Commentario Esegetico Pratico Dei 4 Vangeli della Bibbia [3 ed.]

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Commentario Esegetico Pratico Dei 4 Vangeli della Bibbia [3 ed.]

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COMMENTARIO ESEGETICO PRATICO

DEI

QUATTRO EVANGELI DEL

Rev. ROBERTO GUALTIERO STEWART, Dott. in. Teol.

già PASTORE DELLA CHIESA SCOZZESE A LIVORNO

TERZA EDIZIONE

riveduta ed alquanto abbreviata dal Prof. ENRICO BOSIO, D. D

TORRE PELLICE

LIBRERIA EDITRICE CLAUDIANA

1929

PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

L'Autore del Commentario Esegetico Pratico sui Vangeli, il quale durante un venticinquennio di lavoro in Livorno, seguendo con profonda simpatia il Risorgimento dell'Italia ad unità ed a libertà, aveva potuto rendersi conto dei bisogni religiosi del nostro popolo, narrava nella Prefazione dettata nell'Aprile 1870, com'egli avesse riconosciuta la necessità di un Commento della S. Scrittura onde venire in aiuto agli operai chiamati a predicare il Vangelo ed ai fedeli bramosi d'intender sempre meglio il senso genuino della Bibbia. Egli poté, superando non poche difficoltà, pubblicare coi tipi della Claudiana in Firenze, dopo il volume su Matteo, quello sopra Marco 1874. Poi nel 1880 il Commento su Luca e infine, nel 1889, quello sul

Vangelo di Giovanni, uscito postumo, essendo il Dott. Stewart entrato nel celeste riposo il 23 Novembre 1887.

Dopo la sua morte l'opera, rimasta interrotta, fu poi ripresa, in proporzioni un po' ridotte, col Commento del prof. E. Bosio sull'Epistola ai Romani 1896, seguito da quello sugli Atti G. Luzzi, 1899 e da sette altri volumi sulle Epp. ai Corinzi Bosio, 1901, sulle Prime Epp. di Paolo Tess. e Gal. Bosio, 1914, sulle Epp. della Cattività Efesini Colossesi Filippesi Filemone. Luzzi, 1908, sulle Epp. Pastorali Bosio, 1910, sull'Epistola agli Ebrei Id., 1904, sulle Epp. Cattoliche Id., 1923 e infine sull'Apocalisse Id., 1924.

Del lavoro del compianto Dott. R. Stewart su S. Matteo venne fatta, nel 1889, una seconda edizione riveduta, e nel 1913 fu ristampato quello su Luca. Nel 1923 poi è uscita, mercé il valido aiuto della famiglia del Dott. Stewart, una terza edizione del Vangelo di Giovanni, sempre sotto gli auspici della Società delle Pubblicazioni Evangeliche. Questa Società e la Libreria La Luce essendosi fuse sotto il nome di «Libreria Editrice Claudiana» Torre Pellice, amministrata dalla Tavola Valdese per mezzo della Commissione delle Pubblicazioni, venne da quest'ultima, col consenso della famiglia Stewart, decisa la pubblicazione di una terza edizione riveduta ed alquanto abbreviata dei Commento su S. Matteo, affidandone l'incarico al prof. Enrico Bosio, D. D. In questa revisione è stata conservata in capo ad ogni pagina la versione Diodati; ma nel Commento le è stata sostituita la Versione riveduta, condotta sopra il testo greco meglio accertato. Sono state, quindi, eliminate le discussioni ormai sorpassate, relative alle varianti introdotte dai critici a correzione del testo ordinario receptus; sono state pure eliminate le discussioni relative a questioni che, dopo una sessantina d'anni, hanno perduto la loro attualità. In molti luoghi, il testo del Commento è stato abbreviato, pur conservando le idee importanti. Per contro, si son dovute toccare, sia nelle Introduzioni, sia nel Commento, alcune questioni critiche sorte o fattesi più acute, dopo la prima edizione; smussare taluni angoli di una ortodossia ch'è parsa estrema al Revisore il quale, pure, milita fra i conservatori. Qua e là si è data la preferenza ad una opinione mentovata, ma non adottata dall'Autore per es. circa il Tu es Petrus. Non si è poi giudicato necessario ristampare il lungo elenco delle opere esegetiche consultate dal Dott. Stewart, né i paragrafi

dell'Introduzione intorno agli Stoici ed agli Epicurei, non mentovati mai nei Vangeli.

La Commissione, mentre è lieta di esprimere al prof. Enrico Bosio la sua sentita gratitudine per le cure intelligenti da lui rivolte a ringiovanire questo antico e così benemerito Commentario, fa voti ch'esso, nella sua nuova veste, risponda sempre meglio allo scopo che mosse il suo primo Autore: guidare molte anime a una conoscenza più profonda dell'Evangelo del nostro Signor Gesù Cristo.

Torre Pellice, 1929.

LA COMMISSIONE VALDESE DELLE PUBBLICAZIONI.

Introduzione agli Evangeli

INTRODUZIONE AGLI EVANGELI

S. MATTEO

Autore

La tradizione ecclesiastica antica è unanime nell'attribuire il primo Vangelo all'apostolo Matteo, chiamato anche Levi, come risulta dal confronto di Matteo 9:9 con Marco 2:14. In quell'epoca molti Israeliti avevano un nome greco e l'altro ebraico, e l'Apostolo, dopo la sua conversione, sembra aver lasciato del tutto il suo nome ebraico. Il fatto che, nell'elenco dei Dodici Apostoli, Matteo designa umilmente se stesso come Matteo il pubblicano, può considerarsi come la firma apposta da lui al suo Vangelo.

Sul conto dell'apostolo Matteo, abbiamo pochi dati certi. Egli era figlio d'Alfeo Marco 2:14; ma era questo un nome molto comune. Nato in Galilea, egli era impiegato qual cassiere di dogana, dagli appaltatori delle imposte stabiliti dai Romani. La sua stazione era al porto di Capernaum, dove la strada maestra che dall'Egitto conduce a Damasco rasentava il lago di

Galilea. Dopo aver narrato la sua vocazione e consegnato il suo nome nel novero degli Apostoli, non parla più di sé. Egli seguì indefessamente le istruzioni del nostro Signore; testimone dei miracoli, della vita e della morte di Cristo, lo fu parimenti della sua risurrezione. Egli fu uno dei dodici mandati, durante il ministerio del Signore, a predicare la prossima venuta del regno di Dio, e con gli altri ricevette lo Spirito Santo nel dì della Pentecoste. Clemente di Alessandria riferisce ch'egli apparteneva alla scuola giudaizzante ascetica, fra i primi Cristiani. Non sappiamo quanto tempo egli vivesse in Palestina, dopo la Pentecoste, né quali e quanti fossero i suoi lavori fuori della Palestina. Però, secondo un'antica tradizione, egli avrebbe predicato l'Evangelo in Etiopia. Eracleone, citato da Clemente di Alessandria, racconta che morì di morte naturale. Clemente stesso, Origene e Tertulliano lo confermano indirettamente, poiché essi dichiarano che Pietro, Paolo e Giacomo il Maggiore, soli fra gli Apostoli, furono martiri.

Lettori cui fu specialmente destinato questo Vangelo

Era credenza universale fra gli antichi, che il primo Evangelo fosse stato scritto, nell'intenzione dell'autore, per l'uso dei Giudei convertiti. Le prove interne tenderebbero a confermare questa tradizione. L'Evangelista parla di costumi, di città e di luoghi giudaici come ben noti ai suoi lettori quindi nel suo scritto trovansi meno interpretazioni e spiegazioni di parole e di cose giudaiche, che negli altri Evangeli. Inoltre, tutta la sua narrazione ha per scopo di stabilire questo punto, il più importante per un Giudeo convertito, cioè: che Gesù era il Messia predetto dall'Antico Testamento. Perciò la sua genealogia di Cristo comincia da Abramo, e molti avvenimenti sono particolarmente posti in rilievo perché erano stati predetti dai profeti. Per il medesimo motivo, egli si ferma più a lungo sopra corte particolarità atte a condurre i Giudei a riconoscere in Gesù di Nazaret il Cristo, il Figliuolo dell'Iddio vivente, e tralascia ogni espressione urtante che avesse potuto impedire ad essi di riceverlo come il loro Re.

Tempo e luogo in cui fu scritto il Vangelo di Matteo

Il tempo non può venir fissato in base a dati positivi. La tradizione afferma che il Vangelo di Matteo fu il primo ad essere scritto; ma lo dice scritto in

lingua aramaica, il che non ci dà alcuna data approssimativa per la composizione del Vangelo greco quale l'abbiamo. Quel che si legge del nome Acheldama dato al campo comprato coi danari di Giuda: «Quel campo fino al dì d'oggi è stato chiamato campo di sangue» Matteo 27:8; quel che si legge Matteo 28:15: «Quel dire delle guardie subornate è stato divulgato fra i Giudei fino al dì d'oggi», attesta che un lasso non breve di tempo è trascorso tra la risurrezione di Cristo e la composizione del Vangelo. D'altra parte, il discorso profetico Matteo 24 in cui sono strettamente unite le predizioni relative alla distruzione di Gerusalemme con quelle relative alla seconda venuta del Signore, e in cui si prescrive ai cristiani di fuggire ai monti prima che sia investita la città, fanno ritenere che il Vangelo sia stato scritto prima del fatale anno 70 D. C.

Chi voglia avere un'idea della varietà delle opinioni al riguardo, consulti il lavoro del prof. Longo: I Libri Storici del N. T. , quarto vol. della «Storia Letteraria della Bibbia», Libr. La Luce, Torre Pellice.

Il luogo più probabile è la Palestina; secondo altri sarebbe la Siria e più propriamente la sua capitale, Antiochia.

Lingua in cui fu scritto il Vangelo di Matteo

Molti critici sostengono che questo Vangelo fu scritto in quella lingua che abusivamente chiamasi ebraica, e con maggior verità aramea o siro-caldea, e che il testo greco che noi possediamo è una traduzione fatta dall'Evangelista medesimo o da qualche scrittore anonimo. Ecco le prove che essi adducono in favore della loro opinione:

1. Papia, vescovo di Ierapoli nella Frigia, il quale fioriva verso l'anno 115, in una sua opera, ora perduta, raccontava così almeno dicono Ireneo ed Eusebio che Matteo compose gli oracoli in lingua ebraica, e che ognuno li interpretava come meglio poteva.

2. Ireneo, vescovo di Lione verso l'anno 180, dice: «Fra gli Ebrei, Matteo pubblicò un Vangelo scritto nella propria loro lingua».

3. Panteno narra Eusebio, andò nelle Indie, e quivi trovò il Vangelo di Matteo scritto in ebraico. Girolamo, narrando questo fatto, presso a poco come Eusebio, aggiunge che Panteno, tornando in Alessandria, portò seco il detto Vangelo.

4. Origene dice è ancora Eusebio che lo riferisce, che il primo Vangelo fu scritto da Matteo, e che questi, avendolo composto in ebraico, lo diede alla luce per i credenti giudei.

5. L'opinione propria d'Eusebio è che Matteo, avendo spesa la prima parte del suo ministerio nel predicar e agli Ebrei, lasciò loro un Vangelo nella loro lingua, quando si rivolse ad altri popoli.

6. Girolamo, che fioriva nel quarto secolo, ci dice Commentario sopra Matteo 12:13: «Matteo compose primieramente un Vangelo per i Giudei in lingua ebraica e con caratteri ebraici. Chi lo traducesse poi in greco non può venir con certezza determinato». Ammettendo che Matteo abbia redatto i Loghia cioè non i discorsi, ma gl'insegnamenti divini di Gesù in lingua aramaica, è evidente che quegli insegnamenti hanno dovuto esser posti, in quel Vangelo primitivo, nel relativo loro quadro storico, il che implica che quell'opera, se anche non fosse identica per sostanza col Vangelo che possediamo, dovea contenere gli elementi storici atti a lumeggiare il senso e l'importanza degli insegnamenti del Cristo. Resta però il problema relativo alla redazione del Vangelo greco, il solo che la Chiesa antica abbia riconosciuto, o addirittura conosciuto. L'ipotesi più in voga attualmente intorno a codesta questione, ammette che «esisteva uno scritto dell'apostolo Matteo in lingua aramaica, e che questo scritto è entrato come parte fondamentale nel primo Vangelo». Un evangelista giudeo ellenista, rimasto ignoto, avrebbe poi incorporato lo scritto di Matteo, tradotto in greco, in una narrazione storica arricchita di elementi attinti ad altra fonte. L'antichità, però, non sa nulla di questo «evangelista». Molti perciò si attengono alla opinione che Matteo stesso il quale, come agente di dogana, dovea possedere una certa coltura, abbia, nella seconda parte della sua carriera, composto egli stesso il Vangelo greco traducendo e completando la sua prima opera aramaica meno atta ad una estesa circolazione fra i giudeocristiani sparsi nel mondo.

Si obietta, è vero, che la narrazione, in Matteo, non fa l'impressione d'essere dovuta ad un testimone oculare; ma le impressioni sono cosa molto soggettiva e non tutti posseggono il dono di narrare gli eventi con vivacità. Resterebbe spiegato così il fatto che gli scrittori antichi attribuiscono unanimi il Vangelo greco all'apostolo Matteo e che esso non presenta tracce d'essere una semplice traduzione.

I dubbi emessi circa l'autenticità dei due primi capitoli son dovuti a pregiudizi dogmatici relativi alla concezione miracolosa del Salvatore. Ma il principio del cap. 3: «Or in quei giorni...», dimostra che qualcosa era stato detto prima. Parimenti le parole Matteo 3:13: «Allora Gesù dalla Galilea si recò al Giordano», e quelle Matteo 4:13: «E lasciata Nazaret, venne…», si riferiscono a quanto è stato narrato nei due primi capitoli, i quali manifestamente fanno parte dell'opera. E, infatti, si trovano in tutti i più antichi MSS. e versioni che possediamo.

Autenticità dei Vangelo di Matteo

Abbiamo della genuinità e della autenticità del Vangelo di Matteo le prove le più soddisfacenti. L'Epistola di Barnaba vi fa per sette volte chiaramente allusione; l'Epistola di Clemente di Roma ai Corinzi, due volte; il Pastore di Erma, dieci volte; le Epistole autentiche d'Ignazio, nove volte, e quella di Policarpo, cinque volte. Esso era conosciutissimo al tempo di Papia, e da lui e da altri antichi scrittori citati da Eusebio, Hist. Eccl. 3,26, venne espressamente attribuito a Matteo. Nel secondo secolo fu riconosciuto da Taziano che scrisse un'Armonia dei quattro Vangeli, intitolata Diatessaron; da Egesippo, cristiano di origine ebraica; ed è ripetutamente citato da Giustino Martire, Ireneo, Teofilo di Antiochia, Clemente di Alessandria, ed anche da Celso, il più dotto ed il più perspicace di tutti gli avversari del Cristianesimo. Nel terzo secolo, Tertulliano, Ammonio, autore di un'altra Armonia, Giulio Africano ed Origene citano tutti quanti questo Vangelo come essendo l'opera indubitata di Matteo, ed il loro esempio è seguito da moltissimi scrittori ecclesiastici. In quanto abbiam detto già relativamente al linguaggio in cui questo Vangelo fu originariamente composto, possono trovarsi altre prove della sua genuinità; resta dunque inutile fermarsi più lungamente su questo punto.

Caratteristica del Vangelo di Matteo

Il Vangelo di Matteo ci fornisce amplissime prove che lo scopo del suo autore era piuttosto dottrinale che storico. Infatti, accade spesso che gli avvenimenti da lui narrati non sono riferiti nel loro ordine naturale, e che non è osservata la successione cronologica. Quasi si direbbe che per lui la cronologia fosse una considerazione secondaria, ed il suo principio di classificazione sembra essere stato piuttosto di raggruppare insieme i fatti che accaddero nel medesimo luogo. Tutto intento nel mostrare in Gesù di Nazaret il Messia promesso ai Padri, egli ha riuniti in un quadro ben definito quei fatti e quegli insegnamenti più strettamente connessi colla sua persona, che potevano giovare ad un tale scopo, congiungendoli per mezzo di qualche legame comune. Perciò spesso mette insieme, quasi fossero stati pronunziati l'un dopo l'altro, discorsi e parabole che Cristo proferì in occasioni e tempi diversi. La dizione di Matteo è di un carattere ebraico marcato. Gli ebraismi vi sono più frequenti che negli altri Vangeli. Vengono ripetute frequentemente espressioni analoghe alle seguenti, che danno a conoscere i concetti giudaici così dello scrittore come dei lettori per cui scriveva: Acciocché si adempiesse ciò che fu detto dal profeta; Figlio di Davide, applicato a Gesù; la città santa, il luogo santo, descrittive di Gerusalemme; la fine dell'aion, cioè dell'era o età presente; il Padre che è in cielo; il regno dei cieli, ecc. Lo stile, come fu già osservato da Erasmo, rassomiglia alquanto a quello di Marco. L'Evangelista ricorda senz'arte e senza ricerca di effetti le impressioni fatte sulla sua mente dalle scene e, dagli eventi di cui fu testimonio. Non entra in molti particolari, fuorché quando riferisce discorsi ed istruzioni morali di Cristo, e questi vengono esposti in modo molto chiaro ed espressivo.

Contenuto del Vangelo di Matteo

Il Vangelo di Matteo può esser diviso in cinque parti:

1. Nascita ed infanzia di Gesù cap. 1 e 2.

2. Fatti che precedettero e prepararono il suo pubblico ministero 3-4:11

3. Ministero pubblico di Gesù in Galilea 4:12-18:35

4. Viaggio di Cristo a Gerusalemme ed i suoi discorsi in quella città 1926:19

5. Passione, morte e risurrezione di Cristo 26:20-28

S. MARCO Autore

L'autore del secondo Vangelo fu sempre e da tutti chiamato Marco. Non v'è ragione per dubitare ch'egli sia la persona di cui si parla in Atti 12:12,25;15:37, sotto il nome di «Giovanni soprannominato Marco». In Atti 13:5, egli è chiamato semplicemente Giovanni, e riceve il solo nome di Marco in Atti 15:39. Questa doppia appellazione spiegasi coll'uso invalso fra i Giudei, che erano in contatto coi Romani e coi Greci, di unire nomi forestieri agli ebraici. Pare che, dopo qualche tempo, il nome di Marco fosse più comunemente usato di quello di Giovanni. Vedi Colossesi 4:9; 2Timoteo 4:11; Filemone 24. Marco nacque in Gerusalemme ed ebbe per madre Maria, quella zelante cristiana che apriva la casa sua per le riunioni della Chiesa di Gerusalemme, e dalla quale si recò l'apostolo Pietro, non appena fu liberato dall'angelo Atti 12:12-17

Quest'ultimo fatto, che ci prova l'intrinsichezza di Pietro con quella famiglia, vale a corroborare la comune credenza che il figlio di Maria fosse il medesimo Marco che fu più tardi compagno di Pietro. Sappiamo ch'egli accompagnò Paolo e Barnaba, nel loro primo viaggio missionario, fino a Perga di Panfilia, dove si staccò da loro, per motivi che non conosciamo, ma che si possono probabilmente attribuire alla debolezza della sua fede, ed allo scoraggiamento prodotto in lui dai pericoli e dalle fatiche dell'opera Atti 13:13. A cagione di quell'abbandono, Paolo non lo volle più seco nel secondo viaggio, ed insistendo Barnaba per riprenderlo, i due compagni d'opera si separarono, e Marco andò con suo zio o cugino in Cipro Atti 15:39. Paolo e Marco si riconciliarono in seguito, poiché li vediamo nuovamente riuniti in Roma durante la seconda parte della prima cattività dell'Apostolo Filemone 1:24; Colossesi 4:9. Un tempo assai lungo deve esser

trascorso, dalla loro separazione in Antiochia al loro ritrovo in Roma, ed è precisamente in questo intervallo che Marco deve aver seguito Pietro in Babilonia, poiché della sua presenza in quella città è fatto parola in 1Pietro 5:13

Non possediamo un racconto autentico dell'opera evangelizzatrice di Marco. Antichi scrittori narrano ch'egli incontrò Pietro nell'Asia e dimorò con lui sino al martirio dell'Apostolo. L'intimità tra i due era così grande, che Marco era chiamato «l'interprete» di Pietro. Girolamo asserisce perfino che Marco scrisse il suo Vangelo sotto la dettatura di Pietro. Una tradizione, basata unicamente sulla supposizione che la Babilonia mentovata in 1Pietro 5:13, sia la città stessa di Roma, lo fa venire in quest'ultima insieme con Pietro Eusebio, Hist. Eccles. 2,15. È probabile assai che «il giovane», mentovato in Marco 14:51-52, sia Marco istesso, e si comprende facilmente che egli introducesse nel suo racconto un episodio così importante per lui. Dicesi che da Roma andò in Alessandria d'Egitto, fu il primo vescovo di quella città, e, secondo Niceforo, vi sofferse finalmente il martirio.

Lettori cui il Vangelo di Marco fu in primo luogo destinato

Quantunque scritto da un Israelita, questo Vangelo aveva evidentemente in vista i cristiani d'infra i Gentili. In esso non è citato l'Antico Testamento. È omessa la genealogia di Cristo, come pure la parola legge, che fra i Giudei designava la legge di Mosè. Sono interpretate le locuzioni ebraiche ed aramaiche Vedi cap. Marco 5:41; 7:11, 34. L'autore dà spiegazioni intorno alla topografia della Palestina, come pure intorno ai costumi ed ai riti giudaici Conf. cap. Marco 1:5, con Matteo 3:6; cap. Marco 2:18, con Matteo 9:14; cap. Marco 9:43,48, ove viene data una parafrasi della parola geenna, con Matteo 18:9. Vedi inoltre cap. Marco 12:18; 13:3; 15:6, 16, 42, ecc. Son omesse certe cose che probabilmente non interessavano che i soli Giudei, come i guai minacciati ai Farisei ed agli Scribi, il lamento del Signore sopra Gerusalemme Matteo 23:1-33, 37-38, la parabola del re che fece le nozze del suo figliuolo Matteo 22:1

Lo scopo che Marco si prefisse nello scrivere sembra essere stato semplicemente d'istruire i nuovi convertiti ai quali egli s'indirizzava. Egli

narra i fatti principali della storia evangelica e specialmente i miracoli di Gesù, per far chiari agli occhi dei convertiti d'infra i Gentili gli eventi di maggiore importanza nella vita terrestre del Salvatore, e rendere così più salda la loro fede. Perciò ci si presenta come semplice storico, piuttosto che come storico dottrinario. Si occupa dei fatti, anziché dei discorsi e delle parabole.

Tempo e luogo della composizione del Vangelo di Marco

Ireneo dice che il Vangelo di Marco fu scritto dopo la morte di Paolo e di Pietro, cioè non prima dell'anno 63, poiché in quell'anno Paolo era ancora vivente. Questa è la data più precisa che possediamo. Ma per il Vangelo di Marco, come per tutti gli altri, rimane impossibile fissarne con certezza l'età. Le tradizioni si contraddicono, ed il Vangelo stesso non offre nessun indizio atto a metterci sulla vera strada. Una cosa sola di crediamo lecito inferire dal contenuto dei Sinottici, ed è che nessuno dei tre poté essere scritto dopo la distruzione di Gerusalemme, poiché sarebbe incomprensibile il loro assoluto silenzio intorno ad un così mirabile adempimento delle profezie di Cristo.

Ireneo, Clemente Alessandrino, Eusebio, Girolamo, Epifanio ed altri scrittori antichi concordano nel dire che Marco scrisse il suo Vangelo in Roma. Simone Cireneo è detto «padre d'Alessandro e di Rufo», mentovati nell'Epistola ai Romani 16:13. Anche i latinismi di cui si serve Marco sono un indizio che i primi lettori del Vangelo dovevano essere Romani. Esempi: legione, speculatore guardia, Marco 6:27 xestes orciuolo, Marco 7:4 «due lepti che fanno un quadrante», Marco 12:42 flagellare, pretorio, centurione Marco 15:16, 39. L'opinione di Baronio e Bellarmino i quali per esaltare la lingua della Volgata, sostennero che Marco aveva scritto il Vangelo in latino, si può citare oggi soltanto a titolo di curiosità. Il greco era conosciuto nell'Impero romano e rendeva possibile una più larga diffusione dello scritto di Marco.

Relazioni di Pietro coi Vangelo di Marco

Fu questo Vangelo scritto prima della morte di Pietro o dopo? in presenza sua o nella sua assenza? Ricevette il medesimo la sanzione dell'Apostolo? Su questi diversi punti, la testimonianza degli scrittori antichi è affatto inconcludente. Il modo in cui si esprime il presbitero Giovanni implicherebbe che Pietro non era con Marco quando questi scriveva il suo Vangelo. Ireneo dice che questo Vangelo fu scritto in Roma dopo la dipartenza di Pietro e di Paolo. Secondo Clemente di Alessandria, gli uditori di Pietro in Roma, dolenti di perdere il benefizio dei suoi insegnamenti, pregarono Marco di metterne la sostanza per iscritto. Girolamo poi fa di Marco un semplice segretario di Pietro: Evangelium, Petro narrante, et illo Marco, scribente, compositum est. «Il Vangelo fu composto, Pietro narrando, ed egli Marco, scrivendo».

D'altra parte, non possiamo scoprire nel Vangelo alcun indizio che Pietro sia direttamente intervenuto nella sua composizione. Ma mentre non crediamo ad una influenza esercitata direttamente da Pietro sulla composizione di questo Vangelo, siamo però proclivi ad ammettere che, tenuto conto della lunga intimità che passò fra loro due, l'Evangelista non solo abbia ricevuto buona parte delle sue informazioni dall'Apostolo, ma anche abbia riportati alcuni fatti colle stesse parole colle quali si ricordava che erano stati da Pietro narrati. La precisione singolarmente grafica e minuta che caratterizza la narrazione di Marco sembra indicare più di una volta che egli racconta cose riferitegli da qualche testimone oculare. La tradizione dunque che fa di Marco il segretario di Pietro, durante un certo tempo della vita di quest'ultimo, non è poi tanto inverosimile; ma non esiste la minima prova che Marco abbia scritto il suo Vangelo sotto la dettatura di Pietro.

Autenticità del Vangelo di Marco

Non deve sembrarci strano di trovare poche citazioni di Marco negli scritti dei primi Padri, perché il suo Vangelo non offre molte particolarità. Ireneo ne cita il principio e la fine, attribuendolo espressamente a Marco: «Laonde Marco», ei dice, «così cominciò il suo evangelico scritto: «Il principio dell'Evangelo di Gesù Cristo, il Figliuol di Dio». Ed al fine del suo "Vangelo, Marco" dice: «Il Signore, dopo ch'ebbe loro parlato, fu raccolto «nel cielo e sedette alla destra di Dio». Giustino Martire Dial. con Trif. ,

narra che Gesù Cristo diede ai figli di Zebedeo il nome di Boanergi, circostanza che è riferita dal solo Marco. Taziano comprese il Vangelo di Marco nella sua Armonia dei quattro Vangeli. Valentino sembra aver avuto tra le mani un documento contenente i quattro Vangeli se dobbiam giudicare dalle parole di Tertulliano: «Valentinus integro instrumento uti videtur».

Tertulliano. Clemente Alessandrino, Origene ed altri Padri, conoscevano il Vangelo di Marco e lo consideravano come canonico.

L'Appendice del Vangelo di Marco

Gli ultimi versetti del Vangelo di Marco si sogliono chiamare l'appendice, perché mancano nei due Codici, Vaticano e Sinaitico, ove lo spazio è lasciato in bianco. Eusebio e Girolamo attestano che, ai tempi loro, mancavano nella maggior parte dei MSS. ; talché la narrazione restava troncata con un perché avevano paura. Come spiegare il fenomeno? La fine originaria del Vangelo è dessa andata perduta? O, per un caso disgraziato, l'evangelista ha egli dovuto lasciare incompiuto il suo lavoro? È quello che non possiamo sapere. Si ammette generalmente che il sunto contenuto in Marco 16:9-20. è dovuto ad un altro autore, e un MS. armeno dei Vangeli scoperto nel 1891, lo attribuisce al presbitero Aristione che viveva al principio del secondo secolo, nell'Asia Minore.

Caratteristica del Vangelo di Marco

Fra i tre primi Vangeli quello di Marco spicca in modo sorprendente per il suo stile peculiare e diverso da quello degli altri. Le descrizioni di Marco sono grafiche, naturali e piene di vita. Racconta meno fatti di Matteo e di Luca, ma è ricco di particolari vivaci ed interessanti. È notevole in tutto il Vangelo, anche in quei passi dove maggiormente abbondano i dettagli l'isolamento di ogni racconto, e la mancanza di ogni transizione dall'uno all'altro. Egli passa da una sezione all'altra con un semplice. Ma talvolta la stessa precisione dei suoi racconti fornisce dei dati cronologici chiari ed importanti; così da Marco 4:35, rileviamo con certezza che gli eventi riferiti in Matteo 8:1-22, non sono narrati nel loro ordine cronologico. Il Vangelo di Marco contiene pochi discorsi. Scopo suo essendo il presentare Gesù come

«Figliuol di Dio», egli si ferma principalmente sugli eventi della sua vita officiale. Anche quando riferisce un discorso di Gesù, Marco presenta sempre le stesse particolarità che abbiam più sopra notate.

Questo Vangelo è una bella prova del modo in cui lo Spirito di Dio ha adattato le diverse relazioni che possediamo della vita e delle opere di Cristo alle future necessità della Chiesa. Contiene poche cose, è vero, che non sieno altresì raccontate da Matteo o da Luca; eppur non è una sterile ripetizione di alcune parti di quelli ma arriva al cuore di ogni lettore con tutta la freschezza di una mente che è piena di amore per il suo divino Maestro, che segue riverente le sue tracce, ne ricorda con affetto il portamento, gli sguardi, i gesti, e ci trasmette l'eco della stessa sua voce.

Contenuto del Vangelo di Marco

Il Vangelo di Marco può dividersi in quattro parti:

I. Fatti accaduti prima che Cristo principiasse il suo pubblico ministero Marco 1:1-13

II. Il ministero di Cristo in Galilea Marco 1:14-9:50

III. Il ministero di Cristo in Perea, l'ultimo suo viaggio in Gerusalemme e i discorsi quivi pronunziati Marco 10:1-13:37

IV. Passione, morte e risurrezione di Cristo Marco 14-16

SAN LUCA

Autore

Il nome dell'autore del terzo Vangelo è Luca abbreviazione di Lucanus come Silas di Silvanus. Non si deve confondere con Lucio Atti 13:1; Romani 16:21, che appartiene ad altra persona. Paolo, scrivendo ai Colossesi 4:13, ricorda «Luca il diletto medico», e non par che ci sia ragione alcuna di dubitare che questi fosse lo stesso che Luca l'evangelista. Eusebio,

Girolamo, Crisostomo e i Padri in generale sono di questo parere, e così pure la maggior parte dei critici dei tempi moderni. Alcuni scrittori hanno preteso perfino di scoprire indizi della professione dello scrittore in alcune, delle espressioni che egli adopera in questo suo Vangelo e nei Fatti, quando descrive malattie sanate dal Nostro Signore o dai suoi Apostoli. Nella sua epistola a Filemone Paolo mentova Luca fra i «suoi compagni d'opera» che mandavano un saluto a quel fratello; e Luca nell'accennare, per la prima volta, nel suo secondo Libro, alla propria associazione con Paolo e Sila, descrive quell'opera con queste parole: «Dio ci aveva chiamati là in Macedonia ad annunziar loro l'Evangelo» Atti 16:10. All'infuori delle notizie che sul nostro evangelista ci sono fornite da Paolo suo compagno ed amico, e delle indicazioni che possono raccogliersi per incidenza nei Fatti degli Apostoli intorno alla sua presenza con Paolo e Sila non abbiamo per tessere la sua biografia, materiali più sicuri di quelli che ci son dati dalla tradizione.

Secondo Eusebio, egli nacque ad Antiochia nella Siria; altri lo fanno nativo di Filippi, di Cirene o di Troas. Troas è il luogo dove sembra essersi unito con Paolo, perché da quel punto si fa uso della prima persona plurale: «Cercammo subito di partire...». Eguale incertezza prevale intorno alla nazionalità di Luca: Da un passo nei Colossesi 4:11,14, risulta ch'egli era Gentile, in quanto che, dopo aver menzionati per nome quelli dei suoi compagni d'opera che erano della circoncisione, Paolo aggiunge immediatamente i nomi, di altri che non appartenevano a quella categoria, e l'un d'essi è Luca. Il Godet, fondandosi sul nome Lucanus, crede che fosse oriundo dalla Lucania Basilicata e che il suo padrone Teofilo l'avesse fatto istruire e affrancato. Era uso frequente in quei giorni che le famiglie distinte avessero un medico tra i loro schiavi; ma la pratica dell'arte salutare non era però affidata esclusivamente a tali. La tradizione, adottata dalla Chiesa Romana che Luca fosse anche pittore, non nasce che nel sesto secolo, allorché cominciava il culto delle immagini, e non merita fede. Sappiamo, dalla prefazione di Luca al suo Vangelo, ch'egli non fu testimonio oculare delle opere del Signore; ma non conosciamo né il tempo né il luogo della sua convenzione.

Accompagnò Paolo da Troas, nel suo primo viaggio in Europa, fino a Filippi, dove sembra che rimanesse, poiché a questo punto ricomincia ad usare la terza persona plurale invece della prima Atti 17:1. Nella narrazione del secondo viaggio dell'Apostolo. Luca non fa alcuna menzione di se stesso, come avente parte in quello; ma quando Paolo ritornò da Corinto per Filippi, nel suo terzo ed ultimo viaggio, egli si ricongiunse ivi a lui Atti 20:6, e lo accompagnò a Troas a Mileto, a Gerusalemme, a Cesarea, e finalmente a Roma, dove rimase con lui durante la sua prima prigionia; e qualora si ammetta che la seconda Epistola a Timoteo sia stata scritta durante una seconda prigionia di Paolo, la testimonianza di quella Epistola 1Timoteo 4:11 dimostra che gli rimase fedele fino al termine delle sue afflizioni. Dopo la morte dell'Apostolo, nulla di certo è conosciuto della storia di Luca.

Origine del Vangelo di Luca e per chi fosse scritto

Nella introduzione cap. Luca 1:1-14 l'Evangelista medesimo ci dà le notizie che desideriamo intorno al motivo che lo indusse a scrivere. Veniamo a sapere che prima che Luca incominciasse il suo lavoro, erano già in circolazione parecchi trattati compilati da zelanti credenti, a beneficio dei loro amici, su materiali tratti dalla pubblica predicazione degli Apostoli e di altri testimoni oculari, o dalle loro private conversazioni. Tali scritti, sebbene in complesso non mancassero di una certa esattezza, egli stimava troppo frammentari e imperfetti per istruire coloro i quali non potevano personalmente attingere informazioni alle sorgenti medesime; e, per conseguenza dopo aver preso una accurata cognizione dell'argomento, si sentì mosso dallo Spirito a scrivere la sua narrazione.

È opinione di molti scrittori che Luca avesse davanti a sé il Vangelo di Matteo o quello di Marco, od entrambi mentre scriveva il suo. Crediamo invece che né l'uno né l'altro di questi due Vangeli si debba comprendere nel numero delle narrazioni, di cui egli parla nella sua introduzione. Infatti, se Luca avesse avuto conoscenza dell'uno o dell'altro di questi Vangeli od anche di entrambi, e li avesse ricevuti come di autorità apostolica, non potrebbero spiegarsi le sue varianti da essi. Non possiamo sapere in qual misura Luca si sia giovato dei lavori da lui avuti fra le mani; ma egli ritenne

necessario completarli «informandosi accuratamente d'ogni cosa dall'origine e scrivendone per ordine» Luca 1:3. I suoi informatori li scelse fra «coloro che furono fin dal principio testimoni oculari» od anche attori dei fatti. Resta per conseguenza escluso Paolo, considerato da alcuni Padri come la fonte da cui Luca avrebbe attinta la sua narrazione.

Questo Vangelo fu dedicato, come lo indica la prefazione, a Teofilo, che sembra fosse un tempo catecumeno di Luca, e fors'anche da lui convertito. Chi fosse questo Teofilo non è possibile ora determinare. Ch'egli non fosse nativo di Palestina, né abitasse in essa, può dedursi da diversi passi di questo Vangelo, come Luca 1:26; 2:4; 4:31; 8:26; 23:51; 24:13; Atti 1:12,18, ecc. E nemmeno era Giudeo, come è evidente da Luca 2:22- 24; Atti 23:5. Teofilatto, dall'epiteto eccellente uomo, che Luca premette al nome di Teofilo, suppone ch'egli fosse uomo di grado senatorio e probabilmente prefetto o governatore; ma ciò non segue necessariamente, potendosi usare quella parola semplicemente per esprimere affettuoso riguardo. Cave suppose che fosse un nobile d'Antiochia; Lardner, un Greco di condizione elevata; e Lange, un nobile italiano. A qualunque paese appartenesse, era un Gentile, come è chiaro dalle spiegazioni che Luca stimo dovergli dare di parecchie cose del suo Vangelo. Ma sebbene questo Vangelo fosse in primo luogo destinato a Teofilo, perché egli potesse avere di Cristo una storia ordinata, per ogni riguardo veridica, fedele e degna di intera fiducia, ciò non esclude che lo scrittore abbia avuto lo scopo più ampio di farlo servire per i credenti contemporanei e futuri, le cui spirituali esigenze fossero simili a quelle di quel discepolo di Luca.

L'evidenza interna prova che Luca scrisse per cristiani usciti dal gentilesimo e ciò doveva aspettarsi da chi aveva faticato principalmente tra i Gentili ed era stato testimone dei meravigliosi cambiamenti che il Vangelo aveva prodotti nel mezzo di essi. In prova di ciò fu osservato che molte sue spiegazioni sarebbero state affatto superflue nei Giudei. Così: «La festa degli Azzimi, detta la Pasqua» Luca 22:1; «Dimorava in sul monte detto degli Ulivi» Luca 21:37; «In una città di Galilea, detta Nazaret» Luca 1:26; «Scese in Capernaum, città della Galilea,» Luca 4:31; «Il paese dei Geraseni, che è dirimpetto alla Galilea» Luca 8:26; «Andavano ad un villaggio nominato Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi»

Luca 24:13. Anche l'iscrizione sulla croce Luca la mette prima in greco, laddove Giovanni la riporta prima in ebraico.

Si osservi pure che, nella genealogia di Gesù, Luca risale fino ad Adamo, padre comune dell'umana famiglia laddove Matteo non va oltre Abramo, padre della nazione giudaica. La, data della natività di Gesù e del ministero di Giovanni egli la indica col nominare gl'imperatori romani in allora regnanti. Quei detti o discorsi di Nostro Signore che erano favorevoli ai Gentili son ricordati con maggior cura e più completamente da questo Evangelista che dagli altri. Così noi troviamo le parole, di Simeone: «Luce da illuminar le Genti» Luca 2:32; l'elezione di Dio nei casi della vedova di Sarepta, e di Naaman Siro Luca 4:25,27; la parabola del buon Samaritano Luca 10:30-37; la gratitudine del lebbroso samaritano Luca 17:11-19; e il rimprovero a Giacomo e Giovanni per lo spirito di vendetta da essi mostrato contro i Samaritani Luca 9:51,56. D'altra parte Luca omette diversi particolari che non avrebbero avuto interesse veruno per i Gentili.

Tempo e luogo della composizione del Vangelo di Luca

Nulla si trova né in questo Vangelo, né nei Fatti Apostolici, che fissi indubbiamente il tempo e il luogo in cui furono scritti, e per conseguenza abbondano le congetture. Si nominarono non meno di nove luoghi in cui fu supposto che Luca abbia scritto.

Le date più in voga variano dal 60 al 100 D. C. Da Atti 1:1, risulta che il Vangelo fu scritto prima dei Fatti. L'ultimo avvenimento ricordato da Luca negli Atti 28 è l'abboccamento di Paolo coi Giudei in Roma, poco dopo l'arrivo suo in quella città, A. D. 61; dopo il quale abboccamento Luca ci dice che l'Apostolo dimorò «due anni intieri in una sua casa tolta a fitto» Atti 28:30. Se Paolo fosse comparso davanti a Cesare, ovvero fosse stato posto in libertà, o se qualche cosa di rimarchevole gli fosse avvenuta, Luca non avrebbe mancato di farne menzione. Dal non averlo fatto si può conchiudere che Paolo era ancora prigioniero, quando fu condotta a termine la narrazione nel 63. È al tutto inverosimile che l'Evangelista trovasse il tempo, in questi due anni di scrivere entrambi i suoi trattati, oltre al ministrare a Paolo e al predicare il Vangelo ai cristiani in Roma; per

conseguenza dobbiamo cercare, per questo Vangelo, una data anteriore all'anno 63. Se, come pare dagli Atti, Luca accompagnò Paolo a Gerusalemme nell'ultimo viaggio fatto colà dall'Apostolo, e rimase in Palestina durante i due anni della sua prigionia in Cesarea, egli ebbe l'occasione di comunicare con quelli che erano stati testimoni oculari del ministerio del Signore e di riunire tutti i materiali dell'opera sua. Forse anche la scrisse in Cesarea in quello stesso tempo.

Autenticità del Vangelo di Luca

Che questo Vangelo sia stato composto da Luca, è confermato dall'unanime testimonianza degli antichi Padri. Molti passi di Barnaba, Clemente Romano, Ermas e Policarpo, tutti Padri apostolici. contengono citazioni di questo Vangelo, senza, però nominarne l'Autore. Verso la metà del secondo secolo, vediamo Giustino Martire citare il Vangelo di Luca. Il Canone di Muratori lo attribuisce esplicitamente a Luca il medico. Marcione stesso lo adottò, mutilandolo ed alterandolo in modo che favorisse le sue idee teologiche particolari. Celso, il nemico del Cristianesimo, aveva in mano insieme agli altri Vangeli anche quello di Luca, e cita specialmente alcuni passi di esso. Valentino e i suoi seguaci, i Marcosiani, Taziano, autore di un'Armonia dei Vangeli. Teodoto ed i cristiani di Vienna e di Lione ne avevano tutti conoscenza. In aggiunta a questi testimoni, predecessori o contemporanei di Marcione, abbiamo inoltre a sostegno dell'autenticità di questo Vangelo, la testimonianza d'Ireneo, di Tertulliano, d'Origene, di Clemente Alessandrino, di Girolamo e di una moltitudine di Padri posteriori.

Caratteristiche del Vangelo di Luca

Il terzo Vangelo si distingue dagli altri, anzitutto, perché più completo. Non solo risale alle prime origini della storia evangelica colle narrazioni relative alla nascita, tanto del Precursore che del Messia, ma contiene una notevole quantità di materiali che gli sono propri. «Si è calcolato che, se si divide la materia dei Sinottici in 172 sezioni, Matteo ne ha 114, Marco 84 e Luca 127. Oltre alle sezioni comuni a due o tre Vangeli Matteo ne ha in proprio 22, Marco 5, Luca 48. Sei miracoli non sono che in Luca, 18 parabole si

leggono soltanto in Luca» T. Ungo, Libri Storici N. T. , p. 70. - Inoltre Luca è, fra i Sinottici, il più accurato quanto all'ordine cronologico degli eventi narrati, così come, in fatto di stile e di lingua, è il più classico dei tre. Gentile d'origine egli stesso, compagno di Paolo nell'evangelizzazione dei Gentili, Luca scrive per un mecenate d'origine pagana; non è quindi maraviglia se più degli altri Vangeli, egli metta in luce il carattere universale del Cristianesimo che offre salvezza gratuita a tutti, senza distinzione, da parte del Dio ch'è il Salvatore del mondo in Cristo.

Contenuto del Vangelo di Luca

Questo Vangelo può dividersi in cinque parti:

I. Narrazione della nascita e fanciullezza di Giovanni Battista e di Gesù cap. 1:4-2:55

II. Fatti che prepararono il ministerio pubblico di Cristo 3:1-4:13

III. Suo ministerio in Galilea come Messia 4:14-9:50

IV. Discorsi ed avvenimenti in Galilea, in Perea, e durante il suo ultimo viaggio a Gerusalemme, insieme al suo ingresso trionfale in Gerusalemme stessa 9:51-21:38.

V. Storia dell'arresto crocifissione, morte, risurrezione e ascensione di Cristo 22:1-24:53

S. GIOVANNI

Autore

La credenza universale della Chiesa cristiana ha ascritto questo Vangelo all'apostolo Giovanni. Egli era figlio di Zebedeo, pescatore sul lago di Gennesaret. Il nome di sua madre era Salome, e si suppone ch'egli fosse più giovane di suo fratello Giacomo, perché, eccetto in un solo caso Luca 9:28, nominato invariabilmente dopo di lui. I genitori di Giovanni erano

probabilmente in posizione agiata, poiché sappiamo che Zebedeo non solamente aveva navicella e reti, ma teneva pure operai o servi mercenari, in aggiunta all'aiuto prestatogli dai figli Marco 1:20. Salome ministrò al Signore con la sua sostanza durante il suo soggiorno in Galilea, ed unitamente alle altre donne, comprò aromi per imbalsamarne il corpo, allorquando fu deposto nella tomba. Giovanni stesso possedeva una casa in proprio, qualunque essa fosse a casa sua Giovanni 19:27, nella quale condusse Maria madre del Nostro Signore, dopo che Gesù l'ebbe affidata alle sue cure. Queste circostanze provano che i genitori di Giovanni non erano tra i più poveri del paese, e perciò si può supporre che i loro figli non fossero assolutamente senza istruzione. I termini popolani senza istruzione Atti 4:13, applicati per disprezzo a Pietro e Giovanni dal Sinedrio, non vogliono dire in verun modo che fossero assolutamente illetterati, ma solo che non avevan mai studiato nelle scuole dei Farisei ed eran digiuni affatto di erudizione rabbinica. C'è ragione di credere che Giovanni fosse uno dei due discepoli a cui il Battista additò Gesù come «l'Agnello di Dio», e che immediatamente lo seguirono. L'altro discepolo era Andrea, fratello di Pietro. Gesù li invitò a seguirlo dove dimorava, e la conversazione che ebbero quivi con lui produsse un'impressione così profonda su di loro, che credettero in lui come nel Messia promesso, e in quella stessa ora la vita divina incominciò nei loro cuori Giovanni 1:35-41.

Secondo ogni probabilità, Giovanni, Pietro, Andrea e Natanaele, che si erano convertiti alla fede in Gesù quale Messia, sulle sponde del Giordano, furono i discepoli invitati alle nozze di Cana di Galilea, da dove pare che seguissero il Signore a Gerusalemme, continuando a rimanere con lui durante tutto il suo ministerio ante-galileo, del quale non avremmo saputo nulla se non fossero le brevi notizie intorno ad esso contenute nei capitoli Giovanni 2;3; 4:1-43 di questo Vangelo; imperocchè i Sinottici incominciano il loro racconto col ritorno di Cristo in Galilea, e colla prigionia di Giovanni Battista. Al loro ritorno in Galilea, pare che questi discepoli riprendessero, per alcun tempo, le loro ordinarie occupazioni, e la loro chiamata ad essere immediati e costanti seguaci di Gesù è riferita in Matteo 4:18-22; Marco 1:16-20; Luca 5:1-11, passi che si credono paralleli. I figliuoli di Zebedeo stavano pescando, quando, all'appello del Maestro, lasciarono navicella e reti, padre e servi, per seguirlo. Allorquando il

Signore scelse i suoi dodici Apostoli, Giacomo e Giovanni furono nel numero di essi, e forse in tale occasione egli diede loro il nome di Boanerges figliuoli del tuono, o per la loro naturale veemenza di carattere, o, come alcuni suppongono, per indicare la risolutezza e il coraggio che avrebbero dimostrato nella proclamazione del Vangelo. Pietro, Giacomo e Giovanni formarono come un triumvirato prediletto, e furono ammessi a speciale intimità con Gesù. Furono prescelti ad essere testimoni oculari di avvenimenti che agli altri apostoli non fu dato di vedere, cioè alla risurrezione della figliuola di Iairo Marco 5:37, alla trasfigurazione Matteo 17:1, e all'agonia nel Getsemane Matteo 26:37. Ma fra i tre così distinti, Giovanni fu onorato dell'affetto particolare del suo Maestro, laonde chiama se stesso «il discepolo che Gesù amava», il discepolo prediletto, che riposava sul petto del Salvatore nell'ultima Cena. Fu riconosciuto da Pietro per colui che godeva più particolarmente la fiducia del Maestro Giovanni 13:24, e ad esso Gesù, quando pendeva in croce, affidò Maria sua madre Giovanni 19:26-27. Nel primo abboccamento che il Signore risuscitato ebbe con alcuni dei suoi apostoli nella Galilea, cioè sulle rive del lago di Tiberiade, Giovanni venne da lui profeticamente informato che sopravviverebbe alla distruzione di Gerusalemme, e morrebbe di morte naturale, mentre a Pietro venne annunziato, in modo assai chiaro, che soffrirebbe la crocifissione Giovanni 21:18-24

Dopo la discesa dello Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste, troviamo Giovanni in compagnia di Pietro nel Tempio, davanti al Sinedrio, ed in prigione; insieme li vediamo andare attorno per le città e i villaggi della Giudea, Galilea e Samaria, predicando il Vangelo e conferendo ai credenti i doni miracolosi dello Spirito. Giovanni non era in Gerusalemme quando Saulo, reduce dall'Arabia, vi fece la prima visita dopo la sua conversione, verso A. D. 38, poiché allora questi non vide altri che «Giacomo, il fratello del Signore» Galati 1:19; ma vi era, all'epoca della seconda visita fattavi da Paolo insieme con Barnaba probabilmente nell'anno 52, per ottenere dagli apostoli e dalla Chiesa in Gerusalemme una decisione della controversia, se le osservanze levitiche fossero o no obbligatorie per i Gentili, e vi era allora tenuto in alta riputazione come una delle colonne della Chiesa Galati 2:9. Questa è l'ultima menzione che troviamo di lui nella Scrittura, salvo nei suoi propri scritti. Non sappiamo quando lasciasse Gerusalemme; ma quello che

è certo sì è che non v'era più quando Paolo visitò, per l'ultima volta, quella città, nell'anno 58 o 59. Niceforo Callistio scrive che ne partì nell'anno 48, dopo la morte di Maria, madre del Nostro Signore; mentre un'altra tradizione porta che essa lo accompagnò in Efeso e ivi morì. Entrambe queste tradizioni sono storicamente incerte.

Da questo punto in poi, le brevi notizie che ci furono tramandate, intorno all'ultimo stadio della vita di questo apostolo, sono fornite dalla tradizione. Secondo Ireneo, Clemente Alessandrino, Apollonio, Policrate Origene ed Eusebio, Giovanni venne nell'Asia Minore. Policrate, che fu egli pure vescovo d'Efeso, verso la fine del secondo secolo, e dovea quindi esser bene informato, lasciò scritto che Giovanni fu uno dei grandi luminari dell'Asia e che morì e fu sepolto in Efeso. Ireneo, vescovo di Lione, discepolo di Policarpo, che fu egli stesso discepolo di Giovanni, attesta che il nostro Apostolo rimase in Efeso fino ai giorni di Traiano, il che è confermato da Clemente Alessandrino, Origene, Eusebio e Girolamo. Non c'è ragione di mettere in dubbio cotale testimonianza, quantunque sia impossibile fissare esattamente il tempo in cui l'Apostolo venne a porre la sua residenza in Efeso. E' tutt'altro che improbabile che il martirio di Paolo lo inducesse a scegliere questo nuovo campo per le sue fatiche, considerando quanto dovesse essere importante la presenza e l'autorità di un apostolo tra le Chiese dell'Asia Minore, disordinate, divise in partiti e minacciate da eresie, ora che eran prive delle cure del loro fondatore.

Secondo le più antiche testimonianze, Giovanni fu relegato in Patmos, isola nel mare Egeo, durante una delle persecuzioni indette dai romani imperatori contro i Cristiani. Ireneo, che visse più vicino ai tempi dell'Apostolo e che ne conobbe intimamente la storia, per mezzo di Policarpo, specifica l'anno quarto del regno di Domiziano, cioè A. D. 95, come la data del bando di Giovanni; e l'anno primo del regno di Nerva, cioè il 96, come quella del suo ritorno in Efeso. Parlando della visione apocalittica, egli dice che fu veduta quasi nella nostra propria età, verso la fine del regno di Domiziano Euseb. 3:18. Questa testimonianza è confermata da Eusebio medesimo, da Girolamo, Sulpizio Severo, e da una moltitudine di scrittori posteriori, mentre Clemente Alessandrino, Origene e Tertulliano fan menzione del bando senza specificare il nome dell'imperatore che l'ordinò. Giovanni È

stesso parla della sua relegazione in Apocalisse 1:9. È unanime testimonianza di tutta l'antichità che Giovanni sopravvisse a tutti gli altri apostoli, morendo in età assai avanzata; secondo alcune autorità in età di 89 anni, secondo altre di 90, e secondo altre ancora di 100 anni. Ireneo, che è il testimonio più antico, non specifica nessuna età, ma dice semplicemente che visse fino al tempo di Traiano, il quale cominciò a regnare in A. D. 98. Secondo Policrate Origene ed Eusebio, Giovanni morì in Efeso, a quanto sembra, di morte naturale.

Tempo e luogo in cui fu scritto il Vangelo di Giovanni

Gli antichi scrittori cristiani sono pressoché unanimi nell'indicare Efeso come il luogo dove fu scritto questo Vangelo. Ireneo e Girolamo lo asseriscono chiaramente. Alcuni scrittori più recenti hanno nominato Patmo, mentre l'autore anonimo di una Sinapsi della Scrittura unita alle opere di Atanasio, cerca di conciliare le due varianti, asserendo che Giovanni scrisse questo Vangelo in Patmo e che Gaio quello stesso che Paolo chiama ospite mio, Romani 16:23, lo pubblicò poco dopo in Efeso. La testimonianza di Ireneo è la più autorevole, poiché egli visse più vicino al periodo apostolico.

Per riguardo al tempo, pensano alcuni che questo Vangelo fosse scritto prima della distruzione di Gerusalemme; ma la voce unanime dei Padri e degli scrittori primitivi gli assegna un'origine assai più recente. Gli argomenti addotti in favore della pubblicazione di questo Vangelo, prima della distruzione di Gerusalemme si desumono ad esempio dal fatto che in Giovanni 5:2 Giovanni parla della piscina di Betesda al tempo presente, come se esistesse ancora quando egli scriveva. A questo si risponde che Tito risparmiò la piscina di Betesda, probabilmente per il comodo dei suoi soldati, ed essa esiste tuttora. Inoltre, il tempo passato applicato a Betania Giovanni 11:18, a Getsemane Giovanni 18:1, ecc. , luoghi che sussistevano ancora dopo la distruzione di Gerusalemme, dimostra che non può darsi alcun peso particolare a tali espressioni. Si volle pure argomentare che se questo Vangelo fosse stato scritto dopo il martirio di Pietro, il suo autore, nel ricordare la predizione del Nostro Signore intorno ad esso Giovanni 11, avrebbe aggiunto senza dubbio un qualche cenno dell'adempimento di

quella predizione. Ma il modo in cui si esprime al ver. 19 Giovanni 11:19 sembra alludere ad un evento passato e ben noto ai lettori. Se Ireneo ben si appone laddove dice che uno degli intendimenti che ebbe Giovanni nello scrivere questo Vangelo fu di confutare l'eresia di Cerinto, la data da assegnarsi converrebbe cercarla tra A. D. 90 e 100, poiché Cerinto fiorì non prima dello scorcio del primo secolo.

Oggetto del Vangelo di Giovanni

Alcuni dei Padri più antichi e molti scrittori susseguenti affermano che Giovanni si proponesse di dare un supplemento a quanto era stato scritto dagli altri Evangelisti, mentre un gran numero di scrittori moderni negano affatto il carattere supplementare del suo Vangelo. Alford va tant'oltre da esprimere la credenza che Giovanni non conobbe neppure uno degli altri Vangeli, teoria questa che ci sembra insostenibile affatto, eccetto che si supponga che questi fossero stati a bello studio ritirati del tutto dalla circolazione.

Secondo noi, il suo disegno fu in parte di fornire un supplemento e in parte di soddisfare alle nuove esigenze e ai nuovi bisogni sorti dallo sviluppo della Chiesa cristiana. Il fatto che Giovanni omette ove si eccettui il miracolo della moltiplicazione dei pani per cinquemila persone, tutti quei passi della storia e degli insegnamenti del Nostro Signore che erano stati raccontati dagli altri Evangelisti, mentre conferma l'idea che li conoscesse, e porge testimonianza della veridicità delle loro narrazioni, dà un forte sostegno alla teoria dell'indole supplementare del quarto Vangelo, e mostra cioè che l'autore intendeva ampliare l'Evangelo, aggiungendo dei particolari che fino allora erano stati pubblicati, se pur lo erano stati, soltanto oralmente. Ma, in aggiunta a questo, lo stesso motivo che sotto la guida dello Spirito aveva spinto Paolo a scrivere ai Corinzi, ai Galati, ai Tessalonicesi, cioè il mettere queste Chiese in guardia contro i disordini, le false dottrine e le male pratiche che pullulavano tra esse, indusse Giovanni a scrivere questo Vangelo, in cui tratta particolarmente della persona e della missione del Figlio di Dio e dei suoi eterni rapporti col Padre, allo scopo di premunire la Chiesa contro le false dottrine delle varie sette gnostiche: ebioniti doceti e cerinzii. Il genere d'argomentazione e la fraseologia usata nel Prologo come

anche in molte altre parti del Vangelo, sembrano por questo fuor di ogni dubbio, come il lettore può agevolmente convincersene consultando qualunque storia ecclesiastica, od anche solo un dizionario teologico, in cui siano esposte le dottrine di queste sette. Vedi note Giovanni 1:1Giovanni 1:1. Gli Evangelisti anteriori, adattandosi ai primi bisogni dei convertiti cristiani, si occupano principalmente, sebbene senza escludere più profonde verità, della natura e dei requisiti morali di quel regno che il Messia era venuto a stabilire tra gli uomini; laddove Giovanni, per l'indole sua particolare, per l'amor che portava alla persona del suo Maestro, e per l'effetto dell'insegnamento più profondo dello Spirito Giovanni 16:13-14, si occupa principalmente delle verità più profonde e spirituali relative alla persona e alla missione di Cristo, in guisa che, sia che Giovanni intendesse o no di darci un supplemento ai Sinottici, lo Spirito della ispirazione, coll'aggiunta di quest'ultimo Vangelo, ha resa completa la rivelazione concernente la persona, l'opera e il regno di Cristo. Vedi l'Introduzione supplementare premessa al Commento su San Giovanni.

Autenticità del Vangelo di Giovanni

Negli ultimi decenni, l'autenticità del quarto Vangelo è divenuta la questione principale dibattuta fra i critici delle diverse scuole. Alcuni la negano del tutto; altri attribuiscono il Vangelo ad un Giovanni presbitero mentovato da Papia, o ad un discepolo dell'Apostolo; ed altri ancora credono che i fatti ed i discorsi di Cristo hanno subito, per opera di Giovanni, una trasformazione più o meno profonda. Rimandiamo il lettore che voglia studiare più ampiamente la questione al volumetto del prof. T. Longo sui Libri Stor. del N. T. , pagg. 102-126, ove troveranno, concentrati in breve spazio, i risultati d'uno studio accurato e completo dell'argomento.

L'antichità cristiana è unanime nell'attribuire all'apostolo Giovanni il quarto Vangelo. Ignazio d'Antiochia, verso il 115, è pieno d'idee e frasi caratteristiche del Vangelo; lo cita lo gnostico Basilide verso il 125; Giustino Martire 150 lo annovera tra le Memorie degli Apostoli; Ireneo 185 ch'era nato in Asia Minore verso il 130 ed aveva udito Policarpo parlare di Giovanni suo maestro, cita spesso il Vangelo ed afferma che l'Apostolo lo pubblicò in Efeso; Clemente Alessandrino dice: «Giovanni, per ultimo,

vedendo che le cose corporali i fatti esterni erano state narrate nei Vangeli, spinto dai discepoli e divinamente ispirato, compose un Vangelo spirituale». Omettiamo le testimonianze dei secoli seguenti.

Quanto alla testimonianza interna, risulta che l'Autore è un cristiano d'origine giudaica perché conosce a menadito i riti, le usanze, le credenze giudaiche ed anche il suo stile ha un colorito ebraico. Egli si rivela palestinese per l'esatta conoscenza topografica ch'egli possiede del paese specialmente della sua capitale. Inoltre egli si dà a conoscere qual testimone oculare della vita di Gesù, e propriamente «il discepolo che Gesù amava», l'apostolo Giovanni. Si confronti Giovanni 1:14; 19:35. Nell'Appendice, Giovanni 21:24, gli amici dell'Apostolo attestano che il discepolo che Gesù amava è «il discepolo che rende testimonianza di queste cose e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è verace».

Le obiezioni desunte dalle differenze tra il quarto Vangelo e i Sinottici si risolvono in favore dell'Autore del Vangelo mercé il quale possiamo, ad esempio avere un 'idea più precisa circa la durata del ministerio di Gesù, circa il giorno della sua morte ch'era, non quello della Pasqua, ma quello della «Preparazione» della Pasqua. Se Giovanni ha narrato pochi miracoli, è perché egli conosceva il contenuto dei Sinottici e mirava a completarli non tanto per i fatti, quanto per gl'insegnamenti più spirituali e profondi dati da Gesù, specialmente riguardo a se stesso qual Figlio unigenito di Dio e Rivelatore supremo del Padre.

Integrità del Vangelo

Circa l'integrità del Vangelo di Giovanni, i critici son d'accordo nel ritenere non autentico il passo relativo all'angelo di Betesda Giovanni 5:3b-4. Manca nei più antichi MSS. Così pure è ritenuta estranea al Vangelo la pericope della donna adultera Giovanni 7:53; 8:11. Manca nei più antichi MSS. e versioni o si trova collocata altrove: alla fine del Vangelo, o dopo Luca 21:38. Ciò non implica che il fatto non sia vero. Il cap. Giovanni 21 che viene dopo la chiusa Giovanni 20:30-31, è da molti ritenuto come un'aggiunta fatta dagli amici dell'Apostolo quand'egli viveva ancora, da

quegli stessi amici che attestano, in Giovanni 21:24, la veracità della testimonianza consegnata per iscritto dall'apostolo che Gesù amava.

Per il piano seguito dall'Autore nel suo Vangelo, si veda l'Introduzione premessa al Commento del quarto Vangelo.

Introduzione a Giovanni

Che l'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo, sia l'autore del quarto Vangelo è stata la credenza universale della Chiesa cristiana, fin dal suo principio, e non fu mai messo in questione (salvo dalla oscura setta eretica degli Alogi) fino alla fine del secolo XVIII. Al principio del secolo presente, nacque però una forte controversia su questo punto, specialmente fra i critici tedeschi, e quella controversia raggiunse il suo maggior fervore circa venti anni fa. Continuano tuttora a venire fuori dei volumi, dei quali gli uni attribuiscono, gli altri negano il quarto Vangelo a Giovanni; ma, se non vengono in luce nuovi materiali, la gran controversia può dirsi oramai esaurita, e la vittoria rimane a coloro le cui accurate ricerche hanno confermata la tradizione, ininterrotta e non attaccata mai durante mille e seicento anni, secondo la quale questo Vangelo fu scritto dall'Apostolo Giovanni, quando egli abitava in Efeso, alla fine del primo o al principio del secondo secolo. Ci par quindi inutile, per quanto spetta alla sua genuinità, aggiungere qualsiasi cosa a quanto abbiamo detto di questo Vangelo, nella Introduzione agli EvangeliIntroduzione agli Evangeli, al principio di questo volume. Gli scritti cui questa controversia diede origine, comprendendovi gli "articoli" di riviste, riempiono ben centoquarantanove volumi, e chi desidera averne un cenno succinto leggerà con profitto l'opera di C. E. Luthardt: San Giovanni autore del quarto Vangelo, 1875.

In quanto allo scopo dell'Apostolo nello scrivere questo Vangelo, diverse sono le opinioni che troviamo espresse, dall'autore del frammento di Muratori (scritto in Latino probabilmente fra gli A.D.170 e 180); da Ireneo vescovo di Lione (180-182); da Clemente Alessandrino (180-220); da Eusebio, Vescovo di Cesarea in Palestina (264-320), e da altri padri della Chiesa primitiva. Secondo il frammento di Muratori, questo Vangelo fu

scritto per l'edificazione pratica dei credenti. In quel documento ci viene detto, che, dietro l'istante preghiera di alcuni suoi colleghi nell'apostolato, e dei credenti di Efeso, i quali da molto tempo solevano udire le sue istruzioni, e sentivano l'altissima importanza che egli ne facesse un sunto in un Vangelo scritto da lui stesso, Giovanni acconsentì a farlo. Secondo Ireneo (che fu discepolo di Policarpo e separato da Giovanni per una sola generazione), lo scopo di questo sarebbe stato uno scopo di controversia e di polemica, imperocché nel suo libro: Contro le eresie (Lib. III, cap.2), egli ci dice: "Giovanni, il discepolo del Signore, predica questa fede, e, mediante la proclamazione dell'Evangelo, cerca di rimuovere l'errore che fu sparso fra gli uomini da Cerinto, e prima di lui, dai Nicolaiti, di confonderli e di persuaderli esservi un solo Iddio, il quale creò tutte le cose colla sua Parola; e non già come essi dicono che il Creatore sia uno, e il Padre del Signore un altro; che il Figlio del Creatore sia uno, e il Cristo dall'alto un altro, ecc.". Tertulliano, Epifanio e Girolamo asseriscono essi pure che Giovanni scrisse contro Cerinto, ma ai Nicolaiti sostituiscono gli Ebioniti. Clemente Alessandrino attribuisce a questo Vangelo uno scopo didattico, considerandolo cioè come una interpretazione del Vangelo, piuttosto che come un racconto atorico. Eusebio ci riferisce le sue parole in proposito, "Giovanni, ultimo fra tutti, accorgendosi che quanto si riferisce al corpo, nel Vangelo del nostro Salvatore, era già bastantemente esposto, ed essendo incoraggiato dai suoi famigliari amici, non che spinto dallo Spirito, scrisse un Vangelo spirituale". In quanto ad Eusebio, la sua opinione si è che questo Vangelo è un supplemento dei Sinottici. "I tre Vangeli", dice egli, "che furono scritti i primi, essendo stati sparsi dovunque e pervenuti anche nelle sue mani (di Giovanni), dicesi che egli li ammise, rendendo testimonianza della loro verità; ma che trovò mancanti nel racconto le cose fatte da Cristo in sul principio delle opere sue, e dell'evangelo. Per queste ragioni, si narra che l'apostolo Giovanni, supplicato di farlo scrisse la storia dei tempi non ricordati dai primi evangelisti, e delle opere del Signore delle quali essi non avevano parlato" (Eusebio Lib. III, cap.24).

È molto probabile che, nell'accingersi alla sua opera, l'apostolo Giovanni avesse in mente, in grado secondario, tutti i punti di vista pur ora enumerati; ma il sommo scopo cui mirò, dal principio alla fine, egli stesso ce lo indica, nella chiusura del suo Vangelo, con queste parole: "Or Gesù fece ancora, in

presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, (segni), i quali non sono scritti in questo libro. Ma queste cose sono scritte acciocché, voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio; e acciocché, credendo, abbiate vita nel suo nome" Giovanni 20:30-31. "Il suo racconto è dunque una scelta, fatta fra abbondanti materie a disposizione dello scrittore, con uno scopo specifico, quello cioè di creare primieramente una convinzione particolare nei suoi lettori, e quindi, in forza di quella convinzione, condurli alla vita. Egli si propone di mostrare che Gesù, (che quel nome, ben noto a tutti, dichiara essere uomo vero e storico), è al tempo stesso il Cristo, in cui sono adempiuti tutti i tipi e tutte le profezie; e il Figliuol di Dio, il quale, in virtù della sua divina essenza, è ugualmente vicino a tutti i figli di Dio, sparsi in tutto il mondo" (Westcott). Qual risultato di una lunga vita di fede in Cristo, e di una pienezza e profondità di ricordanze che egli solo, fra i viventi, poteva possedere, Giovanni, insegnato dallo Spirito di ispirazione, illustra storicamente il carattere del suo amato Maestro, rivelandocelo, fin dal principio, come Figliuol di Dio nel più alto senso della parola, come il Logos divino incarnato. Quindi sviluppa questa dottrina per mezzo della sua vita e dei suoi discorsi, e col mostrarci come, da una parte, crescesse la fede dei discepoli, e dall'altra, la incredulità dei Giudei, finché, la prima raggiunse il suo apice nella professione di fede di Tommaso: "Signor mio e Iddio mio" Giovanni.20:28, e l'altra il proprio nella crocifissione in sul Calvario.

Il piano che Giovanni sembra aver seguito nella composizione del suo Vangelo si divide in sette parti.

1) Il prologo, in cui viene dichiarato il soggetto, cioè: l'incarnazione della Parola eterna - il Creatore fatto carne - insieme alla sua glorificazione, mediante l'opera che egli intraprese nella carne Giovanni 1:1-18.

2) La manifestazione di Gesù qual Messia, e i primi progressi della fede, mentre l'incredulità rimane tuttora passiva Giovanni 1:19; 2; 3; 4.

3) Il rapido sviluppo della incredulità nazionale, prodotto dalla progressiva rivelazione di Gesù quale Figliuol di Dio, mentre per quella

rivelazione stessa si conferma la fede dei discepoli Giovanni 5; 6; 7; 8; 9; 10; 11; 12.

4) La crescenza più completa e più decisa della fede dei discepoli, in seguito ai trattenimenti di Gesù con loro, nella stanza della Pasqua in Gerusalemme Giovanni 13; 14; 15; 16; 17.

5) Lo scoppio supremo della incredulità nazionale nella crocifissione del Messia Giovanni 18; 19.

6) Il trionfo della fede nella risurrezione di Gesù, e nelle susseguenti sue apparizioni ai discepoli Giovanni 20.

7) L'epilogo, contenente il ristabilimento di Pietro nell'Apostolato, e un cenno della storia posteriore di lui e dello scrittore Giovanni 21. Ecco in sostanza il piano che hanno adottato pure Alford, Godet, Westcott, Watkins e altri.

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Alla nota pubblicata al principio di questo volume di opere consultate dall'autore, o da lui citate, nel suo commento sui tre primi Vangeli, devonsi ora aggiungere: BROWN Prof. Giovanni, D. D. Esposizione della Preghiera Sacerdotale del Signore, Edinburgo 1850; CURCI Padre C. Il Nuovo Testamento, esposto in note esegetiche e morali, Roma 1879; DORNER Dott. J. A. Storia dello sviluppo della persona di Cristo, Edinburgo 1864; GODET Dott. F. Commenti su Luca e Giovanni, 5 Vol. Edinburgo 1876; HENGSTENBERG Dott. E. W. Commentario su Giovanni, 2 Vol. Edinburgo 1865; LUTHARDT C. E. San Giovanni autore del quarto Vangelo, Edinburgo 1875; LUTHARDT C. E. Commentario su Giovanni, 2 Vol. Edinburgo 1876; LAMPE Commentarium Evan gelium Johannis, Amstelodami 1724; MAYER Dott. H. A. W. Commento critico ed esegetico del Nuovo Testamento, Edinburgo 1874; MILLIGAN e MOULTON Commentario di Giovanni nel Commentario popolare, edito dal Dott. P. Schaff; NEWTON, (morto nel 1681), Sul Capitolo 17 di Giovanni, Edinburgo 1867; PLUMMER Introduzione e Note al Vangelo di Giovanni,

nella Bibbia per le Scuole, Cambridge 1881; SEGOND Dott. Luigi La Sainte Bible, Oxford 1880; TISCHENDORF (de) Costantino, Novum Testamentum Graece Lipsiae 1873; WATKINS H. W. Il Vangelo secondo Giovanni, nel Commento per le Scuole, Londra 1881; WEBSTER e WILKINSON Il Testamento Greco, con note grammaticali ed esegetiche, 2 vol. Londra 1855; WESTCOTT Dott. B. F. Commento su S. Giovanni, secondo la versione detta "Bibbia dei Vescovi", Londra 1880; WHEDON Dottore, D. D. Commento popolare sul Nuovo Testamento, Londra 1874; FARRAR Canonico Federigo W. Vita di Cristo, Londra; WEISS prof. Bernard D. D. Vita di Cristo, 2 Vol. Edinburgo 1883.

L'autore coglie volentieri questa occasione per esprimere i suoi sinceri ringraziamenti al Rev. sig. A. Meille di Firenze, che ha tradotto in Italiano il Commento su Marco, Luca e Giovanni, nonché, al Rev. sig. G. Ribetti di Pisa, per la traduzione del Commento sopra Matteo.

Sette Giudaiche

QUADRO DELLE SÈTTE MENTOVATE NEI VANGELI

FARISEI

Il nome di Farisei, dato alla setta più numerosa e più influente tra i Giudei, è derivato dalla parola ebraica farash, separare, a motivo della rigida osservanza delle prescrizioni religiose, per cui i suoi componenti si distinguevano dal resto dei loro connazionali. L'origine di questa setta si perde nella oscurità dei tempi.

Il nome di Farisei non si riscontra nell'Antico Testamento né negli Apocrifi, sebbene per solito lo si consideri come essenzialmente lo stesso che quello degli Asidei chasidim, pii, santi, menzionati nel primo Maccabei 11, 42; 7:13-17. Flavio Giuseppe, lo storico giudeo, membro egli stesso di questa setta, non cerca punto di accertare il tempo della sua origine, ma ne parla come già esistente nei giorni del sommo sacerdote Gionata A. C. 159-144.

Si è supposto che, siccome non è fatta alcuna menzione di questa setta da veruno dei profeti, essa non potesse esistere al tempo della morte di Malachia, che è l'ultimo di essi A. C. 420; e probabilmente questo è vero per quanto può riferirsi alla sua organizzazione. Ma i principi incarnatisi poi sì in questa che nell'opposta setta dei Sadducei, si trovavano già molto probabilmente in embrione tra i Giudei fin da quando eran dispersi per le provincie persiane, durante la cattività di Babilonia. I loro rapporti coi Gentili li esposero, in quel tempo, a nuove ed impure correnti di opinioni, le quali, fino ad un certo punto, doveano sovrapporsi al loro rispetto per le loro dottrine e costumanze primitive, se non scemarlo. Perciò stesso dovean sorgere tra loro dei puritani, desiderosi di conservare o ripristinare la forma originaria di dottrina e di culto; e, in opposizione ad essi, dovea, del pari, naturalmente sorgere un partito liberale a difesa dello statu quo.

Moltissimi dei Giudei che erano stati condotti captivi in Babilonia, preferirono di rimanere nei paesi all'Oriente dell'Eufrate, nei quali si erano stabiliti. Furono, per la massima parte, soltanto i più zelanti per la religione dei loro padri che fecero ritorno alla desolata loro patria e alla rovinata città delle loro feste solenni; e siccome eran rare le copie dei libri sacri, e la lingua in cui erano scritti era divenuta, per il maggior numero, una lingua ignota, che aveva bisogno di essere interpretata dagli Scribi, era naturale che si facessero sempre più appassionatamente teneri delle tradizioni trasmesse loro dai padri. C'è adunque fondata ragione di far risalire l'origine dei Farisei al tempo della schiavitù di Babilonia il qual periodo, costituisce nella storia del popolo Ebreo un'epoca saliente, come quella che divide l'ebraismo dell'età più antica e più pura, dal giudaismo più corrotto dei tempi posteriori. Ma quando Antioco Epifane A. C. 167, riuscì in parte ad abbattere la barriera che separava i Giudei dai propri sudditi, si trovò di fronte la setta dei Farisei pienamente sviluppata ed organizzata, decisa risolutamente a resistere all'adozione dei costumi greci, e a non dipartirsi minimamente dalle prescrizioni della legge antica.

E' indispensabile conoscere le opinioni e le pratiche dei Farisei del tempo di Cristo, per intendere rettamente molte cose del suo insegnamento. Una scarsa data ai Vangeli dimostra che, per alcuni rispetti, la dottrina di Gesù era totalmente in antagonismo alla loro. Egli li denuncia come setta nei

termini più severi, e come ipocriti; e alla mortale inimicizia da ciò provocata nei loro cuori è da attribuirsi la sua morte, per quanto concerne gli umani strumenti di essa. Le tre fonti principali da cui può desumersi la conoscenza di questa setta sono gli scritti di Flavio, lo storico giudeo, il Nuovo Testamento e la prima parte del Talmud, chiamata Mishna o seconda legge, per distinguerla dalla seconda parte di esso, che porta il nome di Gemara o supplemento. E' molto notevole l'accordo che esiste tra le notizie derivate dalle due prime di tali fonti; e siccome Flavio scrisse posteriormente agli Evangelisti, e certo non attinse da essi le sue informazioni, abbiamo in questa concordanza una forte conferma della verità storica della narrazione del Nuovo Testamento.

La Mishna è degna anzitutto di attenzione perché è un digesto delle tradizioni giudaiche e un compendio di tutta quanta la legge rituale, ridotta in iscritto dal Rabbi Jehuda il Santo, il quale fiorì a Tiberiade verso la fine del secondo secolo dell'era cristiana. È divisa in sei parti:

1. prima Zeraim, intorno alla semente, e alla coltivazione della terra in generale;

2. Moed, intorno alle feste, ecc.

3. Nashkim, intorno alle donne, compreso il matrimonio, il divorzio, ecc.

4. Nezikim, intorno ai danni offesa, perdita arrecati dagli uomini o dalle bestie, e intorno alla decisione dei litigi relativi a contratti ed obbligazioni commerciali;

5. Kodashim, intorno alle cose sante, come sarebbero il servizio del Tempio, i sacrifici, ecc.;

6. Joaroth, intorno alle persone ed alle cose pure ed impure. Da questo indice delle materie si vedrà quanto sia vasto il campo su cui si estendevano le tradizioni farisaiche.

Il principio fondamentale dei Farisei principio che hanno in comune con tutti i Giudei ortodossi moderni, è che, allato alla legge scritta, riguardata

solamente come un sommario dei principi e delle leggi generali del popolo ebreo, ci fosse una legge orale, per completare e spiegare la legge scritta. Era per essi articolo di fede che nel Pentateuco non ci fosse precetto né regola cerimoniale, dottrinale, o legale, di cui Dio non avesse dato a Mosè tutte le spiegazioni necessarie a farne l'applicazione, col comando di trasmetterle per mezzo della tradizione orale. Ecco le parole della Mishna su questo punto: «Mosè ricevette la legge orale, sul monte Sinai, e la trasmise a Giosuè, e Giosuè agli Anziani, e gli Anziani ai Profeti, e i Profeti agli uomini della grande Sinagoga» Pirke Aboth. I, citato nel Dizionario della Bibbia di Smith.

Oltre a questa legge orale che vogliono fosse ricevuta da Mosè, v'era un gran numero di corollari e deduzioni tratti da essa, chiamati "ripari della legge", quasi che servissero a sua difesa, come le opere esterne che circondano una cittadella. Questi corollari e deduzioni portavano i divieti più in là che noi facesse la legge scritta, od anche l'orale, sotto pretesto di preservare il popolo giudaico dalla contaminazione e dal peccato. Così, per esempio: il quarto comandamento proibisce ogni opera servile in giorno di Sabato; ma, per allontanare ogni rischio di violazione, la legge orale e i suoi corollari proibivano, in quel giorno, perfino l'adempimento dei doveri più necessari, quali sarebbero accendere il fuoco, cuocere i cibi, lavarsi il corpo, e via dicendo. Così pure nell'Esodo 23:19, e in altri passi, si trova l'ingiunzione seguente: «Non cuocere il capretto nel latte di sua madre», che mirava evidentemente a distogliere dalla crudeltà; ma le fu data nella legge orale questa interpretazione, che la carne dei quadrupedi non si avesse mai a cuocere, o mescolare, in verun modo, con latte, onde cibarsene; e i corollari dei rabbini l'estesero anche alla carne degli uccelli, cosicché ora, per questo ulteriore «riparo alla legge», è rigorosamente proibito il mescolare carne di polli e volatili al latte, o ad alcuna delle sue preparazioni. Da questi saggi dell'insegnamento dei Farisei si vedrà che essi non solo trattavano gli Israeliti come tanti ragazzi, col definire i più minuti particolari dell'osservanza rituale, ma davano ampia materia all'accusa del Salvatore di «annullar la legge con le loro tradizioni».

Nelle opere di Flavio sono enumerati i dogmi principali dei Farisei e possono compendiarsi come segue: La legge orale data da Dio a Mosè sul

monte Sinai, per mezzo dell'angelo Metratone che è riguardato come un angelo non creato, e trasmessa alla posterità per mezzo della tradizione, è d'autorità eguale alla legge scritta. Per l'osservanza di entrambe queste leggi, l'uomo può non solamente ottenere giustificazione appo Dio, ma fare opere meritorie di supererogazione. I digiuni, le elemosine, le abluzioni, ecc. , sono espiazioni sufficienti per il peccato. I pensieri e i desideri non sono peccaminosi, a meno che non siano tradotti in atto. Dio è il Creatore del cielo e della terra, e governa tutte le cose, e fin anche le azioni degli uomini, con la sua Provvidenza. L'uomo non può far nulla senza l'influenza divina, la quale tuttavia non distrugge la libertà della volontà umana. L'anima dell'uomo è spirituale ed immortale. Nel mondo invisibile, sotterra, saranno distribuite ricompense e pene ai virtuosi ed ai viziosi. I malvagi saranno rinchiusi in una prigione eterna, ma i buoni otterranno agevole il ritorno alla vita. Oltre le anime degli uomini, ci sono altri spiriti, sì buoni che malvagi. E' da aspettarsi la risurrezione del corpo. Antichità Giudaiche 13:5, 9; 13:10, 5, 6; 17:2, 4; 18:1:3; Guerre Giudaiche 2:8, 14; 111, 8, 5.

Consta, da molti passi degli scritti dei rabbini, che i Farisei credevano nella metempsicosi di Pitagora, ossia nella trasmigrazione dell'anima di uno in altro corpo, e il seguente passo di Flavio Guer. Giud. 2:8,14, pare che l'affermi: «Essi i Farisei, dicono che tutto le anime sono incorruttibili, ma che le anime dei buoni trapassano in altri corpi, e che le anime dei cattivi sono assoggettate ad eterna pena». Si è congetturato che i rabbini derivassero questa dottrina dagli antichi Farisei, e questi dai filosofi orientali; ma sembra più naturale e del pari soddisfacente il supporre che tali insegnamenti siano il risultato di cognizioni imperfette intorno al rientrare che farà l'anima, alla risurrezione, in un corpo glorioso e incorruttibile.

Nel mentre il sovraesposto riassunto della loro dottrina, estratto dagli scritti di Flavio, trova ampia conferma nel Nuovo Testamento, egli è a quest'ultima sorgente che dobbiamo rivolgerci per una più ampia esposizione del carattere e dei costumi dei Farisei. Son questi espressivamente ritratti negli scritti degli Evangelisti. Quivi vediamo, per esempio, l'alta reputazione in cui eran tenuti come espositori delle leggi nazionali, sì civili che religiose Matteo 23:2-3; Giovanni 7:48, e la loro casistica nello esporle; il loro

rigorismo nell'esigere dagli altri l'osservanza dei riti e delle cerimonie della legge, sì scritta che tradizionale, mentre essi stessi l'eludevano in privato; le loro vigilie, digiuni ed abluzioni; la scrupolosa loro premura di evitare ogni impurità rituale; l'importanza che davano ad inezie non comprese nella legge, mentre trascuravano la giustizia e la carità; le loro lunghe e frequenti preghiere, fatte non solamente nel Tempio e nella Sinagoga, ma sui canti delle strade; il loro zelo nel far proseliti, e, nel tempo stesso, il nascondere la luce e l'opporsi al progresso, le larghe filatterie che portavano sulla fronte, e le ampie frange sull'orlo delle vesti; la loro ostentazione nel fare elemosine, mentre, sotto a tutta questa mostra di zelo e di pietà, i loro cuori eran pieni di orgoglio, di avarizia, di libidine e di ogni empietà: laonde il nostro Salvatore ben giustamente li ebbe a chiamare «ipocriti» Matteo 6;9;15;23; Marco 7:1-13; Luca 11:39; Giovanni 8:7, ecc.

Con tutto le loro pretese di religiosità, i Farisei tenevano in supremo disprezzo il popolo, e lo chiamavano maledetto, a cagione della sua ignoranza della legge Giovanni 7:49. Ciononostante venivano tenuti dal volgo in tanta stima e in tanta venerazione, che davano ai pubblici affari quella piega che volevano, e quindi i più gran personaggi temevano la loro potenza e la loro autorità. Questi odiosi tratti del carattere dei Farisei, li fecero riprendere dal Salvatore con maggior severità che non i Sadducei, i quali, sebbene si fossero grandemente allontanati dai principi genuini della religione, pure non pretendevano d'ingannare il genere umano con una finta santità, né tendevano con insaziabile avidità all'acquisto di onori e di ricchezze. Mentre tali erano in generale il carattere e la condotta dei Farisei, v'erano tra essi alcune onorevoli eccezioni, come Nicodemo, Gamaliele e Giuseppe d'Arimatea, uomini di vedute più liberali e di spirituali tendenze; ma il loro numero era troppo piccolo per neutralizzare le cattive influenze della, gran maggioranza della setta.

La Chiesa primitiva cristiana, in Gerusalemme e nella Giudea, era composta di uomini che, prima della loro conversione, erano stati o Farisei, o ammiratori della setta, come appare manifesto dal loro spirito gretto ed illiberale, dal loro tenace attaccamento al culto e alle cerimonie levitiche, e soprattutto dai loro incessanti tentativi per imporre la circoncisione alle, Chiese gentili, il che cagionò tanto dolore al cuore dell'apostolo Paolo, e

fece ostacolo al progresso del Vangelo tra i Gentili, per le scissure e divisioni che tosto nascevano ovunque ponessero il piede i dottori giudaizzanti.

SADDUCEI Malagevole riesce a noi l'apprezzare giustamente il carattere e le dottrine dei Sadducei, non essendoci, per mala sorte, pervenuto veruno scritto autentico di alcun membro di questa setta, e non avendo noi, se si eccettuino le brevi indicazioni contenute nel Nuovo Testamento intorno alle loro dottrine, nulla che possa servirci di guida, fuorché le testimonianze dei loro avversari. Questo conviene tenere presente, poiché è ora manifesto che, dietro i ragguagli derivati da siffatte sorgenti, essi furono, sotto alcuni riguardi almeno, rappresentati peggiori assai di quel che non fossero in realtà.

Si crede, generalmente, che l'origine di tal setta sia posteriore a quella dei Farisei, sebbene ne sia dubbia l'epoca precisa. Le dottrine e le pratiche peculiari ai Farisei diedero naturalmente origine al sistema dei Sadducei. Quelli erano l'attuazione vivente del principio della venerazione del passato, con le sue corruzioni, non meno che i suoi pregi; questi, alienati gli animi ed esasperati dalle puerilità e dalle contraddizioni del sistema farisaico, ne vennero non solamente a ripudiare quanto vi era in esso di giustamente censurabile, ma a far getto, purtroppo, di verità importantissime, e ad adottare un desolante scetticismo.

Incerta è l'origine del nome portato da questa setta, e le teorie, su tale argomento, si possono ridurre a due principali:

l. Secondo i rabbini, essi si chiamavano Sadokim. o Sadducei, dal nome del loro fondatore, certo Zadok, il quale fu un allievo di Antigono di Soco, che fiorì A. C. 260. Ma di questa storia rabbinica, non è fatto parola né nella Mishna, né in veruna altra parte del Talmud, e la prima menzione di qualche cosa di simile s'incontra in un opuscolo di un certo Rabbino Nathan, verso A. D. 1105. Questo silenzio della storia per più di mille anni, induce a tenere in conto di favola il racconto del rabbino.

2. Una seconda teoria spiega l'origine del nome della setta, col dire che i fondatori di essa presero essi stessi questo titolo di tzaddikim, «i giusti», come quello che compendiava più accuratamente le loro vedute. Lo intendevano nel senso di esatti, per dire che ricevevano la legge, ma rigettavano tutte le aggiunte superstiziose. Si proclamavano dunque giusti nei loro propri concetti e nel loro modo di pensare, per contrapposto agli eccessi dei Farisei. Non si può negare che tale spiegazione del nome della setta ci presenta in atto il loro principio particolare e fondamentale, per quanto possano averne deviato in seguito, ed anche averlo modificato per il contatto con la filosofia greca; e fintanto che non si sia scoperta un'etimologia migliore, questa ci sembra la più probabile.

Il punto saliente della dottrina dei Sadducei era la negazione assoluta della legge orale, che i Farisei pretendevano essere stata trasmessa agli Israeliti da Mosè, e per conseguenza il ripudio della tradizione. Essi si attenevano alla legge scritta di Mosè, e in questo eran degni d'ogni lode. Su questo punto Flavio ci dice che «i Farisei insegnavano molte leggi al popolo, le quali pretendevano aver ricevute dai padri, ma che non si trovavano in nessun luogo dei libri di Mosè; le quali leggi i Sadducei rigettano interamente, e dicono che si hanno a tenere per leggi quelle sole che sono scritte, ma, che a quelle che son ricevute per tradizione, non ha da aversi alcun rispetto o deferenza. Questa disparità di opinioni dava origine a grandi contese e controversie i Sadducei guadagnando al loro partito tutti i più facoltosi d'infra il popolo, e i Farisei fondando le loro speranze sulla moltitudine di persone del volgo che sostenevano le loro opinioni» Antich. Giud. 13:10, 6. Fu asserito da Epifanio come già da Origene e da Girolamo che essi rigettassero tutto quanto il Canone del Vecchio Testamento, eccetto il Pentateuco; ma questa asserzione non ha altro fondamento che un falso concetto di questi scrittori, i quali confondono i Sadducei coi Samaritani. Flavio non muove tale accusa contro di essi; i Sadducei intervenivano regolarmente al culto del Tempio e della Sinagoga, in cui si leggeva ogni giorno una parte dei profeti o degli agiografi, non meno che della legge; molti dei sacerdoti erano Sadducei; e finalmente Manasse Ben Israele attesta espressamente che essi non negavano l'autorità dei profeti, ma solo li spiegavano diversamente dagli altri Giudei.

Un altro carattere distintivo dei Sadducei, come lo sappiamo dalla Scrittura, era questo, che negavano l'immortalità dell'anima, la risurrezione del corpo, uno stato futuro di ricompense e di pene, e l'esistenza di un mondo spirituale Matteo 22:23; Marco 12:18; Luca 20:27; Atti 23:8. Quella ragione umana che, esercitata con umiltà e con cautela, li aveva condotti a respingere a buon diritto tutte le contraddittorie tradizioni che gli anziani pretendevano imporre alle loro coscienze, fattasi sempre più baldanzosa nel proprio orgoglio, venne sino a respingere tutte quelle dottrine rivelate nelle Scritture che erano troppo alte e profonde per la sua limitata comprensione finché affine i Sadducei, al tempo del Salvatore, figuravano come i liberi pensatori e i materialisti di quella età, increduli; nei loro cuori, sebbene non osassero sfidare l'opinione pubblica, smettendo interamente la maschera della religione.

Non è da far le meraviglie se la negazione della divina Provvidenza, che a tutto soprintende, e la propugnazione dell'assoluta libertà dell'umano volere si riscontrassero come tratti caratteristici in un sistema il quale negava all'uomo, l'immortalità, e muoveva guerra a quanto v'ha di spirituale. Flavio dice: «I Farisei ascrivono tutto al fato cioè alla Provvidenza, e a Dio : ma i Sadducei eliminano interamente il fato e negano che c'entri Dio nel fare non fare ciò che è male. Essi dicono che il fare il bene o il male è in balìa dell'uomo, e che entrambi essendo così in suo potere, egli può scegliere quel che gli piace» Guer. Giud. 2:8,14. Sappiamo pure ch'essi negavano l'esistenza degli angeli : di modo che non ripudiavano soltanto le tradizioni orali, ma perfino degli insegnamenti della parola scritta.

La setta dei Sadducei era piccola per numero, ma influente, perché composta quasi esclusivamente di persone ricche e d'alto grado. Di modi alteri e tracotanti, essi non erano accetti al popolo minuto, che guardavano con insolente compassione se non con aperto disprezzo. I Sadducei come i Farisei, erano un partito non solamente religioso, ma politico. E di vero, fino a tanto che durò l'economia mosaica, il sistema politico-sociale non poté separarsi dalla religione. I Sadducei facevan parte del parlamento giudaico chiamato il Sinedrio Atti 23:6, e godettero talvolta la dignità del supremo potere nel sommo sacerdozio. Pare tuttavia che del possesso del potere andassero principalmente debitori alla loro influenza individuale, alla

superiorità dell'ingegno e alla loro posizione eminente, non godendo essi il favore della moltitudine, la quale anzi era a loro contraria. «Raro è che facciasi cosa alcuna», dice Flavio, «senza il loro parere; ma, quando sono assunti a dignità ed onori, son costretti a sottomettersi a quel che propongono i Farisei, che altrimenti non sarebbero tollerati dal popolo minuto» Antich. 17:1-4.

ERODIANI Erano gli Erodiani un partito politico, anziché una setta religiosa. Nelle cose religiose si identificavano coi Sadducei, come è evidente dal fatto che gli evangelisti Matteo e Marco usano indifferentemente i loro nomi l'uno per l'altro, cioè mentre uno descrive Cristo che ammonisce i discepoli contro il lievito dei Sadducei, l'altro ci dice che tale ammonizione è contro il lievito di Erode si confrontino Matteo 16:6; e Marco 8:15. Come lo indica il nome, questo partito era di data recente ai giorni di Cristo, ed ebbe origine da Erode il Grande.

Tertulliano, Epifanio, Girolamo, Crisostomo, Teofilatto ed altri antichi scrittori hanno sostenuto che gli Erodiani vedevano in Erode il Messia promesso; ma di questa teoria non può addursi alcuna prova; e se pure alcuni dei suoi cortigiani offrirono cotale incenso di adulazione al tiranno Idumeo durante la sua vita, non si vede come potesse continuare ad esistere un partito, basato su un dogma così tangibilmente falso, fino al giorno in cui Gesù entrò nel suo pubblico ministerio, circa 30 anni dopo la morte di Erode. Egualmente insostenibile è la teoria che essi fossero un sodalizio, o una confraternita formata in onore di Erode, ad imitazione di quelle formate a Roma in onore degli imperatori, giacché il primo di questi sodalizi romani, formato in onore di Augusto, non cominciò ad esistere se non lungo tempo dopo la morte di Erode.

Questa setta ebbe origine dalla condizione politica della Giudea, dopo l'arrivo di Giulio Cesare e poi di Marco Antonio nella Siria, e l'intervento della potenza romana nel governo dei Giudei, intervento esercitato Drima osteggiando la dinastia nativa, ossia l'Asmonea, e poi dividendo la Giudea, la Galilea, la Perea e la Coele-Siria in tetrarchie tra i figliuoli di Antipatro, i

quali, sebbene professassero la religione giudaica, erano disprezzati quali stranieri, essendo Idumei d'origine. L'accorto Erode, soprannominato il Grande, seppe rendersi in tal guisa accetto prima ad Antonio, quindi ad Augusto, che fu da questo finalmente nominato re della Giudea. ad esclusione della linea degli Asmonei. Il timore e l'odio che sentivano i Farisei e la gran massa del popolo contro là potenza romana e contro Erode e la sua famiglia, quali rappresentanti di essa, si fondavano ostensibilmente sul Deuteronomio 17:15, dove è ingiunto quanto segue: «Costituisci per re sopra te uno d'infra i tuoi fratelli; tu non potrai costituire sopra te un uomo straniero che non sia tuo fratello». Considerati sotto tale aspetto, Erode e i suoi protettori eran tenuti in conto di usurpatori, e i Farisei, per conseguenza, insegnavano non esser lecito sottomettersi all'imperatore romano, o pagare tributi ai suoi ufficiali, indi il disprezzo e l'odio in cui eran tenuti i Pubblicani, ossia gabellieri romani; indi quelle frequenti rivolte, come il tentativo di Giuda il Galileo, o, secondo Flavio, Giuda il Gaulonita, «ai giorni della riscossione delle tasse» Atti 5:37; Antich. 18:1:1. Erode e i suoi seguaci intendevano invece quel passo del Deuteronomio come proibitivo soltanto di una scelta volontaria di straniero dominatore, e non punto applicabile ad una condizione di cose in cui la forza aveva reso impossibile ogni scelta, e sostenevano essere perfettamente lecito tanto il sottomettersi all'imperatore romano, che il pagargli i tributi. Era questa adunque una delle dottrine del partito erodiano; ma ben lungi dal trovare a ridire su di essa, o dal caratterizzarla come «il lievito di Erode», da cui aveano a guardarsi i suoi uditori, Gesù vi diede virtualmente la sua approvazione, nella sola occasione in cui Farisei ed Erodiani, facendo tacere la reciproca loro animosità, per l'odio comune che portavano a Gesù, convennero di irretirlo con un dilemma che non gli lasciasse modo di uscita, e gli chiesero: «E' egli lecito di dare il tributo a Cesare, o no?» Matteo 22:17

L'altra dottrina di Erode e dei suoi seguaci era questa : che fosse lecito, quando si era sopraffatti e costretti da forza maggiore straniera, il vivere nella inosservanza o violazione di molti precetti della legge mosaica, e perfino l'abbandonarsi a pratiche idolatre. Questa dottrina pare che Erode la escogitasse e propagasse tra i suoi, per giustificare la propria condotta; perocché, affin di ingraziarsi i Romani, operava, in molte cose contrariamente alla legge e alla religione dei Giudei, come, per esempio,

fabbricando e dedicando templi a Cesare, erigendo immagini cui si doveva rendere un culto idolatra, fabbricando teatri, introducendo nel suo regno il gusto dei giuochi e divertimenti teatrali, e spendendo enormi somme, per offrire pubblici spettacoli alla popolazione di Roma. Secondo Flavio, «quella sottomissione, ad un tempo, e liberalità che esercitava inverso Cesare e i più potenti in Roma, lo obbligavano a trasgredire le costumanze della sua nazione, e a porre in non cale molte leggi di essa, col fabbricare città in un modo stravagante, e con l'erigere templi, non già nella Giudea, è vero, che ciò non sarebbe stato tollerato essendo vietato a noi di rendere onore alcuno ad immagini e rappresentazioni d'animali, secondo l'usanza dei Greci; ma questo il faceva nel territorio fuor dei nostri confini, e nelle città di quello. La scusa che ne adduceva coi Giudei era che queste cose ei le faceva non già per propria inclinazione, ma per comando e ingiunzione d'altri, affin di piacere a Cesare e ai Romani, come re gli stessero meno a cuore le costumanze giudaiche, che non l'onore dei Romani» Antich. 15:9, 5. È adunque questo peccato dell'uniformarsi a riti e costumi idolatri, e l'effetto demoralizzante prodotto sulle coscienze dal palliare e scusare un tal peccato, sotto pretesto di forza maggiore, che costituisce quel «lievito di Erode», contro del quale Nostro Signore ammonì i suoi discepoli, stigmatizzandolo al pari della ipocrisia dei Farisei.

ESSENI Dopo i Farisei e i Sadducei, questa era la setta più numerosa fra gli Israeliti, e merita che qui se ne faccia menzione, sebbene, nel Nuovo Testamento, né Gesù né gli Apostoli la nominino mai direttamente. Il nome di questa setta si trova scritto in varie maniere: Essenoi, da Flavio; Esseni, da Plinio; ed Essaioi, da Filone; ma la vera difficoltà sta nella derivazione del nome, tante sono le teorie che vennero addotte su tale argomento. I più la fanno derivare da chasid, puritani, che mette in rilievo il carattere speciale della setta, il quale consisteva piuttosto in un'aspirazione alla purità ideale che non nella promulgazione di un codice speciale di dottrine. Incerta è l'origine degli Esseni; ma dalla somiglianza del loro modo di vivere con quello dei Chasidim, o Asadei, menzionati nel 1Maccabei 7:13, ed altrove negli

Apocrifi, appare assai probabile che i due nomi abbiano servito a designare la stessa setta.

Dall'epoca dei Maccabei in poi vi fu, tra i Giudei più zelanti, uno sforzo continuo per giungere ad un grado assoluto di santità. Ogni nuova setta di devoti considerando quelle che l'aveano preceduta come praticamente impure, esagerava sempre più le regole ed i precetti morali, e gli Esseni stanno all'estremo limite dell'ascetismo mistico, formatosi gradatamente. Le loro dottrine religiose erano quelle stesse dei Farisei; ma per quanto questi pretendessero di praticare una stretta osservanza religiosa, gli Esseni vi trovarono da riformare e riformarono, appunto come tra i seguaci di Roma, i Certosini e i Cistercensi riformarono oltre quanto avesser fatto i Benedettini.

La setta degli Esseni era composta di Giudei residenti in Palestina o nella Siria, i quali parlavano la lingua aramea; ma v'era un altro ramo di tale confraternita formato dai Giudei ellenisti, i quali vivevano principalmente in Egitto. Questi si chiamavano Terapeti e spingevano l'ascetismo assai più in là dei loro confratelli giudei; ma avendoli Flavio, Filone e Plinio trattati e gli uni e gli altri come costituenti una setta sola, non; facile segnare una linea di distinzione tra le dottrine e le pratiche degli Esseni aramei e quelle dei loro fratelli più fanatici. Certo è che, volendo porre un argine alla ognora crescente corruzione, si organizzarono in confraternita, e divennero così i precursori di quella schiatta numerosissima di eremiti, e monaci, e frati, e monache che pullularono in appresso. Ma nel mentre i Terapeuti, fuggendo tutti i luoghi abitati, dimoravano in giardini, campi e deserti, si davano interamente alla vita contemplativa, ed osservavano un rigido celibato, gli Esseni, evitando solo le grandi città, vivevano nei borghi e nei villaggi, praticavano l'agricoltura e le arti, da quelle infuori che servivano agli usi di guerra, e permettevano il matrimonio semplicemente per la propagazione della specie, mentre proibivamo rigorosamente ogni relazione tra i due sessi, che mirasse soltanto al soddisfacimento della sensualità. Plinio tuttavia, lasciò scritto che ai suoi giorni si erano principalmente stanziati ad Enghedi e lungo la spiaggia occidentale del mar Morto, dimorando sotto le palme.

Uno dei principi costitutivi di questa setta era la comunanza dei beni, e siccome la loro confraternita era, assai estesa in tutta la Palestina, quelli tra

essi che dovevano viaggiare d'uno in altro luogo, non avean mestieri di prendere seco delle provvigioni, essendo provveduto «ai loro bisogni dalla comunità del luogo ove sostavano. Erano poi caritatevoli oltremodo inverso i poveri. Non si recavano a Gerusalemme per offrire in persona i loro sacrifici contaminati, com'era comandato dalla legge di Mosè per timore di contaminarsi, venendo in contatto con adoratori immondi: pur tuttavia, per rendere a Dio ciò che gli era dovuto, mandavano al Tempio le loro offerte per mano di terze persone, dichiarando al tempo stesso che il miglior sacrificio è quello di un cuor puro. Mentre a questo riguardo trasgredivano la legge, erano zelanti fino al fanatismo nell'osservanza di altri punti di essa. Si attenevano così rigidamente alla legge del Sabato, che non volevano nemmeno accendere il fuoco, né permettere che si cucinasse il cibo in tal giorno. A scanso d'ogni possibile contaminazione, non volevano mangiare alcun cibo che non fosse stato preparato da uno dei loro. Nessun uomo era ammesso nella confraternita, il quale non avesse subìto un anno almeno di prova, e le donne a cui intendevano unirsi in matrimonio dovevano fare, per lo meno, tre anni di noviziato; eppure tale ammissione era ricercata avidamente, e Flavio calcola in quattromila persone il numero dei membri della comunità essena, al tempo in cui egli scriveva.

Nella sua storia delle Guerre Giudaiche, lo stesso autore ci dà la seguente, interessante descrizione della loro maniera di vivere: «Prima del levare del sole non dicono una parola intorno ad argomenti ordinari, ma recitano certe preghiere che hanno ricevute dai loro padri; dopo di che, sono mandati dal loro curatore o soprintendente ad esercitare quelle arti in cui sono esperti, e in queste lavorano con gran diligenza fino all'ora quinta le 11 antim. Allora tornano a radunarsi tutti nello stesso luogo, vestono bianchi veli, e bagnano le membra nell'acqua fredda. Dopo questa purificazione, si raccolgono insieme in una stanza, in cui non è permesso di entrare ad alcuno di qualsiasi altra setta; e vanno con grande compostezza nella sala da pranzo, come se andassero ad un qualche tempio santo, ed ivi si mettono a sedere. Quindi un fornaio mette loro davanti dei pani in bell'ordine; e il cuoco porta in tavola un piatto di una sola qualità di cibo, e lo imbandisce similmente davanti a ciascuno. Un sacerdote rende grazie, prima del pasto, essendo illecito a chiunque l'assaggiare cibo veruno prima di aver reso grazie; e lo stesso sacerdote, terminato che sia il pasto, rende grazie di bel nuovo. Così

al cominciare come al finire di ciascun pasto, lodano Iddio come Colui che ad essi largisce il nutrimento. Dopo il quale ringraziamento, svestono i bianchi veli quasi che fossero sacri, e tornano alle loro fatiche, che continuano fino alla sera, e poi, ritornano a casa, a cenare nello stesso modo, e se vi sono stranieri della medesima setta, ben inteso, seggono a mensa con essi. Nella loro casa non si odono mai clamori o schiamazzi, ma ciascuno ha licenza di parlare alla sua volta. Non si adirano mai, se non per giusta cagione, e sempre raffrenano la collera. Sono uomini eminenti per fedeltà e ministri di pace; ogni loro detto ha maggior valore di un giuramento, poiché rifuggono dal giurare e l'hanno per peggiore cosa dello stesso spergiuro, e dicono che quegli che non può esser creduto senza giurare è già condannato» Guer. Giud. 2. 8, 5, 6. Il silenzio degli storici evangelici sul conto di questa setta è spiegato da alcuni con la circostanza che essi menavano vita eremitica, appartati dai luoghi di pubblico ritrovo, ed è attribuito da altri al fatto che, essendo onesti e sinceri, senza frode o ipocrisia alcuna, non davano motivo ai rimproveri ed alle censure meritati dagli altri Giudei.

ZELOTI Questa setta ebbe origine poco dopo la nascita di Nostro Signore, da un certo Giuda di Gamala, città situata nella Gaulonitide. Dalla corruzione di questo nome, ovvero dalla circostanza che i suoi seguaci appartenevano per la massima parte alla Galilea, furon detti talvolta Galilei. Furon pure chiamati Zelanti, per il loro fanatico attaccamento alla legge di Mosè, che essi volevano fare osservare anche per forza e con la punta della spada; e finalmente ebber pur nome di Sicari dalla somiglianza che avevano le loro spade con la sica romana, quando degenerarono, in una banda di sanguinari ladroni. Le dottrine loro, in generale, eran quelle dei Farisei, da cui, secondo Flavio, si distinguevano soltanto per il loro inestinguibile amore di libertà, e per il loro disprezzo della morte. Rifiutavano specialmente di pagare i tributi ai Romani, considerando questa come una cosa illecita e come una violazione della costituzione teocratica della loro nazione. Quando Archelao che era succeduto al padre suo Erode il Grande, nel governo della Giudea, fu sommariamente rimosso dai Romani, il suo piccolo regno venne annesso

alla provincia di Siria. retta in quel tempo da Quirinio, ed allora soltanto si cominciò a riscuotere la tassa, per stabilire la quale si era fatta la rassegna di tutto il popolo al tempo della nascita di Cristo Luca 2:2. Giuda, in compagnia di certo Zaduc, Fariseo, eccitò il popolo a resistere all'imposta, come ripugnante alla legge di Mosè, la quale insegnava che i Giudei non avevano altro re che Dio, ad insorgere e ribellarsi, piuttosto che sottomettersi ad essa. Molti dei suoi concittadini si raccolsero sotto la sua bandiera e perirono miseramente con esso Atti 5:37. Ma i suoi discepoli continuarono, dopo la sua morte, a professare la stessa sua dottrina. Si fu per questo fanatico attaccamento alle istituzioni giudaiche, e per la loro fiera opposizione a qualsiasi compromesso coi loro reggitori gentili, che si acquistarono il nome di Zeloti o Zelanti. Né stavano paghi alla loro opposizione ai Romani, ma prendevano a pretesto le proprie vedute per uccidere tutti i loro connazionali che mostrassero volontà di sottomettersi alla forza delle circostanze, e per appropriarsi i loro beni; finche alfine degenerarono in una confraternita di briganti e disperati, senza legge, conosciuti sotto il nome di «Sicari», i cui sanguinari eccessi affrettarono la distruzione di Gerusalemme. Simone, uno degli apostoli di Nostro Signore, apparteneva originariamente a questa setta. Luca 6:15 lo descrive espressamente come «Simone chiamato Zelota», mentre Matteo e Marco lo chiamano «Simone Cananita», parola questa che è l'equivalente aramaico della parola greca. Chi bramasse più minuti particolari intorno ai Zeloti o Cananiti, può consultare Flavio Antich. Giud. 18:1:6; Guer. Giud. 2, 17, 19; 7:8, 1-6; 7:9, 1, 2.

SAMARITANI I Samaritani mentovati nel Nuovo Testamento erano una razza mista che abitava soltanto una piccola porzione dell'antico regno di Samaria. In 2Re 17:24-41, è dato un completo ragguaglio della origine di questo popolo. Quando Salmanassarre re d'Assiria distrusse il regno d'Israele. condusse in cattività al di là dell'Eufrate tutti gli abitanti del paese, ad eccezione di alcuni pochi della classe più povera, i quali furon lasciati a coltivarlo; e in luogo di quelli fece occupare il paese da selvagge tribù pagane, costrette ad emigrare dalla Media e dalla Persia, dalle montagne dell'Armenia e dalla

regione al di là dell'Oronte. Ciascuna di queste tribù introdusse nella sua nuova patria il culto della propria divinità. Essendo attaccate dalle belve, attribuirono questa calamità al non essersi curate di rendersi propizio l'Iddio del paese, e supplicarono il monarca assiro che volesse mandare loro qualcuno dei sacerdoti nativi per istruirli nel culto del Dio d'Israele. Questa richiesta fu assecondata; uno dei sacerdoti addetti al culto idolatra di Geroboamo, divenne il loro istruttore, e d'allora in poi un culto corrotto di Jeova, combinato con quello delle loro proprie immagini e sculture, costituì la religione dei Samaritani. Per usare le parole della Scrittura: «Quelle genti temevano l'Eterno, e, servivano al tempo stesso i loro idoli, e i loro figliuoli e i figliuoli de' loro figliuoli hanno continuato a fare fino al dì d'oggi, quello che avean fatto i loro padri». Al tempo di Cristo, i loro discendenti avevano, è vero, abbandonato gli antichi riti pagani; ma la loro religione non pare che fosse molto più pura per questo, poiché egli così la caratterizza parlando alla donna di: Samaria: «Voi adorate ciò che non conoscete» Giovanni 4:22

Al ritorno dalla cattività babilonese, i Samaritani si fecero innanzi chiedendo che fosse loro concesso di unirsi ai reduci per fabbricare il tempio, poiché pretendevano di servire lo stesso Dio, e dal rifiuto di tale domanda nacque tra i due popoli una inimicizia grandissima, che durava ancora al tempo del Salvatore Giovanni 4:9, e continuò sempre d'allora in poi. Sotto il regno di Dario Noto, i Samaritani si fabbricarono un tempio a parte, sul monte Gherizim. D'allora in poi, Samaria divenne il rifugio di tutti i Giudei malcontenti. L'inimicizia si fece ancor più viva dopo che Giovanni Ircano ebbe distrutto il tempio del monte Gherizim A. C. 130. Erode il Grande ne fabbricò loro un altro A. C. 25; ma, siccome non era posto sul Gherizim, essi non volevano offrirvi i loro sacrifici.

I Samaritani rigettavano tutte le Scritture giudaiche, eccetto il Pentateuco. Le vicissitudini di questo popolo singolare e interessante, dal principio dell'era cristiana fino al tempo presente, non si potrebbero restringere entro i limiti di poche pagine; ma il lettore che avesse vaghezza di passarle in rassegna, potrà consultare l'opera del celebre antiquario biblico americano Robinson, ove troverà un sunto conciso ed accurato della loro storia fino al di d'oggi Ricerche Bibliche, vol. 3. pp. 119-136.

Oggi non se ne trovano più che in Nablous Sichem, e tutti insieme i superstiti di questa razza non oltrepassano il numero di 130 anime. Hanno vari manoscritti del Pentateuco, ma tra essi ce n'è uno che tengono in particolare venerazione. E' scritto su pergamena, nell'antico carattere ebraico.

I moderni Samaritani continuano ad aderire fermamente ai soli cinque libri di Mosè. Li leggono regolarmente nel loro culto religioso, ed osservano le costumanze in quelli ingiunte. Sono rigorosissimi nell'osservanza del riposo del Sabato. Celebrano la Pasqua, sacrificando ogni anno l'agnello pasquale entro il recinto delle rovine del loro tempio di Gherizim; osservano poi anche rigorosamente il digiuno di 24 ore nel giorno della espiazione. Praticano abluzioni per purgare la contaminazione legale; non prendono mai più di una moglie ad un tempo, e circoncidono i figli nell'ottavo giorno. Aspettano l'arrivo di un profeta chiamato Halhab, e dicono: «Noi saremo felici quando esso verrà». Le parole seguenti di Robinson ci sembrano adatte a concludere questa breve notizia dei moderni Samaritani : «Isolato avanzo di un popolo rimarchevole da più di 2000 anni, non vogliono distaccarsi da questo centro Sichem della loro religione e della loro storia; e lentamente vanno decadendo, dopo essere sopravvissuti alle tanto rivoluzioni e ai tanti sconvolgimenti che in così lungo intervallo passarono su quell'infelice paese, a guisa di canna continuamente agitata dal vento, ma che piegandosi resiste all'uragano».

L'onore di aver posta fuor di dubbio l'esistenza del Pentateuco samaritano appartiene ad un italiano, Pietro della Valle, il quale è anche tra i primi scopritori delle iscrizioni cuneiformi. Egli ne portò in Europa la prima copia nel 1616. Da allora in poi altre copie manoscritte di, tutto il Pentateuco vennero introdotte nell'Occidente; e i dotti poterono riscontrarlo col testo usato dai Giudei. ed accertarsi che le varianti sono insignificanti.

Monete e Misure

MONETE E MISURE MENTOVATE NEL NUOVO TESTAMENTO

In conseguenza del deprezzamento del numerario così ebraico come greco e romano, negli antichi tempi, come pure dei frequenti cambiamenti nelle misure legali usate dai Giudei, dopochè furono messi in contatto con la Grecia e con Roma, è difficile stabilire un computo molto esatto, sia del valore delle monete, che della lunghezza o del peso delle misure usate ai giorni di Nostro Signore e dei suoi apostoli. Le indicazioni seguenti, calcolate in moneta e misura italiana, si troveranno nondimeno, per quanto crediamo, approssimativamente esatte.

MONETE

1° Lepton, picciolo, Luca 12:59; chiamato dai Giudei posteriori peruta, moneta di rame, equivalente all'ottava parte di un assarium, = 1/2 Quadrante, = centesimi 0,968, o un po' meno di un centesimo.

2° Kodrantes, Quadrans, quattrion Matteo 5:26; Marco 12:42, moneta di rame, equivalente alla quarta parte di un asse, = centesimi 1,936, o un po' meno di due centesimi.

3° Assarion, Assarium o asse, tradotto pure soldo, Matteo 10:29; chiamato dai Rabbini isor, moneta di rame equivalente al decimo di un Denarious, = centesimi 8,138; un po' più di otto centesimi.

4° Denarion (Denaro, Matteo 18:28; 20:2,9; 12:19; Marco 12:15; Luca 20:24), moneta romana d'argento, così chiamata, perchè originariamente valeva 10 assi, = 1/4 di Statere, = 80 centesimi.

5° Dracme (Dramma, Luca 15:8), moneta greca d'argento, ai tempi del Nuovo Testamento, del valore di un denaro, =1/4 dello Statere, = alla centesima parte della Mina, = 80 centesimi.

6° Didramma Matteo 17:24, moneta greca d'argento, = 2 dramme greche, o due Denari romani, = mezzo Statere, = mezzo Siclo giudaico, = It. L. 1,55.

7° Statere Matteo 17:27, moneta greca d'argento, chiamata anche tetradrachmon, = 4 Dramme, = 1 Siclo giudaico, = It. L. 3,10.

8° Mina Luca 19:13,16,18,20, misura greca di peso per l'argento, chiamata la Mina Attica, = 1 Libbra romana, = 100 Denari o Dramme, = sessantesima parte di Talento, = It. L. 80.

9° Talento Matteo 18:24; 25:15-16,20; eccetera. Il Talento minore Attico d'Argento, = 60 Mine, = 6000 Denari o Dramme, = It. L. 4800.

Il Talento ebraico d'oro, = 100 Mine d'oro, = 6000 Sicli d'oro, = It. L. 136873.

Il Talento ebraico d'argento, = 50 Mine d'argento, = 3000 Sicli d'argento, = It. L. 9300, secondo il calcolo più sopra fatto dello Statere; It. L. 8554,68, secondo il computo di Calmet.

I numeri interposti tra il Lepton e il Talanton sono multiple del Lepton; dovrebbero quindi andar d'accordo quando se ne faccia la riduzione in moneta italiana; ma il deprezzamento, in primo luogo, della moneta ebraica, per conguagliarla con la greca, e poscia della greca per farne il conguaglio con la romana, spiega la differenza che si riscontra.

MISURE DI LUNGHEZZA

1° Pechus; ebraico Amma, Cubito, Matteo 6:27; Luca 12:25; Giovanni 21:8; Apocalisse 21:17; la distanza tra il gomito e la punta del dito medio; = 1/2 metro.

2° Braccia Atti 27:28, la distanza tra le due braccia distese lateralmente, = 4 cubiti, = 2 metri.

3° Calamo Apocalisse 11:1; forse lo stesso che la canna di Ezechiele, = 6 cubiti, = 3 metri.

4° Stadio Luca 24:13; Giovanni 6:19; 11:18; Apocalisse 14:20; 21:16, = 400 cubiti, = 125 passi romani, = 1600 metri.

5° Miglio Matteo 5:41, = 8 stadi, = 1000 passi romani, = 1600 metri.

6° Cammin del Sabato (Cfr. Atti 1:12; Luca 24:50; Giovanni 11:18), = 15 stadi, = 3000 metri.

7° Cammin d'una giornata Luca 2:44, = 240 stadi, 48000 metri, o 48 chilometri.

MISURE DI CAPACITÀ

1° Saton, staio, ebraico sea Matteo 13:33; Luca 13:21, misura pei solidi, = 1/3 di un Efa, = litri 11,36.

2° Metretes, tradotto misura Giovanni 2:6, misura di liquidi. Secondo alcuni, = 1 bat o efa ebraico, = litri 34,10; secondo altri, quasi un doppio bat, = litri 61,33.

3° Cor Luca 16:7, misura sì di liquidi che di solidi, = 1 omer, = litri 291,33.

4° Xestes, sestuario, orciuolo Marco 7:4,8, misura romana di liquidi, = litri 0,85.

5° Chenice Apocalisse 6:6, misura greca pel grano, = 1/8 del modio, o moggio romano, = litri 1,13.

Abbreviazioni

ABBREVIAZIONI USATE IN QUESTO VOLUME A. C.: Avanti Cristo.

A. D.: Anno Domini, ossia dell'era volgare.

Armonisti: Autori che han provato di ordinare i quattro Vangeli in modo da ricavarne una storia completa della carriera di Cristo, sulla terra.

E.: Est.; N.: Nord; O.: Ovest; S.: Sud.

=: Eguale a; corrispondente a.

Cap.: Capitolo; Vers.: Versetto.

Atti: Fatti; ecc., ecc.

MS.: Manoscritto.

MSS.: Manoscritti.

Cod.: Codice.

Sinottici: i tre primi Vangeli.

Fatti degli Apostoli

Il titolo

1. Il titolo

Il titolo del libro che ci proponiamo di studiare, non è lo stesso in tutti i codici né in tutte le versioni. Il Sinaitico dice semplicemente: Fatti. Altri codici, fra i più importanti del Nuovo Testamento, hanno quest'altro titolo: Fatti degli apostoli; o, più esattamente: Fatti d'apostoli. Altri codici dicono: Fatti dei santi apostoli: Fatti di tutti gli apostoli. Altri amplificano anche di più il titolo, e v'aggiungono il nome dell'autore: Fatti degli apostoli o dei santi apostoli, scritti da Luca l'evangelista; o, scritti dal santo ed illustre Luca, apostolo ed evangelista. Il titolo del nostro libro non è di Luca; è cosa tutta tradizionale e posteriore alla redazione del libro stesso. A mente di Luca, il libro dei Fatti non doveva probabilmente essere altro che il secondo volume d'un'opera unica, della quale il primo volume era quel suo evangelo, che nella raccolta dei libri sacri vien dopo gli evangeli di Matteo e di Marco.

E il titolo che la tradizione ha dato al secondo volume dell'opera di Luca, sembra a parecchi, infelice. Infelice, perché promette più di quello che il libro contenga. E invero, gli apostoli non vi appaiono tutti, che di passata Atti 1:13; della maggior parte di loro non v'è detto nulla; Giovanni vi si mostra, un giorno, semplice spettatore d'un fatto; d'un miracolo, compiuto da Pietro (Atti 3:1 e seg.); il fratello di Giovanni non v'è nominato che nell'occasione della sua morte Atti 12:2; Pietro soltanto v'è messo in evidenza nei primi capitoli, e poi sparisce completamente; e se si volesse andare proprio in fondo alle cose, bisognerebbe dire che anche la parte che Pietro vi prende nella evoluzione storica della Chiesa, per quanto grande ed importante ella sia, è pur nondimeno una parte che consiste più in discorsi, quasi sempre apologetici, che in fatti propriamente detti. I primi grandi propagatori dell'Evangelo non sono, nel nostro libro, i dodici apostoli; sono Stefano, Filippo, Barnaba; e poi, degli uomini oscuri, dei quali il nome non ci è nemmeno ricordato (Atti 8:4; 11:19 ecc.); e finalmente Paolo, "che sovra agli altri com'aquila vola".

Che direm noi dunque? che cotesto titolo è proprio troppo pretenzioso?

Lasciamolo dire a chi non può liberarsi dal pregiudizio leggendario che dà per apostoli i dodici soltanto, i primi dodici che si sarebbero divisi il mondo in tante parti e sarebbero andati a portar l'Evangelo qua e là, ciascuno nelle contrade assegnategli. Io mi fermo un istante a riflettere, e dico a me stesso: È vero; molte altre cose, relative agli apostoli, avrebbero potuto trovar luogo nell'opera di Luca; e chi sa quanti ricordi di scene commoventi e di stupendi episodi abbiamo completamente perduti per questo silenzio dell'autore! Ma di cotesto silenzio non facciamo una colpa a Luca; ei fu voluto dalla Provvidenza; e la Provvidenza sa quello che fa. Intanto, ditemi un po'. Una biografia minuta, dettagliata dei dodici avrebbe ella aggiunto un etto alla importanza incalcolabile che il nostro libro ha, così com'è giunto a noi, per tutto quello che riguarda la grande evoluzione degli avvenimenti e delle idee nei primordi della vita della Chiesa? Io non credo. E credo che chi più tardi volle dare un titolo all'opera di Luca, a due cose dovette por mente: la prima, che il libro conteneva quello che ai suoi tempi si sapeva di sicuro

relativamente agli apostoli; ogni altra notizia di loro era caduta nell'oblio, e la leggenda non era nata ancora; la seconda, che se il nome d'apostolo aveva un significato specifico di "testimone oculare della risurrezione di Gesù", ne aveva anche un altro generico di "mandato da Dio ad annunziare la buona notizia della salvazione gratuita per mezzo della fede in Cristo e ponendo mente a queste due cose, ebbe ragioni da vendere quando scrisse in capo al nostro libro: Fatti d'Apostoli.

La dedica

2. La dedica

Il terzo evangelo ed il libro dei Fatti che sono due volumi d'un'opera unica, l'autore dedica ad una medesima persona; a Teofilo. Chi era egli? Teofilo vuol dire, etimologicamente, amico di Dio; ed è un nome che un convertito dal paganesimo può benissimo aver preso nell'atto in cui fu battezzato. Parecchi, basandosi sull'eccellentissimo Teofilo di Luca 1:3, hanno supposto che Teofilo fosse uomo di alto grado sociale; ma il κρατιστος (krátistos = eccellentissimo) di cotesto passo, che in Atti 23:26; 24:3; 26:25, è termine dato a persona di gran condizione ed esprimente il rispetto che a lei si deve, qui, riferito a Teofilo, sembra esser piuttosto un sinonimo di carissimo. Il fatto che il κρατιστος della dedica dell'Evangelo Luca 1:3 non è ripetuto nella dedica dei Fatti Atti 1:1 sembra provare che nel nostro caso ei non è un titolo d'onore, ma piuttosto una espressione d'amicizia; e negli autori greci non mancano esempi a dimostrare che il κρατιστος può equivalere al nostro caro, carissimo.

E questo è quanto si può dire di Teofilo. Varie altre cose si son dette; ma le sono delle pure invenzioni; e quando si comincia ad inventare, non si sa mai dove si vada a finire. Anche nel caso di Teofilo si è verificato cotesto fatto; e nella sbrigliata fantasia di parecchi scrittori ecclesiastici, la personalità storica di Teofilo s'è delineata così nitidamente da presentarvela col suo chiaro certificato d'origine. "Teofilo era un alessandrino", dicono gli uni;

"Teofilo era un antiocheno", dicono altri; e così via su questo tono. Nel crogiuolo di altre fantasie invece, cotesta personalità s'è andata lentamente dissolvendo, fino a diventare addirittura un'astrazione; una idealità di cristiano (l'amico ideale di Dio), che non avrebbe esistito che nell'ispirato cervello di Luca.

L'autore

3. L'autore

Ho parlato finora di Luca com'essendo egli l'autore del libro dei Fatti; e parlando così, mi son fondato sulla tradizione, che è unanime nel dirci che Luca è veramente l'autore del libro. Ma l'unanimità di cotesta tradizione non apparisce che sul tramonto del secondo secolo; prima di cotesto tramonto, non c'è scrittore che attribuisca alla penna di Luca l'opera che ci proponiamo di commentare; è quindi giusto che ci fermiamo un po' a studiare il problema.

Un fatto sul quale tutti sono d'accordo, è questo; che l'autore del nostro libro va cercato nel gruppo degli amici che circondarono San Paolo. Ma cotesto gruppo non è piccolo. Furono molti i discepoli che ebbero relazioni più o meno costanti con l'apostolo dei Gentili; ed il problema, che a prima vista sembra limitarsi quando lo si restringe a cotesto gruppo, rimane pur sempre difficile quando ci mettiamo a cercare in cotesto gruppo l'autore dei Fatti. Rimane difficile, dico; ma non così difficile come sembra di primo acchito.

Quattro nomi si son fatti a questo proposito: il nome di Timoteo; quello di Sila; quello di Tito; quello di Luca.

Il nome di Timoteo, quantunque difeso dallo Schleiermacher, dal De Wette, dal Bleek e dal Mayerhoff come autore del nostro libro, è scartato subito e recisamente dal passo Atti 20:4-6, che dice: Accompagnarono Paolo fino in

Asia, Sopatro, figlio di Pirro, di Berea; i TessaIonicesi Aristarco e Secondo; Gaio, di Derbe, e Timoteo; e gli asiani Tichico e Trofimo. Questi, andati innanzi, ci aspettarono a Troas; e noi, finite le feste di Pasqua, lasciammo Filippi; e dopo una traversata di cinque giorni, li raggiungemmo a Troas ove restammo per sette giorni. È chiaro; lo scrittore che parla qui di ciò che ha fatto egli stesso, si distingue dagli individui che nomina uno ad uno; e Timoteo, che accompagna Paolo fino in Asia con Sopatro, Aristarco, Secondo, Gaio. Tichico e Trofimo, non può essere l'autore del racconto; l'autore, che dice d'esser rimasto a Filippi fino a dopo le feste di Pasqua, e d'esser quindi andato a raggiunger Timoteo e gli altri a Troas!

Anche Sila bisogna scartare, perché in Atti 16:19-40 si parla di lui in terza persona. Se Sila fosse l'autore dei Fatti, ei non avrebbe scritto, per esempio: I padroni della schiava, vedendo che la speranza del loro guadagno se n'era ita, afferrarono Paolo e Sila; li trascinarono sulla pubblica piazza davanti ai magistrati, e li menarono ai pretori; ma avrebbe detto: afferrarono Paolo e me; ci trascinarono... e ci menarono ecc.

Quanto a Tito, bastino queste due cose. La prima, che nelle tradizioni dell'antica letteratura cristiana ei non ha autorità che lo raccomandi come scrittore del nostro libro. E poi, quest'altra osservazione. Paolo ci dice che Tito ebbe parte non poca nella conferenza di Gerusalemme (Galati 2:1 e seg.); e nel racconto che di cotesta conferenza ci dà il libro dei Fatti Atti 15, Tito non appare, né direttamente né indirettamente, sulla scena; non c'è una parola che sia detta del fatto suo; non c'è un'allusione che accenni all'autore come ad un testimone oculare di un avvenimento, ch'ebbe pur tanta importanza nel primo periodo della storia della Chiesa. Come si spiega cotesto silenzio? cotesto completo oblio di sè stesso? cotesto ficcarsi completamente nell'ombra e trascurare la narrazione della parte importante ch'egli ebbe nella conferenza gerosolimitana? - Le risposte che si dànno a queste domande e le prove, che si adoprano a difendere per Tito il diritto d'autore sono così deboli, così "speciose" come le chiama il Reuss, che bastano a convincere chi studia un poco a fondo le cose, che a scrivere i Fatti, Tito non pensò mai neppur per sogno.

Ed eccoci a Luca; a Luca, che è senza dubbio l'autore del libro.

La testimonianza unanime della tradizione assicura a Luca cotesta paternità. Egli è ben vero che questa testimonianza non comincia che verso la fine del secondo secolo; ma non è da credersi per questo che il libro dei Fatti sia il prodotto d'una letteratura posteriore a quella del secolo d'oro dell'apostolica. L'opera di Luca, dedicata a Teofilo, aveva un carattere tutto privato; e si capisce che le cose ch'ella racconta, non avessero per la Chiesa un'importanza uguale a quella della storia di Gesù. Questa e non altra è la ragione che spiega il fatto, per esempio, lamentato dal Crisostomo (347407), quand'ei diceva che del nostro libro molti dei suoi contemporanei ignoravano perfino l'esistenza.

Ma non basta. Il libro dei Fatti è il secondo volume di un'opera in due tomi, i due volumi sono dedicati al medesimo individuo; a Teofilo; nella dedica del secondo volume, l'autore accenna al primo, in modo che si tratta evidentemente d'un evangelo (Atti 1:1); lo stile dei due volumi è lo stile d'un medesimo scrittore; più di cinquanta parole, comuni ai due volumi, sono delle parole tutte speciali dello scrittore, e completamente ignorate dagli altri scrittori del Nuovo Testamento. Tutte le evidenze esterne ed interne, insomma menano chi studia ad una conclusione, che anche la critica negativa deve riconoscere per legittima; alla conclusione, cioè, che il terzo evangelo ed i Fatti sono due volumi d'una medesima opera, usciti da una medesima penna. Cotesta conclusione, dice il Renan, "n'a jamais été sérieusement contestée"; "non è mai stata seriamente contestata". Se così è, tutte le prove, che son molte ed incrollabili, intese a dimostrare che Luca è l'autore del terzo evangelo, valgono a dimostrare che Luca è l'autore dei Fatti. Fra coteste prove basti citare la testimonianza unanime e concorde di tutta la Chiesa antica; la testimonianza del Codice muratoriano (della metà del secondo secolo?); d'Ireneo (nato il 120 o il 140 e morto il 202); di Tertulliano (nato il 160 e morto fra il 230 e il 245); di Origene (nato il 185 e morto il 254) e di Eusebio (nato il 270 e morto il 309).

E finalmente, nei Fatti non soltanto non c'è nulla che urti contro l'opinione che attribuisce a Luca la redazione del libro, ma ci sono invece delle particolarità, che la confermano. Fra queste particolarità, stanno in prima linea i passi nei quali l'autore parla in prima persona. Il lettore comincerà a trovare cotesta particolarità in Atti16:10: Appena Paolo ebbe cotesta visione, cercammo subito di partire per, la Macedonia. Dal qual passo risulta che lo scrittore s'era unito a Paolo in Troas e che lo aveva seguitato sino a Filippi Atti 16:10-17. Qui la traccia del noi si perde e non la si trova più che in Atti 20:5, dov'ella riappare ad un tratto, quando, sei o sette anni dopo, Paolo torna a Filippi. Da questo punto le tracce del noi continuano fino all'arrivo di Paolo in Gerusalemme Atti 21:18. Poi appaiono di nuovo nel racconto del viaggio di Paolo alla volta di Roma Atti 27 e seguitano fino all'arrivo dell'apostolo nella città eterna Atti 28:16. Or è ben vero che nella prima menzione del noi Atti 16:10 c'erano anche Sila Atti 15:40 e Timoteo Atti 16:3; ma Sila e Timoteo, per le ragioni che ho esposte, non possono essere gli autori dei Fatti; mentre contro Luca, che la tradizione addita come scrittore del libro, non c'è obiezione di sorta. Anzi, due circostanze la corroborano:

1) la circostanza che Luca si trovava a Cesarea con Paolo, quando l'apostolo era quivi in prigione prima che andasse a Roma Colossesi 4:13; Filemone 24

2) la circostanza che Luca era più tardi con Paolo a Roma, subito dopo l'arrivo dell'apostolo, e nel tempo in cui questi si doleva dell'isolamento in cui si trovava 2Timoteo 4:11. Ora, quando si pensi che lo scrittore dei Fatti aveva accompagnato Paolo nel viaggio alla volta di Roma (Atti 27:1 e seg.), vien fatto naturalmente di concludere: - "Certo, cotesto compagno di Paolo che scrisse i Fatti, dev'essere stato Luca".

Se non che una difficoltà qui sorge. Ammesso che le parti del libro in cui si trova il noi siano di Luca, ne consegue egli necessariamente che tutto quanto il resto del libro sia uscito dalla medesima penna? - "Nossignori,

risponde la scuola di Tubinga. Qualche ignoto scrittore del secondo secolo fece uso di questi ricordi dei viaggi di Paolo, per completare gli altri materiali che aveva già a mano, o se ne servì per i suoi fini speciali."

Ma cotesta idea non regge. Lo scrittore del libro palesa da per tutto un gusto squisito; ei si mostra da per tutto per un uomo che sa quello che fa, e che è abituato ad aver che fare con dei documenti letterari. L'ipotesi di Tubinga suppone invece un redattore, che avrebbe trascritti, così com'erano, i documenti relativi ai viaggi paolini, senza saper cambiare, o senz'almeno darsi neppur la briga di cambiare quel noi dei documenti, in un pronome di terza persona e dire eglino od essi. Di cotesta goffaggine letteraria è assurdo il render colpevole l'esperto scrittore dei Fatti; e il Renan, che ebbe senza dubbio molti difetti, ma che fu letterato da saper riconoscere i pregi della raffinatezza di gusto e d'arte d'uno scrittore anche di cose religiose, dovette dire: -" Noi siamo irresistibilmente tratti a concludere che chi scrisse l'ultima parte dei Fatti, fu lo stesso che ne scrisse anche la prima; e che lo scrittore di tutto quanto il libro è colui che dice noi nelle parti a cui facciamo allusione".

E questo Luca chi era egli?

Poche notizie si hanno di lui. Il nome Luca dev'essere di origine latina. La sua forma greca Loukas si compone di tre elementi: del fondo latino, conservato nella forma italiana Luca, che dev'esser considerato come un'abbreviazione d'un nome più lungo (Luciano, Lucilio ecc.); dell'elemento aramaico, che è nella desinenza â; e dell'elemento greco, che è nella finale s. Questo vezzo di troncare i nomi stranieri e di dar loro una desinenza orientale che a sua volta s'accomodava al greco, era molto in voga in cotesti tempi; e ne troviamo degli esempi a iosa nel Nuovo T. Per i nomi d'origine latina, basti ricordare: Sila (Silvanus); Amplias (Ampliatus, Romani 16:8); Iunias (Iunianus, Romani 16:7). Per i nomi d'origine greca: Demas (Demetrius, Colossesi 4:13); Epafra (Epafrodito, Colossesi 1:7 ecc.); Herma

(Hermogene, Romani 16:14); Olympas (Olympiodorus, Romani 16:14); Zenas (Zenodoto, Tito 3:13 ecc.).

Ei non è nominato che tre volte nel Nuovo T. In Colossesi 4:13; in Filemone 24; in 2Timoteo 4:11. Da Colossesi 4:13 si sa ch'egli era medico; la leggenda ne ha fatto un pittore antiocheno (1); e avvicinando i due passi Colossesi 4:10,13, e accentuando il fatto che Paolo distingue quivi Luca da quelli "della circoncisione", pare che si possa concludere ch'ei fosse d'origine pagana. Ch'ei fosse d'Antiochia, può darsi; Eusebio lo dice (St. Eccl. 3:4); e l'asserzione d'Eusebio non ha nulla d'impossibile. A Troas ei si aggiunse a Paolo Atti 16:11; rimase a Filippi quando Paolo lasciò cotesta città; poi tornò in compagnia di Paolo, quando questi, sei o sette anni dopo, ripassò da Filippi Atti 20:5 per andarsene a Gerusalemme. Da questo momento, ei sembra essere rimasto sempre con l'apostolo, che l'ebbe caro Colossesi 4:13; che trovò in lui un collaboratore Filemone 24 ed un amico fedele 2Timoteo 4:11. - Altro non si può dire di lui (2).

Nota (1):

È lo storico Niceforo Callisto, del secolo XIV, che dice che Luca fu pittore e che tramandò alla Chiesa i ritratti di Gesù e di Maria. Questa notizia, come suppone il Bleek, dev'esser nata dalla confusione fra il nostro Luca e qualche pittore omonimo.

Nota (2):

Della fine di Luca non si sa proprio nulla di certo. C'è un passo in alcune antiche edizioni del De viris di Girolamo, che dice Luca aver vissuto fino ad 84 anni e celibe; ma cotesto passo è provato non esser altro che una interpolazione. Gregorio nazianzeno (Orat. III advers. Julian.) è il primo a fare di Luca un martire. Niceforo dice ch'ei fu appiccato ad un ulivo, in Grecia, a 80 anni d'età. Ma chi può accettare quanto ci sia di vero in coteste leggende?! Sembra tuttavia, dice il Prof. F. Godet, che esistesse una

tradizione assai sparsa, secondo la quale Luca avrebbe finito i suoi giorni nell'Acaia. Poichè è di là che, secondo Girolamo (De vir. ill. c. 7), le ceneri di lui sarebbero state trasportate a Costantinopoli dall'imperatore Costanzo. Isidoro dice invece che le furono portate dalla Bitinia.

Il contenuto del libro

4. Il contenuto del libro

Il contenuto del libro dei Fatti, il Prof. Reuss l'ha riassunto così, in modo conciso, nitido e fedele.

La Chiesa nasce in Gerusalemme; e, da principio, in una cerchia d'individui assai ristretta. L'intervento visibile e miracoloso del cielo le comunica subito le forze di cui ell'ha bisogno per arrivare ad aver coscienza di se e per ispiegare al di fuori la propria attività. Nei primi tempi, il favor popolare bilancia le intenzioni malvage delle classi privilegiate. L'armonia completa, assoluta delle convinzioni ed un'abnegazione che non indietreggia dinnanzi a sacrificio di sorta, fortificano l'unione fraterna d'un numero sempre crescente di persone, la cui morale porta l'impronta della severità legale ed il cui dogma si riassume tutto in una speranza (cap. 1 a 5). Intanto l'orizzonte si allarga, ed il numero crea le prime divergenze. Sono gli interessi materiali, che provocano i primi sintomi d'un disaccordo. Gli interessi spirituali, la evoluzione delle idee s'affacciano poi a produrne degli altri e dei più gravi dei primi. L'attenzione di alcuni si volge alle vere relazioni che passano fra l'Evangelo e la Legge. I germi deposti negli spiriti dall'insegnamento di Gesù e che erano rimasti per qualche tempo sopiti, cominciano a muoversi. Una predicazione innovatrice eccita la contradizione della sinagoga, che fino allora non s'era mostrata soverchiamente ostile; ed a cotesta contradizione tien dietro l'animosità popolare. Il sangue del primo martire è sparso; ma il fanatismo non se ne

accontenta. La persecuzione scoppia (cap. 6 e 7); e la persecuzione non soltanto rafferma il coraggio della comunità, ma diventa nelle mani della Provvidenza il mezzo per farle conoscere la forza delle idee di cui ella è depositaria, e di cui fino ad ora non conosco la portata. La buona novella varca i ristretti limiti della sua culla. Come un granello gettato a caso, ella mette radici e porta dei frutti nel vasto campo del mondo pagano il cui vergine suolo par meglio preparato a riceverla di quello che i profeti aveano già lavorato e che i farisei coltivavano da lungo tempo. Per la nuova opera ci voglion degli uomini nuovi; ed eccoli apparire; e fra loro, colui che aveva ancora le mani macchiate del sangue di Stefano, ed al quale era riserbato l'onore d'aprir gli occhi dei suoi fratelli maggiori, non appena le scaglie fosser cadute dai suoi (cap. 8 a 12). Senza nulla perdere dell'energia della speranza, i nuovi apostoli capiscono che di cotesta speranza non debbono limitarsi ad aspettare il compimento ma che a cotesto compimento debbono essi stessi lavorare. Essi ordinano la missione si mettono a tracciar la via dell'avvenire (cap. 13 e 14). Il buon successo che li spinge innanzi malgrado i pericoli e le umiliazioni, non disarma la diffidenza, che, dalla metropoli ove si sente ch'essi sono andati molto, più in là di quello che si vorrebbe, li segue con occhio vigile e geloso. Per toglier di mezzo ogni funesto malinteso, si fanno delle riunioni a Gerusalemme. Non si tratta ancora né di principi, né di teologia; e non è quindi troppo difficile di trovar la "formula di concordia". Cristo sarà il capo della Chiesa, senza che le nazionalità abbiano bisogno di confondersi o di sacrificare alcuno dei loro diritti o dei loro doveri (cap. 15). E da questo punto, la storia abbandona il terreno da cui avea preso le mosse; né ci ritorna che per farci intravedere, nel patetico quadro delle conquiste e dei rovesci del suo più grande eroe, la rottura definitiva tra il giudaismo ed il cristianesimo. Ed è di lui ch'ella oramai si preoccupa esclusivamente, accompagnandolo nelle successive stazioni dell'Asia, della Macedonia, della Grecia o di Roma; e benchè sembri limitare di più in più l'orizzonte del lettore che verso la fine non ha più dinnanzi agli occhi che una fragile nave sbattuta dalla tempesta, ella conduce il suo apostolo nella capitale del mondo; e fermandosi ad un tratto senza concludere, sembra voglia far presentire a chi legge, che è quivi che si regoleranno i destini della Chiesa (cap. 16 a 28).

Tale il contenuto dei Fatti.

Le fonti

5. Le fonti

D'onde trasse Luca i materiali per l'opera sua monumentale?

Ecco la domanda, a cui dobbiamo adesso cercar di rispondere.

Una cosa mettiamo subito in sodo; che tra le fonti del libro dei Fatti, le lettere di Paolo non entrano per nulla. L'autore, come apparirà dal Commento, le ignora completamente.

Per rispondere in modo chiaro alla questione delle fonti, è, necessario che partiamo da un'idea chiara della costruzione del libro stesso. Il libro consta di tre gruppi principali:

1) del gruppo delle notizie, che concernono le origini e lo sviluppo della Chiesa;

2) del gruppo delle sezioni ove appare il noi;

3) del gruppo dei vari discorsi.

Domandiamoci dunque in primo luogo: d'onde Luca avrà egli ricavato coteste notizie concernenti le origini e lo sviluppo della Chiesa?

Coteste notizie Luca potè ricavare da due fonti;

a) da elementi tradizionali raccolti qua e là, e da ricordi personali confidatigli da testimoni oculari delle cose narrate, come da Pietro, per esempio; da Giacomo, da Giovanni, da Filippo e, da altri;

b) da documenti scritti già esistenti.

Senza ricorrere addirittura alla ipotesi di preesistenti antichissimi "Atti di Pietro", "di Barnaba" e "di Stefano", che Luca avrebbe intercalati nella sua narrazione tali e quali o che avrebbe sunteggiati, è ragionevole l'ammettere che gli operai e le deputazioni ecclesiastiche a cui era affidata una qualche missione, mettessero per iscritto le relazioni di quello che aveano fatto, per passarlo ai loro mandatari; è ragionevole il supporre che fra chiesa e chiesa si scambiassero delle lettere, e che le decisioni delle varie comunità cristiane si conservassero per iscritto: e Luca potè benissimo servirsi di cotesti documenti nell'ordinare questo primo gruppo di notizie. Talchè, per questo primo gruppo concernente le origini e lo sviluppo della Chiesa, Luca, relativamente alle fonti, avrebbe seguito lo stesso metodo che adoprò redigendo il suo vangelo Luca 1:1-3

Le fonti del secondo gruppo, che comprende le già note sezioni del noi, sono evidenti; si tratta di reminiscenze personali dell'autore.

Quanto al terzo gruppo, che è il gruppo dei discorsi, c'è una distinzione da fare. Dei discorsi che Luca ha uditi, la fonte è evidentemente nei suoi ricordi personali; dei discorsi che sono specialmente contenuti nella prima parte del libro e che Luca non ha uditi, le fonti sono variamente supposte. Il Weiss, per esempio, sostiene che di cotesti discorsi Luca ebbe sott'occhi il testo, che in qualche modo ne sarebbe stato scritto e conservato; per il Reuss, invece, cotesti non sarebbero che dei sunti, i quali Luca stesso avrebbe fatto di quei discorsi, venuti non si sa esattamente come a sua conoscenza. E quando si pensi che il più lungo di cotesti discorsi conservatici nel libro dei Fatti non avrebbe durato, così com'è, neppur cinque minuti, il che non era nelle abitudini dei predicatori Atti 2:40; 20:7, e non avrebbe davvero bastato a contentare un uditorio poco preparato a ricevere delle idee più o meno

nuove, quando, dico, si pensi a tutto questo, l'idea del Reuss non è da sprezzarsi.

Accettiamola dunque pure, se il lettore crede, cotesta idea del Reuss; il fatto sempre rimane, che l'opera della ispirazione divina è evidente in cotesti sunti dell'autore; che tutti quanti cotesti discorsi rispondono in modo mirabile alla condizione delle cose, in mezzo a cui furon pronunciati; tutti quanti sono in armonia col carattere degli individui che li dissero; non uno fra tutti, urta contro i fatti ai quali sono intesi a dar vita; ed invano l'esegesi e la critica s'affannano a cercare in qualcuno d'essi i risultati della riflessione subbiettiva d'un narratore che parla di suo, senza essere "sospinto dallo Spirito Santo" 2Pietro 1:21

Lo scopo

6. Lo scopo

Più difficile del problema delle fonti è il problema dello scopo che Luca si prefisse, scrivendo il nostro libro.

Il Crisostomo vede nei Fatti "una dimostrazione della risurrezione"; Martino Lutero ci vede un commentario delle lettere di San Paolo, scritto per illustrare la dottrina della giustificazione per fede; l'Eichhorn, una storia delle missioni intese a propagare il cristianesimo; il Lekebusch vi scorge un continuo compimento della promessa: "Voi riceverete forza quando lo Spirito Santo scenderà su voi, e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino alle estremità della terra" Atti 1:8; il Grozio, una descrizione biografica dell'opera dei due apostoli principali, Pietro e Paolo; e il Baumgarten sostiene che Luca, nei Fatti, ebbe in mira lo stesso scopo di quando scrisse l'evangelo; lo scopo, cioè, di dimostrare che Gesù Cristo, il Salvatore, non insegna soltanto una dottrina, ma compie degli atti salutari; e la differenza fra il Vangelo ed i Fatti, per il Baumgarten,

è questa; che nel Vangelo, Luca descrive il Salvatore terreno; e nei Fatti, il Salvatore risorto ed asceso alla destra del Padre.

Tutto questo è bello e interessante, ma non risolve il problema dello scopo del libro; quindi è che, per risolverlo, è necessario che facciamo qualche ulteriore ricerca.

Luca volle egli scrivere una vera e propria storia degli apostoli? Volle egli scrivere una vera e propria storia della Chiesa del secolo apostolico? O dobbiam noi considerar l'autore come un candido cronista di nient'altro preoccupato che di raccogliere i suoi materiali, di ordinarli e di tramandare ai posteri dei grandi ricordi? Oppure, volle egli far servire la sua esposizione dei fatti alla rivendicazione di un qualche principio? Luca, cioè, ebbe egli uno scopo tutto speciale, che a noi spetterebbe di scoprire sia nella scelta dei fatti ch'egli tesoreggia, sia nel colorito ch'ei da a cotesti fatti medesimi?

Queste domande fa la critica moderna, ed a queste domande bisogna rispondere.

Che Luca non ebbe l'idea di scrivere una vera e propria storia degli apostoli, è chiaro da quello che ho esposto parlando del titolo; e non tornerò quindi più su cose già dette.

Che Luca non ebbe l'idea di scrivere una vera e propria storia della Chiesa cristiana del secolo apostolico, è pur chiaro ed evidente. In un certo modo, c'è del vero nel dire che Luca fece opera di storico in cotesto senso; perché sopprimete il libro dei Fatti, e ditemi un poi quel che sapremmo di questi due avvenimenti così importanti del primo periodo della storia ecclesiastica; voglio dire, della evangelizzazione del mondo pagano e della separazione della Chiesa dalla Sinagoga; e ditemi un po' con qual pagano criterio

potremmo dare il loro giusto valore alle innumerevoli tradizioni leggendarie relative al secolo apostolico, che affollarono tanto di buon'ora la Chiesa cristiana: e ditemi un po' quanti enigmi avremmo, disperatamente indecifrabili nelle lettere di Paolo; e ditemi un poco a quante nozioni false od incomplete relativamente alla evoluzione delle idee e dei fatti del cristianesimo primitivo saremmo condotti, quando, mancando il ricordo storico degli avvenimenti, fossimo ridotti a dipendere unicamente dalle teorie. Malgrado tutto questo, niuno vorrà sostenere che abbiamo nei Fatti una vera, propria e completa istoria della Chiesa del secolo apostolico. Per esempio. Molto prima della distruzione di Gerusalemme, esiste a Roma una comunità cristiana; e la dev'essere stata assai importante, se Paolo le invia la più lunga delle sue lettere, e se la sceglie come a nuovo centro della propria attività apostolica. Or quali furono le origini di cotesta comunità che la leggenda dice fondata da Pietro? Quale speciale tendenza aveva il cristianesimo dei convertiti romani? I Fatti non ne dicono nulla. E lasciamo pure andare le incerte ombre che avvolgono le origini delle due lettere ai Tessalonicesi, i ripetuti viaggi di Paolo a Corinto, il numero delle lettere spedite alla chiesa corinzia, le questioni cronologiche che suscitano i testi della lettera ai Galati, la missione di Creta, i viaggi di Tito e di Timoteo, le relazioni dell'apostolo con l'interno dell'Asia proconsulare (Colossesi 2:1 ecc.), il processo di Roma 2Timoteo 4:16; lasciamo pure andare tutto cotesto: ma quanti altri fatti ci sono, di cui troviamo nelle lettere dei fuggevoli accenni (2Corinzi 11:23 e seg.; Romani 15:19; 16:3 e seg.; Galati 2:11 e seg.), e che ci sono del tutto ignoti! - Evidentemente, Luca, redigendo i suoi Fatti, non ebbe l'idea di tramandarci una vera, propria e completa istoria della Chiesa del secolo apostolico; se tale fosse stato il suo scopo, bisognerebbe dire che la sua storia lascia davvero molto a desiderare.

Volle forse Luca far servire la sua esposizione dei fatti alla rivendicazione di un qualche principio? Ebb'egli cioè qualche scopo speciale che si tratterebbe di scoprire sia nella scelta dei fatti ch'egli tesoreggia, sia nel colorito ch'egli dà a cotesti fatti medesimi?

Vediamo. - Nel 1798 il Dott. Paulus attirò l'attenzione degli studiosi su certi lineamenti del libro, che a lui pareano indicare che l'autore mirava a difender Paolo dai velenosi attacchi dei giudaizzanti. Quarantatré anni dopo, lo Schneckenburger elaborava cotesta idea e sosteneva che, nella prima parte del libro, Pietro è presentato come il precursore di Paolo; mentre nel resto, Paolo è presentato come l'apostolo che, per molti rispetti, s'accosta a Pietro. Il Baur spinse l'idea anche più in là; e cercò di provare che lo scopo di cotesto avvicinamento dei due grandi apostoli era scopo conciliativo, inteso a metter d'accordo le due parti giudaica e pagana della Chiesa. Ed ecco lo Zeller, che accetta la teoria del Baur e dice che fra l'insegnamento di Paolo e quello di Pietro e degli altri primi apostoli c'era una differenza enorme; che cotesta differenza crebbe fino a raggiungere tali dimensioni, da formare addirittura due chiese, che presentavano due tipi antagonistici di cristianesimo; che subito dopo l'età degli apostoli si cercò di comporre alla meglio cotesta differenza; e che il libro dei Fatti, scritto verso il 120, fu uno dei tentativi meglio riusciti per arrivare ad una conciliazione. Secondo il concetto dello Zeller, il libro dei Fatti, scritto da un cristiano uscito dalle file del paganesimo, farebbe delle grandi concessioni al giudaismo per accaparrarsi la simpatia dei giudeo-cristiani. - Quindi, vedete, dice lo Zeller, come lo scrittore vi presenta Paolo in buone relazioni con gli apostoli di Gerusalemme, e come si rivolge a loro quando si tratta della questione giudeo-cristiana! Vedete come Paolo è presentato, in varie occasioni, ligio alla legge giudaica; quando circoncide Timoteo, quando si taglia i capelli, quand'osserva le feste giudaiche! Vedete come lo scrittore descrive minutamente l'accettazione d'un pagano nella Chiesa! E notate il parallelo che è stabilito fra Pietro e Paolo! Se il primo atto di guarigione che Pietro compie è la guarigione di uno storpio alla porta del tempio, anche il primo atto di guarigione di Paolo sarà quello d'uno storpio a Listra; se Pietro è liberato miracolosamente dal carcere in Gerusalemme, anche Paolo sarà miracolosamente liberato dal carcere a Filippi; se Pietro fulmina Anania e Saffira, anche Paolo colpirà di cecità il mago Elima; se Pietro risuscita Tabita, anche Paolo risusciterà Eutichio. Questo parallelismo concludono il Baur, lo Zeller e le loro scuole, non può essere della storia autentica; questi son fatti manipolati in modo da stabilire tali relazioni fra Pietro e Paolo, che menino alla conciliazione di due partiti, che nella Chiesa si guardano in cagnesco.

Piano a' ma' passi. Se veramente lo scrittore avesse avuto in mira la conciliazione fra i giudei e gli etnico-cristiani, è egli credibile ch'egli avrebbe da un capo all'altro del suo libro messo in tanta evidenza l'incredulità dei Giudei? È egli credibile che se lo scopo dello scrittore fosse stato quello di nascondere il più possibile tutto quello che poteva accentuare la distinzione fra i giudeo e gli etnico-cristiani, è egli credibile che in un punto storico eminentemente critico lo scrittore avrebbe posto in evidenza la gelosia che la condotta di Paolo destava in molti giudei, e che avrebbe messo in bocca agli anziani di Gerusalemme delle parole come queste: - "Tu vedi, fratello, quante miriadi di giudei ci sono che credono e son tutti zelanti della legge"? - A rispondere a quest'obiezione, il Baur dice che lo scrittore, qui, "s'è dimenticato della sua parte". Ma quest'argomento che fa dimenticare allo scrittore la sua parte nel momento storico in cui proprio era impossibile ch'ei se ne dimenticasse, diciamolo pure; è argomento disperato. Ed è egli credibile che lo scrittore d'un romanzo storico del secondo secolo che desiderava di accaparrarsi la simpatia dei giudeo-cristiani, si occupasse così poco del progresso del giudeo-cristianesimo e richiamasse l'attenzione di tutti quasi esclusivamente sul progresso della Chiesa uscita dalle file del paganesimo?

La scuola critica moderna modifica la teoria del Baur e rifiuta parecchie delle conclusioni di lui. Così fa lo Schenkel. L'Overbeck respinge la teoria dello Zeller ed esprime l'opinione che il libro dei Fatti è il tentativo di un etnico-cristiano inteso a giustificare la parte della Chiesa a cui appartiene, ed a mostrare che il cristianesimo uscito dalle file del paganesimo è il frutto legittimo del cristianesimo dei primi apostoli e non creazione di Paolo.

Questo punto di vista si avvicina al vero. Il nostro libro, infatti, mostra il paulinismo ed il cristianesimo etnico quali frutti legittimi del cristianesimo dei primi apostoli; ma se lo scopo speciale ed esclusivo dello scrittore fosse quello di spiegare e di giustificare il cristianesimo etnico, è cosa dubbia.

Forse, diciamo col Dods, forse, dopo aver fantasticato vari scopi che l'autore avrebbe vagheggiati, il meglio che i critici possano fare, è di attenersi a quello che Luca stesso dice del suo intento. Luca, e lo dice egli stesso (Atti 1:1-8), volle narrare come andò che l'opera iniziata dal Signore nel modo ch'egli narrò nel Vangelo, si diffuse gradualmente nel mondo. Ei mirò a raccontare come il Cristo fu predicato ed accettato, prima, in Gerusalemme; poi, nella Giudea; poi, nella Samaria, e finalmente in tutto il mondo (Atti 1:8). Sono come delle onde, che più s'allargano quanto più si scostano dal centro. Naturalmente, l'autore giustifica l'opera di Paolo; e da buono storico mostra che ogni larga onda d'influenza evangelica è, il prodotto d'un'onda di prima; dimostra insomma che il progresso della Chiesa non fu per opera di rivoluzioni, ma piuttosto di evoluzione. Amico e compagno egli stesso di Paolo, e scrivendo per la istruzione d'un convertito dal paganesimo, era inevitabile ch'ei s'intrattenesse con cura speciale su quei fatti e su quegli incidenti relativi al progresso della Chiesa, nei quali avea preso qualche parte; ma egli non limita la sua narrazione ad un aspetto solo del cristianesimo. Ei non accenna a tutte le vie per le quali, trionfando, la santa influenza del cristianesimo penetra nel mondo; ma segue le orme di Paolo, che lo conducono per la via, più di tutto gloriosa ed importante. E gli è così che, dando la vera narrazione del progresso della Chiesa, egli giustifica il cristianesimo etnico.

La data

7. La data

La data dei Fatti è stata molto discussa. Le principali conclusioni a cui si è giunti, relativamente a questo problema, si possono ridurre a tre.

1) La conclusione dei critici della scuola di Tubinga, che fanno scendere cotesta data fra il 120 e il 130; ma è opinione degli ipercritici, che basano i loro argomenti su dei dati interni, i quali non sono sufficientemente provati e non posson quindi servir di base sicura a determinare la data del libro.

2) La conclusione dei critici che sono agli antipodi della scuola di Tubinga, è che i Fatti furono scritti fra il 64 ed il 70. Essi ragionano così. Paolo fu condotto a Roma prigioniero nel 61 o nel 62, e fu tenuto in carcere per due anni. Nel 64 avvenne l'incendio neroniano di Roma, che diè luogo alla prima persecuzione di cui parlano anche Tacito (Annali 15, 44) e Svetonio (Nero, 16). Se Paolo fu messo in libertà dopo la sua prigionia di due anni, ei dev'essere uscito di carcere verso la fine del 63 o verso il principio del 64. Se fu tenuto in carcere, ei fu probabilmente uno dei primi a soffrire il martirio. In ogni modo, Paolo fu liberato od ucciso il 64, e la maniera con cui Luca si esprime parlando di cotesta prigionia Atti 28:30-31, sembra implicare che quando egli scriveva, le condizioni dell'apostolo erano mutate. E quindi probabile che il libro fosse scritto verso la fine della prigionia di Paolo a Roma: vale a dire, fra il 63 e il 64. Comunque sia, molti di questa scuola ritengono che il libro dovesse essere finito prima del 70; e si fondano sul fatto, ch'ei non fa menzione della distruzione di Gerusalemme, che avvenne appunto in cotest'anno.

3) Il Lekebusch, l'Ewald, il Lechier, il Bleek ed altri credono che la data della redazione del libro non possa essere anteriore all'80. Il segreto della data è senza dubbio nella fine improvvisa del libro stesso; e siccome cotesta fine non si può spiegare in modo sicuro, così la data sarà sempre incerta, e sarà sempre impossibile il determinarla con precisione. Chi fissa la data all'80 o giù di lì, ha in suo favore un accenno d'Ireneo (120 o 140-202) che è senza dubbio d'un grandissimo valore storico. Ireneo dice che "Luca scrisse il suo vangelo dopo la morte di Pietro e di Paolo". Or il vangelo, che è il primo volume dell'opera di Luca, fu scritto, secondo il Meyer, il Bleek, il Reuss e tanti altri, dopo il 70. Il Renan, esagerando un po' le cose, dice che tutti oramai ammettono che l'Evangelo di Luca fu scritto dopo il 70. Se l'evangelo, ossia il primo volume dell'opera, fu scritto, come il Reuss crede d'aver dimostrato in modo certo e positivo, dopo il 70, il secondo volume dell'opera stessa, che è il volume dei Fatti, dev'essere stato scritto dopo; quanto dopo, non si può stabilire; ma dopo, senza dubbio. E poichè per ragioni che non importa qui vagliare è impossibile di attribuire al libro una

data posteriore all'80, si potrebbe concludere ch'ei fu scritto fra il 70 e l'80. Il silenzio del libro sulla morte di Paolo e sulla distruzione di Gerusalemme, che, stando a questa data, erano già avvenute quando Luca scrisse, è un silenzio che non mena decisamente alla conclusione che Luca deve avere scritto il suo libro prima che cotesti fatti fossero successi: è un silenzio che può aver avuto altre, e parecchie e plausibili ragioni.

Il luogo di redazione

8. Il luogo di redazione

Dov'è che Luca scrisse i Fatti? A questa domanda si risponde variamente. Il Baur e lo Zeller rispondono: a Roma. Il Koestlin, invece, seguito dall'Overbeck, dice: nell'Asia minore; e forse, ad Efeso. La Chiesa antica opinava che Luca avesse scritto il suo libro a Roma; e il più dei critici moderni è di cotesta medesima opinione, che sembra avvalorata da questo fatto; che mentre ciò che si riferisce alla Palestina Atti 1:12; 23:8, alla Macedonia Atti 16:12, ad Atene Atti 17:21 ed a Creta Atti 27:8,12,16 è descritto nel libro con una certa cura, tutto quello che si riferisce a Roma non è descritto, ma è supposto sufficientemente conosciuto.

Letteratura

LETTERATURA

Fra gli autori che ho consultati e che possono esser consultati con profitto da chi studia il libro dei Fatti, sono da citarsi in modo tutto speciale: i Padri, Martino Lutero, il Calvino, il Beza, il Grozio, il Bengel, il Baumgarten, Matthew Henry, lo Scott, l'Olshausen, lo Schleiermacher, il De Wette, il Meyer, il Lechler, lo Schneckenburger, il Neander, il Wieseler, il Lange, il Barnes, il Baur, lo Zeller, l'Eckermann, l'Ewald, il Bruston, l'Overbeck, lo Schaff (Gesch. der ap. Kirche), il Reuss (La Bible), il Renan (Les Apótres),

il Dodds (Introduction to the N. T.), il Weiss, il Plumptre, l'Ellicott, il Lumby, il Lindsay, il Barde.

Avvertenza

AVVERTENZA

La traduzione che presento al benevolo giudizio del lettore, è traduzione nuova del testo greco dell'ottava edizione tischendorfiana (Octava critica major), che dà una lezione appurata per via di ricerche recenti; la traduzione che il lettore troverà in capo ad ogni pagina del commento [nella versione stampata - n.d.r.], è quella del lucchese Giovanni Diodati, secondo la edizione fiorentina del 1894, che fu diligentemente confrontata con la edizione del 1641, ed in alcuni punti lievemente ritoccata.

Romani

Romani - Prefazione

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Nella prefazione alla prima edizione di questo Commento (uscita nel 1896) si leggono queste parole: «Lo studio delle S. Scritture è la indispensabile preparazione di chi è chiamato a spezzare il pane della verità salutare nelle famiglie, nelle scuole e nelle chiese. D'altra parte, il crescere nella conoscenza della Parola di Dio è condizione di ogni sano svolgimento della vita spirituale in ogni singolo credente. Per guanto possano esser dilettevoli altre letture l'anima cristiana ha bisogno, per vivere, del cibo sodo della Parola di Dio che deve abitare in noi doviziosamente».

Gli Editori di questa seconda edizione sono mossi anch'essi da quella stessa convinzione, e mirano ad aiutare coloro che amano la verità ad intender

sempre meglio lo scritto ispirato che il grande Apostolo dei Gentili mandava alla primitiva chiesa di Roma.

La prima edizione di questo Commento, per varie ragioni, era stata contenuta entro i limiti ristretti di un centinaio di pagine; e molti lettori si dolevano di tale eccessiva brevità, dato la grande importanza dottrinale e pratica di questa epistola, dell'Apostolo delle genti.

La nostra Commissione esprime pertanto la sua viva riconoscenza al prof. Enrico Bosio, D. D., per essersi mostrato disposto a ritornare sul suo antico lavoro, per dare una seconda edizione ampliata e completata. E lo è stata nell'introduzione, nelle note esegetiche e specialmente nelle Riflessioni giovandosi l'autore di alcuni dei lavori più recenti sull'Epistola.

Voglia Iddio accompagnare il presente volume colla sua benedizione.

Torre Pellice,1930.

LA COMMISSIONE VALDESE DELLE PUBBLICAZIONI

Romani - Le epistole di S. Paolo

INTRODUZIONE

1. Le epistole di S. Paolo

L'ordine tradizionale in cui sono disposti i 27 libri del Nuovo Testamento risale alla fine del quarto secolo; ma lo si trova già abbozzato nel frammento detto il Canone di Muratori (Bibl. Ambrosiana di Milano) che risale all'ultimo quarto del secondo secolo.

In un primo gruppo abbiamo i cinque Libri Storici del N. T. (i quattro Vangeli e gli Atti). Il secondo gruppo comprende le tredici Epistole di Paolo. Il terzo gruppo abbraccia l'Epistola agli Ebrei (anonima), le, sette Cattoliche e l'Apocalisse. Le Epistole di Paolo, conservateci dalla Chiesa primitiva, differiscono non poco tra loro quanto a lunghezza e ad importanza; e non furono dapprima, nè sono ora, disposte secondo l'ordine del tempo in cui sono state dettate. Precedono le nove Epistole dirette a varie chiese; seguono le quattro dirette a singoli collaboratori dell'Apostolo (Timoteo, Tito, Filemone). Stando alla cronologia adottata oggi dai più, le prime lettere di Paolo sono le due ai Tessalonicesi che risalgono all'anno 51 o 52 e sono i libri, più antichi dell'intero N. T. Entro il decennio che corre dal 50 al 60, sono da collocare inoltre l'Epistola ai Galati, le due ai Corinzi e quella ai Romani. Le altre appartengono al decennio seguente.

Tutte queste lettere, quale più quale meno, sono scritti d'occasione strettamente connessi coll'opera missionaria dell'Apostolo dei Gentili. Il crescere dei suoi figli spirituali nella conoscenza e nella vita cristiana gli stava talmente a cuore da portarlo non solo a pregare di continuo per loro, ma a visitarli quando poteva, a informarsi del loro stato, a scrivere loro sia per rallegrarsi dei loro progressi, sia per rispondere a qualche loro domanda di consiglio, sia per correggere errori od abusi, od anche per censurar disordini introdottisi nelle chiese, sia per dare ai suoi collaboratori delle direzioni circa il modo di organizzare: e reggere le comunità cristiane.

Nel compiere un'opera così varia ed estesa, l'Apostolo è tratto a ricordare, a completare e anche ad esporre in modo più sistematico il suo insegnamento dottrinale, morale ed ecclesiastico. S'intende quindi facilmente come le chiese primitive abbiano raccolto piamente e tesoreggiato siffatti scritti, nati sotto il soffio dello Spirito, ritenendoli atti a servir di norma alla Chiesa cristiana di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Le Epistole furono infatti, in un cogli altri libri del N. T., lette nel, culto della Chiesa antica accanto agli scritti dei profeti; i Padri se ne nutrirono e ne raccomandarono con insistenza la lettura ai fedeli, rendendole accessibili a tutti con delle traduzioni e dei commenti. L'ignoranza quasi completa del loro contenuto corrisponde ai periodi della più profonda decadenza della Chiesa, ed è gloria grande della Riforma l'averle rimesse in luce e restituite al popolo

cristiano, così com'è sintomo fin troppo significativo del moderno cattolicesimo la ripugnanza a volgarizzarle e ad inculcarne la lettura ai fedeli. La pia Società di S. Gerolamo ha volgarizzato in italiano e diffuso i Vangeli e gli Atti, ma s'è arretrata dinanzi alle Epistole.

E sì che, tra le Epistole di Paolo, la prima in ordine da tempo si chiude coll'ingiunzione di far si che l'Epistola sia letta a tutti i fratelli 1Tessalonicesi 5:27; e la prima per importanza è appunto rivolta ai cristiani di Roma, capitale allora dell'Impero e capitale ora del Regno d'Italia.

Romani - Roma all'epoca della Lettera ai Romani

2. Roma all'epoca della Lettera ai Romani

Nei primi mesi dell'anno 59 o 58 dell'era cristiana, giungeva in Roma la diaconessa Febe, portatrice di quel tesoro inestimabile che si chiama l'Epistola di Paolo ai Romani.

Che cos'era Roma in quel tempo?

Se seguiamo la pia donna di Cencrea mentre, in compagnia di una guida benevola, essa si reca sull'alto del Campidoglio, potremo forse farcene un'idea.

Tutto intorno a questo centro, si estende la «città dei sette colli». Ecco, dalla parte del settentrione, il Quirinale, poi sulla destra, volgendo a levante, il Viminale, l'Esquilino, il Celio. Dalla parte di mezzogiorno ecco l'Aventino, e, laggiù in fondo, tra i due ultimi colli, la porta Appia per cui entrerà in Roma, tre anni più tardi, l'apostolo Paolo. Più vicino, ecco il Palatino coi grandiosi palazzi dei Cesari. Se poi ci volgiamo ad occidente, scorgiamo il Tevere giallo che serpeggia dal nord al sud, ed al di là, il Monte Gianicolo appiè del quale sta il quartiere assegnato da Augusto agli Ebrei, il cui numero è variamente stimato: dai dieci ai trentamila. Più a destra, dal Tevere fino al poggio Vaticano, si estendono gli splendidi giardini di Caligola e di Nerone, come pure il Circo Neroniano. In questi stessi luoghi

periranno, nel 64, molti cristiani, divorati dalle fiere od arsi in abiti impeciati.

La città, che conta oramai otto secoli di esistenza, offre un sorprendente contrasto di splendore e di miseria. A vedere i palazzi i numerosi templi, i colonnati di marmo, le innumerevoli statue, gli acquedotti, le terme il lusso dei ricchi, c'è da restare, abbagliati; ma se si guarda all'intricata rete delle vie torte e strette, ove, in case alte, vive densa una popolazione che si fa salire a un milione e duecentomila anime; se si considera che una metà è composta di schiavi trattati come cosa del padrone e che, fra i liberti, un gran numero non vive che, di elargizioni patrizie o imperiali, l'impressione viene facendosi più triste. Accanto a tanto sfoggio di ricchezza riesce più penoso lo spettacolo di si profonda miseria.

Dopo essere stata, per due secoli, la capitale di un piccolo regno, e, per cinque altri secoli, il centro di una potente repubblica, Roma è da più di cent'anni alla testa del vasto Impero che si estende dalla Spagna fino alla Siria ed all'Egitto, e dall'Africa fino alla Bretagna ed alla Germania. Dopo il grande Cesare Augusto Luca 2:1, si sono succeduti sul trono imperiale Tiberio Luca 3:1; A. D.14, Caligola (nel 37), poi il lionese Claudio (nel 41; cfr. Atti 11:28), malaticcio e timido, sotto al quale Atti 18:2 è avvenuta, nel 51 o 52, una temporanea espulsione di una parte dei Giudei da Roma. Avvelenato costui da Agrippina, gli è succeduto, nel 54, un giovanetto biondo di diciassette anni, dagli occhi cerulei, dai gusti artistici e che però, quando morrà a trentun anno, nel 68, tramanderà alla storia il nome esecrato di Nerone. Nell'anno, in cui siamo, egli non si è ancora macchiato dei, suoi più orrendi delitti; ma già lo inebbria l'autorità assoluta di cui gode. Egli infatti concentra in sè tutti i poteri, essendo ad un tempo capo dell'esercito, censore, principe del Senato, tribuno, prefetto dei costumi, console e perfino sommo pontefice. Nel 64, egli farà appiccare il fuoco alla città per godersi uno spettacolo artistico e riverserà poi sui cristiani l'odiosità del suo misfatto.

Quella rotonda massiccia che si scorge nella parte bassa d'ella città, verso il nord-ovest, ci fa intendere qual sia lo stato religioso di Roma. È il Panteon, costruito sotto Augusto, a spese del suo genero M. Vips. Agrippa, il tempio

ove si accolgono, con uguale indifferenza, tutti gli dei. Segno che la società è satura di scetticismo e che Pilato ne ha espresso l'amaro disinganno quando ha esclamato: «Cosa è verità?». I filosofi sono epicurei per i quali l'ideale della vita è un perpetuo convito, o stoici secondo i quali, nel mondo, tutto è cieco destino. Il loro illustre rappresentante, Seneca, scrive, in questo giro di anni, le sue opere più famose, inculcando principi di umanità e di benevolenza che potranno preparar la via al cristianesimo nella classe colta. Ma nel popolo sono spariti la fierezza del carattere e gli austeri costumi dei secoli andati; e la sete di piaceri e di sangue è diventata la passione dominante. Senza un lievito potente e divino che lo penetri di nuova virtù, il mondo antico sarà preda della dissoluzione. Ma questo lievito già è all'opera nella vecchia Roma.

Romani - La Chiesa di Roma

3. La Chiesa di Roma

Poco possiamo dire intorno alla fondazione della chiesa cristiana di Roma. I suoi principi dovettero essere umili come quelli della sua sorella d'Antiochia Atti 11:20-21. Certo non è attendibile la tradizione riportata da Eusebio, secondo la quale l'apostolo Pietro sarebbe venuto in Roma nel 42 e vi sarebbe quindi rimasto alla testa della chiesa per uno spazio di venticinque anni, fino alla sua morte. Antiche testimonianze conducono a credere che Pietro abbia infatti subito in Roma il martirio; ma tutto porta ad escludere ch'egli abbia avuto parte alla fondazione ed alla direzione della chiesa della capitale prima della morte di Paolo. Nel 51 lo troviamo in Gerusalemme col sentimento dell'obbligo suo speciale di evangelizzare i Giudei Atti 15; Galati 2:7-10. Nel 58 o 59, l'Epistola di Paolo ai Romani non offre la minima traccia della presenza di Pietro in Roma, nè di una qualsiasi opera da lui compiuta in Occidente. Negli anni che seguono, troviamo Pietro in Babilonia e scrive ai cristiani dispersi in Asia Minore 1Pietro 5:13; 1:1; 2Pietro. Luca narra dell'arrivo e della dimora di Paolo in Roma, ma non dice una parola di Pietro Atti 28:15-16,30-31. Nelle epistole scritte da Paolo durante la prima come durante la seconda prigionia che egli ebbe a subire in

Roma (62-63 e 67?), nessuna menzione di Pietro Cfr. specialmente Filippesi, 2Timoteo. Dinanzi a tanta evidenza, si sono arresi anche gli scrittori cattolici più imparziali.

L'unica bricciola di verità in questa tradizione potrebbe essere la conversione di alcuni avveniticci Romani, giudei o proseliti, in Gerusalemme, mediante la predicazione di Pietro alla prima Pentecoste Atti 2:10. Costoro, tornati a Roma, hanno potuto essere il primo germe della Chiesa. Alle discussioni vivaci provocate da loro nella Sinagoga di Roma mentre parlavano di Gesù come del Messia promesso ai padri, si connetterebbe l'editto di Claudio 50-52 il quale, secondo Svetonio, «espulse da Roma i Giudei che non cessavano dal tumultuare, sotto l'impulso di Chresto, impulsore Chresto». Questo Chrestus non sarebbe un agitatore politico, ma una erronea designazione di Cristo, il cui nome ora mescolato alle dispute sinagogali. Sono queste, però, delle semplici supposizioni, senza alcuna certezza storica, e che mal si conciliano coll'ignoranza in cui paiono essere, circa il cristianesimo, i capi dei Giudei all'arrivo di Paolo in Roma Atti 28:21-28

Checchè ne sia dello spuntare della pianta, certo si è che a darle accrescimento furono i molti discepoli e collaboratori di Paolo, i quali dall'Oriente venivano man mano a stabilirsi a Roma. Il cap.16 contiene i nomi di molti di loro.

Quanto alla composizione della Chiesa, tutti ammettono che fosse formata di elementi giudei e pagani (cfr. Romani 9:24). La questione sta nel determinare quali di questi fossero in prevalenza. Se si guarda al modo in cui Paolo si rivolge alla Chiesa nel suo insieme Romani 1:6 «fra i quali (Gentili) siete ancora voi»; Romani 11:13: «dico a voi Gentili Romani 11:17: «tu che sei per natura ulivastro» Romani 11:28-30: «ben sono essi (i Giudei) nemici, per cagion di voi (Gentili) se si considera che Paolo giustifica la lettera che egli rivolge ai Romani allegando l'ufficio suo di Apostolo delle Genti Romani 1:5-7,14-15;15:14-16; cfr. Romani 16:25-27, se ne può con certezza dedurre che la gran maggioranza dei cristiani di Roma fosse di provenienza etnica ossia pagana.

Sullo stato della Chiesa di Roma al momento in cui Paolo le rivolse la sua lettera, noi non possediamo altri dati all'infuori di quelli desunti da questo stesso documento. I membri che la compongono, sparsi per le quattordici regioni della città, formano diversi gruppi che tengono speciali raunanze di edificazione in varie case private (cfr. Romani 16:5,14-15). Come a Corinto, vi sono senza dubbio, a quando a quando, delle raunanze generali. Da Romani 12:4-8 e da Romani 16: si può dedurre che la Chiesa possedesse delle persone fornite dei doni necessari all'insegnamento, al governo interno ed all'esercizio della beneficenza. Fino a qual punto fosse dotata di una vera e propria organizzazione, non si può determinare in modo più preciso.

La Chiesa è animata di fede viva e sincera che riempie di consolazione i credenti dell'Oriente a cui è giunta la lieta notizia (cfr. Romani 1:8; 16:19). Paolo è persuaso ch'essi sono pieni di bontà, ripieni d'ogni conoscenza, capaci anche di ammonirsi a vicenda Romani 15:14), ma brama di vederli raffermati nell'Evangelo Romani 1:11; 16:25

In seno alla fratellanza regna la pace. Finora, nessun seminatore di zizzania è venuto a creare dissensi dottrinali e scissure Romani 16:17. Vi sono i deboli e i forti nella fede Romani 14; ma tutti, ubbidiscono di cuore all'Evangelo della grazia che è stato loro annunziato Romani 6:17; 16:19; talchè, nelle cose secondarie, basteranno la mutua tolleranza e la carità a mantenere saldo il legame fraterno.

Con questo, è arra di futura prosperità l'attività che vanno spiegando a gara i fratelli e le sorelle, a seconda delle diverse loro attitudini (cfr. Romani 16

Romani - L'integrità dell'epistola

4. L'Epistola ai Romani

A) L'INTEGRITÀ DELL'EPISTOLA

Nessun critico serio, per quanto negativo, ha mai osato mettere in dubbio che l'apostolo Paolo sia il vero Autore di tutte le parti della Lettera ai Romani. I dubbi, sorti fin dalla prima metà del secolo scorso, riguardano l'integrità dello scritto quale ci è pervenuto. Secondo alcuni critici, l'epistola destinata ai cristiani di Roma doveva terminare, in origine, colla fine di Romani 15, ove si legge un saluto che par finale: «Or l'Iddio della pace sia con tutti voi. Amen». Il cap. Romani 16 sarebbe stato un biglietto separato destinato alla chiesa di Efeso ed appiccicato poi, per non si sa quale strano caso, al testo dell'Epistola ai Romani.

E si fa notare che, già nel secondo secolo, Marcione sopprimeva i capitoli Romani 15-16: e che un 200 manoscritti corsivi, nonchè l'«unciale Codex angelicus» (nono secolo), collocano la dossologia finale Romani 16:25-27, alla fine del cap. Romani 14 e questi sarebbero indizi che, in origine, i due ultimi capitoli non facevano parte dell'Epistola. Se non che, è noto pure come l'eretico Marciane si prendesse, di suo arbitrio, ben altre libertà cogli scritti del N. T., mutilandoli o rigettandoli secondo che si accordavano o meno col suo sistema. Nella nostra stessa Epistola egli sopprimeva i capitoli 4 e 9: quasi tutto il 10 e l'intero 11. La trasposizione della dossologia alla fine del cap. 14 si spiega più naturalmente quando si rifletta che la parte dottrinale e morale dell'Epistola è quasi terminata colla fine del 14 e che i due ultimi capitoli potevano quindi ritenersi meno utili per la lettura pubblica e privata. Diciamo quasi terminata, giacchè in realtà l'esortazione a sopportare i deboli nella fede continua fino al Romani 15:13, e il troncarla col Romani 14:23, appare sempre cosa arbitraria, dovuta probabilmente alla circolazione che ebbe in Roma il canone mutilato di Marcione. Ad ogni modo, tutti i MSS. unciali (salvo 50) contengono il testo dell'Epistola quale l'abbiamo e così pure le antiche versioni ed i nove decimi dei codici minuscoli che sono posteriori al 19simo secolo. Non c'è nell'antichità cristiana il minimo accenno ad un dubbio qualsiasi relativo all'integrità della Lettera. Se il cap. XVI non ne avesse fatto parte, come spiegare che la chiesa di Roma abbia lasciato circolare un testo non rispondente all'originale e che quella d'Efeso (ex hypothesi) non abbia rivendicato il biglietto a lei destinato? Certo i casi fortuiti sono talvolta strani; ma questo della supposta appiccicatura d'un biglietto o d'un frammento di lettera ignota

e diretta altrove, alla lettera ai Romani, sarebbe stranissimo, se non addirittura incredibile.

Ma, si dice, è egli concepibile che Paolo, senza essere stato mai a Roma, conoscesse tanti cristiani in quella città e fosse informato delle loro circostanze? Facciamo notare che si tratta poi, in realtà, di ventisei persone, uomini e donne, di cui tra sono parenti suoi, dieci appartengono a cinque famiglie soltanto, e che altre sono portate dalle loro occupazioni a mutare spesso residenza. Ad esempio, troviamo Aquila e Priscilla nel Ponto, poi a Roma, a Corinto, ad Efeso e nuovamente a Roma. Ora, quando si tenga conto delle relazioni continue tra la capitale e le varie regioni dell'Impero, in ispecie colle metropoli del più vicino Oriente (relazioni, che spiegano la mescolanza di nomi ebraici greci e latini nel cap. Romani 16, nonchè nelle iscrizioni dei cimiteri romani); quando si tenga presente che Palo ha speso più di vent'anni della sua attività missionaria in Siria, in Asia Minore, in Macedonia, in Grecia e fino in Illiria, fondandovi un gran numero di chiese, è egli strano che alcune diecine di persone, quasi tutte da lui condotte alla fede ed avute come collaboratrici in una od in altra città, si trovino stabilite a Roma quali membri di una comunità cristiana che deve contare, nel 58-59, parecchie centinaia di persone, giacchè cinque anni dopo, Nerone penserà a gettar su loro la colpa dell'incendio della città, e Tacito, accennando ai cristiani fatti perire dal tiranno nel 64, parlerà di una ingens multitudo?

Inoltre, come nota il prof. Ern. Comba (Storia Lett. della Bib., quinto vol., p.64), a rifletterci bene, una lunga lista di nomi è più a posto qui che in una lettera rivolta ad una chiesa come quella d'Efeso, della quale Palo conosceva tutti, i componenti. Nelle lettere scritte da Paolo a chiese in cui s'era svolta la sua attività (1Tessalonicesi, Galati, Corinzi, Filippesi), non si trovano saluti personali; il saluto è, in esse, collettivo e s'intende di leggieri il perchè. Scrivendo invece ad una chiesa lontana, da lui non visitata finora, ma in cui si trovano dai cristiani da lui personalmente conosciuti altrove, è naturale che Paolo colga l'occasione per mandare loro un affettuoso saluto che sarà, in pari tempo, una raccomandazione alla chiesa di apprezzare degnamente cotali persone.

C'è di più. A guardare da vicino questo cap. Romani 16, non è possibile immaginare che abbia potuto essere un biglietto spedito da Paolo alla chiesa di Efeso. Abbiamo nel N. T. due letterine di S. Giovanni a singoli cristiani ed anche una di Paolo al suo diletto Filemone; ma questi biglietti rivestono una forma ben diversa da quello che si suppone destinato ad una chiesa come quella d'Efeso, che comincerebbe ex abrupto col raccomandare la diaconessa Febe, proseguirebbe con una serie di saluti da parte di Palo passerebbe quindi ad un avvertimento relativo ai giudaizzanti, per tornare ai saluti mandati da altra persone, e terminerebbe con una lunga e solenne dossologia. Si rilegga la lettera a Filemone e si vedrà come Paolo scriveva i suoi biglietti. E se si vuol chiamare il cap.16 un frammento di lettera paolina, si dovrà spiegare come mai, di quella ipotetica lettera, siasi conservata soltanto la parte meno importante e come questa parte siasi unita alla lettera ai Romani.

D'altronde, scrivendo agli Efesini, Paolo avrebb'egli avuto bisogno di apprendere loro che Prisca ed Aquila erano «suoi compagni d'opera» ed avevano esposto per la sua vita il proprio collo? o di far loro sapere che Timoteo era suo «compagno d'opera,», o che Epeneto era «la primizia dell'Asia» per Cristo? Perchè, in un semplice biglietto, un saluto solenne da parte di «tutte le chiese di Cristo» ad una chiesa di cui tra breve dovea vedere i conduttori a Mileto?

Se invece si considera il cap.16 quale ce lo presentano tutti i MSS. antichi, cioè come la chiusa epistolare della lunga lettera ai Romani, esso appare perfettamente conforme alla chiusa delle altre lettere dell'Apostolo, così per la forma scucita, frammentaria, come per la varietà del contenuto: raccomandazioni, saluti da parte dell'autore, brevi avvertimenti, voti, dossologia. E si comprendono le parole di lode aggiunte ai nomi delle persone salutate e l'allusione Romani 16:19 alla ben nota «ubbidienza» dei romani già da lui mentovata in Romani 1:8, ed il saluto trasmesso alla chiesa della capitale da parte delle chiese di Cristo a cui Paolo aveva avuto occasione di comunicare il suo proposito di spingersi, da ora innanzi, verso l'Occidente non ancora evangelizzato.

Romani - La data dell'epistola

B) LA DATA DELL'EPISTOLA

Dove e quando Paolo la scrisse egli?

Da quanto l'Apostolo comunica dei suoi piani nella chiusa della lettera Romani 15:14-16:2, si vede ch'egli è sul punto di partire per Gerusalemme onde portare a quella chiesa la colletta dei cristiani dì Macedonia e di Acaia. Raccomanda Febe diaconessa di Cencrea ch'è il porta orientale di Corinto, ed in quest'ultima città aveva, da Efeso, manifestato l'intenzione di passare l'inverno 1Corinzi 16:5-6

D'altra parte, risulta dagli Atti ch'egli, prima di partire per Gerusalemme, fece un soggiorno, di tre mesi in Grecia donde volea salpare direttamente per le coste della Siria, senonchè, le insidia dei Giudei lo costrinsero a riprendere la via della Macedonia coi delegati delle chiese (Atti 20:1-3. Alla Pasqua del 58 o 59 egli era di già a Filippi e desiderava giungere in Gerusalemme per la Pentecoste Atti 20:6,16

Tutto adunque porta a concludere che la lettera fosse da Paolo dettata all'amanuense Terzio Romani 16:22, nella città di Corinto e nei primi mesi dell'anno 58 o 59. Prevale oggigiorno, fra gli studiosi di cronologia, la tendenza ad anticipare di un anno o due la data della Lettera, fissandola al 58 od anche al 57.

Sono oramai trascorsi più di venti anni dalla sua conversione. Dal 37 al 44, egli ha lavorato nelle contrade dell'Arabia, della Cilicia e della Siria la cui capitale Antiochia possiede una chiesa fiorente. Due volte di già, ma per brevi giorni, egli ha riveduto la città ove ha studiato sotto Gamaliele Galati 1:18; Atti 9:26; 11:30. Dal 45 al 50, in compagnia di Barnaba, l'Apostolo ha compiuto un primo viaggio missionario in Cipro e nella parte meridionale dell'Asia Minore (Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe), poi ha dovuto recarsi a Gerusalemme per difendervi la libertà cristiana minacciata dai giudaizzanti Atti 13:1-15:35. Ripartito da Antiochia, nel 51, in compagnia di Sila, poi di Timoteo e d'altri ancora, egli ha evangelizzata, in un secondo

viaggio missionario, la Galazia, ed ha posto il piede in Europa, fondando le chiese di Filippi, di Tessalonica, di Berea, di Atene e di Corinto, per ricondursi nuovamente, nel 54, in Antiochia Atti 15:36-18:22. Gli anni 5558 o 59 sono stati quelli del suo terzo viaggio missionario, consacrato alla fondazione della chiesa di Efeso, nonchè al consolidamento dell'opera sua in Galazia, in Corinto ed in Macedonia, donde è penetrato fino all'Illirico. Oramai, l'Evangelo gli pare saldamente piantato nei centri importanti dell'Oriente dell'Impero e volge lo sguardo all'Occidente. Fortificata ch'egli abbia vieppiù la chiesa di Roma, che sarà la sua base di operazione nella evangelizzazione dell'Occidente, egli ha in animo di recarsi in Ispagna. Si può ben dire che la lettera ai Romani è già come un principio di esecuzione di questo grandioso piano.

Romani - Lo scopo dell'epistola

C) LO SCOPO DELL'EPISTOLA

Lo scopo non è quello troppo secondario di annunziare una prossima visita; non è quello di comporre dissidi che non esistevano in seno alla chiesa di Roma, nè di guadagnare all'Evangelo della grazia e della libertà chi vi era di già attaccato; bensì, quello stesso cui l'Apostolo mirava colla progettata sua visita. La chiesa di Roma non aveva ricevuto una istruzione cristiana sistematica; presto poteva essere assalita da falsi dottori; era importante quindi ch'essa fosse fortificata Romani 1:11; 16:25 nell'Evangelo mediante una comprensiva esposizione di esso quale la poteva dare il Dottore dei Gentili. Resa viepiù salda nella fede, la chiesa della capitale sarebbe in grado non solo di render vano l'attacco dei seduttori, ma di spargere intorno a sè la luce della verità salutare.

Romani - Il contenuto dell'epistola

D) IL CONTENUTO DELL'EPISTOLA.

A raggiungere il fine cui mira in questo suo scritto, Paolo, dopo un breve preambolo epistolare Romani 1:1-17, entra senz'altro nella trattazione del tema ch'egli stesso formula nel modo seguente: L'Evangelo potenza di Dio a salvezza per ogni credente Romani 1:16

Lo svolgimento del tema può compendiarsi in quattro punti principali che formano come le quattro parti del trattato.

1) L'evangelo è potenza di Dio a salvezza perchè rivela, nella fede in Cristo, l'unico mezzo con cui. l'uomo può uscire dallo stato di condannazione in cui giace per il suo peccato Romani 1:18-5:1

2) L'Evangelo è potenza di Dio a salvezza, poichè nell'unione del credente con Cristo, offre il mezzo con cui l'uomo giustificato può essere altresì affrancato dall'impero del peccato e della morte e fatto partecipe della vita eterna Romani 6-8

3) Nonostante l'attuale induramento d'Israele, l 'Evangelo ha da essere potenza di Dio a salvezza per esso e per tutte le nazioni della terra Romani 9-11

4) L'Evangelo della grazia dev'essere, in coloro che lo hanno ricevuto, il movente di una vita consacrata a Dio, che si esplica nell'adempimento dei vari doveri cristiani Romani 12:1-15:13

Quest'ultimo concetto viene svolto sotto forma di esortazioni pratiche a cui fa seguito la chiusa della lettera contenente comunicazioni personali, raccomandazioni e saluti Romani 15:14-16:27

Tale lo schema dell'Epistola che è stata chiamata «lo scritto il più profondo che esista». Lutero che l'aveva studiata a fondo, spiegata all'Università fin dal 1515 e che tanta consolazione ne aveva ricevuto, così ne scrisse: «Quest'epistola è veramente lo scritto principale del N. T. ed il più genuino evangelo, degno non solo d'esser mandato a memoria parola per parola, ma di diventare la giornaliera meditazione d'ogni cristiano, il pane quotidiano dell'anima sua. Essa non può esser mai troppo nè troppo accuratamente letta e meditata. Più ci diventa familiare e più la troviamo preziosa e ne

misuriamo tutta la profondità. Nelle sue pagine vediamo esposto ampiamente quello che un cristiano deve conoscere: cosa siano la legge, l'evangelo, il peccato, la condannazione, la grazia, la fede, la giustizia, Cristo, Dio, le opere buone, l'amore, la speranza, la croce, e come dobbiam comportarci verso gli altri, siano essi pii od empi, forti o deboli, amici o nemici, e come comportarci verso noi medesimi... Ne faccia dunque ogni cristiano un uso costante e Dio ne accompagni la lettura colla sua grazia».

Così senza dubbio fecero i credenti ai quali Febe recò il prezioso scritto apostolico. Ogni gruppo ne volle una copia per leggerlo e commentarlo nelle comuni raunanze ed esso dovette contribuire a renderne molti «più che vincitori» quando la persecuzione investì la chiesa nel 64. Così dovettero fare, durante i, secoli che seguirono, i cristiani, costretti spesso ad adunarsi nelle catacombe. La Chiesa antica, in Oriente come in Occidente, considerò l'Epistola ai Romani come la più importante fra tutte. Sul declinare della sua carriera, Origene (terzo secolo) volle scriverne un Commento che fu tradotto poi in latino ed è giunto fino a noi. Crisostomo (quarto secolo) le consacrò ben 38 delle sue Omelie ed Agostino narra nelle sue Confessioni che Dio si servì d'un passo di questa Epistola per deciderlo ad abbracciare il cristianesimo. Trovandosi nel giardino col suo amico Alipio, gli parve udire una voce che gli dicesse: Tolle et lege. Afferrò il volume delle Epistole che gli stava vicino e vi lesse le parole di Romani 13:13-14. Non restò più oltre incerto, si diede a Cristo e diventò il potente araldo della salvazione per grazia esposta nella Lettera. Nel Medio Evo, allorchè le tenebre dell'ignoranza invasero la Chiesa, furono i movimenti religiosi dissidenti, fra cui primeggiò quello dei Valdesi, ad adoperarsi alla volgarizzazione ed alla diffusione delle Scritture. Furon condannati dalla Chiesa ufficiale e perseguitati; ma quando suonò l'ora della Riforma, l'Epistola ai Romani fu quella principalmente che aprì gli occhi al vicario degli Agostiniani, Staupitz, il quale confortò più volte il giovane frate Lutero col ricordargli la dottrina della salvezza per grazia, mediante la fede. E in Roma stessa, mentre Lutero stava salendo ginocchioni la scala santa, fu un passo, di questa Epistola che inondò di luce il suo cuore angosciato e l'avviò sulla via della pace: «Il giusto vivrà per fede». L'Epistola, con tutta la Scrittura divinamente ispirata, fu dalla Riforma riposta sul candeliere, tradotta in volgare, spiegata, diffusa dalla stampa.

Anche l'Italia ebbe, sul principio del 17esimo secolo, la sua bella traduzione (Diodati,1607) che eclissò quelle che l'aveano preceduta, ma fu proibita ed arsa dove si potè; talchè l'epistola rivolta alla chiesa della prima città d'Italia seguitò ad essere quasi del tutto ignorata dagli italiani e più specialmente dagli abitanti della città ove l'Apostolo avea suggellato col suo sangue l'evangelo della grazia.

Possano gl'Italiani dell'oggi tornare ad abbeverarsi, come i loro antichi predecessori, alle pure fonti della verità evangelica negli scritti apostolici; e possa il presente lavoro contribuire ad accrescere l'intelligenza di uno dei più importanti documenti della dottrina cristiana!

Romani - Letteratura esegetica

E) LETTERATURA ESEGETICA.

L'Epistola ai Romani è stata commentata fin dai primi secoli della China, e troppo lungo sarebbe il notare partitamente tutti gli scritti cui ha dato luogo, specialmente dopo la Riforma. Fra i lavori che abbracciano l'intiero Nuovo Testamento, o, quanto meno, le Epistole di Paolo, vanno mentovati quelli di Calvino, di Diodati, di Bengel, di Olshausen, di De Wette, di Meyer (Kritiscker Komm. B. Weiss sui Rom.,1891), di Reuss (La Bible), di Bonnet (Nouv. Test. Expliqué), di Alford (Greek Test.), di Curci, il Bibelwerk di J. P. Lange, il Hand-Kommentar di Holtzmann, Lipsius, etc., il Popular Commentary di Schaff, etc.

Fra le opere speciali sono da consultare: i commenti di Haldane, di Tholuck, di Ch. Hodge, di Oltramare, di Philippi, di Brown, di Beet, di Godet, le Bibelstunden di Gess, le esposizioni di Schlatter, di Moule, di SandayHeadlam nel Crit. & exeg. Comm. In tempi più recenti P. Gio. Semeria (Il pensiero di S. Paolo nella Lett. ai Rom., cap. I-III), Lietzmann nel Handbuch z. N. T., Jülicher nel Die Schriften d. N. T., Zahn 1910, Kühl 1913, il P. Langrange, 3a ed., 1922, K. Barth, 3a ed.,1924.

Romani - Avvertenza

AVVERTENZA

Nel presente lavoro viene riprodotta, in capo ad ogni pagina, la versione del Diodati in quella veste semi moderna che ha preso nelle edizioni dell'oggi. Però, allo scopo di evitare ripetizioni e di abbreviare il commento, si è data ordinariamente (non sempre però), nel corso dell'esposizione, la versione riveduta fondata sull'edizione critica del Nuovo Testamento greco, preparata dal Prof. Dott. Eb. Nestle e pubblicata dalla Società Biblica Britannica e Forestiera.

1Corinzi

1Corinzi - La città di Corinto

1. La città di Corinto

L'antica città di Corinto era situata sull'istmo che unisce la penisola del Peloponneso, oggi Morea, alla Grecia. Quella lingua di terra misura un dodici chilometri di larghezza e dalla parte della Morea, è molto bassa. La posizione di Corinto tra i due mari Egeo e Ionio ne fece ben presto una città importante dal lato militare come da quello commerciale. Fu cinta di mura e, sulla rupe che la domina a mezzodì, furono erette le fortificazioni dell'Acrocorinto. Coll'Oriente, comunicava per mezzo del porto di Cencrea e coll'Occidente mediante quello di Lecheo. Per evitare il giro della Morea, i mercatanti facevano da Oriente come da Occidente il trasbordo delle mercanzie, e Nerone ebbe perfino il pensiero, di recente mandato ad effetto, di tagliare l'istmo; ma levato il primo strato, i lavori furono abbandonati. L'esser Corinto l'emporio del commercio tra il Mediterraneo occidentale e l'orientale spiega come Omero potesse di già chiamarla la «ricca Corinto»; e come Tucidide le attribuisca il vanto di avere, prima fra le città greche, costruito delle navi e intrapreso di viaggiar sui mari. Ogni due anni i

giuochi istmici vi attraevano grandi folle ed era rinomata per le sue scuole di pittura, di architettura e di filosofia.

Ma, in mezzo agli splendori delle arti e della ricchezza, regnava una grande corruzione dei costumi; a segno che il tempio di Venere Afrodite eretto sulla vetta dell'Acrocorinto non contava meno di mille cortigiane fra le sue sacerdotesse e che l'espressione Corintizare (κορινθιαζειν) era divenuta proverbiale per indicare il vivere dissoluto.

Vero è che, ai tempi di Paolo, l'antica Corinto non esisteva più. Postasi a capo della Lega Acaica, il console Mummio, nel 146 a.C., l'avea completamente distrutta. Ma l'istmo non rimase deserto che un centinaio d'anni. Il genio di Giulio Cesare non gli permise di lasciare inoccupata una tale posizione; per cui vi mandò, nel 44 a.C., una colonia di schiavi liberati. La città risorse rapidamente e quando, nel 52 dopo Cristo, vi giungeva l'Apostolo Paolo, essa contava una popolazione mista di più che 600000 anime, di cui un terzo di uomini liberi e due terzi di schiavi. Era la capitale della provincia romana di Acaia, retta in quegli anni dal fratello del filosofo Seneca, il mite Gallione. La sua ricchezza era pari a quella dell'antica Corinto, ma lo era pur troppo anche la sua dissolutezza. «Politicamente romana, socialmente greca, Corinto era, religiosamente, ad un tempo romana, greca ed orientale. Talchè, quando l'Apostolo predicò ai Corinti, il Vangelo fu, in certo modo, presentato al mondo intiero» (Edwards). Ai giorni nostri la città conta un 10000 abitanti.

1Corinzi - La Chiesa di Corinto

2. La Chiesa di Corinto

Quello che possiam sapere sulla fondazione, sullo sviluppo, sullo stato morale della chiesa di Corinto, come pure sulle relazioni mantenute con essa dal suo fondatore, si ricava dagli Atti 18-20 e dalle Epistole ai Corinzi. Il primo documento traccia la storia esterna, visibile, della Chiesa; mentre le

lettere ci fanno penetrare nell'anima dell'operaio e nella vita intima della società religiosa.

a) La fondazione della Chiesa.

Atti 18 ci fanno assistere al primo ingresso in Corinto del missionario cristiano, recante «in mezzo a quella società in istato di piena prosperità esterna, ma altresì di completa dissoluzione morale, il sale vivificante dell'Evangelo» (Godet). Era nel 52, ventiquattr'anni circa dopo l'ascensione del Signor Gesù.

I sentimenti coi quali Paolo, lasciata Atene, si avvicinava alla capitale acaica, ce li descrive egli stesso in tre parole: «in debolezza, in timore e gran tremore» 1Corinzi 2:3. Ma se vivo è in lui il senso della propria umana impotenza di fronte alle fortezze dell'errore e del vizio, egli ha fede assoluta nell'efficacia del messaggio salutare che reca. In Corinto, come altrove, egli non predicherà se, nè un sistema suo di filosofia religiosa; anzi non vorrà «saper altro che Cristo ed esso crocifisso» 1Corinzi 2:2. E per dar forza persuasiva alla Buona Novella, non farà assegnamento sulle arti della rettorica greca, bensì sulla interna e potente dimostrazione operata dallo Spirito di Dio nelle menti e nelle coscienze (ibid.). Egli sarà colui che pianta il divin seme, Dio sarà quel che lo farà crescere 1Corinzi 3

L'opera ebbe umili principii. L'Apostolo, costretto a guadagnare col suo lavoro manuale il proprio pane, si unì a due sposi Giudei, Aquila e Priscilla, fabbricanti di tende, cacciati da Roma da un editto di Claudio, e con loro lavorava. Il sabato, si recava nella Sinagoga e ragionava coi Giudei e coi proseliti che vi accorrevano, mostrando loro come in Cristo Gesù si fosse adempiuto il piano di Dio tracciato nelle profezie. L'arrivo di due suoi valenti collaboratori, Sila e Timoteo, dalla Macedonia, rese più intenso il lavoro della evangelizzazione. Paolo si diede intieramente alla predicazione della parola Atti 18:5, esortando i suoi connazionali alla fede in Gesù. Il risultato fu scarso, poichè solo alcuni credettero, fra cui Crispo, capo della Sinagoga, insieme colla sua casa, e probabilmente gli ospiti di Paolo, Aquila

e Priscilla, i quali d'allora in poi divisero, non solo la fede, ma i lavori ed i pericoli dell'Apostolo Romani 16:3. Di fronte all'incredulità ostinata e beffarda degli altri Giudei, Paolo sentendo d'aver fatto quanto era in lui per condurli alla fede, si ritirò col piccolo nucleo dei giudeo-cristiani in un locale indipendente, deciso a rivolgersi d'ora innanzi alla moltitudine pagana. Questa crisi segnò la costituzione della chiesa cristiana di Corinto. I credenti ricevettero il battesimo dalle mani dei compagni di Paolo, alcuni pochi da lui stesso 1Corinzi 1:14,16; Atti 18:8

La predicazione trovò migliore accoglienza fra i pagani, poichè «molti Corinti, udendola, credevano ed eran battezzati». Questo dovette provocare vieppiù l'odio dei Giudei ed accrescere i pericoli dell'Apostolo. Forse già pensava a recarsi altrove quando, in una visione di notte, il Signore disse a Paolo: «Non temere, ma parla e non tacere; poichè io son teco e niuno porrà le mani su te per farti del male; perciocchè io ho un gran popolo in questa città» Atti 18:9-10. Confortato da questa divina comunicazione, l'Apostolo continuò ad «insegnare la parola di Dio» senza esser mai a carico della chiesa, anzi dandole nella costanza dimostrata «nei segni, prodigi e potenti operazioni» fatti per mezzo suo, sempre nuove prove della divina origine ed autorità del suo Apostolato 2Corinzi 12:11-13

Se non che, l'odio dei Giudei non si diede per vinto. Di essi, in quel tempo, scriveva Paolo ai Tessalonicesi 1Tessalonicesi 2:15-16. «Hanno ucciso il Signore ed i profeti, ci hanno cacciati colla persecuzione, non piacciono a Dio, sono avversi a tutti gli uomini; ci impediscono di parlare ai pagani affinchè siano salvati.». Tale era stata l'esperienza dell'Apostolo durante il suo primo viaggio e poi di nuovo durante il secondo. In Corinto, colsero l'occasione dell'arrivo del nuovo proconsole Gallione, per tentare un colpo contro Paolo accusandolo di proselitismo contrario alla loro religione autorizzata. Ma il mansueto e sensato Gallione si dichiarò incompetente in materia religiosa e li cacciò dal tribunale abbandonando perfino il loro capo Sostene al malcontento popolare. Codesta mancata persecuzione, lungi dal nuocere alla chiesa, contribuì a renderla più rispettata e popolare. Talchè, quando Paolo, in capo ad un soggiorno di più che un anno e mezzo, partì da Corinto per Gerusalemme, egli lasciava dietro a sè una chiesa bene avviata, ove non molti, per verità, erano «i savi secondo la carne, non molti i potenti,

non molti i nobili» 1Corinzi 1:26, una chiesa reclutata, per lo più, fra gli schiavi, i poveri, gli uomini d'affari, ma ricca di svariati doni spirituali. Cfr. 1Corinzi 1:14

b) Le vicende della chiesa dopo la partenza di Paolo.

Salpando da Cencrea, Paolo si soffermò per poco in Efeso; ma dopo essere stato a Gerusalemme ed in Antiochia, egli ne ripartiva per compiere quel suo terzo viaggio missionario che lo dovea condurre attraverso le contrade della Galazia e della Frigia, in Efeso, capitale della provincia romana dell'Asia. Quivi egli lavorò tre anni Atti 20:31, facendo di quella metropoli un centro dal quale l'Evangelo irradiò tutto intorno Atti 19:10, e dal quale l'Apostolo estese le sue cure particolarmente alle chiese della Galazia ed a quella di Corinto.

In quest'ultima città, pochi mesi dopo la partenza di Paolo, era giunto con raccomandazioni da Efeso, un dottore Alessandrino, per nome Apollo. Già in Efeso, egli avea posto al servizio dell'Evangelo la conoscenza profonda ch'egli possedeva delle Scritture, la eloquenza ed il fervore di cui era dotato. Aquila e Priscilla avevano completata la sua istruzione cristiana, talchè quando venne in Corinto, Luca dice di lui ch'egli «si rese molto utile a coloro che aveano creduto; perciocchè, con molto vigore, confutava pubblicamente i Giudei dimostrando, per mezzo delle Scritture, che Gesù era il Cristo» Atti 18:27-28. Paolo avea piantato, Apollo annaffiava. Se non che, in quella chiesa ancora giovane e poco spirituale, in quell'ambiente ove fiorivano i rètori, i bei doni di Apollo eccitarono una soverchia ammirazione in molti cui pareva, al confronto, meschino ed elementare l'insegnamento di Paolo. Questa carnale esaltazione di un predicatore a scapito degli altri fu il principio di quei partiti che tanto nocquero allo sviluppo della vita religiosa in Corinto. A coloro che esaltavano Apollo, si contrapposero i molti ammiratori di Paolo; e, data una volta la stura allo spirito di parte, si fecero innanzi quelli che o per essere stati convertiti da Pietro o per la loro tendenza giudeo-cristiana, nutrivano preferenza per quell'Apostolo. Il peggior male poi, venne da quelli che si facevano belli del nome di Cristo.

Siccome però non era, in costoro, minore che negli altri lo spirito di parte, e che si dicevano «di Cristo» ad esclusione di chi non pensava come loro 2Corinzi 10:7, e a dispregio dei servitori da Cristo adoperati per l'opera sua, in ispecie di Paolo, essi contribuirono più di tutti ad invelenire il male che afflisse la chiesa di Corinto. I capi di questo partito erano degli intrusi venuti dalla Palestina con lettere commendatizie, i quali, se parvero in sulle prime utili o per lo meno innocui alla chiesa, non tardarono ad inoculare nei loro aderenti quello spirito settario giudaizzante avverso a Paolo, fors'anche gnostico, che li animava.

Collo spirito di parte, crescevano altri mali non meno gravi in seno alla giovane chiesa. Invece di splendere di luce santa in mezzo alle tenebre della corruzione, essa mostrava rilassatezza nell'esercizio della disciplina, lasciava che fratelli processassero fratelli dinanzi ai tribunali pagani, ed a molti suoi membri, non ripugnava il partecipare alle feste idolatre. D'altra parte, il fermentare del lievito cristiano in seno ad una comunità uscita dal paganesimo faceva sorgere dei nuovi problemi connessi colla vita morale, mentre degli abusi s'introducevano nella celebrazione del culto, e perfino la dottrina della risurrezione dei morti veniva revocata in dubbio da taluni fra i neofiti.

c) Le cure pastorali di Paolo a pro' dei Corinzi.

È facile comprendere come le notizie poco rassicuranti che da Corinto giungevano in Efeso, all'Apostolo, preoccupassero l'animo suo di padre spirituale e lo spingessero a fare quanto stava in lui per il bene della chiesa pericolante. Gli Atti ci parlano di due soli soggiorni di Paolo nell'Acaia Atti 18; 20:2-3; ma siccome nella 2a Corinti egli chiama ripetutamente terzo quello che negli Atti figura come secondo confronta 2Corinzi 12:14; 13:1. «Questa è la terza volta ch'io vengo da voi» , siamo indotti a credere ch'egli da Efeso abbia fatto una breve visita alla chiesa di Corinto. Egli stesso la dice fatta «di passata» 1Corinzi 16:7 e cagione a lui di «tristezza» 2Corinzi 2:1, per il male ch'egli dovette constatare e riprendere in molti. Da qualche parola della 2a Epistola, si vede qual fosse il cancro che minacciava la vita

della chiesa. «Temo, dice egli, di dover ritornando fra voi, «piangere su molti che hanno innanzi peccato e non si sono ravveduti delle impurità, delle fornicazioni, e delle dissolutezze commesse» 2Corinzi 12:21

Tornato in Efeso, egli, dopo qualche tempo, scrisse a Corinto una lettera in cui dava alla chiesa delle istruzioni circa il modo di comportarsi di fronte a chi credesse accoppiare il vizio alla professione cristiana. A quella epistola, forse brevissima, egli allude nella 1Corinzi 5:9-11 (vi ho scritto nella [mia] lettera.); ma essa non ci è stata conservata. Solo possiamo arguire, dal passo citato, che a Corinto le prescrizioni dell'Apostolo parvero ispirate da un rigorismo eccessivo.

Continuavano intanto le notizie poco liete sullo stato della chiesa (Cfr. 1Corinzi 5:1: Si sente dire da tutte le parti...). Dai cristiani appartenenti a Casa Cloe Paolo avea saputo del formarsi dei diversi partiti, e di altre cose ancora. Per cui avea stimato necessario che il suo diletto figlio Timoteo si recasse a Corinto affin di ricordare ai fedeli il suo insegnamento ed il suo procedere, neutralizzando per tal modo l'influenza di chi gettava discredito sulla persona e sull'apostolato di lui 1Corinzi 4:17. Timoteo dovea però recarsi anzitutto in Macedonia ed erasi da poco posto in viaggio, quando l'Apostolo vide arrivare in Efeso una deputazione di tre persone: Stefano, Fortunato ed Acaico 1Corinzi 16:17, i quali erano in grado di dare a Paolo, le informazioni più esatte e più recenti sull'andamento delle cose in Corinto. Essi erano poi, latori di una lettera in cui la chiesa sottoponeva al suo fondatore vari quesiti relativi al matrimonio ed al celibato, all'uso delle carni sacrificate agli idoli, ed al culto. 1Corinzi 7:1,25; 8:1; 12:1

In presenza di tali informazioni e di tali domande, Paolo stimò suo dovere di scrivere subito alla chiesa per correggere mali ed abusi, e per dare le istruzioni richieste. Così ebbe origine quel modello di lettera pastorale ch'è la 1a ai Corinti. Ella usciva da un cuore afflitto ed angosciato, il suo autore la dettava fra le lagrime aspettando di poi, con tormentosa ansietà di conoscerne l'esito 2Corinzi 2:4, 13:7; ma le nuove recategli dopo alcuni mesi, da Corinto, dovevano aprire il suo cuore alla riconoscenza verso Dio ed alle più liete speranze.

1Corinzi - L'Epistola 1a ai Corinzi

3. La prima Epistola ai Corinzi

Delle circostanze storiche che trassero Paolo a scrivere la 1a ai Corinzi, come dello scopo cui mirava nel dettarla, non diremo altro.

Aggiungeremo solamente, inquanto al luogo da cui partì la lettera che la poscritta del testo comune secondo la quale l'Epistola sarebbe stata scritta da Filippi, oltre all'essere una nota posteriore di molti secoli, risulta del tutto erronea quando la si ponga a fronte dei dati forniti dall'Epistola stessa. Infatti, a 1Corinzi 16:19, leggiamo: «Le chiese dell'Asia vi salutano»; e in 1Corinzi 16:5-8, parlando dei suoi progetti, Paolo dice: «Mi recherò da voi quando attraverserò la Macedonia. Ma rimango in Efeso fino alla Pentecoste». È dunque chiaro che la lettera è partita da Efeso, come reca appunto la poscritta del Codice Vaticano.

Quest'ultima circostanza ci serve a fissare anche la data più probabile dell'Epistola. Paolo ha lavorato in Efeso tre anni: ma dalle parole citate si vede che il soggiorno di lui in quella città sta per finire. Egli ha oramai fissato il piano dei suoi futuri lavori. Si è posto in mente, dice Luca Atti 19:21, di recarsi a Gerusalemme, attraversando la Macedonia e l'Acaia, e dopo ciò, vuol vedere anche Roma. A Gerusalemme però egli ha in animo di recare una prova tangibile della riconoscenza e dell'amor fraterno delle chiese etniche verso la loro sorella maggiore giudeo-cristiana. E la nostra Epistola ce lo mostra difatti intento ad organizzare quella colletta per i santi ch'egli vuol mandare o, meglio, portare egli stesso alla chiesa madre 1Corinzi 16:1-5. Se dunque il soggiorno di Paolo in Efeso cade negli anni 55-58, la 1a ai Corinti ha dovuto essere scritta intorno alla Pasqua del 58.

Dell'autenticità dell'epistola è quasi superfluo ragionare, poichè non è contestata da nessun critico di qualche valore. Il Baur annovera la 1a ai Corinti fra le quattro da lui ritenute certe. Il Renan dichiarava

«incontestabile ed incontestata» l'autenticità delle epistole ai Corinti, tanto ne sono evidenti le prove interne ed esterne. Fra queste ultime, giova ricordare le citazioni che della 1a ai Corinti, reca Clemente Romano nella lettera rivolta alla chiesa stessa, intorno all'anno 100: «Ripigliate l'Epistola del beato Apostolo Paolo. Cosa vi scrisse egli, imprima nel principio dell'Evangelo? In verità egli vi scrisse in modo spirituale intorno a sè, a Cefa e ad Apollo: poichè anche allora facevate delle preferenze» (Cfr. 47 Ep. Cor.). Policarpo nella lettera ai Filippesi cita il passo 1Corinzi 6:2: «Non sappiamo noi che i santi giudicheranno il mondo, siccome insegna Paolo?» Ignazio e Giustino Martire hanno delle allusioni manifeste a vari luoghi della nostra epistola. Nell'ultimo quarto del secondo secolo la troviamo nell'Itala, nella versione Siriaca e nel canone di Muratori. La citano largamente i grandi scrittori della fine del secolo: Clemente Alessandrino ed Origene, Ireneo e Tertulliano. La contengono tutti i manoscritti più antichi ed Eusebio (IV secolo), ponendola fra i libri universalmente riconosciuti, attesta implicitamente che l'Epistola non era stata oggetto di alcun dubbio.

Le materie trattate successivamente nell'epistola possono riassumersi nello schema seguente che il lettore troverà svolto più ampiamente nell'indice, in fondo al presente volume.

L'introduzione epistolare 1Corinzi 1:1-9

Parte prima: La questione dei partiti che minacciano l'unità della chiesa 1Corinzi 1:10-4:21

Parte seconda: Le questioni attinenti alla vita morale della chiesa 1Corinzi 5-10. Sono cinque gli argomenti trattati, con maggiore o minore ampiezza, in questa parte:

1. Il dovere della chiesa di fronte ai membri scandalosi 1Corinzi 5

2. Le liti fra cristiani 1Corinzi 6:1-11

3. La fornicazione 1Corinzi 6:12-20

4. Il matrimonio ed il celibato 1Corinzi 7

5. Le carni sacrificate agli idoli 1Corinzi 8:1-11:1

Parte terza: Le questioni attinenti al culto pubblico 1Corinzi 11,2-14:40. L'Apostolo tratta anzitutto del contegno delle donne nelle assemblee di culto 1Corinzi 11:2-16; poi del modo di celebrare degnamente la cena del Signore 1Corinzi 11:17-34. In ultimo dell'uso migliore da farsi dei doni spirituali 1Corinzi 12-14

Parte quarta: La questione della risurrezione dei morti 1Corinzi 15. Dopo aver trattato per la prima una questione d'ordine ecclesiastico, Paolo è passato alle varie questioni d'ordine morale e liturgico, riserbando per la fine una questione dottrinale. «Si scorge facilmente come in questa disposizione il progresso va dall'esterno all'interno» (Godet, Introd. Epp. Paul.) .

La chiusa della lettera 1Corinzi 16 contiene delle comunicazioni varie, delle raccomandazioni e dei saluti.

«Si potrebbe, dice l'ora citato autore, dall'origine puramente occasionale delle epistole ai Corinti, trarre la conclusione ch'esse appartengano ad un passato che non ci riguarda più, e non abbiano, per conseguenza, per noi, più alcun valore religioso attuale. Se anche ciò fosse, sarebbe pur sempre qualcosa l'essere da queste lettere trasportati in piena vita ecclesiastica dei primi tempi e l'assistere in certa guisa alle crisi per cui dovevano passare i convertiti di diciotto secoli fa. Ma l'interesse suscitato da queste epistole è, ad un tempo, più largo e più profondo. Il cuore dell'uomo rimane lo stesso in tutti i tempi. Le esperienze dei cristiani apostolici non differiscono sostanzialmente da quelle che facciamo noi stessi. Codesta osservazione è vera particolarmente rispetto alla chiesa di Corinto. In Acaia, assistiamo al primo contatto dell'Evangelo colla vita ellenica, così ricca di doti e così

brillante, ma, d'altra parte, così frivola e mutabile: simile per tanti riguardi alla nostra vita moderna. In ispecie, la tendenza a far delle verità religiose oggetto dello studio intellettuale anzichè del lavorìo della coscienza e dell'accettazione del cuore; la disposizione che ne segue a non porre sempre la condotta morale sotto l'influenza della convinzione religiosa e a dare sfogo a questa coi discorsi eloquenti anzichè colle energie della santità ecco dei difetti che più d'un popolo moderno ha in comune col greco...

«Ma quel che presta il più alto interesse alle questioni fatte sorgere dallo stato della chiesa di Corinto, è il modo con cui l'Apostolo le discute e risolve. Trattando di ciascuno dei fatti particolari sottoposti al suo apprezzamento, l'Apostolo non si ferma alla superficie: egli si sforza di penetrare fino alla radice di quelle varie manifestazioni. Invece di dare, come in un articolo di legge, la soluzione sommaria delle questioni, egli cerca, nella profondità dell'Evangelo, il principio permanente che applicasi al fenomeno passeggero; di guisa che, per giudicare le manifestazioni e tendenze analoghe dei tempi nostri, altro non dobbiamo fare che ridiscendere dalla regola pratica colla quale chiude ognuna di quelle discussioni, fino al principio evangelico ov'egli l'ha attinta, onde applicare a nostra volta quel principio al fenomeno attuale che ci preoccupa. Non «'è lavoro che, più di questo, sia ad un tempo atto a stimolare l'intelletto ed a formare la coscienza cristiana». (Comm. 1Corinzi p. 1 e 2).

E l'Olshausen: «Il pericolo che minacciava, in Corinto, molti fra i membri del gregge, è appunto la grande tentazione dei nostri tempi. Una vera idolatria della sapienza umana anteposta alla eterna verità di Dio, la rilassatezza dei principi morali, la sensualità, una spiritualità falsa in cui svapora il potente realismo della Bibbia, il predominare d'un subiettivismo che oltrepassa tutti i limiti imposti dall'alto all'intelletto, ed alla libertà umana: non son forse queste, le malattie principali dell'epoca nostra? Si comprende adunque la somma importanza, soprattutto ai nostri giorni, delle epistole ai Corinti».

La letteratura esegetica sulla 1a ai Corinti, come notò l'Edwards, è stata specialmente ricca in tempi di controversie relative alla disciplina

ecclesiastica, mentre è stata più scarsa in tempi di controversie dottrinali.

Fra le opere antiche sono da mentovare le Omelie di Crisostomo, i Commenti di Teodoreto, di Tommaso d'Aquino, di Niccolò de Lyra. Ai tempi della Riforma primeggia il lavoro di Calvino, seguito più tardi da quelli di Grozio e di Bengel. Nei tempi moderni sono da citare, fra tanti, i commentari di Olshausen. di De Wette, di Neander, di Meyer, di Osiander, di Hoffmann, di Alford, di Heinrici, di C. Hodge, di Kling nel Bibelwerk di Lange, di Reuss, di Ellicott, di Aggeo Beet, di Edwards, di F. Codet, di M. Dods, nonchè le «Lectures» di Fed. Robertson.

1Corinzi - Avvertenza

AVVERTENZA

Nel presente lavoro, viene riprodotta, in capo ad ogni pagina, la versione del Diodati. Però, allo scopo di evitare ripetizioni e di abbreviare il Commento, si è data nel corso dell'Esposizione una versione riveduta fondata quasi sempre sull'ottava edizione Tischendorfiana del Nuovo Testamento greco, la quale offre un testo emendato secondo le ricerche più recenti e più accurate.

2Corinzi

2Corinzi - L'intervallo tra la Prima e la Seconda Epistola ai Corinzi

INTRODUZIONE

Non abbiamo da tornare qui sopra quanto è stato detto, nell'Introduzione alla 1a Epistola, della città di Corinto, della fondazione della chiesa in quella metropoli, e delle vicende della giovane società cristiana fino al momento in cui Paolo le rivolse la nostra prima lettera canonica. Dovremo invece portare imprima la nostra attenzione sopra gli eventi successi

nell'intervallo che corse tra la 1a e 2a Epistola, per concentrarla poi sopra l'Epistola stessa che vogliamo spiegare.

1. L'intervallo tra la Prima e la Seconda Epistola ai Corinzi

I soli documenti che gettino qualche luce sull'intervallo fra la 1a e la 2a Epistola, sono gli Atti e la Seconda lettera di Paolo. Negli Atti, Luca ci dice in mezzo a quali circostanze ebbe fine la missione dell'Apostolo in Efeso, e la 2a ai Corinzi contiene, qua e là, delle allusioni a fatti antecedenti. Cotali allusioni, perfettamente chiare per i primi lettori dell'Epistola, sono sembrate, a molti interpreti moderni, così irte di difficoltà un non potersi spiegare se non col sussidio di alcune ipotesi più o meno complicate e su cui sarà necessario spendere anzitutto qualche parola.

Ripetutamente, nella 2a Epistola (2Corinzi 12:14; 13:1-2), Paolo, parlando della sua prossima visita a Corinto, la chiama la terza: «Ecco, per la terza volta sono sul punto di venire da voi, e non vi sarà di aggravio»; «per la terza volta io mi reco da voi»; «l'ho detto innanzi tratto e torno a dirlo, come presente la seconda volta ed ora come assente...». Ora la prima visita fu quella in cui l'Apostolo fondò la chiesa. La terza fu quella che seguì la 2a Epistola ed a cui Luca accenna in Atti 20:2-3. Ma dove ha da collocarsi la seconda? Rispondono alcuni, per eludere la difficoltà: Essa non ha mai avuto luogo; fu un semplice progetto che non venne, mandato ad esecuzione, o tutt'al più, sarà chiamato così il ritorno di Paolo da un'escursione in provincia compiuta durante il suo primo soggiorno in Corinto. Una tale soluzione non rende ragione del linguaggio adoperato da Paolo ed è giocoforza ammettere che una seconda visita l'Apostolo l'ha effettivamente fatta prima di scrivere la 2a ai Corinzi. Da 2Corinzi 2:1 si deve, anzi, arguire che quella visita era stata cagione di dolore a Paolo, ed egli non vorrebbe che la terza avvenisse nelle stesse condizioni (Cfr. 2Corinzi 12:20-21; 13:10). Chi ha cagionato quel dolore? e quando Paolo si è egli recato a Corinto? A tali domande credono varii critici che non si possa dar risposta soddisfacente se non coll'ipotesi d'un viaggio dell'apostolo a Corinto, avvenuto nell'intervallo tra le due epistole

canoniche. (Ewald, Weizsacker, Eylau, Mangold, Godet). Preoccupato dalle notizie riferitegli da Timoteo od altrimenti, Paolo si sarebbe recato a Corinto per cercar, colla persuasione, di rimettere la chiesa sulla buona via, ma vi avrebbe ricevuta un'accoglienza poco soddisfacente, vi sarebbe stato vilipeso dagli avversarii e perfino insultato da un individuo senza che la chiesa prendesse risolutamente le sue parti. Abbiamo detto di già, nell'Introduzione alla 1a Epistola, che riteniamo infondata l'ipotesi d'un viaggio intermedio tra le due Lettere. Se Paolo fosse stato di recente a Corinto, come avea promesso di fare 1Corinzi 4:19; 16:5, non si spiega come potessero gli avversarii rimproverargli ancora di non esserci venuto e di aver mutato i proprii piani 1Corinzi 4:18; 2Corinzi 1:15-23. D'altra parte, in 1Corinzi 16:10, l'Apostolo pare alludere ad un visita antecedente, ma breve, fatta «di passata»; mentre quella ch'egli promette ha da essere un soggiorno di varii mesi. A tal fine però Paolo annunzia, fin d'allora, ch'egli ha dovuto modificare l'itinerario che si era, in sulle prime, proposto di seguire. Fu questo che venne dai nemici interpretato come prova d'instabilità e di doppiezza, e di cui l'Apostolo dovette spiegare i motivi tutt'altro che egoisti o futili, nella sua 2a Lettera 2Corinzi 1:15-24

Quanto all'individuo la cui condotta avea addolorato Paolo ed al quale dichiara, in 2Corinzi 2:5-11, di perdonare, l'esegesi dimostrerà che non è necessario il farne un insultatore di Paolo, più che non lo sia nell'altro passo ove si allude alla stessa persona 2Corinzi 7:12

Se non che, l'ipotesi del viaggio intermedio si connette indissolubilmente con un'altra che ha trovato una falange di difensori: vogliam dire quella di una lettera intermedia fra le due canoniche. (Bleek, Olshausen, Neander, Beyschlag, Reuss, Meyer. Klopper, Hausrath, ecc.. l'Apostolo allude infatti ripetutamente nella 2a Epistola ad una lettera sua antecedente. Dice di averla scritta in grande afflizione e distretta di cuore, con molte lagrime, non per affliggere i Corinzi, ma perchè conoscessero il suo amore per essi... per conoscere a prova se i Corinzi sono ubbidienti in ogni cosa 2Corinzi 2; 3; 4; 9. Codesta lettera aveva addolorato, sia pur per brev'ora, i Corinzi; ma poichè li avea condotti a ravvedimento, Paolo non prova più, come avea fatto in certi momenti rammarico di averla scritta. Egli infatti avea mirato, più

che a raddrizzare un torto fatto da una persona ad un'altra, al bene della chiesa in genere e in ispecie a ravvivare in essa i sentimenti di premuroso ed affettuoso rispetto verso il loro padre spirituale 2Corinzi 7:8-12

Per i sostenitori della ipotesi accennata, non è possibile spiegare quel che Paolo dice «della lettera», quando lo si voglia applicare alla prima ai Corinzi. Il modo calmo in cui vi tratta le questioni non suppone un cuore angosciato; il colpevole cui allude 2Corinzi 2; 7 non può essere l'incestuoso che Paolo consigliava di escludere in 1Corinzi 5 piuttosto ha da essere uno da cui Paolo è stato personalmente insultato o calunniato; infine non si comprende come Paolo avrebbe potuto essere così ansioso circa l'effetto prodotto da una lettera come la 1a ai Corinzi. Da ciò l'ipotesi che, posteriormente a questa epistola, un individuo che ha potuto essere l'incestuoso o meglio un capo-partito avverso a Paolo, abbia calunniato l'Apostolo; che di quest'insulto Paolo abbia domandato soddisfazione alla chiesa con una lettera portata da Tito, assai più severa e minacciosa della 1a Corinzi. A questa lettera, perduta per noi, si riferirebbero le allusioni contenute nella Seconda canonica, e sull'effetto di quella Paolo avrebbe avuto motivo di stare in ansietà. Il tono della lettera perduta sarebbe stato, a un dipresso, quello di 2Corinzi 10; 13 e c'è perfino chi crede che quei capitoli costituissero la parte essenziale dello scritto apostolico.

Senza entrare qui nell'esame particolareggiato dei singoli passi della 2a Epistola allusivi a «la lettera» ed al suo contenuto, osserveremo che se, nella Prima, il tono è per lo più calmo, non mancano i luoghi ove erompe l'interna emozione di chi si sente così scarsamente corrisposto nell'affetto paterno che nutre pei Corinzi e vede pericolante un'opera che gli è costata tante fatiche. Si confronti i capp. 1Corinzi 4; 5; 6; il 1Corinzi 9, nonchè la fine del 1Corinzi 14, e qualche luogo del 1Corinzi 15, come 1Corinzi 15:2,33-34 o il 1Corinzi 16:22. D'altra parte, è impossibile che si correggano (e talvolta con severità) tanti difetti e traviamenti ed errori in una chiesa ove, per giunta, sono all'opera dei nemici, senza che ciò costituisca per quella una grave crisi. E questo basta a spiegare i sentimenti di dolore con cui Paolo scrisse la 1a Corinzi e l'ansietà colla quale ne aspettò l'effetto.

In via generale, osserviamo che le ipotesi di cui trattiamo non poggiano sopra nulla di veramente certo e che all'immaginazione non è savio ricorrere se non quando, assolutamente, non è possibile risolvere un problema coi dati sicuri che si posseggono. Una impossibilità siffatta non la vediamo nel caso nostro; mentre le ipotesi messe innanzi sollevano difficoltà nuove non facili a superare. A mo' d'esempio, converrebbe ammettere che tra la 1a e la 2a ai Corinzi sia trascorso per lo meno un anno e mezzo (dalla primavera del 57 all'autunno del 58); cosa che mal si concilia cogli Atti ove, in sullo scorcio del soggiorno in Efeso, Luca ci mostra Paolo pronto a partire alla volta di Gerusalemme per visitar poi Roma. In quell'intento, egli ha mandato già innanzi Timoteo ed Erasto in Macedonia per affrettare probabilmente la colletta pei poveri di Giudea. Passato il tumulto demetriano, l'Apostolo lascia Efeso, attraversa la Macedonia, spende l'inverno in Acaia e parte in primavera per l'Oriente. Ora le Epistole ai Corinzi ci portano appunto nel tempo in cui Paolo sta per lasciare, o da poco ha lasciato, Efeso, diretto a Gerusalemme appena avrà ultimata la colletta e fatto una visita alle chiese di Grecia. L'affare della colletta Paolo lo sollecita così nella prima come nella seconda Epistola; talchè una distanza di 18 mesi dall'una all'altra è sommamente inverosimile.

Si fa presto poi a dire che la lettera intermedia in questione è andata perduta. Data la sua importanza nella storia della chiesa di Corinto, non è facile spiegare come non ne sia restata traccia, nè memoria. Vero è che per ovviare a tale difficoltà si è supposto che 2Corinzi 10-13 costituissero il centro della lettera intermedia. Questo però è un parare ad una difficoltà, suscitandone un'altra maggiore.

Stando ai fatti accertati, l'intervallo tra la 1a e la 2a ai Corinzi avrebbe da riempirsi nel modo seguente:

1) Partita la 1a Corinzi, Paolo apprende che Timoteo non ha potuto spingersi fino a Corinto come l'Apostolo avea sperato (cfr. 1Corinzi 4:17; 16:10-11). Non c'è infatti, nella 2a Corinzi, la minima allusione ad una visita fatta da Timoteo od a notizie recate da lui sebbene il suo nome figuri accanto a quello di Paolo nel saluto iniziale, per esser egli stato compagno di

Paolo nella fondazione della chiesa 2Corinzi 1:1,19. Quando l'Apostolo mentova le persone da lui spedite in Corinto, non nomina Timoteo, bensì Tito ed un altro fratello 2Corinzi 12:17-18. Negli Atti poi Luca parla di Timoteo come mandato semplicemente in Macedonia.

2) Ad appoggiare e spiegare la sua prima lettera, a ricordare ai Corinzi «le sue vie in Cristo Gesù», Paolo manda loro Tito 2Corinzi 7; 8; 2:13. Quest'operaio doveva essere più maturo ed anche meno timido di Timoteo. Egli era stato con Paolo a Gerusalemme all'epoca della Conferenza del 51 Galati 2:1,3. Paolo riponeva in lui piena fiducia; e gli aveva affidata la difficile missione di persuader la chiesa a ricevere con ubbidienza le sue esortazioni apostoliche. Doveva poi, appena vedesse come si mettevano le cose, far ritorno presso a Paolo in Troas, onde ragguagliarlo sullo stato della chiesa 2Corinzi 2:12-13

3) Intanto in Efeso, succedeva il tumulto provocato da Demetrio, e dai suoi compagni d'arte colpiti nel loro interesse dallo spargersi del Vangelo. In quella occasione corse grave pericolo la vita di Paolo preso di mira ugualmente dal fanatismo pagano e dal giudaico. Luca ci descrive qualcuno fra gli episodii di quella esplosione dell'odio pagano Atti 19; ma le allusioni di Paolo «all'afflizione sopravvenutagli in Asia» ed ai gravi pericoli corsi, lasciano supporre che la cosa non sia terminata in poche ore 2Corinzi 1; Romani 16:4

4) Quando Paolo credette di poter partire da Efeso, lo fece col sentimento di chi esce da un luogo ove ha pensato trovar la sua tomba; e si diresse a Troas. Ma per quanto ivi egli avesse larga opportunità di annunziare il Vangelo, non potè resistere al desiderio di aver notizie da Corinto. Avea sperato incontrar Tito in Troas; e non vedendolo giungere, partì egli stesso per la Macedonia, tanta era l'ansietà che gli rodeva il cuore.

5) In qual punto della Macedonia sia avvenuto l'incontro con Tito, non sappiamo. Certo è che fu quello un momento consolante per l'Apostolo. Aveva paventato il peggio, e le notizie invece, erano buone. Il suo cuore si apriva alle più liete speranze. Sorpresi, scossi dalla lettera, ad un tempo severa e paterna di Paolo, i Corinzi ne aveano provato una salutare

umiliazione. Invece di resistere all'avvertimento della verità e dell'amore, si erano posti con ogni zelo a tradurre in atto le esortazioni del loro padre spirituale; avevano ripreso l'incestuoso, spiegando come avessero tardato cotanto a farlo; avevano meglio regolato le cose del culto, si erano adoperati a reprimere gli abusi della libertà cristiana, e soprattutto si erano mostrati addolorati che la loro condotta avesse recato tanta amarezza al cuore di colui che bramavano ardentemente di vedere fra loro.

6) Tuttavia, non era tutto luce il quadro dipinto da Tito. I giudaizzanti nemici di Paolo non avevano risparmiato alcun mezzo per scalzare la di lui autorità denigrandolo in tutti i modi, svisando ogni sua parola, ogni suo atto, ogni sua intenzione. Dalla prima lettera di Paolo si erano sentiti colpiti, sebbene non apertamente attaccati, e n'era cresciuta la loro animosità contro di lui. Bisognava quindi affrettarsi a dissipare, in seno alla maggioranza ben disposta, i malintesi che ancor restavano, e d'altra parte smascherare senza riguardi quei sedicenti apostoli per eccellenza. Urgeva poi di raccomandare caldamente la colletta per i poveri di Giudea, poichè se andava a gonfie vele in Macedonia, procedeva stentatamente nell'Acaia. Fu in quelle circostanze e con siffatti fini che l'Apostolo dettò la 2a ai Corinzi, affidandola a Tito, il quale ritornava volonteroso, con una deputazione macedone, per condurre a termine la colletta ed insieme tutta l'opera pastorale incominciata. Quando, alcuni mesi dopo, Paolo visitò Corinto per la terza volta, tutto induce a credere ch'egli non sia stato nella dolorosa necessità di spiegar l'autorità sua per punire, ma che abbia potuto passarvi un inverno allietato dalle dolcezze di una comunione fraterna doppiamente preziosa, dopo le ansie sofferte.

2Corinzi - L'Epistola

2. L'Epistola

In armonia collo scopo cui mirava il suo autore nel dettarla, il contenuto della epistola si svolge in tre parti principali precedute da una introduzione epistolare e seguite da una breve chiusa.

L'introduzione comprende 2Corinzi 1:1-11

1) La prima parte, 2Corinzi 1:12 - 7:16, contiene una esposizione apologetica del modo in cui Paolo ha esercitato ed esercita il glorioso ministerio evangelico ricevuto da Dio. Riferendosi alle ultime esperienze fatte, particolarmente in relazione coi Corinzi, egli protesta della santa sincerità con cui procede, glorifica Dio pei continui trionfi concessi al suo servo rivestito del ministerio del nuovo Patto. Dice poi delle sofferenze e delle speranze in mezzo a cui esercita questo ministerio; degli alti moventi che lo spingono così quando invita gl'incorvertiti a riconciliarsi con Dio, come quando esorta i credenti a santità; terminando con un caldo invito ai Corinzi a contraccambiare l'affetto e la fiducia ch'egli Paolo nutre a loro riguardo. Questa è stata chiamata la parte apologetica dell'epistola.

2) La seconda parte 2Corinzi 8; 9 è invece esortativa. Onde persuadere i Corinzi a fare generosamente il loro dovere verso i cristiani poveri di Gerusalemme, Paolo mette loro dinanzi lo splendido esempio dato dalle chiese di Macedonia ed i motivi che li devono portare a compiere degnamente quel ch'essi avevano incominciato. Presenta loro la deputazione macedone destinata a coadiuvare Tito in un'opera che sarà sorgente di ricche e svariate benedizioni, così per i beneficati come per i benefattori.

3) La terza parte 2Corinzi 10:1-13:10 è una rivendicazione fiera ed appassionata, per parte di Paolo, della propria autorità e dignità apostolica, di fronte alle boriose denigrazioni dei suoi avversari giudaizzanti. Egli afferma e dimostra la realtà dell'autorità inerente al suo apostolato; più che questo, è costretto dalle necessità della difesa ad esporre la superiorità del proprio apostolato su quello vantato dai falsi apostoli; da ultimo, dichiara l'uso che intende fare a Corinto dell'autorità ricevuta, qualora lo esiga l'ostinatezza dei pochi ribelli. È questa la parte polemica della lettera, come appare anche dal tono più veemente assunto dall'autore.

La Chiusa è brevissima e comprende 2Corinzi 13:11-13

L'autenticità della lettera non è contestata. Più che in ogni altra, si rivela in questa, la vivente personalità di Paolo, e si può «toccar con mano, ad un tempo la sua umiltà cristiana e la sua fierezza apostolica, la sua quasi femminile sensibilità e la sua indomabile energia, la sua mansuetudine disposta a tutto accettare, a tutto sopportare per la propria persona, e la severità sua capace di tutto affrontare e domare per la verità ch'è in Cristo» (Godet). Anche coloro che in 2Corinzi 6:14-7:1 ravvisano un brano fuori posto, e in 2Corinzi 10-13 vedono una lettera intermedia, riconoscono che tutto lo scritto è di Paolo. In fatto di testimonianze esterne, la lettera a Diognete verso il 150, contiene un passo ch'è manifestamente un'amplificazione di 2Corinzi 6:8-10; 10:3. «Si trovano, dice l'autore parlando dei cristiani, si trovano nella carne, ma non vivono secondo la carne; conversano sulla terra, ma la lor cittadinanza è nel cielo; ubbidiscono alle leggi stabilite e col sacrificio della lor propria vita si mostrano vincitori delle leggi; amano tutti e da tutti son perseguitati; sono sconosciuti eppur condannati; son messi a morte eppur vivificati; sono poveri ed arricchiscono molti; sono mancanti di tutto e di tutto abbondano; sono disonorati e nel disonore sono coperti di gloria; sono calunniati eppur giustificati; sono vituperati e benedicono; sono ingiuriati e rispettano; facendo il bene sono puniti come malvagi; essendo puniti, si rallegrano come se si facesse lor del bene» (Lett. Diogn. 5, 8). Teofilo d'Antiochia ha varie espressioni desunte dalla nostra Epistola. Verso il 175 la si trova inclusa fra le lettere canoniche di Paolo nelle versioni siriaca ed itala, come pure nel Canone di Muratori. Sul finir del secondo secolo, Ireneo, Clemente Alessandrino e Tertulliano la citano esplicitamente varie volte; Eusebio poi la colloca fra gli scritti non contestati.

La data ed il luogo d'origine della 2a ai Corinzi possono dedursi da quanto abbiamo esposto intorno alle circostanze della sua composizione. La poscritta posta in calce al testo comune dice che «fu scritta da Filippi in Macedonia, e recapitata per mezzo di Tito e di Luca». Di sicuro in codesta nota, non vi sono che due cose: la lettera è stata scritta dalla Macedonia e Tito ne fu, insieme ad altri, il latore a Corinto. Si confronti 2Corinzi 2:13; 7:5; 8:1,16-24; 9:2-3

La fine dell'autunno dell'anno 58 è la data alla quale accennano tutti gl'indizii che possediamo.

La letteratura esegetica relativa alla 2a Corinzi è meno ricca di quella che concerne la 1a Epistola. Mentoviamo, fra le altre, come opere più moderne da aggiungersi a quelle che comprendono l'intiero Nuovo Testamento (Calvino, Reuss, Alford, Bonnet, Meyer, Lange, Curci, il Hand-Kommentar di Holtzmann, ecc., il Popular Commentary di Schaff, ecc.), i commenti di De Wette, Osiander, Neander, C. Hodge, Heinrich, Beet, Klöpper, Langheinrich, Denney.

Galati

Galati - La Galazia ed i suoi abitanti

§1. La Galazia ed i suoi abitanti

La Galazia o «regione galata», com'è chiamata in Atti 16:6, era il nome geografico della parte centrale dell'altipiano dell'Asia Minore. I viaggiatori ce la descrivono come una pianura ondulata, monotona, senz'alberi, esposta d'estate al caldo ed alla siccità, mentre d'inverno è bianca di neve. L'altitudine varia dai 700 ai 1300 metri; una parte del territorio è coltivata a cereali e l'altra serve di pascoli al bestiame. La regione è attraversata dal fiume Halys (Kisil-Irmak) e le sue città principali erano Tavio ad Oriente, Ancira nel centro, Pessinonte ad Occidente. Le contrade che la limitavano erano, ad Est, il Ponto e la Cappadocia, al Sud la Licaonia e la Pisidia, ad Ovest la Frigia e al Nord la Bitinia e la Paflagonia.

Il nome Galazia fu dato a quella regione perchè sin dal terzo secolo a.C. vi si stabilirono delle tribù celtiche provenienti dalla Gallia. Esso avevano attraversato ingrossandosi, l'Alta Italia e la Pannonia, erano scese in Tracia e quindi, chiamate dal re di Bitinia Nicomede (279 a.C.), avevano passato l'Ellesponto in numero di circa 20000 persone di cui una metà armate, sotto i capi Leonnorio e Lutario. Respinti da Ovest dai re di Pergamo e dal Sud

dai re di Siria, si stabilirono nell'altipiano centrale. Ad Oriente dell'Halys era la tribù dei Trocmei colla città di Tavio; nel centro erano i Tectosagi colla capitale Ancira (Angora) e ad Occidente colla città di Pessinonte erano i Tolistobogi. Ogni tribù aveva quattro tetrarchi e questi dodici capi erano assistiti da un senato di 300 membri. I Galati o Kelti erano soprattutto guerrieri e pastori; ma sotto alla lor dominazione vivevano i Frigi che per lo più eran dediti all'agricoltura. Ebbero lunghe guerre con Mitridate di Ponto di cui scossero il giogo alleandosi coi Romani, alla cui dominazione finirono coll'adattarsi. Nel 64 a.C. Pompeo stabilì tre capi sulla Galazia fra cui Deiotaros che portava il titolo di re. Nel 25 a.C., essendo stato ucciso Aminta ultimo re dei Galati, Augusto trasformò il di lui regno in Provincia Romana sotto il Propraetor Lollio. Nella provincia furono così comprese, oltre la Galazia propriamente detta, la Licaonia, e una parte della Pisidia e della Frigia.

Dal fatto che la provincia romana di Galazia era più estesa della Galazia propria alcuni critici moderni (Hausrath, Renan, Pfleiderer, T. Zahn, Ramsay, ecc.) hanno tratto la conclusione che l'epistola ai Galati sia stata rivolta alle chiese della Licaonia (Iconio, Listra, Derbe) e della Pisidia, fondate da Paolo e Barnaba nel primo loro viaggio missionario, e incluse nella parte sud della provincia di Galazia. Per lo meno, secondo l'opinione dello Zahn, quelle chiese sono da comprendersi tra quelle a cui scrive l'apostolo.

Si fanno valere a sostegno di quest'ipotesi due ragioni principali:

1o. Paolo suole usare i nomi di provincia nel loro significato amministrativo. Risponde F. Godet: «Questa ragione non vale per i termini Giudea, Cilicia e Macedonia perchè il loro senso popolare coincideva, o quasi, col senso amministrativo. Quanto ai nomi Asia e Acaia il loro significato ufficiale era da tanto tempo entrato nell'uso popolare che l'averli Paolo adoprati nel senso ufficiale non prova assolutamente nulla. Riguardo al nome Siria esso è certamente in Galati l:21 usato nel senso puramente geografico per designare la contrada avente per centro Antiochia (cfr. Atti 15:23,41), e non nel suo senso ufficiale, poichè se designasse la grande provincia di Siria vi

sarebbe compresa la Giudea il che è recisamente escluso dal contesto (ove la Giudea è contrapposta alla Siria e alla Cilicia). Il nome di Galazia, invece, nel suo senso amministrativo non era entrato affatto nell'uso volgare. Anche nei monumenti e nelle monete del tempo, quel nome designa ordinariamente l'antico paese dei Galati nel senso proprio» (Introd. Epp. Paul, p. 220).

2o. Le chiese della Galazia propria, si dice ancora, non sono conosciute; non sappiamo in quali circostanze e in quali luoghi fossero fondate, nè come i giudaizzanti abbiano potuto spingersi fino a loro per turbarle. Invece, le chiese della parte meridionale della provincia galata, cioè le chiese di Pisidia e di Licaonia, ci sono ben note poichè Luca narra come, quando, dove e da chi furono fondate; inoltre esse erano più a portata degli emissari giudaizzanti sia che venissero da Antiochia o da Gerusalemme.

Quest'ultima considerazione risulta infondata poichè era più facile arrivare, per le grandi vie commerciali correnti da Antiochia a Bisanzio, fino al centro dell'altipiano che non di penetrare nelle remote vallate della Licaonia. Se Luca non narra la fondazione delle chiese galate per opera di Paolo, egli costata ad ogni modo la loro esistenza quando, al principio del terzo viaggio, egli dice di Paolo che «percorse di luogo in luogo il paese della Galazia e la Frigia confermando tutti i discepoli Atti 18:23», come avea fatto per le chiese di Licaonia al principio del secondo viaggio, prima di entrare in un nuovo campo Atti 15:36,41; 16:15. Le lettere dell'apostolo sono provocate dai bisogni speciali delle chiese e il fatto che quelle della Galazia propria erano in pericolo d'esser fuorviate giustifica abbastanza la sua epistola. Avea scritto due volte ai Tessalonicesi e vi scriverà due volte ai Corinzi, mentre a Berea per esempio non ebbe necessità di scrivere.

Fra le ragioni che militano contro l'ipotesi che i cristiani di Galazia cui Paolo scrive siano quelli della provincia romana di quel nome, citiamo le seguenti:

a) Luca, il compagno di Paolo, nei due luoghi ove mentova «il paese della Galazia» Atti 16:6; 18:23, lo distingue in modo indubbio dalla

Licaonia ov'erano le città di Derbe, Listra ed Iconio unite amministrativamente alla provincia di Galazia. Lo distingue parimenti dalla Frigia ch'era per buona parte nello stesso caso. Cfr. Atti 16:1-6. Dopo aver narrato la visita di Paolo e Sila alle chiese di Derbe, Listra e Iconio, conclude così: «Le chiese dunque erano confermate nella fede e crescevano in numero di giorno in giorno». Quindi, passando a narrar nuove conquiste, prosegue: «Poi traversarono la Frigia e il paese della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro d'annunziar la Parola in Asia». Per Luca la regione galata è dunque quella ove si erano stanziati i Celti da tre secoli.

b) Alludendo, nella sua epistola, alla fondazione delle chiese di Galazia, Paolo ne parla in modo da mostrare che non può trattarsi della fondazione di quelle di Pisidia e di Licaonia narrata in Atti 13;14. Egli si da come unico fondatore delle chiese (Galati 4:13 e segg.) e non mentova affatto Barnaba in connessione con quell'opera Galati 2:9, mentre, egli era stato suo collaboratore in Pisidia e Licaonia.

Egli afferma essersi trattenuto in Galazia a motivo di, una infermità fisica, una malattia degli occhi che ve lo avea costretto; ma che non aveva impedito ai Galati di accoglierlo come un angelo mandato loro da Dio. Ora di una tale infermità Luca non parla affatto in relazione colla fondazione delle chiese del Sud, intrapresa non incidentalmente, ma in esecuzione di un piano prestabilito. Egli narra invece la cacciata dei missionari da Antiochia di Pisidia e da Iconio, la lapidazione subìta da Paolo in Listra Atti 13:50; 14:46,19; ed a questi fatti non troviamo la minima allusione nell'Epistola ai Galati; il che prova come la missione in Licaonia e quella in Galazia siano due cose ben distinte per il tempo, per il luogo e per le circostanze in cui ciascuna ebbe luogo. Le chiese cui Paolo scrive sono dunque quelle del paese dei Celti.

I Celti, Kelti o Galati erano di carattere fiero ed anche crudele, ma erano retti ed onesti. Solevano combatter nudi, ma sacrificavano i prigioni e usavano contrassegnare con delle ferite alla faccia gli schiavi. D'altronde la popolazione della Galazia fu mista fin dal tempo dell'invasione celtica poichè sotto i nuovi dominatori restarono i Frigi a coltivare il suolo. E così

pure fu mista in fatto di lingua. Il frigio non sparì, il celtico durò a lungo fra gl'immigrati, tanto che, ancora nel IV secolo, Gerolamo dice aver notato in Galazia. un linguaggio simile a quello che avea sentito nei dintorni di Treviri. Ma la lingua del commercio, la lingua ufficiale e letteraria fu ben presto il greco. I Galati son perciò chiamati talvolta i Gallo-greci. Come nei linguaggi, vi fu mescolanza anche delle forme di paganesimo. Non si sono rinvenute tracce del culto druidico in Galazia, talchè è probabile che i nuovi venuti si siano presto adattati al culto frigio di Cibele il cui tempio a Pessinonte contava dei sacerdoti con nomi celti. D'altra parte, per influenza dei Greci, il culto di Giove, di Diana, di Mercurio si era fatto strada nell'altipiano come già nel mezzogiorno Atti 14

Quanto ai Giudei risulta da iscrizioni che se ne trovavano in buon numero in Galazia, specie nelle città, ov'erano dediti al commercio. Narra Giuseppe Flavio che Antioco il Grande, re di Siria, sapendoli a lui fedeli, aveva curato lo stabilimento in Frigia e in Lidia di 2000 famiglie di Ebrei provenienti da Babilonia e dalla Palestina, avea lor concesso piena libertà di culto e date delle terre, delle case e varie immunità. In seguito ad una petizione a lui spedita dai Giudei di Galazia, l'imperatore Augusto, pose sotto la sua protezione il loro culto e fece scolpire il decreto su di una colonna nel suo tempio d'Ancira. L'esistenza di nuclei giudei nel paese spiega in parte il successo ottenuto dai giudaizzanti nella loro propaganda.

Galati - Le Chiese della Galazia

§2. Le Chiese della Galazia

Fondazione delle chiese. Narrando gl'inizii del secondo gran viaggio missionario che dovea portare Paolo in Europa, Luca dice che, partito da Antiochia con Sila, attraversò da prima la Siria (parte N.O.) e la Cilicia fortificando le chiese; poi riferisce come, oltrepassate le gole del Tauro, visitò le chiese di Derbe, Listra e Iconio fondate nel primo viaggio e da quelle prese il giovane Timoteo quale aiuto. A modo di conclusione di questa visita alle comunità già stabilite, Luca aggiunge: «Le chiese dunque erano confermate nella fede e crescevano in numero di giorno in giorno».

Seguendo poi l'apostolo nei campi nuovi ove si reca a gettar la, Buona novella, lo storico scrive: «Poi traversarono la Frigia e il paese della Galazia avendo lo Spirito Santo vietato loro d'annunziar la Parola in Asia (proconsolare)» Atti 16:6; e obbedendo alle direzioni divine furono condotti a traversar l'Egeo. Luca non dice esplicitamente che Paolo abbia fondato delle chiese nel suo passaggio attraverso il paese della Galazia, nè dice quanto tempo vi si sia fermato. Ma quando viene a narrar il terzo viaggio egli dice in Atti 18:23: «Scese in Antiochia ed essendosi fermato quivi alquanto tempo, si partì, percorse di luogo in luogo il paese della Galazia e la Frigia confermando tutti i discepoli». V'erano dunque in quelle regioni dei discepoli, e dei discepoli che avevano bisogno d'esser confermati sia perchè imperfettamente istruiti nell'Evangelo, sia perché sollecitati da altri ad abbandonarlo.

Ponendo questi dati accanto a quelli che ci fornisce l'epistola, ne viene la conclusione irresistibile che le chiese esistenti in Galazia erano state fondate da Paolo nella sua prima visita a quella regione. Egli scrive infatti: «Voi sapete bene che io vi annunziai la prima volta l'evangelo a cagione d'una infermità della carne e quella mia infermità corporale che costituiva per voi una prova, voi non la sprezzaste nè l'aveste a schifo; al contrario mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù stesso. Dov'è dunque quel vostro proclamarvi felici? Poichè io vi rendo testimonianza che, se la cosa fosse stata possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati» Galati 4:13-15. L'oftalmia di cui Paolo soffriva era dunque quella che l'avea costretto forse per consiglio del medico Luca che troviamo con lui poco appresso Atti 16:10 a fermarsi nel clima sano della Galazia e ad evangelizzare quelle popolazioni. I Galati, col loro carattere impressionabile e cavalleresco, l'avevano accolto con affettuoso entusiasmo, avevano creduto nel Cristo, avevano ricevuto lo Spirito coi suoi doni straordinari Galati 3:15, formando in parecchi luoghi quei nuclei di credenti ai quali più tardi sarà rivolta la lettera. Questo era succeduto verso l'anno 51.

La seconda visita di Paolo. Luca vi accenna Atti 18:23 notando ch'essa avea per iscopo soprattutto di «confermar i discepoli» nella fede. Senza dubbio, dei neofiti lasciati a se stessi dopo una rapida istruzione, in ambiente a loro non favorevole, dovevano aver sempre bisogno d'esser confermati; ma fin

d'allora doveva esser cominciata in Galazia un'opera perturbatrice per parte di emissari giudaizzanti che non si erano adattati al compromesso di Gerusalemme Atti 15. Nell'epistola vi sono due od anche tre passi che, alludono ad una seconda visita di Paolo alle chiese. Nel Galati 4:13 il dire: «Quando la prima volta (το προτερον) vi annunziai L'evangelo...» implica che l'ha di poi annunziato per lo meno una seconda volta. Nel Galati 1:9 il dire: «Come ve l'abbiamo detto prima d'ora, torno a dirvi anche adesso...» implica del pari che, in una occasione precedente, i Galati erano stati da lui messi in guardia contro i pervertitori del Vangelo, e ciò non poteva essere avvenuto quando le chiese stesse erano state fondate. Cfr. ancora Galati 5:21. Ad ogni modo, l'apostolo sembra aver terminata la sua seconda visita, avvenuta circa l'anno 54, con la fiducia che le chiese seguiterebbero a «camminar bene» Galati 5:7. Informazioni ulteriori da lui ricevute gli fecero comprendere ch'egli si era illuso.

La propaganda dei giudaizzanti. Luca narra negli Atti quale scompiglio producesse in Antiochia, specialmente tra gli etnico-cristiani, la propaganda degli emissari venuti dalla Giudea e che andavano predicando: Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete esser salvati Atti 15:1. La conferenza di Gerusalemme convocata in quell'occasione avea salvaguardato il principio fondamentale della libertà cristiana pur consigliando ai cristiani etnici di usare certi riguardi verso gli scrupoli dei Giudei. Ma i giudaizzanti non si erano dati per vinti e dalle Epistole di Paolo si deduce che la loro propaganda avea seguitato in Antiochia Galati 2:12 e in altri luoghi, come ad esempio Corinto ove sembrano essersi dati per i più genuini seguaci di Cristo onde meglio scalzare l'autorità del suo apostolo.

Anche in Galazia i perturbatori dovettero penetrare dal di fuori e ivi pure insegnavano la necessità per la salvezza di osservar la legge mosaica, almeno in corte sue prescrizioni più esterne come quelle relative ai giorni festivi giudaici e alla circoncisione. L'esser le chiese composte in parte di Giudei, l'esser le pratiche mosaiche d'istituzione divina, il fanatismo dei giudaizzanti, il carattere instabile dei Galati, tutto ciò avea favorito l'opera di quegli intrusi. Ma la seconda visita dell'apostolo alle chiese parve, per un tempo, aver soffocato il malgerme.

«Che cosa avvenne dopo la partenza di Paolo? Manifestamente un'aggressione nuova e, più efficace delle precedenti. Un individuo ragguardevole, venuto non sappiamo se da Gerusalemme o d'altrove, si fece ad attaccare non solo l'insegnamento ma anche l'apostolato e perfino il carattere morale di Paolo, giungendo a guadagnarsi la fiducia e l'affetto dei Galati. Riuscì ad insinuare la sfiducia verso il loro apostolo rappresentandolo come un nuovo arrivato, altiero ed ambizioso, che non si peritava di ribellarsi ai suoi maestri cioè ai veri apostoli di Gesù e di contestare al popolo Giudeo il diritto di preeminenza che l'Ant. T. gli assicurava e che Gesù stesso gli avea riconosciuto. Un tale insegnamento era bastato per scuotere seriamente gli spiriti e già si cominciava a celebrar le feste giudaiche... e molti stavano per farsi circoncidere» (Godet op. cit. p. 271).

Saputo del pericolo in cui erano i suoi figli spirituali, Paolo prende la penna e scrive, tutta di suo pugno, una delle sue lettere polemiche più vivaci e severe in cui mette a nudo i moventi egoistici, le insinuazioni menzognere, gli errori dottrinali dei guidaizzanti sforzandosi di render salda la fede dei Galati nell'unico vero Evangelo, ch'era quello da loro accolto, anni prima, con tanta gioia. È questa la terza battaglia campale sostenuta dall'apostolo dei Gentili per la causa della libertà cristiana. La prima l'avea combattuta nella chiesa d'Antiochia; la seconda nella conferenza di Gerusalemme, e la terza la combatte con questa lettera. Sebbene ci manchino i dati circa il risultato ottenuto da Paolo, tutto induce a credere che le chiese galate furono salvate dal pericolo che minacciava di ridurle in una gretta setta giudaizzante. Nella 1Corinzi 16:1, scritta verso la fine del soggiorno in Efeso, Paolo parla di ordini dati alle chiese di Galazia intorno alla colletta per Gerusalemme; e questo induce a credere che le chiese non si erano staccate dal loro apostolo.

Galati - L'Epistola ai Galati

§3. L'Epistola ai Galati

Lo Schema della Lettera. L'epistola consta di tre parti: la prima di carattere apologetico-personale, la seconda di carattere dottrinale e la terza di carattere pratico. La prima è stata intitolata: L'apostolo della libertà perchè Paolo vi espone l'origine divina del proprio apostolato e narra come i capi giudeo-cristiani hanno cordialmente riconosciuto la sua missione. La seconda parte è stata intitolata: La Dottrina della Libertà cristiana perchè ne dimostra la verità con argomenti tratti dall'esperienza cristiana e dalle Scritture; e la terza parte è stata intitolata: I Frutti della libertà che non sono la licenza, ma la sottomissione della vita intera al governo dello Spirito. Lo schema seguente darà un'idea del contenuto dello scritto apostolico.

Galati 1:1-5. Il Saluto epistolare

I. PARTE APOLOGETICA:

L'apostolo del Vangelo della grazia e della libertà.

SEZIONE A. Galati 1:6-10. Lo stupore di Paolo di fronte alla incipiente defezione dei Galati.

SEZIONE B. Galati 1:11-24. Paolo ha ricevuto l'Evangelo che predica, non dagli uomini ma da Dio.

SEZIONE C. Galati 2:1-10. L'apostolato di Paolo è stato riconosciuto a Gerusalemme.

SEZIONE D. Galati 2:11-21. Paolo ha mantenuto integro l'Evangelo della libertà anche di faccia a Pietro resosi inconseguente in Antiochia.

II. PARTE DOTTRINALE:

La verità dell'Evangelo della grazia e della libertà.

SEZIONE A. Galati 3:1-14. La grazia è assicurata alla fede, non alle opere legali. Lo provano l'esperienza dei Galati e l'insegnamento delle Scritture.

SEZIONE B. Galati 3:15-4:7. L'ufficio subordinato della legge fino alla venuta di Cristo. La legge non annulla la promessa fatta ai patriarchi. La legge è stata aggiunta per rivelare il peccato, non per dar la vita. La legge è stata un pedagogo ed un tutore in attesa di Cristo.

SEZIONE C. Galati 4:8-5:12. La follia del regresso dalla libertà nella servitù. Un tal regresso contrasta colla conoscenza superiore che i Galati hanno di Dio e coll'accoglienza da loro fatta al banditore del Vangelo. Mostra che non intendono la superiorità del Patto della libertà, rappresentato da Sara, sul Patto della servitù rappresentato dalla schiava Agar. Implica un rinunziare alla grazia di Dio in Cristo.

III. PARTE PRATICA:

La vita nella libertà.

SEZIONE A. Galati 5:13-15. La vita nella libertà ha per norma suprema l'amore.

SEZIONE B. Galati 5:16-25. La vita nella libertà è vita creata e retta dallo Spirito che solo può dar la vittoria sulla carne.

SEZIONE C. Galati 5:26-6-10. Gl'impulsi dello Spirito in quanto concerne l'umiltà e la mansuetudine verso i fratelli, anche se caduti, il sostentamento dei pastori e la beneficenza.

Galati 6:11-18. La Chiusa della lettera.

Luogo e data della composizione. L'epistola è stata posta dagli uni al principio, o quasi, del ministerio di Paolo e da altri alla fine. Ma, ritenendo noi la lettera come rivolta alle chiese della Galazia propria, e risultando essa scritta dopo la seconda visita di Paolo a quelle chiese, siamo necessariamente condotti a collocare l'epistola nel periodo dei tre anni trascorsi da lui in Efeso. Infatti, quando l'apostolo lasciò la Galazia e la Frigia, al principio del suo terzo viaggio, fu per recarsi in Efeso come l'avea prima promesso Atti 18:20,23; 19:1. Quanto tempo sia passato dall'arrivo di Paolo nell'Asia proconsolare fino al momento in cui gli giunsero dalla Galazia le notizie che turbarono così profondamente il suo cuore, non possiamo dirlo con precisione. Ma la lettera lascia l'impressione d'essere stata scritta meno di un anno dopo l'ultima visita ai Galati. «Voi correvate bene, esclama Paolo nella sua dolorosa sorpresa, chi vi ha fermati inducendovi a non ubbidire alla verità?» Galati 5:7. «O galati insensati! chi vi ha ammaliati...?» Galati 3:1. «Io mi stupisco che così presto voi passiate da Colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, ad un altro evangelo!» Atti 1:6. Se dalla sua ultima visita fossero trascorsi tre anni od anche solo due, non s'intenderebbero più cotali espressioni di sorpresa. Stimiamo dunque ben fondata l'opinione di storici ed esegeti come Neander, Meyer, Reuss, B. Weiss, Sieffert, Lipsius, Godet, W. Bousset, i quali credono la lettera scritta in Efeso nel 55, cioè nel corso del primo anno della residenza di Paolo in Efeso

L'epistola nel corso della storia della Chiesa. Sebbene non lunga, l'epistola che stabilisce l'origine divina della missione dell'apostolo delle Genti, l'epistola che proclama a chiare note e dimostra la libertà cristiana per la quale il credente nel Cristo è emancipato dalla servitù della legge e posto sotto la interna, potente guida dello Spirito, non poteva non esercitare una profonda influenza nella storia del cristianesimo.

Nel 1o Secolo essa, con quelle ai Romani, ai Corinzi, ed agli Ebrei, contribuì a ben definire la posizione del cristianesimo di fronte al giudaismo che ne avea preparato l'avvento, ma che dovea sparire come la luce delle stelle quando spunta il sole.

L'epistola è ben conosciuta nel IIo Secolo. Policarpo vi allude manifestamente quando scrive ai Filippesi: «Sapendo che a Dio non si fanno beffe» Galati 6:7. Marcione nel 140 ne faccia gran conto e con lui gli altri dottori gnostici. Giustino Martire riproduce il passo Galati 3:10 ed esclama nel Discorso ai Gentili; «Siate come son io poichè anch'io fui come voi» parole che ricordano Galati 4:12. La versione Siriaca, l'Itala, il Canone di Muratori la includono tra le epistole di Paolo, e, intorno al 200, la vediamo esplicitamente citata da Ireneo, da Tertulliano, da Clemente Alessandrino. Eusebio nel IVo Secolo non avea trovato nulla contro l'autenticità e canonicità di essa nella letteratura dei secoli antecedenti.

Il Medio-Evo che segnò per la Chiesa un regresso sotto al regime legale del merito dell'opere e sotto la servitù delle pratiche imposte dall'autorità, lasciò coprirsi di polvere non solo l'epistola ai Galati, ma tutte le altre Scritture. Colla Riforma essa riacquistò la sua importanza e Lutero che scrisse su di essa il suo più bel commentario poteva dire: «L'epistola ai Galati è la mia epistola, ad essa mi sono fidanzato ed essa è mia moglie... È la mia più potente macchina per abbattere le masse d'errori che il tempo ha accumulato sulle semplici fondamenta del Vangelo». Egli che avea sentito il peso delle catene della schiavitù e le angosce della maledizione pronunziata dalla legge su chi non persevera in tutte le cose in essa scritte, era meglio di altri in grado di sperimentar la gioia della redenzione in Cristo e dell'emancipazione spirituale da lui assicurata ai credenti. L'epistola è divenuta, dalla Riforma in poi, uno dei baluardi della Chiesa evangelica contro la dottrina della salvazione per meriti umani, contro la tirannia papale, contro ogni tentativo di confiscare la libertà cristiana, e in pari tempo contro ogni abuso di essa.

In tempi a noi più vicini, il testo dei due primi capitoli dell'Epistola ai Galati è restato uno dei baluardi più saldi contro le teorie di chi spiegava l'origine di tutti i libri del N. T. come dovuta alle tendenze polemiche od ireniche tra giudeo-cristianesimo e paolinismo, od anche di chi considerava il sistema dottrinale di Paolo come di gran lunga superiore all'insegnamento di Cristo, e l'apostolo stesso come il vero fondatore del cristianesimo. Paolo invece dichiara d'aver ricevuto l'Evangelo da Cristo stesso e tra lui ed i rappresentanti delle chiese giudeo-cristiane non v'è stato mai conflitto

dottrinale. Le sue battaglie le ha combattute contro i giudaizzanti che sovvertivano l'Evangelo apostolico della grazia e della libertà.

Galati - Letteratura esegetica

Fra i Commentari sull'epistola ai Galati. vanno mentovati specialmente, oltre gli antichi di Crisostomo, di Teodoreto ecc., quelli di Lutero, di Calvino, di Meyer (Krit. Exeg. Handbuch), di Sieffert (7a Ediz. del Comm. di Meyer), di Schmoller nel Lange's Bibelwerk, di Philippi, di Olshausen, di SchIatter, di Lipsius nel HandKomm., di Zöckler nel Kurzgef. Komm., di W. Bousset nel Die Schriften d. N. T. edito da J. Weiss; quelli inglesi di J. Brown, di Ellicott, di Alford, di J. B. Lightfoot, di Huxtable nel Pulpit Comm., di Ramsay, di Schaff nel Popular Comm., di Sanday; quelli francesi di Sardinoux, di Reuss (La Bible), di Bonnet-Schroeder.

Efesini

Efesini - I lettori della lettera

1 - I lettori della lettera

La nostra lettera è intitolata: Epistola di San Paolo agli efesini; e la diodatina, la martiniana che traduce la Volgata di San Girolamo, e tanti tanti altri, hanno tradotto e traducono l'indirizzo della lettera Efesini 1:1, così: Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio,

a' santi che sono in Efeso.

E se cotesto titolo fosse proprio dell'autore della lettera, è se la traduzione dell'indirizzo fosse la traduzione esatta del testo originale genuino, la cosa sarebbe semplicissima, e i lettori della lettera sarebbero belli e trovati. Ma, purtroppo, così non è. È noto che i titoli dei diversi libri del Nuovo Testamento sono non degli autori, ma cosa posteriore, nata dalla necessità di

distinguere l'uno scritto dall'altro, quando cotesti libri s'andavano man mano raggruppando in quel tutto, che oggi possediamo col nome di Nuovo Testamento. E per quel che concerne le lettere apostoliche, si sa che gli scrittori sacri avean l'abitudine d'indicarne la destinazione, nella prima frase del loro testo. Ora è ben vero che quasi tutti i Manoscritti e quasi tutte le edizioni della nostra lettera hanno, in Efesini 1:1, la frase: Paolo... a' santi e fedeli in Gesù Cristo,

che sono in Efeso;

ma è pur indubitatamente vero che codesto...

che sono in Efeso,

in origine, non si trovava nel testo. San Basilio, che viveva nella seconda metà del 4° secolo, afferma che, a tempo suo, coteste parole non si trovavano nei Manoscritti più antichi; e cotesta omissione era pur attestata da chi aveva scritto prima di lui. Difatti, l'attesta anche Origene; e, indirettamente, già Tertulliano l'aveva attestata; Tertulliano, che fa un delitto all'eretico Marcione d'aver dato a questa lettera nostra il titolo: Ai laodicesi: Ecclesiae quidem veritate epistolam istam ad Ephesios habemus emissam, non ad Laodicenos; sed Marcion ei titulum aliquando interpolare gestiit, quasi et in isto diligentissimus explorator; nihil autem de titulis interest, cum ad omnes apostulus scripserit, dum ad quosdam (Adv. Mare. V, 17). Dalle quali parole è evidente che il testo che Marcione avea sott'occhi, non conteneva lo εν Εφεσω (...che sono in Efeso); ed è pur, mi sembra, evidente che neanche Tertulliano conosceva l'esistenza di coteste due parole in Efesini 1:1; perché, se l'avesse, conosciuta, non avrebbe soltanto accusato Marcione d'avere «interpolato il titolo», ma l'avrebbe senza dubbio accusato d'aver «falsato il testo». Figurarsi, se non l'avrebbe fatto; lui, che andava cercando proprio come chi cerca il pelo nell'uovo, tutte le mende critiche dell'eretico aborrito! E poi, se Tertulliano avesse avuto cotesto in Efeso nel suo testo, per rivendicare l'esattezza del titolo agli efesini non si sarebbe valso della «verità della Chiesa», come fa nelle parole che ho citate, ma avrebbe detto, con maggior efficacia e con argomentare adamantino: «È il testo che dà la lettera come indirizzata agli efesini!». E non basta; anche San

Girolamo attesta l'assenza del nome della città di Efeso nel passo Efesini 1:1; e a noi pur consta che cotesto nome manca nei due più antichi Manoscritti che possediamo: il Sinaitico ed il Vaticano. Nel Sinaitico, lo in Efeso è l'aggiunta marginale di un copista; e nel Vaticano, è l'aggiunta recente di un qualche correttore. Ora, siccome non v'è ragione al mondo che possa spiegare il perché i copisti si sarebbero presa arbitrariamente la scesa di testa di cancellare dall'originale il nome della chiesa alla quale la lettera era indirizzata, bisogna di necessità ammettere che l'omissione del nome è dovuta all'autore della lettera stessa. Il che ci conduce a supporre che la lettera nostra non era diretta ad una chiesa di una località particolare, ma era piuttosto una «enciclica», o, come solevano dir gli antichi, una «lettera cattolica», destinata alle diverse chiese dell'interno dell'Asia proconsolare.

Il primitivo indirizzo della lettera sarebbe dunque stato questo:

Ai santi e fedeli in Gesù Cristo, che sono a...

col nome in bianco; e il nome aggiunto poi, sarebbe stato quello della chiesa a cui la copia della lettera era destinata; o, se è vero, come lo Hort suppone, che da principio non vi fosse che un unico esemplare della lettera, esemplare che Tichico Efesini 6:22; Colossesi 4:7 avrebbe portato qua e là, la lacuna sarebbe stata riempita volta per volta oralmente, col nome del luogo nel quale la lettera stessa era letta.

Questa ipotesi della «enciclica», della «lettera cattolica» o «circolare» che dir si voglia, è stata adottata da una folla di critici, quali il Bengel, il Iveander, lo Harless, l'Olshausen, il Reuss, lo Ellicott, il Lightfoot, lo Hort, il Weiss, il Milligan, lo Abbott, il Sabatier, ed è confortata da tre fatti.

1) Questa cosiddetta lettera agli efesini è indirizzata a degli lettori che Paolo non ha mai veduto, e che non hanno mai veduto Paolo Efesini 2:11-19; 3:1-4,7-21. Chi eran dessi? E evidente che non vanno cercati lungi da Colosse, da che lo stesso individuo è il latore di questa e della lettera ai colossesi. Il Sabatier cita un passo, negletto dagli altri critici, ma che; a questo proposito, ha una grande importanza: Io desidero che sappiate qual'ardua lotta io combatta per voi, e per quelli di Laodicea,

e per quanti non mi conoscono personalmente Colossesi 2:1. Scrivendo queste parole, è evidente che Paolo avea dinanzi agli occhi vari gruppi di lettori quello della chiesa di Colosse, quello della chiesa di Laodicea, e quello delle altre chiese che non conoscevano di persona l'apostolo. Tutto questo non rispond'egli mirabilmente a quel che diciamo noi degli lettori della cosiddetta agli efesini?

2) Alla fine della lettera ai Colossesi Colossesi 4:15 si legge: E quando questa lettera sarà stata letta fra voi, fate in modo che sia letta anche nella chiesa dei laodicesi, e che voi dal canto vostro, Leggiate quella che vi verrà da Laodicea. Evidentemente qui si tratta d'uno scambio di lettere fra due chiese vicine. Ora, se ammettiamo che la lettera la quale dovea giungere ai colossesi per il tramite di Laodicea era precisamente la lettera «circolare» di cui stiamo parlando, le cose si spiegano pienamente e bene. Ogni altra ipotesi, invece, non fa che imbrogliare la matassa (vedi Comment. Colossesi 4:15Colossesi 4:15). E questo che dico è tanto vero, che la gran maggioranza degli interpreti che ammettono l'autenticità della lettera ai colossesi, si son fermati a cotesta ipotesi della «circolare».

3) L'intonazione generale ed il carattere della lettera sono più armonia con, l'ipotesi della «circolare», che con ogni altra ipotesi. Le relazioni dell'apostolo con la chiesa efesina erano intime, affettuosissime (confr. Atti 20:18 e seg.; Atti 20:31). Il cuore dell'apostolo ora pieno di sacre e care ricordanze della chiesa amata. Ed ora che l'apostolo è lontano, la cosa più naturale che ci potremmo aspettare da lui, sarebbe questa: una lettera rigurgitante d'affetto, piena di allusioni ai suoi lavori in mezzo a lei, ricca di dolci reminiscenze personali. Invece, nossignori; eccovi uno scritto, che ha più, l'aria d'un trattato che d'una lettera; e che è così privo d'ogni colore locale o personale, che potrebbe esser benissimo una lettera scritta ad una chiesa a cui Paolo non si fosse mai neppure avvicinato. E come fare ad ammettere che questa lettera nostra sia proprio stata scritta dall'apostolo alla chiesa ch'egli ama ardentemente, e dalla quale è ardentemente riamato?

Fermiamoci dunque all'ipotesi della «circolare», che è la più plausibile.

Ammessa cotesta ipotesi, rimane però un fatto da spiegare. Come mai che cotesto in Efeso si è introdotto nell'indirizzo ed è diventato, col tempo, la lezione generale e dominante? Ecco com'è andata, risponde il Godet. Tichico dovea senza dubbio sbarcare a cotesto porto di Efeso. Se si fecero degli altri esemplari della lettera da mandare alle varie chiese a cui ella era destinata, fu senza dubbio ad Efeso che cotesto lavoro fu eseguito; ed è naturale il pensare che una copia di cotesto scritto importante Efeso la conservasse per sé. Ora, siccome Efeso era la metropoli dell'Asia Minore ed il porto più accessibile agli altri paesi, questo dev'esser successo: che quando le diverse chiese della cristianità vollero anche loro possedere, in proprio una copia della lettera paulina, si rivolsero ad Efeso piuttosto che a qualche altra chiesa dell'interno o di qualche altro porto. E dev'essere avvenuto così che, in coteste numerose copie provenienti dagli archivi della chiesa d'Efeso, la primitiva lacuna fu in buona fede riempita con le parole che leggiamo negli esemplari ordinari, mentre pochi documenti soltanto conservarono la forma dell'esemplare primitivo.

A conclusione di questo punto relativo ai lettori, aggiungo soltanto ch'essi eran dei cristiani d'origine pagana. Questo risulta senz'ombra di dubbio da Efesini 1:13, dov'eglino son contrapposti col pronome voi ai giudei credenti, fra i quali si novera l'autore (noi Efesini 11:12); da Efesini 2:2-3,11-12, che evidentemente si riferiscono a degli antichi pagani; e da Efesini 3:13; 4:1719 («come fanno gli altri pagani»). Ciò, naturalmente, non esclude che, fra cotesti lettori, si trovasse anche una minoranza giudaica; ella risulta anzi dal noi, contrapposto al voi, di Efesini 1:11;2:3. Ma la lettera non ha verbo che accenni a qualsiasi attitudine aggressiva di cotesta minoranza.

Efesini - L'autenticità della lettera

2. L'autenticità della lettera

Già, in Clemente romano e nella Didachè troviamo l'eco della lettera nostra. Ignazio d'Antiochia, al principio del 2° secolo, e Policarpo un po' più tardi, mostrano di conoscerla. Marcione, verso il 140, le fece posto nel suo

Canone. In Oriente la tradizione siriaca, in Occidente l'antica tradizione latina, e il Frammento muratoriano la riconoscono apostolica. E Ireneo, Clemente, Tertulliano, Origene ed Eusebio se ne servono, senza mai porre in dubbio l'autenticità di lei. Lo stesso Renan è costretto a dire: «Fra le lettere che portano il nome di Paolo, l'epistola agli efesini è forse quella che è stata citata più anticamente come un lavoro dell'apostolo dei Gentili».

L'attacco più serio contro l'autenticità della lettera data dal Baur e dalla sua famosa scuola (Schwegler, Kösttin, Hilgenfeld, Hausrath ecc.); e le posteriori cariche a fondo vennero dallo Hönig, dallo Hitzig, dallo Holtzmann, dal Ritschl e dal Pfeiderer. Le obiezioni più forti sono due. La prima, fondata sulla somiglianza che è fra questa lettera e quella ai colossesi. La seconda, quella fondata sullo stile della lettera stessa.

1) Per quel che concerne la somiglianza fra le due lettere, ecco, per esempio, come si esprime il De Wette: «Questa lettera (agli efesini) dipende in tal modo dall'altra ai colossesi, che si riduce quasi a nient'altro che ad una verbosa amplificazione di quest'ultima». Cotesta dipendenza, però, è da altri considerata proprio a rovescio. Il Mayerhoff sostiene che è quella ai colossesi che dipende dall'altra agli efesini; e lo Holtzmann, invece, ha dimostrato che la bilancia non pende nè da una parte nè dall'altra, e che le due lettere sono in ugual misura l'una debitrice dell'altra. Ora, se si considerano bene le cose, questo fatto colpisce lo studioso: che i soggetti trattati dalle due lettere, sono completamente diversi l'uno dall'altro, Scrivendo l'una (colossesi), l'apostolo ha in mente lo gnosticismo embrionale; scrivendo l'altra (la nostra), ha in mente la santità del corpo mistico di Cristo, ossia della Chiesa. E se l'apostolo, scrivendo le due lettere nello stesso giorno o nella stessa settimana perchè potessero esser portate dallo stesso messaggero, s'è ripetuto in qualcuna delle sue idee o in qualcuna delle sue espressioni e si è servito di idee ed ha usato delle espressioni che si somigliano, grideremo noi subito, per questo, alla inautenticità, al plagio ed al falso?

2) Ma l'obiezione anche più grave di cotesta, è quella che si fonda sullo stile della lettera. Ed è obiezione così seria, che è giunta per un

momento a creare dei dubbi perfino nella mente del Prof. Godet. E ci dica egli stesso in qual modo ci sia giunto a dissipare cotesti dubbi. «Si parla di verbosità, di pesantezza, di aggrovigliamento di frasi. Credo sia dir troppo. Si notano in questo scritto un'abbondanza di epiteti, una ricchezza di complementi o di sinonimi, delle serie di proposizioni incidentali che, nonostante la grandezza e la varietà delle idee, fanno forte contrasto con la vigorosa sobrietà che, in generale, caratterizza lo stile di Paolo. Si può egli ammettere che il pensiero dell'apostolo abbia potuto rivestire una forma così oratoria? Per me, non la credo cosa impossibile. Il tono d'un inno non è il tono d'un trattato. Un canto di trionfo non somiglia ad un grido di guerra. Il genio di Paolo sapeva sempre e bene adattare il modo di scrivere a dei generi di componimento molto diversi l'uno dall'altro. Egli ricorda ai corinzi 1Corinzi 14:18 «ch'egli parla «in lingua» più che loro tutti». Noi sappiamo, dal più al meno, che cosa significasse cotesto termine «lingua»: un discorso, nel quale l'esuberanza del sentimento aveva il sopravvento sull'esercizio delle facoltà razionali. Paolo, appunto per cotesta ragione, esige, da chi voglia parlare «in lingua» nell'assemblea, che interpreti il contenuto dell'estasi alla quale l'anima sua s'abbandona. Un discorso cosiffatto 1Corinzi 14:6 differiva dall'insegnamento propriamente detto e dalla profezia. Il carattere suo dominante 1Corinzi 14:18 era l'eucarestia, il «rendimento di grazie». E cotesto è precisamente il carattere della epistola nostra, sopratutto nella sua prima parte, nella quale specialmente spiccano le cose che colpiscono lo studioso, e che sono state messe in rilievo a danno dell'autenticità della lettera (Vedasi Efesini 1:3-15; 2:10,19-22; 3:1321). Io non dico che cotesti biasano la traduzione d'una «lingua»; noto soltanto che lo spirito dell'apostolo era atto a produrli. Il desiderio che Paolo provava di far sentire ai cristiani d'Asia, un tempo ingolfati nel paganesimo più grossolano, la grandezza dell'opera compiuta dalla grazia di Dio a favore loro in armonia col piano eterno e per la medianità del suo ministerio è stato tale, da fare senza dubbio spiegare le ali alla sua parola, e da ispirargli questi nuovi accenti».

Efesini - Lo scopo della lettera

3. Lo scopo della lettera

Lo scopo di questo documento importante è stato variamente concepito. Il Baur e la sua scuola hanno detto: «Presentando (come fa nella sua lettera) alla Chiesa una nozione superiore della persona di Cristo, e facendo di Cristo il centro d'unità nel quale tutte le opposizioni armonicamente s'incontrano, l'autore ha voluto fare assorgere la Chiesa stessa alla coscienza della propria unità e lavorare alla soluzione del contrasto fra i cristiani d'origine, giudaica e quelli d'origine pagana». Il Pfleiderer, invece, crede che scopo dell'autore sia stato quello di reprimere la licenza dei pagani convertiti e l'antinomianismo che li spingeva a romperla coi giudeo-cristiani. Il Sabatier poi attribuisce alla lettera uno scopo tutto speculativo: «Fin qui l'Evangelo era stato concepito come mezzo di salvezza; l'apostolo, adesso, lo trae all'altezza di un principio universale». «Egli tenta di darci, in questo suo scritto, un saggio di metafisica cristiana». Ei presenta la redenzione come «il pensiero eterno di Dio che abbraccia non soltanto tutte le età, ma anche tutto quanto l'universo».

Secondo me, però, è il Godet che, col suo solito intuito acuto e sicuro, ha afferrato il vero scopo dello scritto che studiamo. Ecco le sue parole: «L'autore vuol impegnare le chiese, in maggioranza pagano-cristiane, a trarre la loro condotta morale alla vera altezza di quella santità, che è richiesta dalla dignità di membra del corpo di Cristo; dignità che è loro, nella stessa misura che dell'antico popolo eletto. Se consideriamo le cose da questo punto di vista, ben si capirà tutta quanta la prima parte della lettera, che non è se non la via per giungere alla seconda, in cui sta il vero scopo dell'apostolo. La lettera è tutta concentrata nel passo Efesini 4:1: Io vi esorto dunque a vivere in modo degno della vocazione della quale foste chiamati. È la parola a cui mira tutta la prima parte, e dalla quale procede tutta quanta la seconda. L'unità della Chiesa entra senza dubbio come elemento essenziale nel quadro che l'apostolo fa di quel santo organismo che è il corpo di Cristo; ma cotesta idea, di per se, non è sufficiente a spiegare il modello completo della vita cristiana che Paolo traccia nella seconda parte, nè la descrizione della lotta e delle armi del cristianesimo con cui la lettera finisce, e nella quale non è fatto il menomo accenno all'unione fra quelli che

compongono la Chiesa. La grandezza della grazia fatta ai cristiani d'origine pagana e l'altezza della santità alla quale cotesta grazia li chiama, ecco l'epistola detta «agli efesini», nella quale l'appello all'unione non ha che una parte secondaria, e il tentativo di formare una metafisica cristiana non ha addirittura parte di sorta. Se l'apostolo spiega davanti agli occhi dei suoi lettori «la sapienza davanti i secoli» 1Corinzi 2:7, egli non pensa affatto a innamorarli speculativamente; egli li vuol interamente conquistare a Dio, mediante la intelligenza dei piani dell'immenso ed eterno amore di lui».

Efesini - Dove e quando la lettera fu scritta

4. Dove e quando la lettera fu scritta

La nostra lettera fu scritta mentre Paolo era in carcere Efesini 3:1; 4:1; 6:20; e confrontando la menzione di Tichico, latore della lettera, in Efesini 6:21; Colossesi 4:6-8; Filemone 10,12, possiamo concludere che coteste tre lettere furono scritte nel medesimo tempo e nel medesimo luogo.

Il più dei commentatori ha dato Roma come luogo dal quale queste tre lettere sarebbero partite. Vari moderni, però, hanno pensato invece a Cesarea Atti 23:35; 24:27. Fra codesti, per esempio, il Thiersch, il Reuss, il Meyer, il Sabatier lo Holtzmann, lo Hilgenfeld, lo Hausrath, il Weiss.

A conforto di questa seconda idea, ecco quali argomenti si recano.

1) Secondo Colossesi 4:8, lo schiavo Onesimo (vedi lettera a Filemone) è incaricato con Tichico di portare a Colosse la lettera diretta ai cristiani di cotesta città. Quindi, si conclude, la lettera dev'essere stata spedita da Cesarea anzichè da Roma, perchè ad Onesimo, ch'era uno schiavo fuggiasco, sarebbe stato più facile trovare un asilo in Siria, che in Italia. Ma, risponde il Godet, le comunicazioni fra Efeso e Roma erano tanto frequenti quanto quelle tra Efeso e Cesarea, e, forse, più frequenti; e poi, aggiunge, il Wieseler, in una gran capitale come Roma, Onesimo avrebbe potuto molto più facilmente che

in una piccola città come Cesarea, sfuggire alla caccia che si dava ai fugitivarii.

2) Il Meyer, però, aggiunge: D'Onesimo è parlato nella lettera ai colossesi; in quella agli efesini, non se ne parla più. Che vuol dir questo? Vuol dire che Onesimo erra rimasto a Colosse, e che i latori della lettera non venivano da Roma, ma dall'Oriente. Badate a questo, però, si, risponde. In Colossesi 4:8 Onesimo è detto esser egli stesso di Colosse; si tratta quindi di persona che, se interessava cotesta chiesa, poteva benissimo non interessare affatto le altre chiese, alle quali la lettera cosiddetta agli efesini era indirizzata.

3) Anche il terremoto s'è cercato di sfruttare a pro di questa teoria. E i lettori saranno del mio parere che, anche già così all'ingrosso, un terremoto è davvero base troppo poco solida ad un argomentare di qualsiasi genere. E, nel caso nostro, è proprio così. Nella lettera ai colossesi, si dice, non è menzione di sorta del terremoto che devastò le città del Lico. Secondo Tacito, nel 60 di Cristo, uno di cotesti flagelli ruinò addirittura Laodicea. Secondo Eusebio, invece, cotesto terremoto avrebbe battuto nel 64, e avrebbe danneggiato le città di Laodicea, Ierapoli e Colosse. Ora, si dice: se Tacito ed Eusebio parlano del medesimo terremoto, e se la data di Tacito è corretta, la mancanza, d'ogni allusione a cotesto flagello nella lettera scritta a Cesarea, si spiega col fatto che la lettera fu scritta prima del terremoto; ma se la lettera fu scritta dal carcere di Roma, cotesta mancanza non si spiega più. Ma piano ai miei passi. Prima di tutto, l'argomento e silentio va preso sempre con benefizio d'inventario; e nel caso nostro, non prova proprio nulla. Io mi domando: Ammesse pur per stabilite in modo inconcusso tutte le date e le circostanze relative a codesto terremoto, era proprio assolutamente necessario ed inevitabile che del terremoto Paolo parlasse nelle sue lettere? Ma le date e le circostanze relative al flagello di cui parliamo, sono ben lungi dall'essere stabilite in modo sicuro. Chi ha ragione, Tacito o Eusebio? Se avesse ragione Eusebio, per esempio, tanto la cattività di Roma quanto quella di Cesarea potrebbero aver preceduto il terremoto. Ma poi: Tacito ed Eusebio parlano essi proprio d'un medesimo terremoto? Il Lightfoot e lo Hort,

intanto, citano l'ipotesi dello Herzberg, secondo la quale i due autori parlerebbero di due terremoti diversi; e siccome Tacito menziona soltanto Laodicea, vorrebbe dire che il primo di cotesti due terremoti non avrebbe battuto a Colosse.

Ma lasciamo stare i terremoti; e aggiungiamo soltanto che i piani dell'apostolo, secondo quel che traspare dalle lettere ai Filippesi ed a Filemone, si accordano meglio con l'ipotesi della cattività romana, che con l'altra della cattività di Cesarea. In Cesarea, tutti i suoi piani avrebbero naturalmente avuto per obiettivo Roma; obiettivo che non hanno, invece, nelle lettere di cui parliamo. E anche di questo va tenuto conto. Nelle lettere agli efesini, ai colossesi ed a Filemone, Paolo par godere di una libertà ben più ampia di quella che gli era concessa a Cesarea. A Cesarea egli poteva ricever la visita degli intimi; ma a Roma Atti 28:30-31 stava nell'appartamento che avea preso in affitto a proprie spese, e riceveva senza distinzione tutti quelli che l'andavano a vedere, e predicava il Regno di Dio ed insegnava le cose concernenti il Signor Gesù Cristo, con piena libertà e senza impedimenti di sorta. Or questa condizione di cose si accorda con Colossesi 4:2; Efesini 6:19-20 e con la visita dello schiavo, Onesimo all'apostolo, molto meglio che se, si trattasse della cattività di Cesarea.

Se mai, l'obiezione più seria che si possa fare alla ipotesi della cattività di Roma, è questa: Se Paolo scrisse questo gruppo di lettere da Roma, egli non scrisse nulla da Cesarea. Ed è egli mai possibile ch'egli passasse i due anni che durò quivi la sua prigionia Atti 24:27, senza scrivere nemmeno una lettera? Ma la risposta non è difficile: - E che sappiamo noi se l'apostolo aveva a Cesarea libertà di stare in comunicazione con le chiese? E chi vi dice che anche da Cesarea Paolo non abbia scritto delle lettere che non sono giunte fino a noi?...

Quant'è alla data di questo gruppetto di lettere, se ammettiamo ch'esse siano state scritte da Roma, si tratta di scegliere un qualche momento in quei due anni nei quali l'apostolo fu in carcere in cotesta città Atti 28:30. Due considerazioni ci spingono a cercare, col Godet, cotesto momento, negli primi tempi della prigionia di Roma. Prima di tutto, la considerazione del fatto che manca, nelle lettere, ogni allusione al suo processo; il che vuol

dire, che l'apostolo era da poco arrivato a Roma, e che nulla di grave gli era peranco successo. Poi, la considerazione di quest'altro fatto. Luca ed Aristarco, i due amici che aveano accompagnato Paolo dalla Palestina a Roma Atti 27:1-2, si trovavano ancora con lui Colossesi 4:9,13 quand'egli scriveva queste lettere; mentre sembrano non essere stati più con lui quando scriveva la lettera ai Filippesi dove mancano i loro saluti, e dove cotesti saluti non avrebbero dovuto mancare, considerato che Aristarco era macedone, e che Luca era stato per tanto tempo a Filippi.

Concludiamo. La cosiddetta agli efesini e le due ai colossesi e a Filemone, costituiscono un gruppetto di lettere inseparabili, che Paolo scrisse durante la sua prigionia di Roma; e, più precisamente, verso il tramonto del 62 o l'alba del 63 dell'era cristiana

Filippesi

Filippesi - Filippi

Filippi

La città di Filippi si chiamava così dal padre di Alessandro Magno, Filippo, re di Macedonia, che l'avea ricostruita perchè servisse da fortezza di frontiera fra il suo regno e la Tracia. Prima, si chiamava Crenide, che vuol dire «le sorgenti», a motivo dei molti rivi che scorrono per la pianura ov'è situata, e a motivo specialmente del corso principale d'acqua che si chiama Gangite, e che va a gittarsi nello Strimone a una lega più in là, a ponente.

A tre leghe al sud, aveva un porto sul mare Egeo; il porto di Datos o Neapolis. Quivi, nella pianura di Filippi, s'eran decise le sorti del mondo, quando Ottavio ed Antonio aveano sconfitto Brato e Cassio, ultimi difensori della Repubblica. Poco dopo, disfatto Antonio, Ottavio dette la città di Filippi come residenza a quel che rimaneva dei soldati del suo vinto rivale. Ed è così che Filippi diventò una colonia romana con diritto di città italiana.

Codeste «colonie», nel corso della storia romana, le troviamo stabilite per tre scopi ben determinati:

1o) Come sentinelle avanzate o luoghi fortificati intesi a sorvegliare i paesi conquistati;

2o) come mezzi di provveder soccorsi ai poveri di Roma, e

3o) come luoghi di residenza destinati ai veterani che avean finito il loro servizio militare.

La colonia di Filippi era amministrata, come tutte le colonie di codesto genere, da dei magistrati chiamati Duumviri. V'erano anche dei giudei in Filippi; ma non in numero sufficiente da possedervi una vera e propria sinagoga; ond'è che di sabato si raunavano lungo il fiume per far le loro abluzioni e le loro preghiere Atti 16:13

Filippesi - Paolo in Macedonia e la chiesa di Filippi

Paolo in Macedonia e la chiesa di Filippi

Era l'autunno dell'anno 52; e Paolo, nel suo secondo viaggio, accompagnato da Sila e da Timoteo, era giunto a Troas, sulla riva asiatica del Mar Egeo, in seguito ad una misteriosa fermata che li avea messi nella impossibilità di compiere la loro missione nell'Asia Minore. La nota visione trasse Paolo ed i suoi compagni dalla incertezza, in cui codesta fermata li avea messi; e, senza por tempo in mezzo, assieme a Sila, a Timoteo ed a Luca, l'autore del libro degli Atti, Paolo parti per la Macedonia.

Con l'arrivo di Paolo a Neapolis ed a Filippi, l'Evangelo entrava per la prima volta in Europa e si accingeva alla conquista d'un nuovo continente. L'apostolo, però, questa idea che abbiamo noi di «continente nuovo», non l'aveva. La distinzione fra Europa ed Asia, per lui, non esisteva. Nel Nuovo Testamento, l'Asia è la provincia romana di codesto nome, e la parola

«Europa» non appare mai. Per Paolo tutte queste divisioni posteriori non eran che tante sezioni del mondo romano.

Atti 16 ci narra con gran ricchezza di dettagli la fondazione della chiesa filippese. Anche qui, come altrove, Paolo, per entrare nell'ambiente che voleva evangelizzare, si servì della sinagoga o di quel che quivi facea le veci d'una sinagoga. La prima persona battezzata fu una proselita venuta dall'Asia Minore e la cui abitazione diventò la dimora dei missionari. E non entro in ulteriori particolari. Quando Paolo lasciò Filippi, potè dire addio ad un gruppo di fratelli in Cristo, ch'era come il nucleo d'una chiesa vivente Atti 16:40

Tutto questo, verso la fine del 52. Egli non rivide più la giovinetta chiesa, sino alla fine del suo soggiorno ad Efeso. Allora egli si recò in Acaia prima, e poi in Macedonia; era il momento più critico del conflitto sorto fra lui e la chiesa di Corinto (nel 57). Tornato ad Efeso, ripartì poi per la Macedonia, dopo il tumulto suscitato da Demetrio 2Corinzi 2:12-13. Egli s'occupava allora, in modo tutto speciale, della colletta progettata a pro dei poveri di Gerusalemme, e trovò i cristiani di Filippi, di Tessalonica e delle altre città macedoni; pronti non soltanto a dare i loro beni, ma anche a dare loro stessi 2Corinzi 8:1-5 per l'opera del Signore. Era il 58. Finalmente, nella primavera dell'anno seguente, com'egli si recava a Gerusalemme per accompagnarvi i latori della somma collettata, passò a Filippi la settimana di Pasqua. Nei più o meno lunghi intervalli che separarono questi quattro soggiorni, non sembra che le relazioni dell'apostolo con la chiesa cessassero mai completamente. Stava a cuore dei filippesi il sollevar l'apostolo, nella sua vita così laboriosa; di tanto in tanto gli mandavano del danaro, e Paolo, che conosceva la nobiltà dei sentimenti loro, non si facea scrupolo d'accettar da loro quel che non avrebbe mai accettato da altre chiese; ed era naturale che Paolo, volta per volta; mandasse, loro i propri ringraziamenti, ai quali aggiungeva le altre varie comunicazioni che poteva aver da fare.

Tali le relazioni che esistevano fra Paolo e questa chiesa, fra tutte amatissima, ch'egli chiamava Filippesi 4:1 «allegrezza e corona mia» (Godet).

Filippesi - Paolo a Roma

Paolo a Roma

Dopo il naufragio a Malta, Paolo arrivò a Roma nella primavera del 56, durante il regno di Nerone (54-68). Burro, il prefetto pretoriano, un tipo di soldato rozzo ma non senza cuore, gli fece ogni sorta di concessioni compatibili con la legge; gli permise di starsene in casa propria sotto vigilanza di un soldato pretoriano Atti 28:10 e diè facoltà agli amici di lui di visitarlo liberamente Atti 28:30

La chiesa, a Roma, esisteva già da qualche tempo, quando vi arrivò l'apostolo. Chi ve la fondasse e come la vi fosse fondata, non si sa; in Atti 28:15 l'esistenza della chiesa è presupposta, e il gruppo che va incontro a Paolo al Foro Appio, ha tutto il carattere di una deputazione. Che la chiesa di Roma, poi, non dov'essere insignificante nè per numero nè per influenza, si deduce dalla lettera importante che Paolo le scrive, e dai numerosi saluti ch'essa contiene, dato che il brano Romani 16:1-20 sia veramente da ritenersi come parte integrale della lettera ai romani, e non abbia piuttosto da considerarsi, secondo l'opinione del Reuss, per esempio, come un bigliettino di raccomandazione per Febe, diaconessa di Cencrea, alla chiesa di Efeso; bigliettino, che sarebbe poi scivolato per caso nella lettera ai romani, nel luogo dove oggi si trova.

L'influenza dell'apostolo non tardò a farsi sentire fra i pretoriani e fra quelli che andavano a fargli visita dalla città; e i fratelli della chiesa, per la presenza e per la parola dell'apostolo in Roma, si sentirono incoraggiati e infiammati ad annunziare, con maggior zelo che mai, l'Evangelo Romani 1:12-14

La lunga permanenza di Paolo a Roma non deve stupire. Giuseppe Flavio narra che alcuni sacerdoti giudaici mandati da Felice a Roma per esservi giudicati, vi furono tenuti in carcere per ben tre anni (Vita, 3), prima che il giudizio si potesse fare. Nel caso di Paolo, la dilazione può aver avuto varie cause. Forse, i suoi accusatori non arrivavano; forse gli atti ufficiali che lo

riguardavano e che Festo avea mandati, se n'erano andati perduti nel naufragio; forse, la cosa era dovuta semplicemente al fatto della folla enorme degli affari, che i tribunali aveano da sbrigare; e poi, il far venire dei testimoni d'accusa e di difesa dalla Siria e dall'Asia proconsolare a Roma non era cosa da poco; e sopra tutto non bisogna dimenticare che a Roma, secondo che Svetonio ci dice, i tribunali si chiudevano, a un certo tempo dei mesi invernali... per mandare i giudici a godersi un po' di vacanza! (Vincent).

Filippesi - Del luogo dove la lettera fu scritta e della data

Del luogo dove la lettera fu scritta e della data

I critici sono unanimamente concordi nel dire che è a Roma che la nostra lettera fu scritta. L'idea del Paulus (1799), del Böttger (1837), del Rilliet (1841) e del Thiersch (1879) i quali pensavano a Cesarea piuttosto che a Roma, è idea oramai completamente abbandonata e da tutti. Il Godet ben nota a questo proposito: Il modo col quale Paolo parla della condotta dei cristiani che lo circondano, suppone una chiesa di ben maggiore entità di quella di Cesarea; e le speranze ch'egli qui esprime relativamente alla propria liberazione, sono speranze d'una liberazione ben più vicina di quella ch'egli potesse aspettarsi a Cesarea. Ma è sopra tutto il termine pretorio, usato così senz'altro in Filippesi 1:13 che non può in modo naturale esser applicato al palazzo o pretorio d'Erode a Cesarea Atti 23:35 e quant'è all'altro di casa di Cesare, in Filippesi 4:22 egli può anche meno che mai designare la casa del governatore Felice, il liberto di Cesare.

Quanto alla data della lettera, il problema che si presenta è questo: Fu ella scritta prima o dopo quelle agli efesini, ai colossesi, a Filemone? Il Beek, il Farrar, il von Soden opinano per il prima, ma con poca solidità di ragioni. Io, col Meyer, col Weiss, con l'Alford, con l'Ellicott, col Klöpper, col Godet, col Lipsius, con lo Holtzmann, e con lo Jülicher, sto per il dopo; ed ecco perché. Dall'arrivo di Paolo a Roma al momento della redazione della lettera, dev'esser passato parecchio tempo. Paolo ci dice nel primo Capitolo

che i progressi dell'Evangelo, dovuti alla sua presenza in Roma, erano stati considerevoli; e della menzione di codesti effetti non è traccia nelle lettere agli efesini ed ai colossesi. Poi, s'era saputo a Filippi che l'apostolo si trovava male a Roma; e si aveva avuto il tempo di provvedere a coteste angustie. La notizia della malattia di Epafrodito era giunta a Filippi, e Paolo aveva a sua volta saputo quanto dolore i filippesi avessero provato al ricever cotesta notizia. E per tutto questo c'era senza dubbio voluto del tempo. La domanda che l'apostolo fa a Filemone Filemone 22 di preparargli alloggio, accenna ad una speranza ch'egli ha d'esser quanto prima liberato; e questa speranza d'un rilascio così certo e così immediato, non l'avea nè la poteva avere a Filippi. E finalmente, Luca ed Aristarco, ch'eran giunti con Paolo a Roma, non v'eran più quando l'apostolo scrive; non v'eran più, perchè nella lettera non vi son saluti da parte loro; saluti, che non mancano, invece, nella lettera ai colossesi ed in quella a Filemone. E invece di supporre ch'essi se n'erano andati prima e ch'eran tornati poi, è più semplice ammettere che, dopo aver passato un certo tempo con l'apostolo, s'eran poi da lui allontanati per una qualche missione.

La data della lettera ai filippesi si può quindi fissare vero la fine del 63 o il principio del 64. Rimandarla a più tardi equivale a negare l'autenticità della lettera (Godet).

Filippesi - Occasione della lettera

Occasione della lettera

L'occasione immediata della lettera fu il dono in danaro che Epafrodito avea portato all'apostolo da parte della chiesa di Filippi Filippesi 2:25; 4:18. In altre occasioni i filippesi gli avean dato di coteste prove d'affetto (Filippesi 4:15-16 cfr. 2Corinzi 11:9) ma l'opportunità di ripeter cotesti doni era per lungo tempo mancata Filippesi 4:10. Fosse la fatica del viaggio, o fosse il troppo lavoro in Roma mentre aiutava Paolo, il fatto è che Epafrodito cadde gravemente malato Filippesi 2:27,30. Ristabilitosi, era angosciato all'idea che i filippesi stessero in pensiero a motivo di lui; e gli premeva di tornare a

casa per rassicurarli Filippesi 2:20. Paolo, quindi, lo rimandò e lo fece latore di questa lettera Filippesi 2:25,28 che contiene non soltanto i ringraziamenti per il dono Filippesi 4:10-18 ma anche delle informazioni relative all'apostolo, ai frutti della sua predicazione e ad altre cose che specialmente interessavano i filippesi, e delle esortazioni rispondenti ai bisogni della chiesa che Epafrodito gli avea fatti palesi.

E questo è tutto. L'immaginarsi, come fecero lo Eichhorn e il Rheinwald prima e poi il Baur e lo Holsten che la lettera fosse occasionata dalle lotte intestine fra i partiti paulino e giudeo-cristiano che avrebbero lacerato la chiesa filippese, è un vano fantasticare. Lo studio della lettera ci convincerà che niuna divisione interna, relativamente al concetto fondamentale dell'Evangelo, travagliava la chiesa di Filippi. Le rivalità a cui l'apostolo allude, non sono delle rivalità di principi; sono delle rivalità puramente personali. E dice ottimamente il Godet: «Le esortazioni dell'apostolo provano che le condizioni della chiesa filippese erano in generale, soddisfacenti. Ma la migliore delle comunità cristiane ha sempre bisogno di tre esortazioni: Godete con sensi di riconoscenza dell'amore del quale Iddio v'ama; è il tono di tutta quanta la lettera. Restate uniti, e non permettete che delle questioni d'amor proprio o d'interesse vengano a seminar la divisione nei vostri cuori Filippesi 2. Non vi fermate sulla via della santificazione, contentandovi del punto al quale siete arrivati, ma aspirate continuamente ad una spiritualità sempre più alta Filippesi 3. Ecco tutto quello che l'apostolo raccomanda ai filippesi nella lettera nostra. Niente di più semplice di questa condizione di cose, e niente di più naturale della lettera che ne è risultato».

Filippesi - L'autencità della lettera

L'autenticità della lettera

«L'antichità cristiana», dice il Godet, «non ha mai avuto dubbi a proposito dell'autenticità di questa lettera; il nome dell'apostolo scritto in capo alla lettera, ed al quale si addiceva così bene il contenuto semplice, cordiale,

affettuoso, di questo scritto, è stato sempre per le chiese una garanzia sufficiente dell'autenticità dello scritto medesimo».

Già alla fine del 1o secolo, troviamo in Clemente romano (16.1), in Ignazio ed in Policarpo, delle tracce della lettera nostra. La quale è mentovata nel Canone di Marcione, nel Canone muratoriano, nella Lettera a Diognete ed in quella delle chiese di Vienna e di Lione ai fratelli d'Asia e di Frigia. È con tutte le altre nelle versioni siriaca e latina, ed è citata da Ireneo, da Clemente Alessandrino e da Tertulliano. Origene ed Eusebio se ne servono e la dànno come lettera di Paolo; e dai tempi di Origene e di Eusebio, l'autenticità di lei fu accettata sempre e da tutti.

Chi pel primo la revocò in dubbio fu il Baur nel 1845; e al Baur tennero dietro i corifei della famosa scuola di Tubinga: lo Schwegler (1845), il Ptanck (1847), il Köstlin (1850), il Volkemar (1856) e Bruno Bauer (1877). Le ragioni di cotesto dubbio, le seguenti: Mancanza di originalità e d'idee nuove; tracce di, gnosticismo; antedata a proposito degli uffici ecclesiastici dei vescovi e dei diaconi; disaccordo tra le affermazioni di questa lettera ed altre affermazioni pauline relativamente alla giustificazione mediante la fede. La lettera era per codesti critici un prodotto del secondo secolo, inteso a riconciliare i due partiti che se la davano, in mezzo alla Chiesa. Cotesti partiti essi trovavan rappresentati simbolicamente, in Evodia e Sintiche Filippesi 4:2. Clemente di Roma è per loro un mito fondato sulla conversione di Flavio Clemente parente di Domiziano. Lo scrittore delle Omelie Clementine fa Clemente cugino di Tiberio, per poterlo presentare come discepolo di Pietro; lo scrittore paulino della lettera nostra accetta cotesta favola, e, ansioso com'è di cattivarsi l'animo del partito petrino, presenta questo fittizio discepolo di Pietro come un collaboratore di Paolo Filippesi 4:3

«Mancanza di originalità e d'idee nuove». Ma sia pur detto col Godet e col Reuss: E più facile e naturale ammettere che Paolo abbia scritto una lettera di semplice ringraziamento con l'aggiunta di qualche esortazione e di qualche notiziola com'è questa, che immaginare un falsario, il quale si mette a fabbricare una lettera di questo genere senza scopo di sorta, o, forse, con

lo scopo di provare che al secondo secolo c'era ancora qualcuno che sapeva e poteva scriver come Paolo.

«Tracce d'idee gnostiche». Il Baur affermava che, scrivendo Filippesi 2:5-8, l'autore della lettera aveva in mente la Sofia gnostica, l'ultimo degli Eoni che, nel suo audace tentativo di assorgere alla conoscenza dell'Assoluto, finì col precipitare nel nulla. Ma qual relazione ci può mai essere fra l'ambizione di cotest'Eone e il «vuotar se stesso» del Cristo eterno?

«Antedata a proposito dei vescovi e dei diaconi». Se in Filippesi 1:1 si parla di vescovi e di diaconi, che v'è mai di straordinario? Poco dopo la Pentecoste, la chiesa di Gerusalemme ha degli anziani Atti 11:30. Le chiese dell'Asia Minore son fornite d'anziani fin quasi dal momento della loro fondazione Atti 14:23; 20:17,28. E quanto al diaconato, esso ha le sue basi in Atti 6. Il nome, diacono, è posteriore; ma la cosa e lì, in cotesta istituzione primordiale. Qual meraviglia, quindi, se la più antica delle chiese d'Europa ci è presentata come fornita di cotesti due ministeri fondamentali? «Chi» dice il Godet, «tenga conto della natura puramente parrocchiale di cotesto episcopato e della pluralità di coloro che vi partecipano, non può tardare a riconoscere, da cotesti due segni, il carattere dell'episcopato del tempo apostolico, che è così opposto al carattere dell'episcopato gerarchico del secondo secolo».

«Disaccordo tra le affermazioni di questa, lettera ed altre affermazioni pauline relativamente alla giustificazione mediante la fede». Ma disaccordo non v'è. Se qui, in Filippesi 3:6, Paolo chiama la sua giustizia legale αμεμπτος, «irreprensibile», ei la chiama così perchè ragiona da quel punto di vista, giudaico, esteriore, carnale Filippesi 3:4, che è il punto di vista ch'egli stesso combatte. Codesta giustizia egli l'avea, posseduta tanto quanto qualunque altro giudeo; ma la gli era apparsa così insufficiente, che avea finito col reputarla «spazzatura», e v'avea completamente rinunziato. Che contradizione v'è egli fra tutto cotesto e lo insegnamento delle lettere pauline ai galati ed ai romani?

Le «lotte fra i partiti», nella chiesa filippese, ho già detto, parlando dell'occasione della lettera, che non esistono se non nella fantasia di chi ha

interesse a trovarvele per i suoi preconcetti teologici. E quanto allo spiegare, come fece il Volkmar, per esempio, Evodia per retto sentiero (sinonimo di «ortodossia») e Sintiche per socio, compartecipe (inteso a designare la chiesa etnico-cristiana) le sono delle spiritose trovate di cervelli balzani, e nient'altro.

Anche il ravvicinamento che il Baur tentò di fare tra il Flavio Clemente, cugino di Domiziano (alla fine del 1o secolo) e il Clemente della nostra lettera Filippesi 4:3, è un ravvicinamento puramente. cervellotico. Il Clemente dei filippesi è semplicemente un fratello della chiesa di cotesto luogo; un buon fratello, al quale la rimembranza dell'apostolo va, come ad altri, con grande e dolcissimo affetto.

L'autenticità della lettera fu assalita più tardi anche dallo Hitzig (1870), dal Biedermann (1885) e specialmente dallo Holsten (1875); ma ella è rimasta e rimane incrollabile, difesa sempre strenuamente da una falange di critici valorosi. Ecco alcuni dei loro nomi: Lünemann, Brüchner, Ernesti, Grimm, Hilgenfeld, Schenkel, Weizsäcker, Harnack, Mangold, Bleeh, Pfeiderer, Daridson, Lipsius, Godet, Weiss, Jülicher, Klöpper, Vincent, Dods, Sabatier.

Lo Holtzmann dice: «L'epistola che ci sta dinanzi, è il testamento dell'apostolo, ed è in Roma ch'egli lo scrisse». E lo Hilgenfeld: «Questa lettera di Paolo è il canto del cigno». E in queste affermazioni dello Holtzmann e dello Hilgenfeld concordano il Reuss ed il Renan.

Filippesi - Il piano della lettera

Il piano della lettera

IL PROLOGO

Filippesi 1:1-11.

Il prologo della lettera consta di tre parti:

a) L'INDIRIZZO ED I SALUTI: Filippesi 1:1-2.

b) AZIONI DI GRAZIE DELL'APOSTOLO: Filippesi 1:3-8.

C) PREGHIERA D'INTERCESSIONE: Filippesi 1:9;11.

IL CORPO DELLA LETTERA

Filippesi 1:12- 4:9.

In questa sua lettera l'apostolo non segue un piano vero e proprio, ch'egli abbia precedentemente stabilito. Egli passa da una notizia personale ad una esortazione e da una esortazione ad un'altra notizia personale, così come il cor gli detta dentro. Il corpo della lettera si può, per comodo dell'esegeta e del lettore, dividere in cinque sezioni.

PRIMA SEZIONE: NOTIZIE PERSONALI

Filippesi 1:12-26.

SECONDA SEZIONE: ESORTAZIONI ALL'UNIONE ED ALLA FEDELTÀ NELLA CONDOTTA

Filippesi 1:27-2:18.

1. Il dovere dell'unione: Filippesi 1:27-2:11.

a) L'unione è il mezzo per cui la Chiesa arriva alla vittoria: Filippesi 1:27-30.

b) L'umiltà e l'abnegazione, radici dell'unione: Filippesi 2:1-4.

c) L'esempio di Gesù Cristo: Filippesi 2:5-11.

2. Esortazione generale alla fedeltà: Filippesi 2:12-18.

a) Raccomandazione ai lettori in vista della loro salvezza personale: Filippesi 2:12-13.

b) Raccomandazione in vista della influenza salutare ch'essi debbono esercitare sul mondo: Filippesi 2:14-16.

c) Raccomandazione in vista della condotta che debbono tenere rispetto al loro apostolo: Filippesi 2:17-18.

TERZA SEZIONE NOTIZIE DI TIMOTEO E DI EPAFRODITO

Filippesi 2:19-30.

1. L'apostolo spera di mandar Timoteo ai filippesi: Filippesi 2:19-24.

2. Annunzio della partenza di Epafrodito che va dai filippesi: Filippesi 2:2530.

QUARTA SEZIONE IL PROGRESSO COSTANTE DELLA VITA CRISTIANA

Filippesi 3:1-4:1.

1. La gioia, o lo stimolo d'ogni progresso spirituale: Filippesi 3:1-3.

2. L'esempio dell'apostolo: Filippesi 3:4-14.

3. L'applicazione dell'esempio di Paolo ai lettori: Filippesi 3:15-4:1.

QUINTA SEZIONE ULTIME RACCOMANDAZIONI ED ESORTAZIONI

Filippesi 4:2-9.

1. Esortazioni e raccomandazioni particolari a Evodia, Sintiche e Sinzigo: Filippesi 4:2-3.

2. Esortazioni varie alla chiesa: Filippesi 4:4-9.

CONCLUSIONE

Filippesi 4:10-23.

1. La gioia dell'apostolo per la cura che i filippesi hanno mostrato d'aver per lui: Filippesi 4:10-14.

2. Il ricordo di precedenti atti di liberalità: Filippesi 4:15-17.

3. Il ringraziamento dell'apostolo: Filippesi 4:18-20.

4. I saluti: Filippesi 4:21-22.

5. La benedizione: Filippesi 4:23.

Colossesi

Colossesi - La Chiesa di Colosse

La Chiesa di Colosse

Colosso o Colasse (l'ortografia del nome è incerta, ma Colasse sembra esser forma d'un'età posteriore), di cui non rimane oggi più che un castello diroccato, era una città dell'Asia Minore; o, più esattamente, della Frigia: a sud ovest, ma sempre entro i limiti romani dell'Asia proconsolare. Presso al luogo dov'ella sorgeva, il Lico spariva inghiottito da una voragine; e dalla voragine in men che non si dica usciva di nuovo, non per riprendere il suo corso ma per gettarsi una volta per sempre nel Meandro.

A mezza giornata di cammino da Colosse, nella poetica valle del Lico dominata dal monte Cadmo coronato di nevi eterne, il viandante incontrava altre città importanti; fra le quali, non ultime, Laodicea e Ierapoli Colossesi 4:12; le due città, cioè, che insieme a Colosse ebbero tanto a soffrire dal terremoto de' tempi di Nerone ricordato da Tacito. «Eodem anno nello stesso anno, cioè, nel quale fu colpita da questo terremoto; anno che per Tacito è il 60-61; per Eusebio il 64 e per Orosio il 68, ex illustribus Asine urbibus, Laodicea tremore terrae prolapsa, nullo a nobis remedio, propriis opibus revaluit (Annali XIV, 27).

Colosse, ai giorni di Paolo, avea perduto la sua primitiva grandezza. Infatti, mentre Senofonte l'avea detta «popolatissima e grande» (Anabasi 1,2.6), Strabone, contemporaneo dell'apostolo, la chiama una «piccola città», una «città secondaria» (XII, 8).

Paolo visitò la Frigia due volte; durante il suo secondo e durante il suo terzo viaggio missionario. Nel libro dei Fatti leggiamo che, durante il suo secondo viaggio, dopo aver visitato le chiese di Pisidia e di Licaonia, egli «traversò la Frigia ed il paese della Galazia» Atti 16:6; e che durante il suo terzo viaggio, «andò attorno di luogo in luogo per il paese di Galazia e di Frigia, confermando tutti i discepoli» Atti 18:23. E dalla Galazia e dalla Frigia proseguì alla volta d'Efeso non per la strada commerciale che passava giù per le valli del Lico e del Meandro, ma tenendosi più in alto e prendendo la strada più diretta e più spiccia.

Durante queste escursioni per la Frigia, non pare che l'apostolo si spingesse mai nelle valli del Lico e del Meandro; ed è possibile che così avvenisse, perché la Frigia era vastissima e divisa e suddivisa in parecchi distretti. Ad ogni modo, sia ch'egli visitasse o no coteste valli, è un fatto che l'apostolo non vi fondò la chiesa di Colosse. Lo studio della lettera ce ne darà la prova Colossesi 1:3-7,23: 2:1,5. Il fondatore della chiesa di Colosse fu, più che probabilmente, Epafra; o per lo meno fu da Epafra che i colossesi impararon molto, spiritualmente Colossesi 1:7

La chiesa di Colosse, nel momento in cui le giungeva la lettera di Paolo, era non una chiesa adulta, ma piuttosto una chiesa nascente. L'apostolo, nel suo

indirizzo, non accenna, per esempio, nè a vescovi nè a diaconi, come fa scrivendo a quei di Filippesi 1:1; non si rivolge alla chiesa, come fa inviando le sue lettere ai corinzi 1Corinzi 1:2; 2Corinzi 1:1 od ai Tessalonicesi 1Tessalonicesi 1:1; 2Tessalonicesi 1:1, ma si rivolge invece ai santi e fedeli fratelli così alla spicciolata Colossesi 1:2; il che dimostra che in Colosse una vera e propria organizzazione ecclesiastica non esisteva ancora a codesto tempo; o, se esisteva, era soltanto un'organizzazione embrionale.

Colossesi - I lettori della lettera e le varie influenze a cui si trovavano esposti

I lettori della lettera e le varie influenze a cui si trovavano esposti

I cristiani di Colosse, se non tutti, erano almeno quasi tutti usciti non dalla sinagoga ma dal paganesimo Colossesi 1:21,27; 2:13; quindi è naturale che in tutta la lettera non c'imbattiamo mai nè in una citazione, ne in un argomento, nè in una reminiscenza che ci riconducano all'Antico T. Ci sono è vero delle allusioni giudaiche; ma, come vedremo nel Commento, si tratta di allusioni a dei precetti ascetici basati non sulla legge mosaica ma su delle «tradizioni d'uomini» Colossesi 2:11,13-14,16,21. Se i colossesi evangelizzati fossero stati del tutto o in gran maggioranza dei giudei, è certo che la predicazione di Epafra, ch'era un etnico-cristiano, un convertito cioè dal paganesimo, non avrebbe ottenuto fra loro le risposte che ottenne.

L'ambiente in cui la giovinetta chiesa di Colosse era chiamata ad evolversi, presentava l'aspetto più strano che si possa immaginare. I frigi erano un popolo antico; d'intelletto sveglio, un popolo circondato da ogni sorta di meravigliose bellezze naturali. Erano esperti nell'agricoltura, nel commercio, nelle manifatture, nelle arti, e specialmente in quella di tingere le stoffe di lana. Erano famosi nelle scienze e soprattutto nella musica e nella medicina. Parlavano tutte le lingue delle nazioni limitrofe e si assimilavano con facilità gli elementi delle culture più svariate. Non ci deve quindi far meraviglia se ai tempi dell'apostolo troviamo Colosse diventata il centro d'ogni specie di tendenze filosofiche e religiose. Quivi troviamo

infatti il culto della natura con Cibele, con Bacco e con la Diana efesina; la filosofia ellenica, che cercava nella natura il principio fondamentale di tutte le cose; il materialismo, l'idealismo, il dualismo, il panteismo, la filosofia orientale; e quasi tutto ciò fosse poco, ci troviamo anche l'elemento giudaico, rappresentato da quelle duemila famiglie che fin dal tempo d'Antiochio il grande erano state trapiantate da Babilonia e dalla Mesopotamia nella Frigia e nella Lidia (Gius. Fl. Antich. XII, 3.4). A chi poi mi domandasse se lo spirito religioso dell'ambiente non avesse una tendenza propria, tutta sua, risponderei che l'aveva e che era questa: la tendenza ad un fanatismo cupo e ad una certa fiducia nelle influenze della terra, degli astri, degli angeli o dei demoni sul corso degli eventi umani. Ed era la natura stessa dei luoghi attorno a Ierapoli, Laodicea e Colosse quella che nutriva e incoraggiava codesta. tendenza. Ad Ierapoli, per esempio, c'era e c'è ancora un crepaccio detto il Plutonio, da cui sprigionava un gas fatale agli animali che lo respiravano. Strabone narra che gli eunuchi addetti al tempio potevano accostarsi a cotesto crepaccio e guardarvi giù, ma trattenendo il fiato; e anche facendo così, egli aggiunge, cotesti eunuchi se ne tornavano col viso di chi è proprio stato li li per soffocare. Tutta quanta la regione poi era di natura vulcanica e soggetta a de' terremoti violenti.

La lettera ci dimostra che i cristiani di Colosse erano stati presi di mira da una classe tutta speciale di falsi dottori. Questi dottori vantavano un intuito profondo ed esclusivamente loro dell'ambito degli spiriti mediatori dei quali era desiderabile cattivarsi il favore perchè era per mezzo di loro che si poteva arrivare al conseguimento di nuove rivelazioni e di nuove energie pneumatiche. Per arrivare a tanto, occorreva cominciare col trattar severamente il corpo. Definire con maggior esattezza la dottrina di cotesti dottori, è impossibile. Mancano i dati per farlo. E evidente, però, e il commento ce lo dimostrerà, che l'essenza di cotesta dottrina era gnostica. Gnostica intendiamoci bene, non dello gnosticismo di tempi posteriori e completamente evoluto, ma di uno gnosticismo informe, primordiale, rudimentale, anteriore anche a quello di Cerinto. Il Lightfoot ha osservato che l'eresia colossese, e per il suo esclusivismo e per il suo ascetismo e per le sue angelologie, mostra parecchie affinità con l'essenismo; e che siccome quest'essenisimo era anch'esso affine allo gnosticismo, a cotesta eresia colossese starebbe bene il nome di «giudaismo gnostico».

Tale era l'ambiente in mezzo al quale era nata, cresceva e s'andava sviluppando la chiesa di Colosse.

Colossesi - La genuinità della lettera

La genuinità della lettera

Le testimonianze patristiche in favore della genuinità della lettera non scarseggiano. È ben vero che non la troviamo in modo sicuro citata nei Padri apostolici; ma in Marcione ed in Giustino, verso la metà del 2o secolo, troviamo già le prime tracce sicure e della esistenza della lettera e dell'uso che se ne faceva nella Chiesa. Marcione e la scuola di Valentino la ritennero per lettera paulina, e nel Codice muratoriano essa occupa il medesimo posto che occupa nei nostri MSS.

Le prove esterne della genuità della lettera sono tali, che furon reputate sufficienti fino al 1838 quando il Mayerhoff saltò su a contestare cotesta genuinità, basandosi su ragioni di vocabolario e di concetto. Data così la mossa, vennero il Baur, lo Schwegler, lo Hilgenfeld, il Pfleiderer a rincarar la dose e a ripudiare non solo la lettera ai colossesi ma anche quella agli efesini. Il De Wette, che pur non arrivò ad ammettere la genuità della lettera agli efesini, pur difese la nostra e rispose a tono al Mayerhoff.

Lo Holtzmann ammette che a base della lettera nostra sia un documento genuinamente paulino; una letterina breve, che un esperto anonimo si sarebbe dato la briga di amplificare magistralmente. E il forte ed acuto critico tedesco tenta di estrarre dalla massa spuria della lettera il nocciolo essenzialmente paulino che, secondo lui, v'è contenuto. Ma ha ragione lo Jülicher: Cotesto è un lavorio troppo complicato perchè lo si possa così a cuor tranquillo accettare come legittimo e come conducente alla verità delle cose.

La genuinità della lettera è difesa strenuamente da una legione di critici di polso. Ecco alcuni nomi: Neander, Huther, Meyer, Bleek, Reuss, Schenkel,

Klöpper, Sabatier, Mangold, Grimm, Guericke, Farrar, Godet, Salmon, Weiss, Oltramare, Abbott.

Ho detto che le obbiezioni mosse alla genuinità della lettera sono principalmente basate su ragioni di vocabolario e di concetto.

Di vocabolario. Si dice, per esempio. Abbiam qui 23 parole affatto estranee al vocabolario di Paolo e 34 altre estranee addirittura al vocabolario di tutto quanto il Nuovo T. E, per converso, tante espressioni familiari al vocabolario paulino mancano qui completamente. E questo credono essere argomento sufficiente a mettere la lettera tutta quanta in quarantena. Ma non esageriamo, per carità. Le 23 parole estranee al vocabolario paulino che voglion dire? Voglion semplicemente dire che la polemica nella quale Paolo è impegnato qui, è diversa da quella nella quale egli si trovava impegnato altrove. Qui egli non ha che fare col solito giudeo-cristianesimo; qui si tratta di combattere non la dottrina della giustificazione per le opere della legge, ma la dottrina d'una perfezione superiore da raggiungersi per il tramite dell'estasi e dell'ascetismo. E a lotta nuova, terminologia nuova. Non è egli naturale? E questa trasformazione di controversia spiega anche l'assenza di certi termini che l'apostolo ha usato altrove. «Un falsario» dice bene il Godet, non dubitate, per far passar la sua merce per merce genuina, «non avrebbe fatto a questo modo; avrebbe anzi pescato largamente nel vocabolario paulino».

Lo Hilgenfeld, il Pfleiderer, il Weizsaecker ripudiano la lettera per ragioni di concetto. La cristologia, l'angelologia, il sistema dottrinale combattuto dall'autore sono, per cotesti interpreti, le tre principali pietre d'intoppo ad ammettere l'autenticità della lettera. Per quel che concerne la cristologia e l'angelologia ha ben detto il Renan: «Le forme più evolute della cristologia e dell'angelologia che troviamo nella lettera ai colossesi, esistono già in germe nelle lettere più antiche». E a conferma di questo, si ricordi che il germe della cristologia evoluta della lettera nostra è già in 1Corinzi 8:6, dove il Cristo è presentato com'essendo, nella preesistenza sua, il mezzo della creazione fisica; e in 2Corinzi 8:9, dov'egli è affermato non soltanto come «preesistente», ma anche come «divino». Per l'angelologia, basti ricordare Romani 8:38; 1Corinzi 15:24. E se nella lettera nostra troviamo qualche

designazione angelologica di più, la cosa si spiega col fatto che erano i falsi dottori quelli che attribuivano tante diverse funzioni a coteste classi di creature; e l'apostolo non fa che riferirsi a coteste affermazioni ed a coteste designazioni loro. Quant'è poi al sistema dottrinale combattuto nella lettera e nel quale vari, col Baur, si ostinano a voler vedere il giudeo-cristianesimo ebionita e gnostico del secondo secolo, dirò soltanto col Godet che per dimostrare l'origine posteriore della nostra lettera, non basta, provare che nel secondo secolo esisteva un sistema analogo a quello combattuto qui dall'apostolo, ma bisogna anche poter mettere in sodo che una tendenza del genere di quella combattuta nella, lettera, non ha potuto esistere nel primo secolo. E come fare a mettere in sodo cotesto, dinanzi Romani 14 che nell'ambiente italico ci pone in contatto con un giudeo-cristianesimo ascetico ed astinente del tutto simile a quello dei dottori che mettevano in subbuglio la chiesa di Colosse? E se già nel 58 l'apostolo s'era trovato a dover combattere una dottrina di cotesto genere nella chiesa di Roma, che v'è mai di straordinario se qualche anno più tardi, in una chiesa frigia, in un ambito cioè ben più dell'ambito romano esposto alla influenza delle idee orientali allora diffuse per l'Asia Minore, che v'è di straordinario, dico, s'egli si trova a combattere un giudeo-cristianesimo della stessa natura dell'altro, quanto al fondo; e soltanto un pò più accentuato su questo o quest'altro punto speciale?

Colosessi - Data della lettera. Dove e perchè fu scritta

Data della lettera. Dove o perchè fu scritta

Per quanto concerne la data della lettera e il luogo dov'ella fu scritta, rimando il lettore alla Introduzione alla lettera agli efesini. Là ho concluso che tanto la lettera nostra quanto quella agli efesini e quella a Filemone furono scritte molto probabilmente a Roma, verso la fine del 62 o i primi del 63 dell'era volgare.

La ragione che decise Paolo a scrivere questa sua lettera ai fratelli lontani, è da cercarsi nelle informazioni recate all'apostolo da Epafra relativamente ai

pericoli ai quali la chiesa di Colosse era esposta per le mene dei dottori ereticali.

1Tessalonicesi

1Tessalonicesi - La città di Tessalonica

§1. La città di Tessalonica

Tessalonica chiamavasi anticamente, per via di sorgenti calde esistenti nei dintorni, Terme (θερμη) donde venne il nome di termaico al golfo dell'Egeo in fondo al quale è situata. Il re macedone Cassandro (309-297 A. C.) avendo abbellita e considerevolmente ingrandita la città, le diede il nome di Tessalonica (θεσσαλονικη) in onore della sua consorte ch'era sorella di Alessandro Magno. Nel secondo secolo avanti Cristo (146); la Macedonia divenne provincia romana e Tessalonica, fatta capitale del secondo distretto della provincia, fu la residenza del governatore (praetor). La situazione favorevole della città dotata di un buon porto, posta sul, centro della Via Egnatia che partendo da Durazzo (Dyrrachium) collegava l'Adriatico coll'Ellesponto, e collocata allo sbocco delle valli che scendono dai Balcani e comunicano colla regione del Danubio, avea fatto di Tessalonica la prima città commerciale della Grecia antica, dopo Corinto.

La popolazione composta in maggioranza di Greci e di coloni romani, comprendeva una forte colonia di Giudei aventi la loro sinagoga, come risulta da Atti 17:1. Tuttavia, se abbondavano i proventi del commercio, non mancava la corruzione propria dei grandi centri pagani.

All'epoca delle invasioni dei Barbari, Tessalonica fu più d'una volta presa e saccheggiata. I Veneziani l'ebbero per pochi anni sotto la loro signoria; ma dal 1430 in poi cadde in potere dei Turchi e vi rimase, sotto il nome un po' abbreviato di Saloniki o Salonicco, fino al 7 Novembre 1913 allorchè fu presa dai Greci. Conta oggi più di 150 mila abitanti fra cui sono un 60 mila Ebrei rifugiatisi colà, nel XV secolo, dalla Spagna ov'erano perseguitati e di

cui hanno conservato la lingua. Essa è la città più importante della Macedonia.

1Tessalonicesi - La chiesa dei Tessalonicesi

§2. La chiesa dei Tessalonicesi

a) Fondazione. La chiesa di Tessalonica fu fondata da Paolo nel corso di quel suo secondo viaggio missionario che lo portò, per la prima volta, in Europa, nell'anno 52 o 53: Filippi fu la prima città evangelizzata e quando Paolo e Sila insiem col giovane Timoteo ne furono espulsi, "essi, dice Luca, essendo passati per Amfipoli e per Apollonia, vennero a Tessalonica, dov'era una sinagoga dei Giudei; e Paolo, secondo la sua usanza, entrò da loro e, per tre sabati, tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture, spiegando e dimostrando ch'era stato necessario che il Cristo soffrisse e risuscitasse dai morti; e il Cristo egli diceva, è quel Gesù che io vi annunzio" Atti 17:1-13. L'apostolo stesso rievocando quei giorni, nella sua lettera 1Tessalonicesi 1:5; ricorda che la sua predicazione era stata fatta con profonda convinzione ed accompagnata dalla potente dimostrazione dello Spirito Santo. Non molti Giudei furono persuasi, ma l'Evangelo trovò largo accesso presso i Greci ch'erano già "proseliti della porta" e fra i quali si contavano non poche donne appartenenti alle prime famiglie della città.

Mossi da invidia, i Giudei suscitarono un tumulto per mezzo della gente di piazza. La folla assalì la casa di Giasone che aveva ospitato i missionari, coll'intento di metter le mani su loro; ma non ve li trovò e dovette contentarsi di condur Giasone con alcuni altri cristiani ai magistrati, accusando Paolo e Sila di sedizione politica perchè Paolo avea parlato di Gesù come del re glorioso del regno di Dio. Ricevuta una cauzione da Giasone e dagli altri, i magistrati li posero in libertà; ma i fratelli giudicarono prudente di condur Paolo, ch'era il più minacciato, in luogo più sicuro, facendolo arrivare a Borea, la moderna Verria.

b) Durata del soggiorno di Paolo in Tessalonica. Luca dice che per tre sabati, presumibilmente consecutivi, Paolo parlò nella sinagoga. Se n'è

dedotta la conclusione che il soggiorno di Paolo è durato soltanto un tre settimane e si è trovato un tal periodo di tempo troppo breve per la fondazione della chiesa e per la creazione dei legami d'affetto che la prima Epistola rivela tra i Tessalonicesi e Paolo. Il Bornemann risponde che anche in un breve tempo possono formarsi dei legami duraturi e questo è vero; ma, in realtà, Luca non dice che il soggiorno di Paolo sia durato solo tre settimane. Questa fu la durata dell'evangelizzazione nella sinagoga, i cui risultati furono la conversione a Cristo di alcuni Giudei e di molti proseliti Greci i quali "si unirono a Paolo e Sila". Dove? Probabilmente in casa di Giasone ove ha dovuto continuare l'opera ed estendersi ai Gentili. Così era avvenuto in Antiochia di Pisidia e così avvenne di poi in Corinto. Fatto sta che la chiesa era composta in maggioranza di ex-pagani e che Paolo può scrivere: "vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire l'Iddio vivente e vero..." 1Tessalonicesi 1:9. Questa parte del lavoro missionario dovette pur richiedere qualche altra settimana di tempo durante il quale nacque l'invidia dei Giudei al vedersi portar via tanto e così distinte reclute, e sorse in loro il proposito di provocare un tumulto per disfarsi degli odiati apostoli.

Le Epistole rivolte alla chiesa, pur confermando ch'era stato troppo breve il tempo durante il quale i credenti erano stati istruiti nella verità - il che aveva lasciato delle lacune nella loro fede 1Tessalonicesi 3:10; - ricordano ripetutamente l'insegnamento dottrinale e morale impartito ai fedeli, l'esempio dato di una condotta irreprensibile e in ispecie quello di una vita laboriosa, avendo Paolo provveduto col proprio lavoro al suo sostentamento 1Tessalonicesi 4:1-2; 2:5-12; 2Tessalonicesi 2:5; 3:6-10. Un siffatto appello presuppone, che la vita di Paolo sia stata sotto gli occhi dei Tessalonicesi per più di tre settimane.

c) L'opera di Timoteo. Dagli Atti apprendiamo che, quando Paolo fu costretto a partire da Borea, Sila e Timoteo rimasero colà quelli però che l'accompagnarono fìno ad Atene ricevettero l'incarico di far sapere ai due compagni dell'apostolo che avessero a raggiungerlo al più presto. Dai Fatti non pare che siano venuti subito, poiché Paolo era di già a Corinto allorchè "Sila e Timoteo scesero dalla Macedonia" per unirsi a lui Atti 18:5. La prima ai Tessalonicesi ci spiega questo ritardo come dovuto ad un contr'ordine di Paolo stesso. Cfr. 1Tessalonicesi 2:17; 3:8. Orbato dei suoi

figli spirituali di Tessalonica, di faccia ma non di cuore, l'apostolo aveva due volte fatto il proposito di tornare a rivederli per colmar le lacune della loro fede, "ma, dice egli, Satana ce ne ha impediti". Non potendo venire egli stesso, e non volendo lasciare a sè stessi i cristiani di Tessalonica esposti alla persecuzione, egli preferì restar solo in Atene e mandar Timoteo ai Tessalonicesi "per confermarli e per confortarli quanto alla loro fede, affinchè nessuno si lasciasse smuovere in mezzo alle tribolazioni".

Timoteo compì la sua missione e potè recare a Paolo buone notizie dello stato religioso della chiesa. All'opera di lui si deve probabilmente l'organizzazione della chiesa sotto la guida di alcuni anziani "che faticavano tra i fedeli e li presiedevano nel Signore". Paolo raccomanda che ad essi i fratelli portino rispetto ed amore a motivo dell'opera loro 1Tessalonicesi 5:12-13

d) Lo stato religioso della chiesa. Gli Atti narrano i funesti effetti dell'odio giudaico contro i banditori del Vangelo in Tessalonica; ma le due epistole rivolte alla chiesa ci fanno persuasi che quell'odio non lasciò riposo alla giovane congregazione. Fu però un vento che invece di spegnere la sacra fiamma della fede l'avvivò, tanto che Paolo può render grazie a Dio "per l'opera della loro fede, per la fatica della loro carità, e per la costanza della loro speranza nel Signor G. C." Essi sono divenuti un esempio per tutti i credenti della Macedonia e si parla della loro fede con ammirazione anche nell'Acaia. Intorno all'amor fraterno non hanno bisogno di ricevere esortazioni, e in genere si mostrano ubbidienti alle istruzioni ricevute dall'apostolo.

Tuttavia, data la poca esperienza cristiana dei neofiti, Paolo è in grande ansietà sul modo in cui sopporteranno le tribolazioni, e conscio com'è della loro imperfetta conoscenza della verità cristiana, vorrebbe poter colmare le lacune della loro fede. Hanno inteso imperfettamente il suo insegnamento sulla Seconda Venuta di Cristo e su quanto deve precedere quell'evento, e ne hanno tratto delle conseguenze erronee. Hanno bisogno d'esser messi in guardia contro i vizi dominanti dell'impurità, e della disonestà negli affari. Le lettere di Paolo hanno appunto per iscopo di provvedere ai bisogni spirituali più urgenti di una chiesa per tanti rispetti degna di lode.

1Tessalonicesi - La prima Epistola ai Tessalonicesi

§3. La prima Epistola ai Tessalonicesi

a) L'occasione. L'occasione che determinò Paolo a dettar la prima sua lettera ad una chiesa, è così descritta da lui: "Ma ora che Timoteo ci è giunto da presso a voi e ci ha recato buone notizie della vostra fede e della vostra carità e ci ha detto che serbate sempre buona memoria di noi bramando di vederci... siamo stati consolati..." 1Tessalonicesi 3:6. Dopo mesi di ansietà, le notizie sullo stato religioso dei suoi figli di Tessalonica e sull'affetto che conservano vivo per lui malgrado le insinuazioni dei Giudei sulle sue mire interessate, gli aprono il cuore e ne fanno sgorgare quell'onda di ricordi affettuosi e riconoscenti che riempiono i tre primi capitoli della lettera; ricordi, effusioni di tenerezza, espressioni di paterna sollecitudine che giustificano l'osservazione del Godet, cioè che qui l'apostolo anzichè sotto l'aspetto del teologo, del dialettico o del polemista, ci appare sotto l'aspetto dell'uomo di cuore, del fratello, del pastore pieno di amore, di sollecitudine, di ansietà per dei fratelli ancora giovani ed inesperti (Epp. de Paul, p.179).

Siccome però Timoteo non avea taciuto le lacune religiose o morali dei cristiani di Tessalonica, Paolo si affretta a dar loro le istruzioni consolanti di cui avevano bisogno circa la sorte dei fratelli morti prima del Ritorno di Cristo, nonchè sull'atteggiamento vigilante da tenere di fronte all'incertezza del tempo di quell'evento. Nè tralascia le esortazioni morali che erano richieste dallo stato dei suoi fratelli.

b) Contenuto dell'Epistola. L'Epistola si divide in due parti. Nella prima 1Tessalonicesi 1-3 Paolo lascia libero corso ai suoi sentimenti verso i Tessalonicesi primo fra i quali la riconoscenza a Dio per il modo col quale essi hanno accolto l'Evangelo recato loro da Paolo e per la vita spirituale rigogliosa di cui hanno dato prova in mezzo a circostanze difficili create dall'odio giudaico. Cotali circostanze avevano tenuto in ansietà l'animo dell'apostolo sulle sorti della giovane chiesa finchè le notizie recate da Timoteo non l'avessero ricolmo d'allegrezza.

La seconda parte 1Tessalonicesi 4:1-5:24 contiene Esortazioni ed Insegnamenti: esortazioni ad una condotta personale pura ed onesta; insegnamenti circa la sorte dei credenti morti prima della seconda Venuta di Cristo e circa il tempo di quell'avvenimento, e di nuovo brevi esortazioni riflettenti specialmente la vita ecclesiastica, seguite dalla chiusa della lettera.

c) Data e luogo di composizione. La poscritta aggiunta al testo ordinario porta che la lettera fu scritta da Atene e riflette l'opinione di qualche padre greco. Stando ai dati sicuri che possediamo dobbiamo invece datare questa lettera da Corinto, anno 53. La lettera stessa parla, infatti, del soggiorno in Atene come di cosa recente sì, ma passata 1Tessalonicesi 3:1; e il libro dei Fatti Atti 18:5 attesta che Sila e Timoteo, il cui arrivo fu l'occasione dell'epistola, raggiunsero Paolo in Corinto nei primi mesi della sua missione in quella città. Diciamo nei primi mesi perchè in allora Paolo predicava ancora nella sinagoga; ma egli avea potuto costatare di già come le notizie dell'opera compiuta in Tessalonica si fossero sparse nell'Acaia 1Tessalonicesi 1:8 ed altrove. Inoltre dalla partenza di Paolo in poi erano morti in Tessalonica alcuni fratelli; il che fa supporre che fossero trascorsi un sei mesi o più dacché l'apostolo avea dovuto lasciar la Macedonia.

d) Autenticità dell'Epistola. L'autenticità della prima ai Tessalonicesi non è stata contestata fino alla prima metà del secolo scorso. F. Crist. Baur, il celebre capo della scuola di Tubinga, non ammetteva che quattro epistole di Paolo come autentiche e cioè l'Ep. ai Galati, le due ai Corinti e quella ai Romani; tutte le epistole minori sarebbero state di falsarii vissuti per lo più nel secondo secolo dell'era cristiana. Le obiezioni da lui mosse alla prima epistola ai Tessalonicesi nel 1835 (Theol. Iahrbucher) e nel 1845 (Der Apost. Paulus) non hanno trovato seguito neppure fra gli adepti della scuola di Tubinga; solo Volkmar con Holsten, Steck, alcuni radicali olandesi ed il francese Ménégoz hanno accettato la sua opinione, mentre l'autenticità è difesa da critici come Hilgenfeld, Schmiedel, Pfleiderer, Weitzsäcker, H. Holtzmann, Reuss, A. Sabatier, Ad. Jülicher, B. Weiss, F. Godet, Bornemann, von Soden, W. Lueken e cento altri.

L'obiezione principale di Baur era tratta dal carattere non dommatico di questa epistola. Non c'è qui come nelle quattro grandi una idea dottrinale fondamentale, ma soltanto l'applicazione della dottrina cristiana alla vita pratica e alle sue varie circostanze. Ora non è chi non veda quanto arbitrario sia lo stabilire come criterio che tutte le epistole di Paolo debbano necessariamente portar lo stesso stampo ed essere di genere dottrinale. Anche a non tener conto che delle quattro maggiori, salta agli occhi la differenza che corre tra esse. Dov'è l'idea dottrinale fondamentale svolta nella prima Corinti? Non tratta essa di svariate questioni disciplinari, morali, liturgiche, prima di giungere alla dottrina della risurrezione? E il contenuto della lettera non è esso determinato dai bisogni dottrinali o pratici della chiesa alla quale è diretta? - D'altronde, non è esatto negare del tutto il carattere dottrinale della prima Tessalonicesi, poichè lo scopo principale della lettera è appunto quello di dare un insegnamento autorevole sulla sorte dei credenti morti prima del Ritorno di Cristo. E se non è svolta qui, la dottrina della giustificazione per grazia mediante la fede e non per merito d'opere, perchè in Tessalonica non sono comparse ancora le dottrine giudaizzanti, resta però vero che il sistema dottrinale ch'è alla base della prima come della seconda lettera è quello stesso che Paolo svolgerà in altre epistole, a misura che se ne manifesterà la necessità. L'Iddio "vivente e vero" che "prova i cuori", la cui volontà è "la santificazione" degli uomini, che giudicherà tutti gli uomini e farà loro la retribuzione adeguata alle loro opere: requie, gloria eterna, ovvero ruina, è anche l'Iddio della pace, il Padre che ha eletto i credenti e li ha chiamati al suo regno ed alla sua gloria mediante l'Evangelo. Cristo è il Figliuol di Dio, la sua morte è stata il mezzo della salvazione 1Tessalonicesi 5:9; egli è risuscitato ed è il Signore; da lui come dal Padre procedono grazia e pace, egli è l'oggetto della preghiera, verrà dal cielo nell'ora che non si sa qual Giudice, risusciterà e glorificherà i suoi che lo devono aspettare vigilanti come colui che li libera dall'ira avvenire. Lo Spirito Santo è dato a tutti i cristiani per farli santi, riempie di allegrezza i credenti anche in mezzo alle persecuzioni, ispira le dichiarazioni dei profeti e rende efficace la parola del Vangelo nel produrre i suoi frutti di fede, di speranza e di amore. Quest'ultima triade che, oltre a 1Corinzi 13:13; ricorre in tanti luoghi delle epistole paoline, mostra, insieme ad altre analogie, come anche nella forma della dottrina le epistole ai Tessalonicesi portino l'impronta di S. Paolo.

Cercando con molta buona volontà si sono trovate nell'Epistola parecchie inverosimiglianze che renderebbero improbabile la sua autenticità.

Paolo non si qualifica apostolo come nelle altre lettere. - Non lo fa perchè nessuno nella chiesa di Tessalonica mette in dubbio l'autorità di cui egli fa uso 1Tessalonicesi 4:1,13; 5:12. Un falsario avrebbe egli omesso il titolo?

Come mai, si dice, dopo poche settimane, possono i cristiani di Tessalonica esser "divenuti esempio a tutti i credenti nella Macedonia e nell'Acaia" che non era ancora evangelizzata? - Abbiamo notato di già che le tre settimane di cui parlano gli Atti non coprono che il periodo iniziale dell'evangelizzazione nella sinagoga, alla quale fece seguito l'opera fra i pagani. Non sappiamo poi quanto sia durato il soggiorno in Berea, quello in Atene, nè da quanto tempo durasse la missione in Corinto quando vi giunsero Sila e Timoteo. Basti dire che il Ramsay (S. Paul the Traveller) non giudica improbabile che Paolo abbia speso in Tessalonica anche un sei mesi, ed altri crede che tra la fondazione della chiesa o la lettera sia trascorso circa un anno, nel corso del quale la rigogliosa vita spirituale dei Tessalonicesi ha potuto servire d'incoraggiamento ai cristiani di Macedonia o d'Acaia. D'altra parte è evidente che il ricordo dell'evangelizzazione in Tessalonica, delle circostanze in cui l'apostolo vi è giunto, del modo in cui ha predicato il Vangelo e della prontezza con cui fu accolto il suo messaggio è ancor vivo e fresco nella mente di Paolo; avrebbe voluto rivedere quei suoi figli e, non avendolo potuto, è questa la prima comunicazione diretta ch'egli ha con loro, comunicazione ch'è anzitutto una effusione del suo cuor di padre. Con qual fine un falsario avrebbe egli rievocato - dato che ne fosse capace - tanti ricordi commoventi ove si sente palpitar la vita di un vero apostolo di Cristo?

Ma come mai, si domanda ancora, Paolo avrebbe egli potuto ricordare le persecuzioni sofferte dai cristiani di Giudea per opera dei loro connazionali, senza accennare alla parte ch'egli stesso aveva avuto, al principio, in quei fatti? E come mai può egli mostrarsi così severo verso i Giudei che "non piacciono a Dio, sono avversi a tutti gli uomini", e che "l'ira finale ha raggiunti?" 1Tessalonicesi 2:14-16

Non bisogna dimenticare che dal tempo in cui Saulo avea perseguitato i cristiani erano passati ben 16 anni durante i quali i Giudei avevano potuto conoscer meglio il Vangelo, riconoscer, come Saulo, il proprio errore e credere nel Messia. Invece, eran cresciuti il loro induramento, il loro odio pei cristiani, la loro avversione per la missione fra i pagani ch'essi cercavano di ostacolare con ogni mezzo. Paolo ne aveva avuto delle prove troppo frequenti in Asia Minore e di recente in Tessalonica, in Berea ed in Corinto stessa. Era sempre più evidente agli occhi suoi che la massa dell'antico popolo di Dio respingeva il Vangelo e incorreva nella sentenza di reiezione, che, secondo le predizioni del Cristo, doveva avere come sanzione esterna la distruzione di Gerusalemme e la dispersione del popolo. Per lo spirito profetico ch'è in lui egli prevede non lontano il giudicio di Dio e si sente nelle sue parole ad un tempo la tristezza e la energica riprovazione della crudele ed empia condotta dei Giudei increduli. Già ad Antiochia di Pisidia egli avea detto nella sinagoga: "Poichè respingete la parola di Dio e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci volgiamo ai Gentili" Atti 13:46. Fra 5 anni scrivendo ai Corinti dirà: "Le loro menti sono divenute ottuse... Un velo resta steso sopra il loro cuore..." 2Corinzi 3:14; e qualche mese dopo scriverà Romani 9-11 della sua epistola ai Romani ove costata la reiezione d'Israele e il subentrar dei Gentili come strumenti della estensione del regno di Dio. - Era pur necessario affermare solennemente dinanzi a quei cristiani perseguitati che avrebbero potuto scandalizzarsi della libertà lasciata ai malvagi, la realtà del governo morale di Dio che non lascia il male impunito nè per gli individui nè per le nazioni. Li aveva prevenuti di già della necessità delle prove, ma, tanto nella prima come nella seconda Epistola, torna a riparlare del giudicio di Dio che rende fin d'ora e renderà a ciascuno secondo le sue opere.

Quando si consideri attentamente il carattere di Paolo quale risulta da questa come dalla 2a Epistola, si troverà esatto l'apprezzamento del W. Lock nello Hastings' Bib1. Dict. "L'epistola ci mostra S. Paolo come missionario all'infuori di qualsiasi controversia speciale, ce lo mostra come consolatore e come profeta. Vediamo la sua abnegazione a pro degli altri, la sua simpatia intensa per i suoi convertiti e la sua dipendenza dalla loro simpatia, la sua capacità di farsi tutto a tutti, la sua sensibilità di fronte alle opinioni altrui, il suo proclamare la purezza dei proprii moventi, il suo additare come

esempio la propria condotta, il suo insistere sulla necessità di progredire spiritualmente pur riconoscendo cordialmente il bene già compiuto, la sua indignazione contro quelli che si oppongono all'opera di Dio, il senso ch'egli ha della sua unione con Cristo, il suo pregare incessante, la sua gratitudine. È questo esattamente il carattere che ricomparisce nella 2a ai Corinti e negli altri scritti dell'apostolo delle Genti".

Il quadro, preso dal vivo, di una giovane chiesa etnica cresciuta nella tempesta, vivente nell'aspettazione del prossimo ritorno di Cristo, turbata nel veder morire alcuni suoi membri prima di quell'evento, di una chiesa ove agisce lo spirito di profezia ma misto a un po' di fanatismo il quale spinge taluni ad abbandonare il lavoro ordinario, - questo quadro risponde bene all'anno 53, ma non si comprende più che sia stato tracciato nella prima metà del secondo secolo allorchè la Parusia di Cristo non si riteneva più vicina, nè si riesce a scoprire lo scopo che avrebbe spinto un falsario a comporre un tale scritto sotto il nome di Paolo, nè si può spiegare come la chiesa di Tessalonica abbia coperta la frode.

Sta in fatto che la chiesa antica non ha sollevato mai il minimo dubbio sull'autenticità delle due Epistole ai Tessalonicesi, la seconda delle quali si riferisce apertamente alla prima 2Tessalonicesi 2:15; 3:14. Marcione (140) la includeva nella sua raccolta. Ireneo (Adv. Haer.5:6) la cita esplicitamente: "Perciò l'apostolo nella prima epistola ai Tessalonicesi dice: L'Iddio della pace vi santifichi perfettamente ecc." 1Tessalonicesi 5:23; e cita parimenti 1Tessalonicesi 5:3. Tertulliano riproduce 1Tessalonicesi 1:9-10: "Leggiamo infatti: E come vi siete convertiti dagli idoli..." Clemente Aless. ne cita due passi, Origene fa largo uso delle due Epistole. Il Canone di Muratori enumera le due lettere, la Versione Siriaca come la Vetus itala la contengono, ed Eusebio la pone tra gli scritti universalmente accettati nella Chiesa dei primi secoli.

1Tessalonicesi - Letteratura esegetica

Letteratura esegetica

Mentoviamo tra gli antichi Crisostomo nelle sue Omelie; dei secoli XVI a XVIII: Calvino, Ioh. Crellius, Joh. A. Turretini (Comm. theoretico-praticus) - Dei tempi moderni: fra i tedeschi: Lünemann (Meyer' Krit. Exeg. Kom.1855); De Wette, 1864; Olshausen 1840; Auberlen-Riggenbach nel Comm, crit. dottr. Omil. di J. P. Lange; P. Schmidt 1885; Zöckler 1888; P. W. Schmiedel nel Hand-Komm. 1893; W. Bornemann lavoro ampio nella nuova ediz. del Meyer's Krit-Exeg. Komm, 1894; W. Lueken in Die Schriften d. N. T. 1907.

Tra gl'inglesi: Alford Greek Test III., Ellicott 1878, Eadie, Hutchinson Lectures 1883, Sadler Lond. 1890, Findlay 1891, Denney nell'Espositor's Bib. 1892, Ph. Schaff Pop. Comm. 1889.

Tra i francesi: Reuss: Epp. paul: La Bible. N. T., Bonnet-Schroeder Nouv. Test. 3a ed.

In italiano: Curci: Il Nuovo Test. volgarizzato ed esposto. Vol. III.

2Tessalonicesi

2Tessalonicesi - Le Circostanze e la Data della composizione

§1. Le Circostanze e la Data della composizione

Le circostanze in cui trovasi la chiesa di Tessalonica, quali risultano dalla seconda ai Tessalonicesi, non sono sostanzialmente diverse da quelle che notammo nella prima lettera. Solo, come osserva il Godet, «vi è, nelle varie parti del quadro, una evidente gradazione dalla prima alla seconda lettera. L'elogio dato alla chiesa per i suoi progressi nella virtù cristiana è più accentuato. La persecuzione s'è aggravata, ma è cresciuta in pari tempo nei fedeli l'energia della loro perseveranza e della loro fede. Quello che ora li preoccupa, non è più la sorte di coloro che Dio ritira dal mondo prima della Parusia - l'insegnamento dato nella prima Epistola ha fugato le loro ansietà su quel punto, ma è l'imminenza del Ritorno del Signore. S'è fatto, in conseguenza, più grave il disordine di cui si notavano i primi sintomi nella

precedente epistola, l'abbandono cioè dei lavori della vita ordinaria. Perciò l'apostolo non si limita, come prima, a far delle semplici raccomandazioni, ma prende misure più energiche e mette in opera la disciplina ecclesiastica». (Epp. Paul. p.192).

D'altra parte, Paolo non ha potuto ancora fare ai Tessalonicesi la visita desiderata e allude ripetutamente al suo primo e, finora, unico soggiorno tra loro, quando li aveva chiamati alla fede mediante la predicazione del Vangelo, istruiti dei loro doveri colla parola e coll'esempio 2Tessalonicesi 2:14-15,5; 3:7-10. Allude alla sua precedente epistola 2Tessalonicesi 2:15 e rivolge loro questa, unendo al suo, come nella prima, i nomi di Silvano e di Timoteo che sono tuttora con lui a Corinto.

Tutto ciò dimostra chiaramente che la seconda ai Tessalonicesi è stata scritta da Corinto, poco tempo dopo la prima e, per conseguenza, sulla fine dell'anno 53 o al principio del 54 dell'era cristiana.

2Tessalonicesi - L'autenticità dell'Epistola

§2. L'autenticità dell'Epistola

L'autenticità della seconda ai Tessalonicesi non è stata mai posta in dubbio fìno al principio del secolo scorso. La primitiva chiesa è unanime nel riconoscerla come una lettera genuina dell'apostolo Paolo. Eusebio, nel IV Secolo, la colloca tra gli scritti universalmente riconosciuti e così fa nel III Origene. Ireneo, nel 190, scrive nel lib. III dell'Advers. Haer.: «E ancora nella seconda ai Tessalonicesi l'apostolo dice dell'anticristo: E allora sarà rivelato l'iniquo che il Signor G. C. ucciderà ecc.» 2Tessalonicesi 2:8. E più oltre nel lib. V cita ancora 2Tessalonicesi 2:3-4. Tertulliano cita anch'egli 2Tessalonicesi 2:3, colla formula: «E nella seconda epistola agli stessi ei (Paolo) dice con una sollecitudine anche maggiore: Io vi prego fratelli ecc.». Clemente Alessandrino. «Dice l'apostolo: Pregate affinchè siamo liberati... poichè la fede non è di tutti» 2Tessalonicesi 3:2. L'epistola è inclusa nel Canone muratoriano (circa il 175) e nelle versioni Siriaca e Vetus itala. Verso la metà del secondo secolo Marcione l'includeva nella sua raccolta e

Giustino Martire ha questa frase che ricorda 2Tessalonicesi 2:3: «Quando, anche l'uomo dell'apostasia il quale profferisce cose straordinarie contro l'altissimo, ardirà compier cose inique contro noi cristiani...» (Dial. Trif.110). Policarpo ha espressioni tolte da 1/4 e 3/15: «non lo tenete per nemico», e l'Epistola di Barnaba, alludendo a 2/3, porta: «Quando il Figlio di Dio porrà fine al tempo dell'iniquo e giudicherà gli empi...» Intorno all'anno 100, o anche prima, la Didachè dei 12 Apostoli include nella descrizione dell'uomo di peccato dei tratti tolti dalla nostra epistola: «Aumentando l'iniquità, si odieranno e tradiranno a vicenda e allora colui che seduce il mondo comparirà come un figlio di Dio e farà dei segni e dei prodigi».

Se questa epistola fosse stata scritta e fatta circolare da un falsario, dopo la morte di Paolo, o nel 69 come suppongono quelli che vedono l'uomo del peccato in Nerone, o circa il 100 come credono quelli che lo vedono nello Gnosticismo, come spiegare che la chiesa di Tessalonica non avesse smascherata la frode?

Primo ad emettere dei dubbi sull'autenticità della 2Tessalonicesi fu Chr. Schmidt sul principio del secolo 19mo. Vennero di poi Kern nel 1839 e Chr. Baur nel 1845 seguito dalla scuola di Tubinga, e in tempi più recenti da Pfleiderer, Weitzsaecker, Schmiedel v. Soden, Wrede. A difender l'autenticità sorsero il Pelt, W. Grimm, Reuss, A. Sabatier, Hofmann, B. Weiss, Renan, Klöpper, Alford, F. Godet, Jülicher, Bornemann, Lueken ecc. Le ipotesi emesse da P. Schmidt secondo il quale avremmo qui l'amplificazione di una breve lettera di Paolo, e da Spitta secondo il quale la lettera; sarebbe stata scritta da Timoteo per incarico di Paolo, non hanno trovato seguito. Anzi buon numero di commentatori stima tempo perso il rilevare anche le obiezioni mosse dai seguaci di Baur e passa oltre; il che però non impedisce al Brüekner (1890) di affermare, colla solita sicumera, che «oggidì, dovunque si tratta seriamente il lavoro della critica, la inautenticità di quest'epistola è riconosciuta». Il Bornemann (1894) che consacra ben 40 pag. 8o alla discussione della questione, dopo avere a lungo esposte le ragioni di coloro che negano l'autenticità, osserva che in fondo essi non sono d'accordo se non nell'impressione generale ricevuta e nel

risultato ultimo cui giungono; ma quanto agli argomenti di cui si vale il loro spirito sospettoso, essi sono in aperta contraddizione gli uni cogli altri. Lo stile secondo gli uni non è di Paolo, secondo gli altri sì. Agli uni pare estraneo al pensiero di Paolo il brano relativo all'uomo del peccato, agli altri non sembra impossibile che Paolo l'abbia scritto. È evidente per gli uni che la data dello scritto è il 69, e per gli altri è chiaro ch'è il regno di Traiano. Gli stessi fatti per gli uni provano l'inautenticità e per gli altri l'autenticità.

Tutto questo ci avverte che ragioni veramente serie di negare l'autenticità non esistono; tuttavia passeremo in rassegna le principali obiezioni accampate dai negatori.

Vi è, si dice, contraddizione tra la prima e la seconda Epistola circa il giorno del Signore Mentre la prima afferma 2Tessalonicesi 5:1-11 che verrà inaspettatamente come il ladro nella notte, la seconda insegna che sarà preceduto e come preannunziato da segni precursori quali l'apostasia e l'apparizione dell'uomo del peccato. Una contraddizione sarebbe strana in uno scritto ch'è accusato di non essere che una riproduzione della prima Tessalonicesi. Ma, come osserva il Godet, quando la critica scorge una certa analogia tra due scritti di Paolo ne trae la conclusione che l'uno è una imitazione dell'altro fatta da un falsario; e quando incontra una differenza, vi scorge una contraddizione. «In realtà, le due epistole non si contraddicono ma si completano a vicenda. Nella prima Paolo, non aveva detto che la venuta di Cristo fosse imminente, ma solo che sarebbe cosa impreveduta per il mondo immerso nella securità, mentre i cristiani vi sono costantemente preparati dalla vita nella luce... Nella seconda Paolo, vedendo che l'attesa del giorno del Signore diventava esaltazione nella chiesa fino al punto da turbare il genere di vita di alcuni suoi membri, dà un segno atto a calmare quella malsana impazienza. I fedeli non devono cessar dal vegliare, perchè non si conosce il tempo della venuta di Cristo; ma d'altra parte non si deve fissare quel momento così da cessare il lavoro. Che contraddizione v'è egli in questo?» (Op. e. p.198). Anche altrove l'apostolo accenna a dei segni precursori: 1Corinzi 7:26; Romani 11:25 ed anche 1Tessalonicesi 5:3, ed in ciò non fa che seguir le orme del Maestro Matteo 24; Marco 13; Luca 21. I segni sono destinati a ridestare e a intensificare la vigilanza dei credenti.

Si dice ancora: «Il concetto dell'uomo del peccato svolto in 2Tessalonicesi 2:1-12 non è concetto paolino ed è derivato dall'Apocalisse 13». Il Baur diceva addirittura: «Cotali fantasticherie sono indegne di Paolo». Su che si fonda un tale giudizio? Semplicemente sul fatto che la profezia sull'uomo del peccato non si trova nelle altre epistole di Paolo. Ma con un tal criterio, quanti concetti avrebbero a ritenersi non paolini? La maggior parte degli argomenti trattati ad es. nella 1Corinzi non ricorrono in altre epistole; si dovrà dir perciò che non sono concetti paolini? Cristo ha pronunziato in una sola occasione un discorso propriamente escatologico (Matteo 24-25 e parall.); si dovrà perciò ritenere inautentico? Le lettere di Paolo rispondono ai bisogni delle chiese cui sono dirette e siccome nella travagliata chiesa di Tessalonica le preoccupazioni dominanti sono escatologiche, le lettere di Paolo danno insegnamenti relativi alle cose ultime.

D'altronde la profezia del Cap. 2 non contraddice ad alcuna delle dottrine altrove insegnate dall'apostolo; anzi il concetto che l'errore ed il male hanno da crescere ancora prima d'esser vinti, che gli ultimi tempi saranno segnalati da una generale apostasia e da tribolazioni per i fedeli, Paolo lo esprime in parecchi luoghi delle sue lettere 1Corinzi 15:26; 1Timoteo 4:1-3; 2Timoteo 3:1-5; 4:3-4; e confr. Luca 17:8

Certo il concetto d'una incarnazione suprema del male in un uomo, nell'anticristo, non è esclusivamente paolino; lo s'incontra di già nella profezia di Daniele 7, lo si trova in 1Giovanni 2:18,22; 4:3; 2Giovanni 7: «avete inteso che l'anticristo verrà», donde risulta che quel concetto faceva parte dell'insegnamento apostolico; lo si trova sotto forma diversa anche nell'Apocalisse di S. Giovanni, ma per ammettere che il quadro del C. II sia derivato da Apocalisse 13; 17; bisognerebbe anzitutto provare che l'Apocalisse è stata scritta verso il 68, come afferma una parte dei critici, mentre l'antichità cristiana, e più esplicitamente Ireneo (a.190); il nipote spirituale dell'apostolo Giovanni, la pone verso la fine del regno di Domiziano, cioè nel 95: Poi bisognerebbe render ragione delle marcate diversità esistenti fra i due quadri e in particolare dei tratti che sono speciali a quello di Paolo, per es. quello del «misterio d'iniquità ch'è di già all'opera», quello dell'«apostasia» generale ch'è come la madre dell'uomo di peccato, quello del «rattenente» che manca nell'Apocalisse, ove, anzi, la

podestà terrena figura come lo strumento di Satana contro al regno di Dio, concetto questo ch'è estraneo agli scritti ed all'esperienza di Paolo. Cfr. Romani 13; 1Timoteo 2 e l'appello suo al tribunale di Cesare.

Nel duplice fatto che Paolo allude 2Tessalonicesi 2:2 ad una lettera spuria circolante sotto il nome di lui, e ch'egli in 2Tessalonicesi 3:17 da, qual segno d'autenticità delle sue lettere, la propria caratteristica calligrafia visibile nelle ultime righe scritte da lui di proprio pugno si è voluto scorgere un indizio di epoca posteriore allorchè già esisteva una collezione di lettere paoline; ma una tale precauzione è cosa perfettamente spiegabile e naturale precisamente nel momento in cui l'apostolo, ammaestrato da un'esperienza recente, vede la necessità di adottare una precauzione equivalente alla firma delle sue lettere. Vero è che una cotal pratica non è mentovata esplicitamente altrove se non in 1Corinzi 16:21; Colossesi 4:18; ma ciò non prova che Paolo non l'abbia seguita quando era necessario. Certo non lo era quando tutta la lettera era scritta da lui stesso come lo fu quella ai Galati 6:11; o quando scriveva a degli amici intimi come Timoteo e Tito.

«In realtà, concluderemo col Lueken non sospetto di conservatorismo, l'epistola nulla contiene che non possa provenir da Paolo e la si capisce bene quando la si consideri come un documento dei primi tempi del cristianesimo» (Die Schriften d. N. T.). Si spiega la preoccupazione della imminenza del ritorno di Cristo, il disordine che n'era nato nella vita pratica di alcuni, il modo col quale Paolo corregge la erronea impressione, si spiega com'egli stesso potesse ritener possibile la venuta di Cristo in un tempo non lontano; mentre più si ritarda la data dello scritto più diventa impossibile l'assegnare uno scopo all'opera del supposto falsario.

2Tessalonicesi - Il Contenuto dell'Epistola

§3. Il Contenuto dell'Epistola

L'Epistola consta di tre parti:

La prima 2Tessalonicesi 1 contiene, dopo il saluto, il ringraziamento e la preghiera dell'apostolo pei Tessalonicesi che perseverano nella fede nonostante le persecuzioni.

La seconda 2Tessalonicesi 2 contiene l'insegnamento sull'uomo del peccato e la riconoscenza di Paolo per l'elezione dei Tessalonicesi, colla sua esortazione a perseveranza.

La terza 2Tessalonicesi 3 reca esortazioni pratiche: a) ad intercedere per i banditori del Vangelo e b) a rompere le relazioni coi fratelli disordinati.

2Tessalonicesi 3:16-18 chiudono la breve epistola.

Filemone

Filemone - Fisonomia generale della lettera

1. Fisonomia generale della lettera.

La lettera a Filemone è unica nel suo genere nell'epistolario paulino. È un biglietto scritto dall'apostolo ad una persona speciale a proposito d'un affare privato. Anche le lettere a Timoteo ed a Tito l'apostolo scrive a delle persone speciali; ma codeste son delle persone che esercitano nella Chiesa un ufficio particolare, ed a loro, in quanto esercitano codest'ufficio, scrive l'apostolo; e scrive di cose che concernono gli interessi spirituali della Chiesa.

I rappresentanti di tutte le scuole, da Lutero e Calvino al Renan al Baur ed al von Soden, hanno reso omaggio alla bellezza, alla delicatezza, al tatto squisito di questa lettera. Qualcuno l'ha paragonata con un'altra lettera, che Plinio il giovane ebbe a scrivere in un'occasione analoga a quella che mosse Paolo a scriver la sua. «Ma, dice il Lightfoot, astrazion fatta dalla purezza della lingua e dello stile, non vi può esser dubbio di sorta; la lettera dell'apostolo cristiano è più bella dell'altra. Come espressione di dignità,

senz'affettazione, di fine, delicata cortesia, di larga simpatia e di caldo affetto personale, la lettera a Filemone non teme rivali. E questa superiorità è tanto più notevole, in quanto che lo stile della lettera è addirittura inaccurato. È una lettera che non deve nulla ai lenocini della retorica; l'effetto che produce, è tutto dovuto allo spirito dello scrittore». «Ci è caro, scrive il Sabatier, l'imbatterci in questa lettera e in questa fresca oasi dell'amicizia cristiana; il riposarci un istante con Paolo delle grandi polemiche sostenute e delle grandi fatiche durate. Siamo abituati a figurarci l'apostolo com'essendo sempre armato di tutto punto, bardato di logica ed irto d'argomenti. Ci è dolce il sorprenderlo qui, mentre riposa, in un momento di quiete, in questa comunione d'amicizia piena d'abbandono e perfino di gaiezza». «La conservazione di questa pagina, unica nel suo genere fra gli scritti apostolici, conclude il Reuss, è dovuta senza dubbio al rispetto che la famiglia di Colosse nutriva per l'autore. Si capisce che in codesta famiglia la letterina di Paolo sia stata oggetto d'un'attenzione costante, d'una specie di culto, e che l'intera comunità cristiana abbia poi finito per unirne una copia a quanto essa stessa possedeva di scritto di man dell'apostolo. Ma non si può far a meno di pensare che Paolo, durante la sua lunga carriera e con le numerose relazioni che più o meno intimamente coltivava nelle varie città, di queste lettere così familiari deve aver avuto occasione di scriverne parecchie; e il piacere che uno prova a legger quest'unica che ci rimane, desta in noi forte il dispiacere d'aver perduto le altre».

Filemone - L'occasione che diè luogo alla lettera

2. L'occasione che diè luogo alla lettera.

L'occasione di scriver la lettera all'amico suo fu Onesimo che la dette all'apostolo; Onesimo, ch'era uno degli schiavi di Filemone. Gli schiavi frigi erano reputati esser fra i tipi peggiori che si potessero trovare nel mondo romano. Cicerone (Pro Flacco, 27) cita un proverbio che diceva:. «Un frigio, più lo picchi e migliore diventa e meglio ti serve».

Onesimo non faceva eccezione alla regola. Fuggì da casa del padrone, e più che probabilmente non fuggì a mani vuote Filemone 18-19. Con quel che avea rubato e con l'astuzia di cui era dotato; prese il volo per Roma, convinto che in codesto gran centro gli sarebbe stato facile il nascondersi, e adescato dalla tentazione di godersi tutto quello che la città eterna offriva di splendido e di glorioso ai buoni, di equivoco e, di corrotto ai tristi. Ma, dice il Dods, «o sopraffatto da un senso di solitudine, o stanco d'una vita di crapula, o ridotto alla fame, o colto dallo spavento di essere da un momento all'altro scoperto, si recò direttamente da Paolo, o si confidò con qualche asiatico, che avrà incontrato per via. E appena uscito fuor dal fango della corruzione e della profanità, che abbondava nei brulicanti ridotti della metropoli, ed entrato nella stanza santificata dalla presenza di Paolo, vide subito quanto vergognosa fosse la propria vita, quanto bella fosse per converso quella dell'apostolo, e fu spinto ad accettar quell'Evangelo, che tante volte avea già udito in casa del suo padrone. Quanto ei rimanesse con Paolo, non si sa; ma vi rimase il tempo sufficiente all'apostolo per convincersi che codesto schiavo non era un uomo del solito stampo. Paolo avea presso di sé degli amici devoti ed attivi; ma questo schiavo, che aveva imparato a far continua, diligente attenzione ai bisogni del suo padrone e ad eseguir prontamente tutto quello che gli fosse dato a fare, diventò quasi indispensabile a Paolo. Tenerselo così senz'altro, però, Paolo non voleva; gli sarebbe parso di rubarlo all'amico, o, per lo meno, gli sarebbe parso di privar Filemone del piacere di mandarglielo egli stesso volontariamente perché restasse al servizio del carcerato Filemone 14; quindi è ch'ei si decide a rimandar Onesimo con questa lettera scritta così squisitamente che è quasi impossibile non conquistasse ad Onesimo l'accoglienza cordiale ed il perdono del padrone».

Filemone - L'autenticità della lettera

3. L'autenticità della lettera.

L'antichità non ebbe dubbio di sorta relativamente all'autenticità di questo scritto. I Padri apostolici non la citano, ma è chiaro che così facciano

quando si pensi che la lettera non contiene elementi dottrinali di sorta. Marcione la ritenne per autentica; la si trova nel Frammento di Muratori, nelle antiche versioni siriaca e latina, e le rendono testimonianza positiva Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Origene ed Eusebio. Girolamo ricorda l'opinione di alcuni i quali credevano la lettera non esser di Paolo; o, s'era di Paolo, essere stata scritta dall'apostolo in un momento in cui Cristo non parlava per mezzo di lui. E tutto questo, perché la lettera trattava soltanto di cosa particolare, privata, e non conteneva nulla d'adatto ad edificare. Era quindi una questione di «dignità canonica», come la chiama il Godet; e se l'autenticità veniva da cotestoro messa in dubbio, egli era soltanto perché il contenuto dello scritto non pareva essere alla altezza della dignità del grande apostolo. Ma Girolamo disse bene: Ragionando così, codesta gente non faceva altro che «mettere in evidenza la propria imperizia».

Il solo attacco vero e proprio che l'autenticità della lettera abbia subito, è stato l'attacco del Baur, il quale fu trascinato a cotesto attacco dalla tirannia della propria logica. Provate, secondo lui, non autentiche le lettere agli efesini ed ai colossesi, deve inesorabilmente cadere anche l'autenticità della lettera a Filemone. Nella quale il Baur trova l'embrione di un romanzo cristiano, destinato ad illustrare, per mezzo d'un esempio fittizio, la grande verità cristiana che ogni fedele ritrova se stesso in ogni suo fratello: Paolo in Onesimo, Onesimo in Filemone e Filemone in Paolo. Il Weizsaecker ed il Pfleiderer seguono il Baur su cotesta via; ma è opinione che non ha avuto nè ha gran fortuna. Il Reuss fa una carica a fondo contro la critica del Baur; lo Holtzmann inclina per l'autenticità, e il Renan dice addirittura: «Peu de pages ont un accent de sincérité aussi prononcé. Paul seul a pu écrire ce petit chef d'oeuvre». Anche il Sabatier esprime con altre parole il concetto del Renan:. «Questa breve lettera è d'una originalità così viva, è così assolutamente scevra d'ogni preoccupazione dogmatica e l'anima di Paolo v'ha impresso la propria indelebile impronta in modo così forte, che non si riuscirà mai a cancellarvela se non con la violenza». E il Godet così conclude: «Si può dire con una specie di certezza che se l'autenticità di questo piccolo scritto non si traesse dietro quasi necessariamente quella dell'epistola ai colossesi, non sarebbe mai venuto in mente ad alcun critico moderno di revocarla in dubbio.

Filemone - Data della lettera e luogo dov'ella fu scritta

4. Data della lettera e luogo dov'ella fu scritta.

Per la determinazione della data della lettera e per la designazione del luogo dov'ella fu scritta, veda il lettore l'Introduzione alla lettera agli efesini, dove ho detto che il gruppo Efesini-Colossesi-Filemone si deve molto probabilmente considerare come proveniente da Roma, e come scritto verso la fine del 62 o i primi del 63 dell'era volgare.

Filemone - Delle relazioni fra l'evangelo e la schiavitù secondo la lettera

5. Delle relazioni fra l'evangelo e la schiavitù secondo la lettera.

Di queste relazioni ho già parlato a proposito di Efesini 6:5-9; Colossesi 3:22-26 e potrei quindi fare anche ameno di tornar su questo soggetto. Nondimeno, per non lasciar passare senza parola il luogo classico d'onde in ogni tempo sorse la scottante questione, io non farò qui che riassumer quello che il Vincent ha recentemente detto in modo così giusto e completo da esaurire addirittura l'argomento.

Le discussioni relative all'attitudine che l'apostolo prende in questa lettera di fronte alla schiavitù, hanno dato luogo a due errori, dai quali convien che ci guardiamo. Da un lato, si è considerata la lettera quale un documento comprovante che San Paolo ammetteva la schiavitù, come legittimata da una sanzione divina. Dall'altro, invece, ell'è stata considerata come un documento comprovante che l'apostolo era un nemico della schiavitù, e ch'egli lavorò a tutt'uomo, e con chiara, precisa determinatezza d'intento, per l'abolizione di lei.

Sono due esagerazioni.

Prima di tutto. San Paolo aveva egli proprio afferrato il postulato della coscienza cristiana moderna che nessun uomo ha il diritto di dire d'un altro: «Questa è roba mia?» Mettiamoci pure un bel punto d'interrogazione. L'apostolo, durante tutta la sua vita, era stato abituato allo spettacolo delle schiavitù tanto fra i giudei quanto fra i pagani. È ben vero che la legge ebraica proteggeva gli schiavi più della legge greca o romana, in quanto che assicurava loro quel diritto alla manomissione che, in ultima analisi, trasformava la schiavitù in una prestazione di servizio a tempo; nondimeno, la legge ebraica riconosceva ad un ebreo il diritto di posseder degli schiavi. Or badiamo di non cader nell'errore, pur troppo comune, di attribuire ai luminari della Chiesa primitiva le idee del nostro secolo ventesimo; e diciam pure senza tema di far torto al grande apostolo, ch'egli era ben lungi dall'essere un «abolizionista» nel senso moderno. S'egli avesse in modo nitido e chiaro concepito la istituzione della schiavitù come un male in sé, non dubitate; egli avrebbe tonato contro di lei, come tonava contro la fornicazione. Invece, nè qui nè altrove, nelle sue lettere, voi trovate una parola di cotesto genere; e da per tutto, dov'egli tocca il soggetto, la schiavitù è considerata come una istituzione stabilita ed accettata, che offre anch'ella le sue opportunità di servire il Signore, e che ha i suoi doveri che il cristianesimo definisce chiaramente e rende più delicati che mai.

E con tutto questo non si vuol dire che l'apostolo ritenesse la schiavitù come istituzione legittima. Si vuol dire soltanto che il problema della legittimità di cotesta istituzione potè forse presentarsi alla mente dell'apostolo; ma certo è che l'apostolo nè se lo pose da sé, cotesto problema, nè cercò di dargli una vera e propria soluzione. Egli non si propose mai di distruggere cotesta istituzione; si limitò soltanto a regolarla. Affermò che lo schiavo era ben altra cosa che un mobile qualunque Filemone 10-12,16; che lo schiavo cristiano è un affrancato dal Signore 1Corinzi 1:22; che in Cristo non v'è più nè schiavo nè libero 1Corinzi 12:13; Galati 3:28; che il padrone cristiano ha non soltanto dei diritti ma anche dei doveri verso i propri schiavi; e insiste energicamente su cotesti doveri Efesini 6:9; Colossesi 3:20; Filemone 812,15,17

E gli schiavi lo capivano a volo ch'era soltanto nell'atmosfera del cristianesimo che avrebbero potuto arrivare a respirare un po' liberamente.

Anche Platone, Aristotele, Epicuro e Seneca aveano insistito sul dovere che i padroni aveano d'essere umani verso i loro schiavi. Seneca, per esempio, aveva affermato che la condizione sociale era un'accidentalità, che non avea nulla da fare con la vera dignità dell'uomo; che la libertà e la schiavitù, più che nella condizione sociale esterna, consistevano nella virtù e nel vizio; e che i buoni avrebbero dovuto astenersi dal nutrire, a danno dei loro schiavi, financo un qual si fosse sentimento di sprezzo. Ed erano dei sentimenti nobili e giusti; ma dei sentimenti che non oltrepassavano i confini delle classi colte, che esercitavano una influenza limitatissima, e che lasciavan quindi presso che intatta la condizione degli schiavi; e gli schiavi cercavano il loro rifugio non là dove cotesti sentimenti eran consigliati dalla filosofia, ma là dove eran creati, coltivati, imposti dall'amore. Ecco perchè nella Chiesa primitiva abbondarono gli schiavi.

Qualunque fosse l'orizzonte che, per quanto concerne questo soggetto, s'apria dinanzi agli occhi dell'apostolo, il fatto è che la susseguente storia della schiavitù dimostrò che Paolo ebbe ragione di condursi come fece. I principi dell'Evangelo ch'egli proclamò, non solo restrinsero gli abusi della iniqua istituzione, ma finirono col distruggere addirittura la istituzione stessa, perch'era istituzione che non potea vivere disgiunta dai propri abusi. Distruggerne gli abusi equivaleva a distruggere lei stessa. La schiavitù, dopo Paolo, continuò a vivere ancora per dei secoli; ma i codici romani s'andaron sempre più compenetrando di sentimenti cristiani. La manomissione ufficiale degli schiavi cominciò presto a diventar cosa comune, ed un atto di pietà o di gratitudine verso Dio. Spesso, nei dipinti che adornano i sepolcri di cotesti tempi, il padrone sta davanti al Buon Pastore, circondato da una quantità di schiavi ch'egli ha liberati quand'era in punto di morte, e che perorano la causa del loro liberatore al giudizio finale.

«Chiunque si ponga a studiar con cura la lunga serie di leggi emanate da Costantino al decimo secolo relativamente alla schiavitù», dice il Brace nel suo Gesta Christi, «non può non rendersi conto della evidente influenza che il cristianesimo ebbe su cotesta legislazione. È ben vero che la schiavitù continuò ancora a vivere e che non tutte cessaron subito le sue pratiche brutali; ma per tutto cotesto periodo fu evidente che il nuovo spirito, mite ed umano, lottava contro la barbarie della istituzione perfino nella legislazione

che, si sa, è sempre l'ultima a risentire gli effetti di una nuova energia sociale. Lo stesso modo di esprimersi degli atti tradisce la ispirazione della fede cristiana; e l'idea ch'era a base d'ogni riforma d'allora, l'idea, cioè, del valore dell'individuo e della sua uguaglianza con gli altri nel cospetto di Dio, era idea essenzialmente cristiana. Ma le leggi sono spesso sorpassate dalla pratica; e quelli che seguivano il Cristo, eran tratti dalla forza stessa dei principi che professavano, a considerare lo schiavo com'essendo uguale al padrone; e padrone e schiavo, in Chiesa, sedevano l'uno accanto all'altro e partecipavano assieme alla commemorazione della morte di Cristo. Per la legge civile, un padrone che avesse ucciso uno dei propri schiavi accidentalmente, in un eccesso di punizione, non era condannato; ma in Chiesa egli sarebbe stato escluso dalla comunione. La castità degli schiavi era sacra per la Chiesa. Ai sacerdoti schiavi era data la libertà. Le solennità religiose, domeniche, giorni di digiuno e i giorni di gioia furon di buon'ora connessi, nella Chiesa, con la emancipazione degli schiavi. Le consolanti parole di Cristo che passavan di bocca in bocca, e le nuove speranze che per l'Evangelo di Cristo sorrideano al mondo, divennero lo special conforto della immensa folla d'infelici, costituita dagli schiavi di Roma. I maestri cristiani ed i pastori eran chiamati «i fratelli dello schiavo»; e gli schiavi aveano acquistato un nuovo nome; il bel nome di «liberti di Cristo».

Filemone - Piano della lettera

6. Piano della lettera.

Per quanto breve ed apparentemente di poca importanza, questo biglietto dell'apostolo è radatto con lo stesso ordine delle sue grandi lettere, e consta di tre parti.

PRIMA PARTE: IL PREAMBOLO Filemone 1-7.

1. L'indirizzo Filemone 1-3.

2. Il rendimento d i grazie Filemone 4-7.

SECONDA PARTE: LA RICHIESTA DELL'APOSTOLO ED I SUOI MOTIVI Filemone 8-21.

1. L'Apostolo che prega anzichè comandare: Filemone 8-9.

2. I motivi della richiesta cercati nella persona per la quale l'apostolo intercede: Filemone 10-16.

3. La richiesta: Filemone 17-21.

TERZA PARTE: CONCLUSIONE Filemone 22-25.

1. Una commissione: Filemone 22.

2. I saluti: Filemone 23-24.

3. La benedizione apostolica: Filemone 25.

Le lettere pastorali

Pastorali - Il carattere speciale delle Epistole Pastorali

§1. Il Carattere speciale delle Epistole Pastorali.

Le Epistole a Tito ed a Timoteo formano, fra gli scritti del Nuovo Testamento un gruppo omogeneo distinto dagli altri da particolari caratteristiche. Il più antico catalogo dei libri del N.T., il canone detto di Muratori (2a metà del II° secolo), notava di già che queste lettere con l'altra a Filemone, hanno carattere meramente individuale, essendo state da Paolo scritte per il grande affetto che portava ai loro destinatarii, ma soggiungeva che la loro utilità in materia di disciplina ecclesiastica, ha valso loro la pia venerazione in cui sono tenute nella Chiesa universale.

Si chiamano infatti Pastorali non già perchè dirette da un pastore d'anime al gregge ch'egli vuole istruire nella verità dottrinale o morale, ma perchè dirette a due pastori collocati in situazione di grande responsabilità, e intese a dar loro delle direzioni circa il modo in cui devono pascere la Chiesa. «Io ti scrivo questo, dice Paolo nella 1Timoteo 3:14-15, colla speranza di venir presto a trovarti, ma se tardassi, affinchè tu sappia come devi condurti nella casa di Dio, ch'è la Chiesa del Dio vivente...» E dirà in queste lettere di qual cibo spirituale devono esser nutrite le chiese, e come debbano esser preservate dalle dottrine false che minacciano il loro avvenire e già cominciano ad inquinarle al presente; darà direzioni relative al culto, alla vita morale delle singole categorie di fedeli, ai requisiti cui devono soddisfare i presbiteri, i diaconi, le diaconesse, ecc.

Le Pastorali sono quindi specialmente utili a meditarsi da chi occupa l'ufficio di conduttore di chiesa o si prepara ad esserlo. Il fatto che le direzioni impartite a Timoteo ed a Tito sono sostanzialmente le stesse, indica come, nonostante «le varietà accidentali di luoghi, di tempi e di persone, il ministerio è, nella sostanza, sempre e per tutto lo stesso, tanto che, salvo poche e lievi cose, queste Epistole conservano anche pel presente, la primitiva loro freschezza» (Curci). All'epoca nostra che in varie guise tende a diminuire il valore della Verità rivelata, esse ricordano la importanza assoluta di essa. Senza la predicazione della Verità evangelica non può nascere la fede: la fede vien dalla Parola di Dio udita. Senza l'insegnamento assiduo della Verità non può svolgersi sana e robusta, la vita cristiana che ha bisogno d'esser nudrita di quel cibo sostanzioso. Chi va ripetendo che la vita è la cosa essenziale, mentre la credenza importa poco, è come chi vanta l'eccellenza del frutto, dimenticando che per produrlo, l'albero deve pur nascere da un seme e alimentarsi del continuo in terreno adatto. «Le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo» ripetute e svolte dai suoi apostoli ispirati, ecco il succo vitale che la Chiesa deve assimilarsi del continuo se vuol serbarsi viva e fruttifera.

La specialità del contenuto crea necessariamente in queste lettere una certa specialità nella terminologia e nello stile dell'Autore, vi sono frequenti dei termini e delle locuzioni che non s'incontrano se non raramente nelle altre Lettere di S. Paolo.

Inoltre, ci troviamo manifestamente qui nell'ultimo periodo della vita dell'apostolo. Gli errori che assalgono le chiese, la preoccupazione di stabilire dovunque un ministerio regolare capace di predicare e di difendere la verità evangelica quando siano scomparsi gli apostoli ed i loro collaboratori immediati, la previsione del martirio prossimo nella IIa a Timoteo, tutto induce a credere che il gruppo delle Pastorali contiene gli ultimi scritti usciti dalla penna dell'apostolo delle Genti.

Pastorali - Le Epistole pastorali nella Chiesa antica

§2. Le Epistole pastorali nella Chiesa antica.

Ad. Jülicher ha scritto (Einl. p. 140) che «le testimonianze esterne non soro favorevoli all'autenticità delle Epistole» pastorali; ma il giudizio del critico di Marburg non è conforme ai fatti.

Le Epistole non sono citate esplicitamente dagli scrittori della fine del primo secolo e del principio del secondo, ma dalle molte espressioni caratteristiche che se ne tolgono, risulta ch'esse erano ben conosciute come scritti apostolici. Così Clemente romano esorta (Cor. 29) ad appressarsi a Dio «levando verso lui delle mani pure ed immacolate» (Cfr. 2Timoteo 2:8), ad «essere pronti ad ogni buona opera» Cfr. Tito 3:1. L'Epistola di Barnaba adopera locuzioni come queste: «esser manifestato in carne», «che ha da giudicare i vivi ed i morti», «distrugger la morte». Ignazio scrive agli Smirnesi: «i miei legami non li sprezzaste nè ve ne vergognaste» e usa espressioni come «insegnar dottrina diversa», «dar refrigerio» ecc. le quali tutte ricordano dei passi delle Pastorali. Policarpo scrive ai Filippesi

«L'avarizia è fonte di ogni sorta di calamità. Sapendo dunque che non abbiamo portato nulla nel mondo nè abbiamo nulla da portarne fuori, armiamoci delle armi della giustizia». Ed ancora: «Poichè non hanno amato il presente secolo...» «I diaconi non devono esser doppi in parole». Cfr. 1Timoteo 6:7,10; 3:8; 2Timoteo 4:10. Da cotali reminiscenze quasi letterali, anche il Sabatier A. trae la conclusione che le Epistole «erano note e lette nelle raunanze cristiane tra il 130 e il 150». Nè meno notevoli sono le espressioni «scienza falsamente nominata», «benignità e filantropia di Dio», adoperate da Egesippo e da Giustino Martire. Cfr. 1Timoteo 6:20; Tito 3:4

Se non che, prima della metà del secondo secolo, taluni gnostici e nominatamente Marcione e Basilide, sembrano aver ricusata l'origine paolina delle Pastorali. Clemente Alessandrino dopo citato il passo 1Timoteo 6:20 ov'è questione delle «contraddizioni di quella che falsamente si chiama scienza (gnosi)», dice che «gli eretici, ripresi da quella dichiarazione, rigettano le Epistole a Timoteo». Tertulliano attesta che Marcione ricusava le Pastorali e Gerolamo rimprovera a Marcione ed a Basilide di aver manomesso gli scritti degli Evangelisti e degli Apostoli di Cristo «...Per non parlare delle altre epistole, dalle quali hanno cancellato quanto parve contrario alla loro dottrina, essi hanno creduto di ripudiarne del tutto alcune, e cioè le due a Timoteo, quella agli Ebrei e quella a Tito... senza darne le ragioni...; mentre Taziano il patriarca degli Entratiti il quale ripudiò anch'egli alcune Epistole di Paolo, ritenne doversi ad ogni modo attribuire a Paolo quella a Tito», Quando si rifletta che il criterio seguito da Marcione e compagni nel formarsi un canone e nell'espurgare i libri ammessi non era un criterio storico o critico, ma dommatico, il fatto ch'essi hanno escluso dalla loro raccolta i libri in cui sono condannati i germi delle loro tendenze speculative e dualistiche si converte in una testimonianza indiretta resa all'autorità di cui questi scritti godevano nella Chiesa. Nè vale proclamare col Julicher che il criterio dommatico seguito da Marcione è «cosa immaginaria», poichè è attestata largamente dagli autori che lo hanno combattuto e dalle mutilazioni ch'egli facea subire agli scritti sacri.

Dal 160 in poi abbondano le testimonianze all'autorità apostolica delle Pastorali.

Teofilo d'Antiochia: «Inoltre la parola divina ci comanda di esser soggetti ai principati ed alle autorità; e di pregare per loro affinchè meniamo una tranquilla e quieta vita». Cfr. 1Timoteo 2:1-2; Tito 3:1

Ireneo: «Siccome disse Paolo: Evita l'uomo settario dopo una prima ed una seconda ammonizione...» Tito 3:10-11. «Discorsi menzogneri e vane genealogie le quali, come dice l'Apostolo, producono questioni anzichè edificazione di Dio, in fede» 1Timoteo 1:4. «Di questo Lino, Paolo fa menzione nelle epistole a Timoteo» 2Timoteo 4:21

Clemente alessandrino: «Del quale scrive l'Apostolo: O Timoteo guarda il deposito evitando le profane ciance... ecc.» 1Timoteo 6:20. «Secondo Paolo, la pietà è utile ad ogni cosa...» 1Timoteo 4:8. «Tu dunque, dice anche Paolo, fortificati nella grazia ch'è in Cristo Gesù». «Di Epimenide Cretese fa menzione l'apostolo Paolo nell'Epistola a Tito, in questi termini: Uno di loro, il lor proprio profeta ecc.».

Tertulliano: «Lo stesso Apostolo diede in man di Satana Imeneo ed Alessandro... com'egli scrive al suo Timoteo» 1Timoteo 1:20

Intorno al 175 troviamo le Epistole pastorali nel Canone di Muratori, (il Curci asserisce il contrario per errore), nelle versioni Siriaca e Vetus Itala. Origene le riteneva scritte da Paolo, ed Eusebio le include fra i libri Omologúmeni cioè universalmente ricevuti nella Chiesa, al pari delle altre dieci Epistole di Paolo.

Pastorali - Le Epistole pastorali e la Critica

§3. Le Epistole pastorali e la Critica.

«Le nostre Epistole, scrive H. J. Holtzmann (Einleit. p. 274) fanno parte del forte che fu il primo ad essere espugnato, nell'assedio posto alla cittadella dell'opinione tradizionale relativa al Canone. Schleiermacher, coll'occhio di un duce della critica, riconobbe, fin dal 1807, il punto debole della difesa, attaccando l'autenticità della più lunga delle tre, della prima a Timoteo». Lasciando stare il tono trionfale che la critica negativa assume volentieri, sta in fatto che, fino al principio del diciannovesimo secolo, l'autenticità delle Pastorali non fu contestata che da pochi gnostici del II° secolo. Le ragioni accampate contro la prima a Timoteo dallo Schleiermacher sono di ordine interno e in gran parte subiettive: non trova il nesso abbastanza forte tra le varie parti, lo stile ha delle particolarità che non gli sembrano paoline, poi non è possibile trovare nella vita di Paolo a noi nota una situazione che risponda ai dati contenuti nella prima a Timoteo la quale sarebbe, secondo il critico, una compilazione basata sulle due altre pastorali. Nel 1812 Eichhorn fece un passo di più e considerando le affinità esistenti fra le tre Epistole le dichiarò tutte inautentiche, attribuendole ad un discepolo di Paolo il quale volle mettere in iscritto le istruzioni orali del suo maestro sulla costituzione della Chiesa. Come mai l'ipotetico discepolo si sarebbe permesso di assumere il nome di Paolo e di riempire le lettere di allusioni a fatti e circostanze personali estranei al libro degli Atti, come mai avrebbe disseminate le istruzioni orali di Paolo in tre lettere anzichè in una, il critico non si curava di spiegarlo. De Wette (1826) sostenne a sua volta l'inautenticità delle tre Epistole attribuendole ad uno scrittore della fine del primo secolo, perchè la trattazione nella prima a Timoteo, e su per giù anche nelle altre, non gli pareva rispondere allo scopo dichiarato, perchè la descrizione degli eretici è incerta e la polemica contro ad essi non è esauriente, perchè le istruzioni relative alla direzione della Chiesa sono troppo generiche, le esortazioni a Timoteo non rispondenti al carattere ed alla situazione di lui, il nesso logico e la lingua non sono quelli delle grandi epistole paoline. Altri fece pur notare che Paolo non indica alcuna persona come degna dell'ufficio di sovrintendente nella chiesa di Efeso e non manda saluti a nessuno da parte di alcuno.

Con F. Baur (1835) la critica delle Pastorali, più che un passo fece un salto innanzi. Egli non le connette più in veruna guisa con Paolo nè col secolo apostolico, ma le ritiene originate dalla polemica contro gli gnostici Marcione e Valentino di cui crede riconoscere gli errori in quelli accennati nelle Epistole. Esse avrebbero per iscopo di combattere, sotto il nome di Paolo, l'eresia gnostica e di render più saldi gli ordinamenti ecclesiastici per far argine all'irruzione dell'eresia. Sarebbero quindi state scritte tra il 160 e il 170: Seguirono il Baur i suoi discepoli della Scuola di Tubinga (Hilgenfeld, Volkmar, ecc.) e lo seguono tuttora nel negare l'autenticità delle Lettere Pfleiderer, H. Holtzmann, Jülicher, A. Harnack, v. Soden ecc., soltanto, mentre gli uni le ritengono dell'epoca di Adriano (118-138: Holtzmann), altri le fanno risalire al primo ventennio del secondo secolo (Beyschlag, Jülicher) ed altri ancora all'ultimo ventennio del primo secolo (Renan, v. Soden); mentre per gli uni l'errore segnalato è lo gnosticismo, per altri è l'essenismo (Mangold, Holtzmann).

Accanto all'ipotesi della completa inautenticità, se n'è venuta svolgendo un'altra meno radicale, quella della inautenticità parziale delle Pastorali; ma sarebbe difficile enumerare tutte le varie forme che una tale ipotesi ha assunto e tuttora assume a seconda delle impressioni subiettive dei critici. Schleiermacher non accettava l'autenticità della la a Timoteo, ma non avea nulla di serio da obiettare alle due altre. Credner (1836) lo seguiva per la prima Timoteo, accettava l'Epistola a Tito come autentica... salvo i primi quattro versetti e considerava la 2a Timoteo come formata dalla fusione di due letterine autentiche (2Timoteo 1; 4:13-18 e 2Timoteo 2; 4:6-12,20-21) colle aggiunte di un autore posteriore. Neander dubitò della prima a Timoteo; Reuss dopo aver ammessa l'autenticità delle tre, finì col limitarla alla 2Timoteo.

Altri critici scorgono qua e là dei brani usciti dalla penna di Paolo e introdotti dal Pseudo-Paolo (dato che ve ne sia uno solo) nelle sue composizioni. Il Sabatier Aug. si esprime nel modo seguente nell'Encyclopédie des Sciences relig.: «Come a Reuss, come a Hitzig e a tanti altri dotti non sospetti di superstizioso attaccamento alla tradizione, mi

è impossibile, nel leggere certi capitoli della 2Timoteo (2Timoteo 1:5-17 e soprattutto 2Timoteo 4:6-22) di comprenderli, nella ipotesi dell'assoluta inautenticità delle nostre epistole. Non solo non v'è nulla in quei passi che non si addica all'Apostolo, ma chi è pratico della letteratura apocrifa del secondo secolo non può ammettere che un cristiano di quell'epoca, scrivendo verso il 130 od il 170, abbia potuto ricostituire una situazione storia, così ben determinata, con dei particolari e delle circostanze ad un tempo disinteressati e parlanti; e meno ancora ammetter, che abbia potuto ritrovare e riprodurre le disposizioni dell'animo, le emozioni ed i sentimenti coi quali Paolo lasciò la vita». D'altra parte, nel leggere 1Timoteo e Tito, il Sabatier dichiara che non riesce a comprenderle se son di Paolo. Di frammenti autentici provenienti da biglietti occasionali di Paolo chi ne scoperse tre (Ewald, Hitzig, Krenkel ecc. Tito 3:12-15; 2Timoteo 1:15-18; 4:9-22) e chi un maggior numero. Knoke, per es. tiene per autentica la 2Timoteo, ma crede che fosse ordinata, altrimenti. Tiene per autentica Tito ad eccezione di Tito 1:7-9,12-13, mentre la 1Timoteo risulterebbe dalla fusione di tre scritti contenenti, il primo istruzioni pratiche, ed il secondo insegnamenti dottrinali rivolti a Timoteo, mentre il terzo sarebbe formato di frammenti di una costituzione ecclesiastica destinata ad una chiesa paolina. Al primo sarebbero appartenuti 1Timoteo 1:3-4,18 e segg.; 1Timoteo 2:110; 4:12; 5:1-3,4b,5,11-15,19-23. Al secondo: 1Timoteo 1:12-17; 3:14-16; 4:1-11,13-16; 2:12-15; 5:7; 6:17 e segg.; 1Timoteo 1:5-11; 6:2-16. Al terzo: 1Timoteo 3:1-10a,12,10b,13; 2:11; 5:9-10,16,4a,17; 6:1-2

Di fronte ad attacchi tanto diversi fra loro, non sono mancati, fin dal principio, gli strenui difensori dell'autenticità delle tre Lettere Pastorali. Mentoviamo M. Baumgarten, Wiesinger, Huther, Oosterzee, Beck, Wieseler, Alford, Otto, Herzog, con una pleiade di altri, ed in tempi più recenti Farrar (S. Paul) Bertrand Ern. (Essai critique sur l'authenticité des Epp. Past. 1888), De Pressensé (Siècle apost.) Bern. Weiss, nella sua Introduzione e nel suo Commento, Alf. Plummer (Past. Epistles 1888), Fed. Godet (Introd. au N, Test. Epp. de Paul 1892), Gess, Ramsay (The Church in the Rom. Emp. 1893), Fulliquet, T. Zahn nella sua Introduzione.

Pastorali - Le Obiezioni all'Autenticità delle Epistole Pastorali

§4. Le Obiezioni all'Autenticità delle Epistole Pastorali.

Il discutere a fondo in tutti i loro particolari le obiezioni all'autenticità tratte dalla lingua e dallo stile delle Pastorali, dalla dottrina, dal genere delle eresie combattute, dai dati relativi alla costituzione ecclesiastica, e dalle circostanze storiche presupposte in queste Epistole, richiederebbe un volume, poichè esiste tutta una letteratura sull'argomento. Non possiamo esimerci però dal dare una idea succinta della natura e del valore di queste obiezioni.

A. La Lingua e lo stile.

Non è qui fuor di luogo il ricordare che gli uomini più dotti della Chiesa antica i quali parlavano e scrivevano il greco, ed a cui non isfuggì la diversità dello stile tra l'Apocalisse ed il quarto Vangelo, tra l'Epistola agli Ebrei e gli scritti di S. Paolo, non ebbero a notare nello stile delle Pastorali nulla che fosse incompatibile con la loro origine paolina. Una parte dei critici, da Schleiermacher in poi, ammise ed ammette l'autenticità di una o due epistole, ovvero di varii frammenti più o meno estesi delle tre epistole; il che prova come lo stampo paolino sia innegabile nelle parti salienti delle Pastorali, cosa che d'altronde non è contraddetta da alcuno, poichè anche coloro i quali negano l'autenticità delle tre lettere, le attribuiscono sia ad un discepolo che pose in iscritto le istruzioni orali del maestro, sia ad un pseudo-Paolo che avea studiato a fondo le Epistole dell'Apostolo e ne seppe imitare largamente lo stile e le idee.

Alla loro volta i difensori dell'autenticità non negano che la lingua e lo stile di queste Epistole offrano certe particolarità che non s'incontrano nelle grandi lettere anteriori alle chiese. Tutto sta nel vedere se codeste particolarità provino, la diversità dell'Autore.

Si è fatto il calcolo delle parole che non occorrono nelle altre Epistole paoline e se ne son trovate 171; si è notata la presenza nelle Pastorali di intere famiglie di parole che hanno appena qualche rappresentante altrove, per es. sôfrôn di sana mente, temperante, con tre derivati, dottrina, (didachè) dottore, insegnamento, atto-ad-insegnare, casa con 7 derivati o composti. S'incontrano qui certe locuzioni predilette come: viver piamente, procacciar giustizia, guardare il deposito, combattere il buon combattimento (agôn), sana dottrina, certa è questa parola, laccio del diavolo ecc. con tutta una collezione di termini caratterizzanti gli errori e gli eretici combattuti: favole, genealogie, questioni stolte, logomachie ecc. D'altra parte, mancano in queste Epistole certe parole ed espressioni che sono frequenti altrove giustizia di Dio, opere della legge, redenzione, adottazione, tradizione, libertà e derivati, abbondanza (perisseia) e derivati, e si troverà perfino adoperata la parola padrone (despótes) invece di 'signore' (kyrios) che Paolo usa negli Efesini e Colossesi, o si troverà di preferenza l'apparizione del Signore invece della di lui «rivelazione». In genere, si trova meno saldo il nesso delle idee, meno stringente il ragionamento, meno vigoroso lo stile. Jülicher giunge fino a dire: «Qui, nessuna traccia dello slancio e dell'energia di Paolo... tutto è regolare, piano, ma debole e scolorito. Molte parole e pochi pensieri, mentre con Paolo sarebbe l'opposto».

Quanto alle parole nuove, convien notare che molte appartengono a delle famiglie che sono rappresentate in altre lettere di Paolo. Esempio: è nuova la parola antilutron (prezzo di riscatto), ma Paolo usa altrove apolútrosis (riscatto 1Timoteo 2:6). E nuovo l'aggettivo 'persecutore', ma 'perseguitare' si trova altrove ripetutamente; e così dicasi di tanti altri casi analoghi che provano come i termini catalogati per nuovi non siano in realtà estranei alla lingua dell'Apostolo. D'altronde ciascuno degli scritti di Paolo reca il suo contingente di vocaboli nuovi (hapax legómena). La IIa ai Corinzi ne conta un centinaio; Efesini e Colossesi insieme ne contano 153; Filippesi ne contiene un numero quasi pari alla IIa a Timoteo. La diversità nella proporzione delle parole nuove è considerevole tra uno scritto e l'altro di un medesimo autore, tanto che, a giudicarlo a siffatta stregua, il Paradiso di

Dante dovrebbe essere attribuito ad un autore diverso da quello delle due altre Cantiche. Il Reuss stesso scrive: «Quando si rifletta al numero ristretto delle pagine che possediamo di Paolo, al numero degli anni in cui vanno ripartite, a quello degli argomenti diversi che vi son trattati, alla libertà, alla maestria, al genio di cui l'apostolo dà prova nel maneggiare una lingua già ricca di per sè, ci sarebbe da stupire se...: il suo vocabolario fosse meno ricco... Se quest'argomento provasse la diversità di autori, non vi sarebbero due fra le lettere paoline che non si dovessero attribuire a penne diverse» (Ep. Paulin. p. 313).

L'elemento nuovo nella lingua e nelle locuzioni delle Pastorali è la necessaria conseguenza della novità dei soggetti che vi sono toccati. Le cose nuove richiedono espressioni nuove. Paolo non ha dovuto segnalare altrove le tendenze dottrinali e morali contro cui Tito in Creta e Timoteo in Efeso devono lottare. Per forza quindi è tratto ad insistere sulla 'sana dottrina', sul 'buon deposito', sulla 'dottrina ch'è secondo pietà' e a denunziare le 'questioni stolte' le 'favole profane e da vecchierelle' le 'logomachie' le 'ciancie' le 'genealogie' 'la scienza dal nome falso' di cui si occupano i dottori, 'corrotti di mente' 'seduttori e sedotti' ecc. ecc. Paolo non ha trattato altrove dei requisiti del presbiterato, del diaconato maschile e femminile, del vedovato, ecc. Tutto (o quasi) quel ch'egli dice in proposito è espresso necessariamente con parole nuove che non s'incontrano nelle altre epistole. E d'altra parte non dovendo lottare contro i giudaizzanti o i propugnatori della salvazione per opere, non ha l'occasione di adoperare i termini e le locuzioni che sono frequenti nelle Epistole ai Galati ed ai Romani. Anche nella 2Corinzi la parola «legge», ripetuta 74 volte nell'Epistola ai Romani, non comparisce neppure una volta. Altro è lo stile di una dimostrazione dottrinale scritta per una chiesa importante, ed altro è lo stile di una lettera privata ad. un giovane collaboratore cui si dànno direzioni sulla condotta da tenere nel pascere una chiesa. E quando al carattere privato delle lettere si aggiunga l'età ormai matura dell'autore e fors'anche l'influenza dell'ambiente romano che da ragione di taluni latinismi, si avrà una spiegazione ampiamente sufficiente delle particolarità dello stile delle Pastorali. E, d'altronde, le particolarità sono lungi dall'uguagliare le rassomiglianze che tutti riconoscono e fra le quali noteremo soltanto la frequenza delle

immagini predilette di Paolo. «Egli, dice E. Bertrand, paragona il cristiano ad un soldato, ad un atleta, che lotta nell'arringo, ad un agricoltore che getta la semenza; egli chiama il conduttore spirituale un economo, e la morte del fedele una libazione per il sacrificio. La vita cristiana è, agli occhi suoi, una lotta, un combattimento al termine del quale Dio ci promette una corona incorruttibile». Tutte queste similitudini Paolo le adopera volentieri e la predilezione sua per le parole composte non è certo minore che altrove nelle Pastorali.

Basta d'altronde levare queste Epistole d'infra le sorelle paoline colle quali hanno si visibile parentela e trasferirle in ipotesi nel secondo secolo per paragonarle cogli scritti di Clemente Romano, colla Didachè, colla lettera di Barnaba, con Hermas e «quando, compiuta la passeggiata nelle prime decadi del secondo secolo, si riprenderanno le Pastorali, si potrà misurare la distanza che separa i prodotti meno cospicui della letteratura apostolica, da quanto ci è stato conservato di più eccelso dell'antica letteratura patristica» (F. Godet, Epp. Paul, p. 712).

B. La dottrina.

«Per generale consenso, le Epistole Pastorali sono paoline nelle dottrine centrali»; così il Moffat che non ne accetta l'autenticità. «All'ingrosso abbiamo qui le dottrine di Paolo... le formule essenziali vi sono: giustificazione per fede, fede operante per mezzo della carità, universalismo del Vangelo ecc... manca l'accento». Così A. Sabatier. «In fatto d'insegnamento teologico, non trovasi assolutamente nulla in queste tre epistole che contraddica alla dottrina ben nota di Paolo o sia anche solo ad essa estraneo. Al contrario le idee fondamentali di lui vi si lasciano facilmente scorgere...». Così il Reuss che dubita dell'autenticità di 1Timoteo e Tito. A sua volta il Bovon (Théol. N.T., II, 332, 1905) che accetta solo parzialmente l'autenticità delle Pastorali, scrive: «Senza dubbio le idee essenziali dell'insegnamento di Paolo si ritrovano nelle lettere Pastorali. L'opera redentrice è fatta risalire al decreto eterno di Dio anteriore alla

creazione del mondo. I tempi essendo compiuti, Cristo ha dato sè stesso per noi, affin di redimerci dalle nostre sozzure. È questa una salvezza gratuita, indipendente dalle opere legali; ma lungi dal favorire il rilassamento e l'ignavia, Dio non salva gli uomini se non per affrancarli dalle concupiscenze carnali facendo regnare in loro la santità. Si riconosce qui la sostanza della dottrina paolina».

Potremmo contentarci di registrare delle ammissioni di questo genere e passare oltre, trascurando le obiezioni all'autenticità tratte dalla dottrina delle Pastorali, tanto esse sanno di contesa avvocatesca senza salda base. Ma mentoviamo le principali.

L'Autore insiste sulla 'sana dottrina' che dev'essere conservata come un 'buon deposito' 2Timoteo 1:13-14, sulla 'parola della verità' che dev'esser fedelmente dispensata e difesa contro chi l'adultera. Ecco, si dice, far capolino l'ortodossia della Chiesa ufficiale colle, sue formule rigide opposte all'eterodossia; segno evidente questo di epoca posteriore. Ma Paolo non ha mai considerato l'Evangelo come una dottrina inafferrabile, indefinita, che non affermi nulla di positivo e non neghi nulla. Egli ne parla come d'un «tipo di dottrina» Romani 6:17 ben determinato, che non è 'si e no' 2Corinzi 1; egli l'ha ricevuto dal Signore, l'ha trasmesso fedelmente ed i fedeli lo devono ritenere nel suo preciso tenore 1Corinzi 15:3; egli non esita a scagliar l'anatema contro chi lo sovverte sostituendovi un evangelo diverso Galati 1. Loda i Corinzi perchè ritengono l'insegnamento a loro trasmesso e mette in guardia i Romani contro coloro che provocano divisioni «contro la dottrina ch'essi hanno imparata» Romani 16:17. Ritroviamo nelle Pastorali la santa gelosia del vecchio apostolo per la purezza del Vangelo di Dio e la preoccupazione che il sorgere di nuove forme d'orrore desta in lui per l'avvenire delle chiese.

Chiama Dio 'Salvatore', è vero, mentre altrove il titolo è riservato a Cristo. Ma Paolo non ha egli scritto 1Corinzi 1:21 ch'è «piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la follia della predicazione»? Od ancora: «Or il tutto

viene da Dio che ci ha riconciliati a sè per mezzo di Cristo» (2Corinzi 5:18, Cf. Romani 3:29

Insiste molto sulla necessità di una 'buona coscienza' che si conserva solo col mettere la condotta in armonia colla professione della verità, col ritrarsi dall'iniquità, coll'applicarsi alla pietà, alle buone opere, col vivere piamente, giustamente e temperatamente. Chi fa getto della buona coscienza fa naufragio quanto alla fede; e lo si vede nei falsi dottori che professano di conoscer Dio, ma lo rinnegano con l'opere, che si sviano dalla verità per darsi alle ciance, alle favole, alle dispute di parole, che hanno apparenza di pietà ma han rinnegata la forza di essa. Di fronte ad una tale tendenza, v'è egli da stupire se Paolo insiste sulla vita cristiana ch'è inseparabile dalla fede sincera nel Vangelo? Non insegna egli altrove che «la fede è operante per mezzo dell'amore» Galati 5:5 e non fa egli delle compassioni di Dio in Cristo il grande movente della completa consacrazione del cristiano a Dio Romani 12:1-2? Ma il suo insistere sulla pietà pratica, il suo parlare della ricompensa che Dio riserba all'operare cristiano, non implica già ch'egli sia meno affermativo sulla gratuità della salvazione. Bastano a provarlo delle dichiarazioni come queste: «Dio ci ha salvati e chiamati con santa vocazione non secondo le nostre opere ma secondo il suo proprio proponimento e secondo la grazia che ci è stata data in Cristo Gesù innanzi ai tempi eterni» 2Timoteo 1:9. «Ma quando la benignità di Dio nostro Salvatore ed il suo amore per gli uomini sono stati manifestati egli non in virtù di opere giuste che avessimo fatte noi, ma secondo la sua misericordia ci salvò mediante il lavacro della rigenerazione ed il rinnovamento dello Spirito Santo...» (Tito 3:4-5. Cfr. 1Timoteo 1:12-17

Paolo parla nelle Pastorali della ispirazione e dell'utilità delle Scritture dell'Antico Testamento, parla di un uso legittimo della legge 2Timoteo 3:16; 1Timoteo 1:8; ma egli ha citato sempre le Scritture come autorità divina e la funzione preparatoria e pedagogica della legge è da lui esposta nei Galati e nei Romani. Non v'è dunque qui alcun riavvicinamento al giudeocristianesimo come l'ha creduto Holtzmann.

Nelle sue prime lettere Paolo parlava della seconda venuta di Cristo come di un evento ch'egli avrebbe forse veduto nella sua vita terrena: «Noi, i viventi che saremo rimasti fino alla venuta del Signore» 1Tessalonicesi 4:15; mentre l'autore delle Pastorali aspetta il martirio 2Timoteo 4. Ora è egli inconcepibile che Paolo abbia potuto credere al principio della carriera ad un più rapido svolgimento del Regno di Dio sulla terra, e che, ammaestrato dalla esperienza, abbia compreso esser necessario un tempo più lungo per preparare l'avvento di cui nessuno conosce la data? Del resto anche nell'Ep. ai Filippesi egli spera che Cristo sarà sempre glorificato nel suo corpo, sia colla vita sia colla morte, perchè Cristo è la sua vita e la morte; quando venga, gli è guadagno Filippesi 4:20-21

Chiama la Chiesa il «saldo fondamento di Dio che sta fermo» 2Timoteo 2:19 e le assegna l'alta missione di essere nel mondo «la colonna ed il piedistallo della verità» 1Timoteo 3:15. Altrove l'avea chiamata il tempio di Dio, la sposa di Cristo e Gesù stesso l'avea assomigliata ad un edificio da lui fondato e contro al quale le forze della morte non avrebbero la vittoria. Il concetto della Chiesa una ed ideale non è dunque cosa nuova ed estranea alle lettere di Paolo. È bensì estraneo alle Pastorali il concetto che alcuni vi scorgono di una Chiesa visibile indefettibile, autorità, dottrinale suprema, mediatrice tra l'uomo e Dio. La norma della verità sono le «sane parole del Signor N. G. C.», è l'insegnamento apostolico del quale la Chiesa dev'esser nutrita ed al quale dev'esser del continuo richiamata, Se le chiese visibili si lasciano sviare dai falsi dottori, si separano dalla Chiesa ideale e diventano inette alla difesa ed allo spargimento della verità. In un tempo in cui Paolo vedeva l'orrore e la mondanità insinuarsi nelle chiese, conveniva ricordare qual'è la missione della Chiesa di Dio nel mondo, e in pari tempo quali sono le condizioni in cui deve conservarsi nei suoi conduttori e nei suoi membri, per poterla compiere.

Riassumendo, le Epistole Pastorali ci offrono la stessa dottrina delle altre epistole di Paolo, ma ribadita coll'insistenza di chi la vede minacciata da nuovi pericoli e deve fra poco cedere ad altri il posto di combattimento.

C. Gli Eretici denunziati.

La fisonomia degli eretici di cui parlano le Pastorali si ritiene da molti come indizio di un'epoca posteriore a quella di Paolo.

Baur credette di riconoscervi gli gnostici Marcioniti e relegò la composizione delle Epistole dopo il 150. Non si parla egli qui della «scienza (gnosi) dal falso nome», anzi delle «contraddizioni» od antitesi di quella gnosi? Ora per l'appunto Marcione intitolò così un suo libro in cui esponeva le opposizioni tra la Legge e l'Evangelo. Inoltre nell'ascetismo di chi proibir, il matrimonio e l'uso di certi cibi 1Timoteo 4 non v'è egli una applicazione del dualismo gnostico? Le Pastorali avrebbero avuto per iscopo di combattere coll'autorità di Paolo lo gnosticismo di Marcione. Se non che, quando si parla di gnosi (scienza) la parola non riveste il senso tecnico che le fu dato nel II° secolo; e nelle «Antitesi» di cui 1Timoteo 6:20 non e questione affatto di opposizione tra Legge ed Evangelo. Anzi i dottori di cui è questione si proclamano dottori della legge 1Timoteo 1:7 escono soprattutto dalle file dei giudeo-cristiani, si occupano di dispute intorno alla legge, di miti giudaici, impongono comandamenti d'uomini (Cf. Tito 1:1014; 3:9), speculano intorno a genealogie senza fine, cose tutte che dimostrano il carattere giudaico delle tendenze cambattute. Ora Marcione era ferocemente antigiudaico fino a rigettare tre Vangeli come troppo giudaizzanti e a sopprimere dal Vangelo di Luca tutto ciò ch'era contrario alle sue idee. Inoltre nel sistema di Marcione non hanno posto le «genealogie» anche quando vi si vogliano vedere speculazioni sugli angeli. E, quanto a carattere morale, Marcione è, rappresentato come uomo rispettabile mentre il carattere e le tendenze morali dei falsi dottori delle Pastorali sono ben diversi. Hanno la coscienza segnata con ferro rovente, sono uomini corrotti di mente, che stimano la pietà come un guadagno, che professano di conoscer Dio ma lo rinnegano colle opere, essendo abbominevoli; Cfr. 2Timoteo 3:1-9; Tito 1:14-16. Se l'autore si fosse trovato in presenza del sistema di Marcione che attribuiva la creazione non al Dio supremo ma al Demiurgo inferiore, al Dio dell'Antico Testamento ben diverso da quello rivelatoci da Cristo, che nella nascita e nella morte di

Cristo non vedeva altro che apparenze, che negava al sacrificio di Cristo ogni carattere espiatorio, non è ammissibile che si fosse contentato di dire al cristiano: «Evita quei tali, ritirati da loro». Come i Padri apologeti, come Paolo quando si trovò di fronte alle dottrine dei giudaizzanti e di fronte alla negazione della risurrezione, li avrebbe combattuti con ragioni sode come si conveniva.

