturale. Dall’altro suggerisce ai professionisti che la pianificazione urbana, ed in particolare quella del rischio naturale e dell’emergenza, vanno necessariamente affiancate da strumenti di analisi funzionale e percettiva dello spazio e dei luoghi urbani, tenendo in considerazione la dualità probabilistica degli eventi. L’immagine che se ne può trarre esalta l’idea che il rapporto tra città e pericoli naturali sia celato negli aspetti funzionali degli insediamenti umani e che per pesare il rischio non è necessario misurare lo spazio urbano, ma qualificarne il quadro topologico-configurazionale. È in tale senso che il paesaggio urbano, espressione percettiva dell’uomo sulla città, rappresenta una componente fondamentale tra le variabili correlate alla gestione del rischio ed alla pianificazione dell’emergenza, da porre tra le basi e gli obiettivi della pianificazione non del domani, ma già dell’oggi, grazie al ricorso alle tecniche configurazionali ed alle metodologie ad esse correlate e complementari.

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Analisi configurazionale e paesaggio urbano

Leggendo tra le righe della Convenzione Europea del Paesaggio (Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 2000), firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, l’elemento portante della nuova declinazione del concetto di paesaggio è la sua smaterializzazione, esito di un processo che da patina, o etichetta, di un elemento fisico lo ha trasformato in essenza espressiva di un luogo, ovvero del rapporto tra una società ed un territorio, nel corso del tempo. Il paesaggio immateriale non si conclude, però, nella narrazione, perché non è il racconto di una società, ma l’esito della sua produzione culturale, nella sua accezione più ampia e non necessariamente più alta. In altri termini, il paesaggio necessita di un linguaggio per essere letto, interpretato e, soprattutto, condiviso. Condividere il paesaggio significa innanzitutto condividere un valore. Riconoscere nella propria e nelle altrui società e luoghi la presenza di una cultura con cui entrare in empatia. Una frequenza su cui sintonizzarsi e grazie alla quale rispondere alle domande che la soggettività inevitabilmente pone. Non è faccenda da specialisti, ma necessità comune ed universale: è un modo di porsi rispetto alla vita. Una simile concezione non esclude, ma certamente rafforza, l’idea che debbano esistere degli specialisti del paesaggio che siano in grado di guidare questa transizione in fase ancora primigenia e ben lontana dal suo completamento. Le motivazioni di tale ritardo sono molteplici ed in un certo senso anche imputabili alla difficoltà di definire in modo circostanziato il paesaggio. Ogni disciplina che si è avvicinata al paesaggio partendo da posizioni unilaterali, ovvero dall’uomo o dal territorio, ha cercato di tratteggiarne una visione inevitabilmente influenzata dal background culturale, giungendo ad esiti parziali (il paesaggio antropologico, il paesaggio geologico, il paesaggio urbanistico…) o riduttivi (il paesaggio della visione, il paesaggio della memoria, …). La trans-disciplinarietà e forse ancor meglio la sovra-disciplinarietà sono paradigmi fondamentali per superare l’impasse in cui ci si ritrova. Ciò significa che

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ogni disciplina può contribuire con i propri strumenti allo studio del paesaggio, ma che è necessario fare uno sforzo comune per giungere ad una definizione coerente, ampia, ma sufficientemente semplice per essere concretamente posta alla base di strumenti di analisi e supporto, e quindi alla base tanto delle esperienze di vita, quanto delle politiche e degli strumenti di pianificazione. Nella convinzione che molti sono ancora gli interrogativi che abbiamo di fronte, più volte nel corso del testo si è partiti proprio dal formulare domande sul paesaggio, cercando di argomentare risposta in maniera scientificamente robusta. Questo lavoro ha ambito a sviluppare, in tal senso, un percorso di analisi e di ricerca saldamente ancorato alle definizioni concettuali accettate e dibattute nell’odierno panorama culturale europeo, quali punti di partenza e di riferimento per la proposta di un modo innovato di leggere ed interpretare il paesaggio in cui pratica e letteratura non sono in opposizione, pur limitandosi al solo ambiente urbano. Limitazione, invero, che non ne mina l’interesse e la portata, vuoi perché nelle città abita ormai una percentuale altissima della popolazione dell’Europa e dell’intero Pianeta, con trend evolutivi ancora in netta crescita, vuoi perché le cosiddette aree urbane oggi presentano situazioni e densità alquanto eterogenee che vengono a configurare scenari del tutto nuovi e differenti. Il lavoro ha puntato a fornire un esito preliminare alla ricerca di un metodo effettivamente disancorato dalla visione parziale del paesaggio urbano dell’urbanista, attraverso il riconoscimento dei caratteri intrinseci della città, nonché negli elementi veramente determinanti il suo funzionamento in termini socio-culturali. La città è stata interpretata come un’entità unitaria, fatta di materia duale. Essa è spazio privato, tenuto insieme da spazio pubblico, ed allo stesso tempo è un insieme di persone, tenute insieme dalle loro mutue relazioni. Si tratta di due facce di una stessa medaglia. Lo spazio urbano è quindi allo stesso tempo un connettivo fisico ed un bacino di copresenza, necessario allo sviluppo delle relazioni umane. In tal senso esso ha un ruolo generativo sulla fenomenologia urbana e, di conseguenza, sulle modalità con cui una comunità plasma il proprio spazio di vita. Misurare la città esclusivamente con gli strumenti della geometria è quindi un atto parziale, in grado di restituire la forma del territorio urbano, ma non permette di esprimerne il rapporto con l’uomo. Quest’ultimo è materia prettamente socio-culturale, approccia-

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bile con gli strumenti della sociologia strutturale. In tal senso, l’analisi configurazionale, quale approccio topologico-quantitativo all’analisi della città, costituisce uno strumento idoneo per interpretare la fenomenologia urbana sulla base dell’insieme delle relazioni tra gli spazi pubblici in cui la copresenza umana avviene. L’idea che in questo libro si propone è che la capacità di leggere un fenomeno urbano antropico, studiando il supporto fisico in cui esso avviene, è strettamente connessa alla capacità di interpretare il rapporto tra l’uomo stesso ed il suo ambiente di vita e, quindi, in una certa misura il paesaggio urbano. Che il paesaggio debba essere considerato in modo unitario, peraltro, è idea non certo nuova, diversamente dalla posizione secondo cui il punto di connessione tra il mondo fisico e quello sociale sia nella struttura relazionale che accomuna lo spazio pubblico e il sistema delle relazioni umane di una comunità. La portata di simile concezione è notevole in quanto apre la strada all’utilizzo di metodologie e strumenti quantitativi per lo studio del paesaggio in termini diretti, superando le criticità finora palesate dalle inevitabili componenti soggettive dei metodi usualmente utilizzati. Questi ultimi, infatti, pur se strutturati su matrice quantitativa, mai hanno proposto uno studio diretto del paesaggio, inteso quale rapporto tra uomo e ambiente di vita, riuscendo quindi di volta in volta a cogliere solo la componente fisica o culturale di tale binomio. La validazione di una siffatta posizione è un risultato che, pur se non può dirsi pienamente raggiunto, di certo è preliminarmente sviluppato. Basandosi sul ricorso al noto approccio Space Syntax, si è cercato di estenderne la portata concettuale e di allargarne le basi dimostrative fino a coprire i temi direttamente legati al paesaggio urbano. Il lavoro è stato condotto senza forzature ed in piena coerenza con i risultati già raggiunti, consentendo di poter rigorosamente considerare come probante il più che trentennale corredo di sperimentazioni già sviluppato in ambito Space Syntax, nonché di poter porre nuove sperimentazioni e casi di studio in sua diretta continuità. È con questo spirito che si è proceduto ad implementare dei casi di studio finalizzati ad evidenziare le capacità del metodo nel leggere ed interpretare il paesaggio urbano in relazione a fenomeni particolarmente legati sia al rapporto tra l’uomo e il territorio urbanizzato, sia a quello tra uomo e uomo. Nello specifico, sono stati analizzati il caso della distribuzione della rendita fondiaria e quello del rischio

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naturale, declinando quest’ultimo in termini di eruzione vulcanica ed esondazione fluviale, secondo l’idea che al primo corrisponda la percezione di una bassa probabilità di accadimento ed al secondo, invece, un’alta probabilità. Nel primo dei casi studio si è focalizzata l’attenzione sull’area urbana di Napoli, caratterizzata da un aggregato urbano vasto e particolarmente complesso, ottenendo significative indicazioni sulla congruenza della distribuzione dei valori immobiliari con la distribuzione degli indici configurazionali, ovvero delle misure di centralità calcolate sulla struttura relazionale dell’aggregato stesso. L’apprezzamento soggettivo di un immobile è chiaramente legato, in maniera determinante, alla sua posizione topologica: ciò è particolarmente significativo se si pensa che il prezzo che si è disposti a pagare per ottenere un immobile in una determinata posizione nello scenario della città è forse una delle misure più strettamente legate al rapporto collettivo tra uomo e spazio. Il secondo caso studio si riferisce alla valutazione della resilienza dell’aggregato urbano sviluppatosi alle pendici occidentali del Vesuvio ed è inerente alla modalità con cui il pericolo naturale è stato interiorizzato dalle popolazioni locali, nonché ai relativi effetti sulla struttura urbana. Lavorando su un’analisi diacronica, si è evidenziata la scarsa attenzione posta dalle comunità locali, negli ultimi 50 anni di sviluppo urbano, agli effetti di una possibile eruzione. Mezzo secolo di espansione degli originari nuclei urbani ha generato un’area che nella sua struttura complessiva è più vulnerabile, oltre che maggiormente esposta, in coerenza con la teoria del cigno nero, ovvero con l’idea che gli eventi percepiti a bassa probabilità di accadimento generalmente sono sottostimati. Analogamente si è operato per il terzo caso studio, in cui è stata analizzata la resilienza dell’area urbana della città di Torino, con riferimento al rischio di esondazione dei fiumi Po, Dora Riparia e Stura di Lanzo. Considerata l’alta frequenza delle esondazioni, generalmente vissute più volte da ogni generazione di abitanti delle città fluviali, si è considerato il fenomeno come percepito ad alta probabilità di accadimento. I risultati hanno dato un effettivo riscontro del ruolo svolto dal timore degli effetti dell’esondazione nell’evoluzione dell’area urbana della città. Il sistema spaziale urbano di Torino si è dimostrato altamente resiliente, al punto da essere in grado di assorbire gli effetti dell’evento esondativo modellato, invero a bassissimo periodo di ritorno stimato e quindi assolutamente catastrofico, senza subire la perdita