La teoria di Baur è stata abbandonata anche dai suoi seguaci i quali però non hanno rinunziato a vedere nelle Pastorali chi lo gnosticismo in genere (Holtzmann), chi delle sette gnosticizzanti (Jülicher), chi gli Ofiti (Pfleiderer), chi dei Doketi gnostici e giudaizzanti (Hilgenfeld). Altri vi hanno trovato i Terapeuti, altri l'Essenismo. Ognuna di queste teorie riesce a trovare alcuni punti di somiglianza tra gli eretici delle Pastorali e la dottrina di una o più sette del principio del secondo secolo; ma è un fatto innegabile che il ritratto degli eretici risultante dalle Epistole non risponde che in certe sue linee a quello di una data setta, mentre contrasta con esso in altre linee. Il dire, come fanno alcuni critici, che certi tratti (come ad esempio il carattere giudaico dell'eresia denunziata) sono fittizi, messi là a bella posta dal pseudo-Paolo per far credere che autore delle lettere fosse l'Apostolo, appare come un espediente disperato anzi che no per sostenere una teoria prediletta. In tutte queste ipotesi resterebbe sempre da spiegare come mai manchi una confutazione vera e propria del sistema che l'autore avrebbe in vista.

«Lungi dal trovarci di fronte ad una teoria nitidamente formulata, scrive il Reuss, o solo di un qualche principio fondamentale e generatore proprio di quella filosofia e la cui confutazione sarebbe del pari precisa e lucida, noi possiamo in queste poche pagine (il Reuss non vi comprende la 2Timoteo ritenuta di Paolo) raccogliere elementi così varii e divergenti che ci riesce impossibile farli entrare nella costruzione d'un sistema ben definito» (Op. cit. 324). «La speculazione filosofica, dice il Bovon, appare qui vaga, embrionale; si tratta di tendenze ancora incerte e non dei sistemi più precisi di un'età posteriore. Una tale indeterminatezza sembra provare l'antichità delle dottrine segnalate...» (Op. cit. 328). Ad accrescere cotesta

indeterminatezza, oltre al fatto che gli errori sono accennati brevemente e talvolta con semplici allusioni, concorre la distinzione fatta dall'Autore tra gli eretici presenti e quelli che sono annunziati per gli ultimi tempi 2Timoteo 3, tra gli errori attribuiti a certi individui nominati e quelli che sono comuni a molti. Il Godet scorge tre caratteri nell'eresia delle Pastorali: essa è giudaica ma non si tratta più del giudaismo farisaico combattuto nelle grandi Epistole, bensì di un giudaismo di natura speculativa; è puerile e perfino profana: favole da vecchierelle, vane e profane ciance, logomachie. Inoltre la sete di guadagno caratterizza gli eretici contemplati Tito 1:11; 2Timoteo 3:6. (Op. cit., 671). Non è alieno dal vedere in essi gli antenati della Càbbala, filosofia mistica e giudaica, cresciuta accanto alla legge, speculante sui misteri dell'essenza e dell'attività divina, della creazione e della natura, in connessione con certi passi dei libri sacri. (Pag. 700). Secondo B. Weiss si tratta meno, per quanto concerne l'epoca dell'Autore, di falsa dottrina da combattere che di un insegnamento di cose estranee alla verità salutare e per conseguenza inutili alla vita, religiosa, creatrici di vane dispute e di superbia. Si tratta, di un traviamento dell'aspirazione umana verso la conoscenza, traviamento che procede da uno stato malsano della vita religiosa.

Delle tendenze segnalate nelle Pastorali, troviamo nel Nuovo Testamento i primi segni nell'ascetismo accennato in Romani 14, poi nei Colossesi ov'è sposato alla filosofia, alle speculazioni sugli angeli, ecc. I sistemi gnostici formulati di poi, nel secondo secolo, ne offriranno lo sviluppo più completo in senso antigiudaico. Talchè, considerando come nelle Pastorali siamo di fronte alle prime manifestazioni di una tendenza che minaccia di diventare sempre più perniciosa alle chiese, non esiste ragione per cercarla oltre i limiti della vita di Paolo. Contro ad essa l'Apostolo ha voluto mettere in guardia chi gli dovea succedere nell'opera.

D. Le Istituzioni ecclesiastiche.

Fra gli scritti del N.T. le Epistole Pastorali sono quelli che maggiormente si occupano di cose ecclesiastiche. Il fatto stesso unito ai dati qui contenuti circa le istituzioni ecclesiastiche è stato giudicato incompatibile col carattere e coll'epoca di Paolo.

Baur sostenne che, nelle sue grandi Epistole, Paolo «non dimostra il minimo interesse per le istituzioni ecclesiastiche» mentre esse costituiscono la grande preoccupazione delle Pastorali. V'è qui una duplice esagerazione. Si parla, si, in queste lettere, del culto, dei requisiti per il presbiterato e per il diaconato, del catalogo delle vedove, ma non sono questi i soli argomenti trattati nella 1Timoteo; mentre poi non occupano che una piccola parte dell'Epistola a Tito e sono assenti dalla 2Timoteo. D'altra parte, vediamo Paolo preoccuparsi di organizzare le giovani chiese fondate nel suo primo viaggio missionario stabilendo in ciascuna degli anziani Atti 14:23. lo vediamo fin dalla sua prima Epistola raccomandare ai membri della giovane chiesa di Tessalonica «di avere in considerazione quelli che faticano fra loro, che li presiedono nel Signore e li ammoniscono» 1Tessalonicesi 5:12. Qualche anno dopo ordinerà ai Galati «che chi è insegnato nella Parola faccia parte di tutti i suoi beni a colui che lo ammaestra» (Galati 6:6, cf. 1Corinzi 9); insegnerà ai Corinzi a disciplinare la ricchezza dei lor doni (fra cui sono quelli d'insegnamento, di assistenza e di governo) in guisa che «tutto facciasi in modo conveniente e con ordine»; paririmenti ai Romani dirà che chi ha un ministerio, chi insegna, chi esorta, chi presiede ecc. deve far valere il proprio dono con fedeltà Romani 12:6-8. Agli anziani d'Efeso, che devono essere stati da lui stabiliti, rivolgerà il memorabile discorso riassunto in Atti 20. Nella Epistola agli Efesini dirà che «il Signore ha dati gli uni come apostoli, gli altri come profeti, gli altri come evangelisti, gli altri come pastori e dottori per il perfezionamento dei santi...» Efesini 4:11; e quella ai Filippesi la rivolgerà ai santi che sono in Filippi «in un coi vescovi e coi, diaconi». In presenza di cotali fatti si può egli trovare strano che Paolo, vedendo diminuire nelle chiese i doni straordinarii dello Spirito, vedendo l'errore infiltrarsi in molte guise tra i fedeli e sparire uno alla volta gli apostoli ed i primi evangelisti, si preoccupi di avere dovunque a capo delle chiese un presbiterato irreprensibile, capace d'insegnare e di difendere la verità, assistito da un buon diaconato? Paolo non sarebbe più Paolo se

non trovassimo in lui fino alla fine una tale preoccupazione del bene, delle chiese.

I critici credono però di scorgere, in quel che si dice nelle Pastorali dei presbiteri o vescovi, una tendenza verso l'episcopato monarchico del II° secolo. Policarpo, al principio del II° secolo, porta, il titolo di «vescovo» di Smirne. Ignazio d'Antiochia alla stessa epoca distingue nettamente l'episcopato dal presbiterato e dal diaconato «Restate uniti al vescovo affinchè Dio si unisca a voi; io sono un cuore solo con coloro fra voi che si sottomettono al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi» (A Polic. c. 6). «Non fate nulla senza il vescovo» (Ad Trall.) «V'è, un solo altare come v'è un solo vescovo coi suoi presbiteri e coi suoi diaconi» (Ai Filad.). «Quando siete sottomessi al vescovo come a G. C. mi pare che vivete non secondo gli uomini ma secondo G. C.» (Ad Trall.). Clemente, Barnaba, Ignazio, nota, il Bertrand nel suo Essai p.129, amano paragonare l'organizzazione della chiesa cristiana alla gerarchia del culto levitico. Abbiamo noi qualcosa di simile nelle Pastorali? Non solo non v'è traccia di assimilazione del clero al sacerdozio dell'antico Patto, ma neppure è fatta, ancora la distinzione tra clero e laicato. Tutti possono pregare nelle assemblee ed è necessario proibire alle donne d'insegnare in pubblico 1Timoteo 2. La distinzione tra vescovo e presbitero non esiste ancora. Colui ch'è chiamato vescovo in 1Timoteo 3 è chiamato presbitero in 1Timoteo 5:17-20. Tito è stato lasciato in Creta per stabilire in ogni città dei presbiteri quando vi siano persone irreprensibili ecc., «poichè bisogna che il vescovo (il sovrintendente) sia irreprensibile ecc.» Tito 1. Il consiglio che dirige la chiesa locale è chiamato il presbiterio 1Timoteo 4:14. Ci troviamo dunque nelle stesse condizioni rivelateci dal discorso di Paolo agli «anziani» d'Efeso. «Attendete a voi stessi, dice loro l'apostolo, ed a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito santo vi ha costituiti vescovi per pascere la chiesa di Dio...» Atti 20:27-28. Parimenti scrive ai santi che sono in Filippi «in un coi vescovi e coi diaconi». Presbiteri e vescovi sono due nomi per designare un medesimo ufficio e le medesime persone; non v'è quindi un unico sovrintendente in ogni chiesa locale ma ve ne sono molti. In verità, uno scrittore del II° secolo che per raccomandare l'episcopato monarchico avesse fatto proclamar da S. Paolo l'identità del presbitero col vescovo, avrebbe scelto una via ben strana.

Nè vale l'osservare che episcopos è usato al singolare nei due soli passi ove occorre 1Timoteo 3:2; Tito 1:7. poichè anche presbyteros è al singolare 1Timoteo 5:19 e lo è del pari «la vedova» 1Timoteo 5:5 sebbene certo non si tratti di un'unica vedova da iscrivere nel catalogo. Non è neppure esatto che i presbiteri siano considerati come una casta da cui si richiede una morale speciale, cui sono interdette le seconde nozze, contro ai quali non è ricevuta accusa senza garanzie speciali. Certo che la riputazione di persone occupanti un ufficio delicato non dev'essere alla mercè del primo maldicente venuto ed i presbiteri devono dare il buon esempio, ma quel che si richiede da essi, in fatto di morale, è dovere di tutti i cristiani. Dove si scorge una qualche differenza rispetto ai dati delle Epistole antecedenti, è nella unione che tende a diventare cosa regolare della funzione dell'insegnamento col presbiterato. Il sovrintendente dev'essere «atto ad insegnare», «attaccato alla fedel parola conforme alla dottrina, affinchè sia capace anche di esortare nella sana dottrina e di convincere i contraddittori». Anzi, ve ne sono fra i presbiteri che si consacrano oramai interamente all'insegnamento e che devono esser re, tribuiti secondo giustizia 1Timoteo 5:17-18; Cfr. 2Timoteo 2:2. Se un autore del II° secolo non aveva altro da scrivere per esaltar l'episcopato monarchico, in verità non valeva la pena che prendesse la maschera d'un apostolo.

Ma, replicano i critici, se l'episcopato non è raccomandato direttamente, lo è in via indiretta poichè le funzioni di cui Timoteo e Tito sono investiti sono funzioni episcopali e l'autore mira ad istituire un episcopato simile a quello perchè lo giudica solo capace di resistere all'errore e di mantenere una sana disciplina nella Chiesa. La consacrazione di Timoteo per parte di Paolo è un riflesso della consacrazione episcopale; la scelta e la consacrazione dei presbiteri per parte di Timoteo e di Tito 1Timoteo 5:22; Tito1:5. rappresenta, una delle prerogative permanenti del vescovo, il ricevere le accuse contro i presbiteri ed il riprenderli in presenza degli altri rappresenta l'autorità disciplinare del vescovo sui presbiteri e diaconi. In genere l'autorità di Tito sulle chiese di Creta e quella di Timoteo in Efeso è il tipo dell'autorità colla quale il vescovo deve reggere la diocesi più o meno estesa a lui affidata.

Notiamo, tuttavia, che se tale fosse l'intenzione del Pseudo-Paolo, non si capisce come mai non dia una sola volta il titolo di vescovo a Timoteo ed a Tito, nè li mandi ad 'episcopare', ma riservi il titolo di vescovo per l'appunto ai presbiteri che formano il consiglio direttivo delle singole chiese.

D'altronde nell'atto solenne della consacrazione di Timoteo in Listra, il «presbiterio» ebbe la sua parte poichè impose le mani, insieme con Paolo, al giovane chiamato a partire in missione. Non risulta neppure dai testi che Tito e Timoteo dovessero scegliere da soli i presbiteri ed i diaconi e da soli imporre loro le mani. Anzi taluni dei requisiti presuppongono una partecipazione della chiesa alla scelta dei suoi conduttori (sieno prima provati, non neofiti, buona testimonianza da quei di fuori ecc.) e se il presbiterio di Listra avea preso parte alla consecrazione di Timoteo, non si vede perchè i presbiteri d'Efeso non avrebbero, sotto la presidenza di Timoteo, imposte le mani ai nuovi eletti.

Ma, lasciando stare altre osservazioni, l'ufficio al quale Timoteo e Tito erano stati consacrati era egli proprio l'episcopato? Del primo, ancora molto giovane, è detto semplicemente che «Paolo volle che partisse con sè» Atti 16:3 come suo aiuto nella missione, e lo chiama infatti suo compagno d'opera, gli affida ripetutamente delle missioni temporanee, e nelle Pastorali, dando il suo vero nome all'ufficio di cui è incaricato, esclama: «Fa l'opera d'un evangelista, compi appieno il tuo ministerio» 2Timoteo 4:5. È questo il «dono» che Timoteo dovea ravvivare.

La missione dell'evangelizzatore o del missionario era diversa da quella del pastore Efesini 4:11 ed implicava il frequente cambiamento di residenza se non addirittura il carattere itinerante. Infatti Timoteo e Tito viaggiano con Paolo, o soli, da un paese all'altro ed anche nelle Pastorali Tito deve restare per breve tempo in Creta, poi deve raggiunger Paolo in Nicopoli; Timoteo deve restar in Efeso finchè Paolo lo raggiunga e riceve poi l'ordine di partire da Efeso per Roma. Siamo dunque in presenza non di un ufficio locale come quello del vescovo del II° secolo ma di un ufficio itinerante; non di un

ufficio permanente ma di un incarico temporaneo. Timoteo e Tito sono dei delegati apostolici che tengono dall'apostolo Paolo l'autorità di cui devono fare quell'uso ch'è loro ordinato. L'ufficio di questi inviati apostolici segna la transizione necessaria fra il periodo dell'autorità diretta degli Apostoli sulle chiese è quello in cui il presbiterato sarà in grado di compiere tutte le funzioni necessarie alla prosperità delle chiese.

Mentre nulla nelle Pastorali accenna alla perpetuità dell'ufficio temporaneo affidato ai due destinatarii, v'incontriamo degli indizii del contrario, i presbiteri devono esser capaci d'insegnare, alcuni almeno si consacrano interamente alla Parola e Timoteo deve provvedere all'avvenire «affidando ad uomini fedeli che siano capaci d'insegnare anche agli altri», le cose che ha imparate dall'Apostolo 2Timoteo 2:2

Questo, anzichè a quella dell'episcopato monarchico, accenna alla perpetuità del presbiterato per rispondere ai bisogni delle chiese.

Infine, se l'intento dell'Autore fosse veramente quello di esaltare l'episcopato, avrebbe egli scelto ad impersonarlo un giovane come Timoteo, dal carattere timido, dalla costituzione debole, per fargli rivolgere esortazioni come queste: Ravviva il dono ch'è in te... Poichè Dio non ci ha dato uno spirito di timore ma di forza... Fa l'opera dell'evangelista..., Niuno sprezzi la tua giovanezza... Fuggi gli appetiti giovanili... Non ber più acqua soltanto...?

Nelle prescrizioni contenute 1Timoteo 5:9-16 circa le vedove anziane, segnalate per vita, attiva ed irreprensibile, da iscriversi in un catalogo, i critici hanno scorto un'allusione ad una istituzione mentovata nel II° secolo sotto il titolo di Ordo viduarum (Tertulliano) o colle parole di Ignazio agli Smirnesi: «Le vergini chiamate vedove». Basterà riportare in proposito le seguenti osservazioni del Godet (Op. cit. p. 693): «Mi pare che il passo 1Timoteo 5, ci fa precisamente assistere alla transizione dallo stato naturale

di vedova o di vedova assistita 1Timoteo 3:8 all'uso che la chiesa poteva e doveva fare dei servigi di quelle vedove... V'erano dei malati da curare, degli orfani da educare, dei forestieri da accogliere. Quanto preziose dovevano essere alcune donne sicure ed animate da spirito di sacrificio per disimpegnare cotali compiti, in un tempo in cui non esistevano nè orfanotrofi, nè ospedali! Da questo servigio naturale è nato, a poco a poco, il ministerio regolare delle vedove» cui partecipano, nel II° secolo, anche delle vergini, mentre nelle Pastorali si tratta ancora di vedove vere e proprie che hanno avuto marito e figlioli.

In conclusione, non v'è nulla nelle istituzioni ecclesiastiche accennate nelle Pastorali che ci porti in epoca posteriore agli ultimi anni della vita di Paolo. Episcopato e presbiterato non sono ancora distinti, il presbiterato ed il diaconato sono i due soli ufficii riconosciuti nelle chiese locali, l'ufficio dell'insegnamento accenna a diventare regolare in una parte dei presbiteri, l'istituzione delle vedove-anziane è nei suoi inizii. «Quando invece, come nota il Bertrand, si passa dalla lettura delle Pastorali a quella degli scritti del II° secolo, ci si trova trasportati in ambiente ben diverso ed in tutt'altro tempo» (op, cit. p. 129). Le Pastorali formano dunque l'anello tra le Epistole della prima cattività romana e l'Apocalisse, come l'Apocalisse segna la transizione dalle Pastorali ai primi scritti del II° secolo (cfr. Godet, op. cit. 692).

E. Le Circostanze storiche presupposte.

L'Epistola a Tito presuppone che Paolo abbia lavorato per qualche tempo con Tito all'evangelizzazione dell'isola di Creta e che, non potendovisi trattenere più oltre, vi abbia lasciato il suo compagno per finir di mettere in ordine diverse cose rimaste incompiute in seno alle piccole chiese sparse nell'isola. Terminato il suo compito Tito, appena sarà sostituito, dovrà raggiunger l'apostolo a Nicopoli nell'Epiro.

La 1Timoteo presuppone che Paolo, dopo aver visitato Efeso o, quanto meno, l'Asia proconsolare, fosse partito alla volta della Macedonia lasciando alla testa della chiesa d'Efeso il suo ancor giovane collaboratore Timoteo, al quale giudica necessario di mandare per iscritto le sue istruzioni, pel caso non improbabile ch'egli stesso non possa tornare così presto come vorrebbe in Efeso.

La 2Timoteo ci porta in Roma ove Paolo è carcerato. È passato di recente per Troas, ove Carpo gli ha dato l'ospitalità, per Efeso ove trovasi Timoteo, per Mileto ove ha lasciato Trofimo malato, forse per Corinto ov'è restato Erasto. È comparso di già, una prima volta davanti ai suoi giudici e dei suoi amici nessuno ha osato assisterlo. Si trova isolato, assalito da nemici implacabili, prevede non lontano il suo martirio e chiede al suo diletto figlio spirituale di venirlo a raggiungere quanto prima portando seco anche Marco.

Questi accenni alla situazione storica in cui presero origine le Pastorali hanno dato materia a parecchie obiezioni contro l'autenticità delle lettere. Alcune muovono dalla contraddizione che esisterebbe fra la situazione storica presupposta e qualche particolare sfuggito al falsario nelle lettere. Baur ed altri han veduto in 1Timoteo 5:18 una citazione del Vangelo di Luca già inserito nel canone, e nelle «Antitesi della scienza dal falso nome» un'allusione all'opera principale di Marcione od una citazione d'Egesippo, il che portava la composizione delle Pastorali al 170. Siffatte obiezioni sono abbandonate dai critici i quali però trovano tuttora strano che Timoteo venga considerato come giovane («niuno sprezzi la tua giovinezza») allorchè doveva avere da 30 a 35 anni. Ma un uomo sui 60 può ben chiamar giovane chi è ancora intorno ai trenta e, presso gli antichi, ad ogni modo, la cosa si faceva. Trovano strano pure che Paolo esiga, in una chiesa giovane, che il presbitero non sia un neofita. Ma se la lettera 1Timoteo fu scritta nel 66 per es., la chiesa contava un dodici anni di esistenza e si poteva domandare che i conduttori avessero una certa esperienza. In Creta Paolo non lo richiede.

Si trova strano ancora che l'apostolo abbia mandato per iscritto le sue istruzioni a Tito ed a Timoteo quando li avea da poco lasciati ed avea quindi potuto darle verbalmente. Ma bisognerebbe conoscer meglio le circostanze della partenza di Paolo da Creta e dall'Asia, e il tempo trascorso di poi per poter dare dei giudizii in proposito. Le lettere alludono ad istruzioni verbali anteriori (Tito 1:5 «come ti ho ordinato», 1Timoteo 1:3); ma Paolo sente il bisogno di ricordarle nuovamente con opportuni incoraggiamenti ai giovani collaboratori, di precisarle in iscritto, di esporne i motivi affinchè i suoi delegati le abbiano sotto gli occhi e possano anche valersene all'occorrenza presso i presbiteri e presso le chiese. Le tre Pastorali infatti, sebbene individuali, terminano tutte con un saluto ai fedeli: «La grazia sia con voi, con tutti voi»; e l'uso pubblico preveduto delle lettere spiega del pari come, in qualche luogo 1Timoteo 2:1; 2Timoteo 1:11. Paolo affermi con una solennità che i critici trovano eccessiva, la sua missione apostolica presso i Gentili. D'altronde ciascuna delle tre lettere muove da un'occasione speciale di cui Paolo si è valso per rinnovare ed ampliare le sue istruzioni. L'Epistola a Tito recata da Zena ed Apollo Tito 3:13 ha per fine occasionale di raccomandare quegli evangelisti; la 1Timoteo è scritta in un tempo in cui Paolo si avvede della possibilità che il suo ritorno in Efeso sia di molto ritardato 1Timoteo 3:15 e la 2Timoteo ha per iscopo di chiamare a Roma immediatamente il figlio diletto che Paolo vorrebbe rivedere ancora prima di morire.

Tuttavia l'obiezione principale che dalle presupposte circostanze storiche si trae contro l'autenticità delle Pastorali si fonda sull'impossibilità di trovar loro un posto entro i confini della vita a noi nota dell'apostolo Paolo.

Una tale impossibilità è oggi riconosciuta esplicitamente, non solo dagli avversari dell'autenticità, ma dai più saldi difensori di essa quali Alford, Bertrand, Pressensé, Godet, B. Weiss, T. Zahn, Salmon ecc. Le varie ipotesi colle quali si è tentato di aggiustare i dati storici delle Pastorali con quelli forniti dai Fatti è dalle Epistole alle chiese si infrangono tutte contro insormontabili difficoltà. La più plausibile, quella che poneva il viaggio in Creta, la partenza per la Macedonia, l'inverno in Nicopoli (Cfr. 1Timoteo

1:3; 3:15; Tito 1:5; 3:12) nel corso dei tre anni spesi da Paolo in Efeso (Atti 20:31; cfr. Atti 19:10), s'infrange contro le parole stesse ove Paolo parla di questo triennio 55-58 agli anziani d'Efeso: «vegliate, ricordandovi che per tre anni, giorno e notte, io non ho cessato di ammonire ciascuno di voi con lagrime». Se l'opera sua fosse stata interrotta da un viaggio come quello supposto Paolo non avrebbe parlato a quel modo e Luca non avrebbe omesso di mentovare la cosa. D'altronde, in quel medesimo discorso di Mileto, Paolo annunzia come cosa futura l'introdursi dei lupi eretici nel gregge, mentre la 1Timoteo li segnala presenti. Impossibile dunque che l'Epistola abbia preceduto il discorso.

Quanto alla 2Timoteo, non la si può collocare nella cattività di Cesarea perchè Roma è indicata esplicitamente come la città ove Paolo si trova (2Timoteo 1:17 cfr. 2Timoteo 4:16-21); non la si può collocare durante la prigionia romana del 62-63 mentovata da Luca Atti 28:30, perchè dall'Epistola appare che Paolo è stato di recente a Troas ove ha lasciato il mantello e dei libri presso Carpo, ha toccato Mileto ove ha lasciato Trofimo malato; forse Corinto ov'è restato Erasto. Ora Paolo nel viaggio fortunoso da Cesarea a Roma, avvenuto due anni prima, non avea toccato alcuno di quei porti. Inoltre nella 2Timoteo Paolo è quasi solo e prevede prossimo il martirio, mentre nelle Epistole della prima cattività, Colossesi, Filemone, Filippesi egli è circondato di collaboratori fra cui trovasi Timoteo Filippesi 1:1 e manifesta la sicura speranza d'esser presto liberato, anzi chiede a Filemone di preparargli un alloggio Filemone 1:22; Filippesi 1:25. Ed il modo in cui si chiude il libro degli Atti induce a credere che la prigionia non finì col martirio, ma colla liberazione e con un ulteriore periodo di attività che Luca si proponeva di narrare più tardi.

Se a queste considerazioni si aggiunga il fatto che le Epistole Pastorali, per le affinità che le contraddistinguono, formano un gruppo a parte nato in un medesimo periodo della vita, di Paolo, e che la natura delle eresie segnalate, lo stato delle chiese ed anche le particolarità dello stile ci portano in un periodo posteriore a quello delle altre epistole paoline, non potrà che

apparire pienamente giustificata l'impossibilità di trovare un posto alle Pastorali nella vita dell'apostolo a noi nota.

Ne segue egli di necessità che le Epistole siano inautentiche? Lo sostengono i critici negativi considerando i dati storici sparsi qua e la come invenzioni del pseudo-Paolo suggeritegli da qualche passo mal compreso dei Fatti ed intese a dar credito alle sue produzioni. Ma, domanda il Godet, uno scrittore posteriore che si volesse coprir del nome di Paolo «non avrebbe egli scelto una situazione nota nella vita dell'apostolo ed in quella dei suoi collaboratori, anzichè immaginare delle situazioni fittizie come la missione di Tito ed il soggiorno di Paolo in Creta o un ministerio di Timoteo in Efeso in attesa di un prossimo ritorno di Paolo...? Ce lo figuriamo noi cotesto autore allorchè Timoteo era da tempo nella tomba, poichè la frode non sarebbe stata, lui vivo, possibile ce lo figuriamo noi mentre raccomanda a quest'uomo morto e sepolto di prendere un po' di vino per i suoi mali di stomaco, di portargli un mantello, dei papiri e «soprattutto» delle pergamene? a meno che volesse raccomandare ai metropolitani del secondo secolo di curare la lor salute e di valersi delle buone occasioni per crearsi una biblioteca... Che dire della menzione commovente di Onesiforo che ha cercato e trovato Paolo a Roma...? E quella ventina di nomi, per metà conosciuti e per metà ignoti, mentovati nelle tre lettere, e quella moltitudine di accenni personali che li accompagnano, a che possono mai servire dato lo scopo che viene attribuito a queste composizioni? A mascherar la frode...? (O, come dice Holtzmann, a rendere verosimile più che si possa la finzione immaginata?) Un ciarlatanismo così raffinato non è esso incompatibile colla serietà profonda di queste lettere, col carattere d'un uomo capace di identificarsi tanto intimamente collo spirito dell'apostolo, da mettergli sulle labbra per es. quel passo sulla sua prossima fine 2Timoteo 4:6-8 che non si può leggere senza commozione e che avrebbe dovuto, secondo il Reuss, disarmare la critica»?

Perchè fosse fondata la conclusione dei critici negativi bisognerebbe che fosse provata la morte di Paolo nell'anno 64, poco innanzi o durante la persecuzione neroniana. Ma le prove fanno interamente difetto, mentre non

poche indicazioni accennano ad un'ulteriore periodo di libertà e di attività nella carriera dell'apostolo prima che il martirio suggellasse la di lui testimonianza.

Il modo in cui termina il libro dei Fatti, anzichè alla morte di Paolo che Luca avrebbe certamente mentovata se fosse avvenuta allora accenna piuttosto ad un prolungamento dell'attività dell'apostolo: «Paolo dimorò due anni interi in una casa da lui stesso tolta a fitto e riceveva tutti quelli che lo venivano a trovare, predicando il regno di Dio ed insegnando le cose concernenti il Signore G. C. con ogni libertà e senza impedimento di sorta». È questo il linguaggio di chi scrive un certo tempo dopo i due, anni mentovati ed ha ancora dell'altro da narrare.

Nelle lettere da Paolo scritte verso la fine della prima cattività egli, lungi dal prevedere prossimo il martirio, prevede prossima la liberazione. E difatti il rapporto di Festo su lui era stato certamente; favorevole e la libertà goduta per due anni sta a provare ch'egli non era tenuto per un soggetto pericoloso.

Clemente Romano nel 97 parla di Paolo come essendo stato sette volte nei legami e come avendo «ricevuta la gloria dovuta alla sua fede dopo aver insegnato giustizia al mondo intero, dopo esser giunto fino all'estremo occidente ed aver resa testimonianza davanti ai rettori» (ad Cor. Cap. 5).

Il frammento di Muratori che appartiene alla seconda metà del II secolo e fu scritto in Italia ha una frase enimmatica ove si allude, ad ogni modo, al martirio di Pietro ed alla partenza di Paolo da Roma per la Spagna.

Eusebio nel IV secolo dopo aver parlato dei due anni di prigionia romana mentovati da Luca prosegue così: «Allora, dopo aver fatto la sua difesa, si dice che l'apostolo sia di nuovo partito per il servizio della predicazione e che venuto una seconda volta nella stessa città di Roma, abbia finita la sua

carriera col martirio. Mentre egli era carcerato scrisse la seconda lettera a Timoteo...» (H.E, 2:22).

In presenza di questi varii documenti, o per lo meno temerario il chiamare, come fa Jülicher, l'ipotesi d'una seconda cattività di Paolo «un edilizio campato in aria» e l'attribuire il favore di cui esso gode presso tanti scienziati «alla ripugnanza che essi provano quando si tratta di dare un verdetto critico contro l'autenticità di un libro del N.T.» (Einl. N.T. p. 150).

Quando non si parta dal preconcetto che la vita di Paolo ha dovuto terminare nel 64, non si è più nella triste necessità di considerare i dati storici delle Pastorali come delle invenzioni; e quelle Epistole diventano dei documenti preziosi dei lavori e dei mirabili sentimenti coi quali chiuse la sua carriera il grande Apostolo dei Gentili.

L'ipotesi stessa di una composizione mista di elementi autentici e di non autentici è in fondo una protesta irresistibile del senso storico e morale contro le audaci e cervellotiche negazioni della critica. Uomini come Schleiermacher, Bleek, Neander, Reuss, Ewald, Krenkel, A. Sabatier, Knoke, e perfino Renan, hanno sentito che certe cose non si possono inventare, che documenti quali la 2Timoteo portano in se stessi la prova della loro autenticità. «Vi sono, scrive il Sabatier A.; nell'Epistola a Tito e soprattutto nella 2Timoteo dei passi e dei particolari assolutamente inesplicabili nell'ipotesi d'una frode del secondo secolo. No, non è un contemporaneo di Giustino martire che ha scritto l'ultimo ed il primo capitolo della seconda lettera a Timoteo» (Encycl. Scien. Rel. Past.). Ed immagina che dei discepoli di Paolo abbiano riuniti insieme diversi biglietti dell'apostolo e ne abbiano formato le tre lettere Pastorali, adattandole «ai bisogni della direzione e dell'edificazione della Chiesa». Ma prescindendo dal fatto che le lettere sono state sempre, senza ombra di esitazione, ricevute in seno alla Chiesa primitiva come interamente autentiche, che ciascuna di esse è composta secondo un determinato piano, qual'è il discepolo di Paolo che si sarebbe permesso di scrivere in capo ad una composizione mista da

lui raffazzonata con fini suoi proprii: «Paolo apostolo di Cristo Gesù, per ordine di Dio... a Timoteo... a Tito?» E chi non vede poi quanto arbitraria sia la cernita che si pretende di poter fare tra i passi autentici e i passi manipolati od aggiunti? Dove si trovano i due critici che siano d'accordo nei loro apprezzamenti a questo riguardo?

Quanto a noi siamo pienamente convinti ch'è tale l'omogeneità di sostanza e di forma fra le tre Pastorali ch'esso, come dice il Bertrand, «devono essere sacrificate insieme o insieme sopravvivere agli attacchi della critica negativa».

Pastorali - La Data ed il Luogo di composizione

§5. La Data ed il Luogo di composizione.

Considerando le Pastorali come i soli documenti che possediamo sull'ultimo periodo della vita di Paolo dopo la sua liberazione nel 63 o 64, dobbiamo ritenere come cosa altamente verosimile ch'egli, appena liberato, abbia effettuato il proposito più volte manifestato durante la cattività di visitare nuovamente le chiese d'Asia e di Grecia. Forse, secondo la speranza espressa Filippesi 2:19. Timoteo lo precedette.

Supponendo che la sua nave abbia toccato Crèta e che quivi egli abbia lavorato per qualche tempo col suo caro Tito, lasciandovelo poi per affrettarsi alla volta di Efeso e delle altre chiese dell'Asia proconsolare: Colosse, Laodicea, Ierapoli ch'egli bramava visitare, egli ha potuto dall'Asia, in occasione della partenza per Creta di Zona e d'Apollo, scrivere la Lettera a Tito per dargli le sue istruzioni. Questo probabilmente nell'estate del 65.

Partendo dall'Asia per la Macedonia egli stima necessario di lasciare alla testa della chiesa d'Efeso minacciata dal lavorio di pretenziosi cianciatori giudeo-gnostici il suo fidato Timoteo e dopo aver visitate le chiese

macedoni, fra cui quella di Filippi a lui tanto affezionata, egli ha dovuto proseguire per l'Epiro e fare un soggiorno prolungato in Nicopoli. Forse è dalle rive dell'Adriatico che l'Apostolo, vedendo di non poter tornare tanto presto in Efeso, scrisse la prima lettera a Timoteo per rinnovargli le sue istruzioni, per incuorare il suo ancor giovane ed un po' timido delegato. Ciò nel corso del 66.

Da questo punto sembra che, ripreso dalla nostalgia di nuove contrade da evangelizzare, egli abbia un'altra volta formato il piano di visitar Roma la cui chiesa era stata dispersa e decimata, dalla tempesta Neroniana del 64, per da Roma partire alla volta della Spagna. Per dare un, ultimo addio alle chiese greche ed asiatiche egli tornò sull'Egeo, toccò Troas, dovette dire addio in Efeso a Timoteo le cui lagrime lo commossero profondamente; toccò Mileto e forse Corinto ed arrivò nuovamente in vista della Sicilia e poi di Napoli e di Roma. La tradizione registrata dal Frammento Muratoriano e da Eusebio attesta la sua seconda visita alla capitale ed anche la sua partenza per la Spagna. Raggiunse egli i lidi dell'estremo Occidente come pare indicarlo Clemente di Roma? Fu egli colà arrestato o lo fu prima di giungervi? Non possiamo dirlo. Fatto sta che la 2Timoteo ce lo mostra una seconda volta, prigione in Roma ed in condizioni ben diverse da quelle del 62-63. Le autorità ed il popolo sono stati prevenuti contro i cristiani ed egli è uno dei capi riconosciuti della sètta. Comparso una prima volta davanti ai suoi giudici, il terrore ha trattenuto i suoi amici dall'assisterlo colla loro presenza; però il processo è stato rimandato a più tardi forse per completare l'istruttoria. Tuttavia l'Apostolo non si fa illusioni sull'esito finale e dal suo carcere fa premura al suo diletto figlio che ha saputo già del nuovo incarceramento, di venirlo a trovare prima dell'inverno. Siamo probabilmente sul finir dell'estate dell'anno 67. In quell'anno o nei primi mesi del 68, forse dopo aver riabbracciato Timoteo, egli fu condannato a morte ed ebbe la testa troncata dalla scure dei littori. Narra la tradizione che fu sepolto sulla via Ostiense.

Pastorali - Letteratura esegetica

§6. Letteratura esegetica.

Le Epistole Pastorali sono state esposte nell'antichità da Crisostomo nelle sue Omelie, da Teodoreto, da Teodoro di Mopsueste, da Ambrosiaster, da Teofilatte.

Ai tempi della Riforma da Lutero nelle sue Adnotationes, da Melantone (1 e 2 Timoteo) e da Calvino.

Nei tempi moderni la letteratura esegetica s'è fatta così ricca che non è possibile enumerare tutte le opere che trattano delle Pastorali nelle varie lingue di Europa. Fra i principali commenti mentoviamo quelli di Wiesinger nella serie Olshausen, di Huther nella serie dei Krit.-Exeg.-Kommentare di Meyer, rifatto a nuovo dalla 5a ed. da B. Weiss, di Holtzmann in senso ultra critico, quello di Oosterzee nel Langes Bibelwerk riveduto da Knohe il quale ha scritto anch'egli un Commentario esegetico-pratico sulle Pastorali, quello di v. Soden nel Hand-Kommentar z. N.T.

In lingua inglese sono da notare i Commenti di Fairbairn, di Ellicott, di Alford (Greek Testament), di Plummer nell'Expositor's Bible, di Wace nello Speaker's Commentary.

In francese, oltre i lavori d'introduzione di E. Bertrand e di F. Godet già citati, sono da mentovare il Reuss nella sua Bible, L. Bonnet nel suo Nouveau Testament 3a ediz.

In italiano possono citarsi le Note del Curci ed il Commento pratico di C. D. Malan sulla 1Timoteo (Filadelfia 1907).

1Timoteo - Il Destinatorio dell'Epistola

§1. Il Destinatario dell'Epistola.

I dati fornitici dal Nuovo Testamento sopra Timoteo sono incompleti e quelli che la tradizione posteriore vi aggiunse sono poco sicuri. Egli era oriundo di Listra Atti 16:1, la sua madre Eunice era giudea ed il suo padre era greco. Sebbene non fosse stato circonciso, la nonna Loide e la madre rimasta forse presto vedova, lo allevarono nella conoscenza delle sacre Lettere fin dall'infanzia 2Timoteo 3:15; talchè quando, nel corso del suo primo viaggio missionario, Paolo col suo compagno Barnaba venne ad evangelizzar la Licaonia, trovò in quelle anime pie un terreno preparato a ricevere il Cristo con fede. Siccome Paolo chiama ripetutamente Timoteo suo «figlio genuino nella fede» «suo figlio diletto e fedele nel Signore» 1Timoteo 1:2; 1Corinzi 4:17, abbiamo ogni ragione di credere che l'apostolo lo avesse «generato in Cristo Gesù per mezzo dell'evangelo». Agli avvenimenti di quel viaggio (4550) allude Paolo quando ricorda al discepolo le persecuzioni subite dal suo maestro in Antiochia, in Iconio ed in Listra ove l'apostolo dopo essere stato, in seguito alla guarigione d'un impotente, sul punto d'esser adorato come un Dio, era poi stato lapidato e trascinato come morto fuor della città Atti 14:820; 2Timoteo 3:11

Partiti i missionarii, sembra che il giovane Timoteo si sia segnalato per pietà e per zelo evangelistico tanto che quando Paolo, nel, suo secondo viaggio (51-54), ripassò con Sila in Licaonia ed udì dai fratelli di Listra e d'Iconio la buona testimonianza ch'essi rendevano al giovane, lo volle per suo compagno ed allo scopo di facilitargli l'accesso presso i Giudei lo circoncise. Secondo le maggiori probabilità, fu in occasione della partenza di Timoteo coi messaggeri di Cristo ch'ebbe luogo la sua consacrazione all'opera dell'evangelista. Voci profetiche in quella solenne circostanza confortarono il giovane annunziandogli una carriera benedetta; il consesso degli anziani di Listra e d'Iconio presieduto da Paolo impose le mani a Timoteo implorando su lui i doni dello Spirito e questi gli furono largiti, ed egli fece davanti ai fratelli una bella professione della fede ch'egli era chiamato a diffondere Atti 16:1; 1Timoteo 1:18; 4:14; 6:12; 2Timoteo 1:6; 4:5

D'allora in poi fu il costante compagno di Paolo ch'egli servì, come un figlio serve il proprio padre, nell'opera del Vangelo. Fu con lui a Filippi, a Tessalonica, a Berea, ove rimase con Sila quando Paolo fu costretto a partire per Atene. Avrebbe dovuto raggiunger l'apostolo in Atene, ma Paolo preferì restarvi solo e mandò Timoteo «a raffermare e confortare i Tessalonicesi nella lor fede onde nessuno fosse smosso dalle tribolazioni» 1Tessalonicesi 3:1-5. Quando poi, con Sila, raggiunse Paolo in Corinto potè recargli della chiesa di Tessalonica tali notizie che rallegrarono il cuore dell'apostolo e lo spinsero a scrivere la prima e poco appresso la seconda ai Tessalonicesi, nelle quali, al proprio nome, associa quelli di Silvano e di Timoteo «suo fratello e servo di Dio nel Vangelo di Cristo».

Luca non dice esplicitamente se Timoteo accompagnasse Paolo da Corinto ad Efeso, a Cesarea, a Gerusalemme, ad Antiochia e con lui intraprendesse il terzo viaggio missionario che lo dovea condurre a traverso la Galazia e la Frigia in Efeso ove lavorò per tre anni consecutivi. La cosa è però probabile poichè difficilmente Paolo può aver intrapreso da solo il suo terzo viaggio. Ad ogni modo ritroviamo Timoteo come suo aiuto in Efeso Atti 19:22; e Luca ci narra come, sullo scorcio del soggiorno d'Efeso, Timoteo fosse con Erasto mandato in Macedonia, e sembra anche in Acaia, poichè Paolo nella sua 1Corinzi li esorta ad accoglier Timoteo «se viene fino a loro» 1Corinzi 16:10-11. Nell'autunno del 58 egli si trova con Paolo in Macedonia poichè il suo nome figura in capo alla 2Corinzi. Nella primavera del 59 da Corinto Paolo saluta i Romani da parte di Timoteo suo «compagno d'opera». Da Corinto accompagnò Paolo nel suo viaggio alla volta di Gerusalemme insieme con altri delegati delle chiese. Lo seguì egli in Cesarea quando vi fu carcerato due anni e Felice «non divietava ad alcuno dei suoi di servirlo o di venire a trovarlo» Atti 24:23? Era egli nel numero di quelli che Luca include nel «noi» quando narra il viaggio verso l'Italia? Non possiamo dirlo con certezza, ma il nome di Timoteo figura con quello di Paolo nelle Epistole ai Colossesi, a Filemone ed ai Filippesi scritte verso la fine della cattività romana. Apprendiamo da Filippesi 2:19 che Paolo in allora aveva in animo di mandarlo quanto prima in Macedonia.

Dalle Epistole Pastorali ricaviamo che l'Apostolo, liberato, lo lasciò alla testa della chiesa d'Efeso quando egli stesso si recò in Macedonia e lo chiamò più tardi presso di sè quando si ritrovò carcerato in Roma. Timoteo dovette accorrere presso al suo diletto padre spirituale e fu probabilmente incarcerato per l'amicizia dimostrata all'apostolo. Fatto sta che l'autore dell'Epistola agli Ebrei può annunziare dall'Italia la di lui liberazione. La tradizione posteriore lo fa morire martire in un tumulto popolare, in Efeso; ma essa non poggia su documenti certi. Del carattere affettuoso, divoto, un po' timido; della costituzione non robusta; della fede salda di Timoteo e della fiducia speciale in lui riposta da Paolo, le Epistole che stiamo per esporre ci daranno agio di parlare.

1Timoteo - Il Contenuto dell'Epistola

§2. Il Contenuto dell'Epistola.

La 1a Timoteo non offre un piano bene ordinato come quello che si osserva nelle grandi Epistole ai Corinti ed ai Romani; ma non è neppure confusa e sconnessa come vanno dicendo taluni critici. Il Godet divide il corpo della Lettera in due parti ch'egli intitola: La Chiesa 1Timoteo 1:3-3:16, e Il servitor della Chiesa 1Timoteo 4:1-6:19. Attenendoci strettamente, allo scopo dichiarato dell'Epistola ch'è quello di dare istruzioni a Timoteo, delegato a reggere temporaneamente la chiesa d'Efeso (Cfr. 1Timoteo 3:1415; 1:3; 4:6,11; 5:1,3,20; 6:2,17), dividiamo il contenuto dell'Epistola in sei parti, precedute dal saluto epistolare e seguite dalla chiusa della lettera.

Il Saluto: 1Timoteo 1:1-2.

Parte I. Istruzioni circa i dottori giudeo-gnostici: 1Timoteo 1:3-20.

Parte II. Istruzioni relative al Culto pubblico: 1Timoteo 2:1-15.

Parte III. Istruzioni circa i Requisiti per il Presbiterato e per il Diaconato: 1Timoteo 3:1-13.

Parte IV. Istruzioni sull'alta Missione della Chiesa e sul come Timoteo vi deve corrispondere: 1Timoteo 3:14-4:16.

Parte V. Istruzioni sulla condotta da tenere verso varie categorie di fedeli: 1Timoteo 5:1-6:2.

Parte VI. Istruzioni sulle aspirazioni sante e celesti che devono caratterizzare l'uomo di Dio di fronte a quelle guaste e terrene dei falsi dottori: 1Timoteo 6:3-19.

Chiusa della Lettera: 1Timoteo 6:20-21.

2Timoteo - Introduzione speciale

INTRODUZIONE SPECIALE

Del Destinatario della Lettera abbiamo ragionato nell'Introduzione speciale alla Prima Epistola (1Timoteo - Il Destinatorio dell'Epistola1Timoteo - Il Destinatorio dell'Epistola); e alle Circostanze personali in cui Paolo si trovava quando scrisse la 2Timoteo abbiamo accennato nella Introduzione generale alle Epistole Pastorali. Paolo prevedeva non lontano il termine della carriera ed era lieto di andarsene nella casa del Padre; ma il cielo non gli appariva ridente sulla Chiesa. La persecuzione andava assumendo un carattere più violento e più generale così da mettere alla prova la costanza ed il coraggio dei servitori del Signore. Più che mai essi hanno bisogno di fortificarsi nella grazia di Cristo affin di combattere e soffrire per il Vangelo. Nella Chiesa stessa e fino nelle file dei collaboratori dell'apostolo, succedon casi scoraggianti di defezione. Gli spacciatori di favole continuano l'opera loro, ma si annunziano delle più gravi deviazioni dottrinali e morali per l'avvenire; per cui i banditori del Vangelo hanno bisogno di tutta la lor sapienza e fedeltà onde premunire la Chiesa contro i pericoli che la minacciano.

Egli è in mezzo a cotali preoccupazioni che Paolo, dal suo carcere, traccia queste pagine così piene dei sublimi slanci d'una fede che trionfa del dolore e della morte, piene di traboccante affetto pel suo figlio spirituale al quale però non nasconde l'ansietà che gl'ispira il di lui carattere un po' timido e facile agli scoramenti. Vorrebbe vederlo ancora e parlargli, ma nel caso che non gli sia concesso di rivederlo egli non tralascia d'impartirgli le sue ultime istruzioni. La 2Timoteo è stata con ragione chiamata il testamento di Paolo. Egli avea la morte dinanzi agli occhi ed era preparato a subirla per la testimonianza del Vangelo. Quanto leggiamo qui, nota Calvino, sul regno di Cristo, sulla speranza della vita eterna, sulla milizia cristiana, sulla volenterosa confessione della verità, e sulla certezza della dottrina, lo dobbiam ricevere come scritto, anziché con inchiostro, col sangue stesso di Paolo. Nulla egli afferma di cui la sua morte non sia come il suggello.

Quanto al suo Contenuto, l'Epistola può dividersi in tre Parti, precedute da un breve preambolo.

Preambolo: 2Timoteo 1:1-5

Parte I. Esortazione a confessare coraggiosamente l'Evangelo: 2Timoteo 1:6-2:13

Parte II. Esortazione a pascere di verità, la Chiesa, preservandola dagli errori che la minacciano: 2Timoteo 2:14-4:8

Parte III. Chiamata di Timoteo a Roma, con notizie personali e saluti: 2Timoteo 4:9-22

Tito - Tito

1. Tito

Chi era Tito? Il libro degli Atti che nomina buon numero di compagni di Paolo non fa parola di Tito, poichè non c'è ragione di identificare il

destinatario della nostra epistola nè con Sila com'è stato di recente proposto, nè col Tizio Giusto mentovato Atti 18:7. come avendo accolta in casa sua la chiesa corinzia, neanche quando si accettasse la variante del codice Sinaitico che legge "Tito" invece di Titius. Tuttavia le Epistole ci forniscono alcuni dati preziosi.

Paolo lo chiama Tito 1:4 suo «figlio genuino» nella fede, quindi egli ha dovuto essere lo strumento della di lui conversione a Cristo.

Quando e dove avvenne questa conversione e che cosa era Tito prima di diventar cristiano? Parlando in Galati 2:1-3 della Conferenza di Gerusalemme dell'anno 50, l'apostolo dice: Salii a Gerusalemme con Barnaba e presi con noi anche Tito... Esposi loro (a quei di Gerusalemme) l'Evangelo che predico fra le genti... Ma neanche Tito ch'era meco, sebbene fosse greco, fu costretto a farsi circoncidere. E ciò a motivo dei falsi fratelli introdottisi fra noi... alla cui volontà non cedemmo neppure un istante affinchè fosse mantenuta fra voi la verità del Vangelo". Tito era dunque pagano d'origine e siccome la città da cui partì per recarsi a Gerusalemme ad affermar colla sua presenza la libertà cristiana, era Antiochia, è naturale che lo si ritenga oriundo di quella regione ed ivi condotto al Vangelo dalla predicazione fattavi da Paolo durante un anno intero prima d'intraprendere il suo primo viaggio missionario anni 45-50 Atti 11:25. Fin dal suo primo apparir sulla scena della storia della Chiesa egli si mostra uomo di salde convinzioni e fermo nella libertà di cui Cristo ci ha francati.

La seconda Epistola ai Corinzi (anno 58) ci fa ritrovar Tito, parecchi anni dopo, in Efeso, quale collaboratore apprezzato di Paolo. L'apostolo ha dovuto scrivere ai Corinti una lettera un po' severa per correggere parecchi difetti ed è molto ansioso di conoscere l'effetto della sua riprensione. Cerca un uomo fidato, dotato di tatto e di fermezza, per mandarlo a Corinto onde spiegare ed appoggiar la lettera, e riferire poi a Paolo in Troas. L'uomo di fiducia scelto per quella missione delicata fu Tito. Paolo l'aspettò in Troas, ma non vedendolo giungere, gli andò incontro fino in Macedonia e non sa descrivere la consolazione, la gioia provata, quando Tito gli recò buone notizie di Corinto. Riprese la penna, scrisse la seconda lettera ai Corinti incaricando Tito di portarla e di attivare in seno alla chiesa la colletta per i

poveri di Gerusalemme. Egli non può abbastanza lodare l'abnegazione, la buona volontà mostrata da Tito nell'accettare questa seconda missione (cfr. 2Corinzi 2:12; 7:6,13-14; 12:18; 8:6,16,23) alla quale, oltre all'affetto per i Corinti, lo rendevano atto i suoi doni di organizzazione. Per altri sette anni circa perdiam di nuovo le traccie del nostro missionario; ma verso il 64 lo ritroviamo con Paolo nell'isola di Candia. Costretto a partire, l'apostolo gli affida nuovamente una missione di fiducia che richiedeva discernimento, fermezza, tatto, fedeltà. Egli dovrà finir di regolare non poche cose necessarie allo sviluppo normale delle chiese di Creta. Tito raggiunse egli dipoi l'apostolo in Nicopoli? Fu con lui a Roma nella seconda cattività? Non sappiamo. Ma l'ultima lettera uscita dalla penna di Paolo mentova Tito come essendo andato in Dalmazia 2Timoteo 4:10. È l'ultima notizia attendibile che abbiamo di lui.

La tradizione posteriore ne fa il vescovo di Creta e ve lo fa morire celibe in età di 94 anni. Nella cattedrale di Megalokastron si conservava perfino come reliquia la sua testa, ed i Cretesi l'invocavano nelle guerre contro i Veneziani come loro patrono.

Tito - Creta e le sue chiese

2. Creta e le sue chiese

Creta, chiamata dai Turchi Kriti e dagli Europei Candia, è la maggiore e la più meridionale delle isole del Mediterraneo Orientale. Per la sua estensione (km. 263 di lunghezza e km. 50 di larghezza) era chiamata Makronesus (la grande isola) ed anche la regina delle isole.

Una catena di monti l'attraversa in tutta la sua lunghezza e la divide in due versanti formati da una serie di lunghe vallate. I monti sono di roccia calcarea e presentano profonde grotte già santuari d'idolatria. Le valli e le spiaggie sono fertili e di un clima salubre tanto che Ippocrate soleva mandarvi i suoi malati a riprendere vigore. La popolazione che oggi non arriva a 250000 era molto più densa nei tempi antichi. Omero parla delle

novanta, ed anche delle cento città dell'isola; ed in Virgilio En. III, 104) si legge

Creta Jovis magni medio jacet insula ponto,

Mons Jdeaus ubi et gentis cunabula nostrae;

Centum urbes habitant magnas, uberrima regna.

Fra coteste città sono da mentovare Kydonia, Knossus, Gortyna, Rhytion, Phestus, Lyktos, Hierapytna ecc. Negli Atti sono mentovate Lasea e Fenice. Gli abitanti erano un misto di Pelasgi, di Fenici, di Dorii. Più tardi vi si stabilì una forte colonia di Giudei. Creta fu celebre nell'antichità per il suo re legislatore Minos, e Platone ammirava le sue istituzioni. Varie leggende mitologiche si riannodano all'isola. I suoi arcieri erano tanto apprezzati che venivano ricercati dai condottieri che li arruolavano come mercenarii; ma questo spirito guerriero, fomentato anche dalle frequenti discordie intestine, li fece trascendere troppe volte ad atti crudeli, e ad imprese ladronesche, che diedero loro la riputazione di feroci, di pirati, di gente frodolenta e "avida di ricchezze come le api di miele". Nè questa era la sola macchia sul loro carattere. La loro ributtante immoralità è attestata da molti autori oltre che dal loro proprio poeta Epimenide vissuto intorno al 600 a. C. "Avidità e libertinaggio combinati colla disposizione fondamentale alla malafede costituiscono un carattere in cui riconosciamo il peggior tipo greco" (Schaff).

Le loro piraterie costrinsero i Romani a rendersi padroni dell'isola, il che avvenne nel 67 a.C. e non senza grande spargimento di sangue, per opera di Cecilio Metello. D'allora in poi e fino ai tempi di Diocleziano, Creta con Cirene formo una provincia romana ma non potè più riassorgere all'antica sua prosperità.

La storia dell'introduzione del cristianesimo in Candia non ci è nota. V'erano dei Cretesi a Gerusalemme il giorno della Pentecoste Atti 2:11, ma non sappiamo se furono essi i primi missionari dell'isola o se furono invece dei membri di chiese etniche. Certo si è che non pochi Giudei si trovavano fra i convertiti cretesi Tito 1:10,14. Non pare ammissibile che Paolo insieme

con Tito sia stato il fondatore delle chiese di Creta. Infatti dall'Epistola a Tito risulta che l'apostolo non vi si era fermato a lungo, e d'altra parte le direzioni date intorno alla scelta dei presbiteri implicano che le chiese erano molte, che non erano di origine tanto recente, poichè si parla di padri di famiglia che hanno avuto agio di dar larga prova della loro condotta e si parla di seminatori di favole e di eresie. La missione di Paolo condotta a compimento da Tito, è stata più che altro di consolidamento. Dopo Tito han dovuto lavorarvi Apollo e Zena, e poi Artema o Tichico (Tito 3:12 e seg.), ma ci mancano i dati sullo sviluppo ulteriore delle chiese cretesi.

Tito - L'Epistola a Tito

3. L'Epistola a Tito

Ecco qual'è il contenuto di questa breve epistola:

Dopo il saluto apostolico Tito 1:1-4, Paolo da al suo mandatario tre serie di istruzioni che costituiscono le tre parti della lettera.

Parte I. Istruzioni relative ai presbiteri da stabilire in ogni chiesa, con indicazione delle ragioni per cui hanno da essere saldi nella dottrina evangelica: Tito 1:5-16.

Parte II. Istruzioni relative ai doveri pratici da inculcare alle varie categorie dei membri delle chiese, e ciò in armonia col fine della grazia di Dio ch'è di creare una vita temperata, giusta e pia, in attesa della venuta gloriosa di Cristo: Tito 2:1-15.

Parte III: Istruzioni relative ai dovevi dei cristiani vero gli uomini in genere: doveri generali e doveri verso le autorità, dovere della mansuetudine vero coloro che si trovano ancora nello stato in cui erano i credenti prima dell'opera rinnovatrice delle grazia in loro. L'attendere ai doveri pratici della vita è più utile che l'occuparsi delle quistioni futili e stolte in cui si dilettavano certuni in Creta: Tito 3:1-11.

L'epistola si chiude con delle comunicazioni personali e dei saluti: Tito 3:12-15.

Ebrei

Ebrei - L'Epistola nella Chiesa antica

L'EPISTOLA AGLI EBREI

INTRODUZIONE

1. L'Epistola nella Chiesa antica

Le prime tracce lasciate dall'Epistola agli Ebrei nella letteratura cristiana primitiva risalgono alla fine del secolo apostolico. L'Epistola di Clemente romano ai Corinzi, scritta nel 96, non nomina, è vero, la Lettera agli Ebrei né l'autore di essa, ma vi si contano più di quaranta passi che sono citazioni o reminiscenze del documento biblico. «Prendiamo Enoc il quale, trovato giusto nella sua ubbidienza, fu traslocato, né fu scoperta la di lui morte (da confr. con Ebrei 11:5). Per la sua fede ed ospitalità fu salvata Raab la meretrice (Cfr. Ebrei 11:31). Diventiamo imitatori di coloro che andarono attorno vestiti di pelli di capre e di pecore cfr. Ebrei 11:37. Dio è l'investigatore dei pensieri e dei sentimenti del cuore Ebrei 4:13. Cristo è il sommo sacerdote delle nostre offerte, colui che ci assiste e soccorre nella nostra debolezza Ebrei 4:15-16. Il quale essendo lo splendore della di lui maestà (di Dio), è di tanto superiore agli angeli ch'egli ha ereditato un nome più eccellente del loro. Perocché sta scritto così: «il quale fa degli angeli suoi dei venti ecc.» confr. con Ebrei 1:3-5,7,13. L'Epistola era dunque nota in Roma fin dagli ultimi anni del primo secolo e considerata come un'autorevole esposizione della verità cristiana. Certe espressioni particolari o

adoperate da scrittori della prima metà del II

secolo e che non s'incontrano

nel N.T. all'infuori dell'Epistola agli Ebrei, inducono a credere che l'Epistola fosse letta del pari in Asia Minore ed altrove. Policarpo chiama Cristo «il sommo Sacerdote eterno». L'autore dell'Epistola detta di Barnaba parla del «sangue dello spruzzamento». Giustino martire dà il titolo di «apostolo» a Gesù (cfr. Ebrei 3:1) e nel Dialogo con Trifone si leggono dei passi che somigliano da vicino ad alcuni luoghi dell'Epistola: «Purificati, non più con sangue di becchi e di pecore o colla cenere di una giovenca o con offerte di fior di farina...» (Dial.13 cfr. con Ebrei 9:12); «Il quale essendo, secondo l'ordine di Melchisedec, re di Salem e sacerdote eterno dell'Altissimo...» (Dial.113 con Ebrei 7

Nell'ultima parte del II secolo e nel corso del III, troviamo l'Epistola agli Ebrei conosciuta nelle varie parti della cristianità; ma giudicata più o meno autorevole a seconda che la si ritiene opera dell'apostolo Paolo o di un suo collaboratore.

Nelle chiese di Siria essa è letta pubblicamente come lo attesta la Bibbia siriaca o Peschitto (circa il 175), in cui l'Epistola figura senza nome di autore dopo quelle di Paolo a Timoteo, Tito e Filemone. In Egitto, la chiesa di Alessandria considerava l'Epistola agli Ebrei come paulinica; ma i celebri dottori della Scuola catechetica, pur ammettendo una qualche paternità di Paolo, non poterono chiudere gli occhi alle difficoltà cui andava incontro la tradizione popolare. Panteno, ad esempio, spiegava il fatto singolare della mancanza del nome di Paolo apostolo al principio della lettera, col dire che Paolo l'aveva omesso per modestia, considerando «che il Signore stesso era stato mandato agli Ebrei quale apostolo dell'Onnipotente», mentre egli Paolo era propriamente l'apostolo delle Genti. Clemente alessandrino soggiunge che Paolo, conoscendo i pregiudizi dei Giudei contro a lui, non li volle urtare fin dal bel principio mettendo innanzi il suo nome. Negli scritti conservatici di quel dottore, la Lettera agli Ebrei è citata come di Paolo; ed Eusebio riferisce che Clemente la riteneva di Paolo, ma la diceva «scritta da lui agli Ebrei, in lingua ebraica» e tradotta poi con cura da Luca per i Greci. Origene è condotto dal suo acume critico a limitare ancora maggiormente la parte che l'apostolo avrebbe avuta in questo scritto. Egli non fa più parola di

un originale ebraico e si esprime in questi termini: «Lo stile dell'Epistola agli Ebrei non ha il carattere speciale di quello dell'apostolo Paolo... L'Epistola è scritta in miglior greco come riconoscerà ogni persona avvezza a giudicare delle diversità dello stile. D'altra parte ognuno che attenda alla lettura degli scritti degli apostoli riconoscerà del pari che i pensieri sono mirabili e non sono per nulla inferiori a quelli degli scritti notoriamente apostolici... Se io dovessi manifestare la mia opinione direi che i concetti (τα νοηματα) sono dell'Apostolo; ma la lingua e la composizione (φρασις, συνθεις) sono di uno che ricordava e notava le cose dette dal maestro. Se dunque alcuna chiesa ritiene quest'Epistola come di Paolo, sia ella approvata anche in questo; poiché non senza ragione gli antichi l'hanno tramandata come di Paolo. Chi poi abbia scritto l'Epistola, Dio solo lo sa in modo certo; ma stando ai racconti giunti fino a noi, secondo gli uni l'avrebbe scritta Clemente divenuto vescovo dei Romani, secondo gli altri Luca, lo scrittore del Vangelo e dei Fatti. Ma su questo basta». Origene sa che la maggior parte delle chiese non ritengono la lettera come paolina; ma siccome la sostanza è conforme all'insegnamento dell'apostolo, non vuol condannare quelle in cui vige una diversa tradizione.

Nelle chiese d'Occidente l'epistola non è, a quest'epoca, attribuita a Paolo, né fa parte della raccolta degli scritti ammessi alla lettura pubblica; ma è conosciuta ed apprezzata da molti quale documento autorevole. Il Canone detto di Muratori (A.D. circa 175) non la mentova; e quand'anche la si volesse identificare con una delle due epistole agli Alessandrini ed ai Laodicesi ivi date come apocrife, sarebbe sempre escluso che Paolo ne fosse l'autore, poiché, dice il catalogo, «Paolo ha scritto a sette chiese». Ma risulta d'altronde dal documento stesso che le suddette epistole portavano il nome di Paolo ed insegnavano lo gnosticismo di Marcione, il che non risponde al contenuto dell'Epistola agli Ebrei. Ireneo vescovo di Lione non la cita mai nell'opera sua contro le eresie, non facendo essa parte del Canone occidentale; ma, secondo Eusebio, egli ne aveva fatto uso in un'opera perduta contenente vari discorsi. Stefano Gobaro, citato e confermato da Fozio, asserisce che «Ippolito (presbitero romano, morto il 251) ed Ireneo dicevano l'Epistola agli Ebrei non essere di Paolo». Così insegnava del pari

un altro presbitero romano, Caio (a.220), il quale non contava come paoline che le tredici epistole portanti il nome dell'apostolo.

Quanto alle chiese dell'Africa proconsolare, è da notare che il Canone Momseniano (circa il 300) non contiene l'Epistola agli Ebrei; che Cipriano vescovo di Oartagine (morto il 258) non la cita mai e parla solo di sette chiese come avendo ricevuto lettere da Paolo. Il suo silenzio è tanto più notevole ch'egli avrebbe potuto trarre dall'Epistola degli argomenti a sostegno della sua rigidità disciplinare. Prima di loro, Tertulliano, scrivendo intorno al 220, il suo libro Deuteronomio Pudicitia ove combatte la riammissione dei cristiani caduti nel peccato di adulterio o di fornicazione, dopo aver citato a sostegno della sua tesi l'A.T., gli Evangeli, gli Atti, tutta la schiera delle Epistole di Paolo nonché l'Apocalisse e la prima di Giovanni, per mostrare che la dottrina apostolica mira a sradicare dalla chiesa ogni sacrilego attentato alla castità, senza far parola di riammissione, prosegue nel modo seguente: «Voglio tuttavia, in via surrogatoria, addurre ancora la testimonianza di qualche compagno degli Apostoli atta a confermare, sussidiandolo, l'insegnamento dei maestri. Esiste infatti una lettera agli Ebrei di Barnaba, uomo rivestito da Dio di tale autorità che Paolo lo nomina come suo compagno in fatto di astinenza quando esclama: Ovvero io solo e Barnaba non abbiamo noi podestà di far ciò? E l'Epistola di Barnaba gode dovunque presso alle chiese maggior credito di quell'apocrifo Pastore dei fornicatori (il Pastore di Hermas)». Cita quindi commentandolo il passo Ebrei 6:1,4-8, poi conclude: «Quegli adunque che aveva imparato dagli apostoli e insegnato con essi, non aveva mai avuto conoscenza di un secondo ravvedimento promesso dagli apostoli all'adultero ed al fornicatore. Difatti egli interpretava egregiamente la legge e riteneva la realtà vera delle di lei figure». Risulta da questo passo che la lettera agli Ebrei non faceva parte del Nuovo Testamento africano di quell'epoca, ma era largamente conosciuta ed apprezzata in seno alle chiese. Inoltre i manoscritti veduti da Tertulliano l'attribuivano a Barnaba il compagno di Paolo, o per lo meno, esisteva in Africa una tradizione esplicita in proposito.

Ciò è comprovato da un altro fatto. Nel Codice Claromontano (D2) è inserito tra le Epistole di Paolo e quella agli Ebrei un catalogo dei libri sacri

che risale al 300 circa e indica per ciascun libro del N.T. il numero delle linee di cui si componeva. Ora vi si trova mentovata dopo le Epistole Cattoliche e prima dell'Apocalisse e dei Fatti, una «Epistola di Barnaba» corrispondente esattamente per la sua estensione all'Epistola agli Ebrei, come risulta da vari raffronti fatti sopra manoscritti diversi. Vero è che nei primi secoli ebbe voga nelle chiese una lettera attribuita a Barnaba e di cui il Mc. sinottico ci ha conservato il testo completo. Ma quell'Epistola è di un terzo più lunga di quella agli Ebrei, per cui non può esser quella indicata nel Catalogo del Claromontano. Questo documento dunque, chiamando Epistola di Barnaba l'Ep. agli Ebrei riproduce la stessa tradizione orale o scritta che abbiamo constatata nel passo di Tertulliano ed, attesta inoltre che, verso il 300, essa circolava nelle chiese insieme agli scritti del N.T. e ad alcuni apocrifi.

Il quarto secolo fu l'epoca in cui si giunse, così in Oriente come in Occidente, a fissare in modo definitivo i libri che dovevano formare il canone. Non già che sia cessato del tutto, dopo il 400, ogni dissenso individuale intorno all'autorità di qualche libro; ma divenne generale nelle chiese il consenso riguardo ai ventisette libri che costituiscono il N.T.

Come si spiega che l'Occidente abbia accolta l'Epistola agli Ebrei nel Canone e sia giunto insieme ad attribuirla a Paolo? Ce lo dice, in poche parole, uno degli uomini che esercitarono, in questo periodo, la più larga influenza sulle chiese occidentali: Agostino. Più che il dubbio di alcuni, egli dice, «mi persuade l'autorità delle chiese orientali le quali tengono anche questa epistola fra i libri canonici». Cotale autorità derivava dal fatto che molte chiese dell'Oriente avevano avuto per fondatori degli apostoli. Esse avevano, oltre a ciò, annoverato dei dottori celebri come Clemente, Origene, Eusebio ecc. la cui scienza volgarizzata da uomini come Rufino e Girolamo aveva allargato le idee; la gran lotta contro l'arianismo aveva avuto i suoi più strenui campioni in Oriente; e d'altronde le chiese d'Occidente si erano reso conto, meglio di prima, dell'alto valore religioso dell'Epistola agli Ebrei, per cui le obiezioni alla canonicità dello scritto erano svanite e solo persisteva fra i cultori delle scienze bibliche il dubbio riguardo all'autore della Lettera anonima.

In Oriente un tale dubbio era quasi interamente sparito. Eusebio, pur notando che alcuni fra i Latini non ricevono l'Epistola agli Ebrei, annovera fra gli scritti universalmente accettati quattordici epistole di Paolo, includendo quella agli Ebrei. Cirillo di Gerusalemme (a. 348) conta parimenti quattordici lettere di Paolo chiamandole il suggello degli altri libri. Così fanno il concilio di Laodicea (circa il 360); Amfilochio vescovo d'Iconio (morto il 390), Gregorio Nazianzeno (morto il 390), Crisostomo (morto il 407), Atanasio vescovo d'Alessandria (morto il 373) il quale colloca l'Epistola agli Ebrei dopo quelle scritte da Paolo alle chiese e prima di quelle private; Epifanio vescovo di Salamina in Cipro (morto il 403). I due più antichi codici unciali, il Vaticano (B) ed il Sinottico (alef) assegnati o

dai paleografi alla prima metà del IV

secolo, contengono l'Epistola agli

Ebrei ponendola tra le Epist. di Paolo alle chiese e quelle rivolte da lui ad individui.

In Occidente si può seguire la lenta evoluzione dell'opinione ecclesiastica o

che finisce, sul cadere del IV

secolo, col trovarsi d'accordo con quella

dell'Oriente. Filastrio di Brescia (morto circ. 397) nel suo Libro delle eresie non conta che tredici Epistole di Paolo e tace di quella agli Ebrei; ma la cita altrove osservando che gli uni l'attribuiscono a Paolo, altri a Barnaba ed altri a Clemente od a Luca. Ilario di Poitiers (morto il 368) si attiene all'opinione d'Origene accettando l'Ep. come canonica. Rufino d'Aquilea morto a Messina nel 410, conoscitore profondo dell'Oriente, traduttore d'Origene e d'Eusebio, annovera quattordici lettere di Paolo. Il concilio regionale tenuto in Roma nel 382 sotto il vescovo Damaso conta 14 epistole di Paolo, collocando però quella agli Ebrei alla fine, dopo le quattro private. Il vescovo di Roma Innocenzo I nel 405, scrivendo a quello di Tolosa, novera 14 epistole di Paolo e così pure il Decreto di Gelasio. Il dalmata Girolamo (morto il 420), l'uomo più versato dell'epoca sua negli studii biblici, accetta praticamente il canone atanasiano coi 27 libri del N.T.; ma conta tredici epistole di Paolo, annoverando a parte l'Ep. agli Ebrei sulla quale osserva: «Paolo scrisse a sette chiese; l'ottava infatti, quella agli Ebrei, dai più non si annovera colle altre... Non si crede sia di lui per la diversità

dello stile e della lingua... Va detto ai nostri (latini) che cotesta epistola agli Ebrei si riceve come apostolica non solo dalle chiese d'Oriente, ma da tutti gli antichi scrittori ecclesiastici di lingua greca, sebbene molti la ritengano di Barnaba o di Clemente; e poco importa di chi sia, dal momento che ha per autore un uomo autorevole nella Chiesa ed è onorata quotidianamente della pubblica lettura nelle chiese. Che se l'uso dei Latini non la riceve fra le scritture canoniche, le chiese greche usano della stessa libertà col non ricevere l'Apocalisse di Giovanni. Quanto a noi, riceviamo amendue, seguendo, più che l'uso del presente, l'autorità degli antichi scrittori».

Agostino attenendosi in materia di canonicità al criterio del numero e dell'importanza delle chiese che ricevono o rigettano un libro, conta come canoniche quattordici epistole di Paolo ponendo per ultima l'Ep. agli Ebrei, sulla quale nota che resta per alcuni dubbia la sua canonicità. I due concilii di Cartagine, quello del 397 e quello del 419, offrono una caratteristica diversità d'espressione. Il primo porta: «Tredici Epist. di Paolo apostolo, più, dello stesso, una agli Ebrei»; il secondo novera addirittura «quattordici epistole di Paolo ap.».

Il Medio Evo non revocò in dubbio l'opinione formulata nelle decisioni ecclesiastiche del IV secolo, ma coi tempi della Riforma, pur restando universalmente accettata la canonicità dell'Epistola, risorsero le obiezioni antiche all'origine paulina di essa. Erasmo e Cajetano non la credono opera dell'Apostolo; ma in seno alla chiesa cattolica ogni discussione fu troncata col decreto del Concilio di Trento (sess. IV), il quale annovera nel Canone «quatuordecim epistolae Pauli ap.» ponendo quella agli Ebrei per ultima. Lutero t'attribuì ad Apollo, Calvino non la crede di Paolo ma non si pronunzia sul vero autore. Beza dice; «Restino qui liberi i giudizii degli uomini; ma tutti dobbiamo riconoscere che quest'epistola è stata veramente dettata dallo Spirito Santo e conservata alla Chiesa come preziosissimo tesoro».

Ai giorni nostri, la critica ha risollevata la questione dell'autore e si può dire ormai quasi del tutto abbandonata l'opinione espressa circa l'Autore, nel titolo del testo ordinario: «L'Ep. di S. Paolo apostolo agli Ebrei».

Ebrei - I Destinarii della Lettera

2. I Destinatarii della Lettera

La tradizione storica relativa ai destinatarii dell'Epistola si riassume tutta quanta in due parole, che sono quelle del titolo quale ce lo hanno tramandato i codici più antichi: προς Εβραιους = agli Ebrei. Difficilmente si può ammettere, col Godet, che il titolo sia di mano dell'autore; ma esso indica chiaramente che l'antichità era unanime nel ritenere lo scritto destinato a dei cristiani di razza giudaica. Cfr. per il nome 2Corinzi 11:22; Filippesi 3:5. E quand'anche mancasse il titolo, la Lettera, da capo a fondo, presuppone dei lettori giudeo-cristiani. I loro «padri» sono quelli ai quali Dio ha parlato anticamente per mezzo dei profeti Ebrei 1:1; «il popolo» di cui fanno parte è la progenie d'Abramo; la loro educazione religiosa è tutta giudaica; il «campo» dal quale devono uscire risolutamente è il campo giudaico restato incredulo; il culto rituale che esercita ancora su di essi un fascino pericoloso per la loro fede cristiana è il culto del tempio. Nessuna allusione nella Lettera a lettori che siano usciti dal paganesimo, né alle difficoltà che sorgevano nelle comunità miste. Talchè l'opinione emossa di recente, che i lettori fossero di origine pagana è da porsi fra le eccentricità dei critici.

Ma questi destinatarii giudeo-cristiani dove sono da cercare? Formavano essi una modesta ecclesiola solita a riunirsi in una casa privata, ovvero una chiesa numerosa suddivisa in varie congregazioni, ovvero ancora dobbiamo rintracciarli nelle varie chiese sparse in una o più regioni? La questione ha poca importanza pratica al giorno d'oggi; ma è certo che questa letteratrattato fa l'effetto d'essere stata rivolta ad una larga cerchia di lettori, anzichè ad una piccola congregazione. Essi hanno molti conduttori e nel loro passato sta tutta una storia di santi entusiasmi ed anche di sofferenze incontrate per la fede. Sarebbe esagerato il fare di questo scritto una lettera circolare destinata ai giudeo-cristiani dispersi per tutto il mondo, poiché tra i destinatarii e l'autore esistono legami di conoscenza e di affetto personali. Egli li esorta con l'autorità di chi ha lavorato fra loro e conosce i loro

pericoli; spera esser loro restituito fra breve; dà loro notizie di Timoteo, li saluta da parte di «quei d'Italia», ricorda la simpatia ch'essi hanno mostrata per i prigioni Ebrei 10:34. Tutto ciò non è applicabile ai giudeo-cristiani in genere, ma evoca nella mente l'immagine di un gruppo di chiese composte di Giudei, sparse in una regione ch'era stata fra le prime ad essere evangelizzata dagli apostoli; di chiese che avevano dato splendido esempio di zelo e di amor fraterno nonché di pazienza in mezzo alle persecuzioni; ch'erano state edificate dalla parola di uno di quegli evangelisti itineranti che furono presto associati all'opera apostolica; di chiese che non avevano rinunziato all'osservanza della legge mosaica ed erano più particolarmente esposte alla tentazione di sacrificare la loro fede nel Cristo alla seduzione di un culto fastoso praticato fin dalla giovinezza ed al desiderio di scansare il vituperio di cui li coprivano i loro connazionali. Dove trovare un gruppo di siffatte chiese in altra regione che in Palestina o tutt'al più in Siria?

Non c'è prova storica della esistenza separata di comunità giudeo-cristiane né in Alessandria, né in Roma; mentre le notizie dateci dai Fatti circa le chiese della Palestina rispondono a capello all'immagine che la lettura della Epistola ha fatto nascere in noi. Eusebio attesta che la chiesa di Gerusalemme fino ai tempi d'Adriano fu esclusivamente composta di Ebrei e lo stesso può dirsi delle chiese minori della Palestina. Erano state tutte fondate da uditori del Signor Gesù Ebrei 2:3. la cui predicazione era stata confermata da miracoli. Avevano avuto i loro tempi eroici e la persecuzione inaugurata col martirio di Stefano, se aveva turbata la loro pace e recato gravi danni materiali, non aveva scossa la loro fede Ebrei 6:10-11; 10.32-34. Ma passato il periodo eroico e morti i loro primi conduttori (Ebrei 13:7, Iacobo era stato ucciso nel 62), dovea subentrare un periodo di crisi spirituale.

La massa del popolo giudeo era rimasta incredula, ma fanatica del suo tempio e della sua legge, e mal tollerava la nuova fede che dell'osservanza dei riti aviti faceva una cosa affatto secondaria, anzi li predicava, nelle contrade lontane, addirittura aboliti. Due volte si era affacciata in Gerusalemme la questione della compatibilità delle vecchie forme collo

spirito del Vangelo, degli otri vecchi col vin nuovo: in occasione del battesimo dato da Pietro al pagano Cornelio e quando, alla Conferenza del 50, si trattava di sapere se ai credenti etnici dovesse imporsi l'osservanza della legge mosaica. La cosa era terminata provvisoriamente con un compromesso; ma come, nelle chiese etniche, la questione era stata da Paolo risoluta logicamente nel senso della libertà cristiana, così doveano le chiese giudeo-cristiane arrivare, presto o tardi, ad una soluzione definitiva che le facesse uscire da una situazione indecisa ed equivoca. Ma era perciò necessario che crescessero in intelligenza spirituale, che, senza sconoscere la divina origine delle istituzioni mosaiche, giungessero ad intenderne lo scopo educativo e transitorio, e sopra tutto, era necessario che arrivassero a contemplare in Cristo la realtà perfetta ed eterna di cui i riti legali non potevano essere se non l'ombra imperfetta. Quando, dinanzi ai loro occhi, apparisse chiaro il progressivo svolgimento della Rivelazione, quando la vedessero convergere e culminare in Cristo, il Figliuol di Dio fatto uomo, ed in lui mirassero il Rivelatore definitivo, il Sacerdote ed il Re del patto eterno, potevano staccarsi senza tormentosi dubbi di coscienza e senza rimpianto da un popolo che rigettava il Cristo di Dio, e da istituzioni che avevano fatto il loro tempo.

Alla inevitabile crisi l'autore vede le chiese palestinesi poco preparate; non hanno progredito come avrebbero dovuto nella conoscenza della verità cristiana, mancano di spiritualità; la fede si è affievolita, il rilassamento le invade, talchè molti fra i loro membri sono in pericolo di apostatare dal Dio vivente, di abbandonare l'eredità dei beni eterni per sfuggire alla persecuzione. Ad ovviare ad un tale pericolo è rivolta la Lettera agli Ebrei come dimostra il suo contenuto.

Ebrei - Il Contenuto dell'Epistola

3. Il Contenuto dell'Epistola

L'Epistola è chiamata dallo scrittore di essa un a Discorso d'esortazione» (λογος παρακλησεως Ebrei 13:22) e si può infatti definire una esortazione a perseveranza nella fede cristiana, fondala sul carattere superiore e definitivo del Nuovo Patto rispetto all'Antico. La dimostrazione dottrinale forma dovunque la base della esortazione pratica la quale, sotto forme diverse, torna sempre ad inculcare la necessità di star saldi, di perseverare fino alla fine.

a

Nella I

Parte Ebrei 1:1-4:13 la superiorità del Nuovo Patto è considerata

nella persona del Mediatore della rivelazione.

Cristo, come Figlio, è superiore ai profeti in genere che furono gl'istrumenti della imperfetta e frammentaria rivelazione antica Ebrei 1:1-4.

Cristo è superiore agli angeli i quali hanno avuto parte alla promulgazione della Legge del Sinai ed alla direzione dell'antico popolo di Dio. Egli è, qual Figlio di Dio, partecipe delle divine perfezioni e, quale figlio dell'uomo, è divenuto, mediante i patimenti, il Duce compiuto della salvazione degli uomini Ebrei 1:4-2:18.

Cristo il Figlio è superiore a Mosè ch'è stato un semplice servo nella casa di Dio Ebrei 3:1-4:13. A questa dimostrazione dottrinale s'innesta l'esortazione a prestare diligente ascolto alla parola del Figlio, a ritenerla con fede onde non restar privi per incredulità del Riposo riservato al popolo di Dio.

a

La II

Parte considera la superiorità del Nuovo Patto nella Persona e

nell'Opera del suo Sommo Sacerdote Ebrei 4:14-10:18.

La realtà del Sacerdozio di Cristo e anzi tutto affermata e dimostrata. Egli è stato chiamato da Dio ed è capace di simpatizzare cogli uomini Ebrei 4:145:10.

La superiorità del Sacerdozio di Cristo è quindi considerata nella persona di lui ch'è sacerdote di un ordine che sopravanza, per ogni verso, in eccellenza, l'ordine di Aronne istituito dalla Legge Ebrei 5:11-7:28. Ma, prima di

entrare nella dimostrazione dottrinale, l'autore intercala una esortazione preliminare Ebrei 5:11-6:20 intesa a scuotere la spirituale indolenza dei lettori divenuti tardi nell'intelligenza della verità, bisognosi di progredire se non vogliono indietreggiare nella finale impenitenza, quando tutto li spinge ad esser viepiù saldi nella fede.

Da Ebrei 8:1-10:18 la superiorità del Sacerdozio di Cristo è considerata nell'opera da lui compiuta. Figlio di Dio incarnato quanto alla sua persona, moralmente perfetto e dimorante in eterno, egli compie un'opera sacerdotale perfetta che raggiunge pienamente il fine cui è destinata.

Cristo qual Mediatore del patto migliore di grazia promesso nei profeti, non ministra in un santuario terreno, ma nel vero Santuario ch'è il celeste Ebrei 8:1-13.

Coll'offrire sè stesso qual sacrificio perfetto a Dio, Cristo ha aperto al popolo il libero accesso al trono di Dio Ebrei 9:1-14

La sua morte veramente espiatoria del peccato ha inaugurato e reso valido il Nuovo Patto, assicurando al popolo dei credenti l'eterna eredità Ebrei 9:1524.

Il sacrificio offerto da Cristo è unico perchè la sua efficacia è perfetta ed eterna Ebrei 9:25-10:18.

a

La III

Parte Ebrei 10:19-13:25 è tutta una esortazione pratica in cui

vengono svolti non meno di sette motivi diversi di perseveranza nella fede, tratti ora dallo stato di grazia in cui Cristo li ha introdotti, ora dal giudicio terribile che attende gli apostati, ora ancora dal ricordo della fede eroica dei lettori nei primi tempi, dagli esempi antichi di fede vittoriosa, dall'esempio perfetto del Signor Gesù stesso, ovvero dal fine educativo delle prove dispensate da Dio ai suoi figli e dalla maggior responsabilità derivante dai beneficii del Patto definitivo della grazia.

Chiudono la lettera delle brevi raccomandazioni Ebrei 13 relative alla vita individuale sociale e religiosa, seguite da alcune comunicazioni d'indole

personale.

Unica nel suo genere fra i libri del N.T., l'Epistola agli Ebrei è stata chiamata la prima apologia del cristianesimo, perchè ella risponde alle difficoltà inerenti al problema della relazione tra l'antica e la nuova Economia. E vi risponde non come fecero gli antichi gnostici (Marcione ecc.) ed i loro moderni seguaci collo stabilire una recisa opposizione tra la religione ebraica e la cristiana, tra il Dio di Mosè e dei profeti e l'Iddio di Gesù C.; ma vi risponde col proclamare ad un tempo la divina origine e la imperfezione delle istituzioni antiche, col mostrare in Dio il sapiente educatore dell'umanità che procede gradatamente nel rivelare, nel preparare e nell'eseguire i suoi disegni misericordiosi. Il Mosaismo segna un progresso sulle anteriori rivelazioni, ma non è se non una dispensazione preparatoria di fronte alla Rivelazione avvenuta nel Figlio di Dio, in cui trovano la loro realtà le antiche promesse come gli antichi simboli.

Nè deve credersi che un'Epistola fatta per rispondere alle preoccupazioni ed ai bisogni delle prime generazioni dei cristiani, abbia perduta la sua attualità nel nostro XX° secolo. Pur troppo le moltitudini che si chiamano cristiane non s'innalzano alla spiritualità del Vangelo. Invece di crescere nella conoscenza della verità rivelata dal Cristo, si accontentano di miseri elementi; invece di elevarsi a lui come al perfetto, unico ed eterno Sacerdote e Mediatore, sono tornate ai mediatori umani che offrono e ripetono del continuo nei loro riti fastosi un preteso sacrificio per i peccati dei vivi e dei morti. Quanto necessario adunque ed opportuno il ricordare l'insegnamento di questa epistola sul sacerdozio di Cristo e sull'unico sacrificio da lui offerto.

Per un altro verso ancora riesce opportuno lo studio di questo scritto. Esso è diretto a raffermare la fede, a ravvivare la vita spirituale di chiese che avevano conosciuti i giorni dei santi entusiasmi; ma che attraversavano ora un periodo di stagnazione, di rilassatezza. Quante chiese nella nostra patria, quanti credenti sono passati o stanno passando per una crisi consimile, allorquando, affievolitosi il primo amore, sono attratti dalle seduzione del mondo o stanchi del suo vituperio e tentati di piegarsi ad un ritualismo

superstizioso od alla mondanità lasciando rallentare il legame che li unisce al Cristo vivente unica fonte di vita. Il meditare la «parola d'esortazione» dell'Epistola potrà riuscire loro di salutare avvertimento. «L'Epistola coi suoi avvertimenti è uno specchio in cui la Chiesa dei nostri giorni può rimirar sè stessa... Conoscer Gesù nella sua gloria celeste e nella sua potenza salvatrice, ecco ciò di cui abbisognano le chiese nostre ed i nostri cristiani» (A. Murray).

Ebrei - L'Autore dell'Epistola

4. L'Autore dell'Epistola

Come vedemmo nel dare uno sguardo alle vicende dell'epistola nella Chiesa antica, la tradizione storica circa l'autore della lettera agli Ebrei è lungi dall'essere concorde. Chi la credeva di Paolo senz'altro, chi di Paolo solo per la sostanza delle idee, attribuendone la redazione greca a Luca od a Clemente, chi la diceva di Barnaba e chi limitavasi a negarne l'origine paolina. Di fronte alla incertezza della tradizione, acquistano tanto maggiore importanza tutti gli indizii interni che possono in qualche modo aiutare alla soluzione di una questione critica sulla quale, anche oggi, le menti sono lungi dall'essere fissate.

Sopra un punto, però, quasi tutti sono oramai d'accordo, ed è che l'Epistola non ha Paolo per autore né direttamente né indirettamente. Come osservò il Westcott, la tradizione storica secondo la quale Paolo sarebbe l'autore, quando la si esamini da vicino, si riduce a poca cosa. Essa ha per centro Alessandria; ma i dottori stessi della Scuola d'Alessandria non attribuiscono l'epistola greca a Paolo. Clemente suppone un originale ebraico tradotto da Luca, Origene tiene per paulini i concetti, ma un altro li avrebbe raccolti e redatti. Si tratta, dunque di una vaga opinione degli «antichi» (αρχαιοι ανδρες) basata probabilmente sull'accordo fondamentale della dottrina con quella di Paolo e sulla menzione di Timoteo e dell'Italia alla fine della lettera; credenza che la critica illuminata, fin dal secondo secolo, non potè accettare.

E infatti, mentre nelle tredici sue lettere a noi pervenute, Paolo invariabilmente si nomina fin da principio col suo titolo di apostolo, qui non abbiamo nome né d'autore né di destinatarii. In nessun luogo dell'Epistola si accenna all'autorità apostolica di chi scrive. Come si spiega lo strano caso se la lettera è di Paolo? La ragione addotta da Panteno che Paolo, cioè, non abbia voluto chiamarsi apostolo degli Ebrei «per l'onore dovuto al Signore» Gesù ch'era stato mandato quale apostolo ai Giudei mentre poi il campo speciale di Paolo era quello dei popoli pagani, questa ragione, dico, ha qualcosa di ricercato. Paolo pur sapendosi apostolo delle Genti, non ha mai tralasciato di evangelizzare i Giudei, in Palestina e fuori, quando ne ha potuto avere l'occasione, felice di continuare così l'opera cominciata dal Signore fra i suoi connazionali. Né serve il dire, con Clemente Al., ch'egli tace il suo nome per non urtare i pregiudizii dei Giudei contro di lui, poiché la lettera non è destinata ai Giudei increduli, bensì a dei giudeo-cristiani i quali, nella loro maggioranza, apprezzavano altamente l'opera di Paolo; ad ogni modo quelli a cui è rivolto lo scritto ne conoscevano bene l'autore ed erano in cordiali relazioni fraterne di stima e di affetto con lui, talchè non è il caso di parlar dei loro pregiudizii.

Non solo manca il nome di Paolo, ma le poche allusioni personali che lo scrittore si lascia sfuggire non accennano all'Apostolo. In Ebrei 2:3 dice: «Come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza, la quale dopo essere stata da principio annunziata dal Signore, ci è stata confermata da quei che l'avevano udito?» L'autore pone dunque se stesso fra i Giudei evangelizzati dagli apostoli, mentre Paolo nega energicamente di aver ricevuto il Vangelo dai Dodici, proclamando invece di averlo ricevuto dal Signore stesso Galati 1:2. In Ebrei 10:34 il testo erasmiamo leggeva: «Avete simpatizzato coi miei legami (δεσμοις)» ed era naturale il vedervi un'allusione a Paolo, il prigione cospicuo di Cristo per lunghi anni. Ma il testo emendato secondo i migliori codici, porta invece: «avete simpatizzato coi prigionieri» (δεσμιοις), alludendo ai loro fratelli palestinesi che avevano sofferto il carcere. In Ebrei 13:19 l'A. domanda le preghiere dei suoi fratelli «affinchè, dice, io vi sia più presto restituito». È questo il linguaggio di chi, avendo a lungo lavorato in mezzo alle chiese palestinesi, spera di

proseguirvi ancora l'opera sua. Ora, Paolo, negli ultimi anni della sua carriera, guardava non ad Oriente fra i Giudei, ma ad Occidente fra i pagani e nell'Epistola ai Romani parla della Spagna. Qui è il caso di ricordare ch'egli era l'apostolo dei Gentili ed il silenzio assoluto serbato nella Epistola sulla missione fra i pagani e sulle questioni suscitate dall'entrata dei pagani nella Chiesa, non è di certo in favore dell'origine paolina dello scritto. Ancora in Ebrei 13:23 si legge: «Sapete (o sappiate) che il nostro fratello Timoteo è stato posto in libertà, col quale se viene presto, io vi vedrò». È ben nota l'intimità esistente fra Paolo e Timoteo; ma, appunto perciò, sarebbe fredda sotto la penna di Paolo la nuda designazione: «il nostro fratello T.» ed aggiungasi che di una cattività di Timoteo, durante il ministerio di Paolo, i Patti né la storia posteriore non sanno nulla.

Sulla diversità della lingua e dello stile dell'Epistola rispetto a quelli ben noti di S. Paolo, gli studi linguistici dei moderni non hanno fatto che confermare il giudizio di un Origene e di un Clemente Al., i quali erano d'accordo nell'ammettere che la forma greca della lettera non era di Paolo. L'Epistola è «più greca» dice Origene. Infatti abbondano le parole speciali che non fanno parte del vocabolario di Paolo quale lo conosciamo; è frequente l'uso delle parole composte; il modo d'introdurre le citazioni bibliche non è quello di Paolo, fan difetto gli ebraicismi, l'esposizione procede in periodi lunghi e bene arrotondati che ricordano lo stile oratorio. Né si può recidere i nervi ad un argomento di cui tutti riconoscono la forza coll'attribuire l'eleganza della forma ad un traduttore, poiché questa d'un originale ebraico od aramaico è una pura ipotesi posta innanzi da Clemente, ma lasciata cadere di già dal suo discepolo Origene, come più tardi da Eusebio e non ripresa da alcun critico di vaglia. Non era d'altronde necessario scrivere in aramaico alle chiese palestinesi, poiché il greco era parlato e compreso nella loro regione come lo era a Roma. L'Epistola poi porta in sè stessa la prova d'essere stata composta, in greco. Non solo le citazioni dell'A.T. sono tutte tratte dalla versione dei LXX, ma l'argomentazione poggia sul testo greco anche quando questo differisce dall'ebraico. Esempio Ebrei 1:7; 2:7; 10:5-7. In Ebrei 9:15-18 l'autore adopera la parola diateke (διαθηκη) nei due sensi di «patto» e di «testamento» ch'ella può avere in greco, ma di cui non è suscettibile l'ebraico berîth. Varie parole composte che contribuiscono

all'efficacia ed all'eleganza della frase greca, non hanno il loro corrispondente in ebraico ove soglionsi esprimere con larghe circonlocuzioni. Per es.

ὑποτασσω=sottoporre si esprime in ebraico colla

locuzione «porre sotto i piedi». Altri es. analoghi si hanno nelle parole απαυηασμα, μετριοπασειν, πολυμερως, πολυτροπως ecc.

La diversità fra l'autore dell'Epistola agli Ebrei e S. Paolo non si osserva soltanto nel modo di esprimere i concetti, ma nei concetti stessi. Vero è che nell'insieme, come notava Origene, la dottrina dell'Epistola è conforme a quella di S. Paolo, in quanto che i due autori sacri considerano l'antico Patto come preparazione ed ombra del nuovo, come destinato per conseguenza a cedere il posto alle realtà del Vangelo. Ma è pur osservabile un modo particolare a ciascuno di concepire, ad es., la fede (cfr. Ebrei 11), la speranza, la parola di Dio (cfr. Ebrei 4). Combatte sì il giudaismo, come notò B. Weiss, ma la sua non è la lotta di Paolo contro ad esso; il concetto paulinico che la legge prepara l'uomo alla grazia col dargli la conoscenza del peccato è del tutto estraneo all'Epistola; nessun accenno all'antitesi tra fede ed opere; nessuna preoccupazione qui dei pagani. Il Cristo è presentato come il supremo Rivelatore, come il Mediatore, il Sommo Sacerdote, il perfetto Sacrificio del Nuovo Patto, l'Intercessore permanente, pieno di simpatia per gli uomini. Si parla meno della di lui risurrezione, primizia e garanzia di quella dei redenti. Invece che di «giustificazione» si parla qui di «purificazione», di «santificazione» in senso teocratico, d'esser «resi compiuti». E tutta una serie di rappresentazioni diverse da quelle che s'incontrano negli scritti di Paolo. Tutto adunque: l'assenza del nome dell'autore, la forma generale della lettera, le allusioni personali che contiene, il modo di esprimere e di concepire la verità cristiana, tutto ci induce a ritenere che Paolo non è stato l'autore dell'Epistola agli Ebrei. Se l'avesse scritta, come spiegare che la tradizione storica fosse restata così dubbiosa nell'Oriente e così recisamente negativa nell'Occidente, in Roma stessa, ove l'Epistola era nota e studiata fin dallo scorcio del secolo apostolico?

Due nomi figurano nell'antichità in connessione coll'Ep. agli Ebrei: quelli di Luca e di Clemente romano. Scartata l'ipotesi insostenibile ch'essi siano stati i traduttori d'un originale ebraico che non è mai esistito, resta l'opinione secondo la quale sarebbero i redattori dell'insegnamento udito da Paolo. Ma le obiezioni si affollano alla mente. Ambedue sono di origine pagana, mentre l'autore è giudeo-cristiano. Non risulta che abbiano avuto relazioni prolungate colle comunità palestinesi né che godessero autorità presso ad esse; secondo ogni probabilità né l'uno né l'altro erano stati convertiti da uditori immediati del Signore Ebrei 2:3. Lo stile di Luca non offre speciali analogie con quello della Lettera e, quanto a Clemente, egli ne riproduce dei passi rivelandosene imitatore, ma non autore. C'è tra Clemente e il nostro scrittore, osserva Westcott, una differenza considerevole nella vastità del pensiero, nella profondità dogmatica, nella intuizione profetica. Clemente è essenzialmente recettivo; ed imitativo; combina ma non crea.

Lutero e, dopo di esso, molti altri hanno creduto di scoprire in Apollo l'autore dell'epistola. Egli era Giudeo, di coltura alessandrina, conoscitore profondo ed eloquente espositore delle Scritture, compagno di Paolo e di Timoteo nell'opera missionaria. Ma risulta in modo positivo ch'egli non fu convertito da uditori immediati di Cristo Atti 18:24-28. e non pare aver avuto alcuna relazione colle chiese palestinesi o siriache. D'altronde non si trova nell'antichità il minimo cenno che lo additi quale scrittore della nostra lettera.

Al nome di Apollo è stato, da vari espositori, sostituito un altro collaboratore degli apostoli: Sila o Silvano, come possibile scrittore dell'Epist. agli Ebrei. Egli era invero un membro eminente della chiesa di Gerusalemme, aveva dono profetico, fu scelto con Barnaba quale delegato degli apostoli alle chiese di Siria Atti 15:22,27,32. Paolo lo elesse a suo compagno nel secondo suo viaggio missionario Atti 15:40 talchè egli ebbe occasione di legarsi d'amicizia con Timoteo e di imbeversi dell'insegnamento di Paolo. Più tardi lo si trova associato con Pietro ed il Godet suppone perfino ch'egli abbia accompagnato quell'apostolo a Roma ove trovò il martirio. Resterebbe così spiegato come possa scrivere dall'Italia

ed annunziar la liberazione di Timoteo. Unica obiezione all'ipotesi è il completo silenzio della tradizione storica al riguardo, così in Oriente come in Occidente.

Di recente è sorta in Germania una ipotesi nuova secondo la quale la Lettera sarebbe stata scritta da Priscilla ed Aquila ad un gruppo di cristiani (etnici o giudei a seconda dei critici) residenti in Roma. Ora, è vero che la lettera è nota in Roma verso il 96, ma è nota presto anche in Siria ed in Egitto. L'allusione a persecuzioni ed alla morte dei conduttori difficilmente può riferirsi alla persecuzione Neroniana ed al martirio di Pietro e Paolo che non erano conduttori locali di chiese, meno poi di singoli gruppi. D'altronde la persecuzione di cui parla l'Epis. non era stata sanguinosa come quella del 64 in Roma. Cfr. Ebrei 12:4: «Non avete ancora resistito fino al sangue...». La persecuzione romana non avea colpito soltanto una ecclesiola. I cristiani di Roma, non erano, secondo l'Epis. ai Romani, nello stato di rilassatezza di cui ci parla l'Epist. agli Ebrei; non erano stati convertiti da uditori di Cristo Ebrei 2:3; non potevano esser tentati dalle seduzioni del culto del tempio tanto lontano da loro. L'ipotesi porterebbe a dare all'espressione «quei d'Italia» Ebrei 13:24 un senso affatto insolito. Senza dubbio Priscilla ed Aquila, distinti per il loro zelo, avevano una certa coltura e capacità d'insegnare. Risulta da Romani 16:3-5 che si teneva in casa loro, a Roma, una raunanza cristiana; ma come spiegare che una cristiana discepola di quel Paolo che proibiva alla donna d'insegnare nelle assemblee, assuma poi in uno scritto diretto ad una congregazione, l'autorità dell'insegnante? (Cf. Ebrei 5:11-14; 10:32-39; 13:22). Come spiegare quel tono oratorio che si addice così poco ad una donna? L'uso alternato del noi e dell'io in cui si vuol vedere una discreta allusione alla collaborazione di Aquila, non prova nulla, poiché Paolo adopera anch'egli l'io ed il noi in una stessa lettera. D'altronde non c'è che da rileggere i passi in cui Priscilla userebbe l'io per persuadersi che non sono usciti dalla penna di una donna cristiana. Esemp. Ebrei 13:19: «Vi esorto vie più a pregare per noi, acciocchè io vi sia più presto restituita (o -to); Ebrei 13:22: «Vi esorto a comportare la parola d'esortazione...»; Ebrei 13:23: «Timoteo è liberato, col quale, se viene presto, io vi rivedrò». C'è perfino un passo Ebrei 11:32 in cui, nel greco, un participio singolare maschile (διηλουμενον) rivela che l'autore non è una

donna. Si aggiunga che Priscilla ed Aquila non erano neppur essi stati evangelizzati da uditori di Cristo; che difficilmente si adatta ai due coniugi la data dell'80 che il prof. Harnack assegna all'Epistola; che infine nessuna traccia è rimasta in Roma dell'origine femminile dell'Ep. agli Ebrei.

Parecchi moderni, non trovando sufficienti gli indizii che militano a favore di questo o di quell'uomo apostolico, si limitano ad attribuire l'Ep. ad un giudeo-cristiano alessandrino, perchè scorgono nello scritto i segni evidenti di una coltura analoga a quella di un Filone o di un Apollo.

Per chi non si appaga di una conclusione meramente negativa, resta un nome che ci pare riunire la maggior somma di probabilità ed è quello di Barnaba. I Fatti ci narrano di lui ch'egli era oriundo di Cipro di cui son note le relazioni con Alessandria e ciò spiega il genere di coltura rivelato dall'Epistola nel suo autore. Egli era giudeo ellenista, anzi Levita, e ciò spiega bene l'uso costante ch'egli ha della versione dei Settanta come la conoscenza profonda ch'egli ha delle cose del culto. All'epoca della Pentecoste, abitava Gerusalemme ove ebbe occasione di udir l'Evangelo dai testimoni immediati di Cristo Ebrei 2:3 la cui predicazione era confermata da numerosi miracoli e doni dello Spirito. Egli stesso aveva gustata la potenza della vita spirituale che animava i credenti gerosolimitani e spinto dall'amor fraterno aveva venduto una proprietà ch'egli aveva colà per deporne il prezzo ai piedi degli apostoli Atti 4:36. Possedeva un dono profetico di esortazione tanto rimarchevole che gli apostoli avevano dato a lui, che chiamavasi Giuseppe, il soprannome aramaico di Barnaba che vuol dire «figlio di esortazione» o di consolazione. E ciò risponde bene al carattere dell'Epist. agli Ebrei ch'è definita dal suo autore «un discorso d'esortazione». Barnaba era di cuore largo e fu lui che, udito in una sinagoga ellenista il persecutore convertito Saulo, quando fece la sua prima visita a Gerusalemme, gli fece accoglienza e lo introdusse presso ai capi di quella chiesa Atti 9:27; che più tardi, mandato dagli apostoli in Antiochia e veduta l'opera di Dio in quella città, se ne rallegrò e si reco in Tarso a cercar di Paolo per condurlo in Antiochia. Con Paolo egli compiè il primo viaggio missionario in Cipro, in Pisidia e Licaonia; con lui fu delegato dalla chiesa d'Antiochia a sostenere in Gerusalemme i diritti della libertà cristiana a

favore dei convertiti dal paganesimo. Separatosi da Paolo per un dissenso di natura personale, egli seguitò a spargere il Vangelo in Siria, in Cipro ed altrove. Paolo fa di lui una menzione onorevole in Galati 2:13 e in 1Corinzi 9:6. Le sue relazioni con la chiesa di Gerusalemme e colle comunità giudeo-cristiane, l'autorità derivantegli dai doni ricevuti, dal suo zelo apostolico, lo rendevano atto a rivolgere una esortazione alle chiese giudeocristiane della Palestina e della Siria; mentre le relazioni sue con Paolo e colla cerchia dei suoi collaboratori avevano contribuito a dargli una profonda intelligenza del disegno di Dio per la salvazione. Il carattere itinerante della sua missione ha potuto condurlo a visitare anche l'Italia, se pur non vi è stato menato incatenato come Paolo ed altri. I dati adunque fornitici dal N.T. su Barnaba non solo non escludono la possibilità ch'egli sia l'autore dell'Ep. agli Ebrei, ma quasi lo designano come l'uomo atto a vergare un tale scritto.

D'altra parte la tradizione storica lo addita esplicitamente come tale nelle chiese Nord africane. Senza ombra di esitanza Tertulliano dice: «Esiste infatti anche uno scritto di Barnaba agli Ebrei...» (Extat enim et Barnabae titulus ad Hebraeos, a deo satis auctorati viri...). Non si tratta qui di una opinione personale o di una supposizione critica, ma di un'affermazione di fatto. Donde veniva e su che si fondava quella affermazione, non possiamo dire; ma la sticometria latina ed africana inserita nel Codice Claromontano conferma che nell'Africa proconsolare l'Ep. agli Ebrei chiamavasi pure l'Epistola di Barnaba. Perchè quella tradizione non s'incontri in altri luoghi, rimane un problema da risolvere; ma non toglie valore alla positiva testimonianza trasmessaci dai documenti nord-africani. Se non che, la soluzione del problema va cercata probabilmente in un altro fatto ben noto: nella esistenza e nella larga circolazione di uno scritto pseudonimo portante il nome di Barnaba, scritto che tratta pure del giudaismo ma in senso diverso, senza intendere il valore storico, disciplinare, lentamente educativo delle istituzioni antiche, ridotte ad essere non altro che simboli. L'esistenza di questa Epistola apocrifa attesta indirettamente che Barnaba ne aveva scritta, su di un soggetto analogo, una autentica, ma giudicata forse da taluni, non abbastanza radicale. In presenza di due scritti simili attribuiti a Barnaba, non è a stupire se sia sorta una certa confusione e se, a quello

anonimo ma autentico, abbia nociuto la presenza dell'altro portante sì il nome, ma in realtà apocrifo.

A mo' di conclusione possiamo far nostre le seguenti sentenze di autorevoli teologi. «La canonicità dell'Epistola, dice il Westcott, non dipende dall'essere essa di Paolo... La sua divina autorità si attesta da sè... Se il giudicio dello Spirito si fa sentire nella coscienza della società cristiana, nessun libro è più completamente riconosciuto dall'universale consenso come presentando una veduta divina dei fatti del Vangelo». «A noi sembra certo, scrive il Godet, che questa mirabile epistola non è uscita dalla penna di Paolo; ma questo fatto non serve che a rivelare l'abbondanza e l'eccellenza dei doni spirituali posseduti da uomini che occupavano il secondo ordine nella chiesa apostolica... Sebbene l'Ep. agli Ebrei non sia di origine apostolica essa è nondimeno una Scrittura profetica, un vero documento della rivelazione». «Se si scoprisse, osserva il Thiersch, che uno splendido quadro attribuito a Raffaello non è di quel sommo artista, noi non avremmo già un capolavoro di meno, ma avremmo un gran maestro di più».

Questo maestro noi lo ravvisiamo in Barnaba.

Ebrei - Dove e quando fu scritta l'Epistola

5. Dove e quando fu scritta l'Epistola

In alcuni Msc. antichi si legge a guisa di poscritta: «fu scritta da Roma (A)», ovvero «fu scritta dall'Italia» (P2) od ancora: «fu scritta dall'Italia per mezzo di Timoteo (K ), la quale ultima indicazione è contradetta da Ebrei 13:23. 2

Senza dare grande peso storico a siffatte poscritte, se ne può per lo meno dedurre che gli antichi vedevano nel saluto da parte di «quei d'Italia» Ebrei 13:24 un indizio sicuro che la lettera era stata scritta dall'Italia. Una tale opinione è stata combattuta da parecchi moderni e lo Stapfer giunge fino a dire: «Non si sa donde l'epistola sia stata scritta, è certo soltanto che non lo fu dall'Italia» (Rev. Chr.1900. vi). Certo? E perchè? Fatto sta che la

ὁι απο της Ιταλιας) può significare: «i cristiani

locuzione «quei d'Italia» (

venuti dall'Italia e che si trovano meco» (Cf. Atti 21:27); ma significa ordinariamente «i cristiani d'Italia, ossia italiani» (Cf. Atti 10:23,38; 17:13).

ὁι απο...) e gli Alessandrini «quei

Filone chiama i Romani «quei di Roma» (

d'Alessandria». Il pseudo Ignazio (ad Her. 8) scrive: «Ti salutano tutti i

ὁι απο Φιλιππων εν χριστω)». A chi vede

cristiani di Filippi da cui ti scrivo (

nei destinatarii della Lettera i cristiani della Palestina, pare affatto naturale che un uomo come Barnaba il quale abbia visitato parecchie chiese, italiane e si trovi, per esempio, nel mezzogiorno d'Italia, trasmetta in fondo ad una lettera ai fratelli lontani, il saluto di cui l'hanno incaricato i cristiani italiani da lui veduti. Il salutare invece le chiese palestinesi da parte di pochi cristiani italiani stabiliti in una città forestiera parrebbe fuori posto. Se l'autore scrive dall'Italia si spiega facilmente ch'egli abbia notizia della recente liberazione di Timoteo, avvenuta secondo le maggiori probabilità in Roma. Non vediamo dunque ragione di cercare fuori d'Italia il luogo ove fu scritta l'Epistola.

o

Quanto alla Data, fissata dagli uni al principio del II

secolo, da altri intorno

all'80 (Zahn, Harnack), essa va determinata colla scorta dei dati forniti dalla lettera stessa. I lettori si trovano oramai lontani dai tempi della prima evangelizzazione Ebrei 2:3; 5:12, dai tempi degli eroici entusiasmi Ebrei 10:32. I loro primi conduttori sono morti Ebrei 13:7 e le chiese, cadute in un pericoloso rilassamento, hanno bisogno d'essere esortate a costanza nella fede. Una data anteriore all'anno 60 non è dunque possibile. D'altra parte, Timoteo è tuttora vivo; non siamo che alla seconda generazione dei conduttori; s'aspetta ancora vicina la seconda venuta del Signore Ebrei 10:25,37. Il culto del tempio si pratica tuttora (Ebrei 8:4 e forse Ebrei 9:9; 10:3). In un'Epistola che insiste sul carattere transitorio e caduco dell'antica economia, si allude sempre al popolo ebreo come formante ancora un tutto, e non si fa la minima allusione al disastro dell'anno 70 in cui la nazione cessò d'esistere come tale, Gerusalemme fu distrutta, incendiato il tempio ed abolito di fatto il culto rituale. Non è dunque possibile rimandare la data oltre il 70. Un gran numero di critici fissano perciò la redazione dell'Epistola intorno all'anno 66, prima cioè, che scoppiasse la guerra

giudaica il cui epilogo dovea segnare, con un tremendo giudicio di Dio, la fine dell'economia preparatoria.

Ebrei - Letteratura esegetica

LETTERATURA ESEGETICA

Dei tempi della Riforma sono da mentovare i Commenti di Bullinger, di Ecolampadio e di Calvino sull'Epistola agli Ebrei.

o

Del XVII° secolo il lavoro estesissimo di G. Owen. Del secolo XIX

vanno,

fra tanti, citati i lavori esegetici di Fed. Bleek (1828), di A. Tholuck, di De Wette, di Franz Delitzsch, di C. F. Keil, di Ebrard nel Bibl. Comm. di Olshausen, di B. Weiss nel Krit. Exeg. Kommentar di Meyer (6a ediz.), di B. Moll nel Bibelwerk di Lange, di v. Hofmann, di Zöckler, di A. Schlatter, di Alford, di A. B. Davidson, di F. Westcott, di Edwards, di A. B. Bruce, di G. Milligan (Theology of the Ep. H.), di A. Murray (The Holiest of All), di Ed. Reuss, di Ménégoz (Théologie de l'Ep. aux Héb.), di L. Bonnet riveduto da A. Schroeder. In italiano abbiamo le note del Martini, il Commento del P. Curci e le Brevi Note all'Ep. agli Ebrei di X.

AVVERTENZA

La versione riprodotta in capo ad ogni pagina è quella del Diodati. Quella che vien data nel corso dell'Esposizione è versione riveduta, fondata sull'edizione critica del Nuovo Testamento greco preparata dal Dott. E. Nestle per la Società Biblica del Wurtemberg (4a ediz. Stuttgart 1903).

Giacomo

Giacomo - L'autore

§1. L'autore

La soprascritta del testo elzeviriano porta: Epistola cattolica di San Giacomo apostolo; ma i codici unciali antichi, o non hanno alcuna soprascritta, o la hanno molto più breve, come il codice Vaticano: Epistola di Giacomo. Nel primo versetto, l'autore qualifica se stesso come: «Giacomo servo di Dio e del Signore Gesù Cristo».

Ora nel Nuovo Testamento sono mentovati parecchi Giacomo, quale di questi sarebbe l'autore dell'epistola? Abbiamo anzitutto Giacomo figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, che figura nei cataloghi degli apostoli nel primo gruppo (Cfr. Matteo 10; Marco 3; Luca 6; Atti 1:13-14). Un certo numero di scrittori spagnuoli cominciando da Isidoro di Siviglia (+636), l'hanno riguardato come autore dell'epistola indottivi forse dal desiderio di magnificare il loro patrono San Giacomo di Compostella. Dante accetta questa opinione quando dice a Giacomo, il fratello di Giovanni: «Tu mi stillasti con lo stillar tuo - nell'epistola poi...» (Parad. C. 25,76-77). Ma l'idea non ha trovato sostenitori perché il libro degli Atti ci narra che Giacomo di Zebedeo fu fatto decapitare nell'anno 44 da Erode Agrippa Atti 12:1-2 e nel 44 le chiese cristiane non erano nello stato descritto nell'Epistola.

V'è un secondo Giacomo figlio d'Alfeo che figura nell'elenco degli Apostoli ed era distinto dal primo col soprannome di Giacomo il piccolo. La sua madre si chiamava Maria Marco 15:40; Marco 16:1. Non sappiamo nulla della sua attività e non risulta che godesse speciale autorità presso i giudeocristiani.

Di un terzo Giacomo abbiamo maggiori notizie nel N.T. Egli è chiamato il fratello del Signore e figura infatti come primo fra i quattro fratelli di Gesù mentovati in Matteo 13:55; Marco 6:3. Egli non era apostolo, anzi finché visse Gesù non era neppur credente in lui secondo la testimonianza esplicita

di San Giovanni Giovanni 7:5. Paolo attesta che a lui Gesù apparve dopo la sua risurrezione 1Corinzi 15:7 e per quell'anima retta l'apparizione del Cristo risorto fu decisiva. Egli credette nel «Signor della gloria» e lo ritroviamo con Maria sua madre e cogli altri suoi fratelli (da lui stesso probabilmente condotti alla fede) accanto agli apostoli nella sala ov'essi aspettavano in preghiera lo Spirito promesso Atti 1:14. Da questi dati è evidente che non si possono identificare l'apostolo Giacomo d'Alfeo o di Cleopa detto il piccolo, con Giacomo figlio di Giuseppe e di Maria madre di Gesù. I fratelli del Signore sono sempre distinti dal collegio dei Dodici 1Corinzi 9:5; Giovanni 2:12; Matteo 12:46

A Giacomo fratello del Signore la tradizione ecclesiastica, antica attribuisce la prima delle Epistole dette Cattoliche, e tutto quello che il N.T. e la tradizione stessa, ben presto inquinata da leggende, ci dicono di lui, concorre a provare ch'egli è stato l'autore della lettera che porta il suo nome. Negli Atti Giacomo figura fra gli anziani della chiesa di Gerusalemme e occupa fra loro il primo posto. Con Cefa e con lui s'incontra Paolo nella sua prima visita a Gerusalemme Galati 1:19. A lui Pietro, uscito dal carcere, ordina che si faccia sapere la sua liberazione Atti 12:17. Egli è che, nella Conferenza di Gerusalemme, riassume la discussione avvenuta sull'obbligo o meno degli etnici di osservar la legge mosaica; e la sua opinione moderata e liberale è accettata da tutti Atti 15. Paolo dice di Giacomo, di Pietro e di Giovanni che «son reputati colonne» Galati 2:9, che «godono di maggior considerazione». Tornando dal suo terzo viaggio missionario, Paolo, coi suoi compagni, si reca da Giacomo ove trova raunati tutti gli anziani. Giacomo gli dà un consiglio inteso a sfatare le prevenzioni giudeo-cristiane contro di lui e Paolo lo accetta. Chi meglio del pastore principale della chiesa di Gerusalemme, del capo riconosciuto ed autorevole dei giudeocristiani, era in grado di rivolgere a quelli di loro ch'erano dispersi fuor della Palestina, le esortazioni contenute nella sua epistola?

Egesippo scrivendo nell'ultimo. quarto del secondo secolo, attesta che Giacomo il fratello del Signore, era soprannominato "il giusto" per la sua rigida osservanza della legge, ch'egli era succeduto agli apostoli nel governo

della chiesa di Gerusalemme, che era uomo di preghiera. Anche Clemente d'Alessandria attesta che Giacomo era chiamato il giusto. Ora quelle testimonianze concordano perfettamente col contenuto della sua lettera circolare ai giudeo-cristiani e coll'autorità morale di cui appare rivestito l'autore, sebbene egli non sia e non si chiami apostolo. Sotto altri aspetti ancora l'epistola conferma la tradizione antica circa il suo autore. Egli si palesa come giudeo quando chiama Abramo "nostro padre" Giacomo 2:21, si preoccupa specialmente dello stato dei giudeo cristiani, e scrive dal centro del giudaismo ai correligionari della diaspora; il paese che abita e da cui son tratti i suoi paragoni è apparentemente la Palestina Giacomo 5:7; 3:12; 1:11; 5:17. Dalle analogie che corrono tra le sue esortazioni e l'insegnamento di Gesù si deduce ch'egli deve aver seguito davvicino il profeta di Nazaret. Se dunque non si può dire provato in modo assoluto che l'autore dell'Epistola sia Giacomo il fratello del Signore, si può affermare per lo meno che l'opinione corrente nella Chiesa cristiana è suffragata da un cumulo impressionante di indizi.

I critici che la ritengono di altro autore si fondano sopra il fatto che l'Epistola è scritta in buon greco il che non si crede possibile da parte di un "contadino galileo". Ma il greco era parlato anche in Galilea ed in Gerusalemme, ed era anzi la lingua di cui si servivano parecchie sinagoghe ellenistiche di questa città le quali usavano la versione dei Settanta come fa l'autore della lettera. Si fondano poi sullo stato morale delle chiese che non si crede possa essersi verificato prima della morte di Giacomo verso il 62. Tanto che l'Epistola vien collocata da alcuni verso l'80 D.C. od anche verso il 120 e perfino dopo il 150 (Brückner, Pfleiderer). Come questo si concili col fatto che l'Autore reputa vicino il Ritorno del Signore non è facile vedere. E quanto allo stato delle chiese, non è il caso di stabilire teoricamente che dovesse esser così o così entro un dato tempo; si tratta piuttosto di accertare i fatti quali che possano essere. Lo stato della chiesa di Corinto per esempio non è quel che si sarebbe aspettato da una chiesa apostolica. Lo stato delle chiese cretesi ove Tito deve lavorare non è neppur esso ideale. E quella stessa di Gerusalemme era tutt'altro che scevra di mende. Si confronti d'altronde lo stato risultante dall'Epistola agli Ebrei. Va da se che, nell'ipotesi mentovata più sopra, l'Epistola sarebbe pseudepigrafa,

l'autore ignoto avendo posto il suo scritto sotto il nome di Giacomo per dargli maggior credito. Resta allora da spiegare come mai le chiese abbiano accolto come di Giacomo uno scritto apparso, un 25 o un 50 o un 100 anni dopo la morte del suo presunto autore, e come possa un falsario scrivere una lettera di sì grande elevatezza morale.

S'è trovato pure strano che l'epistola non contenga la minima allusione alla controversia tra cristiani giudei ed etnici circa l'obbligo di osservar la legge mosaica. È vero che Giacomo vi aveva preso parte nell'anno 50 o 51; ma che bisogno v'era per lui, nello scrivere a dei giudeo-cristiani, di rievocare una tale controversia? Ad ogni modo, la magnifica descrizione ch'egli fa della sapienza che vien dall'alto, pura, pacifica, mite, arrendevole, l'opposto dello spirito di contenzione, poteva applicarsi, se ve n'era occasione, alle relazioni coi credenti, usciti dal paganesimo. Di siffatta sapienza Giacomo era largamente dotato e, per la sua parentela con Gesù, per la sua educazione religiosa, per la sua fede in Gesù considerato come Messia glorioso, come Signor della gloria, Re e Giudice supremo, per il suo modo di concepire il cristianesimo come coronamento spirituale del giudaismo, e la morale evangelica come la legge perfetta della libertà riassunta nell'amore, per il suo attaccamento alle forme giudaiche della pietà, egli era atto ad attrarre alla fede i suoi connazionali; e d'altra parte, per la sua mente equilibrata, scevra di preconcetti, disposta a riconoscere l'opera della grazia nei pagani, all'infuori dei riti giudaici, egli è stato nella chiesa primitiva uno strumento provvidenziale di conciliazione tra i due elementi della cristianità.

Dopo aver servito il Signore durante più di un quarto di secolo, egli suggellò la sua testimonianza col martirio. Riunendo i dati forniti da Flavio Giuseppe nelle sue Antichità Giudaiche, da Eusebio, e da Egesippo (sceverati questi ultimi da numerose inesattezze e leggende) si può, ricostruire il fatto in questo modo: Il sommo sacerdote Anano figlio dell'Anna mentovato nei Vangeli, approfittando di un momento favorevole tra la morte di Festo e l'arrivo del suo successore Albino, convocò il sinedrio e citò a comparirvi Giacomo fratello di Gesù con alcuni altri, sotto l'accusa d'aver violato la legge. Gli fu richiesto di stornare il popolo dal credere nel Cristo, ma egli lo

confessò qual Figliuolo di Dio e Salvatore e fu condannato alla lapidazione. Secondo Egesippo sarebbe stato prima gettato giù dalla terrazza del tempio, poi lapidato e finito da un colpo assestatogli sul capo da un gualchieraio. La data della sua morte sarebbe l'anno 62 D.C.

Giacomo - I Lettori dell'Epistola

§2. I Lettori dell'Epistola

San Giacomo rivolge la sua lettera circolare «alle dodici tribù che son nella dispersione (Diaspora)». Si tratta dunque dei Giudei stabiliti all'estero (Cfr. Giovanni 7:35) per il loro commercio o per esercitarvi la loro arte. Vero è che l'appellativo "Dodici tribù" non rispondeva più, a quel tempo, ad una realtà storica, ma lo si conservava come pio ricordo di epoche più gloriose a significare l'insieme del popolo eletto. Così l'adopera Paolo Atti 26:7 e anche Gesù Matteo 19:28; Cfr. Apocalisse 21:12. Dei Giudei della Diaspora si parla spesso negli Atti e Paolo li trova non solo in Antiochia, ma nelle città dell'Asia Minore, della Macedonia e della Grecia, e fino in Roma. Le loro occupazioni li portavano a trasferirsi spesso da una città all'altra e, a mo' d'esempio, i coniugi Aquila e Priscilla oriundi del Ponto vanno da Roma a Corinto, da Corinto in Efeso e poi nuovamente a Roma. Si parla di una colonia giudaica in Babilonia e più di una città d'Egitto ne ospitava delle altre. Perchè erano Giudei i lettori, Giacomo parla di Abramo come di "nostro padre", chiama, sunagoghè la raunanza, parla dell'unzione d'olio ai malati come di un uso ben noto, della Scrittura come facente autorità, dei giuramenti come li facevano gli Ebrei ecc.

Ma se sono Giudei di nazionalità, i lettori sono cristiani di professione. Perciò l'autore che chiama se steso «servo di Dio e del Signor Gesù Cristo», si rivolge a loro come ai suoi «diletti fratelli» che sono stati al pari di lui «generati mediante la parola di verità» Giacomo 1:18-21, sui quali è stato «invocato il buon nome» di Cristo Giacomo 2:7 e li esorta a non unire dei riguardi personali alla «loro fede nel Signor nostro Gesù Cristo» Giacomo

2:1, ad «esser pazienti fino alla venuta del Signore» Giacomo 5:7 e se son malati a chiamar «gli anziani della chiesa» affinché preghino per loro. L'autore non potrebbe parlare a quel modo a dei lettori non cristiani; e, se scrivesse a dei Giudei estranei alla fede o, come ha pensato il Brückner, a un gruppo di Esseni residenti in Roma, il suo scritto sarebbe necessariamente diretto ad attrarli alla fede, mentre di, un tal fine la lettera non porta traccia. Quanto allo stato morale è spirituale dei destinatari dell'epistola, esso appare tutt'altro che soddisfacente. L'autore si astiene, da ogni rendimento di grazie e da ogni lode a loro riguardo; ma la cosa può spiegarsi col fatto ch'egli si rivolge a una vasta cerchia di lettori. Tuttavia, abbondano nella lettera gl'indizi che questi giudeo-cristiani hanno portato nella chiesa buon numero dei difetti inerenti allo spirito giudaico, per non dire al cuore umano.

Hanno la tendenza al formalismo che si contenta d'essere uditore e non facitore della Parola, che si appaga di pratiche religiose, cui non rispondono atti di carità e di santità. Si cullano in una fede intellettuale che non si manifesta nelle opere; hanno l'ambizione d'esser maestri degli altri senza aver la necessaria sapienza dall'alto e sono proclivi all'invidia ed alle contese alimentate in loro dall'amor del mondo, dei suoi piaceri e dei suoi beni fugaci. Nei loro piani mostrano di dimenticare Dio. I ricchi fra loro, che sono una minoranza, paiono esser, generalmente oppressori dei poveri ed egoisti; mentre nei fratelli poveri germogliano l'invidia, la maldicenza, i mormorii e l'impazienza nelle prove. Ad un tale stato cerca di portar rimedio il pio pastore di Gerusalemme colle sue esortazioni ora dolci ed ora severe, ma piene sempre di celeste sapienza. Egli, è vero, non nomina che poche volte il nome di Cristo; ma di lui scrisse con verità il Neander: «V'è tal vita, nella quale il nome di Cristo non tiene un largo posto; ma in cui la influenza di lui si fa sentir dovunque, vita, di cui non si ha una idea vera e di cui non si comprende tutto il valore se non la si considera nella sua relazione con Cristo. Per contro v'è tal vita ove quel Nome augusto torna spesso, ma senza ch'essa, appaia dipendere interamente da lui, senza ch'egli ne sia il principio ed il movente».

Giacomo - L'Epistola

3. L'Epistola

Quando e dove fu scritta?

Quel che abbiamo detto dell'Autore risolve implicitamente la questione del dove. Giacomo fu il pastore principale di Gerusalemme fino al suo martirio avvenuto secondo Flavio Giuseppe verso il 62 e non abbiamo alcuna prova ch'egli si sia mai allontanato da quella città. La sua lettera fu dunque scritta da Gerusalemme. Solo quando la si consideri partita dal centro del giudaismo acquista il suo pieno senso la soprascritta: "Alle dodici tribù che son nella dispersione," lontane cioè dal loro paese, dalla Palestina e più specialmente dalla città del tempio e delle memorie antiche.

Quanto alla data, lasciando stare le date posteriori al 62, che hanno come presupposto la inautenticità della lettera, la questione si restringe per noi a determinare se l'epistola sia stata scritta sulla fine della carriera di Giacomo ovvero un quindici o vent'anni prima come hanno sostenuto alcuni interpreti, i quali ne fanno in tal guisa il primo scritto del N.T. in ordine di data. Non possiamo accettar questa opinione perchè dalla lettera stessa risulta che il cristianesimo era oramai sparso largamente nel mondo fra le colonie giudaiche e quindi anche fra i pagani; il nome di "cristiani" doveva esser di già in uso secondo Giacomo 2:7 e l'autore rivolgendosi a dei giudeo-cristiani non aveva alcun bisogno di alludere alle raccomandazioni fatte nel 50 o 51 ai cristiani etnici. Non crediamo si possa asserire in modo certo che, i lettori avessero conoscenza della dottrina della giustificazione per fede e senza merito di opere legali, quale Paolo la predicava; ma è probabile, se la conoscevano, che i lettori avessero, nella loro rilassatezza morale, la tendenza a fraintenderla o ad abusarne. E anche questo ci condurrebbe a collocare là lettera nel 61 o 62 D. C.

Il contenuto dell'Epistola

In modo generico e da osservare che il contenuto della lettera è di natura non dottrinale, ma morale e pratico. Nel suo intenso affetto per i suoi fratelli, Giacomo si sforza, senza parole superflue, con esortazioni piene di sostanza cristiana, vestite di uno stile colorito, nervoso, efficace, di portare i membri delle comunità giudeo-cristiane ad essere conseguenti colla loro professione di fede nel Cristo, ad essere "uomini compiuti", che mettono in pratica «la legge perfetta della libertà».

Le materie toccate non sono connesse fra loro da uno stretto nesso logico. Eccone il nudo elenco in nove paragrafi:

§1. Giacomo 1:1-18. Dopo il saluto epistolare, esortazione relativa alle prove e alle tentazioni.

§2. Giacomo 1:19-27. Dell'udire e del mettere in pratica la Parola.

§3. Giacomo 2:1-13. Riguardi personali biasimevoli.

§4. Giacomo 2:14-26. Fede senza opere.

§5. Giacomo 3:1-18. Il governa della lingua e la sapienza celeste.

§6. Giacomo 4:1-12. Le passioni mondane fonte di guerre e contese.

§7. Giacomo 4:13-17. I piani presuntuosi.

§8. Giacomo 5:1-6. Il giudicio che attende i cattivi ricchi.

§9. Giacomo 5:7-20. Esortazioni varie.

L'Epistola nella Chiesa antica

Eusebio scrivendo verso il 314 (o secondo altri verso il 324) pone l'Epistola di Giacomo fra gli Antilegòmeni cioè fra i libri del N.T. che non erano stati da tutti accolti nel canone o raccolta ufficiale. Egli osserva però che sebbene alcuni la ritengano spuria e non molti fra gli antichi scrittori ne abbiano

fatto menzione, essa è «pubblicamente letta nella maggior parte delle chiese insieme colle altre cattoliche» (H.E. II, 23). Fra le circostanze che poterono ritardare il suo generale ricevimento nel canone van ricordate l'incertezza circa la persona dell'autore; il fatto ch'essa è rivolta ai soli giudeo-cristiani e infine l'apparente sua contradizione colla dottrina di Paolo sulla giustificazione.

Ciò nonostante, a giudizio di critici come lo Zahn, il Lightfoot, il Westcott, certe espressioni di Clemente Romano (c. l'anno 95) mostrano ch'egli conosceva la lettera. Chiama Abramo "amico di Dio", esorta a non esser "doppi d'animo", dice che "la carità copre moltitudine di peccati". Policarpo ha un passo notevole sui doveri dei presbiteri che devono esser «misericordiosi, convertire i traviati, visitar tutti gl'infermi, senza trascurar le vedove, gli orfani ed i poveri, astenersi dall'ira, dai riguardi personali, dai giudizii ingiusti» cose tutte che ricordano i precetti di Giacomo. Hermas verso il 150 è zeppo addirittura di espressioni che ricordano l'epistola di Giacomo. Parla a lungo della doppiezza d'animo dell'uomo che esita, della sapienza dall'alto, adopera la parola "sinagoga" per luogo di raunanza cristiana, le locuzioni "tenere a freno", "frutto della giustizia", "il nome del Signore invocato su loro" ecc. Zahn, Iülicher, B. Weiss, ammettono pure che Ireneo conoscesse l'epistola e, secondo antiche testimonianze, Clemente alessandrino avrebbe commentato tutte le epistole cattoliche. Di Origene abbondano le citazioni esplicite della lettera: «Se si parla di fede, ma di una fede che sia senza opere, essa è morta come l'abbiamo letto nell'epistola ben nota di Giacomo». Altrove dirà: "Giacomo scrive" o "come dice Giacomo apostolo". Egli considera l'epistola come "Scrittura". L'influenza dei dottori d'Alessandria contribuì a dar notorietà ed autorità canonica alla prima come ad alcune altre delle Epistole cattoliche. Infatti, la si trova in tutti i manoscritti del principio del 4° secolo, poi nel canone del concilio di Laodicea (c. 364), in quello di Cirillo di Gerusalemme, del 3° Concilio di Cartagine (397). Ma nella chiesa occidentale e in parte in quella siriaca, si andò più a rilento nel riceverla. Il canone di Muratori (fine del 2° secolo) non la contiene e neppure il codice mommseniano (c. 300). Ma sotto l'influenza di Agostino e di Gerolamo, intorno al 400, l'epistola è universalmente riconosciuta.

Letteratura esegetica

Senza parlare di autori più antichi, si posson mentovare fra i Commentatori dell'Epistola di Giacomo, Erasmo, Cornelius a Lapide, Calvino, Grozio, Mandon, Schneckenburger, Huther nella collez. Meyer nonchè Beyschlag e Dibelius, Neander, Wiesinger, Lange-Oosterzee, G. Hollmann (Die Schriften des N.T. 1907), J. E. Cellerier, F. Chapuis (étude biblique), Alford (Greek Test.), Mayor, J. H. Ropes (Crit. and Exeg. Commentary). In italiano oltre al Martini, al Curci, Alb. Revel (traduz. ed esposizione storico dogmatica).

1Pietro

1Pietro - L'autore dell'Epistola

§1. L'autore dell'Epistola

L'autore designa esplicitamente sé stesso 1Pietro 1:1 "Pietro apostolo di Gesù Cristo" e più oltre 1Pietro 5:1 si chiama "testimone delle sofferenze di Cristo" e accenna ripetutamente alla vita, alle sofferenze ed alla morte, alla risurrezione, all'ascensione di Cristo come uno che ha avuto il privilegio di vederlo mentre i lettori, pur non avendo veduto il Salvatore, credono in lui e l'amano. Cfr. 1Pietro 1:12; 2:21-24; 3:21-22. Parecchie sue esortazioni sono l'eco di quelle di Cristo. Cfr. 1Pietro 3:14; 4:14,12; 5:8. Il suo linguaggio è saturo di citazioni, di reminiscenze, di espressioni dell'A.T., il che ben si addice all'apostolo Pietro che si era occupato in modo speciale dell'evangelizzazione dei Giudei. Come gli uomini dell'epoca apostolica, egli considera vicina l'apparizione gloriosa del Signor Gesù. Il carattere pratico della lettera, il soffio di giuliva speranza che tutta la pervade, ben rispondono a quanto conosciamo dell'apostolo. Pietro. Le relazioni con Silvano e con Marco, quali risultano dalla chiusa dell'Epistola, sono

ugualmente affermate dagli Atti Atti 12:12; 15:22,27,32 e da Papia che chiama Marco l'interprete di Pietro.

L'antichità ecclesiastica è unanime nell'attestare la larga circolazione ed autorità dell'Epistola in mezzo alle chiese dei primi secoli, ed essa l'attribuisce esplicitamente all'apostolo Pietro. Eusebio al principio del IV secolo, dopo vagliata la letteratura anteriore, la pone colla 1Giovanni fra gli omologùmeni, cioè fra i libri del N.T. universalmente riconosciuti. E infatti, la II Ep. di Pietro allude alla Prima quando dice 2Pietro 3:1: "Diletti, questa è già, la seconda epistola che vi scrivo...", e, anche se non si ritenesse autentica la II Ep., sarebbe pur sempre questa una testimonianza antichissima all'autenticità della Prima.

Nella prima metà del II secolo, parecchi fra gli scrittori cristiani, senza nominare espressamente l'autore, mostrano di aver familiarità colla 1Pietro di cui adoperano espressioni e frasi caratteristiche. Così l'Ep. di Barnaba: "Il Signore giudicherà il mondo senza riguardi personali e ciascuno riceverà secondo quel che ha fatto". Cfr. con 1Pietro 1:17. Così Clemente romano intorno al 95 usa l'espressione: "la sua maravigliosa luce" di 1Pietro 2:9 e cita il proverbio: "la carità copre moltitudine di peccati" come sta in 1Pietro a

4:8. Secondo Eusebio, Papia (C

125) s'era servito di testimonianze tratte

dalla 1Pietro. Hermas, intorno al 140, dice: "voi che soffrite a cagion del Nome, dovete glorificare Iddio". Cfr. 1Pietro 4:15. Scrive pure che "gli apostoli e i dottori che hanno predicato il nome del Figliuol di Dio, dopo essersi addormentati, hanno nella potenza e nella fede del Figliuol di Dio predicato anche a coloro che si erano addormentati prima di loro", alludendo manifestamente a 1Pietro 3:19; 4:6. Policarpo che mori martire nel 155, cita ripetutamente nella sua lettera ai Filippesi, la 1Pietro senza però nominarne l'autore; ma si osserva che, salvo casi eccezionali, è questa la sua abitudine. Se l'avesse ritenuta, spuria, come spiegare ch'ei la sapesse quasi tutta a mente, e che il suo discepolo Ireneo la citi come di Pietro?

Nella seconda metà del II secolo l'Epistola è inclusa nel canone della versione siriaca e dell'Itala sebbene manchi nel catalogo, d'altronde incompleto, detto di Muratori.

Sulla fine del II secolo e nella prima parte del III abbondano le citazioni esplicite dell'Epistola. Così Ireneo: "E Pietro dice nella sua epistola: Il quale benché non l'abbiate veduto, voi amate, ecc." 1Pietro 1:8. Cita pure 1Pietro 2:16. Clemente alessandrino cita spesso l'epistola, con formule corre questa: "Il mirabile Pietro dice: Diletti, vi esorto come stranieri ecc." 1Pietro 2:11 o: "E Pietro nell'epistola dice lo stesso" o ancora: "Pietro dice: Non trovate strano...". Clemente commentò la 1Pietro nelle sue "Ipotiposi". Tertulliano morto poco dopo il 220 si esprime così: "Petrus quidem ad Ponticos" e cita 1Pietro 2:20. "De modestia quidem... aperta praescriptio est etiam Petri" e si riferisce a 1Pietro 3:3. Origene dice: "Pietro... ci ha lasciato una epistola universalmente riconosciuta, e sia pure anche una seconda...". La cita ripetutamente dicendo: "In Pietro, nell'epistola cattolica, si legge..." Riassumendo si può affermare che la 1Pietro è fra gli scritti del N.T. in favor dei quali si posson citare le più antiche, le più esplicite e numerose testimonianze.

L'autenticità dell'Epistola è stata, contestata dalla Scuola di Tubinga che, partendo dal suo preconcetto di un antagonismo fondamentale fra Pietro e Paolo e non trovandone traccia alcuna in questa lettera, ne dedusse la conclusione, non già che la teoria Tubingiana fosse errata, ma che la lettera era inautentica e la definì uno scritto unionista destinato a stabilire o a dar come compiuta l'unione delle due tendenze. L'autore sarebbe stato un cristiano eminente, familiare colla dottrina di Paolo, nativo forse dell'Asia Minore e che avrebbe scritto tra l'83 e il 93 od anche più tardi, giacchè le opinioni dei critici diversificano all'infinito. Non è il caso, per noi, di esaminare a lungo le obiezioni mosse all'autenticità dell'Epistola, poiché si tratta, per lo più, di affermazioni subiettive, senza fondamento di fatti positivi. Basterà, per darne un'idea, citare qualche esempio tratto sia dal campo letterario, sia da quello storico e dottrinale.

L'epistola, si dice, è scritta in greco corretto, vi abbondano le citazioni della LXX; dunque non può esserne autore un antico pescatore galileo qual'era Pietro, l'apostolo dei Giudeo-cristiani. Ma la Galilea conosceva il greco, aveva delle città greche ed era via commerciale. In Gerusalemme stessa eran parecchie le sinagoghe degli Ellenisti ove si leggeva la, Bibbia greca. Poi Pietro ha fatto molti viaggi. (Cfr. 1Corinzi 9:5; oltre gli Atti) spingendosi fino a Giaffa, a Cesarea, ad Antiochia, ecc. Si vorrà forse far credere che non abbia potuto imparare il greco abbastanza da potersene servire? D'altronde, chi gl'impediva di far rivedere, per la forma, le sue lettere da persone più pratiche della lingua? Aveva presso di se Silvano e Marco che la tradizione chiama perfino il suo interprete. Giuseppe Flavio afferma essersi giovato di letterati greci per correggere il suo stile.

La lettera, si dice ancora, parla di persecuzioni; quindi ha dovuto essere scritta ai tempi di Domiziano (81-96) o di Traiano (98-117) o di Adriano (117-138), cioè in tempi posteriori alla morte di Pietro. Ma non tutte le sofferenze sopportate per la fede sono, cagionate da editti o disposizioni dell'autorità e l'epistola non contiene alcuna allusione a una persecuzione ufficiale.

Dal lato dottrinale, si obietta la mancanza di originalità della lettera o quel che si chiama il suo paulinismo, pur ammettendo che "il paulinismo dell'autore ha perduto la sua profondità mistica, il suo acume polemico e la sua precisione dommatica", cioè, come osserva il Weiss B., non è più paulinismo. Fatto sta, che la pretesa opposizione dottrinale fra Paolo e Pietro è una leggenda ormai sfatata, fondata sopra una esegesi arbitraria dell'Ep. ai Galati, ma non risultante né dai discorsi né dagli atti di Pietro il quale proclama, come Paolo, che non v'è salvezza fuor di Cristo, che giudei e pagani son salvati mediante la fede in lui senza obbligo di osservanze giudaiche, di Pietro che in Gerusalemme, nel 50, dà la mano di associazione a Paolo: D'altra parte, pur esprimendo la stessa verità cristiana degli altri scritti del N.T., l'epistola porta uno stampo suo particolare né mancano taluni concetti speciali. Vi domina la nota, della speranza, Cristo è l'adempimento della profezia, è andato a predicare agli spiriti dei defunti; le

acque del diluvio sono un tipo del battesimo; le persecuzioni sono l'inizio del giudicio di Dio; chi soffre per l'evangelo conferma la sua rottura, col peccato; il modo migliore di disarmare i nemici dei cristiani e di guadagnare gli estranei è una condotta irreprensibile nella chiesa, nella famiglia e nel mondo. La lettera non è dommatica, né notevole per l'ordine logico dei pensieri, ma essenzialmente pratica qual'era da aspettarsi dall'apostolo Pietro. Anche dal lato linguistico l'epistola ha un suo carattere proprio, poiché vi si contano una sessantina di parole che non occorrono altrove nel N.T.

Si fa presto a dire che un cristiano eminente, discepolo di Paolo, nell'intento di confortare i suoi fratelli minacciati dalla persecuzione domiziana, e non avendo la necessaria autorità morale, ha posto le sue esortazioni sotto il nome di Pietro nella persuasione che l'apostolo, se vivo, avrebbe scritto in quel modo; si fa presto a scusare un simile procedere col dire che allora era frequente e non scandalizzava come farebbe oggi (Gunkel H.); ogni retta coscienza ed ogni mente non offuscata, da teorie ipercritiche, sarà sempre incapace di conciliare l'alto sentire cristiano che si rivela in questa lettera col trucco volgare e disonesto di cui si sarebbe servito il suo presunto autore. E come spiegare che la lettera di un falsario scritta 20 o 30 o 50 od anche 70 anni dopo la morte di Pietro ad un dato gruppo di chiese, sia stata accolta come autentica da quelle chiese, anzi dall'intera cristianità.

1Pietro - I lettori dell'Epistola

§2. I lettori dell'Epistola

L'Epistola è rivolta "agli eletti che vivono come forestieri nella dispersione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell'Asia e della Bitinia". I destinatarî sono dunque i cristiani raggruppati in comunità più o meno numerose sparse nelle varie regioni dell'Asia Minore: nel Ponto a Nord-Est, nella Galazia sull'altipiano centrale, nella Cappadocia all'Est, nell'Asia proconsolare ad Ovest, e nella Bitinia a Nord-Ovest.

Si legge in Atti 2:9-10 che fra coloro che udirono l'Evangelo in Gerusalemme dopo l'effusione dello Spirito, c'erano delle persone venute dalla Cappadocia, dal Ponto, dall'Asia, dalla Frigia e dalla Panfilia. Quelli che credettero in Cristo dovettero essere i primi a recar la Buona Novella nei luoghi ove abitavano. "Molto lavoro cristiano ha dovuto compiersi in quelle regioni per opera di oscuri missionari di cui la storia non ha conservato memoria. In Roma il cristianesimo fu introdotto, prima del 58, da credenti ignoti e non v'è ragione di credere che non abbia potuto metter radici molto presto nel Ponto" (Bigg). Sappiamo dagli Atti che le chiese della Pisidia, della Licaonia, di parte della Galazia e della Frigia, di Efeso nell'Asia proc. sono state fondate e consolidate, nel corso dei suoi viaggi missionari, da Paolo coll'aiuto dei suoi collaboratori Barnaba, Sila e Timoteo. Dell'opera missionaria primitiva nella Bitinia non abbiamo notizia. Ad ogni modo, solo una piccola parte dell'Asia Minore era stata campo di lavoro dell'apostolo dei Gentili.

Com'erano composte le chiese alle quali è rivolta l'epistola? Erano esse giudeo-cristiane, ovvero etnico-cristiane, ovvero miste di credenti d'origine giudaica e d'origine pagana? Queste tre opinioni hanno avuto ed, hanno tuttora dei sostenitori. Coloro che vedono nei lettori dei giudeo-cristiani fanno valere le seguenti ragioni:

1) Il termine Diaspora (dispersione) ha senso tecnico e non può applicarsi che ai Giudei dispersi fuor di Palestina Giovanni 7:35

2) L'epistola è piena di citazioni dell'A.T., di allusioni a fatti, a espressioni, a istituzioni, che non potevano esser comprese se non da persone pratiche dell'A.T.

3) Pietro si era consacrato specialmente all'evangelizzazione dei Giudei. Come mai sarebbe egli entrato nel campo etnico di Paolo senza nemmeno nominarlo?

4) Pietro saluta da parte della chiesa giudeo-cristiana di Babilonia e ciò si spiega più facilmente se i lettori sono Giudei d'origine.

Coloro che ritengono la lettera diretta principalmente a dei credenti d'origine pagana, si fondano sulle ragioni seguenti:

1) I termini di "forestieri", di "dispersione" si possono intendere in senso non letterale e geografico, ma in senso traslato e spirituale come risulta da 1Pietro 1:17: "il tempo del vostro pellegrinaggio", 1Pietro 2:11: "vi esorto come stranieri e pellegrini"; Cfr. Ebrei 11:13

2) I lettori sono descritti nell'epistola in un modo che difficilmente può applicarsi a degli ex-Giudei. Prima della loro conversione, erano "nell'ignoranza" 1Pietro 1:14; "nelle tenebre" 1Pietro 2:9; "non eran popolo"; le donne credenti "son divenute figlie di Sara" 1Pietro 2:10; 3:6; essi facevano "la volontà dei Gentili "camminando in ogni sorta di disordini "e nelle nefande idolatrie", ond'è che i loro antichi compagni "trovano strano ch'essi non corrano più con loro agli stessi eccessi" 1Pietro 4:3-5

La maggior parte degli studiosi considera le chiese cui è rivolta la lettera come miste di elementi giudaici e pagani. Il carattere misto è d'altronde ammesso, in qualche misura, da tutti. Esso risponde a quello della popolazione ch'era, però, in prevalenza pagana. Risponde al carattere misto delle chiese che ci sono note dagli Atti e dalle Epistole di Paolo. Intorno ad un primo nucleo di credenti giudeo-cristiani si raggruppavano gli aderenti più o meno strettamente al giudaismo, e quindi gli altri pagani che abbracciavano il cristianesimo. In talune comunità poteva prevalere l'elemento giudeo-cristiano, in altre l'elemento etnico-cristiano, rima non risulta che esistesse tra questi alcun dissidio, né che i giudaizzanti fanatici combattuti da Paolo nell'Ep. ai Galati fossero riusciti a turbare altre chiese. Le comunità erano sotto la direzione di presbiteri o pastori e poiché erano disseminate qua e là, Pietro che applica volentieri all'Israele secondo lo spirito quello che l'A.T. diceva dell'Israele antico 1Pietro 2:9-10, applica alle

chiese disperse il termine Diaspora che si soleva usare dei Giudei. Le citazioni fatte dall'A.T.: nell'Epistola non provano che i lettori fossero dei giudeo-cristiani, giacché anche gli etnici leggevano la Bibbia greca e S. Paolo cita largamente l'A.T. nelle Epp. ai Corinzi, ai Romani, ai Galati ecc.

Quanto allo stato in cui si trovavano le chiese, la sola cosa che risulta certa da parecchi passi dell'Epistola è ch'esse erano esposte alle calunnie e ai mali trattamenti dei non cristiani (Cfr. 1Pietro 1:6; 3:14-17; 4:1,12-19; 5:6-9). Tuttavia non c'è alcuna allusione a editti dell'autorità pagana contro i cristiani, né si parla di processi intentati, di carcerazioni, di confische di beni o di martirio, sebbene l'orizzonte appaia oscuro per quelli che portano il nome di cristiani e aderiscono a una religio illicita, a una superstitio. Non era d'altronde necessario un editto imperiale perché i discepoli di Cristo fossero mal visti, calunniati e fatti soffrire. Dagli Atti si vede quanto facilmente i pregiudizi e le passioni popolari potevano essere eccitati contro i cristiani. Basti ricordare quel ch'era succeduto a Paolo in Antiochia di Pisidia, in Iconio, in Listra, in Efeso Atti 14,19, e la parola dell'Ep. ai Galati 3:10: "Avete voi sofferto tante cose invano"? Uno degli scopi principali della lettera è di confortare i fedeli onde sostengano con fede e con coraggio le prove alle quali sono sottoposti.

1Pietro - L'Epistola

§3. L'Epistola

1) Suo contenuto

Il contenuto generale dell'Epistola si può definire una esortazione rivolta ai cristiani ad onorare colla loro condotta l'evangelo da essi ricevuto senza lasciarsi smuovere dalle persecuzioni degli avversari. L'autore stesso ne indica il carattere 1Pietro 5:12. Non abbiamo qui, come nelle epistole paoline, un insegnamento dottrinale formante la prima parte, poi un

insegnamento morale basato sulla dottrina. Nello scritto di Pietro dottrina e pratica sono costantemente unite. La vita cristiana vi è considerata sotto tre aspetti successivi, il che spiega come tornino più d'una volta le stesse esortazioni. Lo schema qui appresso può dare un'idea sufficiente del contenuto dell'Epistola.

Il saluto epistolare: 1Pietro 1:1-2.

PRIMA PARTE: 1Pietro 1:3-2:10: La interna vita nuova derivante dalla Rigenerazione.

Sezione I: 1Pietro 1:3-12. Lode a Dio per aver rigenerati i credenti ad una vita di speranza nella gloriosa salvazione.

Sezione II: 1Pietro 1:13-21. Tre doveri derivanti dall'essere stati da Dio rigenerati ad una vita di speranza.

Sezione III: 1Pietro 1:22-2:3. Due doveri derivanti dall'essere stati rigenerati per mezzo della Parola di Dio.

Sezione IV: 1Pietro 2:4-10. Privilegi e doveri derivanti dall'essere uniti per fede al Cristo vivente.

SECONDA PARTE: 1Pietro 2:11-4:6: La condotta dei cristiani di fronte al mondo.

Sezione I: 1Pietro 2:11-12. I cristiani, quali pellegrini nel mondo, devono astenersi dalle concupiscenze carnali ed onorar l'evangelo davanti ai pagani colla loro buona condotta.

Sezione II: 1Pietro 2:13-17. Il dovere dei cristiani verso le autorità.

Sezione III: 1Pietro 2:18-25. Il doveri dei domestici.

Sezione IV: 1Pietro 3:1-7. Doveri dei coniugi cristiani.

Sezione V: 1Pietro 3:8-13. Il dovere verso i fratelli e in genere verso il prossimo.

Sezione VI: 1Pietro 3:14-4:6. La condotta da tenere in caso di persecuzioni, con riferenza speciale alle sofferenze di Cristo.

TERZA PARTE: 1Pietro 4:7-5:11. I doveri dei cristiani di fronte all'avvicinarsi della fine.

Sezione I: 1Pietro 4:1-11. I doveri dei cristiani come membri della chiesa.

Sezione II: 1Pietro 4:12-19. Come debbono i cristiani considerar le sofferenze loro inflitte per il Nome di Cristo.

Sezione III: 1Pietro 5:1-4. Come i presbiteri devono pascere le chiese.

Sezione IV: 1Pietro 5:5-11. Come tutti devono essere umili e vigilanti.

Chiusa della lettera: 1Pietro 5:12-14.

La vita cristiana è così considerata nella Prima Parte alla luce delle grazie già, ricevute dai lettori nel passato nella Seconda Parte alla luce delle relazioni presenti col mondo che li circonda; e nella Terza Parte alla luce dell'avvenire che sta per effettuarsi.

2) Luogo e Data di composizione

Il luogo ove fu scritta la lettera è indicato in 1Pietro 5:13: "La coeletta che è in Babilonia vi saluta". C'era una località di quel nome in Egitto, ma era una fortezza o un campo trincerato che serviva di residenza a un terzo della

guarnigione romana dell'Egitto. Non è in un luogo simile che si ha da cercar l'apostolo dei Giudei. Buon numero d'interpreti antichi e moderni hanno veduto nella Babilonia di 1Pietro 5:13 il nome allegorico di Roma. Abbiamo accennato, nelle note a quel passo, le ragioni che militano contro una tale supposizione e che stanno in favore del senso usuale e piano di quella designazione geografia. Babilonia era allora un centro importante del giudaismo. Fra i Giudei presenti in Gerusalemme alla Pentecoste sono mentovati dei Parti, dei Medi, degli Elamiti, degli abitanti della Mesopotamia Atti 2:9. I convertiti fra questi, tornati nei loro paesi, hanno dovuto essere i primi banditori del Vangelo di Cristo in quelle regioni orientali; e Pietro che visitava per consolidarle le giovani chiese giudeocristiane, ha dovuto preoccuparsi anche di quelle sorte in seno ai forti nuclei dei Giudei di Babilonia e delle regioni vicine. Di là, non potendosi recare personalmente in Asia Minore, egli scrive alle chiese ivi disperse, una lettera che Silvano recherà loro, completandola colle sue esortazioni. L'itinerario che Silvano intende seguire è indicato probabilmente dall'ordine in cui sono nominate le provincie o regioni in 1Pietro 1:1 e si è osservato che quest'ordine segue la direzione generale Est-Ovest; non quella che sarebbe da aspettarsi qualora la lettera fosse partita da Roma.

Quanto alla data dell'Epistola, non è il caso, per noi, di discutere sulle date assegnatele da coloro che la ritengono inautentica; noteremo soltanto le enormi divergenze di opinione fra i critici che attribuiscono l'Epistola ad un falsario. Gli uni la pongono verso il 140; altri intorno al 130; altri verso il 112; altri intorno al 100, o ancora sotto Domiziano (81-96). Entro i limiti della carriera di Pietro, non abbiamo elementi sufficienti a fissare una data precisa; ma dobbiamo tener conto di molti elementi che accennano concordemente ad una data approssimativa. Le regioni dell'Asia Minore sono state percorse da vari evangelisti 1Pietro 1:12 che vi hanno fondato molte chiese. Queste chiese sono dirette da anziani e presbiteri scelti generalmente fra i più vecchi fratelli e non esiste ancora l'episcopato nel senso speciale che riveste più tardi; il cristianesimo è sparso un po' dovunque nel mondo 1Pietro 5:9, il nome di "cristiano" è diventato comune 1Pietro 4:16; si è sviluppato il malanimo dei pagani contro i cristiani e si sfoga in calunnie e mali trattamenti; ma non è questione ancora di

persecuzione delle autorità, né di carcere, né di morte; la venuta del Signore si ritiene tuttora vicina; non si parla ancora di falsi dottori. Marco e Silvano, sono presso all'apostolo in Babilonia, quindi la lettera non fu scritta quando Marco si trovava con Paolo in Roma verso la fine della prima cattività dell'autore dell'Ep. ai Colossesi Colossesi 4:10. Nè si può presumere scritta quando Paolo si trovava ancora nell'Asia proconsolare. Questi indizi accennano agli anni tra il 63 e il 67 come alla data più probabile. È l'epoca della persecuzione neroniana (anno 64) la quale, però, non si estese all'impero e risponde alla tarda età dell'apostolo che fu quella in cui, secondo 2Pietro 1:14, egli scrisse le lettere che abbiamo di lui.

3) Letteratura esegetica

Meritano d'esser mentovati i Commentari di Calvino, l'esposizione della 1Pietro di Lutero; i lavori esegetici di Gerhard, di Steiger, di De Wette, di Huther (Meyer Krit. exeg. Comm.), di Wiesinger, di B. Weiss, di Fronmüller (collez. Lange), di Schlatter, (Erläutorungen), di Dächsel, di Herm. Gunkel (Die Schriften d. N.T.). Così pure: Leighton tradotto in ital. col titolo: 'Il vero patrimonio di S. Pietro', Alford (Greek T.), Ch. Bigg (nel Crit. & Exeg. Comm.); L. Bonnet (Nouv. T.); Reuss (La Bible).

2Pietro

2Pietro - L'autore

§1. L'autore

a

La questione dell'Autore dell'Epistola nota come la II

di Pietro, è di gran

lunga la più importante che si presenti oggidì riguardo a questo breve scritto. Non è questione nuova, giacchè fu agitata nei primi secoli della Chiesa, allorchè si trattava di accogliere l'epistola nel Canone del Nuovo Test. o di

escluderla; riapparve ai tempi della Riforma; e, ai nostri giorni, le opinioni degli studiosi del Nuovo T. sono più che mai divise su questo argomento, il quale, d'altronde, non ha che un'importanza secondaria per la dottrina cristiana.

Che l'autore dell'Epistola professi di essere l'apostolo Pietro non fa dubbio alcuno. Egri chiama se stesso Simon Pietro servo ed apostolo di Gesù Cristo 2Pietro 1:1; dichiara d'essere stato testimone della vita di Cristo e in ispecie della Trasfigurazione 2Pietro 2:16,18; si da come il discepolo al quale Gesù annunziò che, divenuto vecchio, egli morrebbe martire (2Pietro 1:14 confr. con Giovanni 21:18-19). Egli allude, inoltre, alla prima lettera da lui scritta 2Pietro 3:1; si mette alla pari coll'apostolo Paolo di cui commenda le lettere 2Pietro 3:15, e parla coll'autorità di chi ha lo Spirito di profezia preannunziando la venuta degli schernitori 2Pietro 3:2 e descrivendo la fine del mondo per mezzo del fuoco. Se dunque l'Epistola non è di Pietro, è l'opera d'un falsario e non ha diritto ad un posto nel canone del Nuovo Testamento.

Le ragioni sulle quali si fondano i critici che la ritengono apocrifa sono di due ordini: esterne ed interne.

A. Ragioni esterne

L'Epistola, dicono quelli che ne impugnano l'autenticità, non è nota al secondo secolo; i primi scrittori ecclesiastici che ne fanno parola riconoscono ch'essa era contestata; soltanto nel quarto e nel quinto secolo cessa ogni contestazione sull'origine apostolica dello scritto.

Riassumiamo brevemente i fatti più importanti.

Nel quarto secolo la si trova inclusa nei canoni di Atanasio, di Cirillo di Gerusalemme, di Epifanio, e in quello del Concilio di Laodicea (364). Però Didimo, in Egitto, ne contesta ancora l'autenticità, come pure Anfilochio vescovo d'Iconio (380) quando dice: «Delle epistole cattoliche, gli uni dicono che bisogna riceverne sette, altri soltanto tre». Girolamo, pur ammettendone l'autenticità per proprio conto, dice: «Pietro scrisse due

epistole che sono chiamate canoniche; la seconda non è riconosciuta dai più come sua, a motivo della diversità di stile colla prima». Intorno al 325 la troviamo nei codici Vaticano e Sinaitico. Eusebio, però, la colloca fra gli a

scritti contestati (antilegòmeni), insieme nell'Ep. di Giacomo, di Giuda, II a

III

e

di Giovanni. Metodio vescovo d'Olimpo, morto nel 311, nel trattato

della Risurrezione, dice: «L'apostolo Pietro ha scritto che presso il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno». Cfr. 2Pietro 3:8. Parla pure della purificazione del mondo mediante il fuoco con espressioni che ricordano 2Pietro 3:9-13

Nel terzo secolo, Origene (m. nel 253), in un passo del Comm. sopra S. Giovanni ove mostra quanto poco scrissero gli apostoli, si esprime così: «Pietro ha lasciato una sola epistola riconosciuta, e sia pure anche una seconda, giacchè è oggetto di dubbio». Egli però cita sei volte l'epistola nelle sue opere e vi allude in più d'un luogo. Il suo maestro Clemente alessandrino (m. 213), secondo la testimonianza d'Eusebio, fece delle esposizioni di tutte le scritture canoniche, «non tralasciando le antilegòmene, voglio dire l'ep. di Giuda e le altre epistole cattoliche...». Firmiliano vescovo di Cesarea in Cappadocia (m. 270) in una lettera a Cipriano parla dei «beati apostoli Pietro e Paolo i quali nelle loro lettere hanno mostrato la loro esecrazione verso gli eretici e ci hanno ammoniti ad evitarli». Cipriano doveva dunque come il suo corrispondente aver conoscenza della II Pietro. Ippolito morto verso il 225 quando dice che il Signore «ritarda il momento non volendo trarre il giudizio sul mondo», ricorda manifestamente 2Pietro 3:9. Le versioni egiziane che si fanno risalire al 3° secolo la contengono; mentre manca nella siriaca Peshito insieme con Giuda e II e III Giovanni.

Nel secondo secolo il canone detto di Muratori non mentova la II" di Pietro, ma siccome non parla neppure della prima ed è mutilato, non c'è da trarne un argomentò nè in un senso nè nell'altro. Citazioni esplicite dell'epistola non se ne sono scoperte negli scritti del secondo secolo a noi pervenuti; ma sono parecchie le espressioni che paiono reminiscenze della lettera o allusioni a qualche parte di essa. S'incontra molte volte la frase: «Il giorno del Signore è come mille anni» che ricorda 2Pietro 3:8. Melitone (circa 160) dice nella sua apologia: «Ci fu un tempo un diluvio di vento... Poi un'altra

volta un diluvio d'acqua e perirono tutti gli uomini e le bestie... mentre i giusti furon salvati in un'arca di legno per ordine di Dio. E così nell'ultimo tempo vi sarà un diluvio di fuoco e arderà la terra coi suoi monti, arderanno gli uomini colle immagini fatte da loro... mentre i giusti saranno salvati dall'ira...» Si dice che qualcosa di simile si trova negli Oracoli Sibillini, ma è possibile che anche gli Oracoli abbiano derivata questa nozione estranea al giudaismo ed anche al N.T. dalla II Pietro. Espressioni simili a quelle dell'Epistola s'incontrano in Giustino, in Hermas, in Clemente romano; ma non tali da costituire una citazione vera e propria. Per contro, ci pare certo che le parole di Giuda 18, sono una citazione, per quanto abbreviata, della profezia apostolica contenuta 2Pietro 3:3; talchè l'intera epistola di Giuda la cui parentela con 2Pietro 2 è riconosciuta da tutti, è il più antico documento in favore dell'autorità apostolica e quindi dell'autenticità della seconda Ep. di Pietro.

In complesso, se questa lettera è lungi dal posseder quell'abbondanza e quella precisione di testimonianze favorevoli che la prima di Pietro può vantare nell'antichità, essa non ne difetta però del tutto, e la relativa scarsità delle citazioni si spiega col fatto ch'essa è più breve e assai meno variata e ricca dal lato dottrinale e morale; ch'essa è diretta contro una categoria speciale di eretici e offre perciò meno frequenti occasioni d'essere ricordata; ch'essa nella sua parte centrale è quasi identica a quella di Giuda, di guisa che chi adduce l'una in prova adduce implicitamente anche l'altra.

B. Ragioni interne

Sulle ragioni interne si fondano principalmente i critici per oppugnare l'autenticità dell'epistola. Fra queste mentoviamo:

1. L'asserita dipendenza della II Pietro dall'Ep. di Giuda

Il confronto tra questi due scritti, specialmente tra il C. II del primo e la parte centrale del secondo, conduce ad ammettere non solo una rassomiglianza, ma una dipendenza non servile dell'uno dall'altro. La

maggior parte degli oppositori dell'autenticità ed una parte di quelli, che la difendono, si pronunziano in favore della priorità di Giuda ed i primi ne traggono un argomento in favore della loro tesi. Se la II Pietro ha derivato il C. II da Giuda e se Giuda scrisse tardi nella seconda metà del I° secolo, Pietro non poteva più essere allora in vita e quindi l'epistola non è di lui. Non possiamo accettare l'opinione della priorità dell'Ep. di Giuda per varie ragioni.

a) Giuda richiama ripetutamente i suoi lettori alla dottrina trasmessa, alle profezie: pronunziate «dagli apostoli del Signor N. G. C.» Giuda 3,17; è quindi naturale che tolga ad imprestito da una epistola apostolica letta di fresco, degli argomenti e degli esempi che fanno al suo caso. Sarebbe assai meno probabile che un apostolo introducesse in una sua lettera una pagina di uno scrittore meno autorevole. Pietro si appella alle Scritture dell'A.T., alle parole del Signore stesso ed alle Epistole dell'apostolo Paolo. Cfr. 2Pietro 1:14-21; 3:2,15-16

b) Giuda scrive manifestamente dopo la dipartenza della maggior parte degli apostoli, cioè in epoca posteriore a quella di Pietro. Quel che Pietro annunzia; Giuda lo vede di già largamente realizzato. «Ci saranno, dice Pietro, falsi dottori che introdurranno di soppiatto eresie di perdizione» 2Pietro 2:1; «Si sono intrusi fra noi, dice Giuda, certi uomini... empi che volgono in dissolutezza la grazia...».

c) Giuda 17-18 cita testualmente abbreviandola, la parola che si legge 2Pietro 3:3: «Negli ultimi giorni (Giuda: sulla fine dei tempi) verranno degli schernitori coi loro scherni (Giuda: 'vi saranno degli schernitori' la parola εμπαικται non s'incontra altrove nel N.T.) i quali si condurranno secondo le loro concupiscenze...» - e la cita come predizione apostolica.

Ammessa la priorità della seconda di Pietro (come la sostengono Michaelis, Storr, Thiersch, Hoffmann, Stier, Dietlein, Burger, Spitta, Zahn, Bonnet, Mansel, Plummer, Bigg. ecc.) l'Ep. di Giuda diventa uno dei validi argomenti in favore dell'autenticità della II Pie.

2. Come seconda ragione interna addotta conto l'autenticità, mentoviamo gli asseriti indizi di epoca posteriore contenuti nella Epistola e sfuggiti involontariamente al falsario nonostante le precauzioni prese per identificarsi con Pietro.

In 2Pietro 1:14 allude ad una profezia di Cristo ricordata nel Vangelo di Giovanni 21:18-19 che fu scritto sulla fine del primo secolo. Dunque, si dice, l'Epistola è posteriore. Il Vangelo riferisce un fatto relativo a Pietro; ma questi non avea bisogno di leggere il Vangelo per ricordare una profezia che lo riguardava personalmente e che si riferiva alla sua vecchiaia ed alla sua morte.

In 2Pietro 1:18 chiama il monte della trasfigurazione «il monte santo», il che indicherebbe un'epoca in cui già si traeva in pellegrinaggio verso un monte della Galilea. Ma l'espressione è naturale nella bocca del vecchio apostolo che già, su quel monte santificato dalla manifestazione della gloria divina Esodo 3:5, voleva far tre tende. Essa indica soltanto che il fatto era ben noto ai cristiani quando scriveva.

In 2Pietro 3:15-16 l'autore parla delle Epistole di Paolo in modo da far supporre che siano tutte scritte e che circolino nelle chiese sotto forma di raccolta, avente autorità pari alle Scritture dell'A.T., il che ci porta in un'epoca posteriore alla morte di Pietro. Va notato che nella vecchiaia di Pietro, le lettere di Paolo dovevano essere, infatti, tutte o quasi tutte scritte; che di raccolta non è questione in quei vers., ma solo della conoscenza di una o più lettere scritte da Paolo ai cristiani cui è rivolta la II Pie., ed eventualmente di altre lettere dello stesso apostolo circolanti nelle chiese. Ora ad una circolazione delle lettere apostoliche troviamo un'allusione Colossesi 4:16; 1Tessalonicesi 5:27. Cfr. Apocalisse 1:3. Nulla di più naturale che le chiese desiderassero, fin dal principio, conoscere gli scritti degli apostoli diretti ad una comunità, per esserne edificate. L'autore d'altronde parla di Paolo come di un suo caro fratello tuttora vivente o da poco messo a morte.

In 2Pietro 3:4 son riferite le parole degli schernitori: «Dacchè i padri si sono addormentati tutte le cose continuano nel medesimo stato...» Questo sembra

implicare, si dice, che son, trascorse alcune generazioni cristiane quando l'autore scrive. Anzitutto, bisogna non dimenticare che si tratta di una predizione: 'e diranno:' quindi gli schernitori delle future generazioni potranno benissimo usare quel linguaggio; ma anche la seconda generazione cristiana, in mezzo alla quale compariscono i primi schernitori, poteva chiamar padri gli uomini della prima generazione. Si confr. Atti 21:16 ove si parla di un «antico discepolo»; Ebrei 10:32 ove si ricordano ai credenti «i giorni di prima». Cfr. Filippesi 4:15 ecc.

I falsi dottori qui denunziati, dicono ancora i critici, sono degli gnostici; «nell'epistola si respira un'atmosfera gnostica», si sente che siam nel secondo secolo ch'è quello in cui fiorirono le principali sette gnostiche. Ora, una delle dottrine fondamentali degli gnostici era il dualismo che poneva il bene nella conoscenza (gnosi) intellettuale, e il male nella materia; ond'è che per combatterlo gli uni sottoponevano il corpo all'ascetismo e gli altri lo disonoravano colla dissolutezza. Di questa dottrina non v'è traccia nell'Epistola, come non v'è traccia delle fantastiche emanazioni degli eoni, del demiurgo autore dell'Antico patto, ecc. La dissolutezza procede dall'abuso della libertà cristiana 2Pietro 2:19 combattuto anche da Paolo, e dall'aver rinnegato il Signore che li ha riscattati 2Pietro 2:1. Per trovare una cosiffatta apostasia non occorre scendere nel secondo secolo.

3. La terza ragione interna addotta contro l'autenticità, è la diversità di stile a

e di concetti tra la II

a

e la I

Epistola di Pietro. La diversità dello stile è

mentovata già da Girolamo, 'propter stili cum priore dissonantiam'. Non è però il caso di esagerare come fa chi dice lo stile della II Pie. 'artificiale, rettorico, ambizioso, povero di vocaboli ecc.' (Chase, Abbott). Il vocabolario è in parte diverso per il fatto della diversità degli argomenti trattati. Nella prima non era questione di falsi dottori. Tuttavia il Weiss B. enumera non meno di trentotto espressioni caratteristiche comuni alle due epistole e si tratta di scritti molto brevi. Inoltre fra le due lettere c'è stata una distanza di tempo che ha potuto essere di alcuni anni; ma la spiegazione più probabile della diversità che si nota nello stile sta nel fatto, attestato dall'antichità cristiana, che Pietro si serviva di un segretario od 'interprete' per scriver le sue lettere. Un mutamento di segretario spiega il mutamento nello stile, se pur non si preferisca ammettere con lo Zahn che Pietro ha scritto la Seconda

Ep. di proprio pugno, mentre per la prima si è giovato dell'opera di Silvano o di Marco.

Circa l'asserita diversità di concetti, basti il riferire la conclusione di B. Weiss: «Per i concetti generali, nessun altro scritto si avvicina alla I Pie. più della II Pietro». Sul concetto della redenzione, in ispecie, nota il Bigg che «il pensiero è esattamente lo stesso della I Pie., sebbene la forma in cui viene espresso sia diversa».

In conclusione; nè le ragioni esterne nè quelle interne addotte contro l'autenticità ci paion tali da legittimare la sentenza che pone la nostra epistola fra gli apocrifi del secondo secolo. Un documento come questo, il quale non contiene nulla che Pietro non abbia potuto scrivere, ed è pervaso da una tale purezza d'intenti, da una tale autorità, da una così profonda ed illuminata pietà, insomma, da un così vero spirito apostolico, riteniamo moralmente impossibile che sia l'opera d'un volgare falsario del secondo secolo. Si ha un bel scusare, attenuare la sfacciata frode col dire ch'era un genere letterario alla moda come lo dimostrano altri scritti apocrifi fra cui «l'Apocalisse» e la «Predicazione» di Pietro; che si trattava nel secondo secolo di superare la crisi gnostica il che richiedeva un'autorità morale che i polemisti cristiani non possedevano e che dovevano quindi procurarsi coll'assumere il nome d'un apostolo, ecc.; certe impossibilita morali restano tali per la coscienza cristiana di tutti i tempi. La chiesa antica di cui Tertulliano racconta che depose un presbitero asiatico il quale si era confessato autore del romanzo 'Atti di Paolo e Tecla', non è stata ingannata dal suo istinto spirituale quando ritenne apostolico uno scritto di cui più tardi Calvino diceva che «per consenso di tutti, non solo non ha nulla d'indegno di Pietro ma esprime dovunque la potenza e la grazia dello spirito apostolico».

2Pietro - I Lettori

§2. I Lettori

a

I destinatari della Lettera non sono indicati come nella I

Epist, il che ha

fatto credere ad alcuni che la Seconda di Pietro fosse una enciclica rivolta alla Chiesa universale. Ma le parole di 2Pietro 3:1: «Diletti, questa è già la seconda epistola che vi scrivo» fanno chiaramente intendere che la seconda lettera è diretta agli stessi lettori della prima, cioè ai credenti dispersi nelle varie regioni dell'Asia Minore. Ciò è confermato dal fatto che a queste chiese (o ad una parte di esse) erano state rivolte una o più lettere dall'apostolo Paolo come afferma 2Pietro 3:15. Vero è che in 2Pietro 3:1 il contenuto della I Pie. è indicato in modo generale come un appello alla loro memoria di cristiani; ma ciò non autorizza la supposizione che si alluda qui ad una epistola diversa da quella che possediamo.

I lettori sono credenti che conoscono la verità ch'è stata loro recata da evangelisti chiamati qui da Pietro «i vostri apostoli» 2Pietro 3:2; 1:12 nel senso largo della parola. Essi sono in relazioni di affetto cristiano coll'apostolo, sebbene manchi un'allusione qualsiasi ad una sua visita a

personale alle chiese. Ma dal tempo della I

Epistola è avvenuto un fatto

nuovo che quella lettera non faceva prevedere e che ha determinato l'invio d'una Seconda Epistola. Nella Prima, l'apostolo confortava i cristiani minacciati dalle persecuzioni del di fuori; nella Seconda li mette in guardia contro il pericolo che minaccia le chiese dal di dentro: sono comparsi 'in veste di pastor, lupi rapaci' che introducono eresie di perdizione, rinnegano il Signore che li ha riscattati e, sotto coperta dì libertà cristiana, si danno ad una vita dissoluta e, per cupidigia, cercano di trarre a se le anime instabili. Col tono austero del profeta, Pietro denunzia questi falsi dottori e descrive il giudicio che li attende. In pari tempo mette in guardia i lettori contro gli schernitori della speranza cristiana che sono annunziati per gli ultimi giorni ed i cui precursori già sono all'opera in qualche parte del campo cristiano.

2Pietro - L'Epistola

§3. L'Epistola

Quanto al suo contenuto l'epistola può definirsi, secondo 2Pietro 3:17-18, una esortazione a crescere nella pietà, attenendosi all'insegnamento degli apostoli e dei profeti e guardandosi dai fasi dottori presenti e a venire. Eccolo schema del breve scritto:

Dopo il saluto epistolare 2Pietro 1:1-2, abbiamo nella

PARTE PRIMA - 2Pietro 1:3-22 - Una esortazione a crescere netta pietà, attenendosi alla verità del Vangelo attestata dagli apostoli e confermata dalle profezie.

La PARTE SECONDA - 2Pietro 2 - tratta dei falsi dottori, descrivendo la loro opera in un col giudicio che li attende (2Pietro 2:1-10a), e tracciandone il ritratto morale 2Pietro 2:10-22.

La PARTE TERZA - 2Pietro 3 - parla degli Schernitori delta grande speranza cristiana, annunziando la loro venuta e confutando i loro scherni (2Pietro 3:1-10). Chiude con varie esortazioni in relazione col ritorno del Signore (2Pietro 3:11-18).

Poco possiamo dire intorno al luogo d'origine ed alla data dell'Epistola, giacchè ci difettano gli elementi di un sicuro giudizio.

Coloro che, ritengono l'Epistola inautentica la pongono nel secondo secolo: chi sul principio (Huther), chi verso la metà (Meyerhoff, Harnack, ecc.); chi nell'ultimo quarto (Schwegler, Jülicher ecc.) del secolo, e la fanno scrivere chi in Palestina, chi in Antiochia, chi in Alessandria d'Egitto e chi in Roma; diretta in Palestina, o a Corinto o in Siria. L'Epistola strappata al tempo ed all'ambiente in cui nacque va errando sperduta nel secondo secolo e non trova riposo in alcun luogo nè tempo. Per noi che riteniamo la lettera autentica, resta bensì incerto il luogo ove fu scritta, ma la destinazione resta l'Asia Minore e la data è circoscritta agli ultimi anni della vita dell'apostolo Pietro. «Stimo cosa giusta, dice l'Autore 2Pietro 1:13-14, finchè io sono in questa tenda, di risvegliarvi..., perchè so che presto dovrò lasciare questa mia tenda...». Pur troppo non conosciamo esattamente nè l'anno nè il luogo della morte di Pietro; ma stando agli elementi più sicuri di una tradizione largamente attestata, egli sarebbe stato martirizzato a Roma sulla fine del

regno di Nerone, dunque prima del giugno 68. L'epistola sarebbe stata scritta probabilmente da Roma. Questa data approssimativa è confermata dagli altri dati forniti dallo scritto stesso. Si allude in 2Pietro 2:13 ai conviti cristiani cioè alle agapi che precedevano la S. Cena e questo ci porta nel periodo apostolico. Nel linguaggio dei primi rappresentanti degli schernitori si parla dei 'padri che si sono addormentati' e questo ci porta nella seconda generazione cristiana in cui è pur sempre viva l'aspettazione della venuta di Cristo sebbene sembri tardare. La menzione di molte epistole di Paolo e della loro incipiente circolazione nelle chiese come scritti ispirati ci porta verso la stessa epoca. Così pure la natura degli errori combattuti, l'abuso della libertà cristiana male intesa da gente corrotta, offre analogie colle Epistole pastorali che sono fra le ultime dell'apostolo Paolo.

Se dunque mettiamo in calce all'Epistola la data congetturale: Roma 68, non saremo molto lontani dal vero.

In fatto di Letteratura esegetica relativa alla II Pietro, vanno mentovati, tra gli altri, i Commenti degli autori seguenti: Calvino, De Wette, Huther, B. Weiss, Fronmüller, A. Schlatter, Dietlein, Dächsel, G. Hollmann (Die Schriften d. N.T.), Alford, L. Bonnet, Reuss, Spitta, Ch. Bigg.

1Giovanni

1Giovanni - Autore

§1. Autore

La Prima di Giovanni (chè tale è il breve titolo ch'essa porta nei più antichi manoscritti) è, fra gli scritti del N.T., uno di quelli la cui origine apostolica è meglio attestata dalla tradizione ecclesiastica dei tre primi secoli. Essa è universalmente attribuita all'apostolo Giovanni, all'autore del quarto vangelo. Policarpo vescovo d'Efeso nella prima metà del II Secolo e discepolo di Giovanni, la conosce e ne riproduce testualmente il passo 1Giovanni 4:3. Papia, altro discepolo dell'apostolo e amico di Policarpo, si

serve di passi della 1Giovanni come di testimonianze autorevoli, secondo l'attesta Eusebio che aveva sott'occhio gli scritti di Papia. Ireneo discepolo di Policarpo e più tardi vescovo di Lione la cita ripetutamente, scrivendo ad es.: «Nella sua Epistola, Giovanni discepolo del Signore, fa questa affermazione: "Figliuoli, è l'ultimo tempo ecc." 1Giovanni 2:18, e dice ancora: "Molti falsi profeti sono usciti fuori nel mondo..." 1Giovanni 4:13». Cita pure 1Giovanni 5:1

Verso il 175 troviamo la 1Giovanni nel canone della versione Siriaca e in quello dell'Itaca. Il primo catalogo italiano dei libri del N.T. detto Canone di Muratori cita come di Giovanni il principio dell'Epistola 1Giovanni 1:1,4. Clemente Alessandrino la cita spesso e scrive per es.: «Giovanni nella sua maggiore epistola pare insegnare che v'è diversità fra i peccati, quando dice: "Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non meni a morte, ecc.» 1Giovanni 5:16. Tertulliano scrive: "Giovanni apostolo afferma ch'eran già, usciti pel mondo degli anticristi, spiriti precursori dell'anticristo, i quali negano Cristo venuto in carne..."; e cita, parimente 1Giovanni 1:1; 2:22; 4:2; 5:1. Gli scritti di Cipriano e di Origene contengono molte citazioni dell'epistola colla formula; "Giovanni apostolo dice..." o semplicemente: "Giovanni dice".

Eusebio (IV Secolo) che aveva esaminato tutta la letteratura cristiana andata di poi perduta per noi, non esita ad asserire che «la prima Epistola di Giovanni è universalmente riconosciuta come canonica presso i cristiani del presente come presso gli antichi», e Gerolamo dice a sua volta ch'essa è «approvata da tutti quanti gli uomini di chiesa ed eruditi».

L'ampia testimonianza dell'antichità cristiana che attribuisce l'Epistola all'apostolo Giovanni è confermata dall'esame dello scritto stesso, che, sebbene non contenga il nome del suo autore, lo rivela però abbastanza chiaramente. Infatti da 1Giovanni 1:1-3,5 e da 1Giovanni 4:14, risulta evidente che l'autore è stato uno dei testimoni oculari della vita e dell'insegnamento di Cristo, incaricati da lui d'essere suoi ambasciatori nel

mondo. D'altra parte, l'identità dello stile e dei concetti di questa Epistola con lo stile ed i concetti del quarto vangelo rendono manifesta l'identità dell'autore dei due scritti, talchè tutti gli argomenti che provano come l'autore del IV vangelo sia l'apostolo prediletto del Signore, provano ugualmente ch'egli è l'autore della prima e, possiamo aggiungere, delle tre Epistole che portano il suo nome: Ritroviamo in questi scritti la stessa semplicità di espressione unita alla profondità, dei concetti, la stessa assenza di dialettica, lo stesso modo di esporre la dottrina per via di contrasti, per via di affermazioni e di negazioni corrispondenti, la stessa opposizione assoluta fra luce e tenebre, fra verità e menzogna, amore e odio, peccato e giustizia, Dio e Satana. Come nel vangelo, l'autore evita di mettere innanzi la propria persona, ma quando è necessario per confermar la fede dei lettori, si afferma testimone fede degno del Cristo; non fa valere la propria autorità, ma esorta con affetto di padre che, felice egli stesso nella lunga esperienza dell'amor di Dio, brama introdurre appieno i suoi figliuoletti nella medesima beatitudine. Anzi Ewald ha potuto scrivere che, per la calma ineffabile e celeste che regna in questo spirito pervaso dall'amor di Cristo, più che il tono d'un padre che discorra coi figli, par di sentire il tono d'un santo glorificato che parli all'umanità da un modo superiore. Certo, l'autore non allude alle sue personali circostanze; ma il rivolgersi ai lettori come a «figliuoletti» di cui conosce e l'età, e lo sviluppo spirituale, e i pericoli che li circondano, attesta le relazioni, spirituali prolungate ch'egli aveva avute con loro e la sua lettera circolare è stata, non senza ragione, chiamata una lettera pastorale. Tali relazioni, rispondono bene a quanto ci narra la storia del ministerio apostolico di Giovanni nell'Asia Minore durante l'ultima parte della di lui carriera.

1Giovanni - I Lettori dell'Epistola

§2. I Lettori dell'epistola

Di solito, le epistole, anche se destinate a una cerchia estesa di lettori (es. Giacomo, 1Pietro), portano, al principio, l'indicazione dei destinatari. La prima di Giovanni, invece, come l'Epistola agli Ebrei, pur avendo carattere

di lettera circolare scritta in vista di una speciale cerchia di lettori, non li nomina. Vero è che Agostino, citando il passo 1Giovanni 3:2 dice: scriptum est a Ioanne in epistola ad Parthos; ma nessun dottore della chiesa greca nè della chiesa latina prima di Agostino fa menzione di una siffatta assurda destinazione e non si riesce a spiegare, fino ad oggi, in modo soddisfacente, l'origine di quella svista, sebbene tutti la riconoscano per tale.

Dall'Epistola stessa risulta che i lettori ai quali l'autore si rivolge sono dei cristiani che hanno, da tempo, udito l'Evangelo. «Questo, dice 1Giovanni 3:11, è il messaggio che avete udito dal principio» (Cfr. 1Giovanni 2:7). Il messaggio della salvezza essi l'hanno accolto uscendo moralmente dal mondo in cui vivevano prima, ma non senza aspra lotta. Essi hanno «vinto il maligno» e, nella comunione col Figliuol di Dio, hanno gustato la pace del perdono e conosciuto per esperienza l'amor del Padre: 1Giovanni 2:12-14. Dall'assenza di ogni allusione all'A.T., come pure dall'ultimo breve monito: "Figliuoletti, guardatevi dagl'idoli", si può dedurre che erano usciti dal paganesimo. Nessuna traccia dell'odio giudaico contro i cristiani nè di alcuna persecuzione; ma tra il mondo che giace in potere del maligno e i credenti che son figli di Dio sussiste un antagonismo morale inconciliabile, a motivo del quale i lettori sono esortati a non amare il mondo, «poichè se uno ama il mondo l'amor del Padre non è in lui».

Il pericolo principale a cui Giovanni vede esposti i lettori proviene dalla chiesa stessa, o a dir meglio, dai membri di essa che ne hanno rinnegata la fede e che si sono dati a propagare i loro funesti errori. Il bisogno di premunire i suoi "figlioletti" contro i "falsi profeti", contro "gli anticristi" 1Giovanni 4:1; 1Giovanni 2:18-19; che negano l'incarnazione del Figliuol di Dio e la messianità di Gesù, sembra essere quel che ha spinto l'apostolo a scrivere la sua lettera. Ha fiducia che «l'unzione dello Spirito» di verità li metterà in grado di discernere la verità dalla menzogna; ma li esorta a dimorare nel Figliuolo e nel Padre osservandone i comandamenti, ispirandosi sempre più alla gran legge dell'amore, per Dio e per i fratelli. Egli sa che una sana e rigogliosa vita cristiana è la miglior salvaguardia contro l'infezione degli errori anticristiani e mira nel suo scritto a raffermar

la fede nel Cristo, ad accrescer la vita nuova, a rafforzare l'odio al peccato ch'è la negazione della comunione col Dio santo, a ravvivar la speranza gloriosa nel prossimo ritorno del Signore, a render più intensa la gioia dei fratelli diletti affidati alle sue cure spirituali.

Mettendo in relazione gl'indizi interni relativi ai lettori, coi dati storici relativi a S. Giovanni, si considera generalmente la prima Epistola come rivolta, alle chiese dell'Asia Minore verso l'ultima decade del Secolo apostolico, allorchè gli errori gnostici minacciavano seriamente quelle comunità. Mancano dati sicuri per determinare il luogo ov'è stata redatta l'Epistola. Chi parla di Patmos e chi d'Efeso.

1Giovanni - Il Contenuto dell'Epistola

§3. Il Contenuto dell'Epistola

In modo generale, il contenuto dell'epistola si può definire una esortazione a vivere in modo rispondente alle relazioni nuove in cui i cristiani si trovano col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo. Infatti il concetto della vita cristiana svolto qui è quello della comunione col Padre e col Figliuolo, comunione ch'è fatta di conoscenza, di fede, di amore, di vita procedente da Dio e conforme alla natura di Dio.

«Scopo della lettera è di distruggere ogni apparenza non sincera, di squarciare le illusioni, di porre in rilievo i segni distintivi da cui si riconosce se uno vive in Dio. Si sente in questa lettera una sete santa di verità. Ella non ci permette di baloccarci colle grandi parole del vangelo; non ci permette di averne una semplice infarinatura intellettuale; vuole in noi un cristianesimo completo e reale, ci chiama a cercare nella comunione con Dio la forza e la vita» (Schlatter). Il contenuto della lettera non è svolto colla logica di Paolo il cui pensiero è dal Rochedieu paragonato ad un fiume che, nonostante le sue sinuosità, riusciamo a seguire fino all'oceano. Invece

il pensiero di Giovanni rassomiglia a una rete di canali intersecantisi, ripieni tutti della stessa limpida onda, ma in cui è meno facile riconoscere la direzione della corrente principale. Dominano qui i grandi contrasti tra Dio ch'è luce di verità e di santità e Satana ch'è spirito di menzogna e di tenebre; tra Dio ch'è amore e che salva per mezzo di Cristo e il Maligno che odia e che perde; il contrasto tra i figli di Dio strappati alla morte, generati da Dio a vita nuova di fede, di ubbidienza e di amore, condotti verso l'ideale della perfetta rassomiglianza col Cristo, e il mondo ch'è sotto il potere di Satana, che resta nella morte, che odia i figli di Dio, che finisce col passare e perire.

La mancanza nell'Epistola di divisioni ben marcate, ha fatto si che, tra i commentatori, v'è una gran diversità nel modo di tracciar lo schema dello scritto. Chi vi scorge due, chi tre parti principali precedute da un esordio e seguite da una conclusione. Abbiamo, per conto nostro, diviso l'Epistola in tre parti precedute da un

Esordio 1Giovanni 1:1-4

La PRIMA PARTE: 1Giovanni 1:5-2:28, tratta delle Condizioni della Comunione col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo.

1) Muove dal pensiero centrale che Dio è luce; quindi, per aver comunione con lui, bisogna camminar nella luce e condannare il peccato ch'è ancora in noi 1Giovanni 1:5-10

2) Cristo è l'avvocato di chi si confessa peccatore; egli è il giusto che ha versato il suo sangue per i peccati del mondo; ma non abbiam comunione vera con lui se non osservando i suoi comandamenti 1Giovanni 2:1-6

3) I comandamenti di Cristo si riassumono nella gran legge del regno di Dio: la legge dell'amore. Ma l'amor secondo Dio esclude l'amor del mondo ch'è in opposizione con Dio 1Giovanni 2:7-17

4) La comunione col Padre e col Figlio può essser messa in pericolo anche dalle seduzioni dei cristiani apostati, precursori dell'anticristo. Da tale seduzione i credenti saranno preservati dallo Spirito di verità 1Giovanni 2:18-28

La SECONDA PARTE: 1Giovanni 2:29-4:21, discorre dei privilegi e dei doveri dei figli di Dio.

1) La carità del Padre ci ha fatti figliuoli di Dio con tutto quel che ciò implica nel presente e nell'avvenire 1Giovanni 2:29-3:2

2) L'esser figliuoli di Dio implica la separazione dal male. Chi fa il male è figlio del diavolo; chi è nato da Dio pratica la giustizia 1Giovanni 3:3-10

3) L'amore è la prova della vita divina in noi; ma non deve consistere in parole soltanto, anzi ha da essere, come quello di Cristo, un dar la vita per i fratelli. Così si avrà la dolce confidanza dei figli dinanzi al loro Padre 1Giovanni 3:11-24

4) Come figli ai quali Dio ha dato il suo Spirito, i cristiani devono provar gli spiriti, poichè non mancano nel mondo quelli che non confessano Gesù Cristo venuto in carne 1Giovanni 4:1-6

5) Chi ama è da Dio, poichè Dio è amore. Egli ci ha amati fino a darci il suo Figliuolo; ancora noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. La perfetta carità caccia dal cuore ogni paura del giudicio di Dio. Se amiamo Dio dobbiamo amare anche i fratelli 1Giovanni 4:7-21

La TERZA PARTE: 1Giovanni 5:1-21, ha per concetto fondamentale: la fede in Gesù: le sue conseguenze e il suo fondamento.

1) La fede in Cristo costituisce i credenti figliuoli di Dio e fratelli gli uni degli altri 1Giovanni 5:1-2

2) La fede ci rende capaci d'osservare i comandamenti di Dio e di vincere il mondo 1Giovanni 5:3-5

3) La fede in Cristo fondata sopra una triplice testimonianza provveduta, da Dio, ci assicura la vita eterna 1Giovanni 5:6-12

4) La fede ci da gran libertà e fiducia nella preghiera 1Giovanni 5:13-21

1Giovanni - Letteratura esegetica

4. Letteratura esegetica

Fra le esposizioni delle Epistole di Giovanni mentoviamo l'Exposilio di Agostino, il Commentario di Calvino e in tempi moderni, i lavori di Lücke, di De Wette, di Ebrard, di Düsterdieck, di Neander, di Huther, di Haupt, di B. Weiss, di Schlatter, di Alford (Greek Testament), di W. Pope, nel Pop. Comm., di Reuss, di Bonnet, ecc.

2Giovanni

2Giovanni - L'Autore

1. L'Autore

L'autore della II e della III Epistola non nomina se stesso. Seguendo in ciò le orme dell'autore del quarto Vangelo il quale designa se stesso come «il discepolo che Gesù amava», egli si chiama qui: Il Presbitero, ossia l'Anziano. Già, nella prima Epistola, senza darsi questo titolo, egli, si presentava come il padre spirituale dei suoi diletti "figliuoletti". È difficile il non scorgere in questa designazione un'allusione alla sua età avanzata; ma all'autorità derivante dall'età va unita quella dell'ufficio presbiterale di direzione, di sorveglianza, d'insegnamento, di cura pastorale affettuosa,

estendentesi in questo caso, non ad una sola congregazione ma alle chiese di una intera regione. Come, nel caso di Pietro che si chiama "Compresbitero" degli anziani, il titolo ben si confa, nel suo significato generale, all'ufficio apostolico del pascere le pecore e gli agnelli della greggia di Cristo Giovanni 21:15-17. Gli apostoli sono. anch'essi "pastori", non di un gregge locale, ma di un gregge più vasto, e l'autore della III Epistola si presenta, infatti, come il presbitero dei presbiteri, il sovrintendente delle chiese. L'analogia stessa del modo indiretto di darsi a conoscere accenna all'identità di autore del Vangelo e delle epistole gioanniche.

Basta, d'altronde, leggere questi scritti per convincersi che si tratta d'un medesimo autore. L'identità dello stile, del vocabolario, dei concetti che sono, in qualche caso, riprodotti quasi testualmente (per es. circa l'anticristo), non lasciano dubbio intorno all'identità dell'autore. Gli scritti di Giovanni portano impresso, anche quando si tratta di lettere molto brevi come sono la II e la III, uno stampo speciale che li distingue nettamente dagli scritti di ogni altro autore del N.T. Ne segue che tutti gli indizi, tutte le ragioni, tutte le testimonianze che designano l'apostolo Giovanni quale autore di uno degli scritti di questo gruppo, valgono a provare ugualmente ch'egli è l'autore degli altri.

L'antichità cristiana è unanime nell'attribuire a Giovanni di Zebedeo il quarto Vangelo e la la I Epistola. Questo basterebbe a stabilire che quell'apostolo è pure l'autore delle due minori epistole; ma, nonostante la loro brevità, esse sono mentovate come di lui da molti scrittori dei tre primi secoli. Ireneo dice esplicitamente: «Giovanni, il discepolo del Signore li ha condannati anche più severamente, (gli eretici), non volendo neppure che li salutiamo; poichè, dice, chi li saluta partecipa alle malvage opere di lui» 2Giovanni 10-11. Cita del pari 2Giovanni 7 Clemente alessandrino parlando della. «maggiore, epistola» di Giovanni, mostra di conoscerne altre del medesimo autore e infatti mentova la seconda come scritta "alle vergini" non si sa perchè. Il Canone muratoriano parla di due epistole di Giovanni come incluse nelle Cattoliche. Origene scrive: «Giovanni ha lasciato ancora una epistola di poche righe; e se ne conti pure una seconda e una terza

(giacchè non tutti le ritengono genuine); ad ogni modo non hanno neanche cento righe fra le due». Eusebio colloca le due minori fra gli scritti contestati e mentova come ipotesi suscitata da un passo di Papia l'esistenza, non provata da altri dati sicuri, di un presbitero Giovanni in Efeso. Si tratta probabilmente di un equivoco. Il fatto che le epistole minori non sono state incluse subito nè dovunque nella raccolta, degli scritti apostolici destinati alla lettura pubblica, si spiega quando si ponga mente alla brevità di questi scritti ed al loro carattere privato, non essendo rivolti a una chiesa, ma ad individui. Il canone di Muratori sente perfino il bisogno di spiegare come le lettere di Paolo a Timoteo ed a Tito, quantunque rivolte ad individui, sono state però santificate, cioè ritenute nel sacro canone a motivo delle preziose direzioni che contengono in materia di disciplina ecclesiastica. Non altrimenti è avvenuto della II e III di Giovanni le quali contengono esse pure insegnamenti apostolici degni d'esser meditati dai credenti di tutti i tempi.

2Giovanni - I Lettori

2. I Lettori

I lettori della II Epistola sono "la signora eletta ed i suoi figli". Abbiamo detto nelle note esegetiche delle diverse opinioni intorno alla Eclectè Kiria. La questione non avendo importanza pratica, diremo solo qui che, lasciando da parte come non suffragata da prove convincenti. l'opinione che vede nella "signora eletta" adombrata, una chiesa locale od anche la chiesa universale, consideriamo la lettera come diretta ad una matrona cristiana, probabilmente vedova, che aveva il privilegio di avere dei figli credenti al par di lei. L'autore si rallegra di vederli camminar nella verità ed esorta i membri di quella famiglia a perseverar nell'amor fraterno ed a guardarsi dai seduttori che non confessano Gesù Cristo venuto in carne. Spera vederli fra breve e saluta la signora da parte della di lei sorella eletta e dei figli di essa che paion trovarsi più vicini all'apostolo, cioè in Efeso ov'è comune opinione che la lettera fosse scritta sullo scorcio del I secolo.

3Giovanni

3Giovanni - Introduzione

INTRODUZIONE

L'autore designa se stesso, come nella Seconda Epistola, e rimandiamo perciò il lettore a quanto abbiamo detto in proposito nell'introduzione a quella Epistola.

Quanto al destinatario chiamato il diletto Gaio non sappiamo nulla di lui se non la cristiana ospitalità ch'egli esercitava verso i missionari del vangelo che passavano dal luogo ov'era la sua casa. Per questo suo zelo caritatevole nel sostenere ed aiutar la causa della verità, l'apostolo lo loda, tanto più che, nella chiesa di cui faceva parte Gaio, un ambizioso per nome Diotrefe non faceva caso delle raccomandazioni apostoliche e maltrattava chi accoglieva fraternamente gli evangelizzatori. Giovanni si propone in una sua prossima visita di smascherar pubblicamente questo antico ricercatore di primato ed oppressore dei fratelli.

La lettera ha dovuto essere scritta dallo stesso luogo ed alla stessa data delle due prime.

Giuda

Giuda - Introduzione

La Lettera di Giuda si può definire, secondo Giuda 3, una esortazione a combattere strenuamente per la fede ch'è stata una volta per sempre trasmessa ai santi. Essa denunzia i falsi dottori che abusano della libertà cristiana per abbandonarsi a sfrenata sensualità, che sprezzano ogni autorità

e rinnegano il Signore Gesù Cristo. Li attende un tremendo giudicio Giuda 3-16. Il dovere dei fedeli è di badare agli avvertimenti apostolici, di conservar se stessi nell'amor di Dio, perseverando nella verità, e, se possibile, di strappare al contagio i fratelli pericolanti.

L'Autore chiama se stesso «Giuda, servitore di Gesù Cristo e fratello di Giacomo». Ora sappiamo che fra gli apostoli, oltre a Giuda l'Iscariota, c'era anche un altro Giuda detto, in Luca 6:16; Atti 1:13, "Giuda di Giacomo" e chiamato in Matteo 10:3; Marco 3:18: Taddeo. Ma non può esser questo l'autore dell'Epistola perché "Giuda di Giacomo" vuol dir figlio di Giacomo, non mai fratello di Giacomo. D'altronde l'autore non chiama se stesso "apostolo", ma semplicemente "servitore di Gesù Cristo", s'intende qui: nel ministerio dell'Evangelo, e, se apostolo, non avrebbe avuto bisogno di porsi, in certo modo, sotto l'egida di uno che non lo era, cioè di Giacomo fratello del Signore e ben noto nella chiesa primitiva quale capo della comunità di Gerusalemme. Il modo in cui parla degli apostoli in Giuda 17 mostra ch'egli non apparteneva al loro numero: «Ricordatevi delle parole dette innanzi dagli apostoli del Signor Nostro Gesù Cristo, com'essi vi dicevano...». L'Autore della Lettera è dunque Giuda il fratello di Gesù, che per non dare alla parentela carnale soverchia importanza, preferisce designar se stesso come fratello di Giacomo. Sappiamo dai Vangeli che, tra i quattro fratelli di Gesù, uno dei più giovani portava il nome di Giuda Matteo 13:55; Marco 6:3; ma della sua carriera come evangelista nulla ci è stato tramandato. Egesippo narra che due suoi nipoti vennero fatti comparire davanti a Domiziano (a. 81-95) perché appartenenti alla famiglia di Davide è quindi di Gesù, ma furon rilasciati perché semplici contadini. L'attività di Giuda ha dovuto svolgersi, come quella del suo fratello Giacomo, principalmente in mezzo ai Giudeo-cristiani; ma quali fossero le chiese a cui fu primieramente rivolta la sua esortazione non ci è dato di sapere.

I critici che ritengono inautentica la 2Pietro, negano pure, e per ragioni interne analoghe, l'autenticità dell'Ep. di Giuda, considerandola come uno scritto fabbricato da un falsario del II secolo e diretto contro gli gnostici. Come notammo nell'Introduzione alla 2Pietro [2Pietro - L'autore2Pietro -

L'autore], non è necessario scender nel secondo secolo per trovare chi volgesse in dissolutezza la grazia di Dio. L'Epistola ha dovuto essere scritta alcuni anni dopo la 2Pietro da cui toglie esempi ed espressioni e di cui cita quasi testualmente la profezia 2Pietro 3:3. Il modo in cui parla degli apostoli mediante i quali la fede è stata una volta per sempre trasmessa ai santi e di cui bisogna ricordare gli avvertimenti ch'essi davano, indica che dovevano essere oramai morti quasi tutti. Questo ci porta negli anni posteriori al 68.

La canonicità ossia il diritto dell'Epistola di entrare nella raccolta normativa degli scritti ispirati del Nuovo Testamento, è stata contestata fin dall'antichità. Eusebio (324) colloca la lettera fra gli antilegòmeni (scritti contestati); Tertulliano, invece, chiama apostolo il suo autore e lo cita come prova dell'ispirazione del libro apocrifo di Enoc. Origene dice dell'Epistola ch'essa è «di poche righe ma piena delle parole potenti della celeste grazia». La cita varie volte anche come "scrittura divina". Nella versione latina delle sue opere, Giuda è chiamato apostolo. Clemente aless. chiama Giuda «fratello dei figli di Giuseppe» e lo cita come avendo parlato «profeticamente nell'epistola». Il suo commento sulle epistole cattoliche includeva Giuda. La versione siriaca Peshito non la conteneva, mentre il catalogo romano detto Canone di Muratori (circa 175) la mentova come canonica.

Girolamo ci apprende che la ragione per cui da molti si negava la canonicità dell'Epistola stava nella citazione che in essa vien fatta del libro apocrifo di Enoc Giuda 14-15. Nè questo è il solo libro apocrifo di cui Giuda ha fatto uso. Origene afferma che il passo relativo all'arcangelo Michele e alla sua disputa coi diavolo circa il corpo di Mosè Giuda 9, è tolto da un libro apocrifo noto alla chiesa primitiva sotto il titolo di "Assunzione di Mosè" e ritrovato in parte, nell'Ambrosiana di Milano, in una versione latina pubblicata dal Ceriani nel 1861. Quanto al "Libro di Enoc", se n'è ritrovata una traduzione etiopica nel 1773 ed è stato di poi pubblicato in inglese e in tedesco (Dillmann 1853).

Ora è vero che s'incontrano anche altrove nel N.T. dei dati storici tradizionali estranei all'A.T. Così Matteo 1:6; Luca 4:25; Giacomo 5:17; Atti 7 (varii particolari); Atti 13:21; 2Timoteo 3:8; alcuni particolari in Ebrei 11. Si tratta però di dettagli di poca importanza, di cui non possiamo, senz'altro, negare il carattere storico. Il caso dell'Ep. di Giuda è diverso. L'autore considera e dà per reali dei fatti e delle rivelazioni che sono frutto dell'immaginazione di autori di libri apocrifi composti sul principio dell'era cristiana o poco prima. Vero è che i due insegnamenti tratti da quei libri: il rispetto della creatura di Dio anche colpevole e la certezza del giudicio di Dio sui peccatori, non sono contrari alla dottrina generale delle Scritture; ma non si può negare che il fenomeno ci dà l'impressione d'essere sul limite estremo che separa i libri canonici pervasi da un'intuizione profonda della verità, dai libri deuterocanonici ove il soffio divino dell'ispirazione è meno puro e potente.

Per la Letteratura esegetica relativa all'Ep. di Giuda rimandiamo alle indicazioni concernenti la 2Pietro [2Pietro - L'Epistola2Pietro - L'Epistola].

Apocalisse

Apocalisse - L'autore dell'Apocalisse

1. L'autore dell'Apocalisse

Essendo questa una delle questioni più dibattute fra i critici odierni, toccheremo della testimonianza del libro stesso riguardo al suo Autore, della testimonianza dell'antichità ecclesiastica, delle obiezioni che si muovono alla soluzione tradizionale e, da ultimo, delle fonti di cui l'autore si sarebbe valso.

A. Testimonianza interna

Quattro volte l'autore declina il proprio nome: Giovanni Apocalisse 1:1,4,9; 22:8, aggiungendovi la qualifica di servitore di Cristo, prescelto quale strumento della Rivelazione destinata alle chiese, fratello dei profeti. Chiama il suo libro una profezia in cui sono attestate le cose ch'egli ha vedute, mettendo in guardia chi osasse aggiungervi o toglierne qualcosa Apocalisse 22:18-19 e proclamando invece beato chi legge e chi ascolta le parole di questa profezia Apocalisse 1:3. Egli si trova relegato in Patmo per la causa del Vangelo e si rivolge alle chiese dell'Asia proconsolare come persona autorevole da loro ben conosciuta. Il suo modo di pensare e di scrivere è quello d'un Giudeo-cristiano, nutrito dell'Antico Testamento, abituato a parlare aramaico e poco pratico del greco. Tutto questo risponde perfettamente a quanto sappiamo dell'apostolo Giovanni figlio di Zebedeo, che spese in Efeso l'ultima parte della sua lunga carriera. Per contro, risponde male o non risponde affatto a quanto sappiamo di Giovanni Marco, di un problematico presbitero Giovanni, mentovato da Papia e ritenuto da molti autore dell'Apocalisse, o ancora di un veggente Giovanni d'Asia diverso dall'apostolo e dal presbitero e creato di sana pianta dall'immaginazione d'un critico inglese, il Charles, che ne fa l'autore del libro. (Cfr. accenni analoghi di Iülicher). Se in Efeso, sullo scorcio del primo secolo, fosse vissuto un profeta così noto alle chiese e così autorevole che il solo suo nome bastasse a fare ammettere un suo scritto alla lettura pubblica Apocalisse 1:3 nelle assemblee, come si spiega che la storia ne abbia ignorato totalmente l'esistenza?

B. Testimonianza dell'antichità ecclesiastica

La testimonianza dell'antichità cristiana circa d'Autore dell'Apocalisse è fra le più abbondanti ed autorevoli; essa è praticamente unanime nel designare l'apostolo Giovanni, il veggente di Patmo, come autore dell'unico liba profetico del Nuovo Testamento.

Giustino martire, nel suo Dialogo col giudeo Trifone (C. 81), così si esprime «Presso di noi, un, uomo chiamato Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, nella rivelazione a lui concessa... ha profetizzato il regno di mille anni dei

credenti, poi la risurrezione e il giudizio universale»: Ora Giustino era stato in Efeso; vi aveva abbracciato il cristianesimo intorno all'anno 135, cioè una quarantina d'anni soltanto dopo la data generalmente assegnata all'Apocalisse. Nella seconda metà del secondo secolo, Melitone vescovo di Sardi, una delle sette chiese, scrisse «intorno al diavolo ed all'Apocalisse di Giovanni». Papia di Ierapoli attribuiva la Rivelazione all'apostolo Giovanni. Apollonio altro scrittore dell'Asia Minore (cir. il 200) e Teofilo d'Antiochia (cir. 170) la citano come di S. Giovanni. Il canone di Muratori (175 cir.) dice: «E Giovanni, sebbene nell'Apocalisse scriva a sette chiese soltanto, dice però a tutti...». La Lettera delle chiese di Vienne e Lione (177) cita come Scrittura il passo di (Apocalisse 22:11. e usa l'espressione tolta da Apocalisse 14:4: «Seguendo l'Agnello dovunque va». Ireneo (180) che proveniva dall'Asia Minore, citando la gloriosa visione del C. 1 e specialmente Apocalisse 1:12, l'introduce colle parole: «Giovanni, discepolo del Signore, nell'Apocalisse quando contempla ecc.». Ragionando del numero dell'anticristo, egli fissa la data di composizione del libro. Tertulliano intorno al 200 cita non meno di 18 capitoli sui 22 dell'Apocalisse; egli conosce un solo Giovanni ed è l'apostolo che scrisse l'Apocalisse ed il Vangelo: «L'apostolo Giovanni nell'Apocalisse descrive una spada che esce dalla bocca di Dio...».

Sul tramonto del secondo secolo, un presbitero romano, Caio, contestò l'autenticità dell'Apocalisse, stimandola scritta dall'eretico Cerinto sotto il nome d'un grande apostolo. Era mosso da ragioni dottrinali, e riteneva carnale l'insegnamento relativo al millennio, mentre carnali erano solo le interpretazioni che ne davano certi giudaizzanti. Egli fu confutato con vivacità da un altro presbitero romano, Ippolito, che scrisse i suoi 'Capitoli contro Caio' e la sua 'Difesa dell'Apocalisse di Giovanni' di cui si sono ritrovati dei frammenti. «Dimmi, egli esclama, o beato Giovanni, apostolo e discepolo del Signore, quel che hai veduto ed udito intorno a Babilonia».

Nel III secolo, l'Apocalisse è citata spesso come 'Scrittura' da Clemente alessandrino che riferisce il toccante episodio della conversione del giovane brigante. Origene non eleva il minimo dubbio riguardo all'autore della

Rivelazione. Scrive per esemp. «Giovanni di Zebedeo dice dunque nell'Apocalisse...», «l'apostolo ed evangelista, e profeta scrive intorno al Verbo di Dio nell'Apocalisse...», «I figli di Zebedeo bevvero il calice Matteo 20:23. Infatti, l'imperatore dei Romani, come insegna la tradizione, condannò Giovanni, per la sua testimonianza, alla relegazione nell'isola di Patmo. Egli stesso lo narra nell'Apocalisse quando dice: «Io Giovanni, vostro fratello, ecc.». Origene scrisse anche un commento sull'Apocalisse, pubblicato, ai giorni nostri, dallo Harnack. In Alessandria, però; il vescovo Dionisio (248-264) combattendo il vesc. Nepos millenarista carnale, fu condotto a dubitare dell'origine apostolica dell'Apocalisse. Il carattere misterioso del libro, lo stile che non è buon greco, lo indussero ad attribuire il libro a 'un sant'uomo ispirato da Dio', si, ma non all'apostolo Giovanni, autore del quarto Vangelo; e poichè avea sentito dire che in Efeso v'eran due tombe col nome di Giovanni, egli emise l'ipotesi che l'Autore della Rivelazione fosse 'uno dei Giovanni ch'erano in Asia'. Le chiese di Siria e d'Armenia andarono a rilento nell'ammettere l'Apocalisse alla lettura pubblica, probabilmente a motivo delle errate interpretazioni a cui aveva dato luogo.

Nel IV secolo, Eusebio è incerto sulla canonicità del libro nella sua Storia Eccl.; ma nella sua Cronaca egli parla della relegazione dell'apostolo o

Giovanni in Patmo e fissa al 14

anno di Domiziano la composizione

dell'Apocalisse. Gerolamo riproduce più tardi i dati storici relativi alla dimora di Giovanni in Efeso, al suo esilio in Patmo ove ricevette le rivelazioni apocalittiche, e al suo ritorno in Efeso sotto Nerva.

Di fronte al cumulo delle testimonianze antiche, fra cui non poche provengono dalla regione ove fu scritta l'Apocalisse, si fa presto a dire; come il Charles, che «un mito può sorgere in pochi anni» (cosa che resta da provare); si fa presto ad affermare che l'apostolo Giovanni non è mai stato in Asia, ch'egli è morto martire prima del 70, che autore dell'Apocalisse è Giovanni il Veggente, un giudeo palestinese recatosi in tarda età in Efeso; da non confondersi col problematico presbitero Giovanni, che sarebbe l'autore o

del 4

Vangelo e delle Epistole, mentre il 'veggente' sarebbe stato discepolo

del presbitero ed avrebbe esercitato un'autorità incontrastata sulle chiese d'Asia. Tutte queste affermazioni poggiano sul vuoto e sono in aperto contrasto colla testimonianza praticamente unanime dell'antichità cristiana che non sa nulla assolutamente del personaggio creato dalla fantasia di pochi critici. Quanto a noi, preferiamo tenerci sul terreno solido della storia, anche quando non siamo in grado di spiegare completamente tutti i fatti ch'essa ci presenta.

C. Le obiezioni

Alla testimonianza dell'antichità ecclesiastica relativa all'autore dell'Apocalisse, si obietta che Giovanni apostolo non suole nominarsi negli altri suoi scritti, mentre in questo egli declina ripetutamente il proprio nome. Al che si risponde che ciò era necessario per autenticare, come avean fatto i profeti antichi, le rivelazioni ricevute. D'altronde, anche qui, egli è parco e si contenta di scrivere il proprio nome senza il suo titolo d'apostolo, qualificandosi come fratello dei credenti e servitore di Cristo. Se nel Vangelo e nelle Epistole non nomina se stesso, egli si da a conoscere, con sufficiente chiarezza, come 'il discepolo che Gesù amava', come il testimone oculare delle cose scritte, 'l'anziano' ecc.

Si obietta ancora che in Apocalisse 21:14 l'autore parla dei nomi dei dodici apostoli come scritti sulle fondamenta della Gerusalemme celeste; il che, si dice, non avrebbe fatto se fosse stato apostolo egli stesso. Doveva egli dunque tacere, per falsa modestia, una cosa rivelatagli obiettivamente? Coloro che lo vorrebbero qui tanto modesto, non si peritano poi di affermare ch'egli da per rivelazioni divine quello ch'è semplice congettura della propria fantasia.

L'obiezione principale, fin dal tempo di Dionisio, è tratta dalla diversità di stile e di lingua tra l'Apocalisse e il quarto Vangelo. «Le differenze grammaticali, afferma il Charles, tra il Vangelo e l'Apocalisse rendono impossibile l'identità di autore, a meno che sia interceduto un intervallo

molto lungo tra le date dell'Apocalisse e del Vangelo». La diversità linguistica è riconosciuta da tutti e il prof. Allo non esita ad affermare che, mentre il greco del Vangelo è corretto, «nessun altro documento letterario «presenta tanti solecismi ed anormalità», quanti ne offre l'Apocalisse; anormalità dovuto in parte all'uso del vernacolo, e sopratutto al fatto che 'l'autore' pensava in aramaico, cioè nella lingua; da lui parlata per la massima parte della sua vita. Da ciò le frequenti ripetizioni, il parallelismo dei pensieri, la poca varietà delle formule di transizione, la fluttuazione nell'uso dei tempi e la riproduzione letterale di non pochi idiotismi ebraici.

A diminuire l'importanza del divario tra Apocalisse e Vangelo, vanno però ricordati alcuni fatti. La diversità sostanziale tra il genere profetico dell'Apocalisse e il genere storico del Vangelo, trae seco di necessità una diversità nella forma. Altro è il narrare, nella calma dei ricordi, gli eventi del passato, ed altro è il descrivere, nei disagi della prigionia, la visione emozionante delle sorti tristi o liete che attendono la Chiesa di Cristo.

V'è di più. Il peso delle diversità linguistiche non è senza un contrappeso di rassomiglianze notevoli tra l'Apocalisse e il Vangelo al quale vanno unite le Epistole di Giovanni. Secondo il computo di Allo, non meno di 416 termini sui 913 compresi nel vocabolario dell'Apocalisse sono comuni al Vangelo ed all'Apocalisse e fra questi figurano non pochi che si posson dire caratteristici: per esemp. vita, verità, verace (αληθινος 9 volte nel Vang. 10 nell'Apocalisse), comandamenti (εντολαι), giudicio, 'mostrare' nel senso di rivelare, testimoniare (33 volte nell'Ev., 7 nella 1Giovanni, 4 nella 3Giovanni, 4 nell'Apocalisse), testimonianza (14 nell'Ev., 5 1Giovanni, 1 nella 3Giovanni, 9 nell'Apocalisse), 'serbare' nel senso di osservare (τηρειν 6 Apocalisse, 17 Vang.), abitare (σκηνουν), vincere, aver parte (εχειν μερος), immolare, ecc. Nei soli scritti di Giovanni, Cristo è chiamato 'la Parola di Dio' (λογος τ. θ., Giovanni 1:1-14; Apocalisse 19:13; 1Giovanni 1:1 'Parola della vita') e 'l'Agnello' (Giovanni 1:29

ὁ αμνος τ. θ.; Apocalisse 5:6 ecc. το

αρνιον). Il passo Zaccaria 12:10 è citato in modo identico nel Vang. Giovanni 19:37 e in Apocalisse 1:7 e tradotto direttamente dall'ebraico. Si confr. ancora Apocalisse 22:17; 7:17 con Giovanni 4:7-15; 7:37

Questi segni manifesti di parentela eliminano in gran parte la difficoltà creata dalla diversità linguistica tra Vangelo e Apocalisse. La maggior correttezza del greco del Vangelo si spiega col fatto dell'esser stato scritto alcuni anni più tardi dell'Apocalisse, in circostanze più favorevoli di tranquillità e colla possibilità di farne riveder la forma da qualche collaboratore dell'apostolo. Cfr. Giovanni 21:24. Secondo ogni probabilità, le, circostanze in cui Giovanni ha dovuto scrivere l'Apocalisse furono ben diverse. Relegato in un'isola deserta, condannato, secondo gli usi romani e secondo la tradizione antica, ad un lavoro forzato nelle miniere (ad metallos) sotto la sorveglianza delle guardie, alloggiato nella prigione comune, privo di amici, ha dovuto scriver come di nascosto e spedire segretamente il suo manoscritto alle chiese, senza poterne altrimenti curare la forma letteraria.

D. Le fonti supposte

Le circostanze in cui l'Apocalisse ha dovuto essere scritta escludono di per sé la teoria dei critici secondo i quali il libro sarebbe il frutto di un paziente lavoro di rimaneggiamento e di cucitura di parecchi componimenti apocalittici anteriori, scritti in greco od in ebraico, di origine giudaica o cristiana, e che il redattore avrebbe fatti entrare nel suo piano e adattati al suo scopo sia coll'interpolarli sia col mutarne il senso primitivo. Un siffatto lavoro di mosaico presuppone un autore seduto tranquillamente nel suo studio con davanti a sè i vari documenti da trasformare, da aggiustare insieme e da completare: Invece, il libro ci presenta l'autore come un uomo sottoposto alle disagiate condizioni dei deportati dall'autorità romana.

Di fonti usate egli non dice verbo. Se qualche scritto, all'infuori dell'Antico Test: che gli è familiare, ha potuto essergli di sussidio, è come reminiscenza; ma di questo non sappiamo nulla. «Una critica giudiziosa, dice un autore non sospetto di tradizionalismo, il Iülicher, deve rinunziare a priori a risolver la questione del numero delle fonti e abbandonar assolutamente

l'impresa della loro ricostruzione... L'autore ha padroneggiato in modo sovrano, così da farlo suo proprio, tutto quello che gli strati anteriori han potuto fornirgli».

Dell'unità di composizione dell'Apocalisse fanno fede la riconosciuta unità della lingua, caratteristica, per vocabolario e per sintassi, di cui l'autore si serve dalla prima all'ultima pagina del libro; e insieme l'unità del piano dell'Apocalisse che, movendo dal presente, traccia a grandi quadri successivi le sorti del regno di Dio fino alla sua consumazione. Il vecchio Boanerges dall'anima ardente, dallo spirito mistico, preoccupato del continuo dello stato presente e dell'avvenire della Chiesa di Cristo, è rapito in estasi come i profeti antichi, ed in quello stato di esaltazione spirituale di cui parla anche l'apostolo Paolo 2Corinzi 12, Dio gli rivela, sotto forma di visioni simboliche, quel ch'Egli stima utile alla sua Chiesa nei giorni di lotta e di tribolazione a cui ella va incontro. È questa l'unica 'fonte,' di cui faccia dovunque menzione l'autore dell'Apocalisse, precisando il luogo e perfino il giorno in cui gli fu concessa la rivelazione ch'egli comunica e di cui garantisce la realtà con la sincerità e l'autorità d'un apostolo. «Mille teologi s'inganneranno prima che un autore sacro mentisca» (Auberlen).

Coloro che alla rivelazione divina prestano scarsa fede considerano le affermazioni categoriche dell'autore come una semplice forma letteraria da lui scelta ad imitazioni delle apocalissi apocrife sorte nel giudaismo decrepito. Ma, come osserva Allo, quella letteratura (anteriore e posteriore a Giovanni, giudaica o semi-cristiana), serve appunto a farci apprezzare l'unica Apocalisse ispirata che, dal punto di vista umano ed artistico, è superiore ai prodotti più belli del genere, è quanto al valore religioso dev'esser da tutti riconosciuta come non paragonabile alle apocalissi apocrife.

D'altronde, i sistemi dei critici che si sono applicati a scoprir le fonti supposte dell'Apocalisse, sono così diversi fra loro da rendere evidente il loro carattere arbitrario. Per esemp. il Weizsäcker considerava il brano

Apocalisse 7:1-8 come scritto tra il 64 e il 66, Apocalisse 11:1-13 come scritto al principio della guerra giudaica, Apocalisse 12:1-2 durante l'assedio di Gerusalemme, Apocalisse 13 sotto Vespasiano, Apocalisse 17 sotto Domiziano e le Lettere alle chiese come posteriori a quell'epoca. Per Joh. Weiss abbiamo qui un'apocalisse di Giovanni il presbitero anteriore al 70 e un'apocalisse giudaica scritta durante l'assedio di Gerusalemme combinate insieme da un redattore che scrisse dopo il 95. Spitta distingue tre documenti indipendenti: un'Apocalisse cristiana primitiva posteriore al 60, un'Apocalisse giudaica (quella delle trombe) del tempo di Caligola, un'Apocalisse giudaica (le coppe) dell'epoca di Pompeo e infine un editore cristiano del tempo di Traiano. Il Briggs scorge sei Apocalisse diverse combinate in quattro redazioni successive. Per Charles un quinto del testo proviene da, fonti varie, greche ed ebraiche, adattate allo scopo dell'autore. Apocalisse 12 è anteriore al 70 e proviene da due fonti tradotte da un originale semitico. Apocalisse 17-18 sono del tempo di Vespasiano con aggiunte posteriori. Apocalisse 13 è principalmente traduzione di tre fonti ebraiche. Quanto a Apocalisse 20:4-22 ecco la loro pietosa storia, secondo l'erudito inglese. Dopo scritto Apocalisse 20:3, il veggente Giovanni morì, lasciando dei materiali abbozzati o già redatti che caddero nelle mani d'un suo discepolo, il quale li mise assieme nell'ordine loro attuale che non era affatto quello progettato dall'autore. Inoltre si rese colpevole di varie interpolazioni in altre parti del libro. Il critico perciò non risparmia a questo immaginario discepolo d'un veggente immaginario, gli epiteti più ingiuriosi: è uno stupido, privo d'intelligenza, che non ha capito nulla del pensiero del suo maestro, che non sa neppure che il lampo precede il tuono; è un fanatico, un ascetico, un oscurantista il cui dogmatismo è in ragione diretta della sua strettezza e povertà di mente, ecc. Questi saggi di critica si potrebbero moltiplicare e mostrano che, in materia di fonti, quello che emerge di più, sicuro è l'arbitrio individuale dei critici che hanno fatto dell'Apocalisse uno dei campi prediletti delle loro esercitazioni intellettuali.

Apocalisse - La data dell'Apocalisse

2. La data dell'Apocalisse

Le opinioni dei commentatori riguardo alla data dell'Apocalisse variano considerevolmente. Mentre gli uni (Hilgenfeld, Lücke, Beyschlag, Lightfoot, Hort) ne pongono la composizione sotto Nerone (54-68), altri (Reuss, Renan) la pongono sotto Galba (68-69) ed altri ancora (Bleek, De Wette, Düsterdieck, B. Weiss, H. Holtzmann) sotto Vespasiano (69-79), la maggior parte (Hengstenberg, Elliott, Auberlen, Bonnet, Alford; Milligan, Swete, Allo, Charles, ed anche Jülicher, Bousset, Harnack ecc.) mantengono la data tradizionale dell'anno 95, cioè del 14° anno di Domiziano (81-96).

Le date più antiche si fondano per lo più sopra interpretazioni particolari di qualche passo del libro (vedi per esemp. Apocalisse 17:10) mentre la data del 95 poggia sopra ragioni esterne ed interne.

Ha valore speciale un passo d'Ireneo il quale (Adv. Haer., V, 30), discorrendo del numero 666 Apocalisse 13:18, ne difende anzitutto l'esattezza appellandosi 'a tutti i manoscritti più accurati ed antichi nonchè alla testimonianza di coloro stessi che hanno veduto Giovanni coi loro occhi'; poi soggiunge: «Noi adunque non ci arrischiamo ad affermar nulla di sicuro intorno al nome, dell'anticristo. Se infatti il nome di lui avesse dovuto essere apertamente proclamato nel tempo presente, sarebbe stato detto da colui stesso che ha contemplato la Rivelazione; giacché non è da tanto tempo ch'essa è stata contemplata, ma quasi nella nostra stessa generazione, verso la fine del regno di Domiziano». Ireneo veniva dall'Asia Minore ov'era nato verso il 140, aveva avuto a maestro Policarpo, aveva studiato la questione; la sua affermazione è precisa e recisa ed è confermata o

da Eusebio il quale, nel suo Chronicon, parla del 14

anno di Domiziano e

narra nella sua Storia Eccles. che «Giovanni, apostolo ed evangelista, una volta tornato dopo la morte di Domiziano dalla relegazione nell'isola, visitava le, chiese d'Asia...». Clemente Alessandrino, citato da Eusebio, parla egli pure dell'esilio in Patmo e del ritorno in Efeso dopo la morte del tiranno (Domiziano). Vittorino vescovo di Petau in Pannonia, uno dei più a

antichi commentatori dell'Apocalisse (2

metà del III sec.), scrive: «Quando

Giovanni vide questo, egli era nell'isola di Patmo condannato alle miniere (in metallum) dall'imperatore Domiziano...». Gli storici narrano di

Domiziano che relegò vari personaggi eminenti in isole lontane. La sua nipote Flavia Domitilla fu relegata, con altri molti, nell'isola Ponzia, nell'ultimo anno di regno dell'imperatore; il suo cugino Flavio Clemente fu fatto morire per aver rifiutato di adorar l'imperatore. Tutti i dati che si hanno circa il ministerio di Giovanni in Asia lo collocano in epoca posteriore ai tempi di Paolo e di Timoteo, quando cioè l'apostolo era avanti negli anni. Ireneo riferisce che visse colà fin sotto Traiano (98-117). Tutto questo viene a confermare indirettamente la data comunemente assegnata all'Apocalisse.

Ai dati esterni si aggiungono vari indizi interni che accennano all'ultima decade del I secolo come quella in cui fu scritta l'Apocalisse. Lo stato delle chiese d'Asia quale appare dalle Lettere (c. II-III) non è più quello risultante dalle Epistole agli Efesini, ai Colossesi od a Timoteo. Esse hanno ormai dietro di sé tutto un passato glorioso, ma non privo di sofferenze ed anche di martiri; e dinanzi a loro sta la prospettiva di più gravi tribolazioni. In alcune, la vita religiosa presenta segni di decadenza, di rilassamento, di torpore; sono odiate dai Giudei, sono insidiate da eretici antinomiani come i Nicolaiti. Le allusioni agli usi ecclesiastici fanno pensare allo scorcio del I sec. L'angelo della chiesa locale accenna ad un tempo in cui l'episcopato congregazionale è diventato regola; il primo giorno del Signore' Apocalisse 1:10 appare come giorno sacro al culto cristiano e la lettura pubblica delle Scritture è cosa usuale Apocalisse 1:3

Di fronte alla forza cumulativa delle ragioni esterne ed interne brevemente accennate, resta per noi eliminato ogni dubbio circa la data dell'Apocalisse.

Apocalisse - Il contenuto dell'Apocalisse

3. Il contenuto dell'Apocalisse

Il contenuto del libro è descritto in breve in Apocalisse 1:19 colle parole: 'le cose che sono e quelle che devono avvenire in appresso'. Al presente si

riferiscono i tre primi capitoli contenenti il messaggio di Cristo alle sette chiese d'Asia che furono le prime destinatarie della Rivelazione. All'avvenire si riferiscono gli altri 19 capitoli che descrivono, nei loro quadri simbolici, pieni di contrasti, le vicende del regno di Dio fino alla sua consumazione nei nuovi cieli e nella nuova terra. Vi si scorgono, da una parte, i mezzi vari di cui Dio si serve per chiamare a ravvedimento gli abitanti della terra; dall'altra vi si vede l'opposizione tremenda delle potenze del male, celesti e terrestri, allo stabilimento del regno di Cristo. In mezzo a questi quadri tetri della malvagità diabolica ed umana, fra lo scrosciar dei giudici di Dio, appaiono le visioni confortanti della moltitudine dei salvati protetta da Dio in mezzo alle tribolazioni cui è sottoposta, partecipe con Cristo dei trionfi del millennio, e da ultimo delle glorie della Gerusalemme celeste.

Nel presente lavoro abbiam diviso il libro in sette parti e ciascuna di queste in sezioni. Ecco lo schema delle varie Parti.

a

I

Parte. Apocalisse 1-3. Il messaggio del Cristo vivente a ciascuna delle

sette chiese, preceduto da due sezioni, la prima delle quali accenna al contenuto generale dell'Apocalisse e la seconda descrive la visione del Cristo in mezzo ai candelabri.

a

II

Parte. Apocalisse 4-6. Il libro dell'avvenire e i suoi suggelli, preceduta

dalla visione di Dio sul trono e da quella dell'Agnello di Dio proclamato degno d'aprire i suggelli del libro.

a

III

Parte. Apocalisse 7-9. La visione delle trombe che danno il segnale dei

giudizi di Dio, preceduta anche questa, a guisa di preludio, dalla duplice visione degli eletti suggellati e dei fedeli vittoriosi giunti alla gloria (Apocalisse 7).

a

IV

Parte. Apocalisse 10-13. I supremi sforzi di Satana contro al Regno di

Cristo. Precede la visione del libretto dal contenuto amaro (Apocalisse 10), quella che traccia in succinto le sorti della Chiesa negli ultimi tempi (Apocalisse 11:1-13) e ci fa udire le voci celesti che salutano l'avvento prossimo del Regno di Dio (Apocalisse 11:14-19).

a

V

Parte. Apocalisse 14-16. Preludi di vittoria seguiti dalla visione dei sette

angeli che versano le sette coppe dell'ira di Dio.

a

VI

Parte. Apocalisse 17-20. Il Giudizio di Dio sui nemici: sulla gran

meretrice chiamata Babilonia, sulla Bestia e sul falso profeta, e da ultimo, sopra Satana. Questa parte si chiude con una breve descrizione del giudizio finale degli uomini

a

VII

Parte. Apocalisse 21-22. La felicità dei redenti nel mondo rinnovato.

Chiudono il libro ammonimenti e promesse finali.

L'Apocalisse presenta così ai credenti un quadro di quella che può dirsi con verità, la grande guerra mondiale, la guerra tra la verità e l'errore, tra il bene e il male, tra il regno di Dio ed il regno di Satana. Fin dai primi capitoli, s'ode la voce del Duce supremo che ripete, alle schiere dei combattenti: «A chi vince, io darò...». Nel tracciare, a grandi linee, le vicende di questa guerra, la profezia mira anzitutto ad avvertire la Chiesa di Dio delle aspre lotte che l'attendono «Nel mondo, avea detto Gesù, avrete tribolazione» Giovanni 16:33. È utile per la Chiesa, è necessario ch'ella conosca i vari nemici che dovrà affrontare! le loro forze, i mezzi di cui faranno uso, il loro capo, i successi che otterranno, ond'essa non si scandalizzi? ma si tenga preparata e si munisca di tutte le armi di Dio. La profezia mira altresì ad infonder coraggio, nei combattenti cristiani col far loro conoscer la potenza gloriosa del loro celeste Capo, la protezione ch'egli stende su loro, gli alleati su cui posson contare, la certezza assoluta della vittoria finale. Mira infine a consolarli nell'ora delle dure prove e delle sofferenze, col porre loro dinanzi

la felicità e la gloria riserbata ai fedeli seguaci del Cristo. Perciò l'Apocalisse è stata apprezzata sopratutto nei tempi di maggior tribolazione della Chiesa fedele, ed è stata paragonata ad un faro destinato a rischiarar la via ai naviganti cristiani durante la notte dei secoli privi di rivelazioni divine. «Sebbene il libro, osserva, il Charles, abbia per argomento gl'inevitabili conflitti ed, antagonismi tra bene e male, tra Dio e le potenze delle tenebre, pure esso è enfaticamente un libro di canti. Vi sono, sì, delle canzoni funebri e delle lamentazioni; ma queste non si riferiscono ai martiri, ai fedeli caduti... esse escono dalle labbra dei peccatori di fronte alla condanna che li ha colpiti o sta, per colpirli. Ma sopra la Chiesa martire, sopra quelli che son caduti nella pugna restando fedeli fino alla fine, il veggente non ha alcun canto che suoni diversamente dal celeste: 'Beati i morti che muoiono nel Signore!'. Una fede immensa, un inconcusso ottimismo, una gioia inestinguibile trovano espressione in inni di lode, di gaudio, di riconoscenza, mentre il veggente contempla la distruzione completa del male, lo stabilimento definitivo della giustizia, e vede i fedeli che godono d'una beatitudine perpetua nella eterna città di Dio».

Se, ai credenti dell'epoca attuale sono risparmiate - non sappiamo per quanto tempo - le persecuzioni violente, ciò non vuol dire che sia terminata la guerra; essa continua senza posa e non v'è posto in essa per i neutri. Il nemico si sforza ora con ogni mezzo di sfibrare il morale dell'esercito di Cristo insidiando la sua fede, la sua speranza, la sua fedeltà, sia col cercar di demolire le S. Scritture, sia coll'oscurar la gloria divina del Salvatore, sia collo spingere i credenti sulla via della mondanità. Sono quindi tutt'altro che superflui per noi i solenni avvertimenti rivolti ai fedeli onde non si lascino afferrare dalla corrente dell'apostasia che li allontana da Cristo e li trascina nell'abisso.

Apocalisse - Interpretazione dell'Apocalisse

4. Interpretazione dell'Apocalisse

L'Apocalisse è uno dei libri che sono stati maggiormente commentati; ma le interpretazioni datene diversificano all'infinito. Secondo il sistema dei preteristi tutto è già da tempo adempiuto, giacché l'Apocalisse mirava a celebrare la vittoria della Chiesa cristiana sulla sinagoga e su Roma pagana. Tutti i simboli e tutte le predizioni trovano la loro spiegazione ed il loro adempimento nella storia contemporanea. Diciamo 'predizioni'; ma, per una parte dei rappresentanti di quella tendenza, il libro non è che un prodotto della, fantasia del suo autore, eccitata dalla persecuzione neroniana e dalla guerra giudaica, un poema didattico in cui si espongono in grandiose immagini certe dottrine a scopo di edificazione. «Le visioni di cui si compone l'opera, scrisse il Reuss, sono una forma letteraria liberamente scelta dall'autore e che non appartiene alla realtà storica». Quindi «non una sola delle predizioni che contiene si è realizzata; Gerusalemme invece di diventare la dimora dei santi, fu ridotta in un mucchio di rovine. Roma non fu distrutta dall'anticristo... i cieli non s'aprirono, la natura seguitò il suo corso regolare: il profeta era stato indotto in errore dall'ardore dei propri desideri». Di duraturo resterebbero i soli concetti religiosi che stanno alla base del libro.

Ora, che lo stato delle chiese e gli eventi della storia contemporanea, da Nerone a Domiziano chiamato da Plinio una 'crudelissima belva', abbiano, in un colle profezie di Daniele, predisposto l'esule di Patmo a ricevere le rivelazioni apocalittiche, è cosa ammissibile; ma è un fare ingiuria all'onestà cristiana dell'Apostolo il crederlo capace di dare come rivelazione di Cristo le proprie arrischiate congetture. E come spiegare che la Chiesa abbia accolto nel suo canone sacro un libro che sarebbe stato così apertamente smentito dai fatti? Daniele e Giovanni, autori rispettivamente dell'Apocalisse dell'Antico e di quella del Nuovo Test. «ci appaiono isolati, l'uno in mezzo ad una corte pagana, l'altro sul suo scoglio di Patmo: sono soli col loro Dio... Essi non si preoccupano soltanto e neanche principalmente della Chiesa della loro epoca: pensano assai più alle generazioni dell'avvenire» (Auberlen).

Al sistema dei preteristi che limitano ai tempi dell'autore l'orizzonte dell'Apocalisse, si contrappone quello dei futuristi secondo i quali le visioni si riferiscono tutte ad eventi lontani connessi colla seconda venuta di Cristo. Cotali eventi occupano indubbiamente un largo posto nel quadro apocalittico, ma la profezia non tralascia di accennare allo svolgimento progressivo del gran dramma morale che avrà il suo epilogo nei fatti finali della storia.

L'interpretazione che meglio d'ogni altra risponde alla natura ad un tempo simbolica e profetica del libro, nonché al fine dichiarato di esso, è quella detta storico-simbolica la quale vede qui la descrizione delle vicende del regno di Dio fino al suo glorioso compimento: descrizione, però, che non è fatta a mo' di cronaca storica anticipata, come molti l'hanno creduto (Elliott, ecc.), ma si svolge dinanzi all'occhio del veggente in varie serie di quadri. Fra questi, come avviene in un atlante geografico, vi sono delle rappresentazioni che racchiudono in breve spazio una veduta generale del regno di Dio considerato sotto un dato aspetto, e ve ne sono altri che riprendono e svolgono più ampiamente taluni dati appena accennati nei quadri più comprensivi. Ad esempio, in Apocalisse 7-9 e seg., si parla di martiri; ma il gran nemico di Cristo, il vero persecutore della Chiesa, appare solo in Apocalisse 12. Nel quadro generale di Apocalisse 11 si fa menzione della Bestia che sale dall'abisso, ma è la visione di Apocalisse 18 che ne farà conoscer la natura e l'opera. In Apocalisse 14:8 si accenna alla caduta di Babilonia; ma questa farà l'oggetto delle visioni più particolareggiate di Apocalisse 17-18. Varie volte, nel corso delle visioni Apocalisse 7-20 un raggio di luce vien proiettato sulla beatitudine riservata ai redenti; ma la descrizione più ampia n'è riservata ai capitoli della fine.

Certo non è sempre facile scorgere il senso di taluni simboli sui quali, peraltro, più che dalla mitologia pagana, c'è da attingere luce dall'analogia delle S. Scritture. Non è facile neppure determinare quel "che è simbolico" e quel che ha da intendersi alla lettera. Restano dei punti oscuri riguardo ai quali dobbiamo, anche oggi, ripetere la parola d'un antico interprete: 'l'avvenire li spiegherà'. Infatti; accade spesso delle profezie ch'esse hanno

un primo adempimento imperfetto che ne fa presagire altri più completi di cui è come il saggio e la garanzia. Così ad esemp. Le profezie d'Isaia relative all'avvenire d'Israele. Si può dire pertanto che l'intelligenza dell'Apocalisse è destinata a crescere a misura che gli eventi gettano luce sulle sue pagine. Ma quel che ne comprendiamo ci autorizza pienamente a far nostra la conclusione del bel saggio di F. Godet: «L'Apocalisse è il coronamento del Nuovo T. e della Bibbia intera... Essa chiude il protocollo aperto dalla Genesi ed è la conclusione della S. Scrittura. Essa ci mostra l'epilogo del dramma principiato colla vittoria di Satana sul primo uomo; ci fa veder l'adempimento dell'antica promessa che riassume tutte quelle venute dopo: 'La posterità della donna schiaccerà il capo del serpente'. I primi capp. della Genesi ci fanno assistere alle crisi della nascita dell'ordine attuale di cose nella natura e nella storia. Gli ultimi capitoli dell'Apocalisse pongono dinanzi a noi il quadro delle convulsioni che ne segneranno la dissoluzione e prepareranno l'apparire dei nuovi cieli e della nuova terra».

Apocalisse - Testo e letteratura esegetica

5. Testo e letteratura esegetica

Il testo dell'Apocalisse è nel N.T., quello che offre il maggior numero di scorrezioni dovute ai copisti. Queste però non toccano la sostanza dottrinale né profetica del libro. Si hanno dell'Apocalisse sette manoscritti unciali, di cui due soli completi, e circa 230 corsivi di cui una sessantina appartengono a varie biblioteche italiane, e propriamente 38 a Roma (che ha inoltre l'unciale B2 o Q), 7 a Firenze, 6 a Venezia, 2 a Napoli, 2 a Modena, e 1 a Torino, a Milano, a Grottaferrata e a Messina. Il che attesta l'amore delle antiche generazioni italiane per la Bibbia; mentre il fatto che di questi documenti gli studiosi odierni sono forestieri attesta la nostra decadenza in materia di studi biblici.

Quanto alla letteratura esegetica, il Prof. Allo osserva che nessun libro è stato commentato quanto l'Apocalisse, ma in sensi così diversi da render

quasi impossibile il tracciar la storia delle interpretazioni. Ogni epoca ha creduto scorgervi la predizione degli eventi che la toccavano da vicino. I più a

antichi commenti, quelli di Melitone di Sardi (170) e d'Ippolito (c.

200)

sono andati perduti. Si hanno spiegazioni di Vittorino di Pettau (3° sec.), di Andrea di Cesarea in Cappad. e di Primasio (6° sec.), dell'abate Gioachino o

di Flora (12

sec.). Dai tempi della Riforma in poi i commentatori

abbondano. Sono da menzionare il gesuita Alcazar 1619, Mede, Is. Newton, Bossuet 1689, Vitringa 1705, Bengel 1740. Nel secolo scorso: Bleek, De Wette, Düsterdieck, Hengstenberg, Elliot (Horae apoc 1851), Auberlen 1854, Reuss, Lange, L. Bonnet (N.T. expliqué), H. Alford (Greek Test.), De Perrot (Le voyant de Patmos). In tempi più vicini: Bousset (1906), Joh. Weiss, Swete 1909, R. H. Charles (Cric. & Exeg. Commentary, 2 voll.1920), E. B. Allo (L'Apocalypse 1921). A questi autori se ne potrebbe con facilità aggiungere un centinaio d'altri.

Avvertenza

Il testo stampato in capo ad ogni pagina di questo Commento è quello del Diodati alquanto modernizzato. Nel commento è riprodotto, di solito, quello della versione riveduta avente a base l'edizione critica del Nestle.

Mt 1:1

CAPO 1 - ANALISI

1. L'albero genealogico della famiglia di Gesù. Siccome Gesù dichiarava di essere il Messia, ovvero il Cristo promesso ad Abrahamo e a Davide, ed annunziato alla nazione giudaica dalle profezie, era importantissimo, per vincere l'opposizione dei capi sacerdoti, di far precedere la narrazione della sua vita e del suo ministerio terrestre da un quadro genealogico, per dimostrare incontrastabilmente la sua discendenza dai patriarchi sopraccennati. Matteo fa l'enumerazione dei suoi antenati nella linea di Giuseppe, reputato suo padre Matteo 1:1-17.

2. Circostanze della nascita di Gesù. Benché l'Evangelista ne dia pochi cenni, pure parla chiaramente della concezione miracolosa nel seno della vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, di Giuseppe perplesso per lo stato della sua fidanzata, della luce da lui ricevuta per mezzo dell'angelo, che dissipò i suoi dubbi sopra un fatto predetto nelle profezie, finalmente del nome ch'egli doveva dare al celeste bambino per ordine di Dio Matteo 1:1825.

Matteo 1:1-17. L'ALBERO GENEALOGICO DELLA FAMIGLIA DI GESÙ Luca 3:23-38

1. Genealogia

cioè registro o rassegna degli antenati di Cristo secondo la carne.

di Gesù Cristo,

«Gesù» è il nome proprio di nostro Signore Vedi Matteo 1:21. «Cristo» è il nome che indica il suo ufficio, e corrisponde in lingua greca alla parola ebraica Messia, cioè Unto; ed egli era veramente l'Unto, consacrato dal Signore Isaia 61:1. Non vi ha nazione che abbia tanto accuratamente conservato le tavole genealogiche quanto quella d'Israele, come lo prova Esdra 2:62. Difatti i loro libri sacri contengono genealogie per un periodo di migliaia d'anni, cioè dalla creazione di Adamo fino alla cattività di Giuda. Tali genealogie erano allora indispensabili, essendo la nazione ebraica divisa in tribù, ad ognuna delle quali era assegnata in possesso inalienabile una parte della terra di Canaan. Ma Iddio aveva uno scopo superiore a quello della stabilità delle possessioni in Israele nell'indurre le successive generazioni di quel popolo a conservare un catalogo esatto dei loro antenati. Esse dovettero farlo, fin dal momento in cui la parola profetica dichiarò che il Messia promesso nascerebbe dalla progenie di Abrahamo, dalla posterità di Giacobbe nella tribù di Giuda, e nella famiglia di Davide. Era di somma importanza il constatare colle genealogie che Gesù discendeva dalla famiglia reale di Davide, ed era la vera progenie promessa ad Abrahamo

Genesi 22:18. Così la nuova economia, della grazia, è collegata coll'antica quella della legge. Due sono gli Evangelisti che ci danno l'albero genealogico della famiglia eletta dalla quale dovea uscire il Messia il Salvatore. Matteo, che scriveva principalmente per gli Ebrei, comincia da Abrahamo, padre di quel popolo. Luca. , invece, avendo in vista i Gentili, ossia le altre nazioni, risale fino al primo uomo, fino a Dio stesso. Ambedue hanno lo scopo di mostrare con tavole autentiche, ufficiali ed accuratamente conservate, fino alla distruzione di Gerusalemme, che Gesù Cristo di cui stanno per narrare la storia, discende incontestabilmente dalla famiglia di Davide sia dal lato di Giuseppe sposo di Maria, sia dal lato di Maria medesima; poiché, tanto la madre di Gesù, quanto Giuseppe suo padre putativo, erano discesi dalla nobile progenie di Davide. Si noti che la genealogia di Gesù Cristo è la sola in tutto il mondo che continui senza interruzione per ben quaranta secoli, e che cominci dalla creazione del primo uomo. Di quanto valore è per il fedele la considerazione di questo fatto, quantunque esso rimanga inosservato dagli increduli e dagli indifferenti! Gesù nasce, secondo la carne, nell'ombra, nell'oscurità; ciò nonostante Egli è il punto centrale di tutta la storia sacra; a Lui si riferiscono tutte le profezie, tutti i tipi, tutto il piano tracciato nell'antica alleanza. È chiaro che questi versetti contengono la genealogia di Giuseppe, mentre Luca ha tracciato quella di Maria. In senso inverso fino ad Adamo Luca 3:23-38. Probabilmente questa genealogia fu copiata da' pubblici registri della nazione, che erano ben conosciuti e contenevano le tavole genealogiche della linea di Davide, che spiega le differenze e le omissioni che si osservano in questa tavola genealogica, confrontandola colla storia dell'Antico Testamento. La verità e l'autenticità della genealogia medesima non furono mai messe in dubbio, neanche da coloro che sarebbero stati felici di provare che Gesù di Nazaret non era il Messia promesso; quindi, ai giorni nostri, sfuggono agli attacchi d'una critica ostile le insignificanti discrepanze che si osservano, paragonando questa genealogia con quelle dell'Antico Testamento.

figliuolo di Davide, figliuolo d'Abramo.

La prima famiglia speciale cui fu promesso il Messia fu quella di Abrahamo; l'ultima quella di Davide Genesi 22:18; 2Samuele 7:12-16, e la

parola «figliuolo» in ambedue i casi si riferisce a Cristo. «Il figliuolo di Davide» era un titolo speciale del Messia Vedi sopra riferimenti , né si poteva omettere la qualificazione di «figliuolo di Abrahamo», perché, sebbene compresa nel titolo precedente, si riferiva ad una profezia troppo importante Confr. i riferimenti e sopra.

PASSI PARALLELI

Genesi 2:4; 5:1; Isaia 53:8; Luca 3:23-38; Romani 9:5

Matteo 9:27; 15:22; 22:42-45; 2Samuele 7:13,16; Salmo 89:36; 132:11; Isaia 9:6-7

Isaia 11:1; Geremia 23:5; 33:15-17,26; Amos 9:11; Zaccaria 12:8; Luca 1:31-32

Luca 1:69-70; Giovanni 7:42; Atti 2:30; 13:22; Romani 1:3; Apocalisse 22:16

Genesi 12:3; 22:18; 26:3-5; 28:13-14; Romani 4:13; Galati 3:16

Mt 1:2

2. Abramo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda, e i suoi fratelli. 3. Giuda generò Fares, e Zara, da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram.

Gli altri figliuoli di Abrahamo non sono nominati insieme ad Isacco, e neppure Esaù gemello di Giacobbe e suo maggiore, perché il Messia non doveva nascere nelle loro famiglie; ma i figli di Giuda sono mentovati, perché la loro progenie faceva parte del popolo eletto da Dio; e Zara gemello di Fares vi è pure nominato, essendo discesa da lui una parte della tribù di Giuda. Con Giuda sono anche mentovati «i suoi fratelli», cioè gli altri undici patriarchi, per dimostrare che tutte le tribù d'Israele, benché non

tutte fosser tornate dalla cattività, avean parte uguale alla benedizione promessa.

PASSI PARALLELI

Genesi 21:2-5; Giosuè 24:2-3; 1Cronache 1:28; Isaia 51:2; Luca 3:34; Atti 7:8

Romani 9:7-9; Ebrei 11:11,17-18

Genesi 25:26; Giosuè 24:4; 1Cronache 1:34; Isaia 41:8; Malachia 1:2-3; Romani 9:10-13

Genesi 29:32-35; 30:5-20; 35:16-19; 46:8-27; 49:8-12; Esodo 1:2-5

1Cronache 2:1-8; 5:1-2; Luca 3:33-34; Atti 7:8; Ebrei 7:14; Apocalisse 7:5

Genesi 38:27,29-30; 46:12

Numeri 26:20-21; 1Cronache 2:3-4

1Cronache 9:6

Genesi 38:6,11,24-26

Genesi 46:12; Numeri 26:21; Ruth 4:18; 1Cronache 2:5; 4:1

Luca 3:33

Ruth 4:19; 1Cronache 2:9

Mt 1:4

4. Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; 5. Salmon generò Booz, da Rahab; Booz generò Obed,

da Rut; Obed generò Iesse. 6. lesse generò Il re Davide; e Davide generò Salomone, da quella ch'era stata moglie di Uria;

In Matteo 1:3,5, 6 troviamo pure registrati i nomi di quattro donne, tutte notevoli per il loro carattere. Due di esse almeno sono Gentili di nascita, cioè Rahab, e Rut la Moabita. Tre di esse poi ci sono presentate nell'A. T. come peccatrici: la prima per ordine cronologico è Tamar, dalla quale, per incesto col suo suocero, discende la più gran parte della tribù di Giuda Genesi 38:24; indi viene Rahab abitante in Gerico, salvata per la fede dalla distruzione di quella città, ma che sembra, secondo Ebrei 11:31; Giosuè 2:1, essere stata meretrice; finalmente Batseba moglie di Uria, poi adultera con Davide 2Samuele 11:2-27. Non era l'uso di inserire nomi di donne nelle tavole genealogiche. Così facendo, Matteo, il quale chiama sé stesso «il pubblicano», ci insegna che la grazia del Signore può giungere non solo fino a quelli «che sono ancor lontani», ma persino alle meretrici ed ai pubblicani, per innalzarli e farli sedere tra i principi del suo popolo.

PASSI PARALLELI

Ruth 4:19-20; 1Cronache 2:10-12

Numeri 1:7; 2:3; 7:12,17; 10:14

Luca 3:32

Ruth 4:21; 1Cronache 2:11-12

Giosuè 2:1-22; 6:22-25; Ebrei 11:31; Giacomo 2:25

Ruth 1:4,16-17,22; 2:1-4:22

Luca 3:32

Ruth 4:22; 1Samuele 16:1,11-13; 17:12,58; 20:30-31; 22:8; 2Samuele 23:1

1Cronache 2:15; Salmo 72:20; Isaia 11:1; Atti 13:22-23

2Samuele 12:24-25; 1Cronache 3:5; 14:4; 28:5

2Samuele 11:3,26-27; 1Re 1:11-17,28-31; 15:5; Romani 8:3

2Samuele 23:39; 1Cronache 11:41

Mt 1:7

7. Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asa. 8. Asa generò Giosafat; e Giosafat generò Ioram; e Ioram; generò Uzzia.

Fra Ioram; e Uzzia regnarono sopra Giuda tre re che non sono nominati in questa genealogia, cioè Achazia, Joas e Amasia, i quali erano discendenti immediati della perfida ed idolatra Atalia, della progenie di Achab, re d'Israele. Probabilmente quei nomi furono emessi rei registri nazionali della genealogia dei re per due ragioni:

1 per ridurre a quattordici il numero delle generazioni da Davide sino alla cattività, come quelle da Abrahamo a Davide;

2 per mostrare la maledizione di Dio sui matrimoni profani, cioè con donne idolatre, fino alla terza e alla quarta generazione 1Re 21:21; 2Re 9:8

PASSI PARALLELI

1Re 11:43; 12:1-24; 1Cronache 3:10; 2Cronache 9:31; 13:7

1Re 14:31

2Cronache 12:1

1Re 15:8-23; 2Cronache 14:1-16:14

1Re 15:24; 22:2-50; 2Re 3:1; 2Cronache 17:1-20:37

1Re 22:50; 2Re 8:16

1Cronache 3:11; 2Cronache 21:1

2Re 14:21; 15:1-6

2Cronache 26:1-23

Mt 1:9

9. Uzzia generò Ioatam; Ioatam generò Achaz; Achaz generò Ezechia. 10. Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò Giosia. 11. Giosia generò Ieconia, e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12. E, dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel; Salatiel; generò Zorobabel.

L'Ieconia di Matteo 1:12 non è lo stesso che quello di Matteo 1:11 con quel medesimo nome vengono in questi versetti indicate due persone diverse, il padre e il figlio. Nel vers. 11 si tratta di Ioiachim, figlio maggiore di Giosia 2Re 23:34, 36, che non fu però immediato successore del padre sul trono. Nel vers. 12 si parla di Ioiachin, figlio del precedente, il quale fu trasportato in cattività a Babilonia. Quando il re di Egitto ebbe sconfitto ed ucciso Giosia, la successione regolare al trono sembra fosse interrotta. Ioachaz, secondo figlio di Giosia, fu eletto suo successore invece del primogenito Ioiachim, o Eliachim. Ioachaz; essendo stato preso ed incarcerato dal re di Egitto, Ioiachim vers. 11, fu posto sul tropo dal conquistatore Ioiachin, o Ieconia vers. 12, succedette al padre ma trasportato in cattività a Babilonia da Nebucadnesar, il suo zio Sedechia, figlio di Giosia, salì sul trono tributario. Ioiachim solo, d'infra i figliuoli di Giosia, sembra fosse ammogliato Confr. 2Cronache 36:1-23 con 2Re 23:30-37; 24:1-17

PASSI PARALLELI

2Re 15:7,32-38; 1Cronache 3:11-13; 2Cronache 26:21; 27:1-9

2Re 15:38; 16:1-20; 2Cronache 27:9; 28:1-27; Isaia 7:1-13

2Re 16:20; 18:1-20:21; 2Cronache 28:27; 29:1-32:33; Isaia 36:1-39:8

2Re 20:21; 21:1-18; 24:3-4; 1Cronache 3:13-15; 2Cronache 32:33; 33:1-19

2Re 21:19-26; 2Cronache 33:20-24

1Re 13:2; 2Re 21:26; 22:1-20; 23:1-30; 2Cronache 33:25; 34:1-33; 35:1-27

Geremia 1:2-3

2Re 23:31-37; 24:1-20; 1Cronache 3:15-17; 2Cronache 36:1-8; Geremia 2:10-28

2Re 24:14-16; 25:11; 2Cronache 36:10,20; Geremia 27:20; 39:9; 52:1115,28-30

Daniele 1:2

2Re 25:27

1Cronache 3:17,19-24

Geremia 22:24,28

Esdra 3:2; 5:2; Nehemia 12:1; Aggeo 1:1,12,14; 2:2,23

Luca 3:27

Mt 1:13

13. Zorobabel generò Abiud; Abiud generò Eliachim; Eliachim generò Azor.

Zorobabel, chiamato anche Sesbassar, era nipote o pronipote di quel Ieconia che fu deportato a Babilonia. Egli fu scelto da Giro per ricondurre i captivi Ebrei nel loro paese, e per essere il primo Satrapo, o Governatore di Giudea, sotto i re di Persia confr. Esdra 1:8; 5:14, con Aggeo 1:1; 2:2

PASSI PARALLELI

Matteo 1:13

Mt 1:14

14. Azor generò Sadoc; Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud. 15 Eliud generò Eleazaro; Eleazaro generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; 16. Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria,

cioè il suo fidanzato Vedi Matteo 1:18. I promessi sposi sono spesso chiamati marito e moglie Genesi 29:21; Deuteronomio 22:22. In questo passo Giuseppe è chiamato marito di Maria, ma non padre di Gesù. Matteo dà la genealogia di Giuseppe, perché egli scriveva per gli Ebrei, i quali nelle genealogie seguivano la linea mascolina.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:18-25; 2:13; Luca 1:27; 2:4-5,48; 3:23; 4:22

Marco 6:3; Luca 1:31-35; 2:7,10-11

Matteo 27:17,22; Giovanni 4:25

Mt 1:16

dalla quale nacque Gesù che è chiamato Cristo. 17. Così, da Abrahamo fino a Davide, sono in tutto quattordici generazioni; e da Davide fino

alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.

Per facilitare la memoria gli Ebrei spartivano le loro genealogie in tre divisioni di quattordici nomi. La prima comprende il tempo dei Patriarchi e dei Giudici la seconda il periodo dei Re; la terza quello dei Sacerdoti Asmonei detti Maccabei. Le genealogie giudaiche sono ormai perdute. Chi potrebbe oggi provare di appartenere alla tribù di Giuda ed alla famiglia di Davide, e pretendere agli onori del Messia? Le ultime quattordici generazioni finiscono con Giuseppe. Ecco a che si riduceva l'illustre casa di Davide i suoi diritti, nella linea di Salomone, appartenevano ad un povero legnaiolo; eppure egli fu il discendente scelto da Dio a far legalmente da padre al Messia promesso, affinché l'aspettato Profeta, Sacerdote e Re salisse «come radice che esce da un arido suolo» Isaia 53:2.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:17

Mt 1:18

Matteo 1:18-25. LA NATIVITÀ DI GESÙ CRISTO

18. Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo.

I dotti credono che Gesù Cristo sia nato quattro anni prima di quello dal quale si fa incominciare l'era nostra. Fino verso l'anno 730 A. D. si calcolarono gli anni dalle Olimpiadi, dalla fondazione di Roma, o dall'era giuliana Gesù nacque 400 anni circa dopo Malachia, 500 dopo Esdra, 1000 dopo il re Salomone, 1500 dopo l'uscita d'Egitto, 4000 dopo la creazione. La narrazione della nascita di Cristo in Matteo è molto breve; ma Luca, scrivendo per istruzione dei Gentili, entra in particolari interessanti, e ci fa

pure conoscere l'infanzia di Giovanni Battista, parente di Cristo e suo precursore Vedi Luca 2:11

Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe,

Un anno, o per lo meno sei mesi, dovevano trascorrere fra la promessa di matrimonio e le nozze; quest'uso fra i Giudei aveva lo scopo di provare l'onestà della fidanzata, ad era, se non ordinato almeno approvato da Dio Deuteronomio 20:7. Secondo la legge, la promessa equivaleva al matrimonio Vedi Matteo 1:19 «Giuseppe suo marito», e Matteo 1:20 «Maria tua moglie».

e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.

sulla miracolosa concezione di Cristo vedi la nota Luca 1:35Luca 1:35. Qui ed altrove lo Spirito Santo è nominato come se fosse una persona Atti 5:3-4, distinta dal Padre e dal Figlio, nell'unità della Divinità, secondo che ci viene chiaramente insegnato. Matteo 3:16-17; 28:19; 2Corinzi 13:13

PASSI PARALLELI

Luca 1:27-38

Genesi 3:15; Giobbe 14:4; 15:14; Luca 1:25,35; Galati 4:4-5; Ebrei 7:26; 10:5

Mt 1:19

19. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto, e non volendo esporla ad infamia si propose di lasciarla occultamente.

Giuseppe senza dubbio, seppe in che stato si trovava Maria, quando essa fu di ritorno dalla visita fatta ad Elisabetta sua cugina Luca 1:56 e per quanto grande fosse l'affetto ch'egli nutriva per la sua fidanzata, non poté difendersi

dall'accogliere sospetti dolorosi sul conto di essa. Egli era troppo onesto per potersi decidere a sposare una giovane, sulla perfetta purezza della quale egli nutriva dei dubbi; ma era altresì di animo troppo compassionevole per punirla della colpa supposta Deuteronomio 22:23-24, e perciò decise di rompere segretamente la data promessa, lasciando a lei la cura di celare la propria vergogna come meglio potesse. Giuseppe aveva davanti a sé due vie per procedere contro Maria: infamarla pubblicamente davanti ai magistrati che l'avrebbero condannata alla lapidazione Deuteronomio 22:23-24; oppure, privatamente e senza addurre ragioni, consegnarle una lettera di divorzio in presenza di due o tre testimoni Deuteronomio 24:1. A quest'ultimo partito preferì di attenersi.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:20; Deuteronomio 22:23-24

Genesi 6:9; Salmo 112:4-5; Marco 6:20; Luca 2:25; Atti 10:22

Genesi 38:24; Levitico 20:10; Deuteronomio 22:21-24; Giovanni 8:4-5

Deuteronomio 24:1-4; Marco 10:4

Mt 1:20

20. Ma, mentre avea queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figliuol di Davide, non temere di prendere teco Maria, tua moglie; perché, ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo;

Vedi nota Luca 1:35Luca 1:35. «Giuseppe figlio di Davide». Simili parole nella bocca dell'angelo rammentando a Giuseppe ciò che tutte le famiglie discendenti da Davide avidamente ambivano, lo dovevano preparare ad un tratto a riceverne il meraviglioso annunzio.

PASSI PARALLELI

Salmo 25:8-9; 94:19; 119:125; 143:8; Proverbi 3:5-6; 12:5; Isaia 26:3; 30:21

Giudici 13:3,8-9; Luca 1:10-13,19,26-38; 2:8-14

Matteo 1:13,19,22; Genesi 31:11; Numeri 12:6; Giobbe 4:13-16; 33:15-17; Gioele 2:28

Isaia 7:2,13; Geremia 33:26; Luca 2:4

Matteo 28:5; Genesi 46:3; 1Re 17:13; Isaia 51:7; Geremia 40:9; Luca 1:30

Matteo 1:18; Geremia 31:22

Mt 1:21

21. Ed ella partorirà un figliuolo, e tu gli porrai nome Gesù;

cioè "Salvatore». Il nome destinato al figlio di Maria, e la ragione addotta in questo versetto, rivelavano chiaramente ciò che Egli doveva essere. «Gesù» e «Giosuè» son lo stesso nome, salvo una piccola alterazione nella finale per conformarlo al greco. Iesous è la parola greca colla quale i Settanta tradussero la parola ebraica Jeoshua ossia Giosuè, cioè «l'Eterno salva». Vi sono due Giosuè nell'Antico Testamento; ognuno di essi è un tipo illustre di Cristo; Giosuè capitano del popolo, che introdusse Israele nella terra, di Canaan e Giosuè sommo sacerdote al ritorno della cattività di Babilonia Zaccaria 6:11-12. Non solo come «Principe della salvezza», ma come Sommo Sacerdote della nostra professione», Cristo è il nostro Giosuè, il nostro Salvatore, che viene in luogo di Mosè a fare «ciò che era impossibile alla legge, in quanto che per la carne era senza forza» Romani 8:3. Giosuè si chiamava in origine Hosea; ma Mosè vi aggiunse la prima sillaba del nome di Jehova facendone Jeosua Numeri 13:17, per indicare che il Messia, che porterebbe quel nome, era Jehova stesso, laonde «egli può salvarci appieno», ed in lui, e «in nessun, altro è la salute».

perché è lui che salverà il suo popolo,

non solo la nazione ebraica Giovanni 1:11; 10:16 ma eziandio tutti quelli che il Padre ha eletti e dati al Figlio,

dai loro peccati.

cioè dalla colpa del peccato per i meriti della sua morte, dal dominio del peccato per lo Spirito della sua grazia, dall'ira e dalla maledizione di Dio in questo mondo e nell'altro. Dice con enfasi: È Lui. Lui solo e nessun altro Atti 4:12. Qui la divinità di Cristo ci è manifestata colla massima chiarezza Confr. Luca 1:68 con Salmo 130:7-8

PASSI PARALLELI

Genesi 17:19,21; 18:10; Giudici 13:3; 2Re 4:16-17; Luca 1:13,35-36

Luca 1:31; 2:21

Salmo 130:7-8; Isaia 12:1-2; 45:21-22; Geremia 23:6; 33:16; Ezechiele 36:25-29

Daniele 9:24; Zaccaria 9:9; Giovanni 1:29; Atti 3:26; 4:12; 5:31; 13:23,3839

Efesini 5:25-27; Colossesi 1:20-23; Tito 2:14; Ebrei 7:25; 1Giovanni 1:7; 2:1-2; 3:5

Apocalisse 1:5-6; 7:14

Mt 1:22

22. Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello ch'era stato detto dal Signore, per mezzo del profeta; 23. «Ecco, la Vergine sarà incinta, e partorirà un figliuolo, al quale sarà posto nome Emmanuele; che, interpretato, vuol dire: Dio con noi.

La profezia si legge nel cap. VII d'Isaia Isaia 7:25. Al re Acaz spaventato dalla coalizione nemica della Siria e d'Efraim contro Giuda, Dio dà un segno della sua protezione: La Vergine israelitica, andata in quei giorni a marito e diventata incinta, potrà chiamare il suo figlio «Emmanuele» Dio con noi, per proteggerci, perché prima che il fanciullo sia giunto all'età di ragione, la coalizione nemica sarà fiaccata Isaia 7:14-16. Ma al disopra del presente fuggevole, l'occhio del profeta contempla, nell'avvenire più lontano, la visione dei grandi castighi che vuoteranno il paese dei suoi abitanti, e in pari tempo quella della grande salvezza che Dio prepara per l'Israele umiliato e per le nazioni tutte. La Vergine israelitica per eccellenza, discendente di opera d'uomo, ma per l'intervento dello Spirito della vita, e il figlio che da lei nascerà sarà veramente l'«Emmanuele», Dio unito alla natura umana, per dare all'umanità una salvezza piena ed eterna.

In tutto il contesto dei capitoli VII a XI d'Isaia, Isaia 7:1-25;8:1-22;9:121;10:1-34;11:1-16 campeggia la figura del figlio divino nascituro dalla Vergine. A questo Emmanuele Salvatore appartiene il paese Isaia 8:8; egli recherà luce d'allegrezza nelle tenebre dell'angoscia: «Un fanciullo ci è nato, un figliuolo ci è stato dato e l'imperio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all'impero e una pace senza fine al trono di Davide ed al suo regno...» Isaia 9:5-6. Egli spunterà come rampollo dalle radici d'Isaia, sarà ripieno dello Spirito dell'Eterno, regnerà con giustizia ed il suo regno stabilirà la pace universale Isaia 11. Il contemporaneo d'Isaia, Michea, predice, a sua volta, la nascita in Betleem e l'imperio universale di questo figlio di Davide, «le cui origini risalgono ai tempi antichi ai giorni eterni» Michea 5:15

PASSI PARALLELI

Isaia 7:14

Isaia 7:14; 8:8

Matteo 28:20; Salmo 46:7,11; Isaia 8:8-10; 9:6-7; 12:2; Giovanni 1:14; Atti 18:9

Romani 1:3-4; 9:5; 2Corinzi 5:19; 1Timoteo 3:16; 2Timoteo 4:17,22

Mt 1:24

24. e Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli avea comandato, e prese con sé sua moglie; 25. e non la conobbe finch'ella non ebbe partorito un figlio. E gli pose nome GESÙ.

La parola primogenito del testo ordinario, autentica in Luca 2:7, è qui cancellata dai critici. Ma il versetto distrugge ugualmente l'idea della perpetua verginità di Maria, perché l'espressione la conobbe» indica l'unione dei sessi; e la dichiarazione che Giuseppe se ne astenne finché essa non ebbe partorito un figlio, prova con evidenza che in seguito non fu più così. Se Maria fosse rimasta sempre vergine, come lo pretende la Chiesa di Roma e se Giuseppe non avesse mai convissuto maritalmente con lei, l'Evangelista, a scanso di ogni equivoco, avrebbe detto: «non la conobbe mai». Non lo dice: dunque non vi ha dubbio su questo punto. Maria può avere avuto dei figli da Giuseppe. D'altronde non esiste ragione alcuna per cui si devono considerare come cugini, o figli d'un primo letto di Giuseppe, i fratelli di Gesù menzionati negli Evangeli. Insomma, a noi sembra che nessun lettore possa mai dare a questo versetto altro senso che il letterale a meno ch'egli lo legga col concetto premeditato della perpetua verginità di Maria.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:22; 7:5; 22:2-3; Esodo 40:16,19,25,27,32; 2Re 5:11-14; Giovanni 2:5-8

Giovanni 15:14; Ebrei 11:7-8,24-31; Giacomo 2:21-26

Esodo 13:2; 22:29; Luca 2:7; Romani 8:29

Luca 2:21

Riflessioni

1. Ringraziamo il Signore di averci dato prove autentiche e sicure per dimostrarci che Gesù è il Messia. Lo scettico non può desiderarle maggiori. Basterebbe sapere che le sue dottrine erano le più pure e celesti; che la sua vita fu un modello di benevolenza e di virtù; che i suoi miracoli avevano l'impronta della divinità, e che furono confermati da testimoni, i quali suggellarono col proprio sangue la verità delle loro asserzioni, tanto su quelli che sulla di lui morte e risurrezione, di più, abbiamo minutissimi ragguagli e documenti conservati dagli Ebrei medesimi, atti a provare come Cristo fosse precisamente della famiglia predetta dai profeti e della progenie d'Abrahamo. Ed ancora dubiteremmo?

2. Esultiamo per lo scopo della missione di Cristo. Egli venne per salvare il suo popolo dal peccato; non già per salvarlo nel peccato, ma da esso, cioè dalla colpa del peccato, dalle sue sozzure, dal suo dominio, e dalle sue eterne conseguenze; egli può salvarci appieno, poiché egli è Emmanuele, Dio con noi!

PASSI PARALLELI

Genesi 6:22; 7:5; 22:2-3; Esodo 40:16,19,25,27,32; 2Re 5:11-14; Giovanni 2:5-8

Giovanni 15:14; Ebrei 11:7-8,24-31; Giacomo 2:21-26

Mt 2:1

CAPO 2 - ANALISI

1. Il luogo ed il tempo della nascita del Salvatore ci son fatti conoscere per la menzione qui fatta di Erode il Grande, allora re di Giudea Matteo 2:1.

2. La visita dei magi guidati dalla stella in Oriente. Arrivano in Gerusalemme, chiedono a Erode notizie di Colui del quale avean veduto la stella in Oriente, e che credevano per lo meno conosciuto da chi regnava in Giudea, se anche non era della sua famiglia. Erode raduna immediatamente i capi sacerdoti e gli Scribi, per sapere da loro il luogo ove il Cristo deve nascere, persuaso che quel «Re dei Giudei», nato in circostanze così straordinarie, dovesse essere il Messia. Gli Scribi provano, coi profeti alla mano, che il Cristo deve nascere a Betleem città di Davide. Saputo ciò, i magi proseguono il loro viaggio, trovano il bambino Gesù, e adorandolo compiono la profezia d'Isaia 60:3: «Le nazioni cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore del tuo levare» Matteo 2:1-11.

3. La strage di Betleem. Idumeo per nascita, ed in verun modo collegato colla dinastia di Davide, Erode, mosso da timore e gelosia, risolve di togliere di mezzo un rivale così pericoloso. Licenzia i magi chiedendo loro che, trovato l'oggetto delle loro ricerche, tornino a dargliene contezza; ma essi invece, per divina ispirazione, rimpatriano percorrendo altra strada Matteo 2:12. Erode, furioso, ordina il massacro di tutti i bambini maschi di Betleem, fino all'età di due anni, reputando questo il più sicuro mezzo di uccidere il temuto suo rivale. Tale atto feroce rinnova nella terra ove riposa Rachele il lamento disperato descritto in Geremia 31:15 Matteo 2:16-18.

4. La fuga in Egitto. La scaltrezza e la crudeltà di Erode furono rese impotenti dalla provvidenza divina, che vegliò sul bambino. Giuseppe, avvertito in sogno dell'imminente pericolo, riceve l'ordine di rifugiarsi in Egitto col Bambino e con Maria. Così fu compiuta un'altra predizione riguardo al Messia, come lo fa osservare Matteo 2:13-15.

5. Ritorno dall'Egitto. Dio che, nella sua provvidenza, procacciò un rifugio al Salvatore bambino, lo richiama dall'Egitto appena passato il pericolo; ma essendo la Giudea governata dal figlio di Erode, Archelao. Giuseppe rifugge dall'idea di dimorare in luogo sottoposto al figlio di un tal padre. Un'altra divina ispirazione lo decide a tornare in Nazaret, sua città natia, nella provincia di Galilea Luca 2:4 Matteo 2:19-23.

Matteo 2:1-11. LA VISITA DEI MAGI

1. Ora, essendo Gesù nato (Luca 2:1), in Betleem di Giudea,

Vi erano in Israele due città di questo nome; l'una in Galilea, apparteneva alla tribù di Zabulon Giosuè 19:15, l'altra alla tribù di Giuda, ed era detta Betleem di Giuda, appunto per distinguerla dalla prima. Betleem in ebraico, significa casa del pane, ed allude alla fertilità delle valli e dei colli da cui è circondata. Per l'istesso motivo veniva chiamata Efrata, la feconda Genesi 35:19; Michea 5:2, ed i suoi abitanti gli Efratei, Rut 1:2. Davide nacque in Betleem, ove erano conservati i registri della sua famiglia, per cui la chiamavano «città di Davide». Essa è situata tra Hebron e Gerusalemme sei miglia al sud di quest'ultima

ai dì del re Erode,

Erode il Grande, fu figlio d'Antipatro, Idumeo o Edomita, e di madre araba, ma proselita ebrea. Al principio della sua carriera, per gl'intrighi di suo padre, fu Tetrarca della Galilea. In seguito, seppe farsi innalzare alla dignità di re della Giudea dall'imperatore e dal Senato di Roma. Quella Giudea che 63 anni prima, conquistata dai Romani, ne era divenuta tributaria, vedeva ora il suo trono occupato da uno straniero sottoposto all'imperatore di Roma, meraviglioso compimento delle ultime parole di Giacobbe Genesi 49:10, il quale, indicando il tempo della venuta del Messia, ci ha dato una prova di più che Gesù è il Cristo promesso. Erode fu chiamato il Grande a cagione del suo valore nelle guerre contro Antigono, e per tale qualificazione si distingue dai suoi discendenti Erode Antipa, Erode Agrippa 1 e 2, menzionati tutti nelle Scritture Luca 3:1;Atti 12:1-20; 26:28. Gli avvenimenti narrati in questo capitolo ebbero luogo almeno quaranta giorni prima della sua morte; altrimenti i magi non l'avrebbero trovato a Gerusalemme, poiché egli passò gli ultimi quaranta giorni della sua vita a Gerico ed ai bagni di Callirhoe

ecco, de' magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme.

in origine i magi erano i preti ed i filosofi della Persia; ma quel nome fu in seguito applicato anche a quelli d'altri paesi, segnatamente dell'Arabia, e degradato a segno da servire a denominare gli stregoni. I magi di cui si tratta in questo passo, erano probabilmente astrologhi, ai quali forse era giunta per tradizione la profezia di Balaam Numeri 24:17, o quella di Daniele 9:24; ma non sappiamo nulla di positivo sul loro conto, se non che erano Gentili. Le tradizioni della Chiesa Romana relative ai magi sono senza fondamento. Si dice che essi fossero tre; un antico scrittore, invece, parla di quattordici. Si vuole che essi fossero principi, e che siano sepolti nella cattedrale di Colonia, per cui sono chiamati anche i tre re di Colonia. La prima di queste tradizioni sembra derivare dal numero dei loro doni: oro, incenso, mirra Vedi Matteo 2:11; la seconda, dalla profezia Isaia 60:3; la terza racconta che le loro salme furono trasportate a Colonia da Milano; ma non si sa come ivi fossero venute dall'Oriente. Il libro di Daniele dà un'idea della grande influenza che i magi esercitavano a quel tempi in Oriente. Il profeta parla degli astrologhi, magi indovini, tutti addetti al sacerdozio, come se formassero un sol corpo, un sacro collegio. Dovevano la loro influenza assai meno alla loro scienza, che all'essere consiglieri e guide di potenti monarchi. Perciò non dove far maraviglia che, allorquando caddero le potenti monarchie dell'Asia, quegli uomini pendessero la loro importanza e divenissero invece strumenti di spavento per gl'ignoranti e complici dei malfattori. Negli ultimi anni dell'impero romano, il Mondo incivilito fu invaso da cotesta gente, poco meno spregevole degli stregoni moderni. Simon Mago Atti 8:9, era uno di tali vagabondi impostori. Al tempo della nascita di nostro Signore, i magi non esercitavano più la primitiva loro influenza, ma non erano peraltro decaduti come lo furono dopo, e la visita di alcuni di loro può venir considerata come un omaggio reso dai rappresentanti del mondo pagano alla stella mattutina di un nuovo giorno, che doveva farli poi sparire col fulgore della sua luce.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:25; Luca 2:4-7

Matteo 2:5; Michea 5:2; Luca 2:11,15; Giovanni 7:42

Matteo 2:3,19; Genesi 49:10; Daniele 9:24-25; Aggeo 2:6-9

Genesi 10:30; 25:6; 1Re 4:30; Giobbe 1:3; Salmo 72:9-12; Isaia 11:10; 60:1-22

Mt 2:2

2. Dicendo: Dov'è il Re dei Giudei che è nato?

Suetonio e Tacito, storici romani, dicono che in tutto l'Oriente si aspettava un principe dominatore del mondo, che doveva sorgere nella Giudea, e Matteo 2:11 dimostra che i magi credevano che egli sarebbe pure il loro Re. Senza dubbio l'aspettativa generale di un conquistatore ebbe origine negli scritti degli antichi profeti, e fu comunicata dai Giudei alla Caldea ed alle contrade orientali.

Poiché noi abbiamo veduta la sua stella in Oriente,

Fu probabilmente questa una qualche meteora luminosa, straordinariamente brillante e che splendeva ad intervalli, poiché Matteo 2:9 fa credere che riapparisse dopo essere stata perduta di vista per qualche tempo. La nascita del Salvatore fu annunziata ai pastori da un angelo e ai filosofi gentili da una stella, Iddio parlando ad entrambi nel loro linguaggio, e nel modo per essi più intelligibile.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:5; Salmo 2:6; Isaia 9:6-7; 32:1-2; Geremia 23:5; Zaccaria 9:9; Luca 2:11; 19:38

Luca 23:3,38; Giovanni 1:49; 12:13; 18:37; 19:12-15,19

Numeri 24:17; Isaia 60:3; Luca 1:78-79; Apocalisse 22:16

Matteo 2:10-11; Salmo 45:11; Giovanni 5:23; 9:38; 20:28; Ebrei 1:6

e siam venuti per adorarlo. 3. Udito questo, il re Erode fu turbato e tutta Gerusalemme con lui.

Il re temeva per la sua corona, e tutta la città tremava al pensiero degli atti crudeli che poteva commettere Erode, per tema di tumulti popolari Un'altra volta soltanto Gerusalemme fu agitata a cagione del titolo di Re dato a Gesù di Nazaret, cioè quando, adempiendo la profezia di Zaccaria 9:9 egli entrò in quella città, montato sopra il puledro di un'asina, in mezzo alla moltitudine che esclamava: «Osanna al figliuolo di Davide» Matteo 21:9; «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» Marco 11:9

PASSI PARALLELI

Matteo 8:29; 23:37; 1Re 18:17-18; Giovanni 11:47-48; Atti 4:2,24-27; 5:2428

Atti 16:20-21; 17:6-7

Mt 2:4

4. E raunati tutti i capi sacerdoti, e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo dovea nascere.

«I capi sacerdoti» erano il sommo sacerdote, il suo supplente, ed i capi delle ventiquattro classi nelle quali Davide aveva distribuite le famiglie sacerdotali 1Cronache 23:6; 24:1-31; 2Cronache 8:14; Esdra 8:24. Secondo il Nuovo Testamento», gli scribi erano uomini sapienti, istruiti nella legge, membri del Sinedrio, ossia del gran consiglio della nazione. Essi tenevano i libri della corte di giustizia, i registri e i conti del Tempio e delle sinagoghe, le dichiarazioni di divorzio, ecc. Erano pure chiamati Dottori della legge, perché la spiegavano Matteo 22:35; Luca 5:17. Essi non formavano una setta religiosa a parte, anzi potevano essere Farisei o Sadducei. L'assemblea qui mentovata è senza dubbio il Sinedrio, ossia il Gran Consiglio, composto

di 72 membri, che erano incaricati degli affari della nazione. Erode, spaventato, li convoca in questo frangente dichiarando che voleva raccogliere da loro informazioni sulla nascita del Messia. Lo scopo suo era di accertarsi mediante la profezia, del luogo ove il Messia doveva nascere, affin di percuoterlo a colpo sicuro. Egli non ha dubbi sul tempo della sua apparizione, e sembra convinto che sia veramente giunto.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:15; 26:3,47; 27:1; 1Cronache 24:4-19; 2Cronache 36:14; Esdra 10:5; Nehemia 12:7

Salmo 2:2; Giovanni 7:32; 18:3

Matteo 7:29; 13:52; 2Cronache 34:13,15; Esdra 7:6,11-12; Geremia 8:8; Marco 8:31; Luca 20:19

Luca 23:10; Giovanni 8:3; Atti 4:5; 6:12; 23:9

Malachia 2:7; Giovanni 3:10

Mt 2:5

5. Ed essi gli dissero: in Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:

Involontaria testimonianza resa a Gesù dalla suprema autorità ecclesiastica, che, più tardi, lo condannò a morte

Genesi 35:19; Giosuè 19:15; Ruth 1:1,19; 2:4; 4:11; 1Samuele 16:1

Mt 2:6

6. E tu, Betleem, terra di Cruda, non coi punto la minima tra le città principali di Giuda;

Tu sei umile, ma sarai innalzata da questo grande avvenimento al grado supremo

perché da te uscirà un Principe che pascerà il mio popolo Israele.

Nell'antico Testamento, i re sono chiamati pastori, ed è sotto questa bella immagine che vengono rappresentate le relazioni di Jehova e del Messia col loro popolo Salmo 23:1

PASSI PARALLELI

Matteo 2:1; Michea 5:2; Giovanni 7:42

Matteo 28:18; Genesi 49:10; Numeri 24:19; 1Cronache 5:2; Salmo 2:1-6; Isaia 9:6-7; Efesini 1:22

Colossesi 1:18; Apocalisse 2:27; 11:15

Salmo 78:71-72; Isaia 40:11; Geremia 23:4-6; Ezechiele 34:23-25; 37:24-26

Mt 2:7

7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita; 8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate, e domandate diligentemente del fanciullino; e quando l'avrete trovato, fatemelo sapere affinché io pure venga ad adorarlo.

Questa domanda di Erode era una mera dissimulazione, la perfida astuzia di un ipocrita sanguinario; ma servì a guidare sicuramente i magi ai piedi del Salvatore.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:3-5; Esodo 1:10; 1Samuele 18:21; Salmo 10:9-10; 55:21; 64:4-6; 83:3-4

Isaia 7:5-7; Ezechiele 38:10-11; Apocalisse 12:1-5,15

1Samuele 23:22-23; 2Samuele 17:14; 1Re 19:2; Giobbe 5:12-13; Salmo 33:10-11

Proverbi 21:30; Lamentazioni 3:37; 1Corinzi 3:19-20

Matteo 26:48-49; 2Samuele 15:7-12; 2Re 10:18-19; Esdra 4:1-2; Salmo 12:2-3

Salmo 55:11-15; Proverbi 26:24-25; Geremia 41:5-7; Luca 20:20-21

Mt 2:9

9. Essi, dunque, udito il re, partirono, ed ecco, la stella che aveano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché giunta al luogo dov'era il fanciullino,

Pare che la stella fosse sparita e si mostrasse di nuovo ai magi allorquando furono in cammino alla volta di Betleem.

vi si fermò sopra.

Questo mostra che era una meteora vicina alla terra.

PASSI PARALLELI

2 Salmo 25:12; Proverbi 2:1-6; 8:17; 2Pietro 1:19

Mt 2:10

10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza. 11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino, con Maria, sua madre;

Luca dice: Luca 2:7 «Ed ella partorì il suo figliuolo primogenito, e lo fasciò, e lo pose a giacer in una mangiatoia; perché non vi era posto per loro nell'albergo»; vale a dire che Giuseppe e Maria, giungendo, non trovarono altro ricovero; ma, prima dell'arrivo de' magi, sembra che alloggiassero nell'albergo, o in altra abitazione. Alcuni scrittori suppongono che per un certo tempo dimorassero in Betleem, credendo che il bambino dovesse essere allevato quivi, e citano l'ordine di Erode di uccidere tutti i bambini fino all'età di due anni, per confermare quest'opinione; ma dai termini del decreto non si può trarre argomento certo a favore di si può questa supposizione. Non v'è motivo per credere che i magi non sieno venuti nei quaranta giorni prima della purificazione, la quale può avere avuto luogo nell'intervallo tra la loro partenza ed il giorno in cui Erode scoprì che l'avevano beffato. Ciò nonostante si crede generalmente che la purificazione Vedi Luca 2:22, precedesse la visita dei magi. Persuasi della verità storica della narrazione di Matteo e di Luca, crediamo che tutti, gli avvenimenti si concilierebbero se ne conoscessimo l'ordine preciso ed i dettagli.

e prostratisi lo adorarono;

i magi videro la madre ed il bambino, ma essi adorarono soltanto quest'ultimo, e non venne loro in mente, di adorare la Vergine Maria la quale è qui nominata solo per indicare l'identità del bambino Emmanuele, nato da una vergine. Vedi la spiegazione del vocabolo «adorarono» Matteo 8:2. I sudditi si prostrano davanti al loro Sovrano, è vero; ma i magi rendevano ben altro che un omaggio civile a quel piccolo Re giudeo, che avevano ricercato con tanta ansietà e che ora adoravano con tanta gioia.

e aperti i loro tesori, gli offerirono dei doni: oro, incenso e mirra.

I sovrani a quei tempi, ricevevano raramente deputazioni che non avessero doni da offrire; così in Oriente si usa anche al nostri dì 1Re 1:2, ecc. Salmo 72:10-11,15. La ricchezza dei doni provava quali fossero i sentimenti di chi li offriva

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 32:13; Salmo 67:4; 105:3; Luca 2:10,20; Atti 13:46-48; Romani 15:9-13; Luca 2:16,26-32,38

Matteo 2:2; 4:9-10; 14:33; Salmo 2:12; 95:6; Giovanni 5:22-23; Atti 10:2526; Apocalisse 19:10

Apocalisse 22:8-10

Genesi 43:11; 1Samuele 10:27; 1Re 10:2,10; Salmo 72:10,15; Isaia 60:6

Esodo 30:23,34; Levitico 2:1-2; 6:15; Numeri 7:14,86; Salmo 45:8; Malachia 1:11; Apocalisse 5:8

Mt 2:12

12. Poi essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

Essi furono divinamente avvertiti in sogno di evitare Gerusalemme, altrimenti le loro esatte relazioni avrebbero giovato ad Erode onde trovare il bambino a colpo sicuro. Iddio veglia su quelli che ama. Egli sperde il consiglio degli empi, e libera i suoi dalle mani di coloro che vorrebbero distruggerli.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:22; 1:20; 27:19; Genesi 20:6-7; 31:24; Giobbe 33:15-17; Daniele 2:19

Esodo 1:17; Atti 4:19; 5:29; 1Corinzi 3:19; 13-18

Mt 2:13

Matteo 2:13-18. LA FUGA IN EGITTO, LA STRAGE DI BETLEEM

13. Partiti che furono, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, e gli disse: Lèvati, prendi il fanciullino, e sua madre,

La Vergine doveva avere adempito il rito della purificazione ordinato in Levitico 12:2-8 ed offerto il bambino al Signore, prima del sogno di cui si parla qui, poiché al ritorno dall'Egitto, non tornarono a Gerusalemme, ma andarono direttamente in Galilea Confr. Matteo 2:22 con Luca 2:39. Questo versetto indica che Giuseppe era il curatore del bambino, e nulla più; dimostra inoltre che si deve onorare il Figlio più della madre, sebbene nelle loro cerimonie la Chiesa di Roma e le Chiese orientali, come pure i più illustri artisti nelle loro opere, invertano l'idea della Scrittura, e facciano di Maria una dispensatrice delle grazie, una protettrice, e di Emmanuele, Dio con noi, un bambino debole, impotente nelle sue braccia.

e fuggi in Egitto, e stà quivi, finch'io non tel dica; perché Erode cercherà il fanciullino per farlo morire.

L'Egitto, paese vicino, provincia romana, indipendente da Erode e popolata da un numero considerevole di Ebrei, era per essi un rifugio conveniente. I fuggiaschi fecero cinque o sei giornate di cammino prima di toccare l'Egitto, e quantunque ivi dimorassero molti Ebrei, furono senza dubbio dolenti di dovere abitare in terra straniera. Già si avverava la profezia di Simeone; già il fanciullino era esposto alla persecuzione «alla contraddizione dei peccatori".

PASSI PARALLELI

Matteo 2:19; 1:20; Atti 5:19; 10:7,22; 12:11; Ebrei 1:13-14; Apocalisse 12:6,14

Matteo 2:19-20; Giosuè 3:13,17; 4:10,18; Daniele 3:25-26; Atti 16:36

Matteo 2:16; Esodo 1:22; 2:2-3; Giobbe 33:15,17; Atti 7:19; Apocalisse 12:4

Mt 2:14

14. Egli dunque, levatosi, prese di notte il fanciullino e sua madre, e si ritirò in Egitto. 15. Ed ivi stette fino alla morte di Erode; acciocché s'adempiesse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: Fuor di Egitto chiamai il mio figliuolo.

Questa profezia di Osea 11:1, nel senso più prossimo, s'applica al popolo d'Israele che il Signore liberò dall'Egitto, ancora giovine, allorquando esso era l'oggetto del suo amore. Ma tutta la storia di quel popolo aveva un senso tipico, sia relativamente a Cristo, sia relativamente ai veri cristiani. Se riflettiamo che il popolo d'Israele è spesso rappresentato nell'Antico Testamento come il primogenito di Dio, troveremo naturalissimo che la discesa di Gesù in Egitto e il suo ritorno in Giudea, sieno stati figurati dall'entrata degli Israeliti in quel paese, e dalla loro partenza da esso. Questi due avvenimenti ebbero lungo l'uno nei primordi della vita di quel popolo, e l'altro nella infanzia di Gesù. Tanto Israele, quanto il Figlio di Dio, furono esposti a grandi pericoli. Fu d'uopo che il primo aspettasse che l'iniquità degli Amorrei, giunta al colmo Genesi 15:16, attirasse il ben meritato castigo su quel popolo idolatra, e Gesù dovette aspettare la morte di Erode per essere richiamato dall'Egitto.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:20-21; 1:24; Atti 26:21

Matteo 2:19; Atti 12:1-4,23-24

Matteo 2:17,23; 1:22; 4:14-15; 8:17; 12:16-18; 21:4; 26:54,56; 27:35; Luca 24:44

Giovanni 19:28,36; Atti 1:16

Esodo 4:22; Numeri 24:8; Osea 11:1

Mt 2:16

16. Allora Erode, vedutosi beffato da' magi, s'adirò gravemente, e mandò ad uccidere tutti i maschi che erano in Betleem, e in tutto il suo territorio, dall'età di due anni in giù, secondo il tempo, del quale s'era esattamente informato da' magi.

Erode avendo determinato di liberarsi dal suo rivale con un massacro generale dei bambini della sua età, avrebbe potuto raggiungere il suo scopo facendo morire soltanto quelli che avevano un anno, quando giunsero i magi; ma per essere più sicuro del fatto suo, fece trucidare tutti i bambini al disotto di due anni.

PASSI PARALLELI

Genesi 39:14,17; Numeri 22:29; 24:10; Giudici 16:10; Giobbe 12:4

Proverbi 27:3-4; Daniele 3:13,19-20

Genesi 49:7; 2Re 8:12; Proverbi 28:15,17; Isaia 26:21; 59:7; Osea 10:14; Apocalisse 17:6

Matteo 2:7

Mt 2:17

Matteo 2:17-18. Allora si adempiè quello che fu detto per bocca del profeta Geremia, dicendo: Un grido è stato udito in Rama, un pianto, e un lamento grande; Rachele piange i suoi figliuoli, e ricusa d'esser consolata, perché non sono più.

La tomba di Rachele e il contiguo paese di Rama sono ambedue nei dintorni di Betleem e dovevano partecipare al suo dolore. Nel linguaggio figurato della profezia, i suoi abitanti, sono naturalmente chiamati i figli di Rachele, l'amata compagna di Giacobbe Genesi 35:19. Il lamento si riferisce in primo luogo al paese che gemeva, per la schiavitù dei suoi abitanti trasportati a Babilonia, ma si rinnova più acerbo nella strage ordinata da Erode Geremia 31:15

PASSI PARALLELI

Matteo 2:15

Geremia 31:15

Geremia 4:31; 9:17-21; Ezechiele 2:10; Apocalisse 8:13

Genesi 35:16-20

Genesi 37:30,33-35; 42:36; Giobbe 14:10

Mt 2:19

Matteo 2:19-23. IL RITORNO DALL'EGITTO Luca 2:39

19. Ma, dopo che Erode fu morto, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, in Egitto, 20. e gli disse: Lèvati, prendi il fanciullino, e sua madre, e vattene nel paese di Israele; perché son morti coloro che cercavano la vita del fanciullino.

Il soggiorno in Egitto non fu di lunga durata. Un anno circa dopo la fuga, il crudele Erode morì, all'età di 70 anni, fra gli spasimi di una terribile malattia, e con disposizioni morali ancora più orribili. Si narra ch'egli radunasse i principali del popolo a Gerico, dando ordine che venissero, trucidati nell'istante in cui egli trapasserebbe; e ciò, diceva egli, affinché la

È

morte sua facesse versare delle lacrime. È facile intendere come un tale ordine non venisse eseguito; ma si ravvisa in esso tutta la malvagità dell'uomo che aveva fatto sgozzare i bambini di Betleem, dopo essere stato l'uccisore della maggior parte dei propri parenti. Giuseppe, per divino avvertimento, saputa la morte del tiranno, tornò immantinente nel paese d'Israele.

PASSI PARALLELI

Salmo 76:10; Isaia 51:12; Daniele 8:25; 11:45

Matteo 2:13; 1:20; Salmo 139:7; Geremia 30:10; Ezechiele 11:16

Matteo 2:13; Proverbi 3:5-6

Esodo 4:19; 1Re 11:21,40; 12:1-3

Mt 2:20

20. Laonde i Giudei dissero: Questo tempio è stato edificato In quarantasei anni, e tu lo ridirizzeresti In tre giorni?

Il verbo è stato edificato, andrebbe piuttosto tradotto, "si andò edificando", come lo è dalla versione dei 70 Esdra 5:16, dove il senso è chiaramente lo stesso che quì. Così traducono in questo passo la Versione autorizzata inglese, e la francese di Ostervald. Prendendo le parole del Signore nel loro senso letterale, i rettori gli rispondono con altero disprezzo: Vorresti tu davvero compiere in tre giorni un'opera che quarantasei anni furono appena sufficienti a condurre al suo stato attuale? Questo tempio fu cominciato da Erode il Grande nell'anno diciottesimo del suo regno, cioè l'anno di Rema 734. Dal diciottesimo anno di Erode alla nascita di Cristo (U. C. 750), si contano 16 anni, più 30, età del Signore a questo momento, fanno 46 anni precisi. "Il naos, il tempio propriamente detto", fu edificato in un anno e mezzo, Flavio Ant. 15:11,6; i cortili presero altri otto anni, ma a motivo di aggiunte e di abbellimenti, continuati molti anni dopo, la morte di Erode,

l'edificio intero non fu condotto a compimento che dal suo pronipote Erode Agrippa, nell'A.D. 64. (Ant. 20:8, 11).

Mt 2:21

21. Ed egli, levatosi, prese il fanciullino, e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. 22. Ma, udito che in Giudea regnava Archelao invece di Erode, suo padre, temette di andar colà;

Archelao fu dichiarato re in forza del testamento di Erode suo padre ma l'imperatore Augusto lo ridusse al titolo inferiore d'Etnarca e gli tolse, la metà del regno. Dopo nove anni di regno crudele ed ingiusto egli fu esiliato, e la Giudea ridotta a provincia romana. Allora lo scettro uscì affatto dalla tribù di Giuda.

ed essendo stato divinamente avvertito in sogno, si ritirò nelle parti della Galilea.

Tutta la contrada all'Ovest del Giordano era allora divisa in tre provincie: la Galilea al, Nord, la Samaria nel centro, e la Giudea al Sud. La Galilea era governata da Erode Antipa, fratello di Archelao, principe mansueto, nel cui regno Giuseppe non aveva nulla da temere.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:22; Ebrei 11:8

Genesi 19:17-21; 1Samuele 16:2; Atti 9:13-14

Matteo 2:12; 1:20; Salmo 48:14; 73:24; 107:6-7; 121:8; Isaia 30:21; 48:1718

Matteo 3:13; Luca 2:39; Giovanni 7:41-42,52

Mt 2:23

23. e venne ad abitare in una città detta Nazaret,

Piccola città circondata dalle colline di Galilea che fanno corona a Settentrione alla grande pianura di Esdraelon, a distanza quasi uguale dalla città marittima di Acco S. Giovanni d'Acri, e da Tiberiade sul lago di Galilea.

acciocché si adempiesse quello ch'era stato detto da' profeti, ch'egli sarebbe chiamato Nazareo.

Queste parole, non sono una citazione testuale delle Sacre Scritture, né l'Evangelista intende citar qui alcuna profezia particolare; accenna solo al senso generico delle profezie. La parola «Nazareo» significa spregevole, e deriva probabilmente dal vocabolo ebraico netzer rampollo, adoprato nelle profezie per indicare il Messia, che, quantunque discendente di Davide doveva nascere e vivere nella povertà e nel disprezzo. Da Giovanni 1:46, risulta chiaramente che Nazaret era un luogo spregiato, e che i suoi abitanti erano chiamati Nazarei per dispregio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:5,7; 19:19; Atti 2:22

Matteo 26:71; Numeri 6:13; Giudici 13:5; 1Samuele 1:11; Salmo 69:9-10; Isaia 53:1-2

Amos 2:10-12; Giovanni 1:45-46; Atti 24:5

RIFLESSIONI

1. Da questo capitolo impariamo che i Gentili incominciarono ben presto a radunarsi intorno al Messia, e che spesso quelli che vivono lungi dai mezzi di grazia sono i primi a convertirsi.

2. L'odio contro Cristo ed il suo regno è principalmente cagionato dall'ignoranza della loro natura e del loro fine.

3. Triste cosa è il vedere che i ripetuti avvisi della Provvidenza pendono gli uomini ognora più malvagi e crudeli.

4. Adoriamo le vie del Signore che sconvolge i piani dei suoi nemici, siano essi pure scaltri, potenti, scellerati. Egli si serve di loro come di strumenti per l'esecuzione dei suoi decreti e per attesta la parità delle sue predizioni Egli si compiace nel guidare ed incoraggiare i nuovi convertiti, i quali sono pronti a dedicarsi a Cristo con vera umiltà e con tutto ciò che posseggono. Più essi saranno uniti a Cristo, più saranno protetti, guidati da lui, e più si sentiranno disposti ad obbedire prontamente ed allegramente al Signore.

5. Nell'esempio degli Scribi abbiamo una prova che la mente può essere ricca di cognizioni, mentre il cuore è privo di grazia; e nell'esempio di Erode vediamo in quali mostri d'iniquità il peccato può trasformare alcuni uomini. Ai potenti corrotti non mancheranno mai vili strumenti.

6. La vita, i figli, i beni, e tutte le cose di cui godiamo ci recano dolori cortissimi, e consolazioni incerte. Ah! sia il nostro maggior desiderio quello di possedere il Signore, e di vivere con Lui, come col migliore dei padri e degli amici, ovunque ci troviamo.

Mt 3:1

CAPO 3 - ANALISI

1. La narrazione della venuta di Giovanni Battista, necessaria per indicarci le relazioni che passano fra il suo ufficio e quello del Messia. Questo racconto fa conoscere il teatro della sua opera, il tema della sua predicazione, l'oggetto della sua missione come precursore del Messia, la semplicità del suo vestire, e la sua abnegazione. Matteo 3:1-4

2. Il battesimo e la testimonianza di Giovanni. Battezza sulle rive del Giordano, come suggello del pentimento sincero del peccato, e

dell'aspettativa di una imminente manifestazione del regno di Dio cioè della venuta del Messia. Grande è l'eccitamento prodotto non solo in Gerusalemme ma in tutto l'antico regno d'Israele dall'apparizione di Giovanni. Uomini di ogni condizione sono fra i suoi uditori: pubblicani, soldati, gente del popolo, sacerdoti e Leviti, Farisei e Sadducei Luca 3:10,12,14; Giovanni 1:19. Giovanni che discerne il vero carattere di queste due sette, e specialmente la loro ipocrisia, rivolge loro severi rimproveri, ed insiste; non solo sulla professione di ravvedimento, ma sulle opere che devono dimostrarne la sincerità. La dichiarazione del suo proprio ufficio, e la testimonianza resa da lui all'aspettato Messia davanti ai sacerdoti ed ai Leviti mandati da Gerusalemme per interrogarlo sulla sua dottrina ai quali poterono associarsi i Farisei ed i Sadducei, come membri del Sinedrio, vengono chiaramente esposte in Giovanni 1:19, ecc. Matteo 3:5-12.

3. Gesù battezzato. Il battesimo d'acqua, amministrato da Giovanni a Gesù, è seguito dal battesimo dello Spirito Santo, che scende sopra lui sotto forma visibile e lo consacra mentre che, per confermarlo nella sua missione, la voce del Padre esclama: «Questo è il mio diletto Figliuolo nel quale prendo il mio compiacimento» Matteo 3:13-17.

Matteo 3:1-12. LA VENUTA, IL BATTESIMO, E LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI Marco 1:1-8; Luca 3:1-18

1 Or in quei giorni

Nel capitolo precedente abbiamo lasciato la famiglia di Giuseppe a Nazaret «Ora in quei giorni», cioè trent'anni dopo, la ritroviamo nella medesima città. L'opinione generale è che Giovanni entrasse nel suo ufficio all'età di trent'anni e che questo durasse solo sei mesi; perché Gesù, nato sei mesi dopo Giovanni, era entrato per il battesimo nel suo pubblico ministero all'età di trent'anni Luca 3:23, e poco dopo, la missione di Giovanni cessò. Se si suppone però che la predicazione di Giovanni abbia durato più di sei mesi, bisogna concluderne che avesse incominciato prima del suo trentesimo anno.

comparve Giovanni Battista,

Suo padre era un sacerdote della muta di Abia, di nome Zaccaria, e sua madre Elisabetta era della famiglia sacerdotale di Aaronne; sicché per diritto di nascita, Giovanni apparteneva al sacerdozio levitico. È naturale il desiderare, sul parentado e sulla nascita del precursore del Messia, dettagli maggiori di quelli somministratici da Matteo, ed infatti Luca, scrivendo per i Gentili, ce li fornisce Luca 3:17. «Battista» indica il suo ufficio, come «Cristo» indica quello di Gesù. Lo storico Flavio Giuseppe lo rammenta con questo titolo Antich. 18:52.

predicando, nel deserto della Giudea,

Vedi la nota Luca 1:39Luca 1:39. La contrada della Giudea, che comprendeva le possessioni di Giuda e di Beniamino, ora divisa, secondo la configurazione fisica del paese, in tre regioni parallele, le quali andavano dal N. al S., cioè: la pianura all'Occidente lungo la costa del Mediterraneo; la contrada delle montagne nel centro; ed il deserto dell'Oriente, lungo le sponde del Giordano e del mar Morto. Il deserto della Giudea non era precisamente simile a quello di Sinai o di Paran, o al paese posto fra i monti di Moab e l'Eufrate ; ma bensì un territorio senz'acqua, incolto e poco abitato; però, dopo le piogge periodiche, vi si trovavano pascoli abbondanti Luca 15:4. Questo deserto si estende molto al di là degli antichi limiti della tribù di Giuda, perché dall'estremità inferiore del lago di Galilea fino a Jutta Giosuè 15:55, città natia del Battista, posta ai limiti del deserto verso Mezzodì, tutto il paese sulla sponda destra del Giordano e del mar Morto ha un solo e medesimo aspetto. La scena dell'attività di Giovanni doveva essere aspra come la sua predicazione!

PASSI PARALLELI

Luca 3:1-2

Matteo 11:11; 14:2-14; 16:14; 17:12-13; 21:25-27,32; Marco 1:4,15; 6:1629

Luca 1:13-17,76; 3:2-20; Giovanni 1:6-8,15-36; 3:27-36; Atti 1:22; 13:2425

Atti 19:3-4

Isaia 40:3-6; Marco 1:7; Luca 1:17

Matteo 11:7; Giosuè 14:10; 15:61-62; Luca 7:24

Mt 3:2

2. E dicendo: Ravvedetevi,

La parola greca ravvedetevi indica un cambiamento di pensiero e di sentimento, relativamente al peccato ed alle cattive azioni commesse, ciò che conduce l'uomo non solo a deplorarle, ma ad abbandonarle intieramente; e questa risoluzione è seguita da atti che ne dimostrano la sincerità. Questo cambiamento è operato dallo Spirito di Dio.

perché il regno de' cieli è vicino.

L'espressione «il regno dei cieli», usata soltanto da Matteo, corrisponde negli altri Evangeli, al «regno di Dio». Generalmente queste espressioni indicano la nuova economia che stava per cominciare, ma spesso significano anche la santificazione progressiva del cuore e il regno della gloria. La liberazione dal peccato la prima benedizione del regno di Cristo, Matteo 1:21, non è apprezzata se non da chi ha sentita il peso del peccato sull'anima Matteo 9:12; perciò Giovanni doveva risvegliare le coscienze e destare in esse la speranza eli un pronto e sicuro rimedio.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:17; 11:20; 12:41; 21:29-32; 1Re 8:47; Giobbe 42:6; Ezechiele 18:30-32

Ezechiele 33:11; Marco 1:4,15; 6:12; Luca 13:3,5; 15:7,10; 16:30; 24:47

Atti 2:38; 3:19; 11:18; 17:30; 20:21; 26:20; 2Corinzi 7:10; 2Timoteo 2:25

Ebrei 6:1; 2Pietro 3:9; Apocalisse 2:5,21

Matteo 5:3,10,19-20; 6:10,33; 10:7; 11:11-12; 13:11,24,31,33,44-45,47

Matteo 13:52; 18:1-4,23; 20:1; 22:2; 23:13; 25:1,14; Daniele 2:44; Luca 6:20; 9:2

Luca 10:9-11; Giovanni 3:3-5; Colossesi 1:13

Mt 3:3

3. Di lui parlò infatti il profeta Isaia quando disse: Vi è una voce d'uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, addirizzate i suoi sentieri

Per significare l'imminenza della liberazione d'Israele dalla cattività babilonese per opera dell'Eterno, il secondo Isaia, con ardita figura poetica rappresenta l'Eterno che sta per porsi alla testa del residuo del suo popolo per ricondurlo, attraverso il deserto di Siria nella sua patria. Già s'ode la voce che ordina di preparare la via del Re dei re. Quel ch'era figura poetica al tempo del rimpatrio, è divenuto realtà concreta quando l'Eterno è venuto nella persona di Gesù a redimere l'umanità dalla schiavitù del peccato. Giovanni Battista, l'ultimo dei profeti dell'antico Patto, è stato mandato qual precursore o battistrada a preparare nei cuori la via al Salvatore. La profezia indiretta d'Isaia è citata nei quattro Vangeli ed in Marco è citata quella più diretta di Malachia 3:1: «Ecco io mando davanti a te il mio messaggero a prepararti la via».

PASSI PARALLELI

Isaia 40:3; Marco 1:3; Luca 3:3-6; Giovanni 1:23

Isaia 57:14-15; Malachia 3:1; Luca 1:17,76

Mt 3:4

4. Or esso Giovanni avea il vestimento, di pelo di cammello,

non si tratta della pelle col pelo che sarebbe stata troppo pesante, né del bel pelo fine di quell'animale, ma del pelo lungo ed irsuto col quale si tesseva un rozzo panno di cui anticamente si rivestivano gli anacoreti, e che tuttora serve di vestiario alla gente povera in Oriente.

e una cintura di cuoio intorno ai fianchi.

Gli Arabi anche oggidì portano una larga cintura di pelle che serve a sostenere le reni ed a reggere una lunga camicia, unico loro vestito. Secondo Zaccaria 13:4, sembra che a quell'abito si riconoscessero i profeti. Siccome Giovanni era l'Elia della profezia Confr. Malachia 3:1 con Matteo 11:13-14, ravvisiamo nel suo modo di vestire una gran somiglianza con quel profeta 2Re 1:8

e il suo cibo erano locuste.

Questi insetti sono numerosissimi nei paesi orientali. I poveri li mangiano fritti, o seccati e salati, poi ridotti in focaccia. La legge di Mosè permetteva di mangiare le locuste Levitico 11:22; ma, non essendo esse grate al palato, soltanto i più miserabili se ne cibavano, e dal fatto che Giovanni ne faceva suo cibo ordinario si argomenta ch'egli doveva esser povero e di umile condizione.

e miele selvatico.

Abbondano in Palestina le api, perciò la Bibbia la chiama spesso «un paese stillante miele» Esodo 3:8,17. Questi insetti depositavano il miele nelle fessure delle rupi, e nei cavi dei tronchi degli alberi, in tale abbondanza che il miele diventò cibo usuale dei pastori, e di altri che vivevano nel deserto.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:8; 2Re 1:8; Zaccaria 13:4; Malachia 4:5; Marco 1:6; Luca 1:17; Apocalisse 11:3

Matteo 11:18; Levitico 11:22

Deuteronomio 32:13; 1Samuele 14:25-27

Mt 3:5

5. Allora Gerusalemme, e tutta la Giudea

Nel tempo del ministero di Giovanni la Palestina era divisa in tre parti: la Giudea, la Samaria e la Galilea. La prima comprendeva il territorio delle tribù di Giuda e di Beniamino ed una porzione di quella di Efraim.

e tutto il paese d'intorno al Giordano, presero ad accorrere a lui.

Il «paese d'intorno al Giordano comprende le parti della Samaria, della Galilea della Perea e, della Gaulonitide, adiacenti al fiume.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:25; 11:7-12; Marco 1:5; Luca 3:7; 16:16; Giovanni 3:23; 5:35

Mt 3:6

6. Ed erano battezzati da lui nel fiume Giordano.

Gl'Israeliti amministravano il battesimo ai proseliti d'infra i pagani, ed alcuni credono che Giovanni imitasse questa cerimonia; ma egli non imitava né le abluzioni prescritte dell'Antico Testamento né il battesimo dei proseliti forse non ancora stabilito a quell'epoca, né le cerimonie degli Esseni Vedi Nota preliminare, Sette Giudaiche, bensì adempiva un ordine di Dio, ordine

datogli quando venne chiamato al suo ministero Giovanni 1:33. Nel linguaggio profetico, la purificazione per mezzo dell'acqua è simbolo della purificazione del cuore, la quale sotto la nuova economia deve estendersi a tutto il vero Israele, cioè alla Chiesa vivente di Dio Ezechiele 36:25; Zaccaria 13:1. Un tale insegnamento profetico diede origine all'idea che la venuta del Messia dovesse esser preceduta da una purificazione preliminare mediante la quale Elia o qualche altro profeta gli preparerebbe la via. Perciò i Giudei domandarono a Giovanni: Sei tu il Messia? Sei tu Elia? Sei tu il profeta? E se non lo sei, perché battezzi? Giovanni 1:21,25

Se il battesimo di Giovanni non deve essere confuso con quello dei proseliti nemmeno deve confondersi con quello istituito da Cristo nella sua Chiesa, benché esso indichi le medesime verità essenziali. Infatti, Giovanni non battezzava nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; i suoi discepoli non credevano nel Messia come se egli fosse già venuto ma soltanto nella sua prossima venuta; e Paolo battezzò ad Efeso nel nome di Gesù alcuni discepoli che avevano di già ricevuto il battesimo di Giovanni Atti 19:3-4. Quel battesimo era dunque un pubblico suggello:

1 del bisogno di redenzione sentito dai peccatori pentiti che lo ricevevano;

2 dell'aspettativa del promesso Liberatore e del fermo proponimento di seguirlo quando Egli apparirebbe.

Quando quella grande moltitudine chiedeva il battesimo in un paese scarso d'acqua, Giovanni era costretto di condurlo al Giordano. Benché sia probabile che egli e quelli ch'egli battezzava entrassero nel fiume, ciò non prova che vi s'immergessero intieramente, ma ancorché così fosse, ciò non stabilirebbe una regola per il battesimo cristiano. Eccone la ragione: il culto stabilito dal Nuovo Testamento è spirituale, il battesimo è un segno esterno ed un suggello del perdono del peccato per mezzo del sangue di Cristo, e della purificazione interna per mezzo dello Spirito Santo; quindi poco importa che il battesimo si amministri per aspersione o per immersione, poiché colui che è istruito nelle cose del regno dei cieli vi scorgerà sempre quelle verità chiaramente figurate.

confessando i loro peccati.

Al battesimo si univa la confessione del peccato, e, conseguentemente una profonda umiliazione davanti a Dio. Ciò non giova punto a stabilire la confessione auricolare come insegna la Chiesa di Roma. Si tratta qui d'una confessione pubblica dei peccati fatta a Dio, in presenza di Giovanni e della moltitudine. Chi desidera pace e perdono ai nostri giorni deve pure confessare i suoi peccati, e quelli soltanto che riconoscono le loro colpe con rossore e compunzione sono disposti a ricevere Gesù Cristo come «loro giustizia» 1Giovanni 1:8-9

PASSI PARALLELI

Matteo 3:11,13-16; Ezechiele 36:25; Marco 1:8-9; Luca 3:16; Giovanni 1:25-28,31-33; 3:23-25

Atti 1:5; 2:38-41; 10:36-38; 11:16; 19:4-5,18; 1Corinzi 10:2

Colossesi 2:12; Tito 3:5-6; Ebrei 6:2; 9:10

1Pietro 3:21

Levitico 16:21; 26:40; Numeri 5:7; Giosuè 7:19; Giobbe 33:27-28; Salmo 32:5; Proverbi 28:13

Daniele 9:4; Marco 1:5; Luca 15:18-21; Atti 2:38; 19:18; 22:16; Giacomo 5:16

1Giovanni 1:9

Mt 3:7

7. Ma vedendo egli molti dei Farisei

Vi erano fra gli Ebrei, al tempo di nostro Signore, quattro sette religiose principali: i Farisei, i Sadducei, gli Esseni e gli Erodiani. Le due prime

esercitavano una grande influenza sulla nazione, e le troviamo spesso menzionate nella narrazione della vita di Cristo. Secondo Giuseppe Flavio, esse esistevano già al tempo del sommo sacerdote Gionata A. C. 159-144. Il nome di Fariseo applicato alla setta più grande ed influente deriva dalla parola ebraica «Parash», separare, perché essi si separavano dal resto della società, per la singolare austerità delle loro idee religiose. Oltre la legge ed i profeti, essi insegnavano le tradizioni dei padri, e ne ponevano l'autorità perfino al disopra di quella delle Scritture. Le loro idee sulla provvidenza, sul governo di Dio, sulla vita futura, sull'immortalità dell'anima e sulla risurrezione, erano generalmente giuste; ostentavano una gran pietà che purtroppo non reprimeva la scellerataggine dei loro cuori, pieni di crudeltà. Il Signore li chiamò apertamente ipocriti, affine di premunire i suoi discepoli contro la loro influenza. Il governo romano, che aveva riunita la Giudea all'impero, trovava in loro degli accaniti nemici, che vivevano nell'aspettativa di un Messia affatto mondano,

e dei Sadducei venire al suo battesimo,

I Sadducei erano gli antagonisti dei Farisei. Formavano una setta piccola ma influente, in forza delle sue ricchezze e della educazione dei suoi membri che tutti erano d'alto grado. Un certo Sadoc ne fu il fondatore al tempo di Alessandro, il Grande; ma più tardi i suoi seguaci modificarono considerevolmente le sue dottrine. I Sadducei ammettevano in principio l'autorità dell'Antico Testamento, ma rigettavano tutta la tradizione, Disgraziatamente essi respingevano anche molte verità scritturali, come a cagione d'esempio la provvidenza di Dio, la vita futura, la risurrezione, l'esistenza degli angeli e degli spiriti. Erano materialisti e scettici, se non apertamente increduli Vedi Nota preliminare Sette Giudaiche.

disse loro: Razza di vipere,

siccome la vipera è velenosa, così l'influenza di quelle due sette era mortifera per la società tutta.

chi vi ha insegnato a fuggire dall'ira a venire?

Leggete Romani 1:18;1Tessalonicesi 1:10, e vedrete che cosa significhi «l'ira a venire». Giovanni penetrava i loro motivi; vedeva che erano piuttosto trascinati dalla popolarità dell'opera sua, che spinti da qualche ansietà per le loro anime.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:20; 12:24; 15:12; 16:6,11-12; 22:15,23,34; 23:13-28

Marco 7:3-5; 8:15; 12:13,18; Luca 7:30; 11:39-44; 16:14; 18:11; Giovanni 1:24

Giovanni 7:45-49; 9:40; Atti 4:1-2; 5:17; 15:5; 23:6-9; 26:5

Matteo 12:34; 23:33; Genesi 3:15; Salmo 58:3-6; Isaia 57:3-4; 59:5; Luca 3:7-9

Giovanni 8:44; 1Giovanni 3:10; Apocalisse 12:9-10

Geremia 6:10; 51:6; Ezechiele 3:18-21; 33:3-7; Atti 20:31; Romani 1:18; Ebrei 11:7

Romani 5:9; 1Tessalonicesi 1:10; 2Tessalonicesi 1:9-10; Ebrei 6:18; Apocalisse 6:16-17

Mt 3:8

8 Fate adunque dei frutti degni del ravvedimento.

Vano è il professare dei sentimenti ai quali non vadano uniti i fatti. Se parlate di pentimento dei vostri peccati, aborriteli, abbandonateli, menate una nuova vita.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:28-30,32; Isaia 1:16-17; Luca 3:8,10-14; Atti 26:20; Romani 2:47

2Corinzi 7:10-11; 2Pietro 1:4-8

Galati 5:22-23; Efesini 5:9; Filippesi 1:11

Geremia 7:3-7; 26:13; 36:3

Mt 3:9

9. E non pensate di dir dentro di voi: Abbiamo per padre Abramo;

La discendenza degli Ebrei da Abrahamo era soggetto costante di vanto, specialmente per gli Scribi ed i Farisei; ma Giovanni li avverte che non potrebbero valersene presso il Messia, immorali ed impenitenti quali erano.

perchè io vi dico che Iddio può da queste pietre, far sorgere dei figlioli ad Abramo.

Queste parole considerate da alcuni come proverbiali al pari di Luca 19:9, indicano il potere di Dio, il quale poteva eseguire il, patto e le promesse fatte ad Abrahamo, ancorché quella generazione d'ipocriti fosse intieramente distrutta. Forse lo Spirito Santo che animava il Battista faceva in quelle parole allusione ai Gentili, chiamati più tardi ad esser figlioli spirituali d'Abrahamo, miracolo altrettanto portentoso agli occhi dei Giudei quanto il far sorgere dei viventi dalle pietre del deserto impariamo da questo versetto:

1 che non valgono né stirpe, né privilegi di nascita laddove non v'è rettitudine di vita;

2 che tali privilegi aumentano la nostra responsabilità, e per conseguenza la nostra colpa, se, invece di farci migliori, ci empiono, di orgoglio farisaico e d'incredulità sadducea;

3 che l'impenitenza di coloro che nascono nel seno della Chiesa visibile non può impedire Iddio di radunare intorno a se un popolo fedele Giovanni 6:3637

PASSI PARALLELI

Marco 7:21; Luca 3:8; 5:22; 7:39; 12:17

Ezechiele 33:24; Luca 16:24; Giovanni 8:33,39-40,53; Atti 13:26; Romani 4:1,11-16

Romani 9:7-8; Galati 4:22-31

Matteo 8:11-12; Luca 19:40; Atti 15:14; Romani 4:17; 1Corinzi 1:27-28; Galati 3:27-29

Efesini 2:12-13

Mt 3:10

10. E già la scure è posta alla radice degli alberi;

Gli antichi profeti spesso usano la stessa metafora Geremia 46:22; Ezechiele 31:3,11-12

ogni albero dunque che non fa buon frutto, sta per essere tagliato, e gettato nel fuoco.

Il tempo in cui una mera professione di religione bastava era trascorso. Il celeste vignaiolo stava per venire nella sua vigna, affine di esaminare accuratamente ogni pianta. Il ricco fogliame di una religione esterna non ha valore agli occhi suoi; ogni pianta deve portare frutto, altrimenti viene tagliata e tolta come ingombro della terra Luca 13:69

PASSI PARALLELI

Malachia 3:1-3; 4:1; Ebrei 3:1-3; 10:28-31; 12:25

Luca 3:9; 23:31

Salmo 1:3; 92:13-14; Isaia 61:3; Geremia 17:8; Giovanni 15:2

Matteo 7:19; 21:19; Salmo 80:15-16; Isaia 5:2-7; 27:11; Ezechiele 15:2-7; Luca 13:6-9

Giovanni 15:6; Ebrei 6:8; 1Pietro 4:17-18

Mt 3:11

11. Ben vi battezzo io con acqua, in vista del ravvedimento; ma colui che viene dietro a me è più forte di me, ed io non son degno di portagli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco.

Io non sono, dice Giovanni, se non amministratore del segno esterno della vostra, purificazione spirituale; ma il Cristo compirà egli stesso quella purificazione interna col suo Spirito, il quale opererà come fuoco, che purga perfettamente ciò che passa per esso, laddove l'acqua lava soltanto la superficie. Taluni credono che i capi di alcune sette giudaiche ricevessero i loro proseliti colla cerimonia del battesimo. La domanda di Gesù: «Il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini?» sembra implicare che alcuni amministrassero il battesimo senza pretendere ad una missione divina. Il battesimo di Giovanni si distingueva dagli altri perché era dal cielo; ed era il battesimo in segno di penitenza, nell'aspettativa del Messia Atti 19:4. L'umile sua Posizione di fronte a quella di Gesù, di cui era precursore è qui indicata dal doppio contrasto ch'egli stabilisce tra il battesimo d'acqua ed il battesimo di fuoco, ossia di Spirito Santo; e fra quegli che è «più forte di lui», e lui stesso, schiavo indegno di sciogliere i sandali del suo Maestro. Il fuoco e l'acqua indicano ambedue nelle Scritture la purificazione e la santificazione ch'è opera delle Spirito Santo. Confrontate il linguaggio di questo versetto con quello di Giovanni 3:5: «Se alcuno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio». Il

simbolo visibile di cui si serviva Giovanni era l'acqua; il simbolo visibile del fuoco apparve a Pentecoste.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:6; Marco 1:4,8; Luca 3:3,16; Giovanni 1:26,33; Atti 1:5; 11:16; 13:24; 19:4

Luca 1:17; Giovanni 1:15,26-27,30,34; 3:23-36

Marco 1:7; Luca 7:6-7; Atti 13:25; Efesini 3:8; 1Pietro 5:5

Isaia 4:4; 44:3; 59:20-21; Zaccaria 13:9; Malachia 3:2-4; Marco 1:8; Luca 3:16

Giovanni 1:33; Atti 1:5; 2:2-4; 11:15-16; 1Corinzi 12:13; Galati 3:27-28

Mt 3:12

12. Egli ha il suo ventilabro in mano, e netterà interamente l'aia sua, e raccoglierà il suo grano nel granaio; ma arderà la pula nel fuoco inestinguibile.

La verità contenuta in Matteo 3:10 è espressa in questo con un'altra similitudine, nella quale Gesù Cristo, capo della Chiesa, viene rappresentato come un agricoltore sull'aia, col ventilabro in mano separando la pula dal grano, raccogliendo questo nel granaio, e bruciando quella nel fuoco. Il grano rappresenta i credenti fermi, i santi preziosi al Signore Luca 22:31; il granaio è l'immagine del cielo Matteo 13:30. Confr. con Matteo 13:43. La pula rappresenta quelli che sono soltanto cristiani di nome Salmo 1:4

PASSI PARALLELI

Isaia 30:24; 41:16; Geremia 4:11; 15:7; 51:2; Luca 3:17

Matteo 13:41,49-50; Malachia 3:2-3; 4:1; Giovanni 15:2

Matteo 13:30,43; Amos 9:9

Giobbe 21:18; Salmo 1:4; 35:5; Isaia 5:24; 17:13; Osea 13:3; Malachia 4:1; Luca 3:17

Isaia 1:31; 66:24; Geremia 7:20; 17:27; Ezechiele 20:47-48; Marco 9:43-48

Mt 3:13

Matteo 3:13-17. IL BATTESIMO DI GESÙ Marco 1:9-11; Luca 3:2-22

13. Allora Gesù, dalla Galilea si recò al Giordano da Giovanni, per esser da lui battezzato.

Marco dice ch'egli venne da Nazaret. Ivi Gesù era vissuto ritirato, dall'epoca in cui Giuseppe e Maria ritornarono dall'Egitto, e non se n'era allontanato, se non per recarsi alle feste giudaiche in Gerusalemme. Allorquando l'ufficio pubblico del suo precursore toccava al suo termine e che il suo stava per cominciare, Gesù lasciò Nazaret e raggiunse Giovanni sulle rive del Giordano. Aveva allora circa trent'anni.

Sulla prima gioventù del Salvatore non abbiamo ragguagli; solo sappiamo ch'egli era famigliarmente conosciuto dai suoi concittadini per figlio di Giuseppe e di Maria, e fratello della loro numerosa famiglia Matteo 13:5556. Non dimentichiamo peraltro che il nostro Signore in quei trent'anni che precedettero il suo ministerio, adempì nella nostra natura ogni giustizia, osservando perfettamente tutta la legge di Dio, e ciò costituisce la sua ubbidienza attiva.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:22, Marco 1:9; Luca 3:21

Mt 3:14

14. Ma Giovanni vi si opponeva, dicendo: sono io che ho bisogno di esser battezzato da te, e tu vieni a me!

Paragonando questo versetto con Giovanni 1:31,33, riesce difficile di conciliare i due passi, perché, mentre in S. Giovanni, il Battista dichiara che conobbe Gesù come Messia, soltanto dopo aver visto lo Spirito Santo scendere sopra lui, vediamo in S. Matteo, dalle parole indirizzate da Giovanni a Gesù, ch'egli lo conosceva anche prima. La difficoltà però è più apparente che reale. Le parole di Giovanni non possono significare che colui che gli chiedeva, il battesimo gli fosse affatto estraneo, poiché erano cugini e dovevano essersi incontrati ed aver parlato spesso insieme. Anzi è probabile che l'impressione prodotta sulla mente di Giovanni da quelle conversazioni, dalla pietà e dalla vita esemplare di Gesù, come pure un interno convincimento ch'egli era il Messia, lo inducessero a ricusargli il battesimo, e a dichiarare che aveva, piuttosto bisogno di esser battezzato da lui. Se ciò è vero, Giovanni può coscienziosamente, aver detto che finché non vide il segno dal cielo, egli non osò accertare che Gesù fosse il Messia. La sua convinzione, benché profonda, avrebbe potuto essere erronea.

PASSI PARALLELI

Luca 1:43; Giovanni 13:6-8

Giovanni 1:16; 3:3-7; Atti 1:5-8; Romani 3:23,25; Galati 3:22,27-29; 4:6

Efesini 2:3-5; Apocalisse 7:9-17

Mt 3:15

15. Ma Gesù gli rispose: Lascia fare per ora; poiché conviene che noi adempiamo così ogni giustizia. Allora Giovanni lo lasciò fare.

Gesù non confuta né rigetta le parole di Giovanni come false, anzi le accetta come vere; ma gli fa intendere che, «al presente», vi sono potenti motivi per cui il maggiore deve esser battezzato dal minore motivi compendiati in queste parole: «Conviene che noi adempiamo ogni giustizia». Qual contrasto fra questa dichiarazione di giustizia e la confessione di peccato di tutti gli altri che si presentavano al battesimo! Matteo 3:6

Gesù era senza peccato, non aveva bisogno di pentimento; ma, perché si sottometteva egli al battesimo di Giovanni?

1 Perché egli era sottoposto alla legge ed obbligato alla stretta osservanza di tutte le cerimonie dell'antico patto, come Redentore che doveva compiere ogni giustizia per noi. Il battesimo di Giovanni era l'ultima, cerimonia dell'antica economia che stava per cessare; Cristo doveva riceverlo, come egli aveva osservato tutti i precetti della legge. Egli fu circonciso, benché nato circonciso di cuore; fu riscattato come primogenito, egli il Redentore; offrì senza dubbio tutti i sacrifici a cui era obbligato un Israelita come lo vediamo in occasione della Pasqua, sebbene fosse Egli stesso l'Agnello pasquale di propiziazione, il tipo supremo e la sostanza di tutte quelle figure; visitò il Tempio e la sinagoga, si sottomise umilmente ad ogni usanza e cerimonia mosaica, e quando non c'era peccato, ancora quelle non comandato da Dio, sebbene Egli fosse «Iddio benedetto in eterno». Per la stessa ragione ricevette il battesimo di Giovanni.

2 Gesù rese con quell'atto solenne testimonianza alla divina istituzione del battesimo di Giovanni Malachia 4:5, l'ultimo profeta dell'Antico Testamento, aveva predetto la venuta del precursore e l'opera sua, chiamandolo Elia il profeta. Giovanni proclamava che il suo battesimo era dal cielo Giovanni 1:33, ma gli Scribi ed i Farisei finsero di dubitarne Luca 20:5. Altri avrebbero potuto partecipare alle loro incertezze, se Gesù Cristo non avesse messo il suggello all'origine divina di quel battesimo.

3 Infine Gesù si sottomise a quella cerimonia esterna affine di essere, per essa, solennemente consacrato all'opera sua mediatrice, quando stava per incominciarla; e quella consacrazione terrestre tu immediatamente

confermata dalla consacrazione conferitagli dal Padre, mediante il battesimo di Spirito Santo, il crisma che fece di lui l'Unto per eccellenza, il Messia.

PASSI PARALLELI

Giovanni 13:7-9

Salmo 40:7-8; Isaia 42:21; Luca 1:6; Giovanni 4:34; 8:29; 13:15; 15:10

Filippesi 2:7-8; Ebrei 7:26; 1Pietro 2:21-24; 1Giovanni 2:6

Mt 3:16

16. E Gesù, tosto che fu battezzato, salì fuor dell'acqua; ed ecco i cieli si apersero, ed egli vide lo Spirito di Dio scendere

Egli può riferirsi tanto a Giovanni che a Gesù. Difatti la discesa dello Spirito Santo sopra Gesù doveva essere per Giovanni il segno al quale riconoscere il Messia Giovanni 1:33. Tutti gli Evangelisti narrano questo fatto, ma non dicono che altri fossero presenti a questa manifestazione celeste, ed udissero la voce che l'accompagnò. È vana dunque ogni congettura sopra questo punto. Luca 3:21, ci dice che Gesù stava pregando quando il cielo si aperse.

come una colomba, e venire sopra di esso.

Lo Spirito Santo scese sopra lui, non solo come farebbe una colomba, ma realmente in forma corporale «a guisa di colomba», Luca 3:22. Non si può obiettare nulla al senso letterale delle parole relative alla forma assunta dallo Spirito, in questa circostanza, che non sia ugualmente applicabile a qualsiasi altra manifestazione visibile dello Spirito. Ma questa manifestazione non si può negare, perché Giovanni Battista asserisce nel modo più positivo Giovanni 1:33-34, ch'egli ne fu testimonio oculare. Perché lo Spirito Creatore non potrebbe Egli aver assunto una forma avente un significato simbolico? L'interpretazione letterale delle parole, «scendere in somiglianza di colomba», è la più antica e nel medesimo tempo la sola giusta. Tutte le

spiegazioni moderne sanno di razionalismo, e tendono ad escludere il miracoloso. La colomba, simbolo di dolcezza, d'innocenza e di purezza, rappresenta mirabilmente quelle grazie che sono i «frutti dello Spirito» Galati 5:22, e che costituirono il carattere distintivo di Gesù durante la sua carriera terrestre. Non si tratta qui di una subitanea e temporanea discesa dello Spirito Santo, ma d'una speciale e permanente unzione del Salvatore per renderlo atto al suo santo ministerio. «Si è fermato sopra lui» Giovanni 1:32; Isaia 11:2. Da quel momento Gesù incominciò pubblicamente l'opera sua. Il battesimo dello Spirito non produsse nessun cambiamento nel carattere morale di Gesù; ma, per esso, Dio lo mise a parte per l'opera sua, e gli diede pubblica testimonianza della sua approvazione.

PASSI PARALLELI

Marco 1:10

Ezechiele 1:1; Luca 3:21; Atti 7:56

Isaia 11:2; 42:1; 59:21; 61:1; Luca 3:22; Giovanni 1:31-34; 3:34; Colossesi 1:18-19

Mt 3:17

17. Ed ecco una voce; dai cieli che disse: Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale io mi sono compiaciuto.

La voce veniva dal cielo, come nell'occasione della trasfigurazione Matteo 17:5. Dio stesso dichiarava che Gesù, consacrato alla sua opera mediante un doppio, battesimo, era il suo Figlio diletto; e ciò non era un semplice titolo ufficiale come credono i Sociniani, ma si riferiva alla natura divina ed eterna del Figlio Giovanni 1:34. Matteo narra il fatto come se Dio ci avesse presentato il suo Figlio diletto. Era primieramente una testimonianza per Gesù stesso; quindi, una prova della sua divinità per Giovanni e per noi.

Il battesimo di Gesù è stato sempre considerato con ragione, come una incontrastabile manifestazione della dottrina della Trinità, secondo la quale tre persone divine esistono in una sola natura. Qui abbiamo infatti:

1 Gesù il Cristo dichiarato Figlio di Dio dichiarato «uguale a Dio» Filemone 2:6; Giovanni 10:30, battezzato nel Giordano.

2 Lo Spirito Santo che scende a guisa di colomba sopra il Salvatore, ed anch'esso Dio, uguale al Padre Atti 5:3-4

3 Il Padre che parla dal Cielo al Figlio, e dichiara di compiacersi in Lui. È impossibile spiegare in un modo soddisfacente la scena del battesimo di Cristo, se non si ammette che vi sieno nella natura o nell'essenza divina, tre Persone uguali, ognuna delle quali ha una parte speciale nell'opera della redenzione del genere umano.

PASSI PARALLELI

Giovanni 5:37; 12:28-30; Apocalisse 14:2

Matteo 12:18; 17:5; Salmo 2:7; Isaia 42:1,21; Marco 1:11; 9:7; Luca 3:22; 9:35

Efesini 1:6; Colossesi 1:13; 2Pietro 1:17

RIFLESSIONI

1. Giovanni Battista parlò chiaramente del peccato, e predicò la necessità assoluta del pentimento per essere salvati. È questo appunto l'insegnamento che ci occorre. Per natura siamo ciechi, siamo addormentati, siamo morti spiritualmente. È d'uopo che ci si dica spesso che dobbiamo pentirci e convertirci altrimenti periremo tutti quanti.

2 Giovanni Battista parlò chiaramente dei nostro Signore Gesù Cristo. Egli annunziò al popolo che doveva venire uno Più potente di lui, per salvare gli

uomini, ed è appunto quell'insegnamento che richiede la natura umana. Abbiamo bisogno d'essere rivolti direttamente a Cristo. Tutti siamo proclivi a fermarci prima di averlo trovato. Siamo disposti a contentarci dell'unione esterna colla Chiesa, dell'uso regolare dei sacramenti, e della diligenza nell'approfittare del ministero evangelico, ma ciò non basta. Conviene insistere sull'assoluta necessità d'essere uniti a Cristo per la fede. Egli è la sorgente della «misericordia, la fonte d'ogni grazia. In lui solo troveremo e pace e vita.

3 Giovani Battista parlò chiaramente dello Spirito Santo. Egli dichiarò esservi un battesimo dello Spirito Santo, che il Signor Gesù solo può dare, il perdono dei peccati non è la sola cosa necessaria, per esser salvati; è pure indispensabile che i nostri cuori sieno battezzati dallo Spirito Santo, se vogliamo essere «degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce» Colossesi 1:12. Cristo deve operare per noi e lo Spirito in noi. Abbiamo diritto al cielo per il sangue di Cristo, ma siamo preparati per il cielo dallo Spirito di Cristo. Il battesimo d'acqua è un gran privilegio, ma non ci può giovare in nulla finché non conosciamo il battesimo dello Spirito Santo.

4 Giovanni Battista parlò chiaramente del terribile pericolo cui corrono incontro i peccatori e gli increduli ostinati. I suoi uditori lo sentirono parlare dell'«ira a venire», del giudizio infallibile del Messia, del «fuoco inestinguibile che arderà la pula»; ma egli parlò altresì della salvezza dei credenti, i quali saranno raccolti da Cristo, come il buon grano nel granaio, nel giorno della sua venuta.

Mt 4:1

CAPO 1 - ANALISI

1. La tentazione nel deserto. Gesù entrò nel suo pubblico ministero dopo aver ricevuto il battesimo dello Spirito Santo. Conveniva che, come «secondo Adamo» venuto per porre rimedio alla rovina cagionata dal primo Adamo, egli incontrasse il principe delle tenebre, al principio del suo ministerio, nello stesso modo in cui l'aveva incontrato il primo Adamo, al

principio della sua carriera di prova, come rappresentante di tutta la sua posterità. Perciò questo capitolo ci narra l'assalto dato da Satana al Figliuolo dell'uomo nel deserto. Egli è scritto espressamente per nostra norma ed istruzione che Gesù non si gettò di proprio impulso nella via della tentazione, ma fu condotto dallo Spirito nel deserto Sebbene dalla narrazione di Matteo sembri risultare che le tentazioni cominciassero dopo i quaranta giorni di digiuno, pure, secondo gli altri Evangelisti, è chiaro che il Salvatore fu assalito da Satana per tutto il tempo del suo soggiorno nel deserto, e che le tentazioni narrate in questi versetti furono le ultime e le più formidabili Matteo 1:1-11.

2. Gesù comincia il suo ministero in Galilea, al quale Matteo come Marco e Luca, passa subito, omettendo la seconda visita di Gesù a Giovanni Battista sulle sponde del Giordano, la testimonianza resa da questi al Salvatore come all'«Agnello di Dio», e la prima Pasqua che Gesù celebrò in Gerusalemme dopo il principio del suo ministerio Giovanni 1:29-54;2:13, ecc. Matteo ci fa osservare che Cristo scelse Capernaum per suo soggiorno durante il tempo del suo ministerio, affine di compiere un'antica profezia; mentre Luca 4:2829, considera quella circostanza come conseguenza delle minacce degli abitanti di Nazaret Matteo 4:12-16.

3. Simon Pietro ed Andrea suo fratello sono chiamati da Cristo, mentre stanno pescando nel lago di Galilea; essi sono invitati a lasciare le loro reti per divenire «pescatori d'uomini», seguitando Gesù. Si deve distinguere quest'appello dalla loro prima vocazione alla fede in Gesù Cristo Giovanni 1:35-42. Similmente sono chiamati i figli di Zebedeo Matteo 4:18-22.

4. Cristo attira l'attenzione delle moltitudini predicando il regno dei cieli, ed operando guarigioni miracolose, talché la sua fama percorre non soltanto la Giudea e la Galilea, ma anche la Siria Matteo 4:23-25.

Matteo 4:1-11. GESÙ TENTATO NEL DESERTO Marco 1:12-13; Luca 4:1-13

1. Allora Gesù fu condotto

Secondo Marco ciò accadde subito dopo il battesimo. Egli passò ad un tratto dall'apice degli onori, all'umiliazione la più profonda. Marco, invece della parola «condotto», adopra un vocabolo più energico, cioè «spinto» che indica l'influenza potente esercitata sopra Gesù da un agente esterno,

dallo Spirito

«Spirito» non significa qui né l'intelligenza umana di Cristo, né uno spirito maligno, ma quello Spirito poc'anzi disceso su di lui. Questa tentazione era nel piano di Dio, perché Gesù fu guidato in tutto dallo Spirito Santo, l'azione del quale fu così evidente nel suo concepimento ed al suo battesimo.

su nel deserto,

dalla bassa valle del Giordano. Un monte arido ed incolto, chiamato oggigiorno «Quarantana», viene mostrato ai pellegrini che annualmente visitano le rive del Giordano, come il luogo ove fu tentato il Salvatore; ma cotesta tradizione dei frati di Terra Santa è inverosimile, poiché la città di Gerico, di cui si vedono ancora la rovine, era alla base di quel monte, ed il deserto ove Gesù fu esposto alle fiere Marco 1:13, non poteva essere vicino ad una città tanto popolosa. È probabile che si tratti del deserto di Giudea situato fra Enghedi, Tekoa, Maon e l'estremità meridionale del mar Morto, contrada solitaria ove si vuole che si menasse annualmente il becco per Azazel Levitico 16:10

per esser tentato dal diavolo.

Cioè dall'avversario, dal calunniatore, dal nemico dell'umanità. Questi è veramente una persona, e non, come alcuni pretendono, una semplice influenza morale. Viene chiamato il serpente antico Apocalisse 12:9, Satana Giobbe 1:6-12, Beelzebub Matteo 12:24, il Principe della podestà dell'aria Efesini 2:2. Egli è il capo delle legioni degli angeli caduti, e degli spiriti maligni dell'inferno Matteo 25:41; Apocalisse 12:9;20:10. Egli tenta gli uomini ed opera nei figlioli della disubbidienza Efesini 2:2. Gesù fu tentato.

Ciò non significa che egli fosse attratto ed adescato dalle proprie concupiscenze come un altro uomo; bensì ch'egli fu messo alla prova, ed assalito colla massima astuzia dall'avversario, per indurlo a peccare. La tentazione del Salvatore era necessaria affinché egli potesse sovvenire «a coloro che sono tentati». Il primo Adamo, essendo tentato, cadde; ma il secondo Adamo entrò per volere divino, nell'arena delle tentazioni, per dimostrare la sua fermezza e la sua superiorità sul primo. «In ogni cosa egli è stato tentato come noi, però senza peccato» Ebrei 2:18;4:15. La possibilità d'esser tentato non è in contraddizione colla sua impeccabilità, e la Scrittura la dichiara indispensabile al suo ufficio, e specialmente alla vera simpatia che deve esistere fra lui ed il suo popolo tentato.

PASSI PARALLELI

Marco 1:12,13-15; Luca 4:1-13; Romani 8:14

1Re 18:12; 2Re 2:16; Ezechiele 3:12,14; 8:3; 11:1,24; 40:2; 43:5; Atti 8:39

Genesi 3:15; Giovanni 14:30; Ebrei 2:18; 4:15-16

Mt 4:2

2. E dopo che ebbe digiunato quaranta giorni, e quaranta notti alla fine ebbe fame.

Non si tratta del digiuno secondo l'uso della Chiesa romana, che proibisce la carne degli animali, e permette di stuzzicare l'appetito con pesci ed altri cibi squisitamente conditi; non del digiuno maomettano, che si osserva di giorno, ed è seguito da orge notturne; non di mezze giornate di Astinenza interrotte da buoni pasti, come quello degli Ebrei moderni bensì di una totale astinenza da ogni cibo per un mese e dieci giorni. Il fatto dovuto all'intensità della meditazione e della preghiera, ha del miracoloso, e il provare d'imitare, come fanno i Romani durante la quaresima, è una vana presunzione, per non dire un'empietà. Il Nuovo Testamento, è vero, parla in modo lodevole del digiuno volontario fatto nella persuasione che, coll'aiuto

dello Spirito Santo, esso possa tendere a frenare, o a rimuovere ciò che impedisce il nostro progresso nella grazia; ma i digiuni imposti periodicamente dalle autorità umane non trovano appoggio nel Nuovo Testamento. Si faccia eccezione in casi di pericolo imminente, per guerre, per epidemie, o altre pubbliche calamità. In tali circostanze il Governo inviti i suoi sudditi, ovvero la Chiesa di Cristo inviti i suoi membri a celebrare un giorno di digiuno e di preghiera onde Iddio allontani il flagello. Nel tempo dei Profeti fu fatto grande abuso del digiuno, così pure ai giorni di nostro Signore, dai Farisei, ed ai nostri dì da molti. L'eccesso dei digiuni è pericoloso in quanto che indebolisce soverchiamente le forze del corpo, fa considerare come merito o virtù la semplice privazione di cibi, ed induce a confondere un'esterna mortificazione coll'interna umiliazione dinanzi a Dio.

PASSI PARALLELI

Esodo 24:18; 34:28; Deuteronomio 9:9,18,25; 18:18; 1Re 19:8; Luca 4:2

Matteo 21:18; Marco 11:12; Giovanni 4:6; Ebrei 2:14-17

Mt 4:3

3. E il tentatore, accostatosi, disse:

L'opinione che il tentatore qui menzionato sia soltanto una personificazione dei pensieri e delle disposizioni di Gesù è altrettanto empia quanto assurda. La supposizione che quel tentatore fosse un uomo, sia il Sommo Sacerdote, sia un membro del Sinedrio, od anche uno degli emissari da quelli mandati a Giovanni Battista Giovanni 1:19, se pur poté mai esser fatta sul serio, è stata da lungo tempo confutata. Non ci è rivelato sotto qual forma Satana apparisse a Gesù, e sarebbe vana speculazione indagarlo.

Se tu sei Figliolo di Dio, di' che queste pietre divengano pani.

Non abbiamo motivi di dubitare che Satana conoscesse perfettamente Colui ch'egli tentava e la sua perfetta divinità, avendo senza dubbio udito la voce

divina che diceva: «Questo è il mio diletto Figiuolo». Egli finge però il dubbio di tal riguardo col fine di spingere Gesù ad uscire dalle condizioni normali della vita umana in cui era entrato per compiere la salvazione nostra. Valendosi della fame, e della conseguente debolezza del corpo di Gesù, gli domandò in tono di meraviglia: «Com'è egli possibile che tu sia lasciato privo di nutrimento durante quaranta giorni? Orsù! se tu sei veramente Figliuol di Dio, comanda a queste pietre «questa pietra», Luca 4:3, che divengano pani!» Così Satana insinuava astutamente che, se Gesù non operava il miracolo, egli avrebbe buone ragioni di dubitare di ciò che si era detto di lui. La tentazione consisteva nell'insinuare nel cuore di Gesù, in un bisogno stringente, la sfiducia nella provvidenza di Dio che lo abbandonava alla fame, e nell'indurlo a rimediare al suo stato con un miracolo fatto per ordine di Satana.

PASSI PARALLELI

Giobbe 1:9-12; 2:4-7; Luca 22:31-32; 1Tessalonicesi 3:5; Apocalisse 2:10; 12:9-11

Matteo 3:17; Luca 4:3,9

Genesi 3:1-5; 25:29-34; Esodo 16:3; Numeri 11:4-6; Salmo 78:17-20; Ebrei 12:16

Mt 4:4

4. Ma egli, rispondendo, disse: Sta scritto:

Gesù, dalla sua mente, in cui erano «nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» avrebbe facilmente potuto trarre una parola, non ancora scritta, per confondere il tentatore. Ma egli risponde colla parola di Dio, onorandola in tal modo come Guida infallibile perché ISPIRATA, ed insegnandoci a seguire il suo esempio glorioso nelle nostre tentazioni.

Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma d'ogni parola che procede dalla bocca di Dio.

Egli cita Deuteronomio 8:3. Nessun passo dell'Antico Testamento era più confacente allo scopo di Gesù, perché Mosè, in quello, allude alla manna mandata da Dio agl'Israeliti nel deserto, allorché erano privi del consueto nutrimento. Evidentemente si potrebbe trarre da questo vers. l'insegnamento, che siccome esiste nella nostra natura una parte spirituale ed una materiale, così non dobbiamo accontentarci dell'abbondanza dei beni temporali, ma piuttosto ricercare diligentemente «il pane della vita» Giovanni 6:35, per le anime nostre, se vogliamo godere dell'eterna felicità. Però osserviamo che nel passo citato da Gesù, non si stabilisce un contrasto fra il nutrimento materiale e lo spirituale, il che non sarebbe punto in rapporto con questa tentazione, ma fra il nutrimento consueto rappresentato dal pane, e qualunque altro nutrimento da Dio prescritto o comandato in via eccezionale, come per esempio la manna. Egli è evidente che Gesù, applicando quel passo al proprio caso, intendeva dire che Egli, operando il miracolo richiesto, sarebbe stato colpevole del medesimo peccato in cui cadde così spesso Israele, allorché dubitò che Dio volesse o potesse soccorrerlo. Ecco il senso della sua risposta» «Non si tratta qui del potere del Figliuolo di Dio, ma del dovere dell'uomo che si trova nel bisogno. Israele fu mantenuto nel deserto per quaranta lunghi anni dipendendo interamente dalla parola di Dio, per dimostrare che la sicurezza della vita degli uomini si fonda unicamente su quello che la bocca dell'Eterno avrà ordinato. E siccome la condizione degli Israeliti nel deserto non giustificò le frequenti mormorazioni della loro incredulità, così la mia posizione non mi dà il diritto di esercitare il potere del Figliuolo di Dio, afferrando per disperazione un soccorso illecito. Come uomo dunque io aspetto il divino aiuto, né dubito che giungerà al momento opportuno».

PASSI PARALLELI

Matteo 4:7,10; Luca 4:4,8,12; Romani 15:4; Efesini 6:17

Deuteronomio 8:3; Luca 4:4

Matteo 14:16-21; Esodo 16:8,15,35; 23:15; 1Re 17:12-16; 2Re 4:42-44; 7:1-2

Aggeo 2:16-19; Malachia 3:9-11; Marco 6:38-44; 8:4-9; Giovanni 6:515,31-59,63

Mt 4:5

5. Allora il diavolo lo menò seco nella santa città.

Secondo Luca 4:9, questa tentazione sarebbe la terza. I discepoli hanno dovuto ricevere le informazioni loro sul dramma morale della tentazione da Gesù stesso. L'ordine delle tentazioni non aveva ai loro occhi la stessa importanza della sostanza. Pure siamo disposti a credere che le tentazioni si succedevano nell'ordine in cui le riferisce Matteo per le seguenti ragioni, cioè:

che la risposta finale al vers. Matteo 4:10 non sarebbe, in caso diverso, al suo posto;

che questa tentazione Matteo 4:5 mira a spingere Gesù ad abusare della salda fiducia nella Provvidenza da lui poc'anzi mostrata;

finalmente, che Luca, adoperando la congiunzione e, non asserisce niente relativamente all'ordine delle tentazioni, mentre Matteo, adoperando allora, e di nuovo, sembra volerlo indicare.

Gerusalemme era chiamata «la santa città» perché sede della teocrazia, «città del gran re» Salmo 48:2, e dimora della Scechina, ossia della nuvola risplendente che era il simbolo della divina presenza.

e lo pose sul pinnacolo del tempio.

Forse il più alto comignolo del tempio ornato di frecce dorate, chiamato il Flavio, Antiq. 5:5,6; ma più probabilmente un'immensa torre sul portico reale di Erode, sospesa sulla sponda scoscesa del burrone del Chedron.

Secondo lo storico Flavio Antiq. 15:11,5, non si poteva dalla sommità di questa torre, che aveva circa 700 piedi di altezza sopra la valle, contemplarne il fondo senza vertigine. Il modo in cui Satana trasportò Cristo non ci è rivelato; ma siccome è evidente che il Figliuolo di Dio permise a Satana di esercitare un certo potere sopra di lui, onde avesse ogni vantaggio, non vediamo come sia assurdo l'ammettere che Gesù fosse trasportato in un modo straordinario dal deserto a Gerusalemme. Abbiamo un esempio del potere che l'Onnipotente permette a Satana di esercitare, per provare la fede dei suo popolo, nella storia di Giobbe 1:1-22. È uno di quei misteri che non si approfondiscono; diciamo soltanto che il tentatore doveva esaurire il suo potere nel tendere lacci al Salvatore, e rimanerne vinto. La tentazione alla quale egli ricorre ora è l'opposto della prima. Quella tendeva a far nascere la sfiducia; questa la presunzione, ossia una fiducia temeraria nella protezione divina in e circostanze in cui essa non è promessa.

PASSI PARALLELI

Luca 4:9; Giovanni 19:11

Matteo 27:53; Nehemia 11:1; Isaia 48:2; 52:1; Daniele 9:16; Apocalisse 11:2

2Cronache 3:4

Mt 4:6

6. E gli disse: Se fu sei Figliuol di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: Egli darà ordine a' suoi angeli intorno a te; ed essi ti porteranno sulle loro mani, che talora tu non urti col piede contro una pietra.

La prima risposta del Signore aveva preso Satana alla sprovvista; egli non aspettava una risposta scritturale; alla sua volta egli cita un passo della Scrittura, persuaso che, con una tale precauzione, il colpo non cadrà a vuoto. Un antico scrittore esclama: «Che vedo io? Satana stesso colla Bibbia in mano, ed un testo sulle labbra!» Egli cita i versetti Salmo 91:11-12 che

hanno l'unico scopo di fortificare la sicurezza di coloro che confidano in Dio, anche quando sono nella sventura. È un argomento a fortiori. Se Iddio prende cura del suo popolo, molto più prenderà egli cura del suo unigenito Figliuolo. La parola «angeli», usata al plurale, non indica che ogni fedele abbia un angelo custode per proteggerlo, ma che gli angeli collettivamente sono strumenti attivi della provvidenza di Dio, «spiriti amministratori» per il bene del suo popolo Ebrei 1:14

PASSI PARALLELI

Matteo 5:4; 2Corinzi 11:14

Salmo 91:11-12; Luca 4:9-12; Ebrei 1:14

Giobbe 1:10; 5:23; Salmo 34:7,20

Mt 4:7

7. Gesù gli disse: Egli è altresì scritto: Non tentare il Signore Iddio tuo.

Gesù oppone di nuovo alla tentazione «l'elmo della salute, e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» Efesini 6:17. Il versetto che cita si trova in Deuteronomio 6:16; e per la seconda volta dacché Satana, caduto dalle dimore celesti, cominciò la sua carriera di tentatore, egli resta vinto, né può replicare parola. «È vero», sembra dire il Salvatore, che «sta scritto come tu dici, ed io confido pienamente nella promessa, ma non dimentico per questo un'altra parola divina: «Non tentare il Signore Iddio tuo». Il Padre mio mi garantisce aiuto e protezione nei pericoli; devo io perciò crearmene apposta, onde mettere scetticamente la fedeltà di Dio alla prova, o chiederne presuntuosamente una dimostrazione? Io tenterei così il Signore Iddio; ed essendomi ciò espressamente proibito, non avrei più diritto alla sua protezione. Non voglio dunque tentare il Signore, né lasciarmi adescare dalle tue audaci insinuazioni».

PASSI PARALLELI

Matteo 5:4,10; 21:16,42; 22:31-32; Isaia 8:20

Esodo 17:2,7; Numeri 14:22; Deuteronomio 6:16; Salmo 78:18,41,56; 95:9; 106:14; Malachia 3:15

Atti 5:9; 1Corinzi 10:9; Ebrei 3:9

Mt 4:8

8. Di nuovo il diavolo lo menò seco sopra un monte altissimo,

Non esiste un monte dal quale sì possano contemplare «tutti i regni del mondo», ma la estesa veduta che si gode da un'alta vetta ha potuto favorire la visione tentatrice

e gli mostrò tutti i regni del mondo, e la loro gloria.

Luca 4:5, aggiunge «in un momento di tempo», ciò che indica chiaramente il carattere soprannaturale di questa esibizione. Voler restringere «il mondo» alla Palestina, o all'impero romano, è un cavillo. Sembra evidente che il nostro Signore avesse realmente il mondo intero dinanzi agli occhi. Dobbiamo dunque dedurre dall'espressione «in un momento di tempo», che fu permesso al tentatore di estendere istantaneamente, in un modo soprannaturale, quella visione non solo, ma anche di renderla splendida e gloriosa, ciò che non è incompatibile coll'analogia delle asserzioni bibliche relative alle operazioni che a Satana sono permesse. Rammentiamo le scene incantate prodotte dal miraggio, che per illusione ottica fa spesso comparire davanti al viaggiatore, nelle contrade deserte, laghi, alberi, città, ecc. Aggiungiamovi le descrizioni di Satana, principe di «questo mondo»; «principe della potenza dell'aria»; «bugiardo sin dal principio», che inganna gli uomini «con ogni inganno d'iniquità»; e propaga il sistema dell'Anticristo, suo capolavoro in questo mondo, «con ogni potenza e prodigi e miracoli di menzogna», rammentiamoci tutto questo, e non ci riuscirà difficile il credere che, per momentanea ottica illusione, o maligno inganno,

Satana avesse potuto far balenare alla vista di Gesù il panorama dei regni di questo mondo, con ogni loro allettamento e gloria

PASSI PARALLELI

Matteo 5:5; Luca 4:5-7

Matteo 16:26; Ester 1:4; 5:11; Salmo 49:16-17; Daniele 4:30; Ebrei 11:2426; 1Pietro 1:24

1Giovanni 2:15-16; Apocalisse 11:15

Mt 4:9

9. E gli disse: Tutte queste cose io te le darò,

Vinto nel precedenti tentativi, Satana getta ora la maschera, e spera di risvegliare in lui tal cupidigia ed ambizione da farlo facilmente cadere nel peccato. Mette in mostra l'esca, e gli offre tutti i regni della terra con tutto quello che può renderli desiderabili, cioè: potenza, godimenti ricchezze ed onori. «io te le darò!» Il diritto che Satana si attribuisce in queste parole è con più energia esposto in Luca 4:6: «poiché ella la podestà, mi è stata data in mano». Non era questa una pura invenzione; Satana asseriva un fatto, vero almeno in parte, e stabilito da frequenti passi della parola di Dio, ove Satana è chiamato il principe o l'Iddio di questo mondo Giovanni 12:31;14:30;16:11;2Corinzi 4:4. Quanto si estenda questo potere, come possa essere esercitato, e come represso, sono questioni difficili a risolvere; ma tal difficoltà non annulla il fatto medesimo, rivelato qui ed altrove colla massima chiarezza. In questo caso, per raggiungere i suoi fini, Satana offrì al Signore quella stessa supremazia che l'Onnipotente gli permette di esercitare nel mondo.

se, prostrandoti, tu mi adori.

La condizione annessa all'offerta seducente sarebbe, secondo alcuni, un'adorazione religiosa, cioè l'idolatria o piuttosto il culto del demonio Levitico 17:7; Deuteronomio 32:17;2Cronache 11:15; Salmo 106:37;1Corinzi 10:20; Apocalisse 9:20; secondo altri, Satana avrebbe chiesto solo un omaggio civile, una ricognizione della sua sovranità. Ma l'uno e l'altro di questi atti sono in questo caso coincidenti, se non identici; perché nessuno può riconoscere il diavolo come suo sovrano senza farne il suo dio. Il prostrarsi innanzi a lui era un segno esterno dell'omaggio che Satana richiedeva. Osservate ch'egli non cita qui la Scrittura, perché non può trovarvi un passo per appoggiare l'empia sua pretensione. Il tentatore ha cessato di insinuarsi colla maschera della pietà, e si presenta, senza vergogna, come rivale di Dio stesso. Al Messia era promesso il regno sulle nazioni Salmo 2 ecc. ma doveva giungere al trono per una via ben diversa da quella additata da Satana.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:15; Giovanni 13:3

1Samuele 2:7-8; Salmo 72:11; 113:7-8; Proverbi 8:15; Geremia 27:5-6; Daniele 2:37-38; 4:32

Daniele 5:18-19,26-28; Giovanni 12:31; 14:30; 16:11; Apocalisse 19:16

1Corinzi 10:20-21; 2Corinzi 4:4; 1Timoteo 3:6; Apocalisse 19:10; 22:8-9

Mt 4:10

10. Allora Gesù gli disse: Va', Satana;

significa: «Via! Lungi da me!» Siccome le tentazioni di Satana avevano raggiunto il loro punto culminante nel vers. precedente, così in questo la resistenza del Signore ci si presenta più valida che mai, ed ottiene la vittoria finale. Gesù non aveva finora chiamato per nome il tentatore benché sapesse chi egli era; ma ora, che questi svela il suo scopo invitandolo ad adorarlo, il

Figliuolo di Dio lo chiama per nome, e lo caccia dalla sua presenza con orrore e disgusto; sentimenti ch'egli prova non solo per la sua persona, ma per l'empia audacia da lui dimostrata nell'ultima tentazione,

perché sta scritto:

Non contento di smascherarlo e di respingerlo, il Salvatore oppone di bel nuovo la Scrittura alle vili insinuazioni di Satana, e si appoggia per la terza volta sopra un passo del Pentateuco, come per onorare anticipatamente il libro che doveva particolarmente esser preso di mira dalla critica moderna. Quel passo si trova nel Deuteronomio 6:13, ed è citato secondo la versione dei 70.

Adora il Signore Iddio tuo, ed a lui solo rendi il culto.

La parola qui adoperata nel greco nell'uso ellenistico, indica gli atti del culto religioso. La distinzione che la Chiesa romana stabilisce fra il culto di latria, e quello d'ordine inferiore ch'essa rende alle immagini, è affatto esclusa da questo testo, il quale proibisce non solo il culto di latria, ma pure quello di proskúnesis prostrazione, reso ad altri che a Dio. La parola «solo», che non si trova nell'ebraico e nella versione dei 70. è qui aggiunta da Matteo, per rendere più energico il carattere negativo e proibitivo del comandamento.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:23; Giacomo 4:7; 1Pietro 5:9

1Cronache 21:1; Giobbe 1:6,12; 2:1; Salmo 109:6; Zaccaria 3:1-2

Deuteronomio 6:13-14; 10:20; Giosuè 24:14; 1Samuele 7:3; Luca 4:8

Mt 4:11

11. Allora il diavolo lo lasciò;

Grandi devono essere stati lo stupore e la rabbia di Satana. Era questa la prima volta, dopo la caduta dell'uomo, ch'egli aveva subito una completa sconfitta! Egli aveva assalito colle sue tentazioni e soggiogato ogni creatura umana. Venuto nel deserto per far cadere il secondo Adamo, come aveva fatto cadere il primo nell'Eden, si avvide che i suoi dardi migliori erano vani; essi andavano a spuntarsi contro lo scudo della fede che copriva il braccio del Salvatore! Satana si ritirò battuto e disarmato. Il linguaggio di Luca 4:13; «finita ogni sorta di tentazione», indica chiaramente che Satana aveva esaurito ogni mezzo di tentazione. Ciò nonostante egli non rinunziò al suo disegno, ma si ritirò momentaneamente, aspettando tempi più propizi Vedi Giovanni 14:30; Luca 22:53

ed ecco, degli angeli vennero a lui.

Ci viene detto degli angeli che sono «possenti di forza, ministri del Signore, che fanno ciò che gli piace» Salmo 103:20-21. Essi non potevano aspirare ad onore più alto che quello di servire il loro Signore allorquando, velando la sua gloria sotto l'umile natura ch'egli aveva rivestita, si trovava affamato nel deserto.

e gli servivano.

significa servire, specialmente porgere nutrimento Marco 1:31, e senza dubbio tale era il principale oggetto dei servizi resi dagli angeli a Gesù, dopo il suo lungo digiuno. Dopo aver ricusato di ricorrere al loro aiuto in modo illegittimo, come ve lo spronava Satana, con quale gioia avrà egli accettato, alla fine della tentazione, i servigi non richiesti, ch'essi gli rendevano per ordine del Padre, ch'egli aveva così gloriosamente onorato!

PASSI PARALLELI

Luca 4:13; 22:53; Giovanni 14:30

Matteo 4:6; 26:53; 28:2-5; Marco 1:13; Luca 22:43; 1Timoteo 3:16; Ebrei 1:6,14

Apocalisse 5:11-12

Mt 4:12

Matteo 4:12-25. PRINCIPIO DEL MINISTERO DI CRISTO IN GALILEA. VOCAZIONE DI PIETRO, DI ANDREA, DI GIACOMO E DI GIOVANNI Marco 1:14-20,35-39; Luca 4:14-15

12. Or Gesù, avendo udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea.

Ardua impresa è il contentare gli scettici e gl'increduli. Oggi accusano gli Evangelisti d'essersi messi d'accordo per ingannare i lettori; domani sosterranno che essi sono in contraddizione fra loro, perché un Evangelista cita fatti che gli altri non hanno menzionati, o li narra con dettagli differenti. Obbiezioni di quest'ultimo genere furono fatte contro la veracità degli Evangeli a cagione delle apparenti discrepanze che si trovano fra i Sinottici e Giovanni, relativamente all'intervallo che passò fra la tentazione di Gesù ed il principio del suo ministero in Galilea. Ma la confutazione di quelle obbiezioni è facile. Niuno fra gli Evangelisti imprese di scrivere una narrazione esatta e completa di tutti gli avvenimenti della vita pubblica di Gesù. Giovanni 21:25 ne fa testimonianza. Matteo e Marco dichiarano apertamente, che incominciano la loro narrazione soltanto al tempo dell'imprigionamento di Giovanni Battista, ed è evidente che Luca, quantunque non lo dica, fece lo stesso. Giovanni invece, il quale scrisse il suo Evangelo molto tempo dopo gli altri, ed in certo modo come un supplemento di quelli, ci fornisce alcuni incidenti avvenuti tra la tentazione e la prigionia del Battista. Cosicché fra i vers. Matteo 4:13-14 dovremmo introdurre Giovanni 1:29;4:54 Vedi Note sopra questi capitoli.

Il periodo di tempo che trascorse fra il battesimo di Gesù e l'imprigionamento di Giovanni non è determinato. Tutto ciò che possiamo asserire si è che, dopo la prima Pasqua Giovanni 2:13, «Gesù coi suoi discepoli venne nel paese della Giudea, e dimorò quivi con loro, e

battezzava», nel mentre che «Giovanni battezzava in Enon, presso di Salim» Giovanni 3:22-23. Ma egli non fece quivi lunga dimora; e siccome l'ufficio di Giovanni era quello di precursore, e non quello di apostolo, è probabile che fra il battesimo di Gesù e l'imprigionamento di Giovanni sieno trascorsi soltanto pochi mesi.

Non fa parte del nostro disegno il comporre un'«Armonia degli Evangeli». Ma non crediamo che un anno intero sia trascorso tra il battesimo di Gesù e l'imprigionamento di Giovanni, durante il quale anno Gesù avrebbe predicato in Giudea. Non è credibile che gli, Evangelisti avrebbero passato sotto silenzio una terza parte della vita pubblica di Cristo! Il motivo della, prigionia di Giovanni Battista fu la fedeltà con cui egli rimproverò Erode Antipa per la vita adultera ch'egli menava Vedi Note, Marco 6:17-29Marco 6:17-29. Il luogo del suo imprigionamento fu il castello di Macheronte, in Perea, al di là del Giordano, presso il mar Morto.

PASSI PARALLELI

Marco 1:14; 6:17; Luca 3:20; 4:14,31; Giovanni 4:43,54

Mt 4:13

13. E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum,

Dal giorno in cui Gesù vi fu ricondotto dall'Egitto, Nazaret fu la sua dimora, fino all'epoca in cui l'Evangelista ci dice che, entrato nel suo ministero, egli cambiò residenza. I trattamenti che il Signore dovette subire dagli abitanti di Nazaret furono forse il motivo di questo cambiamento di abitazione Vedi Note Luca 4:16Luca 4:16 e Luca 4:16-30

Capernaum fu d'allora in poi il centro dell'attività missionaria di Cristo.

città sul mare,

Non del mare Mediterraneo, ma del lago di Galilea o di Tiberiade, al quale si dava il nome ebraico di iam, mare, che si applica così al Mediterraneo come al mar Rosso, al fiume Nilo, al lago Asfaltico, ed a quello di Tiberiade, o Iam Chinneret Numeri 34:11. I tre Evangelisti ebrei si servono della nomenclatura del loro paese, e chiamano quel lago mare di Galilea, mare di Tiberiade, mare di Gennesaret; mentre Luca, che era Gentile, lo chiama invariabilmente lago. Capernaum o piuttosto Cafarnaum vicus consolationis, era situata sulla riva settentrionale di quel lago. Non la troviamo, menzionata nell'Antico Testamento, e perciò si crede ch'essa sia stata costruita dopo il ritorno degli Ebrei da Babilonia. Era una città importante ai giorni del Signore; ma le sue parole relative ad essa Matteo 11:23-24, si sono adempiute così completamente che i viaggiatori non sono ancora d'accordo sulla precisa posizione che occupava. Due sono i luoghi sulla spiaggia al N. O. del lago, che possono corrispondere alla situazione di Capernaum, secondo la descrizione che ne dà lo storico Flavio; cioè Khan Minièh e Tell Hùm, ma il secondo con più verosimiglianza.

ai confini di Zabulon e di Neftali;

Non si poterono determinare sinora i precisi limiti del territorio che quelle tribù occupavano; ma ogni anno si fanno nuove scoperte di luoghi identici con quelli nominati nella Bibbia, e non si dispera di trovare col tempo tutti quelli descritti da Giosuè 19:10-16,32-39. Dall'esame di quei passi impariamo che il territorio di Neftali, il quale comprendeva la città di Hasor, capitale del re Iabin Giosuè 11:1,10; Giudici 4:2,6,14, era situata al N. di quello di Zabulon, e che quelle due tribù si toccavano verso l'estremità settentrionale del lago di Gennesaret. Probabilmente il Signore scelse Capernaum per sua dimora, a cagione delle sue relazioni con altre località. Posta sulla riva del lago, e sulle vie maestre che dall'Egitto conducevano in Siria, e da Gerusalemme a Damasco, essa gli offriva l'occasione d'intrattenersi con persone ch'egli non avrebbe mai incontrate nella remota Nazaret. Non solo egli poteva visitare facilmente da Capernaum tutte le parti della Galilea, ma per il lago aveva pronto accesso alle contrade della riva orientale, ed alle città settentrionali e meridionali della valle del Giordano. Da quel punto egli poteva far delle gite all'Ovest nella Galilea, a

Settentrione nella Traconitide, al Sud ed all'Oriente nella Perea e nella Decapoli.

PASSI PARALLELI

Luca 4:30-31

Matteo 11:23; 17:24; Marco 1:21; Giovanni 4:46; 6:17,24,59

Giosuè 19:10-16

Giosuè 19:32-39

Mt 4:14

14. Acciocché si adempiesse quello ch'era stato detto dal profeta Isaia:

Questa minuta descrizione topografica di Capernaum ha per scopo di dimostrare quanto esattamente quel cambiamento di dimora per parte di Gesù compiesse la profezia d'Isaia, che annunziava una gran luce, la quale splenderebbe in quella regione Isaia 8:23;9:1-2. Questo passo è tradotto direttamente dall'originale ebraico, e non copiato dalla versione dei 70, nella quale non è tradotto bene le parole citate formano la conclusione di un discorso profetico ove l'antica teocrazia è minacciata dai giudizi divini, a cui debbono succedere grandi favori, specialmente sparsi su quella contrada che avrebbe più sofferto dei precedenti castighi.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:22; 2:15,23; 8:17; 12:17-21; 26:54,56; Luca 22:37; 24:44; Giovanni 15:25

Giovanni 19:28,36-37

Isaia 9:1-2

Mt 4:15

15. Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, al di là del Giordano,

L'espressione può indicare sia la regione ad Oriente sia quella ad Occidente del Giordano, il che par più probabile.

La Galilea dei Gentili;

Nome dato alla parte settentrionale della Galilea, a motivo della sua prossimità alla Siria e alla Fenicia, forse anche a cagione della sua popolazione mista di Gentili e di Ebrei.

PASSI PARALLELI

Giosuè 20:7; 21:32; 1Re 9:11; 2Re 15:29

Mt 4:16

16. Il popolo che giaceva nelle tenebre, ha veduto una gran luce;

Si tratta qui degli Israeliti dimoranti in Galilea. Fino a quel tempo, le scienze sacre erano state coltivate in quella remota provincia assai meno che in Giudea. Di più, la sede del culto levitico trovandosi in Gerusalemme gli abitanti della Giudea avrebbero dovuto riconoscere il Messia assai più presto che lo fecero i Galilei, i quali però hanno ora, nella dimora di Gesù nel loro paese, un compenso per i loro svantaggi di prima. «Tenebre» è una figura famigliare della Scrittura per rappresentare e l'ignoranza e l'errore non solo, ma la depravazione e la miseria che ne sono il frutto.

su quelli che giacevano nella contrada e nell'ombra della morte, una luce si è levata.

«Ombra della morte» è un'altra espressione figurata, più energica della prima, per dimostrare la medesima cosa. «Luce» è metafora opposta a quella delle tenebre e indica il contrario di, queste ultime nell'ordine intellettuale e morale, cioè verità, sapienza, purezza e felicità.

Le parole di questo versetto di Isaia dipingono lo stato di degradazione e d'oppressione dei Galilei, stato proveniente dalla loro situazione sulla frontiera, ove erano esposti agli attacchi ed agli scherni, e mescolati coi Gentili. I Galilei erano considerati come meno inciviliti e più corrotti ed ignoranti dei Giudei. Tanto più significante è il fatto che il Signore scelse quella remota ed oscura contrada per manifestare la sua gloria! Giovanni 2:11

PASSI PARALLELI

Salmo 107:10-14; Isaia 42:6-7; 60:1-3; Michea 7:8; Luca 1:78-79; 2:32

Giobbe 3:5; 10:22; 34:22; Salmo 44:19; Geremia 13:16; Amos 5:8

Mt 4:17

17. Da quel tempo,

cioè dall'epoca dell'imprigionamento di Giovanni, menzionata nel vers. 12,

Gesù cominciò a predicare, e a dire: Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino.

Queste parole dimostrano che la missione di Gesù ebbe principio quando quella del suo precursore stava per terminare. Il versetto che abbiamo sott'occhio ci mostra, oltre alla successione cronologica, l'accordo perfetto nella sostanza della loro predicazione: «Ravvedetevi», ecc. Confr. Matteo 3:2. Osserviamo però che quel che costituiva l'intero messaggio di Giovanni non fu altro che il principio di quello di Cristo. Benché Cristo porti seco tutte le grazie del regno dei cieli, noi non possiamo aver parte in quelle se

non mediante il ravvedimento e la fede: perciò egli dice soltanto: «Il regno dei cieli è vicino, convertitevi, credete e voi sarete membri di quel regno».

PASSI PARALLELI

Marco 1:14

Matteo 3:2; 9:13; 10:7; Marco 1:15; Luca 5:32; 9:2; 10:11-14; 15:7,10; 24:47

Atti 2:38; 3:19; 11:18; 17:30; 20:21; 26:20; 2Timoteo 2:25-26; Ebrei 6:1

Matteo 11:12; 13:9,11,24,47; 25:1

Mt 4:18

18. Or passeggiando lungo il mare della Galilea, egli vide due fratelli: Simone, detto Pietro, e Andrea, suo fratello.

Acciocché dopo la sua ascensione, l'Evangelo fosse predicato in tutto il mondo da persone veramente atte a quell'uffizio, Gesù, sin dal principio, elesse ed istruì un certo numero d'individui, ch'egli mandò più tardi come apostoli a predicare le sue dottrine.

Il modo di procedere tenuto di Gesù coi suoi discepoli fu graduale, primieramente essi furono chiamati a conoscerlo personalmente; quindi credettero in lui, lo ricevettero come Messia; poi furono chiamati a seguirlo come apostoli; e finalmente ricevettero le istruzioni e i doni miracolosi indispensabili per l'adempimento della loro missione. È probabile che Gesù seguisse nella preparazione degli altri apostoli l'ordine stesso tenuto di già cogli apostoli di cui trattasi in questo versetto e in Matteo 4:21, quantunque la vocazione di Matteo sia l'unica che, oltre le sopraccennate, sia riferita dagli Evangeli. La prima vocazione di Pietro e di Andrea non è riferita da Matteo, ma ci è narrata da Giovanni 1:40-41. Andrea ora discepolo del Battista ed uno di quelli ai quali Gesù fu dal medesimo additato come

l'Agnello di Dio. Egli, accompagnò Gesù dove questi dimorava, ascoltò le sue istruzioni, e riconobbe in lui il Messia promesso. Andrea cercò e condusse a Gesù suo fratello Simone, il quale parimenti credette in Lui come Messia; e dopo aver probabilmente accompagnato il Signore a Cana di Galilea Giovanni 2:2, i fratelli ritornarono per qualche tempo alle loro reti. Avendo ora Gesù cominciato la Pubblica sua opera, occorreva che dei testimoni competenti potessero far fede delle sue parole e dei suoi atti; ed a tal uopo i discepoli, congedati per qualche tempo, sono di bel nuovo chiamati ad abbandonare tutto, ed a seguire Cristo. I primi chiamati furono i figli di Giona: Andrea e Simone, già soprannominato Cefa o Pietro, dal Signore medesimo nella loro prima conversazione Giovanni 1:42. Nome che gli è rimasto negli Evangeli per distinguerlo da Simone il Cananeo altro apostolo.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:16-18; Luca 5:2

Matteo 15:29; Numeri 34:11; Deuteronomio 3:17

Luca 5:1

Giovanni 6:1; 21:1

Matteo 10:2; Luca 6:14; Giovanni 1:40-42; 6:8

Esodo 3:1,10; Giudici 6:11-12; 1Re 19:19-21; Salmo 78:70-72; Amos 7:1415

1Corinzi 1:27-29

i quali gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori; 19. E disse loro: Venite dietro a me, e vi farò pescatori d'uomini. 20. Ed essi, lasciate prontamente le reti lo seguirono.

Quei due stavano gettando le loro reti, allorché Gesù li chiamò, e tosto ubbidirono. Con una bella allusione al loro mestiere. Gesù descrive il nuovo ufficio al quale egli li chiama come identico al primo ma più degno e più sublime nel suo scopo e nei mezzi coi quali lo si deve raggiungere. Essi avevano fino a quel momento lavorato a procacciarsi il necessario prendendo dei pesci colla rete; ma da ora in poi dovranno pescare le anime degli uomini, onde promuovere la gloria del Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:22; 9:9; 16:24; 19:21; Marco 2:14; Luca 5:27; 9:59; Giovanni 1:43; 12:26

Giovanni 21:22

Ezechiele 47:9-10; Marco 1:17-18; Luca 5:10-11; 1Corinzi 9:20-22; 2Corinzi 12:16

Matteo 10:37; 19:27; 1Re 19:21; Salmo 119:60; Marco 10:28-31; Luca 18:28-30

Galati 1:16

Mt 4:21

21. E, passato più oltre, vide due altri fratelli: Giacomo di Zebedeo, e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca, con Zebedeo loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò.

È molto probabile che l'altro discepolo del Battista il quale accompagnò Andrea nella sua prima conferenza con Gesù Giovanni 1:37-39, fosse Giovanni figliuolo di Zebedeo, e che egli divenisse allora discepolo di Gesù, e quindi strumento della conversione del fratello, benché colla sua consueta modestia egli non faccia menzione del suo nome nel passo sopraccennato.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:2; 17:1; 20:20-21; 26:37; Marco 1:19-20; 3:17; 5:37; Luca 5:1011

Giovanni 21:2; Atti 12:2

Mt 4:22

22. Ed essi, lasciata subito la barca, e il padre loro, lo seguitarono.

Nostro Signore aveva fatto pochi passi sulla riva, allorché vide i due discepoli nella barca col loro padre Zebedeo, tutti intenti a rammendare le reti; li chiamò a se, ed essi ubbidirono, lasciando incontanente il loro padre e «gli operai» Marco 1:20, a guardia della barca e delle reti. Secondo ciò che leggiamo negli Evangeli, non v'è luogo a supporre, come fanno alcuni, che quei discepoli lasciassero il padre loro senza aiuto ed impotente per l'età avanzata. Tutt'altro; infatti è presumibile che Zebedeo, invece di dipendere dai figli, desse lavoro ad essi come ad altri, ed allorché i figli lo lasciarono, continuasse il suo mestiere, coll'aiuto di altri subalterni. La vocazione di Cristo è sempre più importante delle occupazioni terrene, e la sua autorità superiore anche a quella d'un padre Luca 14:26

PASSI PARALLELI

Matteo 10:37; Deuteronomio 33:9-10; Marco 1:20; Luca 9:59-60; 14:26,33; 2Corinzi 5:16

Mt 4:23

La prima gita in Galilea.

23. E Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, e predicando l'Evangelo del regno, sanando ogni malattia, ed

ogni infermità fra il popolo.

Da Capernaum, ove aveva stabilito la sua dimora Gesù faceva frequenti escursioni nelle città e delle borgate della Galilea. Matteo narra qui il suo primo viaggio, e ci espone una volta per sempre, in che consisteva l'opera di Gesù dividendola in tre parti:

1 l'insegnamento nelle sinagoghe o la spiegazione al popolo della legge di Mosè e dei profeti;

2 la predicazione dell'Evangelo del Regno, ossia l'annunzio della buona novella che il regno del Messia era ormai inaugurato, e l'invito a tutti gli uomini di ravvedersi per entrarvi;

3 la guarigione di ogni malattia, sia che consistesse in morbi violenti, o in debolezze ed infermità. Naturalmente non s'intende che fossero guariti tutti i malati del paese ma solo quelli che si accostavano a Gesù.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:35; Marco 6:6; Giovanni 7:1; Atti 10:38

Matteo 12:9; 13:54; Salmo 74:8; Marco 1:21,39; 6:2; Luca 4:15-16,44; 13:10

Atti 9:20,13,14-43; 18:4

Matteo 13:19; 24:14; Marco 1:14; Luca 4:17-18; 8:1; 20:1; Romani 10:15

Matteo 8:16-17; 10:7-8; 11:5; 15:30-31; Salmo 103:3; Marco 1:32-34; 3:10

Luca 4:40-41; 5:17; 6:17; 7:22; 9:11; 10:9; Atti 5:15-16

Mt 4:24

24. E la sua fama si sparse per tutta la Siria;

Il Salvatore dava allora le sue istruzioni e faceva i suoi miracoli soltanto nella Galilea; ma la sua fama ne varcava i confini, e si spargeva nella Siria. Da ogni lato quelli che soffrivano accorrevano, o si facevano trasportare dai loro congiunti.

e gli recarono tutti i malati colpiti da varie infermità e da vari dolori, indemoniati, lunatici, paralitici;

Fra queste malattie distingueremo tre classi le più gravi e le più comuni ad un tempo, di cui parla Matteo:

1 Gl'indemoniati, soggetti al potere di Satana. Le descrizioni bibliche dello stato degli indemoniati non sono invenzioni poetiche, ma si riferiscono ad un genere speciale di malattia prodotto da agenti spirituali. Gli Evangeli fanno menzione speciale di quella malattia, perché era frequente in quel tempo. Essa consisteva in una strana complicazione di disordini fisici e morali, e soprattutto in comunicazioni misteriose col mondo invisibile e cogli spiriti. Questi sono chiamati impuri, immondi ciò che equivale nel senso morale a cattivi; e suggerisce l'idea di corruzione esistente in loro ed influente sugli altri. Essi sono «gli angeli», ossia gli «spiriti amministratori» del Diavolo, i quali caddero con lui Confr. Matteo 25:41 con 2Pietro 2:4, e cooperano con lui nel tentare e nell'accusare l'umanità. La nostra razza è sempre stata accessibile, e dopo la caduta, più o meno sottoposta a questi spiriti decaduti e seduttori; ma allorché Cristo era sulla terra fu loro permesso di assumere quell'ascendente in modo, se non più assoluto, almeno più visibile. La prevalenza di quella strana malattia, precisamente ai tempi di Gesù Cristo, può essere in parte spiegata dal fatto, che ciò che ordinariamente accade nelle tenebre fu messo allora in luce, dal potente intervento di Gesù; e si spiega anche col fatto che la tremenda lotta fra la «progenie della donna, e la progenie del serpente» Genesi 3:15, lotta che costituisce la storia dell'umanità, era giunta allora al colmo! Satana si servì di quella malattia come di un mezzo per far del male, ma Dio l'adoprò per far risplendere maggiormente la gloria del suo Figliuolo, manifestando l'impotenza degli spiriti maligni stessi a resistergli, e costringendoli a rendere testimonianza al grado ed al carattere del loro dominatore.

2 I lunatici. Il loro nome proviene dalla parola latina, luna come in greco perché si credeva anticamente che cotesta malattia dipendesse dal crescere o del decrescere della luna; il nome rimane, sebbene non esista più la superstizione che gli diede origine. In Italiano ed in latino quel nome è applicato alla pazzia periodica, in greco invece all'epilessia. Questa parola si trova soltanto in un altro passo in cui essa ha evidentemente quest'ultimo senso Confr. Matteo 17:15 con Marco 9:18-20; Luca 9:39-40

3 I paralitici. La parola greca, secondo le autorità mediche, indica ogni morbosa rilassatezza dei nervi, ed include i crampi, la paralisi, l'apoplessia. È notevole che nel greco il verbo è usato esclusivamente da Luca 5:18,24; Atti 8:7;9:33; Ebrei 12:12, mentre gli altri Evangeli adoprano esclusivamente l'aggettivo.

ed ei li guarì.

Operando evidentemente con potere miracoloso.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:26,31; 14:1; Giosuè 6:27; 1Re 4:31; 10:1; 1Cronache 14:17; Marco 1:28

Luca 4:14; 5:15

2Samuele 8:6; Luca 2:2; Atti 15:23,41

Matteo 23; 8:14-15; 9:35; Esodo 15:26

Matteo 9:32; 12:22; 15:22; 17:18; Marco 5:2-18; Luca 4:33-35; 8:27-37; Atti 10:38

Matteo 17:15

Matteo 8:6,13; 9:2-8

Mt 4:25

25. E grandi folle lo seguirono.

Questo fatto è di grande importanza, poiché serve a connettere la precedente descrizione del ministero di Cristo col gran discorso contenuto nei seguenti capitoli. Oltre le turbe che andavano a lui, affinché egli sanasse i loro ammalati, si formò rapidamente uno stuolo permanente di seguaci, che lo accompagnavano di luogo in luogo, talmente che egli era sempre circondato dalla folla. È un fatto strano, ma incontrastabile, che le turbe erano sempre nella vicinanza di Cristo, anche quando egli si ritirava nella solitudine.

dalla Galilea, e dalla Decapoli, e da Gerusalemme, e dalla Giudea, e d'oltre il Giordano.

Questi paesi erano i luoghi abitati dalle folle che venivano a Gesù. Oltre alle tre grandi divisioni del paese d'Israele, cioè la Giudea inclusa Gerusalemme, la Galilea, e la Perea qui indicata dalle parole «oltre il Giordano», Matteo specifica la Decapoli, parola greca che significa dieci città, ed è il nome del paese in cui quelle erano situate. Plinio e Tolomeo enumerano le dieci città, e concordano nel riferire i nomi di otto di esse, ma non sono d'accordo relativamente alle altre due; che può facilmente spiegarsi col fatto che il termine Decapoli fu, coll'andare del tempo, applicato a più di dieci città. Le città nominate dai due storici sono le seguenti: Scitopoli antica Bethsan all'O. del Giordano; Hippo, Cadara, Dion. Pella, Gerasa, Filadelfia, e Canato all'E. di esso Damasco, Rafana Cesarea-Filippi, e Gergesa furono alternativamente prese per le altre due. Quelle città erano principalmente occupate dai Gentili e la loro regione è qui mentovata probabilmente per mostrare che quella moltitudine di uditori era composta tanto di Gentili quanto di Ebrei.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:1; 8:1; 12:15; 19:2; Marco 3:7; 6:2; Luca 6:17,19

Marco 5:20; 7:31

RIFLESSIONI

1. Dai grandi privilegi alle grandi prove spesso non vi è che un passo. Le epoche di speciale manifestazione della presenza e del favore di Dio sono spesso seguite da tempi di forti tentazioni. Questo non deve scoraggiare il vero cristiano ma eccitarlo a tenersi sempre in guardia per tema che, essendo innalzato dal privilegio, «egli sia soverchiato da Satana». Il caso di nostro Signore fornisce un esempio di tale transizione e ci indica i mezzi per vincere la tentazione. Non appena ebbe egli udita la testimonianza di Dio Padre: «Tu sei il mio diletto Figliuolo», ecco giungergli la schernitrice suggestione di Satana: «Se tu sei Figliuol di Dio». Se siamo viventi membri di Cristo, dobbiamo prepararci alla tentazione, come ad una cosa inevitabile. La sorte del Maestro sarà la sorte dei suoi discepoli. Quel potente spirito che non temette di assalire Gesù stesso, «a guisa di leone ruggente, va attorno, cercando chi egli possa divorare». Guardiamoci dal dispregiarlo, o dal giudicare con leggerezza il suo potere. Rivestiamo piuttosto «l'intera armatura di Dio» Efesini 6:11-18, e supplichiamolo di soccorrerci. Contrastate al diavolo, ed egli fuggirà da voi» Giacomo 4:7

2. Osserviamo che il nostro Signore può compatire quelli che sono tentati. Questa verità emerge mirabilmente da questo passo, imperocchè Gesù è stato realmente tentato, egli stesso, si confortino tutti i veri cristiani col pensiero che hanno in cielo un amico il quale può compatire alle loro infermità, Ebrei 4:15

3. Osserviamo di nuovo l'eccessiva astuzia del nostro gran nemico spiritualmente, il diavolo. Tre volte noi lo vediamo assalire nostro Signore e provarsi di trascinarlo a peccare. Ogni assalto rivela in mano di un maestro nell'arte di sedurre, di uno che conosce per lunga esperienza, ogni punto debole della natura umana. Il suo primo stratagemma consistette nell'insinuare in Gesù il dubbio circa la provvidenziale sollecitudine di suo Padre. Un secondo fu di proporre al Signore un atto peccaminoso di presunzione. Il terzo, di tentarlo ad assumere un potere terreno con mezzi illeciti. Incredulità, presunzione, amor del mondo sono i tre grandi moventi

che egli sempre adopera contro l'anima dell'uomo. Ricordiamoci di questo e guardiamocene.

4. Notate la maniera con cui nostro Signore resistette alle tentazioni di Satana. Non gli cede quanto è largo un capello. Tre volte lo vediamo, per respingere la tentazione del nemico, usare la stessa arma, cioè «la spada dello Spirito, che è la parala di Dio» Efesini 6:17. Colui che era pieno dello Spirito Santo non si vergognava di servirsi della Sacra Scrittura, adoprandola come arma difensiva e come regola delle sue azioni.

5. Finalmente notate lo zelo di Cristo per la gloria di suo Padre. Con infaticabile ardore egli intraprese il suo pubblico ministero, per cercare e salvare quel ch'era perduto. Questo era il grande oggetto che Gesù aveva in vista La «benivoglienza inverso gli uomini», dimostrata nel curare i mali corporali, era un mezzo tendente a questo fine. E così il Signore mette davanti a tutti i suoi servi nel ministero il grande scopo, al quale essi devono mirare; e insegna loro che non si devono in alcun modo trascurare quei mezzi terreni che possono in qualche maniera condurre a questo scopo. Per mezzo di cure ad un corpo malato si apre sovente la via della salute all'anima, «morta nelle trasgressioni e nei peccati»; e per ogni anima salvata Iddio è glorificato.

Mt 5:1

CAPO 5 - ANALISI

1. Il Sermone sul monte. Questo è il nome generalmente dato al discorso del nostro Signore contenuto in questo e nei due seguenti capitoli. Un discorso che sotto molti riguardi rassomiglia a questo, ma che sotto altri ne differisce, è riportato da Luca 6:17-49 sorse da ciò una grande controversia circa l'identità e l'indipendenza dei due discorsi. Le due opinioni sono sostenute da scrittori eruditi ed autorevoli. Stanno in favore dell'identità il fatto che nei due Vangeli il discorso è stato pronunziato al N.O. del lago, sopra un poggio in luogo pianeggiante (Luca) , è stato pronunziato nei primi tempi del ministero galileo: comincia in ambedue i sunti che ne abbiamo colle

beatitudini e termina con la similitudine della casa edificata sulla rena. Se in Luca è più breve, ciò si deve in parte al fatto che taluni degli insegnamenti dati in quell'occasione, sono connessi in Luca con altre circostanze. Però gli argomenti in favore della indipendenza dei due discorsi Vedi Nota Luca 6:17Luca 6:17, sembrano a noi decisivi. I discorsi di Cristo non erano pronunziati sempre davanti ai medesimi uditori, ma innanzi a moltitudini diverse, le quali avevano tutte ugualmente bisogno della stessa istruzione. Perciò non occorreva che egli pronunziasse nuovi discorsi in ogni nuova occasione; bastava che dispensasse quella stessa verità sostanziale, ora ripetendo letteralmente i suoi discorsi, ora dando loro una forma nuova; come sogliono fare anche gl'insegnanti non ispirati.

Il vero scopo di questo sermone ci sembra essere, non già di presentare un completo sistema di dottrina, o un codice di moralità, ma piuttosto di mostrare la vera natura del regno del Messia. Sotto questo punto di vista, esso occupa precisamente il suo vero posto, ed è una più completa esposizione di quanto Gesù e Giovanni Battista già avevano insegnato col predicare: «Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino». In opposizione a vari errori relativi alla natura di quel regno, e più discorso, specialmente all'errore antinomiano, secondo il quale i requisiti morali si dovevano porre in disparte e la regola del dovere essere abbassata nel regno del Messia. Il Signore insegna qui che tale regola deve essere, invece elevata, cosicché nessuno possa illudersi supponendo, che entrando nel regno del Messia, gli sarà lecito di peccare, altre aspirazioni illusorie combattute in questo discorso, sono quello del Giudeo ipocrita che pensava che i Gentili non potessero essere salvati; del moralista censuratore la cui pietà consisteva nello scoprire e condannare i difetti degli altri e del formalista che confidava in una rettitudine rituale ed esteriore.

2 Le Beatitudini. In questi primi versetti di questo discorso, il Signore indica le qualità che, debbono aver coloro che, conseguiranno la, vera felicità nel regno del Messia. Così facendo, egli rettifica non solo le erronee nazioni ed aspirazioni dei Giudei ma anche le false idee di eccellenza, onore e felicità che, sono comuni agli uomini di tutte le età, e di tutte le nazioni. Ogni uomo cerca la felicità, ma niuno, ad eccezione di colui che viene ammaestrato dallo Spirito di Dio, secondo la sua parola, conosce in che essa consista o

come possa ottenersi e godersi. Le Beatitudini possono venire considerate come dei paradossi cristiani poiché esse ripongono la felicità in certe disposizioni e circostanze che generalmente gli uomini reputano incompatibili con essa. Si può osservare in generale che le Beatitudini non si riferiscono all'indole naturale ma bensì a disposizioni sante prodotte dalla grazia divina, che rettificano le obliquità della natura decaduta; e che dove una tale disposizione esiste realmente tutte le altre esistono pure, benché non egualmente preminenti Matteo 5:1-12.

3 La posizione dei credenti dirimpetto al mondo, e l'influenza che dovrebbero esercitare sopra di esso. In seguito figurate dal sale e dalla luce, quindi viene una calda esortazione a vivere in modo che gli altri possano, dal nostro esempio, essere spinti a glorificare il Padre, nostro che è nei cieli Matteo 5:13-16.

4 La morale del Nuovo Testamento paragonata con quella dell'Antico. Il nostro Signore stabilisce chiaramente che i doveri morali nel regno del Messia sono rigorosi ed elevati quanto quelli che impone l'Antico Testamento, e che non vi è alcun posto in quel regno per coloro che vogliono continuare «a vivere nel peccato affinché la grazia abbondi». L'idea che l'Evangelo ci dispensi da ogni obbedienza alla legge morale, trova qui la più completa confutazione. La moralità dei Farisei è tanto bassa e talmente si allontana dalla regola divina della perfezione, che se essa non viene di molto sorpassata da coloro i quali vivono sotto la luce del Vangelo, essi non potranno mai entrare nel regno dei cieli Matteo 5:17-20.

5 Contrasto fra l'insegnamento morale dei Farisei e quello di Cristo. Avendo fatto menzione dei Farisei e della loro giustizia, il Signore continua ad indicare, con alcuni notevoli esempi, quanto sia più elevata, spirituale, ed estesa nella sua influenza e nei suoi requisiti la legge morale, sotto il Nuovo Testamento che non lo fesse sotto l'economia preparatoria. I peccati qui esemplificati sono: l'omicidio Matteo 5:21-26, l'adulterio Matteo 5:27-30, il divorzio, eccettuato in caso di adulterio Matteo 5:31-32, il giuramento illecito Matteo 5:33-37, la vendetta Matteo 5:38-42, e l'odio Matteo 5:4347. Il contrasto fra l'interpretazione della legge divina data dai Farisei e

quella data, da Gesù è sempre espresso colla formula: «Voi avete udito che è stato detto agli antichi ma io vi dico».

Si osservi che non solamente nostro Signore dimostra l'affermazione di Davide: «Il tuo comandamento è d'una grandissima distesa» Salmo 119:96, ma che egli parla con la sapienza e l'autorità di un legislatore Matteo 5:2147. Quindi egli presenta ai suoi uditori la divina perfezione come il prototipo della moralità, ed il modello da imitarsi nel regno del Messia Matteo 5:48.

Matteo 5:1-12. LE BEATITUDINI Luca 6:20-23

Ed egli, vedendo le folle, salì sul monte; e, postosi a sedere,

Circondato dalla moltitudine, di cui è parlato nel capitolo precedente, Gesù avrebbe potuto farsi udire da coloro soltanto che si trovavano più dappresso a lui, se, per evitare quell'inconveniente, egli non fosse salito sopra il monte, ove, «postosi a sedere», egli assunse l'atteggiamento dei dottori giudaici quando ammaestravano il popolo. L'articolo aggiunto a monte, indica che quella collina ora familiarmente nominata «la Montagna», e non era a grande distanza da Capernaum. Vi è una collina di strana configurazione tra il Tabor ed il lago di Galilea, chiamata Kurun Hattin Corni di Hattin, alla quale la Chiesa latina dà il nome di Montagna delle Beatitudini. Ma quella tradizione, che risale soltanto al tempo delle Crociate, è interamente sconosciuta alla Chiesa greca, e non è degna di alcuna fede. Secondo ogni probabilità, Gesù pronunziò il suo discorso sopra una delle numerose colline che si trovano alla estremità settentrionale del lago, vicino a Capernaum.

i suoi discepoli si accostarono a lui.

Le parole «i suoi discepoli» non significano qui, come spesso in seguito, soltanto i dodici apostoli, che egli non aveva ancora eletti, ma hanno il senso più largo di scolari, che lo ascoltavano come un Maestro mandato da Dio. I suoi più costanti uditori si affollavano vicino a lui, mentre le moltitudini stavano sedute all'intorno.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:25; 13:2; Marco 4:1

Matteo 15:29; Marco 3:13,20; Giovanni 6:2-3

Matteo 4:18-22; 10:2-4; Luca 6:13-16

Mt 5:2

2. Ed egli aperta la bocca, li ammaestrava, dicendo:

«Aperta la bocca» non è una mera perifrasi per significare cominciare a parlare, ma una formula, secondo l'uso ebraico, che indica il principio di un discorso solenne ed autorevole. In questa circostanza il discorso aveva per soggetto la giustizia del Regno ed era pronunziato dal Messia stesso.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:35; Giobbe 3:1; Salmo 78:1-2; Proverbi 8:6; 31:8-9; Luca 6:2026; Atti 8:35

Atti 10:34; 18:14; Efesini 6:19

Mt 5:3

3. Beati i poveri in ispirito,

Gesù comincia con una descrizione del carattere di coloro che troveranno posto nel regno dei cieli, ed afferma che essi saranno veramente felici. In ogni caso, è un grande divario tra il concetto della felicità, secondo il mondo, e secondo Iddio. beati, è parola sovente usata nel Nuovo Testamento per rappresentare la felicità od il benessere degli uomini in questa vita,

sempre però dipendentemente dal favore divino. Le parole colle quali il signore descrive il carattere dei beati sono espressamente tolte dal Vecchio Testamento, per dimostrare che il nuovo regno di Dio non è altro che l'antico sotto una nuova forma; ed esse esprimono in diverse guise le disposizioni spirituali, che erano quasi affatto scomparse per effetto delle corrotte dottrine di quel tempo. Il mondo, stimando felici i ricchi, i potenti ed i superbi, invidia il loro stato; ma Gesù dichiara che la beatitudine appartiene a coloro che sono in una condizione diametralmente opposta a quella che il mondo invidia. Essa appartiene «ai poveri», non però a tutti quelli che sono poveri esternamente, perché essi possono essere tali e nonostante superbi nei loro cuori, ma a quelli che sono poveri in ispirito. Questi sono umili, perché sanno che dipendono interamente da Dio, conoscono le loro miserie spirituali, e sentono del continuo il bisogno di combattere contro l'orgoglio inerente alla natura umana. Gesù Cristo non parla in questo passo della povertà volontaria, quale essa è professata dagli ordini religiosi della Chiesa di Roma, come vorrebbero i commentatori romani,

perché di loro è il regno dei cieli.

Le espressioni «il regno dei cieli» in Matteo, e «il regno di Dio» negli altri Evangelisti, sono sinonimi, e significano il regno della grazia in sulla terra, ed il regno della gloria al di là del sepolcro. Ma riguardo ai poveri in ispirito, «il regno dei cieli» significa le ricchezze spirituali delle quali essi abbisognano, e che sono concesse loro in parte già sulla terra e pienamente soltanto dopo la morte. Quelle ricchezze spirituali consistono nella comunione con la Santissima Trinità nella stima dei fedeli quaggiù, nella fede, nella speranza, nella carità, nelle buone opere, nello zelo per la gloria di Dio, e nella certezza del futuro godimento dell'«eredità incorruttibile, immacolata ed immarcescibile» 1Pietro 1:4

PASSI PARALLELI

Matteo 5:4-11; 11:6; 13:16; 24:46; Salmo 1:1; 2:12; 32:1-2; 41:1; 84:12; 112:1

Salmo 119:1-2; 128:1; 146:5; Proverbi 8:32; Isaia 30:18; Luca 6:20,21-26; 11:28

Giovanni 20:29; Romani 4:6-9; Giacomo 1:12; Apocalisse 19:9; 22:14

Matteo 11:25; 18:1-3; Levitico 26:41-42; Deuteronomio 8:2; 2Cronache 7:14; 33:12,19,23; 34:27

Giobbe 42:6; Salmo 34:18; 51:17; Proverbi 16:19; 29:23; Isaia 57:15; 61:1; 66:2

Geremia 31:18-20; Daniele 5:21-22; Michea 6:8; Luca 4:18; 6:20; 18:14; Giacomo 1:10

Giacomo 4:9-10

Matteo 3:2; 8:11; Marco 10:14; Giacomo 2:5

Mt 5:4

4. Beati quelli che fanno cordoglio,

Dopo aver detti «beati», al vers. 3, i poveri, il Signore proclama qui «beati» nel medesimo senso coloro che fanno cordoglio. Qui nuovamente s'incontra un grande divario fra la felicità del regno di Dio e la felicità mondana. Più un uomo è spensierato ed impetuoso nello sfogo delle sue passioni animali, più è audace nelle idee e nelle azioni, e più, dimentico dell'avvenire, s'ingolfa nei piaceri sensuali, tanto maggiormente egli è dai suoi simili invidiato e reputato felice. Gesù, invece, dichiara che coloro che fanno cordoglio, sono veramente beati; ma il senso di questa dichiarazione è puramente spirituale. Le prove e le afflizioni sono spesso i mezzi di cui si serve Iddio per distogliere gli uomini dall'amore del mondo, e per condurli a se; e quello che ha fatto una tale esperienza, può a ragione esclamare con Davide: «È stato un bene per me, l'essere afflitto» Salmo 119:71. Ma un dolore eccessivo per la perdita di parenti, di amici o di possessioni Mondane, un dolore egoista che rende l'uomo incapace di compiere il suo

dovere, un dolore ribelle ai voleri di Dio un querulo che tedia persino i più compiacenti amici, non può essere mitigato da nessuna «consolazione».

perché essi saranno consolati.

La misericordia di Dio in Cristo, l'amore del Salvatore, la gioia prodotta dallo Spirito Santo, la pace che deriva dalla speranza di un mondo migliore dove non vi sarà più né peccato né cordoglio, ecco le vere sorgenti di consolazione; ma esse sono aperte per quelli soltanto che menano cordoglio a cagione del peccato, o dei mali che ne derivano Salmo 51:19. Per tali è vicino il giorno in cui essi «saranno consolati».

PASSI PARALLELI

Salmo 6:1-9; 13:1-5; 30:7-11; 32:3-7; 40:1-3; 69:29-30; 116:3-7

Salmo 126:5-6; Isaia 12:1; 25:8; 30:19; 35:10; 38:14-19; 51:11-12; 57:18

Isaia 61:2-3; 66:10; Geremia 31:9-12,16-17; Ezechiele 7:16; 9:4; Zaccaria 12:10-14

Zaccaria 13:1; Luca 6:21,25; 7:38,50; 16:25; Giovanni 16:20-22; 2Corinzi 1:4-7

2Corinzi 7:9-10; Giacomo 1:12; Apocalisse 7:14-17; 21:4

Mt 5:5

5. Beati i mansueti,

Un altro errore popolare da rettificare circa il regno del Messia era l'idea che i suoi onori od i suoi vantaggi fossero riservati a coloro che potrebbero reclamarli, come una conquista o come un diritto; cioè alla classe ambiziosa, arrogante ed audace, che comunemente ha il monopolio dei vantaggi dei regni terrestri. In opposizione a questa erronea aspirazione,

Cristo dichiara che la terza beatitudine appartiene ad uomini di un carattere affatto opposto. La mansuetudine è la pazienza nel sopportare le ingiurie. Non è bassezza, né abbandono dei nostri diritti, né vigliaccheria; ma è l'opposto della malizia, del furore e dell'amore della vendetta. V'è una mansuetudine che consiste in una abituale bontà e gentilezza, i difetti della quale si palesano nella debolezza di carattere e nell'indolenza. Tale fu la soverchia bontà del sacerdote Eli. Ma v'è pur anco una mansuetudine compagna del vigore e della fermezza, e possiamo considerarla come uno dei più bei frutti della grazia di Dio; poiché essa ha sempre per principio, nell'uomo, il sentimento vero della sua miseria, e della abituale presenza del Signore. Tale fu il nobile carattere d'Abrahamo, e del suo pronipote Giuseppe. L'uomo, che non si adira per le ingiurie ricevute, è salvo dai tormenti derivanti da una lotta continua. Un uomo che si offende di ogni affronto avrà sempre nuove occasioni di offendersi. Egli sarà sempre infelice Proverbi 15:1;22:24-25;25:8

perché essi erederanno la terra.

La medesima promessa si trova nel Salmo 37:11. Paese sarebbe più propriamente la traduzione del vocabolo. Era stato promesso al popolo d'Israele ch'egli avrebbe ereditato la terra di Canaan, e quelle espressioni, divenute quindi proverbiali denotavano ogni grande benedizione, e forse l'insieme di tutte le benedizioni Salmo 37:22; Isaia 40:21. I Giudei consideravano anche la terra di Canaan come il tipo del cielo, e delle benedizioni di cui essi speravano di godere sotto il regno del Messia. Il nostro Salvatore usò probabilmente qui la parola «terra» in questo senso e dichiarò che i mansueti saranno ammessi in quel regno, parteciperanno alle sue benedizioni quaggiù, e poi alle glorie della celeste Canaan. La parola «terra» adunque non significa in questo passo, come vogliono taluni né il mondo intero convertito a Cristo, né «la terra rinnovata», la quale, secondo altri interpreti, sarebbe l'eredità dei veri cristiani.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:29; 21:5; Numeri 12:3; Salmo 22:26; 25:9; 69:32

Salmo 147:6; 149:4; Isaia 11:4; 29:19; 61:1; Sofonia 2:3; Galati 5:23; Efesini 4:2

Colossesi 3:12; 1Timoteo 6:11; 2Timoteo 2:25; Tito 3:2; Giacomo 1:21; 3:13; 1Pietro 3:4,15

Salmo 25:13; 37:9,11,22,29,34; Isaia 60:21; Romani 4:13

Mt 5:6

6. Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia,

Le persone delle quali è qui parlato, sono quelle che bramano ardentemente le benedizioni spirituali. La parola «giustizia», nella Scrittura, indica ora la giustificazione davanti a Dio, ed ora la santità della vita. La giustificazione per la fede in Cristo è la nostra sola speranza, e la santità la nostra sola felicità vera. «Giustizia», in questo versetto, ha specialmente il secondo dei due accennati significati, cioè quello di perfetta conformità al santo volere di Dio. Gli individui accennati in questo versetto bramano anzitutto di esser santi. Il loro vivo desiderio della santità è qui figurato dalla fame e dalla sete, non essendovi nella nostra natura bisogno più forte e più imperioso di quelli. Niuna immagine poteva meglio di queste rappresentare le ardenti brame di santificazione progressiva di un'anima rinnovata. Davide esprime queste brame in parecchi dei suoi Salmo, ma specialmente nei Salmo 42:23; 63:2-3

perché essi saranno saziati.

Questo è lo scopo della dispensazione del Vangelo. Il verbo greco saranno saziati, fu adoperato dagli antichi classici solo per significare il satollarsi degli animali; ma, negli scrittori greci posteriori, si applica pure alle creature umane; in ambo i casi significa nutrimento appieno sufficiente. Esso è qui adoperato figurativamente, per indicare la soddisfazione di un appetito morale e spirituale. Questa sazietà consiste nella rivelazione che Iddio fa di se stesso al cuore dei credenti, comunicandosi a loro come la loro «porzione» di già in questa vita, quantunque la sazietà perfetta si ottenga

soltanto nella vita avvenire. Davide ben comprese una cotal cosa, quando disse: «Quant'è a me, per la mia giustizia contemplerò la tua faccia; mi sazierò al mio risveglio della tua sembianza» Salmo 17:15

Queste quattro prime beatitudini ci rappresentano i santi come uomini profondamente convinti della necessità della salvazione, e che ansiosamente la ricercano, piuttosto che come uomini che di già ne siano possessori. Le tre seguenti sono di un altro genere; ci raffigurano i santi che hanno ottenuta la salute, e che vivono in, modo ad essa consentaneo.

PASSI PARALLELI

Salmo 42:1-2; 63:1-2; 84:2; 107:9; Amos 8:11-13; Luca 1:53; 6:21,25

Giovanni 6:27

Salmo 4:6-7; 17:15; 63:5; 65:4; 145:19; Cantici 5:1; Isaia 25:6; 41:17; 44:3

Isaia 49:9-10; 55:1-3; 65:13; 66:11; Giovanni 4:14; 6:48-58; 7:37; Apocalisse 7:16

Mt 5:7

7. Beati i misericordiosi,

I misericordiosi sono coloro che sono pieni di compassione per le altrui sofferenze, e con ogni mezzo si sforzano di alleviarle, se pur non possono affatto rimuoverle. Il mondo ammira l'uomo che, mosso da insaziabile, ambizione, si è creato un dominio quasi universale colla spada alla mano, spargendo fiumi di sangue, portando ovunque guerra e desolazione, gettando nella miseria migliaia di vedove di orfani. Ma nel regno di Dio viene esaltata la condotta opposta, quella di coloro che non solo rifuggono dal gettare i loro simili nella desolazione e nella miseria, ma che li compatiscono, prendono parte alle loro afflizioni, alleviano i loro mali:

questi sono i beati. Tal misericordia si preoccupa delle anime non meno che dei corpi degli uomini.

perché a loro misericordia sarà fatta.

Sia dai loro simili per qualche provvidenziale disposizione di Dio, sia dal Signore nel giorno delle loro angustie. «Tu ti mostri pietoso verso il pio» Salmo 18:25. Non è già che la nostra misericordia nasca la prima e spontaneamente nei nostri cuori; al contrario, il Signore ci insegna espressamente che il metodo di Dio è di destare in noi compassione verso i nostri simili, coll'esercitarla egli stesso verso di noi, in una maniera ammirabile. Secondo l'idea della Scrittura, il cristiano si trova fra la misericordia ricevuta, e quella di cui ancora abbisogna. Talvolta è eccitato alla misericordia dalla rimembranza della prima: «perdonandovi gli uni gli altri, come Cristo perdonò a voi» Colossesi 3:13; Efesini 4:32; talvolta dalla speranza della seconda: «beati i misericordiosi, perché misericordia sarà loro fatta»; «perdonate e vi sarà perdonato» Luca 6:37; Giacomo 5:9. E così, mentre il cristiano riguarda sempre addietro alla misericordia che ha ricevuta, come alla sorgente ed al motivo della misericordia che egli esercita, egli guarda pure all'avvenire, alla misericordia della quale ancora ha d'uopo, e che egli è certo di ottenere, come ad un nuovo incentivo al ben fare.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:14-15; 18:33-35; 2Samuele 22:26; Giobbe 31:16-22; Salmo 18:25; 37:26

Salmo 41:1-4; 112:4,9; Proverbi 11:17; 14:21; 19:17; Isaia 57:1; 58:6-12

Daniele 4:27; Michea 6:8; Marco 11:25; Luca 6:35; Efesini 4:32; 5:1; Colossesi 3:12

Giacomo 3:17

Osea 1:6; 2:1,23; Romani 11:30; 1Corinzi 7:25; 2Corinzi 4:1; 1Timoteo 1:13,16

2Timoteo 1:16-18; Ebrei 4:16; 6:10; Giacomo 2:13; 1Pietro 2:10

Mt 5:8

8. Beati i puri di cuore,

Nel regno di Cristo la purificazione cerimoniale non ha nessun valore Gesù richiede quella purità interna, quella santità di cuore che ha, per necessaria conseguenza, la purità e la rettitudine della condotta esteriore. La domanda di Dio è sempre: «Figlio mio dammi il tuo cuore», perché, secondo il principio esposto dal Salvatore Matteo 12:33-35, il cuore è la fonte della vita e la sorgente delle azioni. Quanto è contrario tale insegnamento a quello che era allora in voga e nel quale non si badava che le purificazioni cerimoniali ed alla moralità esterna! e possiamo aggiungere: quanto è contrario agl'insegnamenti della Chiesa di Roma nei nostri tempi! Questa purità di cuore consiste non solo nell'astenersi da ogni sorta di sensualità, di libertinaggio, e di impurità, anche nel più profondo del cuore 2Corinzi 7:1; Giacomo 1:21, ma quanto anche nell'aborrire l'ipocrisia, l'inganno, la menzogna nell'essere sincero e senza intoppo Filippesi 1:10, e nel, progredire nella santificazione, operata nei credenti dallo Spirito Santo Proverbi 4:18; Giobbe 17:9; 2Corinzi 3:18, per il quale siamo «fatti degni di partecipare la sorte dei santi nella luce» Colossesi 1:12. Cristo «ha dato se stesso per noi, acciocché ci purificasse per essergli un popolo acquistato in proprio, zelante di buone opere» Tito 2:14. Può darsi che un uomo sia puro nella sua condotta agli occhi del mondo e non sia puro di cuore al cospetto di Dio; da un altro lato, un uomo può essere relativamente puro di cuore, e ciò nonostante cadere all'improvviso nel peccato; ma è impossibile che egli sia nel medesimo tempo puro di cuore e malvagio nella sua condotta. «Voi adunque li riconoscerete da' loro frutti» Matteo 7:20

perché essi vedranno Iddio.

Nei tempi antichi, in Oriente, ove di rado si vedevano i monarchi, e più di rado ancora erano questi avvicinati dai loro sudditi, lo stare avanti i re e vederne le sembianze, era considerato quale un grande onore, per cui non è da meravigliarsi se la presentazione al re è figura adoperata qui da Gesù per significare l'onore e la felicità di cui godranno i credenti. Siccome il peccato ha accecato l'intelletto e indurito il cuore dell'uomo a segno di fargli perdere la conoscenza del carattere di Dio, l'opera dello Spirito Santo, dal momento che il peccatore è chiamato efficacemente, fino a quello della sua introduzione nella gloria, consiste nell'aprire gli occhi del suo intelletto, affinché egli possa vedere, collo sguardo della fede, Dio riconciliato con lui. Essa consiste inoltre nello scolpire nuovamente nel suo cuore l'immagine di Dio conoscenza, rettitudine e santità, Efesini 4:24; Colossesi 3:10, che ne era stata cancellata dal peccato. «Vedere Iddio» significa la gioia e la beatitudine di pervenire alla sua presenza per mezzo della fede, finché non lo vediamo come Egli è; ed indica l'accrescimento della conoscenza e della purità, finché i puri di cuore sieno saziati della sua sembianza, quando essi si sveglieranno per essere sempre con Lui Salmo 18:15; 2Tessalonicesi 4:17. Gli occhi di Dio sono troppo puri per sopportare la vista del male» Abacuc 1:13, e perciò coloro che bramano vedere Iddio devono necessariamente studiarsi di raggiungere la purità perfetta. Le parole di 1Giovanni 3:2-3, sono il miglior commento di questo versetto.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:25-28; 1Cronache 29:17-19; Salmo 15:2; 18:26; 24:4; 51:6,10; 73:1

Proverbi 22:11; Ezechiele 36:25-27; Atti 15:9; 2Corinzi 7:1; Tito 1:15; Ebrei 9:14; 10:22

Giacomo 3:17; 4:8; 1Pietro 1:22

Genesi 32:30; Giobbe 19:26-27; 1Corinzi 13:12; Ebrei 12:14; 1Giovanni 3:2-3

Mt 5:9

9. Beati quelli che s'adoperano alla pace,

«Pacifici» è un'espressione tolta dalla Volgata; ma egli è dubbio se mai la parola abbia avuto un tal senso. In questo caso certamente essa ne ha un altro. Coloro ai quali si riferisce questa beatitudine non sono semplicemente quelli che, per disposizione naturale, sono contrari alle dispute, ai litigi, alle lotte, ma quegli uomini eziandio che fanno i loro più grandi sforzi per riconciliare coloro che sono nemici, o per prevenire i dissidi fra gli amici. Questa beatitudine si deve intendere pure in modo affatto speciale di tutti i membri del corpo spirituale di Cristo, qualunque sia la loro posizione, i quali si studiano di condurre i peccatori a Dio, indicando loro «il sangue della croce» per mezzo del quale Cristo procacciò loro la pace Colossesi 1,20. Nei giorni del Salvatore, quando i Giudei aspettavano un Messia guerriero che non deporrebbe mai la spada finché tutti i suoi nemici non fossero vinti, e quando un odio inestinguibile contro i nemici d'Israele e di Jehova era considerato come la più nobile delle virtù, una tale dottrina doveva produrre nelle moltitudini un'impressione strana e poco piacevole. Benché gli uomini del mondo, nel segreto del loro cuore, sieno convinti che i loro sentimenti sono ingiusti, essi continuano però anche oggi a disprezzare i pacieri, considerandoli come vili ed intriganti; ma il Signore, e coloro che sono ammaestrati dal suo Spirito li chiamano invece «figli di Dio».

perché essi saranno chiamati figliuoli di Dio.

Il senso enfatico della parola «chiamati» è, che non solamente essi sono realmente figli di Dio, ma che saranno apertamente riconosciuti e considerati come tali. Dio si è rivelato per mezzo del suo Figliuolo Gesù Cristo, come il Dio della pace, «riconciliando il mondo a se, non imputando loro i loro falli» 2Corinzi 5,19. Il Signore Gesù Cristo fu annunziato come «il Principe della Pace» Isaia 9:6, per mezzo del quale coloro che erano lontani sono stati approssimati a Dio Efesini 2:13; Colossesi 1:21; e coloro che bramano e cercano di far regnare la pace fra uomo ed uomo, e fra l'uomo ed il suo Dio, manifestano casi che essi sono partecipi dello spirito

del loro Maestro, che essi sono una stessa cosa col Figlio, e per conseguenza hanno diritto ad esser chiamati «figliuoli di Dio». Questa beatitudine non era proclamata sotto l'antica alleanza così chiaramente come sotto la nuova. Iddio si manifestò come «Dio della pace», solo allorquando Gesù ebbe «fatta la pace col sangue della sua croce». Rammentiamoci che, secondo l'ordine delle beatitudini, e l'asserzione di Giacomo 3:17, «la sapienza da alto prima è pura», escludendo qualsiasi compromesso col male, quindi pacifica».

PASSI PARALLELI

1Cronache 12:17; Salmo 34:12; 120:6; 122:6-8; Atti 7:26; Romani 12:18; 14:1-7

Romani 14:17-19; 1Corinzi 6:6; 2Corinzi 5:20; 13:11; Galati 5:22; Efesini 4:1; Filippesi 2:1-3

Filippesi 4:2; Colossesi 3:13; 2Timoteo 2:22-24; Ebrei 12:14; Giacomo 1:19-20; 3:16-18

Matteo 5:45,48; Salmo 82:6-7; Luca 6:35; 20:36; Efesini 5:1-2; Filippesi 2:15-16

1Pietro 1:14-16

Mt 5:10

10. Beati i perseguitati per cagione di giustizia,

Il carattere dei santi è stato descritto già nelle sette beatitudini precedenti. L'ottava indica quali trattamenti saranno inflitti dal mondo ai possessori di quel santo carattere. «Perseguitare», qui vuol dire persistere con malevolenza a far loro guerra, e trasferire l'inimicizia contro la giustizia di Dio ai suoi possessori, e, specialmente a quelli che l'annunziano. La persecuzione comprende una lunga catena di sofferenze, che si estende dalla

derisione e dall'insulto fino alla privazione delle possessioni terrene all'imprigionamento, ed al martirio. La benedizione non è promessa a quelli che soffrono persecuzione per qualsiasi causa, ma a coloro soltanto che sono perseguitati per cagione di giustizia, cioè per la loro rettitudine o conformità al volere divino Vedi Matteo 5:6. Non si tratta qui né della giustificazione davanti a Dio, né della giustizia in astratto, ma bensì di quanto è giusto nell'uomo in opposizione a quanto è ingiusto.

Ma si può domandare: Come mai tali caratteri possono essi provocare la persecuzione? Perché il cuore naturale dell'uomo, è «inimicizia contro Dio». Esso odia la sua santità, la sua purezza, la sua giustizia, e la sua rettitudine, si manifestino in lui medesimo, o in coloro che sono rinnovati alla sua immagina. Nella prima promessa Genesi 3:15, fatta all'uomo decaduto, e contenuta nella maledizione del serpente, Iddio disse: «Ed io metterò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di essa» Cristo ed i fedeli; e quella inimicizia regna tuttora negli uomini non convertiti, perché essi sono progenie di Satana Vedi Galati 4:29. La vita e la conversazione santa del popolo di Dio sono come una luce che rende, per così dire, visibili le tenebre che li circondano, e gli uomini del mondo si adirano perché le loro tenebre sono manifestate. Nostro Signore spiega chiaramente questo fatto a Nicodemo Giovanni 3:19-20. I caratteri descritti nelle sette precedenti beatitudini sono tutti opposti allo spirito del mondo; laonde coloro che per grazia divina sono chiamati a manifestarli, devono essere pronti a sopportare le sue persecuzioni. Gesù lo predisse ai suoi discepoli, e gli apostoli alla loro volta l'annunziarono ai credenti.

perché di loro è il regno dei cieli.

Se qualcuno è perseguitato, non a cagione delle sue false dottrine o delle sue ipocrite pretensioni, ma unicamente a cagione della sua fede in Gesù Cristo, le persecuzioni stesse che egli soffre sono una prova del cambiamento operato in lui dallo Spirito Santo. Il regno di Dio è in lui, e verrà il tempo in cui, per fede e pazienza, egli erederà il regno della gloria. Quest'ultima promessa è identica colla prima Matteo 5:3, ed il nostro Signore termina le beatitudini come egli le aveva cominciate.

Fin qui abbiamo avuto una descrizione del carattere di coloro che appartengono al regno del Messia; ora Gesù prende occasione da quest'ultima beatitudine per trattare della posizione che i membri del corpo spirituale di Cristo occupano di faccia al mondo.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:23; Salmo 37:12; Marco 10:30; Luca 6:22; 21:12; Giovanni 15:20; Atti 5:40

Atti 8:1; Romani 8:35-39; 1Corinzi 4:9-13; 2Corinzi 4:8-12,17; Filippesi 1:28; 2Timoteo 2:12

2Timoteo 3:11; Giacomo 1:2-5; 1Pietro 3:13-14; 4:12-16; 1Giovanni 3:12; Apocalisse 2:10

Matteo 5:3; 2Tessalonicesi 1:4-7; Giacomo 1:12

Mt 5:11

11. Beati voi, quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno contro a voi ogni sorta di male

Fino a questo punto, Gesù aveva ragionato delle beatitudini in modo astratto, e senza farne direttamente l'applicazione ai suoi uditori. Adoperando ora la seconda persona plurale, egli dichiara ai suoi uditori che essi godranno di quelle beatitudini, se continueranno a servirlo, nonostante le persecuzioni. Le espressioni usate per indicare le sofferenze che i discepoli di Cristo devono sopportare sono le seguenti: persecuzioni colla lingua, invettive, oltraggi, contumelie rivolte espressamente a loro; violenze personali inflitte colla mano, come battiture, carcerazioni, multe, bando, tortura e morte questa parola non si applica mai ai processi legati nel Nuovo Testamento; poi discorsi atti ad eccitare l'odio contro i cristiani come, a cagione d'esempio, false invenzioni, menzogne e rapporti calunniosi mentendo.

per cagione mia.

Al vers. 10 Gesù parla di quelli che sono perseguitati «per cagione di giustizia»; qui dice: «per cagione mia», dimostrando così che quelle due cause sono identiche. Tale è il trattamento che, secondo Gesù, i suoi seguaci devono aspettarsi, e tale è la consolazione che egli dà loro. L'idea contenuta in questo versetto è la seguente: I discepoli di Cristo saranno maltrattati perché essi eseguiranno la sua volontà; ma precisamente per questo motivo essi sono proclamati beati.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:25; 27:39; Salmo 35:11; Isaia 66:5; Luca 7:33-34; Giovanni 9:28; 1Pietro 2:23

1Pietro 4:14

Matteo 10:18,22,39; 19:29; 24:9; Salmo 44:22; Marco 4:17; 8:35; 13:9,13

Luca 6:22; 9:24; 21:12,17; Giovanni 15:21; Atti 9:16; Romani 8:36; 1Corinzi 4:10

2Corinzi 4:11; Apocalisse 2:3

Mt 5:12

12. Rallegratevi e giubilate.

L'annunzio delle sofferenze che devono sopportare per la sua causa, lungi dall'affliggerli, deve rallegrarli. C'è in questo versetto un'esortazione ed un incoraggiamento. giubilate, è un verbo ellenico spesso usato nella versione dei 70 per esprimere gioia o trionfo. Nel passo parallelo Luca 6:23, la parola è molto più energica. Essa significa: «saltate di letizia».

perché il vostro premio è grande ne' cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.

Essi devono rallegrarsi per due ragioni:

1. Perché un grande e glorioso premio li attende. Premio significa qui compenso per ciò che si soffre, senza alcuna idea di merito. È una ricompensa non dovuta, ma data gratuitamente, come la parabola dei lavoratori della vigna Matteo 20:1 lo dimostra. La vita eterna è un dono spontaneo e gratuito di Dio, concesso per i meriti di Cristo a chiunque crede in lui; ma il tenore della Scrittura ci parta a credere che vi sieno nella vita eterna vari gradi di gloria, ai quali saranno innalzati i servi di Cristo, a seconda delle loro sofferente o del loro zelo per il progresso del regno di Dio, durante questa vita Matteo 25:30, ecc. I commentatori che ritengono come articolo di fede il regno personale di Cristo sopra la terra, durante il millennio, spiegano le parole nei cieli, come se indicassero, non il luogo, ma la natura spirituale dei godimenti ai quali i fedeli parteciperanno durante quel tempo. Ma le parole del nostro Signore sul medesimo soggetto in Marco 10:30; Luca 18:30, rendono impossibile una simile interpretazione, perché egli distingue fra la ricompensa che i suoi fedeli perseguitati riceveranno in «questo tempo», cioè durante la loro terrena esistenza, e la vita eterna di cui godranno nel «secolo a venire».

2. I cristiani perseguitati devono inoltre rallegrarsi, perché essi dividono le persecuzioni dei santi servi di Dio che li hanno preceduti, e sono gli eredi dei profeti che nei tempi passati resero testimonianza a Dio «in mezzo ad una malvagia e perversa generazione». Non soltanto riceviamo da questo passo incoraggiamenti, ma vi scorgiamo una prova della connessione fra il nuovo regno spirituale e l'antica teocrazia rappresentata dai profeti.

PASSI PARALLELI

Luca 6:23; Atti 5:41; 16:25; Romani 5:3; 2Corinzi 4:17; Filippesi 2:17; Colossesi 1:24

Giacomo 1:2; 1Pietro 4:13

Matteo 6:1-2,4-5,16; 10:41-42; 16:27; Genesi 15:1; Ruth 2:12; Salmo 19:11; 58:11

Proverbi 11:18; Isaia 3:10; Luca 6:23,35; 1Corinzi 3:8; Colossesi 3:24; Ebrei 11:6,26

Matteo 21:34-38; 23:31-37; 1Re 18:4,13; 19:2,10-14; 21:20; 22:8,26-27

2Re 1:9; 2Cronache 16:10; 24:20-22; 36:16; Nehemia 9:26; Geremia 2:30; 26:8,21-23

Luca 6:23; 11:47-51; 13:34; Atti 7:51; 1Tessalonicesi 2:15

Mt 5:13

13. Voi siete il sale della terra;

Nel vers. 11 Gesù aveva cominciato ad indicare le relazioni che passano fra i suoi discepoli ed il mondo, ed egli continua, qui a trattare il medesimo argomento. Là egli parlava dei trattamenti inflitti dal mondo ai suoi discepoli; qui egli parla dell'influenza dei suoi discepoli sul mondo. Egli desta una gran maraviglia nei suoi umili discepoli, dichiarando loro che essi occupano il primo posto fra i benefattori dell'umanità. Ciò è espresso con due belle metafore tratte dall'esperienza giornaliera, e mirabilmente atte ad illustrare questa importante verità Matteo 5:13,16. Il sale è fra le sostanze più comuni e necessarie. Il suo uso domestico è doppio: egli dà sapore a ciò che è insipido, ad impedisce la corruzione degli alimenti. In ambi i casi esiste un'analogia evidente fra gli effetti fisici del sale, e l'influenza morale esercitata dalla Chiesa, cioè dal corpo collettivo dei seguaci di Cristo. Essi danno, o dovrebbero dare un gusto ed un sapore spirituale alle occupazioni ed alle gioie dell'umanità, che senza la loro influenza sarebbero insipide e nocive. Così facendo, essi preservano la società dalla corruzione e dalla distruzione, alla quale naturalmente tende ogni umana cosa. Le parole «della terra» non vogliono dire che il sale sia impiegato nel coltivar la terra; esse indicano qui l'umanità, e corrispondono coll'espressione «il mondo» adoperata nel versetto seguente. Gesù, per impedire che i suoi discepoli

diventino orgogliosi a cagione dell'alta posizione loro assegnata, continuando a servirsi della medesima metafora, li avverte della responsabilità e del pericolo inerenti al loro privilegio, se non saranno fedeli.

ora, se il sale diviene insipido,

Nella prima parte del versetto, Gesù suppone che il sale risponda al suo scopo; ma nella seconda, egli lascia travedere la possibilità che il sale perda la sua virtù, ed indica quale ne sarà l'inevitabile conseguenza. È un fatto ben noto in Palestina che il sale perde frequentemente le sue qualità saline, e diviene insipido. Se si ricava dal mare o da paludi salate, per mezzo dell'evaporazione, con esso si raccolgono molta terra e molte impurità, cagione per cui, posto in contatto colla terra, od esposto a molta pioggia, diventa insipido ed inservibile, o se è straordinariamente impuro, si scompone e si muta in polvere. Questo fatto, famigliare a tutti gli uditori del Signore, serve qui per spiegare la possibilità che coloro che devono condire e conservare la società siano privi della grazia necessaria per compiere la loro opera.

con che lo si salerà?

cioè: In qual modo potrà il sale riacquistare il suo sapore? Non si tratta qui della possibilità di perdere la grazia o di ritrovarla; ma il Signore, supponendo che la cristianità vivente, che è il vero sale della terra, possa fallire alla sua missione, domanda in qual guisa essa potrebbe rinascere,

non è più buono a nulla, se non ad esser gettato via,

espressione figurata per indicare l'esclusione dal regno di Dio.

e calpestato dagli uomini.

Espressione che indica il disprezzo e l'ignominia. L'americano Thomson, che è stato per più di venti anni missionario in Palestina, così descrive questo sale corrotto: Si cambia in polvere, ma non in terra fruttifera. Non soltanto è senza valore per se stesso, ma distrugge la fertilità del terreno in

cui è gettato. Questo sale corrotto è talmente pernicioso, che è diligentemente spazzato, portato via, e gettato nella strada. Non v'ha luogo attorno alla casa cortile o giardino dove possa essere tollerato. Nessun Uomo permetterà che lo si getti nel suo campo, ed il sol posto dove lo si possa gettare è la strada dove è calpestato dagli uomini».

PASSI PARALLELI

Levitico 2:13; Colossesi 4:6

Marco 9:49-50; Luca 14:34-35; Ebrei 6:4-6; 2Pietro 2:20-21

Mt 5:14

14. Voi siete la luce del mondo;

Questa è la seconda metafora colla quale Cristo indica al suo popolo la posizione che esso occupa di faccia al mondo. La parola greca cosmos, che originalmente significa ordine simmetrico, è applicata alla struttura, ed all'armonioso sistema dell'universo come nei capitoli Matteo 13:3839;16:26; poi a quella parte di esso abitata dall'uomo come in Matteo 4:8; e, per una naturale metonimia, agli uomini stessi, come nel nostro caso. Quello che il sole è relativamente, al globo terrestre, la è la Chiesa vivente di Cristo, di fronte alle «nazioni, tribù e lingue», che sono sulla terra. Con questa figura, Gesù dichiara al suoi discepoli che essi soltanto possono scacciare le tenebre dell'ignoranza, rettificare gli errori, e comunicare la conoscenza della verità al mondo. La luce è un titolo distintivo che appartiene a Gesù Cristo, e che fu rifiutato dal Battista come quello che non gli si addiceva Giovanni 1:4,8-9,20. Se in questo versetto, e in Efesini 5:8, i discepoli di Cristo sono chiamati luce è unicamente perché essi sono uniti con lui e risplendono della sua luce. Si osservi inoltre che mentre le figure del sale e della luce indicano ambedue la felice influenza dei cristiani esercitata sui loro simili, ciascuna di esse li rappresenta sotto un differente aspetto. Come il sale agisce interamente sulle sostanze colle quali è posto in contatto, così i cristiani esercitano nel seno della società in cui vivono una salutare

influenza. Inoltre coi discorsi, cogli scritti e colle buone opere, essi illuminano esternamente l'umanità, come il sole illumina il nostro globo.

una città posta sopra un monte, non può rimaner nascosta.

Sia per ragioni di igiene, sia per maggior sicurezza contro i malfattori, le città e le borgate della Palestina sono ora, come nei tempi antichi, generalmente edificate sulla sommità, o sui fianchi delle montagne, ed a cagione della loro posizione elevata non possono esser nascoste. Spesso il viaggiatore ha in vista durante l'intera giornata la città elevata ove egli si riposerà la notte. Così la Chiesa di Cristo è destinata ad occupare nel mondo una posizione eminente per il compimento della sua nobile e gloriosa missione, e se essa non risplende nelle tenebre del mondo, non compie il suo dovere.

PASSI PARALLELI

Proverbi 4:18; Giovanni 5:35; 12:36; Romani 2:19-20; 2Corinzi 6:14; Efesini 5:8-14

Filippesi 2:15; 1Tessalonicesi 5:5; Apocalisse 1:20; 2:1

Genesi 11:4-8; Apocalisse 21:14-27

Mt 5:15

15. E non si accende una lampada per metterla sotto il moggio; anzi la si mette sul candeliere, ed ella fa lume a tutti quelli che sono in casa.

È questa una spiegazione più ampia della metafora della luce. Quando gli uomini accendono una lampada nelle loro case, essi la mettano sopra un candeliere, onde ognuno possa attendere alle proprie occupazioni, essi non sono tanto sciocchi da metterla sotto o dietro il moggio l'utensile di cui si servivano anticamente gli Ebrei per misurare il grano, rendendola così

affatto inutile. Cristo esorta, in questo passo i suoi discepoli a vigilare, affinché la loro influenza cristiana non sia oscurata dagli oggetti mondani.

PASSI PARALLELI

Marco 4:21; Luca 8:16; 11:33

Esodo 25:37; Numeri 8:2

Mt 5:16

16. Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini,

Gesù aveva detto che il sale può perdere il suo sapore, ma non dice che la luce possa perdere il suo splendore. Egli insiste semplicemente sul dovere di farla risplendere con una vita santa e conforme al Vangelo, affinché gli uomini siano attratti a Cristo dall'esempio dei Cristiani. Si osservi però che Gesù non permette ai suoi discepoli di vantarsi delle loro buone opere davanti al mondo, come sogliono farla gl'ipocriti.

affinché veggano le vostre buone opere, e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.

«Padre» indica la nuova ed intima relazione che Gesù Cristo ha stabilita tra i suoi seguaci e quel Dio glorioso, il quale, senza la sua mediazione, non soltanto sarebbe inaccessibile all'uomo, ma gli farebbe sentire gli effetti della sua ira. Glorificare, quando è applicato a Dio, non significa che gli uomini possano aumentare la gloria inerente alla sua essenza, ma che essi devono, colla loro vita cristiana, onorarlo e costringere gli uomini a lodarla.

PASSI PARALLELI

Proverbi 4:18; Isaia 58:8; 60:1-3; Romani 13:11-14; Efesini 5:8; Filippesi 2:15-16

1Tessalonicesi 2:12; 5:6-8; 1Pietro 2:9; 1Giovanni 1:5-7

Matteo 6:1-5,16; 23:5; Atti 9:36; Efesini 2:10; 1Timoteo 2:10; 5:10,25; 6:18

Tito 2:7,14; 3:4,7-8,14; Ebrei 10:24; 1Pietro 2:12; 3:1,16

Isaia 61:3; Giovanni 15:8; 1Corinzi 14:25; 2Corinzi 9:13; Galati 1:24; 2Tessalonicesi 1:10-12

1Pietro 2:12; 4:11,14

Matteo 5:45; 6:9; 23:9; Luca 11:2

RIFLESSIONI

1. Impariamo da queste beatitudini quanto i credenti debbano essere santi e spirituali. Essi non devono rimanere al di sotto del livello morale indicato nel Sermone sul Monte. Il Cristianesimo è una religione eminentemente pratica la sana dottrina è la sua radice, ed una vita santa ne deve sempre essere il frutto. E se noi vogliamo conoscere in che consista una vita santa, meditiamo spesso sul carattere di quelli che Gesù chiama beati.

2. Certamente, se le parole hanno qualche significato, le due figure del sale e della luce c'insegnano che deve esistere nel vero cristiano un carattere spirituale, il quale lo distingua dagli altri uomini. Non basterà il traversare da pigro la vita, pensando e vivendo come gli altri, se noi intendiamo esser riconosciuti da Cristo come suoi discepoli. Abbiamo noi la grazia? Dunque manifestiamola. Abbiamo noi lo Spirito? Dunque portiamo i frutti che procedono da esso. Abbiamo noi una religione salvatrice? Dunque dimostriamo che il nostro modo di vedere, le nostre inclinazioni, ed i nostri costumi sono differenti da quelli del mondo. Egli è perfettamente chiaro che il vero Cristianesimo consiste in qualche cosa di più positivo che l'essere battezzati e l'andare in chiesa.

Mt 5:17 À

Matteo 5:17-48. IDENTITÀ DEI PRINCIPI PROCLAMATI PRECEDENTEMENTE CON QUELLI DELL'ANTICA LEGGE, E LORO CONTRASTO COLLE TRADIZIONI DEGLI ANTICHI

17. Non pensate ch'io sia venuto per abolire la legge od i profeti;

Nei versetti Matteo 5:17-20, il nostro Signore dimostra la identità dei principi che egli ha esposti, con quelli dell'antica legislazione, e la loro dissomiglianza dal tradizionale insegnamento, che era allora in voga. In questo versetto, «la legge ed i profeti» presi insieme, significano l'autorità ed i principi dell'Antico Testamento. Non importa distinguere qui la legge dai profeti, come fanno alcuni critici, né ricercare quali fossero le supposizioni degli avversari di Cristo relativamente all'intenzione che gli, attribuivano di rovesciarli.

Il nesso che collega questo versetto coi precedenti, si trova nelle parole «buone opere», contenuto in Matteo 5:16. Questa menzione delle buone opere come mezzo necessario per glorificare Iddio, tanto sotto la nuova come sotto l'antica economia, solleverebbe naturalmente una questione circa alla loro mutua relazione, e particolarmente circa alla autorità della legge Mosaica sotto il regno del Messia. Le parole contenute in questo versetto sono indirizzate a due classi di individui i quali, da due diversi punti di vista, consideravano Gesù come un sovvertitore della legge e dei profeti. Alcuni rispettavano la legge, non soltanto nel suo senso letterale, ma ancora nel senso spirituale; e temevano che Gesù avesse l'intenzione di rovesciare tutte le istituzioni stabilite da Dio fra loro. Per costoro, le parole di Gesù suonavano come s'egli avesse detto: Non temete che io venga ad abbattere la legge ed i profeti; anzi io vengo per compiere le cose ch'essi hanno dette. Altri acclamavano Gesù Cristo, sperando ch'egli abbatterebbe così la legge morale, come la cerimoniale. e concederebbe loro il permesso di vivere liberamente nel peccato. Per questi le parole di Gesù significavano: Non sperate che io sia venuto per mettermi alla testa di un movimento rivoluzionario, o per diminuire la santa autorità della legge di Dio.

«Non pensate». Questa proibizione indica che purtroppo alcuni fra i suoi uditori nutrivano simili errori. Siffatto spirito di libertinaggio che si manifestò nel secolo 16. fra gli anabattisti, e nel 18. nella rivoluzione francese, era il prodotto naturale dell'avversione che prova ogni uomo per qualsiasi freno; e derivava dalla confusione fra le leggi imposte dalla tirannia umana, e quelle emanate dall'autorità divina. Il medesimo spirito si manifesta eziandio sotto forma di antinomianismo fra alcuni sedicenti Cristiani, i quali credono che la legge morale non sia obbligatoria per i redenti, poiché Cristo ha soddisfatto alla legge per loro; e mentre essi menano rumore della loro fede in Cristo, non si fanno scrupolo di condurre una vita peccaminosa. Contro simili perniciose dottrine. Il Signore ci ammonisce con queste parole. La legge non è per i credenti, come per Adamo e i suoi discendenti non convertiti, un patto di vita o di morte, ma è semplicemente una regola di vita alla quale essi devono conformarsi sino alla fine della loro carriera.

io non sono venuto per abolire;

Gesù venne per glorificare la legge morale, che è la manifestazione degli attributi di Dio, e per compiere la sua volontà rivelata negli scritti dei profeti. Egli adunque, essendo l'avveramento delle figure tipiche contenute nella legge, e sottomettendosi alle sue esigenze, non l'annullò, anzi l'adempì.

anzi per compire.

significa riempire strabbocchevolmente, e indica qui il senso profondo e spirituale che Gesù Cristo diede alla legge ed ai profeti. Egli ne fu l'avveramento vivente, e li scolpì nelle coscienze e nei cuori degli uomini.

PASSI PARALLELI

Luca 16:17; Giovanni 8:5; Atti 6:13; 18:13; 21:28; Romani 3:31; 10:4; Galati 3:17-24

Matteo 3:15; Salmo 40:6-8; Isaia 42:21; Romani 8:4; Galati 4:4-5; Colossesi 2:16-17

Ebrei 10:3-12

Mt 5:18

18. Poiché io vi dico in verità

Qui per la prima volta troviamo nello insegnamento del nostro Signore questa formula colla quale siamo divenuti tanto famigliari, che purtroppo spesso la pronunziamo senza pensare al significato di essa. Questa frase manifesta chiaramente la suprema autorità legislativa di Gesù Cristo, ed è nel medesimo tempo una prova della divina autorità della legge. Ogni qual volta Gesù la pronunzia, egli ha per scopo di rammentare ai suoi uditori la loro posizione davanti a lui, come se egli dicesse: Io, Figlio di Dio, indirizzo la parola a voi mie creature,

che, finché non siano passati il cielo e la terra,

La immutabilità della legge di Dio è contrapposta alla caducità delle cose più stabili del mondo. Benché l'Antico Testamento annunzi la distruzione dei cieli e della terra per far meglio comprendere l'immutabilità di Jehova Salmo 102:25,27, ciò nonostante le Scritture Parlano ordinariamente del cielo e della terra come delle cose più stabili dell'universo. il Signore esprime così la stabilità delle grandi verità contenute nel Testamento Antico «Il minimo elemento di santità contenuto nella legge ha maggior realtà e durevolezza dell'intero universo visibile» Godet.

neppure un iota, o un'apice della legge passerà,

L'iota corrisponde allo iod, la più piccola lettera dell'alfabeto ebraico; apice o punta indica le piccole differenze che distinguono le une dalle altre le lettere ebraiche che più si rassomigliano fra loro, come per esempio il daleth, il resh, il beth, il kaff,

che tutto non sia adempiuto.

Queste parole non sono in contraddizione coll'abolizione della legge cerimoniale, che cessò precisamente perché Colui che era rappresentato dai tipi di essa, avverandoli, veniva necessariamente ad abolirli. Le ultime parole di questo versetto sono relative all'Antico Testamento tutto intiero, ed a tutti gli insegnamenti in esso contenuti riguardo alla divina missione di Gesù Cristo. Quest'osservazione è della massima importanza, perché il razionalismo, che travaglia la Chiesa, comincia col disprezzare l'Antico Testamento, negandone la verità storica, la teocrazia che egli ci rivela, le profezie ed i tipi che si riferiscono al Messia; cosicché, secondo quello, Gesù Cristo non aveva nulla da compiere, ma fu semplicemente un maestro popolare ed un martire; ed in tal modo la via è preparata per rigettare egualmente il Nuovo Testamento.

PASSI PARALLELI

Matteo 26; 6:2,16; 8:10; 10:15,23,42; 11:11; 13:17; 16:28; 17:20; 18:3,18

Matteo 19:23,28; 21:21,31; 23:36; 24:2,34,47; 25:12,40,45; 26:13-14

Marco 3:28; 6:11; 8:12; 9:1,41; 10:15,29; 11:23; 12:43; 13:30; 14:9

Marco 14:18,25,30; Luca 4:24; 11:51; 12:37; 13:35; 18:17,29; 21:32; 23:43

Giovanni 1:51; 3:3,5,11; 5:19,24-25; 6:26,32,47,53; 8:34,51,58; 10:1,7

Giovanni 12:24; 13:16,20-21,38; 14:12; 16:20,23; 21:18

Matteo 24:35; Salmo 102:26; Isaia 51:6; Luca 16:17; 21:33; Ebrei 1:11-12

2Pietro 3:10-13; Apocalisse 20:11

Salmo 119:89-90,152; Isaia 40:8; 1Pietro 1:25

Mt 5:19

19. Chi adunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti,

Questi minimi comandamenti sono ai più importanti, come un iota od una punta della legge ad una pagina qualunque delle Sacre Scritture. Se Gesù Cristo non ne avesse fatto l'applicazione ai suoi uditori, i principi ora esposti avrebbero potuto essere considerati come meramente speculativi e senza influenza sul carattere e sulla vita degli individui. «Avrà rotto», è il medesimo verbo che si trova due volte nel vers. 17, ma senza la preposizione cosicché mentre là vale «abbattere», «annullare» ed «abrogare» l'intero sistema, qui ha il significato di indebolire, di violare, poiché si riferisce ad un solo comandamento e non a tutta la legge.

e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli;

Queste parole possono riferirsi ai libertini sopraccennati, che cercavano di far credere agli uomini che certi precetti potevano essere violati impunemente, come quelli che non erano più obbligatori sotto il regno del Messia; ma il versetto seguente chiaramente dimostra che il nostro Signore aveva eziandio in vista i Farisei, i quali dividevano arbitrariamente i comandamenti in grandi e piccoli, e annullavano la legge di Dio colle loro tradizioni. Queste parole si riferiscono inoltre a chiunque propaga simili principi nella Chiesa cristiana. Più che di atti in contraddizione colla legge si tratta qui di spiegazioni erronee che l'affievoliscono; perciò la punizione minacciata da Cristo non consiste nell'esclusione dal cielo, ma nella posizione inferiore assegnata a quei traviati maestri nella vera Chiesa di Dio,

ma chi li avrà messi in pratica, ed insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli.

L'antitesi che esiste fra questa clausola e quella che precede, rende più chiara e più solenne la dichiarazione di Cristo. Il Signore insegna in questo versetto, che sotto l'economia evangelica, colui che disprezza la legge sarà esso pure disprezzato, mentre colui che l'osserva sarà onorato da Dio.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 27:26; Salmo 119:6,128; Galati 3:10-13; Giacomo 2:10-11

Matteo 23:23; Deuteronomio 12:32; Luca 11:42

Matteo 15:3-6; 23:16-22; Malachia 2:8-9; Romani 3:8; 6:1,15; 1Timoteo 6:3-4

Apocalisse 2:14-15,20

Matteo 11:11; 1Samuele 2:30

Matteo 28:20; Atti 1:1; Romani 13:8-10; Galati 5:14-24; Filippesi 3:17-18; 4:8-9

1Tessalonicesi 2:10-12; 4:1-7; 1Timoteo 4:11-12; 6:11; Tito 2:8-10; 3:8

Matteo 19:28; 20:26; Daniele 12:3; Luca 1:15; 9:48; 22:24-26; 1Pietro 5:4

Mt 5:20

20. Perché io vi dico che, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei Farisei,

Questo versetto contiene un corollario dedotto dai tre precedenti. Gli Scribi ed i Farisei non osservavano la legge, poiché essi l'annullavano colle loro tradizioni, e la mettevano in pratica soltanto esternamente. Perciò essi pretendevano invano di essere giusti; e Gesù Cristo dichiara che coloro i quali desiderano entrare nel regno dei cieli devono essere più santi di loro. Il nostro Signore diede così ai suoi uditori, che avevano fino a quel momento, creduto che gli Scribi ed i Farisei avessero «le chiavi della scienza» e fossero i più giusti degli uomini, una idea molto più elevata della santità della legge. La «giustizia» di cui si tratta qui, non è quella che ci è imputata per la fede, ma bensì una vita giusta e santa che è la conseguenza della prima. Perciò se vogliamo che la nostra giustizia superi quella degli Scribi e dei Farisei, conviene che essa abbia la sua sede nei nostri cuori, e si manifesti nella, nostra vita.

voi non entrerete punto nel regno dei cieli.

Gesù Cristo insegna in queste parole che senza una giustizia superiore a quella dei Farisei, noi non possiamo far parte della sua Chiesa, né in questo mondo, né nel mondo avvenire.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:2-5,23-28; Luca 11:39-40,44; 12:1; 16:14-15; 18:10-14; 20:4647

Romani 9:30-32; 10:2-3; 2Corinzi 5:17; Filippesi 3:9

Matteo 3:10; 7:21; 18:5; Marco 10:15,25; Luca 18:17,24-25; Giovanni 3:35; Ebrei 12:14

Apocalisse 21:27

RIFLESSIONI

1. Guai a chi disprezza la legge contenuta nel Decalogo! Essa è l'eterna misura del bene e del male. Per essa lo Spirito convince l'uomo di peccato, e gli fa sentire il bisogno di un Salvatore. Essa non può salvare nessuno: ma Gesù Cristo, confermandone l'autorità la presenta ai suoi seguaci, come la regola secondo la quale essi devono vivere. Nel posto che le viene assegnato essa è importante quanto l'Evangelo. «Or noi sappiamo,», dice S. Paolo, «che la legge è buona, se alcuno l'usa legittimamente» 1Timoteo 1:8

2. Quando la legge è disprezzata è segno che la religione si trova in decadenza, ed i suoi detrattori sono sempre le vittime dell'ignoranza o dell'orgoglio spirituale. Il vero Cristiano «si diletta nella legge di Dio» Romani 7:22. Lungi da noi la supposizione che l'Evangelo abbia abbassato il livello della legge, e che il cristiano non abbia l'obbligo di vivere santamente guanto l'israelita. Anzi più egli è illuminato, più il suo amore per Dio deve essere grande; e più il sentimento del perdono è profondo nel suo cuore, più

egli si dedicherà con zelo al servizio divino. Dal versetto 21 sino alla fine del capitolo, il nostro Signore, con parecchi esempi, dimostra il contrasto che esisteva fra le tradizioni degli Scribi e dei Farisei ed il suo insegnamento intorno alla legge. Egli espone in primo luogo l'interpretazione tradizionale di un comandamento; quindi stabilisce definitivamente la propria.

Mt 5:21

Primo esempio; Sesto comandamento

21. Voi avete udito che fu detto agli antichi:

I critici disputano sul senso delle parole greche. Gli uni sostengono che esse significano agli, e gli altri dagli antichi. Ambi questi significati sono grammaticalmente accettabili, ma, secondo noi, si deve preferire la traduzione «fu detto dagli antichi». La prima infatti: «agli antichi» non si potrebbe intendere che della legge data da Mosè al popolo nel deserto, e dovrebbe parafrasarsi così: «Voi avete udito che fu detto da Mosè ai padri vostri». Una tale interpretazione stabilirebbe fra l'insegnamento di Gesù e quello di Mosè una opposizione che le dichiarazioni del Signore nei versetti precedenti escludono. Chi adunque vuol ritenere una tale interpretazione non manchi di fare osservare che il Signore in ogni caso non intese mai attribuire a Mosè le spiegazioni tradizionali che egli combatte, e lo prova la formula: «Voi avete udito», che non può riferirsi che ad insegnamenti dati al tempo in cui parlava il Signore.

Per contro la traduzione: «dagli antichi», ci sembra indicare che Gesù faceva allusione ad antichi interpreti o commentatori, i quali per i primi originarono le false spiegazioni distruggitrici della legge. Si obbietta che non si sa a chi applicare tale designazione in tutto il lungo periodo che corre fra Mosè e gli Scribi che Gesù combatte. Rispondiamo che dopo la cattività di Babilonia, numerosi furono i commentari della legge, scritti da dottori molto stimati, sopra i quali era basato l'insegnamento tradizionale degli Scribi e dei Farisei; prova ne sia che essi non erano liberi di spiegare a

piacere loro la legge, ma dovevano confortare le loro asserzioni, citando i commentari degli anziani. Donde la meraviglia, cagionata al popolo, dal modo d'istruire di Gesù, il quale «insegnava come avente autorità, e non come gli Scribi» Matteo 7:29. Non era forse sufficiente un periodo di 300 anni per meritare agli autori della tradizione il nome di «antichi?»

Non uccidere;

I Farisei non cancellavano la lettera della legge, come ebbe l'audacia di fare la Chiesa romana, togliendo dal decalogo il secondo comandamento, ma essi l'annullavano colle loro false interpretazioni. Il sommario dei comandamenti è amore, ed il sesto particolarmente muove guerra a tutto ciò che all'amore è Opposto; non solo all'omicidio, ma ad ogni pensiero di vendetta contro il nostro prossimo. Ma le idee degli antichi relative a questo comandamento non andavano al di là di ciò che esprime l'aggiunta che vi fecero interpretandolo:

e chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale.

Secondo, essi, si doveva punire come trasgressori di questo comandamento soltanto i micidiali; e la legge di Dio, che condanna persino i pensieri e i sentimenti dai quali scaturiscono gli omicidi, fu ridotta a non esser altro che una legge criminale, che si applicava unicamente ad atti esterni simili a quelli di cui trattasi in Esodo 21:12; Levitico 24:17. Il termine crisis si riferisce alle corti inferiori delle città di provincia, che erano costituite in conformità del Deuteronomio 16:18; e si componevano, secondo alcuni, di sette, e secondo altri, di ventitrè persone. Evidentemente non si tratta del «sinedrio», che aveva la sua sede in Gerusalemme, ed era il tribunale al quale si ricorreva in ultimo appello. Alcuni però dànno al vocabolo «crisi» il senso più generale di processo, senza specificazione di tempo, di luogo, o di forma di procedura. Secondo essi, le parole citate da Gesù significano: chiunque ucciderà sarà processato.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:27,33,43; 2Samuele 20:18; Giobbe 8:8-10

Genesi 9:5-6; Esodo 20:13; Deuteronomio 5:17

Esodo 21:12-14; Numeri 35:12,16-21,30-34; Deuteronomio 21:7-9; 1Re 2:5-6,31-32

Mt 5:22

22. Ma io vi dico,

In opposizione ai commenti degli Scribi e dei Farisei «seduti sopra la sedia di Mosè», il Legislatore stesso, «DIO manifestato in carne», si accinge ad esporre il vero significato del comandamento; e chi al par di lui lo può spiegare? «IO vi dico»,

chiunque s'adira contro al suo fratello,

Gesù dimostra qui che la legge di Dio è «giudice dei pensieri e delle intenzioni del cuore»; che non è destinata a reprimere solo gli atti violenti, ma pur anche le malvagia disposizioni dalle quali essi procedono. Egli riconduce Patto alla sua origine, allo spirito che l'ha prodotto, e combatte il peccato nella sua sorgente, ipocritamente risparmiata dai Farisei. I più recenti critici escludono come di dubbia autorità, la parola senza cagione. Il Signore però non, ci proibisce in un modo assoluto di adirarci. L'ira, quando è diretta contro al peccato, è lecita. Gesù guardava gli ipocriti Farisei «con indignazione» Marco 3:5; e ci viene detto: «Adiratevi e non peccate» Efesini 4:26. Ma il Signore parla qui d'un'ira piena di odio contro al fratello. In questo caso l'ira è peccaminosa; è disubbidienza al sesto comandamento; è l'omicidio che sì svolge nel cuore, benché non sia ancora commesso colla mano. «Chiunque odia il suo fratello, è omicida» 1Giovanni 3:15

sarà sottoposto al tribunale; e chi gli avrà detto: Raca, sarà sottoposto al Sinedrio e chi gli avrà detto: Pazzo, sarà condannato alla geenna

parola composta di due vocaboli ebraici che significano valle di Hinnom

del fuoco.

«Raca» è parola di disprezzo che significa privo di senso, stupido. «Pazzo» non denotava solo privazione di senno, ma vi si aggiungeva l'idea di depravazione e di iniquità: sciagurato, birbante! Siccome è difficile determinare la differenza che passa fra il senso. di «Raca» e quello di «Pazzo»», alcuni critici moderni negano l'esistenza d'una gradazione in questo versetto, sia riguardo alla colpa, sia relativamente alla punizione. In tal caso esso conterrebbe una inutile tautologia, e questo è inammissibile. Se fossimo vissuti nella Galilea in quel tempo, avremmo, senza dubbio, capito al par degli uditori di Cristo la gradazione indicata da questi epiteti, nella trasgressione del sesto comandamento. Ogni epoca, ogni paese ha i modi suoi propri per esprimere tali cose; e senza dubbio Gesù si servì delle espressioni aramaiche oltraggiose allora in voga, per dar maggior chiarezza al suo discorso.

Vi erano tre gradi di condanna tra gli Ebrei: quella inflitta dal «tribunale» che non poteva condannare alla morte; quella inflitta dal «sinedrio», che era investito di un tal potere; e quella inflitta dai magistrati di Gerusalemme ai cadaveri dei giustiziati, che non erano reclamati dai loro amici, facendoli gettare nella valle di Hinnom, al S. della città, ove erano arsi dai fuochi costantemente accesi per consumare ogni immondizia. Ma ciò che rendeva specialmente infame quella valle era la memoria del culto barbaro reso dal re Manasse a Moloc, in onore del quale egli fece ivi passare i suoi figli per il fuoco 2Cronache 33:6. Più tardi il re Giosia profanò quel luogo, affinché il popolo cessasse di sacrificarvi i suoi figli 2Re 23:10. Quando i profeti minacciavano il popolo dei castighi di Dio, essi annunziavano che questa valle chiamata anche Tofet, tamburo, perché si faceva ivi un gran rumore con tamburi, affinché non si sentissero le strida dei bambini che bruciavano, diventerebbe una specie di macello, dove sarebbero gettati i cadaveri dei difensori della città, e dove il fuoco dell'ira di Dio li consumerebbe Isaia 30:33;66:24; Geremia 7:32. Questa valle, di cui il nome era associato colle più nefande iniquità da una parte, e coi più tremendi giudizi di Dio dall'altra, era divenuta il tipo di quel luogo in cui gl'impenitenti saranno arsi nel fuoco dell'ira di Dio coll'andar del tempo la parola geenna venne generalmente adoperata per indicare l'inferno.

È

È evidente adunque che, colle espressioni famigliari contenute in questo versetto, Gesù intese parlare dei castighi inflitti non dalle leggi umane, bensì dalle divine. Egli manifestò la spiritualità della legge indicando che vi sono diversi gradi nella trasgressione di questo comandamento prima di giungere agli atti violenti ed all'omicidio, ognuno dei quali gradi merita la morte eterna. I commentatori romani commettono dunque un grave errore interpretando questo passo come se esso li autorizzasse a rimettere nelle mani dei tribunali civili, gli eretici ostinati, e quelli che non vogliono sottomettersi ai loro voleri; e sostenendo che la sola parola «geenna» ha in questo versetto, un senso spirituale, e significa la morte eterna.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:28,34,44; 3:17; 17:5; Deuteronomio 18:18-19; Atti 3:20-23; 7:37; Ebrei 5:9; 12:25

Genesi 4:5-6; 37:4,8; 1Samuele 17:27-28; 18:8-9; 20:30-33; 22:12-23

1Re 21:4; 2Cronache 16:10; Ester 3:5-6; Salmo 37:8; Daniele 2:12-13; 3:13,19

Efesini 4:26-27

Matteo 5:23-24; 18:21,35; Deuteronomio 15:11; Nehemia 5:8; Abdia 1:10,12; Romani 12:10; 1Corinzi 6:6

1Tessalonicesi 4:6; 1Giovanni 2:9; 3:10,14-15; 4:20-21; 5:16

Salmo 7:4; 25:3; 35:19; 69:4; 109:3; Lamentazioni 3:52; Giovanni 15:25

Matteo 5:21

Matteo 5:11:18-19; 12:24; 1Samuele 20:30; 2Samuele 16:7; Giovanni 7:20; 8:48; Atti 17:18

1Corinzi 6:10; Efesini 4:31-32; Tito 3:2; 1Pietro 2:23; 3:9; Giuda 1:9

2Samuele 6:20; Giacomo 2:20

Matteo 10:17; 26:59; Marco 14:55; 15:1; Giovanni 11:47; Atti 5:27

Salmo 14:1; 49:10; 92:6; Proverbi 14:16; 18:6; Geremia 17:11

Matteo 5:29-30; 10:28; 18:8-9; 25:41; Marco 9:47; Luca 12:5; 16:23-24; Apocalisse 20:14

Mt 5:23

23. Se dunque tu stai per offerire la tua offerta sull'altare, e quivi ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te;

I quattro versetti seguenti Matteo 5:23-26, contengono un'applicazione pratica degli insegnamenti di Gesù relativi al sesto comandamento; applicazione che l'uso della seconda persona singolare rende più chiara e più diretta. Se la legge condanna sentimenti e parole apparentemente insignificanti, è chiaro che i dissidi, quantunque i Farisei li considerassero come poco importanti, saranno più severamente condannati di quelli, ed esigono pronta riconciliazione. Il Signore lo dimostra nei vers. Matteo 5:2324, rammentando che gli atti religiosi di quelli che ricusano di riconciliarsi coi loro nemici non sono accettevoli a Dio. Tutti i sacrifici offerti al Signore dal popolo d'Israele, tanto gli espiatori, quanto gli eucaristici, dovevano essergli presentati sull'altare del tempio di Gerusalemme. Riferendosi a cotesto uso, noto ad ognuno nella folla, Gesù Cristo ha l'intenzione d'indicare la religione nel suo insieme. Quantunque il nostro primo dovere sia di rendere il nostro culto a Dio, Gesù Cristo, per dimostrare l'importanza e la necessità della riconciliazione, dichiara che l'offensore, anche se egli fosse in procinto di rendere il suo culto a Dio, dovrebbe sospenderlo, finché non avesse confessato il suo torto al suo avversario, e non si fosse riconciliato con lui. Sono dunque in un grave errore coloro i quali vorrebbero trovare in questo versetto e così fanno la Chiesa romana e le Chiese orientali, una sanzione qualunque dell'offerta di sacrifici sotto la nuova alleanza.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:4; 23:19; Deuteronomio 16:16-17; 1Samuele 15:22; Isaia 1:10-17; Osea 6:6; Amos 5:21-24

Genesi 41:9; 42:21-22; 50:15-17; Levitico 6:2-6; 1Re 2:44; Lamentazioni 3:20; Ezechiele 16:63

Mt 5:24

24. lascia quivi la tua offerta dinanzi all'altare,

L'ordine di riconciliarsi col suo nemico non è dato da Cristo a quelli soltanto che si preparano ad offrire un sacrificio solenne, o a partecipare alla Santa Cena, ma a chiunque professa di essere cristiano,

e va' prima a riconciliarti col tuo fratello; e poi vieni ad offrir la tua offerta.

Chi vuol sinceramente riconciliarsi col suo avversario, non soltanto deve deporre ogni sentimento maligno, ed ogni rancore, ma deve pur fare tutto ciò che è in suo potere affinché l'offeso stesso deponga, per parte sua, quei medesimi sentimenti. S'egli non raggiunge il suo scopo, egli avrà almeno fatto il suo dovere.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:15-17; Giobbe 42:8; Proverbi 25:9; Marco 9:50; Romani 12:1718; 1Corinzi 6:7-8

1Timoteo 2:8; Giacomo 3:13-18; 5:16; 1Pietro 3:7-8

Matteo 23:23; 1Corinzi 11:28

Mt 5:25

25. Fa' presto amichevole accordo col tuo avversario,

cioè, in una lite, colla parte avversa,

mentre sei ancora per via con lui;

recandoti al tribunale. Secondo la usanza romana, l'offeso poteva costringere il suo avversario ad andare con lui dal pretore ammenoché gli piacesse, tra via, di aggiustare la vertenza.

ché talora il tuo avversario non ti dia in mano del giudice, e il giudice in mano delle guardie, e tu sii cacciato in prigione.

Il giudice pronunziava la sentenza contro l'offensore o il debitore, e lo consegnava al carceriere affinché fosse tenuto in prigione sino al pagamento del debito.

PASSI PARALLELI

Genesi 32:3-8,13-22; 33:3-11; 1Samuele 25:17-35; Proverbi 6:1-5; 25:8

Luca 12:58-59; 14:31-32

Giobbe 22:21; Salmo 32:6; Isaia 55:6-7; Luca 13:24-25; 2Corinzi 6:2; Ebrei 3:7,13

Ebrei 12:17

1Re 22:26-27

Mt 5:26

26. Io ti dico in verità, che tu non uscirai di là, finché tu non abbia pagato l'ultimo quattrino.

in latino quadrinus = la quarta parte di un as, = due lepte, circa due centesimi. Per mezzo di una naturale transizione, il Signore passa, in questi versetti, dal caso in cui un'offesa ha inimicato un fratello, senza che vi sia però antagonismo dichiarato, all'altro caso nel quale è tanto grave il torto, da indurre la parte offesa a ricorrere al tribunale; ed egli esorta qui, come nell'esempio precedente, l'offensore a riconciliarsi senza indugio col suo fratello, per evitare la condanna e le sue funeste conseguenze. Le ostilità, i litigi ed i processi costituiscono sempre violazioni del sesto comandamento, commesse ora dalle due parti avverse, ora da una sola. Molti commentatori credono che l'unico scopo di queste parole sia d'impedire i processi per debiti, essendo molto meglio, sia per il debitore, sia per il creditore, ma principalmente per il primo, di andar d'accordo fra loro, che di trattare l'affare giudizialmente. Altri vi vedono un senso allegorico più profondo. Secondo essi, l'offeso è la legge di Dio, la via è la vita presente, il giudice il Signore Gesù Cristo stesso, e la prigione l'inferno. Se così fosse, mentre Matteo 5:26 fa travedere la possibilità della liberazione dalla prigione terrena, poiché un debito può esser pagato, la condanna, nel senso spirituale, sarebbe la morte eterna, poiché il peccatore non potrà mai pagare da se il suo debito. I teologi romani però hanno trovato nelle parole «finché tu abbia pagato l'ultimo quattrino» e nel passo parallelo Matteo 18:34, un argomento in favore del Purgatorio, come se ivi fosse stabilito un limite al castigo futuro. Ma è chiaro come il giorno che è quello un modo di dire proverbiale per indicare che l'offensore sarà trattato con tutto il rigore della legge, e che anche pagando eternamente, colle sue sofferenze, egli non giungerebbe mai a saldare il suo debito. Ne risulta che il porre quel pagamento come condizione della liberazione dalla condanna è il modo più energico di negarne la possibilità.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:34; 25:41,46; Luca 12:59; 16:26; 2Tessalonicesi 1:9; Giacomo 2:13

Mt 5:27

Secondo esempio: Settimo comandamento

27. Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio;

Il gran Legislatore prende quindi il settimo comandamento, e ne svolge, come aveva fatto per il sesto, il senso profondo e spirituale, in tutta la sua ampiezza; e ciò in opposizione all'interpretazione gretta e letterale che ne davano gli Scribi ed i Farisei, i quali non vi scorgevano altro che la proibizione di relazioni colpevoli col marito o colla moglie d'un altro, o tutt'al più quella dell'atto carnale della fornicazione. Sebbene questa volta il Salvatore non citi l'erroneo commento dei Farisei, la confutazione che segue ci rivela chiaramente le loro false idee.

PASSI PARALLELI

Esodo 20:14; Levitico 20:10; Deuteronomio 5:18; 22:22-24; Proverbi 6:32

Mt 5:28

28. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna, per appetirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.

Nessun esempio potrebbe mettere maggiormente in evidenza la natura spirituale della legge di Dio, poiché il peccato che secondo Cristo costituisce di già una violazione del settimo comandamento, è commesso soltanto colla mente e col cuore, mentre colei che ne è l'oggetto può esserne affatto inconsapevole. "Interpretato dal Signore, questo comandamento proibisce non solo gli atti colpevoli come insegnavano i Farisei, ma persino ogni sguardo lascivo, ogni desiderio impuro diretto non solo verso persone coniugate, ma anche verso nubili. Lo sguardo di cui parla Gesù non è prodotto da un pensiero fugace, immediatamente represso da una santa vigilanza, ma è uno sguardo diretto dalla volontà stessa dell'uomo collo scopo di fomentare in se stesso e negli altri passioni impure. Questo deve essere il significato seguito da un infinito. Vedi Matteo 6:1; col proposito

deliberato di essere osservati dagli uomini. Colui che giunge a tanto ha di già trasgredito la legge. Noi non dobbiamo adunque supporre dalla parola «adulterio» qui usata, che il nostro Signore intenda restringere l'infrazione di questo comandamento alle relazioni colpevoli fra i coniugati. L'espressione «chiunque guarda una donna» indica che questo comandamento si riferisce ad ogni sorta di impurità, e le istruzioni che seguono, indirizzate indistintamente ai celibi ed ai coniugati, lo confermano.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:22,39; 7:28-29

Genesi 34:2; 39:7-23

Esodo 20:17; 2Samuele 11:2; Giobbe 31:1,9; Proverbi 6:25; Giacomo 1:1415; 2Pietro 2:14

1Giovanni 2:16

Salmo 119:96; Romani 7:7-8,14

Mt 5:29

29. Ora, se l'occhio tuo destro

Gesù Cristo applica qui il suo insegnamento all'individuo. I ministri di Cristo dovrebbero imitarlo, esponendo tutta la sana dottrina, senza trascurare l'applicazione pratica che l'avvalora, i consigli contenuti in questo versetto e nel vers. 30 sono pressoché identici. nella forma e nella sostanza ad un'esortazione posteriore del Signore Matteo 18:8-9; Marco 9:43-48. È questo un esempio notevole del metodo didattico adottato da Cristo, quello cioè di ripetere gli stessi insegnamenti più o meno modificati ad assemblee diverse. La mano destra essendo più abile ed utile della sinistra, la medesima distinzione, con ragione o senza, è stata conferita all'occhio e al piede destro.

ti fa cadere in peccato,

vale a dire, se ti è d'inciampo, se ti è occasione di caduta colle tentazioni, che ti dà, o per la licenza che tu gli concedi, cavalo, e gettalo via da te, vi sono di quando in quando dei fanatici, i quali interpretando quest'ordine nel suo senso letterale, credono far cosa grata a Dio, e mortificare il peccato, cavandosi l'occhio, o mozzandosi la mano destra. Tanto materiale e grossolano è il loro modo di vedere tanto sono estranei alle cose spirituali! La, Chiesa di Roma non dimostra un grado più alto d'intelligenza spirituale, quand'essa prescrive penitenze corporali, come i digiuni, lo star genuflessi per ore ed ore nell'atteggiamento medesimo, tracciare croci colla lingua sul pavimento delle chiese, e via discorrendo, a fine di mortificare peccati che hanno la loro sede nel cuore e nello spirito. Se gli schiavi del clero non fossero privi d'intendimento, in grazia dell'ignoranza nella quale la Santa Madre Chiesa si compiace di tenerli, essi dovrebbero vedere che il peccato può essere distrutto nell'uomo unicamente per mezzo di argomenti e di motivi i quali penetrino nel cuore, ove il male ha la sua sede, e in tal caso porrebbero presto fine alle imposture clericali. Gli Ebrei, come altri popoli, rappresentavano le affezioni dell'anima colle diverse parti del corpo. Così le viscere denotano compassione; il cuore l'affezione, il sentimento; le reni il desiderio, l'affetto impuro; l'occhio maligno indica l'inividia Matteo 20:15. In San Marco 7:21-22, il nostro Signore dice che «dal cuore procede... l'occhio maligno». In questo versetto, come in 2Pietro 2:14, il cuore è la sede degli affetti, dei desideri, delle, passioni. Naturalmente non è l'occhio, come organo corporale, quello che Cristo intende che debba esser cavato, ma la concupiscenza che si pasce e cresce per mezzo dell'occhio; e viene qui rappresentata dall'organo che si vuole strappare e gettar via Egli è chiaro che un uomo potrebbe coll'intenzione di dominare la sua passione cavarsi l'occhio destro, e nondimeno sentire più che mai il fuoco di quella concupiscenza nelle sue membra, mentre, senza mutilazione alcuna, egli potrebbe, per la grazia di Dio, vincere la passione nel cuore, adottando coraggiosamente e mettendo in opera il proponimento di Giobbe 31:1: «Io aveva stretto un patto con gli occhi miei; come adunque avrei fissati gli sguardi sopra una vergine?» A questo combattimento di una volontà rigenerata, che veglia perché i membri del corpo non diventino «servi del peccato» ci esorta il Salvatore in questo e nei seguenti versetti. In una parola

egli dice ai suoi discepoli che se essi intendono il vero senso della legge, non indietreggeranno davanti ai più dolorosi sacrifici, alla più penosa abnegazione, affine di vivere nella purezza e nella santità,

poiché val meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, e non sia gettato l'intero tuo corpo nella geenna.

La metafora è probabilmente tolta dall'esperienza chirurgica, e in ogni caso è adattatissima come illustrazione del soggetto, poiché è noto ad ognuno che, quando la salute del corpo è compromessa da uno dei membri, non si esita a tagliarlo per evitare la morte. È meglio rifiutare la soddisfazione di una mala concupiscenza in questa vita, dice il Signore, che abbandonarsi in balìa del peccato il quale mena alla perdizione. Severe ma salutari parole, uscite dalle labbra di Colui che è amore!

PASSI PARALLELI

Matteo 18:8-9; Marco 9:43-48

Matteo 19:12; Romani 6:6; 8:13; 1Corinzi 9:27; Galati 5:24; Colossesi 3:5; 1Pietro 4:1-3

Matteo 16:26; Proverbi 5:8-14; Marco 8:36; Luca 9:24-25

Mt 5:30

30. E, se la tua man destra ti fa cadere in peccato, mozzala, e gettala via da te; poiché val meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, e non vada l'intero tuo corpo nella geenna.

La mano è l'organo dell'azione alla quale l'occhio incita Vedi Matteo 5:29. La ripetizione di queste austere verità è caratteristica del modo d'insegnare del nostro Signore, ed è intesa a imprimere incancellabilmente nei cuori nostri la tremenda lezione che l'impurità del desiderio, o la licenza delle

opere, se non vengono con diligenza e con preghiere represse, si faranno abituali, e finiranno coi tormenti dell'inferno.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:6; 13:21; 16:23; 18:6-7; 26:31; Luca 17:2; Romani 9:33; 14:2021

1Corinzi 8:13; Galati 5:11; 1Pietro 2:8

Matteo 22:13; 25:20; Luca 12:5

Mt 5:31

Terzo esempio: Il divorzio

31. Fu detto: Chiunque ripudia sua moglie, le dia l'atto del divorzio.

La formula abbreviata «fu detto» è forse destinata ad indicare una transizione dai comandamenti del Decalogo ad un decreto civile sul divorzio, citato dal Deuteronomio 24:1. La legge del divorzio, l'esattezza o la rilassatezza nell'osservarla, hanno una relazione così intima colla purità del consorzio matrimoniale, che era naturalissimo. Il passare dal settimo comandamento alle idee rilassate che avevano in allora corso sopra quella questione. Nell'istituire il matrimonio, allorché l'uomo era ancora innocente, l'intento di Dio era che l'uomo e la donna divenissero una sola carne, per tutta la vita. Ma dopo la caduta, la poligamia s'introdusse nel mondo per mezzo di Lamech Genesi 4:19, ed il suo esempio fu avidamente e quasi generalmente seguito dai popoli antediluviani Genesi 6:2. Nei, giorni dei patriarchi, di nuovo prevalse la poligamia. Si deduce dalle pitture e dalle sculture d'Egitto che la monogamia era in uso in cotesto paese, al tempo in cui Israele gemeva quivi nella schiavitù, ed è possibile che gl'Israeliti sieno tornati alla loro antica disciplina, seguendo l'uso degli Egiziani; ma se anche ciò fosse vero, sembra che la monogamia fosse dagli Israeliti praticata in

modo da rovesciare la divina istituzione del matrimonio, e rendere la condizione della donna anche più insopportabile che sotto la poligamia, quando essa era tormentata dalla gelosia d'una moglie rivale. Sembra infatti che dominasse fra gli antichi Israeliti l'idea che il matrimonio dovesse durare soltanto finché il marito non fosse stanco della sua moglie, e si separasse da lei per prenderne un'altra; idea ch'essi spesso e volentieri mettevano in pratica. Così la divina istituzione del matrimonio fu cambiata in un sistema legale di prostituzione.

Questo esercizio di un potere arbitrario nell'allontanare da se o divorziare la moglie, era forse considerato come un diritto derivante dalla somma che il marito pagava ai genitori della sua moglie a titolo di dote, prima del matrimonio. Tale era la condizione in cui Mosè trovò il suo popolo; l'abitudine era di antica data, e sebbene egli vedesse chiaramente quanto fosse ingiusta verso la donna, e quanto dannosa spesso ad ambo le parti, lo stato della nazione era tale che riusciva impossibile di ricondurla d'un tratto all'osservanza della legge divina quale fu data in Eden. Le parole citate in questo versetto trovansi nel Deuteronomio 24:1; ma l'ingiunzione in esse contenuta, ben lungi dall'indebolire o postergare il comandamento originale di Dio, aveva invece per scopo di ricondurre gli uomini alla piena osservanza di esso; mentre, al tempo medesimo, somministrava, almeno una qualche tutela alle donne innocenti, crudelmente immolate sull'ara del libertinaggio Gesù stesso rese testimonianza alla fedeltà del suo servitore Mosè, allorché disse che egli fu costretto di accontentarsi di questo passo, fatto nella buona direzione. Invece di ritornare tutto ad un tratto alla: stretta osservanza della legge, «a cagione della durezza del loro cuore» Marco 10:5. La legge sul divorzio, quale la contemplava Mosè, non rendeva più dura la posizione della donna innocente, anzi era intesa a proteggerla, ottenendo per essa una dichiarazione che il suo marito la cacciava capricciosamente, e non a cagione della sua immoralità. Secondo il Deuteronomio 24:1, il solo motivo legittimo di divorzio era «ervath dabar» cioè qualche cosa di vergognoso: in altri termini, l'infedeltà coniugale. Ma mentre una scuola d'interpreti Shammai, spiegava il passo correttamente, come proibizione assoluta di divorzio, eccetto in caso di adulterio; un'altra scuola quella di Hillel, lo interpretava come se includesse ogni cosa che potesse dispiacere al marito od offenderlo; interpretazione troppo conforme

al capriccio ed alle prave inclinazioni degli uomini, per non trovare ampio favore.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:3,7; Deuteronomio 24:1-4; Geremia 3:1; Marco 10:2-9

Mt 5:32

32. Ma io vi dico: Chiunque manda via la moglie, salvo che per cagione di fornicazione, la fa essere adultera; e chiunque sposa colei ch'è mandata via commette adulterio.

Il nostro Signore trovò il precetto mosaico interpretato come una licenza di ripudiare a volontà; ma lungi dall'approvare quella interpretazione, egli dichiara che, nel suo regno, il divorzio è assolutamente proibito, come lo era dalla legge, eccettuato nel caso di adulterio; nel quale il contratto si può dire annullato di fatto dalla condotta di una delle parti. In questo versetto, il termine più generico di fornicazione, viene usato, invece di adulterio, perché esso propriamente significa impudicizia, che li include ambedue. Da un lato, nessun uomo o corpo d'uomini ha il diritto di opporsi alla legge divina, dichiarando che il divorzio può venir accordato per altri motivi che non per l'adulterio; e dall'altro lato, la Chiesa di Roma si mette manifestamente in opposizione coll'autorità di Cristo, quando essa proibisce il divorzio anche in quel caso. Essendo questo, secondo la legge di Dio, l'unica legittima causa del divorzio, ne consegue che il sistema del divorzio, praticato fra gli Ebrei, esponeva quattro individui al rischio di infrangere il settimo comandamento: il marito che ripudiava la moglie, in caso ch'egli si ammogliasse di nuovo, e la donna ch'egli sposava, la moglie che era stata così a torto ripudiata, se si maritava di nuovo, e l'uomo che sposava colei che era mandata via per qualsiasi causa che non fosse l'adulterio. La Chiesa di Roma considera questo versetto come una assoluta proibizione di nuove nozze, anche per l'innocente che ha ripudiato legalmente la sua moglie o il suo marito, a motivo della sua infedeltà. Le Chiese protestanti ed orientali

ritengono essere legale il nuovo matrimonio in tutti quei casi ne' quali è legale il divorzio; e, in conformità di questa opinione, spiegano questo versetto. Importa osservare però, che la questione, se l'innocente possa legalmente unirsi di nuovo in matrimonio dopo essersi divorziato per adulterio, non è trattata affatto dal nostro Signore; e neppure il caso di matrimonio tra gli adulteri, quando il vimulum matrimonii sia stato legalmente infranto dal divorzio. La legalità del primo almeno sembra posta fuori di dubbio dal fatto che i coniugi innocenti, separandosi per divorzio dai colpevoli, si maritavano di nuovo, e il nostro Signore non dichiarava un siffatto matrimonio illegale in se; ma solamente restringeva ad un caso particolare la legalità del divorzio, che è il preliminare necessario del nuovo matrimonio. Come esempio scritturale del male che Cristo qui autorevolmente condanna, può citarsi la donna di Samaria che era di già stata moglie di cinque mariti, e viveva da ultimo in concubinato, quando il nostro Signore l'incontrò vicino al pozzo di Giacobbe Giovanni 4:18

PASSI PARALLELI

Matteo 5:28; Luca 9:30,35

Matteo 19:8-9; Malachia 2:14-16; Marco 10:5-12; Luca 16:18; Romani 7:3; 1Corinzi 7:4,10-11

Mt 5:33

Quarto Esempio. Terzo comandamento

33. Avete udito pure che fu detto agli antichi: Non ispergiurare; ma attieni al Signore i tuoi giuramenti.

Il Signore sceglie quindi il terzo comandamento per mostrare il contrasto fra le interpretazioni farisaiche della legge, ed il suo vero senso, ch'egli espone con autorità, essendo egli stesso il divino legislatore. Le parole di questo versetto non sono le ipsissima verba del terzo comandamento Esodo 20:7,

ma un compendio dell'insegnamento della legge sul giuramento Levitico 19:12; Numeri 30:2, trasmesso dai Talmudisti, ed inculcato al popolo dai suoi dottori; e per comprendere esattamente il senso attribuito dai Farisei al terzo comandamento, converrebbe aggiungere a questo versetto: «Ma se giurerai per qualche altra cosa che per il nome del Signore, potrai spergiurare impunemente». I Farisei interpretavano il comandamento: «Non prendere il nome del Signore Iddio tuo in vano», nel senso letterale, e consideravano tutti i giuramenti presi in quel sacro nome come obbligatori, e chi trascurava di adempierli, come spergiuro; ma, secondo la tradizione dei padri, i giuramenti presi in ogni altro nome non eran proibiti; e chi mancava a quelli che non eran fatti nel santo nome di Jehova, non reputavasi spergiuro né peccatore Lightfoot ci dice che il giurare invano era strettamente proibito anche dai Farisei, ma essi restringevano talmente la cerchia dei vani giuramenti, che un uomo poteva giurare centomila volte, e nondimeno non farsene reo! E non è una della meno patenti rassomiglianze fra i Farisei ed i teologi gesuiti questa, che gli uni e gli altri hanno insegnato agli uomini come sciogliersi, in modo evasivo, da un giuramento prestato solennemente. Cfr. Matteo 23:16-22

PASSI PARALLELI

Matteo 23:16

Esodo 20:7; Levitico 19:12; Numeri 30:2-16; Deuteronomio 5:11; 23:23; Salmo 50:14; 76:11

Ecclesiaste 5:4-6; Nahum 1:15

Mt 5:34

34. Ma io vi dico: Del tutto non giurate;

Fa d'uopo tenere presente la summentovata distinzione farisaica, fra i giuramenti sacri e quelli usati per far più animata ed enfatica la conversazione, so noi vogliamo intendere il senso di questa ingiunzione del

nostro Signore. In Matteo 5:34-36, abbiamo qualche saggio dei vani giuramenti dei quali gli Ebrei facevano uso, rasentando quanto possibile fosse, senza mai pronunziarlo, il nome di Jehova. L'ingiunzione: «del tutto non giurate», viene fatta dal nostro Signore, evidentemente contro l'abitudine dei profani giuramenti nel conversare comune, e nelle più piccole occasioni. Ciò nonostante, i Quaccheri ed altri moralisti eccessivi, trovano in essa una proibizione positiva di giurare, anche in un tribunale o nelle più solenni circostanze, per la soddisfazione altrui. Ciò proviene dal badare solamente alla lettera della ingiunzione di Cristo, e trascurarne lo spirito; difetto dal quale dobbiamo guardarci come da un fariseismo contrario allo spirito dell'Evangelo. Guardiamo piuttosto all'esempio di Dio Padre Ebrei 6:13-17; a quello di Gesù Cristo il di cui in verità io vi dico, fu una solenne affermazione della verità, e che rispose senza scrupolo al terribile scongiuro di Caiafa Matteo 26:63-64; all'esempio degli apostoli, che scrivevano sotto la direzione dello Spirito Santo Romani 1:9; 2Corinzi 1:23; Galati 1,20; Filippesi 1:8; 1Tessalonicesi 2:5; e perfino a quello degli angeli Apocalisse 10:6. D'altronde, troviamo nel contesto l'esatta spiegazione di queste parole, poiché nostro Signore stesso aggiunge: «Né per lo cielo, né per la terra, né per Gerusalemme», e ciò affine di spiegare la prima clausola.

né per lo cielo, perché è il trono di Dio;

Questa bella figura, tolta dall'Antico Testamento Isaia 66:1, non ha qui per scopo di indicare che non si può giurare per il cielo a cagione della sua santità, ma che chiunque giura per esso, giura per Colui che ha il suo trono nei cieli Vedi Matteo 23:22; ove Gesù lo dice chiaramente.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 23:21-23; Ecclesiaste 9:2; Giacomo 5:12

Matteo 23:16-22; Isaia 57:15; 66:1

Mt 5:35

35. né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi;

Questa descrizione della terra è pure tolta da Isaia 66:1, col medesimo scopo della prima, cioè per dimostrare che colui che giura per la terra, giura per Iddio che l'ha creata. Siccome i troni dei re sono rispettati, unicamente a cagione di quelli che vi siedono sopra, così il cielo e la terra, che sono considerati da Gesù come il trono e lo sgabello di Dio, non hanno altro valore che quello ch'essi ricevono da Lui, e chiunque giura per essi, giura per il Signore stesso.

né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re.

Qui pure, perché il giuramento abbia, qualche valore, bisogna considerare quella città come la capitale e la residenza di Jehova, capo della teocrazia; e, per conseguenza, giurando per essa, si giura per colui che ne è il Re, e si prende il suo nome in vano. Nel greco, invece della preposizione in, adoperata nei due casi precedenti e nel seguente, troviamo in questo congiunto con Gerusalemme. Quest'ultima proposizione, dopo i verbi di moto, significa propriamente dentro; spesso però, essa ha il significato più debole di verso, e serve ad indicare soltanto la direzione. Forse v'era qui un'allusione all'uso antico, fra gli Ebrei, di pregare volti verso la santa città Vedi 1Re 8:38,42,44; Daniele 6:10. Le parole di Gesù significherebbero in questo caso: «Non giurate voltandovi verso Gerusalemme». La circostanza che Gesù era allora in Galilea, rende questa interpretazione assai probabile.

PASSI PARALLELI

Salmo 99:5

2Cronache 6:6; Salmo 48:2; 87:2; Malachia 1:14; Apocalisse 21:2,10

Mt 5:36

36. Non giurare neppure per lo tuo capo,

Era questo un giuramento comunissimo fra gli Ebrei, e lo è tuttora fra gli Orientali. Equivale all'esclamazione: Per la mia vita! Per l'anima mia! cioè: Ch'io possa morire se ciò non è vero! Il nostro Signore proibisce di giurare così, e ne dà la ragione:

poiché tu non puoi fare un solo capello bianco, o nero.

La parola «fare» ha qui il senso di creare, o cambiare radicalmente il colore dei capelli, non di modificarli con tinte o con preparati chimici. Il senso del versetto è evidentemente che non avendo alcun potere sulla nostra vita rappresentata dal capo, la quale Iddio solo può abbreviare o prolungare, siamo colpevoli giurando per quella, come giurando per il Creatore nostro.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:16-21

Matteo 6:27; Luca 12:25

Mt 5:37

37. Ma, sia il vostro parlare: Sì, sì; No, no;

Ciò non significa che non dobbiamo mai dire altre parole, ma che, nella nostra consueta conversazione dobbiamo contentarci di una semplice affermazione o negazione, senza aggiungervi imprecazioni o bestemmie. Quel giuramento di cui gli Ebrei si rendevano colpevoli, erano innocenti in paragone delle profanazioni e delle spaventevoli imprecazioni che si fanno lecite certi pretesi cristiani, nei nostri giorni. Essi non giuravano né nel nome di, Dio, né in quello del Diavolo, e, ogni volta, il nostro Signore condanna i loro giuramenti, col dimostrare che, in sostanza, ogni giuramento si riferisce a Dio. Non capite voi infatti come colui il quale, ad ogni proposito esclama: Mio Dio! Per Dio! In fede mia! ecc., tratta Iddio e la sua fede come cose vane e di nessun valore? E se egli, in luogo del nome di Dio, pone quello di Cristo, non si rende egli colpevole dello stesso

peccato? Questo peccato è certamente fra i più gravi, perché pochi peccati mostrano più apertamente la nostra abbominevole tendenza ad offendere Iddio. Gli altri tutti si spiegano colla soddisfazione che procacciano a taluna delle nostre naturali inclinazioni; ma si cerca invano da qual passione questo proceda, se non da quella passione di peccare per peccare, che è il distintivo di Satana.

poiché il di più viene dal maligno.

«Maligno» secondo noi, indica qui la depravazione naturale dell'uomo, la quale si manifesta nella mancanza di veracità, e nel mettere in dubbio la sincerità del prossimo. Egli è questo difetto che c'induce a non fidarci di un semplice sì o no, ed a credere che la verità possa asseverarsi più sicuramente per mezzo di un giuramento. A mente però di autorevoli interpreti, il maligno va inteso in questo passo come in Matteo 6:13;13:19, di Satana da cui procede ogni male. «In poneròs, la positiva attività del male predomina... e il maligno per eccellenza è Satana, l'autore primo di ogni male nel mondo» Trench, Syn.

PASSI PARALLELI

2Corinzi 1:17-20; Colossesi 4:6; Giacomo 5:12

Matteo 13:19; 15:19; Giovanni 8:44; Efesini 4:25; Colossesi 3:9; Giacomo 5:12

Mt 5:38

Quinto esempio: La legge del taglione

38. Voi avete udito che fu detto: Occhio per occhio, e dente per dente.

Il nostro Signore prende ora a considerare l'interpretazione data dai Farisei alla legge del taglione, quale essa si trova nel codice civile e criminale degli

Ebrei, per dimostrare, una volta ancora, quanto i loro insegnamenti differiscono dai suoi. La legge del taglione era applicata fra gli Israeliti col massimo rigore, e probabilmente diventava spesso il pretesto delle più barbare ingiustizie, come accade tuttora fra i Beduini del deserto. Perciò conveniva, per, amore dell'ordine e dell'umanità, trasferire nelle mani di giudici responsabili, il diritto che ognuno reclamava di farsi giustizia da se. La legge scritta nel codice civile Esodo 21:22-26; Levitico 24:19-21; Deuteronomio 19:21, non differiva probabilmente in nulla dalla legge orale che era in vigore dal diluvio in poi; perché la barbarie del popolo era tale, in quel tempo, che sarebbe stato pericoloso di modificarla; ma come la lettera di divorzio stabilita da Mosè era destinata a modificare un sistema di prostituzione praticato sotto il nome di matrimonio. così il diritto di applicare la legge del taglione, trasferito, dagli individui ai magistrati pubblici, era un gran passo nella via del progresso e della civiltà. Siffatta legge, o fosse osservata alla lettera, o applicata più liberalmente seguendone solo lo spirito, certo come regola legale non è ingiusta. Certo è che Cristo non biasima l'applicazione di quella legge dai magistrati, e non la revoca. Gli «anziani» non pertanto, coi loro commenti, ne avevano pervertito il senso, in modo da far tornare precisamente quella pratica ch'essa era intesa a proibire. Invece di restringere l'esercizio di questa legge ai magistrati, essi la estesero agli individui, concedendo loro il diritto di farsi giustizia da se. Contro questo inveisce il nostro Signore.

PASSI PARALLELI

Esodo 21:22-27; Levitico 24:19-20; Deuteronomio 19:19

Mt 5:39

39. Ma io vi dico: Non contrastate al malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra.

La medesima parola greca tradotta maligno, nel vers. 37, qui viene tradotta male, e può infatti significare o la mala azione neutro o l'uomo malvagio che

la compie masc. Stando al contesto ove si tratta di uomini malvagi è da preferire quest'ultimo senso. Gesù dà il suo comando, non in opposizione alla lex talionis, ma all'abuso che se ne faceva nelle vendette personali. Qui si domanda: il dovere ingiunto in questo versetto è egli di non resistere affatto, in qualunque caso di oppressione e d'ingiuria? Dalla soluzione di questo dubbio dipende l'interpretazione dei tre versetti seguenti, che sono relativi a casi del medesimo genere, e richiedono l'applicazione della regola stessa, e del medesimo spirito. I letteralisti propugnano l'adempimento puntuale di siffatta ingiunzione; ma il contegno, per quanto longanime e dignitoso, del nostro Signore stesso, quando fu crudelmente percosso con una guanciata Giovanni 18:22, è il miglior commento a queste parole, poich'egli non presentò l'altra guancia. Il principio generale di «non contrastare al malvagio non deve intendersi in un senso troppo ristretto», poiché, spinto tropp'oltre, conforterebbe i malvagi, e metterebbe in pericolo l'ordine sociale. Gesù non volle dire che noi dobbiamo lasciar macellare le nostre famiglie, o farci massacrare noi medesimi, senza opporre veruna resistenza. Non esiste religione alcuna, naturale o rivelata che sia, la quale abbia mai insegnato, o possa insegnare, una simile dottrina. Conviene spiegare questo versetto seguendo la regola d'interpretazione che abbiamo applicata ai vers. Matteo 5:29-30, dove il linguaggio è anche più energico e paradossale Siccome nessun uomo di mente sana ha mai inteso, che i versetti 29 e 30 imponessero al peccatore il dovere di tagliarsi la mano, o di cavarsi l'occhio, appena che l'uno o l'altro fosse divenuto strumento di peccato, così nessun uomo di mente sana può insistere sulla interpretazione letterale del presente passo. Così non l'intese Paolo; anzi egli fece valere i suoi diritti di cittadino romano Atti 16:36-39;22:24-25;23:3. L'idea indicata in queste energiche parole è che, ricevendo un'offesa, non dobbiamo già chiederne un'altra, ma nel caso che ci fosse recata, star preparati a sopportarla pazientemente, e senza vendicarci. Se alcuno obbietta che questa interpretazione restringe arbitrariamente un precetto che ha forma generale, mettendo innanzi una applicazione speciale, noi rispondiamo, che l'intenzione del nostro Signore, in questo versetto, fu precisamente di modificare, o di restringere la lex talionis, citata nel versetto precedente, dal quale esso non deve essere mai separato.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:18; 1Samuele 24:10-15; 25:31-34; 26:8-10; Giobbe 31:29-31; Proverbi 20:22

Proverbi 24:29; Luca 6:29; Romani 12:17-19; 1Corinzi 6:7; 1Tessalonicesi 5:15; Ebrei 12:4

Giacomo 5:6; 1Pietro 3:9

1Re 22:24; Giobbe 16:10; Isaia 50:6; Lamentazioni 3:30; Michea 5:1; Luca 6:29; 22:64

1Pietro 2:20-23

Mt 5:40

40. E a chi vuoi litigar ecco, e torti la tunica, lasciagli anche il mantello.

In Luca 6:29, l'ordine della spogliazione è invertito, e sembra infatti che, dei due vestiti, il primo ad essere strappato dal corpo dovrebbe essere il mantello, poi la tunica. La lezione che il nostro Signore dà in questo versetto, è stata già spiegata nelle osservazioni sul vers. 39. Piuttosto che cedere allo spirito di vendetta sii pronto a sopportare, non solo gli scapiti personali, ma eziandio i torti legali litigare, si riferisce alle corti legali, ed alle sentenze da loro pronunziate. La tunica era un vestito di sotto, come lo portano ancora sopra la camicia gli orientali. Il mantello è la sopravveste o cappotto, con larghe maniche, ch'essi indossano sopra la tunica, andando fuori, e nella fredda stagione, anche per casa. Spesso era per i poveri la sola coperta durante la notte, per cui nella legge mosaica, fu ordinato che, se veniva dato in pegno, la sera fosse reso al suo possessore Esodo 22:26-27. Il caso qui supposto dal nostro Signore, doveva produrre un grande effetto sopra un uditorio di Ebrei. Egli insegnava che, sebbene la legge di Mosè proibisse al creditore di ritenere il mantello del debitore durante la notte, questi però, piuttosto che litigare, si lasciasse prendere anche la tunica, onde non eccitare l'odio nel cuore del suo avversario. Tale ingiunzione del nostro

Signore, condanna indubitatamente molti litigi difensivi, i quali sembrano provenire da un semplice sentimento di giustizia, ma in realtà provengono da uno spirito di vendetta.

PASSI PARALLELI

Luca 6:29; 1Corinzi 6:7

Mt 5:41

41. E se uno ti vuol costringere a far seco un miglio, fanne con lui due.

È questo il terzo esempio che il Signore ci dà del comandamento di soffrire il male, piuttosto che difendere o sostenere i propri diritti con uno spirito d'ira o di vendetta. Esso è tratto da una costumanza persiana, che i Greci, i Romani, ed i Maomettani, mentre dominarono l'Oriente, ritennero ognuno per conto suo, e per proprio comodo. L'uso era di requisire uomini e giumenti per il servizio pubblico, affine di portare notizie governative e specialmente ordini reali, colla maggior speditezza, per tutto l'impero Vedi Matteo 27:32; Ester 8:10-14. Coloro che oggi viaggiano per l'impero turco con un firmano, si servono di uomini e cavalli requisiti, ad ogni stazione, dal corriere in quella medesima maniera. I corrieri pubblici, o portatori di dispacci che avevano questa facoltà di requisire, si chiamava dal verbo che significa costringere alcuno a fare un viaggio, e che è conservato nel vocabolo italiano angariare. Gli Ebrei trovavano specialmente incomportabile l'obbligo di fornire le poste per il governo romano e Demetrio, della famiglia dei Seleucidi, re di Siria, volendo amicarseli, promise loro, fra altre cose, che le loro bestie da soma non sarebbero requisite, per lavori servili Flavio Giuseppe, Antiq. Lib. 13:2,3. Il «miglio» romano di cui trattasi in questo versetto, è di 1000 passi. Il punto importante, qui, è la proporzione fra due ed uno. Anziché ricusare con uno spirito iroso e vendicativo di andare per forza un miglio, va' pur due miglia, sebbene la fatica sia doppia.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:32; Marco 15:21; Luca 23:26

Mt 5:42

42. Dà a chi ti chiede,

Ciò deve intendersi nel senso dei versetti precedenti. Se noi non dobbiamo resistere a chi ci fa torto; tanto più, quando il bisogno ci si mostra in faccia, nella persona di un fratello che chiede o vuole un imprestito da noi dovremo sollevarlo con spirito d'amore e di abnegazione. Questo passo può significare anche che quando ci vengono fatte irragionevoli richieste, noi dovremmo compiacere ad esse anziché permettere che si svegli dentro di noi uno spirito di vendetta. In ogni caso è evidente che non conviene spiegarlo nel senso letterale, poiché chi volesse metterlo in pratica, si ridurrebbe presto a limosinare, e incoraggerebbe un branco di vagabondi. Dar tutto a tutti: una spada ad un pazzo furioso, denaro all'impostore, compiacere alla rea tentatrice, sarebbe un operare da nemici degli altri e di noi medesimi. Checché ne sia, questo passo contiene una regola di larghissima benevolenza. Il cuore deve essere aperto al dare. Vi sono, è vero, molti impostori; ma varrà sempre meglio collocare male in uno di costoro il benefizio, che rigettare l'uomo degno d'aiuto.

e non voltar le spalle

espressione energica per significare il rifiuto spietato di soccorrere un fratello che si trova in urgente bisogno,

a chi desidera da te un imprestito.

Sebbene il vocabolo forma media, significhi classicamente ricevere in prestito da alcuno, pagando un frutto, pure, siccome questo non era il senso originale della parola, e siccome l'usura fra gli Ebrei era, proibita Esodo 22:25, quel che Gesù intende qui, è, senza dubbio, il semplice imprestare, e a questo induce anche tutto il contesto. I Cristiani dovrebbero essere

generosi, considerando quanto grandi cose Iddio ha fatto per essi, e come sarebbero destituiti di ogni cosa, senza la sua infinita liberalità.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:35-40; Deuteronomio 15:7-14; Giobbe 31:16-20; Salmo 37:21,25-26; 112:5-9

Proverbi 3:27-28; 11:24-25; 19:17; Ecclesiaste 11:1-2,6; Isaia 58:6-12; Daniele 4:27

Luca 6:30-36; 11:41; 14:12-14; Romani 12:20; 2Corinzi 9:6-15; 1Timoteo 6:17-19

Ebrei 6:10; 13:16; Giacomo 1:27; 2:15-16; 1Giovanni 3:16-18

Mt 5:43

Sesto esempio: L'amore del prossimo

43. Voi avete udito che fu detto: Ama il tuo prossimo, e odia il tuo nemico.

Abbiam qui un altro e più forte contrasto fra gl'insegnamenti degli Scribi e Farisei ricavati dalle tradizioni dei loro antichi, e la legge morale del regno del Messia. Le parole «ama il tuo prossimo» non si trovano nel Decalogo, sebbene lo spirito di esse si contenga nel decimo comandamento; ma esse sono un sunto di Levitico 19:18: «Non ti vendicare contro i figliuoli e non serbare rancore del tuo popolo; ma ama il tuo prossimo come te stesso»; passo dal quale il nostro Signore trasse la seconda parte della sua replica alla domanda: «Quale è il primo e gran comandamento della legge?» Matteo 22:39. Egli è vero, che, come nazione teocratica, gli Ebrei se ne dovevano stare accuratamente separati dalle circostanti nazioni idolatre, e, serbare un odio speciale contro alcune di esse, perché esse erano nemiche di Dio

Deuteronomio 23:3; ciononostante in quel cap. medesimo Deuteronomio 23:7-8, era loro comandato di amare i loro nemici; e nel Levitico 19:33-34, dove la legge dell'amor fraterno è esposta, gli stranieri sono espressamente inclusi in quella legge. Il principio di quello sciagurato malinteso che qui viene condannato negli Israeliti farisei era il restringere l'amore comandato verso il prossimo ai soli loro connazionali ed avendo così ristretto il senso di prossimo, gli antichi ne trassero la conseguenza ch'essi dovevano odiare, come nemico, chiunque non faceva parte del popolo d'Israele; e questo insegnamento, consentaneo alla corrotta natura dell'uomo, era praticato da loro in guisa tale che non è maraviglia se i Romani li accusavano di odio contro tutto il genere umano; odium humani generis! La parola greca come il latino hostis, significava primieramente uno che non fosse dello stesso popolo. Gli Ebrei dunque chiamavano nemici tutti i Gentili, e le loro massime sul modo di trattare i pagani, quali vengono citate da Lightfoot e da altri scrittori, possono veramente chiamarsi «maledette».

PASSI PARALLELI

Matteo 19:19; 22:39-40; Levitico 19:18; Marco 12:31-34; Luca 10:27-29; Romani 13:8-10

Galati 5:13-14; Giacomo 2:8

Esodo 17:14-16; Deuteronomio 23:6; 25:17; Salmo 41:10; 139:21-22

Mt 5:44

44. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici,

Gesù, prendendo il vocabolo «nemici» nella sua applicazione più larga, dichiara che, giusta la morale del Vangelo, invece di odiarli, noi dobbiamo amarli tutti; non solamente i nemici nazionali, ma anche i personali. La parola qui usata, significa affetto morale, che non si deve confondere coll'affetto personale, il quale si esprime col vocabolo. Ordinariamente, la

prima indica compiacenza nell'indole della persona amata, ma qui significa la benigna e pietosa manifestazione del desiderio del bene altrui. Ne abbiamo un esempio nel trattamento che Davide usò a Saul al quale cadde in suo potere, mentre andava in traccia di lui per ucciderlo, e nell'effetto che quel trattamento produsse sopra Saul 1Samuele 24:18. Un più alto esempio ne troviamo poi nell'amore che Dio ha mostrato verso gli uomini, suoi «nemici con la mente, nelle opere malvagie» Colossesi 1:21

e pregate per quelli che vi perseguitano

Così il testo rettificato. Il miglior commento di questi consigli fa d'uopo cercarlo nei patimenti dei primi cristiani nella preghiera di Stefano per i suoi uccisori, e soprattutto nello splendido esempio di Colui che diede quei consigli medesimi 1Pietro 2:21-23. Ma sebbene tali precetti non fossero stati innanzi pubblicati, e forse neanche concepiti con tale ampiezza e precisione, il nostro Signore altro non è, in questo caso, che l'incomparabile interprete di una legge che era in forza sin dal principio; e questo è il solo aspetto in cui possa riguardarsi l'intero tenore di questo discorso.

PASSI PARALLELI

Esodo 23:4-5; 2Re 6:22; 2Cronache 28:9-15; Salmo 7:4; 35:13-14; Proverbi 25:21-22

Luca 6:27-28,34-35; 23:34; Atti 7:60; Romani 12:14,20-21; 1Corinzi 4:1213

1Corinzi 13:4-8; 1Pietro 2:23; 3:9

Mt 5:45

45. Affinché state figliuoli del Padre vostro, che è nel cieli;

Sebbene la figliolanza per creazione o per adozione non sia esclusa, il significato della figliolanza di cui trattasi qui è specialmente quello della

somiglianza dei nostri sentimenti con quelli di Dio.

poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni; e fa piovere sul giusti, e sopra gl'ingiusti.

La Vera legge d'amore essendo già stata stabilita in tutta la sua ampiezza, in contrasto colle regole e le pratiche grette dei Farisei, ne viene ora dimostrata la giustezza per analogia. L'amore di Dio mostrasi, non solo col conferire i benefizi della sua provvidenza al suo popolo diletto, ma anche col conferirli ai malvagi agli ingrati ai dispregiatori, della sua maestà, i quali ogni giorno lo provocano ad ira. La conclusione da trarre da questo insegnamento di Gesù si è che noi non dobbiamo regolare l'amor nostro dal merito di chi ne è l'oggetto, ma estenderlo a tutti. Più un uomo è dalla grazia divina fatto capace di mettere in pratica questo comandamento, più lo Spirito Santo renderà testimonianza allo spirito suo ch'egli è figliuolo di Dio Romani 8:16. «Il suo sole». Espressione magnifica! Iddio creò il sole, lo regola, e lo tiene esclusivamente in suo potere. Il nostro secolo tende a magnificare la potenza della natura, prescindendo dal suo Creatore, e ad attribuire l'esistenza del sole e della pioggia a cause secondarie, dimenticando intieramente la gran Causa di tutto. È questo uno dei segni degli ultimi tempi.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:9; Luca 6:35; Giovanni 13:35; Efesini 5:1; 1Giovanni 3:9

Giobbe 25:3; Salmo 145:9; Atti 14:17

Mt 5:46

46. Se infatti amate coloro che vi amano, che premio ne avete? non fanno anche i pubblicani lo stesso?

Un'altra analogia viene ricavata dalla condotta di quelli che erano considerati come i peggiori fra gli uomini, cioè i pubblicani e i Gentili.

Costoro pure potevano sentire ed operare cortesemente verso i loro amici e parenti, ma l'amore del cristiano deve estendersi fino ai suoi nemici. Le pubbliche tasse venivano prese in accollo da uomini doviziosi, Romani od Ebrei, ma i riscuotitori immediati di esse, erano ordinariamente pagani o ebrei poveri ed indifferenti in materia di religione, i quali agivano senza riguardo e senza pietà. Ecco perché i pubblicani erano universalmente odiati, e, nel conversare comune, messi alla pari colle prostitute. Né il nostro Signore si fa scrupolo di parlare di essi come ne parlavano gli altri, cosa che per certo egli non avrebbe fatto mai, se quel concetto comune fosse stato calunnioso. Il senso è questo: Se tu ami quelli che amano te, non mostri nulla di superiore agli altri: gli uomini più spregevoli fanno così; anche un pubblicano arriva a tanto.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:1; Luca 6:32-35; 1Pietro 2:20-23

Matteo 9:10-11; 11:19; 18:17; 21:31-32; Luca 15:1; 18:13; 19:2,7

Mt 5:47

47. E, se fate accoglienza soltanto a' vostri fratelli, che fate di singolare? non fanno anche i pagani altrettanto?

La parola greca tradotta da Diodati «fate accoglienza», significa abbracciare o salutare qualcuno baciandolo, come fanno gli Orientali. Il saluto era ai giorni del nostro Signore, come è ancora oggi nell'Oriente, una lunga formalità e prendeva assai tempo; perciò i discepoli, mandati la prima volta in missione, furono esortati a non salutare alcuno per la via Luca 10:4. Consisteva il saluto primieramente nell'inchinare la persona, in secondo luogo nello stringere la mano, e finalmente nel baciare sopra ambe le gote. Tal saluto però i Giudei lo davano ai parenti, ai conoscenti, a quelli della religione medesima: ad altri, mai. Il ragionamento contenuto in questi versetti è che la benevolenza richiesta nel regno del Messia debba essere qualche cosa più di quella usualmente praticata, per motivi di amor proprio,

o per naturale affezione, da quelle persone stesse che gli Ebrei riguardavano come le più pervertite. Chi segue Cristo è tenuto a fare più degli altri, perché la religione di Cristo sola è divina, e fa gli uomini migliori. Vero è che non è facile, né comune, l'amare veramente i propri nemici; per poterlo fare, è necessario avere un cuore rinnovato dalla grazia di Dio; in altre parole, solo il vero cristiano è in grado di adempiere cristianamente le sante obbligazioni della legge.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:12; Luca 6:32; 10:4-5

Matteo 5:20; 1Pietro 2:20

Mt 5:48

48. Voi dunque siate perfetti,

non è propriamente l'imperativo siate; ma voi avete da essere, o dovete essere, per significare quello che Cristo richiedeva nel suo regno dai propri discepoli. «Perfetti» cioè compiuti nell'esercizio del vostro amore verso i vostri simili; il quale abbraccia tutti, e non esclude alcuno. Questo versetto però non implica che il credente possa raggiungere la perfezione già in questa vita. Chi l'intendesse così, contraddirebbe al contenuto intiero del discorso, il quale infatti viene a dire che la somiglianza con Dio nella purità interna, nell'amore e nella santità, deve esser il continuo scopo del cristiano, in tutte le circostanze della sua vita. Ma quanto lungi noi siamo dall'esser giunti a tale somiglianza, ce lo mostra Paolo in Filippesi 3:12; e ben lo sente ogni cristiano che faccia strenui sforzi per arrivarci! Paolo adopera sempre la parola per denotare una pietà avanzata e matura, distinguendola da che significa l'infanzia in Cristo. Manifestamente il nostro Signore qui parla non già dei gradi di eccellenza, ma dell'indole della eccellenza, la quale doveva distinguere i suoi discepoli,

come è perfetto il Padre vostro celeste.

Il nostro Signore pone il Padre celeste innanzi a noi come il modello che dobbiamo imitare, specialmente nel nostro amore, che si deve estendere a tutti gli uomini, anche ai nostri nemici.

PASSI PARALLELI

Genesi 17:1; Levitico 11:44; 19:2; 20:26; Deuteronomio 18:13; Giobbe 1:13; Salmo 37:37

Luca 6:36,40; 2Corinzi 7:1; 13:9,11; Filippesi 3:12-15; Colossesi 1:28; 4:12; Giacomo 1:4

1Pietro 1:15-16

Matteo 5:16,45; Efesini 3:1; 5:1-2; 1Giovanni 3:3

RIFLESSIONI

1. Con qual forza deve operare sopra ogni coscienza risvegliata la penetrante esposizione della legge contenuta nei vers. Matteo 5:21-38, convincendola che l'apostolo ha veramente ragione di dire: «Niuna carne sarà giustificata dinanzi a lui per mezzo delle opere della legge, poiché per la legge è data conoscenza del peccato!» Romani 3:20

2. Questi versetti ci fanno conoscere la perfetta santità di Dio. Egli è un essere purissimo e perfetto, il quale vede errori ed imperfezioni dove l'occhio dell'uomo non ne scorge alcuna; egli legge gl'interni motivi nostri, e al pari delle azioni, conosce le parole e i pensieri. Ben sarebbe che gli uomini considerassero meglio di quel ch'essi non facciano questo aspetto del carattere di Dio.

3. Questi versetti ci rivelano l'ignoranza dell'uomo in quanto alle cose spirituali. Purtroppo v'è da temere che vi siano migliaia e diecine di migliaia di sedicenti cristiani, i quali nulla sanno della estensione e potenza spirituale della legge di Dio. La lettera dei dieci comandamenti, essi la conoscono.

Simili al giovane ricco Matteo 19:20, si figurano di averli osservati tutti fin dalla giovinezza. Non credono di aver mai violato il sesto ed il settimo comandamento, se non vi abbiano mai mancato con atti esterni, e così vivono contenti di se medesimi, e paghi di quel poco di religione che posseggono.

4. Questi versetti ci fan conoscere il bisogno che abbiamo di esser giustificati mediante la morte espiatoria di Cristo, l'ignoranza del vero significato della legge è la causa per cui tanti e tanti non apprezzano il Vangelo, e si contentano d'un cristianesimo formale. Essi non comprendono il, rigore e la santità dei dieci comandamenti di Dio; se li conoscessero, non riposerebbero mai finché non fossero salvi in Cristo.

5. Finalmente questi versetti ci insegnano che se vogliamo evitare il peccato, dobbiamo fuggire tutte le occasioni che a quello ci inducono. Se desideriamo davvero di essere santi, dobbiamo «fare attenzione alle nostre vie, per non peccare colla nostra lingua» Salmo 39:1. Dobbiamo cessare dalle contese e dai dissapori, per tema che non ci conducano passo passo a mali più gravi. «Cominciare una contesa è dar la stura all'acqua» Proverbi 17:14. Noi dobbiamo adoprarci a crocifiggere e mortificare le nostre membra, a fare qualunque sacrificio, a sopportare qualunque danno personale, piuttosto che peccare. Questa ovvia regola scioglie una grande quantità di questioni casistiche, come, per esempio, fino a qual punto i cristiani possano frequentare questo o quel luogo pubblico, o prendere parte a tale o tal altro divertimento. Mostrare che non c'è proibizione espressa contro di essi non basta. Se c'è da temere che quello che l'occhio vede, o la mano tocca, ci spinga nel vortice del peccato, dobbiamo abbandonarlo, quand'anche questo abbandono ci dovesse costare la perdita, di un occhio o l'amputazione di una mano. Queste parole sono dure, dirà taluno; ma sarebbe peggio ancora, potrebbe, rispondere il nostro Signore, se io vi dicessi: Quegli occhi e quelle mani vi condurremo all'inferno!

6. Dai vers. Matteo 5:38-48 noi abbiamo le regole del Signore sulla, condotta che dobbiamo tenere gli uni verso gli altri. Egli condanna tutto ciò che rassomiglia al rancore o alla vendetta. La prontezza nel risentirsi delle ingiurie e nell'offendersi, una disposizione a litigare e contendere, a

sostenere senza mai cedere i propri diritti, sono tutte cose contrarie allo spirito di Cristo. Il mondo può ben riguardare tali disposizioni come innocenti, ma esse non si addicono al carattere d'un cristiano. Il nostro Maestro dice: «Non contrastate al malvagio». Egli ci ingiunge uno spirito d'amore e di carità universale. Noi dobbiamo deporre ogni malevolenza; amare non «di parola, né della lingua, ma d'opera e in verità» 1Giovanni 3:18; sforzarci di essere cortesi con tutti; ed in ogni cosa rinunziare a noi stessi. Il nostro pensiero non deve già essere: Come si contengono gli altri con me? ma bensì: Come vorrebbe Cristo che mi contenessi con loro?

7. Queste regole del nostro Maestro vengono fiancheggiate da due potenti argomentazioni. Egli ci dichiara in primo luogo, che se noi non miriamo ad ottenere lo spirito e la tempra di carattere che qui si raccomanda, noi non siamo figli di Dio, poiché il nostro Padre celeste fa «levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni». Egli ci rammenta in secondo luogo, che quegli stessi che non hanno religione amano coloro dai quali sono amati; ne risulta che, per distinguersi da loro, i cristiani devono amare persino i loro nemici. Se di questo i veri credenti si rammentassero più spesso, quanto più commendevole riuscirebbe al mondo la religione cristiana, e quanto più felice di quello che ora non sia sarebbe l'umanità? Ma qui domanderà forse alcuno: in che modo si può ottenere un carattere simile? La risposta viene dalle labbra medesime del nostro Signore: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Se voi dunque, che siete malvagi, sapete dar buoni doni al vostri figliuoli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano?» Luca 11:9,13

Mt 6:1

CAPO 6 - ANALISI

Il Sermone sul monte: continuazione. Nel capitolo precedente il nostro Signore aveva esposto la differenza fra gli insegnamenti degli Scribi e Farisei ed i suoi propri, mostrando l'estensione e la spiritualità della legge di Dio; in questo capitolo egli prosegue il medesimo tema, paragonando le

pratiche degli Scribi e dei Farisei, quanto a certi doveri religiosi con quello che è accettevole a Dio.

1. L'elemosina. Il primo di questi doveri è l'elemosina, la quale, invece di essere fatta con ostentazione e per compiacere alla vanità, deve farsi senza rumore, senza apparato, e senza aspettarne o desiderarne ricompensa dagli uomini, ma unicamente allo scopo di glorificare Iddio Matteo 6:1-4.

2. La preghiera. Il secondo dovere qui specificato è la preghiera, la quale, invece di esser fatta ai canti delle strade, o nelle sinagoghe, con strane contorsioni di corpo, affinché i viandanti esclamino. Che santità meravigliosa! si deve praticare nel ritiro della propria camera, e col pensiero libero da ogni terreno oggetto. Il nostro Signore non allude qui alla preghiera pubblica che formava parte del culto nella sinagoga, ma alla preghiera individuale fatta pubblicamente, con un fine di vanagloria. Dalla maniera di pregare, il nostro Signore passa naturalmente alla forma nella quale la preghiera deve essere presentata a Dio; e dopo aver condannato come un insulto all'onnisciente Jehova la vana ripetizione delle stesse parole, tanto comune fra i pagani, egli pronunzia, in presenza dei suoi ascoltatori come forma da usare, e come modello da imitare, avvicinandosi al trono della grazia, le parole famigliari a tutti i cristiani, e conosciute sotto il nome di Orazione Domenicale. Dopo di che, il Salvatore inculca immediatamente, e come strettamente connesso colla preghiera accettevole a Dio, il dovere del perdono ai nostri simili. Imperocché egli è chiaro che l'uomo, il quale ricusa di perdonare offese comparativamente leggere, e al tempo medesimo chiede perdono a Dio per offese infinitamente più gravi, insulta Iddio colla sua slealtà; poiché egli viene a chiedergli cosa che non desidera, ed alla quale non mira Matteo 6:5-15.

3. Il digiuno. Il nostro Signore in questo capitolo non lo comanda, né lo proibisce; ma, pur riconoscendolo come un dovere religioso, condanna coloro che ne facevan pompa, trascurando di lavarsi il corpo e di ungersi la barba ed i capelli: cose che miravano a far colpo sugli altri, e ad eccitare in loro l'ammirazione, per persone di pietà e zelo sì grande Matteo 6:16-18.

4. Il tesoro in cielo. Siccome le pratiche religiose indicate nei precedenti versetti a nulla valgono se non sono adempite per dar gloria a Dio, il Signore conferma questa importante verità, questa regola necessaria di tutta la nostra vita, colla figura dell'ammassare tesori. Se il tesoro verrà ammassato sulla terra, il cuore rimarrà attaccato allo cose terrene; se nel cielo, il cuore sarà dato a Dio, poiché il cuore ed il tesoro sono inseparabili. Il rimanente del capitolo si occupa principalmente della importante dottrina contenuta in questi versetti. Il Signore previene l'obbiezione che probabilmente sorgerà contro questa dottrina: «Io accumulerò per me un tesoro e in terra e in cielo, per la vita presente e per l'avvenire», con due paragoni illustrativi. L'uno è tratto dalla vista, la quale è tanto utile e piacevole all'uomo, quando è sana e pura; mentre viziata è una vera infermità e tribolazione per il corpo tutto. L'altro paragone è preso dall'assoluta impossibilità di servire con uguale amore e fedeltà due padroni di carattere e di mire opposti fra loro Matteo 6:19-29.

5. Motivi per cui dobbiamo dedicarci intieramente a Dio. Il Signore trae quindi una conclusione pratica dalle istruzioni contenute nei vers. Matteo 6:19-29, mostrando ai suoi discepoli che mediante siffatta indivisa dedicazione al servizio di Dio, essi, anzi che perdere, guadagnerebbero, poiché così sarebbero liberati dall'ansietà, che agita coloro che confidano in se stessi, anziché nella provvidenza di Dio. Ciò viene messo in sodo da due argomenti diversi: l'uno dal maggiore al minore, ed è questo: Colui che diede a noi la vita e il corpo, non mancherà di somministrarci il vitto necessario e il vestire, il secondo dal meno al più: Chi provvede alla creazione inferiore, animale e vegetale, tanto più provvederà all'uomo, che è la creatura sua più nobile. L'eccessivo affannarsi per le cose terrene non è solo inutile ma irreligioso, pagano, e disonorante verso Dio; mentre, cercando prima di tutto di fare la volontà di Dio e di promuovere la sua gloria, queste grazie inferiori ci saranno costantemente assicurate. Siccome tali considerazioni dovrebbero sbandire dall'anima dei discepoli di Cristo ogni cura eccessiva intorno al presente, così dovrebbero pure impedirla quanto al futuro, poiché qualunque sieno le prove che ci aspettano, l'affannarsene troppo in antecedenza, invece di scemare, crescerebbe, accumulandolo il male Matteo 6:30-34.

Matteo 6:1-8. CONTRO L'OSTENTARE LE OPERE BUONE

1. Guardatevi dal praticar la vostra giustizia

Il testo emendato legge qui non già elemosina, ma bensì giustizia; e che questo sia il vero testo non è dubbio. Il versetto pone come principio generale che si debba fuggire l'ostentazione nel compiere le opere della giustizia. Il guardatevi, indica ad un tempo l'importanza dell'esortazione, e la difficoltà di osservarla. La parola giustizia ha qui lo stesso significato che in Matteo 5:20. «Fare la giustizia» era una espressione generalmente adoprata nei tempi antichi, come a cagione d'esempio nei Salmo 106:3: «Beati coloro che fanno ciò che è giusto, in ogni, tempo». Quell'espressione si riferisce alla giustizia manifestata negli atti dei fedeli, dei quali il nostro Signore dice altrove ai suoi discepoli: «In questo è glorificato il Padre mio che voi portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli» Giovanni 15:8

nel cospetto degli uomini, per esser da loro osservati;

Gesù Cristo non intende con ciò vietare ai fedeli di far risplendere la loro luce davanti agli uomini, poiché egli anzi lo comanda Matteo 5:16; non intende che essi temano di onorare la dottrina di Dio loro Salvatore colla loro condotta esemplare Tito 2:10, ciò che equivarrebbe a vergognarsi di Cristo. Egli proibisce quelle così dette buone azioni, che non sono fatte alla gloria di Dio, o per beneficare l'umanità sofferente, ma unicamente per attirare l'osservazione e la lode degli uomini, e gli onori del mondo. Le buone opere fatte in tal modo, non sono che un culto ipocrita, col quale si vuole alla fine onorare se stessi invece di Dio.

altrimenti, non ne avrete premio presso il Padre vostro che è ne' cieli.

Se ricerchiamo l'approvazione degli uomini soltanto, non avremo quella di Dio. Se adempiamo i nostri doveri per riguardo al Signore che ce li ha imposti, e che deve giudicarci, egli avrà cura che sia riconosciuta la nostra rettitudine.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:6; Marco 8:15; Luca 11:35; 12:1,15; Ebrei 2:1

Deuteronomio 24:13; Salmo 112:9; Daniele 4:27; 2Corinzi 9:9-10

Matteo 6:5,16; 5:16; 23:5,14,28-30; 2Re 10:16,31; Ezechiele 33:31; Zaccaria 7:5; 13:4

Luca 16:15; Giovanni 5:44; 12:43; Galati 6:12

Matteo 6:4,6; 5:46; 10:41-42; 16:27; 25:40; 1Corinzi 9:17-18; Ebrei 6:10; 11:26

2Giovanni 8

Matteo 6:9; 5:48

Mt 6:2

Gesù passa quindi dal precetto generale ad alcuni esempi pratici.

Primo esempio: L'elemosina Matteo 6:2-4.

2. Quando dunque fai limosina, non far sonar la tromba dinanzi a te,

Bengel dice che un'ostentazione insolente come quella dei Farisei, i quali facevano suonare la tromba quando distribuivano le loro elemosine non era in quel tempo incompatibile cogli usi degli Ebrei. Non è però indispensabile, per comprendere questo passo, di ammettere che suonassero realmente la tromba, perché questa frase viene usata in molte lingue metaforicamente, per esprimere vanto ad ostentazione. Sono tanti i modi di far l'elemosina con altrettanta ostentazione quanta ne avrebbe chi suonasse la tromba per chiamar gli uomini ad essere spettatori della sua carità! Per esempio facendo conoscere le proprio elemosine per mezzo della stampa, o

in un'adunanza pubblica o raccontandole a persone pronte a spargere le notizia. Sarà dunque proibito di apporre il suo nome ad una sottoscrizione di beneficenza, o di fare alcuna elemosina in pubblico, in chiesa o altrove? Certamente no. Infatti il Signore non condanna l'elemosina veduta, ma quella che è fatta per essere veduta

come fanno gl'ipocriti

La parola «ipocrita» che si trova spesso nelle sacre carte, significava dapprima, attore, poi nel senso morale, dissimulatore. Quest'ultimo significato è il solo che essa abbia conservato nelle lingue moderne. Il Signore l'applica qui indirettamente, ed altrove direttamente, agli Scribi ed ai Farisei Matteo 23:13-29

nelle sinagoghe e nelle strade

cioè nei luoghi in cui si radunava il popolo sia per il culto, sia per gli affari,

per essere onorati dagli uomini;

ossia per essere ammirati, applauditi dalla moltitudine.

io vi dico in verità, che cotesto è il premio che ne hanno.

Il legislatore, il giudice, conoscendo appieno i segreti del consiglio divino, ci rivela il futuro, cominciando colla solita parola solenne Amen! In verità! Quei tali ricevono il loro premio nella fama che acquistano e nelle lodi dei loro simili, ma non ne otterranno alcuno da Colui che vede il cuore. Desiderano gli applausi degli uomini, non avranno altro. Purtroppo anche ai nostri giorni molti sono spinti a fare l'elemosina dal medesimi motivi. Lettore, sei tu uno di quelli? Fai il bene per la gloria di Dio, per l'amore del tuo prossimo che soffre, altrimenti tu perderai ogni ricompensa futura.

PASSI PARALLELI

Giobbe 31:16-20; Salmo 37:21; 112:9; Proverbi 19:17; Ecclesiaste 11:2; Isaia 58:7,10-12

Luca 11:41; 12:33; Giovanni 13:29; Atti 9:36; 10:2,4,31; 11:29; 24:17

Romani 12:8; 2Corinzi 9:6-15; Galati 2:10; Efesini 4:28; 1Timoteo 6:18; Filemone 7; Ebrei 13:16

Giacomo 2:15-16; 1Pietro 4:11; 1Giovanni 3:17-19

Proverbi 20:6; Osea 8:1

Matteo 6:5; 7:5; 15:7; 16:3; 22:18; 23:13-29; 24:51; Isaia 9:17; 10:6; Marco 7:6

Luca 6:42; 12:56; 13:15

Matteo 6:5; 23:6; Marco 12:39; Luca 11:43; 20:46

1Samuele 15:30; Giovanni 5:41,44; 7:18; 1Tessalonicesi 2:6

Matteo 6:5,16; 5:18

Mt 6:3

3. Ma, quando tu fai limosina, non sappia la tua sinistra quello che fa la destra;

Ecco la differenza che passa fra la elemosina dei Farisei e quella dei veri Cristiani. Gesù la esprime con un motto proverbiale, il quale non deve naturalmente esser preso alla lettera, come taluni vorrebbero, ma che indica semplicità nell'intenzione e negli atti, ed esclude il desiderio della pubblicità e degli applausi. invece di far pompa delle tue elemosine, non ti compiacere in esse, neppure nel cuor tuo, per timore che ti facciano insuperbire.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:4; 9:30; 12:19; Marco 1:44; Giovanni 7:4

Mt 6:4

4. affinché la tua limosina si faccia in segreto;

il vocabolo acciocché, non si riferisce unicamente al modo dell'azione, cioè alla segretezza, ma anche allo scopo di essa, cioè alla retribuzione divina.

e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

testo emendato. La fine del versetto indica il motivo che deve indurci a non ricercare gli onori e gli applausi degli uomini, e questo è, che il Signore ci renderà lui la retribuzione. Il sentimento dell'onniscienza divina dovrebbe distruggere la vana ambizione dei Farisei. Non occorrono né il suono della tromba, né gli applausi degli uomini per attirar l'attenzione di Dio sulle nostre elemosine. Il suo sguardo ci segue nella dimora del povero, al letto dell'ammalato e del moribondo abbandonato forse da tutti, ed egli tiene conto anche del bicchier d'acqua dato per amor suo. Egli legge nel cuore, ne vede i motivi segreti e ci ricompenserà, talvolta in questa, e senza dubbio nel gran giorno in cui saranno svelati tutti i segreti dei cuori, innanzi all'universo. Il nostro Signore sviluppa chiaramente questa verità nella descrizione ch'egli ci dà del giudizio finale Matteo 25:1-46

PASSI PARALLELI

Matteo 6:6,18; Salmo 17:3; 44:21; 139:1-3,12; Geremia 17:10; 23:24; Ebrei 4:13

Apocalisse 2:23

Matteo 10:42; 25:34-40; 1Samuele 2:30; Luca 8:17; 14:14; 1Corinzi 4:5; Giuda 24

Mt 6:5

Secondo esempio: La preghiera Matteo 6:5-15

5. E, quando pregate, non state come gl'ipocriti; poiché essi amano di fare orazione, stando in piè, nelle sinagoghe, e ai canti delle piazze, per, esser veduti dagli uomini. io vi dico in verità, che cotesto è il premio che ne hanno.

La regola stabilita per l'elemosina nei versetti precedenti si applica anche alla preghiera. La preghiera, per la sua natura stessa, è diretta a Dio e non agli uomini, e chi prega per ostentazione, o per cattivarsi la buona opinione dei suoi simili è un vero ipocrita. Le sinagoghe e le piazze sono i luoghi di pubblica riunione. Stare in piè pregando era costumanza degli antichi, tanto fra gli Ebrei quanto nella primitiva Chiesa cristiana; ciò sanno benissimo gli eruditi. Non merita dunque nessuna attenzione particolare l'atteggiamento indicato dal vocabolo stando in piè, quasi implicasse ostentazione, poiché era questa la posizione in cui stavano gli Ebrei pregando. E veramente chi consideri i due atteggiamenti che si possono prendere nella preghiera, troverà che, a quell'epoca, l'inginocchiarsi sarebbe stato più singolare e avrebbe saputo assai più di ostentazione. Pur nonostante, nelle sinagoghe, pregare stando in piedi, mentre gli altri ascoltavano, seduti, la lettura della legge, o prendere qualunque positura singolare che attirasse l'attenzione altrui, non era una ostentazione minore di quella del pregare a voce alta, dondolandosi innanzi e indietro come solevano fare i Farisei, ai canti delle piazze più affollate della città. Lo stesso scegliere il canto di una piazza per fare le sue devozioni mostrava mancanza di spirito religioso, e inclinazione a preoccuparsi dell'uomo più che di Dio. L'uso del vocabolo paiano, è inteso a suggerire questa idea: essi fanno le viste di pregare mentre realmente sono commedianti. Questo versetto finisce come il secondo col solenne amen del Giudice supremo, affermante che l'unica loro ricompensa consiste nella lode ch'essi ricercano con ardore e, ricevono dagli uomini.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:7-8; 9:38; 21:22; Salmo 5:2; 55:17; Proverbi 15:8; Isaia 55:6-7; Geremia 29:12

Daniele 6:10; 9:4-19

Luca 18:1; Giovanni 16:24; Efesini 6:18; Colossesi 4:2-3; 1Tessalonicesi 5:17; Giacomo 5:15-16

Matteo 6:2; 23:14; Giobbe 27:8-10; Isaia 1:15; Luca 18:10-11; 20:47

Matteo 23:6; Marco 12:38; Luca 11:43

Matteo 6:2; Proverbi 16:5; Luca 14:12-14; Giacomo 4:6

Mt 6:6

6. Ma tu, quando preghi entra nella tua cameretta, e serratone l'uscio, fa' orazione al Padre tuo, che è nel segreto, e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

Barnes ci dice che in ogni casa ebraica vi era al disopra del portico una stanza per le devozioni segrete nella quale i pii adoratori potevano offrire le loro preghiere non visti da alcuno, fuorché da Colui che investiga il cuore. La parola cameretta, ha un significato molto esteso; essa racchiude tanto l'idea di magazzino, di dispensa, di granaio, nel quale sono radunate le cose più pregevoli tenute sotto chiave, quanto quella di gabinetto o di camera privata. Perciò alcuni hanno creduto che il nostro Signore usasse una parola di senso si esteso, perché nessuno si dispensasse dal pregare in segreto, sotto il pretesto che gli mancava un posto conveniente per farlo. Le parole «entra nella tua cameretta e serra», ecc., sì riferiscono soltanto alla preghiera privata o individuale, e non condannano il culto di famiglia ed il culto pubblico, i quali sono espressamente, comandati da Dio. La promessa contenuta nell'ultima clausola «ed il tuo Padre che riguarda», ecc., è esattamente simile a quella del versetto quarto.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:23; 26:36-39; Genesi 32:24-29; 2Re 4:33; Isaia 26:20; Giovanni 1:48

Atti 9:40; 10:9,30

Salmo 34:15; Isaia 65:24; Giovanni 20:17; Romani 8:5; Efesini 3:14

Mt 6:7

7. E nel pregare non usate soverchie dicerie, come fanno i pagani;

Il verbo usare soverchie dicerie, proviene da uno sciocco poeta ciarliero, chiamato Battos, e significa essere verbosi o prolissi, usare ripetizioni vane. Non chiacchierate sarebbe una miglior traduzione, siccome quella che indica non solamente la frequente ripetizione delle parole medesime, ma eziandio una moltitudine di parole senza senso. Era questo un mal uso pagano del quale abbiamo un esempio in 1Re 18:26; ed era imitato fino ad un certo punto dai Farisei. Infatti si legge negli scritti rabbinici «omnis qui multiplicat orationem audetur» chiunque ripete spesso la sua preghiera sarà esaudito.

I quali pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole.

Questa clausola contiene la ragione o il motivo di quest'uso pagano. Pensano costoro che molte parole si richiedono per informare di ciò che essi desiderano dalle loro divinità. La quale idea altro non è che una forma dell'errore dei gentili che si è fatto strada, anche del mondo cristiano, che la religione, e specialmente il culto, anziché un «razional servigio» Romani 12:1, sia piuttosto un'arte di incantesimo o di magia; e che siccome l'opus operatum ha un'efficacia intrinseca, l'effetto della preghiera sarà proporzionato alla sua lunghezza. In questo versetto non è tanto proibito il motto pregare, poiché il nostro Signore stesso passava le notti intere pregando, né il pregare colle medesime parole, poiché ciò pure egli fece nella intensità dell'agonia in Getsemane; ma sì il fare del numero, della

ripetizione e della lunghezza della preghiera un obbligo, e all'immaginarsi che essa sarà esaudita, non perché genuina espressione del desiderio della fede, ma perché ella è d'una tale lunghezza, o fu ripetuta un tal numero di volte. Le ripetizioni del «Pater noster», e dell'«Ave Maria» usate nella Chiesa roniekna sono una diretta violazione di questo precetto, poiché s'ingiunge il numero delle ripetizioni stesse, e si fa a dipendere da quello l'efficacia delle orazioni. Parlando delle pratiche di quella Chiesa, Tholuck osserva con ragione, che quella preghiera appunto data dal Signore come antidoto alle vane ripetizioni, è quella di cui più viene abusato per questo superstizioso fine, poiché secondo i preti il numero delle volte che il «Pater noster» si ripete ne accresce il merito. Or non è questo il preciso carattere della divozione pagana che qui condanna il nostro Signore?

PASSI PARALLELI

1Re 18:26-29; Ecclesiaste 5:2-3,7; Atti 19:34

Matteo 26:39,42,44; 1Re 8:26-54; Daniele 9:18-19

Matteo 6:32; 18:17

Mt 6:8

8. Non li rassomigliate dunque;

Abbiam qui una proibizione positiva di praticare tali vane ripetizioni;

poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate.

L'uso dei pagani riposa sopra una bassa, e gretta idea delle perfezioni divine; l'idea, cioè, che per far conoscere a Dio i bisogni degli uomini, sia d'uopo esporglieli con molte e ripetute parole; ma in questa clausola Gesù confuta siffatta idea, e dà una ragione validissima per cui i cristiani non dovrebbero mai fare uso di tali ripetizioni: «il vostro Padre sa», ecc. Cosicché se la

preghiera avesse l'unico scopo d'informare Iddio dei bisogni nostri, essa sarebbe inutile affatto ed assurda; e tanto più inutile ed assurda sarebbe la frequente ripetizione delle parole medesime, come se Iddio, non solo avesse bisogno d'essere da noi informato delle nostre necessità, ma anche di sentirsi ripetere, diecine e centinaia di volte, le medesime cose. Noi dobbiamo pregare», dice Bengel, «non per informare il Padre, ma per adorarlo». Quanto è consolante per un cuore sincero il sapere che Dio conosce i suoi veri desideri al di là di quello che noi possiamo esprimere con parole! Ma benché Iddio sappia, quello di cui abbiamo bisogno, anche prima della nostra preghiera, questo non ci esonera dal dovere di pregare, perché Iddio ha dichiarato che la preghiera è condizione indispensabile per ottenere l'adempimento delle sue promesse Ezechiele 36:37. Le grazie non richieste, probabilmente non muoverebbero il cuor nostro a riconoscenza. Le parole «chiedete e riceverete» non contengono soltanto una promessa, ma racchiudono anche un ordine.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:32; Salmo 38:9; 69:17-19; Luca 12:30; Giovanni 16:23-27; Filippesi 4:6

Mt 6:9

La preghiera modello Matteo 6:9-13

9. Voi dunque pregate così:

Alla proibizione che precede, il nostro Signore aggiunge un esempio di preghiera breve, semplice, e che esprime in succinto tutti i nostri bisogni, collo scopo di preservare per sempre i suoi seguaci dalle vane ripetizioni dei pagani. Essa è comunemente chiamata «l'Orazione Domenicale», ossia la Preghiera del Signore, perché Cristo ne fu l'autore. Essa doveva servirci di guida, e di modello nelle nostre orazioni. Infatti Gesù c'indica in essa piuttosto le cose che dobbiamo chiedere, che le parole che dobbiamo

pronunziare. In Luca 11:1, ecc., leggiamo che il Signore insegnò questa preghiera ai suoi discepoli, in risposta alla loro domanda: «Signore, insegnaci ad orare». Perciò alcuni hanno supposto che Matteo l'abbia copiata da Luca, per completare i pensieri espressi nei versetti precedenti, e che il Signore non l'abbia in realtà pronunziata nel suo Sermone in sul monte. A noi pare invece naturalissimo che il Signore, dopo aver insegnato come non si debba pregare, insegni subito dopo come convenga farlo. E d'altra parte non è punto improbabile che, rispondendo ai discepoli, i quali gli avevan domandato d'insegnar loro a pregare, egli abbia dato loro, una seconda volta, in Luca 11:1-4, il modello di preghiera contenuto nei versetti che commentiamo. Le varianti che rinvengonsi, confrontando questa preghiera, qual essa è data qui col capo 11 di Luca, tolgono affatto di mezzo la supposizione ch'essa fosse dettata dal nostro Signore come una forma per uso liturgico; o che come tale fosse usata nel tempo in cui furono scritti gli Evangeli. Tholuck osserva che «essa non, è mentovata nei nel Atti degli Apostoli, né in alcuno scrittore anteriore al secolo terzo». Ma mentre è Vero che il nostro Signore non l'impone e che i cristiani non sono tenuti ad usarla con, rituale in ciascuna occasione, è cosa assai strana che altri abbia potuto dubitare se fosse adatta alla Chiesa cristiana, e se fosse lecito di usarla! Le precise parole, colle quali ella incomincia la seconda volta, in Luca 11:2, e le variazioni che essa contiene distruggono ogni dubbio: «Quando pregate dite: Padre nostro, ecc. ». Ciò nondimeno dobbiamo guardarci dal farne uso in modo superstizioso. Quando l'uso superstizioso abbia incominciato a manifestarsi negli uffizi della Chiesa, e fin dove sia giunto in seguito, ognuno che sia versato nella storia ecclesiastica lo sa bene.

Secondo i Padri latini e la Chiesa luterana, le domande della preghiera del Signore sono in numero di sette; secondo i Padri greci, la Chiesa riformata ed i Teologi di Westminster, solamente di sei; le due ultime essendo considerate come una sola. Quest'ultima opinione pare preferibile. Le prime tre domande si riferiscono esclusivamente a Dio: «sia santificato il tuo nome, il tuo regno venga, la tua volontà sia fatta». Ed esse seguono un ordine discendente, principiando da Lui medesimo il nome sta per l'essenza e per gli attributi divini, sino alla sua manifestazione nel suo regno; e dal suo regno, alla intiera sottomissione dei suoi sudditi, ossia al completo adempimento della sua volontà. Le altre tre domande si riferiscono a noi

medesimi: «Dacci il nostro pane; rimettici i nostri debiti; e non indurci in tentazione, ma liberaci dal maligno». Queste ultime domande, all'opposto delle prime, vengono in un ordine ascendente, dai bisogni giornalieri della vita, fino alla liberazione finale da ogni male.

Invocazione

Padre nostro che sei nei cieli,

In questa invocazione entrano in pari tempo le idee della prossimità e della distanza. Padre nostro esprime parentela con Dio non solamente come nostro Creatore, Conservatore, Governatore e Benefattore, ma come nostro Padre, secondo il patto di Cristo. Le parole nei cieli esprimono incommensurabile distanza tra noi e quell'Ente glorioso, che permette ai credenti di chiamarlo Padre; e sono atte ad innalzare gli animi nostri al cielo, ove egli dimora. «Questa è una protesta», dice Agostino, «contro le idee panteistiche, e contro tutti i sistemi filosofici! sull'identità del nostro spirito collo spirito di Dio». Noi non possiamo pregare di cuore, finché non abbiamo il sentimento della nostra adozione nella famiglia di Dio, per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, L'invocazione di Dio, come Padre, era quasi sconosciuta sotto l'antica alleanza. Si dava, è verso, di quando in quando, quel nome a Dio, per ricordare ai figliuoli la loro ribellione Isaia 1:2,4, Malachia 1:6, o per consolare gli orfani e gli afflitti Isaia 43:6; ma il significato di esso non era ancora pienamente rivelato, e doveva esserlo soltanto alla venuta di Colui, per mezzo del quale «abbiamo ricevuto l'adozione dei figli». I santi dell'Antico Testamento potevano solamente dire «Signore», ma in Cristo, noi possiamo dire «Abba, Padre». Si osservi inoltre che Gesù Cristo, adoprando le parole «Nostro Padre», c'insegna che non dobbiamo dimenticare i nostri fratelli nelle nostre preghiere.

Prima domanda

Sia santificato

cioè sia considerato come santo, riverito e glorificato da tutte le tue creature ragionevoli.

il tuo nome.

Primieramente, nome è da prendersi nel proprio senso come un titolo o appellativo, con speciale allusione al nome Iehova, con cui Dio era distinto da tutti i falsi dèi, e descritto non solamente come un Ente eterno, e che esiste di per se che è il senso del nome; ma anche come il Dio che aveva stabilito la sua alleanza con Israele, il Dio della rivelazione, e il Dio della grazia, o, nel linguaggio del N. T.: «il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo» 2Corinzi 11:31. Ma il nome di Dio indica pure, nella Scrittura, i suoi attributi, ordini, parole ed opere. Tale è il significato che esso ha in questo passo: in modo che in questa prima domanda si chiede che Iddio sia adorato da tutti gli uomini, e glorificato, da tutte le sue creature.

PASSI PARALLELI

Luca 11:1-2

Matteo 6:1,6,14; 5:16,48; 7:11; 10:29; 26:29,42; Isaia 63:16; 64:8

Luca 15:18,21; Giovanni 20:17; Romani 1:7; 8:15; Galati 1:1; 4:6; 1Pietro 1:17

Matteo 23:9; 2Cronache 20:6; Salmo 115:3; Isaia 57:15; 66:1

Levitico 10:3; 2Samuele 7:26; 1Re 8:43; 1Cronache 17:24; Nehemia 9:5; Salmo 72:18; 111:9

Isaia 6:3; 37:20; Ezechiele 36:23; 38:23; Habacuc 2:14; Zaccaria 14:9; Malachia 1:11

Luca 2:14; 11:2; 1Timoteo 6:16; Apocalisse 4:11; 5:12

Mt 6:10

Seconda domanda

10. Venga il tuo regno.

Il regno di Dio è quel regno morale o spirituale che l'Iddio di grazia innalza sopra le rovine della caduta, per mezzo del suo unigenito e diletto Figliuolo, che n'è il glorioso capo, governatore e re. I redenti che hanno ascoltato l'appello del suo Spirito sono i suoi sudditi. Questo regno ora preordinato prima che fosse creato il mondo: le sue fondamenta furono stabilite sulla promessa fatta ai nostri primi padri: «La progenie della donna schiaccerà il capo del serpente» Genesi 3:15, e quel regno già annoverava fra i suoi sudditi i patriarchi, i profeti ed i santi dell'Antico Testamento; i quali, o colla fede di Abrahamo «videro il giorno di Cristo e se ne rallegrarono», o pieni di speranza «aspettarono la redenzione in Gerusalemme». Un tal regno fu quindi manifestato più chiaramente agli uomini dalla venuta di Gesù Cristo. Questa domanda si riferisce primieramente alla sua potente manifestazione, per mezzo dell'effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste; ma è un errore il supporre che fosse limitata a questo solo oggetto. Essa è una preghiera perché quel regno si avanzi, e proceda, e prosperi, finché non abbia abbracciato tutti i popoli, regioni e linguaggi della terra, ed abbia assunto, alla seconda venuta di Cristo, la finale ed immutabile forma gloriosa. Pronunziando le parole: «il tuo regno venga», chiediamo tre cose:

1 La distruzione del regno usurpato da Satana sulla terra, e la cessazione della superstizione, dell'idolatria, dell'eresia, dello scisma, e d'ogni cosa che si oppone al progresso del vero e spirituale culto di Dio.

2 L'avanzamento del regno di Cristo, mediante la predicazione dell'Evangelo, finché «il regno del mondo sia venuto ad essere del Signor nostro, e del suo Cristo» Apocalisse 11:15

3 L'affrettamento del regno di gloria, che deve durare per tutta l'eternità. Ella è dunque una preghiera per tutti i tempi e finché rimarrà anche un solo suddito di Cristo da introdurre per il suo regno, noi non dobbiamo cessare dal pregare: «Il tuo regno venga».

Terza domanda

Sia fatta la tua volontà anche in terra com'è fatta nel cielo.

Non si domanda semplicemente, con queste parole che la volontà di Dio sia fatta nel cielo ed anche sulla terra; ma che lo zelo, la buona volontà, la gioia colla quale quella volontà è fatta in cielo, possa divenire modello ed esempio agli uomini per il suo adempimento sulla terra. Le nozioni che ci dà la Scrittura, intorno alla relazione che passa fra gli eserciti celesti e Dio ci descrivono gli angeli intenti al suo servizio, devoti al suo volere adempiendolo allegramente, costantemente e perfettamente Salmo 103:2021; Ebrei 1:14. Così dobbiamo fare noi sulla terra, Questa domanda non esige che in, nostra volontà sia assorbita in quella di Dio, ma che essa le sia intieramente subordinata e conforme per mezzo del potere vivificante dello Spirito Santo. Questa bella domanda esprime lo spontaneo ed irresistibile desiderio dell'anima rinnovata di vedere il mondo intiero conformarsi pienamente, al volere di Dio. Né mancano nell'Antico Testamento preghiere che molto rassomigliano a questa Salmo 67:1-7;62:19, ecc.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 4:17; 16:28; Salmo 2:6; Isaia 2:2; Geremia 23:5; Daniele 2:44; 7:13,27

Zaccaria 9:9; Marco 11:10; Luca 19:11,38; Colossesi 1:13; Apocalisse 11:15; 12:10; 19:6

Apocalisse 20:4

Matteo 7:21; 12:50; 26:42; Salmo 40:8; Marco 3:35; Giovanni 4:34; 6:40; 7:17

Atti 13:22; 21:14; 22:14; Romani 12:2; Efesini 6:6; Colossesi 1:9; 1Tessalonicesi 4:3; 5:18

Ebrei 10:7,36; 13:21; 1Pietro 2:15; 4:2

Nehemia 9:6; Salmo 103:19-21; Daniele 4:35; Ebrei 1:14

Mt 6:11

Quarta domanda

11. Dacci oggi il nostro pane cotidiano.

Siccome dipendiamo da Dio per la vita e per quanto è necessario a sostenerla, noi dobbiamo domandargli che Egli continui a darci quei beni, e con questo cotidiano riconoscimento della nostra dipendenza da lui, noi lo glorifichiamo. Il vocabolo composto cotidiano, non si trova altrove negli scrittori greci, sia classici sia sacri, e così dove essere interpretato secondo il senso delle parti che lo compongono. Fra le molte interpretazioni che furono date di esso, ve ne sono due soltanto che meritino menzione, ambedue molto antiche e basate sulla sua etimologia. L'una fa, derivare il Vocabolo dal participio fem. veniente, avvicinantesi, e lo considera come una espressione ellittica per dire il giorno veniente o susseguente. Si può obiettare a questa interpretazione l'apparente incongruità di domandare oggi il pane di domani, e la sua positiva contraddizione coll'ingiunzione contenuta nel vers. 34 Matteo 6:34. L'altra spiegazione fa derivare il vocabolo dalla preposizione e da un nome denotante l'essenza o sostanza, e gli attribuisce il senso di necessario per il nostro sostentamento. Questa interpretazione è eccellente regge col contesto, e la parola significa veramente sostanza. Confr. Luca 15:12-13. Questa domanda si deve dunque intendere dell'alimento necessario a sostenere la nostra vita Giacomo 2:16; e Gesù ci insegna a pregare Iddio, nella sua bontà infinita, di concedercelo

ogni giorno. La Volgata elude la difficoltà, traducendo letteralmente dal greco le parole panem supersubstantialem, senza definirne il senso. Resta ora da decidere se si tratti di sovvenire ai bisogni spirituali o materiali. I commentatori presto si mostrarono inclinati a considerare questa preghiera come relativa al nutrimento spirituale; e furono seguiti da molti interpreti autorevoli, sino ai nostri tempi. Ma questo senso non è naturale, e toglie al cristiano uno dei suoi più dolci privilegi, cioè quello di potersi rimettere intieramente con questa domanda, nelle mani del suo Padre celeste, per la soddisfazione dei suoi bisogni materiali. Non c'è dubbio che l'uomo spirituale, chiedendo «il cibo che perisce», s'innalzerà col pensiero a «quello che dimora in vita eterna» Giovanni 6:27; ma ci basti che la domanda per il corpo ne suggerisca una per l'anima, e non ci lascia indurre, da uno spiritualismo morboso, a privarci di questa unica domanda per i bisogni di questa vita. Limitando per altro la domanda al cibo di cui abbiamo bisogno per oggi, quale sottomissione, qual fiducia infantile richiede e produce in noi il Signore! Cristo c'insegna, inoltre, con questa domanda, a pregare in comune giorno per giorno; e fa allusione al culto di famiglia, nel quale il padre domanda giornalmente quei beni che sono necessari a lui ed ai suoi.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:4; Esodo 16:16-35; Giobbe 23:12; Salmo 33:18-19; 34:10; Proverbi 30:8

Isaia 33:16; Luca 11:3; Giovanni 6:31-59; 2Tessalonicesi 3:12; 1Timoteo 6:8

Mt 6:12

Quinta domanda

12. E rimettici i nostri debiti,

Questa domanda è relativa al maggiore e più urgente dei nostri bisogni, cioè al perdono dei peccati. In Luca 11:4, il vocabolo adoprato in questa domanda, significa propriamente peccati, e il termine debiti, usato qui, ha in realtà il medesimo significato; solamente esso ci presenta il peccato sotto l'aspetto importantissimo d'un debito verso Dio, di una offesa alla sua sovranità. Come il debitore è nelle mani del creditore, così il peccatore è nelle mani di Dio. Non domandiamo in questa preghiera a Dio ch'egli ci liberi dalla corruzione dei nostri cuori, dal doloroso sentimento della sua ira, e dal dubbio relativamente al suo amore le sole cose secondo taluni, di cui ci dobbiamo curare; ma lo supplichiamo di dimenticare le offese che gli abbiamo recate coi nostri peccati e di cancellare dal suo libro i nostri debiti.

come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori.

Non ci facciamo illusione sul senso di queste parole. Non il perdono che concediamo ad altri ci salva, bensì il sangue prezioso di Cristo: e noi non abbiamo in noi stessi alcuna virtù che possa cancellare il nostro debito verso Iddio. Ma chi serba rancore, o non è disposto a concedere il perdono ai suoi simili, prova in tal modo, che egli non ne ha veramente sentito il bisogno per se stesso, ed in tal caso, chiedendo perdono a Dio, lo schernisce. nessun'uomo che rifletta, s'immaginerà d'avere ottenuto perdono dal Signore, se, per abitudine e deliberatamente, egli lo ricusa al suo prossimo. Non possiamo adunque domandare con fede il perdono dei nostri peccati, e l'ammissione nel regno di Dio, se non siamo disposti a perdonare ai nostri simili le loro offese, e se non possiamo dichiarare davanti a Colui che investiga i cuori, che lo facciamo sinceramente. Questa domanda si riferisce al perdono giornaliero, come la precedente si riferisce al pane cotidiano. Agostino se ne serve per combattere gli orgogliosi Pelagiani, i quali protendevano d'essere assolutamente senza peccato. La stessa lezione si potrebbe dare a coloro che si figurano che il credente, perdonato in una sola volta, per l'efficacia del sangue espiatorio di Cristo, non abbia più bisogno di domandare il perdono dei suoi peccati cotidiani, poiché egli non può più peccare Vedi 1Giovanni 2:1. Essi pretendono che questa preghiera fosse destinata unicamente ai Giudei ed agli increduli benché Gesù l'abbia insegnata ai suoi discepoli; dicono che i fedeli non possono assolutamente servirsene; e così dimostrano un orgoglio spirituale eccessivo, ed

un'ignoranza incredibile della corruzione dei loro propri cuori e dell'evidente scopo di Cristo, che volle lasciare un modello di preghiera al fedeli di tutti i tempi. Siccome dobbiamo ogni giorno ricorrere a Cristo, che è la nostra «santificazione», così dobbiamo giornalmente andare a lui, poiché egli è la nostra «redenzione», onde essere rivestiti col manto della sua giustizia, poiché le Scritture asseriscono che «tutti falliamo in molte cose», e non glorifichiamo perfettamente Iddio. Ora, il non glorificare Iddio perfettamente è un peccato, del quale i più santi devono ogni giorno confessarsi colpevoli. Più un uomo è santificato dallo Spirito di Dio, più egli sente il bisogno di confessare ogni giorno i suoi peccati, e di domandargli perdono. Questa preghiera fu evidentemente dettata per il credenti, poiché le parole: «come noi ancora li rimettiamo ai nostri debitori». esprimono una disposizione dell'anima, non naturale all'uomo caduto, ma operata dalla grazia.

PASSI PARALLELI

Esodo 34:7; 1Re 8:30,34,39,50; Salmo 32:1; 130:4; Isaia 1:18; Daniele 9:19

Atti 13:38; Efesini 1:7; 1Giovanni 1:7-9

Mt18:21-27,34; Luca 7:40-48; 11:4

Matteo 6:14-15; 18:21-22,28-35; Nehemia 5:12-13; Marco 11:25-26; Luca 6:37; 17:3-5

Efesini 4:32; Colossesi 3:13

Mt 6:13

Sesta domanda

13. E non ci esporre alla tentazione,

Questa domanda segue naturalmente quella che precede; infatti il cristiano perdonato, sa che la lotta col male non è finita, e conscio della propria debolezza sente profondamente il bisogno di essere liberato dalla tentazione. Sebbene da molti si voglia vedere nelle parole dei vers. 13 due domande diverse, è facile riconoscervi il medesimo soggetto, presentato sotto forma di antitesi, di cui la seconda parte è necessaria per completare e spiegare la prima.

2. prova, tentazione. In origine significa prova, e specialmente prova morale, che serve a manifestare il carattere dell'uomo, mettendolo in una posizione tale, che egli sia costretto di scegliere fra il Peccato e l'ubbidienza a Dio. Ma la parola è anche adoperata nel senso più energico di tentazione, di diretta sollecitazione al peccato. In questo senso è scritto Giacomo 1:13, che «Dio non tenta alcuno», non induce in tentazione; ma nell'altro senso, è positivo che Iddio mette apposita, mente quelli che gli appartengono - come mise il nostro Signore Gesù Cristo, stesso, - in circostanze atte a provare la loro fede. Nella prima parte di questa domanda crediamo che il fedele chiegga di non essere messo in una posizione in cui egli possa essere adescato e attirato dalla sua propria volontà e per opera di Satana in tentazione, e le parole non introdurci, confortano questa interpretazione, la quale indica un soggetto di preghiera perfettamente definito, e necessario sopra tutti gli altri. Era precisamente questa la preghiera che Pietro avrebbe dovuto fare, ma che egli trascurò, quando arbitrariamente, e ad onta di molte difficoltà, entrò nel palazzo del sommo sacerdote, e fu tratto nella voragine della tentazione, in modo che rinnegò il suo Signore Vedi Matteo 26:58,6975; ed i PASSI PARALLELI. Il peccato di molti sta nel non temere le tentazioni, e nell'affrontarle senza necessità. Se pregassero, come ci ha insegnato Cristo Matteo 26:41, non cadrebbero tanto facilmente nel peccato. I giovani specialmente vi sono esposti; i divertimenti, i compagni vani o leggeri li circondano. Credendosi forti, essi disprezzano il pericolo, si gettano nelle tentazioni, e si lasciano adescare dalle attrattive del mondo. L'unica regola sicura è quella di temere ogni sorte di tentazione, di pregare Iddio di liberarcene, e di rinunziare a quei compagni, a quei divertimenti, o a qualunque altra cosa che sappiamo essere un laccio teso all'anima nostra.

ma liberaci dal maligno;

in greco può essere maschile il maligno o neutro il male. Satana è il grande tentatore, il nemico che mira alla rovina del credente 2Corinzi 11:3; Efesini 6:11-12. In Matteo 13:19 è lui, il maligno, che porta via dal cuore la buona semenza. Chiedendo d'essere liberati da lui, chiediamo implicitamente d'esser liberati dal male nel quale egli ci vuol far cadere per perderci.

poiché a te appartengono il regno, la potenza, e la gloria, in sempiterno.

in questa dossologia viene indicata la ragione per cui noi domandiamo queste cose a Dio, cioè, che a lui appartengono il regno, vale a dire l'attuale dominio e l'assoluta signoria su tutte le cose; la potenza, cioè il potere di rispondere a queste domande, e d'accordare le grazie e le benedizioni richieste; la gloria, non solo quella inerente alla sua essenza, ma anche quella proclamata nel cuore e nella vita dei fedeli riconoscenti. Amen. Questa parola è derivata dal verbo ebraico aman essere fermo, sicuro, fedele; significa: così sia veramente; ed è aggiunta alla fine, per esprimere il vivo desiderio che la preghiera sia esaudita. La parola amen, benché spesso pronunziata leggermente, è propriamente una formula solenne di preghiera indirizzata a Dio, il quale solo può rendere certa una cosa.

La dossologia posta tra uncini manca nei più antichi manoscritti ed è ritenuta non autentica dai critici ed esclusa dalle versioni moderne. L'uso di essa nel culto è però molto antico, giacché la si trova di già nella Didachè, sul principio del secondo secolo. Essa è dovuta all'uso ebraico di chiudere le preghiere con una dossologia.

Mt 6:14

14. Perché, se voi perdonate agli uomini i loro falli, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; 15. Ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà i vostri falli.

Questi due versetti si riconnettono alla quinta domanda, e indicano il motivo della condizione annessavi: «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ciò dimostra che, se il perdono è il grande oggetto del messaggio

evangelico, esso è pure il dovere principale fra peccatore e peccatore Vedi Matteo 6:12. Lungi da noi la supposizione che l'esercizio d'una virtù possa meritarci il perdono dei peccati; esso è unicamente una prova della nostra rigenerazione. Non dimentichiamo mai che Gesù dà questo modello di preghiera non per il, mondo, ma per i credenti. Dio manifesta il suo amore verso gli uomini che non sono ancora rigenerati, chiamandoli efficacemente a Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, quando essi nutrono tuttavia in cuore l'odio contro Dio e contro gli uomini. Questa perdono delle offese del prossimo, non è richiesto come condizione del perdono dei peccati di colui che è «morto nei falli e nei peccati» Efesini 2:1, perché il suo cuore carnale «non riceve le cose dello Spirito di Dio», sino al giorno in cui è chiamato e perdonato in Cristo Gesù, per l'amor di Dio, gratuitamente concesso. Ma per coloro, i quali sono già stati l'oggetto di un amorevole perdono, per mezzo del sangue di Gesù, e sono stati ammessi nella famiglia di Dio, amare i nemici e perdonare loro, è una condizione essenziale della remissione giornaliera dei loro peccati.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:15

Matteo 9:14-15; 2Samuele 12:16,21; Nehemia 1:4; Ester 4:16; Salmo 35:13; 69:10; 109:24

Daniele 9:3; Luca 2:37; Atti 10:30; 13:2-3; 14:23; 1Corinzi 7:5; 2Corinzi 6:5; 11:27

Matteo 6:2,5; 1Re 21:27; Isaia 58:3-5; Zaccaria 7:3-5; Malachia 3:14; Marco 2:18

Luca 18:12

Mt 6:16

Terzo esempio: il digiuno Matteo 6:16-18

16. E quando digiunate, non state mesti di aspetto, come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia, per far vedere agli uomini che digiunano; io vi dico in verità, che cotesto è il premio che ne hanno.17. Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo, e lavati la faccia;

Questi versetti indicano un terzo contrasto fra l'adempimento farisaico d'un dovere religioso e lo spirito nel quale il Signore vuole che i suoi lo compiano. I due primi, relativi all'elemosina ed alla preghiera privata, trovansi nei vers. 2 e 5; e questo sì riferisce al digiuno. Il dovere di digiunare come quello di essere caritatevole o di pregare, è qui ammesso, senza distinzione fra il vero ed il falso metodo di praticarlo Quest'ultimo soggetto è trattato altrove dal nostro signore Vedi Matteo 9:14-15. Lo spargimento d'olio sul capo, sulla barba e sul corpo, e le abluzioni erano osservate giornalmente e con profusione, sia fra gli Ebrei che fra le altre nazioni orientali. Per Mezzo degl'insegnamenti dei Farisei però, la cui religione consisteva in atti esteriori, era nato l'uso di fare cordoglio per la morte dei parenti, o per pubbliche calamità, e dei digiuni nazionali e privati, coll'astenersi non solo dalle abluzioni ed unzioni necessarie alla nettezza del corpo, ma coll'imbrattarsi la testa e la faccia di ceneri, onde attirare l'attenzione degli altri. Mancare di pulizia, vivere nel sudiciume non è parte del servizio dovuto a Dio, sebbene i Farisei e gli Esseni fra gli Ebrei, e gli anacoreti ed i monaci che hanno disonorato la Chiesa cristiana col loro ozio e la loro immoralità, abbiano cercato di combinare quelle due cose. V'è molta verità racchiusa nel detto: «La pulizia sta vicino alla pietà». Nostro Signore, in conseguenza, proibisce ai suoi discepoli l'ostentazione del dolore per il peccato e siffatti segni esteriori del digiuno, perché non hanno alcun valore innanzi a Dio; e coloro che ne fanno mostra, ricevono la ricompensa che desiderano, cioè l'ammirazione degli uomini, ricompensa che non basta ad un vero discepolo di Cristo. Un uomo può digiunare colla faccia pulita, col corpo lavato, colla barba rasa o pettinata, non meno che trascurando queste cure materiali; e così facendo, prova che il suo scopo, digiunando, non è di attirare l'attenzione e l'approvazione degli uomini, ma di umiliare l'anima sua innanzi a Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:14-15; 2Samuele 12:16,21; Nehemia 1:4; Ester 4:16; Salmo 35:13; 69:10; 109:24

Daniele 9:3; Luca 2:37; Atti 10:30; 13:2-3; 14:23; 1Corinzi 7:5; 2Corinzi 6:5; 11:27

Matteo 6:2,5; 1Re 21:27; Isaia 58:3-5; Zaccaria 7:3-5; Malachia 3:14; Marco 2:18

Luca 18:12; Ruth 3:3; 2Samuele 14:2; Ecclesiaste 9:8; Daniele 10:2-3

Mt 6:18

18. Affinché non apparisca agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

Gesù dichiara in questo versetto che coloro i quali digiunano col cuore contrito e senza ostentazione, riceveranno una ricompensa da Colui che vede il cuore, e giudica dei suoi più intimi motivi. I rabbini narrano che alcuni dei loro più celebri dottori avevano costantemente il viso nero a cagione dei loro digiuni! Questa asserzione allude non solo alle ceneri di cui si aspergevano quei dottori, ma all'aspetto abbattuto ed apparentemente contrito ch'essi credevano necessario di assumere in simili occasioni, e che Cristo indica, in Matteo 6:16, colle parole: «mesti d'aspetto».

PASSI PARALLELI

2Corinzi 5:9; 10:18; Colossesi 3:22-24; 1Pietro 2:13

Matteo 6:4,6; Romani 2:6; 1Pietro 1:7

RIFLESSIONI

1. Gesù ci mette in guardia non solo contro la vanità che ci spinge ad adempiere il nostro dovere per riscuotere gli applausi degli uomini, ma c'indica inoltre un motivo che deve indurci a perseverare in esso, anche allorquando gli applausi si cambiano in maledizioni, e quando la gioia prodotta dalla novità della vita cristiana è svanita. Questo motivo consiste nel fare ogni cosa col pensiero volto a Dio, piuttosto che agli uomini. Il che non significa che dobbiamo essere indifferenti alle osservazioni degli altri intorno alla nostra condotta, poiché ci è stato comandato di «non dare intoppo alcuno in cosa veruna, acciocché il Vangelo non sia vituperato»; ma siccome l'autorità di Dio è la sorgente di ogni dovere, ed egli è il giudice supremo che giudica il modo in cui l'adempiamo, così dobbiamo adempiere il nostro dovere, ubbidendo semplicemente alla sua volontà, e ricercando anzitutto la sua approvazione. Paolo c'indica chiaramente questo dovere, quando parla del doppio obbligo che incombe al servitore di ubbidire al suo padrone terrestre, ed a quello che è nei cieli Colossesi 3:22. Quelli che fanno lunghe orazioni, prodigano le elemosine, o adempiono qualche altro dovere cristiano, soltanto «per esser osservati dagli uomini», saranno «mandati via a vuoto» nel giorno del giudizio, perché «hanno ricevuto il loro premio» in questo mondo, ma Iddio «onorerà quelli che lo onorano», rendendo loro la retribuzione in palese.

2. Non è certo a caso che le tre prime domande della preghiera modello ci riferiscono a Dio, e non a caso Gesù c'insegna a non chiedere nulla per noi stessi, prima d'aver espresso gli ardenti desideri dei nostri cuori relativamente alla sua gloria. Questo fatto è stato spesso osservato, e c'importa moltissimo non solo di conoscerlo, ma d'imitare nelle nostre preghiere il modello che il Signore ci ha dato. Da ciò che precede noi possiamo dedurre che a Dio appartiene il primo posto, tanto nei nostri affetti, quanto nelle nostre preghiere. Colui che dice con sincerità: «Sia santificato il tuo nome», non riprenderà egli «quelli che lo bestemmiano continuamente»? Colui che esclama con fede: «il tuo regno venga», potrà egli darsi in preda alla pigrizia, mentre che la maggior parte degli uomini sono tuttora sotto il giogo di Satana?

3. Qual consolazione ci recano le parole della quarta domanda, le quali ci indicano che Iddio ha riguardo anche ai nostri corpi, quantunque essi sieno deboli e perituri; e che egli ci provvederà ogni giorno il cibo necessario alla loro sussistenza! Qual coraggio non destano quelle parole nel cuore dei fedeli poveri e bisognosi! Esse insegnano loro ad alzare gli occhi a Colui che dice: «il mondo, e tutto quello che è in esso è mio» Salmo 50:12. Qual rossore devono esse produrre in quelli che si preoccupano esclusivamente della questione che faceva a se stesso il ricco insensato: «Che farò, giacché io non ho ove riporre i miei frutti?» in quelli «che fanno tesori per se stessi e non sono ricchi in vista di Dio»? Luca 12:17,21

4. Quando il nostro Signore comanda ai figli di Dio di rivolgersi ogni giorno a lui, dicendogli: «Rimettici i nostri debiti», egli riprende non soltanto quei perfezionisti i quali asseriscono che, essendo credenti, non possono più peccare 1Giovanni 1:8, ma quanto anche quei cristiani i quali, ripudiando questa dottrina, considerano però il perdono dei loro peccati come tanto sicuro che sarebbe un atto peccaminoso il domandarlo ancora. Questa domanda ci mostra chiaramente la falsità di simili idee. Vero è, che «chi è lavato tutto non ha bisogno che d'aver lavati i piedi». Giovanni 13:10; ma è precisamente il sentito bisogno di questa lavatura giornaliera dei piedi, che rende così prezioso il privilegio di accostarci a Dio colla preghiera: «Rimettici i nostri debiti».

5. Ohimè! quanta ipocrisia si manifesta in molti, al cospetto dell'indagatore dei cuori, quando essi gli dicono: «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Se noi riceviamo soltanto da Dio un perdono uguale a quello che concediamo noi stessi ad altri, non troveremo forse in questo fatto la spiegazione dell'incapacità in cui trovansi molti sinceri cristiani di godere «l'allegrezza della salvezza di Dio?».

6. Quanto, è strano che, dopo aver pronunziato la preghiera: «Non ci esporre alla tentazione, ma liberarci dal maligno», un figlio di Dio possa deliberatamente recarsi là dove non soltanto egli sa che i suoi principi religiosi saranno messi alla prova, ma dove egli è già altre volte caduto nella tentazione? Non basta per scusarsi il dire che le cose che succedono in quei luoghi non sono peccaminose in se stesse. Ogni cosa che l'esperienza

dimostra essere nociva alla coscienza, o atta a mettere la sua purezza in pericolo, dove esser evitata da chiunque presenta questa domanda al Signore; altrimenti egli si fa beffe d'Iddio Galati 6:7

Mt 6:19

Matteo 6:19-34. PREOCCUPAZIONE DELLE COSE CELESTI E CONFIDANZA FILIALE

A prima vista può sembrare al lettore non esservi alcuna relazione fra l'argomento trattato in Matteo 6:19 e quelli dell'elemosina, della preghiera e del digiuno che lo precedono. Non è così peraltro. La piena consacrazione del cuore a Dio è l'anello di congiunzione fra il vers. 18, ed i seguenti. Infatti, come il nostro Signore ha dimostrato nei vers. precedenti che quella consacrazione sola dà qualche valore all'elemosina, alla preghiera ed al digiuno, così, col mezzo delle espressioni: «non vi fate tesori in terra, anzi fatevi tesori in cielo» egli dimostra che quella consacrazione è obbligatoria per tutti gli uomini, e che in essa consiste la vera felicità.

19. Non vi fate tesori sulla terra,

L'uomo ha bisogno di avere uno scopo per il quale egli viva e lavori, un oggetto in cui egli ponga i suoi affetti altrimenti la sua vita diviene insipida e molesta. Quell'oggetto, qualunque esso sia, è il suo tesoro. Due sono i grandi oggetti che si contendono il cuore umano: gli interessi del tempo, e quelli dell'eternità. I primi comprendono i piaceri terreni e i doveri legittimi, nonché gli atti peccaminosi e gli affetti disordinati per le cose di questo mondo. Queste "cose periscono per l'uso», e non possono assicurarci una gioia duratura, o saziare la fame di felicità che divora ogni anima immortale, per cui Gesù dice ch'esse vanno soggette ad essere guastate dalla tignuola e dalla ruggine.

ove la tignola

Nell'Oriente, in antico, i tesori d'un uomo ricco comprendevano un gran numero di mute di vesti Genesi 45:22; Giudici 14:12-13, conservato tanto per far doni, quanto per l'uso degli ospiti. In quei climi caldi, quelle vesti costose erano particolarmente soggette ad intignare e guastarsi, e ciò fornì un esempio al nostro Signore per dimostrare la pazzia di coloro che mettono il cuore in tesori che vanno distrutti.

e la ruggine consumano; e dove i ladri sconficcano e rubano.

brosis accenna a qualsiasi agente che corroda, consumi o guasti i metalli preziosi. La «ruggine», rigorosamente parlando, non attacca l'argento o l'oro bensì le monete di bronzo molto in uso a quell'epoca, e nelle quali consistevano, senza dubbio, i piccoli tesori ammassati dagli uditori del Signore. La popolazione della Galilea, ai tempi di Gesù Cristo, poco conosceva l'uso delle banche rese necessarie dal commercio moderno, nelle quali il danaro si mettesse a frutto, invece di nasconderlo sotterra, o in qualche cantuccio segreto della casa; e il deterioramento di quella rozza moneta, per via della ruggine, o per altre cagioni, doveva dare a quella gente un'idea esattissima e familiare della natura transitoria dei tesori terreni mentre la poca sicurezza in cui erano contro le aggressioni dei briganti e contro l'astuzia ed i raggiri dei ladri, davano maggior forza all'idea medesima.

PASSI PARALLELI

Giobbe 31:24; Salmo 39:6; 62:10; Proverbi 11:4; 16:16; 23:5; Ecclesiaste 2:26; 5:10-14

Sofonia 1:18; Luca 12:21; 18:24; 1Timoteo 6:8-10,17; Ebrei 13:5; Giacomo 5:1-3

1Giovanni 2:15-16

Mt 6:20

20. Ma fatevi tesori in cielo, ove né tignola, né ruggine consumano ed ove i ladri non sconficcano né rubano.

Il Signore non proibisce in modo assoluto di provvedere all'avvenire, anzi egli l'ordina nel vers. 20; ma biasima coloro, il di cui più alto scopo è di ammucchiare tesori terreni. Per «tesoro in terra», non dobbiamo intendere il frutto del lavoro, il guadagno col quale l'operaio provvede alle proprie necessità, né i beni, né il denaro che una persona più agiata possiede, bensì i beni terreni oggetto della cupidigia e dell'amore del cuore. Ma appunto perché il mettere da parte non è in se stesso peccaminoso anzi, in alcuni casi viene espressamente comandato, come in 2Corinzi 12:14; 1Timoteo 5:8, e perché l'industria onesta e le imprese dirette con intelligenza sono generalmente coronate dal successo, molti si figurano, di trovarsi in regola con Dio, mentre che tutta la loro attenzione, la loro ansietà, il loro zelo ed il loro tempo sono dedicati a raggiungere questo scopo puramente terreno. Vana illusione! Gesù Cristo esorta al contrario il suo popolo a farsi «tesori in cielo» ove nulla v'è di corruttibile, ove nulla ci può essere rapita. Pietro descrive il cielo come «una eredità incorruttibile, immacolata e immarscescibile» 1Pietro 1:4; e questa eredità è costituita da Jehova Padre Figlio e Spirito Santo, unico bene che possa soddisfare l'anima nostra, e sorgente di gioia perenne. Essere con Dio, simile a Dio, parlar con Lui, come figliuoli al padre, possedere quella gloria ineffabile del cielo che niuno può immaginare, e tutto ciò perché il Padre ci ha redenti col sangue del suo diletto Figliuolo, e ci ha santificati per lo suo Spirito: ecco l'eredità incorruttibile, il gran tesoro dei santi! «Farsi tesori in cielo» è l'opera del tempo, presente, poiché presto «la notte della morte viene, in cui niuno può operare» Giovanni 9:4. Mentre la Chiesa romana vuol far credere all'esistenza di un Purgatorio, nelle cui fiamme gli uomini potrebbero farsi un qualche tesoro, dopo morti, la Santa Scrittura ci esorta ad operare in questa vita con diligenza, poiché, dopo la nostra morte, sarà troppo tardi. «Farsi un tesoro in cielo» consiste nel cercar la riconciliazione con Dio, e l'adozione nella sua famiglia, per mezzo della giustizia di Cristo; nel procacciare una comunione vie più intima con Dio, ed una somiglianza sempre maggiore con Lui, nel mettere in pratica l'amore cristiano fecondo di opere che il Signore ricompenserà gloriosamente nella sua grazia.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:21; Isaia 33:6; Luca 12:33; 18:22; 1Timoteo 6:17; Ebrei 10:34; 11:26

Giacomo 2:5; 1Pietro 1:4; 5:4; Apocalisse 2:9

Mt 6:21

21. Perché, dove è il tuo tesoro, quivi sarà anche il tuo cuore.

Colui che ha creato il cuore umano lo conosce appieno; e ben lo dimostra in questo versetto. La parola «tesoro», a qualsiasi oggetto venga applicata, indica l'oggetto che ha soggiogato gli affetti d'un uomo; ora siccome il cuore è la sede degli affetti, la verità qui proclamata è chiara come il sole; a quel tesoro, qualunque sia, il cuore sta attaccato sopra ogni altra cosa. Ah! purtroppo, il peccato ha diviso gli affetti del cuore dal solo tesoro che non perisce mai! ed è appunto per staccare i nostri affetti dai tesori terreni che il Signore ci esorta a farci un tesoro in cielo. Un nuovo affetto soltanto ha il potere di scacciare l'antico. Alcuni si sono immaginati che in questo versetto il discorso del nostro Signore sia interrotto, e che fra quello che precede e quello che segue non esista nessuna relazione. Opinione affatto gratuita e senza fondamento: il filo di connessione, fra le idee contenute in questo e quelle dei precedenti versetti è chiaro, per chiunque considera il rimanente del capitolo come un'ampia illustrazione ed un corroboramento della verità insegnata nei tre precedenti versetti. Matteo 6:22-24, che stiamo ora per considerare, sono strettamente connessi, nel pensiero di Cristo, coi vers. Matteo 6:19-21, contenendo, a parer nostro, la risposta ad una obbiezione che il Signore avrebbe preveduta, benché non espressa da chi lo ascoltava. È naturale, infatti che alcuni fra i suoi uditori dicessero allora, come dicono oggi molti fra noi: Non potrei io possedere tesori in cielo ad al tempo stesso sulla terra? La risposta del nostro Signore, per quanto non espressa, è certamente negativa, come si ricava dagli esempi che ci presenta.

PASSI PARALLELI

Isaia 33:6; Luca 12:34; 2Corinzi 4:18

Matteo 12:34; Proverbi 4:23; Geremia 4:14; 22:17; Atti 8:21; Romani 7:5-7; Filemone 3,19

Colossesi 3:1-3; Ebrei 3:12

Mt 6:22

22. La lampada del corpo è l'occhio;

Il primo esempio è tratto dalla miseria e dall'infelicità che derivano da una vista difettosa. Il leggere, il muoversi, ogni faccenda, ogni piacere della vita che dipenda dall'occhio, vengano guastati da quella infermità, per cui nell'occhio si confondono gli oggetti. Lo stesso accade ad un cuore diviso. Gli affetti non possono essere efficaci se guardano al tempo medesimo verso il cielo e verso la terra. L'occhio è il solo membro del corpo per lo quale noi possiamo godere la luce che ci guida nei nostri movimenti, e ci fa conoscere gli oggetti esteriori. Quel che una lanterna è per il viandante in mezzo al buio della notte. l'occhio è, nel viaggio della vita, per il corpo, che, senza di esso, è tenebroso.

se dunque l'occhio tuo è sano

Letteralmente semplice. Applicata all'occhio, quella parola significa, in genere, sano, limpido.

tutto il tuo corpo sarà illuminato

Come l'uomo, di cui gli occhi sono sani, cammina nella luce e vede chiaramente ogni oggetto, un proponimento semplice e costante di servire e piacere a Dio in ogni cosa rende il carattere coerente e schietto.

PASSI PARALLELI

Luca 11:34-36

Atti 2:46; 2Corinzi 11:3; Efesini 6:5; Colossesi 3:22

Mt 6:23

23. Ma, se l'occhio tuo è viziato,

il senso dei vocabolo viziato, viene determinato da quello di puro, sano, al quale esso fa contrasto. Se l'occhio tuo guarda in una falsa direzione, non discerne bene gli oggetti e la loro natura,

tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre;

non intieramente privi di luce o della facoltà di vedere, ma ridotto a percezioni confuse ed oscure. Quando l'intiera macchina umana soffre per l'oscurità dell'occhio, l'uomo può chiamarsi veramente tenebroso. Come un occhio viziato non vede nessun oggetto quale è, così uno spirito ed un cuore divisi tra Cristo ed il mondo, sono nelle tenebre. «intenebrati nell'intelletto, alieni dalla vita di Dio, per l'ignoranza che è in loro, per l'induramento del cuor loro» Efesini 4:18; Vedi anche Matteo 20:15, Deuteronomio 15:9; Proverbi 28:14. Un fermo proponimento di servire Iddio, la direzione chiara e costante dei pensieri, della fede, e degli affetti verso il cielo, sono indispensabili ad una vita santa.

se dunque la luce ch'è in te è tenebre, esse tenebre quanto grandi saranno!

Queste parole contengono un solenne appello ad ogni uomo quanto allo stato dell'anima sua, prendendo esempio dalla rovina materiale cagionata dall'occhio viziato. Invece di lume dice qui luce, e l'oggetto indicato non è l'occhio, ma sebbene l'intendimento e la coscienza. L'occhio dell'anima è la coscienza, la quale ha l'incarico di avvertirci non meno che di rimproverarci; e quando è illuminata dallo Spirito Santo, non è altro che la voce di Dio

parlante dentro di noi. Se dunque quello, che è occhio e luce dell'anima è tenebre, quanto grandi debbono essere le tenebre dell'uomo! Siccome la coscienza è la facoltà regolatrice dell'uomo, se essa è falsata che sarà l'uomo tutta intiero, se non una massa di tenebre? Argomento prediletto dei forti e degli scettici è questo: Basta che un uomo sia sincero, poco importa poi qual religione professi; Iddio accetta ogni uomo secondo la luce ch'egli ha. La dichiarazione del nostro Signore in questo versetto sradica affatto questa opinione. È vero che Iddio giudica ogni uomo secondo la luce che egli ha; non però dalla piccola porzione di luce divina ch'egli ha lasciato penetrare nel proprio intelletto, e nella coscienza, ma da quella luce perfetta che gli splende intorno, e l'avrebbe illuminato, se la sua volontà e le sue affezioni non le avessero fatto barriera. In quel caso la luce ch'egli possiede altro non è che tenebre, e, lungi dal salvarlo, aggraverà la sua condanna. Egli perirà, perché, quantunque la luce sia venuta nel mondo, egli non volle riceverla, ma preferì le tenebre.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:15; Isaia 44:18-20; Marco 7:22; Efesini 4:18; 5:8; 1Giovanni 2:11

Matteo 23:16-28; Proverbi 26:12; Isaia 5:20-21; 8:20; Geremia 4:22; 8:8-9; Luca 8:10

Giovanni 9:39-41; Romani 1:22; 2:17-23; 1Corinzi 1:18-20; 2:14; 3:18-19

Apocalisse 3:17-18

Mt 6:24

24. Niuno può servire a due padroni; perché, o odierà l'uno, ed amerà l'altro; o si atterrà all'uno, e sprezzerà l'altro;

Questo è il secondo esempio che serve di risposta all'obbiezione di coloro che dicono: Io posso radunare tesori e sulla terra e nel cielo. qui tradotto

servire, significa piuttosto, appartenere intieramente ad una persona, essere intieramente sottoposto ad essa, come uno schiavo. Servire a due padroni, nel caso in cui essi si mettano d'accordo sulla quantità e sulla durata del servizio da prestare a ciascun di loro sebbene sia cosa poco piacevole, così per il servo come per i padroni, pure è possibile; ma il caso qui supposto è quello di uno schiavo, reclamato come assoluta proprietà da due padroni diversi, ognuno dei quali esige, come diritto esclusivo, tutto quanto il servizio di lui per se stesso. È cosa per se medesima evidente, che un tal servizio non potrebbe, durare, poiché non solo gl'interessi dei padroni sono spesso opposti, ma il servo stesso, coll'andar del tempo, farebbe, fra le due, un confronto, e verrebbe a dare all'uno sull'altro la preferenza. Questo accadrebbe anche se gli affari dei due padroni fossero del medesimo genere, e tanto più poi, se, come nel presente caso, i loro interessi si trovassero opposti.

voi non potete servire a Dio ed a Mammona.

Mamona, è una parola aramea che significa ricchezze. Il Signore qui personifica sotto questo titolo le ricchezze, e ce le presenta come un padrone che ci fa schiavi, come un idolo che avvince il cuore, ed al quale rendiamo il culto che appartiene a Dio. Perciò Paolo descrive altrove l'avarizia che è appunto il culto di Mamona, come un'idolatria Colossesi 3:5; Efesini 5:5. Servire quest'idolo e Iddio al tempo stesso e col medesimo cuore, è impossibile. Servire Mamona è lavorare per esso, come un servo lavora per il suo padrone, esser devoto al guadagno, avere il cuore intieramente dedicato al mondo. Questo servizio di Mamona non è ristretto ai ricchi; il povero può essere mondano ed avaro quanto il ricco. Servire a Dio è un obbedirgli, un lavorare per la sua causa, avere il cuore rivolto a lui, conformarsi alla sua volontà in ogni cosa. La inclinazione del cuor naturale è di adorar Mamona; e invece di «seguire il Signore appieno» Numeri 14:24, molti pretesi cristiani inclinano a fare un compromesso, col servire ambedue: ma Gesù stesso ci dichiara che ciò è impossibile. Impariamo dunque a servire unicamente a Dio, ammassandoci tesori nel cielo, e ponendovi il cuore.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:10; Giosuè 24:15,19-20; 1Samuele 7:3; 1Re 18:21; 2Re 17:3334,41

Ezechiele 20:39; Sofonia 1:5; Luca 16:13; Romani 6:16-22; Galati 1:10; 2Timoteo 4:10; Giacomo 4:4

1Giovanni 2:15-16

Luca 16:9,11,13; 1Timoteo 6:9-10,17

Mt 6:25

Applicazione pratica del precetto di farsi un tesoro nel cielo Matteo 6:25-34

La parola perciò, colla quale il vers. 25 comincia. connette quello con qualcosa che lo precede, e che non si trova, come alcuni vorrebbero, nel vers. 24, bensì nella solenne esortazione, nei vers. 19-21, di non accumulare tesori in terra, ma in cielo. L'applicazione pratica che si può dedurre da questi versetti comincia col vers. 25, e dura fino alla fine del capitolo. Essa è diretta contro quella peccaminosa ansietà per le cose di questo mondo, la quale disonora Dio, e, al medesimo tempo, è tentazione gagliarda di sottomettere il cuore alla possanza di Mamona che hanno per loro porzione Iddio, hanno la promessa della vita presente non meno che della futura, quindi non hanno bisogno di vivere in ansiosa sollecitudine, per procacciarsi quello che è necessario per questa. vita. Questa applicazione pratica sembra dividersi in tre parti, ognuna delle quali incomincia con le parole: «Non siate con ansietà solleciti», ed in ciascuna è presentata in un modo diverso. La prima e la più lunga di quelle tre parti contiene non meno di quattro argomenti, arricchiti di varie spiegazioni, ed altamente atti a far pensare uno spirito riflessivo. Le altre due contengono ciascuna un solo argomento. Queste tre parti risalteranno meglio all'occhio disposte come segue:

Parte 1 Matteo 6:25

«Non siate con ansietà solleciti per la vostra vita, ecc.».

1 Se Iddio dà la vita, egli darà pure il nutrimento; se egli formò il corpo, darà pure il vestiario.

2 Iddio pasce gli uccelli dell'aria, per quanto sieno di poco valore, tanto più dunque pascerà voi.

3 Una tale ansietà per parte vostra è del tutto vana. Voi non potete aggiungere all'altezza vostra un sol pollice, e tanto meno tenere in vita il corpo, e somministrargli ciò che gli è necessario. Vedi Matteo 6:27Matteo 6:27.

4 Iddio veste i fiori del campo di inesprimibile bellezza, fragili come essi sono, e di breve durata, quanto più dunque vestirà voi, ch'egli creò ad immagine sua ?

Parte 2 Matteo 6:31

«Non siate adunque con ansietà solleciti dicendo: Che mangeremo o che berremo, o di che saremo vestiti?» Siffatta ansietà è perdonabile ai pagani i quali non conoscono il vero Dio, e per conseguenza nulla sanno della onnipotenza e della provvidenza di lui. Ma in voi, che conoscete l'onniscienza del vostro Padre, ed il suo amore sempre sollecito del vostro bene, è casa vergognosa. Egli ben conosce di che avete bisogno: lasciatene a lui la cura. «Cercate soltanto il regno di Dio, ed egli provvederà ai bisogni della vostra vita presente».

Parte 3 Matteo 6:34

«Non siate adunque con ansietà solleciti del giorno di domani» cioè dell'avvenire, poiché ogni giorno ha il suo proprio peso; e se voi vi caricate oggi anche del peso di domani, vi troverete sovraccaricati ed oppressi, e sarete del tutto incapaci di adempiere i doveri che presentemente vi incombono verso Dio, verso la famiglia, e verso i vostri simili.

25. Perciò vi dico: non siate con ansietà solleciti per la vita vostra, di quel che mangerete, o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete;

In questo e nei sei versetti seguenti, noi abbiamo LA PRIMA PARTE della pratica applicazione che fa il Signore dei vers. 19-21. Il pensare alle cose temporali per poter vivere onestamente è cosa richiesta non meno dalle Sacre Scritture che dal senso comune, e solo quell'angosciosa sollecitudine che proviene dal dubbio, e dalla debolezza della fede, viene qui condannata. L'uditorio del Signore si componeva in gran parte, in questa occasione, di poveri, i quali sudavano per procacciarsi il pane quotidiano; nel cuore dei quali la incertezza del sostentamento svegliava naturalmente una tale sollecitudine ansiosa. Però, questa peccaminosa sollecitudine per le cose di questo mondo non si restringe al povero; anzi, più crescono le ricchezze, più stravaganti divengono le idee degli uomini quanto a ciò che è necessario per la vita presente; ed essi si consumano di pensieri per l'avvenire. La massima parte degli uomini, in una parola, si stillano senza fine il cervello, pensando al modo di provvedersi da mangiare, da bere, e da vestire elegantemente questo corpo caduco. La qual cosa non istà d'accordo coll'avere il proprio tesoro nel cielo, e coi ritenere come padre Iddio.

non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?

Il primo argomento che il Signore adduce contro tale peccaminosa ansietà dei credenti per le cose terrene, è tratto dai doni che Dio ha già dati; è argomento dal più al meno. Iddio ha dato la vita, non vorrà egli dunque dare il nutrimento che è necessario a sostentare la vita? Iddio ha creato il corpo umano, e non vorrà egli somministrare il vestiario occorrente a coprirlo? Non ci promette il lusso, ma tutto quel che è indispensabile per il mantenimento della vita è incluso nel patto della redenzione. «il suo pane gli sarà dato, e la sua acqua non fallirà» Isaia 33:16; e questa sicurezza trasse Paolo a dire: «Avendo da nutrirci e da coprirci, saremo di ciò contenti» 1Timoteo 6:8. In Luca, Cristo aggiunge: «e non ne state sospesi», non siate, cioè, scossi nella vostra fiducia in Dio da siffatte sollecitudini. Quando sappiamo affidarci in tutto e per tutto a Dio, «facendogli note le nostre richieste in preghiera e supplicazione con ringraziamenti», Paolo ci

assicura che «la pace di Dio che sopravanza ogni intelligenza guarderà i nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù» Filippesi 4:6-7. Ma quando noi affidiamo tutte le nostre temporali faccende ed interessi alla forza del nostro proprio, ingegno, cadiamo in quello stato d'inquietudine contro il quale il Signore mette in guardia i discepoli.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:22-28; Luca 12:4-5,8-9,22

Matteo 6:31,34; 10:19; 13:22; Salmo 55:22; Marco 4:19; 13:11; Luca 8:14; 10:40-41

Luca 12:22-23,25-26,29; 1Corinzi 7:32; Filippesi 4:6; 2Timoteo 2:4; Ebrei 13:5-6

1Pietro 5:7

Luca 12:23; Romani 8:32

Mt 6:26

26. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non accolgono in granai; e il Padre vostro celeste li nudrisce;

Il secondo argomento contro l'ansietà peccaminosa, circa gli affari di questa vita, sgorga si dalla cura amorevole che Dio prende delle creature inferiori ed irragionevoli, ed è un argomento dal meno al più. L'istinto degli uccelli dell'aria, meraviglioso come esso è, non insegna loro a seminare, a mietere, a raccogliere in granai, od a prendere per l'avvenir loro quei provvedimenti che può e deve prendere l'uomo; e nondimeno, tapini com'essi sono, Iddio si prende cura di loro e li nutrisce. Or quanto maggiormente provvederà egli ai bisogni di quelli che sono i suoi figli, non solo per creazione, ma per adozione in Gesù Cristo?

non siete voi assai da più di loro?

Notate bene che non ci è vietato di seminare, ecc.; la forza dell'argomento, al contrario, sta in questo: mentre i figli di Dio lavorano indefessamente per procacciare le cose necessarie al corpo, innalzando la mente a Dio, ad ogni passo, vorrà Dio permettere che questi suoi figli muoiano di fame, e pascere intanto gli uccelli che non lavorano?

PASSI PARALLELI

Matteo 10:29-31; Genesi 1:29-31; Giobbe 35:11; 38:41; Salmo 104:1112,27-28

Salmo 145:15-16; 147:9; Luca 12:6-7,24-31

Matteo 6:32; 7:9; Luca 12:32

Mt 6:27

27. E chi di voi, con la sua sollecitudine, può aggiungere alla lunghezza della sua vita pure un cubito?

Questo versetto contiene un terzo argomento contro la peccaminosa sollecitudine e preoccupazione per le cose di questa vita; è questo tratto dalla nostra propria incapacità e dalla inutilità della nostra ansietà. È un altro argomento dal meno al più, siccome chiaramente apparisce dal passo parallelo in Luca 12:26: «Se dunque non potete fare nemmeno ciò che è minimo, perché siete in ansiosa sollecitudine del rimanente?». Il cubito Gr. Lat. ulna, era una misura di 50 centimetri. In origine, significava la lunghezza dell'avambraccio, dal gomito al polso, e quindi fino alla punta del dito medio. Nel greco classico, ha il significato di statura, e quello d'età. il primo fu adottato nella versione di Diodati e in molte altre. Benché la parola significhi ordinariamente statura, i commentatori generalmente considerano la parola cubito qui come un'espressione metaforica applicata da Gesù alla lunghezza della vita umana; prendendo anche metaforicamente la vita come

un viaggio o una corsa, poiché solo in questo senso, la sua lunghezza potrebbe essere misurata a cubiti. L'espressione «se dunque non potete pur ciò che è minimo», nel passo parallelo Luca 12:26, sembra provare che abbia qui il significato di età e non quello di statura; infatti l'aggiungere un cubito, cioè un mezzo metro alla lunghezza d'un viaggio, è veramente cosa minima, mentre che non si potrebbe dire lo stesso dell'aggiunta d'un cubito fatta alla statura d'un uomo. Se noi dunque, con tutta la fatica ed ansietà di cui siamo capaci, non possiamo prolungare di un'ora la nostra vita, quanto è cosa vana per noi il mormorare e l'affannarci come se fossimo indipendenti dalla provvidenza di Dio!

PASSI PARALLELI

Matteo 5:36; Salmo 39:6; Ecclesiaste 3:14; Luca 12:25-26; 1Corinzi 12:18

Mt 6:28

28. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna;

Il Signore, passando ora da quello che abbisogna per sostentare la vita, a ciò che si richiede per vestire ed adornare il corpo, ci somministra in questo versetto ed in quello che segue un quarto argomento contro l'eccessiva preoccupazione per le cose di questa vita, traendolo dalla squisita bellezza dei fiori dei campi. L'argomento è qui pure dal meno al più; e non si può in se non ammirare la bella simmetria e la corrispondenza fra l'illustrazione tolta qui dal regno vegetale, e quella del vers. 26 presa dal regno animale. Il corpo è più che il vestire. Guardate con quale cura Iddio veste i gigli del campo, che durano solamente un giorno e poi sono tagliati e gettati nel forno! Quanto più vestirà Egli il corpo ch'Egli vi ha dato! «i gigli della campagna» sono forse qui da riguardarsi come un termine generico, per indicare le migliaia e migliaia di fiori selvatici i quali nella primavera, coprono le lussureggianti campagne della Palestina. Fra quei fiori sono insigni l'anemone rosso, il tulipano, e soprattutto una specie di arum, o

giglio d'Etiopia, la corolla del quale sfoggia tale una bellezza, che mai fu visto in Europa un velluto cremisi che lo agguagli. Noi crediamo che il giglio a cui fa allusione il Signore, sia appunto questo fiore il quale molto abbonda in Galilea, in Fenicia, e sulle falde del Libano; però convien notare che anche missionari i quali hanno dimorato per venti anni in Palestina sono incerti relativamente al fiore di cui parla qui il Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:25,31; 10:10; Luca 3:11; 22:35-36

Luca 12:27

essi non faticano, e non filano; 29. Eppure io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.

Tanto sono essi capaci di queste faccende proprie dell'uomo, quanto gli uccelli dell'aria di seminare, ecc. La loro esistenza è effimera: essi fioriscono per un giorno o due, quindi il gambo loro si secca, appassisce ed essi vengono tagliati per riscaldare il forno; eppure Iddio li veste, e li veste più riccamente dei re dell'Oriente, il cui lusso è divenuto proverbiale, più riccamente di Salomone che soverchiava tutti i suoi contemporanei nello sfoggio e nello splendore del suo vestiario.

PASSI PARALLELI

1Re 10:5-7; 2Cronache 9:4-6,20-22; 1Timoteo 2:9-10; 1Pietro 3:2-5

Mt 6:30

30. Or se Iddio riveste in questa maniera l'erba dei campi, che oggi è, e domani è gittata nel forno, non vestirà egli molto più voi, o gente di poca fede?

I forni portatili si scaldano spesso in Oriente con ramoscelli e con erba secca. Cristo qui parla della certezza dell'esser vestiti, e non già della ricchezza del vestiario, in guisa che la promessa si adempie anche in favore di quelli che sono vestiti rozzamente. L'espressione di poca fede, che Gesù usa in varie occasioni, applicandola ai suoi discepoli, è un dolce rimprovero diretto contro quello spirito d'incredulità che si trova spesso anche nei migliori cristiani. ed un eccitamento a scacciarlo dalle loro anime.

PASSI PARALLELI

Salmo 90:5-6; 92:7; Isaia 40:6-8; Luca 12:28; Giacomo 1:10-11; 1Pietro 1:24

Matteo 8:26; 14:31; 16:8; 17:17; Marco 4:40; 9:19; Luca 9:41; Giovanni 20:27; Ebrei 3:12

Mt 6:31

31. Non state dunque con ansietà solleciti, dicendo: Che mangeremo? Che berremo? o di che ci vestiremo?

In questo e nei due seguenti versetti, noi abbiamo la SECONDA PARTE della pratica applicazioni che fa il Signore dei vers. 19-21. La regione, in brevi parole, della esortazione, è questa: i figli di Dio non debbono essere senza fede, come i miseri pagani che non conoscono Dio. Pensieri dobbiamo averne, cure prenderne, ma non dobbiamo affannarci per il nutrimento e per il vestiario che sono nelle mani di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:4; 15:33; Levitico 25:20-22; 2Cronache 25:9; Salmo 37:3; 55:22; 78:18-31; Luca 12:29

1Pietro 5:7

Mt 6:32

32. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.

L'espressione le nazioni indicava tutti i popoli non Ebrei. È naturale che i pagani, ignorando la onnipotenza ed onniscienza di Dio, e le sue cure presidenziali in favore del suo popolo, come pure la permissione ad essi data di fargli la domanda: «Dacci il nostro pane quotidiano», immaginassero che dalla previdenza loro dipendesse il provvedersi di cibo e di vesti e che in conseguenza essi dovessero sovraccaricassi di pensieri. Non conoscendo il vero carattere di Dio, non avendo una nozione della vita futura, che potesse innalzare le loro aspirazioni, non è da meravigliare che i pagani tenessero dietro alle cose presenti come al loro unico bene. Ma i figli di Dio, se così fanno, sono inescusabili. Essi conoscono Iddio come padre amoroso, che tiene presenti i bisogni materiali del suo popolo e li soddisfa più regolarmente, e con maggior affetto, di quel che non possa fare il più amoroso padre terreno; cosicché se invece di affidare se medesimi a Lui, essi divengono colpevolmente solleciti relativamente a quelle cose, si degradano in modo da eguagliarsi perfino agli ignoranti ed increduli pagani, e disonorano Dio. Il nutrimento ed il vestiario sono necessari ai figli di Dio, e «l'unigenito Figliuolo che è nel seno del Padre», ha detto con un'autorità divina: «Il vostro Padre celeste sa che voi avete bisogno di tutte queste cose». Non basterà questo a voi, poveri sì, ma credenti?

PASSI PARALLELI

Matteo 5:46-47; 20:25-26; Salmo 17:14; Luca 12:30; Efesini 4:17; 1Tessalonicesi 4:5

Matteo 6:8; Salmo 103:13; Luca 11:11-13; 12:30

Mt 6:33

33. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio; e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte.

Questo versetto contiene per tutti i credenti una preziosissima promessa. Il loro dovere è di dedicarsi al servizio di Dio, cercando innanzi tutto e soprattutto di realizzare, dentro di loro e intorno a loro, il regno di Dio, coll'uniformare la loro vita alla norma della giustizia prescritta da Dio. Mentre sono così occupati, il loro Padre, celeste, che conosce di quali beni temporali abbisognano, aggiungerà questi ai beni spirituali dei quali sono bramose le anime loro. Di questo aureo versetto va pesata ogni parola.

PASSI PARALLELI

1Re 3:11-13; 17:13; 2Cronache 1:7-12; 31:20-21; Proverbi 2:1-9; 3:9-10

Aggeo 1:2-11; 2:16-19; Luca 12:31; Giovanni 6:27

Matteo 3:2; 4:17; 13:44-46; Atti 20:25; 28:31; Romani 14:17; Colossesi 1:13-14

2Tessalonicesi 1:5; 2Pietro 1:11

Matteo 5:6; Isaia 45:24; Geremia 23:6; Luca 1:6; Romani 1:17; 3:21-22; 10:3; 1Corinzi 1:30

2Corinzi 5:21; Filippesi 3:9; 2Pietro 1:1

Matteo 19:29; Levitico 25:20-21; Salmo 34:9-10; 37:3,18-19,25; 84:11-12

Marco 10:30; Luca 18:29-30; Romani 8:31; 1Corinzi 3:22; 1Timoteo 4:8

Mt 6:34

34. Non state dunque con ansietà solleciti del domani;

Il Signore presenta qui alla nostra attenzione la TERZA PARTE della pratica applicazione dei versetti Matteo 6:19-21: «Fatevi tesori in cielo, e non siate con ansietà solleciti del domani». Quella prudente previsione per procurarci le cose necessarie alla vita, che è lecita, anzi obbligatoria per ogni creatura ragionevole, non ci appaga: purtroppo noi propendiamo a preoccuparci di malanni pericoli, difficoltà, che ci presenta la immaginazione od a consumare le forze dello spirito e del corpo in tentativi per superare le difficoltà fra le quali ci troviamo, e dalle quali il nostro ingegno non ci suggerisce scampo. Tutto questo è peccaminoso e ci danneggia; così facendo, noi disonoriamo Iddio, ed indeboliamo coi nostri dubbi e colle nostre agitazioni le forze che dobbiamo adoperare nell'adempimento dei nostri doveri di oggi.

perché il domani sarà sollecito di stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

Attribuendo a queste parole, nella presente clausola, il senso medesimo ch'esse hanno, senza dubbio, nella precedente, e nei vers. Matteo 6:26,31, l'idea è: domani porterà seco il suo carico proprio di cure e di difficoltà; lasciate adunque l'ansietà vostra intorno a queste, finché il domani venga, e non vogliate aggiungere al peso necessario dell'oggi, una preoccupazione inutile per il giorno di domani. Se voi ciò trascurate, invece di ricevere e mangiare il pane quotidiano con semplicità di cuore, invece di portare coraggiosamente, con fede di giorno in giorno rafforzata, la vostra croce giornaliera, il vostro pane vi diventerà amaro e cadrete sotto il peso della vostra croce. Al credente, per il quale la vita è un viaggio ed una guerra, nulla è più consolante di queste parole: «basta a ciascun giorno il suo affanno», se pur non bastassero quelle che ne formano il complemento «la tua forza. durerà quanto i tuoi giorni» Deuteronomio 33:25

PASSI PARALLELI

Matteo 6:11,25; Esodo 16:18-20; Lamentazioni 3:23

Deuteronomio 33:25; 1Re 17:4-6,14-16; 2Re 7:1-2; Luca 11:3; Ebrei 13:5-6

Giovanni 14:27; 16:33; Atti 14:22; 1Tessalonicesi 3:3-4

RIFLESSIONI

1. L'innocenza delle occupazioni secolari è l'argomento del quale gioiscono gli uomini, per scusare l'eccessiva attenzione ch'essi danno loro; e così accade che «la sollecitudine di questo secolo, l'inganno delle ricchezze, ed i piaceri di questa vita», silenziosamente ma sicuramente «affogano la parola: e la rendono infruttuosa» Matteo 13:22; Luca 8:14. È questo il termine tristo a cui perviene chi provasi a servire a due padroni; egli disprezza Iddio, vero proprietario e padrone delle nostre persone e dei nostri affetti, consacrandosi ad un usurpatore che lo conduce alla distruzione. Eppure coloro che abbandonano Dio, abbandonano il proprio bene! Quanto chiaramente, infatti mettendole in contrasto colla cura ch'egli si prende della creazione irragionevole ed inanimata. il Salvatore dimostra le tenere sollecitudini che Jehova si prende dei propri figli!

2. Il Signore mette a confronto quel che i pagani sono, con quello che il suo popolo dovrebbe essere. I pagani borbottano le loro preghiere, e non badano ad altro che alle cose di questo mondo. E se tale è il carattere dei pagani, quanti mai pagani vi sono nella Chiesa visibile! Quante pagane formalità nella loro divozione, e quanta mondanità viene a distruggere la spiritualità, la libertà, la gioia e la forza della loro vita cristiana! Non si dimentichi però che quello che il Signore qui condanna non è già che gli uomini attendano agli affari con tutta quella forza di pensiero che si vuole adoperare perché procedano bene; egli biasima solamente coloro che consacrano a quelli il tempo e l'attenzione che essi dovrebbero, dare esclusivamente alle cose del cielo; egli condanna quella ansietà soverchia di spirito che proviene dal diffidare di Dio, e che, senza far prosperare minimamente gli affari, corrode e consuma il cuore.

3. Un tesoro di ammaestramenti aurei è contenuto in questo passo. Facciamone uso nella vita nostra giornaliera, mettendoli in pratica Vegliamo e preghiamo contro una disposizione ansiosa soverchia. Da questo dipende la nostra felicità. Le nostre sofferenze provengono in gran parte da mali che

la immaginazione ci dipinge come pronti a piombare su noi, e che per lo più non succedono. Dove è allora la nostra fede? Dove la confidanza nelle parole del Salvatore? Leggendo questi versi e poi guardando al cuor nostro, abbiamo cagione di vergognarci. Eppure possiamo esser certi che sono vere queste parole di Davide: «Io sono stato giovane e sono anche divenuto vecchio, ma non ho veduto il giusto abbandonato, né la sua progenie accattare il pane» Salmo 37:25

Mt 7:1

CAPO 7 - ANALISI

Fine del Sermone sul Monte. Alcuni scrittori hanno tentato di concatenare fra loro i vari soggetti da Cristo trattati in questo capitolo; a nostro parere però, questa concatenazione non è naturale. Devono considerarsi come consigli supplementari importantissimi rispetto ad alcuni delicati e vitali doveri della vita cristiana, i quali non avrebbero potuto essere introdotti nei capitoli precedenti colla medesima efficacia, benché scaturiscano dai grandi principi in quelli proclamati.

1 Lo spirito di censura condannato. Gesù comincia questa parte del suo discorso, vietando solennemente quello spirito di censura che ha origine nella superbia e nell'invidia del cuore naturale e manifestasi nei maliziosi giudizi che si pronunziano contro gli altri, peccato di cui purtroppo è ripiena la Chiesa al pari del mondo. Quel divieto non bisogna restringerlo, quasi fosse diretto esclusivamente ai Farisei lì presenti, perché esso era ugualmente applicabile ai discepoli di Cristo, ed alle turbe. Due sono le considerazioni colle quali il Signore dà forza alla condanna contro lo spirito di censura, e contro i giudizi opposti alla carità. La prima è che chi giudica in tal modo, non deve aspettarsi misericordia nel giudizio che di lui faranno gli altri, poiché il censuratore viene egli stesso giudicato sempre aspramente: né possono aspettarsi misericordia da Cristo per le loro colpe, quelli che non ne mostrano alcuna verso gli altri. La seconda è, che se costoro guarderanno dentro di se, ed esamineranno il loro carattere, e le loro debolezze, essi troveranno i loro propri difetti tanto più grandi di quelli del

loro prossimo, quanto una trave è più grossa di un atomo di polvere che si aggira in un raggio di sole; e, mantenendo la metafora, il Signore termina esortando severamente l'ipocrita a trarre dall'occhio suo la trave, prima di occuparsi del bruscolo che si trova nell'occhio di suo fratello! Matteo 7:1-5.

2. Modo di trattare i nemici decisi del Vangelo. Noi non dobbiamo presentarlo a quelli dei quali siamo certi che essi lo dispregeranno. L'immagine del porco potrebbe farci supporre che questi oppositori della fede sieno ancora sensuali per indole, e non si oppongano per mera ignoranza o per avversione propria del cuore umano alle cose divine, ma per deliberato proposito, perché il Vangelo condanna le concupiscenze alle quali sono dati. Disputare con loro è un indurarli nella loro opposizione, un farli più avventati ed offensivi nei loro assalti contro la religione Matteo 7:6.

3. Come riuscire nella, preghiera e ritrarne qualche benedizione In Matteo 6:5-15, Gesù aveva diretto a lungo verso la preghiera l'attenzione dei suoi uditori; ma l'aspetto sotto il quale il soggetto è là presentato, è diverso da quello che ha qui. Là, rivela il modo nel quale noi dobbiamo compiere quel dovere, e le cose che sono accettevoli al cospetto di Dio. In questo capitolo, l'aspetto sotto cui la preghiera è presentata concerne più particolarmente noi stessi, mostrando come possiamo riuscire in questo dovere, e trarne un bene. Gesù inculca la perseveranza e la fede, come mezzi sicuri per ottenere tutte le benedizioni che domandiamo, e specialmente le grazie dello Spirito Santo. Il Signore illustra questo dovere con un paragone. I genitori terreni, generalmente, non induriscono i loro cuori verso i propri figliuoli tanto da negare alle loro domande il pane quotidiano, o da burlarsi delle loro necessità, col dar loro cosa, se non dannosa, almeno inutile. Se l'affetto istintivo della nostra natura ci rattiene, caduti come siamo, da siffatto inumano trattamento verso la nostra prole, quanto più l'amore del Padre celeste, il quale è perfetto e pieno di carità verso noi darà il suo Santo Spirito a quelli che glielo chiederanno? Matteo 7:7-11.

4. La regola d'oro. Il vers. Matteo 7:12, contiene la somma della legge e dei profeti, quanto agli scambievoli doveri degli uomini, e l'enuncia con tale brevità, autorità ed efficacia, che ben si merita il titolo di «regola d'oro» che universalmente gli è dato. In questo versetto, noi abbiamo la conclusione di

ciò che il Divino Maestro dice in questo sermone, quanto alla legge, poiché qui stabilisce praticamente la proposizione con cui esordì Matteo 5:17, essere egli cioè venuto, non per annullare la legge ed i profeti, anzi per adempierli Matteo 7:12.

5. Le due porte e le due vie. Quantunque l'osservanza di questi obblighi morali scambievoli sia importantissima, gli uomini non debbono credere che, anche adempiendoli appieno, essi acquistino meriti tali da assicurare loro la vita eterna. La pratica di questa regola d'oro è necessaria, Ma l'uomo può essere salvo unicamente appoggiandosi sopra i meriti di Cristo. Il nascere di nuovo è rappresentato come "la porta stretta", e la vita nascosta in Cristo come «l'angusta via», nella quale sola è la salvezza Giovanni 3:3,5. Tutti quelli che non hanno sperimentato il radicale cambiamento operato dallo Spirito Santo per la rigenerazione, camminano nella «via spaziosa», dalla quale gli uomini sono esortati ad allontanarsi, perché essa mena alla perdizione Matteo 7:13-14.

6. Tre esortazioni strettamente unite con quella che precede.

1. Dobbiamo guardarci dai falsi profeti e maestri, che certamente fuorvierebbero gli uomini, incoraggiandoli ad attenersi alla «via spaziosa», invece di cercare «la porta stretta», e la via della vita. E per prevenire la domanda: in qual modo riconosceremo noi quei falsi profeti? Gesù dice: Voi li riconoscerete dai frutti loro, appunto come l'albero si conosce dal frutto che produce Matteo 7:15-20.

2. Gesù ci esorta a guardarci dalle illusioni relativamente alla nostra partecipazione al regno di Dio, le quali sono prodotte da un'ipocrita, benché apparentemente fervida, professione religiosa, mentre trascuriamo di ubbidire di cuore ai comandamenti di Dio. Colui che conosce i cuori dichiara che molti ingannano per tal modo se stessi, e che al giorno del giudizio la vanità della loro professione religiosa sarà manifestata in un modo terribile Matteo 7:21-23.

3. Gesù esorta i suoi uditori a guardarsi dall'essere semplicemente ascoltatori e non facitori della legge di Dio. «L'operare,» è talmente

collegato dal nostro Maestro all'«udire», che se noi trascuriamo l'adempimento dei nostri doveri verso Dio e verso gli uomini, ci prepariamo uno spaventevole disinganno per il giorno del giudizio. Il Signore, alla fine di questo memorabile Sermone, attrae l'attenzione dei suoi uditori sul giudizio finale, paragonando il pigro uditore ad un uomo, il quale, avendo edificato sopra la rena, quando scoppia la tempesta, perde tutto; e l'uditore operoso ad un uomo, il quale edifica sopra la roccia, e la cui opera resiste alla tempesta Matteo 7:24-27.

7. Straordinario effetto prodotto da questo discorso sopra gli uditori Matteo 7:28-29

Matteo 7:1-24. DIVERSI CONSIGLI SUPPLEMENTARI

Primo Consiglio. Contro i giudizi temerari e maliziosi Matteo 7:1-5

1. Non giudicate, acciocché non siate giudicati.

La prima clausola di questo versetto contiene una proibizione e la seconda il motivo di essa. Gesù Cristo proibisce qui i giudizi temerari ed ingiusti. Non si tratta in questo versetto del concetto inevitabile che ognuno forma in se stesso relativamente al suo prossimo, né dei giudizi pronunziati dai tribunali; ma dei giudizi temerari, leggeri e maliziosi, i quali costituiscono una violazione della legge d'amore. «Gesù vuol bandir dalla società dei suoi discepoli lo spirito di giudizio, la tendenza a porre la nostra facoltà di apprezzamento morale al servizio della malignità naturale» Godet. Il motivo della proibizione, contenuto nella seconda clausola, conferma la nostra interpretazione: «acciocché non siate giudicati», cioè affinché una sentenza severa quanto quella che pronunziate contro gli altri, non venga pronunziata sul vostro proprio carattere, e sulle vostre azioni. I Farisei erano notoriamente inclinati a questo vizio, che è tanto naturale all'uomo caduto. «Questo vizio», dice Stier, «consiste nell'applicare la regola del diritto che l'uomo conosce naturalmente, a quel che è fuori, piuttosto che a quel che è

dentro di lui; nel cercare e condannare i peccati del vicino, invece di meditare sul propri».

PASSI PARALLELI

Isaia 66:5; Ezechiele 16:52-56; Luca 6:37; Romani 2:1-2; 14:3-4,10-13; 1Corinzi 4:3-5

Giacomo 3:1; 4:11-12

Mt 7:2

2. Perché, col giudizio col quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura onde misurate, sarà misurato a voi.

Questa massima proverbiale è ripetuta dal nostro Signore in altri passi, ed in altre circostanze Marco 4:24; Luca 6:38. Ma quale è quel secondo giudizio che dobbiamo temere? È egli dell'uomo, o di Dio? Se dell'uomo, è una massima prudenziale la quale ci avverte che noi ci dobbiamo aspettare, da parte degli altri, un trattamento simile a quello che noi abbiamo inflitto al prossimo; e certamente questo senso non è da escludere; ma il nostro Signore accenna principalmente al giudizio che Dio pronunzia ogni giorno sulla nostra condotta, e specialmente a quello ch'egli pronunzierà «nel gran giorno». Egli ci dice che questo sarà fatto con severità simile a quella che noi avremo usata verso gli altri. Il Signore non c'insegna che se non condanniamo gli altri, noi non saremo condannati da Dio; ma egli ci dichiara semplicemente, che Dio giudicherà più severamente quelli che avranno giudicato con poca carità il prossimo. Spesso succede che siffatti severi giudizi sono puniti in questo mondo stesso. Infatti ogni uomo aborre dalla condotta di coloro che sistematicamente pronunziano aspri giudizi sugli altri, perché prevede che egli medesimo ne sarà vittima alla sua volta; e si sente spinto, per difendersi, a volgere le sue proprie critiche sopra l'assalitore.

PASSI PARALLELI

Giudici 1:7; Salmo 18:25-26; 137:7-8; Geremia 51:24; Abdia 15; Marco 4:24; Luca 6:38

2Corinzi 9:6; 2Tessalonicesi 1:6-7; Giacomo 2:13; Apocalisse 18:6

Mt 7:3

3. E perché guardi tu il bruscolo ch'è nell'occhio del tuo fratello, mentre non iscorgi la trave ch'è nell'occhio tuo?

Il cambiamento dei verbi denota la tendenza del censore a fissar lo sguardo sopra i difetti anche minimi del fratello, e a non por mente, a non badare affatto ai propri anche quando sono grandi. Se devi essere giudicato colla medesima regola, e misurato colla stessa misura, perché critichi tu con tanta severità gli altri, quando i tuoi propri difetti non solamente sono eguali ai loro, ma di gran lunga maggiori?

PASSI PARALLELI

Luca 6:41-42; 18:11

2Samuele 12:5-6; 2Cronache 28:9-10; Salmo 50:16-21; Giovanni 8:7-9; Galati 6:1

Mt 7:4

4. Ovvero, come potrai tu dire al tuo fratello: Lascia che io ti tragga dall'occhio il bruscolo, mentre ecco, la trave è nell'occhio tuo?

fuscello, bruscolo, significa letteralmente una piccola cosa secca, come una particella di loppa, o una pagliuzza, una scheggia sottile, ecc. Ordinariamente però, significa la barba d'una spiga di frumento o d'orzo, ed

è qui posta in contrasto con una trave. Il fuscello è qui l'emblema delle piccole colpe, e la trave delle grandi. Secondo alcuni, il paragone qui implica che sarebbe assurdo per un uomo cattivo l'erigersi a correttore d'altri, come sarebbe per uno che fosse quasi cieco il pretendere di fare un'operazione sopra gli occhi altrui. Certo! Ma il paragone ha un senso anche più esteso, e il versetto condanna lo spirito burbero e censorio, prediletto da molti moralisti, e perfino da molti che professano di esser figliuoli del regno.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:4

Mt 7:5

5. Ipocrita, trai prima dall'occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per trarre il bruscolo dall'occhio di tuo fratello.

«Ipocrita» ha qui il suo vero senso di uno che fa una parte, e rappresenta un carattere che non è suo proprio, cioè quello di un rigido censore che ha l'autorità morale di riprendere gli altri, mentre nel fatto egli non scorge e quindi tollera in se stesso un male maggiore di quello ch'egli spietatamente condanna negli altri. La frequenza con cui questa parola è applicata agli increduli Giudei in questo Vangelo quindici volte, rafforza l'ipotesi che questo passo si riferisca immediatamente ai Farisei allora presenti, i quali erano forse animati dallo spirito qui condannato. Ciononostante si può attribuire, a questo versetto un senso più, esteso, applicandolo a chiunque giudica severamente altrui e giustifica se stesso. Colui solo è in grado di riprendere altrui, che zelantemente e severamente giudica se stesso. Un tale non solo andrà a rilento nell'assumere l'uffizio di censore verso il prossimo, ma, se costretto in coscienza ad assumerlo, mostrerà ad evidenza che lo fa con ripugnanza, e non con soddisfazione; con moderazione e noli con esagerazione; con amore, e non con asprezza.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:18; 23:14-28; Luca 12:56; 13:15

Salmo 51:9-13; Luca 4:23; 6:42; Atti 19:15

Mt 7:6

Secondo Consiglio. Non esporre le cose sacre al disprezzo

6. Non date ciò ch'è santo a' cani, e non gittate le vostre perle dinanzi a' porci;

Questo versetto chiaramente dimostra che il Signore non proibisce ogni specie di giudizio sui nostri simili, ma solo il giudicare avventato ed acerbo, perché il precetto ch'esso contiene, implica non solamente un processo istruito, ma un giudizio deciso. Gesù c'insegna che non dobbiamo essere troppo severi né troppo indulgenti nel giudicare. «Ciò che è santo» si crede da molti che significhi la carne dei sacrifici offerti a Dio, e che, per riverenza, i sacerdoti non davano ai cani; ma il senso qui è più generale «Ciò che è santo» in un a clausola, e «le vostre perle», nell'altra, sembrano indicare la medesima cosa, sotto i due aspetti di santità, e di preziosità, cioè le grandi verità di nostra santa religione. Il cane ed il porco sono animali tenuti in gran dispregio nell'Oriente, oggidì, come erano anticamente presso i Giudei. Né l'una né l'altra specie è addomesticata. Essi vanno a branchi per le strade, si nutriscono d'ogni specie di immondizie, e sono odiosi a vedere, e pericolosi per la loro ferocia. Cani e porci significano qui i profani ed i sensuali. Essi possono l'uno all'altro congiungersi per formare il tipo di tutto ciò ch'è degno di aborrimento nella natura umana; o se li consideri anche separatamente, il cane rappresenta la classe dei violenti e selvaggi avversari del Vangelo, e il porco, quella degli impuri e dei depravati. Secondo noi, il primo senso è da preferirsi Vedi Filippesi 3:2; Apocalisse 22:15

che talora non le pestino co' piedi; e, rivolti contro a voi, non vi sbranino.

La Parola di Dio ci rammenta che «ogni azione sotto il cielo ha il suo tempo; vi è tempo di tacere, e tempo di parlare» Ecclesiaste 3:1,7. Quando i Cristiani si trovano in compagnia di uomini che non solamente sono indifferenti alla religione, ma sono conosciuti come gente pronta ad afferrare ogni occasione per, oppugnare la fede; o colla mente così travolta che ogni sforzo per convincerli della verità, altro non farebbe che esasperarli e indurarli di più, allora «è tempo di tacere» è tempo di rammentare il precetto di questo versetto. Ma mentre quelli che sono animati da uno zelo senza discernimento abbiano di esser così avvertiti, guardiamoci bene dall'esser troppo pronti a considerare i nostri prossimi come "cani e porci", e dall'addurre quella misera scusa per dispensarci dal far del bene alle loro anime. Quel sentimento misto di pietà e di dolore, il quale, in talune circostanze riempie il cuore dell'uomo pio e l'impedisce di parlare, viene mirabilmente descritto da Davide nel Salmo 34:1-2

PASSI PARALLELI

Matteo 10:14-15; 15:26; Proverbi 9:7-8; 23:9; 26:11; Atti 13:45-47; Filippesi 3:2

Ebrei 6:6; 10:29; 2Pietro 2:22

Proverbi 11:22

Matteo 22:5-6; 24:10; 2Corinzi 11:26; 2Timoteo 4:14-15

Mt 7:7

Terzo Consiglio. La preghiera Matteo 7:7-11

7. Chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; picchiate, e vi sarà aperto.

Avete bisogno dell'aiuto divino per esser preservati dal giudicare troppo severamente il prossimo, e per discernere chi siano quelli dinanzi ai quali dovete tacere: chiedetele con fede e con perseveranza e vi sarà concesso. La preghiera è ad un tempo l'omaggio della creatura verso la maestà di Dio, suo Creatore, Conservatore e Redentore: e l'espressione della sua dipendenza da lui. Della preghiera, sotto il secondo aspetto, cioè come espressione dei bisogni, della debolezza, e della dipendenza dell'uomo da Dio, e come mezzo di procacciare all'uomo ciò che gli occorre, non è trattato nel cap. 6. E poiché è piuttosto questo l'aspetto sotto il quale chi ha bisogno di aiuto la considera, il Signore ritorna sull'argomento, ingiungendo fervore, fede, e filiale fiducia al cristiano che prega, come sicuri mezzi di ottenere una favorevole risposta.

Vi sono qui tre ordini accompagnati da altrettante promesse che seguono una gradazione ascendente, per incoraggiarci alla preghiera; sebbene ciascuno di questi ordini presenti la preghiera sotto un aspetto differente. Noi chiediamo ciò che desideriamo. cerchiamo ciò di cui abbiamo bisogno, picchiamo per ottenere che sia aperta la porta. Cristo non dice in questo passo a chi dobbiamo rivolgere le nostre preghiere, né quali sono le cose che, dobbiamo chiedere, perché i suoi uditori sapevano che non è lecito di pregare le creature, ma soltanto il Padre, che è nel cieli Matteo 6:8-9, chiedendogli il perdono dei peccati, e i doni dello Spirito Santo. Sia che Dio non risponda subito alle nostre preghiere, sia che, egli ci esaudisca, almeno in parte, lungi dallo stancarci nell'orazione, dobbiamo raddoppiare di zelo, o per ottenere quanto ci venne da prima rifiutata o per ricevere, grazie novelle. Voi avete domandato e non avete ricevuto? cercate: avete cercato e non avete trovato? picchiate. Così facendo, è impossibile che, il Padre della famiglia alla fine, non vi apra.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:11; 21:22; 1Re 3:5; Salmo 10:17; 50:15; 86:5; 145:18-19; Isaia 55:6-7

Geremia 29:12-13; 33:3; Marco 11:24; Luca 11:9-10,13; 18:1; Giovanni 4:10

Giovanni 14:13-14; 15:7,16; 16:23-24; Giacomo 1:5-6; 5:15; 1Giovanni 3:22; 5:14-15

Apocalisse 3:17-18

Matteo 6:33; Salmo 10:4; 27:8; 69:32; 70:4; 105:3-4; 119:12; Proverbi 8:17; Cantici 3:2

Amos 5:4; Romani 2:7; 3:11; Ebrei 11:6

Luca 13:25

Mt 7:8

8. Perché, chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi picchia.

Questa è una gloriosa ed estesa promessa quantunque non sia assolutamente senza limitazione. Se noi chiediamo cose contrarie alla volontà di Dio, è, certo che non le riceveremo Giacomo 4:3. Se noi chiediamo senza fede nella buona volontà e potenza di Dio a, soddisfare alle nostre domande, non dobbiamo aspettare una risposta, perché chi vuole essere esaudito deve aver fede Giacomo 1:6. La parola chiunque, ha per scopo di combattere l'incredulità con cui gli uomini escludono se stessi e le loro preghiere dal benefizio della promessa. Anche l'esperienza umana offre un incoraggiamento alla preghiera.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:22-28; 2Cronache 33:1-2,19; Salmo 81:10,16; Giovanni 2:2; 3:810

Luca 23:42-43; Atti 9:11

Mt 7:9

9. E qual è l'uomo fra voi, il quale, se il figliuolo gli chiede un pane, gli dia una pietra? 10. Ovvero, se gli chiede un pesce, gli dia un serpente?

I credenti, uniti a Gesù Cristo che è il loro capo e il loro fratello maggiore, sono figli di Dio per l'adozione di grazia; e la ragione per cui le loro preghiere sono, o saranno infallibilmente esaudite, è, che l'amore del Padre appartiene loro per sempre ed è il pegno dell'esaudimento delle domande che essi gli porgono nel nome di Gesù. «Qual è l'uomo fra voi, ecc.?». È impossibile che vi sia un miserabile così privo d'ogni sentimento di affezione, da schernire i suoi figliuoli affamati col porgere loro una pietra invece di pane, o un serpente invece di un pesce; e, se così è tra voi, guanto meno Iddio, da cui viene ogni dono buono e perfetto Giacomo 1:17 deluderà egli l'aspettazione dei suoi figli redenti, e se re prenderà giuoco, ricusando loro il bene che essi chiedono? Il pane e il pesce, cibo ordinario dei pescatori di Galilea, rappresentano qui le cose indispensabili alla vita dell'uomo.

PASSI PARALLELI

Luca 11:11-13

Matteo 7:10

Mt 7:11

11. Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dar buoni doni a' vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro ch'è ne' cieli, darà egli cose buone a coloro che gliele domandano.

Iddio non è qui presentato come il Padre di tutto il genere umano, ma come Padre dei fedeli. Si osservi però che Cristo considera i figli di Dio stessi come «malvagi». Non c'è qui un rimprovero: ma una generale dichiarazione dell'infermità e corruzione dell'uomo. Queste parole sono opposte al morboso sentimentalismo che ci induce a credere che l'uomo sia naturalmente buono: anzi queste parole ci sembrano essere il più rigoroso dictum probans di tutta la Scrittura quanto al peccato originale: e al tempo stesso una delle più forti testimonianze della sovrumana dignità del nostro Signore, il quale, eccettuando se stesso, può dire a tutto il genere umano: «Voi che siete malvagi!». Ma per quanto cattivi sieno gli uomini per natura, l'affezione dei genitori per i loro figli è inestinguibile, e li spinge a dar loro le cose buone ch'essi chiedono. Quanto più dunque, domanda il Salvatore, Colui che è scevro d'ogni male ed è amore assoluto ed eterno, darà cose buone a quelli che lo richiederanno? Nel passo parallelo in Luca 11:13, invece di «cose buone» leggiamo «lo Spirito Santo», che è il bene che contiene tutti gli altri.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:5; 8:21; Giobbe 15:16; Geremia 17:9; Romani 3:9,19; Galati 3:22; Efesini 2:1-3

Tito 3:3

Esodo 34:6-7; 2Samuele 7:19; Salmo 86:5,15; 103:11-13; Isaia 49:15; 55:89

Osea 11:8-9; Michea 7:18; Malachia 1:6; Luca 11:11-13; Giovanni 3:16; Romani 5:8-10; 8:32

Efesini 2:4-5; 1Giovanni 3:1; 4:10

Salmo 84:11; 85:12; Geremia 33:14; Osea 14:2

Luca 2:10-11; 11:13; 2Corinzi 9:8-15; Tito 3:4-7

Mt 7:12

Quarto Consiglio. La Regola d'oro

12. Tutte le cose dunque, che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge ed i profeti.

L'assicurazione dataci nei versetti precedenti che il Signore, rispondendo alle nostre preghiere, ci tratterà con amore, e ci darà cose buone, ci sembra suggerire naturalmente la maniera nella quale, dobbiamo trattarci gli uni gli altri. Dio dà quel che nella sua infinita sapienza egli sa essere assolutamente migliore per noi. Noi non possiamo pretendere una tale onniscienza: perciò Cristo ci prescrive come regola da seguirsi nelle nostre relazioni coi nostri simili, che noi trattiamo gli altri, come vorremmo essere trattati noi stessi. Il senso comune ci dirigerà nell'applicazione di questa massima. Evidentemente non possiamo esigere dal nostro prossimo ch'egli soddisfi tutti i nostri capricci, e non ci corre l'obbligo di soddisfare i suoi; ma dobbiamo fare gli uni per gli altri ciò che è, ragionevole. Questa è la regola d'oro del Salvatore; e ben a ragione essa merita tal nome, poiché riassume tutto ciò che la legge ed i profeti hanno rivelato ed inculcato intorno ai doveri dell'uomo verso il suo prossimo, e, sebbene massime simili a questa si trovino negli scritti dei Talmudisti, gli uomini non la misero mai in pratica finché il Signore non scese ad insegnarla. Ahimè, quanto essa è tuttora poco osservata! La pace, la felicità e l'amore regnerebbero nel mondo, se questa regola fosse praticata fra gli uomini, nel suo vero spirito. Siccome ogni uomo sa come egli vorrebbe essere trattato dagli altri, egli ha in se stesso la regola che deve dirigerlo nell'applicazione di questa legge, di modo che se egli la trasgredisce o la trascura, è senza scusa.

PASSI PARALLELI

Luca 6:31

Matteo 22:39-40; Levitico 19:18; Isaia 1:17-18; Geremia 7:5-6; Ezechiele 18:7-8,21

Amos 5:14-15; Michea 6:8; Zaccaria 7:7-10; 8:16-17; Malachia 3:5; Marco 12:29-34

Romani 13:8-10; Galati 5:13-14; 1Timoteo 1:5; Giacomo 2:10-13

RIFLESSIONI

1. Il Signore non intende dire che sia ingiusto, in certe circostanze, il formarsi un giudizio sfavorevole sulla condotta, e sulle opinioni degli altri. Noi dobbiamo avere opinioni decise; dobbiamo "provare ogni cosa", 1Tessalonicesi 5:21; dobbiamo «provare gli spiriti» 1Giovanni 4:1. Gesù non asserisce che sia cosa ingiusta il riprovare il peccato degli altri fin che non siamo perfetti e senza macchia noi medesimi. Una tale interpretazione sarebbe in contradizione con altri passi della Scrittura; renderebbe impossibile il condannare l'errore e la falsa dottrina; distoglierebbe chiunque dall'assumere l'uffizio di ministro del Vangelo, o di giudice; l'eresia fiorirebbe, ed il mal oprare abbonderebbe. Ciò che nostro Signore intende di condannare è uno spirito troppo disposto a supporre il male. È doloroso il pensare fino a qual punto, nonostante le ingiunzioni e gli avvertimenti di Cristo, prevalga lo spirito di censura, non solamente fra la massa dei cristiani di nome, ma eziandio fra i veri figliuoli di Dio. Considerino che al gran giorno non vorrebbero essere misurati colla severità colla quale misurano ora gli altri.

2. Lo zelo cristiano dev'essere temperato dalla discrezione. L'amore per le anime degli uomini non può obbligare un cristiano ad insistere sulla verità divina davanti a quelli che non vogliono ascoltarla, che la odiano, e si sentono maggiormente eccitati a disprezzarla dagli sforzi stessi di quelli che vogliono convincerli Vedi Proverbi 9:7-8; 14:7; 23:9. Eppure, quanto è piccolo il numero di quelli che sono talmente opposti al Vangelo che l'amore fraterno li trovi inaccessibili, e non possa soggiogarli colla sua costanza!

3. Il linguaggio che il Signore adopera in questi versetti è una chiara prova dell'importanza ch'egli attribuisce alla preghiera. Egli adopera le tre parole chiedete, cercate, picchiate, per definirla, e dà la più ampia promessa a

coloro che pregano: «chiunque chiede riceve». Dobbiamo prendere nota, speciale di queste parole di Cristo circa la preghiera. Pochi dei suoi detti forse sono conosciuti e ripetuti quanto questo. Ma a che serve conoscerlo se non lo mettiamo in pratica? Chi conosce la verità e non la mette in pratica sarà più severamente condannato al giorno del giudizio.

4. La regola d'oro di Matteo 7:12 non dica come spesso le si fa dire «Non fate agli altri...». Essa è positiva e dice «Fate agli altri...». Non proibisce soltanto la malizia, la vendetta, la truffa e l'inganno: essa fa molto di più. Essa decide cento difficili questioni le quali, in un mondo come il nostro, sorgono continuamente fra uomo ed uomo. Essa ci fornisce un criterio sicuro col quale ognuno può riconoscere subito qual sia il suo dovere. V'ha egli qualcosa che noi non vorremmo che il nostro prossimo ci facesse? Allora dobbiamo ricordarci che questa è una cosa che non dobbiamo fare a lui. V'ha egli qualcosa che noi vorremmo che egli ci facesse? Allora questa è la cosa che noi dobbiamo fare a lui. Quante intricate, questioni si deciderebbero sull'istante, se questa regola fosse onestamente osservata!

Mt 7:13

Quinto Consiglio. Non, seguire le moltitudini

13. Entrate per la porta stretta; poiché larga è la porta, e spaziosa la via, che mena alla perdizione; e molti sono coloro ch'entran per essa. 14. Stretta invece è la porta, ed angusta la via che mena alla vita! e pochi sono quelli che la trovano.

Gesù è venuto esponendo le condizioni per appartenere al Regno; ora esorta gli uditori ad entrare risolutamente in esso. «Il regno messianico è raffigurato come un palazzo nel quale non si entra da una porta ampia e magnifica, ma da una porticina stretta, appena visibile» Godet. Per entrare conviene farsi piccoli ed umili, spogliarsi d'ogni preteso merito, pentirsi, convertirsi, accettar con fede il Messia fattosi servo ed ubbidiente fino alla morte della croce. È questa la «porta stretta». In connessione con la porta

stretta Gesù menziona «la via angusta», per la quale dobbiamo intendere una vita di santità; il «camminare per fede e non per aspetto» 2Corinzi 5:7. In altre parole, «la porta stretta» indica la conversione, e «la via angusta,» la santificazione.

In opposizione alla porta stretta ed alla via angusta, il Signore parla della «porta larga» e della «via spaziosa», per le quali noi dobbiamo intendere la religione del mondo, senza pentimento senza conversione, né rinunzie; religione di forme e di riti, larga, facile, indulgente, compatibile coll'egoismo, coll'amore del mondo, e col peccato. Questa via è frequentata dalle moltitudini. I discepoli devono preferire la porta stretta, perché, mentre la via larga, comoda, piacevole e frequentata, conduce coloro che la seguono alla morte eterna, la via stretta conduce sicuramente alla vita eterna.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2,8; 18:2-3; 23:13; Proverbi 9:6; Isaia 55:7; Ezechiele 18:27-32; Luca 9:33; 13:24

Luca 13:25; 14:33; Giovanni 10:9; 14:6; Atti 2:38-40; 3:19; 2Corinzi 6:17; Galati 5:24

Genesi 6:5,12; Salmo 14:2-3; Isaia 1:9; Romani 3:9-19; 2Corinzi 4:4; Efesini 2:2-3

1Giovanni 5:19; Apocalisse 12:9; 13:8; 20:3

Matteo 25:41,46; Proverbi 7:27; 16:25; Romani 9:22; Filippesi 3:19; 2Tessalonicesi 1:8-9

1Pietro 4:17-18; Apocalisse 20:15

Mt 7:15

Sesto Consiglio. Stare in guardia contro i falsi conduttori Matteo 7:15-25

15. Guardatevi da' falsi profeti.

Sopra un soggetto così vitale come quello della salvazione, Gesù doveva premunire i suoi uditori contro false direzioni e false guide, e conseguentemente egli aggiunge subito un avvertimento a tale uopo. Egli allude probabilmente in primo luogo agli Scribi ed ai Farisei che «sedevano nella cattedra di Mosè» Matteo 23:2, e godevano della fiducia del popolo; ma il suo principale oggetto certamente era di far noto ai suoi uditori che i predicatori di «cose piacevoli» Isaia 30:10, i veri successori dei falsi profeti dell'antichità, sarebbero numerosi anche nel suo regno. Siccome la funzione degli antichi profeti consisteva non solo nell'annunziare gli avvenimenti futuri, ma pure nell'insegnare il popolo nel nome del Signore, e siccome l'ufficio di profeta esisteva ancora nella Chiesa primitiva Romani 12:6; 1Corinzi 12:9; 14:3; Efesini 4:11, il nome di «falsi profeti» conviene perfettamente a quelli ai quali nostro Signore l'applica in questo passo,

i quali vengono a voi in vesti da pecore;

Le, vesti degli antichi profeti erano fatte di pelli di pecore, o di per il di cammello Matteo 3:4; 2Re 1:8, e senza dubbio i falsi profeti si vestivano nella medesima guisa per imitarli. Zaccaria 13:4, dice che questi si mettevano «il mantello di pelo per mentire». L'idea è: essi vengono a voi coll'apparenza della dolcezza e della sincerità, e pretendono d'insegnare dottrine di Cristo,

ma dentro sono lupi rapaci.

Qui il Signore mette in opposizione i sentimenti dei loro cuori colla loro apparenza. Essi sono realmente l'opposto di quel che sembrano essere, rapaci, perfidi, ingannatori, ed intenti a divorare il gregge per i loro propri fini. Come i lupi sbranano e divorano il gregge» e, così questi sono i più crudeli nemici dei cristiani, e li rovinerebbero, se loro fosse possibile. Noi dobbiamo stare in guardia contro quelli che insegnano la falsità e l'errore. È una falsa carità l'essere indifferenti in una materia così vitale.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:17; 16:6,11; Marco 12:38; Luca 12:15; Atti 13:40; Filippesi 3:2; Colossesi 2:8

2Pietro 3:17

Matteo 24:4-5,11,24-25; Deuteronomio 13:1-3; Isaia 9:15-16; Geremia 14:14-16; 23:13-16

Geremia 28:15-17; 29:21,32; Ezechiele 13:16,22; Michea 3:5-7,11; Marco 13:22-23

2Pietro 2:1-3; 1Giovanni 4:1; Apocalisse 19:20

Zaccaria 13:4; Marco 12:38-40; Romani 16:17-18; 2Corinzi 11:13-15; Galati 2:4; Efesini 4:14

Efesini 5:6; Colossesi 2:8; 1Timoteo 4:1-3; 2Timoteo 3:5-9,13; 4:3; 2Pietro 2:1-3,18-19

Giuda 4; Apocalisse 13:11-17

Isaia 56:10-11; Ezechiele 22:25; Michea 3:5; Sofonia 3:3-4; Atti 20:29-31; Apocalisse 17:6

Mt 7:16

16. Voi li riconoscerete dai loro frutti;

In questo e nei susseguenti versetti, Gesù previene una domanda che poteva nascere nei cuori dei suoi uditori» Come potremo noi distinguere i veri profeti dai falsi» indicando la pietra di paragone, colla quale essi dovevano provarli. V'ha qui un subitaneo cambiamento di figura, dai lupi rapaci e dalle inermi pecore, al mondo vegetale co' suoi alberi fruttiferi, e le sue

piante inutili; e come noi stimiamo il valore o la inutilità delle piante dai frutti che esse producono, così Gesù dice ai suoi uditori, i quali hanno da fare con coloro che professano di essere maestri nella sua Chiesa: «li riconoscerete dai frutti loro». I frutti consistono nella condotta, e nel modo di vivere degli uomini, e non nelle loro dottrine, come pretendono molti interpreti antichi, ed alcuni moderni. Queste corrispondono all'albero stesso, mentre che i loro effetti pratici corrispondono al frutto dell'albero. Quanto differente è l'insegnamento di Gesù su questo punto da quello della Chiesa romana, che inculca una cieca ubbidienza al prete, in virtù del suo ufficio, senza alcun riguardo al carattere dell'uomo! Il diritto del popolo cristiano di giudicare il carattere di coloro che professano di essere maestri nella Chiesa di Cristo è qui non solamente concesso, ma stabilito dal Capo stesso della Chiesa: ed è confermato da Giovanni in queste parole: «Diletti, non crediate ad ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere, se sono da Dio» ecc. 1Giovanni 4:1. Ad illustrare il suo dire, Gesù fa appello alla loro propria esperienza:

colgonsi forse delle uve dalle spine, o dei fichi dai triboli?

Non è il frutto che queste piante portano, vile come esse? In simile maniera, la condotta degli insegnanti proverà abbondantemente la natura della loro fede. Nel greco le parole «spine» e «triboli» sono, la prima generica, e l'altra specifica. L'una rappresenta tutta la classe delle piante spinose, e l'altra una varietà appartenente alla famiglia e così chiamata, perché essa porta una spina triforcuta. Le spine ed i triboli sono posti insieme qui, come esempi familiari di piante che non portano frutti utili agli uomini, mentre le uve ed i fichi sono nel numero dei frutti i più utili ed i più pregevoli.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:20; 12:33; 2Pietro 2:10-18; Giuda 10-19

Luca 6:43-45; Giacomo 3:12

Mt 7:17

17. Così, ogni albero buono fa buoni frutti: ma l'albero cattivo fa frutti cattivi. 18. Un albero buono non può far frutti cattivi, e un albero cattivo far frutti buoni.

La parola mai congiunge il contenuto di questi versetti colla prima parte del vers. 16 «Voi li conoscerete dai frutti loro». La legge immutabile del mondo naturale è espressa in questi versetti sotto forme differenti; nel primo, affermativamente; nell'ultimo, negativamente, e la stessa legge governa pure il mondo morale, poiché Cristo dice: «L'uomo buono dal buon tesoro del cuore trae fuori cose buone; e l'uomo malvagio, dal suo malvagio tesoro trae fuori cose malvagie» Matteo 12:35. Per quanto chiara sia la verità espressa in queste ultime parole, che cioè le disposizioni del cuore determinano le azioni della vita, niuno che sappia come la Chiesa di Roma fa un merito delle azioni, senza punto tenere conto dei motivi che le hanno suggerite, e come la stessa tendenza si manifesta di quando in quando fra i cristiani evangelici, potrà crederla tanto chiara, che non ci sia bisogno d'insistervi. I Manichei citavano questi due versetti come argomento per difendere la loro eresia delle due nature nell'uomo, una buona, e l'altra cattiva; ma Agostino rispondeva loro che tale non può essere il senso vero, poiché esso sarebbe contrario allo scopo di tutto il passo. D'altronde, questi versetti furono l'arma ch'egli adoperò contro l'eresia dei Pelagiani, i quali giudicavano le azioni umane senza tenere conto dei sentimenti che le producono, e sostenevano che la volontà umana, anche senza l'aiuto divino, è capace di bene.

PASSI PARALLELI

Salmo 1:3; 92:13-14; Isaia 5:3-5; 61:3; Geremia 11:19; 17:8; Luca 13:6-9

Galati 5:22-24; Efesini 5:9; Filippesi 1:11; Colossesi 1:10; Giacomo 3:1718

Matteo 12:33-35; Giuda 12

Galati 5:17; 1Giovanni 3:9-10

Mt 7:19

19. Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gittato nel fuoco.

Nei versetti precedenti, si trattava di conoscer l'albero dai suoi frutti, mentre in questo si fa un passo di più, e si tratta della pratica conseguenza di questa conoscenza, cioè dell'uso che noi facciamo dell'albero il quale non porta buoni frutti. Esso «è tagliato, e gittato nel fuoco». Questo versetto è una digressione intesa e far presentire la sorte che finalmente toccherà ai falsi dottori.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:10; 21:19-20; Isaia 5:5-7; 27:11; Ezechiele 15:2-7; Luca 3:9; 13:69

Giovanni 15:2-6; Ebrei 6:8; Giuda 12

Mt 7:20

20. Voi li riconoscerete dunque da' loro frutti.

«Ma», direbbe nostro Signore, «il punto su cui insisto non è tanto la sorte finale di questi falsi dottori, quanto il mezzo per svelarli, e questo mezzo, come fu già detta è il loro frutto». In tutto questo passo noi abbiamo veduto nel «frutto» la condotta, e le disposizioni dei dottori stessi; conviene però rammentare che alcuni spiegano «i frutti» come gli effetti morali prodotti da quei falsi dottori, sia sulle creanze, sia sulla vita dei loro discepoli. Voi vi accorgerete che essi sono malvagi, perché fanno malvagi voi e gli altri. A questa interpretazione, non c'è niente da opporre, ma la prima ci sembra da preferire.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:16; Atti 5:38

Mt 7:21

Settimo Consiglio. Non ingannare se stesso Matteo 7:21-23

21. Non chiunque mi dice: Signore, Signore,

Il vero ed il falso dottore si riconoscono dai loro frutti e, in modo più generale, anche il vero credente si riconosce, non già dalle sue parole, ma dalle suo opere. Ciò che distingue principalmente l'ipocrita è, una falsa ed altisonante professione di pietà che non ha nessun valore davanti a Dio, quantunque essa gli procacci riputazione fra gli uomini. Ciò che caratterizza il vero credente si è ch'egli «fa la volontà di Dio». Quel ch'egli professa colle labbra si sforza di porlo in atto nella sua vita. Questo versetto non c'insegna certamente che non sia necessaria la manifestazione della nostra fede di faccia al mondo, purché facciamo segretamente la, volontà di Dio, ma che il nostro dovere è di manifestare la nostra fede, tanto colle nostre azioni quanto colle nostre parole. Le parole «non chiunque» indicano chiaramente che tutti quelli che professano il Cristianesimo debbono onorare Cristo chiamandolo «Signore, Signore». I moderni razionalisti pervertono grossolanamente le parole di nostro Signore, quand'insegnano ch'egli non pose nessuna importanza nell'esser chiamato Signore, oppure nell'onore fatto al suo nome, purché fosse assicurata la esecuzione della volontà di Dio. In tempi di persecuzione, «lo spavento dell'uomo» conduce molti a praticare questa falsa massima, rinnegando Cristo colle labbra dinanzi agli uomini; mentre acquetano la loro coscienza, persuadendosi che in tutte le cose che non esigono una tale confessione, essi camminano nel timore di Dio! Questo avvertimento conviene a molti ai nostri giorni.

entrerà nel regno dei cieli;

Il Regno dei cieli significa, in questo versetto, la gloria celeste Confr. Matteo 18:8; 25:21; Atti 14:22; Ebrei 4:9-12

ma chi fa la volontà del Padre mio, ch'è ne, cieli.

Cioè quella che è l'oggetto di tutto questo discorso. Gesù non dice il vostro Padre, ma il mio Padre reclamando così col Padre un vincolo al quale non potevano pretendere i suoi discepoli, e ch'egli non perde mai di vista.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:11-12; Osea 8:2-3; Luca 6:46; 13:25; Atti 19:13-20; Romani 2:13; Tito 1:16

Giacomo 1:22; 2:20-26

Matteo 18:3; 19:24; 21:31; 25:11-12,21; Isaia 48:1-2; Marco 9:47; 10:23-24

Luca 18:25; Giovanni 3:5; Atti 14:22; Ebrei 4:6

Matteo 12:50; 21:29-31; Marco 3:35; Luca 11:28; Giovanni 6:40; 7:17; Romani 12:2; Efesini 6:6

Colossesi 4:12; 1Tessalonicesi 4:3; 5:18; Ebrei 13:21; 1Pietro 2:15; 4:2; 1Giovanni 3:21-24

Apocalisse 22:14

Matteo 10:32-33; 16:17 ;18:10,19,35; 26:39,42; Giovanni 5:17; 10:29-30; 14:7

Giovanni 15:23; Apocalisse 2:27; 3:5

Mt 7:22

22. Molti mi diranno in quel giorno:

Cioè nel giorno in cui «i morti grandi e piccoli staranno ritti davanti al trono di Dio» Apocalisse 20:12. Vedi un simile modo di parlare in 2Timoteo

1:12,18;4:8. Senza appropriarsi espressamente il titolo di Giudice universale, Cristo indica assai chiaramente che questo ufficio gli appartiene, manifestandoci egli il linguaggio che terrà agli uomini, e questi a lui, quando egli giudicherà.

Signore, Signore,

Questa ripetizione non è solamente un rinnovamento della professione di fede che essi facevano sulla terra Matteo 7:22, ma una espressione di maraviglia estrema, e nel medesimo tempo di supplicazione, poiché essi vedono, tutto ad un tratto, la possibilità di esser esclusi dal regno. La peggiore manifestazione dell'ipocrisia, le conseguenze e la pena che trae dietro di se l'inganno, si vedono qui finalmente nella fede che gl'ipocriti prestano alle proprie bugie; l'inganno volontario conducendo prima all'indurimento del cuore, e finalmente alla riprovazione.

non abbiamo noi profetizzato in nome tuo,

«Profetizzare» significa qui, non tanto il predire l'avvenire, quanto l'insegnare pubblicamente il Vangelo Vedi Matteo 7:15. La profezia, che era uno dei doni speciali della Chiesa primitiva, ha il senso di insegnamento inspirato ed autorevole, e viene nell'ordine dei doni miracolosi subito dopo l'apostolato. Vedi 1Corinzi 12:28; Efesini 4:11

e in nome tuo cacciati demoni, e fatte in nome tuo, molte opere potenti?

La profezia, il potere di cacciare i demoni e quello di fare altri miracoli, sono tre esempi dei più importanti servigi resi alla causa cristiana mediante l'invocazione del potente nome di Cristo. La triplice ripetizione della stessa domanda, sempre sotto la medesima forma, esprime con vivacità la maraviglia degli interlocutori di Gesù, quando egli parlerà loro come a suoi nemici. Il potere di far miracoli e le grandi doti d'ingegno non sono necessariamente uniti colla pietà. Un miracolo è una manifestazione che altri fa del potere appartenente a Dio. Dio può, se gli piace, dare ad un malvagio il potere di risuscitare un morto, come da ad un medico empio il talento necessario per guarire gli ammalati. In nessun di questi casi vi è una connessione indispensabile fra i doni conferiti agli individui, ed il loro

carattere morale. Così nel predicare o profetizzare, Iddio può servirsi dell'azione d'un uomo d'ingegno, benché non sia pio, per l'adempimento dei suoi disegni. Egli solo esercita sullo spirito dell'uomo una potenza salvatrice, quantunque egli adopri come strumento chi a lui piace. In conseguenza, nel giorno del giudizio, molti uomini d'ingegno, e molti che ebbero il dono della profezia, o quello dei miracoli saranno scacciati dal regno dei cieli perché privi di pietà.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:21; 24:36; Isaia 2:11,17; Malachia 3:17-18; Luca 10:12; 1Tessalonicesi 5:4; 2Tessalonicesi 1:10

2Timoteo 1:12,18; 4:8

Matteo 10:5-8; Numeri 24:4; 31:8; 1Re 22:11-20; Geremia 23:13-32; Luca 13:26

Giovanni 11:51; Atti 19:13-15; 1Corinzi 13:1-2; Ebrei 6:4-6

Mt 7:23

23. E allora dichiarerò loro:

cioè, io dirò loro la schietta verità. Questa parola distrugge le illusioni degl'ipocriti.

Io non vi conobbi mai:

cioè non faceste mai parte del mio popolo eletto Giovanni 10:14. L'intimità che essi si arrogano con Cristo, egli la ripudia recisamente e con dignità.

dipartitevi da me,

Parole di terribile significato in questa circostanza. L'incredulità si allontana dal Dio vivente; ricusa di seguire Cristo, di ubbidirgli e di amarlo; e così

gl'increduli debbono dipartirsi per sempre «dalla faccia del Signore, e dalla gloria della sua possanza» 2Tessalonicesi 1:9

voi tutti operatori d'iniquità.

Essi avevano «nominato il nome di Cristo, ma non si erano ritratti dall'iniquità». La parola disprezzo della legge, iniquità, manifesta che questo è il loro vero carattere. Con tutta la loro professione di pietà, la vita e le opere loro, giudicate nel loro principio spirituale, altro non erano che iniquità e trasgressioni agli occhi dell'onnisciente Giudice. È più che probabile che Paolo alluda a queste precise parole in 2Timoteo 2:19;24-29

PASSI PARALLELI

Matteo 25:12; Giovanni 10:14,27-30; 2Timoteo 2:19

Matteo 25:41; Salmo 5:5; 6:8; Luca 13:25,27; Apocalisse 22:15

Mt 7:24

CONCLUSIONE DEL SERMONE SUL MONTE. EFFETTO PRODOTTO SOPRA GLI UDITORI

Parabola dei due costruttori Matteo 7:24-27

24. Perciò chiunque ode queste mie parole, e le mette in pratica, sarà paragonato ad un uomo avveduto, il quale ha edificata la sua casa sopra la roccia; 25. E, la pioggia è caduta e sono venuti i torrenti, e i venti han soffiato, e hanno investito quella casa, ma ella non è caduta perché era fondata sulla roccia. 26. E, chiunque ode queste mie parole, e non le mette in pratica, sarà paragonato ad un uomo stolto che ha edificata la sua casa sulla rena; 27. E la pioggia è caduta, e sono venuti i torrenti, e

i venti han soffiato, e hanno fatto impeto contro quella casa, ed ella è caduta, e la sua ruina è stata grande.

Il Signore continua il suo discorso con una parabola, nella quale vengono esposti i pericoli di coloro che sono meri ascoltatori della parola di Cristo, ma non si sforzano mai di mettere in pratica quel ch'essi ascoltano. Tale avvertimento, appropriato agli ascoltatori dell'Evangelo in tutti i secoli, e in tutte le parti del mondo, forma una conclusione mirabilmente adatta a questo sermone, in cui Cristo stabilisce le regole del suo regno spirituale, per norma e guida del suo popolo. La locuzione: «queste mie parole», sembra quasi legare insieme le parti tutte del sermone, ed escludere come da tutto il contesto rilevasi la supposizione che i due ultimi capitoli altro non sieno che una raccolta di sentenze pronunciate in diversi tempi.

Il contrasto messo in luce, dai due caratteri descritti in questa parabola è fra l'uomo che ascolta e fa, e colui che ascolta solamente; e la più gagliarda confutazione dell'accusa di antinomianismo, così spesso fatta a coloro che predicano le vitali dottrine dell'Evangelo, si trova nel fatto che Gesù pronunzia la credenza teorica essere vana, se scompagnata dalle opere sante. Giacomo 1:22,23 allude evidentemente all'insegnamento del Maestro in questo passo, ed aggiunge un'altra illustrazione. Nella parabola, c'è una rassomiglianza esatta in molti particolari fra i due costruttori. Pochi sono i contrasti, ma di capitale importanza. Basta, per afferrarli a colpo d'occhio, mettere di fronte i due casi. Due uomini si sono fabbricata la casa, la quale rappresenta, per ognuno di loro, i provvedimenti da loro presi per giungere alla vita eterna.

Matteo 7:24. L'uno ha edificata la sua casa sopra la roccia.

Matteo 7:25. E, quando è caduta la pioggia, e sono venuti i torrenti, e i venti han soffiato, ed hanno investito quella casa, ella non è però caduta; perché era fondata sopra la roccia.

Matteo 7:26. L'altro ha edificata la sua casa sopra la rena.

Matteo 7:27. E, quando la pioggia è caduta, e sono venuti i torrenti, e i venti han soffiato, e fatto impeto contro quella casa, ella è caduta, e la

sua ruina è stata grande.

L'apparenza esteriore delle due case è la stessa; ambedue sono esposte alla tempesta medesima, la quale rappresenta tipicamente le tentazioni, le avversità, le persecuzioni, le malattie, la morte, tutte le cose insomma che mettono alla prova la sincerità della fede, e da ultimo il giudizio. Ma la sorte delle case è affatto differente. Una rimane immobile in mezzo alla lotta degli elementi, l'altra cade all'impeto loro e cade con irreparabile ruina. Quella era fondata sulla roccia, mentre l'altra posava sull'instabile rena. Quanto profonda dovette essere l'impressione prodotta da queste parole sopra uditori avvezzi alla violenza delle tempeste Orientali! «Edifica sull'arena è un accoglier la volontà del Signore unicamente nell'intelligenza, chiudendole la coscienza e rifiutandole l'ubbidienza della volontà» Godet. La ruina della casa rappresenta la sorte di quelli che non si sono sinceramente convertiti a Cristo ed è ruina grande agli occhi di Dio perché è la perdita eterna dell'anima.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:7-8,13-14; 5:3-12; 28-32; 6:14-15,19-21; 12:50; Luca 6:47-49; 11:28

Giovanni 13:17; 14:15,22-24; 15:10,14; Romani 2:6-9; Galati 5:6-7; 6:7-8

Giacomo 1:21-27; 2:17-26; 1Giovanni 2:3; 3:22-24; 5:3-5; Apocalisse 22:14-15

Giobbe 28:28; Salmo 111:10; 119:99,130; Proverbi 10:8; 14:8; Giacomo 3:13-18

1Corinzi 3:10-11

Ezechiele 13:11-16; Malachia 3:3; Atti 14:22; 1Corinzi 3:13-15; Giacomo 1:12; 1Pietro 1:7

Matteo 16:18; Salmo 92:13-15; 125:1-2; Efesini 3:17; Colossesi 2:7; 1Pietro 1:5; 1Giovanni 2:19

1Samuele 2:30; Proverbi 14:1; Geremia 8:9; Luca 6:49; Giacomo 2:20

Matteo 12:43-45; 13:19-22; Ezechiele 13:10-16; 1Corinzi 3:13; Ebrei 10:26-31

2Pietro 2:20-22

Mt 7:28

Effetto prodotto dal sermone sul monte sopra quelli che l'udirono. Matteo 7:28,29

28. Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti questi discorsi, le turbe stupivano del suo insegnamento;

Le parole «quando Gesù ebbe finiti questi discorsi», e l'effetto prodotto da essi sul popolo, sono prova che questi tre capitoli contengono non una semplice collezione di sentenze pronunziate dal nostro Salvatore in diverse occasioni, ma un sol discorso pronunziato in un certo tempo, ed in un certo luogo vale dottrina o meglio insegnamento. La sua maniera d'insegnare, come la sostanza del suo discorso, han colpito la folla.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:54; Salmo 45:2; Marco 1:22; 6:2; Luca 4:22,32; 19:48; Giovanni 7:15,46

Mt 7:29

29. perché egli le ammaestrava, come avendo autorità, e non come i loro Scribi.

Gli Scribi insegnavano principalmente le opinioni e le tradizioni degli anziani Vedi note Matteo 5:21Matteo 5:21, e sciupavano molto tempo in inutili dispute, Cristo invece insegnava con autorità, cioè non come semplice espositore della legge, ma colla forza che appartiene all'autore della legge stessa. Si tratta qui della luce, e della potenza, che accompagnano ogni rivelazione divina.

Matteo 5:20,28,32,44; 21:23-27; 28:18; Deuteronomio 18:18-19; Ecclesiaste 8:4; Isaia 50:4

Geremia 23:28-29; Michea 3:8; Luca 21:15; Atti 3:22-23; 6:10; Ebrei 4:1213

Matteo 15:1-9; 23:2-6,15-24; Marco 7:5-13; Luca 20:8,46-47

RIFLESSIONI

1. Non dimentichino i discepoli di Cristo la differenza che passa tra la «via larga» e la «via stretta»; e non si lascino sedurre dai sofismi di chi crede Che non esistono differenze essenziali fra quelli che camminano per queste due strade. È facile denigrare quelli che sono nella via stretta come gretti bigotti e decantare quelli che camminano nella via larga come uomini assennati e liberali. Ma colui, che niuno oserà chiamare gretto o duro, chiude questo incomparabile discorso, assicurandoci che vi sono due grandi strade le quali conducono, l'una alla vita, e l'altra alla distruzione; e che la vera sapienza sta nello scegliere la prima, e nell'evitare la seconda.

2. Se noi non vogliamo camminare nella via larga, dobbiamo guardarci dai falsi profeti. Questo avvertimento ci premunisce non soltanto contro coloro che, privi dei requisiti necessari alla predicazione dell'Evangelo, assumono l'uffizio del ministero; ma eziandio contro alcuni di quelli che furono consacrati regolarmente al ministero; perché vi sono dei ministri infedeli, ed il loro insegnamento deve essere pesato nella bilancia della Santa Scrittura.

Qual'è la migliore precauzione contro l'insegnamento dei falsi profeti? Essa consiste nello studio della Parola di Dio, unito alla preghiera, colla quale chiediamo di essere istruiti dallo Spirito Santo. La Bibbia fu data per «essere una lampada ai nostri piedi, e un lume al nostro sentiero» Salmo 119:105. Iddio non permetterà mai che colui che la legge con sincerità, cada in gravi errori. Quelli che trascurano lo studio della Bibbia, si lasciano facilmente ingannare dai falsi dottori.

3. Osserviamo che non sono salvati tutti quelli che si dicono cristiani. Per salvare un'anima si richiede assai più di quello che molti pensano. Noi possiamo essere battezzati nel nome di Cristo, conoscere colla mente il Vangelo, essere soddisfatti del nostro stato spirituale; può darsi anche che predichiamo il Vangelo agli altri e ciò nonostante non facciamo la volontà del Padre nostro che è nei cieli! Ci siamo noi realmente pentiti? Crediamo noi veramente in Cristo? Viviamo noi nell'umiltà, e nella santità? Se così non è, ad anta di tutti i privilegi che godiamo e della nostra professione religiosa, noi perderemo il cielo.

4. Il giorno del giudizio rivelerà strane cose. Le speranze di molti, che quaggiù furono creduti grandi cristiani, rimarranno deluse! Non c'è egli qualche cosa di tremendo nella contemplazione dello smarrimento che invaderà i cuori dei falsi discepoli di Cristo, nel momento in cui essi riceveranno la loro sentenza? Qual luce questa contemplazione sparge sulla grandezza e sulla persistenza delle illusioni umane! Purtroppo sembra che nulla possa dissiparle fuorché la sentenza del Giudice: «Io non vi conobbi giammai, dipartitevi da me».

5. Colui «che ha edificata la sua casa sopra la roccia», non si contenta di ascoltare le esortazioni al pentimento, alla fede in Cristo, ed al vivere santamente. Egli realmente si pente, realmente crede, realmente «cessa di far male, ed impara a fare il bene» Isaia 1:16-17; non è «uditore dimentichevole, ma facitor dell'opera» Giacomo 1:25. E che ne risulta? Al tempo della prova, nell'ora della morte, la sua religione non gli fallirà! Il fondamento della sua speranza gli costò forse molta fatica e molte lacrime; prima di giungere alla certezza della sua salute in Cristo, egli ha forse speso lunghi giorni nell'ansiosa ricerca di essa e nella preghiera; ma la sua fatica

non fu gettata. Egli raccoglie ora una ricca ricompensa. La religione che regge alla prova è la vera religione! Lo stolto si contenta di ascoltare la Parola e di approvarla: egli non va più oltre. Egli non la rompe mai veramente col peccato, e non pone da banda lo spirito mondano e non afferra mai realmente Cristo, e non prende la sua croce in ispalla; è uditore della parola, ma niente più. E quale è la fine della sua religione? Essa forse sarà sommersa dalla prima inondazione di tribolazioni, e, in ogni caso, essa cadrà in rovina all'avvicinarsi della morte!

6. Così finisce il Sermone sul monte. Esso è diretto a noi quanto a coloro che primi lo udirono. Procuriamo che abbia una durevole influenza sull'anima nostra. «Chi mi sprezza, e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunziata sarà quella che lo giudicherà nell'ultimo giorno» Giovanni 12:48

Mt 8:1

CAPO 1 - ANALISI

1. Cristo non solo Maestro, ma altresì operatore di miracoli. In questo e nel seguente capitolo, l'Evangelista raccoglie un certo numero di miracoli di Cristo, evidentemente senza riguardo all'ordine cronologico, ma col disegno di mostrarci che Gesù è non solo maestro, ma eziandio operatore di miracoli. Il primo di questi ministeri ci viene manifestato nel sermone, ed è ampiamente svolto nei tre capitoli precedenti: il secondo appare dai miracoli narrati in questo e nei seguenti capitoli; ed il pensiero dell'Evangelista potrebbe esprimersi così: «Se tu vuoi apprezzare giustamente il gran Maestro, prima leggi quella parte, poi questa». Si osservi che fra i cinque racconti di miracoli contenuti in questo capitolo, uno solo ci riferisce qualche parola di Cristo, oltre quelle che sono indispensabili alla narrazione del miracolo stesso. Questo basta da solo a far nascere la supposizione che essi non sieno narrati secondo l'ordine cronologico, ma secondo qualche altro concetto dello scrittore. Questa supposizione è confermata dal fatto che parecchi di questi miracoli sono presentati negli altri Vangeli in un ordine

differente. Però ogni idea di discrepanza è rimossa, poiché non trovansi indicazioni cronologiche in Matteo.

2. Ordine dei fatti narrati in questo capitolo.

1 Guarigione d'un lebbroso, di cui fanno menzione gli altri Evangelisti sinottici Matteo 7:1-4.

2. Guarigione del servo paralitico del centurione romano in Capernaum, nella qual narrazione vengono specialmente notate la bontà, la liberalità e la fede del centurione Matteo 7:5-13.

3. Guarigione della suocera di Pietro allettata colla febbre Matteo 7:14,15.

4. Guarigione di molte persone possedute dal demonio in Capernaum e nelle vicinanze; nel qual fatto si vede l'adempimento d'una antica profezia Matteo 7:16,17.

5. Conversazione collo Scriba, al quale Gesù mostra la povertà della propria condizione sulla terra raccomandandogli così di calcolare la grandezza dei sacrifici ch'egli dovrebbe fare prima di dichiararsi suo seguace Matteo 7:1922.

6. Tempesta sul lago di Galilea, e miracolo col quale Cristo fa conoscere che tutta la natura è a lui soggetta Matteo 7:23-27.

7. Visita al paese dei Ghergheseni, guarigione dell'indemoniato, e potere di Cristo sugli spiriti maligni, che si palesa nel permesso conceduto ai demoni di entrare in una mandra di porci Matteo 7:28-34.

Matteo 8:1-4. LA GUARIGIONE D'UN LEBBROSO Marco 1:40-45; Luca 5:12-16

1. Ora, quando egli fu sceso dal monte, molte turbe lo seguirono. 2. Ed ecco, un lebbroso accostatosi,

Questo miracolo è narrato pure da Marco e da Luca. Matteo lo pone subito dopo il Sermone sul monte; Luca non indica né tempo, né luogo: dice soltanto che Cristo era «in una di quelle città»; ma siccome lo storico Flavio ci afferma esplicitamente che in quel tempo, mercé la fecondità del suolo della Galilea, le città ed i villaggi; formicolanti di popolazione, erano numerosissimi no annovera non meno di 204, non c'è fra i due narratori alcuna contradizione. Nel passare per uno di quei borghi gli venne incontro il lebbroso. Matteo descrive il miracolo come se e non è congettura improbabile, lo avesse veduto coi suoi occhi.

Per la natura ed i sintomi della lebbra, e le prescrizioni mosaiche sopra di essa, sono da confrontare Esodo 4:6; Levitico 13; Numeri 12:10; 2Re 5:27; 15:5; 2Cronache 26:20-21. Quella malattia traeva il suo nome da scaglia, perché di scaglie si ricopriva la pelle. È malattia schifosa, rapida nell'estendersi, e pare ancora, quando s'è sviluppata, incurabile. Tale era dessa, e tale riscontrasi tuttavia in parecchi paesi, come nell'Arabia, nell'Egitto, nella Siria, ecc. Dominava fin da tempi remotissimi, sotto la forma di quella che chiamasi lebbra bianca presso gli Ebrei, i quali vennero così a farne un simbolo del peccato; morbo schifoso, esso pure rapido e incurabile. Sotto la legge mosaica la lebbra era la massima impurità cerimoniale; solo il lebbroso veniva definitivamente scomunicato. Ciò nonostante, si dichiarava puro chiunque fosse affatto coperto di lebbra Levitico 12:12-13, perché il veleno del morbo era venuto fuori; ma se una parte del corpo non aveva in se alcun segno di lebbra, il malato era tuttora impuro. I sacerdoti potevano toccare i lebbrosi senza contaminarsi, perché essi, secondo il comandamento di Dio, dovevano giudicare della malattia. Le rigorose precauzioni che si dovevano prendere per tenere lontana quella malattia hanno fatto credere generalmente ch'ella fosse d'indole contagiosa; ma questo viene messo in dubbio da parecchi, i quali asseriscono che quelle esclusioni eran proprie della sola legge mosaica, né usavano ov'essa non era in vigore; il che si riscontra nell'esempio di Naaman, siro 2Re 5:1. Quella malattia, diversa affatto dalla elefantiasi, colla quale, per lo più, la confondono, nelle loro narrazioni, i viaggiatori, era, per la sua stessa schifezza, un simbolo adeguato assai del peccato e delle sue conseguenze. Le precauzioni prese legalmente per segregare il lebbroso, bene indicavano agli occhi del popolo come, ognuno dovesse vivere separato dal peccato,

vergognoso morbo della razza umana. La guarigione non poteva aver luogo per mezzi umani, ma unicamente per espresso beneplacito di Dio. «Sono io Dio», diceva il re d'Israele, «che costui mi manda perché io liberi un uomo dalla sua lebbra?» 2Re 5:7. Gli Ebrei la solevano appellare il dito di Dio, od anche la percossa; quindi Gesù inviò a Giovanni Battista nel suo carcere questo messaggio: «I lebbrosi sono mondati», per indicargli che il regno del Messia era venuto.

Mt 8:2

gli si prostrò dinanzi

adorare veniva ad esprimere i vari atti di omaggio, e prima di tutto il baciare la mano, in secondo luogo baciare la terra, o prostrarsi del tutto, e finalmente ogni maniera di omaggio, vuoi civile, vuoi religioso. Gli atti di omaggio che questo lebbroso compiè, come apprendiamo dagli altri Evangelisti furono l'inginocchiarsi Marco 1:40, e il prostrarsi Luca 5:12, i quali, combinati colla richiesta ch'egli fece a Gesù, implica una vera adorazione, sì spirituale che esterna. Implicano anche l'avvicinarsi se non l'immediato contatto con Gesù, e quindi una violazione degli usi giudaici, e tale è pure l'atto del Salvatore di toccare costui.

dicendo: Signore, se vuoi, tu puoi mondarmi.

Questa essendo l'unica guarigione della lebbra che viene rammentata da tutti e tre i Sinottici, si suppone che fosse anche la prima; e, se così è, la fede nel lebbroso era nata da ciò ch'egli aveva, udito dire di altre malattie guarite da Cristo. Fu fede invero meravigliosa! Non dice già il lebbroso di credere Gesù capace a guarire ma colla efficace brevità della fiducia che non conosce dubbio, dice semplicemente tu puoi. Che Cristo volesse, non n'era egli egualmente sicuro; non conosceva Gesù abbastanza: una cosa però sapeva di certo, che se Gesù voleva, la cosa sarebbe fatta. Dal che si comprende qual culto tributasse a Gesù il lebbroso quando gli si prostrò dinanzi. Se coloro stessi che più frequentavano ed avvicinavano Cristo non avevano allora peranco una chiara cognizione teologica della sua persona,

tanto meno poteva aspettarsi che quel povero lebbroso avesse una piena conoscenza di ciò che noi sappiamo sull'unigenito Figlio del Padre. Ei credeva che Cristo avesse potenza di guarire, e ne riconosceva la sovranità nella concessione delle sue grazie. E nota bene, o lettore, ei non se ne rimase lontano, pensando fra se: Gesù conosce il mio stato; se vuole, mi può guarire. No! La sovranità di Dio non è una buona ragione che rattener ci debba dall'avvicinarci a lui; poiché molte sono le promesse ch'egli ci ha fatte, confortandoci a confidare in lui. E così infatti adopera, quel peccatore, che, sentendo la propria miseria, si avvicina a Gesù col cuore straziato, col capo scoperto, come un povero schiavo del peccato, e cerca in lui il suo scampo, esclamando: «L'immondo, l'immondo!» Levitico 13:45

PASSI PARALLELI

Matteo 5:20,28,32,44; 21:23-27; 28:18; Deuteronomio 18:18-19; Ecclesiaste 8:4; Isaia 50:4

Geremia 23:28-29; Michea 3:8; Luca 21:15; Atti 3:22-23; 6:10; Ebrei 4:1213

Matteo 15:1-9; 23:2-6,15-24; Marco 7:5-13; Luca 20:8,46-47; Marco 1:4045; Luca 5:12

Matteo 10:8; 26:6; Levitico 13:44-46; Numeri 5:2-3; 12:10; Deuteronomio 24:8-9; 2Samuele 3:39

2Re 5:1,27; 7:3-4; 15:5; 2Cronache 26:19-21; Luca 4:27; 17:12-19

Matteo 2:11; 4:9; 14:33; 15:25; 18:26; 28:9,17; Marco 1:40; 5:6-7; Luca 5:12

Giovanni 9:38; 1Corinzi 14:25; Apocalisse 19:10; 22:8-9

Matteo 9:28-29; 13:58; Marco 9:22-24

Mt 8:3

3. E Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo:

Mosso da compassione (Marco), Gesù fece quel che nessuno avrebbe ardito fare per tema di contrarre un'infezione e di contaminarsi ritualmente. La fede del lebbroso e la misericordia di Cristo passano sopra gli statuti levitici.

Lo voglio, sii mondato. E in quello istante egli fu mondato dalla sua lebbra.

Sotto l'influenza della simpatia umana, come pure della condiscendenza divina, il nostro Signore esaudì, colla parola e coll'opera, la preghiera del povero lebbroso. Non solo ei lo toccò, ma gli parlò, e che parole piene di grazia! Che sapiente brevità! Qual piena corrispondenza fra la domanda e la risposta! «Se tu vuoi», «Io lo voglio», «Tu puoi mondarmi». «Sii mondato». Con quest'opera, egli dimostra che tutte le malattie sono sottoposte alla sua volontà. Questo miracolo è un simbolo della potenza di Cristo, per liberare! dal peccato, e dalla maledizione di esso.

PASSI PARALLELI

2Re 5:11

Genesi 1:3; Salmo 33:9; Marco 1:41; 4:39; 5:41; 7:34; 9:25; Luca 5:13; 7:14

Giovanni 5:21; 11:43; 15:24

Matteo 11:4-5; 2Re 5:14; Luca 17:14-15

Mt 8:4

4. E Gesù gli disse: Guarda di non dirlo ad alcuno; ma va', mostrati al sacerdote,

il sacerdote, secondo la legge mosaica, era il giudice competente per sentenziare se la lebbra fosse o no guarita; quindi il lebbroso, aveva interesse e dovere di presentarsi, il più sollecitamente che gli fosse possibile, al sacerdote medesimo in Gerusalemme, per aver da lui l'attestato giudiziale della propria purità. Ecco perché Gesù ordinò al guarito di recarsi a Gerusalemme, dando con questo una prova di più che la legge cerimoniale era una istituzione divina, e conservava tutta la sua forza. finché Gesù, col sacrificio di se stesso, non l'avesse abrogata. Il comando di non dirlo ad alcuno, era temporaneo e relativo da valere soltanto finché la dichiarazione legale fosse pronunziata dal sacerdote; era una precauzione per evitare che, se la cosa si fosse sparsa, il sacerdote potesse maliziosamente negare l'attestato richiesto dalla legge. Forse anche Gesù diede quest'ordine, perché non era venuto ancora il tempo per lui di manifestarsi pubblicamente in qualità di Messia. Da Marco 1:45, infatti apprendiamo, che, per essersi sparsa la notizia della cura fatta a quell'uomo, egli fu costretto di ritirarsi in un luogo deserto, perché le moltitudini gli chiedevano miracoli, e non gli lasciavano tempo di insegnare e di predicare. Alcuni si valgono del comando, «Va', mostrati al sacerdote», per confortare la teoria della confessione al prete, e della successiva assoluzione; ma anch'essi sono costretti a convenire che in questo caso Cristo solo purifica. Essi sbagliano totalmente, considerando il sacerdozio levitico come tipo del romano, e dimenticano che tutti i sacerdozi umani furono aboliti quando venne il Sacerdote che «dimora in eterno, che ha un sacerdozio che non trapassa ad un altro» Ebrei 7:24. In Cristo non già una classe di cristiani, ma tutti i veri credenti sono sacerdoti a Dio 1Pietro 2:5; Apocalisse 1:5-6

e fa' l'offerta che Mosè ha prescritto,

secondo il Levitico 14:10,21-22

e ciò serva loro di testimonianza.

Ai sacerdoti, cioè, ed al popolo. La lebbra lasciava sulla pelle cicatrici evidenti ed incancellabili; il sacerdote doveva esaminare il caso, e pubblicamente attestare della grazia ricevuta da Dio, quindi l'uomo guarito da Gesù doveva essere reso alla società. Così il sacerdote diventava, suo

malgrado, un mezzo per avverare e propalare il miracolo. Che il guarir la lebbra esser dovesse un carattere del Messia, ne convenivano gli stessi Rabbini; quindi, affinché tanto i sacerdoti quanto il popolo fossero convinti che Gesù era veramente il Messia, faceva d'uopo che venissero a cognizione di questo fatto, in simile modo, giova che la conversione di un peccatore da Satana a Dio sia manifestata, per servire di «testimonianza» agl'increduli, ed eccitarli a convertirsi.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:1; 9:30; 12:16-19; 16:20; 17:9; Marco 1:43-44; 5:43; 7:36; Luca 5:14

Giovanni 5:41; 7:18; 8:50

Matteo 3:15; 5:17; Levitico 13:2-46; 14:2-32; Isaia 42:21; Luca 17:14

Matteo 10:18; 2Re 5:7-8; Marco 1:44; 6:11; 13:9; Luca 5:14; 21:13; Giovanni 10:37-38

RIFLESSIONI

1. Che questo primo lebbroso da Cristo guarito fosse quel Simone lebbroso, il quale, pochi giorni innanzi la morte del Signore, apparecchiò per lui, in Betania, una cena, non è che una semplice congettura, e molto potrebbe dirsi per dimostrarla vana.

2. Notiamo il potere assoluto assunto da Cristo, e riconosciuto dal lebbroso stesso, di guarire o no, a piacere suo; e notiamo pure la piena testimonianza che, con questa cura istantanea, Iddio ci dà della personale divinità di Gesù Cristo.

3. Apprendano da questo passo coloro i quali gemono sotto il peso del peccato, che, per ottenere una guarigione completa, debbono riconoscere col cuore la potenza e la volontà che ha Cristo di sanarli, e non saranno delusi.

4. Noi non dobbiamo seguire il nostro giudizio, allorquando esso è in opposizione coi comandamenti di Dio; ogni nostro pensiero dove essere subordinato all'ubbidienza a Cristo. E qui il lebbroso sbagliò; credette onorare Gesù più col trascurare l'ordine suo, che coll'adempierlo! Ubbidire doveva, non giudicare. Ora però, voi tutti che foste guariti dalla lebbra del peccato, niuno vi prescrive il silenzio; l'amore di Cristo adunque vi spinga a «celebrare la gloria del suo nome ed a rendere la sua lode gloriosa».

Mt 8:5

Matteo 8:5-13. GUARIGIONE DEL SERVO DEL CENTURIONE Luca 7:1-10

Per l'esposizione, Vedi Luca 7:1Luca 7:1-10, dove il racconto entra in maggiori particolari.

Fra le malattie che, al tempo di Gesù, dominavano fra gli Ebrei, comunissima era la paralisi, che probabilmente includeva anche l'apoplessia. Due cose sono da notare in questo miracolo: che fu operato a richiesta d'un ufficiale romano, in favore del suo servo, e che Gesù medesimo lodò la sua fede, forte quanto illuminata. Inoltre esso è da notare come esempio di miracolosa guarigione senza contatto, né presenza personale. Ecco forse perché Matteo lo sceglie fra gli altri, per collocarlo dopo quello che vedemmo, senza badare punto alla cronologia.

Mt 8:11

11. Or io vi dico, che molti verranno di Levante, e di Ponente,

Le idee espresse in questo, e nel seguente versetto, non trovansi nella narrazione di Luca; ciò nonostante, la manifestazione della fede del centurione le rende naturali sulle labbra di Colui che conosce ogni cosa. Chiunque pensi alle due nature che trovansi riunite nella persona di Cristo,

non troverà contradizione fra la sua meraviglia nel trovare cotanta fede in un Gentile, e, la onniscienza della divina sua natura, la quale, nella fede di questo pagano, vedeva preannunziato ciò che fra poco accadrebbe in grande. Il Cristo era venuto come «luce da illuminar le genti», ed ora vedendo il suo primo riflesso in quell'uomo, ei viene quasi a dire ai suoi discepoli ed alla folla: «Non crediate che questo abbia da essere un caso isolato; tutt'altro! Io vi dichiaro, anzi, solennemente, che la fede del centurione animerà un giorno grandi moltitudini». Che poi le parole «di Levante e di Ponente» indichino tutte quante le parti del mondo, Ognuno lo vede da se.

e sederanno a tavola con Abrahamo, e Isacco, e Giacobbe, nel regno dei cieli.

Presentasi qui l'immagine d'un lauto convito, ove sono imbanditi i benefizi e le benedizioni del regno del Messia. I credenti Gentili saranno ammessi alla intimità della famiglia celeste. Il regno di Cristo non significa qui esclusivamente la felicità dei cieli, ma anche la dispensazione dell'Evangelo sulla terra, colla sua luce superiore a quella levitica, colle sue migliori promesse, coi sacrificio completo, col Mediatore esaltato; nel qual regno vengono ammessi tutti coloro che hanno la fede occorrente per appropriarsi questi doni, e sono gradualmente santificati dallo Spirito Santo, e preparati per la gloria. Ed il fatto che Gesù fa menzione dei patriarchi che sono di già in quel regno, indica che la loro fede era identica con quella dei Gentili che stavano per entrarvi. «Voi sapete pure», dice Paolo ai Galati 3:7-9, «che coloro che hanno fede sono figliuoli d'Abrahamo. E la Scrittura, prevedendo che Iddio giustificherebbe le, nazioni mediante la fede, preannunziò ad Abrahamo questa buona novella: «In te saranno benedette tutte le genti».

PASSI PARALLELI

Matteo 24:31; Genesi 12:3; 22:18; 28:14; 49:10; Salmo 22:27; 98:3; Isaia 2:2-3; 11:10

Isaia 49:6; 52:10; 60:1-6; Geremia 16:19; Daniele 2:44; Michea 4:1-2; Zaccaria 8:20-23

Malachia 1:11; Luca 13:29; 14:23-24; Atti 10:45; 11:18; 14:27; Romani 15:9-13

Galati 3:28-29; Efesini 2:11-14; 3:6; Colossesi 3:11; Apocalisse 7:6

Luca 12:37; 13:29; 16:22; Apocalisse 3:20-21

Matteo 3:2; Luca 13:28; Atti 14:22; 1Corinzi 6:9; 15:20; 2Tessalonicesi 1:5

Mt 8:12

12. Ma i figliuoli del regno,

Figlio d'una cosa, nella lingua ebraica, suona uno che in quella data cosa ha un interesse speciale. Così in Luca 10:6 «figliuolo di pace», ed in Efesini 2:2 «i figliuoli della disubbidienza». «I figliuoli del regno» sono coloro i quali avevano un diritto speciale al regno, vale a dire gli Ebrei Romani 9:4. Essi n'erano eredi, vi erano nati, vi appartenevano per naturali vincoli, e per patto formale, di cui portavano persino il segno nella loro carne. «Voi siete», dice Pietro Atti 3:25, «i figliuoli dei profeti, e del patto che Iddio fece coi nostri padri, ecc.». Si noti che costoro, i quali, siccome figli, dovrebbero naturalmente sedere a mensa col padre, non solamente vedranno gli estranei seduti a tavola, come membri della famiglia annunzio ripugnante, quanto mai, ai pregiudizi degli Ebrei carnali; ma, cosa più strana e terribile assai, saranno essi stessi cacciati per far pasto a questi ultimi.

saranno gittati nelle tenebre di fuori.

L'idea delle tenebre di fuori è accennata qui, perché ne risalti il contrasto con quella d'una sala di convito splendidamente illuminata. E questa figura colla quale il nostro Signore prediceva il discacciamento degli Ebrei dalla Chiesa di Dio, per la loro incredulità, l'abbiam vista adempiersi per secoli e secoli nella degradazione, nella oppressione, e nelle tenebre spirituali che, da quella reiezione in poi, si sono aggravate, e si aggravano ancora sopra di loro Vedi Romani 11:1,20,32. Le parole, in questo senso, possono applicarsi a quelli che sono cristiani per nascita, ma non hanno voluto ricevere

l'Evangelo a loro predicato. Però le tenebre, nella Scrittura, sono pure immagine della perdizione. Esse significano la detenzione in un carcere, ed i patimenti che ne risultano; la privazione della gioconda luce dell'anima disperata, un dolore, un tormento che non è dato alle parole rappresentare Vedi Matteo 13:42,50; Luca 13:28. Gravissimo avvertimento a coloro ai quali Iddio ha concesso dei privilegi religiosi! Potente conforto ad operare con isperanza in mezzo ai pagani, poiché «molti primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi» Matteo 19:30

Quivi sarà il pianto, e lo stridor dei denti.

Espressione di rabbia e di disperazione per quello che l'infelice ha perduto.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:9-10; 7:22-23; 21:43; Atti 3:25; Romani 9:4

Matteo 13:42,50; 22:12-13; 24:51; 25:30; Luca 13:28; 2Pietro 2:4,17; Giuda 13

Mt 8:13

13. E Gesù disse al centurione: Va'; e, come hai creduto, siati fatto. E il servitore fu guarito in quell'ora stessa.

Dopo aver presentato la fede del centurione, di nascita pagano, in maniera profetica, come simbolo della fede dei Gentili, il Signore Gesù gli concede immediatamente ciò che egli domanda. E queste parole non vengono già a significare: «Perché tu hai creduto, hai meritato questa guarigione»; ma bensì: «In proporzione della tua fede, io ti concedo quello che mi hai creduto potente da darti». Notiamo che in questo, come in altri casi posteriori, la fede alla quale Gesù accorda il dono della guarigione, non è quella del malato stesso, ma bensì quella di uno che rappresenta e intercede per lui; il che deve confortarci a pregare per la conversione dei nostri figli, parenti, ed amici mentre somministra se non un argomento formale, almeno

una prova per analogia in favore dell'uso di battezzare i figli a cagione della fede dei loro genitori.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:4; Ecclesiaste 9:7; Marco 7:29; Giovanni 4:50

Matteo 9:29-30; 15:28; 17:20; Marco 9:23

Giovanni 4:52-53

Mt 8:14

Matteo 8:14-18. GUARIGIONE DELLA SUOCERA DI PIETRO, E DI ATRI IN CAPERNAUM, ecc. Marco 1:29-34; Luca 4:38-41

Per l'esposizione Vedi Marco 1:29Marco 1:29-34.

Mt 8:17

17. Affinché si adempiesse quel che fu detto per bocca del profeta Isaia:

Ecco un altro esempio di ciò che distingue dagli altri Evangeli quello di Matteo, il mostrare cioè colle antiche profezie alla mano, che Cristo è il Messia. Marco e Luca narrano, e più estesamente, le guarigioni operate in Capernaum; ma delle profezie non fanno menzione Matteo invece racconta brevemente il fatto, quasi per lasciare posto alle sue favorite citazioni degli antichi profeti. Questa continua differenza fa risaltare l'individualità e l'indipendenza dello scrittore, mostra ch'egli narra ed espone secondo uno scopo ben definito e costante, e conferma la congettura, d'altronde probabilissima, che questo Evangelo fosse dapprima scritto, non già per i Gentili, ma per i soli Ebrei.

Egli stesso ha preso le nostre infermità, ed ha portato le nostre malattie.

Matteo non ha tolto questa citazione di Isaia 53:4, dalla traduzione dei 70; ma l'ha tradotta con perfetta esattezza dall'originale ebraico. Colui che «annullò il peccato col sacrificio di se stesso», e «portò egli stesso i nostri peccati nel suo corpo in sul legno» Ebrei 9:26; 1Pietro 2:24, volle pure togliere tutte le consequenze del peccato, cioè «le, nostre infermità e le nostre malattie». È questo il nesso fra le sue guarigioni e la sua espiazione. Ei mirava ad allontanare la maledizione, a restaurare le rovine cagionate dalla caduta; e questo egli fece non soltanto colla sua morte, ma eziandio con patimenti fisici innumerevoli. Egli fu uomo di dolori e di languori nella carne, sebbene questi non l'impedissero di operare. Quale ei fosse durante la maggior parte della sua vita a Nazaret, noi lo ignoriamo; ma ci sembra che il profeta non alludesse soltanto ai dolori spirituali di Gesù, quando egli scrisse che «non aveva forma, né bellezza alcuna» e «ch'era disfatto il suo sembiante sì da non parer più un uomo» Isaia 53:2; 52:14. Egli prese parte al sollievo dei nostri mali, non soltanto per mera compassione umana, ma soprattutto per compiere la sua opera mediatrice. E nota, ch'egli può curare le più gravi al par delle più leggere malattie, gl'indemoniati al par degl'infermi. Noi dobbiamo presentargli tutti i nostri parenti, e ricorrere a lui per le malattie del corpo, non meno che per quelle dello spirito, perché ei può curare le une e le altre. Il potere ch'egli esercita sulle malattie corporali basta per convincere gli uomini ch'egli può anche salvare le anime, e ch'egli è veramente Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 1:22; 2:15,23

Isaia 53:4; 1Pietro 2:24

Mt 8:18

18 Or Gesù veggendo una gran folla comandò che si passasse all'altra riva.

Le parole all'altra riva, negli Evangeli si applicano costantemente alla sponda orientale del Giordano, o del lago di Gennesaret.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:1; Marco 1:35-38; Luca 4:42-43; Giovanni 6:15

Matteo 14:22; Marco 4:35; 5:21; 6:45; 8:13; Luca 8:22

Mt 8:19

Matteo 8:19-22. CARATTERI DIVERSI DI QUELLI CHE PROFESSANO DI SEGUIRE CRISTO Luca 9:57-62

Gli incidenti che seguono sono collocati da Matteo prima della prima missione affidata ai dodici Apostoli, e da Luca all'epoca in cui Cristo si preparava al suo ultimo viaggio a Gerusalemme. È probabile che l'ordine cronologico del primo incidente sia quello indicato da Matteo, e che, invece, quello del secondo sia indicato più esattamente da Luca il quale ai due precedenti ne aggiunge un terzo. Noi li esamineremo tutti e tre successivamente.

1. Il discepolo precipitoso Matteo 8:19-20

19. Allora uno Scriba (Vedi Nota Matteo 2:4Matteo 2:4), accostatosi, gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai.

Il titolo di Maestro, dato da questo Scriba a Gesù, mostra che ei lo riconosceva come suo superiore. Forse avendo udito alcuno dei suoi discorsi, e visto qualche miracolo, costui propendeva a riconoscere ch'egli era veramente il Messia. È però più probabile che lo Scriba fosse spinto da

mondana ambizione, mirando ad assicurarsi qualche vantaggio nel regno di Gesù, se egli era veramente il Messia.

PASSI PARALLELI

Esdra 7:6; Marco 12:32-34; Luca 9:57-58; 1Corinzi 1:20

Luca 14:25-27,33; 22:33-34; Giovanni 13:36-38

Mt 8:20

20. E Gesù gli disse: Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi; ma il figliuol dell'uomo non ha dove posare il capo.

Se dal seguire Gesù lo Scriba si riprometteva agi mondani, onori e ricchezze, il Signore l'avverte ch'egli sbaglia. È come se gli avesse risposto, interrogando alla sua volta: «Tu vuoi seguirmi? Ma conosci tu bene colui che t'impegni a seguire, e sai tu bene dov'ei ti potrà condurre?». Non già terrene onoranze atte a soddisfare l'ambizione tua, non comode magioni, non morbidi cuscini, avrà egli per te; egli «che non ha dove posare il capo». Gesù non vieta a costui di seguirlo; solamente vuol ch'egli pensi a ciò che fa, ne calcoli il costo, e veda se ei sia tale, da reggere nel giorno del cimento. Se tale egli è, sia pure il benvenuto. Cristo non respinge nessuno. Sembra però che quel tale, udite siffatte parole, se ne andasse per i fatti suoi. «Figliuol dell'uomo», è una locuzione tolta, verosimilmente, da Daniele 7:13. Da Giovanni 12:34, si vede che gli Ebrei attribuivano questo titolo al Messia; e da Luca 22:69-70, appare che per Figliuol dell'uomo, essi intendevano il Figliuol di Dio; ed è quello il nome col quale il Signore, per solito, parla di se medesimo, in qualità di Messia, cioè di Figliuol di Dio manifestato nella carne, di secondo Adamo. A questo titolo sono legate tutte quelle condizioni di umiliazione, di patimenti, di esaltazione per le quali doveva passare il Messia.

PASSI PARALLELI

Salmo 84:3; 104:17

Salmo 40:17; 69:29; 109:22; Isaia 53:2-3; Luca 2:7,12,16; 8:3; 2Corinzi 8:9

Mt 8:21

2. Il discepolo temporeggiatore Matteo 8:21,22

21. E un altro dei discepoli, gli disse:

Clemente Alessandrino, affidandosi ad un'antica tradizione, afferma che il discepolo di cui parlasi in questo versetto era Filippo: altri immaginano che egli fosse uno dei figli di Zebedeo. Ma dal nesso in cui trovansi in Matteo ed in Luca questo incidente e quello dello Scriba, sembra potersi con ogni probabilità dedurre che la tradizione summentovata sia erronea, e che il discepolo di cui trattasi in questo versetto, fosse allora per la prima volta invitato da Cristo a seguirlo. Esso poteva, in un senso generale, chiamarsi suo discepolo, perché lo seguiva di luogo in luogo, per ascoltare i suoi insegnamenti, e riconosceva la sua autorità. Luca, nel suo racconto, ci dice che Cristo prima disse a questo discepolo: «Seguitami», il che omettendo, Matteo ne fa apparire l'offerta spontanea, pari a quella dello Scriba.

Signore, permettimi d'andare prima a seppellir mio padre.

Lo Scriba ci dà l'esempio del discepolo avventato e precipitoso, mentre qui ne vediamo uno sincero, ma indugiatore. Ei non si fa avanti come l'altro; ma, chiamato da Cristo, professa di seguirlo volentieri, solamente non è ancor pronto! «Si, Signore, verrò, ma sopravviene appunto una difficoltà, superata la quale io sarò subito con te». Se il dovere che costui chiedeva di compiere ancora prima di seguire Gesù fosse del momento, se egli cioè dovesse veramente seppellire suo padre morto testè, o se, domandasse invece di rimanersene in casa per sostentare la vecchiaia di suo padre fino alla morte di esso, e ciò per esimersi dal seguire Cristo subito, non è ben chiaro; ma è più probabile il secondo caso. Voleva infatti l'uso che il seppellimento si facesse nel giorno medesimo della morte; e non è quindi

verosimile, che quel discepolo si trovasse lì, se il suo padre, era morto appunto allora; né in questo caso il Signore gli avrebbe inibito l'adempimento dell'estremo dovere verso il proprio padre. Nell'altra ipotesi, ben s'intende l'appropriatezza della breve replica.

PASSI PARALLELI

Luca 9:59-62

Matteo 19:29; Levitico 21:11-12; Numeri 6:6-7; Deuteronomio 33:9-10; 1Re 19:20-21; Aggeo 1:2

2Corinzi 5:16

Mt 8:22

22. Ma Gesù gli disse: Seguitami, e lascia i morti seppellir i loro morti.

Luca aggiunge: «Ma tu, va' e annunzia il regno di Dio». suppongono alcuni che fosse questa una antica locuzione proverbiale di cui Gesù si serviva; ma non è facile vedere su che poggia codesta asserzione. La chiave per spiegare questo detto dall'apparenza paradossale si trova nei sensi diversi, fisico l'uno, spirituale l'altro, nei quali viene usata la parola morti. «Non temere», vuol dir Gesù, «che il tuo padre, nella tua assenza, sia trascurato, e che quando renderà l'anima non vi sieno parenti ed amici pronti a prestargli l'estremo dovere. Anche coloro che sono estranei alla vita spirituale, che sono morti ad essa, praticano i doveri usuali di umanità; ma il regno di Dio si trova ora negletto e bisognosissimo; pochi conoscono l'alta natura di esso ed i suoi diritti superiori di tanto agli umani, e pochissimi sono quelli atti a predicarlo. Or tu sei tale; il Signore ha bisogno di te; «lascia adunque che i morti seppelliscano i loro morti, e tu, va' ad annunziare il regno di Dio».

PASSI PARALLELI

Matteo 4:18-22; 9:9; Giovanni 1:43

Luca 15:32; Efesini 2:1,5; 5:14; Colossesi 2:13; 1Timoteo 5:6

3. Il discepolo irresoluto Luca 9:61-62

Questo esempio di discepolo è riferito solamente da Luca, ma viene esposto qui in connessione cogli esempi precedenti.

61. E un altro ancora gli disse: Ti seguiterò, Signore; ma permettimi prima d'accomiatarmi da que' di casa mia.

Luca 9:61

Quest'uomo e il precedente sembrano a prima vista rassomigliarsi assai. Par probabile, che anche questo rispondesse ad un appello del Salvatore: «Seguitami»; e non pare vi sia gran differenza fra le scuse messe innanzi nei due casi; niuna delle quali poteva dirsi in se medesima peccaminosa. Solamente, considerando con attenzione la risposta di Gesù, noi vediamo che nel primo caso l'indugio ad entrare al servizio di Cristo, per quanto inopportuno, veniva richiesto da uno, il cui cuore era risoluto di seguitare Gesù; nel secondo, la bramosia di tornare a casa è manifestata da uno, il cui cuore era indeciso, e poteva agevolmente esser mosso da affetti di famiglia ad abbandonare il Salvatore, e ritornare nel mondo, Nell'un caso si trattava soltanto d'indugiare quando appunto l'opera dell'Evangelo premeva, niente di più; nell'altro, era l'indugio d'un cuore ancora diviso, tra il mondo e Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:18-20,26 Deuteronomio 33:9 1Re 19:20 Ecclesiaste 9:10 Matteo 10:37-38

62. Ma Gesù gli disse: Nessuno che abbia messa la mano all'aratro, e poi riguardi indietro, è adatto al regno di Dio.

Luca 9:62

Nelle parole «riguardare indietro», hanno alcuni veduto un'allusione al caso della moglie di Lot Genesi 19:26; che infatti illustra molto acconciamente il pericolo contro al quale Gesù mette in guardia questo indeciso discepolo. Ma qui si tratta di uno che ha posto mano all'aratro. Siccome l'aratore deve guardare intento il solco ch'egli va scavando, e siccome il guardare indietro, o volgere altrove la sua attenzione, guasterebbe l'opera sua; così colui che facesse l'opera di Dio con un cuore diviso la farebbe male. «Che diventerebbe l'opera divina nelle mani d'un uomo che vi si consacrasse con un cuore distratto da altre preoccupazioni?» Godet. Questa riflessione può riferirsi in primo luogo ai ministri dell'Evangelo; ma ognuno deve applicarla a se ed imprimerla nel proprio cuore,

PASSI PARALLELI

Matteo 17:31-32; Salmo 78:8-9; Atti 15:37-38; 2Timoteo 4:10; Ebrei 10:38; Giacomo 1:6-8

2Pietro 2:20-22

RIFLESSIONI

1. C'è in questi detti alcun che di forte e penetrante, che dovrebbe essere ponderato da ognuno il quale professa la religione cristiana. L'offerta del discepolo avventato: «Signore, io ti seguiterò, ecc.»; suonava benissimo: era un passo che molti altri ancora non avevano fatto. Migliaia, di persone, che pure avevano udito le parole di Cristo, non avevano mai pensato di parlare come quest'uomo parlava; pure è chiaro ch'egli non metteva nelle sue parole la debita riflessione. I doveri, le prove, i sacrifici che porta seco l'essere discepoli di Cristo, ei non li aveva ponderati mai. L'entusiasmo del momento lo trasportava; egli non aveva mai pensato che, per seguire il Salvatore, gli

conveniva lasciare ogni cosa, e prendere ogni giorno la sua croce. Quindi il bisogno del grave avvertimento che Gesù diresse a lui, e a tutti coloro i quali, in qualsiasi tempo, professano di voler essere suoi discepoli. Ei ci rammenta che dobbiamo portare la croce, che dobbiamo aspettarci d'essere afflitti, disprezzati, e perseguitati per causa del nostro divino Maestro, e il significato di quell'avvertimento: «le volpi hanno delle tane, ecc. », è appunto questo: «Cristiano, hai tu considerato queste cose? Sei tu disposto a «soffrire afflizioni come buon guerriero di Gesù Cristo?» 2Timoteo 2:3

2. Le parole di Cristo al discepolo indugiatore c'insegnano che vi sono tempi ne' quali un Cristiano deve letteralmente rinunziare a tutto per amore di Cristo Matteo 19:29; Luca 14:26-27, quand'anche si trattasse dei doveri più santi, e quando gli estremi onori funebri al padre o alla madre dovessero lasciarsi a persone estranee. i troveranno sempre gente pronta a compiere tali doveri, i quali non sono certo da confrontare col dovere, di gran lunga maggiore, di predicare l'Evangelo, e di fare nel mondo l'opera di Cristo.

3. Dalla risposta di Cristo al discepolo irresoluto, noi apprendiamo come il servire Cristo con un cuore diviso sia cosa impossibile. Se c'è nel mondo qualche cosa che più di Cristo attragga i nostri affetti, noi non siamo atti ad essere discepoli suoi. Chiunque, al pari della moglie di Lot, riguarda indietro desidera di retrocedere. Gesù vuole tutto quanto il cuor nostro. Se egli ci chiama ad un tanto sacrificio, dobbiamo essere preparati a volgere le spalle alle persone più care. Atroci dolori noi dovremo soffrire in siffatte prove; ma talvolta esse sono indispensabili alla nostra salvazione. Il cimento al quale i giovani indiani, convertiti dai missionari evangelici al cristianesimo, sono esposti innanzi di essere battezzati, offre spesso una prova del pericolo di guardare indietro. Dopo che il convertito ha saputo resistere vittoriosamente alle lagrime, alle carezze, alla minacce, alle maledizioni dei parenti, l'ultimo scongiuro di questi è ch'egli ritorni, almeno un'altra volta, a casa sua, per dire addio ai parenti, promettendo, che dopo ciò essi non si opporranno più al suoi voleri. La richiesta sembra ragionevole; il ricusarla pare inutile opposizione all'affetto dei genitori. «Io vo», dice il giovane ai suoi maestri, «ma il mio cuore è con voi e sarò subito di ritorno». Ei va infatti, ma non è raro il caso che non ritorni più, poiché, dopo aver messo la mano all'aratro, egli ha guardato indietro!

4. Ben sarebbe che le Chiese di Cristo rammentassero più sovente questi suoi detti. Purtroppo è da temere che i ministri dell'Evangelo dimentichino spesso di inculcare la lezione che è qui contenuta, a coloro che si presentano per essere ricevuti nella Chiesa; e che moltissimi vengano ammessi senza essere avvertiti dei sacrifici ai quali devono essere preparati, per rimanere fedeli al Salvatore. Rammentiamoci bene che il numero solo non fa la forza. Diciamo chiaramente ai giovani professanti che alla fine li aspetta, sì, una corona di gloria; ma non meno chiaramente facciam loro intendere che, per la via, bisogna portare giornalmente la croce.

Mt 8:23

Matteo 8:23-27. ACQUIETAMENTO DELLA BURRASCA SUL LAGO DI GENNESARET Marco 4:35-41; Luca 8:22-25

Vedine l'esposizione in Marco 4:35Marco 4:35-41, ove solamente notasi il tempo in cui avvenne.

Mt 8:28

Matteo 8:28-34. GUARIGIONE DELL'INDEMONIATO GHERGHESENO Marco 5:1-20; Luca 8:26-39

Vedine l'esposizione in Marco 5Marco 5:1-20, ove il racconto è più particolareggiato e completo.

Mt 9:1

CAPO 9 - ANALISI

Abbiamo in questo capitolo la continuazione dell'argomento incominciato nell'antecedente; e, se ne togli la chiamata di Matteo ed il discorso tenuto in

casa sua, esso, al pari dell'antecedente, altro non è, che la narrazione d'una serie di miracoli.

1. Guarigione del paralitico. Fu calato costui giù dal tetto della casa in cui Gesù stava insegnando, ed il Signore vedendo quanto era grande la fede del paralitico e dei suoi amici che lo avevano condotto lì, risolse tosto di guarirlo sì nell'anima, che nelle membra; ma significò quella benedizione, sotto l'aspetto spirituale della remissione dei peccati. Alcuni Scribi e Farisei lì presenti si scandalizzarono, e accusavano Gesù di bestemmia, poiché «niuno può perdonare i peccati se non Dio solo». Dotato di sapienza divina, Gesù lesse agevolmente quei pensieri nei loro cuori; e, colla potenza divina, manifestata col guarire il paralitico, confermò il suo diritto di perdonare i peccati: talché i nemici suoi vennero ridotti al silenzio Matteo 9:1-8.

2. Chiamata di Matteo o Levi. Era questi già discepolo di Cristo, e sembra che fosse testimone oculare della guarigione del lebbroso; ma lo scopo di questa seconda chiamata fu il fargli abbandonare le sue occupazioni di esattore di tasse, perché potesse divenire un assiduo seguace di Cristo, ed a suo tempo uno dei dodici Apostoli. Viene quindi il ragguaglio d'un convito da Levi dato in onore di Cristo, ed al quale egli invitò i suoi compagni pubblicani, perché potessero udire il divino Maestro Matteo 9:10.

3. Gesù risponde agli attacchi diretti dai Farisei contro i suoi discepoli. Vedendo che Gesù tratta benignamente una classe di persone che essi disprezzavano al pari dei pagani, i Farisei vanno in sulle furie. Non osando attaccarlo di fronte cercano di screditarlo presso i suoi discepoli. Ma Gesù li rimbecca, dicendo che quanto più miserabili e degradati sono gli uomini, tanto più hanno diretto alla sua compassione, poiché la legge del suo regno è misericordia e non già sacrificio, ed egli è venuto a chiamare a pentimento non i giusti, ma i peccatori Matteo 9:11-13.

4. Domanda dei discepoli di Giovanni Battista intorno al digiuno. Alcuni discepoli del Battista, meravigliati della differenza fra la severità delle prescrizioni del loro Maestro intorno al digiuno, e la molta larghezza di Gesù, si recarono da Cristo, a chiedergli su ciò una spiegazione. Egli, riconoscendo la loro sincerità, dice loro, con figura presa dal giubilo delle

nozze, che, finché egli è coi suoi discepoli, questi naturalmente devono giubilare; e che d'altronde si preparavano per loro i giorni del digiuno e del cordoglio, quando egli sarebbe dipartito da loro. Quindi, sotto la figura d'un pezzo di panno nuovo cucito sopra un abito vecchio, e del vin nuovo messo in un otre vecchio, dimostra l'incompatibilità della libertà evangelica coi regolamenti rigidi e gretti dell'antica dispensazione; preannunziando così che «il regno di Dio non è vivanda, né bevanda, ma giustizia, e pace, e letizia nello Spirito Santo» Romani 14:17 Matteo 9:14-17.

5. Guarigione della figlia di Jairo. Jairo, capo della sinagoga a Capernaum, ricorre a Gesù per la sua morente. Gesù subito lo compiace. Andando verso la casa di lui, guarisce una donna inferma di flusso di sangue guarigione che mette in gran rilievo l'ammirabile fede di costei nella potenza di Gesù per far miracoli, e a dura prova la pazienza, di Jairo. Mentre erano per via, viene loro portato il terribile annunzio della morte della fanciulla, e Gesù, esortando il padre a mantenere incrollabile la sua fede, entra in casa, e la risuscita Matteo 9:18-26.

6. La vista resa a due ciechi. Gesù rende loro la vista, dopo averli interrogati sulla fede che avevano nella sua potenza per sanarli, e proibisce loro di palesare questo miracolo. Essi disobbediscono alla proibizione Matteo 9:2731.

7. Guarigione del muntolo indemoniato. Una profonda impressione fece sulla mente del popolo il risanamento di quest'uomo; il che vedendo, i Farisei fanno ogni sforzo per distruggerla, accusando Gesù di essere in lega col principe dei demoni Matteo 9:32-34.

8. Cenno d'un altro giro fatto da Gesù per le città e i villaggi di Galilea. Qui vediamo la pietà svegliata nel suo cuore verso quella gente, che, simile a pecore senza pastore, non aveva alcuno che ne prendesse cura; e la esortazione che ne trae per i suoi discepoli Matteo 9:35-38.

1. E Gesù entrato in una barca, passò all'altra riva,

Questo versetto, chiude il racconto della gita nella parte orientale del lago di Tiberiade, ed è a deplorare che allorquando i vari libri della Bibbia furono, per maggior comodo, divisi in capitoli, esso sia stato separato dal capo antecedente

e venne nella sua città.

Capernaum venne così chiamata fin da quando Gesù scelse questa città come suo soggiorno principale, e centro della evangelica sua, attività Vedi Matteo 4:13

PASSI PARALLELI

Matteo 7:6 8:18,23; Marco 5:21; Luca 8:37; Apocalisse 22:11

Matteo 4:13

Mt 9:2

Matteo 9:2-8. GUARIGIONE D'UN PARALITICO Marco 2:1-12; Luca 5:17-26

In Marco ed in Luca questa guarigione viene subito dopo quella del lebbroso, mentre Matteo la fa precedere da altri incidenti. Marco e Luca entrano più assai che Matteo ne' particolari di questo miracolo. Per l'esposizione Vedi Marco 2:1Marco 2:1-12.

Mt 9:9

Matteo 9:9-17. CHIAMATA DI MATTEO. CONVITO E COLLOQUI CHE EBBERO LUOGO IN CASA DI LUI Marco 2:13-22; Luca 5:27-39

Chiamata di Matteo

9. Poi Gesù, partitosi di là, passando, vide un uomo, chiamato Matteo, che sedeva al banco della gabella,

Dal linguaggio di tutti e tre gli Evangelisti risulta chiaro che la chiamata di Matteo seguì subito dopo che Gesù ebbe lasciato la casa nella quale aveva guarito il paralitico. Marco descrive minutamente il luogo, presso il lago, appena fuori di Capernaum. Quella città, posta sulla via principale fra l'Egitto e Damasco, era in quel tempo un porto assai frequentato dai navicellai che abitavano sulla sponda orientale del lago di Galilea; ond'è naturale che i Romani avessero stabilito là, presso la porta, una dogana, per dominare ambedue le provenienze Vedi nota Matteo 4:13Matteo 4:13. Gli Ebrei solevano comprendere sotto il nome di pubblicani, tutti gli esattori per quanto diversi di grado delle tasse pagate ai Romani, dall'appaltatore, che prendeva in accollo le entrate d'un intiero distretto, fino all'umile guardia di finanza ad esso subordinata. A quest'ultima classe apparteneva il nostro Evangelista. I due nomi, Levi e Matteo, dati alla stessa persona, mostrano, secondo alcuni, l'uso invalso fra gli Ebrei che si trovavano in frequente relazione coi Romani, di aggiungere al proprio nome un nome pagano; altri credono che l'apostolo prendesse il nome di Matteo, come Saulo prese quello di Paolo, soltanto dopo la sua conversione. Marco e Luca lo chiamano Levi; Matteo fa uso del solo nome romano, forse per la stessa ragione che l'induce a rammentare la professione di pubblicano ch'egli esercitò sotto i Romani, cioè per esaltare maggiormente la grazia di Dio, che seppe innalzare un uomo così spregiato alla dignità d'apostolo. Le circostanze narrate dai tre Sinottici sono le stesse; e sebbene Marco e Luca, nell'elenco degli Apostoli, chiamino questo individuo non già Levi, bensì Matteo, pure Matteo nel suo catalogo Matteo 10:3 identifica se medesimo in modo concludente con Levi, chiamandosi Matteo il pubblicano. Marco 2:14 aggiunge che questo Levi era figlio di Alfeo, dichiarazione la quale distrugge d'un colpo la strana opinione di certi autori che Levi fosse il nome della casata. C'era un Giacomo mentovato Matteo 10:3 come figlio di Alfeo, ed un Giuda in Luca 6:15, che per esser «fratello di Giacomo», si congettura fosse pur egli figliuolo di Alfeo, il quale generalmente si ritiene

identico a Cleofa, marito di Magia, sorella della madre di Gesù. Se questo fosse l'Alfeo rammentato da Marco, ne seguirebbe che Levi o Matteo sarebbe fratello di quei due discepoli e parente di Gesù. Altri asseriscono che, essendo il nome di Alfeo comune fra gli Ebrei al pari di quelli di Simone e di Giona, il padre di Levi o Matteo fosse una persona del tutto diversa, e noi dividiamo pienamente la loro opinione. Cfr. Matteo 10:3; 13:55-56

e gli disse: Seguimi.

Il modo della chiamata di Matteo, rassomiglia a quello che Cristo seguì nel chiamare Simone, Andrea e Giacomo, e fa supporre ch'egli, al pari di quei primi, già conoscesse il Signore.

Ed egli, levatosi, lo seguì.

Molti e molti avrebbero cominciato a scusarsi: Signore, non posso lasciare qui ogni cosa sossopra; bisogna ch'io annunzi la mia partenza ai miei superiori. ecc.»; ma Matteo obbedì immediatamente. La prontezza con la quale seguì Gesù ci dimostra, non tanto la sua natura risoluta e repentina, quanto la divina possanza della chiamata di Cristo. Luca 5:28 aggiunge ch'egli «lasciò ogni cosa»; splendido esempio di quella vocazione efficace che rinnova il cuore e cambia la vita! 1Corinzi 5:17. Si noti:

1 La rapidità colla quale Levi ubbidì alle parole di Cristo: «egli si levò».

2 Lo spontaneo rinunziamento a tutto: «lasciò ogni cosa».

3 L'ubbidienza perseverante: «lo seguì».

PASSI PARALLELI

Matteo 21:31-32; Marco 2:14-17; Luca 5:27-28

Luca 15:1-2; 19:2-10

Matteo 4:18-22; 1Re 19:19-21; Galati 1:16

Mt 9:10

Convito in casa di Levi Matteo 9:10

10. E avvenne che, essendo Gesù a tavola in casa di Matteo,

Benché Luca chiami «un gran convito», il pasto al quale fu invitato Gesù, Matteo con rara modestia rifugge, dal parlarne e, dice semplicemente che Gesù era a tavola nella casa. Marco e Luca però dicono chiaramente che questo gran banchetto, ebbe luogo in casa di Matteo. Il fatto che tutti e tre gli Evangelisti, parlando della chiamata di Levi, del convito, e dei colloqui che ne seguirono raccontano tutti questi fatti nello stesso ordine e senza la minima interruzione, prova manifestamente ch'essi ebbero luogo consecutivamente.

ecco, molti pubblicani, e peccatori, vennero, e si misero a tavola con Gesù, e co' suoi discepoli.

Luca dice: «la moltitudine di pubblicani, e di altri, ch'erano con loro a tavola, era grande». Questo convito, Matteo lo diede senza dubbio per mostrare gratitudine a Cristo, e per congedarsi degnamente da' suoi antichi soci e compagni d'impiego, ai quali desiderava procurare così la personal conoscenza del suo nuovo padrone, ed ai quali voleva fare la sua aperta professione di discepolo. «Pubblicani» Vedi Matteo 9:9Matteo 9:9. I Romani, pur lasciando gli Ebrei liberi di governarsi da se, facevano sentir la mano del conquistatore su due punti: l'occupazione militare del paese, ed il sistema oppressivo delle tasse. Queste venivano date in appalto ad alcuni cavalieri romani, e da loro subaccollate ad esattori, i quali dovevano naturalmente pagare un tanto all'accollatario principale, e cercavano poi di rimborsarsi, e di avvantaggiare il più possibile se medesimi. Cotesto ordinamento, che vige tuttora in molti paesi orientali, era, per l'indole sua stessa, oppressivo e corruttore; odiosissimo poi agli Ebrei, che negli accollatari principali, e ne' subordinati, vedevano gli strumenti d'una

aborrita potenza straniera. Così un'occupazione, per se medesima non illegale, e resa oppressiva solamente dalla cupidigia di coloro che la disimpegnavano, venne ad essere riguardata dagli Ebrei devoti, come intrinsecamente rea; donde quella unione, inesplicabile a chiunque ciò ignori, fra il nome di «pubblicani» e quello di «peccatori». «Peccatori», Uomini, spiega Grozio, di professione contraria alla legge; Lightfoot intende usurari, ladri, mercanti di porci; e Bengel crede si chiamassero con tal nome, quelli che avevano peccato gravemente contro il 7 e l'8 comandamento. Erano costoro, insomma, persone dell'uno o dell'altro sesso, che notoriamente avevano trasgredito la legge morale e cerimoniale; e, agli occhi dei Farisei l'aver mancato a quest'ultima, era naturalmente il peccato di gran lunga il più grande.

PASSI PARALLELI

Marco 2:15-17; Luca 5:29-32

Matteo 5:46-47; Giovanni 9:31; 1Timoteo 1:13-16

Mt 9:11

Risposta alle obbiezioni dei Farisei Matteo 9:11-13

11. E i Farisei, veduto ciò,

La condiscendenza di Gesù nel mangiare con quelli che i Farisei riputavano apostati e scomunicati, svegliò dapprima in essi la maraviglia, quindi un odio feroce contro di lui, come non essendo migliore di simile gente; onde lo chiamavano per oltraggio «l'amico dei pubblicani e dei peccatori».

dicevano ai suoi discepoli: Perché mangia il vostro maestro co' pubblicani e co' peccatori?

I Farisei iniziarono allora e seguirono poi generalmente il sistema di scansare il Maestro, cercando però di trionfare sui suoi discepoli a forza di domande che potessero imbrogliare «uomini senza lettere ed idioti» e scuotere la loro fede. «Perché mangia il vostro Maestro co' pubblicani e co' peccatori?».

Molti credono che quella interrogazione fosse diretta ai discepoli dopo il convito, perché, dicono, è impossibile che in casa d'un pubblicano si trovassero Farisei. Ma questa opinione viene solo dall'ignoranza degli usi orientali. Anche oggi, quando alcuno ospita stranieri notevoli, quelli che desiderano parlare con questi, od hanno vaghezza di vederli, vanno a trovarli precisamente nel tempo del pranzo; e quanto più notevole è l'ospite, tanto maggiore è la folla degli accorrenti, i quali non badano alla posizione sociale del padrone di casa. Di questa incomoda presenza di curiosi, i libri dei viaggiatori dell'Oriente sono pieni. Così spiegasi il contegno dei Farisei e degli Scribi di Capernaum in questo caso. E se alcuno insistesse col dire che ai Farisei non poteva gradire di contaminarsi, entrando in casa di Levi, noi risponderemmo rammentando il caso della donna peccatrice che entrò nella casa di Simone il Fariseo, mentre nostro Signore sedeva quivi ad un convito dato in onor suo Luca 7:37-38. Il fatto che niuno la sgridò o la cacciò via, ben dimostra come questa costumanza di andar nelle case per veder la faccia, o dir la parola di qualche straniero, era generale in quel tempo. Chi voglia considerare che i Farisei erano accorsi allora da ogni parte, a bella posta, per accertarsi in persona del valore delle pretese del profeta di Galilea non dovrà meravigliarsi troppo vedendoli entrare, per le loro indagini, nella casa d'un pubblicano; ma ben dovremmo stupirci che ad una nota meretrice fosse permesso entrare in casa d'un rigido Fariseo. Il linguaggio di Simone dimostra come egli non avesse nulla da obiettare contro la presenza di siffatta donna in casa sua; bensì pensava egli: «Costui, se fosse profeta, conoscerebbe pur chi, e quale sia questa donna che lo tocca; poiché ella è una peccatrice».

PASSI PARALLELI

Marco 2:16; 9:14-16

Matteo 11:19; Isaia 65:5; Luca 5:30; 15:1-2; 19:7; 1Corinzi 5:9-11; Galati 2:15

Ebrei 5:2; 2Giovanni 10

Mt 9:12

12. Ma Gesù, avendoli uditi, disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.

Udita appena la domanda, Gesù si fece a difendere, come in altra occasione Marco 9:16, i suoi discepoli; e dinanzi a tutti dichiarò apertamente la ragione che aveva di «accompagnarsi così intimamente con quei tali. È facile immaginare con qual gratitudine i pubblicani, disprezzati dai loro superbi concittadini, che confidavano nella loro propria giustizia, ascoltassero quelle benedette parole, che dovevano essere assenzio e fiele al cuore dei Farisei. Gesù ci si presenta qui in aspetto di medico: guarire la malattia del peccato è la sua missione; fra i malati ed i moribondi, ossia fra coloro che sentono se stessi infermi di peccato, e condannati da Dio, è il suo posto. I Farisei si immaginavano di essere giusti, e perciò disprezzavano quel medico mandato dal cielo; i pubblicani ed i peccatori si confessavano peccatori, e quindi reietti da Dio, non meno che dalla congregazione d'Israele, perciò fra loro trovava il vero suo posto il medico spirituale. Non già che amasse la compagnia dei peccatori per se stessi, ma perché era venuto espressamente «per cercare, e per salvare ciò ch'era perito» Luca 19:10

PASSI PARALLELI

Salmo 6:2; 41:4; 147:3; Geremia 17:14; 30:17; 33:6; Osea 14:4; Marco 2:17; Luca 5:31

Luca 8:43; 9:11; 18:11-13; Romani 7:9-24; Apocalisse 3:17-18

Mt 9:13

13. Or andate, e imparate

L'Evangelista aggiunge, secondo l'uso tutto suo Marco e Luca non la riportano, una citazione di Osea 6:6, secondo la versione dei 70. citazione che nella lettera era notissima ai Farisei; i quali però, per colpevole ignoranza, non ne comprendevano lo spirito e il senso, il Signore colle parole: «Andate ed imparate» quel che avreste dovuto sapere ed insegnare ad altri, li rimanda a scuola.

che cosa significhi: Voglio misericordia e non sacrificio;

il testo Vaticano dei 70. che viene riguardato come il più antico, ritiene la forma comparativa, invece di vale a dire, misericordia piuttosto che sacrificio, ed è questa la vera significazione delle parole di Cristo. «Sacrificio» la parte principale della legge cerimoniale, significa qui una religione che consiste nell'aderire soltanto alla lettera di quello che è da Dio comandato, trascurandone lo spirito; mentre la parola «misericordia» esprime quella compassione per i caduti che cerca di rialzarli, ed è il frutto della vera religione il dovere di star lontani dagl'impuri, nel senso di «non partecipare alle opere infruttuose delle tenebre» Efesini 5:11, è ovvio quanto basta; ma chi lo intende come una proibizione di avvicinarsi ad essi, quanto sia necessario per rialzarli, lo nega del tutto. È questo appunto ciò che quei Farisei facevano, e che qui è condannato dal nostro Signore. I sentimenti medesimi di cotestoro aveva, ai tempi d'Osea, il popolo d'Israele, il quale credeva che la cosa più a Dio gradita fosse il sacrificio esteriore e materiale, e si compiacevano in questo errore; imperocché, più agevole assai riesce offrire una vittima, che non dare il cuore a Dio, ed esercitare amore verso il prossimo.

poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori.

Colla parola «giusti», non intende affermare il Signore che tra i figli degli uomini ve ne siano dei realmente giusti alla presenza di Dio. Davide e Paolo lo negano apertamente Salmo 14:3; Romani 3:9-10; ma siccome Cristo aveva appunto parlato di «coloro che stanno bene» Marco e Luca «i sani»

per indicare lo stato nel quale si immaginavano d'essere spiritualmente i Farisei, così egli li chiama ironicamente «giusti». Si osservi che le parole qui messe a contrasto: sani, malati, giusti, peccatori, vogliono essere intese soggettivamente, che è quanto dire, rispetto alle opinioni che ambedue quelle classi avevano di se». e non oggettivamente, almeno in quanto esse si applicano ai Farisei, come se essi fossero veramente sani e giusti. Lo scopo, della dispensazione evangelica è di cercare e salvare i perduti, di chiamare i peccatori a penitenza, e di predicare la Buona Novella ai poveri ed ai mansueti di cuore.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:3,5,7; 19:4; 21:42; 22:31-32; Marco 12:26; Luca 10:26; Giovanni 10:34

Proverbi 21:3; Osea 6:6; Michea 6:6-8

Matteo 18:11-13; Marco 2:17; Luca 5:32; 15:3-10; 19:10; Romani 3:10-24

1Corinzi 6:9-11; 1Timoteo 1:13-16

Matteo 3:2,8; 4:17; 11:20-21; 21:28-32; Isaia 55:6-7; Luca 15:7; 24:47

Atti 2:38; 3:19; 5:31; 11:18; 17:30-31; 20:21; 26:18-20; Romani 2:4-6

1Timoteo 1:15; 2Timoteo 2:25-26; 2Pietro 3:9

RIFLESSIONI

1. Osserviamo che la conversione dev'esser causa d'una grandissima allegrezza, non soltanto per Levi, ma per tutti i credenti. Perciò, se abbiamo ricevuto la grazia della conversione, rallegriamoci. Nessun avvenimento della vita dell'uomo deve rallegrarlo quanto la sua conversione a Cristo. Essa è infinitamente più importante del suo matrimonio, della grandezza dei titoli o della fortuna ch'egli può acquistar. Essa è la rinascita d'un'anima

immortale la liberazione dall'infermo, il passaggio dalla morte alla vita. Per essa l'uomo diventa re e sacerdote in eterno ed è adottato nella più ricca e più nobile famiglia dell'universo, cioè nella famiglia di Dio. Non possiamo, sopra questo argomento, seguire le idee dei mondani i quali giudicano male delle cose che ignorano.

2. Osserviamo che i convertiti bramano ardentemente di condurre gli altri alla conversione. Quanto è bello lo zelo col quale Andrea si sforza di convertire il suo fratello Pietro, quello di Filippo per la conversione del suo amico Natanaele-Bartolomeo Giovanni 1:41-45, e quello di Levi per la conversione dei suoi colleghi pubblicani! Egli sapeva quanto le loro anime avevano bisogno ai misericordia, poiché egli era stato simile a loro. Perciò desiderava ch'essi si accostassero al Salvatore, che era stato tanto misericordioso per lui. Si può asserire, in un modo assoluto, che chiunque non si cura della salute del prossimo, non è ancora convertito, perché è impossibile che l'uomo veramente chiamato da Dio, non preghi e non s'affatichi, affinché quelli che stanno per perire odano l'appello del Salvatore, e si consacrino al suo servizio.

3. Quante migliaia d'anime, malate di peccato, furono consolate da queste incomparabili parole: «io non sono venuto per chiamar dei giusti, ma dei peccatori»; e quanti incoraggiamenti somministra, con esse, il Salvatore a coloro che gemono sotto il peso dei loro peccati, affinché vadano direttamente a lui, senza l'intervento del prete, dei santi o della Madonna! Egli è il vero medico, il solo Salvatore, e il suo invito, pieno di grazia, è pur sempre questo: «Venite a me voi tutti che siete travagliati ed aggravati, ed io vi darò riposo» Matteo 11:28. Gesù non è soltanto un riformatore, non dà soltanto all'umanità un codice di sana morale; il suo scopo è di guarire le anime malate, salvare i peccatori, e ricondurre a Dio i prodighi suoi figli.

4. Studiamoci d'intendere rettamente la dottrina che è contenuta in queste parole. Innanzi tutto per partecipare ai benefizi di Cristo, noi dobbiamo sentire profondamente la nostra corruzione, e bramar di andare a lui per esserne liberati. Non dobbiamo tenerci lontani da lui, perché ci sentiamo corrotti, malvagi, e indegni, come fanno molti nella loro ignoranza;

dobbiamo rammentarci sempre che i peccatori sono appunto quelli ch'egli venne a salvare; e beati noi se sentiamo la nostra miseria!

Mt 9:14

Domanda dei discepoli di Giovanni a Gesù Matteo 9:14-17

14. Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni,

Secondo Luca parrebbe che la domanda intorno al digiuno venisse fatta, come la precedente, da' Farisei; secondo Marco sembrerebbe che la facessero i Farisei, insieme coi discepoli di Giovanni: quegli però che mette la cosa in chiaro è Matteo. Il Signore, giustificando la propria condotta nel mangiare coi pubblicani, e censurando la pretensione dei suoi interlocutori a giustificare se stessi davanti a Dio, li aveva ridotti al silenzio, e se essi non erano usciti dalla casa di Levi, dovevano però aver perduto la voglia di continuare la conversazione. Ma presenti pure erano alcuni discepoli del Battista, nei quali il contrasto fra il rigore del loro Maestro, e la libertà che Cristo accordava ai suoi discepoli, faceva nascere dubbi gravissimi; onde, nella semplicità ed onestà del loro cuore, e non già come strumenti dei Farisei, chiesero di siffatta differenza una spiegazione. Il Signore lesse ne' loro cuori il motivo che li spingeva a parlare, ed è importante assai notare la differenza che corre fra la risposta che dà a questi, e quella che aveva data ai Farisei. Non rimproveri di sorta, ma spiegazione piena e chiara delle loro difficoltà. C'è, fra gli espositori, chi ha poco buon concetto di questi discepoli di Giovanni, quasi volessero costituire un partito religioso separato. Ma questa supposizione ci pare priva di fondamento, perché alcuni fra i discepoli di Gesù erano già stati discepoli di Giovanni; e, qualche tempo dopo questo banchetto, Giovanni medesimo ne mandò altri a lui, perché appunto si persuadessero ch'egli era il Messia, e lo seguissero Matteo 11:2. Essi erano in buona fede, e non intendevano affatto prendere parte alla inimicizia dei Farisei.

e gli dissero: Perché noi ed i Farisei,

Giovanni, quale ultimo profeta della dispensazione antica, sorse, al pari di Elia, a distogliere il popolo dall'empietà, col predicare il pentimento. Egli rappresentò la legge nel suo massimo rigore, esigendo da tutti coloro che divenivano suoi discepoli una disciplina, la quale comprendeva tutte le osservanze cerimoniali vigenti a' suoi giorni.

digiuniamo.

L'unico digiuno prescritto dalla legge mosaica è quello del gran giorno delle espiazioni, nel quale si compendiavano tutte le cerimonie espiatorie dell'anno Levitico 16:29-34. Se non che col tempo furono dagli Ebrei istituiti alcuni digiuni addizionali Ester 9:31; Zaccaria 8:19, e Gesù medesimo dice Luca 18:12, che, al tempo suo, i Farisei digiunavano almeno due volte la settimana. Che Giovanni stabilisse qualche altro digiuno, non abbiamo ragione di crederlo. Digiunare vuol dire astenersi dal cibo coll'intendimento di mortificare gli appetiti carnali, e coltivare le disposizioni spirituali, soffocando la sensualità della vita. Tenuto in giusti limiti, il digiunare è utile, e viene sanzionato dal nostro Signore anche sotto la dispensazione dell'Evangelo; ma i Farisei ne abusavano come mezzo di giustificazione innanzi a Iddio, e i discepoli di Giovanni non erano ancora bene istruiti intorno ad esso.

e i tuoi discepoli non digiunano?

La vista stessa dei dodici discepoli di Cristo seduti ad un tal convito avrebbe potuto suggerire ai discepoli di Giovanni quelle parole sulla diversità fra la loro ascetica confraternita e costoro; ma siccome i Farisei ed i loro seguaci non si astenevano dal banchettare, altro che nei giorni di digiuno, è probabile assai che il giorno del convito di Levi fosse uno di quelli nei quali i Farisei e i discepoli di Giovanni digiunavano; da ciò la interrogazione, che comprendeva Maestro e discepoli. La quale conferma ciò che d'altronde ci è noto, che cioè la vita di Cristo e dei suoi discepoli era lontana del pari dagli estremi opposti d'una frivola, rilassatezza e d'una eccessiva severità.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:2; Giovanni 3:25; 4:1

Matteo 6:16; 11:18-19; Proverbi 20:6; Marco 2:18-22; Luca 5:33-39; 18:912

Mt 9:15

15. E Gesù disse loro: Gli amici dello sposo posson essi far cordoglio, finché lo sposo è con loro?

Replicando, il Signore giustifica i suoi discepoli con tre esempi comprovanti la necessità in cui siamo di aver riguardo sempre all'opportunità ed alla convenienza delle cose. Il primo esempio è tratto da una festa nuziale, nella quale il lutto e il digiuno sarebbero del tutto fuori luogo. Era uso fra gli Ebrei che, in occasione delle nozze, lo sposo fosse accompagnato da un drappello di giovanotti, chiamati letteralmente, all'ebraica, i «figli della camera delle nozze» mentre la sposa era accompagnata da un corteo di fanciulle, sue amiche Giudici 14:2; Salmo 45:14. Questi giovani erano gli amici particolari dello sposo Cfr. Giovanni 3:29, e Gesù dà ai suoi discepoli questo titolo onorevole prendendo egli stesso quello di sposo, per indicare che in lui si adempiva un intiero ciclo di profezie e di figure dell'Antico Testamento Vedi Isaia 54:5-6; Salmo 45:12; Ezechiele 16:8; cui conf. Rut 3:9; Osea 2:16,19-20. Questa figura è adoprata anche nel Testamento Nuovo, nel quale la sposa rappresenta la Chiesa di Cristo universale e spirituale a cui il nuovo patto appartiene Si Veda l'interpretazione che Paolo fa d'Isaia 54:5, ne' Galati 4:26-31, e confrontinsi Matteo 22:1-13;25:1-13; Romani 7:4; Efesini 5:23-32; Apocalisse 21:2,9. «Far cordoglio» = Il digiunare di Marco e Luca. Il digiuno era il simbolo esterno del cordoglio ed in questo senso viene qui usata siffatta parola, poiché Gesù risponde ad una domanda sul digiuno. Il tempo durante il quale egli viveva quaggiù doveva essere per i suoi discepoli un continuo giorno di nozze, nel quale il cordoglio sarebbe stato del tutto fuor di luogo; e la forma interrogativa qui usata equivale ad una più energica affermazione.

ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto, ed allora digiuneranno.

Lo sposo non sarà sempre presente in modo visibile; la sua partenza segnerà il tempo del digiuno. Notiamo che Gesù fa uso a bella posta della parola sarà tolto, che esprime violenza, e preannunzia in un modo sublime gli avvenimenti futuri, e il gran dolore che aspettava i discepoli. Particolare allusione sembra qui fare Gesù a quell'intervallo di tempo che corse fra la sua crocifissione e la sua risurrezione, nel quale i discepoli sentirono un dolore speciale che d'allora in poi non può essere sentito da nessuno. Tutti quelli che propugnano le idee premillenarie, e credono che Cristo verrà personalmente a regnare in terra, sostengono che «i giorni nei quali lo sposo sarà loro tolto» si riferiscono a tutta quanta la dispensazione evangelica, dal giorno in cui Cristo fu ricevuto in cielo, fino a quello in cui apparirà nella sua gloria per iniziare il millennio. Ma chi voglia ponderatamente considerare l'allegrezza che empiè il cuore dei discepoli fin dal momento in cui Cristo fu salito in cielo Luca 24:52-53, i gloriosi effetti della diffusione dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, e soprattutto la preziosa e positiva promessa che il Salvatore fece ai suoi discepoli innanzi di ascendere al cielo, «di esser con loro in ogni tempo infino alla fin del mondo» Matteo 28:20 vedrà cadere ogni ragionevole fondamento di siffatta opinione. Ne ha meno ancora la dottrina della Chiesa di Roma, secondo la quale, la Chiesa, dopo la partenza di Cristo, dev'essere digiunatrice; perché, questo sarebbe come dire che l'esaltazione di Cristo ha immerso il suo popolo in un perpetuo dolore.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:1-10; Giudici 14:11-20; Salmo 45:14-15; Giovanni 3:29; Apocalisse 19:9; 21:2

Luca 24:13-21; Giovanni 16:6,20-22; Atti 1:9-10

Isaia 22:12; Atti 13:1-3; 14:23; 1Corinzi 7:5; 2Corinzi 11:27

Mt 9:16

16. Or niuno mette un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio;

È questo il secondo esempio che dà Gesù della necessità di riguardare sempre all'opportunità ed alla proprietà delle cose.

perché quella toppa porta via qualcosa dal vestito e lo strappo si fa peggiore.

Il contrasto fra il vestito vecchio e la toppa di panno nuovo non solo farebbe una brutta figura, ma, specialmente se quest'ultima fosse di lana, alla prima bagnatura diventerebbe ruvida; e, ritirandosi il tessuto, si staccherebbe, e lo strappo si farebbe più largo e più sconcio di prima. Vestito vecchio eran le forme ed osservanze esteriori della dispensazione antica, oramai invecchiate, e vicine a svanire. Il panno nuovo è la spiritualità e la libertà evangelica recate da, Cristo Galati 3:27; Colossesi 3:9-10,12. La vita nuova del discepolo di Cristo, pertanto, non potrebbe aggiungersi, a guisa di toppa, all'antico sistema legale, al quale i Farisei stavano attaccati. Il vecchio doveva sparire, tutto doveva rinnovarsi. La missione di Gesù non consiste nel rattoppare un'istituzione pedagogica ormai logora ed antiquata. Egli reca un vestito nuovo. Tutto quel che si suole chiamare il sistema di Paolo; l'antitesi dei due patti: quello della legge e quello della grazia si trova racchiuso qui sotto un umile immagine Confr. Godet.

PASSI PARALLELI

Genesi 33:14; Salmo 125:3; Isaia 40:11; Giovanni 16:12; 1Corinzi 3:1-2; 13:13

Mt 9:17

17. Neppur si mette del vin nuovo in otri vecchi; altrimenti gli otri si rompono, il vino si spande, e gli otri si perdono; ma si mette il vin nuovo in otri nuovi, e l'uno e gli altri si conservano. È

È questo il terzo esempio che dà Gesù della necessità di riguardare sempre all'opportunità ed alla proprietà delle cose. La traduzione del Diodati, dando alla parola greca il significato di barili è inesatta, al pari della traduzione francese dove si usa la parola vaisseaux, e dell'inglese dove si usa bottles; inesattezza questa tanto più notabile, in quanto che la Volgata mette la parola utres; e che l'uso di porre il vino in otri di pelle di capra per lo più era e rimase in Italia molto tempo dopo il Diodati stesso. Per mettere in luce dunque la bellezza della parabola del Signore, fa d'uopo restituire al vocabolo greco il suo vero senso di otri, quali anche ai dì nostri, si usano in Grecia, in Oriente ed in alcune provincie d'Italia, per trasportare il vino. Il vin nuovo che non ha finito di fermentare, chiuso in una di queste pelli, già indebolita per vecchiezza, o irrigidita per lungo disuso, la farebbe senza dubbio schiantare, e il vino andrebbe perduto. Le pelli nuove, al contrario, cederebbero elasticamente alla forza della fermentazione, e sarebbero forti abbastanza da contenere il vino senza scoppiare. Bengel od altri, fra cui il Godet, vedono negli otri vecchi i Farisei e gli uomini dell'ordine antico; nei nuovi, i discepoli di Cristo presi da nuove categorie di persone; ma, considerando il discorso e le persone cui è diretto, ci sembra chiaro che sotto queste figure il Signore parla non d'uomini ma di sistemi. Nel vin nuovo è simboleggiato il Vangelo colla sua energia viva e spirituale; negli otri vecchi la dispensazione cerimoniale giudaica; e nei nuovi la dispensazione nuova, «la legge di libertà», «il servire secondo la spirito, e non secondo la lettera», che è la caratteristica del regno di Cristo. L'ammaestramento del Signore in questo luogo è, che non si può avvolgere e contenere la vita spirituale e l'energia del Vangelo nelle forme cerimoniali della dispensazione levitica; ma che esso deve svolgere nuove forme congeneri alla propria natura. Facendo un ibrido accozzamento della libertà spirituale col ritualismo ascetico dell'antica, ambedue sarebbero sfigurati e distrutti. In questo paragone, si pone in grande evidenza la relazione tra la forma e la sostanza della religione, dal punto di vista del Nuovo Testamento. La sostanza, per mezzo dell'innato suo potere creativo, deve produrre una forma consentanea al proprio carattere; ed ovunque gli uomini rinchiudono violentemente la sostanza, ossia lo Spirito del Vangelo, nella forma d'un vano e vieto ritualismo, ne risulta di subito la rovina della forma, simile a quella degli otri vecchi pieni di vin nuovo.

Le parole aggiunte in Luca 5:39 «E niuno che abbia bevuto del vin vecchio, ne desidera, del nuovo; perché dite: il vecchio è buono», sembrano confermare la interpretazione che il vino nuovo simboleggi lo spirito del Vangelo, perché, in esse, Gesù pone questo spirito in contrasto col vino vecchio delle osservanze cerimoniali, come sarebbero i digiuni, ecc., cui i discepoli di Giovanni erano abituati. Non che in realtà il vino vecchio sia migliore del nuovo; ma chi si è abituato a bere quello che ha perduto la sua asprezza, si abitua difficilmente al nuovo. I discepoli di Giovanni ed i Farisei erano affezionati alle loro antiche abitudini e dottrine, e non piaceva loro di mutarle. «Non si passa facilmente da un sistema imparato fin dall'infanzia ad un principio di vita del tutto diverso». Questo richiede tempo.

PASSI PARALLELI

Giosuè 9:4; Giobbe 32:19; Salmo 119:83

RIFLESSIONI

1. Può sembrare che vi sia molta incoerenza fra la libertà e la letizia che Gesù, indirettamente, nel vers. 14, insegna essere la caratteristica della nuova economia, e quella tristezza cagionata dalla sua dipartenza, la quale, sarebbe, finché dovrà durare la sua assenza, il sentimento proprio di tutti coloro che lo amano. Ma queste due cose stanno interamente d'accordo. Noi possiamo rattristarci per una cosa, e rallegrarci per un'altra, allo stesso tempo. Vero è che l'una tempera l'altra, e così è nel caso nostro.

2. Questi versetti c'insegnano di guardarci bene dall'attenerci a forme antiche, solamente a cagione della loro antichità, quando la vita e l'utilità di quelle sono svanite. È però, un fatto, che le antiche forme di un culto qualsiasi, ispirano alla moltitudine, o soprattutto a quelli che vogliono essere considerati come uomini religiosi, una venerazione tenace. Questa venerazione si spiega benissimo quando si rifletta che, assai di frequente, a furia di forme religiose, si giunge a far senza della religione. Ora, per cotesti uomini, le vecchie usanze, qualunque siano, valgono meglio di quelle che

essi appellano novità, le quali non sono altro che l'Evangelo rimesso in luce ed in pratica. Ma, mentre l'ammaestramento che Gesù ci dà qui si applica a coloro che follemente si attengono a quel che è antiquato, esso si applica ancor più chiaramente a quel riformatori precipitosi che urtano, senza nessun riguardo, i loro fratelli più deboli. Qual fortuna per la Chiesa, in tempo di risorgimento, di possedere uomini capaci di condurla a salvamento tra questi due scogli!

3. Che diremo della massa di riti, di simboli, di paramenti ecc., tolti ad imprestito dal cattolicesimo alle forme dell'economia levitica? Essi sono come una toppa tolta da un abito vecchio e cucita sopra l'abito nuovo del Vangelo.

Mt 9:18

Matteo 9:18-26. GUARIGIONE DELLA DONNA AFFLITTA DA FLUSSO DI SANGUE. RISURREZIONE DELLA FIGLIA DI JAIRO Marco 5:21-43; Luca 8:40-56

Per la spiegazione dei versetti, Vedi Marco 5:22Marco 5:22-43.

18. Mentre egli diceva loro queste cose, ecco, uno dei capi della sinagoga, accostatosi s'inchinò dinanzi a lui...

In Marco e Luca la narrazione di questo doppio miracolo viene dopo quella del ritorno di Gesù a Capernaum da Gadara; ma la parola ecco colla quale questi Evangelisti incominciano la narrazione di questo miracolo, non è un'indicazione speciale di tempo: altri avvenimenti possono benissimo essere intervenuti fra il ritorno di Gesù a Capernaum, e la guarigione della figlia di Jairo. È impossibile che Matteo potesse sbagliare circa un avvenimento che accadde mentre il Signore parlava, seduto a tavola nella sua casa, ed egli indica, con più precisione del solito, che in quel momento successe la visita di Jairo. Ordinariamente Matteo indica i luoghi piuttosto che le date; qui segue l'ordine cronologico. Matteo e Luca al contrario, nella

narrazione di questi fatti, stanno attaccati principalmente all'indicazione dei luoghi. Queste piccole differenze, nei racconti degli Evangelisti, non debbono farci meraviglia; la sostanza del fatto in tutti è la stessa.

PASSI PARALLELI

Marco 5:22-43; Luca 8:41-56

Luca 8:49; 13:14; 18:18; Atti 13:15

Matteo 8:2; 14:33; 15:25; 17:14; 20:20; 28:17; Marco 5:22; Luca 17:15-16

Atti 10:25-26

Matteo 9:24; Marco 5:23; Luca 7:2; 8:42,49; Giovanni 4:47-49

Matteo 8:8-9; 2Re 5:11; Giovanni 11:21-22,25,32

Mt 9:27

Matteo 9:27-31. GUARIGIONE MIRACOLOSA DI DUE CIECHI

27. Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono,

Di questo miracolo il solo Matteo ci fa parola; egli lo pone, cronologicamente, subito dopo la partenza di Gesù dalla casa di Jairo. Questa libertà nella scelta fra i numerosissimi miracoli di Gesù Giovanni 20:30-31, mostra che gli Evangelisti non si copiarono fra loro, ma furono storici indipendenti ed ispirati. Nell'Oriente, la cecità è sempre stata cosa frequente; né fa meraviglia che due uomini, che soffrivano di tale infermità, si trovassero insieme nelle vicinanze di Capernaum. Come Bartimeo Marco 10:48, essi, udendo chi passava vicino a loro cominciarono ad invocare compassione, gridando e dicendo:

Abbi pietà di noi, o Figliuolo di Davide.

Questi due ciechi furono i primi che diedero a Gesù il titolo di Figliuolo di Davide. Ciò mostra che la sua discendenza da quella Casa reale era conosciuta. Le profezie gli davano quel titolo, e la sua genealogia dimostrava chiaramente ch'egli aveva diritto di prendere quel nome. È degno di nota che nell'altro solo caso, ricordato nei Vangeli Matteo 20:30; Marco 10:47, nel quale i ciechi ricorsero a Gesù per chiedergli la vista, gli si rivolsero quel ben noto titolo messianico: «Figlio di Davide». Non si può dubitare che la loro fede si fondasse sopra le grandi promesse concernenti il Messia. come, per esempio, sopra quella, contenuta in Isaia 35:4. «Allora saranno aperti gli occhi dei ciechi»; quindi Gesù accolse volentieri l'appello indirizzatogli dal ciechi.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:5; 12:22; 20:30; Marco 8:22-23; 10:46; Luca 7:21; Giovanni 9:112

Matteo 12:23; 15:22; 20:30-31; 21:9,15; 22:41-45; Marco 10:47-48; 11:10

Marco 12:35-37; Luca 18:38-39; 20:41; Giovanni 7:42; Romani 1:3; 9:5

Matteo 17:15; Marco 9:22; Luca 17:13

Mt 9:28

28. E, quando egli fu entrato in casa, que' ciechi si accostarono a lui.

Nella strada, essi lo supplicarono di usare loro misericordia; ma Gesù, senza fermarsi, entrò in casa. Egli non era insensibile alla loro preghiera, ma voleva provare e fortificare la loro fede.

E Gesù disse loro: Credete voi che io possa far questo? Essi gli risposero: si, o Signore.

Questa domanda era intesa non solo a provare e rendere più profonda la loro fede, ma pure ad accrescere la loro speranza di guarigione, e prepararli così a riceverla. Lo scopo fu raggiunto interamente. Importava moltissimo che il popolo credesse che Gesù poteva operare dei miracoli, ossia esercitare un'autorità ed una potenza divina; perché da quella credenza derivava naturalmente la conclusione ch'egli era il Messia. Questo miracolo aveva anche per scopo di manifestare l'amore di Gesù verso gl'infelici.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:14; 13:36

Matteo 22; 8:2; 13:58; Marco 9:23-24; Giovanni 4:48-50; 11:26,40

Mt 9:29

29. Allora toccò loro gli occhi, dicendo: Siavi fatto secondo la vostra fede.

Il Signore manifestava ordinariamente l'azione del potere divino sopra i ciechi, toccando o ungendo i loro occhi Matteo 20:31; Marco 8:25; Giovanni 9:6. Dice: Secondo, non a cagione della vostra fede, come se essa fosse un titolo meritorio; ma in proporzione della forza di essa. Così essi porterebbero con se dovunque, nella vista ricuperata, un suggello della loro fede. Queste parole manifestano chiaramente la relazione che passa tra la fede dell'uomo, e il dono di Dio. La fede, è il mezzo per cui si ottiene tutto; ell'è la secchia che sì cala nel pozzo della grazia, senza la quale l'uomo non potrebbe attingerla; ell'è la borsa che, sebbene fatta di rozza materia, fa ricco il suo possessore coi tesori che contiene.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:34; Giovanni 9:6,7

Matteo 8:6-7,13; 15:28; Marco 10:52

Mt 9:30

30. E gli occhi loro furono aperti; e Gesù fece loro un severo divieto, dicendo: Guardate che niuno lo sappia.

Le ragioni del severo divieto di Gesù sembrano essere state:

1 Che egli voleva evitare di essere sopraffatto dalle domande, sì da non aver più tempo e forza per predicare il Vangelo.

2. Che egli voleva impedire che il popolo, già eccitato, desse pubblicamente segno di riconoscerlo, e che così la malignità dei Farisei si risvegliasse prima che ne fosse venuta l'ora.

PASSI PARALLELI

Salmo 146:8; Isaia 35:5; 42:7; 52:13; Giovanni 9:7-26

Matteo 8:4; 12:16; 17:9; Marco 5:43; Luca 5:14; 8:56

Mt 9:31

31. Ma quelli usciti fuori, sparsero la fama di lui per tutto quel paese.

Essi divennero colpevoli, di un atto di disubbidienza. Cristo aveva le sue ragioni per impor loro il silenzio e doveva esser puntualmente ubbidito. «Ubbidire vale meglio che sacrificio» 1Samuele 15:22, e la osservanza umile della parola del Signore vale meglio d'un culto arbitrario, per quanto ci costi. Gli interpreti romani hanno lodato quest'atto commesso contro al comando espresso del Signore. Coloro che sanno quanto sia arbitrario il culto della Chiesa romana, non si meraviglieranno che i suoi commentatori considerino la disubbidienza dei due ciechi come una manifestazione

irrefrenabile della loro gratitudine, e, per conseguenza, non come una colpa, ma come un merito.

PASSI PARALLELI

Marco 1:44-45 7:36

Mt 9:32

Matteo 9:32-34. GUARIGIONE DEL MUTOLO INDEMONIATO

32. Ora, come que' ciechi uscivano, ecco, che gli fu presentato un uomo muto, indemoniato.

Anche questo miracolo è narrato dal solo Matteo. Ve n'è un altro ricordato da questo Evangelista Matteo 12:22, che rassomiglia assai a questo; perciò alcuni hanno supposto che le due narrazioni si riferissero al medesimo fatto. Ma nel cap. 12. si parla di un uomo cieco e mutolo, di cui ci viene narrata la guarigione anche in Luca 11:14. Né regge la obbiezione che i Farisei non avrebbero mosso, in due occasioni diverse, la stessa accusa contro Cristo: cioè che egli cacciava i demoni per il potere di Beelzebub; poiché, essendosi una volta messi in testa di spiegare così quel miracolo, era naturale ch'essi spiegassero tutti gli altri nella medesima maniera. Per la differenza fra questo caso e quello della infermità naturale del sordomuto, Vedi Marco 7:13

PASSI PARALLELI

Matteo 12:22-23; Marco 9:17-27; Luca 11:14

Mt 9:33

33. E cacciato che fu il demonio, il muto parlò.

La mutolezza era cagionata dal demonio; infatti, appena quello fu cacciato fuori, l'uomo parlò. I particolari del miracolo in questo caso, non sono riferiti. Lo scopo dello scrittore è semplicemente d'indicare il ricupero istantaneo della favella per parte del mutolo, appena rimossa la maligna oppressione che su di esso pesava, la forma nella quale si manifestò la meraviglia del popolo, e l'effetto prodotto sopra i Farisei. In questo fatto, noi abbiamo una prova evidente che Satana e le sue legioni esercitano un'influenza sulle nostre malattie. Così credevano gli Ebrei, e così insegna la Scrittura nella storia di Giobbe. Quando Satana sarà cacciato del tutto, non vi sarà più sofferenza Apocalisse 20:10;21:4

e le turbe si maravigliarono, dicendo: Mai non s'è vista cosa tale in Israele.

La meraviglia del popolo si può riferire a tutte le prove già date da Gesù del suo potere miracoloso di sanare, o, più probabilmente, a questo miracolo come nuova e maggiore manifestazione di esso, data la complicazione delle infermità e questa probabilmente fu la ragione per la quale venne qui ricordato.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:30-31; Esodo 4:11-12; Isaia 35:6; Marco 7:32-37; Luca 11:14

2Re 5:8; Salmo 76:1; Geremia 32:20; Luca 7:9

Mt 9:34

34. Ma i Farisei dicevano: Egli caccia i demoni per l'aiuto del principe dei demoni.

Questa fu la prima volta che si volle rendere ragione di questi miracoli con una teoria blasfematoria, la quale presto divenne il modo ordinario di

calunniarli. Studieremo queste parole in connessione con un discorso notevole cui diedero origine in Matteo 12:24-39

PASSI PARALLELI

Matteo 12:23-24; Marco 3:22; Luca 11:15; Giovanni 3:20

RIFLESSIONI

1. Noi dobbiamo riguardare i miracoli come aventi mire e conseguenze più importanti di quelle relative ai nostri corpi.

2. L'onore in cui il nostro Signore tiene qui la fede e la pazienza di questi ciechi, appartiene senza dubbio a tutti coloro che desiderano di essere ricondotti dalle tenebre alla luce, e dal potere di Satana a Dio; a ciascuno sarà fatto secondo la sua fede.

3. Quanto diversamente sono riguardate le stesse opere o gli stessi avvenimenti dagli uomini semplici, e da coloro che sono pieni di pregiudizi, per difetto di semplicità e di sincerità, si giunge ad attribuire gli atti più nobili dell'amor cristiano ai motivi più bassi e più assurdi.

Mt 9:35

Matteo 9:35-38 ALTRO GIRO DI CRISTO IN GALILEA, COMPASSIONE CHE IN LUI DESTANO LE MOLTITUDINI

35. E Gesù andava attorno per tutte le città, e per i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, e predicando l'evangelo del regno, e sanando ogni malattia, ed ogni infermità.

Queste parole sono quasi identiche a quelle usate nella descrizione del primo viaggio di Gesù Matteo 4:2-3, e ci permettono di supporre che in

queste due occasioni egli facesse a un di presso le medesime opere. A questi viaggi alludeva probabilmente Pietro, quando nella sua conversazione, con Cornelio, disse: «Gesù di Nazaret andò attorno, facendo del bene, e sanando tutti coloro ch'erano sotto il dominio del diavolo» Atti 10:38

PASSI PARALLELI

Matteo 4:23-24; 11:1,5; Marco 1:32-39; 6:6,56; Luca 4:43-44 13:22

Atti 2:22; 10:38

Mt 9:36

36. E, veggendo le turbe,

non radunate in qualche luogo particolare, ma accorrenti da ogni città e villaggio, appena udivano del suo arrivo.

n'ebbe compassione;

Questo sentimento era prodotto in lui da ciò ch'egli aveva osservato nel suo viaggio. Si legge altrove che la compassione del Signore era eccitata dai bisogni materiali della moltitudine che lo seguiva; ma in questa circostanza essa era destata dai loro bisogni spirituali. Infatti le osservazioni ch'egli rivolge ai suoi discepoli accennano a rimedi spirituali.

perché erano stanche,

testo em. ha qui il senso di stanchi, e descrive bene lo stato spirituale del popolo che, gemeva sotto il giogo dell'insegnamento tradizionale dei Farisei mentre coincide colla clausola che segue:

e sfinite come pecore che non hanno pastore.

Immagine sommamente espressiva in un paese di pastori come la Palestina. Essi avevano bisogno di essere istruiti e rianimati, e la loro misera

condizione era tale da eccitare la compassione di Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:14; 15:32; Marco 6:34; Ebrei 4:15; 5:2

Matteo 10:6; 15:24; Numeri 27:17; 1Re 22:17; 2Cronache 18:16; Isaia 56:9-11; Geremia 50:6

Ezechiele 34:3-6; Zaccaria 10:2; 11:16; 13:7-8

Mt 9:37

37. Allora egli disse a' suoi discepoli: Ben è la messe grande, ma pochi sono gli operai.

Queste parole esprimono la compassione che lo stato spirituale dei suoi compaesani aveva svegliata nel cuore di Gesù. Il popolo è paragonato da Gesù ad una messe che va perduta per scarsezza di mietitori. Ciò che precede dimostra chiaramente che quelle espressioni si debbono applicare alle moltitudini che perivano per mancanza di fedeli e zelanti conduttori. Veramente lo sguardo del Salvatore si fermava prima sul popolo ebreo; ma egli lo volgeva anche sul vasto campo del mondo Matteo 13:38, che traboccava di migliaia d'uomini, i quali dovevano essere riuniti a lui. L'immagine d'una messe indica l'idea d'una grande abbondanza, e di un gran valore, se venga accuratamente raccolta; ma di una grande perdita e rovina, se non sia in tempo raccolta e riposta in luogo sicuro.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:19; Marco 16:15; Luca 10:2; 24:47; Giovanni 4:35-36; Atti 16:9; 18:10

Salmo 68:11; 1Corinzi 3:9; 2Corinzi 6:1; Filippesi 2:19-21; Colossesi 4:11; 1Tessalonicesi 5:12-13

1Timoteo 5:17

Mt 9:38

38. Pregate adunque il Signore della messe,

Questo titolo si riferiva a Cristo stesso, che è il padrone della raccolta, benché i suoi discepoli non potessero allora comprenderlo. Il soccorso doveva venire dal Signore stesso, e doveva chiedersi colla preghiera. Questo era il primo dovere dei discepoli, come è tuttora il dovere di quelli che vorrebbero vedere la messe del campo del mondo raccolta nel granaio di Cristo.

ch'egli spinga degli operai nella sua messe.

Iddio solo può indicare gli uomini atti al ministero del Vangelo, dar loro le qualità necessarie, ed assegnare ad ognuno il suo posto. In questo campo gli uomini non devono intraprendere il lavoro arbitrariamente, ma per commissione del Signore della ricolta. La parola spinga fuori è molto espressiva, e si riferisce alla potenza dello Spirito Santo che determina le vocazioni serie e spinge gli operai a lavorare con santo zelo. Queste parole avevano per scopo di preparare i dodici apostoli alla missione che fu loro affidata poco appresso.

PASSI PARALLELI

Luca 6:12-13; Atti 13:2; 2Tessalonicesi 3:1

Matteo 10:1-3; Giovanni 20:21; Efesini 4:11

Salmo 68:11,18; Geremia 3:15; Michea 5:7; Luca 10:1-2; Atti 8:4; 1Corinzi 12:28

RIFLESSIONI

1. Osserviamo con quanta tenerezza Gesù s'interessa alle anime che stanno per perire Egli le vede neglette da quelli che dovrebbero essere i loro maestri; ignoranti, moribonde, e pure non preparate a morire; e tal vista muove il suo cuore amoroso a pietà. Ma quali sentimenti sono i nostri quando vediamo simili spettacoli? Vi sono milioni d'idolatri e di pagani sulla terra, milioni d'illusi maomettani, milioni di superstiziosi cattolici romani! Milioni di protestanti vivono nella ignoranza delle cose divine! C'interessiamo noi teneramente delle anime loro? Colui che non sente interesse per tutte le anime non convertite non la pensa di certo come Cristo.

2. Osserviamo ancora quanto grande è il valore della preghiera. Si può domandare giusta l'ordine che Iddio, immutabile nella sua sapienza, segue nel dispensare la sua grazia fra gli uomini, se ogni qualsiasi gran bene spirituale seminato o mietuto nel mondo, se ogni singolo viandante raccolto nell'ovile di Cristo, non si devono considerare come risposte alla, preghiera. Questa corrispondenza misteriosa fra i decreti di Dio e la preghiera fatta con fede, è innegabile: noi però, sapendo che la sua vera spiegazione si trova nelle parole di Cristo: «Si certo, o Padre, poiché così ti è piaciuto» Matteo 11:26, non dobbiamo occuparci del mistero, ma unicamente del fatto, e del dovere che ne è la conseguenza Salmo 2:8; Isaia 62:6-7; Ezechiele 36:37;1Giovanni 5:14,16

3. In questo passo, Gesù c'insegna, come un dovere quotidiano, a pregare Iddio d'inviare un maggior numero d'uomini per lavorare alla conversione delle anime. Il mettersi personalmente in contatto coi peccatori, onde ammonirli del pericolo in cui versano e condurli a Cristo, è bene; ma pregare è più importante ancora: perché per la preghiera ci accostiamo a Colui, senza del quale i doni in favore delle missioni ed il lavoro dei missionari sono del pari inutili, ed otteniamo l'aiuto dello Spirito Santo. Il denaro serve a mantenere i predicatori, le università e le scuole che li istruiscono, i ministri che li consacrano; ma lo Spirito Santo solo può farne dei veri ministri del Vangelo, e spingere i laici ad interessarsi al progresso

della verità. Non dimentichiamo mai che se vogliamo far del bene al mondo, il nostro primo dovere è di pregare.

Mt 10:1

CAPO 10 - ANALISI

1. Nomi dei discepoli che Cristo scelse per suoi Apostoli, i quali furono investiti di poteri miracolosi, prima di cominciare la loro missione Matteo 10:1-4.

2. Le Condizioni loro imposte. L'opera loro per ora doveva restringersi esclusivamente al popolo d'Israele, non essendo ancora permesso ai Samaritani ad ai Gentili di profittarne Matteo 10:5,6. L'oggetto della loro predicazione doveva essere la prossima venuta del Regno dei cieli, cioè la fondazione della economia, evangelica Matteo 10:7. Il potere di guarire le malattie e di scacciare i demoni era loro accordato, per dimostrare la divina origine della loro dottrina Matteo 10:8. Gesù li accertò che la divina provvidenza penserebbe ai loro bisogni, e perciò fu loro proibito di caricarsi di roba da viaggio, e di darsi pensiero degli alloggi in qualunque casa o città entrassero, dovevano salutarne gli abitanti, augurando loro pace; ma se questi non li volevano ricevere, dovevano scuotersi la polvere dai piedi, in segno dei giudizi che piomberebbero su questi disprezzatori del Vangelo Matteo 10:9-15.

3. Annunzio di future prove. La dichiarazione profetica contenuta nei vers. Matteo 10:16-36 si riferisce meno a questa prima missione dei discepoli, che non alla grande impresa alla quale essi dovevano accingersi più tardi. Nell'adempiere a quella, essi incontrerebbero l'odio del mondo, alla persecuzione dei suoi reggitori Matteo 10:16-18. Il risultato della predicazione doveva essere, non già pace universale, bensì lotta; e ciò non solo nei consorzi pubblici, ma ancora in quelli privati. Ma guai a coloro che, a cagione di queste persecuzioni, abbandonerebbero il servizio di Cristo! Matteo 10:21-22,34-39.

4. Conforti nell'afflizione. Quando venissero citati davanti ai tribunali umani Gesù prometteva loro l'assistenza della diretta ispirazione dello Spirito Santo Matteo 10:19,20. Egli ordinava loro, al primo sorgere della persecuzione, di provvedere alla propria salvezza colla fuga, e di non andare in cerca della morte; poiché altrimenti la loro missione non si sarebbe potuta compiere Matteo 10:23. Quali che fossero le loro persecuzioni e i loro cimenti, dovevano rammentarsi che il loro Signore e Maestro aveva patito molto più per amor loro, ed essi non dovevano quindi lamentarsi qualora fossero chiamati a soffrire per amor di lui Matteo 10:24-27. Si ricordava loro che Iddio, il quale prende cura dei passeri, e numera i capelli del nostro capo, li farebbe oggetto della sua cura particolare Matteo 10:2831. Gesù dava loro assicurazione infine che chiunque li riceverebbe cortesemente per amore del loro messaggio, non rimarrebbe senza ricompensa Matteo 10:40-42.

Matteo 10:1-5. MISSIONE DEI DODICI APOSTOLI Marco 6:7-13; Luca 9:16

Gli ultimi tra versetti del cap. 9, formano la vera introduzione alla missione dei dodici Apostoli, come lo prova il fatto che la missione dei settanta è preceduta da un preambolo espresso con le stesse parole Luca 10:2

1. Poi, chiamati a se i suoi dodici discepoli,

Matteo non ci dà alcun ragguaglio sulla elezione che il Signore fece dei dodici Apostoli, ma riferisce i loro nomi nei seguenti versetti, insieme con la missione alla quale venivano destinati. Marco 3:13-19; Luca 6:12-16, hanno entrambi ricordato il modo con cui gli Apostoli furono scelti, e dai loro racconti, confrontati l'uno coll'altro, ricaviamo che il Signore, dipartendosi dalla moltitudine che gli si affollava attorno, si ritirò sopra una montagna, ove passò la notte pregando il suo divino Padre; poi, il giorno seguente, chiamati a se tutti i suoi discepoli, scelse fra loro quei dodici dei quali ci sono familiari i nomi, e ordinò loro, come ai suoi Apostoli, di

rimanere in sua compagnia, acciocché potessero profittare dei suoi insegnamenti, ed abilitarsi all'impresa cui li destinava.

diede loro podestà

Le parole corrispondenti in Luca sono podestà ed autorità, ossia li abilitò ed insieme li autorizzò ad operare miracoli di due specie, cioè,

di cacciare gli spiriti immondi, e di sanare qualunque malattia, e qualunque infermità. 2. Ora i nomi dei dodici Apostoli sono questi:

La parola «Apostolo» da mando fuori significa letteralmente un messaggere; e, senza dubbio, Cristo diede questo titolo ai dodici; perché esso indicava ciò che essi dovevano essere. Il loro ufficio di messaggeri è chiaramente espresso in Matteo 10:5-7, e specialmente in Matteo 28:19-20, quando Gesù disse loro: «Andate ed ammaestrate tutti i popoli», ecc. Si sono sparse molte idee assurde relativamente alla successione apostolica. La Chiesa di Roma pretende averne il monopolio, perché, secondo i suoi dottori, Pietro fu il primo Papa. Il sacerdotalismo è fondato, in, gran parte, sopra l'idea bizzarra che una virtù divina, senza la quale l'amministrazione dei Sacramenti non sarebbe valida, venga trasmessa dai vescovi a quelli che ricevono la loro consacrazione al ministero. Quest'idea non ha nessun fondamento nella Parola di Dio. L'apostolato fu un'istituzione straordinaria, stabilita da Cristo per rispondere ai bisogni della Chiesa cristiana quando essa fu fondata; ma il Signore non intendeva farne un istituto permanente. Ciò è chiaramente provato:

1. dal fatto che gli Apostoli eccettuato Giuda, Atti 1:16-26, non ebbero mai dei successori nel loro ufficio. Era d'altronde impossibile trovare altri uomini che potessero coprire questa carica; poiché era indispensabile che quelli che ne erano rivestiti avessero accompagnato Cristo durante tutto il suo ministero, ed avessero veduto i suoi miracoli, ed udito i suoi insegnamenti. Colla morte dei contemporanei di Cristo cessò adunque la possibilità dell'apostolato.

2. Era necessario che gli Apostoli fossero eletti e chiamati direttamente da Cristo.

3. Essi dovevano essere ispirati in un modo infallibile, e questa ispirazione cessò alla morte dei dodici.

4. Essi avevano il potere di operare miracoli per confermare la divinità della loro missione. Nessun uomo imparziale può pretendere che i caratteri sopraccennati si trovano negli uomini della seconda generazione dopo l'ascensione di Cristo. Così tutte le pretensioni ad una successione apostolica, la quale conferisca una santità ed un potere straordinari, sono false e contrarie alle Sacre Scritture. La sola successione apostolica è quella che consiste nel predicare le dottrine degli Apostoli, e nell'imitare la loro umiltà ed il loro zelo. Noi abbiamo nel Nuovo Testamento quattro completi cataloghi degli Apostoli: cioè, oltre questo, uno di Marco 3:16, e due di Luca 6:14; Atti 1:13. C'è ancora una enumerazione parziale degli Apostoli, fatta da Giovanni nel principio del cap. 21. del suo Vangelo Giovanni 21. Nel seguente prospetto, i quattro ultimi cataloghi sono stati compilati secondo l'ordine seguito da Matteo, affinché si possa conoscere, a colpo d'occhio, l'accordo generale, e vedere subito i nomi dati ad alcune delle persone indicate; ma i numeri annessi a ciascun catalogo indicano l'ordine nel quale sono stati redatti dagli autori.

MATTEO

1. Simon Pietro 2. Andrea 3. Giacomo 4. Giovanni 5. Filippo 6. Bartolomeo 7. Tommaso 8. Matteo il Pubblicano 9. Giacomo di Alfeo 10. Lebbeo o Taddeo 11. Simone il Cananita 12. Giuda Iscariot.

MARCO

1. Simon Pietro 2. Andrea 3. Giacomo di Zebedeo 4. Giovanni di Zebedeo 5. Filippo 6. Bartolomeo 7. Tommaso 8. Matteo 9. Giacomo di Alfeo 10. Taddeo 11. Simone il Cananita 12. Giuda Iscariot.

LUCA

1. Simon Pietro 2. Andrea 3. Giacomo di Zebedeo 4. Giovanni di Zebedeo 5. Filippo 6. Bartolomeo 7. Tommaso 8. Matteo 9. Giacomo di Alfeo 10. Giuda di Giacomo 11. Simone Zelote 12. Giuda Iscariot

ATTI

1. Pietro 2. Andrea 3. Giacomo 4. Giovanni 5. Filippo 6. Bartolomeo 7. Tommaso 8. Matteo 9. Giacomo di Alfeo 10.Giuda di Giacomo 11. Simone Zelote vacante.

GIOVANNI

1. Simon Pietro 4. Giacomo 5. Giovanni 3. Natanael 2. Tommaso detto Didimo ed altri due non nominati.

Non abbiamo nessun indizio, nella storia evangelica, che Cristo facesse qualsiasi distinzione fra i dodici Apostoli, salvo che scelse Pietro, Giacomo e Giovanni per suoi compagni in varie occasioni speciali; ciò nonostante, dal fatto che tre degli Apostoli tengono lo stesso posto in tutte queste liste, sembra fondata la congettura, messa innanzi da alcuni, che questa piccola comitiva fosse divisa in tre gruppi, alla testa dei quali stessero rispettivamente Pietro, invariabilmente primo, Filippo invariabilmente quinto, e Giacomo di Alfeo invariabilmente nono nell'ordine. Detto ciò, ci affrettiamo a soggiungere che un tal fatto non ha importanza alcuna, né teorica, né pratica.

Mt 10:2

Il primo Simone, detto Pietro,

Simone contrazione di Simeone era figlio di Giona, pescatore di Betsaida, e il soprannome Cefa o Pietro datogli dal Signore, quando esso, per la prima volta, credette in lui e divenne uno dei suoi discepoli Giovanni 1:42, fu confermato probabilmente in questa occasione, e certamente in un'altra menzionata in Matteo 16:18

L'aggettivo il primo, che Matteo unisce al nome del suo compagno d'apostolato, suggerisce la domanda: Perché mai Pietro è designato così? Si rispondo:

1. non perché avesse, primo fra gli Apostoli, ricevuto Gesù come Messia, poiché Andrea suo fratello aveva creduto prima di lui Giovanni 1:41, e lo aveva condotto lui stesso a Gesù.

2. non perché, come afferma la Chiesa di Roma, egli fosse il Principe degli Apostoli; poiché, la sua successiva caduta dall'apostolato col rinnegare il proprio Signore; la subordinazione di lui a Giacomo nel sinodo di Gerusalemme Atti 15; l'aspro rabbuffo che dovette subire da Paolo, per la sua condotta equivoca in Antiochia Galati 2:11; ed il suo stesso esplicito rifiuto di qualunque supremazia sopra i suoi confratelli 1Pietro 5:3, provano nel modo più lampante che egli non esercitò mai autorità qualsiasi sui suoi colleghi, e fanno crollare la base sulla quale Roma fonda il primato di Pietro, e tutti gli usurpati poteri ed onori che essa fa derivare da questa finzione.

3. Pietro è chiamato «il primo» perché probabilmente era il più anziano d'età fra gli Apostoli; ovvero,

4. perché Gesù, quando fece l'ordinazione dei suoi Apostoli, aveva chiamato Simone primo fra quelli che erano accorsi a lui sul monte;

5. ma più probabilmente perché egli era il più ardito, il più energico, il più acuto per discernimento, il più pronto a parlare fra essi tutti, ed a cagione di queste sue qualità, gli altri apostoli lo riconobbero, in varie occasioni, come il loro rappresentante. D'altronde, secondo l'interpretazione più naturale del Tu es Petrus, Gesù gli aveva conferito il privilegio d'essere il primo a fondare la sua Chiesa così fra i Giudei, alla Pentecoste, come fra i Gentili quando battezzò in Cesarea i primi credenti etnici. Vedi Matteo 16:18. Si tratta di un semplice primato d'onore che non implica nessuna supremazia.

e Andrea, suo fratello;

Anche questo, era in origine pescatore, poi discepolo di Giovanni ed uno dei due, i quali, grandemente colpiti dalle parole: «Ecco l'Agnello di Dio», ecc., applicate a Gesù dal loro maestro, seguirono Gesù e divennero suoi discepoli Giovanni 1:36-40

Giacomo di Zebedeo,

Questo Apostolo e suo fratello Giovanni erano pescatori come il loro padre Zebedeo. Egli è generalmente conosciuto sotto il nome di Giacomo il maggiore per distinguerlo da un altro Apostolo del medesimo nome; e fu il primo dei dodici che ottenne la corona del martirio, essendo stato decapitato da Erode Agrippa in Gerusalemme Atti 12:2

e Giovanni, suo fratello;

Si crede comunemente che questi fosse quell'altro discepolo del Battista che seguì Gesù Giovanni 1:35-40. Egli ci è meglio noto come «il discepolo che Gesù amava» e, dopo Paolo, è l'autore più fecondo del Nuovo Testamento. Si suppone che fosse il più giovane di tutti gli Apostoli, e sappiamo infatti che sopravvisse a tutti i suoi colleghi.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:28; 26:20,47; Marco 3:13-14; 6:7-13; Luca 6:13; Giovanni 6:70; Apocalisse 12:1

Apocalisse 21:12-14

Matteo 6:13; 28:18-19; Marco 3:15; 16:17-18; Luca 9:1-6; 10:19; 21:15; 24:49

Giovanni 3:27,35; 17:2; 20:21-23; Atti 1:8; 3:15-16; 19:15

Luca 6:13; 9:10; 11:49; 22:14; Atti 1:26; Efesini 4:11; Ebrei 3:1; Apocalisse 18:20

Matteo 4:18; 16:16-18; Marco 1:16-17; 3:16; Luca 6:14; Giovanni 1:40-42; Atti 1:13

1Pietro 1:1; 2Pietro 1:1

Marco 1:29; 3:18; 13:3; Giovanni 6:8; 12:22

Matteo 4:21; 17:1; 20:20; 26:37; Marco 3:17; Luca 5:10; Giovanni 21:2; Atti 12:2

1Corinzi 15:7

Luca 22:8; Giovanni 13:23; 20:2; 21:20,24; Atti 3:1; 1Giovanni 1:3-4; 2Giovanni 1

3Giovanni 1

Apocalisse 1:1,9; 22:8

Mt 10:3

3. Filippo,

era di Betsaida, come i quattro Apostoli sopraccennati, e probabilmente era pescatore come essi, benché non sia mai menzionato come tale. Egli, fu chiamato ad esser discepolo, dallo stesso Signore Gesù, il giorno dopo che Andrea, Giovanni e Pietro ebbero creduto in lui Giovanni 1:43

e Bartolomeo;

cioè «figlio di Tolomeo», perché Bar in siriaco significa figlio Vedi Bartimeo, Marco 10:46; Bargiona, Matteo 16:17; Barsaba, Atti 1:23; Bargesù, Atti 13:6. Che questo personaggio sia lo stesso che Natanaele di Cana di Galilea, si argomenta giustamente dalle seguenti tre ragioni:

1. Bartolomeo non è tanto un nome quanto un soprannome di famiglia;

2. non solo in questa lista, ma sì ancora in quelle di Marco e di Luca, il suo nome viene dopo quello di Filippo che servì di strumento per condurre Natanaele a Gesù Giovanni 1:45

3. quando il Signore, dopo la sua risurrezione, apparve ai discepoli, sul lido del mare di Tiberiade, viene menzionato, insieme agli altri sei, ivi presenti, che erano tutti Apostoli. "Natanaele di Cana in Galilea" Giovanni 21:2

Toma,

era anche chiamato Didimo, la prima parola significando gemello in lingua aramea, e la seconda pure gemello in lingua greca. Non abbiamo notizia nella Scrittura, né della sua famiglia, né del suo paese natio, né della sua professione,

e Matteo il pubblicano;

Con tale appellativo questi è chiaramente identificato col Matteo del cap. 9. Egli era figlio d'un certo Alfeo, ma evidentemente non dell'Alfeo nominato più sotto, altrimenti l'Evangelista, seguendo lo stile già adottato rispetto ai figli di Giona e di Zebedeo, avrebbe scritto: Matteo il pubblicano, figlio di Alfeo e Giacomo suo fratello. In nessuna delle quattro liste dei dodici, questo apostolo viene stigmatizzato col nome di pubblicano, fuorché nella sua propria, come se egli intendesse di far sapere a tutti quanto grande fosse il debito che aveva col suo Signore.

Giacomo di Alfeo;

ossia figlio di Alfeo. Questo era il metodo comune presso gli Ebrei, per distinguere una persona da altre del medesimo nome, ed è tuttora praticato in Italia; per esempio Giovanni di Luigi, ecc. Il Nuovo Testamento ci parla di tre personaggi chiamati Giacomo; cioè del figlio di Zebedeo soprannominato il maggiore, del figlio di Alfeo soprannominato il minore, e di Giacomo il fratello del Signore Galati 1:19

È stata agitata per secoli e non è ancora risoluta la questione, se questi due ultimi "Giacomo" debbano ritenersi come due persone distinte, o come una sola e medesima persona. Quelli che considerano come una sola persona, suppongono che Alfeo e Cleopa sieno due forme diverse del medesimo nome; che la madre di Giacomo e di Jose Marco 15:40 fosse moglie di lui come pure sorella di Maria madre del Signore; e che, nella sua qualità di cugino primo di Gesù, gli fosse applicato da Paolo il titolo di "fratello del Signore". Secondo questa supposizione, egli, sarebbe l'autore dell'Epistola di Giacomo, e quello stesso che è nominato, negli Atti come Preside o Angelo della chiesa cristiana primitiva di Gerusalemme, e che portò il soprannome

di Giusto. In prova di questa identità si cita Paolo, Galati 1:19, come quello che riconosce l'apostolato di Giacomo, il fratello del Signore; ma è stato osservato da Neander e da altri che le parole se non Giacomo, di quel versetto, non includono necessariamente, secondo l'uso greco, Giacomo fra gli Apostoli e che inoltre Paolo potrebbe avere applicato quel titolo, in un senso generico, anche a Giacomo, come fa Luca a Barnaba Atti 14:4, il quale non era dei dodici. Quelli che riguardano come due distinte persone Giacomo di Alfeo e Giacomo il fratello del Signore, ritengono la parentela accennata di sopra, su cui gli altri si fondano, come per lo meno incerta; e dalla inverosimiglianza di due sorelle portanti il medesimo nome, come pure dal fatto che i fratelli del Signore rifiutarono di credere in lui, anche molto tempo dopo che Giacomo figliuolo di Alfeo era stato eletto all'apostolato, concludono che il Giacomo menzionato negli Atti e nei Galati, come soprintendente della Chiesa di Gerusalemme, era una persona diversa da questo Giacomo figlio di Alfeo. Vedi la nota Matteo 13:55Matteo 13:55, ove trattasi più distesamente questo punto. È stato obiettato che, secondo questo modo di vedere, Giacomo il minore, figlio di Alfeo, sparirebbe affatto dalla scena, dopo la dispersione che tenne dietro alla morte di Stefano; ma questo è precisamente, quello che accadde di fatto per la maggior parte degli Apostoli, e sta in perfetta armonia col comando del Signore: "Andate adunque, e ammaestrate tutti i popoli", ecc. Matteo 28:19; mentre il rimanere stazionario in Gerusalemme, per esser conduttore di una singola Chiesa, ne sarebbe stata, secondo noi, una evidente infrazione. Ora, che la Chiesa di Gerusalemme, dopo che gli Apostoli furono partiti per la loro missione, scegliesse per suo pastore e presidente uno che era, non solamente rispettato ed amato per la sua integrità di vita e devozione alla legge levitica, di cui era zelante sostenitore Atti 21:20, ma eziandio vincolato per parentela a nostro Signore, ciò è sommamente naturale; e l'Epistola di Giacomo l'autore della quale non pretende al titolo d'Apostolo ci offre, nel suo stesso testo, la prova che fu scritta da uno, il quale, pur essendo fedele cristiano, era anche zelante della legge di Mosè. Se adottiamo questo modo di vedere, noi troviamo in Giuda autore di una breve epistola, in cui si dichiara «fratello di Giacomo un altro dei fratelli di Gesù, figlio di Giuseppe e di Maria, e non il Giuda detto «Taddeo» o «Giuda di Giacomo», benché l'ellissi, in Luca 6:16, contrariamente all'uso comune, ma per sostegno della dottrina della perpetua verginità di Maria, sia stata

riempita dalla tradizione, con la parola fratello invece di figlio. Per tutta l'erudizione spettante a questa materia, il lettore può ricorrere all'introduzione al N. Test. di Hug, all'introduzione di Michaelis, alla Storia della Chiesa di Neander, e alla Credibilità della Storia del Vangelo, di Lardner.

e Taddeo;

un antico msc. lo chiama pure Lebbeo che vale coraggioso; Taddeo vale caro, diletto, da Tad mammella Nella lista di Marco, questo Apostolo è chiamato soltanto Taddeo, e nelle due liste di Luca non si trova né l'uno né l'altro di questi nomi, ma, in loro vece, si legge quello di Giuda di Giacomo, l'Apostolo senza dubbio che Giovanni menziona Matteo 14:22 come «Giuda non l'Iscariot». Ma, sebbene nella maggior parte delle traduzioni, del Nuovo Testamento si trovi inserita la parola fratello, dopo il nome di Giuda, essa non esiste nell'originale greco. La stessa ellissi che abbiamo vista nel caso di Giacomo e di altri, accennati di sopra, si trova anche qui, e doveva, secondo l'uso, essere completata, come lo è difatti nella versione siriaca, ove si legge Giuda figlio di Giacomo. La ragione per inserire la parola fratello deve, senza dubbio, attribuirsi al fatto che lo scrittore della breve epistola di Giuda, si dà per fratello di Giacomo; e da ciò si concluse subito che egli non poteva essere altri elle l'Apostolo di quel nome, il quale, da Girolamo, viene chiamato felicemente il trinominato Apostolo. Non vi è motivo di dubitare che gli autori delle epistole di Giacomo e di Giuda fossero fratelli. Coloro che ritengono essere la prima stata scritta da Giacomo figlio di Alfeo, attribuiscono la seconda all'Apostolo «Giuda non l'Iscariot», il quale anche, secondo la loro teoria, sarebbe figlio di Alfeo; mentre quelli che la attribuiscono prima a Giacomo, il fratello del Signore, e figlio di Giuseppe e Maria, pastore e preside della Chiesa di Gerusalemme, attribuiscono la seconda a Giuda, altro fratello di Gesù, e figlio più giovane di Giuseppe e Maria Matteo 13:55. Questa opinione è preferibile:

1. perché il titolo servo, che lo scrittore assume, non si trova mai nelle altre epistole apostoliche, eccettuato in quella di Giacomo, come unico qualificativo, fuorché quando un Apostolo nello scrivere si associava uno di grado inferiore, come fa per esempio Paolo con Timoteo;

2. perché è sommamente inverosimile, che se Giuda, l'apostolo è l'autore d'una epistola in cui trovansi solenni ammonimenti ed esortazioni, egli abbia lasciato nell'ombra il suo augusto mandato di Apostolo, e si sia fatto conoscere soltanto come fratello di Giacomo. D'altra parte, se lo scrittore non fosse un Apostolo, un siffatto procedere diverrebbe naturalissimo. Essendo relativamente poco conosciuto di persona, e rifuggendo per modestia dal vantare relazioni con Gesù, Giuda cercava di attirare l'attenzione sopra la sua epistola menzionando la propria parentela con Giacomo, il quale, come soprintendente della Chiesa di Gerusalemme, era più conosciuto di lui. Supponendo dunque che l'Apostolo Lebbeo-TaddeoGiuda fosse figlio di un certo Giacomo, e non d'Alfeo, la Scrittura non ci offrirebbe traccia di lui, eccetto la domanda da lui fatta a Gesù Giovanni 14:22.

PASSI PARALLELI

Marco 3:18; Luca 6:14; Giovanni 1:43-46; 6:5-7; 12:21-22; 14:9

Luca 6:15; Giovanni 11:16; 20:24-29; 21:2

Matteo 9:9; Marco 2:14; Luca 5:27

Luca 6:15; Atti 1:13

Matteo 27:56; Marco 3:18; Luca 6:15-16; Atti 1:13; 12:17; 15:13; 21:18

Galati 1:19; 2:9; Giacomo 1:1

Marco 3:18; Luca 6:16

Giovanni 14:22

Mt 10:4

4. Simone Cananeo;

Quelli che considerano come figli d'Alfeo i fratelli di Gesù Matteo 13:55, trovano un altro fratello in questo Apostolo, ma il fatto sopra indicato, che essi credettero in Gesù molto tempo dopo la elezione di Simone, e che di essi si parla nel Nuovo Testamento come di persone distinte affatto dai dodici, dovrebbe bastare per far respingere questa supposizione. In nessuna lista viene fatta menzione del padre di questo Apostolo. Il soprannome di Cananeo ha condotto alcuni a congetturare che egli discendesse dalla stirpe degli antichi abitanti di Canaan; mentre altri han fatto derivare quel soprannome dal villaggio di Cana in Galilea, del quale lo considerano come nativo. Ma Luca, nella sua lista, ci dà il bandolo per scoprire il significato di questo soprannome, col tradurlo in greco lo Zelote. Egli aveva fatto parte della setta così denominata dalla parola aramaica kannan, perché composta di fanatici aderenti delle istituzioni giudaiche, e avversari d'ogni transazione col paganesimo, i quali si arrogavano il diritto di fare sommaria giustizia sull'esempio di Fineas Numeri 25:11; Salmo 106:30, e coi loro sanguinari eccessi affrettarono la distruzione di Gerusalemme.

e Giuda l'Iscariota, quello stesso che poi lo tradì.

Sappiamo da Giovanni 6:71 che quest'uomo era figlio di un tale che portava il nome comunissimo di Simone. Il soprannome Iscariot gli fu dato per distinguerlo dall'altro Apostolo che portava lo stesso nome. Il soprannome si compone delle due parole ebraiche isch Keriot, l'uomo da Cheriot. probabilmente da Cheriot in Giuda Giosuè 15:25 o, secondo altri, da un villaggio di quel nome all'oriente, del Giordano. L'atto che lo ha fatto condannare alla universale infamia è qui rammentato, come pure da Marco e da Luca, come quello che gli darebbe la sua triste notorietà.

PASSI PARALLELI

Marco 3:18; Luca 6:15

Atti 1:13

Matteo 26:14,47; 27:3; Marco 3:19; 14:10,43; Luca 6:16; 22:3,47; Giovanni 6:71

Giovanni 13:2,26-30; 18:2-5; Atti 1:16-20,25

Mt 10:5

Matteo 10:5-42. ISTRUZIONI DATE AI DODICI Marco 6:7-13; Luca 9:1-6

Le istruzioni date dal vers. 5 al 15, si riferiscono specialmente alla breve missione che Gesù confidava allora ai suoi Apostoli; quelle dal 16 al 23, si riferiscono al ministerio evangelico in tutti i tempi; e nel resto del capitolo, sono relative al servigio di Cristo in generale. È stato osservato, come una valida conferma di questa triplice divisione, che il nostro Signore conchiude ciascuna parte con le parole: «Io vi dico in verità».

Direzioni per la presente missione Matteo 10:5-15

5. Questi dodici mandò Gesù, dando loro queste istruzioni:

Le solenni ingiunzioni che, qui si dànno, furono in gran parte ripetute, quando Gesù affidò una missione analoga ai settanta discepoli Luca 10:2, ecc., e probabilmente anche in altre occasioni.

Non andate tra i Gentili,

gr. nella via dei Gentili. Così ad essi era vietato, non solo di andare oltre i confini della Palestina, ma forse anche di entrare in alcuna delle città greche, situate entro le sue frontiere, a ponente e a levante del Giordano, e conosciute sotto il nome collettivo di Decapoli Vedi Matteo 4:25. Questa proibizione doveva essere di breve durata; ma fu necessaria, sia per formare gli apostoli, sia per compiere il divino disegno di fondare la Chiesa cristiana sulla base di quella giudaica, e di preparare, nella nazione israelitica, un focolare per ricevere il fuoco sacro,

e non entrate in alcuna città dei Samaritani.

I Samaritani erano una razza mista, un anello di congiunzione fra gli Ebrei ed i Gentili. In origine, pagani, introdotti nel regno d'Israele dagli Assiri, per riempire il vuoto lasciato dalle dieci tribù menate in cattività oltre l'Eufrate, essi s'imparentarono con matrimoni col rimanente degli Israeliti lasciati in patria, e si assimilarono, fino ad un certo segno, agli Ebrei, adottando la legge di Mosè, e facendo professione di adorare Jehova insieme ai loro idoli 2Re 17:26-41. Dopo che i Giudei, al loro ritorno da Babilonia, ebbero rifiutato di accettare la loro cooperazione nella costruzione del tempio di Gerusalemme, essi si eressero un tempio proprio sul monte Gherizim. In un periodo posteriore del suo ministero, nostro Signore non ebbe scrupolo di bandire la sua missione salvatrice in una delle loro città, e di raccogliere i primi frutti di una Chiesa extragiudaica Giovanni 4; e, dopo la effusione dello Spirito Santo, nel dì della Pentecoste la terra di Samaria fu la prima visitata dagli Apostoli, secondo l'ordine stesso di Cristo Atti 1:8. Ma, frattanto, gli Apostoli non dovevano entrare nelle sue città

PASSI PARALLELI

Matteo 22:3; Luca 9:2; 10:1; Giovanni 20:21

Matteo 4:15; Giovanni 7:35; Atti 10:45-48; 11:1-18; 22:21-23; Romani 15:8-9

1Tessalonicesi 2:16

2Re 17:24-41; Luca 9:52-54; Giovanni 4:5,9,20,22-24; Atti 1:8; 8:1,5-25

Mt 10:6

6. Ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele.

La loro missione temporanea era diretta ai discendenti d'Israele, rappresentati allora dalle tribù di Giuda e di Levi, e da tutti quei membri

delle altre tribù che erano stati in esse incorporati chiamati «pecore perdute», peccatori e perché Isaia 53:6; 1Pietro 2:25, abbandonati e lasciati a vagare fuori della retta strada da infedeli pastori Geremia 50:6,17; Ezechiele 34:2-6

PASSI PARALLELI

Matteo 15:24-26; Luca 24:47; Atti 3:26; 13:46; 18:6; 26:20; 28:25-28

Romani 11:11-15

Matteo 18:11; Salmo 119:176; Isaia 53:6; Geremia 50:6,17; Ezechiele 34:6,8,16

Luca 15:3-10; 1Pietro 2:25

Mt 10:7

7. E andando, predicate e dite: il regno dei cieli è vicino.

Letteralmente, strada facendo, predicate. Il soggetto della loro predicazione è lo stesso che, quello della predicazione di Cristo, cioè l'avvicinarsi del regno del Messia. La missione prima dei dodici fu una missione preparatoria ristretta agli Ebrei, ed intesa a destare l'attenzione, e preparare la via ad un più largo ed esplicito insegnamento.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:17; 11:1; Isaia 61:1; Giovanni 3:2; Marco 6:12; Luca 9:60; 16:16; Atti 4:2

Matteo 3:2; 11:11-12; 21:31,43; 23:13; Luca 9:2,6; 10:9-11; Atti 10:25; 28:31

Mt 10:8

8. Sanate gl'infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demoni;

Sono queste le credenziali miracolose con le quali il mandato degli Apostoli doveva essere autenticato. Le opere qui comandate erano esattamente le stesse che quelle compiute da Cristo medesimo Vedi Matteo 4:23;8:16;9:36. Noi abbiamo perciò un formale conferimento dei poteri straordinari di Gesù ai dodici, per un tempo limitato e per uno scopo speciale.

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Gr. gratis. Ammirabile sentenza divina! È questa una necessaria cautela contro ogni uso mercenario ed egoistico dei poteri straordinari che non appartenevano loro in proprio, ma erano solo ad essi affidati per il bene degli altri Vedi Atti 8:18. La Chiesa di Roma, che vende tutte le grazie spirituali, è in diretta contraddizione con quest'ordine del nostro Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:1; Marco 16:18; Luca 10:9; Atti 4:9-10,30; 5:12-15

2Re 5:15-16,20-27; Atti 3:6; 8:18-23; 20:33-35

Mt 10:9

9. Non fate provvistone né di oro, né di argento, né di rame nelle vostre cinture; 10. né di sacca da viaggio.

«Sacca» fatta per lo più di pelle ed in cui il viaggiatore poteva riporre pane ed altre provviste per il viaggio. L'Arabo, non si mette mai in viaggio senza questa sacca.

Mt 10:10

né di due tuniche, né di calzari, né di bastone;

Il «non fate provvisione» di questi versetti, è reso più chiara dalla espressione corrispondente in Marco 6:8 e in Luca 11:3, ove si ordina loro «di non prendere nulla per lo viaggio»: dovevano andare così come erano, fidando in Colui che li inviava. Queste, provvisioni vietate erano di tre specie: danaro, cibo, e vestì, compreso in quest'ultime il bastone del viaggiatore.

perché l'operaio è degno del suo nutrimento.

nutrimento = mercede, Luca 10:7. È questo un principio, che, universalmente riconosciuto negli affari secolari, è qui autorevolmente applicato agli operai del Signore, e viene da Paolo ricordato ripetutamente nei suoi appelli alle Chiese Romani 15:27; 1Corinzi 9:11; Galati 6:6; 1Timoteo 5:18. Il Signore poneva così i suoi discepoli in uno stato che richiedeva una fede semplice quanto salda. Essi dovevano contare necessariamente sopra di lui, per la soddisfazione di tutti i loro materiali bisogni; ma queste ultime parole davano loro la certezza che nulla sarebbe loro mancato. Questo viaggio apostolico doveva esser breve; il suo scopo era quello di iniziare gli Apostoli all'opera loro assegnata, e quindi il Signore benignamente li esonerava da tutte le cure temperali ad esso connesse; ma appena ebbero ricevuta questa prima lezione, relativa all'evangelizzazione ed alla fiducia in lui, questi divieti furono tutti aboliti; ed ognuno ebbe ordine di provvedersi tutto quanto il necessario per il sostentamento e per la difesa della vita Luca 22:35-36. Questo per i preparativi della prima missione.

PASSI PARALLELI

Marco 6:8; Luca 9:3; 10:4; 22:35; 1Corinzi 9:7-27

1Samuele 9:7; 17:40

Luca 3:11; 2Timoteo 4:13

Luca 10:7-12; 1Corinzi 9:4-14; Galati 6:6-7; 1Timoteo 5:17-18

Mt 10:11

11. Or in qualunque città o villaggio sarete entrati, informatevi con cura chi sia ivi degno;

non per grado o ricchezze, ma per disposizione di spirito consentanea alla loro; uomini benemeriti e di buona fama fra i loro vicini per pietà ed ospitalità.

e dimorate da lui finché partiate.

Luca dice: «Non passate di casa in casa». Siccome la loro permanenza in ogni città o villaggio non doveva essere che breve, il mutare casa avrebbe, prodotto uno spreco di tempo, e sparso discredito sulla ospitalità del loro albergatore; avrebbe suggerito l'idea che essi non fossero rimasti contenti, mentre che dovevano essere d'animo cortese e accomodante e in qualsiasi luogo fossero accolti per l'amor del loro messaggio dovevano evitare di dare incomodo più del necessario.

PASSI PARALLELI

Genesi 19:1-3; Giudici 19:16-21; 1Re 17:9-24; Giobbe 31:32; Luca 10:3842

Luca 19:7; Atti 16:15; 18:1-3; 3Giovanni 7-8

Marco 6:10; Luca 9:4; 10:7-8

Mt 10:12

12. E quando entrerete nella casa, salutatela.

testo em. Il saluto era: Pace sia su questa cosa! La casa s'intende qui di coloro che vi abitano, come pure nel versetto elle segue. Essi dovevano fare questo saluto ad ogni casa in cui entrerebbero, onde provare se n'era degna o no. Non doveva esservi nulla da parte loro che potesse dare un pretesto agli inquilini di far loro una villana accoglienza.

PASSI PARALLELI

Luca 10:5-6; Atti 10:36; 2Corinzi 5:20; 3Giovanni 14

Mt 10:13

13. E, se quella casa n'è degna, venga la pace vostra su lei; se poi non n'è degna, la vostra pace torni a voi.

In bocca a Cristo ed ai suoi Apostoli, questa pace, così nella sua essenza come nel modo di augurarla, significava qualche cosa di ben più elevato che non la formula abituale del saluto quotidiano. Cristo dichiara anticipatamente che egli ratificherà le benedizioni da loro invocate sulle famiglie che li riceverebbero. Per quanto accurate potessero essere le loro indagini, era probabile che il loro augurio cadrebbe talvolta su gente opposta al loro messaggio. In questo caso la loro preghiera doveva ritornare a loro: certamente essi non avrebbero nulla perduto per averla pronunziata. Stier osserva che lo spirito di questi ordini obbliga i ministri di Cristo a tutte le cortesie della buona creanza, usate nei paesi e nei tempi in cui la loro missione può esercitarsi; e lo stesso spirito vieta loro quell'orgoglio, che spesso deriva dal loro ufficio e per cui tanti ministri perdono l'affezione del loro gregge.

PASSI PARALLELI

Salmo 35:13; Luca 10:6; 2Corinzi 2:16

Mt 10:14

14. E, se alcuno non vi riceve, né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa, o da quella città, scotete la polvere dai vostri piedi.

Nel caso qui indicato, gli Apostoli dovevano partirsi, lasciando una pubblica e solenne protesta con lo scuotersi la polvere dai piedi. Marco 6:1; Luca 9:5 aggiungono le parole «in testimonianza contro a loro», le quali spiegano il senso di questo atto simbolico. Questa usanza particolare ebbe la sua origine tra i Farisei, i quali, ritornando in Giudea da un paese pagano, scuotevano alla frontiera la polvere dai sandali, in segno della loro rinunzia ad ogni relazione coi Gentili. Da parte degli Apostoli, questo atto poteva aver due significati:

1. «Non prendiamo con noi nulla di vostro, ci sciogliamo da ogni contatto o comunione con voi». Si veda questo più esplicitamente espresso in Luca 10:11

2. «Noi ci liberiamo da ogni responsabilità relativamente alla vostra condanna; voi rigettaste il messaggio di salvazione che vi portammo; noi siamo innocenti del vostro sangue». Siccome la loro missione era breve, e il loro tempo prezioso, il dovere degli Apostoli era di protestare e poi partire; ma il loro esempio non sarebbe imitabile dai ministri dei nostri tempi, perché il numero degli operai spirituali è grandemente aumentato; e sebbene molti possano volontariamente indurire i loro cuori, tuttavia le moltitudini rigettano il vangelo piuttosto per ignoranza, la quale può superarsi colla benedizione dello Spirito Santo. Perciò è dovere dei predicatori di perdurare laddove cominciarono e di insistere «in tempo e fuor di tempo».

PASSI PARALLELI

Matteo 10:40-41; 18:5; Marco 6:11; 9:37; Luca 9:5,48; 10:10-11; Giovanni 13:20

1Tessalonicesi 4:8

Nehemia 5:13; Atti 13:51; 18:6; 20:26-27

Mt 10:15

15. Io vi dico, in verità, che il paese di Sodoma, e di Gomorra, nel giorno del giudizio sarà trattato con meno rigore di quella città.

Si tratta qui del giorno del giudizio e della condanna finale:

1. perché non cadde giammai sulle città giudaiche, neanche alla distruzione di Gerusalemme, un giudizio divino che si possa dire più severo di quello che colpì Sodoma e Gomorra;

2. perché il Signore parla pure del giudizio futuro degli abitanti di queste città, e non del giudizio temporale dal quale erano stati colpiti. La miscredenza è considerata dal Nuovo Testamento come il più grave dei peccati, perché è il rifiuto ad un tempo della verità, del perdono, e della vita Romani 2:8. Ci viene qui insegnato che le città della pianura del Giordano, date alle fiamme per le loro schifose oscenità, saranno considerate e trattate, all'ultimo giorno, come meno colpevoli, perché meno favorite, di quelle popolazioni, le quali, sebbene meno corrotte, rigettano il messaggio del vangelo, e disprezzano coloro che lo predicano. Gesù chiude questa prima parte della sua allocuzione agli Apostoli colla solenne affermazione: «in verità io vi dico».

PASSI PARALLELI

Matteo 5:18; 24:34-35

Matteo 11:22-24; Ezechiele 16:48-56; Marco 6:11; Luca 10:11-12; Giovanni 15:22-24

Matteo 12:36; 2Pietro 2:9; 3:7; 1Giovanni 4:17

Mt 10:16

Istruzioni per il futuro e permanente esercizio dei ministero evangelico Matteo 10:16-23

16. Ecco, io vi mando come pecore in mezzo dei lupi;

Qui comincia la seconda parte di questo discorso, la quale si riferisce non tanto al primo giro di predicazione degli Apostoli, quanto alle loro future fatiche, così fra gli Ebrei come fra i Gentili; essa abbraccia quindi il ministero cristiano permanente. La parola IO è molto espressiva; essa richiama l'attenzione a Cristo in persona, al buon Pastore che certamente aveva la volontà ed il potere di proteggere le sue pecore dai lupi. La inimicizia del mondo verso i discepoli di Cristo, la incapacità di questi a resistervi, e le speciali qualità di cui hanno bisogno nel loro quotidiano contatto col mondo, sono illustrate in questo versetto con esempi tratti dal regno animale. La «pecora», che è incapace di difendersi, è l'illustrazione che dà il Signore di ciò che i suoi Apostoli, i suoi ministri, ed i suoi veri discepoli dovranno essere in ogni secolo. Il loro modello è Cristo, «il quale, oltraggiato, non oltraggiava all'incontro: patendo, non minacciava; ma si rimetteva in mano di Colui che giudica giustamente» 1Pietro 2:23, le loro armi non sono carnali, ma spirituali; essi non possono, in buona coscienza, combattere il mondo con le sue stesse armi, sebbene troppi pretesi discepoli di Cristo lo facciano. Il «lupo» rapace, crudele, implacabile ed insaziabile nella sua sete di sangue, è l'emblema col quale Gesù designa il mondo non convertito, a cui gli Apostoli venivano mandati per illuminarlo, e da cui dovevano soffrire la morte insieme con molti altri credenti. Vedi Matteo 7:15. Stier fa la seguente osservazione: «Mandare il lupo fra le pecore, è già una cosa molto pericolosa, ma qui le deboli pecore sono mandate in mezzo ai lupi, non semplicemente per dimorare fra mezzo a loro, ma per combattere una guerra di conquista contro di loro». Le qualità necessarie per ottenere gradatamente la vittoria sopra i nemici vengono poi simboleggiate con la principale caratteristica di due altri animali: il servente e la colomba.

siate dunque prudenti come serpenti,

La parola prudente, è la traduzione greca della parola ebraica arum astuto, Genesi 3:1. Nei geroglifici dell'Egitto il serpente è il simbolo della sapienza e dell'astuzia; e tale emblema è passato in uso in tutte le nazioni. Il serpente, è perspicace nello scorgere il pericolo e pronto nell'evitarlo.

e semplici come colombe.

Cioè innocenti, senza frode per quanto quell'elemento può conciliarsi colla prudenza del serpente. Combinazione meravigliosa! La sapienza dei serpente è meramente astuzia, e l'innocenza della colomba poco meglio che debolezza; ma, una volta combinate ne' discepoli, la prudenza del serpente li salverebbe dall'esporsi inutilmente al pericolo, e l'innocenza della colomba da peccaminosi espedienti per scampare. Quanto queste qualità furono armoniosamente spiegate nell'età apostolica! Invece della sete fanatica del martirio, vi era una prudente combinazione di inflessibile zelo e di tranquilla moderazione, innanzi a cui niente doveva resistere. Il verbo vale diventate, principiate ad essere ciò che non siete né per natura, né per abito, e quello che non potete essere prima di aver provato un cambiamento nei vostri cuori. Essere prudente nello scegliere il tempo ed il modo più acconcio di «dichiarare tutto il consiglio di Dio» Atti 20:27, senza lasciarsi cogliere da timore codardo, è una delle maggiori difficoltà per un fedele ministro di Cristo, la quale sovente lo spinge ad esclamare con Paolo: «Chi è sufficienti a queste cose?».

PASSI PARALLELI

Luca 10:3; Atti 20:29

Genesi 3:1,13; Luca 21:15; Romani 16:19; 1Corinzi 14:20; 2Corinzi 11:3,14; Efesini 5:15-17

Colossesi 1:9; 4:5

Romani 16:18-19; 2Corinzi 1:12; 8:20; 11:3; Filippesi 2:15; 1Tessalonicesi 2:10; 5:22

Mt 10:17

17. E guardatevi dagli uomini;

Bisogna unire la cautela e la prudenza coll'illibatezza della vita, onde evitare i lacci e le persecuzioni dei mondani.

perché vi metteranno in man dei tribunali,

Non del Sinedrio o Gran Consiglio della nazione ebraica, perché la parola si trova qui al numero plurale, e si riferisce alle corti inferiori, dette le Corti dei sette, istituite in ogni città a giudicare le cause civili e criminali.

e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe.

La flagellazione inflitta dai giudici ebrei consisteva in trentanove frustate inflitte sul petto e sulle spalle del paziente che talvolta soccombeva. in altri casi si trattava di battiture inflitte con ira tumultuosa dai persecutori. Cfr. Atti 22:19

PASSI PARALLELI

Michea 7:5; Marco 13:9,12; Atti 14:5-6; 17:14; 23:12-22; 2Corinzi 11:2426

Filippesi 3:2; 2Timoteo 4:15

Matteo 24:9-10; Marco 13:9; Luca 12:11; 21:12-13; Giovanni 16:2; Atti 4:6-22; 5:26-42

Atti 23:1-11

Matteo 5:22; 26:59; Giovanni 11:47

Matteo 20:19; 23:34; Deuteronomio 25:2-3; Atti 5:40; 22:19; 26:11; 2Corinzi 11:24-25

Ebrei 11:36

Mt 10:18

18. E sarete menati davanti a governatori,

cioè davanti ai magistrati romani di vari gradi proconsoli, pretori e procuratori, come Ponzio Pilato. Felice, Pesto, Sergio Paolo, ecc.

e re,

La parola «re» si riferisce qui in primo luogo al principi tributari, come Erode Agrippa, poi ai sovrani di altri paesi ove essi dovevano predicare il vangelo, e finalmente agli imperatori romani, perché il titolo era sovente applicato ai Cesari. Questi titoli, in una parola, denotano la intera classe dei governanti dispotici, i quali esercitano il potere individualmente, in opposizione ai corpi collettivi come corti, consigli, ecc., che dividono il potere fra i loro membri. Esse si riferiscono alle persecuzioni mosse ai Cristiani dai Gentili.

per cagione mia; per servir di testimonianza dinanzi a loro, ed ai Gentili.

Le parole «a loro» si applicano, da alcuni, agli Ebrei, perché poi si nominano anche i Gentili; ma è più naturale riferirle ai «rettori e re» sopraccennati che esercitavano autorità sopra i Gentili. Per bocca dei perseguitati essi potevano udire la Buona Novella e costatare nella loro condotta la potenza della fede cristiana.

PASSI PARALLELI

Salmo 2:1-6; Atti 5:25-27; 12:1-4; 23:33-34; 24:1-26:32; 2Timoteo 4:16-17

Matteo 8:4; Marco 13:9; 2Timoteo 1:8; Apocalisse 1:9; 6:9; 11:7

Mt 10:19

19. Ma, quando vi metteranno nelle loro mani, non state in ansietà del come parlerete o di quel che avrete a dire; perché in quell'ora stessa, vi sarà dato ciò che avrete a dire. 20. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Gesù non proibisce qui ai suoi ministri di ordinare le loro idee, per difendere le loro persone e fare l'apologia del vangelo, per il quale sono incarcerati; ma proibisce loro di essere ansiosi, inquieti, come se tutto dipendesse dall'opera loro. Gesù li assicura che, quando verrà l'ora della prova, essi troveranno in abbondanza gli argomenti necessari alla loro difesa, perché lo Spirito Santo «verrà in aiuto alla loro debolezza» Luca 21:15. Il Signore non parla qui della preparazione necessaria per il ministero evangelico, ma soltanto della difesa da farsi da coloro che sono tratti dinanzi ai tribunali terreni, per amor suo. Egli stesso ha istruito i suoi discepoli, durante il suo ministerio. La promessa di Gesù si trova adempita, nel modo più evidente, ad ogni passo degli annali della persecuzione religiosa, dai tempi degli Apostoli fino al nostri giorni.

Questo passo ed i corrispondenti Marco 13:11; Luca 12:12; 21:15, ci mostrano che:

1. lo Spirito Santo darebbe ai testimoni non solo le idee e l'ardire, ma ancora la conveniente e calzante espressione.

2. questa ispirazione non doveva però far di loro degli automi. La ispirazione non paralizzava né sospendeva l'azione delle loro facoltà naturali, anzi la esaltava in sommo grado. Essi conservavano ciascuno il proprio carattere personale.

3. Possiamo congetturare che, se questa completa e piena ispirazione era necessaria in occasione del loro comparire dinanzi a magistrati persecutori, non era meno indispensabile quando si trattava di esporre la dottrina

cristiana nei libri, che dovevano formare il permanente deposito della verità divina, per il genere umano. Cfr. 1Corinzi 2:9-16

PASSI PARALLELI

Marco 13:11-13; Luca 12:11; 21:14-15

Matteo 6:25,31,34; Filippesi 4:6; Giacomo 1:5

Esodo 4:12,15; Geremia 1:7,9; Daniele 3:16-18; Atti 4:8-14; 5:29-33; 6:10

Atti 26:2-11; 2Timoteo 4:17

2Samuele 23:2; Marco 12:36; Luca 11:13; 21:15; Atti 2:4; 4:8; 6:10; 7:5556

Atti 28:25; 1Pietro 1:12; 2Pietro 1:21

Matteo 6:32; Luca 12:30-32

Mt 10:21

21. Or il fratello darà il fratello a morte, e il padre il figliuolo; e i figliuoli si leveranno contro i genitori e li faranno morire.

Le persone dalle quali sarebbero tradotti davanti ai magistrati non dovevano essere soltanto pubblici ufficiali, od aperti nemici; anzi, il Signore avverte i suoi discepoli che il più acerbo dei loro patimenti sarebbe spesso l'esser traditi e deliberatamente consegnati ai loro nemici dai loro famigliari più prossimi e più diletti, i quali sacrificherebbero fratelli figli o genitori, non soltanto per, salvare le loro proprie vite, ma per odio alla verità. Il Signore avverte inoltre i suoi discepoli Luca 12:49,53, che a motivo dell'odio dei cuori carnali verso ogni cosa santa, la proclamazione del suo regno di pace sulla terra potrebbe essere il segnale di una guerra feroce, la quale

agiterebbe tutte le classi della società, e dividerebbe le famiglie Cfr. Galati 4:29

PASSI PARALLELI

Matteo 10:34-36; 24:10; Michea 7:5-6; Zaccaria 13:3; Marco 13:12-13; Luca 12:51-53

Luca 21:16-17

2Samuele 16:11; 17:1-4; Giobbe 19:19

Mt 10:22

22. E sarete odiati da tutti a cagione del mio nome;

Non solo nel cerchio della famiglia, ma generalmente da uomini appartenenti a tutte le classi ed a tutte le razze; perché la vita dei Cristiani, nonché le loro dottrine, verrebbero in urto colla corruzione naturale del cuore umano. Quest'odio sarebbe per loro onorevole, perché non suscitato dalle loro cattive azioni, ma dal loro amore e dal loro zelo per il Salvatore.

ma chi avrà sostenuto fino alla fine sarà salvato.

Il participio qui usato, indica, non una rassegnazione passiva, ma una perseveranza attiva nella fede e nella condotta, la quale provoca le persecuzioni. Il fino alla fine secondo Stier Alford ed altri, si riferisce in primo luogo alla distruzione di Gerusalemme, ed avrà il suo pieno adempimento quando il Signore verrà a giudicare il mondo. Ma un'obbiezione molto seria a tale spiegazione si è, che, a questo modo, si escluderebbero dalla salvazione quelle stesse persone a cui è rivolto il discorso, giacché tutti gli Apostoli, ad eccezione di Giovanni, morirono probabilmente prima della distruzione di Gerusalemme e si escluderebbero altresì tutti coloro che soffrirono persecuzioni per Gesù Cristo, dopo l'anno 70 dell'era volgare. Per ragioni analoghe, non può esser fatta allusione al

giorno del giudizio, poiché, se così fosse, quelli soltanto che saranno vivi alla venuta di Cristo sarebbero salvi. «La fine» non indica qui un tempo fisso, ma accenna alla intensità ed alla durata delle prove, per le quali un cristiano è chiamato a passare per amore di Cristo. Non ci scosteremo dal vero scorgendo in questa fine la morte che segna il termine del periodo delle prove, delle lotte contro il demonio, il mondo e la carne. Alla Chiesa di Smirne il Signore dice: «Sii fedele fino alla morte, ed io ti darò, la corona della vita» Apocalisse 11:10. Queste mirabili parole furono ripetute dal Signore, nel cap. Matteo 24:13; e sono spesso citate nelle Epistole come avvertimento contro l'apostasia, e contro le ricadute nel peccato Ebrei 3:6,13;6:4-6;10:23,26,29,38-39

PASSI PARALLELI

Matteo 24:9; Isaia 66:5-6; Luca 6:22; Giovanni 7:7; 15:18-19; 17:14; 1Giovanni 3:13

Matteo 10:39; 5:11; Giovanni 15:21; Atti 9:16; 2Corinzi 4:11; Apocalisse 2:3

Matteo 24:13; Daniele 12:12-13; Marco 13:13; Luca 8:15; Romani 2:7; Galati 6:9; Ebrei 3:14

Ebrei 6:11; Giacomo 1:12; Giuda 20-21; Apocalisse 2:7,10,17,26; 3:21

Mt 10:23

23. E quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra;

Nostro Signore non approva il fanatico zelo che ricerca il pericolo e spinge al martirio. È possibile che, sotto pretesto di zelo eccessivo per la causa di Cristo, s'infranga il sesto comandamento, «Non uccidere»; ma Gesù condanna ciò, nel tempo stesso che ci comanda di non far conto della nostra vita per amor suo. Quando in qualche città dove trovansi gli Apostoli, i contrasti e le persecuzioni divenivano più forti, da impedir loro di compiere

la loro missione, essi non dovevano ostinarsi a restarvi e farvisi uccidere; ma dovevano scuotersi la polvere dai piedi e fuggire alla città vicina, e colà da capo predicare la salvazione, mediante la croce di Cristo.

perché io vi dico in verità, che non avrete finito di percorrere le città d'Israele, prima che il Figliuol dell'uomo sia venuto.

La raccolta era abbondante, i lavoratori pochi, il tempo breve, e tutto ciò che doveva esser fatto, si poteva appena fare prima che il Signore arrivasse. Questa è la ragione addotta da Gesù perché, sorgendo persecuzioni in una città, essi fuggissero in un'altra; e con la solenne affermazione «in verità io vi dico», egli conclude la seconda parte di questo capitolo. Il senso di questo versetto dipende necessariamente dal significato che si attribuisce alla venuta del Figliuol dell'uomo.

Nessun soggetto biblico ha aperto più largo campo alle speculazioni; ma noi lo consideriamo qui soltanto nella sua stretta relazione col testo. Oltre la prima venuta del Signore in carne, e la sua seconda venuta nella gloria per giudicare i vivi ed i morti, vi hanno molti passi in cui si discorre chiaramente della venuta spirituale di Cristo, che si manifesta ora con grazie sue speciali ed ora con grandi castighi. Vi sono due passi segnatamente Matteo 16:28; Marco 9:1, che restringono questa venuta al giudizio esercitato sulla nazione ebraica colla distruzione di Gerusalemme e coll'abolizione del suo culto, poiché Gesù dichiara, senza equivoco, che ciò sarebbe accaduto durante la vita di alcuni di coloro che allora gli stavano attorno. Tale è, in questo passo, il vero significato della venuta del Figliuolo dell'uomo. Essa si riferisce allo stabilimento del regno di Cristo sulle rovine dell'antica economia. È questo il significato primo delle espressioni «la venuta del Figliuolo dell'uomo». Cfr. Matteo 16:28;24:27,34. In altri passi esse si riferiscono alla sua seconda venuta nella gloria.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:13; 4:12; 12:14-15; Luca 4:29-31; Giovanni 7:1; 10:39-42; 11:5354

Atti 8:1; 9:24-25; 13:50-51; 14:6-7,19-20; 17:10,14; 20:1

Matteo 16:28; 24:27,30,48; 25:13; 26:64; Marco 13:26; Luca 18:8; 21:27

Mt 10:24

Direzioni per il servizio di Cristo in generale Matteo 10:24-42

24. Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più dei suo signore. 25. Basti al discepolo di essere come ti suo maestro, e al servo di essere come il suo signore;

In questi, due versetti si accenna ad una triplice relazione in cui Gesù e i suoi discepoli si trovano l'uno verso gli altri, cioè discepolo e maestro, servo e signore, persona di casa e padrone di casa. Queste relazioni sono spesso mentovate separatamente, altrove. La massima contenuta in questi versetti è così conforme all'esperienza degli uomini che è passata in proverbio. Essa è usata in vari sensi, in Luca 6:40, e in Giovanni 13:16. Qui si vuol dire che i discepoli di Cristo non devono aspettarsi una sorte migliore di quella toccata al loro maestro, ma si chiamino contenti se peggio non avverrà a loro.

Mt 10:25

se han chiamato il padrone Beelzebub, quanto più chiameranno così quei di casa sua!

Cristo è il padrone di casa, i discepoli sono i membri della sua famiglia spirituale. In tutti i MSS. greci, il nome è «Beelzebul», e questa è indubitatamente la vera ortografia. Esso deriva da «Baalzebub», una delle principali divinità dei Filistei, il cui tempio era in Ecron. Il nome del dio filisteo è formato con le due parole Baal, signore o padrone, e zebub, mosca, e significa dio delle mosche. Ma, siccome era uso comune fra gli Ebrei, quando volevano significare scherno, di mutilare o alterare il nome della persona o della cosa da loro odiata, è probabile che il cambiamento di

Baalzebub in Beelzebul si spieghi in questo modo. Però, in processo di tempo, la parola Zebul venne ad essere usata dagli scrittori rabbinici per significare prima letame, e quindi idoli, cioè oggetti ripugnanti ed abominevoli; cosicché il nome può significare o «re degli idoli», o «re delle immondizie». Gli Ebrei davan questo nome a Satana, come al re dei demoni Matteo 12:24; e in questo senso, Gesù assicura che i suoi nemici glielo applicarono. Ad ogni modo, non si può immaginare, per un uomo, un più obbrobrioso epiteto. Sta di fatto che le calunnie più atroci sono state lanciate nel corso dei secoli contro i discepoli del Signore e che sono stati dati ad essi i nomi più obbrobriosi.

PASSI PARALLELI

2Samuele 11:11; Luca 6:40; Giovanni 13:16; 15:20; Ebrei 12:2-4

Matteo 9:34; 12:24; Marco 3:22; Luca 11:15; Giovanni 7:20; 8:48,52; 10:20

Mt 10:26

26. Non li temete dunque; poiché non v'è niente di nascosto, che non abbia ad essere scoperto; né di occulto, che non abbia a venire a notizia.

Cristo non si commuoveva per i vituperi di cui il mondo lo copriva: questi né lo scoraggiavano, né gl'incutevano timore; e i discepoli suoi devono imitare il suo esempio. Le parole «Non v'è niente di nascosto, ecc. », furono proferite per loro incoraggiamento, e significano che la loro innocenza, la loro integrità, ed i loro principi, benché allora misconosciuti dal mondo, sarebbero stati a suo tempo rivelati.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:28; Proverbi 28:1; 29:25; Isaia 41:10,14; 43:1-2 51:7-8,12-13

Geremia 1:8,17-18; Ezechiele 2:6; Atti 4:13,19; 1Pietro 3:14

Marco 4:22; Luca 8:17; 12:2-3; 24:47; Atti 1:8; 1Corinzi 4:5

Mt 10:27

27. Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo voi nella luce; e quel che udite dettovi all'orecchio, predicatelo sui tetti.

Vi erano molte e buone ragioni per cui Gesù non poteva dichiararsi, alla primo, per il Messia, e perciò egli ammaestrava gli Apostoli privatamente; ma le sue dottrine non eran destinate a loro soli, né a pochi favoriti, anzi erano loro rivelate, affinché poi essi ed i loro successori le proclamassero da un capo all'altro della terra. I tetti piani delle case di Siria sono luoghi di ritrovo, e Thomson c'informa che usasi tuttora, nei villaggi di Palestina, di fare le proclamazioni ufficiali dal tetto di una delle case più alte, essendo questo il modo più spiccio di farle udire al popolo congregato sui tetti circostanti o nella strada.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:1-17,34-35; Luca 8:10; Giovanni 16:1,13,25,29; 2Corinzi 3:12

Proverbi 1:20-23; 8:1-5; Atti 5:20,28; 17:17

Mt 10:28

28. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccider l'anima;

Poteva muoversi l'obbiezione: «Se io proclamo altamente tutto ciò che il mio Signore mi ha insegnato, corro il rischio della vita». Questo versetto dà la risposta: Può essere così, ma che per ciò? Il potere dei vostri nemici finisce assolutamente qui, e più presto o più tardi, voi dovrete sottomettervi alla morte temporale; la parte spirituale della vostra natura però non ha nulla da temere dal furore dell'uomo. Ma vi è Uno, di cui voi siete servi, il

quale, se gli disobbedite, ha la potenza di far perire l'anima non meno che il corpo; perciò cessate di temere il furor dell'uomo, ma temete d'incorrere nella collera di Dio. Tale è il concetto di questo versetto. L'avvertimento è formulato anche più solennemente in Luca 12:5: «Ma io vi mostrerò chi dovete temere».

temete piuttosto colui che può far perire e l'anima e il corpo nella geenna.

Stier sostiene, nel modo più riciso, che quel «colui», di cui parla Gesù in questo punto, è Satana: Ma non si trova nella Scrittura alcun passo in cui venga attribuita a Satana la potenza di far perire l'anima e il corpo nella geenna; Dio solo è sempre accennato come l'onnipotente dispensatore, sì dell'eterna vita che dell'eterna morte Vedi Romani 16:20; Efesini 6:16; Giacomo 4:7. Queste parole adunque si riferiscono a Dio, tanto qui che in Luca 12:5. Che cosa è «l'anima» ? Dai filosofi greci si faceva distinzione fra l'anima come sede dei sentimenti e desideri, e lo spirito, ossia la parte più alta della nostra natura. A questa distinzione si allude in alcuni passi del Nuovo Testamento Vedi Luca 1:46; 1Tessalonicesi 5:23; Ebrei 4:12; ma qui l'anima significa tutta la nostra natura spirituale in contrapposto alla vita del corpo. Sulla «Geenna», Vedi note Matteo 5:22Matteo 5:22. Prova decisiva è questa che c'è un inferno per il corpo non meno che per l'anima.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:26; Isaia 8:12-13; 51:7,12; Daniele 3:10-18; Luca 12:4-5; Atti 20:23-24

Atti 21:13; Romani 8:35-39; 2Timoteo 4:6-8; Ebrei 11:35; 1Pietro 3:14; Apocalisse 2:10

Salmo 119:120; Ecclesiaste 5:7; 8:12-13; Isaia 66:2; Geremia 5:22; Ebrei 12:28-29

Matteo 25:46; Marco 9:43-48; Luca 16:22-26; Giovanni 5:29; 2Tessalonicesi 1:8-10

Apocalisse 20:10-15

Mt 10:29

29. Due passeri non si vendon essi per un soldo?

La moneta qui accennata è l'asse romano, di cui accorrevano 16 per formare il denaro d'argento, e di cui il quadranton Matteo 5:26 era la quarantesima parte Vedi Tavola delle Monete e Misure al principio del Vol. In Luca 12:6, si dice: «Cinque passeri non si vendono per due soldi?». Cosicché se un uomo comprava passeri per il valore di due soldi, invece di quattro, ne riceveva cinque, tanto era piccolo il loro valore.

Eppure non ne cade uno solo in terra senza del Padre vostro.

Secondo Luca: «E pur non uno di essi è dimenticato dinanzi a Dio». Che meravigliosa dimostrazione della sapienza, del potere, e della bontà di Dio nelle estesissime operazioni della sua provvidenza!

PASSI PARALLELI

Luca 12:6-7

Salmo 104:27-30

Mt 10:30

30. Ma, quant'è a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31. Non temete dunque; voi siete da più di molti passeri.

Avendo esortato i suoi uditori a santificare il Signore Iddio nei loro cuori, a temere lui solo Isaia 8:13, ed a bandire ogni paura di nemici terreni, Gesù avvalora le sue parole col dichiarare che Dio, il quale sta con essi in relazione di Padre, è il Dio della provvidenza, e che niente di piccolo o di

grande può accadere nel nostro mondo senza che egli lo sappia e lo permetta; che sebbene i passeri sieno merce di scarso valore, «non uno di essi, è dimenticato da Iddio»; per innumerabili che sieno i capelli del nostro capo, Dio li ha contati fino ad uno; e se la sua provvidenza si abbassa ad oggetti così minuti, e di sì poco valore nella stima dell'uomo, quanto più guiderà egli ogni passo dei suoi figli redenti? Sarebbe impossibile descrivere meglio, con linguaggio umano le cure costanti della sempre vigile provvidenza di Dio.

PASSI PARALLELI

1Samuele 14:45; 2Samuele 14:11; 1Re 1:52; Luca 12:7; 21:18; Atti 27:34

Matteo 6:26; 12:11-12; Salmo 8:5; Luca 12:24; 1Corinzi 9:9-10

Mt 10:32

32. Chiunque adunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio, che è ne' cieli. 33. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è ne' cieli.

Chiunque adunque, senza temere gli uomini e fidente nella protezione del Padre Celeste, proclamerà l'evangelo sia col pubblico insegnamento, sia con una vita consacrata al servizio di Cristo chiunque lo confesserà così davanti al mondo, riceverà per ricompensa il pubblico attestato dell'approvazione e dell'amore, di Cristo all'ultimo giorno. Questo riconoscimento Cristo attesta che egli stesso lo farà come Giudice universale, davanti al Padre suo, davanti agli angeli di Dio Luca 12:8, e davanti a tutte le generazioni degli uomini. Per contro, egli dichiara che rinnegherà davanti a Dio ed agli angeli, nel giorno del giudizio finale, coloro che si vergognano di lui davanti al mondo e lo rinnegano con un contegno contrario a quello testè descritto. Non è impossibile che questo pubblico riconoscimento di chi lo avrà confessato in terra, possa ripetersi in varie occasioni nel mondo futuro. O voi che vi professate Cristiani, qualunque sieno i vostri talenti, il vostro stato sociale, i

vostri mezzi d'azione, imparate da ciò che il vostro dovere è di confessare Cristo davanti al mondo, con le vostre parole e con una vita conforme al suo vangelo. Il trascurare questo comando vi coprirà di eterna confusione nel gran giorno, quando il Signore vi rigetterà lungi da sé; mentre l'osservarlo di cuore, per quanto è in vostro potere, vi assicurerà il più alto, onore in eterno. Il contesto mostra chiaramente che si tratta qui d'una confessione di Cristo costante e pratica, come pure d'un rinnegamento sistematico e durevole. Il Signore non confesserà davanti al Padre suo Giuda l'Iscariot che lo ha confessato qualche volta; né rinnegherà Pietro che lo ha rinnegato anche tre volte; ma il traditore che, coi fatti, lo rinnegava, sarà rinnegato, e l'apostolo che poi lo confessò fino alla morte sarà riconosciuto.

PASSI PARALLELI

Salmo 119:46; Luca 12:8-9; Giovanni 9:22; Romani 10:9-10; 1Timoteo 6:12-13

2Timoteo 1:8; 1Giovanni 4:15; Apocalisse 2:13

Matteo 25:34; 1Samuele 2:30; Apocalisse 3:5

Matteo 26:70-75; Marco 14:30,72; Luca 9:26; 12:9; 2Timoteo 2:12; 2Pietro 2:1; 1Giovanni 2:23

Mt 10:34

34. Non pensato ch'io sia venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. 35. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, e la figlia da sua madre, e la nuora dalla suocera. 36. E i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua.

Queste parole, apparentemente paradossali, sono strane in bocca di colui che è «il Principe della pace». Conf. Luca 2:14; Salmo 72:7; Isaia 9:6-7; Aggeo 2:9; Efesini 2:14. Eppure sono eminentemente vere, non perché Cristo si diletti a suscitare odio e guerra fra uomo e uomo, non perché la

tendenza naturale delle sue dottrine sia di generare invidie, odii e stragi, anziché sensi di pace ed amore; ma perché l'inimicizia verso Iddio, che sempre cova nel cuore naturale benché non si faccia sentire quando nulla ne eccita l'attività, fu, dal soffio di Satana, fatta divampare in fiamma sterminatrice, alla venuta del Figlio di Dio, e a cagione delle dottrine che i suoi discepoli divulgarono nel mondo. «La spada», cioè la discordia, era già sulla terra, nei cuori corrotti degli uomini. Essa aspettava soltanto un pretesto per agire, e la venuta di Cristo lo porse. Come Paolo Romani 7:11 ci insegna che «il peccato, presa occasione dal comandamento, l'ingannò, e per mezzo d'esso l'uccise», così l'odio nostro naturale verso la santità di Dio prese occasione dalla venuta di Cristo, proclamante pace in terra, per suscitare una guerra universale! «Cristo», dice Calvino, «il quale è propriamente l'autore della pace, è, a cagione della malvagità degli uomini, l'occasione della discordia». Gesù predice qui che «la inimicizia fra il seme della donna, e il seme del serpente» Genesi 3:15, penetrerebbe anche nelle famiglie, e la storia della Chiesa conferma ampiamente questa profezia. Sia il marito o la moglie, sia il padre o il figlio, ecc., che in seno a una famiglia mondana passi dalle tenebre alla luce, i contrasti, le lotte, e spesso le acerbe persecuzioni e gli odii mortali divampano ad un tratto in quella casa contro il discepolo di Gesù. Le espressioni dei vers. 35,36, sono tolte da Michea 7:6. Per piccoli che sieno stati finora i progressi della religione evangelica in Italia, molti che l'hanno abbracciata, hanno sofferto cotali persecuzioni; ma, per intender ciò che i primi discepoli ebbero a soffrire, noi dobbiamo cercare nei campi missionari odierni gli esempi dei mortali conflitti che i nuovi convertiti dal paganesimo hanno a sostenere.

PASSI PARALLELI

Geremia 15:10; Luca 12:49-53; Giovanni 7:40-52; Atti 13:45-50; 14:2,4

Matteo 6:21; 24:10; Michea 7:5; Marco 13:12; Luca 21:16

Genesi 3:15; 4:8-10; 37:17-28; 1Samuele 17:28; 2Samuele 16:11; Giobbe 19:13-19

Salmo 41:9; 55:13; Geremia 12:6; 20:10; Michea 7:6; Giovanni 13:8

Mt 10:37

37. Chi ama padre, o madre, più di me, non è degno di me; e chi ama figliuolo, o figliuola più di me,

Questa inimicizia verso la causa di Cristo nelle famiglie dovea rendere necessaria la scelta fra i più cari parenti terreni e Cristo; ma Gesù, conscio della propria dignità, afferma qui il suo diritto al più alto affetto dei nostri cuori; ogni altro oggetto di amore, anche il più puro, il più naturale, deve essergli subordinato. Le parole riferite da Luca 14:26: «Se alcuno... non odia suo padre e sua madre... non può essere mio discepolo», sono anche più espressive, ma hanno il medesimo significato. Non ci viene qui comandato di odiare i nostri congiunti, bensì di subordinare tutti gli affetti umani all'amore e al servizio di Cristo. «Solo chi è con Dio una sola essenza, poteva così, al pari di Dio, mettersi al disopra del padre e della madre, ed esigere un amore esclusivo e superiore a quello dei figli per i genitori» Stier. Il comandamento di onorare il padre e la madre non è per questo abrogato, ma solo messo al suo vero posto.

non è degno di me.

Nessuno è per se stesso degno di Cristo; ma si divien tale, mediante la fede, la rettitudine e la forza che Gesù ci dà. Sotto queste parole sta l'idea d'una ricompensa oltremodo grande, che fa contrappeso alla loro apparente severità.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:37; Deuteronomio 33:9; Luca 14:26; Giovanni 5:23; 21:15-17; 2Corinzi 5:14-15

Filippesi 3:7-9

Matteo 22:8; Luca 20:35; 21:36; 2Tessalonicesi 1:5-7; Apocalisse 3:4

Mt 10:38

38. E chi non prende la sua croce, e non viene dietro a me, non è degno di me.

Più e più volte nostro Signore ripete enfaticamente questo detto Matteo 16:24; Luca 9:23; 14:27. Siamo così avvezzi a dare all'espressione: «prendere la sua croce», il senso generale di esser pronti a subire delle prove per amore di Cristo, che quasi quasi perdiamo di vista il significato primitivo e proprio che ha qui, vale a dire quello di esser disposti a sottometterci perfino alla crocifissione per la causa di Cristo. Gesù allude qui alla sua propria morte, e sebbene i discepoli non abbiano inteso allora il senso di queste parole, essi lo compresero in seguito. Essendo il mondo così contrario alla causa di Cristo, ogni credente dovrà sopportare prove e dolori per amore del suo Maestro. Colui che non accetta spontaneamente il carico del vituperio e dei dolori che il mondo infligge ai cristiani, a cagione di Cristo; colui che rifugge dal dovere perché gli costa dei sacrifici; colui che serve Cristo soltanto fin dove lo consigliano le sue convenienze ed i suoi comodi, non è degno di Cristo, il quale sopportò la croce dei peccatori senza curare il vituperio Ebrei 12:2. Sono relativamente pochi i discepoli di Cristo i quali sono stati chiamati a soffrire il vero e proprio martirio, ed anche sono in minor numero quelli che furono letteralmente crocifissi; ma tutti devono avere lo spirito dei martiri, i quali, per amor di Cristo, tengono in conto di onore l'ignominia, di gioie i dolori, di vantaggio proprio l'abnegazione di se Atti 5:41; Filippesi 1:29; 3:8, Ebrei 10:34

PASSI PARALLELI

Matteo 16:24; 27:32; Marco 8:34; 10:21; Luca 9:23-24; 14:27; Giovanni 19:17

Mt 10:39

39. Chi avrà trovata la vita sua la perderà; e chi avrà perduta la sua vita per cagione mia, la troverà.

La parola vita è usata in questo versetto in due sensi differenti: l'uno più elevato e l'altro inferiore. Nel senso più basso, significa la vita del corpo; in quello più elevato, la vita dell'anima. Si tratta qui della vita naturale e della spirituale, della vita temporale e della eterna. Il Signore dunque dichiara che chi è tanto affezionato alla vita presente da, fuggire, per conservarla, patimenti o martiri per amor del Vangelo, perderà la vita eterna che è accordata soltanto al fedeli seguaci di Cristo; mentre, per contrario, l'uomo che fa getto della sua vita naturale per amor di Cristo, od è sempre pronto a farlo, troverà una vita infinitamente migliore, cioè quella che la morte non potrà distruggere. Le parole, «per cagione mia», mostrano in quali circostanze sia legittimo il sacrificare la vita. Le parole di questo versetto reggono, anche in un senso spirituale, in quanto, si applicano alla «crocifissione del nostro vecchio uomo», alla «morte al peccato», e alla «vita in Dio», di cui ci parla Paolo, in Romani 6:2,6,11

PASSI PARALLELI

Matteo 16:25-26; Marco 8:35-36; Luca 17:33; Giovanni 12:25; Filippesi 1:20-21

2Timoteo 4:6-8; Apocalisse 2:10

Mt 10:40

40. Chi riceve voi, riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato.

Qui comincia la conclusione del discorso. Siccome Gesù aveva predetto patimenti da sopportarsi dai suoi servi, nel predicare il suo vangelo, così ora egli amorevolmente porge loro incoraggiamenti. Si crede comunemente che i vers. 40-42 contengano una gradazione retorica discendente, che si riferisce a tutte le classi dei credenti. Siccome Gesù si indirizza, al principio

del suo discorso, specialmente agli apostoli, così anche questi incoraggiamenti sono diretti primieramente a loro, quindi a tutti i predicatori della croce di Cristo. Egli annunzia che, la loro missione non sarebbe vana fra quelli che li accoglierebbero. Siccome il trattamento che riceve un ambasciatore indica quali sono, verso il suo sovrano, i sentimenti della nazione alla quale egli è inviato, così dice il Signore: La vostra autorità è la mia, come la mia è quella del Padre mio: chiunque «vi riceve, riceve me e colui che mi ha mandato». «Riceve» non significa semplicemente trattare le loro persone in casa con ospitalità, ma accogliere il loro messaggio con fede Confr. Galati 4:14 con 2Giovanni 10; 3Giovanni 9. Molti possono in quest'ultima maniera ricevere Cristo, i quali sono così poveri da non avere dove posare il capo.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:5; 25:40,45; Luca 9:48; 10:16; Giovanni 13:20; 20:21; 2Corinzi 5:20

Galati 4:14; 1Tessalonicesi 4:8

Giovanni 5:23; 12:44-49; Filippesi 2:10-11; 1Giovanni 2:22-23; 2Giovanni 9

Mt 10:41

41. Chi riceve un profeta, come profeta, riceverà premio di profeta;

«Profeta» significa qui un messaggere di Dio divinamente ispirato. Nel Nuovo Testamento questo ufficio non implicava più necessariamente la predizione di eventi futuri, ma piuttosto la facoltà di esporre la verità, per virtù d'ispirazione. Quegli che riceve uno di questi profeti «come profeta», cioè non semplicemente per usargli ospitalità, ma per amore del suo ufficio e del suo Maestro, non resterà senza ricompensa. «Premio di profeta», vuol dire ricompensa che Dio dà al profeta stesso,

e chi riceve un giusto, come giusto, riceverà premio di giusto.

«Un giusto» qui non vuol dire semplicemente chiunque è giustificato mediante la fede per il sangue di Cristo, il che è vero di tutti i veri discepoli di Cristo; ma uno che si distingue eminentemente per santità e devozione alla causa di Cristo Confr. Marco 6:20; Luca 1:6; Tito 1:8. Coloro che accolgono tali giusti per cagione del loro Maestro, mostrano con ciò d'interessarsi alla di lui causa, e ne avranno un'adeguata ricompensa. Con far buon viso alla causa di Cristo, gli uomini manifestano sovente, quando non possono fare nulla di più, la loro vera pietà, e la parte che hanno «alla sorte dei santi nella luce» Colossesi 1:12

PASSI PARALLELI

Genesi 20:7; 1Re 17:9-15,20-24; 18:3-4; 2Re 4:8-10,16-17,32-37

Atti 16:15; Romani 16:1-4,23; 2Timoteo 1:16-18; Ebrei 6:10; 3Giovanni 58

Matteo 6:1,4,6,18; 16:27; 25:34-40; Isaia 3:10; Luca 14:13-14; 1Corinzi 9:17

2Tessalonicesi 1:6-7; 2Giovanni 8

Mt 10:42

42. E chi avrà dato da bere solo un bicchier d'acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è un mio discepolo, io vi dico in verità, che non perderà punto il suo premio.