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di alcuna funzione urbana. Ciò, al di là della coerenza mostrata con la teoria del cigno nero, contribuisce ad offrire un’evidenza dell’affidabilità dell’analisi configurazionale, in termini Space Syntax, nell’analisi quantitativa della città intesa quale paesaggio urbano. In tutti i casi studio, infine, oltre all’applicazione di indici e tecniche già noti in ambito configurazionale, si sono costruite nuove misure e tecniche, sostanziando così l’idea, alla base della ricerca, che l’analisi configurazionale costituisca un vero e proprio paradigma con cui guardare diversamente al paesaggio e non un mero strumento di supporto all’analisi della città. Il tentativo e la volontà di ancorare il paesaggio urbano a parametri oggettivi e misurabili risponde alla necessità tecnica di aggiornare la pratica del paesaggio, indirizzandola verso il rifiuto di un suo apprezzamento statico qualitativo e parziale. In questo senso, l’approccio configurazionale al paesaggio mostra straordinarie potenzialità, non solo descrittive dell’esistente, ma anche valutative delle futuribili trasformazioni cui gli operatori sono chiamati a non sottrarsi nel dovere comune di governare il paesaggio e non solo di conservare il territorio irrealisticamente immutato. La Convenzione Europea del Paesaggio costituisce in tal senso un fertile terreno di riflessione, che invita la ricerca a concentrarsi su come il paesaggio possa essere indagato, considerato ed “adoperato” quale variabile territoriale, più che come inafferrabile prodotto di una realtà spaziale complessa, a priori non indagabile fruttuosamente. Si è già detto che il paesaggio necessita di una definizione assoluta ed inequivocabile e, in termini tecnici, di una forma di misurabilità che ne assicuri la comunicabilità, e che quest’ultimo aspetto, nei termini della condivisione comune, non è solo importante, ma addirittura imprescindibile. Solo grazie alla definizione di un linguaggio comune, i tecnici di ogni settore potranno garantire al paesaggio il suo primario ruolo nelle comunità locali e negli individui, attraverso il suo posizionamento a base dell’attività progettuale e di pianificazione territoriale. Si ribadisce, tuttavia, che ancora troppo spesso si sente parlare di paesaggio-linguaggio, quale strumento di lettura di una sorta di grammatica territoriale. Il paesaggio è qualcosa di più e di diverso rispetto ad un linguaggio convenzionale condivisibile: è il modo con cui lo spazio si fa proprio, si pensa, si usa, si fruisce, sia nella soggettività dell’individuo, sia nella molteplicità della società, ove esso diventa elemento struttu-

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rante la cultura locale. Necessita perciò esso stesso di un linguaggio, per essere trasferito e diventare moneta di scambio culturale. Nel caso della città questo linguaggio può essere quello della topologia dello spazio urbano, propria dell’analisi configurazionale, da intendersi quale traccia materiale del prodotto culturale di una comunità nello svolgersi della sua storia. Linguaggio tecnico, certo, ma linguaggio oggettivo, che può essere la base per lo sviluppo di ulteriori e più generali linguaggi disponibili ed utili per tutti. Nell’immediato esso può essere posto a servizio della progettazione e della pianificazione, quale guida dell’azione dell’uomo nel proprio territorio. La pianificazione territoriale per certi versi è per intrinseca natura fortemente esposta ad una valutazione/azione del/sul paesaggio, che si esplica sia che il piano venga o no attuato: cattive scelte di piano possono avere effetti negativi sul rapporto tra uomo e territorio, compromettendo il primo e svilendo le culture locali. Su questa direzione è necessario dare contorni più definiti al rapporto tra analisi spaziale e pianificazione del paesaggio, sulla scorta di quello che in altri Paesi europei, soprattutto anglosassoni, sta già accadendo. Il paesaggio non può e non deve più essere inteso come una componente specialistica, ma quale generale matrice, comune ed imprescindibile, di ogni forma di pianificazione e di governo del territorio.