«Piccoli» si riferisce qui ai discepoli di Cristo in generale. Si suppone che questa parola sia stata tolta da Zaccaria 13:7, ed è probabile che equivalga all'espressione: «questi miei minimi fratelli» Matteo 25:40. Era facile che egli apostoli chiamassero «piccoli» i discepoli, perché i maestri erano chiamati Rabbi, cioè grandi, da rab, grande. Qui non si fa allusione all'età,

ma alla povertà di spirito, ed all'umiltà della condizione secondo il mondo. Un bicchier d'acqua fresca, nel clima ardente di Palestina, dato al viaggiatore dalle donne che hanno tirato su le loro brocche dal pozzo, benché non costi nulla, è spesso un dono di un valore inapprezzabile. Non al valore del dono però, ma alla intenzione del donatore Cristo ha riguardo, e se il bicchiere d'acqua fresca viene dato ad un discepolo per amore del di lui Maestro, e perché è suo discepolo, il Signore ci assicura che il donatore non resterà senza il suo premio; e con la terza ripetizione delle sue solenni parole «in verità io vi dico», conchiude il suo discorso. Gesù non dice che il donatore riceverà un premio convenevole ad un «piccolo», poiché, per piccolo che sia il servizio, se esprime amore vero a Cristo, la ricompensa di Dio sarà grande. Per contro, dove manca questo sentimento, dove l'ostentazione o l'ambizione ne pigliano il posto, i grandi donativi, benché offerti per la causa di Cristo, se ne vanno senza ricompensa Matteo 6:2; Luca 21:2-3. La dottrina del merito legale, si osservi bene, non si contiene in questo versetto più che nei molti passi che insegnano che gli uomini hanno da essere trattati secondo le loro opere, sebbene la salvazione sia interamente gratuita.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:5-6; 18:3-6,10,14; 25:40; Zaccaria 13:7; Marco 9:42; Luca 17:2; 1Corinzi 8:10-13

Marco 9:41; 12:42-43; 14:7-8; 2Corinzi 8:12

Proverbi 24:14; Luca 6:35; 2Corinzi 9:6-15; Filippesi 4:15-19; Ebrei 6:10

RIFLESSIONI

1. Non tutti i ministri del vangelo sono necessariamente uomini buoni. Vi era un Giuda fra gli apostoli, e nostro Signore, che conosce il cuore di tutti, permise questo per un utile scopo. Noi ne dobbiamo trarre l'ammaestramento che chiunque è consacrato al santo ministero non è necessariamente convertito, perché l'ordinazione, conferita dai vescovi o dai

presbiteri, non può comunicare il divino Spirito, come si crede in certe Chiese. Perciò, mentre noi accordiamo il nostro rispetto e la nostra affezione a coloro il cui insegnamento è sano e scritturale, e la cui vita corrisponde alla loro dottrina, noi dobbiamo guardarci bene dal crederli infallibili, sia nella dottrina sia nella pratica 1Giovanni 4:1

2. Le regole prescritte dal nostro Signore per questa prima breve missione degli apostoli, non possono considerarsi come una norma generale per i missionari di Cristo, in tutti i tempi e in tutte le circostanze. La cessazione di quelle miracolose credenziali che Gesù accordava agli apostoli ed ai primi missionari, ce ne fornisce la più chiara prova; ma, per non lasciare alcun dubbio su questo punto, nel tempo stesso che confermava loro il potere di operare miracoli, il Signore, avanti la sua crocifissione, revocava formalmente tutte le regole che vietavano loro di fare provvisioni per i loro bisogni quotidiani. Si ponderi attentamente Luca 22:35-37, ove si trova una modificazione importante e permanente delle regole qui prescritte.

3. A cagione della freddezza, timidezza e poca fede dei Cristiani dei giorni nostri, da un lato; e, dall'altro, di quella insaziabile sete di ricchezze che non lascia tempo agli uomini del mondo di pensare ad altre cose, potrebbe credersi che le persecuzioni e le ostilità predette dal Signore, non si estendessero ai tempi nostri; ma non bisogna mai dimenticare che l'ostilità di cui egli parla è quella che deriva da immutabili principi, sicché, quando che sia e dovunque sieno messi a fronte la luce e le tenebre, Cristo e Belial, apparirà l'eterna ed irreconciliabile opposizione dell'uno contro l'altra.

4. Per elevarci fino al modello che nostro Signore ci ha posto dinanzi, noi dobbiamo sforzarci di unire la prudenza del serpente alla semplicità della colomba. Noi vediamo in molti discepoli di Cristo e in molti dei suoi ministri queste qualità disgiunte, e l'effetto ne è sgradevole. Il mondo sa vedere la sagacità nelle cose mondane che non è temperata dall'innocenza della colomba, e disprezza coloro che, secondo ogni apparenza, non sono migliori degli altri, e pur pretendono di superarli. Ma, per contro, quei Cristiani, ministri o no, che hanno soltanto la innocenza della colomba, non temperata dalla sagacità del serpente, non esercitano alcuna benefica

influenza sugli altri, anzi espongono se stessi e la loro causa al disprezzo del mondo.

5. Quale incoraggiamento il Signore ci porge a soffrire con inflessibile perseveranza per la sua causa! Il potere dell'uomo arriva soltanto ad infliggere al corpo la morte, alla quale tutti, tosto o tardi, dobbiamo soggiacere; ma la fedeltà otterrà l'approvazione di Colui nelle cui mani stanno i destini così dell'anima come del corpo. Egli veglia su coloro che soffrono per amor di Cristo, con quella stessa minuta attenzione con cui conta i passeri e gli stessi capelli del nostro capo.

6. Cristo ci accorda le grandi e pure gioie che nascono dai vincoli e dagli affetti di famiglia, ma a patto che noi li teniamo sempre subordinati all'amore per lui; e quegli che, nel suo cuore, si fa un idolo della persona più cara della sua famiglia, fino a darlo il posto di Cristo, non è degno di essere suo discepolo. Il chiedere un amore superiore ai più teneri affetti della vita, sarebbe stata una cosa malvagia e intollerabile in una semplice creatura; ma ciò chiaramente dimostra come Colui che a tanto amore pretendeva, era Dio.

7. Il condannare ogni preoccupazione relativa al premio promesso ai fedeli, come motivo di azione, è un'esagerazione, poiché, quale è la conclusione di questo notabile discorso, se non un incoraggiamento a porgere uffizi di cortesia, benché piccoli, al più umile dei discepoli di Cristo, colla promessa che neppure l'infimo di tali servizi rimarrà senza premio?

Mt 11:1

CAPO 11 - ANALISI

1. Nell'assenza dei suoi Apostoli, Gesù fa un altro viaggio in Galilea. Gesù avendo scelto dodici Apostoli, e dato loro istruzioni applicabili a loro stessi direttamente, quindi a coloro che li seguirebbero nel ministero evangelico, affidò loro una speciale missione; e mentre essi percorrevano una parte del paese, egli stesso insegnava e predicava in un'altra. Chi bada principalmente ad armonizzare la cronologia dei Vangeli suppone che questo sia il terzo giro che Gesù fece da Capernaum nella Galilea, e che, durante questo

viaggio, egli visitasse Nain, perché in Luca 7, il messaggio ch'egli ricevette dal Battista tiene dietro immediatamente alla visita ch'egli fece a questa città Matteo 11:1.

2. Messaggio di Giovanni Battista a Cristo. Dalla sua prigione di, Macheronte, sulla sponda orientale del Giordano, Giovanni mandò due dei suoi discepoli con un messaggio a Gesù. Gli uni suppongono che li inviasse a Gesù, affinché lo riconoscessero come l'Agnello di Dio,», e lo seguissero, come avevano fatto Andrea e Giovanni di Zebedeo Giovanni 1:35-40. Secondo altri la prigionia in cui geme il Precursore può aver momentaneamente oscurato la sua fede in Gesù qual Messia. Da ciò il messaggio Matteo 11:2-6.

3. Testimonianza di Cristo intorno al suo precursore. A cancellare l'impressione prodotta, dal dubbio di Giovanni, Gesù dichiara che nell'antica economia alla quale il Battista tuttora apparteneva non era mai sorto profeta alcuno più grande di lui e che esso era veramente l'Elia annunziato da Malachia, e che doveva essere il precursore del Messia. Eppure Gesù dice che il meno istruito del suo popolo, sotto l'economia evangelica, gode più alti vantaggi che il Battista Matteo 11:7-15.

4. Parabola dei fanciulli sul mercato. Essa fa vedere la maniera in cui la nazione d'Israele aveva ricevuto il ministero di Giovanni e di Gesù stesso. Gli Ebrei hanno condannato l'ascetismo di Giovanni, ma quando il Cristo si presenta senza esser legato da voti nazirei di astinenza dalla carne, e dal vino, come il suo precursore, essi reagiscono più ancora contro di lui Matteo 11:16-19.

5. Pericolo di trascurare la grande salvazione. Siccome l'atto di respingere Cristo, malgrado tutte le opere prodigiose che egli aveva fatte in mezzo a loro, sembra aver caratterizzato in special modo gli abitanti di Capernaum e delle piccole città di Betsaida e Chorazin nelle sue vicinanze, Gesù li ammonisce solennemente del pericolo a cui vanno incontro, col provocare una condanna più severa di quella riserbata ai più corrotti pagani Matteo 11:20-24.

6. Gioia del Salvatore e sua fiducia, nella sovranità del Padre suo. La reiezione del vangelo da parte di coloro che gli Ebrei tenevano in conto di «saggi e prudenti», e la sua accettazione da parte di quelli che essi spregiavano come ignoranti e privi d'influenza, vengono dal Signore direttamente attribuiti alla sapienza del Padre suo celeste, e con gioia e riconoscenza egli ne accetta la suprema volontà; e con profonda simpatia egli rivolge i suoi inviti a tutti coloro che, gemendo sotto il giogo della legge o dei loro peccati, desiderano di esserne liberati Matteo 11:25-30.

Matteo 11:1-19. MESSAGGIO DEL BATTISTA, E RISPOSTA DI CRISTO. TESTIMONIANZA IN CRISTO ALLA FEDELTÀ DEL SUO PRECURSORE GIOVANNI Luca 7:18-35

1. Ed avvenne che quando ebbe finito di dar le sue istruzioni a' suoi dodici discepoli, Gesù si partì di là, per insegnare, e predicare nelle loro città.

La separazione di questo versetto dal cap. 10. a cui esso evidentemente appartiene, produce una confusione cronologica, col far si che questo versetto sembri fissare la data di ciò che segue subito dopo, riguardo al Battista, mentre esso non è che la naturale conclusione di ciò che precede. Vi si espone il modo in cui nostro Signore spese il suo tempo, mentre aspettava il ritorno dei dodici apostoli.

Al vers. 2 comincia un fatto del tutto nuovo, senza alcuna indicazione cronologica. Gesù, non volendo che l'assenza dei suoi apostoli interrompesse le sue fatiche, andò egli stesso a predicare in quelle città ch'essi non dovevano visitare. In questo viaggio missionario egli fu probabilmente accompagnato da alcuni di quei settanta discepoli, ai quali diede più tardi un mandato simile a quello degli apostoli. È impossibile accertare se in questa occasione egli visitasse Nain, e risuscitasse il figlio della vedova, o solamente visitasse alcune città che fino allora non aveva potuto visitare, o nelle quali non aveva avuto il tempo di predicare. Il viaggio degli apostoli durò almeno parecchie settimane. I soli mezzi che

abbiamo per determinare il posto da assegnarsi al messaggio di Giovanni nel ministerio di Cristo sono: che il nostro Evangelista e Marco lo pongono dopo la partenza degli apostoli, mentre Luca lo colloca dopo la visita di Gesù a Nain.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:5-6; 18:3-6,10,14; 25:40; Zaccaria 13:7; Marco 9:42; Luca 17:2; 1Corinzi 8:10-13

Marco 9:41; 12:42-43; 14:7-8; 2Corinzi 8:12

Proverbi 24:14; Luca 6:35; 2Corinzi 9:6-15; Filippesi 4:15-19; Ebrei 6:10

Mt 11:2

2. Or Giovanni avendo nella prigione udito parlare delle opere del Cristo,

Erode Antipa, Tetrarca di Galilea Vedi Note "Luca 3:1", irritato per la franchezza con cui Giovanni Battista lo riprendeva per la relazione adultera tenuta colla sua cognata Erodiade, l'incarcerò nel castello di Macheronte, che era posto all'estremità settentrionale del Mar Morto, al confine meridionale della Perea Vedi Flavio, Antiq. 18:5,2; e Marco 6:17-19. Nulla di certo sappiamo riguardo alla durata della prigionia di Giovanni. Generalmente si crede che oltrepassasse un anno; ma, benché privato della libertà, non gli era vietato di comunicare con i suoi amici. I suoi discepoli avevano accesso presso di lui, e gli recavano le notizie degli stupendi miracoli operati da Cristo, e della fama che di lui si spargeva.

mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli

testo em.: Luca dice due dei suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:12; 14:3; Marco 6:17; Luca 3:19; 7:18-23; Giovanni 3:24

Matteo 9:14; Giovanni 3:25-28; 4:1; Atti 19:1-3

Mt 11:3

3. Sei tu colui che ha da venire, o ne aspetteremo noi un altro?

I commentatori non sono d'accordo sulla cagione che mosse Giovanni a far tale domanda. Secondo gli uni il Battista non era ben sicuro del carattere messianico di Gesù; ma ciò contraddice tutta la sua carriera pubblica di precursore, e la sua dichiarazione, che Dio gli aveva, con speciale rivelazione, additato Gesù come il Cristo, come «Colui che doveva venire». Altri credono che, col proponimento di guadagnare a Gesù quei discepoli che ancora aderivano al Battista, questi gli mandasse due di loro con una domanda, rispondendo alla quale, Gesù infallibilmente avrebbe tolto ogni dubbio circa la sua qualità di Messia. Questa opinione risale almeno al tempo del Grisostomo. Altri spiegano il messaggio ammettendo che la sua fede aveva subito una scossa momentanea nel carcere, ed egli desiderava di rafforzarla mediante una diretta comunicazione con Gesù. Aveva annunziato che il Messia eserciterebbe un giudizio purificatore del popolo di Dio ed ecco il suo precursore fedele era lasciato in carcere e l'iniquità trionfava. Gesù non sarebbe forse semplicemente un secondo precursore del Messia?

PASSI PARALLELI

Matteo 2:2-6; Genesi 3:15; 12:3; 49:10; Numeri 24:17; Deuteronomio 18:15-18; Salmo 2:6-12

Salmo 110:1-5; Isaia 7:14; 9:6-7; Geremia 23:5-6; Ezechiele 34:23-24: Daniele 9:24-26

Osea 3:5; Gioele 2:28-32; Amos 9:11-12; Abdia 21; Michea 5:2; Sofonia 3:14-17

Aggeo 2:7; Zaccaria 9:9; Malachia 3:1; 4:2; Giovanni 4:21; 7:31,41-42

Matteo 21:5,9; Marco 11:9; Luca 19:38; Giovanni 16:14; 12:13; Ebrei 10:37

Mt 11:4

4. E Gesù, rispondendo, disse loro: Andate a riferire a Giovanni giacché è lui che ne ha bisogno quello che udite e vedete.

Era questo il miglior mezzo per cacciare il dubbio passeggero dal cuore di Giovanni.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:4

Mt 11:5

5. I ciechi ricuperano la vista, e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono mondati, e i sordi odono;

Luca dice: «in quella stessa ora egli guarì molti d'infermità, di flagelli, e di spiriti maligni; ed a molti ciechi donò la vista».

i morti risuscitano,

In Luca, la resurrezione del figlio della vedova di Nain precede immediatamente questo messaggio, ed in questo vangelo abbiamo veduto Gesù risuscitare la figlia di Jairo. Questi miracoli potrebbero esser quelli a cui alludeva il nostro Signore, poiché fa d'uopo osservare come ei prescrivesse ai discepoli di riferire a Giovanni, non solamente le cose che

essi avevano vedute, ma quelle pure che avevano udite. Queste espressioni sono tratte per lo più da Isaia 35:5, dove hanno significato spirituale.

e l'Evangelo è annunziato a' poveri.

Era predetto Isaia 61:1, del Messia, che egli verrebbe a recare una buona novella agli umili o come fu tradotto dal Salvatore medesimo, «per evangelizzare ai poveri» Luca 4:18. Da ciò, ben poteva argomentare Giovanni ch'egli era veramente il Messia, poiché fino allora l'annunziare ai poveri la parola di Dio era stata una cosa inaudita. Infatti, i poveri erano stati sempre trascurati dai Farisei e dai filosofi. Nessuna setta di filosofi, prima di Gesù Cristo, si era degnata di prenderli in considerazione; nessun sistema di religione, prima della religione cristiana, si era provato ad istruirli. In tutti gli altri sistemi, essi erano stati negletti, come indegni di attenzione. La parola «poveri» però non deve prendersi qui come esprimente soltanto la indigenza materiale, ma eziandio quella umiltà, e quel senso di spirituale bisogno che un tale stato produce spesso, e dovrebbe sempre produrre nell'anima. Vedi note Matteo 5:3Matteo 5:3.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:30; Salmo 146:8; Isaia 29:18; 35:4-6; 42:6-7; Luca 4:18; 7:21-22

Giovanni 2:23; 3:2; 5:36; 10:25,38; 14:11-12; Atti 2:22; 4:9-10

Matteo 15:30-31; 21:14; Atti 3:2-8; 14:8-10

Matteo 8:1-4; 10:8; 2Re 5:7,14

Isaia 43:8; Marco 7:37; 9:25

Matteo 9:24-25; Luca 7:14-16,22; Giovanni 11:43-44

Matteo 5:3; Salmo 22:26; 72:12-13; Isaia 61:1-3; 66:2; Zaccaria 11:7; Luca 4:18

Giacomo 2:5

Mt 11:6

6. E beato colui che non si sarà scandalizzato di me.

Se è vero che, come credono alcuni, l'intento di Giovanni fosse di costringere Gesù a dichiararsi apertamente come Messia, queste parole verrebbero a significare ch'egli ne dava prova bastante colle sue opere; e che chiunque, accettando quelle prove molteplici non si scandalizzasse dell'umile suo modo di vivere, sarebbe benedetto. Quelle parole però si possono applicare del pari agli uomini di ogni secolo, poiché gli uomini tendono a rigettare la religione di Cristo, non solamente per l'umile condizione in cui rimase l'autore di essa, mentre, era sulla terra, ma per i rinunziamenti a se, e per l'umiltà ch'essa richiede in tutti coloro che la professano. Il versetto potrebbe spiegarsi così: «Beato colui che non rimarrà scandalizzato nel vedere la mia umile condizione presente e non rigetterà la mia dottrina per evitare il sacrificio di se stesso, ch'io gli chiedo». Quantunque Gesù abbia espresso quest'idea sotto la forma d'una beatitudine, pure, in sostanza, essa è un avvertimento solenne per quelli che mettono in dubbio il suo carattere messianico.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:3-12; Salmo 1:1-2; 32:1-2; 119:1; Luca 11:27-28

Matteo 13:55-57; 15:12-14; 18:7; 24:10; 26:31; Isaia 8:14-15; Luca 2:34

Luca 4:23-29; Giovanni 6:60-61,66; 7:41-42; Romani 9:32-33; 1Corinzi 1:22-23; 2:14

Galati 5:11; 1Pietro 2:8

Mt 11:7

Carattere del Battista, e sue relazioni ufficiali, con Cristo Matteo 11:7-15

7. Or, com'essi se ne andavano, Gesù prese a dire alle turbe, intorno a Giovanni:

Gli Evangelisti non ci dicono quali sieno state le conseguenze di questo incidente, vuoi per il Battista, vuoi per i suoi discepoli; ma appena furono questi partiti, Gesù proruppe in un magnifico elogio di Giovanni, quasi che temesse che la domanda di questi potesse indurre il popolo a credere che il Precursore ritrattava ora la testimonianza da lui resa alla sua messianità.

Che andaste voi a veder nel deserto? Una canna dimenata dal vento?

Gesù vuol affermare che il dubbio passeggero di Giovanni non distrugge la testimonianza antecedente di lui. Il vero senso del passo è questo: «Andaste voi nel deserto a vedere un uomo debole, irresoluto, instabile nelle sue opinioni, e che si lascia trascinare or qua or là, come una canna dimenata dal vento?». La risposta sottintesa è negativa. Giovanni era stato esplicito e coerente nella sua testimonianza.

PASSI PARALLELI

Luca 7:24-30

Matteo 3:1-3,5; 21:25; Marco 1:3-5; Luca 3:3-7; 8:18; Giovanni 1:38; 5:35

Genesi 49:4; 2Corinzi 1:17-18; Efesini 4:14; Giacomo 1:6

Mt 11:8

8. Ma che andaste a vedere? un uomo avvolto in morbide vesti? ecco, coloro che portano delle vesti morbide stanno nelle dimore dei re.

Sono, cioè, dei cortigiani di re terreni, e frequentano i loro palazzi. Aspettando nel Messia un re più glorioso di tutti quelli che avevano occupato il trono di Davide, e udendo che il Battista ne proclamava la prossima venuta, le moltitudini potevano essere andate nel deserto, colla speranza di vedere, nel vestimento e nel portamento del precursore, qualche indizio dello splendore della corte del Messia. In ciò erano stati delusi. Il vestito di pelo di cammello, la cintura di cuoio, il carattere austero del Battista, erano più in armonia colla sua missione, qual predicatore di pentimento, che non le maniere e le vesti dei cortigiani. Come egli non era una banderuola, così non era nemmeno un grande di questo mondo.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:4; 2Re 1:8; Isaia 20:2; Zaccaria 13:4; 1Corinzi 4:11; 2Corinzi 11:27; Apocalisse 11:3

Mt 11:9

9. Ma perché andaste? Per vedere un profeta? sì, vi dico, e più che profeta.

I profeti annunziavano l'avvenire e spiegavano la parola di Dio, ed in ambedue i sensi può tal nome applicarsi al Battista. Ponendo da parte ogni suggerimento ironico, Gesù, in questa terza domanda, indica il vero ufficio del Battista. «Se voi, nel deserto, avete cercato un profeta, non siete stati delusi, poiché Giovanni è più che un profeta ordinario, in quanto che, invece di scrivere intorno al soggetto della sua profezia, egli lo vide e lo additò altrui». Tutti i profeti resero testimonianza a Cristo Atti 10:43; 1Pietro 1:1011, e contribuirono a preparare la via dinanzi a lui; ma Giovanni fu il suo immediato precursore, prescelto, non solamente a predire la sua venuta, ma a proclamarla come un fatto compiuto ed a chiamare la nazione a pentirsi, senza indugio, per ricevere il Messia Giovanni 1:6-8

PASSI PARALLELI

Matteo 11:13-14 14:5; 17:12-13; 21:24-26; Marco 9:11-13; Luca 1:1517,76

Mt 11:10

10. Egli è colui del quale è scritto:

perfetto passivo, è stato scritto, forma espressiva, la quale implica l'antichità della profezia.

Ecco, io mando il mio messaggero davanti al tuo cospetto, il quale preparerà la via dinanzi a te.

L'importanza dell'ufficio di Giovanni risulta dall'esser egli non solamente profeta, ma oggetto di profezia. In questo versetto il Signore ci fa vedere che quel che innalzava Giovanni al disopra di un profeta comune, consisteva nell'essere egli il precursore diretto del Messia. Per la dignità del suo ufficio, per la chiarezza della sua testimonianza, e per la potenza del suo ministero, il Battista oscurava tutti i profeti venuti prima di lui. Confrontisi attentamente Malachia 3:1 con questo versetto, ed si osservi il cambiamento introdotto da Gesù nella profezia da lui citata. in Malachia, il Messia parla di se stesso; nel nostro testo, è il Padre che parla al Figliuolo! Questo cambiamento conterrebbe una bestemmia, se Gesù non fosse Dio, uguale al Padre. Merita osservazione il fatto che gli Evangelisti sinottici sono tutti d'accordo nel citare questa profezia così cambiata Vedi Marco 1:2; Luca 7:27

PASSI PARALLELI

Matteo 3:3; Isaia 40:3; Malachia 3:1; 4:5; Marco 1:2; Luca 7:26-27; Giovanni 1:23

Mt 11:11

11. In verità, io vi dico che, fra i nati di donna, non è sorto alcuno maggiore di Giovanni Battista.

Il solenne «amen, io vi dico», accenna ad una dichiarazione ancora più energica, la quale ci sembrerebbe esagerata, se essa non fosse uscita dalla bocca di Colui che possiede un'autorità divina. Il paradosso così attestato è che Giovanni era non solo più che un profeta, ma superiore al più grande fra gli uomini, non però per qualità personali, ma solo per il posto assegnatogli nella storia religiosa del mondo anteriore all'avvento del Messia.

Però il minimo nel regno dei cieli è maggior di lui.

Evidentemente, il punto di confronto non è il carattere personale di Giovanni; poiché, come difficilmente si sarebbe potuto dire che egli, per quel lato, superava tutti gli uomini vissuti prima di lui, così assurdo sarebbe stato il dichiararlo inferiore al più debole fra i discepoli di Cristo, Ma i privilegi del più umile fra i discepoli di Cristo lo fanno superiore al Battista. «Il più debole cristiano ha una intuizione delle cose divine più spirituale del precursore. Egli gode in Cristo della dignità di figlio, mentre Giovanni non è che servo» Godet.

PASSI PARALLELI

Giobbe 14:1,4; 15:14; 25:4; Salmo 51:5; Efesini 2:3

Matteo 3:11; 1Samuele 2:30; Luca 1:15; 7:28; Giovanni 5:35

Matteo 5:19; Isaia 30:26; Zaccaria 12:8; Luca 9:48; Giovanni 1:15,27; 3:30; 1Corinzi 6:4

1Corinzi 15:9; Efesini 3:8

Giovanni 7:39; 10:41; Romani 16:25-26; Colossesi 1:26-27; 2Timoteo 1:10; Ebrei 11:40

1Pietro 1:10

Mt 11:12

12. Or, da' giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono.

La lunghezza del periodo qui accennato, che ha principio col ministero di Giovanni, è incerta, ma probabilmente non passa l'anno. Il ministero di Giovanni è qui chiaramente caratterizzato da Gesù come l'alba della nuova economia regno dei cieli», ed il tramonto dell'antica «la legge ed i profeti». La stessa idea si trova in Luca 16:16; senonché ivi la posizione di Giovanni, come intermedia fra l'antica e la nuova economia, è fatta ancor più fortemente risaltare. è preso a forza. Il verbo usato dai 70. in Genesi 33:11 per indicare un'amichevole violenza. Questo è il suo senso qui, e allude all'avidità con cui le moltitudini, svegliate dalla predicazione, di Giovanni, si accalcavano intorno a lui, mentre gli Scribi ed i Farisei se ne stavano lontani Luca 7:29-30. Nel senso spirituale, «entrare nel regno dei cieli», è questione di morte o di vita, e non si ottiene senza, una specie di violenza, certo non materiale, ma morale; violenza di aspirazioni in chi ha fame e sete di giustizia, energia di risoluzione in chi si leva per seguire Cristo, violenza dei rinunziamenti e sacrifici in chi è deciso ad essergli fedele fino alla fino a qualunque costo. Dice Paolo Galati 5:24: «Coloro che sono di Cristo han crocifissa la carne con le sue passioni e con le sue concupiscenze».

PASSI PARALLELI

Matteo 21:23-32; Luca 7:29-30; 13:24; 16:16; Giovanni 6:27; Efesini 6:1113

Filippesi 2:12

Mt 11:13

13. Poiché tutti i profeti, e la legge, hanno profetizzato fino a Giovanni.

La legge ed i profeti», benché a rigor di termini indichino soltanto due dei tre volumi in cui gli Ebrei dividevano l'Antico Testamento, nel linguaggio del nostro Signore indicano frequentemente, come in questo passo, tutti i libri che ne fanno parte. Essi insegnarono che il Cristo doveva venire, ma questo insegnamento finì con Giovanni, poiché questi dichiarò che il Messia era venuto: «Nel mezzo di voi è presente uno, il quale voi non conoscete»; «Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» Giovanni 1:26,29. Giovanni stesso era l'araldo di Cristo, e, come tale, egli fa propriamente parte dell'antica economia; ma il suo carattere ed il suo posto si comprendono solo considerando la sua relazione colla nuova alleanza.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:17-18; Malachia 4:6; Luca 24:27,44; Giovanni 5:46-47; Atti 3:2224; 13:27

Romani 3:21

Mt 11:14

14. E, se lo volete accettare, Egli è l'Elia, che doveva venire.

Questo discorso intorno a Giovanni, il Signore lo chiude con una ripetizione autorevole della stessa verità, già messa innanzi nel vers. 10; qui però egli cita un altro passo dello stesso profeta Malachia 4:5; nell'ebraico 3:24: «Ecco io vi mando Elia il profeta prima che venga il giorno dell'Eterno, giorno grande e spaventevole». Tratti in errore dalla versione dei 70. che rendono questo versetto colle parole: «Ecco io vi mando Elia il Tisbita», gli Ebrei aspettavano letteralmente che Elia il Tisbita riapparisse prima della venuta del Messia. Ma Gesù dice loro chiaramente che ciò era un errore, poiché la profezia era già stata adempiuta, essendo il promesso precursore non altri che Giovanni. È da osservare, che né la testimonianza di questo versetto, né quella simile recata da nostro Signore in Matteo 17:12 sono in contraddizione con la negativa di Giovanni, non essere Egli Elia Giovanni

1:21; poiché la domanda fattagli si riferiva evidentemente alla riapparizione di Elia il Tisbita in persona.

PASSI PARALLELI

Ezechiele 2:5; 3:10-11; Giovanni 16:12; 1Corinzi 3:2

Matteo 17:10-13; Malachia 4:5; Marco 9:11-13; Luca 1:17; Giovanni 1:2123; Apocalisse 20:4

Mt 11:15

15. Chi ha orecchie per udire, oda.

Con queste parole, Gesù richiama in modo speciale l'attenzione sulla spiegazione che aveva data sull'Elia predetto, mentre colle parole «se lo volete accettare» Matteo 11:14, mostra di conoscere la difficoltà che molti avrebbero avuta di accettare questa spiegazione d'una profezia che essi erano abituati a prendere alla lettera. Non solo gli Ebrei aspettavano, ed aspettano ancora, che il Tisbita, risorto da' morti, ritorni in terra prima delle venuta del Messia; ma, generalmente, i Padri adottano la stessa interpretazione letterale. Alcuni dei Premillenari odierni sostengono ancora che Elia in persona deve apparire un'altra volta come precursore del regno che il Signore stesso stabilirà a Gerusalemme, e che durerà mille anni. Con eguale ragione potremmo arguire da Geremia 30:9, Osea 3:5, che Davide risorgerà da morte; anzi con ragione maggiore, perché quelle predizioni non sono spiegate nel Nuovo Testamento come questa. Nel passo parallelo, Luca aggiunge queste altre parole di Gesù: «E tutto il popolo che l'ha udito ed anche i pubblicani hanno reso giustizia a Dio facendosi battezzare del battesimo di Giovanni; ma i Farisei, e i dottori della legge, hanno reso vano per loro stessi il consiglio di Dio, non facendosi battezzare da lui Luca 7:2930

PASSI PARALLELI

Matteo 13:9,43; Marco 4:9,23; 7:16; Luca 8:8; Apocalisse 2:7,11,17,29; 3:6,13,22

Mt 11:16

Parabola dei fanciulli in sulla piazza Matteo 11:16-19

16. Ma a chi assomiglierò io questa generazione? Ella è simile ai fanciulli seduti nelle piazze, che gridano a' loro compagni,

Avendo il Signore definito la posizione di Giovanni, e per necessaria conseguenza, la propria, con una transizione naturale, egli ora allude ad una differenza notevole fra loro, ed alla accoglienza uguale che ambedue, a dispetto di quella differenza, avevano ricevuta dagli Ebrei. «Questa generazione», indicherebbe naturalmente tutto il popolo, ma qui si riferisce specialmente ai direttori spirituali della nazione, come risulta da Luca 7:2930. Il Signore, con una parabola, tratta dalla caparbietà e dalla intelligenza che osservasi in un giuoco di bambini, descrive la irragionevole condotta del popolo ebreo, rimasto insensibile tanto di fronte agli inviti di Giovanni a pentimento, quanto di fronte a quelli di Gesù che li chiamava a fede giuliva. I bambini invitano i loro compagni ad imitare ora le nozze, ora i funerali; ma costoro non vogliono prendere parte né al primo né al secondo sollazzo. piazza, significa qui un posto pubblico di ritrovo.

PASSI PARALLELI

Lamentazioni 2:13; Marco 4:30; Luca 13:18

Matteo 12:34; 23:36; 24:34

Luca 7:31-35

Mt 11:17

17. e dicono: Vi abbiamo sonato il flauto e voi non avete ballato; abbiam cantato dei lamenti e voi non avete fatto cordoglio.

Gli Ebrei usavano zampogne ed altri strumenti musicali tanto in occasioni liete, come le nozze, quanto in tristi, come i funerali, adattando la musica ad ogni caso.

PASSI PARALLELI

Isaia 28:9-13; 1Corinzi 9:19-23

Matteo 9:15,23; 1Re 1:40; Isaia 30:29; Geremia 9:17-20; 31:4; Luca 15:25

Mt 11:18

18. Difatti è venuto Giovanni non mangiando, né bevendo; e dicono: Ha un demonio.

Come fanciulli che non dànno retta ai loro compagni, qualunque cosa loro propongano, questa generazione rifiutava e Giovanni e il suo Maestro; l'uno perché troppo austero, quasi fosse in balia di qualche influenza diabolica; l'altro invece perché viveva liberamente nell'umano consorzio, e soprattutto perché non sdegnava di conversare colle classi più infime. Dell'indifferenza per la predicazione di Giovanni, e del rifiuto del suo messaggio, parlasi implicitamente in parecchi luoghi dei Vangeli; ma qui soltanto ci viene detto che contro di lui fu lanciata la stessa accusa, che poi fu scagliata contro il Signore Giovanni 7:20; 10:20

PASSI PARALLELI

Matteo 3:4; Geremia 15:17; 16:8-9; Luca 1:15; 1Corinzi 9:27

Matteo 10:25; 2Re 9:11; Geremia 29:26; Osea 9:7; Giovanni 7:20; 8:48; 10:20

Atti 26:24

Mt 11:19

19. È venuto il Figliuol dell'uomo mangiando, e bevendo; e dicono: Ecco un mangiatore, e un beone;

Gesù non dava occasione alla stessa accusa lanciata contro Giovanni, eppure era egualmente condannato. Il suo tenore di vita era differente: non digiunava, non badava alle distinzioni arbitrarie fra i diversi cibi: follie puerili che solo la Chiesa di Roma poteva inventare affine di torturare le coscienze degli uomini. Egli venne mangiando e bevendo con semplicità di cuore, e ringraziava Iddio per tutti i cibi che gli venivano presentati, insegnandoci a far lo stesso; il che, però, non autorizza punto la crapulia! Benché i nemici di Cristo lo chiamassero «mangiatore e beone», la vera cagione del loro odio si manifestava nelle parole seguenti:

un amico dei pubblicani, e dei peccatori;

cioè compagno intimo di uomini che essi superbamente disprezzavano. Più d'una volta, durante il ministero del nostro Signore, essi si lamentarono di lui, dicendo: «Quest'uomo accoglie i pubblicani ed i peccatori, e mangia con loro».

ma la sapienza è stata giustificata dalle opere sue.

Olshausen ed altri vogliono che Gesù qui alluda a se medesimo, come alla sapienza personificata; ma, benché ei sia veramente tale, pure, essendosi in tutto questo discorso parlate» tanto di Giovanni che di Gesù, non si può supporre, che, senza previo annunzio, egli abbia d'un tratto cambiato stile, e parlato solo di se. È molto più naturale il considerare la parola sapienza come espressione generale della sapienza delle vie di Dio. Alcuni MSS. portano: giustificata dai suoi figliuoli e, in questo caso, la locuzione «i figliuoli della sapienza» è un ebraismo per dire i sapienti; così nell'originale ebraico le parole «i figliuoli della ribellione», significano i ribelli Numeri 17:10; «i figliuoli della debolezza», i deboli 2Samuele 7:10; «i figliuoli

dell'orgoglio», gli orgogliosi Giobbe 41:34; «i figliuoli del misfatto», i trasgressori Isaia 57:4; e nel greco: «i figliuoli di questo secolo», i mondani, e «i figliuoli della luce», i fedeli Luca 16:8. Il senso sarebbe che nonostante la resistenza generale, si sono trovati uomini che hanno dato ragione alla sapienza divina ravvedendosi alla predicazione di Giovanni, e credendo poi nel Messia.

Il testo però, accettato dai critici, porta: dalle opere sue; e il senso è: il metodo della divina sapienza è stato giustificato dai frutti di pentimento e di fede giuliva ch'esso ha portato negli uomini sinceri.

PASSI PARALLELI

Luca 5:29-30; 7:34,36; 14:1; Giovanni 2:2; 12:2-8; Romani 15:2

Matteo 9:10-11; Luca 15:1-2; 19:7

Salmo 92:5-6; Proverbi 17:24; Luca 7:29,35; 1Corinzi 1:24-29; Efesini 3:810

Apocalisse 5:11-14; 7:12-30

Mt 11:20

Matteo 11:20-30. SOLENNE AVVERTIMENTO A QUELLI CHE METTONO IN NON CALE GL'INSEGNAMENTI DI CRISTO

20. Allora egli prese a rimproverare le città, nelle quali era stata fatta la maggior parte delle sue opere potenti, perché non si erano ravvedute.

Il nesso di queste parole con quelle che precedono, e la somiglianza del tono, dimostrano evidentemente che furono dette nella stessa occasione. La condanna dei giudizi malevoli portati su di lui e sul Battista dagli Scribi, conduceva naturalmente Gesù a considerare ancor più grave la colpevolezza

di quelle città nelle quali egli in persona aveva insegnato, colla massima chiarezza, le vie del Signore, ed aveva operato miracoli tanto potenti da convincere ogni coscienza.

PASSI PARALLELI

Luca 10:13-15

Salmo 81:11-13; Isaia 1:2-5; Michea 6:1-5; Marco 9:19; 16:14; Giacomo 1:5

Matteo 12:41; 21:28-32; Geremia 8:6; Atti 17:20; 2Timoteo 2:25-26; Apocalisse 2:21; 9:20-21

Apocalisse 16:9,11

Mt 11:21

21. Guai a te, Corazin!

La etimologia di questo nome è incerta. Le rovine di questa città sono state scoperte nel luogo che oggi ancora chiamasi in arabo Khorazi. Thomson dice: «il nome Khorazi avvicinasi molto all'arabo di Chorazin, il sito due miglia a settentrione da Tell Hum Capernaum, è appunto quello in cui ci aspettavamo di trovarla; le rovine rispondono alle esigenze della storia, né vi è luogo che possa con quello competere».

Guai a te, Betsaida!

Città o villaggio alla foce del Giordano nel lago di Galilea. Questo nome, composto di due parole ebraiche: casa, di pesca, indica quali erano le occupazioni dei suoi abitanti. Per l'interesse che essa desta, come città di Andrea, di Pietro e di Filippo, diamo le congetture di Thomson: «Tutti ammettono che c'era una Betstaida all'imbocco del Giordano nel lago. La maggior parte di essa, o almeno quella parte che fu restaurata da Filippo

Erode, è posta sulla riva orientale del fiume, e perciò dicesi ch'essa dovette appartenere alla Gaulonite, e non alla Galilea; e siccome la Betsaida di Andrea e dei suoi compagni era per certo una città di Galilea Giovanni 12:21, così si crede che debbano esservi due città dello stesso nome; ma io non lo Credo necessario. Qualunque città, fabbricata alla foce del Giordano, doveva, quasi necessariamente, aver parte delle sue case sulla riva destra del fiume; e queste erano geograficamente nella Galilea. Andrea, Pietro e Filippo, nati nella parte occidentale della città, erano adunque Galilei. Inoltre, credo probabilissimo che tutta la città, sopra ambedue le rive, facesse parte della Galilea, e che uno dei motivi che spinsero Filippo il Tetrarca a rifabbricarne la parte orientale, e a cambiarle il nome, fesse di, staccarla intieramente dalle sue antiche relazioni e di stabilire il proprio dominio su di essa. Io credo perciò che vi fosse una sola Betsaida, in capo al lago, e che questa sorgesse alla foce del Giordano». Chorazin e Betsaida sono nominate da Gesù come rappresentanti delle piccole città o villaggi di tutta quella regione, favorita sopra ogni altra dal Salvatore, colla sua predicazione e coi, suoi miracoli.

perché, se in Tiro e Sidone,

Tiro e Sidon eran le due città principali dei Fenici, e le più notabili nei tempi antichi per commercio e navigazione, essendo i grandi emporii in cui i tesori dell'India, l'opulenza asiatica, e la produzioni del mondo occidentale si riversavano.

Sidon, o Zidon, era una città antichissima: se ne fa menzione due volte nella Genesi Genesi 10:19;49:13, l'ultima delle quali, in occasione della benedizione data da Giacobbe moribondo ai suoi figli. Ai giorni di Giosuè era già divenuta tanto celebre da esser chiamata «Sidone la grande» Giosuè 11:8;19:28. Si dice che Sidone dovette la sua esistenza a Sidon figlio di Canaan e pronipote di Noè: se è così, era coetanea di Ninive fondata da Nimrod. Essa crebbe rapidamente; il suo porto era affollato di Davi da ogni costa circonvicina, ed i suoi magazzini erano pieni del lusso e dei tesori più scelti dell'Oriente. Nessuno osava molestarla, cosicché lo «stare in riposo e in sicurtà nella maniera dei Sodoni» Giudici 18:7, divenne l'espressione proverbiale della prosperità perfetta. Neanche Giosuè si arrischiò ad

assalirla Giosuè 11:8, ed i Cananei che fuggivano dinanzi alla sua spada, si ricoverarono nelle mura di essa. Le sue navi mercantili veleggiavano per ogni mare. Fondò potenti città lungo la costa della Palestina: Bairut, Gebal, Arvad, Acco, Dor e molte altre. Piantò colonie in Cipro e nelle isole greche, in Libia e in Ispagna; mentre nelle vicinanze di essa fioriva la sua bella figlia, Tiro Allora cominciò il suo lungo e doloroso decadimento. Il superbo Faraone dal Nilo, il severo Assiro dalla lontana Ninive, i Caldei ed i Persiani da Babilonia, «il becco irsuto» dalla Grecia, tutti concorsero a gettare la povera Sidon nella polvere, ed i Turchi finirono di rovinarla. Eppure Sidon esiste ancora!

Tiro è d'origine posteriore, poiché Isaia 23:12, la chiama «la figlia di Sidon»: ma Giosuè 19:29, parla di «Tiro città forte», nella descrizione dei limiti d'Aser, dal che risulta che non poteva essere molto giovane quando Israele conquistò Canaan; ed Isaia 23:7, ne parla come di città «la cui origine data dai giorni antichi».Vi erano due città di questo nome: la più antica sul continente, l'altra sopra un'isola vicinissima ad esso; e bisogna aver ciò bene in mente per intendere chiaramente le numerose profezie concernenti Tiro, le quali si riferiscono ora all'una, ora all'altra. La più antica delle due fu distrutta da Nabucodonoser re di Babilonia ed era già conosciuta come Palai-Tyrus antica Tiro ai giorni di Alessandro il Grande, il quale «abbatté le sue torri e spazzò via la sua polvere» Ezechiele 26:4, per costruire la sua celebre gettata fra il lido e la Tiro isolana, quando pose l'assedio a quest'ultima. La Tiro isolana presto si riebbe e quasi superò la sua vicina Sidon; «i suoi mercatanti erano principi» Isaia 23:8. Il re di Tiro si unì a Salomone per mandare una flotta nell'oceano Indiano, ed i marinai furono tutti Tiri. Si avventurarono in viaggi di tre anni a Tarsish probabilmente Cadice, al dilà delle colonne d'Ercole. La loro ricchezza e la loro potenza può argomentarsi dalla enumerazione data in Ezechiele 27, di quelli con cui negoziavano, e che bisogna leggere onde capire questo passo. Le profezie concernenti Tiro, leggonsi in Isaia 23:13-17; Geremia 27:3,6; Ezechiele 26-28; Gioele 3:4-8; Zaccaria 9:2-4. Tiro e Sidon esistono tuttora, distanti venti miglia l'una dall'altra, ma spogliate di tutta la loro magnificenza. Tiro specialmente è poco più grande che un villaggio. Il nome di quest'ultima rimane com'era, Tuzur, e la Sidon dei tempi antichi è facilmente riconoscibile nella moderna Saida.

fossero state fatte le opere potenti compiute fra voi, già da gran tempo si sarebbero pentite, con cilicio e cenere.

Benché quelle città fossero note per la loro idolatria, e per la loro immoralità, libertinaggio ed ignoranza di Dio, pure il Signore dichiara che, se fossero state favorite della luce e dei privilegi di Chorazin, ecc., certamente non avrebbero disprezzate queste opere potenti; ed agli inviti a pentimento che a' dì di Cristo risuonavano, avrebbero prestato orecchio. Spargere cenere in sul capo, indossare rozze e ruvide vesti, come pure stracciare le vesti ordinarie, erano anticamente l'espressione del cordoglio Giosuè 7:6; Ester 4:1; Daniele 9; Giona 3:5-6. «Cenere». Siccome il turbante si porta in casa e fuori di notte e di giorno, così lo spargere cenere sul capo, non era cosa tanto sudicia come parrebbe, secondo le idee europee; poiché la cenere non si gettava sul capo scoperto, ma sul turbante. Quest'uso, come è ora praticato dagli Arabi, è all'incirca, altrettanto innocuo quanto lo spargimento della cenere che usano fare i preti cattolici, nel giorno destinato a questa cerimonia: altro non fanno gli Arabi che gettare un pizzico di polvere sul fez; che indica cordoglio, quanto se fossero cosparsi intieramente di cenere la faccia ed il capo. Le parole da gran tempo indicano chiaramente che Gesù parla delle antiche e gloriose Tiro e Sidon, e non di quelle che ancora restavano ai suoi giorni.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:7; 23:13-29; 26:24; Geremia 13:27; Luca 11:42-52; Giuda 11

Marco 6:45; 8:22; Luca 9:10; Giovanni 1:44; 12:21

Matteo 12:41-42; Ezechiele 3:6-7; Atti 13:44-48; 28:25-28

Giobbe 42:6; Giovanni 3:5-10

Mt 11:22

22. E però vi dichiaro che nel giorno del giudizio, la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra.

Vedi note Matteo 10:15Matteo 10:15. Nostro Signore non solo asserisce dover venire il giudizio, ma le espressioni di cui si vale in questo, e nel vers. 24, c'insegnano che esso sarà universale, comprendendo tutte le generazioni degli uomini. In quel giorno, Tiro e Sidon, Sodoma e Gomorra saranno giudicate al pari di noi. Gesù c'insegna inoltre che la intensità della punizione finale, sarà proporzionata ai privilegi religiosi, ed ai mezzi di grazia goduti dagli uomini, e da loro volontariamente rigettati. Riguardo a ciò, egli si esprime anche più chiaramente in Luca 12:47-48. Che solenne avvertimento dà il Signore a tutti quelli che leggono queste parole! Coloro i quali oggi godono dell'istruzione religiosa odono predicare il vangelo, e vivono in ambiente atto a condurli a Cristo, senza però abbracciarlo, rassomigliano a quelle città.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:24; 10:15; Luca 10:14; 12:47-48; Ebrei 2:3; 6:4-8; 10:26-31

Isaia 23:1-18; Geremia 25:22; 27:3; Ezechiele 26:1-28:26; 29:18; Amos 1:9-10

Zaccaria 9:2-3

Matteo 12:36; 2Pietro 2:9; 3:7; 1Giovanni 4:17

Mt 11:23

23. E tu, o Capernaum, sarai tu forse innalzata infino al cielo? No, tu scenderai fino nell'Ades; perché, se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, ella sarebbe durata fino ad oggi. 24. E però, io lo dichiaro, nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodoma sarà più tollerabile della tua.

La stessa solenne verità è qui espressa con una enfasi più terribile, mediante il contrasto fra Capernaum, dove erano stati uditi gl'insegnamenti di Cristo e operati i suoi miracoli, e Sodoma, la più rea, la più impura, la più degradata fra le città dei tempi antichi. Il giudizio di cui parla nostro Signore ha ancora da venire: non sopra le città materiali, ma sui loro abitanti. I critici danno la preferenza nel vers. 23 alla forma interrogativa, ma dubbia: Sarai tu forse?

PASSI PARALLELI

Matteo 4:13; 8:5; 17:24; Luca 4:23; Giovanni 4:46-54

Isaia 14:13-15; Lamentazioni 2:1; Ezechiele 28:12-19; 31:16-17; Abdia 4; Luca 14:11

2Pietro 2:4-9

Genesi 13:13; 19:24-25; Ezechiele 16:48-50; Giuda 7; Apocalisse 11:8

Matteo 11:22; 10:15; Lamentazioni 4:6; Marco 6:11; Luca 10:12

Mt 11:25

Gioia del Salvatore e sua fiducia nella sovranità del Padre suo Matteo 11:25-30

25. in quel tempo Gesù prese a dire:

Questa è certamente la continuazione del discorso precedente, giacché prese a dire, quando non c'è persona cui rispondere, si riferisce al discorso che precede, alle nuove idee che esso suscita in colui stesso che parla. Le considerazioni che seguono sono suggerite alla mente di Gesù dai risultati poco lieti del suo ministero, i quali ci sono rivelati nei rimproveri dei procedenti versetti. Per quanto però quei risultati fossero tali da sgomentarlo, poiché gli Scribi ed i Farisei, in tutte le città di Galilea,

rifiutavano le sue profferte di misericordia e disprezzavano i suoi miracoli, pure egli si rallegrava nel pensiero che tale era il giusto decreto del Padre suo, e che, se il suo vangelo era nascosto «ai savi ed intendenti», era però rivelato «ai piccoli fanciulli».

Io ti rendo lode,

L'idea qui espressa è che Gesù acconsente alla volontà del Padre, e che egli trova una santa soddisfazione in quei decreti di cui sta per fare menzione.

o Padre,

Apostrofi simili a questa, leggonsi in Giovanni 11:41;12:48. Signor del cielo e della terra, Gesù si rivolge a Dio, prima come al Padre suo, poi come al Creatore e Signore del cielo e della terra, affermando così la sua intima relazione personale col sovrano Regolatore dell'universo, da cui ogni cosa dipende.

perché hai nascoste queste cose

non già, come crede Alford, le misteriose disposizioni, per le quali il peccatore è condannato nel suo orgoglio e nella sua incredulità, e colui che è umile e simile al fanciullo, è salvato; poiché quelle sono nascoste tanto per "i savi ed intendenti", quanto per, «i piccoli fanciulli»; ma bensì la conoscenza spirituale della verità.

Che s'intende per «nascondere?». Non dobbiamo credere che Iddio eserciti qualche influenza diretta sulle menti degli uomini per celar loro la verità del vangelo, giacché ciò sarebbe presentarlo come autore della loro eterna rovina. Le severe espressioni accecare e indurare, che sono frequenti nelle Scritture, si intendono facilmente se ricordiamo che coloro i quali ostinatamente chiudono gli occhi e induriscono il loro cuore alla verità, sono spesso, per giudizio divino, lasciati nella loro cecità e durezza, cosicché essi, naturalmente, vi persistono. In questo senso, si dice che Dio fa ciò che solamente permette che accada. Ciò spiega anche come sia da intendere l'indurimento del cuore di Faraone Esodo 7:3, ed i passi simili a Giovanni 12:40; Atti 28:27. Il sapere che Dio ricusa la sua grazia agli

ostinati, mentre dev'essere un potente stimolo per ricorrere a lui, non può, con ragione, riguardarsi come uno scoraggiamento per coloro che seriamente si occupano della salvazione dell'anima loro.

a' savi ed agli intelligenti

La prima di queste parole indica coloro che si vantano delle loro cognizioni speculative e filosofiche; l'altra, gli uomini che posseggono l'accortezza mondana, gli scaltri, gli arguti, gli uomini di affari.

e le hai rivelate ai piccoli fanciulli.

Agli uomini simili ai fanciulli, docili e senza presunzione, uomini che, consci di nulla sapere, si propongono solamente «di ascoltare ciò che il Signore Iddio dirà». Costoro sono bene a ragione detti «fanciulli» Vedi 1Corinzi 13:11;14:20; Ebrei 5:13. I savi sono gli Scribi ed i Farisei, i Sacerdoti e gli Anziani degli Ebrei; i fanciulli sono i pescatori, i pubblicani, e gli altri poveri Ebrei illetterati. «All'orgoglio dell'intelligenza, viene risposto coll'accecamento; alla semplicità del cuore che vuol la verità, colla rivelazione» Gess.

PASSI PARALLELI

Luca 10:21-24

1Cronache 29:13; Daniele 2:23; Giovanni 11:41; 2Tessalonicesi 2:13-14

Genesi 14:19,22; Deuteronomio 10:14-15; 2Re 19:15; Isaia 66:1; Daniele 4:35; Atti 17:24

Matteo 13:11-16; Isaia 5:21; 29:10-14,18-19; Marco 4:10-12; Giovanni 7:48-49

Giovanni 9:39-41; 12:38-40; Romani 11:8-10; 1Corinzi 1:18-29; 2:6-8; 3:18-20

2Corinzi 3:14; 4:3-6

Matteo 16:17; 18:3-4; 21:16; 1Samuele 2:18; 3:4-21; Salmo 8:2; Geremia 1:5-8

Marco 10:14-16; 1Corinzi 1:27

Mt 11:26

26. Sì, o Padre;

può esser riguardato come una espressione di assenso, o come una ripetizione enfatica.

PASSI PARALLELI

Giobbe 33:13; Isaia 46:10; Luca 10:21; Romani 9:18; 11:33-36; Efesini 1:9,11; 3:11

2Timoteo 1:9

perché così ti è piaciuto. 27. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio,

«Ogni cosa» qui si riferisce propriamente al regno della grazia, ma naturalmente include tutto ciò che è necessario perché si svolga e si ordini; ed indica, in altri termini, un potere illimitato su tutto l'universo. «Perché Per è piaciuto al padre che tutta la pienezza abiti in lui» Colossesi 1:19;2:9. Ogni potere Matteo 28:18; Ebrei 1:3; ogni giudizio Giovanni 5:22; il dispensare il perdono Matteo 9:16; Atti 5:31; il dar la vita Giovanni 17:2; l'accesso a Dio Giovanni 14:6; la rivelazione di Dio e di ogni verità Giovanni 1:18;8:12: tutto ciò gli appartiene. Questo Gesù poteva dire, anche nella umiliazione e nell'apparente debolezza dei «giorni della sua carne», perché quella umiliazione e debolezza, quella sofferenza e quella morte

erano parte essenziale della grande opera della redenzione dell'umanità, affidata a lui dal Padre suo; essenziale, tanto per la potenza esercitata da Cristo sui cuori degli uomini, come per il suo diritto di dispensare il perdono e la vita a tutti coloro che credono in lui Ebrei 2:9-10,17; 5:9

Mt 11:27

e niuno conosce appieno il Figliuolo, se non il Padre; e niuno conosce appieno il Padre, se non il Figliuolo,

Oltre al passo parallelo in Luca 10:22 la parola il Figliuolo, si trova usata in questo modo assoluto, soltanto in Marco 13:32. Lo spirito e la forma di questo versetto sono precisamente quelli del vangelo di Giovanni; ed accennano alla grande e ricca collezione di discorsi del Signore, che sono riferiti dal solo Giovanni. Questo privilegio di una piena ad intima conoscenza tale è il significato di è reciproco fra Padre e Figlio; essi, ed essi soli, si conoscono reciprocamente l'uno l'altro. A niuno, eccetto al Padre onnipotente, è palese interamente il mistero della persona e dell'uffizio del Figlio; è una profondità che niuno può investigare se non colui, del quale i disegni si svolgono in lui e per lui solo. E nessuno comprende, nella profondità del suo cuore, l'amore e la grazia del Padre, eccetto il Figlio, e colui a cui il Figlio, per mezzo dell'eterno Spirito, che procede dal Padre e dal Figlio, avrà voluto rivelarla. Vi sono misteri riguardo al Figlio, non solo quanto all'unione in lui, della umana colla divina natura, ma molto più quanto alla sua generazione eterna dal Padre; misteri che niuno, se non il Padre, può intendere. Dall'altra parte, mentre le Scritture dichiarano espressamente che né angelo, né uomo alcuno può investigare Iddio Giobbe 11:7, che le sue vie sono imperscrutabili Romani 11:33, e mentre Gesù ciò conferma in questo luogo, egli stesso dichiarasi il solo eccettuato: egli solo conosce appieno il Padre. Di questa sua conoscenza intima del Padre, egli aveva dato loro appunto una prova luminosa, mostrando come egli riveli il Figlio ad alcuni e non ad altri. Si osservi che, se nostro Signore così parla del Padre e del Figlio, non esclude lo Spirito Santo, che è lo Spirito della sapienza e della perfetta intelligenza. Quel che qui dicesi concorda perfettamente colle parole di Paolo: «Lo Spirito investiga ogni cosa, anche

le cose profonde di Dio. Infatti, chi fra gli uomini conoscono le cose dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo ch'è in lui? così niuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio» 1Corinzi 2:10-11. Questi versetti, confrontati con questo, stabiliscono chiaramente la dottrina della Trinità: tre persone in un solo Dio, unite in infinita sapienza e nella piena conoscenza l'una dell'altra. La ragione per cui Cristo non fa menzione qui dello Spirito, è che l'uffizio di esso non era ancora bene inteso dai suoi uditori.

e colui, al quale il Figliuolo avrà voluto rivelarlo.

Negli attributi di Geova, vi è tale altezza e profondità, che se fossero rivelati pienamente, la mente umana, quale essa è presentemente, non li comprenderebbe mai. Ma, grazie a Dio, l'uomo non è lasciato, riguardo ad essi, interamente nell'ignoranza, specie rispetto al carattere di Dio quale perdonatore del peccato. Cristo si dichiara qui il Rivelatore del Padre, e Giovanni, colla sua testimonianza, conforta questo fatto: «Niuno ha mai veduto Iddio; l'unigenito Figliuolo, ch'è nel seno del Padre, è quel che l'ha fatto conoscere» Giovanni 1:18. Il Padre viene messo alla portata della nostra conoscenza, nella persona del Figlio, che è la manifestazione della Divinità Colossesi 2:9; e noi dobbiamo essere da lui insegnati, poiché «egli è dato per capo sopra ogni cosa alla Chiesa» Efesini 1:22. Questa rivelazione dipende dalla volontà del Figlio; ma concorda perfettamente coi decreti di Dio. Gesù non potrebbe asserire più chiaramente la sua uguaglianza col Padre. Quindi, o abbiamo qui la più abbominevole presunzione che si sia manifestata, o la indubitabile divinità personale di Cristo. «Ahimè!» esclamerà forse qualche anima stanca, «se così è, non mi rimane altro che una passiva disperazione, a meno che io non possa sperare di essere fra quelli, cui piace al Figlio di rivelare il Padre!» Ma perché mai disperare? Non disse forse Cristo: «Chiedete, e vi sarà dato», ecc.?

PASSI PARALLELI

Matteo 28:18; Giovanni 3:35; 5:21-29; 13:3; 17:2; 1Corinzi 15:25-27; Efesini 1:20-23

Filippesi 2:10-11; Ebrei 2:8-10; 1Pietro 3:22

Luca 10:22; Giovanni 10:15

Giovanni 1:18; 6:46; 10:15; 14:6-9; 17:2-3,6,25-26; 1Giovanni 2:23; 5:1920

2Giovanni 9

Mt 11:28

28. Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,

Oh, quanto queste parole, piene di grazia, cambiano l'aspetto dei versetti precedenti! Colui che conosce l'assoluta rettitudine di tutto ciò, che è stato decretato dal suo Padre, e sa che il suo desiderio e la sua volontà sono «che niuno perisca, ma che tutti "vengano a pentimento"; colui che solo ha il potere e il diritto di rivelare il Padre, riconciliando il mondo con lui, e che solo ha il potere di chiudere e di aprire il regno dei cieli, lungi dal discacciare il peccatore aggravato e tremante, lo invita, nel modo più benevolo, a se: e questi suoi attributi sono appunto, per il peccatore, la garanzia più sicura di pace, felicità e vita eterna. L'invito è diretto a tutti, poiché tutti gli uomini, se la loro coscienza, è sensibile ed attiva, sono travagliati ed aggravati. Colle parole stanchi e carichi, una nella forma attiva, e l'altra nella passiva, la miseria universale degli uomini è dipinta sotto un doppio aspetto. La prima parola esprime la idea di spossatezza, ed è applicata a lavoro infruttuoso; l'altra, a tutti i pesi ed a tutte le cure della vita. Benché non sieno esclusi da questo invito quelli che gemono sotto il peso delle miserie terrene, queste parole hanno principalmente un senso spirituale, e sono applicabili, primieramente, agli Ebrei, che gemevano nei legami del ritualismo, quindi ai peccatori consci del loro pericolo, e che bramano una via di scampo. Venire alla presenza di Cristo solo corporalmente, non era quel ch'egli voleva dire, e non avrebbe giovato a nulla; ai molti che così facevano, egli diceva: «Voi non volete venire a me, per aver la vita» Giovanni 5:40. È un venire come di malato al medico per averne sollievo, o di ignorante al maestro per avere insegnamento. La

maniera di venire dev'essere diretta, semplice, senza dubbio o esitazione. Le difficoltà che possiamo incontrare andando a Cristo sono in noi, non in lui. Egli invita generosamente il peccatore; ma questi, nella sua incredulità, vorrebbe rendersi degno del Salvatore, prima di accettarne l'invito.

ed io vi darò riposo.

Il verbo significa dar riposo togliendo il peso. Questo fa Cristo, prendendo sopra di se il nostro carico di peccati e di sollecitudini, se noi glielo rechiamo; e coloro che abitano in lui per la fede, godono della sua pace. Così l'autore dell'Epistola agli Ebrei per propria esperienza, dice: «Noi, che abbiam creduto, entriamo in quel riposo» Ebrei 4:3. Alla coscienza aggravata, Cristo promette riposo nel perdono; alla mente inquieta, nella verità; al cuore addolorato e sitibondo, nella provvidenza e nelle promesse di Dio; all'uomo oppresso dal dolore, nel pregustamento ora, e, fra breve, nel godimento del cielo. Questo invito e queste promesse implicano onniscienza ed onnipotenza.

PASSI PARALLELI

Isaia 45:22-25; 53:2-3; 55:1-3; Giovanni 6:37; 7:37; Apocalisse 22:17

Matteo 23:4; Genesi 3:17-19; Giobbe 5:7; 14:1; Salmo 32:4; 38:4; 90:7-10

Ecclesiaste 1:8,14; 2:22-23; 4:8; Isaia 1:4; 61:3; 66:2; Michea 6:6-8; Atti 15:10

Romani 7:22-25; Galati 5:1

Matteo 11:29; Salmo 94:13; 116:7; Isaia 11:10; 28:12; 48:17-18; Geremia 6:16

2Tessalonicesi 1:7; Ebrei 4:1

Mt 11:29

29. Prendete su voi il mio giogo, e imparate da me,

Questa figura allude al giogo che si pone sul collo dei bovi che arano, ed è spesso usata nelle Scritture per ogni genere di sottomissione. Qui significa la sottomissione del discepolo agli insegnamenti ed ai precetti del maestro. Trattandosi di qualsiasi altro maestro, noi distinguiamo sempre la sua dottrina dalla sua condotta; ma qui il nostro Signore allude alla sua dottrina ed al suo esempio, entrambi sorgenti di ammaestramenti; ed infatti il suo carattere, la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione contengono lezioni più sublimi del suo stesso insegnamento.

perch'io sono mansueto ed umile di cuore;

L'americano prof. Alexander intende questa locuzione così: «Prendete ammaestramento da me, seguite il mio esempio; io sono mansueto ed umile di cuore: perché ricusereste d'esser come me? Io mi sono sottomesso alla legge; perché avreste voi scrupolo di sottomettervi ad essa, avendo me per interpretarla ed aiutarvi ?». Noi crediamo che si debbano riferire piuttosto al carattere del nostro Signore, come Maestro e Padrone. Egli non governa con rigore, né tratta aspramente i suoi discepoli; egli comporta la loro ignoranza e la loro inettitudine, usa indulgenza verso le loro debolezze ed infermità, ed accetta il discepolo volonteroso, nonostante i suoi numerosi errori e le colpe in cui talvolta egli cade. Perciò, solamente nella sua scuola e nel suo servizio gli uomini trovano il vero riposo.

e voi troverete riposo alle anime vostre.

Mentre la ripetizione di questa promessa conferma la sua certezza, essa implica, al tempo stesso, che il riposo completo non può ottenersi subito; e che pertanto è necessario portare pazientemente il giogo e diligentemente imparare.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:24; 17:5; Giovanni 13:17; 14:21-24; 15:10-14; 1Corinzi 9:21; 2Corinzi 10:5

1Tessalonicesi 4:2; 2Tessalonicesi 1:8; Ebrei 5:9

Matteo 11:27; 28:20; Luca 6:46-48; 8:35; 10:39-42; Giovanni 13:15; Atti 3:22-23; 7:37

Efesini 4:20-21; Filippesi 2:5; 1Giovanni 2:6

Matteo 12:19-20; 21:5; Numeri 12:3; Salmo 131:1; Isaia 42:1-4; Zaccaria 9:9

Luca 9:51-56; 2Corinzi 10:1; Filippesi 2:7-8; 1Pietro 2:21-23

Matteo 11:28; Geremia 6:16; Ebrei 4:3-11

Mt 11:30

30. Poiché il mio giogo è dolce, e il mio carico è leggiero.

dolce significa primieramente vantaggioso, benefico, e non è forse mai adoperato senza relazione col suo significato originale; ma qui, significa soave, non difficile a portarsi, come dimostra la espressione parallela: «il mio carico è leggero». Il riposo di cui l'anima gode, una volta che si trova salva sotto le ali di Cristo, rende tollerabile ogni altro giogo, leggero ogni altro peso! A misura che l'anima rigenerata pratica la volontà del Signore, essa la trova buona ed accettevole, giacché i suoi comandamenti non sono penosi.

PASSI PARALLELI

Proverbi 3:17; Michea 6:8; Atti 15:10,28; Galati 5:1,18; 1Giovanni 5:3

Giovanni 16:33; 2Corinzi 1:4-5; 4:17; 12:9-10; Filippesi 4:13

RIFLESSIONI

1. Che Giovanni Battista, benché non giunto al meriggio della sua vita e capace ancora di predicare, il regno di Dio, dovesse esser gettato in una prigione, e che nostro Signore ve lo lasciasse languire e morire della morte del martire, senza far nulla per liberarlo, ciò sembra una dispensazione misteriosa. Ma il vero è che Iddio, infinitamente sapiente e buono, assegna ad ognuno dei suoi servitori il posto che deve occupare, e l'opera colla quale deve glorificarlo; che quei patimenti e quel martirio erano necessari a compiere la testimonianza di Giovanni, e adempiere i disegni di Dio; e che, come per Paolo, così per Giovanni, «Dio rese la sua grazia sufficiente per esso, e spiegò la sua potenza nella debolezza del suo servo» 2Corinzi 12:9. Anche in quei tristi giorni, mentre giaceva in catene nella prigione, noi vediamo che quel sant'uomo non cessò di rendere testimonianza alla verità.

2. C'è qualche cosa di molto bello e consolante per i veri Cristiani nella testimonianza che il nostro Signore rende a Giovanni. Essa ci mostra quanto teneramente il nostro sommo Capo s'interessa della vita e del carattere di ogni suo membro; e quanto egli sarà pronto ad onorare ogni opera ed ogni fatica sostenuta per la sua causa. È un dolce pregustamento della confessione che di loro egli farà innanzi al mondo radunato, quando egli li presenterà puri da ogni colpa davanti al trono del Padre suo.

3. «A quale altezza si libra, anche qui, Gesù al disopra del maggior rappresentante del passato! Ma in pari tempo, qual sincerità negli scrittori sacri che non temono di palesare le infermità dei loro più illustri eroi!» Godet. Come Elia, il Battista si eleva talvolta alle più sublimi altezze, ma è soggetto pure a ricadere negli scoramenti più profondi.

4. Coloro che non si convertono, benché la parola della vita sia loro ampiamente somministrata, rammentino la sentenza pronunziata sulle città di Galilea, sentenza in parte già eseguita, ma della quale la parte più tremenda ha ancora da venire; e sieno sicuri che, nel giorno del giudizio, il grado della reità non sarà stimato secondo la grandezza dei loro peccati davanti al mondo, ma secondo le violenze che abitualmente, avranno fatte alla voce della propria coscienza, secondo che più o meno avranno spenta la luce e soffocate le loro proprie convinzioni.

5. Se è vero che «niuno conosce il Figliuolo se non il Padre», quanto è irragionevole misurare ciò che dice la Scrittura, rispetto alla persona ed alle opere di Cristo, ed ristretto criterio dell'intelletto umano, rettificando, modificando, o interpretando tutto ciò che, sebbene chiaramente espresso negli oracoli di Dio, siamo incapaci di comprendere pienamente!

6. Coloro i quali considerano la sovranità della grazia divina di fronte alla libertà ed alla responsabilità dell'uomo, rigettando ora l'una, ora l'altra, come se non fossero conciliabili fra loro, prendano per se il rimprovero che fa qui nostro Signore. In nessun altro luogo è dichiarata tanto esplicitamente la dottrina che la conoscenza salvatrice del Padre può essere impartita unicamente dalla volontà sovrana del Figlio. Ciò nonostante, in nessun altro luogo si trova più chiaramente indicata l'altra verità, cioè che questa conoscenza e la pace che ne deriva, sono alla portata di chiunque le chiede a Cristo, e che tutti quelli i quali bramano la pace dell'anima loro, sono generosamente invitati da lui, e saranno cordialmente ricoverati sotto le sue ali.

7. Si osservi quanto semplice sia ciò che Cristo richiede da coloro che sono travagliati ed aggravati: «Venite a me togliete il mio giogo ed imparate da me». Egli chiede che andiamo a lui quali noi siamo con tutti i nostri peccati, e ci sottoponiamo come fanciulli ai suoi insegnamenti. Quanto è atto ad infondere coraggio ciò ch'Egli dice di se: «io sono mansueto e umile di cuore!». Questo è l'unico luogo delle Scritture, dove sia nominato il cuore di Gesù. Marta e Maria a Betania, Pietro dopo la sua caduta, i discepoli dopo la resurrezione, Tommaso dopo la sua fredda incredulità, tutti ebbero un saggio della bontà e mitezza di Cristo. È questo un invito che non dobbiamo dimenticare mai. Ed ora viene la solenne domanda: L'abbiamo noi accettato? Qui sta il segreto dell'avere il cuore felice.

Mt 12:1

CAPO 12 - ANALISI

L'Evangelista, nella maggior parte di questo capitolo, sembra essersi proposto di mostrare in quali relazioni stessero i Farisei con Gesù; il loro odio crescente, che si manifestava in accuse sempre più amare; e le risposte colle quali egli confutava, avvertendoli ch'erano sul punto di escludersi per sempre dal regno della misericordia. A tale scopo, Matteo raduna un numero di incidenti che illustrano il suo soggetto, benché non stiano fra loro in ordine strettamente cronologico: cosa alla quale, come abbiam già veduto, questo Evangelista, per solito, non mira.

1. I discepoli colgono spighe in giorno di Sabato. Come esempio della violenta animosità che era nata nel cuore dei Farisei contro Cristo, viene qui fatta menzione imprima di un episodio che deve essere accaduto nelle vicinanze di Capernaum. Era un giorno di Sabato. Recandosi forse Gesù, coi suoi discepoli, in uno dei villaggi vicini, gli venne fatto di attraversare dei campi di grano quasi maturo. I discepoli, avendo fame, colsero alcune spighe, e, soffregandole nelle mani, ne mangiarono i chicchi. I Farisei, che li avevano spiati, andarono immediatamente da Gesù, accusando i suoi discepoli d'essere violatori del Sabato. L'accusa non importava che l'atto in se stesso fosse un rubare, poiché in ogni altro giorno sarebbe stato lecito; ma quel cogliere le spighe e stropicciarle fra le mani fu condannato altamente come lavoro manuale proibito nel Sabato Matteo 12:1:2. La risposta di nostro Signore si riduce ad un argomento cui non si replica: la forza maggiore. «È vero! Dio comandò che nessun lavoro si facesse di Sabato; ma siccome il Sabato fu dato per utile dell'uomo, c'è una legge superiore a questa, ed è la legge della conservazione della vita. Quando queste due leggi vengono a conflitto, Iddio misericordioso domanda «grazia e non sacrificio». Colui dunque che rompe il riposo del sabato per assoluta necessità o per usare misericordia, non è reo di infrazione di questa legge» Matteo 12:7. Nostro Signore convalida questo argomento con esempi ben noti. Ogni uomo il quale, non essendo sacerdote, mangiava del pane di presentazione, commetteva sacrilegio; nonostante, quando Davide e i suoi compagni, stretti dalla fame, cioè da forza maggiore, ne chiesero e ne ottennero onde sostenere la vita, non peccò né chi diede i pani, né chi li ricevette Matteo 12:3,4. I1 Signore passa quindi ad un altro esempio che si riferisce più direttamente al Sabato. La legge di Dio richiedeva che nessuno in quei giorno lavorasse; ma, nel tempio, i sacerdoti dovevano, il Sabato,

fare non solo il lavoro degli altri giorni, ma un doppio lavoro, essendo doppio il numero dei sacrifici da offrirsi in quel giorno. Ora, uccidere animali, bruciare incenso, ecc., erano violazioni del Sabato più flagranti assai che non fosse il cogliere e soffregare tra le mani alcune spighe. Pure i sacerdoti che ciò facevano non meritavano biasimo, poiché in questo caso c'era forza maggiore; il culto divino non doveva essere interrotto neanche il Sabato, ma senza l'opera loro non si poteva celebrare. Era dunque quell'opera necessaria Matteo 12:5. Nostro Signore aggiunge un'altra risposta all'accusa dei Farisei, cioè la presenza, in quel luogo, del Legislatore Medesimo. Se coloro che, per compiere opere necessarie, rompevano la legge del Sabato nel tempio, non erano perciò da biasimare, quanto meno lo erano quelli che lo facevano col permesso ed in presenza del Figliuol dell'uomo, il quale è maggiore del tempio, ed è Signore del Sabato? Matteo 12:6,8.

2. La guarigione dell'uomo che ama la mano secca. Questo miracolo fu operato verso quel tempo, in giorno di Sabato, nella sinagoga di Capernaum. Il modo con cui, prima di operarlo, Gesù sfida i suoi nemici ad obiettare, se potevano, contro la legalità del suo atto di misericordia ferisce i Farisei in sul vivo; perciò essi si ritirano per cospirare intorno al modo di ucciderlo. Quegli ipocriti non vedevano incoerenza nel condannare nostro Signore per un atto di misericordia compiuto in un giorno di Sabato, mentre essi violavano il Sabato assai più, tramando un omicidio! La domanda ch'egli pone loro è questa: Come si sarebbero essi medesimi contenuti, nel caso che un asino od un bue, di loro proprietà, fosse caduto in una fossa, in giorno di Sabato? Cavarli di là sarebbe egli stato un infrangere il Sabato? Matteo 12:10-14.

3. il Signore si ritira per qualche tempo da Capernaum. leggiamo in Marco che nostro Signore, seguito da una gran moltitudine, andò alla spiaggia del mare, ove furono da lui guariti tutti i malati con ordine a tutti di tacere: avvenimento qui quale l'Evangelista richiama la maggiore attenzione dei suoi lettori, siccome quello in cui si adempieva una importante profezia intorno a Gesù Matteo 12:15-21.

4. Guarigione d'un sordo-muto-cieco. Un altro miracolo, operato sopra un sordo-muto indemoniato, conduce gli astanti a domandarsi seriamente se colui che possedeva una tale potenza divina non fosse il Messia; e spinge i Farisei a fargli la stolta e blasfematoria accusa, che egli fosse in lega con Satana, ed operasse miracoli solo per la potenza di costui Matteo 12:22-24. Non si arrischiarono però a gettare una tale accusa in faccia al Signore. Il loro fine era di alienare da lui la moltitudine; ma Gesù lesse i loro pensieri, e pubblicamente li espose. Con un argomentare stringentissimo, egli fa vedere la impossibilità della loro accusa vigliacca, asserisce che scaccia i demoni collo Spirito di Dio, e dà ciò come prova convincente che il regno di Dio è venuto Matteo 12:25-30. Dopo ciò, nostro Signore rivolge un solennissimo avvertimento ai Farisei imprima, poi a tutti quegli altri, che dalle costoro argomentazioni avessero ricevuto qualche impressione, onde premunirli che si guardassero dal bestemmiare lo Spirito Santo, essendo essi in pericolo di cadere in cosiffatto peccato, che è imperdonabile Matteo 12:31-37.

5. Il segno del profeta Giona. Un altro metodo di opposizione usato dagli Scribi e dai Farisei, fu il richiedere da Gesù, nonostante i molti miracoli che egli, ogni giorno, operava sotto ai loro occhi, un segno speciale miracoloso della sua qualità di Messia. Siccome però i suoi miracoli erano già prove ampiamente sufficienti a convincere chiunque vi avesse l'animo disposto, così egli ricusò di dar loro qualunque altro segno, e ne ricordò uno che era registrato già da molto tempo nelle loro proprie Scritture, quello cioè del profeta Giona Matteo 12:38-40. Segue una spaventevole predizione della rovina che li aspettava, la quale consiste parte nel contrappor loro «gli uomini di Ninive e «la regina del Sud»; parte nella parabola dello spirito immondo, il quale ritorna con maggior forza là donde era stato discacciato, risoluto a non lasciarsi più mandare via Matteo 12:41,45.

6. La madre ed i fratelli di Gesù. Alcuni della folla avendo annunziato a Gesù che sua madre ed i suoi fratelli erano fuori e desideravano parlargli, egli ne prende occasione a definire qual parentela spirituale rappresentassero per lui quelle parole facendo astrazione da qualunque legame della carne, e quale fosse il carattere che dovevano avere coloro che egli riconosceva come congiunti Matteo 12:46-50.

Matteo 12:1-8. I DISCEPOLI COLGONO SPIGHE DI GRANO IN GIORNO DI SABATO. DISCORSI RELATIVI AL SABATO Marco 2:23-28; Luca 6:1-5

1. In quel tempo,

Questa formula è tanto vaga, che non determina nulla. Equivale a quella più generica di Marco e avvenne, e significa più o meno il tempo in cui era avvenuto quel che era stato raccontato prima. Luca, ricordando questo medesimo fatto, specifica un certo Sabato, ma in modo così enigmatica che il lettore rimane nell'incertezza. Vedi Luca 6:1. Che i discepoli cogliessero del grano, e che ciò accadesse di Sabato, tutti e tre gli Evangelisti sinottici concordano nel dirlo; ma se il grano colto fosse orzo o frumento, non viene determinato; quindi, siccome esisteva fra la due raccolte un intervallo di qualche settimana, è impossibile decidere la data approssimativa.

Gesù passò in giorno di sabato, per li seminati;

I Farisei non trovarono nulla da rimproverare a Gesù, o ai suoi discepoli quanto all'infrazione del Sabato, perché erano fuori delle case loro e passeggiavano per i campi: segno sicuro questo, che dovevano trovarsi entro i limiti assegnati dalla tradizione ad una gita in giorno di Sabato, e perciò non lontani da Capernaum; altrimenti quei loro cavillosi nemici li avrebbero accusati di doppia infrazione al quarto comandamento. La distanza che, secondo la tradizione degli anziani, era lecito percorrere nel Sabato, era di 2000 cubiti.

e i suoi discepoli ebbero fame, e presero a svellere delle spighe, ed a mangiare.

I discepoli erano evidentemente digiuni, poiché il Signore difende il loro atto indicandone l'assoluta necessità. Se avvenisse un simile caso ai tempi nostri, i discepoli, anziché di violazione di Sabato, verrebbero accusati di furto. Giova osservare che l'accusa non fu questa, e la ragione si è, che un

tal caso era contemplato nella legge levitica, la quale non solo provvedeva a tali necessità, ma altresì esortava a generosità ed ospitalità la nazione che viveva nel paese sul quale Geova aveva promesso di mantenere le sue benedizioni, dal principio alla fine dell'anno. Nel Deuteronomio 23:25 si legge: «Quando entrerai nelle biade del tuo prossimo, potrai coglierne delle spighe con la mano; ma non mettere la falce nelle biade del tuo prossimo».

PASSI PARALLELI

Marco 2:23-28; Luca 6:1-5

Deuteronomio 23:25

Mt 12:2

2. E i Farisei, veduto ciò, gli dissero: Ecco, i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito di fare in giorno di sabato.

I Farisei avevano interpretato la legge del Sabato tanto grettamente, da farne un peso intollerabile. Né lume, né fuoco accendevano in casa, né cuocevano un solo boccone da mangiare; eran queste opere riguardate come servili, e, quindi, rigorosamente proibite. Opera servile pure consideravano i Farisei quel cogliere le spighe e stropicciarsele fra le mani, come facevano i discepoli; e così, fatti baldanzosi, accusavano questi di peccato, e, naturalmente, il Maestro loro di complicità. Matteo e Marco ci dicono ch'essi diressero questo loro rimprovero a, Gesù; Luca dice ch'essi lo rivolsero ai discepoli suoi; noi però, combinando le narrazioni, troviamo come andò esattamente il caso; cioè, che alcuni degli accusatori si rivolsero al Signore, ed altri ai discepoli.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:10; Esodo 20:9-11; 23:12; 31:15-17; 35:2; Numeri 15:32-36; Isaia 58:13

Marco 3:2-5; Luca 6:6-11; 13:10-17; 23:56; Giovanni 5:9-11,16-17; 7:21-24

Giovanni 9:14-16

Mt 12:3

3. Ma egli disse loro: Non avete voi letto quel che fece Davide quando ebbe fame, egli e coloro ch'eran con lui?

Il fatto a cui qui si allude avvenne quando Davide, scampato da Saul, grazie allo stratagemma di Mical sua moglie, fuggì con pochi dei suoi amici a Nob dove, a quel tempo, doveva trovarsi il Tabernacolo, al doppio scopo di prendere consiglio dal sommo sacerdote Ahimelec, e di ottenere da lui provvisioni per la sua fuga Vedi 1Samuele 21:1-9

PASSI PARALLELI

Matteo 12:5; 19:4; 21:16; 22:31; Marco 12:10,26; Luca 6:3; 10:26

1Samuele 21:3-6; Marco 2:25-26

Mt 12:4

4. Come egli entrò nella casa di Dio,

Si possono applicare le parole «casa di Dio» tanto al Tabernacolo quanto al Tempio, poiché esse indicano il luogo dove Dio abitava in mezzo al suo popolo. Dal giorno in cui Hofni e Finees rimossero, l'Arca dell'Alleanza da Silo, per portarla alla battaglia contro i Filistei 1Samuele 4, non c'è incertezza intorno ai viaggi di essa. Restituita nuovamente agli Israeliti, possiamo seguirla nei vari luoghi dove si fermò: a Betsemes 1Samuele 6:15; nella casa di Abinadab, a Chiriatiearim o Baala 1Samuele 7:1, conf. Giosuè 15:9; in casa di Obed Edom in Peres-Uzza 2Samuele 6:10-11; e finalmente nella città di Davide, in Gerusalemme, dove rimase finché Salomone non la

È

portò nel Tempio da lui edificato. È molto più difficile però il tenere dietro ai movimenti del Tabernacolo, dopo che l'Arca ne fu rimossa. Sappiamo dalla profezia, benché il tempo non sia indicato, che Dio visitò Silo coi suoi giudizi Geremia 7:12. Lo troviamo a Gabaon, quando Salomone fu coronato re 1Cronache 21:29, e nel frattempo, quando fuggiva Davide, deve essere stato a Nob.

e come mangiarono i pani, di presentazione, i quali non era lecito di mangiare, né a lui né a quelli ch'eran con lui; ma a' soli sacerdoti?

Nel Luogo santo, tanto del Tabernacolo che del Tempio, si trovavano tre oggetti: il candelabro d'oro, l'altare d'oro dell'incenso, e la tavola dei pani di presentazione. Su questa tavola, i sacerdoti deponevano, per comando di Dio, ogni Sabato, dodici pani cotti di fresco, numero corrispondente alle dodici tribù d'Israele, e ne toglievano, al tempo stesso, quelli che vi erano stati posti il Sabato antecedente. Questi pani essendo consacrati al Signore, Aaron ed i suoi figli avevano ordine di mangiarli nel Luogo santo, ed era proibito espressamente agli estranei di cibarsene Levitico 24:5,9. È probabile, secondo 1Samuele 21:6 che Davide capitò a Nob in giorno di sabato. Ma anche se ciò non è certo, l'esempio torna pure sempre calzantissimo, poiché mostra che in un caso di necessità assoluta, in cui si tratta di vita o di morte, chi infrange la lettera della legge può esser innocente agli occhi di Dio. La legge imponeva che nessuno, fuorché i sacerdoti, mangiasse i pani di presentazione; ma la legge di Dio proibisce anche l'omicidio, e ricusare ad uomini che erano digiuni da quasi tre giorni, il solo cibo che avessero potuto trovare, sarebbe stato lo stesso che volerli uccidere. Il Signore c'insegna così in quale senso dobbiamo osservare il giorno del riposo. Occupare questo giorno in faccende o divertimenti mondani è peccato; ma compiere opere di misericordia, ovvero opere assolutamente necessarie, è lecito. L'empia asserzione, non esser le narrazioni dell'Antico Testamento altro che gioconde favole, piene bensì di utili di ammaestramenti, non trova appiglio alcuno nel Nuovo Testamento. Chi abbatte l'autorità del Testamento Antico si accorgerà ben presto che, volere o no, egli abbatte anche l'autorità del Nuovo.

PASSI PARALLELI

Esodo 25:30; Levitico 24:5-9

Esodo 29:32-33; Levitico 8:31; 24:9

Mt 12:5

5. Ovvero, non avete voi letto nella legge, che ne' giorni del sabato, i sacerdoti, nel tempio, violano il sabato, e non ne sono colpevoli?

Il fatto di cui nostro Signore fa menzione nel versetto precedente, serve di commento a ciò che egli dice riguardo all'opera dei sacerdoti nel Tempio. I pani dovevano esser cotti e disposti sulla tavola di presentazione il Sabato: un doppio numero di sacrifici doveva essere offerto; ed il libro del Levitico ci dice quanti altri lavori servili erano imposti ai sacerdoti e leviti, in quel giorno. Queste erano tutte violazioni della lettera del quarto Comandamento eppure, senza tali violazioni, il servizio rituale, ordinato la Dio nel Tempio, non avrebbe potuto celebrarsi. Anche questo è un caso di necessità, di forza maggiore, la quale rendeva «non colpevoli,» i sacerdoti, mentre appunto, adempiendo ai propri doveri, violavano il Sabato.

PASSI PARALLELI

Numeri 28:9-10; Giovanni 7:22-23

Nehemia 13:17; Ezechiele 24:21

Mt 12:6

6. Or, io vi dico che v'è qui qualcosa di più grande

Invece del maschile maggiore, i più recenti critici hanno adottato, come preferibile, il neutro qualche cosa di più grande; ma ciò non altera il senso

del tempio. Combinando le tre narrazioni, veniamo a sapere che Cristo difese i suoi discepoli con cinque argomenti distinti, due dei quali sono stati conservati da tutti e tre gli Evangelisti, uno da Marco solo, e due dal solo Matteo. Essi tutti però dànno il primo posto all'esempio di Davide. Le parole di questo versetto contengono, contro le frivole accuse mosse ai suoi discepoli, un altro argomento del quale andiamo debitori a Matteo solamente: «Se il servizio del tempio rendeva immuni da colpa i sacerdoti che nel compirlo trasgredivano la lettera della legge, quanto più la presenza e la sanzione di uno che è maggiore del tempio, renderà immuni da colpa coloro che infrangono il Sabato al solo fine di calmare la fame che li ha sorpresi nel servizio di lui?». Con ciò, Gesù affermava la sua divinità, ed accennava alla intenzione di abolire, colla sua venuta, quel rituale fastidioso. Se il servizio del Tempio non costituiva una infrazione del Sabato molto meno il servizio di Cristo; ma ricordiamoci che ciò riguarda solamente la lettera, non l'intendimento spirituale della legge, la quale è immutabile come la natura stessa, di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:41-42; 23:17-21; 2Cronache 6:18; Aggeo 2:7-9; Malachia 3:1; Giovanni 2:19-21

Efesini 2:20-22; Colossesi 2:9; 1Pietro 2:4-5

Mt 12:7

7. E, se sapeste che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrificio, voi non avreste condannato gl'innocenti.

Nostro Signore cita nuovamente il passo di Osea 6:6, già da lui citato quando i Farisei mormoravano perché sedeva a tavola coi pubblicani, nella casa di Levi Matteo 9:13. Le loro proprie Scritture insegnavano loro che, quando la misericordia ossia l'amore e il sacrificio la parte esterna della religione venivano a conflitto, Dio benignamente sceglieva la misericordia; e se avessero capito le Sacre Scritture, si sarebbero astenuti, in presenza di

una tale dichiarazione divina, di lanciare le loro accuse contro uomini innocenti Marco 2:27 ricorda, in questa occasione, un altro detto del Signore, il quale illustra ciò che egli dice intorno a misericordia e sacrificio, e, giustifica l'atto innocente dei suoi discepoli: «il Sabato è fatto per l'uomo, e non l'uomo per il Sabato». Non fu prima creato il Sabato e poi l'uomo per essere schiavo di quello; bensì fu creato prima l'uomo, poi fu istituito il Sabato, per il giovamento temporale e spirituale dell'uomo, a cui fu comandato di consacrare una settima parte del suo tempo a Dio. Essendo dunque il Sabato inteso a reale benefizio dell'uomo, la legge che concerne il Sabato non può interpretarsi in modo da farne un ostacolo alla felicità dell'uomo Vedi nota in Marco 2:27Marco 2:27.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:13; 22:29; Atti 13:27

Isaia 1:11-17; Osea 6:6; Michea 6:6-8

Giobbe 32:3; Salmo 94:21; 109:31; Proverbi 17:15; Giacomo 5:6

Mt 12:8

8. Perché il Figliuol dell'uomo è signore del Sabato.

Questo argomento di Gesù in difesa dei suoi discepoli, lo riportano tutti e tre gli Evangelisti, ed è di altissima importanza, poiché il Signore afferma in esso esplicitamente la propria autorità come Signore del Sabato, che è quanto dire, come Verbo Eterno che sin dalla creazione istituì il giorno del riposo a benefizio di tutto il genere umano; e come Figlio dell'uomo, che lo istituì nella Chiesa, di cui egli è Capo e rappresentante, Sovrano e Redentore, per il bene spirituale di lei. Siccome non manca, purtroppo, chi asserisce il contrario, giova osservare che nostro Signore non lascia intravedere intenzione alcuna di abolire il giorno del riposo e l'obbligo di Osservarlo. Ei si mostra padrone di quella istituzione, appropriandosela, trasferendola da uno ad altro giorno, interpretandola, e diffondendo sopra di

essa uno spirito di libertà e di amore, che le dà una grandissima somiglianza col riposo eterno del cielo.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:6; Marco 2:28; 9:4-7; Luca 6:5; Giovanni 5:17-23; 1Corinzi 9:21; 16:2

Apocalisse 1:10

Mt 12:9

Matteo 12:9-21. GUARIGIONE DI UN UOMO DALLA MANO SECCA. GESÙ SI RITIRA PER SCANSARE LA MORTE Marco 3:112; Luca 6:6-11

Guarigione della mano secca Matteo 12:9-14

9. E partitosi di là, venne nella loro sinagoga.

Le parole «loro sinagoga» si riferiscono a quei Farisei che, nel campo, avevano censurato il Redentore, e collegano così questo miracolo coll'incidente che precede. E quanto al tempo, Luca 6:6 afferma che questo miracolo fu operato in un altro Sabato.

PASSI PARALLELI

Marco 3:1-5; Luca 6:6-11

Mt 12:10

10. Ed ecco un uomo che aveva una mano secca.

cioè priva di sensibilità e di movimento, o per paralisi, o per un accidente qualunque in questo e nei seguenti versetti, l'Evangelista ricorda un'altra lezione pratica data dal Signore, su quel che si può fare legalmente in Sabato.

Ed essi, affine di poterlo accusare, fecero a Gesù questa domanda: È egli lecito far delle guarigioni in giorno di Sabato?

Marco e Luca concordano nelle loro narrazioni di questo miracolo, ma nei particolari differiscono considerevolmente da Matteo. Evidentemente Matteo si propone, non di riferire il miracolo nei suoi particolari, ma soltanto di esporre i motivi che spinsero Gesù ad operarlo in giorno di Sabato. Onde farsi una idea completa di questo avvenimento, dobbiamo combinarne le diverse narrazioni. Non esiste contraddizione fra il racconto di Matteo, il quale mette nella bocca dei Farisei la domanda contenuta in questo versetto, ed i due altri sinottici, i quali non ne fanno menzione. Luca 6:8 fa sentire che la risposta interrogativa di Cristo gli fu dettata dalla sua onniscienza, per mezzo della quale egli scrutava i pensieri dei suoi interlocutori, e conosceva che essi non l'interrogavano allo scopo di istruirsi, ma per coglierlo in qualche tranello ed accusarlo davanti ai tribunali come violatore del Sabato. Benché sapesse di essere osservato, Gesù invitò quell'uomo, a sorgere e a stare in piedi, in mezzo alla sinagoga, quindi, ad un tratto, diresse ai suoi avversari questa domanda: «È lecito in giorno di Sabato di far del bene, o di far del male; di salvare una persona, o di ucciderla? Marco 3:4. Si osservi che così la scena cambia intieramente di aspetto. Gli accusatori sono ora obbligati a difendersi. La loro domanda era: «È egli lecito guarire in giorno di Sabato?». A cui Gesù replica: «Rispondete voi piuttosto se è lecito, in Sabato, di far del bene o di far del male, di salvare una persona o di ucciderla». A questa domanda non potevano nulla rispondere, poiché il far del male, o l'uccidere, non era lecito in verun giorno, mentre il far del bene, o salvare la vita era lecito tutti i giorni, non eccettuato il Sabato. Ma questa domanda ha anche un senso più esteso e pungente. Il nostro Signore sapendo ch'essi covavano nei loro cuori l'idea di farlo morire, domanda loro: «Se voi v'immaginate di osservare il Sabato, mentre in esso voi congiurate contro la mia vita, osate voi accusar me di violare il Sabato, perché in questo giorno io faccio un atto di

misericordia, perché salvo la vita ad un uomo, invece di distruggerla?». Convinti nelle loro coscienze, ma; troppo ostinati e troppo superbi per confessarlo, secondo Marco «essi tacevano».

PASSI PARALLELI

1Re 13:4-6; Zaccaria 11:17; Giovanni 5:3

Matteo 19:3; 22:17-18; Luca 13:14; 14:3-6; 20:22: Giovanni 5:10; 9:16

Isaia 32:6; 59:4,13; Luca 6:6-7; 11:54; 23:2,14; Giovanni 8:6

Mt 12:11

11. Ed egli disse loro: Chi è colui fra voi, che avendo una pecora, s'ella cade in giorno di Sabato in una fossa, non la prenda, e la tragga fuori? 12. Or, quanto è un uomo da più d'una pecora? È dunque lecito di far del bene in giorno di Sabato.

Marco omette questa domanda, e Luca 14:1,5, la connette alla guarigione dell'idropico, operata anch'essa in giorno di Sabato; per lo che certi critici, per i quali è un'eresia che nostro Signore potesse mai ripetere due volte una stessa lezione, accusano Matteo, testimonio oculare, di aver confuso fra loro due avvenimenti, e preferiscono l'ordine di Luca, che non era presente. Sia che la guarigione dell'idropico accadesse mentre nostro Signore era in Betabara Giovanni 10:40, come alcuni suppongono, o in qualsiasi altro luogo fuori della sinagoga di Capernaum, nulla vi era di più naturale, che nostro Signore ripetesse questo argomento, perché nessun altro era di maggior peso. «Se voi, senza timore di violare il Sabato, vi affrettate a salvare in quel giorno una pecora, tanto maggiore sarà il dovere di soccorrere e guarire, in giorno di Sabato, un uomo, creatura ragionevole ed immortale». Tale è qui il significato delle parole «far del bene»; ma nostro Signore usò queste parole certamente a bella posta, affine di stabilire un gran principio, atto a sciogliere innumerevoli scrupoli di coscienza. Il Nuovo Testamento non si fonda sulla casistica, ma su principi, che ogni

Cristiano intelligente può da se medesimo applicare. Dopo aver così ridotto i Farisei al silenzio, Marco aggiunge Marco 3:5 che Gesù li guardò attorno «con indignazione, contristato per l'induramento del cuor loro»; descrizione espressiva. È questo uno dei pochissimi passi dei Vangeli che rivelano gl'intimi sentimenti di Gesù. Quanto fosse santa la sua indignazione lo prova la tristezza, che ad essa si unì per la durezza dei loro cuori.

PASSI PARALLELI

Luca 13:15-17; 14:5

Esodo 23:4-5; Deuteronomio 22:4; 6:26; Luca 12:24

Marco 3:4; Luca 6:9

Mt 12:13

13. Allora disse a quell'uomo: Stendi la tua mano. E colui la stese, ed ella tornò sana come l'altra.

Il pover'uomo, avendo fede nel suo risanatore, obbedì alla potente parola di lui egli stese la mano e fu guarito. Il Signore non lo toccò, e non rivolse nemmeno una parola di comando alla malattia. La mano fu stesa per provare che essa era sana, e che tale era stata resa in quel momento medesimo dal potere divino. Così furono deluse le speranze dei suoi nemici, i quali non poterono scagliare contro di lui nessuna accusa legale.

PASSI PARALLELI

Luca 13:13; Atti 3:7-8

Mt 12:14

14. Ma i Farisei, usciti tennero consiglio contro di lui, col fine di farlo morire.

L'effetto che ciò produsse sulle, menti dei nemici di Cristo è così descritto da Luca: «essi furono ripieni di furore», furore che immediatamente si convertì in atto, essendosi essi radunati per tramare la sua morte. È questa la prima volta che si fa menzione dei disegni micidiali dei nemici di Gesù. Marco 3:3 aggiunge che i Farisei presero consigli cogli Erodiani a danno suo. Vedi la nota sulle Sette giudaiche al principio del volume. Perché i Farisei e gli Erodiani, in questa circostanza, unissero, i loro rancori, non è spiegato. È possibile che i Farisei di Galilea desiderassero di guadagnare gli Erodiani, per assicurarsi così la cooperazione di Erode, convinti com'erano che, senza l'aiuto del potere secolare, non sarebbero riusciti a nulla. Gli Erodiani erano politicamente i loro oppositori più forti, perché sostenevano Erode Antipa di Galilea, tributario dei Romani, mentre i Farisei erano accanitamente avversi alla dominazione romana. Ciò fa vedere che i nemici più acerrimi, come Erode e Pilato, possono far causa comune contro Cristo. La inimicizia contro di lui soffocava tutte le altre. Frustrati gli sforzi dei Farisei per pubblicamente accusar Cristo di trasgredire il Sabato, tanto più divenne necessario ideare qualche progetto per far morire il Profeta di Nazaret, prima che divenisse onnipotente presso il popolo.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:1; Marco 3:6; Luca 6:11; Giovanni 5:18; 10:39; 11:53,57

RIFLESSIONI

1. Si osservi quanta importanza dànno gli ipocriti alle piccole cose. I discepoli di Cristo furono accusati di infrangere il quarto Comandamento relativo al Sabato, per aver colto e mangiato una manciata di grano. Lo zelo esagerato di quei Farisei non si estendeva ad altri comandamenti egualmente chiari ed obbligatori. Il settimo, contro l'adulterio, per esempio, secondo loro, si doveva osservare soltanto nel senso, letterale; ed il decimo, contro la

cupidigia, si poteva trasgredire impunemente, tanto nella lettera, quanto nello spirito. È un sintomo cattivo quando uno comincia a porre in prima linea le cose secondarie della religione, e pospone le cose comandate da Dio a quelle ordinate dall'uomo.

2. Notiamo quanto si fece povero nostro Signore, egli così ricco, affinché, per la sua povertà, fossimo arricchiti 2Corinzi 8:9

3. Riflettiamo alla perfetta conoscenza che il Signore ha dei pensieri intimi dell'uomo, siccome lo abbiam visto nel modo in cui parlava ai Farisei, e siamo umili, ripensando quanti e quanti pensieri vani, peccaminosi, mondani ci passano per la mente, a tutte le ore, i quali nessun uomo vede, ma che sono però nudi e scoperti agli occhi di Colui cui dovremo renderne conto. Le parole: «egli conosceva i loro pensieri» ed altre simili, sono fra le più chiare testimonianze della divinità di nostro Signore, poiché nessuno, fuori che Dio solo, può leggere i segreti del cuore.

4. Lo scopo del nostro Signore, nei suoi discorsi coi Farisei rispetto al Sabato, era di correggere il loro attaccamento servile alla lettera della legge, mentre la trasgredivano spiritualmente. Nessuna prescrizione divina può esser contraria al far del bene. È lecito sempre ed in qualunque caso, di farlo; e per dimostrare che tali atti di misericordia sono leciti, non meno di sette guarigioni, fatte da nostro Signore in giorno di Sabato, trovansi registrate negli Evangeli: guarigione dell'indemoniato nella sinagoga Marco 1:21; della suocera di Pietro Marco 1:29; del paralitico a Betsaida Giovanni 5:9; del cieco di nascita Giovanni 9:14; della donna invasa da uno spirito d'infermità Luca 13:14; dell'idropico Luca 14:1; e dell'uomo dalla mano secca, in questo capitolo. Ma, in tutti questi casi, Gesù non pronunziò mai una sola parola la quale, indichi ch'egli riguardasse il Sabato come una istituzione puramente ebraica, o che si proponesse di abolirlo; al contrario, dichiarandosi «Signore del Sabato», Gesù conferma che l'istituzione è permanente; e ch'egli esercita al riguardo un'autorità personale ed assoluta.

Mt 12:15

Gesù si ritira per sfuggire ai suoi nemici Matteo 12:15-21

15. Ma Gesù, saputolo, si partì di là;

Dove andasse, l'Evangelista non lo dice; Marco però dice «al mare», senza dubbio ad una considerevole distanza da Capernaum, ove i suoi nemici cospiravano contro di lui. Gesù non si allontanò per timore, ma per quella saviezza che ei soleva usare nello scegliere i mezzi necessari al gran fine della sua missione.

e molti lo seguirono, ed egli li guarì tutti.

È questo un semplice riassunto dell'accaduto, per dimostrare l'adempimento della profezia contenuta in Matteo 12:20; Marco 3:7-12, però, dà più estesi e interessanti ragguagli. Da questo versetto ben si vede che il ritiro di Gesù era inteso ad eludere i suoi nemici, molto potenti nello città, e non già a sfuggire il concorso della gente.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:23; Luca 6:12; Giovanni 7:1; 10:40-42; 11:54

Matteo 4:24-25; 19:2; Marco 3:7-12; 6:56; Luca 6:17-19; Giovanni 9:4; Galati 6:9

1Pietro 2:21

Mt 12:16

16. E ordinò loro severamente di non farlo conoscere,

Questa proibizione generale non contraddice a quella più ristretta riferitaci da Marco, rispetto agli spiriti immondi; poiché Marco prende di mira una

sola classe fra le persone a cui fu divietato di narrare i miracoli di Gesù. Non era ancor venuto per lui né il tempo di far conoscere ch'egli era il Cristo, né quello di morire.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:30; 17:9; Marco 7:36; Luca 5:14-15

Mt 12:17

17. Acciocché si adempiesse quanto era stato detto per bocca del profeta Isaia:

Questa profezia si legge in Isaia 42:1-4; ma la citazione, sebbene concordi nel concetto colla traduzione, dei 70, tanto ne differisce nelle espressioni, che qui dobbiamo considerarla come tradotta direttamente dall'ebraico. Essa si riferisce al Messia, e Matteo, indicando l'esatta conformità della condotta di Cristo con essa, ne dimostra l'adempimento.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:17; 13:35; 21:4; Isaia 41:22-23; 42:9; 44:26; Luca 21:22; 24:44

Giovanni 10:35; 12:38; 19:28; Atti 13:27

Isaia 42:1-4

Mt 12:18

18. Ecco il mio servitore che ho scelto: il mio diletto in cui l'anima mia si è compiaciuta;

Il passo originale ci presenta il servo di Geova qual suo messaggero e rappresentante fra le nazioni, e descrive il suo pacifico modo d'operare, e gli

effetti della sua possanza non come fisici, ma come spirituali. In questo versetto, la sola variazione dall'ebraico è che il verbo scegliere viene sostituito ad uno che significa sostenere.

io metterò lo Spirito mio sopra lui, ed egli annunzierà giudicio alle genti.

Vediamo l'adempimento di questa profezia, nella discesa dello Spirito Santo sul nostro Salvatore, al momento del suo battesimo, e nelle parole, che in quel momento stesso ed in quello della trasfigurazione, si udirono dal cielo. Il misericordioso intendimento di Dio verso i Gentili, che si doveva effettuare per mezzo del Messia, viene, in questa profezia, chiaramente espresso; cosicché, se altrove viene detto essere egli stato mandato agli Ebrei e non ai Gentili, ciò deve intendersi unicamente del suo ministero personale e terreno.

PASSI PARALLELI

Isaia 49:5-6; 52:13; 53:11; Zaccaria 3:8; Filippesi 2:6-7

Salmo 89:19; Isaia 49:1-3; Luca 23:35; 1Pietro 2:4

Matteo 3:17; 17:5; Marco 1:11; 9:7; Luca 9:35; Efesini 1:6; Colossesi 1:1,13

2Pietro 1:17

Matteo 3:16; Isaia 11:2; 59:20-21; 61:1-3; Luca 3:22; 4:18; Giovanni 1:3234; 3:34

Atti 10:38

Isaia 32:15-16; 49:6; 60:2-3; 62:2; Geremia 16:19; Luca 2:31-32; Atti 11:18

Atti 13:46-48; 14:27; 26:17-18; Romani 15:9-12; Efesini 2:11-13; 3:5-8

Mt 12:19

19. Non contenderà, né griderà, né alcuno udirà la sua voce nelle piazze. 20. Egli non triterà la canna rotta, e non spegnerà il lucignolo fumante; finché non abbia fatto trionfare la giustizia.

Invece di canna rotta dovrebbe piuttosto tradursi canna pestata o atterrata, la quale, rialzata e legata ad un sostegno, potrebbe vegetare di nuovo, il che, per una canna rotta del tutto, sarebbe impossibile. Dice lino fumante, perché gli Ebrei usavano il lino per i lucignoli dei loro lumi, come i nostri sono fatti di bambagia. La parte della profezia che si trova nel versetto 18, non è altro che una introduzione, mentre la parte principale di quella, rispetto al contegno di Cristo ed ai mezzi coi quali egli doveva stabilire il suo regno, sta nei versetti 19,20. In questi versetti il profeta continua a parlar del modo col quale il Messia doveva stabilire la giustizia fra le nazioni, o, in altre parole, spargere fra esse la vera religione: cioè senza strepito e senza violenza. Meravigliose, al pari delle grandi vittorie del Messia, sarebbero la pacatezza e la soavità dei mezzi coi quali ei le avrebbe coseguite. Un urto troppo violento avrebbe potuto rompere la canna pestata, o spegnere il lucignolo fumante; Gesù invece si sarebbe adoperato con amore a sollevare gli abbattuti, dar forza alle mani deboli, sorreggere le ginocchia tremanti, consolare gli angosciati, e dire a tutti coloro che sono smarriti di cuore: «Confortatevi, non temiate» Isaia 35:3-4

PASSI PARALLELI

Matteo 11:29; Zaccaria 9:9; Luca 17:20; Giovanni 18:36-38; 2Corinzi 10:1; 2Timoteo 2:24-25

Matteo 11:28; 2Re 18:21; Salmo 51:17; 147:3; Isaia 40:11; 57:15; 61:1-3

Lamentazioni 3:31-34; Ezechiele 34:16; Luca 4:18; 2Corinzi 2:7; Ebrei 12:12-13

Salmo 98:1-3; Isaia 42:3-4; Romani 15:17-19; 2Corinzi 2:14; 10:3-5; Apocalisse 6:2

Apocalisse 19:11-21

Mt 12:21

21. E nel nome di lui le genti spereranno.

Matteo omette, la prima parte del vers. 4 del cap. 42 d'Isaia, e ci dà una parafrasi della seconda: «finché abbia stabilita la giustizia sulla terra: e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge». Dalle parole di uno dei loro antichi profeti gli Ebrei potevano comprendere quanto dovesse estendersi la missione del Messia, e come, da ultimo, dovessero convertirsi i Gentili. Imparino quindi i servi di Cristo a valutare l'opera fatta in servizio suo, non già dal rumore prodotto dalla loro attività, ma dalla silenziosa e perseverante operosità colla quale proseguono il lavoro ad essi affidato.

PASSI PARALLELI

Isaia 11:10; Romani 15:12-13; Efesini 1:12-13; Colossesi 1:27-30

Mt 12:22

GUARIGIONE DEL CIECO MUTOLO INDEMONIATO ACCUSA MALIGNA DEI FARISEI, E RISPOSTA DI CRISTO Marco 3:20-31; Luca 11:14-36

22. Allora gli fu presentato un indemoniato, cieco e muto; ed egli lo sanò; talché il mutolo, parlava e vedeva.

Come al solito, Matteo adopra qui la parola «allora», per indicare una occasione diversa da quella nella quale ebbero luogo gli avvenimenti già narrati. Marco, il quale riferisce una parte del seguente discorso, non fa menzione di questo miracolo. Luca riferisce l'uno e l'altro, ma senza alcun cenno di tempo; e, senza notare la cecità di quel tale, egli dice soltanto

ch'egli era mutolo. La guarigione di un indemoniato sordo e mutolo e, per di più, anche cieco, meritava certo, per se medesima, tanto è notevole una particolare menzione; pure, secondo ogni probabilità, non sarebbe stata ricordata poiché in Matteo 9:32 si trova un incidente simile, relativo al mutolo ossesso, se non avesse fornito un esempio di più di quella opposizioni maligna che a Gesù facevano i principali Ebrei, e non avesse tratto dalle labbra di Cristo il solenne avvertimento contenuto in Matteo 12:25-30

PASSI PARALLELI

Matteo 9:32; Marco 3:11: Luca 11:14

Marco 7:35-37; 9:17-26

Salmo 51:15; Isaia 29:18; 32:3-4; 35:5-6; Atti 26:18

Mt 12:23

23. E tutte le turbe stupivano, e dicevano: Non è costui il Figliuol di Davide?

Sulle parole «Figliuol di Davide» si leggano le note Matteo 9:27Matteo 9:27. Di questo miracolo si fa menzione anche a cagione dell'effetto ch'esso produsse sulla moltitudine. La parola greca erano fuori di se dallo stupore mostra che questa ne fu commossa al massimo grado. La domanda: «Non è costui...?», ecc., mostra come la pensava il popolo, e ci spiega ciò che Marco tace l'allarme dei Farisei e la ragione della repentina accusa maligna contenuta nel seguente versetto.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:33; 15:30-31

Matteo 9:27; 15:22; 21:9; 22:42-43; Giovanni 4:29; 7:40-42

Mt 12:24

24. Ma i Farisei, udendo ciò, dissero:

Oltre ai Farisei di Galilea, Marco 3:22 fa menzione «degli Scribi ch'erano discesi da Gerusalemme», per raccogliere accuse contro Gesù.

Costui non caccia i demoni, se non per l'aiuto di Beelzebub, principe dei demoni.

Su «Belzebub» Vedi le note Matteo 9:34Matteo 9:34 e Matteo 10:25Matteo 10:25. La preposizione in non significa una mera alleanza, e neanche un semplice aiuto, ma l'intima unione personale che ha luogo fra gli ossessi ed i demoni. Viene quasi a dire: perché unito col principe dei demoni, egli può cacciarli fuori. Il vocabolo principe significa propriamente uno che precede gli altri, che guida, e governa. Come sostantivo designava in generale i magistrati, e nella storia greca, gli Arconti, o principali magistrati di Atene. Nel Testamento Nuovo viene applicato a Mosè Atti 7:35, ai membri del Sinedrio Giovanni 3:1,7, agli anziani locali, o capi della sinagoga Luca 8:41; ed anche al maligno, come principe di questo mondo Giovanni 12:31;14:30;16:11, come principe delle potenze dell'aria Efesini 2:2 e come principe dei demoni Matteo 9:34. La parola demoni comprendeva tutte le classi delle divinità della greca mitologia, specialmente quelle di ordine inferiore, che stavano in qualche relazione cogli uomini, in qualità di buoni o cattivi geni. Per questa ragione forse essa è usata a significare gli angeli caduti, o gli spiriti maligni, inquanto sono legati alla storia della nostra razza, e specialmente coloro che vanno operando in quegli infermi a cui si dà appunto il nome di ossessi, o indemoniati. Due cose sono qui evidenti:

1. che i più acerbi nemici del nostro Signore non potevano negare la realtà dei suoi miracoli;

2. che essi credevano in un regno infernale, costituito sotto un solo capo. Esasperati dalla testimonianza incontrovertibile di «tutte le turbe», agli

avversari di Gesù non rimaneva altra via, se non il disperato proposito di attribuire a Satana i miracoli di Lui!

PASSI PARALLELI

Matteo 9:34; Marco 3:22; Luca 11:15

Matteo 12:27

Mt 12:25

25. E Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse loro:

Non avevano i Farisei il coraggio di pronunziare ad alta voce le loro accuse, talché Cristo le potesse udire: essi le bisbigliavano fra la gente; ma ciò serve una terza volta a Cristo per provare loro la propria divinità, col leggere i pensieri dei loro cuori. Egli dà loro una splendida illustrazione delle sue proprie parole: «Tutto quel che avete detto nelle tenebre, sarà udito nella luce» Luca 12:3

Ogni regno, diviso in parti contrarie, sarà ridotto in deserto; ed ogni città, o casa, divisa in parti contrarie, non potrà reggere. 26. E se Satana caccia Satana, egli è diviso contro se stesso; come dunque potrà sussistere il suo regno?

L'argomentazione è irresistibile. «Non c'è società ordinata, vuoi regno, città o famiglia, che, divisa in parti contrarie, possa sussistere: la guerra civile è suicidio. Ora le opere che io fo, distruggono il regno di Satana: dunque il credere ch'io sia d'intesa con Satana è assurdo. Non si tratta qui delle sane e leali competizioni di partiti per il maggior bene del paese, ma delle guerre, delle fazioni che menano alla rovina. E l'Italia ne sa qualche cosa. Una nazione, se vuol continuare ad esistere di faccia alle altre nazioni, deve ad ogni costo mantenere le sua unità; ché se perde questa, di necessità conviene ch'ella cada in sfacelo e perisca. È questo il primo argomento col quale Gesù confuta le accuse dei Farisei. Si noti come il nostro Signore qui ripete e

conferma, nella maniera più solenne, le verità che gli Ebrei ritenevano intorno al regno del male. È impossibile negare questo regno se non si nega, nello stesso tempo, l'esistenza di Dio, poiché in questo passo, il Salvatore li mette a fronte l'uno dell'altro. Si noti ancora che il nostro Signore non parla qui della guarigione isolata d'un indemoniato, ma di tutti i casi simili, nei quali egli si presentava qual costante avversario di Satana.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:4; Salmo 139:2; Geremia 17:10; Amos 4:13; Marco 2:8; Giovanni 2:24-25; 21:17

1Corinzi 2:11; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

Isaia 9:21; 19:2-3; Marco 3:23-26; Luca 11:17-18; Galati 5:15; Apocalisse 16:19

Apocalisse 17:16-17

Giovanni 12:31; 14:30; 16:11; 2Corinzi 4:4; Colossesi 1:13; 1Giovanni 5:19; Apocalisse 9:11

Apocalisse 12:9; 16:10; 20:2-3

Mt 12:27

27. E, se io caccio i demoni per l'aiuto di Beelzebub, per l'aiuto di chi li cacciano i vostri figliuoli?

«i vostri figliuoli» qui significa i discepoli dei Farisei e degli Scribi chiamati con quel nome, secondo l'uso antico di dare il nome di «figli dei Profeti» ai discepoli di questi. Che l'esorcismo fosse comune fra gli Ebrei, ne fanno fede le Scritture e lo storico Flavio. Luca Atti 19:13 ci narra che, essendo egli in Efeso con Paolo, trovarono in quella città degli esorcisti girovaghi figli d'uno dei principali sacerdoti. Non è necessario supporre che Gesù

ammettesse per vere le loro operazioni: basta, per dar forza all'argomento ad hominen ch'essi professassero di esorcizzare, e che la gente credesse ai loro esorcismi. «Voi dite di credere che i vostri discepoli cacciano i demoni: ora questa possanza la debbono essi a Beelzebub? Se voi lo negate, perché mai vi arrischiate ad accusare, me di operare, mediante l'influenza di Satana, quel che nei vostri discepoli voi attribuite alla potenza di Dio?».

Perciò essi stessi saranno i vostri giudici.

Essi ivi convinceranno che voi mi accusate, mossi da sola malignità. È questa la seconda confutazione che, delle loro accuse, fa il nostro Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:24

Marco 9:38-39; Luca 9:49-50; 11:19; Atti 19:13-16

Matteo 12:41-42; Luca 19:22; Romani 3:19

Mt 12:28

28. Ma, se è per l'aiuto dello Spirito di Dio che io caccio i demoni

In Luca si trova l'espressione «per il dito di Dio», maniera figurata di rappresentare la potenza divina; mentre Matteo, colla locuzione: «lo Spirito di Dio» designa l'agente vivo e personale di cui si serviva il Signore ogni volta che esercitava siffatta potenza.

è dunque pervenuto fino a voi il regno di Dio.

Ecco insomma come argomenta il nostro Signore: «Se l'espulsione di Satana può essere operata soltanto dallo Spirito di Dio, il distruttore del regno di Satana si trova già in mezzo a voi, ed il regno che deve soppiantarlo, ecco già sorge sulle sue rovine».

PASSI PARALLELI

Matteo 12:18; Marco 16:17; Luca 11:20; Atti 10:38

Matteo 6:33; 21:31,43; Isaia 9:6-7; Daniele 2:44; 7:14; Marco 1:15; 11:10

Luca 1:32-33; 9:2; 10:11; 11:20; 16:16; 17:20-21; Romani 14:17; Colossesi 1:13

Ebrei 12:28

Mt 12:29

29. Ovvero, come può uno entrar nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue masserizie, se prima non abbia legato l'uomo forte? Allora soltanto gli prederà la casa.

V'ha qui una parabola che contiene la conclusione, derivante inevitabilmente da tutte le potenti opere di Cristo. Niuno può entrare nel palazzo d'un uomo ricco, possente e bene armato, per derubarlo, se prima non si è impadronito del proprietario stesso, e, legatolo, non gli ha tolto ogni facoltà di nuocere. Il fatto che il palazzo è stato saccheggiato dimostra che il suo padrone è stato soggiogato da uno più potente di lui. Ora ciò appunto accadeva dinanzi agli occhi di costoro. Satana aveva usurpato il dominio sul mondo, era entrato in possesso, come di casa propria, dei corpi di quegl'infermi, e li teneva occupati per mezzo dei suoi emissari; e Gesù, cacciando i demoni e reintegrando nella loro sanità di mente coloro che n'erano travagliati ben dimostrava come, lungi dall'essere in lega con Satana, egli lo aveva vinto e messo in catene, ed avrebbe finalmente distrutto lui ed il suo regno Vedi note Luca 11:24Luca 11:24, Luca 11:26Luca 11:26.

PASSI PARALLELI

Isaia 49:24; 53:12; Marco 3:27; Luca 11:21-22; 1Giovanni 3:8; 4:4; Apocalisse 12:7-10

Apocalisse 20:1-3,7-9

Mt 12:30

30. Chi non è con me è contro a me, e chi non raccoglie con me, disperde.

Si allude nelle ultime parole alla mietitura. Gesù, in questo versetto:

1. dimostra che il regno di Satana è contrario al suo; che le opere che si fanno nei due regni sono di opposta natura, e che non può esservi nulla di comune fra loro;

2. egli dimostra che per conseguenza i malvagi, e fra questi i Farisei stessi, i quali a lui si oppongono, trovansi dalla parte di Satana, onde ne conchiude che, non egli, ma essi sono cooperatori del diavolo. Gesù può voler anche significare che talvolta la neutralità è la peggiore delle ostilità, ma ci sono circostanze in cui il contrario è vero, come per esempio in Marco 9:40; Luca 9:50, dove Gesù dice: «Chi non è contro a noi è per noi». I due aforismi sono così lungi dal contraddirsi l'uno l'altro, che una medesima persona può sperimentarli amendue; ond'è che l'accusa d'incoerenza che taluni pretendono scorgere fra loro non esiste. Vedi un simile caso in Proverbi 26:4-5

PASSI PARALLELI

Matteo 6:24; Giosuè 5:13; 24:15; 1Cronache 12:17-18; Marco 9:40; Luca 9:50; 11:23

2Corinzi 6:15-16; 1Giovanni 2:19; Apocalisse 3:15-16

Genesi 49:10; Osea 1:11; Giovanni 11:52

Mt 12:31

IL PECCATO CONTRO LO SPIRITO SANTO Marco 3:28-31; Luca 12:10

31. Perciò, io vi dico: Ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. 32. E a chiunque parli contro il Figliuol dell'uomo sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo, né in quello a venire.

Luca unisce questo solenne argomento con quello del rinnegamento di Cristo, ma nessuno può leggere le accuse dei Farisei e la confutazione del nostro Signore nei versetti precedenti, senza essere convinto che Matteo l'ha messo qui al suo vero posto; e Marco 3:30 pone la cosa fuor d'ogni dubbio con queste parole: «Or egli parlava così perché dicevano: Ha uno spirito immondo». Nei versetti Matteo 12:25-30, il nostro Signore si prova amorevolmente a convincerli del loro odioso torto con argomenti inconfutabili; in questo versetto e nel seguente, egli aggiunge un avvertimento solenne, che bene avrebbe dovuto svegliare nei loro cuori una seria attenzione ed un salutare timore. Affinché il lettore possa vedere a colpo d'occhio i PASSI PARALLELI dei Sinottici sopra questo argomento e stabilire fra loro un confronto che servirà a dilucidarli, li stampiamo qui tutti e tre nella versione riveduta.

Perciò, io vi dico: Ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. E a chiunque parli contro al Figliuol dell'uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo, né in quello a venire.

Marco 3:28-30

in verità io vi dico: Ai figliuoli degli uomini saranno rimessi tutti i peccati e, qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha remissione in eterno, ma è reo d'un peccato eterno. Or egli parlava così, perché dicevano: Ha uno spirito immondo.

Luca 12:10

E a chiunque avrà parlato contro il Figliuol dell'uomo sarà perdonato; ma a chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato.

Questo peccato, dal nostro Signore dichiarato imperdonabile, è il più tremendo di quanti un'uomo possa commettere. Perciò, ed a cagione del terrore che il solo dubbio di averlo commesso svegli in molte delicate coscienze, è desiderabile che ne venga dichiarata l'indole vera. In un argomento intorno al quale gli uomini dotti e pii sentono diversamente, ben si addice la modestia a chiunque voglia provarsi di esporre ciò che il Signore ha voluto insegnarci con queste parole; ma, nell'interpretare cotesto passo, ci sarà di gran giovamento il tener sempre dinanzi alla mente le circostante e le persone che diedero luogo, ad una così solenne dichiarazione del Salvatore. Costoro avevano disonorato il Padre; stavano rigettando il Figlio; ed incominciavano a resistere allo Spirito Santo, attribuendo quella, che già sapevano essere opera di Cristo, alla potenza di Satana. Il nostro Signore non li accusa di aver già effettivamente commesso questo terribile peccato; ma li avverte del pericolo in cui sono, giacché, persistendo in quella via, lo Spirito avrebbe cessato di lottare con essi, i loro cuori si sarebbero indurati, a segno di non poter mai più credere. Ora chi non crede in Gesù, qual giustificatore dei peccatori, non può essere perdonato. Bestemmia significa diffamazione, maldicenza, il parlare a danno di una persona, e così ingiuriarla. Nel Testamento Nuovo, questo vocabolo si applica a contumelia diretta contro Dio, del pari che contro l'uomo, ed in questo senso è una forma di peccato assai grave. Importa però notare:

1. Che non c'è peccato singolo, isolato, misterioso, il quale ponga un uomo fuori affatto dal dominio della misericordia e del perdono. Le Scritture, e Dio ne sia lodato, ci dànno in proposito una certezza assoluta. «Eppoi venite

e discutiamo insieme, dice l'Eterno. Quand'anche i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; quando fosser rossi come la porpora, diventeranno come la lana» Isaia 1:18. «Il sangue di Gesù Cristo, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato» 1Giovanni 1:7. Qui non si eccettua nessun peccato. Vedi pure Romani 3:22,24. Coteste dichiarazioni vengono ampiamente confermate dall'autorità del nostro Signore: «Io, Figlio di Dio, ed anche Figlio dell'uomo, dichiaro a voi, nemici maligni e mendaci accusatori miei, che «ogni peccato e bestemmia sarà rimessa agli uomini». Perfino Simon Mago che vuol comprare il potere di comunicare lo Spirito Santo, è invitato a pentirsi e a pregare «affinché, se è possibile, gli sia perdonato il pensiero del suo cuore!» Atti 8:22

2. Notiamo che in Marco 16:16, il Signore medesimo indica l'unico principio essenziale, invariabile, della salvazione o dannazione di ogni anima: «Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato». Niuna eccezione, nessun caso particolare sfugge a questo gran principio dell'Evangelo. Qualunque sia l'indole e la gravità del tuo peccato, tu, credendo, ne avrai libero e pieno, perdono, sol che tu lo cerchi mediante la giustizia di Cristo. Dall'altro lato, però, è cosa chiara che lo Spirito Santo è il solo agente che possa mettere nel cuore del peccatore la fede salvatrice, per la quale egli è unito a Cristo. Pertanto, chi respinge sistematicamente e scientemente i preziosi appelli dello Spirito Santo, chi resiste alla sua influenza e persiste nella miscredenza, pone se stesso deliberatamente fuor d'ogni speranza di perdono.

3. Chi pensi ai Farisei ed ai rettori della nazione ebraica, ai quali primieramente il nostro Signore diresse quelle parole, vedrà che il contrasto fra «una parola detta contro il Figliuol dell'uomo», e «la bestemmia contro lo Spirito», può riferirsi al disprezzo gettato da coloro sulla persona di Gesù, quando la sua vera condizione era ancora velata e la sua opera incompiuta, ed alla loro persistente bestemmia quando conobbero pienamente lo splendore di gloria che lo Spirito Santo diffuse sulla persona e sull'opera di lui. La prima bestemmia fu perdonata a Saulo di Tarso perché operava «ignorantemente, non avendo la fede» 1Timoteo 1:13, la seconda non può essere perdonata, perché altro non è in sostanza che un nutrire contro la luce

un odio crescente, in proporzione dello sfolgorare di essa, un fuggirla deliberatamente il che equivale al chiudersi la via alla salvazione.

Da tutto ciò che abbiam detto rivelasi che questo terribile peccato consiste nel resistere scientemente, deliberatamente e con pienezza di volontà allo Spirito, il quale ei rivela Cristo, col mezzo degli inviti che egli rivolge al cuor nostro, finché non cessi di lottare col peccatore. Questi viene allora abbandonato alla impenitenza finale. Siccome il credente è «suggellato, con lo Spirito Santo della promessa il quale è l'arra della nostra eredità» Efesini 1:13-14, così allorquando lo Spirito da lui si ritira, il peccatore impenitente è suggellato per la perdizione, sebbene ei si trovi in piena sanità e goda del mondo. Dove l'Evangelo è stato per lungo tempo fedelmente predicato è da temere che i casi, nei quali gli uomini incorrono in questo peccato, non sieno mai tanto rari quanto si potrebbe immaginare.

Ma si può domandare tuttavia: Se ogni peccato è un'offesa contro Dio, perché mai il peccare contro lo Spirito Santo è più imperdonabile del peccare contro il Padre e il Figliuolo? A schiarire questo punto, noi dobbiamo rammentarci che, nell'economia della redenzione ognuna delle persone della gloriosa Trinità ha la propria sua attribuzione. Il Padre è legislatore, e la sua attribuzione particolare è di mantenere la legge in tutta la sua integrità; perciò ogni offesa contro la legge è offesa particolare al Padre. Ora questo peccato è egli imperdonabile? No. C'è, e Dio ne sia lodato! un rimedio nel Figlio, il quale imprese a magnificare la legge del Padre che fu da noi infranta, e soddisfarne l'oltraggiata giustizia per procacciare una giustizia eterna a tutti coloro che il Padre gli aveva dati. Questa, nell'ordinamento della redenzione, è l'attribuzione del Figlio. A tale scopo, e non ad altro, egli venne nel mondo. Coloro che lo ripudiarono quando parlava loro sulla terra, e quelli che ora rigettano la sua parola, sono rei d'un particolare peccato contro il Figlio. Ma questo peccato è egli imperdonabile?, No! Gesù lo, dichiara in questi versetti. C'è sempre un rimedio nello Spirito, la cui attribuzione particolare, sotto l'economia evangelica, è di risvegliare la coscienza del peccatore, di rivelare Gesù Cristo come Salvatore di coloro che l'hanno rigettato, e farli capaci di appropriarsi Gesù, per fede, come essendo fatto per essi, «sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» 1Corinzi 1:30. Ma se tutti i mezzi di

grazia coi quali egli circonda e stimola il peccatore vengono rigettati, oppugnati e soffocati, può egli esservi ancora un rimedio per un tal peccato? Si trova forse una quarta persona della Divinità che intervenga a sollievo del peccatore? Ahimè; no! E perché un tal rimedio non si trova, il peccato di colui che resiste allo Spirito Santo, e finché durerà questa resistenza, sarà tale da escludere per lui ogni perdono, anzi, dice Marco, è «reo d'un peccato eterno». A confermare questa idea, ricorriamo alla epistola agli Ebrei 10:2829, ove troveremo che coloro per i peccati dei quali «non vi resta più sacrificio», vengono descritti come avendo peccato contro tutte e tre le Persone della Divinità: «hanno rotto la legge di Mosè, hanno calpestato il Figlio di Dio, ed oltraggiato lo Spirito della grazia».

Le parole del versetto 32: «non sarà perdonato né in questo mondo o era né in quello a venire», non dànno appiglio alla dottrina del Purgatorio giacché non è mai in poter dell'uomo di espiare i propri peccati. Potranno, nel mondo a venire, esser perdonati coloro che, non avendo conosciuto il Salvatore in questo mondo, o avendolo conosciuto imperfettamente, si pentono e credono in Lui quando giungono a conoscerlo, nella piena luce. Ma chi è e resta; nemico della luce e del bene, non ha possibilità di esser perdonato.

PASSI PARALLELI

Isaia 1:18; 55:7; Ezechiele 33:11; 1Timoteo 1:13-15; Ebrei 6:4

Ebrei 10:26,29; 1Giovanni 1:9; 2:1-2

Marco 3:28-30; Luca 12:10; Atti 7:51; 1Giovanni 5:16

Matteo 11:19; 13:55; Luca 7:34; 23:34; Giovanni 7:12,52; Atti 3:14-15,19

Atti 26:9-11; 1Timoteo 1:13,15

Giovanni 7:39; Ebrei 6:4-6; 10:26-29

Giobbe 36:13; Marco 3:29; Luca 16:23-26

Mt 12:33

33. O voi fate l'albero buono, e buono pure il suo frutto; o fate l'albero cattivo, e cattivo pure il suo frutto; perché dal frutto si conosce l'albero.

Simile al linguaggio usato dal nostro Signore in Matteo 7:16-20, è quello che si trova in questo e nel seguente versetto, sebbene l'applicazione alcun poco ne differisca. Dopo il solenne ammonimento dato ai bestemmiatori, di non peccare contro lo Spirito Santo, sembra che nostro Signore ritorni di nuovo sulla falsa estimazione che costoro facevano di lui. Il verbo sarà, ripetuto due volte in questo versetto, non si trova nel greco, e guasta il senso, il quale suona così: «Non vi provate a far distinzione fra un albero ed il suo frutto, come se l'uno potesse esser buono e l'altro cattivo, e viceversa; l'albero e il frutto sono del pari: o buoni o cattivi ambedue, poiché il frutto è l'unico mezzo che indichi la natura dell'albero». Ed ecco l'applicazione di questa similitudine all'argomento summentovato: Sia, o no, un uomo in lega con Satana, voi dovete giudicarlo dalle sue opere; ora, se l'opere mie e la mia dottrina sono proprio l'opera di Satana, l'accusa vostra è giusta; e se no voi siete rei di bestemmia. E così, dall'altro canto, se le opere e le vie vostre sono corrotte, sien pure quali esser si vogliano le vostre professioni religiose, voi siete figli del diavolo.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:26; Ezechiele 18:31; Amos 5:15; Luca 11:39-40; Giacomo 4:8

Matteo 3:8-10; 7:16-20; Luca 3:9; 6:43-44; Giovanni 15:4-7; Giacomo 3:12

Mt 12:34

34. Razza di vipere, come potete dir cose buone, essendo malvagi? Poiché dall'abbondanza del cuore la bocca parla. 35. L'uomo dabbene,

dal suo buon tesoro trae cose buone; e l'uomo malvagio, dal suo malvagio tesoro trae cose malvage.

Questi due versetti contengono, benché in ordine inverso, un principio generale, ed una applicazione particolare. Quella verità che il nostro Signore voleva i suoi uditori applicassero a se medesimi, parlando loro di albero e di frutto Matteo 7:18, egli la enuncia qui chiara e schietta, senza figure. La parola «tesoro» è usata qui nel significato suo primitivo di deposito, o di provvista, senza valore qualitativo, cosicché può applicarsi, come in questo versetto, tanto al bene quanto al male. Qui ci si riferisce ai sentimenti e alle disposizioni del cuore. Da questo «tesoro», le parole e le azioni vengono rappresentate come tratte o spinte fuori per effetto di un movimento involontario e, poiché «la bocca parla di ciò che abbonda nel cuore», era impossibile, che dal cuor di costoro, tutto carnale e non rinnovato, uscissero cose buone. «Razza di vipere», è l'epiteto diretto dal Battista ai Farisei, ed ai Sadducei, che accorrevano alla sua predicazione Matteo 3:7, e il nostro Signore lo conferma solennemente come applicabile ad essi, che fanno parte di quella «progenie del serpente» Genesi 3:15; Salmo 140:4; Romani 3:13, colla quale egli si trovava necessariamente in lotta, e di cui doveva trionfare. Era un'espressione fortissima sulle labbra del mansueto ed umile Gesù, ma era vera; quindi egli ne fa uso senza esitazione alcuna.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:7; 23:33; Luca 3:7; Giovanni 8:44; 1Giovanni 3:10

1Samuele 24:13; Salmo 10:6-7; 52:2-5; 53:1; 64:3,5; 120:2-4; 140:2-3

Isaia 32:6; 59:4,14; Geremia 7:2-5; Romani 3:10-14; Giacomo 3:5-8

Luca 6:45

Matteo 13:52; Salmo 37:30-31; Proverbi 10:20-21; 12:6,17-19; 15:4,23,28

Proverbi 16:21-23; 25:11-12; Efesini 4:29; Colossesi 3:16; 4:6

Matteo 12:34

Mt 12:36

36. Or io vi dico che d'ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio 37. Poiché, dalle tue parole sarai giustificato, e dalle tue parole sarai condannato.

Questi due versetti sembrano rispondere all'obbiezione, tacita o palese, che i suoi uditori gli facevano di prendere troppo sul serio le loro parole: essi non pensavano a male, e non facevano altro che azzardare una supposizione per spiegare il miracolo. Gesù dice che ell'era tutt'altro che una cosa da nulla, e che, come cosa da nulla non sarebbe stata trattata nel gran giorno del giudizio, allorché le parole tutte, come specchi del cuore, saranno, per quanto oziose, qualificate buone o cattive. ozioso applicato a persone, significa uomo inoperoso e senza impiego; applicato a parole, significa prima vane, inconsiderate, non operanti alcun bene, quindi cattive, maligne. Tali erano le parole che costoro avevano dette. Il senso di Matteo 12:37 è identico a quello del 36, soltanto è più formalmente dichiarato. Non che debbano le parole degli uomini considerarsi come il solo criterio del loro carattere, ciò che sarebbe assurdo; ma le parole, come espressioni dei sentimenti del cuore saranno giudicate, e non trascurate, come molti sembrano immaginare, quando il supremo giudice apprezzerà il carattere di ciascuno. Quanto è solenne il pensiero che ogni parola inutile, per quanto detta con inconsideratezza, sarà, nell'ultimo giorno, valutata a favore o a danno nostro!

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 12:14; Romani 2:16; Efesini 6:4-6; Giuda 14-15; Apocalisse 20:12

Proverbi 13:3

Giacomo 2:21-25

RIFLESSIONI

1. Quantunque sembri strano, i discepoli di Cristo sono spesso accusati di subire la mala influenza di Satana. I loro nemici costretti di confessare che i Cristiani fanno un'opera evidente nel mondo, e non potendo negarne i risultati palesi, che dicono essi? Quello che i Farisei dicevano del nostro Signore: «Costoro obbediscono a moventi perversi ed hanno intenti malvagi; essi sono sotto l'influenza del diavolo».

2. Il versetto 30 c'insegna che, in religione, la neutralità è impossibile. Ci sono in ogni secolo, molte persone alle quali è necessario di ripetere ed inculcare questo insegnamento. Cercano costoro di barcamenarsi in un giusto mezzo religioso: meno malvagi di molti peccatori, sono pure tutt'altro che santi. Sentono essi la verità dell'Evangelo di Cristo tutte le volte che viene loro messo dinanzi; ma quel che sentono, hanno timore di confessarlo. Questo sentimento che provano, fa loro credere di non esser cattivi come gli altri, e nondimeno indietreggiano davanti alla norma della fede e delle opere stabilita da Cristo. Essi non seguono coraggiosamente Cristo, e neppure vogliono schierarsi fra i suoi avversari. Il nostro Signore ammonisce tutti costoro, che il loro stato è pericoloso. Lavoriamo noi per la causa di Cristo? Se non lo facciamo, noi lavoriamo contro di lui. Operiamo noi del bene nel mondo? Se così non è, noi facciamo del male.

3. Ciò che abbiamo detto relativamente al peccato irremissibile si riassume in questo: che esso consiste nel rigettare e vilipendere empiamente e di proposito deliberato quello che si riconosce, in coscienza, come un'affermazione dello Spirito Santo e come un attestato della grazia e verità di Dio. La preghiera del Salvator nostro: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno», a costoro non può più applicarsi. Odiano la luce, sapendo che è luce; amano le tenebre, sapendo che sono tenebre. I mezzi della misericordia e della grazia di Dio sono per costoro esauriti, onde lo Spirito Santo, da loro oltraggiato, li deve abbandonare alla durezza del cuor loro. È della massima importanza il rammentarsi che la impossibilità del perdono risulta dall'impossibilità del pentimento; cosicché non deve temere di aver

commesso questo peccato, colui che del suo peccato geme e implora perdono, ed ha sete di verità e di giustizia.

A nulla forse badano meno gli uomini che alle parole, onde la locuzione proverbiale: «una parola di più, una parola di meno conta poco». Ma le parole sono elleno veramente così prive d'importanza ? Con questo passo delle Scritture dinanzi agli occhi, noi non abbiam il coraggio di rispondere affermativamente. Le nostre parole rivelano lo stato del nostro cuore, come il sapore dell'acqua fa palese la natura della fonte da cui sgorga. Il labbro esprime soltanto ciò che lo spirito pensa. È profondamente vero il detto di Burkitt: «Un motto profano, un frizzo ateistico può rimanere impresso nell'anima di coloro che lo udirono, anche dopo che la lingua di colui che lo pronunziò è morta: la parola pronunziata, materialmente passa, ma moralmente persiste». «Morte e vita», dice Salomone, «sono in potere della lingua» Proverbi 18:21. Pensiamo alle parole oziose e peccaminose da noi dette nel passato, e umiliamocene!

Mt 12:38

Matteo 12:38-50. VIENE CHIESTO E DATO UN SEGNO. RITORNO DELLO SPIRITO IMMONDO. LA MADRE E I FRATELLI DI GESÙ Luca 11:16,24,36; Marco 3:31-35; Luca 8:19-21

Viene chiesto e dato un segno Matteo 12:38-42

38. Allora alcuni degli Scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.

Probabilmente l'incidente qui riferito seguì immediatamente quello narrata nei versetti che precedono. Costoro che parlano appartengono alla medesima classe di quelli che poco prima lo bestemmiavano; ma non erano però gli stessi individui Luca 11:16. Maestro, Rabbi usasi qui per adulazione, poiché Luca ci narra che il vero intendimento degl'interlocutori di Gesù era di «tentarlo». Venivano a chiedere un segno che confermasse la sua messianità,

quasi che non ne avessero bastanti riprove ne' miracoli già prima da lui operati; anzi, secondo Luca, avevano la temerità di prescrivere il genere preciso del segno da loro desiderato: «un segno dal cielo», una testimonianza diretta e decisiva da Dio, la qual dimostrasse, non già che i miracoli suoi erano veri, poiché di questo parevano persuasi, ma che venivano dal cielo, e non erano operati per l'influenza di Beelzebub.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:1-4; Marco 8:11-12; Luca 11:16,29; Giovanni 2:18; 4:48; 1Corinzi 1:22

Mt 12:39

39. Ma egli, rompesse loro: Questa generazione malvagia ed adultera chiede un segno;

Luca aggiunge Matteo 11:29: «E affollandosi intorno a lui le turbe», indica che la risposta, sebbene indirizzata agli interroganti, era diretta alla gran moltitudine degli Ebrei contemporanei; donde l'uso del vocabolo «generazione». La parola «adultera», applicata a costoro, dove intendersi della prevalenza di quel peccato fra loro. Nel contesto, non se ne parla; ma ben si allude all'infedeltà loro al patto che Dio aveva stretto con essi, e di cui costantemente si parla, dagli antichi profeti, sotto la, figura dell'adulterio Geremia 3:14,20

e segno non le sarà dato,

Segno del genere di quelli che essi avrebbero voluto, come ad esempio una voce dal cielo, un tenebrore repentino sul mezzogiorno, e via discorrendo. Un segno però egli non lo ricusa, del tutto, ma aggiunge subito:

PASSI PARALLELI

Isaia 57:3; Marco 8:38; Giacomo 4:4

Matteo 16:4; Luca 11:29-30

tranne il segno del profeta Giona; 40. Poiché, come Giona stette tre giorni e tre notti nel ventre del pesce;

Molta parte del Testamento Antico dagli scettici viene messa in ridicolo, e la storia di Giona in particolare viene riguardata da costoro come un incredibile mito; ma qui Colui «che non può mentire» ne conferma solennemente la veracità. Le obbiezioni fisiologiche che essi traggono dalla struttura particolare della, balena non reggono dinanzi al fatto che la parola greca così tradotta significa, letteralmente, ogni pesce grosso o mostro marino. Probabilmente fu quello un pescecane. Nel Testamento Antico dicesi espressamente: «Or il Signore aveva preparato un grande pesce per inghiottir Giona» Giona 2:1

Mt 12:40

così starà il Figliuol dell'uomo tre giorni e tre notti,

Tre giorni e tre notti, secondo l'uso ebraico, significano un giorno intiero con qualche parte, per quanto piccola, di altri due. Né questa è invenzione di apologisti cristiani, ma è una regola fissata nel Talmud: «un'ora di più si calcola come un giorno, un giorno di più come un anno». Ecco perché la profezia di Gesù così espressa non fu mai oppugnata dagli Ebrei, i quali non avrebbero mancato di farlo, se non avessero ritenuto quel computo esatto. si confrontino fra di loro le due locuzioni: «dopo tre giorni» e «fino al terzo giorno», in Matteo 27:63-64

nel cuor della terra.

Queste parole non indicano l'Hades, ma il sepolcro, il quale viene così chiamato per allusione alle parole di Giona 2:4, che suonano: «Tu m'hai gettato nel cuore del mare». Secondo Luca, le parole di nostro Signore sono:

«Come, Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figliuol dell'uomo sarà per questa generazione», dal che parrebbe che i Niniviti conoscessero l'intervento miracoloso di Dio a pro del profeta, e lo considerassero come una prova ch'egli era stato mandato da Dio. Gesù dichiara che a quella generazione malvagia egli darebbe un segno, il quale dimostrerebbe loro ch'egli veniva da Dio; segno altrettanto convincente quanto lo era stato quello di Giona per i Niniviti; vale a dire, che, siccome Giona, dopo essere stato tre giorni nel ventre del pesce, fu restituito alla vita, così egli, il Figliuol dell'uomo, dopo essere stato un tempo eguale nel sepolcro, risusciterebbe dai morti. Fu questo il secondo annunzio che Gesù diede pubblicamente della sua risurrezione la quale doveva succedere tre giorni dopo la sua morte Vedi il primo in Giovanni 2:19

PASSI PARALLELI

Giona 2:1

Matteo 16:21; 17:23; 27:40,63-64; Giovanni 2:19

Salmo 63:9; Giona 2:2-6

Mt 12:41

41. I Niniviti...

Ninive, capitale dell'impero assiro, fondata da Assur Genesi 10:11 sulle due sponde del fiume Tigri, fu distrutta dai Babilonesi 600 anni avanti Cristo; ruina predetta dal profeta Nahum 1:1,8; 2:6. Le mura di essa formavano un circuito di 48 miglia, ma la sua sovversione fatale che per molti secoli nessuno seppe ov'era situata. La scoperta delle sue rovine è recente, e si deve agli scavi dei signori Layard e Botta.

risorgeranno nel giudizio con questa generazione, e la condanneranno; perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona;

il nostro Signore predice con queste parole che il segno da lui dato, e tutti gli altri, non avrebbero prodotto nessun effetto sulla maggior parte di quella malvagia e adultera generazione. Egli confronta costoro coi Niniviti, i quali, sebbene pagani, si pentirono, mentre costoro rimarrebbero impenitenti alla voce del Figlio di Dio. La risurrezione dei morti, piccoli e grandi, e il giudizio finale sono ambedue affermati in Matteo 12:41-42. Siccome, nel capo precedente, Gesù aveva dichiarato che Tiro e Sidone, Sodoma e Gomorra sarebbero state, nel giudizio, trattate con più mitezza di Capernaum e dei villaggi circostanti che avevano udita la sua predicazione, così egli qui dichiara che i Niniviti e la Regina del mezzodì sorgeranno davanti al tribunale del giudizio per condannare questa generazione, la quale deliberatamente resisteva ad una luce più fulgida assai di quella che essi avevano goduta.

PASSI PARALLELI

Luca 11:32

Matteo 12:42; Isaia 54:17; Geremia 3:11; Ezechiele 16:51-52; Romani 2:27; Ebrei 11:7

Matteo 12:39,45; 16:4; 17:17; 23:26

Giona 3:5-10

Matteo 12:6,42; Giovanni 3:31; 4:12; 8:53-58; Ebrei 3:5-6

Mt 12:42

42. La regina del Mezzodì risusciterà nel giudizio con questa generazione, e la condannerà;

«La regina del Mezzodì, che venne a veder Salomone, è la regina di Seba, mentovata in 1Re 10:19. Seba era un distretto dell'Arabia Felice, sulle

sponde del mar rosso, vicino all'attuale Aden, dove abbondavano le spezie, l'oro e le gemme.

perché ella venne dalle estremità della terra,

L'espressione «gli estremi termini della terra» non significa altro che la parte più remota del mondo abitabile, allora conosciuto.

per dir la sapienza di Salomone; ed ecco, qui v'è più che Salomone.

La sapienza di Salomone messa a confronto con quella di Cristo era poca cosa; ma di fronte alle tenebre nelle quali si trovava la regina di Seba, era quasi un oracolo di Dio; ond'ella, che venne da lontane regioni per udire quel re, avrebbe, nel giorno del giudizio, condannati coloro i quali non avevano voluto dare ascolto ad uno che era più grande di Salomone. Cristo accenna in questi versetti alla sua dignità suprema, colle parole «più che Giona», «più che Salomone».

PASSI PARALLELI

1Re 10:1-13; 2Cronache 9:1-12; Luca 11:31-32; Atti 8:27-28

1Re 3:9,12,28; 4:29,34; 5:12; 10:4,7,24

Matteo 3:17; 17:5; Isaia 7:14; 9:6-7; Giovanni 1:14,18; Filippesi 2:6-7; Ebrei 1:2-4

Mt 12:43

Parabola dello spirito immondo Matteo 12:43-45

43. Or, quando lo spirito immondo è uscito d'un uomo, va attorno per luoghi aridi, cercando riposo, e non lo trova.

È

È probabile, secondo Luca 9:39, che in alcune specie di malattie demoniache, l'ossesso non fosse continuamente in preda al maligno spirito, ma godesse di lucidi intervalli. Risulta dal medesimo passo che ogni nuovo attacco peggiorava lo stato del paziente. Il caso di cui parla nostro Signore è quello di un insulto finale, dopo il quale il malato ritrovasi in uno stato disperato. Credevano generalmente gli Ebrei che i demoni, uscendo dall'ossesso, andassero errando per luoghi aridi, senz'acqua, o deserti: la qual credenza, vera o immaginaria, si appoggiava in qualche guisa al linguaggio dei loro profeti Isaia 13:21;34:14; Geremia 50:39; Deuteronomio 32:17; Apocalisse 18:2. In quanto a noi, ci basta che il nostro Signore, per illustrare una parabola, riferisca quello che comunemente credevasi da coloro ai quali parlava. Quei luoghi aridi e deserti vengono rappresentati come un'abitazione sgradevole per lo spirito spodestato, il quale si trova colà fuori del suo elemento, che è la miseria e la distruzione umana. Lo spodestamento dello spirito allude al grande effetto che, sulle anime degli uomini, aveva prodotto la predicazione del Battista Matteo 3 e di Cristo stesso, nei primi tempi del suo ministerio. Che il dominio di Satana fosse scosso, e che, temporaneamente, venisse cacciato via dai cuori degli uomini battezzati a pentimento da Giovanni, ed aspettanti il regno di Dio, è un fatto da non potersi mettere in dubbio. Se non che il pentimento di coloro era «simile ad una nuvola mattutina, ed alla rugiada» Osea 6:4; ell'era tutt'altro che l'opera genuina e profonda dello Spirito di Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 11:24; Atti 8:13

Giobbe 1:7; 2:2; 1Pietro 5:8

Salmo 63:1; Isaia 35:6-7; 41:18; Ezechiele 47:8-12; Amos 8:11-13

Matteo 8:29; Marco 5:7-13; Luca 8:28-32

Mt 12:44

44. Allora dice: Ritornerò nella mia casa donde sono uscito;

cioè nel corpo e nell'anima dell'ossesso che erano stati la sua abitazione. «Può darsi», dice costui, «ch'io lo trovi stanco delle sue nuove idee religiose, e non lontano dall'entrare in trattative di riconciliazione col suo vecchio amico». Quindi egli va a far le sue ispezioni nell'antica dimora.

e giuntovi la trova vuota, spazzata, ed adorna;

Sembra ad alcuni che la vittima venga, nell'ultima clausola, rappresentata come affatto liberata dalla influenza satanica; ma il considerarla come pronta ad essere nuovamente occupata, sta più d'accordo coll'intendimento della parabola. Il demonio trova costui simile ad una casa accuratamente preparata ad accogliere, l'inquilino, non occupata da altri pulita, spazzata, mobiliata ed acconcia come si conviene. Un cuore vuoto è un invito a Satana. Qualunque cambiamento esterno avvenga nel peccatore, qualunque impressione momentanea faccia sul cuor suo lo Spirito Santo, se il cuore stesso non ha trovato un nuovo inquilino, se, insomma, Cristo non vi ha eretto il suo trono, quel cuore rimane pur sempre vuoto, e Satana è certo di potervi tornare, ed osservi bene accolto.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:29; Luca 11:21-22; Giovanni 13:27; Efesini 2:2; 1Giovanni 4:4

Matteo 13:20-22; Salmo 81:11-12; Osea 7:6; Giovanni 12:6; 13:2; Atti 5:13; 8:18-23

1Corinzi 11:19; 2Tessalonicesi 2:9-12; 1Timoteo 6:4-5,9-10; 1Giovanni 2:19; Giuda 4-5

Apocalisse 13:3-4,8-9

Mt 12:45

45. Allora va, e prende seco altri sette spiriti, peggiori di lui, i quali entrati prendon quivi dimora, e l'ultima condizione di quell'uomo divien peggiore della prima.

Sette è il numero della perfezione: ora una forza diabolica cresciuta fino a sette, ogni grado della quale va aumentando di energia, è l'espressione la più energica che immaginare si possa di una potenza capace di assicurare per sempre il suo dominio sopra il cuore. Che se noi da queste parole del Salvatore, argomentiamo avere i suoi gradi anche la malvagità, e per conseguenza la miseria, anche nei demoni, forse non andiamo troppo lungi dal vero. «Abitano quivi» indica una stabile dimora: costoro trovansi in tal forza da sfidare per l'avvenire ogni spodestamento, e da tener la loro vittima in un perpetuo servaggio. Non è quindi da meravigliare se il nostro Signore dice che l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima.

Così avverrà anche a questa malvagia generazione.

L'ultima condizione di quella generazione in questo, pare che tutti convengano, fu quella che tenne dietro alla nazionale reiezione del Messia e precedette immediatamente la distruzione di Gerusalemme, lo sfacelo e la dispersione della nazione ebraica, che non è ancora cessata. Il loro proprio storico ci narra che il popolo, e specialmente i suoi capi, erano posseduti in quel tempo da un'insania fanatica, non dissimile dalla malattia degli ossessi. Nel tempo in cui il nostro Signore parlava loro, essi come nazione, si erano fatti più ostinati e perversi che mai. L'antica rozza idolatria aveva ormai ceduto il posto alla, sterile formalità. «Sette altri spiriti peggiori del primo» avevano preso possesso di loro, e li precipitavano di male in peggio. Passano quarant'anni, e la iniquità loro trabocca; si avventurano pazzamente in una guerra coi Romani, la Giudea diventa una vera Babele, Gerusalemme è espugnata, il Tempio distrutto, e gli Ebrei dispersi per tutta la terra. Non perdiamo mai di vista però che l'applicazione di questa parabola non si limita alla generazione alla quale fu prima rivolta; come avvertimento, ella si applica anche a tutti coloro che la leggono. Niuno diventa così disperatamente malvagio, come coloro i quali, dopo avere sperimentato profonde convinzioni religiose, sono deliberatamente ritornati al peccato ed

al mondo Vedi note Luca 10:24Luca 10:24 Luca 10:25Luca 10:25 Luca 10:26Luca 10:26.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:24; Marco 5:9; 16:9; Efesini 6:12

Matteo 23:15

Luca 11:26; Ebrei 6:4-8; 10:26-31,39; 2Pietro 2:14-22; 1Giovanni 5:16-17

Giuda 10-13

Matteo 21:38-44; 23:32-39,24,34; Luca 11:49-51; 19:41-44: Giovanni 15:22-24

Romani 11:8-10; 1Tessalonicesi 2:15-16

Mt 12:46

La madre e i fratelli di Gesù Matteo 12:46-50

46. Mentre Gesù parlava ancora alle turbe, ecco, sua madre, e i suoi fratelli fermatisi di fuori, cercavano di parlargli.

L'avvicinarsi di sua madre diede senza dubbio l'occasione al piccolo incidente, narrato soltanto da Luca 11:27, di una certa donna, la quale, tra la folla, gridò ad un tratto: «Beato il seno che ti portò, e le mammelle che tu poppasti»; e spiega al medesimo tempo l'interruzione apparentemente brusca del suo discorso.

PASSI PARALLELI

Marco 2:21; 3:31-35; Luca 8:10,19-21

Matteo 13:55; Marco 6:3; Giovanni 2:12; 7:3,5,10; Atti 1:14; 1Corinzi 9:5; Galati 1:19

Mt 12:47

47. Ed uno gli disse: Ecco, tua madre, e i tuoi fratelli, sono là fuori, che cercano di parlarti.

In Marco 3:31-35, questo incidente è posto, come qui, dopo il discorso sul peccato imperdonabile; in Luca 8:19-21, dopo la parabola del Seminatore. Se però il nostro Signore, quando a lui si avvicinarono i suoi parenti stesse insegnando in una casa, come parrebbe secondo come Marco, o all'aria aperta, sembra rilevarsi dagli altri due, non è ben chiaro: Marco 3:21 ci spiega il motivo per cui i parenti di Gesù vennero e persistettero a volere penetrare fino a lui, malgrado la densità della folla, quando scrive: «Or i suoi parenti, udito ciò, vennero per impadronirsi di lui, perché dicevano: Egli è fuori di se». Essi avevano probabilmente saputo che lo accusavano d'esser posseduto da un demonio; ma preferivano attribuire a pazzia quel singolare zelo, da lui spiegato nell'insegnare e nel predicare. Senza una ragione, e non si sarebbero arrischiati ad interromperlo mentre era occupato ad insegnare pubblicamente, e, quella ragione era senza dubbio una ansiosa preoccupazione per la sua salvezza, e il desiderio di impedire un pericoloso esaltamento di lui o della gente ivi radunata. La persona principale di questa scena era sua madre, i suoi fratelli, che non credevano in lui, erano in compagnia di essa, e forse l'andavano stimolando all'atto che stava per compiere. Ammettiamo volentieri che una tal condotta fosse perfettamente compatibile col vero affetto, e scusabile a cagione delle imperfette idee che Maria aveva sulla natura della missione di suo Figlio; «forse, come Giovanni Battista, ella non riusciva più a spiegarsi l'andamento dell'opera di suo figlio ed era combattuta fra opposte impressioni» Godet.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:47

Mt 12:48

48. Ma egli, rispondendo disse a colui che gli parlava: Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?

Queste parole contengono, un rimprovera a chi lo interrompe e recano conforto ai suoi umili ascoltatori. Egli, il secondo Adamo, venne per tutti gli uomini, e sebbene rivestisse la nostra natura nascendo da una donna, egli non era però più strettamente unito ad essa che non a tutti coloro i quali sono uniti a lui per lo Spirito; né era obbligato a volere il bene dei parenti terreni, più che il bene di coloro che egli era venuto ad ammaestrare e condurre a salvazione. Il significato di questo versetto è: «Se voi credete che le mie relazioni di famiglia sieno limitate come le vostre, ovvero che mia madre e i miei fratelli sieno per me, quel che per voi sono coloro che voi chiamate con sì cari nomi v'ingannate». Il senso dispregiativo che alcuni annettono a quelle parole, quasi egli avesse inteso dire: Chi sono essi per me? o: Che importa a me di costoro? è del tutto estraneo al testo ed al contesto.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:37; Deuteronomio 33:9; Marco 3:32-33; Luca 2:49,52; Giovanni 2:3-4; 2Corinzi 5:16

Mt 12:49

49. E, stendendo la mano sui suoi discepoli, disse: Ecco mia madre, e i miei fratelli!

Secondo Marco 3:34, egli «guardò in giro coloro che gli sedevano d'intorno», certamente con una movenza tenera ed affettuosa; e secondo Matteo egli «distese la mano sui suoi discepoli», e disse: «Ecco, questi sono la mia madre e i miei fratelli, cioè la mia famiglia e la mia più stretta

parentela. Io non sono legato come voi ad una semplice casata; ma abbraccio come apparentata del pari e cara a me, tutta questa numerosa assemblea».

PASSI PARALLELI

Matteo 28:7; Marco 3:34; Giovanni 17:8-9,20; 20:17-20

Mt 12:50

50. Poiché, chiunque avrà fatta la volontà del Padre mio, che è nei cieli, esso mi è fratello, e sorella, e madre.

Teneri al certo erano i vincoli che univano Gesù alla madre ed ai fratelli, ma quelli che l'univano ai suoi veri discepoli erano più ancora teneri e sacri. «Fare la volontà del Padre suo che è ne' cieli», è questo il vincolo che unisce a lui tutti i membri della sua spirituale famiglia Conf. Romani 12:2; Efesini 6:6; Colossesi 4:12; Giovanni 6:29. Alcuni credono che il nostro Signore aggiunge la parola sorella che dal suo interlocutore non era stata pronunziata, affinché la dichiarazione sua riuscisse più affettuosa, più energica e di maggior conforto, il che può benissimo essere; ma noi siamo inoltre convinti, con Stier, che l'unione delle parole «fratelli e sorelle» con quella di «madre», nella bocca del Signore, è una forte prova che i fratelli i quali in quel momento lo cercavano, erano veramente figli propri della madre sua. Si osservi però ch'egli non parla qui del suo padre, perché non riconosceva alcun padre terreno. Il suo vero Padre egli lo indica nelle parole che precedono: «il Padre mio che è nei cieli».

PASSI PARALLELI

Matteo 7:20-21; 17:5; Marco 3:35; Luca 8:21; 11:27-28; Giovanni 6:29,40; 15:14

Atti 3:22-23; 16:30-31; 17:30; 26:20; Galati 5:6; 6:15; Colossesi 3:11; Ebrei 5:9

Giacomo 1:21-22; 1Pietro 4:2; 1Giovanni 2:17; 3:23-24; Apocalisse 22:14

Matteo 25:40,45; 28:10; Salmo 22:22; Giovanni 20:17; Romani 8:29; Ebrei 2:11-17

Cantici 4:9-10,12; 5:1-2; 1Corinzi 9:5; 2Corinzi 11:2; Efesini 5:25-27

Giovanni 19:26-27 1Timoteo 5:2

RIFLESSIONI

1. In questi giorni, nei quali molti tengono in poca stima il Testamento Antico, quasi fosse nella massima parte un tessuto di favole, è confortante vedere come il nostro Signore lo ritenga tutto indubbiamente vero, parlando della Regina del Mezzodì come di persona che veramente ha vissuto su questa terra, e del miracolo di Giona come di un fatto innegabile. E notiamo che coloro i quali deridono il Testamento Antico vengono con ciò medesimo a dispregiare Gesù Cristo. Insieme stanno, o insieme cadono, i due Testamenti.

2. Pensando a queste citazioni dell'Antico Testamento, non sarà fuor di luogo notare quanto fosse profonda la miscredenza che le provocò. Gli Scribi e i Farisei volevano altri miracoli, e facevan le viste di abbisognare di qualche altra testimonianza per dichiararsi convinti e farsi discepoli di Cristo, mentre pure non ammettevano ciò che Cristo diceva loro: «Non i miracoli, ma la volontà è quel che vi manca; non vi fanno difetto le prove, ma voi non volete lasciarvi persuadere». Nello stato medesimo di questi Scribi e Farisei molti si trovano nella Chiesa di Cristo, i quali ingannano se medesimi fino al punto di credere che, per diventare veri cristiani, d'altro non abbisognino se non di qualche ulteriore dimostrazione. Stiamo in guardia contro lo spirito della incredulità, ch'è un grande e crescente malanno dei nostri giorni. Il difetto di quella fede semplice ed infantile

divien sempre più un carattere dei tempi, in ogni ordine della convivenza sociale.

3. Nella parabola dello spirito immondo che fa ritorno all'uomo donde era uscito, noi abbiamo la triste storia di molte anime. Si trovano uomini i quali, in qualche momento della loro vita, parvero dominati da un forte sentimento religioso: essi riformarono la propria condotta, spogliandosi di qualche vizio ed esercitando qualche virtù; ma lì si fermarono, non passarono più oltre, e a poco a poco abbandonarono la religione del tutto. Lo spirito malvagio ritornò nei loro cuori trovandoli vuoti, spazzati ed acconci, laonde essi sono ora peggiori di quello che già fossero: la coscienza loro è ottusa, il sentimento religioso intieramente distrutto, e paiono dati in balla ad uno spirito reprobo. Notiamo che il cuore umano aborre, non meno che la natura, dal vuoto. L'uomo ha bisogno di un qualche oggetto che riempia il suo cuore, al quale volga i propri affetti. Se, quando Satana è temporaneamente uscito dal nostro cuore, noi lo lasciamo vuoto, né ci diam pensiero di insediarvi, invece di Satana, Cristo, colui, senza dubbio, vi tornerà, ed eserciterà sopra di noi una possanza sempre più tirannica e fatale.

4. Quanto è glorioso il pensiero che anche sulla terra c'è una famiglia, della quale il Figlio di Dio è il fratello maggiore; famiglia nella quale il legame d'affetto ed il principio dominante è la ubbidienza al Padre del nostro Signore Gesù Cristo; famiglia che raccoglie in se uomini di ogni stato, di ogni età, i quali «hanno gustato che il Signore è buono»; famiglia della quale i membri possono di subito intendersi e consigliarsi dolcemente insieme, sebbene convengano forse per la prima volta dagli opposti termini della terra; famiglia che la morte non spegne, ma solo trasloca nella casa del Padre. Se i Cristiani tenessero presente abitualmente questo concetto, ed in conformità di esso operassero, quali effetti benefici ne verrebbero sulla Chiesa e sul mondo!

5. Ciascuno dei cenni sparsi nei Vangeli intorno alla madre di Gesù è molto interessante, e presi insieme costituiscono una testimonianza decisiva contro l'orrenda superstizione che, nel sistema romano, diede a Maria il posto d'una dea. Le parole dette in Matteo 12:39-40, che sono anche più enfatiche di

quelle pronunziate alle nozze di Cana Giovanni 2:4, tolsero di mezzo l'idea che sua madre, alla quale egli s'era mostrato con amorosa umiltà sottomesso finché non venne il tempo per lui di incominciare la sua opera Luca 2:51, potesse ora pretendere di esercitare sopra di lui la sua autorità materna o dirigerlo coi suoi consigli. La parentela umana di madre a figlio era assorbita allora in quella spirituale e divina di credente a Salvatore, di discepolo a maestro. In questa ed in nessun'altra guisa dovette, d'allora in poi, Maria avvicinarsi a Gesù.

Mt 13:1

CAPO 13 - ANALISI

1. Parabola del Seminatore. Come in Matteo 8-9, l'Evangelista, a dimostrare il mandato che Cristo aveva di guarire le infermità, racconta molti insigni miracoli da lui operati; così in questo capitolo egli rammenta alcune delle sue parabole come un saggio del suo ministero d'insegnamento. Sette sono queste parabole; e se si eccettua la prima, la quale serve di generale introduzione, le altre sei parabole sembrano dover esser ordinate a due per due. La seconda e la settima, la terza e la quarta, la quinta e la sesta, corrispondonsi tra loro ed esprimono le medesime verità generali. La prima, in questo capo, è quella del Seminatore, nella quale Gesù mostra le varie accoglienze e, gli ostacoli che la parola, o dottrina del regno, incontra nei cuori degli uomini Matteo 13:1-9.

2. I motivi per i quali Gesù parla in parabole. Rispondendo a una domanda dei suoi discepoli, egli spiega per qual ragione, nell'insegnare alla moltitudine, egli adotta un metodo siffatto. Coloro che bramavano intendere la verità, potevano agevolmente discernerla sotto la forma di un racconto, mentre soltanto a coloro che non sentivano desiderio di trovarla, rimaneva ella nascosta Matteo 13:10-17.

3. Spiegazione della parabola del Seminatore. Segue una completa spiegazione della parabola stessa, che Gesù fa ai suoi discepoli in particolare: spiegazione preziosissima, non solo perché autorevolmente ci

chiarisce una verità importante, ma eziandio perché ci somministra la chiave per la retta interpretazione di tutte le altre parabole. Essa segue immediatamente la conversazione tenuta dopo la parabola; ma sembra assai probabile che non sia stata data in presenza della folla, bensì quando Gesù fu rientrato in casa coi suoi discepoli Vedi Matteo 13:36, confermato da Marco 4:34, e spiegò loro anche la parabola delle zizzanie Matteo 13:18-23.

4. Parabola delle Zizzanie. In questa parabola, il nostro Signore, paragonando il mondo, ov'egli aveva introdotto il suo regno di grazia, ad un campo, in una parte del quale un seminatore ha seminato del grano, descrive il carattere misto del presente stato di quel regno sulla terra, carattere che risulta dalla presenza in esso di coloro che, in tutto fuorché nei frutti da loro portati, rassomigliano al suo vero popolo; ad afferma che, nell'ultimo giorno, ei ne saranno assolutamente e per sempre separati. La rassomiglianza fra la zizzania e il grano è tale che perfino l'occhio più esperto non ne potrebbe scorgere, fino al tempo della messe, la differenza. Non proibisce qui adunque Cristo l'applicazione della disciplina nella Chiesa contro quelli che sono apertamente scandalosi ed immorali, ma bensì ogni tentativo che far potessero i suoi servi, non dotati di onniscienza, per distinguere fra i Cristiani sinceri e gl'ipocriti; tentativi che potrebbero condurre a deplorevoli risultati Matteo 13:24-30.

5. Parabole del Granel di senapa, e del Lievito. Queste parabole sono brevi, ed ambedue evidentemente relativa al soggetto medesimo, cioè alla natura espansiva, della vera religione, vuoi nel cuore dell'individuo, vuoi in mezzo alla società o dovunque lo Spirito l'ha seminata Matteo 13:31-33.

6. Cristo adempie un'antica profezia insegnando col mezzo di parabole. Avendo Gesù congedato la moltitudine senza dare di queste parole spiegazione alcuna, Matteo richiama, come suole, l'attenzione del lettore sopra questo fatto, che è l'adempimento di un'antica profezia, e quindi passa a dire che, solo coi discepoli, in casa, Cristo spiegò loro la parabola delle Zizzanie Matteo 13:34-43.

7. Parabole del Tesoro nascosto, della Perla di gran prezzo, e della Rete. Matteo aggiunge tre altre parabole esposte dal nostro Signore, per quel che

sembra, nella medesima occasione ed allo stesso ristretto uditorio. La prima è quella del Tesoro nascosto; viene quindi quella della Perla di gran prezzo, ambedue dirette a dimostrare la preziosità inestimabile delle benedizioni dell'Evangelo, e il dovere che ha ciascuno di noi di procurarle ed assicurarle a se. La terza è quella della Rete tratta al lido, colla quale il Signore, dopo aver descritta la promiscuità in cui si trova la Chiesa, per la presenza degli ipocriti tra i figli del regno, annunzia che nel giudizio, alla fine del mondo, verrà fatta di loro una finale separazione, col rigettare i pravi, e conservare soltanto i buoni Matteo 13:44-52.

8. Seconda visita fatta a Nazaret. Il rimanente del capitolo contiene il racconto di una visita di Gesù ai luoghi della sua infanzia, in Nazaret, e la sfavorevole accoglienza che egli ebbe dagli antichi suoi concittadini Matteo 13:53-58.

Matteo 13:1-52. GESÙ INSEGNA COL MEZZO DI PARABOLE Marco 4:1-34; Luca 8:4-18;13:18-23

Matteo 13:1-3. Introduzione

1. In quel giorno Gesù, uscito di casa, si pose a sedere presso al mare. 2. E molte turbe si raunarono attorno a lui; talché egli, montato in una barca, vi sedette; e tutta la moltitudine stava sulla riva.

'Εν non significa sempre letteralmente «in quel giorno stesso», poiché in Atti 8:1, quelle parole hanno evidentemente un senso indefinito; ma in Marco 4:35 vanno, senza dubbio, intese alla lettera, e così qui. Nel medesimo giorno nel quale egli pronunziò il precedente discorso, sebbene probabilmente dopo un breve riposo Marco lo accenna in queste parole, poi prese di nuovo, egli espose le seguenti parabole. Luca 5:1 descrive una scena simile a questa, la quale dovette esser molto pittoresca ed interessante: una navicella, dalla quale Gesù poteva parlare con minor fatica ed esser

veduto e udito da tutti, gli serviva di pulpito, mentre la moltitudine era lì presso, affollata sulla sponda.

PASSI PARALLELI

Marco 2:13; 4:1

Matteo 4:25; 15:30; Genesi 49:10; Luca 8:4-8

Marco 4:1; Luca 5:3

Mt 13:3

3. Ed egli insegnò loro molte cose, in parabole, dicendo:

Comincia qui un'epoca nuova nel ministero del nostro Signore, durante la quale egli insegnò principalmente per mezzo di parabole. Fino allora, egli aveva talvolta fatto uso di parabole per illustrare la sua dottrina, come in Matteo 11:6, ecc.; ma ora, perché i suoi miracoli sono stati malignamente attribuiti a Satana, egli, usa più largamente questo metodo di ammaestramento. La parabola non è una favola, né un mito, né un proverbio, né un'allegoria: essa è la rappresentazione di un vero, morale o spirituale, mediante una similitudine tratta dalla natura. Secondo la definizione di Unger De parabolis Jesu, ell'è una similitudine per via di piccolo racconto fittizio, ma verosimile, intesa a spiegare una verità più sublime. Nulla, in nessuna lingua, si trova che, per semplicità, leggiadria e varietà d'ammaestramenti spirituali, possa stare a fronte delle parabole del nostro Signore. Esse si adattano ad ogni classe e cultura sociale, ed ognuno le intende secondo il grado della sua capacità intellettuale e spirituale.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:10-13,34-35,53; 22:1; 24:32; Giudici 9:8-20; 2Samuele 12:1-7; Salmo 49:4; 78:2

Isaia 5:1-7; Ezechiele 17:2; 20:49; 24:3-14; Michea 2:4; Habacuc 2:6; Marco 3:23

Marco 4:2,13,33; 12:1,12; Luca 8:10; 12:41; 15:3-7; Giovanni 16:25

Marco 4:2-9; Luca 8:5-8

Mt 13:4

Matteo 13:4-17. PARABOLA DEL SEMINATORE. PERCHÉ IL NOSTRO SIGNORE INSEGNASSE PER MEZZO DI PARABOLE Marco 4:1-20; Luca 8:4-18

Parabola del Seminatore Matteo 13:4-9

Per la esposizione di questa parabola, Vedi Marco 4:1Marco 4:1-20. Lo scopo di essa è di mostrare che l'effetto della Parola di Dio dipende dallo stato in cui si trova il cuore di colui che l'ode.

Mt 13:10

Perché Cristo parlò in parabole Matteo 13:10-17

10. Allora i discepoli, accostatisi, gli dissero: Perché parli loro in parabole?

Questo cambiamento nel modo d'insegnare, sostituendo racconti senza commento o spiegazione di sorta agli antichi discorsi sparsi talvolta di parabole che servivano a ritrarre più al vivo i suoi concetti, meravigliò i discepoli, ed evidentemente li confuse. Tardi come erano d'intelletto, non potevano interpretare quelle parabole da se medesimi Marco 4:10; quindi chiesero al Maestro la ragione di un tal cambiamento.

PASSI PARALLELI

Marco 4:10,33-34

Mt 13:11

11. Ed egli, rispose loro: Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato.

Ecco la risposta del nostro Signore. Egli parlava in parabole, in parte per riguardo al carattere dell'argomento che trattava, in parte perché, valendosi della sovranità del proprio volere, gli piaceva di distinguere i suoi uditori in due classi. Egli prese per argomento del suo discorso «i misteri del regno dei cieli», Ossia la dispensazione dell'Evangelo nelle sue varie fasi, che stava per rivelare. La parola significa propriamente cose che sono nascoste. Essa non si usa già nella Scrittura, come nei classici, a denotare quei segreti religiosi che presso i pagani si custodivano accuratamente dai pochi che vi erano iniziati; e neppure significa cose affatto incomprensibili, né tanto astruse da non essere accessibili che alle menti privilegiate. Qui viene usata a significare cose di rivelazione puramente divina, che una volta rivelate facilmente si comprendono; ma che l'intelletto umano non avrebbe mai potuto concepire senz'aiuto; o veramente, cose incompletamente rivelate ed appena adombrate nella dispensazione del Testamento Antico, ma chiaramente rivelate nel Nuovo 1Corinzi 2:7,10; Efesini 3:3,6,8-9. L'Evangelo medesimo, nonché le sue speciali dottrine, velate per tanti secoli nei tipi, nelle profezie e negli insegnamenti preparatori del Testamento Antico, sono chiamati misteri Romani 11:25;16:25-26; 1Corinzi 15:51; Efesini 1:9; 3:3-6; Colossesi 1:26-27;1Timoteo 3:16. La capacità d'intendere queste parabole non fu data ai discepoli perché ne fossero in se medesimi più degni degli altri, ma unicamente per grazia divina. Appunto perché chiamati ad essere discepoli, avevano ricevuto uno spirito di docilità e di fede, e potevano raccogliere qualche verità da quelle parabole, mentre pure godevano del prezioso privilegio di poter ricorrerà direttamente a

Cristo per ciò che non intendevano. In generale, le turbe non potevano penetrare al di là della corteccia, cioè del racconto parabolico perché il cuor loro era indurato contro la verità.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:25-26; 16:17; Salmo 25:8-9,14; Isaia 29:10; 35:8; Marco 4:11; Luca 8:10

Luca 10:39-42; Giovanni 7:17; Atti 16:14; 17:11-12; 1Corinzi 2:9-10,14; 4:7

Giacomo 1:5,16-18; 1Giovanni 2:27

Romani 16:25; 1Corinzi 2:7; 4:1; 13:2; 15:51; Efesini 1:9,18; 3:3-9; 5:32; 6:19

Colossesi 1:26-27; 2:2; 1Timoteo 3:9,16

Mt 13:12

12. Perché a chiunque ha, sarà dato, e sarà nell'abbondanza; ma a chiunque non ha, sarà tolto anche quello che ha.

Sebbene questo aforisma si possa con ogni appropriatezza riferire alla grazia, o alle spirituali influenze in generale, conviene notare che qui il nostro Signore lo applica in special modo alla grazia illuminante, alla conoscenza spirituale. Chi già possiede il senso spirituale ed ha con esso la capacità d'imparare e di intendere la verità divina, può esser certo che il suo fondo di cognizioni, per quanto esiguo, verrà sempre accresciuto. Parabole, avvenimenti, insegnamenti dello Spirito Santo mediante la parola, tutto contribuirà a farlo «crescere in grazia», a far sì che per lui «il sentiero dei giusti sia come la luce che spunta, la quale va vieppiù risplendendo finché sia giorno perfetto» Proverbi 4:18. Dall'altro canto, coloro che sono privi del senso spirituale, e non «hanno fame e sete di giustizia» nell'anima loro,

diventano presto indifferenti alle cose divine, e quella poca vita, e quel poco discernimento spirituale che sembravano aver acquistato conversando con persone spirituali, presto cede il campo alla indifferenza ed all'errore, se non forse al peccato scandaloso. Esempi siffatti non di rado si videro nella Chiesa di Cristo. È questo un principio della massima importanza, e, insieme con altre massime importantissime del pari, sembra che il nostro Signore lo esprimesse in varie occasioni Vedi Matteo 25:29

Come gran principio di etica, noi lo vediamo dovunque in azione sotto la legge generale dell'abitudine, in virtù della quale i principi morali si fanno vieppiù forti coll'esercizio, mentre per disuso, si affievoliscono via via, fino a svanire affatto. Anche nel mondo intellettuale e nell'animale, se non per avventura eziandio nel vegetale, regna questo principio stesso; i fatti della fisiologia lo provano abbastanza. Qui, però, viene riguardato come una regola divina, come una retribuzione giudiziaria operante continuamente sotto l'impero dell'amministrazione divina. Secondo questa regola, quelli che mettono a profitto le opportunità, avranno altre opportunità ed aiuti; mentre all'opposto, coloro che non sanno approfittare delle occasioni per migliorare se stessi, non avranno più occasione di farlo. Secondo questa regola, niuno che chieda la verità la chiede invano, e chiunque la ricerca non resterà a mani vuote.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:29; Marco 4:24-25; Luca 8:18; 9:26; 19:24-26; Giovanni 15:2-5

Matteo 21:43; Isaia 5:4-7; Marco 12:9; Luca 10:42; 12:20-21; 16:2,25; Apocalisse 2:5

Apocalisse 3:15-16

Mt 13:13

13. Perciò,

per questo motivo o ragione si riferisce alla sentenza che precede.

parlo loro in parabole, perché veggendo non veggono, udendo non odono, e non intendono.

Essi vedevano, Perché la luce, come non aveva mai brillato prima, sopra essi brillava; ma non la vedevano perché chiudevano gli occhi. Essi udivano, perché li ammaestrava uno che «parlava come uomo non parlò mai»; ma non udivano, cioè non comprendevano, perché le parole di ammonimento e di vita, ch'egli rivolgeva loro, non penetravano al di là dell'orecchio esteriore. In Marco 4:12; Luca 8:10 invece di perché vedendo, si trova acciocché, talché ciò che è qui espresso come un fatto umano, viene rappresentato da loro come adempimento d'una volontà divina: «Acciocché veggendo, non veggano», ecc. La spiegazione di ciò riviene nella sentenza del versetto antecedente, che per, una legge fissa dell'amministrazione divina, quando gli uomini volontariamente ricusano di adempiere il loro dovere, divengono alla fine moralmente incapaci di compierlo.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:16; Deuteronomio 29:3-4; Isaia 42:18-20; 44:18; Geremia 5:21; Ezechiele 12:2

Marco 8:17-18; Giovanni 3:19-20; 9:39-41; 2Corinzi 4:3-4

Mt 13:14

14. E si adempie in loro la profezia di Isaia, che dice: Udirete coi vostri orecchi e non intenderete; guarderete coi vostri occhi e non vedrete 15. Perché il cuor di questo popolo s'è fatto insensibile, sono divenuti duri d'orecchi e hanno chiuso gli occhi, che talora non veggano con gli occhi, e non odano con gli orecchi, e non intendano col cuore, e non si convertano, ed io non li guarisca.

Essi erano così irrevocabilmente condannati alle tenebre e all'indurimento, ch'essi deliberatamente li preferivano alla luce ed alla salute recate loro da Cristo. Questo passo Isaia 6:10 noi lo troviamo, citato più d'una volta nel Nuovo Testamento rispetto agli Ebrei. Matteo in questo luogo, e Luca Atti 28:26 seguono con pochissimo divario la versione dei 70, mentre Giovanni 12:39-40 ha dato una traduzione sua propria, che esprime colla massima chiarezza l'idea dell'originale ebraico, usando le espressioni non potevano credere e acciocché non veggano. Le parole del profeta significano semplicemente che i profeti e Gesù stesso parlarono in parabole, affinché una parte di coloro a cui erano proposte non le potessero intendere. C'è ciononostante una notevole differenza, in quanto alla forma, tra la profezia d'Isaia e la citazione che ne fa Gesù. Il profeta comanda ed esorta ironicamente gli Ebrei a fare quello appunto da cui verrebbe la loro ruina; il nostro Signore involge quelle parole medesime ad ammonimento, o al più a predizione, ritenendo però la forma idiomatica dell'ebraico, nel quale si ripete talora sotto due diverse forme il verbo medesimo, per esprimere un'idea colla massima energia. La locuzione ebraica «cuore ingrassato» significa una inveterata insensibilità. Quello che qui si presagisce, come risultato della nazionale o personale depravazione, è l'acciecamento definitivo, il quale verrebbe affrettato dalla stessa predicazione del Vangelo.

PASSI PARALLELI

Isaia 6:9-10; Ezechiele 12:2; Marco 4:12; Luca 8:10; Giovanni 12:39-40; Atti 28:25-27

Romani 11:8-10; 2Corinzi 3:14

Salmo 119:70

Zaccaria 7:11; Giovanni 8:43-44; Atti 7:57; 2Timoteo 4:4; Ebrei 5:11

Isaia 29:10-12; 44:20; 2Tessalonicesi 2:10-11

Atti 3:19; 2Timoteo 2:25-26; Ebrei 6:4-6

Isaia 57:18; Geremia 3:22; 17:14; 33:6; Osea 14:4; Malachia 4:2; Marco 4:12; Apocalisse 22:2

Mt 13:16

16. Ma, beati gli occhi vostri, perché veggono; e i vostri orecchi, perché odono! 17. Perché, io vi dico in verità, che molti profeti, e giusti, han desiderato di veder le cose che voi vedete, e non l'han vedute; e dir le cose che voi udite, e non l'hanno udite.

Le parole contenute in questi versetti trovansi anche in Luca 10:23-24, se non che, invece della parola giusti, si dice re. I discepoli non solamente erano beati più assai dei ciechi volontari dei quali si è parlato prima, ma erano favoriti al di sopra degli uomini più onorati e migliori che vivessero sotto l'antica economia, i quali, delle cose relative al nuovo regno avevano soltanto una conoscenza elementare, atta ad accendere in essi delle bramosie, che non potevano ricevere soddisfazione durante la loro vita. Isaia e tutti i profeti avevano, fino ad un certo punto, l'occhio rivolto a Cristo; essi predissero le cose di lui e anelarono vedere l'adempimento delle loro profezie. Quindi Cristo dice «Abramo, giubilando, desiderò di vedere il mio giorno, e lo vide», sebbene lo scorgesse coi soli occhi della fede, «e se ne rallegrò». Vedi Giovanni 8:56; 1Pietro 1:10-12; Ebrei 11:13

PASSI PARALLELI

Matteo 5:3-11; 16:17; Luca 2:29-30; 10:23-24; Giovanni 20:29; Atti 26:18; 2Corinzi 4:6

Efesini 1:17-18

Luca 10:24; Giovanni 8:56; Efesini 3:5-6; Ebrei 11:13,39-40; 1Pietro 1:1012

Mt 13:18 Ù

Matteo 13:18-23. GESÙ SPIEGA AI SUOI DISCEPOLI LA PARABOLA DEL SEMINATORE

Vedine l'esposizione in Marco 4:11-20

Mt 13:24

Matteo 13:24-30. PARABOLA DELLE ZIZZANIE TRA MEZZO IL GRANO

24. Egli propose loro un'altra parabola, dicendo: il regno dei cieli è simile ad un uomo che seminò buona semenza nel suo campo.

Questa parabola si trova nel solo Matteo; nulla di parallelo ad esso c'è nei tre altri Evangeli. Al pari di quella del Seminatore, essa è seguita dalla esposizione infallibile che il nostro Signore ne dà ai suoi discepoli privatamente. Non s'intende che il regno dei cieli rassomigli all'uomo stesso, ma bensì al suo modo di operare. Quello che per tutto il mondo accade, nel regno di Cristo, rassomiglia a ciò che viene descritto nella parabola. Il vocabolo qui usato, sebbene applicabile ad un campo accuratamente cinto di siepi o muri, qui, giusta le usanze della Palestina e della Grecia, vuoi significare tutta la possessione, sia piccola, sia grande, di un uomo, anche divisa in vari appezzamenti, poiché il cinger di siepe o muro ogni pezzo di terra diversamente seminato, era, ed è tuttora, cosa sconosciuta in quei paesi. Si tenga a mente questa osservazione, se si vuole intendere rettamente il passo.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:33; Giudici 14:12-13; Isaia 28:10,13; Ezechiele 17:2

Matteo 13:33,44-45,47; 3:2; 20:1; 22:2; 25:1; Marco 4:30; Luca 13:18,20

Matteo 13:19,37; 4:23; Colossesi 1:5; 1Pietro 1:23

Mt 13:25

25. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico,

Se qui si accenna alla notte, non è per lanciar biasimo d'infedeltà o di poca vigilanza sui servi dormienti, altrimenti il Signore non avrebbe passato sotto silenzio una circostanza così rilevante nella susseguente spiegazione della parabola. Questo incidente è narrato soltanto per far risaltare vieppiù la fine astuzia del nemico nello scegliere, per l'opera sua maligna, il momento in cui era certo che nessuno poteva scoprirlo o interromperlo.

e, seminò delle zizzanie in mezzo al grano, e se ne andò. 26. E, quando l'erba fu nata, ed ebbe fatto frutto, allora apparvero anche le zizzanie.

Atti di vendetta simili a questo vengono esercitati anche al giorno d'oggi nella Palestina. Il nome comune arabo per la zizzania, zowan, è probabilmente la radice del vocabolo greco che quasi tal quale venne introdotto nella lingua italiana. Nell'Oriente, la zizzania abbonda e danneggia molto i seminati. È dessa il Lolium temulentum, la sola pianta venefica nella gran famiglia donde si traggono le diverse granaglie. Il seme della zizzania è disposto lungo la parte superiore dello stelo che sta perfettamente diritta. Il sapore n'è amaro, ed amarognolo rende il pane in cui si trova mescolato, cagionando capogiri e talora operando come un emetico. Anche al pollame vengono le vertigini quando ne mangia. Insomma è un veleno soporifero violento, e chi vuol mangiare pane sano deve badare a separare la zizzania dal grano, chicco per chicco, prima di mandare questo al mulino i campagnoli fanno di tutto per sterminarla, ma è quasi impossibile. Quando è in erba, riesce assai difficile il distinguerla dal grano o dall'orzo; ma, apparsa che sta la spiga, la differenza si manifesta anche all'occhio più disattento.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:5; Isaia 56:9-10; Atti 20:30-31; Galati 2:4; 2Timoteo 4:3-5; Ebrei 12:15

2Pietro 2:1; Apocalisse 2:20

Matteo 13:39; 2Corinzi 11:13-15; 1Pietro 5:8; Apocalisse 12:9; 13:14

Matteo 13:38; Marco 4:26-29

Mt 13:27

27. E i servitori dei padrone di casa vennero a dirgli: Signore, non hai tu seminato buona semenza nel tuo campo? Come mai dunque c'è della zizzania? 28. Ed egli disse loro: Un uomo nemico ha fatto questo.

Coloro i quali non ammettono che per la porzione di terra seminata a grano s'intenda la Chiesa visibile, spiegano la parola servitori come significante gli angeli, che sono anche i raccoglitori; ma siccome il nostro Signore passa sopra questa parte della parabola senza spiegarla, ella è probabilmente introdotta qui unicamente per completare la narrazione. La cosa essenziale è la dichiarazione del proprietario che questa era l'opera d'un nemico.

PASSI PARALLELI

1Corinzi 3:5-9; 12:28-29; 16:10; 2Corinzi 5:18-20; 6:1,4; Efesini 4:11-12

Romani 16:17; 1Corinzi 1:11-13; 15:12-34; Galati 3:1-3; Giacomo 3:15-16; 4:4

Luca 9:49-54; 1Corinzi 5:3-7; 2Corinzi 2:6-11; 1Tessalonicesi 5:14; Giuda 22-23

Mt 13:28

E i servitori gli dissero: Vuoi tu che l'andiamo a cogliere? 29. Ma egli rispose: No; che talora, cogliendo le zizzanie, non sradichiate insieme con esse il grano.

Il rischio che il padrone vuole evitare è doppio:

1. Scambiare il grano in erba col loglio,

2. Pur supponendo che i servitori non commettessero una tale inavvertenza nello sbarbare il loglio, era difficile ch'essi non sradicassero qualche pianta di grano.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:29

Mt 13:30

30. Lasciate che ambedue crescano assieme, fino alla mietitura; e, al tempo della mietitura, io dirò a' mietitori: Cogliete prima le zizzanie, e legatele in fasci, per bruciarle; ma il grano raccoglietelo nel mio granaio.

L'usanza cui qui si fa allusione regna pur sempre nella Siria, ove gli Arabi, mietendo, strappano gli steli di questa pianta velenosa, e ne fanno poi dei fasci per bruciarli. Di queste nocive zizzanie se ne faceva quell'uso che anche ora si fa di altre erbe secche e degli steli che crescono a dismisura: se ne riscaldano i forni Vedi Matteo 6:30

PASSI PARALLELI

Matteo 13:39; 3:12; 22:10-14; 25:6-13,32; Malachia 3:18; 1Corinzi 4:5

Matteo 13:39-43; 1Timoteo 5:24

1Samuele 25:29

Isaia 27:10-11; Ezechiele 15:4-7; Malachia 4:1; Giovanni 15:6

Matteo 3:12; Luca 3:17-33

Mt 13:31

Matteo 13:31-33. PARABOLE DEL RE DI SENAPA E DEL LIEVITO Marco 4:30-32; Luca 13:18-22

Il nostro Signore in queste parabole si propone di mostrare la estensione e la universalità che il regno suo, nel primordi così piccolo, devono raggiungere sulla terra. La pianta della senapa mostra tipicamente il fatto della estensione, e il lievito mostra il modo con cui avverrà. Alcuni però credono che la prima significhi l'estensione del regno dei cieli per intrinseca vitalità; la seconda indichi la sua crescenza per contagiosa influenza.

Il granello di Senapa Matteo 13:31-32

31. Egli propose loro un'altra parabola, dicendo: il regno dei cieli è simile ad un granel di senapa che un uomo prende, e semina nel suo campo. 32. Esso è bene il più piccolo di tutti i semi; ma, quando è cresciuto, è maggiore dei legumi, e diviene albero, tantoché gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami.

Questa parabola è ricordata anche da Marco e da Luca. Nella parabola del Seminatore sono rappresentati gli ostacoli che si frappongono all'avanzamento del regno di Dio sulla terra; qui si mostra come, ad onta di quelli, esso va innanzi. L'idea principale di questa similitudine emerge dal contrasto fra un effetto gigantesco ed un principio in apparenza piccolo e poco promettente. Un albero, sui rami del quale si riparano gli uccelli dell'aria, non ha in se nulla di meraviglioso; ma bene stupendo è il fatto che

un'erba da giardino possa diventare un albero. La pianta scelta da nostro Signore, credono alcuni sia quella specie di senapa chiamata dai botanici Solvadora persica, che nasce da piccolo seme, cresce in albero grande e ramosissimo, e si trova, a quel che dicono, su qualche sponda del Mar Morto. Thomson consente colla generale opinione, che qui si tratti del Khardal, o senapa comune. «Nella ricca pianura di Akkar, ho visto», dic'egli, «quella pianta crescere alta quanto un uomo a cavallo». Che il seme della senapa sia il più piccolo del mondo, non è da supporre; esso era il più piccolo fra quelli che gli agricoltori solevano seminare, e per tale passava proverbialmente fra gli Ebrei; ma, fatto «albero», arrivato al suo pieno sviluppo, grandeggiava d'assai sulle altro erbe dei giardini. Chi volesse spingere più oltre il senso letterale, violerebbe una delle regole della semplice interpretazione. Basta all'intendimento ed al senso della parabola, che la pianta cresca grande e per ogni verso ramosa, benché nata da minutissimo seme. Solamente in questo senso, il regno dei cieli è simile ad un granello di senapa; né il Signore scelse quella pianta per le qualità medicinali od altre che le sieno inerenti. Queste considerazioni sono estranee del tutto allo scopo cui egli mirava.

Simile a questo piccolo seme era il piccolo cominciamento del regno celeste, quando nacque a Betleem il Figliuol dell'uomo. Pescatori e pubblicani, gente semplice ed illetterata, furono i suoi primi discepoli e messaggeri; e la Chiesa di Gerusalemme non contava più di 120 membri, compresi gli apostoli, quand'egli lasciò questa terra per tornare alla gloria. Nonostante la rabbia di Satana, la inimicizia del cuor naturale, e la violenta opposizione dei re e dei principi della terra, questo regno, mediante la predicazione dell'Evangelo, è divenuto già vasto, e cresce tuttavia, e la profezia ci assicura che verrà un tempo in cui «la terra sarà piena della conoscenza della gloria dell'Eterno, come l'acque coprono il fondo del mare» Habacuc 2:14

PASSI PARALLELI

Matteo 13:24; Luca 19:11; 20:9

Marco 4:30-32; Luca 13:18-19

Salmo 72:16-19; Isaia 2:2-4; Ezechiele 47:1-5; Daniele 2:34-35,44-45; Michea 4:1-3

Zaccaria 4:10; 8:20-23; 14:7-10; Atti 1:15; 21:20

Romani 15:18-19; Apocalisse 11:15

Ezechiele 17:23-24; 31:6; Daniele 4:12

Mt 13:33

Il lievito Matteo 13:33

33. Disse loro un'altra parabola: il regno dei cieli è simile al lievito,

Questa parabola, al pari dell'ultima, dimostra l'estendersi del regno dei cieli ad universale dominio sugli uomini, ma in diversa maniera. Nella prima parabola, sono messi in rilievo solamente gli estremi: il piccolo seme e il grande albero che ricetta tutti gli uccelli dell'aria; in questa, si mette in rilievo il processo mediante il quale si ottiene il fine, vale a dire il lievito che penetra in ogni particella della farina, finché tutta la pasta non ne abbia sentita l'influenza. Il lievito adoperato in Palestina è fatto, come in Italia, di pasta inacidita, ridotta cioè a quel grado di decomposizione che produce la fermentazione. Nei sacrifici ebraici era vietato Levitico 2:11;6:17. La parola lievito, usata nella Scrittura, denota per solito, figuratamente, l'errore, il peccato, e la influenza loro corruttrice Matteo 16:6; 1Corinzi 5:6-8; Galati 5:9. Vi sono autori, i quali sostengono esser tale il suo significato in questa parabola, interpretandola qual profezia delle eresie e delle corruzioni che verrebbero ad adulterare le pure dottrine dell'Evangelo: una profezia, insomma, dell'azione futura del «mistero d'iniquità». Se questa interpretazione fosse la vera, se, in un'epoca qualunque, si potesse dire che la Chiesa è stata compenetrata dal lievito della falsa dottrina, «le porte degl'inferi» sarebbero veramente prevalse contro di essa; né sarebbe facile

intendere come mai potrebbe venire di bel nuovo purificata. Stando però questo versetto in connessione stretta col precedente, è chiaro che siffatta interpretazione è da rigettarsi come erronea; poiché lo scopo del Signore è di mostrare la possente influenza che il regno dei cieli doveva esercitare in mezzo ad un mondo giacente nella malvagità. Si osservi inoltre, che l'azione della fermentazione è salutare, e rende la pasta leggera ed acconcia a servire d'alimento. Il regno di Dio di cui il Signore parla, non può essere che un lievito buono. L'errore degli interpreti da noi riferito sta in ciò, che essi non comprendono che la virtù espansiva e, trasformatrice del lievito, virtù ch'esso possiede, sia buono o cattivo, è l'unica cosa. In esso, che Gesù paragona col Vangelo. I principi buoni e cattivi, aventi origini piccole e nascoste, si diffondono con potenza e trasformano gl'individui e la società.

che una donna prende, e nasconde...

Cercarono alcuni di attribuire nella parabola, un particolare significato alla donna, considerandola come emblema della sapienza divina o della Chiesa; ma dessa vi sta evidentemente e solamente per completare il quadro in cui una donna doveva rappresentare la sua parte. Come arare e seminare il campo era compito dell'uomo, così intridere la farina, manipolare la pasta, infornare e sfornare erano faccende donnesche. L'uomo prende il granel di senapa e nel suo campo lo semina: la donna prende il lievito e lo intride nella farina. Le due parabole, in questo rispetto, sono strettamente parallele; l'uomo del granello, la donna del lievito, hanno il medesimo significato. La mano divina che seminò la parola di vita eterna, come un granel di senapa, nel terreno, depose altresì la parola di vita eterna come lievito, nella farina.

In tre staia di farina, finché la pasta sia tutta lievitata.

Lo staio, scrivono i Rabbini, è la terza parte di un efa; e Girolamo, nel suo commentario a questo passo, lo lice equivalente ad un modio e mezzo dei Romani 1Samuele 25:18; 2Re 7:1. Le tre staia facevano un efa, quantità di farina impiegata, per solito, da una famiglia ebraica per una fornata di pane, come risulta da parecchi passi del Testamento Antico Genesi 18:6; Giudici 6:19. Parecchie fantastiche spiegazioni furono date di queste tre misure come, ad esempio, ch'elle rappresentino i tre figli di Noè, dai quali era stata

ripopolata la terra; le tre parti componenti l'uomo: corpo, anima, e spirito, le tre parti del mondo allora conosciuto, e via discorrendo. Queste sono fanciullaggini da non meritare che se ne parli. Questa parabola ha un'applicazione individuale nonché una generale. Essa mette in rilievo il mistero della rigenerazione, il quale consiste nella formazione della vita divina nell'anima. e nella susseguente santificazione per mezzo dello Spirito Santo, il quale, simile al lievito, va operando in modo continuo e progressivo.

PASSI PARALLELI

Marco 13:20

Luca 13:21; 1Corinzi 5:6-7; Galati 5:9

Giobbe 17:9; Proverbi 4:18; Osea 6:3; Giovanni 15:2; 16:12-13; Filippesi 1:6,9; 2:13-15

1Tessalonicesi 5:23-24: 2Pietro 3:18

Mt 13:34

34. Tutte queste cose disse Gesù in parabole alle turbe; e senza parabola non diceva loro nulla; 35. affinché si adempiesse quel ch'era stato detto per mezzo dei profeta: Aprirò la mia bocca in parabole; esporrò cose occulte fin dalla fondazione del mondo.

La citazione è tolta dal versetto 2 del Salmo 78:2 di cui, secondo il titolo, fu autore Asaf, e la prima parte combina colla versione dei 70. Le parole dei Salmo non sono una profezia, ma una descrizione dell'ufficio profetico, ed i profeti che lo adempievano rappresentavano Cristo; cosicché, nell'uso delle parole oscure ed enigmatiche, l'insegnamento di Gesù corrispondeva alla descrizione che i profeti davano del loro proprio insegnamento. Abbiamo qui un altro esempio della premura con cui Matteo mette innanzi ai suoi compatrioti, per i quali specialmente scriveva, i vari punti in cui era una

corrispondenza notevole fra le predizioni dei profeti antichi e le opere di Cristo; poiché alla venuta ed al regno del Messia si riferiscono tipicamente i fatti rammentati nel Salmo 78.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:13; Marco 4:33-34; 14 21:4-5

Salmo 78:2

Salmo 49:4; Isaia 42:9; Amos 3:7; Luca 10:14; Romani 16:25-26; 1Corinzi 2:7

Efesini 3:5,9; Colossesi 1:25-26; 2Timoteo 1:9-10; Tito 1:2-3; Ebrei 1:1; 1Pietro 1:11-12

Matteo 25:34; Giovanni 17:24; Atti 15:18; 1Pietro 1:20-21; Apocalisse 13:8; 17:8-43

Mt 13:36

Matteo 13:36-43. SPIEGAZIONE DELLA PARABOLA DELLE ZIZZANIE

36. Allora Gesù, lasciate le turbe, tornò a casa; e i suoi discepoli gli si accostarono, dicendo: Spiegaci la parabola delle zizzanie del campo.

Questo lasciar le turbe, e questo ritorno di Gesù a casa, donde egli era uscito per andare a predicare sulla sponda del lago Matteo 13:1, sembra indicare una successione cronologica nelle quattro precedenti parabole. Probabilmente la spiegazione della parabola del Seminatore, sebbene introdotta da Matteo subito dopo la parabola stessa, fu data anche essa dopo il ritorno di Gesù a casa. «Discepoli» non sono i dodici soltanto, ma anche

coloro che gli stavano intorno coi dodici», i quali, secondo Marco 4:10, erano quelli che chiedevano la spiegazione della parabola del Seminatore.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:22; 15:39; Marco 6:45; 8:9

Matteo 19:28; Marco 4:34

Matteo 13:11; 15:15-16; Marco 7:17; Giovanni 16:17-20

Mt 13:37

37. Ed egli, rispondendo, disse loro:

Gesù sì compiacque rispondere subito a cotesta domanda, perché a loro «era dato conoscere i misteri del regno». Siccome lo scopo della parabola del Seminatore accenna alla diversa accoglienza che la Parola avrebbe trovata nelle varie classi degli ascoltatori; così lo scopo di questa parabola accenna allo stato misto del regno di Cristo, risultante dalla malizia di Satana; stato che verrà a finire nel giorno del giudizio, quando Gesù assumerà il suo stato finale di gloria e di beatitudine,

Colui che semina la buona semenza è il Figliuol dell'uomo;

È questo il titolo di cui Gesù fa uso frequentemente parlando di se medesimo; da altri non gli è dato mai, se non in un solo caso Atti 7:56, in cui sembra significare soltanto che il glorificato Salvatore apparve agli occhi di Stefano in forma corporea. Non era questo un nome dato dagli Ebrei al Messia, ché anzi giungeva ad essi strano, siccome si apprende dalla domanda: Chi è questo Figliuol dell'uomo? Giovanni 12:34

PASSI PARALLELI

Matteo 13:24,27

Matteo 13:41; 10:40; 16:13-16; Luca 10:16; Giovanni 13:20; 20:21; Atti 1:8; Romani 15:18

1Corinzi 3:5-7; Ebrei 1:1; 2:3

Mt 13:38

38. Il campo è il mondo,

Si osservi come il nostro Signore dichiari espressamente che il gran campo di questo mondo è suo Matteo 13:24. Di questa parabola si è molto valso Agostino nelle sue controversie coi Donatisti nel quarto secolo, in referenza all'esercizio della disciplina contro gli scandalosi nella Chiesa di Cristo d'allora in poi, una gran confusione ha dominato nella interpretazione della medesima. Crediamo, colla massima parte dei critici e dei commentatori, che il campo» raffiguri la Chiesa visibile, di Cristo, sparsa nel mondo, ma protestiamo contro lo idee esagerate di quelli che, di fronte alla spiegazione che Cristo dà del «campo». sostengono che «la Chiesa è commisurata al mondo». Lo scopo di siffatta interpretazione è di coprire la peccaminosa trascuratezza della disciplina che caratterizza le Chiese che permettono a tutti, senza distinzione di sorta, di prendere la comunione, e che perciò vengono chiamate moltitudiniste. Il ragionamento col quale, quelli elle adottano questa interpretazione acchetano la loro coscienza, è semplicissimo. Essi dicono: «La Chiesa è il mondo; grano e zizzania vi crescono insieme, e Gesù, vietando di sbarbarne la zizzania, ha voluto proibire ogni disciplina esercitata dagli uomini, e serbare ogni retribuzione al finale giudizio». Esistono altri passi della parola di Dio nei quali l'obbligo di applicare la disciplina, nella Chiesa, ai membri apertamente scandalosi, è così chiaramente insegnato, da imprimere un marchio d'infedeltà, e verso Cristo e verso il peccatore, ad ogni Chiesa che trascuri di esercitarla Vedi Matteo 18:15-17; 1Corinzi 5:4-5; Tito 3:10; ma in questa parabola non possiamo riconoscere alcun insegnamento intorno alla disciplina ecclesiastica, perché gli individui raffigurati dalle zizzanie non sono

peccatori scandalosi, anzi essi imitano così bene la vita e le azioni del popolo del Signore, da non poter mai venire colpiti dalla disciplina, in quantoché i direttori della Chiesa potrebbero, al più, sospettare la falsità della loro fede, la quale solamente Colui che scruta i cuori può conoscere. Dalla descrizione già data della zowán o zizzania, in Matteo 13:25, siccome rassomigliante nella forma, nelle foglie, nel colore, e nel modo di crescere, al grano, chiaro apparisce che il nostro Signore non intendeva con essa significare le nazioni pagane nella loro idolatria, né tampoco gli uomini apertamente immorali, profani, adoratori di Mammona e amatori del piacere, fra i quali il suo popolo credente si trova mescolato su questa terra. Le differenze che passano tra i veri cristiani e costoro sono tali, che ciascuno può, di colpo, scorgerle. Gesù raffigura nelle zizzanie gl'ipocriti i quali, non uniti a lui, ma, per somiglianza di, professione religiosa, uniti al suo popolo, sono tanto simili a questo, che il distinguete i veri dai falsi Cristiani supera sovente l'avvedutezza dell'uomo.

la buona semenza sono i figliuoli del regno,

Figli non per mezzo della alleanza esterna soltanto, come quelli di cui trattasi in Matteo 8:12 ma per la grazia efficace dell'adozione.

le zizzanie sono i figliuoli del maligno;

Questo medesimo nome viene dato al diavolo nel vers. 19. Son figli suoi quelli che partecipano della sua natura e sono destinati a dividerne la sorte nel giorno del giudizio, sebbene sieno mescolati coi figliuoli del regno.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:14; 28:18-20; Marco 16:15-20; Luca 24:47; Romani 10:18; 16:26; Colossesi 1:6

Apocalisse 14:6

Salmo 22:30; Isaia 53:10; Osea 2:23; Zaccaria 10:8-9; Giovanni 1:12-13; 12:24

Romani 8:17; Giacomo 1:18; 2:5; 1Pietro 1:23; 1Giovanni 3:2,9

Matteo 13:19; Genesi 3:15; Giovanni 8:44; Atti 13:10; Filippesi 3:18-19; 1Giovanni 3:8,10

Mt 13:39

39. Il nemico che li ha seminate è il diavolo,

Coloro i quali negano l'esistenza del principe delle tenebre, o annullano colle loro spiegazioni l'insegnamento della Scrittura che lo riguarda, inveiscono contro la dottrina che fa di lui l'autore ed il mantenitore del male morale nel mondo. Essi considerano cotesta dottrina come oscura ed orribile; e però, sotto un certo aspetto, ella è una dottrina apportatrice di conforto, in quanto che dimostra che tutta la malvagità. e i delitti di cui il nostro mondo è pieno, non scaturiscono spontaneamente dalla pravità del cuore umano ma provengono dal di fuori. L'opposizione costante e gagliarda ad ogni movimento che ci porterebbe al bene, e ad ogni dottrina e massima dell'Evangelo e quel raffinato pervertimento che riduce tutte le dottrine a sostegni e rinforzi di malvagità, son tutte prove che dimostrano assai chiaro come Satana eserciti un reale sebbene usurpato impero su questo mondo. Da un altro lato, il fatto che tanta potenza è in facoltà di Satana ci dà motivo di credere che, quando egli sarà legato e gittato nell'abisso Apocalisse 20:2-3, il trionfo del Vangelo sui cuori degli uomini sarà, rapidissimo e universale.

la mietitura è la fine dell'età presente.

È questo il periodo della seconda venuta del nostro Signore, in gloria, per giudicare i vivi ed i morti, quando «i cieli passeranno stridendo, e gli elementi infiammati si dissolveranno; e la terra è le opere che sono in essa saranno arse» 2Pietro 3:10. Il vocabolo che qui si traduce «mondo» o età presente non è quello del versetto antecedente; denota il mondo materiale coi suoi abitanti, e il mondo soggetto alle divisioni del tempo, quindi l'era o l'età presente.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:25,28; 2Corinzi 2:17; 11:3,13-15; Efesini 2:2; 6:11-12; 2Tessalonicesi 2:8-11; 1Pietro 5:8

Apocalisse 12:9; 13:14; 19:20; 20:2-3,7-10

Matteo 13:49; 24:3; Gioele 3:13; Apocalisse 14:15-19

Matteo 25:31; Daniele 7:10; 2Tessalonicesi 1:7-10; Giuda 14

i mietitori sono gli angeli. 40. Come dunque, si raccolgono le zizzanie, e si bruciano col fuoco; così avverrà alla fine dell'età presente. 41. Il Figliuol dell'uomo manderà i suoi angeli,

cioè i ministri del Signore, predisposti a fare tutta la sua volontà, e ad essere o «spiriti amministratori a pro di coloro che hanno da eredar la salvezza», o messaggeri di distruzione agli empi. Gesù afferma espressamente la sua signoria sopra di loro, in questo versetto, come, nel vers. 24, egli l'afferma sul mondo quale suo campo. Vedi anche Matteo 16:27

che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali.

La parola scandali letteralmente significa lacci od inciampi, che l'uomo incontra sul cammino della vita; ma, sebbene neutra, viene applicata qui alle persone come alle cose che sono causa di caduta ai credenti.

e gli operatori d'iniquità.

Questi sono in contrasto coi precedenti quelli che praticano l'iniquità come fosse un boccone piacevole al loro palato.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:30; 24:31; Marco 13:27; Ebrei 1:6-7,14; Apocalisse 5:11-12

Matteo 13:49; 18:7; Romani 16:17-18; 2Pietro 2:1-2

Matteo 7:22-23; Luca 13:26-27; Romani 2:8-9,16; Apocalisse 21:27

Mt 13:42

42. E il gitteranno nella fornace del fuoco.

L'inferno viene rappresentato altrove sotto la figura della valle di Hinnom nella quale si mantenevano dei fuochi sempre accesi per bruciarvi i corpi degli animali e le immondizie che vi si trasportavano da Gerusalemme Vedi nota: Geenna, Matteo 5:22Matteo 5:22. Ma Gesù rappresenta qui l'inferno sotto la figura d'una fornace ardente, simile a quelle nelle quali si bruciano le zizzanie, o a quella in cui Nebucadnetsar fece gettare i tre giovani Ebrei Daniele 3:19-20. Questo supplizio, il più terribile che immaginar si possa, era in uso presso i Caldei e i Babilonesi, nei tempi antichi; e, secondo Chardin Voyages en Perse, di quando in quando anche fra i Persiani moderni, Siccome gli uomini rifuggono dall'idea della punizione eterna, essi si sforzano di attenuare il significato dei passi nei quali essa è chiaramente insegnata. Essi non possono però attenuare il senso di questo versetto e di Matteo 13:50, perché l'affermazione che alla fine del mondo gli operatori d'iniquità saranno gettati nella fornace del fuoco non è parte della parabola delle Zizzanie, ma della spiegazione che il nostro Signore ci dà di essa. Se dunque le espressioni «il figliuol dell'uomo», «il mondo», «i figli del regno, del maligno», «la fine dell'età presente», «gli angeli», debbono intendersi in senso positivo, sarebbe una inconseguenza, un mero arbitrio il supporre, in questo solo esempio, un cambiamento d'interpretazione, e ritenere che «la, fornace del fuoco» altro non sia qui che una figura retorica. Certo è che Gesù non avrebbe parlato dell'inferno, se questo non fosse esistito; e che l'Iddio di verità non avrebbe usato immagini così terribili per solamente spaventare l'umanità. Se dunque egli ne ha parlato, non è più lecito di dubitare che esistano e l'inferno e le sofferenze dei malvagi.

Quivi sarà il pianto e lo stridor dei denti.

Queste parole indicano i rimorsi della coscienza, le torture della mente, e un senso di dolore indicibile, congiunti ad una rabbia e ad una disperazione profonda. Gli articoli che nel greco precedono le parole pianto e stridore dànno loro una certa enfasi, come se Gesù avesse detto che le sofferenze più terribili sulla terra non meritano neanche questo nome a paragone di quelle dell'inferno.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:12; 25:41; Salmo 21:9; Daniele 3:6,15-17,21-22; Marco 9:43-49; Luca 16:23-24

Apocalisse 14:10; 19:20; 20:10,14-15; 21:8

Matteo 13:50; 8:12; 22:13; Luca 13:28

Mt 13:43

43. Allora i giusti risplenderanno come il sole, nel regno del Padre loro. Chi ha orecchie oda.

Questo raccogliere i giusti nel regno del loro padre, corrisponde esattamente al raccogliere il grano nel granaio dell'agricoltore. Non è questa un'aggiunta all'interpretazione della parabola. Al contrario, siccome lo scopo di questa parabola è di descrivere lo stato misto della Chiesa di Cristo in questo mondo, ed il suo stato perfetto dopo il giudizio, questo sguardo al futuro stato di gloria era necessario per completare l'interpretazione. I giusti risplenderanno come il sole in un cielo senza nuvole Cfr. Daniele 12:3. È questa la gloria di cui godranno «nel regno del padre loro», e alla quale hanno diritto in quanto sono figli dell'Altissimo.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:34,36; Daniele 12:3; 1Corinzi 15:41-54,58; Apocalisse 21:35,22-23

Matteo 26:29; Luca 12:32; 22:29; Giacomo 2:5

Mt 13:44

Matteo 13:44-46. PARABOLE DEL TESORO NASCOSTO, E DELLA PERLA DI GRAN PREZZO

Queste parabole ricordate solamente da Matteo corrispondono l'una all'altra nel mettere in rilievo l'alto valore dell'Evangelo; ma differiscono l'una dall'altra, nel descrivere due diverse classi di persone le quali, avendo scoperto quel carattere prezioso, danno tutto ciò che posseggono per assicurarsi il possesso dei beni del Regno.

Parabola del Tesoro nascosto Matteo 13:44

44. Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo,

Il campo non ha una speciale significazione; è menzionato qui unitamente per completare la parabola. Fra le nazioni orientali vigeva non solo nei tempi antichi, ma anche nel tempo presente, la costumanza di seppellire il denaro e le gioie sotterra, tanto poca è la sicurezza della proprietà per le frequenti rapine, le guerre l'oppressione dei governi dispotici, e il difetto di quel mezzi sicuri e fruttiferi d'impiegare il danaro, dei quali v'ha abbondanza fra noi. Se il proprietario veniva a morire senza aver palesato il suo segreto, il tesoro poteva rimanere nascosto per secoli. I viaggiatori europei che esplorano le rovine in Oriente, sono gelosamente sorvegliati dagl'indigeni, i quali credono comunemente ch'essi vadano cercando tesori nascosti.

che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde;

i miscredenti, per gettare il discredito sulla morale insegnata dal nostro Signore, fanno loro pro del contegno di quest'uomo, il quale nasconde di nuovo il tesoro, e compra poi il campo per un prezzo, al quale il proprietario non glielo avrebbe ceduto mai, se avesse saputo ciò che vi era; ma il Signore, rivestendo con questa similitudine una grande verità religiosa, e ponendosi nelle circostanze in cui si sarebbe trovato un uomo del suo tempo, non intende però di approvare tutto ciò che costui avrebbe fatto. Egli non commenda quest'uomo per aver di nuovo celato il tesoro, più di quel che commendi e lodi la condotta del Giudice iniquo Luca 18:1-6, o del fattore infedele Luca 16:18. La morale della parabola non ha nulla che vedere col nascondimento, il quale non ha alcun spirituale significato o, se ne ha, denota solamente l'ansietà e la premura dell'uomo di assicurarsi il possesso di quel tesoro.

e per l'allegrezza che ne ha, va, e, vende tutto ciò ch'egli ha, e compera quel campo.

Questo tesoro rappresenta la intima beatitudine di coloro che sono salvati in Cristo. Il fatto che il tesoro è sepolto fuor della vista altrui è inteso forse a rappresentare le benedizioni dell'Evangelo, nascoste ab eterno nei consigli di Dio, o involte sotto i tipi e le cerimonie della dispensazione levitica. Certo però il significato più rilevante è questo: la luce spirituale è dal peccato nascosta all'intelletto ed al cuore dell'uomo 2Corinzi 4:3-4. L'uomo che trova questo tesoro così inopinatamente, è il tipo di quei molti a cui lo Spirito di Dio si rivelò mentre vivevano lontani dalle cose spirituali, ed ai quali la coscienza, destatasi ad un tratto, fece conoscere il pericolo del peccato. Del che sono esempi la Donna Samaritana, ed i Gentili convertiti dalla predicazione di Paolo e dei suoi compagni. La vendita di «tutto ciò che egli ha» per comprare quel campo, rappresenta la gioia di coloro che sono subitamente svegliati e messi in possesso di Cristo e di tutte le sue benedizioni. Veramente, il comprare e il vendere non han che fare colla religione di Cristo; e quando Roma fece di questa un mercato, dimenticò la dichiarazione del patriarca Giobbe relativa alla sapienza celeste: «Non la si ottiene in cambio d'oro, né la si compra a peso d'argento», ecc. Giobbe 28:15-19. Quando l'umano orgoglio vuol comprare il cielo col proprio merito, ei dimentica la dichiarazione di Paolo: «Nessuno sarà giustificato

dinanzi a lui per le opere della legge; Essendo gratuitamente giustificati per la grazia d'esso, mediante la redenzione ch'è in Cristo Gesù» Romani 3:20,24. «Comperare» qui vale scambiare, perché il peccatore quando accetta Cristo ed una piena e gratuita salvazione per mezzo suo, cede, per tali beni, i propri piaceri, i vizi, i sogni dell'ambizione umana, ogni pensiero mondane; anzi egli è pronto e disposto ad abbandonare poderi, case, moglie, figliuoli, e perfino, se fa di bisogno, la vita, per non dipartirsi mai dal suo tesoro, che è Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:21; Proverbi 2:2-5; 16:16; 17:16; 18:1; Giovanni 6:35; Romani 15:4

1Corinzi 2:9-10; Colossesi 2:3; 3:3-4,16

Matteo 19:21,27,29; Luca 14:33; 18:23-24; 19:6-8; Atti 2:44-47: 4:32-35

Filippesi 3:7-9; Ebrei 10:34; 11:24-26

Proverbi 23:23; Isaia 55:1; Apocalisse 3:18

Mt 13:45

Parabola della Perla di gran prezzo Matteo 13:45-46

45. Il regno dei cieli è anche simile ad un mercante, che va in cerca di belle perle;

La perla, gemma che si trova nelle ostriche orientali, è tenuta in alto pregio anche ai dì nostri; ma nei tempi antichi essa occupava nella pubblica estimazione quel posto che hanno fra noi i diamanti: le più grosse e lucenti costano prezzi favolosi. Questa similitudine sembra indicare l'antichità di una professione che tuttora vige in Oriente, quella, vo' dire, del gioielliere

girovago. Costoro, nelle loro escursioni, talora si imbattono in qualche gemma di gran prezzo, e per aggruzzolare il denaro necessario ad acquistarla, vendono tutta la loro mercanzia, tutto ciò che posseggono.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:26; 22:5; Proverbi 3:13-18; 8:10-11,18-20

Giobbe 28:18; Salmo 4:6-7; 39:6-7; Ecclesiaste 2:2-12; 12:8,13

Mt 13:46

46. e, trovata una perla di gran prezzo, se n'è andato ed ha venduto tutto ciò ch'egli aveva, e l'ha comperata.

Il senso spirituale dell'operazione compita da questo mercante è quello stesso dell'atto compiuto dall'uomo della parabola antecedente. La perla, al pari del tesoro, significa la salvazione che è in Cristo, quale viene apprezzata da un'anima illuminata dall'alto. Il mercante però indica una classe di uomini diversi da quelli dei quali parlammo, il tesoro fu trovato da un uomo che non cercava tesori; l'uomo che rinvenne la perla si era dato alla ricerca delle perle come a sua professione; e così egli, è il tipo di coloro i quali sentono esservi qualche cosa di più alto e di migliore che non i piaceri e le ricchezze di questo mondo; e questa qualche cosa essi vanno cercando. S'immaginano di meritare la salvazione coi digiuni, le penitenze, la stretta osservanza dei religiosi doveri; ma, giunti alla conoscenza di Cristo loro giustizia, essi si accorgono che tutte queste cose sono prive affatto di merito. Di questa classe, noi abbiamo esempi in Paolo, in Lutero e in molti altri nei quali si adempierono le parole del Salmista: «La luce si leva nelle tenebre per quelli che son diritti» Salmo 112:4. Si osservi quanto è grande la rassomiglianza fra il contegno del mercante che vende ogni cosa, e la condotta di Paolo quando ebbe trovato Cristo Filippesi 3:7-10

PASSI PARALLELI

Proverbi 2:4; Isaia 33:6; 1Corinzi 3:21-23; Efesini 3:8; Colossesi 2:3; 1Giovanni 5:11-12

Apocalisse 21:21

Marco 10:28-31; Luca 18:28-30; Atti 20:24; Galati 6:14-52

Mt 13:47

Matteo 13:47-52. PARABOLA DELLA RETE E COLLOQUIO FINALE INTORNO AL REGNO

Trovansi nel solo Matteo.

Parabola della Rete Matteo 13:47-50

47. Il regno dei cieli è anche simile ad una rete che, gittata in mare, ha raccolto ogni sorta di pesci;

L'ultima parola non si trova nell'originale, ma conviene sostituirla colla parola pesci, essendo questa più conforme al contesto. Il vocabolo greco qui usato per rete è rete da tirare, che col mezzo d'una barca si getta nell'acqua in un gran semicircolo, e quindi, tirata alla sponda per i due capi, trascina seco tutto ciò che trova, e nulla le sfugge. Questa parabola è considerata generalmente come parallela a quella delle Zizzanie colla differenza però, che mentre quella tende principalmente a mostrare la condizione mista della Chiesa di Cristo nella sua terrestre esistenza, della quale non può liberami finché non venga il giudizio; questa mira essenzialmente a volgere la nostra attenzione verso la separazione finale, e verso il modo col quale essa si opererà nel giorno del giudizio. Questa parabola fu tratta in campo nella disputa dei Donatisti intorno alla disciplina ecclesiastica; ma ch'ella non vi abbia nulla che fare è evidente il Signore espressamente dichiara che la rete rappresenta «il regno dei cieli»; ne risulta che il mare deve rappresentare il

mondo nel quale la rete è gittata, ed in cui essa raccoglie, non soltanto i veri discepoli ma eziandio gl'ipocriti e simili. Si osservi che Gesù non allude né alla Chiesa, quale esiste sulla terra, né ai suoi ministri. Il suo unico scopo è di rammentare al suoi uditori la separazione dei buoni dal cattivi, la quale avverrà alla fine dell'economia evangelica. Perciò egli spiega soltanto l'ultima parte della parabola, insegnando che i suoi angeli separeranno alla fine del mondo i buoni dai cattivi, come i pescatori separano i pesci buoni da quelli che non hanno nessun valore. Siccome dunque la rete rappresenta il regno del Vangelo che raccoglie tutti gli uomini, il ministero cristiano ne fa necessariamente parte; in modo che la distinzione che si volle fare tra due classi di pescatori, cioè i ministri della parola sulla terra e gli angeli alla fine del mondo, è affatto arbitraria.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:19; Marco 1:17; Luca 5:10

Matteo 13:26-30; 22:9-10; 25:1-4; Luca 14:21-23; Giovanni 15:2,6; Atti 5:1-10

Atti 8:18-22; 20:30; 1Corinzi 5:1-6; 10:1-12; 11:19; 2Corinzi 11:13-15,26

2Corinzi 12:20-21; Galati 2:4; 2Timoteo 3:2-5; 4:3-4; Tito 1:9-11

2Pietro 2:1-3,13-22; 1Giovanni 2:18-19; 4:1-6; Giuda 4-5; Apocalisse 3:1,15-17

Mt 13:48

48. quando è piena, i pescatori la traggono a riva;

cioè quando il numero degli eletti di Dio è completo, e che i suoi fini per la sua Chiesa sono ottenuti.

e, postisi a sedere,

Queste ultime parole indicano l'attenzione e la minuta cura colle quali la separazione verrà fatta,

raccolgono il buono in vasi, e buttano via ciò che non val nulla.

significa letteralmente guasti, corrotti, e viene usato qui in un senso più ampio, per tutto quello che nulla vale, inclusovi, nel caso di un pescatore ebreo, tutti quei pesci che dalla legge levitica eran dichiarati immondi.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:30,40-43; 3:12

Mt 13:49

49. Così avverrà alla fine dell'età presente. Verranno gli angeli, e toglieranno i malvagi di mezzo al giusti; 50. E li getteranno nella fornace del fuoco. Ivi sarà il pianto, e lo stridor dei denti.

Vedi Matteo 13:41-42

Mt 13:51

51. Avete intese tutte queste cose? Essi gli risposero: Sì.

I discepoli rispondono come fanciulli inconsapevoli della propria ignoranza. Solamente l'esperienza di lunghi anni a venire, sotto la direzione dello Spirito Santo, potrà far loro comprendere pienamente queste parabole. Ciò nonostante, il Signore non li vuole disanimare: le intendano quel tanto che, per il momento, è loro necessario o possibile.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:11,19; 15:17; 16:11; 24:15; Marco 4:34; 7:18; 8:17-18; Luca 9:44-45

Atti 8:30-31; 1Giovanni 5:20

Mt 13:52

52. Allora disse loro: Perciò, ogni scriba ammaestrato per il regno dei cieli,

Quel perciò viene a significare: «Bene, poiché, voi intendete, osservate quel che segue»; quindi, in un'altra parabola o figura, Gesù mette loro dinanzi ciò ch'egli aspetta da loro. In quei giorni lo Scriba, copista ed espositore delle Scritture, era riguardato come un uomo superiore agli altri nella conoscenza delle cose divine; perciò Gesù Cristo applica quel nome ai suoi discepoli ed a tutti coloro che in ogni secolo son bene ammaestrati nel regno della grazia.

è simile a un padrone di casa, il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie.

Ecco la parabola: lo scriba dell'Evangelo è rassomigliato ad un padrone di casa, vivente probabilmente a qualche distanza dalla città ove potrebbe ogni bisogno venir subito soddisfatto, il quale provvede costantemente non solo ciò di cui la famiglia ha bisogno, ma riunisce alle provvisioni che via via va facendo, gli avanzi di quelle già fatte; ben sapendo che verrà un tempo in cui tutti questi resti saranno utili. Così, secondo l'occorrenza, egli trae fuori del vecchio e del nuovo. Lo stesso devono fare i ministri del Vangelo per dare a ciascuno ciò che gli conviene, «tagliando dirittamente la parola della verità». Essi debbono dedicarsi allo studio diligente della parola e della dottrina, e formarne un tesoro nelle anime loro. Queste infatti sono il tesoro, dal quale trarranno fuori le verità sperimentali, benefiche, man mano che potranno essere utili agli altri. Il rapporto, chiaramente insegnato dal nostro Signore, in questa parabola, fra l'accumulare e il trar fuori dal tesoro, è assai trascurato ai dì nostri, da molti, i quali, avendo a mala pena fatto qualche

passo nella conoscenza del Vangelo ed essendo privi d'ogni tesoro, si reputano non pertanto «scribi bene ammaestrati!».

PASSI PARALLELI

Matteo 23:34; Esdra 7:6,10,21; Luca 11:49; 2Corinzi 3:4-6; Colossesi 1:7

1Timoteo 3:6,15-16; 2Timoteo 3:16-17; Tito 1:9; 2:6-7

Matteo 12:35; Proverbi 10:20-21; 11:30; 15:7; 16:20-24; 18:4; 22:17-18; Ecclesiaste 12:9-11

2Corinzi 4:5-7; 6:10; Efesini 3:4,8; Colossesi 3:16

Cantici 7:13; Giovanni 13:34; 1Giovanni 2:7-8

RIFLESSIONI

1. Le sette parabole di questo capitolo costituiscono un grande insieme che incomincia colla fondazione della Chiesa, e termina col giudizio finale. Cercare un minuto e particolare riscontro di questa serie di parabole con diversi periodi della storia della Chiesa, noi non lo dobbiamo; e chi lo fece diede nel capriccio e nell'incoerenza.

2. Le parabole delle zizzanie e della rete c'insegnano come sia vano aspettare, nello stato presente, una Chiesa perfettamente pura. L'aspettazione di un millennio nel quale si troveranno sulla terra, in carne e sangue, solamente uomini rigenerati, non si trova in alcun luogo della Scrittura; non mai, secondo essa, accadrà che vi sia un campo di grano senza zizzanie. Dal che parrebbe conseguire che, sotto il Vangelo, vi hanno solamente due grandi stadi: la condizione presente mista della Chiesa, e la futura finale, assolutamente scevra d'ogni mistura. L'èra, del millennio sarebbe, in tal caso, una continuazione della condizione presente, grandemente migliorata, per vero, e con poca mistura; ma non differente da questa nella sostanza.

3. Coloro che tanto parlano della dolcezza e mitezza di Cristo, come se questi solamente fossero i pregi del suo carattere, ammettono essi il severo insegnamento contenuto in queste due parabole, cioè che le zizzanie rappresentano "i figli del maligno"; che «la fornace del fuoco» è preparata appositamente per loro; e che l'Agnello di Dio darà ordine ai suoi angeli di gettarveli perché vadano a finire nel «pianto e nello stridor dei denti?». Oh, se gli uomini lo sapessero! La mitezza appunto dell'Agnello è quella che spiega l'eventuale «ira dell'Agnello» Apocalisse 6:16

4. Quelli che sostengono che il millennio sarà affatto diverso dalla presente dispensazione dell'Evangelo, ed accusano, come incoerente colla Scrittura, l'idea ch'esso non sarà altro che il perfetto sviluppo ed il trionfo della dispensazione evangelica, troveranno difficile interpretare, con altro principio, le parole del granello di senapa, e del lievito. Il graduale incremento dell'albero cristiano, finché il mondo intiero non sia ombreggiato dagli ampi suoi rami, e il silenzioso operare del lievito dell'Evangelo nell'umanità, finché l'abbia tutta quanta compenetrata, sono ammirabili rappresentazioni di quel che l'Evangelo è destinato a produrre prima del giudicio finale. Queste parabole rallegrano anche i servi di Cristo, dando loro, quando essi piantano sopra un terreno nuovo il vessillo della croce, la certezza d'un finale trionfo, o quando; sono esposti a tremende persecuzioni infondendo loro la sicurezza della vittoria definitiva.

5. Il tesoro nascosto e la perla di gran prezzo mostrano che Cristo è un valore inestimabile per quelli che hanno trovato in lui la salute dell'anima loro. Coloro che trovano Cristo senza cercarlo, godono solitamente la gioia più viva, la gioia d'una benedetta sorpresa; mentre, coloro che lo trovano dopo una lunga ed ansiosa ricerca provano ordinariamente un sentimento più profondo del suo valore. Lo stato dei primi viene rappresentato nella parabola del tesoro nascosto, e quello dei secondi nella parabola della perla di gran prezzo.

Mt 13:53

Matteo 13:53-58. VISITA DI CRISTO A NAZARET E L'ACCOGLIENZA CHE VI EBBE Marco 6:1-6

53. Ora, quando Gesù ebbe finite queste parabole, partì di là.

Secondo gli armonisti, fra questo versetto e il seguente trovano il loro posto cronologico gli avvenimenti narrati in Matteo 8:18;9:34

PASSI PARALLELI

Marco 4:33-35

Mt 13:54

54. E recatosi nella sua patria

cioè Nazaret, così chiamata in opposizione a Capernaum, ov'egli risiedè nel tempo del suo ministero, e che fu quindi chiamata «la sua città» Matteo 9:1

li ammaestrava nella loro sinagoga; talché stupivano, e dicevano: Onde ha costui questa sapienza, e queste potenti opere?

Sé la visita rammentata qui ed in Marco 6:1, sia la stessa di cui parla Luca 4:16-22, ne disputano i critici. Ecco le ragioni principali che sono addotte per sostenere la identità:

1. Ciascun evangelista parla di una sola visita a Nazaret, perciò è da presumere che, sebbene fra loro vi sia qualche diversità di ordine e di connessione, tutti parlino, del medesimo avvenimento.

2. È improbabile che, in una seconda visita, facessero quei cittadini i medesimi atti di maraviglia, e pronunziassero le stesse parole che nella prima.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:23; Marco 6:1-2; Luca 4:16-30; Giovanni 1:11

Salmo 22:22; 40:9-10; Atti 13:46; 28:17-29

Giovanni 7:15-16; Atti 4:13

Mt 13:55

55. Non è questi il figliuol del falegname?

Così parlando, i suoi concittadini non intendevano abbassare Cristo sotto di loro, ma farne bensì, né più né meno, un loro eguale. Nel passo parallelo di Marco, la domanda suona così: «Non è costui il falegname, il figliuol di Maria?». Prova evidente, e, secondo noi decisiva, ch'egli aveva esercitato quella professione fino a trent'anni; né dobbiamo dimenticare che ogni fanciullo ebreo era istruito in qualche mestiere.

Sua madre non si chiama ella Maria? e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56. E le sue sorelle non sono tutte tra noi? Donde vengono dunque a lui tutte queste cose?

Questo passo per quelli che ne accettano con semplicità il senso letterale, non è in se stesso difficile; ma tale diviene per le varie spiegazioni datene col fine di sostenere la teoria della perpetua verginità di Maria, e la terrena parentela di alcuni degli apostoli con Cristo. Opinioni fondate su dubbie tradizioni vengono nondimeno propugnate con grande accanimento, come se costituissero la vera essenza del Vangelo. Le parole «fratelli» e «sorelle», distinte da «parenti» usate a significare i suoi consanguinei, Luca 2:44, noi le riguardiamo come intese a specificare i figli di Giuseppe e di Maria. Invece di trattare quest'argomento in modo incompleto, man mano che si presenta in diverse parti dei Vangeli, reputiamo miglior consiglio trattarlo qui una volta per tutte.

1. Si osservi che le locuzioni i fratelli del Signore, e i fratelli di lui, ricorrono nove volte negli Evangeli; una negli Atti, ed una nelle Epistole, lasciando da parte Matteo 28:10, Giovanni 20:17, dove, quanto è certo che queste espressioni sono applicate agli apostoli ed agli altri discepoli fedeli, altrettanto è dubbio che si riferiscano ai suoi parenti. I tre primi passi degli Evangeli Matteo 12:46; Marco 3:31; Luca 8:19 narrano che sua madre ed i suoi fratelli vennero a lui mentre insegnava; seguono quindi il versetto che commentiamo e Marco 6:3, nei quali luoghi essi sono rammentati insieme colla madre e colle sorelle. Gli ultimi quattro sono: Giovanni 2:12, ove dicesi ch'essi e la sua madre andaron con lui a Capernaum; e Giovanni 7:3,5,10, ove narrasi che i suoi fratelli, i quali allora non credevano in lui, lo spingevano a mostrarsi al mondo. Il passo degli Atti 1:14 dice che, fra l'Ascensione e la Pentecoste, «gli apostoli perseveravano in preghiera con le donne, e con Maria madre di Gesù, e coi fratelli di esso» i quali avevano da ultimo creduto in lui. La menzione finale che di loro si fa nella Scrittura, si legge in 1Corinzi 9:5, ove Paolo distingue tra i fratelli e gli apostoli di Cristo.

2. Le principali tradizioni intorno ai fratelli del Signore sono le seguenti: 1. Secondo l'uso orientale, il termine fratelli abbraccia tutti coloro i quali, con legame morale o naturale, sono congiunti a Gesù, e per conseguenza non indica di necessità alcun grado prossimo o remoto di parentela. Rispondiamo: Se tutti quelli che credevano in lui, tutti i suoi apostoli, e tutti i parenti di sua madre e di Giuseppe, avevano diritto ad esser chiamati suoi fratelli, perché mai gli uomini di Nazaret ristringevano essi, in una maniera così speciale, cotesto appellativo a Giacomo, Jose, Simone e Giuda, associandoli alle loro sorelle; e perché mai questi soli fra la moltitudine dei parenti vivevano essi con Giuseppe e Maria. 2. Giuseppe aveva avuto quei figliuoli da un'altra moglie. Epifanio, vescovo di Cipro, citato da Lardner Credibilità della storia evangelica, Parte 2, lib. 1, cap. 84, dice che Giuseppe sposò Maria all'età di 80 anni circa, ed aveva avuti, da una prima moglie, sei figliuoli; teoria adottata dalla Chiesa greca. Rispondiamo: Questa tradizione non risale al di là d'Epifanio. Fra l'epoca in cui visse, e l'avvenimento di cui si tratta, corre un periodo non minore di 400 anni, nel corso dei quali, niuno vi fu che nemmeno sognasse una tal soluzione; e ciò la rende al sommo grado sospetta. Di più, sebbene un cotal matrimonio non

sia impossibile, pure è inverosimile che una donna giovane dell'età di Maria, accettasse per marito un uomo di 80 anni, con figliuoli più attempati di lei: È anche più improbabile che, essendo essi solamente figliastri, accompagnassero Maria ovunque ella andava, e che gli scrittori sacri non abbiano mai detto una parola per avvertire che il nome di fratelli non era da intendersi nel naturale suo senso di fratelli uterini.

3. Cleopa e Giuseppe erano fratelli; il primo morì senza prole, e Giuseppe, per conformarsi alla legge sul levirato Deuteronomio 25:5-10, aveva sposato Maria vedova di suo fratello, cosicché questi figli, sebbene de lege fossero riguardati come stirpe di Cleopa, erano de facto. figli di Giuseppe, e, in questo senso, fratelli del Signore: opinione questa di Crisostomo e Teofilatto. Rispondiamo: Chi abbraccia cotale opinione deve di necessità rinunziare all'idea, generalmente ricevuta, che le parole: «la sorella di sua madre, Maria di Cleopa» Giovanni 19:25, indichino la stessa persona; perché altrimenti, Giuseppe sarebbe stato reo di incesto, e di una flagrante violazione del Levitico 18:18, nello sposare due sorelle. Ma dato pure che fra Maria moglie di Cleopa, e Maria madre del nostro Signore non vi fosse parentela, questa opinione non regge, perché la legge del levirato non vincolava gli uomini ammogliati, ma solamente il più prossimo parente celibe; cosicché, se Giuseppe, dopo il suo matrimonio colla vergine Maria, avesse sposato Maria vedova del suo supposto fratello Cleopa, avrebbe commesso un adulterio; come l'avrebbe commesso sposando la vergine Maria, dopo aver già contratto matrimonio con Maria vedova di Cleopa. Ora, poiché ambedue queste mogli, assegnate a Giuseppe, erano vive quando il nostro Signore fu crocifisso, è giocoforza che i sostenitori di quella opinione scelgano fra i due termini di tale dilemma.

4. La tradizione, ad un tempo più plausibile e più generalmente adottata, si è che le persone chiamate «fratelli del Signore» fossero i suoi cugini germani, figli d'Alfeo creduto lo stesso che Cleopa e di Maria supposta sorella della madre di Gesù. Rispondiamo: Questa opinione appoggiasi sopra una serie di. asserzioni fatte ad arbitrio; cioè che la Maria rammentata in Giovanni 19:25, fosse la moglie di Cleopa; ch'ella fosse sorella di Maria, madre del Signore; che fosse identica colla Maria, madre di Giacomo il minore, e di Jose Matteo 27:56; Marco 15:40; che quella Maria fosse la

moglie di Cleopa; e che Alfeo, padre di Giacomo apostolo, fosse identico con Cleopa. Se tutti questi punti vengono senza esitazione ammessi, per certo, abbiamo una sorella della vergine Maria maritata ad Alfeo con figli chiamati Giacomo e Jose: donde naturalmente risulta che le persone rammentate nel testo erano cugini germani di Gesù, e che tre, d'infra quei quattro, si annoverarono fra i suoi apostoli. Ma che Alfeo e Cleopa sien due forme differenti del medesimo nome ebraico, non c'è prova alcuna; e se pur vi fosse, non basterebbe a dimostrare che questo Cleopa fosse il medesimo che Alfeo, padre di Giacomo apostolo. L'espressione ellittica, conforme l'uso ebraico, Maria di Cleopa Giovanni 19:25, vuol esser completata colla parola figlia, e non già colla parola moglie, come nel caso di Giacomo di Alfeo Matteo 10:3. Un esempio lampante di quest'uso si trova in Luca 3:24-38. Di più, l'espressione «sorella di sua madre» Giovanni 19:25, da molti dei più insigni espositori viene riguardata non già come intesa a precisare Maria di Cleopa, ma come indicatrice di tutt'altra persona. C'è inoltre una forte ragione per credere che la espressione summentovata, Giovanni l'adoperi qui a significare la sua propria madre. Era pur dessa presente insieme con altre donne di Galilea, a piè della croce; essa viene rammentata da Matteo siccome «madre dei figli di Zebedeo» Matteo 27:56, e da Marco sotto il nome di «Salome»; e se con questa nome non intendeva parlar di sua madre, Giovanni si è fatto reo di una strana omissione, veramente indegna d'un figlio. Maria di Cleopa era senza dubbio la moglie di Alfeo, ma se ella non fu moglie di Cleopa e sorella della madre di nostro Signore, le basi sulle quali si regge questa tradizione sprofondano, ed essa ruina.

Un'altra prova contraria è questa, che Cleopa e Maria sua moglie, secondo questa teoria, essendo, sempre vivi, è altamente improbabile che avessero cacciato di casa i propri figli e figliuole, per lasciare il peso del loro mantenimento al povero falegname e alla sua moglie; poiché essi, com'è chiaro, vivevano con loro in Nazaret, e accompagnavano Maria ovunque ella andasse. Di più, gli uomini di Nazaret, i quali conoscevano intimamente la famiglia, non avrebbero mai considerato costoro come figli di Giuseppe e di Maria, se veramente essi avessero appartenuto ad altri genitori, per quanto stretta corresse la parentela fra le due famiglie. Finalmente, chi voglia identificare, come fa la tradizione, Giacomo il minore e Jose, colle persone qui rammentate come fratelli del nostro Signore, cadrà in una stridente

contradizione; poiché Giacomo il minore, figlio di Alfeo, insieme con altri due, nominati, Simone e Giuda, furono di buon'ora scelti dal nostro Signore come suoi apostoli mentre in un periodo molto più avanzato del suo ministero, ci viene detto che i suoi fratelli non credevano in lui Giovanni 7:5. A cagione probabilmente della loro persistente incredulità, Gesù, dalla croce, affidò sua madre al «diletto discepolo», Giovanni 19:26-27; poiché solamente dopo la risurrezione del Signore noi li troviamo, la prima volta, rammentati come compagni degli apostoli, sebbene distinti affatto da quella corporazione; e come tali ci appariscono ancora, quando, per l'ultima volta, si parla di loro nella Scrittura 1Corinzi 9:5. Se dunque noi ci atteniamo alla semplice testimonianza della Scrittura, sembra non esservi ragione alcuna di dubitare che i fratelli e le sorelle nominati dagli uomini di Nazaret, fossero i figli minori di Giuseppe e di Maria. Conviene rammentarsi sempre che il miracoloso concepimento del Signore Gesù nel seno della vergine Maria e la susseguente verginità perpetua della sua Madre, son due cose affatto distinte Vedi nota Matteo 1:25Matteo 1:25. Rispetto ai fratelli del nostro Signore, Vedi anche Matteo 10:1-3

PASSI PARALLELI

Salmo 22:6; Isaia 49:7; 53:2-3; Marco 6:3; Luca 3:23; 4:22; Giovanni 1:4546; 6:42

Giovanni 7:41-42; 9:29

Matteo 1:18-20; Luca 1:27; 2:5-7

Matteo 12:46,48; 27:56; Marco 15:40,47; 16:1; Luca 24:10; Giovanni 19:25; Galati 1:19

Matteo 13:56

Mt 13:57

57. E si scandalezzavano di lui.

La domanda precedente mostra che gli uomini di Nazaret erano certi che Gesù non poteva aver ricevuto la sua sapienza e potenza dall'educazione impartitagli in casa di Giuseppe. La sapienza dei suoi insegnamenti e i miracoli ch'egli operava erano una pietra d'inciampo per i suoi concittadini, i quali consideravano la sua umile nascita e le circostanze tutt'altro che prospere della sua famiglia come motivi sufficienti per rigettarlo. Siccome egli era cresciuto fra loro, i suoi concittadini, pieni d'invidia, non ammettevano ch'egli affacciasse delle pretese così alte.

Ma Gesù disse loro: Un profeta non è sprezzato che nella sua patria, e in casa sua.

Sembra che questo fosse un proverbio. Lungi dal considerar questo ricevimento quale offesa ed insulto personale e tale era infatti, il nostro Signore lo considera semplicemente come un esempio d'un fatto generale e comune: che i più altamente onorati! Strumenti ed agenti di Dio sono soggetti non solo ad essere disprezzati dai loro simili, ma ben'anche ad essere disonorati da quelli che meglio lo conoscono, e che sembrerebbero più particolarmente in obbligo di onorarli. La ragione di tal fatte è che gli estranei giudicano le persone soltanto dai loro atti pubblici, o dalla loro condotta ufficiale; mentre gli amici ed i vicini, anche i più benevoli, tanto si occupano dei più minuti particolari della vita degli individui, che, al confronto, le più eminenti loro qualità restano, se non travisate, almeno oscurate.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:6; Isaia 8:14; 49:7; 53:3; Marco 6:3; Luca 2:34-35; 7:23; Giovanni 6:42,61

1Corinzi 1:23-28

Marco 6:14; Luca 4:24; Giovanni 4:44; Atti 3:22-23; 7:37-39,51-52

Mt 13:58

58. E non fece quivi molte opere potenti a cagione della loro incredulità.

Le parole di Marco sono non poteva fare. il difetto di capacità, del quale si parla, non è assoluto, ma relativo. La stessa voce che acquietava le tempeste non poteva imporsi eziandio dovunque, ed in ogni circostanza, alle malattie; ma ordinariamente nostro Signore, dagl'infermi che imploravano il suo aiuto richiedeva, la fede, mancando la quale, l'aiuto non era dato. Troviamo nella narrazione di Marco che in alcuni casi anche in Nazaret, quella fede esisteva; per conseguenza alcune guarigioni erano state operate; ma la miscredenza della maggior parte dei suoi conterranei ristringeva le benedizioni di Cristo. Erano troppo pregiudicati per poter esser convinti.

PASSI PARALLELI

Marco 6:5-6; Luca 4:25-29; Romani 11:20; Ebrei 3:12-19; 4:6-11

RIFLESSIONI

1. Vediamo in questa storia, dispiegarsi agli occhi nostri una triste pagina del libro della natura umana. Noi disprezziamo generalmente i beni che ci costano poco. Egli è dolorosamente vero che, in religione più che in ogni altra cosa, la familiarità genera il disprezzo. Purtroppo gli uomini, dimenticando che per quanto sia vecchia, la verità è pur sempre la verità, la disprezzano per la sua vecchiezza. Ahimè, operando in tal guisa, essi provocano Iddio a toglierla via da loro!

2. Il capitolo finisce con le parole: «Ed egli non fece quivi molte potenti opere a cagione della loro incredulità». Parole tremende, che chiudono in se il segreto della ruina eterna di migliaia di anime, le quali periscono per sempre per non voler credere! Nulla c'è nel cielo o sulla terra che loro impedisca la salvazione. I loro peccati, per quanto numerosi, possono essere perdonati, l'amore del Padre è pronto a riceverli, il sangue di Cristo a lavarli, la potenza dello Spirito a rinnovarli; ma a tutto questo essi oppongono una grande barriera: essi non vogliono credere. «Voi non volete venire a me», dice Cristo, «per aver la vita» Giovanni 5:40

Mt 14:1

CAPO 14 - ANALISI

1. Erode teme che Gesù sia il Battista risuscitato. Erode, governatore della Galilea, ode, verso questo tempo, parlare della fama di Gesù quale operatore di miracoli. La superstizione che aveva indotto molti fra i suoi cortigiani a bisbigliare fra loro essere costui l'ucciso Battista resuscitato Luca 9:7, aveva preso possesso, secondo Matteo, anche dell'anima del tetrarca. Il rimorso lo aveva fatto codardo Matteo 14:1-2.

2. Morte di Giovanni Battista. Le circostanze e la storia della morte del Battista occupano qui il loro posto naturale, il fatto essendo accaduto intorno a questo tempo Matteo 14:3-12.

3. Cristo si ritira in un luogo deserto coi discepoli. Cristo ed i suoi discepoli, saliti in una navicella, si ritirarono da un luogo deserto sulla sponda orientale del lago; ma i suoi movimenti, e la direzione della navicella, furono spiati da coloro che desideravano di goder delle sue istruzioni, onde, innanzi ch'egli vi giungesse, una gran folla di gente Marco 6:32-34 già occupava quel luogo Matteo 14:13.

4. I cinquemila uomini saziati miracolosamente nel deserto. Per soccorrere costoro, poiché si trovavano là senza cibo né ricovero, Gesù, nonostante le insistenze dei suoi discepoli perché licenziasse quelle turbe a cagione della notte che si avvicinava, sfamò, in quel luogo deserto, cinquemila persone con cinque pani e due pesciolini Matteo 14:14-21.

5. Cristo e Pietro camminano sulle acque. Licenziata la moltitudine, e fatti imbarcare di nuovo i suoi discepoli, Gesù cercò la solitudine della montagna per trattenersi col suo Padre celeste Matteo 14:22-23. Sbattuta da venti contrari, la navicella poco avanzò. Essa era nel mezzo del lago, quando, verso la quarta vigilia della notte fra le 3 e le 6 ant. Gesù, che gl'impauriti rematori credettero uno spirito, si avvicinò a: loro camminando sulle acque, ed acquetò i loro timori Matteo 14:24-27. Pietro chiede il permesso di

camminare anch'egli sulle acque per incontrare il suo maestro; invitato, ci si prova; ma, fatti pochi passi, venendo meno la fede, incominciò ad affondare. Allora Gesù lo salvò, entrò nella barca, e fece chetare il vento Matteo 14:2833.

6. Gesù si reca a Gennesaret. Negli ultimi versetti di questo capitolo, l'Evangelista narra la visita che Gesù fece a Gennesaret, il giorno stesso dello sbarco a Capernaum dalla costa orientale, ed indica l'ardente desiderio mostrato dal popolo di godere della sua miracolosa potenza di guarigione Matteo 14:34-36.

Matteo 14:1-2. ERODE TEME CHE GESÙ SIA IL BATTISTA RISUSCITATO Marco 6:14-16; Luca 9:9

1. In quel tempo, Erode il tetrarca udì la fama di Gesù,

Siccome gli evangelisti Matteo e Marco inseriscono questo fatto dopo la seconda visita a Nazaret quest'ultimo collocando la prima missione degli apostoli fra le due visite, è probabile che, in questo intervallo o poco prima, sia stato messo a morte Giovanni Battista. Erode Antipa, tetrarca di Galilea, era il secondogenito di Erode il Grande, e fu poi esiliato in Ispagna dove morì. Vedi nota Erode Luca 3:1Luca 3:1. Siccome Cristo già da molto tempo esercitava il suo pubblico ministero in Galilea, talché la sua fama si era sparsa dappertutto, ci parrebbe piuttosto strano che Erode non ne avesse udito parlare fino allora, se non sapessimo che, durante la maggior parte di quel tempo, questi era rimasto nel deserto, all'est del Giordano, guerreggiando contro il suo suocero Areta, re dell'Idumea.

PASSI PARALLELI

Marco 6:14-16; 8:15; Luca 9:7-9; 13:31-32; 23:8-12,15; Atti 4:27

Luca 3:1

Mt 14:2

2. E disse a' suoi servitori: Costui è Giovanni Battista; egli è risuscitato da' morti, e però agiscono in lui le potenze miracolose.

Dal passo parallelo, in Marco, siamo informati che alla corte di Erode si era domandato chi mai si fosse questo profeta di Nazaret. Congetturarono alcuni che fosse Elia, aspettato in persona qual precursore del Messia; altri, per superstiziosi timori, pensando all'omicidio commesso sulla persona di un profeta insigne, argomentavano che fosse Giovanni stesso, risorto dai morti e tornato alla sua missione. Questa era la credenza di Erode stesso, il quale non ebbe scrupolo di manifestarlo ai servi di sua fiducia, trovandosi oppresso dalle rimostranze della sua coscienza. Si osservi, nel caso di quest'uomo, qual possanza dispiega sul peccatore una coscienza risvegliata. In fatto di religione, Erode e tutti i suoi partigiani professavano le opinioni dei Sadducei Marco 8:15, i quali, all'idea dell'anima, della risurrezione dei morti, della vita futura, degli angeli e degli spiriti ridevano di scherno. Ciò nonostante, quando la coscienza, e la paura costrinsero Erode a palesare i più intimi segreti del cuore, allora egli abbandonò il suo scetticismo, e fu costretto di ammettere la risurrezione e l'immortalità dell'anima. Gli scettici dei nostri giorni, trovandosi in una posizione simile a quella di Erode, abbandonerebbero anch'essi i loro principi.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:11; 16:14; Marco 8:28; Giovanni 10:41

Mt 14:3

Matteo 14:3-12. IL BATTISTA VIENE IMPRIGIONATO E DECAPITATO. VITA PRIVATA DI ERODE Marco 6:17-29; Luca 3:1920

Per l'esposizione Vedi Marco 6:17Marco 6:17-29.

Mt 14:13

Matteo 14:13-21. VISITA ALLA SPIAGGIA ORIENTALE DEL LAGO DI TIBERIADE. MIRACOLO DELLO SFAMARE I CINQUEMILA Marco 6:30-44; Luca 9:10-17; Giovanni 6:1-13

Per l'esposizione Vedi Marco 6:30Marco 6:30-44.

Mt 14:22

Matteo 14:22-36. CRISTO CAMMINA SULLE ACQUE. PIETRO SI PROVA A FARE LO STESSO E AFFONDA Marco 6:45-52; Giovanni 6:15-24

22. Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a montare nella barca,

Il miracolo precedente convinse il popolo che Gesù era il Messia; e ciò spiega perché tentassero costoro di prenderlo per forza e farlo re Vedi Giovanni 6:15. Forse, avendo i discepoli in questa occasione mostrato di pensarla col popolo, Gesù li obbligò a dare, colla loro partenza, il buon esempio alle turbe. La parola costrinse implica riluttanza a dipartirsi; ma fu probabilmente cagionata non meno dall'ansioso timore di lasciar Gesù solo colle turbe, che da un qualche desiderio di giungere agli onori, mediante la promozione del loro divino Maestro.

ed a precederlo sull'altra riva, mentre egli licenzierebbe le turbe.

Marco 6:45 aggiunge «verso Betsaida», mentre Giovanni 6:17 dice: «Traevano all'altra riva del mare verso Capernaum». Non è difficile mettere d'accordo questi particolari. Betsaida Matteo 11:21 giaceva all'imbocco del Giordano nel lago, alquanto a N. E. di Capernaum, e il luogo deserto ove il

miracolo fu operato apparteneva a Betsaida Luca 9:10, cosicché dev'essere stato un po' a S. E. di quest'ultima città, lungo la spiaggia del lago; quindi, facendo vela per ritornare a Capernaum, la rotta li avrebbe condotti verso Betsaida: e là, il nostro Signore si era proposto di raggiungerli, dopo aver licenziata la folla. Al S. E. del Giordano si trova una pianura larga quasi otto miglia, chiamata oggidì Butaiha, che una montagna separa dal lago a mezzodì. Thomson asserisce, ed è cosa molto probabile, che lo stupendo miracolo venne operato in quel punto ove si incontrano la pianura, il lago, ed il monte.«Era indubbiamente deserto allora come ora, perché non è suscettibile di coltivazione. Nella piccola baia furono ancorate le navicelle. Sul bel declivio, alla base del poggio roccioso, il popolo fu fatto sedere, per ricevere dalle mani del Figliuol di Dio il pane miracoloso, emblema del suo corpo, pane disceso dal cielo» The Land and the Book, p. 372.

PASSI PARALLELI

Marco 6:45

Matteo 13:36; 15:39

Mt 14:23

23. E licenziatele, si ritirò in disparte sul monte per pregare.

La montagna, come dicemmo, doveva essere vicina, e Gesù vi salì per pregare. Non è forse strano che l'eterno Iddio sentisse bisogno di fare orazione? Non dimentichiamo mai che in Cristo erano due nature, distinte tra loro e perfette nelle loro manifestazioni. La natura divina di Gesù non aveva bisogno di pregare, ma l'anima sua umana non poteva farne di meno; per questa, la preghiera era alimento, cibo e sostegno. L'uomo Gesù imparò quel che, coll'esempio insegnò al suo popolo, imparò che Iddio vuole gli sia chiesto tutto ciò che ci occorre. L'anima sua, ci viene detto, era talvolta «afflitta»: or questa può essere stata una di quelle occasioni. La notizia della morte di Giovanni Battista ch'egli aveva ricevuta in quel giorno; l'eccitamento del popolo in suo favore, che in quella sera era giunto al colmo

col desiderio di farlo re, e che andò scemando d'allora, in poi; la pietà che sentiva per costoro, che gli parevano «pecore disperse senza pastore», tutti questi motivi insieme lo spinsero probabilmente a ritirarsi per conversare col suo Padre celeste, e riceverne una tal provvisione di grazia che lo rendesse capace di proseguire l'opera ch'era venuto a compiere sulla terra. Or seguiamo l'esempio di Cristo; ciò di cui abbisognava l'anima umana del Figlio di Dio è mille volte più indispensabile a noi.

E, fattosi sera, era quivi tutto solo.

L'avvicinarsi della sera viene qui rammentato due volte: avanti il miracolo Matteo 14:15 e dopo. Alcuni hanno creduto che ciò fosse una svista, una inavvertenza, mentre sta in perfetta armonia coll'uso ebraico di distinguere due sere Esodo 12:6;29:39,41; Levitico 33:5; Numeri 9:3,5;28:4, una delle quali incominciava quando principiava a calare il sole, l'altra dopo il tramonto. Giovanni 6:17 dice che quest'ultima incominciava col buio.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:6; 26:36; Marco 6:46; Luca 6:12; Atti 6:4

Giovanni 6:15-17

Mt 14:24

24. Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde; perché il vento era contrario.

Così corre il testo emendato. Il vento proveniente dagli alti monti della Galilea a Nord soffiava verso il centro del lago, e contro chi vogava verso Betsaida. Essendo esso, contrario, i discepoli non potevano adoprare le vele; perciò dovettero ricorrere ai remi, il che combina colla descrizione di Giovanni. Questo versetto ci descrive una dura fatica di dieci ore, dal tramonto all'alba, nelle quali gli apostoli poterono avanzare soltanto di 20 o 30 stadi, cioè di tre miglia e mezzo Giovanni 6:19

PASSI PARALLELI

Matteo 8:24; Isaia 54:11; Marco 6:48; Giovanni 6:18

Mt 14:25

25. Ma alla quarta vigilia della notte,

Lo spazio naturale della notte, dal tramonto cioè al sorgere del sole, era dagli antichi Ebrei diviso in tre parti, ossia,«veglie» di quattro ore l'una, e chiamate: «il principio della veglia» Lamentazioni 2:19; «la veglia della mezzanotte» Giudici 7:19; e «la veglia della mattina» 1Samuele 11:11. Durava la prima dalle sei alle dieci, la seconda dalle dieci alle due, la terza dalle due alle sei. I Romani però, ad imitazione dei Greci, dividevano la notte in quattro «vigilie» di tre ore l'una, e gli Ebrei, al tempo di Cristo, avevano adottato quest'ultima divisione. Marco 13:35 distingue questi quattro periodi colle parole la sera, mezzanotte, il cantar del gallo, e la mattina. Quindi le parole «la quarta vigilia» indicano il tempo che passa fra le 3 e le 6 antimeridiane.

Gesù andò verso loro camminando sul mare.

Non lungo la sponda, come alcuni hanno sognato, ma sull'acqua. Quest'ultimo senso è richiesto dall'intiero contesto.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:43; Luca 12:38

Giobbe 9:8; Salmo 93:3-4; 104:3; Marco 6:48; Giovanni 6:19; Apocalisse 10:2,5,8

Mt 14:26

26. E i discepoli, veggendolo camminar sul mare, si turbarono, e dissero: È un fantasma! E, dalla paura, gridarono.

Il vocabolo «fantasma» apparizione, vuol essere inteso nel senso più ampio, come significante ogni apparenza incorporea. In quella scarsa luce, i discepoli non poterono discernere che i contorni della persona; mentre il fatto narrato da Marco 6:48, che cioè Gesù facesse le viste di passare oltre, confermerebbe lo spavento ch'essi provarono, supponendo ch'egli fosse un fantasma. Dalla paura, strillarono. La medesima parola greca è altrove usata a significare gli urli sovrumani degl'indemoniati. Questi particolari, mentre sono vive rimembranze della memoranda scena, mostrano che i dodici, dopo la prima loro missione, conservavano ancora molte idee puerili e superstiziose, le quali non vennero pienamente distrutte che assai più tardi.

PASSI PARALLELI

1Samuele 28:12-14; Giobbe 4:14-16; Daniele 10:6-12; Marco 6:49-50; Luca 1:11-12

Luca 24:5,45; Atti 12:15; Apocalisse 1:17

Mt 14:27

27. Ma subito Gesù parlò loro, e disse: State di buon animo, son io, non temete.

Per quanto volesse mettere a prova la loro intelligenza e la loro fede, non aveva Gesù intenzione di lasciare i suoi discepoli in tale stato di penosa dubbiezza. Con quella voce ch'essi ben, conoscevano, egli parlò loro, vincendo per tal guisa i loro superstiziosi timori. Quando Cristo si presenta in qualche forma insolita ed allarmante, mediante dolori, afflizioni e prove, i suoi spesso lo disconoscono; ma egli, come in questo caso, li conforta e rassicura.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:2; Giovanni 16:33; Atti 23:11

Isaia 41:4,10,14; 51:12; Luca 24:38-39; Giovanni 6:20; 14:1-3; Apocalisse 1:17-18

Mt 14:28

28. E Pietro gli rispose: Signore, se sei tu, comandami di venire a te sulle acque.

Questo incidente, ricordato dal solo Matteo, è tanto in armonia coll'indole di Pietro, che se l'evangelista non l'avesse nominato, noi gliel'avremmo senza dubbio attribuito. Il suo affetto per Gesù, l'impeto che lo spinse ad operare senza riflessione, lo sgomento ch'egli provò allorquando si vide nel pericolo, tutto qui viene dipinto; e bene a ragione questo avvenimento fu chiamato quasi un preludio al suo rinnegamento ulteriore. Si osservi però ch'egli non chiede un semplice permesso, ma un esplicito comando di Cristo, poiché è ben sicuro che, dietro questo comando, nulla di male gli potrebbe accadere.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:27; 26:33-35; Marco 14:31; Luca 22:31-34,49-50; Giovanni 6:68; 13:36-38

Romani 12:3

Mt 14:29

29. Ed egli disse: Vieni. E Pietro, smontato dalla barca, camminò sulle acque, e andò verso Gesù.

Ci voleva uno spirito audace per desiderare, e più audace ancora per tentare quel cammino strano, senza timore di annegamento. Gesù però aveva una lezione da impartire a Pietro, per correggere il suo carattere e per fargli comprendere ch'egli doveva in avvenire dipendere intieramente da lui; perciò gli dà il comando desiderato: «Vieni». Quanto coraggio infonde in ogni tempo, nei cuori dei suoi discepoli quest'ordine: «Vieni!» quando Gesù lo dà loro col mezzo del suo Vangelo! Il camminar di Pietro sull'acque è una rivelazione parlante della natura della fede, ed un notevole esempio della potenza dell'uomo spirituale sulle leggi inferiori della materia, così spesso indicata da Cristo Matteo 17:20;21:21

PASSI PARALLELI

Mt 17:20; 21:21; Marco 9:23; 11:22-23; Luca 17:6; Atti 3:16; Romani 4:19

Filippesi 4:13

Mt 14:30

30. Ma, vedendo il vento, ebbe paura; e, cominciando a sommergersi, gridò: Signore, salvami!

La violenza del vento e il furore delle onde, quando Pietro saltò dalla barca e cominciò a camminare, continuarono anche dopo; ma nel primo istante egli non se ne avvide: il suo occhio era fisso in Cristo, la sua fede poggiava sul comando di lui; ma prima ch'egli si fosse di molto allontanato, l'occhio suo si distolse dal Maestro, si volse alle onde: l'aiuto, ch'era pronto, fu dimenticato nel pericolo; e siccome la paura vinceva in lui la fede, egli cominciò ad affondare. Allora fu convinto della sua temerità nell'esporsi volontariamente al pericolo. Si osservi, ciò nonostante, che la sua fede, in quel momento di prova, rimane tanto salda, ch'egli si affida, per la sua salvezza, unicamente a Cristo. «Signore, salvami!» tal fu la preghiera che il sentimento del bisogno, e la vista di Cristo, pronto a soccorrerlo gli suggerirono.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:69-75; 2Re 6:15; Marco 14:38,66-72; Luca 22:54-61; Giovanni 18:25-27

2Timoteo 4:16-17

Matteo 8:24-25; Salmo 3:7; 69:1-2; 107:27-30; 116:3-4; Lamentazioni 3:54-57; Giona 2:2-7

2Corinzi 12:7-10

Mt 14:31

31. E Gesù stesa subito la mano lo afferrò e gli disse: O uomo di poca fede, perché hai dubitato?

Il trattamento usato da Cristo verso Pietro, in questa circostanza, è un esempio della benignità colla quale egli tratta i suoi. Cotesto rabbuffo non venne fatto a Pietro mentre egli affondava nell'acqua: Gesù prima gli stese la mano, lo salvò e rinvigorì la sua fede, in modo ch'egli poté reggersi al suo fianco sulle onde; quindi gli rimproverò la debolezza della sua fede. Così quando Cristo ci stende la mano e ci salva, ci meravigliamo di aver potuto, fosse pure per un istante, dubitare della sua potenza e della sua grazia.

PASSI PARALLELI

Salmo 138:7; Isaia 63:12; Marco 1:31,41; 5:41; Atti 4:30

Genesi 22:14; Deuteronomio 32:36; Marco 16:7; Luca 22:31-32; 24:34; 1Pietro 1:5

Matteo 8:26; 16:8; 17:20; Marco 11:23; Romani 4:18-20; 1Timoteo 2:8; Giacomo 1:6-8

Mt 14:32

32. E quando furono montati nella barca, il vento si aquetò. 33. Allora quelli ch'erano nella barca si prostrarono dinanzi a lui, dicendo: Veramente tu sei il Figliuol di Dio.

Il Signore condusse Pietro alla barca, e mentre essi vi entravano, il vento che fino allora aveva imperversato, cessò ad un tratto. Marco ci narra che i discepoli rimasti a bordo «più che mai sbigottirono in loro stessi»; ma non basta: il nostro Evangelista ci narra che essi si prostrarono innanzi a lui adorando. Quest'atto è ben definito dalle loro parole: «Veramente tu sei il Figliuolo di Dio!» Qual fosse il valore dato in questo ed in altri casi ad un titolo così misterioso, non è facile determinare, ma è certo che i discepoli erano convinti che in Gesù abitava Dio, com'egli lo asseriva.

PASSI PARALLELI

Salmo 107:29-30; Marco 4:41; 6:51; Giovanni 6:21

Matteo 15:25; 28:9,17; Luca 24:52

Matteo 16:16; 17:5; 26:63; 27:43,54; Salmo 2:7; Daniele 3:25; Marco 1:1; 14:61; 15:39

Luca 4:41; 8:28; Giovanni 1:49; 6:69; 9:35-38; 11:27; 17:1; 19:7; Atti 8:37

Romani 1:4

Mt 14:34

Avvenimenti successi immediatamente dopo lo sbarco Matteo 14:34-36

34. E passati all'altra riva, vennero nel paese di Gennesaret.

Chi ponga bene a confronto il ragguaglio che, dello sbarco dà Giovanni, con quello che contiene in questo versetto ed in Marco 6:53, vedrà che la contraddizione apparente, ch'è fra loro, può benissimo conciliarsi se si considera l'affermazione di questo versetto come relativa a due movimenti di Cristo e dei suoi discepoli, distinti e separati, sebbene immediatamente successivi. Il primo è lo sbarco a Capernaum, dopo che la barca, per miracolo certamente, fu in un batter d'occhio giunta alla sua destinazione Giovanni 6:21. Il secondo è una breve gita successiva da Capernaum a Gennesaret, sulla sponda occidentale del lago. Giovanni asserisce chiaramente che il giorno seguente la moltitudine, che era rimasta sulla spiaggia dei Gadareni, traversò il lago, trovò Gesù in Capernaum, ed ivi ascoltò il suo discorso sul «pane della vita»; del che può darsi facilmente ragione, quando si supponga che, solamente dopo il discorso, Gesù s'imbarcò a Capernaum per Gennesaret. Questo paese, che chiamasi oggi el Ghuweir, è posto sulla sponda occidentale del lago, ed è chiamato da Flavio, Gennezar, nome che generalmente si crede una corruzione di Chinnerot o Chinneret, una delle città assegnate alla tribù di Neftali Giosuè 19:35, e dalla quale il lago prese il sito antico nome Numeri 34:11. Vi era là probabilmente una città o villaggio, chiamato Gennesaret ai tempi del nostro Signore, sebbene non se ne faccia speciale menzione. Questa contrada, negli antichi tempi, era fertilissima e Flavio la descrive come un paradiso terrestre. Secondo Thomson, è tuttora copiosamente irrigata, sebbene, a cagione dell'abbandono in cui si trova, vi abbondino le spine. Egli conferma, quanto all'estensione di essa, le misure che ne diede Flavio: cioè 30 stadi di lunghezza (3 o 4 miglia) e 20 di larghezza, circa 2 miglia.

PASSI PARALLELI

Marco 6:53-56

Luca 5:1

Mt 14:35

35. E la gente di quel luogo, avendolo riconosciuto, mandò per tutto il paese all'intorno, e gli presentarono tutti i malati; 36. E lo pregavano che lasciasse loro toccare non foss'altro che il lembo del suo vestito; e tutti quelli che lo toccarono furono completamente guariti.

Durante i tre anni del suo ministerio, Gesù si fece conoscere dal popolo di Galilea come profeta operatore di miracoli. Perciò la sua venuta fu tosto annunziata a tutti i malati dei dintorni. Questi versetti abbracciano uno spazio di tempo indefinito e forse non breve. Questo è uno dei molti passi che ci mostrano quanto i miracoli del Signore, a noi non noti, superino in numero quelli narrati negli Evangeli. Sebbene moltissimi di quei miracoli non sieno mai stati esposti in alcuna pagina scritta, pure ognuno ha il suo monumento di gratitudine o di rimorso, nell'altro mondo. Certo chi credeva che fosse necessario toccare il lembo della veste di Gesù per esser guarito, dava nel superstizioso, e chi supponeva non bastasse la sua parola, toglieva qualcosa all'onor di lui; ma per non spegnere il lucignolo fumante, Gesù adattava se stesso alle rozze idee di costoro, che però non giustifica minimamente che s'abbia a por fede nella virtù delle reliquie neppur se fossero genuine, e nella grazia sacramentale dei simboli. Tal debolezza poteva tollerarsi allora in gente che, ignorando la divinità di Gesù, cercava di avvicinarsi materialmente a lui; ma ora ch'egli; col profumo della sua grazia, empie il cielo e la terra, noi dobbiamo ricevere colla fede, non già colla vista o col tatto, la salvazione ch'egli ci reca dal cielo. L'epoca di questo soggiorno a Gennesaret è quella descritta in Giovanni 7:l

PASSI PARALLELI

Matteo 4:24-25; Marco 1:28-34; 2:1-12; 3:8-10; 6:55

Matteo 9:20-21; Marco 3:10; Luca 6:19; Atti 19:11-12

Matteo 23:5; Esodo 28:33-43; Numeri 15:38-39

Giovanni 6:37; 7:23; Atti 3:16; 4:9-10,14-16

RIFLESSIONI

1. Non solamente il nostro Signore ci esorta a pregare del continuo senza stancarci, ma ancora ce ne dà l'esempio. La sua santa anima umana aveva bisogno d'essere così nutrita e rinfrescata, ed egli ci addita dove a noi convenga andare per trovare cibo spirituale ed incremento nella grazia. Dopo un giorno di faticoso lavoro, Gesù abbisognava di riposo, e riposo egli trovò, non già nel sonno, ma nella preghiera. Egli esemplifica il suo precetto in Matteo 6:6, facendo della montagna solitaria la sua «cameretta».Egli manda via i suoi discepoli per starsene solo col suo Padre. Mentre i discepoli erano tentati di credere che il Maestro fosse incurante e dimentico dei loro pericoli, egli pregava per loro. Per adempiere l'uffizio di mediatore Egli fu veramente Dio e uomo, somministrando, secondo i casi, prove di ambedue le nature. Tenendo tutte le cose nella sua propria possanza, egli si dimostrò uomo in questa circostanza per le sue preghiere dettate da umano affetto verso i suoi Vedi Ebrei 2:11-16. La divina sua maestà rimase, per così dire, in riposo, pronta a sorgere splendida, a tempo opportuno.

2. Questi versetti ci provano che Cristo esercita un dominio assoluto sopra tutte le cose create. In un'altra circostanza di già, sul medesimo lago, egli aveva manifestato la sua potenza divina sulla natura, costringendo i marinari ad esclamare: «Qual uomo è mai costui, che anche i venti ed i flutti gli ubbidiscono!». Ora noi lo vediamo camminare sul lago come se fosse terra ferma: avvenimento incomprensibile affatto ai nostri poveri e deboli intelletti! Basti a noi che ciò accadde; basti a noi rammentare che, a Colui il quale creò i mari al principio, dovette essere cosa facilissima, camminare, quando a lui piacque, sui flutti. C'è per ogni cristiano un grande conforto nel pensare che tutto serve a Cristo. Egli può permettere che il suo popolo sia provato per un tempo: e può anche venire tardi al suo soccorso; ma non si dove mai dimenticare che i venti, i flutti e le tempeste sono al comando di Cristo, e non possono muoversi senza il suo permesso.

3. Noi impariamo che, se vogliamo antivenire la Provvidenza, ed affrontare difficoltà alle quali non siamo chiamati, noi ci esponiamo a cadute vergognose, le quali ci proveranno quanto siamo deboli e temerari. Nelle parole di Pietro: «Comanda che io venga a te», c'è una gran fede ed un

coraggio grande; ma la fede che arrischia e il coraggio che ardisce sono una cosa mentre il coraggio che perdura e la fede che resiste salda fino alla fine sono un'altra cosa.

4. Si osservi qual possanza Gesù può concedere a coloro i quali confidano in lui. Camminando egli stesso sul lago, Gesù compiva un gran miracolo; ma dando ad un povero discepolo la capacità di fare altrettanto, egli ne compiva uno maggiore. Evvi in questa parte della narrazione un senso profondo: si vede quali grandi cose il Signore possa fare a pro di coloro che ascoltano la sua voce e lo seguono. Egli può condurli attraverso a difficoltà e cimenti che senza di lui non oserebbero affrontare; egli può dar loro la forza di camminare incolumi nel fuoco e nell'acqua, e di superare qualunque nemico. Impariamo quanto danno attiri l'incredulità sui discepoli.

5. Nella paura di Pietro vediamo una, viva pittura di ciò che succede in molti credenti. Quanti che hanno fede sufficiente a fare il primo passo nel seguire Cristo e non ne hanno più abbastanza per seguirlo con perseveranza! Si spaventano delle prove, dei pericoli e dei nemici che incontrano nella loro via; pensano più a questi che a Cristo, e subito i loro piedi incominciano ad affondare. E perché mai? Certamente, Cristo non cambia; ma ciò accade appunto perché, al pari di Pietro, essi cessano di guardare a Gesù, e, dànno adito alla incredulità.

6. Ammiriamo la mitezza di Gesù, che molto può sopportare e molto perdonare, quand'egli vede la grazia operare nel cuore di un uomo. Simile ad una tenera madre che tratta amorosamente il figliuolo, e non lo scaccia da se quand'anche travia o trasmoda, così Gesù usa amorosamente coi suoi. Egli li amò, ed ebbe pietà di loro innanzi che si convertissero, e li ama, e li comporta viemaggiormente dopo la loro conversione; egli conosce la loro debolezza e la sopporta. Egli vuol farci conoscere che il dubitare non vuol dire che un uomo non abbia alcuna fede, ma solamente che la sua fede è poca; ed anche quando la nostra fede è poca, il Signore è pronto ad aiutarci.

Mt 15:1

CAPO 15 - ANALISI

1. Gli Scribi ed i Farisei di Gerusalemme vennero a Gesù. Tra la visita degli Scribi e dei Farisei provenienti da Gerusalemme, colla quale incomincia questo capitolo, e gli avvenimenti ricordati nel capitolo precedente, è probabile passasse qualche tempo. Scopo della visita fu, per avventura, di raccogliere sulla faccia del luogo dei materiali atti a distruggere la fede nel miracolo che Gesù Cristo aveva operato nel deserto di Betsaida, dando da mangiare a 5000 persone; del qual miracolo dovettero, senza dubbio, portare la notizia a Gerusalemme coloro che vi accorsero per la festa Matteo 15:1.

2. I Farisei accusano i discepoli di trasgredire la tradizione. Questi Farisei accusavano Cristo di permettere ai suoi discepoli di mangiare senza lavarsi le mani, usanza che, per quanto non fosse prescritta dalla legge levitica, era nelle tradizioni degli anziani, le quali, per loro, godevano altrettanta se non maggiore autorità, della legge stessa. Questa mancanza era, secondo i Farisei, gravissima, non solo in coloro che la commettevano, ma particolarmente nel Maestro che la comportava Matteo 15:2. Da assalitori, ei dovettero, ad un tratto, mettersi sulle difese, avendo Gesù dichiarato loro che quelle tradizioni, lungi dall'essere degne d'osservanza, erano invece violazioni dirette della legge di Dio; onde essi medesimi, e non già i suoi discepoli, erano i trasgressori Matteo 15:3. Egli cita le tradizioni degli anziani relative al quinto comandamento, per dimostrare che esse erano una flagrante violazione della legge di Dio. Secondo le tradizioni, i figli, col pretesto di consacrare a Dio gli averi ed i guadagni, si esentavano dal dovere di mantenere i loro genitori ridotti alla miseria Matteo 15:4-6. L'ipocrisia di coloro che, mentre stavano attaccati a forme d'invenzione umana, violavano la legge, di Dio, viene qui censurata, applicando loro le parole dette da Isaia contro i loro padri Matteo 15:7-9.

3. Discorso sulla contaminazione legale. Il nostro Signore combatte quindi le tradizioni dei Farisei relative alla contaminazione cerimoniale, mirando specialmente alla distinzione arbitraria, da loro stabilita, fra i cibi mondi ed immondi; e li assicura che un uomo si contamina moralmente, non già per quello che entra nella sua bocca, ma, solamente per quel che ne esce, essendo la bocca organo del cuor depravato Matteo 15:10,11. Questa

sentenza gravemente offese i Farisei: ma non essendo intesa dai discepoli che la credettero una parabola, essi, quando furono soli, pregarono Gesù di spiegarla, il che egli fece amorevolmente Matteo 15:12-20.

4. Gesù visita i confini di Tiro e di Sidone. La sola visita che venga ricordata del Signore ai Gentili è narrata in questi versetti. Egli visitò i confini di Tiro e di Sidone per cercare, un po' di riposo, ma invano Marco 7:24. Una povera donna del paese, Cananea d'origine, corre a lui, perché le guarisca una figlia indemoniata; e il Salvatore, dopo aver messo a forte cimento la di lei fede, non solamente la compiace guarendo la sua figliuola, ma la encomia per la grandezza della sua fede Matteo 15:21-28.

5. Ritorno di Gesù al lago di Galilea. Gesù ritornò in Galilea traversando la Decapoli, Vedi Marco, ora non era mai stato per l'innanzi, se si toglie una breve visita da lui fatta alla costa di Gadara, quando guarì l'uomo posseduto da una legione di demoni; il quale avvenimento rende ragione dell'entusiasmo e della meraviglia di quelle turbe, fra le quali si trovavano molti pagani Matteo 15:29-31.

6. Gesù sazia miracolosamente quattromila persone. Questo fu l'ultimo d'una lunga serie di miracoli, da Gesù operati nella Decapoli. Quindi egli licenzia le turbe, e ritorna coi suoi discepoli in Magdala sulla sponda occidentale del lago Matteo 15:32-39.

Matteo 15:1-20. TRADIZIONI DEGLI ANZIANI CHE ANNULLANO LA LEGGE DI DIO Marco 7:1-23

1. Allora s'accostarono a Gesù dei Farisei e degli scribi venuti da Gerusalemme e gli dissero:

Suppongono alcuni che Gesù non andasse a Gerusalemme per la Pasqua, la quale cadeva appunto verso il tempo in cui ebbero luogo le, cose ricordate nell'ultimo capitolo Giovanni 6:4: e che in conseguenza di ciò, alcuni degli Scribi e dei Farisei fossero di là venuti per sorvegliarlo. Ma, senza chiare prove in contrario, noi dobbiamo credere che Gesù intervenne, a quella

Pasqua, poiché egli «adempì ogni giustizia». tanto cerimoniale che morale; e fra i primi doveri cerimoniali si annoveravano quello d'intervenire alle tre grandi solennità. L'assenza congetturasi da ciò che Giovanni dice Giovanni 7:1: «Dopo queste cose, Gesù andava attorno per la Galilea; non voleva andare attorno per la Giudea, perché i Giudei cercavano d'ucciderlo", Ma chi confronta queste parole con Giovanni 6:66, trova che l'Evangelista non intende seguire un ordine strettamente cronologico. Inoltre, nel fatto che andava crescendo contro lui un odio tale da rendergli impossibile il rimanere più a lungo, senza pericolo nella Giudea, noi vediamo una prova in favore della recente visita a Gerusalemme, e al tempo medesimo la spiegazione della condotta dei suoi nemici, i quali lo seguivano in Galilea per tenerlo d'occhio. Poco dopo essi trovarono un pretesto per accusarlo.

PASSI PARALLELI

Marco 7:1-13

Matteo 5:20; 23:2,15-28; Luca 5:30; Atti 23:9

Luca 5:17,21

Mt 15:2

2. Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? poiché non si lavano le mani, quando prendono cibo.

Questa costumanza farisaica di lavarsi le mani. Marco 7:3-5 la ricorda assai dettagliatamente; mentre Matteo la tocca di volo, come cosa già nota ai suoi lettori israeliti; prova questa, fra le molte, ch'essi scrivevano per diverse classi di lettori. Marco ci fornisce anche la ragione di questa domanda, che Matteo tace; cioè, che i Farisei avevano veduto «alcuni dei discepoli di esso prendere cibo con mani impure, cioè non lavate», e perciò si scandalizzarono. La domanda come è qui espressa, implica disapprovazione, ed è virtualmente una negazione della sua autorità: «Qual diritto hanno i tuoi discepoli di trasgredire le tradizioni degli antichi?». Gli antichi dei

quali qui si parla, non erano gli anziani che, in quel tempo, componevano il Sinedrio, ma bensì gli antichi dottori dai quali procedevano certe leggi e, regole che non trovansi affatto nella legge levitica, ma che possono riscontrarsi nella Mishna, che è una raccolta di varie tradizioni ebraiche e di esposizioni rabbiniche dei testi della Scrittura. Pretendono gli Ebrei che queste fossero consegnate sul monte a Mosè, il quale, per mezzo di Aaron, d'Eleazaro e di Giosuè, le trasmise ai profeti; questi le passarono agli uomini del Gran Sinedrio, dai quali pervennero a Simeone quegli che prese il nostro Salvatore nelle braccia, a Gamaliele, ed ultimamente al Rabbi Jehuda, soprannominato Hakkadosh. cioè il Santo. Da lui, questo digesto di leggi e di tradizioni orali fu compiuto, verso la fine del secondo secolo dopo un lavoro di quarant'anni. Si osservi che l'intiero contesto si riferisce al lavarsi, ma non come mezzo di nettezza, né come una purificazione legale le quali erano ristrette a certi stati del corpo Levitico 12- 15 rappresentanti la contaminazione del peccato, bensì come ad un atto religioso prescritto dalla cosiddetta legge orale, arbitrariamente estesa agli atti più comuni della vita, e perfino alla mobilia Vedi nota Marco 7:3Marco 7:3; Marco 7:4Marco 7:4.

PASSI PARALLELI

Marco 7:2,5; Genesi 1:14; Colossesi 2:8,20-23; 1Pietro 1:18

Mt 15:3

3. Ma egli, rispose loro: E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione?

Da accusato, Cristo si fa accusatore, e la questione sale a maggiore altezza. Non trattasi più della trasgressione di una tradizione umana, ma della violazione della legge divina, il Signore accusa qui i Farisei di considerare le loro tradizioni com'essendo più sacre della Parola di Dio. Per ben chiarire questo punto, ecco un esempio del loro insegnamento: «Figlio mio, segui le parole degli Scribi più che le parole della legge, poiché nella legge trovansi affermazioni e negazioni, ma chiunque trasgredisce le parole degli Scribi è

reo di morte» Talmud Babil. citato da Gill in loco. La preposizione coll'accusativo, alla quale Diodati dà il senso di per, più esattamente si traduce a cagione, perché essa ci presenta la tradizione come motivo, e non come mezzo della trasgressione. sostanzialmente però il significato è lo stesso.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:3-5; Marco 7:6-8,13; Colossesi 2:8,23; Tito 1:14

Mt 15:4

4. Dio, infatti ha detto: Onora tuo padre e tua madre: e: chi maledice padre o madre, sia punito di morte.

Gesù sceglie un esempio calzante di questo antagonismo fra l'insegnamento tradizionale e la legge di Dio. Il quinto comandamento ingiunge ai figli di ubbidire, rispettare ed amare i loro genitori Esodo 20:12, e la legge di Mosè condanna a morte coloro che maledicono il padre o la madre Esodo 21:17; ma chi permette che i suoi genitori soffrano inopia delle cose più necessarie alla vita, è certamente più malvagio di colui che in un momento di collera si lascia sfuggire dalle labbra un'empia parola contro di loro.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:10; 5:17-19; Isaia 8:20; Romani 3:31

Matteo 19:19; Esodo 20:12; Levitico 19:3; Deuteronomio 5:16; Proverbi 23:22; Efesini 6:1

Esodo 21:17; Levitico 20:9; Deuteronomio 21:18-21; 27:16; Proverbi 20:20; 30:17

Mt 15:5

5. Voi invece dite: Se uno dice a suo padre, o a sua madre: "Quello con cui potrei assisterti, è offerta a Dio, 6. egli non è più obbligato ad onorar suo padre o sua madre.

Queste ultime parole sono la continuazione dell'insegnamento tradizionale dei Farisei, e non un commento del Signore. Il futuro viene a dire: «Non avrà più da onorare nel senso di mantenerli il padre e la madre». In altre parole quel tale sarà libero dall'obbligo di mantenere i suoi genitori, giacché era cosa illegale il prendere per tale scopo ciò che era destinato al servizio del tempio, ossia al culto di Dio. Questa spiegazione del passo consona esattamente colle parole di Marco 7:12: «Non gli permettete più di far cosa alcuna a pro di suo padre, o di sua madre». Ciò che in Matteo porta il nome di «dono»,viene chiamato in Marco corban cioè: offerta a Dio, parola che nella legge mosaica occorre spesso, e significa qualunque cosa dedicata al servizio di Dio, o al santuario ed ai suoi servi; e si applica a tutte le offerte animali o vegetali, con o senza sangue, prescritte dal rituale levitico Vedi Levitico 2:1,4,12-13; 7:13; 9:7,15. Più tardi, nel linguaggio ebraico e aramaico, venne applicata a tutte le offerte religiose, anche non attinenti a sacrificio; ma non già, come alcuni asseriscono, a quelle sole. Pare che la parola corban fosse la formula, di consacrazione, pronunziando la quale un uomo potesse dedicare tutto, o parte dell'aver suo ad usi religiosi, cioè al mantenimento del tempio, dei sacrifici, o dei leviti. È probabile che in molti casi, i sacerdoti prendessero soltanto una piccola porzione del dono restituendo il resto all'oblatore, perché ne facesse uso per se medesimo non però per i suoi genitori: o che, al pari dei preti di Roma, quei sacerdoti sapessero persuadere ai figli, che mediante doni siffatti, offerti al tempio, ei potevano acquistarsi un merito speciale presso Dio. Ad ogni modo, essi eccitavano i figli alla ingratitudine e li autorizzavano a valersi d'un rito religioso per sciogliersi da ogni obbligo filiale.

Mt 15:6

Ed avete annullata la parola di Dio a cagion della vostra tradizione.

Nel greco, queste parole formano il vers. 6. Onorare il padre o la madre è una maniera di rendere culto a Dio, superiore a tutte l'altre maniere e forme di culto che gli uomini si sono scelte da se. L'onorare i genitori comprende le cure necessarie al loro mantenimento, quasi compenso per tutte le cure e l'affetto ch'essi hanno prodigato a pro dei loro figliuoli. Si osservi che il peccato condannato in queste parole da Gesù, quello cioè di non somministrare gli alimenti ai genitori, si trova purtroppo anche fra i Cristiani. Il nostro Signore, scegliendo, fra molti, questo esempio dell'insegnamento tradizionale dei Farisei ribadisce l'accusa che al principio aveva loro fatta, cioè che colle loro tradizioni avevano annullato i comandamenti di Dio. Chiunque si ponga a studiare le Scritture dovrà rimanere meravigliato di vedere la stretta somiglianza che passa fra la Chiesa giudaica ai tempi del Salvatore, e la romana dei giorni nostri: entrambe scrupolose e zelanti delle loro tradizioni molto più che della Parola di Dio. Or coloro che hanno osservata questa somiglianza, s'imprimano bene nella mente il giudizio del Signore: «Avete annullato la parola di Dio a cagion della vostra tradizione». Le tradizioni non sono piante seminate dal Padre celeste. Anzi, germogliate da motivi terreni, servono ad interessi terreni, e, divengono maledizione terrena a chi le preferisce alla Parola di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:16-18; Amos 7:15-17; Marco 7:10-13; Atti 4:19; 5:29

Levitico 27:9-34; Proverbi 20:25; Marco 7:11-12

1Timoteo 5:3-4,8,16

Salmo 119:126,139; Geremia 8:8; Osea 4:6; Malachia 2:7-9; Marco 7:13; Romani 3:31

Mt 15:7

7. Ipocriti,

Far le viste di essere il popolo di Dio, e di adorarlo, ed al tempo tesso annullare colle tradizioni proprie i suoi comandamenti, è questa la vera essenza della ipocrisia; onde Gesù non si perita punto il chiamare i Farisei ipocriti.

ben profetò di voi Isaia quando disse: 8. Questo popolo mi onora con le labbra; ma il cuor loro è lontano da me;

La citazione è presa da Isaia 29:13, nel qual luogo il profeta annunzia severi giudizi contro Gerusalemme per l'inerzia spirituale e per l'ipocrisia che ai suoi giorni regnava nel popolo. L'avverbio ben significa esattamente, o mirabilmente, e mette in rilievo la singolare somiglianza fra la ispirata descrizione che fa Isaia della gente dei suoi tempi, e la condotta di quella dei tempi di Cristo. Le lagnanze del Signore contro gli Ebrei dei suoi giorni consonavano perfettamente con quelle che già erano state fatte contro i loro antenati: parole e cerimonie offerte a Dio, ma tempo, cuore ed affetti messi al servizio del diavolo! La regolare osservanza delle forme e dei riti legali esteriori non faceva difetto; ma Dio vuole il cuore, e questo essi non glielo davano! Queste parole si applicano mirabilmente alla religione delle moltitudini odierne. Il cuore non c'entra per nulla; esse si burlano di Dio, rendendogli culto soltanto colle labbra e col corpo. La loro religione, è un corpo senz'anima; un sacrificio senza l'incenso che lo rende accettevole. Da una religione siffatta, guardiamoci! Cristo ci dice ch'ella è vana per la salvazione nostra; che addormenta la coscienza, e fa che gli uomini vivano in una falsa pace, dalla quale si desteranno solamente quando sarà troppo tardi.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:5; 23:23-29

Marco 7:6; Atti 28:25-27

Isaia 29:13; Ezechiele 33:31; Giovanni 1:47; 1Pietro 3:10

Proverbi 23:26; Geremia 12:2; Atti 8:21; Ebrei 3:12

Mt 15:9

9. Ma invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine, che son precetti d'uomini.

Il loro culto non solamente era formale e senza affetto, ma, nella massima parte, era un'invenzione di uomini, una «religione volontaria» Colossesi 2:23, e per conseguenza «vana». Gesù trae l'argomento di questo versetto dalla profezia medesima di Isaia 29:13-14 sebbene egli si serva di altre parole. Confrontate i due passi. In Marco 7:48 sono indicati «i comandamenti d'uomini», dei quali parla il Signore: «Voi, lasciato il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini, lavature di calici, d'orciuoli e di vasi di rame». La somiglianza evidente tra il farisaismo giudaico ed il papismo romano nel corrompere, colle umane tradizioni, la Parola ed il culto di Dio, fu da noi notata più sopra. Qui, o lettore, imprimiti bene nel cuore i risultati ai quali conduce una tal «religione volontaria il Salvatore la condanna, dichiarandola «vana», essa porta la distruzione all'anima che l'adotta. Condannala tu pure! Fede, culto e vita hanno per sola regola infallibile la Parola di Dio; e tutto quello che ad essa è contrario, perisca e si perda! L'Italia non sarà mai veramente grande, finché i suoi figli, non adotteranno questo principio.

PASSI PARALLELI

Esodo 20:7; Levitico 26:16,20; 1Samuele 25:21; Salmo 39:6; 73:13; Ecclesiaste 5:2-7

Isaia 1:13-15; 58:1-3; Malachia 3:14; Marco 7:7; 1Corinzi 15:2; Giacomo 2:20

Deuteronomio 12:32; Proverbi 30:5-6; Isaia 29:13; Colossesi 2:18-22; 1Timoteo 1:4; 4:1-3,6-7

Tito 1:14; Ebrei 13:9; Apocalisse 22:18

Mt 15:10

10. E, chiamata a se la moltitudine, disse loro: Ascoltate e intendete:

Marco 7:16 aggiunge molta enfasi alla chiusa del discorso, dicendo che Cristo attrasse l'attenzione degli uditori colle parole: Se alcuno ha orecchie da udire, oda». Il dialogo precedente, benché tenuto in presenza del popolo, accadde fra Gesù e i cavillatori farisaici, i quali avevano per scopo di svergognarlo davanti al popolo. Ma Gesù, dopo, averli ridotti al silenzio, si volge alle turbe, e con chiarezza, forza e brevità meravigliose dimostra in che consiste la vera contaminazione.

PASSI PARALLELI

1Re 22:28; Marco 7:14,16; Luca 20:45-47

Isaia 6:9; 55:3; Luca 24:45; Efesini 1:17; Colossesi 1:9; Giacomo 1:5

Mt 15:11

11. Non è quel che entra nella bocca che contamina l'uomo; ma quel che esce dalla bocca, ecco quel che contamina l'uomo.

Sentenza grave, la cui illustrazione è però tratta da un soggetto così famigliare che nessuno può scusarsi di non comprenderla. Gesù distingue fra la contaminazione levitica e la contaminazione morale, fra l'immondezza esteriore e quella del cuore. Secondo la legge levitica, l'uomo poteva contaminarsi ritualmente, in modi innumerevoli: e molti dei cibi sani, di cui liberamente si nutrivano i Gentili, erano proibiti come immondi agli Ebrei. Ciò era ordinato ad un fine temporale di grande importanza, cioè di mantenere gli Ebrei separati dalle altre razze, fino alla nuova dispensazione; e di simboleggiare la differenza fra la corruzione pagana e la santità del popolo di Dio. Ma gli Ebrei, perdendo di vista siffatto scopo, pur

chiaramente rivelato, erano giunti a riguardare i cibi immondi come atti per se medesimi a contaminare moralmente e, per necessaria conseguenza, ritenevano l'uso rigoroso dei cibi mondi come atto a purificare intrinsecamente, o almeno a procacciare il favore di Dio. La contaminazione morale non può derivare da nessuna specie di cibo che entri nel corpo per la bocca, ma ci viene solamente con i cattivi pensieri, colle inclinazioni e i desideri interni del cuore, i quali, espressi in parole, trovano dalle labbra la loro uscita. Le parole sgorganti dalla bocca sono qui usate ad indicare generalmente ogni specie di azione esterna che pone in effetto i desideri del cuore umano. Osservate queste parole del Signore, voi tutti che vi siete fatti schiavi del digiuno del Venerdì e della Quaresima, delle distinzioni fra carne e pesce, e che, per aver trascurate queste prescrizioni, vi sentite la coscienza inquieta; l'autore della religione cristiana vi libera per sempre da tutte questo imposture. E l'apostolo Paolo espressamente accusa come «apostati dalla fede di Cristo» coloro i quali, «negli ultimi giorni «ordineranno l'astensione da cibi che Iddio ha creati, affinché quelli che credono e han ben conosciuta la verità ne usino con rendimento di grazie» 1Timoteo 4:3

PASSI PARALLELI

Marco 7:15; Luca 11:38-41; Atti 10:14-15; 11:8-9; Romani 14:14,17,20

1Timoteo 4:4-5; Tito 1:15; Ebrei 13:9

Matteo 15:18-20; 12:34-37; Salmo 10:7; 12:2; 52:2-4; 58:3-4; Isaia 37:23

Isaia 59:3-5,13-15; Geremia 9:3-6; Romani 3:13-14; Giacomo 3:5-8; 2Pietro 2:18

Mt 15:12

12. Allora i suoi discepoli, accostatisi, gli dissero: Sai tu che i Farisei, quand'hanno udito questo discorso, ne son rimasti scandalizzati?

Marco ci narra che il nostro Signore, dopo aver parlato alle turbe, ritornò co' suoi discepoli alla loro dimora, ove probabilmente essi gli fecero questa osservazione, sebbene Marco non ci abbia tramandato né questa, né la risposta del Signore. Gli interroganti miravano, forse, a far conoscere al loro Maestro, che ai Farisei le sue parole erano assai dispiaciute; pensando essi alle conseguenze che per sì ardito parlare potevano toccare a loro stessi ed a lui. I Farisei, non potendo sopportare che le loro stoltezze fossero a quel modo esposte alla luce del giorno, si adirarono sempre più contro Gesù ed i suoi discepoli, e principiarono a perseguitarli. Così i preti di Roma odiano e perseguitano fino alla morte quelli che combattono le loro false ed assurde tradizioni.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:27; 1Re 22:13-14; 1Corinzi 10:32-33; 2Corinzi 6:3; Galati 2:5; Giacomo 3:17

Mt 15:13

13. Ed egli rispose loro: Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata sarà sradicata.

Gesù replica, in linguaggio figurato, che, attaccando l'insegnamento dei Farisei, egli non ha operato con avventatezza, ma saviamente. Egli era venuto per sradicare tutte le ordinanze degli uomini, affinché rimanessero quelle sole che erano state piantate, dal suo Padre celeste. Olshausen sostiene che le parole di nostro Signore non si riferiscono all'insegnamento dei Farisei, ma allo loro persone; in questa opinione però egli si trova quasi solo. Anche Paolo paragona la dottrina religiosa ad una pianta 1Corinzi 3:68. «I Farisei sono essi scandalizzati? Ebbene», dirà il Signore, «io non me ne meraviglio; ma non temiate: la loro corrotta dottrina è condannata; le piante malefiche da loro seminate, e che per sì gran tempo ingombrarono la vigna del Signore, saranno sradicate; e così avverrà ad ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste!».

PASSI PARALLELI

Matteo 13:40-41; Salmo 92:13; Isaia 60:21; Giovanni 15:2,6; 1Corinzi 3:12-15

Mt 15:14

14. Lasciateli; son ciechi, guide di ciechi; or, se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa.

Comandando ai discepoli di lasciar costoro, Gesù non intende che si lascino nell'errore senza far nulla per correggerli: anzi è ciò appunto ch'Egli sta facendo; ma egli conforta i suoi discepoli a non preoccuparsi di loro, e a non tener conto della loro opposizione. Potrebbe significare ancora: «Per giungere al fine cui miro, non fa d'uopo di violenza e nemmeno di contesa: basta lasciar costoro a se medesimi, perché cadano in ruina essi, e purtroppo anche molti di coloro che sono da essi dominati e guidati». I Farisei si atteggiavano a guide spirituali della gente; ma Gesù dichiara ch'erano ciechi, tanto per naturale malvagità, quanto perché non davan luce spirituale ai loro discepoli. Come un cieco che, guidando un cieco suo pari, cade nella fossa che incontra, insieme col suo compagno, così questi Farisei dovevano di necessità cadere nella ruina e nella distruzione insiem con quelli che alla guida loro spirituale si erano affidati. La cosa medesima si vuole dire rispetto a tutti quegli uomini ignoranti o, non convertiti dei nostri giorni, i quali usurpano le attribuzioni di guidatori spirituali; ciechi come sono, non possono portare altro che accecamento e ruina a coloro che alle loro dottrine porgono ascolto.

PASSI PARALLELI

Osea 4:17; 1Timoteo 6:5

Matteo 23:16-24; Isaia 9:16; 42:19; 56:10; Malachia 2:8; Luca 6:39

Geremia 5:31; 6:15; 8:12; Ezechiele 14:9-10; Michea 3:6-7; 2Pietro 2:1,17; Apocalisse 19:20

Apocalisse 22:15

Mt 15:15

15. Pietro, allora, prese a dirgli: spiegaci la parabola.

La parola parabola, da Pietro adoprata, è una prova che i dodici non avevano inteso ciò che Gesù aveva detto alla moltitudine.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:36; Marco 4:34; 7:17; Giovanni 16:29

Mt 15:16

16. E Gesù disse: Siete anche voi tuttora privi d'intendimento?

In Marco si legge: «Siete anche voi così privi d'intendimento?». La lentezza colla quale i veri discepoli di Cristo comprendono le cose spirituali affligge il Salvatore; dagli altri però egli non aspetta nulla di meglio.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:10; 13:51; 16:9,11; Isaia 28:9-10; Marco 6:52; 7:18; 8:17-18; 9:32; Luca 9:45

Luca 18:34; 24:45; Ebrei 5:12

Mt 15:17

17. Non capite voi che tutto quel ch'entra nella bocca va nel ventre, ed è gittato fuori nella latrina?

Ciò che dalla bocca viene preso, non può portare alcuna contaminazione morale. Marco ne dimostra l'impossibilità, aggiungendo: «Non gli entrò nel cuor e, anzi nel ventre». È ovvio, infatti, che il cibo materiale non può influire sull'anima o sullo spirito, bensì sui soli organi del corpo, i quali non sono agenti morali, né possono moralmente cambiare.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:19-20; Luca 6:45; 1Corinzi 6:13; Colossesi 2:21-22; Giacomo 3:6

2Re 10:27

Mt 15:18

18. Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo.

Il cuore, che, nel linguaggio della Scrittura, significa gli affetti e la volontà, è la scaturigine o fonte della vita; ed essendo corrotto e impuro, tutto ciò che viene da esso deve, di necessità, esser corrotto, e contaminar l'uomo. La locuzione esce dalla bocca, risponde all'altra del vers. 17, entra nella bocca, ed implica che lo stato del cuore di un uomo manifestasi più che altro dal suo parlare. Familiari come son quelle parole, esse proclamano però, da un canto, ch'è abolita la distinzione dei cibi, e che nulla che venga dal di fuori ci può realmente contaminare; e dall'altro canto, che solamente il male ch'è in noi ci corrompe, se noi gli permettiamo d'impadronirsi dei nostri affetti e dei nostri pensieri, e di manifestarsi al di fuori in atti volontari.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:11; 12:34; 1Samuele 24:13; Salmo 36:3; Proverbi 6:12; 10:32; 15:2,28; Luca 19:22

Giacomo 3:6-10; Apocalisse 13:5-6

Mt 15:19

19. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi

non mere idee, ma ragionamenti, disegni, e proponimenti che implicano l'azione dell'intelletto e del cuore. La prima forma che il male assume nel cuore consiste in questi ragionamenti, i quali si palesano poi nei delitti che seguono, condannati dai comandamenti sesto al nono il quinto comandamento Gesù l'aveva già applicato nei vers. 4 e segg.

omicidi,

cioè illegale e malvagia distruzione della vita;

adulteri,

cioè violazione della fede coniugale;

fornicazioni,

ossia violazioni della castità in persone non coniugate, essendo questi due ultimi peccati infrazioni del settimo comandamento Esodo 20:14, come Gesù Cristo medesimo lo dichiara Matteo 5:28

furti,

vale a dire, ogni violazione qualsiasi della proprietà altrui, e, secondo il greco in uso al tempo di Cristo, anche la grassazione, ossia l'assassinio di strada;

false testimonianze,

cioè il nascondere la verità, od affermare ciò che sappiamo esser falso, a pro di noi stessi, o a danno altrui;

diffamazioni.

greco. bestemmie cioè il gettar discredito sugli altri con parole oltraggiose e calunniose.

Ai vizi sopraccennati Marco aggiunge:

cupidigie,

cioè la bramosia di accrescere i propri possedimenti, mediante il solito corteo di avidità e di trappolerie;

malvagità; frode,

vale a dire gl'inganni e tutto quelle forme di disonestà che non si comprendono sotto il furto;

lascivia

cioè la licenza, la dissolutezza, gli eccessi, sebbene, dai recenti scrittori, quel termine si ristringa a libidine;

sguardo maligno,

sguardi d'invidia, di gelosia, e di malevolenza verso il prossimo, che son gl'indizi delle interne disposizioni;

calunnia, superbia,

orgoglio, o arroganza contro Dio o contro gli uomini;

stoltezza,

cioè quella cattiveria e quel modo di peccare in cui predomina la stupidaggine, ossia atti da furfanti e da insensati ad un tempo. Chi

accagiona Marco di aver aggiunto al catalogo di Matteo una serie di particolari insignificanti, parla a caso, poiché non c'è regola per decidere quanti potessero essere questi particolari, e bene ha potuto il nostro Signore enunciarne un assai maggior numero, fra i quali ad un evangelista piacque sceglierne più, ad altro meno, secondo che si attagliava all'immediato suo scopo.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:5; 8:21; Proverbi 4:23; 6:14; 22:15; 24:9; Geremia 17:9; Marco 7:21-23

Romani 3:10-19; 7:18; 8:7-8; Galati 5:19-21; Efesini 2:1-3; Tito 3:2-6

Matteo 9:4; Salmo 119:113; Isaia 55:7; 59:7; Geremia 4:14; Atti 8:22; Giacomo 1:13-15

Mt 15:20

20. Queste son le cose che contaminano l'uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l'uomo.

Con queste parole il Signore riassume la sua risposta all'accusa mossagli dai Farisei di negligere la tradizionali abluzioni, e riconduce il soggetto donde aveva preso le mosse. Il male, sorgendo dal cuore e manifestandosi in qualcuna delle suddette forme, contamina senza dubbio l'uomo, e rende testimonianza d'una contaminazione anteriore; ma il mangiare senza lavarsi le mani non contamina moralmente l'uomo.

PASSI PARALLELI

1Corinzi 3:16-17; 6:9-11,18-20; Efesini 5:3-6; Apocalisse 21:8,27

Matteo 15:2; 23:25-26; Marco 7:3-4; Luca 11:38-40

RIFLESSIONI

1. Le cose meramente esteriori, tanto più se inventate dall'uomo e non già ordinate da Dio, son quelle a cui dànno maggiore importanza gl'ipocriti. E così pure la pensavano gli antichi Farisei, uno dei quali, parlando appunto di siffatta tradizione, insegnava che «l'omettere di lavarsi le mani innanzi il pasto, era peccato più grave della fornicazione»; ed un altro: «meglio sarebbe, morire che trascurare quell'uso» Targum, Babil. citato da Gill in com. sopra vers. 20. Così, nella estimazione dei preti di Roma, chi neglige qualche atto di religione volontaria, fondato sulla tradizione, è riguardato come assai più colpevole di colui che trasgredisce la legge morale. Fosse pure ottima la intenzione di coloro che introdussero cotali pratiche tradizionali, certo è ch'esse tendevano, con grave danno, ad indebolire il senso dell'autorità divina rispetto a quello che è comandato, estendendola a ciò che è puramente umano. Chi volesse di ciò una prova, osservi come le frequenti festicciuole in onore dei santi scemano l'osservanza e la santificazione del giorno del Signore. Merita d'essere scolpita nella nostra memoria la solenne sentenza di Bucero: «Chi in religione mette importanza soverchia alle invenzioni umane, raro è che non si affidi più in quelle che nella grazia di Dio». Consultate il decreto del Sinodo apostolico di Gerusalemme rispetto ai Gentili Atti 15:19-22

2. Il comandamento: «Onora tuo padre e tua madre», ci viene ingiunto dal Padre comune del genere umano. Rispettando ed onorando coloro che dalla Provvidenza furono fatti strumenti della nostra esistenza, noi rendiamo onore a Dio. Autore della vita Gesù dice, che questo onore consiste nel dovere dei figli di mantenere i loro genitori, di sovvenirli, all'occasione, nei loro, bisogni, e, generalmente, di prendersi cura del loro benessere. Tengano bene a mente i giovani questo comandamento: c'è una promessa di benedizione annessa ad esso. Paolo indica la disobbedienza ai genitori come un segno degli «ultimi giorni, quando sopraggiungeranno tempi difficili» 2 Timoteo 3:2

3. Se nulla di esterno può contaminare l'uomo, va da se che nulla di esterno potrà santificarlo, come la Chiesa di Roma insegna che fanno di propria virtù i cibi, i sacramenti, ecc. «Iddio è Spirito, e quelli che lo adorano lo debbono adorare in spirito e verità». Nei precedenti versetti, Gesù rigetta in modo assoluto tutte quelle regole e cerimonie stabilite dalla tradizione ecclesiastica e dall'autorità umana, e che certamente né Cristo, né i suoi discepoli insegnarono mai, come parti del «nuovo comandamento»; onde l'uomo o la donna che a quelle rimane attaccato, è uno schiavo che bacia la sua catena. «Se alcuno ha orecchie da udire, oda».

Mt 15:21

Matteo 15:21-28 LA DONNA CANANEA E LA SUA FIGLIA Marco 7:24-30

21. E partitosi di là,

L'ultimo luogo nominato Matteo 14:34-36 fu Gennesaret; e di là appunto, o probabilmente da Capernaum che era vicino, Cristo partì per andare nelle parti di Tiro e di Sidon. Ciò che Marco 6:56 dice sull'entrare che Gesù fece «nei villaggi, nelle città, o nelle campagne», viene introdotto qui incidentalmente, come cenno generico di ciò che accadeva ovunque Gesù si recasse.

Gesù si ritirò

lungi dalla malevolenza dei suoi nemici, ed, anche dall'affollamento dei suoi stessi seguaci ed amici. È probabile, ciò nonostante, che un motivo di più alto rilievo lo inducesse a ritirarsi in quel modo, vo' dire, l'intendimento di dimostrare con un atto della sua vita pubblica, che, sebbene il personale suo ministero fosse per gli Ebrei Vedi Matteo 15:24,26, conf. con Romani 15:8, i benefizi della salvazione andavano anche a favore dei Gentili. Si osservi che questi viaggi non si facevano a caso né senza norma, ma tutti coordinati ad uno scopo prestabilito; e se a noi non riesce sempre rintracciare questa coordinazione nella storia, ciò non vuol dire ch'ella non sia cosa reale.

nelle parti di Tiro e di Sidon.

Non dobbiamo immaginare che il nostro Signore passasse per Cana, Sefori, ed il Ras Abiad Capo Bianco, per recarsi in qualunque parte del litorale fenicio, poiché «le parti di Tiro e di Sidon», vogliono dire i confini, o la frontiera fra la Galilea superiore e la Fenicia, in mezzo alle montagne al N. O. di Banias antico Dan, verso il luogo ove il castello di Belfort fu costruito dai crociati. Non è ben chiaro se Gesù abbia o no varcato la frontiera e sia entrato in terra pagana.

PASSI PARALLELI

Marco 7:24

Matteo 10:5-6; 11:21-23; Genesi 49:13; Giosuè 11:8; 13:6; 19:28-29; Giudici 1:31

Mt 15:22

22. Quand'ecco, una donna Cananea, di que' luoghi, venne fuori,

S'intende: fuori di casa sua, o dal suo villaggio. Il nostro evangelista la chiama «una donna Cananea», cioè discendente dagli antichi abitanti del paese; ma Marco ci dà, con maggior precisione, una indicazione doppia egli la chiama «Greca», cioè Gentile, di religione pagana; e «Siro-Fenice», vale a dire, nativa di quel tratto della Fenicia che apparteneva alla Siria. Da Marco 3:8 e da Luca 6:17 ci viene detto che la fama del nostro Signore era già nota in quelle parti, e che le turbe eran venute di là a lui per implorare guarigioni. Non era adunque il paese di questa donna, ma sebbene la sua discendenza, che sorgeva qual muro di separazione fra essa e il ministero del nostro Signore.

e si mise a gridare:

Dice Marco che Gesù entrò in una casa dove la donna andò a trovarlo, mentre Matteo ci dice che ella gridava a lui già per via. Marco principia la sua narrazione al punto descritto dal versetto 25 di questo capitolo, mentre quella di Matteo è più ampia.

Abbi pietà di me, Signore, figliuol di Davide!

Oltre il titolo generale di onore Signore, essa lo saluta qual Messia promesso ad Israele; cosicché, in un modo o nell'altro, ella doveva aver udito parlare della promessa.

la mia figliuola è gravemente tormentata da un demonio.

La sua preghiera era per la sua cara figlia; ma l'affetto la portava ad immedesimarsi con questa, poiché ella dice al Salvatore: «Abbi pietà di me!». Esempio di affetto materno, mirabile anche in una pagana.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:8-9; Salmo 45:12; Ezechiele 3:6; Marco 7:26

Matteo 9:27; 17:15; Salmo 4:1; 6:2; Luca 17:13; 18:13

Matteo 1:1; 20:30-31; 22:42-45; Luca 18:38-39; Giovanni 7:41-42

Matteo 17:15; Marco 7:25; 9:17-22

Mt 15:23

23. Ma egli non le rispose parola.

Strano invero è questo trattamento usato dal pietoso Salvatore, al quale «i travagliati e gli aggravati» non ricorrevano mai in vano! Egli passò oltre come se non l'avesse udita. È questa l'unica volta che Gesù rifiuta di guarire miracolosamente un ammalato; ma egli vuol far prova della fede di costei, e fornire agli Apostoli un esempio dell'effetto della perseveranza nella

preghiera. Nel fatto, Gesù ben mostrò che non gli mancava la volontà di aiutare quella donna; ma usa la disciplina dell'amore, mostrandosi in pari tempo coerente a ciò ch'egli aveva detto ai dodici: «Non andate fra i Gentili» Matteo 10:5

E i suoi discepoli, accostatisi, lo pregavano, dicendo, licenziala, perché ci grida dietro.

I discepoli non potevano comprendere il loro Maestro; lo avevamo veduto fin allora così pronto ad ascoltare ed aiutare tutti coloro che a lui ricorrevano, che il suo contegno in questa occasione li fece trasecolare, e, contro il loro solito Matteo 19:13, intercedettero a favore di lei. Essi la stimarono un'importuna che col suo gridare radunava gente intorno a loro, e chiesero al Signore di licenziarla, vale a dire di compiacerla e sbrigarsene, non tanto per riguardo a lei, quanto per riguardo a se.

PASSI PARALLELI

Genesi 42:7; Deuteronomio 8:2; Salmo 28:1; Lamentazioni 3:8

Matteo 14:15; Marco 10:47-48

Mt 15:24

24. Ma egli, rispose: Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele.

Rispondendo ai suoi discepoli, Gesù cita i termini della commissione a lui data da suo Padre: detto di cui Marco non fa parola. Nel suo terrestre ministero, egli non era stato mandato ai Gentili; i soli Ebrei dovevano imprima ricevere l'Evangelo. Quelle parole però non costituiscono un rifiuto formale; erano intese al duplice scopo di provare sempre più la fede della povera donna, e di persuadere i discepoli che una fede, la quale resisteva a siffatte prove, dimostrava esser costei veramente figlia del credente Abramo, e quindi compresa fra le «pecorelle smarrite della casa d'Israele» alle quali

egli era mandato. La povera Siro-Fenice credette, senza dubbio, di esser riuscita nel proprio intento, quando vide che i discepoli del Signore si erano costituiti suoi difensori fosse pure per un motivo egoista: or qual effetto dovette produrre sopra di essa la risposta di Gesù? La condusse essa ad abbandonar ogni speranza, come fanno molte anime bisognose quando le loro preghiere non sono immediatamente esaudite? o veramente, la sua fede, che seppe poi discernere «i figliuoli» dai «cani», le fece essa comprendere che, sebbene Cristo non fosse stato inviato ai Gentili, egli accoglieva non di meno tutti quelli che lo cercavano, e che confidavano in lui? Oppure, l'impulso che la indusse a perseverare e ad insistere, sta egli soltanto in quell'amore materno, che per rifiuto non si stanca, e che nella sua forza e purezza maggiormente si avvicina all'amore di Dio? Isaia 49:15-16

PASSI PARALLELI

Matteo 9:36; 10:5-6; Isaia 53:6; Geremia 50:6-7; Ezechiele 34:5-6,16,23; Luca 15:4-6

Atti 3:25-26; 13:46; Romani 15:8

Mt 15:25

25. Ella però venne, e gli si prostrò dinanzi, dicendo: Signore, aiutami!

Il bisogno che stringeva la povera donna e la fede incrollabile ch'ella aveva nella potenza di Cristo a guarire, si uniscono in questa pietosa invocazione. Gli avvocati umani non le poterono giovare come non lo possono la Madonna ed i Santi, ond'ella dovette rinnovare personalmente la sua, preghiera e rivolgerla direttamente a Cristo. Ella si Prostrò adunque ai suoi piedi, piena di angoscia, esclamando: «Signore, aiutami!» come se essa medesima fosse stata l'inferma. Volesse Iddio che i nostri lettori sperimentassero la potenza di questa breve preghiera indirizzata con fede a Cristo, e per mezzo suo a Dio Padre! Fu per attestare la potenza di una simile preghiera che Giacobbe ricevette il nome d'Israele ossia di «valente

con Dio» Genesi 32:28. «Molto può la supplicazione del giusto, fatta con efficacia» Giacomo 5:16

PASSI PARALLELI

Matteo 20:31; Genesi 32:26; Osea 12:4; Luca 11:8-10; 18:1-8

Matteo 14:33

Marco 9:22,24

Mt 15:26

26. Ma egli, rispose:

Questa preghiera così ingenua, la quale scaturiva dalle più profonde latébre di un cuore credente, mosse finalmente il Redentore a rompere il silenzio; egli parlò direttamente alla donna, ma in che modo? È egli possibile che colui che non «spezzava la canna rotta, né spegneva il lucignolo fumante», abbia pronunziato le sprezzanti parole:

Non è bene prendere il pan dei figliuoli, per buttarlo ai cagnuoli.

Gli Ebrei, come discendenti di coloro ai quali erano state date la promessa del Messia e le benedizioni del patto stretto da Dio con Abrahamo, si consideravano come figli di Dio, ad esclusione degli altri, ed applicavano alle altre nazioni degli epiteti disprezzanti, fra i quali il più comune era quello di cani. Il nostro Signore però, parlando di cagnuoli, non intese già di sanzionare l'uso degli epiteti ingiuriosi Quella parola, diminutivo di cane, non implica già un'idea disprezzante, né si riferisce minimamente alla figlia di quella donna: il Signore volle provare la sua fede e la sua umiltà, e le diede nel medesimo tempo, la forza per vincere la prova.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:6; Marco 7:27-28; Atti 22:21-22; Romani 9:4; Galati 2:15; Efesini 2:12; Filippesi 3:2

Apocalisse 22:15

Mt 15:27

27. Ma ella disse: Dici bene, Signore; eppure anche i cagnuolini mangiano dei minuzzoli che cadono dalla tavola dei loro padroni.

Per quanto le parole del Signore fossero pungenti, quasi scottanti, la donna non se ne offese. Ella dimostrò la propria umiltà riconoscendo il privilegio dei figliuoli, e non arrischiandosi a chiedere un posto fra loro; ma mostrò pure, nel modo più manifesto, la propria fede, appropriandosi le parole stesse del Salvatore come argomento a sostenere la propria richiesta. Non chiedo il pane dei figliuoli, ma solo le briciole che, cadono e vanno ai cani. Qual prontezza nel comprendere la verità, quale istintiva sagacia in questa donna pagana!

PASSI PARALLELI

Matteo 8:8; Genesi 32:10; Giobbe 40:4-5; 42:2-6; Salmo 51:4-5; Ezechiele 16:63; Daniele 9:18

Luca 7:6-7; 15:18-19; 18:13; 23:40-42; Romani 3:4,19; 1Corinzi 15:8-9

1Timoteo 1:13-15

Matteo 5:45; Luca 16:21; Romani 3:29; 10:12; Efesini 3:8,19

Mt 15:28

28. Allora Gesù le disse: O donna, grande è la tua fede;

Si palesa qui la ragione per la quale Gesù si era comportato così stranamente verso costei: egli voleva saggiarne la fede. Nel sacrificio chiestogli da Dio dell'unico suo figlio, Abramo diede prova della sua fede, e questa prova dolorosa non gli fu risparmiata in nessun grado fino al momento in cui stava col braccio alzato, per immergere il ferro nel petto d'Isacco. Ma la fede alla fine ebbe il suo trionfo, quando una voce dal cielo gridò: «Non mettere la mano addosso al ragazzo!» Genesi 22:12. Così successe anche alla Cananea. Trascuratezza, rifiuti, insulti furono il crogiuolo nel quale il Raffinatore provò la sua fede, la quale pure ebbe il suo trionfo, quando il Conoscitore dei cuori esclamò: «O donna, grande è la tua fede!». Linguaggio simile a questo, Gesù lo usa un'altra sola volta, nel caso del Centurione Matteo 8:10; Luca 7:1-10. Si osservi che, nei due casi, questo trattamento privilegiato toccò a persone pagane; che la fede di ambedue fu lodata, non soltanto come grande fra i Gentili, ma grande anche in confronto di quella del popolo d'Israele così e che, in tutti e due i casi, la fede lodata non fu già quella degl'infermi, ma bensì di quelli che li rappresentavano o per essi intercedevano.

ti sia fatto come vuoi.

«La grazia ti è concessa tua figlia è guarita!». La donna, avendo ricevuto la briciola che chiedeva, ritornò subito a casa sua. Non domandò alcun segno a guarentigia della parola di Cristo; se ne andò, forte nella sua fede, glorificando Iddio. L'Evangelista aggiunge:

E da quell'ora, la sua figliuola fu guarita

Marco 7:30 narra il fatto più dettagliatamente; «Ed ella, tornata a casa sua, trovò la figliuolina coricata sul letto, e il demonio uscito di lei».

PASSI PARALLELI

Giobbe 13:15; 23:10; Lamentazioni 3:32

Matteo 8:10; 14:31; 1Samuele 2:30; Luca 17:5; Romani 4:19-20; 2Tessalonicesi 1:3

Matteo 8:13; 9:29-30; Salmo 145:19; Marco 5:34; 7:29-30; 9:23-24; Luca 7:9,50

Luca 18:42-43; Giovanni 4:50-53

RIFLESSIONI

1. Impariamo che la vera fede si trova spesso dove meno lo si aspetta; Una Cananea grida aiuto al Messia d'Israele a pro della propria figliuola! La preghiera: «Abbi pietà di me, o Signore, Figlio di David», che avrebbe dimostrato una gran fede anche in un abitante di Betania o di Gerusalemme, ci fa maraviglia quando si ode da persona che viene dalle parti di Tiro e Sidone, e c'insegna che la grazia, non già il paese, fa i credenti. Tu puoi vivere come Gehazi servo di Elia, nella famiglia d'un profeta, ed essere nondimeno impenitente, incredulo e inondano. Puoi trovarti in mezzo alla superstizione e alla idolatria, come la piccola Ebrea nella casa di Naaman, e nonostante rendere testimonianza al vero Dio ed al suo Cristo. Non disperiamo adunque della salute di alcuno, così perché si trova in luogo o condizione poco propizia alla fede; può alcuno abitare sulle coste di Tiro e di Sidone, od assidersi nel regno di Dio!

2. Dal caso della donna Cananea apprendiamo che sovente il dolore conducendo a Cristo coloro che soffrono, si volge in benedizione. Notiamolo bene: nulla c'è che tanto dimostri la nostra ignoranza quanto l'impazienza nei patimenti. Noi dimentichiamo facilmente che ogni croce è un messaggio di Dio, inteso, in ultima analisi, al nostro bene. Le prove ci fanno riflettere, ci svegliano del mondo, ci invitano alla Bibbia ed alla preghiera. Certo, buona cosa è la sanità; ma la malattia è migliore assai se ci conduce a Dio. Vera grazia è la prosperità, ma è preferibile la sventura se ci mena a Cristo.

3. Un grande incoraggiamento noi qui troviamo all'assiduo pregare con fede. Gesù pronunziò una parabola «per mostrare che convien del continuo pregare e non stancarci» Luca 18:1-8; ma qui lo Spirito ci mette sott'occhio, per eccitare la nostra ammirazione e confortarci, un esempio vivo. Parve

sulle prime che Gesù non badasse minimamente alla preghiera di questa povera donna; essa nondimeno continuò a pregare. Egli le parlò duramente ed in modo da sgomentarla affatto; ciò nonostante, il proverbio: «la speranza prolungata fa languire il cuore» Proverbi 13:12, non si verificò nel caso della Cananea; le due parole indirizzatele da Gesù non la ridusse al silenzio, anzi essa ne tolse occasione per chiedere con maggiore insistenza un briciolo di pietà; e per la sua persistenza essa ottenne finalmente la grazia desiderata.

4. L'esempio di questa donna deve grandemente incoraggiarci a pregare con perseveranza per i nostri bisogni, e specialmente ad intercedere per gli altri. Se Cristo non esaudisce prontamente le tue preghiere, non ti sgomentare, o Cristiano, ma persevera, con fervore ed umiltà sempre crescente, a pregare; e rammentati che più la tua fede è gagliarda, e più aspri saranno i cimenti ai quali la esporrà il Signore. Se la fede di quella donna fosse stata meno forte, la prova non sarebbe stata così severa; e Colui che in parole sembrava respingerla, pur tuttavia, col suo Spirito la guidava.

5. Ma non perdiamo mai di vista che l'esempio di questa Cananea è inteso peculiarmente a mostrarci il dovere che incombe ad ognuno di intercedere per gli altri: verità di grande importanza, e troppo facilmente dimenticata. Pochi doveri son così fortemente raccomandati dalla Scrittura, come quello d'intercedere a pro d'altrui, nelle nostre preghiere. La Scrittura medesima ci fornisce una lunga serie d'esempi atti a dimostrare il gran bene che agli altri si può fare pregando per loro, lo attestano, fra tanti, il figlio dell'ufficiale reale di Capernaum, il servo del Centurione e la figlia di Jairo. Sembra meraviglioso, ma pure Iddio si compiace di far' grandi cose per un'anima, quando per essa si muovono a pregare amici e parenti Giacomo 5:16. A ciò pensino in particolare i padri e le madri! È non possono dare ai figli dei cuori nuovi ma ben possono pregare per essi. È cosa rarissima che i figli, per i quali furono offerte molte preghiere, siano andati perduti.

Mt 15:29

Matteo 15:29-39. RITORNO DI CRISTO AL LAGO DI GALILEA. GUARIGIONI MIRACOLOSE. QUATTROMILA PERSONE

MIRACOLOSAMENTE CIBATE Marco 7:31- 8:10

Per l'esposizione Vedi Marco 7:31Marco 7:31, ecc.

Mt 16:1

CAP0 16 - ANALISI

1. Gesù passa al paese di Magadan. Dopo il miracolo narrato alla fine del cap. 15. Gesù passò sulle coste di Magadan all'O. del lago, ove i Farisei ed i Sadducei, venuti da Capernaum, lo trovarono. È questa la prima volta che si parla di una lega a danno del Salvatore tra i Farisei ed i Sadducei. Questi ultimi fin allora avevano riguardato Gesù con apparente disprezzo. In questo caso però essi lo tentano, dando a credere che l'avrebbero riconosciuto, se non come Messia, almeno come profeta, a patto che Egli desse loro un qualche segno dai cieli; ma, come in un'altra occasione Matteo 12:39-40, il nostro Signore ricusa, e rimanda costoro al segno di Giona. Egli li proclama ipocriti, siccome quelli che hanno abbastanza discernimento per distinguere l'aspetto del cielo e il cambiamento del tempo e delle stagioni, e sono incapaci di conoscere i segni dei tempi nei quali vivono, nonostante gl'insegnamenti uditi e i miracoli dei quali sono stati spettatori Matteo 16:14.

2. Il lievito dei Farisei e dei Sadducei. Gesù e i suoi discepoli ritornarono prestamente per mare sulla sponda orientale del lago, in un luogo che non è indicato né da Matteo, né da Marco. Nella fretta del partire, i discepoli avevano dimenticato di fare una nuova provvista, di pane, e dell'antica ne rimaneva loro soltanto una pagnotta, i pensieri dei discepoli eran tutti concentrati in questo incidente, mentre il loro divino Maestro stava riflettendo alla misera condizione di quei Farisei e di quei Sadducei che egli aveva pur allora lasciati. Quando fece loro un'osservazione sul lievito dei Farisei e dei Sadducei, essi capirono tutto a rovescio credendo volesse parlare della loro dimenticanza e della, difficoltà di ripararvi nel luogo ove erano diretti. Il qual malinteso dimostra come i discepoli approfittassero

poco degl'insegnamenti d'un tal Maestro, e fornisce a questi l'occasione di richiamare alla loro mente i miracoli coi quali egli aveva nutrito le turbe miracoli che poteva ripetere, in caso di bisogno, come pure di premunirli contro l'ipocrisia dei Sadducei e dei Farisei Matteo 16:5-12.

3. Gesù guarisce un cieco a Betsaida, quindi parte per Cesarea di Filippo Marco 8:22-26 Giunto nelle vicinanze di Cesarea, Gesù interroga i suoi discepoli intorno alla opinione che essi avevano della sua persona e delle sue opere; e quando Pietro, a nome anche dei suoi compagni, ebbe dichiarato, che Gesù era ad un tempo il Messia e il Figlio del Dio vivente, Gesù lo dichiarò benedetto, siccome quegli che dall'alto ere stato ammaestrato in una verità, che il cuore e l'intelletto naturale non ammettono. Sulla gran verità che, le parole di Pietro contengono, il Signore dichiarò che avrebbe fabbricata la sua Chiesa, contro la quale gli sforzi di Satana e dei suoi ministri, non, avrebbero potuto mai prevalere. Dirigendo sempre la parola a Pietro, Gesù dichiarò inoltre che gli avrebbe affidato le chiavi del suo Regno, affinché, coll'insegnare e col predicare potesse ammettere in esso coloro che credevano, ed escluderne gli indegni. Sul senso però del Tu es Petrus..., ecc., rimandiamo il lettore alle note Matteo 16:13-20.

4. Gesù annunzia la propria morte, ed è ripreso da Pietro. Il Signore, nell'esercizio del suo ministero profetico, annunziò con maggiore ampiezza le circostanze che avrebbero accompagnata la sua morte a Gerusalemme, e predisse la sua risurrezione nel terzo giorno; argomenti dolorosi non poco ai suoi discepoli, i quali aspettavano una ben diversa manifestazione del Messia; onde Pietro, che non volle accettarli, n'ebbe dal suo Signore un rabbuffo Matteo 16:21-23.

5. Necessità dell'abnegazione. In questa occasione viene dichiarato pubblicamente: esser dovere, anzi necessità, che tutti coloro i quali divengono discepoli di Cristo rinuncino a se stessi. Corre grave pericolo di rovinare l'anima sua colui che preferisce gli agi ed i comodi della vita presente, al rinunziamento di se stesso, ed ai patimenti per amore di Cristo. Nulla importa il guadagno del mondo intero, a confronto della perdita dell'anima. Gesù termina l'esortazione colla dichiarazione che il regno del

Signore era vicino Matteo 16:24-28. Tutti gli argomenti trattati in questo capitolo sono connessi insieme col doppio legame della successione cronologica, e dell'associazione delle idee. Un passo parallelo a questo capitolo si trova in Marco; in Luca se ne trova uno parallelo all'ultima parte di esso, sebbene Matteo abbia, in parecchi luoghi, parole ed incidenti che negli altri non si trovano. In tutti gli Evangeli però l'ordine generale delle materie è lo stessa.

Matteo 16:1-4. GESÙ RIFIUTA DI OPERARE UN MIRACOLO DAL CIELO Marco 7:11-13

1. E accostatisi a lui i Farisei e i Sadducei per metterlo alla prova,

Confrontando le narrazioni di Matteo e di Marco si vede chiaro che Gesù sbarcò in quella parte della spiaggia occidentale del lago che prese il nome della borgata di Magadan, secondo che si legge nel testo emendato, e che risponderebbe al moderno El-Mejdel e al Magdala di alcuni MSC. Dalmanuta mentovato da Marco doveva trovarsi vicino. È molto improbabile che i Farisei ed i Sadducei, di cui trattasi in questo versetto, abitassero in quei piccoli villaggi. Crediamo piuttosto ch'essi vi sieno venuti da Capernaum, poche miglia distante. Fin allora sembra che i Sadducei non avessero preso parte pubblicamente all'opposizione fatta a Gesù, forse perché disprezzavano tanto lui quanto l'opera sua; ma via via che la sua potenza cresceva, e che i suoi ammaestramenti svelavano i loro errori, si destava la loro ostilità. Da allora in poi si unirono coi Farisei per metterlo alla prova. Essi non avevano il minimo desiderio di essere convinti della verità col mezzo d'un nuovo miracolo, ma speravano di compromettere Gesù per aver motivo di condannarlo.

gli chiesero di mostrar loro un segno dal cielo.

La medesima domanda era stata fatta, a Gesù dagli Ebrei che egli aveva scacciati dal tempio in cui compravano e vendevano Giovanni 2:18. La risposta che allora diede: «Disfate questo tempio e in tre giorni lo farò

risorgere», aveva sostanzialmente il senso medesimo della replica data in questa occasione. Un'altra domanda allo stesso scopo venne fatta Giovanni 6:30 subito dopo il primo miracolo dei pani, o ancora nelle circostanze ricordato da Matteo 12:38. Questa domanda viene ripetuta in questo versetto e con linguaggio più esplicito. Non bastavano, secondo i Farisei, i segni terreni, cioè i numerosi miracoli che Gesù operava, per dimostrare la divinità della sua missione. Essi volevano un segno dal cielo. Mosè aveva fatto piovere la manna dal cielo per nutrire il popolo d'Israele nel deserto Esodo16:4, Samuele aveva fatto tuonare e grandinare nel tempo della mietitura nel mese di Giugno, fenomeno inaudito in quei climi 1Samuele 12:17, Isaia aveva fatto retrocedere di dieci gradi l'ombra sull'orologio solare di Achaz Isaia 38:8, essi dunque richiedevano da Gesù un segno consimile dal cielo, se pur voleva che lo ritenessero per Messia. Ora, sebbene Cristo guardando al motivo loro, ricusasse di compiacerli, non dobbiamo mai perdere di vista che, alla sua morte, furono dati, dal cielo appunto, segni più stupendi di tutti quelli che furono dati agli antichi profeti.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:20; 9:11; 12:14; 15:1; 22:15,34; 23:2; 27:62

Matteo 16:6,11; 3:7-8; 22:23; Marco 12:18; Luca 20:27; Atti 4:1; 5:17; 23:6-8

Matteo 19:3; 22:18,35; Marco 10:2; 12:15; Luca 10:25; 11:16,53-54; 20:23; Giovanni 8:6

Matteo 12:38-39; Marco 8:11-13; Luca 11:16,29-30; 12:54-56; Giovanni 6:30-31

1Corinzi 1:22

Mt 16:2

2. Ma egli, rispondendo, disse loro: Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia. 3. E la mattina dite: Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo.

Comunissime sono fra la gente di campagna siffatte osservazioni; variano, è vero secondo i climi; ma i segni, dei quali è qui fatta menzione, son tali fra noi quali sono in Palestina.

Mt 16:3

L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non arrivate a discernerli?

cioè non sapete leggere la venuta del Messia nei segni notevoli che si mostrano intorno a voi. Si era allontanato da Giuda lo scettro Genesi 49:10, si compievano le settanta settimane di Daniele 9:24, ed era agevole discernere da molti indizi che l'antica economia stava per chiudersi, e se ne preparava una più libera e vasta; ma per costoro tutto era inutile.

PASSI PARALLELI

Luca 12:54-56

Matteo 7:5; 15:7; 22:18; 23:13; Luca 11:44; 13:15

Matteo 4:23; 11:5; 1Cronache 12:32

Mt 16:4

4. Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, se non quello di Giona.

Parole proferite già in un'altra risposta Vedi note Matteo 12:39Matteo 12:39. Marco omette le parole relative a Giona, e Matteo non dichiara pienamente il segno, perché il nostro Signore l'aveva già spiegato. Marco 8:12 omette

pure le parole di Cristo relative ai cambiamenti del tempo, e la prova d'ipocrisia che n'è tratta; ma egli indica l'effetto prodotto, dalla slealtà di quei postulanti, sopra Gesù, il quale «dopo aver sospirato nel suo spirito disse: Perché questa generazione chiede ella un segno?». Preziosissimi sono gl'indizi che Marco ci somministra relativamente ai pensieri intimi del Salvatore. Il linguaggio qui usato è assai forte, e dimostra che la durezza di cuore dei Farisei aveva commosso profondamente Gesù.

E, lasciatili, se ne andò.

Il modo col quale Gesù troncò la conversazione indica ch'egli, qual giudice, li lasciò nei loro peccati; il che è confermato dalla sua subitanea partenza da quel luogo, e dagli avvertimenti ch'egli diede ai discepoli contro l'ipocrisia dei suoi interlocutori. Questi egli abbandona alla loro incredulità.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:39-40; Marco 8:12,38; Atti 2:40

Giona 1:17; Luca 11:29-30

Matteo 15:14; Genesi 6:3; Osea 4:17; 9:12; Marco 5:17-18; Atti 18:6

Matteo 16:5-12

Mt 16:5

Matteo 6:5-12. AMMONIMENTO CIRCA IL LIEVITO DEI FARISEI DEI SADDUCEI Marco 8:14-21

5. Or i discepoli passati all'altra riva, s'erano dimenticati di prender dei pani.

Per completare la narrazione conviene aggiungere qui le parole di Marco: «E, lasciatili, montò di nuovo nella barca e passò all'altra riva. Or i discepoli aveano dimenticato di prendere dei pani, e non aveano seco nella barca che un pane solo». Questa partenza, o da Capernaum o da Dalmanuta, fu così improvvisa, che i discepoli, nella loro fretta, dimenticarono di fare una nuova provvisione di pane, mentre in barca non rimaneva loro che una sola pagnotta. Se essi sbarcarono, come è probabile, sulla desolata spiaggia di Perea, lontana da ogni villaggio, è facile intendere quanto dovesse metterli in pensiero questa dimenticanza.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:39; Marco 8:13-14

Mt 16:6

6. E Gesù disse loro: Vedete di guardarvi dal lievito dei Farisei, e dei Sadducei.

Ai Sadducei Marco sostituisce Erode. Erano gli Erodiani una fazione politica; ma le loro dottrine religiose piegavano verso quelle dei Sadducei, a segno che negli Evangeli non si fa, tra gli uni e gli altri, differenza alcuna. In Luca 12:1, ove il medesimo avvertimento viene dato in occasione affatto diversa, il lievito indica l'ipocrisia, tra tutti i vizi il più estensivo, e che il nostro Signore rimprovera spesso ai Farisei del pari che agli Erodiani ed ai Sadducei, perché a tutte queste sette era comune. Di questo si preoccupava Gesù, il quale premunisce i suoi discepoli contro siffatta ipocrisia, rappresentandola, a cagione della sua natura espansiva e penetrante, sotto l'emblema del lievito. Nella parabola del lievito Matteo 13:33, si parla di questa sostanza in modo favorevole; qui, e generalmente nelle Scritture, si prende in senso non buono.

PASSI PARALLELI

Luca 12:15

Matteo 16:12; Esodo 12:15-19; Levitico 2:11; Marco 8:15; Luca 12:1; 1Corinzi 5:6-8; Galati 5:9

2Timoteo 2:16-17

Matteo 16:1

Mt 16:7

7. Ed essi ragionavano fra loro e dicevano: Egli è perché non abbiam preso dei pani

Chi pensi all'inquietezza che preoccupava i discepoli per la dimenticanza del pane, capirà benissimo come potessero credere sulle prime che di questa loro svista, e non d'altro, parlasse il Maestro. Ed in verità, l'equivoco dei discepoli non pare assurdo, come a prima vista sembrerebbe, se si pensa che, tra i Farisei, la questione del lievito se cioè, senza rischio di contaminazione legale, potessero gli Ebrei far uso di lievito preparato dai Samaritani o dai pagani era argomento di serie discussioni! Sostenevano molti che il mangiar pane fatto dai Gentili era cosa illegale, e i discepoli poterono credere che Gesù li ammonisce similmente di non procacciarsi del pane fatto dai Farisei e dai Sadducei. Questa minuta circostanza, che solo una storia verace poteva narrare, dimostra più che far non potrebbero molti volumi, come i discepoli di Cristo, anche dopo una lunga convivenza col divino Maestro, anche dopo essere andati a predicare come apostoli ed aver operato dei miracoli, fossero rimasti semplici ma ignoranti.

PASSI PARALLELI

Marco 8:16-18; 9:10; Luca 9:46

Matteo 15:16-18; Atti 10:14

Mt 16:8

8. Ma Gesù, accortosene, disse: O gente di poca fede, perché ragionate fra voi, del non avere dei pani?

Le nove domande che rapidamente si succedono l'una all'altra, nel racconto di Marco 8:17-21, mostrano quanto increscesse al nostro Signore quel difetto di intendimento spirituale dei suoi discepoli, e peggio ancora quel basso concetto che avevano di lui, quasi ch'Ei volesse fare un'ammonizione così solenne per un così futile soggetto! Dal pensiero però che i discepoli si davano della mancanza del pane, noi veniamo a capire che la cura degli interessi temporali, Gesù la lasciava intieramente a loro; o che il suo cuore amoroso si addolorava di vederli supporre ch'egli li sgridasse a quel modo per la loro trascuratezza. Gesù lesse i loro pensieri e li accusò di essere «uomini di poca fede», non solo per, aver dato prova di scarsa intelligenza col prendere alla lettera quella similitudine, ma precipuamente per essersi mostrati così assorti nei loro materiali bisogni, da credere che Gesù medesimo ne fosse ansioso al pari di loro. Dovevano esser persuasi che, sotto la sua direzione, e in sua compagnia, non sarebbe loro mancato nulla del necessario Marco 6:22; Luca 22:35

PASSI PARALLELI

Giovanni 2:24-25; 16:30; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

Matteo 6:30; 8:26; 14:31; Marco 16:14

Mt 16:9

9. Non capite ancora e non vi ricordate dei cinque pani dei cinquemila uomini, e quante ceste ne levaste? 10. Né dei sette pani dei quattromila uomini, e quanti panieri ne levaste?

Secondo Marco, lo scarso intelletto di costoro viene messo in rilievo con un rabbuffo severissimo. Non capite ancora torna a dire: «Non avete ancora

inteso ch'io posseggo un potere sovrumano? La memoria vostra ha ella dimenticato i miracoli che ho operati in due diverse occasioni per nutrire le turbe?». Sebbene Cristo non operasse giammai miracoli per ottenere un intento cui si potesse giungere con mezzi ordinari, pure non avevan ragione alcuna i discepoli di mettersi in pensiero, per la mancanza di pane, ben sapendo che il loro Maestro ne aveva creato due volte per nutrire, non già singole, ma migliaia di persone. La distinzione fra ceste e panieri è osservata nei racconti che si hanno dei due miracoli. Se mancasse una prova incontrovertibile che questi non sono variazioni di un solo e medesimo avvenimento, noi l'avremmo in questa chiara distinzione che il Signore fa tra i due diversi generi di panieri usati nell'una e nell'altra occasione.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:16-17; Marco 7:18; Luca 24:25-27; Apocalisse 3:19

Matteo 14:17-21; Marco 6:38-44; Luca 9:13-17; Giovanni 6:9-13

Matteo 15:34,38; Marco 8:5-9,17-21

Mt 16:11

11. Come mai non capite che non è di pani ch'io vi parlavo? Ma guardatevi dal lievito dei Farisei, e dei Sadducei?

Con siffatti miracoli testè operati sotto gli occhi vostri, come potete voi mai cadere in sì grave errore da supporre che io, nell'avvertimento datovi intendessi parlare della provvisione del pane? Il nostro Signore si limita a dire che non parlava di pane, lasciando però ai discepoli d'indovinare a che cosa veramente egli volesse alludere; ed essi, messi così sulla buona via, giunsero ad una giusta conclusione.

PASSI PARALLELI

Marco 4:40; 8:21; Luca 12:56; Giovanni 8:43

Mt 16:12

12. Allora intesero che non aveva loro detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei Farisei e dei Sadducei.

Bravo è quell'insegnante il quale sa a tempo e luogo eccitare gli alunni tardi d'intelletto a pensare da se medesimi! Qui la parola «dottrina» va presa in ampio significato, e vuol dire i principi che queste sette, opposte fra loro, spargevano nella nazione, ora se più terribile sia quel formalismo che consuma e logora la vita spirituale, ovvero quel così detto razionalismo che scalza la fede, è malagevole assai sentenziare.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:4-9; 23:13-28; Atti 23:8

RIFLESSIONI

1. Nel vers. 4 Matteo 16:4, il nostro Signore ripete ciò che aveva già detto, in un'altra circostanza, e da ciò rilevasi che egli non si appagava di dir le cose una volta sola, ma usava tornare più e più volte sull'argomento medesimo. Or che c'insegna questo? Che noi non dobbiamo ad imitazione di certuni affannarci troppo per mettere in armonia fra loro le narrazioni dei quattro Evangeli. Né le avvertenze di nostro Signore, le quali troviamo identiche in Matteo e Luca, furono sempre usate al medesimo tempo, né gli avvenimenti ai quali si riferiscono o si connettono sono necessariamente i medesimi.

2. Quanto spesso i figli di Dio si meritano il rabbuffo qui diretto a coloro che sanno distinguere i segni di cambiamenti nell'atmosfera materiale, mercantile, o politica, mentre nulla vedono, e nulla prevedono nel mondo morale, spirituale o religioso!

3. Il nostro Signore premuniva i discepoli contro la dottrina dei Farisei e dei Sadducei. I Farisei erano formalisti, procaccianti la propria giustizia; i Sadducei erano scettici, liberi pensatori e quasi increduli. Se Pietro, Giacomo e Giovanni dovevano guardarsi dalle loro dottrine, ciò prova che i più santi ed i migliori fra i credenti stessi debbono stare in guardia. Quelle dottrine possono bene, al pari del lievito, sembrare piccola cosa in confronto del corpo intiero della verità; ma, come il lievito appunto, lavorano celatamente, e adagio adagio corrompono e snaturano il carattere della religione a cui si frammischiano.

4. I nemici del Redentore lo mettevano al cimento; ma di quando in quando facevan lo stesso anche i suoi dodici discepoli eletti. Quanto poco essi intendevano ciò ch'egli loro diceva! Quali pensieri, indegni di lui, supponevano in lui! E quanto erano meschini i motivi ch'essi attribuivano alle sue azioni! Quanto fu meravigliosa la longanime pazienza colla quale egli sopportò tutto questo! Ma una cotal pazienza non gli è forse necessaria ai dì nostri? Non esistono forse tuttora nel popolo di Cristo molte cose, che ci fanno meravigliare della sua pazienza?

Mt 16:13

Matteo 16:13-20. PIETRO CONFESSA NOBILMENTE CRISTO, E VIEN BENEDETTO Marco 8:27-30; Luca 9:18-20

13. Poi Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo,

La città qui rammentata si chiamava in origine Panias, o Panium, da una caverna ad essa vicina dedicata al dio Pan. Sotto gli Arabi, riprese, ad eccezione della prima lettera, l'antico nome. Banias è fabbricata sulle falde del Libano, ove era tracciato anticamente il confine tra la Palestina e la Siria, non lungi dalla città di Dan Laisch, la quale chiamasi oggi Tel-el-Kadi, alla sorgente del Giordano. Filippo Erode, tetrarca di Iturea, l'ampliò ed abbellì assai, e cambiò il suo nome in quello di Cesarea, in onore dell'imperatore Tiberio. Egli aggiunse, in pari tempo, a quel nome, il suo proprio, per

distinguere questa città da Cesarea marittima, fondata da suo padre Erode il Grande, a 30 miglia a Nord di Gioppe. Questa, sotto il dominio dei Romani, fu la metropoli della Palestina e la residenza del procuratore; quella, ritiro tranquillo e remoto presso il quale Gesù ultimamente era passato recandosi ai confini del paese fenicio, fu da lui scelta per conferire privatamente coi suoi discepoli sul profitto ch'essi avevano tratto dai suoi ammaestramenti, e per annunziar loro la sua morte che si avvicinava.

domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che sia il Figliuol dell'uomo?

Luca ci racconta che, prima di fare codesta domanda ai suoi discepoli, Gesù si era ritirato in disparte per pregare, com'era, suo esemplare costume nei momenti difficili. Gesù aveva appunto allora chiuso il primo periodo del suo ministero, ed entrava nel secondo ed ultimo; e siccome gli Apostoli si erano aggirati non poco fra il popolo, egli desiderava sapere da loro quale idea generalmente il popolo si facesse di lui. Ma la domanda ch'egli loro volgeva mirava inoltre ad illuminarli sull'opera che il Figliuol dell'uomo era venuto a compiere. La locuzione: «Figliuol dell'uomo» non trovansi né in Marco, né in Luca, ed è difficile di precisare il senso nel quale Gesù la usò in questo luogo. Dal contrasto fra questa e la locuzione: «Figlio di Dio» adoperata da Pietro nel rispondere Matteo 16:16 parrebbe che il Signore volesse qui significare la propria perfetta umanità, senza però escludere l'idea della sua missione messianica, che egli vi annetteva ordinariamente, Una cosa interessante e notevole assai da osservare si è che il Signore non diede mai a se medesimo, se n'eccettuiamo una sola occasione Giovanni 17:3, i nomi di Gesù e di Cristo; e in pochissime occasioni prese quello di Figlio di Dio Matteo 11:27; Giovanni 5:25;9:35;11:4. La qualifica ch'egli soleva dare alla sua persona era quella medesima qui usata: «Figliuol dell'uomo». Se ne citano non meno di quaranta esempi nei suoi discorsi. Ciò nonostante quel titolo non gli fu mai dato né dagli Evangelisti, né dai suoi amici o nemici. Stefano però ne fece uso per indicare la perfetta umanità del suo Signore, esclamando in estasi, nel momento del suo martirio: «Ecco, io veggo i cieli aperti, e il Figliuol dell'uomo in piè alla destra di Dio» Atti 7:56. Molti rintracciano l'origine di questo titolo in quella celebre profezia di Daniele 7:13 ove si legge che «uno, simile ad un figliuol d'uomo» s'accostava al

Vegliardo, e ne riceveva signoria e gloria e regno. Noi ammettiamo che questo titolo, nella profezia di Daniele, si riferisca al regno eterno ivi descritto, ma crediamo che l'origine di questa locuzione sia molto più antica. La troviamo nella promessa del «seme della donna» Genesi 3:15, fatta ai nostri primi genitori dopo la caduta. Gesù adunque, prendendo quel titolo, non solamente indica la sua vera e reale umanità, ma proclama eziandio ch'egli è governatore di quel regno di Dio che dove estendersi sopra tutta la terra, ch'egli è quel secondo Adamo che deve rialzare l'umanità dalla rovina del peccato, e regnare finché egli abbia messi tutti i nemici sotto i suoi piedi» 1Corinzi 15:25, e gittato nello stagno del fuoco l'antico serpente, cioè il diavolo Apocalisse 20:2,10

PASSI PARALLELI

Marco 8:27

Luca 9:18-20

Matteo 8:20; 9:6; 12:8,32,40; 13:37,41; 25:31; Daniele 7:13; Marco 8:38; 10:45

Giovanni 1:51; 3:14; 5:27; 12:34; Atti 7:56; Ebrei 2:14-18

Mt 16:14

14. Ed essi risposero: Gli uni dicono Giovanni Battista;

È probabile che i discepoli con queste parole alludessero ad Erode Antipa, ed a quelli che dividevano la sua opinione Matteo 14:1-3. Marco conferma questa supposizione Matteo 6:14 come se fosse stata l'opinione degli Erodiani.

altri, Elia;

il quale era aspettato dagli Israeliti prima della venuta del Messia Vedi note Matteo 11:14Matteo 11:14; Luca 1,17Luca 1,17.

altri, Geremia,

C'è chi suppone che questa credenza nascesse dalla pretesa rassomiglianza fra «l'uomo di dolori» e il profeta del pianto; ma, sia vera o no questa supposizione, certo si è che molti fra gli Ebrei credevano che Geremia fosse quel profeta di cui parlasi nel Deuteronomio 18:15, il quale doveva sorgere fra loro, simile a Mosè. Rabbi Giuda Ben Simone, commentando il vers. 18 del sopraccennato capitolo, fa un elaborato parallelo fra questi due profeti.

o uno dei profeti.

Luca: «Uno dei profeti antichi risuscitato». Marco: «Un profeta, pari ad uno dei profeti», che vorrebbe dire, che egli era un nuovo profeta rassomigliante agli antichi. Tutti lo riguardavano come un uomo straordinario, e l'associavano nelle loro idee col venturo Messia.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:2; Marco 8:28

Malachia 4:5; Marco 6:15; Luca 9:18-19; Giovanni 7:12,40-41; 9:17

Mt 16:15

15. Ed egli disse loro: E voi, chi dite che io sia?

Fin allora egli non aveva mai fatto una simile domanda ai suoi discepoli, ma, a cagione della sua morte che si avvicinava, conveniva ch'egli ottenesse da loro, sopra questo argomento, una risposta categorica. Noi possiamo rappresentarci Gesù dicendo fra se, dopo aver udito ciò che di lui pensava il popolo: «invano ho faticato; inutilmente, per nulla ho consumata la mia

forza» Isaia 44:4; mi prendono solo per «uno dei profeti»; sentirò ora che cosa diranno questi miei discepoli ammessi nella mia più stretta intimità».

PASSI PARALLELI

Matteo 13:11; Marco 8:29; Luca 9:20

Mt 16:16

16. Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente.

Pietro, più pronto degli altri, risponde con franchezza e coraggio e la sua risposta sembra acquistare una espansione progressiva nei racconti dei tre sinottici. Secondo Marco, Pietro disse brevemente: «Tu sei il Cristo»; secondo Luca: «Tu sei il Cristo di Dio», e secondo il nostro Evangelista. «Tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente». Quest'ultime sono probabilmente le parole precise che uscirono dalla bocca di Pietro. Esse non hanno la forma d'una confessione formale: Io credo. ecc., ma piuttosto quella dell'adorazione. L'eccellenza di questa dichiarazione sta in ciò, ch'essa mette in rilievo le due nature, umana e divina, del nostro Signore, la sua origine ed il suo uffizio; e manifesta l'intima convinzione prodotta dallo Spirito Santo in Pietro: «il Cristo» il Messia, il Figlio di Davide, il Re unto, «il Figlio dell'Iddio vivente», il Figlio eterno, generato dall'eterno Padre. Egli non è figlio di Dio nel senso di uomo innalzato da Dio, per le sue virtù eminenti alla carica messianica; egli non è figlio come gli angeli; ma ha in se la natura divina, come non la possiede nessun altro. Certo non si vuole affermare che Pietro possedesse, in quel momento, la profonda conoscenza della verità da lui espressa, alla quale egli pervenne solamente più tardi; ciononostante le sue parole furono una fedele testimonianza resa alla vera umanità e alla vera divinità di Cristo, sorgente della vita cristiana negl'individui e della Chiesa.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:33; 26:63; 27:54; Salmo 2:7; Marco 14:61; Giovanni 1:49; 6:69; 11:27; 20:31

Atti 8:37; 9:20; Romani 1:4; Ebrei 1:2-5; 1Giovanni 4:15; 5:5,20

Deuteronomio 5:26; Salmo 42:2; Daniele 6:26; Atti 14:15; 1Tessalonicesi 1:9

Mt 16:17

17. E Gesù, replicando, gli disse: Tu sei beato, o Simone, figliuol di Giona;

Bargiona è un patronimico formato dalla parola siriaca Bar ebraico Ben, figlio, e da Giona, nome del padre di Simone Giovanni 1:42;21:15. Il nome di Cefa, o Pietro, era stato preannunziato a Simone quando fu condotto a Gesù la prima volta Giovanni 1:42, ma siccome l'appellativo di Simone ne ricordava l'origine carnale, e la naturale debolezza, Gesù l'adopera qui, in contrasto con l'altezza a cui Pietro era giunto colla rivelazione spirituale manifestata nella sua risposta. La beatitudine di Pietro non consisteva meramente nella fede, nel discernimento, e nel coraggio che lo resero capace di formulare una chiara e completa confessione, ma nella conoscenza divina implicata in essa.

perché non la carne e il sangue,

cioè la natura umana Galati 1:16: Ebrei 2:14

t'hanno rivelato questo, ma il Padre mio ch'è ne' cieli.

"Questa tua confessione non viene da sapienza umana. bensì da illuminazione divina». La vera conoscenza di Cristo è sempre una rivelazione concessa dal Padre Celeste. La mente carnale può ben scoprire ed ammirare teoricamente certe verità, ma, per esser salvato, fa d'uopo che ogni individuo riceva nel suo cuore la rivelazione dello Spirito Santo intorno a Cristo, e personalmente se l'appropri. Si osservi la somiglianza tra le

parole pronunziate da Cristo in questa circostanza. E quelle di Matteo 11:25-27, dove però è il Figlio che rivela, mentre qui è il Padre. Di questa illuminazione della mente per opera dello Spirito Santo parlano Paolo 1Corinzi 2:12; 1Giovanni 4:2. Paolo fa uso delle parole «carne e sangue», nel medesimo, senso, ai Galati 1:15-16. Ciò che Paolo dice di se stesso in quel capitolo forma un notevole parallelismo colle parole di Gesù relative a Pietro, e viene a confermare il diritto che Paolo aveva di esser considerato come uguale a Pietro ed agli altri apostoli, in quanto che egli non aveva ricevuto la fede e l'apostolato dagli uomini, ma «Dio si era compiaciuto di rivelare in lui il suo Figliuolo». Gesù adopera le parole: «il Padre mio» in un senso esclusivo, corrispondente a quello nel quale appunto allora egli era stato, chiamato da Pietro: il Figliuol di Dio, Egli soleva spesso dire mio Padre e spesso pure vostro Padre; ma non disse mai nostro Padre. in modo da mettersi alla pari con noi.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:3-11; 13:16-17; Luca 10:23-24; 22:32; 1Pietro 1:3-5; 5:1

Giovanni 1:42; 21:15-17

Galati 1:11-12,16

Matteo 11:25-27; Isaia 54:13; Luca 10:21-22; Giovanni 6:45; 17:6-8; 1Corinzi 2:9-12

Galati 1:16; Efesini 1:17-18; 2:8; 3:5,18-19; Colossesi 1:26-27; 1Giovanni 4:15; 5:20

Mt 16:18

18. Ed lo altresì ti dico, che tu sei Pietro,

Come Pietro aveva detto: «Tu sei il Cristo», così Gesù gli dice: «Tu sei Pietro». Il nome di Pietro fu qui confermato dal Signore all'apostolo, in

segno di onore a cagione della sua fede e della confessione chiara, franca e risoluta da lui fattane in questa, circostanza prima di ogni altro.

e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.

Il greco petros vale propriamente sasso. mentre petra vale roccia, pietra da fondamenta. Però non è il caso d'insistere su questa distinzione tra i due termini greci giacché Cristo parlava aramaico e in, quella lingua la stessa identica parola Kefa serviva come nome di persona Giovanni 1:42 e come nome di cosa pietra. Nel greco invece, non si poté conservare l'identità perché il nome femminile petra non si prestava ad essere nome di un uomo; e d'altra parte il maschile petros sasso non si prestava ad indicare una pietra la fondamenta. Il greco ha dovuto contentarsi della paronomasia o somiglianza delle parole petros e petra: Pietro e pietra. Il francese conserva l'identità: Pierre e pierre mentre l'inglese non vi si presta Peter e rock.

Di questa promessa, di Cristo si danno non meno di quattro interpretazioni.

1. Secondo la Chiesa romana, Cristo dichiarò qui che fonderebbe la, sua Chiesa su Pietro costituito principe degli apostoli e supremo gerarca della Chiesa universale. Cotesta autorità suprema doveva poi passare ai successori di Pietro e questi successori sarebbero i vescovi di Roma. Del preteso pontificato di Pietro in Roma, durante venticinque anni, non è più il caso di parlare, non potendosi provare, con assoluta certezza, neppure la sua venuta in Roma. Né il testo parla di successori di Pietro, poiché la prima pietra d'un edificazione non si può sostituire e il privilegio di chi fonda una società o un'istituzione non è trasmissibile. Ma lasciando stare l'idea di successione apostolica la quale non ha che fare col testo, dobbiamo vedere se il privilegio conferito a Pietro includa veramente quanto i vescovi di Roma, più di tre secoli dopo, cominciarono a pretendere che contenesse.

Se a Cesarea di Filippo Pietro fosse stato proclamato capo supremo della Chiesa cristiana, investito di autorità assoluta, come si spiega il fatto che una sì importante dichiarazione di Cristo non sia riferita che dal solo Matteo, mentre non ne dicono verbo gli altri evangelisti, due dei quali, Luca e Marco che scriveva per i Romani riferiscono però la solenne risposta di

Pietro alla domanda di Gesù. Come si spiega che, poco tempo dopo, i discepoli vengano da Gesù a chiedere: «Chi è il maggiore nel regno dei cieli?» Matteo 18:1 e che la madre dei figli di Zebedeo venga, insieme con loro, a dire al Signore: «Ordina che questi miei due figli seggano l'uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra, nel tuo regno» Matteo 20:21? Come spiegare che la Conferenza di Gerusalemme sia presieduta da Giacomo e non da Pietro che pure è presente e partecipa alla discussione, e che la decisione sia mandata ai cristiani etnici in nome, non del preteso supremo gerarca, ma in nome «degli apostoli e dei fratelli anziani» Atti 15? Come spiegare che Paolo rivendichi l'indipendenza del suo apostolato di fronte a quello degli altri e non si periti, in Antiochia, di «resistere in faccia a Pietro, perché era da condannare» e restringa il campo dell'apostolato di Pietro ai Giudei, mentre il suo si estende ai popoli dei Gentili Galati 1:12,17-18; 2:78,11-17? Come spiegare che nelle sue tredici Epistole, Paolo non dica una parola, neanche in via di allusione, del primato di Pietro, né la dicano Barnaba agli Ebrei, e Giacomo e Giuda e Giovanni nelle loro lettere? Come spiegare che Pietro stesso ignori il suo preteso primato nelle due Epistole che abbiamo di lui nel Nuovo Testamento? Egli chiama se stesso «apostolo di Gesù Cristo», «testimone delle sofferenze di Cristo», «anziano cogli anziani» che non devono «signoreggiare» le chiese; chiama Cristo il Sommo Pastore, la «pietra vivente» su cui sono edificate le «pietre viventi che sono i credenti», i nec verbum, quidem, 1Pietro 1:1; 2:4-5; 5:1-4? Come ammettere che il primo successore ex hypothesi di Pietro, sia diventato il principe degli apostoli ancor vivi alla morte di Pietro e fra cui si annoveravano Andrea e Giovanni? Come spiegare il silenzio dei primi secoli circa il primato giuridico di Pietro, circa la trasmissione di esso ai vescovi di Roma? Quel primato non fu incluso in alcuno dei Credo antichi. Uomini come Crisostomo, Ambrogio, Girolamo, Agostino, ecc., hanno inteso il passo Matteo 16:18 in modo diverso dai teologi cattolici medioevali che lo fecero servire alle ambizioni dei vescovi di Roma.

In una parola, nulla si trova nel Nuovo Testamento né nella Chiesa dei primi secoli che sia, in favore della interpretazione romana.

2. Una interpretazione antica, esposta da parecchi dottori fra cui Crisostomo, Ilario, Ambrogio, Girolamo, Cirillo, considera la confessione di

fede fatta da Pietro come il fondamento su cui Cristo edificherà la sua Chiesa. Si obbietta però che, con questa esposizione, si viene ad escludere un qualsiasi privilegio premesso dal Signore a Pietro. Il «Tu sei Pietro» resta campato in aria. Inoltre nel Nuovo Testamento si parla sempre di persone credenti, di apostoli od evangelisti come di fondamenti, di colonne, di pietre vive, nell'edifizio della: Chiesa; non di confessioni di fede sebbene, in un senso, sia esatto che la verità evangelica sta alla base della Chiesa cristiana.

3. Una terza interpretazione sostenuta da molti e preferita anche dall'Autore del presente Commentario, come si può vedere nella prima e nella seconda edizione, considera Cristo stesso come la pietra su cui egli edificherà la sua Chiesa: «Tu sei Pietro e su quella pietra che hai confessata, cioè sul Cristo, Figliuol di Dio Vivente, edificherò la mia Chiesa».

I sostenitori di questa opinione insistono sulla distinzione tra petros, sasso, e petra. roccia, che meglio conviene a Cristo che a Pietro. Ma l'argomento non regge di fronte alla considerazione che Cristo ha dovuto, in aramaico, servirsi due volte della stessa parola: Kefa. Si fa valere il fatto che spesso, nell'Antico Testamento, l'Eterno è chiamato la rocca, la rocca della salvezza, la rupe del suo popolo nel senso però di «rifugio». Esempi: Deuteronomio 32; Salmo 71:3; 89:26. È chiamato pure la «roccia dei secoli», Isaia 26:4; e nel Nuovo Testamento, Pietro stesso chiama Cristo la «pietra vivente», la pietra angolare dell'edifizio 1Pietro 2:4-7, e così Paolo Efesini 2:20; Cfr. 1Corinzi 3. Verità preziosa, che nessuno pensa a negare, giacché le anime credenti non possono poggiare la loro fede sopra un semplice uomo, ma soltanto sul Cristo morto e risuscitato per loro, lo stesso ieri, oggi ed in eterno.

Resta però il fatto che se si fa dire a Gesù: «Ed io altresì ti dico che tu sei Pietro e su me stesso edificherò la mia Chiesa...», il «tu sei Pietro» perde ogni senso e al confessore del Cristo non è concesso alcun privilegio. Eppure ci pare innegabile che tale fosse l'intenzione del Signore. Siamo quindi condotti ad una quarta interpretazione che, mentre fa giustizia al contesto, si tiene lontana dagli enormi errori del papismo.

4. Secondo questa interpretazione che si fa largamente strada nell'esegesi moderna, la risposta di Cristo a Pietro va intesa così:. «Dio ti ha dato di conoscermi, e tu per primo, fra i miei seguaci, mi hai confessato come il Cristo, il Figlio di Dio; ed io altresì ti dico: Tu sei Pietro, l'uomo dalla salda fede, l'uomo dalle ardite iniziative, atto come strumento umano di fede ardente a fondare la società dei credenti di cui sarai la prima pietra e io ti darò il privilegio e l'onore, quando ne, sia venuta l'ora, di essere il primo banditore del Vangelo, colui che comunicherà la fede che possiede ad altre anime che saranno le prime, pietre viventi dell'edifizio della mia Chiesa. Avrai così il privilegio di essere il primo ad adoperare le chiavi della predicazione cristiana per aprir le porte del regno di Dio a migliaia di credenti». Il privilegio promesso a Pietro, è cosa del tutto personale, non trasmissibile, di natura onorifica e che fa di lui non già il capo ed il padrone della Chiesa Cristo la chiama la mia Chiesa, ma il primus inter pares tra i suoi colleghi nell'apostolato, ai quali il Capo Supremo della Chiesa ha conferito, mediante una misura speciale del suo Spirito, le stesse prerogative che a Pietro Giovanni 21:21-23. Il suo è dunque un primato meramente storico a motivo del posto speciale che gli è stato affidato nell'opera della fondazione della Chiesa di Dio.

Gli Evangelisti, nel dare il catalogo degli apostoli, chiamano Pietro «il primo» e riferiscono parecchi fatti in cui Pietro si rivela come uomo d'iniziativa. Dopo la Pentecoste, Pietro occupa manifestamente, nei primordi della storia della Chiesa narrataci negli Atti, il primo posto. Mediante il suo ministerio viene fondata la chiesa di Gerusalemme composta di Giudei e, più tardi, egli è chiamato ad evangelizzare e a battezzare i primi credenti fra i pagani Atti 1-11. A questa parte del primato d'onore conferitogli si riferisce egli stesso nella conferenza di Gerusalemme quando dice: «Fratelli, voi sapete che, fin dai primi giorni, Iddio scelse fra voi me, affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo e credessero...» Atti 15:7. Parole queste che mostrano in qual senso Cristo ha potuto parlare di edificar la sua Chiesa su Pietro ed in qual senso Paolo ha potuto scrivere agli Efesini 2:20 ch'essi erano «stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare sulla quale l'edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo del Signore». In quel senso medesimo va intesa la visione in cui Giovanni,

contemplando la Gerusalemme celeste nota che «il muro della città aveva dodici fondamenti e su quelli stavano i nomi dei dodici apostoli dell'Agnello» Apocalisse 21:14. Anche oggi, quando parliamo di servitori di Dio che hanno fondata la Chiesa in una data regione, intendiamo dire che sono stati gli apostoli di quel dato paese, ossia che Cristo si è valso della loro opera di credenti per formare altri credenti entrati come pietre viventi a far parte del grande edificio spirituale. Pietro ebbe il privilegio nel periodo delle prime origini di formare colla sua predicazione, le prime pietre vive della Chiesa di Cristo che nessuna avversa potenza doveva riuscire mai ad abbattere; e siccome egli fu l'apostolo particolare dei circoncisi, ben s'intende che il privilegio concessogli venga ricordato nel Vangelo di Matteo scritto soprattutto per i Giudeo-cristiani.

È questa la prima volta che incontriamo la parola ecclesia, che ritroveremo un'altra volta ancora nel Nuovo Testamento, cioè in Matteo 18:17, ove ha un significato più ristretto. Qui essa abbraccia tutta quanta la società o fratellanza dei credenti in Cristo, la quale fa riscontro alla radunanza d'Israele caal, che nella versione dei 70. porta il nome di ecclesia. Gesù chiama «mia Chiesa» la società ch'egli voleva costituire; espressione ammirabile, che non si trova altrove nei Vangeli, la quale indica che, la Chiesa è proprietà di Cristo, per cui egli l'ama, e ne prende cura.

e le porte dello Hades non la potranno vincere.

Parole intese a mettere in risalto l'importanza divina e permanente dell'edificio nella cui fondazione Pietro avrà una parte cospicua. La parola greca Hades, Ebrei Sceol, nella Scrittura viene a significare il regno della morte; e siccome la potenza di quel regno è nelle mani di Satana Ebrei 2:14, le parole si possono riferire anche all'influenza ed alle macchinazioni di lui. Dello Hades si parla come di luogo che ha delle porte Giobbe 38:17, e altrove, le quali spalancandosi a guisa di apertura d'abisso inghiottiscono le generazioni umane. Siccome Satana è il distruttore, ed ha possanza sulla morte, noi non ci allontaneremo dal vero ammettendo che la locuzione «porte dello Hades» rappresenta tutta quanta la possanza e l'astuzia del regno di Satana; le quali però non prevarranno mai.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:2; Giovanni 1:42; Galati 2:9

Isaia 28:16; 1Corinzi 3:10-11; Efesini 2:19-22; Apocalisse 21:14

Zaccaria 6:12-13; 1Corinzi 3:9; Ebrei 3:3-4

Matteo 18:17; Atti 2:47; 8:1; Efesini 3:10; 5:25-27,32; Colossesi 1:18; 1Timoteo 3:5,15

Genesi 22:17; 2Samuele 18:4; Giobbe 38:17; Salmo 9:13; 69:12; 107:18; 127:5; Proverbi 24:7

Isaia 28:6; 38:10; 1Corinzi 15:55

Salmo 125:1-2; Isaia 54:17; Giovanni 10:27-30; Romani 8:33-39; Ebrei 12:28

Apocalisse 11:15; 21:1-4

Mt 16:19

19. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli;

Sotto altra immagine Cristo seguita a dichiarare il privilegio che sarà concesso a Pietro. La forma futura: «Ti darò», si riferisce al tempo che seguì l'ascensione del Signore. Prima dell'effusione pentecostale gli apostoli non erano atti a disimpegnare l'ufficio ricevuto. Le chiavi servono ad aprire e a chiudere un edifizio, e implicano un'autorità affidata ad uomini che hanno i requisiti per esercitarla fedelmente. L'edifizio è chiamato qui il regno dei cieli, nozione più vasta di quella di «chiesa», ma che in questo passo è difficile distinguere da quella. La chiave con cui Pietro per il primo e poi tutti gli apostoli, al par di lui, hanno aperto alle anime il regno dei cieli è il messaggio evangelico ricevuto da Cristo e da loro bandito al mondo colla parola e cogli scritti, coll'autorità di ambasciatori di Cristo, di uomini che

sono stati insegnati da Dio in modo speciale e che hanno ricevuto una misura speciale dello Spirito per ispirarli e per guidarli. Prima di salire al cielo il Signore diede loro questo mandato: «Andate per tutto il mondo, e predicate l'Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato» Marco 16:15-16. Colla predicazione Pietro aperse le porte del regno dei cieli ai tremila credenti della Pentecoste e più tardi a Cornelio ed ai suoi, senza passare per il giudaismo. Colla predicazione egli chiuse la porta del Regno agli increduli quando disse: «in nessun altro che Cristo è la salvezza», e quando dichiarò estranei alla sincerità della fede Anania e Simon Mago.

e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato ne' cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto ne' cieli.

A Pietro per il primo Gesù promette questa prerogativa che più tardi sarà egualmente data agli altri apostoli Giovanni 20:22-23, ma di cui egli sarà il primo a fare uso. Fra gli Ebrei «legare significa dichiarare illegale una cosa, e «sciogliere» dichiararla legate. Essi solevano dire dei Rabbini e degli Anziani, dedicatisi all'insegnamento delle Sacre Scritture, ch'essi avevano il potere di legare e di sciogliere. Cfr. Matteo 23:13. Questo fatto deve servirci di norma nell'interpretazione di espressioni che erano d'uso comune fra i discepoli in virtù dello Spirito, la parola apostolica doveva avere per la chiesa di Cristo di tutti i tempi un'autorità normativa in fatto di dottrina, di morale e di ordinamenti ecclesiastici. Essi dovevano avere l'autorità e la capacità dall'Alto di esporre appieno il piano divino della salvazione e di combatter gli errori, di proclamare le leggi morali del Regno, e di denunziare le deviazioni, di esaltare la norma suprema dell'amore e quella della libertà cristiana dalle tradizioni umane e dagli ordinamenti transitori dell'economia antica ormai tramontata. Un autorevole commento alle parole di Cristo l'abbiam nei luoghi delle Epistole ove Paolo rivendica l'autorità del suo apostolato: «Paolo apostolo non dagli uomini né per mezzo d'alcun uomo, ma per Mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre... L'evangelo da me annunziato non l'ho ricevuto né imparato da alcun uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo. Se alcuno ivi annunzia un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema» Galati 1. Non c'è nulla, in questo versetto, che possa, somministrare ai dottori romani un appoggio in favore

della pretesa autorità di dare o di negare l'assoluzione ai peccatori, ch'essi dicono essere stata conferita a Pietro ed ai suoi successori. Si tratta qui di cose e non di persone. Dice: Tutto ciò che avrai legato; non chiunque avrai... Stier nota la testimonianza che, negli scritti e nel discorsi di Pietro, si trova contro tutti gli errori del papato: contro la signoria della Chiesa 1Pietro 5:34; contro un sacerdozio separato 1Pietro 2:5,9; contro la pretesa di dominare l'autorità civile 1Pietro 2:13-17; contro l'argento, l'oro e gl'illeciti guadagni Atti 3:6; 1Pietro 1:18-19; 5:2; contro gli atti sconvenienti di onoranza, e contro il baciamento dei piedi Atti 10:25-26 contro il celibato 1Corinzi 9:5; e contro la dottrina della giustificazione per le opere, Atti 15:10-11; 1Pietro 1:3-5, ecc.

PASSI PARALLELI

Atti 2:14-42; 10:34-43; 15:7

Isaia 22:22; Apocalisse 1:18; 3:7; 9:1; 20:1-3

Matteo 18:18; Giovanni 20:23; 1Corinzi 5:4-5; 2Corinzi 2:10; 1Tessalonicesi 4:8; Apocalisse 11:6

Mt 16:20

20. Allora vietò a' suoi discepoli, di dire ad alcuno ch'egli era il Cristo.

Una tale ingiunzione era allora necessaria perché non era maturo ancora il tempo di proclamare quella grande verità. Avrebbe allora provocato un'effervescenza carnale tra il popolo. Gli apostoli stessi non avevano capito ancora che il Cristo dovea soffrire e morire Cfr. Matteo 16:22. Solo quando avrebbero ricevuto lo Spirito, dopo l'ascensione, potrebbero predicare con verità sulla natura del Cristo, sull'opera sua e sul sue regno.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:4; 17:9; Marco 8:30; 9:9; Luca 9:21,36

Giovanni 1:41,45; 20:31; Atti 2:36; 1Giovanni 2:22; 5:1-28

Mt 16:21

Matteo 16:21-28. CRISTO ANNUNZIA LA SUA MORTE; RIMPROVERA PIETRO; ESORTA A FERMEZZA E AD ABNEGAZIONE Marco 8:31-38; Luca 9:21-27

Cristo, per la prima volta, annunzia la sua morte, ecc. Matteo 16:21-23

21. Da quell'ora Gesù cominciò a dichiarare a' suoi discepoli, che doveva andare a Gerusalemme,

Il nostro Signore comincia qui a trattare l'argomento della prossima sua passione, e l'espressione «da quell'ora» viene a dire che, a poco a poco, egli manifestava loro la cosa, secondo che erano capaci di sopportarla. Avendoli convinti ch'egli era il Cristo, egli corregge ora, con gran prudenza, gli errori ch'essi nutrivano intorno al carattere del Messia. Già e esistevano oscuri indizi relativamente ai futuri patimenti del nostro Signore Matteo 10:38; Giovanni 3:14 ed alla sua risurrezione Giovanni 2:19, non mai però ne aveva parlato così chiaramente come ora. Marco, colla solita esattezza, ci dice che Gesù «diceva queste cose apertamente». Nel primo annunzio, aveva parlato in modo generico; nel secondo Matteo 17:22, aggiunse il tradimento; nel terzo Matteo 20:17, parlò dei dolori e della croce; e ora dichiara che il luogo dei suoi patimenti sarà Gerusalemme, la quale, sebbene chiamata «la santa città» aveva acquistato la poco invidiabile rinomanza di avere versato il sangue dei santi. Quindi noi troviamo che il Salvatore dice: «Bisogna ch'io cammini oggi e domani e posdomani, perché non può essere che un profeta muoia fuor di Gerusalemme» Luca 13:33

e soffrir molte cose dagli anziani, e da' capi sacerdoti, e dagli Scribi; ed essere ucciso,

Accuse false, cospirazioni segrete, cattura, processo intentatogli per bestemmia, e morte violenta: erano queste le cose a cui egli alludeva. Tre classi d'uomini sono rammentate qui come avendo contribuito alle sofferenze ed alla morte di Cristo, mentre avrebbero dovuto riconoscerlo come il Messia, e, guidare a lui il popolo a capo del quale si trovavano, cioè: gli Anziani, che erano membri del Sinedrio, scelti dal voto popolare e quindi chiamati Anziani del popolo Matteo 21:23; i capi sacerdoti, capi delle ventiquattro mute di sacerdoti, i quali facevano il servizio del tempio Vedi nota Luca 1:5Luca 1:5, ed erano pur membri del Sinedrio; e gli Scribi, molti dei quali facevano anche parte del Sinedrio.

e risuscitare il terzo giorno.

Nonostante che questa predizione della insurrezione sia chiara e letterale, al pari di quella dei patimenti del Signore, pure i discepoli, sbalorditi e sgomenti all'annunzio ch'egli doveva morire, non comprendevano le sue parole e sentivano venir meno ogni loro speranza, Marco 9:10; Luca 24:6-8. Cotesta è sufficiente risposta alla obbiezione che taluno fece: «Siccome gli amici e i discepoli di Gesù, non aspettavano la sua resurrezione, sebbene fosse così chiaramente predetta, ivi ha luogo a dubitare che non ne avesse parlato mai». Eppure, di quel detto misterioso di Gesù: ch'egli risorgerebbe dai morti nel terzo giorno, tanto ne avevano parlato i discepoli nei loro convegni, che la voce n'era giunta fino alle autorità giudaiche, le quali poi, per impedire una sorpresa, fecero porre intorno al sepolcro le sentinelle; fatto che, per dirla di passata, risponde pienamente alla obbiezione che confutiamo.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:22-23; 20:17-19,28; 26:2; Marco 8:31; 9:31-32; 10:32-34

Luca 9:22,31,44-45; 18:31-34; 24:6-7,26-27,46; 1Corinzi 15:3-4

Matteo 26:47; 27:12; 1Cronache 24:1-19; Nehemia 12:7

Matteo 27:63; Giovanni 2:19-21; Atti 2:23-32

Mt 16:22

22. E Pietro, trattolo da parte,

ossia prendendolo per la mano, come uno che desidera dire una parola all'orecchio.

cominciò a rimproverarlo,

affettuosamente, ma pure con una certa indignazione generosa, la quale mostra quanto l'annunzio della sua morte giungesse loro inaspettato e doloroso.

dicendo: Signore, tolga ciò Iddio; questo non ti avverrà mai.

La prima parte di questa sentenza è una deprecazione: «Dio abbia pietà di te; Dio non permetta!». La seconda parte non è, semplicemente la manifestazione del desiderio che il suo Maestro potesse sfuggire a tutte queste prove, ché altrimenti Gesù non l'avrebbe rimproverato così aspramente come subito fece; ma vuol essere riguardata come la dichiarazione di uno che assume aria d'autorità: «Questo non ti avverrà punto!» non può avvenire che il Messia soffra, che il Figlio di Dio muoia. Questa presuntuosa e carnale opposizione ai decreti di Dio fu quella che Gesù gli rimproverò così fortemente. Ecco qui quel medesimo Pietro, che poc'anzi aveva fatto una confessione così nobile e spirituale, e ricevuto una così grande benedizione, mostrare ora il lato debole e carnale del suo carattere, diventare pietra di scandalo nella via del suo Signore, e meritarsi quel rabbuffo medesimo col quale, prima di lui, era stato mandato via il tentatore! Né in tutto questo c'è alcun che d'improbabile: la manifestazione della fede spirituale può precedere, e spesso precede quella della carnal debolezza, e il cristiano non è mai più vicino al pericolo di cadere, che quando lo spirito è esaltato, come era quello di Pietro, dalle lodi e dalle promesse fattegli da Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:16-17; 26:51-53; Marco 8:32; Giovanni 13:6-8

1Re 22:13; Atti 21:11-13

Mt 16:23

23. Ma Gesù, rivoltosi, disse a Pietro:

mentre udivano tutti gli altri poiché essi dividevano i sentimenti espressi da Pietro, Marco dice: «Egli rivoltosi e guardati i suoi discepoli, rimproverò Pietro» Marco 8:33

Vattene via da me, Satana;

La maggior parte dei critici cattolici romani adottano la congettura d'Ilario, e sostengono che solamente le prime parole: «Vattene via da me» furono dirette a Pietro, e il resto del versetto a Satana; opinione affatto inverosimile, di cui l'origine è troppo evidente perché meriti confutazione. Detrarre un minimo che, a Pietro, vale lo stesso che oscurare la gloria della Chiesa romana! Son queste le precise parole che il Signore usò contro il tentatore in persona Luca 4:8, e ne fa uso con Pietro, perché ben vede che Satana si serve delle parole di lui inconsce, disavvedute ma benevole, per tentarlo di nuovo. Un'esca satanica, un sussurro d'inferno scorgeva Gesù in quelle parole, dirette a smuoverlo dal suo proponimento: da ciò la severità di quel rimprovero. Mai le parole di Satana son tanto pericolose come quando egli le mette sulle labbra di un uomo dabbene. Questo avvenimento ci dà, sulla vita interiore del Figliuolo dell'uomo, un cenno rilevantissimo, il quale conferma quanto si legge in Ebrei 4:15, che «egli fu tentato in ogni cosa, come noi, però senza peccare». Dopo che la prima gran lotta con Satana fu vinta, noi leggiamo che «il diavolo si partì da lui infino ad un certo tempo» Luca 4:13; e c'imbattiamo in un rinnovamento di lotta sul finire del ministero di nostro Signore. Se non che queste parole parrebbero indicare che una tal lotta, fra questi due punti estremi, fu spesso rinnovata, e che egli mantenne colla tentazione un conflitto continuo. Colle parole di Pietro,

Satana assalì nuovamente Gesù, mostrandogli la possibilità di evitare i patimenti e la morte. E tanto più mascherata e pericolosa era la tentazione, in quanto veniva dalle labbra di un caro discepolo, il quale appunto allora aveva riconosciuto la divina sua dignità.

tu mi sei di scandalo;

La parola greca letteralmente significa laccio, o trappola, ed anche, in genere, pietra di scandalo, cioè qualunque oggetto contro il quale si possa inciampare Vedi Romani 9:33;11:9; 1Pietro 2:8. Cercando di stornarlo dalla via del Calvario, egli lo spinge ad abbandonar l'opera affidatagli dal Padre.

perché tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini.

pensare include anche l'esercizio degli affetti, e significa deliziarsi, essere animato da, ecc.; ed è questo il senso che ha in questo luogo. Questa sentenza significa in somma: «Di questi avvenimenti, tu riguardi solamente il lato umano; tu riguardi la mia morte come quella degli altri uomini, e credi che debba essere schivata come una grave disgrazia: mentre ell'è il mezzo scelto da Dio per la soddisfazione della sua legge infranta, e per la salvazione del suo popolo eletto.

Mt 16:24

Esortazione alla fermezza e alla abnegazione Matteo 16:24-28

24. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se uno vuol venir dietro a me, rinunzi a sé stesso, e prenda la sua croce, e mi segua. 25. Perché chi vorrà salvar la sua vita la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor di me la troverà.

Per l'esposizione vedi nota Matteo 10:38Matteo 10:38, Matteo 10:39Matteo 10:39. Marco 8:34 dice che il resto del discorso fu pronunziato a voce alta, affinché, insieme coi discepoli, ne potessero profittare anche le turbe. Quanto al legame che connette questi versetti con quelli che

immediatamente li precedono, e si trova senza dubbio in questo che, nel riprendere il suo signore per aver parlato della propria morte e dei suoi patimenti, Pietro fu mosso, non soltanto da un sentimento di simpatia per lui ma anche da riluttanza per le sofferenze personali; le quali i discepoli ben prevedevano che ricadrebbero sopra di loro come conseguenza della loro unione con Cristo. Da ciò l'avvertimento solenne già dato una volta, ed ora ripetuto.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:38; Marco 8:34; 10:21; Luca 9:23-27; 14:27; Atti 14:22; Colossesi 1:24

1Tessalonicesi 3:3; 2Timoteo 3:12; Ebrei 11:24-26

Matteo 27:32; Marco 15:21; Luca 23:26; Giovanni 19:17; 1Pietro 4:1-2

Matteo 10:39; Ester 4:14,16; Marco 8:35; Luca 17:33; Giovanni 12:25; Atti 20:23-24

Apocalisse 12:11

Mt 16:26

26. E che gioverà egli a un uomo, se dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua?

Queste parole sono identiche in Marco; in Luca si trova qualche lieve mutamento. Nei versetti precedenti, la parola vita, anima significa tanto la vita animale che quella più alta dello spirito; qui però viene adoperata in quest'ultimo senso. Rifuggendo dai patimenti per Cristo, o, per dirla in altre parole, vergognandoci di Cristo e della sua causa Marco 8:38; Luca 9:26, possiamo conservare la vita naturale ma sacrifichiamo la spirituale. È questo un guadagno? Anche nel caso impossibile che un uomo guadagni tutto il

mondo e goda per breve ora dei suoi piaceri ed onori, se deve perdere la vita superiore, i beni eterni la retribuzione celeste, egli fa una perdita incalcolabile. Infatti, che potrà egli offrire di equivalente per redimere l'anima sua? Così il Signore insegna quanto inestimabile sia per ogni uomo la vita dell'anima.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:29; Giobbe 2:4; Marco 8:36; Luca 9:25

Matteo 4:8-9; Giobbe 27:8; Luca 12:20; 16:25

Salmo 49:7-8; Marco 8:37

Mt 16:27

27. Perché il Figliuol dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli;

Luca 9:26, dice "nella gloria sua", cioè nella gloria di cui lo colmerà il Padre ch'è uno con lui. Gli angeli lo scortano Come suoi ministri. Si parla qui della seconda venuta di Cristo "per giudicare i vivi ed i morti".

e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua.

Il giudizio finale, porrà ogni casa nella sua vera luce. Un incoraggiamento sì dà qui a coloro i quali, per amor di Cristo, sono disposti a sacrificare ogni loro avere e la vita stessa; mentre la ruina di coloro che hanno preferito quei beni o la stima del mondo, al servizio di Cristo ed al bene dell'anima, viene qui solennemente confermata. Giudice il Figliuol dell'uomo in persona; e la norma del giudizio consisterà non già nella professione di amare Cristo, ma nelle azioni Matteo 25:34-36. Detto importante quanto vero: "giustificati per fede, giudicati per opere!".

PASSI PARALLELI

Matteo 24:30; 25:31; 26:64; Marco 8:38; 14:62; Luca 9:26; 21:27; 22:69

Matteo 13:41,49; Daniele 7:10; Zaccaria 14:5; 2Tessalonicesi 1:7-10; Giuda 14

Matteo 10:41-42; Giobbe 34:11; Salmo 62:12; Proverbi 24:12; Isaia 3:1011; Geremia 17:10

Geremia 32:19; Ezechiele 7:27; Romani 2:6; 1Corinzi 8:8; 2Corinzi 5:10; Efesini 6:8; 1Pietro 1:17

Apocalisse 2:23; 22:12-15

Mt 16:28

28. In verità io vi dico, che alcuni di coloro che son qui presenti non gusteranno la morte finché non abbiano veduto il Figliuol dell'uomo venir nel suo regno.

Marco 9:1 dice: "veduto il regno di Dio venuto con potenza", Luca 9:27 "veduto il regno di Dio". "Gustar la morte" era una metafora familiare agli Ebrei Giovanni 8:52; Ebrei 2:9. Non è possibile che questa venuta del regno del Figliuol dell'uomo si riferisca, come, alcuni suppongono, alla trasfigurazione, poiché, in quella circostanza, davanti ai tre discepoli, fu rivelata soltanto la gloria della persona di Cristo. Quelli che lo circondavano erano Mosè ed Elia, e non già gli angeli. Né, siccome altri suppongono, si allude alla sua seconda venuta, di cui è parlato nel versetto precedente, poiché l'avvenimento di cui Cristo qui ragiona doveva succedere durante "la vita di alcuni fra coloro che erano il presenti, e che doveano poi morire dopo. Questa "venuta", secondo noi, si riferisce alla distruzione di Gerusalemme, ed alla piena manifestazione del regno di Cristo per mezzo dell'annientamento dell'antica economia; avvenimento che, sotto questo aspetto, e nei particolari terribili che gli tennero dietro, doveva essere un tipo ed una dimostrazione della venuta finale di Cristo. Alcuni però credono

che si debba intendere questa venuta in un senso più lato, e considerarla come abbracciando tutto il tempo che passa fra la effusione dello Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste, e la distruzione di Gerusalemme, la quale avvenne più di un quarto di secolo dopo, periodo durante il quale successe la morte lenta della dispensazione mosaica, e lo estendersi graduale del regno del Messia.

PASSI PARALLELI

Marco 9:1; Luca 9:27

Luca 2:26; Giovanni 8:52; Ebrei 2:9

Matteo 10:23; 24:3,27-31,42; 26:64; Marco 13:26; Luca 18:8; 21:27-28

RIFLESSIONI

1. Tralasciando ogni controversia, facciamoci a considerare la eccellenza della confessione di Pietro. Egli la fece quando ancor pochissimi erano favorevoli a Cristo, e moltissimi contrari; quindi, per parlare a quel "ci voleva una fede grande, ed una gran risolutezza di carattere. E ben dovremmo imitare lo zelo e l'amore che Pietro mostrò in tale occasione, noi, che per la sua poca fermezza e per il suo triplice rinnegamento, siamo forse troppo inclinati ad abbassare i meriti di quell'uomo santo. Veramente Pietro malgrado tutti i suoi falli, era un sincero e fervente servo di Cristo; e malgrado tutte la sue imperfezioni, ci ha lasciato un modello che i cristiani ben farebbero di imitare. Uno zelo come il suo può essere di retto male, può trascendere a gravi errori, ma non deve esser disprezzato, perché è atto a svegliare quelli che dormono, e ad eccitare i neghittosi ad operare.

2. Considera, o lettore, che cosa intendere si debba per la Chiesa che Cristo promette di edificare. Poche parole sono state malintese come la parola Chiesa. Qui essa non significa la Chiesa visibile d'una data nazione a di un paese: è l'intero corpo dei credenti d'ogni età, d'ogni lingua. La compongono tutti coloro che sono stati lavati nel sangue di Cristo, vestiti della giustizia di

Cristo, rinnovati dallo Spirito di Cristo, uniti nella fede di Cristo; coloro che, in tutta la loro condotta, sono "epistole viventi di Cristo". Essa è una società di cui ogni membro è stato battezzato collo Spirito Santo, ed è in tutta la sua condotta santo. Questa Chiesa forma un corpo solo. Tutti coloro che ad essa appartengono hanno un cuore solo, un'anima sola; essi ritengono le medesime verità salutari. Questa Chiesa ha UN CAPO SOLO, che è Gesù Cristo stesso Colossesi 1:18

3. Consideriamo la promessa fatta a questa Chiesa: "Le porte dello Hades non prevarranno contro di lei". Queste parole significano che la potenza di Satana non perverrà mai a distruggere il popolo di Dio. Non mai sarà sopraffatto, non mai perirà il corpo mistico di Cristo; sarà perseguitato afflitto, angustiato, abbassato, ma non avrà mai fine. Le Chiese visibili, come quella di Efeso, ecc., possono essere distrutte, ma la Chiesa vera non perirà mai. Simile al roveto veduto da Mosè, può ardere, Ma, non già consumarsi. Ogni membro di essa sarà condotto salvo alla gloria Giovanni 10:28

4. Con quale assiduità e con quale attenzione dovrebbero i Cristiani meditare la parola ispirata degli apostoli negli scritti del Nuovo Testamento. Essa è la sola norma suprema della fede e della morale; essa sola lega e scioglie in modo infallibile.

5. Quanto è difficile cosa, anche per eminenti cristiani, di ricevere elogi senza diventar superbi! Alla esaltazione spirituale, sovente tiene dietro la tentazione più gagliarda, se non la più vergognosa caduta. Ciò che mosse, Pietro a fare dei rimproveri al suo Maestro fu presunzione? Fu l'amore soverchio dei suoi comodi che gl'impedì di seguire Gesù nella via degl'insulti, dell'obbrobrio e della morte? Quanto è proclive la nostra naturale fralezza a ricercare gli agi, ed a rigettare lungi da noi ogni croce! Stiamo bene in guardia, affinché non ci avvenga di rinnegare Cristo!

6. Nei tempi di feroce persecuzione, o quando prevediamo patimenti per la causa dell'Evangelo, sarà per noi un atto di saviezza ed una torre di fortezza considerare qual guadagno faremmo seguendo Cristo, e quale perdita sarebbe la conseguenza d'un rinnegamento. Poniamo il guadagno del mondo

intiero contro una sola perdita: quella dell'anima; e la perdita di tutti i beni del mondo, di fronte ad un solo guadagno: quello dell'anima: quindi, ponendoci davanti alla coscienza, davanti a Dio, davanti alla beatitudine ed ai tormenti avvenire, domandiamoci: Da qual parte sarà il guadagno?

Mt 17:1

CAPO 17 - ANALISI

1. Trasfigurazione del nostro Signore, sopra uno dei monti di Galilea. Essa ebbe luogo in presenza di Mosè e di Elia, di Pietro, Giacomo e Giovanni, rappresentanti della Legge e dell'Evangelo, dell'antica e della nuova Alleanza. Essi v'intervennero per rendere omaggio al comune loro Redentore, e per parlare della morte ch'egli dovea soffrire in Gerusalemme, morte nella quale essi avevano un comune interesse, consistente nel dimostrare che, sebbene la Chiesa di Dio fosse esistita sotto diverse dispensazioni e con diverse forme esteriori, essa era stata e sarà sempre una sola, adoratrice del medesimo Dio, fidente nel medesimo Salvatore, santificata nel medesimo Spirito, per formare, nell'ultimo giorno, insieme colle schiere angeliche, "universale radunanza e la Chiesa dei primogeniti scritti nei cieli". Tutti i sinottici descrivono la scena della trasfigurazione; ma Matteo è più esplicito parlando del mutamento effettuatosi nella persona di Gesù. La gloria della divinità di Cristo, celata fin allora sotto il velo della sua umanità, sfolgoreggiò d'un tratto, ad illuminare il suo volto, finché esso risplendette come il solo, e così pure lo sue vesti, mentre, al tempo stesso, una nube lucente circondò tutti gli astanti, di mezzo alla quale udissi la voce di Jehova, che diceva, come già nel battesimo di Gesù: "Questo è il mio diletto Figliuolo in cui ho preso il mio compiacimento: ascoltatelo!". Alla qual voce, i discepoli impauriti caddero prostesi. Il solo Pietro tentò parlare, ma non sapeva che si dicesse. Quando in piena Coscienza di se furono tornati, la visione era sparita e si trovarono col solo Gesù Matteo 17:1-8.

2. Gesù e i discepoli scendono dal monte, discorrendo. Questa discesa dal monte, dice espressamente Luca 9:37, ebbe luogo il giorno seguente; onde la induzione giustissima che la trasfigurazione accadde nel silenzio e fra le

tenebre della notte. Questo fu uno degli ultimi avvenimenti del ministero di Cristo in Galilea, e fu inteso a confermare la fede dei discepoli nella sua divinità, non soltanto per quel momento, ma specialmente in vista delle cose che dovevano succedere in Gerusalemme Giovanni 1:14; 2Pietro 1:17. Cristo, per motivi facili a comprendere, proibì loro strettamente di parlare della trasfigurazione finché non fosse risorto da morte. L'apparizione di Elia nella sua gloria riconduceva naturalmente i loro pensieri alla popolare credenza che, innanzi alla venuta del Messia, dovesse quel profeta apparire in persona sulla terra. La spiegazione data da Cristo Matteo 11:14, che Giovanni Battista era venuto nello spirito e colla potenza di Elia, e come suo precursore in adempimento della profezia di Malachia, era stata o dimenticata o non mai compresa da loro. Se prima della trasfigurazione essi avevano conservato qualche dubbio, dopo di essa non potevano più dubitare che Gesù fosse il Messia. Essi avevano veduto coi loro propri occhi il vero Elia, e certamente nessuno che avesse la minima rassomiglianza con esso aveva preceduto Cristo; quindi la domanda: "Come dunque dicono gli Scribi che conviene che prima venga Elia?". Con pazienza grandissima il Signor nostro spiegò loro di nuovo ciò che a loro stessi aveva già detto, intorno a Giovanni, e questa volta la verità rifulse ai loro intelletti, ed essi l'accolsero Matteo 17:9-13.

3. Guarigione del fanciullo indemoniato. La montagna sulla quale ebbe luogo la trasfigurazione non ci è indicata nei Vangeli, i quali non pur ci dicono in qual luogo Gesù e i tre discepoli prescelti raggiunsero gli altri nove. Una moltitudine però si era radunata intorno a questi, e gli Scribi, pronti sempre ad opporsi al Maestro, trionfavano, essendo che i suoi discepoli erano stati incapaci di sloggiare un demonio che da molto tempo si era impossessato d'un giovanetto. In questo mentre comparve Gesù, il quale rimproverò tanto i suoi discepoli, quanto gli Scribi ed il popolo, per la loro mancanza di fede; poi prese la difesa dei discepoli; e, infine, rispondendo alle ferventi preghiere del padre, che chiedeva aiuto, cacciò fuori il diavolo, e gli vietò di tornare mai più in quel giovane. Ritornando poi alla domanda dei discepoli: come mai non fosse loro riuscito di cacciare quel demonio, sebbene ci si fossero provati e ne avessero cacciati degli altri Luca 10:20, il Signore disse loro che ciò proveniva dalla debolezza delle loro orazioni e della loro fede. Al medesimo tempo, egli chiaramente soggiunse esservi

alcuni casi di possesso diabolico più gravi che altri, e nei quali, per ottenere la espulsione del demonio, si richiedeva un più alto grado di fede. Chiuse quindi la conversazione colla consolante assicurazione di quello che la fede e la preghiera unite insieme, possono operare Matteo 17:14-21.

4. Gesù parla di nuovo con i suoi discepoli intorno alla propria morte. In questa conversazione, che accadde in Galilea, Gesù dichiarò per la prima volta ai suoi discepoli ch'egli sarebbe tradito dai suoi amici, e, consegnato nelle mani dei suoi nemici Matteo 17:22-23.

5. Pietro è invitato a pagare per sé e per il suo maestro le didramme, moneta del riscatto per uso del tempio. Gesù, dopo aver dimostrato il suo diritto d'esenzione da questa tassa, comanda a Pietro di andare a pescare, dicendogli che avrebbe trovato, nella bocca del primo pesce da lui preso, il danaro occorrente Matteo 17:24-27.

Matteo 17:1-13. TRASFIGURAZIONE: DIALOGO INTORNO AD ELIA Marco 9:2-13; Luca 9:28-36

Per l'esposizione vedi Luca 9:28Luca 9:28-36.

Mt 17:14

Matteo 17:14-21. GUARIGIONE DEL FANCIULLO INDEMONIATO CONVERSAZIONE A CUI ESSA DA LUOGO Marco 9:14-27; Luca 9:37-42

Per l'esposizione vedi Marco 9:14Marco 9:14-27.

Mt 17:22

Matteo 17:22-23. ALTRO ANNUNZIO DELLA MORTE DI CRISTO Marco 9:30-32; Luca 9:43-45

22. Or, com'essi percorrevano insieme la Galilea,

Secondo Marco: "Poi essendosi partiti di là, traversarono la Galilea, e Gesù non voleva che alcuno lo sapesse". Se è vero, come alcuni congetturano, che la trasfigurazione abbia avuto luogo sul monte Hermon, il punto di partenza, che è anche il luogo dove fu operata la guarigione del fanciullo indemoniato, doveva trovarsi fra l'Hermon e Cesarea di Filippo. Infatti l'Hermon e Cesarea di Filippo giacevano entrambi sui confini della Galilea e della Siria, e, per ritornare a Capernaum Matteo 17:24, Gesù doveva traversare tutta quanta la Galilea settentrionale. Evidentemente, poiché Gesù non voleva che si sapesse ch'egli faceva questo viaggio, egli non l'intraprese per evangelizzare il pubblico suo ministero in Galilea giungeva al suo termine. Benché, dopo questo viaggio, egli mandasse i Settanta a predicare e guarire, egli medesimo si mostrò ben poco al pubblico, al quale egli doveva fra breve dare un finale addio. Intanto, aspettando che l'ora sua giungesse, egli si tratteneva coi dodici, e li preparava agli eventi futuri.

Gesù disse loro: li Figliuol dell'uomo sta per esser dato nelle mani degli uomini;

significa più che il semplice dare, esso viene qui ad esprimere il tradendus est Volg., sarà consegnato. È adombrato nella parola il tradimento. Già Gesù aveva parlato di vari patimenti che avrebbe dovuto soffrire per opera degli anziani, dei sacerdoti e degli scribi; ma qui accenna ad un altro dolore che gli sarebbe venuto dagli stessi amici. Si allude senza dubbio all'azione di Giuda. Stier però crede che si parli invece del consiglio di Dio Vedi anche Atti 11:23; Romani 8:32, il quale di sua mano consegna il proprio figlio, prima a Giuda che lo tradisce, quindi ai principali sacerdoti, i quali lo trasmettono ai Gentili.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:21; 20:17-18; Marco 8:31; 9:30-31; 10:33-34; Luca 9:22,44; 18:31-34

Luca 24:6-7,26,46

Matteo 24:10; 26:16,46; Atti 7:52; 1Corinzi 11:23

Mt 17:23

23. E l'uccideranno; e al terzo giorno risusciterà. Ed essi ne furono grandemente contristati.

Essi furono grandemente afflitti, perché, secondo Marco, non intendevano questo ragionamento, e temevano di domandarne la spiegazione: il che sembra incredibile a noi che siamo illuminati dalla rivelazione del Nuovo Testamento. Possiamo però farci un'idea della difficoltà ch'essi provavano nell'intendere queste profezie di Cristo, se consideriamo quanti dubbi e quanta diversità di vedute si riscontrano ancora, ai dì nostri, fra quelli che investigano le profezie non ancora adempiute dell'Apocalisse; dubbi che, a coloro i quali leggeranno un giorno quelle profezie chiarite dall'adempimento, sembreranno privi di ogni fondamento. 'Ben sapeva Gesù che questa dottrina della sua risurrezione, i discepoli non l'intendevano, perciò li eccitava ad imprimersi nella memoria ciò che egli aveva detto, per potere un giorno approfittarne, "Voi, tenete bene a mente queste parole" Luca 9:44. Non comprendevano l'annunzio della sua risurrezione, ma eran persuasi ormai ch'egli doveva morire. Non nasceva forse il loro dolore dalla certezza che la morte di Cristo avrebbe distrutto tutte le speranze da essi fondate sul regno temporale del Messia?

PASSI PARALLELI

Salmo 22:15,22-31; Isaia 53:7,10-12; Daniele 9:26; Zaccaria 13:7

Salmo 16:10; Giovanni 2:19; Atti 2:23-31; 1Corinzi 15:3-4

Giovanni 16:6,20-22

Mt 17:24

Matteo 17:24-27. TRIBUTO DEL TEMPIO

24. E, quando furono venuti a Capernaum,

Il fatto seguente, narrato dal solo Evangelista nostro accadde subito dopo che Gesù e i suoi discepoli furono tornati a Capernaum dal loro giro nella Galilea settentrionale, per quanto alcuni critici suppongano che fra questi due fatti s'intercalasse il viaggio di Gesù a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli Giovanni 7:2. Il fatto qui narrato si combina bene collo scopo dell'intiero capitolo, che è di provare che Gesù è indubbiamente Figlio di Dio.

Quelli che riscuotevano le didramme si accostarono a Pietro, e dissero: il vostro Maestro non paga egli le didramme?

Molti commentatori, sì antichi che moderni, hanno errato credendo che si trattasse qui di un'imposta civile. Questa tassa si vuole accuratamente distinguere dalla "moneta del tributo" "un denaro" di Giovanni 22:19, che era un tributo imposto dal governo romano. La moneta di cui qui si parla, cioè il didramma due dramme attiche = l'ebraico mezzo siclo, circa 2 lire, doveva pagarsi per il mantenimento e servizio del tempio, da ogni maschio da vent'anni in su; e l'origine di questa tassa è da rintracciarsi nell'Esodo 30:12-14, ove chiamasi "riscatto delle persone". Secondo questo passo, sembra che fosse obbligo pagarla soltanto nelle occasioni, probabilmente assai rare, del censimento del popolo. Comunque, che tale fosse la volontà del divino legislatore, o che fosse necessaria per il mantenimento del tempio, certo è che, dopo la cattività babilonese, la tassa divenne annuale. Non è mancato però chi ha creduto rintracciarne l'origine in tempi anche più remoti; e, per vero dire, par che se ne parli nel 2Re 12:4, e nel 2Cronache 24:5-6,9. Tutte le circostanze che accompagnano "la colletta della tassa che Mosè, servo di Dio, aveva imposta agl'Israeliti nel deserto", confortano

questa ipotesi. Giuseppe Flavio Antiq. 18:1:9 menziona questo pagamento, dicendo che ai suoi tempi era annuo; e Trench Note sui miracoli. pag. 374, citando Filone, dice che "tanto gli Ebrei della Palestina, quanto quelli della dispersione lo pagavano coscienziosamente, e senza mormorare; cosicché quasi in ogni città vi era un sacro erario per raccogliervi questi danari, alcuni dei quali venivano dalle città fuor dei confini dell'impero romano; e quindi in certi tempi si inviavano dei messaggeri sacri, scelti fra i più degni, per portare il denaro così raccolto a Gerusalemme". Dopo la rovina di questa città, Vespasiano obbligò gli Ebrei a pagare questa medesima annuale contribuzione al governo romano, per il mantenimento del tempio di Giove Capitolino in Roma Flavio Bell. Giudici. 7:6, 6, e continuarono a pagarla al governo papale! Non era una tassa civile, come quella che il nostro Signore ricorda nel versetto seguente, altrimenti l'avrebbero prelevata i pubblicani quelli che la chiesero a Pietro sono chiamati "coloro che riscuotevano le didramme". Essi usavano un linguaggio conveniente a chi richiede una tassa aspettata sì, ma volontaria; linguaggio che mai avrebbero adoprato i pubblicani, esattori di una tassa governativa. Importa moltissimo rammentarsi di questa distinzione, poiché da essa dipende tutto l'insegnamento che questo fatto ci somministra.

PASSI PARALLELI

Marco 9:33

Esodo 30:13; 38:26

Mt 17:25

25. Egli rispose: Sì.

Suppongono alcuni che questa risposta sia una nuova prova dell'avventatezza, di Pietro. La supposizione, a parer nostro, è ingiusta, perché la pronta risposta di Pietro indica la sua volontà di conformarsi all'uso, nonché la conoscenza ch'egli aveva della risoluzione del suo Signore, di "adempiere ogni giustizia", osservando anche i più minuti

precetti della legge cerimoniale. Inoltre, Cristo non lo biasimò ma nel suo dialogo con lui ebbe per unico scopo di somministrare una nuova prova della sua divinità. Pietro non volle allontanarsi dall'uso, e rispose affermativamente; ma siccome egli sapeva di certo che in quel momento non vi erano denari nella borsa comune, la sua risposta vuol essere considerata come un atto di fede grande nel suo Maestro.

E, quando egli fu entrato in casa,

Non e detto se fosse la casa di Pietro o quella di sua madre e fratelli. Pietro si affrettò a riferire al Maestro la domanda, rammentandogli nel medesimo tempo l'incapacità in cui si trovavano di soddisfarla.

Gesù lo prevenne,

Come se intendesse dichiarare che egli non aveva bisogno di essere informato, avendo perfetta conoscenza delle circostanze prima che Pietro aprisse la bocca.

e gli disse: Che te ne pare, Simone? i re della terra da chi prendono i tributi, o il censo? dal loro figliuoli, o dagli stranieri?

tributi significa tassa di esportazione e di importazione; census significa il testatico, che dovea pagarsi ai Romani da tutte le persone, il nome delle quali era registrato nel censimento. Le parole "figliuoli loro" significano i membri delle famiglie reali; e "gli stranieri" od estranei i loro sudditi, e non già i forestieri di passaggio nel paese.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:15; 22:21; Romani 13:6-7

1Samuele 17:25

Mt 17:26

26. Dagli stranieri, rispose Pietro. Gesù gli disse: I figliuoli dunque ne sono esenti.

Quantunque la similitudine non sia qui formale, pure egli è chiaro che Gesù confronta il Dio d'Israele, il gran Re, cogli altri re della terra, e viene a dire in somma: "Se i figli di costoro non sono sottoposti a tasse, quanto meno lo sarà colui ch'essi hanno sentito proclamare dal cielo, per voce di Jehova medesimo, "suo diletto Figliuolo?". Colla parola "figliuoli" non può certamente il nostro Signore significare qui sé medesimo insieme coi dodici, come se essi fossero tutti, nel medesimo grado, figli di Dio. Egli distingue sempre fra la propria parentela con Dio e quella dei suoi discepoli Vedi Giovanni 17:27; 20:17. Inoltre, egli avrebbe loro dato, con questo ragionamento, il diritto di sciogliersi dall'obbligo di contribuire al mantenimento del culto, contrariamente al suoi propri insegnamenti ed a quelli di Paolo. In questo luogo adunque, quel vocabolo si riferisce a Cristo solo. Egli l'adoprò al plurale unicamente perché egli parlava dei re in generale, i quali dai loro propri figli non esigono tasse. Ecco il senso delle parole di Cristo: "Questa è una tassa per mantenere la casa di mio Padre; dunque io, come Figliuolo, son dispensato dal pagarla: sono esente".

PASSI PARALLELI

Matteo 17:17

Mt 17:27

27. Ma, per non scandalizzarli,

Cioè: "Siccome essi sono nell'ignoranza dei miei rapporti col Signore del tempio, e potrebbero considerare la mia domanda di esenzione dalla tassa come un rifiuto di rendergli l'onore che gli è dovuto".

vattene al mare, getta l'amo; e prendi il primo pesce che verrà su; ed apertagli la bocca troverai uno statère;

Era giusto che Gesù, mentre pagava, protestasse per le ragioni summentovate; ma egli rivolse le sue parole a Pietro non essendo gli esattori capaci d'intenderlo. È cosa singolare che l'esito dell'ordine dato a Pietro non ci sia riferito. Però nella brusca semplicità colla quale la narrazione viene qui troncata, c'è qualche cosa di meravigliosamente dignitoso, che serve ad indicare, che l'ordine di Cristo fu immediatamente eseguito, e che la sua predizione si avverò. Questo miracolo non consiste solamente nella previsione che il primo pesce che abboccherebbe, all'amo avrebbe nella bocca quella precisa moneta; ma consiste anche nell'attrarre quel pesce in quel luogo e in quel momento, e nel fare in modo che corresse all'amo! il che prova che Cristo domina anche sopra i pesci del mare Salmo 8:9. Certi teologi considerano questo miracolo come un mito, fondandosi sull'impossibilità che un pesce porti nella bocca uno statère. Altri critici ammettono che la tassa sia stata pagata col mezzo della pesca fatta da Pietro di un pesce grossissimo, o di una retata di pesci piccoli ch'egli vendette al prezzo di uno statère. Siffatte interpretazioni sono di tale assurdità, da non mettere conto di confutarle e forniscono una prova dell'avversione nutrita contro il Vangelo dai loro autori. Il miracolo vuole essere inteso nel suo senso storico letterale. Nel rigettare l'idea che lo statère sia stato creato per tale occasione, e nell'ammettere che esso giaceva in fondo al lago, ove il pesce poteva averlo inghiottito, non c'è contraddizione col senso letterale. Succede che i pescatori prendano dei pesci i quali hanno nella gola, o nello stomaco delle monete od altri oggetti preziosi. Ora, che il primo pesce preso all'amo gettato nel lago per ordine di Cristo, portasse la precisa moneta occorrente e preveduta, è questa una combinazione di circostanze che sarebbero inesplicabili affatto, se non si considerassero come una conseguenza di quella sapienza e di quella potenza divina, le quali non si mostrano mai tanto meravigliose come nel regolare ciò che noi chiamiamo il caso. Lo statère era una moneta d'argento del valore di due didramme, somma bastante a pagare la tassa per due.

prendilo, e dallo loro per me e per te.

Il pagamento provveduto non era per tutti i dodici, ma per Gesù e Pietro soli. Si osservi che il nostro Signore non dice "per noi", ma "per me e per

te" distinguendo così sé medesimo, che aveva il diritto di essere esentato dalla tassa, dal discepolo che questo diritto non aveva Vedi Giovanni 20:17

PASSI PARALLELI

Matteo 15:12-14; Romani 14:21; 15:1-3; 1Corinzi 8:9,13; 9:19-22; 10:3233; 2Corinzi 6:3

1Tessalonicesi 5:22; Tito 2:7-8

Genesi 1:28; 1Re 17:4; Salmo 8:8; Giona 1:17; 2:10; Ebrei 2:7-8

2Corinzi 8:9; Giacomo 2:5

RIFLESSIONI

l. Negli annunzi reiterati che egli ne fa, ben si vede di quale immensa importanza sono la morte e la resurrezione del nostro Signore. Oggi vediamo gl'increduli negare di nuovo, baldanzosamente, il carattere espiatorio e sostitutivo di quella è bene che l'attenzione vi sia specialmente, richiamata. Cristo ci rammenta che, per la sua morte, verrebbe sciolto il gran problema: come Iddio possa essere giusto, e giustificare al tempo medesimo i peccatori. Non venne Gesù in terra unicamente ad insegnare, predicare ed operare miracoli; egli venne ad espiare i nostri peccati col suo proprio sangue e coi suoi patimenti sulla croce. Hanno molta importanza l'incarnazione, l'esempio e le parole di Cristo; ma ciò che anzi tutto importa nel suo ministerio terrestre, si è la sua morte sul Golgota. Non lo dimentichiamo mai!

2. All'entrare che fece Pietro, tutto affannato, in essa per ragguagliare il Maestro intorno a ciò che gli avevano detto gli esattori, "Gesù lo prevenne!" La certezza che nulla è nascosto a Gesù, ha qualcosa di ineffabilmente solenne. Nascondersi a lui è impossibile; dunque vana è l'ipocrisia. Ministri, vicini e parenti possono esser da noi ingannati; ma l'occhio del Signore vede i più intimi ripostigli del cuor nostro. Non si può ingannare Cristo! È

3. È difficile immaginare una prova più evidente della propria essenza divina, che quella somministrata da Gesù a Pietro, dichiarandosi implicitamente figlio del Signore del tempio; da che si possa inferire che l'insegnamento del Signore tendeva sistematicamente ad affermare la prerogativa di Colui "che non darà mai la sua gloria ad altri"; e che veramente Egli era "il prossimo" del Signore degli eserciti Zaccaria 13:7. Gl'insegnamenti di Gesù venivano attestati in ogni maniera immaginabile dal suo Padre celeste: adunque il titolo che ha Gesù Cristo alla suprema divinità personale, dev'essere per ogni cristiano indubitabile, e così è per tutti coloro che son degni di portare quel nome.

4. Abbiamo qui una prova del dominio del Signore su tutto il creato: Egli fa che un pesce paghi per lui. È questo l'adempimento letterale delle parole del Salmista intorno a Cristo medesimo: "Tu l'hai fatto signoreggiare sopra l'opere delle tue mani, hai posta ogni cosa sotto i suoi piedi: pecore e buoi, tutti quanti, e anche le fiere della campagna: gli uccelli del cielo, e i pesci del mare, tutto quel che percorre i sentieri del mare" Salmo 8:6-8

5. Il nostro Signore, e col proprio esempio e coll'ordine dato a Pietro impartisce a tutti un'altra importante lezione, cioè che noi dobbiamo esser pronti sempre a contribuire, in giusta proporzione, al mantenimento delle, istituzioni dell'Evangelo. Le didramme infatti, miracolosamente qui procacciate, erano intese a mantenere il culto del tempio. Se il Figlio così fece, per dare l'esempio, se riconobbe l'obbligo in Pietro, egli lo riconosce anche in noi. Veramente, noi siamo tenuti a far sacrificio delle cose nostre materiali: case, possessi, denaro, ed anche di ciò che ricaviamo dal giornaliero lavoro, per mantenere fra noi le ordinanze di Dio, e per diffondere fra i pagani il regno di Cristo. È questa una lezione che coloro, i quali si professano cristiani, imparano troppo adagio; ma quando è cominciano ad apprenderla in fede, e vi sanno perseverare, essa allarga i loro cuori e nobilita il loro carattere.

Mt 18:1

CAPO 18 - ANALISI

1. Il maggiore ed il minimo nel regno di Dio. Traversando la Galilea, dopo la trasfigurazione del Signore, gli apostoli avevano intavolato fra loro una discussione suggerita forse, in parte, dalla gelosia dell'onore conferito ai tre apostoli che furono testimoni di quel fatto, relativamente a quel di loro che avrebbe occupato il posto più insigne nel regno terreno, il quale, secondo loro il Signore doveva tosto fondare. Gesù lesse i loro pensieri, ma per allora non li interruppe. Però, giunti che furono a Capernaum, egli volle dar loro idee sempre più profonde sulla natura del suo regno, per soffocare le loro aspettative meramente carnali. Chiamatili dunque a sé Marco 9:33, domandò loro dell'argomento sul quale camminando, avevano disputato. Dapprincipio, rimasero in silenzio, perché si vergognavano di confessarlo; ma finalmente, facendosi coraggio, lo palesarono, domandando senz'altro: "Chi è il maggiore nel regno dei cieli?". È questa, a parer nostro, la più naturale e facile spiegazione, che dar si possa, della differenza lievissima che si trova fra Matteo e Marco circa il modo con cui questo argomento fu introdotto Matteo 18:1. Il Signore, chiamando a sé un fanciullino e facendolo stare in mezzo a loro, intese esemplificare la risposta che voleva dare. Prima parlò di conversione cioè di un completo cambiamento di mente e di disposizioni, come primo requisito in chi voglia entrare nel regno dei cieli, significando con ciò ch'essi non avevano ancora l'umiltà, la mitezza, la docilità volonterosa che si trova nei piccoli fanciulli; e ch'essi dovevano sbarbicare del tutto dal cuor loro l'orgoglio, la fiducia in sé medesimi ed ogni carnale ambizione, per poter essere considerati veramente come figli del regno Matteo 18:2-3. Procede quindi a rispondere direttamente alla loro domanda, dichiarando che nel regno del Messia, il più grande, nella stima del Monarca, è il più umile, e il più rassomigliante nelle disposizioni del suo spirito a un bambinello, il quale non porta alta opinione di sé, non ha mire ambiziose; e per tutto quello di che abbisogna, ricorre, il suo padre con fiducia e riposa con piena letizia nell'amor suo Matteo 18:4.

2. Onore in mezzo all'umiltà. A ciò il Signore provvede dichiarando ai discepoli che, sebbene non si dovessero presentare al mondo con fasto e possanza umana, coloro i quali scandalizzerebbero questi umili e timidi semi del Re Messia, incorrerebbero in punizioni così tremende, che l'esser gettati nel mare con una macina attaccata al collo sarebbe stato, a petto ad esse, un lieve castigo. Né questa promessa, piena di grazia, si restringeva

agli apostoli soli; Gesù la estende ad ognuno di quei piccoli che credono in lui, dovunque si trovino Matteo 18:5-6. Che siffatti scandali verso i discepoli del Signore dovessero sorgere dal mondo, ben lo sapeva il Salvatore, che perciò disse: "Guai" a coloro che ne sarebbero la cagione. Nel tempo stesso, con parole figurate ma energiche, Egli esorta gli uomini a non esporsi alla esecuzione delle sue minacce; e come ragione di ciò egli dice che quei piccoli non debbono essere dispregiati per l'onore che il Padre pone su di loro, e per il valore che Cristo conferisce loro come a persone che, già perdute, furono poi ricercate, ritrovate, e da Lui salvate Matteo 18:7-14.

3. Come dobbiamo contenerci verso i fratelli che ci offendono. Le offese non ci vengono soltanto dal mondo; ci vengono talvolta anche dai fratelli e dai membri del regno del Messia. Gesù c'insegna il contegno che dobbiamo tenere con costoro, e stabilisce la disciplina che devo essere applicata nella Chiesa. Primieramente, l'offeso deve caritatevolmente parlare da solo a solo coll'offensore, mostrandogli il suo torto e invitandolo a ripararvi. Le parole: "Se ti ascolta, avrai guadagnato il tuo fratello", sembrano indicare che in molti casi questi mezzi saranno coronati di felice riuscita. Se l'offensore si ostina sarà bene ripetere la prova in presenza di due o tre testimoni; se questa non produce il suo effetto, si dovrà ricorrere alla disciplina pubblica ecclesiastica la quale, in caso di ostinazione, viene seguita dalla scomunica. Questa decisione solenne, pronunziata dalla Chiesa in nome di Cristo, Gesù promette di confermarla colla sua presenza dove due o tre di loro saranno adunati nel nome suo Matteo 18:15-20.

4. Quante volte si debba perdonare. Questo problema viene posto in forma interrogativa da, Pietro, il quale, senza dubbio, credeva di mostrarsi largo e liberale assai, proponendo come al massimo sette volte. Ma se così la pensava, dovette meravigliarsi moltissimo quando il suo Maestro gli ebbe risposto: "fino a settanta volte sette"; venendo così a dichiarare che all'offensore pentito si vuole accordare un perdono senza confini. La necessità di un siffatto spirito di perdono, il nostro Signore la conforta colla parabola dei due debitori, facendo di questa una solenne applicazione al suo uditorio Matteo 18:21-35.

Matteo 18:1-9. GLI APOSTOLI DISPUTANO FRA LORO INTORNO AL PRIMATO. CRISTO DEFINISCE CHI SIA IL MAGGIORE, E CHI IL MINORE, NEL REGNO DEI CIELI Marco 9:33-50; Luca 9:4648

Per l 'esposizione vedi Marco 9:33Marco 9:33-50.

Mt 18:3

3. In verità, io vi dico: Se non mutate

Questo verbo significa voltarsi, cambiare di direzione; lasciare un modo di vivere o di pensare per seguirne un altro. La parola viene spesso usata nella Scrittura a significare quel gran cambiamento che chiamasi rigenerazione, o "nuova nascita". Prendendola qui in questo senso, essa chiude in sé una verità grande e solenne, cioè che qualunque cognizione teorica del regno di Cristo abbia un uomo, egli non può entrarvi né partecipare alle benedizioni che trovansi in esso, se non ha sperimentato un tal, cambiamento. Detta qui in senso generico, questa espressione non implica che qualche apostolo fosse ancora inconvertito, come Giuda; ma sembra avere qui il senso medesimo col quale il nostro Signore l'applicò più tardi a Pietro Luca 22:32, per significare non già il primo passaggio "dalle tenebre alla luce", ma quel cambiamento che è necessario in coloro, i quali sebbene già discepoli di Cristo, conservano pur sempre molto orgoglio, egoismo, carnalità e peccati, dei quali debbono pentirsi; e nutrono ancora sulla verità divina idee imperfette e troppo poco spirituali.

e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete punto nel regno dei cieli. Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo,

cioè: "diventerà umile come è questo piccolo fanciullo". Qui vediamo sotto quale aspetto il fanciullino viene proposto a modello del cristiano: non già per la innocenza relativa della infanzia, ma perché i bambini sentono d'esser deboli, bisognosi di ammaestramento, e con semplicità di spirito si pongono

alla dipendenza di chi può e sa più di loro. Il bambino, insomma, sente di esser bambino, e non altro.

è lui il maggiore nel regno dei cieli.

Tale egli è per due ragioni: 1 perché quella infantile semplicità ed umiltà comprende la vittoria su due capitali peccati: l'orgoglio e l'egoismo; 2 perché la diffidenza di sé medesimi è il terreno dal quale può nascere una alta e stabile fede 2Corinzi 12:9-10; 1Pietro 5:5. Notiamo l'antitesi fra "entrare" ed "essere il maggiore" nel regno dei cieli. La prima domanda che noi dobbiamo farei è questa: "Siamo noi veramente entrati nel regno e divenuti umili come piccoli fanciulli?". Se possiamo rispondere affermativamente, non disputeremo mai per stabilire chi di noi è il maggiore. Quindi, se alcuno volesse assumere tendenze gerarchiche, o dare sfogo a siffatti sentimenti, si avrebbe il diritto di dubitare della sua conversione. Questo versetto dimostra che la gerarchia ecclesiastica è incompatibile col regno dei cieli.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:13-14; 1Re 3:7; Geremia 1:7; Marco 9:36-37

Mt 18:10

Matteo 18:10-14. RAGIONI PER LE QUALI I DISCEPOLI DI CRISTO, SEBBENE UMILI DI SPIRITO, NON DEBBONO ESSERE DISPREZZATI Luca 17:1-2

La prima delle ragioni accennate da Gesù si trova nel vers. 5, Matteo 18:5 ed è questa: Che essi sono uniti con lui.

10. Guardatavi dal disprezzare alcuno di questi piccoli perché io vi dico, che gli angeli loro: nei cieli, vedono del continuo la faccia del Padre mio,

che è ne' cieli.

Ecco una seconda ragione per cui questi piccoli, siano essi bambini, o principianti nella fede, o umili discepoli di Gesù, non debbono essere disprezzati: Iddio Padre li tiene in particolare onoranza e ha dato ai suoi angeli l'incarico di "guardarli in tutte le loro vie". Coloro che sono da Dio onorati come "suoi ministri, per fare ciò che gli piace" Salmo 103:21, sono parimenti da lui costituiti come "spiriti amministratori mandati a servire a pro di quelli che hanno da ereditare la salvezza" Ebrei 1:14. Alcuni, appoggiandosi sopra Atti 12:15, dove la parola angelo ha il senso di spirito, dànno alla parola "angeli" il senso di spiriti dei trapassati. La ragione per cui il Salvatore proibisce di disprezzarli sarebbe che i loro spiriti, dopo la morte, abitano nella presenza di Dio. Quest'uso della parola angelo non ha esempi né nella Scrittura, né negli autori classici, e deve quindi essere rigettato. Gli Ebrei credevano fermamente negli angeli custodi e supponevano che ogni uomo avesse il suo, destinato a proteggerlo. Questa idea fu adottata dai primi padri della Chiesa nello spiegare questo passo; ed alcuni dei più recenti critici tennero loro dietro. Non conosciamo sufficientemente le funzioni degli angeli e le loro relazioni cogli uomini, e troppo poco ce ne parla la Scrittura, perché possiamo dire che questa dottrina degli angeli custodi è assurda o falsa. Il ministero degli angeli quale ci è rivelato merita di essere studiato assai più di quel che non si faccia oggidì dai credenti Vedi Salmo 24:7; 90:11; Atti 5:19; 12:7; Matteo 4:6. Tuttavia, non si trova né qui, né altrove, una base qualsiasi per il culto che la Chiesa di Roma tributa agli angeli Apocalisse 19:10; 22:8. L'ultima parte del versetto trae la sua significazione dall'uso vigente nelle regie corti della terra, ove l'avere accesso libero, in ogni momento, alla presenza del re, viene considerato come un segno di favore particolare, e come un pegno certo di protezione: or quanto maggior segno di onoranza per quei "piccoli" è questo, che Jehova permetta ai servi, che a loro ministrano, un libero accesso alla sua gloriosa presenza! Uno degli espositori recenti di questo passo, il teologo scozzese D. Brown, scrive: "Fra gli uomini, quelli che sono chiamati ad allevare e educare i figli dei re, per quanto sieno in sé stessi umili, si trovano ad avere, in virtù dell'ufficio, l'accesso libero presso il Sovrano e un grado di familiarità, che non ardiscono assumere neppure i più alti funzionari dello Stato. Ora, il nostro Signore probabilmente vuol

significare che, in virtù del loro ministero presso i suoi discepoli, gli angeli devono presentarsi davanti al trono di Dio, dove sono bene accolti, ed usano di una certa familiarità nel trattare col Padre celeste: favori questi ed agevolezze che per sé medesimi non potrebbero godere".

PASSI PARALLELI

Matteo 6:14; 12:20; Salmo 15:4; Zaccaria 4:10; Luca 10:16; Romani 14:13,10,13-15,21

Romani 15:1; 1Corinzi 8:8-13; 9:22; 11:22; 16:11; 2Corinzi 10:1,10; Galati 4:13-14; 6:1

1Tessalonicesi 4:8; 1Timoteo 4:12

Matteo 1:20; 2:13,19; 24:31; Genesi 32:1-2; 2Re 6:16-17; Salmo 34:7; 91:11

Zaccaria 13:7; Luca 16:22; Atti 5:19; 10:3; 12:7-11,23; 27:23; Ebrei 1:14

2Samuele 14:28; 1Re 22:19; Ester 1:14; Salmo 17:15; Luca 1:19

Mt 18:11

11. Poiché il Figliuol dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perito.

Il vers. 11. e autentico, costituirebbe una terza ragione per non disprezzare i piccoli. Dio li ama e Gesù è venuto a salvarli a prezzo del proprio sangue. Il versetto manca però nei MSC. Vaticano e Sinaitico ed è ritenuto non autentico qui. Lo si legge in Luca 19:10

PASSI PARALLELI

Matteo 9:12-13; 10:6; 15:24; Luca 9:56; 15:24,32; 19:10; Giovanni 3:17; 10:10

Giovanni 12:47; 1Timoteo 1:15

Mt 18:12

12. Che vi par egli? Se un uomo ha cento pecore, ed una di queste si smarrisce, non lascerà egli le novantanove sui monti per andare in cerca della smarrita? 13. E se gli riesce di ritrovarla, in verità, vi dico ch'egli si rallegra più di questa, che delle novantanove che non si erano smarrite.

Per la esposizione vedi Luca 15:3Luca 15:3. Gesù ha adoprato più volte le stesse similitudini in circostanze diverse. L'amor di Dio si dimostra tanto nel cercare chi si è tenuto finora lontano, come nel ricondurre all'ovile chi se n'è temporaneamente allontanato. L'amor di Dio per queste sue pecore erranti deve indurre i fedeli a guardarsi dallo scandalizzare anche uno dei loro minimi fratelli. È più conforme al greco il tradurre: "lascerà le novantanove sui monti", ove possono trovare pastura.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:28; 22:42; 1Corinzi 10:15

Matteo 12:11; Salmo 119:176; Isaia 53:6; Geremia 50:6; Ezechiele 34:16,28; Luca 15:4-7

Giovanni 10:11-21; 1Pietro 2:25

1Re 21:17; Ezechiele 34:6,12

Salmo 147:11; Isaia 53:11; 62:5; Geremia 32:37-41; Michea 7:18; Sofonia 3:17

Luca 15:5-10,23-24; Giovanni 4:34-36; Giacomo 2:13

Mt 18:15

Matteo 18:15-20. OFFESE RECATE DAI FRATELLI, E DISCIPLINA DELLA CHIESA DI CRISTO

15. Se poi il tuo fratello ha peccato contro di te,

È possibile che il Signore, voglia alludere alla disputa che poco prima si era impegnata fra i discepoli, per sapere chi di loro fosse il maggiore ed accennare al medesimo tempo agli ostacoli e alle offese che questi avrebbero incontrate nel mondo Matteo 18:7-10: da ciò alle offese che i membri della Chiesa avrebbero recate l'uno all'altro, era naturale il passaggio. Pur troppo dovevano intervenire le offese anche fra i cristiani, ed importava quindi stabilire come tali fratelli offensori dovessero essere trattati dalla Chiesa sino alla fine dei secoli, e non solo fra gli apostoli, Abbiamo qui una regola precisa, e la Chiesa di Cristo, in tutti i suoi rami, deve in ogni epoca conformarsi a quella, come a legge disciplinare da Cristo determinata per la sua casa. L'uso del, singolare "il tuo fratello", mostra che il Signore parla di dovere personale, indirizzandosi ai discepoli non come ad apostoli, ma come ad individui cristiani. La parola usata per significare l'offesa è avrà peccato contro, e il precetto si riferisce ai torti o piati di natura privata Levitico 19:17-18

va', e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato il tuo fratello;

L'uomo offeso deve adoperare prima un mezzo privato: parlare all'offensore cortesemente e con spirito cristiano, ma direttamente e da solo a solo. Il Signore proibisce del pari di nutrire contro l'offensore un rancore segreto nel cuore, e di scagliare ingiurie contro di lui in presenza di altri fratelli, o innanzi al mondo miscredente. Noi dobbiamo, con urbanità e mitezza, cercare l'offensore, prenderlo a parte e ragionare con lui, mostrandogli il suo errore: se egli confessa il suo torto e lo ripara, noi abbiam reso maggior servizio a lui, che giustizia a noi stessi. Noi l'avremo guadagnato con suo gran profitto, a pensieri più giusti, ed a migliore contegno; lo, avremo

condotto a stringere amicizia più affettuosa con noi; lo avremo acquistato per la Chiesa di Cristo, alla quale la sua condotta, se vi persisteva e se fosse stata conosciuta pubblicamente, avrebbe fatto disonore. Se questa regola fosse stata sempre osservata, quante, inimicizie fra persone una volta intimamente legate, e quanti scandali che turbarono la Chiesa di Cristo, si sarebbero potuti prevenire! Talvolta l'orgoglio non permette all'offeso di fare il primo passo; in altri casi l'acerbità dell'animo o delle parole amareggia l'abboccamento, irrita la piaga, ed allarga la scissura; ovvero uno spensierato cicaleccio, o la passione della vendetta, portano di bocca in bocca l'offesa e la esagerano, finché il paese tutto ne è pieno, e l'offensore rifiuta, nel suo puntiglio, di piegarsi a ritrattazione o transazione, alcuna.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:35; Levitico 6:2-7; Luca 17:3-4; 1Corinzi 6:6-8; 8:12; 2Corinzi 7:12; Colossesi 3:13

1Tessalonicesi 4:6

Levitico 19:17; Salmo 141:5; Proverbi 25:9-10

Proverbi 11:30; Romani 12:21; 1Corinzi 9:19-21; Giacomo 5:19-20; 1Pietro 3:1

Mt 18:16

16. ma, se non ti ascolta, prendi teco ancora una o due persone: affinché ogni parola sia confermata per bocca di due, o di tre testimoni.

È questo il secondo passo che colla sua regola, disciplinare, il Signore ci comanda. Se l'abboccamento privato non riesce, noi dobbiamo tornare dall'offensore, accompagnati da due o tre comuni amici, uomini di provata riputazione religiosa, i quali sien testimoni se, e quanto, sia giusta la nostra doglianza, e quanto fraternamente ci siamo comportato verso il nostro offensore; affinché questi, messo e persuaso da loro e da noi, s'induca a

riconoscere il proprio fallo. Nel caso poi di non avvenuta riconciliazione il biasimo della prima offesa e della fallita riconciliazione, quando occorra portare la questione davanti alla Chiesa, ricadrà, per la testimonianza di costoro, non sopra di noi, ma sopra di lui. Presso gli Ebrei, per dar forza legale ad un'accusa o dimostrare un reclamo, si richiedevano almeno due testimoni Deuteronomio 19:15; Giovanni 8:17; 2Corinzi 13:1; Ebrei 10:28; e Gesù Cristo, ad evitare che nella sua Chiesa si facessero ingiustizie o si lanciassero false accuse, adotta la medesima regala.

PASSI PARALLELI

Numeri 35:30; Deuteronomio 17:6; 19:15; 1Re 21:13; Giovanni 8:17; 2Corinzi 13:1; 1Timoteo 5:19

Ebrei 10:28; 1Giovanni 5:7-8; Apocalisse 11:3

Mt 18:17

17. E, se rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa;

Ecco il terzo passo che deve fare l'offeso quando l'offensore non si sia mosso, in forza dei primi due, a pentimento: egli deve citarlo dinanzi alla chiesa, affinché sia giudicato in una maniera più formale, ed al tempo stesso più solenne. Fino a qual punto debba essere esteso o ristretto il vocabolo chiesa, non è qui il luogo di discutere; basti il dire che qui non si parla certo, come alcuni supposero, della Sinagoga ebraica, perché a questa mai potrebbero convenire le parole di Matteo 18:18-20. Né queste parole possono, come gl'interpreti romani vorrebbero, significare: "Ascolta i vescovi", imperocché un'adunanza di ecclesiastici dalla quale vengono esclusi i laici negando loro il voto deliberativo o legale, non corrisponde né all'antico uso classico di questa parola, né a quello del Nuovo Testamento; senza parlare del fatto che in nessun luogo più che qui sarebbe fuor di proposito parlare di gerarchia, mentre poco prima il Redentore aveva fatto un rabbuffo ai suoi discepoli a motivo dei loro sogni di grandezza. Sebbene la parola Chiesa, oltreché alla società locale dei credenti, possa estendersi

alle congregazioni federate di una data regione, nel caso in parola qui, la disciplina deve esser applicata dall'assemblea grande o piccola della congregazione stessa alla quale appartiene l'offensore. Siffatto provvedimento disciplinare che non esclude l'appello a tribunali ecclesiastici superiori è certamente il mezzo prescritto dal Signore per ricondurre al bene coloro che si ostinano nei loro errori o peccati; e come è da aspettarsi, quando è fedelmente eseguito, produce sovente gli effetti migliori. L'applicazione della disciplina richiede, però vita spirituale, abnegazione, zelo per la purezza del corpo di Cristo, che è la Chiesa e amore per le anime dei colpevoli. Queste cose, necessarie in tutti i tempi, lo sono più specialmente ai giorni nostri, nei quali il rifiuto della Santa Cena ad un membro scandaloso viene spesso considerato come un attentato alla libertà civile. Le Chiese nazionali protestanti d'Europa non praticano più siffatta disciplina; né quella stessa che vige nelle Chiese libere da ogni ingerenza dello Stato è tale, quale si richiede dalla legge divina: eppure senz'essa non vi potrà esser mai né vita spirituale, né purità di condotta nell'antica Chiesa evangelica d'Italia, né in altra qualsiasi.

e se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, stati come il pagano, e il pubblicano.

È questa l'ultima misura disciplinare che Cristo mette in mano alla sua Chiesa. Gli Ebrei riguardavano i pubblicani come scomunicati; parificati ai pagani, non avevano nessun diritto ai privilegi del popolo d'Israele. Il nostro Signore, senza approvare o disapprovare l'applicazione di questa disciplina nella sinagoga, prescrive che se l'offensore ricusa di ascoltare il consiglio e di sottomettersi alla sentenza della Chiesa, egli sia trattato come un pubblicano od un pagano: sia considerato, cioè, come separato dalla Chiesa e non più come fratello. Confronta 2Tessalonicesi 3:14-15; 1Timoteo 1:20. Fu conformemente a quest'ordine che nella Chiesa di Corinto un atto severissimo di disciplina fu esercitato per ordine espresso di Paolo, senza parlare del caso di Anania e Saffira, che fu miracoloso 1Corinzi 5:1-5

PASSI PARALLELI

Atti 6:1-3; 15:6-7; 1Corinzi 5:4-5; 6:1-4; 2Corinzi 2:6-7; 3Giovanni 9-10

Romani 16:17-18; 1Corinzi 5:3-5,9-13; 2Tessalonicesi 3:6,14-15; 1Timoteo 6:5; 2Giovanni 10-11

Matteo 6:7; Esdra 6:21; Ezechiele 11:12; 2Corinzi 6:14-17; Efesini 4:17-19; 5:11-12

Matteo 5:46; 11:19; 21:31-32; Luca 15:1; 18:11; 19:2-3

Mt 18:18

18. Io vi dico in verità che tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra saranno sciolte nel cielo.

I versetti antecedenti contengono le regole di disciplina stabilite da Cristo relativamente agli offensori: questo contiene l'autorizzazione data alla Chiesa dal suo Capo, per la loro applicazione. Cotesta facoltà viene data ai membri della Chiesa riuniti in assemblea, colle medesime parole colle quali venne conferito a Pietro ed, ai suoi compagni il potere delle, chiavi, ma si riferisce qui specialmente all'esercizio della disciplina. La sentenza della Chiesa, quando sia presa sotto la guida dello Spirito e in armonia colla legge di Cristo, riceve la sanzione divina che talvolta nei tempi apostolici, è resa manifesta da un qualche flagello corporale 1Corinzi 5:5; 1Timoteo 1:20

PASSI PARALLELI

Matteo 16:19; Giovanni 20:23; Atti 15:23-31; 1Corinzi 5:4-5; 2Corinzi 2:10; Apocalisse 3:7-8

Mt 18:19

19. Ed anche, in verità, vi dico: Se due di voi sulla terra, s'accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio, che è ne' cieli.

Questa promessa fu fatta a tutti i credenti sino alla fine dei secoli, e non agli apostoli soltanto, come vogliono alcuni. Dal contesto si vede che Gesù fece questa bella promessa immediatamente dopo aver dato alcune regole di disciplina, indicando così che quelli che hanno l'incombenza di esercitare quella disciplina, devono ricorrere a Dio, il quale darà loro la saviezza di cui hanno bisogno. La promessa però non applicasi esclusivamente alle grandi radunanze della Chiesa, ma eziandio alle piccole, e perfino a quelle nelle quali due fratelli soltanto si riuniscono per offrire preghiere a Dio sopra un soggetto speciale. Applicando questa promessa alle più piccole radunanze possibili, Gesù ha per scopo di togliere ogni scusa a quelli che, perché poco numerosi trascurano di riunirsi per pregare. La parola che ha maggior importanza in questo passo è si accordano, la quale indica quella "sinfonia", quell'intima unione di due cuori nella medesima, fede e nelle stesse aspirazioni, che lo Spirito Santo solo può produrre, e che è, per conseguenza, conforme alla volontà di Dio. Giacomo e Giovanni non l'intesero subito. Vedi Marco 10:35. Ecco alcuni esempi che provano l'efficacia della preghiera fatta in comune Ester 4:16; Daniele 2:17-18; Atti 1:14; 12:5,12

PASSI PARALLELI

Matteo 5:24; 21:22; Marco 11:24; Giovanni 15:7,16; Atti 1:14; 2:1-2; 4:2431; 6:4

Atti 12:5; Efesini 6:18-20; Filippesi 1:19; Giacomo 5:14-16; 1Giovanni 3:22; 5:14-16

Apocalisse 11:4-6

Giovanni 14:13-14; 16:23

Mt 18:20

20. Poiché, dovunque due, o tre, sono radunati nel nome mio,

Questo versetto dimostra, in primo luogo, che l'essenza della Chiesa è indipendente dalle forme ecclesiastiche e dalla varietà dei riti e delle cerimonie, e condanna implicitamente il formalismo. Si osservi, in secondo luogo, quanto la libertà, spirituale, sotto l'economia evangelica, è superiore a quella dell'antica Alleanza. Secondo l'interpretazione rabbinica della legge di Mosè, non poteva aprirsi sinagoga in alcuna città o villaggio, ove si trovassero meno di dieci persone libere di concorrervi in modo che il numero legale fosse sempre assicurato. In forza della qual legge molti villaggi della Giudea e della Galilea venivano ad esser privi dell'opportunità quotidiana di adorare Dio e di sentir leggere la sua legge. "Non sarà però", dice il Signore, "che alcun ostacolo siffatto impedisca i miei dal godere i privilegi spirituali, perché "dovunque due, o tre, son radunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro"; e tutte le benedizioni che io prometto alla mia Chiesa, essi pure possono chiederle e goderle. Né sarà dimenticato o negletto da Dio quegli che prega in solitudine, poiché la promessa piena di grazia contenuta in Isaia 57:1,5 non può esser mai ritrattata. Questo, viene qui detto a conforto dei credenti, onde si uniscano insieme per invocare il nome di Cristo, sia pur ristretto il loro numero da principio. Egli è in questo modo appunto, che il lievito della dottrina di Cristo può spandersi nel mondo.

quivi son lo in mezzo a loro.

Se Cristo altro non fosse stato che un uomo, un siffatto parlare avrebbe dovuto chiamarsi bestemmia o pazzia. Milioni d'uomini, ad un medesimo tempo, in ogni parte del globo, invocano il suo Nome e sperimentano la verità della promessa ch'egli è con loro. Se Gesù non fosse Dio, egli non potrebbe trovarsi in tutti questi luoghi contemporaneamente. Con queste parole il nostro Signore pone il fondamento sul quale riposa la preziosa promessa dell'antecedente versetto. Da un canto, non c'è intercessore che presenti le preghiere nostre innanzi al trono del Padre, se non Gesù medesimo: ogni preghiera ch'egli presenta, è certo che verrà accettata ed

otterrà una benigna risposta, perché santificata dal sangue di colui che il Padre esaudisce sempre; e, dall'altro canto, egli è un mediatore onnipotente, il quale abita sempre col suo popolo per mezzo del suo vivente Spirito, onde rispondere alle loro preghiere. Così egli accompagna le preghiere in cielo e riaccompagna la risposta in terra.

PASSI PARALLELI

Genesi 49:10; Giovanni 20:19,26; 1Corinzi 5:4; 1Tessalonicesi 1:1; Filemone 2

Matteo 28:20; Esodo 20:24; Zaccaria 2:5; Giovanni 8:58; Apocalisse 1:1113; 2:1; 21:3

Mt 18:21

Matteo 18:21-35. FINO A QUAL PUNTO SI POSSA PERDONARE. PARABOLA DEL SERVO PERDONATO, CHE NON PERDONA

21. Allora Pietro, accostatosi, gli disse: Signore, quante volte peccando il mio fratello contro di me, gli perdonerò io?

Gli ordinamenti disciplinari da Gesù prescritti alla sua Chiesa, suppongono prontezza a perdonare. Se il nostro fratello riceve la nostra ammonizione e fa la pace, dobbiamo perdonargli; non aveva però il Signore specificato quante volte dovesse questo perdono concedersi e Pietro pensava che fosse cosa da avere un limite. Si vede dalla sua domanda ch'egli credeva fosse il perdono una cosa tutta esterna, da valutarsi in quantità, anziché una cosa interiore e spirituale.

fino a sette volte?

Questa proposta del numero sacro, benché respinta da Cristo, oltrepassa le prescrizioni del Talmud, il quale deduce da Amos 1:3; 2:6; Giobbe 33:29-

30, che si deve perdonare fino a tre volte, ma non fino a quattro. Certamente Pietro accrebbe quel numero, nel sentimento che la legge d'amore portata da Cristo nel mondo, legge assai più larga e longanime dell'antica, ciò richiedesse.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:15; Luca 17:3-4

Mt 18:22

22. E Gesù a lui: Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

In Luca 17:3-4, Gesù rammenta il numero sette in relazione al perdono delle ingiurie, ma non nel senso di Pietro, come un preciso limite; anzi ingiunge di perdonare sette volte nel medesimo giorno, se l'offensore viene a chiedere perdono; il che, nel fatto, equivale alla risposta ch'è nel testo dinanzi a noi. "Lungi dal pensare", dice egli, "che sette volte sia un confine ampio abbastanza io vi dico che, se intendete calcolare questo dovere con numeri, dovete moltiplicare il vostro sette per settanta"; vale a dire che "voi non dovete giammai ricusare il perdono, quando vi sia sinceramente richiesto". Alcuni critici sostituiscono qui l'addizione alla moltiplicazione; così invece di 7 X 70 = 490, dicono 7 + 70 = 77; ma la massima parte degli scrittori ritengono come genuina la moltiplicazione dei numeri: e veramente ella sembra più appropriata assai dell'altra a simboleggiare un perdono senza fine. La parabola che segue, non meno che il ragguaglio della conversazione da cui prese origine, si trovano solamente in Matteo.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:11-12,14-15; Isaia 55:7; Michea 7:19; Marco 11:25-26; Romani 12:21

Efesini 4:26,31-32; 5:1; Colossesi 3:13; 1Timoteo 2:8

Mt 18:23

23. Perciò,

vale a dire: "Per dichiarare ancora meglio quello che ho detto, cioè, che avendo voi medesimi ottenuto di entrare nel mio regno mediante il mio perdono, non avete il diritto di ricusare né di limitare il perdono quando altri sinceramente ve lo chiede, io vi porterò una parabola":

il regno dei cieli è simile ad un re,

Lett. ad un uomo-re, per contrapposto al Re del cielo. È questa la prima parabola nella quale Iddio comparisce nel suo carattere di Re.

Il quale volle fare i conti

Questo rendiconto, fu il re medesimo che lo volle, ed ai sottoposti non fu dato né evitarlo, né opporvisi. Non è questo però il rendiconto finale, di cui parlasi in Matteo 25:19. Iddio fa i conti con noi ogni volta che gli piace di rammentarci i nostri peccati, facendoci sentire che anche i più segreti, egli "li mette alla luce della sua faccia" Salmo 90:8, e dimostrandoci, colla sua Parola, colla sua Provvidenza, col suo Spirito, quanto abbiamo bisogno del suo perdono.

con i suoi servitori.

Non si tratta qui di servitori ordinari, poiché uno era debitore di diecimila talenti. Erano probabilmente ministri di Stato, o esattori d'imposte, sebbene ciò non implicasse di necessità ch'essi fossero nati liberi. Dai monarchi orientali, gli schiavi emancipati venivano spesso elevati a cariche di gran fiducia: così avvenne di Daniele in Babilonia. A ogni modo, che non fossero schiavi è cosa chiara, poiché risulta dalla narrazione, che il Re poteva venderli, non già per il solito diritto, ma perché il loro debito li metteva a sua mercé. Nel linguaggio orientale vedi Erodoto, tutti i sudditi d'un

monarca. Inclusi i suoi ministri di Stato, eran chiamati "servi". Coloro che Cristo redense dalla schiavitù del peccato e dai lacci di Satana, sono pur sempre "sotto la legge di Cristo" e sono servi di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 13:24,31,33,44-45,47,52; 25:1,14

Matteo 25:19-30; Luca 16:1-2; 19:12-27; Romani 14:12; 1Corinzi 4:5; 2Corinzi 5:10-11

Mt 18:24

24. Ed avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno, ch'era debitore di diecimila talenti.

Dal testo risulta che il Re chiamò a rendere conto in primo luogo i più alti funzionari. Per un servo subalterno, sarebbe stato impossibile contrarre un sì grosso debito, senza farsi scoprire. Probabile cosa è che il conto si facesse in talenti attici di argento; giacché, se trattato si fosse di oro, la somma, sarebbe stata enorme. Il valore del talento d'argento viene calcolato diversamente Secondo Calmet Dizionario della Bibbia, il ragguaglio sarebbe questo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 71,30; 60 Mine = 6000 danari = 1 Talento L. It. 4278; dunque 10000 talenti sarebbero L. It. 42780000. Secondo il calcolo di Lange Commentario su Matteo: 1 Mina = 100 danari = L. It. 78,12; 60 Mine = 600 danari = 1 Talento = L. It. 4687,20; dunque 10000 talenti equivarrebbero a L. It. 46872000. La grandezza del qual debito risalterà ancora maggiormente, quando si pensi al fatto, ricordato in 2Cronache 25:6, che il re Amasia poté arruolare un esercito di 100000 uomini con 100 talenti d'argento, e che tutto quanto l'oro adoperato nella costruzione del Tabernacolo nel deserto, sebbene profuso, non superò i 29 talenti Esodo 38:24. Il servitore non si sarebbe mai presentato volontariamente, anzi si sarebbe, se fosse stato possibile, sottratto a quel rendiconto; ma troppo assoluto era il comandamento del Re. Iddio scruta il cuore, e, volere o no, s'impadronisce della nostra coscienza.

PASSI PARALLELI

Luca 7:41-42; 13:4

Luca 16:5,7

1Cronache 29:7; Esdra 9:6; Salmo 38:4; 40:12; 130:3-4

Mt 18:25

25. E, non avendo egli di che pagare, il suo signore comandò ch'egli fosse venduto lui con la moglie, e i suoi figliuoli, e tutto quanto avea, e che il debito fosse pagato.

Per la legge giudaica, se un ladro non aveva tanto da restituire il maltolto, poteva il derubato farlo vendere come schiavo Esodo 22:3; un debitore insolvente poteva vendere sé medesimo, od esser venduto dal creditore Levitico 25:39,47; ed i figli d'un debitore defunto si potevano sequestrare 2Re 4:1; onde possiamo dedurne che si potevano anche vendere. Confrontate Deuteronomio 15:12; Geremia 34:14; ed anche Isaia 50:11; 1Re 21:20; 2Re 17:17, ove trovansi allusioni metaforiche a siffatti usi. In questa parabola però la similitudine è tratta dal dispotismo orientale, poiché, sotto la legge mosaica, quella vendita veniva mitigata dalla liberazione obbligatoria all'epoca del giubileo. Anche l'idea della prigione e degli aguzzini Matteo 18:30,34, favorisce questa congettura, essendo cose che non hanno che fare colla legge giudaica. La punizione qui, sebbene rigorosa, concordava colla legge e colle costumanze; il reo non si lagnò della sentenza come ingiusta; egli chiese solamente pietà. Quando un uomo, il quale, per lungo tempo, ha resistito alla propria coscienza ed a Dio, viene finalmente costretto ad aprire il proprio cuore all'Onnisciente, e ad esaminare se stesso, egli scopre che il suo debito è indicibilmente grande. La somma qui nominata non è un'esagerazione; non indica essa tutta quanta la reità che Iddio scopre nel peccatore, la quale gli viene rimproverata dalla sua coscienza? il momento nel quale il peccatore si trova faccia a faccia con

DIO, oppresso dal proprio peccato, è tremendo! in quell'istante la legge compie l'opera sua, terribile ma pure misericordiosa, di convincimento.

PASSI PARALLELI

Levitico 25:39; 2Re 4:1; Nehemia 5:5,8; Isaia 50:1

Mt 18:26

26. Onde il servitore, gittatosi a terra, gli si prostrò dinanzi, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto.

La promessa di pagare non indica altro che il suo desiderio di scampare; prometteva, non perché sperasse di poter mantenere, ma perché era questo il miglior mezzo di sfuggire il castigo. Egli pensava di ottenere grazia promettendo di saldare l'intiero debito. Ecco l'immagine d'un peccatore, cui la parola di Dio coi suoi rabbuffi, e la coscienza con i suoi rimorsi convincono di peccato, ma che non si è umiliato davanti a Dio, e non ha ancora ottenuto la sua grazia il primo sentimento che gli nasce in cuore, lo spinge a dire: "Abbi pazienza inverso me, ed io ti pagherò tutto". Ch'egli speri seriamente di adempiere alla promessa, può esser dubbio; ma certamente egli pensa che è impossibile di soddisfare Iddio altrimenti. Infatti, il primo proponimento d'una coscienza conturbata è sempre: "Io pagherò tutto". L'uomo vuol fare ammenda dei peccati passati col pentimento, fidando nella futura obbedienza.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:29; Luca 7:43; Romani 10:3

Mt 18:27

27. E il signor di quel servitore, mosso a compassione, lo lasciò andare, e gli rimise il debito.

Il Re mosso a compassione, non solo aderì alla sua richiesta, ma gli concesse al di là di quello che egli aveva ardito domandare o sperare: "gli rimise il debito!". È questa un'immagine ammirabile, di ciò che "Iddio suole fare col peccatore". Iddio non obbliga il reo a mantenere la promessa temeraria ch'egli fa; egli non lo tratta secondo i suoi meriti, ma secondo i suoi bisogni, concedendogli un perdono immediato, completo e senza condizioni. Questo perdono appartiene a chiunque l'accetta con riconoscenza e senza riserve. Il servo, come il seguito dimostra, non l'aveva accettato con questo sentimento.

PASSI PARALLELI

Giudici 10:16; Nehemia 9:17; Salmo 78:38; 86:5,15; 145:8; Osea 11:8

Mt 18:28

28. Ma quel servitore, uscito, trovò uno dei suoi conservi, che gli dovea cento denari: ed afferratolo lo strangolava, dicendo: Paga quel che devi!

Costui non aveva mai sentito né pentimento profondo né gratitudine vera, altrimenti non avrebbe mostrato una simile spietatezza; riconoscente, avrebbe tosto fatto partecipare alla sua gioia il suo debitore. La somma dovutagli dal suo conservo ammontava a 100 denari romani, cioè a lire 80 circa. Il debitore perdonato che non perdona, rappresenta l'uomo che tremò nel sentimento del suo peccato, e all'idea del giudizio, ed avendo udito e ricevuto il Vangelo per qualche tempo, si sentì liberato dai suoi timori. Passato il momento in cui Dio scosse l'anima sua egli è ricaduto di nuovo nel mondo! Fu impaurito, ma non convertito; non ricevette il perdono, ma solo una sospensione del castigo. Il timore è passato per il momento, ma non è subentrata la fede. Appena gli si presenta la tentazione, la sua non domata carnalità riprende vita e vigore.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:2

Deuteronomio 15:2; Nehemia 5:7,10-11; 10:31; Isaia 58:3; Ezechiele 45:9

Mt 18:29

29. Onde il conservo, gittatosi a terra lo pregava, dicendo: Abbi pazienza con me, e ti pagherò. 30. Ma colui non volle; anzi andò, e lo cacciò in prigione, finché avesse pagato il debito.

Il suo conservo non nega di essere suo debitore, ma si contiene e parla con lui precisamente come egli aveva fatto col Re. Così il rigore che lo spietato usa senza rimorso è in diretta opposizione colla misericordia da esso implorata e ottenuta. Un uomo, che ha ricevuto da Dio il perdono dei suoi peccati, è stato lievemente offeso da un suo simile, e benché questi gli chiegga pietà nel modo stesso col quale egli testè l'aveva chiesta a Dio, non però la ottiene: il che prova ch'egli medesimo non aveva accettato la misericordia offertagli da Dio. Se avesse aperta l'anima sua all'eterna fonte della misericordia, per riceverla, la misericordia medesima ne sarebbe sgorgata a richiesta del suo fratello che la implorava. Ma nessuna compassione scaturì da quel cuore a rinfrancare l'anima del suo prossimo angustiato, perché quel suo cuore non si era veramente aperto a ricevere la misericordia di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:26; Matteo 6:12; Filemone 18-19

Mt 18:31

31. Or i suoi conservi, veduto il fatto, ne furono grandemente contristati, e andarono a riferire al loro signore, tutto l'accaduto.

L'indignazione provata dai conservi, e che li induce a riportare il fatto al loro padrone, rappresenta ciò che gli uomini sentono contro l'ingratitudine di coloro che sono stati largamente beneficati. Quel re terreno aveva bisogno d'essere informato, ma lo scrutatore dei cuori non ne ha bisogno. Pure, non è improbabile che il nostro Signore, parlando di quel che fecero "i conservi", avesse l'intenzione di alludere alle preghiere di intercessione a favore dei perseguitati contro, i loro oppressori, le quali vengono fatte di continuo da coloro che temono il Signore e odiano l'ingiustizia e l'oppressione. Se l'oppressore potesse udire tutte le voci che gridano vendetta contro di lui, ed "entrano nell'orecchie del Signore degli eserciti" Giacomo 5:4, egli tremerebbe!

PASSI PARALLELI

1Re 21:27-29; 22:27

Mt 18:32

32. Allora il suo signore lo chiamò a se, e gli disse:

Questa intimazione al servo infedele di comparire in presenza del suo Signore indica senza dubbio il rendiconto finale nel giorno del giudizio.

Malvagio servitore, io t'ho rimesso tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; 33. non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come anch'io ebbi pietà di te?

innanzi di castigarlo, il re gli rinfaccia seriamente la vergognosa ed irragionevole condotta da lui tenuta, dopo essere stato perdonato, e gl'infligge una doppia punizione. Questo è analogo al giudicio di Matteo 25:41

PASSI PARALLELI

Matteo 25:26; Luca 19:22; Romani 3:19

Matteo 5:44-45; Luca 6:35-36; Efesini 4:32; 5:1-2; Colossesi 3:13

Mt 18:34

34. E il suo signore, adirato, lo diede in man degli aguzzini,

letter. tormentatori, Noi sappiamo che nell'antica Roma i debitori incarcerati erano consegnati al "tormentatore", affinché egli li costringesse al pagamento. Nell'Oriente, ove spesso accade che le persone, le quali si dichiarano insolvibili, posseggono dei tesori nascosti, la tortura è tuttora applicata ai debitori per costringerli a dichiarare dove trovansi i loro tesori; o, se non ne hanno, per eccitare la compassione dei loro amici, affinché paghino per loro. Se noi consideriamo il senso spirituale della parabola, l'uso della parola "tormentatori" desta in noi idee terribili di castigo.

fino a tanto che avesse pagato tutto ciò che gli doveva.

Cioè fino alla fine della vita, perché costui non avrebbe mai potuto pagare. Quindi, questo rappresenta la sentenza che pronunzierà il giudice all'ultimo giorno Matteo 25:41. È questo uno dei passi che i teologi romani recano con qual ragione, lo lasciamo giudicare al lettore a conforto della dottrina del purgatorio Vedi note Matteo 5:26Matteo 5:26; e "Il Purgatorio", del dott. Desanctis, cap. 4.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:25-26; Luca 12:58-59; 2Tessalonicesi 1:8-9; Apocalisse 14:10-11

Mt 18:35

35. Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognun di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello.

La sorgente del perdono da uomo a uomo, sta nel perdono gratuito dato da Dio. Se, siamo perdonati da Dio, volentieri perdoneremo al fratello. Di cuore, ecco la natura del perdono caratteristico del cristiano, che non è un semplice atto esterno. Gesù c'insegna in questo versetto che Iddio tratterà i cristiani di nome, i quali ricusano il perdono ai loro fratelli offensori, secondo lo stesso principio che animava la condotta del re verso il suo servo ingrato. Il fatto che quei sedicenti cristiani non si mostrano pietosi verso i loro simili, attesta chiaramente che i loro cuori non sono ancora rigenerati, e che perciò il Signore non userà pietà inverso a loro.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:12,14-15; 7:1-2; Proverbi 21:13; Marco 11:26; Luca 6:37-38; Giacomo 2:13

Proverbi 21:2; Geremia 3:10; Zaccaria 7:12; Luca 16:15; Giacomo 3:14; 4:8; Apocalisse 2:23

RIFLESSIONI

1. Imprimiamo profondamente nei nostri cuori le parole: "se non siete mutati", perché, per natura, niuno di noi è degno di vivere al cospetto di Dio, e, per giungere a tale stato, dobbiamo avere "un cuor puro ed uno spirito ben disposto" Salmo 51:11. La prova più sicura della vera conversione è l'umiltà; coloro dunque che hanno ricevuto lo Spirito Santo, lo dimostrano con una disposizione di spirito mite ed infantile.

2. Guardiamoci dal mettere pietre d'intoppo sulla via dei nostri simili. Noi lo facciamo tutte le volte che operiamo in maniera da distogliere gli uomini dalla via della salvazione, o disgustarli della religione. Direttamente, noi possiamo far ciò perseguitando, canzonando, combattendo, o dissuadendo le persone risolute di servire Cristo; indirettamente, menando una vita in Conciliazione colla religione che professiamo, e che rende il cristianesimo deforme e disprezzabile. Tutte le volte che noi ci comportiamo in tal guisa

lo dice con chiare parole il Signore commettiamo un peccato grave, che sarà punito in modo terribile.

3. Ciò dovrebbe renderci più coscienziosi nella nostra condotta. Quante divergenze e scissure scandalose verrebbero risparmiate, se noi fossimo più pronti a mettere in pratica la regola che Gesù ci dà qui per sopire le differenze fra un fratello e l'altro: "Và e riprendilo fra te e lui solo!". Felice la Chiesa, felice il mondo tutto, se questa regola fosse più accuratamente studiata e seguita!

4. Considerando quelle parole di Cristo: "Dillo alla Chiesa!", chi vorrà mai negare che la disciplina della Chiesa non sia conforme alla volontà di Dio; e che, saviamente esercitata, non possa concorrere alla salute e alla prosperità della Chiesa medesima? Che un uomo qualunque, anche malvagio ed empio, possa accostarsi alla mensa del Signore, senza che alcuno lo ammetta, o glielo proibisca, è cosa che non può considerarsi giusta. Ogni cristiano è in obbligo di fare il suo possibile per impedire un tale stato di cose. In questo mondo non si può ottenere una comunione perfetta; il nostro scopo dev'essere la purità, ed una Chiesa prospererà, se, per appartenervi, si richiederanno sempre più alti requisiti spirituali.

5. Quelle parole: "Dovunque due o tre son radunati nel Nome mio, quivi son io in mezzo a loro", ci somministrano una prova lampante della divinità di Cristo, poiché solamente Dio può essere in più luoghi al medesimo tempo. Tutti coloro che amano di radunarsi insieme per motivi di religione, trovare debbono in quelle parole un conforto grande; ogni volta che gli uomini si radunano per pubblico culto, per adorazione o preghiera, o per leggere la Bibbia, il Re dei re è presente fra loro, vi assiste Gesù in persona. Non v'è dunque ragione di scoraggiamento se assistiamo a riunioni poco frequentate. E qual solenne rimprovero contengono quelle parole contro coloro che trascurano il culto pubblico, e non intervengono mai alle radunanze religiose!

6. Il nostro Signore, colla sua risposta a Pietro e colla parabola che la segue, c'insegna che noi dobbiamo sempre esser disposti al perdono. Questa regola però vuol essere applicata con senno e discretezza. Certo, il Signor nostro

non intende che le offese contro la legge dello Stato, o contro l'ordine sociale debbono rimanere impunite; non vuole che si rubi od uccida a man salva; vuole bensì che noi perdoniamo le offese private fatteci dai nostri fratelli. Di pari passo col perdono deve procedere la fedeltà. Per esempio: se tu permetti ad un fratello di offenderti a, tutto piacere suo, e gli perdoni senza far altro, tu non sei meritevole di approvazione; tu devi fedelmente rimproverargli in segreto il suo peccato, e, se egli non ti ascolta, trattarlo secondo l'ordine datoci da Cristo, esortandolo prima davanti a due o tre testimoni poi riferendone alla chiesa, affinché egli stesso, e tutti con lui, conoscano che tu non gli meni buona la sua colpa.

7. La parabola c'insegna che il perdono dei gran debiti che abbiamo verso Dio precede il perdono dei piccoli debiti che noi dobbiamo rimetterei scambievolmente; e che quello è il principio che in noi genera la disposizione al perdono, ed è il modello che dobbiamo imitare. Quando ci poniamo sotto la potenza dell'amore di Cristo che ci perdona, siamo spinti a perdonarci gli uni gli altri.

Mt 19:1

CAPO 19 - ANALISI

2. Viaggio di Gesù in Perea. Il racconto che fa Matteo del ministero del nostro Signore in Galilea si chiude colla fine del capo precedente. Questo esordisce coll'annunzio della sua partenza per il suo ultimo viaggio a Gerusalemme. Marco, senza dubbio, allude allo stesso avvenimento nel cap. Marco 11:1-33 e sembra chiaro, per la peculiare espressione usata da Luca 9:51: "come s'avvicinava il tempo della sua assunzione", che quella della quale parla, fosse la di lui finale partenza dalla Galilea. Il nostro Evangelista non entra in alcun particolare di tempo o di luogo, eccetto che, nel vers. 1 di questo capitolo, Matteo 19:1 accenna che nostro Signore, dalla Galilea passò all'altra sponda del Giordano, nella regione chiamata Perea; e nel cap. 20:29, Matteo 20:29 dice che aveva ripassato il Giordano ed era giunto a Gerico, quando il suo viaggio volgeva alla fine. Non c'è dunque nulla d'improbabile nel supporre che quello non fosse un viaggio diretto; e che,

sebbene Gesù mirasse a Gerusalemme come alla sua mèta, possano essere passati dei mesi, durante i quali egli, come aveva già fatto in Galilea, andò intorno per le città ed i villaggi di Perea, e fece una frettolosa visita a Betania per risuscitarvi "il suo amico Lazzaro". In questo viaggio egli esercitò sulla moltitudine che lo seguiva il suo potere di guarigione Matteo 19:1-2.

2. Capziose domande dei Farisei sulla legge del divorzio. Lo seguivano anche i suoi implacabili nemici, i Farisei; e l'Evangelista ricorda una domanda fattagli da costoro sulla legge del divorzio, allo scopo di confonderlo. Egli rispose riferendosi alla creazione dell'uomo ed all'istituzione primitiva del matrimonio, chiaramente deducendone ch'esso è indissolubile. A sostegno della legalità del divorzio, essi citarono l'autorità del loro grande legislatore Mosè, e sfidarono Gesù a spiegare il perché, se stato non fosse legittimo Mosè lo aveva sanzionato col comandare di dare in ciascun caso "l'atto del divorzio". Gesù ammise che Mosè aveva dato tale comando, ma negò la contradizione tra la legge primitiva della creazione e quella di Mosè, giacché il suddetto comando non fu che un comandamento posteriore diretto a proteggere la donna ingiuriata, e reso necessario dalla malvagità degli Ebrei e dalla loro spietatezza; una protesta di fatto contro la peccaminosa licenza del ripudio, e non una giustificazione di esso vedi nota Matteo 5:31Matteo 5:31 Matteo 19:3-9.

3. Correzione delle temerarie conclusioni dei suoi discepoli in riguardo al celibato. Nel modo di vedere dei suoi discepoli abituati al divorzio come a cosa che succedeva di continuo, l'idea d'essere vincolati per la vita ad una moglie, quali che fossero il suo carattere, le sue infermità ed i suoi difetti, era sì dura, che essi immediatamente osservarono al loro Maestro: "Non conviene di prendere moglie". Ma egli a loro fece osservare, che il dono di continenza e di santa castità non fu dato a tutti, e che non v'era regola applicabile senza eccezione. Poi enumerò alcuni casi di legittimo celibato, e concluse esser legittimo il celibato in chi è in grado di praticarlo Matteo 19:10-12

4. Gesù riceve i piccoli fanciulli, e li benedice. I discepoli avendo sgridato i genitori ed altri parenti che aveano portato i loro fanciulli a Gesù perché

fossero da lui benedetti, il Signore s'interpose ed invitò questi con parole cortesi a venire a lui Matteo 19:13-15

5. Visita del giovane ricco a Gesù. Un altro avvenimento di quel viaggio fu la visita che a Gesù fece un giovane ricco, probabilmente uno dei capi della sinagoga, il quale veniva a domandare che cosa egli dovesse fare per avere la vita eterna. La sua conversazione rivelò il suo spirito di propria giustizia; ma il Signore lo sottopose allo scrutinio d'una prova che toccava il suo vizio prediletto: l'avarizia; ond'egli preferì di rinunziare alla vita eterna, anziché acquistarla al prezzo propostogli. Da questo tolse occasione Gesù a dichiarare le difficoltà che le ricchezze o per lo meno l'amore delle medesime, spargono sulla via della salvezza Matteo 19:16-26

---6. Curiosità di Pietro circa la ricompensa degli apostoli. Rispondendo alla domanda di Pietro, qual ricompensa, nel regno del Messia, toccherebbe a coloro che, aveano abbandonato tutto per seguitarlo, Gesù fece una promessa rivolta in parte agli apostoli, e in parte ai credenti in generale, la quale termina colla dichiarazione che "molti primi sarebbero ultimi" e viceversa Matteo 19:27-30

Matteo 19:1-2. FINALE PARTENZA DI GESÙ DALLA GALILEA PER LA PEREA Marco 10:1-12; Luca 9:51

1. Or avvenne che quando Gesù ebbe finiti questi ragionamenti si partì dalla Galilea, e se ne andò sui confini della Giudea, oltre il Giordano.

Questo versetto contiene il breve annunzio della finale partenza del nostro Signore dalla Galilea. È vano il tentare di fissarne la data connettendola colla di lui salita a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli Giovanni 7:2, ovvero per la festa della Dedicazione Giovanni 10:22. La disposizione cronologica degli avvenimenti menzionati dagli altri Evangelisti, come connessi coll'una o coll'altra, quali sarebbero la gita attraverso la Samaria, l'invio dei Settanta discepoli, ecc., è stata causa di molto imbarazzo per gli armonisti di tutti i tempi. Che intervenga un lungo periodo tra la partenza di

Gesù dalla Galilea e l'arrivo a Gerusalemme per la Pasqua in cui sofferse, durante il quale periodo egli continuò il suo ministero in Perea ad eccezione di due brevi visite a Gerusalemme e successero tutti gli eventi narrati in questo capitolo, non sembra esservi motivo di dubitarne, quando paragoniamo tra loro le narrazioni dei quattro Evangelisti Vedi nota Luca 9:51Luca 9:51. La Perea, cioè il paese al di là, apparteneva alla tetrarchia, di Erode Antipa.

PASSI PARALLELI

Marco 10:1; Giovanni 10:40

Mt 19:2

2. E molte turbe lo seguirono: e quivi guarì i loro malati.

In questa maniera il Signore esercitò il suo ministero e la sua facoltà di guarire, che dovevano presto finire, in favore di moltitudini che non ne aveano ancora goduto; giacché questo sembra essere stato l'unico viaggio da lui fatto in Perea.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:23-25; 9:35-36; 12:15; 14:35-36; 15:30-31; Marco 6:55-56

Mt 19:3

Matteo 19:3-12. QUESTIONI SUL DIVORZIO E RISPOSTE DI CRISTO AI FARISEI ED AI SUOI DISCEPOLI Marco 10:2-12

3. E dei Farisei si accostarono a lui, tentandolo, e dicendo: È egli lecito di mandare via, per qualunque ragione, la propria moglie?

Il divorzio era una delle questioni calorosamente dibattute tra le due grandi scuole rabbiniche, e intorno alla quale come in altre cose, "la scuola di Hillel sceglieva quello che la scuola di Shammai legava". Le interpretazioni di quella legge nella scuola di Hillel erano rilassate a tal punto, che, secondo essa, dicesi, era lecito ad un uomo il divorziare dalla sua moglie, se essa cuoceva male il suo pranzo, od anche se egli s'imbatteva in altra donna che gli piacesse di più. Lo scopo pertanto della domanda sembra essere stato di costringere Gesù a dare, su quella questione, una decisione, la quale, se fosse stata conforme alle dottrine della scuola di Hillel, avrebbe scemata la sua autorità come maestro di morale, e se avesse avuto un senso contrario, l'avrebbe reso impopolare e forse gli avrebbe tirato addosso l'odio e la vendetta di Erode.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:1; 22:16-18,35; Marco 10:2; 12:13,15; Luca 11:53-54; Giovanni 8:6; Ebrei 3:9

Matteo 5:31-32; Malachia 2:14-16

Mt 19:4

4. Ed egli, rispondendo, disse loro: Non avete voi letto, che il Creatore da principio li creò maschio e femmina?

La risposta del nostro Signore sottrae la questione allo dispute delle scuole e degli interpreti della legge mosaica, e la riconduce ai principi della legge di natura ed all'istituzione, divina e primitiva del matrimonio, qual'è ricordata nei primi capitoli delle Scritture. La natura umana era doppia nel disegno divino, benché dapprima si trovasse racchiusa nella singola persona d'Adamo; e quando il processo della creazione fu completato mediante la formazione di Eva, v'era una sola moglie per un solo marito.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:3; 21:6,42; 22:31; Marco 2:25; 12:10,26; Luca 6:3; 10:26

Genesi 1:27; 5:2; Malachia 2:15

Mt 19:5

5. E disse: Perciò, l'uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con la sua moglie, e i due diverranno una sola carne.

"Il Creatore", è soggetto del verbo "disse", col quale questo verso comincia. Il rimanente è una citazione della Genesi 11:24, e, tal quale ivi è scritto, viene generalmente considerato come pronunziato da Adamo. È quindi la più antica espressione umana di cui si abbia ricordo; ma sebbene proclamate da Adamo, siccome egli le pronunzia sotto l'influenza dello Spirito d'ispirazione, quelle parole sono attribuite a Dio medesimo.

PASSI PARALLELI

Genesi 2:21-24; Salmo 45:10; Marco 10:5-9; Efesini 5:31

Genesi 34:3; Deuteronomio 4:4; 10:20; 11:22; 1Samuele 18:1; 2Samuele 1:26; 1Re 11:2; Salmo 63:8

Romani 12:9

1Corinzi 6:16; 7:2,4

Mt 19:6

6. Talché, non son più due, ma una sola carne;

In questo versetto è Gesù medesimo che parla. Prima, egli spiega le precedenti parole, dimostrando che, secondo la loro originale costituzione, il maschio e la femmina furono fatti l'uno per l'altro; che l'uno non era completo senza l'altro; e che, per l'originale istituzione del matrimonio,

questi due, che prima erano separati, non solo furono uniti, ma divennero positivamente una carne sola, cosicché il divorzio è impossibile senza violare apertamente l'ordinanza di Dio. In secondo luogo, egli risponde ai Farisei deducendo una conseguenza da ciò che precede:

quello, dunque, che Iddio ha congiunto, l'uomo nol separi.

Poiché si è per istituzione di Dio medesimo che l'uomo e la donna sono congiunti in matrimonio, si guardi bene l'uomo dal separarli mediante divorzi senza motivo. La conclusione si è, che il matrimonio, per natura sua, e per il disegno di Dio nell'istituirlo è indissolubile. Può essere distrutto, annullato praticamente dal delitto di una o di ambedue le parti; ma non può altrimenti essere sciolto legittimamente, fino alla morte Romani 7:2-3

PASSI PARALLELI

Proverbi 2:17; Malachia 2:14; Marco 10:9; Romani 7:2; 1Corinzi 7:10-14; Efesini 5:28; Ebrei 13:4

Mt 19:7

7. Essi gli dissero: Perché dunque comandò Mosè di darle un atto di divorzio e mandarla via?

Deuteronomio 24:1-4. Questa legge, che rendeva necessario un attestato scritto in caso di divorzio, era in realtà una savia ed utile restrizione dei costumi antichi; ma i Farisei la riguardavano come se implicasse il permesso di praticare il divorzio a piacere, ed alcuni dei loro scrittori se ne vantano persino come di un privilegio speciale concesso agli Ebrei! Era intesa invece a proteggere la donna innocente contro il capriccio o la licenza d'un cattivo marito, poiché quella scritta non era un'accusa d'infedeltà, ma piuttosto un certificato d'innocenza, come risulta dal fatto che tale atto si consegnava alla moglie medesima, mentre la legge prescriveva che l'adultera fosse messa a morte Vedi Levitico 20:10; Deuteronomio 22:22; Giovanni 8:4-5; e note Matteo 5:31Matteo 5:31, Matteo 5:32Matteo 5:32.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:31; Deuteronomio 24:1-4; Isaia 50:1; Geremia 3:8; Marco 10:4

Matteo 1:19; Malachia 2:16

Mt 19:8

8. Gesù disse loro: Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così.

La prima parte di questo versetto, confrontata coll'ultima, dimostra evidentemente che questa legge, data da Mosè, era temporaria, puramente civile, e adattata, come molte altre, allo stato rozzo e barbaro in che erano gli Ebrei, quando egli li liberò dall'Egitto. Non era questa la miglior legge che potesse darsi; ma gli Israeliti d'allora erano incapaci di sottomettersi ad una legge più severa. Essa non ebbe mai per scopo di abrogare la santa, misericordiosa e benefica legge che il grande Creatore aveva stabilita per la felicità di tutta la razza umana.

PASSI PARALLELI

Salmo 95:8; Zaccaria 7:12; Malachia 2:13-14; Marco 10:5

Matteo 3:15; 8:31; 1Corinzi 7:6

Genesi 2:24; 7:7; Geremia 6:16

Mt 19:9

9. E io vi dico, che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per cagion di fornicazione, e ne sposa un'altra, commette adulterio.

La clausola: e chi sposa una donna mandata via commette adulterio autentica in Matteo 5:32 manca qui in alcuni MSC. importanti ed è soppressa da parecchi critici. Questa è la legge del regno di Cristo, e come tale egli l'annunzia qui, siccome fece nel Sermone sul monte, con quella formula che indica comando autoritario: "Io vi dico". Se da un lato erra la Chiesa romana rifiutando il divorzio in qualunque circostanza, dall'altro, molti governi hanno violato anche peggio questa legge colla facilità quasi giudaica da essi concessa all'immorale pratica del divorzio. Gesù dichiara che vi è un solo caso, nel quale il divorzio è legittimo, cioè quando uno degli sposi è reo d'adulterio. Il fondamento per lo scioglimento del matrimonio è appunto questo: che la fornicazione l'ha già rotto! Essi non sono più una stessa carne. Una volta ammesso questo principio della vita cristiana, i corollari che ne deduce il Signore sono chiari come il giorno. L'uomo che divorzia dalla sua moglie per qualsiasi causa, meno per infedeltà coniugale, e ne sposa un'altra, è un adultero; e l'uomo che sposa una donna che è stata ripudiata per qualsiasi altra causa, è egli pure un adultero, perché introduce nel suo talamo una donna, la quale, innanzi a Dio, è sempre la legittima moglie di un altro. La questione, se sia lecito ad un uomo lo sposare l'adultera dopo che il divorzio è stato legittimamente dichiarato, non è sollevata da Gesù in questo luogo; ma ciò sarebbe stato impossibile sotto la legge giudaica, che comandava che l'adultera fosse lapidata.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:32; Marco 10:11-12; Luca 16:18; 1Corinzi 7:10-13,39

2Cronache 21:11; Geremia 3:8; Ezechiele 16:8,15,29; 1Corinzi 5:1

Genesi 12:18-19; 20:3; Geremia 3:1; Romani 7:2-3; 1Corinzi 7:4,11,39

Mt 19:10

10. I discepoli gli dissero: Se tale è il caso dell'uomo rispetto alla donna, non conviene di prender moglie.

I suoi discepoli erano ancora imbevuti delle dottrine giudaiche. Essi consideravano come un gran privilegio la libertà di far divorzio dalla moglie, quando il di lei carattere litigioso od altri di lei difetti rendevano infelice il matrimonio. Essi riguardavano questa dottrina della indissolubilità del matrimonio come talmente dura, che pensavano essere meglio non prendere moglie, che correre il rischio di vincolarsi per la vita con un matrimonio male assortito. È questa indissolubilità del matrimonio, proclamata dal nostro Signore, che essi indicano colle parole: "se tale è il caso dell'uomo rispetto alla donna...".

PASSI PARALLELI

Genesi 2:18; Proverbi 5:15-19; 18:22; 19:13-14; 21:9,19; 1Corinzi 7:12,8,26-28

1Corinzi 7:32-35,39-40; 1Timoteo 4:3; 5:11-15

Mt 19:11

11. Ma egli rispose loro: Non tutti son capaci di praticare questa parola;

Relativa alla non convenienza di prendere moglie. La grande maggioranza degli uomini non sarebbero capaci di condurre una vita pura e virtuosa, se non fesse per la divina istituzione del matrimonio. Qualunque siano gli inconvenienti che porta seco, in casi particolari e nulla vi ha su questa terra che non abbia i suoi inconvenienti, il matrimonio è lo stato più naturale, più sicuro, e più felice per la maggioranza de gli uomini, tanto temporaneamente, che spiritualmente.

ma quelli soltanto al quali è dato.

per natura, o per grazia, come un dono speciale di Dio. Con queste parole il Signore altamente condanna il sistema di celibato obbligatorio, sia per gli uomini che per le donne. Paolo era uno di quelli a cui erano applicabili

queste parole. Egli considerava la vita celibe come preferibile, in quel tempo, per coloro che potevano adattarvisi, e ciò per due motivi:

1 le avversità e le persecuzioni a cui erano esposti i cristiani dei suoi giorni, le quali erano sentite più aspramente da coloro che avevano famiglia;

2 la maggiore libertà che ne veniva per le missioni e per le altre opere cristiane 1Corinzi 7:7, 26-33

Ma le Sacre Scritture non conferiscono mai al celibato uno stato di superiore santità, come ha fatto la Chiesa romana per i suoi fini di dominazione. Al contrario, esse prescrivono per organo di Paolo il celibe, che coloro i quali sono investiti dei più santi offici nella Chiesa, cioè i vescovi o presbiteri, e i diaconi, siano uomini ammogliati 1Timoteo 3:2,11. Benché Paolo fosse celibe, pure sosteneva il suo diritto di prendere moglie 1Corinzi 9:5 Pietro del pari che i grandi santi del Vecchio Testamento, era ammogliato Marco 1:30; 1Corinzi 9:5; e Paolo stabilisce il matrimonio come regola, e lo pone in bellissima luce Efesini 5:23-33; 1Timoteo 5:14. I discepoli avrebbero naturalmente potuto domandare a Gesù a chi volesse alludere colle parole "quelli soltanto a cui è dato"; ma Gesù li previene, dicendo:

PASSI PARALLELI

1Corinzi 7:2,7,9,17,35

Mt 19:12

12. Poiché vi son degli eunuchi, i quali son nati così dal seno della madre;

cioè coloro che, impotenti per fisica costituzione, o per disposizione naturale, non hanno tendenze al matrimonio,

vi son degli eunuchi, i quali sono stati fatti tali dagli uomini;

cioè coloro che soffrirono l'evirazione per la crudeltà di altri uomini. Esempio il "Coro" di S. Pietro a Roma!

e vi son degli eunuchi, i quali si son fatti eunuchi da se a cagion del regno dei cieli.

cioè coloro che, per attendere più efficacemente all'opera del Signore, secondo il loro giudizio, si astengono volontariamente dal matrimonio, e prescelgono il celibato. In quest'ultimo caso le parole: "Si son fatti eunuchi", si devono intendere figurativamente. Chi è in grado di farlo lo faccia. Giudichi ciascuno qual partito sia il migliore per la sua castità, utilità e felicità. Quegli che sente vocazione per la vita celibe, la segua; ma chi non è fatto per il celibato, prenda moglie. Nessun fondamento trova qui il voto di celibato, il quale è condannato egualmente dall'esperienza e dalle Scritture 1Timoteo 4:3; 5:14. L'imperativo, nell'ultima clausola, non è un comando, ma un permesso, come in Apocalisse 22:17

PASSI PARALLELI

Isaia 39:7; 56:3-4

1Corinzi 7:32-38; 9:5,15

RIFLESSIONI

1. Se la santità del nodo matrimoniale, come sorgente d'ogni sociale benessere, deve essere mantenuta tra gli uomini, ciò dove farsi col fondarla sopra la sua originale istituzione divina; né potranno frenarsi quelle rilassatezze introdotte e difese dall'ingegno corrotto dell'uomo, se non risalendo, come fa qui il nostro Signore, allo scopo primitivo di tale istituzione.

2. Coloro che rispettano l'autorità di Gesù osservino l'autorità divina che egli attribuisce al Vecchio Testamento in generale, ed ai libri di Mosè in particolare, nella decisione di tutte le questioni così di dottrina che di morale. Notiamo specialmente la chiarezza e l'autorità colla quale viene espressa, in questo capitolo, la testimonianza del nostro Signore in favore della verità della storia contenuta nei due primi capitoli della Genesi, la quale molti ai nostri giorni cercano di screditare o di eludere con le loro spiegazioni. Se quanto ivi è narrato non è la vera storia dell'origine della razza umana, cade la base storica e l'universale applicazione dell'argomento di Cristo.

3. Non manchiamo di osservare l'importante distinzione tracciata da Cristo tra le cose comandate, e le cose permesse, tra le cose tollerate temporaneamente, e regolate per atto civile, onde impedire lo straripamento dell'immoralità, ed i precetti immutabili della gran legge morale.

4. Notate attentamente che non c'è unione così intima, tenera e cara come quella del matrimonio, che Iddio ha istituito per il bene dell'uomo. Non si deve pertanto contrarlo con imprudenza o leggerezza, senz'altro motivo che la lussuria, l'ammirazione dei doni fisici ed intellettuali della persona che si vuole sposare, o il desiderio di arricchire con la dote, come troppo spesso avviene. Cotest'unione decide della felicità della vita presente, e molto anche di quella della vita avvenire. Perciò importa essenzialmente che coloro i quali contraggono matrimonio abbiano la stessa fede e i medesimi sentimenti religiosi: in altre parole, che i credenti si "sposino nel Signore" 1Corinzi 7:39. Questa è la sola infallibile garanzia di fedeltà, di sopportazione e di continuata affezione, tra le sollecitudini e le prove di questa vita. Gli sposi in tal guisa uniti nella fede e nell'amore, di Gesù, non hanno da temere la separazione eterna neppur nella morte.

5. Da quanto qui dice il nostro Signore riguardo all'essere un dono di Dio la santa continenza, concessa comparativamente a pochi, mentre il matrimonio è l'istituzione stabilita da Dio per la felicità dei molti noi siamo naturalmente indotti a condannare come orribile tirannia e come causa della più turpe immoralità quel sistema di forzato celibato che la Chiesa romana, dopo lunga e vigorosa resistenza, ha finalmente imposto a tutto il clero, e a

quelli che essa chiama i suoi "ordini religiosi". Cotesto è uno dei caratteri della grande apostasia, che Paolo ha ricordata per la nostra istruzione: "Vieteranno il matrimonio" 1Timoteo 4:3

Mt 19:13

Matteo 19:13-15. PORTANSI A GESÙ DEI PICCOLI FANCIULLI Marco 10:13-16; Luca 18:15-17

l'esposizione vedi Luca 18:15Luca 18:15-17.

A questo punto la narrazione di Luca comincia ad essere di nuovo parallela a quella degli altri due Evangelisti.

Mt 19:16

Matteo 19:16-26. RICORSO DEL GIOVANE RICCO A GESÙ, E DISCORSO SUGGERITO DALLA DI LUI CONDOTTA Marco 10:1727; Luca 18:18-27

Per l'esposizione vedi Marco 10:17Marco 10:17-27.

Mt 19:27

Matteo 19:27-29. GESÙ, RISPONDE ALLA DOMANDA DI PIETRO INTORNO ALLA RICOMPENSA CHE SAREBBE POI DATA A COLORO CHE L'AVEANO SEGUITATO Marco 10:28-31; Luca 18:2830

l'esposizione vedi Marco 10:28Marco 10:28-31.

Mt 19:30

30. Ma molti primi saranno ultimi, e molti ultimi primi.

Quest'è un avvertimento aggiunto dopo le graziose promesse di ricompensa fatte nei versetti precedenti. È altresì il fondamento della parabola che segue immediatamente, la quale ne è stata impropriamente staccata per l'arbitraria divisione dei capitoli. Con queste parole, il nostro Signore insegna che non sono sempre coloro che hanno fatto i più grandi sacrifici per la causa del Vangelo, o che sono stati ammirati e celebrati come colonne nella Chiesa, quelli che saranno maggiormente approvati dal Giudice di tutti, allorquando egli "renderà a ciascuno secondo le sue opere". Né, d'altronde, coloro che sono tenuti in poco conto dagli uomini, per povertà e umiltà di spirito, saranno invariabilmente gli ultimi nel regno di Dio. Il posto che ciascuno occuperà, e la ricompensa che otterrà, dipenderanno, non dalla quantità delle opere fatte e dei sacrifici sofferti, ma dai motivi e dallo spirito che lo mossero ad agire. Questo avvertimento può essere illustrato dal giudizio dato dal Signore relativamente agli uomini ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio, ed alla povera vedova che vi gettava i suoi due piccioli Marco 12:41-44. Essa era "l'ultima" nella stima dei suoi compagni di devozione, ma "la prima" in quella del Signore, perché, per amore a Dio, essa dava per il di lui servizio tutto quello che possedeva. Così quando i nostri segreti impulsi saranno esaminati da Colui che scruta i cuori, "molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi".

PASSI PARALLELI

Matteo 8:11-12; 20:16; 21:31-32; Marco 10:31; Luca 7:29-30; 13:30; 18:13-14

Romani 5:20-21; 9:30-33; Galati 5:7; Ebrei 4:1

Mt 20:1

CAPO 20 - ANALISI

2. La parabola dei lavoratori presi a diverse ore. Dai primi tempi della Chiesa sino ai nostri giorni, molte spiegazioni di questa parabola sono state messe in campo, ma pochi hanno tenuto in mente che nostro Signore, con essa viene, in risposta alla domanda di Pietro Matteo 19:27, ad illustrare le ultime parole del capo precedente: "Molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi". Eppure questa è la chiave della parabola. In essa si rappresenta il proprietario di una vigna, il quale, sul fare del giorno, va sulla piazza del mercato ad impegna dei lavoranti a giornata. Alla terza ed alla sesta ora alle 9 ant. ed alle 12 mer. vi ritorna e prende altri lavoranti, e finalmente all'undecima ora 5 pom. fa altrettanto. Sul cader del giorno, quel lavoranti sono riuniti dal fattore per essere pagati, e siccome gli ultimi vennero pagati prima ricevendo un denaro per ciascuno, così quelli che aveano lavorato tutta la giornata s'aspettavano a vedere i loro più lunghi servizi riconosciuti con una mercede proporzionatamente più grande. Ma ciò non avvenne, ed essi cominciarono a mormorare. Allora il padrone li licenziò con un rimprovero, dichiarando che aveano ricevuto tutto quanto era stato con loro convenuto; che egli aveva diritto di fare del suo ciò che gli piaceva; e che era una vergogna per essi di invidiare quegli altri a cui, per sua bontà, aveva voluto usare generosità. Poi nostro Signore aggiunge: "Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi, perché molti son chiamati, ma pochi eletti". Benché molte dottrine si possano dedurre da questa parabola, lo scopo principale di essa sembra esser quello di porre in guardia gli apostoli, e la Chiesa contro l'egoismo, la superbia e l'invidia, che diminuiscono il valore dei più eminenti sacrifici fatti, o dei più brillanti talenti dedicati al servizio di Cristo Matteo 20:1-16.

2. Gesù annunzia per la terza volta la sua morte ai discepoli Matteo 20:1719.

3. Richiesta fatta dalla moglie di Zebedeo in favore dei suoi due figli. Che l'ammonizione contenuta nella precedente parabola non fosse fuor di luogo, lo prova la richiesta di Giacomo e Giovanni di essere promossi ai posti della più alta distinzione in quel regno terreno che essi tuttora immaginavano verrebbe fondato dal Messia, il Signore, rispondendo, fece loro osservare che essi non sapevano quello che domandassero! Prima di occupare il suo trono mediatoria, egli doveva "bere un calice", ed essere "battezzato con un

battesimo" di sofferenze, umiliazioni e prove, onde adempiere i disegni della misericordia divina verso l'uomo caduto. Perciò egli domandò loro se essi erano disposti a soffrire con lui, e dietro la loro risposta affermativa, egli dichiarò che certamente avrebbero parte nelle di lui sofferenze, ma che, quanto alla loro richiesta, egli non poteva esaudirla, dovendo tali onori nel suo regno esser dati a coloro per i quali furono preparati dal Padre celeste Matteo 20:20-23.

4. Distinzione tra il regno di Cristo e quelli del mondo. L'indignazione causata da questa richiesta nel cuore degli altri apostoli diede occasione ad un discorso, nel quale Gesù dimostrò la grande differenza che corre tra il suo regno e quelli del mondo, in quanto che in questi sono ritenuti grandi e celebri coloro che usurpano il potere ed esercitano il dominio sugli uomini loro fratelli; mentre, nell'altro, non dove esistere tale usurpazione di autorità per parte di uno degli apostoli sopra gli altri, o per parte degli apostoli sopra "l'eredità di Dio". Coloro che posseggono i più grandi doni spirituali devono considerare se stessi come servi dei loro fratelli, seguendo l'esempio, di Cristo, il quale, sebbene sia "Dio sopra ogni cosa", "non venne per essere servito, anzi per servire e per dar l'anima sua qual prezzo di riscatto per molti". Non potrebbe darsi una più chiara, più eloquente, più precisa condanna della gerarchia nella Chiesa di Cristo, o dell'esaltazione di un uomo al grado di vicario di Dio benché esso ipocritamente chiami se stesso servo dei servi, di quella che il nostro Signore ha qui pronunziata, in conseguenza del tentativo fatto dai figliuoli di Zebedeo per ottenere la supremazia Matteo 20:24-28.

5. Arrivo del Signore a Gerico, dopo aver lasciata la Perea. Quest'era l'ultima tappa del suo viaggio a Gerusalemme per offrire se stesso in propiziazione per il peccato, e questa sua visita fu segnalata, non solo dalla conversione di Zaccheo il pubblicano Luca 19:2, ma ben anche da un grande miracolo di guarigione, operato a favore di due ciechi, che poi si unirono alla di lui compagnia e lo seguirono a Gerusalemme Matteo 20:2934.

Matteo 20:1-16. PARABOLA DEI LAVORATORI NELLA VIGNA

1. Poiché, il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa, il quale, in sul far del giorno uscì a prendere ad opra dei lavoratori, per la sua vigna.

Nell'interpretazione di questa difficile parabola, la quale si trova soltanto in Matteo, noi dobbiamo accuratamente osservare che essa è legata da un poiché alla conclusione del capo 19, ed ebbe origine dalla domanda egoistica di Pietro nel vers. 27: "Che ne avremo dunque?". Alcuni credono che tutti i dettagli di questa parabola abbiano un significato; ma sembra più probabile che, come il regno di Dio è paragonato all'amministrazione di un proprietario, così la più gran parte del racconto deve riguardarsi come la veste della parabola e nient'altro. La Chiesa di Cristo in terra, tanto nel Vecchio quanto nel Nuovo Testamento, è spesso rappresentata sotto la figura d'una vigna Salmo 80:8-16; Isaia 5:1-7; 27:2-3; Geremia 2:21; Luca 20:916; Giovanni 15:1-8.

Nei paesi orientali, come in Persia, vige tuttora il costume che i lavoranti si riuniscano, prima del far del giorno, sulla piazza del mercato coi loro arnesi in mano, per essere condotti a prezzo; e tale sembra essere stato il costume in Palestina, ai tempi del nostro Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 13:24,31,33,44-45,47; 22:2; 25:1,14

Matteo 9:37-38; 21:33-43; Cantici 8:11-12; Isaia 5:1-2; Giovanni 15:1

Matteo 23:37; Cantici 8:11-12; Geremia 25:3-4

Marco 13:34; 1Corinzi 15:58; Ebrei 13:21; 2Pietro 1:5-10

Mt 20:2

2. Ed avendo convenuto con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.

Il denaro romano equivaleva a circa 80 centesimi, regolare compenso del lavoro di un giorno, in quei tempi. La convenzione fatta coi primi lavoranti, ed omessa con tutti gli altri, serve d'appoggio agl'interpreti i quali credono che i primi lavoranti rappresentino il popolo Ebreo, col quale un patto speciale fu fatto quando furono chiamati, e di cui era noto lo spirito di giustizia propria e di critica. I lavoranti chiamati dopo rappresenterebbero i Gentili. Secondo noi, i primi sono veri servitori di Dio, ma più distinti degli altri, perché, convertiti nella loro giovinezza, hanno servito il Signore durante lunghi anni; ovvero poiché posseggono doti d'intelletto superiori a quelle degli altri, ma hanno un gran difetto: nutrono uno spirito altiero e dicono agli altri: "Fatti in là, non accostarti a me, perché io son più santo di te!" Isaia 65:5

PASSI PARALLELI

Matteo 20:13; Esodo 19:5-6; Deuteronomio 5:27-30

Matteo 18:28; 22:19

Luca 10:35; Apocalisse 6:6

1Samuele 2:18,26; 3:1,21; 16:11-12; 1Re 3:6-11; 18:12; 2Cronache 34:3; Ecclesiaste 12:1

Luca 1:15; 2Timoteo 3:15

Mt 20:3

3. Ed uscito verso l'ora terza

9 antim. La divisione del giorno in dodici ore, dal sorgere al calare del sole, è da Erodoto lib. II,109 attribuita ai Caldei. La presente divisione del giorno

e della notte in ventiquattro ore eguali non fu usata prima del quarto secolo d. C. La maniera caldaica di contare il tempo fu introdotta tra i Romani e tra altre nazioni, circa 150 anni prima dell'era nostra; ma forse ella era usata dai Giudei fin dal tempo della loro cattività in Babilonia. È ancora usata in Oriente. Secondo il loro computo, l'ora sesta finiva sempre a mezzogiorno, e la duodecima al tramonto: conseguentemente, negli equinozi, le loro dodici ore del giorno coincidono esattamente colle nostre, cioè dalle 6 ant. alle 6 pom. Ma siccome il sole in Palestina, nel più lungo giorno, si leva circa alle 5, e tramonta dopo le 7, ciascuna delle dodici ore, contata col cronometro, sarebbe di 70 invece che di 60 minuti; e siccome il sole si leva alle 7 e tramonta alle 5 nel solistizio d'inverno, ciascun'ora sarebbe, durante questa stagione, di 50 anziché di 60 minuti.

ne vide degli altri che se ne stavano sulla piazza, disoccupati; 4. E disse loro: Andate anche voi nella vigna, e vi darò quel che sarà giusto. Ed essi andarono. 5. Poi, uscito ancora verso la sesta mezzogiorno, e la nona ora 8 pom, fece lo stesso. 6. Ed uscito verso l'undicesima 5 pom. ne trovò degli altri in piazza e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi? 7. Essi gli dissero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Egli disse loro: Andate anche voi nella vigna.

Questi ultimi, o non erano stati là più di buon'ora, o non erano disposti ad accettare l'offerta prima d'allora; ma v'era ancora lavoro da eseguire, e, poiché ora volevano lavorare, il padrone li mandò nella vigna. Il fatto che tutti i lavoranti non solo furono chiamati dal padrone, ma accettarono la di lui proposta, andarono nella di lui vigna e vi lavorarono, dimostra chiaramente che non è l'ordinaria chiamata del Vangelo, che tutti odono dove giunge e che le migliaia trascurano o disprezzano, quella a cui il Signore si riferisce, bensì la chiamata salutare, efficace, dello Spirito Santo, la quale cambia il cuore dei peccatori e li introduce nel regno, di Cristo in qualunque periodo della vita, dalla gioventù sino alla vecchiaia. Questi lavoratori nulla fecero per entrar nella vigna; ma chiamati dal padrone, entrarono e lavorarono, e tutti, anche i mormoratori, ricevettero dalle sue mani una retribuzione. Questo toglie ogni fondamento all'obiezione fondata sul vers. 14: "Prendi il tuo, e vattene" che questi ultimi fossero impostori

mandati via finalmente; poiché, se tali fossero stati, non avrebbero ricevuto alcun compenso.

PASSI PARALLELI

Marco 15:25; Atti 2:15

Matteo 6:7; 11:16-17; Proverbi 19:15; Ezechiele 16:49; Atti 17:17-21; 1Timoteo 5:13; Ebrei 6:12

Matteo 9:9; 21:23-31; Luca 19:7-10; Romani 6:16-22; 1Corinzi 6:11; 1Timoteo 1:12-13

Tito 3:8; 1Pietro 1:13; 4:2-3

Colossesi 4:1

Matteo 27:45; Marco 15:33-34; Luca 23:44-46; Giovanni 1:39; 4:6; 11:9; Atti 3:1; 10:3,9

Genesi 12:1-4; Giosuè 24:2-3; 2Cronache 33:12-19; Ebrei 11:24-26

Ecclesiaste 9:10; Luca 23:40-43; Giovanni 9:4

Proverbi 19:15; Ezechiele 16:49; Atti 17:21; Ebrei 6:12

Atti 4:16; 17:30-31; Romani 10:14-17; 16:25; Efesini 2:11-12; 3:5-6; Colossesi 1:26

Matteo 22:9-10; Ecclesiaste 9:10; Luca 14:21-23; Giovanni 9:4

Efesini 6:8; Ebrei 6:10

Mt 20:8

8. Poi, fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore:

Se il padrone della vigna si vuole riguardare come il rappresentante di Iddio, allora il fattore è Cristo, a cui, come a Mediatore, Iddio ha conferito ogni autorità e potere nella sua Chiesa. La sera era il tempo fissato dalla legge per il pagamento della mercede giornaliera. Non si poteva differire sino al giorno dopo; disposizione pietosa per il lavorante e la sua famiglia Levitico 19:13; Deuteronomio 24:15; Giacomo 5:4. La "sera" in cui è distribuita la ricompensa, è stata generalmente intesa dell'ora della morte, quando i servi di Cristo entrano nella gioia del loro Signore, o del giorno del giudizio universale, quando la giusta sentenza, che fisserà la sorte di ognuno, sarà pubblicata davanti all'universo. Queste sono senza dubbio le principali spiegazioni che si possono dare della parola sera, ma, secondo noi, essa ne ha un'altra ancora. In risposta alla domanda di Pietro, nostro Signore parlò di ricompense, così in questa vita, come nella vita avvenire, Iddio ha disposto che ogni servizio reso a lui porti seco una ricompensa la quale è spesso goduta dai suoi servi nella vita presente, e talvolta continuata fino al giudizio finale, cosicché la "sera" non è limitata dall'ultimo giudizio. La distribuzione delle ricompense e i discorsi tenuti in tale occasione sono pertanto solamente la forma con cui ci si fa conoscere quale disposizione da parte del lavorante sia più accetta al padrone della vigna.

Chiama i lavoratori, e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi.

La costruzione della parabola richiedeva che gli ultimi fossero pagati i primi, non solamente per scoprire la disposizione del loro animo, ma ancora i sentimenti suscitati nel petto dei primi, dal vedersi tutti posti sul medesimo piede d'uguaglianza. L'espressione "i primi" dove intendersi qui, non solo di quelli che furono i primi in ordine di tempo, sì ancora nel senso di principali, o più distinti per ingegno; o per avere sofferto le maggiori perdite e fatte le opere più cospicue per la causa di Cristo. Anche i veterani nel servizio di Cristo possono essere, ma non necessariamente, i primi in questo senso. Nella parabola, è vero, coloro che furono mandati i primi nella vigna erano i principali tra i lavoranti, rispetto al tempo durante il quale lavorarono, ma il tempo indica qui soltanto la quantità. Quel che si vuol mettere in vista, non è il tempo consumato, ma la quantità di lavoro fatto. Giova grandemente, a formarsi un chiaro concetto della lezione qui

insegnata, il pensare che i primi indicano coloro che fecero e soffrirono maggiormente, e gli ultimi coloro che fecero e soffrirono meno, per la causa di Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:39-40; 25:19,31; Romani 2:6-10; 2Corinzi 5:10; Ebrei 9:28; Apocalisse 20:11-12

Genesi 15:2; 39:4-6; 43:19; Luca 10:7; 12:42; 16:1-2; 1Corinzi 4:1-2; Tito 1:7

1Pietro 4:10

Mt 20:9

9. Allora venuti que' dell'undecima ora, ricevettero un denaro per uno.

Qui si fa menzione solamente dei primi e degli ultimi condotti a prezzo non; occorreva far menzione degli altri allogati nelle ore intermedie, perché il principio da illustrarsi è vivamente posto in evidenza dal contrasto dei due estremi. Coloro che aveano lavorato solamente un'ora od altra maggiore frazione di una giornata, non aveano stabilito qual doveva essere il loro salario. Essi non sapevano qual premio sarebbe loro dato, ma conoscevano il padrone per il quale lavoravano, ed erano pronti ad accettare qualunque paga a lui piacesse di dare. Per questo riguardo, essi rappresentano degnamente i migliori discepoli di Cristo, quei cristiani simili a fanciulli che egli dà per modello agli altri.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:2,6-7; Luca 23:40-43; Romani 4:3-6; 5:20-21; Efesini 1:6-8; 2:810

1Timoteo 1:14-16

Mt 20:10

10. E venuti i primi, pensavano di ricever di più; ma ricevettero anch'essi un denaro per uno.

Quelli che erano stati impegnati sin dallo schiarire del giorno erano ivi dattorno, ed aveano osservato che tutti i loro compagni, non eccettuati quelli che erano stati assunti in servizio per un'ora sola, avevano ricevuto la medesima uniforme ricompensa: "un denaro per uno". Mentre s'andava compiendo l'operazione, essi si rallegravano in silenzio nell'aspettazione che quando toccherebbe a loro, riceverebbero più che il denaro stipulato col padrone, perché aveano fatto più lavoro. Ma il fattore, in presenza del padrone, di cui egli eseguiva gli ordini diede anche a ciascuno di costoro un denaro e non di più. Vediamo qui lo spirito calcolatore e mercenario che si era manifestato nella domanda di Pietro, spirito che questa parabola era destinata ad abbattere, una volta per sempre, tra i servi di Cristo.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:10

Mt 20:11

11. E, ricevutolo, mormoravano contro al padrone di casa, 12. Dicendo: Questi ultimi non han fatto che un'ora, e tu li hai fatti pari a noi, che abbiam portato il peso della giornata e il caldo.

Non potendo più a lungo nascondere la propria delusione, benché sapessero bene che non aveano alcun diritto di ricevere di più, essi cominciano a mormorare contro il padrone. Le più basse passioni "l'invidia e l'occhio maligno" mostrate da quei lavoranti indussero il Crisostomo e molti altri a concludere che essi erano stati finalmente reietti e privati della vita eterna.

Ma questo è un peccato in cui cadono troppo comunemente i veri credenti. Simili a questi lavoratori sono quelli che in qualche misura, abbandonano la semplicità della fede e lasciano che un motivo interessato si mescoli alle loro devozioni. Essi rassomigliano a Pietro quando confrontando i suoi grandi sacrifici col rifiuto del giovane ricco di abbandonare cosa alcuna, e reputando se stesso come il primo, mentre considerava gli altri come ultimi, domandava: "Signore, che ne avremo dunque per aver lasciato tutto e seguito te?". In risposta alla sua egoistica domanda, egli è ammonito che se continua in quella disposizione, gli può accadere d'essere fra quei "primi" che saranno "ultimi".

PASSI PARALLELI

Luca 5:30; 15:2,28-30; 19:7; Atti 11:2-3; 13:45; 22:21-22; 1Tessalonicesi 2:16

Luca 14:10-11; Romani 3:22-24,30; Efesini 3:6

Isaia 58:2-3; Zaccaria 7:3-5; Malachia 1:13; 3:14; Luca 15:29-30; 18:11-12

Romani 3:27; 9:30-32; 10:1-3; 11:5-6; 1Corinzi 4:11; 2Corinzi 11:23-28

Mt 20:13

13. Ma egli rispondendo a un di loro, disse: Amico, io non ti fo alcun torto; non convenisti meco per un denaro? 14. Prendi il tuo, e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. 15. Non mi è lecito far del mio ciò che voglio? o vedi tu di mal occhio ch'io sia buono?

Il padrone di casa istantaneamente chiuse loro la bocca dicendo: "Vi appellate alla giustizia? E sia: la somma pattuita vi è stata pagata! Voi, essendo stati soddisfatti, nulla avete a vedere, cogli stipendi che dò agli altri lavoranti. Il lagnarvi della benevolenza mostrata ad altri, quando, per vostra confessione, voi siete stati trattati bene, mostra che siete invidiosi verso il prossimo, ed ingrati verso chi v'impiegò e vi ricompensò".

PASSI PARALLELI

Matteo 22:12; 26:50

Genesi 18:25; Giobbe 34:8-12,17-18; 35:2; 40:8; Romani 9:14-15,20

Matteo 6:2,6,16; 2Re 10:16,30-31; Ezechiele 29:18-20; Luca 15:31; 16:25; Romani 3:4,19

Giovanni 17:2

Matteo 11:25; Esodo 33:19; Deuteronomio 7:6-8; 1Cronache 28:4-5; Geremia 27:5-7; Giovanni 17:2

Romani 9:15-24; 11:5-6; 1Corinzi 4:7; Efesini 1:11; 2:1,5; Giacomo 1:18

Matteo 6:23; Deuteronomio 15:9; 28:54; Proverbi 23:6; 28:22; Marco 7:22; Giacomo 5:9

Giona 4:1-4; Atti 13:45

Mt 20:16

16. Così, gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi;

il Signore termina questa parabola colle stesse parole colle quali la introdusse. Benché i lavoranti ricevano tutti esattamente la medesima ricompensa, gli ultimi sono innalzati sopra i primi per un supplemento pecuniario, simbolo di un animo contento, amorevole e grato. Il fatto che questo avvertimento fu dato a Pietro ed ai suoi compagni, dimostra che questa parabola non può avere altro scopo fuori quello di mostrare le differenze che passano tra i discepoli di Cristo inquanto a semplicità di spirito mentre il lavoro dura, e, conseguentemente, nelle ricompense, date a lavoro finito. Come tutti i lavoranti ottengono il prezzo di una giornata, così tutti coloro che son rappresentati da essi ereditano il regno dei cieli; ma,

come "un astro è differente dall'altro astro in isplendore", così accadrà quando Cristo verrà a radunare tutti i suoi. Quelli porteranno le più brillanti corone che avranno maggiormente onorato la bontà del loro Redentore, ed avranno pensato meno alle proprie opere ed ai propri sacrifici. L'ultima parte del versetto "perché molti son chiamati ma pochi eletti" manca in alcuni dei MSC. più importanti e viene soppressa da molti critici. Se autentica, va interpretata in connessione colla parabola. I "chiamati" e gli "scelti" sono gli uni e, gli altri veri discepoli di Cristo ed eredi della vita eterna, ma c'è qualche distinzione tra loro. Scelto, nelle Sacre Scritture, dicesi ciò che è migliore nel suo genere, buono per eccellenza. "Quantunque molti sieno i chiamati al regno di Dio come veraci e fedeli servitori, pochi primeggiano tra i loro compagni, al cospetto di Dio, mercé la eccellenza delle grazie operate in loro dallo Spirito Santo". Come si suole dire di numerosi oggetti manifatturati, benché tutti genuini: "pochi sono di prima qualità"; così, fra un numero grande di veri discepoli, pochi primeggiano per assenza di egoismo e di mondanità, e per rassomiglianza a Cristo, onorando il loro Signore e facendo stupire il mondo colle loro virtù. Discepoli siffatti egli li stima degni di duplice onoranza. La maggior parte di quelli che sono veramente discepoli e che erederanno la vita eterna sono siffattamente guasti da una mescolanza di propria giustizia, da peccaminose disposizioni e da tendenze mondane, che la luce loro rimane oscurata, la loro testimonianza riesce confusa. Oh! quanti sono i cristiani di questo genere, e come scarseggiano coloro i quali, "dimenticando le cose che stanno dietro, proseguono il corso verso la meta per ottenere il premio della superna vocazione di Dio, in Cristo Gesù!" Filippesi 3:13

PASSI PARALLELI

Matteo 8:11-12; 19:30; 21:31; Marco 10:31; Luca 7:47; 13:28-30; 15:7; 17:17-18

Giovanni 12:19-22; Romani 5:20; 9:30

Matteo 7:13; 22:14; Luca 14:24; Romani 8:30; 1Tessalonicesi 2:13; 2Tessalonicesi 2:13-14; Giacomo 1:23-25

RIFLESSIONI

1. La difficoltà di questa parabola apparisce dalle svariatissime esposizioni cui ha dato luogo. Origene ed Ilario fanno del succedersi delle ore la circostanza preminente, per mezzo della quale vengono significati i vari inviti da Dio diretti agli uomini sin dal principio, cioè ad Adamo, a Noè, ad Abramo, a Mosè, ecc. Tertulliano, Ambrogio, Gregorio Magno ed Agostino considerano il denaro dato a tutti ugualmente come rappresentante la vita eterna che appartiene a tutti i credenti: "splendor dispar, coelum comune". Crisostomo e Girolamo considerano le ore come indicanti i vari periodi della vita in cui entrano gli uomini nell'opera del Signore, e dicono lo scopo della parabola essere quello di confortare gli ultimi lavoranti a ciò lavorino con animo. Calvino stima volere! il Signore ammonire di non confidare troppo nella nostra cristiana operosità, per non cadere nella fiacchezza, talché altri ci avanzino nel correre, e noi dal primo grado scendiamo all'infimo. Cocceio, Matteo Henry e Whitby applicano la parabola ai Giudei, che per i primi furono chiamati al regno di Dio e provarono dispetto nel vedere i Gentili, tuttoché estranei, posti sul medesimo livello con loro e fatti compartecipi dei privilegi medesimi. Maldonato, Kuinoel, ed altri pensano essere lo scopo della parabola di mostrare che il premio della vita eterna non corrisponde al tempo ma alla quantità del lavoro fatto. Lutero e Stier respingono l'idea secondo la quale il denaro significherebbe la vita eterna, e lo spiegano "come un bene temporale di indole non puramente esterna e terrena". Secondo Alford, il concetto fondamentale è questo: si ottiene il regno di Dio non per opere, ma per grazia: gl'invidiosi e i mormoratori saranno privi di quella vita eterna a cui furono chiamati. Ben dice Olshausen: "Quei racconti dottrinali di Gesù sono simili a pietre preziose con più faccette, che splendono in più direzioni"; e ne abbiamo una prova nel fatto che molte fra le sopraccennate esposizioni concordano colla Scrittura. Tuttavia crediamo essere precipuo scopo della parabola il mostrare che, nel dispensare i suoi premi, vuoi in questa vita, vuoi nel giorno del giudizio, Iddio non guarda solamente al tempo che durò il lavoro, né tampoco alla quantità di esso, ma allo spirito con cui venne fatto, ed ai motivi che lo produssero; quindi molti fra coloro che sono poco considerati dagli uomini saranno ciononostante, e mercé la fede, speranza e carità dispiegate nell'operare, preminenti nel cospetto di Colui che scruta i cuori e

viceversa. La parabola insegna che, a cagion del loro spirito altero, mercenario e invidioso, saranno respinti all'ultimo posto quei cristiani che ne sono stati infetti, quantunque prolungata ed utile sia stata la loro operosità.

2. Possiamo da questa parabola ricavare con certezza che, tanto nel salvare i singoli individui, quanto nel chiamare le nazioni, Iddio agisce da sovrano, e non ha da rendere conto del suo operato. "Egli avrà mercé di chi avrà mercé" Romani 9:15, e ciò a suo tempo. È questa una verità di cui abbiamo ogni giorno nuovi esempi nella, Chiesa di Cristo. Che viene chiamato al ravvedimento ed alla fede sin dal primo esordire nella vita, come Timoteo, e lavora nel campo del Signore per quaranta o cinquant'anni; e chi viene chiamato alla "undecima ora". come il ladrone in croce, "tizzone scampato dal fuoco", ieri impenitente peccatore, "oggi in paradiso". Eppure il Vangelo intiero ci induce a erodere che ambedue questi uomini sono perdonati davanti a Dio, perché ambedue sono stati lavati nel sangue di Cristo e rivestiti della veste della sua giustizia.

3. Guardiamoci pertanto dall'inferire da questa parabola che la salvazione sia al minimo grado, conseguita per mezzo di opere. Il lavoro degli operai non comincia infatti se non dopo la chiamata la quale è una grazia da parte del padrone, poiché essi né cercano, né si curano di ottenere l'invito. La salvazione per opere sovverte l'intiero insegnamento della Bibbia. Le ricompense che da Dio riceviamo, vuoi in questo mondo, vuoi nell'avvenire, sono un frutto della grazia e non dell'opere.

4. Ricordiamoci che il lavorante deve anzitutto amare il padrone, e quindi il lavoro, per amore di lui. Nel momento stesso in cui un concetto di merito proprio serpeggia nel cuore dell'operaio esso lo fa rovinare al basso; non già che lo escluda dal novero dei veraci discepoli, ma dal primo posto lo precipita all'ultimo. Se la propria giustizia fosse il precipuo incentivo della vostra operosità, allora voi non sareste veri cristiani; se poi essa vi si fa innanzi a guisa di tentazione, e corrompe la vostra fede in Cristo, voi correte allora pericolo di scendere dal più alto grado all'infimo, e di diventare da primo ultimo, nella distribuzione dei premi ai servi del Signore.

5. Quanto strane saranno mai le rivelazioni dell'ultimo giorno! Certuni, giunti ultimi, e tenuti in pochissimo conto, saranno, in cielo i primi; ed altri non parteciperanno punto agli stessi onori, quantunque abbiano goduto di un gran credito nella Chiesa di quaggiù!

Mt 20:17

Matteo 20:17-28. GESÙ ANNUNZIA PER LA TERZA VOLTA LA SUA MORTE E LA SUA RISURREZIONE. AMBIZIOSA DOMANDA DI GIACOMO E DI GIOVANNI, E RISPOSTA DI GESÙ Marco 10:32-45; Luca 18:31-34

Per la esposizione vedi Marco 10:32Marco 10:32-45.

Mt 20:29

Matteo 20:29-34. I DUE CIECHI DI GERICO Marco 10:46-52; Luca 18:35-43

Per l'esposizione vedi Luca 18:35Luca 18:35-43.

Mt 21:1

CAPO 21 - ANALISI

1. Cristo si avvicina a Gerusalemme. Il nostro Evangelista non fa menzione di nessun incidente, dopo la guarigione dei due ciechi di Gerico finché il Signore, insieme ai suoi compagni di viaggio, non abbia oltrepassato Betania. Ma, coll'aiuto degli altri Evangelisti, siamo, in grado di rimediare in qualche guisa a questa brevità. Luca 19:1-27 ricorda l'interessante storia della conversione di Zaccheo, avvenuta nella stessa Gerico, come pure la parabola delle dieci mine, che servì ad occupare il tempo, passando da

Gerico a Betania; e Giovanni 12:1-2 ci fa sapere che in quest'ultimo villaggio, volle Gesù pernottare. L'indomani, se ne partì alla volta di Gerusalemme, accompagnato da gran moltitudine; e, mentre egli seguiva la strada che serpeggia nell'alto di un uadi, o burrone, sul fianco Sud-Est del monte Uliveto, egli spedì i suoi discepoli per una scorciatoia, al villaggio di Betrage, posto a sinistra del vallone, acciocché gli venissero, incontro con un puledro d'asino, ragguagliandoli minutamente intorno al proprietario di esso e del luogo preciso ove troverebbero il puledro. Gesù poi montò su di esso, adempiendo così una profezia di Zaccaria 9:9, mentre le turbe lo salutavano Re, con grida di "Osanna! Benedetto sia il Figliuol di Davide! Benedetto sia il Re che viene nel nome del Signore!". Stendevano esse le vesti loro nella via, adornandola di rami di ulivi e di palme. Nel varcare il colle che unisce il monte dell'Offesa al monte degli Ulivi, gli apparve di fronte la città di Gerusalemme. A quella vista il cuor suo compassionevole si commuove pensando al fato tremendo che su di essa incombeva Luca 19:42. Egli piange sopra la condannata città: strano contrasto coll'allegrezza popolare! Matteo 21:1-11.

2. Gesù nel tempio. Entrato in Gerusalemme, Gesù si recò direttamente al tempio; e come già aveva fatto sul principio del suo ministerio, così ancora alla fine di esso volle dar prova della propria autorità "qual Figlio sopra la Casa sua", rovesciando le tavole dei cambisti e le sedie dei venditori di colombi, da lui sgridati come profanatori della Casa del Signore, mentre i fanciulli proseguivano a gridare: "Osanna al Figliuolo di Davide!". Al tempo stesso egli operò tali miracoli, sanando i ciechi e gli zoppi che erano venuti a trovarlo nel tempio, da convincere appieno gli uomini ragionevoli del suo diritto a ciò fare e della sua autorità. I principali sacerdoti e gli Scribi n'ebbero un vivissimo dispetto e per la seconda volta vennero a lui perché imponesse, silenzio a coloro che l'acclamavano. Ma siccome egli aveva rifiutato prima di entrare nella città, di far tacere il popolo, dicendo: "Se costoro tacciono, le pietre grideranno" Luca 19:40, così ora egli rammenta loro una profezia di Davide, la quale si adempiva negli onori stessi che i fanciulli gli rendevano Salmo 8:3. Quindi se ne tornò a Betania Matteo 21:12-17.

3. Il fico maledetto. La maledizione del fico ebbe luogo l'indomani mattina, mentre Gesù tornava a Gerusalemme. Egli con quell'atto, intese simboleggiare il giudizio che sovrastava alla infruttifera e ipocrita razza d'Israele. Segue una breve conversazione coi discepoli sulla fede necessaria per operare miracoli Matteo 21:18-22.

4. Cristo chiude la bocca ai sacerdoti e agli anziani. Nell'andare al tempio, Cristo s'imbatte in una deputazione del Sinedrio, che gli domanda chi gli abbia conferito l'autorità profetica, se non messianica, da esso esercitata. Egli replica riferendosi alla testimonianza del suo precursore Giovanni, e domanda loro una categorica risposta al quesito: il battesimo di Giovanni era egli una mera invenzione umana, oppure un'istituzione divina? Vedendo dove mirava la domanda, essi non vollero rispondere secondo dettava la coscienza, ma non ebbero il coraggio di negare l'autorità di Giovanni; perciò essi ricusarono di rispondere. Se il Sinedrio, nella sua sapienza, confessava la sua incompetenza a sciogliere un quesito di così gran momento, relativo alla divina missione del testimone di Cristo, era inutile dichiarar donde veniva la sua autorità Matteo 21:23-27.

5. Parabola dei due figliuoli. In questa parabola, il Signore continua a parlare del ministerio di Giovanni, e ne suggella l'origine divina. Egli paragona gli Scribi ed i Farisei al secondo figlio, il quale, invitato dal padre a lavorare nella sua vigna, dice subito di si, e pur non ci va; ed i pubblicani e le meretrici al primo figlio, che sulle prime rifiuta di lavorare, poi ravvedutosi, ubbidisce Matteo 21:28-32.

6. Parabola dei vignaiuoli scellerati. Questa parabola fu pronunziata nella medesima circostanza. Il sistematico rifiuto dei vignaiuoli di dar al proprietario i frutti della vigna, i mali trattamenti ch'essi infliggono ai suoi servitori e l'uccisione del suo figlio, indicano il portamento della nazione giudaica inverso Dio e la tremenda retribuzione che le è riserbata. Avvedutisi i principali sacerdoti ed i Farisei che quelle parabole erano dirette contro di loro, si adirano e cercano di pigliare Gesù; ma la paura di vedere scoppiare una sommossa fra le turbe che ancora credevano alla profetica missione di Gesù, li costringe ad abbandonare il loro progetto Matteo 21:33-46.

Matteo 21:1-11. ENTRATA TRIONFALE DI CRISTO IN GERUSALEMME Marco 11:1-11; Luca 19:29- 40; Giovanni 12:12-19

Per l'esposizione vedi Luca 19:29Luca 19:29-40.

Mt 21:10

10. Ed essendo egli entrato in Gerusalemme, tutta la città fu commossa, e si diceva: Chi è Costui?

L'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme "la città del gran re", costituiva una solenne affermazione dei suoi diritti messianici. Era un ultimo appello ai Giudei, affinché essi lo riconoscessero come il loro Re. Egli permise ai suoi discepoli ed alle turbe di rendergli regali onori, e ricevette, come per diritto dovutogli, le loro acclamazioni: "Osanna al Figliuolo di Davide!" si confrontino le varie espressioni usate dalle turbe, ricordate dai quattro evangelisti. Egli era il figliuolo di Davide, il re d'Israele, e veniva nel nome del Signore. Benché una siffatta dimostrazione, successa nei dintorni di Gerusalemme, "commovesse l'intiera città", è evidente però, poiché i cittadini domandavano gli uni agli altri: "Chi è costui?" che quella commozione era prodotta unicamente dalla curiosità, e che essi presero poco o punto parte a quella dimostrazione di giubilo.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:3; Ruth 1:19; 1Samuele 16:4; Giovanni 12:16-19

Cantici 3:6; Isaia 63:1; Luca 5:21; 7:49; 9:9; 20:2; Giovanni 2:18; Atti 9:5

Mt 21:11

11. E le turbe dicevano: Questi è Gesù, il profeta che è da Nazaret di Galilea.

Or queste turbe distinte a quel modo dai cittadini, constavano, senza, dubbio, della gente che aveva accompagnato Gesù sin dalla, Galilea e dalla Perea, e di quella che da altre parti del paese si era recata alla festa. Costoro, sparsasi la voce della sua partenza da Betania, uscirono dalla città ad incontrarlo. La risposta delle turbe, nota Mayer, sembra accennare ad una specie di orgoglio locale, dacché Gesù veniva di Galilea ed era perciò il loro profeta. Ma questa risposta medesima era particolarmente atta a sollevare contro di lui il popolo di Giudea Vedi Giovanni 7:52

Mt 21:12

Matteo 21:12-17. PURIFICAZIONE DEL TEMPIO. MIRAC0LI OPERATI IN ESSO. TENTATIVI DEI SACERDOTI PER COSTRINGERE GESÙ A FAR TACERE I FANCIULLI, SUA RISPOSTA Marco 9:15-19; Luca 19:45-46

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12. E Gesù entrò nel tempio

Quantunque Matteo parli della purificazione del tempio subito dopo l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, egli non indica però il tempo in cui ebbe luogo il fatto; dimodocché ognuno è libero di attenersi alla cronologia di Marco, il quale asserisce essere questo fatto accaduto il giorno dopo l'arrivo di Cristo, e racchiude tutti gli avvenimenti del primo giorno, dopo l'entrata trionfale, entro i limiti di un solo versetto. Tuttavia, la cacciata improvvisa dei profanatori del tempio terminerebbe in modo ammirabile la serie degli atti compiuti da Cristo, nella unica occasione pubblica in cui sia entrato in possesso della "Casa di suo Padre", come Re Messia. Siccome poi Matteo aggiunge certi particolari tralasciati dagli altri evangelisti, terremo dietro a lui nella esposizione.

e cacciò fuori tutti coloro che quivi vendevano e comperavano; e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi.

sotto il pretesto di provvedere ai bisogni degli adoratori, massime se forestieri, somministrando loro vittime per l'altare e moneta giudaica per il tributo del tempio in cambio di moneta greca e romana, il cortile esterno, detto dei Gentili, era stato in parte trasformato in mercato di bestiame e in ufficio di cambisti. Dice Lightfoot che una parte del tempio, a motivo di quel traffico, aveva il nome di "Botteghe". L'approssimarsi della Pasqua aveva fatto ingrandire il mercato, perché la solennità richiedeva un numero grandissimo di bestie, ivi condotto per essere messe in vendita. Il traffico, le dispute, il rumoroso tumulto di un mercato orientale sono cose di cui a mala pena possono formarsi un concetto quelli che non l'hanno veduto; e quando, ai muggiti dei buoi ed ai belati delle pecore ai gemiti dei piccioni ed alle grida dei venditori, si aggiungano le voci altosonanti e spesso irose della folla accalcata esprimentesi in vari dialetti e lingue, difficilmente si può immaginare una scena più sconveniente ad un culto solenne, quantunque, in tutto ciò non scorgessero i Farisei cosa alcuna che urtasse i loro sentimenti religiosi. Ma, più ancora dell'esterno tumulto Gesù aborriva la cupidità e la frode, che del tempio avean fatto una fiera, e del culto di Dio un traffico. Quei mercatanti, Cristo li caccia fuori in virtù dell'autorità, che gli conferisce il suo ufficio messianico; adempiendo così una profezia di Malachia 3:1-3. Un simile atto aveva segnato pure l'esordio del suo ministerio pubblico; ed ebbe luogo appunto al tempo della Pasqua Giovanni 2:13-16. È facile confutare l'obbiezione di coloro che, appoggiandosi sul fatto che nessuno degli evangeli parla di due cacciate dei venditori dal tempio, sostengono che Gesù compiè quell'atto una sola volta. La purificazione del tempio non era intesa a produrre un effetto permanente, ma semplicemente ad affermare l'autorità del Signore; in modo che un tal fatto era perfettamente appropriato, sì al principio che alla fine del suo ministerio. Ma il primo atto ebbe luogo avanti che cominciasse il suo ministerio in Galilea, col quale i tre primi evangelisti principiano le loro narrazioni. Ciò ne spiega perché essi mentovano solo il secondo. Giovanni ricorda il primo per due motivi: perché egli scrisse per completare gli altri evangeli; e perché egli è particolarmente intento a narrare il periodo

dell'opera di Cristo in Giudea, avanti che la prigionia di Giovanni lo inducesse a ritirarsi in Galilea.

PASSI PARALLELI

Malachia 3:1-2; Marco 11:11

Marco 11:15; Luca 19:45-46; Giovanni 2:14-17

Deuteronomio 14:24-26

Levitico 1:14; 5:7,11; 12:6,8; 14:22,30; 15:14,29; Luca 2:24

Mt 21:13

13. E disse loro: Egli è scritto: La mia casa sarà chiamata casa d'orazione; ma voi ne fate una spelonca di ladroni.

Gesù rimprovera i mercanti mettendo in evidenza il contrasto fra l'uso cui Dio destinò il suo tempio e quello a cui esso era stato ridotto; ed egli l'esprime mettendo insieme due passi della Scrittura, tolti da due profeti. La prima parte è tolta da Isaia 56:7, ov'è annunziato che i Gentili entreranno nella Chiesa di Dio. Questo passo è citato nella sua integrità in Marco 11:17; però l'omissione delle parole "per tutte le genti", in Matteo e Luca, dimostra che Gesù non faceva allusione in quel momento ai Gentili; ma voleva unicamente mettere in luce il nome di "casa d'orazione", dato dal profeta al tempio. L'ultima parte di questo versetto è tolta da Geremia 7:11. dove si trova una severissima rampogna contro la disubbidienza e l'empietà d'Israele, il quale fu castigato primieramente colla cattività di Babilonia e colla distruzione del tempio di Salomone, e doveva poi esserlo in breve e in modo più terribile ancora, "colla sua totale dispersione, e la distruzione del secondo tempio, costruito da Zorobabele ed abbellito da Erode il Grande. Il rimprovero di Gesù non colpisce soltanto il traffico dei venditori, ma anche la loro avarizia, le loro estorsioni, ed i loro inganni nel mercanteggiare entro la Casa stessa destinata al servizio di Dio. Quella gente ne aveva fatto un

covo di ladroni, recandovisi con cuori pieni di cupidità, di estorsione, di avarizia e di frode. Iddio apprezza il nostro culto secondo lo stato dei nostri cuori; e siccome, sotto il nuovo patto, ogni luogo dedicato al servizio di Dio dev'esser una "casa di orazione", guardiamoci dal trasformarlo in "covo di ladroni", col recarvi cuori pieni di cupidità, e mani contaminate da rapina e da oppressione.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:5; Giovanni 15:25

Salmo 93:5; Isaia 56:7

Geremia 7:11; Marco 11:17; Luca 19:46

Mt 21:14

14. Allora vennero a lui, nel tempio, dei ciechi e degli zoppi; ed egli li sanò.

Se questi miracoli furono operati subito dopo ch'egli ebbe cacciati i venditori dal tempio, come sembra probabile poiché, secondo il nostro evangelista, essi furono operati nel medesimo cortile, essi apposero un divino suggello a quell'atto di autorità. Ma anche supponendo che questi miracoli sieno stati fatti l'indomani, Gesù, con queste miracolose guarigioni, aveva pienamente dimostrato il suo diritto di operare con autorità, e di ricevere gli omaggi che già tanto aveano inasprito i Farisei. Ad ogni modo, le guarigioni dei ciechi e degli zoppi sono piene d'interesse, perché sono le ultime dimostrazioni della gloria dispiegata in pubblico dal Signore. La fine del suo ministerio concordava col principio in quanto alla severità da lui spiegata contro il peccato, ed alla pietà ch'egli provava per i sofferenti.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:35; 11:4-5; Isaia 35:5; Atti 3:1-9; 10:38

Mt 21:15

15. Ma i capi sacerdoti,

cioè: il sommo sacerdote, il suo supplente, chiamato Sagan, alcuni forse tra quelli anteriormente in uffizio e deposti dai Romani, e i capi delle ventiquattro mute nelle quali Davide aveva distribuite le famiglie sacerdotali. Vedi Note Matteo 11:4Matteo 11:4; Luca 1:5Luca 1:5.

e gli Scribi, vedute le meraviglie che avea fatte, e i fanciulli che gridavano nel tempio: Osanna al Figliuolo di Davide! ne furono indignati.

Cotesti "Osanna" dei fanciulli, che circondavano Gesù nel cortile del tempio, erano l'eco prolungata delle popolari acclamazioni che lo avevano accolto al suo ingresso trionfale nella città. Questo fatto, e le opere meravigliose compiute da Cristo in questa circostanza, destarono l'ira degli Scribi e dei Farisei. I quali però, invece di provarsi a far tacere i fanciulli, preferirono servirsi di quelle acclamazioni contro Gesù, per insidiarlo ed accusarlo; e perciò si accostarono a lui.

PASSI PARALLELI

Matteo 23; 26:3,59; 27:1,20; Isaia 26:11; Marco 11:18; Luca 19:39-40; 20:1; 22:2,66

Giovanni 11:47-49,57; 12:19

Matteo 9; 22:42; Giovanni 7:42

Giovanni 4:1

Mt 21:16

16. E gli dissero: odi tu quel che dicono costoro?

Può darsi che questo fosse un indiretto, ma chiaro invito, fatto a Gesù di sgridare i fanciulli, invito simile a quello che altri Farisei gli avevano fatto fuori delle mura, affinch'egli sgridasse le turbe che l'acclamavano conf. Luca 19:39; ma il senso vero di quella domanda pare esser questo: "Costoro rendono a te, i messianici onori: sei tu indifferente a siffatta sconvenienza, oppure ardisci tu pretendere di essere il Messia?".

E Gesù disse loro: Sì.

Egli aveva udito le acclamazioni, e, quel che più monta, le aveva approvate. Egli impose dunque silenzio ai suoi interrogatori facendo loro a sua volta una domanda:

Non avete mai letto: Dalla bocca dei fanciulli, e dei lattanti hai tratto lode?

Questa è una citazione del Salmo 8:3, tolta dalla versione dei 70, la, quale non solo dimostrava quanto fosse conveniente che i piccoli fanciulli lodassero Iddio, ma indicava nel medesimo tempo che in quel giorno era stata mirabilmente adempiuta la profezia contenuta in questo Salmo, che fu sempre considerato dagli antichi Ebrei come messianico, ed è spesso applicato a Gesù, nel Nuovo Testamento, dallo Spirito Santo 1Corinzi 15:27; Efesini 1:22; Ebrei 2:6-7

PASSI PARALLELI

Luca 19:39-40; Giovanni 11:47-48; Atti 4:16-18

Matteo 12:3; 19:4; 22:31; Marco 2:25

Matteo 11:25; Salmo 8:2

Mt 21:17

17. E, lasciatili, se ne andò fuor della città a Betania; dove albergò.

Mentre erano, ancora pieni di confusione per quella risposta, il Signore li lasciò e tornò coi discepoli a Betania, dove sembra avesse preso alloggio durante la Pasqua. E così ebbe termine il primo giorno dell'ultima settimana della vita terrestre di Gesù.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:4; Geremia 6:8; Osea 9:12; Marco 3:7; Luca 8:37-38

Marco 11:11,19; Luca 10:38; Giovanni 11:1,18; 12:1-3

RIFLESSIONI

1. La prima lezione da ricavare da questo passo si è, che gli applausi del mondo non hanno nessun valore. La città di Gerusalemme è commossa dall'arrivo di Cristo; le turbe gli vanno incontro e stendono le loro vesti in sua via per dargli un segno di omaggio; ma prima che fosse trascorsa la settimana, tutti l'avevano abbandonato, ed il grido di "Osanna al Figliuolo di Davide!" veniva sostituito da quest'altro: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". È questa una fedel pittura della natura umana, ed una prova della stoltezza di quelli che "amano più la gloria degli uomini che la gloria di Dio" Giovanni 12:43. Niente invero è tanto mutabile ed incerto quanto l'aura popolare; è un fondamento sulla rena, che tosto cede se alcuno vi edifica sopra. Non dobbiamo darcene pensiero, ma cercar sempre il favore di Colui "che è l'istesso ieri, ed oggi, ed in eterno" Ebrei 13:8

2. Osserviamo che Cristo recasi al tempio, come alla casa di suo Padre, e che, come Figlio, egli vi esercita un'autorità assoluta. Lo zelo della Casa di Dio lo aveva roso. I sacerdoti ed i mercanti, disturbati nei loro traffici, nutrivano contro di lui, nei loro cuori, un odio violentissimo: ma non ebbero il coraggio di opporglisi, perché sentivano ch'egli aveva ragione. Il suo zelo

per la purezza della sua Chiesa, e per la gloria di Dio che in essa si riflette, non è diminuito quantunque egli non abiti più corporalmente su questa terra; egli è sempre Capo della sua Chiesa; egli siede come l'affinatore ed il purificatore dell'argento, e netterà i figliuoli di Levi, e li affinerà a guisa dell'oro e dell'argento, affinché offrano all'Eterno offerte con giustizia Malachia 3:3

3. I fanciulli devono anch'essi lodare il Salvatore, e i genitori devono educarli in modo tale ch'essi entrino quanto prima nella Chiesa di Dio. Niente diletta maggiormente Gesù Cristo, od offende i malvagi, quanto la giovanile pietà. Egli perpetuerà la sua Chiesa per mezzo della gioventù educata al Vangelo! Se ne ricordino i genitori e gli istitutori, e la preparino coi loro insegnamenti Matteo 2:15; 1Corinzi 7:14

Mt 21:18

Matteo 21:18-22. IL FICO MALEDETTO Marco 11:12-14, 20-26

Per l'esposizione vedi Marco 11:12Marco 11:12-14, 20-26.

Mt 21:23

Matteo 21:23-46. L'AUTORITÀ DI CRISTO MESSA IN DUBBIO. LE PARABOLE DEI DUE FIGLIUOLI E DEI VIGNAIUOLI SCELLERATI Marco 11:27-33 12:12; Luca 20:1-19

Qui ha principio quella seria di parabola e di discorsi del Signore, diretti ai suoi nemici, in cui più ampiamente di prima manifestasi la sua ostilità contro l'ipocrisia ed iniquità loro; talché cercano di farlo morire.

Una deputazione del Sinedrio tiene a Gesù per interrogarlo Matteo 21:2327

23. E quando fu venuto nel tempio, i capi sacerdoti, e gli anziani del popolo, si accostarono a lui, mentre egli insegnava, e gli dissero:

Secondo la cronologia di Marco, il fatto qui ricordato ebbe luogo al terzo giorno della settimana pasquale martedì. Passando accanto al fico sterile, Gesù e gli apostoli videro che l'albero era seccato, ed essi s'intrattennero di questo fatto, fino al loro arrivo nella città. Il Signore si recò difilato al tempio, ed insegnava il popolo "mentr'egli passeggiava per il tempio" Marco 11:27, portandosi, com'è probabile, dall'uno all'altro crocchio. Ai "principali sacerdoti ed anziani", qui mentovati, Marco e Luca aggiungono "gli Scribi", in modo che tutto le classi componenti il Sinedrio erano rappresentate. Infatti, quella deputazione del Consiglio nazionale aveva ricevuto l'incarico ufficiale di costringere il Signore a dichiarar se stesso profeta mandato da Dio; nel qual caso il Sinedrio aveva il diritto di approvare o di disapprovare il suo operato, in qualità di pubblico insegnante.

Con quale autorità fai tu queste cose? e chi ti ha data cotesta autorità?

Si alludeva alla cacciata dal tempio dei compratori e editori ed ai miracoli operati immediatamente dopo. La prima volta che Gesù purificò il tempio Giovanni 2:15, i Giudei gli aveano chiesto un segno della sua autorità; ma ora gl'interrogatori gli muovono una domanda più elevata, e mettono in dubbio la sua missione divina e la sua autorità. Il loro scopo era di confondere Gesù e di distruggere il suo credito in mezzo al popolo, strappando dalla sua bocca qualche parola che offrisse loro un pretesto legale per farlo punire. Il Sinedrio aveva deciso di farlo morire, sebbene fosse perplesso sul modo di raggiungere lo scopo Luca 19:47-48; Giovanni 11:47-53. Importa osservare che questo fu il primo conflitto diretto fra Cristo e le autorità d'Israele. Fin allora egli aveva avuto qualche contrasto con individui appartenenti ai vari partiti del popolo d'Israele; ma, in questo caso, egli era attaccato dal Sinedrio stesso.

PASSI PARALLELI

Marco 11:27-28; Luca 19:47-48; 20:1-2

1Cronache 24:1-19

Esodo 2:14; Atti 4:7; 7:27

Mt 21:24

24. E Gesù, rispondendo, disse loro: Anch'io vi domanderò una cosa, se voi mi rispondete anch'io vi dirò con quale autorità faccio queste cose.

Non vi è qui né un sotterfugio, né una scusa. Giovanni era il precursore e l'araldo del Messia; dunque, se avessero onestamente risposto alla domanda di Gesù, riguardo all'autorità della missione di Giovanni, Gesù li avrebbe ad un tempo stesso condotti a riconoscere la propria sua autorità. La domanda stessa da loro fatta a Cristo implicava poi, da parte loro, la trascuratezza del loro uffizio di guardiani spirituali e di conduttori del popolo; perché, quantunque avessero avuto ogni mezzo per portare un giudizio sulle pretensioni di Gesù e sull'evidenza dei suoi diritti, durante i tre anni e mezzo da lui spesi nell'insegnare e nell'operare miracoli. La loro domanda mostrava che sinora non si erano fatto un concetto preciso della sua missione e della sua dottrina. Gesù non negò loro il diritto di prendere informazioni a suo riguardo; ma li colse sul loro proprio terreno. Se, come conduttori del popolo di Dio, essi pretendevano avere il diritto e l'obbligo di pronunziare un giudizio sul suo carattere profetico, essi avevano del pari il diritto e l'obbligo di pronunziare un giudizio su quello di Giovanni; giudizio che essi avevano senza dubbio formulato da assai tempo, e che dovevano esser pronti a palesare.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:16; Proverbi 26:4-5; Luca 6:9; Colossesi 4:6

Mt 21:25

25. Il battesimo di Giovanni d'onde veniva?

Qui il battesimo di Giovanni rappresenta l'intiero ufficio del Precursore Atti 1:22; 10:37; 13:24, nel modo stesso che la croce spesse volte significa tutta l'economia evangelica 1Corinzi 1:17-18; Galati 5:11; 6:12,14; Filippesi 3:18

dal cielo o dagli uomini?

in altri termini: "Era Giovanni un profeta mandato da Dio come Elia o Isaia nel qual caso la sua testimonianza in favore di Cristo avrebbe somministrato la risposta da farsi al Sinedrio; oppure, era egli un predicatore fornito di solo umano sapere, e da se stesso mandato?".

Ed essi ragionavan tra loro, dicendo: Se diciamo: Dal cielo, egli ci dirà: Perché dunque non gli credeste?

La domanda di Gesù non era difficile per uomini desiderosi di essere guidati dal vero; ma i nemici di Gesù non volevano dare la vera risposta. L'accorta domanda di Cristo li pone adunque fra le corna di un dilemma. Se rispondevano di sì, erano costretti a riconoscere l'autorità di Gesù, perché Giovanni aveva in modo positivo affermato la propria divina missione di testimoniare di lui come del Messia, e aveva detto ch'egli aveva veduto lo Spirito scendere e posarsi sopra di lui Giovanni 1:33-34

PASSI PARALLELI

Matteo 3:1-12; 11:7-15; 17:12-13; Marco 1:1-11; 11:27-33; Luca 1:1117,67-80

Luca 3:2-20; 7:28-35; Giovanni 1:6,15,25-34; 3:26-36

Luca 20:5; Giovanni 3:18; 5:33-36,44-47; 10:25-26; 12:37-43; 1Giovanni 3:20

Mt 21:26

26. E se diciamo: dagli uomini, temiamo la moltitudine; perché tutti tengono Giovanni per profeta.

Il negare arditamente la divina missione di Giovanni avrebbe loro giovato per ribattere ogni ulteriore appello alla sua testimonianza, ma li avrebbe pure esposti a pericoli personali immediati. Luca 20:6 dice ch'essi temevano che il popolo li lapidasse. Quei ragionamenti ebbero luogo, senza dubbio, in forma di bisbigli concitati.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:46; 14:5; Isaia 57:11; Marco 11:32; 12:12; Luca 20:6,19; 22:2; Giovanni 9:22

Atti 5:26

Marco 6:20; Giovanni 5:35; 10:41-42

Mt 21:27

27. Risposero dunque a Gesù, dicendo: Non lo sappiamo.

Miserabili ipocriti! Solleciti guardiani delle credenze religiose e del benessere spirituale dei loro concittadini! Per propria confessione, essi erano incapaci di sentenziare se Giovanni, il quale aveva commosso tutta la nazione colla sua dottrina, fosse o non fosse stato un profeta di Dio.

E anch'egli disse loro: E neppur io vi dirò con quale autorità io fo queste cose.

Quanta sapienza e dignità dispiega qui il Signore! Egli rivolge la domanda contro chi la fece, e, nello svelare la loro ipocrisia, chiude loro la bocca. Il loro rifiuto di pronunziare un giudizio sulla missione di Giovanni era una abdicazione del diritto di giudicare in simili casi. Era inutile che essi facessero indagini circa l'autorità di Cristo, se non sapevano se Giovanni era

un vero profeta oppure un impostore. Essi confessarono di non essere ancora giunti a quel punto. Approfittando quindi della sorpresa, del silenzio e del timore prodotti dalla sua risposta, il Signore proseguì immantinente col narrare le due parabole che seguono.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:14; 16:3; 23:16-28; Isaia 6:10; 28:9; 29:10-12; 42:19-20; 56:1011

Geremia 8:7-9; Malachia 2:6-9; Luca 20:7-8; Giovanni 9:30,40-41; Romani 1:18-22,28

2Corinzi 4:3; 2Tessalonicesi 2:9-10

Mt 21:28

28. Or, che vi par egli? Un uomo aveva due figliuoli.

Questa parabola riferiraci da Matteo soltanto, sotto l'immagine di due figliuoli, indica due classi di Giudei che Iddio invita a lavorare nella sua vigna.

Accostatosi al primo, disse: Figliuolo, và a lavorare oggi nella vigna,

Cioè nel regno del Vangelo Matteo 20:1

PASSI PARALLELI

Matteo 17:25; 22:17; Luca 13:4; 1Corinzi 10:15

Luca 15:11-32

Matteo 20:5-7; Marco 13:34; 1Corinzi 15:58

Mt 21:29

29. Ma egli, rispondendo, disse: Non Voglio!

Audacissimo rifiuto, aperta disubbidienza, tanto nella forma quanto nella sostanza. Colui che fece questa risposta rappresenta i peccatori audaci e spensierati, i quali apertamente contrastano a Dio, vale a dire "i pubblicani ed i peccatori".

Ma poi, pentitosi, vi andò.

Egli ripensò al suo portamento ed al suo parlare, ne provò dolore e vergogna, e dimostrò il mutamento dell'animo suo coll'ubbidire, in modo sincero ancorché tardo. La voce greca pentitosi, non è quella con cui s'indica il pentimento nel vero senso religioso, cioè il radicale mutamento dell'animo e del cuore richiesto dal Vangelo ma si applica piuttosto ad un cambiamento sia nei sentimenti che nei propositi, in un caso speciale. Quando Giovanni Battista venne "per la via della giustizia", invitando l'intiera nazione ad un serio pentimento ed al risveglio spirituale, molti, apertamente malvagi e profani, che aveano sprezzato la vocazione loro indirizzata dalla legge di Mosè, si pentirono, e confessati i loro peccati, furono da Giovanni battezzati.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:31; Geremia 44:16; Efesini 4:17-19

Matteo 3:2-8; 2Cronache 33:10-19; Isaia 1:16-19; 55:6-7; Ezechiele 18:2832; Daniele 4:34-37

Giona 3:2,8-10; Luca 15:17-18; Atti 26:20; 1Corinzi 6:11; Efesini 2:1-13

Mt 21:30

30. E accostatosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli, rispondendo, disse: Vado, signore;

Io, signore. Quell'Io è enfatico, e indica il contrasto che il secondo figlio, colla sua ipocrita confessione di filiale riverenza e colla sua promessa di pronta ubbidienza, stabilisce fra se e il suo fratello; e ci rammenta quella compiacenza nella propria giustizia che spingeva i Farisei e gli Scribi a dire: "O Dio io ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini" Luca 18:11

ma non vi andò.

Non è detto ch'egli si pentisse poi della fatta promessa, perché non ebbe, sin dal principio, alcuna voglia di andarvi. Egli rappresenta quella classe di persone "che dicono e non fanno" Matteo 23:3. "Una falsità", dice Stier, "che Iddio abbomina più che qualsiasi 'Non voglio'". Alcuni MSC. e antiche versioni mettono prima il figlio che disse: "Vado" e secondo quel che disse: "Non voglio". Così il testo Nestle e la Riveduta.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:3; Ezechiele 33:31; Romani 2:17-25; Tito 1:16

Mt 21:31

31. Qual dei due fece la volontà del padre? Essi gli dissero: il primo.

Era tanto chiara la cosa, che non vi fu possibilità di ripetere la formula: "Noi non lo sappiamo", benché potessero sospettare che la parabola fosse rivolta contro a loro.

Gesù disse loro: Io vi dico in verità, che i pubblicani e le meretrici vanno innanzi a voi nel regno di Dio. 32. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, che avete veduto questo, neppur poi vi siete pentiti per credere a lui.

In questi versi, il Signore, a un tempo stesso, spiega ed applica la parabola. Egli non lascia alla deputazione del Sinedrio dubbio alcuno riguardo al suo modo di vedere, e in ispecie circa la missione di Giovanni. Per mezzo della predicazione di questi, "pubblicani e meretrici", infimo rifiuto della società, sforniti di pretensioni religiose e morali, erano stati convertiti e salvati. Vanno innanzi, non indica già un futuro bensì un entrare presente nel regno di Dio, sotto il ministerio di Cristo medesimo, per parte di coloro che dal ministerio di Giovanni erano stati preparati ad accettarlo. I capi sacerdoti, gli Scribi ed i Farisei, all'incontro, a dispetto delle alte loro pretensioni religiose, rifiutarono di prestare ascolto a Colui che venne per eccitarli al pentimento e per avvivare in essi una pietà più elevata, assicurandoli della prossimità del regno del Messia. Il Signor nostro aggiunge, per aggravare quel loro rifiuto, che Giovanni era venuto ad essi "per la via della giustizia", predicando quella stessa giustizia di obbedienza alla santa legge di Dio, per la quale professano sì alta stima, e chiamandoli a pentirsi ed a far frutti di penitenza. Il ministerio di Giovanni non presentava miracoli, né attacchi contro le tradizioni e l'autorità, né novità dottrinali, né pretese alla messianità, né alcuno insomma di quei caratteri che nell'insegnamento di Gesù tanto offendevano i Farisei ed i rettori del popolo. Giovanni faceva un semplice, ma diretto appello alla coscienza, che questi avrebbero sollecitamente accolto se non fossero stati ipocriti. Alcuni credono che il primo figlio rappresenti i Gentili ed il secondo i Giudei. La parabola può applicarsi, per analogia, a simili classi di persone, in tutte le età, e in tutti i paesi a cui perviene la parola di Dio; ma queste applicazioni vanno distinte dal primo scopo.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:21; 12:50; Ezechiele 33:11; Luca 15:10; Atti 17:30; 2Pietro 3:9

2Samuele 12:5-7; Giobbe 15:6; Luca 7:40-42; 19:22; Romani 3:19

Matteo 5:18; 6:5; 18:3

Matteo 9:9; 20:16; Luca 7:29,37-50; 15:1-2; 19:9-10; Romani 5:20; 9:30-33

1Timoteo 1:13-16

Matteo 3:1-8; Isaia 35:8; Geremia 6:16; Luca 3:8-13; 2Pietro 2:21

Matteo 21:25; 11:18; Luca 7:29-30; Giovanni 5:33-36; Atti 13:25-29

Luca 7:37-50

Salmo 81:11-12; Zaccaria 7:11-12; Giovanni 5:37-40; 2Timoteo 2:25; Ebrei 3:12; 6:6-8

Apocalisse 2:21

Mt 21:33

Parabola dei vignaiuoli scellerati Matteo 21:33-46

33. Udite un'altra parabola:

La sconfitta e la confusione dei membri del Sinedrio, tuttora presenti vedi Matteo 21:45, furono rese più umilianti dalla presenza delle turbe accalcate nel cortile del tempio, alle quali, secondo Luca, fu pure diretta questa parabola. L'oggetto di essa era di mostrare la colpa dei Giudei nel rigettare tutti i messi mandati loro da Dio, cominciando dai profeti sino al proprio suo Figliuolo, ed i tremendi giudizi che la reiezione di quest'ultimo farebbe scendere sopra la nazione. Era una terribile predizione d'ira imminente; eppure fu pronunciata con amore, onde risvegliare le coscienze ed indurle, se possibile, a pentimento.

Vi era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, e le fece attorno una siepe e vi scavò un luogo da spremer l'uva, e vi edificò una torre;

Gli antichi torcolitini scavati nel vivo sasso, s'incontrano tuttora perfetti in molte parti della Palestina. La torre era edificata per servire di osservatorio, onde custodire la raccolta. Quei dettagli tolti dalla bellissima parabola di

Isaia 5:2-7, indicano l'ammirabile sollecitudine di Dio in favore del suo popolo, ed hanno per scopo di far comprendere agli uditori di Gesù che la parabola fondata sull'Antico Testamento si applica a loro.

poi l'allogò a dei lavoratori,

Questo allogamento, fatto da un proprietario in persona, spande molta luce sui costumi del luogo e del tempo. Riguardo ai fittaiuoli ed alle condizioni, il ragguaglio, ancorché brevissimo, è chiaro. La vigna fu allogata ad una compagnia di lavoranti che intendevano coltivare il fondo colle proprie mani, a comun profitto. Fu stipulato inoltre che il reddito sarebbe pagato non in denaro, ma in natura: sistema parzialmente in uso in Italia, e largamente praticato in Oriente. Quei lavoratori rappresentano i capi della nazione - sacerdoti e rettori - per cura dei quali i frutti di giustizia dovean pervenire a maturità, mentre, all'incontro, in varie epoche essi aveano usurpato "la signoria sull'eredità del Signore".

e se ne andò in viaggio.

Se un significato spirituale deve cercarsi in queste parole, possono intendersi dell'assenza di ogni visibile apparenza che manifesti la presenza della divinità, quali erano, a cagion d'esempio, la nuvola e il fuoco sul Sinai.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:18; 1Re 22:19; Isaia 1:10; Geremia 19:3; Osea 4:1

Salmo 80:8-16; Cantici 8:11-12; Isaia 5:1-4; Geremia 2:21; Marco 12:1; Luca 20:9-18

Giovanni 15:1

Matteo 23:2; Deuteronomio 1:15-17; 16:18; 17:9-12; 33:8-10; Malachia 2:4-9

Matteo 25:14-15; Marco 13:34; Luca 19:12

Mt 21:34

34. Ora, quando fu vicino la stagione de' frutti, mandò il suo servitore dai lavoratori,

Nella Chiesa di Dio, ogni stagione dovrebb'essere "il tempo dei frutti", perché il suo popolo dovrebbe sempre produrre frutti alla gloria di Lui. Ma riguardo alla nazione giudaica, ciò probabilmente indicava che in periodi d'indifferenza o d'infedeltà, Iddio suscitava dei profeti, quali Elia, Eliseo, Isaia, Geremia, collo speciale incarico di accostarsi ai conduttori, ed al popolo, onde riprenderli ed ammaestrarli. E questi ben potevano, senza metafora, esser raffigurati come servitori mandati a chiedere i frutti dovuti, cioè ubbidienza alla volontà di Dio e devozione al suo servigio.

Per ricevere i frutti della vigna.

Vale a dire, la debita sua parte di proprietario, ritenendo i fittaiuoli la loro.

PASSI PARALLELI

2Re 17:13-23; 2Cronache 36:15-16; Nehemia 9:29-30; Geremia 25:3-7; 35:15

Zaccaria 1:3-6; 7:9-13; Marco 12:2-5; Luca 20:10-19

Cantico 8:11-12; Isaia 5:4

Mt 21:35

35. Ma i lavoratori, presi i servitori, uno ne batterono, uno ne uccisero e un altro ne lapidarono

Vedi Geremia 26:20-23; 37:15; 38:6; 2Cronache 24:21. Confrontate coll'intiero versetto Matteo 23:37, ove il Signore ripete quelle accuse nel

modo più commovente. Abbiamo qui un notevole esempio del metodo con cui Matteo condensa la sua narrazione. Secondo Marco e Luca, i tre servitori sono mandati separatamente e successivamente.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:12; 23:31-37; 1Re 18:4,13; 19:2,10; 22:24; 2Cronache 16:10; 24:21-22

2Cronache 36:15-16; Nehemia 9:26; Geremia 2:30; 25:3-7; 26:21-24; Luca 13:33-34

Atti 7:52; 1Tessalonicesi 2:15-16; Ebrei 11:36-37; Apocalisse 6:9

Mt 21:36

36. Da capo mandò degli altri servitori, in maggior numero dei primi; e coloro li trattarono nello stesso modo.

Iddio cominciò a mandare i suoi servitori, i profeti, dopo l'Esodo, e proseguì sino al tempo di Giovanni Battista. Successive ambasciate, spedite in successive età, incontrarono un trattamento simile: alcuni vennero mandati in carcere, altri in esilio ed altri uccisi.

Mt 21:37

37. Finalmente, mandò loro il suo Figliuolo,

Secondo Marco 12:6, "aveva ancora un unico diletto figliuolo e mandò loro anche quello per ultimo". La narrazione di Luca 20:13 è molto espressiva: "Che farò? Manderò il mio diletto figliuolo: forse, a lui porteranno rispetto". Si osservi che il Signore traccia qui una linea di demarcazione fra se e tutti i messaggeri puramente umani, e rivendica per se stesso la figliolanza nel senso più sublime. Nella pienezza dei tempi, Cristo "è venuto ai suoi, e i

suoi non l'hanno ricevuto". I rettori dei Giudei i quali stavano ad ascoltare, questa parabola, prendevano digià le loro misure per cacciare dalla città il Figliuolo e, crocifiggerlo.

dicendo: Avran rispetto al mio figliuolo.

Espressione naturale ed appropriata alle labbra di un possidente umano; ma è ovvio ch'essa, rappresentando il pensiero di Dio, significa soltanto che un siffatto rispetto era richiesto e dovuto. L'Onnisciente sapeva innanzi tempo che i conduttori giudei non avrebbero ceduto neppure a questo ultimo e tenerissimo appello.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:17; Marco 12:6; Luca 20:13; Giovanni 1:18,34; 3:16,35-36; Ebrei 1:1-2

Isaia 5:4; Geremia 36:3; Sofonia 3:7

Mt 21:38

38. Ma i lavoratori, veduto il figliuolo, disser fra loro: costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e facciam nostra la sua eredità.

(Confrontate la condotta dei fratelli verso Giuseppe, tipo di Cristo Genesi 38:18,20 con Giovanni 11:47-53.) Cristo era erede di ogni cosa come Figliuolo dell'uomo, e creator d'ogni cosa come Figliuolo di Dio. Le parole poste da Gesù in bocca ai lavoranti sembrano indicare che i rettori dei Giudei sapevano in coscienza ch'egli veramente era il Messia, il che aggrava di molto la colpa ch'essi commisero facendolo morire. È qui indicato l'assurdo tentativo dei rettori di privare Cristo della sua eredità, affine di perpetuare la propria loro autorità. Ogni qual volta gli Ebrei si sforzarono di prolungare, al di là del termine prefisso da Dio, la durata dell'antica economia, essi si resero colpevoli della usurpazione commessa dai lavoratori.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:13-16; 26:3-4; 27:1-2; Genesi 37:18-20; Salmo 2:2-8; Marco 12:7-8; Luca 20:14

Giovanni 11:47-53; Atti 4:27-28; 5:24-28

Mt 21:39

39. E, presolo, lo cacciarono fuor della vigna, e l'uccisero.

Sinora la parabola era storica, ora essa diventa profetica. Presolo, indica l'arresto nel Getsemane operato da emissari dei sacerdoti. Secondo Marco, l'uccisero, quindi lo gittarono fuori; il che non concorda coll'ordine dei fatti della morte di Cristo; poich'egli fu prima condotto fuori della città santa e poi crocifisso (conf. Ebrei 13:11-13); ma, lasciando da parte i dettagli, questo versetto ebbe il suo letterale adempimento nella passione del Signore, come pure un adempimento più spirituale, più esteso, nella reiezione della sua persona, della sua gloria e dei suoi discepoli Giovanni 16:2

PASSI PARALLELI

Matteo 26:50,57; Marco 14:46-53; Luca 22:52-54; Giovanni 18:12,24; Atti 2:23; 4:25-27

Ebrei 13:11-13

Atti 2:23; 3:14-15; 4:10; 5:30; 7:52; Giacomo 5:6

Mt 21:40

40. Quando dunque sarà venuto il padrone della vigna, che farà egli ai que' lavoratori? 41. Essi gli risposero: Li farà perir malamente, cotesti

scellerati, e allogherà la vigna ad altri lavoratori, i quali gli renderanno il frutto a suo tempo.

Dalla narrazione alquanto abbreviata di Marco e di Luca, Gesù sembra aver risposto da se alla propria domanda. La narrazione di Matteo è manifestamente più completa e più esatta: essa pone la sentenza contro gli scellerati vignaiuoli in bocca degli Scribi e dei Farisei, i quali, in questo modo, inconsciamente condannano se stessi nella risposta che fanno al Signore. Luca aggiunge: "Essi, udito ciò, dissero: Così non sia! Queste ultime parole furono probabilmente profferite dal popolo che li attorniava. La risposta alla domanda del vers. 40, sia essa del Signore o della deputazione del Sinedrio, è una chiarissima indicazione della prossima distruzione degl'infedeli rettori giudaici, del cambiamento di economia e del trasferimento dei privilegi degli Ebrei ad altri popoli, i quali dovevano formare una nuova società. La venuta del Signor della vigna si riferisce alla distruzione di Gerusalemme ed alla abrogazione della economia giudaica. Bene osserva Lange, essere la parousia, ossia la seconda venuta di Cristo, di cui trattasi qui, iniziata, in principio, dalla risurrezione Giovanni 16:16; continuata, come potenza, durante tutta la nuova economia Giovanni 14:3,19; compiuta, nel senso più completo della parola, dalla sua personale apparizione all'ultimo giorno 1Corinzi 15:23; Matteo 25:31; 2Tessalonicesi 11:1,3

PASSI PARALLELI

Marco 12:9; Luca 20:15-16; Ebrei 10:29

Matteo 3:12; 22:6-7; 23:35-38; 24:21-22; Levitico 26:14-46; Deuteronomio 28:59-68

Salmo 2:4-5,9; Isaia 5:5-7; Daniele 9:26; Zaccaria 11:8-10; 12:12; 13:8; 14:2-3

Malachia 4:1-6; Luca 17:32-37; 19:41-44; 21:22-24; 1Tessalonicesi 2:16; Ebrei 2:3; 12:25

Matteo 21:43; 8:11; Isaia 49:5-7; 65:15; 66:19-21; Luca 13:28-29; 14:2324; 21:24

Atti 13:46-48; 15:7; 18:6; 28:8; Romani 9:1-11:36; 15:9-18

Mt 21:42

42. Gesù disse loro: Non avete mai letto nelle Scritture:

La parabola testè pronunziata, benché mirabilmente atta a rappresentare i portamenti dei Giudei verso i profeti e verso Cristo, era sufficiente allo scopo di Gesù, poiché essa lasciava il figlio ucciso fuor della vigna, ed ascriveva la vendetta al Padre solo. Per fare intendere ch'egli risusciterebbe e tornerebbe come vendicatore, Gesù aggiunge un passo tolto dai Salmo, che direttamente si riferisce al Messia, e può esser considerato come un'altra parabola, tuttoché non ne rivesta la forma. È una citazione del Salmo 118:22, testè cantato dal popolo in lode di Gesù. Questo passo fu tenuto sempre dai Rabbini come profetico e relativo al Messia, e più tardi fu applicato, segnatamente da Pietro, a Cristo: la prima volta, innanzi al Sinedrio Atti 4:11, la seconda, nella sua prima Epistola 1Pietro 2:4-8, dove la citazione viene combinata colle profezie contenute in Isaia 28:16; 8:14

La pietra che gli edificatori hanno riprovata,

il verbo non suona soltanto riprovare, ma riprovare dopo un previo esame. Ciò aggrava la colpa dei rettori dei Giudei qui rappresentati come edificatori,

è divenuta pietra angolare;

cioè la pietra maestra che forma l'angolo dell'edifizio, che unisce i due muri, e che, sopportando il peso della costruzione, la tiene congiunta Efesini 2:2021. Agostino, ed altri Padri considerano questa pietra angolare che unisce due muri come un emblema dell'unione tra Giudei e Gentili. L'applicazione di queste parole a Cristo è richiesta non solo dal contesto, ma dal fatto ch'essa è ripetuta in altri passi ancora.

ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri?

Marco chiude la parabola con questo versetto.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:16

Salmo 118:22-23; Isaia 28:16; Zaccaria 3:8-9; Marco 12:10-11; Luca 20:1718

Atti 4:11; Romani 9:33; Efesini 2:20; 1Pietro 2:4-8

Habacuc 1:5; Atti 13:40-41; Efesini 3:3-9

Mt 21:43

43. Perciò, io vi dico,

i lavoratori aveano ucciso il Figlio, perciò la vigna sarebbe loro tolta ed essi verrebbero distrutti. La pietra angolare era stata dagli edificatori riprovata, perciò l'incombenza di edificare sarebbe loro tolta ed affidata ad altre mani.

che il regno di Dio vi sarà tolto,

L'espressione "regno di Dio", eran soliti usarla il Battista e Gesù per significare, il regno e il dominio di Cristo, sotto la nuova economia. Qui il senso della parola è più largo ed abbraccia anche il regno di Geova, quel regno di Geova sul popolo d'Israele, dal quale scaturivano tutti i loro privilegi temporali e spirituali, e che ora infatti la prima fase del regno di Dio sopra la terra e la preparazione della universale sua estensione, in breve il governo ecclesiastico dei Giudei doveva essere abolito per sempre, e questi dovevano cessare di essere l'esclusivo popolo di Dio.

e sarà dato ad una gente che ne faccia i frutti.

La parola gente non indica qui, come al solito, i Gentili, perché non si poteva dire di loro, in generale, o di qualsivoglia nazione fra essi, che producevano i frutti del regno di Dio; essa indica una nuova società spirituale, composta in parte di Giudei credenti, in parte e principalmente di Gentili; in altri termini, questa "gente" è la Chiesa di Cristo, i membri della quale sono eredi delle promesse spirituali, contenute nel patto stretto da Dio con Abramo, siccome i discendenti di questi, secondo la carne, sono eredi delle promesse terrene, contenute nel medesimo patto Galati 3:28-29; Efesini 2:11-19. La "gente" costituita sotto il nuovo patto, è quella che è chiamata da Pietro: "La generazione eletta, il reale sacerdozio, la gente santa, il popolo d'acquisto" conf. 1Pietro 11:9 con Esodo 19:5-6. La pietra, soggetto ripreso da Matteo 21:42, rappresenta il regno ed il potere del Messia.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:41; 8:11-12; 12:28; Isaia 28:2; Luca 17:20-21; Giovanni 3:3,5

Esodo 19:6; Isaia 26:2; 1Corinzi 13:2; 1Pietro 2:9

Mt 21:44

44. E chi caderà sopra questa pietra

Allude ad Isaia 8:14-15, ed a Daniele 2:34,44; e la pietra da essi mentovata è chiaramente identificata con quella di cui trattasi nel Salmo 118:22

sarà sfracellato; ed ella stritolerà colui sul quale caderà.

Il primo verbo suona essere fiaccato, sfracellato, come succede ad un uomo che urta con forza contro l'angolo d'un edifizio, o cade con violenza su di una pietra il secondo verbo significa tritare, stritolare, macinare, in altre parole, distruggere. Quelli ai quali Gesù rivolse queste parole urtavano contro la pietra angolare, e cagionavano a se stessi un grave danno spirituale col chiudere gli occhi all'evidenza dei diritti messianici di Cristo e col

rigettare l'offerta salvazione; però, non era il caso loro del tutto disperato: potevano ancora pentirsi ed essere salvati. Ma, quando quella pietra vista da Nabucco, in sogno, rovinare dal monte, percuotere la statua e ridurla in polvere Daniele 2:34,44-45 verrebbe, nel suo irresistibile corso, a piombare sopra di loro, una duplice distruzione totale, terribile e irrimediabile, piomberebbe loro addosso come nazione, nella tremenda catastrofe di Gerusalemme, e come individui, nella eterna rovina dei miscredenti. Questa verità si applica a tutti coloro ai quali Cristo viene predicato. Quelli che ora intoppano nella croce di Cristo, resistono al suo Spirito e sprezzano il suo amore cagionano a se stessi gravissimo danno, e corrono il rischio d'indurare i loro cuori sino alla finale impenitenza. Ma verrà il giorno del giudicio, in cui quella pietra cadrà sopra gli empi e cagionerà la loro eterna rovina Matteo 25:41-46; Salmo 50:3-5. Coloro che adesso urtano contro questa pietra angolare badino alla esortazione del Salmista: "Rendete omaggio al Figlio, che talora non s'adiri, e che voi non periate nella vostra via, quando l'ira sua si sarà pure un poco accesa: beati tutti coloro che si confidano in lui" Salmo 2:12

PASSI PARALLELI

Salmo 2:12; Isaia 8:14-15; 60:12; Zaccaria 12:3; Luca 20:18; Romani 9:33; 2Corinzi 4:3-4

1Pietro 2:8

Matteo 26:24; 27:25; Salmo 2:9; 21:8-9; 110:5-6; Daniele 2:34-35,44-45; Giovanni 19:11

1Tessalonicesi 2:16; Ebrei 2:2-3

Mt 21:45

45. E i capi sacerdoti, e i Farisei, udite le sue parabole, si avvidero che parlava di loro. 46. E cercavano di pigliarlo; ma temettero le turbe che lo tenevano per profeta.

Gli evangelisti fanno tutti quest'osservazione sui sacerdoti e Farisei. Questi si avvidero che, nelle parabole surriferite, egli li prendeva di mira, ed infuriati, cercarono un motivo per mettergli le mani addosso: ma Gesù godeva ancora di tanta popolarità: come profeta, che essi non ardirono toccarlo. Confrontando i Sinottici, sembra che i sacerdoti ed i Farisei abbiano più volte consultato insieme sulla possibilità di prendere Gesù, durante quella Pasqua, ed abbiano poi rinunziato al loro progetto per tema di una, sommossa Matteo 26:5, finché il traditore Giuda non venne a profferire loro il suo aiuto.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:12; Luca 11:45; 20:19

2Samuele 12:7-13; Proverbi 9:7-9; 15:12; Isaia 29:1; Giovanni 7:7

Matteo 21:11; Luca 7:16,39; Giovanni 7:40-41; Atti 2:22

RIFLESSIONI

1. La risposta del Signore alla deputazione del Sinedrio c'insegna che, mentre è dover nostro di non rifuggire da alcuna indagine sul principi della nostra santa religione, e d'essere quando che sia pronti a rendere conto della nostra fede e a difenderla, noi dobbiamo altresì farlo con prudenza, astenendoci dal "gettare le perle davanti ai porci".

2. La propria giustizia dei Farisei che disprezzano il Vangelo, e la bassa condizione in cui sanno di trovarsi i pubblicani e i peccatori che l'hanno accolto con gratitudine, riappariscono di età in età come tipi caratteristici. Dovunque il Vangelo è fedelmente, predicato e seriamente applicato alla coscienza del peccatore, coloro che confidano nella propria giustizia manifestano la vecchia riluttanza di riceverlo alle condizioni medesime dei malvagi; laddove i grandi peccatori, consapevoli del profondo bisogno ch'essi hanno delle sue benedizioni, e che non ardiscono sperarle poiché

sanno di non aver nessun merito, lietamente lo ricevono come un messo di libera grazia.

3. La parabola dei due figliuoli c'insegna qual sia l'incoraggiamento offerto dal Signore a chi si pente. Sia pertanto principio fisso del nostro cristianesimo, che l'Iddio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo è sempre pronto ad accogliere i peccatori penitenti. Il passato di un uomo non importa nulla, s'egli adesso è veramente pentito e vuol andare a Cristo. "Le cose vecchie son passate; ecco, tutte le cose son fatte nuove" 2Corinzi 5:17. Ciò che importa, non è la professione religiosa di un uomo, ma il sapere se abbia rinunciato ai suoi peccati. Ecco ciò che importa! Se non lo fece, la sua professione è in abbominio a Dio, ed egli ancor si trova sotto il peso della maledizione. Se noi siamo stati sinora grandi peccatori, facciamo animo, ravvediamoci e crediamo in Cristo, e ci è da sperare. Invitiamo parimenti gli altri a ravvedersi. Spalanchiamo la porta anche al "primo fra i peccatori". Giammai non verrà meno questa parola: "Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da rimetterei i peccati, e purificarci d'ogni iniquità" 1Giovanni 1:9

4. Benché il Signor nostro sempre rappresenti se stesso in tutta la sua opera di Messia come il servitore mandato dal Padre, tuttavia, di fronte agli altri servitori e messaggeri di Dio, egli ha cura di separare se da tutti loro, dandosi a conoscere come il FIGLIO unico e diletto, e ciò nel senso naturale, che implica manifestamente la sua divinità.

5. A quel modo che non erano i Gentili assolutamente esclusi dal popolo di Dio, sotto l'economia giudaica, così neppure i Giudei vanno ora esclusi dalla Chiesa di Cristo. Come Iddio si era proposto di fare, nei tempi antichi, del seme di Abramo il suo popolo visibile, così adesso, a motivo della LORO infedeltà, quel privilegio è stato, per un tempo, trasferito ai Gentili, d'infra i quali, pertanto, Iddio formasi ora un popolo per la gloria del suo nome. Ma tempo verrà in cui "tutto Israele sarà salvato" Romani 11:26; il che non significa soltanto ch'essi, di quando in quando e individualmente, entreranno nella Chiesa cristiana, perché han sempre così fatto sinora; ma che verranno, una volta ancora, come nazione, "innestati sul proprio ulivo", per costituire, insieme al Gentili, una Chiesa universale sopra la terra.

Mt 22:1

CAPO 22 - ANALISI

1. Parabola delle nozze regali. Nelle narrazioni di Marco e di Luca, l'ultimo discorso tenuto dal Signore coi Farisei si chiude colla parabola dei malvagi vignaiuoli. Matteo ne aggiunge un'altra, la quale manifestamente faceva parte del medesimo discorso. Ma, benché somigli alla parabola della Gran Cena ricordata da Luca 14:16-24, si trova tuttavia del tutto differente ove ben si guardi allo scopo ai particolari ed alla occasione di essa. Quelli che insistono sulla loro identità, si fondano sulla supposizione che un pubblico insegnante, il quale ammaestrava il volgo quotidianamente, lungo le vie, sulla sponda del lago, in remoti villaggi, in case private, nelle sinagoghe e nel tempio, non ripetesse mai, con varianti, in un dato luogo, la sostanza di una lezione altrove data. Ma questo è contrario del pari all'esperienza ed al buon senso. Questa parabola delle nozze regali è strettamente connessa con quella dei vignaiuoli scellerati, avendo ambedue per punto centrale la reiezione del messaggio divino. Ma mentre questa si riferisce solamente all'economia giudaica e si chiude coll'uccisione del Figlio e la profetata distruzione degli assassini; quella va molto più in là, perché non solo prevede la reiezione del Vangelo per parte dei Giudei e la distruzione della loro città, ma altresì annunzia la vocazione dei Gentili ed il finale giudizio. Vi sono, per così dire, due parabole in una: quella delle "nozze", nella quale si descrive il rifiuto dei Giudei e la vocazione dei Gentili Matteo 22:1-10; e quella del "vestito da nozze", nella quale sono rappresentati gl'ipocriti ed il castigo che li aspetta il dì del giudizio Matteo 22:11-14.

2. Tentativi per avviluppare Cristo con questioni controverse. Vari partiti mettono innanzi quesiti colla speranza di avviluppare Gesù nelle sue proprie risposte, onde poterlo accusare, com'era vivissimo desiderio del Sinedrio. È probabile che gl'interlocutori di Gesù non fossero membri della deputazione Matteo 21:23, ma private fazioni incitate dal Sinedrio. Il primo assalto è combinato da' Farisei uniti cogli Erodiani, e si riferisce alla delicata questione che li teneva divisi, cioè alla legittimità del potere straniero e

pagano sopra i Giudei: al che Cristo risponde con tanta sapienza, da destare l'ammirazione degli stessi suoi tentatori Matteo 22:15-22. Il secondo assalto è fatto dai Sadducei coll'intento di spargere il ridicolo sul dogma della risurrezione, mettendolo in confronto colla legge del levirato. Allo scherno, Gesù replica con divina dignità, rettificando, le loro false nozioni sulla vita avvenire e stabilendo con autorità il dogma negato Matteo 22:23-32. Gli Erodiani ed i Sadducei essendo in tal modo battuti, i Farisei rinnovano l'assalto, non più come fazione politica, ma religiosa, proponendo a Gesù una questione, probabilmente molto discussa nelle loro scuole, sulla relativa importanza dei precetti del Decalogo. Quella insidia non riuscì meglio delle altre. Gesù non riconobbe alcuna distinzione fra i comandamenti; ma, compendiamo in poche parole tutto il Decalogo, dimostrò l'assurdità di simili distinzioni Matteo 22:33-40.

3. Gesù sfida i suoi nemici. Dopo aver chiuso la bocca ai suoi assalitori, Gesù passa dalla difesa all'attacco. Scegliendo per argomento il Messia, e sapendo che i Farisei credevano ch'egli doveva essere Figlio di Davide, egli chiede loro come mai Davide, nel Salmo 110 ha potuto chiamarlo suo Signore. Essi furono incapaci di rispondere, locché prova ch'essi avevano abbandonata l'antica dottrina messianica d'allora in poi, essi riconobbero essere del tutto inutile cercare di prenderlo in fallo Matteo 22:41-46.

Matteo 22:1-14. PARABOLA DELLE NOZZE REGALI

1. E Gesù, prese di nuovo a parlar loro in parabole, dicendo:

La parabola che segue si trova soltanto in Matteo. Le prove seguenti dimostrano ch'essa non è identica a quella che si legge in Luca 14:16-24

1 Le due parabole furono profferite in diversi luoghi e tempi: quella di Luca in una casa privata, in Galilea; quella di Matteo nel tempio, in Gerusalemme, durante la settimana della Passione.

2 In Luca trattasi di una cena preparata da "un uomo", di cui non si dice la condizione sociale, ed in Matteo d'un convito dato da "Un re" in occasione

del matrimonio di suo figlio.

3 In Luca trattasi d'una cena, ossia pasto della sera; ed in Matteo d'un pranzo, ossia pasto del mezzodì.

4 Nella parabola riferita da Luca, le parole di Gesù suonano meno severe che in Matteo, perché, quando egli la pronunziò, la inimicizia dei Farisei non era ancora giunta al colmo, non avendo essi ancora deciso di farlo morire.

5 In Luca, gl'invitati rispondono con rifiuto cortese: in Matteo essi mostrano un disprezzo tale che non mandano risposta alcuna, anzi uccidono taluni fra i messaggeri.

6 Là, il solo castigo è l'esclusione, mentre altri pubblicani e meretrici subentrano ai primi; qui la città degli invitati è distrutta, ed altri son chiamati dal di fuori Gentili a riempire la sala del convito.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:15-17; 12:43-45; 13:3-11; 20:1-16; 21:28-46; Marco 4:33-34; Luca 8:10

Luca 14:16

Mt 22:2

Il Vangelo è primieramente offerto al popolo d'Israele Matteo 22:2-7

2. Il regno dei cieli è simile ad un re, il quale fece le nozze.

L'espressione far le nozze significa "celebrare il convito delle nozze", anziché la civile o religiosa solennità Matteo 25:10. Le nozze uniscono in se le due predilette immagini con cui i profeti fanno spiccare le benedizioni del

nuovo patto e della intima comunione con Dio, vale a dire, quella di un matrimonio Isaia 62:5; Osea 2:19; Matteo 9:15; Giovanni 3:29; Efesini 5:31-32; 2Corinzi 11:2, e quella d'un convito Isaia 25:6; 65:13; Cantici 5:1. Siccome le cose umane non possono rappresentare perfettamente le cose divine, ne risulta che in questa parabola i membri della Chiesa sono, nel medesimo tempo rappresentati dalla sposa e dagli invitati, e che lo sposo stesso ch'è il Redentore non è messo in evidenza. Ma, alla fine della narrazione, Gesù tralascia a poco a poco le circostanze dello sposalizio e richiama l'attenzione dei suoi uditori specialmente sulla condotta dei convitati.

del suo figliuolo.

Confrontando questa parabola coll'ultima, noi vediamo che Gesù si rivela sempre più chiaramente come Messia, ed allude in modo sempre più chiaro alla divinità della sua origine. In quella, egli è invero il Figliuolo unico e diletto del Padrone di casa, ma in questa, egli è di stirpe regale, ed apparisce, a un tempo stesso, come Re e Figliuolo del Re. La sollecita fondazione di un regno era stata già prima annunziata; ma il comparire, del Re, in questa parabola, chiaramente dà a vedere che siamo ormai nella sfera dell'economia novella. Il capitolo antecedente si chiudeva con una parabola per così dire riassuntiva della storia del Testamento Antico, ed in essa Cristo medesimo appariva piuttosto come l'ultimo e il più grande dei profeti, anziché come il fondatore di un nuovo regno. In quella parabola, che, ha per base un patto legale, Iddio apparisce come Colui che richiede qualche cosa dagli uomini; in questa invece che commentiamo, e nella quale trattasi dell'economia della grazia, Iddio mostra di volere dar qualcosa agli uomini. In quella, la colpa consiste nel rifiuto di dare ciò che la legge richiede; in questa, nel rifiuto di accettare ciò che la grazia liberamente offre.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:24,31-33,44-47; 25:1,14

Matteo 25:1-13; Salmo 45:10-16; Giovanni 3:29-30; 2Corinzi 11:2; Efesini 5:24-32; Apocalisse 19:7-9

Mt 22:3

3. E mandò i suoi servitori a chiamar gl'invitati alle nozze;

Si osservi che l'invito è fatto a persone alle quali era di già stato annunziato che lo riceverebbero, e che sarebbero avvisate del giorno in cui avrebbero luogo le nozze. Questo è l'uso orientale, vigente in Persia ai tempi di Ester 5:8; 6:14. I viaggiatori moderni asseriscono che l'uso d'inviare, ai convitati un secondo invito quando tutto è in ordine, è tuttora praticato. Le persone onorate con invito regale sarebbero naturalmente gente di altissimo grado nel paese: nobili, cortigiani ed ufficiali di Stato. Ad esse corrisponde la nazione giudaica, a cagione dell'alto posto cui Dio l'aveva innalzata, quasi segregandola da tutte le altre genti per suo servigio. I Giudei sono "gl'invitati" di questo versetto. Gl'inviti cominciarono col patto stretto da Dio coi padri loro, e furono continuati per mezzo dei profeti, che li esortarono a tenersi pronti per l'arrivo del Re. I profeti non sono nominati in questa parabola, ma si riconosce l'opera loro nella fatta menzione di un invito indirizzato anteriormente ai convitati. I "servitori" sono quei che han predicato prima della crocifissione di Cristo, cioè Giovanni Battista, i dodici apostoli, i settanta discepoli, il cui invariabile messaggio era: "Ravvedetevi, perciocché il regno dei cieli è prossimo".

ma questi non vollero venire.

Molti, fra quelli che ricevettero il battesimo di Giovanni, furono urtati dall'umile condizione di Gesù; e molti fra quelli che lo seguivano a cagione dei suoi miracoli ed erano stupiti della sua dottrina, rifiutarono di riconoscerlo come Messia; mentre poi la maggioranza della nazione rimase in uno stato di assoluta indifferenza.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 10:6-7; Salmo 68:11; Proverbi 9:1-3; Isaia 55:1-2; Geremia 25:4; 35:15

Marco 6:7-11; Luca 9:1-6; 14:15-17; Apocalisse 22:17

1Samuele 9:13; Sofonia 1:7

Matteo 23:37; Salmo 81:10-12; Proverbi 1:24-32; Isaia 30:15; Geremia 6:16-17; Osea 11:2,7

Luca 13:34; 15:28; 19:27; Giovanni 5:40; Atti 13:45; Romani 10:21; Ebrei 12:25

Mt 22:4

4. Di nuovo mandò altri servitori,

Questi sono gli apostoli, gli evangelisti, ed i dottori, i quali dopo la Pentecoste predicarono con zelo il Vangelo in Gerusalemme ed in Giudea, perché il Signore aveva loro ordinato di annunziare la salute primieramente ai Giudei.

dicendo: Dite agl'invitati: Ecco, io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati, e tutto è pronto; venite alle nozze.

Queste parole aggiunte all'invito confermano l'idea ch'esso fu fatto dopo compiuto il sacrificio del Signore, e dopo l'effusione dello Spirito nel dì della Pentecoste. Il discorso di Pietro Atti 2, è un mirabile esempio di quella specie d'invito.

PASSI PARALLELI

Luca 10:1-16; 24:46-47; Atti 1:8; 11:19-20; 13:46; 28:17-31

Proverbi 9:1-2; Cantici 5:1; Giovanni 6:50-57; Romani 8:32; 1Corinzi 5:7-8

Matteo 22:8; Nehemia 9:17; Salmo 86:5; Luca 14:17

Mt 22:5

5. Ma quelli, non curandosene, se ne andarono chi al suo campo, chi al suo traffico; 6. gli altri poi, presi i suoi servitori, li oltraggiarono e li uccisero.

Due sono le classi qui rappresentate, cioè gli schernitori ed i persecutori; le masse noncuranti e senza religione che non si dànno neppure la briga di scusarsi ed apertamente scherniscono l'invito, e le autorità che perseguitano e uccidono i messaggeri di Dio. Nessun insulto al monarca può essere maggiore della sprezzante indifferenza dei primi, salvo la flagrante ribellione e il tradimento degli ultimi. Tre maniere di oltraggio sono qui annoverate: "Presi i suoi servitori", cioè messe loro con violenza le mani addosso; "li oltraggiarono", e "li uccisero". Queste profetiche parole del Signore si avverarono perfettamente, come leggesi negli Atti degli Apostoli e nelle Epistole. I Giudei presero i suoi servitori Atti 4:3; 5:18; 8:3, li trattarono villanamente Atti 5:40; 14:5,19; 17:5; 21:30; 23:2, e li uccisero Atti 7:58; 12:2; conf. Matteo 23:34

PASSI PARALLELI

Genesi 19:14; 25:34; Salmi 106:24-25; Proverbi 1:7,24-25; Atti 2:13; 24:25; Romani 2:4

Ebrei 2:3

Matteo 13:22; 24:38-39; Luca 14:18-20; 17:26-32; Romani 8:6; 1Timoteo 6:9-10; 2Timoteo 3:4

1Giovanni 2:15-16

Matteo 5:10-12; 10:12-18,22-25; 21:35-39; 23:34-37; Giovanni 15:19-20; 16:2-3

Atti 4:1-3; 5:40-41; 7:51-57; 8:1; 1Tessalonicesi 2:14-15

Mt 22:7

7. Allora il re si adirò, e mandò le sue truppe

Questi eserciti sono quelli dei Romani, i quali furono gli esecutori dell'ira di Dio, appunto come gli Assiri sono chiamati da Isaia 10:5 "verga dell'ira sua".

a sterminare quegli omicidi

A quanto sembra, schernitori ed uccisori han ricevuto il medesimo castigo; la nequizia perpetrata dagli ultimi aggrava la colpa loro, ma il delitto di cui tutti quanti sono colpevoli, è d'avere sprezzato l'invito del Re; or ciò è ribellione e tradimento!

e ad ardere la loro città.

Sinora Gerusalemme era stata chiamata "la città di Dio", "la città del gran Re", perché Iddio vi aveva posto il suo nome; ma adesso, per accennare che Iddio vuol abbandonarla, Gesù la chiama "la loro città", come, appunto per lo stesso motivo, un giorno o due dopo, disse del tempio, al quale si dava ordinariamente il nome di "casa di Dio": "Ecco la vostra casa vi è lasciata deserta". Iddio parlò in un modo analogo a Mosè, dopo che Israele ebbe fatto il vitello d'oro al Sinai "il tuo popolo si è corrotto" Esodo 32:7, invece di: "il mio popolo"; perché il patto con Geova era diventato irrito e nullo a cagion del loro peccato. Questo versetto contiene pertanto una solenne predizione dell'ira che stava per piombare sulla nazione giudaica. Alcuni interpreti sono rimasti perplessi, perché questa predizione si trova inserita qui, avanti che i Gentili fossero stati invitati al banchetto; ma pure ciò è esattissimo, perché, sebbene il Vangelo sia stato predicato fra i Gentili molti anni avanti la distruzione di Gerusalemme, tuttavia la finale reiezione dei Giudei e la loro surrogazione dai Gentili non ebbero luogo prima di quell'avvenimento.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:40-41; Daniele 9:26; Zaccaria 14:1-2; Luca 19:27,42-44; 21:21,24; 1Tessalonicesi 2:16

1Pietro 4:17-18

Deuteronomio 28:49-68; Isaia 10:5-7; 13:2-5; Geremia 51:20-23; Gioele 2:11,25; 3:2

Luca 19:27

Mt 22:8

Predicazione del Vangelo ai Gentili Matteo 22:8-10

8. Quindi disse ai suoi servitori: Le nozze, sì, son pronte, ma gli invitati non n'eran degni.

Con questo versetto principia la seconda parte della parabola, in cui si descrive lo stato della Chiesa dalla vocazione dei Gentili sino alla fine del mondo. La indegnità degli invitati consisté nel rifiutare il grazioso invito. Paolo usò le stesse parole: "Non vi giudicate degni" coi Giudei di Antiochia in Pisidia, quando egli li abbandonò per predicare il Vangelo ai Gentili Atti 13:4,6; e indirizzò ai Giudei di Roma delle parole analoghe a queste Atti 28:25-28

PASSI PARALLELI

Matteo 22:4

Matteo 10:11-13,37-38; Luca 20:35; 21:36; Atti 13:46; 2Tessalonicesi 1:5; Apocalisse 3:4; 22:14

Mt 22:9

9. Andate, dunque sui crocicchi delle strade

i crocicchi, sono i luoghi più frequentati, sì urbani che campestri.

e chiamate alle nozze quanti troverete.

La primitiva proibizione: "Non andate ai Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani" Matteo 10:5, è ora abolita; lo stesso dicasi della distinzione fra popolo e popolo. In faccia al Vangelo, "non vi è Greco e Giudeo, circoncisione e incirconcisione, Barbaro, Scita, schiavo, libero" Colossesi 3:11, ma tutti sono del pari peccatori, ai quali viene fatta l'offerta della salute in Cristo.

PASSI PARALLELI

Proverbi 1:20-23; 8:1-5; 9:4-6; Isaia 55:1-3,6-7; Marco 16:15-16; Luca 14:21-24

Luca 24:47; Atti 13:47; Efesini 3:8; Apocalisse 22:17

Mt 22:10

10. E quei servitori, usciti per le strade, raunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni;

Cioè uomini di ogni grado e condizione, quelli manifestamente cattivi e da tutti tenuti per reprobi, e quelli la cui vita è esteriormente illibata, alcuni dei quali si trovavano persino fra i pagani, per esempio Cornelio ed il centurione di Capernaum Atti 10:1; Luca 7:4-5; ciò nondimeno, nel loro interno sono anch'essi peccatori.

e la sala delle nozze fu ripiena di commensali.

Benché molti avessero ricusato l'invito, molti l'accettarono con gioia; in modo che la tavola fu ripiena. Ed è questa la condizione della Chiesa oggidì. Raccolta com'è da tutte le parti del mondo, essa contiene dei cattivi e dei buoni. Così viene chiusa la seconda parte della parabola.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:11-12; 13:38,47-48; 25:1-2; 1Corinzi 6:9-11; 2Corinzi 12:21; 1Giovanni 2:19

Apocalisse 2:14-15,20-23

Matteo 25:10; Apocalisse 5:9; 7:9; 19:6-9

Mt 22:11

il finale giudizio Matteo 22:11-14. Questi versetti sono generalmente considerati come una continuazione della seconda parte della parabola delle nozze; noi, invece, li consideriamo come la terza parte di essa. Altri scrittori credono ch'essi racchiudano una nuova parabola, alla quale essi dànno il nome di parabola del vestito di nozze. Comunque sia, certo è che, in quest'ultima parte, si tratta della sera. Al principio della parabola si tratta cioè del pasto di mezzogiorno; ma le tenebre di fuori, ove è cacciato l'ospite indegno, dimostrano che la notte è sopraggiunta, e che si tratta per conseguenza della cena, colla quale si termina la festa. Si vuole ancora ricordare che, presso i Giudei e le nazioni orientali, le feste matrimoniali duravano un'intiera settimana Giudici 14:12,17; Ester 1:5,10; perciò si comprende facilmente che i fatti narrati nella parabola sieno successi in diverse ore.

11. Or il re, entrato per vedere quelli che erano a tavola,

È questo un particolare che concorda perfettamente con gli usi sia antichi che moderni. Quando un cittadino invita i pari suoi, egli deve trovarsi il primo nella sala del convito, per riceverli; ma quando un sovrano invita i

suoi sudditi, egli non comparisce, se non quando gli ospiti sono tutti raccolti insieme. L'ingresso del re è l'immagine del finale giudizio e della separazione degli ipocriti dalla Chiesa di Cristo. Le parole: "per veder quei ch'erano a tavola" si riferiscono non soltanto al giudizio finale, ma anche allo sguardo col quale Gesù scruta del continuo quelli che professano di credere in lui.

notò quivi un uomo

La parte prima della parabola si riferisce ad un giudizio nazionale; ma queste parole chiaramente dimostrano che in quest'ultima parte si tratta di un giudizio individuale. La menzione di un uomo solo, non vuol dire che vi sia un solo ipocrita, in mezzo di ogni assemblea che faccia professione di cristianesimo. Il Signore non intende dire se sono molti o pochi. L'unico punto sul quale egli vuol chiamare la nostra attenzione è la certezza che la falsità verrà scoperta, e quel che reca maggiore stupore, si è che il re scopre, con uno sguardo, in mezzo a tanta gente l'unico trasgressore che si trova nella sala,

che non vestiva l'abito di nozze,

Questo vestito era un candido caftan, o veste con maniche, che i servitori offrivano al convitato, e che questi doveva, indossare sopra il proprio vestito, prima di entrare nella sala del banchetto. Oggidì in Oriente, chi è ammesso alla presenza di un re, dev'essere così vestito. Nel Vecchio Testamento leggiamo di vesti regalate in segno di regio favore Daniele 5:29; Ester 6:7-8. Alcuni però negano che vi si parli dell'uso di offrire vesti ai convitati. Ne troviamo però esempi nel comando del re d'Israele, riguardo agli adoratori di Baal prima di celebrare la sua festa 2Re 10:22. Nel caso presente, il vestito di nozze era di assoluta necessità: infatti, come mai gente Polverosa, e forse cenciosa, raccolta per le strade, avrebbe potuto comparire alla tavola del re? Il Possesso d'una, gran quantità di vesti Vedi nota Matteo 6:19Matteo 6:19, onde provvederne, all'improvviso, un gran numero di convitati, era uno dei requisiti della magnificenza reale, in Oriente. Comparire davanti al re senza il vestito da nozze, era considerato come un insulto villano, come un rifiutare l'invito.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:12; 13:30; 25:31-32; Sofonia 1:12; 1Corinzi 4:5; Ebrei 4:12-13; Apocalisse 2:23

2Re 10:22; Salmo 45:13-14; Isaia 52:1; 61:3-10; 64:6; Zaccaria 3:3-4; Lamentazioni 5:22

Romani 3:22; 13:14; Galati 3:27; 2Corinzi 5:3; Efesini 4:24; Colossesi 3:10-11; Apocalisse 3:4-5,18

Apocalisse 16:15; 19:8

Mt 22:12

12. E gli disse: Amico

parola di significato ambiguo, spesso adoperata con chi non è amico intimo né tampoco amico.

come sei entrato qua, senza aver un abito da nozze?

"È questo accaduto per colpevole negligenza dei servitori, o per audacia tua propria?". Il vestito da nozze rappresenta le condizioni poste da Dio al possesso della salvezza: il ravvedimento, la fede nel Salvatore, la vita nuova. Il linguaggio di Gesù non aveva nulla di strano per quelli che si rammentavano delle parole d'Isaia 61:10: "Io mi rallegrerò grandemente nell'Eterno; l'anima mia festeggerà nell'Iddio mio; poich'egli mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto nel manto della giustizia come uno sposo che s'adorna d'un diadema come una sposa che si para dei suoi gioielli".

E colui ebbe la bocca chiusa.

Se il re non avesse provvisto di vestimenti gli ospiti, sarebbe stato uno scherno la sua domanda, ed il misero ospite avrebbe potuto scusarsi colla sua povertà, o la mancanza di tempo onde provvedersi dell'occorrente. Ma egli ebbe "la bocca chiusa", perché consapevole di aver rifiutato il vestito provvisto dal re ed offertogli dai servitori. Egli è un tipo di quelli che, nel loro orgoglio, rifiutano la salvezza offerta loro da Dio, e "cercano di stabilire la loro propria giustizia" Romani 10:3. L'incapacità nella quale essi si troveranno di rispondere al giudice all'ultimo dì, proclamerà ch'essi hanno coscienza della loro colpa e del giusto giudizio di Dio.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:13; 26:50

Matteo 5:20; Atti 5:2-11; 8:20-23; 1Corinzi 4:5

1Samuele 2:9; Giobbe 5:16; Salmo 107:42; Geremia 2:23,26; Romani 3:19; Tito 3:11

Mt 22:13

13. Allora il re disse ai servitori:

invece di come nei vers. 3 e 10, abbiamo qui, che accenna agli angeli, ministri della divina vendetta Matteo 13:41,49

Legatelo mani e piedi, e gittatelo nelle tenebre di fuori.

così in Matteo 8:12; 15:30. L'esclusione dalla città celeste Apocalisse 22:15, senza l'aggiunta di altri guai, sarebbe digià una terribile punizione; ma la sorte che toccherà ai riprovati è molto più orribile, poiché saranno gettati nell'abisso delle tenebre.

Ivi sarà il pianto, e lo stridor dei denti.

È

È impossibile dire in che consisteranno le sofferenze dei riprovati, perché Dio non ce l'ha rivelato. Ciò nonostante, Roma ha inventato il suo purgatorio, e ha descritto i vari modi di punizione, ed i luoghi nei quali essi vengono inflitti, esattamente come i geografi descrivono i costumi ed i vari paesi del mondo. Quindi, abusando della debolezza e della superstizione dell'umanità, essa fa un empio traffico.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:29; 13:30; Isaia 52:1; Daniele 3:20; Giovanni 21:18; Atti 21:11; Apocalisse 21:27

Matteo 8:12; 25:30; 2Tessalonicesi 1:9; 2Pietro 2:4,17; Giuda 6,13

Matteo 13:42,50; 24:51; Salmo 37:12; 112:10; Luca 13:28; Atti 7:54

Mt 22:14

14. Poiché molti son chiamati, ma pochi eletti.

Questo versetto non fa parte della parabola, ma indica l'applicazione che Gesù ne fa ai suoi uditori. Egli non allude qui alla dottrina della predestinazione. Gli "eletti" sono evidentemente quelli che, fra le moltitudini che udirono la predicazione del Vangelo i chiamati, credettero e saranno riconosciuti, nel dì del giudizio, come veri e fedeli seguaci dell'Agnello. "Queste parole di Cristo", dice Calvino, "significano semplicemente che il professare esternamente di credere, non prova che Iddio terrà per figli suoi tutti quelli che professano di schierarsi sotto la sua bandiera".

PASSI PARALLELI

Matteo 7:13-14; 20:16; Luca 13:23-24

RIFLESSIONI

1. È impossibile di trovare altrove, espressa con più chiarezza, che in questa parabola, la pretensione di Cristo alla divinità. Qui egli si presenta come colui che compie tutte le promesse misericordiose fatte da Jehova al suo popolo sotto l'Antica Alleanza; come il Figliuolo del Re Salmo 72:1; come lo sposo della Chiesa Salmo 45; e come il Messia, "unto" da Dio "d'olio di letizia a preferenza dei suoi compagni" Salmo 45

2. Questa parabola c'insegna una verità, esposta con maggior chiarezza in Romani 9, 11, cioè, che la reiezione della nazione ebraica fu una punizione inflittale a cagione dell'incredulità colla quale essa respinse il Cristo quando venne sulla terra, e dopo la sua ascensione, quando le fu predicato il Vangelo per bocca degli apostoli. Ciò nonostante, la reiezione della nazione ebraica fu un passo importante nell'adempimento dei disegni di Dio relativamente all'umanità; poiché il conferimento delle medesime grazie spirituali a tutte le nazioni e lo stabilimento d'una Chiesa universale nella quale sarebbe abolita la distinzione fra il Greco ed il Giudeo Colossesi 3:11, implicava l'abolizione del monopolio religioso, di cui fino allora avevano goduto gli Ebrei. "Per la loro caduta la salvezza è giunta ai Gentili" Romani 11:11

3. Molti trascurano di rispondere all'invito del Vangelo. Ne ascoltano forse la predicazione, ma non ci credono. È possibile ch'essi non lo odino, non lo pongano in ridicolo e non gli facciano una guerra aperta; ma non lo ricevono nei loro cuori, perché i loro affetti si concentrano sopra altre cose. È questo uno stato spirituale pericoloso, ma purtroppo assai frequente. Se il peccato, sotto le sue varie forme, commesso audacemente, "percuote i suoi mille", l'indifferenza religiosa "percuote i diecimila" 1Samuele 18:7. Migliaia di persone saranno precipitate nella perdizione, non tanto per le infrazioni da loro commesse contro i comandamenti di Dio, quanta per la loro trascuratezza della verità.

4. Benché i peccatori sieno invitati ad andare a Cristo "così quali sono", e benché la salute si ottenga "senza denari e senza prezzo" Isaia 55:1, pure conviene rammentarsi che Iddio "ci ha largito la sua grazia nell'Amato suo"

Efesini 1:6 e che, se "non vi è alcuna condanna", è unicamente "per coloro che sono in Cristo Gesù" Romani 8:1. "Siate rivestiti del Signor Gesù Cristo" Romani 13:14; confronta Galati 3:27

5. Benché sia possibile ingannare noi stessi e gli altri sul nostro stato religioso, non però si può ingannare Colui che viene a passare in rassegna i suoi invitati. Un solo sguardo del suo occhio onniveggente basta ad iscoprire l'ipocrita, sebbene egli si trovi frammezzo a diecimila credenti. Se abbiamo sprezzate le condizioni della salvezza, la sorte che ci aspetta è terribile quanto certa, e consisterà nell'essere cacciati per sempre dalla presenza di Dio, e "gettati nelle tenebre di fuori, ove sarà il pianto e lo stridor dei denti".

Mt 22:15

Matteo 22:15-40. DOMANDE INSIDIOSE RELATIVE AL TRIBUTO, ALLA RESURREZIONE, ED AL GRAN COMANDAMENTO Marco 12:13-34; Luca 20:20-40

Per l'esposizione vedi Marco 12:13Marco 12:13-34.

Mt 22:21

Matteo 22.41-46. GESÙ CHIUDE LA BOCCA AI FARISEI, FACENDO LORO UNA DOMANDA INTORNO A DAVIDE ED AL MESSIA Marco 12:35-37; Luca 20:41-44

Per l'esposizione vedi Marco 12:35Marco 12:35-37.

Mt 23:1

CAPO 23 - ANALISI

1. Distinzione da farsi fra l'insegnamento degli Scribi e Farisei, ed il loro esempio. Gli Scribi ed i Farisei, come composti ed espositori della legge di Mosè, rivendicavano per se medesimi una certa autorità ufficiale, e Gesù stesso voleva che il popolo li ascoltasse e li ubbidisse, finché la legge levitica non fosse abolita; ma egli proibiva di imitarli, perché i loro atti non erano conformi ai loro insegnamenti. Esigendo dai loro compatrioti la più stretta osservanza della lettera della legge, e delle tradizioni degli anziani più onerose ancora, essi mettevano sulle spalle altrui "gravi pesi", ch'essi stessi non volevano portare, fuori il, caso che fossero veduti dal pubblico. Lo scopo principale della loro vita era di ottenere la lode degli uomini, mentre trascuravano la gloria di Dio. Il Signore prova la sua accusa con diversi fatti, e premunisce, in modo speciale i suoi discepoli contro la vanità e l'orgoglio che si manifestavano nell'amore dei Farisei per i pubblici onori Matteo 23:1-12.

2. Otto minaccie pronunziate contro i Farisei. Il Signore rivolge quindi la parola agli Scribi ed ai Farisei, e pronunzia contro di essi le più terribili denunzie ed invettive, compendiando in poche parole tutto ciò ch'egli aveva detto sul loro conto durante il suo ministerio. Egli li chiama sette volte "ipocriti"; due volte "guide cieche"; due volte "stolti e ciechi"; una volta "serpenti", ed una volta "progenie di vipere". La prima minaccia è loro indirizzata, perché essi cagionavano la rovina delle anime col mezzo della loro sistematica opposizione al Vangelo Matteo 23:13. La seconda, perché la religione era per loro una maschera colla quale essi nascondevano la loro cupidità Matteo 23:14. La terza, a cagione del loro zelo nel far dei proseliti, non già per la loro salute e per la gloria di Dio, ma per aumentare l'importanza loro propria, e quella della loro setta Matteo 23:15. La quarta, perché essi inducevano il popolo in errore, relativamente ai giuramenti e all'obbligo di osservarli, stabilendo, come i Gesuiti dei nostri tempi, delle distinzioni immorali fra i giuramenti obbligatori e quelli che non lo sono Matteo 23:16-22. La quinta, perché trascuravano i doveri religiosi più importanti, ed attribuivano un valore eccessivo alle più minute osservanze cerimoniali, di cui la legge mosaica non faceva neanche menzione Matteo 23:23-24. La sesta e la settima, perché colla loro pietà, puramente esterna si sforzavano di riscuotete gli applausi degli uomini, mentre trascuravano affatto la purezza interna e la santità dei loro cuori. Quest'ultimo carattere

dei Farisei ci viene descritto sotto la figura d'un piatto nettato di fuori e non di dentro; e sotto quella d'un sepolcro bello all'esterno, e nell'interno pieno di putridume Matteo 23:25-28. L'ottava ed ultima minaccia fu loro indirizzata, perché mostravano una grande ammirazione per i santi uomini dei secoli passati, mentre cercavano di far morire quelli che professavano ed insegnavano le dottrine di quelli. Si poteva credere che protestassero contro i misfatti dei loro padri, i quali avevano ucciso i profeti, dal momento che innalzavano a costoro dei monumenti? il Signore dichiara che, uccidendo i messaggeri ch'egli invierebbe loro, essi dimostrerebbero, non soltanto la loro parentela cogli uccisori dei profeti, ma eziandio di meritare la rovina che doveva in breve piombare sulla razza di cui erano l'ultima e peggiore generazione Matteo 23:29-36.

3. Lamentazioni profetiche di Gesù sopra Gerusalemme. Queste lamentazioni furono cagionate dalla ostinata resistenza che gli abitanti di Gerusalemme opponevano ai suoi inviti. Fa seguito a queste l'annunzio della prossima rovina di questa città, e di un futuro periodo di misericordia nel quale "i figliuoli di Sion festeggeranno nel Re loro" Matteo 23:37-39. La maggior parte di queste minaccie trovansi sparse nei cap. 11 e 14 di Luca Luca 11, 14 ma esse furono senza dubbio, secondo il nostro evangelista, indirizzate da Gesù agli Scribi ed ai Farisei alla fine della sua carriera, in un solo discorso.

Matteo 23:1-12. GESÙ SMASCHERA GLI SCRIBI ED I FARISEI NE RIVELA IL VERO CARATTERE, E PROIBISCE AI DISCEPOLI DI IMITARLI Marco 12:38-40; Luca 20:45-47

1. Allora Gesù parlò alle turbe, ed ai suoi discepoli,

dopo aver chiuso la bocca a coloro che si erano presentati a lui per confonderlo, colle loro domande insidiose.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:10-20; Marco 7:14; Luca 12:1,57; 20:45

Mt 23:2

2. Dicendo: Gli Scribi ed i Farisei

Quelli cioè tra i Farisei che erano incaricati ex officio di ammaestrare il popolo. Gli Scribi appartenevano quasi tutti alla setta dei Farisei Vedi Nota sulle Sette Giudaiche al principio del volume.

seggono sulla cattedra di Mosè.

Essi sedevano sulla cattedra dei maestri, nella sinagoga, per spiegare la legge; sulla cattedra dei rettori o magistrati, nel Sinedrio e nei tribunali inferiori, per applicare la legge; ma essi non avevano il diritto di promulgare nuove leggi. Sotto l'antica Alleanza, lo Stato s'identificava colla Chiesa, la legge civile colla Sacra Scrittura, e la giurisprudenza colla teologia. Però la legge, e gl'insegnamenti eran distinti dall'istituzione del sacerdozio.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:10-20; Marco 7:14; Luca 12:1,57; 20:45

Nehemia 8:4-8; 2:7; Marco 12:38; Luca 20:46

Mt 23:3

3. Fate dunque, ed osservate tutte le cose che vi diranno,

Evidentemente il Signore ordina che si osservino, non già le tradizioni degli anziani, ma soltanto i comandamenti di Dio, ch'essi, "sedendo sulla cattedra di Mosè", dovevano insegnare, al popolo. Questa restrizione è indicata nel contesto, ed è resa indispensabile dalla opposizione che Gesù fa alle tradizioni degli Scribi Matteo 12:17; 15:17. Ecco il vero significato di

questo precetto: "Rispettate l'autorità degli Scribi, quando essi insegnano ed applicano la legge di Dio; rispettate il loro ministerio, benché non possiate rispettare le loro persone".

ma non fate secondo l'opere loro; perché dicono, e non fanno.

Gli è un triste caso quando la dottrina di un uomo accenna ad una via e le sue azioni mirano ad un'altra, massime s'egli insegna in pubblico; perché gli uomini son più propensi ad imitare queste che a seguire quella. Tal era il caso di coloro "che sedevano sulla cattedra di Mosè". Essi non mettevano in atto quel che insegnavano; quindi, comanda il Signore: "Non fate secondo l'opere loro" Romani 2:17-24. Dal fatto che Matteo solo ricorda quel che disse il Signore dell'obbligo di dare ascolto al loro insegnamento ufficiale, è stato argomentato che il Vangelo di Matteo fu in origine scritto specialmente per i Giudei.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:2-9; Esodo 18:19-20,23; Deuteronomio 4:5; 5:27; 17:9-12; 2Cronache 30:12; Atti 5:29

Romani 13:1

Matteo 21:30; Salmo 50:16-20; Romani 2:19-24; 2Timoteo 3:5; Tito 1:16

Mt 23:4

4. Difatti legano dei pesi gravi, e li mettono sulle spalle della gente;

Queste espressioni sono derivate dal modo di caricare le bestie da soma: il carico è primieramente legato, quindi posto sull'animale. Così i Farisei e gli Scribi imponevano duri e gravi precetti al popolo, e ne esigevano la rigida osservanza. Quei pesi si riferivano ai riti della legge mosaica, com'erano interpretati dagli Scribi e dai Farisei, e furono chiamati da Pietro "un giogo il quale, né i padri nostri né noi, non abbiamo potuto portare" Atti 15:10.

Quei precetti erano numerosi, minuti, faticosi, e richiedevano un grande spreco di tempo e di denaro. Però l'insopportabile tedio da essi prodotto avrebbe potuto essere assai mitigato, se non fosse stato per il rigoroso ritualismo dei Farisei, i quali esigevano che fossero osservati alla lettera, e non secondo lo spirito.

ma loro non li vogliono neppur muovere col dito.

È questa una espressione proverbiale che indicava, non già che i Farisei rifiutassero ogni soccorso a coloro cui imponevano quei pesi, ma la vergognosa inconseguenza di coloro che, nella vita privata, rifiutino di caricarsi anche della minima parte di essi, sebbene ne avessero l'obbligo, quanto il rimanente del popolo.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:23; 11:28-30; Luca 11:46; Atti 15:10,28; Galati 6:13; Apocalisse 2:24

Mt 23:5

5. Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini;

Qualunque fosse il bene da loro fatto, o lo zelo da loro spiegato, essi erano però sempre spinti dal desiderio di riscuotere gli applausi degli uomini Vedi Matteo 6:16-18. Perciò il Signore parla in primo luogo delle loro esterne e frivole osservanze, delle quali facevano gran pompa.

difatti allargano le loro filatterie,

Le filatterie tefillin erano strisce di pergamena sulle quali erano scritti alcuni passi della Scrittura Esodo 13:1-16; Deuteronomio 6:4-9; 11:13-21, piegate e rinchiuse in una scatoletta di cuoio, la quale, mediante una cinghietta, veniva legata sulla fronte, fra gli occhi, oppure sul fianco, o sul braccio sinistro, vicino al cuore, durante il tempo della preghiera, perché si

ricordasse il portatore di adempiere la legge col cuore, e colla mente. Quella pratica ebbe origine dopo la cattività di Babilonia, ed è tuttora osservata dai Giudei. Essa è comunemente usata in tutte le sinagoghe di Gerusalemme, di Hebron, di Tiberiade e di Safed, città tenute sacre da loro, Quest'uso sembra derivare da una superstiziosa interpretazione di Esodo 13:9; Deuteronomio 6:8-9. Più tardi, quelle filatterie furono considerate come amuleti, per proteggere quelli che le portavano contro le potenze diaboliche; quindi il nome greco che suona salvaguardia. È probabile che coteste idee superstiziose non prevalessero ancora ai tempi del Signore, altrimenti egli ne avrebbe parlato con più severità. Qui allude soltanto all'ipocrita presunzione di una maggiore pietà, in coloro che portavano filatterie di esagerata grandezza.

ed allungano le frange dei mantelli;

È ordinato positivamente agli Israeliti di portare fimbrie o frange tzizzith, Numeri 15:38-40; Deuteronomio 22:12, per distinguerli da altri popoli, e per rammentare loro l'obbligo di osservare i comandamenti di Dio. La voce greca significa letteralmente, orlo, margine, ed è tradotta lembo in Matteo 9:20; ma è usata dai 70 per indicare la frangia, od il fiocco attaccato al lembo della veste. L'uso di portare frange più lunghe di quelle ordinariamente adoperate dal popolo, è un esempio della puerile e letterale interpretazione degli ordini divini, data dagli Scribi e dai Farisei, per farsi credere più religiosi degli altri. Nei cappucci, rosari e crocifissi del monachismo, noi scorgiamo la medesima follia del cuore umano.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:1-16; 2Re 10:16; Luca 16:15; 20:47; 21:1; Giovanni 5:44; 7:18; 12:43

Filippesi 1:15; 2:3; 2Tessalonicesi 2:4

Deuteronomio 6:8; Proverbi 3:3; 6:21-23

Matteo 9:20; Numeri 15:38-39; Deuteronomio 22:12

Mt 23:6

6. Ed amano i primi posti ne' conviti,

Dice letteralmente i primi letti, perché non era costume dei Giudei di mangiar seduti, ma adagiati sopra un divano, con un cuscino per sostegno Vedi Note Luca 14:7Luca 14:7; Luca 14:8Luca 14:8. Fra i Giudei ed i Greci, il posto di onore era sul divano situato all'estremità superiore della tavola, fra i Persiani ed i Romani, sul divano di mezzo. Cristo, in questo versetto, prosegue a parlare dell'ambizione e dell'orgoglio che formavano un altro distintivo del carattere degli Scribi e dei Farisei. In un'epoca anteriore del suo ministerio, egli li aveva di già premuniti contro questo vizio Luca 14:78, che era troppo radicato in loro, perché ormai potessero liberarsene. Essi consideravano i posti d'onore in tutti i conviti, come a loro dovuti, e si tenevano per offesi se venivano dati ad altri,

e i primi seggi nelle sinagoghe.

I posti riservati, nella maggior parte delle sinagoghe d'Europa, ai rabbini ed ai forestieri distinti, rassomigliano quasi in tutto agli altri; ma nelle sinagoghe di Palestina, una predella spaziosa corre attorno al pulpito del rabbino, sopra la quale vengono a sedere i grandi uomini. Siccome la stessa cosa era costume al tempo del Signore, gli è a queste sedie distinte nella casa di orazione che Gesù allude.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:21; Proverbi 25:6-7; Marco 12:38-39; Luca 11:43-54; 14:7-11; 20:46-47

Romani 12:10; Giacomo 2:1-4; 3Giovanni 9

Mt 23:7

7. E i saluti nelle piazze;

non gli amichevoli saluti richiesti dalla cortesia tra vicini, perché queste amabilità il Signore le raccomanda persino ai discepoli Matteo 5:47; 10:12, ma gl'inchini rispettosi o adulatori della moltitudine;

e d'esser chiamati dalla gente: "Maestro!",

Rabbi era il titolo d'onore dato ai dottori della legge al tempo di Cristo; deriva dall'ebraico Rab, grand'uomo, maestro, capo. Era questo titolo, nelle scuole giudaiche, adoprato sotto una triplice forma, indicante altrettanti graffi. L'infimo grado era Rab = maestro; il secondo, col suffisso pronominale, Ràbbi = mio maestro, titolo di dignità più elevata; il terzo era Raban gran maestro; o, col suffisso pronominale, Rabboni = mio gran maestro, titolo più elevato fra tutti. Egli è allo spirito più che alla lettera di quest'ammonizione, che noi dobbiamo badare; però, anche la violazione della lettera, quando è originata da orgoglio spirituale, ha cagionato incalcolabili danni in seno alla Chiesa di Cristo. Non è il mero possesso di un titolo d'onore conferito a chi onorevolmente compiè la carriera degli studi, che viene qui proibito dal Signore bensì l'ambizione di aver titoli come indizi di superiorità sopra gli altri fratelli nella Chiesa di Dio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:38,49; 3:2,26; 6:25; 20:16

Mt 23:8

8. Ma voi non vi fate chiamare "Maestro"

Greco Rabbi, come nel vers. antecedente:

perché uno solo è il vostro maestro; e voi siete tutti fratelli.

Il testo emendato porta nei vers. 8, 9 e 10, le voci e padre, maestro, guida che perfettamente corrispondono ai titoli Abi = padre mio Rabbi maestro mio, Mori = guida mia, che si davano a coloro che esercitavano l'autorità fra i Giudei. E siccome lo speciale uffizio dello Spirito Santo consiste nell'insegnare, molti credono che Gesù alluda allo, Spirito nel vers. Matteo 23:8, a Dio Padre nel vers. Matteo 23:9, ed a se stesso, come guida, nel vers. Matteo 23:10. La dottrina ricavata da questi tre versetti relativamente al Dio Trino, il quale è Padre, Guida e Dottore di tutti i credenti, è altrettanto bella quanto ortodossa siccome il Signore, per mezzo del suo Spirito, espressamente istituì nella sua Chiesa i vari uffizi di Apostolo, Profeta, Evangelista, Pastore, Dottore, Anziano e Diacono Efesini 4:11; 1Corinzi 12:4-11, è cosa ovvia ch'egli non intendeva, in questo versetto e nei seguenti, riprovare qualsiasi titolo distintivo dei conduttori delle Chiese, come suppongono alcuni ultraletteralisti, ma soltanto quell'autorità usurpata e quella brama di "signoreggiare l'eredità del Signore", che hanno recato tanto danno alla Chiesa, e tanto scandalo ai ministri cristiani in ogni età.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:10; 2Corinzi 1:24; 4:5; Giacomo 3:1; 1Pietro 5:3

Matteo 10:25; 17:5; 26:49; Giovanni 13:13-14; Romani 14:9-10; 1Corinzi 1:12-13; 3:3-5

Luca 22:32; Efesini 3:15; Colossesi 1:1-2; Apocalisse 1:9; 19:10; 22:9

Mt 23:9

9. E non chiamate alcuno sulla terra, vostro padre; perché un solo è il Padre vostro, quello ch'è ne' cieli.

Cristo non intende con ciò proibire ad un fanciullo di chiamare padre il suo genitore, né ad un pastore di dare ai membri della sua greggia il nome di figli, né ai peccatori convertiti di chiamare col tenero nome di padri spirituali gl'istrumenti della loro conversione, altrimenti Paolo non avrebbe

mai parlato di se stesso come in 1Corinzi 4:14-15; Galati 4:19. La parola "padre" è usata qui per indicare autorità, preminenza, diritto di comandare e di rivendicare per se riverenza ed ubbidienza in questo senso Dio solo può essere chiamato Padre, e non è lecito dare questo titolo agli uomini. Dinanzi a siffatta proibizione, come mai possono i dottori romani giustificare l'applicazione dei titoli di Papa e di Santo Padre al vescovo di Roma, che pretende avervi diritto, come ad un segno della riverenza dovutagli come vicario di Cristo?

PASSI PARALLELI

2Re 2:12; 6:21; 13:14; Giobbe 32:21-22; Atti 22:1; 1Corinzi 4:15; 1Timoteo 5:1-2

Ebrei 12:9

Matteo 6:8-9,32; Nehemia 1:6; Romani 8:14-17; 2Corinzi 6:18; 1Giovanni 3:1

Mt 23:10

10. E non vi fate chiamar guide; perché una sola è la vostra guida, il Cristo.

La parola tradotta "dottore" dal Diodati, è qui e significa propriamente conduttore o guida. La proibizione non colpisce soltanto un titolo onorifico, ma è diretta contro l'orgoglio e la presunzione di coloro i quali ambiscono di comandare nella Chiesa di Cristo, e di formare sette od ordini religiosi che portino i loro nomi. Tale era l'ambizione dei dottori Giudei; tale era la tendenza così aspramente rimproverata da Paolo a Corinto, dove i convertiti correvano il rischio di dividersi in varie sette, dicendo: "Io sono di Paolo, ed io di Apollo, ed io di Cefa", ecc. Sin dall'età apostolica vi sono stati esempi infiniti, nella Chiesa cristiana, di sette che si schierarono sotto la direzione spirituale di certi uomini, di cui si gloriarono di portare i nomi. Il Signore condanna siffatte pretese di superiorità, e perciò egli proibisce tutti i titoli

ecclesiastici di cardinali, canonici, ecc., che sono simboli di un'autorità usurpata. Gesù è, e sempre deve essere, il solo Capo della sua Chiesa, e nella triplice proibizione dei vers. Matteo 23:8-10, non v'è eccezione in favore di Pietro o del suo preteso successore il Papa, qual vicario di, Cristo, e capo visibile della Chiesa; né tampoco in favore delle pretensioni dei padri confessori e dei generali degli ordini religiosi, i quali rivendicano per se un'ubbidienza assoluta come guide delle anime. Queste proibizioni però non si applicano alle decorazioni che dannosi agl'impiegati civili, o agli uomini di scienza, e non c'impediscono di rendere a ciascuno l'onore che gli è dovuto Matteo 22:21; Romani 13:7. Esse si riferiscono soltanto alla Chiesa, e condannano la supremazia usurpata da alcuni ministri sopra i loro colleghi, o sopra l'intero corpo dei credenti; ma i titoli che distinguono, fra loro, gl'insegnanti, sono necessari quanto i vari ministeri istituiti da Cristo nella sua Chiesa Efesini 4:11

Mt 23:11

11. Ma il maggiore fra voi sia vostro servitore.

Per dimostrare la differenza che passa fra l'applicazione della lettera di un precetto divino e la sua verace osservanza citiamo l'esempio del Papa che più degli altri capisetta ha trasgredito questo comandamento, sebbene egli si chiami: Servus servorum Dei! I più grandi onori nella Chiesa di Cristo appartengono, non alla superiorità di posizione, ma di servizio.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:26-27; Marco 10:43-44; Luca 22:26-27; Giovanni 13:14-15; 1Corinzi 9:19; 2Corinzi 4:5

2Corinzi 11:23; Galati 5:13; Filippesi 2:5-8

Mt 23:12

12. Chiunque si innalzerà sarà abbassato; e chiunque si abbasserà sarà innalzato.

Queste parole sono spesso ripetute dal Signore. Solo gli umili saranno innalzati, mentre coloro, i cuori dei quali sono pieni di orgoglio e che vanno in cerca di terrestre esaltamento saranno abbassati. Lo spirito di ambiziosa rivalità e di orgoglioso egoismo, è quello che il Signore riprova.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:3; 18:4; Giobbe 22:29; Salmo 138:6; Proverbi 15:33; 16:18-19; 29:23; Isaia 57:15

Daniele 4:37; Luca 1:51-52; 14:11; 18:14; Giacomo 4:6; 1Pietro 5:5

RIFLESSIONI

1. Questo capitolo ci propone un esempio mirabile di coraggio e di fedeltà nel denunziare l'errore, e dimostra che il severo linguaggio della riprensione non è incompatibile con un cuore affettuoso. Anzitutto, c'è una terribile condanna contro i maestri infedeli, e un solenne avvertimento per tutti i ministri di Cristo. Nel cospetto di Cristo non vi sono peccati più odiosi del difetto di sincerità nei suoi ambasciatori presso i peccatori.

2. Il Signore Gesù c'insegna che non dobbiamo considerare la religione come un'impostura per cagion dell'incuria o dell'immoralità di qualche suo ministro. Questo modo di giudicare è purtroppo comune, essendo più facile accusare d'impostura la religione, che costringere un ministro indegno ad abbandonare una professione ch'egli disonora. L'uomo passa ordinariamente da un estremo all'altro, e quelli che non hanno per i loro pastori una venerazione quasi idolatra, li trattano purtroppo spesso con disprezzo. Il ministero fu istituito da Cristo, perciò dobbiamo onorarlo, ed alzar la voce contro i ministri che non fanno il loro dovere.

3. La vanagloria e l'amore della preminenza sono cose particolarmente dispiacenti a Cristo, e rovinose per le anime. "Come potete voi credere, poiché prendete gloria gli uni dagli altri?" Giovanni 5:44. Felice la Chiesa di Cristo se questo passo fosse stato meno dimenticato e se allo spirito di esso si fosse più diligentemente ubbidito! I Farisei non sono i soli che abbiano imposto altrui varie austerità, e fatto pompa di santità esterna perfino nelle vesti, ed ambito le lodi umane. Gli annali della Chiesa purtroppo ci dimostrano che molti cristiani seguirono il loro esempio. Sieno adunque per noi ammonimenti che c'impediscano di battere la stessa strada.

4. I Cristiani non devono dare ad uomo alcuno i titoli e gli onori appartenenti a Dio solo ad al suo Cristo. Noi dobbiamo evitare di dare ai ministri del Vangelo un'autorità che ad essi non appartiene; né dobbiamo mai permettere ch'essi s'inframmettano fra noi e Cristo. Anche i migliori tra loro non sono infallibili. Essi non sono sacerdoti che possano fare espiazione per noi; non sono mediatori che possano patrocinare la nostra causa davanti a Dio. Essi sono "uomini sottoposti a medesime passioni come noi", i quali hanno bisogno di essere purificati dal medesimo sangue, e di essere rinnovati dal medesimo Spirito. Benché messi da parte per un'alta e santa vocazione, essi non cessano però di essere uomini bisognosi delle nostre preghiere. Importa rammentarcene, poiché la natura umana è piuttosto disposta ad appoggiarsi sopra un ministerio visibile che non sopra Cristo invisibile.

5. Non v'è grazia che valga quella della umiltà, come distintivo del cristiano. Chi vuol essere grande agli occhi di Cristo, deve mirare a tutt'altro scopo che non a quello farisaico di servire la Chiesa, per dominarla. Ben dice Baxter: "La grandezza, in seno della Chiesa, consiste nell'essere grandemente utile". I Farisei bramavano di essere onorati e chiamati "maestri"; ma la brama del cristiano dev'essere di far del bene e di dedicare se stesso e tutte le sue facoltà al servizio altrui. Questo è davvero un nobilissimo scopo, né dobbiamo esser mai paghi di qualsiasi altro che sia meno elevato.

Mt 23:13

Matteo 23:13-36. LE MINACCE PROFERITE CONTRO GLI SCRIBI ED I FARISEI Luca 11:39-54

Gesù aveva, fino a quel momento, diretto le sue ammonizioni alle turbe ed ai suoi discepoli Matteo 23:1; egli ora si rivolge un'altra volta agli Scribi ad ai Farisei e alla deputazione del Sinedrio. Lasciando il linguaggio dell'insegnamento e dell'ammonizione, egli denunzia con parole severissime l'ipocrisia, la follia e la malvagità di quelle guide cieche, le quali conducevano il popolo alla rovina. Gesù non parla qui come un maestro ai suoi discepoli, ma piuttosto come il più grande dei profeti, riassumendo la lunga serie degli ammonimenti diretti da Dio ad Israele Conf. Isaia 1:2-23; 5:8-23; ed i rimproveri contenuti negli altri profeti, specialmente in Geremia. La forte corrente di compassione e perciò anche d'amore che scorreva sotto allo sdegno onde Gesù fremeva, proruppe nel vers. 37 Matteo 23:37. Le minaccie sono otto; però la sesta e la settima si possono considerare come una sola.

Prima minaccia contro la sistematica opposizione dei Farisei al Vangelo, colla quale cagionavano la rovina delle anime

13. Ma guai a voi, Scribi e Farisei, ipocriti!

"Ipocrita", in origine, significava istrione, attore, quindi chiunque rappresenta una parte non sua, o pretende di essere quel che non è. L'infingersi religioso per fini egoistici, indica, più che qualsiasi altro peccato, la durezza e la vanità del cuore, e provoca i severi rimproveri di Cristo.

perché serrate il regno dei cieli dinanzi alla gente; poiché né vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare.

Il significato delle parole "serrare il regno dei cieli", è reso più chiaro ancora dal detto di Luca 11:52: "perché avete tolta la chiave della scienza". Il "regno dei cieli" è manifestamente l'economia evangelica inaugurata dal Messia e rappresentata sotto la figura d'una casa o di un recinto, di cui "la

legge ed i profeti", cioè il Vecchio Testamento, è la porta. La "chiave", che apre la porta, è la spirituale conoscenza di questo libro, il quale accenna ad una più perfetta economia, alla venuta del Messia promesso, e ne è la preparazione Giovanni 1:45; Galati 3:24; Ebrei 10:1; 1Pietro 1:10-12. Gli Scribi ed i Farisei avevano l'incombenza di propagare quella scienza divina, poiché sedevano "sulla cattedra di Mosè", ed erano gli autorizzati istitutori religiosi della nazione e gli espositori delle S. Scritture. Non entrando nel regno dei cieli, essi recavano un danno gravissimo alle loro proprie anime; con tutto ciò, se non avessero falsificato il senso spirituale delle Sacre Scritture, se le, loro spiegazioni insipide e senza vita fossero state ortodosse in ciò che concerne il Messia, essi sarebbero stati almeno delle faci, per indicare agli altri la via che conduce al regno, ed avrebbero così evitato la gravissima colpa di essere un ostacolo ed una pietra d'inciampo agli altri. Ma guastando, torcendo e adulterando le dottrine del Vecchio Testamento colle loro tradizioni, "essi tolsero la chiave della scienza" e deliberatamente serrarono l'uscio in faccia a coloro che volevano entrare nel regno di Dio. Che monta se il Battista, se Cristo, se i dodici apostoli fondano le loro dottrine sopra la legge ed i profeti? I Giudei sono ammaestrati dai loro dottori a ricavare dalla Scrittura un senso ben diverso, e rifiutano di ascoltare i dottori venuti da Dio. Così gli Scribi ed i Farisei commettono la colpa di rovinare le anime affidate alle loro cure. Questo versetto è commentato ammirabilmente nelle parole di Gehova ad Ezechiele 3:17-21; 33:1-9. È sorprendente la rassomiglianza del peccato dei dottori della Chiesa romana con quello degli Scribi e dei Farisei. Colle loro tradizioni, questi han pervertito le Scritture in un modo più spaventoso dei Farisei medesimi, ed "hanno tolta la chiave della scienza", con una audacia straordinaria, anatematizzando chiunque legge le Sacre Scritture in lingua volgare, senza la licenza dei superiori.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:14-15,27,29; Isaia 9:14-15; 33:14; Zaccaria 11:17; Luca 11:4344

Matteo 21:31-32; Luca 11:52; Giovanni 7:46-52; 9:22,24,34; Atti 4:17-18; 5:28,40

Atti 8:1; 13:8; 1Tessalonicesi 2:15-16; 2Timoteo 3:8; 4:15

Mt 23:14

Seconda minaccia: contro l'avarizia e le estorsioni ammantate di pietà Matteo 23:14

14. Guai a voi, Scribi e Farisei, ipocriti 1 perché voi divorate le case delle vedove;

Nei migliori MSS. è omesso questo versetto; ma siccome si trova in Marco 12:40 e in Luca 20:47, ne diamo qui il commento. L'oppressione delle vedove e degli orfani, i quali, perché privi dei loro naturali protettori, sono più che altri esposti ad essere frodati e spogliati da uomini malvagi, è cosa energicamente proibita dalla legge di Mosè, la quale maledice in un modo speciale gli oppressori Esodo 22:22; Deuteronomio 10:18; 24:17; 27:19. Ciò nonostante essa fu tanto comune prima e dopo la cattività di Babilonia, da costituire uno dei peccati nazionali denunziati dai profeti come certissima causa del pronto giudizio di Dio Isaia 1:16-17,23; Geremia 7:3-7; 22:3-5; Ezechiele 22:7; Malachia 3:5. Ed ora Gesù dichiara che quelli stessi che pretendevano di essere santi ed erano gli autorevoli espositori della legge, erano contaminati da quel peccato. Questa disonestà poteva esercitarsi in due modi cioè: inducendo la vedova a privarsi di una parte del suo reddito, per l'avanzamento del regno di Dio, mentre essi se ne servivano per soddisfare la loro lussuria ed avarizia; oppure, facendosi concedere addirittura l'amministrazione di tutti i beni di lei, sulla fede della santità del loro carattere finché, con una serie infinita di supposte peidite, di pretesi infortuni, spiegati con mirabile candore, essi si fossero impadroniti del suo intiero patrimonio.

e fate per apparenza lunghe orazioni;

L'ostentazione di quelle devozioni è condannata in Matteo 6:7; ma qui trattasi d'un'accusa molto più grave, di quella cioè di fare un traffico della pietà, per frodare la gente inesperta, ed ingenua. Tal condotta sarebbe già spietata da parte di un ladro di professione che non pretende a qualsiasi carattere religioso; ma è doppiamente riprovevole, quando si nasconde sotto la maschera della religione. Si osservi che anche in Isaia 1:15,17, le lunghe orazioni sono associate all'oppressione della vedova. La parabola del giudice iniquo Luca 18:1-5 mostra che quell'espressione si poteva praticare senza scandalo esterno, specialmente quando si pensa che gli Scribi erano i giudici della nazione. È egli necessario di accennare gli sforzi fatti dal clero romano per ottenere dei lasciti considerevoli, abusando della credulità e della superstizione delle loro gregge? Chi non sa quanto sia proficuo il traffico delle messe in suffragio delle anime? È egli necessario ricordare le arti colle quali i Gesuiti s'insinuano presso il letto di morte dei ricchi, affinché lascino i loro beni alla Chiesa e impoveriscano deliberatamente le loro famiglie per provare che il clero romano è il vero successore di quei Farisei ipocriti e spietati?

perciò, riceverete una maggior condanna.

Essendovi duplice peccato, cioè furto ed empietà, la condanna deve essere pure doppia.

PASSI PARALLELI

Esodo 22:22-24; Giobbe 22:9; 31:16-20; Marco 12:40; Luca 20:47; 2Timoteo 3:6

Tito 1:10-11; 2Pietro 2:14-15

Matteo 23:33-36; 11:24; Luca 12:48; Giacomo 3:1; 2Pietro 2:3

Mt 23:15

Terza minaccia: contro il proselitismo ispirato dallo spirito settario Matteo 23:15

15. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! perché scorrete mare e terra,

espressione proverbiale, per significare ch'essi non risparmiavano né fatica, né astuzia,

per fare un proselito;

Letter. uno venuto di fresco, un convertito. I proseliti erano dai Giudei divisi in due categorie: i "proseliti della porta", che adottavano il morale e spirituale insegnamento dell'Antico Testamento, ma non si conformavano alla legge cerimoniale fra i quali vanno forse annoverati il centurione di Capernaum, Cornelio di Cesarea e molti altri Gentili, stanchi delle assurdità e dei vizi della Idolatria pagana; od i "proseliti della giustizia", i quali venivano circoncisi e si conformavano a tutti i requisiti della legge levitica. Quest'ultima classe era poco numerosa, perché ben pochi eran disposti a rinunziare alla loro libertà, come Gentili, per sottomettersi alle complicate e gravi cerimonie mosaiche. Ma era appunto per accrescere questa classe, che i Farisei si adoperavano a tutta possa. Si osservi che questa minaccia non è profferita contro il proselitismo, in se, ossia contro gli sforzi che si fanno per condurre le anime dalle religioni false alla vera, giacché Cristo medesimo ha affidato al suoi discepoli la missione di "convertir gli uomini dalle tenebre alla luce, e dalla podestà di Satana a Dio" Atti 26:18; e che questo deve essere l'alto scopo del ministerio cristiano, sino alla fine dei tempi. La condanna qui profferita colpisce coloro che fanno proseliti con mezzi immorali, come, a cagion di esempio, coll'oro, colla promessa di leghi o colle minacce, e non già coll'intento di Salvare le anime e di promuovere la gloria di Dio. Essi pensano piuttosto ad accrescere con questo mezzo la loro riputazione

e, fatto che sia, lo rendete figliuol della geenna il doppio di voi.

Sentenza tremenda, eppur meritata! I proseliti comprati fanno i bigottoni: e quelli dei Farisei superavano i loro maestri: 1 nello zelo per le cerimonie, 2

nell'odio contro il cristianesimo. Era meglio vivere da sinceri pagani, che di convertirsi al giudaismo, ritenendo l'ignoranza ed i vizi del paganesimo sotto il manto della ipocrisia. Questi, non essendo né sinceri pagani, né sinceri giudei, erano doppiamente figliuoli della geenna, condannati dalla loro antica, quanto dalla loro nuova religione. Tale era l'opera degli Scribi e dei Farisei; tali erano i convertiti dei quali menavano vanto. Né dobbiam far le meraviglie che il Signore abbia condannato una così stomachevole ipocrisia. Le persecuzioni contro gli Albigesi, i Valdesi ed i seguaci della Riforma in Italia, nella Spagna, in Francia e nella Germania, dimostrano chiaramente che questo versetto, può applicarsi alla Chiesa di Roma, la quale tentò sempre, anche coi mezzi più diabolici, di far proseliti, all'unico scopo di arricchirsi e di aumentare la sua gloria. Conversione o morte, era la sola alternativa!

PASSI PARALLELI

Galati 4:17; 6:12

Ester 8:17; Atti 2:10; 13:43

Giovanni 8:44; Atti 13:10; 14:2,19; 17:5-6,13; Efesini 2:3

Mt 23:16

Quarta minaccia: contro il disprezzo della santità del giuramento Matteo 23:16-22

16. Guai a voi, guide cieche! che dite: Se uno giura per il tempio, non è nulla; ma se giura per l'oro del tempio, resta obbligato.

Il peccato denunziato in questo versetto e nei seguenti, non consiste solamente nel distinguere fra certi giuramenti e certe bestemmie, ma nell'insegnare al popolo a liberarsi dagli obblighi contratti solennemente col giuramento, dividendo i giuramenti in due classi: quelli che vincolano, e

quelli che non vincolano distruggendo così la buona fede e la moralità. Pervertito da siffatto insegnamento l'uomo disonesto poteva ingannare gl'incauti con giuramenti i quali, secondo i Farisei, non avevano nessun valore. Questa immoralità divenne talmente comune fra gli Ebrei, che i pagani stessi finalmente li costringevano a giurare per Gehova, prima di prestare loro fede. Leggiamo in Marziale 11:24: "Ecce negas, jurasque mihi per templa Tonantis: Non credo; Jura, verpe, per Anchialum" Amhai Aloh = Come Dio vive. Queste parole furono indirizzate dal poeta ad un Giudeo nativo di Gerusalemme. Secondo i Farisei, i giuramenti che si facevano per l'oro del tempio, il quale era dedicato al servizio di Dio ed incassato nella tesoreria, erano obbligatori; mentre non lo erano quelli che si facevano per il tempio. Può darsi che il nostro Signore avesse in mente anche altri esempi di giuramenti già condannati, come quello di cui trattasi in Matteo 15:5

PASSI PARALLELI

Matteo 23:17,19,24,26; 15:14; Isaia 56:10-11; Giovanni 9:39-41

Matteo 5:33-34; Giacomo 5:12

Matteo 15:5-6; Marco 7:10-13

Galati 5:3

Mt 23:17

17. Stolti e ciechi! poiché, qual è maggiore: l'oro o il tempio che santifica l'oro? 18. E se uno, voi dite, giura per l'altare, non è nulla; ma se giura per l'offerta che c'è sopra, resta obbligato.

Letteralmente "egli è debitore", cioè vincolato ad adempiere il voto.

Mt 23:19

19. Ciechi! poiché qual è maggiore: l'offerta, o l'altare che santifica l'offerta?

il Signore vieta assolutamente ai suoi discepoli di giurare nella usuale conversazione; e non c'è nulla in queste parole che possa indurci a credere che egli permettesse ai Giudei ciò ch'egli proibiva al suoi discepoli. Egli allude soltanto a ciò che si praticava, collo scopo di far conoscere l'ipocrisia dei Farisei, i quali stabilivano delle distinzioni fra i giuramenti; e mentre egli condanna quelle teorie, egli dimostra, nel medesimo tempo, la follia dei loro, autori. Altri esempi vengono ricordati nei seguenti versetti. Secondo gli Scribi ed i Farisei, il giurare per il tempio o per l'altare, è di minore importanza che il giurare per l'oro del tempio o per l'offerta che è sopra l'altare. Il Signore confuta quelle distinzioni, mostrando, che se un giuramento ha un valore qualunque, gli è perché, in fondo, si riferisce a Dio. Egli prova inoltre, che se fosse possibile di stabilire delle distinzioni fra i giuramenti, i Farisei avrebbero sbagliato, concedendo maggior importanza a quelli che dovrebbero averne meno, perché poggianti sopra oggetti di minor valore. Se l'oro del tempio infatti è sacro, si è perché egli si trova nel tempio, che è la, casa di Dio; se il sacrificio che è sopra l'altare è sacro, si è perché l'altare è dedicato al servigio di Dio. Non è l'offerta che santifica l'altare, ma questo che santifica quella.

PASSI PARALLELI

Salmo 94:8

Matteo 23:19; Esodo 30:26-29; Numeri 16:38-39

Matteo 23:15

Esodo 29:37; 30:29

Mt 23:20

20. Chi dunque giura per l'altare giura per esso, e per tutto quel che c'è sopra; 21. e chi giura per il tempio giura per esso, e per Colui che l'abita; 22. e chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio, e per Colui che vi siede sopra.

Sembra che una distinzione, simile a quella sopra ricordata, si facesse tra i giuramenti "per il cielo", e quelli "per il trono di Dio"; ma Gesù c'insegna chiaramente che giurare per l'abitacolo di Dio è giurare per Iddio medesimo, altrimenti non è che un vano giuoco di parole. Il ragionamento del Signore, che principia al versetto 17, colle parole "stolti e ciechi!" si può considerare come un commento di questo parole stesse, poiché in esso, Gesù svela l'ignoranza e l'accecamento dei Farisei riguardo alle cose divine, mentre pretendevano di esser le guide spirituali del popolo. Non è d'uopo di dire dove si abbiano da cercare i successori dei Farisei: l'occhio di ciascuno, naturalmente, si volge alla Chiesa di Roma ed ai Gesuiti. Note Matteo 5:31Matteo 5:31-37.

PASSI PARALLELI

1Re 8:13,27; 2Cronache 6:2; 7:2; Salmo 26:8; 132:13-14; Efesini 2:22; Colossesi 2:9

Matteo 5:34; Salmo 11:4; Isaia 66:1; Atti 7:49; Apocalisse 4:2-3

Mt 23:23

Quinta minaccia: contro lo zelo religioso eccessivo per cose da nulla non prescritte, accompagnato da una totale trascuratezza per la religione spirituale ed intima richiesta da Dio Matteo 23:23-24

23. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! perché pagate la decima della menta, e dell'aneto, e del comino,

Erbette di poco valore. La "menta" è nota per il suo sapore gradevole e pungente; l'"aneto" è tanto simile al finocchio, che gl'inesperti spesso confondono l'uno con l'altro. Si usava come commestibile, e si adoperava la sementa a guisa di condimento e di rimedio. È conosciuto tuttora in Oriente, sotto il nome di shabit, che, secondo il trattato Massaroth 4:5, era sottoposto alla decima. Il "comino" è una pianta simile all'anice, al l'aneto ed al coriandolo. Queste due ultime piante producono semi dai quali si ricava un che di grato sapore, e sono riscaldanti e stimolanti. Colla menta è menzionata "la ruta" in Luca 11:42. Quest'erba si adoperava come condimento, ed anche come commestibile ordinario. Quindi, Luca aggiunge: "ed ogni erba", sottinteso: atta al nutrimento. È stato messo in dubbio se quelle erbe andavano soggette alla decima seconde la legge levitica: è assai probabile che non lo fossero; ma i Farisei poggiavano la loro pratica sopra una stretta interpretazione di Levitico 27:30. Era un detto volgare, presso i Giudei, che la decima del grano era stabilita dalla legge, mentre la decima delle erbette era imposta dai rabbini; ciononostante, quest'ultima era considerata come obbligatoria quanto la prima.

e trascurate le cose più gravi della legge: il giudicio, e la misericordia, e la fede;

queste cose non erano soltanto "più gravi" delle sopraccennate minute osservanze, ma anche dell'intero codice cerimoniale, poiché esse sono la sostanza stessa della legge morale. In Luca 11:42 si legge: "il giudicio e l'amor di Dio", variante probabilmente dovuta alla ripetizione della stessa idea in due diverse occasioni. In ambedue i passi Gesù allude alle parole di Michea 6:8 secondo le quali la religione gradita da Dio consta di tre elementi: "il praticare ciò ch'è giusto, l'amare la misericordia, ed il camminare in umiltà con Dio". Quest'ultimo elemento presuppone e compendia la "fede" di Matteo e "l'amore" di Luca.

Queste son le cose che bisognava fare senza tralasciar le altre.

Con queste parole, il Signore non condanna la minuziosa esecuzione dei doveri di minor importanza. Poiché i vari doveri dei cristiani non possono essere in opposizione fra loro; però dobbiamo accuratamente notare che,

riguardo ai doveri più grandi e più importanti, Gesù dice: "Bisognava far queste cose", mentre dei doveri minori dice soltanto: "senza tralasciare le altre". Donde ricaviamo che la minaccia è profferita contro la ipocrisia che di un nonnulla fa un caso di coscienza, mentre trascura la sostanza della religione e della moralità, che sono di dovere.

PASSI PARALLELI

Luca 11:42

Matteo 9:13; 12:7; 22:37-40; 1Samuele 15:22; Proverbi 21:3; Geremia 22:15-16; Osea 6:6

Michea 6:8; Galati 5:22-23

Matteo 5:19-20

Mt 23:24

24. Guide cieche! che Colate il moscerino e inghiottite il cammello.

Nel testo, la presenza dell'articolo innanzi ai nomi dei due animali sembra indicare un'espressione proverbiale. Gl'indiani hanno un proverbio simile: "inghiottire un elefante e strozzarsi con una pulce". Era uso dei Giudei puritani il colare il vino, l'aceto e l'altre bevande attraverso un pannolino o un sottile velo, per evitare d'inghiottire inavvertitamente qualche insetto impuro, e così trasgredire la legge Levitico 11:20,23,41-42, appunto come fanno oggi i buddisti di Ceylan e dell'indostan; ed a questa usanza allude il Signore. Il cammello era l'animale più grosso conosciuto dai Giudei; e il moscerino era invece il più piccolo; ed ambedue erano immondi, secondo la legge levitica. Questo proverbio si adattava adunque mirabilmente alla condotta degli Scribi e dei Farisei.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:4; 15:2-6; 19:24; 27:6-8; Luca 6:7-10; Giovanni 18:28,40

Mt 23:25

Sesta e settima minaccia contro l'inganno delle esterne apparenze, sotto cui si nascondono l'impurezza e la malvagità Matteo 23:25-28

25. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! perché nettate il di fuori del calice e del piatto; mentre dentro, son pieni di rapina e d'intemperanza.

A parer nostro, i vers. 25-28 si riferiscono tutti al medesimo argomento. Il peccato contro il quale le minaccie sono profferite è l'ipocrisia delle esterne apparenze, per cui certi uomini si fanno credere esemplarissimi e piissimi, mentre sanno che la corruzione dei loro cuori smentisce solennemente le loro pretensioni. Siffatta contradizione tra le apparenze e la realtà viene dal Signore descritta e condannata con due immagini familiari ai suoi uditori. La prima è contenuta in questo versetto. L'abitudine dei Farisei di lavare i piatti ed altri vasi per evitare ogni cerimoniale impurità era cosa notissima. Il Signore vi allude in Marco 7:18; ed è precisamente colla figura d'un calice ben lavato di fuori, ma pieno di lordure, che il Signore mette in luce l'ipocrisia di costoro. La nettezza esterna non giova a nulla quando l'interno è sudicio. La "rapina", e l'"intemperanza", od in altri termini i beni male acquistati per soddisfare le loro passioni, contaminavano le feste ed i pasti giornalieri degli Scribi e dei Farisei sebbene essi non trascurassero mai le purificazioni cerimoniali.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:19-20; Marco 7:4-13; Luca 11:39-40

Isaia 28:7-8

Mt 23:26

26. Fariseo cieco! Netta prima il di dentro del calice e del piatto; affinché anche il di fuori diventi netto.

Il Signore chiama i Farisei ciechi, perché essi non comprendono che conviene anzitutto purificare il cuore, giacché la purezza esterna non vale nulla senza l'interna. In altra occasione Luca 11:37-40, mentre sedeva a pranzo in casa di un Fariseo, ove lo criticavano perché egli non sera risciacquato prima del pasto, il Signore aveva fatto uso della medesima figura per descrivere l'ipocrisia dell'intiera setta, ed immediatamente aveva soggiunto: "Stolti! Colui che, ha fatto il di fuori non ha anche fatto il di dentro?", cioè: "Pensate voi che Iddio, nel suo giudizio, farà conto soltanto degli atti esterni, e non giudicherà i pensieri del cuore? Supponete voi di potere ingannare Iddio come ingannate i vostri simili?". Quindi segue l'esortazione: "Date piuttosto in elemosina quel ch'è dentro al piatto, ed e "ogni cosa sarà netta per voi". Abbandonate la rapina e la malvagità di cui son pieni i cuori vostri, ed abbiate simpatia per i poveri ed i bisognosi. Invece di accumulare tesori colla frode; distribuite in beneficenze una parte dei vostri averi, e darete così una prova: del cambiamento avvenuto nei cuori vostri, e le vostre mani saranno nette quando mangerete il pasto quotidiano, quantunque sieno insudiciate dal lavoro giornaliero". Coloro che stimano di poter essere, a loro talento, spilorci ed ingordi, purché faccian parte della Chiesa ed attendano ai doveri esterni che essa impone, meritano il rimprovero che è fatto qui ai Farisei.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:33; Isaia 55:7; Geremia 4:14; 13:27; Ezechiele 18:31; Luca 6:45; 2Corinzi 7:1

Ebrei 10:22; Giacomo 4:8

Mt 23:27

27. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti perché siete simili a sepolcri imbiancati che appaion belli di fuori, ma dentro son pieni d'ossa di

morti e d'ogni immondizia. 28. Così anche voi, di fuori apparite giusti alla gente; ma dentro, siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.

Questa è la seconda immagine colla quale Gesù descrive gli Scribi ed i Farisei. Paolo applica la medesima espressione al sommo sacerdote, in Cesarea Atti 23:3. Con essa, il Signore va d'un tratto alla radice del male: "il cuor vostro non è un tempio del Dio vivente, ma un sepolcro pieno di corruzione; e la vostra religione non è che un sottilissimo intonaco che lo ricopre". Giusta la legge cerimoniale Numeri 19:16, chiunque aveva toccato le ossa d'un morto od un sepolcro era immondo per sette giorni. Perciò, ad impedire che i viandanti si contaminassero involontariamente col contatto delle tombe, i Giudei imbiancavano ogni anno, al 15 del mese di Adar Febbraio Marzo, non solo i monumenti, ma i luoghi stessi dov'erano le tombe. I rabbini appoggiavano questa costumanza sopra Ezechiele 39:15. Così i sepolcri avean sempre una piacevole apparenza esterna, mentre l'interno era pieno di mortifera corruzione. Quanto era calzante quella immagine! A dispetto della loro apparenza di santità, i Farisei eran "pieni d'ipocrisia". Benché l'ipocrisia consista nell'assumere una falsa apparenza, il peccato stesso dell'ipocrisia è radicato profondamente nel cuore Non c'è vizio infatti che metta radici così profonde, e che corrompa l'anima più che non faccia la falsità. In Luca 11:44, il Signore modifica un poco la figura, paragonando i Farisei non più ai sepolcri scavati nella roccia, ma a quelli che sono scavati nella terra: "Voi siete come quei sepolcri che non si vedono; e chi vi cammina sopra non ne sa nulla"; vale a dire: come si può in consapevolmente camminare sopra un sepolcro invisibile, e, secondo la legge cerimoniale, contaminarsi senza accorgersene, così, a loro insaputa, si contaminano quelli che sono in relazione coi Farisei.

PASSI PARALLELI

Isaia 58:1-2; Luca 11:44; Atti 23:3

Numeri 19:16

Matteo 23:5; 1Samuele 16:7; Salmo 51:6; Geremia 17:9-10; Luca 16:15; Ebrei 4:12-13

Matteo 12:34-35; 15:19-20; Marco 7:21-23

Mt 23:29

Ottava minaccia: contro l'ipocrisia colla quale i Farisei condannavano la condotta dei loro avi, adornando i sepolcri dei profeti ch'essi avevano uccisi, mentre erano dessi animati dallo stesso spirito di persecuzione Matteo 23:29-36

29. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! perché edificate i sepolcri ai profeti, e adornate le tombe dei giusti, 30. E dite: Se fossimo stati ai dì dei padri nostri, non saremmo stati loro complici nello spargere il sangue dei profeti.

Quest'ultima minaccia fu profferita contro i Farisei perché, sotto specie di sconfessare con orrore l'uccisione dei profeti perpetrata dagli avi loro, essi nutrivano il medesimo spirito micidiale verso i successori degli uccisi, e colmavano così la misura dei loro peccati. La Scrittura non indica il numero dei profeti che furono uccisi dai Giudei per essere stati fedeli testimoni di Dio; ma questo numero dovette esser grande Matteo 23:37; Luca 13:33; Ebrei 11:22-23. Gli Scribi ed i Farisei non correvano nessun pericolo condannando la condotta dei loro avi; intanto, riedificando ed adornando i sepolcri dei profeti, essi si procacciavano con poca spesa, una gran riputazione di santità, ed era questa la ricompensa che essi agognavano. Il Signore non proibisce ai sinceri ammiratori dei suoi servi fedeli d'innalzare loro dei monumenti e perpetuarne la memoria sulla terra; ma i Farisei, che nutrivano un odio profondo contro i testimoni di Dio dei loro tempi, non potevano senza ipocrisia adornare le tombe dei predecessori di quelli. I mezzi stravaganti coi quali la Chiesa romana manifesta la sua venerazione per il martiri, consacrando loro dei giorni di festa e delle chiese, e porgendo

loro preci ed offerte, mentre essa stessa è "ebbra del sangue dei santi", sono prove manifeste ch'essa superò in ipocrisia gli Scribi ed i Farisei.

PASSI PARALLELI

Luca 11:47-48; Atti 2:29

Matteo 23:34-35; 21:35-36; 2Cronache 36:15; Geremia 2:30

Mt 23:31

31. Talché voi testimoniate contro voi stessi, che siete figliuoli di coloro che uccisero i profeti.

Essi non negavano di essere figli, secondo la carne, degli uccisori dei profeti; ma il Signore dichiara che lo erano anche spiritualmente, e fa appello alle loro proprie coscienze colle energiche parole: "Voi testimoniate contro a voi stessi". Ben tosto, infatti, essi diedero una prova della loro parentela cogli uccisori dei profeti, perseguitando Gesù ed i suoi apostoli.

PASSI PARALLELI

Giosuè 24:22; Giobbe 15:5-6; Salmi 64:8; Luca 19:22

Atti 7:51-52; 1Tessalonicesi 2:15-16

Mt 23:32

32. E voi colmate pure la misura dei vostri padri!

Nel secondo comandamento, Iddio dichiara ch'egli "visita l'iniquità de' padri sopra i figliuoli fino alla terza ed alla quarta generazione". L'eredità del castigo dovuto alla nazionale iniquità degli avi, può essere, ed è interrotta quando i discendenti si ravvedono e si rivolgono dalla malvagità loro; ma

nel caso attuale, il Signore, avendo già dimostrato che queste condizioni non esistono, annunzia che il giudizio fra breve piomberà su di loro. L'imperativo significa: "Io mi sono sin qui adoperato per tenervi in freno, ma siete stati sordi alle mie ammonizioni; perciò io vi abbandono; colmate pure, coll'uccidermi, la misura della iniquità dei padri vostri, finché Iddio faccia ricadere sopra di voi tutto quel sangue!". Il Signore indirizzò ai loro avi una minaccia simile a questa nei Salmo 81:11-12

PASSI PARALLELI

Genesi 15:16; Numeri 32:14; Zaccaria 5:6-11

Mt 23:33

33. Serpenti, razza di vipere!

Alla fine del suo ministero ricorda le parole dette dal Battista al principio Matteo 3:7, perché ora saranno portate a maturità.

come scamperete al giudizio della geenna?

Vedi note Matteo 5:2Matteo 5:2, cioè alla sentenza che condanna alla morte eterna; ed il Signore avverte i Giudei del pericolo che corrono.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:7; 12:34; 21:34-35; Genesi 3:15; Salmo 58:3-5; Isaia 57:3-4; Luca 3:7

Giovanni 8:44; 2Corinzi 11:3; Apocalisse 12:9

Matteo 23:14; Ebrei 2:3: 10:29; 12:25

Mt 23:34

34. Perciò, ecco, io vi mando

Asseriscono taluni che il perciò deve riferirsi al vanto di quegl'ipocriti, e che, il senso di questo versetto dev'essere: "Poiché dichiarate che vi sareste comportati in un modo del tutto opposto a quello dei padri vostri riguardo ai profeti", io vi metterò alla prova col mandarvi dei profeti, ecc. È possibile che Gesù abbia in qualche maniera fatto allusione al loro vanto; ciò nonostante "perciò" si riferisce evidentemente all'insieme dell'ultima minaccia, talché il significato completo è probabilmente questo: "Poiché siete intenti a colmare la misura dell'iniquità dei padri vostri, non vi mancheranno i mezzi per ciò fare, poiché l'opera di Dio ancor richiede che i suoi messi vi sieno mandati per rendere testimonianza alla verità, come ai dì dei vostri padri". Mercé l'insegnamento e la predicazione dei suoi inviati, "Cristo è posto a caduta ed a rialzamento di molti in Israele" Luca 2:34. "Io vi mando" è enfatico: Gesù parla come Capo della Chiesa, come Signore di quelli ch'egli sta per mandare. In Luca 11:49, vi è una notevolissima variante: "Per questo la Sapienza di Dio ha detto: Io manderò", ecc. Alcuni suppongono che quelle parole si riferiscano ad un'antica predizione; ma si crede generalmente che il Signore parli di se stesso, sotto il nome di "Sapienza", che gli apparteneva Proverbi 8. In questo caso il senso delle parole di Gesù sarebbe: "Io, l'eterna Sapienza di Dio, ho detto". Il discorso riferito da Luca fu pronunziato in un'epoca anteriore del ministerio di Cristo, e siccome non era ancora giunto il momento in cui egli doveva pienamente manifestarsi agli Scribi ed ai Farisei, si comprende facilmente perché egli fece uso d'una perifrasi per indicare se stesso. Però il confronto dei due passi dimostra che ciò che nell'uno Cristo attribuisce alla Sapienza di Dio, nell'altro egli l'attribuisce a se stesso.

dei profeti, dei savi, e degli scribi;

non più dei profeti antichi, bensì dei predicatori del Vangelo ai quali egli dà dei nomi familiari ai Giudei

e di questi ne ucciderete e, crocefiggerete alcuni, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe, e li perseguiterete di città in città;

Sappiamo infatti che Stefano fu lapidato, che Giacomo, figlio di Zebedeo, fu decollato, che Saulo di Tarso, per propria confessione perseguitò i seguaci di Cristo di città in città, facendoli flagellare, cacciandoli in carcere e dando il suo voto per farli morire Atti 22:4-5, 26:9-11

PASSI PARALLELI

Matteo 10:16; 28:19-20; Luca 11:49; 24:47; Giovanni 20:21; Atti 1:8; 1Corinzi 12:3-11

Efesini 4:8-12

Atti 11:27; 13:1; 15:32; Apocalisse 11:10

Proverbi 11:30; 1Corinzi 2:6; 3:10; Colossesi 1:28

Matteo 13:52

Matteo 10:16-17; Giovanni 16:2; Atti 5:40; 7:51-52,58-59; 9:1-2; 12:2; 14:19

Atti 22:19-20; 2Corinzi 11:24-25; 1Tessalonicesi 2:16; Ebrei 11:37

Mt 23:35

35. acciocché venga su voi tutto il sangue giusto

Le parole "sangue, giusto" sono spesso adoprate nell'Antico Testamento per significare morte violenta sofferta per la verità di Dio 2Re 21:16; Lamentazioni 4:13

sparso sulla terra,

Secondo alcuni commentatori la parola "terra" indica qui la Palestina; ma, secondo noi, l'allusione ad Abele, che segue immediatamente, rende impossibile quest'interpretazione,

dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figliuol di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l'altare.

Le parole contenute in questo versetto sono generalmente considerate come una predizione dei giudizi nazionali che sovrastavano ai Giudei, a cagione dei peccati nazionali che essi avevano accumulati durante i lunghi secoli e che essi dovevano, in quel tempo, portare al colmo colla crocifissione del Signore e colla reiezione ed uccisione dei suoi inviati. Che Iddio, come Rettore dell'Universo, punisca i peccati nazionali con nazionali giudizi, benché egli spesso ritardi l'applicazione di questi ultimi finché la crescente empietà delle successive generazioni non abbia colmata la misura dell'ira sua è una verità che noi fermamente riteniamo conforme alla Scrittura. Che una punizione specialmente destinata ai Giudei, come nazione, sia annunziata in questa terribile predizione, è cosa anche questa non dubbia per noi. Se il Signore, dunque, avesse parlato soltanto dell'uccisione di Zaccaria e degli altri profeti ebrei, la parola "terra", anche secondo noi, indicherebbe soltanto la Palestina, e la predizione riguarderebbe unicamente i Giudei; ma, se fosse questo il senso delle parole di Cristo, sorgerebbe una difficoltà che tutti i commentatori da noi consultati hanno affatto taciuta: Perché, Gesù parla egli del sangue di Abele? Gli Ebrei erano essi più colpevoli degli altri popoli della sua uccisione? Non fu forse perpetrato quel delitto molto tempo prima della nascita del loro padre Abramo? Supponendo che la punizione, annunziata da Cristo dovesse applicarsi soltanto ai delitti nazionali, non si potrebbe conciliare una siffatta imputazione colla giustizia di Dio. Ma secondo noi, Gesù ragiona della Chiesa dell'Antico Testamento, nel suo complesso, dal tempo della caduta fino ai giorni suoi, in cui essa, si limitava alla nazione giudaica rappresentata dagli Scribi e dal Farisei, i quali erano i di lei maestri religiosi la Chiesa visibile, al pari d'una nazione, riceve quaggiù, dalla Provvidenza, delle ricompense, e deve subire delle punizioni temporali. Giusta quel modo di vedere la nazione giudaica essendo l'ultimo svolgimento della Chiesa di Dio sotto il Vecchio Testamento, si comprende facilmente che la responsabilità dell'uccisione di Abele, di Zaccaria e di tutti gli altri profeti, potesse attribuirsi ad essa; e sebbene Iddio avesse pazientemente differito la punizione: dovuta a siffatti delitti, siccome la nazione d'Israele era in procinto di mettere il colmo a tutte le precedenti iniquità coll'uccidere il

Principe della vita ed i suoi inviati, quel castigo dovea finalmente piombare sopra di essa. Siccome nella vita di un empio v'è, dal principio alla fine, una concatenazione non interrotta di peccati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la di lui riprovazione, il medesimo fatto si riproduce nella vita di un popolo, di una comunità o di una Chiesa.

Chi era Zaccaria figlio di Barachia? Non fu certamente quel Zaccaria figlio di Baruc, il quale fu scannato, secondo Flavio Bell. Giudici. 4:6, 4, nel tempio, alla vigilia della distruzione di Gerusalemme, poiché Gesù parla d'un delitto digià commesso. Origene ha conservato una tradizione, secondo la quale Zaccaria, padre di Giovanni Battista, venne ucciso nel tempio; ma questo racconto non è appoggiato da alcuna prova. È probabile che si tratti qui di Zaccaria figlio di Gioiada, sommo sacerdote, il quale, per ordine del re Gioas, venne ucciso "nel cortile della casa del Signore" 2Cronache 24:21. Siccome le parole "figlio di Barachia" non trovansi in Luca 11:51, alcuni suppongono che qualche antico copista le abbia introdotte nel testo, confondendo fra loro Zaccaria, l'undecimo fra i minori profeti, e Zaccaria il martire. Secondo altri Gioiada era l'avolo e Barachia il padre di Zaccaria. Il Signore sembra avere scelto i nomi di Abele e Zaccaria non solo perché furono il primo e l'ultimo fra i santi dell'Antico Testamento, il cui martirio sia ricordato nelle Sacre Carte, ma ancora perché è detto che il sangue loro grida vendetta. Confronta Genesi 4:10; 2Cronache 24:22; Ebrei 12:24

PASSI PARALLELI

Genesi 9:5-6; Numeri 35:33; Deuteronomio 21:7-8; 2Re 21:16; 24:4; Isaia 26:21

Geremia 2:30,34; 26:15,23; Lamentazioni 4:13-14; Apocalisse 18:24

Genesi 4:8; Ebrei 11:4; 12:24; 1Giovanni 3:11-12

2Cronache 24:20-22; Zaccaria 1:1; Luca 11:51

Mt 23:36

36. Io vi dico in verità, che tutte queste cose verranno su questa generazione.

Siccome "fu compiuta iniquità degli Amorrei" Genesi 15:16 soltanto nella loro ultima generazione, così l'iniquità d'Israele, accumulata di età in età, giunse al colmo in quella generazione, per cui la vendetta del cielo dovette piombare sopra di essa. Però la catastrofe finale venne differita ancora per 40 anni, affinché il popolo potesse ravvedersi. Un altro terribile esempio di vendetta accumulata contro i peccati di una Chiesa succederà nella cristianità allorquando la grande Babilonia sarà atterrata, perché "in essa è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi, e di tutti coloro che sono stati uccisi sopra la terra" Apocalisse 18:24

PASSI PARALLELI

Matteo 24:34; Ezechiele 12:21-28; Marco 13:30-31; Luca 21:32-33

Mt 23:37

Matteo 23:37-39. LAMENTI SOPRA GERUSALEMMME ADDIO AL TEMPIO Luca 13:34-35

#490130340000-490130350000

37. Gerusalemme, Gerusalemme! che uccidi i profeti, e lapidi coloro che ti son mandati;

Come il cuore compassionevole di Gesù, alcuni giorni prima, mentre il popolo gridava Osanna, si riempiva di tristezza a cagione dei terribili giudizi che sovrastavano a Gerusalemme, così ora, mentre egli scaglia i suoi terribili rimproveri contro gli Scribi ed i Farisei ed annunzia i guai che devono cadere sulla nazione, egli non può frenare i suoi affettuosi lamenti. Par che dica: "Ora son costretto di abbandonarti alla tua sorte, perché hai respinto tutti i mezzi da me adoprati per salvarti: eppure mi si spezza il cuore nel lasciarti perire così!" Cfr. Osea 11:8. Quanto è amoroso e

compassionevole il Salvatore! Come queste parole ci rivelano il cuore di quel Dio che, "non vuole che alcuno perisca, ma che tutti giungano a ravvedersi!" 2Pietro 3:9. Secondo Luca 13:34-35, il Signore fece uso del linguaggio medesimo riguardo a Gerusalemme, in un'epoca anteriore ed in altre circostanze. I critici, ai quali sembra impossibile che il Signore potesse ripetersi nel suo insegnamento, asseriscono che quest'apostrofe fu pronunziata soltanto in quest'occasione, e che Luca scrivendo posteriormente, l'ha tolta da Matteo. Quest'asserzione è priva di fondamento. Infatti, la circostanza nella quale, secondo Luca, Gesù la pronunziò, serve a provare che Gesù, prima di lasciare la Galilea, sapeva che Gerusalemme colmerebbe in breve la misura dell'ira, e che già allora il pensiero di doverla abbandonare al suo meritato castigo, lo addolorava profondamente Vedi note Luca 13:34Luca 13:34-35. "Gerusalemme!" La ripetizione attesta l'intensità del sentimento. Gerusalemme non significa qui semplicemente la città coi suoi abitanti, né la città metropoli della nazione, ma il centro della sua vita religiosa, "la città delle feste solenni", "a cui salivano le tribù per celebrare il nome del Signore" Salmo 122:4. Quanto era diventata grande l'iniquità d'Israele, perché la città stessa scelta da Dio "per istanziarvi il suo nome" Deuteronomio 12:11; Salmo 132:13, si fosse assuefatta al delitto di "uccidere i profeti!".

quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli,

Gesù non parla qui soltanto delle sei o sette visite che egli fece a Gerusalemme, durante le quali egli stesso istruì i suoi abitanti; egli parla come Figliuolo di Dio, come pastore d'Israele Salmo 80:1, come Angelo del Patto Malachia 3:1. Egli non allude soltanto agli appelli da lui indirizzati ad Israele durante il suo ministerio, ma anche a quelli che il popolo ricevette sin dal principio della sua storia. Colossesi mezzo dei suoi profeti, che furono uccisi, Gesù voleva preparare il popolo d'Israele a riceverlo come Messia. Secondo Pietro, infatti, i profeti inviati ad Israele erano stati Illuminati ed ammaestrati dallo Spirito di Cristo che era in loro 1Pietro 1:11

come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali;

Quanto graziosa e commovente è questa immagine! Come rappresenta mirabilmente la quiete e la protezione di cui godono quelle povere e deboli creaturine! Invano si farà innanzi un nemico per strapparle dal loro asilo; la madre, infuriata e dimentica di se stessa, perirà piuttosto che abbandonare i suoi pulcini! Questa figura esprime in un modo commoventissimo ciò che Gesù era disposto a fare in favore di Israele, e ciò che egli fa ogni giorno per il suo popolo. La medesima figura si trova in Deuteronomio 32:10-12; Rut 2:12; Salmo 17:8; 36:7; 61:6; 63:3; 91:4; Isaia 31:6; Malachia 4:2

e voi non avete voluto!

Queste terribili parole non furono pronunziate qui per la prima volta, avendo Gesù detto già: "Voi non volete venire a me per aver la vita" Giovanni 5:40. "O parole misteriose!", scrive il prof. D. Brown, "misteriosa resistenza a così paziente amore; misteriosa libertà di distrugger se stesso! La tremenda dignità della volontà umana indicataci in queste parole fa rabbrividire!". Stier dice: "Chi ardirebbe dire al Signore: Tu non hai voluto seriamente attrarci a te; i tuoi lamenti sono uno scherno ed un giuoco, poiché l'irresistibile tua grazia non mi ha dato la forza di volere?". Si confrontino con questo versetto e col seguente le parole della divina Sapienza in Proverbi 1:23-31

PASSI PARALLELI

Geremia 4:14; 6:8; Luca 13:34; Apocalisse 11:8

Matteo 23:30; 5:12; 21:35-36; 22:6; 2Cronache 24:21-22; Nehemia 9:26; Geremia 2:30; 26:23

Marco 12:3-6; Luca 20:11-14; Atti 7:51-52; 1Tessalonicesi 2:15; Apocalisse 11:7; 17:6

2Cronache 36:15-16; Salmo 81:8-11; Geremia 6:16-17; 11:7-8; 25:3-7; 35:15

Geremia 42:9-13; 44:4; Zaccaria 1:4

Deuteronomio 32:11-12; Ruth 2:12; Salmo 17:8; 36:7; 57:1; 63:7; 91:4

Matteo 22:3; Proverbi 1:24-31; Isaia 50:2; Osea 11:2,7; Luca 14:17-20; 15:28; 19:14-44

Mt 23:38

38. Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta.

"Casa" significa in primo luogo il tempio, quindi la città santa, l'intiero paese di cui essa è la metropoli, il popolo stesso, e lo Stato che solo mediante il tempio sussisteva. Si noti che Gesù non chiama qui il tempio Casa di Dio, il qual titolo era sua precipua gloria, ma "la vostra casa", cioè quale voi ormai l'avete ridotta. Questo è l'ultimo o solenne addio del Signore al tempio. Sebbene il secondo tempio fosse inferiore in bellezza a quello di Salomone, Aggeo 2:9 ne aveva parlato nei seguenti termini: "Maggiore sarà la gloria di questa seconda Casa che la gloria della prima, ha detto il Signore degli eserciti", perché Iddio, in forma umana, dove a apparire in essa; ma d'or innanzi ella sarà deserta; e ben potrà chiamarsi "Ichabod", che significa "la gloria ha esultato da Israele" 1Samuele 4:21

PASSI PARALLELI

Matteo 24:2; 2Cronache 7:20-21; Salmi 69:24; Isaia 64:10-12; Geremia 7:914; Daniele 9:26

Zaccaria 11:1-2,6; 14:1-2; Marco 13:14; Luca 13:35; 19:43-44; 21:6,20,24

Atti 6:13-14

Mt 23:39

39. Poiché vi dico, che da ora innanzi non mi vedrete più,

Il poiché unisce quel che segue al versetto precedente, e seme a spiegare in che consisterà la desolazione del tempio. Esso sarà deserto, perché il Signore lo abbandonerà. La gloria divina, un tempo visibile sopra il propiziatorio nel Luogo santissimo, e dai Giudei chiamala scechina, abitazione, la gloria contemplata da Isaia 6 nella sua visione, è da Giovanni 12:41 espressamente attribuita a Cristo. Di quella gloria, nascosta sotto il velo dell'umanità, di Cristo, profetò Malachia 3:1: "Subito il Signore, che voi cercate, e l'Angelo del Patto il quale voi bramate, entrerà nel suo tempio"; ma ora il Signore del tempio dichiara ch'egli lo abbandonerà, e che da ora innanzi essi non lo vedranno più. Ma, grazie a Dio, non sono queste le ultime parole dell'addio di Gesù. Nella parola seguente "finché" si nasconde una promessa.

finché diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Queste parole sono tolte da Salmo 118:26. I finali disegni della grazia divina verso il popolo d'Israele preannunziati in tutto l'Antico Testamento e chiaramente indicati da Paolo Romani 11:19-26 sono qui accennati da Gesù in modo da lasciare aperto l'adito alla speranza. Queste parole furono interpretate in varie guise. Alcuni vogliono riferirne l'adempimento alla visibile manifestazione della possanza divina nella distruzione di Gerusalemme, quarant'anni più tardi, quando molti Giudei abbracciarono la religione di Cristo. Altri invece riferiscono questo passo al millennio; altri ancora al gran giorno del giudizio finale. Secondo noi, Stier combatte con ragione questa opinione dicendo: "L'impossibilità d'intendere le parole di Cristo nel senso di un forzato riconoscimento del Giudice che ha da venire è dimostrata dalla parola benedetto, e dall'intiero Salmo 118. Il maggior numero dei commentatori vedono, con ragione, in quelle parole l'annunzio della conversione a Cristo dell'intiera nazione giudaica. Le parole: "Benedetto Colui, ecc.", sono appunto quelle adoprate dalle turbe, quando, tre giorni prima, fuori delle mura di Gerusalemme, esse salutarono Gesù come Messia e Re d'Israele. Allora la nazione, per mezzo dei suoi rappresentanti, si era rifiutata a riconoscerlo Matteo 21:15; ora il Signore dichiara che, sebbene egli sia "il Pastore d'Israele" e il Dio dell'Alleanza, egli si ritira da loro, talché non lo vedranno più fino al giorno della riconciliazione, in cui la nazione intera esclamerà: "Osanna al Figliuolo di

Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!", e adorerà, come Dio stesso, Colui che essa avrà crocifisso Osea 5:15. Per farsi un'idea del modo con cui essa doveva "vederlo nel millennio", si leggano i seguenti passi: Zaccaria 2:10-13; Ezechiele 37:23-28; 39:28-29

PASSI PARALLELI

Osea 3:4; Luca 2:26-30; 10:22-23; 17:22; Giovanni 8:21,24,56; 14:9,19

Matteo 21:9; Salmo 118:26; Isaia 40:9-11; Zaccaria 12:10; Romani 11:25; 2Corinzi 3:14-18

RIFLESSIONI

1. Al par della legge, il Vangelo condanna i suoi trasgressori, e le sue condanne sono più terribili di quelle della legge stessa. Le minacce contenute in questo capitolo sono notevoli, non soltanto a cagione dell'autorità, di Chi le ha pronunziate, ma soprattutto a cagione della sua mansuetudine. Gesù venne per benedire, e si compiace nel benedire; ma quando l'ira sua si accende, chi intercederà in favore di colui che il grande intercessore stesso condanna? Contro la maledizione di Cristo non c'è rimedio!

2. Le minaccie più terribili della Scrittura sono dirette contro l'ipocrisia religiosa. Non c'è peccato che più di questo indurisca il cuore e disonori il Signore. L'ipocrisia avvilisce le cose più sacre, converte il culto stesso in un mezzo per soddisfare la vanità, o per lucrare qualche materiale guadagno, e trasforma la verità stessa in menzogna.

3. Quando i ministri della religione tosano il loro gregge, e sono pieni di superbia e di egoismo, non soltanto essi sono ipocriti, ma chiamano il disprezzo sul loro ministerio. Questo fatto è dimostrato in un modo luminoso dalla storia. Se gli Scribi e i sacerdoti israeliti sono fedelmente dipinti in questo capitolo, che diremo noi dei loro successori nella Chiesa

romana, i quali, sebbene abbiano il Vangelo nelle mani, li superano in ipocrisia?

4. Vi è una misura di peccati da ricolmare, prima che la totale rovina colpisca le persone, le famiglie, le Chiese e le nazioni Geremia 44:22. I figliuoli riempiono la misura dei peccati dei padri quando essi commettono i medesimi peccati od altri simili i peccati accumulati da molte generazioni sono quelli che conducono le nazioni e le Chiese alla loro rovina. Iddio visita le iniquità dei padri sopra i figliuoli fino alla terza ed alla quarta generazione Esodo 20:5, quando persistono nei peccati dei padri. Il peccato che più rapidamente fa traboccare la misura dell'ira di Dio contro una nazione è quello che consiste nel perseguitare Cristo nelle persone dei suoi profeti, dei suoi ministri e dei suoi discepoli! Quel peccato accese l'ira di Dio contro i padri del popolo di Israele 2Cronache 36:16, e la riaccese al sommo grado contro i loro figli 2Tessalonicesi 2:15-16

5. O voi che siete pronti a disperare della vostra salvezza ripensando alla vostra ostinata ribellione contro la luce, l'amore la verità e la grazia di Dio, ascoltate le parole indirizzate a Gerusalemme dall'Amico dei peccatori, e siate certi ch'egli vi salverà, se lo bramate sinceramente. Anche all'ultimo momento egli avrebbe salvato i peccatori di Gerusalemme; ma furono "essi che non vollero!".

6. Si osservi che è colpa della volontà malvagia dei peccatori se essi non sono salvati. La Scrittura c'insegna riguardo alla volontà umana:

1 Che l'uomo non può essere salvato senza il concorso della sua volontà. "Chi vuole prenda in dono dell'acqua della vita" Apocalisse 22:17. "Io ho voluto raccogliere ma voi non avete voluto" Matteo 23:37. "Ma voi non volete venire a me per aver la vita" Giovanni 5:40

2 La volontà dell'uomo è naturalmente opposta al Vangelo ed incapace di piegarsi davanti a Cristo. "Niuno può venire a me, se non che il Padre, che mi ha mandato, lo tragga" Giovanni 6:44

3 Quando la volontà è rinnovata e preparata ad abbracciare Cristo, essa lo è per mezzo dell'opera efficace dello Spirito Santo. "Iddio è quel che

opera in voi il volere e l'operare, per lo suo beneplacito" Filippesi 2:13

Ne risulta che quelli che vanno in perdizione sono causa della loro propria rovina; mentre che quelli che sono salvati, lo sono per la grazia di Dio Osea 13:9. L'atto di sottomettersi a Cristo assicurando così la propria salvezza è volontario, quanto quello di respingerlo; ma non può succedere finché Iddio non abbia "operato in noi il volere". Come si possa conciliare l'opera divina colla libertà della volontà umana, noi non lo sapremo mai quaggiù. Ma fa pietà il vedere uomini, i quali ammettono che Iddio esercita la sua influenza sul libero arbitrio dell'uomo nelle cose mondane senza distruggerne la responsabilità, e però negano ch'egli l'eserciti quando si tratta della salute eterna! "Le cose occulte sono per il Signore Iddio nostro, ma le rivelate sono per noi e per i nostri figliuoli in perpetuo; acciocché mettiamo in opera tutte le parole di questa legge" Deuteronomio 29:29

7. Quanto sarà glorioso il giorno in cui i Giudei, che furono per tanto tempo invitati invano da Cristo, "guarderanno a Colui che hanno trafitto e ne faran cordoglio come si fa cordoglio per un figliuolo unico, e ne saranno in amaritudine come per un primogenito" Zaccaria 12:10. Quanti saranno gli "Osanna al Figliuolo di Davide!" che usciranno dalle labbra dei figli di coloro che gridarono: Crocifiggilo, crocifiggilo! Non c'è da meravigliarsi che Paolo, parlando di quei tempi fortunati, esclami: "Che sarà la loro riammissione, se non una vita d'infra i morti" Romani 11:15

Mt 24:1

CAPO 24 - ANALISI

1. Fine del pubblico ministerio di Cristo. Essa coincide colla partenza dal tempio, di cui la "desolazione" cominciò sin d'allora Matteo 24:1.

2. Profezia della intiera distruzione del tempio. Essa è motivata dall'ammirazione colla quale i discepoli contemplavano la sua magnificenza, specialmente le pietre di smisurata mole con cui erano costruite le sue mura esterne Matteo 24:2.

3. I discepoli chiedono schiarimenti sull'avvenire. Seduti sul pendio del monte Uliveto, difaccia al tempio ed alla città, la mente compresa di stupore per le solenni parole or ora profferite da Gesù, le due coppie di fratelli Marco 13:3 pregano il loro Maestro di far conoscere (1) i segni forieri degli avvenimenti da lui predetti circa la rovina di Gerusalemme, l'epoca del loro avvenimento; (2) i segni e l'epoca della venuta del Signore e della fine del mondo. Eccettuata una solenne applicazione di questo discorso ai discepoli negli ultimi versetti, l'intiero capitolo contiene la risposta del Signore a quelle due domande. Molti espositori credono che Gesù passi dall'uno all'altro di questi argomenti al vers. Matteo 24:29, e considerano i versetti precedenti come relativi alla distruzione di Gerusalemme, e i seguenti come relativi alla seconda venuta del Signore ed all'ultimo giudizio. Altri credono, e noi con loro, che la transizione si trovi nel vers. Matteo 24:36 Matteo 24:3.

4. Segni forieri della distruzione di Gerusalemme. (a) apparizione di falsi Cristi, i quali sedurranno molti; (b) guerre fra le nazioni, carestie, pestilenze e terremoti, i quali, benché debbano cagionare delle terribili sofferenze, saranno sol principio di dolori; (c) i discepoli di Cristo saranno afflitti da crudeli persecuzioni; (d) falsi dottori sorgeranno e cercheranno di sviare molti colle perniciose loro dottrine; (e) il Vangelo sarà predicato a tutte le genti del mondo allora conosciuto; (f) l'apparire "dell'abominazione della desolazione" l'esercito romano dinanzi a Gerusalemme sarà l'ultimo segno, ed il Signore esorta chiunque vorrà salva la propria vita a darsi a precipitosa fuga, poiché l'arrivo dei Romani sarà seguito da calamità senza pari nella storia del mondo Matteo 24:4-28.

5. Segni forieri della consolidazione del regno di Cristo sulla terra. In linguaggio figurato, tolto dagli antichi profeti, il Signore ragiona degli eventi che terranno dietro all'arrivo dell'esercito romano e caratterizzeranno gli ultimi tempi: (a) l'oscurarsi del sole, della luna e delle stelle, il che rappresenta la completa distruzione dello Stato giudaico ed il politico annientamento della nazione; (b) l'apparizione in cielo del segno del Figliuol dell'uomo, cioè, secondo noi, la manifestazione della sua potenza mediatrice nell'abbattere la religione cerimoniale dei Giudei, che fu il grande ostacolo al progresso del Vangelo; e la venuta del Figliuolo

dell'uomo sopra le nuvole del cielo, ecc., cioè la gloriosa e potente manifestazione del Signore per mezzo del suo Spirito, nella consolidazione del regno del Vangelo sulla terra, e nella sua propagazione fra tutti i popoli mediante l'opera dei suoi inviati Matteo 24:29-31.

6. Epoche in cui succederanno quegli avvenimenti. Siccome il germogliar delle foglie del fico è per l'agricoltore un segno dell'avvicinarsi dell'estate, così, dice il Signore, l'adempimento di quei segni indicherà approssimativamente ai fedeli l'epoca in cui sarà distrutta Gerusalemme, e consolidato il regno del Vangelo. Egli aggiunge quindi una indicazione più precisa, dicendo che la catastrofe avverrà prima che quella generazione sia del tutto sparita dalla terra Matteo 24:32-35. Ma, nel vers. Matteo 24:36, l'argomento della profezia è manifestamente cambiato. Il Signore parla in esso d'un giorno che gli uomini non possono conoscere e nemmeno gli angeli del cielo, benché questi sieno messaggeri di Gehova e facciano ciò che gli piace. "il grande e terribile giorno del Signore", in cui Gesù verrà per giudicare il mondo, giungerà d'improvviso come il diluvio ai dì del patriarca Noè Matteo 24:36-41.

7. Esortazione alla vigilanza ed alla preparazione per il ritorno del Signore. Gesù avendo rivelato queste cose intorno alla sua dipartenza ed al suo ritorno, nel rimanente del capitolo rivolge un'esortazione agli apostoli e ai suoi discepoli di tutti i tempi riguardo al modo di comportarsi durante la sua assenza. I grandi doveri da compiersi, cioè la vigilanza e lo zelo nel servizio del Signore, sono illustrati dalle due parabole: (1) da quella del ladro, il quale sceglie, per commettere i suoi furti, il momento in cui il padrone di casa non sta in guardia; (2) da quella del servitore sleale che viene sorpreso dal suo padrone, il quale giunge ad un tratto, quando meno lo si aspetta Matteo 24:42-51.

Matteo 24:1-51. PROFEZIA DI CRISTO CIRCA LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME. SEGNI DEL SUO ULTIMO RITORNO. NECESSITÀ DI TENERSI PRONTI Marco 13:1-37; Luca 21:5-36

L'elogio fatto da Cristo dell'offerta della povera vedova Marco 12:41-43, e la domanda di alcuni Greci a Filippo perché li presentasse a Gesù Giovanni 12:20, quantunque tralasciati da Matteo, devono probabilmente essere inseriti, nell'ordine cronologico, fra il discorso del Signore contenuto nell'ultimo capitolo e le circostanze ricordate al principio di questo, cioè dopo ch'egli ebbe abbandonato il tempio per non più rientrarvi.

Predizione della distruzione del tempio Matteo 24:1-3

1. E come Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si accostarono, per fargli osservare gli edifici del tempio.

Avendo il Signore ed i suoi discepoli attraversato il burrone del Cedron e cominciato a salire il monte degli Ulivi, il tempio apparve loro in tutta la sua magnificenza. I discepoli Marco dice "uno dei suoi discepoli" attrassero l'attenzione di Cristo sopra di esso e segnatamente sulle smisurate pietre sulle quali il tempio era edificato. Senza dubbio l'attenzione dei discepoli era stata diretta sopra il tempio dalle parole che poco prima il Signore aveva pronunziate contro di esso.

Quando i Giudei ritornarono dalla cattività di Babilonia, essi riedificarono il tempio, distrutto da Nabucco, ma con una magnificenza inferiore assai a quella del tempio di Salomone. Erode il Grande lo ristaurò e lo abbellì, non già atterrando il tempio di Zorobabele, ma rifacendolo un po' alla volta, rispettando così la sua identità storica, forse a motivo delle predizioni contenute in Aggeo 2:7-9, Malachia 3:1. Perciò la storia, a dispetto della sua trasformazione, gli dà sempre il nome di secondo tempio. Quando i Giudei dicono Giovanni 2:20: "46 anni è durata la fabbrica di questo tempio", ciò si deve intendere del tempo trascorso dal principio alla fine dei lavori, includendovi numerose sospensioni. Infatti Giuseppe Flavio dichiara che la maggior parte del lavoro fu fatta in 8 anni, col concorso di 10000 operai. Nella sua storia della Guerra Giudaica 5:5, 1:2, egli dà una particolareggiata descrizione di quella costruzione meravigliosa. Egli parla di pietre della lunghezza di 40 cubiti, e dice che i pilastri dei portici erano monoliti

dell'altezza di 25 cubiti. Alcune di queste pietre della lunghezza di 20 a 30 piedi sulle quali fu diretta l'attenzione di Cristo, si vedono tuttora nel muro moderno della città, all'angolo S. E. dell'Haram. Le fondamenta che, ad Occidente, scendono sino al fondo della valle del Tiropeonte, son vecchie quanto il tempio di Salomone.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:39; Geremia 6:8; Ezechiele 8:6; 10:17-19; 11:22-23; Osea 9:12

Marco 13:1-2; Luca 21:5-6; Giovanni 2:20

Mt 24:2

2. Ma egli rispose loro: Le vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra sopra pietra, che non sia diroccata.

Questa predizione fu letteralmente adempiuta. Flavio Guer. Giud. 7:7:1 narra che Tito diede ordine di atterrare l'intera città eccettuata una piccola parte del muro occidentale, che dovea rimanere come monumento delle fati che sostenute dal suo esercito, e di demolire il tempio; ed aggiunge che, dinanzi a così straziante spettacolo, Eleazar esclamò: "Oh! fossimo tutti morti prima di vedere atterrata la città e demolito il tempio sin dalle fondamenta in un modo così profano!", Bell. Giud 7:8,7. Le fondamenta di cui abbiamo parlato e che tuttora rimangono, non invalidano questa profezia relativa alle pietre, poiché quelle fondamenta sostenevano un piazzale costruito allo scopo di allargare l'area del monte Moria, onde potervi edificare il tempio, e non facevano parte del tempio stesso. Inoltre, basta una occhiata a mostrare che le antiche pietre che trovansi nel muro moderno non sono più nel loro posto primitivo.

PASSI PARALLELI

1Re 9:7-8; Geremia 26:18; Ezechiele 7:20-22; Daniele 9:26-27; Michea 3:12; Luca 19:44

2Pietro 3:11

Mt 24:3

3. E stando egli seduto sul monte degli Ulivi,

La via più breve per recarsi a Betania era il sentiero che ancor oggi varca il monte un po' a sinistra della vetta sulla quale innalzasi la chiesa dell'Ascensione, ora trasformata in moschea. Seguendo questo sentiero, si posero a sedere per riposarsi. Ai loro piedi vedevano la città ed il tempio. Allora

i discepoli gli si accostarono in disparte

Marco nomina le due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, i quali si accostarono a Cristo, dicendo:

Dicci: Quando avverranno queste cose? e quale sarà il segno della tua venuta, e della fine dell'età presente?

Secondo Marco e Luca, la domanda sembra riferirsi in modo esclusivo alla distruzione di Gerusalemme, e pare doversi dividere in due parti distinte, la prima delle quali si riferisce all'epoca e la seconda ai segni forieri della gran catastrofe: "Dicci quando avverranno queste cose, e qual sarà il segno del tempo, nel quale tutte queste cose staranno per compiersi?". Stando invece al nostro Evangelista, la domanda mira ad uno scopo assai più lontano, ed abbraccia non solo la distruzione di Gerusalemme, ma anche la seconda venuta del Signore e la fine del mondo. Però, v'è ambiguità nelle parole Allora non significa propriamente il mondo, ma un'età, un periodo di tempo, qui l'età presente. Perciò, alcuni credono, di poter dare a quelle parole il significato che hanno in Marco ed in Luca, quello cioè della fine della dispensazione giudaica. Cotesta difficoltà, però, svanisce se pensiamo che i discepoli credevano erroneamente che la rovina di Gerusalemme, la

distruzione del tempio, la venuta di Cristo e la fine del mondo succederebbero contemporaneamente; e che il concetto ch'essi si facevano di quegli avvenimenti era indeterminato e confuso quanto quello dell'epoca in cui dovevano accadere. Il Signore, nella sua risposta, ha parlato della distruzione di Gerusalemme e della sua seconda venuta; ma non è sempre facile il capire se certe sue parole abbiano a riferirsi all'uno piuttosto che all'altro evento. Il discorso offre eccezionali difficoltà agli interpreti e il commento che segue va considerato come uno fra i molti tentativi di sciogliere le difficoltà.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:1; Marco 13:3-4

Matteo 13:10-11,36; 15:12; 17:19

Daniele 12:6-8; Luca 21:7; Giovanni 21:21-22; Atti 1:7; 1Tessalonicesi 5:111

Matteo 24:32-33,43

Matteo 13:39-40,49; 28:20; Ebrei 9:26

Mt 24:4

Profezia circa la distruzione di Gerusalemme Matteo 24:4-28

4. E Gesù, rispondendo, disse loro: Guardate che niuno vi seduca.

Il Signore indica come primo segno di quella distruzione l'apparizione di falsi Cristi. Egli comincia con una ammonizione intesa a confortare i discepoli e ad eccitarli a perseverare nella fede. Le sue parole significano: "La mia venuta non succederà così presto. Prima ch'io ritorni, trascorrerà un

periodo di tempo pieno d'inganni e di falsità; badate adunque di non lasciarvi sedurre quando vi diranno: Ecco, il Cristo è qui, o colà".

PASSI PARALLELI

Geremia 29:8; Marco 13:5-6,22; Luca 21:8; 2Corinzi 11:13-15; Efesini 4:14; 5:6

Colossesi 2:8,18

2Tessalonicesi 2:3; 2Pietro 2:1-3; 1Giovanni 4:1

Mt 24:5

5. Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono il Cristo;

Secondo Luca 21:8, quei falsi Cristi diranno anche: "il tempo è giunto", cioè il tempo in cui si deve stabilire con tutto il suo splendore il regno temporale del Messia. Quindi, alcuni hanno creduto che parecchi di quegl'impostori non solo pretenderebbero di essere il Messia guerriero aspettato dai Giudei, ma anche Gesù di Nazaret medesimo, ritornato in gloria, onde prendere possesso del suo regno. Questa supposizione non è probabile, poiché non si legge in nessun luogo della storia che alcuno abbia mai preteso, in quei tempi, di essere Gesù di Nazaret, ritornato dal cielo, sebbene sorgessero in gran numero i falsi Cristi.

e ne sedurranno molti.

Il Signore ammonisce qui i suoi discepoli di guardarsi dai capi politici o dai dottori eretici, dei quali Giovanni parla spesso nelle sue Epistole, chiamandoli anticristi. Quest'ultima parola significa non soltanto oppositori di Cristo, ma eziandio vice Cristi o rivali di Cristo. Il primo significato è comunemente adottato e sembra più conforme al contesto. Le insurrezioni sollevate da Teuda e da Giuda Galileo, e mentovato da Gamaliele Atti 5:3637, non possono considerarsi come prove dell'adempimento di questa

predizione, poiché esse avvennero prima che Gesù pronunziasse queste parole. S. Luca Atti 20:38 narra che Lisia, vice governatore di Gerusalemme sotto Felice, credette che Paolo fosse uno di quegli impostori, egiziano d'origine; e molti suppongono erroneamente a parer nostro che Simone Mago anch'esso appartenesse a quella classe d'individui Atti 8:9-24. Giuseppe Flavio Antich. Giud 20:5,1 parla d'un altro Teuda, il quale visse sotto l'imperatore Claudio, e gli dà il titolo di profeta. Questi trascinò molta gente, dietro di se, promettendo loro libertà. Flavio dichiara inoltre Guer. Giud. 2:13, 4, che ivi furono molti altri ingannatori e seduttori del popolo, "i quali, sotto specie di divina ispirazione, erano realmente intenti a fare innovazioni e mutamenti nel governo; e condussero il popolo nel deserto, dicendo che colà Iddio mostrerebbe loro il segnale della libertà".

PASSI PARALLELI

Matteo 24:11,24; Geremia 14:14; 23:21,25; Giovanni 5:43; Atti 5:36-37; 8:9-10; Apocalisse 13:8

Mt 24:6

6. Or voi udirete parlar di guerre, e di rumori di guerre;

Altro segno della prossima distruzione di Gerusalemme. La storia ci narra che in quel tempo l'intiero impero romano era in preda a grandi agitazioni. Quattro imperatori Nerone, Galba, Ottone e Vitellio morirono di morte violenta, nel breve spazio di 18 mesi! Da quei rivolgimenti sorsero fazioni e guerre violente e sanguinose. Flavio parla inoltre di molti conflitti cagionati dall'odio nazionale, di altri conflitti tra Giudei e Samaritani tra i Giudei di Persia ed i loro vicini della gentilità; nonché tra gli abitanti di Cesarea ed i Giudei. A tutti questi guai si aggiunga un tremendo massacro di 50000 Giudei in Babilonia, ed un altro, di pari numero, nelle città assire Ant. Giud. 18:9, 9; 20:6; Guer. Giud, 2:13, 7; 2:18, 1:2, I "rumori di guerre "giunsero agli orecchi dei Giudei quando gli imperatori Caligola, Claudio e Nerone li minacciarono di spedire contro di loro gli eserciti romani, minacce però non

mai eseguite. Altri esempi ancora sono ricordati da Flavio Ant. Giud. 18:5, 3; 20:34.

guardate di non turbarvi; perché bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine.

Luca: "Ma non però subito sarà la fine". La fine in 1Corinzi 15:24, significa l'estremo termine della presente era, ma si riferisce qui secondo noi, alla distruzione di Gerusalemme il Signore proibisce ai suoi discepoli di vivere nell'ansietà, assicurandoli che i terribili avvenimenti ch'egli ha loro preannunziati non saranno seguiti immediatamente dalla catastrofe finale, ma gradualmente la prepareranno.

PASSI PARALLELI

Geremia 4:19-22; 6:22-24; 8:15-16; 47:6; Ezechiele 7:24-26; 14:17-21

Ezechiele 21:9-15,28; Daniele 11:1-45; Marco 13:7-8; Luca 21:9

Salmo 27:1-3; 46:1-3; 112:7; Isaia 8:12-14; 12:2; 26:3-4,20-21

Habacuc 3:16-18; Luca 21:19; Giovanni 14:1,27; 2Tessalonicesi 2:2; 1Pietro 3:14-15

Matteo 26:54; Luca 22:37; Atti 27:24-26

Matteo 24:14; Daniele 9:24-27

Mt 24:7

7. Poiché si leverà nazione contro nazione e regno contro regno;

Vedi Flavio, Guer. Giud. 2:17,10; 18:1:8,

ci saranno carestie

testo em., conseguenza delle guerre predette, Non mancano i ricordi storici relativi alle carestie successe in quei tempi. Tacito, Svetonio, Eusebio e Flavio, parlano tutti della gran carestia che afflisse Roma, l'Egitto, la Grecia e la Palestina, sotto il regno di Claudio Atti 11:27; e Stier ne menziona tre altre avvenute sotto quel regno medesimo.

e terremoti in vari luoghi.

Non meno di sei terremoti sono ricordati dagli storici come avvenuti tra il tempo in cui Gesù profferì questa profezia e la distruzione di Gerusalemme: il primo in Creti, nel 46; il secondo in Roma, nel 51; il terzo in Apamea Frigia, nel 53; il quarto in Campania, nel 58; il quinto in Laodicea, nel 60; il sesto in Palestina, nel 67. Luca 21:11 aggiunge "Vi saranno fenomeni spaventevoli e gran segni dal cielo". Intorno a questi segni e fenomeni, Giuseppe Flavio Guer. Giud.6:5,3, narra che una cometa rimase durante un anno nel cielo, sopra la città; una luce sovrannaturale risplendette di notte durante la Pasqua, intorno al tempio ed all'altare; una porta del tempio si aprì spontaneamente; dei carri e degli eserciti furono veduti nelle nuvole; una voce potente come quella d'una gran moltitudine fu sentita nel tempio, alla Pentecoste, ad essa diceva: "Andiamocene di qui!". Finalmente un contadino, nominato Gesù, quattro anni prima della guerra, quando il popolo viveva nella pace e nell'abbondanza, incominciò a gridare: "Guai a Gerusalemme!" e sebbene lo flagellassero come "pazzo", egli continuò a gridare nella medesima maniera durante sette anni e cinque mesi. Verso la fine dell'assedio egli fu ucciso da una sassata, mentre gridava: "Guai anche a me!". Tacito Storia, lib. V, anch'esso narra simili fatti.

PASSI PARALLELI

2Cronache 15:6; Isaia 9:19-21; 19:2; Ezechiele 21:27; Aggeo 2:21-22; Zaccaria 14:2-3,13

Ebrei 12:27

Isaia 24:19-23; Ezechiele 14:21; Gioele 2:30-31; Zaccaria 14:4; Luca 21:11,25-26

Atti 2:19; 11:28

Mt 24:8

8. Ma tutto questo non sarà che principio di dolori.

I dolori del parto, espressione di frequente usata per significare gravi afflizioni o calamità Geremia 4:31; 6:21-24. Lo scopo del Signore non è di scoraggiare i suoi discepoli, ma di ammonirli contro il difetto di pazienza: quegli sconvolgimenti dovevano durare parecchi anni, e gli ultimi essere più terribili dei primi. Siccome le guerre e le pestilenze, le carestie ed i terremoti dovevano precedere la venuta del Signore con potenza per la distruzione di Gerusalemme e della economia levitica, è possibile che simili sconvolgimenti debbano precedere anche la venuta di Cristo all'epoca del millennio, per esempio, quando egli regnerà sulla Chiesa mediante lo Spirito Santo, ovvero all'ultimo giorno, quando egli "apparirà la seconda volta, senza peccato, a salute" Ebrei 9:28

PASSI PARALLELI

Levitico 26:18-29; Deuteronomio 28:59; Isaia 9:12,17,21; 10:4; 1Tessalonicesi 5:3; 1Pietro 4:17-18

Mt 24:9

9. Allora vi getteranno in tribolazione

La persecuzione contro i cristiani doveva essere un altro segno della distruzione di Gerusalemme,

e vi uccideranno;

Marco 13:9 spiega quali dovevano essere quelle afflizioni: "Vi daranno in man dei tribunali e sarete battuti nelle sinagoghe e sarete fatti comparire davanti a governatori e re, per cagion mia". I discepoli di Cristo furono

cacciati dalle sinagoghe scomunicati. anche prima della fine del suo ministerio Giovanni 9:22-34. Il sinedrio prese maggiore ardire dopo la crocifissione di Cristo, e perseguitò i discepoli, flagellandoli, incarcerandoli e mettendoli a morte. Saulo di Tarso era allora uno dei suoi agenti più operosi e più spietati Atti 22:4; 26:10-11. Giacomo il maggiore, figlio di Zebedeo fu decollato per ordine di Erode Agrippa, per compiacere ai Giudei; e Pietro scampò per miracolo Atti 12:1-10. Paolo fu più volte flagellato, lapidato ed incarcerato 2Corinzi 11:23-33; egli dovette comparire davanti ai tribunali Atti 23:1, ed ai governatori Atti 24-25; davanti al re Agrippa, ed all'imperatore Nerone Atti 26; 2Timoteo 4:6, e finalmente sofferse il martirio prima della distruzione di Gerusalemme.

e sarete odiati da tutte le genti a cagion del mio nome.

Queste parole implicano naturalmente che, prima della distruzione di Gerusalemme, la dottrina di Cristo sarebbe stata già annunziata a molti popoli, e che questa predicazione avrebbe eccitato l'odio contro i suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:17-22; 22:6; 23:34; Marco 13:9-13; Luca 11:49; 21:12,16-17; Giovanni 15:19

Giovanni 15:20; 16:2; Atti 4:2-3; 5:40-41; 7:59; 12:1-5; 21:31-32

Atti 22:19-22; 28:22; 1Tessalonicesi 2:14-16; 1Pietro 4:16; Apocalisse 2:10,13; 6:9-11; 7:14

Mt 24:10

10. Ed allora molti si scandalizzeranno, e si tradiranno, e si odieranno a vicenda.

Per evitare le persecuzioni, molti apostateranno dalla fede; i fratelli si tradiranno fra loro per salvare la propria vita, d'onde risulterà che l'odio ed i sospetti turberanno la Chiesa, e s'insinueranno persino nel seno delle famiglie. "Or voi sarete traditi, perfino da genitori, da fratelli, da parenti, e da amici; e faran morire parecchi di voi" Luca 21:16. Nelle prime persecuzioni accaddero spesso, simili tradimenti v. Tacito, Annali.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:6; 13:21,57; 26:31-34; Marco 4:17; Giovanni 6:60-61,66-67; 2Timoteo 1:15

2Timoteo 4:10,16

Matteo 10:21,35-36; 26:21-24; Michea 7:5-6; Marco 13:12; Luca 21:16

Mt 24:11

11. E molti falsi profeti sorgeranno, e sedurranno molti.

Secondo Flavio, durante l'assedio di Gerusalemme, molti impostori annunziavano al popolo, per eccitarlo a resistere ai Romani, che il Signore lo avrebbe soccorso e gli avrebbe finalmente concesso la vittoria. Ma è possibile che la parola "profeti "si debba intendere qui piuttosto nel senso attribuitole nel Nuovo Testamento, di predicatore o di espositore della Scrittura (confr. 1Corinzi 12:10 con 1Corinzi 14:24); ed in questo caso Gesù annunzierebbe la venuta di spargitori di false dottrine Matteo 7:15; 1Giovanni 4:1

PASSI PARALLELI

Matteo 24:5,24; 7:15; Marco 13:22; Atti 20:30; 1Timoteo 4:1; 2Pietro 2:1; 1Giovanni 2:18,26; 4:1

Giuda 4; Apocalisse 19:20

Mt 24:12

12. E perché l'iniquità

violazione della legge. Questa espressione può applicarsi alla malizia ed alla malvagità dei persecutori Giudei e Romani, al tradimento ed all'odio degli apostati agli errori ed alle eresie dei falsi profeti, alla malvagità dei falsi cristiani, o, più probabilmente, a tutti questi mali insieme.

sarà moltiplicata, la carità dei più si raffredderà.

A cagione della malvagità che prevarrà in quei tempi, l'amore e la mutua fiducia fra i cristiani stessi si raffredderanno. Amore, dovere, verità, sono talmente congiunti, che la corruzione della verità conduce alla trascuratezza del dovere, e questa al decadimento dell'amore. L'epistola di Giacomo, che fu scritta circa il tempo a cui Cristo allude in questo passo, ci somministra varie illustrazioni degli effetti che la moltiplicazione dell'iniquità produce, raffreddando la carità dei veri cristiani.

PASSI PARALLELI

Giacomo 4:1-4; 5:1-6

Apocalisse 2:4-5,10; 3:15

Mt 24:13

13. Ma chi avrà sostenuto fino alla fine sarà salvato.

Queste parole possono significare, in primo luogo, che chiunque rimarrà fedele a Cristo sino alla distruzione di Gerusalemme sarà preservato dai guai che piomberanno sopra di essa. Infatti, non un sol cristiano, che si

sappia, è perito durante o dopo l'assedio Vedi Note Matteo 24:16Matteo 24:16. Ma esse hanno un più alto significato. La parola fine applicata alle persone, indica il giorno della morte per alcuni di quelli di cui Gesù parla, il dì del martirio; ed applicata alla Chiesa, significa la fine di tutte le cose Vedi Note Matteo 10:22Matteo 10:22. Il senso è, in sostanza, il medesimo in Luca 21:19, benché le parole sieno diverse: con la vostra costanza voi salverete l'anime vostre. Questa perduranza è la via scelta da Dio per condurci alla liberazione. Sia che questa esportazione si riferisca alla distruzione di Gerusalemme, sia che accenni alla seconda venuta del Signore, essa ci avverte che una generale apostasia precederà quell'avvenimento. Essa è confermata dalle parole di Cristo in Luca 18:8: "Ma quando il Figliuol dell'uomo verrà, troverà egli fede sulla terra?". La stessa dottrina viene insegnata nelle parole: "Chi vince, ecc.", che leggonsi in ciascuna delle epistole indirizzate alle sette Chiese dell'Asia Apocalisse cap. 2 e 3, specialmente alla Chiesa di Smirne: "Sii fedele fino alla morte ed io ti darò la corona della vita" Apocalisse 2:10. Iddio ci ha promesso d'impartirci la grazia di rimanere fermi nella professione della nostra fede sino alla fine. Vedi 1Corinzi 1:8-9; Filippesi 1:6

PASSI PARALLELI

Matteo 24:6; 10:22; Marco 13:13; Luca 8:15; Romani 2:7; 1Corinzi 1:8; Ebrei 3:6,14; 10:39

Apocalisse 2:10

Mt 24:14

14. E questo evangelo del regno sarà predicato per tutto il mondo,

Prima della distruzione di Gerusalemme, non solo il Vangelo era stato predicato a tutto le genti comprese nell'impero romano Vedi Colossesi 1:6,23; 2Timoteo 4:17, ma anche ad, altre. Nell'anno 59 Paolo scriveva da Corinto che "da Gerusalemme e dai luoghi intorno fino all'Illiria Dalmazia, egli aveva predicato dovunque l'evangelo di Cristo" Romani 15:19. Le

tradizioni più antiche affermano che, in seguito, egli predicò il Vangelo nella Spagna e altrove; e che, prima della distruzione di Gerusalemme Tommaso lo predicò in Persia e forse anche nell'India. Questi paesi eccettuato l'ultimo erano tutti compresi nei limiti dell'impero romano, al quale si dava a cagione della sua vastità, l'orgoglioso titolo di orbis terrarum. Purtroppo, benché la religione di Cristo sia predicata da quasi 19 secoli, essa non è ancora stata annunziata a tutti gli abitanti del mondo; ma, prima della seconda venuta di Cristo, alla quale molti riferiscono la profezia, tutti i popoli l'udranno e la predizione del Salvatore sarà perfettamente adempiuta.

onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti: ed allora verrà la fine.

Il Vangelo deve esser predicato ai Gentili:

1 come testimonianza della misericordia di Dio a loro riguardo, poiché in loro favore si dovevano verificare le parole 1Giovanni 2:8: "le tenebre passano, e già risplende la vera luce";

2 come testimonianza che, se essi respingevano l'invito del Vangelo, andavano incontro alla condanna. Ed anche ai Giudei dispersi doveva essere annunziato.

Stier osserva che, così prima dalla distruzione di Gerusalemme come prima della fine del mondo, non viene predetto che tutte le nazioni saranno convertite, ma che tutte avranno udito la "testimonianza della predicazione evangelica Apocalisse 20:7-9

PASSI PARALLELI

Matteo 4:23; 9:35; 10:7; Atti 20:25

Matteo 18:19; Marco 16:15-16; Luca 24:47; Atti 1:2; Romani 10:18; 15:1821; 16:25-26

Colossesi 1:6,23; Apocalisse 14:6

Matteo 24:3,6; Ezechiele 7:5-7,10

Mt 24:15

15. Quando dunque avrete veduta l'abbominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele,

I passi di Daniele 9:27; 11:31; 12:11 si riferiscono a varie epoche ed a vari avvenimenti; ma le parole "l'abbominazione della desolazione" cioè, l'abbominazione che produce la desolazione, dovevano in ogni caso avere il medesimo significato. In 1Maccabei 1:54, si legge che i Giudei applicavano quelle parole all'idolo, od all'altare pagano, eretto nel tempio di Gerusalemme da Antioco Epifane. Era dunque naturale che anche i discepoli applicassero le parole del Signore ad una potenza idolatra e conquistatrice, la quale doveva contaminare e riempire di desolazione la città ed il tempio, come aveva fatto Antioco. Secondo la maggior parte dei commentatori, quella potenza era Roma imperiale, gli eserciti della quale furono esecutori dei giudizi di Dio contro Gerusalemme, e le cui insegne portavano l'effigie dell'imperatore o dell'aquila imperiale, oggetti di culto per i soldati. Però Stier, Alford ed alcuni altri, coll'espressione: "l'abbominazione", intendono la morale e religiosa depravazione dei Giudei dentro la santa città, ed appoggiano la loro idea sopra certi passi di Flavio Guer. Giud.4:3, 6-8; 4:6,3, che però non provano nulla. I casi in questi passi ricordati accaddero dopo che Tito ebbe posto l'assedio davanti a Gerusalemme, cioè quando la fuga consigliata dal Signore non era più possibile. D'altronde, il passo parallelo di Luca 21:20 toglie ogni dubbio, essendo in esso scritto: "ora, quando vedrete Gerusalemme circondata d'eserciti, sappiate", ecc.

posta in luogo santo

Molti intendono queste parole del tempio; ma è, probabilmente, perché diveniva impossibile ai discepoli di fuggire dopo che le insegne romane sarebbero state poste in quel sacro recinto, che Stier ed altri adottarono la sopraccennata interpretazione. Si osservi però che non c'è qui l'articolo, il

quale si trova sempre nell'originale quando si parla del tempio; e siccome la città di Gerusalemme, la vetta del Moria, sulla quale si innalzava il tempio, ed il monte degli Ulivi, eran tutti considerati come santi a cagione della vicinanza della Casa di Dio, noi crediamo, con Bengel, che si tratti in questa frase del monte degli Ulivi, e delle alture al Nord del Moria, che furono più tardi occupate dall'esercito romano Flavio, Guer. Giud. 5, 2, 3. Questa interpretazione viene confermata dalle parola di Luca: "Quando vedrete Gerusalemme circondata d'eserciti". Sieno queste una spiegazione che Luca dà ai suoi lettori Gentili delle parole "l'abbominazione, ecc." o sieno esse pronunziate da Cristo stesso, esse indicano il tempo in cui i discepoli dovevano fuggir dalla Giudea, cioè al primo apparire dell'esercito romano e del suo campo contro la santa città.

chi legge pongavi mente;

Marco 13:14 ha la medesima parentesi: perciò la critica moderna ha sentenziato, temerariamente secondo noi, che fu interpolata nel suo Vangelo da qualche copista posteriore, togliendola da Matteo. Alford va più oltre ancora, e crede che questa parentesi sia stata interpolata, anche in Matteo, da una nota ecclesiastica. Altri mantengono ch'essa è semplicemente un'avvertenza, introdotta dagli Evangelisti nel discorso di Cristo, per fermare l'attenzione dei lettori. Questa supposizione non è assolutamente impossibile, quantunque apparisca strano che due evangelisti, scrivendo in tempi e in luoghi diversi, abbiano entrambi inserito una medesima parentesi in un medesimo luogo. Secondo noi, però, questa coincidenza è naturalissima, se gli evangelisti riferiscono tutti e due le parole quali furono espresse da Cristo. Non soltanto Gesù rende testimonianza al carattere profetico di Daniele; ma ancora suggella colla sua autorità l'ispirazione del libro di questo profeta, poiché citandolo egli invita i suoi uditori a leggerlo ed a studiarlo accuratamente. Gesù fissò l'attenzione dei suoi discepoli specialmente sopra questa profezia, perché "l'abbominazione della desolazione" dovea essere l'ultimo segno per la fuga dei suoi.

PASSI PARALLELI

Marco 13:14; Luca 19:43; 21:20

Daniele 9:27; 12:11

Ezechiele 40:4; Daniele 9:23,25; 10:12-14; Ebrei 2:1; Apocalisse 1:3; 3:22

Mt 24:16

16. Allora quelli che saranno nella Giudea fuggano al monti.

Se i cristiani non fossero fuggiti prima che Tito avesse posto il suo campo sullo Scopus che è la estremità settentrionale del monte degli Ulivi, A. D. 69, o 70, essi non avrebbero più potuto farlo, atteso che, mentre i sicari che padroneggiavano la città scannavano come disertore chiunque tentava uscirne, l'esercito romano, al quale tre giorni erano bastati per cingerla di un muro, intercettava ogni comunicazione col difuori. Pochi anni prima, Cestio Gallo, governator di Siria A. D. 64, 65, aveva assediato Gerusalemme con un esercito numeroso; ma, quando la, città stava per capitolare perdutosi d'animo, subitamente abbandonò l'assedio e fece una ritirata disastrosa verso Cesarea Flavio Guer. Giud. 2. 9, 6. Secondo noi, questa spedizione di Cestio dovea essere il segnale della fuga che il Signore dava ai suoi discepoli. Flavio, parlando della ritirata di Cestio, dice che "nessun motivo al mondo poteva spiegare la sua condotta"; ma coloro che riconoscono la mano di Dio nella storia, vedono in questo fatto non solo l'adempimento della profezia di Gesù ma una via di scampo offerta provvidenzialmente ai discepoli dal capriccio o dal timor panico del generale romano. Però, se il lettore preferisce riferire la espressione: "l'abbominazione della desolazione" all'esercito di Tito, la necessità d'una pronta fuga si fa maggiore, poiché rimanevano, per eseguirla, non più alcuni giorni, ma poche ore. La storia non fa menzione neanche d'un cristiano che sia perito nella distruzione di Gerusalemme. Lo storico Eusebio, nato in Palestina verso la fine del terzo secolo, narra che "i cristiani fuggirono a Pella, città all'E. del Giordano verso l'estremità settentrionale della Perea chiamata oggidì dagli Arabi: Tubakat-Fahel, ubbidendo ad un ordine profetico, e così evitarono le calamità che sommersero la nazione". Il passo Luca 21:21 sia

che si riferisca a Gerusalemme od alla Giudea, li consiglia a fuggire da quella e da questa, e così fecero, rifugiandosi in una provincia vicina, in pace con Roma.

PASSI PARALLELI

Genesi 19:15-17; Esodo 9:20-21; Proverbi 22:3; Geremia 6:1; 37:11-12; Luca 21:21-22

Ebrei 11:7

Mt 24:17

17. Chi sarà sulla terrazza non scenda, per toglier quello che è in casa sua.

Riguardo ai tetti o terrazzi delle case orientali, ed alla scala esterna, vedi Nota Marco 2:4Marco 2:4. Queste parole significano che la fretta sarà tanta da non permettere a chi si troverà sul tetto di scendere nella casa per prendere la sua roba; "anzi, dovrà fuggirsene precipitosamente per la scala esterna.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:25; Giobbe 2:4; Proverbi 6:4-5; Marco 13:15-16; Luca 17:31-33

Matteo 10:27; Deuteronomio 22:8

Mt 24:18

18. E chi sarà nel campo non torni indietro, a prender la sua veste.

Cioè la sopravveste, od abia, ch'egli, cominciando il suo lavoro, aveva lasciata a poca distanza. Gesù esprime la medesima idea nei vers. Matteo

24:17-18, cioè che i discepoli dovranno fuggire dalla condannata città colla precipitazione colla quale Lot fuggì da Sodoma.

Mt 24:19

19. Or guai alle donne che saranno incinte ed a quelle che allatteranno in quei giorni!

Queste parole sono motivate dai travagli cui sarebbero esposte durante la fuga, o dalla sorte più terribile ancora che le aspettava, se, troppo timide per fuggire, fossero rimaste nella città. Siccome i Giudei consideravano la figliolanza come un prezioso dono di Dio, e la sterilità come un'afflizione ed una vergogna, Gesù, indicando la condizione delle madri, non più come una benedizione, ma come una causa d'inauditi dolori, esprime con forza straordinaria quanto quei tempi saranno infelici. Cfr. Luca 23:28-29; e Lamentazioni 2:11-12,19-20; 4:4,10, dove leggessi la commovente descrizione della prima distruzione di Gerusalemme. Giuseppe Flavio riferisce come uno dei fatti più spaventevoli avvenuti durante l'assedio, quello d'una madre spinta dalla fame a scannare e divorare il proprio figliuolo!

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 28:53-56; 2Samuele 4:4; 2Re 15:16; Lamentazioni 4:3-4,10; Osea 13:16; Marco 13:17-18

Luca 21:23; 23:29-30

Mt 24:20

20. E pregate che la vostra fuga non avvenga d'inverno,

Cristo spinge i suoi discepoli a pregare il Signore di manifestare loro la sua misericordia nella scelta dei tempi in cui dovevano accadere quegli È

avvenimenti. È questa una prova ammirabile della sovranità di Dio e della sua provvidenza che tutto regge! Non solo i cuori di tutti gli uomini sono nelle mani di Dio, in modo che essi adempiono inconsciamente i suoi proponimenti!, ma egli ancora è padrone dei tempi e delle stagioni. Perciò fu detto con ragione che "la preghiera muove Colui che muove l'universo". La storia ci prova che le preghiere dei discepoli furono esaudite. La fuga durante l'inverno, fra torrenti di pioggia, a traverso i monti nevosi e senza strade, sarebbe stata veramente disastrosa; ma l'assedio non ebbe principio sino alla primavera Pasqua, stagione fra tutte la più propizia per viaggiare in Palestina.

né di sabato.

Siccome i Giudei convertiti al cristianesimo osservavano il Sabato era possibile che essi credessero non esser lecito fuggire in quel giorno, o almeno percorrere una distanza maggiore di cinque stadii quasi un miglio limite d'"un viaggio sabatico". Quelli però che non avevano siffatti scrupoli avrebbero incontrato molti ostacoli, fuggendo di Sabato, poiché in quel giorno avrebbero trovato le porte delle città e dei villaggi chiuse.

PASSI PARALLELI

Esodo 16:29; Atti 1:12

Mt 24:21

21. Perché allora vi sarà una grande afflizione, tale che non v'è stata l'uguale, dal principio del mondo fino ad ora; né mai più vi sarà.

Siffatto linguaggio, applicato alla distruzione di una sola città, può sembrare iperbolico ed esagerato, ma non lo è. Giuseppe Flavio, e, quel che più sorprende, anche Tacito, storico romano, adoprano un linguaggio quasi identico. Alcuni particolari mostreranno l'esattezza di quelle parole. L'assedio cominciò al tempo della Pasqua, quando l'intiera nazione si trovava raccolta nella città. Questa conteneva allora, non soltanto gli abitanti

maschi di Giudea, di Galilea e di Perea, ma molte famiglie che vi cercavano un rifugio, per evitare gli oltraggi dell'esercito romano che si avvicinava. V'erano inoltre delle turbe di Giudei ellenici, venuti dall'Egitto, dall'Asia Minore, dalla Grecia e dall'Italia; ed altri venuti dall'Oriente, in modo che il numero di quelli che erano allora in Gerusalemme era di circa tre milioni! Appena cominciate le ostilità, la fuga diventò impossibile. Coloro che non perirono in mezzo alle contese ed alle battaglie delle fazioni rivali nell'interno della città, o che non divennero preda della fame, delle pestilenze e delle armi romane, furono venduti come schiavi; solo 40000 individui appartenenti alla plebe, fra quei tre milioni, furono lasciati in libertà. La strage, durante l'assedio, fu tanto spaventevole, che Flavio, dietro testimoni oculari, dichiara che 600000 cadaveri di poveri furono gettati dalle mura, e che nello spazio di settantacinque giorni, tra il 14 del mese di Nisan Aprile ed il primo di Thammuz Luglio, non meno di 115880 cadaveri furono portati fuori da una sola porta della città per essere sepolti! Guer. Giud. 5:13,7. Uno storico moderno Williams dice: "Gli annali della storia non ricordano nulla che possa paragonarsi a quell'orribile assedio. Basti il notare che nessuna fra le maledizioni scagliate dalla legge contro i disubbidienti, non escluse le più terribili Deuteronomio 28:53-57, fu risparmiata alla città".

PASSI PARALLELI

Salmo 69:22-28; Isaia 65:12-16; 66:15-16; Daniele 9:26; 12:1; Gioele 1:2; 2:2

Zaccaria 11:8-9; 14:2-3; Nehemia 4:1; Marco 13:9; Luca 19:43-44; 21:24; 1Tessalonicesi 2:16

Ebrei 10:26-29

Mt 24:22

22. E se que' giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe;

"Niuna carne", indica l'intiera nazione giudaica, la quale sarebbe del tutto scomparsa se l'assedio non fosse stato abbreviato, mercé la compassione di Dio, per un concorso meraviglioso di circostanze, fra le quali vanno notate:

1 L'interruzione del gran muro di cinta al N. della città, la cui costruzione, iniziata da Erode Agrippa, fu sospesa per ordine dell'imperatore Claudio, il che permise ai Romani di accostarsi immediatamente all'antico muro;

2 Le battaglie delle fazioni nell'interno di Gerusalemme, le quali lasciavano spesso ai Romani piena libertà di proseguimento nei lavori dell'assedio;

3 L'incendio dei magazzini di grano che avrebbero potuto alimentare la città per più anni.

ma, a cagion degli eletti, que' giorni saranno abbreviati.

La maggior parte dei commentatori credono che quegli eletti sieno i cristiani i quali, all'epoca dell'assedio, avevano digià cercato un rifugio in Pella; ma, secondo noi, questo senso è troppo ristretto. La parola "eletti" si applica qui anche agli Israeliti di cui parla Paolo, quando dice: "Nel tempo presente è stato lasciato alcun rimanente, secondo l'elezione della grazia" Romani 11:5; cioè a quei Giudei non ancora convertiti, rinchiusi in Gerusalemme, i quali dovevano credere più tardi in Cristo, essi o i loro figli. Si osservi che il Signore annunzia che questo benefizio temporale verrebbe concesso a tutto il popolo, a cagione degli eletti che si troverebbero fra loro. Grandi sono le benedizioni di cui gode il mondo a cagione dei figli di Dio.

Luca chiude questa parte della profezia colle parole: "E cadranno sotto il taglio della spada, e saranno menati in cattività fra tutte le genti; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili sieno compiti". Dall'epoca di Tito sino ad oggi questa profezia si avverò: la città santa è stata calpestata, primieramente dai pagani, quindi da cristiani paganizzati, e finalmente dai maomettani; ma le ultime parole del passo di Luca si riferiscono ad un tempo determinato in cui cesserà l'oppressione. Alcuni suppongono che le parole: "finché i tempi dei Gentili sieno compiuti

"significhino che la Chiesa di Dio sarà limitata esclusivamente ai Gentili per un periodo di tempo corrispondente a quello in cui i Giudei godettero di quel privilegio; durante il qual periodo Gerusalemme rimarrà oppressa sotto signorie straniere. Compiuto quel periodo, i Giudei, restituiti alla loro patria, costituiranno coi Gentili una Chiesa sola, la quale eventualmente riempirà tutta la terra Romani 11:25. Secondo la maggior parte degli interpreti, i tempi dei Gentili saranno compiuti all'alba del millennio.

PASSI PARALLELI

Marco 13:20

Isaia 6:13; 65:8-9; Zaccaria 13:8; 14:2; Romani 9:11; 11:25-31; 2Timoteo 2:10

Mt 24:23

23. Allora, se alcuno vi dice: il Cristo eccolo qui, eccolo là, nol credete. 24. Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni, e prodigi;

Il vers. 23 sembra riferirsi specialmente al tempo accennato nei versetti precedenti, il qual tempo doveva precedere immediatamente la distruzione di Gerusalemme. Basta consultare il racconto di Flavio per convincersi dell'adempimento della profezia. È possibile però che il vers. 24 abbia un significato più esteso e si applichi a tutti quelli che, in qualsiasi epoca, pretenderebbero essere quel che Cristo solo è, vale a dire, il Dottore infallibile, il Reggitore delle nazioni e l'unico Mediatore fra Dio e gli uomini.

Mt 24:24

da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti.

I Giudei aspettavano un Messia guerriero, il quale dovesse liberarli dal giogo romano, e perciò accoglievano favorevolmente gl'impostori che pretendevano di essere il Messia. Il desiderio di evitare i pericoli che minacciavano la nazione, ed i prodigi che questi avventurieri si vantavano di poter compiere indussero molti Giudei a seguirli, e turbarono anche i Cristiani, talmente che alcuni fra loro corsero pericolo di lasciarsi sedurre. Ma le parole "se fosse possibile" dànno ai seguaci di Cristo la certezza ch'egli sempre somministrerà loro la forza necessaria per resistere alle tentazioni, per quanto sieno formidabili 1Corinzi 10:13

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 13:1-3; Marco 13:21; Luca 17:23-24; 21:8; Giovanni 5:43

Mt 24:25

25. Ecco, Ve l'ho predetto. 26. Se dunque vi dicono: Ecco, è nel deserto, non vi andate; eccolo, è nelle stanze interne, non lo credete.

Gesù richiama l'attenzione dei suoi discepoli sull'avvertimento del vers. 23, affinché essi non abbiano scusa di sorpresa od ignoranza dinanzi alla seduzione Egli contrappone quindi le astute e misteriose apparizioni dei falsi cristi al modo con cui egli stesso si manifesterà. Nei versetti precedenti egli aveva mostrato che il suo ritorno non avverrebbe subito; ed ora egli annunzia che non sarebbe neppur segreto. I deserti e le stanze interne vedi Nota Matteo 6:6Matteo 6:6, sono appunto i lunghi prediletti degl'impostori per la manifestazione delle loro false pretese. Essi hanno ogni interesse a sottrarsi alle indagini e ai giudizi del pubblico. Il Signore dichiara che la sua venuta non sarà clandestina, e ch'egli non si manifesterà di soppiatto a questo od a quell'altro; ma che la sua apparizione sarà talmente palese che tutti la vedranno e saranno nell'impossibilità di metterla in dubbio. Questo versetto ed il seguente contengono:

1 Una prova che la seconda venuta del Signore non doveva essere simultanea colla distruzione di Gerusalemme;

2 Un avvertimento contro le stravaganze di certi fanatici i quali si lusingano di ricevere il Signore nelle proprie case, come lo ricevevano i suoi amici nei giorni della sua umiliazione;

3 Un incoraggiamento per i veri fedeli a star saldi in mezzo alle persecuzioni e nei tempi in cui abbonderanno le apostasie, e ad aspettare con ferma speranza la gloriosa apparizione del nostro Salvatore.

PASSI PARALLELI

Isaia 44:7-8; 46:10-11; 48:5-6; Luca 21:13; Giovanni 16:1

Matteo 3:1; Isaia 40:3; Luca 3:2-3; Atti 21:38

Mt 24:27

27. Perché, come il lampo esce da Levante e si vede fino a Ponente,

Gesù parla di quei lampi, ben noti in Oriente ed in Italia, i quali risplendono ad un tratto da una parte fino all'altra dell'orizzonte, tutto avvolgendolo in un medesimo bagliore.

così sarà la venuta del Figliuol dell'uomo.

La similitudine adoprata dal Signore implica, senza dubbio, un ritorno subitaneo ed inaspettato; ma il suo precipuo scopo è evidentemente quello d'indicare la pubblicità e lo splendore della sua manifestazione, le quali contrastano colla segretezza con cui gl'impostori tenteranno di mascherarsi. Alcuni scrittori non ravvisano, in quella descrizione della venuta di Cristo niente che possa riferirsi alla distruzione di Gerusalemme; e perciò la considerano come riferentesi unicamente alla venuta finale del Signore.

PASSI PARALLELI

Giobbe 37:3; 38:35; Isaia 30:30; Zaccaria 9:14; Luca 17:24-37

Matteo 16:28; Nehemia 3:2; 4:5; Giacomo 5:8; 2Pietro 3:4

Mt 24:28

28. Dovunque sarà il carname, quivi si raduneranno le aquile.

Teofilatto, Girolamo, Calvino ed altri fraintendono il senso di questo versetto quando considerano Cristo cioè il pane della vita come il carname, ed i credenti come le aquile che volano da tutte le parti verso lui. Ugualmente erronea è l'interpretazione secondo la quale il carname rappresenterebbe gli Ebrei, e le aquile i falsi cristi, i quali vorrebbero approfittare della corruzione nazionali per raggiungere i loro fini. Queste parole sono semplicemente un proverbio che Cristo adoperò per rispondere alla domanda degli apostoli: "Dove, Signore?" Luca 17:37. Il Signore non indica un luogo particolare; ma, dall'insieme della sua predizione, come anche dai sospettosi timori che i disegni dei Romani eccitavano nelle autorità giudaiche Giovanni 11:48, sembra risultare che "il carname" fosse l'intiera nazione d'Israele e specialmente Gerusalemme, in cui abitavano i suoi rettori; e che "le aquile" fossero gli eserciti romani che dovevano assediarla. È anche possibile che il carname rappresenti i ribelli ed i miscredenti, e le aquile gli angeli ministri della vendetta di Dio. Siccome i Romani portavano le aquile imperiali sopra le loro insegne, la profezia li rappresenta naturalmente sotto l'immagine di quegli uccelli di rapina. La distinzione fatta dai moderni naturalisti fra l'aquila che si pasce di preda vivente, e l'avvoltoio che si pasce di carname non si trova nelle Sacre Scritture; la parola, qui usata, ed il suo equivalente ebraico, indicano ambedue le specie Deuteronomio 28:49; Giovanni 39:30. Inoltre, secondo Thomson, esiste in Palestina una specie di aquila che rassomiglia molto all'avvoltoio, avendo il capo e la parte superiore del collo senza piume. Egli chiama queste aquile "uccelli orribili", e vi allude per illustrare Michea 1:16. È strano il vedere con qual meravigliosa celerità cotesti uccelli rapaci arrivano da tutte le parti dell'orizzonte ogni qualvolta un cammello casca morto o moribondo nel deserto; ma questo fatto è spiegato dalla costruzione

telescopica dei loro occhi, capaci di vedere a immense distanze. Giobbe vi allude nel capo Giobbe 29:31-33

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 28:49; Giobbe 39:27-30; Geremia 16:16; Amos 9:1-4; Luca 17:37

Mt 24:29

Avvenimenti che dovevano seguire la distruzione di Gerusalemme Matteo 24:29-34

Fin qui, quasi tutti gli espositori concordano nel considerare questa profezia come relativa alla distruzione di Gerusalemme, sia che credano o no ad un altro adempimento della medesima, nel futuro; però, cominciando dal vers. 29, le loro interpretazioni diversificano. Alcuni vedono in questo versetto il principio d'una nuova profezia, la quale si riferirebbe esclusivamente alla seconda venuta del Signore. Altri sostengono che il vers. 29 e quelli che lo seguono si riferiscono anch'essi alla distruzione di Gerusalemme, o almeno agli avvenimenti che seguiranno quella catastrofe; e che, al vers. 35 soltanto, il Signore incomincia a parlare della sua venuta personale. Malgrado il rispetto dovuto ai distinti scrittori che sostengono la prima interpretazione, noi adottiamo la seconda per ragioni che ci sembrano più convincenti.

29. Or, subito dopo l'afflizione di que' giorni,

La parola subito è adoperata dal Signore nel suo senso naturale: essa basta a dimostrare l'erroneità dell'ipotesi che gli avvenimenti annunziati in questo versetto e nei seguenti, diciotto secoli fa, non si sieno ancora avverati. Si risponde ordinariamente a questa obbiezione col dire: "Appo il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno" 2Pietro 3:8; ma questa risposta non ha valore. Qui, Gesù non parla del tempo relativamente

a Dio; ma adopra la parola "subito" unicamente per indicare la successione non interrotta degli avvenimenti di cui trattasi. Per liberarsi da questa difficoltà, coloro che credono questo versetto riferirsi alla seconda venuta di Cristo pretendono che le parole "quei giorni" abbraccino l'intiero periodo compreso tra la distruzione di Gerusalemme ed "il compimento dei tempi dei Gentili" Luca 21:24, in cui i Giudei saranno reintegrati nel loro paese; ma il passo parallelo di Marco 13:24 suona così: "in quei giorni, dopo quell'afflizione", ecc.; ed è impossibile che la parola "dopo", la quale unisce le espressioni "quei giorni" e "quell'afflizione", indichi un intervallo di migliaia d'anni! il linguaggio del Signore è talmente preciso, da non potersi affatto dubitare ch'egli alluda alle afflizioni indicate nei vers. 21 e 22 Matteo 24:21-22, le quali dovevano succedere dopo l'assedio di Gerusalemme. Dopo aver descritto quell'afflizione ed ammonito i suoi discepoli, Gesù predice gli avvenimenti che dovevano esserne la conseguenza naturale ed immediata.

Il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scrollate.

Luca: "Vi saranno dei segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra angoscia delle nazioni sbigottite dal rimbombo del mare e delle onde, gli uomini venendo meno per la paurosa aspettazione di quel che sarà per accadere al mondo; perché le potenze dei cieli saranno scrollate". La prima conseguenza della distruzione di Gerusalemme dice il Signore ai suoi discepoli, sarà la completa rovina della costituzione politico ecclesiastica dei Giudei. Gesù adopra qui il linguaggio fortemente figurativo degli antichi profeti per descrivere la rovina delle principali città, e degli Stati appartenenti al mondo pagano; e persino quella di Gerusalemme. Infatti, Isaia 13:10 annunzia così la caduta di Babilonia: "Le stelle e le costellazioni del cielo non faranno più brillare la loro luce; il sole si oscurerà fin dalla sua levata e la luna non farà più risplendere il suo chiarore". Colossesi medesimo linguaggio simbolico, Ezechiele 32:7-8 descrive la distruzione dell'Egitto; Daniele 8:10 la presa di Gerusalemme ed il, momentaneo sovvertimento del culto levitico per opera di Antioco Epifane; e Gioele 2:30-31 la fine dello Stato giudaico, sì civile che ecclesiastico. Pietro, ispirato dallo Spirito Santo, il dì della Pentecoste dichiarò ai suoi uditori che

l'adempimento di quest'ultima profezia cominciava in quel giorno stesso, e che "innanzi il grande ed illustre giorno del Signore" cioè avanti che la Chiesa di Cristo fosse stabilita sulle rovine dell'antica economia, e si fosse adempiuta la profezia, "il sole sarebbe mutato in tenebre e la luna in sangue" Atti 11:20. Abbiamo un linguaggio analogo nell'Apocalisse. La chiave di questo linguaggio metaforico si trova in Genesi 37:9. Il sole, la luna, ecc., sono qui i simboli del Sommo Sacerdote, del Sinedrio, degli Anziani, in una parola, di tutti i rettori della nazione giudaica, ed il loro oscuramento indica la distruzione del sistema di cui erano i custodi e rappresentanti, e la finale dispersione della nazione. È possibile che questa predizione si riferisca anche alla rovina dei dieci regni di cui parla l'Apocalisse, prima del millennio, e ch'essa debba avere un terzo adempimento nella distruzione finale del mondo al ritorno del Signore 2Pietro 3:7-12

PASSI PARALLELI

Matteo 24:8; Daniele 7:11-12; Marco 13:24-25

Isaia 13:10; 24:23; Geremia 4:23-28; Ezechiele 32:7-8; Gioele 2:10,30-31; 3:15

Amos 5:20; 8:9; Sofonia 1:14-15; Luca 21:25-26; Atti 2:19-20; Apocalisse 6:12-17

2Pietro 3:10

Mt 24:30

30. Ed allora apparirà nel cielo il segno del Figliuol dell'uomo;

Secondo alcuni interpreti, la cometa e la stella in forma di spada che furono viste durante un anno, al disopra di Gerusalemme; i carri e gli eserciti che apparvero fra le nubi prima dell'arrivo dei Romani, ecc. Vedi Note Matteo 24:7Matteo 24:7, costituiscono questo "segno"; ma questa interpretazione è erronea, perché il Signore parla qui di un segno che doveva seguire

immediatamente la distruzione di Gerusalemme, non precederla. Quelli che credono sia questa profezia dopo il vers. 29 relativa agli "ultimi tempi", prendono anche la parola "cielo" nel senso letterale, e sostengono che accadrà nel firmamento qualche fenomeno straordinario, prima della venuta di Cristo. Innumerevoli sono le interpretazioni delle parole: "il segno del Figliuol dell'uomo Grisostomo, Teofilatto ed altri antichi, i quali hanno tuttora i loro seguaci, credono che questo segno consisterà in "una croce nel cielo"; altri nelle "nuvole sulle quali Cristo verrà"; oppure in una seconda apparizione della cometa ricordata da Flavio. Secondo Unnio, sarà "la stella dei Magi "secondo Grozio, "la diffusione del Vangelo "secondo Bengel, Ewald, ed altri, "il Messia medesimo", secondo Olshausen, "la stella del Messia"; secondo Hoffmann, "un'apparizione simile ad un uomo, vista nel Luogo santissimo durante l'assedio di Gerusalemme"; secondo Meyer, De Wette e Lange: "una gloriosa apparizione foriera della gloria del Messia", ovvero, "la scechina, o gloria del Messia stesso"; e, finalmente, secondo altri: "la prima risurrezione" Vedi Lange e Stier, in laco.

Siamo lungi dal negare la possibilità di qualche manifestazione miracolosa nei cieli prima della seconda e gloriosa venuta del Signore, o dall'asserire che Gesù non vi faccia qui allusione; ma, lasciando ampia facoltà ai nostri lettori di scegliere fra le interpretazioni riferite, noi preferiamo aspettare che il Signore ci dia maggior luce riguardo al futuro. Siccome Gesù disse che quegli avvenimenti dovevano accadere in parte durante la vita di molti fra i suoi discepoli, noi andiam d'accordo cogli espositori i quali credono che la parola "cielo" significhi qui il firmamento politico ecclesiastico degli Ebrei; e, secondo noi, "il segno del Figliuol dell'uomo" non è altro che la manifestazione del suo potere nell'abolizione del culto levitico, il quale impediva il progresso del suo regno. La nostra interpretazione poggia sopra Daniele 7:9-14. La rovina dell'antica economia preparatoria, la quale, nel suo ultimo periodo era diventata ostile a Gesù, è il segno più ammirabile che si possa immaginare della venuta del Figliuol dell'uomo, cioè della consolidazione del regno del Vangelo.

e allora tutte le tribù della terra faran cordoglio

Il "cordoglio", secondo quelli che credono questa profezia relativa agli ultimi tempi, indica qui l'orrore e la disperazione che piomberanno sopra quei malvagi che vivranno al tempo della seconda venuta di Cristo Apocalisse 1:7; 6:12-17. I Giudei però spesso restringevano il significato della parola terra alla loro diletta Palestina, e la Scrittura stessa l'adopra qualche volta in questo senso. Se adottiamo questa interpretazione ed intendiamo tribù nel suo senso letterale, il significato di questa clausola sarà il seguente: "Tutte le tribù d'Israele faranno cordoglio a cagione della loro dispersione, della distruzione del loro tempio e dell'abolizione del magnifico culto ch'essi credevano immutabile come il suo divino Autore". Se l'interpretazione da noi data ai precedenti versetti è esatta, è facile comprendere che la rovina di Gerusalemme doveva essere per i Giudei soltanto "un principio di dolori"; poiché d'allora in poi essi dovevano essere dispersi, odiati, perseguitati, "in proverbio ed in favola fra tutti i popoli". Ma non è impossibile che il Signore alluda qui anche al profondo cordoglio indicato da Zaccaria 12:10-14, il quale, tanto nei Gentili quanto negli Ebrei, accompagna la conversione a Cristo mediante un pentimento sincero.

e vedranno il Figliuol dell'uomo venir sulle nuvole del cielo, con gran potenza e gloria.

Luca: "Venire in una nuvola". La descrizione della venuta di Jehova nelle o sopra le nuvole si trova spesso nelle Scritture, ed indica figurativamente qualche sorprendente manifestazione della potenza o della bontà di Dio, qualche segnalata visitazione della sua Provvidenza; ovvero, letteralmente, la venuta del Signore nel giorno del giudizio Esempi: Primo senso: Salmo 18:7-15; 97:2-6; Isaia 19:1; 26:15-16; Daniele 7:13. Secondo senso: Atti 1:9-11; 1Tessalonicesi 4:16-17, ecc. Stier chiama questa la venuta media del Figliuol dell'uomo", la quale viene indicata più chiaramente da altri colle parole: "la sua personale venuta al principio del millennio, per stabilire il suo regno". Altri credono che si tratti qui della gloriosa venuta del Signore nel giorno del giudizio. Senza dubbio, nel senso letterale, quest'ultima interpretazione sarebbe esatta; ma la sorprendente rassomiglianza di questa predizione con quella di Daniele 7:9-14, c'induce a credere ch'essa sia relativa ad un avvenimento anteriore. In Daniele, "il Vegliardo" è rappresentato seduto sopra un trono glorioso, circondato dagli eserciti

celesti; "il giudizio si tiene ed i libri sono aperti", in modo che un lettore superficiale è naturalmente indotto a credere che la visione profetica si riferisca al finale giudizio, mentre invece essa è relativa al terribile giudizio temporale che doveva colpire le potenze pagane, le quali avevano oppresso la Chiesa di Dio. Iddio, avendo con questo giudizio preparato lo svolgimento del suo regno, il Figliuol dell'uomo si presenta sulle nuvole del cielo, davanti al trono del Vegliardo, per ricevere l'investitura di quel regno ch'egli si è acquistato come Messia. La predizione di Cristo contenuta in queste parole è analoga a quella di Daniele, e significa che allorquando Gerusalemme sarà stata colpita dai giudizi di Dio, e che la intiera economia sarà giunta al suo termine, il regno della grazia sarà stabilito e l'autorità del Re Messia si manifesterà in un modo glorioso.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:3; Daniele 7:13; Marco 13:4; Apocalisse 1:7

Zaccaria 12:10; Apocalisse 1:7

Matteo 16:27-28; 26:64; Marco 13:26; 14:62-64; Luca 21:27; 22:69; Atti 1:11

2Tessalonicesi 1:7

Mt 24:31

31. E manderà i suoi angeli, con gran suono di tromba, a radunare i suoi eletti dai quattro venti, dall'uno capo all'altro dei cieli.

Le tribù d'Israele erano anticamente raccolte a suono di tromba Esodo 19:13,16,19; Levitico 23:24; Salmo 81:3-5, perciò gli scrittori sacri adoprano spesso questa figura, per indicare qualsiasi importante radunanza del popolo di Dio dietro ordine divino Isaia 27:13; conf. Apocalisse 11:15; mentre che gl'istrumenti di cui Dio si serve per raccogliere i suoi eletti sono chiamati angeli. Questo linguaggio rassomiglia talmente a quello contenuto

in altri passi, i quali si riferiscono all'ultima venuta di Cristo, che sarebbe assurdo il negare che l'ultimo suo adempimento si troverebbero nel giudizio finale. Ma risulta dai versetti seguenti che questo non è il primo e diretto soggetto della profezia. Angelo significa un messaggiere. Questo nome non è dato, nelle Sacre Scritture, soltanto ad esseri celesti Salmo 103:20, ma anche ai ministri della Parola Vedi Apocalisse 1:1,8,12,18; 2:1,7,14. Secondo noi, dunque, la parola "angeli" applicasi qui ai ministri di Cristo, i quali hanno l'incombenza di proclamare la buona novella della salute, sino agli estremi termini della terra, e di chiamare gli eletti di Dio, sia giudei che gentili, all'ubbidienza di Cristo. Lightfoot dice: "Quando Gerusalemme sarà ridotta in cenere, e che quella malvagia nazione sarà rigettata e distrutta, allora il Figliuol dell'uomo manderà i suoi ministri colla tromba del Vangelo, ed essi raccoglieranno i suoi, eletti d'infra tutti i popoli, dai quattro capi del cielo, e così il Signore avrà una Chiesa, benché l'antico suo popolo sia da lui abbandonato". Il celebre vescovo Warburton, nel suo trattato intitolato: Julian lib. 1. cap. 1, dice: "in questo" cioè nella missione di questi angeli o messaggeri fra le nazioni, "consiste lo stabilimento del cristianesimo sulla terra, e non già nei favori prodigati dall'imperatore Costantino alla Chiesa, dopo la sua pretesa conversione Sino a tanto che l'economia giudaica, sulla quale il Padre presiedeva come Re, non era abolita, il regno del Figliuolo non poteva esistere; poiché la sovranità di Cristo altro non era che la sovranità di Dio sopra i Giudei, trasferita, e quindi più ampiamente estesa sull'umanità.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:18; Marco 16:15-16; Luca 24:47; Atti 26:19-20

Matteo 13:41; 25:31; Apocalisse 1:20; 2:1; 14:6-9

Numeri 10:1-10; Salmo 81:3; Isaia 27:13; 1Corinzi 15:52; 1Tessalonicesi 4:16

Isaia 11:12; 49:18; 60:4; Zaccaria 14:5; Marco 13:27; Giovanni 11:52; Efesini 1:10

2Tessalonicesi 2:1

Salmo 22:27; 67:7; Isaia 13:5; 42:10; 43:6; 45:22; Zaccaria 9:10; Romani 10:18

Mt 24:32

32. Or, imparate dal fico questa similitudine illustrazione quando già i suoi rami si fanno teneri e metton le foglie, voi sapete che l'estate è vicina;

È questa una fra le numerose occasioni in cui il Signore si serve di esempi tratti dalla natura e dalla vita giornaliera per illustrare i suoi insegnamenti morali: ed è la terza volta ch'egli fa menzione del fico a questo scopo Vedi Marco 11:13; Luca 13:6

PASSI PARALLELI

Marco 13:28-29; Luca 21:29-30

Mt 24:33

33. così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate ch'egli è vicino, proprio alle porte.

Luca: "Sappiate che il regno di Dio è vicino". Come il germogliar delle foglie del fico annunzia l'avvicinarsi dell'estate, così l'adempimento sotto gli occhi loro delle cose annunziate in questa profezia segnerà l'imminente abolizione dell'antica economia e la potente manifestazione del regno del Messia. Secondo Luca 21:28, il Signore premette alla parabola queste parole: "Ma, quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina". La "redenzione" può qui riferirsi:

1 alla distruzione di Gerusalemme colla quale Dio mise un termine alle persecuzioni dei Giudei contro i Cristiani, persecuzioni più o meno continuate dalla morte di Stefano in poi;

2 al millennio, in cui cesseranno le persecuzioni dell'Anticristo contro la Chiesa;

3 alla liberazione da tutte le oppressioni e difficoltà della Chiesa attuale colla gloriosa venuta del Signore Romani 8:23

PASSI PARALLELI

Matteo 24:3

Ezechiele 7:2-14; Ebrei 10:37; Giacomo 5:9; 1Pietro 4:7

Mt 24:34

34. Io vi dico in verità, che questa generazione non passerà, prima che tutte queste cose sieno avvenute.

Questa importantissima dichiarazione è preceduta da una solenne affermazione che quelle cose avverranno perché predette dalla parola infallibile di Colui che è fedele ed onnisciente. La parola genea, generazione, indica il tempo in cui la profezia sarà adempiuta. Varie sono le interpretazioni date alla parola. Secondo Maldonato esse significano "i cieli e la terra, l'intiero creato"; secondo Girolamo, "la razza umana"; secondo Origene, Grisostomo, Ilario, Teofilatto, "l'intiero corpo dei discepoli di Cristo"; secondo Stier ed altri moderni, "le generazioni successive d'una famiglia o d'un popolo". Secondo gli ultimi, "questa generazione" sarebbe la nazione giudaica, ed il passo significherebbe che i Giudei, sebbene dispersi, non si confonderebbero colle altre nazioni, prima dell'adempimento di tutte queste cose e del principio del millennio. Il professore americano Alexander Comm. Marco 12:30 respinge però questa interpretazione della parola genea come contraria al suo significato classico ed ellenistico si chiamavano

Ellenisti gli Ebrei che abitavano nell'Egitto, nell'Asia Minore, ecc., ed ellenistica la lingua ch'essi parlavano, la qual differiva alquanto dal greco classico. Gli esempi raccolti da Stier nei 70. Levitico 25:41; Numeri 10:30; Salmo 95:10; Geremia 8:3, non possono applicarsi alle generazioni successive d'una razza o d'un popolo talvolta si applicano ad una famiglia. La parola genea racchiude sempre l'idea di esistenza contemporanea Conf. Matteo 11:16; 12:39-45; 16:4; 23:36; Marco 8:12,38; Luca 7:31; 16:8; 17:25; Atti 2:40; 13:36; Filippesi 2:15; Ebrei 3:10, e non può esser presa in un senso lato che contrasti col suo senso comune ed essenziale. Gesù l'adopra qui per indicare che le sue profezie dovevano adempiersi prima che la malvagia generazione nel mezzo della quale egli viveva e in cui si riproduceva, con crescente ostinazione, l'incredulità dei padri, fosse tutta morta. Lutero ed altri sostengono che la parola tradotta: sieno avvenute, significa abbiano cominciato ad avversari; e credono che l'adempimento delle profezie qui contenute doveva cominciare durante la generazione che crocifisse il Signore, ma che abbia continuato ad avverarsi fino ai nostri tempi. Altri, supponendo che questa profezia debba adempiersi più volte, come altre dell'Antico Testamento, pretendono che ogni generazione chiamata a contemplare dei segni simili a quelli che il Signore annunziava vedrà un nuovo adempimento di questa profezia. Ma, secondo il senso chiaro e naturale di queste parole, il Signore dichiara che il primo adempimento della profezia avverrà certamente durante la generazione allora vivente. La durata massima d'una genea era di cento anni, la minima era di trenta. Ora, appunto quaranta anni dopo che Gesù ebbe pronunziato queste parole, Tito distrusse completamente Gerusalemme, e cento anni dopo, a cagione di una ribellione successa sotto l'imperatore Adriano, i Giudei furono intieramente espulsi dalla Palestina.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:45; 16:28; 23:36; Marco 13:30-31; Luca 11:50; 21:32-33

Mt 24:35

35. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

L'affermazione contenuta nel versetto precedente si riferisce al tempo in cui doveva adempiersi la profezia, ma le solenni parole contenute in questo versetto si riferiscono all'intiero discorso. Il Signore, volendo dar maggior rilievo all'assoluta immutabilità delle sue parole, le mette in opposizione colle cose che ci sembrano le più stabili, le quali però, o presto o tardi, passeranno Conf. Matteo 5:18; Isaia 51:6; 2Pietro 3:10. In questi passi, Gesù non insegna che la materia dei corpi celesti e del nostro globo debbano essere annientati, ma che essi saranno trasformati e adattati a nuovi e più gloriosi scopi.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:18; Salmo 102:26; Isaia 34:4; 51:6; 54:10; Geremia 31:35-36; Ebrei 1:11-12

2Pietro 3:7-12; Apocalisse 6:14; 20:11

Numeri 23:19; Salmo 19:7; 89:34; Proverbi 30:5; Isaia 40:8; 55:11; Tito 1:2; 1Pietro 1:25

Apocalisse 3:14

Mt 24:36

Ammonimenti relativi alla seconda venuta di Cristo Matteo 24:36-51

36. Ma quant'è a quel giorno, e a quell'ora, nessuno li sa,

Con questo versetto si muta argomento Vedi Note Matteo 24:3Matteo 24:3. Il Signore, dopo aver risposto alla prima domanda contenuta nel vers. 3, risponde ora alla seconda: "Qual sarà il segno della tua venuta e della fine dell'età presente?". L'espressione "quel giorno" si trova spesso negli scritti di

Paolo, dove indica il gran giorno del giudizio Vedi 2Tessalonicesi 1:10; 2Timoteo 1:12,18; 4:8. Si osservi il contrasto fra le parole "quel giorno" in questo versetto, e "questa generazione", e "queste cose" nel vers. 34. Si osservi inoltre che, mentre Gesù non ha difficoltà a indicare il tempo in cui dovevano avverarsi le sue predizioni intorno a Gerusalemme, dichiara invece che né gli uomini, né gli angeli, sanno quando "quel giorno verrà", il giorno del suo ritorno!

neppur gli angeli dei cieli;

Queste parole significano implicitamente che gli angeli son più sapienti di noi e conoscono molte cose che ci restano occulte; ciò nondimeno non sanno in qual giorno succederà la fine del mondo.

neppure il Figliuolo, ma il Padre solo.

Sono adunque insensati quelli che pretendono poter indicare con precisione il giorno e l'ora in cui il Signore verrà, dal momento che Colui che ab eterno dimora nel seno del Padre ci attesta che questo è un segreto conosciuto da Dio solo, per ragioni sue proprie, savie e sovrane.

Il testo emendato di Matteo e il Vangelo di Marco aggiungono: "neppure il Figliuolo", donde, gli Ariani argomentarono che Gesù non era veramente Dio. Ambrogio asserisce che queste parole furono interpolate in Marco da Ario stesso; ma egli sbaglia: esse trovansi in tutti i MSS. antichi e nelle antiche versioni. Infatti questo passo è considerato generalmente come uno dei meno sospetti della Scrittura. Queste parole furono diversamente interpretate da coloro stessi che credono fermamente nella divinità di Cristo. Basta indicarne qui le due principali spiegazioni che ne dànno scrittori autorevolissimi:

1 il Signore volle dire non esser questa fra le cose ricevute da Dio per comunicarcele: per conseguenza egli non la conosceva ufficialmente come Messia. Invero, trovansi molti passi come Giovanni 5:19,30; 8:26; 12:49; 14:24; 17:8, nei quali Gesù dichiara che non parla di suo, ma riferisce le parole che il Padre gli ordina di pronunziare. Questa spiegazione è sostenuta da Lutero, Melantone, Ambrogio, Agostino, Ilario, e Bengel; tuttavia la

disapproviamo, perché qui non si tratta di ciò che Gesù predicava, ma di ciò ch'egli conosceva. Secondo questi interpreti, Colui che è la Verità direbbe cosa non vera!

2 Cristo, come uomo, non conosceva a quel tempo né il giorno preciso, né l'ora del giudizio né più né meno degli angeli. È questa l'opinione di Grisostomo e di altri antichi, di Calvino, di Grozio, di Stier e di molti altri scrittori moderni, e noi l'adottiamo essendo molto più soddisfacente. La spiegazione della asserzione: "neppure il Figliuolo", e della domanda di Cristo ai Farisei in Matteo 22:42-43, si trova nella ipostatica unione della natura divina ed umana nella persona di Gesù, ciascuna delle quali nature riteneva le sue proprie attribuzioni. Un accurato studio della vita di Gesù rivela molte circostanze in cui la sua natura divina rimase per così dire velata, affinché la sua natura umana potesse esplicarsi colle facoltà peculiari nell'adempimento del suo uffizio di Mediatore Vedi Note Matteo 14:23Matteo 14:23. Riguardo all'ignoranza di Cristo circa lo stato del fico sterile Matteo 21:19, così scrive il vescovo Hall nel secolo 17. "Se io dicessi che come uomo tu non conoscesti quella sterilità, né vi badasti, ciò non recherebbe danno alcuno alla tua divina onniscienza: questa debolezza non è punto peggiore della tua stanchezza, o della tua fame; né era per te una umiliazione il crescere in conoscenza, più del crescere in istatura Luca 2:52; né era disonore per la tua perfetta umanità che tu, come uomo, non conoscessi di botto ogni casa, più del non essere giunto, nella tua infanzia, a compiuto accrescimento". Le parole di questo versetto contengono un rimprovero contro quelli che vogliono fissare la data della seconda Venuta, malgrado gli errori commessi finora dai loro predecessori.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:42,44; 25:13; Zaccaria 14:7; Marco 13:32; Atti 1:7; 1Tessalonicesi 5:2; 2Pietro 3:10; Apocalisse 3:3

Apocalisse 16:15

Mt 24:37

37. E come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figliuol dell'uomo. 38. Infatti, come nei giorni innanzi al diluvio si mangiava e si beveva, si prendea moglie e s'andava a marito sino al giorno che Noè entrò nell'arca; 39. e di nulla si avvide la gente, finché venne il diluvio, che portò via tutti quanti;

in questi giorni di crescente scetticismo importa notare la conferma, per bocca di Colui che è "la verità", della realtà storica del diluvio ai giorni di Noè.

Mt 24:39

così avverrà alla venuta del Figliuol dell'uomo.

Il Signore indica qui quanto sarà inaspettata l'ultima sua apparizione, paragonandola con quella del diluvio, il quale venne quando gli uomini non l'aspettavano, essendosi beffati di tutti gli avvertimenti. Luca 17:28-30 aggiunge un'altra illustrazione della medesima verità, dicendo: "Nello stesso modo che avvenne anche ai giorni di Lot; si mangiava, si beveva, si comperava, si vendeva, si piantava, sì edificava; ma, nel giorno che Lot uscì di Sodoma, piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece tutti perire: lo stesso avverrà nel giorno che il Figliuol dell'uomo sarà manifestato". Si noti che il diluvio e le fiamme sorpresero gli antediluviani ed i Sodomiti mentre per l'appunto erano immersi nelle solite occupazioni e nei godimenti della vita. Benché fossero gli uni e gli altri orribilmente corrotti, il Signore trae un ammonimento non tanto dalla loro malvagità, quanto dalla loro mondanità, incredulità, ed assoluta mancanza di preoccupazione per l'avvenire.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:1-7:24; Giobbe 22:15-17; Luca 17:26-27; Ebrei 11:7; 1Pietro 3:20-21

2Pietro 2:5; 3:6

Genesi 6:2; 1Samuele 25:36-38; 30:16-17; Isaia 22:12-14; Ezechiele 16:4950

Amos 6:3-6; Luca 12:19,45; 14:18-20; 17:26-28; 21:34; Romani 13:13-14

1Corinzi 7:29-31

Matteo 13:13-15; Giudici 20:34; Proverbi 23:35; 24:12; 29:7; Isaia 42:25; 44:18-19

Luca 19:44; Giovanni 3:20; Atti 13:41; Romani 1:28; 2Pietro 3:5

Mt 24:40

40. Allora due saranno nel campo: l'uno sarà preso, e l'altro lasciato.

Queste parole occorrono nel medesimo contesto in Luca 17:36; ma siccome mancano in molti fra i migliori codici, la maggior parte dei critici rigettano questo versetto di Luca, come interpolazione di un copista, tolta da Matteo. Nessuno però mette in dubbio la genuinità del versetto di Matteo. Parole simili trovansi nel versetto seguente ed in Luca 17:34; ma quale è il senso loro, od a qual tempo si riferiscono? Parecchi le riferiscono alla distruzione di Gerusalemme; ma, prescindendo dal fatto che l'arrivo degli eserciti romani non cagionò al popolo una sorpresa subitanea, come è qui detto, il Signore stesso indica, colle parole: "Subito dopo l'afflizione di quei giorni" Matteo 24:29, ch'egli passa ad un periodo del tutto posteriore. Altri riferiscono questo versetto ed il seguente, in modo letterale, alla venuta premillennaria del Signore, la quale, secondo la loro interpretazione di Zaccaria 14, sarà preceduta da un altro assedio di Gerusalemme! È più probabile che questi versetti abbiano un senso allegorico e ch'essi sieno una introduzione alle parabole del capitolo seguente; quindi significherebbero che il giudizio coglierà gli uomini all'improvviso, in mezzo alle loro occupazioni giornaliere. Possiamo anche, con Olshausen adottare questo senso: "Fra quelli che compiono insieme i doveri della vita, uno sarà salvato

e l'altro perduto". Quanto sovente avviene che relazioni esterne restino intime, per tutta la presente vita, tra coloro che poi si troveranno subitamente divisi nell'eternità!

PASSI PARALLELI

2Cronache 33:12-24; Luca 17:34-37; 23:39-43; 1Corinzi 4:7; 2Pietro 2:5,79

Mt 24:41

41. Due donne macineranno al mulino: l'una sarà presa, e l'altra lasciata.

In Egitto, nella Palestina e nell'Arabia, le famiglie macinano il grano nelle case, o sotto le tende, e, posseggono due macine portatili per quello scopo. Quella di sopra si fa girare sull'inferiore, per mezzo di un piccolo manico di legno o di ferro adattato all'orlo di essa. Quando la macina è grande, o quando si richiede speditezza, ci vogliono due persone per farla girare. Il macinar grano è lavoro interamente donnesco. Le donne seggono in terra l'una di fronte all'altra, con in mezzo il mulino. È un lavoro faticoso e tedioso, spesso affidato agli schiavi od ai servi più infimi. I Filistei, in segno di disprezzo, costrinsero il cieco e debole Sansone a macinare nella sua prigione Giudici 16:21

PASSI PARALLELI

Esodo 11:5; Isaia 47:2

Mt 24:42

42. Vegliate dunque; perché non sapete in qual giorno il vostro Signore sia per venire.

Qui il Signore passa dalla prima grande lezione pratica, contenuta nel suo discorso: "Guardate che niuno vi seduca" Matteo 24:4, alla seconda: "Siate pronti!". Dall'una parte, non crediate che la fine sia immediata; dall'altra, siate certi che si avvicina benché venga lungamente differita!

PASSI PARALLELI

Matteo 25:13; 26:38-41; Marco 13:33-37; Luca 12:35-40; 21:36; Romani 13:11

1Corinzi 16:13; 1Tessalonicesi 5:6; 1Pietro 4:7; 5:8; Apocalisse 3:2-3; 16:15

Matteo 24:36,44; Marco 13:33

Mt 24:43

43. Ma sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a qual vigilia Vedi Note Matteo 14:25Matteo 14:25 il ladro deve venire, veglierebbe, e non lascerebbe forzar la sua casa.

Gesù adopra la parola perforare, perché molte case in Palestina son di terra, ed è facile penetrarvi perforando i muri.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:11; Proverbi 7:19

Luca 12:39; 1Tessalonicesi 5:2-6; 2Pietro 3:10-11

Esodo 22:2-3

Mt 24:44

44. Perciò, anche voi state pronti; perché, nell'ora che non pensate, il Figliuol dell'uomo verrà.

Ecco una illustrazione del dovere di vegliare. Se il padrone di casa sapesse che il ladro deve venire, egli starebbe desto e ne renderebbe vano l'assalto; or voi sappiate che "il giorno del Signore verrà come un ladro", sia all'ora della morte, sia all'ora del giudizio: vigilate adunque, affinché non siate colti all'improvviso! Queste parole indicano che, per i noncuranti e per quelli che vivono in una falsa sicurezza, Gesù verrà come un ladro, di notte; mentre che, per il suo popolo vigile e fedele, egli verrà come Signore e padrone. Oltre le due venute di Cristo in persona, cioè, quando "la Parola fu fatta carne" Giovanni 1:14, e quando Cristo "apparirà la seconda volta senza peccato" Ebrei 9:28, vi sono molte segnalate manifestazioni della sua possanza mediatrice, le quali sono parimenti descritte come la venuta del Signore: ad esempio la distruzione di Gerusalemme, in questo capitolo; la punizione delle Chiese di Pergamo e di Sardi Apocalisse 11:16; 3:3, e la rovina dell'Anticristo, ossia "dell'uomo di peccato" 2Tessalonicesi 2:8. Non andiamo per conseguenza errati se consideriamo anche la morte come una venuta del Signore per ogni individuo, e se applichiamo pure in questo senso l'esortazione di questo versetto.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:10,13; Luca 12:40; Filippesi 4:5; Giacomo 5:9; Apocalisse 19:7

Mt 24:45

45. Qual'è mai il servitor fedele e prudente che il padrone abbia costituito sui domestici, per dar loro il vitto a suo tempo?

Il Signore aveva già pronunziato questa parabola in un'altra circostanza Luca 12:37-48. Secondo quest'ultimo Vangelo 41, la domanda di Cristo serve di risposta ad una interrogazione di Pietro: "Signore, dici tu a noi discepoli questa parabola, ovvero anche a tutti?". La forma interrogativa si trova anche in questo passo, perché il Signore desidera lasciare la responsabilità

della risposta alla coscienza dei suoi uditori. "Dove si troverà un siffatto fedele e vigile servitore? La tua coscienza può ella rispondere che tu sei uno di quelli?". Quel "servitore" rappresenta i fedeli in generale, ma specialmente gli apostoli e chiunque in ogni età adempie l'uffizio di ministro per "pascere la Chiesa di Dio" Atti 20:28; 1Pietro 5:2-4; confr. con Ebrei 13:17. Il primo requisito di un "dispensatore, è di essere trovato fedele" 1Corinzi 4:2; ma il secondo è di possedere tanta saviezza da poter adempiere con prudenza e con senno il suo dovere, distribuendo ad ognuno il cibo che gli conviene. Presso gli antichi, l'uffizio di economo era spesso affidato a schiavi di provata fedeltà, i quali dovevano sopraintendere alle faccende domestiche. I ministri adempiono quell'uffizio nella Chiesa di Cristo, pascendola e supplendo ai suoi bisogni spirituali Giovanni 21:15-17; Atti 20:28; 1Corinzi 4:1-2

PASSI PARALLELI

Luca 12:41-43; 16:10-12; 19:17; Atti 20:28; 1Corinzi 4:1-2; 1Timoteo 1:12; 2Timoteo 2:2

Ebrei 3:5; 1Pietro 4:10-11; Apocalisse 2:13

Matteo 13:52; 25:35-40; Ezechiele 34:2; Giovanni 21:15-17; 1Corinzi 3:12; Efesini 4:11-13

1Pietro 5:1-3

Mt 24:46

46. Beato quel servitore, che il padrone, arrivando, troverà così occupato!

Adempiendo cioè il suo dovere, con sapienza e fedeltà verso i compagni affidati alle sue cure.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:34; Luca 12:37,43; Filippesi 1:21-23; 2Timoteo 4:6-8; 2Pietro 1:13-15: Apocalisse 2:19

Apocalisse 16:15

Mt 24:47

47. Io vi dico in verità, che lo costituirà su tutti i suoi beni.

La beatitudine di quel servitore non consiste soltanto nell'ottenere l'approvazione del suo Signore, ma nella promozione che ne è il pegno; egli sarà fatto gestore di tutti i beni del suo padrone. Questa promozione rappresenta le ricompense riservate, nel mondo avvenire, ai fedeli ministri e servitori di Cristo, e più ampiamente descritte nella parabola dei Talenti Matteo 25

PASSI PARALLELI

Matteo 25:21,23; Daniele 12:3; Luca 12:37,44; 19:17; 22:29-30; Giovanni 12:26; 2Timoteo 2:12

1Pietro 5:4; Apocalisse 3:21; 21:7

Mt 24:48

48. Ma s'egli è un malvagio servitore, che dica in cuor suo: li mio padrone tarda a venire; 49. E comincia a battere i suoi conservi, e a mangiare, e bere con gli ubriaconi;

Si descrive qui ancora un economo, non più savio e leale, ma malvagio, che, preso ardire dall'indugio del padrone, non solo trascura il suo dovere, ma fa torto ai conservi affidati alle sue cure, sia coll'esempio, sia trattandoli con

ingiustizia e crudeltà. La condotta indegna di costui deriva dall'incredulità, che egli però, a cagione della sua posizione ufficiale, è costretto a nascondere nel suo cuore. Purtroppo, il vizio supposto in questa parabola si manifestò spesso nella Chiesa di Cristo. Volesse Iddio che anch'oggi non ci fossero "in veste di pastori, lupi rapaci"! Stella, commentatore cattolico romano del principio del secolo 17. asserva che questo versetto dipinge a pennello la condotta dei cardinali e dei vescovi di Roma, del suo tempo! Questi versetti racchiudono pure l'idea che la venuta del Signore non doveva succedere immediatamente, il che viene confermato da 2Tessalonicesi 2:23; ove Paolo dice: "Quel giorno non verrà, che prima non sia venuta l'apostasia", ecc.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:32; 25:26; Luca 19:22

Deuteronomio 9:4; 15:9; 2Re 5:26; Isaia 32:6; Marco 7:21; Luca 12:45; Giovanni 13:2; Atti 5:3

Atti 8:22

Ecclesiaste 8:11; Ezechiele 12:22,27; 2Pietro 3:3-5

Isaia 66:5; 2Corinzi 11:20; 1Pietro 5:3; 3Giovanni 9-10; Apocalisse 13:7; 16:6; 17:6

Matteo 7:15; 1Samuele 2:13-16,29; Isaia 56:12; Ezechiele 34:3; Michea 3:5; Romani 16:18

Filippesi 3:19; Tito 1:11-12; 2Pietro 2:13-14; Giuda 12

Mt 24:50

50. Il padrone di quel servitore verrà, nel giorno che non se l'aspetta, e nell'ora che non sa.

Evidentemente, il malvagio, dopo aver saziato i suoi vizi, intendeva riprendere la maschera della fedeltà, prima che giungesse il padrone; ma l'inaspettata apparizione di questi mandò a monte il suo ipocrito divisamento e lo rivelò quale egli era. Questa subitanea apparizione non si riferisce soltanto alla venuta di Cristo nel giorno del giudizio, ma anche alla morte, altrimenti essa interesserebbe soltanto la generazione che vivrà alla fine del mondo, mentre essa può applicarsi a tutti i tempi.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:42-44; Proverbi 29:1; 1Tessalonicesi 5:2-3; Apocalisse 3:3

Mt 24:51

51. E lo farà lacerare a colpi di flagello

taglierà in due. Lo squartare o segare il corpo per lo mezzo era un terribile supplizio, notissimo nei tempi antichi 1Samuele 15:33; 1Cronache 20:3; Ebrei 11:37. Qui s'intende in senso generico e probabilmente della flagellazione che precedeva un altro supplizio.

e gli assegnerà la sorte degl'ipocriti.

Il che dimostra che l'ipocrisia è il più vile fra i delitti, e che gl'ipocriti saranno condannati alla eterna morte "in quanto a tutti i mendaci, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo che è la morte seconda" Apocalisse 21:8

Ivi sarà il pianto e lo stridor dei denti.

Espressioni usate nel cap. Matteo 8:12 Vedi Note Matteo 8:12Matteo 8:12 per indicare la terribile punizione degli increduli, figli di Abramo, i quali devono essere gettati fuori del regno del Vangelo; ma siccome quelle parole si riferiscono qui o alla morte o al finale giudizio, esse indicano gli orrori della eterna perdizione.

PASSI PARALLELI

Giobbe 20:29; Isaia 33:14; Luca 12:46

Matteo 8:12; 22:13; 25:30; Luca 13:28

RIFLESSIONI

1. Nella distruzione di Gerusalemme e di tutto ciò che era l'orgoglio e il vanto dei Giudei, e nella preservazione del piccolo gregge dei discepoli di Cristo che doveva diffondersi gradualmente, fino a divenir il solo regno visibile di Dio sulla terra, noi scorgiamo un'ammirabile illustrazione dei grandi principi del governo divino proclamati in Malachia 4:1-2. Ogni edifizio spirituale non costruito con "pietre vive", tosto o tardi crollerà.

2. Uno dei fini del Signore nel profferire questa profezia riguardo a Gerusalemme, era di dare alcune direzioni ai, suoi uditori. "Guardate che niuno vi seduca". "Voi udirete guerre e rumori di guerre, ma non vi turbate". Parimenti, "quando avrete vedute tutte queste cose, sappiate ch'egli è vicino". Nessuno sprezzi come inutile lo studio delle profezie non ancora adempiute: soltanto si prosegua quello studio con modestia e senza dogmatisma. Le profezie stesse dell'Apocalisse, che sono le più oscure fra quelle che non sono ancora adempiute, furono scritte anche per il bene di coloro che vivrebbero prima o durante il loro adempimento, poiché quelli che le leggono e le ascoltano sono proclamati beati Apocalisse 1:3

3. Fra la prima venuta di Cristo in carne e la sua seconda venuta per giudicare i vivi ed i morti, devono accadere vari eventi, i quali, essendo rimarchevoli manifestazioni della sua possanza, vengono descritti nelle Scritture quasi fossero altrettante venute del Signore. I due principali sono: la distruzione di Gerusalemme e della economia levitica e la rovina dell'Anticristo, foriera delle benedizioni del millennio. Sembra risultare dal confronto tra la profezia di Daniele 2:27-45, riguardo la statua di Nabucco, ed alcune visioni dell'Apocalisse, che il millennio sarà preceduto da guerre,

pestilenze e grandi commozioni fra i popoli, e che le profezie del Signore relative ai segni forieri della distruzione di Gerusalemme possono avere un qualche parziale adempimento prima di quello che succederà al giorno del giudizio. Ma tra la fine del millennio ed il giorno in cui tutti compariranno davanti al tribunale di Cristo, v'è un periodo indicato nell'Apocalisse 20:7-8, in cui Satana sciolto di nuovo, stimolerà le nazioni della terra a muovere una breve ed ultima guerra contro i santi dell'Altissimo. Non ci pare dunque possibile che i vers. Matteo 24:36-41 si riferiscano al millennio, bensì sono applicabili alla seconda venuta del Signore.

4. In un senso generale, tutti quelli che amano Cristo sono preparati a riceverlo; però i credenti stessi possono più o meno venir sorpresi dalla sua venuta: da ciò le esortazioni a vegliare. Il servitore sorpreso dall'improvviso ritorno del padrone, quantunque non vi sieno dubbi sulla sua fedeltà, deve però trovarsi alquanto imbarazzato e nell'impossibilità di riceverlo colla cordialità e colla premura che gli avrebbe dimostrato se fosse stato vigilante e tutto si fosse trovato in ordine perfetto per accoglierlo. Quanto diverso è il contegno del servitore che è "sempre presto "e deciso a non lasciarsi sorprendere dalla venuta del padrone! Quanto lieta è l'accoglienza che fanno a Cristo i servitori vigilanti, quale che sia l'ora nella quale egli venga! Lettore, procura di esser trovato vigilante a quel modo: il tempo è vicino!

Mt 25:1

CAPO 25 - ANALISI

Continuazione del precedente discorso

1. Parabola delle dieci Vergini. Questo capitolo è strettamente unito al precedente e contiene la continuazione del discorso di Cristo intorno alla sua seconda venuta. Le istruzioni date negli ultimi versetti del cap. 24. preparano ad ascoltare con attenzione le due parabole riferite in questo capitolo, le quali sono le ultime che Cristo abbia pronunziate. Lo scopo della prima è di mostrare la necessità di tenersi apparecchiati per la venuta del Signore, non soltanto confidando nella sua giustizia ma eziandio vivendo

sotto l'influenza santificante dello Spirito; affinché qualsiasi parziale trascuratezza nel vigilare possa essere prontamente riparata. In questa parabola Gesù descrive una di quelle processioni orientali che, dopo il matrimonio, con delle fati accese, accompagnavano a casa gli sposi. Le vergini non si recavano in casa del padre della sposa, ma si radunavano sulla strada, ove aspettavano talvolta durante lunghe ore il corteo nuziale, a cui dovevano unirsi. Quelle che avevano pensato alla possibilità di un ritardo, aveano provveduto al caso, e quando fossero state sonnacchiose potevano rimediare a qualsiasi sorpresa col riempire subito le loro lampade. All'incontro, quelle che, mosse da un momentaneo impulso, avevano afferrato tali e quali le loro lampade per correre incontro allo sposo senza pensare alla possibilità di un ritardo, venendo destate nel mezzo della notte dal grido: "Ecco lo sposo viene", trovavano le loro lampade spente, senza aver mezzo di riparare incontanente al loro errore, "non avendo preso seco dell'olio". Mentre poi correvano all'impazzata a comprarne, la processione passava oltre e la porta della sala del convito veniva chiusa! Le vergini avvedute e quelle pazze rappresentano i membri della, Chiesa visibile di Cristo. Il dovere di unire alla, vigilanza la preparazione è provato dalla disperazione e dalla rovina delle vergini pazze Matteo 25:1-13.

2. Parabola dei Talenti. Questa è un supplemento all'insegnamento della parabola precedente, ed ha per scopo di indicarci quel che dobbiamo fare per essere sempre "pronti". Dobbiamo lavorare continuamente nel servizio del Signore. Si tratta in questa parabola d'un nobile padrone di casa, il quale, convocati i suoi servitori alla vigilia della sua partenza per l'estero, affida a ciascuno di essi, secondo la sua capacità, un certo numero di talenti d'oro o d'argento, affinché siano fatti fruttare nel suo interesse. Tornato dal lungo viaggio, egli esamina la condotta di quei servitori durante la sua assenza, e li ricompensa secondo la diligenza dimostrata. Il servitore negligente, che non volle far fruttare il talento a pro del suo Signore, viene gittato nelle tenebre di fuori. In questa parabola, il dovere imposto a tutti i credenti, di lavorare all'avanzamento del regno di Cristo e della sua gloria, è chiaramente insegnato; come pure il fatto che, alla sua venuta, il Signore ricompenserà i suoi servitori fedeli in proporzione del lavoro che avranno fatto per lui Matteo 25:14-30.

3. L'ultimo giudizio. Dal vers. 36 del precedente capitolo fino a questo punto, le parole di Gesù non sono che una introduzione graduale a quelle che ci descrivono l'ultimo e più importante avvenimento della storia mondiale, cioè la sua venuta per giudicare i vivi ed i morti. Egli chiude il suo discorso principiato al cap. Matteo 24:3, descrivendo, in modo sublime, le grandi assisi del giudizio finale; l'apparizione del Signore in una gloria ineffabile, circondato dalle schiere angeliche; la comparizione di tutte le genti davanti al suo tribunale; la separazione dei giusti e dei malvagi, fatti stare, gli uni alla destra, gli altri alla sinistra del giudice; il giudizio individuale di ciascuno, secondo le opere sue, e l'assentimento dell'intiero universo alla giustizia della irrevocabile sentenza Matteo 25:31-46.

Matteo 25:1-13. PARABOLA DELLE DIECI VERGINI

Questa parabola e la seguente son date dal solo evangelista Matteo.

1. Allora

cioè al tempo della seconda venuta di Cristo per ricompensare i fedeli e castigare i malvagi

il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini,

in Oriente i matrimoni si celebravano, e si celebrano tuttora, di notte L'origine di questa parabola si trova nella costumanza di accompagnare processionalmente, con faci accesi gli sposi, al loro domicilio. Alcuni però credono che si tratti qui della comitiva alla testa della quale lo sposo si recava alla casa della sposa, prima della celebrazione del matrimonio. Siccome la festa ordinariamente aveva luogo in casa dello sposo, e siccome evidentemente il Signore parla qui della sua venuta per condurre i suoi nella "Casa del suo Padre, ove egli ha loro apparecchiato delle dimore", Giovanni 14:2, la prima interpretazione ci sembra preferibile, ed è generalmente adottata. In ogni caso, la processione, nel recarsi alla casa dello sposo, veniva incontrata da una comitiva di vergini, parenti ed amiche dello sposo. Il numero dieci rappresentava fra gli Ebrei la completezza pratica, come il

numero sette rappresentava la perfezione ideale. Così il numero di dieci persone era il minimo richiesto per poter celebrare la Pasqua; ed il culto delle singole non poteva stabilirsi laddove non si trovavano almeno dieci persone che potessero sempre intervenirvi.

le quali, prese le loro lampade,

La lampada o una face accesa era il distintivo dei componenti il corteo nuziale: senza di ciò nessuno poteva si aggregava. Le vergini pazze furono costrette di ritrarsene quando le loro lampade si spensero. Gesù descrive in questa parabola la Chiesa visibile, non il mondo; perciò le parole "prese le loro lampade", significano una, intelligente, franca e nobile professione di fede in Cristo. Jarchi, talmudista citato da Gill, descrive così le lampane: "in cima d'una pertica v'era un piatto di rame contenente stracci, olio e pece, cui si appiccava fuoco, e ciò si soleva portare innanzi alla sposa per illuminare la via". Un altro autore scrive: "Quei lumi son fatti con stracci di vecchio lino, fortemente attorcigliati, e posti in un piatto di rame; coloro che li portano con una mano, hanno nell'altra una ampolla del medesimo metallo ripiena d'olio, ed hanno cura di versarne di quando in quando su quegli stracci, i quali altrimenti non darebbero luce".

uscirono e incontrar lo sposo.

La seconda venuta del Signore, e l'atteggiamento che conviene a coloro che l'aspettano, è il soggetto di questa parabola.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:42-51; Luca 21:34-36

Matteo 3:2; 13:24,31,38,44-45,47; 20:1; 22:2; Daniele 2:44

Salmo 45:14; Cantici 1:3; 5:8,16; 6:1,8-9; 1Corinzi 11:2; Apocalisse 14:4

Matteo 5:16; Luca 12:35-36; Filippesi 2:15-16

2Timoteo 4:8; Tito 2:13; 2Pietro 1:13-15; 3:12-13

Matteo 9:15; 22:2; Salmo 45:9-11; Isaia 54:5; 62:4-5; Marco 2:19-20; Luca 5:34-35

Giovanni 3:29; 2Corinzi 11:2; Efesini 5:25-33; Apocalisse 19:7; 21:2,9

Mt 25:2

2. Or cinque d'esse erano stolte e cinque avvedute;

Gristostomo applica questa parabola soltanto a quelli che han fatto voto di verginità o di celibato mentre Agostino Serm. 93:2 e Girolamo Com. in Matteo condannano assolutamente questa applicazione, ed hanno ragione, poiché Gesù parla qui di vergini, unicamente perché, secondo la costumanza ebraica, la processione di cui si tratta era composta di queste; ma se invece fosse stata composta di vecchi o di matrone, essa avrebbe ugualmente potuto servire ad illustrare la verità che il Signore vuol insegnare in questa parabola; cioè la necessità della vigilanza. Il Signore divide le dieci vergini in due gruppi uguali: sarebbe temerario inferirne che i falsi credenti sieno o debbano essere, alla venuta di Cristo, pari in numero ai veri; ma ciò basta per insegnarci che una gran parte di quelli che ora professano di amare Gesù, saranno da lui rinnegati alla sua venuta. Le vergini si distinguono realmente fra loro dalle disposizioni morali: alcune eran "avvedute", altre "stolte". Gesù stabilì la medesima distinzione nella Parabola degli "edificatori" Matteo 7:21-29. Mentre tutta la comitiva si unisce alla processione, cioè professa di essere seguace di Cristo e di essere animata dal medesimo amore e zelo, Colui che investiga i cuori già si avvede che alcuni son savi a saluto, mentre altri son talmente stolti, da far getto delle anime loro.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:24-27; 13:19-23,38-43,47-48; 22:10-11; Geremia 24:2; 1Corinzi 10:1-5

1Giovanni 2:19; Giuda 5

Mt 25:3

3. Le stolte, nel prendere le loro lampade, non avean preso seco dell'olio;

il versetto principia con un poiché o un infatti che indica il motivo per cui Gesù dà il nome di "stolte" ad un gruppo di queste vergini.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:25-26; Isaia 48:1-2; 58:2; Ezechiele 33:3; 2Timoteo 3:5; Ebrei 12:15

Apocalisse 3:1,15-16

Mt 25:4

4. mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avean preso dell'olio ne' vasi.

l'avvedutezza consiste nel provvedersi d'una sufficiente quantità d'olio, per poter, di quando in quando, avvivare le lampane. Le lampane accese indicano la professione esterna del Vangelo, la quale spesso viene fatta pomposamente per un po' di tempo dagli ipocriti, spinti da qualche eccitamento religioso, alla maniera delle vergini stolte, le quali vanno incontro alla processione nuziale colle loro lampade, senza pensare alla necessità d'esser provviste d'olio. L'olio indica "l'unzione dello Spirito Santo" 1Giovanni 11:27, ossia la sua grazia e la sua influenza, le quali si esercitano di continuo sui cuori rinnovati. Gesù paragona questa dimora dello Spirito Santo nel cuore del cristiano, ad "una fonte d'acqua saliente in vita eterna" Giovanni 4:14, ed è il possesso di quella provvista di grazia

perenne per ogni momento di bisogno che costituisce la rassomiglianza dei veri credenti colle vergini avvedute.

PASSI PARALLELI

Salmo 45:7; Zaccaria 4:2-3; Giovanni 1:15-16; 3:34; Romani 8:9; 2Corinzi 1:22; Galati 5:22-23

1Giovanni 2:20,27; Giuda 19

Mt 25:5

5. Ora, tardando lo sposo,

È questo un nuovo indizio, dato da Gesù, che la sua seconda venuta potrebbe succedere più tardi assai di quel che non lo supponessero i suoi discepoli. Un altro indizio più evidente ancora si trova nella parabola seguente Matteo 25:19; e Pietro, parlando della ascensione di Cristo al cielo, dice: "Che il cielo lo dove tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose" Atti 3:21. Le più opposte opinioni hanno corso relativamente alla gloriosa apparizione del nostro Salvatore. Alcuni la lasciano affatto nell'oblio; altri, della aspettazione della sua venuta imminente, fanno lo scibbolet della loro setta. Ma il fatto che i Tessalonicesi, venti secoli fa, aspettavano digià l'immediata venuta di Cristo 2Tessalonicesi 2:1-5, c'insegna che il tempo, che ci sembra lungo, è breve per la mente infinita di Geova; che il voler precisare "i tempi e le stagioni" è una vera presunzione da parte nostra, e che il nostro dovere è di evitare le vane speculazioni profetiche, per vivere costantemente nell'umiltà e nella vigilanza. La preparazione richiesta da Cristo consiste nelle disposizioni interne, e non già nell'aspettazione impaziente della sua apparizione.

tutte divennero sonnacchiose, e si addormentarono.

a cagione della voglia prolungata e della stanchezza. Ma quale è il significato spirituale di questo "sonnecchiare "e di questo "dormire?".

Siccome i verbi indicano una progressione, poiché il primo significa dondolare il capo, e il secondo sdraiarsi per dormire cedendo all'influenza del sonno, è possibile che Gesù alluda qui, come suppongono parecchi espositori, ad una decadenza spirituale nella Chiesa, la quale accadrà immediatamente prima della sua apparizione Vedi Luca 18:8. Però ci sembra soddisfacente l'interpretazione di Calvino, secondo la quale questo sonnecchiare "indica semplicemente le faccende terrene nelle quali i credenti sono impegnati, mentre dimorano nel corpo". Siccome la seconda venuta di Cristo doveva essere differita, malgrado l'aspettazione della Chiesa, era lecito ed anche necessario che i credenti si occupassero delle cure e delle faccende di questa vita, e la distrazione cagionata da queste occupazioni è qui mirabilmente paragonata al sonno. Ma mentre i falsi cristiani lasciano spegnere le loro lampade, cioè trascurano i doveri della loro vocazione, i veri cristiani fanno tutto l'opposto. L'olio sacro della verità divina si trova sempre nel loro cuore, e ciò si vedrà nella loro condotta, in modo che, quando saranno chiamati a comparire davanti al Signore, non avranno che da cacciare dalle loro menti le cure mondane e ritemprare la loro fede ed il loro amore, onde potere in modo convenevole andare incontro al Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:19; 24:48; Habacuc 2:3; Luca 12:45; 20:9; Ebrei 10:36-37; 2Pietro 3:4-9; Apocalisse 2:25

Matteo 26:40,43; Cantici 3:1; 5:2; Giona 1:5-6; Marco 14:37-38; Luca 18:8; Romani 13:11

Efesini 5:14; 1Tessalonicesi 5:6-8; 1Pietro 5:8

Mt 25:6

6. E sulla mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, uscitegli incontro!

Sembra che le vergini abbiano posto una sentinella per annunziar loro l'arrivo del corteo nuziale oppure si sieno fermate in luogo eminente. "Cristo allude qui", dice Stier, "al fatto che a dispetto del predominante stato di sonno dei cristiani, egli graziosamente farà sì che vi siano vigili sentinelle sulle mura di Gerusalemme" Isaia 62:6

PASSI PARALLELI

Matteo 24:44; Marco 13:33-37; Luca 12:20,38-40,46; 1Tessalonicesi 5:1-3; Apocalisse 16:15

Matteo 24:31; Giovanni 5:28-29; 1Tessalonicesi 4:16; 2Pietro 3:10

Matteo 25:31; Salmi 50:3-6; 96:13; 98:9; 2Tessalonicesi 1:7-10; Giuda 1:14-15

Matteo 25:1; Isaia 25:9; Amos 4:12; Malachia 3:1; 2Re 19:7-9

Mt 25:7

7. Allora tutte quelle vergini si destarono ed acconciarono le loro lampade.

Quando questo grido si farà sentire, sia all'ora della morte, sia al giorno della seconda venuta, egli farà certamente sparire la letargia spirituale e le sollecitudini mondane. Simili alle vergini stolte, molti cominciano ad esaminare le basi della loro speranza soltanto negli ultimi giorni della vita; ma spesso è tardi per acquistare la fede. Anche i migliori d'infra i cristiani hanno bisogno di preparare le loro lampade, di esaminare le loro speranze e rinvigorire la loro fede in Cristo. Fin qui dunque la parabola non indica nessuna differenza visibile fra le vergini stolte e le savie, cioè fra i cristiani di nessuna differenza visibile fra le vergini stolte e le savie cioè fra i cristiani di nome e quelli che sono diventati nuove creature in Cristo. All'avvicinarsi della morte, tutti esaminano il fondamento delle loro speranze e lo stato delle loro anime.

PASSI PARALLELI

Luca 12:35; 2Pietro 3:14; Apocalisse 2:4-5; 3:2,19-20

Mt 25:8

8. E le stolte dissero alle avvedute: Dateci del vostro olio; perché le nostre lampade si spengono.

Qui si manifesta la vera differenza, finora rimasta ignota, tra i due gruppi di vergini. Le stolte si accorgono non soltanto della propria pazzia, ma anche della saviezza delle avvedute, e ad essa tributano omaggi: dateci del vostro olio. Come queste parole rappresentano fedelmente ciò che succede ogni giorno! Spesso gli empi, i profani, gli ipocriti si convincono, alla fine della loro carriera, ch'essi hanno trascurato le loro anime durante la vita, e supplicano i credenti che stanno loro vicino, di prestare loro soccorso, dicendo: "Pregate per noi; confortateci, insegnatoci a credere!". Con quale avidità quelli che sono privi di fede si appoggiano spesso, nella crisi finale, sopra quelli che hanno ottenuto la grazia!

PASSI PARALLELI

Matteo 3:9; Luca 16:24; Atti 8:24; Apocalisse 3:9

Matteo 13:20-21; Giobbe 8:13-14; 18:5; 21:17; Proverbi 4:18-19; 13:9; 20:20; Luca 8:18

Luca 12:35

Ebrei 4:1

Mt 25:9

9. Ma le avvedute risposero: No, che talora non basti per noi e per voi;

Non v'è né scortesia né egoismo in questa risposta. Non avendo che più del bisogno, il darne una parte qualunque avrebbe posto le avvedute nella medesima difficoltà, senza recare alcun vantaggio effettivo alle loro compagne. L'uomo che possiede l'olio della grazia divina nel suo cuore, non è una sorgente di grazia; egli è solo un vasetto che Cristo, la vera sorgente della grazia, ha riempito. È un peccatore salvato, ma non può essere il salvatore altrui: egli abbisogna di quanto possiede per se medesimo, e non ha niente di superfluo da poter dar via. Il Signore esclude qui le opere di supererogazione cioè meritorie e formanti il tesoro delle indulgenze e le preghiere a pro dei morti! Un uomo deve vivere per mezzo della sua propria fede, che lo unisce a Cristo; e quand'anche tutti i santi che sono in cielo ed in terra, piangessero intorno al suo letto di morte, essi non lo potrebbero salvare, se egli non è per fede unito a Cristo.

andate piuttosto dai venditori e compratevene.

Queste, non sono, come credono alcuni, parole di ironia o di rimprovero, ma bensì un consiglio d'amore. Le vergini avvedute, non avendo che da prestare, non potevano che consigliare alle stolte di recarsi in fretta dai mercanti se per fortuna avessero ancora fatto in tempo! E che possono fare i ministri e gli amici pii di un peccatore morente, se non additargli Cristo, sorgente di vita e di grazia, venditore divino, che dice ai poveri ed agli infelici: "O voi tutti che siete assetati, venite all'acque; e voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate!" Isaia 55:1. Vedi un simile invito in Apocalisse 3:18. Mettere un'ostia consacrata sulla lingua di un moribondo, ungerlo d'olio, stendere una stola sopra i suoi piedi, invece di esortarlo, ad afferrare Cristo per mezzo della fede, altro non è che un mandarlo alla tomba, con "una cosa falsa nella sua destra" Isaia 44:20

PASSI PARALLELI

Salmo 49:7-9; Geremia 15:1; Ezechiele 14:14-16,20

Isaia 55:1-3,6-7; Atti 8:22; Apocalisse 3:17-18

Mt 25:10

10. Ma mentre quelle andavano a comprarne,

A questo punto le vergini stolte si ritirano dalla comitiva nuziale. Non possono più farne parte, essendo spente le loro lampade; ma corrono disperate a cercar che, sperando di trovarne a tempo per riprendere il loro posto. Oimè, è troppo tardi! Nello stesso modo, in faccia alla morte ed al giudizio, gl'ipocriti lasciano spesso cader la maschera; la coscienza li costringe a confessare che sono sprovvisti dell'olio della grazia; le terribili realtà che si presentano alla loro vista li obbligano a domandare a chi li circonda: Come farò per presentarmi dinanzi al mio giudice? Ma per uno che si pente a salute in punto di morte, migliaia si pentono senza, frutto, perché hanno cominciato a cercare il Signore troppo tardi!

arrivò lo sposo; e quelle ch'erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze;

ossia presero parte alla festa nuziale. Siccome le vergini avvedute non dovettero la loro salvezza all'attività febbrile con cui acconciarono le loro lampade quando s'avvicinava il corteo, bensì alla prudenza e all'avvedutezza con cui si erano provviste d'olio fino dal giorno precedente, così la salvezza dell'anima non dipende da un pentimento angoscioso al momento della morte, ma dalla dimora continua dello, Spirito di santità nel nostro cuore durante la vita. Simile alla provvista d'olio che dà nuovo alimento alla lampada, egli fa risplendere ognora più brillante la fede del credente, a misura che si avvicina la fine.

e l'uscio fu chiuso.

"Chiuso" tanto per assicurare la salvezza e la felicità di quelli che entrarono, come per escludere quelli che rimasero fuori. Rallegrati, o credente! una volta entrato col Signor tuo nella città celeste, la porta sarà serrata; "tu non uscirai mai più fuori", e "niente d'immondo, o che commetta abbominazione, o falsità, entrerà in lei". Quelli che ora si affidano alla

efficacia delle pene del Purgatorio, della intercessione dei santi o delle messe della Chiesa romana per giungere dopo chi sa quanto tempo! nel cielo, notino le solenni parole: "l'uscio fu chiuso". Esse proclamano l'assoluta vanità di ogni siffatta speranza, e l'inganno di quelli che le incoraggiano. Chi non entra collo sposo sarà escluso per sempre. Come è grafica e terribile questa descrizione dell'uomo che, dopo essere stato quasi salvato, è nondimeno perduto!

PASSI PARALLELI

Matteo 25:6; Apocalisse 1:7; 22:12,20

Matteo 25:20-23; Amos 8:12-13; Luca 12:36-37; Colossesi 1:12; 2Timoteo 4:8; 1Pietro 1:13

Genesi 7:16; Numeri 14:28-34; Salmo 95:11; Luca 13:25; Ebrei 3:18-19; Apocalisse 22:11

Mt 25:11

11. All'ultimo vennero anche le altre vergini dicendo: Signore, Signore, aprici!

Nel cap. Matteo 7:22 la ripetizione della parola Signore è dovuta a stupore ed a sorpresa; qui è il grido straziante della disperazione. Ora finalmente sono aperti gli occhi loro, e vedono chiaramente tutto le conseguenze fatali della loro pazzia.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:21-23; Ebrei 12:16-17

Mt 25:12

12. Ma egli, rispondendo, disse: io vi dico in verità: Non vi conosco.

Ciò non vuol dire che il Signore non conosca le loro persone o il loro carattere, bensì ch'egli non vuole riconoscerle come sue seguaci. Alcuni espositori hanno creduto di trovare una differenza tra le parole qui usate: "Non vi conosco", e quelle: "Non vi ho mai conosciuti" del cap. Matteo 7:23; quasi che le prime sieno più miti e implichino per le vergini stolte della parabola un trattamento meno severo. Cotesto modo di interpretazione deve essere rigettato; non solo perché è contrario al tenore di questo passo e delle precedenti parabole, ma ancora perché tende a togliere importanza ad alcuni dei più solenni avvertimenti relativi al castigo dei malvagi.

PASSI PARALLELI

Salmo 1:6; 5:5; Habacuc 1:13; Luca 13:26-30; Giovanni 9:31; 10:27; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9

2Timoteo 2:19

Mt 25:13

13. Vegliate dunque; perché non sapete né il giorno, né l'ora.

Queste parole contengono l'insegnamento pratico della parabola, cioè la necessità della quale consiste non solo nell'avere accesa la lampada della esterna professione, ma eziandio nel possedere nel cuore quelle grazie dello Spirito che Giovanni chiama "l'unzione dal Santo" 1Giov 2:20. Quelli, nel cuore dei quali lo Spirito di Cristo dimora, non possono mai esser assolutamente sorpresi dalla venuta del Signore, avvenga essa all'ora della morte o all'ultimo giorno.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:42-44; Marco 13:33-37; Luca 21:36; Atti 20:31; 1Corinzi 16:13; 1Tessalonicesi 5:6

2Timoteo 4:5; 1Pietro 4:7; 5:8; Apocalisse 16:15

RIFLESSIONI

1. L'aspettazione della seconda apparizione di Cristo è un fatto talmente caratteristico del cristiano, secondo il Nuovo Testamento, che tanto i veri suoi discepoli come quelli che lo sono in apparenza, vengono qui descritti come "usciti incontro ad esso". Così è dovunque Luca 19:13; 1Corinzi 11:26; 1Tessalonicesi 1:9-10; 2Timoteo 4:8; Ebrei 9:28. Amare l'apparizione di Cristo, comprende ogni altra speranza biblica, ed innalza l'anima alla sua vera dignità.

2. Si osservi che la follia delle vergini pazze non consiste nel non aspettare la venuta dello sposo, ma nel trascurare di provvedersi delle cose necessarie in caso d'indugio; mentre la saviezza delle avvedute si manifesta nell'essersi esse munite di tutto l'occorrente. Si aspetti il Ritorno di Cristo prima o dopo il millennio; l'essenziale sta nel far tesoro, dentro al cuore, di quella grazia che è la vera preparazione alla venuta di Cristo.

3. Questa parabola non fu profferita allo scopo di produrre un pentimento disperato all'ora della morte, ma per renderci savi a salute sin dal principio dei giorni nostri.

Mt 25:14

Matteo 25:14-30. PARABOLA DEI TALENTI

Matteo solo riferisce questa parabola; Marco però vi fa allusione Marco 13:34. La parabola precedente inculcava la necessità di vegliare e di esser preparati, durante tutto il tempo dell'assenza del Signore, per non esser sorpresi dal suo ritorno improvviso; questa c'insegna che dobbiamo essere

attivi e fedeli nel suo servizio, durante il medesimo periodo, come servitori che hanno a cuore gl'interessi del padrone assente. La conclusione di quest'ultima parabola del Signore cioè i conti fatti coi servitori per il lavoro che hanno compiuto, ed i premi e le condanne che sono la conseguenza, preludia naturalmente alla descrizione del finale giudizio, che viene subito dopo. Esiste molta rassomiglianza fra questa parabola e quella delle "mine" Luca 19:11-27; ma oltre alla diversità del tempo e del luogo della sua narrazione, ve n'ha un'altra nella struttura e nello scopo, e per ciò si devono tener distinte.

14. Poiché avverrà come di un uomo, il quale, partendo per un viaggio andando all'estero chiamò i suoi servitori,

Letter. schiavi, comprati con denari, di assoluta proprietà del loro padrone, e mantenuti da lui. Il loro lavoro, i loro guadagni e persino le, loro famiglie appartenevano a lui per legge, come beni mobili. I cristiani di nome dimenticano facilmente che non appartengono a se stessi, ma "sono stati comperati a prezzo", e che perciò essi devono "glorificare Dio nel loro corpo" 1Corinzi 6:20. È importante ricordarsi sempre la vera condizione di quei servitori, perché l'opera da essi prestata nella famiglia del loro padrone, come schiavi da lui comperati, non potrà mai rappresentare quelle opere meritorie, per cui uomini traviati credono procacciarsi da se l'entrata nel cielo.

e affidò loro i suole beni.

Il traffico è fatto intieramente coi beni del padrone, e non già con quelli degli schiavi, il che conferma la dottrina che abbiamo ora esposta. Essendo essi proprietà sua, il padrone non li voleva lasciar oziosi durante la sua assenza. In pari modo, avendo Cristo comprato i suoi col Proprio sangue, e dato loro, per mezzo della dimora in essi del suo Santo Spirito, tutti quei soccorsi della grazia di cui hanno bisogno, egli non permette che vivano infingardi e pigri durante la sua lunga assenza, ma li fa lavorare per conto suo, in modo adatto alla capacità di ciascuno.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:33; Marco 13:34; Luca 19:12-13; 20:9

Luca 16:1-12; Romani 12:6-8; 1Corinzi 3:5; 4:1-2; 12:4,7-29; Efesini 4:11

1Pietro 4:9-11

Mt 25:15

15. Ed all'uno diede cinque talenti, a un altro due, e a un altro uno;

Gli Ebrei aveano due specie di talenti: uno d'oro, l'altro d'argento. Il valore del primo era di Lire ital. 136:875; quello dell'altro, di Lire ital. 8:554. Senza dubbio si tratta qui del secondo Vedi Note Matteo 18:24Matteo 18:24. Non era cosa rara fra i Romani che i proprietari di, schiavi, affittandoli ad altri, ricuperassero talvolta annualmente la metà della somma sborsata nell'acquisto. Molti fra quegli chiavi erano artefici, e si permetteva loro di lavorare per proprio conto, col patto di pagare al padrone, ogni anno, una somma determinata; oppure, il padrone affidava loro dei denari, affinché trafficassero per conto suo come nella parabola, o affinché estendessero i propri loro affari, dando al padrone una parte del profitto. Dal punto di vista spirituale, quei talenti rappresentano, in genere, qualsivoglia cosa di cui si possa fare un buon uso: condizione sociale, ricchezza, influenza, qualità morali, doti intellettuali, grazie spirituali; come pure nella Chiesa di Cristo, le cariche di ministri, anziani, diaconi, insegnanti; od anche la posizione di genitori, di capi famiglia, ecc. Ecco altrettanti talenti di cui i servitori di Cristo devono far uso a sua gloria e per l'avanzamento, del suo regno.

a ciascuno secondo la sua capacità;

il padrone diede ad ognuno una somma proporzionata alla capacità che gli riconosceva. Non volle schiacciare sotto una troppo grave responsabilità quelli le cui capacità erano limitate, né volle dare ad alcuni una somma troppo insignificante, per timore che, rimanendo inoperose le facoltà loro, si

abbandonassero all'ozio. Or ciò rappresenta perfettamente il modo tenuto da Cristo coi suoi. Iddio, qual reggitore dell'universo, diede a ciascuno una costituzione fisica e delle capacità intellettuali, secondo il suo beneplacito; ad a quella diversità di doni, Cristo, qual Capo della Chiesa, ha riguardo, allorché assegna ad ognuno dei suoi la sfera entro la quale deve muoversi, o l'opera che deve compiere nel mondo per lui. Ad uomini di ferrea costituzione e d'intelletto gigante quali Paolo e Lutero, Cristo assegna "i primi posti nella battaglia"; mentre egli pone le persone malaticce o di poca capacità intellettuale, in una sfera più umile, nella quale però i suoi doni possono, con pari fedeltà, essere adoperati. Egli non aggrava nessuno con soverchia responsabilità in modo che la scusa del servo infedele è vana.

e partì.

Alcuni pretendono che vi sia una differenza fra gli atti del padrone di questa parabola, il quale distribuisce i suoi doni ai suoi servitori avanti la sua partenza, e Cristo, che li scompartisce dopo la sua ascensione, alla Pentecoste; ma queste difficoltà non esiste, perché, per quanto concerne i dodici apostoli, la loro chiamata all'apostolico uffizio e la loro istruzione nelle cose del regno, sia prima che, dopo la risurrezione, pienamente corrispondono alla distribuzione dei talenti. Persino il dono dello Spirito Santo, impartito nel dì della Pentecoste, era già stato dato prima della partenza di Cristo, in virtù della promessa Giovanni 16:7

PASSI PARALLELI

Matteo 18:24; Luca 12:48; 19:13-14

Mt 25:16

16. Subito, colui che aveva ricevuti i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. 17. Parimenti quello dei due ne guadagnò altri due.

Quei due servitori bastano a rappresentare il vero popolo di Cristo in tutte le età: uno non sarebbe stato sufficiente Con questa parabola infatti il Signore ci vuole insegnare che, a dispetto di una gran diversità nei talenti affidati ad ogni servitore, da tutti però si richiede la medesima diligenza e lealtà, e tutti saranno ugualmente premiati, cioè: chi avrà fedelmente impiegato cinque talenti, nella proporzione di cinque, e chi ne avrà fedelmente adoperati due, nella proporzione di due. Quei due versetti sono un compendio della storia di tutti i veri cristiani sulla terra. Il miglior commento di essi ci è dato dall'apostolo Paolo: "L'amor di Cristo ci costringe; perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e ch'egli morì per tutti, acciocché quelli che vivono, non vivano più per loro stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro 2Corinzi 5:14-15. E un altro bellissimo commentario su queste parole si trova in Atti 20:24: "Ma io non fo alcun conto della vita, quasi mi fosse cara, pur di compiere il mio corso, ed il ministerio che ho ricevuto dal Signor Gesù, che è di testimoniare dell'Evangelo della grazia di Dio" Conf. anche Atti 21:13, con 2Timoteo 4:6-8

PASSI PARALLELI

2Samuele 7:1-3; 1Cronache 13:1-3; 22:1-26:32; 28:2-21; 29:1-17; 2Cronache 1:9-10

2Cronache 15:8-15; 17:3-9; 19:4-10; 31:20-21; 33:15-16; 34:1-35:27

Nehemia 5:14-19; Isaia 23:18; 49:23; 60:5-16; Atti 13:36; Romani 15:18-19

1Corinzi 9:16-23; 15:10; 1Timoteo 6:17-18; 2Timoteo 2:6; 4:5-8; Filemone 6-7

3Giovanni 5-8

Genesi 18:19; 2Samuele 19:32; 1Re 18:3-4; 2Re 4:8-10; Giobbe 29:11-17; 31:16-22

Proverbi 3:9-10; Ecclesiaste 11:1-6; Marco 14:3-8; Atti 9:36-39; 10:2; 11:29-30

2Corinzi 8:12; 9:11-14; Galati 6:9-10; Efesini 5:16; Colossesi 4:17; 1Timoteo 5:10

2Timoteo 1:16-18; Ebrei 6:10-11; 1Pietro 4:10

Mt 25:18

18. Ma colui che ne avea ricevuto uno andò, e, fatta una buca in terra, vi nascose il danaro del suo padrone.

coll'intento di metterlo al sicuro sino al ritorno di lui: pratica questa assai comune in Oriente Vedi Note Matteo 6:19Matteo 6:19; Matteo 13:44Matteo 13:44. Non si deve da ciò concludere che coloro a cui sono stati affidati parecchi talenti sieno sempre fedeli, e che coloro la cui capacità o sfera di azione è limitata, sien sempre infingardi e disonesti. L'esperienza dimostra che spesso accade il contrario. Ma, rappresentando come sleale il servo che non aveva ricevuto che un talento, Gesù volle inculcare questa importante lezione: "Ancorché abbiate ricevuto un talento solo, voi sarete condannati per infedeltà, se non lo adoperate". Nella Chiesa di Cristo, quelli che hanno un solo talento sono molto più numerosi di coloro che ne hanno parecchi; eppure, quante volte li sentiamo mettere avanti l'oscurità della loro posizione sociale o la trascurata educazione, o la limitata capacità intellettuale, come scuse per non far nulla a pro del loro Maestro. In questi tre brevi versetti è compendiata tutta la storia della Chiesa, dalla partenza di Cristo al suo ritorno. Vi sono in essa dei fedeli servitori, i quali lavorano nel solo interesse del loro Signore, "acciocché i regni di questo mondo possano diventare i regni dell'Iddio nostro e del suo Cristo"; e vi sono altresì degli ipocriti infingardi, i quali seppelliscono i talenti, invece di farne uso per la gloria di Dio.

PASSI PARALLELI

Proverbi 18:9; 26:13-16; Aggeo 1:2-4; Nehemia 1:10; Luca 19:20; Ebrei 6:12; 2Pietro 1:8

Mt 25:19

19. Or dopo molto tempo, ecco il padrone di que' servitori a fare i conti con loro.

Ecco un altro indizio che il ritorno del Signore potrebbe farsi lungamente aspettare; i suoi servitori dunque non si smarriscano d'animo se vedono deluse certe vane speranze! Dopo una tale dichiarazione, è difficile immaginare come qualcuno possa credere ancora che Gesù abbia dato ai suoi apostoli fondate ragioni di aspettare la sua seconda venuta durante la loro vita 2Tessalonicesi 2:2-3

PASSI PARALLELI

Matteo 25:5; 24:48

Matteo 18:23-24; Luca 16:1-2,19-31; Romani 14:7-12; 1Corinzi 3:12-15; 2Corinzi 5:10

Giacomo 3:1

Mt 25:20

20. E colui che avea ricevuti i cinque talenti venne, e presentò altri cinque talenti, dicendo: Signore, tu m'affidasti cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21. E il suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa; ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore. 22. Poi, presentatosi anche quello dei due talenti, disse: Signore, tu m'affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.

I due fedeli servitori si presentano con franchezza e lieta fiducia al loro signore. Bellissima illustrazione è questa di ciò che dice il "diletto discepolo": "in questo l'amore è reso perfetto in noi affinché abbiamo confidanza nel giorno del giudizio"; ed altrove: "Figliuoletti, dimorate in lui, acciocché, quando egli apparirà abbiamo confidanza, e alla sua venuta non abbiam da ritrarci da lui, coperti di vergogna" Giovanni 4:17; 2:28. Mentre dicono arditamente: "Ho guadagnato", i fedeli servitori han cura di premettere pure: "Tu mi desti", riconoscendo così che era il dono del loro signore che aveano moltiplicato, e non una sostanza propria, e che, per conseguenza, a lui andavano debitori di tutto il loro profitto.

PASSI PARALLELI

Luca 19:16-17; Atti 20:24; 1Corinzi 15:10; Colossesi 1:29; 2Timoteo 4:1-8; Giacomo 2:18

2Cronache 31:20-21; Luca 16:10; Romani 2:29; 1Corinzi 4:5; 2Corinzi 5:9; 10:18; 1Pietro 1:7

Matteo 25:34-40,46; 10:40-42; 24:47; Luca 12:44; 22:28-30; Apocalisse 2:10,26-28; 3:21

Apocalisse 21:7

Matteo 25:23; Salmo 16:10-11; Giovanni 12:26; 14:3; 17:24; Filippesi 1:23; 2Timoteo 2:12

Ebrei 12:2; 1Pietro 1:8; Apocalisse 7:17

Luca 19:18-19; Romani 12:6-8; 2Corinzi 8:1-3,7-8,12

Mt 25:23

23. E il suo padrone gli disse: Va bene, buono e fedel servitore; sei stato fedele in poca cosa; ti costituirò sopra molte cose;

Entrambi ricevono la stessa lode Matteo 25:21. Il loro signore insiste in modo speciale sulla fedeltà loro; ma siccome colui che guadagnò due talenti ha lavorato quanto l'altro che ne guadagnò cinque, ambedue ricevono premi proporzionatamente uguali. Si noti la doppia antitesi: "Tu sei stato leale servitore, sii ora governatore; tu sei stato leale in poca cosa, sii ora costituito sopra molte cose". Il Signore chiama "poca cosa", persino i doni più grandi, più ricchi e più onorevoli da lui impartiti ai suoi discepoli sulla terra, coll'intento di accrescere vieppiù le nostre aspettative, riguardo alle cose più grandi e più gloriose riservate al suo popolo nella vita avvenire, e di riempire così i cuori nostri di liete speranze.

entra nella gioia del tuo Signore.

gioia, è probabilmente usato qui nello stesso senso che nei 70. In Ester 9:17, per indicare una festa celebrata in onore del ritorno del padrone, e nella quale questi faceva regali ai suoi schiavi fedeli o anche dava loro la libertà. Coll'impartire tali benefizi, il padrone li rendeva veramente partecipi della sua gioia. Grisostomo ed altri ritengono che in queste parole il Signore lascia la parabola e parla della realtà, cioè della sua propria gioia. In ogni caso, è questa che il Signore ha in mira. Ma che cosa è quella "gioia" del Signore? Senza dubbio intende qui la beatitudine celeste, che esclude ogni afflizione, peccato e morte, ed include invece una comunione perpetua con Dio e coll'Agnello, nonché l'onore di sedere con Cristo sopra il suo trono. Ma la "gioia" del Redentore non ha altri significati? V'era "una gioia posta dinanzi a Gesù", per la quale "egli sopportò la croce, sprezzando il vituperio" Ebrei 12:2; Isaia 53:11, la fa consistere nella contemplazione dei successi della sua opera di Mediatore: "Egli vedrà il frutto del tormento dell'anima sua, e ne sarà saziato"; e Paolo la descrive come un onore, una gloria, risultanti da ciò che ha sofferto come Mediatore Filippesi 2:9-11. Ora, siccome il Signore ha affidato ai suoi servi i talenti che ognuno possiede, per la diffusione del Vangelo sulla terra, affinché sia compiuta quella sua gioia, sembra probabile che in cielo egli li faccia poi partecipi della sua ricompensa. Così dobbiamo intendere "la gioia del tuo Signore".

PASSI PARALLELI

Matteo 25:21; Marco 12:41-44; 14:8-9

Mt 25:24

24. Poi, accostatosi anche quello che avea ricevuto un talento solo, disse:

Costui nascose nella terra il denaro affidatogli, suo unico scopo essendo di custodirlo sicuramente per poterlo restituire al padrone e scusarsi col dire che, per lo meno, non gli aveva cagionato alcun danno. Costui, è il tipo di molti cristiani di nome, i quali, non avendo fatto alcun bene alla Chiesa di Cristo o alla sofferente umanità, se ne scusano col dire che almeno non hanno fatto male a nessuno.

Signore, io sapevo che tu sei uomo duro, che mieti ove non hai seminato, e raccogli ove non hai sparso;

Cotesto inutile servitore parla con baldanza uguale a quella dei servi leali; la sua coscienza non è tranquilla; ei sente di doversi giustificare. Da ciò impariamo che all'ultimo solenne rendiconto davanti al Giudice supremo, i segreti di tutti i cuori saranno conosciuti. Secondo che gli uomini si presenteranno a quel tribunale con gioia, o con timore; colla franchezza che è frutto d'una coscienza pura, o con magre scuse dettate dalla disperazione, essi stessi daranno a conoscere quali furono, durante la vita, i loro veri sentimenti ed i motivi della loro condotta. Questo servitore tenta di giustificarsi col gettare biasimo sopra il suo padrone. Egli pretende sia cosa dura ed ingiusta che il guadagno dei servi appartenga al loro padrone, quantunque il denaro affidato e le stesse loro persone siano sua proprietà. "Signore, io sapevo che tu sei uomo duro". Queste parole ci fanno conoscere la vera fonte della continua disubbidienza del cuore umano a Dio, e il rimedio necessario a tanto male. Gli uomini non portano i frutti che Dio domanda, perché si fanno un falso concetto del sito carattere, e lo credono ingiusto, aspro ed esigente. Allora la sfiducia ed il timore prendono nel cuore il posto dell'affetto che è la fonte di ogni santa ubbidienza, e di ogni zelante abnegazione! Poche parole bastano per dimostrare con evidenza che l'ubbidienza operosa scaturisce dalla fede in Cristo, poiché, ove manca la

fede nel Mediatore, ove la coscienza è colpevole, Iddio è temuto come nemico: un timore siffatto non produce mai ubbidienza!

PASSI PARALLELI

Matteo 7:21; Luca 6:46

Matteo 20:12; Giobbe 21:14-15; Isaia 58:3; Geremia 2:31; 44:16-18; Ezechiele 18:25-29

Nehemia 1:12-13; 3:14-15; Luca 15:29; 19:20-22; Romani 8:7; 9:20

Mt 25:25

25. ebbi paura,

La parabola dipinge con logica esattezza il rapporto legale che esiste fra Dio giusto e gli uomini peccatori, tuttora estranei a quella pace che deriva dal Vangelo. Quando pensano a quel giudice che rintraccia i loro pensieri, le loro parole e i loro atti, per rendere, nel gran giorno, ad ognuno secondo le sue opere, gli uomini non possono se non temerlo, e questo timore genera infingardaggine e pigrizia,

e andai a nascondere il tuo talento sotterra;

perché temeva di peggiorare la sua posizione se avesse dovuto occuparsi di quel talento. Con queste parole del servitore, il Signore dipinge la condotta di coloro i quali si rifiutano di far uso delle proprie doti per il servizio attivo di Cristo, quand'anche non le prostituiscano ad usi malvagi. Ben dice l'arcivescovo Trench: "Ciò si applica non soltanto a quei cotali che nella Chiesa primitiva rifiutarono uffizi di somma utilità e se n'andarono a vivere da eremiti nei deserti e nelle grotte, sotto pretesto che aveano assai da fare per salvare le proprie anime, e che la responsabilità di qualsiasi opera spirituale ora troppo pesante per loro; ma altresì all'intiero formicaio di monaci e monache, i quali se ne vissero con ignominia nell'ozio claustrale,

mentre avrebbero dovuto far uso utile ed onorevole dei loro talenti nel servizio attivo di Dio e del prossimo".

eccoti il tuo.

Nel restituire il talento intatto, egli, con alterigia, nega al suo padrone ogni altro diritto; ma ingiustamente, poiché aveva da rendere conto del suo tempo e del proprio suo lavoro, che appartenevano al suo signore. Se occultiamo i doni che Iddio ci ha impartiti, essi non gli si possono più restituire intieri, perché il nasconderli è un altro modo di sperperarli. Credere di poter restituire intatti a Dio i talenti da lui ricevuti, ma non utilizzati, è una illusione, proveniente dal supporre che Dio richieda da noi soltanto l'osservanza dei suoi precetti negativi, mentre ogni trascuratezza dei suoi precetti positivi costituisce un disperdimento dei suoi doni.

PASSI PARALLELI

2Samuele 6:9-10; Proverbi 26:13; Isaia 57:11; Romani 8:15; 2Timoteo 1:67; Apocalisse 21:8

Mt 25:26

26. E il suo padrone, rispondendo, gli disse: Servo malvagio ed infingardo,

Si esservi il contrasto fra questi epiteti e quelli dei vers. Matteo 25:21,23 applicati ai servi leali. Essi lo accusano di falsità perché ha calunniato il suo padrone, e di disonestà perché ha neghittosamente trascurato. In ogni occasione i suoi interessi. Però, molto importa notare che codesta disubbidienza non è attiva, ma passiva. Il servitore non si diede perdutamente al vizio, come fece il figliuol prodigo, né falsificò i suoi conti, come operò l'economo infedele; egli rimase semplicemente ozioso ed infruttifero. Se si condannasse solo chi fa il male, una moltitudine e gente infedele sfuggirebbe alla condanna, o almeno si crederebbe al coperto da

ogni accusa; ma il Signore vuole insegnarci che il non fare il bene, conduce a rovina tanto quanto il fare il male.

tu sapevi ch'io mieto dove non ho seminato, e raccolgo dove non ho sparso;

il padrone ammette ciò che il servo dice del suo carattere, non già perché sia vero, ma per dimostrargli qual condotta avrebbe dovuto tenere sotto l'impulso di tali sentimenti. Noi non possiamo scorgere, come taluni han fatto, una ironia in quelle parole; ci sembrano anzi improntate a molta serietà.

PASSI PARALLELI

Matteo 18:32; Giobbe 15:5-6

Mt 25:27

27. dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; e, al mio ritorno, avrei ritirato il mio con interesse.

Il timore che il servo aveva del suo padrone ben poteva paralizzare i suoi sforzi al segno d'impedirgli di far fruttare quanto gli altri il denaro affidatogli; ma non era ragione per rimanere affatto ozioso. Il padrone gli ricorda che v'erano altri mezzi ugualmente proficui ed immuni da ogni rischio, per fare utile impiego della proprietà sua; e che avrebbe dovuto adoperarli. Vi erano fra gl Ebrei dei cambiavalute, dei banchieri, alcuni dei quali aveano posti i loro "banchi" o tavole persino nel cortile esteriore del tempio Matteo 21:12; Giovanni 2:14; però, siccome i Romani aveano in quei tempi introdotto in Palestina molte delle loro usanze, può darsi che il Signore alluda qui a banchieri romani, i quali ricevevano in deposito od imprestavano danari. In Roma si pagava ordinariamente l'interesse del 12 per cento; e un talento di argento messo a frutto a quella maniera avrebbe dato, prima che fosse tornato il padrone, ampio frutto, senza rischio alcuno. Questo versetto poi non approva, né condanna l'usura; solo fa allusione ad

una pratica ben nota agli uditori, e che può servire di stringente significato spirituale. "Coloro che hanno piccoli talenti e non si sentono capaci di lavorare da sé soli allo avanzamento del regno di Dio, si associno con altri più forti, per essere guidati da questi, e potere anch'essi applicare i doni che posseggono al servizio di Cristo".

PASSI PARALLELI

Luca 19:22-23; Romani 3:19; Giuda 1:15

Deuteronomio 23:19-20

Mt 25:28

28. Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti; 29. Poiché, a chiunque ha sarà dato, ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.

La esecuzione di questa sentenza comincia in questa vita, e procede colla regolarità di una legge. Ogni facoltà che non sia messa in opera, gradatamente ma certamente si perde. Lasciate per un tempo inoperoso un membro del corpo, o una dote della mente, e ne vedrete scemato il vigore e prossimo l'ammortimento. È una legge della vita naturale che un talento tanto più s'indebolisca quanto meno viene adoprato; così pure è una legge del regno di Cristo, che un talento lasciato in disuso si perda un poco per volta, e ci sia finalmente tolto. D'altra parte, siccome le membra non si infiacchiscono, ma s'ingagliardiscono coll'esercizio, così i doni che Dio ci ha largiti vengono moltiplicati dall'uso. Chi fa buon uso di quel che possiede, riceverà più ancora; ma chi non lo impiega bene, verrà spogliato di quello che non usa Vedi Nota Matteo 13:12Matteo 13:12.

PASSI PARALLELI

Luca 10:42; 19:24

Matteo 13:12; Marco 4:25; Luca 8:18; 16:9-12; 19:25-26; Giovanni 15:2

Matteo 21:41; Lamentazioni 2:6; Osea 2:9; Luca 10:42; 12:19-21; 16:13,20-25; Giovanni 11:48

Apocalisse 2:5

Mt 25:30

30. E quel servitore disutile gettatelo nelle tenebre di fuori; ivi sarà il pianto, e lo stridor dei denti.

Si osservi che il comando "toglietegli", precede quello di "gettatelo nelle tenebre di fuori", Un peccatore è abbandonato alle proprie sue vie, prima di essere abbandonato al giudizio. Ciò che ora si va svolgendo, deciderà per ognuno il suo destino futuro Salmo 81:12-13. Vedi Note Matteo 8:12Matteo 8:12; Matteo 13:42Matteo 13:42.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:10; 5:13; Geremia 15:1-2; Ezechiele 15:2-5; Luca 14:34-35; Giovanni 15:6; Tito 3:14

Ebrei 6:7-8; Apocalisse 3:15-16

Matteo 8:12; 13:42,50; 22:13; 24:51; Luca 13:28; 2Pietro 2:17; Giuda 13; Apocalisse 21:8

RIFLESSIONI

1. Vi sono due modi di aspettare l'arrivo d'un amico: starsene appoggiato alla finestra, lasciando in sospeso ogni occupazione; ovvero proseguire il lavoro ordinario, con occhi ed orecchi intenti al primo segnale della sua venuta. Quest'ultimo modo è quello che Gesù raccomanda ai suoi. Essi

debbono vigilare sì, ma non perciò interrompere gli affari della vita, e trascurare l'avanzamento del Vangelo.

2. Tutti quelli che si dicono cristiani professano di essere servitori di Cristo. Capacità, doti intellettuali, influenza, ricchezze sono altrettanti privilegi loro affidati per l'avanzamento della sua causa e della sua gloria in terra. Procacciamo adunque di essere fedeli alla missione affidataci, poiché questa parabola c'insegna che il premio dipende, non già dai nostri successi, ma dalla nostra fedeltà nell'adempiere il nostro compito, sieno di molta o di poca importanza le occasioni che abbiamo avute di farlo.

3. Per essere "gettati fuori "nel gran giorno, non occorre prostituire le facoltà nostre ad una vita di positiva malvagità; basta che il nostro cristianesimo sia meramente negativo, che non facciam nulla per Cristo e che siamo dei servitori disutili! È terribile pensare quanti membri di Chiese evangeliche si trovino in quella condizione! la vita loro è irreprensibile, le credenze loro sono ortodosse, la loro divozione sembra sincera, eppure sono cristiani negativi, e nulla più!

4. L'intoppo che sin dal principio distolse l'infedele servitore dalla via retta fu il concetto ch'egli s'era fatto del suo padrone, come di un uomo duro; per contro, ciò che conforta un servitore fedele a perseverare nel sentiero del dovere, è l'avere sperimentato l'amor del suo signore. Quando conosciamo Dio in Cristo, sappiamo ch'egli è riconciliato con noi, e ciò produce in noi l'amore. Ben dice Gesù di se stesso: "Io son la VIA"; per lui abbiamo introduzione al Padre, e gli siamo accetti; per lui altresì usciamo fuori nel mondo, per adempiervi la volontà di Dio "Senza di me, dice egli, voi non potete ottenere nulla da Dio, e, senza di me, voi non potete fare cosa alcuna per il Signore Iddio".

Mt 25:31

Matteo 25:31-46. L'ULTIMO GIUDIZIO

Il Signore ha fin qui, con parabole, spiegato la necessità di aspettarlo con una vigilanza attiva. Lasciando ora ogni metafora, Egli dà ai discepoli una descrizione sublime dell'ultimo giudizio.

31. Ora, quando il Figliuol dell'uomo sarà venuto nella sua gloria,

Non solo nella sua gloria personale di Mediatore, ma in quella pure del Padre Vedi Nota Matteo 16:27Matteo 16:27.

avendo seco tutti gli angeli,

Gli angeli sono sempre rappresentati come accompagnanti il Signore, quand'egli verrà a giudicare Vedi Matteo 13:49; 21:27; 1Tessalonicesi 4:16; 2Tessalonicesi 1:8; Giuda 14, nella stessa maniera che gli stettero a fianco nell'ascensione Atti 1:10

allora sederà sul trono della sua gloria.

Il trono è così chiamato, perché il giudizio che dall'alto di esso verrà promulgato, sarà, per l'intiero universo, la prova suprema che Colui il quale, "a motivo della morte che ha patita, è stato fatto di poco minore degli angeli", è ora "coronato di gloria e d'onore" Ebrei 2:9. Questa scena passò davanti agli occhi dell'apostolo Giovanni nella visione apocalittica, là dove dice: "Poi vidi un gran trono bianco, e Colui che vi sedeva sopra, alla cui presenza fuggirono terra e cielo; e non fu più trovato posto per loro" Apocalisse 20:11

PASSI PARALLELI

Matteo 25:6; 16:27; 19:28; 26:64; Daniele 7:13-14; Zaccaria 14:5; Marco 8:38; 14:62; Luca 9:26

Luca 22:69; Giovanni 1:51; 5:27-29; Atti 1:11; 1Tessalonicesi 4:16; 2Tessalonicesi 1:7-8; Ebrei 1:8

Giuda 14; Apocalisse 1:7

Salmo 9:7; Apocalisse 3:21; 20:11

Mt 25:32

32. E tutte le genti saranno radunate davanti a lui,

È impossibile indicare più chiara mente l'universalità del giudizio, che abbraccerà l'umanità intiera, dal principio sino alla fine dei tempi. [Ciò non toglie che un giudizio individuale, per così dire provvisorio, segua immediatamente la morte Ebrei 9:27; Luca 16:22-23; né che, al principio del millennio, vi sia una risurrezione corporale dei giusti che regneranno con Cristo durante quel periodo benedetto, ma che saranno presenti, insieme al rimanente dei morti risuscitati, nel gran giorno delle Assisi universali. L'Autore di questo Commento, però, non ammetteva una prima risurrezione corporale, ritenendo che, in Apocalisse 20:4-6, si tratti solo di risurrezione spirituale. E. B.].

ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri;

Nella sua sapienza infinita, il giudice separa l'intiera umanità in due classi, anche prima che cominci il giudizio. Lo scopo di questo giudizio non è già di accertare quali sieno i giusti e quali i malvagi: cosa che non è più dubbia, ma di proclamare all'universo, per il mezzo evidente delle loro opere, l'infallibile giustizia della sentenza divina riguardo a ciascuna persona. L'allusione al pastore, benché passeggera, è intesa a richiamare alla mente quanto Gesù ha detto di se stesso, come pastore del suo popolo Salmo 23; Ezechiele 34; Giovanni 10:1-16; Apocalisse 7:17

PASSI PARALLELI

Salmo 96:13; 98:9; Atti 17:30-31; Romani 2:12,16; 14:10-12; 2Corinzi 5:10

Apocalisse 20:12-15

Matteo 3:12; 13:42-43,49; Salmo 1:5; 50:3-5; Ezechiele 20:38; 34:17-22; Nehemia 3:18

1Corinzi 4:5

Salmo 78:52; Giovanni 10:14,27

Mt 25:33

33. E metterà le pecore alla sua destra, al posto d'onore, e i capri alla sinistra,

al posto del disonore. Non si può mettere in dubbio che, non appena lo spirito, sprigionato dal corpo al momento della morte, comparisce davanti a Dio, viene pronunziato su di lui un giudizio che ha però, nella maggior parte dei casi, carattere condizionale. Il giudizio definitivo verrà per tutti a suo tempo.

PASSI PARALLELI

Salmo 79:13; 95:7; 100:3; Giovanni 10:26-28; 21:15-17

Genesi 48:13-14,17-19; Salmo 45:9; 110:1; Marco 16:19; Atti 2:34-35; Efesini 1:20

Ebrei 1:3

Mt 25:34

34. Allora il Re

Merita attenzione il fatto che qui, per la prima ed ultima volta salvo nelle parabole, Gesù rappresenta se stesso come Re, in atto di giudicare! Vedi Salmo 2:6; 110:1; Romani 14:9; Apocalisse 19:16

dirà a quelli della sua destra: Venite, voi, i benedetti del Padre mio; eredate il regno che vi è stato preparato fino dalla fondazion del mondo;

Adesso Cristo dice ai travagliati: "Venite e troverete riposo in me"; allora egli dirà: "Venite a godere il riposo con me, nell'eredità del regno". Di questa beatitudine Paolo, dice: "Benedetto sia l'Iddio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti d'ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo; siccome in lui ci ha eletti, prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi e irreprensibili nel suo cospetto, nell'amore" Efesini 1:3-4. E di quel regno ove è stata preparata l'eredità dei santi, abbiamo un lieve chiarore in Matteo 8:11; 1Pietro 1:4; ed in Apocalisse 21:27; 22:21

PASSI PARALLELI

Matteo 21:5; 22:11-13; 27:37; Salmo 2:6; 24:7-10; Isaia 9:7; 32:1-2; 33:22

Geremia 23:5-6; Ezechiele 37:24-25; Daniele 9:25; Sofonia 3:15; Zaccaria 9:9-10; Luca 1:31-33

Luca 19:38; Giovanni 1:49; 12:13; 19:15,19-22; Apocalisse 19:16

Matteo 25:21,23,41; 5:3-12; Genesi 12:2-3; Deuteronomio 11:23-28; Salmo 115:13-15; Luca 11:28

Atti 3:26; Galati 3:13-14; Efesini 1:3; 1Tessalonicesi 2:12; 1Pietro 1:3

Luca 12:32; Romani 8:17; 1Corinzi 6:9; Galati 5:21; Efesini 5:5; 2Timoteo 2:12; 4:8; Giacomo 2:5

1Pietro 1:4-5,9; 3:9; Apocalisse 5:10; 21:7

Matteo 20:23; Marco 10:40; Giovanni 14:2-3; 1Corinzi 2:9; Ebrei 11:16

Atti 15:18; Efesini 1:4-6; 1Pietro 1:19-20; Apocalisse 13:8

Mt 25:35

35. Perché ebbi fame, e mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui forestiere, e mi accoglieste; 36. fui ignudo, e mi rivestiste; fui infermo, e mi visitaste; fui in prigione, e veniste a trovarmi.

Si descrive ora il modo con cui avverrà il giudizio. Molti si meraviglieranno forse che Gesù non faccia ivi parola della "fede che giustifica", né come posseduta da quelli che sono alla destra, né come mancante in quelli che sono alla sinistra; ma, quantunque non sia nominata, la fede non viene lasciata nell'oblio. L'antico aforisma: "Giustificati per fede, giudicati per opere", che il celebre teologo scozzese Chalniers si dilettava inculcare ai suoi studenti, esprime bene il rapporto che corre tra la fede e le opere, nel giorno del giudizio; quella in fondo, queste proeminenti. Le buone opere infatti essendo i frutti della fede, sono altresì la prova più certa della sua esistenza nel cuore. Pochi sono gli anelli della catena che unisce la fede alle opere di carità, ravvisando le quali opere il Signore proclamerà all'ultimo giudizio la sua approvazione della fede stessa:

1 Giacomo 2:17 dice che la fede, "se non ha le opere, è per se stessa morta".

2 Paolo dice Galati 5:6 che "la fede è operante per mezzo dell'amore".

3 Lo stesso Paolo dice Romani 13:10 che "l'adempimento della legge è l'amore". Il Salvatore medesimo confermò quella parola, quando, per spiegare in che consista quell'adempimento della legge, disse: "Ama il Signore, Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua e con tutta la mente tua. Questo è il primo ed il gran comandamento. Ed il secondo, simile ad esso, è: Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti" Matteo 22:37-40

4 Giovanni dice che, poiché Cristo non abita più personalmente sopra la terra, il mezzo per dimostrare il nostro amore verso Iddio consiste nell'amare i nostri fratelli: "Se uno dice: io amo Iddio, ed odia il suo fratello, è bugiardo; perché, chi non ama il suo fratello che ha veduto, non può amare Iddio che non ha veduto" 1Giov 4:20

PASSI PARALLELI

Matteo 25:40; 10:40-42; 26:11; Deuteronomio 15:7-11; Giobbe 29:13-16; 31:16-21; Salmo 112:5-10

Proverbi 3:9-10; 11:24-25; 14:21,31; 19:17; 22:9; Ecclesiaste 11:1-2; Isaia 58:7-11

Ezechiele 18:7,16; Daniele 4:27; Michea 6:8; Marco 14:7; Luca 11:41; 14:12-14

Giovanni 13:29; Atti 4:32; 9:36-39; 10:31; 11:29; 2Corinzi 8:1-4,7-9; 9:714

Efesini 4:28; 1Timoteo 6:17-19; Filemone 7; Ebrei 6:10; 13:16; Giacomo 1:27; 1Pietro 4:9-10

1Giovanni 3:16-19

Matteo 25:42; Proverbi 25:21; Romani 12:20

Matteo 25:43; Genesi 18:2-8; 19:1-3; Atti 16:15; Romani 12:13; 16:23; 1Timoteo 5:10

Ebrei 13:1-3; 1Pietro 4:9; 3Giovanni 5-8

Mt 25:37

37. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiam veduto aver fame, e ti abbiam dato da mangiare? o aver sete, e ti

abbiam dato da bere? 38. Quando mai t'abbiam veduto forestiere, e ti abbiam accolto? o ignudo, e ti abbiam rivestito? 39. Quando mai ti abbiam veduto infermo, o in prigione, e siamo venuti a trovarti? 40. E il Re, rispondendo, dirà loro: in verità, vi dico che, in quanto l'avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me.

I giusti non son sorpresi che Cristo dica loro che, nel venire in aiuto ai suoi redenti poveri e perseguitati, sono stati mossi da amore per lui: questo, sono pronti a riconoscerlo umilmente sì, ma pur francamente, ché tale fu il loro scopo, sebbene imperfettamente raggiunto; ma si meravigliano di udire che tutte queste cose le hanno fatte a Cristo personalmente, e ch'egli è colui che essi han trovato aver fame, aver sete, ecc. Essi esclamano: "Signore, nel dar cibo e conforto, nel visitare, eravamo noi sempre teco?". "Sì", risponde il re, "in tutte quelle occasioni di caritatevole operosità, sotto le spoglie dei miei fratelli poveri ero io che ricevevo il beneficio. Altri mi chiusero la porta in faccia, ma "voi mi avete accolto", ecc.

ma l'avete fatto a me.

Ecco il mirabile significato che Gesù promette di dare, come re, agli atti caritatevoli compiuti dai suoi sulla terra. Domanderà forse qualche cristiano: "Potranno essi meravigliarsi di questo? Non saranno forse consci in se stessi che, facendo queste cose, le han fatte appunto personalmente a Cristo?". In risposta diremo: Trasportiamoci col pensiero al momento in cui il giudice supremo, circondato da tutta la sua gloria, c'indirizzerà, in mezzo ad un tanto consesso, quelle parole: "Voi l'avete fatto a me!"; compenetriamoci del loro significato, e chi allora avrà l'ardire di rispondere: "Si certo, a chi lo avremmo noi fatto, se non a te?". Non saremo noi piuttosto oltremodo stupiti di udire il giudice rendere conto in tal modo delle nostre azioni?

PASSI PARALLELI

Matteo 6:3; 1Cronache 29:14; Proverbi 15:33; Isaia 64:6; 1Corinzi 15:10; 1Pietro 5:5-6

Matteo 25:34

Proverbi 25:6-7

Matteo 10:42; 2Samuele 9:1,7; Proverbi 14:31; 19:17; Marco 9:41; Giovanni 19:26-27; 21:15-17

1Corinzi 16:21-22; 2Corinzi 4:5; 5:14-15; 8:7-9; Galati 5:6,13,22; 1Tessalonicesi 4:9-10

1Pietro 1:22; 1Giovanni 3:14-19; 4:7-12,20-21; 5:1-2

Matteo 12:49-50; 18:5-6,10; 28:10; Marco 3:34-35; Giovanni 20:17; Ebrei 2:11-15; 6:10

Atti 9:4-5; Efesini 5:30

Mt 25:41

41. Allora dirà anche a coloro dalla sinistra:

È del tutto naturale che siano primieramente giudicati i fratelli spirituali del giudice, i quali sono chiamati "a gloria, onore ed immortalità"; ma può darsi anche che quell'ordine di procedura sia stato fissato affinché i cattivi possano, prima di esser lanciati nei tormenti, vedere coi propri occhi ed udire coi propri orecchi quanto hanno volontariamente perduto.