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Territorio & Aree urbane

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Collana diretta da Elvira Petroncelli Molti avvertono che l’attuale generale stato di crisi induca, piuttosto che a limitarsi al contingente superamento delle maggiori difficoltà, ad approfondire le cause dei problemi per cercare soluzioni innovative e di lungo periodo. Con questo spirito, si lancia una linea di ricerca che si proietta nel futuro investigando e creativamente organizzando le potenzialità che nascono dalla profonda conoscenza della nostra realtà, dallo sviluppo tecnologico e dalla elaborazione intellettuale. Il sistema urbano ed il territorio vanno ripensati in tutte le loro complesse sfaccettature, restando fermi all’interno del ben delimitato campo della pianificazione territoriale e urbanistica, ma aprendosi a tutti quegli stimoli delle diverse discipline il cui contributo può permettere visuali feconde e stimolare la definizione di nuovi processi per la conformazione e la gestione dello spazio. L’intreccio tra studio, professione e didattica consente una mobilitazione delle forze non solamente necessaria per superare le attuali ristrettezze, ma per integrare saperi che vanno inevitabilmente settorializzandosi e che possono conferire, ciascuno, con i suoi meriti, valore aggiunto.

1. E. Petroncelli, M. Stanganelli, A. Cataldo, Assetto del territorio. Dalle norme al processo di piano. 2. E. Coppola (a cura di), Urbanistica comunale oggi. L’innovazione nella pianificazione urbanistica comunale: esperienze di piano a confronto. 3. E. Petroncelli (a cura di), Il paesaggio tra rischio e riqualificazione. Chiavi di lettura. 4. F.D. Moccia, A. Sgobbo, La polarizzazione metropolitana. L’evoluzione della rete della grande distribuzione verso un sistema policentrico sostenibile. 5. E. Petroncelli (a cura di), Progetto paesaggio tra letteratura e scienza. 6. E. Petroncelli (a cura di), Riappropriarsi dei paesaggi fluviali. Recovering River Landscapes. 7. V. Di Pinto, C come Paesaggio. Analisi configurazionale e paesaggio urbano.

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È possibile “processare” il paesaggio? Partendo da questo interrogativo, il volume esplora l’attuale concezione socio-culturale del paesaggio, focalizzando la propria attenzione sulla percezione ambientale e sulle sue basi oggettive. Ancorato alla convinzione che per conoscere adeguatamente il paesaggio sia necessario ricorrere ad approcci e tecniche quantitative, il volume sviluppa un percorso di analisi e di ricerca, arrivando a proporre un modo innovato di rapportarsi ai luoghi urbani, basato sul riconoscimento dei caratteri intrinseci della città e degli elementi effettivamente determinanti per il suo funzionamento. La città viene interpretata come un’entità unitaria e allo stesso tempo duale – in quanto composta da spazio privato, tenuto insieme da spazi pubblici, e da persone, tenute insieme dal sistema delle loro relazioni – che può essere analizzata e compresa grazie all’approccio topologico-quantitativo cosiddetto configurazionale, secondo l’idea che la struttura relazionale degli spazi urbani costituisca il punto di connessione tra la dimensione fisica e la dimensione sociale degli insediamenti umani. Il risultato è l’apertura di una traccia verso l’utilizzo di metodologie e strumenti quantitativi per lo studio del paesaggio in termini diretti, superando le criticità del ricorso a componenti soggettive. Grazie all’implementazione di diversi casi di studio in altrettanti domini propri del paesaggio, la visione proposta si sostanzia e acquisisce robustezza, sollecitando trasversalmente la ricerca sul paesaggio ad una riflessione sui propri orizzonti, offrendo a pianificatori e specialisti della città un supporto professionale e, soprattutto, evidenziando che il paesaggio non è una componente specialistica, ma una matrice comune che deve guidare il pensiero e l’azione di tutti gli attori del territorio. Valerio Di Pinto è architetto e dottore di ricerca in Tecnica e Pianificazione urbanistica. Già docente di Tecnica Urbanistica presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, svolge dal 2010 attività di ricerca nello stesso Ateneo, interessandosi principalmente di analisi dello spazio urbano, nonché dello studio del paesaggio e del rapporto uomo/territorio. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche su queste tematiche, ha partecipato a progetti di ricerca e relazionato a conferenze nazionali ed internazionali. Dal 2010 svolge anche attività professionale, occupandosi prettamente di progettazione urbanistica ed architettonica, di pianificazione territoriale e di Sistemi Informativi Territoriali.

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