Andate via da me, maledetti,

Queste parole fanno contrasto non solo con quell'altre: "Venite, benedetti del Padre mio", ecc., indirizzate ai giusti, ma pure con gli inviti diretti ai cattivi ed agli irrigenerati, mentre sono ancora sulla terra: "Venite a me, voi tutti che siete travagliati", ecc. Matteo 11:28; "Ecco, io sto alla porta e picchio", ecc. Apocalisse 2:20; "Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni", ecc. Apocalisse 22:17; "Io non caccerò fuori colui che viene a me" Giovanni 6:37. Terribile sarà la ricordanza di tutte quelle occasioni perdute, quando il

finale "Via da me!" avrà loro tolta per sempre ogni speranza. Per quanto orribile sia il rimanente della sentenza, la più grave sventura dell'empio sarà appunto di trovarsi in eterno separato da Cristo, sola fonte di vita, di speranza e di gioia. Quello è "il verme che non muore, il fuoco che non si spegne". In questa punizione dei malvagi, i teologi distinguono due cose: la perdita, ed il patimento. La prima consiste nella separazione da Dio, la seconda viene descritta dopo.

nel fuoco eterno, preparato per il diavolo, e per i suoi angeli;

Le parole "fuoco eterno", indicano il castigo che sarà inflitto agli empi, l'incomportabile ardore dell'ira di Dio, e la sua perpetua continuazione, sempre sentita dalla coscienza come una meritata punizione. Vengono pure indicati in queste parole gli abissi profondi dell'inferno, in cui quei tormenti hanno luogo. Poco importa che lo strumento di quella punizione sia fuoco materiale o no; fatto è che, fra i patimenti, vi saranno pene corporali. L'immagine usata qui venne probabilmente tolta dai fuochi della valle di Hinnon, ed anche dalle fornaci in cui i delinquenti erano a volte arsi vivi Note Matteo 5:22Matteo 5:22; Matteo 13:42Matteo 13:42. Alford dà molta importanza al fatto già notato da alcuni fra i primi Padri, che il giudice non dice: "Maledetti da Dio", e ne trae la conclusione che la condanna dell'uomo deriva unicamente da lui stesso; e vedendo che, più sotto, non è detto: "Nel fuoco eterno preparato per voi", ne conclude che non c'è un inferno preparato espressamente per l'uomo, ma che quelli che servono il diavolo, devono soffrire con lui nel fuoco eterno, che è preparato per lui e per i suoi angeli. Però leggiamo che Giuda è andato "al suo luogo" Atti 1:25, e che tutti gl'increduli, peccatori, ecc., avranno la parte loro nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte" Apocalisse 21:8. Ma siccome Satana fu il primo ed il più gran trasgressore, e sedusse tutti, gli altri, il Signore naturalmente dice che il fuoco eterno è stato preparato in primo luogo per lui e per i suoi angeli.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:33

Matteo 7:23; Salmo 6:8; 119:115; 139:19; Luca 13:27

Deuteronomio 27:15-26; 28:16-68; Salmo 119:21; Geremia 17:5; Galati 3:10-13; Ebrei 6:8

Matteo 25:46; 3:12; 13:40,42,50; Marco 9:43-48; 2Tessalonicesi 1:9; Apocalisse 14:10-11; 20:10-15

Giovanni 8:44; Romani 9:22-23; 2Pietro 2:4; 1Giovanni 3:10; Giuda 6; Apocalisse 12:7-9

Mt 25:42

42. Perché ebbi fame, e non mi deste da mangiare; ebbi sete, e non mi deste da bere; 43. fui forestiere, e non mi accoglieste; ignudo, e non mi rivestiste; infermo, ed in prigione, e non mi visitaste.

Il Signore sottomette alla stessa prova tanto quelli che sono a sinistra, quanto quelli che sono a destra, e parla agli uni e agli altri come a persone che hanno avuto agio di conoscere e di servire Cristo. Ciò vuol dire che, prima della sua venuta, egli darà opportunità di conoscere il Vangelo a tutte le nazioni esistenti. Ma come può un tal criterio venire applicato ai pagani che non avranno mai udito parlare del Salvatore? Alcuni scrittori hanno risposto che i doveri accennati in questi versetti sono universalmente conosciuti mediante la luce naturale che ognuno possiede; e che i pagani non sono già condannati per non avere creduto in Cristo, di cui non hanno mai udito parlare, ma per la loro mente reproba e per aver trascurato i loro doveri di coscienza. Però, quantunque siamo perfettamente convinti che il Signore delinea qui l'ultimo ed universale giudizio in cui tutta la razza umana riceverà la sua sentenza definitiva, siamo altrettanto persuasi che, nei versetti che stiamo studiando, egli non intende rivelarci il modo in cui tratterà i pagani. Metterli sulla stessa riga che i cristiani, i quali hanno goduto la luce del Vangelo, sarebbe contrario alla sua infallibile giustizia, ed alla regola di quel giudizio chiaramente espressa in Luca 12:47-48; ed in Romani 2:12. Questo discorso di Cristo è meramente pratico: del futuro giudizio egli ci fa vedere solo quel tanto che riguarda i cristiani, sì nominali

che reali, i quali tutti hanno ricevuto la luce del Vangelo; e, dal modo in cui questi vengono trattati, egli ci induce a concludere quale sarà la sorte di coloro che sono apertamente corrotti, empi, e presi nel laccio del diavolo per fare la sua volontà. "Perché se fanno queste cose al legno verde, che sarà egli fatto al secco?" Luca 23:31; "il giudizio comincia dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, qual sarà la fine di coloro che non ubbidiscono all'evangelo di Dio?" 1Pietro 4:17

PASSI PARALLELI

Matteo 25:35; 10:37-38; 12:30; Amos 6:6; Giovanni 5:23; 8:42-44; 14:21; 1Corinzi 16:22

2Tessalonicesi 1:8; Giacomo 2:15-24; 1Giovanni 3:14-17; 4:20

Mt 25:44

44. Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: Signore, quando ti abbiamo veduto aver fame, o sete; o esser forestiero, o ignudo, o infermo, o in prigione; e non ti abbiam assistito?

Questi sono evidentemente cristiani di nome soltanto: riconoscono Cristo come il loro Signore, professano di averlo visto e conosciuto, ma non nelle circostanze che egli qui descrive; pretendono, anzi che il loro amore e la loro venerazione per lui sono così grandi, che se l'avessero visto in tali distrette, si sarebbero affrettati a soccorrerlo. Insomma, si vantano di esser stati sempre pronti a servirlo.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:24-27; 7:22; 1Samuele 15:13-15,20-21; Geremia 2:23,35; Malachia 1:6; 2:17; 3:13

Luca 10:29

Mt 25:45

45. Allora risponderà loro, dicendo: in verità vi dico che, in quanto non l'avete fatto ad uno di questi minimi, non l'avete fatto, neppure a me.

"È vero", risponde il giudice, "era impossibile che voi vedeste me personalmente in tali difficoltà; ma io ebbi fame e sete, io fui ignudo ed in prigione nella persona di questi miei discepoli, e voi non mostraste loro la minima compassione, non stendeste loro mai la mano d'aiuto! Ora "in quanto non l'avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli né anche l'avete fatto a me!". Osserviamo, tremando, che quegli ipocriti non sono condannati per peccati flagranti di trasgressione ma per peccati di omissione. Chi non fa il bene dimostra, al pari di chi fa il male, che l'amore di Cristo non abita nel suo cuore: sì l'uno che l'altro meritano uguale condannazione.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:40; Genesi 12:3; Numeri 24:9; Salmo 105:15; Proverbi 14:31; 17:5; 21:13; Zaccaria 2:8

Giovanni 15:18-19; Atti 9:5; 1Giovanni 3:12-20; 5:1-3

Mt 25:46

46. E questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna.

Dalla descrizione del giudizio che il Signore dà in questi versetti appare che la sentenza verrà primieramente pronunziata sopra i giusti, i quali poi, secondo alcuni, sederanno come assessori nel giudizio degli empi 1Corinzi 6:2; ma la prima ad essere eseguita sarà quella dei malvagi. Vedemmo nella parabola della rete Matteo 13:49, che quell'incarico spaventevole deve essere affidato agli angeli. Il Signore usa lo stesso vocabolo greco eterno per qualificare tanto la vita dei giusti, che la punizione degli empi. [Se ne può egli trarre la conclusione che le pene dei reprobi dureranno quanto la felicità

dei giusti? Così fanno molti e, fra essi, l'Autore del presente Commento. Altri però osservano che il senso della parola aionios, varia secondo il sostantivo al quale è unita. Si parla in Giuda 7 di Sodoma e Gomorra che "portano la pena d'un fuoco eterno". Si tratta ivi degli effetti duraturi del fuoco che distrusse quelle città. Altrove si parla di patto eterno aionios nella 70 con Israele, di Canaan come del suo possesso eterno, o ancora di colli eterni Genesi 17:7-8; Deuteronomio 33:15, ecc. Si tratta ivi di durata, lunga sì, ma relativa. È nella natura della vita spirituale di crescere e di raggiungere quindi la perfezione anche in durata; mentre è nella natura del peccato di rovinare, sia pure lentamente, così il corpo come l'anima. Cotesta rovina chiamata anche "perdizione", "distruzione" 2Tessalonicesi 1:9, non giungerà essa fino alla cessazione dell'esistenza? Il termine di "morte seconda" avrebbe allora il suo pieno significato. E. B.]. Conceda Iddio, a te ed a me, o lettore, di "trovare misericordia appo il Signore, in quel giorno" 2Timoteo 1:18

PASSI PARALLELI

Matteo 25:41; Daniele 12:2; Marco 9:44,46,48-49; Luca 16:26; Giovanni 5:29; 2Tessalonicesi 1:9

Apocalisse 14:10-11; 20:10,15; 21:8

Matteo 13:43; Salmo 16:10-11; Giovanni 3:15-16,36; 10:27-28; Romani 2:7-16; 5:21; 6:23

1Giovanni 2:25; 5:11-12; Giuda 21

RIFLESSIONI

1. Sulla terra, Gesù fu disprezzato e negletto; ma egli ritornerà qual giudice, rivestito d'inconcepibile maestà. Considerate attentamente le cose che egli predisse di se stesso, mentre stava seduto sul monte degli Ulivi, tre giorni soli prima della sua crocifissione. Egli, annunzia che ritornerà qual Re di gloria, circondato dagli eserciti celesti; che tutte le genti compariranno

dinanzi al suo "gran trono bianco" per essere giudicate; che criterio della fede dei giusti e delle vane professioni degli ipocriti, sarà l'amore o la trascuratezza dimostratagli; e che, colle parole: "Venite, andate, nel regno, nel fuoco", egli fisserà per sempre il destino degli uomini. Tolga Iddio che noi sprezziamo o trascuriamo ora quel Re di gloria!

2. Il servire Gesù ci è qui presentato da un punto di vista essenzialmente pratico: esso consiste nell'amare Cristo, "ricercandolo, abbracciandolo e soccorrendolo, mentre egli va errando in questo mondo desolato e triste, rappresentato dal suo popolo bisognoso e dalla sua causa perseguitata. Quanto non ha già fatto, e quanto non deve fare ancora quest'amore dei credenti verso Cristo, per rendere più felice e più bello questo mondo decaduto! Gesù affida tutta intiera la sua causa in sulla terra all'amore dei suoi. Pochi giorni ancora, ed egli dovrà cessare dall'esser povero, ma nella sua povertà gli 'succederà la' sua Chiesa: terminato il conflitto personale, sta per cominciare quello della sua causa". Il suo popolo dovrà compiere "ciò che manca alle afflizioni di Cristo" Colossesi 1:24

3. Con qual condiscendenza egli s'identifica col "minimo dei suoi fratelli!". Colui che sederà sul trono in quel gran giorno sarà loro Salvatore, Pastore, Sommo Sacerdote, Fratello primogenito; e, vedendolo, ogni timore sarà bandito dal loro cuore. Ma come dovrà esser terribile per i ribelli il pensiero che stanno per essere giudicati da quel Salvatore stesso, il cui amore essi ora disprezzano, ed i cui inviti essi rigettano! È già cosa terribile l'essere condannato in quel giorno; ma l'essere condannato precisamente da Colui che tanto più avrebbe salvato i peccatori, dev'essere molto più terribile ancora! Ben dice il Salmista "Rendete omaggio al Figlio, che talora non s'adiri e voi non periate nella vostra via" Salmo 2:12

4. Qui, come nella parabola dei talenti, ci viene insegnato che all'ultimo giudizio, non solo sarà riprovata una vita del tutto malvagia, ma saranno pure respinti quelli che non avranno fatto nulla per Cristo; che non avranno voluto riconoscerlo nella sua causa e nel suo popolo, facendo per i suoi ciò che avrebbero fatto per lui se, in persona, avesse implorato il loro aiuto. Ricerchiamolo adunque, mentre egli cammina fra noi, nella persona dei suoi

redenti; badiamo di non chiudergli l'uscio in faccia, o di passargli accanto con indifferenza.

5. Se, all'ultimo giorno, dovranno compiangersi quelli che non avranno dato nulla a Cristo soccorrendo i suoi, qual sarà la condizione di coloro che li derubano, li spogliano, li affamano, li perseguitano, li odiano, li cacciano in prigione ed in esilio, od anche li fanno morire! Se appena può essere salvato, o, a dir meglio, se sarà certamente condannato chi manca di carità, che avverrà degli spietati e dei crudeli?

6. Non c'è mezza condanna. Saremo o intieramente accolti e premiati, o rigettati assolutamente e rovinati per sempre! Rifletti, lettore, alla solenne domanda del profeta: "Chi di noi potrà resistere al fuoco divorante? Chi di noi potrà resistere alle fiamme eterne?" Isaia 33:14.

Mt 26:1

CAPO 26 - ANALISI

1. Gesù annunzia di nuovo la sua morte; ed intanto il Sinedrio cospira per togliergli la vita. Già in tre occasioni diverse, il Signore aveva predetto che sarebbe arrestato dai Giudei, e da essi dato in potere dei Romani per essere crocifisso; ma, prima di tornarsene dal monte degli Ulivi dove aveva fatti tutti quei discorsi, egli indicò il tempo preciso cioè due giorni dopo in cui doveva essere tradito. Questo ci fece probabilmente per imprimere sempre più nel cuore dei discepoli i solenni avvertimenti, ch'egli aveva loro dati. Frattanto il Sinedrio, avendo deciso di far morire Gesù, si riunì in solenne conclave, per deliberare sul miglior modo di eseguire quel suo disegno. Si riconobbe che, essendo Gesù tenuto in grande stima dal popolo, sarebbe stato prudente non arrestarlo nel giorno stesso della festa, ma impadronirsene di nascosto Matteo 26:1-5.

2. Gesù cena in Betania nella casa di Simone il Lebbroso. Simone aveva probabilmente invitato Gesù in segno di riconoscenza per essere stato da lui nettato dalla lebbra. Il convito ebbe luogo, senza dubbio, la sera stessa del giorno in cui Cristo pronunziò i discorsi precedenti altrimenti Giuda non

avrebbe più avuto il tempo necessario per stringere, coi capi del Sinedrio, il suo infame contratto. Giovanni 12 ci narra che Lazzaro e le sue sorelle erano presenti alla cena, e che Maria fu quella che sparse il prezioso olio profumato sulla testa di Cristo. Giuda, avendo biasimato quell'atto come una perdita inutile, ed alcuni discepoli avendo dato a conoscere che dividevano il suo parere, Gesù difende l'azione di Maria, dichiara che essa aveva versato quell'olio sul suo capo come per imbalsamarlo, e che dovunque il Vangelo sarebbe annunziato nel mondo, sarebbe pure stato proclamato l'affetto che essa portava al suo Salvatore, nonché il sacrificio fatto per dimostrarglielo. Giovanni ci avverte pure che Giuda era un ladro. Come cassiere della piccola comitiva, gli era facile soddisfare la sua disonestà; ed il vederla frustrata in questa circostanza fu forse il motivo che lo indusse a tradire il Maestro. La relazione di Matteo infatti sembra accennare a qualche relazione fra quell'incidente della cena e la sua risoluzione. Checché ne sia, il giorno dopo Giuda ottenne una udienza dai principali sacerdoti e patteggiò di dar loro Cristo in mano, per 30 monete d'argento Matteo 6-16.

3. Preparativi per la Pasqua, e sua celebrazione. La Pasqua si mangiava dopo il tramonto del sole, cioè al principio del 15cesimo giorno del mese di Nisan. Nell'ultime ore del giorno le quali appartenevano ancora al 14esimo di Nisan, alcuni dei discepoli aveano domandato al Maestro dove dovessero fare i preparativi della Pasqua. In Gerusalemme, quasi tutte le case avevano una stanza riserbata per i forestieri, la quale volentieri si metteva a disposizione di persone venute da altre parti del paese, affinché vi potessero preparare e mangiare insieme l'agnello pasquale. Gesù dà quivi una prova novella della sua divina onniscienza, ordinando ai suoi discepoli di seguire sino a casa sua un uomo che avrebbero incontrato nelle strade di Gerusalemme, portando un vaso pieno d'acqua al padrone di costui dovevano domandare il permesso di servirsi della sua stanza. A sera, il Signore vi si reca cogli altri discepoli, e mentre tutti mangiano la Pasqua, Gesù dà a conoscere con un segno che Giuda era quello che lo avrebbe tradito Matteo 26:17-25.

4. Istituzione della Cena del Signore. Dopo la partenza di Giuda, ed in sul finire della Cena pasquale, Gesù prende d'in sulla tavola un po' di pane e di vino, ed avendo reso grazie, innesta sull'ultima Pasqua da lui celebrata, la

prima Eucaristia cristiana. Così egli crea un legame fra l'antico ed il nuovo Patto Matteo 26:25-36.

5. Gesù si ritira coi discepoli sul monte degli Ulivi. In questa occasione il Signore predice che sarebbe stato abbandonato da tutti i suoi discepoli. Vantandosi Pietro di rimanergli fedele più degli altri, Gesù gli predice chiaramente, che anzi egli rinnegherebbe il suo Signore. Pietro risponde protestando con molto calore di esser pronto a morire piuttosto che abbandonarlo, e gli altri discepoli fanno eco alle sue parole Matteo 26:3135.

6. Gesù in Getsemane. Attraversato il Chedron e giunto verso il monte degli Ulivi, Gesù prende seco Pietro, Giacomo e Giovanni, e se ne va in disparte nel giardino di Getsemane. Quivi egli lotta in preghiera col suo Padre, finché un sudore di sangue gl'irrora la fronte. La sua umanità, santa sì, ma fragile, rifuggiva dal calice dell'ira che suo Padre gli porgeva alle labbra. Era giunta "l'ora e la potenza delle tenebre" Luca 22:53. Il sonnecchiare e la insensibilità dei suoi diletti discepoli accrescevano la sua "agonia", e lo privavano di quella simpatia dietro alla quale la sua umana natura così potentemente anelava Matteo 26:36-46.

7. Gesù è arrestato da una schiera condotta da Giuda. Quella schiera era composta probabilmente di soldati della fortezza Antonia, che facevan la guardia al tempio, e di leviti, addetti al tempio stesso. Giuda s'avanza e bacia il suo Maestro: tale il segnale che aveva dato ai soldati affinché sapessero chi doveano arrestare. Pietro fa un tentativo di resistenza, e, con un colpo di spada, spicca l'orecchio di Malco, servitore del sommo sacerdote; ma Gesù sana la ferita e sgrida il suo temerario discepolo, dicendogli che, se avesse voluto rimanere libero, gli sarebbe bastato di pregare il Padre, il quale gli avrebbe subito mandato una legione di angeli. Si arrende quindi senza resistenza, dopo aver provveduto alla salvezza dei suoi discepoli Matteo 26:47-56.

8. Gesù comparisce davanti al Sinedrio, nella casa di Caiafa. Tradotto primieramente in casa di Caiafa, sommo sacerdote di quell'anno, è quivi mantenuto in arresto durante la notte. Intanto i membri del Sinedrio sono

avvertiti della sua cattura e si riuniscono all'alba, per giudicarla i primi testimoni non potendo addurre nulla contro di lui, il supremo Tribunale della nazione non si perita di cercar falsi testimoni per poter condannare Gesù, il quale rifiuta di difendersi. Scongiurato però dal sommo sacerdote secondo la formula solenne della legge mosaica, per la prima volta egli si proclama pubblicamente Figlio di Dio e Messia, e ciò conferma con una predizione della sua seconda venuta. In conseguenza di questa dichiarazione, che agli orecchi loro suona bestemmia, egli è condannato a morte Matteo 26:57-68.

9. Pietro rinnega il suo Signore. L'evangelista si ferma a questo punto, per riferire un incidente che accadde mentre Gesù era detenuto nella casa di Caiafa. Pietro, mercé la protezione di un amico, aveva potuto introdursi nella corte esterna del palazzo; non perché si vergognasse di avere abbandonato il suo Maestro e ora volesse riprendere il suo posto accanto a lui e dimostrargli il suo amore e la sua simpatia, ma semplicemente per aggirarsi fra i servi e gli astanti, e soddisfare una colposa curiosità. Così, senza necessità, egli si espose alla tentazione, e vedendosi additare come discepolo di Cristo, rinnega Cristo con veemenza per tre volte. Finalmente, il canto del gallo gli richiama alla mente l'ammonizione del Maestro, ond'egli esce e piange amaramente Matteo 26:69-75.

Matteo 26:1-5. GESÙ ANNUNZIA AI DODICI CHE FRA DUE GIORNI VERREBBE MESSO A MORTE. IL SINEDRIO INTANTO COSPIRA CONTRO DI LUI Marco 14:1-2; Luca 22:1-2

1. Ed avvenne che, quando Gesù ebbe finiti tutti questi ragionamenti,

I due precedenti capitoli contengono un discorso che venne pronunziato tutto in una volta da Gesù, mentre, seduto coi suoi discepoli sul monte degli Ulivi, stava con essi contemplando il tempio. Forse, per far contrasto colla gloria di cui aveva testè parlato, scelse egli questo momento per annunziar loro la sua morte imminente. Può darsi però che non ne ragionasse prima,

d'essere arrivato alla scesa, dal lato orientale della montagna, ritornando verso Betania Vedi Note Matteo 24:13Matteo 24:13.

disse ai suoi discepoli: 2. Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua;

Siccome la Pasqua si celebrava il 15 di Nisan, vale a dire immediatamente dopo il tramonto del 14, quest'annunzio della sua morte deve essere stato dato il 12 di quel mese.

Mt 26:2

e il Figliuol dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso.

Mentre egli era ancora in Galilea, poi, per istrada, venendo a Gerusalemme, il Signore aveva già annunziato ai suoi discepoli che sarebbe stato dato in mano dei Gentili per essere crocifisso, ma ora, per la prima volta, egli indica il momento preciso in cui doveva essere tradito.

PASSI PARALLELI

Matteo 19:1

Marco 14:1-2; Luca 22:1-2,15; Giovanni 13:1

Esodo 12:11-14; 34:25; Giovanni 2:13; 11:55; 12:1

Matteo 26:24-25; 17:22; 20:18-19; 27:4; Luca 24:6-7; Giovanni 13:2; 18:2

Mt 26:3

3. Allora i capi sacerdoti, e gli anziani del popolo, si raunarono nella corte del sommo sacerdote, detto Caiafa; 4. E deliberarono nel loro consiglio di pigliar Gesù con inganno, e di farlo morire.

Fu questa un'assemblea generale del Sinedrio, poiché son nominate le diverse persone che lo componevano, il luogo ordinario di quelle riunioni era una sala nel recinto del tempio; ma in questa occasione si venne nell'aula del palazzo del sommo sacerdote. Questa si potrebbe quasi considerare come una consultazione segreta senonché la seduta nella quale il nostro Signore venne giudicato e condannato fu tenuta nello stesso luogo. L'oggetto della presente convocazione era di trovare un'occasione propizia per arrestare Gesù di nascosto, sapendo che non si sarebbe potuto farlo pubblicamente. Il severo linguaggio usato da Cristo il giorno precedente, sia a loro direttamente, sia quando parlava di loro al popolo, li aveva esasperati, ed in conseguenza di ciò s'erano decisi di conferire insieme.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:45-46; Salmo 2:1-2; 56:6; 64:4-6; 94:20-21; Geremia 11:19; 18:18-20

Giovanni 11:47-53,57; Atti 4:25-28

Matteo 26:58; Geremia 17:27; Marco 14:54

Giovanni 11:49; 18:13-14,24; Atti 4:5-6

Salmo 2:2

Matteo 23:33; Genesi 3:1; Atti 7:19; 13:10; 2Corinzi 11:3

Mt 26:5

5. Ma dicevano: Non durante la festa; perché non accada tumulto nel popolo.

Le parole "la festa" possono intendersi o del giorno di Pasqua istesso, o dei sette giorni degli azzimi, durante i quali continuava la solennità. È probabile che sieno prese qui in quest'ultimo senso. Alla fine dei sette giorni, infatti,

essendo partita una gran parte della moltitudine accorsa in Gerusalemme, l'arresto di Cristo si poteva fare con rischio minore. Dunque, nello stesso momento in cui Cristo annunziava che avrebbe sofferto la morte nel giorno di Pasqua, i suoi nemici prendevano la decisione di non arrestarlo durante la festa! Ma ciò che Dio ha deciso deve accadere a dispetto dei piani e delle risoluzioni degli uomini. La predizione divina si avverò in modo tale, quale essi non avrebbero pensato, mercé l'offerta fatta da Giuda, il giorno dopo, di tradire il suo Maestro.

PASSI PARALLELI

Salmo 76:10; Proverbi 19:21; 21:30; Isaia 46:10; Lamentazioni 3:37; Marco 14:2,12,27

Luca 22:7; Giovanni 18:28; Atti 4:28

Matteo 14:5; 21:26; Luca 20:6

Mt 26:6

Matteo 26:6-16. LA CENA A BETANIA. MARIA UNGE IL CAPO DI GESÙ. GIUDA PATTUISCE COI CAPI SACERDOTI DI TRADIRE IL SUO SIGNORE Marco 14:3-11; Luca 22:3-5; Giovanni 12:1-7

Per la esposizione vedi Marco 14:3Marco 14:3-11.

Mt 26:17

Matteo 26:17-30. PREPARAZIONE PER LA PASQUA E ULTIMA SUA CELEBRAZIONE. GESÙ INDICA GIUDA COME IL TRADITORE. ISTITUZIONE DELLA SANTA CENA Marco 14:12-26; Luca 22:7-23;Giovanni 13:1-30

Per la esposizione vedi Marco 14:12Marco 14:12-26.

Mt 26:31

Matteo 26:31-35. GESÙ ANNUNZIA CHE SAREBBE ABBANDONATO DAI SUOI DISCEPOLI E RINNEGATO DA PIETRO Marco 14:27-31; Luca 22:24-38; Giovanni 13:36-38

Per la esposizione vedi Luca 22:24Luca 22:24-38.

Mt 26:36

Matteo 26:36-46. AGONIA DI CRISTO IN GETSEMANE Marco 14:3242; Luca 22:39-46

Per la esposizione vedi Marco 14:32Marco 14:32-42.

Mt 26:47

Matteo 26:47-56. GESÙ È TRADITO ED ARRESTATO. I DISCEPOLI SI DISPERDONO Marco 14:43-52; Luca 22:47-53; Giovanni 18:1-12

Per la esposizione vedi Giovanni 18:1Giovanni 18:1-12.

Mt 26:57

Matteo 26:57-75. GESÙ COMPARISCE DINANZI AL SINEDRIO. VIENE CONDANNATO A MORTE, E TRATTATO CON IGNOMINIA. PIETRO RINNEGA IL SUO SIGNORE Marco 14:5372; Luca 22:54-71; Giovanni 18:13-27

Per la esposizione vedi Marco 14:53Marco 14:53-72.

Mt 27:1

CAPO 27 - ANALISI

1. Gesù passa dal Sinedrio al Governatore romano. Il diritto di vita e di morte più non apparteneva al Sinedrio. La Giudea era diventata provincia romana, e solo il rappresentante di Cesare poteva farvi eseguire una sentenza capitale. Vediamo in ciò una prova novella che Gesù era veramente lo Shiloh Genesi 49:10 predetto da Giacobbe Matteo 27:1-2.

2. Rimorsi e suicidio di Giuda. L'Evangelista si ferma nuovamente, nella sua narrazione, per descrivere l'effetto prodotto sul traditore da quanto era accaduto. Giuda aveva forse sperato di soddisfare la sua avarizia senza recare danno a Gesù, il quale avrebbe potuto sfuggire ai suoi nemici con un atto della sua divina potenza; ma quando vide che l'opposto era avvenuto, fu sopraffatto dal rimorso. L'empia sua mercede gl'infisse una tortura così atroce, ch'egli non poté più sopportarla. Corso dai principali sacerdoti nel tempio, confessò di aver peccato tradendo l'innocente; s'immaginò di poter, col restituire il denaro, annullare il contratto scellerato che aveva fatto; ma, vedendosi accolto con disprezzo, gettò nel tempio l'empia moneta, se n'andò disperato e si strangolò. I sacerdoti, mossi da scrupoli ipocriti, non vollero versare nel sacro tesoro i denari in tal guisa abbandonati, e ne comprarono il campo del vasellaio per la sepoltura dei forestieri, adempiendo così un'antica profezia Matteo 27:3-10.

3 Gesù dinanzi a Pilato. Rispondendo alla domanda del governatore, Gesù proclamò la sua reale dignità, ma rifiutò costantemente di rispondere alle accuse portate contro di lui dai sacerdoti. Pilato cercò di salvarlo, valendosi della usanza di liberare un prigione durante la Pasqua. A ciò egli venne spinto anche da un messaggio di sua moglie; ma la moltitudine, eccitata dai preti, domandò con gran grida che si liberasse l'omicida Barabba e si crocifiggesse Gesù. Conscio della ingiustizia che commetteva concedendo al

popolo la sua domanda, ma pauroso di compromettersi liberando Cristo, Pilato cercò, sia con esplicite parole sia col lavarsi simbolicamente le mani, di togliersi d'addosso ogni responsabilità e di gettarla sopra i Giudei, i quali l'accettarono con una orribile imprecazione. Barabba quindi venne posto in libertà, e Pilato, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo condannò ad essere crocifisso Matteo 27:11-26.

4. Gesù è insultato e maltrattato dai soldati romani. Dopo aver condotto Gesù fuori dell'aula del tribunale, i soldati si riunirono intorno a lui, lo vestirono di porpora, gli misero sul capo una corona di spine, gli resero ironicamente regali onori, quindi lo percossero e gli sputarono in viso. Stanchi finalmente di quel divertimento brutale, lo condussero fuori delle mura di Gerusalemme per essere crocifisso. Durante la prima parte del tragitto, il Signore portò egli stesso la sua croce; ma poi i soldati costrinsero un Cireneo, che incontrarono per istrada, a portarla sino al luogo delle esecuzioni Matteo 26:27-32.

5. Gesù è crocifisso sul Golgota. Matteo narra alcuni particolari, i quali dimostrano che in Gesù furono adempiute le antiche profezie Matteo 27:3435. Vengono poi mentovati, per ordine successivo, la guardia romana, l'iscrizione posta sulla croce, i ladroni crocifissi con Cristo, i motteggi dei viandanti, gli atroci insulti dei sacerdoti, le tenebre miracolose, ed il grido di dolore che sfugge a Gesù nella sua agonia Matteo 27:33-49. La morte di Cristo venne accompagnata da vari fenomeni soprannaturali: il terremoto, il fendersi in due della cortina del tempio e l'aprirsi dei sepolcri. Questi fatti convinsero il centurione romano e quelli che erano con lui, che Colui che era stato messo in croce, era veramente il Figliuol di Dio Matteo 27:50-54. L'Evangelista ricorda inoltre i nomi di alcune donne fedeli, che avevano seguito Gesù dalla Galilea, e furono testimoni della sua crocifissione Matteo 27:55-56.

6. Sepoltura di Gesù Giuseppe di Arimatea, che sino allora era stato un discepolo segreto di Cristo, si fece coraggiosamente avanti, per onorare Colui che era stato messo a morte come un malfattore. Ottenuto da Pilato il permesso di seppellire Gesù, ne depose il cadavere nel proprio sepolcro, che era affatto nuovo; ed avendo rotolato una pietra sull'apertura di esso, se

n'andò, lasciando le due Marie vicine al luogo dove il loro Signore era stato posto Matteo 27:57-61.

7. Domanda dei sacerdoti a Pilato di mettere delle guardie al sepolcro. Il motivo che addussero fu, che Gesù aveva dichiarato che egli risusciterebbe fra tre giorni. Volevano dunque impedire ogni possibile frode da parte dei discepoli, i quali, secondo loro, avrebbero potuto rubare di notte il corpo del Signor Gesù e quindi pretendere ch'egli era risuscitato! Pilato acconsentì; le guardie vennero messe, e i sacerdoti assicurarono doppiamente il sepolcro, sigillandone l'apertura Matteo 27:62-66.

Matteo 27:1-10. GESÙ CONDOTTO A PILATO. RIMORSI E SUICIDIO DI GIUDA Marco 15:1; Luca 23:1; Giovanni 18:28-40 Atti 1:16-19

Gesù è dato in mano dei Gentili per esser fatto morire Matteo 27:1-2

Per la esposizione Vedi Giovanni 18:28Giovanni 18:28-40, ecc.

Mt 27:3

Rimorsi e suicidio di Giuda Matteo 27:3-10

3. Allora Giuda, che l'avea tradito, vedendo che Gesù era stato condannato,

Matteo solo, fra gli Evangelisti, ci dà questi ragguagli sugli ultimi momenti di Giuda. È possibile, come già lo abbiamo suggerito, che quel miserabile avesse sperato di impossessarsi delle trenta monete, senza recare danno al Maestro. Questi, essendosi già più volte miracolosamente sottratto ai suoi nemici, poteva sottrarsi ancora. Ma ora così non fu; quindi è facile immaginare i terribili rimorsi onde fu Giuda compreso quando fu certo che

Gesù era stato dato in mano di Pilato. Ma se ammettiamo, col maggior numero dei commentatori, che neppur questa circostanza può addursi come debolissima attenuante a favore di Giuda per scusare il suo orribile tradimento; e se ammettiamo invece che la condanna del suo Signore non lo sorprese punto, anzi, che egli la ritenne certa, il rimorso cui fu in preda tosto ch'ebbe raggiunto il suo scopo e stretto in mano quel denaro, ci parrà più terribile ancora. La coscienza del delitto da lui commesso tolse ogni valore alle tanto vagheggiate monete, e gli fu cagione di un'angoscia di spirito così grande, da rendergli insopportabile la esistenza.

si pentì,

Era bensì pentimento il suo, ma non il vero. Ci sono due specie di pentimento: c'è il "ravvedimento per aver la vita" così Atti 11:18, e di quello abbiamo un notevole esempio nel caso di Pietro; c'è poi "la tristezza del mondo che produce la morte" 2Corinzi 7:10, e che troviamo in Giuda. La prima consiste in un profondo dolore di avere offeso Cristo, accompagnato dalla convinzione che egli è disposto a perdonare; la seconda è un'amarezza di spirito, cagionata dalla rovina che il peccatore ha attirato sopra di se, ma senza speranza e senza desiderio di ottenere il perdono di Dio. Il cuor di Giuda si riempì di terrore e di angoscia, quando egli si ricordò le profetiche parole di Cristo: "il Figliuol dell'uomo certo se ne va, secondo ciò che è scritto di lui; ma guai a quell'uomo per lo quale il Figliuol dell'uomo è tradito!", ecc. Matteo 26:24

e riportò i trenta sicli d'argento ai capi sacerdoti, ed agli anziani,

Abbiam qui una prova lampante del potere della coscienza risvegliata! Poco prima, era bastata la promessa di questa misera somma, perché Giuda, mosso da cupidigia, calpestasse le più sacre obbligazioni impostegli dal dovere e dall'amore così ora, il possederla gli è così grave tormento, che non può farne uso alcuno, e nemmeno conservarla!

PASSI PARALLELI

Matteo 26:14-16,47-50; Marco 14:10-11,43-46; Luca 22:2-6,47-48; Giovanni 13:2,27

Giovanni 18:3

Giobbe 20:5,15-29; 2Corinzi 7:10

Mt 27:4

4. dicendo: Ho peccato, tradendo il sangue innocente.

Che bella testimonianza resa al carattere di Gesù! Così durante tutto il suo pubblico ministero, Giuda era stato ammesso nella intimità di quella famiglia che Cristo aveva riunita intorno a se. Tanto in pubblico, che in privato, egli aveva avuto mille occasioni di osservare da vicino le disposizioni e la condotta del suo Maestro. Di più, le sue proprie disposizioni al furto ed all'avarizia dovevano averlo reso proclive al sospetto. Se dunque vi fosse stata la benché minima cosa da biasimare nella condotta del Salvatore, egli se ne sarebbe certamente prevalso, nelle presenti circostanze, per scusare la propria condotta e tenersi il denaro, invece, quantunque spinto dalla disperazione, non gli riesce trovare nessun biasimo, e l'angoscia lo costringe a confessare così "Io ho peccato tradendo il sangue innocente!".

Ma essi dissero Che c'importa? Pensaci tu.

Da quegli uomini che egli aveva servito, Giuda sperava naturalmente qualche parola di conforto, qualche assicurazione che egli si era reso utile alla nazione ed alla religione giudaica. Ma la sua speranza rimane delusa. I sacerdoti scacciano con disprezzo l'uomo che aveano fatto strumento della loro vendetta il modo con cui trattano quello sciagurato dimostra chiaramente che essi erano "dal diavolo, ch'è il loro padre". È impossibile immaginare cosa più crudele e più sarcastica della loro risposta.

PASSI PARALLELI

Genesi 42:21-22; Esodo 9:27; 10:16-17; 12:31; 1Samuele 15:24,30; 1Re 21:27

Romani 3:19

Matteo 27:19,23-24,54; 2Re 24:4; Geremia 26:15; Giona 1:14; Luca 23:22,41,47

Giovanni 19:7; Atti 13:28; Ebrei 7:26; 1Pietro 1:19

Matteo 27:25; Atti 18:15-17; 1Timoteo 4:2; Tito 1:16; 1Giovanni 3:12; Apocalisse 11:10

1Samuele 28:16-20; Giobbe 13:4; 16:2; Luca 16:25-26

Mt 27:5

5. Ed egli, lanciati i sicli nel tempio,

La parola del testo greco per indicare il tempio è naos, cioè l'edifizio sacro istesso, e non hieron, comunemente usata dagli Evangelisti per designare il sacro recinto nel suo complesso, includendo i cortili i portici, ecc. A quest'ultimo nome corrisponde quello di Haram, dato attualmente alla cinta che circonda il Kubbet esSakkara, ossia Moschea di Omar, edificata sull'area ove anticamente si ergeva il tempio. Fu dunque nel luogo santo, dove era permesso ai preti soltanto di entrare, che Giuda buttò le trenta monete d'argento, salario della sua iniquità. Alcuni hanno cercato di spiegare come avesse potuto accadere un tal fatto, col dire che il giudizio di Cristo davanti a Pilato aveva talmente eccitato gli animi che quasi tutti i sacerdoti aveano abbandonato il tempio; fu dunque facile a Giuda di avvicinarsi, non veduto, al santuario, e gettarvi i denari, essendo le cortine aperte. La spiegazione più probabile ci pare esser questa: Divorato dai rimorsi, e reso forsennato dalla risposta dei sacerdoti, Giuda, non potendoli seguire nel Luogo santo dove si ritiravano con trionfo, lanciò dietro a loro quel denaro diventategli più che mai odioso. A ogni modo, furono

adempiute le parole del profeta: "Io presi i trenta sicli d'argento, e il gittai nella Casa dell'Eterno, per il vasaio" Zaccaria 11:13

s'allontanò e andò ad impiccarsi.

Luca Atti 1:16-19, ci dà, sulla morte di Giuda, alcuni altri particolari, i quali però non sono in opposizione col racconto di Matteo, ma semplicemente lo completano. Confrontando i due passi, chiaro apparisce che Giuda si appiccò ad un albero che cresceva probabilmente sopra uno di quei cigli dirupati che abbondano intorno a Gerusalemme; senonché, venendo a rompersi la corda egli cadde nel precipizio, gli si squarciò il ventre e tutte le sue interiora si sparsero. I monaci ignoranti della Palestina indicano tuttora ai pellegrini, nelle vicinanze di Aceldama, un albero decrepito che dicono esser quello a cui Giuda si appiccò!

PASSI PARALLELI

Giudici 9:54; 1Samuele 31:4-5; 2Samuele 17:23; 1Re 16:18; Giobbe 2:9; 7:15; Salmo 55:23

Atti 1:18-19

Mt 27:6

6. Ma i capi sacerdoti presi quei sicli dissero: Non è lecito metterli nel tesoro delle offerte;

Era questa una cassa posta nel cortile delle donne, nella quale si gettava le cose dedicate al Signore, e chiamate corban.

perché sono prezzo di sangue.

Come sono diventati scrupolosi ad un tratto quei sacerdoti! Quando si trattò di prendere da quel tesoro la somma necessaria a pagare l'assassino, non sentirono compunzione; ma ora, che è quasi compiuta l'opera nefanda, le

loro delicate coscienze non permettono loro di rimettercela. Una tale casistica non venne sorpassata nemmeno dai Gesuiti! Eppure i loro scrupoli giovarono all'adempimento della Scrittura.

PASSI PARALLELI

Matteo 23:24; Luca 6:7-9; Giovanni 18:28

Deuteronomio 23:18; Isaia 61:8

Mt 27:7

7. E, tenuto consiglio, comperarono con quel denaro il campo del vasaio,

Era questo, probabilmente, un terreno conosciuto da tutti con quel nome, e da cui si estraeva l'argilla per la fabbrica delle stoviglie. Il prezzo è molto mite, trattandosi di un terreno così vicino a Gerusalemme; ma è lecito supporre che, avendo servito per molto tempo ai lavori dei vasai, tutta l'argilla fosse esaurita, o non si potesse più utilizzare. Sul fianco di una collina che sorge al l'estremità S. E. della valle di Ben-Hinnom, s'indica, ai giorni nostri, un luogo che viene denominato Aceldama; ma non vi si trova nulla che corrisponda ad un campo come quello che è qui descritto. Potrebbe darsi, però, che la linea dì circonvallazione di Tito, che si estendeva in quella direzione, avesse profondamente cambiato l'aspetto del terreno. Si deve inoltre tener conto dei guasti arrecativi nel corso di più che diciotto secoli.

da servir di sepoltura ai forestieri.

La parola "forestieri" è stata intesa dei Giudei provenienti da paesi stranieri, dei proseliti, dei soldati romani, o dei pagani in generale. È più probabile che l'Aceldama fosse un luogo di sepoltura gratuita, destinato a ricevere quei cadaveri di Gentili, i quali non erano reclamati da nessuno. I sacerdoti non avrebbero osato fare uno sfregio ai loro fratelli ellenistici ed ai proseliti,

comperando per loro un cimitero col prezzo del sangue; mentre non avevano scrupolo di seppellire, in un tal luogo, stranieri e pagani.

Mt 27:8

8. Perciò quel campo, fino al dì d'oggi,

È questa una prova che il Vangelo di Matteo non fu scritto che parecchi anni dopo gli eventi in esso narrati.

è stato chiamato: campo di sangue.

Il vocabolo greco tradotto in quel modo è ancor esso la traduzione del nome ebraico Hakel dama, che viene dato a quel campo da Luca, in Atti 1:19. Sulle parole di Pietro, in questo passo, si vuol fondare la tradizione, secondo la quale quel nuovo cimitero avrebbe derivato il suo nome da Giuda stesso, avendo il traditore, per una strana coincidenza, scelto per suicidarsi lo stesso luogo desolato, che venne poi comprato col prezzo della sua iniquità.

PASSI PARALLELI

Atti 1:19

Matteo 28:15; Deuteronomio 34:6; Giosuè 4:9; Giudici 1:26; 2Cronache 5:9

Mt 27:9

9. Allora si adempiè ciò che fu detto dal profeta Geremia:

Diodati ha omesso il nome di quel profeta, considerandolo come una interpolazione, perché una tal profezia non si trova negli scritti di Geremia. Così pure fanno altre versioni ed alcuni manoscritti. Alcuni codici portano il nome di Zaccaria invece che quello di Geremia; ma in quasi tutti gli antichi manoscritti si trova Geremia. Origene, Eusebio, Girolamo ed Agostino

riconoscono di averlo trovato in manoscritti anteriori al tempo in cui vivevano, in modo che pare indubitabile che si trovasse pure nell'originale. Si tratterebbe allora di spiegare come l'Evangelista abbia parlato di Geremia, mentre invece la profezia è stata fatta da Zaccaria. Sarebbe troppo lungo il ricordare tutte le soluzioni di questa difficoltà, che sono state messe avanti. Chi disse essere stata una svista di qualcuno dei primi copisti; chi dell'Evangelista stesso, il quale citava a memoria e non dal libro; chi pretese che Matteo abbia voluto fare allusione ad alcuni passi di Geremia 18:12; 32:6-12. Ma la soluzione più soddisfacente secondo noi è la seguente, suggerita dal rinomato ebraizzante Lightfoot. La Bibbia ebraica era divisa in tre volumi: la Legge, gli Agiografi ed i Profeti. Gli Agiografi eran pure chiamati comunemente i Salmo Luca 24:44, perché il libro dei Salmo era il primo di quella collezione. Per la stessa ragione. Matteo, citando un passo del profeta Zaccaria, lo indica come tolto da Geremia, perché gli scritti di quel profeta erano i primi del volume dei Profeti. Lightfoot stabilisce indisputabilmente, per mezzo di citazioni del dotto rabbino Davide Kimchi, che il volume dei Profeti portava il nome di Geremia.

E presero i trenta sicli d'argento, prezzo di colui che era stato messo a prezzo, messo e prezzo dai figliuoli d'Israele, 10. e li dettero per il campo del vasaio, come me l'avea ordinato il Signore.

Di tutte le profezie, questa certamente doveva sembrare la più complicata e la più oscura, eppure essa fu completamente adempiuta. L'Evangelista non cita testualmente né dall'ebraico, né dai 70; dà però, con molta fedeltà, la sostanza del passo. Il significato della profezia Zaccaria 11:12-13 sembra essere il seguente: Zaccaria, mandato ai Giudei come istruttore e profeta, fu da essi trattato con disprezzo come lo erano stati altri prima di lui. Egli allora domandò che stimassero il valore del suo uffizio, od in altre Parole gli "dessero il suo salario", ed essi, in segno di disprezzo, gli diedero la somma di trenta monete d'argento, costo di uno schiavo! Dietro all'ordine di Dio, il profeta la gittò via con indignazione, affinché fosse data ad un vasellaio. La predizione si riferiva al Messia; ciò che accadde a Zaccaria era l'annunzio simbolico dei fatti che abbiamo ora studiati. I Giudei, rappresentati dai capi della loro nazione, valutarono il Messia trenta monete d'argento; quella somma fu pagata ad uno dei suoi discepoli, perché lo desse loro nelle mani;

venne gittata via, come una cosa vile, dallo scellerato che l'aveva guadagnata, e fu finalmente impiegata nell'acquisto del campo di un vasellaio.

PASSI PARALLELI

Zaccaria 11:12-13

Matteo 26:15; Esodo 21:32; Levitico 27:2-7

Matteo 27:10

RIFLESSIONI

1. Quasi sempre accade che le passioni acquistano il loro imperio sopra di noi, gradatamente. Nel caso di Giuda, il più terribile che si conosca, la gradazione deve essere stata molto lenta, altrimenti sarebbe incredibile che egli fosse rimasto un seguace così costante del Signore; che Gesù lo avesse ricevuto nel numero dei dodici; che non solo gli fosse stato permesso di dimorare insino all'ultimo in quella sacra compagnia, ma ancora che il suo vero carattere non venisse conosciuto dagli undici prima che avesse venduto il suo Maestro e ciò un'ora prima solamente della consumazione del tradimento! Qual solenne lezione, per coloro che confidano in se stessi, di tenersi in guardia contro le prime concessioni che si fanno al peccato!

2. L'amore del danaro, ossia l'avarizia, è espressamente chiamata nella Bibbia una idolatria Colossesi 3:5; essa infatti prende il posto di Dio nelle nostre affezioni, e, se non viene combattuta, acquista un imperio così possente sulle sue vittime, che, per essa, molti, come Giuda, fanno volontariamente naufragio delle loro anime. Ben dice l'apostolo Paolo 1Timoteo 6:10, che "la radice di tutti i mali è l'avarizia". Impariamo dalla storia di Giuda che l'empietà ed il peccato daranno sempre poca soddisfazione e produrranno in ultimo disgrazia e ruina! il peccato, bisogna riconoscerlo, è il più aspro di tutti i padroni. A chi si mette al suo servizio, non mancano le belle promesse, ma esse non vengono mai adempiute. I suoi

piaceri duran solo per un breve tempo; l'afflizione, il rimorso, e, troppo spesso, la morte, sono il suo salario. "Colui che semina per la sua carne, mieterà dalla sua carne corruzione".

3. Si riconosce il vero pentimento, non già dalla sua sincerità o dall'amarezza dei rimorsi che esso produce, ma dal modo in cui, chi si pente, considera la misericordia di Dio. Giuda e Pietro si pentirono, per quanto possiamo giudicare, colla stessa sincerità; i loro rimorsi furono ugualmente pungenti; eppure il primo "andò a strangolarsi", mentre il secondo "uscì e pianse amaramente". Onde proviene questa differenza? il pentimento di Giuda era scompagnato da qualsiasi speranza di perdono; ma lo sguardo compassionevole del Signore aveva svegliato questa speranza nel cuor di Pietro. Nel primo caso, i principi del cuor naturale si svolgono e producono i loro fatali effetti; nell'altro, invece, è manifesta la grazia che "produce ravvedimento a salute, del quale l'uomo non si pente mai".

4. Nell'adempimento di quella profezia, era stata pronunziata cinque secoli prima, noi miriamo il pieno accordo della preordinazione divina, e della perfetta libertà del volere umano. I sacerdoti spontaneamente fissarono il prezzo da pagarsi, e colla stessa spontaneità Giuda ne porse loro l'occasione. Doveva sembrare assai poco probabile che quelle trenta monete d'argento, di cui parla Zaccaria, fossero un giorno gettate "nella Casa del Signore", poi date ad "un vasellaio", eppure, incontrandosi insieme l'angoscia di Giuda da un lato e dall'altro gli scrupoli degli assassini del Signore, la profezia si avverò, ed i denari, gettati nel tempio, furono realmente dati ad un vasaio.

Mt 27:11

Matteo 27:11-26. GESÙ COMPARISCE DINANZI A PILATO. DOPO VARII SFORZI PER LIBERARLO, LO CONDANNA AD ESSERE CROCIFISSO Marco 15:1-15; Luca 23:1-25; Giovanni 18:28-40

Per la esposizione Vedi Luca 23:1Luca 23:1-25, Giovanni 18:28Giovanni 18:28-40.

Mt 27:27

Matteo 27:27-33. GESÙ, MALTRATTATO DAI SOLDATI, È CONDOTTO AL CALVARIO Marco 15:16-23; Luca 23:26-32; Giovanni 19:2-17

Per la esposizione Vedi Marco 15:16Marco 15:16-23, Giovanni 19:2Giovanni 19:2-17.

Mt 27:34

Matteo 27:34-50. CROCIFFIONE E MORTE DEL SIGNOR GESÙ Marco 15:25-37; Luca 23:33-46; Giovanni 19:18-30

Per la esposizione Vedi Giovanni 19:18Giovanni 19:18-30.

Mt 27:51

Matteo 27:51-56. MIRACOLI E FATTI STRAORDINARI CHE ACCOMPAGNANO LA MORTE DI CRISTO Marco 15:38-41; Luca 23:47-49; Giovanni 19:25-27

La cortina squarciata Matteo 27:51

51. Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo;

Il Tabernacolo nel deserto e, in tempi posteriori, il Tempio, si componevano di due ambienti: l'esterno, chiamato il Luogo Santo; l'interno, chiamato il Luogo Santissimo. Li divideva una Cortina, dietro la quale nessun mortale

doveva penetrare mai, ad eccezione del Sommo Sacerdote. Questi, una volta all'anno, nel giorno delle Espiazioni, entrava nel Luogo Santissimo per spruzzare il sangue del sacrificio sul Propiziatorio Levitico 16:12,15. Vi era pure una portiera masak, Esodo 26:36, la quale, benché fosse generalmente aperta, serviva a chiudere l'entrata della prima stanza, ossia del "Luogo Santo". Non fu quella però che si fendè in due al momento della morte di Cristo, ma bensì la cortina faroket, Esodo 26:31; 2Cronache 3:14, la quale, sino a quel momento, aveva reso impenetrabile alla luce il Luogo Santissimo. Gesù spirò all'ora nona 3 pomeridiane, cioè al momento della preghiera della sera. Il terremoto accadde allo stesso istante, e forse fu la causa dello squarciarsi della cortina. In ogni caso, lo strano coincidere di tutti questi eventi, e più ancora l'aprirsi, ad un tratto; dinanzi agli occhi loro, del Luogo Santissimo, dovettero riempire di mortale terrore e di stupore profondo la moltitudine che stava in quell'istante istesso adorando nel cortile del Tempio, e specialmente il sacerdote che bruciava l'incenso sull'altare d'oro dei profumi, posto immediatamente davanti alla cortina: Era impossibile che questa si squarciasse senza destare l'attenzione, perché era lunga per lo meno 40 cubiti, e tanto spessa, che, secondo il Rabbino Jarchi, il filo con cui era tessuta si componeva di tre fili ordinari di lana ed uno di lino, attorcigliati insieme, e poi raddoppiati sei volte. Eppure l'Evangelista ci dice che essa si fendè in due "da cima a fondo". Di questa cortina l'Epistola agli Ebrei dice che simboleggiava due cose:

1 Quando ancora era intiera: che l'adito alla gloriosa presenza di Dio figurata dalla Shechina nel Luogo Santissimo, benché tipicamente rappresentata dall'entrata del Sommo Sacerdote al di là del velo, nel giorno delle Espiazioni, non era ancora aperto; perché Cristo, che solo è "la via", non aveva ancora sofferto Ebrei 9:2,8

2 Quando poi si fendè: che Gesù, per mezzo del suo sacrificio, ci ha "inaugurata una via recente e vivente", per la quale possiamo accostarci a Dio Ebrei 10:20. Cotesta cortina simboleggiava la separazione fra Dio santo e l'uomo peccatore. Il suo squarciarsi al momento in cui Gesù disse: "Ogni cosa è compiuta; e, chinato il capo, rendè lo spirito", è una prova che quella separazione più non esiste, e che i peccatori hanno ora "libertà d'entrar nel santuario, in virtù del sangue di Gesù".

Il terremoto e l'apertura dei monumenti Matteo 27:51-53

e la terra tremò, e le rocce si schiantarono;

Questo terremoto non fu soltanto un omaggio reso dalla terra alla divinità di Cristo, nel momento della sua più grande umiliazione, in quel modo stesso che le tenebre erano state l'omaggio resogli dal firmamento e da tutto ciò che esso contiene; esso servì pure all'adempimento di un miracolo più assai stupendo e interessante per l'uomo. Non è punto improbabile ciò che la Bibbia dice che le rocce siensi spaccate per effetto di quel terribile terremoto; ma siccome la Gerusalemme di quei tempi è ora sepolta almeno 60 piedi sotto terra, si cercherebbero invano, ai dì nostri, delle prove indubitabili del fenomeno. Fra le tante assurde tradizioni che si narrano ai visitatori del Santo Sepolcro da quei monaci ignoranti che brulicano intorno al sacro edifizio, ve ne ha pure una seconda la quale la croce di Cristo, eretta sulla cima del Calvario si sarebbe trovata perpendicolarmente al disopra della tomba di Adamo in modo che, in grazia delle fessure prodotte dal terremoto, il sangue prezioso del Salvatore avrebbe stillato sopra il teschio del primo uomo! Certi viaggiatori dotati di fervida immaginazione, parlano di "straordinarie fessure e di squarciamenti che si vedono nei dintorni di quel lungo"; ed alcuni commentatori proclivi alle cose meravigliose hanno pubblicato simili sciocchezze. Stando in piedi nella grotta dove si dice che fu rinvenuto il cranio di Adamo supponendo pure che quello sia il posto di cui si parla, chi scrive non ha potuto scoprire nessuna fessura straordinaria, né è stato capace il frate francescano, che gli faceva da guida, di indicarle. È noto altresì che quasi tutti i viaggiatori moderni, che hanno investigato il soggetto, considerano come favola inventata dai monaci quella tradizione secondo la quale il posto dove s'innalza la chiesa del Santo Sepolcro sarebbe il Calvario, in modo che quand'anche le fessure ci fossero non si potrebbe dar loro un'importanza straordinaria.

PASSI PARALLELI

Esodo 26:31-37; 40:21; Levitico 16:2,12-15; 21:23; 2Cronache 3:14; Isaia 25:7

Marco 15:38; Luca 23:45; Efesini 2:13-18; Ebrei 6:19; 10:19-22

Matteo 28:2; Salmo 18:7,15; Michea 1:3-4; Nahum 1:3-5; Habacuc 3:10,13; Ebrei 12:25-27

Apocalisse 11:13,19

Mt 27:52

52. e le tombe s'aprirono;

Nella Palestina e nei paesi vicini, usavano seppellire i morti in grotte di diverse grandezze scavate nella roccia, e la cui bassa e piccola entratura veniva otturata da una grossa pietra in forma di macina, la quale si faceva rotolare lungo la parete, fermandola e fissandola sulla porta del monumento, che così rimaneva chiusa. Si capisce dunque facilmente che per effetto del terremoto, potesse questa pietra rotolare da se fuori del suo posto,

e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono; 53. ed usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella santa città, ed apparvero a molti.

Matteo solo riferisce questo interessante particolare relativo alla morte e alla risurrezione di Cristo. Non è un mito, come pretendo Meyer, perché questo Vangelo fu pubblicato quando vivevano ancora molti testimoni oculari che avrebbero potuto svelarne la falsità. Vediamo in questo avvenimento l'omaggio reso dalla morte e dal sepolcro alla divinità del sofferente Messia. Secondo il racconto di Matteo, ci sono in questo avvenimento due atti successivi, simili a quelli che Ezechiele 37:1-10 vide in visione, nella campagna coperta di ossa secche. Quando i sepolcri furono aperti dal terremoto, la morte di Cristo spezzò il potere della morte e diede alle ossa disseccate e alla polvere, una scossa potente, in modo che quelle spoglie inaridite assunsero la bella complessione che il nostro corpo avrà alla

resurrezione. Tale è, a parer nostro, il significato della parola risuscitarono del vers. 52. Ma siccome nella visione di Ezechiele i corpi in tal guisa ricostituiti non vissero realmente che quando lo Spirito di vita ebbe soffiato in essi da Dio, così pure i corpi preparati per l'immortalità nei sepolcri aperti dal terremoto non ricevettero la vita se non all'alba del terzo giorno, dal Salvatore risuscitato. Il racconto di Matteo chiaramente dice che uscirono "dai sepolcri dopo la risurrezione di Cristo", e questo è perfettamente conforme agli altri passi della Scrittura, in cui è dichiarato che Cristo è "il primogenito dai morti" Colossesi 1:18, e "la primizia di coloro che dormono" 1Corinzi 15:20. Così praticamente fu annunziata alla Chiesa la grande verità, che Cristo ha le "chiavi della morte e dello Hades" Apocalisse 1:18, e che la sua risurrezione è un pegno certissimo di quella dei santi. "La morte è stata sommersa dalla vittoria" 1Corinzi 15:54. Alcuni hanno supposto che i santi, di cui è qui ricordata la risurrezione, fossero i patriarchi ed i profeti; altri; quelli che aveano sofferto il martirio sotto l'antica economia; ma il fatto che "entrarono nella santa città ed apparvero a molti", i quali senza dubbio li potevano riconoscere, dimostra che dovevano essere persone morte da poco tempo, come a dire Simeone, Anna ed altri, che al momento della nascita di Cristo, "aspettavano la redenzione". Dopo la sua risurrezione, Cristo non si fece vedere a nessuno in Gerusalemme, all'infuori dei suoi propri discepoli; ma l'apparizione di quei santi risuscitati a molte persone che li conoscevano, era da Dio destinata a dimostrare, in modo indubitabile, la risurrezione di Gesù. Le parole "apparvero a molti" indicano che quei santi risuscitati non rientrarono nel seno della società e nella vita attiva. Le loro apparizioni, simili a quelle di Gesù ai suoi discepoli, furono solo occasionali. Che pensare di loro negli intervalli? Rivestiti dei loro corpi spirituali, furono dessi compagni del Signore durante i quaranta giorni che precedettero la sua ascensione? Possiamo noi dubitare che, non essendo più soggetti a morire una seconda volta, come il figlio della vedova di Nain e Lazzaro, essi, come erano risorti con Cristo, con lui pure sieno saliti alla gloria, formando una numerosa comitiva, divenendo il trofeo della sua vittoria, i compagni del suo trionfo, i precursori di tutta la sua Chiesa?

PASSI PARALLELI

Isaia 25:8; 26:19; Osea 13:14; Giovanni 5:25-29; 1Corinzi 15:20

Daniele 12:2; 1Corinzi 11:30; 15:51; 1Tessalonicesi 4:14; 5:10

Matteo 4:5; Nehemia 11:1; Isaia 48:2; Daniele 9:24; Apocalisse 11:2; 21:2; 22:19

Mt 27:54

La testimonianza del centurione Matteo 27:54

54. E il centurione, e quelli che con lui, facevan la guardia a Gesù,

cioè l'ufficiale romano e i soldati sotto i suoi ordini che aveano eseguita la sentenza di Pilato ed aveano fatto la guardia intorno alle tre croci. I soldati si erano fatto beffe del povero paziente, porgendogli dell'aceto Luca 23:36, e con fredda indifferenza si erano diviso le sue spoglie, gittando la sorte sopra i suoi vestimenti, ai piè della croce stessa; ma,

veduto il terremoto e, le cose avvenute, temettero grandemente,

Le tenebre miracolose, il violento terremoto le parole di Gesù sulla croce, e il grido col quale egli rendè lo spirito, svegliarono i loro sentimenti superstiziosi, ed essi furono ripieni di grande spavento.

dicendo: Veramente costui era Figliuol di Dio.

Alcuni hanno preteso che questa espressione sia stata adoperata dal centurione in un senso pagano, equivalente a quello di eroe o di semi-dio. Ma il centurione dovea ben sapere che Cristo era stato condannato alla crocifissione per aver detto d'essere Figliuol di Dio; lo aveva udito, dalla croce, invocare Dio come suo Padre; e si era persuaso che i prodigi di cui era stato testimone erano una testimonianza resa dal cielo a favore di Colui che pendeva dalla croce. È dunque certo che egli fa uso delle parole "Figliuol di Dio", nel senso ebraico; non già che ne comprendesse tutto il

significato, ma per riconoscere che Gesù era più che un semplice uomo, quasi dicesse: "i Giudei gli negano il diritto di chiamarsi Figliuolo di Dio; ma, da quanto ho veduto, io sono convinto che egli è tale". Luca 23:47 riferisce un'altra parola del centurione, la quale corrobora questo nostro modo di vedere: "Veramente quest'uomo era giusto!", cioè onesto, veritiero, e non un impostore; quanto Egli dice di se deve dunque esser la verità!

Una tradizione asserisce che il centurione fu in sull'istante convertito, ed una leggenda indica, nella chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme, il posto preciso dove stava in piedi quando pronunziò quelle parole! Ma lasciando da parte la tradizione come essendo per lo meno incerta, e la leggenda indegna della nostra attenzione, merita di esser notato il fatto che, oltre alla testimonianza resa dalla moglie di Pilato alla eccellenza del carattere di Cristo, oltre all'iscrizione soprammessa da Pilato alla croce, abbiam due testimonianze consimili provenienti dai suoi nemici: una dal suo traditore, l'altra dai suoi carnefici. Gli amici che avrebbero dovuto prendere la difesa del suo buon nome erano tutti assenti, o tacevano; ma "Dio non si è lasciato mai senza testimonianza", e quella di un nemico è la più forte che si possa desiderare a favore di un innocente.

I soldati romani non furono i soli ad essere spaventati dai fenomeni di quel giorno. La spensierata moltitudine, che per passatempo era venuta a vedere la esecuzione, e della quale molti si erano uniti ai sacerdoti per accumulare insulti e motteggi sopra Gesù, dovette cambiare, di sentimento prima del termine di quel giorno. Alla pazza allegria succedette uno sgomento indefinibile, prodotto dal sentimento che un gran delitto era stato commesso! Luca 23:48 dice che "tutte le turbe che si erano radunate a questo spettacolo, vedute le cose ch'erano successe, se ne tornavano battendosi il Petto".

PASSI PARALLELI

Matteo 27:36; 8:5; Atti 10:1; 21:32; 23:17,23; 27:1,43

Marco 15:39; Luca 23:47-49

2Re 1:13-14; Atti 2:37; 16:29-30; Apocalisse 11:13

Matteo 27:40,43; 26:63; Luca 22:70; Giovanni 19:7; Romani 1:4

Mt 27:55

Le donne di Galilea Matteo 27:55-56

55. Or quivi erano molte donne che guardavano da lontano, le quali aveano seguitato Gesù dalla Galilea, per assisterlo;

Pare che un solo apostolo sia stato presente alla crocifissione, ma molte donne fedeli e devote d'infra i discepoli rimasero a vedere. In sulle prime, dice Luca 23:49, esse "si fermarono da lontano"; ma poi, secondo Giovanni 19:25, alcune poterono avvicinarsi sin "presso della croce". Non erano spinte da vana curiosità, ma da un sincero affetto per Gesù e dal desiderio di dimostrargli la loro simpatia. Aveano provveduto ai suoi bisogni durante le sue gite missionarie in Galilea e il suo viaggio a Gerusalemme; ed ora, colla mirabile devozione della donna, stanno ai piedi della croce, dimentiche di se, nella speranza che venga loro permesso di servire, nei suoi ultimi momenti, quel Maestro che tanto amavano.

PASSI PARALLELI

Luca 23:27-28,48-49; Giovanni 19:25-27

Luca 8:2-3

Mt 27:56

56. fra le quali eran Maria Maddalena, e Maria madre di Giacomo e di Iose e la madre dei figliuoli di Zebedeo.

Vedi Note Matteo 13:55Matteo 13:55. Queste vengono nominate a cagione della parte che poi ebbero negli eventi accaduti al sepolcro; ma la comitiva di sorelle che seguivano Gesù era più numerosa Vedi Matteo 27:55, Marco 15:41; Luca 8:1-3

PASSI PARALLELI

Matteo 28:1; Marco 15:40-41; 16:1,9; Luca 24:10; Giovanni 20:1,18

Matteo 15:47; 16:1; Giovanni 19:25

Matteo 13:55; Marco 15:40; 16:1

Matteo 20:20-21

Mt 27:57

Matteo 27:57-60. GESÙ TRATTO GIÙ DI CROCE E DEPOSTO NEL SEPOLCRO Marco 15:42-46; Luca 23:50-54; Giovanni 19:31-42

Per la esposizione Vedi Giovanni 19:31Giovanni 19:31-42.

Mt 27:61

Matteo 27:61-66. FATTI CHE SEGUIRONO LA DEPOSIZIONE DI GESÙ NEL SEPOLCRO Marco 15:47; Luca 23:55-56

Le donne osservano con attenzione la tomba, affine di poterla ritrovare Matteo 27:61

61. Or Maria Maddalena,

Di questa seguace di Gesù, la Scrittura dice solo che la sua devozione al Signore ebbe origine dal fatto che egli cacciò da lei sette demoni Marco 16:9. Essa era di Galilea, dove probabilmente possedeva qualche sostanza. Il soprannome che la distingue dalle altre Marie è derivato dalla piccola città o villaggio di Magdala, sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade, suo luogo natio, poiché altrove è chiamata Maria di Magdala Matteo 15:30. Né dalla Scrittura, né dai primi Padri puossi dedurre la minima cosa che giustifichi l'insulto che Gregorio Magno e la Chiesa di Roma hanno fatto a questa nobile donna, identificandola colla prostituta penitente, di cui parla Luca 7:37-50. Clemente di Alessandria, Tertulliano, Ireneo, Origene, Teofilo di Antiochia, Macario Crisostomo, Teofilatto, tutti i commentatori insomma della Chiesa Orientale sono opposti alla teoria secondo la quale Maria Maddalena e la "donna che era stata peccatrice", sarebbero una stessa persona. Questa teoria ebbe origine da Gregorio Magno, e in grazia della popolarità di quel dottore e l'uso frequente dei suoi scritti nelle scuole di teologia del medioevo, si sparse universalmente nella Chiesa Occidentale. Pittori e scultori han largamente contribuito a perpetuare quest'idea erronea. La Riforma protestante istessa fu impotente a distruggere questa nozione popolare, e molte istituzioni caritatevoli, dirette a rialzare le donne cadute, portano tuttora il nome di Maria di Magdala. Alla base di questa tradizione sta l'errore che consiste nel considerare come identici due passi Luca 7:3750; Giovanni 12:3, in entrambi i quali è narrato che il Signore fu unto d'olio in segno di rispetto. Siccome poi Giovanni dice che Maria, sorella di Lazaro, fu quella che unse Gesù, mentre Luca parla di una "donna che era stata peccatrice", si concluse senz'altro che Maria di Betania era stata una donna di mala vita! Finalmente le si diede il soprannome di Maddalena, secondo alcuni perché, dopo caduta in peccato, si era ritirata in Magdala; e secondo altri, a cagione di certi suoi ornamenti da meretrice! Difficilmente si potrebbe trovare una tradizione più insostenibile e più vergognosa di questa, che confonde in una sola tre persone distinte, ed infligge a due donne oneste il marchio del disonore. Per più ampie informazioni su questo soggetto e in forma concisa, Vedi: "Dizionario della Bibbia", di Smith, all'articolo: Maria Maddalena.

e l'altra Maria,

Cioè la moglie di Cleopa (Vedi Matteo 13:55) era quivi, sedute dirimpetto al sepolcro. Non erano venute per curiosità, ma perché desideravano rendere gli ultimi onori al corpo del loro Signore, e Maestro. L'avvicinarsi della notte e del Sabato rendeva impossibile, per quella sera, l'attuazione del loro disegno; ma vollero almeno vedere dove si poneva il corpo, ed osservare attentamente la posizione del sepolcro per essere certe di non sbagliarsi quando ritornerebbero. Riuscirono infatti in questo intento, e quando all'alba del "primo giorno della settimana" ritornarono per imbalsamare il corpo del Signore, non ebbero difficoltà alcuna di ritrovarne il posto.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:56

Mt 27:62

La guardia posta al sepolcro Matteo 27:62-66

62. E l'indomani, ch'era il giorno successivo alla preparazione,

La paraskeue, ossia il giorno della preparazione, corrispondeva al nostro Venerdì, ed era così chiamato perché i Giudei, non potendo fare opera alcuna nel Sabato, che era per loro il giorno del riposo, dovevano fare i loro preparativi domestici il giorno prima. Flavio Antiq. 16:6,2, cita un decreto di Cesare, nel quale veniva riconosciuto "il giorno della preparazione", e si esentavano i Giudei da ogni molestia giudiziaria dopo la nona ora 3 pom. di quel giorno. Wettstein dà la seguente enumerazione, ricavata dai Rabbini, dei giorni della settimana: "Primo, secondo, terzo, quarto, quinto, paraskeue e Sabato". La relazione esistente tra quel giorno e il Sabato è poi messa fuori dubbio dalla osservazione che Marco 15:42, fa in una parentesi, dicendo: "Perché era la preparazione, cioè l'antisabato". Erano necessarie queste osservazioni, perché Giovanni 19:14 chiama quello stesso giorno "la preparazione della Pasqua", espressione che ha dato origine ad accuse di divergenze fra il suo Vangelo e i Sinottici, e quindi ad un numero di teorie

diverse, per metterli d'accordo Vedi Note Giovanni 13:1Giovanni 13:1. Che Giovanni abbia voluto parlare della paraskeue del Sabato pasquale, è evidente dal modo con cui si esprime ai versetti 31 e 42 del cap. 19. Giovanni 19:31,42 La paraskeue terminava al tramonto del Venerdì sera, e allora cominciava il Sabato. Ma, per esser certi che nessuno toccherebbe il corpo che era ora deposto nel sepolcro, i nemici di Cristo non si fecero scrupolo di trasgredire il quarto comandamento, quantunque fosse quello il Sabato più solenne della festa; né di recarsi nel Palazzo dove abitava Pilato, quantunque, così facendo, si contaminassero in faccia alla legge cerimoniale confr. Giovanni 18:28

I capi sacerdoti, e i Farisei, si raunarono Presso Pilato; 63. dicendo: Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore,

Merita di essere notato il fatto che i rettori dei Giudei non chiamarono mai Gesù col suo proprio nome. Senza dubbio usano l'epiteto di impostore o seduttore, affine di far tacere nel cuore di Pilato ogni scrupolo di coscienza od ogni rimorso per avere acconsentito alla morte di Gesù! ma la rabbia colla quale danno questo nome ad un morto, rammentando le parole che egli stesso aveva pronunziate, ci pare indichi pure che nel segreto del loro cuore si nascondeva il sospetto che Gesù non fosse, in fin dei conti, quel grande impostore che essi dicevano.

Mt 27:63

mentre viveva ancora,

Ecco una prova indubitabile, fornitaci dagli stessi nemici di Cristo, della realtà della sua morte, di quella morte che è il fondamento e la pietra angolare della fede cristiana.

disse: Dopo tre giorni risusciterò.

Fra gli argomenti frivoli messi avanti per impugnare l'esattezza storica di questo passo, c'è questo: che i principali sacerdoti, ecc. ecc., non potevano

aver conoscenza di queste parole di Cristo, avendole egli indirizzate privatamente ai suoi discepoli. Rispondiamo che Gesù parlò in questo senso stesso agli stessi sacerdoti, nel tempio, al principio del suo ministerio Giovanni 2:19; che egli ripetè la stessa cosa sotto forma di profezia, rispondendo, in Galilea, agli Scribi ed ai Farisei Matteo 12:40; e che spesso ritornò sul medesimo soggetto specialmente durante gli ultimi mesi del suo ministerio, conversando coi discepoli, uno dei quali vendette ai capi dei Giudei tutti i suoi segreti.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:17; Marco 15:42; Luca 23:54-56; Giovanni 19:14,42

Matteo 27:1-2; Salmo 2:1-6; Atti 4:27-28

Luca 23:2; Giovanni 7:12,47; 2Corinzi 6:8

Matteo 16:21; 17:23; 20:19; 26:61; Marco 8:31; 10:34; Luca 9:22; 18:33; 24:6-7

Giovanni 2:19

Mt 27:64

64. Ordina dunque che il sepolcro sia sicuramente custodito, fino al terzo giorno; che talora i suoi discepoli non vengano a rubarlo,

Qui abbiamo una prova novella che questa domanda non poté venir fatta la sera dopo del Sabato, quando già era principiato il terzo giorno dopo la crocifissione, poiché, nel frattempo, i discepoli avrebbero potuto con tutta facilità rubare il corpo di Gesù e rendere vane le precauzioni prese dai sacerdoti per impedire il trafugamento. Essi domandarono una guardia di soldati romani, cioè una categoria di uomini che i poveri pescatori di Galilea non speravano di poter corrompere.

e dicano al popolo: Egli è risuscitato da' morti;

Questa è la favola stessa che essi misero poi in circolazione, per gettare discredito sulla testimonianza degli apostoli, relativamente alla risurrezione di Cristo. Se avessero saputo quanto stava per accadere, non avrebbero certo presentato una cotal supplica a Pilato. Senza questa guardia, posta intorno al sepolcro in seguito alla loro richiesta, la frode che i discepoli avessero rubato il corpo di Gesù avrebbe potuto essere creduta da tutti,

così l'ultimo inganno sarebbe peggiore del primo.

"La sua impostura nel darsi per il Messia ha già fatto molto male, ma molto più ne farebbe quella della sua pretesa risurrezione".

PASSI PARALLELI

Matteo 28:13

Matteo 12:45

Mt 27:65

65. Pilato disse loro: Avete una guardia;

Pilato parla qui, o di un distaccamento di soldati romani, posto sotto il comando dei sacerdoti, per mantenere l'ordine nel recinto del tempio, o di quelli che erano stati incaricati della crocifissione, e che rimanevano agli ordini dei sacerdoti finché fossero adempiuti i minimi particolari relativi al supplizio. Siccome gl'infelici che venivano crocifissi rimanevano talvolta in agonia per diversi giorni, era affatto indefinito il tempo di difazione di quella guardia.

andate, assicuratevi come credete.

come meglio sapete fare. Non è probabile che Pilato parlasse ironicamente; pure egli insinua in modo chiaro che, se gli eventi dovessero riuscire contrari ai loro desideri, non si sarebbe potuto accusarli di aver mancato di zelo per prevenirli.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:11-15; Salmo 76:10; Proverbi 21:30

Mt 27:66

66. Ed essi andarono ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra,

Al vers. 60 Matteo 27:60 è detto che, secondo l'uso tuttora vigente in Palestina, "una gran pietra fu rotolata in su l'apertura del monumento", affinché le bestie selvatiche non v'entrassero per divorare il cadavere. Tuttavia, per essere anche più certi che il sepolcro non sarebbe violato, distesero, a traverso quel pesante sasso, delle funi, sigillandone le due estremità alla roccia con un cemento sul quale venne impresso un sigillo. Non sappiamo se si tratti qui del sigillo ufficiale di Pilato, o di quello del Sommo Sacerdote.

e mettendovi la guardia.

C'era già la pietra che chiudeva l'entrata del sepolcro, e sigillata in modo da far scoprire immediatamente ogni tentativo di scuso; ed ora essi mettono un picchetto di soldati romani a farvi la guardia. Che potevano mai far di più?

PASSI PARALLELI

Daniele 6:17; 2Timoteo 2:19

1. Il fendersi in due della cortina che nascondeva ad ogni occhio il Luogo Santissimo fu il più significativo di tutti i segni che accompagnarono la morte del nostro Signore. Un tal fatto proclamava l'abolizione della legge cerimoniale, la cui missione era compiuta, essendo il vero Sommo Sacerdote finalmente apparso, il vero Agnello di Dio immolato, e il vero Propiziatorio rivelato. Ristabilire ora un altare, un sacrificio ed un sacerdozio, sarebbe stata la stessa cosa che accendere una candela in pieno meriggio. Di più, lo squarciarsi della cortina dichiarava che la via della salvezza era ormai aperta all'umanità intiera. L'accesso a Dio, ignoto ai Gentili, ed imperfettamente conosciuto dagli Ebrei, è da ora in poi liberamente schiuso a tutto il mondo. Lo stesso Spirito Santo dà a tutti introduzione a Dio. Lettori, siete voi convinti, come di un fatto incontrastabile, che per la fede in Gesù Cristo tutti i vostri peccati sono cancellati, e che, bandito ogni timore, dovete considerarvi come perfettamente riconciliati con Dio?

2. Qual nobile testimonianza è stata resa alla divinità di Colui che gli uomini aveano appiccato alla croce, quando la natura intera si agitò e si sconvolse al momento della sua morte! il cielo si coprì di caligine, la terra tremò, le rocce si schiantarono, i sepolcri lasciarono fuggire i morti ad i pagani furono costretti di confessare che certamente egli era il Figliuol di Dio!

3. In che modo mirabile è adempiuta la Scrittura: "Certo il furore degli uomini ridonderà alla tua lode: ti cingerai degli ultimi avanzi dei loro furori" Salmo 76:10. I nemici di Cristo erano certi della sua morte; ma temevano, o fingevano di temere, che i suoi discepoli rubassero il suo corpo e, quindi proclamassero che egli era risuscitato. A prevenire un tale inganno, essi prendono tutte le precauzioni immaginabili; ma invano. I sigilli posti sul sepolcro proteggevano il corpo del Signore contro ogni sfregio; le sentinelle romane erano guardie d'onore, che impedivano tanto agli amici che ai nemici d'avvicinarsi; eppure, a dispetto di tante cautele, quando spuntò l'alba del terzo giorno, la tomba si trovò vuota. I panni mortuari si videro ripiegati da parte, e delle sentinelle celesti occupavano il pesto degli impauriti soldati di Pilato.

4. Cristo ha santificato la tomba e ne ha fatto un luogo di riposo per tutti i suoi credenti. Essi non devono temere di giacere dove egli pure è giaciuto; e da dove egli risorse, essi pure risorgeranno a loro tempo per l'eterna gloria. "Cristo è la primizia; poi, quelli che son di Cristo, alla sua venuta" 1Corinzi 15:23

Mt 28:1

CAPO 28 - ANALISI

LA RESURREZIONE

1. Visita delle due Marie al sepolcro, allo spuntar del giorno. Prima che cominciasse il Sabato, esse avevano preparato degli aromati per imbalsamare il corpo di Cristo; ora, dopo il giorno del riposo, non appena è chiaro abbastanza per potersi accingere alla santa opera, esse s'incamminano verso il sepolcro. Un secondo terremoto accompagna la venuta di un messaggero celeste e fa rotolare fuori del suo posto la pietra che chiudeva l'entrata dell'avello. Così, giungendo al sepolcro, le donne trovano l'angelo seduto sopra la pietra, e le guardie romane in preda ad una costernazione mortale. Riconoscendo le donne come seguaci di Cristo, l'angelo dice: "Voi, non temiate! "e dà loro lo stupendo annunzio della risurrezione di Cristo dai morti. In prova della verità delle sue parole, le invita a visitare il vuoto sepolcro. L'angelo le manda quindi a portare a tutti i discepoli quelle buone notizie, e a dir loro che il Signore si manifesterebbe ad essi in Galilea Matteo 28:1-7.

2. Gesù apparisce alle donne in sulla strada. Piene di gioia, esse partono dal sepolcro e corrono ad annunziar la gloriosa notizia agli altri discepoli, quand'ecco Gesù istesso si presenta inaspettatamente in sulla via, e rivolge loro un saluto. Lo, riconoscono immediatamente, e prostrandosi ai suoi piedi lo adorano; quindi si rimettono per istrada, avendo da Cristo ricevuto il messaggio istesso che già era stato loro dato dagli angeli Matteo 28:8-10.

3. Favola messa in circolazione dal Sinedrio. Alcuni dei soldati, passato un momento di costernazione, corrono dai capi sacerdoti a raccontare loro ciò

che era realmente accaduto. I nemici di Cristo sentono istintivamente che il loro credito è in pericolo, se non si sopprime immediatamente la testimonianza dei soldati. Si convoca subito il Sinedrio, e si decide di dar denari ai soldati, affinché spargano un falso racconto dell'accaduto. Questi, accertati di non correr nessun rischio della persona quando anche fosse stata istituita un'inchiesta, accettano il denaro e propalano la voce che i discepoli di Cristo ne hanno rubato il corpo mentre essi dormivano Matteo 28:11-15.

4. Incontro di Cristo con gli apostoli in Galilea. Matteo termina il suo Vangelo narrandoci come Cristo si fece vedere ai discepoli in Galilea. Colà egli annunzia loro che, nella sua qualità di Messia, aveva ricevuto l'investitura della suprema autorità, e quindi conferiva loro il gran mandato di predicare il Vangelo in tutto il mondo. Egli istituisce il sacramento del Battesimo cristiano, e promette di essere con i suoi redenti fino alla fine del mondo Matteo 28:16-20.

Matteo 28:1-7. L'ANGELO AL SEPOLCRO ANNUNZIA LA RISURREZIONE DEL SIGNORE Marco 16:1-8; Luca 24:1-8; Giovanni 20:1

1. Or, nella notte del Sabato, quando già albeggiava il primo giorno della settimana

il primo giorno dopo il Sabato. È modo di dire ebraico, poiché sappiamo dagli scritti dei Rabbini che essi distinguevano i giorni della settimana chiamandoli: il primo dopo il Sabato, il secondo dopo il Sabato, ecc. Albeggiava verso le quattro antimeridiane. Questo primo giorno della settimana aveva realmente cominciato alle sei della sera precedente.

Maria Maddalena e l'altra Maria,

madre di Giacomo, Marco 16:1

vennero a visitare il sepolcro.

Marco e Luca entrano in maggiori particolari, e dicono che quelle donne andavano al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù, avendo a questo fine comperato degli aromati, sia il Venerdì sera, sia il Sabato sera. Marco aggiunge agli altri nomi quello di Salome; Luca quello di Giovanna, e quest'ultimo indica inoltre la presenza di altre donne, che non nomina. Spariscono tutte quelle apparenti differenze, se si tiene in mente che le donne non giunsero tutte insieme al sepolcro, ma separatamente, le une dopo le altre, secondo la distanza da percorrere, e che ogni evangelista narra le cose che egli stesso vide, o che furono vedute da quelli da cui trasse le sue informazioni.

PASSI PARALLELI

Marco 16:1-2; Luca 23:56; 24:1,22; Giovanni 20:1-10

Matteo 27:56,61

Mt 28:2

2. Ed ecco, si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra

il terremoto e la discesa dell'angelo, nonché la rimozione della pietra fatti che sono legati come effetti e cause devono essere accaduti mentre le donne erano già avviate al sepolcro, poiché, quando giunsero, le guardie erano ancora sbalordite dallo stupore e dalla paura. Questi dettagli ci permettono pure di fissare, presso a poco, il momento della risurrezione del nostro Signore, quantunque nessuno dei suoi intimi sia stato testimone del fatto.

e vi sedette sopra.

Si mise quivi in sentinella per onorare il Signore, e per aumentare lo spavento nelle guardie romane, mentre aspettava che venissero alcuni dei discepoli di Cristo per dar loro la consolante notizia della risurrezione del Signore.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:51-53; Atti 16:26; Apocalisse 11:19

Marco 16:3-5; Luca 24:2-5; Giovanni 20:1,12-13; 1Timoteo 3:16; 1Pietro 1:12

Mt 28:3

3. Il suo aspetto era come di folgore, e la sua veste bianca come neve.

Ecco in brevi parole una sublime descrizione degli angeli, la quale desta nella nostra mente mille pensieri il "folgore" e la "neve" sono simboli della gloria e della purità di quella celeste dimora dalla quale veniva quell'angelo. Matteo dice che il celeste messaggere stava seduto sulla pietra al di fuori del sepolcro. Marco parla di un altro angelo che stava seduto dentro il sepolcro istesso, e parlò esso pure colle donne. Luca parla di due angeli che indirizzarono la parola alle donne, fuori del sepolcro Senza dubbio una schiera numerosa di angeli era scesa dal cielo per onorare il loro Signore, al momento della sua risurrezione; non ci deve dunque sorprendere che apparissero in diversi alle donne, specialmente se queste, già abbiamo supposto, erano arrivate al sepolcro le une dopo le altre. Siamo però perfettamente certi che se conoscessimo nei loro minimi dettagli i movimenti di tutti quelli che si recarono al sepolcro in quel giorno, e non potessimo metterli in ordine e confrontarli gli uni cogli altri, troveremmo che i Vangeli non sono in contraddizione fra loro, né su questo punto, né su tutti quegli altri nei quali non sembrano combinarsi perfettamente. Dimenticando la mancanza di tali particolari, gli Armonisti hanno più d'una volta messo in pericolo l'autorità della Scrittura col volere ad ogni costo ricavare dai quattro Vangeli una narrazione ordinata e completa.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:2; Salmo 104:4; Ezechiele 1:4-14; Daniele 10:5-6; Apocalisse 1:14-16; 10:1; 18:1

Marco 9:3; 16:5; Atti 1:10; Apocalisse 3:4-5

Mt 28:4

4. E, per lo spavento che n'ebbero, le guardie tremarono, e rimasero come morte.

Non dobbiamo meravigliarci! che l'apparizione dell'angelo abbia prodotto su quei soldati pagani un effetto così potente. La Scrittura ricorda molte occasioni nelle quali l'apparizione di tali messaggeri celesti fu seguita dal medesimo risultato. In questo caso, il terremoto, la presenza di un essere di natura evidentemente sovrumana, all'alba di quel giorno critico, nel quale era specialmente richiesta la loro vigilanza, nonché i miracoli che aveano accompagnato la morte, di Gesù, e dei quali essi erano stati testimoni, sono fatti più che sufficienti per spiegare il terrore dei soldati romani e lo sgomento mortale che s'impadronì di loro. Così vediamo, in un batter d'occhio, e senza alcun intervento umano, rese completamente vane tutte le precauzioni dei rettori giudaici. Così pure sono adempiute alla lettera le parole del Salmista: "Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro" Salmo 2:4

PASSI PARALLELI

Matteo 28:11; 27:65-66

Giobbe 4:14; Salmo 48:6; Daniele 10:7; Atti 9:3-7; 16:29; Apocalisse 1:17

Mt 28:5

5. Ma l'angelo prese a dire alle donne: Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso.

Luca 24:7 dice che le donne pure furono spaventate alla vista di quei messaggeri celesti; ma l'angelo le esortò a bandire ogni timore. Il voi è enfatico e segna un contrasto fra le donne e le guardie, quasi dicesse: "La disciplina militare l'abitudine dei pericoli, la conoscenza degli uomini acquistata nel servire in diversi paesi, non sono di giovamento alcuno a questi soldati contro la potenza del mondo degli spiriti: Vedete, giacciono in terra, oppressi da invincibile terrore! Ma voi, benché siate deboli donne, non avete nessun motivo di temere; Noi e voi serviamo lo stesso Signore; voi, come amiche, cercate Gesù il crocifisso; e noi, come suoi messaggeri, ci dilettiamo nel fare la sua volontà".

PASSI PARALLELI

Isaia 35:4; 41:10,14; Daniele 10:12,19; Marco 16:6; Luca 1:12-13,30; Ebrei 1:14

Apocalisse 1:17-18

Salmo 105:3-4; Luca 24:5; Giovanni 20:13-15; Ebrei 1:14

Mt 28:6

6. Egli non è qui; poiché è risuscitato, come avea detto;

L'angelo, prima di tutto, tranquillizza l'ansietà delle donne riguardo al corpo del Signore, dicendo loro che più non era nella tomba; quindi si mostra sorpreso che avessero creduto di trovarvelo ancora, mentre aveva annunziato che risusciterebbe. Qual contrasto fra la rapidità colla quale gli angeli comprendono e credono ogni parola che esce dalla bocca di Dio, e la tardità della umana fede!

venite a vedere il luogo dove giaceva;

Questo prezioso invito è premurosamente accettato. Le donne entrano nel monumento e guardano attorno, ma non scorgono quella salma adorata

ch'esse vi cercano. Per qualche tempo, egli era giaciuto quivi, affin di santificare la tomba come un luogo di riposo per i suoi redenti, ma ora egli non c'è più! Quella visita delle donne nell'interno del monumento fu una cosa utilissima non solo per la loro propria soddisfazione, ma pure perché immediatamente dopo dovevano essere "testimoni" del fatto in faccia agli altri. La loro testimonianza non sarebbe stata ricevuta nemmeno dai discepoli, se non avesse avuta altra base che le parole di un angelo, il quale al dopotutto, poteva non essere altro per gli apostoli, che un fantasma della immaginazione femminile. Ora invece esse potranno dire non solo di aver visto la grossa pietra rimossa dall'apertura del monumento, ma anche di aver parlato con l'angelo che l'aveva rimossa, e di essere stato da lui stesso condotte nell'ormai vuoto sepolcro, onde poter dare ai discepoli la notizia che il Signore più non vi si trovava.

PASSI PARALLELI

Matteo 12:40; 16:21; 17:9,23; 20:19; 26:31-32; 27:63; Marco 8:31; Luca 24:6-8

Luca 24:23,44; Giovanni 2:19; 10:17

Marco 16:6; Luca 24:12; Giovanni 20:4-9

Mt 28:7

7. E andate presto a dire ai suoi discepoli:

La parola "discepoli" indica qui, senza dubbio, tutti i credenti Galilei, che formavano la maggioranza dei seguaci di Cristo. Marco aggiunge "ed a Pietro". Pietro infatti, dopo quanto gli era accaduto, avrebbe potuto dubitare che a lui pure s'indirizzasse quel messaggio, e che avesse ancora il diritto di essere fra i discepoli. Perciò il Signore ricorda particolarmente il suo nome: prova commovente della sua bontà nel perdonare, e della cura compassionevole che ei si prende dei più deboli!

Egli è risuscitato da' morti; ed ecco, vi precede in Galilea;

La provincia alla quale le donne pure appartenevano. Il Signore aveva fatto questa promessa ai discepoli prima del suo arresto Matteo 26:32

quivi lo vedrete; ecco, ve l'ho detto.

Le donne non potevano dubitare che l'angelo fosse un messaggero celeste e quindi l'angelo fa appello a questa loro convinzione, acciocché credano alle sue parole.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:10; Marco 16:7-8,10,13; Luca 24:9-10,22-24,34; Giovanni 20:17-18

Matteo 28:16-17; 26:32; Marco 14:28; Giovanni 21:1-14; 1Corinzi 15:4,6

Matteo 24:25; Isaia 44:8; 45:21; Giovanni 14:29; 16:4

Mt 28:8

8. E quelle andatesene prestamente dal sepolcro,

dove questo messaggio era loro stato dato, con ispavento ed allegrezza grande. Questo conflitto di emozioni è perfettamente naturale in simili circostanze. Il sepolcro vuoto, il Maestro che era stato crocifisso ora tornato in vita e sul punto di partire per la Galilea, e quel Maestro Signore degli angeli! È da stupire che alla loro gioia si frammischi un solenne timore?

corsero ad annunziar la cosa ai suoi discepoli.

Le donne si affrettarono di tornare in Gerusalemme, non soltanto per eseguir l'ordine ricevuto, ma pura per accertarsi della verità delle cose che aveano vedute, domandando ai discepoli se Gesù le aveva realmente predette.

PASSI PARALLELI

Ezechiele 3:12-13; Salmi 2:11; Marco 16:8; Luca 24:36-41; Giovanni 16:20,22; 20:20-21

Mt 28:9

Matteo 28:9-10. GESÙ APPARE ALLE DONNE PER VIA Marco 16:911; Giovanni 20:11-18

9. Quand'ecco, Gesù si fece loro incontro, dicendo: Vi saluto! Ed esse, accostatesi,

L'apparizione di Cristo alle donne, mentre se ne tornavano insieme dal sepolcro, è ricordata dal solo Matteo; ma i passi che abbiamo creduto di notare come a questo paralleli, contengono cose che, se ci fossero noti tutti gli eventi di quel giorno, si troverebbero senza dubbio concordi con essa. Risulta chiaramente da questo versetto che Gesù apparve per via alle donne che erano andate insieme al sepolcro. È pur chiaro, dal racconto di Marco e di Giovanni, che Gesù apparve separatamente a Maria Maddalena mentre era sola. Come riconciliare l'un coll'altro questi fatti? Rimase dessa al sepolcro lasciando che le sue compagne andassero a riferire la cosa ai discepoli? Ovvero Cristo le apparve egli una seconda volta nel giardino di Giuseppe quando, compiuto l'incarico, ritornò al monumento? Sono così pochi e brevi i ragguagli datici dagli Evangelisti i quali aveano per unico scopo di stabilire la certezza della risurrezione di Cristo, che ognuno deve decidere per il proprio conto quale di queste due alternative gli sembra la più probabile. Siamo di parere che la prima meglio concordi col resto del racconto.

gli strinsero i piedi e l'adorarono.

Riconobbero immediatamente il loro Signore risuscitato, e si prostrarono ai suoi piedi, nell'atto di chi adora. Gesù accetta il loro culto, il che sarebbe stato per parte sua un atto sacrilego se fosse vera la dottrina di Socino e di Ario, secondo la quale Cristo sarebbe stato un semplice uomo, o la più eccelsa creatura di Dio. Il fatto che le donne abbracciano i piedi di Gesù, e l'invito diretto poi all'incredulo Toma di mettere, il suo dito nelle ferite dei chiodi, ecc., distruggono interamente le assurde teorie gnostiche, secondo le quali Cristo non avrebbe assunto la natura umana in realtà, ma solo in apparenza. Se poi, insieme con quei fatti indubitabili, prendiamo a considerare tutto ciò che ci è riferito intorno alle diverse apparizioni del Signore dopo la sua risurrezione, troveremo abbondante materia per meditare sulle proprietà del corpo spirituale di Gesù, simili al quale saranno pure, dopo la risurrezione, i corpi di tutti i redenti.

PASSI PARALLELI

Isaia 64:5; Marco 16:9-10; Giovanni 20:14-16

Luca 1:28; Giovanni 20:19; 2Corinzi 13:11

Cantici 3:3-4; Luca 7:38; Giovanni 12:3; 20:17: Apocalisse 3:9

Matteo 28:17; 14:33; Luca 24:52; Giovanni 20:28; Apocalisse 5:11-14

Mt 28:10

10. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli, che vadano in Galilea; là mi vedranno.

Colle parole "miei fratelli", Gesù non indica, come lo hanno creduto alcuni, i suoi fratelli secondo la carne, poiché non abbi indizio veruno che essi fossero già convertiti e che i discepoli fossero con essi in relazione. Abbiamo qui una semplice ripetizione del messaggio che l'angelo aveva già dato alle donne per i discepoli, affinché affrettassero la loro partenza da Gerusalemme. I sostenitori della prima interpretazione dicono che se

quell'ordine fosse stato dato ai discepoli, questi, nell'ubbidire ad esso, avrebbero perduto più di una occasione di incontrarsi con Cristo, prima che egli andasse in Galilea; ma è più probabile che il Signore apparisse loro più volte in Gerusalemme appunto perché tardi nell'ubbidire al suo comando, e per fortificare la loro debole fede. Dal nome col quale Cristo chiama i discepoli, si può desumere quant'essi erano cari al suo cuore. Nel primi tempi il aveva chiamati discepoli, poi amici Giovanni 15:15, ed ora. dopo la sua risurrezione il chiama fratelli Salmo 22:23; Ebrei 2:11-12

PASSI PARALLELI

Matteo 28:5; 14:27; Luca 24:36-38; Giovanni 6:20

Matteo 28:7; Giudici 10:16; Salmo 103:8-13; Marco 16:7

Matteo 12:48-50; 25:40,45; Marco 3:33-35; Giovanni 20:17; Romani 8:29; Ebrei 2:11-18

Mt 28:11

Matteo 28:11-15. LE GUARDIE RICEVONO DANARO PER PROPAGARE UNA MENZOGNA

Quel particolare così importante relativo alla risurrezione del nostro Signore, è riferito dal solo Matteo.

11. Or mentre quelle andavano,

cioè al momento in cui si alzava il sole, o poco prima. Le donne infatti si erano fermate pochi minuti vicino al monumento. Aveano però avuto il tempo di osservare le guardie distese al suolo e fuori di se per la paura; potevano quindi, narrando ciò che aveano visto, smentire completamente la favola messa poi in giro dalle guardie stesse.

ecco, alcuni della guardia vennero in città, e riferirono ai capi sacerdoti tutte le cose ch'erano avvenute.

Una tal condotta da parte delle guardie era perfettamente naturale. Pilato le aveva poste sotto gli ordini dei sacerdoti. Consce di avere fedelmente adempiuto al proprio dovere, le guardie narrano quanto era accaduto con perfetta veracità e colla franchezza di chi non ha niente da rimproverarsi.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:4; 27:65-66

Mt 28:12

12. Ed essi, radunatisi con gli anziani,

Era così importante la notizia data dalle guardie, che i capi sacerdoti non vollero prendere sopra di se la responsabilità di dare qualsiasi ordine. Essi trattengono i soldati, mentre si convoca in fretta una seduta del Sinedrio per decidere la questione: "Che dobbiamo noi fare ora che, a dispetto di tutte le nostre precauzioni, l'impostore di Nazaret è risuscitato, dopo tre giorni, come egli aveva predetto?". Permettere che si sparga, senza contraddirla, una tale notizia, era esporsi ad una i ruina completa. Altra alternativa non rimaneva loro che di comprare le guardie, perché queste non divulgassero la verità,

e tenuto consiglio, dettero una forte somma di danaro ai soldati, 13. dicendo: Dite così: i suoi discepoli son venuti di notte, e l'han rubato, mentre dormivamo.

Il soldato che trovandosi in sentinella si addormentava, era dalla legge militare romana inesorabilmente punito di morte. Era dunque naturale che ognuno di essi domandasse una somma considerevole per esporsi ad un tanto pericolo col solo fine di soddisfare ad un capriccio dei Giudei! È cosa meravigliosa che il Sinedrio non si sia accorto della evidente contraddizione

contenuta nella favola da esso suggerita ai soldati; poiché, se le guardie dormivano, come mai poterono sapere che il corpo del Signore era stato rubato, e che i ladri erano stati i suoi discepoli? Ma l'affare premeva: e chi sa se in quello stesso istante i soldati rimasti al sepolcro non erano intenti a raccontare ai curiosi come erano andate le cose? Mancava il tempo per inventare una storia più verosimile della verità; ed essi nella grande loro perplessità afferrano la supposizione che i discepoli di Cristo ne abbiano rubato il corpo, e subito comandano ai soldati di spargere cotesta favola, senza darsi il tempo di esaminare se non contenga qualche contraddizione che ne sveli la impostura.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:3-4; 27:1-2,62-64; Salmo 2:1-7; Giovanni 11:47; 12:10-11; Atti 4:5-22

Atti 5:33-34,40

Matteo 26:64

Mt 28:14

14. E se mai questo viene alle orecchie del governatore, noi lo persuaderemo e vi metteremo fuor di pena.

"Se l'affare viene fatto sapere al governatore, perché si faccia una inchiesta, noi lo persuaderemo a salvarvi da ogni pericolo!". La sicurezza colla quale il Sinedrio parla di persuadere Pilato mostra sino a qual punto costui fosse in loro potere. Infatti, egli non ardì liberare Gesù, quantunque ne riconoscesse la innocenza e desiderasse salvarlo; ed ora, se fosse stata portata dinanzi al suo tribunale questa grave accusa di negligenza nella disciplina militare, egli non avrebbe ardito di punirla. La sua crudeltà, la sua rapacità e la sua ingiustizia, avendo già suscitato tali lagnanze da meritargli i severi rimproveri dell'imperatore romano, sarebbe stata cosa pericolosa per lui l'offendere le autorità giudaiche, e dare loro nuovi motivi di lamento.

PASSI PARALLELI

Atti 12:19

Mt 28:15

15. Ed essi, preso il danaro,

Certi di non correre nessun rischio per la loro vita, e con una ragguardevole somma nella loro cintura, quei, soldati non hanno difficoltà alcuna di propagare quella menzogna; ma oh, qual disprezzo dovean essi provare per le autorità di Gerusalemme, e più ancora per la religione giudaica!

fecero secondo le istruzioni ricevute; e quel dire è stato divulgato fra i Giudei, fino al dì d'oggi.

Ben conosceva il Sinedrio la falsità di quella storia: prova ne sia che nulla fece per arrestare i discepoli e per ritrovare il cadavere di Gesù; e quando, più tardi, ripetutamente fece comparire davanti a se gli apostoli, e li udì dichiarare pubblicamente e solennemente che Dio aveva risuscitato il suo Figlio, il quale essi, rettori dei Giudei, aveano crocifisso, nessuno ebbe il coraggio di alzarsi per respingere l'accusa, ed affermare che il corpo era stato rubato, e che la risurrezione di Cristo era una favola. Sarebbe veramente incomprensibile che una fiaba cotale abbia avuto corso sino alla data del Vangelo di S. Matteo, se non sapessimo che i Giudei non tralasciarono nulla per accreditarla e tenerla viva. Giustino martire, nel secondo secolo, scrive infatti Dial. cum Triph., che "i rettori dei Giudei mandarono, in ogni paese, dei messaggeri speciali per spargere più efficacemente la loro menzogna".

PASSI PARALLELI

Matteo 26:15; 1Timoteo 6:10

Matteo 27:8

RIFLESSIONI

1. Dopo la dottrina della espiazione, secondo la quale Cristo "ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno", e "Colui che non aveva conosciuto peccato, è stato fatto peccato per noi", nessun'altra dottrina è più importante e consolante di questa della risurrezione del Salvatore. Gesù si era presentato come Messia; aveva annunziato che presto sarebbe morto per fare l'espiazione dei peccati di tutti coloro che crederebbero in lui; ed in prova della verità di queste sue parole, aveva fatto appello alla sua risurrezione; che sarebbe avvenuta il terzo giorno dopo la sua morte. Senza questa risurrezione come avremmo noi fatto a sapere se Cristo fu o non fu un impostore? se pagò o non pagò il riscatto necessario a liberarci dalla condannazione? se vinse la morte o fu vinto da essa? se il Padre rimase soddisfatto della sua opera, e lo accettò come cauzione nostra e nostro sostituto? Come poi essere certi della propria nostra risurrezione, se non ci sono prove incontestabili che egli è risorto dai morti, e ha adempiuto la sua predizione? Se Gesù fesse stato un impostore, il Dio di giustizia, di santità e di verità avrebbe egli sanzionata la frode col miracolo, che Dio solo può fare, ridonando la vita ad un morto? Se la morte di Gesù non avesse data piena soddisfazione alla giustizia di Dio, e non avesse procacciato per noi "una giustizia eterna", la tomba lo terrebbe tuttora prigione, e proclamerebbe in tal modo che l'opera di lui è fallita. Ma la risurrezione, accertata in modo da escludere ogni dubbio, confonde le calunnie dei suoi nemici, ed assicura a tutti i credenti le benedizioni dell'alleanza di grazia. "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono". "Perché egli vive, anche noi vivremo".

2. Il terrore che s'impadronì di quei fieri soldati romani, agguerriti e usati ai più terribili spettacoli, è per noi un segno di quel che accadrà all'ultimo giorno. Che faranno allora gli empi ed i malvagi, quando la tromba suonerà e Cristo verrà con gran gloria a giudicare il mondo? Che faran dessi, quando vedranno tutti i morti uscire dai loro sepolcri, e tutti gli angeli di Dio riuniti intorno al suo gran trono bianco? Quali terrori e quali spaventi

possederanno le anime loro, quando riconosceranno di non poter più oltre evitare la presenza di Dio, e di doversi anzi incontrare faccia a faccia con lui? "Oh, fossero pur savi gli uomini, e considerassero la loro fine!". Si ricordassero pure che vi ha da essere una risurrezione ed un giudizio, e che "l'ira dell'Agnello" sarà in quel giorno una terribile realtà!

3. Che dolce soggetto di contemplazione è mai quello del ministerio degli angeli, specialmente quando viene prestato alla persona di Cristo e più ancora quando consiste nell'annunziare la risurrezione sua dai morti! Li vediamo qui, non solo riunirsi intorno alla persona di Gesù come intorno al loro adorato Signore ma pure interessarsi vivamente di ogni minima circostanza e prendere la più tenera cura dei discepoli. Nella sollecitudine loro inverso le persone accorse alla tomba di Gesù, non dobbiamo noi scorgere un segno dei loro sentimenti e della loro condotta verso "coloro che hanno da eredar la salute", a qualsiasi classe, o età, o paese appartengano?

4. L'assurdità della storia divulgata dalle guardie comprate è già stata in parte dimostrata, ma apparirà più evidente dalle seguenti considerazioni: È inverosimile che una schiera di soldati si sia abbandonata al sonno, pur sapendo che l'autorità desiderava che il sepolcro fosse severamente, custodito. È inverosimile che non sieno stati svogliati, né dall'arrivo di quel dato numero di discepoli che era necessario per portare via il corpo di Gesù, né dal rumore che dovean fare nel rotolare la grossa pietra che otturava l'entrata del sepolcro. È inverosimile che i discepoli abbiano svestito il cadavere, e lasciato i panni mortuari nel sepolcro quando avrebbero questi giovato a trasportare il corpo dove lo volevano nascondere. Un cadavere poi, in cui si riteneva dovessero presto manifestarsi i segni della putrefazione, sarebbe stato di grande impaccio ai discepoli, poveri, qual'erano e stranieri in Gerusalemme. Come abbiamo notato più sopra, gli stessi rettori dei Giudei non prestavano fede a quella storia, dal momento che non ardirono mai accusare gli apostoli di aver rubato il corpo di Gesù. Né vi credette maggiormente il pubblico, poiché, fra quelli che avevano udita quella fiaba, non pochi dei quali aveano preso parte attiva alla morte di Gesù, cinque settimane dopo molti si aggiunsero ai suoi discepoli, e fecero della certezza del suo risorgimento la base di ogni loro speranza di salvezza.

Mt 28:16

Matteo 28:16-20. INCONTRO DI GESÙ COI SUOI DISCEPOLI IN GALILEA. EGLI DÀ LORO IL GRAN MANDATO DI PREDICARE IL VANGELO

16. Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea,

Da Giovanni 20:19-26, impariamo con certezza che essi rimasero una settimana almeno in Gerusalemme, dopo la risurrezione del loro Maestro; ma essendo, in capo a quella, interamente finita la festa di Pasqua, è probabile che allora partissero per la Galilea.

sul monte che Gesù avea loro designato.

Gesù aveva annunziato nel cap. Matteo 24:32, con parole quasi identiche a quelle usate poi dall'angelo, che egli sarebbe andato innanzi al suoi discepoli in Galilea; ma né in quel passo, né in alcun altro viene detto il luogo preciso dove aveano a trovarsi insieme. Gesù probabilmente indicò quella montagna in una delle sue apparizioni ai discepoli in Gerusalemme. La presenza dell'articolo definito ci permette di supporre si tratti qui di un luogo conosciuto, dove Cristo ed i suoi discepoli solevano riunirsi: fors'anche il monte delle Beatitudini. Matteo, parlando di quelli che andarono in quella occasione incontro a Gesù, non fa menzione che degli Undici, perché nel breve racconto che ci lasciò degli eventi posteriori alla risurrezione di Cristo, egli ebbe specialmente in vista le istruzioni date agli apostoli. Ma non c'è nulla, in questo versetto, che ci autorizzi a credere che i soli Undici fossero presenti in questa circostanza, o che il Signore non ebbe altri incontri coi suoi apostoli in Galilea. Confrontando accuratamente i Vangeli, vediamo, al contrario, che ci fu, sulle rive del lago di Tiberiade, una prima apparizione, ricordata da Giovanni 21:1 ecc. alla quale furono presenti soltanto alcuni degli apostoli, e che, dopo, avvenne questa in sul monte, nella quale egli "apparve a più di cinquecento fratelli" in una volta 1Corinzi 15:6. L'unica spiegazione che si possa dare della riunione di un numero così grande di discepoli nello stesso luogo, si è che essi speravano che quivi si

manifesterebbe il loro Signore risuscitato, secondo la promessa che egli ne aveva fatta prima della sua morte, e che aveva due volte ripetuta dopo la sua risurrezione.

PASSI PARALLELI

Marco 16:14; Giovanni 6:70; Atti 1:13-26; 1Corinzi 15:15

Matteo 28:7,10; 26:32

Mt 28:17

17. E, vedutolo, l'adorarono; alcuni però dubitarono.

Obiettano alcuni che quelli che dubitarono non potevano essere apostoli, avendo questi già veduto il Signore dopo la sua risurrezione; ma questo non ci sembra conclusivo, se teniamo in mente quello che degli apostoli ci viene narrato in Giovanni 21:12. Val la pena di confrontare questo passo di Giovanni col presente di Matteo. Ricordiamo che, dopo la sua risurrezione, Cristo apparve ai suoi rivestito di un corpo spirituale, che era essenzialmente il medesimo di prima; ma che pure aveva subìto tali trasformazioni, da rendere perfettamente comprensibile il dubbio di cui è qui parola. Come si potrebbe altrimenti spiegare l'invincibile desiderio degli apostoli di domandargli chi egli fosse, mentre poi non ardivano farlo perché riconoscevano perfettamente che egli era il Signore? Nei casi ordinari, la loro condotta sarebbe stata da gente pazza; ma, nel caso attuale, quando cioè un amico ben conosciuto apparisce dinanzi a loro tanto simile a quello che era prima, eppure tanto dissimile, i loro sentimenti sono perfettamente naturali. Può darsi però che il conflitto di sentimenti che ci viene qui descritto, fosse provato da quei soli discepoli i quali allora vedevano Cristo per la prima volta dopo la sua risurrezione.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:28

Matteo 28:9; Salmo 2:12; 45:11; Giovanni 5:23

1Corinzi 15:6

Mt 28:18

18. E Gesù, accostatosi, parlò loro, dicendo: Ogni podestà mi è stata data in cielo e sulla terra.

Ricordiamoci che Cristo parla qui di se stesso, non già nella sua qualità di eterno Figlio dell'eterno Padre poiché, come Dio, gli apparteneva necessariamente l'onnipotenza; bensì nella sua qualità di Messia, di "Dio manifestato in carne", il quale, in ricompensa dei suoi patimenti espiatori, viene ora investito di un dominio e di una autorità universale. Queste parole sono la proclamazione fatta da Cristo stesso dello stabilimento del suo regno Matteo 16:28. L'ascensione fu poi la sua intronizzazione come Re, come Capo della sua Chiesa. In prova di che si studi accuratamente: Salmo 8:6; 110:1-7; Isaia 53:11-12; Daniele 7:13-14; Efesini 1:20,23; Filippesi 2:9-11; Apocalisse 5:11-13

PASSI PARALLELI

Matteo 11:27; 16:28; Salmo 2:6-9; 89:19,27; 110:1-3; Isaia 9:6-7; Daniele 7:14

Luca 1:32-33; 10:22; Giovanni 3:35; 5:22-27; 13:3; 17:2; Atti 2:36; 10:36

Romani 14:9; 1Corinzi 15:27; Efesini 1:20-22; Filippesi 2:9-11; Colossesi 1:16-19

Ebrei 1:2; 2:8; 1Pietro 3:22; Apocalisse 11:15; 17:14; 19:16

Mt 28:19

19. Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli

fate discepoli tutte le nazioni, convertendole alle dottrine del Vangelo. Che questo comando riguardasse non solo gli apostoli, ma tutta la moltitudine dei discepoli ivi radunati, risulta chiaramente dalla natura stessa del caso, e dal fatto che la prima volta in cui quell'ordine fu messo in esecuzione, ciò non accadde per il ministerio degli apostoli, ma per quello di alcuni semplici, membri della Chiesa Conf. Atti 8:1; 11:19. È di grande importanza che i cristiani si persuadano dell'obbligo loro di adempiere l'ordine dato in questo versetto; obbligo, imposto, senza distinzione a tutti quelli che si dicono discepoli di Cristo. È invalsa purtroppo la credenza che solo a quelli che sono stati consacrati al ministerio spetti la predicazione di Cristo, e che i semplici fedeli possano dispensarsi di parlare, anche ai loro congiunti più intimi, della salute delle loro anime. Mentre pochi son quelli che possiedono i requisiti per il pubblico ministero, tutti i cristiani sono competenti ad ammaestrare i loro vicini.

battezzandoli

Nella Chiesa giudaica, e sotto la dispensazione levitica, due erano i "sacramenti", ossia segni e suggelli del patto di grazia, cioè la Circoncisione e la Pasqua. Due altresì sono i sacramenti e suggelli di quel patto, nella nuova economia; il Battesimo e la Cena del Signore. Ognuno di essi è destinato a prendere il posto di quello dei primi a cui corrisponde. Il battesimo, come la circoncisione è il segno e il suggello del nettamento delle brutture della carne; la Cena del Signore, come la Pasqua, è il segno ed il suggello del sacrificio espiatorio dell'Agnello di Dio, per mezzo del quale solo gli uomini possono essere salvati. Riguardo al tempo, la Cena del Signore fu la prima ad essere istituita, quando cioè il divino Redentore celebrò la Pasqua coi suoi discepoli, immediatamente prima della sua morte Vedi Matteo 26:26-28, sostituendo così quella a questa nel modo più perentorio. Sol quando fu in procinto di salire al cielo e di mandare sopra i suoi discepoli lo Spirito santificatore, l'opera del quale, è simboleggiata nel Battesimo, Gesù istituì questo secondo sacramento. Noi troviamo al tempo

stesso, nelle parole che ci occupano, la istituzione del Battesimo e l'autorizzazione di amministrarlo. Siccome gli elementi del pane e del vino, impiegati dal Signore nell'istituire la Santa Cena, lo erano già nella Pasqua; così pure l'uso dell'elemento dell'acqua per il sacramento del Battesimo non riusciva cosa nuova. È provato da testimonianze giudaiche che i Farisei praticavano il rito del battesimo d'acqua per ammettere i Gentili nella congregazione d'Israele. Giovanni Battista, quale precursore di Cristo, fece uso del battesimo di acqua come suggello della sua, dottrina, amministrandolo unicamente ai suoi connazionali. Ma siccome il battesimo non era stato mai imposto a dei Giudei, quella pratica del Battista diede origine a molte domande indirizzate dai Giudei ai suoi discepoli e dagli anziani del popolo a lui stesso Vedi Giovanni 1:24-27; 3:25. Anzi, ci narra Giovanni che lo stesso Gesù, al principio del suo ministerio, faceva uso del battesimo d'acqua per suggellare quelli che diventavano suoi discepoli, lasciando però che lo amministrassero i dodici Giovanni 3:26; 4:1-2. Questo battesimo pare aver tenuto un posto intermedio fra quello di Giovanni ed il sacramento istituito dal Signore sul monte di Galilea. Al pari del primo, era amministrato ai soli Giudei Matteo 10:5-6;15:24; ma superava quello in quanto era conferito, non più a coloro che credevano nella futura venuta del Messia, ma a coloro che ritenevano essere il Messia già apparso nella persona di Gesù. Quello istituito sul monte è superiore poi a quest'ultimo, in quanto che doveva esser dato a tutti i credenti senza distinzione, così Giudei come Gentili. Inoltre, dovea essere un solenne riconoscimento che la salute dell'uomo è opera di tutte e tre le persone della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Sarebbe interessante di sapere se i discepoli di Cristo hanno continuato ad amministrare il battesimo istituito dal Signore al principio del suo ministerio sino alla fine di esso; ma è impossibile rispondere categoricamente a cotesto quesito perché, all'infuori dei cap. 3. e 4. di Giovanni, citati più sopra, le S. Scritture non ne fanno più alcuna menzione. Siamo però disposti a credere che sia stato continuato: ciò spiega in modo soddisfacente la brevità colla quale la istituzione del Battesimo è riferita in questo passo, mentre quella della Santa Cena è raccontata molto più a lungo. Due altre domande si presentano relativamente a questo battesimo: in nome di chi era egli amministrato? e: Dovette egli essere ripetuto dopo la discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste? in risposta alla prima domanda possiamo dire, senza esitazione, che il battesimo era dato nel

nome di Gesù, come Messia; ed alla seconda, che il libro degli Atti non ci parla di un secondo battesimo eccetto il caso di alcuni discepoli che, vent'anni dopo la morte di Cristo, non conoscevano altra dottrina che quella di Giovanni, Atti 19:1-7, ma che, senza dubbio, era lecito ripeterlo a chiunque desiderasse fare una più ampia confessione della sua fede nel Dio Uno e Trino.

I sacramenti del Battesimo e della Santa Cena sono di gran giovamento a tutti i veri cristiani. Essi sono, per così dire, i suggelli visibili all'occhio della fede, della immutabilità di quell'eterno patto di grazia che unisce a Dio quelli che credono in Cristo. La Chiesa romana ed una parte del clero delle Chiese anglicana e luterana insegnano che la "nuova nascita" di cui il Signore parlò a Nicodemo Giovanni 3:3,5, è operata dal Battesimo, quando questo sia debitamente amministrato da coloro che sono stati consacrati secondo la successione apostolica; in modo che quelli che lo ricevono sono per ciò stesso nati da Dio, diventano nuove creature, e son fatti eredi del regno dei cieli. Ma l'insegnamento di Paolo differisce assai dal loro 2Corinzi 5:17; Galati 5:6; 6:15; e l'esperienza prova ogni giorno quanto una cotal dottrina sia erronea e perniciosa per le anime di coloro che vi si confidano. Il Battesimo non doveva essere amministrato, come fa la Chiesa romana ai pagani, a guisa di opus operatum, ossia come un mezzo di conversione, ma a quelli che già si erano "convertiti dagli idoli a Dio, per servire all'Iddio vivente e vero", e per essere segno e suggello di quel loro cambiamento. Nulla v'ha in ciò che escluda il conferimento del Battesimo alla figliolanza di coloro che hanno fatto aperta professione del Vangelo; anzi la pratica apostolica, checché ne dicano alcuni eccellenti cristiani, è favorevole ad una tale usanza Atti 10:47-48; 16:33. Se così non fosse, l'economia del Vangelo sarebbe meno larga di quella dell'Antico Patto, il quale ordinava che tutti i maschi del popolo di Dio fossero circoncisi all'ottavo giorno. Siccome Abramo, quando venne stabilito il patto di Dio con lui, "ricevette il segno della circoncisione, suggello della giustizia della fede" così il Battesimo è, per il credente, sotto l'economia evangelica il suggello delle benedizioni dell'eterna alleanza di grazia.

nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo;

lett. Per il nome. Troviamo le stesse parole relativamente a Mosè 1Corinzi 10:2 ed a Cristo Galati 3:27. Esse tornano a dire: per appartenere a... per entrare nell'alleanza di... Tale era precisamente il caso dei membri della Chiesa apostolica, i quali primieramente credettero, poi ricevettero il suggello dell'alleanza di grazia. La divinità del Figlio, nonché la divinità e la personalità dello Spirito Santo, sono enfaticamente insegnate in questo passo, poiché quelli che partecipano a questo rito, sono battezzati nel nome del Figlio e dello Spirito, non meno che nel nome del Padre. Sarebbe una bestemmia evidente se il Figlio e lo Spirito non fossero divini al pari del Padre.

PASSI PARALLELI

Salmo 22:27-28; 98:2-3; Isaia 42:1-4; 49:6; 52:10; 66:18-19; Marco 16:1516

Luca 24:47-48; Atti 1:8; 13:46-47; 28:28; Romani 10:18; Colossesi 1:23

Atti 2:38-39,41; 8:12-16,36-38; 9:18; 10:47-48; 16:15-33; 19:3-5

1Corinzi 1:13-16; 15:29; 1Pietro 3:21

Matteo 3:16-17; Genesi 1:26; Numeri 6:24-27; Isaia 48:16; 1Corinzi 12:46; 2Corinzi 13:14

Efesini 2:18; 1Giovanni 5:7; Apocalisse 1:4-6

Mt 28:20

20. Insegnando loro di osservare tutte quante le cose

Ogni attento lettore riconoscerà facilmente che in questo discorso il Signore affida agli undici un duplice incarico:

1. L'opera missionaria, vale a dire la predicazione del Vangelo, finché tutte le nazioni abbiano udito la buona novella: predicazione che doveva essere seguita dal Battesimo, qual suggello della fede dei nuovi convertiti, essendo tolta d'or innanzi la eccezione del cap. Matteo 10:5

2. L'opera pastorale, che consiste nell'ammaestrare coloro che hanno confessato apertamente il nome di Cristo in tutte le dottrine che hanno abbracciate e nell'edificarli, per mezzo della parola, nella santità e nella pace cristiana, in questa clausola del vers. 20, è mentovata la seconda di queste due opere, e i termini nei quali viene accennata provano all'evidenza, che non doveva esser fatta dai soli apostoli, ma da quelli altresì che loro succederebbero nell'opera del ministerio, atteso che Gesù dichiari che dessa opera deve continuarsi fino alla fine del mondo.

che io vi ho comandate.

L'IO è enfatico e ricorda che Cristo è il Capo ed il Legislatore supremo della sua Chiesa. Ma il Signore non limita, come lo pretendono alcuni, l'insegnamento dei suoi servitori, alle parole da lui stesso pronunziate sulla terra, escluse le Scritture dell'Antico Testamento. Anzi, egli riconosce la divina autorità di queste Scritture come norma di fede, e insegna, col suo esempio, ai discepoli, a studiarle suggellandole così come Parola di Dio.

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell'età presente.

Queste parole ci fanno certi che il Signore sarà costantemente coi suoi ministri, e col suo popolo, benché le abbia dette quando era in procinto di ritornarsene al Padre. Non abbiam qui soltanto la promessa della sua presenza divina, ma quella ancora della sua presenza continua, quale UomoDio e Mediatore. Essa si effettuerà principalmente per mezzo del suo Spirito ed anche per mezzo della sua provvidenza, della sua direzione, e dei suoi consigli. La sua presenza non si manifesterà solo ad intervalli, ma sarà continua per l'intera durata del periodo che deve correre dalla prima alla seconda venuta del Cristo. Egli non sarà cogli Undici soltanto, ma pure con tutti i missionari, pastori, predicatori, nonché con tutti i membri viventi della Chiesa "sino alla fine dell'età presente". La dichiarazione che precede

queste parole mostra sufficientemente che esse devono prendersi nel loro significato più esteso e non già applicarsi unicamente a quel periodo che doveva terminare alla distruzione di Gerusalemme.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:24-27; Deuteronomio 5:32; 12:32; Atti 2:42; 20:20-21,27; 1Corinzi 11:2,23; 14:37

Efesini 4:11-17,20-32

Colossesi 1:28; 1Tessalonicesi 4:1-2; 2Tessalonicesi 3:6-12; 1Timoteo 6:14; Tito 2:1-10; 1Pietro 2:10-19

2Pietro 1:5-11; 3:2; 1Giovanni 2:3-4; 3:19-24; Apocalisse 22:14

Matteo 1:23; 18:20; Genesi 39:2-3,21; Esodo 3:12; Giosuè 1:5; Salmo 46:7,11; Isaia 8:8-10

Isaia 41:10; Marco 16:20; Giovanni 14:18-23; Atti 18:9-10; 2Timoteo 4:17; Apocalisse 22:21

Matteo 13:39-40,49; 24:3

Matteo 6:13; 1Re 1:36; 1Cronache 16:36; Salmo 72:19; Apocalisse 1:18; 22:20

RIFLESSIONI

1. La verità contenuta in queste parole di Cristo: "Ogni podestà mi è data in cielo e in terra", sia per noi un tesoro prezioso. Essa torna a dire che egli solo è Mediatore fra Dio e l'uomo, e che la salute di tutti quelli che sono salvati, da lui dipende. Cristo ha "le chiavi della morte e dello Hades". Egli è il Sacerdote eletto, il quale solo può assolvere i peccatori. Cristo è la sorgente delle acque vive, nelle quali soltanto possiamo essere purificati.

Cristo è il Principe ed il Salvatore che solo può dare ravvedimento e remissione dei peccati. "Tutta la pienezza abita in lui!". Egli è la via, la porta, la luce, la vita, il pastore, l'altare del rifugio. "Chi ha il Figliuolo ha la vita; chi non ha il Figliuol di Dio non ha la vita".

2. Osserviamo che il comandamento dato da Cristo ai suoi discepoli si divide in due parti: l'opera missionaria, destinata a condurre nell'ovile tutti quelli che ne sono fuori, sien dessi Giudei o Gentili; e l'opera pastorale, che ha di mira l'istruzione ed il progresso spirituale di quelli che hanno ricevuto il battesimo. Né l'una né l'altra di queste opere era temporanea. Siccome i servi di Cristo hanno ricevuto il mandato di "andare per tutto il mondo, e di predicare il Vangelo ad ogni creatura", ne segue che finché ci sarà un angolo della terra abitata non ancora visitato dai suoi messaggeri, od un essere umano che ancor rimanga fuori della Chiesa visibile, il ministero del missionario continuerà ad essere nella Chiesa una istituzione divina, in quanto all'ufficio pastorale, siccome è necessario istruire nella verità i figli dei credenti ed insegnare ai membri della Chiesa, non solo a conoscere, ma pure ad osservare tutte le cose che Cristo ha comandate, è evidente che esso dovrà continuare nella Chiesa finché Cristo apparisca in gloria.

3. Nella formula prescritta per il Battesimo, la dottrina della Trinità è chiaramente insegnata da Gesù. Ciascuna delle tre gloriose Persone prende parte al battesimo del Salvatore nel Giordano Matteo 3:16-17. Queste parole, colle quali Cristo ci ordina di battezzare, parlano del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo come di tre Persone distinte, eppure eguali; e quei tre sono Uno. Di vero, è questo un gran mistero: ci basti riceverlo e crederlo come una verità divinamente rivelata astenendoci dal volerlo spiegare. La follia puerile di non ammettere ciò che non possiamo comprendere, non si addice ad esseri effimeri come noi, conosciamo così poco di Dio e dell'eternità. Ci basti credere che nessuna anima avrebbe potuto essere salvata senza l'opera delle tre Persone della Trinità; e rallegriamoci che Padre, Figlio e Spirito Santo abbiano cooperato a creare l'uomo e cooperino eziadio a salvarlo.

4. Per incoraggiare i suoi a perseverare in quella duplice opera, il Signore fa due dichiarazioni. La prima è quella del vers. 18: "Ogni podestà m'è data in

cielo e in terra": è data a me, che sono il Capo della Chiesa a me cui il Padre ha fatto la promessa: "Io ti darò le nazioni per tua eredità e le estremità della terra per tuo possesso". Egli possiede tutta la potenza celeste di saviezza, d'amore e di virtù; egli regna sopra ogni creatura, ogni passione, ogni principio, ogni commovimento in terra, e di questa Sua onnipotenza si vale a raggiungere il grande scopo della evangelizzazione, del mondo: "Andate adunque e fate discepoli tutte le nazioni!". La seconda dichiarazione si legge al vers. 20: "Ecco, io son con voi tutti i giorni, fino alla fine dell'èra presente". Vi par di essere totalmente incapaci di assumere un'opera così grande? "Ecco, Io sono con voi". Per darvi tanta forza da compierla; poiché ogni podestà mi è data in cielo ed in terra. Temete voi forse che, in mezzo all'indifferenza ed all'odio di un mondo che ha crocifisso il vostro Signore, venga poi a pericolare la sua causa? Siate di buon animo: Io sono con voi! Io, che "ho vinto il mondo". Senza questa promessa, la predicazione del Vangelo sarebbe stata, e tuttora sarebbe, la più disperata delle imprese; ma con essa, il successo è assicurato!

Mc 1:1

CAPO 1 - ANALISI

1. Predicazione di Giovanni Battista nel deserto. Marco incomincia il suo Vangelo coll'entrar di Cristo nel suo pubblico ministerio, e non dice nulla della sua famiglia, della sua nascita o della parte anteriore della sua vita. Siccome era apparso un profeta rimarchevole proclamandosi Precursore del Messia, per preparare il popolo d'Israele alla sua venuta, l'Evangelista ha, cura di dar principio alla sua narrazione, citando quelle profezie delle Scritture giudaiche, in cui è distintamente predetta l'apparizione di tale precursore, e che così divengono anelli di congiunzione tra la storia dell'Antico Testamento e quella del Nuovo. Seguono concisi ragguagli intorno alla scena del ministerio di Giovanni il Battista, alla sua apparenza personale, al suo modo di vivere ed al carattere particolare della sua predicazione Marco 1:1-8.

2. Gesù è battezzato da Giovanni nel Giordano. Fu questo il primo preliminare del suo pubblico ministerio. Abbandonato il remoto villaggio di Nazaret, in cui eran trascorsi i primi trent'anni della sua vita, Gesù giunse in sulle sponde del Giordano, dov'era Giovanni, affinché, sottomettendosi al suo battesimo, potesse venir, per mezzo di esso, consacrato alla sua opera mediatrice. Questo consacrarsi del Messia, per la sua opera, fu confermato cospicuamente dalla discesa dello Spirito Santo in forma di colomba sopra di esso, mentre saliva fuori dell'acqua, e dalla testimonianza che gli rese dal cielo il Padre suo. Questo costituisce il secondo preliminare dei suo pubblico ministerio Marco 1:9-11.

3. Gesù è tentato da Satana nel deserto. Marco ricorda, colla massima possibile brevità, la durata di questa tentazione la circostanza aggravante del trovarsi Cristo circondato da bestie feroci, e il ministrargli degli angeli dopo che Satana, vinto, si fu ritirato da lui Marco 1:12-13.

4. Cristo incomincia il suo pubblico ministerio in Galilea. Dalle parole di Marco è chiaro che il ministerio Galileo di nostro Signore non cominciò che dopo la carcerazione di Giovanni suo precursore, e siccome l'intervallo tra il ritirarsi di Cristo dal deserto e il cominciamento del suo ministerio in Galilea dev'essere stato di breve durata, ne segue, per necessaria conseguenza, che il ministero di Giovanni cessò, pochi mesi al più, dopo ch'egli ebbe battezzato il Salvatore e additato in lui "l'Agnello di Dio". Il ministerio di Cristo è riassunto con mirabile brevità in un appello a ravvedersi e a credere all'evangelo, essendo or compiuto il tempo della venuta del Messia, di cui Giovanni avea parlato Marco 1:14-15.

5. Gesù chiama i figliuoli di Giona e di Zebedeo a seguirlo costantemente. Questo invito a seguirlo costantemente, d'allora in poi, va distinto dal tempo in cui, per la prima volta, credettero in lui e lo ricevettero come il Messia ad accadde qualche tempo dopo. Quanto ad Andrea e Pietro, è fuor d'ogni dubbio che questi due avvenimenti accaddero in tempi diversi Giovanni 1:35-42; lo stesso dicasi riguardo a Giacomo e Giovanni, poiché evidentemente non è questo il loro primo incontro con Gesù. Essi son ora chiamati per uno scopo tutto speciale, quello cioè di accompagnare Gesù

dappertutto come discepoli, scelti fra tutti, ad esser, insieme cogli altri otto apostoli, testimoni oculari di tutte le sue azioni Marco 1:16-20.

6. Gesù nella sinagoga di Capernaum nel giorno di sabato. Col prender parte al culto di Dio nella sinagoga nel sabato, Gesù sanzionò il dovere imposto a tutti di osservare il santo giorno del riposo, oggidì chiamato Domenica, e ci insegnò ad onorare le ordinanze della religione, nel mentre che scoteva, con la potenza dei suoi ammaestramenti, il popolo che non avea giammai udito nulla di simile. Nella sinagoga Gesù cacciò uno spirito immondo fuori da un ossesso e impose silenzio alla testimonianza che questi rendeva alla sua divinità, perché tale testimonianza non solo gli ira inutile, ma avrebbe anche potuto fornire ai suoi nemici un pretesto per accusarlo di essere segretamente in lega con Satana. Dopo questo miracolo, la sua fama si sparse con sorprendente rapidità, non solo per tutta la Galilea, ma anche per tutte le contrade circonvicine Marco 1:21-28.

7. Guarigione della suocera di Pietro. Pietro, sebbene nato in Betsaida, era andato a stabilirsi in Capernaum, forse in occasione dei suo matrimonio. Uscito dalla sinagoga, coi suoi seguaci, Cristo se n'andò alla casa di lui, ed ivi operò un altro miracolo, risanando, col solo contatto della sua mano, la suocera di Pietro, che giaceva in letto inferma con la febbre, sicché essa potè immediatamente alzarsi, e ministrare loro. Questo fatto diede esca novella all'eccitazione che già prevaleva fra il popolo, e tosto che il sole fu calato verso l'orizzonte, e il calore intenso del giorno fu alquanto diminuito, tutti quanti i malati, gl'infermi e gl'indemoniati di Capernaum gli furono menati nelle strade, perché li guarisse Marco 1:29-34.

8. Primo giro di Cristo per la Galilea Dopo qualche tempo dato alla preghiera secreta, ed all'intima comunione col suo Padre celeste, cosa che non avea potuto fare se non fuggendo da Capernaum per tempissimo innanzi all'albeggiare, mentre la gente ancora dormiva, Gesù si accinse a predicare il vangelo nelle diverse sinagoghe della Galilea, guarendo ogni sorta d'infermità. È menzionato specialmente il caso di un lebbroso, per la franchezza con cui esso confessò di credere che Cristo poteva sanarlo, ma di non esser certo che egli lo volesse fare. Gesù provò la sua buona volontà col

sanarlo immediatamente, ma il lebbroso non fu egualmente pronto nel dimostrare la sua gratitudine con l'obbedienza Marco 1:35-46.

Marco 1:1-8. PREDICAZIONE E BATTESIMO DI GIOVANNI Matteo 3:1-11; Luca 3:1-18

Per la esposizione vedi Matteo 3:1Matteo 3:1-11.

1. Il principio dell'evangelo di Gesù Cristo, Figliuol di Dio;

La brevità del modo di Marco nell'annunciare il suo argomento, e l'energica concisione con cui, sorvolando a tutti gli avvenimenti precedenti, eccettuato il ministero di Giovanni, egli si affretta a ricordare il battesimo e la tentazione di nostro Signore, furono spesso notati come caratteri distintivi del suo Vangelo. La parola "Evangelo" in questo versetto è usata evidentemente nel senso di narrazione o storia, che egli si accingeva a scrivere, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, del ministerio terreno, della morte, risurrezione e glorificazione di Gesù, che è al tempo istesso il Cristo ed il Figliuol di Dio. Questo versetto adunque ha da considerarsi semplicemente come un'introduzione come se dicesse: "Qui comincia il Vangelo, ecc. secondo il piano che mi sono tracciato". Questo piano è di raccontare puramente e semplicemente la vita uffiziale e il ministerio del Signore Gesù, e perciò passa sotto silenzio tutto quanto si riferisce alla sua nascita, e alla sua fanciullezza, e incomincia la sua narrazione dalla predicazione di Giovanni il Battista.

PASSI PARALLELI

Luca 1:2-3; 2:10-11; Atti 1:1-2

Giovanni 20:31; Romani 1:1-4; 1Giovanni 1:1-3; 5:11-12

Salmi 2:7; Matteo 3:17; 14:33; 17:5; Luca 1:35; Giovanni 1:14,34,49; 3:16; 6:69

Romani 8:3,32; Ebrei 1:1-2

Mc 1:2

2. Secondo ch'egli è scritto ne' Profeti:

Le parole che seguono trovansi nelle profezie di Malachia, e di Isaia. Ireneo, prima della fine del Secondo secolo, cita le parole come stanno qui, né mancano in favore di questa lezione, prove fortissime tratte dagli antichi MSS. Tuttavia in quelli più autorevoli si legge: "Secondo che è scritto dal profeta Isaia". Anche ammettendo quest'ultima lezione come la vera, la cosa può spiegarsi agevolmente. Marco non è tanto ignorante di confondere gli scritti di Malachia con quelli d'Isaia, ma egli si serve del nome di quest'ultimo per la ragione seguente. I Giudei dividevano le loro Scritture in tre volumi: la Legge, i Profeti e gli Agiografi. Come questi ultimi comunemente s'indicavano col nome dei Salmi Luca 24:44, perché i Salmi stavano pei primi nella collezione degli Agiografi, così il libro dei Profeti si indicava spesso col nome di Isaia per lo istesso motivo.

Ecco, io mando il mio Angelo davanti alla tua faccia, il qual preparerà la tua via dinanzi a te. 3. Vi è una voce d'uno che grida nel deserto: Acconciate la via del Signore, addirizzate suoi sentieri.

Era usanza in Oriente, nei tempi antichi (ed è tuttora oggidì), che quando un qualche gran personaggio si metteva in viaggio, mandava davanti a sé, dei corrieri a preparargli la via, toglier di mezzo ogni ostacolo, avvisare i villaggi affinché provvedessero il contingente richiesto per la sua scorta, e gli facessero trovare pronta la tenda nel luogo fissato per la sosta. Si conveniva alla dignità del Messia, che il suo entrare nel ministerio suo terreno venisse proclamato da un precursore, e nella moltitudine di predizioni che i profeti antichi pronunziarono intorno a lui, una cosa così importante non poteva essere passata sotto silenzio. E infatti Marco cita due passi dai profeti Malachia 3:1; Isaia 40:3, come riferentisi espressamente al

Battista nel suo carattere di precursore del Messia. La parola ebraica malach, e la greca angelos, con cui la traducono i 70, sono applicate entrambe senza dubbio agli angeli od esseri celesti, ma entrambe comportano anche il significato di messaggero, uno che è mandato; e la parola messo avrebbe reso meglio il senso della profezia in Malachia: "Ecco io mando il mio messaggero davanti alla tua faccia".

Mc 1:9

Marco 1:9-11. BATTESIMO DI GESÙ NEL GIORDANO. DISCESA DELLO SPIRITO SANTO SOPRA DI LUI Matteo 3:l3-17; Luca 3:2122

Per la esposizione vedi Matteo 3:13Matteo 3:13-17.

Mc 1:12

Marco 1:12-18. GESÙ TENTATO NEL DESERTO Matteo 4:1-11; Luca 4:1-18

Per la esposizione vedi Matteo 4:1Matteo 4:1-11.

PASSI PARALLELI

Salmi 40:7; Matteo 2:5; 26:24,31; Luca 1:70; 18:31

Malachia 3:1; Matteo 11:10; Luca 1:15-17,76; 7:27-28

Isaia 40:3-5; Matteo 3:3; Luca 3:4-6; Giovanni 1:15,19-34; 3:28-36

12. E, tosto appresso, lo Spirito lo sospinse nel deserto.

La parola sospinse, che indica l'azione dello Spirito Santo sull'animo di Gesù, sebbene molto forte, non significa però coazione assoluta della sua volontà umana; significa, una potente impressione sopra di essa, onde fu tratto irresistibilmente al deserto.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:1-11; Luca 4:1-4

Mc 1:13

13. E fu quivi nel deserto quaranta giorni, tentato da Satana;

Secondo Matteo, la tentazione cominciò dopo che furono compiti i quaranta giorni; secondo il nostro Evangelista essa si estese a tutti i quaranta giorni. Entrambi questi racconti possono conciliarsi perfettamente. Gesù fu assalito da Satana con tentazioni diverse durante tutto quel lasso di tempo, ma l'assalto fu fatto n forma più concentrata e palpabile allo spirare di esso.

e stava con le fiere,

Questa circostanza, menzionata da Marco solo, è ricordata perché si ponga mente al pericolo non meno che alla desolazione, in mezzo a cui ebbero luogo queste prove terribili, della fede, della pazienza, dell'obbedienza e della speranza del Figliuol dell'uomo, e che ne aggravarono grandemente l'orrore. Si contrasti il primo Adamo nel paradiso terrestre, circondato dalle bestie della campagna, come da mansueti suoi servi, che cade facile preda del Tentatore, col secondo Adamo nel deserto, assalito da Satana, mentre è perseguitato dagli attacchi delle fiere, e che nondimeno esce dalla lotta "più che vincitore".

PASSI PARALLELI

Esodo 24:18; 34:28 Deuteronomio 9:11,18,25; 1Re 19:8

Ebrei 2:17-18; 4:15

1Re 19:5-7; Matteo 4:11; 26:53; 1Timoteo 3:16

Mc 1:14

Marco 1:14-20. GESÙ INCOMINCIA IL SUO MINISTERIO IN GALILEA. CHIAMA I FIGLIUOLI DI GIONA E DI ZEBEDEO A SEGUIRLO DAPPERTUTTO

Per la esposizione vedi Matteo 4:12Matteo 4:12-22.

14. Ora, dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù venne in Galilea, predicando l'evangelo del regno di Dio.

Come Matteo, il nostro Evangelista comincia la sua narrazione del ministero di nostro Signore, soltanto dal momento dell'incoronamento di Giovanni, per comando di Erode, quando era compita la sua missione di precursore. Sebbene Luca ci dia, nel principio del suo Vangelo, dei particolari interessantissimi intorno alla nascita, sì del Redentore che del suo precursore, la sua narrazione del ministerio di Cristo, comincia anch'essa dallo stesso punto. Tuttavia non c'è né discrepanza né antagonismo tra i racconti dei sinottici e quello di Giovanni, nei Primi quattro capitoli del suo Vangelo, per questa semplice ragione, che nel fare una scelta di quel che doveano ricordare, i sinottici cominciarono dal principio del ministerio Galileo di Gesù, laddove Giovanni, scrivendo in epoca assai più remota, fu spinto dallo Spirito d'ispirazione, ad aggiungere un breve racconto di quella parte del ministero di Gesù che fu contemporanea a quello di Giovanni, e precedette il suo ministero in Galilea, onde abilitare quanti studiano la Bibbia a scorgere più connessamente le orme del loro Signore sulla terra, Vedi note Giovanni 1:29Giovanni 1:29; Giovanni 4:54Giovanni 4:54.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:12; 11:2; 14:2 Luca 3:20; Giovanni 3:22-24

Isaia 61:1-3; Matteo 4:23; 9:35; Luca 4:17-19,43-44; 8:1 Atti 20:25; 28:23

Efesini 2:17

Mc 1:20

20. E subito li chiamò; ed essi, lasciato Zebedeo, lor padre, nella navicella, con gli operai, se ne andarono dietro a lui,

Questi operai non erano necessariamente servi domestici, ma probabilmente pescatori da essi impiegati. Questa circostanza pare sia stata aggiunta per due motivi: primo di mostrare che questi discepoli non lasciarono affatto solo il loro vecchio padre inabile a procacciarsi il sostentamento; secondo che gli uomini, così chiamati a seguire Gesù, non erano persone dell'infimo ceto, spinto dalla necessità, a cangiare il lor modo di vivere, ma si trovavano in posizione di dar impiego agli altri. Che la famiglia di Zebedeo non appartenesse alla classe più bassa può dedursi da Giovanni 18:15; se, come si crede generalmente, l'Evangelista medesimo è la persona di cui ivi si parla. (Intorno alla parentela di questi fratelli con Gesù, vedi nota Matteo 13:55Matteo 13:55.)

Mc 1:21

Marco 1:21-84. GUARIGIONI MIRACOLOSE OPERATE IN CAPERNAUM Luca 4:38-41; Matteo 8:14-17

21. Ed entrarono in Capernaum e subito, in giorno di sabato egli entrò nella sinagoga, e insegnava

Si tratta evidentemente qui di un sabato particolare in cui furono operati i miracoli che seguono, ma nel passo parallelo di Luca, questo recarsi alla sinagoga nei giorni di sabato, per il culto divino, è descritto come il costume

abituale del Signore Gesù, Vedi anche Luca 4:16. Voglia il Signore che quelli che leggono questo vi facciano attenzione ed imparino a seguire le pedate di Cristo. Dando così l'esempio della santificazione del settimo giorno, come sabato o giorno, di santo riposo, prescritto da Dio all'uomo al momento della creazione Genesi 2:8, e di nuovo sul monte Sinai Esodo 20:8-11, il Signore diede una prova luminosa che "egli non era venuto a distruggere la legge, ma a compierla"; mentre, nel tempo stesso, insegna col proprio esempio, a tutti quelli che si chiamano suoi, qual'uso devono fare della Domenica, che è per i cristiani il giorno di santo riposo. La parola, "subito" che trovasi, nella narrazione, tra l'entrata in città e quella nella sinagoga, in giorno di sabato, può indicare semplicemente che si tratta del primo sabato dopo l'arrivo. Ma siccome il giorno tra i Giudei contavasi dall'uno all'altro tramonto, e siccome c'era probabilmente allora, come c'è adesso, una breve funzione religiosa la sera, nella sinagoga, al principio del sabato, la parola indica, a parer nostro, che Gesù, coi suoi quattro nuovi discepoli, entrò in Capernaum il venerdì sera verso l'ora del tramonto, quando principiava il sabato, e che essi recaronsi direttamente alla sinagoga, dove Cristo cominciò ad insegnare. La consueta istruzione religiosa del popolo non formava parte del servizio del tempio, e quand'anche vi fosse stata compresa, avrebbero potuto approfittarne soltanto coloro che risiedevano in Gerusalemme. Ma fin dalle più remote età le tribù eran use a radunarsi nel sabato per ricevere l'istruzione dei loro anziani; ai quali succedettero i profeti 2Re 4:23, i quali erano a tal uopo educati con ogni cura in scuole o collegi; e dopo la cattività di Babilonia, vennero stabilite delle sinagoghe o assemblee (simili a quelle che i Giudei aveano tenute nella terra di servitù), in tutte le città e in tutti i villaggi principali, da un capo all'altro del paese. Il servizio o culto della sinagoga pare che fosse semplicissimo, consistendo nella preghiera e nella lettura delle Scritture con delle esortazioni ricavate da ciò che era stato letto.

PASSI PARALLELI

Marco 2:1; Matteo 4:13; Luca 4:31; 10:15

Marco 1:39; 6:2; Matteo 4:23; Luca 4:16; 13:10; Atti 13:14-52; 17:2; 18:4

Mc 1:22

22. E gli uomini stupivano della sua dottrina; perciocché egli gli ammaestrava come avendo autorità, e non come gli Scribi

Vedi note Matteo 5:21Matteo 5:21; Matteo 7:28Matteo 7:28-29.

Ciò che è detto qui degli Scribi prova conclusivamente che essi non erano meri scrivani o copisti della legge, ma anche dottori che insegnavano.

PASSI PARALLELI

Geremia 23:29; Matteo 7:28-29; 13:54; Luca 4:32; 21:15; Giovanni 7:46; Atti 6:10

Atti 9:21-22; 2Corinzi 4:2; Ebrei 4:12-13

Marco 7:3-13; Matteo 23:16-24

Mc 1:23

Guarigione d'un uomo posseduto da uno spirito immondo, Marco 1:23-28

23. Ora, nella lor sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito immondo,

Gli indemoniati ossia persone i corpi delle quali erano posseduti dai demonii, non erano punto rari al tempo dell'apparizione di nostro Signore nella carne; e ciò fu permesso, senza dubbio, dalla divina Provvidenza, perché al mondo fosse offerta una prova evidentissima della terribile malignità di Satana e della potenza e bontà di colui, che è apparito

acciocché disfacci le opere del diavolo 1Giovanni 3:8, Vedi note Matteo 4:24Matteo 4:24. Alcuni suppongono che la parola "immondo" sia sinonima di "maligno", e che ambedue indichino impurità morale. Ne abbiamo un esempio in Marco 9:25; ma è un esempio eccezionale. I vari epiteti applicati a questi spiriti malvagi indicano, secondo noi, il genere d'azione particolare che ciascun d'essi esercitava sulla sua vittima. L'uno infliggeva sordità, l'altro mutismo; un altro eccitava alla incontinenza, e via discorrendo. Inoltre, il significato delle parole e dimostra che non possono esser completamente identiche. La prima significa maligno, malvagio, maldisposto; l'altra significa impuro, in primo luogo a motivo di contaminazione cerimoniale, e poi anche per naturale polluzione impuro per incontinenza. "Immondo" applicato al demonio che si era impossessato di costui indica l'elemento nel quale quest'uomo viveva e si movea, in conseguenza di tale possesso demoniaco; e probabilmente è detto ad insegnarci la terribile verità, che gli atti d'impurità con cui è trasgredito il settimo comandamento Esodo 20:14, sono atti che Satana mette impegno speciale a produrre. Possiamo anche apprendere dalla descrizione che ci è data di questo demonio, che quelli che eran dati in possesso a Satana erano bene spesso persone rotte al peccato dell'impudicizia e della fornicazione.

il qual, diede un grido,

Luca: "un gran grido". Costui deve aver avuto dei lucidi intervalli, che altrimenti non gli sarebbe stato permesso di entrare nella sinagoga. Trovandosi quivi, fu preso, ad un tratto, da uno dei suoi soliti accessi, e lo spirito immondo, usando dei suoi organi della favella, mise un gran grido d'allarme.

PASSI PARALLELI

Marco 1:34; 5:2; 7:25; 9:25; Matteo 12:43; Luca 4:33-37

Mc 1:24

24. Dicendo: Ahi! che vi è tra te, e noi, o Gesù Nazareno?

Queste parole possono prendersi come una sfida lanciata dal demonio a Cristo, come suppongono alcuni; ma, considerato insieme col resto del discorso, sembra assai più probabile che esprimano timore e deprecazione. "Le nostre sfere d'azione sono differenti", egli dice, "te ne supplico, non immischiarti di me!" Il pronome qui usato al plurale, noi, può intendersi degli spiriti malvagi collettivamente, di cui cotesto fosse per allora il rappresentante, o del demonio medesimo e dell'uomo del cui corpo si era impossessato. Pare tuttavia che la prima interpretazione meglio convenga al senso del contesto.

sei tu venuto per mandarci in perdizione?

Per quanto sia grande la libertà concessa, per un dato tempo, a cotesti spiriti pravi, noi sappiamo che collettivamente sono "messi in guardia sotto caligine, per lo giudizio del gran giorno" Giuda 6, ed è evidente che questo demonio tremava all'idea che Gesù, del quale, egli solo in quell'assemblea riconosceva la divinità, fosse in procinto di relegare lui e i suoi ribelli compagni nel tetro lor carcere. In Matteo 8:29 udiamo i demoni usare un linguaggio somigliante; riconoscono esservi un tempo destinato ai loro tormenti, ma insistono che l'ora del loro castigo non è ancora venuta, e domandano a Gesù di non mandarli in perdizione innanzi tempo. Questo timore d'esser mandato in perdizione non era immaginario, ma dedotto da ciò che il demonio sapeva intorno alla persona e all'uffizio di nostro Signore.

io so chi tu sei, il Santo di Dio.

Quest'era un titolo conosciutissimo del Messia Salmi 16:10; Atti 3:14, descrivente il suo carattere non tanto morale quanto uffiziale. Indicava uno che Iddio aveva designato, appartato e fornito d'ogni cosa richiesta per la sua grande opera, ed equivale alle parole colle quali il Salvatore si chiama sé stesso quello che "il Padre ha santificato e ha mandato nel mondo" Giovanni 10:36

PASSI PARALLELI

Marco 5:7; Esodo 14:12; Matteo 8:29; Luca 8:28,37; Giacomo 2:19

Salmi 16:10; 89:18-19; Daniele 9:24; Luca 4:34; Atti 2:27; 3:14; 4:27; Apocalisse 3:7

Mc 1:25

25. Ma Gesù lo sgridò, dicendo: Ammutolisci, ed esci fuor di lui.

Cristo sgridò il demonio, e gli ordinò di uscire; non può adunque mettersi in dubbio la sua personalità. Il far ammutolire un angelo delle tenebre, con una sola parola, è una prova luminosa della divinità di Cristo. La ragione per cui il Signore gli impose silenzio è che non può prestarsi fede alcuna alla testimonianza degli emissari e degli agenti del "padre delle menzogne"; e quand'anche, in questo caso, il demonio dicesse la verità, Cristo non voleva che il suo carattere di Messia fosse proclamato da tali testimoni. I Sacerdoti, gli Scribi e i Farisei nella loro malizia lo accusarono più tardi, senza ombra di fondamento, "di cacciare i demoni per mezzo di Belzebub principe dei demoni", ed avrebbero avuto qualche fondamento per siffatta accusa, se egli avesse permesso agli spiriti immondi di esser suoi araldi.

PASSI PARALLELI

Marco 1:34; 3:11-12; 9:25; Salmi 50:16; Luca 4:35,41; Atti 16:17

Mc 1:26

26. E lo spirito immondo, straziatolo, e gridando con gran voce, uscì fuori di lui

Lo spirito malvagio cede a malincuore il suo possesso, e dà una prova finale della sua malignità nelle convulsioni e negli strazi inflitti al corpo della sua vittima. Il fatto, come è qui descritto, è quale appunto non poteva mancar di essere in un caso di vero possesso demoniaco. Sostengono alcuni che non abbiamo altro in questo passo se non una vivida descrizione di un forte accesso epilettico. Rispondiamo che con simili metodi di spiegazione non

c'è dichiarazione della Bibbia, per quanto chiara e precisa che non si possa far svaporare nel nulla.

PASSI PARALLELI

Marco 9:20,26 Luca 9:39,42; 11:22

Mc 1:27

27. E tutti sbigottirono, talché domandavan fra loro: Che cosa è questa? quale è questa muova dottrina? conciossiaché egli con autorità comandi eziandio agli spiriti immondi, ed essi gli ubbidiscano.

Questo sbigottimento nacque non tanto dalla maniera del suo predicare, quanto dalla potenza miracolosa che l'accompagnava. Ciò nondimeno gli uditori di Cristo furono sagaci abbastanza da comprendere che quel miracolo era stato operato per illustrare la dottrina, e per porre in evidenza il carattere di colui che la predicava, onde la domanda: "Qual'è questa nuova dottrina che Dio stesso attesta in guisa cotanto rimarchevole, dando a chi l'annunzia il potere di cacciare i demoni?" In questo momento c'è a sperare bene dei Galilei; le loro menti si svegliano, ed invece di correre dai Sacerdoti, dai Rabbini e dagli Scribi per ricevere la loro decisione come infallibile, cominciano ad usare la ragione che ha lor data Iddio, e procedono per supposizioni e conclusioni indipendenti.

PASSI PARALLELI

Marco 7:37 Matteo 9:33; 12:22-23; 15:31

Luca 4:36; 9:1; 10:17-20

Mc 1:28

28. E la sua fama andò subito per tutta la contrada circonvicina della Galilea.

Questa frase significa o tutta quella parte della Galilea che era adiacente a Capernaum, o tutta la contrada che circondava la provincia della Galilea, come la Siria, la Fenicia, Decapoli, ecc. Questa seconda interpretazione concorda meglio col testo dei due altri sinottici Matteo 4:24; Luca 7:17

PASSI PARALLELI

Marco 1:45; Michea 5:4; Matteo 4:24; 9:31; Luca 4:17,37

Mc 1:29

Guarigione della suocera di Pietro, e d'altri infermi in Capernaum, Marco 1:29-34

29. E tosto appresso, essendo usciti della sinagoga, vennero, con Giacomo, e Giovanni, in casa di Simone, e di Andrea.

Sappiamo da Giovanni 1:45 che Betsaida era la patria di Andrea e di Pietro (per la sua posizione vedi nota Matteo 11:21Matteo 11:21), ma che cosa li inducesse a lasciare la lor città nativa e stabilirsi in Capernaum, è impossibile determinarlo. I fratelli erano o coproprietari o coinquilini di quella casa in Capernaum, nella quale, finito che fu il servizio della sinagoga, Gesù ritirossi accompagnato dai suoi quattro discepoli, probabilmente per alloggiarvi quella notte; in ogni caso, per partecipare al pasto della sera.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:14-15; Luca 4:38-39; 9:58

Mc 1:30

30. Or la suocera di Simone

Qui è posto incidentalmente in evidenza il fatto che Pietro era ammogliato al tempo in cui Gesù lo chiamò ad essere suo seguace, e non c'è modo di poterlo negare, perché tutti e tre i sinottici ricordano il miracolo e il grado di parentela tra l'inferma e Pietro. Il tentativo di tradurre penthera con la parola matrigna, meteruia, invece di suocera, come se questa donna fosse stata la seconda moglie di suo padre, non ha briciolo d'autorità classica con cui si possa sostenere. Non c'è spiegazione che possa distruggere il fatto che l'uomo che la Chiesa di Roma pretende essere stato il suo primo papa era ammogliato; imperocché, in contraddizione a quanto asserirono scrittori papisti che cioè la moglie di Pietro fosse morta prima ch'ei divenisse Apostolo, abbiamo Paolo, il quale testimonia distintamente che la buona donna, tuttora vivente, era d'aiuto al marito, venticinque o trent'anni dopo l'incidente qui ricordato 1Corinzi 9:5. Lettore, usa il tuo intelletto e a dispetto di tutti i sofismi decidi la questione: Può esser vera la infallibilità che pretende la Chiesa di Roma? Il suo preteso primo vescovo o papa era ammogliato ad emendo un Apostolo ispirato onorava l'ordinanza di Dio intorno al matrimonio; ai suoi papi e al suo clero è ora proibito il matrimonio sotto pena di deposizione e di dannazione! Uno dei segni che Paolo dà di quelli che "attendono a spiriti seduttori" è che "vieteranno il maritarsi" 1Timoteo 4:1-3. Le terribili conseguenze di tale iniqua repressione delle leggi della natura sono dipinte abbastanza chiaramente nei titoli dati alla mistica Babilonia (Roma papato), nell'Apocalisse 17:15-18, in connessione con la sua condanna.

giaceva in letto, con la febbre; ed essi subito gliene parlarono. 31. Ed egli, accostatosi la prese per la mano, e la sollevò; e subito la febbre la lasciò,

Il miracolo qui consistette nel guarire col semplice toccare. Fu un'operazione divina, perché affatto oltre il potere dell'uomo, e non secondo la costituzione ed il corso della natura.

Mc 1:31

ed ella ministrava loro.

Che la guarigione fosse completa e istantanea lo si vide dall'esser di subito la donna rimessa in grado di tornare agli uffizi domestici e di servirli a mensa.

PASSI PARALLELI

1Corinzi 9:5

Marco 5:23; Giovanni 11:3; Giacomo 5:14-15

Marco 5:41; Atti 9:41

Marco 15:41; Salmi 103:1-3; 116:12; Matteo 27:55; Luca 8:2-3

Mc 1:32

32. Poi, fattosi sera, quando il sole andava sotto, gli menarono tutti coloro che stavan male, e gl'indemoniati 33. E tutta la città era raunata all'uscio. 34. Ed egli ne guarì molti che stavan male di diverse malattie, e cacciò molti demoni;

Col tramontare del sole finiva il sabato, e incontanente gli abitanti di Capernaum cominciarono a menare a Gesù i loro amici e congiunti ammalati ond'egli li sanasse. "Il Signore del sabato" non avrebbe ricusato di sanarli in giorno di sabato, poiché egli ci ha insegnato Matteo 12:10-13; Giovanni 5:5-16, che tali opere di misericordia non ne violano la santità. C'erano due ragioni per quest'indugio da parte del popolo. La prima era che i Farisei aveano loro insegnato a credere che anche l'accendere il fuoco nelle loro case, o l'alzare un peso, per quanto leggiero, in giorno di sabato fosse peccato, e quindi non potevano pur pensare a trasportare loro amici e congiunti alla presenza di Gesù. L'altra, che in quella stagione estiva e in

quel bacino vulcanico, ove è situato il lago di Tiberiade, 280 metri al disotto del livello del Mediterraneo, l'ardore d'un solo tropicale sarebbe riuscito oltremodo pregiudizievole, se non pur fatale, ai poveri malati ch'essi volevano menare a Gesù; perciò aspettarono la calata del sole. Tale e tanta era l'ansietà la curiosità e l'animosità, che la folla andò crescendo per modo da poter dirsi, piuttosto letteralmente che iperbolicamente, che "tutta la città era raunata all'uscio" della casa di Pietro e d'Andrea, ma per quanto fosse grande la moltitudine dei malati, Gesù li guarì tutti.

Mc 1:34

e non permetteva ai demoni di parlare, perciocché sapevano chi egli era.

Se Gesù fosse stato un semplice uomo, avrebbe egli potuto chiudere in quel modo la bocca ai demoni e costringerli all'obbedienza? (Vedi nota sopra Marco 1:25Marco 1:25.)

PASSI PARALLELI

Marco 1:21; 3:2; Matteo 8:16; Luca 4:40

Marco 1:5; Atti 13:44

Marco 1:25; 3:12; Luca 4:41; Atti 16:16-18

Mc 1:35

Marco 1:35-37. GESÙ SI RITIRA A PREGARE NEL DESERTO PRIMA D'INTRAPRENDERE IL SUO PRIMO GIRO PER LA GALILEA Matteo 4:28-29; Luca 4:42-44

35. Poi, la mattina, essendo ancor molto buio,

Luca dice: "Fattosi giorno", espressioni popolari entrambe, per indicare l'alba o lo spuntare del giorno, quando le tenebre e la luce lottano ancora; quando comincia ad albeggiare, e tuttavia è ancora quasi notte.

Gesù si levò, e se ne andò in luogo deserto, e quivi orava.

Quantunque, per necessaria conseguenza della sua divina natura, la comunione di Gesù Cristo con Dio suo Padre fosse costante e incapace d'interruzione, tuttavia, come vero uomo, Gesù sentiva che la vita e la comunione spirituale con Dio non potevano mantenersi nella sua anima umana se non per mezzo del ritiro, della meditazione e della preghiera. Per questa ragione, lasciandosi addietro i discepoli, uscì dalla città e se ne andò in luogo deserto dove non poteva temere di esser interrotto. Se il Salvatore che era perfettamente santo attribuiva, nella propria esperienza individuale, tanta efficacia alla preghiera, non ci fa questo comprendere quanto sia grande il bisogno che ne abbiamo noi? Si osservi particolarmente poiché è questa un'altra lezione chiaramente deducibile da questo racconto, che il Signore toglieva al riposo della notte il tempo necessario per questo dovere, tanto essendo le persone e le cose che reclamavano il suo tempo durante il giorno.

PASSI PARALLELI

Marco 6:46-48; Salmi 5:3; 109:4; Luca 4:42; 6:12; 22:39-46; Giovanni 4:34; 6:15

Efesini 6:18; Filippesi 2:5; Ebrei 5:7

Mc 1:36

36. Simone, e gli altri ch'eran con lui,

Suo fratello e i figliuoli di Zebedeo, e forse altri ancora che avean creduto in Cristo, ed eran divenuti suoi discepoli,

gli andarono dietro. 37. E trovatelo, gli dissero: Tutti ti cercano.

È probabile che Gesù avesse informato i suoi discepoli del suo proponimento di ritirarsi nella solitudine per un breve lasso di tempo, indicando loro, al tempo stesso, un'ora e un luogo di ritrovo, e che, essi avendolo ivi cercato e trovato, gli dicessero dell'ansietà generale con cui lo aspettava la moltitudine, a cagione dei miracoli della sera precedente. La narrazione di Luca 4:42 sembra confermare la supposizione che i discepoli sapessero dove cercare il loro maestro, poiché ci informa, che le turbe anch'esse seguirono i discepoli al luogo deserto, e circondarono Gesù, in modo da impedirgli, con la forza, di partire da loro.

PASSI PARALLELI

Marco 1:5; Zaccaria 11:11; Giovanni 3:26; 11:48; 12:19

Mc 1:38

38. Ed egli disse loro: Andiamo alle castella vicine,

Gesù non si arrese ai tentativi del popolo di Capernaum che voleva ricondurlo in città. Al contrario, propose ai suoi discepoli di visitare le città e i villaggi della Galilea che erano di minor nota di Capernaum. l'inferiorità loro, a petto di quest'ultima città, è fatta risaltare dal nome greco composto: comopoleis, da villaggio e città, che vien loro dato in questo versetto, e significa borgate, più importanti d'un piccolo villaggio, ma non considerate degne di esser recinte con mura.

acciocché io predichi ancora là; conciossiaché per ciò io sia uscito.

Siccome alcuni dei razionalisti hanno tentato di spiegare l'ultima parte di questo versetto come se si dovesse intendere soltanto dell'uscita di Cristo da Capernaum per predicare nei villaggi circostanti il lettore prenda a commentario le parole di Cristo, riferite nel passo parallelo di Luca 4:43: "Perciocché a far questo, sono stato mandato" ed anche le sue parole in

Giovanni 16:28: Io son proceduto dal Padre e son venuto nel mondo. Il senso del versetto è questo: "Poiché le moltitudini desiderano udire il vangelo del regno, andiamo alle castella vicine, poiché Iddio mi ha mandato (ossia sono uscito da Dio) per predicare non a Capernaum soltanto, ma per tutto il paese, e quindi non devo restringere le mie fatiche ad un luogo solo".

PASSI PARALLELI

Luca 4:43

Isaia 61:1-3; Luca 2:49; 4:18-21; Giovanni 9:4; 16:28; 17:4,8

Mc 1:39

39. Ed egli andava predicando nelle lor sinagoghe, per tutta la Galilea e cacciando i demoni.

Vedi nota Matteo 15:23. Il tempo che durò questo giro è impossibile determinarlo. Ellicott ci dà il minimo di 4 o 5 giorni, Gresnell il massimo di 4 o 5 mesi. Possiamo probabilmente con tutta sicurezza respingere la prima ipotesi, e lasciar star li la cosa. Quali luoghi particolari della provincia Gesù visitasse allora, non potrebbe determinarsi, ma senza dubbio Betsaida e Chorazin furon tra le città privilegiate, poiché sappiamo che Gesù faticò molto in esse Matteo 11:21

PASSI PARALLELI

Marco 1:21; Matteo 4:23; Luca 4:43-44

Marco 7:30; Luca 4:41

Mc 1:40

È

Marco 1:40-45. È MONDATO UN LEBBROSO E MANDATO AL SACERDOTE IN TESTIMONIANZA DELLA SUA GUARIGIONE Matteo 8:1-4; Luca 5:12-16

Per la esposizione vedi Matteo 8:1Matteo 8:1-4.

Mc 1:45

45. ma egli (il lebbroso), uscito, cominciò a predicare, ed a divolgar grandemente la cosa; talché Gesù non poteva più palesemente entrar nella città; anzi se ne stava di fuori in luoghi deserti, e di ogni luogo si veniva a lui.

La narrazione di Matteo si chiude col comando dato al lebbroso di non divulgare la sua guarigione sinché non fosse stata attestata dal sacerdote; Marco e Luca ci narrano in continuazione che l'esaltazione della sua mente lo spingeva a disubbidire, e che egli cominciava a pubblicare dappertutto la miracolosa guarigione ottenuta. Che quest'uomo andasse o meno dal sacerdote non è detto, né avrebbero questi Evangelisti fatto menzione della Sua disubbidienza se non fossero stati gl'inconvenienti che ne vennero a Gesù nell'esercizio del suo ministerio. La commozione prodotta negli animi del popolo da questo miracolo fu tale e tanta, ch'ei non poteva avventurarsi ad entrare nelle costella senza pericolo di destarvi un tumulto, laonde si vide obbligato a scegliere luoghi deserti per ammaestrarvi le moltitudini che venivano a lui da ogni parte, e che non avrebbero potuto esser contenute in luoghi ristretti.

PASSI PARALLELI

Salmi 77:11; Matteo 9:31; Luca 5:15; Tito 1:10

Marco 2:1-2,13

RIFLESSIONI

1. Marco esordisce col presentare alla nostra attenzione un fatto interessantissimo ed importantissimo, che cioè il cominciamento del vangelo fu il compimento delle profezie dell'Antico Testamento; Giovanni Battista principiò il suo ministerio "secondo ch'egli è scritto ne' profeti". Queste due parti della santa parola di Dio sono in stretta relazione l'una con l'altra; l'Antico Testamento può definirsi brevemente: Cristo predetto, ed il Nuovo: Cristo rivelato. Non dobbiamo adunque contentarci di cercare Abramo, Mosè, Davide, Daniele, ecc. nell'Antico Testamento, dobbiamo leggerlo con un desiderio costante di trovarvi qualche cosa intorno al Signore Gesù Cristo. È delle Scritture dell'Antico Testamento ch'egli pronunciò quella memorabile dichiarazione: "Esse son quelle che testimoniano di me".

2. Per compiere la salute dell'uomo, il Signore Gesù divenne volontariamente il servo del Padre, e si vegga con quanta umiltà lo riconosce, venendo ad assoggettarsi al battesimo di Giovanni, come ad una istituzione voluta da Dio. Quantunque perfettamente puro e senza macchia, pur fu lavato come se fosse stato polluto, e così si santificò, affinché noi pure potessimo essere santificati con lui. D'altra parte, osservisi con quale onore egli venne divinamente proclamato come "Dio sopra tutti", quando si sottomise a quel battesimo i cieli gli furono aperti, ed ei vide lo Spirito a guisa di colomba discendere dal cielo, e udì la voce del Padre suo che lo incoraggiava ad entrare nel suo ministerio.

3. Una mera fede speculativa intorno ai fatti e alle dottrine del cristianesimo non varrà giammai a salvare le anime nostre; Una tal fede non val punto meglio di quella dei demoni. Essi credono tutti che Gesù è il Cristo che un giorno giudicherà il mondo, e li farà piombare nell'inferno ai tormenti senza, fine. Solenne e doloroso pensiero è questo, che su tali punti, alcuni che si professano cristiani hanno minor fede dello stesso Satana. Vi sono alcuni che dubitano della realtà dell'inferno e dell'eternità delle pene. Tali dubbi possono trovarsi soltanto nel cuore di uomini e di donne che preferiscono la propria volontà a quella del Signore. Tra i demoni non c'è miscredenza. "Essi credono e tremano" Giacomo 2:19. Badiamo che la

nostra fede sia una fede del cuore non meno che dell'intelletto, e che la nostra dottrina abbia un effetto santificante sui nostri affetti e sulle nostre vite.

4. Alla fine di questo capitolo leggiamo che "Gesù se ne andò in luogo deserto e quivi orava"; ma la stessa cosa è ricordata di lui ben sovente. Quando fu battezzato stava orando Luca 3:21; quando le moltitudini voleano farlo re, "se ne andò in sul monte per orare" Marco 6:46; quando fu tentato nel Getsemani trovò sollievo nella preghiera Marco 14:32. Benché fosse senza alcun peccato, egli ci ha dato l'esempio di diligente comunione col Padre suo, e se egli provava il bisogno di pregare, quanto più dobbiamo provarlo noi, che manchiamo ogni giorno in molte cose! In presenza di un tale esempio, qual giudizio dobbiamo fare di coloro che non pregano mai, o le cui preghiere non sono altro che una vana formalità? Del sicuro nessuno può pretendere che tali uomini siano seguaci di Cristo. "Ei ci ha lasciato un esempio, acciocché seguitiamo le sue pedate" 1Pietro 2:21

Mc 2:1

CAPO 2 - ANALISI

1. Gesù ritorna a Capernaum. Questo segna la conclusione del primo giro che fece Gesù per le città della Galilea. Il suo ritorno fu il segnale di un così numeroso assembramento di popolo che la casa n'era piena fino alla porta, e a questo popolo Cristo predicò il vangelo Marco 2:1-2.

2. È calato dal tetto un paralitico, perché Gesù lo risani. L'Evangelista narra le difficoltà incontrate dagli amici del paralitico per portarlo alla presenza di Cristo; i mezzi a cui ricorsero per raggiungere il loro intento; l'accoglienza incoraggiante, e le parole piene di bontà che Gesù rivolse a quel disgraziato; e l'effetto che queste produssero su alcuni Scribi lì presenti Marco 2:3-7. Gesù, sapendo che nei loro cuori questi Scribi lo accusavano di bestemmia, perché aveva dichiarato al paralitico che gli erano rimessi i suoi peccati, li rimproverò, chiedendo qual fosse più agevole, a lor giudizio, il rimettere i

peccati, o il guarire miracolosamente la malattia (entrambe quelle cose essendo prerogative esclusive di Dio), ed indovinando ch'essi si sarebbero pronunciati in favore della prima, incontanente operò la seconda, sicché il paralitico, che prima non poteva muovere pur un passo, senza por tempo in mezzo, si caricò addosso il suo letticello, e tornossene a casa risanato. In tal guisa provò Gesù il suo divino mandato e la sua autorità di perdonare i peccati, in mezzo allo stupore degli astanti che ne davan gloria a Dio Marco 2:8-12.

3. Levi è chiamato all'Apostolato. Levi (Matteo) era un pubblicano, e fu chiamato da Gesù a seguirlo mentre questi passava dalla dogana in prossimità del lago, nella quale quegli esercitava l'uffizio suo: chiamata a cui obbedì immediatamente. Nel lasciare l'impiego, raccolse intorno a sé, a banchetto di commiato, quelli coi quali egli aveva lavorato sino allora, provvedendo al tempo stesso a che non mancasse al festino il no nuovo Maestro, perché anche ad essi annunziasse il vangelo. Di questo rimasero grandemente scandalizzati gli Scribi ed i Farisei, i quali, non avendo il coraggio di attaccare Gesù a viso aperto, ne mossero rampogna ai discepoli. Gesù prese la parola pei suoi discepoli, e giustificò la sua presenza in tale assemblea, dichiarando che a cotali appunto guidavalo il mandato suo divino Marco 2:13-17.

4. Schiarimenti chiesti da alcuni dei discepoli di Giovanni. Il punto su cui i discepoli di Giovanni chiesero schiarimenti era questo: perché in materia di digiuno, i discepoli di Gesù avessero ad esser trattati con maggiore indulgenza di loro? Giovanni prescriveva un rigoroso digiuno, tu perché segui un'altra regola coi tuoi discepoli? La risposta è che sarebbe del pari incongruo ne' suoi discepoli il digiuno (ch'è simbolo di dolore), mentre egli era ancora con essi, come sarebbe negli amici della sposa e dello sposo il piangere nella camera delle nozze, in mezzo a tutte le dimostrazioni d'allegrezza. Prosegue dicendo che, tra non molto, il maestro sarebbe lor tolto e che allora verrebbero pei suoi discepoli i giorni della prova. Col ricordare come mal si addicano le giunte di panno nuovo agli abiti vecchi o il vino nuovo, ancora in fermentazione, ai vecchi otri. Il Signore addita in modo, figurato bensì, ma perfettamente chiaro, l'impossibilità d'inceppare e comprimere la vita, lo spirito e il genio della nuova e migliore dispensazione

per entro le forme della dispensazione mosaica, ormai invecchiata e in via di decadimento Marco 2:18-22.

5. I discepoli sono accusati di violare il sabato perché svellevano e mangiavano delle spighe di frumento. Il cogliere e mangiare le spighe di frumento che crescevano lungo la strada, non costituiva, per parte dei viandanti, violazione alcuna della legge giudaica; ma, secondo l'interpretazione farisaica del quarto comandamento, lo strapparle e lo fregarle con le mani, erano "un lavoro vietato", e per questa ragione i Farisei accusavano i discepoli d'aver violato il sabato. Citando il caso di Davide a Nob, nostro Signore dimostrò, nella sua risposta, che anche, secondo la legge antica, i diritti della necessità e della misericordia prevalevano sulla lettera della legge, e che quindi i suoi discepoli, saziando la fame, non aveano violato il sabato. Li difende, poscia, spiegando la vera natura del sabato, il quale fu istituito dal nostro benefico Creatore sì pel temporale che per lo spirituale benefizio dell'uomo, sicché tutto quanto contribuisce all'uno o all'altro, non può costituire alcuna violazione di quella santa istituzione. E finalmente, Gesù dichiara che, nella sua qualità di Figliuol dell'uomo, egli è Signore e padrone del sabato, e per conseguenza qualificato meglio di chiunque a decidere che cosa ne costituisca una trasgressione Marco 2:2328.

Marco 2:1-12. È GUARITO UN PARALITICO CALATO DAL TETTO Matteo 9:16; Luca 5:18-26

1. Ed alquanti giorni oppresso,

Le parole greche (letteralmente dopo giorni) lasciano affatto indeterminato il tempo che Gesù impiegò nel suo primo giro di predicazione.

egli entrò di nuovo in Capernaum; e s'intese ch'egli era in casa. 2. E subito si raunò gran numero di gente, talché non pure i contorni della porta li poteva più contenere;

Pietro il pescatore non viveva in un palazzo, come il suo preteso successore; un umile abituro era quanto consentivano i mezzi suoi, o quelli di Maria, la vedova del povero falegname, di modo che, a qualunque dei due essa appartenesse, la moltitudine raunata non poteva tardare ad empire e la casa e il cortile. In questa occasione la folla era probabilmente maggiore del consueto, sapendosi che la fama di lui era giunta alle orecchie delle autorità ecclesiastiche, e che Farisei e dottori della legge eran venuti, non solo da tutte le città della Galilea, ma anche da Gerusalemme, per udire e giudicare le dottrine del profeta di Nazaret, Vedi Luca 5:17

Mc 2:2

ed egli annunziava loro la parola.

L'argomento era senza dubbio il regno di grazia ch'egli stava per stabilire, quale veniva raffigurato nei tipi alle profezie delle Scritture giudaiche. Gesù stava seduto nell'interno della casa, ma parlava a voce alta abbastanza da farsi udire dalla moltitudine stipata fuori. Luca aggiunge: "e la virtù del Signore era quivi presente per sanarli" cioè per sanare i malati che gli menavano, sicché il miracolo che sta per essere descritto non fu che il più notevole e il più luminoso tra i molti operati in quel giorno.

PASSI PARALLELI

Marco 1:45; Matteo 9:1; Luca 5:18

Marco 7:24; Luca 18:35-38; Giovanni 4:47; Atti 2:6

Marco 1:13; 1:33,37,45; 4:1-2; Luca 5:17; 12:1

Marco 1:14; 6:34; Salmi 40:9; Matteo 5:2; Luca 8:1,11; Atti 8:25; 11:19; 14:25; 16:6

Romani 10:8; 2Timoteo 4:2

Mc 2:3

3. Altera vennero a lui alcuni che menavano un paralitico, portato da quattro.

Marco solo, con quel suo tratteggiare grafico, specifica il numero dei portatori.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:1,2-8; Luca 5:18-26

Mc 2:4

4. E non potendosi accostare a lui, per la calca, scopersero il tetto della casa dov'era Gesù; e, foratelo, calarono il letticello, in sul quale giaceva il paralitico.

Il modo in cui fu messo in presenza di Gesù il paralitico è nuovo, ma è particolarmente interessante, come esempio dato, sia da lui che da' suoi amici, di quella perseveranza di fede che vince tutti gli ostacoli. Per intendere questo fatto bisogna aver qualche idea della costruzione delle case d'Oriente, specialmente di quelle del ceto più umile, poiché a questa classe apparteneva senza dubbio la casa ove Gesù fu ospitato in Capernaum. Consistevano esse generalmente in un colo piano che occupava all'ingiro due o tre lati di un cortiletto, cui dava accesso dalla strada, una porta praticata sul quarto lato. Nelle città queste case erano unite insieme, sicché all'uopo si potesse comunicare tra l'una e l'altra, non essendovi tra i tetti o terrazze altra separazione che un muro, alto abbastanza da nascondere, alla vista degli abitatori di una casa, quelli della casa contigua, quando stavano a sedere o passeggiare sulla terrazza. Al tetto di queste umili abitazioni non c'era, come non c'è anche in oggi, altro accesso che quello d'una rozza gradinata esteriore, sporgente dal caseggiato. Nelle case signorili, oltre questa gradinata esteriore, vi era anche una scala interna. La possibilità di siffatta comunicazione tra il tetto e il cortile senza passare necessariamente

per l'interno della casa, rende perfettamente intelligibile l'esortazione di nostro Signore relativa alla distruzione di Gerusalemme: "Colui che sarà sopra il tetto della casa, ed avrà le sue masserizie dentro la casa non iscenda per toglierle" Marco 13:18, ove si confrontino le riferenze. È facile capire che gli amici del paralitico lo portassero sul tetto, sta che vi salissero dalla casa attigua, e giunti al muro di divisione lo scavalcassero, alzando il letticciuolo; sia che la folla li lasciasse penetrate nel cortile e salissero la gradinata esteriore. Ma colle nozioni che gli Europei si fanno naturalmente di un tetto, l'idea di farvi un foro, grande abbastanza da potervi far passare il letticciuolo, nel breve tempo che durò il discorso di Gesù, sembra così stravagante, per non dire assurda, che i critici hanno trovato molto difficile la spiegazione di questo passo, mentre che, per chiunque ha viaggiato in Palestina, la cosa è chiara e lampante da per sé. Questo scoprire il tetto non può consistere, come suggeriscono alcuni, nel sollevare semplicemente il tendone che riparava il cortile dai raggi cocenti del sole, o secondo altri, nell'aprire una specie di sportello che era sul tetto, poiché si ha un bel stiracchiare la voce (letteralmente tegoli, e qui più esattamente terra da pentolaio) usata da Luca, non si potrà mai fare che essa significhi tendone di tela; né che scavare, forare, del nostro Evangelista, indichi l'atto di aprire uno sportello. Questo scavare, nella terra di cui si componeva la terrazza, un foro grande abbastanza da lasciarvi passare il letticciuolo, è esattamente l'operazione qui descritta dall'Evangelista. Le case del minuto popolo in Palestina son costrutte, anche oggidì, di massi di fango essiccato, come appunto eran costrutte duemila anni fa, e i tetti si fanno di fango o d'argilla, misti talvolta a un po' di calcina, steso su fitti strati di rami, sostenuti da travi, che si vedono benissimo dall'interno della casa, non essendovi soffitto alcuno. Sulla terrazza si tiene spesso un cilindro che, nella stagione delle pioggie, si fa rotolare di frequente su e giù pel tetto, onde l'argilla divenga più compatta e non lasci colare l'acqua. Di tal fatta era probabilmente la casa ove fu ospitato Colui che fu così povero sulla terra da poter dire di sé stesso: "Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo de' nidi, ma il Figliuol dell'uomo non ha pur dove posi il capo" Matteo 8:20. A fare il foro richiesto in un tetto di tal sorta, questi quattro uomini non potevano metterci più di un dieci minuti, e, a rimettere il tetto nello stato di prima, bastava pochissimo tempo e fatica. Chi scrive ha esaminate minutamente sul Libano, a Tiberiade e a Sidone, case che avevano simili tetti e gradinate

esteriori, ed è persuaso che il verbo (forare) usato da Marco, descriva esattamente il modo che fu tenuto in questa occasione. Una volta forato il tetto, nulla più agevole del calare il letticciuolo un tre, o tutto al più, un quattro metri, fino al pavimento della camera.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 22:8; Luca 5:19

Mc 2:5

5. E Gesù, veduto la lor fede,

Non quella solamente dei portatori, secondo Girolamo, Ambrogio ed altri, ma anche quella del paralitico, come è evidente dalle parole che subito dopo Gesù gli rivolge. Tutti e tre i sinottici applicano le parole "lor fede" ai portatori, senza dubbio per indicare, che non fu soltanto compassione o affetto al paziente, che li fece perseverare nei loro sforzi, ma una piena persuasione che Cristo, poteva e voleva guarire il loro amico, sol che questi fosse condotto alla sua presenza. Questa è vera fede, fede che non vuol saperne di sconfitta, che resiste a tutte la difficoltà e finalmente le vince tutte, fede che Gesù quando era sulla terra stava sempre osservando in chi si trovasse, e trovatala, la ricompensava riccamente.

disse al paralitico: Figliuolo,

Secondo Matteo, Gesù incominciò colle stesse parole incoraggianti che, più tardi, egli rivolse alla donna che guarì del flusso di sangue: "sta di buon cuore", si confronti Matteo 9:2,22

I tuoi peccati ti son rimessi.

Queste parole dànno l'assicurazione del perdono concesso in quello stesso momento. È probabile assai che la malattia di quell'uomo fosse l'effetto ad un tempo e il castigo di una vita trascorsa nella dissolutezza. Checché ne sia

di ciò, è certo che la sua coscienza si era risvegliata, facendogli sentire il suo peccato e il bisogno che aveva di perdono non meno che di sanità corporale, poiché il Signore non avrebbe mai rivolte quelle parole ad un peccatore impenitente. I Farisei capirono che con quelle parole il Signore largiva a quell'uomo il perdono dei suoi peccati, e Gesù stesso non solo riconosce che, le hanno intese nel loro vero senso, ma su questo fatto poggia tutta la sua argomentazione; noi dunque dobbiamo riguardarle come un vero decreto reale di perdono dato a quell'uomo da Colui che solo poteva accordarlo.

PASSI PARALLELI

Genesi 22:12; Giovanni 2:25; Atti 11:23; 14:9; Efesini 2:8; 1Tessalonicesi 1:3-4; Giacomo 2:18-22

Marco 2:9-10; Isaia 53:11; Matteo 9:2; Luca 5:20; 7:47-50; Atti 5:31; 2Corinzi 2:10

Colossesi 3:13

Marco 5:34; Matteo 9:22; Luca 8:48

Giobbe 33:17-26; Salmi 32:1-5; 90:7-9; 103:3; Isaia 38:17; Giovanni 5:14

1Corinzi 11:30; Giacomo 5:15

Mc 2:6

6.Or alcuni d'infra gli Scribi sedevano quivi,

Secondo Luca 5:17, "eran venuti da tutte le castella della Galilea e della Giudea e di Gerusalemme", mostrando con ciò l'importanza che si cominciava a dare agli atti di Gesù, specialmente da coloro che erano al tempo stesso giuristi e teologi, legislatori e sacerdoti nella nazione giudaica.

e ragionavan ne' lor cuori, dicendo,

Davano a dividere tutt'altro che uno spirito docile, sebbene non manifestassero ancora i loro sentimenti velenosi e micidiali. Significa non eccitazione subitanea, ma calcolo deliberato, fatto da ognuno di essi nel segreto del suo cuore, e che li portava tutti alle stesse conclusioni.

PASSI PARALLELI

Marco 8:17; Matteo 16:7-8; Luca 5:21-22; 2Corinzi 10:5

Mc 2:7

7. Perché pronunzia costui bestemmie in questa maniera? chi può rimettere i peccati, ne non il solo Dio?

costui è usato spesso nel greco classico in segno di spregio (come il costui italiano, che è talora sprezzativo), ed anche nelle Sante Scritture si trova usato in questo senso. bestemmia si usa nel greco classico per denotare ogni sorta di maldicenza contro il prossimo, ma nell'uso ellenistico denota empietà, o malvagio parlare contro Dio. Si commette bestemmia

1. quando si attribuiscono a Dio cose indegne di esso;

2. quando si nega che sieno da attribuirsi a Dio cose che manifestamente procedono da lui;

3. quando si attribuiscono ad altri, gl'incomunicabili attributi di Dio.

È in quest'ultimo senso che gli Scribi accusano Gesù di bestemmia. La prima di queste domande non era fuori del naturale, imperocché in qualunque altro uomo la pretesa di perdonare i peccati sarebbe stata infatti una bestemmia. La seconda domanda contiene una verità solenne sì, ma male applicata. Il diritto e il potere di perdonare i peccati sono prerogative esclusive di Dio. Il profeta Natan, pronunciando in tono autorevole a Davide

il perdono del suo peccato, ascrive un tale atto alla gratuita grazia di Dio, e mostra ch'egli stesso non è altro che il canale mediante il quale è trasmessa la notizia della gratuita remissione 2Samuele 12:13. Il Signore non conferì ai suoi discepoli alcun potere più alto Giovanni 20:23; e qualunque mortale oltrepassa il limite di Natan, e si arroga un'autorità o un potere qualunque di perdonare o rimettere i peccati, si chiami pur confessore, sacerdote, o papa, è reo di bestemmia. Egli usurpa un potere che appartiene esclusivamente a Dio. La colpa di questi Farisei consisteva nel non riconoscere in Colui, la cui venuta era attestata da tali straordinari miracoli, Iddio manifestato in carne, il Messia aspettato ed invocato dai loro padri. Ma queste domande dei Farisei mettono gli Ariani ed i Sociniani tra le strette di un dilemma. O Gesù è veramente Dio nella nostra natura, e per conseguenza ha piena potestà di Perdonare i peccati, ed allora bestemmiano dichiarandolo uomo; o è semplicemente uomo, e allora, tutti gli sforzi con cui hanno cercato, nei loro scritti, di riconciliare con un tal fatto, le dottrine scritturali dell'espiazione e del perdono dei peccati pe' suoi meriti, son disonesti ed ingannevoli. Se Gesù non era che un uomo, egli non poteva perdonare i peccati. "Chi può rimettere i peccati se non il solo Dio?"

PASSI PARALLELI

Marco 14:64; Matteo 9:3; 26:65; Giovanni 10:33,36

Giobbe 14:4; Salmi 130:4; Isaia 43:25; Daniele 9:9; Michea 7:18; Luca 5:21; 7:49

Giovanni 20:20-23

Mc 2:8

8. E Gesù, avendo subito conosciuto, per lo suo spirito,

Matteo: "Gesù, veduti i lor pensieri, disse, ecc.". Su ciò Bengel rimarca: "I profeti acquistavano cognizione delle cose, mediante lo Spirito di Dio, non mediante il loro proprio spirito; Cristo invece, mediante il suo proprio

spirito, che è onnisciente e divino". Le parole: "lo suo spirito", dobbiamo dunque intenderlo della sua natura divina, che dimorava nella sua natura umana.

che ragionavan così fra sé stessi,

L'aveano accusato di bestemmia perché reclamava per sé la prerogativa di Dio di rimettere i peccati, ma nel divino attributo della onniscienza, per cui ora scopriva e svelava le riflessioni segrete dei loro cuori, ei diede loro una prova convincente che la loro accusa non era sostenibile. Se non fossero stati accecati dal pregiudizio, avrebbe dovuto venir loro in mente questa riflessione: "Se quest'uomo può leggere in questo modo i nostri pensieri più riposti, il che è prerogativa di Dio solo, perché non potrebbe egli altresì rimettere i peccati, come ha ora asserito di poter fare? Egli dev'essere il Messia promesso!"

disse loro: Perché ragionate voi coteste cose ne' vostri cuori?

Perché mai accusate di dir bestemmie? Gesù protesta solamente contro la loro avventataggine nel venire così tosto ad una così sfavorevole conclusione contro di lui. Egli non se n'ha a male che essi richiedano prove irrecusabili a sostegno della sua asserzione di poter rimettere i peccati, che anzi procede immediatamente a metter dinanzi agli occhi loro cotali prove operando una guarigione miracolosa.

PASSI PARALLELI

1Cronache 29:17; Matteo 9:4; Luca 5:22; 6:8; 7:39-40; Giovanni 2:24-25; 6:64; 21:17

Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

Marco 7:21; Salmi 139:2; Proverbi 15:26; 24:9; Isaia 55:7; Ezechiele 38:10; Luca 24:38; Atti 5:3

Atti 8:22

Mc 2:9

9. Qual'è più agevole, dire al paralitico: I tuoi peccati ti sono rimessi; ovver dire: Levati togli il tuo letticello e cammina?

Entrambe queste cose sono attributi divini Salmi 103:3. La questione non è se sia più agevole a Dio il rimettere i peccati o il guarire un paralitico incurabile, poiché di ciò non potevano esser giudici i suoi uditori, ma, se a lor giudizio, ci fosse per lui minor rischio a pronunciar il comando: "ti sian rimessi i tuoi peccati", ovvero l'altro comando: "Levati, togli il tuo letticello e cammina". Evidentemente nei loro cuori essi doveano rispondere: "È più agevole per un impostore il dire, 'ti sian rimessi i tuoi peccati', poiché questo è un fatto che non è in potere dell'uomo di verificare, laddove invece, tutti gli astanti possono giudicare se il paralitico obbedisce ed è sanato!" Gesù avendo letto di nuovo i pensieri dei loro cuori, e preveduta la loro risposta, disse:

PASSI PARALLELI

Matteo 9:5; Luca 5:22-25

Marco 1:5

Mc 2:10

10. Ora, acciocché voi sappiate che il Figliuol dell'uomo ha podestà di rimettere i peccati in terra;

Il ragionamento del Signore era questo: Siccome la remissione dei peccati e l'operare miracoli appartengono tutt'e due esclusivamente a Dio, col fare ciò che a vostro giudizio è più difficile, vi do la prova che ho fatto anche l'altro, poiché Dio non può certo rendere testimonianza ad un bestemmiatore o impostore. "Il titolo il Figliuol dell'uomo" è tra quelli che appartengono

all'eterno Figliuol di Dio, e indica, che, in quanto egli è il Messia è divenuto partecipe della nostra natura. Il vero senso di questo titolo è determinato da Daniele 7:18, dove, senza alcun dubbio, è applicato alla seconda persona della Trinità, in quanto che, vestito dell'umana natura, ci si presenta davanti al trono di suo Padre per ricevere la ricompensa dei suoi patimenti mediatorii, secondo i Salmi 8:5; 68:17-18; Isaia 53:11-12; Filippesi 2:8-10. Questa applicazione uffiziale di un tale appellativo, rende ragione del fatto interessante che nei Vangeli, non è mai applicato ad altri che a Cristo, ed anche ad esso non mai da altri che da lui medesimo. Il passo stesso dei Atti 7:56, può appena considerarsi un'eccezione, poiché le parole di Stefano, che avea dinanzi agli occhi quella portentosa visione, gli eran poste, in bocca dallo Spirito d'ispirazione, onde assicurare il sinedrio, che ciò che il Signore avea detto loro intorno a sé stesso Marco 14:62, già era incominciato a compiersi (Vedi nota in loco). Il non essere questo titolo dato a Cristo da altri che da lui medesimo, può spiegarsi, dicendo che non è di per sé un titolo d'onore, ma bensì d'umiliazione, né perciò potea senza irreverenza venire a lui applicato da alcun altro. Le parole: "in terra" sembrano significare che laddove gli uomini avean riguardata, fino allora, la remissione dei peccati come una cosa per essi remota, e da ottenersi soltanto dopo la morte, egli l'aveva ora avvicinata e messa alla portata di ciascuno di loro, sicché non avevano che a ricorrere a lui ed egli era pronto ad accordarla. Una parafrasi di queste parole può vedersi nell'Epistola ai Romani 10:6-8

PASSI PARALLELI

Daniele 7:13-14; Matteo 9:6-8; 16:13; Giovanni 5:20-27; Atti 5:31; 1Timoteo 1:13-16

Mc 2:11

11. Io ti dico (disse egli al paralitico), Levati, togli il tuo letticello, e vattene a casa tua.

I Profeti e gli Apostoli operarono i loro miracoli nel nome e per l'autorità di Dio, ma Gesù non ha bisogno di domandare a Dio il potere di farli, ei compie miracoli in suo proprio nome, provando così la sua divinità; e per conseguenza il diritto che ha di essere riconosciuto pel Messia promesso. Per dimostrare quanto è completa la guarigione, Gesù non solo comanda a quell'uomo, impotente a muoversi, di alzarsi, ma pur anche di togliersi sulle spalle il letto sul quale giaceva e di far ritorno alla sua casa.

PASSI PARALLELI

Marco 1:41; Giovanni 5:8-10; 6:63

Mc 2:12

12. Ed egli prestamente si levò; e, caricatosi addosso il suo letticello, uscì in presenza di tutti;

Non ci fu quasi il tempo di rimanere sospeso o in dubbio; il comando di Gesù fu accompagnato da tal potenza divina che in un momento gli rinvigorì le Membra infiacchite; la fede di quell'uomo, che l'avea indotto a farsi portare alla presenza di Cristo, malgrado tutti gli ostacoli, si strinse ora avidamente al comando del Signore, ed egli si levò ad un tratto, in presenza di tutti, così vigoroso come se non avesse mai saputo che cosa fosse l'esser malato. La prova ch'egli avea riacquistate tutte le sue forze si vide dal fatto ch'ei si caricò in ispalla il letto (fino allora simbolo della sua debolezza), come gli avea comandato il Signore, e andossene a casa sua. Luca aggiunge: "Se ne andò a casa sua, glorificando Iddio", non nell'interno del suo cuore soltanto, ma rendendo pubblica testimonianza che il profeta di Nazaret avea veramente podestà di rimettere i peccati. Ed ora vediamo, così va il mondo, quella stessa moltitudine che era tanto restia a lasciare il passo al povero ammalato, onde venisse alla presenza di Gesù, ed anzi ne lo avrebbe discacciato se l'avesse potuto, aprirsi prontamente davanti all'uom vigoroso che ritorna lesto a casa sua, e seguirlo plaudente. Dell'effetto prodotto da questo miracolo su gli Scribi e i Farisei presenti, Marco non ci dice nulla;

probabilmente non avea niente di buono da dirci; ma il popolo ne divenne più disposto a ricevere divine impressioni, ond'è che l'Evangelista aggiunge:

talché tutti stupivano, e glorificavano Iddio, dicendo: Giammai non vedem cotal cosa.

Luca dice: "Oggi noi abbiamo vedute cose strane". Né ci fa maraviglia che parlassero così. Eran vissuti fino allora sotto il regime e la regola dei servitori, ma ora il padrone istesso era apparso ed avea esercitato il potere suo reale. Cose strane invero! Guarigioni miracolose e remissione di peccati pronunciate da umane labbra, dopo un lasso d'oltre 300 anni, in cui i doni sì dei miracoli che della profezia eran cessati nella Chiesa giudaica! Matteo aggiunge che la moltitudine glorificava Iddio, "che avea data cotal podestà agli uomini", evidentemente lasciando arguire che la moltitudine non aveva ancora alcuna percezione della divinità di Gesù; vedevano essi in questo miracolo la potenza divina, ma era loro sfuggito il fatto che Cristo l'avea operato in suo proprio nome: "Io ti, dico". Non sapean farsi un'idea chiara della sua divinità, sebbene questo miracolo ne fosse una prova; non voleano ammettere ch'egli fosse dappiù dell'uomo, sebbene talvolta fossero costretti a dire: "Chi è pur costui?" Siffatte confessioni li fanno, lor malgrado, i testimoni, della sua divinità.

PASSI PARALLELI

Marco 1:27; Matteo 9:8; 12:23; Luca 7:16

Matteo 15:31; Luca 5:26; 13:13; 17:15 Atti 4:21

Matteo 9:33; Giovanni 7:31; 9:32

Mc 2:13

Marco 2:13-22. CHIAMATA DI MATTEO O LEVI. BANCHETTO IN SUA Matteo 9:9-13; Luca 5:27-32

Per la esposizione vedi Matteo 9:9Matteo 9:9-13.

Mc 2:23

Marco 2:23-28 I DISCEPOLI SVELLONO DELLE SPIGHE IN GIORNO DI SABATO Matteo 13:1-8; Luca 6:1-5

Per la esposizione vedi Matteo 12:1Matteo 12:1-8.

Mc 2:26

26. Come egli entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatar,

Secondo la narrazione di questo avvenimento contenuta in 1Samuele 21: Ahimelec, padre di Abiatar, era il sommo sacerdote che diede a David il pane di presentazione, e Beza, a scansare la difficoltà, ritiene che le parole "sotto il sommo sacerdote Abiatar" siano un'interpolazione, ma non c'è alcun fondamento per questa sua credenza. Paragonando attentamente 1Samuele 14:17; 22:20; 2Samuele 8:17; 1Cronache 18:16, si scorge che i nomi di Ahimelec e di Abiatar sono spesso confusi l'uno coll'altro, e può darsi che al tempo di Marco esistesse la chiave che ne desse la spiegazione, sebbene sia perduta per noi. Owen, celebre teologo inglese del 17esimo secolo, spiega l'apparente difficoltà traducendo circa, o poco avanti il tempo di Abiatar, e ci dà un esempio indubitato di tale significazione della parola nel passo di Matteo 1:11: un poco avanti, ossia, circa il tempo della cattività di Babilonia. È più probabile però che Abiatar fosse associato a suo padre nel disimpegno dei doveri del sommo sacerdozio, e che sia qui menzionato, non solo per esser egli la persona che diede veramente a David il pane di presentazione, ma anche perché il suo sacerdozio fu intimamente associato a tutto il regno di Davide.

PASSI PARALLELI

1Samuele 22:20-22; 23:6,9; 2Samuele 8:17; 15:24,29,35; 20:25; 1Re 1:7

1Re 2:22,26-27; 4:4

Esodo 29:32-33; Levitico 24:5-9

Mc 2:27

27. Poi disse loro: il sabato è fatto per l'uomo, e non l'uomo per lo sabato

Questo detto di nostro Signore è ricordato dal solo Marco. In quella guisa che gli altri sei giorni della settimana furon fatti per l'uomo, ond'ei potesse lavorare in essi, così pure il sabato fu fatto per l'uomo, ma quale ordinanza speciale, onde in esso potesse riposarsi dal suo lavoro settimanale, santificare una settima parte del suo tempo, dedicandola al servizio di Dio, e trovare così nel settimo giorno un tipo "del riposo di sabato che resta al popolo di Dio" nel cielo Ebrei 4:9. Non fu mai l'intenzione di Dio che il comandamento primitivo: "Ricordati del giorno del riposo per santificarlo", fosse interpretato in modo da nuocere alla vita corporea dell'uomo, inibendogli di far cuocere i suoi alimenti o di prendere quell'esercizio che è necessario alla sua salute; né tampoco in modo da non permetterci di fare atti di misericordia verso i nostri simili. La proibizione di far qualunque opera servile in quel giorno, l'aveano introdotta i Farisei coi loro commenti e con le loro tradizioni, e si fa per liberare i Giudei dal giogo di tali arbitrarie prescrizioni che nostro Signore pronunciò queste parole. Non c'è però nulla in queste parole che autorizzi il temerario asserto di taluni che nostro Signore abbia, con esse, abrogato il quarto comandamento. Al contrario, come "Signore del sabato" lo sottrae al pervertimento che ne avean fatto i Farisei e lo ripristina nell'uso suo benefico originario. Cristo dimostra potersi far nel sabato opere di necessità e di misericordia, ma non dice una parola che dispensi il genere umano in generale, e o quelli che professano d'essere il popolo suo, in particolare, dal santificare quel giorno, dedicandolo al Signore. Le nazioni che più osservano il riposo dalle corporali fatiche nel sabato cristiano e lo impiegano nel servigio di Dio, son

quelle che si distinguono maggiormente per la loro meritata prosperità ed esibiscono in più alto grado la pace e l'ordine, proprii ad una comunità civilizzata. Né può essere altrimenti, avendo Iddio annessa alla santificazione di quel giorno una benedizione temporale non meno che spirituale.

PASSI PARALLELI

Esodo 23:12; Deuteronomio 5:14; Nehemia 9:13-14; Isaia 58:13; Ezechiele 20:12,20; Luca 6:9

Giovanni 7:23; 1Corinzi 3:21-22; 2Corinzi 4:15; Colossesi 2:16

Mc 2:28

28. Dunque il Figliuol dell'uomo è Signore eziandio del sabato

dunque dimostra che le parole di questo versetto contengono una conclusione dedotta dalla proposizione premessa al versetto 27. L'argomentazione di Cristo è la seguente: "Il Figliuol dell'uomo è legittimo Signore di tutta la creazione, come ella fu, nella sua origine, concessa all'uomo; egli è legittimo Signore di quanto fu fatto per l'uomo (Confr. Salmi 8 ed Ebrei 2:6-9); siccome adunque il sabato è fatto per l'uomo, così egli è legittimo Signore anche del sabato, e non si ha quindi ad ubbidire a quanto inventano i Farisei sul modo di osservarlo, ma sì a quanto egli comanda intorno ad esso". Due cose implicano queste parola di nostro Signore: La prima è la sua propria Divinità. "Il Signore del sabato" non può esser altri che l'eterno Creatore, Dio stesso, da cui fu istituito il sabato. Questa specie d'argomentazione rassomiglia singolarmente a quella di Matteo 12:8, laddove, Gesù dice: "Qui v'è alcuno maggiore del tempio". Intorno a quel tempio Iddio avea detto: "Questo è il mio riposo in perpetuo, qui abiterò" Salmi 130:14. Niuno adunque poteva esser maggiore di esso, eccetto Dio medesimo. La seconda cosa che implicano queste parole, è la sua intenzione di trasportare il giorno del riposo sacro dal settimo al primo della settimana. Nel tempo in cui egli parlava, niuna di queste cose, senza

dubbio, fu notata dai Giudei o dai discepoli, ma egli sapeva che si sarebbero ricordati delle sue parole dopo la sua risurrezione.

PASSI PARALLELI

Marco 3:4; Matteo 12:8; Luca 6:5; 13:15-16; Giovanni 5:9-11,17; 9:511,14,16

Efesini 1:22; Apocalisse 1:10

RIFLESSIONI

1. Il caso del paralitico dimostra che cosa possa fare una fede semplice e sincera nella potenza, nella compassione, e nell'amore di Cristo, per superare le difficoltà esterne ed ottenere benedizioni sì temporali che spirituali. Quanto più ancora non potrà fare una tal fede quando, in aggiunta agli, attributi di Cristo quì nominati, essa è fondata eziandio su tutte le promesse di Dio, che sono in lui (Cristo), sì ed amen, alla gloria di Dio 2Corinzi 1:20! Considerando le difficoltà da vincersi per giungere alla presenza di Cristo, questa narrazione ci presenta un commentario pratico delle parole del Signore: "Se avete di fede quant'è un granel di senape, voi direte a questo monte: Passa di quì a lì, ed esso vi passerà; e niente vi sarà impossibile" Matteo 17:20

2. Chi può dubitare che fino alla fine dei suoi giorni, questo paralitico avrà ringraziato Dio della sua paralisi? Senza di essa egli non avrebbe forse mai veduto, Cristo e fors'anche sarebbe morto nell'ignoranza della via della salute. A viste umane fu quella paralisi il principio della vita eterna per l'anima sua! Quanti ve ne sono, in tutti i tempi, che hanno fatto una simile esperienza, e hanno appresa la sapienza celeste per via delle afflizioni del corpo o della mente! I lutti stessi sono stati convertiti in divino misericordie. Le perdite delle ricchezze della terra son divenute veri guadagni. Le malattie li hanno condotti al gran Medico, delle anime, li hanno rimandati alla Bibbia, hanno escluso il mondo dai loro pensieri, e li hanno spinti a pregare! A migliaia son coloro che possono dire con David: "Egli è stato

buono per me ch'io sono stato afflitto; acciocché io impari i tuoi statuti" Salmi 119:71

3. Gesù, in presenza degli Scribi, pone in sodo il suo asserto d'esser egli cioè il sommo Sacerdote che solo ha podestà di dare assoluzione. Ei dice loro esplicitamente: "Il Figliuol dell'uomo ha podestà di rimettere i peccati in terra"; e per conseguenza ei non fece altro che esercitare il suo uffizio legittimo, quando disse al paralitico: "Figliuolo, i tuoi peccati ti son rimessi". Gli Scribi e i dottori giudei avean perfettamente ragione d'asserire categoricamente la gran verità che nessuno può rimettere i peccati se non il solo Dio. Nessun sacerdote o rabbino, al tempo di Cristo, avrebbe osato arrogarsi la podestà di rimettere i peccati. Nessun protestante evangelico ha mai profferite le parole di Cristo al paralitico, in altro senso, che come l'annunzio della misericordia promessa di Dio, che mediante la giustizia di Cristo, l'uomo che crede in lui ha piena remissione dei peccati. La Chiesa di Roma invece, non si perita dimostrarsi colpevole della gran bestemmia in quanto che ascrive piena potestà di rimettere i peccati alla madre umana dell'«uomo Cristo Gesù» e al papa di Roma, che essa esalta come vescovo universale e vice-gerente di Cristo in terra.

4. Prima di chiamar Levi all'apostolato, Gesù l'avea già chiamato ad entrar seco lui in comunione qual credente; e in egual modo son chiamati tutti quelli che vanno a Dio per mezzo di Cristo. È questa una verità di profonda importanza! Noi siam tutti così immersi nel peccato e attaccati al mondo che non ci volgeremmo mai a Dio, né gli chiederemmo la salute, se egli prima non ci chiamasse con la sua grazia. Come la calamita attira il ferro, come il sirocco ammollisce l'agghiacciato terreno, così la chiamata efficace di Cristo attira, fuor degli inganni del mondo, i peccatori, e intenerisce i cuori i più duri.

5. Il Signore Gesù venne al mondo per essere MEDICO non meno che maestro; ei ci vide tutti affetti di mortale malattia, e, pietoso, venne a recare soccorso. Lettore, avete intima conoscenza di Cristo nel suo speciale ufficio di Medico? Sentiste mai davvero la vostra malattia spirituale, e vi rivolgeste a lui per esserne sanato? Finché non abbiam ciò fatto, non possiamo essere accetti al cospetto del Signore. Felici coloro che hanno scoperta la malattia

delle anime loro, poiché il sentire la nostra corruzione e l'aborrire le nostre trasgressioni è il primo sintomo di sanità spirituale.

6. Il principio esposto nelle due parabole della giunta di panno rozzo sopra un vestimento vecchio; e del "vino nuovo in otri vecchi", è importantissimo, cioè che è non solamente cosa perniciosa, ma assolutamente inutile in religione, il mescolare insieme cose essenzialmente diverse. Non pochi né piccoli sono i mali che derivano alla Chiesa di Cristo dall'aver violato questo principio. Nella Chiesa dei Galati si fece il tentativo di riconciliare il giudaismo col cristianesimo, di circoncidere non meno che di battezzare, di tenere in vigore la legge cerimoniale allato all'evangelo di Cristo; ma ciò non altro, produsse che divisioni, le quali minacciavano di scindere quella Chiesa! Nelle Chiese cristiane primitive, dopo la morte degli Apostoli, fu fatto il tentativo di rendere in certi luoghi più accetto l'Evangelo, mescolandovi la filosofia platonica; ma ciò fu sorgente feconda d'innumerevoli eresie. In un'epoca successiva si fece il tentativo di cattivare i gentili all'evangelo, col torre a prestanza feste, processioni, vestimenti e titoli dal culto pagano, e così fu aperta la strada all'apostasia papale. A' nostri giorni sono a migliaia coloro che cercano di riconciliare il servire a, Cristo col servire al mondo o a Mammona, il che non solamente arreca danno incalcolabile al vangelo, abbassando il livello sublime della religione di Cristo; ma non può avere per finale risultato che l'eterna perdizione di coloro che ne fanno il vano tentativo. Vi son taluni in Italia, che sognano di riformar la Chiesa di Roma e di ricondurla alla dottrina e alla pratica scritturale, nel mentre ritengono i riti e le cerimonie pagane del medio evo ma un tale tentativo è vano, queste cose non possono amalgamarsi: nelle parabole di cui parliamo, nostro Signore ha predetto quale ne sarà certamente il risultato.

7. La settima parte del nostro tempo, ossia il sabato, appartiene a Dio e pel suo proprio esempio nella creazione, e pel suo positivo comando nel Decalogo. Come Dio, e per conseguenza Signore del sabato, Gesù ne prescrive la vera osservanza, egualmente distante dalle austerità dei Farisei, e dalla licenza (per non dire aperta violazione) dei mondani. Essendo egli stesso, in tutte le cose, un perfettissimo modello di dottrina, del sicuro non trasgredì giammai, né permise ad altri di trasgredire alcuna legge di Dio; ma

spazzò via inesorabilmente i puerili corollari che i Farisei aveano dedotti dal quarto comandamento, e coi quali avean fatto del sabato un giogo ed un tormento per ogni Israelita.

Mc 3:1

CAPO 3 - ANALISI

1. Guarigione dell'uomo dalla mano secca Un'altra accusa di violare il sabato mossero a Gesù i Farisei, perché sanò in tal giorno, nella sinagoga, un uomo che aveva la mano secca. Gesù difese il suo operato (come si raccoglie dal passo parallelo in Matteo), appoggiandosi su quelle opere di misericordia che essi stessi riconoscevano esser lecito nel sabato. I suoi oppositori furono ridotti al silenzio, il miracolo fu fatto, e tosto essi uscirono dalla sinagoga per tramare contro alla sua vita. Così, fin dal principio del suo pubblico ministerio, si manifestarono contro di lui le loro micidiali disposizioni Marco 3:1-6.

2. Cresce la fama di Gesù in conseguenza dei miracoli. Ciò è indicato dalle moltitudini che da tutte le parti del paese accorrevano, a lui, presso il lago della Galilea Marco 3:7-12.

3. Scelta di dodici Apostoli e lista dei loro nomi. Dal passo parallelo di Luca sappiamo che il Signore passò la notte precedente in preghiera sulla cima di un monte, ove i discepoli lo raggiunsero la mattina dopo Marco 3:13-19.

4. Opinioni dei suoi parenti e degli Scribi intorno a Gesù. Quelli, non ancora nella sua divina missione, attribuivano semplicemente a pazzia tutto quanto ei faceva, e volevano porgli le mani addosso per metterlo sotto custodia. Questi, falsamente e malignamente, lo accusavano d'essere in lega con Satana. Non solo egli confuta questa accusa con irrefutabili argomenti, ma li ammonisce severamente che, coll'attribuire a Satana quel che, nelle loro coscienze, sapevano benissimo esser opera di Dio, essi incorrevano il tremendo pericolo di peccare contro lo Spirito Santo Marco 3:20-30.

5. La madre e i fratelli di Gesù I congiunti terreni che portavano questi titoli, essendo venuti alla casa dove egli stava insegnando, probabilmente nell'intendimento di impadronirai della sua persona, e condurlo seco loro a casa, gli mandarono un messaggio pregandolo di venire ad essi che avean bisogno di parlargli. Ma invece di Compiacerli in questo, Gesù dichiarò pubblicamente che, come servo di Dio, impegnato nell'opera a cui stava appunto attendendo, non riconosceva terrene parentele, ma riguardava con egual tenerezza, d'affetto, come se fossero realmente sua madre e suoi fratelli, tutti quelli che facevano veramente la volontà di Dio, e non altri Marco 3:31-35.

Marco 3:1-6. GUARIGIONE DELL'UOMO DALLA MANO SECCA IN GIORNO DI SABATO Matteo 12:9-14; Luca 6:6-11

Per la esposizione vedi Matteo 12:9Matteo 12:9-14.

Mc 3:7

Marco 3:7-12. VA CRESCENDO LA FAMA DI GESÙ PEI SUOI MIRACOLI Matteo 12:15

7. Ma Gesù, coi suoi discepoli, si ritrassero al mare;

Forse nostro Signore si ritrasse nei luoghi deserti presso Betsaida Luca 9:10; in ogni caso fu qualche spiaggia remota, lunghesso il lago di Tiberiade, dove non potessero raggiungerlo i Farisei e gli Erodiani, insieme congiurati a danno suo. L'intento di Gesù non era tuttavia di ritirarsi dal pubblico insegnamento, poiché Marco aggiunge:

e gran moltitudine lo seguitò, da Galilea, e da Giudea, 8. E da Gerusalemme, e da Idumea, e di là dal Giordano;

La fama che Gesù si era già acquistata, si vede non solo da questa formidabile congiura per toglierlo di vita, formata tra membri di sette così opposte l'una all'altra, sì in politica che in teologia, com'erano i Farisei e gli Erodiani (Vedi le Sette Giudaiche), ma anche dal fatto, che quell'immensa moltitudine che ora lo circondava, proveniva da paesi molto distanti fra di loro. La Galilea, la Giudea, e Gerusalemme includono tutta l'antica terra di Canaan, a ponente del Giordano, eccetto Samaria. L'Idumea (non menzionata in verun altro passo del Nuovo Testamento) è la forma greca del nome ebraico (Edom), che si dava al paese posto al S. E. di Canaan ed occupato dai discendenti d'Esaù. Gli abitanti di Edom furono sottomessi da Davide 2Samuele 8:14; ma, durante la cattività di Babilonia, invasero buona porzione della terra di Giuda, da Ezechiele 36:5. Furono vinti di nuovo e incorporati alla nazione giudaica da Giovanni Ircano, uno dei principi Maccabei o Asmoni, 125 anni circa, avanti Cristo. L'Idumea può considerarsi come una specie di paese di confine tra i Giudei e i Gentili. "Di là del Giordano", comprendeva tutti quei territori all'E. del Giordano, che gl'Israeliti conquistarono anticamente dal re di Bashan e dagli Amorrei. Questa contrada era chiamata dai geografi greci la Perea, dalla parola péran (oltre, al di là), che sempre le era applicata.

Mc 3:8

parimenti, una gran moltitudine da' contorni di Tiro, e di Sidon,

Il paese così descritto si chiamava la Fenicia. Si componeva di una parte del Libano meridionale, e di una stretta lista di terra posta tra esso e il Mediterraneo, confinante al S. con Ras el Abiyad (l'antica Scala Tyriorum), ed avanzantesi al N. nella direzione di Beirut. Tiro e Sidone erano le sue città principali, Vedi nota Matteo 11:21Matteo 11:21. Le parole greche: i contorni di Tiro e Sidone, qui usate, si hanno da distinguere accuratamente da quelle altre: a' confini di Tiro e Sidon di Marco 7:24. L'ultima di queste descrizioni si riferisce ai confini o alle marche tra la Galilea e la Fenicia, nel Libano, al N. del mare di Merom (Bahr el Huleh); la prima alla pianura Fenice, nel circuito delle due antiche città sopramentovate; e siccome Marco nota che venne di là una seconda moltitudine, è probabilmente che essa

fosse composta di pagani fenici, a cui era giunta notizia dell'opera meravigliosa di Cristo.

avendo udite le gran cose ch'egli faceva, venne a lui.

È questo il ragguaglio più esteso che trovisi nei Vangeli, intorno all'influenza, personale di nostro Signore, ed ai componenti delle turbe che lo seguivano.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:23; 12:15; Luca 6:12; Giovanni 10:39-41; 11:53-54; Atti 14:5-6

Atti 17:10,14

Matteo 4:25; Luca 6:17

Marco 1:39; Giosuè 20:7; 21:32; Luca 23:5; Giovanni 7:41,52; Isaia 34:5; Ezechiele 35:15; 36:5 Malachia 1:2-4

Numeri 32:33-38; Giosuè 13:8-14

Marco 7:24,31; Giosuè 19:28-29; Salmi 45:12; 87:4; Isaia 23:1-18; Ezechiele 26:1-28:26

Mc 3:9

9. Ed egli disse ai suoi discepoli, che vi fosse sempre una navicella appreso di lui, per la moltitudine; che talora non l'affollasse.

La parola ploiarion, navicella, qui usata, è un diminutivo di ploion, pur tradotto navicella, e significa una barchetta alquanto più piccola del ploion, e che potea trascinarsi fino all'orlo del lago. In Marco 4:36, il testo greco distingue tra la barca pescareccia più grossa e le barchette intorno ad essa; ma Diodati non ha tenuto conto di tale differenza. Gesù, insegnando sulle

rive del lago di Tiberiade, si rifugiava spesso su tale barchetta, per sottrarsi alla ressa della moltitudine.

PASSI PARALLELI

Marco 5:30; Giovanni 6:15

Mc 3:10

10. Perciocché egli ne avea guariti molti; talché tutti coloro che aveano qualche flagello (castigo divino in forma di malattie di diversi generi) si avventavano a lui per toccarlo.

Altri esempi di guarigioni miracolose, mediante il tocco delle vestimenta, posson vedersi in Marco 5:21; Atti 5:15; 19:12

PASSI PARALLELI

Matteo 12:15; 14:14

Marco 5:27-28; 6:56; Matteo 14:36; Atti 5:15; 19:11-12

Marco 5:29; Genesi 12:17; Numeri 11:33; Luca 7:2; Ebrei 12:6

Mc 3:11

11. E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, si gittavano davanti a lui, e gridavano, dicendo: Tu sei il Figliuol di Dio. 12. Ma egli gli sgridava forte, acciocché nol manifestassero.

Vedi nota Marco 1:23Marco 1:23-26.

Mc 3:13

Marco 3:13-19. GESÙ SCEGLIE DODICI APOSTOLI. ENUMERAZIONE DEI LORO NOMI Matteo 10:2-4; Luca 6:12-19

Per la esposizione dei versetti 13,14, vedi Luca 12:12Luca 12:12-19. Per la esposizione di quello che riguarda gli Apostoli, vedi Matteo 10:2Matteo 10:2-4.

Le circostanze che accompagnarono la scelta e la consacrazione dei dodici Apostoli non sono descritte da Matteo, il quale fa menzione di essi, per la prima volta, nel descrivere la missione che il Maestro li mandò ad eseguire e le istruzioni che diede loro. Marco e Luca riempirono tale lacuna. Questa scelta fu fatta dopo che Gesù li ebbe chiamati per la prima volta ad essere suoi discepoli, ma prima che egli li mandasse a predicare il vangelo del Regno. L'opera speciale per cui furono appartati era di esser testimoni per Cristo fino alle estremità della terra Matteo 28:19, Atti 1:21-22, e, a tal fine, era necessario che fossero sempre con lui, e potessero dire: "Abbiamo visto ed udito quanto il Signore disse e fece nel corso del pubblico suo ministerio sulla terra". Questi dodici divennero dunque, per così dire, i suoi intimi familiari, e raccompagnavano ovunque si recava. Siccome questo costituiva un passo importantissimo nella progressiva manifestazione del suo regno, il Signore vi si preparò, passando la notte precedente sulla montagna, in solitudine ed in preghiera.

Mc 3:17

17. Poi Giacomo, figliuol di Zebedeo; e Giovanni, fratello di Giacomo a' quali pone il nome Boanerges, che vuol dire Figliuoli di tuono;

Tutti i sinottici fanno menzione del soprannome Pietro dato a Simone, ma Marco solo ricorda il titolo conferito ai figliuoli di Zebedeo. È un fatto degno d'osservazione che i tra discepoli che Gesù ammise ad usar seco lui con maggiore intimità degli altri, e si prescelse a compagni in parecchie

occasioni speciali, sono i soli tra i dodici che andassero distinti per tali soprannomi. Vero è che Tommaso, l'altro Simone, e Giuda il traditore ebbero soprannomi anch'essi, ma d'origine umana e destinati il più sovente a distinguerli dai compagni dello stesso nome. I soprannomi Pietro e Boanerges furono forse conferiti a quei tre per contrassegnarli come onorati maggiormente dei loro fratelli? "Boanerges" è probabilmente una corruzione greca proveniente dalla pronuncia galilea di due parole ebraiche: beni, figli e regesh, tumulto, e quindi tuono. Si suppone che questo titolo fosse conferito a Giacomo e Giovanni, a motivo dell'indole loro veemente e zelante, Vedi Marco 9:38; 10:37; Luca 9:54; 2Giovanni 1:10. È assai probabile che questi figliuoli di Zebedeo fossero cugini germani di Gesù. Vedi Nota Matteo 13:55Matteo 13:55.

PASSI PARALLELI

Marco 1:19-20; 5:37; 9:2; 10:35; 14:33; Giovanni 21:2,20-25; Atti 12:1

Isaia 58:1; Geremia 23:29; Ebrei 4:12; Apocalisse 10:11

Mc 3:20

Marco 3:20-30. OPINIONI CHE AVEAN DI GESÙ I SUOI CONGIUNTI E GLI SCRIBI. PAZZIA. LEGA CON SATANA Matteo 12:22-37; Luca 11:21-26

Per l'esposizione vedi Matteo 12:22Matteo 12:22-37; Matteo 12:47Matteo 12:47.

Mc 3:31

Marco 3:31-35. LA MADRE E I FRATELLI DI GESÙ CERCANO D'INTERROMPERE LE SUE FATICHE. SUA DICHIARAZIONE Matteo 12:46-50; Luca 8:19-21

Per l'esposizione Vedi Matteo 12:46Matteo 12:46-50.

Mc 4:1

CAPO 4 - ANALISI

1. Parabola del seminatore. Secondo Matteo, questa parabola nostro Signore la disse, con altre parecchie, nel giorno stesso in cui occorsero gli eventi ricordati alla fine dell'ultimo capitolo. Sopraffatto dalla folla, entrò nella barchetta che i discepoli tenevano sempre a sua disposizione, e di là parlò al popolo che stava sulle rive del lago. L'uso delle parabole segna una nuova epoca nel modo d'ammaestrare tenuto da nostro Signore, di cui è data più sotto la ragione. Secondo tutti i sinottici, la parabola che apre la serie fu quella "del Seminatore", o, come più accuratamente la descrivono i Tedeschi, "delle quattro specie di terreno", in cui Gesù spiega le diverse accoglienze che troverebbe la sua parola nei cuori di coloro che la udirebbero Marco 4:1-9.

2. Ragione per cui Gesù parlava ora in parabole. C'era stato ultimamente un notevolissimo cangiamento nelle disposizioni di molti dei suoi uditori. Gli Scribi e i Farisei l'avean poc'anzi accusato d'essere in lega con Satana, cosicché lo spiegare apertamente le dottrine del suo regno, come era uso fino allora, sarebbe dato come "gettar le perle ai porci". Perciò egli cuopre la sua dottrina sotto il velo di una similitudine o storia, il che avrebbe aiutato coloro che erano realmente desiderosi di scoprire la verità in essa contenuta, mentre l'avrebbe nascosta a quelli che non aveano alcun discernimento spirituale e venivano alla presenza di Cristo, cercando solo di tendergli insidie Marco 4:10-18.

3. Spiegazione della parabola del seminatore. "Lungo la via" significa il cuore dell'uomo nel suo stato naturale, duro come terreno non dissodato e incapace di ricevere la predicazione della parola di Dio o di ritrarne verun benefizio. "I luoghi pietrosi" rappresentano il cuore in cui la parola non ha prodotto che un'impressione parziale e passegiera, la quale svanisce tosto

che avviene tribolazione. "Fra le spine" indica il cuore la cui la parola di Dio ha fatto qualche progresso, ma le sollecitudini del mondo, o gli affari o i piaceri l'affogano, sicché il cuore rimane infruttuoso. "La buona terra" rappresenta il cuore rinnovato dalla grazia, sollecito della gloria di Dio e vivente sotto le potenze del secolo avvenire. Questa spiegazione fu data da Gesù ai suoi discepoli in privato, dopo che si furono ritirati nella casa ov'erano alloggiati. Alla spiegazione aggiunse solenni ammonizioni intorno all'uso convenevole e diligente che doveano fare dei privilegi da essi goduti e intorno alla grande responsabilità che a questi privilegi andava congiunta e alla perdita irreparabile che ne verrebbe dall'averli trascurati Marco 4:14-25.

4. Parabola della semenza che cresce nella maniera che l'uomo non sa. Solo Marco registra questa parabola. I suoi insegnamenti corrispondono in qualche grado a quelli dalla Parabola del lievito ricordata da Matteo e Luca, ma omessa dal nostro Evangelista. Con essa, nostro Signore ci insegna, che come l'agricoltore, dopo che ha seminato la semenza nel terreno non può né contribuir più oltre al crescimento di essa, né conoscere il come, esso avvenga, così la semenza celeste, una volta che sia introdotta per la parola di un predicatore zelante, nel cuore di un peccatore, non dipende più da alcuno sforzo dell'intelletto o della volontà di questo per crescere e prosperare. Cresce per la benedizione di Dio nella maniera che non sappiamo. L'uomo non può né operare la conversione, né seguire le traccie dello Spirito vivificante nelle segrete profondità del cuore umano Marco 4:26-29.

5. Parabola del granel di senape. Delle 6 parabole che seguono immediatamente quella del seminatore in Matteo 13, è questa la sola che sia stata registrata da Marco. Suo oggetto si è il porre in evidenza il progresso che il regno del vangelo è destinato a fare nel mondo. In quella guisa che dal più piccolo dei semi che l'agricoltore ebreo si desse il disturbo di coltivare, sorgeva un albero così grande ed ombroso che gli uccelli dell'aria facevano il loro nido nei suoi rami, così appunto, da principii egualmente insignificanti all'occhio del mondo, il regno di grazia andrebbe crescendo e dilatandosi sinché al fine abbraccerà tutto le nazioni. Sebbene non entrasse nel piano di Marco il ricordare le altre parabole dette da Gesù in quella occasione, tuttavia si riferisce ad esse assai distintamente, e nota il

cambiamento notevole che Gesù introdusse con ciò nel suo metodo d'insegnare in pubblico Marco 4:30-34.

4. La Tempesta acchetata sul lago di Tiberiade. La sera stessa, mentre Gesù coi suoi discepoli attraversava il lago su una piccola navicella, dirigendosi verso la riva orientale, levossi improvvisamente una furiosa tempesta che mise a repentaglio le vite di quanti erano a bordo. Stanco delle fatiche della giornata, Gesù dormiva profondamente, finché lo risvegliarono le grida d'angoscia dei discepoli, che gli chiedevano aiuto. Una sua parola bastò perché i venti e le onde riconoscessero in lui il loro Creatore e Signore, e tosto obbedissero! "Si fece gran bonaccia". Sempre tenero e pieno di compassione, il Signore prima scacciò il timore dal cuore dei suoi discepoli, e poi rimproverolli della loro mancanza di fede Marco 4:35-41.

Marco 4:1-9; 14-20. PARABOLA DEL SEMINATORE, ovvero DEI QUATTRO TERRENI DIVERSI Matteo 13:1-23; Luca. 8:10-17

Per l'esposizione dei motivi per cui Cristo si fece ad usare le parabole, vedi Matteo 13:10-17

1. Poi prese di nuovo ad insegnare, presso al mare; ed una gran moltitudine si raunò presso a lui; talché egli, montato nella navicella, sedeva in essa sul mare; e tutta la moltitudine era in terra, presso al mare. 2. ad egli insegnava loro molte cose in parabole, e diceva loro nella sua dottrina: 3. Udite: Ecco, un seminatore uscì a seminare

Le circostanze descritte in questa parabola concordano fin nei più minuti particolari con quanto il viaggiatore osserva in Palestina al giorno d'oggi. Il coltivatore non abita generalmente sul suo podere, ma in un villaggio posto talvolta a qualche distanza, ove si raccolgono altri della sua classe, per star più sicuri gli uni appresso agli altri. Perciò è detto che "uscì a seminare". Non vi sono cinti di muricciuoli o siepi; non vi sono (nel senso europeo di questa parola) anche adesso in Palestina; ma dei viottoli pei muli solcano

quelle parti di terreno che son coltivate, nelle quali, sebbene la terra generalmente sia fertile, è cosa affatto ordinaria l'incontrare dei luoghi ingombri di spini e rovi, ed altri ove le rocce son coperte a mala pena da un po' di terra. In Palestina piove periodicamente sul finir dell'autunno ed al principio della primavera. Queste stagioni delle pioggie son note agli studiosi delle sacre carte come "la pioggia della prima e dell'ultima stagione" Deuteronomio 11:14; Giobbe 29:23; Geremia 3:8; 5:4; Osea 6:3; Gioele 2:23; Amos 4:7; Zaccaria 10:1. "La pioggia della prima stagione" cade verso l'ottobre e il novembre, ammollendo e polverizzando la terra, che per l'arsura estiva è divenuta come "di ferro" Deuteronomio 28:23, e tosto il coltivatore comincia ad arare e a seminare. "La pioggia dell'ultima stagione" cade nel febbraio e nel marzo, e fa ingrossare e maturare il grano.

PASSI PARALLELI

Marco 2:13; Matteo 13:1,2-9; Luca 8:4-8

Luca 5:1-3; 11:34; 3:23; Salmi 49:4; 78:2; Matteo 13:3,10,34-35

Marco 12:38; Matteo 7:28; Giovanni 7:16-17; 18:19

Deuteronomio 4:1; Salmi 34:11; 45:10; Proverbi 7:24; 8:32; Isaia 46:3,12

Isaia 55:1-2; Atti 2:14; Ebrei 2:1-3; Giacomo 2:5; Apocalisse 2:7,11,29

Marco 4:14,26-29; Ecclesiaste 11:6; Isaia 28:23-26; Matteo 13:3,24,26; Luca 8:5-8

Giovanni 4:35-38; 1Corinzi 3:6-9

Mc 4:4

Prima sorta di terreno. LUNGO LA VIA

4. Ed avvenne che, mentre egli seminava, una parte cadde lungo la via, e gli uccelli del cielo vennero, e la mangiarono.

La pubblica via calcata, spianata ed indurita dal costante traffico non offre alcun solco per accogliervi il seme, il quale è quindi calpestato dagli uomini e dagli animali, finché finalmente gli uccelli del cielo lo scorgono e calano a divorarlo.

PASSI PARALLELI

Marco 4:15; Genesi 15:11; Matteo 13:4,19; Luca 8:5,12

Mc 4:5

Seconda sorta di terreno. LUOGHI PIETROSI

5. E ma, altra cadde la luoghi pietrosi (Luca: sopra la roccia), ove non avea molta terra; e subito nacque, perciocché non avea terremo profondo;

Osservisi la descrizione che è data quì. Non è un suolo la cui superficie sia seminata di pietre assai fitte, poiché un tal suolo potrebbe esser di sotto ubertoso e profondo, e dare un ricco ricolto, ma le pietre che lo ricuoprono; ma sì uno strato sottilissimo di terra, sovrapposto ad una piattaforma di roccia (cosa comunissima in Palestina), al quale i raggi del sole d'oriente in poche ore toglierebbero ogni particella d'umore, anche dopo la pioggia più abbondante.

PASSI PARALLELI

Marco 4:16-17; Ezechiele 11:19; 36:26; Osea 10:12; Amos 6:12; Matteo 13:5-6,20; Luca 8:6,13

Mc 4:6

6. Ma, quando il sole fu levato, fu riarsa; e, perciocché non avea radice, si seccò.

Per una figura alquanto somigliante, vedi Salmi 119:6-7. In circostanze come quelle descritte qui, il calore farebbe germogliare il seme con meravigliosa rapidità, ma in conseguenza della prossimità della roccia e della impossibilità di metter profonde radici, e di trovare l'umore necessario al nutrimento, seccherebbe appena nato.

PASSI PARALLELI

Cantici 1:6; Isaia 25:4; Giona 4:8; Giacomo 1:11; Apocalisse 7:16

Salmi 1:3-4; 92:13-15; Geremia 17:5-8; Efesini 3:17; Colossesi 2:7; 2Tessalonicesi 2:10; Giudici 1:12

Mc 4:7

Terza sorta di terreno FRA LE SPINE

7. E un'altra cadde fra le spine, e le spine crebbero e l'affogarono, e non fece frutto.

le spine è usato qui genericamente per denotare i cardi e tutto quante le piante ad erbacce inutili che assorbono dal suolo l'umore nutritivo, al pari delle spine, quantunque il crescere straordinariamente rigoglioso di queste sul terreno più fertile, sia l'un dei tratti caratteristici della moderna Palestina che lanciano un'impressione indelebile nella memoria dei viaggiatori. Quando il suolo produce in abbondanza e con poca fatica del coltivatore, costui facilmente diventa infingardo: e da questa parabola sembra potersi dedurre che tale fosse il caso anche degli agricoltori ebrei sulle lor proprio terre. È probabile che le spine fossero semplicemente tagliate al suolo,

prima della seminagione, lasciando le radici intatte, ed essendo piante indigene dovean crescere più presto e più rigoglioso che mai, dopo una tale operazione. Il seme che cadeva nel terreno così ingombro di spine, spuntava vigoroso dapprincipio, e dava promessa di abbondante raccolto; ma le spine crescevano ancor più di esso, sottraevano dalle sue radici, ed assorbivano il nutrimento gli toglievano la luce e l'aria colla loro ombra e con le loro esalazioni gazzose, cosicché, venuto il tempo della mietitura, altro non si trovava che un gambo di paglia lungo e sterile con la pannocchia piena di pula, ma senza un solo grano di frumento. Qui il male non consiste nel terreno duro o poco profondo, c'è abbastanza morbidezza e profondità; ma consiste nel fatto che esiste in esso ciò che attira a sé tutto l'umore e la fertilità del terreno, e fa morire la pianta per mancanza di nutrimento.

PASSI PARALLELI

Marco 4:18-19; Genesi 3:17-18; Geremia 4:3; Matteo 13:7,22; Luca 8:7,14; 12:15; 21:34

1Timoteo 6:9-10; 1Giovanni 2:15-16

Mc 4:8

Quarta sorta di terreno. LA BUONA TERRA

8. E un'altra cadde su buona terra, e portò frutto, il quale montò, e crebbe; e portò, l'un trenta, l'altro sessanta, e l'altro cento.

Questo terreno combinava tutto quanto facea difetto nei tre già descritti, ora friabile e molle, e così il seme potè tosto entrarvi; era profondo, e così le radici poterono abbarbicarvisi profondamente e trovare abbondante nutrimento; era sgombro di spine e di rovi, sicché non v'era né perdita di umore nutritivo, né ombra nociva che ne impedisse il crescere rigoglioso. Le diverse proporzioni di prodotto qui menzionate dal nostro Signore sono esattamente quelle che dava il suolo della Palestina al suo tempo; trenta per

uno era già un prodotto da starne contenti, sessanta era il prodotto più comune, il cento per uno era affatto eccezionale. In certe località della Palestina anche al giorno d'oggi si miete cento volte la semenza. Matteo espone il prodotto in ragione inversa incominciando dal prodotto di cento per uno, forse per insegnarci a considerare il frutto più grande non come l'eccezione ma come la regola che dovremmo sempre avere in mira.

PASSI PARALLELI

Marco 4:20; Isaia 58:1; Geremia 23:29; Matteo 13:8,23; Luca 8:8,15; Giovanni 1:12-13

Giovanni 3:19-21; 7:17; 15:5; Atti 17:11; Colossesi 1:6; Ebrei 4:1-2; Giacomo 1:19-22

1Pietro 2:1-3

Genesi 26:12; Filippesi 1:11

Mc 4:14

14. Il seminatore è colui che semina la parola.

Gesù fu, senza dubbio, il primo seminatore, durante il suo ministerio terrestre; ma qui non parla esclusivamente di sé, o di quelli che doveano, in appresso, esercitare gli uffizi di Apostoli, pastori, dottori o missionari nella sua Chiesa, ma vi comprende persino i genitori, i parenti, i vicini, tutti quelli insomma che, nelle loro sfere diverse si sforzano di propagare la conoscenza del vangelo. Questo "seminare" non è ristretto ad alcun sesso, o ceto, o nazione. Come ognuno può spargere nei solchi il seme del frumento, così chiunque spande il seme dell'evangelo, in altre parole, chiunque offre ai suoi simili la salute pel sangue di Gesù è veramente un seminatore. Luca dice: "La semenza è la parola di Dio"; cioè tutta intera la rivelazione del suo volere qual fu data per divina ispirazione ed è contenuta nelle Sante Scritture. Pietro descrive la parola di Dio con la figura nella sua prima

epistola 1Pietro 1:23-28. Altre descrizioni della sua divina efficacia nel convertire le anime si posson trovare: Salmi 19:7-11; Ebrei 4:12. Ma "la Parola di Dio" o il Verbo è uno dei titoli particolari del Figliuolo di Dio, cosicché il "seminare la parola" può anche considerarsi equivalente al predicare Cristo qual Figliuolo eterno di Dio, "fatto di donna, sottoposto alla legge, affinché riscatta coloro ch'eran sotto la legge, acciocché noi ricevessimo l'adottazione" Galati 4:4-5. Paolo dichiara esser questo l'unica semente ch'egli volea seminare 1Corinzi 2:2; e in proporzione che i ministri del vangelo han sentita nei loro cuori la potenza dell'amore di Cristo, si sforzeranno di seguire l'esempio di Paolo, lasciando da parte sul pulpito la filosofia, la scienza e la politica. Siccome il seminatore e il seme sono gli stessi in tutti i casi che nostro Signore si fa a descrivere, mentre invece i risultati sono interamente diversi, ne segue che la diversità dev'essere nella qualità diversa dei terreni che rappresentano differenti stati del cuore umano. L'insegnamento generale di questa parabola si è che per quanto zelante possa essere il predicatore, e per quanto pura e penetrante la sua dottrina, l'effetto prodotto da essa, dipende dallo stato del cuore di chi ascolta.

PASSI PARALLELI

Marco 4:3; Isaia 32:20; Matteo 13:19,37; Luca 8:11

Marco 2:2; Colossesi 1:5-6; 1Pietro 1:23-25

Mc 4:15

15. Or questi son coloro che ricevono la semenza lungo la strada, cioè, coloro ne' quali la parola è seminata e, dopo che l'hanno udita, subito viene Satana, e toglie via la parola seminata ne' loro cuori.

Matteo: "Quando alcuno ode la parola del regno e non l'intende, il maligno viene e rapisce ciò che era stato seminato nel cuor di esso". Molto calzante è l'analogia tra la via dura, liscia, compatta ed il cuor carnale dell'uomo, reso insensibile e mondano dalla prosperità. Un tal cuore è come una pubblica

via. Una congerie di affari mondani lo calca e lo indurisce sempre più di giorno in giorno e di anno in anno, e la parola della predicazione non trova modo di penetrare in esso. La parola non è intesa, né apprezzata, perché il cuor carnale non ha per anco scoperto in sé alcuno dei bisogni che quella parola è atta a soddisfare, e mentre ella giace di fuori negletta e disprezzata, Satana, che ben ne conosce la potenza sol che sia accolta dentro Ebrei 4:12, la toglie via, sostituendole una qualche lusinga o cura terrena, ovvero eccitando una qualche passione terrestre, che presto ne cancella perfino la ricordanza. In questo, Satana ben dà a divedere il carattere suo "di leone ruggente che va attorno cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8. Se si vuole un contrasto a questo cuore duro, mondano e pago di sé, che non vuol nemmeno lasciar entrare la parola di Dio, si notino i sentimenti di Davide: "Io ho riposta la tua parola nel mio cuore, acciocché io non pecchi contro a te" Salmi 119:11. La gran verità insegnata dal seme che cade "lungo la via" è questa, che i cuori duri e non contriti non sono terreno adatto per la verità salvatrice.

PASSI PARALLELI

Marco 4:4; Genesi 19:14; Isaia 53:1; Matteo 22:5; Luca 8:12; 14:18-19

Atti 17:18-20,32; 18:14-17; 25:19-20; 26:31-32; Ebrei 2:1; 12:16

Giobbe 1:6-12; Zaccaria 3:1; Matteo 13:19; Atti 5:3; 2Corinzi 2:11; 4:3-4

2Tessalonicesi 2:9; 1Pietro 5:8; Apocalisse 12:9; 20:2-3,7,10

Mc 4:16

16. E simigliantemente questi son coloro che ricevono la semenza in luoghi pietrosi, cioè, coloro i quali, quando hanno udita la parola prestamente la ricevono con allegrezza; 17. Ma non hanno in se radice, anzi son di corta durata; e poi, avvenendo tribolazione, e persecuzione, per la parola, subito sono scandalizzati.

C'è da fare una gran differenza tra i primi uditori e questi (sebbene entrambi possano, per avventura, perire nella stessa dannazione); imperocché laddove la parola di Dio non trovò giammai verun accesso nei cuori di quelli, fu ricevuta invece da questi uditori, paragonati ai luoghi pietrosi, in sul primo, per la sua novità e freschezza, con molto interessamento e avidità, e secondo tutte le apparenze diede belle speranze che vi farebbe costante dimora. In questo gruppo possono classificarsi quei giovani i cui teneri cuori ricevono generalmente con piacere ed avidità l'istruzione nello cose divine, data loro dai genitori, dai maestri e dai pastori. Per qualche tempo, quel buon seme produce in essi un'impressione seria e benefica, ma questo stato di cose, purtroppo non dura lungamente. Quando il cuore è caldo e sotto l'impero di eccitamenti recenti, il seme spirituale vi cresce rapidamente. Sotto l'influenza della educazione religiosa che si dà nei paesi protestanti e della pietà che ivi regna, in generale, nelle famiglie, molti giovani sembrano darsi a Cristo, ma è solamente per un tempo, poi lo abbandonano. Lo stesso si verificherà anche in Italia, quando l'Italia si troverà in circostanze analoghe. In tal caso non ci era stato vera conversione, come ce ne fa accorti il risultato, ma nemmeno conscia ipocrisia ed inganno. Essi si eran dati a Cristo sinceramente ma non per intero; un po' del ridicolo del mondo bastò, troppo spesso, a fare la loro "pietà simile ad una nuvola mattutina e alla rugiada, la quale viene la mattina e poi se ne va via" Osea 6:4. In questo gruppo s'hanno pure a classificare quelle persone di caldo sentire e d'indole impetuosa che agiscono prima di riflettere, che prima edificano la torre, e poi fanno il calcolo della spesa Luca 14:28. La buona novella del vangelo udita per la prima volta, fors'anche in circostanze particolari, produce in loro una così viva impressione che per qualche tempo ne son rapiti fuor di sé, né possono pur pensare ad altro o parlar d'altra, cosa. Ma dopo che è passata la novità, o che essi sono stati bersagliati dal ridicolo o dalle persecuzioni del mondo, "a motivo delle loro idee religiose strane ed intolleranti", il loro zelo si raffredda; la loro religione la stimano eccellente, ma non credono che vale la pena di soffrire per essa e si schierano dalla parte del mondo. In questi versetti la parola "radice" indica il rinnovamento del cuore, il "nascer di nuovo". La gran colpa di tutti quegli uditori che vengono paragonati e luoghi pietrosi è "che non hanno in sé radice" per conseguenza non sono in grado di resistere per amor di Cristo, all'ardore della prova, sia che ella venga sotto forma di ridicolo, di persecuzioni in

famiglia, di perdita di beni o di morte ignominiosa. La gran verità insegnata in questa parte della parabola si è che i cuori impressionati superficialmente sono disposti a ricevere la verità con prontezza ed anche con gioia; ma, giunte le prove cui la novella lor professione non manca di sottoporli, bentosto è esausto il loro amore della verità, e avvizziscono tutte la premature speranze di buoni frutti che avean fatto concepire di sé. Dicano i fedeli ministri del vangelo, alla cui parola è stato accordato di produrre risvegli spirituali, quanto spesso vengono deluse tali speranze!

PASSI PARALLELI

Marco 6:20; 10:17-22; Ezechiele 33:31-32; Matteo 8:19-20; 13:20-21; Luca 8:13

Giovanni 5:35; Atti 8:13,18-21; 24:25-26; 26:28

Marco 4:5-6; Giobbe 19:28; 27:8-10; Matteo 12:31; Luca 12:10; Giovanni 8:31; 15:2-7

2Timoteo 1:15; 2:17-18; 4:10; 1Giovanni 2:19

Matteo 11:6; 13:21; 24:9-10; 1Corinzi 10:12-13; Galati 6:12; 1Tessalonicesi 3:3-5; 2Timoteo 4:16

Ebrei 10:29; Apocalisse 2:10,13

Mc 4:18

18. E questi son coloro che ricevono la semenza fra le spine, cioè, coloro che odono la parola; 19. Ma le sollecitudini di questo secolo, e l'inganno delle ricchezze, e le cupidità dell'altro cose (Luca: "e dei piaceri di questa vita"), entrate, affogano la parola onde diviene infruttuosa.

La terza classe di uditori descritta in questi versetti è la classe di coloro che sono affatto mondani. Confrontata colle due antecedenti c'è in questa un

progresso che rende tanto più notevole e doloroso il mal, esito finale. La parola del vangelo non solamente trova accesso nel cuore, ma per qualche tempo vi è tenuta in grande amore ed onoranza, nel mentre produce un effetto così evidente sulla vita, che, a giudicare e soltanto dalle apparenze esteriori, si direbbe che la nuova, nascita avesse veramente avuto luogo. Ma a poco a poco gl'interessi terrestri, non essendo trattenuti nei loro limiti legittimi, invadono senza ostacolo il cuore e lo riempiono al punto di soffocarvi la vita spirituale, quantunque le abitudini religiose continuino ad essere ritenute come scheletri senza vita. Nostro Signore ci mostra, nella sua interpretazione, che il pericolo indicato dal terreno spinoso è quello a cui sono esposti sì i ricchi che i poveri, poiché le influenze mondane ch'egli specifica sono quelle che operano più segnatamente su entrambe quelle classi del genere umano. "Le sollecitudini di questo secolo" divengono insidie per coloro che hanno poco, e "l'inganno delle ricchezze" per quelli che hanno molto. Le parole le sollecitudini richiederebbero un vocabolo più forte nella traduzione. Tale infatti è quella data in Matteo 6:34, al verbo solleciti con ansietà, poiché una certa sollecitudine intorno alle cose della vita presente è lecita insieme e conveniente; proibita è soltanto l'ansietà eccessiva, peccaminosa che distrae i nostri pensieri da Dio, e che rende la povertà ancor più amara che per sé non sia. Tali cure edaci, tali ansietà peccaminose si presentano ai poveri sotto sembiante di provvedere per la famiglia, pel vestito, per la pigione, per la malattia e per soddisfare all'inesorabile creditore che minaccia di sequestrare quante essi posseggono e gettarli sul lastrico; e vi è gran pericolo che quest'ansietà, crescendo del continuo e del continuo tribolando lo spirito, soffochino alfine il seme della grazia nel cuore. D'altra parte le spine che minacciano d'affogare i ricchi, e contro le quali questi hanno bisogno di stare in guardia e di pregare, nascono dalle loro ricchezze medesime. Possono essere i piaceri ed il lusso che l'opulenza conduce con sé, ovvero l'indolenza che ne proviene, la quale seduce l'anima; o può esser ancora l'amore stesso delle ricchezze la brama fatale di accumularne, che estingue tutti gli affetti del cuore, quell'avarizia che è idolatria!" Colossesi. 3:5, e che per conseguenza usurpa perfino il luogo di Dio nell'anima. Sono qui indicate le due grandi forme dello spirito mondano, cioè le cure e le cupidità il timore del bisogno, e la libidine dell'acquistare e del possedere. Questa ultima libidine può estendersi a molte altre cose o oltre le ricchezze; quali sarebbero la smodata sete di

rinomanza militare e politica, di riputazione in dottrina, in filosofia, nelle arti e nelle scienze, le quali cose tutte ci son poste dinanzi nelle parole "le cupidità delle altre cose". Queste cose son tutte eccellenti in sé stesse, e meritano che vi si attenda con diligenza; ma, se non ci badiamo, c'è il pericolo, che allettino l'anima e l'assorbano al punto da affogare, a guisa di spine, ogni vita spirituale. Corron rischio di essere fatte in tal modo schiavo del mondo, non solo le nature callose e sterili, ma bene spesso anche quelle che son ricche, profonde e forti. Questo affogamento consiste nell'essere l'attenzione, gli affetti, il tempo di un uomo talmente assorbiti dalle cose del mondo, che più non ne restano per le cose spirituali se non alcuni miseri avanzi; dimodoché la religione di quell'uomo si riduce finalmente tutta quanta ad un formalismo senza cuore. Luca dice (letteralmente): non portano a perfezione o maturanza, indicando con ciò quanto crescimento ci può essere nei primi stadii, e quanta speranza di frutti che poi non maturano.

PASSI PARALLELI

Marco 4:7; Geremia 4:3; Matteo 13:22; Luca 8:14

Luca 10:41; 12:17-21,29-30; 14:18-20; 21:34; Filippesi 4:6; 2Timoteo 4:10

Proverbi 23:5; Ecclesiaste 4:8; 5:10-16; 1Timoteo 6:9-10,17

1Pietro 4:2-3; 1Giovanni 2:15-17

Isaia 5:2,4; Matteo 3:10; Giovanni 15:2; Ebrei 6:7-8; 2Pietro 1:8; Giudici 1:12

Mc 4:20

20. ma questi son coloro che han ricevuta la semenza in buona terra, cioè, coloro i quali odono la parola, e la ricevono, e portan frutto, I'un trenta, e l'altra sessanta e l'altro cento.

Luca: "i quali, avendo udito la parola, la ritengono in un cuore buono ed onesto, e fruttano con sofferenza". Non entra nello scopo di questa parabola lo spiegare come il terreno da ammollito e mantenuto sgombro dalle spine, dobbiamo cercare in altri passi della Scrittura da dove derivi la sua bontà. Certamente, il cuor buono ed onesto tale non era per natura. "L'uomo animale", dice Paolo, "non comprende le cose dello Spirito di Dio, percciocché gli sono pazzia, e non le può conoscere" 1Corinzi 2:14. La disposizione a riceverlo viene da Dio. La classe qui rappresentata non è dunque di persone che fossero naturalmente buone, amabili o pure; ma che furono rese tali dalla potenza della grazia divina che sola vivifica, purifica e rende il cuore capace di far buoni frutti. È istruttivo il notare le varie espressioni usate dagli Evangelisti per denotare l'accoglimento e il progresso della parola divina in questa classe di persone. Secondo Matteo gli è l'udire e intendere, che costituiscono il vero ricevimento della parola. Secondo Marco è il riceverla, nelle profondità della nostra vita. Secondo Luca gli è il ritenerla, il che implica che la volontà attiva in difesa di questo divino principio di vita, e per l'espulsione di tutte le influenze estranee. Egli aggiunge anche con pazienza, cioè continuamente e con perseveranza durante il corso di una vita tutta spesa nell'adempire il dovere, ed anche quando arrivano gli scoraggiamenti e prove. Tutti i veri Cristiani non producono frutto egualmente, come tutti i buoni semi non rendono eguale prodotto. Parte per le differenze nei doni naturali e nella prima educazione; parte pei diversi gradi di chiarezza con cui scorgono la verità; più di tutto poi, pei diversi gradi di energia con cui gli uomini cercano ed ottengono quel "dimorare in Cristo" Giovanni 15:4-8, che è la grande, l'indispensabile condizione per portare buoni frutti, i diversi Cristiani rendono frutti ben diversi in quantità sotto la medesima coltura. Non è tuttavia la quantità, ma la qualità dei frutti che determina se abbiano ad essere raccolti nel granaio del coltivatore, ovvero gettati nel forno.

PASSI PARALLELI

Marco 4:8; Matteo 13:23; Luca 8:15; Giovanni 15:4-5; Romani 7:4; Galati 5:22-23; Filippesi 1:11

Colossesi 1:10; 1Tessalonicesi 4:1; 2Pietro 1:8

Genesi 26:12

RIFLESSIONI

1. Felice, il governatore romano Atti 23, è un esempio della prima classe di uditori descritti. In questa parabola, il suo cuore, oppresso dalle cure degli affari e dai piaceri peccaminosi, che lo calcavano a vicenda, non presentava adito alcuno al vangelo; per cui Paolo, avendo a far con lui, applicò alla sua coscienza cauterizzata, "lo spavento del Signore" 2Corinzi 5:11, nella speranza di svegliarla e così preparar la via al ricevimento della verità. Ma l'impressione non fu che momentanea. Il terreno del suo cuore era come di ferro e non cedette nemmeno ai colpi di un Apostolo. Il giovane e ricco reggitore Luca 18:18 ci offre un esempio degli uditori assomigliati ai luoghi pietrosi. Egli se ne venne a Gesù pieno di entusiasmo religioso professandosi pronto a far tutto quello che Cristo gli avrebbe comandato; ma prima gli furon chiesti sacrifizi per amore del Signore, ci si ritrasse indietro. Tali eran pure alcuni di coloro che seguirono Cristo per qualche tempo e l'udivano con ammirazione ed allegrezza, ed anzi si professavano apertamente suoi, discepoli, finché la severità delle sue dottrine, che non ammettono transazione alcuna col peccato, o le privazioni o il biasimo che ebbero a sostenere, furon per loro come pietre d'inciampo, e "si trassero indietro e non andavan più attorno con lui" Giovanni 6:66. Dema è un triste esempio degli uditori assomigliati al terreno ingombro di spine. La parola pareva aver messe radici nel suo cuore; per qualche tempo egli fu perfino un missionario zelante, uno della eletta schiera dei collaboratori di Paolo, ma al fine si lasciò cattivare il cuore dal mondo, e fece naufragio della sua fede. Nell'ultima epistola scritta da Paolo, egli dice a Timoteo: "Dema mi ha lasciato, avendo amato il presente secolo" 2Timoteo 4:10. In Giuda il traditore abbiamo un esempio ancor più terribile di terreno spinoso. Di uditori rappresentati dal buon terreno ci sono molti begli esempi individuali nel Nuovo Testamento, come sarebbero Lidia e il carceriere a Filippi Atti 16: l4-15,30-34; Oniseforo 2Timoteo 1:16; Gaio Romani 16:28; ed altri, per

non dir nulla di quelli che furono collaboratori degli Apostoli nel ministerio evangelico.

2. Ci sono nella storia della Chiesa di Cristo dei periodi segnati dallo sviluppo dell'una o dell'altra di queste classi di caratteri. Vi hanno dei periodi di tal morte spirituale nella Chiesa che, eccetto pochi tratti verdi, il terreno sembra corrispondere dovunque alla descrizione della via battuta e dura. Vi hanno periodi d'intenso eccitamento religioso, in cui il cuore del seminatore è rallegrato alla vista di moltitudini che si convertono dal mondo a Cristo, con apparente sincerità; ma nel più dei casi, come nei luoghi pietrosi, non ci sono risultati permanenti. Vi sono periodi d'ortodossia rigorosa in cui si fa gran professione di religione e di morale, ma in cui l'attività, incessantemente rivolta ai mondani interessi, ed alle agiatezze carnali, procurate dalle ricchezze, lascian languire l'anima senza cibo e dànno alla Chiesa l'aspetto di un terreno coperto di spine. I periodi corrispondenti al buon terreno furon finora ben pochi e parziali assai ma quando "i tempi del refrigerio saran venuti dalla presenza del Signore" Atti 3:19, e sarà incominciato il millennio, la Chiesa universale di Cristo presenterà il lieto spettacolo del buon terreno, i suoi membri, portando frutto alla gloria del loro Maestro, qual trenta, qual sessanta e qual cento.

3. Tra le molte applicazioni, collaterali di cui è suscettibile questa parabola, una delle più interessanti ed istruttive è questa, che ogni uomo ha dentro di se gli elementi di tutto e quattro le sorte di terreno in essa descritte. La parola di Dio trova dapprincipio tutti gli uomini inetti a riceverla; noi ce ne andiamo dopo averla udita, senza sperimentarne la potenza, i nostri cuori rimangono duri e non convertiti. Poscia la parola comincia a produrre il suo effetto sopra di noi, ci risvegliamo e in quei giorni di primo amore, la parola del Signore accende di Santo zelo i nostri cuori. Ma tosto incominciano i combattimenti all'interno e al di fuori, e la fiamma si spegne. La vita della fede s'indeboliva noi ci facciamo languidi nel vegliare e nel pregare; di nuovo si sveglia in noi l'amore del mondo e de' suoi piaceri seduttori, e prima ancora di avvedercene, già ci sforziamo di servire, ad un tempo, Iddio e il mondo. Allora scoppia la guerra tra la carne e lo Spirito, né più abbiamo riposo finché non rinunciamo al mondo e dedichiamo interamente a Dio solo il nostro cuore e la nostra vita.

Mc 4:26

Marco 4:26-29. PARABOLA DELLA SEMENZA CHE CRESCE NELLA MANIERA CHE L'UOMO NON SA

26. Oltre a ciò disse: Il regno di Dio è come se un uomo avesse gittata la semenza in terra;

Questa è l'unica parabola ricordata esclusivamente da Marco. Nella parabola precedente, la parola "seminatore" indica Gesù non meno che i suoi Apostoli, i pastori e dottori in ogni età; ma non è questo il caso nella presente parabola, poiché la descrizione dell'uomo di cui ci è parlato al versetto 27 non è, per verun modo, applicabile a Cristo. Le cose che a noi son nascoste nell'accrescimento, al naturale che spirituale, sono aperte a lui. Di lui è detto espressamente che "egli Stesso conosceva quello che era nell'uomo" Giovanni 2:25. La germinazione e il crescimento della vegetazione senza l'intervento, anzi all'insaputa, del seminatore, rappresentano un'impotenza ed un'ignoranza così definita e completa che noi non possiamo, senza trasgredire ogni regola di giusta interpretazione, applicarle all'onnisciente ed onnipotente Redentore. Il seminatore adunque deve necessariamente rappresentare, in questa parabola, "i vasi di terra" a cui fu confidato il ministero dell'evangelo, gli agenti umani di cui si serve Cristo per pubblicarlo.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 4:17; 13:11,31,33; Luca 13:18

Marco 4:3-4,14-20; Proverbi 11:18; Ecclesiaste 11:4,6; Isaia 28:24-26; 32:20; Matteo 13:3,24

Luca 8:5,11; Giovanni 4:36-38; 12:24; 1Corinzi 3:6-9; Giacomo 3:18; 1Pietro 1:23-25

Mc 4:27

27. E dormisse, e si levasse di giorno, e di notte;

Il dormire qui non indica infingardaggine o negligenza, ma semplicemente, come nella parabola delle zizzanie Matteo 13:25, l'attendere alle ordinarie faccende della vita, nella quale si alternano il sonno ed il lavoro.

e intanto la semenza germogliasse e crescesse nella maniera ch'egli non sa.

Questa parabola, come quella del lievito, c'insegna che la grazia divina cresce tacita ed inosservata ma efficace nel cuore, finché ne apparisce il frutto nella conversione.

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 8:17; 11:5 Giovanni 3:7-8; 1Corinzi 15:37-38; 2Tessalonicesi 1:3; 2Pietro 3:18

Mc 4:28

28. Conciossiaché la terra da se stessa produca prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga.

L'agricoltore dopo che ha preparato il terreno e vi ha gettata la semente, non può far altro; il farla germogliare non è punto in suo potere. Molto può fare ancora, innaffiando o prosciugando la terra, estirpandone le male erbe e ammucchiando, fuori del campo, i sassi, onde togliere ostacoli al suo crescere ma l'immischiarsi nel processo di vivificazione e germinazione per cui passa "Il granello ignudo" 1Corinzi 15:37, prima che spunti lo stelo, è tal cosa che oltrepassa del tutto il suo potere. Tale processo segreto nostro Signore ce lo descrive in parte in Giovanni 12:24; e Paolo, nella 1Corinzi

15:36-37. Che cosa sia la condizione fecondatrice prodotta dall'umore assorbito, dal calorico e dai varii altri ingredienti chimici del suolo, e come ella operi sulla semente per farla crescere, son cose che l'agricoltore ignora interamente. Ben va ripensando al seme sparso e forma liete speranze per la stagione della mietitura, e se è un vero cristiano, non cessa di pregare il Signore del cielo e della terra che solo può "farla crescere" 1Corinzi 3:6. Quando ha fatto questo, deve attendere ad altre occupazioni, e mentre queste reclamano le sue cure e le sue fatiche, la terra benefica dà accrescimento alla messe nell'ordine da Dio stabilito, "prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga". Vi è un'esatta e notevole somiglianza tra il crescere del seme spirituale nel cuore e quello del granello di frumento nella terra. Il cuor dell'uomo è il suolo, e con tale similitudine nostro Signore rappresenta l'estensione e i limiti dell'opera istrumentale dell'uomo nel progresso del suo regno. I genitori fanno conoscere il vangelo nelle loro famiglie, i ministri nelle loro congregazioni, e gl'insegnanti nelle loro scuole; ma questi seminatori perdono di vista la semenza appena è caduta nel terreno: essi dormono di notte e attendono di giorno ad altre faccende. Simili agli agricoltori che hanno affidata la lor semenza alla terra, essi non possono scorgere l'impressione che il vangelo fa sul cuore dei loro simili, e quand'anche ne conoscessero la vera condizione nel cuore, non ne possono accelerare la crescenza. Giovanni 1:13 descrive la nuova nascita come affatto indipendente dalla volontà dell'uomo o dai calcoli umani. "Figliuoli di Dio, i quali, non di sangue, né di volontà di carne, né di volontà d'uomo, ma son nati di Dio". E Gesù stesso descrive a Nicodemo l'opera invisibile dello Spirito nel cuore dell'uomo, paragonandola al vento. "Il vento soffia ove egli vuole, e tu odi il suo suono, ma non sai onde egli viene, né ove egli va; così è chiunque è nato dello Spirito" Giovanni 3:8

PASSI PARALLELI

Genesi 1:11-12; 2:4-5,9; 4:11-12; Isaia 61:11

Marco 4:31-32; Salmi 1:3; 92:13-14; Proverbi 4:18; Ecclesiaste 3:1,11; Osea 6:3; Filippesi 1:6,9-11

Colossesi 1:10; 1Tessalonicesi 3:12-13

Matteo 13:26

Mc 4:29

29. E, quando il frutto è maturo (si esibisce o si offre), colui subito vi mette la falce, perciocché la mietitura è venuta.

Un linguaggio somigliante intorno alla "falce" e alla "mietitura" è adoperato altrove, come per esempio nella parabola delle zizzanie Matteo 13:39, per denotare il giudizio finale; e partendo dalla supposizione che abbia anche qui lo stesso significato, alcuni commentatori, nell'impossibilità d'identificare il seminatore umano e il mietitore dell'ultimo giudizio, hanno identificato il seminatore e Cristo, ma erroneamente, come fu dimostrato più sopra. C'è una mietitura spirituale di cui è dato rallegrarsi ai seminatori anche in questo mondo; e è una raccolta di frutti preziosi, alla gloria del Redentore e a benefizio dei nostri simili, nella Chiesa di Cristo, ogni anno nella conversione delle anime, e nell'influenza e nello zelo dei convertiti per la causa di Cristo, e questa è la mietitura a cui Cristo fa quì allusione. Sonvi molti passi biblici in cui è usata l'immagine della mietitura, per rappresentare quel buon successo nel guadagnare anime all'obbedienza di Cristo, di cui è dato ai ministri della parola di rallegrarsi (vedi l'immagine della mietitura usata in quel senso in Salmi 126:6; Matteo 9:37-38; Giovanni 4:35-36). La gran lezione insegnataci dalla parabola è questa, che la sfera dell'uomo nella conversione, non oltrepassa il seminare la parola di Dio nel cuore dei suoi simili, e che il vivificarvela appartiene a Dio; ma che appena si fa manifesta la vera conversione pei frutti di santità nella vita, i seminatori, ovvero coloro che succedettero ad essi, si fanno avanti di nuovo, a raccogliere il frutto delle loro fatiche, nella fede, nell'amore e nello zelo di quelli che, per la loro istrumentalità, sono nati da Dio.

PASSI PARALLELI

Giobbe 5:26; 2Timoteo 4:7-8

Isaia 57:1-2; Gioele 3:13; Matteo 13:30,40-43; Apocalisse 14:13-17

RIFLESSIONI

1. Quantunque i genitori, i pastori o gl'insegnanti non possano far crescere la semenza divina nel cuore in cui l'hanno deposta, pesa tuttavia su di essi una grave responsabilità, se dopo avervela così deposta con ogni debita premura e solennità, la lasciano poscia inondare da un diluvio di follia, da cui avrebbero potuto facilmente preservarla. La buona semente si sommerge in quel diluvio, ma il seminatore ne ha la colpa, poiché potrebbe spendere ancora molta fatica e innalzare molte preghiere a pro della semente divina che egli semina, sebbene non può accertarne direttamente la cresciuta. Quando cresce, cresce indipendentemente da esso: ma ove venisse a morire, ciò potrebbe esser dovuto in parte alla sua trascuranza.

2. La cosa umiliante senza dubbio pei ministri e per coloro che insegnano ad altri, che i più grandi talenti, la predicazione più potente, e l'opera più assidua e meglio diretta non valgano ad assicurare il successo ed a costringer gli uomini a venire a Dio. Ma è nel tempo stesso una verità che somministra un ammirabile antidoto contro l'ansietà eccessiva e lo scoraggiamento. La nostra principale incombenza è di spargere il seme; ciò fatto, possiamo aspettar con fede e pazienza il risultato. Possiam dormire e levarci di notte e di giorno, e lasciare al Signore il successo dell'opera nostra. Egli solo può darlo e lo darà se così gli piace.

3. La spiga matura di grano non apparisce tosto che la semenza si schiude alla vita. La pianta passa per molti stadii prima di arrivare alla sua perfezione: "prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga". Ma in tutti questi stadii una cosa è vera anche della pianta più debole, che cioè è viva. In simil guisa l'opera della grazia progredisce nel cuore gradatamente. I figliuoli di Dio non nascono perfetti nella fede, nella speranza, nella scienza, o nella esperienza. Il loro principio è generalmente un "giorno di piccolo cose". Essi veggono soltanto "in parte" la loro condizione di peccatori, e la pienezza, bellezza e santità di Cristo. Pur nondimeno, il più debole fanciullo nella famiglia di Cristo è un vero figliuolo di Dio, e ad onta

le sue debolezze ed infermità, egli vive. La semenza della grazia ha germogliato realmente nel suo cuore, quantunque non sia ancora che un filo d'erba, ed egli è risorto dai morti!

4. Non disprezziamo la grazia perché è debole, né pensiamo che altri non sia convertito perché non è ancor forte nella fede al pari di un Paolo. Ricordiamoci che la fede, come ogni altra cosa, deve avere un principio. La quercia più robusta cominciò coll'essere una ghianda; l'uomo più forte fu già un bambinello. Meglio mille volte aver la grazia nel filo d'erba, che non averla del tutto.

Mc 4:30

Marco 4:30-34. PARABOLA DEL GRANEL DI SENAPE Matteo 13:3132; Luca 13:18-19

Per l'esposizione vedi Matteo 13:31Matteo 13:31-32.

Mc 4:35

Marco 4:35-41. GESÙ TRAVERSANDO IL LAGO DI GALILEA ACCHETA MIRACOLOSAMENTE UNA TEMPESTA Matteo 8:23-27; Luca 8:22-25

35. Or in quell'istesso giorno, fattesi sera,

Il tempo in cui avvenne il miracolo è precisato con ogni accuratezza dal nostro Evangelista. Fu nella sera di quello stesso giorno in cui nostro Signore rivolse alla moltitudine, sul lido, la serie di parabole che incomincia con quella del seminatore.

disse loro: Passiamo all'altra riva.

Quest'era era, probabilmente l'unica maniera efficace di licenziare la moltitudine, ma anche sull'altra riva l'aspettava l'opera in cui prendea compiacimento l'anima sua.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:23; Luca 8:22

Marco 5:21; 6:45; 8:13; Matteo 8:18; 14:22; Giovanni 6:1,17,25

Mc 4:36

36. E i discepoli, licenziata la moltitudine,

Sebbene nel testo greco non s'incontrino le parole i discepoli, il participio presente plurale (avendo licenziata) si riferisce chiaramente ad essi.

le raccolsero,

piuttosto qui menare, condurre,

così come egli era, nella navicella. Or vi erano dell'altre navicelle con lui.

(Vedi nota Marco 3:9Marco 3:9, perché molto giova a delucidare questo versetto). È importante aver presente la differenza tra ploion, navicella e ploiarion, barchetta. Lunghesso la riva occidentale e settentrionale del lago di Tiberiade, l'acqua è così bassa che una barca della grandezza di una paranzella (com'erano probabilmente quelle dei figliuoli di Zebedeo e dei figliuoli di Giona) non poteva, nella maggior parte dei luoghi, accostarsi alla riva entro lo spazio di un centinaio di metri. La comunicazione con queste navicelle dal lido, facevasi a guado o a nuoto o per mezzo di battelli più piccoli. Si esamini attentamente l'ultima pescagione che sia ricordata degli Apostoli Giovanni 21:3,6,8, e si avrà una piena conferma di questo fatto. La pesca si fece nel ploion; ma quando i discepoli vollero trarre alla riva la rete

piena colma di pesci, dovettero passare sopra un ploiarion dal quale la rimorchiare. Basta un'occhiata al primo vers. di questo capitolo per vedere che nostro Signore, onde sottrarsi alla ressa della moltitudine sul lido, entrò in un ploiarion, onde ammaestrare le turbe da esso, e il senso di questo, versetto è semplicemente che dopo finito il suo discorso Gesù non approdò al lido, ma fu trasportato dai discepoli nella barchetta sino alla navicella, nella quale traversò il lago. L'ultima clausola del versetto fa intendere che molti eran venuti da altre parti del lido, per assistere a quella riunione, in simili barchette, alcune delle quali pericolavano, per la tempesta, assai più della navicella in cui si trovavano Cristo ed i suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Marco 4:1; 3:9

Mc 4:37

37. E un gran turbo di vento si levò,

Il lago di Galilea, sebbene fosse tranquillo e calmo come un mare di cristallo quando chi scrive rizzò la sua tenda sulle sue rive, va soggetto a turbini di vento o bufere improvvise che si precipitano dai burroni delle montagne all'oriente di esso e talvolta imperversano in fieri uragani per intere giornate. "Per intender le cagioni", dice Thomson, "di queste improvvise e fiere tempeste, dobbiam ricordarci che quel lago è 600 piedi più basso del livello del mare; che i vasti e nudi altipiani del Giordano s'ergono a grande altezza, stendendosi all'indietro fino ai deserti dell'Hauran e all'insù fino alle nevose vette dell'Hermon; che i corsi d'acqua vi hanno scavati profondi burroni ed ampie gole convergenti verso la testa di questo lago, e che queste, a guisa di giganteschi imbuti, attirano già i venti freddi dalle montagne". Arroge che questi venti non sono soltanto impetuosi, ma vengon giù all'improvviso, spesse volte quando il cielo è perfettamente sereno.

e cacciava l'onde dentro alla navicella, talché quella già si empieva.

Prova questa che anche quelle navicelle eran senza ponte. Le ondate erano così alte che, secondo Matteo, "la navicella era coperta", a misura che ciascuna successiva ondata irrompeva su di essa, sicché l'acqua che lasciava a bordo, doveva presto cominciare ad empirla.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:23,24; Luca 8:22-23

Giobbe 1:12,19; Salmi 107:23-31; Giona 1:4; Atti 27:14-20,41; 2Corinzi 11:25

Mc 4:38

38. Or egli era nella poppa, dormendo sopra un guanciale

Alford cita delle autorità classiche per provare che la parola era usata per denotare i cuscini su cui sedevano i rematori e il pilota, e la spiega qui come il sedile a poppa, usato da nostro Signore qual cuscino. Una tale posizione sarebbe eccessivamente incomoda e niente naturale, sicché è più probabile che il guanciale consistesse in un cuscino, in un cerchio di fune o in una vela ripiegata, in fondo alla barca. Stanco dal continuo parlare che avea fatto nella giornata, Gesù dormiva così profondamente, che non lo destò la burrasca. La sua natura umana si stava rinfrancando col sonno, come quella degli altri uomini, mentre la sua divinità (come dice Calvino) vegliava. Quest'incidente pone in evidenza quanto veramente Cristo partecipasse alla nostra natura umana, anche nelle sue infermità, escluso sempre il peccato, e come perciò sia capace di simpatizzare con noi in tutto le nostre debolezze e prove. Isaia 53:4 dice di lui: "Egli ha portati i nostri languori". Paolo dice Ebrei 2:14: "Poi dunque che i fanciulli parteciparon la carne ed il sangue, egli simigliantemente ha partecipato le medesime cose". Egli è veramente il Salvatore di cui hanno bisogno uomini e donne stanchi, travagliati, oppressi dalle cure; "un Salvatore che sa prender parte al loro dolore". "Non abbiamo un sommo Sacerdote che non possa compatire alle nostre infermità; anzi, che è stato tentato in ogni cosa simigliantemente, senza peccato" Ebrei 4:15

Ed essi lo destarono, e gli dissero: Maestro, non ti curi che noi periamo?

Quando uomini avvezzi fin da fanciulli a navigare ed a lottar colle onde su quel lago, parlavano in tal guisa, il pericolo dovea esser grande davvero. È evidente che il ricorso a Cristo perché s'interponesse e li salvasse, fu fatto da parecchi fra i dodici, nello stesso momento, ciascuno esprimendolo nel proprio linguaggio il che spiega perfettamente la diversità di forma che incontriamo nei sinottici. La forma interrogativa del ricorso, in questo versetto, sembra denotare indignazione e rimprovero per la mancanza di cuore del loro Maestro, e per la indifferenza colla quale dormiva mentre essi erano esposti a imminente rovina. Si crede generalmente che Marco dovesse a Pietro la notizia dei fatti relativi al ministero pubblico di Gesù, i quali fatti egli ha esposti nel suo Vangelo sotto la guida dell'ispirazione divina. Può darsi adunque che in questo versetto ci sia riferita la domanda fatta dallo stesso Pietro; ma infatti ben corrispondo a quell'impeto irriflessivo che era il tratto più saliente del suo carattere. Il ricorso secondo Matteo è: "Signore salvaci, noi periamo"; secondo Luca: "Maestro, Maestro noi periamo". Temono essi che il Maestro sia esposto egli pure al pericolo che loro sovrasta di naufragare? Parrebbe di no. Se eran dunque convinti ch'ei non teme perire, potevan credere che volesse lasciarli andar sommersi? No, certamente! ma è probabile, che il timor della morte prevale siffattamente sulla loro fede e sulla loro riflessione, che più non sapessero quel che si dicessero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:6; Ebrei 2:17; 4:15

1Re 18:27-29; Giobbe 8:5-6; Salmi 44:23-24; Isaia 51:9-10; Matteo 8:25; Luca 8:24

Salmi 10:1-2; 22:1-2; 77:7-10; Isaia 40:27-28; 49:14-16; 54:6-8; 63:15

Isaia 64:12; Lamentazione 3:8; 1Pietro 5:7

Mc 4:39

39. Ed egli, destatosi, sgridò il vento, e disse al mare: Taci, e sta cheto.

sii infrenato, come s'infrenano gli animali pericolosi. Bengel ed altri scrittori argomentano, dal linguaggio usato qui, che la tempesta fosse sollevata da Satana o dai suoi demoni, ai quali questo rimbrotto sarebbe in realtà diretto. Sia questa o non sia la vera interpretazione di questa parola, non c'è alcun dubbio che come "l'iddio di questo secolo" 2Corinzi 4:4; "il principe di questo mondo" Giovanni 14:30 e "il principe della podestà dell'aria" Efesini 2:2, Satana ha una limitata podestà sugli elementi, e l'esercita nell'intendimento di recar danno, se gli venga fatto, ai servitori di Dio, e trarli in perdizione, Vedi la prima parte della storia di Giobbe Giobbe 1:16-19. Buon per noi che Dio lo doma come "con morso e con freno" Salmi 32:9, e gli dice: "Fin quì andrai e non più in lì". Quando erano operati dei miracoli dai Profeti o dagli Apostoli, essi li attribuivano alla potenza di Dio, ma Gesù profferisce il suo comando di sua propria autorità, e i venti e le onde riconoscono in lui il loro glorioso Creatore e immediatamente obbediscono. Questa potenza divina gli sarebbe stato agevole esercitarla senza profferire una parola; ma Gesù parlò al vento e alle onde, affinché i suoi discepoli potessero udire, e perché era questo il modo più naturale, più semplice e più maestoso di dimostrare il suo dominio sulle forze della natura. Si confronti Genesi 1:8; Matteo 21:19

E il vento si acquetò

Parola amai espressiva per denotare stanchezza o riposo da fatica.

e si fece gran bonaccia.

In circostanze ordinarie, l'infuriar delle onde non si sarebbe calmato per qualche tempo ancora dopo cessato il vento, ma qui l'effetto su d'entrambi fu istantaneo, non lasciando alcun dubbio intorno al miracolo.

PASSI PARALLELI

Esodo 14:16,22,28-29; Giobbe 38:11; Salmi 29:10; 93:3-4; 104:7-9; 107:29

Salmi 148:8; Proverbi 8:29; Geremia 5:22

Marco 9:25; Nahum 1:4; Luca 4:39

Salmi 89:9; Lamentazione 3:31

Mc 4:40

40. Poi disse loro: Perché siete voi così timidi? come non avete voi fede?

Matteo: "Perché avete voi paura, voi di poca fede?" C'è un'apprensione naturale in tempo di pericolo, ma oltracciò c'era mancanza di fede nel loro timore. Fede l'avevano, poiché ricorsero a Cristo per esser soccorsi, ma era in grado piccolissimo, poiché avevano gran paura, sebbene Cristo fosse con loro nella navicella. Una piena fede in Cristo avrebbe indotto i discepoli a confidare interamente in lui, per quanto fosse grande il pericolo, laddove invece, nel loro allarme, dubitare della sua potenza. La fede scaccia il timore, nella proporzione appunto della sua forza. "Nel giorno ch'io temerò io mi confiderò in te" Salmi 51:4. Secondo Matteo e Marco, nostro Signore si rivolge ai discepoli prima di sgridare la tempesta, mentre, secondo loro si rivolge solamente a dopo. Paragonando tra loro i tre racconti, si è condotti a concludere (il che del resto è la supposizione più verosimile in tal caso), che nostro Signore chetasse gli animi dei suoi discepoli con quel breve rimprovero, prima di chetar la tempesta, e poscia facesse loro delle rimostranze sulla loro mancanza di, fede in lui.

PASSI PARALLELI

Salmi 46:1-3; Isaia 42:3; 43:2; Matteo 8:26; 14:31; Luca 8:25; Giovanni 6:19-20

Matteo 6:30; 16:8

Mc 4:41

41. Ed essi temettero di gran timore, e dicevamo gli uni agli altri: Chi è pur costui, cui il vento e il mare ubbidiscono?

Matteo: "E la gente maravigliò dicendo: Qual uomo è costui, che eziandio il mare ed i venti gli ubbidiscono?" Il timore risvegliatosi ora nei discepoli era di genere assai diverso da quello cagionato dalla tempesta; era quella impressione solenne e profonda della presenza di Dio, che sempre è risvegliata dall'esercizio manifesto di una potenza soprannaturale, perfino nei cuori dei più empi. Nel caso dei discepoli, era un timore simile a quello che provarono Manoa e sua moglie, quando il Signore Gesù apparve loro sotto la forma dell'"Angelo del patto" Giudici 13:20-25, ed anche a quella di Isaia quando Jehova Gesù gli si rivelò in visione, empiendo il tempio della sua gloria Isaia 6:5; Giovanni 12:41. Alcuni intendono l'esclamazione in questo versetto come se venisse dall'equipaggio (sebbene sia molto improbabile che questo constasse di altri che dei 12), ovvero dalla gente a bordo delle barchette più piccole che vogavano di conserva con loro Marco 4:36. Quest'ultima supposizione non è niente affatto inverosimile ma, secondo Marco, è certo che questo fu pure il linguaggio degli Apostoli, e deve intendersi non già come se esprimesse alcuna ignoranza o alcun dubbio sul chi si fosse il loro Maestro, ma si come esprimente un vero stupore a questa nuova prova della sua potenza, che comandava ai venti e alle onde, come già l'avean visto comandare ai demoni e alle malattie. "Qual uomo è costui?" Come se dicessero: "Nel celebrar le lodi di Dio nel tempio e nella sinagoga la nostra nazione ha sempre cantato intorno a Jehova". "Tu signoreggi sopra l'altezza del mare, quando le sue onde s'innalzano, tu l'acqueti"; "Il Signore che è di sopra è più potente che il suono delle grandi acque, che le possenti onde del mare" Salmi 89:10; 93:4; ma ecco quì, in questa nostra barca c'è uno che, con il solo suo comando, ha fatto altrettanto. Questi dev'essere veramente Iddio nella nostra natura, quell'Emanuele predetto da Isaia 7:14. "L'applicazione simbolica di questo fatto", dice Alford, "è troppo evidente, perché ad alcuno passi inosservata. Il Salvatore coi suoi discepoli nella barca agitata dalle onde, è una riproduzione tipica dell'Arca che portava l'uman genere al tempo del diluvio, ed una prefigurazione della Chiesa agitata dalle tempeste di questo mondo, È

ma che ha sempre Gesù Cristo con sé. È l'applicazione personale è consolante e fortificante per la fede nel mezzo dei pericoli e dei dubbi. "

PASSI PARALLELI

Marco 5:33; 1Samuele 12:18-20,24; Salmi 89:7; Giona 1:9-10,15-16; Malachia 2:5

Ebrei 12:28; Apocalisse 15:4

Marco 7:37; Giobbe 38:11; Matteo 8:27; 14:32; Luca 4:36; 8:25

RIFLESSIONI

1. Questo miracolo mette fuor d'ogni dubbio la divinità di nostro Signore Gesù Cristo. Sta bene che si cerchino dei significati simbolici in passi come questo, purché però i predicatori o i commentatori vadano guardinghi nello esporli e non ne facciano l'insegnamento esclusivo od anche principale. La barca in mezzo ad un mare procelloso, piena dei discepoli, con Cristo in mezzo ad essi è una bella illustrazione dello stato della vera Chiesa di Cristo e d'ogni uomo pio nel presente mondo malvagio; ma dobbiamo guardarci di perder di vista la gran lezione insegnata da questo passo che quel Salvatore, che Dio ha graziosamente mandato "a portare egli stesso i nostri peccati nel suo corpo da sul legno", non è puramente e semplicemente un uomo, come pretondono i Sociniani, ovvero la più nobile di tutte le creature come vorrebbero gli Ariani: ma bensì il gran Creatore e Reggitore dell'universo, "Il quale è sopra tutti, Iddio benedetto in eterno" Romani 9:6

2. Nondimeno è non solamente lecito, ma in sommo grado conveniente di fare a noi stessi l'applicazione delle lezioni contenute in questo passo e in altri somiglianti. Se la preghiera dei discepoli, per quanto fosse debole la loro fede, potè muovere il Salvatore ad esercitare in loro favore la sua potenza, quanto maggiormente esaudirà egli le preghiere offertegli in piena sicurezza di fede? Dappoiché ei tiene in sua mano gli elementi, non potranno i suoi, in mezzo alle tempeste, e ai terremoti e alle commozioni

della natura, e dei popoli posseder nella pazienza le anime loro? "Nessun male li può incogliere che egli non lo permetta", ed cui hanno il privilegio di deporre i timori e le cure nel seno di "colui che esaudisce la preghiera". Se nonostante la loro mancanza di fede, Gesù era pietoso e misericordioso inverso i suoi discepoli, i quali avean già veduti tanti miracoli, qual coraggio, non ci deve ciò inspirare a rifugiarci in ogni tempo nelle sue compassioni? Egli, è pieno di misericordia e di tenerezza. Egli conosce tutto ciò che manca alla fede, alla speranza, all'amore ed al coraggio dei suoi, e tuttavia non li respingerà da sé.

3. Siamo avvertiti, da questo passo, di quali indegne ansietà e timori possano talvolta venir assaliti i cuori dei veri discepoli. Gli Apostoli, nel loro timore, dimenticarono l'amorosa sollecitudine del loro Maestro, che non avea mai lor fatto difetto pel passato, dimenticarono in breve ogni cosa fuorché il pericolo presente, e sotto l'impressione di esso non poterono aspettare che Gesù ci svegliasse. Fatti come questi sono molto umilianti; cui dovrebbero abbassare il nostro vano e superbo concetto di noi stessi e convincerci che anche il migliore fra gli uomini è al postutto una povera creatura. Ma ci insegnano pure quali siano nel nei cuori le cose contro le quali dobbiamo tenerci la guardia e pregare, nonché ad esser moderati nelle nostre aspettazioni intorno ai nostri fratelli cristiani. Noi non dobbiamo già supporre che gli uomini non possano esser credenti se anche talora danno a divedere una gran debolezza, o che non abbiano alcuna grazia divina nel cuore perché talvolta sono oppressi da timori. Perfino Pietro, Giacomo e Giovanni poterono esclamare: "Maestro, Maestro, noi periamo!"

Mc 5:1

CAPO 5 - ANALISI

1. Guarigione dell'indemoniato Gadareno. I miracoli ricordati in questo capitolo sembrano essere stati scelti specialmente da Marco, insieme a quello riportato alla fine dei L'ultimo capitolo, come esempi luminosi della potenza divina di Cristo, tratti da ogni dipartimento della natura. Il primo manifestò il suo potere sulla creazione inanimata. Il seguente, il di lui

dominio sul mondo spirituale, specialmente nella sua connessione con la razza umana. Il terzo, il suo dominio sulle infermità corporali, e l'ultimo, il suo impero sulla morte. Questo capitolo incomincia col miracolo che manifesta la potenza di Cristo sul mondo spirituale e sugli agenti impiegati da Satana a tormentare gli uomini. Fu operato sopra un misero indemoniato, nativo d'una regione chiamata Gherghesa ad oriente del lago di Galilea, il quale indemoniato si fece incontro a Gesù e ai suoi discepoli tosto che furono sbarcati sul lido. Sebbene fosse generalmente così furioso che niuno ardiva accostarsi ai luoghi ove era solito aggirarsi, insieme ad un compagno di sventura e di miseria, non prima apparve Gesù, che, correndogli incontro, se gli prostrò davanti in atto di adorazione, riconoscendo che egli era Gesù il Figliuolo dell'Iddio altissimo, e scongiurandolo nel modo più solenne di non tormentarlo. Egli non era posseduto da un solo demonio; anzi in così gran numero avean presa lor dimora nel corpo di quel disgraziato gli spiriti infernali, che diedero il loro nome come Legione Marco 5:1-9.

2. Distruzione di una greggia di porci, e suo effetto sui Ghergheseni. Quando è lor comandato di uscire immantinente dal corpo del Ghergheseno, questi spiriti maligni non osano disubbidire; ma, temendo d'esser rimandati nella prigione dell'abisso, supplicano Gesù, come colui che evidentemente ha in sua mano i loro destini, di permetter loro di entrare in una greggia di porci che pascevano lì appresso. Nostro Signore acconsentì a tale proposta, insegnando, così che, fintantoché era in vigore la legge levitica, dovea osservarsene il disposto intorno agli animali mondi e agli immondi. La notizia di questo fatto si sparge rapidamente per tutto il paese circonvicino, il guardiano atterrito essendo corso a riportar la cosa al padrone della greggia, e la gente accorre da ogni dove per pregare il Salvatore di partire dai loro confini e lasciarli proseguire, senza ostacolo, le loro pratiche peccaminose, Gesù li prende in parola, e s'imbarca di nuovo coi suoi discepoli; ma non li lascia senza un testimonio della verità, poiché comanda all'uomo, fuori del quale erano stati cacciati i demoni e che bramava accompagnarlo, di rimanere nel suo luogo nativo e di parlare al suoi conterranei di quel Salvatore che sì gran cose avea fatte per lui Marco 5:1020.

3. Guarigione della donna afflitta da flusso di sangue. Tornato che fu Gesù all'altra riva, ed ospitato in casa di Matteo in Capernaum (come questi ce lo racconta), accondiscese alla richiesta di un rettore della sinagoga che venne frettoloso a chiedere che Gesù volesse restituirgli in vita la figliuola che trovavasi in punto di morte. Come di solito, era accompagnato da una tal folla di gente che poteva a stento camminare. Così ebbe agio di accostarsegli inosservata, una povera donna che era stata afflitta, per 12 anni, da una pericolosa e debilitante malattia, ed avea risoluto, quando se le presentasse il destro, di toccare i vestimenti di Gesù ed ottener così la guarigione, senza attrarre l'osservazione della gente sopra il miracolo. Ella riuscì nell'intento per quanto riferivasi alla guarigione, senonché nostro Signore risolse di correggere l'egoismo e la mancanza di gratitudine di cui non andava esente quel suo modo furtivo di ottener la guarigione, e, quantunque sapesse bene quel che era avvenuto, si fermò, e volle assolutamente che gli fosse detto chi l'avea toccato. I suoi discepoli affettavano di tener quella domanda in conto d'oziosa, istante la gran folla; ma la donna ne fu commossa vivamente nella coscienza e nel cuore, e tornata indietro, si prostrò davanti a Gesù, confessando tutto il fatto. Avendo in tal modo corretta la di lei debolezza, il Signore lodò la sua fede e licenziolla Marco 5:21-34.

4. Risuscitazione della figlia di Iario. L'indugio cagionato da questo miracolo dovette contrariare moltissimo il rettore della sinagoga, il quale sapeva che ogni momento era prezioso per salvar la vita alla sua figliuola. Prima ancora che fosse licenziata la donna guarita, venne un messaggiero ad annunziare che la sua figlia era morta, e il misero padre stava già per abbandonarsi a disperato dolore, quando Gesù ravvivò la sua speranza con queste preziose parole: "Non temere, credi solamente". La potenza gloriosa del gran Redentore molto più luminosamente dovea dimostrarsi agli uomini, col ricondurre l'anima al tabernacolo mortale che aveva abbandonato, che col solo sgridare la malattia e restituir la salute. Giunti alla casa, egli entrò nella camera ove giaceva il corpo esanime della bambina, accompagnato dai genitori, e dai tre discepoli favoriti, quali testimoni, ed avendo richiamato la fanciulla in vita, per la potenza della sua parola, la rese in perfetta salute ai suoi genitori Marco 5:35-43.

Marco 5:1-20. CRISTO VISITA LA COSTA DI GHERGHESA Matteo 8:28-34; Luca 8:26-39

Guarigione dell'indemoniato Gadareno, Marco 5:1-9

1. E giunsero all'altra riva del mare, nella contrada de' Gadareni.

Il luogo d'approdo ad E. del lago è chiamato, nel Textu Recepto di Matteo: contrada de' Ghergheseni, ed in quello di Marco e Luca: de' Gadareni; ma Lachmann, Tischendorf e Tregelles, sull'autorità d'alcuni antichi MSS., vorrebbero sostituire, in tutti e tre la lezione Geraseni. Gli scrittori più recenti, Alexander, Brown, Conder, ecc. contestane il valore dell'autorità per cui si volle introdurre tali cambiamenti, e le recenti scoperte di Thomson ne provano la mancanza di saggezza e di ponderata cautela. Lo stesso Thomson è d'opinione che Gerghesa si leggesse originariamente anche in Marco e in Luca, ma che alcuni scoliasti troppo zelanti vi sostituissero Gadara, affine d'indicare agli ignoranti il luogo dove fu operato "prodigio". Le obiezioni topografiche contro Gerasa e Gadara sono assai forti. Nel periodo romano, nessuna città fu nota più di GERASA, la quale è situata in mezzo alle montagne di Gilead, 20 miglia all'E. del Giordano, e 25 al N. di Filadelfia (l'antica Rabbat-Moab). Flavio Giuseppe la descrive come posta sulla frontiera orientale, tra la Perea, e l'Arabia. Gerasa era dunque così lontana dal lago di Tiberiade che ne poteva dare il nome al distretto ove fu operato il miracolo, né adempiere alle condizioni delle narrazioni dei sinottici. Perciò non occorre che ce ne occupiamo altro. GADARA (ora Um Keis), era situata a tre ore al S. dell'estremità S. E. del lago, sul fiume Hieromax (oggidì Germuk). Era una delle città greche della Decapoli, e capitale della Perea. La città, i cui abitanti pregarono Gesù di partirsi da loro, è evidente che doveva essere situata in prossimità del lago, sicché per questo riguardo Gadara non adempie, più che Gerasa, alle condizioni della narrazione; ma è probabilissimo che, a motivo della sua importanza, tutto il paese circostante si chiamasse la contrada de' Gadareni, denominazione che Marco e Luca, scrivendo per quelli che abitavano fuori della Giudea, dovean naturalmente adottare, per contrassegnare la località del miracolo, siccome a cotali

persone Gadara era ben nota e Gherghesa non lo era. Ma Matteo, testimonio oculare di queste fatto, scrivendo principalmente per i suoi compatriotti, a cui eran familiari i nomi di tutto quelle località, menziona Gherghesa come quella che dava il suo nome a quella parte del paese donde l'indemoniato si fece incontro a Gesù; e oggigiorno si verifica che, riguardo alla topografia, il suo racconto è letteralmente mento esatto. Sia Origene che Eusebio attestano l'esistenza, al tempo loro, di una piccola città o villaggio detto Gherghesa ad oriente del lago. Ma la piena e vittoriosa dimostrazione dell'esattezza di Matteo, la dobbiamo alla diligenti e pazienti ricerche di Thomson, fatte ultimamente di pubblica ragione per le stampe. Egli scoperse il sito di questa città sulla sponda orientale, precisamente in faccia della pianura di Gennesaret (detta Galilea in Luca 8:26), presso il punto ove il Wady Samak entra nel lago. "Al presente", egli dice, "il nome di questa città prostrata è Kerza ovvero Gersa come me lo gridò nelle orecchie il beduino che mi fu guida la prima volta che la visitai. È un piccolo luogo, ma possono ancora riscontrarsi gli avanzi delle mura tutto all'intorno, e pare che vi fossero dei sobborghi considerevoli. In queste ruine io identifico il sito, che era da lungo tempo divenuto ignoto, di Gherghesa dove il nostro Signore liberò i due indemoniati, e permise agli spiriti maligni di entrare nella greggia di porci. In questa Gersa o Kerza abbiamo, una posizione che soddisfa ad ogni requisito della narrazione, e con un nome così somigliante a quello in Matteo, da riuscire, per ciò stesso, valida conferma della verità di questa identificazione. È alla distanza di pochi metri dal lido, e sopra di, essa sorge a picco un'immensa montagna in cui si trovano delle tombe antiche, da qualcuna della quali possono essere usciti gl'indemoniati che vennero incontro a Gesù. Il lago è così vicino alla base della montagna, che i porci correndo all'impazzata giù pel declivio non poterono fermarsi ma dovettero precipitar nell'acqua ed annegarsi".

PASSI PARALLELI

Marco 4:35; Matteo 8:28-34; Luca 8:26-39

Mc 5:2

2. E come Gesù fu uscito della navicella,

Matteo: "Quando egli fu giunto all'altra riva"; Luca: "E quando egli fu smontato in terra". Queste espressioni indicano chiaramente che fu sull'angusta spiaggia o in prossimità di essa che Gesù incontrò l'ossesso, e siccome pare che non si movesse di li, la città, i cui abitanti uscirono ad intimargli lo sfratto, deve essersi trovata la vicinanza immediata, non già alla distanza di 16 e 20 miglia com'erano rispettivamente Gadara e Gerasa.

subito gli venne incontro dai monumenti

Dovunque, negli antichi tempi, sorgeva una città o un villaggio in Palestina, le rocce calcaree a picco delle vicinanze presentano una gran quantità di scavi artificiali, posti perfino a tale altezza dal suolo che non era possibile giungervi se non per mezzo di scale. Sono anzi queste scavazioni praticate nei fianchi delle rocce e montagne, che dànno spesso al moderno viaggiatore il primo indizio ch'egli si va avvicinando al sito d'una antica città. Erano fatte per servire di sepolture ai morti, ma in molte località i moderni fellahin le hanno convertite in abitazioni. Un notevole esempio se ne può trovare nel villaggio di Silwán (Siloam), quasi in faccia dalla piscina dello stesso nome, presso Gerusalemme, le cui abitazioni sono, per la massima parte, antiche tombe scavate nei rocciosi gioghi della valle di Giosafat. Quest'uso moderno delle tombe era ignoto ai tempi di nostro Signore, eccetto in casi isolati come il presente, in cui un furioso ossesso era fuggito lungi dall'abitato.

un uomo

Così anche Luca, ma Matteo dice: "Gli si fecero incontro due indemoniati, usciti de' monumenti". Come si spiega questa discrepanza? Matteo è il isolo dei sinottici che fosse testimonio oculare dell'avvenimento, essendo uno dei 12 Apostoli, e al suo asserto che eran due gli ossessi si ha da prestare intera fede. Marco e Luca scrissero in un'epoca posteriore a quella in cui scrisse Matteo, riferendo le cose udite probabilmente da altri testimoni oculari, nella cui memoria la guarigione di colui, che era ossesso da una legione di demoni, rimase impressa come il tratto più saliente di quel miracolo, e come

tale fu presentata, senza far menzione della presenza e guarigione d'un secondo indemoniato. Alford fa, in proposito, la seguente singolarissima asserzione: "I racconti di Marco e di Luca presentano traccie d'esser stati fatti originariamente da testimoni oculari e fors'anche da un solo e medesimo testimone. Il racconto di Matteo, è evidente che non proviene da un testimonio oculare ivi sono omesse talune delle circostanze più notevoli". La minutezza di particolari si ha dunque da riguardare come prova infallibile di testimonianza oculare? È precisamente il contrario di quello che Alford asserisce su questo soggetto, che è vero. Quanto alle sorgenti donde Marco e Luca trassero i materiali dei loro Vangeli, noi non ne sappiamo nulla fuorché per tradizione ma sappiamo di certo che Matteo fu uno dei dodici discepoli eletti che seguivano Gesù ovunque egli andava, e furono da esso nominati all'uffizio apostolico, precisamente perché rendessero testimonianza di tutto quello che egli fece. Una prova somigliante dell'accuratezza di Matteo, il abbiamo in questo, che egli nomina due ciechi ai quali Gesù rese la vista a Gerico Matteo 20:80; mentre Marco e Luca non parlano che di Bartimeo, senza dubbio perché questi fu quello dei due che maggiormente attrasse su di sé l'attenzione.

posseduto da uno spirito immondo:

Già furono menzionati parecchi casi di possessione demoniaca; ma questo, più tremendo degli altri nelle sue circostanze, è prescelto da tutti i sinottici, per raccontarlo in modo molto particolareggiato. Questa malattia, la più terribile a cui il peccato abbia assoggettato l'uomo, prevaleva segnatamente durante la prima età del vangelo. Lo stato non solo del popolo giudeo, ma di tutto il mondo, specialmente del mondo incivilito, era tale, quando "Dio mandò il suo Figliuolo", ben possiamo credere che Satana avesse allora raggiunto il più alto grado della sua potenza usurpata sull'uomo decaduto, e che se fosse stato molto più a lungo indugiata la venuta del Salvatore, il genere umano avrebbe dovuto perire nella propria corruzione. Grande mistero circonda necessariamente la natura del possesso demoniaco: ma ciò, in niuna guisa, pregiudica alla realtà di esso come è chiaramente registrata nei Vangeli. Il tentativo che fu fatto sovente di spiegare questi come casi ordinarii d'insania, epilessia ed altre malattie che fossero dai Giudei superstiziosamente ascritte agli spiriti maligni è vano del tutto. Se i Vangeli

sono veraci, questi casi di possessione diabolica furono reali. L'ossesso era uno il cui essere era stranamente compenetrato da uno o più di quegli spiriti decaduti, che (sotto il nome di demoni, spiriti malvagi, spiriti immondi) le Scritture asseriscono, costantemente, essere i nemici e i tentatori delle anime degli uomini. Egli stava in una posizione totalmente diversa da quella dell'empio che è moralmente al potere di Satana. Pare che in lui vi fosse una doppia volontà e una doppia consapevolezza; lo spirito crudele pensando talora e parlando in lui, e tal'altra volta il suo misero oppresso personale implorando aiuto dal Salvatore degli uomini. Come può immaginarsi che una cagione così terribile di perturbazione come, quella della presenza invaditrice di uno spirito, per così dire, parasitico, depravato, e crudele, potesse esistere, senza che il corpo non meno che l'animo ne fossero proporzionatamente disordinati? Oltreché, si è congetturato, non senza probabilità, che un corso precedente di sensualità e di peccato, indebolendo il corpo e lo spirito, potessero aver preparata la via a questa tremenda calamità. Questo possedimento pare che agisse direttamente sul corpo, cioè ad cervello e sul sistema nervoso, e per mezzo di essi, sull'animo, lo spirito maligno risiedendo nel corpo che aveva invaso, in quella guisa appunto (qualunque poi questa sia) in cui il nostro spirito abita nei nostri corpi. Pare questa la maniera più filosofica di spiegare il modo del possesso demoniaco. Altri tuttavia sostengono che gli spiriti malvagi agissero direttamente sull'anima, e, per mezzo di essa, sul corpo. Queste d'altronde non sono se non congetture, intorno al modus quo, e non hanno a che fare col fatto stesso, il quale poggia sulle più esplicite attestazioni degli Evangeli.

PASSI PARALLELI

Isaia 65:4; Luca 8:27

Marco 5:8; 1:23,26; 3:30; 7:25; Luca 9:42

Mc 5:3

3. Il quale avea la sua dimora tra i monumenti; e niuno potea tenerlo attaccato, non pur con catene. 4. Perciocché spesso era stato attaccato con ceppi, e con catene; e le catene eran da lui stesso state rotte, e i ceppi spezzati; e niuno potea domarlo.

Un medico italiano (citato da Trench. Note su i Miracoli, p. 167) parlando della mania o pazzia furiosa, descrive così lo stato del paziente: "Malgrado gli sforzi costanti dell'animo e del corpo, la forza muscolare dell'infermo sembra crescere ogni giorno, ed egli giunge a rompere i più forti legami, e perfino le catena".

PASSI PARALLELI

Marco 5:9,18-22; Isaia 65:4; Daniele 4:32-33; Luca 8:29

Giacomo 3:7-8

Mc 5:5

5. E del continuo, notte e giorno, fra i monumenti, e su per li monti, andava gridando, e picchiandosi (tagliandosi) con pietre.

Il ritratto fatto da Marco in questi versetti della miseria e degradazione di questo indemoniato è così grafico da non abbisognare di verun commento; una o due notizie estratte, a mo' di supplemento, dagli altri Evangelisti, ed è completo. Matteo dice dei due indemoniati di cui fa parola nel suo racconto, che erano "fieri oltre modo, talché niuno poteva passar per quella via". Luca, parlando di colui che era ossesso dalla legione, dice: "Il quale, già da lungo tempo, avea i demoni (caso inveterato ossia di lunga durata e quindi umanamente parlando incurabile), e non era vestito d'alcun vestimento". La propensione all'andare affatto ignudo è un notissimo caratteristico di alcune specie di pazzia. Non prima è vestito di nuovo il paziente, che fa in brandelli i vestimenti. Questo tratto non è riportato da Matteo o Marco, ma ne porge un bell'esempio di coincidenza scevra d'ogni possibile preconcetto, e spiega pienamente il significato di Marco 5:16, quando ci dice che la gente che si

era raccolta "vide l'indemoniato che sedeva ed era vestito". Infatti sì la posa che l'esser vestito, eran segni esterni del cangiamento che si era operato in lui.

PASSI PARALLELI

1Re 18:28; Giobbe 2:7-8; Giovanni 8:44

Mc 5:6

6. Ora, quando egli ebbe veduto Gesù da lungi, corse, e l'adorò. 7. E, dato un gran grido, disse:

adorò significa riverenza od omaggio reso, secondo l'usanza orientale, col prostrarsi e baciar la terra a mo' di saluto, e significa anche l'adorazione o riverenza tributata ad un essere divino. Qui è usato probabilissimamente la questo secondo senso. In questi versetti abbiamo un esempio della doppia volontà e della doppia facoltà consciente di cui si è fatto cenno più sopra, e che si riscontrano spesso in questi indemoniati. Alla vista di Gesù, pare che la parte migliore di quest'essere, misero ed ignudo, si risvegliasse in lui improvvisamente, e producesse un'emozione salutare, da cui risultò (vers. 6) uno sforzo violento onde sottrarsi all'orribile tirannia delle potenze che lo signoreggiavano. Ma non sì, tosto ebbe Gesù comandato allo spirito immondo di uscire di lui (vers. 8), che quello spirito, con un grido spaventoso, tornò ad asserire il suo potere sull'animo e sugli organi della favella della sua vittima, talché egli sembra (vers. 7) supplicare il Salvatore di non intromettersi, sebbene il linguaggio di quel versetto, procede in realtà dal tormentatore principale, che parla in nome di tutti i compagni. Quest'idea è espressa egregiamente da Olshausen: "Mosso da un presentimento d'aiuto l'infelice, appena ebbe veduto il Salvatore, gli corse incontro e prostrossi al suoi piedi. Gesù comandò allo spirito immondo di partirsi da lui, e, in un momento, la condizione sua fu il rovescio di prima". In preda ad un violento parossismo, sotto l'influenza del quale era soppressa la lui la facoltà consciente umana, prese a parlare nel carattere della potenza

diabolica e gridò: "Che c'è è tra me e te?" quantunque avesse un momento prima supplicato il Signore con sentimenti puramente umani. "Il gran grido" non vuol dire semplicemente che pronunciasse, con voce forte oltre il naturale, le parole che seguono, ma che proruppe in una di quelle strida fuor dell'umano, che sono sintomi di possessione diabolica, vedi Marco 1:26; 9:26. Ciò apparisce più chiaramente dalla frase come sta in Luca 8:28

Mc 5:7

Che vi è tra me e te, Gesù, Figliuol dell'Iddio altissimo?

Un linguaggio simile è usato dallo spirito immondo che Cristo discacciò, dopo avergli imposto silenzio Marco 1:24, soltanto che al titolo, "Figliuolo dell'Iddio Altissimo" è colà sostituito: "il Santo di Dio". Quest'ultima espressione si riferisce non tanto alla sua natura essenziale, quanto alla sua opera ed uffizio di Mediatore, laddove "Figliuol di Dio" denota comunanza di natura, ovvero identità d'essenza col Padre, dal quale deriva un tal titolo. Ciò è confermato dall'epiteto addizionale "altissimo", il quale distingue il vero Dio da tutti i falsi dei, e parrebbe usato quì per determinare la natura del Figliuolo, coll'indicare quella del Padre. Si metta a contrasto questo riconoscimento di Gesù, qual Figliuol di Dio, con la sfida provocatrice del tentatore Marco 4:88. Allora Gesù si teneva sulla difesa contro l'assalto di Satana; ora lo vediamo portar la guerra nella cittadella del regno dei diavolo, e cacciarnelo. Che vi è fra me e te, con le parola identiche usate da Gesù con sua madre, quando ella lo informò ch'era venuto a mancare il vino alle nozze di Cana di Galilea. Siccome in quella occasione furono usate ad esprimere un rimprovero, ovvero una rimostranza, pel di lei immischiarsi in cose che non erano di sua competenza, quì pure, si ha a ritenere che contengano una rimostranza, indirizzata dallo spirito maligno a Gesù, come se questi si immischiasse a torto per abbreviare un periodo di libertà che fosse stato a lui garantito. Il linguaggio dello spirito maligno, come è ricordato da Matteo, sembra confermare una tale idea: "Sei tu venuto qua per tormentarci innanzi il tempo", e nel tempo stesso suggerisce l'idea che si approssima l'ora in cui la vittoria rimarrà alla luce, e tutte le potenze delle tenebre saranno relegate nell'abisso.

Io ti scongiuro nel nome di Dio, che tu non mi tormenti.

Il verbo tormenti deriva da basanos Lat. lapis lydius, specie di pietra della Lidia, che supponevasi avesse la virtù di scoprire qual lega vi fosse nei metalli, e quindi usata ad assaggiarli. Laonde la parola venne ad indicare la tortura inflitta in giudizio, per iscoprire la verità, e quindi anche l'atto di tormentare o torturare, come la forma più severa di castigo, nel qual senso è quì usata. Il senso è questo: "Io ti scongiuro, in nome di Dio, di trattarci appunto come ci tratta Dio, cioè di non precipitare la nostra condanna ma anzi di prolungare la sospensione dell'esecuzione della sentenza, che ora godiamo". Queste parole contengono, per incidenza, una prova notevolissima che vi sarà un giudizio e che c'è un inferno. Se gli uomini non lo credono, lo credono i demoni. Ecco qui il tormentatore che prevede e paventa il tormento, e supplica d'esserne esentato almeno per ora! In Cristo essi scorgono colui che ha da consegnarli ai tormenti; sanno che il tempo è fissato e ne sentono l'angoscia come se già fosse venuto.

PASSI PARALLELI

Salmi 66:3

Salmi 72:9; Luca 4:41; Atti 16:17; Giacomo 2:19

Marco 1:24; Osea 14:8; Matteo 8:29; Luca 4:34

Marco 3:11; 14:61; Matteo 16:16; Giovanni 20:31; Atti 8:37; 16:17

1Re 22:16; Matteo 26:63; Atti 19:13

Genesi 3:15; Matteo 8:29; Luca 8:28; Romani 16:20; Ebrei 2:14; 2Pietro 2:4; 1Giovanni 3:8

Giudici 1:6; Apocalisse 12:12; 20:1-3

Mc 5:8

8. Perciocché egli gli diceva: Spirito immondo, esci di quest'uomo.

Questo verdetto, evidentemente parentetico, ci dà la ragione del discorso dei demoni al vers. precedente. Ordinariamente l'obbedienza ad un comando di questa natura era immediata, ma qui è permesso un corto indugio (secondo Olshausen, Trench, ecc.) per pietà verso l'uomo, il cui fisico era così affranto, che altrimenti sarebbe rimasto morto sul colpo, poiché il primo comando stesso gli aveva cagionato un terribile parossismo; ma più probabilmente, per manifestare con maggiore splendore il potere di Cristo, e compiere i suoi intendimenti.

PASSI PARALLELI

Marco 1:25; 9:25-26; Atti 16:18

Mc 5:9

9. E Gesù gli domandò: Qual'è il tuo nome?

Colui che sapeva tutto le cose non poteva fare una tal domanda, perché la risposta togliesse veruna ignoranza sua propria; qual fu dunque il suo movente nel farla? Alcuni suppongono che la domanda fosse indirizzata all'uomo per calmarlo e rendergli la ricordanza e consapevolezza della sua propria personalità (di cui il suo proprio nome era l'espressione esteriore), e che mirasse ad agevolarne la guarigione. Quelli che accettano questa, teoria, veggono nella risposta, una prova della ruina completa di tutto il suo essere morale e spirituale. Son c'è nulla, nella narrazione di Marco o di Luca, che indichi un passaggio così improvviso, nel discorso del Signore, dallo spirito immondo all'ossesso, e perciò noi riteniamo che quella domanda fosse diretta al demonio e che avesse per iscopo di chiarire, colla sua stessa confessione, la virulenza del potere demoniaco, da cui era signoreggiata questa vittima.

Ed esso rispose dicendo: Io ho nome Legione; perciocché siam molti.

Marco dà le ultime tre parole come parte della risposta, del demonio. Luca le aggiunge, onde spiegare il nome: "Legione, perciocché molti demoni erano entrati in lui". Si presenta naturalmente la domanda: In che senso i demoni che possedevano quest'uomo sono dessi rappresentati ora come uno ed ora come molti? La difficoltà non è relativa alle azioni dell'ossesso, la cui individualità non fu distratta da questa invasione dei demoni nella sua persona, ma sì alla espressa distinzione fatta tra lui ed uno spirito immondo Marco 5:2,8, che più tardi vien descritto come molti Marco 5:10,12-13,15. Per spiegare questa difficoltà si è detto,

1. Che le parole "lo spirito immondo" sono usate quì in senso collettivo, ma una tale applicazione è contraria all'analogia della Scrittura, e non ce n'è altro esempio nel Nuovo Testamento.

2. Che il numero singolare denota il demonio che parlava, e il plurale i suoi ausiliari ed alleati, ch'egli chiamò in suo aiuto, per entrare nei porci; ma contro questa interpretazione sta la dichiarazione positiva di Luca 8:30, che "molti demoni erano entrati in lui".

3. La spiegazione più naturale, ed anche maggiormente in armonia con la figura militare d'una legione, consiste nel dire che una pluralità di demoni fosse veramente in possesso di quell'uomo, ma che quell'uno che è chiamato "lo spirito immondo" fosse il loro superiore e comandante, e parlasse in tal sua qualità.

Per l'analogia delle Scritture, vedi Efesini 6:12; Colossesi 2:15. Una legione nell'armata romana ammontava, quando era pienamente completa, a 6000 uomini; ma quel nome è usato quì (come le parole centinaia, migliaia lo sono spesso tra noi) indefinitivamente, per denotare un numero assai grande, come riesce evidente dalla circostanza che quella banda di demoni potè impadronirai di 2000 porci, tosto che loro ne fu dato il permesso.

PASSI PARALLELI

Luca 8:30; 11:21-26

Matteo 12:45; 26:53

Mc 5:10

10. Ed esso le pregava molto che non li mandasse fuori di quella contrada.

Cioè quella dei Gadareni. Questa richiesta è in fine in fondo una ripetizione della loro preghiera "di non essere tormentati innanzi il tempo". Infatti, secondo Luca, la loro richiesta è che non comandasse loro di andar nell'abisso. abisso s'incontra nell'Apocalisse 9:1-2; 11:7; 17:8; 20:1,3, dove significa evidentemente la dimora degli spiriti maligni, = tartaro 2Pietro 2:4, gheenna. "Secondo le idee giudaiche", dice Trench, "certi paesi essendo assegnati agli spiriti maligni, come pure ai buoni, e non potendo essi oltrepassare i limiti loro imposti, l'essere mandati fuori del paese ad essi assegnati, mentre non era aperto loro l'accesso ad alcun altro, equivaleva ad esser mandati nell'abisso, solo posto che rimanesse accessibile ad essi" (Vedi Nota Matteo 12:43Matteo 12:43). Altri respingono qualsiasi riferimento alle superstizioni giudaiche, e attribuiscono tale richiesta ad un semplice desiderio di non essere disturbati nel loro possesso, o la riguardano come un astuto pretesto per potere impadronirsi dei porci e farne scempio.

PASSI PARALLELI

Marco 5:13; 3:22

Mc 5:11

11. Or quivi presso al monte le montagne era una gran greggia di porci che pasceva. 12. E tutti quei demoni lo pregavano, dicendo ("Se tu ci cacci" Matteo 8:31 Mandaci in quei porci, acciocché entriamo in essi.

I demoni si servono ancora degli organi vocali dell'uomo ossesso per comunicare con Gesù. "Mandaci" sembra una domanda perentoria, ma

implica la ricognizione del diritto che Cristo ha di disporre di essi. Gl'increduli si sono fatti beffe dell'idea dei demoni che entrano nei porci ed esercitano un'influenza sopra di essi, ma senza giuste ragioni. Siccome la natura dei porci non era intellettiva o morale, così nessuna influenza intellettuale o spirituale potè essere esercitata sopra di essi; ma il corpo, coi suoi organi e con le sue sensazioni, e l'anima animale co' suoi desideri ed appetiti, poteva subire l'azione dei demoni, appunto così agevolmente come la parte corrispondente della costituzione umana. Lo scopo di questa richiesta era senza dubbio di poter appagare la smania di far male e distruggere in generale, e più particolarmente col privare i Ghergheseni dei loro illeciti guadagni per indurare i loro cuori e così assicurare la relazione del Cristo, Vedi Marco 5:17

PASSI PARALLELI

Levitico 11:7-8; Deuteronomio 14:8; Isaia 65:4; 66:3; Matteo 8:30; Luca 8:32

Giobbe 1:10-12; 2:5 Luca 22:31-32; 2Corinzi 2:11; 1Pietro 5:8

Mc 5:13

13. E Gesù prontamente lo permise loro ("Egli disse loro: Andate" Matteo 8:32 laonde quegli spiriti immondi usciti, entraron nei porci;

Gli increduli si valgono avidamente di questo miracolo per denigrare il carattere di Gesù, e rovesciare l'autorità delle Scritture. Lo condannano come una violazione, ingiusta e senza scopo, del diritto di proprietà privata, come pure condannano, per la stessa ragione, la distruzione del fico sterile Matteo 21:18-19. Non si ha però da andar molto lontano per trovare la risposta.

1. Per quanto riguarda il carattere di questo miracolo, esso fu eminentemente misericordioso. Noi non siam del parere di quelli che suppongono fosse operato, perché necessario alla guarigione permanente

dell'indemoniato, ed affinché questi avesse una prova piena ed evidente che i suoi infernali tormentatori l'aveano abbandonato. Ma se raccordare la richiesta degli spiriti maligni aiutò, in qualunque maniera, la guarigione dell'ossesso, come molti credono; se fece che sgombrassero dal loro possesso più agevolmente, e mitigò il parossismo della loro uscita, abbiamo in questo un misericordiosissimo motivo per operare un tal miracolo. Se Iddio, nella sua misericordiosa sollecitudine per l'uman genere, ha destinati tanti animali ad essere macellati, ogni giorno, pel sostentamento dei corpi degli uomini, chi ardirà accusarlo di mostrarsi spietato se gli piace distruggerne alcuni per la salvezza o liberazione delle anime loro?

2. In risposta all'accusa di violazione della proprietà privata, noi riteniamo che il castigo dell'offesa alla religione e alla legge nazionale sia motivo adeguato di questo miracolo, come pure del procedere di nostro Signore quando rovesciò le tavole del cambia moneta ecc. nel tempio Matteo 21:12. Gherghesa e tutto il paese circostante (chiamato da Marco "la contrada dei Gadareni") erano compresi nel territorio della Giudea, ai giorni di Cristo; ma v'era, nella popolazione, una considerevole mescolanza di gentili. L'uso di qualsiasi specie di carne porcina era rigorosamente vietato ai Giudei, dalla legge levitica Levitico 11:4,7, mentre i regolamenti più recenti dei reggitori giudaici dichiaravano infame ed illegale anche il solo allevamento di porci. Se i proprietari di questi porci erano Ebrei, essi contravvenivano alla legge ed esercitavano un commercio illecito, se gentili, insultavano la religione nazionale ed esponevano i loro vicini ebrei alla tentazione, e sì nell'un caso che nell'altro, il permesso dato ai demoni era giusto, essendo un castigo inflitto ai Gadareni per la loro malvagità. Ma anche in questo caso Cristo unisce la misericordia al giudizio, togliendo loro una cosa di minor valore, per dar loro, in cambio, un bene più prezioso; senonché la durezza dei loro cuori non lasciò che sortisse il suo effetto il misericordioso intendimento di Cristo. Bisogna poi aver presente, che questo entrar dei demoni nei porci non avvenne per comando di Cristo, ma solo per sua permissione. S. Tommaso d'Aquino (citato da Trench) osserva benissimo: "Quod autem porci in mare pnecipitati sunt, non fuit operatio divini miraculi sed operatio daemonum e permissione divina" (Che poi i porci precipitassero in mare, non fu opera d'un miracolo divino, ma opera dei demoni, per permissione di Dio).

e quella greggia ma gittò per lo precipizio

La parola significa anche un'erta, e se fosse tradotta così in questo luogo (come lo è nella versione inglese), concorderebbe meglio con la topografia del lago, che non la voce precipizio. Thomson (che ha visitato accuratamente tutto il lato orientale del lago di Tiberiade) dice: Nello studiare i particolari del miracolo, fui costretto a modificare un'impressione formata in me dall'infanzia. Non c'è alcun promontorio o dirupo a picco sul lago, dal lato orientale, e nemmeno da alcun altro lato, eccetto al N. di Tiberiade. Lungo la spiaggia N. E. e quella E., la terra scende con pendio insensibile fino al livello dell'acqua. Non c'è alcun luogo da dove si possa spiccare un salto nel lago, e nemmeno è richiesto per intendere il passo del Vangelo. Ponetevi un po' al S. della moderna Chersa. Supponiamo che una gran greggia di porci stia pascolando sulla montagna che s'innalza gigantesca al disopra di essa, e che, presi da un panico improvviso, si mettano a correre all'impazzata giù per la china quasi perpendicolare, quelli di dietro urtando, cadendo, sospingendo quelli davanti. Non essendovi né tempo né spazio di rimettersi dal panico, sull'angusto terreno interposto tra la base della montagna e il lago, andranno insieme a capofitto nell'acqua e periranno in essa. Tutto è perfettamente naturale, supponendo che il fatto avvenisse proprio in questa località, come io penso che fosse veramente".

nel mare (or erano intorno a duemila),

La formola approssimativa intorno non implica incertezza, molto meno intera ignoranza del numero esatto. È usata soltanto per indicare che il numero era troppo grande per lasciar supporre che la catastrofe fosse il risultato d'alcuna cagione naturale ovvero ordinaria.

ed affogaron nel mare.

L'esser periti tutti, dal primo all'ultimo, è un'altra prova che il loro scempio fu cagionato da agenti soprannaturali. I critici in genere assumono che i demoni, di proposito deliberato, sospingessero i porci nel lago, e che avendo distrutto quest'ultimo loro rifugio, necessariamente dovessero essere consegnati all'abisso che paventavano. Ma non è detto in questo passo che i

È

demoni sospingessero la greggia nel lago. È egualmente facile ed anzi assai più naturale ad intendersi, che, contro la volontà dei demoni, i porci, sentendosi invasi dalla nuova e strana potenza, di loro proprio movimento corressero a precipizio, quelli di dietro sospingendo e cadendo a capitombolo su quelli davanti. Ned è affermato, in verun luogo, che Gesù minacciasse i demoni d'imprigionarli immediatamente nell'abisso, e che l'esecuzione di quella minaccia fosse ritardata solo finché rimanessero nei porci. Era la coscienza di ciò che meritavano, e non altro, che li facea concludere dovere esser questo lo scopo della sua apparizione. Il racconto evangelico non contiene nulla da cui si debba dedurre che non avessero altra scelta se non che i porci o l'abisso; ma le nostre cognizioni intorno ed intorno i rettori di questo secolo, e gli spiriti maligni nei luoghi celesti Efesini 6:12, è troppo limitata perché si possa dommatizzare in un senso o nell'altro.

PASSI PARALLELI

1Re 22:22; Giobbe 1:12; 2:6; Matteo 8:32; 1Pietro 3:22; Apocalisse 13:5-7; 20:7

Giovanni 8:44; Apocalisse 9:11

Mc 5:14

14. E coloro che pasturavano i porci fuggirono, e rapportaron la cosa nella città, e per i campi;

Evidentemente i poderi e i villaggi del paese circostante. Pare che la greggia si componesse di animali appartenenti a vari proprietari, abitanti in Gherghesa e nei villaggi circonvicini, e custoditi dai loro rispettivi guardiani,

e la gente uscì fuori, per vedere ciò ch'era avvenuto;

Matteo: "Ed ecco tutta la città uscì incontro a Gesù", trattando così la maggioranza della moltitudine come appartenente alla città.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:33; Luca 8:34

Mc 5:15

15. E venne a Gesù, e vide l'indemoniato che sedeva, ed era vestito;

Presentava questi un doppio contrasto con quel che era prima. Il movimento irrequieto del corpo, risultante dalla frenesia interna, avea fatto luogo al riposo, e gli abiti, dei quali la compassione dei discepoli avea coperta la sua nudità, non eran più lacerati in brandelli.

e colui che avea avuta la legione essere in buon senno,

Egli godeva ora perfetta sanità di mente, non solo in opposizione ad ogni maniera d'insania, ma nel più nobile di tutti i sensi, cioè avendo il cuore rinnovato dallo Spirito Santo.

e temette.

Questa prima impressione, prodotta sopra di essi, da quanto vedevano, non si vuol confondere col terrore egoista che tosto le succedette. Era un timore sacro, arcano; era quella specie di terrore religioso che nasce anche nel cuore degli empii, di fronte ad una qualche dimostrazione straordinaria di una potenza sovrumana od alla presenza di esseri superiori.

PASSI PARALLELI

Marco 5:4; Isaia 49:24-25; Matteo 9:33; 12:29; Luca 8:35-36; 10:39; Colossesi 1:13

1Samuele 6:20-21; 16:4; 1Cronache 13:12; 15:13; Giobbe 13:11; Salmi 14:5; 2Timoteo 1:7

Mc 5:16

16. E coloro che avean veduta la cosa raccontaron loro come era avvenuto all'indemoniato, e il fatto de' porci.

Questi narratori possono essere stati altri abitanti di Gherghesa che si trovavano in vicinanza del luogo, quando avvenne il miracolo; ma più probabilmente i guardiani stessi che erano ritornati coi loro padroni, ed ora, sul luogo, entrarono in una descrizione più particolareggiata di quanto era seguito, prima all'indemoniato e poscia ai porci. I Ghergheseni ebbero così la doppia testimonianza dei guardiani e dei loro propri sensi in conferma di un così lampante miracolo.

Mc 5:17

17. Ed essi presero a pregarlo che se ne andasse dai lor confini.

Come si fecero a considerare il miracolo nei suoi rapporti con loro stessi, il terrore sacro, solenne, che dapprima esso avea risvegliato in loro, si andò gradatamente cangiando in timore che altri miracoli di Gesù li assoggettassero a nuovi danni materiali. Sapevano probabilmente che il Signore, se l'avesse voluto, non avrebbe dovuto andar lontano per trovare altre gregge dei porci, o altre specie di proprietà o di traffico, egualmente proibite dalle leggi levitiche. Or queste sostanze materiali eran decisi a conservarle ad ogni costo, e per riuscire nel loro intento non trovarono mezzi migliori che di indurlo a dipartirsi dalla loro contrada. Girolamo, Calvino ed altri vanno interamente errati nel supporre che questa preghiera dei Ghergheseni avesse origine da umiltà, risvegliata da un sacro timore, e che per conseguenza presenti affinità con lo spirito della preghiera di Pietro, dopo la prima pesca miracolosa: "Signore, dipartiti da me; perciocché io son uomo peccatore" Luca 5:8. Era invece la potenza dell'avarizia e dell'egoismo che la inspirava. Né questa preghiera fu presentata solamente dai proprietari

dei porci perduti, ma, secondo Luca, da "tutta la moltitudine del paese circonvicino de' Gadareni". Giudei e gentili si unirono per respingere il Signore dei cieli e della terra. Essi non fecero il minimo conto dei beni che nostro Signore avea fatto al miserabile indemoniato, né di quello che avrebbe potuto fare ad altri miseri, con la sua potenza miracolosa; preferirono i loro beni materiali al Salvatore d'Israele e a quanto ei potesse largire. I demoni eran così riusciti purtroppo a sollevare i cuori dei Ghergheseni contro a Cristo; e lo stesso appello all'avarizia e all'interesse egoistico è un argomento col quale Satana riesce, in tutti i tempi, a suscitare l'inimicizia dei malvagi contro il vangelo.

PASSI PARALLELI

Marco 5:7; 1:24; Genesi 26:16; Deuteronomio 5:25; 1Re 17:18; Giobbe 21:14-15; Matteo 8:34; Luca 5:8

Luca 8:37; Atti 16:39

Mc 5:18

18. E, come egli fu entrato nella navicella,

La preghiera profferita dai Ghergheseni fu forse la più malvagia la più insensata che registri la storia; ma Gesù, in giusto giudizio, li prese in parola e si dipartì da loro. Così rimasero senza guarigione i loro malati, in preda alla morte i morenti, senza conforto gli orbati dei loro cari, nelle tenebre e nel silenzio i ciechi e i muti, ed egli andossene là dove era aspettato e desiderato.

colui ch'era stato indemoniato lo pregava di poter stare con lui.

Questa richiesta era probabilmente inspirata dal desiderio di trovarsi presso Gesù, il suo gran liberatore, in caso che avesse a riprenderlo il terribile suo male, e dal timore d'essere maltrattato dai Gadareni, come causa innocente

della loro disgrazia; ma soprattutto dalla profonda gratitudine e dall'affetto verso il Salvatore, ond'era pieno il cuor suo rigenerato.

PASSI PARALLELI

Marco 5:7,17; Salmi 116:12; Luca 8:38-39; 17:15-17; 23:42-43; Filippesi 1:23-24

Mc 5:19

19. Ma Gesù non glielo permise; anzi gli disse: Va, a casa tua a' tuoi, e racconta loro quante gran cose Il Signore ti ha fatte, e come egli ha avuto pietà di te.

Pietro bramava ardentemente di rimanere sulla montagna della trasfigurazione, ma il Signore volea chiamarlo ad adempiere doveri più severi e più difficili; per lo stesso motivo non volle accondiscendere alla richiesta dell'Indemoniato, che avea pur ora guarito. Il Signore voleva affidargli un'opera in quella parte del paese alla quale egli apparteneva, e lo manda tra quegli avari Gadareni e Ghergheseni, che gli chiedevano di partirsi dai loro confini. Sebbene essi fossero per anco incapaci e indegni di ricevere il Salvatore, ei non volea però lasciarsi senza testimonio tra loro. Manifestando ovunque la bontà e la potenza del Signore, quale egli stesso ne avea fatta esperienza, l'indemoniato doveva essere per loro una prova vivente che Gesù, se l'avessero lasciato fare, li avrebbe sanati anch'essi; che anzi era ancora pronto a sanarli di tutte le malattie delle anime loro. Cristo gli comanda di andare in prima a casa sua, e di cominciar l'opera della evangelizzazione tra gli stesi suoi più stretti congiunti: Fu per ricondurre la gioia e l'allegrezza in quei cuori desolati, che il misericordioso Gesù lo rimandò a casa, affinché la sua testimonianza pel Cristo incominciasse nella propria famiglia, e poscia andasse stendendosi a mano a mano, che se ne presentasse l'occasione. Il comandamento dato a quest'uomo di parlare qual testimonio pel Cristo, laddove, invece, a quelli su cui erano stati operati miracoli, era solitamente ingiunto il silenzio, il Lange lo considera come

una prova che Gesù non intendesse ritornare al paese dei Gadareni. Non c'è detto infatti, in parole espresse, che Gesù facesse un'altra visita a Gherghesa né a Gadara, e la illazione, che generalmente se ne trae, si è che non ritornasse più da quelle parti. Ma questo è un errore, imperocché troviamo che Gesù, quando egli recossi per l'ultima volta a Gerusalemme, passò nella Perea (di cui Gadara era la capitale), e vi rimase per uno spazio di tempo considerevole, predicando e facendo miracoli Marco 10: l; Vedi nota Matteo 19:1Matteo 19:1.

PASSI PARALLELI

Salmi 66:16; Isaia 38:9-20; Daniele 4:1-3,37; 6:25-27; Giona 2:1-10; Giovanni 4:29

Atti 22:1-21; 26:4-29

Mc 5:20

20. Ed egli andò, e prese a predicare in Decapoli (vedi nota Matteo 4:25Matteo 4:25) quante gran cose Gesù gli avea fatte. E tutti si maravigliavano

Come mirabilmente son qui applicabili le parole di Paolo: "Iddio ha scelte le cose ignobili del mondo, e le cose spregevoli, e le cose che non sono, per ridurre al niente quelle che sono" 1Corinzi 1:28. Questo infelicissimo uomo, oggetto di pietà, di terrore, di abborrimento, divenne, per la grazia divina, la persona più interamente e più utile in tutto il paese, e possiamo anche credere che per mezzo suo, alcuni dei Gadareni fossero indotti a qualche cosa di più del maravigliarsi, e che si preparane così un'accoglienza più favorevole per Gesù, quando, indi a qualche tempo, visitò di nuovo quelle regioni.

PASSI PARALLELI

Marco 7:31; Matteo 4:25

RIFLESSIONI

1. Stiamo in guardia contro uno spirito di scetticismo e d'incredulità per riguardo a quanto ci è rivelato intorno a Satana ed ai suoi emissari. Molti professano scetticismo intorno a questo argomento, perché non vogliono confessare, nemmeno a sé stessi, fino a qual punto si trovino sotto il potere del mondo maligno; ma queste cose son rivelate così chiaramente che non è possibile negarle, senza rigettare intieramente la rivelazione divina. La dottrina d'un essere personale, chiamato Satana o il Diavolo, di altri spiriti malvagi sottoposti a liti, e delle influenze che essi esercitano sopra gli uomini, è insegnata ovunque nelle Scritture; ma i modi in cui si esercita la loro azione, e più specialmente i casi di possesso satanico registrati nel Nuovo Testamento, son pieni certamente di profondo mistero. Noi possiamo intendere la ragione per cui, a Satana e ai suoi emissari, fu concesso un tal potere al tempo di Gesù. Era quello un periodo di ributtante malvagità; il Signore stesso lo chiama "l'ora della potenza delle tenebre". L'intiero esercito dei demoni era schierato in battaglia contro nostro Signore, il quale stava riportando una vittoria non solo pel tempo d'allora, ma per tutti i tempi. Era dunque della maggiore importanza, affinché i suoi lo ricevessero qual "Signore sopra tutti", che fossero manifestate pubblicamente e la sua potenza e la sua vittoria sul maligno. Ma, al di là di questo, il mistero ci resta impenetrabile. Sarebbe tuttavia un giudizio temerario l'asserire, come si fa generalmente, che tale possesso satanico fosse interamente limitato al tempo del Salvatore. È opinione di molti medici eminenti, che lo si riscontri talvolta anche al giorno d'oggi, e che alcuni casi che si presentano nei manicomi, ne non sono veramente casi di possesso satanico, vi si accostano almeno moltissimo. Ma checché ne sia di quel che riguarda il possesso corporale, è certissimo che Satana esercita continuamente un potere terribile sui cuori e sulle anime di molti, ed è una prova di siffatto potere, ch'egli persuade gli uomini, a non farne caso. Egli sospinge tuttora molti di coloro sui cuori dei quali signoreggia, ad abitudini disonoranti per loro stessi, spingendoli d'uno in altro vizio, d'una in altra dissolutezza, finché, allontanandosi sempre più dalla società costumata ed onesta, e

dall'influenza, degli amici rispettabili, s'immergono nei più bassi fondi della malvagità, e divengono inutili alle loro famiglie, alla Chiesa ed al mondo. Dio solo può portare un rimedio efficace per quelli che sono caduti in sì terribile stato; ai loro parenti ed amici non rimane altro a fare che pregare fervorosamente per loro. Satana signoreggia "tutti i figliuoli della disubbidienza". Signoreggia egli tuttora nei nostri cuori, ovvero abbiam noi, per grazia di Dio, spezzato le sue catene? Gli resistiamo noi e lo poniamo noi in fuga? Abbiamo noi rinunciato a tutte le sue opere e "indossata tutta l'armatura di Dio", per resistere al suoi inganni?

2. Rallegriamoci nella potenza assoluta di Cristo sopra Satana. "È apparito il Figliuol di Dio, acciocché disfaccia l'opere del diavolo" 1Giovanni 3:8. La liberazione dell'indemoniato di Gadara, da cui Cristo cacciò una legione di demoni, è una consolantissima assicurazione per tutti i veri cristiani. Il sentire che abbiamo, del continuo, presso di noi un nemico spirituale invisibile, che cerca, notte e giorno di trarci a perdizione, sarebbe abbastanza per distruggere ogni speranza nei nostri cuori, se non sapessimo che abbiamo un amico e protettore che può e vuole difenderci da tutte le tentazioni di Satana. Se siamo veramente uniti a Cristo, Satana può ben darci noia, ma non farci realmente del male; può ben "ferirci il calcagno" Genesi 3:15, ma non trarre a perdizione le anime nostre. Ricordiamoci delle parole dette dal Signore a Pietro, in un tempo, in cui Satana usava tutta la sua astuzia, per far cadere quel discepolo: "Simone, Simone, ecco, Satana ha richiesto di vagliarvi, come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, acciocché la tua fede non venga meno" Luca 22:31-32; e rallegriamoci sapendo che il grande intercessore offre ancora la stessa preghiera a prò di tutti i suoi redenti, davanti al trono del Padre suo.

3. Osserviamo il contrasto tra le due richieste fatte a Cristo. Gli uomini che altro non videro che il suo potere, furono spaventati, e lo pregarono di dipartirsi da essi; ma il povero indemoniato, che provò anche la sua bontà supplicava che gli fosse lecito di rimanere con Cristo. La vista sola della potenza divina ci respinge lontano da Dio; l'esperienza della sua potenza e del suo amore insieme uniti ci attira presso di lui. Non è cosa insolita tra gli uomini del nostro tempo, l'amare siffattamente il mondo che, piuttosto di rinunziare ai suoi illeciti guadagni, dicono a Cristo di andarsene, ben

sapendo di non poter ritenere entrambi. L'impiego più vile, i peccati più infami, i vizi più schifosi sovente si amano più della presenza di Gesù, e di tutti i beni della sua salute. D'altra parte, si riconoscono quelli che sono nati di nuovo, dal loro ardente desiderio di sentir sempre la presenza di Cristo con sé, e di vivere in comunione continua con lui; sicché essi reputano grave prova il dover piangere, anche per breve tempo, la sua assenza.

4. Come Cristo prese in parola questi disgraziati Gadareni, quando lo supplicarono di partirsi dai loro confini, così è da, temersi che faccia ancora con non pochi, i quali, quando egli viene ad essi nella sua misericordia, gli intimano di partire. Badiamo di non respingerlo, neppure quando egli ci visita colla verga a motivo dei nostri peccati.

5. Il Signore conosce meglio di noi la posizione più adatta a ciascuno dei suoi figli, per ch'ei sia utile e glorifichi Iddio. Il posto in cui i cristiani vorrebbero trovarsi, non è sempre per loro il migliore, ed essi sono spesso affatto incompetenti a giudicare di ciò che è veramente pel loro meglio. Quel posto, quella condizione son per noi più convenevoli, che meglio esercitano la nostra umiltà, e ci inducono a vivere "per fede e non per aspetto". Può darsi che non sia precisamente quello che avremmo prescelto, ma se Cristo, nella sua provvidenza, vi ci ha collocati, non dobbiamo affrettarci ad allontanarcene 1Corinzi 7:24. Il punto importante è di non avere volontà nostra propria, e di trovarci dove Cristo vuole che siamo. Può ben dubitarsi se i cristiani, talora, non agiscano da sconsigliati, nel rinunziare ad una carriera secolare, nella quale esercitano una buona influenza, per entrare nel ministerio dell'evangelo, tosto che sono stati convertiti. Sembra che talvolta si dimentichi che la sola conversione non conferisce le qualità richieste per ammaestrare gli altri. Si può dar gloria a Dio in una vocazione secolare del pari che nel sacro ministerio.

Mc 5:21

Marco 5:21-43. GUARIGIONE DELLA DONNA AFFLITTA DA FLUSSO DI SANGUE. RISUSCITAMENTO DELLA FIGLIA DI IARIO Matteo 9:18-26; Luca 8:40-56

21. Ed essendo Gesù di nuovo passato all'altra riva, in su la navicella,

Matteo aggiunge: "Venne nella sua città", cioè in Capernaum,

una gran moltitudine mi raunò appresso di lui; ed egli se ne stava presso del mare.

Da uno studio diligente della narrazione dei sinottici, risulta che nostro Signore arrivò da Capernaum in vicinanza di Gherghesa sull'albeggiare, e vi rimase solo poche ore, sicché il suo ritorno a Capernaum nelle prime ore del pomeriggio del giorno dopo la partenza da esso. La moltitudine, che i discepoli avean durato fatica a rimandare, quando egli partì Marco 4:36, ne aspettava ansiosamente il ritorno Luca 8:40, e gli fu intorno tosto che scese in terra.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:1; Luca 8:40

Mc 5:22

Richiesta di Iario Marco 5:22-24

22. Ed ecco,

Secondo i racconti di Marco e di Luca, parrebbe che Iairo venisse a Gesù quasi subito dopo che questi fu sbarcato, e mentre era ancora presso il lido. Senonché Matteo, il quale risiedeva in Capernaum, ed ebbe inoltre un interesse speciale negli avvenimenti di quel giorno, li presenta nel seguente ordine cronologico: primo, la guarigione del paralitico che fu calato pel tetto nel suo letticciuolo, poi la vocazione di Matteo o Levi all'Apostolato, quindi il festino che fu dato in sua casa ai pubblicani suoi compagni, festino a cui

nostro Signore fu presente, e dove Iairo trovollo. In tali circostanze è impossibile dubitare dell'esattezza della esposizione di Matteo Non è però motivo di accusare Marco e Luca di inesattezze o di errori imperocché non solo è vero che nessuno degli Evangelisti professò di scriver racconti rigorosamente cronologici intorno alla vita di Gesù, ma l'intergezione ecco, premessa da entrambi al racconto di questo doppio miracolo, è precisamente quella che usano generalmente per denotare interruzione nel seguito delle loro narrazioni, Vedi nota Matteo 9:18Matteo 9:18.

un de' capi della sinagoga, chiamato per nome Iario, venne

Il nome in Greco è Iaeiros. Egli era probabilmente un discendente dell'antica famiglia gileadita di tal nome Numeri 32:41; Giudici 10:8. Era questi uno degli capi della sinagoga, cioè uno degli anziani ereditari degli Ebrei, le cui funzioni erano di mantenere la disciplina religiosa e di presiedere al culto, nei distretti in cui vivevano. Le sinagoghe erano rette da un consiglio di anziani o presbiteri, con un presidente; i quali tutti portavano il titolo di rabbini. Nei piccoli villaggi o nelle città straniere, ove non risiedevano che pochi Ebrei, una sinagoga era spesso sotto la soprintendenza di un solo rabbino. Siccome, sotto la dispensazione giudaica, chiesa e stato erano identici, questi anziani o rettori erano non solamente uffiziali ecclesiastici, ma anche magistrati, preposti agli affari della comunità giudaica, i quali avevano autorità di infliggere punizioni, condannando a multe, sferzate ecc. Matteo 10:17; 23:34

e, vedutele, gli si gittò ai piedi,

La sua venuta è una prova della sua fede nella potenza, sanatrice di Cristo, ma il gettarsi ai piedi di Cristo non si deve considerare come un atto di adorazione o culto religioso propriamente detto. È semplicemente un atto di omaggio, e l'espressione naturale di una supplicazione fervente.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:18-19; Luca 8:41-42

Luca 13:14; Atti 13:15; 18:8,17

Marco 5:33; Matteo 2:11; Luca 5:8; 8:28; Atti 10:25-26; Apocalisse 22:8

Mc 5:23

23. E le pregava molto instantaneamente

Egli pregava come colui che non vuol cessare d'importunare, finché non sia esaudito, insistendo sulla desolazione a cui sarebbe ridotta la sua casa, s'egli venisse a perdere la sua unica figliuola, e sulla compassione che Gesù avea già mostrata ad altri, che si trovavano nell'afflizione. In tal guisa egli dava una prova evidentissima dell'affetto suo profondo per la figliuola, e della sua fede nella potenza di Cristo a sanare anche le più gravi malattie. E infatti Gesù avea già sanato miracolosamente in Capernaum due persone, per l'intercessione di quelli che più di tutti s'interessavano per esse, il figlio cioè dell'uffiziale di Erode Giovanni 4:46, e il servitore del centurione romano Luca 7:2; ma, secondo il Lange, queste guarigioni, sebbene dovessero esser note a Iairo, non fecero alcuna impressione sopra di lui, finché la sua propria necessità non gliele fece tornare in mente, incoraggiandolo a seguir l'esempio dell'ufficiale reale e del centurione. Il Trench, d'altra parte, opina che Iario probabilmente facesse parte della deputazione che venne a Gesù intercedendo in favore del centurione gentile. Naturalmente l'una e l'altra non sono che congetture, ma noi propendiamo per quest'ultima. Se, in una precedente occasione, egli aveva acconsentito, in onore d'uno straniero, a far parte di una deputazione onde implorare da Gesù una guarigione miracolosa, la quale venne accordata, ciò spiegherebbe benissimo ch'egli tornasse, con tale importunità, al Signore, quando la propria famiglia fu colpita da una calamità consimile,

dicendo a la mia figliolina,

Luca: "una figliuola unica, d'età intorno a dodici anni".

è all'estremo;

Matteo: "è pur ora trapassata". La differenza tra queste due maniere d'esprimersi non è difficile a conciliare. Ei la lasciò presso all'ultimo respiro, e non sapeva se dovesse dirla viva o morta; sapeva solo che quando si partì da lei, la vita la abbandonava con tale rapidità che difficilmente poteva essere ancor viva in quel momento; tuttavia non avendo notizia certa della sua morte, stava perplesso se dovesse parlar di essa come di persona vivente o di persona già trapassata, e così in un momento si espresse in un modo e nel susseguente in un altro. Ed anzi ci stupisce che una circostanza di questo genere, così naturale, così propria a dimostrare la realtà dei fatti ricordati negli Evangeli, abbia fornito argomento a taluni per trovare una contraddizione tra l'un Vangelo e l'altro.

deh! vieni, e metti le mani sopra lei, acciocché sia salvata, ed ella viverà.

Quest'uomo presenta uno strano miscuglio di fede e d'incredulità. Gli antichi profeti mettevano le mani sopra quelli ch'essi guarivano, né egli sa concepire come possa altrimenti operarsi una guarigione; perciò egli specifica la sua domanda, supplicando il Signore di accompagnarlo a casa, e di mettere le mani sulla sua figliuola. Per questo riguarda la sua fede era inferiore a quella del centurione pagano; egli non potea dire con lui: "Comanda sola una parola". Perciò pure non potè dare ad altri che a se stesso la colpa della dolorosa ansietà che ebbe a provare, quando il Signore si lasciò trattener sulla via.

PASSI PARALLELI

Marco 7:25-27; 9:21-22; 2Samuele 12:15-16; Salmi 50:15; 107:19; Luca 4:38; 7:2-3,12

Giovanni 4:46-47; 11:3

Marco 6:5-6,13; 16:18; 2Re 5:11; Matteo 8:3; Luca 4:40; 13:13; Atti 28:8

Giacomo 5:14-15

Mc 5:24

24. Ed egli se ne andò con lui; e gran moltitudine lo seguitava, e l'affollava.

Senza esitare un momento, il Signore si arrende alla sua richiesta, con che ci dà una nuova prova della sua compassione verso gli afflitti. Matteo fa menzione soltanto dei discepoli che accompagnarono Gesù, ma gli altri Evangelisti notano anche una moltitudine di gente che non tardò a farsi loro attorno, e, affollandoli, a ritardare il cammino.

PASSI PARALLELI

Luca 7:6; Atti 10:38

Marco 5:31; 3:9-10,20 Luca 8:42,45; 12:1; 19:3

Mc 5:25

La donna afflitta da fiuto di sangue Marco 5:25-34

25. Or una donna, che avea un flusso di sangue già da dodici anni;

Il nome stesso della malattia basta da solo a fare intendere quanta debolezza e quanti patimenti ne dovessero venire a quella meschina, pel corso di dodici anni, e quali rovinosi effetti dovesse risentirne nella salute. È anzi una cosa da farne le maraviglie che, debole e sfinita come doveva essere, abbia potuto condursi fino a Gesù in mezzo a tanta folla. Ma la continuazione di questa malattia era produttiva di conseguenze ancor più penose, essendo d'essa una causa diretta di divorzio, e rendendola, secondo la legge cerimoniale;

immonda, sicché rimaneva esclusa dal culto della sinagoga, e da ogni pubblica radunanza Levitico 15:19

PASSI PARALLELI

Matteo 9:20-22; Luca 8:43-44

Levitico 15:19-20,25-27

Luca 13:11; Giovanni 5:5-6; Atti 4:22; 9:33-34

Mc 5:26

26. avea sofferte molte cose da molti medici, e avea speso tutto il suo, senza alcun giovamento, anzi più tosto era peggiorata;

Avea avuto ricorso a tutti i medici che la era stato possibile consultare, ma la cura non avea fatto altro che aggravare la malattia, mentre la spesa l'avea ridotta dall'agiatezza alla miseria, sicché, considerato sotto qualunque aspetto, il caso di lei era veramente tale da far pietà.

PASSI PARALLELI

Giobbe 13:4; Geremia 8:22; 30:12-13; 51:8

Salmi 108:12

Mc 5:27

27. Avendo udito parlar di Gesù,

I suoi vicini le avevano raccontato quali guarigioni meravigliose Gesù avesse operate, sì in Capernaum che in altra parti della Galilea, e secondo ogni probabilità l'aveano persuasa di ricorrere anch'essa, a lui, ond'esser

guarita, e siccome l'occasione presente pareva prometterle di poter passare inosservata, ella si decise a seguire i loro consigli.

venne di dietro, nella turba, e toccò il suo vestimento;

Vedi Nota Matteo 23:6Matteo 23:6 e Luca: "Il lembo della veste". La frangia turchina che trovavasi sugli orli della veste, vi era posta per comando divino Numeri 15:37-41, per ricordare agli Israeliti che essi erano il popolo di Dio, e alcuni scrittori s'immaginano che la donna toccasse il lembo della veste di Cristo, perché credeva che quello possedesse una virtù speciale, come più sacro del resto del vestimento. Le parole stesse della donna, nel seguente versetto, contengono una sufficiente risposta a tale supplicazione, mostrando chiaramente ch'ella non dava maggiore importanza all'una che all'altra parte dei vestimenti di Gesù; sol che potesse accostarsegli abbastanza da poterne toccare una parte qualunque, era convinta che sarebbe stata guarita.

PASSI PARALLELI

Marco 6:56; 2Re 13:21; Matteo 14:36; Atti 5:15; 19:12

Mc 5:28

28. (Perciocché diceva: Se sol tocco i suoi vestimenti, sarò salva);

Non dobbiamo trattenerci ad indagare se questa povera donna s'immaginasse o meno, che si diffondesse involontariamente da Gesù una certa influenza magica, con la quale ella dovesse mettersi in rapporto; ci basti il sapere che, mentre essa da un lato, aveva una ferma fede nella potenza di Cristo a sanarla, dall'altro, credeva che ciò dovesse avvenire per mezzo di contatto personale col gran Medico, e che prescelse questa maniera di accostarsi a lui, perché la modestia naturale la facea rifuggire dall'esporre la natura del suo male davanti alla moltitudine. Alcuni suppongono che vi fosse un'altra ragione perché quella donna cercasse di toccare così furtivamente, il lembo soltanto del suo vestimento, cioè che

essendo immonda, secondo la legge cerimoniale, sapesse che, altrimenti facendo, avrebbe ridotto Gesù Cristo nella stessa sua condizione legale. Ma se si consideri quante persone essa dovette rendere, per contatto, immonde, essendo spinta e risospinta dalla moltitudine, non può darsi alcun peso a tale supposizione. Per lo contrario, nella fede che la condusse a Gesù c'era un istinto, il quale le diceva, che ne il solo toccarlo valeva a liberarla dalla malattia che la rendeva immonda davanti alla legge, era impossibile di comunicare a lui quell'immondezza cerimoniale, poiché colui che potea sanarla in modo così maraviglioso, dev'essere al di sopra di siffatte leggi.

Mc 5:29

29. E in quello stante il flusso del suo sangue si stagnò; ed ella si avvide nel suo corpo ch'ella era guarita

Non solamente provò un sollievo temporaneo, come risultato istantaneo di quel contatto, ma conobbe, dalle sensazioni sue corporali, che era guarita radicalmente del suo male.

di quel flagello.

così chiamato, perché la malattia deve sempre considerarsi come flagello di Dio; non sempre, è vero, a castigo di peccati individuali, ma pur sempre in punizione del peccato che l'individuo ha in comune con la razza.

PASSI PARALLELI

Esodo 15:26; Giobbe 33:24-25; Salmi 30:2; 103:3; 107:20; 147:3

Levitico 20:18

Marco 5:34; 3:10; 1Re 8:37; Luca 7:21

Mc 5:30

30. E subito Gesù, conoscendo in sé stesso la virtù ch'era proceduta da lui,

non già involontariamente, ma con sua piena scienza e consentimento,

rivoltosi nella turba, disse: Chi mi ha toccati i vestimenti?

Questa domanda non implica, da parte di Cristo, ignoranza della persona, come il seguito lo dimostra chiarissimamente; ma, con essa, proponeva di aiutare la fede della donna, togliendo ogni idea d'influenza magica che potesse avere relativamente alla di lei guarigione, e d'impartirle un bene più prezioso della ricuperata salute del corpo. L'accusa di dissimulazione, mossa a nostro Signore, per aver fatta una tale domanda, mentre sapeva già benissimo chi lo avea toccato, è troppo puerile per meritare seria confutazione. Se un padre o un maestro desidera d'indurre un fanciullo a confessare una colpa o brama dargli pubblica lode per qualche virtuosa azione, davanti ai suoi fratelli o condiscepoli, che v'ha di più naturale della domanda: "Chi è stato che ha fatto questo?" sebbene sappia già benissimo chi sia stato? A chi, se non forse ad un maligno, verrebbe in mente di accusare per ciò di dissimulazione quel padre o quel maestro? Veggansi dei notevolissimi esempi di, tal modo di procedere nella domanda di Dio a Caino Genesi 4:9; ed in quella di Eliseo a Gehazi 2Re 5:25-26

PASSI PARALLELI

Luca 6:19; 8:46; 1Pietro 2:9

Mc 5:31

31. E i suoi discepoli gli dissero:

Luca: "E negandolo tutti, Pietro e coloro ch'erano con lui dissero:"

"Tu vedi la turba che ti affolla, e dici: Chi mi ha toccato?"

I discepoli, con Pietro alla testa, si azzardano a far quella rimostranza al maestro, come se, in tali circostanze la domanda sua fosse assurda o almeno come se non fosse possibile il darvi una risposta. E così appunto avrebbe potuto considerarsi, se l'avesse fatta qualunque altro, avuto riguardo alla grandissima moltitudine e al leggerissimo contatto; ma i discepoli dovevano ormai sapere che il loro maestro non avrebbe fatta una tale domanda senza uno scopo, il perché egli conosceva tutti, e non aveva bisogno che alcuno gli testimoniasse dell'uomo, conciossiaché egli stesso conosceva quello ch'era nell'uomo Giovanni 2:24-25

PASSI PARALLELI

Luca 8:45; 9:12

Mc 5:32

32. Ma egli guardava pure attorno, per vedere colei che avea ciò fatto

Questa espressione indica, con una precisione maravigliosa la perfetta sua conoscenza di quella che l'avea toccato. Egli teneva il viso rivolto alla moltitudine, ma gli occhi fissati sulla donna; ed ella conobbe, quantunque non fosse detta una parola, non esser più possibile alcun nascondimento.

Mc 5:33

33. E la donna, paurosa, e tremante, sapendo ciò ch'era stato fatto in lei, venne, e gli si gittò ai piedi, e gli disse tutta la verità.

Luca: "Gli dichiarò in presenza di tutto il popolo, per qual cagione l'avea toccato". Il "timore" e "tremore" con cui essa si accostò al Signore, possono attribuirsi a parecchie circostanze riunite; la debolezza fisica, la riverenza sacra che sentiva pel suo Liberatore, la paura d'aver fatto male in appigliarsi a quel modo clandestino per ottenere la guarigione, e la prova a cui fu posta la sua modestia nel dover rivelare, in pubblico, la natura della sua malattia.

Nell'accostarsi segretamente al Signore, ella manifestò certamente una fede forte, ma il suo modo di procedere non fu franco e semplice; c'era in fondo il timore degli uomini, e una falsa vergogna, e questi riguardi le conveniva vincerli. Senza indirizzarle la parola, Gesù la induce a farsi innanzi spontaneamente, e a superare la falsa vergogna che, in sul primo, l'avea trattenuta dall'esporre apertamente il caso suo miserevolissimo al Signore. Se la sua prova ora difficile, la grazia del Signore la sostenne e la rinvigorì; e la consolante assicurazione con cui affine Gesù la congedò, ben compensava la pena per cui ebbe a passare onde ottenerla. Se la confusione che provò avesse potuto venirle risparmiata, certamente nostro Signore l'avrebbe fatto; ma il passar per quella era necessario alla di lei guarigione morale, onde potesse rinascere a nuova vita. Ma si osservi con quale benigna misericordia egli la tratta! Non già prima, ma solo dopo la guarigione, Gesù richiede dalle sue labbra una pubblica testimonianza dei fatti del suo caso, la malattia, gl'inutili espedienti a cui era ricorsa per ottenere la guarigione, e l'averla ottenuta perfetta, istantanea, col sol toccare il gran Sanatore. Questa confessione, fatta davanti a tutto il popolo, non può minimamente addursi a sostegno della dottrina della confessione auricolare, come la si pratica nella Chiesa Romana e nelle Chiese Orientali; ma è una prova calzante che Cristo vuole che i suoi lo confessino apertamente, o non si contentino di cercarlo soltanto in segreto; e che la loro vita cristiana non è già puramente e semplicemente (come molti vorrebbero chiamarla) una cosa tra Dio e loro, ma sì una buona confessione da rendersi davanti a tutto il popolo Romani 10:9-10

PASSI PARALLELI

Marco 4:41; Luca 1:12,29; 8:47

Salmi 30:2; 66:16; 103:2-5; 116:12-14

Mc 5:34

34. Ma egli le disse: Figliuola,

È

È questa l'unica occasione in cui è ricordato che nostro Signore usasse tale parola, parlando ad alcuno. Per quanto sia breve il racconto di Matteo, egli solo ci riferisce la parola "sta di buon cuore!", con cui il Signore tosto si fa a confortare la povera donna tremante, e ad acchetare la trepidazione del suo cuore.

la tua fede ti ha salvata;

Semplicemente, ben s'intende, come lo strumento che la mise in contatto con Cristo. Per sua stessa confessione, ella riconobbe, che in lui dimorava e da lui proceder dovea la virtù di farla salva (vers. 28). Trench esprime egregiamente con le seguenti parole la connessione che ebbe la sua fede con la guarigione impartita da Cristo: "L'avea guarita la sua fede, e l'avea guarita la potenza di Cristo; la sua fede (organicos), la potenza di Cristo energeticos; questa come causa efficiente, quella come condizione sine qua non". Il Salvatore viene a dirlo con quelle parole: "La tua fiducia nella mia potenza salvatrice (tuttoché difettosa pel tuo credere che fosse proprio necessario il toccarmi e ancor più per la falsa vergogna, da cui fosti tentata rubare invece di chiedere la guarigione) ti ha liberata dalla tua malattia, e questa liberazione non è che il pegno e il simbolo di una salvazione ben maggiore, operante per la fede in Colui che è venuto a salvare il suo popolo dai loro peccati".

vattene in pace, e sii guarita del tuo flagello.

Quantunque fosse guarita, nel momento stesso in cui credette, pure, il sapere che quella era una guarigione ottenuta di soppiatto, avrebbe potuto farle temere che fosse solo passeggiera e non permanente; perciò Gesù vi appone, per dir così il suo suggello reale, e la congeda con la preziosa benedizione che riposi la sua pace sopra di lei. S. Bernardo suppone erroneamente che questa donna sia figura di tutti coloro che vorrebbero fare il bene di nascosto, evitando gli umani applausi; ma Trench ha colto nel segno, additandoci il vero insegnamento da ritrarsi dalla di lei condotta, laddove dice: "Ella è piuttosto figura di quelli che vorrebbero ricevere il bene di nascosto, e senza una professione aperta della loro fede; che credono nei loro cuori, ma rifuggono dal 'confessare con la bocca' che Gesù

Cristo è il Signore, dimenticando che questo, sebbene non basti, pure è richiesto". Quantunque nessuno dei Vangeli ci dia il nome di questa donna, pure la menzognera leggenda ecclesiastica le ha assegnato quello di Veronica (nome sconosciuto tra gli Ebrei), e pretende ch'ella asciugasse il viso a Gesù, presso al Golgota, con un sudario che il papa si vanta di conservare tuttora, tra le altre reliquie, in San Pietro a Roma!

PASSI PARALLELI

Matteo 9:2,22; Luca 8:48

Marco 10:52; Luca 7:50; 8:48; 17:19; 18:42; Atti 14:9

1Samuele 1:17; 20:42; 2Re 5:19; Ecclesiaste 9:7

Mc 5:35

Risuscitamento della figlia di Iairo Marco 5:35-43

35. Mentre egli parlava ancora, vennero alcuni del capo della sinagoga, dicendo: La tua figliuola è morta; perché dai più molestia al Maestro?

Pare che questo titolo fosse divenuto quello con cui solevasi designare nostro Signore, e questo sarebbe una prova che il popolo non dimenticava mai il diritto che egli accampava, di essere riconosciuto come un "dottore venuto da Dio", diritto di cui i suoi miracoli erano le credenziali Giovanni 3:2

PASSI PARALLELI

Luca 8:49

Giovanni 5:25; 11:25

Luca 7:6-7; Giovanni 11:21,32,39

Marco 10:17; Matteo 26:18; Giovanni 11:28

Mc 5:36

36. Ma subito Gesù, udito ciò che si diceva, disse al capo della sinagoga: Non temere, credi solamente

Che prova dolorosa non deve essere stata il ritardo, occasionato dalla guarigione della povera donna, per la pazienza dell'ansioso genitore, il quale sapeva, che ogni momento perduto rendeva più che probabile che la sua figlia, prima ch'essi potessero esser giunti a casa sua, sarebbe trapassata; eppure non profferisce un lamento! Non si erano peranco rimessi in cammino, che gli fu recata la notizia fatale che la sua figliuola era morta, e che quindi non era più necessario che conducessero da lei il Maestro. A Gesù non isfuggì un tal messaggio, e sapendo quel che doveva soffrire il cuore del misero padre a quell'annunzio, si affretta a riassicurarlo con parole di grazia e di potenza che sono applicabili a tutti i tempi ed a tutte le circostanze. "Non temere, credi solamente". "Nulla è avvenuto che superi il mio potere di porvi riparo, sol che tu continui a confidare in me". Come il Signore rimase due giorni in Bethabara, dopo che ebbe udita la malattia di Lazzaro, a bella posta per provare la fede delle sue sorelle, e per rendere più cospicua la gloria di Dio nel risuscitare il morto Giovanni 11 così, per le stesse ragioni, permise l'indugio nel caso presente, e per quanto riguarda la fede e la pazienza di Iairo, sembra che la prova riuscisse a bene.

PASSI PARALLELI

Marco 5:34; 9:23; 2Cronache 20:20; Matteo 9:28-29; 17:20; Luca 8:50; Giovanni 4:48-50; 11:40

Romani 4:18-24

Mc 5:37

37. E non permise che alcuno le seguitasse, se non Pietro, e Giacomo, e Giovanni, fratel di Giacomo.

Luca: "ed entrato nella casa, non permise", ecc. Questa scelta fu fatta, senza dubbio, alla porta della casa del rettore, gli altri Apostoli rimanendo di fuori, tra la moltitudine che avea voluto accompagnarlo alla sua destinazione. I tre discepoli così onorati, formavano una specie di circolo più intimo, più ristretto e più fidato, scelto fra i dodici a cui appartenevano. Che non fosse una scelta fortuita, ovvero occasionata da qualche speciale circostanza in questo caso, è evidente dal vederla ripetuta in due altre circostanze interessanti della storia del Salvatore, cioè la sua trasfigurazione e la sua agonia Marco 9:2; 14:33. In questi casi, come nell'attuale, egli desiderò tutta quella segretezza che era compatibile con la presenza del numero legale di testimoni Deuteronomio 19:15; Ebrei 10:28

PASSI PARALLELI

Luca 8:51; Atti 9:40

Marco 9:2; 14:33; 2Corinzi 13:1

Mc 5:38

38. E venne in casa del capo della sinagoga, e vide quivi un grande strepito, genti che piagnevano, e facevano un grande urlare.

Matteo: "Quando Gesù ebbe veduti i suonatori, e la moltitudine che rumoreggiava, ecc.". I pagani delle nazioni vicine alla Palestina, usavano strappare! i capelli e tagliarsi le carni in segno di lutto, ma Dio proibì rigorosamente agli Israeliti di conformarsi a tali usanze Levitico 19:28; Deuteronomio 14:1; Geremia 16:6-7; ciò non di meno, le dimostrazioni di cordoglio tra loro, alla morte, di un amico, erano estreme, Vedi 2Cronache 35:25; Geremia 9:17-18,20; Ezechiele 24:17; Amos 5:16. Il modo di far cordoglio, che è descritto in questi pani, si pratica tuttora in Egitto e nella Siria, e pochi sono i viaggiatori che non ne sieno stati testimonii, passando

per le strade o presso i cimiteri. Tosto che muore una persona, tutto, le femmine della famiglia prorompono in un lamento alto e flebile, che sostengono il più lungamente possibile senza pigliar fiato, e lasciano morire un po' per volta in pianto sommesso. Oltracciò, vi è, in ogni città, una comunità di donne abituate a questi lamenti, le quali si mandano a chiamare, all'appressarsi di una morte, onde si tengano pronte. Quando giungono altre persone a far cordoglio, queste donne usano ogni arte a far sì che i sopravvenuti uniscano le loro lacrime. "Esse sanno", dice Thomson, "la storia domestica di ogni persona, e tosto improvvisano un funebre lamento, in cui introducono i nomi dei parenti degli ultimi arrivati, che sono morti poco prima, e così ciascuno fa cordoglio pei suoi defunti e divien facile e naturale una rappresentazione, che altrimenti sarebbe difficile per non dire imponibile". A queste donne si aggiungono, spesso, dei suonatori, per aiutare con la musica, l'espressione del cordoglio e del dolore. Fu una comitiva di tal fatta che Gesù trovò raccolta in casa di Iairo.

PASSI PARALLELI

Geremia 9:17-20; Matteo 9:23-24; 11:17; Luca 8:52-53; Atti 9:39

Mc 5:39

39. Ed entrato dentro, disse loro: Perché fate tanto rumore, e tanti pianti? la fanciulla

La parola greca usata quì, è neutra, ma di genere comune, applicabile quindi ad un fanciullo o ad una fanciulla, e il contesto, non la forma, mostra che, in questo caso, deve intendersi di una fanciullina.

non è morta, ma dorme.

Si osservi che nostro Signore disse questo della fanciulla senza tampoco, averla veduta. Egli sapeva che una sua parola l'avrebbe desta dal sonno della morte. Le sue parole contengono un rimprovero per la troppa precipitazione di coloro che facevano cordoglio. Non già che Gesù mettesse in dubbio

l'esser ella realmente trapassata, imperocché la consolazione ch'egli diede al padre era chiaramente un invito a confidare nella sua onnipotenza, ora che la sua figliuola era morta.. Voleva dire bensì, che quello stato di morte doveva essere tanto breve da somigliare piuttosto ad un sonnellino, e che, quindi, era del tutto fuor di lungo il farne cordoglio, come era l'uso, per quelli che eran per sempre trapassati di questa vita. V'han taluni che insistono a voler intendere, alla lettera, le parole di nostro Signore, e dicono che lo stato della fanciulla fosse solo uno svenimento, ma tanto somigliante alla morte, che ella non se ne sarebbe forse mai riavuta, senza la parola e il tocco del Signore; ma la maggior parte dei Commentatori convengono che Gesù chiama la morte, in questo caso, un sonno, perché era così transitoria. In opposizione alla prima teoria stanno i fatti seguenti: che nostro Signore adopera le identiche parole a proposito di Lazzaro, quantunque sapesse benissimo che era morto Giovanni 11:11-18; che Marco sta qui ricordando miracoli segnalati In prova della potenza straordinaria di Cristo, tra i quali non potrebbe certamente annoverarsi l'aver egli semplicemente fatto riaversi una fanciulla da un deliquio; che Luca asserisce positivamente "il suo spirito ritornò in lei" Luca 8:55; e finalmente che tutti quanti della comitiva, raccolta pel funerale, erano così persuasi della morte della fanciulla, che trattarono derisoriamente l'idea che potesse esser altro.

PASSI PARALLELI

Daniele 12:2; Giovanni 11:11-13; Atti 20:10; 1Corinzi 11:30; 1Tessalonicesi 4:13-14; 5:10

Mc 5:40

40. Ed essi si ridevan di lui.

Luca aggiunge: "sapendo ch'ella era morta".

Ma egli, messi fuori tutti, prese seco il padre e la madre della fanciulla, e coloro ch'eran con lui,

Cioè Pietro, Giacomo e Giovanni Luca 8:51

ed entrò là dove la fanciulla giaceva; 41. E, presa la fanciulla per la mano,

Per condiscendenza alla debolezza della fede del padre, nostro Signore stabilì una comunicazione visibile tra la propria persona e quella della bambina su cui doveva essere operato il miracolo, ponendo le mani sopra lei, siccome il padre ne lo aveva richiesto. Per la stessa ragione pure, egli parlò ad alta voce alla fanciulla, facendosi così conoscere sé stesso come autore del miracolo.

Mc 5:41

Le disse: Talita cumi

Queste sono parole aramaiche o siro-caldaiche, lingua che si parlava allora in Palestina. La menzione di queste parole è una prova che, nelle ordinarie relazioni della vita, nostro Signore si serviva, come era naturale, dell'Arameo volgare; sebbene con ciò, non sia per niente decisa la questione, qual lingua usasse quando rivolgeva il discorso ad assemblee miste. Il Greco era allora cotanto famigliare a tutte le classi in Palestina, che può darsi benissimo, che talvolta egli, pure ne facesse uso. La sua conversazione con Pilato, per esempio, è quasi impossibile che fosse tenuta in altra lingua.

il che, interpretato, vuol dire: Fanciulla, io tel dico, levati.

A Marco piace darci tali parole prodigiose nella forma precisa in cui furon dette, Vedi un altro esempio Marco 7:34. È questo uno dei caratteristici di questo Vangelo; e, se è vera la tradizione, ch'egli andasse debitore a Pietro di molti dei ragguagli che ci dà, ciò spiegherebbe il fatto, altrimenti assai strano, che quelle parole identiche del Salvatore, nella sua lingua nativa, siano ricordate, per la maggior parte, da uno che non fu egli stesso un Apostolo o testimonio oculare, come furono Matteo e Giovanni. È pur degno di nota, che queste espressioni originali sono, più che altrove, frequenti in un libro scritto primitivamente ad uso di Gentili, il che rende

ragione delle numerose spiegazioni che contiene di località e d'usanze giudaiche, e della diligenza dell'autore nell'interpretare espressioni aramaiche simili alla presente. La parola greca che è tradotta fanciulla, non è la stessa del vers. 39, ma diminutivo di ragazza, ed è equivalente al vezzeggiativo: Fanciullina mia.

PASSI PARALLELI

Genesi 19:14; Nehemia 2:19; Giobbe 12:4; Salmi 22:7; 123:3-4; Luca 16:14; Atti 17:32

2Re 4:33; Matteo 7:6; 9:24-25; Luca 8:53-54

Marco 1:31; Atti 9:40-41

Marco 1:41; Genesi 1:3; Salmi 33:9; Luca 7:14-15; 8:54-55; Giovanni 5:2829; 11:43-44

Romani 4:17; Filippesi 3:21

Mc 5:42

42. E subito,

senza alcun intervallo di convalescenza,

la fanciullina si levò, e camminava; perciocché era d'età di dodici anni. Ed essi sbigottirono di grande sbigottimento.

L'Evangelista descrive, in questa ultima clausola, l'effetto prodotto su tutti e cinque i testimoni presenti con Gesù, in quella camera mortuaria; lo sbigottimento non fu solo dei genitori; i discepoli prescelti, i quali erano già stati testimoni di tanti miracoli operati dal loro Maestro, mirarono ora in lui, per la prima volta, il vincitore della morte!

PASSI PARALLELI

Marco 1:27; 4:41; 6:51; 7:37; Atti 3:10-13

Mc 5:43

43. Ed egli comandò loro molto strettamente, che niuno lo sapesse;

Questo comando, può averlo dato, in parte, perché l'agitazione popolare non crescesse al punto da prorompere in qualche disordine; e in parte per riguardo alla fanciulla, per la quale, l'esser così fatta segno della pubblica curiosità e maraviglia, non poteva a meno di non riuscire spiritualmente dannoso. Che il comando poi fosse o non fosse osservato strettamente da coloro a cui fu dato, era impossibile che il miracolo rimanesse nascosto. Matteo ci dice: "La fama di ciò andò per tutto quel paese".

e ordinò che si desse da mangiare alla fanciulla.

Quest'ordine fu dato per rinforzare la vita che le era stata resa e nel tempo stesso per convincere i di lei genitori ch'ella non era uno spettro, ma era ritornata a tutte le realtà d'una esistenza mortale. È la prova medesima che il Signore dette poscia, ai suoi discepoli, della realtà della sua esistenza corporea, dopo che fu risorto dai morti Luca 24:41-43

PASSI PARALLELI

Marco 1:43; 3:12; 7:36; Matteo 8:4; 9:30; 12:16-18; 17:9; Luca 5:14; 8:56; Giovanni 5:41

Luca 24:30,42-43; Atti 10:41

RIFLESSIONI

1. Quanto benigno e misericordioso non si mostrò il Salvatore verso i malati e gli afflitti di ogni sorta, durante il suo terreno ministerio! Il rettore della sinagoga e la donna inferma erano amendue perfetti estranei per lui, né avevano altro titolo alla sua attenzione e al suo aiuto, da quello infuori che amendue appartenevano "alle pecore perdute della casa d'Israele, a cui era mandato". Ciò nondimeno egli esaudì immediatamente la preghiera del misero padre, e non solo non negò la guarigione alla donna, sebbene questa la cercane di soppiatto, ma corresse quanto era difettoso nella sua fede, affinché godesse tutti i più alti beni che la fede può darci. Quantunque sia ora asceso alla destra del Padre, Gesù è pur sempre lo stesso nella sua misericordia. Egli non sarà sordo alla preghiera di quelli che l'invocano, sieno temporali o spirituali le loro necessità ne vengono a lui, credendo ch'egli vuole e può aiutarli, quand'anche sian vissuti precedentemente in ribellione contro di esso. "Egli non triterà la canna rotta, e non ispegnerà il lucignolo fumante" Isaia 42:3. E s'egli è pronto ad estendere la sua misericordia anche sugli estranei, quanto sicuramente i suoi redenti possono contare sulla sua simpatia in tutte le loro prove e dolori terreni! "Noi non abbiamo un sommo Sacerdote che non possa compatire alle nostre infermità" Ebrei 4:15

2. Con quanta verità non si applica spiritualmente ai peccatori, la descrizione che di questa povera donna ci dà l'Evangelista. La malattia loro è mortale; li esclude ora da ogni comunione con Dio, e se non è sanata, finirà nella morte eterna. Tutti gli, sforzi che fanno per liberarsene, sia che ricorrano a quelle cure che offre il mondo, o alle pratiche meccaniche di una religione formalista e vuota, non possono dar pace alla coscienza e gioia al cuore, e l'anima oppressa stanca e aggravata, dopo anni ed anni d'esperimenti, è obbligata a confessare, come fece questa donna "che avea speso tutto il suo, senza alcun giovamento, anzi piuttosto era peggiorata". Gli uomini preferiscono far qualsiasi cosa piuttosto che ricorrere a Cristo: ed è soltanto quando vengon meno tutti gli altri mezzi di dar pace alla coscienza, che essi finalmente si rivolgono a lui. Eppure egli solo è il vero Medico. Si è con l'applicazione del suo sangue prezioso che egli risana l'anima inferma; si è col suo proprio Spirito vivificante ch'egli risuscita l'anima "morta nei falli e nei peccati".

3. Fu spesso osservato che quantunque la moltitudine si affollasse intorno a Cristo, al punto di toccarlo ad ogni piè sospinto egli però non pose mente ad essa; sol questa donna lo toccò con la fede. Gli altri eran vicini al pari e più di lei, ma mancava loro la fede che è l'anello di congiunzione tra Cristo e le nostre necessità. Così pure tra le moltitudini che professano la sua religione, e si affollano, senza veri bisogni religiosi, nei suoi tempii, egli discerne il tocco, benché timido e tremebondo, della fede, ed è conscio della virtù salvatrice che quel tocco ha fatto uscire irresistibilmente da lui. Quale incoraggiamento non è mai questo per coloro i quali temono che l'indegnità dei loro sentimenti e la povertà del loro culto lo lascino freddo riguardo a loro! Quale ammonizione per quelli. che professano di seguirlo e gli rendono un culto unicamente di labbra, senza provare il vero bisogno della sua grazia! Cristo li tratterà all'ultimo giorno come se non li conoscesse

4. Il procedere del Signore verso la donna che avea guarita sia di rimprovero a quelli che, essendo debitori alla misericordia di Cristo, non ne parlano mai in presenza dei loro simili. Ei non le permise, come senta dubbio ella avrebbe preferito, di partirsi in silenzio, per poi pagargli il debito della riconoscenza in ringraziamenti segreti, ovvero, in qualche privato convegno, testimoniare l'amor suo verso Gesù. Egli vuole che, vincendo la sua modesta ritrosia, si faccia innanzi in presenza di tutti e dichiari quel ch'ella avea fatto, e qual successo, ne avesse ottenuto. Così fu anch'ella annunziatrice, a modo suo, di Cristo. Una consimile testimonianza Gesù la richiede da tutti coloro ch'egli ha salvati. "Se tu confessi con la tua bocca il Signor Gesù, e credi nel tuo cuore che Iddio l'ha risuscitato da' morti, sarai salvato" Romani 10:9. Non vergognamoci adunque di confessare Cristo davanti agli uomini, e di raccontare quello ch'egli ha fatto all'anima nostra".

5. Quanti non son quelli che hanno pel loro figli, quell'amore che avea Iairo per la sua unica figliuola, e farebbero qualunque sacrifizio per il loro benessere temporale, eppure non si curano punto delle anime loro! Quando pericola la vita del corpo, allora sì che pregano fervorosamente perché Dio voglia concedere la guarigione, eppure non si dàn mai pensiero delle anime loro che periscono. Che terribile infatuazione! Quante anime vanno in perdizione in conseguenza di questa trascuranza dei loro genitori! Stiamo in guardia affinché non abbiamo ancor noi a rimproverarci questa colpa.

6. Quale prova luminosa non abbiamo in questo miracolo della potenza di Cristo sulla morte! In suo proprio nome e per sua propria autorità, senza appello all'aiuto del Padre suo celeste, profferì Il comando: "Fanciulla, levati", e tosto fu obbedito. È questo il primo dei tre casi di risuscitazione da morte, in ciascuno dei quali, la morte si mantenne in possesso del corpo per più lungo intervallo che non nel caso precedente, e sembra che siano stati ricordati per insegnarci che non conta per quanto tempo possiamo giacere nel sepolcro, poiché Gesù ha sulla morte un impero assoluto e ci risusciterà, secondo la sua promessa, quando sarà giunto il tempo opportuno. Noi abbiamo insomma in questi miracoli un'arra consolate di quanto farà il Signore nell'ultimo giorno. Rallegriamoci, poiché ci ha dato prove così evidenti, ch'egli ha "le chiavi della morte e dell'inferno" (hades, il sepolcro), e che egli ha adempita la minaccia profferita dal profeta Osea 13:14: "Io li riscatterei dal sepolcro, io li riscuoterei dalla morte; dove sarebbero, o morte, le tue pestilenze? dove sarebbe, o sepolcro il tuo sterminio? il pentirsi sarebbe nascosto dagli occhi miei".

Mc 6:1

CAPO VI - ANALISI

1. Seconda visita di Gesù a Nazaret. È notevole il contrasto tra l'accoglienza entusiastica che facevano le moltitudini a Gesù, dovunque andava, e la condotta dei suoi conterranei di Nazaret che lo respingono per la seconda volta. Ci saremmo aspettati che la sua fama crescente avesse disposti i suoi concittadini ad andar superbi di lui, ed a dimenticare qualunque dispiacere avessero provato, in una sua precedente visita, perché non avea operato i suoi primi miracoli in mezzo a loro. Ma questo loro malvolere non era punto scemato, ed apparve manifesto coi vani tentativi che già facevano di diminuire la fama di Gesù, col rinfacciargli l'umile condizione della sua famiglia, che dimorava tra loro, e nell'averlo poscia respinto assolutamente. Quantunque Gesù fosse disposto a far dei miracoli in Nazaret, ne fu impedito, tranne in alcuni pochi casi, dalla, loro mancanza di fede Marco 6:1-6.

2. Missione data agli Apostoli di predicare il vangelo del regno di Dio. Al tempo stesso in cui nostro Signore continuava operoso nella predicazione e nel sanare gl'infermi, in una parte della Galilea, mandò i suoi 12 Apostoli a predicare in altre parti del paese; e abbiamo quì il ricordo delle istruzioni ad essi impartito per loro norma, come ancora del successo che incoronò questo primo esperimento Marco 6:7-13.

3. Condotta di Erode Antipa verso Giovanni Battista. L'Evangelista prende argomento di parlarne, in questo luogo, dai sospetti che Erode cominciò a nutrire sul conto di Gesù, quando la fama di lui fu penetrata finalmente nel palazzo del Tetrarca di Galilea. Ad onta delle sue convinzioni sadducee, la sua coscienza, aggravata dal delitto d'omicidio, paventa la riapparizione del profeta che egli aveva ucciso, e mentre alcuni dei suoi servitori e cortigiani più fidati facevano diverse congetture, Erode si teneva fermo nella sua convinzione: "Egli è quel Giovanni che io ho decapitato; esso è risuscitato da' morti" per render ragione di un'impressione così strana, Marco racconta per disteso le circostanze della uccisione del Battista, cioè lo sdegno di Erodiada perché Giovanni avea rimproverato per la sua adultera relazione con lei; l'imprigionamento del profeta, qual primo saggio della vendetta di essa; la festa in onore del giorno natalizio di Erode, nella quale in ricompensa dell'aver ballato in pubblico, Erode promise alla figliuola di Erodiada, tutto quello che avesse domandato; e il compimento della vendetta di Erodiada quando Giovanni fu decapitato in prigione, per soddisfare alla domanda fatta dalla di lei figlia. L'Evangelista aggiunge che il corpo, mozzato dal capo, venne allora concesso ai suoi discepoli, perché gli desser sepoltura Marco 6:14-29.

4. Gesù si ritira in un luogo deserto per riposarsi, ed ivi sazia miracolosamente 5000 uomini. I discepoli essendo ritornati dalla lor missione, Gesù ordinò loro di salir tosto in barca e di ritirarsi in un luogo deserto presso Betsaida, onde poter godere insieme un breve intervallo di riposo e di meditazione. Ma le turbe sul lido, veduta la direzione presa dalla barca, corsero così che prima che questa fosse giunta, già erano sul luogo dello sbarco. Sebbene deluso nel suo intento, il Salvatore non si lamenta. Mosso a pietà della penuria spirituale della moltitudine, cominciò ad ammaestrarla, poscia avendo compassione dei suoi bisogni fisici, moltiplicò

miracolosamente cinque piccoli pani e due pesci, cosicché non solo furono saziati i cinquemila, ma dei pezzi rimasti ne furono empiti dodici corbelli Marco 6:30-45.

5. Gesù cammina sul lago di Galilea. Licenziata che ebbe la moltitudine e fatti imbarcare i discepoli, Gesù salì sulla, montagna vicina e diede ristoro alla santa sua anima umana, col passare parecchie ore in comunione con suo Padre celeste, dopo di che, comparve, camminando sulle acque, verso la barca, in cui i suoi discepoli, spossati e atterriti, già da qualche tempo stavano lottando, invano, contro il vento contrario, e porge loro una nuova dimostrazione della sua Divinità, comandando gli elementi Marco 6:46-52.

6. Gesù visita Gennesaret. Alla serie di mirevoli surriferiti, Marco aggiunge un ragguaglio più generale delle miracolose guarigioni di Cristo nel distretto di Gennesaret, e descrive l'attenzione e l'interesse che tali miracolose operazioni destarono in tutta la provincia della Galilea Marco 6:53-56.

Marco 6:1-6. VISITA DI CRISTO A NAZARET, E RICEVIMENTO CHE VI TROVÒ Matteo 13:53-55

Per l'esposizione vedi Matteo 13:53Matteo 13:53-58.

Mc 6:7

Marco 6:7-13. MISSIONE DEI DODICI APOSTOLI Matteo 10:1-15; Luca 9:1-6

Per l'esposizione vedi Matteo 10:1Matteo 10:1-15.

Mc 6:14

Ù

Marco 6:14-29. ERODE PRENDE GESÙ PEL BATTISTA RISUSCITATO NARRAZIONE DELLA MORTE DEL BATTISTA Matteo 14:1-12; Luca 3:19-20; 9:7-9

Impressione di Erode intorno a Cristo, Marco 6:14-16

14. Or il re Erode

Propriamente il titolo di Erode Antipa era Tetrarca di Galilea, Samaria e Perea; veniva chiamato Re solo per cortesia imperocché, quantunque chiedesse all'Imperatore Caligola il permesso di portar quel titolo, non l'ottenne, in conseguenza delle rimostranze di suo nipote Agrippa I.

udì parlar dì Gesù, perciocché il suo nome era divenuto chiaro;

Sembra strano che, sebbene il Signore già da molti mesi esercitasse il suo pubblico ministerio, e la sua fama fosse cresciuta e corsa lontano, Erode udisse allora per la prima volta parlare di lui. Per render ragione di ciò, alcuni han supposto che fosse stato assente in Roma e che ne fosse tornato solo allora; altri, che fosse talmente rimasto assorto nei piaceri e nei vizi della sua corte da fare il sordo ad ogni annunzio siffatto; ma la vera ragione, come la troviamo in Flavio, si è che per un buon tratto di tempo prima che ordinasse il supplizio del Battista, nelle prigioni di Machero, presso il Mar Morto, avea fatto di quel lontano castello la sua residenza, onde potere di là più facilmente condurre la guerra contro il suo suocero Areta, re d'Arabia, ed era quindi rimasto in ignoranza di tutto ciò che avveniva nel mondo religioso in Galilea.

e diceva: Quel Giovanni che battezzava è risuscitato dai morti; e per ciò le potenze operano in lui.

Le massime distintive della setta degli Erodiani (di cui questo Erode era tenuto il capo) erano di natura politica; nelle cose religiose essi adottavano in generale le vedute dei Sadducei, i quali negavano la risurrezione del corpo, e l'esistenza dell'anima, degli spiriti, e degli angeli. (Conf. Marco

8:15 con Matteo 16:6, dove le espressioni, "lievito di Erode" e "lievito de' Sadducei" sono usate indifferentemente l'una per l'altra. Vedi Sette Giudaiche, ERODIANI). Non prima Erode ebbe udito parlar di Gesù, che, con estrema inconseguenza, le credenze o piuttosto l'incredulità che professava, dichiarando ai suoi familiari, la propria persuasione ch'egli fosse Giovanni Battista risuscitato dai morti. Il vero si è che il profeta, da lui ucciso, compariva a guisa di spettro dinanzi alla coscienza del colpevole, e gli sembrava redivivo e investito il potenza soprannaturale, nella persona di Gesù. Insomma lo spavento di Erode la vinse sulla sua incredulità! Le ultime parole di questo versetto: "e per ciò le potenze operano in lui", sembrano indicare, nell'animo del re, il convincimento che la morte del Battista avesse di molto accresciuto quella virtù e quella potenza di cui godeva, al tempo ch'esso Erode soleva ascoltarlo. Durante il suo ministero nel deserto, Giovanni non aveva operati miracoli Giovanni 10:41, e con questa ragione forse Erode cercava di far tacere la sua coscienza, dicendo che Giovanni non ora un vero profeta; ma ora, pensa egli, in questa nuova forma non ci può esser dubbio, egli è un vero profeta, poiché le potenze miracolose operano efficacemente, in lui.

PASSI PARALLELI

Marco 6:22,26-27; Matteo 14:1-2; Luca 3:1; 9:7-9; 13:31; 23:7-12

Marco 1:28,45; 2Cronache 26:8,15; Matteo 9:31; 1Tessalonicesi 1:8

Mc 6:15

15. Altri dicevamo egli è Elia;

In conseguenza d'una letterale interpretazione di Malachia 4:5, i Giudei aspettavano la ricomparsa di Elia, quale araldo dell'arrivo immediato del Messia, Vedi note Matteo 11:14Matteo 11:14; Luca 1:17Luca 1:17.

ed altri: Egli è un profeta, pari ad un dei profeti.

L'idea espressa da queste parole è che quelli che le usavano, tenevano Gesù per un nuovo profeta, da mettersi a pari coi più distinti fra i profeti antichi. Tali erano pure le diverse opinioni che prevalevano tra gli abitanti della Galilea, e ciascuna di esse aveva i suoi partigiani tra i familiari di Erode. Vedi nota Matteo 16:14Matteo 16:14.

PASSI PARALLELI

Marco 8:28; 9:12-13; 15:35-36; Malachia 4:5

Matteo 16:14; 17:10-11; Luca 1:17; 9:8,19; Giovanni 1:21,25

Matteo 21:11; Luca 7:16,39; Giovanni 6:14; 7:40; 9:17; Atti 3:22-23

Mc 6:16

16. Ma Erode, udite quelle cose, disse: Egli è quel Giovanni che io ho decapitato; esso è risuscitato da' morti.

Ciò fu detto ai suoi più intimi servitori Matteo 14:2 che cercavano di distrarlo dalla tetraggine che si era impossessata di lui. La costruzione dell'originale greco è molto enfatica, e mette in rilievo l'intima convinzione dell'atterrito Erode che non potesse esser ciò una illusione: "egli è lui, egli è risuscitato dai morti".

PASSI PARALLELI

Genesi 40:10-11; Salmi 53:5; Matteo 14:2; 27:4; Luca 9:9; Apocalisse 11:10-13

Mc 6:17

Prigionia e morte del Battista, Marco 6:17-20

17. Perciocché esso Erode avea mandato a prender Giovanni, e l'avea messo ne' legami in prigione,

Scrivendo per l'istruzione dei gentili, il nostro Evangelista introduce qui naturalmente le circostanze che indussero Erode a fare uccidere il Battista.

per Erodiada, moglie di Filippo, suo fratello; perciocché egli l'avea sposata.

Questo Erode Antipa avea due fratelli, figli entrambi del padre suo Erode il Grande, ma di diverso letto, ciascuno dei quali avea nome Filippo; cioè Erode Filippo I, figliuolo di Mariamne, figlia del sommo sacerdote Simone (Flavio Antich. 18:6,4); ed Erode Filippo II, figlio di Cleopatra, donna di Gerusalemme. Quest'ultimo era Tetrarca d'Iturea e Tracontide, e sposò più tardi la figlia di suo fratello Filippo I, quella stessa Salome che chiese la testa del Battista (ver. 24). Il più vecchio Filippo fu diseredato da suo padre, quando questi venne a scoprire il tradimento della di lui madre (Flavio, Guer. Giudici 1:30,7), e viveva ritirato in Gerusalemme. Egli sposò la sua nipote Erodiada, figlia di Aristobolo e sorella di Erode Agrippa I Atti 12:2025, e frutto di questo matrimonio fu quella Salome che ora appunto menzionammo. Erode Antipa avea sposata la figlia di Areta re d'Arabia, ma passando da Gerusalemme, nel suo ritorno da Roma, per prender possesso della sua Tetrarchia, s'innamorò di Erodiada ma nipote e cognata e la persuase ad abbandonare il marito e a stringere una relazione incestuosa con lui. Saputolo la moglie di Erode, lo lasciò e rifugiossi presso il padre Areta, e questi, per far le vendette della figlia, mosse guerra ad Erode (Flavio Antich. 18:5,1).

PASSI PARALLELI

Matteo 4:12; 11:2; 14:3-12; Luca 3:19-20

Luca 3:1

Mc 6:18

18. Imperocché Giovanni, diceva ad Erode: È non ti è lecito di avere la moglie del tuo fratello.

Era illecito in doppio grado, essendo non solo adulterio, ma adulterio tra consanguinei in grado tale che la legge vietava tra essi il matrimonio Levitico 18:16; 20:10,21. Come è degna di ammirazione la condotta di Giovanni! Con qual coraggio e con qual fedeltà redarguisce il peccato, senza rispetto alle persone! L'austero predicatore del deserto che riprendeva, senza punto risparmiarli, i vizi del minuto popolo, dei soldati, e fin'anche dei Farisei e Sadducei, non allibisce davanti al rango reale di Erode, né consente, per motivi di prudenza, a usar connivenza al peccato dominante nelle alte sfere; ei lo rimproverava con una chiarezza che rendeva impossibile il non intendere. Nostro Signore allude a questo tratto del carattere di Giovanni, quando lo descrive come né "una canna dimenata dal vento", né un cortigiano "vestito di vestimenti morbidi nelle case del re" (Vedi nota Matteo 11:7Matteo 11:7-8). Quale lezione, nella fedeltà del Battista inverso Erode, per tutti coloro che sono chiamati a predicare il vangelo, affinché sian fedeli nel riprendere il peccato dovunque lo incontrano, nelle vite dei più altolocati come in quella dei più umili! Tale lezione ohimè è purtroppo spesso necessaria!

PASSI PARALLELI

Levitico 18:16; 20:21; 1Re 22:14; Ezechiele 3:18-19; Matteo 14:3-4; Atti 20:26-27

Atti 24:24-26

Mc 6:19

19. Ed Erodiada gliene avea mal talento; e volentieri l'avrebbe fatto morire

bramava d'ucciderlo.

ma non poteva; 20. Perciocché Erode temeva Giovanni, conoscendolo uomo giusto e santo;

Trattandosi di così gravi interessi, è facile comprendere il mortale rancore che una donna malvagia, non rattenuta da veruno scrupolo, dovea sentire contro l'uomo che osava attraversarle la via, e la convinzione che nascerne dovea in lei, che giammai le sarebbe dato riposar tranquilla, finché non lo avesse tolto di mezzo. Ch'ella sollecitasse a farlo morire è posto fuor di dubbio dalle narrazioni di Matteo e di Marco; ma quantunque egli la compiacesse fino a metter Giovanni in prigione, c'erano due motivi per cui non osava togliergli la vita, il timore cioè d'un tumulto da parte del popolo Matteo 14:5, e la profonda riverenza e l'arcano terrore ch'ei provava per la rettitudine e la santità del carattere di Giovanni. Infatti questa narrazione stessa dimostra ch'ei non aveva premeditata l'uccisione di Giovanni, ma che, per debolezza, si lasciò alfine pigliar nel laccio e trascinate ad essa.

Mc 6:20

e I'osservava;

Queste parole non si riferiscono già al rispetto che Erode sentiva per il Battista e che ci è stato già accennato più sopra, ma significano che vegliava sulla sua vita o lo proteggeva contro i malvagi disegni di Erodiada, che stava spiando per cogliere un qualche pretesto per farlo morire, Vedi la parola usata in questo senso Matteo 9:17; Luca 2:19; 5:38

e, avendolo udito, faceva molte cose; e volentieri l'udiva.

Andiamo debitori a Marco di questo notevole particolare, che non solo ci dà la misura dell'influenza che il Battista esercitava sulla coscienza di Erode, ma ci fornisce pure un esempio bellissimo del potere che i buoni principii conservano anche sui cuori degli uomini più venduti alle loro passioni. Ci mostra anche fino a qual punto Erodiada dovesse essersi acquistata un ascendente sopra di lui (come anticamente Izebel su di Achab), perché,

alfine, egli acconsentisse a ciò che la voce della coscienza lo avea, per lungo tempo, ritenuto dal fare.

PASSI PARALLELI

Genesi 39:17-20; 1Re 21:20

Ecclesiaste 7:9; Efesini 4:26-27

Marco 11:18; Esodo 11:3; 1Re 21:20; 2Re 3:12-13; 6:21; 13:14; 2Cronache 24:2,15-22

2Cronache 26:5; Ezechiele 2:5-7; Daniele 4:18,27; 5:17; Matteo 14:5; 21:26

Marco 4:16; Salmi 106:12-13; Ezechiele 33:32; Giovanni 5:35

Mc 6:21

21. Ora, venuto un giorno opportuno,

Non già per la festa che Erode avea risolto di dare, imperocché era questa già Basata pel suo giorno natalizio, ma per Erodiada, che avea fatto assegnamento su di essa per compiere i suoi disegni contro la vita del Battista. Grozio dice: "Opportuna insidiatrici, quae vino, amore et adulatorum conpiratione, facile sperabat impelli posse mutantem mariti animum".

che Erode, nel giorno della sua natività.

In nessun autore autorevole troviamo mai questa parola usata isolatamente, come in questo passo, nel senso di ascensione al trono o presa di possesso del regno. Gli scrittori greci antichi, l'impiegavano ad indicare un giorno sacro alla memoria dei morti, ma sì dai classici posteriori che dagli scrittori del Nuovo Testamento e dai 70. è usata, per significare le feste in onore di un giorno natalizio. In Genesi 40:20, i 70 usano questa parola precisamente

nel senso in cui è qui impiegata da Marco. Tuttavia i Giudei in generale non amavano celebrare i giorni natalizi, vedendovi una tentazione all'idolatria, ed era questa una delle usanze pagane che la famiglia di Erode aveva introdotte ad imitazione dei Romani.

faceva un convito ai suoi a grandi,

rabrebanovi Daniele 5:1, titolo d'origine persiana, il quale pare fosse ritenuto dopo il dominio di quella potenza sulla Palestina, e indicasse gli uffiziali civili del regno di Erode.

e capitani,

i più alti uffiziali militari,

ed ai principali della Galilea;

cioè i personaggi più ricchi ed influenti della provincia.

PASSI PARALLELI

Genesi 27:41; 2Samuele 13:23-29; Ester 3:7; Salmi 37:12-13; Atti 12:2-4

Genesi 40:20; Ester 1:3-7; 2:18; Proverbi 31:4-5; Daniele 5:1-4; Osea 7:5; 1Pietro 4:3

Apocalisse 11:10

Mc 6:22

22. La figliola di essa Erodiada

e del di lei legittimo marito Filippo, cioè Salome (vedi sopra Marco 6:17Marco 6:17).

entrò, e ballò,

Fu probabilmente una danza pantomita come usano tuttora le danzatrici in Oriente. Tali danze non erano giammai praticate in quelle regioni, e nemmeno tra i Greci e i Romani, dalle donne di condizione rispettabile, laonde, in questo caso, la madre sacrificò realmente l'onore di sua figlia onde piegare al proprio intento il Tetrarca, con le seduzioni di un'arte ch'egli probabilmente ammirava, e in cui Salome può aver dato saggio di assai buon gusto e perizia.

e piacque ad Erode, ed a coloro ch'erano con lui a tavola.

Il Re e i suoi convitati rimasero affascinati da quello spettacolo. Non così Thomson, il quale descrive nel modo seguente le danze, senza dubbio identiche, delle moderne ballerine orientali "Vediamo ben poco che sia da ammirarsi nel loro ballare. Muovonsi avanzando e indietreggiando, di fronte e di fianco, ora lento ed ora rapide, agitando incomposte le braccia e il capo di qua e di là stralunando gli occhi e contorcendosi, con tutta la persona, in diverse pose assurde, languide, lascive, e talvolta indecenti; e questo lo ripetono per parecchie volte ad una ad una, a due a due, o in gruppi. Una cosa è a dirsi in loro favore, ed è che i diversi sessi non sono frammisti in quegli spettacoli indecorosi".

E il re disse alla fanciulla:

La stessa parola che è applicata alla figlia dodicenne di Iairo Marco 5:47, e ivi tradotta fanciullina, onde è giustizia conchiudere che fosse vanità e non lascivia che indusse una così tenera giovinetta a far pubblica mostra di sé, a quel modo indecoroso.

Domandami tutto ciò che vorrai, ed io tel donerò. 23. E le giurò, dicendo: Io ti donerò tutto ciò che mi chiederai, fino alla metà del mio regno.

Abbiamo quì un notevole esempio del linguaggio iperbolico che si usa in oriente! Son parole di un uomo riscaldato dal vino e che si lascia trasportare dall'eccitazione del momento. C'era anche in esse una pomposa imitazione del grande Assuero Ester 5:3,6; ma in un vassallo dell'imperatore romano, in un uomo che non possedeva il potere supremo, erano nulla più che un

ridicolo vanto; nondimeno, con quel giuramento, profferito in pubblico, si impegnò a concederle tutto quanto le avesse chiesto, entro i limiti del poter suo. Pare che i monarchi orientali fossero proclivi ad esternare il loro alto compiacimento con tali giuramenti e promesse, di molte delle quali ebbero poscia ampia occasioni di pentirsi (Vedi la Bibbia Illustrata, di Kitto, nota Matteo 14:7Matteo 14:7).

PASSI PARALLELI

Ester 1:10-12; Isaia 3:16-26; Daniele 5:2; Matteo 14:6

1Samuele 28:10; 2Re 6:31; Matteo 5:34-37; 14:7

Ester 5:3,6; 7:2; Proverbi 6:2; Matteo 4:9

Mc 6:24

24. Ed essa uscì, e disse a sua madre: Che chiederò? Ed ella disse: La testa di Giovanni Battista. 25. E subito rientrò frettolosamente al re, e gli fece la domanda, dicendo: io desidero che di presente

subito; Matteo: qui, in questa sala; prova questa che il convito dovette esser tenuto a Machero.

Mc 6:25

tu mi dia in un piatto la testa di Giovanni Battista.

L'uscire improvviso della fanciulla per chieder consiglio alla madre, prova che, sino a quel momento, non era stato fatto parola fra di loro della morte di Giovanni Battista; ma il pronto consenso di Salome alla richiesta della madre, senza pure un brivido od una parola di rimostranza; la sua premura a ritornare ad Erode per profferire una richiesta così atroce, ad alta voce, nella sala del convito; e il tono risoluto del suo discorso (dimostrato dalle parole),

ci mostrano che essa aveva tutti i gusti crudeli e le prave disposizioni della famiglia erodiana. Anche l'uomo il più spietato, il più incallito ai fatti sanguinosi, dovette rabbrividire nell'udire l'atroce domanda uscir dalle labbra di una fanciulla così giovane e bella.

PASSI PARALLELI

Genesi 27:8-11; 2Cronache 22:3-4; Ezechiele 19:2-3; Matteo 14:8

Giobbe 31:31; Salmi 27:2; 37:12,14; Proverbi 27:3-4; Atti 23:12-13

Proverbi 1:16; Romani 3:15

Numeri 7:13,19-89

Mc 6:26

26. E, benché il re se ne attristasse grandemente, pur nondimeno per i giuramenti, e per rispetto di coloro ch'eran con lui a tavola, non gliel volle disdire,

Piuttosto ripudiare. Questo passaggio improvviso dal tripudio alla tristezza, tristezza sterile, perché non accompagnata da veruno sforzo di rimediare al male, e la folle sua promessa confermata da un giuramento, ci danno una idea assai chiara della pochezza intellettuale e morale di Erode. Il suo carattere è stato fedelmente delineato nelle poche parole seguenti. "Era egli un uomo capace di qualunque delitto, al tempo stesso tirannico e debole, tuttavia la sua crudeltà era contrassegnata dall'astuzia, e seguita dal rimorso. Meno a contrasto con Pilato, presenta il tipo di un despota d'Oriente, capriccioso, sensuale, e superstizioso" (Smith: Dizion della Bib. - Art. ERODE ANTIPA). Egli sapeva benissimo che il suo giuramento non era più obbligatorio, quando il favore chiestogli importava, come in questo caso, una manifesta violazione della legge di Dio, ed avrebbe dovuto ricusare incontanente, dicendo: "Tu mi chiedi più assai del mio regno, io non posso concederti una tal cosa"; ma un sentimento superstizioso intorno al violare

un giuramento, una falsa vergogna e il timore di scomparire dinanzi ai suoi convitati, se mostrava scrupoli religiosi o morali, lo indussero a profferire l'ordine fatale. Coi sentimenti che avea per Giovanni, e dopo averlo le tante volte e con tanta sollecitudine protetto contro la rabbia della ma druda, deve avergli saputo assai d'amaro il trovarsi finalmente preso nel laccio, per la sua propria follia.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:9; 27:3-5,24-25

Mc 6:27

27. E subito,

La fanciulla, è vero, aveva espresso imperiosamente il desiderio che si usasse la maggiore sollecitudine, ma questa fretta da parte di Erode, sembra indicare che non volesse lasciare a sé stesso il tempo della riflessione.

mandato un sergente,

speculatore, parola latina grecizzata. Gli speculatores erano ufficiali addetti ai generali nell'esercito, e poscia agli imperatori, qualità di aiutanti di campo, per la più celere trasmissione dei dispacci, ecc.

comandò che fosse recata la testa di esso. 28. E quello andò e lo decapitò in prigione, e portò la sua testa in un piatto, e la diede alla fanciulla, e la fanciulla la diede a sua madre.

Senza il conforto di un amico, tra il silenzio e le tenebre della prigione, la fine del Battista fu certamente, a giudizio umano, lugubre e triste; ma l'opera sua era stata eseguita fedelmente, il suo Signore lasciò di lui questa testimonianza, che "fra quelli che son nati di donne, non surse giammai alcuno maggiore di Giovanni Battista", e come martire per Cristo "grande è la sua ricompensa in cielo". Quel che provassero Erode e i suoi cortigiani

quando mirarono la testa insanguinata dell'ucciso profeta, l'Evangelista non lo dice, e nemmeno lo storico Flavio; superba del suo premio atroce, la fanciulla affrettossi a presentarlo alla vile madre sua, la quale, dicono sfogasse la rabbia, punzecchiando con spille, quella lingua che avea ripresa la sua malvagità. Erode ed Erodiada non conservarono lungo tempo il loro rango e la loro posizione; essendo caduti in disgrazia presso l'Imperatore romano per l'influenza dello stesso Agrippa, fratello d'Erodiada, furono banditi dapprima in Gallia poscia in Ispagna, ove, prima ancora di scendere nel sepolcro, caddero in un completo obliò.

PASSI PARALLELI

Matteo 14:10-11

Mc 6:29

29. E i discepoli di esso, udito ciò, vennero, e tolsero il suo, corpo morto, e lo posero in un monumento.

Giovanni avea fatto quant'era in poter suo, perché i suoi discepoli si unissero ai discepoli di Gesù, col mandargliene due, con un messaggio, dopo che si trovava in prigione Matteo 11:2; ma alcuni di cui almeno, se non la maggior parte, rimasero presso il maestro prigioniero. Furono questi che, essendo ora informati della sua fine immatura, ottennero il suo corpo decapitato e lo seppellirono, ma in qual luogo, lo Spirito d'ispirazione non ha stimato ricordarlo, sebbene la tradizione fratesca asserisca che fu trasportato al di là del Giordano, e sepolto nella città di Samaria (oggidì, Subastyeh), nel luogo su cui fu poscia eretta, dai Crociati, la chiesa di San Giovanni Battista, ora in ruina. La Chiesa Greca in Gerusalemme e la Moschea a Damasco pretendono entrambe di possedere il vero teschio, senza parlare di quelli che si pretende possedere in diverse città europee!

PASSI PARALLELI

1Re 13:29-30; 2Cronache 24:16; Matteo 14:12; 27:57-60; Atti 8:2

RIFLESSIONI

1. Una prova validissima della verità della storia e l'abbiamo nel fatto che, dovunque è possibile paragonarla con le storie profane, la troviamo coatta fin nei più minuti particolari. La narrazione della morte del Battista quì, n'è un esempio, poiché un'attenta lettura della storia di Erode, come è riferita da Flavio (Antich. Giud.), conferma pienamente quanto hanno scritto gli Evangelisti intorno al Tetrarca di Galilea.

2. Da questo passo possiamo, apprendere quanto sia grande il potere della coscienza. Essa fece sfumare, ad un tratto, tutto le scettiche opinioni di Erode; lo indusse a temere il Battista finché visse, perché essa acconsentiva ai di lui insegnamenti; e lo turbava dopo la morte di esso, perché come omicida lo accusava. La coscienza era quella che faceva tremare Felice, e che "per poco persuadeva" Agrippa. Ogni essere umano ha una coscienza, ed è in questo che sta il segreto della potenza del fedele ministro cristiano. È vero che, senza lo Spirito Santo che la illumini, la coscienza è una povera guida cieca; essa non può salvare, non può, di per sé, condurre a Cristo; può essere cauterizzata, e calpestata, ma pur sempre rimane nel petto d'ogni uomo, "accusandolo o scusandolo" a seconda ch'egli vive, suggerendo pensieri che invano si prova a cacciare, pensieri che fanno tremare perfino gli Erodi. Di questo potere della coscienza dovrebbero ricordarsi, per non perdersi d'animo, specialmente i ministri del vangelo e gli educatori sia secolari che religiosi. Se insegnano e predicano la verità di Cristo, possono star sicuri che l'opera loro non sarà vana. I fanciulli possono sembrare disattenti nelle scuole, gli uditori possono parere indifferenti e sbadati nella congregazioni; ma in entrambi i casi, bene spesso, nel segreto delle coscienze, avviene molto più di quanto agli occhi nostri non apparisca. La semente cresce spesso e porta frutto, quando il seminatore, come Giovanni il Battista, è morto.

3. La storia di Erode ci porge un triste esempio del progresso, anche notevole, che un uomo può fare in religione e tuttavia andar perduto, in

conseguenza dello abbandonarsi a un qualche peccato, dominante. "Volentieri egli udiva Giovanni", lo conosceva uomo giusto, e santo, "faceva molte cose", sotto l'influenza dei suoi insegnamenti, oppure non volava ritrarsi dall'adulterio, non voleva rinunziare ad Erodiade, e così rovinò per sempre l'anima sua. Esaminiamo spesso i nostri proprii cuori, e assicuriamoci che non vi da in essi alcun vizio favorito, alcuna concupiscenza cui non vogliamo rinunziare e che uccida intanto le anime nostre.

4. La fedeltà del Battista dovrebbe esser d'esempio a tutti i ministri del vangelo. Giovanni parlò chiaro e franco ad Erode intorno alla malvagità della sua vita. Non si scusò sotto il pretesto che sarebbe imprudente, impolitico, inopportuno, inutile, il parlargliene. Non palliò l'iniquità dei re, descrivendola con parole attenuanti; ma, senza darsi pensiero delle conseguenze, proclamò in faccia al monarca, nuda e schietta la verità: "È non ti è lecito di aver la moglie del tuo fratello". Il fatto stesso che, nonostante questo franco parlare, Erode bramava salvarlo dalla vendetta di Erodiade, è una prova sufficiente della prudenza, saggezza e carità con cui Giovanni adempiva a questo suo penoso dovere. I ministri del vangelo, ministri, gli educatori e tutti quelli che il loro uffizio chiama a riprendere le colpe altrui, devono domandare a Dio gli stessi doni e sforzasi di servirsene fedelmente nella pratica.

5. I potenti che sposano o stringono relazioni colpevoli con donne senza principi, divengono in generale strumenti passivi nelle loro mani, e, non di rado, sono da quelle tratti in rovina. Quanti esempi non ce ne dà la storia, dai giorni di quella maledetta Izabel che trascinò Achab a tradire l'Iddio d'Israele ed a trucidare i proprii sudditi, per poi precipitarlo alla sua distruzione, dai giorni di Erodiade che spinse Erode Antipa a lordarsi le mani nel sangue del Battista e fu poi l'occasione della guerra che lo rovinò, fino alla efferata scostumatezza della corte di Francia, nel passato secolo, la quale finì con una rivoluzione che inondò l'Europa di sangue! Quelli sono casi rumorosi, patenti agli occhi di tutti, perché scritti nelle indelebili pagine della storia; ma chi mai potrà dire quante migliaia di persone, di cui la storia non parla, sono state condotte a consimile rovina da consimili passioni?

6. "Quando leggiamo", dice il Prof. D. Brown, "come Erodiade versasse, non di sua propria mano, né per ordine suo immediato il sangue di questo fedele testimonio della verità, ma sì il facesse versare dal braccio secolare, e come poscia si saziasse la sua vendetta, ci viene in mente che quando il veggente apocalittico descrisse la Chiesa prostituta come 'una donna ebbra del sangue dei santi, e del sangue dei martiri di Gesù' Apocalisse 17:6, egli dovette aver dinanzi agli occhi l'adultera e sanguinaria Erodiada. La donna apocalittica, infatti non versa da sé il sangue dei santi e dei martiri, né ordina che siano uccisi, è 'la bestia', cioè il braccio secolare che fa guerra ai santi ed ai fedeli testimoni della verità, e li vince, e li uccide Apocalisse 11:7; 13:7. Ma pure la 'donna' cavalca questa bestia che è descritta di color di scarlatto, ossia bestia sanguinaria Apocalisse 17:3, il braccio secolare obbedendo ai suoi comandi, nel liberarla da quegli odiati testimonii contro le sue abbominazioni, come un cavallo obbedisce al cavaliere, mentre ella stessa è rappresentata siccome ebbra del loro sangue, e oscenamente esultante nel sapersi liberata dai loro fulminanti rimproveri. Un'analogia così viva e così profonda potrebbe esser del tutto accidentale?"

Mc 6:30

Marco 6:30-44. I DODICI RIFERISCONO IL SUCCESSO DELLA LORO MISSIONE. VISITA ALLA SPIAGGIA ORIENTALE DEL LAGO DI GALILEA. GESÙ NUTRISCE MIRACOLOSAMENTE CINQUEMILA PERSONE Matteo 14:13-21; Luca 9:10-17; Giovanni 6:118

30. Or gli Apostoli si accolsero appresso di Gesù, e gli rapportarono ogni cosa, tutto ciò che avean fatto, ed insegnato. 31. Ed egli disse loro: Venite voi in disparte, in qualche luogo solitario, e riposatevi un poco; conciossiaché coloro che andavano e venivano fossero in gran numero; talché quelli non aveano pur agio di mangiare.

In nessuno dei quattro Vangeli troviamo il minimo indizio che possa servirci a determinare quanto tempo i discepoli rimanessero assenti per compiere la

missione affidata loro dal Maestro Marco 6:7-13. Confrontando con questo, i passi paralleli, possiamo congetturare che ritornarono sul principio della primavera, quando l'erba era ancor verde e bella, cioè prima della Pasqua, e poco dopo la morte di Giovanni Battista. L'approssimarsi della Pasqua, e il raccogliersi in Capernaum della gente del nord della Galilea per salire insieme in Gerusalemme a celebrarla, ci spiegano che l'intimità di Gesù e dei suoi discepoli, come è narrato in questi versetti, fosse frequentemente interrotta, talché talvolta non poteano neppur prendere i loro pasti in pace. La notizia della morte di Giovanni Battista, e il desiderio di udire con maggiore tranquillità i rapporti degli Apostoli, e di accennar loro quelle cose che li avrebbero qualificati ancor meglio per l'opera a cui dovevano dedicare il resto della vita, indussero il Signore a dare il comando di partir da Capernaum per condursi in qualche luogo, solitario, ove potessero star alquanto soli. Il seguito del racconto ci mostra che questo scopo non fu raggiunto per quella volta; ma abbiamo più tardi, in occasione del ritorno dei settanta discepoli, un esempio del modo in cui, senza dubbio, Gesù cercò di render profittevole ai dodici il giro che essi avean fatto Luca 9:1729

PASSI PARALLELI

Marco 6:7-13 Luca 9:10; 10:17

Atti 1:1; 20:18-21; 1Timoteo 4:12-16; Tito 2:6-7; 1Pietro 5:2-3; 1:45; 3:7,20; Matteo 14:13; Giovanni 6:1

Mc 6:32

32. E se ne andarono in su la navicella in un luogo solitario, in disparte.

Luca: "Si ritrasse in disparte in un luogo deserto della città, detta Betsaida". (Per la posizione di Betsaida, Vedi Nota Matteo 11:21Matteo 11:21). Traversato appena il Giordano, vicino alla sua foce nel lago di Galilea, il viaggiatore entra nella fertile, ma limacciosa pianura di Butaiha, che ci vogliono due ore a traversare a cavallo; e sulla spiaggia del lago, alla

estremità orientale di questa pianura, trova un tratto di paese che combina pienamente con la descrizione, che ci danno gli Evangelisti, del luogo dove fu operato il seguente maraviglioso miracolo. Il Thomson (che è per noi la più alta autorità vivente in quanto alla geografia e topografia della Palestina settentrionale) dice: "Il punto in cui si congiungono l'estremità orientali della Butaiha e questo scosceso promontorio, segna il luogo, dove, secondo la mia topografia, i cinquemila furon saziati con cinque pani d'orzo e due pesciolini. Dalle quattro narrazioni di questo stupendo miracolo raccogliamo:

1. Che quella località apparteneva a Betsaida;

2. Che era un luogo deserto;

3. Che era situata presso la spiaggia del lago, poiché ci vennero in battello;

4. Che c'era lì presso un monte;

5. Che era un lungo piano, erboso, ampio abbastanza da potervi sedere molto migliaia di persone.

Or tutti questi requisiti si riscontrano precisamente in questa località ed in nessun'altra, per quanto io abbia potuto scoprire. Questa Butaiba apparteneva a Betsaida. In questo estremo lembo di essa, al S. E. la montagna nuda e sterile chiude l'orizzonte, scendendo fino al lago. Era senza dubbio deserta allora come al presente, non essendo suscettiva di coltivazione. In questo piccolo seno, riparato dai venti, erano ancorate le barche. Su quelle zolle erbose, appiè del colle roccioso, eran sedute le turbe per ricevere dalle mani del Figliuol di Dio il pane miracoloso, emblema del suo corpo, che è il vero pane disceso dal cielo".

PASSI PARALLELI

Matteo 14:13

Mc 6:33

33. E la moltitudine li vide partire, e molti lo riconobbero; ed accorsero là a piè da tutte le città, e giunsero avanti loro, e si accolsero appresso di lui.

C'è una variante piuttosto insolita nel testo di questo versetto come è conservato in diversi MSS. Le parole la moltitudine, nel primo inciso; nel Secondo; e si accolsero appresso di lui, nell'ultimo, sono omesse nei più antichi MSS. e dai critici più moderni. La vera lezione parrebbe esser questa: molti li videro partire e li riconobbero. La Volgata ha: "Viderunt eos abeuntes et cognoverunt eos" ecc. Queste omissioni tuttavia non recano alcun cangiamento essenziale al senso. La parola significa per terra non meno che a pidi Atti 20:13, e forse sarebbe meglio intenderla così in questo passo per distinguer la moltitudine, da quelli che accompagnarono il Redentore per la via del mare. La pianura di Butaiha come vedemmo più sopra, si poteva attraversare in due ore circa, sicché non c'è difficoltà ad intendere che una parte almeno della moltitudine giungere all'estremità orientale di essa, prima che una pesante barca peschereccia potesse, a forza di remi, approdare al posto in cui dovea seguire il miracolo.

PASSI PARALLELI

Marco 6:54-55; Matteo 15:29-31; Giovanni 6:2; Giacomo 1:19

Mc 6:34

34. E Gesù, smontato,

Il participio uscendo fuori può significare che uscisse o dalla barca o dal ritiro a cui aveva invitati i discepoli per un breve tratto di tempo. Se non avessimo altra guida che le narrazioni di Matteo e Marco, il primo senso sembrerebbe il più naturale, e si direbbe che il ritiro ond'eran bramosi fosse stato abbandonato. Ma la narrazione di Giovanni 6:2-5 pone la evidenza che mentre si stava radunando la moltitudine, Gesù e i suoi discepoli avean

trovato un luogo per conversare insieme, sopra un colle presso il lago, e che fu "uscendo fuori" da questo ritiro che s'incontrò nella moltitudine. Il linguaggio di Luca 9:11 conferma ciò, poiché invece di egli usa le parole: avendoli ricevuti o accolti amorevolmente, le quali parole sarebbero state affatto improprie se la moltitudine fosse stata sul lido per fare festosa accoglienza a lui, in quella che usciva dalla barca.

vide una gran moltitudine, e si mosse a compassione inverso loro; perciocché erano come pecore che non han pastore; e si mise ad insegnar loro molte cose.

La figura di un pastore e di una greggia per denotare le vicendevoli relazioni delle guide spirituali e di quelli che le seguono, è usata di frequente nelle Scritture. E, per converso, una greggia senza pastore è la più commovente figura che possa usarsi per indicare mancanza di nutrimento, di guida, di protezione, l'estrema debolezza ed il continuo pericolo. Ora Gesù dichiara ch'egli è "il buon Pastore", e la sua missione era "alle pecore perdute della casa d'Israele"; non poniamo quindi maravigliarci della compassione, onde era pieno il suo cuore, verso le moltitudini ch'egli vedeva poste in non cale e abbandonate da quelli che avrebbero dovuto spiritualmente essere loro pastori; né possiamo maravigliarci di quel celeste zelo che lo spinse, senza por tempo in mezzo, ad ammaestrarle ed a sanare miracolosamente i loro infermi: "Ragionava loro del regno di Dio".

PASSI PARALLELI

Matteo 14:14; 15:32; Luca 9:11; Romani 15:2-3; Ebrei 2:17; 4:15

Numeri 27:17; 1Re 22:17; 2Cronache 18:16; Geremia 50:6; Zaccaria 10:2; Matteo 9:36

Isaia 61:1-3

Mc 6:35

38. Ed egli disse loro: Quanti pani avete? andate, e vedete. Ed essi, risaputolo, dissero: Cinque, e due pesci.

Giovanni, scrivendo in un tempo posteriore ai sinottici, completa la loro narrazione, dicendoci che Andrea e Filippo furono quelli fra i suoi discepoli coi quali Gesù tenne questa conversazione, e più specialmente rammenta che Gesù domandò a Filippo se fosse possibile di dar da mangiare a una così grande moltitudine, onde provare fin dove giungesse la sua fede nel Maestro, incidente che sembra aver prodotto sull'animo di quell'evangelista una profonda impressione. Né si può dire che vi sia contraddizione fra Giovanni ed i sinottici poiché nessuno degli Evangelisti pretende darci quella conversazione in tutti i suoi particolari, e non è per conseguenza necessaria una precisione rigorosa riguardo all'ordine ed alla forma di essa. Ciò nondimeno, l'ipotesi di alcuni scrittori, che cioè la conversazione, in quel giorno, tra Filippo e il suo Maestro, avvenisse prima di quella con tutti i discepoli, sembra poco attendibile. Secondo noi, unendo insieme i materiali forniti dai quattro Evangelisti, non c'è difficoltà ad ordinarli per modo da produrre un dialogo naturalissimo nel modo seguente: I DISCEPOLI: "Questo luogo è deserto, e già è tardi: licenzia questa gente, ecc." (Matteo Marco Luca). GESÙ: "Non hanno bisogno di andarsene, dato lor voi da mangiare" (Matteo Marco Luca). Poscia indirizzandosi a Filippo individualmente, per provare la sua fede: "Onde comprerem noi del pane per dar da mangiare a costoro?" (Giovanni). FILIPPO (esprimendo il modo di vedere dei suoi confratelli): "Del pane per dugento denari non basterebbe loro, perché ciascun d'essi ne prendesse pure un poco" (Marco Giovanni). GESÙ: "Quanti pani avete? Andate e vedete" (Marco). ANDREA (parlando per tutti): "Vi è un fanciullo, che ha cinque pani d'orzo e due pescetti, ma che è ciò per tanti?" (Matteo Marco Luca Giovanni). GESÙ: "Recatemeli quà" (Matteo), "Fate che gli uomini assettino" (Matteo Marco Luca Giovanni).

Quei "pani" erano focacce di farina d'orzo, cibo dei più miserabili, poiché anche allora l'orzo si dava, per lo più, alle bestie. In prova di ciò Wetstein cita dal Talmud: "Si dice c'è una bella raccolta d'orzo", e un altro risponde "Vallo a dir questo ai cavalli e agli asini". Non mette conto di decidere se il fanciullo di cui parla Andrea fosse impiegato dagli Apostoli a portare quel

cibo per loro proprio uso, ovvero fosse un povero rivendugliolo che cercasse di vender loro la sua merce, poiché sia nell'uno che nell'altro caso i cinque pani e i due pesci erano a loro disposizione.

35. Ed essendo già tardi,

Luca: "Ora il giorno cominciava a declinare"; Matteo: "E facendosi sera", ma più oltre Matteo parla di sera ancor più inoltrata. Infatti fra gli Ebrei la prima sera incominciava alle 8 pomeridiane, la seconda ossia la sera inoltrata al tramonto o poco dopo (Vedi Nota Matteo 14:23Matteo 14:23).

i suoi discepoli vennero a lui, e gli dissero: Questo luogo è deserto, e già è tardi; 36. Licenzia questa gente, acciocché vadano per le villate, (αγρους, poderi), e per le castella d'intorno, e si comperino del pane; perciocché non han nulla da mangiare. 37 Ma egli, rispondendo, disse loro: Date lor voi da mangiare. Ed essi gli dissero: Andremmo noi a comperar per dugento denari di pane, e darem loro da mangiare?

Il δηναριον, (denaro), così chiamato dall'essere eguale a 10 asse, era una moneta d'argento equivalente a 80 centesimi; la somma che gli apostoli stimano bastevole per comperar del pane per la moltitudine, dovea dunque ammontare a circa L.it. 160.

PASSI PARALLELI

Marco 8:5; Matteo 14:17-18; 15:34; Luca 9:13; Giovanni 6:9

Mc 6:38

38. Ed egli disse loro: Quanti pani avete? andate, e vedete. Ed essi, risaputolo, dissero: Cinque, e due pesci.

Giovanni, scrivendo in un tempo posteriore ai sinottici, completa la loro narrazione, dicendoci che Andrea e Filippo furono quelli fra i suoi discepoli coi quali Gesù tenne questa conversazione, e più specialmente rammenta che Gesù domandò a Filippo se fosse possibile di dar da mangiare a una così grande moltitudine, onde provare fin dove giungesse la sua fede nel Maestro, incidente che sembra aver prodotto sull'animo di quell'evangelista una profonda impressione. Né si può dire che vi sia contraddizione fra Giovanni ed i sinottici poiché nessuno degli Evangelisti pretende darci quella conversazione in tutti i suoi particolari, e non è per conseguenza necessaria una precisione rigorosa riguardo all'ordine ed alla forma di essa. Ciò nondimeno, l'ipotesi di alcuni scrittori, che cioè la conversazione, in quel giorno, tra Filippo e il suo Maestro, avvenisse prima di quella con tutti i discepoli, sembra poco attendibile. Secondo noi, unendo insieme i materiali forniti dai quattro Evangelisti, non c'è difficoltà ad ordinarli per modo da produrre un dialogo naturalissimo nel modo seguente: I DISCEPOLI: "Questo luogo è deserto, e già è tardi: licenzia questa gente, ecc." (Matteo Marco Luca). GESÙ: "Non hanno bisogno di andarsene, dato lor voi da mangiare" (Matteo Marco Luca). Poscia indirizzandosi a Filippo individualmente, per provare la sua fede: "Onde comprerem noi del pane per dar da mangiare a costoro?" (Giovanni). FILIPPO (esprimendo il modo di vedere dei suoi confratelli): "Del pane per dugento denari non basterebbe loro, perché ciascun d'essi ne prendesse pure un poco" (Marco Giovanni). GESÙ: "Quanti pani avete? Andate e vedete" (Marco). ANDREA (parlando per tutti): "Vi è un fanciullo, che ha cinque pani d'orzo e due pescetti, ma che è ciò per tanti?" (Matteo Marco Luca Giovanni). GESÙ: "Recatemeli quà" (Matteo), "Fate che gli uomini assettino" (Matteo Marco Luca Giovanni).

Quei "pani" erano focacce di farina d'orzo, cibo dei più miserabili, poiché anche allora l'orzo si dava, per lo più, alle bestie. In prova di ciò Wetstein cita dal Talmud: "Si dice c'è una bella raccolta d'orzo", e un altro risponde "Vallo a dir questo ai cavalli e agli asini". Non mette conto di decidere se il fanciullo di cui parla Andrea fosse impiegato dagli Apostoli a portare quel cibo per loro proprio uso, ovvero fosse un povero rivendugliolo che cercasse di vender loro la sua merce, poiché sia nell'uno che nell'altro caso i cinque pani e i due pesci erano a loro disposizione.

PASSI PARALLELI

Marco 8:5; Matteo 14:17-18; 15:34; Luca 9:13; Giovanni 6:9

Mc 6:39

39. Ed egli comandò loro che li facesser tutti coricar sopra l'erba verde, per brigate.

In questa menzione che è fatta, così per incidenza, dell'erba verde, abbiamo una conferma affatto impensata della dichiarazione di Giovanni che questo miracolo fu operato prima del tempo pasquale, cioè sul principio della primavera, imperocché in una stagione più avanzata, sotto i raggi cocenti del sole, e col caldo tropicale del bacino in cui è situato il lago, l'erba non sarebbe più stata verde.

PASSI PARALLELI

1Re 10:5; Ester 1:5-6; Matteo 15:35; 1Corinzi 14:33,40

Mc 6:40

40. Ed essi si coricarino per cerchi,

Ebraismo che significa, per aree o per quadrati e non per circoli.

a cento, ed a cinquanta, per cerchie.

Le prasiai sono le aiuole quadre dei giardini ove crescon l'erbe. Alcuni di questi drappelli formavano quadrati composti di 100, altri di 50 persone ciascuno. Così si evitava ogni disordine, ogni strepito ed ogni confusione; non c'era pericolo che rimanessero senza la loro parte le donne e i fanciulli, i più forti e i più maneschi cacciandosi avanti per ricevere più del giusto;

così bastava un'occhiata a verificare quanti avessero già avuta la parte loro; e così gli Apostoli potevano facilmente passar dall'uno all'altro in mezzo alla moltitudine, e soddisfare per ordine e successivamente alla necessità di tutti.

PASSI PARALLELI

Luca 9:14-15

Mc 6:41

41. Poi prese i cinque pani, e i due pesci, e levò gli occhi al cielo, e fece la benedizione

In Giovanni 6:11, rese grazie. Quest'atto Gesù lo eseguì come capo di casa, a prò di quelli che erano ospiti suoi, insegnandoci col suo esempio a render grazie a Dio come a quegli che ci dà il nostro pane quotidiano. "Colui che fruisce d'alcuna cosa", dice il Talmud, "senza render grazie è come se rubasse a Dio". Questo rendimento di grazie pel cibo e la moltiplicazione di esso, qual nutrimento di migliaia, fu la crisi del miracolo. L'analogia dell'economia divina ci porta a credere che non vi fu alcuna nuova creazione di materia, ma solo una miracolosa espansione di quella che era già nelle mani di Cristo. Ma alla curiosità che chiedesse se la moltiplicazione ebbe luogo nelle mani del Signore o dei suoi discepoli, ovvero della moltitudine non è data alcuna risposta nel Vangelo, e vane sarebbero le speculazioni nostre su tali argomenti. Pel modo in cui furono compiti pare che i miracoli di Elia e di Eliseo somiglino a questo, Vedi 1Re 17:18-16; 2Re 4:2-6,42-44

poi ruppe i pani, e le diede ai suoi discepoli, acciocché li mettessero davanti a loro; egli spartì eziandio i due pesci a tutti. 42. E tutti mangiarono, furon e furon saziati.

Nulla potrebbe somigliar meno alla oscurità e confusione dei pretesi miracoli, che il modo regolare e quasi cerimonioso con cui le turbe dapprima furon fatte sedere, e poi fu dato loro da mangiare, senza il minimo disordine e senza nascondere alcuna parte del procedimento. Giovanni ci

dice: "E, dopo che furon saziati, Gesù disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzati, che nulla se ne perda". In ciò abbiamo un avvertimento contro allo spreco, sempre riprovevole, del cibo, essendo questo una delle creature di Dio, le quali tutte si devono usare con rendimento di grazie 1Timoteo 4:4

PASSI PARALLELI

Marco 7:34; Matteo 14:19; Luca 9:16; Giovanni 11:41; 17:1

Marco 8:6-7; 14:22; Deuteronomio 8:10; 1Samuele 9:13; Matteo 15:36; 26:26; Luca 24:30

Giovanni 6:11,23; Atti 27:35; Romani 14:6; 1Corinzi 10:31; Colossesi 3:17; 1Timoteo 4:4-5

Marco 8:8-9; Deuteronomio 8:3; 2Re 4:42-44; Salmi 145:15-16; Matteo 14:20-21; 15:37-38

Luca 9:17; Giovanni 6:12

Mc 6:43

43. E i discepoli levarono dei pezzi de' pani dodici corbelli pieni, ed anche (qualche rimanente) dei pesci.

Le parole in corsivo non sono nell'originale, ma corrispondono col passo di Giovanni, che dichiara espressamente che 12 corbelli furono empiti cogli avanzi dei 5 pani soltanto, il rimanente dei pesci essendo contato separatamente. Presso i Giudei erano in uso due sorta di corbelli o ceste, i più piccoli chiamati spuris, che ci usavano per portare il pane, ecc.: i più grandi chiamati confinos, che usavansi nei viaggi per trasportare le provvigioni e i letti. Tutti e 4 gli Evangelisti ricordano che furon 12 cofani, o corbelli di maggior grandezza, che furono empiti coi frammenti in questa occasione, mentre invece nella narrazione del miracolo dello sfamare i 4000

in Marco 8:8, è specificato che i corbelli usati furono di quei più piccoli spuridi.

PASSI PARALLELI

Marco 8:19-20

Mc 6:44

44. Or coloro che avean mangiato di que' pani erano cinquemila uomini

Matteo aggiunge: "Oltre (letteralmente senza) alle donne ed ai fanciulli"; osservazione niente affatto necessaria, se, come pensano alcuni, non eran presenti né donne né fanciulli; ma importante invece, perché ci fa sapere che questi e quelle non furono compresi nel numero totale di 5000. È probabilissimo che le donne ed i fanciulli furono serviti a parte in brigate della stessa dimenzione di quelle degli uomini Marco 6:40, ma non vennero compresi nel conto. Cinquemila adunque è il numero di quelli che furono nutriti da questo stupendo miracolo, essendo questo il numero dei soli uomini presenti. Questo miracolo sorpassa di gran lunga in grandezza quelli dell'antico Testamento. L'unico che possa reggere al paragone è quello della manna nel deserto, che questo miracolo richiamò vivamente alla memoria della moltitudine Giovanni 6:14,31, eccitando il loro entusiasmo per modo che se Gesù lo avesse permesso, l'avrebbero tosto proclamato Re Giovanni 6:15. Si fu per evitare un tal movimento, che Gesù, avendo costretto i suoi discepoli ad imbarcarsi, congedò incontanente la moltitudine Marco 6:45

RIFLESSIONI

1. Il ritiro e la solitudine sono necessari di quando in quando per la sanità e il vigore della vita spirituale. I ministri del vangelo, gli educatori e gli altri che sono impegnati nei doveri pubblici della religione, commettono un funestissimo errore se suppongono di potersi dispensare dalla preghiera in segreto, e dallo studio devoto delle Scritture in privato; ovvero che la

spossatezza conseguente alla cura delle anime altrui, li autorizzi a trascurare le proprie. Fa appunto quando erano spossati e stanchi, e sovraeccitati pel buon esito delle loro fatiche pubbliche, che agli Apostoli fu comandato di ritrarsi in un luogo deserto e riposarsi alquanto. E in mezzo alla incessante fatica nell'insegnare ed operar miracoli, il Signore stesso trovava necessario di rubar le ore al sonno onde aver agio di pregare nella solitudine,

2. Il Signore Gesù ci dà una prova luminosa della sua potenza divina, facendo sì che una scarsa provvisione di viveri, appena sufficiente per un sol giorno ai bisogni di lui e dei suoi discepoli, bastasse a satollar la fame di una moltitudine numerosa al pari di una legione romana. Non poteva sfuggire a chicchessia, la realtà e la grandezza di questo miracolo, poiché fu operato in pubblico e davanti a molti testimoni. Quella potenza medesima che in principio creò il mondo dal nulla, creò pure del cibo che prima non esisteva. Le circostanza tutte del fatto rendevano impossibile l'inganno. Cinquemila uomini affamati non avrebbero ammesso, d'esser "tutti saziati", se non avessero ricevuto realmente del cibo. Dodici corbelli pieni di pezzi rimasti non ne sarebber stati levati, se veri pani e pesci non fossero stati miracolosamente moltiplicati. In breve, null'altro che il dito di Dio può spiegare tutto questo. La stessa mano che mandò la manna dal cielo nel deserto per nutrire Israele, fu quella che fece che cinque pani e due pesci provvedessero al bisogno di cinquemila uomini, oltre donne e fanciulli.

3. La carità di Gesù verso quella affamata moltitudine deve insegnarci ad aver compassione dei poveri, e dei bisognosi, e a dar da mangiare agli affamati. Il corpo dell'uomo è opera di Dio, ed è oggetto delle sue cure non meno dell'anima. Il guarire gli infermi, il dar da mangiare agli affamati eran dunque opere confermi alla missione del Salvatore, non meno che il perdonare ai pentiti, il consolare i dolenti ed il predicare il vangelo ai poveri. Il suo esempio non può addursi in favore di quella parziale carità che si occupa solamente delle anime e trascura i corpi. Quando doveva insegnare agli affamati, si dava loro pane non meno che verità, quantunque non mancasse di rimproverare quelli che venivano a lui, soltanto per amore di questi beni inferiori Giovanni 6:26-27. Le parole di Giacomo 2:15-16 sono qui molto applicabili. "Se un fratello, o sorella, son nudi, e bisognosi del nudrimento cotidiano; e alcun di voi dice loro: Andatevene in pace,

scaldatevi e satollatevi; e voi non date loro i bisogni del corpo, qual pro fate loro?"

4. In questa occasione, e in parecchie altre, troviamo che Gesù, prima di mangiare, invoca la benedizione di Dio sul cibo che sta per essere usato, ed è sempre ben fatto imitare il tuo esempio. È dover nostro riconoscere che riceviamo da Dio non solo la vita, ma pure le cose necessarie a sostentarla, e pregare che, nel mentre riceviamo i suoi doni, non abbiam talora a dimenticare il munifico donatore Deuteronomio 8:16; Romani 14:6; 1Timoteo 4:4. Chi trascura questo dovere abbassa sé stesso al livello delle creature prive di ragione.

5. Il Signore, col suo comando ai suoi discepoli, ci insegna a praticare l'economia e a guardarci dal peccato dello spreco. Quel Salvatore che aveva il potere di creare i mondi con una semplice parola, pur non di meno comandò di raccogliere i pezzi avanzati, sicché nulla andasse perduto. Quale rimprovero non contengono queste parole per coloro che sprecano in vani abbigliamenti o nel lusso domestico, o nelle rappresentazioni teatrali, o, peggio ancora, in piaceri immorali, quel denaro che si potrebbe, con tanto maggior vantaggio, impiegare in opere di carità e di misericordia! Noi dobbiamo "usare di questo mondo e non abusarne". Altro è esser generoso e praticare l'ospitalità, ed altro essere spensierato, improvvido e sprecone. Un tale spreco non solo offende Iddio, ma anche ci fa essere ingiusti e duri verso i nostri simili.

6. Vi sono dei tempi in cui i poveri, tra il popolo di Dio sulla terra, stanno per perdere la fede e il coraggio, ed esclamare: "Che mangeremo e che berremo, e di che ci vestiremo?" Quale è il rimedio? Dobbiamo rammentarci dei tempi antichi, e pensare alla potenza infinita di Dio. Dobbiamo ricordarci ch'ei può creare dal nulla il nutrimento pel suo popolo, e provvedere ai bisogni di coloro che lo seguono, finanche nel deserto, poiché Gesù vive ancora, e non cangia mai, e provvederà a noi come ha provveduto agli altri per lo passato.

Mc 6:45

Ù

Marco 6:45-56. GESÙ RITORNA ALLA PARTE OCCIDENTALE DEL LAGO. CAMMINA SULLE ACQUE. VISITA GERUSALEMME Matteo 14:22-36; Giovanni 6:14-24

Per l'esposizione vedi Matteo 14:22Matteo 14:22-36.

Mc 7:1

CAPO 7 - ANALISI

1. I Farisei e gli Scribi accusano i discepoli di trasgredire le tradizioni. L'accusa è fondata sul fatto che i suoi discepoli erano stati visti a mangiare con mani non lavate. Matteo scrivendo per gli Ebrei, che per propria grave sperienza conoscevano tutte queste usanze, non ne dà che un cenno passando; ma Marco, scrivendo per l'istruzione dei gentili, sente la necessità di entrare nella spiegazione di quegli usi, della cui trascuranza, per parte dei suoi discepoli, i Farisei muovono accusa a Gesù Marco 7:1-5.

2. Cristo convince i Farisei di colpa ben più seria di pervertire cioè ed annullare la legge di Dio con le loro tradizioni Egli dimostra quanto appieno si verificasse nuovamente, nel loro caso, la solenne riprovazione pronunciata da Isaia contro la ipocrisia dei loro padri, mercè la loro minuziosa osservanza di inezie, e la loro trascuratezza dei grandi doveri morali. E in esempio di ciò, cita il modo in cui il quinto comandamento, che ingiunge al figli di onorare i loro genitori, e ben s'intende di sostentarli nella povertà o nella malattia, era annullato, dagli Scribi e dai Farisei, con la legge tradizionale, che permetteva a colui che avesse da compiere questo dovere filiale, di esimersene, dedicando la propria sostanza al servizio di Dio, la qual dedica era detta Corban. La tradizione Farisaica dichiarava che chi avesse fatto ciò, era interamente esonerato dalla obbligazione imposta dal quinto comandamento della legge morale Marco 7:6-13.

3. Discorso sulla contaminazione morale. Dopo aver risposto alle accuse mosse dai Farisei ai suoi discepoli, convincendoli di essere essi invece i veri trasgressori della legge, Gesù si rivolse al popolo, ripigliando il filo del suo

discorso su ciò che costituisce la contaminazione, dice loro di osservar bene che il cibo che riceviamo con rendimento di grazie non diventa già contaminato, e per conseguenza non può divenire strumento di contaminazione a tutto l'uomo, col semplice passare per mani non lavate prima di toccarlo; ma che ciò che veramente contamina l'anima e il corpo è la depravazione che procede dal cuore. I suoi discepoli non intesero questo discorso, sebbene per noi chiarissimo; ad essi sembrò "una parabola" un detto oscuro, e, tornando alla loro abitazione, pregarono Gesù di volerne chiarir meglio per essi il significato. L'argomento era veramente importantissimo, siccome Cristo prevedeva che questa dottrina inspecie dell'astenersi da certe vivande, e generalmente la dottrina dei meriti proveniente dal culto legale esteriore, sarebbe sorta di frequente nella storia della sua Chiesa, e perciò egli acconsente a darne una piena spiegazione. Egli dice: "I cibi non possono contaminare la parte immortale dell'uomo, cioè il suo spirito, perché non possono giungervi; essi vanno nello stomaco, la cui azione chimica ne estrae quanto è richiesto alla vita, mentre il soverchio è evacuato dal corpo. Ma i malvagi principii e le ree passioni che hanno sede nel cuore, e lo contaminano ne escono fuori in malvagi discorsi e in malvagie azioni, e così tutto quanto l'uomo, corpo ed anima, è contaminato" Marco 7:14-23.

4. Gesù visita i confini di Tiro e Sidone. I confini di Tiro e Sidone quì menzionati son quelle parti del territorio fenicio che confinavano con il settentrione della Galilea, lungo i gioghi orientali del Libano meridionale. È questa la sola occasione in cui sia ricordato che Gesù passasse il confine d'Israele e visitasse i gentili. Apparentemente il fine che si propose in ciò era di concedere un po' di riposo a sé e ai discepoli. Anche colà v'era un'anima pronta ad abbracciarlo qual suo Salvatore, e questo era, di per sé, motivo sufficiente pel suo viaggio, tanto più che il ricevimento della donna sirofenice, a motivo della sua fede, dovea prefigurare la libera ammissione che un giorno si farebbe dei gentili nella sua Chiesa. Questa donna gentile supplicò istantemente Gesù di guarire la sua figlia, liberandola da uno spirito immondo, che avea presa la sua dimora in lei, e dopo molte difficoltà, mossele nell'intendimento di provarne la fede, la sua domanda le fu accordata con calde parole di elogio Marco 7:24-30.

5. Ritorno di Gesù al lago di Galilea. Questo ritorno non fu per la strada ordinaria, lungo le sponde del Giordano; ma dirigendosi ad oriente, attraverso parte dell'Iturea e della Gaulonitide, Gesù venne alla regione chiamata Decapoli, all'E. del lago di Galilea, in una regione, cioè, di cui avea visitato la sola Gherghesa Marco 5:1, ecc. Marco solo ricorda un miracolo, operato da nostro Signore, durante il suo viaggio attraverso la Decapoli, su di un uomo che era sordo e scilinguato Marco 7:31-37.

Marco 7:1-23 I FARISEI E GLI SCRIBI ACCUSANO I DISCEPOLI DI TRASGREDIRE LE TRADIZIONI DEGLI ANZIANI. GESÙ DENUNZIA QUESTE TRADIZIONI COME VIOLAZIONI DELLA LEGGE MORALE DISCORSO SULLA CONTAMINAZIONE LEVITICA E MORALE Matteo 15:1-20

1. Allora si raunarono appresso di lui i Farisei, ed alcuni degli Scribi, ch'eran venuti da Gerusalemme 2. E, veduti alcuni dei discepoli di esso prender cibo con le mani contaminate,

La parola greca contaminate significa letteralmente comuni in opposizione a consacrate. (Per altri esempi di questa parola, usata nello stesso senso, vedi Atti 10:14,16; Romani 14:14; Ebrei 10:29). L'antitesi tra santo e comune, è derivata dalla legge cerimoniale, per la quale i Giudei eran separati dalle altre nazioni.

Mc 7:2

cioè, non lavate, ne fecer querela.

Marco espone molto più minutamente di Matteo, l'occasione del discorso che segue. Parrebbe che oltre l'opposizione suscitata a Cristo in Galilea, il Sinedrio avesse già organizzato, per mezzo dei suoi fidati agenti, un sistema di spionaggio su tutto quanto era fatto da lui e da' suoi discepoli. Cotesti agenti avendo, scoperto che i discepoli non adempivano alla formalità del lavarsi le mani ogni volta che si ponevano a mangiare, e che quindi le loro

mani erano cerimonialmente impure, vennero a domandare a Gesù come mai egli permettesse tale trasgressione delle loro leggi.

PASSI PARALLELI

Marco 3:22; Matteo 15:1; Luca 5:17; 11:53-54

Atti 10:14-15,28

Daniele 6:4-5; Matteo 7:3-5; 23:23-25

Mc 7:3

3. Perciocché i Farisei, anzi tutti i Giudei non mangiano, che non abbian lavate le mani fino al cubito,

Oltre la spiegazione della parola comune nel verso precedente, Marco aggiunge, tra parentesi, in questo versetto e nel seguente, una spiegazione delle pratiche osservate dai Giudei in relazione alle abluzioni cerimoniali, il che distrugge l'asserto di alcuni scrittori, che il nostro Evangelista non abbia fatto altro che trascrivere o compendiare il Vangelo di Matteo Queste spiegazioni dimostrano inoltre ch'egli scriveva per una classe diversa di lettori, cioè pei gentili, che avean bisogno d'essere illuminati su tali punti, laddove invece i Giudei, pei quali scriveva Matteo, li avean per dir così sulla punta delle dita. Questa superstizione cerimoniale non era ristretta ai Farisei, ma era invalsa generalmente nel popolo, ad eccezione forse di taluni dei Sadducei. pugmé, tradotto da Diodati, "fino al cubito", è una parola che i commentatori furono perplessi a tradurre. Alford dice che non significa "fino al gomito", e nemmeno "col pugno chiuso", ma che deve esser tradotta o "frequentemente" (Vulg. cebro), o "diligentemente", cioè col pugno, con forza. Lange e Olshausen, al contrario, dichiarano che tal parola non significa né frequentemente, né diligentemente, bensì "col pugno stretto", cioè il lavar la palma aperta di una mano, col pugno stretto dell'altra. È vero che pugmé significa il pugno stretto (Vedi esempii, Parkhurst, Lessico Greco. Art) ma siccome pugmé equivale qui, senza dubbio, all'espressione

rabbinica fino alla giuntura, e siccome sappiamo le citazioni degli scritti rabbinici fatte dall'erudito Gill, che v'erano occasioni in cui era obbligatorio di lavarsi soltanto fino ai polsi (che sono la prima giuntura al disopra del pugmé), ed altre, in cui si era obbligati di lavarsi fino al gomito o cubito, preferiamo qui la giuntura dei polsi come il significato della parola in questo passo, tanto più che tale significato ha per sé l'autorità di quel dotto Ebraista che è il Lightfoot.

temendo la tradizioni degli anziani.

Per dare un solo esempio di queste tradizioni, Rabbi Giosuè dice, nel Talmud: "Colui che mangia del pane con mani non lavate è reo non meno che se fornicasse con una prostituta!", Vedi la Nota Matteo 5:21Matteo 5:21.

PASSI PARALLELI

Marco 7:7-10,13; Matteo 15:2-6; Galati 1:14; Colossesi 2:8,21-23; 1Pietro 1:18

Mc 7:4

4. Ed anche, venendo d'in su la, piazza, non mangiano, che non abbian lavato tutto il corpo.

L'Evangelista riferisce, in passando, alle abluzioni cerimoniali distintivo della nazione giudaica. Agora denota sì il foro o luogo del pubblico concorso, che la piazza del mercato, e siccome i Giudei potean contrarre contaminazione legale pel contatto coi gentili nell'un luogo, e con le immondezze nell'altro, crediamo che la parola si riferisca qui ad entrambi. Le parole tutto il corpo, in fine al versetto, non si trovano nel greco, ed è meglio ometterlo, specialmente perché non consta punto che i Giudei si lavassero tutto il corpo, ogni volta che venivano dal mercato. È più probabile che anche qui si alluda al lavarsi le mani fino ai polsi; sebbene

alcuni asseriscano che il verbo è usato nella forma media, e che il soggetto del lavamento è il cibo portato dal mercato.

vi son eziandio molte altre cose, che han ricevute da osservare, lavamenti di coppe,

nappi.

d'orcioli,

sestarii, parola derivata dal latino e significante vasi per fluidi contenenti la sesta parte di qualche misura più grande.

di vasellamenti di rame,

utensili di bronzo per cucinare.

e di lettiere.

letti su cui giacevano reclinando ai pasti. Nel caso dei letti, questo lavamento, battesimo, doveva eseguirsi per ispruzzamento, ovvero lavandoli con un panno inzuppato, poiché l'immersione di mobili così grandi e pesanti, dopo ogni pasto, è un'idea troppo assurda per essere accolta seriamente, quand'anche ci fosse stata all'uopo una piscina in ogni casa e capanna della Giudea. Una prova del carattere assurdo e irreligioso del Farisaismo non saprebbe trovasi più chiara di quella che ci è somministrata da questa meschina esagerazione dei doveri religiosi e da questo estendere, a cose che non hanno alcun senso o significato, quelle osservanze che Dio avea stabilite temporaneamente come simboliche di una gran verità.

PASSI PARALLELI

Giobbe 9:30-31; Salmi 26:6; Isaia 1:16; Geremia 4:14; Matteo 27:24; Luca 11:38-39

Giovanni 2:6; 3:25; Ebrei 9:10; Giacomo 4:8; 1Giovanni 1:7

Mc 7:5

Per la esposizione dei versetti 5-23, vedi Matteo 15:1Matteo 15:1-20.

Mc 7:24

Marco 7:24-30 LA DONNA SIROFENICE E LA SUA FIGLIA INDEMONIATA

Per l'esposizione, vedi Matteo 15:21Matteo 15:21-28.

Mc 7:31

Marco 7:31-37. GESÙ VISITA LA REGIONE DELLA DECAPOLI, E GUARISCE UN SORDOMUTO Matteo 15:29-31

31. Poi Gesù, partìtosi di nuovo dai confini di Tiro e di Sidone,

La maggior parte dei critici moderni leggono attraverso la contrada di Sidone, fondandosi su certi MSS. che essi considerano di maggiore autorità (sebbene assai meno numerosi di quelli che hanno e di Sidone, come nel testo), e su certe antiche versioni che concordano con quelli. Secondo questa lezione, nostro Signore avrebbe fatto un lungo viaggio attraverso ad un paese gentile, prima al N. poscia all'E. e finalmente al SE. per giungere alla Decapoli, senza scopo alcuno apparente, poiché sembra che non predicasse né operasse miracoli, fino a che non giunse colà. Noi preferiamo seguire, coi Diodati, la lezione della maggior parte dei MSS. essendo convinti che "i confini di Tiro e di Sidone", quì ed al vers. 24, non si vogliono intendere del littorale della Fenicia all'O., ma sì del confine orientale, che era contermine a quello della Galilea, Vedi Nota Matteo 15:21Matteo 15:21.

venne presso al mare della Galilea, per mezzo i confini di Decapoli.

Possiamo presumere che il nostro Signore in questa occasione passò le sorgenti del Giordano a Tell el Kady (l'antico Daniele), lasciò a N. E. il Monte Hermon, e si avanzò attraverso la Gaulonitide. La regione, detta Decapoli, era situata principalmente all'E. del lago di Tiberiade e del Giordano, sebbene comprendesse anche alcune città poste al S. della Galilea, Vedi Nota Matteo 4:25Matteo 4:25.

PASSI PARALLELI

Marco 7:24; Matteo 15:29-31

Marco 5:20; Matteo 4:25

Mc 7:32

32. E gli fu menato un sordo scilinguato; e fu pregato che mettesse la mano sopra lui.

Questo miracolo è ricordato soltanto da Marco, il quale lo scelse fra una serie di miracoli fatti da Cristo durante la sua visita alla Decapoli (da Matteo ricordati in un solo versetto Matteo 15:30), forse perché esso presenta una novità nel metodo tenuto dal Signore nell'operare le guarigioni. La parola greca, scilinguato, applicata a costui, segna evidentemente, una differenza tra il caso suo e quello comune del sordo mutolo, benché Lange li consideri identici, perché i 70. Isaia 35:6, traducono la parola Ebraica muto. È fuor di dubbio che varii sono i gradi nella sordità, come, ad esempio, tra un sordo-nato, il quale, non avendo mai udito il suono della propria voce, è totalmente incapace di modificarla o di usarne, ed uno che sia divenuto sordo, dopo avere alcun tempo avuto la favella e l'udito. In quest'ultimo caso, quanto più cresce la sordità tanto più la favella si fa esitante e balbuziente, non perché se ne sia perduta la facoltà, ma perché si è perduto per sempre il potere della modulazione. Sembra chiaro che il caso di quest'uomo appartenesse all'ultima di queste categorie, quantunque possa

darsi benissimo che avesse anche qualche impedimento dello scilinguagnolo (ver. 35). La richiesta che Gesù "mettesse la mano sopra lui", può essere stata fatta dagli amici dell'infermo, nel convincimento che in ogni caso di guarigione miracolosa fosse necessario un qualche contatto tra il sanatore e l'infermo, poiché così era stato quasi sempre nel caso dei profeti dell'Antico Testamento; ovvero può essere semplicemente il modo con cui l'Evangelista esprime la guarigione che desideravano i congiunti, come Matteo lo rappresenta con le parole: "li gittarono a' piedi di Gesù".

PASSI PARALLELI

Matteo 9:32-33; Luca 11:14

Mc 7:33

33. Ed egli, trattolo da parte d'infra la moltitudine,

In un'altra occasione Marco 8:23, Gesù agì similmente col cieco, sul punto di guarirlo, e furono fatte vane congetture dai commentatori intorno alle ragioni che egli potè avere di dipartirsi dalla sua abitudine di guarire gli infermi, immediatamente, in presenza di tutto il popolo. "V'è, senza dubbio, un significato profondo", dice il Trench, "in tutte le variazioni che contraddistinguono le diverse guarigioni dei diversi infermi ed afflitti, una sapienza divina che ordina tutto le circostanze di ciascuna guarigione particolare". Se, come a Colui che "conosceva ciò che era in ciascun uomo", fosse ad ognuno di noi patente la condizione spirituale di quelli che eran condotti entro la cerchia della sua grazia, intenderemmo allora perfettamente perché uno fosse sanato in mezzo alla moltitudine, ed un altro venisse condotto fuori della città prima che fosse incominciata l'opera di ristaurazione; perché per l'uno bastava una parola ad operare la guarigione, per l'altro un tocco, mentre un terzo era mandato alla piscina di Siloam prima che ricuperasse la vista; perché per l'uno fosse istantaneo la guarigione, laddove invece un altro vedea dapprima "gli uomini come alberi che camminano".

gli e mise le dita nelle orecchie; e avendo sputato, gli toccò la lingua;

In due altri casi soltanto vediamo il Signore impiegar la saliva in una guarigione miracolosa Marco 8:23; Giovanni 9:6. Gesù si sputò sul dito e toccò la lingua come per umettarla e restituirla il libero movimento. Siccome l'indistinta articolazione di quell'infermo proveniva dalla sordità, a questa, per prima cosa, si rivolge nostro Signore. All'infermo disse: "Vuoi tu esser sanato?"; al cieco: "Che vuoi tu ch'io faccia?" e "Credete voi ch'io possa far cotesto?" Giovanni 5:6; Marco 10:51; Matteo 9:28, ma siccome costui non poteva udir nulla, né si poteva accostarlo altrimenti che per l'organo della vista, nostro Signore, sostituisce azioni simboliche su ciascuno degli organi affetti, per accertarlo della sua guarigione.

PASSI PARALLELI

Marco 5:40; 8:23; 1Re 17:19-22; 2Re 4:4-6,33-34; Giovanni 9:6-7

Mc 7:34

34. Poi, levati gli occhi al cielo,

cioè pregando a Dio. Niuna preghiera simile a questa precedette il risuscitare ch'egli fece dai morti la figlia di Iairo, ma nel distretto semipagano in cui allora si trovava, ove prevaleva la credenza nella magia e nel semi-pagano in cui allora si trovava, ove prevaleva la credenza nella magia e nei semi-dei, può darsi che la sua preghiera mirasse ad insegnare al popolo che dal cielo solo venivano cotali doni miracolosi, onde così condurli a dar gloria al vero Dio vivente.

sospirò,

gemè; profferire espressioni d'angoscia Romani 8:23; 2Corinzi 5:2,4; Ebrei 13:17. Come nostro fratello e nostro Redentore, che, "ha portati i nostri, languori, e si è caricato delle nostre doglie", Gesù gemè, non solo per compassione di quell'afflitto, e nemmeno soltanto per le infermità e le

miserie dell'uman genere, ma principalmente a cagione di quel peccato in cui queste avean tutte la loro origine, e la cui maledizione egli era destinato a portare.

egli disse Effata,

Siro-caldaico Isaia 35:5

che vuol dire: Apriti.

Che la Chiesa di Roma abbia, dall'azione simbolica del Signore in questo miracolo, tolto in prestanza alcune di quelle sciocchezze, con le quali ha degradato il sacramento del Battesimo è evidente dal fatto, che quando il sacerdote tocca le orecchie e le nari del battezzando con lo sputo della propria bocca, egli profferisce precisamente questa parola Ephpheta. Come nella risuscitazione della figlia, di Jairo, così anche quì, Marco ci ha conservata la parola stessa che fu pronunciata dal Signore.

PASSI PARALLELI

Marco 6:41; Giovanni 11:41; 17:1

Marco 8:12; Isaia 53:3; Ezechiele 21:6-7; Luca 19:41; Giovanni 11:33,35,38; Ebrei 4:15

Marco 5:41; 15:34

Marco 1:41; Luca 7:14; 18:42; Giovanni 11:43; Atti 9:34,40

Mc 7:35

35. E subito l'orecchie di colui furono aperte, e gli ne sciolse lo scilonguagnolo

il legame, o l'impedimento.

e parlava bene.

correttamente, distintamente.

Mc 7:36

36. Ma Gesù ordinò loro che nol dicessero ad alcuno;

La ragione di quest'ordine, così diverso da, quello che diede all'indemoniato Marco 5:19, nello stesso distretto del paese non molto tempo innanzi, non è dato a noi se non di congetturarla. In quel caso, non c'era pericolo di mettere ostacolo al suo ministerio "divulgando grandemente la cosa" Marco 1:45, siccome egli stesso erasi immediatamente dipartito da quella regione; laddove ora invece vi facea soggiorno. È probabile che generalmente un tale ordine fosse dato soltanto quando veniva operato un miracolo fra gente o in luoghi dove tali prodigi non fossero famigliari, e che, per conseguenza, potessero, di leggieri, lasciarsi trasportare da inconsulto zelo nel divulgarli.

ma più lo divietava loro, più la predicavano; 37. E stupivano sopramodo,

Gesù non avea tratto l'infermo in disparte dalla moltitudine più di quanto fosse necessario per evitare d'essere interrotto, ma non prima fu operato il miracolo, e lo scillinguato fu udito parlare facilmente e chiaramente, che i suoi congiunti e la moltitudine li circondarono, presi da tale meraviglia insieme e sbigottimento che non d'altro potevan parlare, ed anzi il divieto, pronunziato, dal Signore, pareva solo averne stuzzicata la voglia.

Mc 7:37

dicendo: Egli ha fatto ogni cosa bene; egli fa udire i sordi, e parlare i mutoli.

Questa esclamazione è piuttosto il risultato di uno stupore comune, che di una fede viva e individuale, ma è una preziosissima testimonianza resa

involontariamente da molti testimoni, alla realtà del miracolo che era stato operato, come pure un ricordo della soddisfazione intensa di tutti quelli che ne furono spettatori. "I sordi" ed "i mutoli" in questo inciso, indicano quella grande varietà di miracoli a cui accenna Matteo come operati in quel tempo, e a proposito dei quali, dichiara che le turbe glorificarono l'Iddio d'Israele.

PASSI PARALLELI

Marco 2:12; Salmi 33:9; Isaia 32:3-4; 35:5-6; Matteo 11:5

RIFLESSIONI

1. Quanto siamo facili a dimenticare il gran benefizio che Dio ci usa largendoci quei sensi, per mezzo dei quali, abbiamo comunicazione col mondo esteriore. Tale benefizio è stato sempre così costante, e così regolare il godimento di esso, che troppo generalmente non è riconosciuto né ammesso, finché non sia tolto in parte, con la perdita della vista, della favella, dell'udito, o del tatto. Impariamo da questo passo a render grazie a Dio, perché ci conserva l'udito, più specialmente perché possiamo udire la sua parola ed approfittarne. Impariamo a ringraziare Iddio per la facoltà della favella, e cerchiamo di usarne per le sue lodi, ricordando sempre la sua ingiunzione: "Guarda la tua lingua dal male e le tue labbra da parlar frode". Impariamo anche, dall'esempio del nostro Salvatore a mostrarci compassionevoli verso i ciechi e verso i sordi-mutoli nelle loro privazioni.

2. Noi non raccoglieremo che la metà soltanto della istruzione che ci offre questo passo, se non vediamo in esso altro che un esempio della potenza divina del nostro Signore. Spingendo lo sguardo oltre la superficie, troveremo in questo passo preziose verità spirituali. Esso ci adombra il potere che Cristo possiede di sanare la sordità spirituale! Egli può dare "un orecchio intendente" al più grande fra peccatori, e può far sì che prenda diletto nell'ascoltare quel vangelo stesso che già soleva disprezzare! "Il Signore Iddio mi ha aperto l'orecchio, ed io non sono stato ribelle, non mi son tratto indietro" Isaia 50:5. Esso raffigura la potenza di Cristo nel sanare

quelli che sono spiritualmente mutoli. Egli può insegnare ai più indurati trasgressori ad invocare Iddio. Egli può mettere un nuovo cantico nella bocca dell'uomo che non soleva parlare che di cose mondane, e può far parlare di cose spirituali e testimoniare al vangelo della grazia di Dio, i più vili degli uomini. Quando Gesù spande il suo Spirito nulla e impossibile!

3. Ci può essere qualche cosa di misterioso, agli occhi nostri, nel modo usato dal Signore per guarire questo cieco, ma esso racchiude per noi una lezione importantissima, ed è che Cristo non è vincolato ad un solo mezzo per compiere l'opera sua tra gli uomini. Quando era sulla terra, credè opportuno il sanare, talvolta in un modo, e talvolta in un altro. I suoi nemici non poterono mai muovergli l'accusa ch'ei non potesse operare se non in un modo dato ed invariabile. E così è ancora nella sua Chiesa. Abbiamo continuamente delle prove ch'egli non è vincolato ad alcun mezzo particolare per trasmettere alle anime la grazia; talvolta ciò avviene per mezzo della lettura privata della sua Parola, tal altra per mezzo della pubblica predicazione di essa; talora per la via delle afflizioni o dei rimproveri degli amici. Egli non vuole che disprezziamo alcun mezzo siccome inutile; essi son tutti nelle sue mani, e noi non sappiamo quale possa piacergli di scegliere per la conversione delle anime nostre.

Mc 8:1

CAPO 8 - ANALISI

1. Gesù sazia miracolosamente quattromila persone. Nella prima parte di questo capitolo, l'Evangelista conclude la sua narrazione delle fatiche di Cristo nella Decapoli, raccontando un altro miracolo notevolissimo, pel quale il Signore, con sette pani e pochi pesci saziò quattromila persone, che l'avean seguito per tre giorni, e si sentivano venir meno per la fame. Parrebbe inutile il far notare che questo miracolo non è una ripetizione di quello ricordato nel capitolo precedente, se scrittori della scuola razionalista non avessero ostinatamente affermato il contrario. Gesù pone la cosa fuor di dubbio, col riferirsi, in questo stesso capitolo, ad entrambi i fatti come a miracoli distinti Marco 8:1-9.

È

2. È domandato e ricusato un segno dal cielo. Subito dopo compiuto questo miracolo, Gesù lasciò coi suoi discepoli la Decapoli, e ritornò alla spiaggia occidentale del lago, sbarcando ad una parte di esso che è chiamata da Marco, Dalmanuta, e Magdala da Matteo, probabilmente per la vicinanza di questi due villaggi. Sappiamo, dal passo parallelo in Matteo, che venne accolto premurosamente dagli abitanti in generale, i quali mandarono attorno per tutto quel distretto una specie di invito onde gl'infermi e gl'indemoniati potessero approfittarsi della sua presenza. Se non che tutta la popolazione non era dello stesso pensare, poiché in quel distretto, abitavano alcuni della setta dei Farisei, che tutte le sue guarigioni miracolose non valevano a convincere. Costoro vennero a lui chiedendogli un segno o prodigio nel firmamento, in prova delle sue pretese d'essere il Messia. Gesù empirò per la durezza dei loro cuori, e rifiutò loro il segno che avean creduto opportuno di scegliere, ma, nello stesso tempo, li rimanda, come sappiamo da Matteo (vedi Analisi Matteo 16:1Matteo 16:1), al segno del profeta Giona Marco 8:10-12.

3. Il lievito dei Farisei e degli Erodiani. Dalla costa di Dalmanuta nostro Signore e i suoi discepoli tragittarono sul lago ad un luogo che non è indicato né da Matteo, né da Marco nella fretta del partire, i discepoli avevano dimenticato di fare una nuova provvisione di pane; dell'antica ne rimaneva loro una sola pagnotta. I pensieri dei discepoli eran tutti concentrati in questo incidente, mentre il loro divino Maestro stava riflettendo alla misera condizione di quei Farisei che avea pur allora lasciati, cosicché quando esortolli a guardarsi dal lievito dei Farisei e degli Erodiani, essi erroneamente l'intesero come se alludesse al loro sbaglio o dimenticanza, e alla difficoltà di procurarsi del pane dalla parte orientale del lago, ove eran diretti. Gesù li riprese per la loro ottusità d'intendimento e per la lor mancanza di fede nella potenza sua di provvedere ai loro bisogni, richiamando loro in mente le due occasioni in cui aveva ultimamente moltiplicate le scarse loro provisioni, sicché non solo ne furono saziate le migliaia di gente, ma ne rimasero numerosi panieri di pezzi avanzati Marco 8:18-21.

4. Gesù guarisce un cieco a Betsaida, quindi parte per Cesarea di Filippi. La confessione di Pietro. Dal luogo ove approdarono sulla spiaggia

orientale, nostro Signore e i suoi discepoli tornarono, volgendo a settentrione, a Betsaida, posta alla foce del Giordano. Ivi Gesù restituì miracolosamente la vista ad un cieco, ungendo i suoi occhi con saliva, e poscia imponendogli le mani. Ciò che vi ha di speciale e interessante in questo miracolo è che l'infermo ricuperò la vista gradatamente e non istantaneamente. Da Betsaida, Gesù viaggiò per la valle superiore del Giordano e pel lago di Merom, verso Cesarea di Filippi, visitando i villaggi circostanti, e, strada facendo, interrogò i discepoli su quanto avean potuto raccogliere, durante la recente loro missione, intorno al concetto che il popolo si era fatto di lui, e poscia intorno al concetto che se n'eran fatto essi stessi. Marco riporta la risposta di Pietro brevissimamente "Tu sei il Cristo", omettendo tutto quel che segue, nel racconto di Matteo 16:16-20, su cui la Chiesa di Roma ha fabbricato la supremazia di Pietro e dei suoi pretesi successori, sopra la Chiesa universale. Se, come si crede generalmente, Marco ebbe da Pietro la maggior parte delle notizie che ci ha lasciato scritte, questa omissione è significantissima, siccome quella che indica non solo la modestia dell'Apostolo, ma la sua completa ignoranza della supremazia che poscia si pretese ch'egli avesse: imperocché, se il Maestro gli avesse dato una tale missione riguardo alla Chiesa universale, il tacerne sarebbe stato lo stesso "vergognarsi del suo Signore" Marco 8:22-30.

5. Gesù annunzia la propria morte, ed è ripreso da Pietro Col segno del profeta Giona, Gesù avea già predetta la sua morte, e la sua risurrezione; ma ora, in adempimento del suo ministerio profetico, annunzia ancor più chiaramente i patimenti che gli soprastavano, la rigezione sua per parte del Sinedrio, la morte violenta che avrebbe da soffrire, e la sua risurrezione al terzo giorno. Questi annunzi, contraddicevano siffattamente alle aspettazioni nazionali intorno al Messia, e distruggevano così crudelmente tutti i sogni ambiziosi dei discepoli, relativamente agli onori che avrebbero goduto alla corte del Re Messia, che Pietro cominciò a deprecare un tal linguaggio e a rampognare il suo Maestro che l'usasse; ma il Signore si rivolse a Pietro e rimproverollo energicamente, sia perché così faceva la parte del Tentatore inverso il suo Maestro, sia per la sua codardia e fiacco egoismo. A tal proposito, Gesù, chiamata la moltitudine intorno a sé, insegna che i suoi discepoli devono fare abnegazione di se stessi e portare ognuno la sua croce. Riconosce che col transigere codardamente colle sue

convinzioni, e col disertare la causa del vero, l'uomo può salvar la vita, ma perderà certamente l'anima sua preziosa, il bene della quale vale per lui più di tutto il mondo, imperocché Gesù dichiara solennemente, che quando il Figliuol dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con tutti i santi angeli, avrà vergogna di chiamare un tal'uomo suo amico Marco 8:31-38.

Marco 8:1-8. QUATTROMILA PERSONE SAZIATE MIRACOLOSAMENTE Matteo 15:32-38

1. In que' giorni,

cioè durante la visita alla Decapoli. Il modo col quale Matteo comincia la sua narrazione ci mostra che questo miracolo tenne dietro, nell'ordine del tempo, a quello consimile narrato nel capitolo precedente. Poco abbiamo da dire su di esso che non sia già stato osservato nelle note su quello, tanto è grande la loro rassomiglianza, nei tratti più caratteristici. Come l'altro, anche questo fu operato in qualche località della sponda orientale del lago di Galilea.

essendo la moltitudine grandissima,

Composta in parte dei curiosi, in parte di uditori interessati, e per una considerevole porzione dei congiunti e degli amici che avean portato degli infermi a Gesù perché li guarisse Matteo 15:30

e non avendo da mangiare,

A misura che Gesù procedeva nel suo viaggio, quelli che lo seguivano vedevano crescere la distanza che li separava dalle loro case, e scemare i mezzi di sostentamento. Non si erano provvisti che per una assenza di poche ore, ed i villaggi per cui passavano non potevano fornir viveri, se non in proporzioni affatto insufficienti, ad una moltitudine di 4000; sarebbe stato anzi come un mucchiettino di grano per un esercito di locuste.

Gesù, chiamato a sé i suo discepoli, disse loro 2. Io ho pietà di questa moltitudine;

Vediamo qui espressa quella profonda emozione del Redentore, che spesse volte precedeva una qualche notevole interposizione soccorritrice, Vedi Matteo 9:36; 14:14; 20:34; Marco 1:41; Luca 7:13

Mc 8:2

perciocché già tre giorni continui dimora appreso di me, e non ha da mangiare

Tre giorni completi, ovvero, secondo il modo di computare degli Ebrei, un giorno intero e una porzione di due altri.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:32-39; 1:41; 5:19; 6:34; 9:22; Salmi 103:13; 145:8,15; Michea 7:19; Matteo 9:36; 14:14

Matteo 20:34; Luca 7:13; 15:20; Ebrei 2:17; 4:15; 5:2

Matteo 4:2-4; 6:32-33; Giovanni 4:6-8,30-34

Mc 8:3

3. E, se io li rimando digiuni a cosa, verranno meno tra via; perciocché alcuni di loro son venuti di lontano.

Quest'ultimo inciso non si trova in Matteo, ma le parole sono evidentemente di Cristo, e non già un'aggiunta fatta dall'Evangelista. Se la moltitudine avesse deputato taluni dei suoi componenti a Gesù per rappresentargli lo stato loro di debolezza e di fame, avrebbero essi potuto dipingere la situazione con maggior forza che non la dipinge quì, per loro, Cristo ai suoi

discepoli? Come spesso si avvera, nel corso del ministerio di Cristo, quella profezia: "Veramente egli ha portati i nostri languori, e si è caricato delle nostre doglie" Isaia 53:4

PASSI PARALLELI

Giudici 8:4-6; 1Samuele 14:28-31; 30:10-12; Isaia 40:31

Mc 8:4

4. E i suoi discepoli gli risposero: Onde potrebbe alcuno saziar costoro di pane quì luogo deserto?

Alcuni scrittori hanno mostrato sorpresa che gli Apostoli abbiano potuto fare una domanda così simile a quella del capitolo Marco 6:37, dalla quale si può credere che essi non sentissero simpatia per la moltitudine bisognosa, e non si preoccupassero se non delle difficoltà nel venirle in aiuto, mentre pur sapevano che poco prima il loro Maestro avea saputo trovar il rimedio opportuno, in un caso perfettamente analogo. Erronea, a parer nostro, è la supposizione del Trench, che gli apostoli avessero dimenticato quell'altro miracolo; nondimeno, da quel punto di vista, egli risponde in modo sì opportuno alla sovraindicata obbiezione, che citiamo volentieri le sue parole. "Eppure questa sorpresa nasce dalla nostra ignoranza del cuore umano, del nostro proprio cuore, e della radice profonda d'incredulità che è in esso. È sempre così in tempi di difficoltà e di angustie. Tutte le liberazioni del passato c'è pericolo che sian dimenticate; e le potenti interposizioni della mano di Dio sperimentate dagli uomini, nel corso precedente della vita, non tornano loro nemmeno in mente. Ogni nuova difficoltà sembra insormontabile, come se non vi fosse scampo da essa; ad ogni nuova necessità che si presenta, sembra che sian come esauste le maraviglie della grazia di Dio. Oltre a ciò, la poca considerazione dei discepoli di Cristo è sempre rappresentata, nei Vangeli, come incredibile, fino a che discese sopra di cui lo Spirito Santo". Ma non è necessario adottare la teoria che non si ricordassero del miracolo precedente, per dar ragione di quella loro

domanda. Il Signore, nell'esprimere la sua compassione per le turbe così digiune, non avea detto nulla da cui si potesse inferire ch'egli intendesse operare, a sollievo, di esse, un altro miracolo. Toccava forse ai discepoli suggerirgli di farlo? Certo che no. Per quanto fossero spensierati, si può egli supporre che non avessero osservato, alle nozze di Cana, che Gesù non permetteva nemmeno a sua madre d'intromettersi nei suoi miracoli? Giovanni 2:3-4. La risposta loro è generale e costata che le provvigioni, necessarie a sfamare una tanta moltitudine, non poteano ottenersi per mezzi umani, in un luogo deserto come quello. E chi ci dice che mentre rispondevano così, il miracolo dei 5000 non fosse presente al loro pensiero, sebbene non ardissero farne motto? Certo è che, questa volta, quando Gesù ebbe accertato di quali provviste potevano disporre, l'incredulità non li spinse più a domandare: "Ma che è ciò per tanti?

PASSI PARALLELI

Marco 6:36-37,52; Numeri 11:21-23; 2Re 4:42-44; 7:2; Salmi 78:19-20; Matteo 15:33

Giovanni 6:7-9

Mc 8:5

5. Ed egli domandò loro: Quanti pani avete? Ed essi dissero Sette.

In questo caso come nel precedente, era importante che fosse specificato il numero esatto dei pani, onde non solamente porre in evidenza la grandezza del miracolo, ma anche per distinguerlo da quello dei 5000 sfamati

PASSI PARALLELI

Marco 6:38; Matteo 14:15-17; 15:34; Luca 9:13

Mc 8:6

6. Ed egli ordinò alla moltitudine, che si coricasse in terra; e prese i sette pani, e rendute grazie, li ruppe, e il diede a' suoi discepoli acciocché li ponessero dinanzi alla moltitudine; ed essi glieli poser dinanzi. 7. Aveano ancora alcuni pochi pescetti; e, avendo fatto la benedizione,

Nel precedente miracolo sembra che il Signore invocasse una benedizione sui due elementi (pane e pesce) insieme; secondo Marco, in questo secondo miracolo, li benedisse separatamente, prima il pane e poi i pesci. Riguardando la cosa sotto questo punto di vista, abbiamo qui un'altra prova che questi due miracoli non sono identici, sebbene alcuni considerino la menzione delle due benedizioni semplicemente come una peculiarità dello stile di Marco, per cui questo solo si volle significare, che la benedizione si estese alle due sorta di alimenti.

Mc 8:7

comandò di porre quegli ancora dinanzi a loro. 8. Ed essi mangiarono, e furon saziati; e i discepoli levarono degli avanzi de' pezzi sette panieri; 9. (Or quel che aveano mangiato erano intorno a quattromila); poi li licenziò.

Il modus operandi in questo miracolo è tanto simile a quello descritto in Marco 6:35-44, che il lettore è rimandato alle note su quei versetti. Ma l'asserzione dei neologi tedeschi che questa non sia altro che una imperfetta ripetizione di quel primo miracolo è una pretta perversione del vero, è un chiudere gli occhi all'evidenza. I due miracoli convengono in questo, che entrambi furono operati sulla sponda orientale del lago, e che in tutti e due le moltitudini furon cibate con gli stessi elementi materiali, pane e pesci, che nostro Signore miracolosamente moltiplicò in modo da satollarli tutti; ma differiscono in quasi ogni altro particolare: nel tempo in cui ebbero luogo; nelle circostanze che precedettero e li seguirono nel tempo per cui le moltitudini erano state digiune prima del miracolo; nel numero dei satollati

(nell'un caso 5000, nell'altro 4000); nel numero dei pani che furono usati (nell'un caso cinque, nell'altro sette); nel numero dei pesci (nell'un caso due, nell'altro, indefinitamente, "alcuni pochi pescetti"); nelle località (l'uno "sopra l'erba verde", l'altro, "in terra"); nel numero dei panieri riempiti degli avanzi raccolti (12 in un caso, 7 nell'altro); e più specialmente nei diversi generi di panieri usati nelle due occasioni, kofinoi essendo quelli adoperati nella occasione precedente, secondo la testimonianza di tutti gli Evangelisti, e spuride in questa, secondo Matteo e Marco, Vedi nota Marco 6:43Marco 6:43. È molto notevole che nostro Signore, più tardi, nel ricordare ai discepoli questi due miracoli, e i frammenti levati in ciascuna occasione, fa precisamente la stessa distinzione tra le due sorta di panieri usati (Vedi sotto Marco 8:19-20; confr. Matteo 16:9-10). Questa distinta testimonianza del Signore confuta, una volta di più, la teoria secondo la quale gli Evangelisti Matteo e Marco avrebbero, con lievi differenze, riportato due volte lo stesso miracolo; poiché non sì tratterebbe solo di una semplice ripetizione, ma entrambi i narratori, in un periodo susseguente, avrebbero posto in bocca al loro Maestro un'allusione ad un fatto, il quale realmente non avrebbe avuto luogo. A che pro inventare che Cristo con sette pani avesse cibato 4000 persone, mentre ne avea già cibati 5000 con cinque?

PASSI PARALLELI

Marco 6:39-40; Matteo 14:18-19; 15:35-36; Luca 9:14-15; 12:37; Giovanni 2:5; 6:10

Marco 6:41-44; 1Samuele 9:13; Matteo 15:36; 26:26; Luca 24:30; Giovanni 6:11,23; Romani 14:6

1Corinzi 10:30-31; Colossesi 3:17; 1Timoteo 4:3-5

Luca 24:41-42; Giovanni 21:5,8-9

Luca 6:41; Matteo 14:19; 19:20; Salmi 107:8-9; 145:16; Matteo 16:10; Luca 1:53

Giovanni 6:11-13,27,32-35,47-58; Apocalisse 7:16-17

1Re 17:14-16; 2Re 4:2-7,42-44

Mc 8:10

10. E in quello istante egli entrò nella navicella coi suoi discepoli, e venne nelle parti di Dalmanuta.

Nel passo parallelo Matteo 15:39, è detto che lo sbarco ebbe luogo, nel confini di Magdala, senza parlare di Dalmanuta. Marco al contrario non dice verbo di Magdala, e questi villaggi non si trovano menzionati in alcun altro passo dei Vangeli. Tuttavia non c'è dubbio che due villaggi di questi nomi esistevano in prossimità l'uno dell'altro, sulla sponda occidentale del lago, poiché la riva in quel punto si chiamava indifferentemente col nome dell'uno o dell'altro luogo. Nell'uso del, nome di Dalmanuta abbiamo un altro esempio della indipendenza di Marco, come scrittore.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:39

Mc 8:11

Marco 8:11-12. GESÙ RICUSA AI FARISEI IL SEGNO DAL CIELO CHE ESSI DOMANDANO Matteo 16:1-4

Per l'esposizione vedi Matteo 12:38Matteo 12:38-42; Matteo 16:1Matteo 16:1-4.

Mc 8:13

Marco 8:13-21. CAUZIONE DATA AI DISCEPOLI CONTRO IL LIEVITO DE' FARISEI E DI ERODE

Per l'esposizione vedi Matteo 16:5Matteo 16:5-12.

Il nostro Signore parlando del lievito dei Farisei lo definisce "ipocrisia" cioè zelo ardente, in apparenza, per la causa di Dio, combinato con un cuore dedito alle cupidigie e con una vita privata in contraddizione col muto zelo professato in pubblico. Il lievito dei Sadducei era l'indifferenza ad ogni religione, e la reiezione di tutto il miracoloso; in altre parole, quel libero pensare che conduce poi all'aperta incredulità. Gli Erodiani, nelle loro dottrine, appartenevano solitamente alla setta dei Sadducei, come è evidente dall'usar Gesù scambievolmente i loro nomi (si confronti Marco 8:15 con Matteo 16:6); ma avevano oltracciò questo lievito particolare, del quale cercavano imbevere i loro concittadini, che cioè fosse lecito ad un popolo conquistato, com'erano allora i Giudei, di adottare gli usi pagani dei loro conquistatori, e perfino uniformarsi talora alla loro idolatria, per rendere più tollerabile la loro condizione, Vedi introduzione, Sette Giudaiche.

RIFLESSIONI

1. Il gran tratto che distingue il Vangelo da tutti gli altri sistemi religiosi, che lo precedettero o lo seguirono, consiste in questo, che abbraccia co' suoi benefizi tutto l'uman genere, senza distinzione di rango. I poveri sono così preziosi al cospetto di Dio come i ricchi, poiché tutti han bisogno di salvazione, e Cristo venne "a cercare e salvare ciò che era perduto". Questo principio è formulato nel messaggio che Gesù mandò al Battista in prigione: "l'Evangelo è annunziato ai poveri" Matteo 11:5, e lo vediamo posto quì in pratica, poiché "non molti savi, non molti potenti, non molti nobili" 1Corinzi 1:26, eran tra questa moltitudine, eppure Gesù conversava con loro, li ammaestrava, accondiscendeva a trattarli familiarmente, ed incoraggiava i più meschini ad avvicinarsegli. Così "annichilò se stesso e si abbassò" Filippesi 2:7-8

2. Il Signore si occupa dapprima dei bisogni spirituali della moltitudine e poscia dei loro bisogni temporali. Nell'agire egli stesso in tal guisa, si uniformò alla regola prescritta ai suoi: "Cercate imprima il regno di Dio, e la sua giustizia; e tutto queste cose vi saranno sopraggiunte. Adoperatevi, non intorno al cibo che perisce, ma intorno al cibo che dimora in vita eterna" Matteo 6:88; Giovanni 6:27. Sforziamoci di approfittare sì dell'esortazione che dell'esempio di Cristo, poiché noi siamo purtroppo proclivi a trascurare quel che ci ordina il Signore e a seguir l'esempio dei mondani, facendo delle cose terrene l'oggetto primario dei nostri pensieri.

3. Il Signore stesso rende testimonianza che questa moltitudine era con lui da tre giorni e che molti di essi eran venuti da lontano. Quale rimprovero per tanti sedicenti Cristiani del giorno di oggi, i quali, sebbene abitino in prossimità della casa, di Dio, non vogliono andarvi, né punto si curano di assistere al culto che in essa si rende a Dio; o che, se pur ci vanno, a mala pena consentono a consecrar più di un'ora, o tutto al più due ore, al servizio di Dio, durante l'intera settimana! Quando amiamo veramente Gesù, non ci misuriamo il tempo che diamo al suo servigio, non stiamo a considerare se la via sia lunga o scabrosa, poco ci cale di bisogno o stanchezza, siam contenti d'essere con lui e preferiamo il regno di Dio a tutte le altre cose.

4. Quanto è commovente la simpatia, la cura, la compassione che Gesù manifestava per questa povera gente! Vedeva come eran deboli e stanchi, sebbene si sforzassero di andar di conserva con esso lui, e non voleva rimandarli digiuni, che talora non venissero meno tra via! È un fatto singolare e degno di rimarco che di tutti i sentimenti provati da nostro Signore quando era sulla terra, non ce n'è alcuno che sia mentovato così spesso come "la compassione". La gioia, il dolore, la riconoscenza lo sdegno, la maraviglia, lo zelo, tutti questi sentimenti sono ricordati di lui secondo l'occasione. Ma di nessuno di essi è fatta e così di frequente come "la compassione". Sembra che lo Spirito Santo ci additi in essa il tratto distintivo del suo carattere e il sentimento che predominava nell'animo suo, quando era tra gli uomini. Non meno di nove volte è attribuita direttamente a Cristo questa "compassione" nei Vangeli, ed indubitatamente non senza uno scopo speciale. Essa dovrebbe incoraggiare tutti coloro che sono tuttora incerti ed irresoluti a fidarsi pienamente a Cristo, come il loro Salvatore. Si

ricordino ch'egli è "pieno di compassione", che li riceverà in grazia, perdonerà loro gratuitamente, non ridurrà a memoria contro essi le loro iniquità passate, e provvederà abbondantemente a tutti i loro bisogni. Vadano adunque a lui senza timore. Il sapere che Gesù Cristo è pieno di compassione dovrebbe consolare i santi e i servitori del Signore quando si sentono stanchi. Egli sa in che mondo essi vivono; ei conosce il corpo dell'uomo e tutte le sue debolezze; ei conosce le astuzie del loro nemico il diavolo, e il Signore ha pietà del suo popolo. Non si lascino adunque scoraggiare ed abbattere.

Mc 8:22

Marco 8:22-26. GUARIGIONE DI UN CIECO A BETSAIDA

22. Poi venne in Betsaida;

Nostro Signore, dopo il discorso coi suoi discepoli intorno al lievito pei Farisei ecc. sembra sbarcasse in qualche punto della sponda orientale, donde, girando intorno l'estremità del lago, si condusse a Betsaida.

e gli fu menato un cieco,

Questo miracolo è uno dei pochissimi ricordati soltanto da Marco. Per quanto si può congetturare, sembra che nel ricordarlo fosse suo intendimento d'esporre, ancor più chiaramente la varietà dei metodi adottati da nostro Signore nell'operare le guarigioni, constatando un caso (forse l'unico) in cui la guarigione fu graduata. L'uomo ora condotto a Gesù era evidentemente divenuto cieco in seguito a qualche disgrazia o malattia, e non era nato cieco, poiché conosceva la forma degli alberi, e paragonava ad essi gli uomini che vedeva quando ebbe in parte ricuperata la vista Marco 8:24

e fu pregato

lo supplicano.

che lo toccasse.

Tale richiesta era un segno di fede debole, e partiva dalla supposizione che a Cristo fosse necessario il toccare per operare una guarigione.

PASSI PARALLELI

Marco 6:45; Matteo 11:21; Luca 9:10; 10:13; Giovanni 1:44; 12:21

Marco 2:3; 6:55-56

Marco 5:27-29; Matteo 8:3,15; 9:29

Mc 8:23

23. Ed egli, preso il cieco per la mano, lo menò fuor del castello;

Betsaida è chiamata quì villaggio; in Giovanni 1:44 città; ed in Marco 1:38 è indicata, come tutte le borgate e grossi villaggi circonvicini non cinti di mura, col nome di letteralmente villaggio-città. L'Evangelista non assegna alcuna ragione perché il Signore conducesse quel cieco fuori del castello; ma tra gli scrittori non ispirati non c'è penuria di congetture, che però non meritano attenzione. Era forse per risparmiargli la vista d'una moltitudine, che lo guarderebbe con curiosità, quando gli occhi suoi tornassero ad affissarsi sugli oggetti terrestri. Questa supposizione s'accorda con la tenera sollecitudine e compassione del Salvatore inverso tutti quelli che erano nella sventura. E non potremmo aggiungere, come un altro motivo possibile, il desiderio di evitare interruzioni nel suo viaggio a Cesarea, le quali non avrebbero mancato certamente, se il miracolo fosse stato operato in Betsaida, poiché in tal caso gli avrebbero menati immediatamente tutti i malati e infermi di quel luogo?

e, sputatogli negli occhi,

Una potenza sanatrice è attribuita alla saliva umana da Tacito, Suetonio, Plinio, e da vari passi del Talmud. Non è improbabile che tale impressione prevalesse nella Galilea, e che Gesù impiegasse la saliva come un mezzo di rinforzar la fede del cieco, e come un segno che la guarigione che stava per esser largita, veniva direttamente da lui, Vedi Marco 7:33

posto le mani sopra lui, gli domandò se vedeva cosa alcuna.

Questa pausa nel bel mezzo della guarigione è cotanto dissimile dall'istantaneo effetto, che, per solito, seguiva i miracoli di Cristo, che si può, con ogni fiducia, annoverarla tra le ragioni per cui Marco ha ricordato questo miracolo. Perché nostro Signore abbia operato questo miracolo in due volte è impossibile spiegarlo; così non fece nel guarire il cieco-nato Giovanni 9:6-7, e nemmeno nel caso di Bartimeo Marco 10:52; deve esserci stata nella condizione di quest'uomo una qualche ragione speciale per cui venne così condotto, un passo dopo l'altro, alla piena luce, e Gesù la sapeva, quantunque non ci dia alcuna spiegazione del segreto suo motivo. "Le cose occulte sono per lo Signore Iddio nostro; ma le rivelate per noi, e per i nostri figliuoli, in perpetuo» Deuteronomio 29:29. Può darsi che col miracolo della vista resa gradatamente a costui, egli intendesse dare alla Chiesa Cristiana una lezione tipica intorno agli stadi successivi per cui gli spiritualmente ciechi giungeranno infine a tale perfetta visione che vedranno Cristo come egli è, e saranno simili a lui 1Giovanni 3:2

PASSI PARALLELI

Isaia 51:18; Geremia 31:32; Atti 9:8; Ebrei 8:9

Marco 7:33; Isaia 44:2

Giovanni 9:6-7; Apocalisse 3:18

Mc 8:24

24. Ed esso, levati gli occhi in su, disse: io veggo camminar gli uomini, che paiono alberi.

I MSS. più antichi, quasi senza alcuna eccezione, hanno una lezione alquanto differente, che rende forse ancor più chiaramente le prime sensazioni del cieco guarito: Miro uomini, perché a guisa di alberi (li) veggo camminare. Il senso è che apparivano come alberi per la loro altezza e li avrebbe presi per tali se non li avesse visti camminare. La conoscenza che mostra di avere e degli alberi e degli uomini, prova abbastanza che non era nato cieco. "È un minuto contrassegno di verità", dice Alford, "che egli descrive l'apparenza delle persone come senza dubbio gli erano parse sovente durante l'indebolimento della vista, che era finito in cecità completa".

PASSI PARALLELI

Giudici 9:36; Isaia 29:18; 32:3; 1Corinzi 13:9-12

Mc 8:25

25. Poi di nuovo mise le sue mani sopra gli occhi di esso, e lo fece riguardare in su;

Il significato della parola in questo luogo non è di guardare in su verso il cielo, ma di alzare gli occhi, che tenea bassi, e di esercitarli guardando davanti a sé. Fu dopo che Gesù gli ebbe messo le mani su gli occhi la seconda volta, che gli diede questo comando, che è equivalente a: "Prova di nuovo".

ed egli ricoverò la vista

fu guarito completamente.

vedeva tutti chiaramente

La facoltà della vista gli fu resa in tutta la sua integrità e allora distingueva tutti gli oggetti chiaramente.

PASSI PARALLELI

Proverbi 4:18; Matteo 13:12; Filippesi 1:6; 1Pietro 2:9; 2Pietro 3:18

Mc 8:26

26. E Gesù lo rimandò a casa sua, dicendo: Non entrar nel castello, e non dirlo ad alcuno nel castello.

Da questo si vede che sebbene il cieco si trovasse nel villaggio, non stava di caso in esso. È possibile che Gesù lo mandasse a casa sua, come fece con l'ossesso di Gadara, perché esercitasse una buona influenza sui suoi proprii congiunti, con dir loro i benefizii che avea ricevuti dal gran profeta di Nazaret; o forse tale comando fu dato per evitare un assembramento di popolo, siccome Gesù cercava allora un pò di quiete e di ritiro tra i monti; non pare verosimile che con quella proibizione avesse per iscopo di togliere a Betsaida i suoi privilegi spirituali, o di punirla in qualche modo, non essendo ancora stato trattato in tal guisa, il vicino ad ancor più colpevole Capernaum. Questa, doppia proibizione non si dovea estendere più in là di quel giorno; ed era necessario affinché Cristo e i suoi discepoli avessero il tempo di andarsene tranquillamente. La supposta contraddizione di questi due ordini ha prodotto non meno di 10 varianti nel testo di questo inciso tutte intese a toglierne l'incongruenza, e perciò tutto da respingersi come semplici glose, non facenti parte del testo originale. "Può vedersi in questo", dice il Prof. Americano Alexander, "un notevole esempio del principio straordinario, secondo il quale si regolavano sovente i copisti antichi, quello, cioè di decidere che cosa lo scrittore avrebbe dovuto dire, invece di riportarla semplicemente quel che ha detto". A questa sola fonte di errori può attribuirsi un gran numero delle varianti esistenti nel testo del Nuovo Testamento, la maggior parte delle quali, per buona ventura, non furono mai ricevute generalmente, ma si trovano esclusivamente in certe copie, o tutt'al

più in certe famiglie o classi di manoscritti. Questo erroneo principio è tanto più da condannarsi in quantoché la necessità dell'emandamento è quasi in ogni caso immaginaria.

PASSI PARALLELI

Marco 5:43; 7:36; Matteo 8:4; 9:30; 12:16

RIFLESSIONI

1. Siccome sembra che nostro Signore, di proposito deliberato, usasse modi diversi nel sanare le malattie, avendo riguardo, senza dubbio, alla natura di ogni singolo caso, così la storia di ogni anima guarita delle sue infermità per opera del nostro gran Medico, è probabilmente differente da quella di ogni altra anima; queste essendo sanate presto, quelle lentamente; alcune (per quel che, apparisce) con una sola parola, altre per gradi successivi. Ma siccome in tutte il risultato è uno solo, così in tutte ha da vedersi egualmente la mano di un unico misericordioso Sanatore.

2. Questa graduata restituzione della vista, al cieco, presenta una viva illustrazione del modo in cui lo Spirito opera di frequente nella conversione delle anime. Noi siamo tutti naturalmente ciechi e ignoranti delle cose che si riferiscono alle anime nostre. La conversione è un'illuminazione interiore, un cangiamento dalle tenebre alla luce, dalla cecità al vedere il regno di Dio. Eppure pochi convertiti vedono le cose distintamente in sulle prime. La natura e la proporzione delle dottrine, pratiche ed ordinanze del vangelo non veduto confusamente ed intese imperfettamente da essi. Sono come il nostro cieco che dapprincipio vedea camminar gli uomini che parean alberi. Hanno la vista abbagliata, non essendo assuefatta al nuovo mondo in cui vennero introdotti. Non è se non quando l'opera dello Spirito è divenuta più profonda, e la loro esperienza è alquanto più matura, che vedono tutte le cose chiaramente, e dànno a ciascuna parte della religione il suo posto conveniente. È questa la storia di migliaia di figliuoli di Dio. Cominciano

col "veder camminare gli uomini che paiono alberi" e terminano "vedendo tutto chiaramente".

3. Rammentiamoci, nel far l'esame di noi stessi, che le parole: "Io veggo camminar gli uomini che paion alberi", possono figurare diverse condizioni della vita spirituale. È uno stato felice se è il primo stadio verso il vedere chiaramente nella luce di Dio; è uno stato di sconforto e d'incertezza se un cristiano rimanga in esso; è uno stato critico e pericolosissimo se, per propria colpa, un cristiano ritorni ad esso da cose migliori, ricadendo nella cecità della disperazione. "Il sentier de' giusti è come la luce che spunta, la quale va viepiù risplendendo, finché sia chiaro giorno" Proverbi 4:18

Mc 8:27

Marco 8:27-38. PIETRO CONFESSA CHE GESÙ È IL CRISTO, MA, RIMPROVERA IL SUO MAESTRO CHE ANNUNZIA I SUOI PATIMENTI, LA SUA MORTE E LA SUA RISURREZZIONE. PIETRO È SGRIDATO DA CRISTO. AMMONIZIONI CONTRO IL RINNEGARLO Matteo 16:13-27; Luca 9:18-26

Per l'esposizione vedi Matteo 16:13Matteo 16:13-27.

Mc 9:1

CAPO 9 - ANALISI

1. Gesù annunzia il potente sviluppo che prenderebbe la dispensazione del vangelo per la distruzione di Gerusalemme. Questo fa parte del discorso riportato alla fine del capitolo precedente, da cui venne male a proposito separato per l'arbitraria divisione dei capitoli. "La venuta del regno di Dio con potenza", Cristo dichiara che avrebbe luogo mentre sarebbero ancora in vita alcuni degli uditori a cui rivolgevansi allora le sue parole. Non è dunque possibile, come vorrebbero alcuni, riferire questo passo alla seconda venuta del Signore in gloria, poiché quella venuta non si è verificata ancora, e già

da lungo tempo tutti i suoi uditori sono ritornati in polvere. E nemmeno poteva nostro Signore riferirsi alla propria risurrezione e alla effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste, imperocché, siccome questi avvenimenti eran lontani pochi mesi al più, è certo che i suoi uditori, fatte poche eccezioni, sarebbero ancor tutti in vita, né già solo una minoranza di essi, come risulta dalla sue parole. Ma prima che fossero trascorsi 40 anni, è certo che un gran numero dei suoi ascoltatori, chi per l'età, chi per le persecuzioni, chi per gli eccidii della guerra, chi per altre cagioni, sarebbero stati calati nei loro sepolcri, e che soltanto una piccola minoranza di cui viverebbe ancora per esser testimone del tracollo finale della loro nazione e della distruzione della loro città santa e del tempio. Tra i dodici Apostoli ivi presenti, si crede che soltanto Giovanni sopravvive a quella catastrofe. Finché stavano in piedi il tempio di Gerusalemme, ed il culto levitico, essi erano un serio ostacolo alla diffusione del vangelo, poiché molti vedevano in essi il solo culto prescritto da Dio, e quindi nessun altro avvenimento poteva corrispondere così bene alla "venuta del regno, di Dio con potenza" come il crollo, finale perpetuo di quella dispensazione preparatoria Marco 9:1.

2. La trasfigurazione di Cristo Secondo il nostro Evangelista, questo notevole evento ebbe luogo sei giorni dopo il discorso ricordato precedentemente. Or siccome esso venne pronunciato nella vicinanze di Cesarea Filippi, e siccome è ricordato Marco 9:30, che dopo la trasfigurazione e il miracolo operato. Il mattino seguente, Gesù attraversò la Galilea per arrivare a Capernaum, sembra ovvia la conclusione, che la montagna prescelta da nostro Signore per questa manifestazione della sua gloria, dovesse trovarsi in qualche località vicina a Cesarea, e non già nella vicinanze di Capernaum, come si suppone generalmente. Su un monte solitario, durante l'oscurità della notte, in presenza dei tre discepoli ch'ei distingueva sopra gli altri, ammettendoli più stretta intimità, ed in presenza di Mosè ed Elia, quali rappresentanti della Chiesa dell'Antico Testamento, Gesù rivelò, in certa misura, la gloria essenziale della sua Divinità, la quale finora era rimasta nascosta sotto la sua veste umana. Colui che avea "annichilato sé stesso, e presa forma di servo, fatto alla somiglianza degli uomini", diede prova convincente ch'egli era "in forma di Dio e non riputò rapina l'essere uguale a Dio" Filippesi 2:6-7. La voce di Jehova, dalla densa nube che li adombrava, testimoniò, come al suo battesimo, esser esso il

Figliuolo di Dio, e che il Padre prendeva in lui il suo compiacimento; e i ragionamenti che furon tenuti tra lui e i rappresentanti della Chiesa dell'Antico Testamento, furono intorno alla "fine, dipartenza, di esso, la quale egli dovea compiere in Gerusalemme" Luca 9:31. Il solo udir mentovare la sua morte, nel capitolo precedente, avea sbigottiti i discepoli al punto che Pietro cominciò a riprendere il suo Maestro perché parlava di ciò, e si fu appunto a prepararli e rinvigorirli per l'appressarsi di quella, che venne data loro questa dimostrazione della gloria della sua Divinità, e che fu concesso loro di udire con quale ansia di desiderio i santi dell'Antico Testamento aspettassero, quella morte del Messia che i suoi discepoli cotanto paventavano. È degno di rimarco che, siccome tali dimostrazioni della sua gloria erano state date dall'"Angelo della faccia di Jehova" a Mosè ed Elia Esodo 33:18-23; 1Re 19:9-18, per sostenerli quando erano in profondo scoraggiamento a cagione, di tribolazioni esteriori, così la concede ora ad una delegazione dei suoi Apostoli, affinché la loro fede non avesse a venir meno quando lo vedrebbero tradito, condannato e messo a morte, e perché confermassero i loro fratelli. La gloria della Divinità, benché manifestata soltanto in quel grado che potean comportare I loro sensi, produsse tuttavia nei discepoli quel timore e turbamento di cui si legge, nell'Antico Testamento, come solito risultato di tali manifestazioni soprannaturali Marco 9:2-8.

3. Interrogazioni intorno a Elia. Il mattino seguente, scendendo dal monte, il Signore divietò ai suoi discepoli di raccontare a chicchessia quel che avean visto in quella notte, se non dopo la sua risurrezione, per l'ovvia ragione che, se si fosse risaputo generalmente, gli uomini avrebbero temuto di porre in esecuzione il loro iniquo proponimento di metterlo a morte, mentre la morte sua, della quale essi dovean essere gli strumenti, era stata decretata ab antico nei consigli della Trinità Atti 2:23; 4:26-27. Vedendo che con tale divieto non ci sarebbe modo di chiedere spiegazioni in appresso, e con l'animo pieno della scena di cui erano stati testimoni, i discepoli colgono avidamente l'occasione di farsi sciogliere una difficoltà intorno alla vaticinata venuta di Elia qual precursore de Messia. Se Gesù era il Messia (e di ciò non poteva esserci più alcun dubbio dopo quello che avevano pure allora veduto e udito), come dunque Elia non era ancora apparso secondo le profezie? Ovvero questa breve apparizione, sulla cima di una montagna

della Galilea, nel mezzo della notte, la presenza non d'altri testimoni che di essi tre discepoli, dovea considerarsi come l'adempimento della profezia di Malachia? Gesù spiega loro che di Giovanni Battista parlava il profeta, imperocché Giovanni dovea venire nello spirito e nella virtù d'Elia, onde por mano alla riforma morale d'Israele e preparare la via del Signore. Tutti i discepoli conoscevano già la sua storia qual Precursore Marco 9:9-13.

4. Guarigione di un fanciullo posseduto da uno spirito mutolo e sordo. La mattina per tempo, prima ancora che Gesù e i tre discepoli prescelti fosser discesi dal monte, il popolo cominciò a radunarsi intorno agli Apostoli che aspettavano il loro ritorno. Tra gli altri, un padre avea menato ad essi il suo figliuolo, ancora in tenera età, ma posseduto da uno spirito immondo, di malignità e forza più che uno spirito implorandone la guarigione. Essi si erano provati invano a cacciare lo spirito immondo, e ai Farisei ed agli Scribi non parea vero di trar partito della inutilità dei loro sforzi contro la causa di Cristo, quando questi comparì sul luogo cacciò il demonio con un comando a cui esso non ardì disubbidire, e rese il fanciullo sano di mente e di corpo, a suo padre. I nove discepoli che, ancora non molto tempo prima, si erano rallegrati davanti al loro Signore, di ciò che perfino i demoni fosser loro soggetti, durante la recente loro missione, mortificati ed attoniti pel loro insuccesso presente, supplicarono Gesù di svelarne loro la causa. In risposta a tale domanda, il Salvatore descrive loro qual fosse la fede necessaria ad operare tali miracoli, e come essa richiedesse molti digiuni e preghiere, specialmente in casi, come quello, di possessione demoniaca così ostinata e prolungata Marco 9:14-29.

5. Gesù annunzia per la seconda volta la sua morte e la sua risurrezione. Il primo annunzio lo avea dato mentre andavano a Cesarea Marco 8:31; questo, nel ritorno verso Capernaum. Oltre a ciò, Gesù avea pure parzialmente annunziato la sua risurrezione a Pietro, Giacomo e Giovanni mentre scendevano insieme dal monte: annunzio che aveali lasciati molto perplessi. Per prepararli a questo solenne avvenimento, il Signore svelò loro l'avvenire, "linea dopo linea", se non che con le loro idee carnali intorno alla invincibilità del Messia, essi erano veramente "insensati e tardi di cuore a credere" Marco 9:30-32.

6. In Capernaum Cristo fa confessare, dai suoi discepoli, il soggetto della loro disputa durante il viaggio, e ne li riprende. L'argomento su cui avean disputato, con tanto calore da attrarre l'attenzione del Signore, era, chi di loro avrebbe il primo rango nel regno temporale che, secondo le loro vedute carnali, il Messia non poteva tardare a stabilire. È possibile che l'onore così di recente conferito a Pietro, Giacomo e Giovanni eccitasse la gelosia degli altri, e li conducesse a discutere i rispettivi loro diritti. Ed ora si vergognavano di confessarlo. Ma Cristo leggeva loro nel cuore e li riprese, chiamando un fanciullo e ponendolo nel mezzo e dichiarando che per quanto a modestia, semplicità, innocenza ed umiltà di cuore, quel fanciullo avrebbe dovuto servir loro di modello, e che soltanto colui che abbracciava e pregiava tali qualità, ricevea veramente Cristo e il Padre suo che l'avea mandato Marco 9:33-37.

7. È ripresa l'intolleranza dei discepoli inverso altri insegnanti che non appartenevano ala loro comitiva. Giovanni allega un caso in cui la loro condotta non era stata conforme alle istruzioni che Cristo stava allora impartendo, cioè l'avere imposto silenzio ad un uomo, il quale cacciava i demoni nel nome di Cristo, perché non voleva unirsi alla loro società, e domandò intorno a ciò il giudizio del Signore. Questo giudizio fu completamente sfavorevole alla loro condotta e fu accompagnato da una ammonizione di non tornare a farlo, poiché l'operare un miracolo nel nome di Cristo era una prova indubitabile che quel tale era pel Cristo e pel Vangelo, e questo bastava. Questi cotali Cristo onorava al pari dei suoi stessi discepoli, a cui non conferì alcun monopolio sia dell'insegnamento sia dell'operare i miracoli Marco 9:38-40.

8. Gesù indirizza nuovi ammaestramenti ai discepoli. Gesù, ripigliando il suo discorso intorno alle disposizioni infantili che desidera scorgere nel cuore dei suoi, assicura i discepoli che la più piccola cortesia usata loro, non sarà senza ricompensa, ma che le offese fatte ad essi attirerebbero sugli offensori i più tremendi castighi. Infine, Gesù raccomanda loro di fare seriamente attenzione a tutte queste cose, parte con parole che avea già impiegate nel suo discorso sul monte, parte, con altro, gravi di misteriosa significanza Marco 9:41-60.

Marco 9:1. ANNUNZIO DEL TEMPO IN CUI IL REGNO DI CRISTO SAREBBE STABILITO CON POTENZA Matteo 16:28; Luca 9:27

Per la esposizione vedi Matteo 16:28Matteo 16:28.

1. oltre a ciò disse loro: Io vi dico in verità, che alcuni di coloro che son qui presenti non gusteranno la morte, che non abbian veduto il regno di Dio, venuto con potenza.

Questo versetto non avrebbe dovuto esser distaccato dal discorso della fine del capo 8 di cui forma evidentemente la conclusione. La distruzione di Gerusalemme è il solo avvenimento nel quale si riscontrino entrambe le cose indicate in questo versetto, cioè il potente sviluppo della dispensazione del vangelo, mentre vivevano tuttora taluni di quelli a cui nostro Signore stava allora parlando (Vedi sopra Analisi 1).

Mc 9:2

Marco 9:2-8. LA TRASFIGURAZIONE DI CRISTO Matteo 17:1-8; Luca 9:28-36

Per l'esposizione vedi Luca 9:28Luca 9:28-36.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:28; Luca 9:27

Luca 2:26; Giovanni 8:51-52; Ebrei 2:9

Matteo 24:30; 25:31; Luca 22:18,30; Giovanni 21:23; Atti 1:6-7

Mc 9:9

Marco 9:9-18. DIALOGO INTORNO AD ELIA FRA GESÙ E PIETRO, GIACOMO E GIOVANNI Matteo 17:9-13

9. Ora, come scendevano dal monte, Gesù divietò loro che non raccontassero ad alcuno le cose che avean vedute, se non quando il Figliuol dell'uomo sarebbe risuscitato da' morti.

Luca specifica "il giorno seguente" come il tempo in cui nostro Signore ed i suoi discepoli discesero dal monte, con ciò non lasciando luogo a dubitare che la trasfigurazione avvenisse durante il silenzio e l'oscurità della notte. Il rigoroso divieto fatto dal Signore a questi eletti tra i discepoli, di non rivelare ad alcuno ciò che avean veduto sul monte, può darsi che nascesse, per quanto riguardava gli altri discepoli, dal desiderio d'impedire che tra essi scoppiassero sentimenti di gelosia, di malvolere o di aperta incredulità (come nel caso di Tommaso Giovanni 20:24-25); e per quanto concerneva il popolo, perché quando quest'ultimo gli chiese un segno dal cielo (com'era senza dubbio la trasfigurazione), egli avea dichiarato espressamente che non sarebbe stato dato segno alcuno a quella malvagia generazione, da quello infuori del profeta Giona, il quale prefigurava la di lui risurrezione. Se i discepoli avessero fatto motto ai loro compagni della gloria che avean veduta, Giuda non avrebbe potuto rimanerne ignaro, e chi può dire come ciò avrebbe potuto influire sulla sua condotta posteriore? Se essi l'avessero pubblicata tra il popolo, avrebbero accresciuta a dismisura la rabbia persecutrice dei falsi divoti, ed avrebbe provocato, da parte della moltitudine, insani tentativi di proclamarlo loro sovrano terreno Giovanni 6:15, la qual cosa avrebbe ostato all'adempimento del consiglio dell'Altissimo intorno alla morte del Messia, e non avrebbe fatto che affrettare la distruzione della loro nazione per opera dei Romani. Quando invece la gloria del Messia si sarebbe manifestata per la sua risurrezione dai morti, allora svanirebbe ogni difficoltà a credere alla sua trasfigurazione, che anzi si avrebbe in questa una potente conferma della sua dichiarazione: "Io

metto la mia vita per ripigliarla poi, io ho potestà di deporla, ed ho altresì potestà di ripigliarla" Giovanni 10:17-18, laddove, infino a quel tempo, questa storia sarebbe apparsa loro come un vano sogno o come un racconto incredibile.

PASSI PARALLELI

Marco 5:43; 8:29-30; Matteo 12:19; 17:9

Marco 9:30-31; 8:31; 10:32-34; Matteo 12:40; 16:21; 27:63; Luca 24:46

Mc 9:10

10. Ed essi ritennero quella parola in loro stessi,

la parola può riferirsi o a tutto quanto Gesù aveva loro ingiunto in quel momento, od anche soltanto alla sua risurrezione dai morti. Alcuni riferiscono questa parola alla risurrezione, traducono con il verbo per appigliaronsi a invece di ritennero, e il senso in tal caso è che appigliaronsi con la maggiore avidità alla dichiarazione di Cristo concernente la sua risurrezione dai morti, e si misero a discutere tra loro qual ne potesse essere il significato. Ma il passo parallelo in Luca 9:36 sembra che determini il senso della "parola" in favore del significato più comprensivo.

domandando fra loro che cosa fosse quel risuscitar dai morti.

I Farisei credevano ed insegnavano la dottrina della risurrezione dei morti nell'ultimo giorno, e, ad eccezione dei Sadducei, tutta quanta la nazione ebraica riteneva quella dottrina per vera. Oltracciò questi discepoli eran stati testimoni d'una risurrezione nei casi della figlia di Iairo e del figliuolo della vedova di Nain; per conseguenza, la difficoltà non doveva consistere per loro nella dottrina, presa in generale, ma sì in questa risurrezione che Cristo prediceva di sé stesso. L'idea che il gran Messia, sospirato dalla nazione, dovesse morire, era così ripugnante all'animo loro, che si ricusarono di accoglierla, quando fu esposta ad essi chiarissimamente da Gesù: e siccome

noi non possiamo collocarci esattamente nelle loro circostanze, ci riesce impossibile l'approfondire quali ipotesi o congetture cui facessero intorno alla sua risurrezione. Evidentemente non era intenzione di Cristo che il divieto che vien loro imposto in questo momento dovesse durare lungo tempo, e nondimeno, dopo che il Signore fu deposto nella tomba di Giuseppe d'Arimatea, non pare che questa conversazione destasse in alcuno di essi la più lontana aspettazione d'un suo prossimo risorgimento!

PASSI PARALLELI

Genesi 37:11; Luca 2:50-51; 24:7-8; Giovanni 16:17-19

Marco 9:32; Matteo 16:22; Luca 18:33-34; 24:25-27; Giovanni 2:19-22; 12:16,33-34

Giovanni 16:29-30; Atti 17:18

Mc 9:11

11. Poi lo domandarono, dicendo: Perché dicono gli Scribi, che convien che prima venga Elia?

Sapendo, che una volta raggiunti gli altri discepoli, non sarà loro più lecito di parlare del notevole evento di quella notte, essi colgono l'occasione per chiedere spiegazioni intorno ad una difficoltà che la vista di Elia avea fatta lor venire in mente. Gli Scribi, citando le Scritture, insegnavano che prima che fosse apparso "l'Angelo dei Patto" (il Messia), Elia dovea apparire. Or come potea ciò conciliarsi con l'avvenuta apparizione di Elia in quella notte stessa? Essi credevano che Gesù il Messia; ma perché dunque non l'avea Elia preceduto? Era forse quella breve apparizione di Elia sulla scena della trasfigurazione l'adempimento della profezia e né devono essi tre soli, fra tutto il popolo, essere i testimoni? E perché Elia non era egli rimasto con loro? Ovvero doveva egli apparire ancora e, in tal caso, perché questa inversione nell'ordine degli eventi?

PASSI PARALLELI

Marco 9:4; Malachia 3:1; 4:5; Matteo 11:14; 17:10-11

Mc 9:12

12. Ed egli, rispondendo, disse loro: Elia veramente dee venir prima,

Letteralmente, venendo prima, ristabilisce ogni cosa. In Matteo le parole sono al futuro (come in Malachia 4:6), ma in entrambi i Vangeli il senso è lo stesso: Gesù dichiara che quanto gli Scribi avean loro insegnato intorno ad Elia, era esattamente vero.

e ristabilire ogni cosa;

Questo non si ha da intendere come identico al "i tempi del ristoramento di tutte le cose" Atti 3:21. Non vuol dire che sarà tolta la maledizione dalla terra, e che gli abitatori di essa saranno ripristinati nello stato anteriore al fallo mediante una seconda visita di Elia nella carne, prima che il Signore venga a stabilire sulla terra, come alcuni suppongono, un regno materiale. Il significato delle parole è definito chiaramente nella profezia di Malachia, e nella predizione dell'angelo Gabriele a Zaccaria, intorno al figlio che dovea nascergli Luca 1:17. Il "ristabilimento" ai giorni d'Elia, consistette nel ricondurre i figliuoli dalla loro idolatria alla fede e al culto dei padri, e nel far cessare i rancori reciproci nei cuori dei padri e dei figli e le divisioni nelle famiglie; e seguendo le orme di lui, è precisamente questo che fece, Giovanni, nel suo ministero Luca 3:7-14. Egli arrestò la corrente disordinata del peccato, ed iniziò un risorgimento morale.

e, siccome egli è scritto del Figliuol dell'uomo, conviene che patisca molte cose, e sia annichilato.

Questo inciso è oscuro sì in quanto a costruzione grammaticale che in quanto alla connessione sua col precedente. Diodati, per farne comprendere meglio il senso, ha inserta la parola conviene, la quale non si trova nel testo Greco, e ha tradotto annichilato, invece di sprezzato, trattato con disprezzo.

Il testo Greco dice (letteralmente, e come è stato scritto intorno al Figliuol dell'uomo, ch'egli soffra molte cose e sia disprezzato). La difficoltà consiste nel significato della particella la quale è propriamente, e comunemente particella d'interrogazione diretta, come in Marco 3:23; 4:13,40; 8:21, ma pure talvolta è costruita indirettamente, come in Marco 2:26; 5:16. Qualora la si prenda qui nel primo senso, questo inciso sarebbe una nuova domanda dei tre discepoli, intromessa tra le due parti della risposta fatta da nostro Signore alla loro interrogazione intorno ad Elia. Ma siccome, secondo noi, una tale domanda sarebbe fuor di luogo, anzi non avrebbe alcun senso laddove si trova, sembra preferibile l'altra interpretazione, la quale fa dipendere tutto l'inciso dal verbo "disse" al principio del versetto: "Disse loro: Elia veramente dee venire ecc., e disse loro, come egli è scritto del Figliuol dell'uomo" ecc. Questa costruzione se è alquanto dura non lo è però più dell'altra, ed almeno ha un senso chiaro, rappresentandoci il Salvatore che li assicurra della verità di quanto dicevano le Scrittura intorno ad Elia ed intorno alle sofferenze e alla reiezione del Figliuol dell'uomo, del quale Elia doveva essere il precursore.

PASSI PARALLELI

Marco 1:2-8; Isaia 40:3-5; Malachia 4:6; Matteo 3:1-12; 11:2-18; Luca 1:16-17,76; 3:2-6

Giovanni 1:6-36; 3:27-30

Salmi 22:1-31; 69:1-36; Isaia 53:1-12; Daniele 9:24-26; Zaccaria 13:7

Salmi 22:6-7; 69:12; 74:22; Isaia 49:7; 50:6; 52:14; 53:1-3; Zaccaria 11:13

Luca 23:11,39; Filippesi 2:7-8

Mc 9:13

13. ma io vi dico ch'Elia è venuto,

Nostro Signore vuol dire evidentemente: "La vostra obiezione nasce dall'erronea conclusione che sia stato invertito l'ordine dell'adempimento della profezia, e che il Messia sia venuto prima del suo precursore, conciossiaché Elia non sia comparso prima d'ora; ma io vi dico che quell'Elia, di cui Malachia profetizzò, è già venuto, secondoché sta scritto, e l'apparizione del profeta nella scorsa notte, in compagnia di Mosè, non ha a che far con tale profezia". Sebbene Marco non l'abbia ricordato, Matteo ci dice che con queste parole, Gesù indicava Giovanni Battista, e che i discepoli così le intesero.

e gli han fatto tutto ciò che han voluto;

Matteo: "Ed essi non l'hanno riconosciuto, anzi hanno fatto inverso lui ciò che han voluto". Gli Scribi invece di riconoscere in Giovanni il precursore del Messia, e di accettare la testimonianza ch'ei rese a Gesù, come "all'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo", lo trattarono secondo il loro capriccio, mentre Erode il Tetrarca (Giudeo e d'origine e di professione religiose, quantunque di lignaggio Idumeo) lo mise a morte.

siccome era scritto di lui.

La vera connessione di queste parole si deve indubitatamente cercare nel primo inciso; quello che si riferisce al trattamento di Elia essendo introdotto a mo' di parentesi: "Ma io vi dico ch'Elia è venuto, siccome era scritto di lui, e gli han fatto tutto ciò che han voluto". La maggior parte dei Padri primitivi, gli scrittori Cattolici Romani in genere, e molti scrittori moderni che hanno tendenze premillenarie, ritengono che questa venuta di Ella debba ancora avverarsi letteralmente e servire d'introduzione alla seconda venuta del Signore. Costoro son d'avviso che la profezia di Malachia, non sia stata per anco adempiuta, imperocché il Battista non andò davanti al Signore, se non che "nello spirito e virtù d'Elia" Luca 1:17. Ma le parole del Signore, in questo versetto, affermano distintamente che la profezia di Malachia intorno all'avvento d'Elia, trovò il suo pieno adempimento nella apparizione del Battista. E ciò è confermato,

1. dalla sua dichiarazione anteriore ed ancor più decisiva intorno a Giovanni in Matteo 11:14, Vedi Nota Matteo 11:14Matteo 11:14;

2. dalla considerazione che nessun altro Elia può venire nello stesso senso, ora che l'antico patto, rappresentato sì da Elia che dal Battista, venne abrogato dal vangelo; e

3. perché il Signore dichiara che la sua seconda venuta sarà inaspettata, come era stato il diluvio, od il fuoco che cadde dal cielo sopra Sodoma e Gomorra, senza lasciar tempo di ammonizione o di pentimento.

PASSI PARALLELI

Matteo 11:14; 17:12-13; Luca 1:17

Marco 6:14-28; Matteo 14:3-11; Luca 3:19-20; Atti 7:52

Mc 9:14

Marco 9:14-19. GUARIGIONE DEL FANCIULLO INDEMONIATO. CONVERSAZIONE CUI ESSA DIEDE LUOGO Matteo 17:14-21; Luca 9:37-42

14. Poi, venuto a' discepoli, vide una gran moltitudine d'intorno a loro, e degli scribi, che quistionavan con loro.

La moltitudine si era radunata per ascoltare una disputa sorta tra certi Scribi e i discepoli rimasti a piè del monte, in conseguenza d'un vano tentativo che questi avean fatto di liberare un fanciullo indemoniato. Dal modo in cui Gesù s'intromise tra loro, pare che gli Scribi, menando trionfo dell'insuccesso dei discepoli, non solamente li trattassero d'impostori, ma anche insinuassero dei dubbi intorno alla potenza miracolosa del loro Maestro, e che essi lo difendessero, quando egli comparve improvvisamente

sul luogo. Marco è il solo Evangelista che abbia ricordata tale circostanza, stanza, la quale è importante per quel che segue.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:14-21; Luca 9:37

Marco 2:6; 11:28; 12:14; Luca 11:53-54; Ebrei 12:3

Mc 9:15

15. E subito tutta la moltitudine, vedutelo, sbigottì; ed accorrendo, lo salutò.

Tosto che ebbe riconosciuto il Salvatore, la moltitudine gli corse incontro e salutollo, ma, osservandolo, rimase attonita. La ragione del loro sbigottimento non poteva essere il suo ritorno presso ai nove discepoli che avea lasciati indietro, poiché questo lo si aspettava, e nemmeno alcun cambiamento nell'aspetto suo corporeo, poiché lo riconobbero quando era ancora assai lontano; laonde non si sa come spiegare in modo soddisfacente una tal cosa, se non supponendo, che, come nel caso di Mosè Esodo 34:2930, rimanesse ancor visibile nel suo volto, dopo la sua trasfigurazione, un certo fulgore di maestà e di gloria (così Bengel, De Wette, Mayer, Trenck, Alford, Brown, Foote). Si obietta essere al disotto della dignità di Cristo quel che si conveniva a Mosè, e che quel resto di fulgore, se pur ne rimase, non era inteso, come nel caso di Mosè, a fare impressione sopra il popolo; ma oltreché tale obiezione non è di gran peso, coloro che la fanno non offrono alcuna soluzione che valga a spiegare questo sbigottimento della moltitudine nel mirare Gesù. Trench pone a contrasto la gloria minacciosa che appariva sul volto di Mosè e facea fuggire da lui il popolo d'Israele, con la gloria di Dio che splendeva in volto a Gesù Cristo, e, quantunque sbigottito, attraeva il popolo, sicché accorrendo lo salutò.

PASSI PARALLELI

Marco 9:2-3; Esodo 34:30

Mc 9:16

16. Ed egli domandò gli scribi a Che quistinate fra voi?

O piuttosto con loro. Questa seconda lezione sembra più consentanea alle circostanze del racconto ed è confermata dall'autorità di antichi MSS. e generalmente dai critici moderni. Nostro Signore non si preoccupa di quel che gli Scribi stessero quistionando fra loro, ma sì delle dispute che avean sollevate contro i suoi poveri e deboli discepoli: "Che quistionate con loro? La contesa non è più con essi, ma con me: orsù ripetete, se l'osate, in presenza mia, quel che stavate dicendo ad essi!" Gesù fece, in questa occasione, come un gran capitano che giunge sul campo di battaglia nel momento che i suoi luogotenenti hanno ormai perduta la giornata, e con la sua energia volge l'imminente rotta in vittoria. I suoi nemici, presi da sgomento alla sua vista, ammutolirono, e ricusarono di accettare la sfida.

PASSI PARALLELI

Marco 8:11; Luca 5:30-32

Mc 9:17

17. Ed uno della moltitudine rispondendo,

Matteo: "Un uomo gli si accostò inginocchiandosi davanti a lui. La parola "rispondendo" implica che il loro quistionare si riferiva a quel caso di possesso demoniaco, imperocché, fatto silenzio dagli Scribi, la persona che più ci avea interesse (cioè il padre del giovinetto), si fa innanzi, esponendo il caso onde erano nate quelle quistioni.

disse: Maestro,

Ei non credeva ancora in Gesù qual Messia; la misura della fede, per cui potè indirizzarsi a lui, chiamandolo Signore, non l'ebbe acquistata, se non dopo aver conversato più oltre con Cristo. Il racconto che di questo fatto ci dà Matteo può parere in contraddizione con quello di Marco: osserviamo però che mentre Matteo, nella rapida sua narrazione, unisce in un solo i due discorsi che il padre rivolse a Gesù, Marco entra in tutti i particolari.

Io ti avea, menato il mio figliuolo,

Luca: "Egli mi è unico". Cioè egli era venuto con l'intenzione di presentarlo a Gesù, non sapendo della di lui assenza.

che ha uno spirito mutolo.

Matteo: "Perché è lunatico". Alcuni suppongono che la descrizione data qui si riferisca al demonio, come costituente il tratto caratteristico che lo distingueva da altri, i quali gridavano del continuo; ma evidentemente si riferisce all'effetto prodotto sul giovinetto dal demone, che lo rendeva mutolo e sordo ad un tempo.

PASSI PARALLELI

Marco 5:23; 7:26; 10:13; Matteo 17:15; Luca 9:38; Giovanni 4:47

Marco 9:25; Matteo 12:22; Luca 11:14

Mc 9:18

18. E, dovunque esso lo prende, lo dirompe; ed allora egli schiuma, e stride dei denti, e divien secco;

Luca: "Uno spirito lo prende ed egli di subito grida" ecc. Quest'ultime parole di Luca non contraddicono al mutismo del giovinetto, il quale riferivasi soltanto ai suoni articolati, i quali ei non poteva in guisa alcuna profferire. Accadeva a questo fanciullo come agli animali mutoli, ai quali il

dolore strappa talvolta grida strazianti d'angoscia. Le piccole divergenze che passano fra i tre sinottici, nel racconto che ognuno di essi ci dà di questo lagrimevole caso, si spiegano dal fatto che ciascuno ci trasmise quelle circostanze speciali che avean più vivamente colpito la mente di coloro da cui derivarono le loro informazioni. Matteo ne fu testimone oculare; ma Marco lo ricevette da Pietro, mentre Luca ebbe altre sorgenti d'informazioni, le quali erano, per quanto ci assicura, ineccepibili Luca 1:23. Il caso, come è qui descritto, presenta nei sintomi generali una notevole rassomiglianza alla epilessia, e non è improbabile, come osserva il Trench, che questa malattia stava alla base del malore spirituale più profondo, sotto il quale gemeva il giovinetto. Il demone mentre lo privava della favella e dell'udito, si serviva poi di quella. malattia naturale per aggravarne i patimenti. Tale ipotesi, come è evidente, non elimina punto l'azione soprannaturale. Ma, dall'altro canto, convien ricordarsi che questa poteva produrre tutti i sintomi quì indicati in una persona, la di cui condizione normale fosse perfettamente sana. Le parole al principio di questo versetto: "dovunque lo prende", unite a quelle di Luca: "quello appena si parte da lui", si riferiscono ai sintomi più violenti. La sordità ed il mutismo non cessano. Se non siamo disposti ad ammettere che il demone potesse esercitare, anche a distanza, un'influenza sugli organi della favella e dell'udito, ovvero produrre su di essi, prima di partire, un effetto che durasse fino al suo ritorno, altro non resterebbe se non ammettere un possesso continuo, con dei parossismi di furore di tempo in tempo. Secondo noi, la continuazione non interrotta del possesso demoniaco formava una delle ragioni per cui Gesù ebbe poscia a dichiarare ai discepoli (ver. 28), che questo caso era, fuor dell'ordinario, ostinato e difficile. Il verbo divien secco è quello stesso che è usato generalmente a denotare le membra attratte e avvizzito d'un'altra classe di miseri che venivano a Gesù, ma non sembra potersi applicare al giovinetto in questo senso, poiché il padre lo descrive come un sintomo che ricorreva, simile allo schiumare ed allo strider dei denti, ad ogni novello accesso dei male, e poscia scompariva col cessare di questo. Trench suggerisce che siccome quel che diventa secco e raggrinzato, perde la flessibilità, così questo verbo sia usato quì probabilmente per esprimere quella rigidità delle membra che naturalmente si riscontra in tutti questi casi.

or io avea detto ai tuoi discepoli che lo cacciassero ma non han potuto.

Quantunque il cuore del padre sia troppo pieno della miseria del suo figliuolo per poter rispondere categoricamente alla domanda fatta dal Salvatore agli Scribi: "Che quistionate con loro?" da queste parole, veniamo a sapere assai chiaramente che fu l'impotenza dei discepoli a cacciare il demonio che forniva pretesto agli Scribi di menarne trionfo. Nello stesso tempo il padre raccomanda il suo caso a Gesù, adducendo la doppia circostanza che egli, fin da principio, intendeva rivolgersi a Lui, supplicandolo della guarigione del suo figlio, e che i discepoli suoi l'aveano tentata inutilmente.

PASSI PARALLELI

Marco 9:26 Matteo 15:22; Luca 9:39

Marco 9:20; Giudici 1:13

Giobbe 16:9; Salmi 112:10; Matteo 8:12; Atti 7:54

Marco 9:28-29; 11:23; 2Re 4:29-31; Matteo 17:16,19-21; Luca 9:40

Mc 9:19

19. ad egli, rispondendogli, disse: o generazione incredula,

Matteo e Luca aggiungon l'epiteto "perversa".

in fino a quando vi comporterò?

Queste parole includono i discepoli, gli Scribi, il padre e la generale quella generazione tra cui il Signore stava adempiendo il suo ministero, ed implicano una santa impazienza della lor durezza di cuore ed incredulità. Non sembra ci sia maggior ragione per limitare il rimprovero ai discepoli, come vorrebbe il Prof. D. Brown, che per restringerlo agli Scribi come

vorrebbero il Crisostomo e Calvino. La parola generazione ne determina l'applicazione generale.

mematemelo.

L'enfasi è sul pronome me: "menatelo a me". "Il potere esercitato dai miei discepoli, in mio nome, fallì alla prova, per la loro mancanza di fede, ma menatelo ora a me e vedrete se i demoni posson resistere al mio comando".

PASSI PARALLELI

Marco 16:14; Numeri 14:11,22,27; 32:13-14; Deuteronomio 32:20; Salmi 78:6-8,22; 106:21-25

Matteo 17:17; Luca 9:41; 24:25; Giovanni 12:27; 20:27; Ebrei 3:10-12

Mc 9:20

20. Ed essi

cioè il padre, con alcuni parenti, o con taluni della moltitudine circostante che avean preso interesse nella cosa.

glielo menarono; e, quando egli l'ebbe veduto,

e l'ossesso vedendolo, cioè Gesù.

subito lo spirito agitolo con violenza; e il figliuolo cadde (cadendo) in terra, e si rotolava schiumando.

Non prima il demonio fu alla presenza di Colui "che venne a distruggere le opere del demonio", che fu preso da gran furore, e quasi fosse conscio che gli restava poco tempo, risolse di uccidere il giovinetto o almeno di fargli tutto il male possibile, mentre l'aveva ancora in poter suo. L'accesso è esattamente del genere di quelli che il padre avea descritti.

PASSI PARALLELI

Giobbe 1:10-12; 2:6-8; Luca 4:35; 8:29; 9:42; Giovanni 8:44

1Pietro 5:8

Mc 9:21

21. E Gesù domandò il padre di esso: Quanto tempo è che questo gli è avvenuto? Ed egli disse: Dalla sua fanciulla. 22. E spesse volte l'ha gittato nel fuoco, e nell'acqua, per farlo perire;

Gesù non caccia via il diavolo sul momento, ma domanda al padre da quanto tempo il suo figliuolo era afflitto da quel male, e ciò in parte perché gli spettatori potessero udire da colui che meglio di tutti lo sapeva, quanto quel caso fosse disperato; in parte per lasciare alla virulenza della malattia tutto il tempo di spiegarsi; in parte alfine per render ancor più vivaci i sentimenti di quel padre, per accrescere la sua fede, e prepararlo, insieme a tutta la moltitudine, a quanto stava per fare.

Mc 9:22

ma, se tu ci puoi nulla (se tu puoi), abbi pietà di noi, ed aiutaci

Dopo aver narrati partitamente altri sintomi del male, che tutti attribuisce alla operazione del demonio, par che perda la pazienza, ed invoca, di nuovo, l'aiuto di Gesù, in un linguaggio in cui l'incredulità predomina sulla speranza. "I tuoi discepoli non ci han potuto far niente, ma se tu puoi, deh! Aiutaci". Si osservi che, come nel caso della donna sirofenice, il povero padre si identifica col suo figlio che patisce, "abbi pietà di noi".

PASSI PARALLELI

Marco 5:25; Giobbe 5:7; 14:1; Salmi 51:5; Luca 8:43; 13:16; Giovanni 5:56; 9:1,20-21

Atti 3:2; 4:22; 9:33; 14:8

Marco 1:40-42; Matteo 8:2,8-9; 9:28; 14:31

Marco 5:19; Matteo 15:22-28; 20:34; Luca 7:13

Mc 9:23

23. E Gesù gli disse: Se tu puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede.

Il senso da darsi alla parola che si trova sola al principio della risposta del Signore, ha presentata qualche difficoltà ai critici. Diodati non la traduce. Essa equivale probabilmente alla frase: "La cosa è, se tu puoi" ecc. Senza offendersi per l'insinuazione contenuta in quest'appello, il Signore semplicemente lo ritorce a lui. "Non si tratta del mio potere o non potere, ma bensì di questo: Puoi tu credere? poiché tutte le cose son possibili a coloro che credono. La mancanza di fede nella mia potenza da parte tua è l'unico ostacolo alla guarigione del tuo figlio; puoi tu dunque riposarti con implicita fiducia sulla mia potenza?" Si confronti la differenza tra lo stato spirituale di costui e quello del lebbroso Marco 1:40. Questi non aveva il benché minimo dubbio intorno alla potenza sanatrice di Cristo, il suo unico dubbio era se avrebbe voluto sanarlo: "Se tu vuoi, tu puoi mondarmi" quegli al contrario sembra che fosse, almeno fino ad un certo punto, persuaso che Cristo lo avrebbe voluto, ma dubitava se avrebbe potuto. Quindi il modo di agire del Salvatore inverso di essi fu molto diverso; nell'un caso, operando immediatamente la guarigione, mostrò esser la sua compassione eguale alla sua potenza; nell'altro, dichiarò chiaramente che l'incredulità intorno al potere che avea, come Messia, di sanare ogni sorta di malattie, doveva esser bandita dal cuore del padre, prima che potesse compiersi il suo più caro desiderio. "Se tu puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede". Il Signore così aiuta, nel cuor di quell'uomo, la fede nascente che lottava con l'incredulità.

PASSI PARALLELI

Marco 11:23; 2Cronache 20:20; Matteo 17:20; 21:21-22; Luca 17:6; Giovanni 4:48-50; 11:40

Atti 14:9; Ebrei 11:6

Mc 9:24

24. E subito il padre del fanciullo, sclamando con lagrime, disse: Io credo, Signore; sovvieni alla mia incredulità.

Alcuni critici moderni omettono con lagrime, fondandosi su quattro dei più antichi MSS.; ma siccome quelle parole certamente non sono spurie, e descrivono una condizione, tra tutto le altre la più probabile, mentre il cuore di quel povero padre stava lottando con tali emozioni, così noi preferiamo lasciarle ove stanno. La risposta del padre è una delle più belle che sian ricordate nella Scrittura. "Io credo si, come tu richiedi, sebbene non in quel grado che or m'avveggo esser dovuto, e il quale da te solo posso ottenere, non altrimenti che il miracolo; sovvieni adunque prima alla mia incredulità e poscia al fanciullo, la cui guarigione da essa dipende". È bello il vedere ch'egli usa per domandar aiuto per la sua fede, lo stesso verbo, che già avea impiegato per domandare aiuto pel suo figlio. Udendo esser la fede il solo requisito e sentendo la propria esser troppo più debole di quella voluta, ritira, per dir così, un momento la prima sua istanza, per impetrare un'altra specie d'aiuto, senza cui non potea conseguirsi l'esaudimento di quella. "Due cose", dice Brown, "sono quì degnissime di rimarco:

1. Ei sentiva e confessava la sua incredulità, che la fede sola potea così rivelare alla sua coscienza.

2. Fa appello a Cristo, perché l'aiuti contro l'incredulità che così sente in sé, tratto questo senza parallelo, e che dimostra, meglio che non avran potuto farlo mille professioni di fede, ch'egli avea scorta in

Cristo, una potenza più gloriosa di quella che aveva implorata pel suo povero figlio".

PASSI PARALLELI

2Samuele 16:12

2Re 20:5; Salmi 39:12; 126:5; Geremia 14:17; Luca 7:38,44; Atti 10:19,31

2Corinzi 2:4; 2Timoteo 1:4; Ebrei 5:7; 12:17

Luca 17:5; Efesini 2:8; Filippesi 1:29; 2Tessalonicesi 1:3,11; Ebrei 12:2

Mc 9:25

25. E Gesù, veggendo che la moltitudine concorreva a calca,

Non dobbiamo intendere che Gesù avesse tratti in disparte il padre e il figlio dalla folla che dapprima li circondava; ma solo che, vedendo come questa ad ogni momento andasse crescendo per nuovi sopravvenuti, procedette senz'altro, ad operare il miracolo.

sgridò lo spirito immondo, dicendogli: Spirito mutolo e sordo (Luca aggiunge "immondo"), esci fuori di lui (io tel comando), e giammai più non entrare in esso.

Si noti bene la maestà di quel: "Io tel comando!". Il verbo è lo stesso che si usa per un comando militare a cui è forza obbedire Marco 1:27; 6:27,39. "Tu ti sei arrischiato a disubbidire ad un comando dato nel nome mio dai miei discepoli, ma con me tu non osi scherzare un sol momento: Perciò esci da lui all'istante". Né questo è tutto; dallo stesso comando onnipotente gli è fatto divieto di rientrare mai più in esso! La guarigione doveva essere perfetta insieme e durevole. Qualunque impressione sfavorevole gli Scribi avesser tentato di produrre nella moltitudine, pel fatto che i discepoli non avean potuto operare quella guarigione, fu ora più che dissipata dalla

manifestazione della potenza del Signore. Il modo in cui il Signore parlò al demonio diede una chiarissima conferma all'opinione comunemente ricevuta, che questo era realmente un possesso domoniaco, e non solamente una malattia. Se il popolo fosse stato in errore intorno a ciò, "il fedel Testimonio e verace" non si sarebbe mai espresso in un modo che tendeva necessariamente a confermarli nell'errore; non li avrebbe mai lasciati credere che ivi fosse azione di Satana ove non era, ma anzi si sarebbe dato premura di trarli d'inganno.

PASSI PARALLELI

Marco 1:25-27; 5:7-8; Zaccaria 3:2; Matteo 17:18; Luca 4:35,41; 9:42; Giudici 1:9

Isaia 35:5-6; Matteo 9:32-33; 12:22; Luca 11:14

Luca 8:29; Atti 16:18

Mc 9:26

26. E il demonio, gridando, e strappandolo forte, uscì fuori; e il fanciullo divenne come morto; talché molti dicevano egli è morto. 27. Ma Gesù, presolo per la mano, lo levò, ed egli si rizzò in piè.

La moltitudine, mirando la rigidezza e l'immobilità in cui il demonio avea lasciato il fanciullo, concluse tosto che la vita si fosse spenta in lui, ma l'espressione "come morto" prova decisivamente che non era, ma che si trattava soltanto di uno svenimento prodotto da grande prostrazione di forze, svenimento che avrebbe potuto bensì terminare con la morte, se fosse stato trascurato. Ma Gesù, prendendolo per la mano, lo fece rialzare e rizzarsi in piedi, infondendogli per così dire novella vita con quel tocco. Matteo aggiunge: "e da quell'ora il fanciullo fu guarito". Luca riferisce l'effetto prodotto sulla moltitudine dicendo: "Tutti sbigottivano della grandezza di Dio... e tutti si maravigliavano di tutte le cose che Gesù faceva", sebbene sia a temersi che tale impressione non fosse permanente.

PASSI PARALLELI

Marco 9:18,20; 1:26; Esodo 5:23; Apocalisse 12:12

Marco 1:31,41; 5:41; 8:23; Isaia 41:13; Atti 3:7; 9:41

Mc 9:28

28. E, quando Gesù fu entrato in casa,

Non c'è ragione di supporre che nostro Signore fosse partito dai dintorni di Cesarea di Filippo, ove erasi recato poco tempo prima, per avere un pò di quiete Marco 8:27. A noi sembra che la scena della trasfigurazione del Signore, la più probabile di gran lunga fra tutte le altre, dovesse essere il monte Hermon. Che non fosse il monte Tabor, come supposero pei primi gl'ignoranti e creduli crociati, e come insegna tuttora la tradizione fratesca, è quanto risulta dai più forti argomenti storici. (Vedi Nota Luca 9:28Luca 9:28).

i suoi discepoli lo domandarono in disparte: Perché non abbiam noi potuto cacciarlo?

Da questa domanda dei discepoli veniamo a sapere che il potere di far miracoli in generale, e di cacciar demoni in particolare, non era stato loro ritirato quando tornarono dalla loro missione in Galilea; che non avevano tentato, per vanagloria, di far una cosa a cui non fossero autorizzati; ma che in questo caso toccò loro la mortificazione di non riuscire, mentre avrebbero dovuto venire a capo dell'impresa, se fossero stati in una retta disposizione d'animo. Non è quindi sorprendente che approfittassero della prima occasione per chiedere al Maestro la spiegazione di un così strano avvenimento.

PASSI PARALLELI

Marco 4:10,34; Matteo 13:10,36; 15:15

Matteo 17:19-20

Mc 9:29

29. Ed egli disse loro: Questa generazion di demoni non esce per alcun altro modo, che per orazione, e per digiuno.

Matteo "E Gesù disse loro: Per la vostra incredulità; perciocché io vi dico in verità, che, se avete di fede quant'è un granel di senape, voi direte a questo monte: Passa di qui a lì, ed esso vi passerà; e niente vi sarà impossibile". Prendendo a considerare questi due passi unitamente, troviamo assegnate dal Signore due ragioni del loro recente insuccesso.

1. L'incredulità che era in loro. Si erano invaniti per la potenza conferita loro dal Signore sopra gli spiriti immondi, e si riposavano sui propri allori, credendo, che ogni volta che se ne fosse presentato il caso, non avessero a far altro che profferire il comando e il demonio dovesse ubbidire. La mala prova di quel mattino avea tolta loro quella compiacenza di sé medesimi; e Gesù dice loro adesso non esservi grazia alcuna, da Dio conferita all'uomo, la quale non abbia bisogno di essere custodita, coltivata e fortificata, e che essi avean trascurato di fare tutto questo per riguardo alla fede che opera i miracoli.

2. L'essere il male inveterato. Il Signore dichiarò che questo caso di possesso demoniaco apparteneva ad una classe particolarmente inveterata e difficile a curarsi, e che per conseguenza richiedevansi molta perseveranza nella preghiera e molta abnegazione, quali mezzi di rinforzar la fede in coloro che si accingevano ad esorcizzarli. Che ci siano specie più o meno maliziose di spiriti maligni lo vediamo in Matteo 12:45; e la pertinacia e crudeltà di cotesto ben dimostravano che apparteneva alla classe peggiore. Varie spiegazioni furono date di quella espressione: "se avete di fede quanto è un granel di senapa", nel passo di Matteo citato più sopra, alcuni suppongono che la fede viva sia ivi paragonata al granello di senapa a motivo del sapore piccante e delle qualità aromatiche di quella pianta; altri che con tale

paragone si voglia significare che la più piccola particella di fede vera può vincere i più grandi ostacoli, essendo messi in contrasto il granello e la montagna. Ma avendo riguardo a quel che dice Gesù Matteo 13:32, intorno al granello di senapa che produce "la maggiore di tutte le erbe", preferiamo intendere che Gesù dica ai discepoli e a noi, con quel paragone: "Se avete quella fede che, sorgendo e rinvigorendosi da piccoli cominciamenti, diviene ogni giorno più robusta, voi potrete compiere le più difficili imprese. C'è nel granello di senape un principio di vita che produce immensi risultati. Tale dovrebbe esser pure la vostra fede".

PASSI PARALLELI

Matteo 12:45; Luca 11:26

1Re 17:20-22; 2Re 4:33-34; Matteo 17:21; Atti 9:40-41; 2Corinzi 12:8; Efesini 6:18

Giacomo 5:15

Daniele 9:3; Atti 14:23; 1Corinzi 9:27; 2Corinzi 6:5; 11:27

RIFLESSIONI

1. Si osservi bene che le parole che Gesù rivolge ai suoi uditori, nel vers. 19, son pressoché identiche a quelle usate da Jehova verso Israele, in una occasione in cui l'avevano grandemente provocato Numeri 14:11-27, parole che su altre labbra che quelle del Figliuolo di Dio sarebbero presuntuose e fuori di luogo. Ed a questo proposito gioverà ricordarsi, che nostro Signore non fece mai rimprovero ad alcuno, per aver concepito di lui troppo alte idee, ma al contrario sempre le accettò. Quando è accusato dì "farsi eguale a Dio", ben lungi dal respingere tale accusa, l'accetta e pienamente la giustifica, il che sarebbe stato bestemmia se fosse stato semplicemente un uomo. Nel caso attuale, non solamente è scontento della moltitudine per l'incredulità di essa, nonostante tutti i miracoli onde era stata testimone, ma

è dispiacente coi suoi discepoli, perché avevano dimenticato che, sebben lontano, avrebbe potuto aiutarli e dimostrare in loro la sua potenza.

2. Tutti i genitori dovrebbero imitare l'esempio di questo padre che conduce il suo figliuolo a Cristo per farlo liberare dalla potenza del diavolo. I nostri figli sono eredi di una natura corrotta fin dalla nascita e sebbene il possesso demoniaco, nella forma che presentava ai giorni del soggiorno di Cristo sulla terra, non sia comune ai giorni nostri, pur tuttavia, spiritualmente parlando, Satana, li guida prigioni a suo talento. Ci sono molti padri e madri che, anche al giorno d'oggi, han motivo di piangere sui loro figliuoli, non meno di colui del quale si legge in questo passo del Vangelo. Or che dovrebbero fare un padre e una madre in un caso simile? Precisamente quel che fece costui. Dovrebbero andare a Gesù, implorando aiuto pel loro figliuolo. Dovrebbero esporre al pietoso Salvatore tutta la storia dei loro dolori e supplicarlo di venir loro in aiuto. Grande è la potenza della preghiera! il figliuolo di molto preghiere di rado andrà perduto per sempre. Per quanto estremo possa parere il caso nostro, pur non dobbiamo disperare, il tempo della conversione appartiene a Dio; può darsi che egli giudichi bene di far prova della nostra fede col farsi aspettare lungamente; ma la preghiera della fede, offerta con perseveranza, trionferà certamente alla fine.

3. Quante volte accade che la disgrazia e l'afflizione fanno più, esse sole, per risvegliare in un cuore onesto, un giusto senso della gloriosa potenza di Cristo, che non fanno, senza di esse, tutti gli insegnamenti. Nella profonda sua angoscia, il padre di questo giovane ossesso si esprime con un linguaggio che dà gloria a Cristo più di qualunque altro che mai gli fosse indirizzato, "a' giorni della sua carne". Egli protesta di credere nel Signore Gesù e tuttavia, con l'istesso fiato, lo supplica di aiutarlo contro la propria incredulità. Esser conscio ad un tempo e di fede e d'incredulità; sentire l'incredulità, e nel tempo stesso ripudiarla e combatterla: sentirla forte ed ostinata, mentre la fede è debole e presso, a venir meno: confessar tutto ciò e gridare al Signore con lacrime: "Aiuto!" è tal condizione che doveva ispirare le parole di questa breve, ma rimarchevole preghiera.. Ogni vero Cristiano sentirà che d'essa conviene esattamente al caso suo, poiché insieme con vera fede, ci è sempre molta incredulità nel suo cuore.

4. I trionfi segnalati nel regno della grazia non si ottengono per mezzo di una fede facile, ovvero dai credenti stazionarii, infingardi e indulgenti verso sé stessi, bensì coll'accostarci abitualmente a Dio e col rinunziare giornalmente a noi stessi.

5. Il digiuno è ingiunto tanto da nostro Signore che dai suoi discepoli, come un dovere evangelico; ma se n'è fatto grande abuso. Sebbene Gesù digiunasse miracolosamente nel deserto 40 giorni e 40 notti, non raccomandò mai ai suoi discepoli di tentare di imitarlo in questo; nondimeno, nella Chiesa dei primi secoli, una delle prime esplosioni di fanatismo prese appunto questa direzione, moltitudini d'uomini. ritirandosi al deserto della Giudea e ai deserti dell'Arabia e dell'Africa, a digiunarvi per 40 giorni, in imitazione di Cristo, cosa impossibile per semplici uomini. Collo stesso scopo venne introdotta nella rubrica della Chiesa Romana e della Chiese Orientali, la Quaresima, durante la quale si suppone che gli uomini digiunino, benché altro non facciano che mutar di cibo! Ora chi si faccia a considerare fino a qual punto il digiuno sia un dovere evangelico, ha da stabilire per prima cosa: Qual n'è il vero scopo? Evidentemente "la mortificazione, della carne", e generalmente il soggiogamento di tutte le tendenze basse, terrene, e sensuali, che infiacchiscono e distruggono la nostra spiritualità. Laonde segue, che ogni qualvolta si pratichi il digiuno, senza aver specialmente in vista questo scopo, è servigio corporale e nulla più 1Timoteo 4:8; ed ovunque si pratichi al punto da indebolire il corpo e produrre sullo spirito l'effetto d'istupidirlo, diventa un male, poiché agisce contrariamente al suo scopo. Il vero digiuno è l'opposto "dell'ingordigia ed ebbrezza" Luca 21:34; e mentre tutti i Cristiani che abitualmente si guardano da questi eccessi, adempiono all'ingiunzione scritturale del digiuno, ci sono dei tempi, in cui si hanno ad eseguir doveri o riportar vittorie che esigono un esercizio di preghiera e abnegazione ancor maggiore del solito; ma per tali casi non può fissarsi alcuna regola generale, e ciascuno ha da giudicare da sé qual sia quello stato del corpo che meglio aiuti lo spirito a comunicare intimamente con Dio.

Mc 9:30

Ù

Marco 9:30-32. GESÙ ANNUNZIA PER LA SECONDA VOLTA AI DISCEPOLI LA SUA MORTE E LA SUA RISURREZIONE Matteo 17:22-23; Luca 9:45

Per l'esposizione Vedi Matteo 17:22Matteo 17:22-23.

Mc 9:33

Marco 9:33-50. DISPUTA TRA I DISCEPOLI QUAL DI ESSI SAREBBE IL PIÙ ESALTATO NEL REGNO DEL MESSIA. RISPOSTA PRATICA DEL SIGNORE. GESÙ RIMPROVERA GIOVANNI, QUAL RAPPRESENTANTE GLI ALTRI DISCEPOLI, PER INTOLLERANZA RELIGIOSA, ED AMMONISCE CONTRO L'OFFENDERE I FIGLIUOLI DEL REGNO Matteo 18:1-10; Luca 9:46-50

Disputa dei discepoli qual di essi dovesse esser maggiore. Risposta pratica di Cristo, Marco 9:33-37

33. Poi venne in Capernaum

Si confronti il "cammino" menzionato in questo versetto col ver. 30 e vedrassi confermata la probabilità che la scena della trasfigurazione dovesse essere il Monte Hermon o qualche altro monte all'estremità N. della Galilea.

e, quando egli fu in casa, domandò loro: Di che disputavate tra voi per lo cammino? 34. Ed essi tacquero; perciocché per lo cammino avean tra loro disputato chi di loro dovesse essere il maggiore.

Relativamente ai racconti, dei sinottici della seguente conversazione fra Cristo, ed i suoi discepoli, Alford dice: "I ragguagli dati dai tre sinottici sono indipendenti e differiscono in alcuni particolari, senza importanza in sé stessi, ma mai istruttivi per un giusto raffronto dei tre Vangeli". Questa

"catechizzazione" (che tale è il significato del verbo), ebbe luogo dopo la conversazione avuta da nostro Signore con Pietro, intorno alle didramme del tributo, poiché questi, dopo esser stato richiesto della tassa, sulla pubblica via, dai riscuotitori, seguì tosto il Maestro nella casa e gli riferì la cosa. I discepoli tacevano per un doppio motivo, la vergogna di confessare, quale fosse, stato il tema del loro iroso conversare, cammin facendo, e la sorpresa che il Signore l'avesse scoperto, malgrado tutta la premura che si erano dati di tenerglielo nascosto. Era una disputa in cui la vanità, l'orgoglio e l'interesse rivale eran le armi con le quali ciascuno sforzavasi di sostenere le proprie pretese ad onoranza e dignità maggiore di quelle dei suoi compagni. "Il cuor sedotto li traviava" Isaia 44:20. Il regno del loro Maestro, il Messia, se lo eran dipinto all'immaginazione come più esteso, e la corte di lui come più brillante, ed i ministri suoi come più potenti di quel della stessa Roma, ed erano andati discutendo ciascuno i propri e gli altrui diritti alle più alte dignità sotto il di lui governo. Può darsi che la gelosia nel vedere i tre prescelti sempre ad essere compagni del Signore nelle occasioni speciali, insieme all'aspettazione, che lo stabilimento del suo regno sarebbe il risultato di quella morte e, risurrezione, intorno a cui avea tornato a parlare ad essi la quel giorno, fornisse l'occasione alla loro contesa.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:24

Marco 2:8; Salmi 139:1-4; Giovanni 2:25; 21:17; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

Matteo 18:1-5; 20:21-24; Luca 9:46-48; 22:24-30; Romani 12:10; Filippesi 2:3-7

1Pietro 5:3; 3Giovanni 1:9

Mc 9:35

35. Ed egli, postosi a sedere, chiamò i dodici, e disse loro: Se alcuno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti ed il servitor di tutti.

In queste parole il Signore dichiara qual sia la regola del suo regno, e quali essere debbano le disposizioni di coloro e aspirano ad essere in esso i maggiori. Nei regni della terra, anticamente (e purtroppo sovente anche oggi), quanto era più alto il rango degli uffiziali tanto maggiore era in loro l'orgoglio, la prepotenza e l'ozio, tanto più spietata la fatica che imponevano ai loro subordinati; ma nel regno di Cristo, avviene il contrario. Quelli che nono umili e si stiman dappoco e son contenti d'esser così stimati dagli altri, quelli che mortificano l'orgoglio carnale e l'ambizione, che ricusano rango superiore nella Chiesa di Cristo, e che più volentieri si sacrificano nel servire a pro di coloro che hanno bisogno, del loro aiuto, ricchi o poveri, semplicemente per amore e gratitudine a Cristo, sono ivi, i più grandi. La proeminenza di costoro nella Chiesa di Cristo è riconosciuta talvolta anche sulla terra, ma, senza alcun dubbio, saranno proclamati i maggiori di tutti, dal gran Giudice, nel giorno in cui "renderà a ciascuno secondo le sue opere", e tali saranno riconosciuti dal Padre e dai suoi angeli Matteo 25:3440. La parola greca quì tradotta servitore, non è schiavo, ma diacono, che vuol dire propriamente uno che serve a tavola e ministra al padrone e agli ospiti suoi. Questa parola fu adottata per tempo nella Chiesa per distinguere quelli tra i fedeli che erano eletti dalle congregazioni o chiese a vegliare sopra i poveri, e ministrare al loro bisogno, e a provvedere alle spese del pubblico culto, e d'allora in poi ha sempre dato il nome ad uno dei due uffizi permanenti nella Chiesa di Cristo. Coloro che tengono l'uno di questi uffizi son chiamati nel Nuovo Testamento indifferentemente Vescovi, Presbiteri, od Anziani; quelli che tengono l'altro son detti costantemente Diaconi. Se fosse stata intenzione del Signore d'avere una gerarchia nella sua Chiesa e di far di Pietro il Principe degli Apostoli; o se fosse vera la dottrina papale che ci avesse ad essere sulla terra un capo infallibile della Chiesa, dapprima nella persona di Pietro, e poi in quella dei papi suoi successori, perché Cristo non lo dichiarò egli in questa occasione, onde toglier per sempre la possibilità di ogni dubbio? Nessun momento avrebbe potuto sere più opportuno! Quando essi "disputavano fra loro, chi di loro dovesse essere il maggiore", ed egli chiamolli a rendergli conto delle loro disputazioni, del sicuro avrebbe proclamato allora il primato di Pietro, e così avrebbe posto

fine, ad ogni controversia, se fosse stata sua intenzione d'insegnare una tale dottrina. Ma le parole sue in questo versetto dànno la più solenne smentita alla favola papale. È vero che il Vescovo di Roma, nel suo conflitto col Patriarca di Costantinopoli, intorno alla supremazia, sullo scorcio del sesto secolo, adottò il titolo di servus servorum Dei, ma la data recente e la notissima origine di questa arrogante umiltà non consentono di fondare, sopra questo titolo, alcun serio argomento in favore della supremazia di Pietro; oltrediché la parole del Salvatore in questo versetto, ben lungi dall'essere ristrette a Pietro od a qualche altro individuo, si applicano ai Cristiani di tutti i secoli.

PASSI PARALLELI

Marco 10:42-45; Proverbi 13:10; Geremia 45:5; Matteo 20:25-28; Luca 14:10-11; 18:14

Giacomo 4:6

Mc 9:36

36. E, preso un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo di loro; poi, recatoselo in braccio, disse loro:

Questo, incidente è menzionato da tutti i sinottici. Gesù cerca di imprimere la gran verità, che aveva allora esposta in modo dogmatico, vieppiù profondamente nel cuore loro per mezzo, ancora dell'insegnamento emblematico. La casa ove allora si trovavano, era probabilmente quella di Andrea e di Pietro Marco 1:29, sicché non è punto impossibile che questo pargoletto che il Signore si prese in braccio, fosse il figlio di uno dei discepoli. Marco solo fa menzione del fatto che Gesù si recò in braccio il fanciullo; la quale circostanza è una prova di più del benigno amor suo pei fanciulli, espresso qui come altrove coll'atto che accompagna le parole Matteo 13:14

PASSI PARALLELI

Marco 10:42-45; Proverbi 13:10; Geremia 45:5; Matteo 20:25-28; Luca 14:10-11; 18:14

Giacomo 4:6

Mc 9:37

37. Chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli, nel mio nome, riceve me; e chiunque mi riceve, non riceve me, ma colui che mi ha mandato.

In Matteo troviamo alcune parole di Gesù che vengon prima di quelle di questo versetto, e sono troppo importanti perché le possiamo tralasciare: "Io vi dico in verità, che se non siete mutati e non divenite come i piccoli fanciulli, voi non entrerete punto nel regno dei cieli"; Vedi note Matteo 18:3Matteo 18:3-4. Il mutamento dell'animo o il cambiamento di condotta non si deve quì intendere della prima conversione dei peccatori, da Satana a Dio, bensì d'un cangiamento posteriore, che deve aver luogo in coloro che già sono discepoli di Cristo, ma nei cuori dei quali c'è ancora molto orgoglio, egoismo e carnalità, e le cui percezioni della verità divina sono purtroppo spesso erronee e poco spirituali. Un notevole esempio della conversione di cui Gesù parla quì lo abbiamo in Luca 22:22. Le parole che abbiam citato dal Vangelo di S. Matteo c'insegnano che la conversione deve essere intera ed agire su tutto l'uomo. "Non solamente il cuore vostro deve convertirsi a Dio, rivolgendosi dalle cose terrene alle celesti, ma in particolare, a meno che non siate convertiti da quell'ambizione carnale che arde ancora entro di voi; a quella perfetta indifferenza verso tali cose che voi vedete in questo fanciullo, non avrete parte o sorte alcuna nel regno dei cieli". Gesù non intende limitare l'applicazione di questo detto al fanciullo che teneva allora in braccio, ovvero a' fanciulli in generale, nel senso letterale; le parole: Uno di tali piccoli si riferiscono principalmente ai piccoli fanciulli nel senso spirituale, cioè a quei sudditi del suo regno che sono veramente semplici ed umili di cuore, e dichiara che chiunque li riceverà amorevolmente e li ospiterà, e (se evangelizzatori), li ascolterà, per

amore del suo nome, sarà trattato come se avesse ricevuto Gesù stesso nel suo uffizio glorioso di Mediatore, poiché tale amorevolezza egli l'avrà come se usatagli personalmente. Quale condiscendenza in Cristo; qual consolazione pei suoi discepoli e ministri in tutti i secoli; qual ricompensa per quelli che li accolgono amorevolmente! Essi ricevono il Signore! Né questo è tutto. "Iddio ha riconciliato il mondo a sé, in Cristo" 2Corinzi 5:18, ognuno adunque che accoglie e ascolta questi umili discepoli, per l'amore di Cristo, riceve anche il Padre che ha mandato il suo Figliuolo "a cercare e salvare ciò che era perduto"; Vedi nota Matteo 10:40Matteo 10:40. Il nesso tra la dichiarazione che abbiamo riportata di Matteo e questo versetto non pare a prima vista molto ovvio, ma un pò di riflessione basta a convincere il lettore, che in questo versetto nostro Signore previene all'obiezione che naturalmente dovea sorgere nell'animo dei discepoli: "si ci facciamo umili come vuole il nostro Maestro, tutti ci respingeranno e ci sprezzeranno"; e dissipa i loro timori, assicurandoli che molti li avrebbero accolti bene per quanto umili si fossero, e che egli avrebbe ricompensato tale accoglienza, come fatta virtualmente a lui medesimo. Questo modo di vedere trova conferma nel castigo che Cristo dichiara Marco 9:42, colpirebbe coloro che offendessero o respingessero uno di questi piccioli.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:40-42; 18:3-5,10; 25:40; Luca 9:48

Luca 10:16; Giovanni 5:23; 10:30; 12:44-45; 14:21-23; 1Tessalonicesi 4:8

Mc 9:38

È ripresa l'intolleranza verso quelli che insegnavano nel nome di Cristo, sebbene non si unissero alla compagnia dei dodici, Marco 9:38-41

38. Allora Giovanni gli fece motto, dicendo: Maestro, noi abbiam veduto uno che cacciava i demoni nel nome tuo, il quale non ci seguita; e, perciocché egli non ci seguita, glielo abbiam divietato.

Non è difficile mostrare la connessione tra questo versetto e i precedenti. l'insegnamento di Gesù fece nascer dei dubbi nell'anima di Giovanni, che talora esso e i suoi condiscepoli, in una certa occasione, non avessero agito contrariamente allo spirito di esso; perciò interrompe il discorso del Maestro narrandogli, brevemente il fatto, e domandandogli, al tempo stesso, la sua opinione ed esplicite istruzioni per loro norma in casi somiglianti. "Se il ricevere chiunque, perfino un piccolo fanciullo, nel tuo nome è un ricevere te, abbiam noi fatto bene, con quel tale che cacciava i demoni nel tuo nome, a divietarglielo perché non si era unito alla nostra società?" Noi non possiamo vedere motivo alcuno di attribuire questo divieto, come fanno alcuni scrittori, soltanto a Giovanni, il quale non fa che riferire ciò che avean fatto gli Apostoli collettivamente. Oltre la menzione fatta qui incidentalmente di quest'uomo, non è più parola di lui nei Vangeli, per cui ignoriamo completamente la sua storia e quali occasioni avesse avute d'istruirsi nell'evangelo. Può darsi che fosse uno dei discepoli del Battista, e che, in aggiunta alla testimonianza resa a Gesù qual Messia, dal suo Maestro, egli udisse Cristo predicare, e fosse così indotto a credere in lui; e la ragione per cui non si unì agli Apostoli può esser questa, ch'egli non era stato a ciò chiamato formalmente, o che non fosse ancor preparato a lasciare ogni cosa per amore di Cristo. I miracoli che egli operava erano miracoli reali, non già come quelli dei figliuoli di Sceva Atti 19:13-16, e nulla vi era d'incompatibile con la gloria di Dio o con gl'interessi del vangelo, nel conferire il potere di operarli ad uno che avea fede da Gesù come Figliuol di Dio. Non ci sono ragioni sufficienti per omettere, come fanno alcuni critici recenti, la ripetizione: "egli non ci seguita", nell'ultimo inciso; stando anche alle regole poste da essi stessi, i copisti sarebbero stati assai più proclivi ad omettere queste parole, che non ad inserirle, se non ci fossero state nell'originale.

PASSI PARALLELI

Numeri 11:26-29; Luca 9:49-50; 11:19

Mc 9:39

39. Ma Gesù disse: Non glielo divietate;

Lo scopo della domanda di Giovanni era: "Abbiam fatto bene?" e la risposta del Signore è: "No, avete fatto male; poiché io non ho dato a voi il diritto esclusivo di predicare o di operar miracoli: lasciatelo fare adunque e non vi opponete". Nella condotta tenuta dai discepoli in questo caso, abbiamo un esempio d'un errore naturale, ma assai pernicioso, il quale ha recato terribili danni alla Chiesa di Cristo, il credere cioè che quelli soli che dividono le nostre vedute intorno alla disciplina ed al governo della Chiesa fanno parte della istituzione fondata da Dio, e che Iddio non voglia e non possa permettere che si faccia alcuna cosa, per la gloria sua o per la salute delle anime, indipendentemente di tale istituzione. Un esempio più antico dello stesso errore lo abbiamo nella gelosia di Giosuè per l'onore di Mosè suo maestro, quando udì che due degli anziani scelti di recente, Eldad e Medad, profetizzavano nel campo, invece di profetizzare intorno al tabernacolo, quando Mosè avea convocata la raunanza Numeri 11:24-29. Mosè riprese l'intolleranza e l'esclusivismo del suo servitore in quella occasione, e il Signore fa ora il simigliante nel caso dei suoi discepoli, non per la loro istruzione solamente, ma per provvedere un correttivo da applicarsi poscia a tutti i casi consimili. La storia dell'apostasia romana, dal suo nascere fino al giorno presente, con le sue bolle di scomunica contro le altre Chiese, col suo Sant'ufficio, con le sue pretese all'infallibilità; e la storia d'altre Chiese altresì, le quali sono le sue umili imitatrici nell'intolleranza e nello spirito di esclusione, ben dimostrano quanto fosse necessaria la lezione che nostro Signore ci insegna in questo luogo, e quanto apertamente e audacemente i suoi sedicenti seguaci l'abbiano trasgredita. Si osservi che quest'uomo facea propriamente quello che era stato commesso specialmente agli Apostoli stessi di fare, e nostro Signore, ben lungi dal proibirglielo, lo incoraggia. Il grido favorito del sacerdozio romano, per tutto il mondo è che "fuori del grembo della Chiesa di Roma non c'è salute", ma secondo l'insegnamento del Signore in questo versetto, sarebbe quella una dottrina falsa quand'anche quella Chiesa avesse conservata la fede del vangelo in tutta la sua purezza, mentre invece l'ha adulterata siffattamente che i pochi che, nel suo seno, trovano Cristo, a dispetto di tutti i suoi riti pagani, son per così dire, salvati come per lo fuoco 2Corinzi 3:12-15. Le Chiese decadute d'Oriente sono egualmente esclusive e quasi egualmente destituite dell'evangelo. Badino le

Chiese della Riforma di non deviare su questo punto dall'insegnamento del Signore. "Che coloro", dice Bengel, "che vincolano i doni spirituali ad una successione canonica, pongano ben mente a queste parole".

conciossiaché niuno possa far potenti operazioni nel nome mio, e tosto appresso dir male di me. 40. Perciocché chi non è contro a noi è per noi.

Gesù non disapprova seccamente e severamente i suoi discepoli, senza una parola di spiegazione; egli assegna due ragioni per cui non doveano riprendere o ridurre al silenzio quest'uomo od altri in simili circostanze. La prima ricordata soltanto da Marco, è nell'ultima parte dei ver. 39: "Niuno può aver la fede da operare un miracolo nel mio nome e tosto appresso dir male di me". Paolo usa un linguaggio assai somigliante a questo in 1Corinzi 12:8. Quantunque il potere di operar miracoli non fosse una prova certa che chi lo possedeva fosse un vero credente Matteo 7:22. Tuttavia l'operare miracoli nel nome di Cristo implicava sempre la fede in lui come in una persona divina, ed una professione aperta di siffatta fede, ed era umanamente inconciliabile con l'opposizione aperta all'evangelo e col vituperare il Cristo medesimo quale impostore e bestemmiatore. Non c'era adunque da temere che alcun danno potesse venire alla sua causa dai miracoli di quest'uomo o di altri come lui, che anzi cotali miracoli tendevano a promuoverla. La seconda ragione è contenuta nel versetto 40, e in Luca 9:50. "Chi non è apertamente contro noi deve ritenersi esser per noi". C'è un'altra dichiarazione di nostro Signore Luca 11:23, che dice per converso: "Chi non è meco è contro a me, e chi non raccoglie meco, sparge", ma la contraddizione è soltanto in apparenza, imperocché entrambe queste dichiarazioni sono vere ed importanti in relazione al loro contesto. Il passo in Luca 11 si riferisce alla differenza tra gli amici di Cristo e gli amici di Belzebub, tra i propugnatori e gli oppugnatori del vangelo. Ivi non ci può essere neutralità; quelli che ivi non si schierano tra gli amici del Salvatore vanno annoverati tra i suoi nemici. Ma qui si tratta di una differenza tra gli amici di Cristo che sono più illuminati e coerenti e quelli che lo sono meno. Questi sebbene inferiori a quelli, pur sempre sostengono la sua causa e sono ben lungi dall'agire in opposizione ad esso, e perciò, invece di rinunziare alla comunione con essi e scoraggiarli, si deve anzi riconoscerli, incoraggiarli ed assisterli onde raggiungano maggiore coerenza di dottrina e

di condotta cristiana. C'è una singolare varietà nel testo del vere. 40, molte copie leggendo contro voi, e per voi ed alcune, contro coi, e per noi; ed alcune contro noi, e per voi. Le due ultime lezioni, che hanno i pronomi di prima e seconda persona, tolgono al versetto ogni senso e significato. La prima che abbiam menzionata (voi e voi) è sostenuta dal maggior numero di MSS. unciali, ma la lezione ne adottata da Diodati, come pure dalla versione inglese autorizzata, da Osterwald e da Lutero (contro noi, e per noi) ha per sé l'autorità dei MSS. più antichi e più stimati, tra, cui i codici Vaticano e Parigino.

PASSI PARALLELI

Marco 10:13-14; Matteo 13:28-29; Filippesi 1:18

Matteo 7:22-23; Atti 19:13-16; 1Corinzi 9:27; 13:1-2

1Corinzi 12:3

Matteo 12:30; Luca 11:23

Mc 9:41

Gesù ripiglia il suo discorso intorno ai Discepoli, e conclude con solenni esortazioni intorno alla mortificazione di noi stessi, Marco 9:41-51

41. Imperocché, chiunque vi avrà dato a ber pare un bicchier d'acqua, nel nome mio, perciocché siete di Cristo; io vi dico in verità, che egli non perderà punto il suo premio.

Nostro Signore, avendo risposto alla domanda con cui Giovanni avea interrotto il suo discorso intorno all'accoglienza fatta a quelli che venivano con l'umiltà di piccoli fanciulli nel nome suo, ritorna al suo argomento. Con la consueta sua forma solenne di assicurazione, in verità vi dico, Cristo dichiara che il più piccolo servigio reso, ai suoi non sarà da lui dimenticato

né andrà senza premio. Sono pochissimi quelli, che non si affrettino, per mera umanità, a porgere un bicchier d'acqua ad un viaggiatore stanco e presso a venir meno sotto un grave carico; ma la promessa, del premio non è fatta a questi, bensì a coloro che l'avranno fatto per I'amor di Cristo perché colui che soffre è suo discepolo, Vedi Nota Matteo 10:42Matteo 10:42.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:42; 25:40

Giovanni 19:25-27; Romani 8:9; 14:15; 1Corinzi 3:23; 15:23; 2Corinzi 10:7; Galati 3:29; 5:24

Mc 9:42

42. E chiunque avrà scandalezzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse messa intorno al collo una pietra da macina, e ch'egli fosse gittato in mare.

Gesù usa parole quasi identiche a quelle in Luca 17:2. Nel versetto precedente, il Signore promette un premio a coloro che, per amor suo, useranno la più piccola cortesia agli umili e fedeli suoi discepoli; e quì abbiamo per converso una minaccia di terribile castigo a quelli che li offendono o li maltrattano, o, con le tentazioni che a bello studio presentano loro, li fanno venir meno alla fermezza cristiana. Le parole uno di questi piccoli che credono in me comprendono tutti i credenti, anche i più deboli e più disprezzati. L'esser gettato nel mare con una pietra da macina intorno al collo, è un'impressione proverbiale che significa irrimediabile rovina. Il senso delle parole è che il mettere, scientemente, delle pietre d'inciampo davanti ai suoi "piccoli" è peccato così enormemente grave e sarà seguito da un castigo così tremendo, che la stessa morte, in questa forma violenta e repentina, sarebbe misericordia verso il colpevole, in quanto che lo salverebbe dalla perdizione a mille doppi più tremenda, che è serbata a chi commetta peccato. Quand'anche l'anima sua avesse a perire per tale improvvisa distruzione, ci sono gradazioni di castigo all'inferno, come di

felicità in cielo, e la sua pena eterna sarebbe minore nel grado, se la sua carriera terrestre fosse troncata prima che, per sua cagione, dei discepoli di Cristo si fossero rivolti indietro o avessero di nuovo crocifisso a se stessi, ed esposto ad infamia il Figliuol di Dio Ebrei 6:6. O benedetto Gesù, quanto è ammirabile la cura amorosa che ti prendi perfino del più meschino del tuo popolo! Il Katapontismo. ovvero la sommersione in mare, sia con una macina da mulino intorno al collo, sia col corpo rivestito d'una cappa di piombo, era uno dei modi d'esecuzione di sentenza capitale che praticavasi dai Greci, dai Siri, o dai Romani. Diodoro Siculo (libro 16), dice: "Filippo mandò Onomarco alla forca; ma gli altri come sacrileghi li fece sommergere nel mare".

PASSI PARALLELI

Matteo 18:6,10; Luca 17:1-2; Romani 14:13; 15:21; 16:17; 1Corinzi 8:1013

1Corinzi 10:32-33; 2Corinzi 6:3; Filippesi 1:10; 1Timoteo 5:14; 2Pietro 2:2

Matteo 25:45-46; Atti 9:4; 26:11-14; 2Tessalonicesi 1:6-9; Apocalisse 6:910; 16:6-7

Mc 9:43

43. Ora, se la tua mano ti fa intoppare, mozzala, meglio è per te entrar monco nella vita, che, avendo due mani, andar nella geenna, nel fuoco inestinguibile... 47. Parimente, se l'occhio tuo ti fa intoppare, cavalo; meglio è per te entrar con un'occhio solo nella vita, che, avendone due, esser gittato nella geenna del fuoco;

(Per l'esposizione vedi Matteo 5:29Matteo 5:29-30). Dal pericolo soprastante a coloro che scandalizzassero fosse pure il più umile dei suoi discepoli o lo facessero, cadere, Gesù, con una naturalissima transizione passa ai discepoli stessi, e li avverte di badare di non esser essi stessi l'occasione della propria caduta, con le loro inclinazioni, peccaminose, con

la loro avarizia e ambizione, col temperamento focoso, con l'orgoglio e la mancanza di carità. In una parola, doveano stare in guardia che talora non fosse in essi alcuna cosa che, per quanto altamente pregiata e diletta, potesse tentarli e farli cadere in peccato. L'esortazione contenuta in questi versetti è equivalente a quella di Paolo Ebrei 12:15: «Prendendo guardia che niuno scada dalla grazia di Dio; che radice alcuna d'amaritudine, germogliando in su, non vi turbi; e che per essa molti non sieno infetti. Questi allettamenti al peccato nel credente, Cristo li descrive figuratamente sotto l'imagine delle diverse membra del corpo, per dimostrare a dirittura che sono inerenti alla persona o parti di essa stessa, e che possono anche, taluni almeno, essergli cari ed utili come un piede o una mano od un occhio. Per quanto sia difficile e doloroso l'abbandonare quelle abitudini che ci sono occasioni di peccato, val meglio assai sradicarle che non esporci, perseverando in esse, a vederle uccidere la grazia nei cuori nostri e precipitarci negli eterni tormenti dell'inferno.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 13:6-8 Matteo 5:29-30; 18:8-9; Romani 8:13; 1Corinzi 9:27; Galati 5:24; Colossesi 3:5

Tito 2:12; Ebrei 12:1; 1Pietro 2:1

Marco 9:45,47

Matteo 15:30-31; Luca 14:13,21

Genesi 3:6; Giobbe 31:1; Salmi 119:37; Matteo 5:28-29; 10:37-39; Luca 14:26; Galati 4:15

Filippesi 3:7-8

Mc 9:48

48. Ove il verme loro non muore, e il fuoco non mi spegne.

Queste terribili parole il Signore le cita da Isaia 66:24; e loro di questo versetto si riferisce agli uomini "che saranno proceduti dislealmente meco", o piuttosto che saranno rei di trasgressione contro di me, di cui parla Iddio in quel passo. Le parole del ver. 48, dice il prof. D. Brown trovansi tre volte ripetute Marco 9:44,46,48, nel testo ricevuto, con effetto palpitante, e profondamente ritmico, e ci dispiace di essere in disaccordo col Tischendorf, il quale le esclude dal ver. 44 e 46, ritenendole genuine solo nel ver. 48. Tregelles pure le segna nel ver. 44,46, come di dubbia genuinità. I MSS. dalla cui autorità son guidati, in questo caso, quei due sommi critici, son di peso formidabile; ma quelli in favore del testo ricevuto. sono assai più numerosi, ed uno (A, cioè il Codice Alessandrino), di pregio forse eguale ai più antichi; mentre l'autorità delle versioni più antiche e migliori è decisamente in favore del testo ricevuto.. A noi non riesce inconcepibile come la ripetizione, sebbene genuina, abbia potuto venire omessa dai copisti per iscansare una apparente tautologia o per uniformarsi al testo di Matteo; ma riesce invece assai difficile a concepirsi come mai, se non fosse genuina, avrebbe potuto introdursi in tanti antichi manoscritti. Oltre alle autorità già mentovate, Lachmann, Fritzsche, Stier, Lange, Alexander, tutti sostengono esser genuino il testo ricevuto, mentre Alford così si esprime intorno ad esso: "Questa triplice ripetizione dà un carattere di sublimità e mette fuor d'ogni dubbio che il discorso è quì riportato, parola per parola, come fu pronunziato". Il linguaggio di questo versetto doveva riuscire ai Giudei facilmente intelligibile e assai espressivo. La Gehenna, ossia la Valle di Hinnom, con tutti i suoi cadaveri ivi gittati ad esser rosi dai vermi, ed arsi dal fuoco, era la figura famigliare della pena eterna. Né in tutta la terra potea trovarsi paragone alcuno più terribile di questo. Un verme che mai non muore, roditore di quanto rimane d'un uomo e il fuoco inestinguibile come l'eternità, esprimeranno sempre, con tutta la forza del linguaggio, l'infinito tormento dei perduti. Pene eterne, per sempre "inestinguibile", con questo le espressioni usate, e se, in consimili espressioni non è insegnata la pena interminabile dei malvagi, in tal caso non è nemmeno insegnata nella Bibbia l'interminabile felicità dei giusti, né l'interminabile esistenza di Dio.

PASSI PARALLELI

Marco 9:44,46

Mc 9:49

49. Perciocché ognuno dee esser salato con fuoco, ed ogni sacrificio dee esser salato con sale.

La spiegazione di questo versetto ha costato gran travaglio ai commentatori, ed anzi il Ryle giunge fino ad astenersi deliberatamente da qualsiasi commento di esso, essendo convinto essere di quelle "cose profonde di Dio" che non saranno mai intese fino all'apparizione del Signore! Una breve esposizione del senso che gli è attribuito da alcuni dei più abili scrittori, confermerà ampiamente la sentita difficoltà dell'interpretarlo.

1. Alcuni pensano che nostro Signore continui qui a parlare dei malvagi e del loro eterno castigo, di cui si tratta nel versetto precedente, e che le parole sue significhino: "Ogni anima perduta sarà salata col fuoco dell'inferno, appunto come ogni sacrifizio sotto la legge di Mosè è salato con sale".

2. Altri pensano che Gesù parli di tutti i membri della sua Chiesa sì buoni, che cattivi nel primo inciso, e che il senso delle sue parole fila quello stesso di Paolo in 1Corinzi 3:18; ma che, nel secondo inciso, parli dell'effetto preservativo della grazia nel cuore dei veri credenti: "Ognuno sarà salato o provato dal fuoco nell'ultimo giorno, e allora quelli che sono stati salati con la grazia, saranno preservati dalla eterna perdizione".

3. Alcuni pensano che il primo inciso ai riferisca per intero ai malvagi e il secondo per intero ai giusti: "Ogni uomo malvagio sarà salato col fuoco e perirà in sempiterno; ogni uomo di Dio sarà salato con la grazia e salvato per sempre".

4. Ci sono altri i quali pensano che nostro Signore parli soltanto dei suoi veri discepoli e delle loro prove in questa vita, per le quali sono purificati, come per lo foco, e preservati dalla corruzione: "Ogni mio

vero discepolo sarà salato col fuoco della tribolazione, in quella guisa appunto che ogni sacrifizio è salato con sale".

Secondo noi, quest'ultima esposizione è la vera. La difficoltà della esposizione consiste quì nel precisare la connessione di questo versetto con quanto lo precede e lo segue. Quelli che interpretano questo versetto come riferentesi, in tutto o in parte, alle pene eterne, lo considerano in connessione diretta col ver. 48, per mezzo della particella perciocché; ma noi siamo costretti a rifiutare tale interpretazione per le seguenti ragioni. In primo luogo, perché le pene eterne non sono l'argomento principale del discorso del Signore nel contesto, ma se ne parla solamente in via di schiarimento. In secondo luogo, perché le parole "state in pace gli uni con gli altri" (ver. 50), dimostrano che Gesù ha tuttora in vista la condizione spirituale dei suoi eletti discepoli, e le ammonizioni intorno all'abnegazione e all'umiltà, incominciate al ver. 35, alle quali sarebbe al tutto estranea una digressione sulla condizione dei perduti mentre subiscono le pene eterne. In terzo luogo, perché il sale non impediva punto che il sacrifizio levitico, sul quale era stato fregato, venisse consunto completamente dal fuoco, cosicché la virtù conservativa, del sale non può quì simboleggiare il fuoco eterno. La particella perciocché connette questo versetto evidentemente: con le parole "meglio è per te" dei ver. 48,45,47, in cui il Signore parla ai suoi del mortificare le concupiscenze della carne; e la congiunzione e, che connette i due incisi, dovrebbe intendersi probabilmente nel senso di appunto come, facendo così questi due incisi paralleli l'uno all'altro nel senso, invece di farli contenere due dogmi indipendenti: "Perciocché ognuno deve esser salato con fuoco appunto come ogni sacrifizio ecc.". L'Iddio comandò in modo specialissimo che tutti i sacrifizi a lui offerti, sotto la dispensazione levitica, fossero salati con sale, sì le vittime che gli olocausti Levitico 2:13; Ezechiele 43:24, e c'è evidente riferenza a questo comando nell'ultimo inciso di questo versetto. Ma l'errore commesso dalla maggior parte degli annotatori nella spiegazione di questo versetto, consiste nello scegliere la virtù antisettica o preservativa del sale siccome quella a cui allude il Signore, invece che le qualità sue acre - pungenti, purificanti, e saporite, per cui le carni del sacrifizio eran rese salubri, di buon sapore ed accettevoli come una "offerta d'odor soave a Dio". Quella purità, quell'accettabilità al cospetto di Dio, la quale era simboleggiata dal sale usato nei quotidiani

sacrifizi levitici, Gesù la simboleggia qui, nel caso dei suoi credenti, col fuoco. Essi tutti han d'uopo d'esser salati con fuoco! Che cosa s'intende qui adunque pel fuoco? Non certamente il fuoco dell'inferno, né unicamente le sofferenze corporali, i dispiaceri e la prove di questa vita, ma quella continua mortificazione della carne, quella guerra all'orgoglio del cuore, all'ambizione, alla cupidigia, all'odio, alla malignità, all'infingardaggine, "all'impurità della carne e dello spirito", di cui nostro Signore avea appunto presentata l'idea nel mozzar della mano o del piede o nel cavar dell'occhio. Pietro parla di un "cimento per lo fuoco" 1Pietro 4:12, che ogni credente ha da sopportare, e consiste nel "crocifiggere la carne", ed ottener la vittoria sul corpo del peccato che è nelle nostre membra. In questo cimento per lo fuoco, il credente è sostenuto dal suo Signore e Maestro, il quale siede a guisa di raffinatore d'argento, struggendo e purgando l'argento Malachia 3:3; ed è aiutato in tutti i suoi sforzi, dalla grazia e dalla potenza dello Spirito Santo, il quale purifica, non solo a guisa d'acqua, ma anche a guisa di fuoco Matteo 3:11; Giovanni 3:5. Per i giusti, questa purificazione per il fuoco si prosegue durante la vita presente onde renderli "degni di partecipare la sorte dei santi nella luce" Colossesi 1:12; c'è un'operazione del fuoco pei malvagi, dopo questa vita, non già per purificarli, ma sì per punirli. Il vero Cristiano è rappresentato nella Scrittura come un'«ostia vivente» dedicata a Dio fin dal momento della sua conversione, e questo l'esser "salato col fuoco" significa il suo crescere in santificazione e parità, finché sia presentato santo ed accettevole a Dio Romani 12:1. Il versetto può dunque esser così parafrasato; "Non rifuggite per infingardaggine o codardia, dal recidere quelle concupiscenze o cattive abitudini che ancor rimangono in voi, imperocché, come il sale (che è un tipo della purità) rendeva anticamente accettevole il sacrifizio, così questo cimento ardente, diretto a struggere ogni, peccato rimasto su voi, sostenuto e completato con l'aiuto dello Spirito Santo, renderà ancor voi accettevoli al cospetto di Dio nell'ultimo giorno". Nulla potrebbe dirsi di meglio dell'esposizione, fatta da Diodati, di questo versetto (Note appiè di pagina nella sua Bibbia, Ediz. 1641): "Perciocché rendo ragione delle precedenti esortazioni di recidere ogni esca di peccato, perciocché, come ogni offerta sotto la legge dovea esser salata Levitico 2:18, così ogni Cristiano, per presentarsi a Dio in sacrifizio vivente, deve esser purgato d'ogni corruzione per lo Spirito Santo, il quale ha la virtù del fuoco

Matteo 3:11; 1Corinzi 3:13, e per quello stesso dee essere impresso di vera santità, come il sale preserva di putrefazione e condisce i cibi".

PASSI PARALLELI

Levitico 2:13; Ezechiele 43:24

Mc 9:50

50. Il sale è buono; ma, se il sale diviene insipido, con che lo condirete?

Per l'esposizione vedi Matteo 5:13Matteo 5:13. Secondo noi, è più difficile mostrare la connessione di questo versetto e del seguente coi ver. Marco 9:43-48, che quella del ver. 49. Il senso generale di questo versetto lo si raccoglie da Matteo 5:13, dove Gesù, indirizzandosi ai suoi discepoli, dice: "Voi siete il sale della terra"; e la sua connessione con quanto procede pare che sia questa: "Essendo così salati con fuoco e resi sacrifizi accettevoli a Dio, voi dovete divenire il sale della terra, col vostro esempio, con la vostra influenza e coi vostri insegnamenti; badate adunque che per la vostra infingardaggine o trascuranza dello stato vostro spirituale, ti sale non abbia a perdere il suo sapore, in altri termini, che le vostre grazie non abbiano a svanire ed appassirsi, poiché ciò proverebbe purtroppo che non furono mai vere ma soltanto apparenti, e in tal caso come potrebbero venir restaurate?"

PASSI PARALLELI

Giobbe 6:6; Matteo 5:13; Luca 14:34-35

Efesini 4:29; Colossesi 4:6

Salmi 34:14; 133:1; Giovanni 13:34-35; 15:17-18; Romani 12:18; 14:17-19

2Corinzi 13:11; Galati 5:14-15,22; Efesini 4:2-6,31-32; Filippesi 1:27; 2:13

Colossesi 3:12; 2Timoteo 2:22; Ebrei 12:14; Giacomo 1:20; 3:14-18; 1Pietro 3:8

Mc 10:1

CAPO 10 - ANALISI

1. Viaggio di Gesù Cristo in Perea. Questa visita alla Perea, o regione oltre il Giordano, abitate un tempo dalle tribù di Ruben, di Oad e dalla mezza tribù di Manasse, Gesù la fece dopo aver condotto a termine il suo ministerio in Galilea e mentre era in viaggio, per l'ultima volta, verso Gerusalemme. È probabile che durano per alcune settimane, fors'anco per qualche mese. (Vedi Analisi, I., Matteo 19:1Matteo 19:1).

2. Capziose domande dei Farisei sulla legge del divorzio. La legge cristiana intorno al divorzio. In risposta alla domanda se fosse lecito ad un uomo di mandar via la moglie, Gesù dapprima rimanda gli interrogatori suoi alla legge di Mosè; e quando essi ebbero specificati i passi da farsi in tali casi secondo la legge, dichiara che per la durezza dei loro cuori, Mosè era stato costretto a riconoscere e circondare di cautele legislative una pratica già esistente ed anteriore alla legge; ma che quel divorzio che essi praticavano, era al tutto contrario alla legge che Dio diede originariamente all'uomo subito dopo la creazione, e che deve sempre essere in vigore nella razza umana: "Ciò adunque che Iddio ha congiunto l'uomo nol separi". Poi quando si fu ritirato coi discepoli nella casa ove alloggiavano, egli spiegò loro la legge del suo regno su tale argomento, cioè che il divorato com'era praticato tra i Giudei, per mero capriccio, era proibito assolutamente; poiché, nel caso di successivo matrimonio, implicherebbe adulterio per tutte le parti interessate. Marco par che si contenti di attestare come il Salvatore condannasse con forza l'uso licenzioso e crudele che i Giudei facevano della legge del divorzio; ma, secondo Matteo Gesù stabilì espressamente questa legge pel suo popolo che cioè non è lecito al marito o alla moglie di far divorzio per altra causa o pretesto che l'infedeltà coniugale Marco 10:2-12.

3. Gesù riceve i piccoli fanciulli e li benedice. Durante, quel viaggio attraverso alla Perea, furono condotti a Gesù, dai loro genitori od altri parenti, dei piccoli fanciulli perché li benedicesse, dando con questo evidentemente a conoscere che lo riverivano qual profeta se non qual Messia, e che erano convinti che "molto può l'orazione del giusto fatta con efficacia" Giacomo 5:16. I discepoli mossi da falsi riguardi alla comodità del Maestro ne mossero rimprovero a quelle persone; ma non ci deve sorprendere che quel Gesù che avea così spesso preso i piccoli fanciulli, come esempio, affine descrivere le interne disposizioni dei veri suoi seguaci, ora riprenda il falso zelo dei suoi discepoli, e si rechi i fanciulli in braccio e li benedica. Benigno incoraggiamento è questo per tutti i genitori, perché sempre presentino i loro figliuoli a Cristo nella preghiera! Marco 10:13-16.

4. Visita del giovane ricco a Gesù. Tutto quanto è narrato in questo capitolo, eccetto l'ultimo incidente Marco 10:46-52, ebbe luogo in Perea; ma sembrerebbe dal modo in cui è introdotta la visita di questo giovine rettore, che non avvenisse contemporaneamente alla benedizione dei piccoli fanciulli, né nello stesso luogo. Questo giovane, conscio della sua costante e rigorosa osservanza dei precetti della legge di Mosè e orgoglioso della propria giustizia, pregò Cristo di assegnargli una qualche opera, facendo la quale ei potesse dimostrare ancor più manifestamente come e quanto ei meritasse la vita eterna. Egli avea bisogno d'imparare che non era così perfetto come si credeva di essere; e Gesù dopo avere enumerati i comandamenti della seconda tavola della legge (come quelli di più facile applicazione, siccome riferentisi all'uomo), e aver avuto in risposta, ch'ei li aveva tutti osservati fin dalla sua giovinezza, comandogli di compiere la somma di questi comandamenti; vendendo tutto quel che aveva e dandolo ai poveri. Un tal sacrifizio avrebbe provato davvero "ch'egli amava il prossimo come sé stesso"; ma la cupidigia del suo cuore non sostenne tale prova, ed ei "se ne andò dolente, perciocché avea di gran beni". Seguì da ciò una conversazione tra Cristo e i discepoli intorno ai pericoli che accompagnano le ricchezza e agli impedimenti alla salute provenienti dalle medesime; ed anche, in risposta ad una domanda di Pietro, intorno alla ricompensa che avrebbero ricevuto essi per tutto quello a cui avean rinunciato per amor suo Marco 10:17-31.

5. Terzo, e più completo annunzio della sua passione, morte risurrezione. Fino a qual punto i discepoli cominciassero ad intendere che il loro Signore dovea morire fra pochi giorni a Gerusalemme, non si vede chiaro; ma una cosa li colpì di profondo stupore, cioè il risoluto proposito con cui, dopo tale annunzio, Gesù rivolse francamente il viso a Gerusalemme, e la fretta con cui moveva incontro al proprio fato, come se provasse impazienza pel lento camminare dei suoi discepoli Marco 10:32-34.

6. Ambiziosa richiesta dei figliuoli di Zebedeo e risposta alla medesima. La riprensione fatta ai discepoli per la loro ambizione a Capernaum pare andasse perduta per Giacomo e Giovanni, i quali non cessavano di ambire gli impieghi ed onori più alti in quel regno temporale che le loro immaginazioni assegnavano al Messia, ed alle proprie modeste domande aggiunsero le sollecitazioni della madre perché nel regno suo l'un d'essi sedesse alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Il Signore dichiarò che avrebbero parte bensì nel suoi patimenti, né in guisa alcuna sarebbero defraudati della loro ricompensa; ma in quanto a quell'onore particolare, che essi ambivano, non stare a lui il darlo, ma esser serbato a coloro che il Padre suo aveva a ciò prescelti. Più non ci voleva ad eccitar tosto la gelosia degli altri discepoli; ma Gesù rimproverò di nuovo e condannò questa ambizione carnale, prevalente sì nelle corti dei re, ma del tutto estranea al suo regno spirituale, e pose davanti a loro il suo stesso esempio qual modello d'umiltà Marco 10:35-45.

7. Il cieco Bartimeo guarito a Gerico. Gesù e i suoi discepoli avean passato di nuovo il Giordano laddove è guadabile sotto Gerico, ed entravano in quella città, quando questo cieco che stava seduto sulla via, chiedendo l'elemosina, udendo chi era colui che passava, lo supplicò di restituirgli la vista; e sebbene la moltitudine gl'intimasse di tacere, continuò a gridare, supplicando Gesù, finché questi comandò che gli fosse menato e lo fece lieto concedendogli la grazia, dopo di che ei tenne dietro a Gesù Marco 10:46-53.

Marco 10:1-12. PARTENZA DEFINITIVA DALLA GALILEA. MINISTERO IN PEREA. DOMANDA INTORNO AL DIVORZIO

Matteo 19:1-12; Luca 9:51

Per l'esposizione Vedi Matteo 19:1Matteo 19:1-12.

Mc 10:13

Marco 10:13-16. GESÙ RICEVE I PICCOLI FANCIULLI E LI BENEDICE Matteo 19:13-15; Luca 18:15-17

Per l'esposizione Vedi Luca 18:15Luca 18:15-17.

Mc 10:17

Marco 10:17-31. RICORSO DEL RICCO GIOVANE A CRISTO. DISCORSO SUGGERITO DALLA DI LUI CONDOTTA E DALLA DOMANDA DI PIETRO INTORNO ALLA RICOMPENSA CHE SAREBBE DATA A COLORO CHE L'AVEANO SEGUITO Matteo 19:16-50; Luca 18:18-30

Il Ricco Rettore Marco 10:17-22

17. Or, come egli usciva fuori, per mettersi in cammino, un tale corse a lui;

Luca lo chiama un certo dei rettoti il che può significare un rettore della sinagoga, un membro del Sinedrio, un magistrato civile, o semplicemente un uomo distintissimo per censo e per rango. Non abbiamo quì più chiari indizi ad intendere chi fosse costui o qual fosse la sua condizione che non ce ne dia l'aggettivo eccellentissimo, ad intendere il rango e la posizione sociale di Teofilo Luca 1:8. Egli non viene più ricordato nei racconti evangelici, né

altro sappiamo di lui se non che era ricchissimo. Probabilmente era uno dei capi o rettori di una sinagoga in Perea.

e, inginocchiatosi davanti a lui, lo domandò. maestro buono, che farò per ereditare la vita eterna?

Matteo "che bene farò io per aver la vita eterna?" Relativamente a quest'uomo son menzionate in questo versetto parecchie circostanze che sembrano promettere assai bene di lui, e che (se non fosse quel che viene in seguito) ci farebbero concludere ch'ei, non era lontano dal regno di Dio. Ei corse incontro a Gesù come se temesse di perdere l'occasione di consultarlo durante la sua visita da quelle parti. Giunto che fu a Gesù, tosto s'inginocchiò; non già, è vero, che lo riconoscesse per quel Messia, davanti a cui era predetto doversi "piegare ogni ginocchio" Isaia 45:23, ma in segno di ossequio, riverenza e umiltà verso il rinomato profeta di Nazaret. Arrogi che quest'omaggio lo offerse a Gesù non già in un segreto convegno, ma apertamente, davanti alla moltitudine. Egli s'inginocchiò sulla strada maestra, mostrando così di non avere né timore né vergogna di andare a lui. Il titolo che egli diede a Gesù, Maestro buono, se non era soddisfacente sotto il punto di vista dottrinale, pur non mancava di certa cortesia; mentre l'argomento sul quale procedette a consultare Cristo era il più importante che possa occupare i pensieri dell'uomo, cioè "la vita eterna", e provava esser egli dei credenti nelle grandi realtà di una gloriosa futura esistenza, e non già un incredulo come i Sadducei, che dicevano "che non vi è risurrezione, né angelo, né spirito" Atti 23:8. Ma per quanto bene promettano questi preliminari, il modo in cui è formulata la domanda (specialmente secondo l'esposto di Matteo), prendendolo in connessione con la susseguente sua dichiarazione di stima di sé stesso, dimostra chiaramente che questo ricorso fu fatto in uno spirito mondano, di fiducia nella propria giustizia e d'attaccamento al proprio volere. Il senso della domanda era questo: "Io finora ho prestato e continuerò a prestare una così minuta obbedienza alla legge in ogni cosa, che, secondo la mia intima persuasione, non potrei proprio far nulla di più per assicurare la mia eredità della vita eterna; ma se tu sai suggerirmi un qualche altro straordinario, splendido atto di virtù, non più udita, che possa esercitarsi da un mortale, ti sarò tenuto se mel dirai perché io possa compierlo tostamente".

PASSI PARALLELI

Matteo 19:16-30; Luca 18:18-30

Marco 9:25; Matteo 28:8; Giovanni 20:2-4

Marco 1:40; Daniele 6:10; Matteo 17:14

Marco 12:14; Giovanni 3:2

Giovanni 6:28; Atti 2:37; 9:6; 16:30; Romani 10:2-4

Giovanni 5:39; 6:27,40; Romani 2:7; 6:23; 1Giovanni 2:25

Mc 10:18

18. E Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? niuno è buono ne non un solo cioè Iddio.

Basta un'occhiata a ciascuno dei sinottici per vedere che la risposta interrogativa fatta dal nostro Salvatore è identica in tutti. Sennonché alcuni dei critici moderni hanno sostituito al textus receptus in Matteo, le parole seguenti: Perché mi chiedi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Questo cangiamento non può tacciarsi d'arbitrario, perché è sostenuto dall'autorità del Codice Vaticano, del Sinaitico e d'altri due MSS. unciali (D e L), nonché di tre MSS. corsivi, come pure dall'antica versione Italica, dalla Volgata, e dalla Menfitica. Ma anche ammesso il peso di queste autorità, la prova esterna in favore del testo di Matteo, così come sta, e come corrisponde col testo indubbiamente genuino di Marco e di Luca, è più che contrabbilanciata da altre prove; poiché quantunque l'unico altro MS. di data antichissima (A) manchi di questo passo, lo hanno il Codex Ephraemi rescriptus (C), e tutti gli altri MSS. noti degli Evangeli, come pure lo hanno le traduzioni Pesheita, Filossenica, e Tebana, le quali risalgono ad una grande antichità. La prova interna in suo favore poi è affatto decisiva,

imperocché l'altra lezione: "Perché mi chiedi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono", evidentemente non risponde punto alla domanda: "Che bene qual cosa buona, farò?" o se risponde, rispondo esser inutile il domandare quali cose buone possano fare gli uomini, imperocché un solo è buono, cioè Iddio; eppure Gesù si fa tosto ad enumerare quali siano queste cose buone! Di più non c'è mai stato dubbio alcuno intorno alla genuinità del testo di Marco e Luca. Qual fu lo scopo del Signore in questa sua domanda: "Perché mi chiami buono?" ecc. Intendeva egli forse mettere in dubbio il diritto suo di esser chiamato buono? Giovanni 10:11, ovvero insegnare che in nessun senso una tal parola può applicarsi ad altri che a Dio? Certissimamente no Matteo 12:35; 25:21; Atti 11:24. Questo giovane, benché s'inginocchiasse davanti a Gesù, non avea nemmen la più lontana idea ch'egli fosse il Messia, e si fu nell'intento di risvegliare l'attenzione di lui su questo punto, che, prima di rispondere alla sua domanda, Gesù gli chiese in qual senso egli lo chiamasse buono, poiché niuno è assolutamente buono eccetto solo Iddio. Come un semplice complimento egli la rifiutava; il giovine rettore la usava ei dunque nel senso in cui veramente era appropriata per Gesù? Lungi dal prestare alcun appoggio all'errore sociniano, nostro Signore, con tale domanda, segnatamente lo riprova, come riprova qualunque altro sistema che neghi la sua Divinità. Viene a dire insomma a quel giovine che egli ricusa d'esser meno a pari con gli altri maestri terreni e con gli altri tutti a cui il mondo dà il titolo di buoni; e siccome non resta altra specie di bontà che la bontà suprema la quale appartiene a Dio, Gesù evidentemente dichiara di possedere anche questa poiché non respinge un tale epiteto. Avendogli porto così il filo che riflettendovi sopra potea condurlo a riconoscere il vero suo carattere, Gesù passa tosto a rispondere alla domanda del giovane. (Il Professore Alexander però suppone che nostro Signore abbia di mira la doppia applicazione della parola buono che trovasi nelle parole a lui rivolte dal giovane, e dice: "Il senso della risposta può esser allora quel che segue. 'Voi chiedete che bene abbiate a fare, e venite a me come ad uno che insegna che cosa è bene, ed è in grado d'informarvene; ma in tal caso, perché non andate a dirittura a Dio? Egli solo è assolutamente buono, la volontà sua è la regola del bene per tutte le sue creature, e tale volontà è espressa nei suoi comandamenti'. Su questi comandamenti Gesù richiama più espressamente l'attenzione del rettore nel versetto che segue. La bontà di nostro Signore medesimo e la sua divinità

non entrano per nulla, in quella risposta, la quale per conseguenza non le afferma né le nega").

PASSI PARALLELI

Matteo 19:17; Luca 18:19; Giovanni 5:41-44; Romani 3:12

1Samuele 2:2; Salmi 36:7-8; 86:5; 119:68; Giacomo 1:17; 1Giovanni 4:8,16

Mc 10:19

19. Tu sai i comandamenti:

Matteo: "Ora, se tu vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Colui gli disse: Quali? E Gesù disse: Questi. Non uccidere", ecc.

Non commettere adulterio. Non uccidere. Non furare. Non dir falsa testimonianza. Non far danno ad alcuno.

non defraudare 1Corinzi 6:8; 7:5. Alcuni han creduto trovare in quell'ultimo inciso una citazione del Levitico 19:13; ma il fatto stesso, che Gesù stava enumerando i dieci comandamenti (o almeno quelli contenuti in una delle tavole di pietra), basta a confutare una tale teoria. Le parole: Non defraudare, dànno in compendio il decimo comandamento, imperocché il concupire sta alla radice del defraudare, e seguendo immediatamente l'ottavo e il nono comandamento, completano il contenuto della seconda tavola. Luca non comprende il decimo comadamento nella sua enumerazione, e Matteo l'esprime nella sua forma positiva e universale con le parole "Ama il tuo prossimo come te stesso" cioè "tu non sentirai o agirai inverso il tuo prossimo egoisticamente o in guisa alcuna in cui non vorresti che il tuo prossimo agisse e sentisse inverso te".

Onora tuo padre, e tua madre.

L'ordine del Decalogo non è osservato da Cristo nel citare questi comandamenti, altrimenti qualcuno dei sinottici l'avrebbe certamente conservato, laddove invece nemmeno si accordano l'uno con l'altro nell'ordine che seguono. Merita attenzione il fatto che Gesù non si riferisce punto alla prima tavola della legge, e che non cita nemmen uno dei quattro primi comandamenti che trattano dei doveri e del culto che dobbiamo rendere a Dio, ma solo a quelli che riguardano i nostri doveri verso il prossimo. E la ragione facilmente s'intende. I primi non si sarebbero prestati all'esame di coscienza in modo così decisivo come questi ultimi, poiché uno può facilmente illudersi immaginandosi di temere e amare Iddio; ma non può immaginarsi di amare il prossimo, se gli ruba, o l'uccide, o dice falsa testimonianza contro di lui. Inoltre, nostro Signore, con questa scelta, usò il metodo più sicuro e adatto al caso di quel giovane, in quanto che questi par che fondasse in modo speciale la propria speranza di salvazione sulla cura che metteva ad osservare i comandamenti della seconda tavola della legge; sicché quando fosse stato convinto di deficienza anche in questi, non ci voleva meno della più strana illusione per continuare a lusingarsi di adempiere perfettamente ai più alti doveri inverso Dio.

PASSI PARALLELI

Marco 12:28-34; Isaia 8:20; Matteo 5:17-20; 19:17-19; Luca 10:26-28; 18:20

Romani 3:20; Galati 4:21

Esodo 20:12-17; Deuteronomio 5:16-24; Romani 13:9; Galati 5:14; Giacomo 2:11

1Corinzi 6:7-9; 1Tessalonicesi 4:6

Mc 10:20

20. Ed egli, rispondendo, gli disse: maestro, tutte queste cose ho osservato fin dalla mia giovinezza.

Il giovane rettore era perfettamente sincero in questa dichiarazione. L'osservanza esteriore di questi comandamenti che inculcavano i dottori farisaici ei l'avea certamente praticata, e nulla meno abbiamo in lui un esempio notevolissimo d'inganno di se stesso e una conferma della dichiarazione di Paolo: "Or l'uomo animale non comprende le cose dello Spirito di Dio, perciocché gli sono pazzia, e non le può conoscere, conciossiaché si giudichino spiritualmente" 1Corinzi 2:14. Ei mostrò così di conoscer della legge nulla più della lettera di quella, e di non sapere che la perfetta e perpetua ubbidienza, da essa richiesta, si estende ai pensieri, alle disposizioni e agli affetti, non meno che alle azioni esterne. Purtroppo, anche ai nostri giorni, non v'è penuria di sedicenti Cristiani che, al pari di questo giovane rettore, ignorano l'estensione e la spiritualità della legge morale! Secondo Matteo, egli aggiunse: "Che mi manca egli ancora?" le quali parole sembrano tradire un sospetto, latente nel segreto dell'animo suo, che cioè questa sua osservanza della legge fosse un modo troppo facile di arrivare al cielo, e che per ciò si richiedesse qualche opera di più, la quale Gesù fosse in grado di suggerirgli.

PASSI PARALLELI

Isaia 58:2; Ezechiele 5:14; 33:31-32; Malachia 3:8; Matteo 19:20; Luca 10:29; 18:11-12

Romani 7:9; Filippesi 3:6; 2Timoteo 3:5

Mc 10:21

21. E Gesù, riguardatolo in viso, l'amò;

Che senso dobbiamo noi dare a questa notevolissima dichiarazione? C'è un amore d'approvazione e di compiacimento con cui Gesù riguarda i suoi redenti, i suoi rigenerati; c'è un amore di benevolenza ch'egli porta, anche prima che si convertano, a quelli che gli son dati dal Padre per esser salvati a suo tempo; e c'è un amore di compassione che porta ai miseri e a quelli che sono perduti. L'amore che Gesù sentì per questo giovane fu senza dubbio di

quest'ultima specie, misto anche a quell'amor naturale, umano, che dovea destare la di lui sincerità e franchezza, la ma moralità, e l'interessamento sincero (così diverso dalla ipocrisia dei Farisei), che manifesta per le cose divine, sebbene infine si ritraesse dal Redentore. "È questa una lezione", dice Brown, "per coloro che non sanno veder nulla di amabile fuorché nei rigenerati!" "Si può supporre", dice Scott, "che Gesù sentisse per lui quel tenero riguardo che provano i pii ministri, del vangelo inverso taluni delle loro congregazioni i quali si dimostrano d'indole amabile, morale e benevola, e tuttavia destituiti della vera religione".

e gli disse: Una cosa ti manca;

Gesù non intese già dichiarare che gli mancava una sola cosa per essere perfetto, ma parla secondo le idee del suo interlocutore. Un meno savio maestro avrebbe cercato di mostrargli l'error suo, sviluppando la spiritualità della legge e accusandolo di non averla veramente osservata; ma il Salvatore ebbe ricorso ad un metodo del tutto diverso e infinitamente più saggio, per fargli conoscere lo stato suo colpevole e la sua debolezza. L'insegnamento, migliore e più abile (sia morale o spirituale che intellettuale), è quello che non dice espressamente al discepolo quanto questi ha bisogno di sapere, ma sì lo aiuta a trovarlo da sé. Matteo ci ricorda un'altra parola di Cristo che si adatta esattamente a quelle che precedono: "Se tu vuoi esser perfetto". Non si deve intendere qui una perfezione assoluta, che fa sì che l'uomo sia senza peccato. Paolo usa costantemente la medesima parola per denotare una pietà progredita, maturata, in contrasto con quella dei "bambini in Cristo" Ebrei 6:1; vedi pure Nota Matteo 5:48Matteo 5:48.

va, vendi tutto ciò che tu hai, e dallo ai poveri; e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni, e, tolta la tua croce, seguitami.

Il comando in questo vers. si divide in due parti, che si possono considerare separatamente, ma che sono inseparabili quando si tratta della salute d'un peccatore. Il "vendere tutto quanto uno possiede e darlo al poveri", è prova sufficiente di sincerità; ma è soltanto col venire a Gesù e prender la croce e seguirlo, che l'uomo può esser salvato. Il rinunziare a tutto per amor di Cristo e al comando di Cristo, non era che la condizione e il primo passo per

essere ammesso tra i suoi discepoli Matteo 10:38; Luca 14:26-27. Gli uomini sono generalmente troppo proclivi a non badare a questo, a dar soverchia importanza alla prima parte del comandamento e troppo poca alla seconda. L'unica via che, in quei tempi, fosse aperta ad un pio Ebreo di dedicare i suoi beni al servigio di Dio, oltre la proporzione richiesta pel servigio del tempio e pei Leviti, era il distribuirli ai poveri. La Chiesa cristiana e le Missioni cristiane non avean per anco aperti quei vasti e profondi canali in cui possono ora versarsi i nostri doni al Signore. Non siamo d'accordo con lo Stier, secondo il quale, nostro Signore, affin di mettere a più dura prova il giovane rettore, passerebbe con queste parole ad esaminarlo sull'osservanza della prima tavola della legge (che si riassume nel primo e gran comandamento: "Amerai il Signor Iddio tuo con tutto il tuo cuore, ecc." Matteo 22:37-38), comandandogli di sacrificare i suoi idoli, cioè le sue ricchezze, e di dimostrare che non le amava più di Dio. Quando uno è pronto a fare un tal sacrifizio ad un semplice cenno di Cristo, è prova evidente che, per la grazia divina, è stato già impiantato nel suo onore l'amor supremo di Dio. Ciò è incontrastabile. Ma chi consideri questo comando semplicemente come destinato ad aprire gli occhi del rettore e fargli, conoscere come miseramente egli ingannasse se medesimo, non saprebbe vedere perché nostro Signore dovesse passare dalla seconda tavola della legge, alla prima; al contrario, secondo noi, un tal cangiamento parrebbe indicare che nostro Signore confermasse in certa guisa l'orgogliosa stima che quel giovane facea di se stesso riguardo all'osservanza dei comandamenti ch'erano stati citati da Cristo; mentre invece il rifiuto di "vendere tutto quanto possedeva e darlo al poveri" dovea convincerlo di mancamento in ciò stesso intorno a che più si confidava imperocché il sommario della seconda tavola della legge è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso" Matteo 22:39. La promessa: "Tu avrai un tesoro in cielo", annessa al comando: "Va e vendi tutto ciò che tu hai", fu da alcuni interpretata in scusa favorevole alla dottrina che l'uomo si salvi pei propri meriti; ma erroneamente, poiché equivale al dire: "Va e vendi tutto ciò che hai, non aspettando nulla in contraccambio o in compenso, nella vita presente, ma solo nella futura", cosa che invece di diminuire, accresce il rigore del comando. L'ultima parte di esso: "Poi vieni, e tolta la tua croce, seguitami", è la continuazione della prova a cui Cristo mette il giovine rettore, e ne differisce solo in quanto alla forma. Nel primo inciso la prova è

presentata come un rinunziare alle ricchezze e agli agi della terra, onde far del bene agli altri; in questo, la prova consiste nel soffrire gli stenti e le persecuzioni che incontra il discepolo di Cristo, per la sua causa. Questo soffrire ci è presentato sotto la figura del portare la sua croce, figura che ci è divenuta cotanto familiare negli scritti degli Apostoli, come quella che significa patimenti, abnegazione e sacrifizio per amore di Cristo. In una parola, il Signore mettendo, per dir così, la mano sulle sue ricchezze e dicendogli: "Ridalle a me", rivelò a quel giovane la cupidità del suo cuore.

PASSI PARALLELI

Marco 6:20,26; Matteo 19:22; 27:3,24-26; Luca 18:23; 2Corinzi 7:10; 2Timoteo 4:10

Genesi 13:5-11; Deuteronomio 6:10-12; 8:11-14; Giobbe 21:7-15; Ezechiele 33:31; Matteo 13:22

Luca 12:15; Efesini 5:5; 1Timoteo 6:9-10; 1Giovanni 2:15-16

Mc 10:22

22. Ma egli, attristato di quella parola, ne andò dolente; perciocché avea di gran beni.

Si trattava per lui di decidere se era pronto ad accettare Cristo come sua "vita", sua "porzione", sua "smisuratamente grande ricompensa!" L'amor suo per Gesù, il suo desiderio della vita eterna eran talmente forti ch'ei fosse pronto a farsi povero come un mendico, al suo comando? E la risposta del suo cuore fu almeno sincera, sebbene purtroppo negativa. La parola del Salvatore gli avea trapassata come una freccia la coscienza. Si rannuvolò in volto, e, senza altre parole, si ritrasse afflitto, ma incapace di rinunziare alle sue ricchezze e si suoi beni, anche per salvare l'anima sua. Triste spettacolo, che troppo spesso si ripete, un uomo che scientemente fa naufragio in quanto all'anima, per amor delle fuggevoli ricchezze con cui lo tenta il mondo!

PASSI PARALLELI

Marco 6:20,26; Matteo 19:22; 27:3,24-26; Luca 18:23; 2Corinzi 7:10; 2Timoteo 4:10

Genesi 13:5-11; Deuteronomio 6:10-12; 8:11-14; Giobbe 21:7-15; Ezechiele 33:31; Matteo 13:22

Luca 12:15; Efesini 5:5; 1Timoteo 6:9-10; 1Giovanni 2:15-16

Mc 10:23

23. E Gesù, riguardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: Quanto malagevolmente, coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio! 24. E i discepoli sbigottirono per le sue parole. E Gesù da capo replicò, e disse loro: Figliuoli, quanto malagevole cosa è, che coloro che si confidano nelle ricchezze ne entrino nel regno di Dio.

Marco narra questo fatto più circostanziatamente di Matteo o Luca, sebbene entrambi questi due ci dian la sostanza di quanto disse il Signore. Rivolgendo gli occhi dal giovane che si allontanava, Gesù volse intorno lo sguardo ai discepoli, e vestì in parole il pensiero che avea in mente, esser cioè assai malagevole per coloro che son ricchi l'entrare nel regno di Dio. A questa dichiarazione, i discepoli furon compresi d'un sentimento di poco grata sorpresa e probabilmente lasciarono travedere sul loro viso il dubbio, lo sgomento e l'incredulità. Nostro Signore adunque si fece tosto a spiegare che questa difficoltà pei ricchi d'entrare in cielo, non nasceva già dal semplice possesso delle ricchezze, ma dal confidarsi in esse, cioè dal porvi compiacimento come valevoli a procurare ogni sorta di godimenti; o dall'esser fatto schiavo dall'amore di esse, come se costituissero il sommo bene dell'uomo. Il buon uso delle ricchezze, ben lungi dal mettere ostacolo all'entrata dei ricchi in cielo, può servire ad assicurar loro colassù una grande ricompensa Luca 16:9; ma l'amore disordinato delle ricchezze, e la cupidigia di esse è, pur anco nei più poveri, una insormontabile barriera

all'entrare in cielo. Paolo fa la stessa distinzione che fa quì il suo Maestro tra il posseder denaro e l'idolatrarlo: "Ma coloro che vogliono arricchire, caggiono in tentazione, ed in laccio, ed in molte concupiscenze insensate, e nocive, le quali affondano gli uomini in distruzione, e perdizione. Perciocché la radice di tutti i mali è l'avarizia (letteralmente l'amore del denaro); alla quale alcuni datisi, si sono smarriti dalla fede, e si sono fitti in molte doglie" 1Timoteo 6:9-10. Ora le parole dei Signore: Coloro che confidano nelle ricchezze (ver. 24), considerate insieme con quelle di Paolo: "l'amore del denaro", e "cupidi di arricchire", indicano così chiaramente l'idolatria del cuore per le ricchezze, che non occorre far altro che additare un tale stato dell'animo or giustificare la dichiarazione di nostro Signore: "quanto malagevol cosa è che coloro entrino nel regno di Dio". Soltanto a conferma di quanto fa detto, si meditino le seguenti parole di Paolo: "L'avarizia che è idolatria" Colossesi 3:5; "Non v'ingannate; né i fornicatori, né gli idolatri non erederanno il regno di Dio" 1Corinzi 6:9-10. Ma anche laddove questo amore della ricchezze non assume la forma dell'idolatria, metto pur sempre molti ostacoli nella via della salute a quelli che le posseggono. Così, per esempio, anche solo a spenderle (se pur si spendono), l'animo rimane, troppo spesso con grave pregiudizio, occupato e distratto; anche solo ad accumularle (qualora si accumulino), il cuore si contrae ed indurisce: forniscono esse innumerevoli occasioni e tentazioni al lusso e ad ogni maniera di sensuali godimenti; circondano l'uomo di adulatori e non lo lasciano avvicinare liberamente da coloro che più potrebbero giovargli; tendono a renderlo contento di quaggiù e a fargli cercare il suo riposo e la sua porzione la questa vita; accrescon lusinghe ad un mondo già troppo lusinghiero addossano una gravissima responsabilità al loro possessore e aiutano a gonfiarlo d'orgoglio e di falsa fiducia in sé stesso, per cui più non sente vivo bisogno d'altra cosa per esser felice. Nostro Signore specifica "L'inganno delle ricchezze" tra "le spine" che soffocano la parola del vangelo quando essa è stata seminata nel cuore, Vedi Nota Marco 4:19Marco 4:19.

PASSI PARALLELI

Marco 3:5; 5:32

Matteo 19:23-26; Luca 18:24; 1Corinzi 1:26; Giacomo 2:5; 4:4

Marco 10:15; Matteo 18:3; Giovanni 3:5; 2Pietro 1:11

Matteo 19:25; Luca 18:26-27; Giovanni 6:60

Giovanni 13:33; 21:5; Galati 4:19; 1Giovanni 2:1; 4:4; 5:21

Giobbe 31:24-25; Salmi 17:14; 49:6-7; 52:7; 62:10; Proverbi 11:28; 18:11; 23:5

Geremia 9:23; Ezechiele 28:4-5; Habacuc 2:9; Sofonia 1:18; Luca 12:16-21; 16:14

1Timoteo 6:17; Giacomo 5:1-3; Apocalisse 3:17

Mc 10:25

25. agli è più agevole che un cammello passi per la cruna d'un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.

Un cammello che passa per la cruna d'un ago, era proverbio usitatissimo tra gli Ebrei, per significare una cosa assai difficile o totalmente impossibile. Ughtfoot (citato da Foote), Kitto, ecc. ne somministrano delle prove assai concludenti, come per esempio: "Niuno ha mai veduto fiorire una palma d'oro, o un cammello passar per la cruna di un ago" ed anche: "Tu sei forse uno della Pombeditha (scuola giudaica in Babilonia), che sai far passare un elefante per la cruna d'un ago". Quel proverbio si trova nelle stesse parole nel Corano (cap. 7:87), ed anche oggidì è comune in Oriente. Teofilatto, e dietro a lui alcuni commentatori greci, sostituiscono la parola funis nauticus, gomena di nave, a cammello, supponendo esser quest'ultima parola uno sbaglio; ma non si può addurre autorità alcuna a sostegno di tale sostituzione, la quale fu lasciata da lungo tempo in abbandono, Vedi Nota Matteo 7:13Matteo 7:13. Avendo spiegato ai suoi discepoli nel vers. precedente chi dovevano intendere per i "ricchi", Gesù dichiara loro, una

seconda volta, con questo proverbio così espressivo, la difficoltà estrema, anzi la quasi impossibilità che tali persone entrino nel regno di Dio.

PASSI PARALLELI

Geremia 13:23; Matteo 7:3-5; 19:24-25; 23:24; Luca 18:25

Mc 10:26

26. Ed essi vie più stupivano, dicendo fra loro: Chi può adunque esser salvato?

Matteo "sbigottirono forte". Questa domanda i discepoli non la rivolsero a Cristo, ma, l'uno all'altro, mostrando così di riconoscersi personalmente interessati in quel che avea detto allora il Maestro. Non dicono: Qual ricco può esser salvato (che ciò non sarebbe altro che un insulso eco delle parole del loro Signore), ma bensì: qual uomo, ricco o povero, ch'egli sia? Forse sentivano (come suggerisce lo Stier) che l'amor del mondo e il desiderio di arricchire può trovarsi in fondo al cuore anche dei più poveri, e da questo proveniva forse la difficoltà che provavano ad accettare la dichiarazione di Cristo. Non è improbabile che la coscienza li accusasse di ambire i primi posti, le ricchezze e gli onori nell'immaginario regno temporale del Messia, e li spingesse a domandarsi gli uni agli altri, qual profitto ne verrebbe loro dal possedere tutte queste cose, se avean bene intese le parole del loro Maestro? Ma l'idea che diè origine a questa esclamazione è più probabilmente questa: "Se la salute eterna è affare così malagevole, impossibile pei ricchi, per chi dunque è possibile?" i discepoli con le loro idee giudaiche intorno al merito delle elemosine e dei sacrifizi, e al carattere terreno del regno messianico, dovean supporre naturalmente che fosse più facile al ricco, al sicuro dalle tentazioni della povertà e provvisto di tali mezzi di fare il bene, d'entrar nel regno, che non al povero.

PASSI PARALLELI

Marco 6:51; 7:37; 2Corinzi 11:23

Luca 13:23; 18:26; Atti 16:31; Romani 10:9-13

Mc 10:27

27. E Gesù, riguardatili, disse: Appo gli uomini è impossibile, ma non appo Dio; perciocché ogni cosa è possibile appo Dio.

Matteo "Questo è impossibile appo gli uomini" ecc. La risposta di nostro Signore si riferisce in modo speciale alla salute di cui avean pur dinanzi discorso gli apostoli. Son è in potere dell'uomo l'operare in sé stesso, o produrre in un altro, quel cangiamento del cuore che ci dispone ad accettare Cristo come nostro unico tesoro, e ad abbandonare ogni cosa per lui; quella "nuova creazione" è sublime e gloriosa prerogativa di Dio Giovanni 1:12,18; Efesini 2:8. Fra tutti i vizi, l'avarizia è quello che più fortemente si abbarbica al cuore, che più lo allontana da Dio e ne distrugge tutti i migliori sentimenti, assoggettandolo ad abbietta idolatria, e nondimeno, anche un tal cuore può esser rinnovato dalla grazia e dalla potenza di Dio, quando piaccia così a Colui che è "potente a salvare". "Ogni cosa è possibile appo Dio!" Giobbe 42:2; Geremia 32:17; Luca 1:37. Qual conforto in ogni tribolazione! Quale incoraggiamento a pregare per coloro la cui salvazione è il desiderio angoscioso dei nostri cuori!

PASSI PARALLELI

Genesi 18:13-14; Numeri 11:21-23; 2Re 7:2; Zaccaria 8:6; Matteo 19:26; Luca 18:27

Giobbe 42:2; Geremia 32:17,27; Luca 1:37; Filippesi 3:21; Ebrei 7:25; 11:19

Mc 10:28

28. E Pietro prese a dirgli: Ecco, noi abbiamo lasciata ogni cosa, e ti abbiam seguitato.

Matteo ci dà la domanda con cui Pietro conclude questa osservazione: "Che ne avrem dunque?" Con quell'acume intellettuale per cui distinguevasi fra tutti gli altri apostoli, Pietro comprende tosto che se quelle grandi ricompense doveano ottenersi, non già coll'ambire ricchezze ed onori (come avean fatto sino allora), bensì col rinunziare a tutto e seguir Gesù, allora, tanto lui che gli altri discepoli, avean adempiuto alle condizioni richieste; epperciò con quella ruvida franchezza che gli è abituale, non esita punto a chiedere: "Che ne avrem mi dunque?". Altri, dal modo con cui il Signore rispose alla domanda, concludono che fosse fatta in tutta semplicità. Checché ne sia, la cosa enunciata era un fatto incontrovertibile; gli Apostoli, nella loro povertà, non avean molto da lasciare; i battelli, le reti, i salarii le case e le famiglie, eran "ogni cosa" per loro, e tutte queste avean lasciato per seguir Gesù. Se non era tutto amore per lui che li avea mossi da principio, se v'eran misti dei calcoli terreni, il Signore ebbe compassione della presente loro debolezza e di ciò non li riprese. Il "Consolatore", venuto che fosse, li avrebbe purificati d'ogni bassa lega terrena.

PASSI PARALLELI

Marco 1:16-20; Matteo 19:27-30; Luca 14:33; 18:28-30; Filippesi 3:7-9

Mc 10:29

29. E Gesù rispondendo, disse: Io vi dico in verità, che non vi è alcuno che abbia lasciata casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, e moglie, o figliuoli, e possessioni, per amor di me, e dell'evangelo; 30. Che ora, in questo tempo, non ne riceva cento cotanti, case, e fratelli, e sorelle e madre, e figliuoli, e possessioni, con persecuzioni; e, nel secolo a venire, la vita eterna.

Questi versetti meritano bene d'esser studiati seriamente. Si osservi che nostro Signore non redarguisce come impertinente la domanda di Pietro;

egli è prontissimo a rispondere in modo tale che valga a consolare ed invigorire non solo i dodici, ma tutto il suo popolo fino alla fine dei tempi, in mezzo a tutti i sacrifizii che possono esser chiamati a fare per amor suo. "Non vi è alcuno che abbia lasciato" ecc. Si osservi che questo annunzio è preceduto dalla solita forma solenne asseverativa, che lo dichiara immutabile, come lo stesso Figliuol di Dio: "Io vi dico in verità!" Si osservi altresì che la specificazione è completa al punto da comprendere ogni maniera di sacrifizio che l'uomo possa esser chiamato a fare, come sarebbero case, terre, l'amore dei parenti più prossimi e più cari; e Gesù, nella sua bontà, dichiara che nessun tale sacrifizio sarà senza la sua ricompensa. Finalmente si osservi che non è promesso semplicemente un sostegno nelle afflizioni ed una liberazione finale nella vita eterna, ma è promesso un compenso di "cento cotanti, ora, in questo tempo", e "la vita eterna nel secolo a venire". In relazione a quanto potrebbero aver da lasciare i discepoli di Cristo, il Lange fa la seguente distinzione, la quale è più ingegnosa che solida: "La menzione dei gradi di parentela trovasi fra quella delle case e quella delle possessioni, e per conseguenza la parola casa non indica, in questo passo, possessione, ma discendenza genealogica, nazionalità, patria o fede avita. Abbiamo così nel testo tre classi di sacrifizi: il primo dei quali è il più difficile, cioè quello della casa, nel senso più esteso della parola; poi quello dei congiunti; e finalmente quello delle possessioni". Il miglior commento del lasciare i parenti, per amor del vangelo, si trova nella dichiarazione fatta da nostro Signore medesimo Matteo 10:21-23,34-37, intorno all'inimicizia che produrrebbero le dottrine del vangelo nei cuori sì dei Giudei che dei pagani, contro i loro più prossimi congiunti che le avessero abbracciate. La stessa inimicizia si manifesta sovente anche al giorno d'oggi, sciogliendo i più stretti legami di affetto e risvegliando nei cuori non convertiti lo sprezzo e l'odio contro i congiunti, non per altra cagione che Cristo e il vangelo! Ma anche laddove l'affetto è più sincero, si può esser costretto, dall'appello del dovere, a lasciare i parenti più prossimi, la patria, la professione, per andar missionario tra i gentili; ovvero, in paesi papisti si può essere imprigionati, o esiliati per aver osato circolare la Bibbia o predicare Cristo quale unica giustizia dei peccatori. Ma ogni qual volta si sian così lasciati i possedimenti o gli amici, semplicemente per amore del regno di Dio e non per capriccio, passione o spirito irrequieto; ogni qual volta si sia fatto il sacrifizio di siffatti beni solo

perché non possono ritenersi in buona coscienza; ogni qual volta si rinunzi, non già all'adempimento dei doveri verso i parenti, ma alle gioie domestiche, per non tradire i nostri doveri inverso Cristo, è certo che sarà adempita la misericordiosa sua promessa del ver. 30. Tale promessa è chiaro che non può sempre esser presa alla lettera, come se promettesse cento case invece di una, o cento madri, sorelle ecc. per una a cui si è rinunciato (sebbene il caso di Giobbe 42:10-17 non sia un caso affatto eccezionale); ma si ha da intendere che, anche nel tempo presente e in mezzo alle persecuzioni da sopportarsi per Cristo, questi compenserà a cento doppi, con beni temporali o spirituali, i segnaci suoi, per quanto avranno perduto. Questo compenso può consistere nella restituzione di quello che era stato lor tolto con violenza, o nel ritrovare l'affetto dei congiunti e degli amici, divenuti anch'essi discepoli di Gesù, ed in conseguenza doppiamente cari, poiché alla parentela secondo la carne si è aggiunto il legame potente della fratellanza in Cristo; può consistere anche nel suscitar loro altri amici che li assistano e li confortino: in ogni caso, poi, la promessa è adempita nella pace che prova la coscienza nella comunione colla gloriosa Trinità; nella perfetta fiducia nella di lui provvidenza per riguardo a tutti i bisogni temporali; nella liberazione dalle ansiose cure, e nell'affetto e simpatia di tutti quelli che amano i servitori per amor del loro Signore. Nota il Conder che questa promessa del Signore "fu adempiuta dallo spirito d'amore che unì la Chiesa primitiva a guisa di una vasta famiglia, e ai miseri cristiani perseguitati diede e fratelli e sorelle e casa ovunque si trovavano altri cristiani; e dalla vigile provvidenza di Dio che non mancò mai di sopperire al loro bisogni", Confr. Atti 28:10; Romani 16:2,13; Filippesi 4:16,18; 1Timoteo 4:8. Secondo Marco, nostro Signore aggiunge "con persecuzioni"; il che non vuol dire che queste persecuzioni siano inevitabili risultanze dei benefizi resi a cento doppi, ma che, in mezzo alle persecuzioni ed alle perdite che ogni vero cristiano ha da soffrire in questo mondo per la causa di Cristo, questi benefizi son da lui largiti quali compensi ed equivalenti. Tutto poi queste promesse di benedizioni in questa vita, comunque preziose, sono ecclissate dalla gran promessa della "vita eterna", con tutte le ricchezze di gloria e felicità che comprende. Paolo fa un breve ma eccellente commento di questa dichiarazione di Cristo laddove dice: "La pietà è utile ad ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e della futura" 1Timoteo 4:8. Marco e Luca han ricordata la promessa del Signore solo nella sua forma

generale, com'è applicabile a tutti i suoi veri credenti fino alla fine dei secoli; ma Matteo, che era presente ed aveva un interesse personale nella domanda di Pietro, non ha tralasciato di ricordare, inoltre, la risposta del Signore in quanto riferivasi personalmente ai dodici: "Io vi dico in verità, che nella nuova creazione, quando il Figliuol dell'uomo sederà sopra il trono della sua gloria, voi ancora, che mi avete seguitato, sederete sopra dodici troni, giudicando le dodici tribù d'Israele". L'ordine delle parole nel testo Greco è: voi che mi avete seguitato nella nuova creazione quando il Figliuol, ecc. La parola palingenesia, nuova creazione si può applicare tanto a quel che precede quanto a quel che segue, ma la virgola collocata prima o dopo, porta una differenza notevole nel senso. Ilario tra i Padri, ed Erasmo e Calvino in tempi a noi più vicini, uniscono tale parola a quel che precede, e secondo quella lezione, il senso sarebbe questo: "Voi che foste con me durante il mio pubblico ministero, mentre che io introducevo sulla terra il mio regno spirituale o la nuova dispensazione (palingenesia), sederete sopra troni quando il Figliuol dell'uomo sederà" ecc. Ma la gran maggioranza degl'interpreti (e Diodati con loro) uniscono (a ragione secondo noi) la parola palingenesia a quel che segue, e allora il senso delle parole è questo: Nella rigenerazione, quando il Figliuol dell'uomo sederà sul trono della sua gloria, voi pure che mi avete ora seguito (come Pietro lo avea dichiarato), sederete, ecc. La parola palenginesia s'incontra solo un'altra volta nel Nuovo Testamento Tito 3:5, ed ivi si riferisce al gran cambiamento spirituale prodotto nel peccatore dallo Spirito Santo, il quale cambiamento si chiama "una nuova creazione" ossia "esser nato di nuovo"; ma qui sembra equivalente a i tempi del ristoramento Atti 3:21; a "la liberazione dalla servitù della corruzione nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio" Romani 8:21, ed a nel secolo avvenire Marco 10:30. Non è difficile ritrovare il nesso tra questi due sensi della parola. Il rinnovamento interno non è che il principio d'un procedimento che deve estendersi dappertutto e diffondersi con potenza rigeneratrice, in tutti i rapporti della vita sociale; che ha da trasfigurare lo stesso frale corporeo in condegna abirazione d'uno spirito immortale; che deve anzi abbracciare tutto quanto il dominio della natura esteriore, e rivestirla della gloria incorruttibile di una nuova creazione. In connessione a questa palingenesia ossia "nuova creazione", la promessa del Signore ai suoi discepoli è che "sederanno sopra dodici troni" (mostrando così che non sarà lasciato vacante il posto di Giuda, sebbene questi abbia ad

esser reietto), "giudicando (o governando), le dodici tribù d'Israele", per la quale denominazione, tolta in prestanza dal patto levitico, vuolsi intendere tutta la Chiesa cristiana. Ora per noi che crediamo questa nuova creazione esser cominciata con l'effusione dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, è verità indubitata, che da quel tempo in poi, gli Apostoli, per mezzo dei loro scritti e delle loro istituzioni, hanno governata tutta la Chiesa di Cristo, e continueranno a governarla finché rimane militante sulla terra, e in questo senso fu avverata la promessa. Ma, oltre a ciò, nostro Signore parla d'un onore ancor più alto, che ad essi è serbato nel mondo glorioso dell'oltretomba, imperocché "la rigenerazione" di cui parla qui, corrisponde al tempo "quando Il Figliuol dell'uomo sederà sopra il trono della sua gloria", cioè al tempo del giudizio universale alla fine del mondo, ed alla dispensazione di gloria che verrà allora instaurata. Alcuni, appoggiandosi al 1Corinzi 6:2, suppongono che gli Apostoli saranno, nel giudizio finale, assunti ad assessori del gran Giudice di tutti; ma siccome Gesù non si degnò di darci una spiegazione intorno a ciò, così è presuntuoso non meno che inutile l'andar speculando in che abbia a consistere un tale onore. Ci basti sapere che dopo tutti gli onori che Cristo ha loro concessi dinanzi alla Chiesa sulla terra, onori ancor più grandi son loro apparecchiati nella Chiesa in cielo.

PASSI PARALLELI

Genesi 12:1-3; 45:20; Deuteronomio 33:9-11; Luca 22:28-30; Ebrei 11:2426

Marco 8:35; Matteo 5:10-11; 10:18; 1Corinzi 9:23; Apocalisse 2:3

2Cronache 25:9; Salmi 84:11; Proverbi 3:9-10; 16:16; Malachia 3:10; Matteo 13:44-46

Luca 18:30; 2Corinzi 6:10; 9:8-11; Filippesi 3:8; 2Tessalonicesi 2:16; 1Timoteo 6:6; 1Giovanni 3:1

Apocalisse 2:9; 3:18

Matteo 5:11-12; Giovanni 16:22-23; Atti 5:41; 16:25; Romani 5:3; Giacomo 1:2-4,12; 5:11

1Pietro 4:12-16

Giovanni 10:23; Romani 6:23; 1Giovanni 2:25

Mc 10:31

31. Ma molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi.

Può darsi che nel concludere questa conversazione nostro Signore avesse in vista il caso del giovane rettore da cui era cominciata, il quale, sebbene paresse così vicino al regno, di Dio, si era ritratto, tornando indietro alle lusinghe del mondo. Ma, in ogni caso questo versetto contiene un'ammonizione a tutti i discepoli di Cristo che, non già secondo l'estensione o l'ostentazione dei loro sacrifizi per Cristo, ma bensì secondo l'intensità di essi, saranno da lui retribuiti i compensi e i premii, Vedi Nota Matteo 19:30Matteo 19:30.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:11-12; 19:30; 20:16; 21:31; Luca 7:29-30,40-47; 13:30; 18:11-14

Atti 13:46-48; Romani 9:30-33

RIFLESSIONI

1. Il caso del giovane rettore contiene per noi un importante ammaestramento, che possono cioè esistere naturali attrattive ed eccellenze senza che il cuore abbia subito verun cangiamento salutare. È cosa dolorosa il pensare che le grazie naturali e la grazia che è soprannaturale non vanno sempre di conserva. È rattristante il trovare la grazia di Dio associata in alcuni ad un carattere scortese, acerbo, severo e burbero. Vi è in tale

congiunzione una grande incongruità, ed è, per usar le parole di Salomone, come "un monile d'oro nel grifo d'un porco" Proverbi 11:22. D'altra parte, è triste il veder completamente stranieri alla grazia di Dio coloro che si raccomandano per grazie naturali. La nostra natura, sebbene non santificata, presenta bei saggi dell'umanità in genitori affettuosi, dolci figliuoli, amorosi fratelli, ed amici fedeli nell'ora del pericolo. Non dobbiamo far poco conto di tali grazie naturali in coloro che non sono convertiti, e tanto meno disprezzarlo; ma le grazie naturali non si devono confondere con la nuova nascita, né possono, per quanto grandi, compensarne la mancanza Giovanni 3:8

2. La cecità di spirito e l'orgoglio del cuor carnale si dimostrano in ogni età col voler l'uomo guadagnarsi il cielo coi suoi proprii meriti. Questo rettore conosceva, per familiare usanza, i sacrifizi simbolici propiziatorii coi quali Jehova insegnava alla antica Chiesa che "senza spargimento di sangue non si fa remissione dei peccati" Ebrei 9:22, e non può aversi l'accesso al cielo; pur nondimeno, quasiché ignorane completamente tutte queste cose, cerca ottenere la vita eterna con la propria ubbidienza al comandamenti di Dio, e financo col fare opere supererogatorie. L'insegnamento della Chiesa di Roma conduce naturalmente tutti i suoi seguaci in questo stesso errore. Ma che dire, di coloro che fin dalla fanciullezza hanno avuto per le mani la Parola di Dio; ai quali Cristo fu sempre presentato quale unica propiziazione pel peccato; che hanno intima cognizione intellettuale di quella solenne dichiarazione di Paolo: "Perciocché niuna carne sarà giustificata dinanzi a lui per l'opera della legge; conciossiaché per la legge sia data conoscenza del peccato" Romani 3:20; eppure, mettendo da parte tutto queste cose, si confidano nella loro propria giustizia per eredare la vita eterna?

3. Quale sia la benevolenza del cuore naturale verso, il prossimo si vede pure spiccatamente dalla stima che questo rettore faceva delle obbligazioni della legge morale. Secondo la cognizione che avea della legge, egli potea dire con tutta sincerità: "Tutte queste cose ho osservate fin dalla mia giovinezza", essendogli stato insegnato a considerare l'ubbidienza alla legge come ristretta alla mera osservanza della lettera dei comandamenti. Egli non aveva alcuna idea che si estendesse ai pensieri e agli intenti del cuore; che la legge contro l'omicidio includesse gl'irosi sentimenti del cuore; che la

legge contro l'adulterio comprendesse gli sguardi lascivi Matteo 5:28; che la legge contro il furto vietasse anche la cupida brama delle cose altrui Romani 7:7. Paolo confessa tale essere stato il concetto, che anch'egli faceasi della legge, infino a che lo Spirito di Dio gli aperse gli occhi dell'anima: "E tempo fu, che io senza la legge, era vivente; ma essendo venuto il comandamento, il peccato rivisse ed io morii" Romani 7:9. Si è perché gli uomini non guardano anche in oggi che alla lettera della legge, e ignorano completamente come essa si estenda ai pensieri dell'animo e ai sentimenti del cuore, che si illudono nell'idea che, pur che si mettano seriamente a volerla osservare, son sicuri di meritare il cielo. Si provino coloro che son sinceri, anche per un solo giorno, ad applicare lealmente e senza alcuna eccezione i dieci comandamenti a tutti i lor pensieri e sentimenti, non meno che a tutte le loro azioni, e svanirà in essi completamente ogni speranza di giustizia per l'osservanza della legge.

4. Iddio mette alla prova gli uomini così nel dar loro le ricchezze, come assegnando loro in sorte un'estrema povertà. Del sicuro nelle ricchezze non mancano lacci insidiosi come pur non ne mancano in tutte le altre condizioni della vita; pur vi furono e vi sono moltissimi che per la grazia di Dio hanno imparato, ad usarle senza abusarne, amministrandolo quali fattori che sanno di doverne render conto a Dio, per la sua gloria e pel bene dei loro simili. Non si deve concludere dal comando che Cristo diede a questo giovane che il cristianesimo miri a togliere ogni distinzione di stati e condizioni della vita, come vorrebbero darci a credere taluni, imperocché il Nuovo Testamento contiene molte esortazioni ai ricchi come ai poveri intorno ai loro doveri nei loro stati rispettivi 1Timoteo 6:17-19. Si è l'amore delle ricchezze, l'idolatrarle nel cuore, che costituisce il loro vero pericolo, esponendoci ad essere esclusi dal cielo; e i poveri che agognano avidamente le ricchezze che non hanno, sono esposti a questo pericolo non meno di quelli che nacquero in seno all'opulenza. Facciam nostra la preghiera di Agur: "Allontana da me vanità e parole di bugia; non mandarmi povertà né ricchezze; cibami, del mio pane quotidiano, che talora io non mi satolli e ti rinneghi e dica: Chi è il Signore? che talora altresì io non impoverisca e rubi, e usi indegnamente il nome dell'Iddio mio" Proverbi 30:8-9

5. Impariamo dal giovane rettore che anche un solo idolo che si serbi in cuore può rovinare un'anima per sempre. Nostro Signore, che sa quel che è nell'intimo dell'uomo, mostra alfine al suo interrogatore il peccato di cui è schiavo. Quella stessa voce scrutatrice che disse alla donna samaritana. "Va e chiama tuo marito" Giovanni 4:16, dice al giovane rettore, "Va e vendi tutto ciò che tu hai e dallo ai poveri". Tal comando scuopre il punto debole del suo carattere, ed è manifesto che, con tutto le sue brame di vita eterna, c'era una cosa ch'egli amava più dell'anima sua, e quella era il suo denaro. Ecco una prova di più della verità che "l'amor del denaro è la radice d'ogni male!" 1Timoteo 6:10. Questo giovane dobbiamo rammemorarlo, ponendolo allato a Giuda, Anania, Saffira e Dema, ed imparare a guardarci dalla cupidità. Oimè! è uno scoglio su cui migliaia e migliaia fanno naufragio continuamente. Proviamo adunque noi stessi, meditando questo passo. Siamo noi onesti e sinceri nel professare di voler essere veri Cristiani? Abbiamo noi rinunziato a tutti i nostri idoli? Non c'è alcun peccato occulto a cui ci teniamo stretti in segreto e a cui ricusiamo di rinunziare? Non c'è cosa o persona alcuna che in cuor nostro amiamo più di Cristo e delle anime nostre? La vera spiegazione dello stato così poco soddisfacente di molti uditori del vangelo è nella loro spirituale idolatria. Quanto è necessaria l'ammonizione di Giovanni: "Guardatevi dagl'idoli!" 1Giovanni 5:21

6. C'è qualche cosa di molto incoraggiante nella promessa che Cristo fa d'una piena ricompensa a tutti quelli che fanno dei sacrifizi per amor suo. Da pochi è richiesto, al giorno d'oggi, se si eccettuino quelli che si convertono tra i pagani, di abbandonare case, congiunti e possessioni a motivo della loro religione. Eppure son pochi i veri Cristiani che non abbiano a passare per molte prove, più o meno dolorose, se sono veramente fedeli al loro Signore. Lo scandalo della Croce non è cessato ancora. Le derisioni, il ridicolo, le beffe, e le persecuzioni in famiglia sono bene spesso quel che tocca ai credenti. Chi voglia attenersi coscienziosamente ai precetti del vangelo di Cristo si vede spesso venir meno il favore del mondo, e pericolare il posto o l'impiego. Quanti sono esposti a prove di tal fatta si confortino nella promessa contenuta in questi versetti. Gesù previde il loro bisogno e volle che in queste parola trovassero consolazione. Egli può suscitarci degli amici i quali ci siano più che compenso per quelli che

perdiamo. Cristo può aprirci dei cuori assai più caldi e delle case assai più ospitali di quelli che chiudonsi a noi. Soprattutto Cristo può dare pace alla coscienza, interna gioia, fulgide speranze e contentezze tali che sopravanzino di gran lunga a qualunque gradito oggetto terreno di cui abbiamo fatto getto per amore di lui. Egli ha impegnata la sua parola reale che così sarà e niuno mai trovò in fallo quella parola. Fidiamo adunque in essa, e sgombriamo ogni timore.

Mc 10:32

Marco 10:32-34. TERZO ANNUNZIO DEI PATIMENTI, DELLA MORTE E DELLA RISURREZIONE DI CRISTO Matteo 20:17-19; Luca 18:31-34

32. Or essi erano per cammino, salendo in Gerusalemme; e Gesù andava innanzi a loro, ed essi erano spaventati, e le seguitavano con timore.

Questo annunzio ebbe luogo in Perea poco prima che passarono il Giordano. Gli altri sinottici lo ricordano, ma Marco è il solo che ci riveli in queste parole lo zelo e la fermezza di proposito con cui Gesù, apprestandosi la Pasqua, si rimise in cammino verso Gerusalemme. Salivano con loro a Gerusalemme le turbe Matteo 20:31, e probabilmente i discepoli camminavano di conserva colla carovana che progrediva lentamente verso la santa città; ma Gesù andava innanzi ad essi, come se fosse impaziente di tale indugio. C'era in quel suo camminare e nel suo aspetto, qualche cosa che mostrava aver egli la mente preoccupata dei prossimi eventi e indicava con quanto ardore anelasse di giungere sulla scena della sua passione. Quella preoccupazione e quell'ardore li esprime Luca 12:50, con queste parole: "Ora io ho ad essere battezzato d'un battesimo; e come sono lo distretto finché sia compiuto!" Sapendo che il Sinedrio era risoluto di torgli la vita, e fors'anche ricordandosi delle precedenti dichiarazioni del loro Maestro medesimo, che egli doveva essere arrestato dagli stessi suoi concittadini e messo a morte, i suoi discepoli furon prima compresi di

"stupore" per quella sua impazienza d'andare a Gerusalemme e poscia di "timore" o penosa apprensione di pericolo sia per lui che per loro medesimi. C'è qualche cosa di sublime nel quadro che abbiamo qui del Salvatore che si affretta verso la morte mentre gli Apostoli osano appena seguirlo.

Ed egli, tratti di nuovo da parte i dodici, prese a dir loro le cose che gli avverrebbero,

Le parole "da parte" si riferiscono alla moltitudine, dalla quale voleva per un certo tempo appartare i suoi discepoli; mentre le parole "di nuovo" riferisconsi alle occasioni precedenti in cui Cristo, qual profeta, avea già predetta la sua morte ai suoi Apostoli Marco 8:31; 9:31

PASSI PARALLELI

Matteo 20:17-19; Luca 18:31-34

Zaccaria 3:8; Luca 9:51; Giovanni 11:8,16

Marco 4:34; Matteo 11:25; 13:11; Luca 10:23

Mc 10:33

33. Dicendo: Ecco, noi sagliamo in Gerusalemme

Luca: "e tutte le cose scritte dai profeti intorno al Figliuol dell'uomo saranno adempiute".

e il Figliuol dell'uomo sarà dato nelle mani dei principali sacerdoti, e degli Scribi; ed essi lo condanneranno a morte, e la metteranno nelle mani dei Gentili;

Questa predizione esprime, più distintamente delle precedenti, che Gesù sarebbe fatto morire in seguito ad una condanna giudiziale, e contiene, per la prima volta, la circostanza espressa che i gentili si sarebbero alleati coi

Giudei contro di lui; in altre parole, che le due gran divisioni della razza umana che egli veniva a salvare con la sua morte, avrebber parte ciascuna nello effettuarla. Dal racconto degli Evangelisti noi sappiamo che questa predizione fu compita alla lettera.

PASSI PARALLELI

Atti 20:22

Marco 8:31; 9:31; Matteo 16:21; 17:22-23; 20:17-19; Luca 9:22; 18:31-33

Luca 24:6-7

Marco 14:64; Matteo 26:66; Atti 13:27; Giacomo 5:6

Marco 15:1; Matteo 27:2; Luca 23:1-2,21; Giovanni 18:28; 19:11; Atti 3:13-14

Mc 10:34

34. I quali lo scherniranno, e lo flagelleranno, e gli sputeranno addosso, e l'uccideranno; ma nel terzo giorno egli risusciterà;

Vedi Marco 15:15-20,23; 16:6,9. Sembra impossibile che gli Apostoli non dovessero intendere queste parole, eppure Luca 18:34 dichiara: "Essi non compresero nulla di queste cose, anzi questo ragionamento era loro occulto, e non intendevano le cose ch'eran loro dette". Questa mancanza d'intendimento non nasceva da difficoltà alcuna che presentasse il senso letterale delle parole, ma dalla interpretazione che essi ne facevano. Se essi davano a queste parole un senso puramente mistico o figurato, la loro perfetta chiarezza non giovava a niente; e questa è probabilmente la vera spiegazione, imperocché, tenendo per certo che Gesù dovesse avere un regno terreno, come mai avrebbero potuto accettarle nel senso letterale? Che essi fossero così tenacemente attaccati all'idea popolare di un Messia, esente dal patire può sorprenderci, ma cresce oltre ogni dire il peso della

testimonianza che resero poscia a colui che qual Salvatore morì in croce per noi.

PASSI PARALLELI

Marco 14:65; 15:17-20,29-31; Salmi 22:6-8,13; Isaia 53:3; Matteo 27:27-44

Luca 22:63-65; 23:11,35-39; Giovanni 19:2-3

Marco 14:63; Giobbe 30:10; Isaia 50:6; Matteo 26:67

Salmi 16:10; Osea 6:2; Giovanni 1:17; 2:10; Matteo 12:39-40; 1Corinzi 15:4

RIFLESSIONI

1. Notiamo che Gesù ebbe fin dal principio chiara prescienza della sua passione. Egli ne descrisse ai discepoli le principali circostanze, fin da quando era in Perea, e se fossero stati in grado di sostenere l'annunzio, avrebbe potuto farlo, con precisione eguale, anche quando parlò loro, per la prima volta in Galilea, di quel che avrebbe a patire. Non ci fa nulla d'involontario e d'impreveduto nella morte di nostro Signore, la quale fu il risultato della sua scelta libera, determinata e ponderata; e la forza dell'amor suo che ci redense, si mostrò in questo, che mai non rifuggì da essa né cercò dilazionarla, quantunque sapesse la maledizione che aveva a subire. Fin dal principio del suo ministero terreno, si vide davanti la croce e le andò incontro volenteroso. Sapeva la sua morte dover essere il prezzo del riscatto dell'uomo. Tale pagamento egli avea pattuito e s'era impegnato ad eseguire al prezzo del proprio sangue. E così, quando venne il tempo stabilito, come fedele mallevadore mantenne la sua parola e morì pei nostri peccati sul Calvario. Sia sempre da noi benedetto Iddio che nel vangelo ci offre un Salvatore così fedele ai termini del patto, così pronto a patire, così volenteroso d'esser "fatto peccato e maledizione in vece nostra" 2Corinzi 5:21; Galati 3:13. Non dubitiamo che quegli che adempì all'impegno suo di patire, adempirà anche al suo impegno di salvare tutti quelli che vengono a

lui. Accettiamolo dunque lietamente per nostro Redentore ed Avvocato, e doniamo noi stessi e tutto quanto abbiamo pel servigio suo. Del sicuro, se Gesù fu contento di morire per noi, non è troppo pretendere da un Cristiano che egli viva per lui!

Mc 10:35

Marco 10:35-45. RICHIESTA AMBIZIOSA DEI FIGLIUOLI DI ZEBEDEO. RISPOSTA DI CRISTO Matteo 20:20-28

35. E Giacomo, e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, si accostarono a lui, dicendo: Maestro, noi desideriamo che tu ci faccia ciò che chiederemo. 36. Ed egli disse loro: Che volete che io vi faccia?

Matteo: "Allora la madre dei figliuoli di Zebedeo si accostò a lui coi suoi figliuoli, adorandolo e chiedendogli qualche cosa". Non c'è difficoltà alcuna a porre d'accordo i due Evangelisti su questo punto. La presenza di Salome si spiega naturalmente, sia con l'ipotesi ch'ella fosse con le turbe che venivano dalla Galilea per celebrare la Pasqua in Gerusalemme, le quali aveano ora raggiunta la piccola compagnia di Gesù e dei suoi Apostoli sulla strada all'E. del Giordano; ovverosia con l'altra, ancor più probabile, che quella eletta di pie donne che ministravano alle necessità del Salvatore in Galilea (del numero delle quali era anch'ella) l'avesse, a tale oggetto, seguito anche in Perea. Salome era il nome della moglie di Zebedeo (Confr. Marco 15:40; 16:l; Matteo 27:56); ella era, secondo noi sorella di Maria, la madre di nostro Signore (Vedi Nota Matteo 13:55Matteo 13:55); e la prossima parentela, secondo la carne, in cui così si trovava con Gesù, toglie all'incidente che vien quì narrato, quella apparenza di presunzione e indelicatezza, che, ignorando questo, il più dei lettori son disposti ad attribuire a Salome. Credendo che il di lei nipote, secondo la carne, fosse il Messia, quel re potentissimo che dovea far risorgere dalle sue ruine il trono di Davide, e innalzarlo a gloria ancor maggiore dell'antica, ben s'intende come l'affetto materno dovesse farle concludere che, per ragione di consanguineità col sovrano, i posti primarii nel suo regno appartenessero di

diritto ai di lei figliuoli; laonde, senza veruna esitanza, acconsentisse ad accompagnarli alla presenza di Cristo, e lo richiedesse di voler dare ascolto alla domanda che i suoi figliuoli bramavano di fargli, ma ch'essi, dopo il rimprovero che Gesù avea mosso, non molto prima, ai discepoli perché disputavano intorno a terrene preminenze, non avrebbero osato proporre essi stessi. Uno studio attento dei racconti di Matteo e di Marco lascia supporre che Salome si limitasse a schiudere la via ai figliuoli suoi, dichiarando che aveano una domanda da fare; quantunque Marco, con la sua solita brevità, metta in bocca a lei tutto il discorso. Che se anche non voglia menarsi buona questa ragione, pur sempre, la differenza tra i due racconti non è maggiore di quelle che perpetuamente si riscontrano nelle narrazioni di uno stesso evento, riferendosi, bene spesso, come fatto da taluno per se, ciò che invece, parlando accuratamente, egli fece per alterum. In ogni caso, entrambi gli Evangelisti ci dicono che la risposta del Signore fu diretta non già alla madre ma ai figli. Giacomo e Giovanni, temendo un rifiuto, cercano di legare anticipatamente Gesù per mezzo di una promessa, ma più cauto che non fossero Salomone 1Re 2:20, ed Erode Marco 6:23, in analoga circostanza, e sapendo perfettamente qual sarebbe l'oggetto della loro domanda, il Signore insistè perché l'esponessero chiaramente, prima di dar loro alcuna risposta, e ciò per loro convincimento e correzione.

PASSI PARALLELI

Marco 1:19-20; 5:37; 9:2; 14:33

Matteo 20:20-28

2Samuele 14:4-11; 1Re 2:16,20; 1Re 3:5-15; Giovanni 15:7

Mc 10:37

37. Ed essi gli dissero: Concedici che, nella tua gloria,

Matteo "nel tuo regno", evidentemente quel glorioso regno temporale del Messia, che essi pur sempre sognavano.

noi seggiamo, l'uno alla tua destra, l'altro alla tua sinistra.

Può darsi che la promessa data poco prima da nostro Signore, in risposta a Pietro Matteo 19:28, suggerisse loro di fare questa domanda; tuttavia sembra inesplicabile che la facessero subito dopo l'ultimo annunzio, così circostanziato, dei suoi patimenti e della sua morte, a meno che non si ammetta, come più sopra fu accennato, che intendessero un tale annunzio in senso figurato, e non già letteralmente. Alcuni cercano la ragione di questa richiesta nell'onore che Gesù conferì a Giacomo ed a Giovanni, collocando questi a tavola, il più vicino alla sua persona Giovanni 13:23,25; 21:20, e trattando quelli come uno dei tre discepoli prediletti; ma, secondo il nostro modo di vedere, c'era una ragione assai più probabile nella loro consanguineità con Cristo. Quel che ambivano così ardentemente, pensando avervi diritto più degli altri discepoli, erano le cariche le più alte nel regno temporale del Messia, affinché su di essi cadesse un riflesso della sua gloria. Era l'espressione per parte di questi discepoli di ambizione baldanzosa e di egoismo presuntuoso.

PASSI PARALLELI

Marco 16:19; 1Re 22:19; Salmi 45:9; 110:1

Marco 8:38; Matteo 25:31; Luca 24:26; 1Pietro 1:11

Mc 10:38

38. E Gesù disse loro: voi non sapete ciò che vi chieggiate;

Dopo una risposta così mansueta e misericordiosa, i due apostoli avrebbero potuto dire con Paolo: "Ma misericordia mi è stata fatta, perciocché io lo feci ignorantemente, non avendo fede!" 1Timoteo 1:13. "Invece delle distinzioni e degli onori che ambite, voi chiedete in realtà dolori e martirii, che tali cose s'aspettano maggiormente a chi m'è più vicino".

potete voi bere il calice il quale io berrò, ed esser battezzati del battesimo del quale io sarò battezzato?

Il calice, col suo contenuto, è una figura d'uso frequentissimo nella Sacra Scrittura per denotare talvolta la sorte felice, ma più frequentemente l'avvenire doloroso che aspetta, per volere di Dio, gli individui, le nazioni o chiese (Vedi Salmi 11:6; 16:5; 73:10; 75:9; 116:13; Isaia 51:17; Geremia 25:15; Ezechiele 23:31; Apocalisse 14:20). Altrove, nostro Signore usa questa figura a denotare i patimenti e l'angoscia a cui stava per sottoporsi egli stesso, in ubbidienza al suo Padre celeste, qual propiziazione per noi Marco 14:36; Luca 22:42, e nella presente occasione i fratelli intendessero benissimo che, servendosene, alludeva ai patimenti che egli tra breve avrebbe incontrati, sebbene non avessero la più lontana idea della vera natura di essi. La medesima idea di patimenti è contenuta pure nell'altra figura di un battesimo od immersione che il Signore congiunse alla prima, e che altrove egli applica espressamente alla propria passione Luca 12:50. Quantunque la parola battesimo non sia impiegata nell'Ant. Test. per denotare afflizioni o dolori, è in stretta relazione con la figura usitatissima d'esser "inondati", "sommersi dalle acque", "immersi in gorghi profondi" Salmi 42:8; 69:2; 124:4-5; Isaia 43:2; Lamentazioni 3:54, ond'è puerile lo asserire, come alcuni fanno, che allorquando, senza esitanza alcuna, risposero di sì, questi discepoli intendessero quelle parole del Maestro nel senso di bere alla stessa tazza del re e usare del bagno o bacino regio. Né par maggiormente fondata la teoria di alcuni teologi ritualisti, che cioè le parole del Signore accennino misteriosamente alla Santa Cena e al Battesimo. Non sembra necessario definire specificamente che sorta di patimenti sian rappresentati dal calice e quali dal battesimo, ma se vi fosse chi n'avesse vaghezza, la spiegazione suggerita da Alford sembra la migliore. "Il calice par che qui significhi più propriamente l'amarezza interiore e spirituale, somigliante all'agonia del Signore medesimo; il battesimo invece le persecuzioni e le prove che vengono dal di fuori, per mezzo delle quali ci convien passare, per giungere al regno di Dio".

Ed essi gli dissero: Sì, lo possiamo.

Ben avrebbe potuto il Signore ripeter loro con compassione: "Voi non sapete ciò che promettete". Erano ignoranti e temerarii, ma perfettamente sinceri. Fa certamente onore alla loro fedeltà ed al loro coraggio il fatto che non si tirano indietro a tal domanda, né cercano di andare esenti dai patimenti che aspettavano il loro Maestro, quantunque non sapessero bene figurarsi in che dovessero consistere. Non è impossibile che si aspettassero di dover combattere per la causa che aveano sposata. Quanto amaramente dovette Giovanni ricordarsi della sua ambiziosa richiesta, e della promessa temeraria che la seguì allorquando mirava il suo Signore crocifisso, fra due ladroni!

PASSI PARALLELI

1Re 2:22; Geremia 45:5; Matteo 20:21-22; Romani 8:26; Giacomo 4:3

Marco 14:36; Salmi 75:8; Isaia 51:22; Geremia 25:15; Matteo 26:39; Luca 22:42; Giovanni 18:11

Luca 12:50

Mc 10:39

39. E Gesù disse loro: Voi certo berrete il calice che io berrò, e sarete battezzati del battesimo del quale io sarà battezzato;

Il Signore accetta l'ardente lor desiderio di seguirlo, ovunque chiamati li avesse, riservandosi d'insegnar loro in seguito, come dovessero riporre in lui solo ogni speranza di soccorso, e promette loro che, per quanto si riferisce al partecipare dei suoi patimenti, tutti e due gli sarebbero vicini ed occuperebbero un posto eminente nel suo regno spirituale. Questa promessa fu compiuta. Giacomo fu il primo martire tra gli Apostoli, essendo stato ucciso con la spada da Erode Agrippa Atti 12:1; e Giovanni, dopo esser passato per tutte le persecuzioni a cui fu esposta la Chiesa nascente da parte dei Giudei e dei pagani, visse tanto, da esser vittima, sotto l'imperatore Domiziano (cioè nella sua vecchiezza, quando tutti i suoi compagni erano

già in gloria), di un'acerba persecuzione "per la parola di Dio e per la testimonianza di Gesù Cristo" Apocalisse 1:9. Non è a dubitarsi che quando sopravvennero loro i patimenti, questa dichiarazione del Salvatore dovette incoraggiarli nella certezza che beveano il suo calice ed eran battezzati del suo battesimo, e che se "con lui pativano, con lui eziandio regnerebbero" Romani 8:17; 1Timoteo 2:12

PASSI PARALLELI

Marco 14:31; Giovanni 13:37

Marco 14:36; Matteo 10:25; Giovanni 15:20; 17:14; Atti 12:2; Colossesi 1:24; Apocalisse 1:9

Mc 10:40

40. Ma, quant'è al sedermi a destra, ed a sinistra, non istà a me il darle; ma sarà dato a coloro a cui è preparato.

Matteo: "dal Padre mio". Le parole tra parentesi non si trovano nel testo Greco, il quale dice: ma a cui è preparato, e critici di vaglia sono divisi d'opinione se abbia ad adottarsi tale supplemento, come vogliono il Diodati, Osterwald, e le versioni Inglese e Tedesca ecc., ovvero s'abbia ad assegnare ad, il senso di eccetto invece di ma. Com'era da aspettarsi, i Sociniani sostengono l'accuratezza del supplemento, come sta in Diodati, perché credono di poterne trarre un argomento convincente contro la divinità di Gesù Cristo, poiché egli sembra riconoscere che non possiede l'attributo divino della onniscienza. D'altra parte, si obiettò fortemente contro l'adozione delle parole supplementari sarà dato, che sembrano contraddire a quello che è distintamente insegnato altrove, cioè che Cristo è quei che largisce i premii e gli onori nel suo proprio regno di gloria Matteo 25:35-46; Luca 22:29. La risposta che suol farsi a questa obiezione da coloro che, senza cuore propensi al Socinianismo, reputano esser contenuto in queste parole supplementari il senso vero, si è che Gesù in questo verso, allude semplicemente alla sua missione in terra, nella quale non entrava la

distribuzione di premii ed onori; ovvero ch'egli parla qui esclusivamente come il servitore del Padre che nell'amministrare il regno "non può far nulla da sé stesso" Giovanni 5:19. L'altra lezione, che dà ad alla il significato di eccetto, nisi, se non, invece di ma, è antichissima, è la più generalmente adottata, o non dà luogo ad obiezioni e spiegazioni del genere delle precedenti, ed è perciò da preferirsi. Ad essa non fu fatta obiezione più seria di questa, che eccetto è un significato insolito di ma a ciò si risponde con esempi tratti dai Vangeli in cui questa congiunzione è usata certamente in questo senso (Matteo 19:11, ove parole e significato sono identici; Marco 9:8; Giovanni 5:22-30). L'ultima parte del vers. direbbe dunque "non ista a me il darlo, se non a cui è preparato", il che significa: "Non posso darlo qual semplice favore, o per spirito di favoritismo, imperocché appartiene esclusivamente a coloro per cui fu preparato". Tutto quanto appartiene al piano della salute fu preordinato ab eterno nei consigli di Dio. Il regno della gloria, ove ogni credente ha da godere la sua eterna ricompensa fu così "preparato", noi lo sappiamo, fuor d'ogni dubbio, per la testimonianza del Signore medesimo Matteo 25:34; e dalla stessa autorità infallibile veniam quì a sapere essere pur anche stati designati, con inerrante precisione, coloro cui son destinati i più alti gradi di onore nel regno preparato sin davanti alla fondazione del mondo. La sola obiezione a tale spiegazione dei vers. sembra essere che non dà ragione alcuna del rifiuto che nostro Signore oppose alla lor domanda, rifiuto presupposto da tutte le spiegazioni. Ma non potrebbe stare invece, che quella loro domanda venisse non già rifiutata ma solo lasciata da parte per distogliere la loro attenzione dagli onori e riportarla sulle sofferenze, che doveano incontrare nel suo servigio? Non ci è punto detto qui che Giacomo e Giovanni non possano essere precisamente le persone per cui furon preparati quei posti, quantunque non fosse la volontà sua che essi venissero sin d'allora informati di un tal fatto; e in tal caso, come poteva la cosa esser trattata più saviamente che nol sia in questo versetto? Tutto quel che sappiam di certo è questo, che spiacque al loro Maestro che essi cercassero siffatti onori, e che alla loro ambizione mondana fu decisamente posto un freno.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:23; 25:34; Giovanni 17:2,24; Ebrei 11:16

Mc 10:41

41. E, gli altri dieci, udito ciò, presero ad isdegnarsi di Giacomo, e di Giovanni.

Ciascuno di essi ardeva del desiderio di ottenere per sé uno di quei posti d'onore; sentivano che Giacomo e Giovanni li avean precorsi, cercando accaparrarseli, e la loro indignazione era il frutto della loro frustrata ambizione. L'incidente avrebbe potuto condurre ad una seria disputa, ma Gesù la represse sul primo erompere.

PASSI PARALLELI

Marco 9:33-36; Proverbi 13:10; Matteo 20:24; Luca 22:24; Romani 12:10; Filippesi 2:3; Giacomo 4:5

Mc 10:42

42. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: Voi sapete che coloro che si riputano principi (cioè, che sono riconosciuti quali rettori), delle genti le signoreggiano, e che i lor grandi usano podestà sopra esse.

Diodati ha tradotto correttamente il secondo con la parola esse, riferendolo come il primo, ad genti. Grozio, Stier ed altri lo riferiscono invece a coloro che son riconosciuti quali rettori, quasiché nostro Signore intendesse insegnare che come i re delle genti esercitano dominio sul loro popolo, così essi sono, alla lor volta, signoreggiati da altri più potenti di loro. Gesù parla quì del modo in che sono costituiti i governi secolari, ma colle parole "signoreggiare" ed "usar podestà" egli non pronunzia giudizio alcuno intorno ad essi e del sicuro non li condanna, imperocché, non per altro ne fa menzione se non per dichiarare che nel suo regno spirituale, cioè nella sua Chiesa, non ci ha da essere alcuna superiorità di gradi tra i fratelli, siano

questi Apostoli od altri; che nessuno ha da pretendere di esercitare, nella propria persona, autorità alcuna sul corpo di Cristo in parte o in tutto. Pietro chiarissimamente intese tale insegnamento del suo Signore, poiché troviamo che lo ripete nella sua prima Epistola 1Pietro 5:8; e così pure l'intese Paolo 1Corinzi 3:9; 2Corinzi 1:24, benché, appena scomparsi gli Apostoli, la Chiesa ben presto dimenticasse l'ingiunzione del suo Capo e modellane il suo governo sui governi secolari.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:25; Luca 22:25; 1Pietro 5:3

Mc 10:43

43. Ma non sarà così fra voi;

Il voi di questo vers. è messo a contrasto con le genti del vers. precedente, e indica la Chiesa di Cristo. Nostro Signore, in questo inciso, non si riferisce ai governi civili, come l'han supposto alcuni fanatici, imperocché i governi civili son riconosciuti espressamente nel vangelo come ordinati da Dio stesso Romani 13:1-6; e quindi non si hanno da interpretare tali parole come se vietassero ai Cristiani di partecipare, quali cittadini, a tali governi. Quel che proibiscono si è l'arrogarsi, nella Chiesa, alcuna autorità analoga alla sovranità politica o alla tirannia secolare 1Pietro 5:8; 2Corinzi 1:24. Cristo ha bensì istituito sì l'autorità che l'uffizio nella sua Chiesa e nelle congregazioni particolari Efesini 4:11-12; Ebrei 13:17, poiché, senza una qualche autorità, niuna società può rimanere ordinata, unita e potente, e senza il freno e la responsabilità dell'uffizio, l'autorità più facilmente trascorre ad abusi. Ma questa autorità è interamente differente da quella dei regni terreni, essendo solo quella della verità e dell'amore.

anzi, chiunque vorrà divenir grande fra voi, sia vostro ministro (diacono); 44. E chiunque fra voi vorrà essere il primo, sia servitor di tutti.

La prima di queste parole non ha qui alcun senso ufficiale, e solo significa uno che serve o ministra agli altri, sacrificandosi per essi; ma venne in seguito ad essere applicata uffizialmente (forse in conseguenza di questo passo medesimo) a quelli che ministravano ai poveri e agli infermi, ed attendevano alle necessità secolari della chiesa o congregazione, a cui appartenevano, Vedi Atti 6:1-6; 1Timoteo 3:8-13. La seconda parola greca, è molto più forte della prima, e significa letteralmente uno schiavo. L'ammaestramento che ci dà nostro Signore in questi due versetti si è che non son già le arie di superiorità, gli onori mondani o i ricchi e emolumenti che fanno di alcuni dei membri, primarii e più distinti del suo regno, ma sì, la loro profonda umiltà nel "preferire gli altri a se medesimi", e la misura del loro zelo; e della loro abnegazione nel render servigio ai loro fratelli per amore del Signore. "Conciossiaché non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù il Signore, e che noi siamo vostri servitori per Gesù" 2Corinzi 4:5. Egli è vero che coloro i quali volontariamente si umiliano ad esser diaconi e servitori nella chiesa di quaggiù, per amor di Cristo, saranno primi e grandi in cielo; ma questo non è che una metà del vero, perciocché quelli che seguono più da vicino le orme di Cristo, come sono descritte nel verso che segue, saranno sempre riguardati anch'essi, da tutti i veri Cristiani, siccome i maggiori e i più nobili nella chiesa terrestre.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:36; Romani 12:2

Marco 9:35; Matteo 20:26-27; 23:8-12; Luca 9:48; 14:11; 18:14; Giovanni 13:13-18

1Corinzi 9:19-23; Galati 5:13; 1Pietro 5:5-6

Mc 10:45

45. Conciossiaché,

Matteo, colla parola come appunto, in quella guisa, appunto che; mette innanzi più pienamente Cristo come esempio al suo popolo, nelle parole che seguono.

anche il Figliuol dell'uomo non sia venuto per esser servito; anzi per servire,

La somiglianza tra il modello e coloro che hanno da imitarlo è duplice:

1. nello spirito d'umiltà, di sacrifizio e d'amore in cui dobbiamo render servigio; e

2. nella gloria derivante da questa umiliazione e rinunzia a se stesso.

"Essendo Dio benedetto in eterno" Romani 9:5; "essendo in forma di Dio e non riputando rapina l'essere uguale a Dio" Filippesi 2:6; "essendo lo splendore della gloria, ed il carattere della sussistenza di Dio" Ebrei 1:8; ed "avendo manifestata la sua gloria, gloria come dell'unigenito del Padre" Giovanni 1:14, egli avea diritto al miglior servigio degli uomini, degli angeli, e di tutte le cose create; ma, invece di esigerlo, "egli annichilò sé stesso e prese la forma di servo", onde poter servire e salvare peccatori perduti della terra, e nella prestazione di questo servigio si abbassò fino alla morte maledetta della croce. Paolo fa a queste parole del suo Maestro, un bellissimo commentario Filippesi 2:5-10, su cui si richiama particolarmente l'attenzione del lettore. Gli è soltanto col seguire le orme di Cristo in questo amore, in questa umiltà e in questo sacrifizio di se medesimo per gli uomini avviati a perdizione, che si dee raggiungere vera grandezza nella chiesa di Cristo, sì nella presente dispensazione che in quella della gloria eterna.

e per dar l'anima sua per prezzo di riscatto per molti.

Queste parole indicano il punto estremo a cui il nostro benedetto Salvatore spinse il suo servigio, - ei diede l'anima sua, la vita sua preziosa qual prezzo di riscatto di molti; e indicano anche, nel modo il più chiaro, che l'opera sua su questa terra non si restrinse, in veruna guisa, solo al "lasciarci un esempio, acciocché seguitiamo le sue pedate" 1Pietro 2:21. Con le parole "dar l'anima sua per prezzo di riscatto per molti", il Signore rivelò

distintamente che come l'Agnello di Dio, egli era per morire qual sacrifizio vicario ed espiatorio pel peccato, checché possano dire coloro che impugnano questa dottrina benedetta. "Gli usi principali della parola riscatto", dice Alford, "sono i seguenti.

1. Un pagamento quale equivalente per una vita tolta Esodo 21:30

2. Il prezzo della redenzione di uno schiavo Levitico 25:51

3. Propiziazione Proverbi 13:8; dove Aquila, Simmaco e Teodoreto usano la parola pacificazione".

Si usa anche in senso di prezzo di redenzione per un condannato a morte Esodo 21:30. Quindi è usata figuratamente per liberazione da morte, da calamità o da peccato Salmi 49:7-8; Isaia 35:10. Questa espressione adunque, come quasi tutte le altre che nella Scrittura indicano realtà spirituali, è figurata; ma non si può dare più manifesta dichiarazione del fatto che Cristo morì per la redenzione e saluto degli uomini. Questa figura implica che gli uomini non prigionieri e schiavi della legge trasgredita, di Satana e della morte, in pena del peccato; e che il loro riscatto consiste nella ubbidienza di Cristo alla legge, nella sua vittoria sopra Satana, e nella sua sottomissione alla morte, in vece di quelli che venne a salvare. Con le sue ultime parole sulla croce: "Ogni cosa è compiuta", Gesù proclamò, che questo riscatto era stato pagato. A lui sia gloria in sempiterno! Calvino, Olshausen, Lange, Alford e Brown considerano la parola "molti" come non già usata in contrasto con pochi o con tutti, ma in opposizione ad uno, il Figliuol dell'uomo solo invece di molti peccatori; ma noi preferiamo, con Alexander, di considerarla come distinta egualmente da uno e da tutti, e applicata qui ai veri credenti o agli eletti di Dio, pei quali Cristo venne a morire.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:28; Luca 22:26-27; Giovanni 13:14; Filippesi 2:5-8; Ebrei 5:8

Isaia 53:10-12; Daniele 9:24,26; 2Corinzi 5:21; Galati 3:13; 1Timoteo 3:46; Tito 2:14

1Pietro 1:19

RIFLESSIONI

1. La decisa risoluzione con cui Cristo s'inoltrava verso Gerusalemme, nell'ultimo viaggio alla metropoli, empì i discepoli suoi di stupore e sbigottimento. Il prezzo dell'opera ricercare le sorgenti ascose di questa straordinaria enerzia col lume che ci è somministrato dalla magnifica predizione messianica in Isaia 50:4-7. Il Messia parla, in questo passo, come se ogni mattina si presentasse al cospetto del Padre suo per riceverne le istruzioni per l'opera della giornata; cosicché, sia che dicesse una parola opportuna a un'anima stanca, o che dimostrasse, come in questo caso, indomito coraggio nell'andare incontro alle opposizioni, o che si avviasse ai rozzi insulti e ai crudeli patimenti che l'aspettavano, "rendendo in faccia ad essi il suo viso simile ad un macigno", non era già soltanto la Divinità impassibile che il facesse, ma sì il Figliuol dell'uomo (acutissimamente sensibile alla vergogna e ai patimenti), che si innalzava al disopra di essi, soltanto per la potenza di una sempre invitta devozione allo scopo sublime della missione sua nel mondo, devozione nutrita ogni giorno dalla costante comunione col Padre suo in cielo. In questa guisa egli è ai suoi seguaci il modello perfetto dell'intera consecrazione all'opera ad essi assegnata.

2. La richiesta dei figli di Zebedeo ci insegna che ci può essere orgoglio, ambizione, amore di preeminenza e gelosia, perfino tra i veri discepoli di Cristo. Questi sentimenti si manifestarono altrettanto nella indignazione dei dieci che nella richiesta dei due; imperocché non c'era nemmeno uno in quella piccola compagnia il quale non ambisse per sé, uno di quei posti d'onore nel prossimo regno. Senza l'opportuna intromissione di Gesù, il loro orgoglio irritato avrebbe prodotta probabilmente una seria contesa. Nella sua esortazione Gesù riprende non meno l'orgoglio dei dieci che la presunzione degli altri. Impariamo a guardarci dall'orgoglio, che è uno dei peccati più antichi e più dannosi. "È un vizio che si apprende così

tenacemente ai cuori degli uomini", dice il teologo Hooker, "che se avessimo a spogliarci ad uno ad uno di tutti i nostri difetti, senza alcun dubbio, lo troveremmo l'ultimo e il più duro a strappare".

3. Questo passo ci offre un argomento non premeditato, ma perciò appunto formidabilissimo, contro la pretesa supremazia di Pietro su tutti i suoi fratelli, la qual supremazia, a detta della Chiesa romana, gli sarebbe stata trasmessa nelle parole: "Tu es Petrus ecc.". Giacomo e Giovanni non sapevano nulla d'una tal supremazia, altrimenti non si sarebbero avventurati a far quella domanda; gli altri discepoli non ne sapevan verbo, altrimenti non avrebbero avuto diritto (ad eccezione di Pietro) d'indegnarsi e sentirsi offesi individualmente da quella domanda; Pietro ne era affatto ignaro di certo, poiché, indirizzandosi agli anziani, egli espressamente ricusa ogni uffizio o titolo più elevato del loro 1Pietro 5:1. Nostro Signore infine non ne sapeva nulla, altrimenti egli avrebbe subito rammentato ai postulanti ch'egli aveva già conferito a Pietro la più alta dignità nel suo regno. All'opposto egli dichiara che, diversamente dall'uso che prevale fra le nazioni, della terra, nella sua Chiesa non ci sarebbe altra supremazia, all'infuori della sua propria, e che egli non permetterebbe ad alcuno di signoreggiare sopra i suoi fratelli, perché in essa non v'è alcun altro principe o potente fuori che Lui solo. I titoli e le pretensioni dei papi, dei cardinali, legati, arcivescovi, abati ecc. non sono adunque altro se non empie frodi introdotte, nonostante l'ordine espresso di Cristo, per ingannare e rendere schiavo il suo popolo. Ciò nonostante, l'essere proibito di tiranneggiare "le eredità di Dio" non trae seco, di conseguenza, un comunismo spirituale, in forza del quale ciascuno, a suo piacimento, assume l'uffizio di dottore o di diacono; poiché è espressamente dichiarato nella Sacra Scrittura che i diversi gradi del ministerio cristiano sono stati istituiti da Cristo medesimo, per mezzo dello Spirito Santo, e che essi sono necessarii al mantenimento della disciplina nella Chiesa Efesini 4:11-13; Atti 13:2-4; 14:23; Tito. 1:6

4. Sarebbe grande errore il supporre, come lo fecero gli Anabattisti del secolo 16mo, che Gesù, con questa esortazione, proibisca l'esercizio del potere civile, e d'ogni magistratura sociale; che questo equivarrebbe ad abolire l'ordine sociale, lasciar gli onesti senza protezione, e i malfattori senza castigo. "Le podestà che sono, son da Dio ordinate; il magistrato è

ministro di Dio" Romani 13:1,4, pel bene della società, e conseguentemente Cristo non può aver biasimato l'opera di suo Padre. Né dalle sue parole si deduca che sia, proibito al cristiano, in qualità di cittadino, di disimpegnare l'uffizio di magistrato, o di esercitare diritti politici.

5. Il carattere espiatorio e vicario della morte di Cristo, è da lui stesso espresso al ver. 45, non meno chiaramente che, poco prima, le circostanze stesse di quella morte. Il dire che Gesù cercava di acconciarsi alle idee giudaiche, quando diceva di esser venuto "per dar l'anima sua per prezzo di riscatto per molti", è un disonorare il suo insegnamento, ed è provato falso dall'impiego che gli apostoli facevano di questo stesso linguaggio, indirizzandosi ad ogni nazione ed ogni classe d'uomini sulla terra. Quella morte fu il pubblico pagamento del gran debito del genere umano, pagamento fatto all'Iddio santissimo da un onnipossente rappresentante; quella morte fu il riscatto provveduto da un mallevadore divino onde procurare libertà all'uomo prigioniero e schiavo a motivo del peccato; per quella morte Gesù pagò a prezzo le anime nostre, col proprio sangue, e soddisfece pienamente alla giustizia divina. "Egli stesso ha portato i nostri peccati nel suo corpo, in sul legno" 1Pietro 2:24. Chi confida in Cristo trovi conforto nella certezza che fabbrica sopra un fondamento sicuro. Siam peccatori è vero, ma "il Signore ha fatta avvenirsi in lui l'iniquità di tutti noi"; siamo incapaci di pagare il nostro debito, ma Gesù, lo ha saldato per noi; meritiamo d'essere in eterno prigioni di Satana, ma Cristo ha spezzato le nostre catene. Egli ci ha aperto le porte del cielo, e possiamo entrarvi liberamente. Dio sia lodato! Ci sia concesso di sperimentare giornalmente la "beata libertà dei figliuoli di Dio!".

Mc 10:46

Marco 10:46-52. GUARIGIONE DEL CIECO BARTIMEO Matteo 20:29-34; Luca 18:35-43

Per l'esposizione vedi Luca 18:35Luca 18:35-43.

Mc 11:1

CAPO 11 - ANALISI

1. L'ultimo viaggio a Gerusalemme. Il guado del Giordano è distante circa 5 miglia da Gerico, e forse nel luogo istesso ove le acque si separarono ed Israele passò a piede asciutto, entrando nel paese, di Canaan. Passato ch'ebbe il fiume, Gesù si diresse verso Gerico. Quella città era stata di recente abbellita ed ampliata da Erode il grande, dimodoché, dopo Gerusalemme, era una delle più importanti della Giudea. Nell'avvicinarsene, Gesù incontrò il cieco Bartimeo, cui rese la vista; quindi, senza trattenersi in città, si affrettò a compiere un'opera più gloriosa ancora, la conversione di Zaccheo. Questi dimorava ad occidente di Gerico e probabilmente il Signore pernottò in casa sua. Di là, passando presso i fortilizi che difendevano il passo più importante dei colli della Giudea, la via va innalzandosi rapidamente fino all'alto piano del deserto di Giudea, e serpeggia fra irte rocce e massi precipitosi, negli antri dei quali i ladri si nascondevano (e lo fan tuttora), per assalire i viandanti Luca 10:30. Ad ingannar la fatica del viaggio, il Signore narrò ai suoi compagni la parabola delle dieci mine Luca 19:12. Il sesto giorno della settimana (il Venerdì), giunsero, in sul tramonto, al villaggio di Betania, ove si trattennero il Sabato per santificarlo, secondo il comandamento. Il primo giorno della settimana (la Domenica), ripresero il loro viaggio verso Gerusalemme, e passando vicino a Betfage, tolsero quivi il puledro sul quale il Salvatore fece il suo ingresso trionfale in Gerusalemme, in mezzo alle acclamazioni dei suoi seguaci e quelle di migliaia di pellegrini accampati in tende e baracche nella valle di Iosafat. L'aver Marco e Luca nominato Betfage prima di Betania, indusse alcuni antiquari ed archeologi a cercare le tracce di Betfage all'E. di Betania e non più vicino a Gerusalemme, ma senza successo. Infatti il racconto stesso degli evangelisti rende tale supposizione insostenibile, poiché i viaggiatori, avendo percorsa la via tra Gerico e Betania due giorni prima, rimaneva loro soltanto da fare un breve tratto fra Betania e Gerusalemme. Oramai il sito di Betfage è precisato; non v'è più alcun dubbio, che quel villaggio fosse posto a mezza via fra Betania e Gerusalemme, un poco a sinistra della Strada. Gesù andò direttamente al tempio, e dopo esservisi trattenuto alquanto,

ritornò a Betania coi suoi discepoli, probabilmente per la via più breve, alle spalle del monte degli Ulivi Marco 11:1-11.

2. Maledizione del fico. L'indomani mattina (che sarebbe il Lunedì della settimana della Passione), tornando, senza dubbio, pel medesimo sentiero a Gerusalemme coi suoi discepoli, Gesù, veduto un bel fico, ricercò dei frutti; ma, avendolo trovato ricco di sole foglie, pronunziò la condanna di quell'albero, che simbolicamente rappresentava Israele incredulo. Proseguì quindi la sua via, e giunto nel tempio, ne scacciò, con autorità più che umana, i mercanti ed i cambia-monete che profanavano i sacri cortili col loro traffico. Le sue parole, in quel giorno, eccitarono nel popolo grande meraviglia, e nei sacerdoti un'ira tale, che essi cominciarono di bel nuovo a tramar contro la di lui vita. Il Martedì, tornando un'altra volta da Betania a Gerusalemme, gli Apostoli esterrefatti mostrarono a Gesù il fico, da lui maledetto, seccato fino alle radici; ciò che diede luogo al discorso sulla fede necessaria ai miracoli Marco 11:12-26.

3. Il Sinedrio esige da Cristo ch'egli provi il suo mandato. Al suo entrare nel tempio, lo stesso giorno, una deputazione del Sinedrio si fece incontro a Gesù, invitandolo a dichiarare qual diritto avesse di far quello che aveva fatto il giorno precedente, e da chi ne avesse ricevuta autorità. Era questo probabilmente il primo passo dei cospiratori; forse speravano in questo modo ridurlo al silenzio e liberarsi di lui, facendolo comparire agli occhi del popolo come impostore e falso profeta, ma furono delusi. Gesù ne appellò a Giovanni Battista che aveva testimoniato dell'autorità sua, e la di cui divina missione essi non potevano negare, sebbene fossero troppo astuti per confessarla Marco 11:27-33.

Marco 11:1-11. ULTIMO VIAGGIO DI CRISTO A GERUSALEMME, IL SUO INGRESSO TRIONFALE IN QUELLA CITTÀ Matteo 21:117; Luca 19:28-40

Per l'esposizione, vedi Matteo 21:1Matteo 21:1-17.

Mc 11:12

Marco 11:12-26. MALEDIZIONE DEL FICO STERILE. COLLOQUIO SULLA FEDE INDISPENSABILE PER OPERAR MIRACOLI Matteo 21:18-22

12. E il giorno seguente (cioè il Lunedì di passione), quando furono usciti di Betania egli ebbe fame;

Per rendersi conto della fame sofferta da Gesù, alcuni supposero ch'egli avesse passato la notte non in casa di Lazzaro, ma all'aria aperta, pregando, e che all'alba egli si ponesse subito in cammino, digiuno come era. La supposizione è plausibile, ma non è possibile sapere se è vera o no. Osserviamo piuttosto in questo fatto un'altra prova indubitata della natura umana rivestita dal Figlio di Dio, che volle partecipare a tutte le nostre infermità. Egli ebbe realmente fame e cercò di soddisfare quel bisogno materiale. Non volle con quell'atto fare una commedia, per trarne poi soggetto d'una lezione, come alcuni antichi eretici pretesero, ed altri moderni interpreti tuttora sostengono. Nello stesso modo che egli ebbe fame nel deserto, allorquando fu tentato dal diavolo, così egli ha pur fame in questo momento, e va attorno in cerca del nutrimento necessario alla sua vita corporea. Mirabile carità di Cristo! Egli, il Creatore di tutte le cose, colui che giornalmente supplisce ai bisogni d'ogni creatura vivente, mancò del pane quotidiano! In vero "essendo ricco, egli s'è fatto povero per noi" 2Corinzi 8:9, ed "è stato tentato in ogni cosa simigliantemente a noi senza peccato" Ebrei 4:15

PASSI PARALLELI

Matteo 21:18-22

Matteo 4:2; Luca 4:2; Giovanni 4:6-7,31-33; 19:28; Ebrei 2:17

Mc 11:13

13. E, veduto di lontano un fico,

Siccome Matteo ci dice che questo fico solitario, cresceva lunghesso la strada, il senso di di lontano, in questo vers. evidentemente è che essendo ancora distante, Gesù l'osservò sulla strada davanti a sé, e non dovette allontanarsi dal sentiero per giungere ad esso.

che avea delle foglie, andò a vedere se vi troverebbe cosa alcuna; ma, venuto a quello, non vi trovò nulla, se non delle foglie; perciocché non era la stagion de' fichi.

L'ultimo inciso di questo vers. ha sollevato non poche difficoltà relativamente alla spiegazione di questo miracolo. Fu domandato come mai Cristo potesse aspettarsi dei frutti da quell'albero, mentre per la sua infinita sapienza, come Dio, dovea sapere che frutti non c'erano? Una tale obiezione può nascere soltanto dal negare o dal dimenticare il fatto che, nella persona di Cristo, eranvi due nature distinte, ciascuna delle quali possedeva le sue distinte proprietà. L'onniscienza apparteneva alla sua natura divina, ed ogni qualvolta l'occasione, lo richiedesse, si comunicava alla sua mente umana, ma non era una proprietà di questa, e probabilmente non le era comunicata nelle cose relative alle sue infermità umane. Ripugna ad ogni nostro concetto di Colui, "nella cui bocca non fu trovata frode alcuna" 1Pietro 2:22, il supporre ch'egli fingesse ignoranza su questo particolare per ingannare i suoi discepoli; né è disonore alla sua Divinità il concludere che come uomo egli realmente ignorava se ci fossero e non ci fossero frutti su quell'albero. Ma perché, si chiederà, Gesù cercò egli su quel fico frutti da mangiare, mentre sapeva che "non era la stagion de' fichi"? Per toglier di mezzo questa difficoltà, taluni vorrebbero arbitrariamente sopprimere addirittura l'ultimo inciso, sebbene stian per esso autorità incontrovertibili; ed altri vorrebbero trasportarlo immediatamente dopo le parole; "se vi troverebbe cosa alcuna". Ma non c'è ragione alcuna che autorizzi siffatta trasposizione, e qualunque difficoltà s'incontri in tale inciso, conviene scioglierla, lasciandolo come sta. La stagione del primo raccolto dei fichi in Giudea incomincia tra la metà e la fine di Maggio. La Pasqua, che segna la data della crocifissione di Gesù, cadeva verso, il principio d'Aprile, cioè sei settimane prima del principio del raccolto dei fichi. Perché dunque Gesù

poteva egli aspettarsi di trovar dei fichi su quell'albero? Per rispondere a questa domanda convien ricorrere alla storia naturale del fico. Nel Talmud è fatta menzione d'una specie particolare che avea sui rami i frutti di 8 stagioni al tempo stesso, ma siccome i moderni arboristi non riuscirono finora a scoprirla, ci contenteremo di prender nota di un tal fatto. Il fico comune (Ficus carica) mette i frutti prima delle foglie, e non è per niente straordinario in un albero posto a mezzogiorno, in aprica situazione, riparata dai venti, il metter foglie e frutta prima di tutti gli altri. "C'è una specie d'albero", dice Thomson, "che porta grossi fichi di color verde la cui maturazione è assai precoce. Ne ho colti in Maggio da alberi sul Libano (150 miglia al N. di Gerusalemme), dove i frutti maturano circa un mese più tardi che al sud della Palestina; non sembra dunque impossibile che la stessa specie potesse avere fichi maturi a Pasqua, nei ben riparati aprichi burroni dell'Oliveto." Mentre adunque i fichi in generale a Pasqua cominciavano soltanto a metter le foglie, quest'uno spiegava già la pompa del fogliame, e i suoi frutti avrebbero quindi dovuto già aver raggiunto uno sviluppo proporzionato, sicché nostro, Signore aveva tutti i diritti di aspettarsi trovarvi alcuni "fichi primaticci" Geremia 24:2, se non perfettamente maturi almeno mangiabili. È importante tuttavia l'osservare che non fu semplicemente l'assenza di frutti maturi che fu causa della distruzione di quell'albero, né un sentimento vendicativo di dispetto da parte del Signore, come alcuni empiamente affermarono, ma sì la totale assenza d'ogni frutto qualsiasi, ancorché le foglie fossero cresciute rigogliosamente, e quindi i rami avrebber dovuto esser carichi di frutti più o meno avanzati in maturanza. Era un ipocrita tra gli alberi, che pasceva gli uomini di fallaci promesse con quel suo fogliame così bello a vedersi; era "un ingombro inutile del terreno" atto soltanto a deludere con la sua sterilità, non adempiendo al fine per cui Dio avealo creato Genesi 2:11. Giusta fu dunque la sentenza pronunziata contro di esso.

PASSI PARALLELI

Matteo 21:19; Luca 13:6-9

Rut 2:3; 1Samuele 6:9; Luca 10:31; 12:6-7

Isaia 5:7

Mc 11:14

14. E Gesù prese a dire al fico: Niuno mangi mai più in perpetuo frutto di te. E i suoi discepoli l'udirono.

Questo miracolo di distruzione è l'unico che si incontri fra tutti i misericordiosissimi miracoli di Cristo; imperocché la distruzione dei porci in Gadara, sebbene permessa da lui, non fu però, come in questo caso, un atto della sua propria. potenza divina. Molti se ne fecero pietra d'inciampo, falsamente interpretandolo, come se Gesù avesse distrutta, senza alcun motivo, l'altrui proprietà, o si fosse vergognosamente lasciato trasportare da un impeto di collera contro un povero albero innocente ed irresponsabile. Quanto alla prima obiezione, basti notare in risposta, che il fico crescente lunghesso la strada non era proprietà d'alcuno, e inoltre che, essendo sterile, non aveva alcun valore; e in quanto alla seconda, che essa nasce unicamente da mancanza di discernimento spirituale intorno alla vera natura del miracolo. Il fico sterile meritava quella punizione; ma il Signore non avrebbe mai operato un miracolo per punirlo se non avesse avuto in mente di ricavarne un insegnamento simbolico inteso a prefigurare, in primo luogo, il giudizio che colpirebbe in breve la Chiesa e la nazione giudaica, e poi, a proclamare più universalmente, che il fogliame senza frutti, che la "forma della pietà senza la potenza" ovvero la professione senza la pratica, sarebbe del sicuro maledetta. Il parallelo tra l'albero sterile che con le sue belle foglie inganna chi lo mira e i Giudei che professavano di essere "la gente santa, il popolo d'acquisto", la Chiesa dell'Iddio vivente, e ciò non pertanto eran destituiti di "tutte le cose che appartengono alla vita ed alla pietà" 2Pietro 1:8, è d'un'evidenza che salta agli occhi; e nell'improvvisa distruzione di quell'albero, il Signore ammonì simbolicamente Gerusalemme di qual sarebbe pur anche la sua fine.

Mc 11:15

Seconda purificazione del Tempio, Marco 11:15-19

Per l'esposizione vedi Matteo 21:12Matteo 21:12-17.

PASSI PARALLELI

Marco 11:20-21; Isaia 5:5-6; Matteo 3:10; 7:19; 12:33-35; 21:19,33,44; Giovanni 15:6

Deuteronomio 6:4-8; 11:26-31; 2Pietro 2:20; Apocalisse 22:11

Mc 11:20

Insegnamenti tratti dal fico disseccato, Marco 11:20-26

20. E la mattina seguente (Martedì), come così passavamo presso del fico, lo videro seccato fin dalle radici. 21. E Pietro, ricordatosi, gli disse: Maestro, ecco, il fico che tu maledicesti è seccato.

Matteo: "E subito, instanter, il fico si seccò". Sebbene il piano di Matteo non lo porti a ricordare sia la purificazione del tempio, sia questo miracolo, con la stessa minuziosa esattezza cronologica che è particolare al Vangelo di Marco, tuttavia, nella sua narrazione di questo fatto, ricorda una circostanza interessante che non era stata notata da chi fornì informazioni a Marco, cioè che un principio d'esecuzione della sentenza apparve, appena il Signore l'ebbe profferita, forse per improvviso arresto nella circolazione del succo nutritivo, per cui penzolassero illanguidite le foglie. Siccome Matteo nota i primi sintomi, così Marco descrive qui la consumazione della sentenza quale colpì gli occhi dei discepoli, quando, il mattino seguente, ripassarono di là, avviati a Gerusalemme, cioè "seccato fin dalle radici". La distruzione fu completa! le radici e le fibre, per mezzo delle quali l'albero traeva il suo

nutrimento principale dall'umido terreno, erano avvizzite non men delle foglie che assorbono la rugiada del cielo; non erano già tolti gli agenti che alimentano la vita ma si era tolto all'albero il potere di trarne alcun uso o benefizio. Acconcio emblema di un peccatore, circondato ancora dai mezzi di grazia ma incapace di giovarsene, per aver trascurato il giorno della grazia, e contro il quale è stata pronunziata la sentenza "lascialo" Osea 4:17. I discepoli, mirando il fico, pur ieri così rigoglioso, ora già morto fin dalle radiche, si maravigliarono grandemente, mentre Pietro richiamò su quel fatto l'attenzione del Maestro. Quel che eccitava la loro maraviglia era la terribile rapidità con cui era stata eseguita la sentenza, piuttosto che l'averla il Maestro profferita. Dovevano esser, sino ad un certo punto, preparati ad udire pronunziare una tal sentenza, seppur non aveano interamente dimenticata la parabola del fico sterile Luca 13:1-9; imperocché questo miracolo parabolico non era altro che l'esecuzione della minaccia contenuta in quella parabola, la quale, per le circostanze in cui fu detta, ben sapevano che si riferiva alla Chiesa e alla nazione giudaica. Il non produrre alcun frutto, l'ansietà e finalmente lo sdegno del deluso proprietario, l'intercessione e le laboriose cure del vignaiuolo, l'anno di grazia, con la sentenza di distruzione, sospesa sì ma non revocata, evidentemente dimostravano che la crisi si avvicinava; quantunque la parabola si concludesse senza rivelarla. Or il miracolo operato su questo fico forniva quanto mancava a completare la parabola, e indicava esser ritirata la sospensione, esser trascorso il giorno di grazia, e presto dover la minacciata distruzione piombare inesorabilmente sulla nazione colpevole. La maledizione giustamente pronunziata contro la nazione del patto, per la sua sterilità spirituale, venne anche a cadere, per naturale conseguenza, sulla "terra promessa", in guisa che ci può essere qualche verità nell'idea di Lange che questa distruzione del fico si vuole intenderla "primariamente come un preannunzio della prossima desolazione del paese, allorquando sparirebbero le palme, i fichi appassirebbero, sarebbero suggellate le fonti, e la terra di Canaan diverrebbe un deserto"; ma le verità principali, che questo miracolo era diretto ad imprimere negli animi dei discepoli, erano la distruzione della nazione giudaica a motivo dei peccati nazionali, e l'abolizione perpetua della Chiesa levitica e cerimoniale.

PASSI PARALLELI

Giobbe 18:16-17; 20:5-7; Isaia 5:4; 40:24; Matteo 13:6; 15:13; 21:19-20

Giovanni 15:6; Ebrei 6:8; Giudici 1:12

Proverbi 3:33; Zaccaria 5:3-4; Matteo 25:41; 1Corinzi 16:22

Mc 11:22

22. E Gesù, rispondendo, disse loro: Abbiate la fede di Dio;

Alcuni critici tengono le parole: per un ebraicismo denotante una fede assai forte, e tale era pure l'opinione del Diodati, come è manifesto dall'inserzione della preposizione di invece di in, tra le due parole; ma "fede in Dio" è la vera traduzione, non solo richiesta dal senso, ma anche conforme a numerosi esempi tanto nei Fatti che nelle Epistole, in cui è costruito col genitivo dell'oggetto, precisamente come qui (Vedi Atti 3:16; Romani 3:22; Galati 2:20; ecc.). La fede così comandata è la fede nella potenza di Dio e nelle sue promesse, per la quale gli Apostoli doveano esser posti in grado di operare miracoli.

PASSI PARALLELI

Marco 9:23; 2Cronache 20:20; Salmi 62:8; Isaia 7:9; Giovanni 14:1; Tito 1:1

Colossesi 2:12

Mc 11:23

23. Perciocché io vi dico in verità, che chi avrà detto a questo monte: Togliti di là, e gittati nel mare; e non avrà dubitato nel cuor suo, anzi

avrà creduto che ciò ch'egli dice avverrà; ciò ch'egli avrà detto gli sarà fatto.

Gesù non dice una parola in spiegazione del miracolo del fico; ma, lasciando che i discepoli ne trovino il motivo, pensandoci sopra, dirige piuttosto la loro attenzione sulla forza e tenacità di quella fede in Dio che era necessaria ad operare tali miracoli. Secondo Matteo, il Signore distingue tra miracoli simili alla distruzione del fico, ed altri ancor più difficili, per esempio, il toglier di mezzo il monte degli Ulivi su cui allora camminavano, come per indicare che questo miracolo richiedeva una maggior misura di fede, e uno sviluppo maggiore di potenza divina che non quello; pur nondimeno anche il miracolo maggiore è alla portata dei discepoli e li sarà dato in esaudimento della preghiera. Lo stesso disse del monte Hermon, quando ai discepoli non venne fatto di scacciare il demonio sordo e mutolo dal fanciullo appiè di quel monte Matteo 17:20. Siccome niun miracolo fisico fu operato mai su d'una scala così stupenda come sarebbe il trasportare cotali montagne, e siccome il trasportarle non solo sarebbe un esercizio inutile di mera potenza, ma non raggiungerebbe alcuno scopo razionale, sembra evidente che Gesù non intendesse che avessero a interpretarsi letteralmente le sue parole. Esse non si riferiscono ad ostacoli fisici, ma a quelli morali che impediscono il progresso del regno di Cristo, e mirano a porgere un'immagine forte ed espressiva delle maggiori difficoltà che la fede può esser mai chiamata a combattere; e la gran lezione che il Salvatore intese con ciò d'insegnare si fu questa, che nessun ostacolo potrà resistere alla fede che si confida in Dio. Il risuscitare le anime morte e l'abbattere le antiche religioni, le false filosofie, i governi tirannici e tutto quanto il regno e l'orgoglio di Satana in questo mondo, per mezzo della parola di verità e della preghiera della fede, sono "operazioni maggiori" di qualunque miracolo operato nel mondo, esteriore della natura. L'età dei miracoli fisici è passata, e Dio non dà più la fede che si richiede ad operarli; ma quella fede che toglie di mezzo ogni montagna di separazione tra Cristo e il peccatore, e che fa trionfare il credente d'ogni difficoltà, egli ha promesso di accordarla, e se tali montagne e difficoltà rimangono ancora, son veramente indizio di debolezza di fede nel credente che è meno da quelle alla prova.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:20; 21:21; Luca 17:6; 1Corinzi 13:2

Matteo 14:13; Romani 4:18-25; Ebrei 11:17-19; Giacomo 1:5-6

Salmi 37:4; Giovanni 14:13; 15:7

Mc 11:24

24. Perciò io vi dico: Tutte le cose che voi domanderete pregando, crediate che le riceverete, e voi le otterrete.

È un'idea erronea che questa promessa fosse fatta esclusivamente agli Apostoli e si riferisse allo operare i miracoli. Ella è prezioso retaggio di tutti i credenti, e niuno che tale si professi, vorrebbe rinunziarvi; e molti e molti possono rendere testimonianza, per propria esperienza individuale, che tale promessa fu adempita fedelmente. Quando la promessa non si compie, non è perché Dio non voglia, ma perché la nostra fede è troppo debole per farci sicuri di ottenere ciò che chiediamo. Le parole di Giacomo 4:8, purtroppo continuano ad esser vere riguardo alla gran maggioranza di coloro che pregano, ma ben lungi dal contradire alla promessa fatta dal Salvatore in questo versetto, la confermano, perché soltanto quelle preghiere sono ascoltate in cielo le quali domandano cose conformi al volere di Dio: il Cristiano deve quindi badar bene di non chiedere se non cose lecite e giuste al cospetto di Dio. Queste parole adunque devono considerarsi come una norma universale per l'esaudimento della preghiera. Quanto pochi son quelli che comprendono ed esercitano i privilegi che Iddio concede alla preghiera, e come diverso sarebbe lo stato della Chiesa e del mondo se li intendessero e li praticassero!

PASSI PARALLELI

Matteo 7:7-11; 18:19; 21:22; Luca 11:9-13; 18:1-8; Giovanni 14:13; 15:7

Giovanni 16:23-27; Giacomo 1:5-6; 5:15-18; 1Giovanni 3:22; 5:14-15

Mc 11:25

25. E quando vi presenterete per fare orazione, se avete qualche cosa contro ad alcuno, rimettetegliela; acciocché il Padre vostro ch'è nei cieli vi rimetta anch'egli i vostri falli. 26. Ma, ne voi non perdonate, il Padre vostro ch'è nei cieli non vi perdonerà i vostri falli.

L'esortazione contenuta in questi versetti è già stata pronunziata da nostro Signore nel Sermone sul monte e nella parabola del Servo spietato, Vedi Note Matteo 5:23Matteo 5:23-24; Matteo 18:25Matteo 18:25. La sua ripetizione qui può considerarsi, in primo luogo, come un ammonimento specialmente indirizzato agli Apostoli, relativamente ai doni miracolosi che sarebbero concessi alla loro fede per mezzo della preghiera, che cioè questi doni non avevano da esercitarsi per vendicare offese private od anche pubblici insulti alla persona od alla religione di Cristo, come quando i figliuoli di Zebedeo volevano far scendere il fuoco dal cielo sopra i Samaritani Luca 9:54. Nostro Signore ricorda loro che la preghiera pei doni miracolosi, onde essere efficace, deve essere accompagnata da quelle stesse disposizioni morali che richiedonsi in ogni altra specie di preghiera, e specialmente dallo spirito del perdono, di cui può darsi benissimo che vedesse esser difetto in taluni di loro. Ma, senza dubbio, tale esortazione fu data anche ad insegnamento della Chiesa universale, per insegnare cioè ai cristiani di tutti i tempi che l'esser pronti a perdonare a quelli che ci hanno offeso è necessario a rendere accetta ogni preghiera, ed è tanto più indispensabile, quando maggiormente estendiamo i limiti dei nostri desiderii, chiedendo e con fiducia aspettando grandi cose da Dio. Colui che nega il perdono al suo fratello dimostra, per ciò stesso, ad evidenza, di non avere egli stesso ottenuto perdono da Dio, per quanto brillanti esser possano i suoi doni.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:7-11; 18:19; 21:22; Luca 11:9-13; 18:1-8; Giovanni 14:13; 15:7

Giovanni 16:23-27; Giacomo 1:5-6; 5:15-18; 1Giovanni 3:22; 5:14-15

RIFLESSIONI

1. Le parole: "egli ebbe fame" contengono una delle molte prove scritturali intorno alla vera e reale umanità del Signore Gesù. Egli aveva una natura e costituzione corporea simile alla nostra in tutte le cose, fuorché nel peccato. Poteva piangere e rallegrarsi e soffrir dolore, essere stanco e aver bisogno di riposo, aver sete e sentire il bisogno di bere, aver fame e provar quello del cibo. Espressioni come questa dovrebbero insegnarci la condiscendenza di Cristo. Come ci parrà meravigliosa questa condiscendenza, se consideriamo che Colui il quale acconsentì a soffrire la fame, mentre era nel mondo, è l'Iddio eterno che fece il mondo e quanto esso contiene. È questo un gran mistero! Una bontà e un amore come questi sopravanzano l'umano intendimento. Non è maraviglia che Paolo parli delle "non investigabili ricchezze di Cristo" Efesini 3:8. Espressioni come queste ci fanno certi della simpatia che Cristo sente per i suoi, in tutte le loro prove e sofferenze terrestri. Egli conosce, per propria esperienza, i foro dolori, e può esser commosso dal sentimento delle loro infermità. Egli ha assaggiato il patire, la debolezza, la stanchezza, la fame e la sete, in una parola, egli ha fatto l'esperienza soggetto dei duri patimenti cui possa andar soggetto il corpo dell'uomo. Quando gli parliamo di queste cose nelle nostro preghiere, egli sa quel che intendiamo e non è straniero alle nostre tribolazioni. Per certo è questo il Salvatore e l'amico che fa d'uopo alla povera, addolorata, gemente umanità!

2. Furono sollevate difficoltà veramente insussistenti perché Cristo si aspettava a trovar frutti sul fico quando dovea pur sapere che non ce n'erano. Ma la stessa difficoltà potrebbe sollevarsi intorno a quasi tutti i pensieri, i sentimenti e le azioni umane del nostro Signore, che cioè se egli possedeva la scienza divina e la potenza infinita, tali pensieri, sentimenti ed azioni non hanno potuto esser reali. Cotali difficoltà potrebbero pure, mettersi innanzi relativamente alla realtà della libertà e responsabilità umana, se è vero che

ogni cosa è sotto la suprema direzione del Signore di tutti. Si cessi adunque da siffatte vane speculazioni intorno a fatti che ogni animo ben regolato vede non implicare difficoltà pratica alcuna, sebbene il principio che giace in fondo ad esse oltrepassi per ora la portata della mente umana, e fors'anche d'ogni finita intelligenza.

3. L'essiccazione del fico non fu una ingannatrice dimostrazione di potenza!, senza utile risultato veruno, come i pretesi miracoli di Maometto e di altri falsi profeti; fu una potente operazione tipica, piena di profondi insegnamenti spirituali, insegnamenti di tale e tanta importanza, che ben potè giustificare la distruzione di una creatura inanimata di Dio, onde servisse ad impartirli. Ricordandoci di questo, non abbiamo maggior diritto di ridire su di essa che sulla offerta giornaliera di un agnello sotto la legge Mosaica. In quella offerta era tolta quotidianamente la vita di una creatura innocente e inoffensiva; ma il gran fine che si proponeva quell'atto, quello cioè di porle simbolicamente davanti agli occhi dell'uomo l'unico sacrifizio pel peccato, giustificava il torre la vita all'agnello. Nella stessa guisa appunto possiamo spiegarci che il nostro Signore togliesse la vita a quell'albero.

4. La miracolosa associazione di quest'albero si deve considerare come un supplemento della parabola del fico sterile Luca 13:6-9, che ne annunziava la condanna. Dal popolo ebreo il Signore era, alla lettera "venuto tre anni cercando del frutto e non trovandolo"; ogni mezzo aveva usato a renderlo fruttifero; e quanto l'anima sua si struggesse dal desiderio di trovare in essi i frutti della santità, possiamo argomentarlo dal suo pianto misericordioso sopra Gerusalemme, alla fine del suo ministerio terreno: "Oh! se tu ancora, almeno in questo giorno, avessi riconosciute le cose appartenenti alla tua pace, ma ora elleno son nascoste dagli occhi tuoi" Luca 19:42. "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, nella maniera che la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi è lasciata deserta" Matteo 23:37-38. E come, senza dubbio, l'essiccazione del fico precedette d'un certo lasso di tempo l'abbatterlo ed il gittarlo nel fuoco, così ci fu un considerevole intervallo nella storia della nazione giudaica tra la condanna pronunziata nei versetti testè citati, e la catastrofe finale, quando "l'ira venne sopra loro fino all'estremo" 1Tessalonicesi 2:16. E così è da temersi che anche adesso molti inaridiscano

prima che sian tagliati e gettati nel fuoco, e che vi sia un tempo determinato in cui è pronunziata la maledizione, ed in cui incomincia il deperimento che non può più arrestarsi. "Oh che gli uomini fossero pur savii, ed intendessero queste cose, e considerassero il lor fine!" Deuteronomio 32:29

5. Magnifici incoraggiamenti e promesse si trovano in questo passo per gli evangelizzatori ed i missionarii. Non è forse stata la promessa del ver. 23 così abbondantemente adempita nel passato da dissipare tutti i nostri timori intorno al futuro? Certamente quando si Pensa alle montagne che già furon tolte di mezzo e gettate nel mare dalla vittoriosa fede dei discepoli di Cristo, ai colossali paganesimi dell'antico mondo che son caduti davanti alla Chiesa di Cristo, ben si può dire delle superstizioni dei papismo, dell'ancor più gigantesca idolatria dell'India, e di qualunque siasi altro ostacolo ai trionfi della Croce: "Che sei tu, o gran monte davanti, a Zorobabel? tu sarai ridotto in piano" Zaccaria 4:7

6. Impariamo inoltre, da questi versetti, l'assoluta necessità di coltivare uno spirito di perdono inverso gli altri. Questa lezione ci è qui insegnata in modo assai rimarchevole. Non c'è connessione immediata tra l'importanza della fede di cui nostro Signore avea parlato dianzi e l'argomento del perdonare le ingiurie. Ma l'anello di congiunzione è la preghiera. Prima ci è detto che la fede è necessaria perché sieno esaudite le nostre preghiere, poi si aggiunge che non possono essere esaudite preghiere che vengano da un cuore che non perdoni. È questo un argomento a cui si presta meno attenzione di quel che merita. Le nostre preghiere devono essere non solo serie, fervorose, sincere e offerte nel nome di Cristo; ma devono soddisfare ad un'altra condizione ancora, devono provenire da un cuore che perdona. Noi non abbiamo alcun diritto di aspettarci misericordia se non siamo pronti ad usare anche noi misericordia ai nostri fratelli. Dobbiamo aver cuor di fratello verso il nostro prossimo sulla terra, se bramiamo che Dio sia il nostro Padre in cielo.

Mc 11:27

À

Marco 11:27-33. L'AUTORITÀ DI CRISTO MESSA IN DUBBIO. RAPPRESENTATI DEL SINEDRIO RIFIUTANO DI PRONUNZIARSI SULLA AUTORITÀ DEL BATTISTA Matteo 21:2327; Luca 20:1-8

Per la esposizione Vedi Matteo 21:23Matteo 21:23-27.

Mc 12:1

CAPO 12 - ANALISI

1. Parabola dei vignaiuoli scellerati. In continuazione alla risposta irrefutabile che avea data alla domanda dei rappresentanti del Sinedrio di mostrar loro le sue credenziali, Gesù dice questa parabola, in cui, sotto la figura dei vignaiuoli, espone la condotta dei Giudei, durante la loro esistenza come Chiesa, verso i profeti e i messaggieri dell'Altissimo e per ultimo, verso lui stesso, tra tutti il maggiore, intimando la distruzione che ben presto li coglierebbe e il trasferimento ai gentili di quei privilegi di cui essi avevano abusato. Con la citazione d'uno dei loro Salmi messianici Salmi 118:22, intima inoltre, che quantunque lo avessero rigettato, egli sarebbe, all'ultimo giorno, il loro giudice e il loro distruttore; la qual cosa eccitò tale una rabbia nei loro cuori che se non fosse stato il timore del popolo, che riveriva Gesù qual profeta, gli avrebber messe violentemente le mani addosso, in sull'istante e nel cortili stessi del tempio Marco 12:1-12.

2. Tentativi per avviluppare Cristo con questioni controverse. Costretti ad astenersi dalla violenza, i nemici di Cristo tentano ora di riuscire nel loro intento con l'astuzia, e, sotto colore di voler chiarirsi dei loro dubbi, si fanno innanzi successivamente in drappelli diversi per accalappiar Gesù con le loro domande. Per primi i Farisei e gli Erodiani, in altri tempi nemici giurati, si uniscono per domandargli se è lecito o no l'ubbidire ad n potere straniero e gentile e pagar tributo a Cesare, al che Cristo risponde con tanta sapienza da destare l'ammirazione degli stessi tentatori. Poi vengono i Sadducei e con animo schernitore cercano di mettere in dileggio la dottrina

della risurrezione, chiedendogli di porla d'accordo con un caso immaginario che avean pescato nella legge del Levirato Deuteronomio 25:5; ma non riescono nel bieco intento meglio dei loro predecessori. Gesù rimprovera la loro ignoranza intorno agli insegnamenti della Scrittura sulla risurrezione dei morti, e coglie quell'occasione per fare un'importantissima e vittoriosa dimostrazione di quella dottrina stessa. La terza questione fu proposta da uno Scriba o Dottore della legge, appartenente al partito farisaico, e si riferiva all'importanza relativa dei precetti di Dio, se cioè alcuno dei comandamenti di Dio fosse più sacro o più obbligatorio degli altri, e si ebbe tale risposta che non solo presentò il sommario e la sostanza di tutta la legge, ma riscosse eziandio l'ammirazione e l'assentimento dell'interrogante. "Il suo intendimento è infinito". "Egli parlò come niun uomo parlò mai!"

3. Gesù sfida i suoi nemici. Avendo così sventati i tentativi dei suoi nemici col rispondere a tutte le loro domande, Gesù passa ora dalla difesa all'attacco, proponendo alla sua volta una questione riguardante il significato d'una profezia messianica pronunziata da Davide, il vero senso della quale era stato corrotto o si era perduto di vista. La loro ignoranza della doppia relazione del Messia inverso Davide, come figliuolo secondo la carne, e come Signore per ragione della sua Divinità, fu messa così bene in chiaro che niuno degli astanti fu in caso di rispondere. Non è maraviglia quindi che il Signore, concludendo il suo discorso, ponesse in guardia il popolo contro gl'insegnamenti degli Scribi, ai quali, pel costante loro studio delle Scritture, dovea riuscir facilissima la soluzione di un tal quesito, ma che per la loro falsa dottrina e per la lor cupidigia e ipocrisia si erano resi siffattamente indegni di fiducia Marco 12:35-40.

4. I due piccioli della vedova. Fu questo non solo l'ultimo incidente di quella giornata memorabile, ma le parole pronunziate in lode della povera vedova furono, per quanto sappiamo dal racconto evangelico, le ultime che Gesù mai profferisse nel tempio. Il tesoro o la cassa delle offerte, in cui gli adoratori gettavano appunto le loro offerte pel mantenimento del servizio del tempio, era nell'ultimo cortile esterno o cortile delle donne; e siccome Gesù erasi seduto colà, proprio dirimpetto al tesoro, nel mentre si riposava alquanto, prima di rimettersi in cammino verso Betania, è naturale che ponesse mente alle diverse persone che gittavano là dentro le loro offerte.

Ce n'eran molti, a quel che pare, che davano generosamente; ma ciò era del loro superfluo, e quindi non costava loro alcun sacrifizio. La povera vedova, al contrario, si privò di tutto quanto avea, per farne offerta a Dio, e tenuto conto del grado d'amore, di devozione, e sacrifizio di lei, piuttostoché della somma da essa contribuita, il Signore ci dà la regola secondo la quale si deve giudicare il valore di ogni offerta pel servigio di Dio Marco 12:41-44.

Marco 12:1-12. PARABOLA DEI VIGNAIUOLI SCELLERATI Matteo 21:33-46; Luca 20:9-19

Per l'esposizione vedi Matteo 21:33Matteo 21:33-46.

Mc 12:13

Marco 12:13-34. TENTATIVI PER AVVILUPPARE CRISTO CON QUESTIONI CONTROVERSE Matteo 22:15-40; Luca 20:20-40

Tributo a Cesare, Marco 12:13-17

13. Poi gli mandarono alcuni dei Farisei, e degli Erodiani, acciocché lo cogliessero in parole.

La deputazione del Sinedrio ("principali Sacerdoti, Scribi e Anziani" Marco 11:27), pare si ritirasse, dopo aver udita la parabola dei vignaiuoli scellerati, per fare il suo rapporto, e quel corpo avendo risoluto di cambiare di tattica, si procedette subito all'esecuzione, convenendo le sette ostili di dimenticare pel momento le loro differenze e unirsi tutti per avviluppare Gesù con una serie di quesiti casuistici che gli avrebbero proposti. Che tale fosse il loro intento lo attestano gli altri due sinottici così chiaramente come il nostro Evangelista in questo versetto. Matteo: "I Farisei andarono e tennero consiglio come l'irreterebbero in parole". Luca: "E spiandolo, gli mandarono degli insidiatori che simulassero d'esser giusti, per soprapprenderlo in

parole, per darlo in man della signoria, e alla podestà del governatore", letteralmente consegnarlo all'autorità e al potere del governatore. Di queste spie che vennero simulando un vivo desiderio di veder dissipati i loro scrupoli religiosi, la prima squadra consisteva di Farisei ed Erodiani: quelli i bigotti oppositori d'ogni dominio pagano e forestiero, questi gli avvocati della Sottomissione al dominio di Roma di cui era strumento e vassallo il loro patrono Erode. (Vedi Introduzione, Sette Giudaiche.) Era un'empia alleanza, opera di Satana, e solo un odio ancor più fiero, più profondo, più diabolico di quello che si portavano l'uno all'altro quei due partiti, poteva renderla fattibile, anche per un'ora. Non è maraviglia che in tale faccenda, così degradante, ed ipocrita, il Sinedrio non volesse immischiarsi direttamente, ma sì ne commettesse l'esecuzione a strumenti subalterni.

PASSI PARALLELI

Salmi 38:12; 56:5-6; 140:5; Isaia 29:21; Geremia 18:18; Matteo 22:15-16; Luca 11:54

Luca 20:20-26

Marco 3:6; 8:15; Matteo 16:6

Mc 12:14

14. Ed essi, venuti, gli dissero: Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e che non ti curi di alcuno; perciocché tu non hai riguardo alla qualità delle persone degli uomini, ma insegni la via dì Dio in verità.

Luca, nel passo citato più sopra, li chiama "insidiatori che simulassero di essere giusti". Marco ce ne dà piena conferma, ricordando il tenore del loro linguaggio quando si accostarono a Gesù. Era un parlar lusinghiero, diretto a sopire i sospetti e a nascondere il loro vero intento onde disarmarlo e render più facile la sua caduta nelle loro insidie. La vile ipocrisia sia pur tutta di quelli che osarono rivolgere tali parole ad uno che stigmatizzavano come in lega con Satana e che, sebbene innocente, perseguitavano a morte; ma le

parole che essi usarono, prendendola ad imprestito dalla moltitudine illetterata, esprimono una grande verità e si applicano perfettamente al Salvatore. Gesù era davvero verace e indipendente nei suoi discorsi dall'influenza o dall'autorità degli altri; il rango, le ricchezze e il potere non potean farlo deviare da giusto giudizio, né ottenere da lui falsa lode, né imporre silenzio a meritati rimproveri; nella schiettezza del suo cuore egli insegnava la via di Dio in verità.

È egli lecito di dare il censo a Cesare, o no? glielo dobbiamo noi dare, o no?

censo = tributo Luca 20:22, era il testatico che si era sempre esatto dacché la Giudea era divenuta provincia dell'impero romano. È totalmente diverso dalla didramma, tassa di mezzo siclo pel servigio del tempio Matteo 17:24. I Farisei si opponevano a questa tassa, perché non intendevano il vero significato di un passo della legge levitica, riguardante la scelta volontaria di un sovrano, per parte dei Giudei medesimi Deuteronomio 17:15; ma il loro movente vero era la gelosia che sentivano per le loro proprie istituzioni, e l'altero orgoglio nato in essi dal supporsi tuttora il popolo prediletto di Dio. (Vedi Introduzione, Sette Giudaiche. Art. ERODIANI, ZELOTI.) Il regnante imperatore (A. D. 14-37) era Tiberio, figliastro e successore di Augusto, il quale aveva adottato il titolo di Cesare qual distintivo dei fregiati della porpora imperiale, nello stesso modo che in Egitto il titolo di Faraone avea servito a designare, i re nazionali, e quello di Tolomeo, quelli di origine greca, sicché qui equivale semplicemente ad imperatore. Gli assalitori formularono la loro domanda con la categorica brevità di un sì o no? artifiziosa maniera di presentarla, poiché esigeva una risposta breve ed esplicita, senza qualificazioni o spiegazioni.

PASSI PARALLELI

Marco 14:45; Salmi 12:2-4; 55:21; 120:2; Proverbi 26:23-26; Geremia 42:23,20

Giovanni 7:18; 2Corinzi 2:2,17; 4:1; 5:11; 1Tessalonicesi 2:4

Deuteronomio 33:9-10; 2Cronache 18:13; Isaia 50:7-9; Geremia 15:19-21; Ezechiele 2:6-7; Michea 3:8

2Corinzi 5:16; Galati 1:10; 2:6,11-14

Esodo 23:2-6; Deuteronomio 16:19; 2Cronache 19:7

Esdra 4:12-13; Nehemia 9:37; Matteo 17:25-27; 22:17; Luca 20:22; 23:2; Romani 13:6

Mc 12:15

15. Ma egli, conosciuta la loro ipocrisia

Ciascuno dei sinottici usa una parola diversa per esprimere quel che Gesù ebbe a discernere nei cuori dei suoi assalitori. L'epiteto usato da Marco, ipocrisia, è il più mite; l'astuzia di Luca aggiunge più fosca tinta al loro carattere; mentre la malizia di Matteo, l'odio mortale che nutrivano nei loro cuori contro di Cristo, ne completa il tetro ritratto.

disse loro: Perché mi tentate?

Matteo aggiunge: "O ipocriti". Con la sua risposta il Signore mostrò loro immediatamente ch'ei sapeva benissimo che, con siffatta domanda, essi lo tentavano, cioè cercavano accalappiarlo per perderlo. Le parole: "Perché mi tentate?" non son già una rimostranza o un lamento, ma un'intimazione della futilità completa di qualunque tentativo di tal genere.

portatemi un denaro,

È questa una delle molto occasioni in cui Marco introduce una delle parole latine che la occupazione romana aveva introdotto nella Giudea. Un denarius (= 80 centesimi), era l'ammontare di quel tributo, e si chiama così in Matteo 22:19

ch'io lo vegga.

Gesù non chiese di vedere la moneta, come s'ei non l'avesse, mai avuta in mano prima; ma perché sapeva che quando la moneta fosse lì visibile a tutti, la risposta ch'egli era per dare sarebbe senza replica.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:18; Luca 20:23; Giovanni 2:24-25; 21:17; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

Marco 10:2; Ezechiele 17:2; Atti 5:9; 1Corinzi 10:9

Mc 12:16

16. Ed essi gliel portarono.

Furono obbligati ad andare a procurarsene uno, e naturalmente ciò dovette risvegliar l'attenzione e la curiosità dell'uditorio che stava aspettando che cosa Gesù avrebbe fatto poi.

Ed egli disse loro: Di chi è questa figura, e questa soprascritta? Ed essi gli dissero: Di Cesare.

Era un dogma rabbinico notissimo che colui che coniava la moneta d'un paese ne era il dominatore. Così Maimonide (Gezelah 5:18), scrive: "Ubicunque numisma regis alicujus obtinet, illic incolae regem istum pro domino agnoscunt". Secondo questa teoria, null'altro occorreva che di accertare qual fosse la moneta corrente in Giudea a quel tempo, onde ottenere una risposta concludente alla domanda che gli era stata fatta, ed è perciò che Gesù vuole che gli assalitori medesimi proclamino apertamente di chi portasse l'immagine quella moneta, e quale epigrafe vi fosse impressa. Essi non si accorsero ove egli andasse a parare, inoltre era impossibile, sotto gli occhi di lui, dare una falsa descrizione di quel ch'era impresso sulla moneta, per quanta voglia ne avessero, laonde risposero: "Di Cesare". Con ciò la cosa era decisa. La moneta romana circolava liberamente nel paese; essi stessi non esitavano ad usarla in ogni affare e contrattazione ordinaria.

Se, come nazione, avessero resistito quando la si volle introdurre tra essi e si fossero sempre astenuti dallo usarla, ci sarebbe potuto essere almeno un pretesto per mettere in forse la legittimità del tributo che pagavasi al governo romano; ma, vivendo come facevano, sotto la protezione delle leggi dell'imperatore, e facendo ogni giorno uso della moneta di Roma, riconoscevano ch'esso era de facto il sovrano del paese, ed eran tenuti ad ubbidire alle domande legittime del suo governo.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:19-22; Luca 20:24-26; 2Timoteo 2:19; Apocalisse 3:12

Mc 12:17

17. E Gesù, rispondendo, disse loro: Rendete a Cesare le cose di Cesare,

Se avesse risposto di no alla loro domanda, avean sperato denunziarlo a Pilato qual ribelle contro Cesare; se avesse risposto di sì, speravano denunziarlo al popolo qual traditore inverso la legge e la libertà giudaica; ma dando alla sua risposta questa forma generale, Gesù rese impossibile l'oppugnarla, mentre al tempo stesso sventava la insidia. Questa non era la prima volta nella storia giudaica che, a cagione dei suoi peccati, il popolo teocratico era stato costretto a pagar tributo a re pagani. L'avean pagato ai Babilonesi, ai Persiani, agli Egizi e ad altri ancora, nei tempi antichi, ed ora che i loro peccati li avean di nuovo sottoposti al dominio dei Romani, perché trovarci a ridire in questo caso solamente? La spiegazione di ciò si trova nel fatto che il fanatismo giudaico ora andato sempre crescendo di generazione in generazione, e che ora s'avvicinava rapidamente al suo punto culminante, che raggiunse nella guerra coi Romani. Il Comando di rendere a Cesare "le cose" che appartengono a Cesare, dichiarava non solamente esser lecito ai Giudei il pagare il testatico, che, dalla costituzione dell'impero romano, ora imposto ad ogni cittadino, ma indicava inoltre manifestamente esservi altri doveri (come per esempio l'ubbidienza alla legge civile, la difesa dell'ordine e della moralità, in una parola tutte le obbligazioni del cittadino di uno

stato), i quali essi eran pur tenuti di rendere a Cesare, siccome cose che gli appartenevano.

e a Dio le cose di Dio.

Con le parole: "le cose di Dio" il Signore vuole evidentemente parlare prima di tutto della tassa di mezzo siclo pel mantenimento del servigio del tempio, comandata da Jehova medesimo Esodo 30:13. Il governo romano non si era per anco immischiato per nulla in questa tassa; fa solo più tardi che l'imperatore Vespasiano comandò che fosse pagata al Campidoglio invece che al Tempio. Nel mentre adunque che Gesù insegnò, con soddisfazione degli Erodiani, esser lecito ai vinti il pagare le tasse (necessarie alla continuazione del governo), di una potenza straniera e pagana, insegnò pur anche e non meno distintamente, con soddisfazione dei Farisei, non potersi addurre a pretesto alcuna tassa riscossa da una potenza terrena, onde esonerarsi da quel tributo che doveano a Dio; dimodoché nessuno dei due partiti poteva vantarsi del trionfo. In fondo alla risposta del Signore, v'era infatti un ben meritato rimprovero ad entrambi gli interrogatori. Se non fossero stati i loro peccati, per cui trascurarono di rendere a Dio il servigio, l'obbedienza e l'amore a lui dovuti, soldati romani non avrebber giammai invase le loro frontiere, né governatore romano alcuno si sarebbe mai seduto nell'aula del giudizio; essi non avrebbero avuto a pagare altro che il consueto tributo al tempio, ma ora invece, avevano da pagare due tasse, egualmente obbligatorie entrambe. Ma siccome "le cose di Cesare" implicavano di più che non il semplice testatico, "le cose di Dio", nella bocca del Salvatore, significano di più che non semplicemente il tributo del tempio; esse includono il cuore con le sue affezioni, la coscienza, la volontà, l'influenza, le ricchezze degli individui, tutte le obbligazioni e i doveri religiosi, in una parola la consacrazione a Dio di tutto intero l'uomo, del corpo non meno che dello spirito. Questa risposta del Salvatore non separa, ma invece unisce i doveri politici e quelli religiosi dei Cristiani Geremia 27:4-18; Romani 13:12; 1Pietro 2:13-14. I secondi comprendono i primi, e dànno ad essi il loro vero fondamento. L'obbedienza a Cesare non è che l'applicazione del principio generale di ubbidienza a Dio, da cui proviene ogni potestà. A un corollario evidente di questa risposta che la Chiesa e lo Stato, il sacro e il civile, hanno ciascuno la propria sfera d'azione, che l'uno

non dovrebbe intromettersi nella giurisdizione dell'altro, e che un vero Cristiano non solamente può, ma deve rendere onesto e imparziale servigio ad entrambi (Vedi sotto, Marco 12:34Marco 12:34, Riflessione 2).

Ed essi si maravigliarono di lui.

Luca aggiunge: "si tacquero"; Matteo: "e lasciatolo, se ne andarono". La sua risposta era così saggia e mise così bene a nudo la loro malvagità, che rese vano il loro intento e lasciolli impotenti a fare alcuna replica, dimodoché si ritirarono confusi e coperti di vergogna.

PASSI PARALLELI

Proverbi 24:21; Matteo 17:25-27; Romani 13:7; 1Pietro 2:17

Marco 12:30; Proverbi 23:26; Ecclesiaste 5:4-5 Malachia 1:6; Atti 4:19-20; Romani 6:13; 12:1

1Corinzi 6:19-20; 2Corinzi 5:14-15

Giobbe 5:12-13; Matteo 22:22,33,46; 1Corinzi 14:24-25

Mc 12:18

Domanda intorno alla risurrezione dei morti Marco 12:18-27

18. Poi vennero a lui dei Sadducei, i quali dicono che non vi è risurrezione; e lo domandarono, dicendo

(Vedi Sette Giudaiche, Art. SADDUCEI). Ritiratisi i Farisei, sottentrò loro tostamente un secondo drappello di nemici, i quali, non lasciandosi sgomentare dal fato dei loro predecessori, si spingono avanti fiduciosi di potere accalappiare Gesù. I Sadducei non aveano, insino allora, sostenuta una parte cospicua nelle file dell'opposizione, e ciò in conseguenza del poco

interesse che prendevano nelle cose religiose; ciò nondimeno, formavano un partito influente nel Sinedrio, ove si era inaugurata questa astuta politica di collegarsi, sebben nemici, contro un pericolo comune, e perciò non potevano, quand'anche l'avesser voluto, dispensarsi dal contribuire, per la parte loro, alla esecuzione di quella politica. Negando essi la dottrina della risurrezione dei morti, risolvettero di metterla in ridicolo col proporre a Gesù una questione, la quale, eran convinti, l'avrebbe impigliato in un dilemma senza risposta, ma che in realtà non fece che dimostrare la loro ignoranza.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:23-33; Luca 20:27-40

Atti 4:1-2; 23:6-9; 1Corinzi 15:13-18; 2Timoteo 2:18

Mc 12:19

19. Maestro, Mosè ci ha scritto, che se il fratello di alcuno muore, e lascia moglie senza figliuoli, il suo fratello prenda la sua moglie, e susciti progenie al suo fratello. 20. Vi erano sette fratelli; e il primo prese moglie; e, morendo, non lanciò progenie. 21. E il secondo la prese, e morì; ecc. 22. E tutti e sette la presero, e non lasciarono progenie; ultimamente, dopo tutti, morì anche la donna. 23. Nella risurrezione adunque, quando saranno risuscitati,

Le parole tra parentesi sono omesse da Tregelles, ma conservate da Lachmann e Tischendorf.

di chi di loro sarà ella moglie? conciossiaché tutti e sette l'abbiamo avuta per moglie.

La legge di Mosè proibiva espressamente, in regola generale, che alcuno sposasse la vedova del proprio fratello Levitico 18:16. C'era tuttavia un caso speciale previsto dalla legge detta dei Levirato, in cui questo matrimonio era

non solo legittimo ma obbligatorio. Il caso era che un fratello defunto non avesse lasciato famiglia, ed era scopo di quella legge l'impedire l'estinzione di alcuna delle famiglie appartenenti alle varie tribù, e l'alienazione d'alcuna parte de' suoi beni, il che sarebbe avvenuto quando la vedova si fosse rimaritata in un'altra tribù. Secondo la legge del Levirato, il più prossimo congiunto del defunto, quando fosse libero dai vincoli matrimoniali, era tenuto a sposare la vedova, a meno che non potesse addursi alcuna valida ragione in contrario, e il primogenito di tal matrimonio si aveva a considerare come figlio del primo marito, di cui doveva portare il nome ed ereditare i beni. Gli altri figli del secondo matrimonio ereditavano dai loro propri genitori Deuteronomio 25:5-10. Un esempio dell'operazione di questa legge è ricordato nella storia di Rut 4:3-11. Fondandosi su questa legge del Levirato, i Sadducei addussero un caso immaginario ed impossibile, in cui l'operazione sua si ripetesse nelle persone di sette fratelli, i quali tutti morissero senza prole, la vedova sopravvivendo all'ultimo marito, e poi gli domandano, con aria di trionfo: "Quando saranno risuscitati, di chi sarà ella la moglie?" come se così avessero ridotta la risurrezione ad absurdum. Nei Atti 23:8, è riportata così la credenza dei Sadducei: "I Sadducei dicono che non vi è risurrezione, né angeli, né spirito"; per conseguenza negavano l'immortalità dell'anima non meno che la risurrezione del corpo. Questo si ha da aver presente, essendo la risposta di nostro Signore diretta contro amendue questi errori.

PASSI PARALLELI

Genesi 38:8; Deuteronomio 25:5-10; Rut 4:5

Rut 1:11-13

Matteo 22:25-28; Luca 20:29-33

Mc 12:24

24. Ma Gesù, rispondendo, disse loro: Non errate voi (Matteo più precisamente: "Voi errate") per ciò che ignorate le scritture, e la potenza

di Dio?

L'errore che Gesù imputa ai Sadducei era un duplice errore, e non consiste già semplicemente, come credono alcuni, nella loro ignoranza della potenza di Dio che accompagna le Scritture 1Tessalonicesi 1:5; ma, primieramente, ignoranza delle Scritture, prodotta e dallo scarso studio di esse, e dalla mancanza di giusto intendimento di quel tanto che ne sapevano; e poi anche ignoranza della onnipotenza di Dio, a cui non possono fare ostacolo la morte e il sepolcro. Essi negavano, come molti l'hanno negato in seguito, che Iddio potesse risuscitare la polvere dispersa dei morti e formarne un nuovo corpo. Partendo da siffatta negazione, essi affermano non poter esser vera la dottrina della risurrezione, così opponendo, come fanno, per la maggior parte gl'increduli, la ragione alla rivelazione, e negando alla potenza infinita la ripetizione della energia dimostrata originariamente nella creazione dell'uomo. Facendo appello alle "Scritture" (cioè al canone dell'Antico Testamento, "Mosè, i Profeti ed i Salmi" Luca 24:4), Gesù dimostrò essere ivi contenuta la dottrina di uno stato futuro, che i Sadducei avrebbero dovuto credere semplicemente come fu rivelata, invece di aggiungervi il loro gratuito ed assurdo concetto che gli uomini debbano vivere nel cielo per ogni riguardo come quaggiù. I nemici della verità di Dio, nei tempi moderni, imitano in questo i Sadducei, perché, cercando di porre in non cale, ovvero di abbattere una dottrina della Bibbia, prima vi aggiungono una qualche loro propria falsità o assurdità e poi la mettono in ridicolo!

PASSI PARALLELI

Isaia 8:20; Geremia 8:7-9; Osea 6:6; 8:12; Matteo 22:29; Giovanni 5:39; 20:9; Atti 17:11

Romani 15:4; 2Timoteo 3:15-17

Giobbe 19:25-27; Isaia 25:8; 26:19; Ezechiele 37:1-14; Daniele 12:2; Osea 6:2; 13:14

Marco 10:27; Genesi 18:14; Geremia 32:17; Luca 1:37; Efesini 1:19; Filippesi 3:21

Mc 12:25

25. Perciocché, quando gli uomini saranno risuscitati dai morti, non prenderanno, né daran mogli;

Luca aggiunge: "Perciocché ancora non possono morire". Secondo tutti e tre i Vangeli sinottici Gesù usa quì non già il futuro ma il presente non prendono né dànno moglie; di più la controversia coi Sadducei si riferiva non solo alla risurrezione del corpo dal sepolcro, ma alla vita futura tutta intera; la parola "risurrezione" adunque, qual viene usata in questo passo deve includere tutta la vita dopo morte, sia quella dell'anima "assente dal corpo" 2Corinzi 5:8, "sia quella del risorto, corpo spirituale" 1Corinzi 15:44. A ciò corrisponde la prova che Gesù ricava dalla Scrittura; poiché esso dichiara espressamente di Abrahamo e degli altri patriarchi che "tutti vivono a Dio" Luca 20:38, sebbene non siano ancora partecipi della risurrezione del corpo. L'asserzione che, nello stato futuro, la umanità glorificata non muore più mai, e che l'uno e l'altro sesso non più contraggono tra loro matrimonio era sufficiente risposta ai Sadducei. I bisogni per cui fu istituito il matrimonio non esistono in cielo, e quindi n'è ignota l'usanza. Nessun rimedio contro le sregolatezze peccaminose può esser necessario laddove tutto è santità perfetta. Il matrimonio è il mezzo ordinato da Dio per perpetuare l'umana famiglia, ma siccome è da questo mondo che sono forniti gli umani abitatori dello stato celeste, e siccome la morte non può diradarne le file, così naturalmente non c'è più bisogno di matrimonio per rinnovarle, e per conseguenza cesserà questa ordinanza.

ma saranno come gli angeli,

(Gr. come angeli). Luca: "Conciossiaché sieno pari agli angeli". Ci sono molti punti di somiglianza tra gli angeli e i santi glorificati, come sarebbero la loro spiritualità, la loro santità, le loro gioie, gli impieghi loro; ma che l'eguaglianza sia o non sia assoluta sotto ogni rapporto, non abbiamo alcun

mezzo di conoscerlo, essendo muta la Scrittura su questo argomento. Nel caso presente però, non è necessario a spingere la somiglianza oltre i due punti allegati da nostro Signore per confutare l'obbiezione dei Sadducei, cioè la loro immortalità e l'assenza del rapporto matrimoniale. Luca aggiunge: "E son figliuoli di Dio, essendo figliuoli della risurrezione", cioè come risorti ad una esistenza imperitura, ed essendo così i figliuoli della immortalità del Padre loro Romani 8:21,23; 1Timoteo 6:16. "Le parole: 'Figliuoli di Dio'", dice Alford, "sono usate in senso metafisico, per denotare lo stato essenziale dei beati dopo la risurrezione, essi sono, per la loro risurrezione, essenzialmente partecipi della natura divina, e non possono quindi morire". Siccome adunque non c'è più matrimonio, né morte, né imperfezione nel cielo, ne segue che l'obbiezione allegata contro alla dottrina della risurrezione dai Sadducei, era un mero cavillo, e la loro difficoltà insormontabile, nel fatto, era priva di qualsiasi benché minimo fondamento.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:30; Luca 20:35-36; 1Corinzi 15:42-54; Ebrei 12:22-23; 1Giovanni 3:2

Mc 12:26

26. Ora, quant'è a' morti, ch'essi risuscitino, non avete voi letto nel libro di Mosè,

Cioè il Pentateuco, che, benché diviso in cinque diverse sezioni, è realmente un libro solo, chiamato "il libro della legge" Deuteronomio 31:26; Galati 3:10. Nostro Signore, con ciò ch'egli aveva rivelato intorno allo stato della risurrezione nel vers. precedente, avea provata la loro ignoranza della "potenza di Dio"; ora egli procede a convincere i suoi oppositori d'ignoranza intorno alle Scritture. Egli avrebbe potuto scegliere altri passi del Vecchio Testamento in prova della risurrezione, passi in cui tale dottrina appare più chiaramente agli occhi di ogni lettore, come sarebbero Giobbe 19:25; Salmi

16:10-11; 17:15; Ezechiele 37:1-10; Daniele 12:2; ma prescelse questo passo dagli scritti di Mosè, in parte a cagione della speciale riverenza che avean per esso i Sadducei, e in parte perché avean fondata la loro obiezione sopra una delle leggi che Mosè aveva date ai loro padri, come volesse dire: "Voi citate Mosè per sostenere il vostro diniego della risurrezione, ma io vi confonderò per la stessa sua bocca". Dall'avere nostro Signore scelto questo passo preferibilmente ad alcuno degli altri succitati, Tertulliano e Girolamo concludono che i Sadducei riconoscevano solamente i cinque libri di Mosè; ma una tal idea, che prevalse per lungo tempo, fu trovata insussistente, in quantoché i Sadducei ammettevano la canonicità di tutti i libri dell'Antico Testamento, differendo dai Farisei solo nel rigettare la legge orale o tradizionale, ammessa da questi. Vedi le Sette Giudaiche. Art. SADDUCEI.

come Iddio gli parlò nel pruno,

La citazione è dall'Esodo 3:6, e nostro Signore testimonia così l'origine Mosaica e l'autorità divina dello scritto da cui è derivato. La persona che in tale occasione parlò a Mosè fu "l'Angelo del Signore", e tuttavia reclama per sé gli omaggi dovuti a Dio, dichiara espressamente di esser Jehova l'Iddio di Abrahamo, ecc. C'era uno soltanto che potesse far ciò legittimamente e senza bestemmia, e questi era Colui che parlava in quel punto ai Sadducei; il quale, nei tempi antichi, apparì ai patriarchi come l'Angelo di Jehova, e intorno al quale Malachia (l'ultimo dei profeti), profetizzò, "Subito il Signore il quale voi cercate e l'Angelo del Patto il quale voi desiderate verrà nel suo tempio" Malachia3:1

dicendo: Io son l'Iddio d'Abrahamo, l'Iddio d'Isacco, e l'Iddio di Giacobbe? 27. Iddio non è Dio de' morti, ma Dio de' viventi. Voi adunque errate grandemente.

Il secondo "Dio" nel vers. 27, è escluso in generale dai critici come un'aggiunta al testo genuino. Tale omissione non altera menomamente il senso del vers. il quale dichiara che Jehova, il quale si rivela a Mosè come il "Vivente", deve essere l'Iddio dei viventi e non dei morti annichilati. L'anello di congiunzione tra le premesse del vers. 26 e questa conclusione

sembra, a prima vista, tutt'altro che manifesto. Due obiezioni furono mosse contro il passo dell'Esodo come una prova della risurrezione,

1. Che le parole di esso, nel loro ovvio significato, indicano soltanto che quel che Iddio era stato inverso ai padri avrebbe continuato ad esserlo inverso ai loro figliuoli; e

2. Che quand'anche questo passo presupponga necessariamente la continuazione della esistenza dei patriarchi, esso prova soltanto l'immortalità dell'anima e non la, risurrezione del corpo.

A meno che possa dimostrarsi che il significato ovvio dell'Esodo 3:6, esclude la possibilità dell'insegnamento ancor più profondo che Gesù, quale gran Profeta della sua Chiesa, ne deduce, la prima obiezione è senza fondamento. La seconda è annichilata dal fatto che si è precisamente con la dottrina dell'immortalità delle anime che nostro Signore insegna qui la risurrezione del corpo. La risposta di Cristo ai Sadducei fu piuttosto generale che specifica; essa mirava alla radice della loro incredulità piuttostoché a quel ramo particolare di essa che gli era presentata in quel punto. Costoro non credevano la risurrezione del corpo perché non credevano l'immortalità dell'anima. Queste due cose erano talmente inseparabili nella mente loro che dovevano o ammettersi entrambe o entrambe negarsi. Se fosse dimostrata indubitabilmente la maggiore delle due proposizioni, cioè che l'anima soppravvive alla dissoluzione del corpo, veniva così a mancare la base medesima su cui si fondava la negazione della risurrezione dei corpi. E perciò è diretto a tal fine l'insegnamento del Signore in questi versetti. Quantunque fosse già più di un secolo che, nella caverna di Macpela, Giacobbe dormiva, e più di 300 anni che vi dormiva Abrahamo, pure Gesù li dichiara entrambi viventi allorquando Jehova parlò a Mosè dal cespuglio ardente, dicendo: "Io sono l'Iddio di Abrahamo, l'Iddio di Isacco e l'Iddio di Giacobbe". Il fondamento su cui è basata questa asserzione e incontrovertibile. L'Iddio eterno avea stretto con loro il patto di essere il loro Dio in perpetuo; se un tal patto era immutabile, essi dovevano necessariamente, perché ne fossero adempite le condizioni, vivere in perpetuo; ma se, giusta la dottrina dei Sadducei, venivano annichilati nell'ora della morte, quel patto, invece di essere lo statuto dei privilegi

d'Israele, e insieme dei privilegi del mondo, per mezzo della progenie di Abramo, era invece una delusione, e il Dio della verità diveniva un bugiardo. I Sadducei, non erano empii al punto da accettare quest'ultima conclusione, ed erano quindi costretti ad ammettere la prima, essere cioè così peculiare, intimo e benigno il patto stretto tra Dio e quei patriarchi defunti, da precludere ogni possibilità che l'anima o il corpo avesse a perire, e da implicare, per necessaria conseguenza, l'immortalità dell'una e la risurrezione dell'altro. Se le anime dei patriarchi dovean vivere in perpetuo, dovea necessariamente conseguitarne la risurrezione dei corpi; imperocché senza di questi non sarebbe stata completa l'umanità glorificata di essi. Questa autorevole dichiarazione del significato delle parole di Jehova a Mosè fece ammutolire, se pure non convinse i Sadducei, e Luca ci dice che riscosse il plauso degli gli Scribi che eran lì presenti. "Ed alcuni degli Scribi gli fecero motto, e dissero: Maestro, bene hai detto".

PASSI PARALLELI

Marco 12:10; Matteo 22:31-32

Esodo 3:2-6,16; Luca 20:37; Atti 7:30-32

Genesi 17:7-8; 26:24; 28:13; 31:42; 32:9; 33:20

Isaia 41:8-10; Romani 4:17; 14:9; Ebrei 11:13-16

Marco 12:24; Proverbi 19:27; Ebrei 3:10

Mc 12:28

Il gran Comandamento, Marco 12:28-34

28. Allora uno degli Scribi, avendoli uditi disputare, e riconoscendo ch'egli avea risposto bene, si accostò, e lo domandò: Quale è il primo comandamento di tutti?

Matteo: "E i Farisei, udito ch'egli avea chiusa la bocca a' Sadducei, si raunarono insieme. E un dottor della legge lo domandò tentandolo e dicendo: Maestro, quale è il maggior comandamento?" Questo è il terzo attacco che fu mosso a Gesù in quel giorno, e procede dai Farisei soli, o, parlando più esattamente, dagli Scribi che appartenevano a quel partito. Molti scrittori negano che questo Scriba fosse animato da alcun maligno sentimento inverso Gesù, ma in presenza della testimonianza di Matteo, che questa domanda, come la precedente, fu fatta espressamente tentandolo, è impossibile accettare una simile teoria; e ciò più specialmente in quantoché taluni di questi scrittori confessano candidamente che "se la risposta fosse stata erronea, senza alcun dubbio se ne sarebbero valsi a suo danno". La tentazione contenuta in questa domanda non era così pericolosa come quella che avean presentata congiuntamente i Farisei e gli Erodiani; ma, riferendosi ad argomento calorosamente controverso tra, gli Scribi medesimi, implicava la perdita della riputazione di savio espositore delle leggi agli occhi dell'uno o dell'altro dei partiti, se non pure il sospetto di grave errore nel preferire taluni precetti a tutti gli altri. Lo Scriba non domandava a Gesù di decidere fra la legge scritta e la legge orale, fra i comandamenti negativi ed i positivi, od anche fra i diversi precetti del Decalogo; ma voleva ch'ei decidesse quale comandamento, in tutto quanto il corpo della legge scritta da Mosè, sì morale che cerimoniale, fosse il più importante. "Se", dicean essi, "Mosè ci ha ingiunto 365 proibizioni e 248 comandamenti, in tutto 613 diversi precetti ed ordinanze, del sicuro non possono esser tutti d'eguale importanza, né la trasgressione dell'uno piuttosto che dell'altro essere della medesima gravità. C'è alcuno di questi comandamenti che abbia diritto alla preeminenza su tutti gli altri? E se è così, qual è questo comandamento?" Su tale questione i dottori erano divisi tra loro. Le leggi intorno ai sacrifizii, intorno al Sabbato, intorno alla confessione di Dio, come è contenuta nel Deuteronomio 6:4; intorno alla circoncisione; intorno alle lavande e purificazioni; intorno alle filatterie e molto altre cose, avean ciascuna i suoi caldi e arrabbiati partigiani e la tentazione stava precisamente nella impossibilità in cui volean porre Gesù di profferire una decisione qualsiasi, senza offendere agli uni o gli altri.

PASSI PARALLELI

Matteo 22:34-40

Matteo 5:19; 19:18; 23:23; Luca 11:42

Mc 12:29

29. E Gesù gli rispose: Il primo di tutti i comandamenti è: Ascolta, Israele: il Signore Iddio nostro è l'unico Signore;

Questo ogni Giudeo divoto lo ripeteva due volte al giorno, e i Giudei continuano a ripeterlo insino ad oggi; così perseverando nella grande lor protesta nazionale contro il politeismo e il panteismo del mondo gentile. A la gran confessione della loro fede nazionale nel Dio vivente e personale.

PASSI PARALLELI

Marco 12:32-33; Deuteronomio 6:4; 10:12; 30:6; Proverbi 23:26; Matteo 10:37; Luca 10:27; 1Timoteo 1:5

Mc 12:30

30. E ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l'anima tua, e con tutta la mente tua, e con tutta la tua forza. Quest'è il primo comandamento.

Matteo cita dal Deuteronomio 6:5, soltanto il comandamento, ma Marco cita tutto quanto il passo; solo che invece di mantenere l'ordine esatto del testo ebraico: la mente, l'anima, la forza, introduce il cuore, in aggiunta a per mettere sempre più in evidenza quel che esprime nel Deuteronomio e sostituisce la parola la forza. Secondo l'Olshausen "la parola, nell'originale, si riferisce all'energia della volontà a cui si riferisce pur anche mentre denota il principio riflessivo e il principio sensitivo nell'uomo". Senonché non occorre che ci proviamo qui a distinguere esattamente tra il cuore, l'anima e la mente, essendo ovvio che questi sinonimi son quì accumulati

per esaurire l'idea dell'uomo intiero, tutte le sue potenze e i suoi affetti. Gesù, in questa risposta, dichiara distintamente esservi un comandamento d'importanza più profonda, d'obbligo più stringente degli altri tutti, sui quali deve avere più manifestamente la precedenza, e quell'uno esser l'amare Iddio con tutta la forza e l'energia del nostro essere. Ma quando segnala l'amare Iddio come il primo e il più grande dei comandamenti, non lo fa come se fosse un comandamento isolato, contraddistinto dagli altri e più alto di essi solamente nel grado. Per lo contrario, l'amare Iddio è il comandamento che abbraccia e comprende tutti gli altri; e tutta quanta la legge non è che l'espansione delle parole: "Ama il Signore Iddio tuo!" È il primo e il maggiore dei comandamenti, perché abbraccia tutti quanti i doveri dell'uomo, e perché, ove sia impiantato nel cuore, produrrà l'ubbidienza a tutti gli altri comandamenti di Dio. Si osservi che mentre Iddio c'impone l'obbligo di amarlo, l'uomo porta in sé la capacità di dedicare tutto il proprio essere e le proprie facoltà a questo oggetto sublime. Una tale consecrazione però si fa effettivamente solo quando la grazia divina opera efficacemente nel cuore, cosicché, mentre il non amare Iddio è una colpa, l'amarlo non è merito alcuno.

Mc 12:31

31. Ed il secondo, simile, è questo:

E il secondo è simile ad esso: Come l'amor supremo ed intenso verso Dio è il sommario e la sostanza della prima tavola della legge, così l'amore è anche il compimento della seconda tavola che ha per oggetto i nostri simili. È in tal guisa che il secondo comandamento è simile al primo. Il primo amore include, sostiene e modula il secondo. Il primo comandamento non si può osservare quando si trasgredisca il secondo, né si può osservare il secondo, nel suo vero senso, quando il primo sia trasgredito. "Se alcuno dice: io amo Iddio, ed odia il suo fratello è bugiardo" 1Giovanni 4:20

Ama il tuo prossimo come te stesso.

Si osservi che nostro Signore non aggiunge per riguardo all'amore del nostro prossimo o di noi stessi, "con tutto il cuore e con tutta l'anima e con tutte le forze e con tutta la mente", e con ciò è virtualmente condannato ogni amore idolatra di sé, ogni culto della creatura ed ogni eccessivo amore mondano. La norma che ci è posta dinanzi per l'amore del nostro prossimo è quella che è prescritta per l'amore di noi stessi. L'amare noi stessi supremamente ci è proibito, imperocché non è compatibile con l'amor supremo dovuto a Dio; tuttavia l'amor di sé, in quanto è principio originario nelle nostre nature Efesini 5:29, e quindi non soggetto ai capricci della volontà, è fatto saviamente la norma dell'amor degli uomini l'un verso l'altro, altrimenti questi rimarrebbe sempre assai inferiore a quell'interessamento che ognuno sente pel suo proprio benessere. La "regola aurea" Matteo 7:12, è fatta qui il nostro migliore interprete della natura e dell'estensione dei diritti del nostro prossimo sopra di noi. Noi dobbiamo amare tutto l'uman genere così sinceramente come noi stessi, e con quella stessa prontezza d'agire e soffrire per loro che potremmo ragionevolmente aspettarci da loro. Ohimè! quale abisso tra il nostro dovere come è qui esposto dall'Interprete infallibile della legge di Dio, e la nostra pratica giornaliera.

Non vi è altro comandamento maggior di questi.

Matteo: "Da questi due comandamenti dipendono tutta a legge e i profeti". Paolo esprime la stessa verità con queste parole: "L'adempimento adunque della legge è la carità" Romani 13:10. In questa risposta del Salvatore abbiamo, in compendio, tutta la legge dei doveri umani. Ella è così semplice che può intenderla un fanciullo, così breve che ognuno può ricordarla, così comprensiva da abbracciare tutti i casi possibili, ed è per sua natura immutabile. È impossibile che Iddio richiegga dalle sue creature ragionevoli meno di questo o in sostanza altro che questo, sotto qualunque dispensazione, in qualsiasi mondo e in qualsivoglia periodo del tempo presente o della eternità. Eppure questo sommario incomparabile della legge divina apparteneva alla religione ebraica e ci fornisce una prova incontrovertibile della divina origine di questa.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:13; Matteo 7:12; 19:18-19; 22:39; Luca 10:27,36-37; Romani 13:8-9

1Corinzi 13:4-8; Galati 5:14; Giacomo 2:8-13; 1Giovanni 3:17-19; 4:7-8,21

Mc 12:32

32. E lo Scriba gli disse: Maestro, bene hai detto secondo verità, che vi è un solo Iddio, e che fuor di lui non ve n'è alcun altro;

La parola "bene" non è mero pleonasmo, o parola di collegamento in principio di frase, ma è avverbio enfatico, che equivale in questo luogo ad eccellentemente o mirabilmente. I critici scettici rappresentano Matteo e Marco come se differissero l'un dall'altro nell'apprezzamento di questo Scriba, quegli trattandolo dal principio alla fine come un nemico e questi come un amico. Ma in questo notevolissimo incidente uno dei tratti più rimarchevoli è per l'appunto l'effetto prodotto sullo Scriba medesimo dalla risposta del Salvatore, il cangiamento del suo sentire quando trovò com'ella coincidesse completamente con le vedute a cui egli medesimo era pervenuto in seguito a lunghi e penosi studi. Nulla potrebbe essere più fedelmente conforme alla natura umana che l'aspetto che ci presentano di quest'uomo i due Evangelisti. Sebbene dapprima fosse stato un tentatore, pur rimase così incantato all'udire espresse con tanta chiarezza quelle vedute medesime ch'ei s'era formate, con tanto travaglio, in mezzo alle tenebre di un culto meramente cerimoniale, che non potè ristarsi dallo esprimere altamente la propria ammirazione.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 4:39; 5:7; 6:4; Isaia 44:8; 45:5-6,14,18,21-22; 46:9; Geremia 10:10-12

Mc 12:33

33. E che amarlo con tutto il cuore, e con tutta la mente, e con tutta l'anima e con tutta la forza; ed amare il suo prossimo come se stesso, è più che tutti gli olocausti, e sacrificii.

Gli olocausti ed i sacrifizii sono menzionati quì come le parti più importanti del rituale levitico, quelle a cui gli osservatori della mera lettera della legge davano tutta la loro attenzione. Lo Scriba adunque dichiara che l'amare Iddio supremamente e il prossimo nostro come noi stessi è di maggiore importanza intrinseca e più accetto a Dio che non tutte le istituzioni positive, e mostra in tal modo d'aver compresa la differenza essenziale tra ciò che è morale e per sua natura immutabile, e ciò che è obbligatorio soltanto perché è ingiunto, e rimane soltanto finché continua l'ingiunzione. La alacrità, il calore, il vigore di questa risposta dicono abbastanza quanto fosse intenso il convincimento di cui era l'espressione. Nato e cresciuto in un paese ove prevalevano altri e ben diversi sentimenti, egli era giunto, ciò nonpertanto, a vedere l'inutilità delle pratiche meramente cerimoniali se erano disgiunte da quel sentimento interno del cuore che solo poteva vivificarle, e ben possiamo meravigliarci del concetto chiaro e giusto dell'importanza relativa del morale e del cerimoniale a cui era pervenuto. Quanta rassomiglianza nell'effetto prodotto, rispettivamente sui loro seguaci, dal cerimonialismo ebraico e dal papista, culminanti l'uno e l'altro in grossolana superstizione materiale, ovvero nelle crude, ignare, antifilosofiche conclusioni del libero pensatore! Come pochi son quelli che, nei paesi papali, hanno imparato come questo Scriba, "che l'amare Iddio con tutto il cuore e con tutta la mente, e con tutta l'anima e con tutta la forza, e l'amare il suo prossimo come sé stesso è più che tutti gli olocausti e sacrifizii!"

Mc 12:34

34. E Gesù, veggendo ch'egli avea avvedutamente

intelligentemente, con intendimento.

risposto, gli disse: Tu non sei lontano dal regno di Dio.

Sebbene quest'uomo fosse progredito tanto più avanti della maggioranza dei suoi compatrioti, e era una cosa di cui mancava tuttora. Egli sentiva quanto fosse vuota un'ubbidienza meramente cerimoniale della legge, ma non era ancor giunto a vedere tutto quello che richiedeva il primo e grande comandamento, né a sentire quanto ei fosse lontano dall'osservarlo, od anche, se osservato l'avesse (come si proponeva di fare), quanto l'osservanza di esso fosse impotente a giustificare il peccatore davanti al tribunale di Dio. Gli mancava "il cuor rotto e contrito" e la cognizione di Colui che è "il fin della legge in giustizia ad ogni credente" Romani 10:4. È per questo riguardo che Gesù non dice altro che questo: "Tu non sei lontano dal regno di Dio". La sua professione di fede era giusta per quel che diceva, ma non diceva abbastanza; sicché quelle parole di Gesù contengono un avvertimento di accostarsi ancor più dappresso se voleva esser certo di entrare nel regno, anziché una commendazione di uno che certamente entrerebbe. Egli era ormai così vicino all'ubbidienza della fede, che afferrava il principio e lo spirito del comandamento divino, un sol passo di più ed avrebbe scoperto con Paolo che "il comandamento è santo e giusto e buono", ma che egli stesso era il carnale, venduto sotto al peccato, e si sarebbe unito a lui nello esclamare: "Misero me uomo! chi mi trarrà di questo corpo di morte? Io rendo grazie a Dio per Gesù Cristo nostro Salvatore" Romani 7:24-25. Intorno alla sorte di quest'uomo, siamo lasciati incerti se fosse poi annoverato tra i "nati dall'alto" nel giorno della Pentecoste, ovvero se, nonostante l'esser così vicino, non entrasse giammai nel regno.

E niuno ardiva più fargli alcuna domanda.

cioè dello stesso carattere della precedente, con l'animo di tentarlo, essendo ormai convinti che siffatti tentativi erano tutti inutili. "Niun uomo parlò giammai come costui" Giovanni 7:46

PASSI PARALLELI

Osea 6:6; Amos 5:21-24; Michea 6:6-8; Matteo 9:13; 12:7; 1Corinzi 13:1-3

RIFLESSIONI

1. Guardiamoci dal lasciarci ingannare e sedurre dall'adulazione. Parole più dolci e melate di quelle con cui i Farisei e gli Erodiani si accostarono a Cristo, non avrebber potuto trovarsi, nondimeno costoro proponevansi la sua rovina: "Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e che insegni la via di Dio in verità, e che non ti curi d'alcuno: perciocché tu non riguardi alla qualità delle persone degli uomini" (Matteo). Per la conoscenza che avevano della natura umana, essi calcolavano, con quelle blandizie e con quei bei discorsi; insinuarsi per modo nell'animo di Gesù che questi, smesso ogni sospetto, più non si tenesse in guardia, e speravano che riuscirebbe loro tanto più agevole d'averne vittoria. A loro si potrebbero applicare a puntino quelle parole di Davide: "Le lor bocche son più dolci che burro, ma ne' cuori loro vi è guerra; le loro parole sono più morbide che l'olio, ma sono tante coltellate" Salmi 55:22. Ma Gesù leggeva nei pensieri più riposti del loro cuore, e non fu tratto in inganno. A quanti si professano Cristiani si conviene stare in guardia contro l'adulazione. Siamo in grande errore se supponiamo che la persecuzione e i maltrattamenti siano le sole armi dell'arsenale di Satana. L'astuto avversario ha altre macchine a nostro danno e ben s'intende a maneggiarle. Ei sa come far prigioni le anime, seducendole con le blandizie del mondo, quando non riesce ad atterrirle col dardo infocato e con la spada. Non lasciamoci adunque sorprendere dalle sue arti. Satana non è mai tanto pericoloso come quando appare sotto l'aspetto d'angelo di luce. Il mondo non è mai così pericoloso pel Cristiano come quando gli sorride. Ben fa il credente che rimane fermo contro il cipiglio del mondo, ma fa ancor meglio colui che è sordo alle sue lusinghe.

2. La risposta data da Cristo ai Farisei e agli Erodiani è un aforisma d'infinita sapienza che è divenuto proverbiale. Vi sono cose che appartengono esclusivamente a Dio, e vi sono cose che appartengono a Cesare, cioè al magistrato civile; né le une dovrebbero intromettersi nelle altre, come purtroppo accade non di rado. Alle une si può provvedere e soddisfare pienamente senza menomare le altre o invaderne il campo. Nelle cose di Dio, ossia della coscienza, non è lecito subir la legge dell'uomo Daniele 3:13-18; 6:7-16; Atti 4:19; 5:29; nel mentre che, obbedendo e onorando Cesare nella sua propria sfera, rendiamo ubbidienza a Dio

medesimo. La formola tanto in voga ai nostri giorni ed in Italia più che altrove: "Libera Chiesa in libero Stato" è l'espressione del desiderio di separare le cose di Dio e quelle di Cesare; ma sì gli uomini di Stato che il popolo hanno ancor da imparare il principio primordiale su cui Chiesa e Stato devono poggiare se vogliono cooperare armonicamente. Fino a tanto che la Chiesa papale rimane un sistema politico, che s'intromette, sotto pretesto di religione, tra il magistrato civile ed i suoi sudditi, lo Stato non può giammai esser libero; e fino a tanto che lo Stato esercita un controllo sulla Chiesa (come è naturale che l'eserciti, finché paga il pontefice e il clero), la libertà della Chiesa ne resta menomata.

3. In quegli argomenti che superano le attuali nostre cognizioni, come la risurrezione dei morti l'autorità delle Scritture deve decidere ogni cosa e per tutto le difficoltà che sorgono dagli insegnamenti di esse su questa ed altre materie somiglianti, conviene, come qui, rimettersene alla "potenza di Dio". Norma questa opportunissima a' nostri giorni, in cui le difficoltà fisiche che incontra qualunque risurrezione corporea dei morti, ne hanno pressoché annichilata la fede nelle menti di molti cultori della scienza. Mentre le Scritture devono essere l'unica regola di fede pel Cristiani su questo argomento, impariamo a rimettercene per qualunque difficoltà si trovi nel creder la loro testimonianza alla "potenza di Dio", che compie tutto quello ch'egli promette. In quanto poi alla difficoltà con cui i Sadducei tentarono nostro Signore, la difficoltà cioè di conciliare lo stato che segue la risurrezione coi vincoli di parentela contratti nella vita presente, la sua risposta non solo la scioglie interamente, ma solleva pur un canto del velo che ci nasconde l'avvenire e ci permette di gettare uno sguardo sullo stato dei redenti nel cielo. La difficoltà dei Sadducei proveniva dal supporre che, ammessa la risurrezione, si dovesse ammettere la ricomparsa delle relazioni matrimoniali della vita presente. Era questo uno di quei grossolani concetti della vita futura a cui sembrano proclivi, anche oggidì alcune menti. La vita futura dei figliuoli di Dio, come sarà senza peccato così sarà esente da morte. Siccome il matrimonio è destinato a riempire qui le lacune fatte nella umanità dalla morte, non è più necessario in uno stato in cui morte non è. Questo suppone che nuove e più alte leggi governeranno il loro sistema fisico, alle quali sarà adatto l'elemento più puro in cui si moveranno. Per riguardo a questa vita indefettibile, saranno allo stesso livello degli angeli;

saranno un riflesso, per quanto debole e smorto, dell'immortalità medesima del Padre loro. Tuttavia sì ha da por mente che, il corpo spirituale o risorto è pur sempre sostanzialmente l'identico corpo che portiamo ora, e dobbiamo guardarci bene dallo etearizzarlo così da far consistere lo stato della risurrezione in poco più che l'immortalità dell'anima.

4. In questo passo abbiamo una prova notevole della verità storica e della ispirazione del Pentateuco. Se non fosse stato ispirato divinamente, nostro Signore non avrebbe mai scelto da esso la sua prova della risurrezione, mentre avrebbe potuto trarne delle altre più dirette dagli scritti dei profeti. E questo s'imprima profondamente nella nostra memoria, in questi giorni in cui il Pentateuco è così fieramente assalito dagli scettici e dagli increduli. La ragione per cui nostro Signore prescelse di trarre da esso la sua prova della risurrezione non fu già soltanto la venerazione degli Ebrei pei patriarchi e per gli scritti di Mosè; ma fu, senza dubbio, ch'ei volle eziandio incoraggiarci a penetrar più addentro nella Scrittura, e a prendere le parole stesse di Dio nel loro significato più comprensivo. E non potrebbe darsi ancora ch'egli volesse somministrare a noi, che viviamo sotto la dispensazione del Nuovo Testamento, una prova che gli Ebrei avevano più estesa conoscenza delle verità essenziali della religione che noi non sogliamo attribuirla ad essi? Quando Il Signore disse a Mosè: "Io sono l'Iddio di Abrahamo, e l'Iddio d'Isacco, e l'Iddio di Giacobbe", potrebbe sembrare che volesse dire semplicemente di non aver dimenticato le promesse ch'egli avea fatte, secoli prima, a quei patriarchi, di cui Dio egli era mentre essi vivevano. Ma dal modo in cui il nostro Signore leggeva e vuol che noi pure leggiamo queste parole, è evidente che il loro scopo era di accertare Mosè che egli ed i patriarchi, quantunque questi ultimi fossero morti, stavano sempre nella stessa relazione gli uni coll'altro e che siccome "essi tutti vivono a Lui", così Egli si tiene vincolato dal suo patto con loro.

5. Il lettore intelligente del Nuovo Testamento non mancherà di osservare che nelle descrizioni del mondo futuro, la "vita" fosse pure una vita di miseria, non è mai ascritta ai malvagi, qual porzione loro. Che esistano per sempre non è che troppo chiaro. Che risorgeranno al pari dei giusti, è dichiarato esplicitamente, ma non mai "dai morti", come se risorgessero per vivere. Essi "usciranno in risurrezione di condannazione" Giovanni 5:29,

appunto come nell'Antico Testamento è detto che "si risveglieranno a vituperii e ad infamia eterna" Daniele 12:2. Ma la parola "vita" come esprimente lo stato futuro, è riservata invariabilmente per descrivere la condizione dei santi. Perciò, quando nostro Signore dice quì: "conciossiaché tutti vivano a Lui", potremmo concludere, quand'anche non fosse chiaro dal contesto, ch'egli volea dire "tutti i suoi santi", tutti "i morti che muoiono nel Signore", e soltanto essi.

6. Quanti errori in religione non sono da attribuirsi alla ignoranza della Bibbia! Nostro Signore ne mosse accusa ai Sadducei: "Voi errate non intendendo le Scritture". La verità di questo principio è provata dai fatti in quasi ogni età della storia della Chiesa. Le false dottrine degli Ebrei al tempo di nostro Signore erano il risultato del porre in non cale le Scritture. I secoli tenebrosi del Medio Evo furon tempi in cui la Bibbia fu tenuta nascosta al popolo. La riforma protestante si effettuò principalmente col tradurre e porre in circolazione la Bibbia. Le Chiese che son più fiorenti al giorno d'oggi son quelle in cui maggiormente si onora la Bibbia. Che queste considerazioni c'imprimano nelle nostre menti e portino frutto nelle nostre vite!

7. Alla luce del "gran comandamento" che penserem noi di quelli che parlano del Pentateuco come non fosse composto che di frammenti dell'antica letteratura ebraica, e come se questa non contenesse altro che idee ristrette e rozze intorno alla religione, adatte ad un'età incolta del mondo, ma indegne di dar leggi al pensiero religioso di tutti i tempi? Sia che paragoniamo le vedute religiose ed etiche dischiuse in tale comandamento con quanto di meglio offre il pensiero religioso all'infuori del Giudaismo durante qualsivoglia periodo storico innanzi Cristo; o che lo paragoniamo con la luce diffusa dall'insegnamento di Cristo intorno alla religione e con le idee più avanzate del tempo presente, la perfezione senza pari di questo monumento della religione mosaica attesta evidentemente agli animi imparziali e riflessivi l'origine sua soprannaturale e il suo carattere rivelato. Questo grande comandamento adempie all'uffizio di "pedagogo per guidarci a Cristo, acciocché siamo giustificati per fede" Galati 3:24, poiché ci dimostra che non possiamo osservarlo perfettamente coi nostri più strenui sforzi, e ci costringe a cercar rifugio in Colui "che ci ha riscattati dalla

maledizione della legge, essendo per noi fatto maledizione" Galati 3:13: e la vita che otteniamo dalla morte di Cristo è una vita di vera, amorevole, accettevole ubbidienza a quel gran comandamento.

Mc 12:35

Marco 12:35-37. CRISTO CONFONDE I FARISEI INTORNO AL CONCETTO DI DAVID SUL MESSIA Matteo 22:41-46; Luca 20:41-44

35. E Gesù, insegnando nel tempio, prese a dire: Come dicono gli Scribi, che il Cristo è Figliuolo di Davide?

Secondo Matteo, Gesù si rivolse ai Farisei, al qual corpo appartenevano gli Scribi, e la sua narrazione è più completa, siccome egli ci dà non soltanto la domanda con cui Gesù presentò, l'argomento all'attenzione dei suoi uditori: "Che vi par egli del Cristo? di chi è egli figliuolo?" ma pure la loro risposta: "Di Davide"; però, paragonando tra loro le narrazioni dei tre sinottici, si vede che il senso è lo stesso in tutte. Il Cristo è il sinonimo greco del nome ebraico il Messia, entrambe significando l'unto, ed entrambi sono usati come il titolo uffiziale di colui che i profeti predissero e che il popolo aspettava come il Profeta, il Sacerdote e il Re d'Israele. Il "Figliuolo di Davide" era il titolo familiare e favorito che davasi al Messia. La donna sirofenice, i due mendicanti ciechi di Capernaum, Bartimeo a Gerico, le turbe che, due giorni prima, eran presenti al suo ingresso trionfale in Gerusalemme, e i fanciulli nel tempio, volendo esprimere la loro fede e allegrezza nel riconoscere in Gesù il Messia, lo chiamano tutti "il Figliuol di Davide". I Farisei adunque non aveano difficoltà alcuna a rispondere alla prima domanda.

PASSI PARALLELI

Marco 11:27; Luca 19:47; 20:1; 21:37; Giovanni 18:20

Matteo 22:41-42; Luca 20:41-44; Giovanni 7:42

Mc 12:36

36. Conciossiaché Davide istesso, per lo Spirito Santo, abbia detto: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posti i tuoi nemici per iscannello dei tuoi piedi. 37. Davide istesso adunque lo chiama Signore; come adunque è egli suo figliuolo?

La credenza nazionale intorno al Messia, al tempo del Salvatore e dopo, era che egli dovesse essere semplicemente un uomo. Trifone, nel suo dialogo con Giustino Martire, dichiara distintissimamente tale credenza: "Noi tutti pensiamo che il Cristo sarà un uomo nato da genitori umani". E fu questa credenza che li fece respingere, come un insulto, la pretesa a tale uffizio da parte di uno di natali così umili come Gesù di Nazaret. "Non è questi il figliuolo del falegname?" Matteo 13:55. Alla seconda domanda (secondo Matteo): "Come adunque Davide lo chiama egli in ispirito Signore?" era assai più difficile il rispondere. Che Davide, ispirato dallo Spirito di Dio (nel Salmo 110, che si riteneva e citava universalmente come un Salmo messianico), riconoscesse come suo Signore colui che i profeti chiamavan suo figliuolo, era un fatto inesplicabile pei Farisei, ed è tuttora inesplicabile per gli Ariani, Sociniani e per tutte le gradazioni di Antitrinitari, i quali o lo rigettano come inconciliabile con la loro filosofia o tentano poco lealmente di spiegare la parola mio Signore, in un senso inferiore. Non c'è che una soluzione di questa difficoltà. Il Messia è nel tempo stesso inferiore a Davide come suo figliuolo secondo la carne, e superiore a lui come Signore di un regno del quale Davide è suddito egli stesso e non sovrano. La natura umana di Cristo e la sua Divinità ed il suo regno spirituale (nel quale sarà un grande onore per i più potenti sovrani della terra l'essere ricevuti come umilissimi sudditi), ci danno l'unica spiegazione possibile di questo passo. Da questi versetti ricaviamo una nuova prova, indiretta e quindi soddisfacentissima, dell'autenticità ed ispirazione del libro dei Salmi, e in particolare della ispirazione di Davide che è lo scrittore del Salmo 110. Matteo dice: "Davide lo chiama in ispirito Signore". Marco: "Davide istesso, per lo Spirito Santo, abbia detto". Luca: "E pur Davide stesso nel libro dei Salmi dice ecc.".

Mc 12:37

E la maggior parte della moltitudine,

il popolo minuto, in opposizione ai sacerdoti, Farisei e Sadducei.

l'udiva volentieri.

In quanto all'effetto prodotto sopra coloro che avean provocato Gesù, Marco ha già ricordato nel vers. 34 (sebbene cada assai più in acconcio quì, secondo il piano di Matteo) che "niuno ardiva più fargli alcuna domanda". La ragione per cui rinunziarono a questo vessatorio tentativo di accalappiare il Cristo non fu già alcuna severa proibizione e o allarmante minaccia per parte sua; ma perché si erano convinti esser egli di tanto superiore ad essi in dottrina, in sapienza, e perizia d'argomentazione, che qualunque disputa ulteriore non avrebbe fatto altro che porre in chiaro la loro ignoranza e coprirli di vergogna.

PASSI PARALLELI

2Samuele 23:2; Nehemia 9:30; Matteo 22:43-45; Atti 1:16; 28:25; 2Timoteo 3:16; Ebrei 3:7-8

Ebrei 4:7; 1Pietro 1:11; 2Pietro 1:21

Salmi 110:1; Atti 2:34-36; 1Corinzi 15:25; Ebrei 1:13; 10:12-13

Matteo 1:23; Romani 1:3-4; 9:5; 1Timoteo 3:16; Apocalisse 22:16

Matteo 11:5,25; 21:46; Luca 19:48; 21:38; Giovanni 7:46-49; Giacomo 2:5

RIFLESSIONI

1. Si noti accuratamente che il Signore appellossi, come ad autorità decisiva, alle parole di Davide, perché questi era guidato dallo Spirito Unto. Quindi si ha da inferire l'ispirazione piena dei Salmi, e non solo di essi, ma di tutto quanto l'Antico Testamento, e per parità di ragione, di tutto quanto il Nuovo, essendo che così l'uno come l'altro furono scritti sotto la suggestione, e la soprintendenza divina, da uomini che avean ricevuto il dono dello Spirito Santo. Davide parla così di sé steso: "Lo Spirito del Signore ha parlato per me, e la sua parola è stata sopra la mia lingua" 2Samuele 23:2. Pietro rende una simile testimonianza, sebbene più generale: "La profezia non fu già recata per volontà umana; ma i santi uomini di Dio hanno parlato essendo sospinti dallo Spirito Santo" 2Pietro 1:21; e Paolo insegna nel modo più positivo l'ispirazione di tutto quanto l'Antico Testamento, allorché ci dice: "Tutta la Scrittura è divinamente ispirata" 2Timoteo 3:16. Portiamo adunque riverenza alle Sante Scritture come dettate dallo Spirito eterno, consultiamole accuratamente, e sottomettiamo alla loro decisione tutte le nostre opinioni.

2. Possiamo dall'Antico Testamento imparare moltissime cose intorno a Cristo. Non pochi fra quelli che professano di essere Cristiani, pongono in non cale il Vecchio Testamento, perché lo riguardano come se si riferisse, soltanto alla nazione ebraica. È questo un gravissimo sbaglio, e il fatto che nostro Signore si riferì ad esso, in questa occasione, è un esempio concludentissimo. Volendo porre in evidenza l'ignoranza dei dottori giudei intorno alla vera natura, del Messia, Gesù cita un passo del libro dei Salmi, dimostrandoci in tal modo che Davide fu ispirato dallo Spirito Santo a scrivere di Cristo. Altrove pure egli cita passi dell'Antico Testamento relativi al Messia, specificando le tre parti in cui dividevasi allora quel sacro volume, cioè la Legge di Mosè, i Profeti ed i Salmi Luca 24:27,44; Giovanni 5:39; sui quali richiamiamo specialmente l'attenzione del lettore. Ma dove più vien parlato di Cristo è nei Salmi: le sue prove ed i suoi patimenti durante la sua prima venuta su questa terra, il suo glorioso ritorno ed il suo finale trionfo, quando scenderà una seconda volta quaggiù, ecco i principali argomenti di molti passi di quella maravigliosa porzione della Parola di Dio. Nel Salmo 110 (citato in questa circostanza dal Nostro Signore, e riconosciuto dagli, antichi Ebrei come profezia messianica), egli è precisamente dell'alta posizione del Messia, del suo complesso carattere e

dei gloriosi destini che lo aspettano, che parla il padre celeste, indirizzandosi a lui medesimo. Ma quanto spesso e con quanta forza le antiche Scritture ci presentino la doppia natura di Cristo lo si rileverà dai passi seguenti: Isaia 11:10; Geremia 23:5-6; Zaccaria 6:12-13

3. Non lasciamo questo passo senza fare un'applicazione pratica della solenne domanda del Signore: "Che vi par egli del Cristo?" Che ci par egli della sua persona e de' suoi uffizii? Che ci par egli della sua vita, e che della morte sua per noi sulla croce? Siamo noi uniti a Lui nella sua morte nella sua risurrezione, nella sua ascensione ed intercessione alla destra di Dio? Abbiam noi provato per propria esperienza ch'egli è prezioso alle anime nostre? Possiam noi dire veramente: Egli è il mio Redentore, il mio Salvatore, il mio Pastore e il mio Amico?

Mc 12:38

Marco 12:38-40. CRISTO SMASCHERA GLI SCRIBI Matteo 23:1-23; Luca 20:45-47

Per la esposizione vedi Matteo 23:1Matteo 23:1-23.

Mc 12:41

Marco 12:41-44. LA VEDOVA CHE GETTA DUE PICCIOLI NEL TESORO DEL TEMPIO Luca 21:1-4

41. E Gesù, postosi a sedere,

per prendere un pò di riposo dopo aver insegnato, e prima di mettersi in cammino per ritornare in Betania.

di rincontro alla cassa dell'offerte,

Il nome di Tesoro era dato dai Rabbini a 18 cassette, chiamate, dalla loro forma, shofarot, trombe, che erano immurate in qualche parte della corte delle donne. Due di queste cassette erano destinate a ricevere la tassa del mezzo siclo detta testatico, la quale non era un'offerta volontaria, ma un pagamento espressamente ordinato dalla legge mosaica. Nelle altre si mettevano le offerte degli adoratori pei sacrifizii, l'olio, il sale, le legna ed altri oggetti richiesti per il servizio giornaliero del tempio. La prima menzione di questo modo di raccogliere le offerte, trovasi in 2Re 12:9; 2Cronache 24:8. Un Ebreo che entrane nei recinti del tempio, passava prima nel cortile esteriore o "corte dei Gentili", e di là nella "corte delle donne", la quale così chiamavasi non già perché fosse destinata esclusivamente alle donne che venivano ad adorare, ma semplicemente perché ad esse non era permesso di accostarsi più da presso al luogo santo. Di lì, per una scalinata, si giungeva al cortile interno chiamato "la corte d'Israele", nel mezzo di cui sorgeva il grande altare di bronzo.

riguardava come il popolo gittava denari nella cassa; e motti ricchi vi gittavano assai.

Queste offerte non si, limitavano alle classi più ricche dei Giudei, ma contribuivansi da tutte le classi, sebbene è presumibile che la maggior parte delle offerte fosse di poco valore, dalla parola rame, applicata ad esse nell'originale. Molti dei ricchi tuttavia offerivano ricchi doni, che (quantunque utilissimi per i bisogni del culto) erano accettevoli a Dio se solamente fatti con rette intenzioni.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:6; Luca 21:2-4; Giovanni 8:20

2Re 12:9

Mc 12:42

42. Ed una povera vedeva venne,

Molti commentatori credono che il Signore chiamasse l'attenzione dei suoi discepoli sull'offerta di questa povera vedova come per dir loro: "Mirate là il contrasto tra i Farisei, che nel nome della religione 'divorano le case della vedove' per arricchirsi, e questa povera vedova la quale offre, per amore spontaneo, a Dio tutto quanto essa possiede". Non c'è nelle sacre narrazioni nessun segno esteriore di tale connessione tra il discorso precedente a questo, salvo che cronologicamente sono consecutivi, tuttavia la è un'idea assai probabile. "Evidentemente sì voleva", dice l'Olshausen, "che il contrasto risultante da questo confronto dei due caratteri facesse meglio spiccare la natura malvagia dei Farisei. Non d'altro curandosi che di fini mondani, essi agognavano ricchezze terrene che spesse volte si appropriavano in modi illeciti, e poi di queste davano a Dio una magra elemosina; la vedova invece amava Iddio con tutto il cuore e con tutta la mente e gli offerse tutto quanto aveva".

e vi gittò due piccioli, che sono un quattrino.

lepta, tradotto picciolo, era la più piccola moneta greca che fosse allora in circolazione, e Marco aggiunge a spiegazione, che due di esse valevano, in moneta romana, un quadrans o quattrino, la quarantesima parte di un Denarius, che valeva 80 centesimi. Tutta quanta l'offerta della vedova ammontava adunque a un po' meno di 2 centesimi. (Vedi Tavola delle Monete e Misure ecc.) Quì il valore acquista importanza solo perché dimostra su qual piccolissimo dono il Signore pronunziasse il seguente elogio.

Mc 12:43

43. E Gesù chiamata a sé i suoi discepoli, disse loro: Io vi dico in verità, che questa povera vedova ha gettato più di tutti quanti han gettato nella cassa dell'offerte.

Modestamente, timidamente la vedova gittò dentro il suo dono e affrettossi a mescolarsi con la folla; ma gli occhi di Gesù eran rivolti su di lei fin dal principio, ed ei non vuole che si ritiri, prima che su di lei abbia rivolti anche

gli occhi dei suoi discepoli, e a questi impartito un. prezioso insegnamento. Letteralmente il quattrino della vedova, sì pel peso che pel valore, era nella proporzione di un pulviscolo appetto di una manata di monete, in paragone delle offerte di molti degli altri donatori e quindi non poteva essere effettivamente più di tutte l'altre offerte; ma il senso di questo detto paradossale è che il dono di lei era per essa e in proporzione dei suoi mezzi, più di quello di qualunque altro dei donanti o di tutti questi insieme, e quindi maggiore in quanto a liberalità e al cospetto di Dio.

PASSI PARALLELI

Esodo 35:21-29; Matteo 10:42; Atti 11:29; 2Corinzi 8:2,12; 9:6-8

Mc 12:44

44. Conciossiaché tutti gli altri vi abbian gittato di ciò che soprabbonda loro;

del loro superfluo. In questo versetto, nostro Signore dà la ragione del giudizio da lui dianzi pronunziato. Coloro che avean dato largamente avean dato di quanto sopravanzava ad essi oltre il richiesto non solo per le necessità della vita, ma anche pei comodi e il lusso, cosicché, nelle loro offerte pel servigio di Dio, non c'era stato nemmeno campo di esercitare l'abnegazione.

ma essa, della sua inopia (difetto) vi ha si gittato tutto ciò ch'ella avea, tutta la sostanza.

Questa povera donna, al contrario, sebbene non avesse abbastanza pei suoi bisogni giornalieri, aveva esercitato abnegazione, fino al punto di rinunziare e tutto quel che aveva per procurarsi Il nutrimento in quel giorno, onde poterlo offrire poi servigio del Signore. Le parole: tutto il suo vitto, devono necessariamente intendersi di quel che aveva in quel momento a sua disposizione per la propria sussistenza; poteva adunque esser ridotta a patir la fame in quel giorno; ma essa dava con allegrezza, confidando che Dio

benedirebbe i suoi sforzi per procurarsi il pane dell'indomani. Così sotto l'impulso della vera pietà ella manifestava una gran fede e un grande disinteresse. La gran lezione che nostro Signore trae da questo incidente è che il valore dei doni, fatti pel servigio di Dio o pel sollievo dei poveri e dei bisognosi, ha da stimarsi non solo dal motivo (ch'è questo è di per sé evidente), ma anche da quel che costano al donante o dal sacrifizio che esigono.

PASSI PARALLELI

Marco 14:8; 1Cronache 29:2-17; 2Cronache 24:10-14; 31:5-10; 35:7-8; Esdra 2:68-69

Nehemia 7:70-72; 2Corinzi 8:2-3; Filippesi 4:10-17

Deuteronomio 24:6; Luca 8:43; 15:12,30; 21:2-4; 1Giovanni 3:17

RIFLESSIONI

1. Anche sotto l'antica economia, elaborata e dispendiosa, Iddio faceva appello sistematicamente alla volontaria liberalità del suo popolo, per molti oggetti del suo culto e servigio e qui ne abbiamo un esempio nella quantità di cassette esposte in vista, espressamente per ricevere le offerte volontarie del popolo. Molto più dipende la Chiesa Cristiana dalle volontarie liberalità de' suoi membri pel mantenimento, l'efficienza e l'estensione del suo culto, si nell'interno che al di fuori.

2. Col chiamare il mondo tutto a conoscenza dell'atto di quella povera vedova, e del di lui giudizio intorno ad esso, nostro Signore volle estendere egualmente la cognizione di questa verità, che al suo cospetto e al cospetto del Padre suo, è il motivo che dà all'atto il suo vero carattere; che egli stima la vera grandezza consistere non già nel fare degli atti stupendi che ognuno debba vedere e che ogni lingua possa esser pronta a lodare; ma si nel fare anche piccole cose, così piccole che sfuggano ad ogni attenzione umana, e così insignificanti che non vi sia chi le stimi degne d'alcuna lode, in uno

spirito di munificenza, per un gran motivo, e per un fine grande, nobile e santo. Non è il donatore più grande colui che dà, della sua abbondanza, a questa o a quella carità, per varii e misti motivi; ma sì colui che, mosso da puro amor di Dio e dal desiderio di aiutare i suoi prossimi, restringa sino all'ultimo limite del possibile i proprii bisogni, affine di poter dare in maggior proporzione ad ogni buona opera.

3. Nell'apprezzamento di Cristo, la lode non è ragguagliata a quello che diamo per la sua causa della nostra abbondanza, ma sì a quel che diamo della nostra inopia; non già a quello di cui non sarà mai sentita la privazione per molto che sia, ma sì a quel che ci costa un qualche sacrifizio reale, a quel che diamo delle nostre strettezze, e appunto in proporzione della grandezza relativa di tale sacrifizio è, agli occhi suoi, la misura della nostra liberalità cristiana. La maggior parte dei veri Cristiani agiscono forse secondo questo principio? E quel che lo fanno non sono eccezioni piuttosto che la regola? Può dubitarsi che se questo principio fosse fedelmente praticato da quelli che amano il Signore Gesù Cristo, sarebbe provveduto abbondantemente, o almeno in misura sino ad ora sconosciuta, ai bisogni di tutto le nostre Chiese, all'opera delle Missioni, al sostentamento delle istituzioni filantropiche, e a tutto quanto si appartiene al mantenimento e alla propagazione del regno di Cristo? Per la stessa ragione che indusse Cristo a lodare questa vedova, Paolo loda la Chiesa di Corinto, in un passo che merita la più seria nostra considerazione, siccome quello che ci porge una norma di quanto dovremmo dare 2Corinzi 8:1,6

4. La grettezza di coloro che pur si professano Cristiani in tutto quanto si riferisce a Dio e alla religione è uno dei peccati più lampanti dei nostri tempi. La gran maggioranza spende per sé gli scudi e non dà a Cristo nemmeno i soldi. Preghiamo Dio che volga in meglio questo stato infelicissimo delle cose, apra gli occhi degli uomini, risvegli i loro cuori e susciti tra essi uno spirito di liberalità. Soprattutto facciamo ognuno il nostro dovere e doniamo liberalmente e con animo volenteroso per ogni oggetto appartenente al regno di Cristo, finché possiamo. Diamo come coloro che sanno esser rivolti ad essi gli occhi di Cristo. Anche adesso egli vede esattamente quel che dà ciascuno, e sa esattamente quanto gli è rimasto. Diamo soprattutto come i discepoli di un Salvatore che diede sé

stesso per noi, corpo ed anima, sulla croce. "In dono l'avete ricevuto, in dono datelo" Matteo 10:8. La massima contenuta in 2Corinzi 8:12, è ben degna d'essere scolpita nei nostri cuori: "Perciocché se vi è la prontezza dell'animo, altri è accettevole secondo ciò ch'egli ha, e non secondo ciò ch'egli non ha".

Mc 13:1

CAPO 13 - ANALISI

1. Cristo predice la distruzione del Tempio. Tra l'ultimo incidente ricordato da Marco nel capitolo precedente, e questa predizione, va collocato un altro incidente ricordato, soltanto da Giovanni 12:20, ecc., cioè la richiesta di veder Gesù, fatta dai Greci venuti alla festa, nonché le parole con cui Gesù annunziò che stava per spuntare il giorno di grazia pei gentili. E questo, insieme con la precedente intimazione del giudizio presso a cadere sulla nazione giudaica, la quale rigettava l'ultimo e più nobile messaggiero di Dio, costituì il solenne ed appropriatissimo addio di Cristo al tempio. Come quando, venendo da Betania, pianse sulla città nell'avvicinarsi ad essa, così ora, dall'alto dell'Oliveto, mirando il tempio, i suoi pensieri si arrestarono sulla terribile distruzione che ben presto sarebbe piombata su quella e su questo, e nel comunicare cotesti pensieri ai suoi discepoli, naturalmente ei parlò prima, del giudizio che comincerebbe dalla casa di Dio Marco 13:1-3.

2. Predizioni concernenti la distruzione di Gerusalemme. Connettendo quel che Gesù avea detto allora intorno alla distruzione del tempio con le parabole che avea pronunziate Precedentemente in quello stesso giorno, i suoi discepoli lo pregarono che volesse dar loro ulteriori schiarimenti, rivelando ad essi il tempo in cui accadrebbero tutte queste cose, e i segni ai quali cui potrebbero riconoscere il loro avvicinarsi. Gesù accondiscende alla loro domanda ed indica parecchi segni, come le guerre, le persecuzioni, il sorgere di falsi Cristi, e specialmente l'apparire dell'abbominazione della desolazione nel luogo santo Marco 13:4-23.

3. La venuta del Figliuol dell'uomo nella potenza del regno spirituale. Il grande ostacolo allo stabilimento del regno di grazia sulla terra era la continuazione di quella dispensazione di tipi ed ordinanze, originariamente istituita a preparare gli animi degli uomini per la sua venuta, ma, per l'orgoglio e la malvagità di coloro che l'amministravano, cangiata nella sua più fiera avversaria. Laonde con simbolico linguaggio, qual'è l'oscurarsi del sole e della luna e il cader delle stelle dal cielo, nostro Signore ne annunzia lo sfacelo e la distruzione, e il sorgere del regno di grazia dalle ruine sue, per ministero degli angeli o messaggieri (i ministri del vangelo) mandati da lui stesso. Con la parabola del fico, che mette le foglie prima d'ogni altro albero, il Signore annunzia più oltre, che, allorquando sarebbero da essi osservati i segni pur ora indicati da lui, intenderebbero esser vicino ed imminente il crollo della dispensazione giudaica e lo stabilimento del regno del vangelo Marco 13:24-31.

4. L'avvenimento del giorno, del giudizio. In una profezia così estesa e variata come questa, la quale comprende tutto il periodo di tempo dalla partenza di nostro Signore alla sua seconda venuta, molto di ciò che era stato detto intorno alla distruzione di Gerusalemme può benissimo avere un secondo compimento prima che giunga la fine. Per riguardo al "giorno grande e terribile del Signore", Gesù ricusa di appagare la curiosità dei suoi discepoli. Egli dichiara espressamente che il tempo e l'ora in cui questo avverrà "niuno lo sa, non pur gli angeli che son nel cielo, né il Figliuolo", nella sua qualità uffiziale siccome mediatore; poiché ciò rimase nascosto nei consigli del Padre, i quali ei non era autorizzato a divulgare. Nostro Signore conchiude questo argomento con un serio appello ai suoi discepoli e a tutti quelli che leggerebbero in avvenire le sue parole, di vegliare e pregare e di star preparati, onde, in quella guisa che il padron di casa sorprende talora i suoi servitori all'impensata, arrivando inaspettatamente, la venuta dei Figliuol dell'uomo non abbia a coglierli anch'essi egualmente impreparati e quando meno l'aspettino Marco 13:32-37. Vedi Analisi, Matteo 24:1Matteo 24:1-51

Marco 13:1-37. PREDIZIONI CONCERNENTI LA ROVINA DEL TEMPIO, LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME, LO

STABILIMENTO DEL REGNO DEL VANGELO, E LA SECONDA VENUTA DEL SIGNORE Matteo 24:1-51; Luca 21:5-36

Per la esposizione vedi Matteo 24:1Matteo 24:1-51.

Mc 14:1

CAPO 14 - ANALISI

1. Congiura contro a Cristo. Feriti al cuore da quanto il Salvatore avea detto contro di essi, in presenza del popolo, in quel giorno, i Farisei e gli Scribi, in un privato convegno, risolsero di sbarazzarsi tosto di un nemico così pericoloso, e senza indugio si misero all'opera per combinare il piano più sicuro di impossessarsi della sua persona. La popolarità che Gesù godeva tra il popolo fece tosto deporre ai congiurati ogni pensiero d'impadronirsi di lui durante la continuazione della festa, per timore che avesse a seguirne un tumulto popolare. Pare dal tenore della narrazione che fosser venuti nella determinazione di differire l'esecuzione del loro progetto fino alla conclusione della festa, dopo la quale, le moltitudini, venute ad adorare, si sarebbero rapidamente disperse per far ritorno alle case loro; allorché il loro piano venne improvvisamente cangiato e risolvettero di agire immediatamente, in seguito ad una comunicazione fatta loro da Giuda Iscariota, uno dei discepoli di Cristo, il quale disse loro ch'egli era pronto a tradire il suo Maestro, pur che essi facessero ch'ei vi trovasse il suo tornaconto. Il mercato fu tostamente concluso, e Giuda lasciolli ad escogitare il tempo e il luogo più acconcio alla consumazione del suo vile delitto Marco 14:1-2,10-11.

2. L'unzione del Salvatore per la sua sepoltura. Questo incidente avvenne nel villaggio di Betania nella casa di Simone il lebbroso, ove Gesù era stato invitato a cena. La ragione per cui Marco e Matteo l'inseriscono nel mezzo della narrazione della congiura non appare evidente. Il lettore, a tutta prima, potrebbe arguirne che la cena avesse luogo la sera dello stesso giorno in cui i rettori teocratici avean presa la loro micidiale risoluzione, e che Giuda,

approfittando di trovarsi il Maestro così impegnato, fosse ritornato in Gerusalemme per intendersi coi congiurati, se non fosse che Giovanni, nel racconto che ci da dello stesso avvenimento, nomina Giuda tra i discepoli presenti a quella cena. Né Matteo né Marco notano il tempo dell'avvenimento, mentre invece Giovanni precisa che si fu all'arrivo di Gesù in Betania, sei giorni prima della Pasqua, che fu fatta questa cena in onore di Gesù. È probabile che avesse luogo dopo il tramonto del sabato che Gesù passò in quel villaggio, nella sera quando era già incominciato il primo giorno della settimana. Lazzaro, Marta e Maria eran tutti presenti e, nel corso della cena, quest'ultima unse sì la testa che i piedi del Signore d'unguento prezioso. La qual cosa avendo occasionata un'ipocrita rimostranza da parte di Giuda, il Signore rispose, lodando la condotta di Maria, e dichiarando che, senza saperlo, ella lo aveva unto per la sua sepoltura, compiendo così l'uffizio di persona cara ed amica, la cui memoria non sarebbe mai stata dimenticata Marco 14:3-9.

3. Celebrazione della Pasqua ed istituzione della Santa Cena. La mattina del Giovedì della settimana santa, mentre alcuni dei discepoli stavano per lasciar Betania per fare i necessarii preparativi per la celebrazione della cena pasquale in Gerusalemme, Gesù diede una prova della sua onniscienza, ordinando loro di seguire un certo uomo che incontrerebbero sulla strada, il quale portava un vaso d'acqua, ed entrati nella casa ov'egli serviva, di chiedere al padrone di essa nel nome di Gesù per sé e pei discepoli l'uso della stanza destinata agli ospiti. Attenendosi fedelmente alle sue istruzioni, i discepoli trovarono agevolissimo l'eseguire il loro mandato, e provvidero tutto quanto era comandato per la Pasqua, secondo la legge di Mosè. Nel pomeriggio, il Signore, accompagnato dagli altri discepoli, lasciò Betania e si condusse alla casa ove erano stati fatti i preparativi e sedette a cena. Nel corso di essa, dichiarò, udendolo tutti, che l'un d'essi lo tradirebbe, e diè loro un segno da cui potesser conoscere il traditore e pronunziò contro di lui un terribile annunzio di guai, quasi volesse salvarlo ancora, se fosse possibile, dal suo scellerato proposito e dalla condanna pendente su di lui. È questo il solo, tra gl'incidenti occorsi durante la cena, che sia menzionato da Marco. Finita la cena, ma prima di alzarsi da tavola, il Signore prese di bel nuovo del pane che gli stava dinanzi e tornò ad empir di vino il calice e, avendo rese grazie, li porse ai discepoli perché ne partecipassero, istituendo così "la

Cena del Signore", ordinanza che dovea surrogare in perpetuo "la Cena pasquale", e continuare ad essere (come l'altra era stata per l'addietro) un regno visibile del patto di grazia, fino alla fine dei tempi Marco 14:12-26.

4. Il giardino di Ghetsemane. Alla fine di questa notevole funzione, Gesù, accompagnato da undici dei suoi discepoli, uscì dalla città, passò il ruscello Kidron ed entrò nel giardino di Ghetsemane, situato in qualche posto alla base occidentale del monte degli Ulivi. Egli annunziò, cammin facendo, ai discepoli, che sarebbero tra poco dispersi a guisa di pecore senza pastore, ma che dopo la sua risurrezione ei li raccoglierebbe di nuovo in Galilea; e in risposta ai vanti di Pietro, che protestava gli sarebbe rimasto fedele sino alla morte, predisse che nel breve spazio di tempo tra quell'ora e il cantar del gallo innanzi l'alba, l'avrebbe rinnegato tre volte. Entrando nel giardino, Gesù, tra gli altri discepoli, ne scelse Pietro, Giacomo e Giovanni e ritirossi con loro in un angolo distante a pregare. Ivi soffrì l'agonia e il sudore di sangue che furono il preludio della sua passione. Per tre volte in quello spazio di tempo cercò simpatia dai prescelti discepoli e ciascuna volta trovolli vinti, dal sonno; dalla qual cosa prende occasione di risvegliare Pietro al sentimento della sua debolezza, prima che sia giunta la prova maggiore Marco 14:27-42.

5. Il Salvatore tradito e catturato. Gesù era ancora con essi quando, tra gli alberi, fu visto il bagliore di lanterne e torce che si andavan appressando, portato da uno stuolo d'armati, guidati dal traditore Giuda al luogo ove sapeva che si sarebbe trovato il suo Signore. Il bacio con cui salutò il Maestro era il segno concertato coi soldati, i quali tosto catturarono Gesù. Pietro mostrò di voler opporsi, snudando la spada e tagliando l'orecchio del servo del sommo sacerdote, ma Gesù proibì ogni resistenza, e allora tutti i suoi discepoli fuggirono, lasciandolo nelle mani dei suoi nemici Marco 14:43-52.

6. Cristo tratto in giudizio davanti al Sinedrio. La scena seguente ci presenta l'accusazione di Cristo davanti al sommo sacerdote e al Sinedrio, la falsa accusa portata contro di lui e sostenuta da falsa testimonianza, il suo rifiuto di difendersi o di rispondere ad alcuna delle loro allegazioni, sinché, alfine, gli si presentò l'occasione non solo di dichiarare, ma di giurare

solennemente, ch'egli è il vero Messia, il Figliuol di Dio; laonde è condannato a morte come bestemmiatore e abbandonato ai dileggi e ai maltrattamenti Marco 14:53-65.

7. Pietro rinnega il suo Signore. Invece d'essere introdotto nella precedente narrazione di quel che avvenne al Signore nella casa di Caiafa, Marco introduce il fallo di Pietro come un incidente a parte, dopo aver riferita la condanna di Cristo pronunziata dal Sinedrio. Brevemente ma distintamente sono esposti i particolari relativi di ciascuno dei tre dinieghi. II primo e il secondo furono provocati da due ancelle della casa di Caiafa, le quali dissero che Pietro appartenesse alla comitiva di Cristo; il terzo, da un appello direttogli da una turba d'oziosi che, al pari di lui, stavano aspettando l'esito del giudizio, accalcandosi intorno al fuoco ch'era acceso nell'atrio, scoperto. Subito dopo, il gallo cantò per la seconda volta, e Pietro, ricordandosi della predizione del Maestro, uscì fuori e pianse ripensandoci Marco 14:66-72.

Marco 14:1-2. IL SINEDRIO COSPIRA CONTRO GESÙ Matteo 26:12; Luca 22:1-2

Per l'esposizione vedi Matteo 26:1Matteo 26:1-2.

Mc 14:3

Marco 14:3-12. LA CENA A BETANIA. MARIA UNGE IL CAPO DI GESÙ. GIUDA PATTUISCE CO' PRINCIPALI SACERDOTI DI TRADIRE IL SUO SIGNORE Matteo 26:6-16; Luca 22:3-5; Giovanni 12:1-7

3. Or essendo egli in Betania.

Il nome di Betania è ignoto tra gli odierni abitanti Arabi della Palestina, i quali chiamano quel luogo el Aziriyeh (il villaggio di Lazaro), da el Azir, che

è la forma arabica del suo nome. La sua distanza da Gerusalemme e l'esser situato sulla strada che mena a Gerico, sono prove decisive della sua identità. Giace sul versante orientale del monte degli Ulivi, a un pò meno di due miglia romane dal muro orientale di Gerusalemme, misura che corrisponde bene con "l'intorno di quindici stadi" di Giovanni 11:18. È ora uno squallido villaggio, consistente in una ventina circa di bassi abituri col tetto di fango, e sebbene presenti indizii d'essere stato una volta alquanto più grande, probabilmente non eccedette mai le proporzioni d'un villaggio. Non ci sono avanzi d'antichi edifizi, eccettoché una torre diroccata la quale apparteneva ad un convento Benedettino fondato nel 1182 da Melisinda moglie di Folco re di Gerusalemme. Una delle solite tradizioni monastiche ne ha fatto la casa di Lazaro e delle sue sorelle. C'è anche un sotterraneo che consiste in due camere, ove si discende per una sdrucciolevole gradinata di 26 scalini, il quale mostrano come il sepolcro di Lazaro; ma lo scrittore di questo commentario, dopo un minutissimo esame, rimase fermamente convinto che queste camere non sono altro che i sotterranei o le cantine di una casa antica, costrutti nel modo ordinario con pietra e calce, per nulla corrispondente a una tomba scavata nel sasso. Inoltre, è situato proprio nel centro del villaggio, mentre, invece, la tomba di Lazaro era posta fuori di esso (Vedi Giovanni 11:30

in casa di Simone Lebbroso

Nel Vangelo di Giovanni è fatta menzione della cena imbandita a Gesù, non della casa ove fu servita, ma Matteo e Marco ricordano entrambi che fu in casa di Simone il lebbroso. Di costui null'altro si sa oltre a quanto ce ne dicono queste parole. Di congetture se, n'è fatto un profluvio, come sarebbero ch'ei fosse il padre di Lazaro, il marito di Marta, ecc.; ma non c'è bricciolo di prova a sostegno d'alcuna di esse; ed anzi, in quanto alla prima di queste congetture, c'è prova contraria, poiché Lazaro non potea certo esser descritto quale convitato in casa del proprio padre Giovanni 12:2. Altri spiegano la circostanza che Marta servisse a tavola nella casa di Simone, supponendo che fossero stretti parenti, il che non è improbabile, sebbene in un piccolo villaggio ove tutti usavano probabilissimamente rendersi socievoli servigi a vicenda, come richiedessero le circostanze, quest'atto di cortesia poteva prestarsi in modo assai naturale anche laddove non ci fosse

altro vincolo che di amicizia; più specialmente poi se, come è probabile, la cena era un comune tributo d'onoranza e di affetto offerto a Gesù da tutti i suoi amici e discepoli del villaggio. Simone non poteva essere afflitto di lebbra nello stato acuto di tale malattia, in quel tempo, poiché allora sarebbe stato escluso dal villaggio, a termini della legge Mosaica Levitico 13:45-46, ammenoché la lebbra non lo avesse coperto interamente da capo a piedi, nel qual caso sarebbe stato dichiarato mondo e restituito alla società, come fu Gehazi, il servitore di Eliseo 2Re 8:4. La spiegazione adottata dal maggior numero dei critici è che in qualche occasione precedente il Signore l'avesse sanato della sua lebbra (sebbene in tal caso ci saremmo aspettati di trovarne un cenno, tra parentesi, come usano fare gli Evangelisti, Vedi Marco 16:9, Giovanni 11:2), ma che continuassero a chiamarlo il lebbroso, per distinguerlo da altri portanti lo stesso nome. Tale soprannome tuttavia gli sarebbe stato dato ancor più naturalmente se, come fu supposto più sopra, la lebbra si fosse esaurita in esso, imperocché in tal caso, il colore della pelle avrebbe continuato ad esser in lui, fino alla morte, bianco come il latte, "un lebbroso bianco come neve". Sia l'una che l'altra congettura può essere la vera.

mentre era a tavola,

Giovanni: "Gesù adunque sei giorni avanti la pasqua venne in Betania... e quivi gli fecero un convito". Lightfoot, Macknight, Whitby ed alcuni altri negano che la cena menzionata da Matteo e da Marco fosse quella identica menzionata da Giovanni; ma il lettore non ha che da paragonare le tre narrazioni per convincersi che tutte si riferiscono ad una stessa occasione, essendo impossibile concepire che fosser date due cene, a quattro notti d'intervallo, e che l'ultima di esse riuscisse in ogni particolare la ripetizione esatta della precedente. Il dubbio intorno alla loro identità nasce da ciò che Giovanni ne assegna la data sei giorni prima della Pasqua, mentre i due sinottici sembrano connetterla direttamente col convegno dei, principali sacerdoti, due giorni prima della Pasqua. Anche tra quelli che son convinti trattarsi di una sola cena, c'è diversità di opinione intorno alla circostanza se avesse luogo due o sei giorni prima della festa. Se i sinottici avessero connessa la cena colla riunione del Sinedrio in modo così distinto come Giovanni l'ha connessa con l'arrivo di Cristo in Betania, dal suo viaggio per

la Perea, avrebbe potuto farsi questione; ma siccome introducono tale incidente, senza precisarne in guisa alcuna il tempo, e siccome le loro narrazioni non pretendono d'essere rigorosamente cronologiche, non può rimaner dubbio intorno all'essere la data esatta quella che ne assegna Giovanni. Nostro Signore giunse in Betania il Venerdì, probabilmente verso il tramonto, si riposò quivi il Sabato, il quale terminava al tramonto di quel giorno, e partecipò a questa cena, più tardi in quella stessa sera, dopo che era cominciato il primo giorno della settimana. Vedremo fra poco che c'era un'associazione morale anziché cronologica nella mente dei sinottici, la quale li fece introdurre quella cena laddove si trova, tra il convegno dei cospiratori e l'azione del traditore.

venne una donna,

Luca non ricorda punto questa cena in Betania; gli altri sinottici non fanno menzione dei nomi dei convitatori, e parlano di colei, per riguardo all'atto della quale lo Spirito d'ispirazione principalmente li mosse a ricordare quell'incidente, chiamandola semplicemente una donna. Giovanni scrivendo in un tempo assai posteriore, quando, senza dubbio, tutti gli attori di quella scena erano scomparsi per la morte, non osserva una tale reticenza. Egli ci dice: "Marta ministrava, e Lazaro era uno di coloro ch'eran con lui a tavola, e Maria prese una libbra d'olio odorifero" ecc. Giovanni 12:2-3. Alcuni della brigata son così identificati con la famiglia mentovata in Luca 10:38-42; Giovanni 11: l. Ma siccome ciascuno dei quattro Evangelisti ricorda un'unzione (Marco in questo passo; Matteo 26:7; Luca 7:37; Giovanni 12:2), sorsero due quistioni: Riferiscono tutti lo stesso avvenimento? e tutte le unzioni furono fatte dalla stessa donna? Nella Chiesa d'Occidente, dai giorni del Papa Gregorio Magno fino a tempi comparativamente recenti, fu risposto affermativamente, e "la donna che era stata peccatrice" Luca 7:37, Maria Maddalena, e Maria di Betania furon considerate come un'unica e medesima persona. Gli antichi Padri e la Chiesa d'Oriente non si associarono punto a così vile insulto verso fine eccellenti e sante donne. L'unico passo che siasi addotto a sostegno, della teoria che tutti que' racconti si riferiscono alla stessa unzione è Giovanni 11:2, le cui parole parentetiche intorno a Maria, a detto di Maldonato e di Agostino, non potrebbero riferirsi anticipatamente ad un incidente assai posteriore alla risurrezione di Lazaro,

ma dovrebbero necessariamente presupporre un qualche fatto noto alla Chiesa per mezzo degli altri Vangeli, e tale fatto, com'argomentano, si troverebbe nella storia di Luca 7. Senonché tutta la forza di quest'argomentazione è distrutta dal fatto che quest'azione di Maria nell'ungere il suo Signore, era già stata pubblicata dappertutto, ovunque si era predicato l'Evangelo, per più di un mezzo secolo, prima che Giovanni scrivesse il suo Vangelo, cosicché la sua nota Giovanni 11:2 poteva essere intesa perfettamente, sebbene anticipasse quanto segue nel capitolo successivo. Paragonando tra loro attentamente le narrazioni dei quattro Evangelisti si convincerà ogni lettore spregiudicato che vi furono due unzioni del Signore, l'una, ricordata da Luca, in un borgo o villaggio della Galilea, e l'altra, da Matteo, Marco e Giovanni, in Betania. Che la donna mentovata nel Vangelo di Luca fosse una prostituta, prima della di lei conversione, non è motivo ragionevole di dubitarne, stante i termini in cui ne è parlato sì dall'Evangelista, che da Simone il Fariseo. Ma, dice Gregorio Magno, Maria Maddalena era stata posseduta da sette demoni, cioè dal demonio dell'incontinenza, e quindi dev'essere quella che vien chiamata altrove "donna che era stata peccatrice"; e inoltre, siccome non è fatta menzione di Maria di Betania tra le donne presso la croce, al sepolcro, o alla risurrezione, e tuttavia ella non, avrebbe potuto essere assente, è evidente che essa non può esser altro che la Maria Maddalena, di già identificata con la donna che era stata una peccatrice. Un esempio più rimarchevole di quel che in logica si chiama petizione di principio difficilmente potrebbe trovarsi (Vedi Nota Matteo 26:61Matteo 26:61). La sostanza della leggenda romana intorno a Maria di Betania è la seguente. Prima del cominciamento del ministero di nostro Signore, un gran dolore colpì la famiglia di Lazaro, per esser la minore delle sue sorelle caduta nell'abisso più vergognoso. La sua vita era quella di una ossessa dal "sette demoni" dell'incontinenza. Dalla città ove allora dimorava, ovvero dai suoi ornamenti da meretrice, ebbe il nome pel quale era conosciuta di "Maddalena". Quand'ecco ode parlare del Salvatore, si pente, gli dimostra in casa di Simone il Fariseo il suo amore ugendogli i piedi, è perdonata, e viene accolta subito nella compagnia delle sante donne. La risurrezione di suo fratello Lazaro risveglia, in essa novella gratitudine ed amore verso Gesù, ed ella di nuovo lo dimostra ungendogli il capo e i piedi nella casa di Simone lebbroso. La si ritrova appiè della sua croce, alla sua deposizione

nel sepolcro, e alla tomba dopo la sua risurrezione. Dopo di che, lasciata la Palestina con Lazaro, Marta e Massimino (uno dei settanta discepoli), va a Marsiglia, indi ad Arles dove visse in una caverna per lo spazio di 80 anni. Quando ella morì, fu eretta una chiesa in suo onore, e alla sua tomba furono operati miracoli! In opposizione di questa leggenda che identifica Maria Maddalena con "la donna che era stata peccatrice", si noti,

1. Che quando è menzionata per la prima volta il nome della Maddalena Luca 8:3, non c'è nemmeno una parola che la connetta con la storia che immediatamente la precede;

2. Che quantunque non impossibile, è però assai improbabile che, se era stata conosciuta come "peccatrice" fosse ricevuta così tostamente quale eletta compagna di Giovanna, Susanna e delle altre sante donne, e che andando per le castella e i borghi con esse e coi discepoli;

3. Che la descrizione data di lei, cioè: "dalla quale erano usciti sette demoni", implica una forma di sofferenza poco meno che incompatibile con la vita designata dalla parola peccatrice, ed una potente operazione sanatrice ben diversa da quella del perdono divino contenuto nelle parole: "I tuoi peccati ti sono rimessi".

Si noti ancora la opposizione al confondere Maria di Betania con Maria Maddalena, che gli evangelisti non hanno ricordato una sola circostanza comune ad esse, eccetto l'amore e la riverenza che nutrivano ambedue per il loro Signore e Maestro; e si noti più specialmente che Giovanni, il quale le conosceva bene entrambe, e dà il ragguaglio più completo di tutto e due, ne indica spiccatamente la distinta individualità.

avendo un alberello

Greco: un alabastro. La parola "alberello" denota correttamente la forma, delle piccole fiali dal collo lungo, suggellato in cima, così familiari a quanti abbiano visitato musei contenenti antichità etrusche, greche o romane, ma non dà la minima idea della sostanza onde eran fatte coteste fiale. Queste fiali o ampolle furono fatte, per la prima volta, nel luogo detto Alabastron in Egitto, non già con gesso o solfato di calce, che in Italia ed in altri paesi è

conosciuto principalmente sotto il nome di alabastro, ma con una stalattite più dura e lucente assai, ossia con carbonato di calce, depositato, dall'acqua, che abbondava nelle sue vicinanze. Da questa località adunque presero il nome sia il minerale che le anforelle che se ne intagliavano. Sappiamo da scrittori classici che quest'ultima anche quando eran costrutte d'oro ed argento, pur continuavano a portare il nome di alabastro. Quella che era in possesso di Maria doveva essere piuttosto, grande, poiché, a detta di Giovanni, conteneva una libbra d'unguento profumato.

d'olio odorifero di nardo schietto, di gran prezzo.

Questo profumo aromatico (chiamato in Ebraico nerde, e in Greco nardos) era tenuto in gran conto fino dal tempi antichi. Salomone lo menziona nei suoi Cantici 1:12, e classifica la pianta ond'era fatta tra le piante aromatiche. Essi venivano dall'Arabia, dall'India e dal remoto Oriente Cantici 4:14. Quanto fosse costoso al tempo di nostro Signore apparisce dal prezzo attribuitogli da Giuda Iscariota (800 denari L. it. 240), nonché dalla sua indignazione e da quella di altri per ciò che essi consideravano, un puro scialacquo; come pure dalla seguente allusione di Orazio: "Sì gestis, juvenum Nardo vina merebere. Nardi parvus onyx eliciet cadum" 4Car 12:15-17.

L'aggettivo pistiche aggiunto sia da Marco che da Giovanni a questo nardo, è stato tradotto generalmente, come lo traduce il Diodati "schietto", cioè senza mistura o adulterazione, supponendolo derivato dalla parola fede; altri l'hanno fatto derivare da liquido o potabile, significato notevole per la sua coincidenza con un passo di Atanasio, intorno agli unguenti potabili, tra i quali è fatta particolar menzione del nardo; mentre una terza opinione è che pistiche sia aggiunto quale distintivo di qualche specie particolare di nardo. Era noto che la pianta chiamata dagli Arabi sunbul era Identica col greco nardo, ma si fu soltanto in questi ultimi anni che l'ora defunto Dott. Royle (direttore del Giardino Botanico a Saharunpora), identificò il Sunbul hindoe con una pianta detta Jatamansee (Petrinia jatamensi), che cresce appiè dei monti dell'Imalaia, località esattamente corrispondente a quella che ne dà Dioscoride (lo Smith, Dizionario Biblico).

e, rotto l'alberello, glielo e versò sopra il capo.

Giovanni: "E ne unse i piedi di Gesù e gli asciugò coi suoi capelli, e la casa fu ripiena dell'odore dell'olio". Non c'è vera discrepanza tra questi enunziati, sebbene coloro che stanno sempre sull'avviso onde trovare, se fosse possibile, un qualche argomento per metter da un canto l'ispirazione e l'autorità della parola di Dio, abbian cercato con ogni sforzo di introdurvela. Matteo e Marco non limitano l'unzione al capo del Signore, né Giovanni mette in forse l'accuratezza del loro detto, quando, scrivendo mezzo secolo più tardi, dichiara a supplemento, che Maria, gli unse anche i piedi. Il Prof. Alexander sembra ritenere che l'enfasi rimarchevole messa da Marco sulla discesa dell'unguento, con la ripetizione della preposizione, letteralmente versò giù su di lui, giù sul suo capo, fu intesa a indicare che l'olio profumato colasse dal capo sui vestimenti e insino ai piedi.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:6-7; Giovanni 11:2; 12:1-3

Cantici 4:13-14; 5:5; Luca 7:37-38

Mc 14:4

4. Ed alcuni indegnarono tra se stesi, e dissero: Perché si è fatta questa perdita di quest'olio? 5. Conciossiaché quelle si fosse potuto vendere più di trecento denari, e quelli darsi ai poveri.

Matteo: "E i suoi discepoli avendo ciò veduto furono indegnati dicendo: A che pro questa perdita?" Giovanni: "Laonde uno dei discepoli di esso, cioè Giuda Iscariot, figliuol di Simone, il quale era per tradirlo, disse: Perché non si è venduto ecc.". Marco menziona che alcuni degli astanti, rimasero indignati per quello che ad essi pareva un grande scialacquo, senza specificare chi essi fossero. Matteo ci dice che questi mormoratori erano dei dodici discepoli mentre Giovanni indica più specialmente che si fu nell'anima avara del futuro traditore che sorse dapprima questa indignazione

perciò che egli considerava una perdita, la quale indignazione comunicandosi ai suoi compagni, ne indusse taluni, se non tutti, ad approvare la sua apparente prudenza e premura pei poveri. Stier osserva assai a proposito. "La censura è attaccaticcia come la peste". È secondo carità il supporre che per la massa dei discepoli si fu la gran quantità d'olio profuso in questa unzione che li fece indignare, e non l'onore reso dalla pia Maria al loro Signore e Maestro. Non era tuttavia amore disinteressato pei poveri quel che eccitò l'indignazione di Giuda, sebbene accortamente ei lo desse a pensare ai discepoli suoi compagni; fa il vedersi deluso per non esser stata data quest'ampolla di unguento prezioso ad impinguare il fondo comune, di cui egli era il tesoriere, nel qual caso non piccola parte se l'avrebbe appropriata per suo uso personale. Lo Spirito d'ispirazione ha posto a nudo, davanti al mondo, il vero suo movente nel Vangelo di Giovanni: "Or egli diceva questo, non perché si curasse dei poveri, ma perciocché era ladro e avea la borsa e portava ciò che vi si metteva dentro". Che notevole disposizione! che una persona avara e disonesta non solo fosse ricevuta nel numero dei dodici, ma gli venisse affidata l'amministrazione del loro scarso peculio! I fini a cui ciò servì sono ovvii abbastanza, è da notarsi però che mai non fu dato agli undici il più lontano cenno del vero carattere di Giuda, né di lui mai sospettarono nemmeno i discepoli più favoriti della intimità di Gesù, fino a pochi minuti prima che volontariamente si separasse egli stesso per sempre dalla loro compagnia. Fu il desiderio di riparare alla perdita che l'avarizia sua ebbe a sostenere per questo avvenimento che gli fece accogliere l'idea di far guadagno del suo Maestro; ci ripensò spesso nei giorni che seguirono, e quando seppe com'era ardente il desiderio del Sinedrio d'impadronirsi della persona di Cristo, il suo pensiero maturò in azione, ed egli si vendette qual loro strumento, precisamente allora che erano stati costretti a rinunziare ad ogni speranza di metter le mani addosso a Gesù durante la festa. È questo fatto, che cioè l'idea di tradire il suo Maestro nacque nell'animo dì Giuda dal colpo che ricevette la sua avarizia nella perdita di quel prezioso unguento, che indusse Matteo e Marco ad inserire le notizie loro della cena in connessione immediata con le trattative di Giuda col Sinedrio.

E fremevano contro a lei.

Non contenti di esprimere la loro disapprovazione parlando sottovoce gli uni agli altri, presero ad assalire la stessa Maria coi loro rimproveri.

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 4:4; Matteo 26:8-9; Giovanni 12:4-5

Ecclesiaste 5:4-8; Malachia 1:12-13

Matteo 18:28

Giovanni 6:7

Giovanni 12:5-6; 13:29; Efesini 4:28

Esodo 16:7-8; Deuteronomio 1:27; Salmi 106:25; Matteo 20:11; Luca 15:2; Giovanni 6:43

1Corinzi 10:10; Filippesi 2:14; Giudici 1:16

Mc 14:6

6. Ma Gesù disse: Lanciatela fare; perché le date voi noia? ella ha fatta una buona opera inverso me.

All'infuori di queste parole, Giovanni tace tutto ciò che, secondo i sinottici, il Signore disse in questa circostanza, il che è una prova di più che egli ha voluto semplicemente fare un supplemento a quanto essi ci han lasciato scritto. Con quella semplice espressione cessate, Gesù pronunzia la sua decisione calma e dignitosa, quasiché dicesse: "Questi pensieri e queste parole non mi piacciono". Come avea presa la parte dei suoi discepoli contro i Farisei Matteo 9:11-12; Marco 9:16, così ora prende la parte di Maria contro di loro. Egli è ferito nella ferita che le viene inflitta, e fa propria la causa di lei. Essi stigmatizzato come uno spreco l'atto ch'ella avea

compiuto allora, e Gesù, giudicandone il valore morale, dalla fede e dall'amore onde scaturiva, lo pronunzia "un'opera buona".

PASSI PARALLELI

Giobbe 42:7-8; Isaia 54:17; 2Corinzi 10:18

Matteo 26:10; Giovanni 10:32-33; Atti 9:36; 2Corinzi 9:8; Efesini 2:10; Colossesi 1:10

2Tessalonicesi 2:17; 1Timoteo 5:10; 6:18; 2Timoteo 2:21; 3:17; Tito 2:7,14; 3:8,14

Ebrei 10:24; 13:21; 1Pietro 2:12

Mc 14:7

7. Perciocché, sempre avrete (avete) i poveri con, voi; e, quando verrete, potrete far loro del bene;

Colla prima parte di questo vers. Gesù qual Signore e Capo della Chiesa cristiana conferma l'obbligo già da gran tempo imposto alla Chiesa del Vecchio Testamento, di provvedere a poveri Deuteronomio 15:7-11. Tuttavia questo passo non può invocarsi a sostegno degli ordini mendicanti della Chiesa di Roma, i quali han degradato l'uomo togliendogli la indipendenza, e han dato l'esempio dell'infingardaggine alle popolazioni di tutti i paesi ove è dominante. la religione del Papa; né dei luridi, licenziosi e abusivi accattoni che abbondano in ogni nostra città, in ogni nostro villaggio. La povertà decente, modesta, longanime nelle sofferenze, merita la simpatia e l'aiuto efficace di ogni Cristiano, ma la mendicità di professione dovrebbe essere abolita con le pene più severe.

ma me non mi avrete (avete) sempre.

Le ragioni per le quali il Signore giustificò quel che sembrava ai discepoli una "perdita" od un riprovevole impiego di una somma, agli occhi loro così considerevole, sono due, cioè: la straordinaria occasione, e il motivo segreto della donatrice. Sovvenire ai bisogni di molti è intrinsecamente meglio che non ungere il capo e i piedi di uno. Ma se quell'uno è il Figliuol di Dio incarnato, che è presso a morire per gli uomini; se una tale occasione di attestargli l'amore non può più ripetersi; se non c'è altro modo in cui possa manifestarsi la profondità dell'amore di una credente che questo di ungere il capo e i piedi del Signore col profumo più prezioso che essa possiede, allora è giusto di spenderlo in tal guisa, quand'anche i poveri abbiano a soffrirne per breve stagione. Ma non c'era ragione che i poveri avessero a soffrirne, imperocché quest'unguento non era stato comprato con denari destinati al loro mantenimento, e le occasioni di fare ad essi del bene si sarebbero presentate in abbondanza, quando Colui a cui Maria così rendeva onore non avrebbe potuto esser mai più l'oggetto di tali dimostrazioni. Gesù aveva già avvertiti distintamente i discepoli che non sarebbe rimasto a lungo con essi, quantunque essi non si fossero presi a cuore tale avvertimento Giovanni 7:33-34; ma ora il tempo della sua dipartenza era imminente, ed egli difende per tale motivo l'atto di Maria.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 15:11; Matteo 25:35-45; 26:11; Giovanni 12:7-8; 2Corinzi 9:13-14; Filemone 7

Giacomo 2:14-16; 1Giovanni 3:16-19

Giovanni 13:33; 16:5,28; 17:11; Atti 3:21

Mc 14:8

8. Ella ha fatto ciò che per lei si poteva;

Che alto encomio è mai questo! Era ben poca cosa quella che era in poter suo di dare, ma nel dare quel poco il suo cuore era intensamente felice, e

"Iddio ama un donatore allegro" 2Corinzi 9:7. Le parole del Signore intorno a Maria esprimono un importantissimo principio. Come redenti da lui, siamo in obbligo di fare per Cristo quanto sta in poter nostro. Iddio non domanda di più da ciascun di noi. L'affetto verso di lui non si vede meno chiaramente nei piccioli della vedova che nel tempio magnifico costrutto da Salomone! "Perciocché", dice Paolo, "ne vi è la prontezza dell'animo, altri è accettevole mondo ciò ch'egli ha, e non secondo ciò ch'egli non ha" 2Corinzi 8:12

ella ha anticipato d'ugnere il mio corpo, per una imbalsamatura

Letteralmente, per la imbalsimatura. Questa parola greca non indica il seppellimento stesso, ma tutta quanta la preparazione del corpo per la tumulazione, la qual preparazione consisteva nel lavarlo, nell'ungerlo, nel profumarlo, e quindi involgerlo nel sudario Giovanni 19:40. Alcuni intendono queste parole come se semplicemente significassero essersi il Signore degnato di considerare l'atto di Maria quale preparazione per la tomba, sebbene ella non pensasse punto alla sua sepoltura. Altri suppongono che essa avesse il presentimento di quanto stava per avvenire; ma è poco men che impossibile che nostro Signore avesse parlato così, se nella mente di Maria non ci fosse stata una chiara previsione della sua sepoltura. Ella sapeva bene ch'egli avea predetto, a più riprese, l'avvicinarsi della sua morte; e come può immaginarsi che una persona la quale osservava così premurosamente le parole di Cristo non fosse preoccupata del pensiero di ciò che stava per avvenire? Non le erano ignoti i pericoli ch'egli correva in Gerusalemme, ed è possibilissimo che colta all'improvviso dal pensiero che la malizia dei suoi nemici potesse negare ai suoi discepoli la triste consolazione di rendergli i funebri onori, dicesse fra sé e sé: Adesso che ancora lo posso, io voglio onorarlo. Secondo noi, Gesù, in queste parole, attribuì a Maria una più piena intelligenza e una fede più semplice nelle sue profetiche predizioni che non l'avessero, in qualunque tempo, gli Apostoli scelti da lui medesimo, e si fu nell'intendimento di onorare in modo speciale, la forza della sua fede, non meno che la profondità dell'amor suo, ch'ei dichiarò che questo atto di lei sarebbe pubblicato dovunque si predicherebbe l'evangelo.

PASSI PARALLELI

1Cronache 28:2-3; 29:1-17; 2Cronache 31:20-21; 34:19-33; Salmi 110:3; 2Corinzi 8:1-3,12

Marco 15:42-47; 16:1; Luca 23:53-56; 24:1-3; Giovanni 12:7; 19:32-42

Mc 14:9

9. Io vi dico la verità, che per tutto il mondo, dovunque questo evangelo sarà predicato, sarà eziandio raccontato ciò che costei ha fatto, in memoria di lei.

Queste parole contengono incidentalmente la predizione che il vangelo di Gesù Cristo, cioè la storia del suo soggiorno in terra, dei principali avvenimenti della sua vita quaggiù, e della salute ch'egli assicurò, morendo, ai figliuoli degli uomini, sarà certamente pubblicato per tutto il mondo. Una tale assicurazione deve incoraggiare grandemente tutti coloro che si affaticano per la diffusione della vera conoscenza di Cristo tra gli Ebrei, i Maomettani, i Pagani e i seguaci di quelle Chiese che si sono allontanate dal puro Cristianesimo; per la circolazione delle Scritture Sante, in cui è esposto mediante l'evangelo. Tre cose sono da osservarsi in questo annunzio:

1. che esso contiene un chiaro riconoscimento profetico per parte di nostro Signore della esistenza, nell'avvenire, di ricordi scritti, in cui si avesse a raccontare quell'atto, perché in niun'altra guisa è concepibile che esso potesse venire universalmente conosciuto;

2. che abbiam quì (se per verità ne avessimo bisogno) un argomento convincente contro quella opinione che suppone i tre primi Vangeli essere stati compilati da un solo documento originale; imperocché se ci fosse stato un tale documento, avrebbe dovuto contenere questa narrazione e nessuno che ne facesse uso avrebbe potuto mancare di inserire nella sua opera questo racconto, accompagnato da tale promessa, mentre Luca ha mancato d'inserirlo;

3. che la stessa considerazione è egualmente decisiva contro il supposto che Luca abbia usato o anche sol veduto i nostri presenti Vangeli di Matteo e Marco. Questo è il solo caso in cui Gesù abbia promesso gloria terrena per un servizio a lui reso. È una delle più gloriose distinzioni che fossero mai conferite a mortale, distinzione la quale, invece di andar scemando col tempo, va crescendo ogni giorno, e alla quale, come fu giustamente osservato, contribuiscono perfino i critici e gli interpreti avversarii, nell'atto stesso che muovono dubbiezze e censure.

PASSI PARALLELI

Marco 16:15; Matteo 26:12-13

Numeri 31:54; Salmi 112:6-9; Zaccaria 6:14

Mc 14:10

10. Allora Giuda Iscariot, l'un dei dodici, andò ai principali sacerdoti,

I sommi sacerdoti son quelli che avean già tenuto cotale uffizio, e i capi delle varie mute pel servigio del tempio. Luca 22:4 aggiunge "i capitani", ponendoli tra i cospiratori. Erano questi i comandanti della guardia stazionata al tempio per la difesa di esso ed a tutela delle ricchezze ivi contenute. Si prendevano comunemente dalla tribù di Levi, ed erano in relazione intima coi sacerdoti e con gli uomini più influenti. La coorte che uscì a catturare Gesù nel giardino di Ghetsemane apparteneva a questa guardia del tempio. Forse già al tempo di Pilato, ma certissimamente a quello dei suoi successori Felice e Festo, i Romani avevano anch'essi destinata una guardia per la sicurezza e custodia del tempio e per la repressione delle risse e contese che nascean spesso tra gli Ebrei medesimi durante le feste Atti 21:30-35; 23:27

per darlo lor nelle mani.

Fu già detto (Note Marco 14:3Marco 14:3) che la cena in casa di Simone, in Betania, ebbe luogo, secondo Giovanni, nella sera del Sabato ossia al principio del primo giorno della settimana, e che la ragione per cui sì Matteo che Marco l'introducono, a mo' di parentesi, in mezzo al racconto della congiura onde impadronirsi di Gesù, fu perché in quella cena l'avarizia e la collera di Giuda erano state entrambe eccitate potentemente e nel cuor suo era stata concepita l'idea di appagarle entrambe ad un colpo, vendendo il Maestro ai suoi nemici. La visita di Giuda ai sacerdoti e agli altri rettori d'Israele, ricordata in questo vers. deve avere avuto luogo la sera in cui finiva il Martedì e incominciava il Mercoledì santo. Non potè aver luogo prima perciò che è detto al vers. 1,2; non potè avvenire più tardi, poiché allora non avrebbero più avuto il tempo di combinare i loro piani.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:14-16; Luca 22:3-6; Giovanni 13:2,30

Salmi 41:9; 55:12-14; Matteo 10:4; Giovanni 6:70

Giovanni 13:2

Mc 14:11

11. Ed essi, udito ciò, si rallegrarono,

La ragione della loro gioia s'intende subito, paragonando la "speranza prolungata", descritta nel vers. 2, col il desiderio adempiuto per la proposta di Giuda.

e promisero di dargli denari.

Secondo Matteo: "Giuda disse loro: Che mi volete dare, ed io ve lo darò nelle mani? Ed essi gli pesarono trenta sicli d'argento" (L. it. 93). Era questo il prezzo di uno schiavo Esodo 21:32. Non è improbabile che questa somma venisse così fissata da essi per mostrare il loro disprezzo di Gesù e il poco

conto che facevano di lui. Senza dubbio si accorsero anche esser Giuda così ansioso di ottener denaro che avrebbe tradito il suo Signore per qualunque somma gli offerissero. Matteo fa menzione della somma precisa per attirare la nostra attenzione sopra una profezia di Zaccaria 11:12, in cui 30 sicli sono specificati come il prezzo del Messia (Vedi nota Matteo 27:9Matteo 27:9).

Ed egli cercava Il modo di tradirlo opportunamente.

Luca: "E cercava opportunità di farlo senza tumulto". Che si avesse ad evitare una "sollevazione" o un "tumulto" tra la moltitudine era probabilmente una condizione stipulata dalle autorità giudaiche e consentita dal traditore, imperocché è evidente che temevano potesse scoppiare un tumulto se Gesù venisse catturato pubblicamente (vers. 2).

PASSI PARALLELI

Osea 7:3; Luca 22:5

1Re 21:20; 2Re 5:26; Proverbi 1:10-16; 28:21-22; Matteo 26:15; 1Timoteo 6:10

2Pietro 2:14-15; Giudici 1:11

Luca 22:5-6

RIFLESSIONI

1. Tra le coincidenze impremeditate che si riscontrano nei racconti dei quattro Evangelisti e che ne confermano con tanta forza la verità, non sono tra le meno notevoli i tratti che ci forniscono Luca e Giovanni intorno ai rispettivi caratteri di Marta e di Maria. Mentre in Luca 10:38-42 abbiamo una scena, omessa da Giovanni, in cui spiccano l'attività di Marta e la placida affezione e docilità passiva di Maria, abbiamo in Giovanni 12:1, ecc., un'altra assai diversa, omessa da Luca, in cui tuttavia appariscono gli

stessi caratteristici. Marta ministra a tavola, mentre Maria sparge sul suo Signore l'olezzo dell'amor suo, figurato dall'unguento prezioso di cui lo unge.

2. E da osservarsi che in ambo le volte in cui Cristo venne unto da donne, quell'atto provocasse commenti ingiuriosi dagli astanti. In quello ricordato in Luca 7:39#490070390000-490070390000, Simone il Fariseo, evidentemente presuppose che la povera donna fosse spinta da motivi men che puri, e irrise quel ch'ei suppose essere in Gesù ignoranza del vero carattere di lei. Nell'esempio attuale sono gli stessi suoi discepoli che mostransi indignati di quel ch'essi considerano uno spreco inutile, sebbene il profumo fosse proprietà di Maria che essa avea pieno diritto di usare nell'ungere l'amato suo Maestro, piuttostoché se stessa. In entrambi i casi, il Signore riprende lo spirito di censura e la mancanza di carità dei disapprovanti e giustifica l'amore che facea cotali sacrifizi. Nel primo caso mette a contrasto la premura dimostratagli dalla donna con la studiata trascuranza del Fariseo verso di lui, sebbene ospitato in casa sua; nel secondo, mette, per dir così, il suo imprimatur alla di lei opera in opposizione all'accusa di "perdita" o spreco inutile, e per soprappiù dichiara che quell'opera buona sarebbe ricordata in perpetuo. Badiamo, dalla nostra parte, che la gloria di Cristo sia il vero movente delle opere nostre, e allora le giudichino pure e le condannino a lor talento gli uomini, che non avremo nulla da temere, imperocché il Signore ci giustificherà nel tempo e nel modo che e li crederà migliore.

3. Alcuni vi sono che applaudiscono solo alle opere di utilità e condannano quelle che scaturiscono da un amore che sacrifica sé stesso, ma la sincerità di coloro che così la mettono in opposizione è ben giusto che inspiri dei sospetti. I cuori freddi di Giuda e di quelli che dividevano la sua opinione non poteano comprendere la generosa liberalità di Maria. "Mormoravano contro di essa". Purtroppo è tutt'altro che raro lo spirito gretto di cotesti censori, i cui seguaci e successori si ritrovano in ogni parte della Chiesa visibile di Cristo. Non vien mai meno la generazione di quelli che gridano contro quel ch'essi chiamano estremi in religione, e non rifiniscono di raccomandare la moderazione nel servigio di Cristo. Se qualcuno dedica il tempo, il denaro e gli affetti suoi esclusivamente al conseguimento di fini

mondani, non hanno per lui una parola di biasimo, se si dà tutto al far quattrini, ai piaceri o alla politica non trovan nulla a ridire. Ma se alcuno consacra tutto se stesso e tutto quanto egli possiede a Cristo, non sanno trovar parole che valgano ad esprimere quanto grande sembra loro la sua follia. È religioso fino all'eccesso! È un fanatico! È un entusiasta! Ha perso il ben dell'intelletto! ecco in che modo esso vien giudicato. Non ci lasciamo commuovere da censure, se ci vengano dirette perché ci sforziamo di servire Cristo; sopportiamole pazientemente ricordandoci che sono antiche quanto il Cristianesimo. Chi ha fatto l'esperienza del grande amor di Cristo per lui non può più stimar cosa alcuna troppo buona o preziosa per esser dedicata al suo servizio; ma piuttosto chiederà a sé stesso: "Che renderò io al Signore per tutti i suoi benefizi?" Salmi 116:12#231160120000-231160120000.

4. Per quelli che si sentono presi dallo scoraggiamento pensando quanto è poco quello che possono fare per Cristo, quale ineffabile consolazione si contiene in quella testimonianza resa a Maria: "Ella ha fatto ciò che per lei si poteva!" Il più povero, e il più umile dei seguaci di Cristo può, in base a questo principio, non rimanere inferiore, nella stima di Cristo, all'altezza medesima dei più doviziosi e di quelli a cui è dato esercitare la più ampia influenza cristiana 2Corinzi 8:12#540080120000-540080120000.

5. In questo incidente possiamo intravvedere quel che avverrà nel giorno del giudizio. In quel gran giorno, si troverà non esser stata dimenticata veruna onoranza che sia stata resa a Cristo. In quel giorno, non sarà fatta menzione dei discorsi degli oratori in parlamento, né delle gesta dei guerrieri, né delle opere dei poeti e dei pittori; ma l'azione più insignificante che la più debole donna cristiana avrà fatta per Cristo o pei membri suoi, si troverà registrata in un libro d'eterna ricordanza.

6. Per mostrare ancor meglio l'adempimento della predizione del Signore intorno a quest'azione di Maria, possono riuscire interessanti in questo luogo una o due citazioni di scrittori eminenti. "Mentre le vittorie di molti re e generali", dice il Crisostomo, andarono perdute nel silenzio dell'obblivione, e molti che fondarono stati e ridussero nazioni in servitù non sono conosciuti di riputazione o di nome, l'unzione fatta da questa donna col suo unguento è celebrata per tutto il mondo, e per trascorrer di

tempo non dileguossi la memoria dell'atto da lei compito; e i Persi, gl'Indi, gli Sciti, i Traci, la razza de' Mauritanii, e gli abitatori delle isola Britanniche divulgano un'azione fatta privatamente in una casa di Giudea da una donna! "Il Salvatore", dice Olshausen, "coronò la soavità e tenerezza sua rimarcando che, nell'atto di amore tributato a lui, Maria avea eretto a sé stessa un monumento perenne e duraturo quanto l'Evangelo che è la parola eterna di Dio. Di generazione in generazione andò compiendosi questa notevole profezia del Signore, ed ancor noi, nello spiegar questo detto del Redentore, contribuiamo necessariamente al suo compimento". "I nomi di molti derisori e bestemmiatori", dice Stier, "rimasero cancellati, ma di quel che Maria fece in segreto a Betania si è parlato insino ad ora e si parlerà fino, alla fine dei tempi, perché il Signore così l'ha decretato, con una di quelle parole che non passeranno".

7. Il delitto di Giuda troppo facilmente lo si considera come qualcosa di eccezionale per carattere e per atrocità; ma lo studio di esso nei suoi stadii diversi è atto a dissipare siffatta delusione. E imprima, essendo l'avarizia la sua passione predominante, il Signore lasciò che si rivelasse, e acquistasse forza con lo affidargli la borsa comune della loro piccola brigata Giovanni 12:8#500120080000-500120080000. Nel discarico, di quel dovere affidatogli, ci divenne un ladro, e cominciò ad involare qualche cosuccia per suo proprio conto. Allora Satana, trovando il cuore di lui aperto a riceverla, cominciò a sussurrargli cautamente la tentazione di tradire il Maestro, insinuandogli che in tal modo potrebbe arricchir sé medesimo, senza far correre alcun pericolo a Cristo; poiché Colui che avea già operato tanti miracoli, ben saprebbe liberarsi da qualsiasi più estremo pericolo. Quindi quel pensiero si convertì in fermo proposito, per mezzo di un incidente che avvenne in casa di Simone in Betania, e da lì al metterlo in esecuzione coll'entrare in accordo col Sinedrio, era breve il passo. Finalmente il delitto fu consumato quando "Satana entrò in lui" Giovanni 13:27#500130270000500130270000, alla cena pasquale, e la voce della coscienza restò soffocata interamente, per risvegliarsi e trascinarlo alla disperazione solo quando fu compiuto il tradimento. Quale notevole commentario delle parole di Giacomo 1:15#660010150000-660010150000: "Poi appresso, la concupiscenza, avendo concepito, partorisce il peccato, e il peccato, essendo compiuto, genera la morte!".

48014012Mc 14:12

Marco 16:12-26. PREPARAZIONE PER LA PASQUA ED ULTIMA SUA CELEBRAZIONE. GESÙ INDICA GIUDA COME IL TRADITORE. ISTITUZIONE DELLA SANTA CENA Matteo 26:1730; Luca 22:7,23; Giovanni 13:18-19,21-30; 1Corinzi 11:2329#470260170000-470260300000#490220070000490220070000#490220230000-490220230000#500130180000500130190000#500130210000-500130300000#530110230000530110290000

Per la esposizione vedi Luca 22:7Luca 22:7-23; Giovanni 13:18Giovanni 13:18-30.

48014027Mc 14:27

Marco 14:27-31. GESÙ PREDICE L'ABBANDONO DEI DISCEPOLI E LA CADUTA DI PIETRO Matteo 26:31-35; Luca 22:31-38; Giovanni 13:36-38#470260310000-470260350000#490220310000490220380000#500130360000-500130380000

Per l'esposizione vedi Luca 22:31Luca 22:31-46.

48014032Mc 14:32

Marco 16:32-42. L'AGONIA NEL GHETSEMANE Matteo 26:36-46; Luca 22:37-46; Giovanni 18:1#470260360000470260460000#490220370000-490220460000#500180010000500180010000

Il trovarsi nella storia evangelica una scena come quella che stiamo per considerare è non solamente una prova della sua realtà, ma anche della severa fedeltà della narrazione in cui è contenuta. Se i tre Evangelisti che ricordano questa scena, fossero stati guidati, nella scelta dei materiali che avean dinnanzi, dal solo desiderio di glorificare il loro Maestro agli occhi dei lettori, possiamo esser certi che avrebbero omesso questo fatto, il quale non potea mancare di esser d'intoppo a molti lettori bene disposti. Egli è certo che nel secolo che seguì immediatamente quello degli Apostoli, certi apologisti stimarono necessario di giustificare, in qualche modo l'agonia di Cristo in Ghetsemane agli occhi anche dei bene affetti inverso il Cristianesimo; mentre i suoi nemici come per esempio Celso al principio del secondo secolo, e Giuliano nel quarto, se ne beffavano, dicendo che Cristo si era mostrato pusillanime di faccia alla morte, mentre i pagani, dicevano essi, muoiono coraggiosamente. Per bene intendere tutta questa importante narrazione, fa d'uopo aver sempre presente la realtà dell'umanità di nostro Signore in tutto il suo abbassamento e la sua debolezza. Si troveranno allora in lui tutti i segni caratteristici dell'umano patire, vale a dire la forza dell'animo risoluto e la calma della volontà sopraffatte, di continuo, dall'umana debolezza e limitate dalla pochezza della sua potenza di soffrire. Tuttavia, nel caso del Signore Gesù, tale conflitto differisce dal nostro in questo, che in noi la volontà non è se non umana; laddove in lui congiuntamente alla sua volontà umana c'era pure la sua volontà divina, la quale teneva sempre in vista lo scopo del patto eterno di grazia, e lottava con la debole carne umana.

32. Poi vennero in una villa,

horion è una parola di esteso significato, che abbraccia qualsiasi terreno recinto, da un piccolo giardino ad un vasto podere, ma definita in questo caso" Giovanni 18:1#500180010000-500180010000, per chepos "un orto". Secondo Flavio, i sobborghi di Gerusalemme abbondavano di giardini e ville (Guer. Giudici 6:1).

detta Ghetsemane,

Da gath un tino, e shemen, olio. Quest'orto era situato sul versante occidentale del monte degli Ulivi, il quale non è separato dal monte Moria che da un burrone stretto e profondo, chiamato negli antichi tempi il torrente del Chedron, ed ora la valle di Giosafat. Molti s'immaginano erroneamente che il Chedron sia una corrente perenne, ma la parola (heimarros), applicatagli da Giovanni 18:1#500180010000-500180010000, significa precisamente quel che egli è ai dì d'oggi, cioè un torrente che scorre soltanto durante la stagione delle pioggie, e non presenta, nelle altre stagioni, che un arido letto; e così spiegato, corrisponde esattamente al significato del nome ebraico nahal 2Samuele 15:23; 1Re 2:37#100150230000100150230000#110020370000-110020370000, e con quel o di wadi che gli è ora applicato dagli Arabi. Il sito che i monaci Latini indicano ora pel Ghetsemane è posto precisamente laddove il sentiero che conduce a Betania per la cima dell'Oliveto, s'incontra con la strada più frequentata di Bethfage (Vedi nota Marco 14:2Marco 14:2). Siccome la direzione di queste pubbliche vie non ha subito cangiamento alcuno dai giorni di Davide a questa parte 2Samuele 15:23,30#100150230000100150230000#100150300000-100150300000, così ci troviamo costretti ad ammettere o l'una o l'altra di queste due conclusioni, o che la situazione del giardino che è indicata da quei monaci sia falsa, o che nostro Signore, cercando un luogo appartato per pregare, scegliesse appunto il più rumoroso e il più in vista del pubblico che sia in quella località il luogo che quei monaci hanno di recente cinto di mura, pare che fosse scelto per la prima volta per quello identico del Ghetsemane nel quarto secolo, sotto gli auspici dell'Imperatrice Elena, madre di Costantino, archeologa indefessa bensì ma estremamente credula e ignorantissima! Il probabilissimo che quell'orto appartenesse a un qualche discepolo o almeno, a persona amica di Gesù, e che il Signore usasse condurvisi coi discepoli; poiché vediamo Giuda guidar colà la masnada come a luogo che gli era ben noto e in cui sapeva certamente di trovar Gesù.

ed egli disse ai suoi discepoli: Sedete qui, finché io abbia orato.

Benché, dal posto che occupa nelle narrazioni di Matteo e di Marco (conf. Matteo 26:30-31; Marco 14:26-52#470260300000470260310000#480140260000-480140520000), si potesse concliudere che

la predicazione della, caduta di Pietro e della dispersione degli altri Apostoli sia stata pronunziata da Cristo, nell'andare da Gerusalemme in Ghetsemane sembra realmente che fosse pronunziata (come si trova in Luca) più a buon'ora nella ocra, poco dopo annunziato il tradimento di Giuda. Ivi l'avvertimento è a suo posto secondo la legge della associazione delle idee, ed è corroborato dal fatto che sarebbe stato impossibile agli undici di radunarsi intorno al loro Maestro in guisa da potere udire tutte le sue parole, mentre attraversavano le affollate vie di Gerusalemme. Dopo entrati nell'orto, il primo avvenimento nell'ordine cronologico fu una esortazione indirizzata da Gesù all'intiera compagnia dei suoi discepoli: "Orate che non entriate in tentazione". Essi ne avean bisogno, imperocché era or venuto il tempo che il loro Maestro doveva essere tentato nel modo più estremo dalla "podestà delle tenebre", e perciò i discepoli doveano aspettarsi essi pure gli assalti del tentatore. Comandando loro di rimanere laddove trovavansi, cioè presso l'entrata, ei si preparava ad andar più oltre verso i recessi dell'orto. Matteo: "finché io sia andato là"; Luca: "quasi per una gittata di pietra".

PASSI PARALLELI

Matteo 26:36-46; Luca 22:39; Giovanni 18:1-11#470260360000470260460000#490220390000-490220390000#500180010000500180110000

Marco 14:36,39; Salmi 18:5-6; 22:1-2; 88:1-3; 109:4#480140360000480140360000#480140390000-480140390000#230180050000230180060000#230220010000-230220020000#230880010000230880030000#231090040000-231090040000

48014033Mc 14:33

33. e prese seco Pietro, e Giacomo, e Giovanni;

In questa memorabile occasione come nella risuscitazione della figlia di Iario e nella sua trasfigurazione, il Signore ammise questi tre discepoli a

maggiore intimità che non gli altri, scegliendoli ad esser testimoni d'una scena che non ha riscontro nella storia del mondo.

e cominciò ad essere spaventato, e gravemente angosciato (essere oppresso o abbattuto); 34. e disse loro: L'anima mia è occupata di tristizia (gravemente angosciata), infino alla morte

Memorabilissime parole queste, procedenti dalle labbra di Colui che in tutto il tempo della sua vita terrestre era stato l'uomo di dolori ed esperto in languori Isaia 53:3#290530030000-290530030000. Esse sembrano indicare che tutto il passato era come un nulla, che ora per la prima volta avea scandagliato le profondità maggiori del dolore ed era spaventato nel vederle così grandi. "Sebbene in tutta la sua vita ei fosse stato uomo di dolori", dice il Prof. Brown, "non c'è ragione di pensare che il circolo medesimo dei suoi più fidati ne fosse messo a parte mai, fuorché in un'occasione precedente, quando il desiderio espresso da taluni dei Greci che eran venuti alla festa" di veder Gesù, "sembra avergli richiamato alla mente oppressa l'ora in cui egli doveva essere levato in su dalla terra", e fattolo esclamare in pubblico: "Ora è turbata l'anima mia; e che dirò? ecc." Giovanni 12:20,27#500120200000500120200000#500120270000-500120270000. Or tuttavia apre liberamente il cuore agli amici suoi fidati e parla della tristezza della sua anima come di cosa che lo abbatte e consuma "infino alla morte". Il senso di queste ultime parole è: "Io sento come se la natura cedesse sotto il peso dell'angoscia, e ch'io non potessi sopravviverle; a tanto strazio sta per venir meno questa vita mortale". Il riferirsi che fa quì nostro Signore, come pure in Giovanni 12:27#500120270000-500120270000, all'anima sua razionale, confuta, per incidenza, ma fu modo convincente, l'eresia Apollinaria, che cioè il Signore Gesù non avesse l'anima umana, ma invece di essa la sola natura divina. Che se tale fosse stato il caso, ei non sarebbe stato un uomo completo, e Paolo non avrebbe potuto affermare di lui: "Siccome i fanciulli parteciparon la carne ed il sangue, egli simigliantemente ha partecipato le medesime cose", e ancora "è convenuto ch'egli fosse in ogni caso simile a' fratelli" Ebrei 2:14,17#650020140000-650020140000#650020170000650020170000.

48014034Mc 14:34

dimorate qui, e vegliate.

Nella scelta dei tre discepoli ch'egli amava di più, e nel comando dato ad essi di vegliare con lui, si rivela il cuore umano di Gesù. Fin d'allora avea cominciato a ritirarsi da lui la faccia di suo Padre, e le tentazioni dei "principati e delle potestà delle tenebre" gli moveano assalti più fieri che nel deserto; il peso del peccato, che era venuto a toglier per sempre dal suo popolo, si presentava con forza opprimente alla sua conoscenza umana; egli provava intenso bisogno di simpatia, e la cercava da questi discepoli che lo avean conosciuto così intimamente. Egli aveva una vera umanità, tanto più tenera e suscettibile della nostra, in quantoché non era ammorzata e ottusa dal peccato, e l'animo suo, oppresso da tristezza, avrebbe trovato sollievo nella loro simpatia, per quanto necessariamente angusta e contratta, sicché forse non sarebbe stato bisogno della visita degli angeli. Ma anche questa poca simpatia gli fece difetto; i discepoli erano come "canne rotte", e invece di vegliare e pregare si addormentarono. Ed anche in questo caso dovevano compiersi le parole dette intorno a lui dagli antichi profeti (Vedi Salmi 69:21; 88:19; Isaia 63:3,5#230690210000-230690210000#230880190000230880190000#290630030000-290630030000#290630050000290630050000).

PASSI PARALLELI

Marco 1:16-19; 5:37; 9:2#480010160000-480010190000#480050370000480050370000#480090020000-480090020000

Salmi 38:11; 69:1-3; 88:14-16; Isaia 53:10; Matteo 26:37-38; Luca 22:44#230380110000-230380110000#230690010000230690030000#230880140000-230880160000#290530100000290530100000#470260370000-470260380000#490220440000490220440000

Ebrei 5:7#650050070000-650050070000

Isaia 53:3-4,12; Lamentazione 1:12; Giovanni 12:27#290530030000290530040000#290530120000-290530120000#310010120000310010120000#500120270000-500120270000

Marco 14:37-38; 13:35-37; Efesini 6:18-19; 1Pietro 4:7; 5:8#480140370000-480140380000#480130350000480130370000#560060180000-560060190000#670040070000670040070000#670050080000-670050080000

48014035Mc 14:35

35. E, andato un poco innanzi,

Si fu al fine di preparare questi discepoli ad esser testimoni della sua agonia che il Signore li prescelse a testimoni della sua gloria sul monte della trasfigurazione. Senza tale preparazione, la fede loro avrebbe potuto venir meno quando videro il loro Maestro "angosciato", "spaventato", "triste infino alla morte". "Gli è pur sempre vero che son meglio preparati a soffrire con Cristo coloro che hanno contemplata per fede la sua gloria e han conversato co' suoi santi glorificati sul monte suo santo" (Henry). Si osservi tuttavia che Cristo non volle nemmen cotesti accanto a sé quando sofferse la sua misteriosa agonia, poiché sapeva, sì per la natura che per la profondità di quel soffrire, non potere essi comprenderlo. Ei sente il bisogno d'esser solo col Padre. Stier suppone che i discepoli udissero le parole del Salvatore e vedessero il suo sudore di sangue mentre giacea bocconi in terra. Ma, considerando la distanza, il lume incerto della luna a gran fatica penetrante tra il tetro fogliame degli ulivi, ed il fatto che i discepoli erano allora addormentati, la supposizione sua è altamente improbabile. Questa scena, come quella della tentazione nel deserto, in tutti i suoi punti più importanti, non poteva esser nota agli Evangelisti se non per ispirazione dello Spirito Santo, a meno che, Gesù non la raccontasse egli stesso ai suoi discepoli dopo la risurrezione.

si gittò in terra,

Si confrontino la parole degli Evangelisti. Quelle di Luca sono le più generali: essendosi inginocchiato; Matteo: si gittò, o cadde sopra la sua faccia; Marco: cadde sulla terra, cioè si prostrò disteso in terra. Le ginocchia piegate, e il volto boccone in terra, è questa l'attitudine consueta di un orientale assorto nella preghiera, e così il Signore continuò per alcun tempo, poi non potendo più sostenere l'angoscia dello spirito oppresso, per la quale si sentiva venir meno la vita, si prostrò disteso con tutta la persona sulla polvere, la quale posizione bene esprime l'estremo di un'angoscia straordinaria.

e pregava che, se era possibile, quell'ora passasse oltre di lui,

C'è questa peculiarità in Marco, che prima egli ci dà, con le sue proprie parole, un epilogo della preghiera del Signore e poi subito aggiunge le parole medesime da lui usate. La parola "ora" non si ha quì da prendere alla lettera. Nella Scrittura è usata sovente a denotare una stagione, uno spazio di tempo, o un avvenimento; e nostro Signore le applica qui, a tutto il tempo della sua passione che stava per incominciare. Egli bramava, se ciò fosse stato compatibile coi disegni e con le perfezioni di Dio, che quel tempo passasse oltre senza ch'egli avesse a soffrire quel che era omai imminente. Tutti i tentativi che si facessero per conciliare questa preghiera col supposto che Gesù non bramasse realmente ciò che così chiedeva, sarebbero ripugnanti al senso evidente delle parole e contraddirebbero alla lettera della Scrittura. La chiave di questo misterioso enimma, fin dove almeno può essere aperto ai nostri finiti intendimenti, è riposta nell'ovvia considerazione che nostro Signore sofferse precisamente i patimenti medesimi che avrebbe provati qualsiasi altro uomo nella stessa posizione, ma senza alcun suo peccato. Gli è perciò che rifuggiva dalla morte e si sentiva oppresso sotto il peso dell'ira di Dio non meno realmente di noi. Oltracciò, le sue sofferenze, anche nel giardino, eran vicario; e quantunque fosse egli stesso senza peccato, pure partecipava ai dolori cagionati dal peccato, come essendo egli stesso il gran sacrifizio espiatorio, "colui per i cui lividori noi fummo sanati" Isaia 53:5#290530050000-290530050000. Il desiderio dunque ch'egli espresse di poter sottrarsi al patire, ha da intendersi né più né meno che come un incidente inseparabile dalla sua umanità, ed anche come parte de' suoi patimenti vicarii.

PASSI PARALLELI

Genesi 17:3; Deuteronomio 9:18; 1Cronache 21:15-16; 2Cronache 7:3; Matteo 26:39; Luca 17:15-16#010170030000010170030000#050090180000-050090180000#130210150000130210160000#140070030000-140070030000#470260390000470260390000#490170150000-490170160000

Atti 10:25-26; Ebrei 5:7; Apocalisse 4:10; 5:14#510100250000510100260000#650050070000-650050070000#730040100000730040100000#730050140000-730050140000

48014036Mc 14:36

36. E disse: Abba, Padre,

La prima di queste parole significa Padre nella lingua aramaica, nella qual lingua nostro Signore probabilissimamente s'indirizzava al Padre suo celeste; la seconda è l'equivalente suo in greco, e fu aggiunta da Marco a vantaggio di coloro che non intendessero la lingua ebraica. L'aver così conservata l'espressione del vernacolo è in perfetto accordo con l'usanza di Marco (Vedi Marco 5:41; 7:11; 9:5; 11:21#480050410000480050410000#480070110000-480070110000#480090050000480090050000#480110210000-480110210000). Tale spiegazione del congiungimento di queste due parole ci sembra più naturale che il supporre, come fanno alcuni scrittori, che ai tempi di Cristo esse si fossero combinate in guisa che gli Ebrei le usassero come un solo appellativo; a sostegno della quale opinione non sanno addurre altro se non che Paolo le usò congiuntamente nell'Epistole ai Romani 8:15#520080150000520080150000, e ai Galati 4:6#550040060000-550040060000, dimenticando che queste epistole furono scritte per gentili.

ogni cosa ti è possibile; trasporta via da me questo calice; ma pure, non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi.

Sono degne d'attenzione le varianti nella sostanza della preghiera, come son date dai sinottici. In Matteo, abbiamo: se egli è possibile; secondo Marco: ogni cosa ti è possibile; e secondo Luca: se vuoi, ma tutte trovano il loro punto d'unione nel volere o nel consiglio divino. Se ciò fosse stato compatibile con tale volere, Gesù supplicava il Padre di toglier via da lui il calice della passione; ma nemmeno per schivarne la feccia amara, consentiva la sua volontà umana a porsi in opposizione con la volontà di Dio. La completa sottomissione al volere del Padre, senza riguardo ai propri desiderii umani, è un glorioso trionfo dell'obbedienza di nostro Signore sulla prova più tremenda che possa concepirsi. Come uomo, egli desiderava di esser liberato dall'ira di Dio, pur come uomo, finalmente acconsentì a sostenerla, siccome l'unico mezzo di "salvare il suo popolo dai loro peccati". Le parole precise usate da nostro Signore, lo Spirito Santo non ha giudicato conveniente il darcele, mostrandoci anche in questo caso, che l'identità delle parole non importa purché la sostanza del pensiero divino venga espresso. Che nostro Signore debba aver profferite tutte e tre queste forme di preghiera, non si ha da pensarlo nemmeno per un momento. Il calice di questo vers., e l'ora del precedente, si riferiscono allo stesso soggetto, cioè alla offerta dell'anima sua Isaia 53:10#290530100000-290530100000, incominciata nell'orto e consumata sulla croce; e questi termini si identificarono per modo nelle menti degli Evangelisti, che si trovano usati indifferentemente l'uno per l'altro nel racconto della Passione. Nel passare per quell'ora, nel bere quel calice amaro, Gesù fece l'espiazione delle nostre trasgressioni.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:9; Romani 8:15-16; Galati 4:6#470060090000470060090000#520080150000-520080160000#550040060000550040060000

Marco 10:27; Genesi 18:14; Geremia 32:27; 2Timoteo 2:13; Tito 1:2; Ebrei 5:7; 6:18#480100270000-480100270000#010180140000010180140000#300320270000-300320270000#620020130000-

620020130000#630010020000-630010020000#650050070000650050070000#650060180000-650060180000

Luca 22:41-42#490220410000-490220420000

Salmi 40:8; Giovanni 4:34; 5:30; 6:38-39; 12:27; 18:11; Filippesi 2:8; Ebrei 5:7-8#230400080000-230400080000#500040340000500040340000#500050300000-500050300000#500060380000500060390000#500120270000-500120270000#500180110000500180110000#570020080000-570020080000#650050070000650050080000

48014037Mc 14:37

37. Poi venne, e trovò i discepoli che dormivano;

In conseguenza dell'avere effuso il cuor suo nella preghiera al suo Padre celeste, sembra che il Redentore si sentisse sollevato pel momento e ritornasse ai tre discepoli per trovar refrigerio nella loro simpatia e testimoniare loro, al tempo stesso, quanto li amasse; ma li trovò addormentati. Luca ci dice esser ciò accaduto per cagion "di tristizia". Accade spesso infatti che un grave e prolungato dolore renda spossati gli spiriti e induca negli uomini un senso di torpore, specialmente quando sia, come in questo caso, accompagnato dall'inazione. "La legge semplicissima", dice il Lange, "che una tensione straordinaria eleva la vita spirituale ove questa sia sviluppata altamente, mentre invece la stupidisce ove sia sviluppata meno, trova quì la sua più forte illustrazione nel contrasto assoluto della vigilanza spirituale e del sonno".

e disse a Pietro: Simone, dormi tu? non hai tu potuto vegliar pure un'ora?

Il rimprovero li colpisce tutti, ma la ragione per cui è indirizzato specialmente a Pietro è ovvia a chi rammenti il superbo millantarsi che pur dianzi avea fatto della sua devozione: "Benché mi convenisse morir teco non però ti rinnegherò" Matteo 26:35#470260350000-470260350000;

"Avvegnaché tutti sieno scandalizzati di te, io però non lo sarò" Marco 14:29#480140290000-480140290000; "Il Signore, io sono presto ad andar teco e in prigione e alla morte" Luca 22:33#490220330000-490220330000. Gesù nol chiama ora Pietro, ma Simone, come in altre occasioni in cui si fece in lui penosamente manifesta la debolezza della carne, Vedi Luca 22:31; Giovanni 21:15#490220310000-490220310000#500210150000500210150000, ecc. "Di grandi cose ti sei vantato, e a questo siam ridotti, che alla prima prova sei venuto meno, e non hai potuto vegliare pur lo spazio d'un'ora?" "Se, correndo co' pedoni, essi ti hanno stanco; come ti rimescolerai co' cavalli? e, se hai sol fidanza in terra di pace, come farai quando il Giordano sarà gonfio?" Geremia 12:5#300120050000300120050000. Era un'ammonizione significante, e se Pietro ne avesse approfittato, essa avrebbe potuto salvarlo da una terribile vergogna. "Un'ora" può esser stato benissimo il tempo passato nell'orto di Ghetsemane, ma non certamente il tempo che Gesù era stato assente da loro, ed è quì un'espressione proverbiale per indicare un tempo brevissimo.

PASSI PARALLELI

Marco 14:40-41; Luca 9:31-32; 22:45-46#480140400000480140410000#490090310000-490090320000#490220450000490220460000

Marco 14:29-31; 2Samuele 16:17; Giona 1:6; Matteo 25:5; 26:40; 1Tessalonicesi 5:6-8#480140290000-480140310000#100160170000100160170000#390010060000-390010060000#470250050000470250050000#470260400000-470260400000#590050060000590050080000

Geremia 12:5; Ebrei 12:3#300120050000-300120050000#650120030000650120030000

48014038Mc 14:38

38. Vegliate, ed orate; che non entriate in tentazione;

L'esortazione data agli otto, nel lasciarli presso l'ingresso dell'orto, è data ora di nuovo ai tre; se a farli vegliare non valse la simpatia per lui, or deve valere la loro propria salvezza, che talora non capitasse loro una qualche prova della lor fede e pazienza oltre quanto potessero sostenere.

bene è lo spirito pronto, ma la carne è debole.

Le ultime parole di questo inciso sono generalmente considerate come benigna scusa della loro fralezza, ma l'antitesi che fanno colla prima parte di esso è intesa in diversi modi, supponendo alcuni che la carne e lo spirito significhino semplicemente il corpo e l'anima; mentre la maggior parte degli interpreti intendono (più conformemente all'uso delle parole) per la carne, la natura peccaminosa con le sue colpevoli infermità, e per lo spirito, le disposizioni e i principii più elevati prodotti dalla grazia. Il senso adunque è questo, che, sebbene la loro natura spirituale fosse inclinata a fare quel ch'ei richiedeva, i resti della corruzione naturale ne li impedivano. Anche nel caso di provetti Cristiani l'opposizione della carne non è tolta e abolita assolutamente fino alla morte, anzi il conflitto tra il principio della vita divina impiantato dallo Spirito Santo in noi, e la vecchia natura, aliena da Dio, fa parte del discepolato del Cristiano, ed un elemento essenziale della vita che va maturando in lui.

PASSI PARALLELI

Marco 14:34; Matteo 24:42; 25:13; 26:41; Luca 21:36; 22:40,46; 1Corinzi 16:13; 1Pietro 5:8#480140340000-480140340000#470240420000470240420000#470250130000-470250130000#470260410000470260410000#490210360000-490210360000#490220400000490220400000#490220460000-490220460000#530160130000530160130000#670050080000-670050080000

Apocalisse 3:2-3,10#730030020000-730030030000#730030100000730030100000

Romani 7:18-25; Galati 5:17; Filippesi 2:12#520070180000520070250000#550050170000-550050170000#570020120000-

570020120000

48014039Mc 14:39

39. di nuovo andò, ed orò (di nuovo allontanatosi pregò), dicendo le medesime parole.

Matteo aggiunge "la seconda volta", e dà le espressioni usate dal Signore. Luca ci somministra alcuni particolari interessanti non dati dagli altri Evangelisti; ma siccome, nella sua narrazione, egli compendia le tre preghiere in una, è difficile decidere il posto cronologico che si ha da assegnare a ciascuna di esse nel racconto. Egli dice per esempio: "E un angelo gli apparve dal cielo, confortandolo". Alcuni argomentano che questa visita dell'angelo deve essere accaduta immediatamente dopo la prima preghiera, siccome il linguaggio della seconda (come è dato da Matteo), sembra respirare maggior acquiescenza e rassegnazione. Su ciò non possono avventurasi che delle congetture; pure, secondo noi, la visita dell'angelo sembra corrisponder meglio col tempo della seconda preghiera, e il sudor di sangue con quello della tersa. Pare che l'agitazione dello spirito del Salvatore ritornasse a certi intervalli con più terribile intensità, a guisa di quel marosi che tratto si rompono con maggior forza degli altri; e, durante la sua seconda assenza dai discepoli, pare che prorompesse su di lui tempestosa e minacciando di sommergere la sua umanità, allorquando comparve un angelo per rinvigorirlo fisicamente e corroborare la sua umanità (presso ormai a soccombere), per la lotta più fiera e terribile che ancor gli restava a sostenere. Olahausen erra quando suppone "non doversi quì intendere per lei parola angelo alcuna apparizione esterna, come di personalità visibile"; ed erra ancor maggiormente nella conclusione che ne trae, che il rinforzo consistesse esclusivamente in un interno e spirituale accrescimento di potenza dall'alto. Si fu anzi una forza esteriore che esso impartì alla macchina corporea, che fece od ch'egli sentisse in sé un vigore soprannaturale sì del corpo che dello spirito per poter sostenere il conflitto. Da tutto quanto ci insegnano le Scritture intorno alla ministrazione degli angeli siamo indotti a negare fermissimamente ch'essi abbiano potere o mandato alcuno d'intervenire tra l'anima di un uomo e Dio, nelle cose

spirituali, o di produrre verun effetto sulla sua vita spirituale, eccetto che per via di ministrazione esteriore. La dottrina della Chiesa di Roma intorno alle ministrazioni angeliche inverso i santi di Dio sulla terra, è in molti punti in opposizione diretta con gl'insegnamenti della Scrittura.

PASSI PARALLELI

Matteo 6:7; 26:42-44; Luca 18:1; 2Corinzi 12:8#470060070000470060070000#470260420000-470260440000#490180010000490180010000#540120080000-540120080000

48014040Mc 14:40

40. E, tornato, trovò I discepoli, che di nuovo dormivamo; perciocché i loro occhi erano aggravati; e non sapevano che rispondergli.

La parola aggravati è la medesima usata a significare lo stato fisico di questi discepoli sul monte della Trasfigurazione Luca 9:32#490090320000490090320000. Vuol dire sonnolenza che aggrava le palpebre, non già sonno profondo. Della sconvenienza di dormire in un tempo come quello, erano conscii siffattamente che non seppero addurre veruna scusa in risposta ai giusti rimproveri del loro Maestro.

PASSI PARALLELI

Marco 9:33-34; Genesi 44:16; Romani 3:19#480090330000480090340000#010440160000-010440160000#520030190000520030190000

48014041Mc 14:41

41. Poi venne la terza volta,

Marco implica evidentemente una terza dipartita di Cristo dai discepoli, sebbene per amore di brevità non siane fatta menzione; ma Matteo ci dà quel che manca: "E, lasciatili, andò di nuovo e orò la terza volta, dicendo le medesime parole. Allora egli venne", ecc. Durante questo terzo periodo di assenza dai discepoli assonnati, siam disposti a collocare un altro incidente di questa scena misteriosa dell'orto, il quale è ricordato solamente da Luca: "Ed egli, essendo in agonia, orava vieppiù intentamente; e il suo sudore divenne simile a grumoli di sangue, che cadevano in terra" Luca 22:44#490220440000-490220440000. In questo vers. si presentano spiccatamente due cose:

1. L'agonia che sofferse il Signore. Fu questo l'ultimo e più fier attacco di quell'amara distretta, di quel cordoglio mortale ch'ei dovea soffrire finché fosse inchiodato al legno. Se non fosse stato il rinforzo che la sua natura umana avea provato così di recente pel ministero angelico, questa nuova prova avrebbe dovuto arrestare per sempre i moti del suo cuore; ma anche stando così le cose, l'angoscia veemente prodotta nell'anima sua dal conflitto con Satana e dall'esperienza, sempre più profonda, della "maledizione" a cui si era sottomesso per amor nostro, produsse un tale tremore, una tal lotta e così ardui sforzi nel corpo, da costringere il sangue ad uscir fuori dei canali suoi naturali, finché formò come goccie di sudore sulla sua pelle e cadde raggrumato in terra. Di questo sudore di sangue, conosciuto nella scienza medica sotto il nome di diapedesi, son ricordati degli esempi sì nei tempi antichi che nei moderni. E la cagione, che generalmente ne assegnano i medici, è una violenta emozione mentale. "È probabile che questo strano disordine nasca da una violenta commozione del sistema nervoso, la quale faccia deviare dal loro corso naturale le correnti dei sangue e ne spinga i globuli rosei per entro agli escretorii cutanei. Un mero rilassamento delle fibre non potrebbe produrre una revulsione così potente" (Millingen "Curiosità dell'esperienza medica", citate nel Dizionario Biblico di Smith). Kitto, Foote ed altri portano numerosi esempi, che non è necessario il citar qui, ma che son degni di tenersi a mente, quali risposte a qualunque obbiezione che l'incredulità potesse muovere contro a questo sudore di sangue. Alford dice: "L'intenzione dell'Evangelista sembra chiaramente esser quella di comunicar l'idea che il sudore somigliane a goccie di sangue,

colorato cioè di sangue; giacché intendo la parola come usata appunto a distinguere tra il vero sangue e le goccie colorate o cariche di sangue".

2. Impariamo da questo vers. che da questa agonia fu prodotta un'intensità maggiore nella preghiera. "Orava vieppiù intentamente". Perché noi, creature imperfette, siamo talora meno di altre volte intenti nelle nostre preghiere, e tale difetto d'ardore da parte nostra è peccato, taluni muovono eccezione a queste parole, quasiché presentassero un'idea d'imperfezione in Cristo, e dicono esser impossibile figurarselo che preghi più intentamente in una occasione, senza ammettere che pregasse meno intentamente in altre. Concedendo questo senza difficoltà, neghiamo la conclusione che si cerca dedurne; imperocché Cristo pregava con tutto il cuore e con tutta l'anima e con tutta la mente anche quando pregava meno intentamente che in questa occasione, e nessun difetto può ammettersi nel pregare, per riguardo a colui che è il santo, innocente, immacolato e separato dai peccatori" Ebrei 7:26#650070260000-650070260000. Il suo corpo benedetto era perfetto fin da principio, eppure crebbe in istatura; l'anima sua santa non conobbe mai alcuna macchia, eppure crebbe in grazia; e siccome gli era data grazia in proporzione alle sue facoltà mentali, così in proporzione alla grazia conceduta egli amò sempre più il suo Dio e Padre. Niuna freddezza si accompagnò mai alle sue divozioni, dappoiché in ogni occasione mantenne viva la grazia che era in lui, e tuttavia, essendogliene comunicato un grado maggiore, potè usarne altresì maggiore in grado maggiore. Ed ora che i suoi patimenti crescevano in grado tale che mai n'avea provati di così intensi, e che lottavano tra loro la natura rabbrividita e l'indomito volere, gli furono altresì impartiti più alti gradi di forza, e quindi "orava vieppiù intentamente". Fu messa in dubbio la genuinità di questi versetti Luca 22:43-44#490220430000-490220440000, per ciò che non si riscontrano in taluni degli antichi codici; ma della mancanza di essi è facile render ragione, essendo stati tolti di proposito deliberato non già da primitivi eretici, ma dagli ortodossi medesimi, sotto l'impressione che potessero essere usati dagli Ariani ed altri, come un argomento contro la divinità di nostro Signore Gesù Cristo. Epifanio ricorda e il fatto e la ragione di esso. Alford osserva benissimo: "Abbiamo motivo di ringraziare Iddio che la ortodossia fu compresa meglio da allora in poi". Questi versetti si trovano nel Codice sinaitico, nel Codice di Beza ed in altri, come pure nella versione Peshito,

nella Filossena, ecc., e la loro genuinità è ora pienamente comprovata. Sebbene l'Evangelista non faccia menzione delle lacrime del Salvatore nell'orto, tuttavia, non devono passare inosservate le parole dell'Epistola agli Ebrei 5:7#650050070000-650050070000, le quali si riferiscono principalmente a questa parte della storia di nostro Signore e ben si accordano col prostramento in terra, col sudor di sangue e con l'intensità della preghiera nell'agonia: "Il quale, ai giorni della sua carne, avendo, con gran grido e lagrime, offerte orazioni e supplicazioni a colui che lo poteva salvare da morte, ed essendo esaudito dal timore" ecc. Il senso di queste tre ultime parole è evidentemente questo, che "fu liberato da quel che temeva" cioè, che la sua natura umana avesse a cedere sotto il peso del peccato che egli allora assumevasi come nostro sostituto. Per la risposta del Padre alla sua preghiera nell'orto, l'animo suo fu fortificato contro il terrore e lo sgomento della natura, sicché acquetossi interamente alla volontà di Dio. Tale acquiescenza può riscontrarsi nel cangiamento di forma in cui fu presentata la preghiera la seconda e la terza volta: "Padre mio, se egli non è possibile che questo calice trapassi da me, che io nol bea, la tua volontà sia fatta" Matteo 26:42#470260420000-470260420000.

e disse loro: Dormite pur da ora innanzi, e riposatevi; basta, l'ora è venuta;

Al suo ritorno la terza volta, il Signore trovò di nuovo addormentati i suoi discepoli prediletti. In questa sonnolenza par che vi sia qualche cosa più che il solo effetto prodotto dall'eccesso del dolore. "C'era ad assalirli qualche cosa più di ciò", dice Stier, "come l'aveva accennato il Signore medesimo; c'era la tentazione 'della potenza delle tenebre', il vagliamento di Satana, senza di che la loro simpatia per le sofferenze di Gesù li avrebbe tenuti desti". Alcuni scrittori prendono la prima parte di questo vers. come indirizzata interrogativamente ai discepoli, ma il senso non ci guadagna, mentre le parole d'ora innanzi, si riferiscono solamente al futuro, e quando si applicano al tempo corrispondono sempre non già a tuttora o ancora, ma a quindinnanzi (Vedi Atti 37:20; Ebrei 10:13#510370200000510370200000#650100130000-650100130000; ecc.). I migliori filologi interpretano i verbi all'imperativo, come ha fatto Diodati, "Dormite", "Riposatevi". Sembra troppo in disaccordo col sentire di nostro Signore e

con la circostanza ch'egli sapeva essere il loro sonno cagionato da infermità, non da indifferenza, il vedere in queste parole, come molti ci veggono, un'ironia; noi preferiamo considerarle come esprimenti ad un tempo la sua compassione per la loro debolezza, e l'annunzio che, per quanto concerneva lui stesso, l'oggetto per cui avea desiderato la loro vigilanza e simpatia era stato raggiunto per altro modo, laonde essi rimanevano sciolti dall'obbligazione ad essi imposta. La parola basta, significa "Non occorre vegliare o pregare più oltre per me, non c'è più tempo; adesso l'ora è venuta, per allontanare la quale, se ciò fosse stato compatibile con la volontà del Padre mio, lo pregai e volli che ancor voi pregaste". Intendendo tali parole in questo senso, sparisce l'apparente contraddizione tra il comando "Dormite pure" e l'altro che segue immediatamente, "Levatevi, andiamo". Il cangiamento operatosi in Gesù dappoi che si alzò da terra, dopo aver pregato la terza volta, non può descriversi più giustamente di quel che lo descrisse Krummacker. "Ogni cosa nel suo contegno, l'aspetto, la voce, il portamento, tutto è or cangiato essenzialmente, e indica coraggio, maschio vigore e conscia certezza di vittoria. Noi lo vediamo uscir trionfante dal conflitto, armato, e preparato per quanto ha da seguire". Dormite d'ora innanzi e riposatevi, "dice egli ai suoi discepoli". Basta! "Per riguardo mio non occorre vegliate più oltre, io non ho d'uopo più della vostra assistenza. Il mio conflitto è finito" (Il Salvatore sofferente) ecc.

ecco, il Figliuol dell'uomo è dato nelle mani dei peccatori.

Queste parole che concludono il vers. spiegano ancor meglio come il Signore Gesù sciogliesse i suoi discepoli dall'obbligazione di vegliare con lui, imperocché il tempo di vegliare era passato, ed era venuto il tempo di agire; quantunque la masnada che doveva catturarlo non fosse per anco arrivata, pur sapeva non essere a grande distanza, e così parla del Figliuol dell'uomo come dato diggià nelle mani dei peccatori, cioè degli iniqui che esser dovevano suoi giudici ingiusti e crudeli suoi carnefici. In queste parole Gesù non accenna solo al tradimento di Giuda e dei rettori d'Israele, i quali consegnarono il loro Messia nelle mani dei gentili, ma anche al divino decreto per cui il Cristo era abbandonato in potere dei suoi nemici Atti 2:23#510020230000-510020230000.

PASSI PARALLELI

Marco 7:9; Giudici 10:14; 1Re 18:27; 22:15; 2Re 3:13; Ecclesiaste 11:9; Ezechiele 20:39#480070090000-480070090000#070100140000070100140000#110180270000-110180270000#110220150000110220150000#120030130000-120030130000#250110090000250110090000#330200390000-330200390000

Matteo 26:45-46#470260450000-470260460000

Giovanni 7:30; 8:20; 12:23,27; 13:1; 17:1#500070300000500070300000#500080200000-500080200000#500120230000500120230000#500120270000-500120270000#500130010000500130010000#500170010000-500170010000

Marco 14:10,18; 9:31; 10:33-34; Matteo 26:2; Giovanni 13:2; Atti 7:52#480140100000-480140100000#480140180000480140180000#480090310000-480090310000#480100330000480100340000#470260020000-470260020000#500130020000500130020000#510070520000-510070520000

48014042Mc 14:42

42. Levatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino.

Il "dormite d'or innanzi" del vers. precedente esprimeva in linguaggio figurato la loro incapacità a prestargli alcuna ulteriore assistenza; ma il "levatevi" di questo vers. è un invito a scuotere il sonno per amore della loro propria salvezza. "Andiamo" non implica alcun timore in Cristo, o, come fu stranamente supposto da alcuni, che si proponesse di tentar la fuga, ma al contrario è un comando di raggiungere gli altri discepoli all'ingresso dell'orto, onde Gesù potesse proteggerli contro il nemico che già si appressava e di cui già discerneva tra gli alberi le lanterne e le torce. In conferma di ciò, si notino le parole del Signore ai conduttori della banda tosto che entrarono nell'orto: "Io vi ho detto ch'io son desso; se adunque

cercate me, lasciate andare costoro" Giovanni 18:8#500180080000500180080000.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:46; Giovanni 18:1-2#470260460000470260460000#500180010000-500180020000

RIFLESSIONI

1. Come dobbiamo spiegare questa agonia del nostro Signore e Maestro in Ghetsemane? Celso, Giuliano Apostata, e tutta la genia degli increduli beffardi che loro succedettero non hanno esitato a paragonar questa scena nell'orto con le ultime ore di Socrate e d'altri filosofi gentili, empiamente e senza ambagi accusando Gesù di viltà e di codardia. In presenza di tutta la sua storia antecedente, la quale non presenta alcun indizio di mancanza di coraggio e prontezza al soffrire; in presenza delle migliaia e decine di migliaia d'uomini peccatori i quali, per amor del suo nome, passarono per sofferenze fisiche ancor più acute e per morti ancor più ignominiose e tormentose, con la massima calma, anzi con fortezza eroica e con estatici canti di laudi, vi sentite voi disposti ad adottare una simile soluzione dell'agonia e del sudor di sangue, nell'orto di Ghetsemane? Dobbiam noi far scendere il Salvatore al disotto del livello comune dei martiri, e chiedere che un peso che altri portarono così agevolmente lo prostrasse siffattamente nell'orto, gli strappasse quelle preghiere, e l'immergesse in quel sudore di sangue? È assolutamente inconcepibile e inammissibile che la semplice prospettiva delle sofferenze corporee potesse produrre tali effetti in lui che era "santo, innocente, immacolato, separato da' peccatori", e per conseguenza non avea ragione alcuna di temer la morte. Gli Ariani e i Sociniani che negano la divinità del Signore Gesù, negano anche la sua espiazione pel peccato, e insegnano ch'egli morì semplicemente per dare l'esempio ai suoi discepoli del come essi pure dovrebbero morire. Altri vi sono nella Chiesa cristiana, ai nostri tempi, i quali nel mentre riconoscono la divinità di Cristo, rigettano la natura vicaria delle sue sofferenze e della

sua morte, e considerano queste sotto l'aspetto medesimo che i summenzionati eretici, cioè come presentante un sublime modello di sacrifizio di sé. Secondo questo modo di vedere, Cristo non sofferse assolutamente nulla invece dei colpevoli, ossia affinché questi non avessero a soffrire; ma patì solo perché gli uomini imparassero da lui come si ha da soffrire! Egli inaugurò semplicemente nella propria persona, una nuova umanità da essere "resa perfetta per le sofferenze", e "ci lasciò l'esempio perché noi camminiamo dietro le sue pedate". Che uno dei fini che Cristo ebbe in vista nei suoi patimenti fosse quello di lasciarci un esempio, è insegnato troppo chiaramente nelle Scritture per metterlo in dubbio un sol momento; ma è questo tutto quello a cui miravano i suoi patimenti? Ed in tal caso, può chiedersi ragionevolmente s'egli riuscisse nel suo intento? Non sarebbe facile trovarci esempi più chiari di pazienza e coraggio eroico nei patimenti tra i seguaci e i martiri suoi, e perfino tra i gentili? E s'egli è così, allora per certo gli Ariani, i Sociniani e i moderni Neologi recano grande disdoro al Salvatore, insegnando esser stato quello l'unico scopo dei suoi patimenti. Né fu semplicemente il presentimento dei tormenti che avrebbe indi a poco a soffrire sulla croce che lo fece agonizzare nell'orto. Il sudore di sangue non fu che il segno esterno dell'angoscia mentale e spirituale che già, fin d'allora, si era impossessato di lui, ed ebbe la stessa sorgente, gli stessi elementi, lo stesso disegno, e lo stesso effetto delle sofferenze spirituali di nostro Signore sulla croce. Fu parte integrante della passione a cui egli s'assoggettò come il nostro capo spirituale e rappresentante, quando il Signore ebbe fatta avvenire in lui l'iniquità di tutti noi in guisa e maniera tale che noi non potremo mai comprendere pienamente. Per intendere donde sorgesse questa angoscia dello spirito, dobbiamo ben ponderare il significato dei passi come il Seguente: "Perciocché egli (Iddio), ha fatto esser peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, acciocché noi fossimo fatti giustizia di Dio in lui" 2Corinzi 5:21#540050210000-540050210000; "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo per noi fatto maledizione" Galati 3:13#550030130000-550030130000; "Il quale ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, in sul legno; acciocché, morti al peccato, viviamo a giustizia" 1Pietro 2:24#670020240000670020240000. I critici più abili e più recenti della scuola nazionalista di Germania ammettono candidamente che siffatti passi altro non possono significare se non questo, che quell'essere perfettamente puro da ogni

peccato venne considerato e trattato come il colpevole, affinché i colpevoli potessero essere considerati in lui come giusti. Ora adunque se il carattere penale dei patimenti e della morte che dovea subire il Cristo, lo sentì, nell'orto, pesargli in tutta la sua forza sullo spirito, abbiamo in ciò una spiegazione ampia e soddisfacente dell'orrore e dell'abbattimento d'animo che allora sperimentò. Il sacrifizio della vita, in circostanze dolorose e ignomininiose, l'avrebbe potuto sopportare senza un mormorio od un lamento, ma il sacrifizio della vita sotto la condanna del peccato, il rassegnarla alla vendetta della legge violata, che consideravalo come il rappresentante dei colpevoli, non poteva essere che puramente rivoltante. Né ci è possibile comprendere altrimenti l'orrore della sua posizione come quegli che, essendo assolutamente senza peccato, era fatto ora enfaticamente peccato per noi. Ma se così l'intendiamo, possiamo comprendere come egli potesse trovare in sé la forza di vuotare il calice sino alla feccia più amara solo perché tale era il, volere del Padre suo. Così facendo, ha presentato il più glorioso esempio di ubbidienza perfetta alla volontà di Dio che mai si desse nella natura umana, e ci ha lasciato certissimamente "un esempio, acciocché noi seguitiamo le sue pedate" 1Pietro 2:21#670020210000670020210000.

2. Quale esempio non ci porge questo passo dell'importanza della preghiera nel tempo della tribolazione! Nell'ora della sua angoscia, il Signore fece uso di questo gran rimedio! "Egli orava". Migliore ricetta di questa per sopportare l'afflizione con pazienza non potremo mai trovarla. La prima persona a cui dovremmo rivolgerei nella nostra tribolazione è Dio. Il primo nostro lamento dovrebbe essere in forma di preghiera. Può darsi che la risposta non ci sia data immediatamente; può stare che il soccorso da noi domandato non ci sia concesso subito; può anzi succedere perfino che la nostra prova, come "lo stecco nella carne" a Paolo, non venga meno e non ci sia mai tolta quaggiù. Ma l'atto stesso dell'aprire i nostri cuori davanti al trono di grazia ci farà sicuramente del bene, ed è poi certo che verrà la risposta, come venne a Paolo: "La mia grazia ti basta, perciocché la mia virtù si adempie in debolezza" 2Corinzi 12:8-9#540120080000540120090000. Saggio e importante è il consiglio di Giacomo 5:13#660050130000-660050130000: "Evvi alcun di voi afflitto? Ori".

3. Nell'ora della sua dolorosa prova, l'uomo Cristo Gesù cercò conforto nella simpatia dei suoi deboli sì ma fedeli amici, ed ha così suggellata con la sua sanzione e approvazione la simpatia, e commiserazione sincera che gli uomini offrono ai loro simili in tempo di angustie dolorose e di fiere prove. Non ci rifiutiamo adunque il conforto dell'umana simpatia, la quale certamente ci farà del bene. Non permettiamo che il più grave lutto che possa colpirci chiuda i nostri cuori in faccia alla pietà gentile; e chiunque siano coloro che vengono a simpatizzare con noi e ad aiutarci, teniamoli in conto di angeli mandati dal cielo e si abbian da noi il benvenuto che ad angeli si conviene.

48014050Mc 14:50

60. Allora il sommo sacerdote, levatosi in piè quivi in mezzo, domandò a Gesù, dicendo: Non rispondi tu nulla? che testimoniano costoro contro a te? 61. Ma egli tacque, e non rispose nulla.

Perfettamente convinto dell'impossibilità di condannar Gesù dietro a quelle testimonianze se pur non volevano violare apertamente ogni forma di giustizia, il sommo sacerdote, con arte finissima, tentò di ottenere dal Signore medesimo una qualche spiegazione o confutazione delle precedenti testimonianze, la quale potesse dar loro appiglio a condannarlo. Espose adunque la sua profonda sorpresa pel suo silenzio e gli chiese se non avesse a dir nulla in risposta ai suoi accusatori. Ma Gesù si mantenne in silenzio. Non stava a lui di aiutarli ad uscire dal loro imbarazzo, soprattutto non piacendogli entrare, davanti un tale uditorio, in alcuna spiegazione delle misteriose parole che erano state interpretate così stranamente. D'altra parte, era prossimo il tempo in cui il loro significato sarebbe chiaro come la luce del giorno. Era notorio a tutti che Gesù non potevasi condannare dietro a prove testimoniali. L'unico metodo che rimanesse era quello di estorcere, se fosse possibile dal Signore medesimo, ammissioni tali intorno alle sue pretese che potessero offrire appiglio a condannarlo, e Caiafa, qual Presidente del Sinedrio, si accinse all'impresa. Lo spirito che lo animava traspare da quel suo detto ricordato in Giovanni 11:49,51#500110490000-

500110490000#500110510000-500110510000. Qui adunque incomincia la seconda parte del dibattimento.

PASSI PARALLELI

Marco 15:3-5; Matteo 26:62-63; Giovanni 19:9-10#480150030000480150050000#470260620000-470260630000#500190090000500190100000

Salmi 39:1-2,9; Isaia 53:7; Matteo 27:12-14; Atti 8:32; 1Pietro 2:23#230390010000-230390020000#230390090000230390090000#290530070000-290530070000#470270120000470270140000#510080320000-510080320000#670020230000670020230000

Marco 15:2; Matteo 11:3-5; 16:16; 26:63-64; Luca 22:67-70; Giovanni 10:24; 18:37#480150020000-480150020000#470110030000470110050000#470160160000-470160160000#470260630000470260640000#490220670000-490220700000#500100240000500100240000#500180370000-500180370000

Salmi 2:7; 119:12; Isaia 9:6-7; Matteo 3:17; 8:29; Giovanni 1:34,49-51; 5:18-25#230020070000-230020070000#231190120000231190120000#290090060000-290090070000#470030170000470030170000#470080290000-470080290000#500010340000500010340000#500010490000-500010510000#500050180000500050250000

Giovanni 10:30-31,36; 19:7; 1Timoteo 1:11; 6:15#500100300000500100310000#500100360000-500100360000#500190070000500190070000#610010110000-610010110000#610060150000610060150000

48014052Mc 14:52

Ù È

Marco 14:52. GESÙ È TRADITO ED ARRESTATO. I DISCEPOLI SI DISPERDONO Matteo 26:47-56; Luca 22:47-53; Giovanni 18:112#470260470000-470260560000#490220470000490220530000#500180010000-500180120000

Per la esposizione, vedi Giovanni 18:1Giovanni 18:1-12.

48014053Mc 14:53

Marco 14:53-72. GESÙ COMPARISCE DINANZI AL SINEDRIO. VIENE CONDANNATO A MORTE ED È TRATTATO CON IGNOMINIA. PIETRO RINNEGA IL SUO SIGNORE Matteo 26:5775; Luca 22:54-71; Giovanni 18:13-27#470260570000470260750000#490220540000-490220710000#500180130000500180270000

53. Ed essi ne menarono Gesù al sommo sacerdote;

Stando alla narrazione dei sinottici, si potrebbe concludere che la masnada, la quale catturò Gesù, lo menasse direttamente al palazzo di Caiafa sommo sacerdote; ma Giovanni ci fornisce una circostanza importante ch'essi hanno omessa per amor di brevità, in queste parole: "E prima lo menarono ad Anna; perciocché egli era suocero di Caiafa, il quale era sommo sacerdote di quell'anno; ed Anna lo rimandò legato a Caifa sommo sacerdote". Questo Anna fu nominato sommo sacerdote da Quirino (A. D. 12), e, dopo aver tenuto tale ufficio per parecchi anni, fu deposto da Valerio Grato, Procuratore della Giudea che precedette immediatamente Pilato (Flavio Antich. 18:2,1), che nominò in vece di lui un certo Ismaele. Il sommo sacerdozio, uffìzio tenuto insino a quel tempo per tutta la vita, pare che da allora in poi fosse tenuto a talento del potere romano, e può darsi che richiedesse conferma ogni anno. Pare che Anna possedesse una vasta influenza, avendo ottenuto il sommo sacerdozio non solo per suo figlio Eleazaro e pel suo genero Caiafa, ma posteriormente per altri quattro figli,

sotto l'ultimo dei quali fu messo a morte Giacomo fratello di nostro Signore (Flavio Antich. 20,9,1). Alla casa di costui fu prima condotto nostro Signore dalla gente che lo aveva arrestato, e di questo se n'è cercata la ragione da alcuni scrittori nella circostanza ch'egli era, secondo loro (Sagan), vice sommo sacerdote; ovvero, secondo altri (Nasi), presidente del Sinedrio. Non è per nulla improbabile che un uomo così ambizioso abbia potuto afferrare e tenere entrambi questi uffizi: ma considerando che quelli che arrestarono Gesù appartenevano al partito farisaico ultra-fanatico e anti-romano, l'averlo condotto dapprima ad Anna ha da considerarsi eziandio come una protesta che, per loro, egli era tuttora de jure divino il sommo sacerdote legittimo della nazione.

appresso il quale si raunarono insieme tutti i principali sacerdoti, e gli Anziani, e gli Scribi.

Erano questi i tre grandi ordini o stati componenti il Sinedrio, il quale rappresentava tutta quanta la chiesa e la nazione. Si radunarono alla residenza di Caiafa sul far del giorno Luca 22:66#490220660000490220660000; ma prima ci sono alcuni incidenti di quella notte mai sempre memorabile, che richiedono la nostra attenzione. Esame privato di Cristo davanti al Sommo Sacerdote Giovanni 18:19-20#500180190000500180200000. Paragonando fra loro i Vangeli, si scorge evidentemente che nostro Signore fu assoggettato a due esami, l'uno pubblico in presenza del Sinedrio riunito, l'altro privato e preliminare davanti al sommo sacerdote. Giovanni soltanto ci dà un ragguaglio di quel che avvenne all'esame privato di cui fu testimonio oculare e auricolare. Dopo aver narrato che, Anna lo rimandò legato a Caiafa, sommo sacerdote (vers. 13), aggiunge "or il sommo sacerdote domandò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla ma dottrina" (vers. 19). Sebbene scrittori di vaglia, come il Crisostomo ed Agostino tra gli antichi, Olahausen, Stier, Lange, Alford, Ellicot, Brown ed altri tra i moderni, sostengano che l'esame ricordato da Giovanni avesse luogo davanti ad Anna, nella casa di quest'ultimo, non possiamo dubitare che ebbe luogo invece nella residenza uffiziale di Caiafa, per le seguenti ragioni:

1. Giovanni, in tutto quanto il suo Vangelo, non dà mai il titolo di sommo sacerdote ad Anna, sebbene Luca abbia ciò fatto in due occasioni Luca 3:2; Atti 4:6#490030020000490030020000#510040060000-510040060000, presumibilmente onde distinguere tra il sommo sacerdote legittimo, secondo le prescrizioni del Levitico, e quello di fatto nominato dai Romani.

2. Perché Matteo nomina espressamente Caiafa come il sommo sacerdote davanti al quale fu menato Gesù.

3. Perché se così non fosse, il sommo sacerdote di fatto dovrebbe aver parlato a Gesù per la prima volta nel Sinedrio riunito.

4. Perché, se ci facciamo a considerare l'esame medesimo, tutto le circostanze indicano che fu condotto da Caiafa, cioè la menzione del suo palazzo, ossia residenza uffiziale, la natura delle sue domande, il fatto che il Signore gli risponde, e la condotta del suo uffiziale.

5. Perché il luogo dove Pietro rinnegò il suo Signore fu, secondo Luca 12:55-56#490120550000-490120560000, nel cortile, del palazzo del sommo sacerdote, ove era acceso un fuoco di carboni. Marco 14:54,67#480140540000-480140540000#480140670000480140670000 e Giovanni 18:18,25#500180180000500180180000#500180250000-500180250000, menzionano entrambi lo stesso cortile e lo steso fuoco, identificando così la località; mentre nel Matteo 24:57,69-75#470240570000470240570000#470240690000-470240750000, dice espressamente, che il palazzo in cui ebbe luogo il diniego fu quello di Caiafa. Nessuno che abbia senso comune vorrà credere che Pietro sia stato ammesso per favore nella casa di Anna prima e in quella di Caiafa dopo, e che in tutte e due abbia rinnegato il suo Signore. Potrebbe stare che, cedendo al timore, lo rinnegasse nella cosa di Anna; ma in tal caso avrebbe pensato a scansare il pericolo la seconda volta, e non avrebbe accompagnato la scorta alla casa di Caiafa.

6. Perché si possono addurre numerosi esempi per corroborare l'applicazione del senso del trapassato all'aoristo (avea mandato Giovanni 18:24#500180240000-500180240000), sia che si consideri quel vers. come posto ad introdurre nella narrazione quel che l'Evangelista non avea ricordato che per incidenza al vera. 13, o più probabilmente, come meno tra parentesi per indicare la crudeltà di Caiafa e l'evidente suo giudizio preconcetto, avendo permesso ad un suo uffiziale di percuotere Gesù legato com'era con corde e assolutamente incapace di difendersi.

Concludiamo adunque che Gesù fu menato prima ad Anna; che per ordine di lui fu legato e tosto tradotto al palazzo del sommo sacerdote; che l'esame privato, menzionato da Giovanni, fu davanti a Caiafa; che Pietro lo seguì al palazzo di questo, e che tutti e tre i dinieghi avvennero ivi. Così si fanno armonizzare gli Evangelisti. La teoria che tutti e due gli esami sì il privato che il pubblico davanti al Sinedrio ebbero luogo nel palazzo di Caiafa e alla presenza di lui è sostenuta da Lutero, Bengel, Lampe, Whitby, Tholuck, Audrews e molti altri. Fra l'ora in cui Gesù fu menato al palazzo di Caiafa (probabilmente tra le 10. p. m. e la mezzanotte), e il far del giorno Luca 22:66#490220660000-490220660000, quando fu convocato il Sinedrio, dev'essere intervenuto un tempo considerevole, una parte di cui fu impiegata da Caiafa nell'esaminare privatamente Gesù intorno "alla sua dottrina e ai suoi discepoli". Su quest'ultimo argomento, nostro Signore mantenne un perfetto silenzio, imperocché indovinò tosto il malvagio intento di Caiafa, che era di scuoprire il numero e i nomi dei suoi discepoli, onde valersi in seguito, a loro danno, di tale informazione. Anche intorno alla sua dottrina Gesù ricusò di dire alcuna cosa che il suo giudice potesse torcere in un capo d'accusa contro di lui. Perciò si contenta della dichiarazione di aver sempre proclamate apertamente le sue dottrine nelle sinagoghe e nel tempio, udendolo tutto il popolo, da cui il sommo sacerdote poteva ottenere le informazioni che bramava. Giovanni 18:20-23#500180200000500180230000 "Gesù gli rispose: Io ho apertamente parlato al mondo; io ho sempre insegnato nella sinagoga, e nel tempio, ove i Giudei si raunano d'ogni luogo; e non ho detto niente in occulto. 21. Perché mi domandi tu? domanda coloro che hanno udito ciò ch'io ho lor detto; ecco, essi sanno le cose ch'io ho dette. 22. Ora, quando Gesù ebbe dette queste cose, un de'

sergenti ch'era quivi presente, gli diede una bacchettata, dicendo: Così rispondi tu al sommo sacerdote? 23. Gesù gli rispose: Se io ho mai parlato, testimonia del male; ma, se ho parlato bene, perché mi percuoti?" 1Pietro 1:23#670010230000-670010230000 ben disse con verità del suo Maestro che quando era "oltraggiato, non oltraggiava all'incontro", e nondimeno non rimase muto a tale ingiusto trattamento. Sembrerebbe da Atti 23:2#510230020000-510230020000, che questo sommario e vigliacco modo di castigare quel che si stimava insolenza nell'accusato, fosse approvato perfino dagli stessi principali sacerdoti. Le parole "parlato bene" indicano che questa risposta al sommo sacerdote era adatta e conveniente, e che ben lo sapevano sia lui che il suo servo. La condotta del Signore in questa circostanza ci fornisce il miglior commento del suo precetto: "Se alcuno ti percuote in su la guancia destra, rivolgigli ancor l'altra" Matteo 5:39#470050390000-470050390000, e ci dà la chiave per intendere tutti i consimili precetti scritturali, insegnandoci, che la vera osservanza di cui è riposta non già nell'eseguirli alla lettera, ma nel possedere e dimostrare lo spirito che essi prescrivono. Sarebbe più facile quando si è percossi in su una guancia il porgere ancor l'altra, che il conservare interamente la calma e lo spirito di mansuetudine di nostro Signore sotto una tal ingiuria. Più difficile del silenzio sarebbe l'imitare quella mansueta risposta. Egli parlò dalle profondità di una pazienza e mitezza, perfetta, che nulla valeva ad irritare.

PASSI PARALLELI

Isaia 53:7; Matteo 26:57-68; Luca 22:54-62; Giovanni 18:1314,24#290530070000-290530070000#470260570000470260680000#490220540000-490220620000#500180130000500180140000#500180240000-500180240000

Marco 15:1; Matteo 26:3; Atti 4:5-6#480150010000480150010000#470260030000-470260030000#510040050000510040060000

48014054Mc 14:54

Cristo giudicato e condannato dal Sinedrio e trattato obbrobriosamente, Marco 14:54-65

54. E Pietro lo seguitava da lungi, ma dentro alla corte del sommo sacerdote; ove si pose a sedere a sedere coi sergenti, e si scaldava al fuoco.

La esposizione di questo versetto troverà luogo più naturalmente coi dinieghi di Pietro (Marco 14:66Marco 14:66 ecc.).

PASSI PARALLELI

Marco 14:29-31,38; 1Samuele 13:7; Matteo 26:58#480140290000480140310000#480140380000-480140380000#090130070000090130070000#470260580000-470260580000

Giovanni 18:15-16#500180150000-500180160000

1Re 19:9,13; Luca 22:55-56; Giovanni 18:18,25#110190090000110190090000#110190130000-110190130000#490220550000490220560000#500180180000-500180180000#500180250000500180250000

Luca 22:44#490220440000-490220440000

48014055Mc 14:55

55. Or i principali sacerdoti, e tutto il concistoro (il Sinedrio) cercavan testimonianza contro a Gesù, per farlo morire; e non ne trovavano alcuna,

Marco ci condensa nelle brevi parole del vers. 68 (già esaminate più sopra) tutti gli eventi di quella notte memorabile, da quando la schiera armata menò Gesù al palazzo del sommo sacerdote, fino a che fu tradotto, sul far del giorno, davanti al Sinedrio, salvo solo la notizia che Pietro riuscì a penetrare nel cortile interno, la quale è ricordata nel vers. 64. Siccome veniamo a sapere dal versetto 53 che questa riunione del Sinedrio, casa del giudizio, come chiamavasi orgogliosamente, non fu tenuta nel luogo consueto delle sedute, cioè nell'aula Gassit, posta entro i cortili del tempio, ma nella residenza uffiziale del sommo sacerdote; così Luca ci informa essere stata anche tenuta in un'ora insolita, cioè sul far del giorno, sapendo che la cattura di Cristo si dovea tentare durante la notte, pur tuttavia incerti dell'ora, i membri del Sinedrio aveano, senza dubbio, stabilita già prima quell'ora e quel luogo pel convegno. In quanto alla competenza della corte di iniziare un tal processo, non può sollevarsi alcun dubbio ragionevole, avendo essa legittima ed esclusiva giurisdizione in tutti i casi in cui potesse infliggersi la pena di morte (tra i quali erano la bestemmia, e le false pretese d'ispirazione profetica), quantunque l'esecuzione della sentenza sui condannati le fosse stata sottratta dai Romani. Si osservi in ciò un'altra prova dell'adempimento della profezia di Giacobbe, intorno Silo Genesi 49:10#010490100000-010490100000. La illegalità della condanna del Messia non proviene adunque dalla incompetenza della corte, ma dalla spudorata inosservanza dei requisiti voluti dalla legge per l'amministrazione della giustizia. Pei più fanatici e pei meno scrupolosi dei suoi membri, quella notte era stata piena d'eccitazione e di fatica intensi, avendola essi passata prima a cercar di scoprire onesti testimoni, le cui testimonianze assicurassero la condanna di Gesù, e quando questi non si trovarono, a comprare dei miserabili, senza coscienza al par di loro, pronti a rendere falsa testimonianza contro di lui. Matteo dice che "cercavano qualche falsa testimonianza contro a Gesù per farlo morire"; ma questo fu soltanto perché, come attesta Marco, non avean trovato onesti testimonii di cui valersi, cioè non avean trovato due persone che potessero accordarsi nel testimoniare intorno ad un singolo capo d'accusa imperocché la legge richiedeva che per qualsiasi delitto capitale l'accusa dovesse essere comprovata almeno da due testimoni Deuteronomio 17:6#050170060000-050170060000.

PASSI PARALLELI

1Re 21:10,13; Salmi 27:12; 35:11; Matteo 26:59-60; Atti 6:11-13; 24:113#110210100000-110210100000#110210130000110210130000#230270120000-230270120000#230350110000230350110000#470260590000-470260600000#510060110000510060130000#510240010000-510240130000

Daniele 6:4; 1Pietro 3:16-18#340060040000340060040000#670030160000-670030180000

48014056Mc 14:56

56. Perciocché molti dicevan falsa testimonianza contro a lui; ma le loro testimonianze non erano conformi

Perfino i falsi testimoni, i quali probabilmente eran stati ammaestrati a recitare le loro parti, deludevano le aspettazioni riposte in essi, sia che l'accusa che si eran proposti di porre in sodo contro il Cristo non raggiungesse il grado criminoso richiesto per la condanna; sia che i rozzi testimoni, raccolti in fretta e in furia, rimanessero impacciati nelle loro deposizioni e non riuscissero a confermarle vicendevolmente. La mala riuscita di tanti sforzi dovette esser proprio evidente, poiché ai giudici non sarebbe parso vero di avere anche il più tenue pretesto per giustificare la già stabilita loro sentenza di condannazione. Non si può a meno di non ammirare la Provvidenza; la quale assicurò questo risultato, imperocché, da una parte, sembra sorprendente che quei persecutori senza scrupoli e senza pietà e i loro docili strumenti dovessero procedere così impacciatamente in un affare di sì grave interesse per loro; mentre, d'altra parte, se fossero riusciti a giustificare, con ragioni anche solo plausibili, la loro condanna, l'effetto avrebbe potuto essere, per un certo tempo, pregiudizievole al progresso del vangelo. Ma nel tempo stesso che i suoi nemici dicevano: "Iddio l'ha abbandonato; perseguitatelo e prendetelo; perciocché non vi è alcuno che lo riscuota" Salmi 71:11#230710110000-230710110000. Colui, di cui Gesù era il testimonio, lo custodiva come la pupilla del suo occhio e

facea sì che "l'ira degli uomini gli acquistasse lode" Salmi 76:11#230760110000-230760110000. Applicatissime al Salvatore in quelle circostanze sono le parole del Salmi 35:11#230350110000-230350110000: "Falsi testimoni si levano; mi accusano di cose delle quali io non so nulla".

48014057Mc 14:57

57. Allora alcuni, levatisi, disser falsa testimonianza contro a lui, dicendo:

Matteo specifica maggiormente: "Alla fine vennero due falsi testimoni, i quali dissero", ecc. L'accusa che producono è strana, e non è probabile che l'avrebbero punto prodotta, se altra più grave avesse potuto essere sostenuta con le prove richieste dalla legge.

PASSI PARALLELI

Marco 15:29; Geremia 26:8-9,18; Matteo 26:60-61; 27:40; Giovanni 2:1821; Atti 6:13-14#480150290000-480150290000#300260080000300260090000#300260180000-300260180000#470260600000470260610000#470270400000-470270400000#500020180000500020210000#510060130000-510060140000

48014058Mc 14:58

58. Noi l'abbiamo udito che dicea: Io disfarò questo tempio, fatto d'opera di mano, e in tre giorni ne riedificherò un altro, che non sarà fatto d'opera di mano.

In relazione alla estrema difficoltà pel Sinedrio di procurarsi delle prove onde poter condannarlo, è importante aver presenti le parole, rivolte, poche ore prima, da nostro Signore al sommo sacerdote: "Io ho apertamente parlato al mondo; io ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio ove i Giudei si raunano d'ogni luogo, e non ho detto niente in occulto... domanda

coloro che hanno udito ciò ch'io ho lor detto". Da parte sua non c'era alcuna voglia d'impedire le testimonianze; al contrario, egli desiderava la luce e li sfidava di addurre cosa alcuna ch'egli avesse fatta contrariamente alla legge divina, ed ecco il misero risultato dei loro sforzi! Furono prodotti due uomini i quali testimoniarono intorno ad un singolo detto pronunziato da Cristo nel tempio, tre anni prima, precisamente al principio del suo ministero. L'Evangelista li chiama falsi testimoni!, non perché non sieno mai state pronunziate da Cristo parole a quelle loro somiglianti, poiché le troviamo registrate in Giovanni 2:19#500020190000-500020190000; ma perché era interamente falsa l'interpretazione che davano ad esse, come se contenessero un insulto al tempio di Gerusalemme. Nell'occasione in cui Cristo pronunziò quelle parole, gli era stato domandato per quale autorità scacciasse i cambiamonete dal tempio; ma, per sola risposta, egli additò il proprio corpo come un tempio nel quale abitava corporalmente la Divinità, dicendo: "Disfate questo tempio" ecc.; come in altra circostanza, allorquando gli fu chiesto un segno dal cielo, egli ricusò di darlo, rimandando i suoi avversarii al miracolo di Giona. Inoltre gli Evangelisti possono averli designati quali falsi testimoni, perché le parole che essi misero in bocca a Gesù differivano in modo considerevole da quelle ch'egli profferì realmente, come son ricordate da Giovanni. "Nelle espressioni poste a contrasto: 'fatto con opera di mano', 'non fatto con opera di mano'", dice Lange, "abbiamo probabilmente una delle dichiarazioni più falsa". Ne abbiamo un'altra nel descrivere che fanno Cristo come se avesse minacciato di distruggere egli stesso il tempio, mentre invece annunziava quel che essi stessi farebbero a lui e vi fondava sopra una promessa. Se i testimoni stessi non erano consapevoli del senso vero delle parole del Signore: "Disfate questo tempio ed in tre giorni io lo ridirizzerò", il Sinedrio lo era senza dubbio, imperocché non più di 24 ore dopo, andarono da Pilato dicendo: "Signore, ei ci ricorda che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: 'io risusciterò infra tre giorni'" Matteo 27:63#470270630000-470270630000, e non c'era altro detto pubblico di Cristo noto ai suoi nemici, sul quale essi potessero basarsi, all'infuori di questo. S'egli è così, rimane fuor di dubbio che essi sapevano benissimo che le parole di nostro Signore si riferivano alla sua morte per mano di esso e alla sua risurrezione per la sua propria potenza.

PASSI PARALLELI

Daniele 2:34,45; Atti 7:48; 2Corinzi 5:1; Ebrei 9:11,24#340020340000340020340000#340020450000-340020450000#510070480000510070480000#540050010000-540050010000#650090110000650090110000#650090240000-650090240000

48014059Mc 14:59

59. Ma, non pur così la loro testimonianza era conforme.

In che consistesse la discrepanza tra le deposizioni di questi due testimoni non è stato ricordato. C'è una piccola differenza tra le loro parole quali sono date da Matteo e da Marco, ma non più di quanto era da aspettarsi in due storici indipendenti che ricordano lo stesso fatto. È più ragionevole considerarla sotto questo aspetto che non di adottare la strana e insostenibile teoria che Matteo ricordi le parole di un testimonio e Marco quelle dell'altro. Basti questo, che né l'uno testimonio né l'altro riportarono esattamente il detto di Gesù, né giustamente ne esposero il significato, né andarono d'accordo intorno alle parole da lui usate, per modo che la loro testimonianza riuscì inutile all'intento per cui fu assunta.

PASSI PARALLELI

Marco 14:56#480140560000-480140560000

48014061Mc 14:61

Da capo il sommo sacerdote lo domandò, e gli disse: Sei tu il Cristo, il Figliuol del Benedetto? 62. E Gesù disse: Io lo sono;

Sì Matteo che Marco, per amore di brevità, dànno, riunite in una sola, le due interrogazioni del sommo sacerdote, e similmente fanno per la risposta di Cristo; onde ne avvenne l'erronea conclusione che i Giudei del tempo di

Cristo, o almeno il Sinedrio, riguardassero come eguale bestemmia appropriarsi Gesù il titolo di "Messia" e quello di "Figliuolo del Benedetto". Ma questo è contraddetto dai passi dei Vangeli in cui vien ricordata l'opinione del popolo, quando Cristo prendeva per sé l'uno o l'altro di quegli appellativi; (argomento questo che raccomandiamo specialmente alla privata investigazione del lettore). E, come per togliere ogni dubbio a questo riguardo, troviamo il medesimo Santo Spirito che ispirava i due primi Evangelisti, guidare Luca, nel suo racconto, benché più breve, a separare distintamente le interrogazioni fatte dal sommo sacerdote, ed esporre più chiaramente i termini in cui il Signore rispose a ciascuna. Per quanto consta a noi, 99 commentatori su 100 pare che non pongano mente a tale distinzione. Prendendo il racconto di Luca 22:67#490220670000490220670000 ecc. come base del nostro commento su questa parte del giudizio, e combinando con esso quello degli altri Evangelisti, troviamo che la prima domanda fatta da Caiafa fu: "Sei tu il Cristo? diccelo". Matteo riferisce che la domanda fu posta sotto la forma d'un solenne giuramento che costringeva la persona a cui era indirizzata a dire la verità, come alla presenza di Dio: "io ti scongiuro per l'Iddio vivente che tu ci dica se tu sei il Cristo" ecc.; ma avuto riguardo a quanto fu detto precedentemente dello avere Matteo riunite in una sola le due interrogazioni del sommo sacerdote, questo giuramento, deferito a Gesù, è da riferirsi non già alla prima, bensì alla seconda domanda, a cui Gesù rispose categoricamente. Comunque tuttavia ciò si intenda, notino ben questo i Quacqueri, i Plimuttisti e tutti quegli altri che si fanno scrupolo di prestare, davanti ai tribunali, solenne giuramento di dire la verità come alla presenza di Dio (scusandosene con le parole del Salvatore Matteo 5:36-37#470050360000-470050370000), notino bene, dicevamo, questo fatto indubitabile, che il Signore stesso, davanti al supremo tribunale del suo paese, essendo richiesto con giuramento di dire la verità, invece di eccepire contro il giuramento come contrario alla sua coscienza, vi si sottomise prontamente, e così c'insegnò che nel Sermone della montagna egli intese parlare delle bestemmie e dei giuramenti inutili e profani, non già dell'atto solenne del chiamar Dio in testimonio della verità della nostra deposizione intorno a noi stessi od agli altri, in una corte di giustizia. Quando il sommo sacerdote ebbe fatta la domanda se egli era il Cristo, la sua risposta prese dapprima la forma di una protesta intorno alla inutilità della domanda; imperocché essi erano determinati di non lasciarsi

convincere, quantunque la testimonianza di Giovanni Battista, i suoi propri miracoli, le sue dottrine, e il consenso generale del popolo non lasciassero luogo a dubitare ch'ei fosse il Cristo. "Ed egli disse loro: Benché io vel dica, voi nol crederete", vale a dire: "Poiché avete resistito al cumulo di prove che vi fu posto davanti negli ultimi tre anni, il mio semplice asserto del fatto non varrà a convincervi". "E se altresì io vi fò qualche domanda, voi non mi risponderete, e non mi lascerete andare", cioè: "Se entro con voi in argomento per provare che sono il Messia, e vi faccio delle interrogazioni intorno al significato dei passi della legge e dei profeti che hanno in me il loro adempimento, né mi risponderete né mi lascerete in libertà. Io so che avete fermo nell'animo di uccidermi". Ma dopo aver fatta questa protesta, risponde alla domanda col dichiarare che verrebbe giorno in cui i suoi più fieri nemici e i giudici che eran assetati del suo sangue si sarebbero convinti ch'egli era il Messia.

48014062Mc 14:62

e voi vedrete il Figliuol dell'uomo

Matteo introduce questo detto con la parola ma, nondimeno, la quale si adatta assai appropriatamente alla protesta che Gesù avea pur dianzi espressa: "Sebbene non vogliate credere a me, né rispondermi in modo da lasciar che trionfi la giustizia; sebbene mi disprezziate e mi trattiate come un delinquente, pur nondimeno vi dico", ecc. "Il figliuol dell'uomo" è il titolo con cui Gesù parlava quasi invariabilmente di sé durante il suo soggiorno sulla terra. Una volta soltanto (Giovanni 17:3#500170030000500170030000), applica a sé stesso i nomi Gesù e Cristo, e ben di rado e in modo obliquo, il titolo di "Figliuol di Dio" Matteo 11:27; Giovanni 5:25; 9:35; 11:4. #470110270000-470110270000#500050250000500050250000#500090350000-500090350000#500110040000500110040000Nel chiamarsi "Figliuol dell'uomo", non è già ch'ei non reclamasse per sé nient'altro che la semplice umanità; che, anzi, additava enfaticamente l'unione della natura divina con la umana, la quale unione era fatta spiccare nelle profezie del Vecchio Testamento in cui quel nome s'incontra per la prima volta. Paragonando, in Daniele 8#340080000000-

340080000000, i quattro primi regni, rappresentati da belve feroci, sorte dal mare, col quinto di cui "l'Antico dei giorni" investiva "uno simile ad un figliuol d'uomo", che scendeva dal trono di Dio sulle nuvole del cielo, è facile accorgersi che quel titolo indica assai più che la semplice umanità. Gesù si applica dunque questo appellativo davanti al Sinedrio per indicare esser desso la personificazione di quel figliuol d'uomo a cui in visione eran commessi l'impero e i destini di quel regno che veniva da Dio, in altre parole esser desso realmente il Messia. Al lume della profezia di Daniele, il lettore vedrà tosto chiarito il senso di alcuni passi scritturali, come sarebbero Giovanni 1:51; 3:13#500010510000-500010510000#500030130000500030130000, e questo che ora stiamo commentando.

sedere alla destra della Potenza,

l'Onnipotente. Iddio è qui descritto a bello studio con quell'attributo che incute maggiore sgomento nei cuori degli uomini colpevoli.

e venire con le nuvole del cielo.

Quando Gesù s'intitola il Figliuol dell'uomo, e dichiara che i suoi giudici lo vedranno sedere alla destra di Dio e venire con le nuvole del cielo, è ovvio che si riferisce alla profezia di Daniele e designa sé come il Messia a cui fu dato il regno eterno. Queste sue parole sembrano inoltre riferirsi in parte alla sua esaltazione, in parte al progresso del suo regno, in parte al suo venire, provvidenzialmente, a punire la nazione giudaica; ma ultimamente e principalmente al suo venire a giudicare il mondo nell'ultimo giorno. I suoi giudici potevano ricusar di credere alla sua missione divina, respingerlo, metterlo a morte; ma egli persisteva a reclamare i titoli suoi, e sebbene stesse ora deriso e insultato davanti al loro tribunale, verrebbe il giorno in cui essi starebbero davanti al suo, e che giusta punizione colpirebbe tutti i suoi più fieri nemici.

PASSI PARALLELI

Marco 15:2; Matteo 26:64; 27:11; Luca 23:3#480150020000480150020000#470260640000-470260640000#470270110000-

470270110000#490230030000-490230030000

Marco 13:26; 16:19; Salmi 110:1; Daniele 7:13-14; Matteo 24:30; Luca 22:69; Atti 1:9-11#480130260000-480130260000#480160190000480160190000#231100010000-231100010000#340070130000340070140000#470240300000-470240300000#490220690000490220690000#510010090000-510010110000

2Tessalonicesi 1:7-10; Ebrei 1:3; 8:1,10,12-13; 12:2; Apocalisse 1:7; 20:11#600010070000-600010100000#650010030000650010030000#650080010000-650080010000#650080100000650080100000#650080120000-650080130000#650120020000650120020000#730010070000-730010070000#730200110000730200110000

48014063Mc 14:63

63. E il sommo sacerdote, straccatesi le vesti, disse:

Era costume tra i Giudei in tempo di cordoglio, sì pei morti che per qualunque altra grande calamità, di stracciarsi le vesti, del che troviamo frequente menzione nel Vecchio Testamento. Ma nella legge levitica, al sommo sacerdote era solennissimamente proibito di osservare questa pratica Levitico 10:6; 21:10#030100060000-030100060000#030210100000030210100000. Parrebbe tuttavia dal Targum di Gionata e dal Mishna che, coll'andar del tempo, avessero trovato modo di "annullare" anche questa legge, permettendo, al sommo sacerdote dì stracciarsi le vesti soltanto dalla cintola in giù, mentre gli altri sacerdoti le stracciavano dalla cintola in sù È possibile tuttavia che questo stracciarsi le vesti fosse permesso al sommo sacerdote, solo quando fosse stato commesso in sua presenza il peccato di bestemmia o altro enormissimo, onde esprimere uffizialmente la sua detestazione non meno che il suo gran dolore.

Che abbiam noi più bisogno di testimoni?

Non fu immediatamente dopo che nostro Signore ebbe pronunziato le parole dei vers. 62, implicando ch'egli era il Messia che Caiafa procedette a stracciarsi le vesti. Riferendoci di bel nuovo a Luca 22:70#490220700000490220700000, è evidente che il Sinedrio aveva inteso, per la risposta di nostro Signore, ch'egli asseriva competergli qualche cosa di più alto ancora di ciò ch'essi intendevano per la dignità di Messia, e quindi la seconda domanda che il presidente gli fece, sotto l'obbligazione solenne d'un giuramento, ed alla quale sì associò, come ad una voce, tutta quanta l'assemblea. "E tutti dissero: Sei tu adunque il Figliuol di Dio?" Fu in seguito della risposta di Gesù a questa seconda domanda che Caiafa stracciò le sue vesti. È della più alta importanza l'aver presente che da quegli scritti giudaici che ci rimangono dei più prossimamente contemporanei al soggiorno di nostro Signore sulla terra (come sarebbero gli Apocrifi, Filone, Onkelos, gli altri Targumisti e Tritone, contemporaneo di Giustino Martire), non può rimanere alcun dubbio che i dotti Giudei, se non la massa del popolo, riguardavano il Logos, o la Parola del Signore come una persona divina; e che facevano una evidentissima distinzione tra la Parola e l'aspettato Messia, considerando quest'ultimo come un semplice uomo e non una persona divina. In prova di questo basteranno le seguenti citazioni, dopo aver premesso che i Targumisti solitamente distinguono tra i diversi sensi in cui s'ha da intendere la parola Logos, usando per essa Memra quando significa la Parola Divina, e Pitgama quando vuol dire un discorso o una parola nel senso in cui gli uomini l'usano comunemente. E come prova che i Giudei riconoscevano "la parola del Signore" per una persona Divina, leggiamo negli Apocrifi, intorno alla strage dei primogeniti d'Egitto; "La tua onnipotente parola s'avventò dal cielo, da' troni reali, a guisa di rigido guerriero, in mezzo del paese dello sterminio, portando il suo non finto comandamento a guisa di spada acuta e, stando in piè, riempiè ogni casa di morte" Sapienza 18:16,16. C'è qui spiccata la distinzione tra il Logos e il comandamento del Signore, in conferma di che, sappiamo dai Targum che la parola personale ora considerata dai Giudei come l'agente della liberazione dall'Egitto e della distruzione dei primogeniti. Onkelos fa la stessa distinzione nella sua traduzione del Deuteronomio 5:5#050050050000050050050000: "Stavo io in quel tempo fra la PAROLA (Memra) del Signore e voi, e riportava a voi la parola (pitgama) del Signore". Riguardo poi alla distinzione che i Giudei facevano tra il LOGOS e il Messia Onkelos

traduce Deuteronomio 18:15#050180150000-050180150000 (che i Giudei ammettono doversi riferire al Messia, e che Pietro applica direttamente a Gesù Atti 3:22#510030220000-510030220000): "Se alcuno non ascolterà le mie parole pitgama, che quel profeta dirà a mio nome, la mia PAROLA (Memra), gliene ridomanderà conto". E il Targum di Gerusalemme, descrivendo la consumazione finale delle parole dell'Esodo 12:42#020120420000-020120420000, dice: "Mosè uscirà fuori del deserto e il re Messia fuori di Roma, l'uno andrà avanti in una nuvola, e la PAROLA del Signore sarà luce tra essi due". Finalmente in prova che i Giudei credevano il Messia essere un mero uomo e non un ente divino, Tritone, in risposta all'argomento di Giustino Martire diretto a provare che Gesù era non solo il Messia ma ancora il vero Figliuolo di Dio, replica: "Che questo Cristo esistesse al pari di Dio prima del mondo, e che poi si sottomettesse a divenire e nascere uomo, e che egli non fosse semplicemente un uomo generato dall'uomo, mi sembra non solo incredibile ma assurdo. A me pare molto più credibile la dottrina di coloro che dicono che egli (Gesù) nascesse uomo e per elezione fosse unto e fatto Cristo, che non ciò che voi affermate. Imperocché noi tutti ancora crediamo che il Cristo deve essere un uomo nato da umani genitori". Questo soggetto è trattato assai completamente da Treffry nella sua, dottissima opera: "Ricerche intorno alla dottrina dell'eterna figliazione di nostro Signore Gesù Cristo", dove si trovano prove ancora più ampie. Nelle narrazioni degli Evangelisti vi è molto a conferma dell'opinione che al tempo di nostro Signore sia il popolo giudaico che i suoi rettori si aspettavano che il loro Messia sarebbe semplicemente un uomo e non una persona divina. Quando Gesù richiese i Farisei intorno al Cristo, dicendo: "Di chi è egli figliuolo?" Matteo 22:42-45#470220420000470220450000, essi risposero senza esitare: "Di Davide"; ma quando procedette a domandarli intorno alla sua più alta natura aggiungendo: "Come adunque Davide lo chiama egli in ispirito Signore?" essi non sapevano capacitarsi come i caratteri apparentemente contraddittori di figlio e di Signore di Davide, dovessero riscontrarsi nel medesimo individuo. Inoltre, sebbene i rettori rifiutassero di riconoscere Gesù per Messia a ragione della sua povertà ed umile condizione, il popolo era generalmente disposto ad ammettere il suo diritto a tale dignità, e nessuna accusa di bestemmia fu mossa giammai sia contro di lui che contro qualsiasi altro a tale riguardo. Il popolo avrebbe, voluto impadronirsene e farlo suo re dopo il

miracolo operato presso Betsaida, dacché essi dicevano (in riferenza a Deuteronomio 18:18#050180180000-050180180000): "Certo costui è il profeta che deve venire al mondo" Giovanni 6:14-15#500060140000500060150000. Bartimeo la donna sirofenice, il popolo radunato in Gerusalemme all'ultima, pasqua celebrata da Gesù, tutti insomma lo salutarono col nome di "Figliuolo di Davide", pel quale notoriamente si designava il Messia. Gli stessi suoi nemici riconobbero l'influenza che egli avea sopra il popolo, ed eran atterriti all'idea che il riconoscimento del preteso suo diritto avrebbe menato ad una lotta coi Romani, la quale avrebbe distrutta la nazione Giovanni 11:47-48; 12:19#500110470000500110480000#500120190000-500120190000; ma essi non pretendevano di trattare quella pretesa come una bestemmia. Il più che essi potessero fare onde comprimere la ognor crescente ammirazione del popolo per lui, era di scomunicare temporaneamente coloro che lo riconoscevano per Messia Giovanni 9:22#500090220000-500090220000. Ma notisi la differenza rimarchevole nel trattamento che Gesù ebbe dal popolo stesso che credeva in lui come Messia o lo ammirava, come profeta, ogni qual volta l'intese pretendere di essere "Il Figliuol di Dio" e quindi una divina persona, uguale a Dio. Essi presero tosto delle pietre per lapidarlo, supplizio dovuto al bestemmiatore, secondo la loro legge. Giovanni ricorda quattro differenti occasioni in cui questo, accadde (Vedi Note Giovanni 5:9Giovanni 5:9; Giovanni 5:17Giovanni 5:17-18; Giovanni 8:30Giovanni 8:30-31; Giovanni 8:56Giovanni 8:56-59; Giovanni 10:24Giovanni 10:24-31; Giovanni 10:33Giovanni 10:33; Giovanni 10:39Giovanni 10:39). Citeremo solo il primo a mo' d'esempio. Avendo Gesù, all'accusa di violare il sabato, affermato la sua suprema autorità col dire: "Il mio padre opera infino ad ora ed io ancora opero", il suo uditorio intese perfettamente il significato delle sue parole e ne rimase offeso. "Perciò adunque i Giudei cercavano vieppiù d'ucciderlo perciocché non solo violava il sabato ma anco diceva Iddio esser suo padre, suo proprio padre, FACENDOSI UGUALE A Dio". Le suddette considerazioni riguardanti la distinzione fatta dal Giudei fra Messia e la "Parola di Dio" spiegano la ragione della seconda interrogazione fatta a nostro Signore dal sommo sacerdote sotto il vincolo del giuramento. Solo Luca ci dà la sua risposta: "Ed egli disse loro: Voi lo dite (cioè la vostra supposizione è vera); perciocché io lo sono". Vi è un forte contrasto fra la maniera in cui Gesù rispose alla prima interrogazione e la risposta

apertissima e senza ombra di reticenza che diede a quest'altra, contrasto che non si spiega semplicemente col dire che ora Gesù era vincolato dal giuramento e prima non l'era. La prima interrogazione era affatto superflua, imperocché il Sinedrio aveva mezzi amplissimi di conoscere che egli pretendeva essere il Messia; ma siccome credevano che il Messia fosse per essere semplicemente un uomo, gli fecero questa seconda domanda alla quale Gesù soltanto poteva rispondere, e sebbene egli sapesse che così facendo poneva li suggello alla propria condanna, ei non esitò a dire pienamente la verità. L'ora era giunta quando, per la gloria di suo Padre, e per la fede e consolazione della sua Chiesa infino alla fine del tempo, era richiesto che egli dovesse pubblicamente dichiarare se stesso tanto Figliuolo di Dio, come figliuol dell'uomo. Questa, non il semplice riconoscimento fatto davanti al governatore che egli fosse un Re, era "la buona confessione testimoniata davanti a Ponzio Pilato" (sotto, durante il governo di), della quale Paolo parla in 1Timoteo 6:13#610060130000-610060130000.

PASSI PARALLELI

Isaia 36:22; 37:1; Geremia 36:23-24; Atti 14:13-14#290360220000290360220000#290370010000-290370010000#300360230000300360240000#510140130000-510140140000

48014064Mc 14:64

64. voi avete udita la bestemmia; che ve ne pare? E tutti lo condannarono, pronunziando ch'egli era reo di morte.

Cioè colpevole di un crimine che lo faceva reo di morte. Noi sappiamo di certo che uno dei membri di questo consiglio, Giuseppe d'Arimatea, non consentì a questa condanna Luca 23:50-51#490230500000-490230510000, né probabilmente vi acconsentì Nicodemo; ma "pell'egoistico loro timore dei Giudei", sembra che in questa occasione si assentassero, imperocché tutti coloro che erano presenti pare che fossero unanimi. Lo scopo pel quale avevano lavorato sì a lungo, pel qual Satana pure aveva faticato con ogni sua

possa e con tutto il suo ingegno, era alfine raggiunto; tuttavia ricordiamoci sempre che fu solo perché Cristo medesimo asserì d'essere Figliuolo di Dio ch'ei venne condannato a morte come e bestemmiatore! Che altrimenti i suoi avversari non avrebber potuto riuscire nel loro intento. Si osservi in questo il compimento della sua dichiarazione Giovanni 10:17-18#500100170000500100180000, che il deporre la vita era, da parte sua, un atto volontario.

PASSI PARALLELI

Levitico 24:16; 1Re 21:9-13; Matteo 26:65-66; Luca 22:71; Giovanni 5:18; 8:58-59#030240160000-030240160000#110210090000110210130000#470260650000-470260660000#490220710000490220710000#500050180000-500050180000#500080580000500080590000

Giovanni 10:31-33; 19:7#500100310000-500100330000#500190070000500190070000

48014065Mc 14:65

65. Ed alcuni presero a sputargli addosso (Vedi Isaia 50:6#290500060000-290500060000), ed a velargli la faccia,

Questo costume originò nell'Oriente ne' tempi antichissimi, e fu poscia adottato dai Greci e dai Romani verso i rei che erano stati condannati a morte. Ne troviamo un esempio nel caso di Haman! Esodo 7:8#020070080000-020070080000.

ed a dargli delle guanciate (percuoter col pugno), ed a dirgli e indovina.

Matteo: "O Cristo, indovinaci chi ti ha percosso"; mettendolo così in ridicolo perché si annunziava qual profeta.

E i sergenti gli davan delle bacchettate,

Luca aggiunge: "Molte altre cose ancora dicevano contro di lui bestemmiando". Questa attestazione generale è importante, dimostrando che per quanto maligni e variati sian gli affronti a lui fatti di cui ci pervenne il ricordo, non sono che un piccolo cenno di ciò che egli soffrì in quell'occasione. Nella narrazione di Luca, questi insulti offerti a Gesù vengono immediatamente dopo il rinnegamento di Pietro e prima di far menzione delle procedure del Sinedrio, dal che, diversi scrittori argomentano risultare indubbiamente che nostro Signore fu trattato in tal guisa tanto prima come dopo il suo processo e la sua condanna. Vi sono altri che sostengono esservi state due distinte riunioni del Sinedrio, una quasi subito dopo che Cristo fu condotto al palazzo di Caiafa, l'altra sul far del giorno, e che dopo ciascuna di queste riunioni nostro Signore fu così vergognosamente trattato. Ma siccome nessuno degli evangelisti riporta due riunioni del Sinedrio, né due occasioni separate nelle quali fosse sputato in volto a Gesù, tali teorie sono destituite di qualsiasi fondamento;

1. Perché nessuno degli Evangelisti pretende presentare la sequela dei fatti che racconta con esattezza cronologica;

2. Perché due riunioni del Sinedrio in sì breve tempo sarebbero altrettanto incredibili, quanto inutili, se si considera che la maggior parte dei suoi membri passarono quella notte andando in traccia di testimoni;

3. Perché prima che fosse intervenuta una dichiarazione uffiziale della corte suprema che Gesù non avea diritto d'essere riguardato come Messia o Profeta, le guardie che lo custodivano non avrebbero osato insultare e maltrattare uno che alla fin fine poteva provare il suo diritto in modo da farne persuaso il Sinedrio.

Dopo che la corte lo ebbe condannato, il caso era affatto diverso: nessun maltrattamento fu allora considerato come troppo ingiurioso per uno ch'era giudicato reo di bestemmia, e, nelle indegnità ed ingiurie che gli usarono, le guardie non fecero che seguir l'esempio dei giudici, i quali, dando libero sfogo alla loro mortale animosità, furono i primi a porgli le mani addosso come fecero dappoi col martire suo Stefano. Le narrazioni di Matteo e

Marco non lascian luogo a dubitare che a questo trattamento codardo e crudele fu dato principio dagli stessi senatori. La condanna di Gesù come bestemmiatore non solo spiega la licenza delle guardie, ma similmente l'improvviso e notevolissimo cambiamento del sentire della plebaglia a suo riguardo, il quale cambiamento resterebbe altrimenti quasi inesplicabile. Poche ore prima, egli era sì popolare che l'autorità giudaica temeva d'arrestarlo per paura che ciò avesse a cagionare un tumulto; pochi quarti d'ora dopo ch'ei fu condannato, quella stessa moltitudine vociferava in faccia alla residenza di Pilato. "Crocifiggilo, crocifiggilo". Il fatto ch'ei s'era affermato Figliuol di Dio aveva, come in altre occasioni precedenti (Vedi più sopra), cangiato i loro benevoli sentimenti in zelo furibondo e fanatico.

PASSI PARALLELI

Marco 15:19; Numeri 12:14; Giobbe 30:10; Isaia 50:6; 52:14; 53:3; Michea 5:1#480150190000-480150190000#040120140000040120140000#220300100000-220300100000#290500060000290500060000#290520140000-290520140000#290530030000290530030000#400050010000-400050010000

Matteo 26:67-68; Luca 22:63-64; Giovanni 18:22; 19:3; Atti 23:2; Ebrei 12:2#470260670000-470260680000#490220630000490220640000#500180220000-500180220000#500190030000500190030000#510230020000-510230020000#650120020000650120020000

48014066Mc 14:66

Pietro rinnega tre volte il suo Signore. Suo pentimento, Marco 14:66-72

Tostoché Gesù fu arrestato, i discepoli tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. D'indole impetuosa ed animoso, Pietro non tardò a riaversi dal primo spavento, e in compagnia di un altro discepolo seguì Gesù da lungi al palazzo del sommo sacerdote. "Or Simon Pietro ed un altro discepolo

seguitavano Gesù, e quel discepolo era noto al sommo sacerdote" Giovanni 18:15#500180150000-500180150000. Discordano le opinioni intorno a chi potesse essere questo altro discepolo; alcuni scrittori suppongono fosse Giuda (come se Pietro non avrebbe inorridito di accompagnarsi col traditore!), altri, la persona nella cui casa Gesù aveva cenato, o alcun altro residente in Gerusalemme, di più alta condizione di quella dei discepoli, essendo conoscente del sommo sacerdote. Tuttavia la maggior parte dei commentatori convengono in questo che fosse lo stesso Evangelista Giovanni, e l'omissione del suo nome è in perfetto accordo colla sua modestia, ogni qualvolta egli deve ricordare qualche cosa concernente sé stesso (Vedi Giovanni 13:23; 19:26; 20:2; 21:7#500130230000500130230000#500190260000-500190260000#500200020000500200020000#500210070000-500210070000).

Vano sarebbe il voler congetturare a quali circostanze si debba attribuire questa sua conoscenza con Caiafa. Approfittando di questa conoscenza, sembra che egli sia entrato nel palazzo con la gente che aveva Gesù in custodia, e subito dopo, avendo parlato alla portinaia, egli uscì di nuovo e condusse dentro Pietro. Una volta entrato nel palazzo, non si fa ulteriore menzione di Giovanni, ma è in armonia col suo carattere il supporre che, invece di mischiarsi coi servi ed i soldati, egli, che poscia sfidò tutti i pericoli per stare appiè della croce, se ne stesse quì pure vicino al suo divin Maestro per quanto gliel consentissero le circostanze. Per Pietro la cosa andò ben differentemente.

66. ora, essendo Pietro nella corte di sotto,

Matteo di fuori. Questi avverbi sono usati in relazione alla sala in cui fu condotto Cristo, la quale metteva nella corte da una parte ed era alzata di uno o due gradini sul suo livello. "Le case orientali", dice Robinson, "sono ordinariamente fabbricate intorno ad una corte quadrangolare, a cui si accede dalla strada per un ingresso ad arco, posto nella facciata della casa, chiamato il portico, che è chiuso da un portone a due battenti (con un piccolo sportello per una sola persona), e guardato da un portinaio. La corte interna, spesso ammatonata o lastricata di marmo, ed a cielo aperto, è

chiamata corte". Il luogo dove Gesù stava davanti al sommo sacerdote può essere stata una sala d'udienza (quasi sempre aperta), posta a pian terreno, in fondo a quel cortile o ad uno dei suoi lati. Lo scrittore ha avuto occasione nel Cairo ed in Damasco di verificare l'esattezza di questa descrizione. Robinson avrebbe potuto aggiungere che in molti casi questa sala (chiamata nel Cairo mak-ad), si eleva di uno o due gradini sopra la corte. Giovanni 18:18#500180180000-500180180000 ci informa che "i servitori ed i sergenti stavano quivi ritti, avendo accesi de' carboni e si scaldavano perciocché faceva freddo, e Pietro stava in piè con loro e si scaldava".

venne una delle fanti del sommo sacerdote;

I diversi rinnegamenti di Pietro, sebbene protratti lungo la notte e paralleli ai due esami cui fu sottoposto nostro Signore, sono quì posti insieme per formare una connessa narrazione. Havvi qualche apparente discrepanza fra le narrazioni dei quattro Evangelisti, ma non più di quanto si poteva aspettare dalla confusione che dovette regnare in questa occasione e dalla varietà delle forme nelle quali la storia poteva, per conseguenza, essere narrata, con egual verità. Mentre tutti convengono intorno a tre distinti rinnegamenti da parte di Pietro, nessuno asserisce che solo tre interrogazioni gli fossero fatte e siccome qualsiasi discrepanza apparente è soltanto in questo senso, è rimossa in modo soddisfacente dall'evidenza che gli Evangeli ci forniscono, cioè che Pietro fu assalito con simili domande od accuse in varie occasioni o da molte parti al tempo stesso. Per averli meglio sott'occhio, i rinnegamenti di, Pietro si possono presentare in una tabella o specchietto.

PRIMO RINNEGAMENTO

MATTEO

Interrogante: Una fanciulla

Tempo: Indefinito

Luogo: La corte

Interrogazione: Anche tu eri con Gesù il Galileo

Rinnegamento: Io non so che tu dici

MARCO

Interrogante: Una delle fanti

Tempo: Indefinito

Luogo: Vicino al fuoco nella corte

Interrogazione: Ancora tu eri con Gesù il Nazareno

Rinnegamento: Io non lo conosco e non so ciò che tu ti dica

LUCA

Interrogante: Una certa fanticella

Tempo: Indefinito

Luogo: Vicino al fuoco nella corte

Interrogazione: Ancor costui era con lui

Rinnegamento: Donna, io nol conosco

GIOVANNI

Interrogante: La fante portinaia

Tempo: Indefinito

Luogo: La corte

Interrogazione: Non sei ancor tu discepolo di quest'uomo?

Rinnegamento: Nol conosco

SECONDO RINNEGAMENTO

MATTEO

Interrogante: Un'altra fanciulla

Tempo: Indefinito

Luogo: L'antiporto

Interrogazione: Anche costui era con Gesù il Nazareno

Rinnegamento: Egli di nuovo lo negò dicendo: io non conosco quell'uomo.

MARCO

Interrogante: La fante

Tempo: Indefinito

Luogo: L'antiporto

Interrogazione: Costui è di quelli

Rinnegamento: Egli da capo lo negò

LUCA

Interrogante: Un altro

Tempo: Poco appresso

Luogo: Indefinito

Interrogazione: Anche tu sei di quelli

Rinnegamento: O uomo nol sono

GIOVANNI

Interrogante: Essi

Tempo: Indefinito

Luogo: Al fuoco

Interrogazione: Non sei ancor tu dei suoi discepoli?

Rinnegamento: Nol sono

TERZO RINNEGAMENTO

MATTEO

Interrogante: Quelli che erano presenti

Tempo: Poco appresso

Luogo: Indefinito

Interrogazione: Davvero anche tu sei di quelli, perciocché la tua favella ti fa manifesto

Rinnegamento: Cominciò a maledire ed a giurare dicendo: io non conosco quest'uomo

MARCO

Interrogante: Quelli ch'erano quivi

Tempo: Poco stante

Luogo: Indefinito

Interrogazione: Tu sei di quelli, perciocché tu sei Galileo e la tua favella ne ha la simiglianza.

Rinnegamento: Egli prese a maledirsi ed a giurare: Io non conosco quest'uomo che mi dite.

LUCA

Interrogante: Un certo altro

Tempo: Per lo spazio quasi d'un'ora

Luogo: Indefinito

Interrogazione: In verità anche costui era con lui perciocché è galileo

Rinnegamento: O uomo, io non so quel che tu dica

GIOVANNI

Interrogante: Servitore del sommo sacerdote, parente di Malco

Tempo: Indefinito

Luogo: Indefinito

Interrogazione: Non ti vidi lo nell'orto con lui?

Rinnegamento: Ma egli da capo lo negò

PASSI PARALLELI

Marco 14:54; Matteo 26:58,69-70; Luca 22:55-57#480140540000480140540000#470260580000-470260580000#470260690000470260700000#490220550000-490220570000

Giovanni 18:15-18#500180150000-500180180000

48014067Mc 14:67

67. E, veduto Pietro che si scaldava

Luca: vedutolo sedere presso il fuoco (la luce), che, risplendendo appieno sopra di lui, ne facea risaltare i lineamenti,

lo riguardò in viso, e disse: Ancora tu eri con Gesù Nazareno.

Primo rinnegamento. Per riguardo a questo non vi cono speciali difficoltà. La parola ancora, si riferisce al compagno per la cui influenza, gli era stato permesso di entrare, come si argomenta ancor più chiaramente dalla parole di Giovanni: "Non sei ancor tu dei discepoli di quest'uomo?" L'interrogante in questa prima occasione fu la portinaia, la cui attenzione essendo stata specialmente richiamata sopra di lui quando entrò, o seppe o indovinò ch'egli era un discepolo di Gesù. Per curiosità, ovvero anche per ragione dell'uffizio suo, essa naturalmente tenne d'occhio tutti i suoi movimenti. Se, come noi congetturammo, Giovanni si ritrasse dalla folla per essere vicino il più possibile al luogo dove stava il suo Maestro, il contrasto presentato dall'indifferenza di Pietro, che stava oziando vicino al fuoco, insieme a quelli che avevano arrestato Gesù, dovette colpirla sfavorevolmente, e forse anche le suggerì l'idea ch'egli potesse essere una spia e la indusse a far quella domanda per liberare se stessa da ogni responsabilità. L'attenzione di tutti coloro che stavano intorno al fuoco dovette rivolgersi a Pietro, ma, presi per sorpresa, non sembra che alcuno di essi si unisse nell'accusa.

PASSI PARALLELI

Marco 10:47; Matteo 2:23; 21:11; Giovanni 1:45-49; 19:19; Atti 10:38#480100470000-480100470000#470020230000470020230000#470210110000-470210110000#500010450000500010490000#500190190000-500190190000#510100380000510100380000

48014068Mc 14:68

68. Ma egli lo negò, dicendo: Io non le conosco, e non so ciò che tu ti dica.

Questa interpellanza subitanea, inaspettata e perentoria prese per sorpresa anche Pietro; e se egli voleva sostenere il carattere che si era assunto di estraneo a Gesù, ci voleva una risposta pronta e positiva, e così la prima avventata menzogna sfuggì dalle sue labbra: "Io non lo conosco"; e subito aggiunge: "e non so ciò che tu ti dica". Ciò è da molti riguardato come una reiterazione del suo rinnegamento, reiterazione cagionata dall'avere la portinaia ripetuto tanto a lui come ai circostanti la sua asserzione; sebbene noi preferiamo riguardarlo come un tentativo di palliare dinanzi alla propria coscienza il già commesso rinnegamento col diminuirne la forza. In ogni altra supposizione, fu una grande aggravazione del suo peccato, imperocché Gesù era allora così generalmente conosciuto, che la sicurezza di Pietro non poteva richiedere ch'egli affermasse di non aver nemmanco inteso ciò a cui la donna alludeva.

E uscì fuori all'antiporto, e il gallo cantò.

Turbato, per l'accusa inaspettata, inquieto nella coscienza, paventando che l'affare non si facesse sempre più serio, Pietro lasciò subito dopo il suo posto e se ne venne verso il portico forse col progetto di svignarsela. Frattanto il gallo cantò. È impossibile determinare il tempo preciso della notte in cui ciò accadde se non che dovette al certo essere stato dopo mezzanotte, poiché il gallo non comincia a cantare prima di quest'ora, sebbene dopo quel tempo, secondo Thomson, in Palestina, "essi sembrano cantare tutta la notte". Al solito però, gli è sempre sul far del giorno che tutti

si mettono insieme a cantare ed a questo periodo della notte si deve riferire il secondo cantare del gallo ricordato dal nostro evangelista. La vigilia della notte che era conosciuta sotto il nome di canto del gallo, cominciava alle tre a.m. e continuava fino alla sei. È degno di rimarco che questo primo cantare del gallo è menzionato solamente da Marco, che, secondo un'antica tradizione, fu per lungo tempo il fido compagno ed amanuense di Pietro, dalle cui labbra egli lo seppe senza dubbio; e ciò dimostra che tale circostanza avea fatto allora impressione sulla memoria dell'apostolo quantunque rimanesse sordo a tale avvertimento.

PASSI PARALLELI

Marco 14:29-31; Giovanni 13:36-38; 2Timoteo 2:12-13#480140290000480140310000#500130360000-500130380000#620020120000620020130000

Matteo 26:71-72#470260710000-470260720000

Marco 14:30#480140300000-480140300000

48014069Mc 14:69

Secondo rinnegamento

69. E la fante, vedutolo di nuovo, cominciò a dire a quelli ch'erano quivi presenti: Costui è di quelli. Ma egli da capo le negò.

Havvi qualche verbale differenza fra le narrazioni, intorno alle persone ed al luogo, ma nessuna che non possa essere facilissimamente conciliata. È chiaro che nessuno degli Evangelisti ritenne importante di specificare chi interpellasse Pietro; l'importante si è il suo rinnegamento. Le diverse circostanze possono assai naturalmente combinarsi così: Mentre era nel portico, la portinaia non solo lo accusò di nuovo, ma comunicò pure i suoi sospetti ad un'altra fanciulla e ad uno degli uomini che stavano con loro, e

questi lo seguirono quando ritornò presso il fuoco e reiterarono le loro asserzioni finché non fu più possibile il silenzio, ed egli di nuovo, alla presenza di tutti, negò l'accusa in un modo ancor più tremendo ed offensivo. Matteo: "Egli di nuovo lo negò con giuramento, dicendo: Io non conosco quell'uomo". Non solo egli negò, ma chiamò Dio a testimoniare che egli non conosceva Gesù. Ohimè! per l'infallibilità di coloro che si dicono successori di Pietro; essi si fondano sul più fallibile e più soggetto ad errare di tutti i discepoli di Cristo! Qualunque novizio può applicare al loro caso il ben noto assioma: "L'acqua non può innalzarsi al disopra della sua sorgente". I profani giuramenti con cui alcuni attestano talvolta le loro parole, non provano punto che essi dicano il vero, imperocché coloro che violano il terzo comandamento non possono avere alcun rispetto pel nono.

48014070Mc 14:70

Terzo rinnegamento

70. E, poco stante (Luca: "Infra lo spazio quasi d'un'ora"), quelli ch'eran quivi dissero di nuovo a Pietro: Veramente tu sei di quelli; perciocché tu sei Galileo, e la tua favella ne ha la simiglianza.

Matteo: "La tua favella si fa manifesta". Il giuramento di cui Pietro si valse, sembra avere, per un momento, posto fine alle accuse, ed il dibattimento che stava per incominciare innanzi al Sinedrio può aversi attirata l'attenzione dei circostanti. Pietro avea ripresa fino, ad un certo segno la perduta calma e fiducia di se stesso, e procurava di rimuovere tutti i sospetti, affettando le maniere di coloro che lo circondavano e prendendo parte alla loro conversazione, forse perfino ai loro scherzi volgari e fuori di tempo. E non si avvedeva di andar così appunto egli stesso tessendo una nuova rete, nella quale doveva rimanere avviluppato ancor più inestricabilmente, poiché il suo parlare non poteva mancare di tradirlo. Non era ancora scorsa un'ora, che i suoi tormentatori lo assalirono di nuovo. "In verità anche costui era con lui", irruppe dalle labbra di uno. "Tu sei Galileo e la tua favella ne ha la simiglianza", fu l'accusa degli altri, mentre ora un'accusa ancor più seria è

posta in campo da taluno che, fino allora non aveva parlato: "Non ti vidi io nell'orto con lui?" Questi era un congiunto di Malco, il servo del sommo sacerdote a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio colla spada, ed egli stesso era stato testimonio del fatto. Allora Pietro, sommamente spaventato al pensiero del pericolo al quale sarebbe stato esposto, se fosse stato provato chiaramente ch'egli era stato l'autore di quella aggressione negò la terza volta più veementemente di prima.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:17#500180170000-500180170000

Luca 22:58; Giovanni 18:25; Galati 6:1#490220580000490220580000#500180250000-500180250000#550060010000550060010000

Matteo 26:73-74; Luca 22:59-60; Giovanni 18:26-27#470260730000470260740000#490220590000-490220600000#500180260000500180270000

Giudici 12:6; Atti 2:7#070120060000-070120060000#510020070000510020070000

48014071Mc 14:71

71. Ma egli prese a maledirsi, ed a giurare: io non conosco quell'uomo che voi dite.

Luca: "O uomo, io non so quel che tu dici". Le parole ricordate da Luca sembrano essere state dette in risposta alla interrogazione del congiunto di Malco. Con ciò asseriva, che ben lungi dall'essere uno di coloro che erano nel giardino di Ghetsemane, egli neppure intendeva il significato dell'accusa! Al che seguì immediatamente il suo ripudiar qualsiasi conoscenza con Gesù. E questo fu fatto non solo come nel caso precedente appellandosene solennemente a Dio, ma ancor più terribilmente

coll'invocare sul suo capo le più tremende maledizioni, ove le sue asserzioni non fossero vere. Ohimè per Pietro! Ei venne ove il dovere non lo aveva chiamato, e trovò la via della tentazione; venne con aria di sfida fidando troppo nella sua forza, e trovò la debolezza; venne coll'orgoglio di mostrare al suo Signore che gli era rimasto almeno un seguace intrepido mentre gli altri lo avevano abbandonato, e lo disonorò più lui colla sua presenza che gli altri colla loro fuga!

PASSI PARALLELI

2Re 8:12-15; 10:32; Geremia 17:9; 1Corinzi 10:12#120080120000120080150000#120100320000-120100320000#300170090000300170090000#530100120000-530100120000

48014072Mc 14:72

72. E il gallo cantò la seconda volta; e Pietro si ricordò della parola che Gesù gli avea detta: Avanti che il gallo canti due volte, tu mi rinnegherai tre volte.

Questo secondo cantare del gallo fu sul principio della quarta vigilia detta del mattino, quando appena il Sinedrio si era radunato Luca 22:66#490220660000-490220660000. Nel ricordare l'avvertimento contenuto in quella predizione del Signore a Pietro, gli altri evangelisti hanno espresso in via generale il fatto che prima di quel momento della notte, conosciuto sotto il nome di electrofonia ossia cantar del gallo, il discepolo avrebbe rinnegato tre volte il suo maestro Matteo 24:34; Luca 22:34; Giovanni 13:38#470240340000-470240340000#490220340000490220340000#500130380000-500130380000; ma Pietro avea rimarcato più precisamente le parole del suo Signore, ed in conseguenza noi troviamo nella narrazione del suo amico Marco, una speciale menzione del cantare due volte del gallo, provvidenziali ed amorevoli interposizioni per renderlo avvertito del suo pericolo. Il primo passò, ohimè, inavvertito; ma il secondo, come una freccia, lo colpì immediatamente nel cuore, richiamò al vivo alla

sua memoria le parole che gli aveva detto il suo Signore, e gli rivelò la sua vera posizione d'ingrato, spregievole, profano e miserabile. Per la misericordia di Dio, tale risveglio al pentimento è certo che sarà accordato a tutti i suoi che son divenuti infedeli, sebbene non si effettui nello stesso modo in ognuno. A Davide avvenne per le parole di Nattan: "Tu sei quell'uomo" 2Samuele 12:7#100120070000-100120070000; al profeta disobbediente che ritornava da Giuda, venne dalle labbra del medesimo suo tentatore: "Perciocché tu sei stato ribelle alle parole del Signore... il tuo corpo non entrerà nella sepoltura dei tuoi padri" 1Re 13:2122#110130210000-110130220000; ad Elia venne per le parole di Jehova stesso: "Che hai tu a far quì Elia?" 1Re 19:9#110190090000110190090000; ed a Pietro, dal canto del gallo, accompagnato da quello sguardo sì pieno di rimprovero, di compassione, di amore, che Gesù gettò sopra di lui e che gli andò dritto al cuore. Di questo interessantissimo ed importante incidente andiamo debitori al solo Luca 22:61#490220610000490220610000: "Ed il Signore, rivoltosi, riguardò Pietro". Noi non abbiamo alcun mezzo per determinare il luogo dove trovavasi in quel preciso momento il nostro Signore; se, come è probabile, Gesù stava allora davanti agli iniqui suoi giudici accusato di delitto capitale, quale meravigliosa rivelazione non ci porge questo sguardo della sua dimenticanza di sé stesso e della sua amorevole premura per tutti i suoi, già sì commoventemente espressa nella sua preghiera interceditrice: "Io ho guardati tutti coloro che tu mi hai dati e niuno di loro è perito, se non il figliuol della perdizione" Giovanni 17:12#500170120000-500170120000! Se questo sguardo non avesse espresso altro che il rimprovero, avrebbe forse potuto condurre Pietro ad appiccarsi al pari di Giuda; ma, mentre esprimeva il rimprovero per tutta la sua ingratitudine, parlava pure d'infinita pietà, e di compassione, e dichiarava all'Apostolo caduto quanto bene quegli, la cui stessa conoscenza egli aveva sì profanamente sdegnata, lo avesse conosciuto, allorché lo aveva preammonito del suo fallo. Gli diceva pure che se ora riconosceva la grandezza del suo errore e del suo peccato, egli era prontissimo a riceverlo nuovamente nel suo favore, a perdonare, a dimenticare tutto ciò che aveva fatto, e ad esser per lui quello stesso sempre che era stato.

E si mise a piagnere.

Luca: "E Pietro uscì e pianse amaramente". Quel compassionevole ed amoroso sguardo di Gesù lo salvò. Egli si precipitò ad un tratto fuori della scena della sua tentazione e della sua caduta, col cuore ripieno di dolore e di pentimento, costretto a piangere amare lacrime alla rimembranza della sua vile ingratitudine. Così avea pur fatto Giuda, ma le sue erano lagrime di orribile e disperato rimorso, non raddolcito da alcuna conoscenza della misericordia di Dio in Cristo (Vedi Nota Matteo 27:8Matteo 27:8). Quelle di Pietro, al contrario, erano le lacrime del peccatore perdonato, di uno che ha letto, nello sguardo del suo Signore, il perdono del suo peccato, e che si è rallegrato nella rimembranza delle benigne parole, sì poco avvertite allorché furono pronunziate: "Io ho pregato per te, acciocché la tua fede non venga meno" Luca 22:32#490220320000-490220320000. Avea imparata una lezione mortifificante e penosa, ma necessaria. Il vecchio Adamo, presuntuoso ed egoista, morì in lui, e dalla sue ceneri sorse un uomo pieno d'umiltà e di figliale rassegnazione, sinceramente desideroso della gloria del suo Signore!

PASSI PARALLELI

Marco 14:30,68: Matteo 26:34,74#480140300000480140300000#480680010000-480680010000#480680740000480680740000

2Samuele 24:10; Salmi 119:59-60; Geremia 31:18-20; Ezechiele 16:63; 36:31#100240100000-100240100000#231190590000231190600000#300310180000-300310200000#330160630000330160630000#330360310000-330360310000

Luca 15:17-19; 22:60#490150170000-490150190000#490220600000490220600000

Ezechiele 7:16; Matteo 26:75; Luca 22:62; 2Corinzi 7:10#330070160000330070160000#470260750000-470260750000#490220620000490220620000#540070100000-540070100000

RIFLESSIONI

1. La tranquilla sottomissione di nostro Signore alla falsa testimonianza portata contro di lui e agli insulti che gli prodigarono poscia il Sinedrio e i suoi servitori dimostra la profondità del suo amore verso i peccatori. Che, s'egli avesse voluto, avrebbe potuto fermare in un istante l'insolenza dei suoi nemici. Colui che aveva scacciato i demoni, con una sola parola, avrebbe potuto chiamare legioni di angeli intorno a sé, e dispergere al vento questi miseri strumenti di Satana. Ma il cuore di nostro Signore era riposto nella grande opera la quale egli era venuto a fare sulla terra. Ei s'era assunto di comprare la nostra redenzione con l'umiliazione propria, e non si ritrasse dal pagare il prezzo fino all'ultimo quattrino. Ei s'era incaricato di bere l'amaro calice del dolore in vece nostra, pella salvezza di noi peccatori, e "per la gioia postagli davanti, disprezzò la vergogna" e bevette il calice fino alla feccia Ebrei 12:2#650120020000-650120020000. Noi dobbiamo riguardare nostro Signore nel patimento di questi dolori come a noi unito nella stretta ed importantissima relazione del nostro sostituto. Non come una persona privata fu egli così trattato, bensì come nostro garante e il capo della nostra alleanza. S'ei fu beffeggiato, schiaffeggiato, sputacchiato, tentato e condannato, si fu per noi. Quale amore fu mai questo per noi derelitti peccatori

2. Coll'esempio di nostro Signore davanti agli occhi, non ci lasciamo sorprendere se dobbiamo sopportare beffe, ridicolo e false imputazioni perché apparteniamo a Cristo. "Il discepolo non è maggiore del suo maestro, né il servo, del suo signore". Se menzogne ed insulti furono prodigati al nostro Salvatore, non dobbiamo meravigliarci se le stesse armi sono costantemente dirette contro il suo popolo. È una delle invenzioni di Satana, il diffamare il carattere degli uomini di Dio per renderli oggetti di scherno. Le vite di Savonarola, Lutero, Calvino, Cranmer e di tanti altri ce ne forniscono abbondanti esempi. Se mai siamo chiamati a soffrire in questo modo, sopportiamolo pazientemente, poiché noi allora beviamo allo stesso calice al quale bevette nostro Signore. Havvi però una gran differenza fra noi e lui. A peggio andare, noi beviamo solamente poche gocciole amare, ei bevette il calice fino alla feccia.

3. Cristo dichiarò davanti ai suoi giudici che un giorno lo avrebbero visto in gloria, adempiendo la profezia di Daniele 7:9-10#340070090000340070100000, con ogni giudizio affidata alle sue mani. Ricordiamoci che la futura gloria di Cristo forma una parte del nostro credo al pari della sua passione, e della sua croce. Noi non veggiamo che mezza verità se non scorgiamo che la croce e la sua prima venuta: è essenziale per la nostra consolazione lo scorgere pure la seconda venuta e la corona. Quello stesso Gesù che stava davanti alla sbarra del sommo sacerdote e di Pilato, siederà un giorno sopra un trono di gloria e citerà tutti i suoi nemici ad apparirgli dinanzi. Felice il Cristiano che sa tener gli occhi sempre rivolti al cielo. Quaggiù ei dovrà soffrire col suo Signore ed esser debole con lui; lassù parteciperà alla sua gloria e con lui sarà forte. Non deve perdersi d'animo se quaggiù vien disprezzato, beffeggiato, non creduto; lassù egli siederà con lui alla destra di Dio.

4. Impariamo dalla condotta di Pietro quanto follemente i Cristiani si cacciano talvolta nella via della tentazione. Egli non aveva niente che fare nel palazzo di Caiafa, né era in rapporti famigliari co' suoi servi. Il suo Maestro aveva provveduto a che la schiera, che lo aveva arrestato, lasciasse andar liberi tutti i suoi discepoli, ed essi se ne erano approfittati per scomparire ad un tratto. Una volta che aveva abbandonato il suo maestro ed era fuggito, Pietro avrebbe dovuto ricordarsi la sua debolezza, e non esporsi di bel nuovo al pericolo. Fu questo un atto di temerità e di presunzione che gli opportò novelle prove della sua fede, alle quali non era affatto preparato, lo gettò in una cattiva compagnia, donde non era probabile dovesse venirgli del bene, ma bensì del male, e spianò la via alla sua ultima e più grande trasgressione cioè al rinnegamento, per tre volte ripetuto, del Maestro. Ma è una verità confermata dall'esperienza e che non si dovrebbe perder mai di vista, che quando un credente ha incominciato una volta a intiepidirsi e ad allontanarsi dalla sua fede primiera, ben di rado si ferma al primo errore, alla prima colpa. Come Davide, può darsi che incominci oziando e finisca commettendo qualunque più orribile delitto. Come Pietro, può darsi che incominci con la codardia, continui pazzamente scherzando con la tentazione, e poi finisca rinnegando Cristo. Guardiamoci dal primo passo in addietro; è come lo spandersi dell'acqua, prima a goccia a goccia, e poscia a torrenti. Una volta usciti dalla via della santità, niuno sa quanto in basso

possiamo precipitare. Teniamoci adunque lontani dall'orlo del precipizio! Nessuna petizione è più importante di quella che ci venne insegnata da nostro Signore medesimo, nell'orazione Domenicale: "Non indurci in tentazione".

5. Notate bene con che piccoli passi l'uomo si avvia gradatamente a sprofondare nei grandi peccati. Nel caso di Pietro, cotali passi sono marcati chiaramente. Il primo fu l'orgoglio e la fiducia in sé medesimo; il secondo, l'indolente trascuranza della preghiera; il terzo, il vacillare nella decisione; il quarto, l'accompagnarsi ai cattivi, correndo così volontariamente incontro alla tentazione; e il quinto (che fu il risultato di tutti i precedenti), l'essere sopraffatto, dal timore, quando d'improvviso fu accusato di essere uno dei discepoli, e, in conseguenza, il rinnegare il proprio Maestro. Abbiamo in questo un profondo insegnamento per tutti coloro che si chiamano Cristiani. Le gravi malattie ben di rado attaccano il corpo senza il preannunzio di sintomi allarmanti. Le grandi cadute avvengono raramente in un credente, se prima egli non ha fatti, in segreto, molti passi indietro. La chiesa e il mondo sono talvolta scandalizzati per l'improvviso delitto di qualcuno che godeva una grandissima reputazione religiosa; i credenti ne restano scoraggiti; i nemici di Dio si rallegrano e bestemmiano; ma se potesse conoscersi la verità, la spiegazione di questi casi troverebbesi generalmente in questo, che un tale già si era prima segretamente allontanato da Dio. Prima di cadere, in pubblico, gli uomini cadono in privato. L'albero cade con gran fracasso, ma il decadimento segreto, che ne spiega la caduta, spesse volte non si avverte se non quando egli è caduto in terra.

6. Com'è infinita la compassione e l'amore del Salvatore pei suoi. Circondato da nemici assetati del suo sangue, nell'atto che subiva un ingiusto giudizio, con davanti a sé la prospettiva di una morte crudele, il Signore trovò tempo di rivolgersi e riguardare a Pietro, nell'ora che l'anima sua ne avea bisogno maggiormente. Quello sguardo parea parlare il linguaggio medesimo che Osea 14:2 rivolge allo sviato Israele: "Prendete con voi delle parole, e convertitevi al Signore; ditegli: Togli tutta l'iniquità, e ricevi il bene; e noi ti renderemo de' giovenchi, con le nostre labbra". Impariamo, dalla condotta di Cristo inverso Pietro, che l'amore che porta il Salvatore ai suoi di tanto sopravvanza ogni altro amore di quanto il sole

vince la fioca luce d'un semispento lucignolo. Se dunque abbiam creduto in lui, non esitiamo a dargli tutta intera la nostra fiducia. Per quanto in basso un uomo sia caduto, non disperi, sol che voglia pentirsi e rivolgersi a Cristo. "Appo il Signore vi è benignità e molta redenzione, ed egli riscatterà Israele da tutte le sue iniquità" Salmi 130:7-8#231300070000-231300080000.

7. Finalmente, ricordiamoci che il dolore, com'ebbe a provarlo Pietro, è compagno inseparabile del vero pentimento. È quì la gran distinzione tra, il pentimento a salute e il rimorso che a nulla giova. Il rimorso può render l'uomo disperato, come nel caso di Giuda Iscariot, ma altro non può fare; non può mai guidarlo a Dio. Il "pentimento a salute", d'altro canto, ammollisce il cuore, intenerisce la coscienza, e si dimostra col rivolgersi veracemente al Padre che è ne' cieli. Le cadute di chi faceva professione di religione, senza esser stato realmente rigenerato dalla grazia, son cadute da cui più non si risorge, ma la caduta d'un vero convertito finisce sempre in profonda contrizione, in umiliazione di sé, ed emendamento di vita. Badiamo adunque di far sempre una salutare applicazione a noi stessi della caduta di Pietro. Ch'ella non serva mai di scusa al peccato. Impariamo dalla sua triste esperienza a vegliare e pregare per non cadere in tentazione; se cadiamo, ricordiamoci che per noi, come per lui, c'è ancora speranza per il sangue di Cristo; ma soprattutto, ricordiamoci che se cadiamo come cadde Pietro, dobbiam pentirci come egli si pentì, altrimenti non possiamo essere salvati.

48015001Mc 15:1

CAPITOLO 15 - ANALISI

1. Gesù dato dai Giudei nelle mani di Pilato. Conducendo Gesù dal Governatore romano, i membri del Sinedrio altro non fecero se non compiere le predizioni del Signore intorno alla parte ch'essi doveano avere nell'uccisione del Messia Matteo 20:18-19; Marco 10:33#470200180000470200190000#480100330000-480100330000; e siccome con ciò tacitamente confessavano che la potestà di vita e di morte (simbolo del governo indipendente) era stata rapita a loro dal conquistatore romano, noi

abbiamo in questo loro atto una nuova prova che Gesù era veramente il "Silo" predetto da Giacobbe; essendoché lo scettro non dovea esser rimosso da Giuda, né il legislatore d'infra i piedi di esso, finché non fosse venuto colui al quale quello apparteneva. I rettori non posarono un momento, finché non ebbero ottenuta la conferma civile della loro sentenza ecclesiastica, giacché era ancora di buon'ora, nella stessa mattina in cui era stata pronunziata quella sentenza, quando si affrettarono a trarre il loro prigioniero davanti a Pilato, tosto che questi si fu seduto in sul tribunale. Nel modo che tennero con Gesù si è costretti a ricordare le procedure della così detta Santa Inquisizione, in un'epoca posteriore, quando dopo aver torturate invano le loro vittime per costringerle a ritrattarsi, pronunziavano affine sopra di esse sentenza di morte, e poi le consegnavano al braccio secolare per l'esecuzione della sentenza Marco 15:1.

2. Gesù dinanzi a Pilato. Dagli altri Evangelisti appare che Pilato non pronunziò la sentenza capitale, come se fosse stata una mera forma, a richiesta del Sinedrio, ma li costituì accusatori di Cristo, con la domanda: "Quale accusa portate voi contro a quest'uomo?" Giovanni 18:7#500180070000-500180070000. Allora, nascondendo da prima il motivo per cui lo condannavano, astutamente lo accusarono di pretendere d'esser lui il Re dei Giudei; la qual cosa, com'essi immaginavansi, avrebbe tosto sollevata la indignazione e il timore del Governatore romano. Quando fu interrogato da Pilato se fosse vera tale accusa, Gesù riconobbe tostamente la propria dignità reale, ma non diede alcuna risposta alle altre accuse dei rettori giudei. Sappiamo da Giovanni, che Pilato, dopo avere ulteriormente interrogato Gesù nella sala del giudizio, rimase perfettamente convinto che l'accusa, per quanto poteva concernere l'impero romano, era del tutto insussistente, e per conseguenza cercò di proscioglierlo dall'arresto, valendosi a tal uopo di un'usanza prevalente da lungo tempo, secondo la quale, a richiesta del popolo, un prigioniero era, tutti gli anni, liberato di prigione alla festa di Pasqua. Ma il popolo, istigato dai rettori, si fece subito a domandare, con alte grida, che fosse rilasciato Barabba, famigerato malfattore, e che Gesù venisse crocifisso. Temendo di eccitare contro di sé un tumulto, essendo egli impopolarissimo, pur nello stesso tempo facendo violenza al proprio convincimento, Pilato pronunziò la sentenza di morte contro il Figliuol di Dio, e Gesù fu menato via dai soldati e condotto nel

pretorio per ivi essere deriso, insultato e flagellato dai gentili, come lo era stato già dai propri concittadini Marco 15:2-20.

3. Gesù crocifisso sul Golgota. Marco descrive brevemente, ma con la massima precisione, la processione dal pretorio al Golgota, l'angariar che fecero Simone Cireneo, incontrandolo per via, a portare la croce, la crocifissione dei due ladroni, il trattamento che Gesù ricevette sulla croce l'iscrizione posta sopra di essa, le varie coincidenze tendenti a identificarlo pel Messia delle profezie, le tenebre sovrannaturali da mezzogiorno alle 3 p.m. (ora del sacrifizio della sera), il grido del morente che provocò nuovi scherni dai suoi tormentatori, lo squarciarsi del velo del tempio quando il Salvatore "gittato un gran grido, rendè lo spirito", la presenza delle donne galilee presso la croce, e la confessione che il centurione romano fu costretto a fare, qual risultato di tutte le sue osservazioni, che quel crocifisso era il Figliuol di Dio Marco 15:21-41.

4. Sepoltura di Gesù. Giuseppe d'Arimatea, membro del Sinedrio, essendosi accertato che Gesù era morto, andò da Pilato, e chiese che gli fosse consegnato il corpo per la sepoltura. Il Governatore, dubitando che la morte avesse realmente potuto seguire, in così breve tempo (la morte per la crocifissione essendo in generale penosissimamente lenta e protratta) mandò a chiamare l'uffiziale romano che era stato di servizio al Golgota, ed essendosi accertato da lui che Gesù era veramente morto, diede a Giuseppe il chiesto permesso, e il corpo, avvolto in un pannolino comprato appositamente, fu deposto in una sua tomba nuova, presso il luogo della crocifissione, mentre alcune delle donne di Galilea, fatto proposito d'imbalsamarlo, passato che fosse il Sabato, notarono premurosamente il luogo della sepoltura Marco 15:42-47.

Marco 15:1-20. GESÙ CONDOTTO DA PILATO. COSTUI, DOPO VARI SFORZI PER LIBERARLO, LO CONDANNA AD ESSER CROCIFISSO Matteo 27:12,11-31; Luca 23:1-6,13-25; Giovanni 18:2840; 19:1-1#470270120000-470270120000#470270110000470270310000#490230010000-490230060000#490230130000-

490230250000#500180280000-500180400000#5001900100005001900100006

Per l'esposizione vedi Giovanni 18:28Giovanni 18:28; Giovanni 19:16Giovanni 19:16.

48015021Mc 15:21

Marco 15:21-41. CROCIFISSIONE E MORTE DEL SIGNORE GESÙ E VARIE CIRCOSTANZE AD ESSE RELATIVE Matteo 27:32-56; Luca 33:26-49; Giovanni 19:17-38#470270320000470270560000#490330260000-490330490000#500190170000500190380000

Per l'esposizione vedi Giovanni 19:17Giovanni 19:17-38.

48015042Mc 15:42

Marco 15:42-47. GIUSEPPE DI ARIMATEA DEPONE IL CORPO DEL SIGNORE NEL SUO PROPRIO SEPOLCRETO NUOVO. LE DONNE DI GALILEA NOTANO DILIGENTEMENTE IL SEPOLCRO Matteo 27:62-66; Luca 23:50-56; Giovanni 19:3842#470270620000-470270660000#490230500000490230560000#500190380000-500190420000

Per l'esposizione vedi Giovanni 19:38Giovanni 19:38-42.

48016001Mc 16:1

CAPO 16 - ANALISI

1. La risurrezione di Cristo annunziata da un angelo alle donne galilee, al sepolcro. Come Marta credette nella risurrezione di suo fratello Lazaro, soltanto nell'ultimo giorno, così è evidente che queste pie donne di Galilea aveano rimandato a quell'epoca le loro speranze della risurrezione. del Signore. Nonostante tutto il loro dolore e la fatica del giorno di preparazione, nel quale eran stato fedeli testimonii della passione di Cristo, non lasciarono che finisse quel giorno, senza prima essersi provvedute di aromi preziosi con cui ungere il corpo del Maestro amato, pel lungo suo riposo nella tomba, e quindi, appena cominciò ad albeggiare nel primo giorno della settimana, si condussero al sepolcro per eseguire il loro pio divisamento. Marco non menziona che due delle Marie e Salome madre di Giacomo e Giovanni; ma Luca, mentre indica un'altra, Giovanna per nome, aggiunge che erano anche presenti altre donne, dal che possiamo concludere con sicurezza che trovavansi presenti tutte quelle che erano allora in Gerusalemme fra le donne che avean seguito costantemente il Signore nel suo ministerio in Galilea. Ignorando, a quanto pare, che soldati romani custodivano il sepolcro e non le avrebber lasciate avvicinarsi, non si davano pensiero se non del come avrebber fatto a rotolare la pietra che era stata posta all'ingresso del sepolcro. Giunte sul luogo, trovarono che l'ostacolo temuto già era stato tolto, un terremoto avendo rotolata la pietra; ma non trovarono l'oggetto delle loro ricerche, e furono prese da grande spavento alla vista di un angelo che sedeva presso la vuota nicchia, ove era giaciuto il corpo del Signore. Dall'angelo ricevettero l'annunzio della risurrezione del Signore dai morti; e mentre, impaurite e trepidanti, preparavansi a fuggire, l'angelo ingiunse loro, di portare a Pietro e agli altri discepoli la lieta notizia ch'egli avea loro comunicata, annunziando loro, in pari tempo, che il Signore verrebbe loro incontro in Galilea, secondo la sua promessa Marco 16:1-8.

2. Apparizioni di Cristo dopo la sua risurrezione. Il nostro Evangelista ne ricorda solamente tre: quella a Maria Maddalena nell'orto in cui era il sepolcro; quella ai due discepoli che erano in cammino andando ad Emmaus (quantunque li descriva come semplicemente "andando ai campi"); e la prima apparizione agli undici nell'alto solaio a Gerusalemme. Non c'è una parola però nella narrazione di Marco che possa autorizzare a concludere che queste tre fossero le sole apparizioni di Gesù ai suoi discepoli; per lo

contrario, coll'omettere ogni menzione dell'incontro in Galilea, ove secondo la sua stessa testimonianza, l'angelo invitò al ritrovo tutti i discepoli, dimostra chiaramente che di molti esempi ne addusse alcuni soli, per porre in sodo la risurrezione del Signore, e quindi non c'è motivo ragionevole di asserire che gli Evangelisti siano tra loro in contraddizione. La spiegazione della sua scelta e dell'ordine in cui espone i fatti ha da cercarsi nello specifico intendimento dello scrittore, il quale si propose di additarci per quali gradi successivi l'incredulità degli Apostoli fosse alfine vinta, e fossero gli animi loro preparati a ricevere ed eseguire la loro grande commissione Marco 16:9-14.

3. Commissione data agli Apostoli. Sebbene, per amor di brevità, Marco associi questa commissione con l'apparizione agli undici nell'alto solaio, la sostanza del discorso del Signore non lascia alcun dubbio che si riferisca al ritrovo in Galilea, sul quale Matteo dà più ampii dettagli. Quella commissione fu la più nobile e la più onorevole che mai fosse data ad uomo mortale, fu cioè di andare e predicare l'evangelo della grazia di Dio ad ogni creatura sotto il cielo; di proclamare che il muro di separazione tra il Giudeo e il Gentile era ora abbattuto, e che chiunque crede in Gesù, qual Salvatore Dio nella nostra natura, facente l'espiazione pei peccati - sarà certamente salvato. Nostro Signore aggiunse la promessa di doni miracolosi in conferma del loro messaggio Marco 16:15-18.

4. Ascensione del Signore in gloria e primi trionfi del vangelo. Marco, solo di tutti gli Evangelisti, proclama la gloria in cui entrò Gesù, con la sua ascensione in cielo, testimoniando che, dopo di aver dato ai suoi discepoli il comando di predicare il suo vangelo, egli "sedette alla destra di Dio", posto di gloria e potenza, intorno al quale, il suo Padre gli avea parlato nell'antica profezia, dicendo: "Siedi alla mia destra, infino a tanto che io abbia posti i tuoi nemici per iscannello de' tuoi piedi" Salmi 110:1#231100010000231100010000. Il nostro Evangelista naturalmente connette con questo sedersi al posto d'onore e di potenza, il successo che accompagnò e seguì la predicazione del vangelo; imperocché l'effusione dello Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste, in cui ebber principio le conquiste del vangelo, è nella Scrittura, connessa inseparabilmente con "l'ascensione di Cristo nei luoghi

altissimi, e col suo ricevere doni per gli uomini, financo pei ribelli" Marco 16:17-20.

Marco 16:1-8. APPARIZIONE DELL'ANGELO AL SEPOLCRO, PER ANNUNZIARE ALLE DONNE LA RISURREZIONE DEL SIGNORE Matteo 28:1-7; Luca 24:1-8; Giovanni 20:1#470280010000470280070000#490240010000-490240080000#500200010000500200010000

Per l'esposizione vedi Matteo 28:1Matteo 28:1-7.

48016009Mc 16:9

Marco 16:9-11. APPARIZIONE DI GESÙ A MARIA MADDALENA Matteo 28:9-10; Giovanni 20:14-18#470280090000470280100000#500200140000-500200180000

Per l'esposizione vedi Matteo 28:9Matteo 28:9-10.

Maria, dopo aver accompagnato le altre donne una parte della via, per andare ad annunziare ai discepoli la risurrezione, pare che tornasse indietro al giardino, e si fu in questa occasione che, essendo ivi sola, le comparve Gesù. A una donna fu dato l'onore d'esser la prima a vedere il risorto Redentore, e QUELLA DONNA NON FU SUA MADRE! [Tutti i versetti di questo capitolo, dal principio del non, fino alla fine, sono dal Griesbach, dal Tischendorfe dal Tregellio considerati spurii, perché mancano nel Codice Vaticano, nel Codice Sinaitico, nonché nelle versioni più antiche finora conosciute, in una copia dell'antica Bibbia Latina, e in alcune copie della versione Armena, e perché Eusebio e Girolamo, nel quarto secolo, si pronunziano contro di essi. Ma questi non sono sufficienti a controbilanciare l'evidenza che rimane in favore della loro autencità. Tutti gli Unciali ossia MSS. Greci primitivi, eccetto soltanto i due Codici

menzionati, li contengono, e tra gli altri il Codice Alessandrino, posteriore soltanto di 50 anni ai due più antichi, e non meno autorevole di essi. In uno o due MSS. in cui non si ritrovano, è lasciato uno spazio in bianco, il che dimostra che manca una qualche parte del testo. Similmente si trovano in tutti i MSS. corsivi ossia Greci posteriori, e in tutto le versioni più antiche. Sono pure citati da Ireneo nel secondo secolo, da un Padre nel terzo, e da tre o quattro nel quarto. In aggiunta a questo, è incredibile che una narrazione, condotta con tanta diligenza com'è questo Vangelo, abbia a terminare ex abrupto colle parole del vers. 8: perciocché avean paura]. (Vedi l'Introduzione agli Evangeli, a MARCO).

48016012Mc 16:12

Marco 16:12-14. APPARIZIONE DI GESÙ AI DUE DISCEPOLI NEI CAMPI Luca 24:13-49; Giovanni 20:19-23#490240130000490240490000#500200190000-500200230000

Per l'esposizione vedi Luca 24:13Luca 24:13-49.

48016015Mc 16:15

Marco 16:15-18. INCONTRO DI CRISTO COI SUOI DISCEPOLI IN GALILEA Matteo 28:16-20#470280160000-470280200000

Per l'esposizione principale vedi Matteo 28:16Matteo 28:16-20.

15. Ed egli disse loro: Andate per tutto il mondo, e predicate l'evangelo ad ogni creatura (a tutta la creazione).

Le parole di nostro Signore, ricordate in questo versetto e nei seguenti, non lascian luogo a dubitare che Marco si riferisce al convegno in Galilea, in cui Gesù diede ai suoi discepoli la loro commissione di predicare il vangelo,

sebbene per la estrema brevità e rapidità della parte concludente la sua narrazione, condensi, in un solo abboccamento, la sostanza di quanto fu detto nei diversi che ebbero luogo dopo la risurrezione. È ovvio che il suo disegno in questo capitolo non è già di accogliere dei dettagli molto particolareggiati, bensì di collegare insieme i successivi avvenimenti per cui gli Apostoli furono preparati, a grado, all'incarico che il Signore stava per affidare ad essi, quello cioè di diffondere il vangelo fino agli estremi confini della terra (Vedi Analisi 2, Marco 16:1Marco 16:1). Siccome il consiglio di Dio per la salute degli uomini, per mezzo della morte espiatoria di Gesù, corrisponde al più profondo bisogno dei più grandi peccatori, così Cristo comandò che fosse predicato a tutta quanta l'umana razza, sicché tutti potessero avere l'offerta del perdono e della vita. Nessun uomo ha il diritto di limitare questa offerta ad alcune classe d'uomini. Il muro di divisione che, insino allora, avea separato il mondo gentile dai benefizi spirituali della dispensazione giudaica, fu allora atterrato per sempre, e la salute per mezzo di Cristo doveva essere d'allora in poi il tesoro prezioso di chiunque ascoltasse la parola predicata e credesse. Dio comanda ai suoi servitori di offrir la salute a tutti gli uomini; se alcuno la respinge, lo fa a suo rischio e pericolo. Per le parole di questo versetto, l'opera delle missioni (spesso chiamata sprezzantemente: "fare la propaganda") è impasta alla Chiesa in tutte le età, fino a che ogni parte della terra non sarà stata evangelizzata. Oggidì, come ai tempi antichi, gli uomini son disposti a considerare la predicazione del vangelo, come la più spregievole follia, soprattutto se da essa si aspetta la rigenerazione del mondo. E tale sarebbe veramente, con la inimicizia di Satana, del mondo, e del cuore umano non convertito, tutti schierati contro di essa, se non fosse altro che invenzione dell'uomo. Ma l'arma che il Signore del regno ha messa nelle mani dei suoi servitori è "la spada dello Spirito che è la parola di Dio". Ella è stata scelta eziandio espressamente per dimostrare quanto infinitamente quel che i beffardi derisori chiamano "stoltezza di Dio, sorpassi la saggezza degli uomini", e, la debolezza di Dio, la forza degli uomini. Il lettore studi attentamente quel che dice Paolo su questo argomento 1Corinzi 1:18-31#530010180000530010310000.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:5-6; 28:19; Luca 14:21-23; 24:47-48; Giovanni 15:16; 20:21#470100050000-470100060000#470280190000470280190000#490140210000-490140230000#490240470000490240480000#500150160000-500150160000#500200210000500200210000

1Giovanni 4:14#690040140000-690040140000

Marco 13:10; Salmi 22:27; 67:1-2; 96:3; 98:3; Isaia 42:10-12; 45:22; 49:6; 52:10#480130100000-480130100000#230220270000230220270000#230670010000-230670020000#230960030000230960030000#230980030000-230980030000#290420100000290420120000#290450220000-290450220000#290490060000290490060000#290520100000-290520100000

Isaia 60:1-3; Luca 2:10-11,31-32; Atti 1:8; Romani 10:18; 16:26; Efesini 2:17#290600010000-290600030000#490020100000490020110000#490020310000-490020320000#510010080000510010080000#520100180000-520100180000#520160260000520160260000#560020170000-560020170000

Colossesi 1:6,23; Apocalisse 14:6#580010060000580010060000#580010230000-580010230000#730140060000730140060000

48016016Mc 16:16

16. Chi avrà creduto, e sarà stato battezzato, sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato.

Nella porzione corrispondente del Vangelo di Matteo, è ricordata l'istituzione del Battesimo, da amministrarsi a tutti quelli che sono stati "ammaestrati" nella verità, quale ordinanza perpetua nella Chiesa cristiana; e sebbene Marco non dica se non pochissimo di quella istituzione, pure l'associa intimamente anch'esso col credere nel vangelo. Leggendo il primo inciso di questo vers., si presenta tosto la domanda: il battesimo è egli

indispensabile alla salute? Uno che abbracci di cuore Cristo può egli raggiungere la vita eterna se non è stato battezzato? Il versetto stesso contiene una risposta soddisfacente, poiché nell'inciso seguente, "la condannazione" è presentata, in antitesi, quale risultato della sola incredulità, e non si fa menzione della mancanza del battesimo, omissione questa che nostro Signore non avrebbe mai potuto fare se tali tremende conseguenze ne venissero, anche solo contingentemente, dalla privazione del sacramento iniziativo del Nuovo Testamento. Non può mai proclamarsi troppo altamente né imprimersi mai troppo profondamente nel cuore di ogni lettore, che il Signore Gesù Cristo medesimo ha dichiarato solennemente che tutto quanto è necessario a salute è di credere con tutto il cuore in lui, come unico sacrifizio espiatorio pel peccato, come "la giustizia di Dio" in luogo del peccatore, come "la risurrezione e la vita", e che l'unica cagione della eterna perdizione del peccatore consiste nel rifiuto volontario e deliberato della offerta del Salvatore. "Voi non volete venire a me, acciocché abbiate vita" Giovanni 5:40#500050400000-500050400000. Ma il sacramento del Battesimo non si ha da trascurare. Esso è posto qui come il segno esteriore della fede interna del cuore, appunto come "la confessione colla bocca", è posta ad indicarla nella Epistola ai Romani 10:10#520100100000-520100100000. Cristo richiede dal suo popolo l'osservanza di questa ordinanza esteriore, perché vuole avere una Chiesa visibile nel mondo che testimonii per la verità, ed è col sottomettersi a questa ordinanza che ogni discepolo fa aperta professione della sua fede e della sua adesione a quella Chiesa. Se i convertiti giudei avessero tenuta nascosta la loro adesione, per timore di esser "espulsi dalle sinagoghe", e i convertiti gentili avessero continuato ad uniformarsi esteriormente ai riti abbominevoli del paganesimo, per timore del martirio, la Chiesa di Cristo non avrebbe mai potuto mostrarsi agli occhi degli uomini come "la luce del mondo". Ed è perciò che il Signore congiunge la professione esteriore con la fede interiore. Una franca e decisiva professione di fede è un soggetto ben degno di essere meditato con preghiera da quelli che sono convinti della superstizione della Chiesa romana; ma pure, per timore di persecuzioni e di perdite temporali, son troppo proclivi ad uniformarsi tuttora ad un sistema che nel loro cuore condannano e disprezzano. Questa è ipocrisia e indegnissimo disdoro al Signore che li ha comprati col proprio sangue prezioso. È importante anche di notare l'ordine che il Signore assegna alla

fede e al battesimo. Prima vien la fede salvatrice ovvero un fiducioso abbracciamento di Cristo come nostra salute. È quello il gran fondamento di tutti i privilegi spirituali, e il solo mezzo della nostra introduzione nell'alleanza di grazia. Il battesimo tiene il secondo luogo, imperocché, essendo soltanto il segno e il suggello di quell'alleanza, non può precedere alla nostra introduzione in essa, ma deve sempre seguirla. Un esame accurato dei Fatti degli Apostoli dimostra che gli Apostoli, nell'ammettere i primi convertiti nella Chiesa, ancor nella sua infanzia, seguirono fermamente quest'ordine stabilito dal loro divino Maestro. Soltanto nei casi che i genitori avean già creduto ed erano stati battezzati, le loro famiglie erano ammesse agli stessi privilegi, come nel caso del carceriere di Filippi Atti 16:33. Quindi la rigenerazione battesimale della Chiesa di Roma e di alcune altre Chiese semi-riformate, cioè la rigenerazione di un infante od adulto per mezzo dell'amministrazione del battesimo fatta da un prete, è una delusione e un laccio; è un mettere il segno esterno in luogo della cosa significata; è una contraddizione diretta dell'insegnamento solenne del Signore. La qual cosa così essendo, il battesimo di pagani non istruiti nel cristianesimo, qual fu praticato su larga scala dai missionari gesuiti, e il battesimo di neonati o di bambini nati a mezzo, amministrato dai medici e dalle levatrici; come pure l'escludere dalla sepoltura cristiana tutti quelli che non hanno ricevuto il battesimo nella Chiesa di Roma, sono abbominevoli superstizioni e crudeli indegnità, che non trovano verun fondamento negli insegnamenti di nostro Signore e dei suoi Apostoli. La mancanza di battesimo laddove non possa aversi accesso ad una congregazione di credenti visibilmente costituita (in presenza di cui si ha da amministrarlo), non pone a repentaglio la eterna salute di chi siasi rifugiato per fede in Cristo e sia stato lavato nel suo sangue. Quegli poi che deliberatamente ricusasse di sottomettersi al battesimo, laddove si può riceverlo, mostrerebbe, con tale rifiuto, di non avere ancora "imparato a conoscere Cristo" (Vedi Nota Matteo 12:31Matteo 12:31-32).

PASSI PARALLELI

Marco 1:15; Luca 8:12; Giovanni 1:12-13; 3:15-16,18,36; 5:24; 6:29,35,40; 7:37-38

Giovanni 11:25-26; 12:46; 20:31; Atti 10:43; 13:39; 16:30-32; Romani 3:6

Romani 4:24; 10:9; Ebrei 10:38-39; 1Pietro 1:21; 3:21; 1Giovanni 5:1013#520040240000-520040240000#520100090000520100090000#650100380000-650100390000#670010210000670010210000#670030210000-670030210000#690050100000690050130000

Matteo 28:19; Atti 2:38,41; 8:36-39; 22:16; Romani 10:9-14; 1Pietro 3:21#470280190000-470280190000#510020380000510020380000#510020410000-510020410000#510080360000510080390000#510220160000-510220160000#520100090000520100140000#670030210000-670030210000

Giovanni 3:18-19,36; 8:24; 12:47-48; Atti 13:46; 2Tessalonicesi 1:8; 2:12; Apocalisse 20:15#500030180000-500030190000#500030360000500030360000#500080240000-500080240000#500120470000500120480000#510130460000-510130460000#600010080000600010080000#600020120000-600020120000#730200150000730200150000

Apocalisse 21:8#730210080000-730210080000

48016017Mc 16:17

17. or questi segni accompagneranno coloro ch'avran creduto:

La promessa contenuta in questi versetti, quantunque fatta in termini generali, si riferisce soltanto all'impianto e alla diffusione della Chiesa nei primi secoli della sua esistenza. Chi ponga mente dall'un canto all'umile condizione, alla debolezza e rozzezza degli Apostoli e dei primi predicatori del Cristianesimo, e dall'altro alla opposizione universale contro cui dovean contendere, opposizione da parte dei Giudei e dei Gentili, da parte dei principi e dei sacerdoti, con Satana alla testa, vedrà essere stata una disposizione misericordiosa e necessaria del loro Maestro, il fornirli di doni miracolosi, che si cattivassero tostamente l'attenzione e facessero fede della

loro missione divina. Senonché coteste doti miracolose furono un dono soltanto temporaneo, come lo ha dimostrato ampiamente l'esperienza successiva della Chiesa, e quantunque non possa precisarsi con certezza il tempo in cui cessarono interamente, è più che probabile ciò fosse gradatamente, con la morte di coloro che avean ricevuto il dono dei miracoli dalle mani degli Apostoli.

Cacceranno i demoni nel mio nome;

invocando cioè il nome e l'autorità di Cristo, e usando il potere ch'egli avrebbe usato se fosse stato presente (Vedi Atti 8:6-7; 16:18; 19:13#510080060000-510080070000#510160180000510160180000#510190130000-510190130000). I miracoli degli Apostoli differirono essenzialmente da quelli di Gesù, in quanto al modo in cui erano operati. Egli li faceva in suo proprio nome, e per la propria potenza, laddove essi non erano che gli strumenti per mezzo dei quali Iddio facea palese l'onnipotenza del suo braccio a salvare.

parleranno nuovi linguaggi;

cioè linguaggi prima ignoti ai parlatori di essi. (Si confronti Atti 2:4-12; 10:46#510020040000-510020120000#510100460000-510100460000; con 1Corinzi 13:1,8; 12:10; 14:5-6,18,22,29#530130010000530130010000#530130080000-530130080000#530120100000530120100000#530140050000-530140060000#530140180000530140180000#530140220000-530140220000#530140290000530140290000.)

PASSI PARALLELI

Giovanni 14:12#500140120000-500140120000

Luca 10:17; Atti 5:16; 8:7; 16:18; 19:12-16#490100170000490100170000#510050160000-510050160000#510080070000510080070000#510160180000-510160180000#510190120000510190160000

Atti 2:4-11,33; 10:46; 19:6; 1Corinzi 12:10,28,30; 14:5-26#510020040000510020110000#510020330000-510020330000#510100460000510100460000#510190060000-510190060000#530120100000530120100000#530120280000-530120280000#530120300000530120300000#530140050000-530140260000

48016018Mc 16:18

18. Torran via i serpenti;

Piuttosto, raccogliere o alzare colla mano e portare. Prendendo la parola greca nel senso che le è dato dal Diodati, alcuni interpreti la spiegano come significante l'espulsione degli animali nocivi da certi luoghi, come, secondo la tradizione, Paolo li cacciò da Malta e San Patrizio dall'Irlanda; ma il senso chiaro e semplice delle parole di nostro Signore si è questo, che maneggerebbero i rettili velenosi e mortiferi, senza riportarne alcun danno, profezia della quale vediamo l'adempimento nel caso di Paolo a Melita Atti 28:5#510280050000-510280050000. Nei frequenti loro viaggi, dormendo bene spesso la notte nelle foreste e nelle caverne, o ricoverandovisi di giorno, non piccolo favore fu questo che il benedetto Maestro concesso ai suoi discepoli.

e, avvegnaché abbiano bevuta alcuna cosa mortifera, quella non farà loro alcun nocimento;

Non è registrato nella storia sacra alcun fatto particolare in adempimento di questa promessa. C'è una leggenda posteriore, secondo la quale, Giovanni avrebbe bevuto veleno senza che questo gli facesse alcun male; ma è probabile che fosse inventata collo scopo di confermare questa promessa. Il non averne caso alcuno specificato nella Scrittura non è tuttavia una prova che questa promessa realmente non siasi adempita; imperocché la storia delle fatiche apostoliche si limita quasi esclusivamente agli avvenimenti più notevoli nella vita degli Apostoli della circoncisione e dei gentili.

metteranno le mani sopra gl'infermi, ed essi staranno bene.

(Vedi Marco 6:13; Atti 3:6; 5:15; 19:12; Giacomo 5:14-15#480060130000480060130000#510030060000-510030060000#510050150000510050150000#510190120000-510190120000#660050140000660050150000.)

PASSI PARALLELI

Genesi 3:15; Salmi 91:13; Luca 10:19; Atti 28:3-6; Romani 16:20#010030150000-010030150000#230910130000230910130000#490100190000-490100190000#510280030000510280060000#520160200000-520160200000

2Re 4:39-41#120040390000-120040410000

Atti 3:6-8,12,16; 4:10,22,30; 5:15-16; 9:17-18,34,40-42; 19:12#510030060000-510030080000#510030120000510030120000#510030160000-510030160000#510040100000510040100000#510040220000-510040220000#510040300000510040300000#510050150000-510050160000#510090170000510090180000#510090340000-510090340000#510090400000510090420000#510190120000-510190120000

Atti 28:8-9; 1Corinzi 12:9; Giacomo 5:14-15#510280080000510280090000#530120090000-530120090000#660050140000660050150000

48016019Mc 16:19

Marco 16:19-20 ASCENSIONE DEL SIGNORE, E PROCLAMAZIONE TRIONFALE DEL VANGELO Luca 24:50-53; Atti 1:9-11#490240500000-490240530000#510010090000-510010110000

19. il Signore adunque,

Questo titolo non è dato da Marco a Gesù in niun altro luogo che in questo vers. e nel seguente, in cui descrive l'ascensione di Cristo in cielo, e i frutti benedetti risultanti da essa.

dopo ch'ebbe lor parlato,

Abbiamo qui un altro esempio di quella maniera compressa o condensata che Marco impiegò nell'ultima parte del suo Vangelo; imperocché, oltre al passare sotto silenzio abboccamenti di Gesù coi discepoli, ricordati negli altri Vangeli, non fa menzione del fatto importante, ricordato da Luca nel principio di Atti 1:3#510010030000-510010030000, che cioè durante i quaranta giorni che precedettero la sua ascensione, Gesù passò molto tempo in compagnia dei suoi undici discepoli, "ragionando delle cose appartenenti al regno di Dio". Le parole "ebbe parlato" si riferiscono non già solo alla commissione data nei versetti precedenti, ma a tutto quanto i discepoli udirono durante quei quaranta giorni.

fu raccolto nel cielo,

Cielo significa quì non solo il firmamento sidereo, ma quella parte dell'universo ove Iddio manifesta permanentemente la sua presenza ai suoi angeli e ai suoi santi.

e sedette alla destra di Dio.

La destra denota il posto d'onore e di podestà delegata, che fu promesso al Figliuol di Dio, nel patto eterno della redenzione, quale ricompensa per la sua umiliazione e le sue sofferenze come Dio-Uomo, Mediatore del nuovo patto. C'è qui un'allusione al Salmi 110:1#231100010000-231100010000, che è profetico del Messia. La frase, nel suo complesso, denota l'aver Cristo assunto la podestà e la gloria mediatoriale che gli era stata promessa in ricompensa della sua obbedienza e dei suoi patimenti fino alla morte Isaia 53:11-12; Filippesi 2:9-11#290530110000-290530120000#570020090000570020110000. Marco solo fra gli Evangelisti ci presenta questa gloriosa verità come un fatto compiuto. Nella attitudine eccelsa che è quì descritta, Gesù apparve a Stefano nel suo martirio, ed a Saulo nell'avvicinarsi a

Damasco, e indi in poi si fa riferenza costantemente ad essa come alla condizione propria di lui nella gloria.

PASSI PARALLELI

Matteo 28:18-20; Luca 24:44-50; Giovanni 21:15,22; Atti 1:23#470280180000-470280200000#490240440000490240500000#500210150000-500210150000#500210220000500210220000#510010020000-510010030000

Luca 9:51; 24:50-51; Giovanni 13:1; 16:28; 17:4-5,13; Atti 1:10-11; 2:33; 3:21#490090510000-490090510000#490240500000490240510000#500130010000-500130010000#500160280000500160280000#500170040000-500170050000#500170130000500170130000#510010100000-510010110000#510020330000510020330000#510030210000-510030210000

Efesini 1:20-22; 4:8-11; Ebrei 1:3; 4:14; 6:20; 7:26; 8:1; 9:24#560010200000-560010220000#560040080000560040110000#650010030000-650010030000#650040140000650040140000#650060200000-650060200000#650070260000650070260000#650080010000-650080010000#650090240000650090240000

Ebrei 10:12-13,19-22; 12:2; 1Pietro 3:22; Apocalisse 3:21#650100120000650100130000#650100190000-650100220000#650120020000650120020000#670030220000-670030220000#730030210000730030210000

Salmi 110:1; Atti 7:55-56; 1Corinzi 15:24-25; 1Pietro 3:22; Apocalisse 3:20#231100010000-231100010000#510070550000510070560000#530150240000-530150250000#670030220000670030220000#730030200000-730030200000

48016020Mc 16:20

20. Ed essi, essendo usciti,

Queste parole van riferite non già all'alto solaio (ove alcuni pretendono che fosse pronunziato tutto questo discorso, e avesse luogo l'ascensione!), ma a Gerusalemme, dalla quale partirono dopo l'effusione dello Spirito Santo, e alla dispersione della Chiesa madre, come è ricordata nei Fatti degli Apostoli.

predicarono in ogni luogo,

Con queste brevi parole, Marco indica quanto era già stato diffuso il vangelo al tempo in cui egli scriveva.

operando insieme il Signore, e confermando la parola per i segni che seguivano

Questa espressione, usata anche da Paolo 2Corinzi 12:12#540120120000540120120000, denota l'uso che fa Iddio, nella sua grazia, di Strumenti umani, per adempiere ai piani suoi divini, e serve ad illustrare la promessa di Cristo non solo di fondare, ma pure di edificare la Chiesa. Abbiamo in questo ultimo versetto del Vangelo di Marco un importantissimo anello di congiunzione coi Fatti degli Apostoli, dove Colui che diresse tutti i movimenti della Chiesa nascente è chiamato costantemente: IL SIGNORE.

PASSI PARALLELI

Atti 2:1-28:31#510020010000-510280310000

Atti 4:30; 5:12; 8:4-6; 14:3,8-10; Romani 15:19; 1Corinzi 2:4-5; 3:69#510040300000-510040300000#510050120000510050120000#510080040000-510080060000#510140030000510140030000#510140080000-510140100000#520150190000520150190000#530020040000-530020050000#530030060000530030090000

2Corinzi 6:1; Ebrei 2:4#540060010000-540060010000#650020040000650020040000

RIFLESSIONI

1. Da queste parole impariamo l'importanza del battesimo. Senza dubbio si contano a migliaia i battezzati che non ricevono il minimo benefizio dal loro battesimo; a migliaia ce ne sono che son lavati nell'acqua sacramentate, senza esserlo mai nel sangue di Cristo. Ma non segue da ciò che si debba, sprezzare o trascurare il battesimo. È un sacramento istituito da Cristo medesimo, e quando sia ricevuto con riverenza, con intendimento, e con preghiera, è accompagnato da speciali benedizioni. L'acqua battesimale, di per sé stessa, non conferisce alcuna grazia. Ben più in là dell'elemento esteriore, dobbiamo guardare a Colui il quale ha istituito questo rito, affinché ei lo suggelli con la sua benedizione. Ma la confessione pubblica di Cristo, la quale è implicata nell'uso di quell'acqua, è un atto comandato dal nostro Maestro medesimo, e noi possiamo trascurarlo senza incorrere in peccato.

2. Impariamo, dalle labbra medesime di nostro Signore, l'assoluta necessità della fede, ossia la necessità di confidarci individualmente in Cristo come nostro Salvatore e nostra giustizia dinanzi a Dio. È questa "l'una cosa di cui fa bisogno". A meno che non sentiamo i nostri peccati, e sentendoli non ci rifuggiamo in Cristo per la fede e ci stringiamo a lui, troveremo alla fine che meglio sarebbe stato per noi se non fossimo mai nati.

3. Impariamo, inoltre, la certezza dei giudizii di Dio su coloro che muoiono nell'impenitenza. "Chi non crede sarà condannato". Come suonano tremende queste parole! come è terribile il pensiero che furono pronunziate dalle labbra di Colui, che disse: "Le mie parole non passeranno!" Niuno c'inganni con discorsi vani. C'è un inferno eterno per tutti coloro che persistono nella lor malvagità, e che partono da questo mondo senza fede in Cristo. Quanto è più grande la misericordia che ci è gratuitamente offerta nel vangelo, tanto più grande sarà la colpa di coloro che ostinatamente ricusano di credere. Colui che morì sulla croce per noi ce ne avvertì

chiaramente! "Oh fossero pur savii, e intendessero queste cose, e considerassero il lor fine" Deuteronomio 32:29#050320290000050320290000.

4. L'età dei miracoli è passata da lungo tempo, né dovea protrarsi oltre il primo impianto della Chiesa; ma quantunque sia passata l'età dei miracoli fisici, possiamo consolarci nel pensiero che alla Chiesa di Cristo non verrà meno giammai l'aiuto speciale di Cristo nei tempi di speciale bisogno. Il gran Capo in cielo non abbandonerà mai i membri suoi credenti; l'occhio suo è rivolto del continuo su di loro, ed egli, nella sua saggezza, manderà sempre il suo aiuto al tempo opportuno, e verrà in loro soccorso nel giorno che ne hanno bisogno. "Quando il nemico verrà a guisa di fiume, lo Spirito del Signore leverà lo stendardo contro a lui" Isaia 59:19#290590190000290590190000.

49001001Lc 1:1

CAPO 1 - ANALISI

1. Prefazione indirizzata a Teofilo e contenente i motivi che indussero Luca a scrivere il suo Vangelo. Erano questi: l'esistenza anteriore di varii scritti sul ministerio, la morte e la risurrezione di nostro Signore, i quali, sebbene probabilmente non fossero erronei, erano troppo brevi ed incompleti per darne una cognizione esatta, e quindi richiedevano di esser completati per mezzo di un trattato più esteso, e preparato con maggior cura: - la propria qualificazione per un'opera simile, in conseguenza delle occasioni che aveva avute di raccogliere notizie esatte da testimoni oculari e ministri del Signore; - e lo zelo con cui ne aveva, approfittato. Egli era oltracciò stimolato dal pensiero che in primo stadio, preparava il suo racconto a benefizio dell'amico suo Teofilo, per mezzo del quale dovea poscia esser reso di pubblica ragione Luca 1:1-4.

2. Avvenimenti precedenti la, nascita di Giovanni Battista, il precursore del Messia. La narrazione evangelica comincia propriamente al ver. 5, col racconto concernente i genitori di Giovanni Battista. Segue il racconto della

visita di un angelo al padre di questi, mentre esso stava uffiziando all'altare d'oro nel tempio per promettergli in esaudimento di preghiere, un figlio, il nome del quale doveva essere Giovanni, e dargli al tempo stesso una descrizione del suo carattere. Zaccaria ricusando di credere senza un qualche segno, fu colpito di mutolezza, in castigo della sua incredulità e in segno che la predizione si avvererebbe. Vien ricordato poi il ritorno del sacerdote a casa sua, in mezzo alle montagne di Giuda, quando fu compito il tempo del suo servizio. e la gioia di sua moglie Elisabetta quando si accorse di esser gravida e che il Signore avea tolto il suo vituperio Luca 1:525.

3. La visita dell'angelo Gabriele a Nazaret. Questa ebbe per iscopo di annunziare ad un'umile vergine della casa reale, ma allora decaduta, di Davide, chiamata Maria, l'alto onore che Jehova le avea conferito nello sceglierla ad esser la madre del Messia promesso; dichiarandole al tempo stesso il nome, il carattere e l'altissima destinazione del fanciullo ch'ella avrebbe partorito, e il miracoloso concepimento di questo fanciullo, nel suo seno, per la virtù dello Spirito Santo, cosicché sebbene dovesse discendere da Adamo secondo la carne ciò non avrebbe ad esser per ordinaria generazione, in modo da farlo partecipe del peccato. L'Evangelista ricorda quindi la maniera in cui Gabriele, onde non sorgesse incredulità alcuna nell'animo di Maria, riportossi alla potenza di Dio, manifestata recentemente nel concepimento della di lei cugina Elisabetta, che era stata «chiamata sterile» Luca 1:26-38.

4. Visita di Maria alla sua parente al sud della Giudea. Questa visita può darsi che fosse suggerita dal riportarsi che fece l'angelo ad Elisabetta, e dal desiderio che Maria dovea provare di confermarsi nella fede, conversando con una, la quale il Signore trattava in modo alquanto somigliante al suo proprio caso. L'Evangelista ricorda per ordine, il saluto di Elisabetta, la quale, riflettendo al castigo del proprio marito, dichiara beata la cugina per aver creduto alla promessa; la risposta, ispirata di Maria; e il di lei ritorno, dopo tre mesi a Nazaret Luca 1:39-56.

5. Nascita di Giovanni Battista. La bontà del Signore inverso Elisabetta è riconosciuta con gratitudine dai di lei parenti ed amici, poiché fin dai giorni

di Sara, non era occorso probabilmente un caso simile al suo; la circoncisione del fanciullo è ricordata, insieme alla contesa intorno al suo nome contesa che venne composta col riportarsene al padre Luca 1:57-63.

6. È guarita l'incredulità di Zaccaria e gli vien resa la favella. Il modo deciso e l'autorità con cui impose silenzio a tutte le obiezioni, dando al suo figlio il nome di Giovanni che l'angelo gli aveva intimato, fu una prova che, durante quei 9;mesi di silenzio, Zaccaria era guarito della sua incredulità; indi la loquela gli fu resa, ed egli cominciò in quell'istante medesimo a profetizzare intorno al ché «Corno della Salute, che il signore avea rizzato nella casa di Davide» ed intorno al proprio figliuolo, il quale siccome «profeta dell'Altissimo dovea andare davanti la faccia del Signore a preparare le sue vie» Luca 1:64-80.

Luca 1:1-4. INTRODUZIONE AL VANGELO

1. Conciossiacché molti abbiano impreso d'ordinare la narrazion delle cose, dette quali siamo stati appieno accertati (credute per motivi certi); 2. Come riferirono a noi quelli che da principio (cioè dal principio del ministerio di Cristo), le videro eglino stessi, e furon ministri della parola;

Appare dagli Atti degli Apostoli e dalle Epistole apostoliche, che la predicazione primitiva del vangelo consisteva in un breve Sommario dei fatti della storia terrestre di nostro Signore, con alcune poche parole di acconcia applicazione agli ascoltanti. Di questi fatti sorprendenti, naturalmente prendevano delle note quelli che li udivano dal labbro degli Apostoli, e di queste note poi si mettevano in circolazione dei digesti. A questi Luca qui si riferisce, in termini di studiato rispetto, come a narrazioni di quanto i Cristiani credevano «sulle prove più certe» avendolo ricevuto dalla testimonianza degli stessi discepoli del Signore, poiché ad essi soltanto possono convenire le espressioni: «coloro che da principio le videro eglino stessi e furono ministri della parola». Queste narrazioni erano probabilmente brevi e frammentarie, e non tali da soddisfare, fuorché nei primi bisogni della Chiesa Cristiana, i bisogni spirituali di coloro che

bramavano conoscere tutto quanto potesse accettarsi del ministerio di Cristo sulla terra. Luca, prevedendo che qualche cosa di più sostanziale e di più esteso dovea ben presto sostituirsi ad esse, determinossi, sotto la guida dello Spirito della Ispirazione, di raccogliere informazioni dalle stesse sorgenti infallibili, onde essere in grado di surrogare quelle prime narrazioni. Niuna di esse infatti è sopravvissuta al naufragio del tempo. Vangeli apocrifi o spurii, preparati da persone avverse alle verità presentate nei Vangeli canonici, non andarono perduti; ma quelle narrazioni, sostanzialmente esatte, di autori ben intenzionati, alle quali è fatta allusione in questo passo, e che dovevano usarsi soltanto finché ve ne fossero altre migliori, per consenso tacito si lasciarono cadere nell'oblio davanti ai quattro Vangeli canonici, i quali sopravvissero a qualunque tentativo di distruggerli e furono accettati con sorprendente unanimità, di secolo in secolo, come lo Statuto di tutta quanta la Cristianità.

PASSI PARALLELI

Giovanni 20:31; Atti 1:1-3; 1Timoteo 3:16; 2Pietro 1:1619#500200310000-500200310000#510010010000510010030000#610030160000-610030160000#680010160000680010190000

Luca 24:48; Marco 1:1; Giovanni 15:27; Atti 1:3,8,21-22; 4:20; 10:39-41; Ebrei 2:3#490240480000-490240480000#480010010000480010010000#500150270000-500150270000#510010030000510010030000#510010080000-510010080000#510010210000510010220000#510040200000-510040200000#510100390000510100410000#650020030000-650020030000

1Pietro 5:1; 1Giovanni 1:1-3#670050010000670050010000#690010010000-690010030000

Atti 26:16; Romani 15:16; Efesini 3:7-8;4:11-12; Colossesi 1:2325#510260160000-510260160000#520150160000-

520150160000#560030070000-560030080000#560040110000560040120000#580010230000-580010250000

49001003Lc 1:3

3. A me ancora è paruto, dopo aver dal capo

Questa parola quando è usata come avverbio di luogo significa da alto o dal cielo Giovanni 3.3,31; 19:11#500030030000500030030000#500030310000-500030310000#500190110000500190110000, ed alcuni suppongono che Luca la usi qui in tal senso, intendendo dire che ebbe le sue informazioni da Dio, per rivelazione immediata; ma si usa anche comunemente come avverbio di tempo, e allora significa dal principio, rifacendosi da capo. Confrontandola con le parole (ver. 2), che significano il principio del ministerio di Cristo, Luca ci sembra voler dire con che egli era risalito più in su di quel punto, così da comprendere nella sua narrazione e la nascita del Salvatore e quella del precursore Giovanni.

rinvenuta, ogni cosa compiutamente, di scrivertene per ordine,

(per ordine), non può intendersi qui cronologicamente, poiché Luca non si propone di narrare i fatti secondo l'ordine di tempo, ma vuol dire secondo un piano che si era prefisso a se stesso.

eccellentissimo Teofilo,

eccellentissimo: come titolo di rango lo troviamo applicato da questo medesimo scrittore ai Governatori romani Felice e Feste a Cesarea Atti 23:26; 24:3; 26:25#510230260000-510230260000#510240030000510240030000#510260250000-510260250000, e quindi molti scrittori sostengono che Teofilo fosse un alto magistrato, ovvero un uomo di nobili natali in Grecia, nell'Asia Minore o in Italia. Nondimeno un tal titolo è applicato spesso a destare stretta amicizia od alta stima, ed è possibilissimo che Luca lo abbia usato in questo senso. (Vedi l'Introduzione a Luca, al principio del Volume, nell'Introduzione agli Evangeli).

PASSI PARALLELI

Atti 15:19,25,28; 1Corinzi 7:40; 16:12#510150190000510150190000#510150250000-510150250000#510150280000510150280000#530070400000-530070400000#530160120000530160120000

Luca 1:1; Salmi 40:5; 50:21; Ecclesiaste 12:9; Atti 11:4#490010010000490010010000#230400050000-230400050000#230500210000230500210000#250120090000-250120090000#510110040000510110040000

Atti 1:1; 23:26; 24:3; 26:25#510010010000510010010000#510230260000-510230260000#510240030000510240030000#510260250000-510260250000

49001004Lc 1:4

4. Acciocché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate.

Il primo dei due verbi greci usati in questo versetto, significa acquistare ulteriori o più accurate cognizioni; il secondo essere istruito oralmente o catechizzato. Come catecumeno o candidato pel battesimo cristiano, Teofilo era stato catechizzato o istruito oralmente, intorno alla persona e all'opera di Cristo, secondo una o più d'una delle narrazioni di cui è parlato al ver. 1; e l'intenzione di Luca, almeno in primo grado, nello scrivere questo Vangelo si è che Teofilo possa avere più accurata conoscenza di quelle verità importanti che già conosceva nei loro tratti più essenziali. Roma papale proibisce la lettura delle Scritture ai laici, ma si osservi che Luca non riteneva illecito o disdicente ad un laico o ad un Cristiano qualunque, il leggere le Scritture, né credeva un tal lettore incapace di intender le cose ivi rivelate dallo Spirito Santo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 20:31; 2Pietro 1:15-16#500200310000500200310000#680010150000-680010160000

49001005Lc 1:5

Luca 1:5-25. VISITA DELL'ANGELO A ZACCARIA NEL TEMPIO. ANNUNZIO DELLA NASCITA DI GIOVANNI

5. A' dì di Erode, re della Giudea,

Vedi Nota Matteo 2:1Matteo 2:1.

vi era un certo sacerdote, chiamato per nome Zaccaria, della muta di Abia;

Nell'ordinare il servizio del tabernacolo, per impedire la confusione che avrebbe potuto nascere pel numero troppo grande di sacerdoti, Davide li divise in 24; mute, ciascuna delle quali dovea fungere per turno in tutti i servigi del tabernacolo, e quindi del tempio, per lo spazio di sette giorni 1Cronache 24:4-19#130240040000-130240190000; Flavio, Ant. Giud. 7:14,7. Di queste mute, quattro soltanto ritornarono dopo la cattività di Babilonia Esdra 2:36-39#150020360000-150020390000, ma i sacerdoti appartenenti ad esse furono suddivisi in modo da ricostituire le 24 mute, originarie, delle quali ritennero i nomi antichi e l'ordine del servigio divino. Mayer, citato da Alford, osserva: «Se ha da farsi un qualche uso di questa menzione della muta di Abia, per fissare la data della nascita di Giovanni, il conto bisogna farlo retrospettivamente, dalla distruzione del secondo tempio, non progressivamente, dalla restaurazione delle mute per opera di Giuda Maccabeo 1Maccabei 4:42-52#200040420000-200040520000, imperocché non è certo qual muta incominciasse allora il nuovo ordine di cose; mentre invece abbiamo una data certa per la distruzione del tempio, cioè che ella avvenne il 9 di Abib, e che la muta di servigio era quella di Jehoiarib». Ciascuna muta avea il proprio presidente, e questi presidenti

sono le persone che incontriamo così spesso nel Nuovo Testamento sotto il titolo di principali Sacerdoti, come a contraddistinguerli dal Sommo Sacerdote Matteo 2:4; Luca 22:52#470020040000470020040000#490220520000-490220520000; ecc.

e la sua moglie era delle figliuole d'Aaronne,

I sacerdoti potevano sposare donne di qualunque tribù; era però sempre considerato come assai più commendevole il prendere, in moglie una donna di discendenza sacerdotale. Il precursore di Gesù era dunque tanto dal lato paterno, come dal lato materno, di razza sacerdotale, nel modo istesso che Gesù discendeva dalla famiglia reale di Davide, come lo si vede in Matteo 1#470010000000-470010000000, per la filiazione paterna, ed in Luca 3#490030000000-490030000000, per la filiazione materna. Ma Gesù fu il vero sacerdote. Era necessario che il precursore fosse di famiglia sacerdotale, discendente d'Aaronne affinché godesse considerazione in mezzo al popolo.

ed il nome d'essa era Elisabetta.

È questa la forma greca data dai LXX, di Elisheba, moglie di Aronne Esodo 6:23#020060230000-020060230000. La moglie di Zaccaria dunque aveva lo stesso nome che avea portato la moglie di Aronne.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:1#470020010000-470020010000

1Cronache 24:10,19; Nehemia 12:4,17#130240100000130240100000#130240190000-130240190000#160120040000160120040000#160120170000-160120170000

49001006Lc 1:6

6. or amendue eran giusti nei cospetto di Dio.

Zaccaria e la sua moglie Elisabetta si distinguevano per la pietà e santità della lor vita. Essi erano «giusti davanti a Dio» e come non vi ha che una sola maniera per il peccatore di essere giusto davanti a Dio, cioè per la fede nella giustizia del Messia, così noi possiamo con asseveranza mantenere che questi due fortunati coniugi vivevano nella fede di Abramo e dei profeti, aspettando di tutto cuore il promesso Messia

camminando in tutti i comandamenti e leggi (ordinanze) del Signore,

gli uni esprimenti la loro ubbidienza morale - le altre la loro ubbidienza cerimoniale, Confr. Ezechiele 11:20; Ebrei 9:1#330110200000330110200000#650090010000-650090010000. Fu negato da alcuni che una tale distinzione fosse nota ai Giudei ed agli scrittori del Nuovo Testamento. Ma Marco 12:33#480120330000-480120330000, ed altri passi pongono questo fuor d'ogni dubbio ragionevole. La loro fede si manifestava nelle opere loro, poiché camminavano fedelmente nell'ubbidienza dovuta all'Eterno, rispettando in pari tempo e le leggi morali e le ordinazioni cerimoniali della loro religione, senza trascurarne alcuna volontariamente, in modo che la loro vita era veramente esemplare. Una decisa volontà di piacere a Dio è necessariamente accompagnata da vita santa, sulla quale Dio si compiace a spargere la sua benedizione.

senza biasimo.

Cioè essi vivevano senza rimproveri dinanzi agli uomini, perché, agli occhi di Dio nessuno è senza rimproveri e senza sozzure Giobbe 4:17; 5:14-16; 25:4-6#220040170000-220040170000#220050140000220050160000#220250040000-220250060000.

PASSI PARALLELI

Luca 16:15; Genesi 6:9; 7:1; 17:1; Giobbe 1:1,8; 9:2; Romani 3:9-25; Filippesi 3:6-9#490160150000-490160150000#010060090000010060090000#010070010000-010070010000#010170010000010170010000#220010010000-220010010000#220010080000-

220010080000#220090020000-220090020000#520030090000520030250000#570030060000-570030090000

Tito 3:3-7#630030030000-630030070000

1Re 9:4; 2Re 20:3; Salmi 119:6; Atti 23:1; 24:16; 1Corinzi 11:2; 2Corinzi 1:12#110090040000-110090040000#120200030000120200030000#231190060000-231190060000#510230010000510230010000#510240160000-510240160000#530110020000530110020000#540010120000-540010120000

Filippesi 3:6; Tito 2:11-14; 1Giovanni 2:3,29; 3:7#570030060000570030060000#630020110000-630020140000#690020030000690020030000#690020290000-690020290000#690030070000690030070000

Filippesi 2:15; Colossesi 1:22; 1Tessalonicesi 3:13; 2Pietro 3:14#570020150000-570020150000#580010220000580010220000#590030130000-590030130000#680030140000680030140000

49001007Lc 1:7

7. E non aveano figliuoli; perciocché Elisabetta era sterile; ed amendue eran già avanzati in età

Così pure Abrahamo e Sara, Isacco e Rebecca, Elcana e Anna, Manoa e sua moglie erano tutti avanti negli anni prima che fossero concessi loro i rispettivi figli. In ciascuno di questi casi fu, senza dubbio, mandata la prova perché fosse apprezzato maggiormente il dono, e perché intorno a questo più alte sorgessero le aspettazioni. Sebbene Zaccaria e sua moglie camminassero in santità e senza biasimo, essi conoscevano eziandio le prove, poiché, Dio avea loro rifiutato dei figli, ed erano entrambi avanzati negli anni. Questo non vuol dire che avessero raggiunto la canuta vecchiaia, poiché, toccato il cinquantesimo anno, erano i sacerdoti sciolti dall'incarico del servizio Numeri 8:25#040080250000-040080250000, mentre Zaccaria

serviva tuttora nel tempio; ma era almeno lungo tempo che Zaccaria ed Elisabetta erano maritati.

PASSI PARALLELI

Genesi 15:2-3; 16:1-2; 25:21; 30:1; Giudici 13:2-3; 1Samuele 1:2,58#010150020000-010150030000#010160010000010160020000#010250210000-010250210000#010300010000010300010000#070130020000-070130030000#090010020000090010020000#090010050000-090010080000

Genesi 17:17; 18:11; 1Re 1:1; 2Re 4:14; Romani 4:19; Ebrei 11:11#010170170000-010170170000#010180110000010180110000#110010010000-110010010000#120040140000120040140000#520040190000-520040190000#650110110000650110110000

49001008Lc 1:8

8. Or avvenne che, esercitando Zaccaria il sacerdozio davanti a Dio, nell'ordine della sua muta; 9. Secondo l'usanza del sacerdozio, gli toccò a sorte d'entrar nel tempio del Signore,

Il tempio di Gerusalemme (come il tabernacolo nel deserto), consisteva di due sale poste in mezzo ad un vasto recinto, circondato anch'esso di più corti o piazze. La prima di queste sale si chiamava il Luogo Santo; nella corte immediatamente in faccia ad esso sorgeva l'Altare di rame del sacrifizio; mentre nel Luogo Santo istesso stavano l'Altare d'oro dell'incenso, la Tavola dei pani di proposizione, e il Candelabro d'oro. Attiguo alla prima sala, ma separato da essa per mezzo di una fitta cortina, era il Luogo Santissimo, ovvero «il Sanctum Sanctorum» dov'erano l'Arca del Patto, il Propiziatorio, i Cherubini e (nel primo tempio), lo Shechina, ovvero la nuvola della gloria. In questa parte più remota del tempio il sommo sacerdote non entrava che una volta all'anno, nel gran giorno dell'Espiazione

Ebrei 9:1-7#650090010000-650090070000. Si fu nella prima di queste camere che Zaccaria entrò in questa occasione.

49001009Lc 1:9

per fare il profumo.

Quanto agli ingredienti dei quali era composto l'incenso e la legge intorno ad esso, si vegga Esodo 30:34-38#020300340000-020300380000. Due volte al giorno - la mattina alla terza ora (9 a.m.) e la sera alla nona ora (3 p.m.) si ardevano incensi sull'altare dei profumi Esodo 30:7-8#020300070000020300080000; e siccome questo era l'uffizio più onorevole tra i sacerdoti, la stessa persona non poteva fungere più di una volta, ed ogni giorno si sceglieva a sorte tra i membri della muta. L'incenso emblema della intercessione di Cristo, si ardeva nelle ore stesse in cui si offrivano i sacrifizi giornalieri, e se ne spruzzava il sangue sull'altare di bronzo nella corte esteriore, e quindi l'ora del sacrifizio venne ad esser chiamata generalmente dai Giudei «l'ora dell'orazione» Atti 3:1#510030010000-510030010000. Questi tipi insegnavan dunque che soltanto per virtù del sacrifizio e dell'intercessione di Cristo, la preghiera può alzarsi a guisa d'incenso davanti al trono del Padre suo. Tre sacerdoti funzionavano nell'offrir l'incenso: uno rimoveva le ceneri del servizio precedente; l'altro portava e metteva sull'altare d'oro il braciere pieno di carboni accesi, tolti dall'altare degli olocausti; e il terzo gettava l'incenso sui carboni ardenti, e mentre che si alzava il fumo, faceva intercessione pel popolo. Quest'ultimo uffizio era quello toccato ora in sorte a Zaccaria.

PASSI PARALLELI

Esodo 28:1,41; 29:1,9,44; 30:30; Numeri 18:7; 1Cronache 24:2; 2Cronache 11:14#020280010000-020280010000#020280410000020280410000#020290010000-020290010000#020290090000020290090000#020290440000-020290440000#020300300000-

020300300000#040180070000-040180070000#130240020000130240020000#140110140000-140110140000

Luca 1:5; 1Cronache 24:19; 2Cronache 8:14; 31:2,19; Esdra 6:18#490010050000-490010050000#130240190000130240190000#140080140000-140080140000#140310020000140310020000#140310190000-140310190000#150060180000150060180000

Esodo 30:7-8; 37:25-29; Numeri 16:40; 1Samuele 2:28; 1Cronache 6:49; 23:13; 2Cronache 26:16#020300070000-020300080000#020370250000020370290000#040160400000-040160400000#090020280000090020280000#130060490000-130060490000#130230130000130230130000#140260160000-140260160000

2Cronache 29:11; Ebrei 9:6#140290110000140290110000#650090060000-650090060000

49001010Lc 1:10

10. E tutta la moltitudine del popolo era di fuori, orando,

cioè nella corte detta degli Israeliti, di faccia al tempio, dove sorgeva l'altare degli olocausti. Le donne adoravano in un cortile separato, alcuni gradini più basso di quello degli uomini, ma sì dall'una corte che dall'altra era visibile l'altare. Nel primo tempio fabbricato da Salomone, sembra che vi fossero soltanto due corti, una interna chiamata la corte davanti la casa, ovvero la corte dei sacerdoti; ed una più esterna chiamata la corte esterna, o ancora la gran corte, dove gli adoratori si radunavano, per quel che pare, senza distinzione di sessi, Vedi 1Re 6:36; 7:12; 2Re 23:12; 2Cronache 4:9; 20:5; Ezechiele 40:28#110060360000-110060360000#110070120000110070120000#120230120000-120230120000#140040090000140040090000#140200050000-140200050000#330400280000330400280000. Tuttavia nel tempio di Erodo c'erano quattro corti o terrazze che salivano verso il santuario. La prima corte esteriore chiamavasi la montagna della casa, ovvero la corte dei Gentili. La seconda salendo verso

il tempio, si chiamava la corte delle donne; poi veniva la corte d'Israele; e finalmente la corte dei sacerdoti.

nell'ora del profumo.

Il fumo dell'incenso era un bel simbolo dell'essere accettevole il sacrificio offerto sull'altare di rame, inquantoché era sulle ceneri tolte da esso che ardeva l'incenso Levitico 26:12-13#030260120000-030260130000. Le preghiere del popolo, congiunte a quel rituale, erano un simbolo del sacrifizio vivente di se stessi e del loro culto offerti giornalmente a Dio «qual loro ragionevole servigio». Quindi il linguaggio di Salmi 141:2; Apocalisse 8:3#231410020000-231410020000#730080030000730080030000. Ma è evidente da Isaia 6:6-7#290060060000290060070000, che l'accettazione di questa quotidiana offerta dipendeva dalla virtù espiatoria presupposta nell'olocausto, e additava Cristo come il vero «sacrifizio di odor soave» Efesini 5:2#560050020000-560050020000.

PASSI PARALLELI

Levitico 16:17; Ebrei 4:14; 9:24; Apocalisse 8:3#030160170000030160170000#650040140000-650040140000#650090240000650090240000#730080030000-730080030000

49001011Lc 1:11

11. Ed un angelo del Signore gli apparve,

Frequenti furono le apparizioni d'angeli agli uomini durante la, dispensazione dell'Antico Testamento, più particolarmente tra l'età dei patriarchi e quella di Samuele; ma dal tempo di Malachia l'ultimo profeta, erano ora trascorsi quattrocent'anni, durante il qual lungo periodo, non c'era stata rivelazione divina di sorta alcuna. In quel lasso di tempo la nazione stava aspettando la comparsa del Messia, quantunque non avesse altra direzione o scorta che le antiche profezie. Ma ora ch'egli stava per apparire,

Iddio mandò il suo messaggiero ad annunziarne la venuta, ad incoraggiare i cuori del suo popolo ed a prepararli a riceverlo.

stando in piè dal lato destro dell'altar de' profumi.

L'altare dell'incenso stava presso la cortina che separava il luogo santo dal luogo santissimo. Al lato nord di esso altare, il sacerdote, entrando, aveva la tavola dei pani di presenza e al sud il candelabro d'oro. Entrando dunque Zaccaria colla faccia rivolta all'ovest, l'angelo dovette comparirgli ritto al nord, ossia verso la tavola dei pani di presenza.

PASSI PARALLELI

Luca 1:19,28; 2:10; Giudici 13:3,9; Atti 10:3-4; Ebrei 1:14#490010190000490010190000#490010280000-490010280000#490020100000490020100000#070130030000-070130030000#070130090000070130090000#510100030000-510100040000#650010140000650010140000

Esodo 30:1-6; 37:25-29; 40:26-27; Levitico 16:13; Apocalisse 8:3-4; 9:13#020300010000-020300060000#020370250000020370290000#020400260000-020400270000#030160130000030160130000#730080030000-730080040000#730090130000730090130000

49001012Lc 1:12

12. E Zaccaria vedutolo fu turbato, e timore cadde sopra lui.

Egli era solo alla presenza di Dio, ed una apparizione così insolita ed improvvisa produsse in lui lo stesso timore che, dietro diligente esame, troviamo essersi prodotto negli animi dei santi più antichi i quali ricevettero favori somiglianti; ma, come nel caso di Mosè, Isaia e molti altri, così qui pure, l'angelo lo incoraggì tosto con le sue parole.

PASSI PARALLELI

Luca 1:29; 2:9-10; Giudici 6:22; 13:22; Giobbe 4:14-15; Daniele 10:7; Marco 16:5; Atti 10:4#490010290000-490010290000#490020090000490020100000#070060220000-070060220000#070130220000070130220000#220040140000-220040150000#340100070000340100070000#480160050000-480160050000#510100040000510100040000

Apocalisse 1:17#730010170000-730010170000

49001013Lc 1:13

13. Ma l'angelo gli disse: Non temere Zaccaria; perciocché la tua orazione è stata esaudita;

Era stata quella una preghiera per aver figli. Era questo un oggetto d'intenso desiderio tra i Giudei, e niuna prospettiva parea lor più triste di quella di morire senza figliuolanza, sicché il nome loro avesse a perire. La Scrittura ci dice: «I figliuoli sono una eredità del Signore» Salmi 127:3#231270030000-231270030000, eppure a molti che sono del suo popolo è negata tale eredità. Molti che, come questi coniugi, sono «giusti nel cospetto di Dio» e che educherebbero i loro figliuoli nel timor di Dio, sono privati di questa benedizione, mentre gli uomini di questo secolo «mandano fuori i loro fanciulletti come pecore». Sembra un mistero che le cose debbano essere ordinate così, ma la sapienza di Dio non può errare nei suoi provvedimenti. I capelli del nostro capo sono tutti annoverati; e un passero non può cadere in terra, senza il volere del Padre nostro Matteo 10:29-30#470100290000-470100300000. Ci è lecito chiedere a Dio tutte le cose che non sono contrarie alla sua volontà. Zaccaria ed Elisabetta, pei quali era una prova ben dolorosa il non aver figliuoli, avean continuato un pezzo a pregare che fosse lor concesso aver prole; ma secondo alcuni, vedendo che avean pregato anni ed anni senza ottenere la grazia, avean cessato d'implorarla. Vano sarebbe ricercare se tale fosse veramente il loro caso, o se invece continuassero a pregare per quell'oggetto, poiché la

Scrittura non ci porge alcun altro lume su questo punto; ci basti sapere che Iddio aveva udite le loro preghiere e a suo tempo le esaudì. Non ci lasciamo scoraggiare se non riceviamo subito la risposta, imperocché può darsi che, per savie ragioni, passi lungo tempo prima che Dio conceda la risposta, alle nostre preghiere anco più ferventi. La lezione che dobbiamo trarne è «di continuare nella preghiera, e non venir meno».

ed Elisabetta, tua moglie, ti partorirà un figliuolo, al quale porrai nome Giovanni.

È da notarsi che alcuni critici son d'opinione che questi coniugi, nelle loro preghiere, avessero in vista un oggetto ben più alto dell'aver prole per sé stessi, che cioè mirassero alla venuta del Messia promesso, e che Gabriele fosse mandato ad annunziare che non solo l'Angelo del Patto Malachia 3:1#460030010000-460030010000, verrebbe nei giorni di essi, ma che il figlio che lor nascerebbe sarebbe stato il di lui precursore. La preghiera di Zaccaria riferivasi probabilmente ad entrambi questi oggetti. Il nome Giovanni si presenta di frequente nelle Scritture ebraiche sotto la forma di Johanan 1Cronache 3:15; 6:9#130030150000130030150000#130060090000-130060090000; e di Giohanan Geremia 40:13#300400130000-300400130000. Esso deriva dal vocabolo ebraico hanan (gratificò); significa «il dono prezioso di Jehova»; ed indica la gioia, l'allegrezza, l'esultanza! Nota bene che mentre il nome di Gesù, e quello del suo precursore furono predetti entrambi, prima della loro nascita, questa distinzione non fu concessa alla Madre di nostro Signore, il nome della quale fu poscia così grandemente idolatrato.

PASSI PARALLELI

Luca 24:36-40; Giudici 6:23; Daniele 10:12; Matteo 28:5; Marco 16:6#490240360000-490240400000#070060230000070060230000#340100120000-340100120000#470280050000470280050000#480160060000-480160060000

Genesi 25:21; 1Samuele 1:20-23; Salmi 118:21; Atti 10:31#010250210000010250210000#090010200000-090010230000#231180210000231180210000#510100310000-510100310000

Genesi 17:10; 18:14; Giudici 13:3-5; 1Samuele 2:21; 2Re 4:16-17; Salmi 113:9#010170100000-010170100000#010180140000010180140000#070130030000-070130050000#090020210000090020210000#120040160000-120040170000#231130090000231130090000

Salmi 127:3-5#231270030000-231270050000

Luca 1:60-63; 2:21; Genesi 17:19; Isaia 8:3; Osea 1:4,6,9-10; Matteo 1:21#490010600000-490010630000#490020210000490020210000#010170190000-010170190000#290080030000290080030000#350010040000-350010040000#350010060000350010060000#350010090000-350010100000#470010210000470010210000

49001014Lc 1:14

14. Ed egli ti sarà in allegrezza, e gioia e molti si rallegreranno del suo nascimento.

Qui l'Evangelista indica la ragione perché questo nome particolare avesse ad essere imposto al bambino. Egli dovea essere una sorgente d'allegrezza non solo pei suoi genitori, ma per le moltitudini che per mezzo del suo ministero «si convertirebbero al Signore Iddio loro».

PASSI PARALLELI

Luca 1:58; Genesi 21:6; Proverbi 15:20; 23:15,24#490010580000490010580000#010210060000-010210060000#240150200000240150200000#240230150000-240230150000#240230240000240230240000

49001015Lc 1:15

15. Perciocché egli sarà grande nel cospetto del Signore;

In questo versetto e nei due susseguenti, l'angelo descrive il carattere, e le fatiche di Giovanni e la sua relazione uffiziale verso il Messia. Per la forza e l'elevazione naturale del suo carattere, per la sua pietà e il suo zelo qual riformatore religioso, egli occupa, è vero, un posto alto e distinto fra gli uomini; ma la grandezza qui predetta è uffiziale, e consiste nella dignità sopraeminente di cui è rivestito qual precursore del Signore. Questo modo di vedere è confermato dalla dichiarazione di Cristo intorno a Giovanni Matteo 11:11#470110110000-470110110000. Con questa sua grandezza uffiziale niuno potrebbe competere, e tuttavia «il minimo nel regno dei cieli è più grande di lui» in quanto al privilegio e alla luce spirituale. Si noti qui il vero tipo della grandezza: «grande nel cospetto del Signore»; nessuno può giungere a questo, se non è «nato di nuovo» e non è «condotto dallo Spirito di Dio».

e non berrà né vino, né cervogia

Un altro tratto del suo carattere, indicato dall'angelo, è ch'egli dovea essere un Nazireo. In quanto alla legge del Nazireato, veggasi Numeri 6:3#040060030000-040060030000. Come il lebbroso era il simbolo vivente del peccato, così il Nazireo lo era della santità; nulla d'infiammante dovea passare per le sue labbra, né rasoio sopra il suo capo; ei non dovea contrarre alcuna impurità cerimoniale; ma doveva essere cerimonialmente «votato al Signore per tutti i giorni della sua separazione». Nei casi ordinari, questa separazione era volontaria e temporanea; leggiamo soltanto di tre che furono Nazirei fin dall'alvo materno: Sansone Giudici 13:7#070130070000070130070000, Samuele 1Samuele 1:11#090010110000-090010110000, e Giovanni Battista. Era conveniente che nel precursore avesse a trovarsi il massimo rigore della consacrazione legale. In Cristo stesso vediamo la realtà e perfezione del Nazireo senza il simbolo, il quale dovea cessare, dopo che Cristo ne ebbe dato la vivente realizzazione Ebrei

7:26#650070260000-650070260000. Il vino era la bevanda comune di tutte le classi in Palestina, ma al Nazireo era vietato di berne. La cervogia shechar; sikéra, probabilmente non era che una bevanda ottenuta dai fichi o datteri fermentati, dal succo della palma, o dalle feccie del vino mescolato con zucchero, la qual bevanda aveva proprietà inebbrianti. Il metodo di distillare i liquori spiritosi non fu scoperto fino al nono o al decimo secolo dell'era volgare.

e sarà ripieno dello Spirito Santo, fin dal ventre di sua madre

L'ultima clausola si riferisce egualmente al principio dell'atto Nazireato e al dono dello Spirito Santo, e fissa il principio di ambedue col primo respiro del bambino sulla terra. È questo il tratto finale del suo carattere, come è indicato dall'angelo, e mira a far risaltare il contrasto col «vino e le forti bevande» da cui gli uomini cercano forza e nuovo vigore. Bengel, Olshausen e Lange attribuiscono a questa clausola il significato che lo Spirito Santo dovesse in qualche modo meraviglioso agire sul bambino prima ancora della sua nascita; ma in tal caso ci saremmo aspettati di trovare usata dall'Evangelista la preposizione nel, invece di dal la quale ultima preposizione evidentemente determina il periodo della dimora dello Spirito in Giovanni. La potenza e la forza onde avea bisogno Giovanni, per l'onorevole ma ardua opera a cui Iddio l'avea chiamato, era attinta da una sorgente sopraterrena e perenne «Esser ripieno dello Spirito Santo» non significa la potenza d'operar miracoli, imperocché Giovanni non ne fece alcuno Giovanni 10:41#500100410000-500100410000, e nemmeno significa «l'ispirazione» poiché questa par che gli fosse data soltanto quando incominciò il suo pubblico ministero, stante che leggiamo: «la parola di Dio fu indirizzata, a Giovanni, figliuolo di Zaccaria, nel deserto» Luca 3:2#490030020000-490030020000; ma significa naturalmente la di lui designazione e separazione pel suo uffizio di precursore, e la sua qualificazione o idoneità ad esso, mediante tutte le necessarie comunicazioni della grazia dello Spirito. Ma ciò non è tutto; indica, ancora la conversione personale e la progressiva santificazione per l'operazione continua dello Spirito Santo, dalla sua nascita in poi. Come Samuele, Geremia e Timoteo, quello di Giovanni fu un caso in cui «la nuova nascita» se non fu sincrona alla nascita corporea, seguilla immantinente; e simili casi

son ben di natura da incoraggiare i genitori a pregare per la prole ancor nascitura, affinché possa essere ripiena dello Spirito Santo fin dal momento della nascita. Insomma la dottrina della santificazione fin dall'alvo materno è d'alta importanza nel cristianesimo personale, d'importante influenza sullo spirituale degli infanti dei credenti, nella Chiesa, di Dio. ed è piena di prezioso incoraggiamento ai genitori religiosi.

PASSI PARALLELI

Luca 7:28; Genesi 12:2; 48:19; Giosuè 3:7; 4:14; 1Cronache 17:8; 29:12; Matteo 11:9-19#490070280000-490070280000#010120020000010120020000#010480190000-010480190000#060010010000060010010000#060040140000-060040140000#130170080000130170080000#130290120000-130290120000#470110090000470110190000

Giovanni 5:35#500050350000-500050350000

Luca 7:33; Numeri 6:2-4; Giudici 13:4-6; Matteo 11:18#490070330000490070330000#040060020000-040060040000#070130040000070130060000#470110180000-470110180000

Zaccaria 9:15; Atti 2:4,14-18; Efesini 5:18#450090150000450090150000#510020040000-510020040000#510020140000510020180000#560050180000-560050180000

Salmi 22:9; Geremia 1:5; Galati 1:15#230220090000230220090000#300010050000-300010050000#550010150000550010150000

49001016Lc 1:16

16. E convertirà molti dei figliuoli d'Israele, al Signore Iddio loro.

In questo versetto e in parte del seguente, l'angelo descrive la natura e il risultato delle fatiche del Battista. La sua fu un'opera di preparazione, diretta cioè a risvegliare gli uomini a penitenza e a convertire i loro cuori a Dio, e il suo felice successo nel compimento di tale opera è qui predetto prima della sua nascita. «L'opera di Giovanni», dice Alford, «fu una concentrazione dello spirito della legge, il cui uffizio è di convincere di peccato, ed egli rappresentò in modo eminente la legge e i profeti nell'opera loro di preparare la via per Cristo». La sua opera dovea limitarsi alla nazione giudaica soltanto, come pure limitossi il ministero personale del Salvatore, a cui preparò la via, e nondimeno la parola molti lascia intendere che il suo successo, quantunque grande, non abbraccerebbe tutta la nazione.

PASSI PARALLELI

Luca 1:76; Isaia 40:3-5; 49:6; Daniele 12:3; Malachia 3:1; Matteo 3:1-6; 21:32#490010760000-490010760000#290400030000290400050000#290490060000-290490060000#340120030000340120030000#460030010000-460030010000#470030010000470030060000#470210320000-470210320000

49001017Lc 1:17

17. Ed andrà innanzi a lui,

cioè «al Signore Iddio loro» (ver. 16). Abbiamo qui un argomento incidentale ma assai notevole in favore della Divinità di Gesù di Nazaret, a cui Giovanni rese questa testimonianza: «colui che viene dietro a me è più forte di me, le cui suole io non son degno di portare» Matteo 3:11#470030110000-470030110000, e al quale diresse poscia l'attenzione dei suoi discepoli, dicendo: «Ecco l'Agnello di Dio» Giovanni 1:36#500010360000-500010360000.

nello spirito e virtù d'Elia,

Queste parole hanno ciascuna la loro significazione propria; per «spirito» dobbiamo intendere la volontà o il desiderio, mentre «virtù» significa forza, azione. In questo versetto l'angelo indica a Zaccaria la relazione uffiziale in cui Giovanni starebbe verso il Messia. Elia fu suscitato come profeta e riformatore religioso in Israele, nei giorni più tenebrosi della sua storia, quando Achab e la regina pagana sua consorte Izebel aveano stabilito il culto di Baal, ed estinto così completamente ogni culto visibile di Jehova, che Elia si credette l'unico adoratore di Dio che fosse restato in tutto il paese 1Re 19:14#110190140000-110190140000. Il suo coraggio personale, la fedeltà sua nel rimproverarlo d'idolatria ed esortarlo a far ritorno al Signore che avea abbandonato, accompagnata da miracoli attestanti la sua divina missione, produssero un tale effetto sul popolo d'Israele, dopo che era stata smascherata sul monte Carmelo, l'impostura dei sacerdoti di Baal, in presenza di Achab, che tutto il popolo tornò al culto di Jehova, e i sacerdoti e i profeti di Baal furono scannati, Vedi 1Re 23#110230000000110230000000.

La storia dei Giudei per qualche tempo prima della comparsa del Messia presentò, per parte di quel popolo, un'aberrazione dal servizio spirituale di Dio così miseranda come al tempo di Acab, sebbene non pel culto degli idoli; ed era quindi necessario onde potessero esser preparati per la venuta del Messia, che fosse suscitato tra essi un profeta, un riformatore, somigliante ad Elia per l'impavido coraggio, per lo zelo per la gloria di Dio e per la fedeltà nello svelare e nel riprendere il peccato. Malachia, l'ultimo, dei profeti del Vecchio Testamento, attestò che sarebbe stato suscitato un profeta che andrebbe innanzi la faccia del Messia, il qual profeta, a cagione della sua rassomiglianza morale col gran profeta d'Israele, lo Spirito Santo gl'insegnò di chiamarlo con lo stesso nome Elia (Malachia 4:5; e Gabriele dichiara a Zaccaria che il figliuolo ora promessogli sarebbe quello stesso «profeta che andrebbe innanzi al Signore nello spirito e virtù d'Elia». Interpretando alla lettera questa profezia, gli Scribi e Farisei e tutto il popolo si aspettavano che prima che fosse manifestato il Messia promesso, sarebbe comparso miracolosamente il vero Elia, il quale era stato trasportato in cielo senza aver gustato la morte; quindi le domande indirizzate a Giovanni medesimo, ed a Gesù intorno ad esso, se ei fosse Elia, Confr. 1Re 28:36-37; Malachia 4:5-6; Giovanni 1:21,25; Matteo 9:14; 27:10,12; Marco

9:11,13#110280360000-110280370000#460040050000460040060000#500010210000-500010210000#500010250000500010250000#470090140000-470090140000#470270100000470270100000#470270120000-470270120000#480090110000480090110000#480090130000-480090130000. Vedi nota Matteo 9:14Matteo 9:14. Il prof. Brown ci dice: «Giovanni presentò una notevole rassomiglianza con Elia. Entrambi vissero in tempi di degenerazione; entrambi testimoniarono intrepidi per Dio; né l'uno né l'altro comparve molto in pubblico, salvo che nell'esercizio diretto del suo ministero; entrambi erano alla testa di scuole di discepoli; il risultato del ministero di entrambi potrebbe esprimersi con le parole stesse: "Molti (non tutti, nemmeno la maggioranza, ma molti) dei figliuoli d'Israele furono per mezzo di essi, convertiti al Signore Iddio loro"». Non si deve tuttavia trascurar di osservare che qual precursore immediato dell'Agnello di Dio, Giovanni aveva un carattere che non si trova in Elia; riuniva in sé il vangelo e la legge; fa non solo un secondo Elia, ma pure un secondo Isaia.

per convertire i cuori de' padri a' figliuoli, ed i ribelli alla prudenza de' giusti;

Gabriele è portatore di un messaggio che egli ha ricevuto direttamente da Dio e la cui sostanza è identica con le predizioni del profeta Malachia 4:6#460040060000-460040060000. Si confronti: «Egli convertirà il cuore de' padri a' figliuoli, e il cuore de' figliuoli ai loro padri» (Malachia), con: «Per convertire il cuore de' padri a' figliuoli, e i ribelli alla prudenza de' giusti» (Luca), e tosto apparisce l'identità del sentimento; l'unica differenza consistendo nel fatto che, nella seconda clausola, l'angelo designa i figli come «ribelli» e i padri come «giusti». Nei giorni in cui sorse Giovanni, i Giudei eran divisi in numerose sette, violentemente opposte le une alle altre, e questa animosità penetrava senza dubbio nelle famiglie, mettendo divisioni tra genitori e figliuoli; la prima clausola quindi fu intesa nel senso che Giovanni, con la sua predicazione, avrebbe lenite queste animosità, e restaurati i vincoli paterni e figliali. Sembra tuttavia più probabile che le due clausole debbano esser prese insieme ed intendersi come descriventi il misero stato di disordine e d'irreligione in cui si trovava la gran massa della nazione giudaica, il quale stato doveva essere fino ad un certo punto corretto

e guarito da Giovanni, col ridare l'antico spirito della nazione ai figliuoli degeneri, e così «apparecchiare al Signore un popolo ben composto». «Quando comparve Giovanni», dice Calvino, «la dottrina della Scrittura era degenerata per via d'innumerevoli invenzioni, il culto di Dio era corrotto da grossolane superstizioni, la religione era divisa in varie sette, i sacerdoti erano apertamente malvagi ed epicurei; il popolo si abbandonava ad ogni sorta d'iniquità; in breve non restava alcuna parte sana. Ma Iddio promise di unire per mezzo di Giovanni in armonia coloro che prima erano stati disuniti».

per apparecchiare al Signore un popolo ben composto

L'ultima parte di questa predizione intorno al precursore promesso è, che egli, con la sua predicazione, col suo battesimo della penitenza, e col suo insistere intorno alla comparsa immediata del Messia, avrebbe raccolto insieme, dalla famiglia d'Israele, un popolo apparecchiato a riceverlo quand'ei venisse, e a festeggiarlo come il Cristo di Dio. Un tale apparecchiamento richiede in ogni secolo e in ogni individuo un'operazione corrispondente al ministero del Battista. Il convincimento del peccato, e una qualche cognizione dell'opera del Redentore sono anche adesso i preludi al ricevimento del vangelo, e così «la legge diviene il nostro pedagogo per condurci a Cristo» Galati 3:24#550030240000-550030240000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:16; Giovanni 1:13,23-30,34; 3:28#490010160000490010160000#500010130000-500010130000#500010230000500010300000#500010340000-500010340000#500030280000500030280000

Malachia 4:5,6; Matteo 11:14; 17:11-12; Marco 9:11-13; Giovanni 1:21-24; Apocalisse 20:4#460040050000-460040050000#460040060000460040060000#470110140000-470110140000#470170110000470170120000#480090110000-480090130000#500010210000500010240000#730200040000-730200040000

1Re 17:1; 18:18; 21:20; 2Re 1:4-6,16#110170010000110170010000#110180180000-110180180000#110210200000110210200000#120010040000-120010060000#120010160000120010160000

Matteo 3:4,7-12; 14:4#470030040000-470030040000#470030070000470030120000#470140040000-470140040000

Luca 3:7-14; Malachia 4:6#490030070000-490030140000#460040060000460040060000

Isaia 29:24; Matteo 21:29-32; 1Corinzi 6:9-11#290290240000290290240000#470210290000-470210320000#530060090000530060110000

1Samuele 7:5; 1Cronache 29:18; 2Cronache 29:36; Salmi 10:17; 78:8; 111:10; Amos 4:12#090070050000-090070050000#130290180000130290180000#140290360000-140290360000#230100170000230100170000#230780080000-230780080000#231110100000231110100000#370040120000-370040120000

Atti 10:33; Romani 9:23; Colossesi 1:12; 2Timoteo 2:21; 1Pietro 2:9; 2Pietro 3:11-14#510100330000-510100330000#520090230000520090230000#580010120000-580010120000#620020210000620020210000#670020090000-670020090000#680030110000680030140000

1Giovanni 2:28#690020280000-690020280000

49001018Lc 1:18

18. E Zaccaria, disse all'angelo: a che conoscerò io questo? conciossiaché io sia vecchio, e la mia moglie sia bene avanti nell'età.

Le parole di Zaccaria presentano una somiglianza generale con quelle di Abraamo Genesi 15:8#010150080000-010150080000, di Gedeone Giudici

6:17#070060170000-070060170000, e di Maria Luca 1:34#490010340000490010340000. In questi tre casi non fu trovata alcuna colpa nel desiderio che fu espresso, e la risposta fu del tutto benigna; laddove invece, nel caso di Zaccaria avvenne altrimenti, nonostante la somiglianza esteriore della richiesta, e perciò lo spirito che la dettò dovette essere essenzialmente diverso. In quei primi tre casi, la richiesta non procedette da incredulità, o reiezione delle promesse di Dio come d'impossibile compimento, ma sì dal desiderio di confermarsi sempre più nella fede, mediante ulteriore conoscenza; mentre invece, in questo caso, deve essere proceduta da incredulità e diffidenza della parola e della potenza di Dio, ed era quindi peccaminosa. Maria credette quel che era assai più difficile a credersi, senza un segno; Abraamo, quantunque più vecchio, quando gli fu fatta la stessa promessa, «non istette in dubbio per incredulità intorno alla promessa di Dio. Anzi fu fortificato per la fede, dando gloria a Dio» Romani 4:1920#520040190000-520040200000. Si fu nel non imitare l'esempio d'Abraamo che fallì Zaccaria.

PASSI PARALLELI

Luca 1:34; Genesi 15:8; 17:17; 18:12; Giudici 6:36-40; Isaia 38:22#490010340000-490010340000#010150080000010150080000#010170170000-010170170000#010180120000010180120000#070060360000-070060400000#290380220000290380220000

Luca 1:7; Numeri 11:21-23; 2Re 7:2; Romani 4:19#490010070000490010070000#040110210000-040110230000#120070020000120070020000#520040190000-520040190000

49001019Lc 1:19

19. E l'angelo rispondendo, gli disse: Io son Gabriele, che sto davanti a Dio;

Gabriele, significa, secondo alcuni, «l'uomo di Dio» e secondo altri, «la forza di Dio». Veniamo assicurati nella Scrittura che gli angeli sono numerosissimi Salmi 68:18; 103:20-21; Daniele 7:10; Matteo 26:53#230680180000-230680180000#231030200000231030210000#340070100000-340070100000#470260530000470260530000; e che si distinguano l'un dall'altro, per nomi propri, possiamo dedurlo dal fatto che due sono menzionati per nome nella Scrittura, cioè questo Gabriele Luca 1:26; Daniele 8:16; 9:21#490010260000-490010260000#340080160000340080160000#340090210000-340090210000; e Michele Daniele 10:13,21; 12:1; Giuda 9; Apocalisse 12:7#340100130000340100130000#340100210000-340100210000#340120010000340120010000#720010090000-720010090000#730120070000730120070000. Zaccaria, essendo sacerdote, dovea conoscer benissimo un tal nome per quello dell'angelo che apparve a Daniele, e ciò avrebbe dovuto ricordargli il messaggio che eseguì allora intorno al Messia. Non è sorprendente che l'angelo si sia dato un nome ebraico (che tutti avevano un qualche significato), se ci ricordiamo che quel nome non è altro che un termine che corrisponde all'intima essenza od al carattere dell'oggetto nominato. I Rabbini dicono che agli angeli non vennero dati dei nomi distinti se non dopo il ritorno di Israele da Babilonia, ed è vero che Gabriele e Michele li incontriamo per la prima volta nel libro di Daniele. Ma non dobbiamo supporre con Strauss e i razionalisti, che l'idea degli angeli fosse tolta in prestito da alcun sistema del paganesimo, essendo un fatto che le persone e gli ordini degli angeli eran già noti in Israele lungo tempo prima della cattività babilonica. Le parole «sto davanti a Dio», in bocca di Gabriele, miravano soltanto a rendere Zaccaria sempre più certo dell'adempimento della promessa, in quantoché ei l'avea recata direttamente dal trono di Dio, davanti a cui, qual messaggiero suo, era suo uffizio e diletto lo stare in piè Salmi 103:20-21#231030200000-231030210000. Tuttavia non è da maravigliarsi che la descrizione del grado e della posizione di quest'angelo si prenda come una prova che vi sono diversi gradi di uffizio o di onore tra gli angeli in cielo. Siccome tale gradazione di esistenze può osservarsi altrove dappertutto nell'universo, è affatto consono all'analogia, il credere che esista anche tra gli esseri che stanno al sommo della scala. Ciò è confermato da Paolo, con la gradazione di gloria che

descrive fra gli orbi lucenti nei cieli siderei, e a cui paragona i diversi gradi d'onore e di felicità i quali i santi raggiungeranno nella risurrezione 1Corinzi 15:41-42#530150410000-530150420000. Nella Apocalisse 8:2#730080020000-730080020000, leggiamo dei «sette angeli i quali stavano in piè davanti Iddio», ma questi pare che fossero colà per ricevere una commissione speciale dall'Altissimo, laonde non sarebbe sicuro l'argomentare da ciò, come fanno alcuni, che debba essere il numero dell'ordine più alto delle create intelligenze. È singolare tuttavia che nel Zende Avesta (Libri Sacri dei Persiani), si riconosca questa gradazione di ordini tra gli angeli, e che i sette Amshaspendi sieno rappresentati come i più vicini al trono di Dio (Olshausen). Ed anche nella costituzione del regno di Persia, che proponevasi di offrire una copia esatta dell'ordine delle cose celesti, si vedevano sette principi ossia ciambellani del regno, che stavano in prima fila, intorno al trono del Apocalisse Esdra 1:14#150010140000150010140000.

e sono stato mandato per parlarti, e annunziarti queste buone novelle.

Paolo ci dice Ebrei 1:7,14#650010070000-650010070000#650010140000650010140000, che gli angeli sono non solo ministri o servitori di Jehova, ma che sono da lui impiegati specialmente a ministrare al suo popolo sulla terra; e che essi lo facciano con piacere e diletto non può dubitarsi, sì per la pura benevolenza della loro natura, e sì perché è quello il voler di Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 1:26; Daniele 8:16; 9:21-23; Matteo 18:10; Ebrei 4:14#490010260000-490010260000#340080160000340080160000#340090210000-340090230000#470180100000470180100000#650040140000-650040140000

Luca 2:10#490020100000-490020100000

49001020Lc 1:20

20. Ed ecco, tu sarai mutolo, e non potrai parlare, infino al giorno che queste cose avverranno; perciocché tu non hai creduto alle mie parole, le quali si adempieranno al tempo loro.

C'era qualche cosa di molto appropriato e giusto nel castigo di Zaccaria. Egli avea parlato con diffidenza, ed ora le sue labbra doveano ammutolire finché non fosse compiuto l'avvenimento. Avea chiesto un segno (quantunque avesse dovuto bastargli la visita dell'angelo Gabriele), ed ecco gli fu subito dato un sogno, che era ad un tempo un castigo: «Tu sarai mutolo». Pure in questa dispensazione c'era alcunché di benigno; poiché l'infermità sua, e la maniera colla quale ne fu più tardi liberato, non servivano che a corroborare la sua fede, ed a rendere più viva la sua riconoscenza.

PASSI PARALLELI

Luca 1:22,62-63; Esodo 4:11; Ezechiele 3:26; 24:27#490010220000490010220000#490010620000-490010630000#020040110000020040110000#330030260000-330030260000#330240270000330240270000

Luca 1:45; Genesi 18:10-15; Numeri 20:12; 2Re 7:2,19; Isaia 7:9; Marco 9:19; 16:14#490010450000-490010450000#010180100000010180150000#040200120000-040200120000#120070020000120070020000#120070190000-120070190000#290070090000290070090000#480090190000-480090190000#480160140000480160140000

Apocalisse 3:19#730030190000-730030190000

Romani 3:3; 2Timoteo 2:13; Tito 1:2; Ebrei 6:18#520030030000520030030000#620020130000-620020130000#630010020000630010020000#650060180000-650060180000

49001021Lc 1:21

21. Or il popolo stava aspettando Zaccaria, (per ricevere da lui la solita benedizione); e si maravigliava ch'egli tardasse tanto nel tempio.

Come già si è detto, l'ora del sacrificio e dell'arder l'incenso era l'ora della preghiera, cosicché, mentre il sacerdote ardeva l'incenso sull'altare d'oro, dentro il tempio, i divoti abitanti di Gerusalemme erano raccolti insieme per la preghiera nei cortili del tempio, e quelli che abitavano lontano dal tempio pregavano colla faccia rivolta verso Gerusalemme, dove si stava allora offerendo il sacrifizio 1Re 8:44; Salmi 138:2; Daniele 6:10#110080440000110080440000#231380020000-231380020000#340060100000340060100000. Il significato tipico di tutto ciò è esposto da Paolo nell'Epistola agli Ebrei 10:19-22#650100190000-650100220000 , laddove esorta i veri credenti ad accostarsi con fiducia al trono di grazia, mediante la fede nella espiazione ed intercessione di Gesù Cristo, nostro grande sommo sacerdote, il quale sta ora dentro la cortina. Quando il sacerdote usciva dal Luogo Santo, dopo avervi compiuto il suo servigio, era solito benedire il popolo nel nome del Signore, secondo la formola prescritta Numeri 6:2426#040060240000-040060260000, e questo spiega perché stessero aspettando la sua ricomparsa, e perché fossero presi da ansietà quando videro che tardava tant'oltre il consueto ad uscire, temendo fosse morto davanti al Signore, come eran morti Nadab e Abihu Levitico 10:12#030100010000-030100020000.

PASSI PARALLELI

Numeri 6:23-27#040060230000-040060270000

49001022Lc 1:22

22. E, quando egli fu uscito, egli non poteva lor parlare; ed essi riconobbero ch'egli avea veduta una visione nel tempio; ed egli faceva loro cenni,

Ciò avvenne affinché tutta la moltitudine avesse a notare il miracoloso evento. Tutto il suo aspetto e i suoi modi mostravano evidentemente che

Zaccaria avea vista una visione, che, cioè, avea ricevuta una comunicazione speciale da Dio; ed inoltre, egli indicava ad essi il fatto, facendo dei segni,

e rimase mutolo

sordo non meno che mutolo. Vedi Luca 1:62#490010620000490010620000.

PASSI PARALLELI

Giovanni 13:24; Atti 12:17; 19:33; 21:40#500130240000500130240000#510120170000-510120170000#510190330000510190330000#510210400000-510210400000

49001023Lc 1:23

23. Ed avvenne che, quando furon compiuti i giorni del suo ministerio, egli se ne andò a casa sua.

Solo quando fu spirata la settimana del servizio che doveva prestare la muta d'Abia, Zaccaria partì da Gerusalemme e tornossene a casa sua, nella città di Jutta, tra i colli al S.E. di Ebron, sebbene quel che gli era occorso nel tempio e la sua calamità avrebbero potuto fornirgli una scusa plausibile per partire prima. Il suo, dovere era nel tempio; l'esser muto non lo rendeva incapace di prestare il suo servigio, e quindi non era conveniente che abbandonasse il suo posto. È, dovere dei ministri di religione che rimangano al loro posto, predicando la parola, finché non siano del tutto incapaci di prestare l'opera loro, e di servire Iddio nella loro professione. Allora devono ritirarsi. Ma fino a quel tempo, colui che, per lievi cagioni, abbandona il suo posto è colpevole d'infedeltà al suo Signore.

PASSI PARALLELI

2Re 11:5-7; 1Cronache 9:25#120110050000120110070000#130090250000-130090250000

49001024Lc 1:24

24. Or, dopo que' giorni, Elisabetta sua moglie, concepette, e si tenne nascosta cinque mesi, dicendo. 25. Così mi ha pur fatto il Signore, ne' giorni nei quali ha avuto riguardo a togliere il mio vituperio fra gli uomini.

Non c'era nulla di ascetico nel ritirarsi d'Elisabetta dalla società dei vicini, e nel suo rinchiudersi per qualche tempo entro le domestiche pareti. Nella età sua avanzata, può darsi che il suo stato richiedesse riposo, oppure può aver agito in tal modo per non contrarre alcuna impurità cerimoniale, siccome il suo figliuolo doveva essere Nazireo Giudici 13:4-5,12-14#070130040000070130050000#070130120000-070130140000. Può anche darsi che avesse altri motivi per star ritirata; per esempio, per non esporsi ad una vana curiosità, e forse alle beffe degli increduli; come anco per meditare sulla misericordia dell'Eterno verso di lei, e verso il suo popolo. Qualunque fosse il suo motivo, certamente non era l'incredulità. Presso i Giudei, una famiglia di figliuoli era tenuta in conto di una segnalata benedizione e consideravasi come una prova del favore di Dio Deuteronomio 7:14; Salmi 127:3-5; 128:3-4; Isaia 54:3#050070140000-050070140000#231270030000231270050000#231280030000-231280040000#290540030000290540030000, e quindi la sterilità si riteneva un'onta e un obbrobrio Genesi 30:1; 1Samuele 1:6; Isaia 4:1#010300010000010300010000#090010060000-090010060000#290040010000290040010000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:13; Genesi 21:1-2; 25:21; 30:22; 1Samuele 1:19-20; 2:21-22; Ebrei 11:11#490010130000-490010130000#010210010000010210020000#010250210000-010250210000#010300220000-

010300220000#090010190000-090010200000#090020210000090020220000#650110110000-650110110000

Genesi 30:23; 1Samuele 1:6; Isaia 4:1; 54:1-4#010300230000010300230000#090010060000-090010060000#290040010000290040010000#290540010000-290540040000

RIFLESSIONI

1. Noi abbiamo in Zaccaria ed Elisabetta un nobile esempio da imitarsi da tutti i coniugi Cristiani. Essi erano «giusti nel cospetto di Dio, camminando in tutti i comandamenti e leggi del Signore, senza biasimo». Non monta che questa giustizia l'intendiamo esser quella imputata mediante la fede a tutti i credenti per la loro giustificazione, ovvero quell'altra che è operata internamente nei credenti, mediante l'azione dello Spirito Santo, imperocché queste due specie di giustizia non vanno mai disgiunte; niuno è giustificato che non debba esser poi santificato, né santificato che non sia stato giustificato.

2. Coloro che son credenti debbon guardarsi dallo scegliere, a compagni di vita, coloro che sono ancora mondani e non convertiti, se vogliono evitare molta infelicità, e, quel che è più, un vero pericolo spirituale, imperocché «due cammineranno essi insieme, se prima non si son convenuti l'uno con l'altro?» Amos 3:3#370030030000-370030030000. Paolo dice che i credenti sono liberi di maritarsi a cui vogliono, «purché nel Signore» 1Corinzi 7:39#530070390000-530070390000. All'opposto il caso di quelli che si sono convertiti al Signore soltanto dopo il matrimonio, e i cui consorti rimangono ancor mondani nel cuore e nel carattere, sebbene sia una gran prova da sostenere, non è però disperato. Coltivino e dimostrino in ogni occasione uno spirito d'amore, di dovere, di prudenza, e d'indole mite e buona. Sieno vigili per approfittare dei mezzi che offrano probabilità di buoni effetti sui loro consorti, e non si stanchino mai di presentare il loro caso davanti a Dio, nelle segrete loro preghiere. Quanta sarà la loro allegrezza se questi mezzi riescono all'intento! e c'è buona ragione di sperare che riescano. «Che sai tu, moglie, se tu salvarai il marito? ovvero tu,

marito, che sai se tu salverai la moglie!» 1Corinzi 7:16#530070160000530070160000. Grandemente benedetta è davvero la società coniugale quando entrambi i coniugi sono «giusti davanti a Dio».

3. Non è raro udir coloro cui incolsero calamità o prove, domandare, in uno spirito di propria giustizia e di ribellione: «Che cosa ho fatto che Iddio abbia a castigarmi così!» I più santi sulla terra avrebbero bisogno piuttosto di esclamare: «Come è misericordioso Iddio che ci ha trattati così benignamente e non ci ha castigati come meritano i peccati nostri!» Notate bene che la grazia di Dio non esime alcuno dalla tribolazione; la prova adunque che Iddio ci manda, non la reputiamo una cosa strana. Crediamo piuttosto che una mano infinitamente saggia misura tutta la nostra porzione, e che quando Iddio ci castiga, è per farci partecipi della sua Santità Ebrei 12:10#650120100000-650120100000.

4. Zaccaria «fa turbato, e timore cadde sopra lui» alla vista dell'angelo. Come dobbiamo spiegarci questo timore? A tale domanda non c'è che una risposta. Questo timore nasce dal senso interno della nostra debolezza, della nostra colpa e della nostra corruzione. La visione di un abitante del cielo ci ricorda con viva forza la nostra propria imperfezione e la nostra incapacità naturale di star davanti a Dio. Se gli angeli sono così grandi e terribili, qual deve essere il Signore degli angeli? Benediciamo Iddio, che abbiamo un potente «Mediatore tra Dio e l'uomo, l'uomo Cristo Gesù». Credendo in lui, possiamo accostarci a Dio con fidanza, ed aspettare il giorno del giudizio Senza timore. Quando gli angeli potenti saranno mandati a raccogliere insieme gli eletti di Dio, allora gli eletti non avranno cagione di temere nel vederli. Per essi gli angeli sono «conservi ed amici» Apocalisse 22:9#730220090000-730220090000.

5. Non c'è maggior errore del supporre che i bambini, a motivo della loro tenera età, siano incapaci di ricevere l'azione dello Spirito Santo. La maniera in cui esso opera sul cuore di un piccolo fanciullo è senza dubbio misteriosa e incomprensibile. Ma così pure son tutte le sue operazioni sui figli degli uomini. Guardiamoci dal limitare il potere e la compassione di Dio; egli è un Dio pietoso; a lui nulla è impossibile. Ricordiamoci di queste cose a proposito del domma del battesimo dei piccoli fanciulli. È una debole

obiezione il dire che non si dovrebbe battezzare i neonati, perché non possono pentirsi e credere. Se un neonato può esser ripieno dello Spirito Santo, certamente non può essere indegno di venire ammesso nella chiesa visibile. E queste cose ricordiamocele specialmente nella educazione dei fanciulletti. Dobbiamo sempre trattare con loro come con enti responsabili davanti a Dio. Non dobbiamo aspettarci manifestazioni di grazia inopportune alla loro età e disadatte alle loro capacità, ma non dobbiamo mai scordarci che il cuore che non è troppo giovane per peccare, non è nemmeno troppo giovane per esser ripieno della grazia di Dio.

6. I dubbi e le interrogazioni di Zaccaria gli attirarono un grave castigo. Pochi peccati par che provochino ad ira il Signore come il peccato d'incredulità. Nessun altro certamente ha provocato tali severi giudizi sugli uomini. È un negare praticamente la potenza dell'Onnipotente, Iddio il dubitare che ei possa fare una cosa quando ha intrapreso di farla. A un dare a Dio del bugiardo il dubitare ch'egli abbia i mezzi di fare una cosa quando ha promesso chiaramente che sarà fatta. I quarant'anni in cui Israele andò errando nel deserto furono la conseguenza della incredulità, e non dovrebbero esser mai dimenticati da chi professa il Cristianesimo. Le parole di San Paolo sono molto solenni: «Per l'incredulità non vi poterono entrare» Ebrei 3:19#650030190000-650030190000. Vegliamo e preghiamo ogni giorno contro questo peccato che è la rovina dell'anima. Le concessioni fatte ad esso, rubano ai credenti la pace interna, indeboliscono loro le mani nel giorno della battaglia, e sollevano delle nubi sulle loro speranze. Secondo il grado della nostra fede sarà il nostro godimento della salute di Cristo, la nostra pazienza nel giorno della prova, e la nostra vittoria sul mondo.

49001026Lc 1:26

Luca 1:26-56. ANNULLAZIONE A MARIA VERGINE DELLA NASCITA DA ESSA DEL MESSIA. VISITA DI LEI AD ELISABETTA

26. Ed al sesto mese (cioè della gravidanza di Elisabetta), l'angelo Gabriele fu da Dio mandato in una, città di Galilea, detta Nazaret. 27. Ad una vergine, sposata ad un uomo, il cui nome era Giuseppe, detta casa di Davide; ed il nome della vergine era Maria.

Circa sei mesi dopo la sua apparizione a Zaccaria, e dopo che Elisabetta ebbe concepito, Gabriele, (il precursore celeste del Messia, come Giovanni ne fu il precursore terrestre, venne di nuovo mandato da Dio, nella oscura città di Nazaret, nascosta tra i monti della Galilea, con un messaggio ad una vergine, promessa sposa, ad un uomo chiamato Giuseppe, il quale, al pari di lei, dimorava in quel luogo, Vedi l'Esposizione Matteo 1:18Matteo 1:18, per cui Nazaret è chiamata «lor città» Luca 2:39#490020390000490020390000. Era situata nella bassa Galilea ed apparteneva alla tribù di Zabulon. Pare che a motivo della remota situazione, della comparativa loro ignoranza, del loro accento provinciale e d'altre circostanze di natura consimile, gli abitanti della Galilea in generale e di Nazaret in particolare, fossero tenuti in poco conto e alquanto disprezzati da quelli che abitavano più a mezzodì della Giudea. Quindi il detto: «Investiga e vedi che profeta alcuno non sorse mai in Galilea», e «Può egli esservi bene alcuno da Nazaret?» Giovanni 7:52; 1:46#500070520000500070520000#500010460000-500010460000. Tuttavia i profeti Giona e Nahum erano entrambi Galilei.

Le favolose tradizioni della Chiesa Romana abbondano di particolari della storia di Maria; ma all'infuori dell'alto onore che Jehova le conferì, scegliendola ad esser la madre del «santo bambino Gesù», pochissimi sono i passi che a lei si riferiscono nelle Sacre Scritture. È rappresentata generalmente da quella Chiesa come una tenera giovinetta, ma ciò è estremamente improbabile, se si consideri l'età avanzata di sua cugina Elisabetta. Ella si chiamava Miriam, che significa esaltata. È lo stesso nome di quello della sorella di Mosè ed Aronne Esodo 15:20#020150200000020150200000, la cui forma latina è Maria. Sebbene d'umile condizione, era discesa dalla famiglia reale di Davide. Fu sostenuto da alcuni scrittori che il ver. 27 fornisca un esempio del collocamento di parole fuor dell'ordine regolare della costruzione, collocamento niente affatto raro, e che quel versetto dovrebbe tradursi così: «Ad una vergine della casa di Davide,

sposata ad un uomo ecc.» ma non c'è alcun bisogno di tale trasposizione, siccome Giuseppe era senza alcun dubbio discendente della casa di Davide. Vedi la sua genealogia Matteo 1#470010000000-470010000000. Non è detto espressamente in alcun luogo che Maria appartenesse alla casa di Davide, ma ciò risulta implicitamente dal versetto 32, in cui Maria è informata dall'angelo che Iddio darebbe al figliuolo ch'ella avrebbe partorito «il trono di Davide suo padre»; e siccome le fu rivelato al tempo stesso ch'ella non avrebbe questo figlio per conoscenza carnale d'alcun uomo; è evidente che l'esser Maria (non Giuseppe), della casa di Davide è ciò che costituisce Davide padre di Gesù, secondo la carne. Una conferma ulteriore di questo fatto si trova nella tavola geneologica separata Luca 3:23#490030230000-490030230000, che Luca, senza dubbio, poté avere da Maria stessa o dai prossimi di lei congiunti, nella qual tavola è registrata la di lei discendenza dalla casa di Davide; come è registrata quella di Giuseppe nella genealogia presentata da Matteo.

PASSI PARALLELI

Luca 1:24#490010240000-490010240000

Luca 1:19#490010190000-490010190000

Luca 2:4; Matteo 2:23; Giovanni 1:45-46; 7:41#490020040000490020040000#470020230000-470020230000#500010450000500010460000#500070410000-500070410000

Luca 2:4-5; Genesi 3:15; Isaia 7:14; Geremia 31:22; Matteo 1:18,21,23#490020040000-490020050000#010030150000010030150000#290070140000-290070140000#300310220000300310220000#470010180000-470010180000#470010210000470010210000#470010230000-470010230000

49001028Lc 1:28

28. E l'angelo, entrato da lei, disse: Ben ti sia, (cioè Letizia sia a te, Ti auguro ogni felicità) o favorita;

non «piena di grazia» come traduce la Volgata, ma = hesed, misericordia, benevolenza Salmi 5:8#230050080000-230050080000. La Chiesa di Roma pretende d'esser molto indignata per questa traduzione, perché la parola favorita si applica oggidì frequentemente a donne immodeste e di perduta fama. E tuttavia esprime fedelmente il senso della parola greca originale, cioè, una che ha ricevuta da Dio grazia, vale a dire favore accordato gratuitamente a chi nol merita. Non c'è necessità alcuna di contendere per la parola favorita, sempreché riteniamo fermamente il senso "tu a cui, sebbene indegna qual peccatrice, fu largito favore da Dio", ovvero "tu che hai trovato misericordia appo Dio". «Quantunque non si trovi negli scrittori classici, l'analogia di tutti i verbi ci si accerta che esso indica il passaggio dell'azione significata nel sostantivo radicale all'oggetto del verbo, il largire grazia o favore a uno» (Alford). È questo il suo significato nel solo altro passo in cui s'incontra nel Nuovo Testamento, e dove è tradotto «ci ha renduti graziosi a sé, in colui che è l'Amato» Efesini 1:6#560010060000560010060000. La Chiesa Romana però si tiene ferma all'erronea traduzione della Volgata: «piena di grazia», perché con essa tenta di giustificare il culto ch'essa rende a Maria, siccome a sorgente di tutte le grazie di Dio; mentre che, per l'opposto, queste parole, e le parole analoghe del vers. 30, dimostrano che Maria, ancorché piissima, aveva avuto bisogno, essa pure, del perdono e della grazia divina. Non contenta inoltre di esaltarla come esente dal peccato per la pienezza della grazia impartitale (sebbene ciò sia contrario alla Scrittura e alla testimonianza di Maria medesima), la Chiesa Romana ha fatto ultimamente un passo più deciso nella sua Mariolatria, affermando come dogma (ciò che nessun Papa e nessun Concilio si avventurò a fare prima dell'ultima metà del diciannovesimo secolo), l'immacolata concezione della Vergine Maria, cioè ch'ella fu concepita senza la corruzione del peccato, nel seno della madre sua. Noi onoriamo Maria, perché, sebbene partecipasse di una natura peccatrice, di lei nacque, pel consiglio di Dio, quel santo bambino senza peccato «che chiamossi Figliuol di Dio». Ma se Maria nacque immacolata da una madre peccatrice e per via di generazione ordinaria, logicamente parlando l'onore dovrebbe essere trasferito dalla vergine alla madre sua, poiché nel parto di

essa fu operato il gran miracolo; «di trarre una cosa monda da una immonda» Giobbe 14:4#220140040000-220140040000. Col non lasciare il miracolo laddove Iddio lo fece, la Chiesa di Roma si va ad imbarazzare in difficoltà ed incoerenze senza numero. Tutta quanta la storia di Anna, che si dice essere stata la madre di Maria, è una favola, e il dogma fondato su di essa, imprime su quella Chiesa il marchio della più nera idolatria.

il Signore sia teco; benedetta sii tu fra le donne.

Tiechendorf, Tregelles, Alford e Meyer o escludono quest'ultima clausola dal testo, o la segnano come dubbia; ma Lachmann la ritiene, e l'autorità in suo favore è immensamente preponderante. Come madre di nostro Signore, nella sua natura umana, ella era in fatto di distinzione esteriore, la più «benedetta tra le donne», e tale onore ognuno che sappia quel che dice la sua Bibbia, le renderà ben volentieri. Ma la risposta fatta da nostro Signore alla donna che disse ciò una volta a lui stesso Luca 11:2728#490110270000-490110280000, basta ad insegnarci che la benedizione promessa a Maria come madre del Signore, non si ha da confondere col di lei carattere personale, per quanto alto certamente sì fosse. Oltreché, in altri passi della Scrittura, nostro Signore stesso afferma, nel modo più esplicito, che chiunque crede in lui ha più alto onore e beatitudine che non potessero conferire i vincoli più stretti della mera consanguineità terrena, tra i quali vincoli è fatta espressa menzione di quelli di «madre e fratelli» Matteo 12:48-50; Marco 3:32-35; Luca 8:21#470120480000470120500000#480030320000-480030350000#490080210000490080210000.

PASSI PARALLELI

Daniele 9:21-23; 10:19#340090210000-340090230000#340100190000340100190000

Luca 1:30; Osea 14:2; Efesini 1:6#490010300000490010300000#350140020000-350140020000#560010060000560010060000

Giudici 6:12; Isaia 43:5; Geremia 1:18-19; Atti 18:10#070060120000070060120000#290430050000-290430050000#300010180000300010190000#510180100000-510180100000

Luca 1:42; 11:27-28; Giudici 5:24; Proverbi 31:29-31; Matteo 12:48#490010420000-490010420000#490110270000490110280000#070050240000-070050240000#240310290000240310310000#470120480000-470120480000

49001029Lc 1:29

29. Ed ella, avendolo veduto, fu turbata delle sue parole; e discorreva in sé stessa qual fosse questo saluto

In un mortale peccatore, tale paura, occasionata dalla apparizione di un angelo, si riscontra in quasi ogni caso in cui sono ricordato cotali visite nel Vecchio Testamento e questo turbamento stesso che Maria ne provò, ed il bisogno che ebbe l'angelo di rassicurarla, dimostrano abbastanza che essa non fosse d'altra natura che la nostra; imperciocché come puossi immaginare che una creatura perfettamente Santa avesse mai paura della parola e del messaggere del suo Dio?

PASSI PARALLELI

Luca 1:12; Marco 6:49-50; 16:5-6; Atti 10:4#490010120000490010120000#480060490000-480060500000#480160050000480160060000#510100040000-510100040000

Luca 1:66; 2:19,51#490010660000-490010660000#490020190000490020190000#490020510000-490020510000

Giudici 6:13-15; 1Samuele 9:20-21; Atti 10:4,17#070060130000070060150000#090090200000-090090210000#510100040000510100040000#510100170000-510100170000

49001030Lc 1:30

30. E l'angelo le disse: Non temere, Maria; perciocché tu hai trovata grazia appo Iddio.

Queste parole «Tu hai trovata grazia», ci fanno vedere che Maria, in quanto che era figlia d'Eva, aveva bisogno della grazia e della misericordia di Dio, e che ben lungi dall'esser stata concepita senza macchia, Maria era contaminata dal peccato, come qualsiasi altra creatura. L'angelo non le avrebbe detto: «Tu hai trovata grazia», vale a dire perdono, salvezza, se essa non fosse nata nel peccato, che la grazia sola può cancellare. Gli è d'altronde quello che Maria stessa non cessa di ripetere Luca 1:47-48#490010470000490010480000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:13; 12:32; Isaia 41:10,14; 43:1-4; 44:2; Matteo 28:5; Atti 18:9-10; 27:24#490010130000-490010130000#490120320000490120320000#290410100000-290410100000#290410140000290410140000#290430010000-290430040000#290440020000290440020000#470280050000-470280050000#510180090000510180100000#510270240000-510270240000

Romani 8:31; Ebrei 13:6#520080310000-520080310000#650130060000650130060000

49001031Lc 1:31

31. Ed ecco, tu concepirai nel ventre, e partorirai un figliuolo, e gli porrai nome GESÙ.

Jesous è la forma greca del nome Giosuè posto a colui che succedette a Mosè, qual condottiero d'Israele, e che fu tipo del Messia, Vedi Ebrei 4:8#650040080000-650040080000. Fu portato anche da Giosuè sommo sacerdote, che fu compagno di Zorobabel nel ritorno da Babilonia Zaccaria

3:1#450030010000-450030010000. Essi furono salvatori temporali e tipi di Cristo, ma questi fu l'antitipo, il liberatore spirituale, enfaticamente il Salvatore. Onde prevenire qualunque possibile errore, quel nome venne annunziato due volte: prima a Maria Luca 1:31#490010310000490010310000, e poscia a Giuseppe Matteo 1:21#470010210000470010210000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:27; Isaia 7:14; Matteo 1:23; Galati 4:4#490010270000490010270000#290070140000-290070140000#470010230000470010230000#550040040000-550040040000

Luca 1:13; 2:21; Matteo 1:21,25#490010130000490010130000#490020210000-490020210000#470010210000470010210000#470010250000-470010250000

49001032Lc 1:32

32. Esso sarà grande,

Grande in potenza ed autorità, in gloria e fama, in uffizio e amministrazione, non però in un senso mondano. Grande nella sua persona, come Dio divenuto uomo; nel suo uffizio profetico «potente in parole e in operazioni», nella dottrina e nei miracoli; e nel suo sacerdozio, stabilendo sopra il merito di esso un'intercessione costante, sempre prevalente ed universale. Il titolo grande è applicato anche al precursore del Messia, ma con questa qualificazione: «nel cospetto di Dio», per distinguere tra il servitore e il Figliuolo.

e sarà chiamato Figliuol dell'Altissimo;

La parola ebraica sommo, altissimo, è continuamente applicata a Jehova nel Vecchio Testamento, Vedi Genesi 14:8; Salmi 91:1#010140080000010140080000#230910010000-230910010000, e quindi l'angelo,

nell'applicarla al fanciullo che sarebbe nato da Maria, proclama l'eterna sua Divinità. Figliuolo di Maria è un titolo che la Bibbia non gli dà mai, ma gli è dato invece del continuo quello di Figliuolo di Dio. Egli era il Figliuol di Dio in una maniera peculiare ad esso, per riguardo, prima di tutto, alla sua processione eterna dal Padre; poi per riguardo alla miracolosa sua concezione, e finalmente fu dichiarato essere il Figliuol di Dio con potenza, dalla sua risurrezione dai morti Romani 1:4#520010040000-520010040000. E siccome egli era veramente il Figliuol di Dio, così fu riconosciuto e chiamato da Dio Suo Padre Luca 3:22; Salmi 2:7#490030220000490030220000#230020070000-230020070000 - da Pietro Matteo 16:16#470160160000-470160160000; dall'indemoniato Marco 5:7#480050070000-480050070000; dai testimoni che stavano presso la sua croce Matteo 27:54#470270540000-470270540000; e da Paolo Ebrei 1:812#650010080000-650010120000; il quale, scrivendo sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, applica a Gesù come al Figliuol di Dio, le parole del Salmi 45:8; 102:26-28; 90:l#230450080000230450080000#231020260000-231020280000#230900010000230900010000. Ed anche l'essere «Figliuolo di Dio» non gli impediva punto di essere, pure al tempo stesso «Figliuol dell'uomo»; imperocché quantunque fosse il Figliuolo eterno di Dio, egli divenne uomo coll'assumere un vero corpo ed un'anima ragionevole, ed egli continua ad essere Dio e uomo, in due nature distinte, ed una persona, per sempre.

e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre.

Fu già notato che la sua discendenza da Davide, sebbene legalmente stabilita mediante la genealogia di Giuseppe, marito di Maria, ora derivata realmente e naturalmente da Maria, e quindi non c'era alcuna finzione nel titolo «figliuol di Davide» che gli era dato di frequente, siccome al Messia. In quanto alla promessa fatta da Dio a Davide intorno alla perpetuità del suo trono, vedi 2Samuele 7:12-13; Salmi 89:28-36#100070120000100070130000#230890280000-230890360000. Ora Gesù il Figliuolo di Davide è qui dichiarato esser suo successore sul suo trono, non certamente alla lettera, né in un senso mondano (benché il regno temporale d'Israele appartenesse a Gesù per diritto ereditario), poiché Cristo ha detto «il mio regno non è di questo mondo», ma in un senso spirituale o religioso. Cristo

fu promesso ad Abraham come il seme, a Mosè come il profeta, a Davide come il re.

PASSI PARALLELI

Luca 1:15; 3:16; Matteo 3:11; 12:42; Filippesi 2:9-11#490010150000490010150000#490030160000-490030160000#470030110000470030110000#470120420000-470120420000#570020090000570020110000

Luca 1:35; Marco 5:7; 14:61; Giovanni 6:69; Atti 16:17; Romani 1:4; Ebrei 1:2-8#490010350000-490010350000#480050070000480050070000#480140610000-480140610000#500060690000500060690000#510160170000-510160170000#520010040000520010040000#650010020000-650010080000

2Samuele 7:11-13; Salmi 132:11; Isaia 9:6-7; 16:5; Geremia 23:5-6; 33:1517#100070110000-100070130000#231320110000231320110000#290090060000-290090070000#290160050000290160050000#300230050000-300230060000#300330150000300330170000

Ezechiele 17:22-24; 34:23-24; 37:24-25; Amos 9:11-12; Matteo 28:18; Giovanni 3:35-36#330170220000-330170240000#330340230000330340240000#330370240000-330370250000#370090110000370090120000#470280180000-470280180000#500030350000500030360000

Giovanni 5:21-29; 12:34; Atti 2:30,36; Efesini 1:20-23; Apocalisse 3:7#500050210000-500050290000#500120340000500120340000#510020300000-510020300000#510020360000510020360000#560010200000-560010230000#730030070000730030070000

49001033Lc 1:33

33. Ed egli regnerà sopra la casa di Giacobbe, in eterno; ed il suo regno non avrà mai fine.

Questa dichiarazione, nel suo senso letterale, è favorevole alla conversione dei Giudei alla fede e all'ubbidienza di Gesù Cristo; ma le parole: «casa di Giacobbe» non sono ristrette ad essi, anzi sono equivalenti alla Chiesa di Dio, ed includono tutti i suoi adoratori visibili, i quali son venuti da tutte le estremità della terra per unirsi al Signore; cosicché il senso del versetto è, che Gesù regnerà sulla sua Chiesa e sul suo popolo in sempiterno. E questo lo fa in terra, col dar loro leggi, col difenderli dai loro nemici, col guidarli mediante il suo Spirito, e questo farà per sempre nel regno della sua gloria. In quanto all'estensione del suo regno, è vero che non vien fatto menzione qui che della «casa di Giacobbe», (seppur si vuol limitare queste parole alla sola nazione d'Israele), ma altrove è scritto che «Jafet abiterà nei tabernacoli di Sem» Genesi 9:27#010090270000-010090270000. Non è però l'universale estensione, ma la perpetuità di questo regno spirituale che è qui predetta. Egli regnerà tra il suo popolo sulla terra, fino alla consumazione del tempo, e sarà il loro Apocalisse in cielo, per tutti i secoli in eterno. Il suo è l'unico regno che non avrà mai fine Salmi 72:5,17; Isaia 9:67#230720050000-230720050000#230720170000230720170000#290090060000-290090070000.

PASSI PARALLELI

Salmi 45:6; 89:35-37; Daniele 2:44; 7:13-14,27; Abdia 21; Michea 4:7; 1Corinzi 15:24-25#230450060000-230450060000#230890350000230890370000#340020440000-340020440000#340070130000340070140000#340070270000-340070270000#380010210000380010210000#400040070000-400040070000#530150240000530150250000

Ebrei 1:8; Apocalisse 11:15; 20:4-6; 22:3-5#650010080000650010080000#730110150000-730110150000#730200040000730200060000#730220030000-730220050000

Romani 9:6; Galati 3:29; 6:16; Filippesi 3:3#520090060000520090060000#550030290000-550030290000#550060160000550060160000#570030030000-570030030000

49001034Lc 1:34

34. E Maria disse all'angelo: Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?

Qui è espresso stupore, ma non incredulità. Questa domanda differisce in modo importantissimo da quella fatta da Zaccaria. Non procede da incredulità, né chiede un segno; è semplicemente un'inchiesta intorno al modo in cui poteva aver luogo una cosa così maravigliosa. Tiene per fermo che la cosa avverrà, e solo domanda come avverrà, per norma della propria condotta. Invece quindi di meritare una riprensione, la sua domanda ottiene una risposta che entra in misteriosi particolari.

PASSI PARALLELI

Giudici 13:8-12; Atti 9:6#070130080000-070130120000#510090060000510090060000

49001035Lc 1:35

35. E l'angelo, rispondendo le disse: Lo Spirito Santo verrà sopra te, e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà;

La forza o il potere, anziché la virtù si denota nel significato di Lo Spirito Santo, per la cui operazione dovea esser creato, nel seno della Vergine Maria, il corpo che Dio preparò pel suo Figliuolo, qual Mediatore Ebrei 10:5#650100050000-650100050000, è quel Creatore Spirito di Dio, di cui è detto Genesi 1:2#010010020000-010010020000, che nel far emergere l'ordine dal caos, «egli muoveva sopra la faccia delle acque». I due titoli: «Spirito Santo», e «potere dell'Altissimo», denotano un'unica e medesima

persona divina; ma la prima significa santità, la seconda, la forza maravigliosa d'azione. La loro luce reciproca c'insegna che lo Spirito Santo ha veramente un potere produttivo di vita, ma non giustifica in veruna guisa la illazione che esso sia potenza soltanto senza personalità. Alcuni critici riguardano le parole: «verrà» e «adombrerà», come di significato sostanzialmente identico. Altri sostengono che ci indicano due atti, cioè, la preparazione del corpo, ossia la produzione miracolosa di un essere umano, e il congiungimento a quello della natura divina in unione personale, cosicché il Cristo potesse essere «Emmanuele» (Iddio con noi); e che qui è fatto allusione ad entrambi questi atti. La produzione del corpo è attribuita uniformemente allo Spirito Santo; ma questa commentatori sostengono che l'impersonarsi della Parola divina con la natura umana così creata, poteva essere soltanto l'atto personale di quella PAROLA medesima, in unione col Padre e collo Spirito Santo. È questo un mistero, la cui scoperta oltrepassa di gran lunga la penetrazione della ragione umana, e sarebbe quindi più saggio partito e più riverente, contentarci in questo caso, di quello che piacque a Dio di rivelarci. «Nient'altro è qui attribuito allo Spirito, all'infuori di quello che era necessario affinché nella Vergine si compiesse quanto s'appartiene ad una madre» (Pearson sul Credo). Per noi basta ricordarci che il Figliuol di Dio, ond'esser nostro Redentore, doveva essere vero uomo e tuttavia non partecipe del peccato e della condanna di Adamo. Ora queste due condizioni trovansi in nostro Signore soddisfatte, nella maniera colla quale l'umanità sua fu formata. Fu la potenza dello Spirito Santo che lo trasse dalla sostanza stessa di Maria; ei fu adunque, al pari di noi, figlio d'Adamo, per Maria. Creato poi da Dio, come il primo Adamo, egli compare nel mondo, senza portar seco la macchia del peccato.

per tanto ancora ciò che nascerà da te Santo,

(la santa progenie). Le parole da te, mancano nei migliori manoscritti. I Greci parlando di figli non nati ancora, usavano come qui, il genere neutro.

sarà chiamato Figliuol di Dio.

Sull'ultima parte di questo versetto Diodati osserva: «Questa sovrannaturale concezione e santificazione dell'umanità di Cristo farà che il glorioso nome

di Figliuolo di Dio, che conviene alla sua Deità, ab eterno, essenzialmente, convenga ancora alla sua natura umana, in somiglianza di perfetta sapienza, giustizia, santità ed altre virtù e perfezioni, per le quali le creature sono chiamate figliuoli di Dio; per modo però che Cristo è il primogenito». Un tal titolo lo contraddistingue come una persona divina. I Sociniani, gli Ariani ed altri eretici che negano la Deità del Signore Gesù Cristo, ricorsero, ciò nondimeno, ad ogni maniera di sotterfugi per evadere la verità così chiaramente stabilita; asserendo, tra le altre come, che «Figliuol di Dio» non è un titolo personale, ma semplicemente uffiziale, il quale appartiene a Cristo nella sua qualità di Mediatore; ovvero, riproducendo un'antica eresia, che cioè gli è dato soltanto a motivo della sua miracolosa concezione, per la potenza dello Spirito, nel grembo della Vergine. La risposta alla prima di queste obiezioni si trova in Salmi 2:7#230020070000-230020070000, dove Jehova applica il titolo «mio Figliuolo», generato per generazione eterna (poiché la parola oggi, in quel passo indica l'atto di Dio, appo cui non vi è né ieri né domani), a quel medesimo Gesù che nacque a suo tempo da Maria; - nell'applicazione che di quel passo è fatta da Paolo a Gesù per provare la sua Deità eterna Ebrei 1:5; 5:5#650010050000650010050000#650050050000-650050050000, e dai suoi apostoli in Gerusalemme ed in Antiochia per provare il suo carattere uffiziale di Messia Atti 4:25-27; 13:33#510040250000-510040270000#510130330000510130330000; e finalmente nella credenza di coloro che cercarono di lapidarlo «perché chiamava Iddio suo Padre», i quali evidentemente intendevano che il titolo Figliuol di Dio indicasse la di lui propria, eterna, divina relazione figliale inverso Jehova Giovanni 10:31#500100310000500100310000. Contro la seconda obiezione basti il dire che se essa fosse giusta, nello stesso senso in cui Gesù è chiamato il Figliuolo, la terza persona della Trinità, cioè lo Spirito Santo, dovrebbe essere chiamato il Padre. Ma siccome quest'ultimo titolo non è mai dato allo Spirito Santo, ne segue che Gesù non è mai chiamato il Figliuolo, a causa della sua relazione, come un essere umano, col Produttore divino della sua umanità. Osserviamo poi che le Scritture non ci somministrano prova alcuna a sostegno di tale asserzione. In tutto il resto della storia personale di Cristo, non si trova una sola allusione alla produzione divina della sua natura umana, e nella maggior parte dei casi in cui egli è chiamato «Figliuol di Dio», è impossibile intendere quel nome in tal senso, per non dir nulla del fatto che

non sarebbe stata intesa dal popolo, poiché la sua concezione miracolosa era nota invero a pochissimi, prima della sua risurrezione.

PASSI PARALLELI

Luca 1:27,31; Matteo 1:20#490010270000-490010270000#490010310000490010310000#470010200000-470010200000

Giobbe 14:4; 15:16; 25:4; Salmi 51:5; Efesini 2:3; Ebrei 4:15; 7:2628#220140040000-220140040000#220150160000220150160000#220250040000-220250040000#230510050000230510050000#560020030000-560020030000#650040150000650040150000#650070260000-650070280000

Luca 1:32; Salmi 2:7; Matteo 14:33; 26:63-64; 27:54; Marco 1:1; Giovanni 1:34,49; 20:31#490010320000-490010320000#230020070000230020070000#470140330000-470140330000#470260630000470260640000#470270540000-470270540000#480010010000480010010000#500010340000-500010340000#500010490000500010490000#500200310000-500200310000

Atti 8:37; Romani 1:4; Galati 2:20#510080370000510080370000#520010040000-520010040000#550020200000550020200000

49001036Lc 1:36

36. Ed ecco, Elisabetta, tua cugina, ha eziandio conceputo un figliuolo nella sua vecchiezza; e questo è il sesto mese a lei ch'era chiamata, sterile.

Qual fosse precisamente la parentela, indicata, non si può determinare con precisione, imperocché quella parola non si trova in alcun altro luogo delle Scritture sebbene Elisabetta fosse della tribù di Levi, e Maria della tribù di Giuda, ciò non forma ostacolo alla loro parentela, poiché era permesso il

matrimonio tra i membri di tribù diverse. Aronne stesso sposò una donna della tribù di Giuda Esodo 6:23; Rut 4:19-20; 1Cronache 2:10#020060230000-020060230000#080040190000080040200000#130020100000-130020100000. Giovanni e Gesù eran dunque parenti anch'essi. Benché la gravidanza di Elisabetta non fosse ancora conosciuta fuori della di lei famiglia, qui troviamo sia la durata di essa gravidanza, che il sesso della prole, comunicati dall'angelo a Maria. Questo fu per lei un Segno volontariamente concessole da Dio per ricompensare insieme e rinforzare la sua fede; e presenta un contrasto marcato colla risposta fatta alla domanda di Zaccaria.

PASSI PARALLELI

Luca 1:24-26#490010240000-490010260000

49001037Lc 1:37

37. Conciossiaché nulla sia impossibile appo Dio.

La dichiarazione fatta dall'angelo intorno all'onnipotenza di Jehova nel compiere i suoi consigli è identica in sostanza a quella enunciata dal Signor Gesù medesimo ad Abramo in una consimile occasione, quando dichiarò che Sara concepirebbe e partorirebbe un figliuolo Genesi 18:14#010180140000-010180140000, e probabilmente mirava a richiamare alla memoria di Maria quell'evento maraviglioso.

PASSI PARALLELI

Luca 18:27; Genesi 18:14; Numeri 11:23; Giobbe 13:2; Geremia 32:17,27; Zaccaria 8:6; Matteo 19:26#490180270000-490180270000#010180140000010180140000#040110230000-040110230000#220130020000220130020000#300320170000-300320170000#300320270000300320270000#450080060000-450080060000#470190260000470190260000

Marco 10:27; Filippesi 3:21#480100270000480100270000#570030210000-570030210000

49001038Lc 1:38

38. E Maria disse: Ecco la serva del Signore; siami fatto secondo le tue parole. E l'angelo si partì da lei.

Con l'umiltà d'una semplice fanciulla, Maria si sottomette a Dio, e acconsente alla destinazione assegnatale per l'adempimento del consiglio divino. La nascita del Salvatore divenne così il suo atto di fede - «fede maravigliosa», dice il prof. Brown, «in un atto contrario alle leggi della natura, e tale che ad una fidanzata (la quale era già la sposa d'uno della stirpe reale), ben dovea ispirare sentimenti, nel più alto grado, penosi e imbarazzanti! Degno vaso per tanto tesoro!»

PASSI PARALLELI

2Samuele 7:25-29; Salmi 116:16; Romani 4:20-21#100070250000100070290000#231160160000-231160160000#520040200000520040210000

Salmi 119:38#231190380000-231190380000

RIFLESSIONI

1. Ripassando i versetti di Luca 1:36-38#490010360000-490010380000, è da notarsi che, per incoraggiar la fede di Maria nella potenza di Dio, come capace di fare tutto quello che avea promesso, Gabriele la informa dell'evento, quasi del pari miracoloso e sorprendente, che era accaduto alla di lei cognata Elisabetta, nello aver essa conceputo un figlio dopo che avean cessato di operare in lei le potenze della natura. Come se avesse detto: Ecco una prova segnalata che nulla è impossibile appo Dio, perciò sia forte la tua fede. E la risposta di essa dimostra che Dio avvalorò la fede della sua

ancella, imperocché non ci fu più né alcun lamento né altra dimanda, ma così piena sottomissione al volere divino, che ben a ragione, Maria può essere additata come modello ai credenti d'ogni secolo.

2. In tutte le nostre riflessioni sul gran mistero della incarnazione di Cristo, faremo bene a seguire l'esempio dell'angelo. Riguardiamola sempre con santa riverenza, ed asteniamoci da quelle disdicevoli e vane speculazioni intorno ad essa, alle quali alcuni purtroppo si abbandonarono. Ci basti sapere che «la Parola è stata fatta carne» e che quando il Figliuol di Dio venne al mondo, un vero «corpo gli fu apparecchiato», cosicché egli «partecipò alla carne e al sangue nostro» e «fu fatto di donna» Giovanni 1:14; Ebrei 2:14; 10:5; Galati 4:4#500010140000500010140000#650020140000-650020140000#650100050000650100050000#550040040000-550040040000. E qui dobbiamo arrestarci. Il modo in cui fu effettuato questo mistero ci è, per saggio consiglio, nascosto. Se noi tentiamo d'indagare curiosamente al di là di questo punto, non faremo altro che oscurare l'intendimento con parole senza conoscenza, e avventarci «laddove gli angeli temono posare il piede». In una religione veramente rivelata dal cielo, ci devono essere necessariamente dei misteri, ed uno di tali misteri è l'incarnazione del nostro Signore.

3. L'onore che qui è reso allo Spirito Santo è in precisa armonia con gl'insegnamenti della Scrittura in altri luoghi. In ogni passo della grand'opera della redenzione dell'uomo, troveremo fatta speciale menzione dell'opera sua. Gesù è egli morto per espiare i nostri peccati! Sta scritto «che per lo Spirito eterno egli ha offerto sé stesso puro d'ogni colpa a Dio» Ebrei 9:14#650090140000-650090140000. È egli risorto per la nostra giustificazione? Sta scritto che fu «vivificato per lo Spirito» 1Pietro 3:18#670030180000-670030180000. Porge egli consolazione a' suoi discepoli nell'intervallo tra la sua prima venuta e la seconda? Sta scritto che il Consolatore ch'ei promise di mandare è «lo Spirito di verità» Giovanni 14:17#500140170000-500140170000. Badiamo adunque di dare allo Spirito Santo, nella nostra religione personale, quel posto medesimo che lo troviamo occupare nella parola di Dio. Ricordiamoci che tutto quanto hanno e sono e godono i credenti sotto la dispensazione del vangelo, lo debbono all'insegnamento interiore dello Spirito Santo. L'opera di ciascuna delle tre

persone della Trinità è egualmente ed interamente necessaria alla salute d'ogni anima che è salvata. La elezione di Dio Padre, il sangue di Dio Figliuolo, e la santificazione di Dio Spirito non dovrebbero andar mai disgiunti nel nostro cristianesimo».

4. Nella risposta della Vergine all'angelo c'è grazia ammirabile, assai più che a prima vista non sembri. Un momento di riflessione ci mostrerà che non era cosa lieve diventar madre di nostro Signore in questo modo inaudito e misterioso. Recava con sé senza dubbio onore grande nel remoto avvenire; ma in quanto al presente recava con sè non piccolo pericolo per la riputazione di Maria, e non piccola prova per la sua fede. Tutto questo pericolo e tutta questa prova la Vergine santa l'accetta volonterosa e pronta. Ella non fa altro domande, non muove altre obiezioni; ma accetta l'onore conferitole con tutti i pericoli e i disturbi che l'accompagnano. «Ecco», ella dice, «la serva del Signore».

5. In quante circostanze gli uomini non dispererebbero essi affatto se non fosse per quelle parole incoraggiantissime: «Nulla sia impossibile appo Dio?» Quando vediamo taluni così avvinti nei loro peccati, così avvezzi a quanto è malvagio, così avversi a quanto è santo, così ostinati sprezzatori di tutti i mezzi che s'impiegano pel loro bene, staremmo per dire che la loro conversione, umanamente parlando, è impossibile; e così cadremmo in peccato col desistere da ogni sforzo pel loro bene, se non ricordassimo quante cose grandi ha fatte nel passato il Signore Onnipotente, so non sapessimo che egli è tuttora potente a fare ogni cosa. Quando pensiamo all'inganno delle ricchezze, ai lacci insidiosi delle posizioni elevate, e vediamo alcuni ingannati e illaqueati in esse; quando oltre a questo ci ricordiamo il proverbio citato da Cristo: «è più agevole che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio», saremmo quasi tentati di rinunziare ad ogni speranza della loro conversione, se Gesù Cristo non avesse aggiunto al proverbio le consolanti parole: «Questo è impossibile appo gli uomini; ma appo Iddio ogni cosa è possibile». Può darsi talvolta che ad alcuni fra i credenti sembri di trovarsi in distrette e difficoltà e pericoli da cui non c'è scampo alcuno, ma ciò è un disonorare la provvidenza e il potere di Dio. «forse la mano del Signore raccorciata?» disse il Signore a Mosè, quando ei dubitava se una così vasta moltitudine

potesse essere sfamata nel deserto, «ora vedrai se la mia parola ti avverrà o no» Numeri 11:23#040110230000-040110230000. Non cedano allo sgomento i contriti e non pensino di non potere esser salvati, che i loro peccati sono troppo enormi per ottenere perdono, ovvero che sarà certamente impossibile ad essi di resistere alle malvagie tentazioni. La loro rovina sarebbe, è vero, inevitabile, se non avessero da confidare che in sé medesimi; ma, ecco «la mano del Signore non si è raccorciata sicché non possa salvare, né il suo orecchio si è fatto duro sicché non possa udire». Gesù Cristo è potente da salvare appieno chiunque va a Dio per mezzo di lui.

49001039Lc 1:39

Luca 1:39-56. VISITA DI MARIA AD ELISABETTA

39. Or in que' giorni, Maria si levò, ed andò in fretta nella contrada delle montagne, nella città di Giuda;

Sappiamo da Giovanni 19:27#500190270000-500190270000, che Maria aveva una sorella, ma all'infuori di questo fatto e della sua genealogia Luca 3#490030000000-490030000000, non sappiamo assolutamente nulla della parentela della Vergine. Dunque è inutile di entrare nel campo delle congetture intorno al numero grande o piccolo dei suoi congiunti, come han fatto taluni. Un motivo sufficiente di questa visita è da rinvenirsi nell'angelico annunzio delle meravigliose e benigne dispensazioni di Dio verso di entrambe, e nel convincimento che mediante la conversazione personale si confermerebbero a vicenda nella fede. Il viaggio ch'ella intraprese non potea certamente richieder meno di quattro giorni da Nazaret alla «contrada delle montagne della Giudea», che era la porzione meridionale dei possedimenti della tribù di Giuda. La divisione del territorio di questa tribù in «monte», «pianura», e «valle», che incontriamo nel Vecchio Testamento Numeri 13:30#040130300000-040130300000, era conservata ancora dopo l'estensione del suo territorio e il cangiamento del suo nome in quello di Giudea. Una catena di montagne corre attraverso tutto

il paese di Palestina dal Carmel fino nel deserto d'Arabia, ove si distende in assai maggiore ampiezza. Questa linea di alture, nel suo passaggio per il territorio di Giuda, era chiamata «il monte» o «la contrada delle montagne» Giosuè 20:7; 21:11#060010010000-060010010000#060210110000060210110000. La «pianura» era il basso paese verso la costa del Mediterraneo, e pare racchiudesse non solo il piano situato tra quel mare e «la contrada delle montagne», ma le parti più basse della regione montuosa medesima. La «valle», si estende da Engedi a Gerico, secondo la definizione dei Rabbini, dalla quale, non meno che da altre indicazioni, sembra che comprendesse quelle parti del Ghor (la gran pianura del Giordano), che eran situate entro il territorio della Giudea. È assai probabile che includesse pure tutto il littorale occidentale del Mare Morto. La città in cui dimoravano Zaccaria ed Elisabetta, nel testo è, chiamata Giuda. Nella Scrittura non trovasi alcuna città che porti un tal nome. Siccome in ogni tribù c'erano città assegnate ai sacerdoti e ai leviti, Zaccaria dovea naturalmente abitare in una di queste, e così fu generalmente ritenuto probabile che la loro dimora fosse in Hebron. Ciò tuttavia è un errore. A 10 miglia circa da Hebron ai confini del deserto, c'è ora un villaggio Arabo chiamato Iutta che occupa il sito d'un'antica città giudaica. L'identità di quel villaggio con Iutta, una delle città sacerdotali, menzionata in Giosuè 15:55; 21:16#060010010000060010010000#060210160000-060210160000, che sin dai giorni di Girolamo era stata perduta di vista, fu posta in sodo da Robinson il viaggiatore Americano, circa 40; Anni fa; mentre l'identità tra la città sacerdotale e «la città di Giuda», qui nominata qual domicilio di Zaccaria, venne additata per la prima volta da Reland nella sua Palestina, pubblicata verso il principio del 18esimo secolo. La differenza nella pronuncia sorta, nel corso degli anni, dal noto scambio delle due labiali (t), (d), comune tra i Giudei, spiega sufficientemente la differenza nel testo greco di Luca che non era Giudeo di nascita. Bengel suppone che il concepimento del Bambino nel seno della Vergine, per la potenza dello Spirito Santo, non avesse luogo a Nazaret, ma a Iutta, nel momento in cui ella ricevette il saluto di Elisabetta, e ne assegna per ragione questa, che altrimenti Gesù sarebbe Stato chiamato Nazareno per conto proprio, invece di esserlo semplicemente per ciò che ivi risiedevano i suoi genitori Luca 4:16#490040160000-490040160000; ma il fatto che Elisabetta, quando Maria varcò la soglia della sua casa, «benediceva il frutto del suo ventre», e la salutava come «la madre del mio

Signore», sembra decider la quistione incontrovertibilmente in favore di Nazaret. Hug, Ebrard, Alford, ed altri opinano che i fatti ricordati in Matteo 1:18-25#470010180000-470010250000, cioè la scoperta di Giuseppe che Maria era incinta; il messaggio recatogli da un angelo in sogno; e la pubblica celebrazione delle loro nozze, tutti avvenissero nell'intervallo tra l'annunciazione di Gabriele e la di lei partenza da Nazaret per visitare la sua parente. Ma questo sembra nel più alto grado improbabile (se pur non si supponga che Maria abbia ella stessa informato Giuseppe di quel che l'angelo le avea dichiarato, nel qual caso il messaggio da questo ricevuto in sogno sarebbe stato del tutto superfluo), imperocché la «gravidanza» di Elisabetta era già al 6sto mese prima che l'angelo apparisse a Maria, e questa, dopo una visita di tre mesi nella contrada delle montagne, ritornò a Nazaret, prima che fosse nato il fanciullino Giovanni; cosicché la di lei partenza da Nazaret bisogna necessariamente che avvenisse entro pochissimi giorni dalla visita dell'angelo. Ma che Maria comunicasse a Giuseppe la sostanza del messaggio dell'angelo è ancor più improbabile, imperocché non era decevole a lei di fare un simile annunzio, ma semplicemente di aspettare insino a che Colui, che l'avea destinata al più alto onore che fosse mai conferito ad una donna, chiarisse pure, in tempo opportuno, la di lei innocenza agli occhi del di lei fidanzato e del mondo. «Maria lascia semplicemente a Dio d'illuminar Giuseppe come l'aveva illuminata lei. Né già si mette in viaggio per visitare Elisabetta onde consultarsi con lei, od evitare suo marito, ma sì per cercare quella conferma della sua fede che le era stata additata dall'angelo» (Oosterzee). Si fu soltanto dopo che fu ritornata a Nazaret, già notevolmente avanti nella gravidanza, che ebbero luogo i fatti ricordati da Matteo. Secondo le costumanze giudaiche, era disdicevole per le nubili o fidanzate il viaggiar sole; ma Maria, secondo ogni probabilità, avea ricevuto il consenso di Giuseppe, e non c'è nulla nel racconto che vieti il supporre ch'ella avesse una scorta, sicura e conveniente.

PASSI PARALLELI

Giosuè 10:40; 15:48-59; 21:9-11#060010010000060010010000#060150480000-060150590000#060210090000-

060210110000

49001040Lc 1:40

40. Ed entrò in casa di Zaccaria, e salutò Elisabetta.

La natura del saluto di Elisabetta rese evidente che ella conoscea lo stato della cugina, sebbene non ci fosse stata tra esse comunicazione alcuna, e senza dubbio fu pieno d'affettuoso rallegramento.

49001041Lc 1:41

41. Ed avvenne che, come Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il fanciullino le saltò nel ventre; Ed Elisabetta fu ripiena dello Spirito Santo.

Le sacre emozioni dell'animo sentito dalla madre son condivise dal fanciullo non ancor nato. Questo saltare del feto nel suo ventre fu al tutto diverso da quanto avea provato prima ella stessa, e da quanto sanno famigliarmente per prova tutte le madri, come ella stessa lo dichiara Luca 1:44#490010440000490010440000; e così Giovanni prima ancor di nascere rende omaggio involontariamente al «frutto del ventre» di Maria. Nello stesso momento lo Spirito Santo empiendole il cuore, pose in grado «la pregnante annosa» di riconoscere nella giovane sua parente la madre del suo Signore, e le mise sulla lingua acconce parole di festosa accoglienza.

PASSI PARALLELI

Luca 1:15,44; Genesi 25:22; Salmi 22:10#490010150000490010150000#490010440000-490010440000#010250220000010250220000#230220100000-230220100000

Luca 1:67; 4:1; Atti 2:4; 4:8; 6:3; 7:55; Efesini 5:18; Apocalisse 1:10#490010670000-490010670000#490040010000-

490040010000#510020040000-510020040000#510040080000510040080000#510060030000-510060030000#510070550000510070550000#560050180000-560050180000#730010100000730010100000

49001042Lc 1:42

42. Esclamò ad alta voce, e disse: Benedetta sii tu tra le donne;

La voce ha un doppio significato, cioè benedetta dall'alto, da Dio, sopra tutto le altre donne, e lodata quaggiù fra tutte le donne, ma non idolatrata o deificata; e lo Spirito Santo, per bocca, di Elisabetta, intendeva senza dubbio di applicarla in ambi i sensi a Maria. Oosterzee rimarca che questa è la prima beatitudine ricordata nel Nuovo Testamento.

e benedetto sia il frutto del tuo ventre.

Nel caso di Maria, non c'era ancora dimostrazione alcuna visibile che ella avesse concepito, né pare che avesse avuto il tempo di comunicare ad Elisabetta le notizie che veniva a recarle. Ma lo spirito di questa onorata donna, illuminata dal cielo, vede tutto come già compiuto.

PASSI PARALLELI

Luca 1:28,48; Giudici 5:24#490010280000-490010280000#490010480000490010480000#070050240000-070050240000

Luca 19:38; Genesi 22:18; Salmi 21:6; 45:2; 72:17-19; Atti 2:26-28; Romani 9:5#490190380000-490190380000#010220180000010220180000#230210060000-230210060000#230450020000230450020000#230720170000-230720190000#510020260000510020280000#520090050000-520090050000

Ebrei 12:2#650120020000-650120020000

49001043Lc 1:43

43. E donde mi vien questo, che la madre del mio Signore venga a me?

Elisabetta non chiama Maria Madonna, ma la «madre del mio Signore». Se per l'espressione «mio Signore», Elisabetta intendeva solo un uomo al pari di noi, come poteva ella vedere condiscendenza alcuna in questo che la madre di un puro e semplice uomo venisse a salutare la madre di un altro uomo simile a lui, ove si consideri che erano stretti parenti? Ma se Maria era realmente madre, secondo la carne, del SIGNORE di Elisabetta, «Jehova benedetto in eterno», c'era allora motivo sufficiente per tutta la di lei ammirazione. Che bella prova dà qui Elisabetta di essere superiore ad ogni invidia! Per quanto fosse alta la distinzione conferita a lei medesima, Elisabetta la perde di vista affatto in presenza di una ancora più onorata, sulla quale, in un'estasi d'ispirazione, ella pronunzia una benedizione, sentendo essere cosa inesplicabile che la madre del suo Signore venga a lei! Comunque lo si volga e rivolga, non potremo mai vedere proprietà di espressione nel chiamar il Signore un fanciullino che ha ancor da nascere a meno che non si supponga Elisabetta, come i profeti dei tempi antichi, illuminata a scorgere in esso la natura divina del Messia. Il passo è, quindi parallelo al ver. 17, in cui l'angelo enunzia la stessa idea dell'incarnazione di Dio nel Messia, ed in cui Signore, è enfatico, ed equivale Jehova.

PASSI PARALLELI

Luca 7:7; Ruth 2:10; 1Samuele 25:41; Matteo 3:14; Giovanni 13:5-8; Filippesi 2:3#490070070000-490070070000#080020100000080020100000#090250410000-090250410000#470030140000470030140000#500130050000-500130080000#570020030000570020030000

Luca 20:42-44; Salmi 110:1; Giovanni 13:13; 20:28; Filippesi 3:8#490200420000-490200440000#231100010000231100010000#500130130000-500130130000#500200280000500200280000#570030080000-570030080000

49001044Lc 1:44

44. Conciossiaché, ecco, come prima la voce del tuo saluto mi è pervenuta agli orecchi, il fanciullino sia saltato d'allegrezza nel mio ventre (Vedi Luca 1:41#490010410000-490010410000). 45. Or, beata è colei che ha creduto; perciocché le cose, dettele da parte del Signore, avran compimento

Elisabetta dichiara qui che la vera sorgente della beatitudine di Maria era la sua FEDE, che la felicità che possedeva allora interiormente, e l'onore che avrebbe poscia ricevuto tra gli uomini provenivano sopratutto dallo aver essa creduto al messaggio mandatole da Dio. Quantunque, con vero senso di femminile decoro, non facesse allusione alcuna alla mancanza di fede in suo marito, quando l'angelo gli recò un messaggio di Dio, non può dubitarsi che l'avesse in mente, insieme all'afflizione onde egli soffriva in conseguenza di quella, ed ella si rallegrava che la sua cugina era stata liberata da insidia così grande. Forte era anche la propria fede quando essa dichiarava la sua credenza che la promessa avrebbe certamente compimento Marco 9:23#480090230000-480090230000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:41#490010410000-490010410000

Luca 1:20; 11:27-28; 2Cronache 20:20; Giovanni 11:40; 20:29#490010200000-490010200000#490110270000490110280000#140200200000-140200200000#500110400000500110400000#500200290000-500200290000

49001046Lc 1:46

46. E Maria disse:

Nei versetti seguenti abbiamo la, risposta di Maria al saluto di Elisabetta, risposta pronunziata sotto l'influenza dello Spirito d'inspirazione, ed esprimente la gratitudine e la contentezza del suo cuore nel linguaggio del Vecchio Testamento. È problematico se Maria parlasse ad Elisabetta in un cantico, e noi incliniamo alla negativa, ma fin dai primi secoli la Chiesa ha cantate quelle parole nel culto divino, intitolandole: il «Il cantico di Maria», ed è veramente un cantico sublimissimo. C'è una grandissima somiglianza di sentimenti tra il cantico di Anna 1Samuele 2:1-10#090020010000090020100000, e questo di Maria. In entrambi, queste sante donne piene di stupore, in vedere preferiti «i superbi, i potenti, i ricchi», e, nelle persone loro, i più bassi scelti a introdurre i più grandi avvenimenti, ne cantano, non già come d'una preferenza capricciosa, ma d'una gran legge del regno di Dio, per cui egli si compiace «di trarre già da' troni i potenti e d'innalzare i bassi». In ambedue i casi è pur da osservare che il cantico termina con Cristo; in quello di Anna sotto il nome del «Apocalisse di Jehova», a cui egli «donerà forza», e del «suo Unto di cui innalzerà il corno» 1Samuele 2:10#090020100000-090020100000; nel cantico della Vergine, sotto il nome del «Soccorso ad Israele», promesso da tutti i profeti.

PASSI PARALLELI

1Samuele 2:1; Salmi 34:2-3; 35:9; 103:1-2; Isaia 24:15-16; 45:25; 61:10#090020010000-090020010000#230340020000230340030000#230350090000-230350090000#231030010000231030020000#290240150000-290240160000#290450250000290450250000#290610100000-290610100000

Habacuc 3:17-18; Romani 5:11; 1Corinzi 1:31; 2Corinzi 2:14; Filippesi 3:3; 4:4; 1Pietro 1:8#420030170000-420030180000#520050110000520050110000#530010310000-530010310000#540020140000540020140000#570030030000-570030030000#570040040000570040040000#670010080000-670010080000

L'anima mia magnifica il Signore; 47- E lo spirito mio festeggia in Dio, mio Salvatore.

L'anima e lo Spirito probabilmente significano la stessa cosa qui, e sono equivalenti a «tutte le mie interiora», del Salmi 103:1#231030010000231030010000; sebbene in altri passi scritturali siano tra loro distinti 1Corinzi 15:45; 1Tessalonicesi 5:23#530150450000530150450000#590050230000-590050230000. Il festeggiare di cui parla la Vergine, è il risultato della fede che conduce il peccatore a realizzare le divine promesse della salute. Ogni credente ha potuto gustare talvolta simili ore di gioia nel Signore. Preziosi momenti di riposo che Dio ci provvede nel duro pellegrinaggio della vita. Che può dunque esser questo viaggio terreno per chi non può mai rallegrarsi nel suo Salvatore! La povera Maria non sognò mai l'immacolata sua concezione, come non sognò mai l'immacolata sua vita; la sua gioia nasceva dal fatto che, sebbene compresa nella corruzione del peccato, comune a tutta quanta la razza umana, ella avea trovato in Dio medesimo il suo Salvatore, riferendosi manifestamente a quella persona Divina, la quale stava per ricevere da essa l'umana sua natura. Nella Chiesa di Roma, Maria è divenuta sia pel dogma che per la scultura e la pittura, il personaggio principale nel piano di salvezza dell'uomo. La maestà di Gesù come Dio nella nostra natura, è rimpicciolita e distrutta dall'esser egli sempre rappresentato come una persona secondaria, l'impotente bambinello sulle ginocchia della madre; ed essendo posta così del continuo davanti agli occhi degli uomini la loro parentela terrestre, l'autorità della madre si imprime insensibilmente nell'animo, e lo prepara ad ascriverle non solo una potenza illimitata sul Figlio, ma anche l'uffizio mediatorio di caso quale universale ed unico intercessore presso Dio Padre. Ma Maria non sognò mai una tale bestemmia. «Essa avea il sentimento vivissimo e chiarissimo del suo stato di peccatrice. Essa chiama Dio suo Salvatore. Perché? Evidentemente perché sente di esser nata nel peccato, e di aver bisogno di venir salvata. Cos'è, dunque, il dogma romano della immacolata concezione! Una invenzione umana, contraria alle più formali dichiarazioni del Libro di Dio» (Descombaz, Guide Biblique).

PASSI PARALLELI

Luca 2:11; Isaia 12:2-3; 45:21-22; Sofonia 3:14-17; Zaccaria 9:9; 1Timoteo 1:1#490020110000-490020110000#290120020000290120030000#290450210000-290450220000#430030140000430030170000#450090090000-450090090000#610010010000610010010000

Tito 2:10,13; 3:4-6#630020100000-630020100000#630020130000630020130000#630030040000-630030060000

49001048Lc 1:48

48. Conciossiacché egli abbia riguardato alla bassezza della sua servente,

Per quanto fosse umile il suo grado e la sua condizione esteriore, Maria non avrebbe potuto usare senza ipocrisia un tale linguaggio, se, mentre così diceva, fosse stata conscia, secondo la teoria papista, che per la sua concezione senza peccato, e per la conseguente sua immunità dalla condanna di esso, ella era stata innalzata a dignità ed onore così eccelso che l'uguale non può vantarlo alcun altro essere della razza umana.

perciocché, ecco, da ora innanzi tutte le età, mi predicheranno (Lat. gratulari, congratularsi) beata.

Beata, ma non dea! Condannazione formale della mariolatria ossia del culto che i cattolici romani rendono a Maria. Elisabetta l'avea già proclamata «benedetta» per ragione della sua fede, ma ora Maria, parlando per ispirazione dello Spirito Santo, realizzando nel proprio spirito i benedetti effetti dello scettro universale del Messia per tutti i tempi successivi, si riferisce anche all'onore che, in tutte le età, sarebbe reso a lei come alla madre del Signore Gesù, secondo la carne. E così ella continua e continuerà ad esser stimata e riconosciuta felice in modo peculiare, e ad essere onorata da tutti coloro che son guidati dall'autorità della Scrittura; evitando gli estremi opposti della mancanza di rispetto a cui sventuratamente, da una parte, trascorrono alcuni nauseati degli onori empii che le sono tributati: e

del culto superstizioso e idolatra che le è reso, d'altra parte, dai suoi devoti della Chiesa Greca e della Romana.

PASSI PARALLELI

1Samuele 1:11; 2:8; 2Samuele 7:8,18-19; Salmi 102:17; 113:7-8; 136:23; 138:6#090010110000-090010110000#090020080000090020080000#100070080000-100070080000#100070180000100070190000#231020170000-231020170000#231130070000231130080000#231360230000-231360230000#231380060000231380060000

Isaia 66:2; 1Corinzi 1:26-28; Giacomo 2:5-6#290660020000290660020000#530010260000-530010280000#660020050000660020060000

Luca 1:28,42; 11:27; Genesi 30:13; Malachia 3:12#490010280000490010280000#490010420000-490010420000#490110270000490110270000#010300130000-010300130000#460030120000460030120000

49001049Lc 1:49

49. Conciossiaché il Potente mi abbia fatte cose grandi;

È qui da osservarsi, che Maria attribuisce tutto a Dio, nulla a stessa, e così insegna alle future generazioni in qual senso avessero a chiamarla beata, cioè non come una che meritasse cosa alcuna da Dio, ma come una a cui era stata largita gran copia di grazia.

e santo è il suo nome.

Il nome, di Dio è usato spesso nella Scrittura per significare gli attributi della natura di Dio, o, come qui, Jehova medesimo, ed è quindi necessariamente santo, e merita, da tutti quelli che ne fanno uso, il più alto

rispetto e la più profonda riverenza. L'usare spensieratamente, ossia il profanare il nome di Dio nel conversare ordinario, e il disonorarlo atrocemente con bestemmie e maledizioni, che fanno perfino gelare il sangue nelle vene di quelli che temono Iddio e lo amano, è uno dei peccati più flagranti del popolo Italiano, essendo comune a tutti i ceti; e non può mancar di attirare su di essi l'ira di Dio, siccome il Signore medesimo l'ha minacciato nel 3zo comandamento: «Non usare il NOME del Signore Iddio tuo invano; perciocché il Signore non terrà innocente chi avrà usato il suo nome invano» Esodo 20:7#020200070000-020200070000. Lettore! ricordatevi di questo, se mai aveste l'abitudine d'usare irriverentemente il santo nome di Dio Ezechiele 36:23#330360230000-330360230000.

PASSI PARALLELI

Genesi 17:1; Salmi 24:8; Isaia 1:24; 63:1; Geremia 10:6; 20:11#010170010000-010170010000#230240080000230240080000#290010240000-290010240000#290630010000290630010000#300100060000-300100060000#300200110000300200110000

Salmi 71:19-21; 126:2-3; Marco 5:13; Efesini 3:20#230710190000230710210000#231260020000-231260030000#480050130000480050130000#560030200000-560030200000

Esodo 15:11; 1Samuele 2:2; Salmi 99:3,9; 111:9; Isaia 6:3; 57:15; Apocalisse 4:8; 15:4#020150110000-020150110000#090020020000090020020000#230990030000-230990030000#230990090000230990090000#231110090000-231110090000#290060030000290060030000#290570150000-290570150000#730040080000730040080000#730150040000-730150040000

49001050Lc 1:50

50. E la sua misericordia è per ogni età, inverso coloro che lo temono.

«misericordia» significa compassione o commiserazione verso i miseri ed i colpevoli. In un senso generale, Davide ci dichiara che «le compassioni di Dio sono sopra tutte le sue opere» Salmi 145:9#231450090000231450090000; in un senso più rigoroso, però, la misericordia di Dio è offerta a tutti i trasgressori, ma resta effettivamente sopra «coloro che lo temono», cioè lo riveriscono e l'onorano. C'è una specie di timore che ha lo schiavo del suo padrone crudele, o che l'uomo ha d'un precipizio, della peste, o dei pericoli sconosciuti; ma questo non è il timore che dovremmo avere di Iddio. È, quest'ultimo il timore riverenziale che ha un figliuolo sommesso verso un padre amorevole e virtuoso; timore di dispiacergli, di disonorarlo con la nostra vita, di, far qualche cosa che egli abbia a disapprovare. Su coloro che hanno un tal timore discende la sua misericordia! o amorosa benevolenza. È questo quel «timore di Dio che è il principio della sapienza» Giobbe 28:28; Salmi 111:10; Proverbi 9:10#220280280000-220280280000#231110100000231110100000#240090100000-240090100000.

PASSI PARALLELI

Genesi 17:7; Esodo 20:6; 34:6-7; Salmi 31:19; 85:9; 103:11,17-18; 115:13; 118:4#010170070000-010170070000#020200060000020200060000#020340060000-020340070000#230310190000230310190000#230850090000-230850090000#231030110000231030110000#231030170000-231030180000#231150130000231150130000#231180040000-231180040000

Salmi 145:19; 147:11; Malachia 3:16-18; Apocalisse 19:5#231450190000231450190000#231470110000-231470110000#460030160000460030180000#730190050000-730190050000

49001051Lc 1:51

51. Egli ha operato potentemente col suo braccio,

Il braccio o la mano è il simbolo della forza tra gli uomini, e si applica quindi all'Onnipotente per denotare la sua potenza, sebbene in senso figurato, uno spirito non potendo avere forma o parti corporali. Whitby (Commentario), osserva su questa espressione: «La gran potenza di Dio è rappresentata dal suo dito, la maggiore dalla sua mano, la massima dal suo braccio. La produzione dei mosconi fu operata dal dito di Dio Esodo 8:19#020080190000-020080190000, gli altri suoi miracoli in Egitto furono operati dalla sua mano Esodo 111:20#021110200000-021110200000, la distruzione di Faraone e della sua oste nel Mar Rosso, dal suo braccio Esodo 15:6#020150060000-020150060000». Il linguaggio di Maria in questo versetto e nei seguenti, non ha alcuna riferenza particolare alla misericordia di Dio inverso lei individualmente. Dalla contemplazione della sua bontà inverso di lei, si innalza alla contemplazione della sua bontà e potenza in generale, e alla celebrazione delle lodi di Dio per le dimostrazioni della divina misericordia più o meno chiaramente manifestata, per mezzo di un Redentore, al popolo di Dio in tutti i secoli. E questa la natura della vera pietà! Esso, non termina nel pensare alla misericordia di Dio inverso di noi, ma pensa agli altri, e loda Iddio che anche gli altri son resi partecipi della sua misericordia, e che la sua bontà è manifestata in tutto le sue opere.

egli ha dissipati i superbi per lo proprio pensier del cuor loro.

(dissipato), usato solo nel Greco più recente, significa sparpagliare il grano come in atto di seminare o vagliare, ed è applicato qui da Maria all'esser delusi e frustrati i piani dei malvagi dalla infinitamente saggia e santa provvidenza di Dio.

PASSI PARALLELI

Esodo 15:6-7,12-13; Deuteronomio 4:34; Salmi 52:9; 63:5; 89:13; 98:1; 118:15#020150060000-020150070000#020150120000020150130000#050040340000-050040340000#230520090000230520090000#230630050000-230630050000#230890130000230890130000#230980010000-230980010000#231180150000231180150000

Isaia 40:10; 51:9; 52:10; 63:12; Apocalisse 18:8#290400100000290400100000#290510090000-290510090000#290520100000290520100000#290630120000-290630120000#730180080000730180080000

Esodo 15:9-11; 18:11; 1Samuele 2:3-4,9,10; Giobbe 40:9-12; Salmi 2:1-6; 33:10#020150090000-020150110000#020180110000020180110000#090020030000-090020040000#090020090000090020090000#090020100000-090020100000#220400090000220400120000#230020010000-230020060000#230330100000230330100000

Salmi 89:10; Isaia 10:12-19; Geremia 48:29-30; Daniele 4:37; 5:25-31; 1Pietro 5:5#230890100000-230890100000#290100120000290100190000#300480290000-300480300000#340040370000340040370000#340050250000-340050310000#670050050000670050050000

Genesi 6:5; 8:21; Deuteronomio 29:19-20; Romani 1:21; 2Corinzi 10:5#010060050000-010060050000#010080210000010080210000#050290190000-050290200000#520010210000520010210000#540100050000-540100050000

49001052Lc 1:52

52. Egli ha tratti giù da' troni i potenti, ed ha innalzati i bassi.

Maria contempla probabilmente con lo sguardo retrospettivo la potenza divina spiegata nella liberazione degli Israeliti dall'Egitto e da Babilonia, e nell'abbassamento di Faraone, Sennacherib, Nebucadnesar, Belsasar e d'altri oppressori ancor più recenti, e nell'innalzamento di uomini come Giuseppe, Davide Daniele nonché lei medesima.

PASSI PARALLELI

Luca 1:18; 1Samuele 2:4,6-8; Giobbe 5:11-13; 34:24-28; Salmi 107:40-41; 113:6-8#490010180000-490010180000#090020040000090020040000#090020060000-090020080000#220050110000220050130000#220340240000-220340280000#231070400000231070410000#231130060000-231130080000

Ecclesiaste 4:14; Ezechiele 17:24; Amos 9:11; Marco 6:3; Giacomo 1:9-10; 4:10#250040140000-250040140000#330170240000330170240000#370090110000-370090110000#480060030000480060030000#660010090000-660010100000#660040100000660040100000

49001053Lc 1:53

53. Egli ha ripieni di beni i famelici, e ne ha mandati vuoti i ricchi.

Gli aoristi nel vers. 51, e in questo, esprimono un principio generale, dimostrato in una successione di singoli esempi, secondo un'applicazione nota, sebbene peculiare, di quella forma del verbo. Un pensiero analogo è espresso in questi versetti mediante parecchie figure familiari, come povertà, fame, ricchezze e pienezza. Maria riconosce qui nel procedere di Dio, nell'aver Egli preferito tanti altri più di lei potenti, e che avrebbero desiderato un tale onore, e nell'aver prescelta una persona così insignificante come ella stessa, l'effetto di una delle più irresistibili leggi del suo regno.

PASSI PARALLELI

Luca 6:21; 1Samuele 2:5; Salmi 34:10; 107:8-9; 146:7; Ezechiele 34:29; Matteo 5:6#490060210000-490060210000#090020050000090020050000#230340100000-230340100000#231070080000231070090000#231460070000-231460070000#330340290000330340290000#470050060000-470050060000

Giovanni 6:11-13,35; Giacomo 2:5; Apocalisse 7:16-17#500060110000500060130000#500060350000-500060350000#660020050000-

660020050000#730070160000-730070170000

Luca 6:24; 12:16-21; 16:19-25; 18:11-14,24-25; 1Corinzi 1:26; 4:8; Giacomo 2:6#490060240000-490060240000#490120160000490120210000#490160190000-490160250000#490180110000490180140000#490180240000-490180250000#530010260000530010260000#530040080000-530040080000#660020060000660020060000

Giacomo 5:1-6; Apocalisse 3:17-18#660050010000660050060000#730030170000-730030180000

49001054Lc 1:54

54. Egli ha sovvenuto Israele, suo servitore, per aver memoria della sua misericordia; 55. Siccome egli avea parlato ai nostri padri; ad Abrahamo ed alla sua progenie,

La «misericordia» (vers. 54), si riferisce chiarissimamente ad Abramo (vers. 55), come oggetto di essa, e quindi le parole interposte («siccome... padri»), si devono leggere come tra parentesi, Conf. Salmi 98:3#230980030000230980030000. La promessa a cui si riferisce qui particolarmente è quella intorno al Messia, la quale stava allora per essere adempiuta, ma non sono escluse altre promesse riferentisi a misericordie già conferite alla casa di Israele.

49001055Lc 1:55

in perpetuo.

Promessa questa di misericordia duratura, sempiterna sulla progenie credente di Abramo fino alle più tarde generazioni, ed anche indicava l'eterna perpetuità del regno del Messia, come è promesso espressamente, dall'angelo (vers. 33).

PASSI PARALLELI

Luca 1:70-75; Salmi 98:3; Isaia 44:21; 46:3-4; 49:14-16; 54:6-10; 63:716#490010700000-490010750000#230980030000230980030000#290440210000-290440210000#290460030000290460040000#290490140000-290490160000#290540060000290540100000#290630070000-290630160000

Geremia 31:3,20; 33:24-26; Michea 7:20; Sofonia 3:14-20; Zaccaria 9:911#300310030000-300310030000#300310200000300310200000#300330240000-300330260000#400070200000400070200000#430030140000-430030200000#450090090000450090110000

49001056Lc 1:56

56. E Maria rimase con Elisabetta intorno a tre mesi poi se ne tornò a casa sua

Quando Maria arrivò a Jutta, Elisabetta era già nel sesto mese di gravidanza Luca 1:36#490010360000-490010360000, ed essendo rimasta circa tre mesi presso Elisabetta, lasciolla come il termine della sua cugina si avvicinava, e tornossene alla propria casa in Nazaret. Siccome ora la sua propria gravidanza non poteva più esser nascosta, è probabilmente in questa occasione che ebbero luogo gli avvenimenti ricordati al principio di Matteo, Vedi nota Luca 1:39Luca 1:39 e Matteo 1:18-25Matteo 1:18-25.

PASSI PARALLELI

Genesi 12:3; 17:19; 22:18; 26:4; 28:14; Salmi 105:6-10; 132:1117#010120030000-010120030000#010170190000010170190000#010220180000-010220180000#010260040000010260040000#010280140000-010280140000#231050060000231050100000#231320110000-231320170000

Romani 11:28-29; Galati 3:16-17#520110280000520110290000#550030160000-550030170000

RIFLESSIONI

l. Impariamo da questo passo, come si rallegrassero e si elevassero i cuori di queste sante donne, Elisabetta e Maria, per l'abboccamento che ebbe luogo tra esse. Come sono vere le parole d'un teologo antico: «Felicità partecipata si raddoppia. Il dolore si fa più grande col nasconderlo; la gioia con l'esprimerla». Dovremmo sempre considerare la comunione con gli altri credenti come un mezzo eminente di grazia. È un refrigerio, un ristoro, nel nostro viaggio per la via stretta, lo scambio d'esperienze spirituali coi nostri compagni di viaggio. Il guadagno è reciproco. È un soggetto a cui non si presta bastante attenzione e per conseguenza ne soffrono le anime dei credenti. Molti vi sono che «temono il Signore e pensano al nome suo», e tuttora dimenticano «di parlar sovente l'uno all'altro Malachia 3:16#460030160000-460030160000. Cerchiamo prima la faccia di Dio, quindi la faccia degli amici di Dio. Se così facessimo più spesso, e se maggiormente badassimo ai compagni coi quali usiamo, sapremmo molto meglio che cosa sia sentirsi «pieni dello Spirito Santo».

2. Impariamo, dall'esempio d'Elisabetta, a rallegrarci perché altri hanno ricevuto doni ed onori superiori ai nostri! Elisabetta, invece di sentirsi offesa per il più alto onore conferito a Maria, o d'esser restia a riconoscerlo, rallegrarsene si congratulò con essa e dichiarossi altamente onorata dalla sua degnazione nel visitarla. In opposizione diretta con tale spirito, noi siamo troppo pronti, per natura, a sentir gelosia e invidia di quelli che ci sorpassano. Anche tra i discepoli ci fu una contesa intorno a chi dovesse reputarsi il maggiore. E tuttavia il Cristiano deve imparare una lezione ben diversa, per quanto difficile essa possa essere. Deve senza dubbio cercare di riuscire eminente pei suoi propri sforzi e mediante l'aiuto divino; ma deve guardarsi premurosamente dal desiderio di mettersi in evidenza per l'altrui fallire, e da qualunque scontento perché gli altri si distinguano in qualche buona opera. «Siate inclinati», dice Paolo, «ad avervi gli uni agli altri affezione per amore fraterno; provenite gli uni gli altri nell'onore. Non

facendo nulla per contenzione o vanagloria; ma per umiltà, ciascuno di voi pregiando altrui più che so stesso» Romani 12:10; Filippesi 2:3#520120100000-520120100000#570020030000-570020030000.

3. Elisabetta è ben degna d'ammirazione e d'imitazione riguardo alla sua fede. Quantunque da lungo tempo avesse oltrepassata l'età ordinaria dell'aver figliuoli, nessun sorriso d'incredulità, come quello che sfuggì a Sara, moglie di Abramo, in simili circostanze Genesi 18:12#010180120000010180120000, sorse dal suo cuore; nessuna domanda, onde sciogliere difficoltà motivate da dubbiezze nella fede, sorse alle sue labbra, come ora, sorta a quelle di suo marito Zaccaria; ma tosto credette, con gioia e gratitudine, le notizie concernenti lei medesima; che le comunicò il marito di ritorno a Jutta. E nel caso della sua parente, ella insiste che, oltre l'onore conferitole, Iddio l'avea benedetta specialmente col donarle una fede forte, piena di fiducia nella sua promessa! Che altro noti è mai la storia dei santi di Dio, da Abele in poi, se non una narrazione di peccatori redenti, i quali credettero e furono così benedetti? E Maria dava prova d'essere anch'ella di questa santa compagnia. Nehemia sappiamo noi qualche cosa di questa fede preziosa, di questa fede che è l'opera di Dio manifestantesi negli «eletti di Dio?» Colossesi 2:12; Tito 1:2#580020120000580020120000#630010020000-630010020000. Questa è di tutte le domande la più importante per noi. Non ci diamo riposo mai, finché non la conosciamo per propria esperienza; e una volta conosciutala, non cessiamo mai di pregare che la nostra fede cresca ognor più. Quando sarà alzato il gran trono bianco, e saranno aperti i libri, e i morti chiamati fuor dai sepolcri per ricevere la loro sentenza finale, allora gli uomini impareranno, se mai prima non l'impararono, come siano vere quelle parole: «Beati son coloro che han creduto».

4. In questo cantico della Vergine Maria, scopriamo con ammirazione la sua umiltà profonda. Colei che fu scelta da Dio all'alto onore di esser la madre del Messia, parla della propria bassezza, e riconosco il proprio bisogno di un Salvatore. Non profferisce una sola parola che dimostri reputarsi ella senza peccato e «immacolata»; ma, al contrario, usa il linguaggio d'una che, per la grazia di Dio, ha imparato a conoscere i propri peccati, e lungi dal poter salvare altrui, abbisogna essa stessa d'un Salvatore per la propria,

anima. Possiamo affermare, senza tema d'andare errati, che nessuno sarebbe più ardente nel riprovare l'onore che si rende dalla Chiesa Romana alla Vergine Maria, che la Vergine Maria istessa. Mentre rifiutiamo fermamente di riguardarla qual Mediatrice o d'indirizzarle le nostre preghiere, imitiamo questa santa umiltà della madre di nostro Signore. L'umiltà è la grazia più alta che possa ornare il carattere del Cristiano. Ben dicea il vero quell'antico teologo il quale affermava: «l'uomo avere precisamente altrettanto Cristianesimo quanta umiltà».

5. Un altro fatto notevole, in questo inno, è la fermezza con cui Maria si atteneva stretta alle promesse di Dio. Essa conclude dichiarando, che egli ha operato «siccome egli avea parlato ai nostri padri, ad Abrahamo, ed alla sua progenie in perpetuo». Queste parole mostrano chiaramente ch'ella ricordava l'antica promessa fatta ad Abramo, Genesi 22:18, e ne aspettava il compimento nella nascita ormai vicina del suo figliuolo. Impariamo dall'esempio di questa santa donna a tener strette con ferma fede le promesse della Bibbia, essendo esse della più profonda importanza per la nostra pace. Le promesse sono per noi infatti la manna che dobbiamo mangiare, e l'acqua che dobbiamo bere ogni giorno, finché viaggiamo attraverso il deserto di questo mondo. «Noi camminiamo per fede», e questa fede si appoggia alle promesse di Dio, le quali sono tali da reggere certamente qualunque peso possiamo mettere sopra di esse. Troveremo un giorno, come Maria, che Iddio mantiene la sua parola, e che quel che egli ha detto lo farà a suo tempo.

49001057Lc 1:57

Luca 1:57-80. NASCITA E CIRCONCISIONE DEL PRECURSORE. CANTICO DI ZACCARIA. FANCIULLEZZA DI GIOVANNI

Nascita, circoncisione e imposizione del nome Giovanni, Luca 1:57-66

57, or si compiè il termine di Elisabetta, per partorire; e partorì un figliuolo. 58. E i suoi vicini, e parenti, avendo udito che il Signore avea magnificata la sua misericordia inverso di lei, se ne rallegravan con essa.

Questo è il semplice racconto della nascita di quell'Elia che fu promesso, nelle ultime parole del Vecchio Testamento, come precursore del Signore. Non vi furono segni in cielo, né oracoli o miracoli in terra, per segnare il suo ingresso nel mondo; ma solo i vicini e i parenti di Elisabetta (la parola medesima che fu usata per denotare la parentela di Maria con lei), ai quali era nota la di lei gravidanza, quando udirono che era nato il fanciullo, si radunarono insieme per rallegrarsi con essa della bontà di Dio verso di lei.

PASSI PARALLELI

Luca 1:13; 2:6-7; Genesi 21:2-3; Numeri 23:19#490010130000490010130000#490020060000-490020070000#010210020000010210030000#040230190000-040230190000

Luca 1:25; Ruth 4:14-17; Salmi 113:9#490010250000490010250000#080040140000-080040170000#231130090000231130090000

Luca 1:14; Genesi 21:6; Isaia 66:9-10; Romani 12:15; 1Corinzi 12:26#490010140000-490010140000#010210060000010210060000#290660090000-290660100000#520120150000520120150000#530120260000-530120260000

49001059Lc 1:59

59. Ed avvenne che, nell'ottavo giorno vennero per circoncidere il fanciullo,

L'ordinanza della circoncisione era comandato espressamente che dovesse celebrarsi l'ottavo giorno dalla nascita Genesi 17:12; Levitico

12:3#010170120000-010170120000#030120030000-030120030000, e questa legge era osservata così rigorosamente che si eseguiva nel Sabato, quando l'ottavo giorno cadeva in esso, quantunque fosse della natura delle opere servili che eran proibite nel giorno del riposo, Vedi Giovanni 7:22-23; Filippesi 3:5#500070220000-500070230000#570030050000570030050000. Con la recisione del prepuzio, nel sacramento della circoncisione, pare si intendesse significare che la natura peccatrice si propaga con l'umana specie e che questa depravazione si ha da mortificare o distruggere nei credenti. In loro il «cuore» è circonciso ad amare il Signore e la ribellione e l'inimicizia sono gradatamente distrutte in esso, dalla grazia santificante. Questa ordinanza era il sacramento o il segno della rigenerazione - «il suggello della giustizia della fede» Romani 5:11#520050110000-520050110000, poiché la santità, ossia la circoncisione del cuore, è il suggello interno che il peccatore è giustificato per fede, come fu Abrahamo. Siccome il sacramento del battesimo sottentra alla circoncisione, nella dispensazione del Nuovo Testamento, abbiamo buona ragione di dedurre da ciò, contro quelli che sostengono potersi il battesimo amministrare solamente agli adulti, che il Nuovo Testamento, essendo una «dispensazione, migliore» e non già come la prima meramente un'«ombra delle cose avvenire», l'ordinanza del battesimo può anche amministrarsi legittimamente agli infanti figliuoli di genitori credenti, i quali infatti vengono per esso investiti esternamente del suggello del divino patto di grazia, appunto come l'infante Israelita, lo era per la circoncisione; altrimenti la dispensazione del Vecchio Testamento sarebbe stata, in fatto di privilegio, superiore a quella del Nuovo. Il rito non potea compiersi prima dell'ottavo giorno, perché la madre era cerimonialmente impura per sette giorni Levitico 12:12#030120120000-030120120000, come anche era impuro il, fanciullo pel contatto con essa, e quindi, finché continuava questa sua impurità cerimoniale, non era in condizione d'essere nel patto. Oltre a ciò, fino a che fosse trascorso quel lasso di tempo, era troppo debole per poter sostenere il dolore della circoncisione, il quale anche per gli adulti ora assai forte Genesi 34:25; Giosuè 5:8#010340250000010340250000#060010010000-060010010000. Se un fanciullo moriva non circonciso, prima dell'ottavo giorno, non troviamo nulla nella Scrittura che ci autorizzi a conchiudere che non fosse salvato. Per parità di ragione possiamo giustamente concludere che il battesimo non è assolutamente

necessario all'eterna salute degli infanti sotto la dispensazione cristiana. La legge Levitica non fissava alcun luogo determinato in cui dovesse farsi la circoncisione, né nominava alcuna determinata persona ad eseguirla, e quindi si praticava dalle donne Esodo 4:25#020040250000-020040250000, non meno che dagli uomini. I Giudei la operavano qualche volta nelle loro scuole o sinagoghe, non per necessità, bensì per aver più testimoni della ordinanza; ma il più delle volte praticavasi nella casa dei genitori, come appare evidente si facesse in questo caso, essendovi presente Elisabetta Luca 1:60#490010600000-490010600000.

e lo chiamavano Zaccaria, del nome di suo padre.

Era costume presso i Giudei di dare il nome all'infante, al momento della circoncisione Genesi 21:3-4#010210030000-010210040000, perché, dicono essi, quando Iddio istituì dapprima la circoncisione cangiò i nomi di Abramo e di Sara. Certamente questa usanza non ora parte alcuna dell'ordinanza, né c'era alcun comando divino di connetterla ad essa, sebbene in pratica lo si facesse. Nella Chiesa cristiana l'usanza di dare il nome ai fanciulli nel battesimo deriva da questo costume giudaico nella circoncisione. Non era d'uso chiamare il padre e il figlio con lo stesso nome, almeno nel periodo più antico della storia giudaica. Nel Vecchio Testamento, non troviamo esempio d'alcuna persona in Israele che fosse chiamata dal nome del padre; ma nei giorni in cui nacque Giovanni, pare che se ne fosse introdotta la consuetudine.

PASSI PARALLELI

Luca 2:21; Genesi 17:12; 21:3-4; Levitico 12:3; Atti 7:8; Filippesi 3:5#490020210000-490020210000#010170120000010170120000#010210030000-010210040000#030120030000030120030000#510070080000-510070080000#570030050000570030050000

49001060Lc 1:60

60. Ma sua madre prese a dire No; anzi sarà chiamato Giovanni.

Gli amici e gli ospiti proponevano con insistenza pel fanciullo, il nome di Zaccaria, probabilmente per fare un complimento al sacerdote, suo padre, ed erano ben lontani dall'aspettarsi alcuna opposizione alla loro proposta; soprattutto per parte di Elisabetta sua consorte amorosa e riverente. Ma la risposta di questa fu: "No; anzi sarà chiamato Giovanni". Si osservi in questa risposta come essa sia pienamente informata di tutto quanto era avvenuto tra l'angelo e il di lei marito nel tempio, la sua fede perfetta nella promessa di Dio, e il lume che ne porge a leggere ed intendere la sua osservazione a Maria, quando la salutò con queste parole sulla soglia della propria casa Luca 1:45#490010450000-490010450000: «Or beata è colei che ha creduto».

PASSI PARALLELI

Luca 1:13; 2Samuele 12:25; Isaia 8:3; Matteo 1:25#490010130000490010130000#100120250000-100120250000#290080030000290080030000#470010250000-470010250000

49001061Lc 1:61

61. Ed essi le dissero: Non vi è alcuno nel tuo parentado che si chiami per questo nome 62. E con cenni domandarono al padre di esso, come voleva che egli fosse nominato.

Gli amici e i parenti rimostrando ancora che tra tutti i loro antenati nessuno avea mai portato il nome di Johannan (Giovanni), risolsero di appellarsene a Zaccaria stesso. Egli era sordo non meno che mutolo, altrimenti non avrebbero avuto bisogno di usar cenni per fargli capire.

PASSI PARALLELI

Luca 1:22#490010220000-490010220000

49001063Lc 1:63

63. Ed egli chiesta una tavoletta,

Intendendo dai loro «cenni» l'oggetto su cui desideravano le sue istruzioni, si fece portare una tavoletta, la quale per le dimensioni, l'aspetto e l'uso a cui serviva corrispondeva ad una piccola lavagna ai giorni nostri. Era chiamata, secondo la sua dimensione: pinakion, ovvero pinakidion, suo diminutivo; ora fatta di legno di pino sottile, tutto coperto di cera, su cui scrivevano con uno stile di ferro, e la tavoletta più piccola (menzionata qui), era della grandezza, a un dipresso di un foglio di carta. Talvolta però era fatta di piombo, di rame o d'avorio. Questo modo di scrivere sulle tavolette rischiara diversi passi della Scrittura, come i seguenti: Proverbi 3:3; Isaia 30:8; Geremia 27:1; Abacuc 2:2; 2Corinzi 3:3#240030030000240030030000#290300080000-290300080000#300270010000300270010000#420020020000-420020020000#540030030000540030030000.

scrisse in questa maniera: il suo nome è Giovanni.

L'ultimo scritto nel Vecchio Testamento termina con la parola maledizione Malachia 4:6#460040060000-460040060000. Questo che è il primo caso di scrittura menzionato nel Nuovo Testamento, incomincia con grazia, poiché Giovanni in Ebraico significa grazia o favore di Dio. Zaccaria era ora guarito dalla sua incredulità; ma ciò non era maraviglia or che era nato il fanciullo! Le parole dette da Gesù, dopo la sua risurrezione, all'incredulo Tommaso, avrebber potuto applicarsi con tutta proprietà a Zaccaria; «Perciocché tu hai veduto, Toma, tu hai creduto: beati coloro che non hanno veduto ed hanno creduto» Giovanni 20:29#500200290000-500200290000. Pure egli fa quel che può per mostrare il suo pentimento, e la fede nata in lui di recente, imperocché scrive sulla tavoletta: «Il suo nome è Giovanni», intendendo dire che l'angelo l'avea così chiamato, e che quindi non occorrevano altre dispute su tale argomento.

E tutti si maravigliarono,

dello strano nome, senza precedenti nella famiglia, e della unanimità con cui entrambi i genitori lo avean scelto, senza averne, per quel che pareva, tenuto consulto tra di loro, poiché, fino a quel momento, i congiunti e i parenti non avean contezza, almen pienamente, della circostanza della visione

PASSI PARALLELI

Proverbi 3:3; Isaia 30:8; Geremia 17:1; Habacuc 2:2#240030030000240030030000#290300080000-290300080000#300170010000300170010000#420020020000-420020020000

Luca 1:13,60#490010130000-490010130000#490010600000490010600000

49001064Lc 1:64

64. E in quello istante la sua bocca fu aperta, e la sua lingua sciolta; e parlava benedicendo Iddio.

La punizione di Zaccaria Luca 1:20#490010200000-490010200000, dovea continuare soltanto fino a che fossero compiuto le cose onde egli avea dubitato; non prima adunque sono adempite le parole dell'angelo, col suo imporre al fanciullo il nome di Giovanni Luca 1:13#490010130000490010130000, che è liberato dal castigo e gli è resa la favella. Non è per nulla improbabile che i vicini e i parenti lo ritenessero colpito da paralisi e per conseguenza d'assai difficile guarigione, quindi è che rimasero attoniti quando tutto ad un tratto lo udirono parlare dopo nove mesi di silenzio. Il primo uso ch'egli fa della ricuperata loquela è d'offrir lode a Dio, con vera gratitudine, per la nascita del figlio, pel riacquisto della favella e dell'udito, e pel benefizio spirituale derivato all'anima sua, dal castigo col quale Iddio avea visitata la sua incredulità. Questo tributo di grazie si suppone da alcuni che sia stato offerto anteriormente al cantico che segue Luca 1:68#490010680000-490010680000; mentre altri credono che la benedizione fosse espressa nelle parole del cantico; solo che essendo di considerevole lunghezza, l'Evangelista l'abbia posposta finché avesse

ricordato brevemente l'effetto prodotto da questi strani fatti, sul vicinato. Non è di grande importanza quale di queste congetture sia adottata dal lettore.

PASSI PARALLELI

Luca 1:20; Esodo 4:15-16; Salmi 51:15; Geremia 1:9; Ezechiele 3:27; 29:21; 33:22; Matteo 9:33#490010200000-490010200000#020040150000020040160000#230510150000-230510150000#300010090000300010090000#330030270000-330030270000#330290210000330290210000#330330220000-330330220000#470090330000470090330000

Marco 7:32-37#480070320000-480070370000

Salmi 30:7-12; 118:18-19; Isaia 12:1; Daniele 4:34-37#230300070000230300120000#231180180000-231180190000#290120010000290120010000#340040340000-340040370000

49001065Lc 1:65

65. E spavento ne venne su tutti i lor vicini;

significa timore religioso, o riverenza, come è usato nei Atti 5:11; Romani 3:18; 1Pietro 1:17; 3:2#510050110000-510050110000#520030180000520030180000#670010170000-670010170000#670030020000670030020000. Questo avvenimento straordinario produsse negli animi degli abitanti di tutto il paese montagnoso della Giudea una più che ordinaria riverenza verso Dio, il cui potere si era dimostrato in modo così degno di nota.

e tutte queste cose si divolgarono per tutta la contrada delle montagne della Giudea.

Sebbene in quel tempo ciò fosse notissimo nella parte meridionale del paese, non pare che la fama di quanto era avvenuto giungesse a Gerusalemme. Sembra che gli Scribi e i Farisei non sapessero nulla di queste cose maravigliose, poiché s'indirizzarono a lui come ad un uomo affatto sconosciuto quando incominciò il suo pubblico ministero Giovanni 1:19-27#500010190000-500010270000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:7:16; Atti 2:43; 5:5,11; 19:17; Apocalisse 11:11#490010070000490010070000#510020430000-510020430000#510050050000510050050000#510050110000-510050110000#510190170000510190170000#730110110000-730110110000

Luca 1:39; Giosuè 10:6,40#490010390000-490010390000#060010010000060010010000#060010400000-060010400000

49001066Lc 1:66

66. E tutti coloro che l'udirono le risposero nel cuor loro, dicendo: Chi sarà mai questo fanciullo?

Vennero nella conclusione che un fanciullo la cui nascita era stata accompagnata da tante circostanze miracolose doveva esser destinato dalla provvidenza di Dio, a rappresentare una parte notevolissima sulla scena del mondo, e perciò notarono queste cose nella memoria risolvendo di tenerlo d'occhio, onde veder se, quando sarebbe divenuto un uomo, il suo carattere corrisponderebbe ad esse. Pure c'è ogni ragione di credere che lungo tempo prima che Giovanni comparisse in pubblico, tutte queste cose fossero dimenticate, e nemmeno fossero richiamate alla memoria dal suo meraviglioso successo come Profeta. In simile maniera, sebbene gli incidenti che accompagnarono poi la nascita del suo Signore fossero ancor più notevoli d'assai, non pare che alcuno li riponesse nel cuore, eccetto sua madre, e quando egli entrò nel suo pubblico ministero, niente indica che Gesù di Nazaret fosse mai riconosciuto per quel bambino di Betlemme che i

Magi eran venuti da lontano ad adorare, e per la cui nascita gli angeli di Dio cantarono osanna, udendoli i pastori di quella regione.

E la mano del Signore era con lui.

Lachmann, Tischendorf, Lange, Alford, ed altri preferiscono la lezione perché a e, essendo sotto l'impressione che in questo passo Luca voglia dire: «Non ci stupisca che essi facciano una tale domanda, perché lo Spirito del Signore era sopra lui». La lezione del testo è la più corretta; sarebbe stato difficile discernere la mano del Signore in un bambino di otto giorni. Luca compendia in queste parole tutta la puerizia di Giovanni e conferma questo suo pensiero colle parole di Luca 1:80#490010800000-490010800000. «La mano del Signore», denota la sua potenza, e quando si dice esser essa con una persona, si ha da intendere in un senso favorevole. Qui viene a dire che la potenza di Dio era con Giovanni dalla sua nascita in poi, sì per le vigili cure e per l'aiuto della sua provvidenza, e sì per le speciali, abbondanti, illuminanti e santificanti influenze della sua grazia, Vedi altri esempi: 1Re 18:46; 2Re 3:15; Salmi 80:18; Atti 11:21#110180460000110180460000#120030150000-120030150000#230800180000230800180000#510110210000-510110210000.

49001067Lc 1:67

Cantico di Zaccaria Luca 1:67-79

67. E Zaccaria, suo padre fu ripieno dello Spirito Santo, e profetizzò, dicendo:

Dall'alto elogio fatto di Zaccaria, come pure di sua moglie Elisabetta Luca 1:6#490010060000-490010060000, è accertato che egli era già prima benedetto in abbondante misura con tutti i lumi ordinari e le influenze santificanti dello Spirito Santo. Ora tuttavia ne sperimentò la influenza straordinaria, essendo ispirato a profetizzare, come «i santi uomini di Dio hanno parlato, essendo sospinti dallo Spirito Santo» 2Pietro 1:21#680010210000-680010210000. Profetizzare nel senso scritturale

significa tanto il predire gli eventi futuri, quanto il rivelare ed esporre il volere di Dio sotto la direzione infallibile dello Spirito di verità. In amendue questi sensi profetizzò allora Zaccaria; imperocché in quel che parlò, predisse varie cose intorno a Giovanni e al Cristo; ed anche si estese in modo molto istruttivo sulla natura e la beatitudine della salvazione. La voce della profezia era rimasta mutola nella Chiesa giudaica, dai giorni di Malachia in poi, per lo spazio di 400 anni. Il ridestarsi di essa in Zaccaria, appunto innanzi l'alba del vangelo, è una prova che entrambe le dispensazioni sono parti dello stesso sistema divino, e son collegate insieme dall'influenza e dai doni profetici dello Spirito Santo. Questo cantico o inno è affatto ebraico nel concetto e nella forma, e potrebbe tradursi in quella lingua quasi parola per parola. Oltre all'interesse intrinseco che possiede per ogni Cristiano, serve a dimostrarci esattamente in quali vedute religiose fosse educato Giovanni dal padre. Si divide in due parti, la prima delle quali si riferisce direttamente ed esclusivamente al Messia., e la seconda pure a Cristo, non però direttamente, ma come proclamato dal suo profeta e precursore.

PASSI PARALLELI

Luca 1:15,41; Numeri 11:25; 2Samuele 23:2; Gioele 2:28; 2Pietro 1:21#490010150000-490010150000#490010410000490010410000#040110250000-040110250000#100230020000100230020000#360020280000-360020280000#680010210000680010210000

49001068Lc 1:68

68. Benedetto sia li Signore Iddio di Israele;

Questo titolo è usato per indicare la relazione in cui era Iddio verso Israele al momento in cui stava per apparire così manifestamente la sua fedeltà come loro Dio, secondo il patto suo. Il titolo era antichissimo 1Cronache 29:10; Salmi 72:18#130290100000-130290100000#230720180000-

230720180000. Conviene tuttavia aver presente che Israele, come una nazione prescelta fra tutte l'altre, era un tipo degli eletti di Dio, tanto di quelli già raccolti, come di quelli che doveano ancora, esser raccolti, da tutte le nazioni del mondo, nella Chiesa di Cristo. Zaccaria nel mentre offre in queste parole il suo proprio tributo di lode, esprime nel tempo stesso il desiderio che Iddio sia onorato e lodato universalmente per la sua fedeltà alle proprie promesse.

perciocché egli ha visitato, e riscattato il suo popolo

(cioè visitato per redimerlo). Nel Vecchio Testamento Dio è detto «visitare» principalmente in giudizio, ma nel Nuovo Testamento in misericordia. (riscatto), ora prescritto dalla legge di Mosè per riscattare una cosa legalmente perduta, o una persona caduta in ischiavitù. Jehova, nel Vecchio Testamento, è chiamato frequentemente il Redentore del suo popolo, perché li liberò dal giogo oppressore dei loro nemici terreni, e più specialmente dalla schiavitù d'Egitto Deuteronomio 7:8; 13:5; Salmi 70:6; Isaia 41:14#050070080000-050070080000#050130050000050130050000#230700060000-230700060000#290410140000290410140000. Ma nel N. T. la parola ai applica particolarmente al Signor Gesù Cristo, come quegli che ha riscattato l'uman genere, col prezzo del suo proprio sangue, dall'ira di Dio 1Tessalonicesi 1:10; Ebrei 9:1214#590010100000-590010100000#650090120000-650090140000; dalle conseguenze del peccato Efesini 1:7; Colossesi 1:14; Apocalisse 5:9#560010070000-560010070000#580010140000580010140000#730050090000-730050090000; e dalla potenza dei nemici spirituali Tito 2:14; Ebrei 2:14-15; 1Pietro 1:18#630020140000630020140000#650020140000-650020150000#670010180000670010180000. Le vedute di Zaccaria intorno a questo avere «Iddio visitato e riscattato il suo popolo» dovevano essere molto indistinte e imperfette. È probabile che partecipasse alle idee prevalenti tra i suoi compatriotti intorno al regno terreno del Messia, e alla liberazione dai loro nemici con la spada e con la lancia; ma nel mentre le parole messegli in bocca dallo Spirito di Dio, avrebbero potuto naturalmente risvegliare tali immagini terrene nella mente d'un Giudeo dominato da siffatti pregiudizi, erano egualmente adatte ad esprimere i concetti più spirituali della redenzione che è in Cristo Gesù.

Tale è, il senso che noi dobbiamo dare al linguaggio di Zaccaria, sebbene possa darsi che egli non comprendesse appieno il significato delle parole che gli dettava lo Spirito Santo.

PASSI PARALLELI

Genesi 9:26; 14:20; 1Re 1:48; 1Cronache 29:10,20; Salmi 41:13; 72:17-19; 106:48#010090260000-010090260000#010140200000010140200000#110010480000-110010480000#130290100000130290100000#130290200000-130290200000#230410130000230410130000#230720170000-230720190000#231060480000231060480000

Efesini 1:3; 1Pietro 1:3#560010030000-560010030000#670010030000670010030000

Luca 7:16; 19:44; Esodo 3:16-17; 4:31; Salmi 111:9; Efesini 1:7#490070160000-490070160000#490190440000490190440000#020030160000-020030170000#020040310000020040310000#231110090000-231110090000#560010070000560010070000

49001069Lc 1:69

69. E ci ha rizzato il corno della salute,

significa una potente salute, o un potente Salvatore, ed è equivalente il corno della salute nel 2Samuele 22:3#100220030000-100220030000, dove lo s'incontra come un titolo di Jehova. Il corno è ornamento insieme ed arma offensiva e difensiva dell'animale che lo possiede; la sua forza è nel suo corno. E usato quindi come emblema della dignità e della potenza nell'uomo Deuteronomio 33:17; Salmi 75:6#050330170000050330170000#230750060000-230750060000; e nei tempi antichi tra i Giudei, come tuttora tra gli Abissini, i re e i guerrieri portavano un corno sui loro elmi. La figura è, usata frequentemente per esprimere il potere reale

sì di Davide che del «Signore di Davide» Salmi 89:25; 92:11; 132:17; Ezechiele 29:21#230890250000-230890250000#230920110000230920110000#231320170000-231320170000#330290210000330290210000. Qui non c'è riferenza alcuna ai «corni dell'altare», perché la figura non è qui usata a suggerir l'idea del rifugiarsi in un santuario 1Re 2:28#110020280000-110020280000, ma d'una potenza, protettrice dei buoni, e punitrice dei malvagi.

nella casa di Davide, suo servitore;

Questo dimostra che Maria, non meno che Giuseppe, doveva appartenere alla linea reale dal lato suo proprio. È dubbio se Zaccaria sapesse nulla di Giuseppe; e se anche sapeva che egli era il promesso sposo di Maria, ad ogni modo non potea sapere e nemmeno immaginare che dopo quel che era seguito, l'avrebbe ancor ricevuta come sua Moglie.

PASSI PARALLELI

1Samuele 2:10; 2Samuele 22:3; Salmi 18:2; 132:17-18; Ezechiele 29:21#090020100000-090020100000#100220030000100220030000#230180020000-230180020000#231320170000231320180000#330290210000-330290210000

2Samuele 7:26; 1Re 11:13; Salmi 89:3,20-37; Isaia 9:6-7; 11:1-9; Geremia 23:5-6#100070260000-100070260000#110110130000110110130000#230890030000-230890030000#230890200000230890370000#290090060000-290090070000#290110010000290110090000#300230050000-300230060000

Geremia 33:15-26; Ezechiele 34:23-24; 37:24-25; Amos 9:11; Marco 11:10; Romani 1:2-3#300330150000-300330260000#330340230000330340240000#330370240000-330370250000#370090110000370090110000#480110100000-480110100000#520010020000520010030000

Apocalisse 22:16#730220160000-730220160000

49001070Lc 1:70

70. Secondo ch'egli, per la bocca de' suoi santi profeti, che sono stati d'ogni secolo, ci avea promesso;

(lett. dalla età). I Giudei dividevano il tempo in due età - l'età dalla creazione al Messia, e l'età dal Messia alla consumazione di tutte le cose. Il senso dell'espressione qui è che il grande evento che, ora stava per attuarsi era stato predetto fin dalle prime età. Confr. 1Pietro 1:10-12; Apocalisse 19:10#670010100000-670010120000#730190100000-730190100000. Uno studio diligente del Vecchio Testamento è quanto richiedesi a provare che il Redentore, nella sua venuta, nel suo carattere, e nella sua opera, è l'argomento principale che pervade le scritture dei profeti, dalla prima predizione della «progenie della donna» Genesi 3:15#010030150000010030150000, a quella di Malachia 4:2#460040020000-460040020000, del «Sole della giustizia».

PASSI PARALLELI

2Samuele 23:2; Geremia 30:10; Marco 12:36; Atti 28:25; Ebrei 3:7; 2Pietro 1:21; Apocalisse 19:10#100230020000-100230020000#300300100000300300100000#480120360000-480120360000#510280250000510280250000#650030070000-650030070000#680010210000680010210000#730190100000-730190100000

Luca 24:26-27,44; Genesi 3:15; 12:3; 49:10; Daniele 9:24-27; Atti 3:21-24; 1Pietro 1:12#490240260000-490240270000#490240440000490240440000#010030150000-010030150000#010120030000010120030000#010490100000-010490100000#340090240000340090270000#510030210000-510030240000#670010120000670010120000

49001071Lc 1:71

71. Salvazione da' nostri nemici, e di man di tutta coloro che ci odiano;

Qualunque interpretazione le aspirazioni e i desiderii carnali dei Giudei potessero indurli a dare a passi scritturali come questo, la cosa principale che intendeva esprimersi con tali dichiarazioni era, senza dubbio, la liberazione degli individui credenti dai loro nemici spirituali, cioè dal peccato, da Satana e dal mondo, per mezzo della grazia redentrice.

PASSI PARALLELI

Luca 1:74; Deuteronomio 33:29; Salmi 106:10,47; Isaia 14:1-3; 44:24-26; 54:7-17; Geremia 23:6#490010740000-490010740000#050330290000050330290000#231060100000-231060100000#231060470000231060470000#290140010000-290140030000#290440240000290440260000#290540070000-290540170000#300230060000300230060000

Geremia 30:9-11; 32:37; Ezechiele 28:26; 34:25,28; 38:8; Sofonia 3:1520#300300090000-300300110000#300320370000300320370000#330280260000-330280260000#330340250000330340250000#330340280000-330340280000#330380080000330380080000#430030150000-430030200000

Zaccaria 9:9-10; 1Giovanni 3:8#450090090000450090100000#690030080000-690030080000

49001072Lc 1:72

72. Per usar misericordia inverso i nostri padri,

Questo si fonda sul fatto ben noto che la misericordia dimostrata ai figliuoli si considera come misericordia inverso i genitori. «I loro padri», dice il Lange, «nella loro generazione avean pianto sulla decadenza della nazione, ed erano or viventi con Dio, per riguardare dal cielo al compimento del tempo» Galati 4:4#550040040000-550040040000.

e ricordarsi del suo santo patto

Quando la parola «patto» è, usata nella Scrittura in connessione con gli uomini caduti, significa talvolta una promessa, talvolta un comando, talvolta una legge durevole data da Dio alle sue creature. In questo luogo significa la promessa fatta da Dio ad Abrahamo, come lo dimostrano chiaramente i versetti seguenti. Da questo versetto veniamo a conoscere che le benedizioni della salvazione comprata da Cristo si estesero ai patriarchi del tempo addietro, e in generale a tutti i credenti del V. T. Ciò nondimeno la misericordia era allora meno chiara e men chiaramente intesa, cosicché può dirsi che la venuta di Cristo la compì o la completò.

PASSI PARALLELI

Luca 1:54-55; Genesi 12:3; 22:18; 26:4; 28:14; Salmi 98:3; Atti 3:25-26; Romani 11:28#490010540000-490010550000#010120030000010120030000#010220180000-010220180000#010260040000010260040000#010280140000-010280140000#230980030000230980030000#510030250000-510030260000#520110280000520110280000

Ebrei 6:13-18#650060130000-650060180000

Genesi 17:4-9; Levitico 26:42; Salmi 105:8-10; 106:45; 111:5; Ezechiele 16:8,60#010170040000-010170090000#030260420000030260420000#231050080000-231050100000#231060450000231060450000#231110050000-231110050000#330160080000330160080000#330160600000-330160600000

Galati 3:15-17#550030150000-550030170000

49001073Lc 1:73

73. (Secondo il giuramento fatto ad Abrahamo, nostro padre);

La parola secondo supplita dal Diodati, non si riscontra nel greco, in cui il «giuramento» evidentemente è sinonimo del «santo patto» del vers. 72, e non richiede alcuna parentesi. Questo patto dato dapprima ad Abrahamo in forma di promessa, fu poi confermato dal giuramento di Dio, Confr. Genesi 22:16-17; Ebrei 4:13-16#010220160000-010220170000#650040130000650040160000. L'opera intera del Messia e il regno ch'egli dovea stabilire, son qui rappresentati come «misericordia» promessa, e pattuita con un giuramento, da adempiersi gloriosamente «nel compimento del tempo».

PASSI PARALLELI

Genesi 22:16-17; 24:7; 26:3; Deuteronomio 7:8,12; Salmi 105:9; Geremia 11:5; Ebrei 6:16-17#010220160000-010220170000#010240070000010240070000#010260030000-010260030000#050070080000050070080000#050070120000-050070120000#231050090000231050090000#300110050000-300110050000#650060160000650060170000

49001074Lc 1:74

74. Per concederci che liberati di man de' nostri nemici, gli servissimo senza paura. 75. In santità, ed in giustizia, nel suo cospetto, tutti i giorni della nostra vita.

Le parole della vita non si trovano nei più autorevoli MSS. o in molte delle Versioni antiche, il versetto terminando con «tutti i giorni nostri». Che Zaccaria avesse, come pensano alcuni, o non avesse, in vista nemici temporali, quali erano stati in passato i Macedoni sotto Antioco, ed erano ai suoi giorni i Romani, è certo che lo Spirito d'ispirazione ci insegna in questi versetti che la principale benedizione contemplata nel patto con Abrahamo non era il potere o lo splendore temporale dei suoi discendenti secondo la carne, ma, come si è detto, la liberazione della sua progenie da tutti i nemici spirituali; la salvazione dal peccato e dalla sua potenza. Quantunque dovessero esser liberati dallo spirito di timore e servitù, tuttavia non

doveano esser prosciolti dalle obbligazioni religiose e morali, ma al contrario esser tenuti e posti in grado di servire Iddio in santità, cioè in quei doveri religiosi che si riferiscono più immediatamente a Dio; ed in giustizia, cioè nell'esercizio della giustizia e d'ogni altra virtù a cui sono obbligati gli uomini verso i loro simili. E questo servigio doveano compierlo «nel suo cospetto», ricordandosi ch'egli era loro testimonio e sarebbe il loro giudice, e compierlo non già occasionalmente o per un tempo limitato, ma «tutti i loro giorni». Queste parole: «santità e giustizia», sono una confutazione sufficiente dell'idea, la quale, come dicemmo più sopra, si fanno alcuni, che tutto quanto l'argomento di questo cantico sia la grandezza temporale teocratica del Messia. «Quanto comprensiva», scrive il Professore Brown, «è la veduta che qui ci è data dell'opera del Messia:

1. Lo scopo della redenzione»: che «gli servissimo», cioè «il Signore Iddio di Israele» Luca 1:68#490010680000-490010680000. La parola usata qui, significa il servigio o culto religioso, e accenna al sacerdozio dei credenti sotto il Nuovo Testamento Ebrei 13:10,15#650130100000650130100000#650130150000-650130150000.

2. La natura di questo servigio: «in santità ed in giustizia nel suo cospetto» Confr. Salmi 56:14#230560140000-230560140000.

3. La sua libertà: «liberati di man de' nostri nemici».

4. La sua sicurezza: «senza paura».

5. La sua durata: «tutti i giorni della nostra vita».

PASSI PARALLELI

Luca 1:71; Isaia 35:9-10; 45:17; 54:13-14; 65:21-25; Ezechiele 34:25-28; 39:28-29#490010710000-490010710000#290350090000290350100000#290450170000-290450170000#290540130000290540140000#290650210000-290650250000#330340250000330340280000#330390280000-330390290000

Sofonia 3:15-17; Zaccaria 9:8-10; Romani 6:22; 8:15; 2Timoteo 1:7; Ebrei 2:15; 9:14#430030150000-430030170000#450090080000450090100000#520060220000-520060220000#520080150000520080150000#620010070000-620010070000#650020150000650020150000#650090140000-650090140000

Apocalisse 2:10#730020100000-730020100000

49001076Lc 1:76

76. E tu, o piccol fanciullo,

Qui comincia la seconda parte di questo cantico, in cui Zaccaria parla di Giovanni, e benedice Dio per l'opera di preparazione che doveva farsi per mezzo di lui. È ben degno d'attenzione quanto questo cantico è esente di ogni egoismo, e d'ogni vanità personale per parte di Zaccaria. In tutto il corso di esso non fa menzione alcuna dell'esser egli il padre di quel fanciullo, non lo chiama figliuol mio, o figlio mio, ma «tu, o piccol fanciullo», come se la relazione figliale verso lui stesso fosse assorbita nella relazione verso di uno più grande di entrambi.

sarai chiamato Profeta dell'Altissimo;

Siccome «l'Altissimo» è un titolo applicato nella Scrittura soltanto al supremo eterno Iddio, è inconcepibile che lo Spirito d'Ispirazione abbia ad applicar questo termine, come è applicato qui innegabilmente a Gesù, e nell'inciso seguente quando lo chiama Signore, ossia Jehova, s'egli non fosse veramente «Dio sopra tutti, benedetto in eterno» Romani 9:5#520090050000-520090050000.

perciocché tu andrai davanti alla faccia del Signore (Jehova) per preparare le sue vie;

La profezia, dopo esser cessata nella Chiesa Giudaica fin dai giorni di Malachia 400 anni prima, doveva ora rivivere nella persona di questo fanciullo, sì nella forma del predire la venuta del Messia e sì nella

esposizione ispirata della volontà di Dio quale è contenuta nelle Scritture del Vecchio Testamento. Quando fu percorsa la sua carriera, il Signore stesso rendè testimonianza quanto fedelmente egli avesse compiuta la missione affidatagli Luca 7:26-28#490070260000-490070280000. Vi sono nel Vecchio Testamento due predizioni ben note, le quali si riferivano specialmente a Giovanni come al precursore dell'Altissimo, e al preparatore delle sue vie Isaia 40:3; Malachia 3:l#290400030000290400030000#460030010000-460030010000. Pei doveri del Precursore vedi Nota Marco 1:2Marco 1:2.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:2; Salmi 105:44-45; Geremia 31:33-34; 32:39-40; Ezechiele 36:24-27; Matteo 1:21#050060020000050060020000#231050440000-231050450000#300310330000300310340000#300320390000-300320400000#330360240000330360270000#470010210000-470010210000

Efesini 1:4; 2:10; 4:24; 1Tessalonicesi 4:1,7; 2Tessalonicesi 2:13; 2Timoteo 1:9; Tito 2:11-14#560010040000-560010040000#560020100000560020100000#560040240000-560040240000#590040010000590040010000#590040070000-590040070000#600020130000600020130000#620010090000-620010090000#630020110000630020140000

1Pietro 1:14-16; 2Pietro 1:4-8#670010140000670010160000#680010040000-680010080000

49001077Lc 1:77

77. Per dare al suo popolo conoscenza della salute, in remissione de' lor peccati;

Era questo il metodo col quale il Precursore dovea preparare la via del Signore, cioè far nota al popolo la salvazione non dai nemici temporali, ma

dalla morte eterna, mediante la remissione dei peccati. E così vediamo che il ministero di Giovanni fu non solo adatto, ma efficace a tale intento, Confr. Matteo 3; Luca 3#470030000000-470030000000#490030000000490030000000. Egli cominciò col procurare di risvegliare nel popolo il convincimento del peccato, e la necessità del pentimento, cangiamento d'animo e di proposito, e fatto questo, doveva seguitare la confessione dei peccati. «Ed erano battezzati da lui nel Giordano, confessando i lor peccati Matteo 3:6#470030060000-470030060000. Come necessario accompagnamento del vero pentimento, egli esponeva la necessità «di fare frutti degni d'essa». E finalmente li indirizzava ad «uno più potente di lui», il quale doveva apparire immediatamente dopo, cioè all'«Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo».

PASSI PARALLELI

Luca 3:3,6; Marco 1:3-4; Giovanni 1:7-9,15-17,29,34; 3:27-36; Atti 19:4#490030030000-490030030000#490030060000490030060000#480010030000-480010040000#500010070000500010090000#500010150000-500010170000#500010290000500010290000#500010340000-500010340000#500030270000500030360000#510190040000-510190040000

Luca 7:47-50; Atti 2:38; 3:19; 5:31; 10:43; 13:38-39; Romani 3:25; 4:6-8; Efesini 1:7#490070470000-490070500000#510020380000510020380000#510030190000-510030190000#510050310000510050310000#510100430000-510100430000#510130380000510130390000#520030250000-520030250000#520040060000520040080000#560010070000-560010070000

49001078Lc 1:78

78. Per le viscere della misericordia dell'Iddio nostro

Tra gli antichi il capo era considerato come la sede delle cognizioni, e la regione del cuore e dello stomaco (sotto il nome comprensivo: le viscere o

gli intestini), come la sede degli affetti. L'espressione è qui usata con la massima proprietà per denotare la libera, forte e impareggiabile compassione di Dio nel salvare i peccatori per mezzo di Cristo.

per quali l'Oriente da alto ci ha visitati;

L'aurora o l'alba è qui usata in senso spirituale, come emblematica di Cristo e della sua salvazione. E detto che viene «da alto», perché la luce del vangelo illumina dal cielo; Dio n'è l'autore, e per la misericordia di lui ella splende sugli uomini. La parola anatole, o nascer del sole, che qui s'incontra, è usata dai LXX per tradurre l'Ebraico tzema, germoglio, dovunque s'incontra nei profeti. È usata una volta da Isaia 4:2#290040020000-290040020000; due volto da Geremia 23:5; 33:15#300230050000-300230050000#300330150000-300330150000; e due altre volte da Zaccaria 3:8; 6:12#450030080000450030080000#450060120000-450060120000, evidentemente come un nome proprio di Cristo, e in tutti questi passi è tradotta nei LXX con la parola anatole, o nascer del sole. Che questo sia qui il significato suo proprio è manifesto non solo dalla sua concordanza col titolo: «il sole della giustizia» dato a Cristo da Malachia 4:2#460040020000-460040020000, in connessione alla venuta di Elia, ma anche dal verbo rilucere nel vers. seguente.

PASSI PARALLELI

Salmi 25:6; Isaia 63:7,15; Giovanni 3:16; Efesini 2:4-5; Filippesi 1:8; 2:1; Colossesi 3:12#230250060000-230250060000#290630070000290630070000#290630150000-290630150000#500030160000500030160000#560020040000-560020050000#570010080000570010080000#570020010000-570020010000#580030120000580030120000

1Giovanni 3:17; 4:9-10#690030170000-690030170000#690040090000690040100000

Numeri 24:17; Isaia 11:1; Zaccaria 3:8; 6:12; Malachia 4:2; Apocalisse 22:16#040240170000-040240170000#290110010000290110010000#450030080000-450030080000#450060120000450060120000#460040020000-460040020000#730220160000730220160000

49001079Lc 1:79

79. Per rilucere a coloro che giacevano nelle tenebre, e nell'ombra della morte;

In queste ultime parole del cantico di Zaccaria c'è, riferimento ai passi del Vecchio Testamento, Vedi in ispecie Isaia 9:1; 60:1-2#290090010000290090010000#290600010000-290600020000, in cui il Salvatore è descritto come la luce del mondo chiuso nella notte d'ignoranza e d'alienazione da Dio, Vedi Nota Matteo 4:16Matteo 4:16. Lo sguardo di Zaccaria si spinge qui assai più in là d'Israele. Egli contempla gli uomini privi della luce della verità e della vita, sedenti nelle tenebre e nell'ombra della morte; ma vede in ispirito il Sole della giustizia levarsi e splendere sopra essi tutti. È questo il grande scopo per cui è detto che il Salvatore viene al mondo Isaia 42:6-7#290420060000-290420070000, per

indirizzare i nostri piedi nella via della pace.

La figura è presa dai viaggiatori che essendo sorpresi dalla notte non sanno che cosa fare, ed aspettano il nascer del sole che guidi i loro passi. Cristo è «la luce del inondo», la sua parola è «una lampana ai nostri piedi e un lume ai nostri sentieri», il vangelo ci schiude l'unica via di trovar la pace con Dio, la pace della coscienza, la pace coi nostri simili e la pace eterna oltre la tomba. Il cantico di Zaccaria è meno regolare nella sua composizione di quel di Maria. Probabilmente non fu pubblicato o generalmente conosciuto nella sua forma definitiva, durante la vita di Zaccaria, o quella forse di suo figlio; ma siccome senza dubbio, venne scritto e copiato, dovette conservarsi nella famiglia. Che Luca, fra tutti gli Evangelisti, abbia ottenute e conservate queste composizioni è in pieno accordo col suo carattere e con le sue

abitudini, come sono indicate nei vers. Luca 1:1-4#490010010000490010040000; ed anche con l'ipotesi ch'egli scrivesse il suo Vangelo in Cesarea, durante la prigionia di Paolo, dove e quando ebbe ampia opportunità di praticare indagini tra i familiari di nostro Signore e del Battista.

PASSI PARALLELI

Luca 2:32; Isaia 9:2; 42:7,16; 49:6,9; 60:1-3; Matteo 4:16; Giovanni 1:9; 8:12; 9:5#490020320000-490020320000#290090020000290090020000#290420070000-290420070000#290420160000290420160000#290490060000-290490060000#290490090000290490090000#290600010000-290600030000#470040160000470040160000#500010090000-500010090000#500080120000500080120000#500090050000-500090050000

Giovanni 12:46; Atti 26:18; Efesini 5:8; 1Tessalonicesi 5:4-5; 1Giovanni 1:5-7#500120460000-500120460000#510260180000510260180000#560050080000-560050080000#590050040000590050050000#690010050000-690010070000

Giobbe 3:5; 10:22; Salmi 23:4; 44:19; 107:10,14; Geremia 2:6#220030050000-220030050000#220100220000220100220000#230230040000-230230040000#230440190000230440190000#231070100000-231070100000#231070140000231070140000#300020060000-300020060000

Salmi 25:8-10,12; 85:10-13; Proverbi 3:17; 8:20; Isaia 48:17,22; 57:19-21; 59:8#230250080000-230250100000#230250120000230250120000#230850100000-230850130000#240030170000240030170000#240080200000-240080200000#290480170000290480170000#290480220000-290480220000#290570190000290570210000#290590080000-290590080000

Geremia 6:16; Matteo 11:28-29; Romani 3:17#300060160000300060160000#470110280000-470110290000#520030170000-

520030170000

49001080Lc 1:80

Fanciullezza di Giovanni Luca 1:80

80. E il piccol fanciullo cresceva, e si fortificava in ispirito;

Formola di conclusione, la quale, delineando in contorni generali il progresso corporeo, intellettuale e spirituale del Battista, e parlando della sua vita, insino al tempo della sua comparsa nel pubblico suo ministero, pon fine alla storia di famiglia di Zaccaria. Una formola identica chiude similmente la storia di Maria Luca 2:40,52#490020400000490020400000#490020520000-490020520000.

e stette nei deserti, infino al giorno ch'egli si dovea mostrare ad Israele.

Ciò si riferisce al Luca 1:15#490010150000-490010150000, e denota il modo nazireo della vita del Battista. Il deserto era probabilmente quello della Giudea che comprendo la regione incolta posta all'O. del Mar Morto e della valle del Giordano. Ritiratosi in questo deserto fin dalla fanciullezza, solo con Dio, e libero da ogni influenza rabbinica, il suo spirito dovea educarsi, come quello di Mosè nel deserto del Sinai. per la grand'opera che gli stava davanti. Gli Esseni (Vedi Sette Giudaiche) abitavano in quelle parti, ma se esercitarono qualche influenza sopra di lui, dovette essere di natura affatto generale, poiché le loro vedute erano totalmente diverse dalle sue.

PASSI PARALLELI

Luca 1:15; 2:40,52; Giudici 13:24-25; 1Samuele 3:19-20#490010150000490010150000#490020400000-490020400000#490020520000490020520000#070130240000-070130250000#090030190000090030200000

Matteo 3:1; 11:7; Marco 1:3-4#470030010000470030010000#470110070000-470110070000#480010030000480010040000

Giovanni 1:31#500010310000-500010310000

RIFLESSIONI

l. Nelle benevole attenzioni dei parenti e vicini d'Elisabetta abbiamo un rimarchevole esempio della benevolenza che tutti ci dobbiamo gli uni agli altri. La scambievole simpatia nelle gioie e nei dolori costa poco, eppure è un seme di efficacia potentissima, ed ha una immensa influenza sul benessere e sulla tranquillità della società considerata nel suo complesso. Una amorevole parola di congratulazione, o di consolazione, o un atto cortese, per quanto insignificante, si dimentica di rado, da un cuore reso particolarmente suscettibile, dai lieti o tristi annunzi. I seguaci di Cristo farebbero bene a ricordare e praticare questa grazia, la quale presenta il più notevole contrasto con quell'egoismo che induce l'uomo a restringermi entro la sfera delle piccole cose proprie, e lo rende indifferente alle gioie e ai dolori degli altri. È uno degli ornamenti del carattere Cristiano, che ne manifesta la bellezza agli occhi degli uomini, ed è ingiunto da precetti come i seguenti: «Non riguardate ciascuno al suo proprio, ma ciascuno riguardi eziandio all'altrui» Filippesi 2:4#570020040000-570020040000. «Rallegratevi con quelli che sono allegri, piangete con quelli che piangono» Romani 12:15#520120150000-520120150000.

2. L'analogia che la gran maggioranza dei Cristiani ritiene esistere tra la circoncisione sotto il Vecchio Testamento e il battesimo sotto il Nuovo, è posta in sodo non solamente dalla natura e dal significato simbolico delle istituzioni stesse, ma anche dalla testimonianza espressa della Scrittura. Il linguaggio di Paolo Colossesi 2:11-13#580020110000-580020130000 è molto esplicito. In questo passo, l'Apostolo, affin di svezzarli dalle cerimonie della legge, dimostra ai Colossesi essere essi compiti in Cristo avendo in lui tutte le benedizioni spirituali, ed anche tutte le necessarie ordinanze; e più particolarmente che, quantunque non avessero alla lettera la circoncisione,

non solo avevano il cangiamento salutare da essa significato, ma eziandio un'altra ordinanza, cioè il battesimo, il quale, (come per l'addietro la circoncisione), serviva a rappresentare tale cangiamento. Ora, siccome l'ordinanza giudaica era amministrata nell'infanzia, ne segue doversi l'ordinanza cristiana amministrar pur essa nell'infanzia; altrimenti la dispensazione cristiana, invece di essere superiore alla giudaica, le sarebbe, per questo riguardo, inferiore. In quanto alle varie obiezioni che soglionsi addurre contro la ragionevolezza di questa dottrina, a motivo dell'esser gli infanti incapaci di comprendere o di prestare il loro assenso all'atto che si celebra, è ovvia la risposta che queste obiezioni, se avessero qualche valore, l'avrebbero avuto egualmente contro l'ordinanza giudaica, che Dio avea par comandato si dovesse amministrare agli infanti.

3. La condotta di Zaccaria, allorquando fu circonciso il suo bambino, ci offre un luminoso esempio della virtù benefica dell'afflizione. Sebbene «tardo di cuore a credere tutte le cose» che Gabriele gli avea dette nel tempio, la pronta decisione con cui adottò il nome di Giovanni dimostra chiaro che, in quel punto, ci credeva pienamente tutto quanto l'angelo gli avea rivelato intorno al fanciullo. Non invano era rimasto sordo e muto per nove mesi, egli era ora non più «incredulo, anzi credente». Facciamo adunque in modo che le nostre afflizioni crescano salutari anche a noi. Nel tempo dell'avversità preghiamo fervorosamente, affinché possiamo imparare saggezza dalla verga, e non indurare i nostri cuori contro Dio. «Le afflizioni santificate», dice un antico teologo, «sono avanzamenti spirituali». Il dolore che ci umilia e ci spinge ad accostarci di più a Dio, è una benedizione e un puro guadagno. Nessun caso è più disperato di quello di colui che nel tempo dell'afflizione volge le spalle a Dio. Consultate 2Cronache 28:22#140280220000-140280220000, e notate con tremore il marchio terribile ivi impresso ad uno dei Apocalisse di Giuda.

4. Dovette esser sorgente di gran consolazione per Zaccaria il sapere che il suo figliuolo, un giorno, sarebbe «grande nel cospetto del Signore»; ma intanto ch'egli era ancor giovinetto, sotto la sua cura e disciplina, come dovea sentir profonda nel cuore la gratitudine verso Dio, nello scoprire ogni giorno novelle prove che «la mano del Signore era con lui!» Noi sappiamo ch'ei fu ripieno dello Spirito Santo, fin dal ventre di sua madre, e possiamo

capire il senso di queste parole, sì dalla promessa che precedette la sua nascita, che dal tenore della sua vita susseguente. I genitori Cristiani non possono avere individualmente la promessa che i loro figliuoli saranno «grandi nel cospetto del Signore», come strumenti nel far progredire il regno di Cristo; ma possono almeno innalzare costanti preghiere che «la mano del Signore sia con essi», rendendoli docili e pieghevoli, incominciando, di buon'ora, l'opera della grazia nei loro cuori, e guidandoli avanti nella conoscenza, nell'amore e nel timor di Dio. Così dovrebbero agire ora i padri e le madri inverso i loro figli; dovrebbero ammaestrarli secondo la via che han da tenere», se fanno ciò, hanno la promessa di Dio, che non si dipartiranno da essa, non pur quando saran diventati vecchi» Proverbi 22:6#240220060000-240220060000.

5. Mentre ai Gentili credenti, che erano per la nascita «alieni dalla casa d'Israele e stranieri al patto della promessa», il vangelo venne con tutta la franchezza d'una irresistibile novità, al divoto israelita venne, invece, con tutto l'incanto d'antiche e sovente ripetute promesse finalmente avverate, e di speranze divinamente accese, ma protratte per lungo tempo, e infine inaspettatamente realizzate. Si è quest'ultima veduta del vangelo che regna nel nobile cantico di Zaccaria, in cui ei vede Iddio, memore della sua grazia e fedeltà inverso la casa d'Israele, realizzare lo scopo utilissimo dell'antica economia, ed introdurre il suo popolo alla beatitudine d'una presente salvazione e alla dignità di servire liberi e senza tema quell'Iddio che avea stabilito con essi il suo patto.

49002001Lc 2:1

CAPO 2 - ANALISI

1. Nascita del Salvatore. Con quella minuta accuratezza di particolari, per cui va distinto Luca, egli ricorda il viaggio di Giuseppe e di Maria da Nazaret a Betlemme, viaggio reso necessario da un ordine emanato dalla imperiale Roma, che dovesse farsi un censimento generale di tutti gli abitanti dell'impero. Questo censimento ha grandemente occupato l'attenzione dei critici studiosi della Bibbia. Taluni hanno sostenuto

arditamente che tale censimento non ebbe mai luogo; ma il risultato generale delle ricerche fatte su questo soggetto è stato di stabilire incontrovertibilmente l'accuratezza dell'Evangelista. Maria era giunta appena a Betlemme quando le sopravvennero le doglie del parto, ma in conseguenza della gran gente accorsa in quella città, pel medesimo motivo di essi, l'albergo era pieno, e questi umili discendenti della casa reale di Davide furono costretti a ricoverarsi in un canto di quella parte dell'edifizio che serviva di stalla, a somiglianza di quanto accade vedere anche oggidì, nei khan o caravanserragli della Palestina. Qui la vergine partorì il suo primogenito, e il bambino fu posto a dormire nella mangiatoia Luca 2:1-7.

2. Annunzio della lieta novella ai pastori. La campagna di Betlemme presenta tutt'intorno ondulazioni di terreno; verdi colline con valli ubertose frapposte. Le montagne alte, brulle e scoscese sono ignote nella «contrada delle montagne della Giudea», in cui è situata Betlemme, laonde il paese era particolarmente adatto al pascolo di greggio ed armenti. Senonché d'inverno la temperatura della notte è così fredda, che né pastori né armenti avrebber potuto restar fuori all'aperto, senza pericolo, in quella stagione. Questa circostanza presa in connessione col fatto che la Chiesa primitiva celebrava in primavera la nascita del Signore, costituisce una prova abbastanza forte che il giorno della sua natività non poté essere il 25 dicembre. Secondo Clemente Alessandrino, l'antica Chiesa d'Alessandria la festeggiava il 20 maggio (25 pachons), nella quale stagione i pastori e le greggie non poteano punto soffrire a star fuori tutta la notte. Ad una brigata di pastori che stavano alla guardia delle loro gregge, in vicinanza di Betlemme, fu fatto il primo lieto annunzio della nascita del Messia, da un angelo, la cui proclamazione fu seguita da una gloriosa dossologia, alla quale prese parte una moltitudine dell'oste celeste. Riavutisi dal primo timore e dallo stupore, i pastori tosto si avviarono a Betlemme per verificare quanto era stato loro esposto, e avendo trovato ogni cosa conforme a quel che l'angelo avea detto, cominciarono a divolgare le novelle meravigliose Luca 2:8-20.

3. Circoncisione del bambino l'ottavo giorno, nella, quale abbiamo la prima prova che sebbene, Gesù fosse «Dio sopra tutti», come uomo era «sottoposto alla legge» Galati 4:4#550040040000-550040040000. Come, nel caso di Giovanni Battista, l'imposizione del nome accompagnò il rito

della circoncisione, e gli fu dato il nome di Gesù, il quale ora stato rivelato separatamente sia a Giuseppe che a Maria, ed era tanto idoneo all'opera gloriosa per la quale egli era venuto al mondo Luca 2:21.

4. Purificazione di Maria nel Tempio. Era questa prescritta dalla legge levitica a tutte le donne dopo il loro puerperio, a motivo della contaminazione contratta per l'infermità della carne soggetta al peccato, e il fatto che Maria vi si sottomise di buona voglia, e confessò la propria contaminazione per mezzo dell'offerto sacrifizio è infallibile risposta alla pretesa attribuitale d'essere Immacolata! È, questo uno dei «nomi di bestemmia» scritti sulla Chiesa di Roma Apocalisse 17:3#730170030000730170030000. Le offerte da essa presentate provano quanto in basso fosse caduta la fortuna di lei e del marito, essendo quelle speciali stabilite pei poveri Levitico 12:8#030120080000-030120080000. Insieme a questo dovere di render grazie per sé stessa, ella aveva anche da adempiere ad un dovere pel suo bambino. In memoria della conservazione dei primogeniti degli Israeliti, quando furono uccisi quelli degli Egiziani dall'angelo sterminatore, Iddio comandò che ogni primogenito in tutto le famiglie fosse consacrato o appartato pel suo servigio. Più tardi, Iddio scelse la tribù di Levi per fare i servigi del tabernacolo, invece dei primogeniti Numeri 3:1213,41-51; 8:14-18#040030120000-040030130000#040030410000040030510000#040080140000-040080180000; ma l'obbligo di ogni genitore di consacrare a Dio il suo primogenito, quindi di riscattarlo, infra 30 giorni, mediante il pagamento di 5 sicli d'argento (L. italiano 15,30), rimase sempre in vigore Numeri 18:16#040180160000-040180160000; e siccome Gesù era il primogenito di Maria, così ella portò seco il fanciullino al tempio per dedicarlo al Signore Luca 2:22-24.

5. Simeone ed Anna riconoscono il loro Salvatore. Mentre Maria era intenta a questo, il santo vecchio Simeone, il quale da lungo tempo viveva nella speranza della venuta della «consolazione d'Israele», inspirato dallo Spirito Santo, riconobbe nell'infante, l'oggetto delle sue speranze, e recatoselo nelle braccia, proruppe in fervidi ringraziamenti, «posciaché gli occhi suoi avean veduta la salute del Signore». Ai suoi rendimenti di grazie succedettero tosto quelli d'Anna, profetessa, la quale immantinente lo proclamò qual

Messia a quelle pie persone ch'ella conosceva in Gerusalemme che «aspettavano la redenzione» Luca 2:25-38.

6. Fanciullezza di Gesù. Questo Evangelista non riferisce la visita dei Magi e i tragici avvenimenti a cui questa diè origine in Betlemme, per la gelosia di Erode. Egli passa sotto silenzio, siccome cosa che non entrava nel suo disegno, la fuga in Egitto e la residenza di Giuseppe e della sua famiglia colà, fino alla morte di Erode, e procede subito, nella sua narrazione dalla dedica nel tempio al ritorno a Nazaret, onde fissare l'attenzione dei lettori sul fatto che ivi passò l'infanzia Gesù, e che quella fu la prima scena familiare all'anima sua, quella in mezzo alla quale essa cominciò a svilupparsi, in breve che Nazaret fu la sua patria terrena. In quella solitudine, lavorando probabilmente come falegname Marco 6:3#480060030000-480060030000, col suo padre putativo, sviluppossi la natura umana del Figliuol di Dio, in quel modo appunto che si svilupperebbe in uno di noi. Ciascun anno che passava cresceva altezza alla sua statura, sapienza e vigore al suo intelletto, nel mentre che quanti lo vedevano non tardavano ad osservare che «la grazia di Dio era sopra di lui» Luca 2:39-40.

7: Gesù disputa coi dottori nel tempio. Un saggio interessante di questo sviluppo di sapienza e di grazia nel fanciullo Gesù è da rinvenirsi nei versetti che seguono, ed è tanto più degno di attenzione in quanto che è l'unico schizzo che ci porgano le storie, evangeliche intorno alle sue abitudini ed occupazioni tra la culla del presepio in Betlemme e la conferenza col Battista, quando venne ad esser battezzato. Era costume dei suoi genitori di salire alla festa della Pasqua ogni anno a Gerusalemme; e Gesù, può darsi che li abbia sovente accompagnati anche prima; ma giunto che fu al dodicesimo anno, (all'età cioè in cui i fanciulli divenivano responsabili davanti alla legge), fece ricerca delle scuole ove i Dottori della legge introducevano i loro allievi, entro i recinti del tempio, e condottosi colà, era così ardente la sete del sapere nell'anima sua umana che vi rimase assorto in pensieri e ricerche, mentre i suoi genitori si partivano pel loro viaggio verso il settentrione. Delusi nella speranza di trovarlo in compagnia dei loro congiunti e vicini alla fine della prima giornata, Giuseppe e Maria tornarono in fretta e in timore a Gerusalemme e lo trovarono coi Dottori

della legge, che li ascoltava ed interrogava intorno ad argomenti di cui bramava spiegazione. Quando Sua madre lo rimproverò per l'ansietà, che avea loro cagionata, Gesù le rivelò, per la prima volta, quantunque avesse insino allora reso obbedienza volenterosa alla autorità dei genitori e inculcatone l'obbligo col proprio esempio, che non era però a lei che la doveva interamente; c'era uno che ci potea chiamare suo Padre in un senso più alto ed intimo, e la sua obbedienza era dovuta innanzi tutto a lui, quand'anche ciò gl'impedisse di adempiere i desiderii e i comandi della madre sua terrena. «Non sapevate voi ch'egli mi conviene attendere alle cose del Padre mio?» Questa lezione non andò perduta per Maria; con molte altre cose antecedenti, essa la riserbò nel suo cuore, meditandone il significato Luca 2:41-52.

Luca 2:1-7. NASCITA DI CRISTO Matteo 1:24-25; 2:1#470010240000470010250000#470020010000-470020010000

1. Or in que' dì,

cioè circa il tempo in cui avvennero le cose precedenti, particolarmente la nascita di Giovanni il Battista che precedette quella di Gesù di circa sei mesi.

avvenne che un decreto uscì da parte di Cesare Augusto,

Il suo proprio nome era Caio Ottavio; era pronipote ed erede di Giulio Cesare del quale adottò il nome, e fu il primo degli Imperatori romani. La storia del Nuovo Testamento appartiene interamente ai regni dei primi cinque Cesari, cioè Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Di questi, Augusto, Tiberio e Claudio soltanto sono mentovati col loro nome; ma Nerone è, fuor d'ogni dubbio, il Cesare a cui si riferisce l'ultima parte della storia di Paolo Atti 25:12-27; Filippesi 1:13; 4:22; 2Timoteo 4:16,7#510250120000-510250270000#570010130000570010130000#570040220000-570040220000#620040160000620040160000#620040070000-620040070000.

che tutto il mondo fosse rassegnato,

Fondandosi sull'assenza di qualsiasi notizia diretta nelle opere degli storici romani, che pervennero fino ai nostri giorni, intorno ad un censimento generale di tutto l'impero, comandato da Augusto verso l'epoca della nascita di Cristo, alcuni scrittori sostengono che Luca usi la frase «tutto il mondo» come equivalente a tutta la terra di Giudea. Una tale interpretazione appare però a prima vista estremamente improbabile. Se lo scrittore di questo Vangelo fosse stato un Giudeo, potrebbe darsi che per abitudine, o per orgoglio nazionale avesse caratterizzato il piccolo territorio della Giudea con la frase magniloquente di «tutto il mondo»; ma siccome Luca era Gentile, e Scrisse, primieramente almeno, per benefizio di Teofilo, pure Gentile, e siccome l'uno e l'altro erano sudditi dell'impero romano, è certo che dovette usare quella frase nel suo senso ordinario per denotare esso impero in tutta la sua estensione; è certo anzi che non poteva usarla in senso più ristretto senza produrre una falsa impressione. Il verbo rassegnare ha tre significazioni: 1. fare una copia; 2. registrare uomini o cose; 3. fare un inventario di beni per fissare l'imposta. Il nome apografe, nel versetto seguente, ha un significato somigliante, sicché può denotare semplicemente formazione d'un ruolo o enumerazione di persone, cioè una descriptio capitum (Vulgata in loco); ovvero può anche voler dire una registrazione di beni su cui abbiano a determinarsi le imposte. Per quest'ultima tuttavia, i Greci avevano una parola speciale (apotimesis). A questa parola corrispondeva il termine latino census (il cui primo oggetto, secondo il Greswell, era di accertare il valore della proprietà); ma, secondo il Winer, si usava generalmente dagli scrittori greci, trattandosi di cose romane, nello stesso senso, come equivalente a census. Che da Luca sia usata in quest'ultimo senso, nell'unico altro passo dei suoi scritti Atti 5:37#510050370000-510050370000, in cui ella ci rinviene, è cosa manifesta. È naturale dunque il supporre che Luca usa qui la parola nello stesso senso, come applicabile sì alle persone che ai beni; quantunque molti sostengano, fondandosi sulla parola prima, del vers. 2condo, che questa rassegna non fu che una compilazione del ruolo della popolazione, e l'altra posteriore, il vero censo, per la fissazione delle imposte.

Facendo anche del tutto astrazione della ispirazione dell'Evangelista, Luca medesimo ci assicura d'essere stato diligente nelle sue investigazioni e che le informazioni sue furono attinte a sicure sorgenti, quindi non dovrebbe farsi maggiore difficoltà per accettare l'asserto di lui che per accettar quello di qualsiasi altro storico. Ciò nonostante i critici, sì quelli amici che quelli ostili alla causa del vangelo, hanno messo in questione l'asserto di Luca intorno ad un decreto di universale censimento dell'impero, perché non è corroborato da alcuno storico contemporaneo. Conviene tuttavia ricordarsi che la nostra cognizione di questa parte del regno d'Augusto è assai imperfetta. Tacito incomincia i suoi Annali soltanto dalla morte d'Augusto. La storia di Svetonio è poco accurata e mal distribuita. Dione Cassio lascia una gran lacuna tra gli anni 747 e 757 datando dalla fondazione di Roma (Anno Urbe Condita, solitamente, abbreviato U. C.), = 3 avanti Cristo a 7 A. D., notando appena un qualche incidente; e Flavio Giuseppe non si propone di dare una storia dell'impero. Facilmente adunque può essere avvenuto che rimanesse, senza alcuna loro menzione, un decreto emanato tra 749 e 750 U. C. (cioè tra l'anno precedente la nascita di Cristo e l'anno della sua nascita). La natura di questa obiezione contro il nostro Evangelista adunque non è già che il suo asserto sia contradetto dalla storia contemporanea, ma soltanto che, a cagione degli scarsi materiali di quella storia, non è da essa confermato. E tuttavia sarebbe troppo rischio il negare tutto quanto non è registrato dagli storici contemporanei intorno al regno del 1mo Imperatore romano; imperocché se il facessimo, saremmo costretti ad ignorare il fatto pienamente autenticato al presente, d'una misurazione geometrica dell'impero, ordinata da Augusto, della quale non è fatta menzione da alcuno di questi storici. È provato all'evidenza, da Svetonio e dal monumento di Ancira, che Augusto ordinò fosse fatto il censimento d'Italia tre volto durante il suo regno; sappiamo da altri scrittori che ne ordinò uno anche nella Gallia, ed uno in Ispagna; mentre Strabone, scrivendo poco dopo la sua morte, parla di questi censi come di ordinari avvenimenti. Suida dice che «Augusto mandò 20 persone di gran probità in tutte le parti del suo impero, per mezzo delle quali fece un censimento di persone e di beni». Tacito (Annali 1,11) c'informa che Augusto aveva un libriccino scritto di sua propria mano, intitolato Breviarium Imperii, il quale conteneva ragguagli del numero dei soldati, delle tasse, imposte e simili: «Opes publicae continebantur: quantum civium sociorumque in armis; quot classes, regna,

provinciae, tributa, aut vectigalia, et necessitates ac largitiones. Quae cuncta sua manu perscripserat Augustus». L'esistenza di questo libro scritto dall'Imperatore medesimo è confermata sì da Svetonio che da Dione Cassio, ed esso doveva esser basato sulle perizie governative di tutto l'impero. In tutto quanto fu detto qui sopra c'è, del sicuro, abbastanza da rendere altamente probabile l'asserto di Luca che questo decreto imperiale si riferisse a tutto l'impero, ossia a «tutto il mondo», avvegnaché tutti quelli che erano al di là dei suoi confini, fossero considerati come insignificanti barbari e fuori del mondo civile.

PASSI PARALLELI

Luca 3:1; Atti 11:28; 25:11,21; Filippesi 4:22#490030010000490030010000#510110280000-510110280000#510250110000510250110000#510250210000-510250210000#570040220000570040220000

Matteo 24:14; Marco 14:9; 16:15; Romani 1:8#470240140000470240140000#480140090000-480140090000#480160150000480160150000#520010080000-520010080000

49002002Lc 2:2

2. (Questa rassegna fu la prima che fu fatta, sotto Quirinio, governator della Siria)

Il significato della parola la prima in questo versetto si è sempre sentito che presenta una difficoltà, per la sua connessione col governo di Quirinio sulla Siria, il quale data, secondo gli storici romani, dall'anno 760 U. C. ossia 10 anni dopo la nascita di Cristo. Alcuni hanno tentato di liberarsi da tale difficoltà, sopprimendo di pianta il versetto come interpolato, ma inutilmente; l'autenticità di quel versetto essendo comprovata dai più autorevoli MSS. La maggior parte degli scrittori, pur riconoscendo la veridicità dell'asserto di Luca intorno ad un censimento generale, hanno

tentato di sciogliere la sovraccennata difficoltà con l'una o l'altra delle seguenti spiegazioni:

1. Che la parola «governatore» è qui usata in senso lato; e che può dirsi che Quirinio fosse coadiutore di Saturnino, propretore della Siria 746750, (come è ben noto che fu poscia Volunnio); ovvero può aver ricevuto il titolo di Hegemon (governatore), come presidente d'una Commissione speciale nominata per eseguire il censimento nella Siria.

2. Che il superlativo prima, è usato qui nel senso del comparativo (prima di o anteriore a), e che il decreto di Augusto fu anteriore al tempo in cui Quirinio era Governatore della Siria.

3. Che il ver. 2 non va tra parentesi, ma si in continuazione di quanto è riferito al vers. 1, e che la parola greca usata da Luca deve essere accentata invece di quella che dà questo senso, che cioè era stato emanato un decreto da Augusto che tutto il mondo fosse rassegnato, ma che la rassegna stessa fu fatta per la prima volta quando Quirinio era governatore della Siria.

Senonché i recenti progressi delle indagini nel dominio della storia hanno tolta fortunatamente qualunque necessità di scegliere tra queste possibili spiegazioni, nel mentre che han confermato in modo singolarissimo la scrupolosa accuratezza di Luca. Augusto W. Zumpt, nel 2ndo volume del dotto suo lavoro sulle antichità romane (Commentationes Apigraphiree ad Antiquitates Romanas pertinentes, Berlino 1854), ha un capitolo sulla Siria come, provincia romana, dai giorni di Augusto a quelli di Vespasiano, in cui dà i nomi dei veri governatori di quella provincia, con le date secondo la cronologia ab U. C. Tracciando la storia di Publio Sulpicio Quirinio (uomo di bassa origine, ma coraggioso soldato), dal tempo che fu fatto Console, 742 U. C. = 12 A. C., dimostra con una massa di prove, minute ma irresistibili, che egli fu due volte Governatore della Siria, la prima volta come immediato successore di P. Q. Varo, dal 750-753 U. C. = 4 A. C. a 1 A. D. - il periodo preciso in cui, secondo Luca, fu emanato questo decreto di Augusto. Il secondo periodo del suo governatorato si estese dal 760-765 U. C. = 6-11 A. D., allorquando, bandito Archelao, e, ridotta la Giudea in

provincia romana, fu attuata l'imposta, nonostante la resistenza di Giuda il Galileo e de' suoi compagni Atti 5:37#510050370000-510050370000. Vedi Sette Giudaiche. Articolo Zeloti. Riesce quindi evidente che la formazione del ruolo, nella Giudea, e il susseguente stabilimento della imposta, furono opera l'una e l'altra di Quirinio, ed è posta quindi fuor d'ogni dubbio la perfetta accuratezza della distinzione tra le due cose da Luca accennate in questo versetto.

A chi ancora obiettasse che al tempo in cui Quirinio fu per la prima volta Governatore, la Giudea era un regno a parte, governato da Erode il grande, e che per conseguenza il decreto di Augusto non poteva esser posto colà in vigore, convien ricordare che Erode, durante tutto il suo regno, altro non fu che uno zimbello nelle mani dell'imperatore, e che nel Breviarium Imperii, scritto da quest'ultimo, di sua propria mano, le capacità d'imposte dei regni e delle provincie erano iscritte con la più perfetta imparzialità. Sappiamo inoltre da Flavio, che, poco prima di questo periodo, Erode avea provocato siffattamente il risentimento d'Augusto, mandando un esercito nell'Arabia e unendovi alcuni capi arabi, che l'imperatore ricusò di ricevere gli ambasciatori che Erode aveagli spediti l'un dopo l'altro, per spiegare la sua condotta, e gli scrisse un'aspra lettera intimandogli che «avendolo sino allora trattato da amico, volea quind'innanzi trattarlo da suddito». Tra le ingiurie, a cui Erode dovette sottometterai in quel tempo, fu quella d'esser costretto, con tutto il suo popolo (eccetto 6000 farisei ricalcitranti), a prestar giuramento di fedeltà all'Imperatore romano, né quindi potea scegliersi momento più opportuno per pubblicare questo decreto, in quanto riferivasi all'estenderlo alla Giudea. Poco prima della sua morte, Erode fu ripristinato nel favore dell'Imperatore. il che probabilmente, rende ragione dell'esser rimaste sospese le misure finali per l'attuazione del decreto, fin dopo il bando d'Archelao, 10 anni più tardi. Il riassunto della discussione suddetta si è che i ruoli dei contribuenti della Giudea furono completati e definitivamente fermati durante il primo governatorato di Quirinio in Siria (750-753 U. C. corrispondenti a 4-1 A. C.) e che l'esazione stessa delle imposte ebbe luogo durante il suo secondo governatorato dal 760-765 U. C. ossia 6-11 A. D. (I lettori che desiderassero di conoscere più profondamente la letteratura di questa questione, la troveranno abilmente compendiata in: Manuale Ermeneutico di Fairbairn; Vita di Nostro Signore sulla Terra

dell'Andrew; Dizionario Biblico di Smith; Enciclopedia della Letteratura Biblica di Kitto; Articoli Cyrenius, TAXING).

PASSI PARALLELI

Atti 5:37#510050370000-510050370000

Luca 3:1; Atti 13:7; 18:12; 23:26; 26:30#490030010000490030010000#510130070000-510130070000#510180120000510180120000#510230260000-510230260000#510260300000510260300000

49002003Lc 2:3

3. E tutti andavano per esser rassegnati, ciascuno nella sua città.

cioè alla città della propria estrazione (forum originis), secondo il costume giudaico, non quella del proprio domicilio, secondo il metodo Romano. Questa usanza nacque dalle consuetudini genealogiche dei Giudei, e l'essere stata adottata in questo caso è una forte conferma dell'accuratezza della cronologia. La divisione esatta della nazione Giudaica in tribù e in famiglie offriva un metodo troppo ovvio e facile per non valersene nella compilazione del censimento. Né chi consideri quanto disperse erano allora, per tutto il paese, le famiglie appartenenti alle diverse tribù, c'era altro modo così atto a conseguire lo scopo del censo, come il radunare tutto il popolo, secondo queste divisioni, ciascuno nel luogo dove era posta l'eredità che era originariamente toccata in sorte alla sua famiglia, e dove avrebbe ancora la propria sede, se si fosse osservata pienamente la legge divina.

49002004Lc 2:4

4. Or anche Giuseppe salì di Galilea, dalla città di Nazaret, nella Giudea, nella città di Davide, che si chiama Betleem

Siccome, Gerusalemme era la capitale - la città Santa, coloro che la visitavano, da qualunque punto del paese venissero, si diceva che salivano a Gerusalemme. Sebbene Betlemme casa del pane, fosse, in posizione meno elevata di Nazaret, gli viene pure applicata la stessa parola «salì» forse a motivo della sua, vicinanza a Gerusalemme. Con questo nome non fu conosciuta se non dopo la conquista di Canaan, quantunque sia una delle città più antiche, della Palestina, essendo già esistente ai giorni di Giacobbe. Il suo nome primitivo era Efrata Genesi 35:19; 48:7#010350190000010350190000#010480070000-010480070000; ma è curioso, e dimostra quanto dovesse essere allora insignificante, il non trovarne menzione nelle Scritture ebraiche, nemmeno sotto il suo nome antico fra le città assegnate da Giosuè 15:20-60#060010010000-060010600000, alle tribù di Giuda. Più tardi i LXX pare l'abbiano inserita, insieme a 10 altre città. Dopo il tempo di Giosuè la troviamo menzionata come Betlemme di Giuda e Betlemme Efrata. Gli antenati di Davide sono registrati alla fine del libro di Rut; e siccome Naasson, figlio di Amminadab, primo principe della tribù di Giuda Numeri 1:7#040010070000-040010070000, perì nel deserto, fu senza dubbio Salmon, padre di Booz, che ottenne il possesso di Betlemme quando Canaan fu diviso a sorte tra le tribù. Il viaggio a cavallo tra Nazaret e Betlemme, richiede al presente non meno di tre giorni. Nello stato in cui si trovava Maria, probabilmente ci volle un tempo assai più lungo.

perciocché egli era della casa, e nazione (distretto di paese) di Davide; 5. Per esser rassegnato con Maria, ch'era la moglie che gli era stata sposata

letteralmente con Maria la moglie fidanzata a lui. Ella era, senza dubbio, prima di quel tempo, stata condotta a casa di Giuseppe, dopo la celebrazione delle solite cerimonie dello sposalizio; ma l'Evangelista, guidato dallo Spirito d'ispirazione, applica a Maria l'insolito appellativo di «moglie fidanzata», per indicare il fatto (ricordato anche da Matteo 1:25#470010250000-470010250000), che insino allora non era intervenuto carnale conoscimento tra essi. Il fatto così premurosamente notato, invece d'essere in favore della perpetua verginità della Vergine Maria, è una delle prove più forti che dopo la nascita di Gesù, ella divenne de facto, non meno che de nomine la moglie di Giuseppe, Vedi nota Matteo 1:25Matteo 1:25.

49002005Lc 2:5

la quale era gravida.

Come Giuseppe, anche Maria era discendente dalla casa reale di Davide, Vedi Luca 1:32#490010320000-490010320000, ma siccome, per lo più, le donne non eran registrate, sembra difficile il render ragione della di lei venuta a Betlemme mentre trovavasi nella condizione qui sopra descritta. Si è congetturato che ai capoluoghi di ciascuna famiglia si fosse adottato il metodo romano di registrazione, il quale includeva le donne e i fanciulli non meno che i maschi; ovvero che Maria, come le figliuole di Selofad Numeri 27:1-14; 36:5-12#040270010000-040270140000#040360050000040360120000, fosse proprietaria, per suo proprio diritto ereditario, di un qualche pezzetto di terra nelle vicinanze di Betlemme, e che per questo fosse richiesta la di lei comparsa personale; ovvero anche che, nello stato in cui si trovava, preferisse i rischi del viaggio a quelli a cui poteva essere esposta in Nazaret, avvenendo il parto in assenza del marito. Ma non è egli assai più probabile che (credendo all'annunzio fattole da Gabriele, che il figlio che portava allora in seno era il Messia promesso) ella cercasse diligentemente tutte le indicazioni contenute nelle profezie intorno alla, nascita del Messia; che in tal guisa venisse a conoscere la predizione di Michea 5:2#400050020000-400050020000, ch'ei dovea nascere in Betlemme, e che la notevole coincidenza di quest'ordine imperiale, che provvidenzialmente chiamava colà Giuseppe, col tempo preciso in cui dovea nascere il suo bambino, producesse su di lei per l'influenza dello Spirito Santo, una così solenne impressione che ella insistesse di volere accompagnare il marito? Una tale condotta è in perfetta armonia con la sua fede al tempo dell'annunzio, e col suo cantico di santa gioia, nella casa di Elisabetta. «Ovunque fosse nato Gesù, Betlemme sarebbe stato il suo luogo d'origine, poiché era la culla della famiglia di Davide; ma per rendere più luminoso l'adempimento delle profezie, l'Eterno volle che Gesù nascesse nel luogo stesso ove il re profeta era venuto alla luce. Poi (cosa veramente degna di ammirazione), si fu l'Imperatore Augusto che, dal suo palazzo in Roma, determinò il viaggio di Giuseppe e di Maria. Come molti altri principi, egli

non sospettava che gli ordini della sua amministrazione entrassero così bene nei disegni del governo di Dio» (Burnier, Studii).

PASSI PARALLELI

Luca 1:26-27; 3:23#490010260000-490010270000#490030230000490030230000

Luca 4:16; Matteo 2:23; Giovanni 1:46#490040160000490040160000#470020230000-470020230000#500010460000500010460000

Genesi 35:19; 48:7; Ruth 1:19; 2:4; 4:11,17,21-22; 1Samuele 16:1,4; 17:12,58#010350190000-010350190000#010480070000010480070000#080010190000-080010190000#080020040000080020040000#080040110000-080040110000#080040170000080040170000#080040210000-080040220000#090160010000090160010000#090160040000-090160040000#090170120000090170120000#090170580000-090170580000

1Samuele 20:6; Michea 5:2; Matteo 2:1-6; Giovanni 7:42#090200060000090200060000#400050020000-400050020000#470020010000470020060000#500070420000-500070420000

Luca 1:27; 3:23-31; Matteo 1:1-17#490010270000490010270000#490030230000-490030310000#470010010000470010170000

Deuteronomio 22:22-27; Matteo 1:18-19#050220220000050220270000#470010180000-470010190000

49002006Lc 2:6

6. or avvenne che, mentre eran quivi,

Da queste parole alcuni scrittori argomentano che Giuseppe dovette trattenersi in Betlemme molto più a lungo che non si aspettava, e se gli impiegati romani di 19 secoli fa erano così pigri nel disimpegno dei loro pubblici doveri come con i loro discendenti d'oggidì, potrebbe darsi che così stesse veramente la cosa; ma il fatto che gli sposi non si erano provveduti d'altro alloggio che la stalla del khan o caravanserraglio, prima che Maria avesse a partorire, sembra indicare che eran giunti di recente.

il termine nel quale ella dovea partorire si compiè. 7. Ed ella partorì un suo figliuolo primogenito,

Vedi Nota Matteo 1:25Matteo 1:25, Matteo 1:26Matteo 1:26. La parola «primogenito» quando è usata in atti o disposizioni legali si riferisce al figlio che apre il grembo, senza riguardo alla circostanza se vi siano o non vi siano altri figliuoli della stessa madre; ma Matteo e Luca la usano non nel senso legale, ma nel significato ordinario, a denotare il primo nato di molti fratelli, i nomi dei quali erano conosciutissimi ai loro conterranei Matteo 13:55-56#470130550000-470130560000. La nascita d'Emmanuele (Dio nella nostra natura), dal grembo verginale di Maria, compiendo a puntino la predizione d'Isaia 7:14#290070140000-290070140000, è l'avvenimento più importante che mai succedesse sulla terra, ed è di sommo rilievo l'accertare, il più esattamente che sia possibile l'epoca precisa in cui avvenne.

L'era Cristiana si professa datare dalla nascita di Cristo, e secondo la cronologia invalsa (la quale fu dapprima introdotta da Dionisio detto Exigus, nel sesto secolo), l'anno 1 di grazia corrisponde al 756 U. C.; ma da una più accurata analisi cronologica di alcuni avvenimenti contemporanei alla nascita del Salvatore, fatta in tempi più moderni, emerse il fatto che Dionisio ha posticipato di 4 anni la data del principio dell'era Cristiana, e che la nascita in Betlemme avvenne veramente nel 750 U. C. e non nel 756. È noto che Erode il Grande non sopravvisse gran tempo alla nascita di Gesù, e Flavio ci porge dei dati assai precisi coi quali possiamo determinare il posto che occupa quella morte nella cronologia romana; laonde rimane anche precisato, coll'approssimazione, di pochi mesi, il punto di partenza dell'Era cristiana. Secondo Flavio (Ant. Giud. 17:8,1), «Erode morì il quinto

dì poi che fece uccidere Antipatro, avendo regnato, dopo aver ucciso Antigono, anni 34, e dopo che ebbe dai Romani il regno, anni trentasette». Vuolsi tuttavia aver presento che Flavio computa gli anni di Nisan in Nisan (luna, Marzo-Aprile), il che differisce dal computo romano, e che calcola le frazioni d'anno, in principio e in fine, come formanti un anno completo ciascuna. Ricordandoci di questo, e sottraendo un anno per le frazioni troviamo che Antigono, l'ultimo dei principi Asmonei, fu ucciso per l'influenza di Erode nel 717 U. C.; ma 717 + 33 = 750. Erode poi fu fatto Apocalisse da Antonio ed Ottavio nel 714 U. C.; ma 714 + 36 = 750. Senonché la data della sua morte si può dedurre ancor più esattamente da un altro fatto ricordato da Flavio (Ant. Giud. 17:6,4), cioè che nella notte medesima del giorno in cui Erode fece porre a morte Mattia, e i suoi compagni, rei d'insurrezione, avvenne una eclissi lunare. Ora mediante calcoli astronomici si è verificato che questa eclissi ebbe luogo nella notte tra il 12 e il 13 marzo 750 U. C.; e pur nondimeno avanti il 12 aprile, giorno in cui fu costatato esser quell'anno cominciata la Pasqua, Erode era non solo morto e seppellito, ma i sette giorni di lutto dopo i suoi funerali, imposti da Archelao il di lui successore, erano già trascorsi. Quasi tutti i cronologisti sono oramai unanimi nel porre la sua morte nell'anno 750 U. C. Quanto fosse lungo l'intervallo trascorso fra la nascita di Gesù e questo avvenimento, sta al lettore a calcolarlo, dovendovi includere la circoncisione del bambino; la purificazione di Maria e la presentazione del suo primogenito; la visita dei magi a Gerusalemme ed a Betlemme; l'indugio d'Erode aspettando il loro ritorno, finché fu convinto che essi si eran beffati di lui; finalmente il tempo frapposto tra l'ordine del massacro dei bambini di Betlemme e la sua esecuzione. Maria non potendo presentarsi al tempio per la purificazione se non quaranta giorni dopo il parto Levitico 12:14#030120010000-030120040000, l'intervallo fra quest'ultimo avvenimento e la morte d'Erode non può essere stato, stretto computo fatto, minore di due mesi e mezzo; inoltre, siccome Giuseppe e Maria non avevano motivo alcuno d'affrettarsi, fino all'emanazione dell'editto sanguinario, egli è assai probabile che il bambino avesse quattro od anche cinque mesi alla morte di Erode. In ogni modo sembra evidente che Cristo sia nato nel 750 U. C.

49002007Lc 2:7

e lo fasciò, e lo pose a giacer nella mangiatoia;

mangiatoia è vocabolo usato ad indicare una stalla in Luca 23:15#490230150000-490230150000, e noi dividiamo l'opinione degli scrittori che suppongono tale ne sia quì il proprio significato, come antitesi d'albergo nella seguente clausola.

perciocché non vi era, luogo per loro nell'albergo

= Luca 10:34#490100340000-490100340000. Non pensi già il lettore a nessuno di quei comodi della vita che i viaggiatori trovano oggidì perfino nelle locande inferiori o nelle osterie d'Europa; ei non si farebbe un'idea giusta della situazione di Maria o del neonato in Betlemme. Il cataluma, albergo, non differiva affatto dal moderno khan o caravanserraglio, ove i viaggiatori e le loro bestie da soma trovano ricovero oggi; ben inteso, ogni individuo vivendo per conto suo, delle proprie provviste. Questi khan hanno generalmente l'apparenza d'un recinto bislungo o quadrato intorno al quale vengono rizzate, Secondo il bisogno, delle camerette, con libero accesso sul cortile, riceventi luce solo dalla porta e affatto nude di qualsiasi mobilia. Una stanza più spaziosa è destinata al convegno dei viaggiatori per fumare e conversare. Era questo probabilmente il cataluma del khan di Betlemme, già tanto pieno, dopo che le camere particolari erano state occupate, da non esservi più posto neppure in esso, per i soli Giuseppe e Maria. Evvi pure, annessa al khan, una stalla di grande dimensione, che serve anche nei piccoli khan come entratura alle celle particolari, e nella quale i conduttori di cammelli ed i mulattieri dormono col loro bestiame; ivi i viaggiatori d'ambo i sessi spesso si reputano felici, in mancanza di meglio, di stendere le loro rozze coperte e trovar ricovero. Chi scrive queste pagine trovossi in tale emergenza, giungendo a notte fatta in un khan sul monte Libano. Tutto il misero albergo consisteva in due camere, laterali ad una grande stalla senza porte. L'albergatore (il khangee), e la sua famiglia ne occupavano una e vi erano ammessi quei fortunati giunti i primi; la seconda era presa da altri viaggiatori arrivati dopo quelli, ed allo scrittore, col suo seguito, convenne rimanere nella stalla, in compagnia di parecchi mulattieri, due famiglie nelle quali v'erano madri e bambini, ed inoltre una dozzina di cavalli e muli legati ad una sbarra lungo uno dei muri. Dopo un parco pasto raggranellato in

fondo ai nostri sacchi da viaggio, si distesero le coperte sulla ben calpestata paglia ed in breve tutti erano immersi nel sonno. Ma verso il mattino l'aria pungente che precede l'alba, penetrando liberamente nella non chiusa stalla, ci faceva tremar di freddo; cosa sempre preferibile però all'aria calda e fetida delle camerette, che non avevano altra ventilazione se non quella proveniente dalla stalla. Giuseppe e Maria arrivati a Betlemme, trovarono ogni cantuccio dell'albergo già occupato da altri viaggiatori, venuti nel medesimo intento; non rimase loro dunque altra alternativa sé non di contentarsi d'un posto nella stalla, e probabilmente Maria fu sorpresa dai dolori del parto prima che avessero potuto cercare migliore alloggio.

Giustino Martire, del secondo secolo, fu il primo a mettere in campo l'ipotesi che il Nostro Signore fosse nato in una spelonca; ipotesi sostenuta ad intervalli da Eusebio e Girolamo, la quale è divenuta ormai una tradizione dei frati, ammessa con cieca fede dalla grande maggioranza dei Cristiani. Eusebio e Girolamo non rimasero però senza confutazione, poiché Cipriano, Niceforo ed altri chiaramente stabilirono come Gesù nascesse in un edificio costruito dagli uomini. È indubitato che il nostro evangelista, il quale dà particolari sì precisi del luogo ove nacque Gesù, avrebbe pure dato ragguagli sopra la stalla, se fosse stata una caverna sotterranea, scavata a perpendicolo nella dura roccia. Vero si è che non havvi difetto di cavità naturali ed aperture a livello del terreno, nella superficie delle rocce calcaree, di cui son formati i colli vicini a Betlemme; sarebbe perciò possibile ma punto probabile, che profittando di alcuna di codeste grotte naturali, vi fosse stato fabbricato un muro esterno appoggiato alla roccia, per ridurla ad uso di stalla con delle stanze attigue. Ma ci vuol tutta l'ignoranza ed il bigottismo dei frati delle chiese Latina ed Orientale, i quali vivono nel convento di Betlemme e della gente credula che presta lor fede, per ammettere che la grotta sottostante alla chiesa della Natività, scavata nella roccia, da ogni lato, nella quale si scende per una ripida scaletta di più di trenta gradini, inaccessibile alle giumenti o altro bestiame, e senza alcuna luce che vi penetri, possa essere la stalla dell'albergo di cui Luca dice che ivi nacque il Cristo. Allorquando chi scrive fu a visitare quella grotta, si prefisse d'esaminare accuratamente ognuna delle pareti, onde accertarsi se da un lato almeno la grotta potesse, in origine, essere stata in comunicazione colla superficie del terreno esterno, e susseguentemente chiusa di muro per

mano d'uomo ma egli rimase convinto che tutte le pareti furono ugualmente scavate nella pietra, né vi si poté mai accedere se non dall'alto. Wilson (Lands of the Bible, Vol. 1, p. 322) dice: «Io confesso che l'effetto (di ciò ch'egli vide nella grotta suddetta), fu intieramente distrutto dall'intima convinzione che il Salvatore non era nato in quel sotterraneo, ma sibbene in una stalla annessa al khan, nel quale la vergine Maria non avea trovato posto per alloggiarsi».

PASSI PARALLELI

Salmi 33:11; Proverbi 19:21; Michea 5:2#230330110000230330110000#240190210000-240190210000#400050020000400050020000

Luca 1:57; Apocalisse 12:1-5#490010570000490010570000#730120010000-730120050000

RIFLESSIONI

1. La, provvidenza di Dio che regge e governa il mondo, si manifesta in modo mirabile nella scelta del luogo ove nacque Gesù Cristo. Iddio avea predetto per la bocca del suo profeta Michea 5:2#400050020000400050020000, che il Messia dovea nascere a Betlemme e, onde compiere la sua parola, egli fece sì che Augusto pubblicò primieramente, il decreto per la rassegna in tal tempo che Maria fu costretta d'essere a Betlemme quando il termine nel quale doveva partorire, si compiè. L'altiero Imperatore romano ed il suo ufficiale Quirinio, erano ben lungi dal credersi semplici istrumenti nella mano dell'Iddio d'Israele, per compiere i buoni eterni decreti, - ben lungi dall'immaginare che cooperavano a porre le fondamenta d'un Regno, dinanzi a cui e l'imperio romano e la romana idolatria cesserebbero un giorno d'esistere. Ben si possono rammentare in proposito le parole d'Isaia 10:7#290100070000-290100070000, intorno al Apocalisse di Assiria: «Ma egli non penserà già così, e il suo cuore non istimerà così». Si conforti dunque il credente, ricordando come Dio regga: e governi il

mondo; non sia egli smosso né turbato dalla condotta dei reggitori della terra, ma coll'occhio della fede guardi a quella mano che regola ogni loro azione, volgendola a lode e gloria di Dio.

2. Il moribondo Giacobbe profetizzò dicendo: «Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il legislatore d'infra i piedi di esso, finché non sia venuto il Silo, ed inverso lui sarà l'ubbidienza dei popoli» Genesi 49:10#010490100000-010490100000; e negli editti romani che costrinsero i Giudei di Palestina a recarsi nella città della propria tribù, appunto al tempo della nascita del Messia, troviamo adempiuta la profezia, secondo cui dovean perdere la loro indipendenza. Lo splendore della teocrazia rapidamente svaniva, onde la nuova gloria del Messia di cui era quello un debole tipo, potesse apparire più manifesta.

3. Evvi una sorprendente profezia di Daniele 9:24-25#340090240000340090250000, la quale fissa l'epoca in cui il Messia doveva nascere: «Vi sono 70 settimane determinate sopra il tuo popolo e sopra la tua città, per terminare il misfatto e per far venir meno i peccati, e per far purgamento per l'iniquità, e per addurre la giustizia eterna, e per suggellar la visione e i profeti; e per ungere il Santo dei santi. Sappi adunque e intendi che, dacché sarà uscita la parola che Gerusalemme sia riedificata, infino al Messia, Capo dell'esercito, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane». Secondo il metodo di calcolare un giorno per un anno e una settimana per sette anni, 70 settimane, ossia 70 volte sette, ammontano a 490 anni. Ora, senza voler entrare nelle accurate minuzie di diversi cronologisti, precisamente questo periodo d'anni trascorse fra l'emanazione del decreto di rifabbricar Gerusalemme e l'apparire del Messia nel mondo.

4. Il Signore del cielo e della terra nacque in una stalla, e giacque in una mangiatoia. Maravigliosa condiscendenza! «Come mai può turbarci», scrive un antico autore, «l'essere rigettati dal mondo che non è nostro, quando Egli è venuto in casa sua ed i suoi non l'hanno ricevuto? Giovanni 1:11#500010110000-500010110000. Facil cosa, o Signore, sarebbe stata per te il farti un posto nelle più auguste corti! Perché hai tu voluto esser così umile, se non affine d'insegnarci col tuo esempio a disprezzare la gloria mondana, ed affine di santificare la povertà per coloro che tu chiami a vivere

in penuria? Avendo la scelta fra tutte le condizioni terrestri, tu hai voluto nascer povero e spregiato, affinché coloro che devono vivere nella miseria, non la considerino come giusta causa di dolore».

49002008Lc 2:8

Luca 2:8-20. GLI ANGELI ANNUNZIANO AI PASTORI LA NASCITA DEL SALVATORE. VANNO QUESTI A VISITARE IL BAMBINO NELLA MANGIATOIA A BETLEMME

8. or nella medesima contrada,

La città di Betlemme è situata sull'orlo d'un altipiano, d'onde il suolo s'abbassa gradatamente sino alle deserte colline che dominano il Mar Morto. Il suolo, in quel tratto di paese, è così profondo e fertile, che ogni palmo di esso deve essere stato coltivato, come adesso, fin dal tempo di Booz Rut 2:3#080020030000-080020030000; conseguentemente non in questa località devesi supporre che fossero i pastori di cui si parla; mentreché, tanto al N. quanto al S. della città, la contrada è tutta ondulata, sparsa di collinette coperte di vegetazione naturale, ricche di pascoli.

vi erano dei pastori, i quali dimoravano fuori ai, campi, facendo le guardie della notte alla lor greggia

Abbiam già veduto (Nota Luca 2:2Luca 2:2), che l'anno in cui nacque il nostro Signore, fu probabilmente 750 U. C.; ma non vi sono dati autorevoli di sorta per fissare il giorno o il mese della sua nascita. La più vicina approssimazione ad un punto sicuro di partenza, per tal ricerca, ci vien fornita da un calcolo (da farsi all'indietro dal 15 agosto 823 U. C. data della distruzione di Gerusalemme, allorquando, a detta di Flavio, la muta di Jehoiarib era appunto entrata in servizio), per saper a quali epoche nel corso dell'anno 748 la muta di Abia fosse di servizio nel santuario. Questo computo ci dà Aprile e Ottobre, come i mesi nei quali a Zaccaria, toccava fare il servizio nel tempio. Aggiungendo ad ognuna di quest'epoche i nove mesi della gestazione di Elisabetta, ed altri sei mesi, cioè il tempo trascorso

fra la nascita del Precursore e quella di Gesù, s'arriva alla conclusione che quest'ultima deve aver avuto luogo alla fine di Luglio 749 o di Gennaio 750. Non si può, per altro, fare assegnamento con la minima sicurezza sopra questo calcolo, a cagione delle molte circostanze fortuite che potevano presentarsi, come per esempio la differenza di tempo fra il principio dell'anno romano e quello dei Giudei; i giorni intercalari del Calendario romano; e la possibilità di cambi fatti nel servizio delle mute, specialmente all'epoca dell'assedio della città e del tempio, ecc. Nessun fatto nelle Scritture getta luce sulla stagione in cui nacque Gesù fuorché questo: che i pastori stavano pascolando le lor greggi nell'aperta campagna di notte, e certo, quest'incidente non favorisce la data del 25 dicembre se consideriamo:

1. La fredda atmosfera nelle notti di Dicembre e di Gennaio, in una situazione elevata come quella di Betlemme;

2. Che i mesi, da Dicembre a Febbraio, sono la stagione piovosa, durante la quale cade puranco talvolta la neve; onde, ai dì nostri, né pastori, né greggi si espongono in quei mesi alle intemperie;

3. Che i pastori ebrei, dopo aver pascolato i lor greggi nel deserto di notte e di giorno, tutta l'estate, li riconducevano ai loro ovili alla fine di Novembre, per rimanervi fino alla seguente primavera.

Possono essere andati nelle praterie nei dintorni dei villaggi, di giorno, quando il bel tempo lo permetteva, ma per tornare al coperto la notte. Dai risultamenti diversi cui giunsero uomini dotti, i quali dedicarono non poco tempo a tali ricerche, ben apparisce la diversità delle loro opinioni riguardo all'epoca in cui possa fissarsi la nascita di Cristo. Così Lightfoot la pone in Settembre, Newcomb in Ottobre, Strong in Agosto, Lichitenstein in Giugno, Lardner e Robinson in autunno, Clinton in primavera, Weisler in Febbraio, Paulus in Marzo, Gresswell e Alford in Aprile. Se Dio avesse stimato utile per noi che il mese ed il giorno in cui l'eterno suo Figliuolo divenne incarnato, fossero conosciuti e celebrati in tutto le età, Colui che comandò di santificare il settimo giorno, in memoria della creazione, e d'osservare al 15 di Nisan la Pasqua, in commemorazione della liberazione d'Israele

dall'Egitto, non avrebbe egli distinto quel giorno in modo da rendere impossibile pei Cristiani ogni disputa in proposito! E chi ne potrà dubitare? In mancanza di un ricordo preciso proveniente da Dio, tutte le ricerche hanno fine in semplici congetture, e conseguentemente il volere imporre l'osservanza di un giorno speciale in commemorazione della natività del Signor Gesù Cristo è una vera ordinanza umana, è un atto che Paolo caratterizza come culto volontario Colossesi 2:23#580020230000580020230000.

In favore del mese di Dicembre si dà molto peso ad una tradizione che si dice derivata dalla Chiesa cristiana primitiva; ma fatto sta che questa tradizione non è altro che un mito, poiché le Chiese d'Oriente credevano che Gesù fosse stato battezzato l'anniversario del suo giorno natalizio, il quale secondo essi era l'8 gennaio. Oltre a ciò è ammesso dai più dotti ed imparziali scrittori di tutti i partiti, che l'epoca della natività del nostro Signore è affatto sconosciuta; che nel seno della Chiesa nessuna festa simile al Natale fu mai menzionata fino al 3zo secolo, e che l'osservanza non ne divenne generale se non tardi assai nel quarto. La osservanza del 25 dicembre, come giorno natalizio del Signore, è attribuita a Julio, vescovo di Roma, A. D. 337-352; ma quel giorno non fu riconosciuto come tale nella Chiesa d'Oriente se non ad epoca assai posteriore, poiché Crisostomo, scrivendo da Antiochia, circa A. D. 380, dice: «Non sono ancora dieci anni dacché questo giorno ci fu fatto conoscere come quello della nascita del Signore». Come si può spiegare la scelta arbitraria del 25 dicembre per la festa di Natale, istituita dalla Chiesa Romana, e la facilità colla quale quella festa fu adottata dalla Chiesa d'Oriente tre secoli e mezzo dopo l'evento, benché in tutto quel tempo non ne fosse mai fatta menzione? La causa devo rinvenirsi nella tendenza che andava vieppiù sviluppandosi fortemente nella Chiesa Cristiana, quella cioè di adottare i giorni festivi degli idolatri, cambiandone i nomi, onde persuadere i pagani a fare adesione al Cristianesimo; tendenza che Tertulliano, sin dall'A. D. 250, amaramente rimpiange (Deuteronomio Idolatria cap. 14), essendo essa, a parer suo, incompatibile col cristianesimo, ed in umiliante contrasto colla fedeltà dei pagani alle loro superstizioni, Il 25; Dicembre era celebrato, lungo tempo innanzi l'era cristiana, in tutto il mondo pagano, in onore della nascita di Tammuz, figlio di Astarot o Cibele, la «regina del cielo» dei Babilonesi; ed

affine d'attirare i pagani al cristianesimo, l'istessa festa fu adottata dalla Chiesa cristiana, sostituendo Cristo a Tammuz; e Maria, la moderna regina dei cieli, all'antica Astarot. (Questo soggetto fu abilmente trattato da Hislop nella sua opera «Le due BabiIonio» pp. 22-116).

PASSI PARALLELI

Genesi 31:39-40; Esodo 3:1-2; 1Samuele 17:34-35; Salmi 78:70-71; Ezechiele 34:8#010310390000-010310400000#020030010000020030020000#090170340000-090170350000#230780700000230780710000#330340080000-330340080000

Giovanni 10:8-12#500100080000-500100120000

49002009Lc 2:9

9. Ed ecco, un angelo del Signore si presentò a loro,

Forse, ora questi l'angelo Gabriele, il quale già due volte era stato onorato qual messo per preparare le vie del Signore; ma Jehova è servito da innumerevoli legioni d'angeli, tutti pronti ad eseguire il suo beneplacito, ed è vano speculare quando verun nome è dato. Certo si è che quest'angelo fu il primo banditore dell'Evangelo. Che il mondo fino ad un certo punto dovesse esser preparato al più meraviglioso evento che mai potesse compiersi sulla terra, per mezzo d'un'ambasciata celeste, non può giungerci inaspettato. Razionalisti e liberi pensatori stranamente ci contradicono allorché qualificano di miti l'apparire sulla terra d'esseri angelici, servi di Dio; mentre accolgono con pazza avidità, come degno di fede, tutto il ciarlatanismo dei così detti spiritisti d'oggigiorno, riguardo a tavole moventi e picchianti, a comunicazioni verbali o per iscritto, cogli spiriti dei trapassati!

e la gloria del signore risplende d'intorno a loro;

Per gloria, dobbiamo qui intendere quella sfolgorante luce che fu generalmente il simbolo della presenza del Signore, luce sì brillante, che Saulo ed i suoi compagni, sulla via di Damasco, chiaramente ne videro eclissato lo splendore del sole in pien meriggio Atti 26:13#510260130000510260130000. Qual timore e maraviglia dovette incutere nei pastori quel repentino sfolgorìo in mezzo al silenzio di tenebrosa notte.

ed essi temettero di gran timore. 10. Ma l'angelo disse loro: Non temiate;

Tale era generalmente l'effetto prodotto da simili apparizioni angeliche sui mortali, consci dei loro peccati, perché essi temevano udirsi denunziare dai messi celesti qualche castigo divino, Vedi Isaia 6:5; Daniele 10:7,8; Apocalisse 1.17#290060050000-290060050000#340100070000340100070000#340100080000-340100080000#730010170000730010170000; anche nota Luca 1:12Luca 1:12.

49002010Lc 2:10

perciocché io vi annunzio una grande allegrezza,

Che contrasto fra l'araldo del cielo ed i primi araldi della terra che ne ricevevano la buona novella! Gli uomini senza dubbio non avrebbero eletto a tanto onore rozzi pastori incolti, bensì persone altolocate; ma Dio c'insegna quanto facilmente erriamo nei nostri apprezzamenti. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le mie vie le Vostre Vie, dice il Signore» Isaia 55:8#290550080000-290550080000. Egli procede con assoluta potenza non meno che con infinita saviezza. V'erano molte vedove in Israele, ai dì d'Elia, eppure Dio lo mandò ad una pagana in Sarepta; v'erano molti lebbrosi in Israele, al tempo d'Elia, ma solo un pagano, Naaman il Siro, fu nettato Luca 4:25-27#490040250000-490040270000; così in questo caso, fra quei molti, situati in diversi ranghi della società, i quali «aspettavano la consolazione di Israele», Iddio scelse gli umili pastori di Betlemme come atti a ricevere la fausta novella, che, sparsa sulla terra, reca gioia e pace ai credenti, agli individui come alle nazioni.

che tutto il popolo avrà:

Alcune Versioni attribuiscono un senso universale alle parole? quasi abbracciassero tutti i popoli; ma l'esservi l'articolo col nome qualificato de, esige che si traduca «tutto il popolo», cioè tutta la nazione giudaica, limitando questa come tante altre promesse in primo luogo, al popolo del patto, il quale popolo in allora costituiva esclusivamente la Chiesa di Dio. Ma se poniamo mente a questo, che la nazione giudaica era un tipo della Chiesa universale, la quale Cristo venne a fondare nel mondo, l'affermazione che la «grande allegrezza» sarà per «tutto il popolo» equivale per noi al dichiarare che quell'allegrezza devesi estendere a tutti gli abitanti del globo, come difatti s'è già diffusa nella maggior parte di esso, Vedi Isaia 42:6#290420060000-290420060000.

PASSI PARALLELI

Luca 1:11,28; Giudici 6:11-12; Matteo 1:20; Atti 27:23; 1Timoteo 3:16#490010110000-490010110000#490010280000490010280000#070060110000-070060120000#470010200000470010200000#510270230000-510270230000#610030160000610030160000

Esodo 16:7,10; 40:34-35; 1Re 8:11; Isaia 6:3; 35:2; 40:5; 60:1; Ezechiele 3:23#020160070000-020160070000#020160100000020160100000#020400340000-020400350000#110080110000110080110000#290060030000-290060030000#290350020000290350020000#290400050000-290400050000#290600010000290600010000#330030230000-330030230000

Giovanni 12:41; 2Corinzi 3:18; 4:6; Apocalisse 18:1#500120410000500120410000#540030180000-540030180000#540040060000540040060000#730180010000-730180010000

Luca 1:12; Isaia 6:4-5; Atti 22:6-9; 26:13-14; Ebrei 12:21; Apocalisse 20:11#490010120000-490010120000#290060040000290060050000#510220060000-510220090000#510260130000-

510260140000#650120210000-650120210000#730200110000730200110000

Luca 1:13,30; Daniele 10:11-12,19; Matteo 28:5; Apocalisse 1:1718#490010130000-490010130000#490010300000490010300000#340100110000-340100120000#340100190000340100190000#470280050000-470280050000#730010170000730010180000

Luca 1:19; 8:1; Isaia 40:9; 41:27; 52:7; 61:1; Atti 13:32; Romani 10:15#490010190000-490010190000#490080010000490080010000#290400090000-290400090000#290410270000290410270000#290520070000-290520070000#290610010000290610010000#510130320000-510130320000#520100150000520100150000

Luca 2:31-32; 24:47; Genesi 12:3; Salmi 67:1-2; 98:2-3; Isaia 49:6; 52:10; Matteo 28:18#490020310000-490020320000#490240470000490240470000#010120030000-010120030000#230670010000230670020000#230980020000-230980030000#290490060000290490060000#290520100000-290520100000#470280180000470280180000

Marco 1:15; 16:15; Romani 15:9-12; Efesini 3:8; Colossesi 1:23#480010150000-480010150000#480160150000480160150000#520150090000-520150120000#560030080000560030080000#580010230000-580010230000

49002011Lc 2:11

11. Cioè, che oggi, nella città di Davide, vi è nato il Salvatore, che è il Cristo, il Signore.

«Glorioso annunzio! Ogni parola è ricca di significato. Vi è nato, a voi, cioè ai pastori, ad Israele, al genere umano; oggi, in questo giorno, cominciato dopo il tramonto; nella città di Davide, vale a dire nel lignaggio predetto,

nel luogo prefisso, dove le profezie v'indicavano di cercarlo, dove il credente lo aspettava» (Brown). Il nome Gesù non fu dato al bambino se non il giorno della sua circoncisione, ma quel titolo, il Salvatore, ne racchiude il concetto in tutta la sua forza, Vedi Matteo 1:21#470010210000470010210000. Cristo è il vocabolo greco per la parola ebraica Messia o l'Unto, al quale si riferiva la promessa: «Il liberatore verrà di Sion, e toglierà l'empietà di Giacobbe» Romani 11:26#520110260000-520110260000; mentre il nome Signore è la voce greca equivalente all'ebraico Jehova, l'Iddio vivente. Dall'unione dei due nomi s'inferisce che il bambino neonato era Jehova il Messia, o l'unto Jehova; l'omissione poi dell'articolo dinanzi ad ambedue questi titoli dimostra implicitamente che egli era il gran Liberatore, l'oggetto delle speranze e dell'aspettazione di Israele. «È questo l'unico passo», dice Alford, «ove quei due nomi si trovano l'uno accanto all'altro. In Luca 23:2#490230020000-490230020000 si legge il Cristo Apocalisse, e negli Atti 2:36#510020360000-510020360000 Signore e Cristo. In Colossesi 3:24#580030240000-580030240000 abbiamo, con significato alquanto diverso, essendo la esortazione indirizzata a servi, voi serviate al Cristo, il Signore. In quanto al nome Kurios non vedo modo di capirlo se non come equivalente all'ebraico JEHOVA».

PASSI PARALLELI

Luca 1:69; Isaia 9:6; Matteo 1:21; Galati 4:4-5; 2Timoteo 1:9-10; Tito 2:1014; 3:4-7#490010690000-490010690000#290090060000290090060000#470010210000-470010210000#550040040000550040050000#620010090000-620010100000#630020100000630020140000#630030040000-630030070000

1Giovanni 4:14#690040140000-690040140000

Luca 2:4; Matteo 1:21#490020040000-490020040000#470010210000470010210000

Luca 1:26.43; 20:41-42; Genesi 3:15; 49:10; Salmi 2:2; Daniele 9:24-26; Matteo 1:16; 16:16#490010260000-490010260000#490200410000-

490200420000#010030150000-010030150000#010490100000010490100000#230020020000-230020020000#340090240000340090260000#470010160000-470010160000#470160160000470160160000

Giovanni 1:41,45; 6:69; 7:25-27,41; 20:31; Atti 2:36; 17:3; 1Giovanni 5:1#500010410000-500010410000#500010450000500010450000#500060690000-500060690000#500070250000500070270000#500070410000-500070410000#500200310000500200310000#510020360000-510020360000#510170030000510170030000#690050010000-690050010000

Luca 1:43; 20:42-44; Atti 10:36; 1Corinzi 15:47; Filippesi 2:11; 3:8; Colossesi 2:6#490010430000-490010430000#490200420000490200440000#510100360000-510100360000#530150470000530150470000#570020110000-570020110000#570030080000570030080000#580020060000-580020060000

49002012Lc 2:12

12. E questo ve ne sarà il segno: Voi troverete il fanciullino fasciato, coricato nella mangiatoia.

La parola greca fanciullino non è accompagnata da verun articolo; eppure, cosa curiosa, le versioni italiana, inglese, francese, tedesca, tutto vi pongono l'articolo definito il, invece dell'indefinito uno, che solo rende fedelmente il senso del testo. In quanto al segno, i pastori dovevano andare a Betlemme, cercare colà un bambino nato in condizioni d'umiltà e di povertà tali, che i più miserabili del paese non potessero essergli paragonati; un bambino al quale si era negato ricovero in una dimora umana, la cui culla consisteva nella mangiatoia d'una stalla. Se i pastori trovavano un bambino corrispondente a queste indicazioni, dovevano riconoscere in lui il Salvatore, il Cristo, il Signore annunziato loro dall'angelo. Il segno consisteva unicamente nel meraviglioso contrasto fra le cose state rivelate riguardo al bambino e l'umile condizione in cui essi lo troverebbero. Colui

«le cui uscite sono ab antico, dai tempi eterni» Michea 5:2#400050020000400050020000, voi lo troverete fanciullino; Colui il quale «i cieli de' cieli non possono contenere» 1Re 8:27#110080270000-110080270000, voi lo troverete coricato in una mangiatoia!

PASSI PARALLELI

Esodo 3:12; 1Samuele 10:2-7; Salmi 22:6; Isaia 53:1-2#020030120000020030120000#090100020000-090100070000#230220060000230220060000#290530010000-290530020000

49002013Lc 2:13

13. E la quello stante vi fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, lodando Iddio, e dicendo

Gli angeli hanno preso parte, o prenderanno parte ancora, nei più rimarchevoli avvenimenti che concernono l'uman genere: nella creazione Giobbe 38:7#220380070000-220380070000; nella promulgazione della legge sul Sinai Deuteronomio 33:2; Atti 7:53#050330020000050330020000#510070530000-510070530000; nell'ascensione del Signore Salmi 24:7-10; 68:18#230240070000-230240100000#230680180000230680180000; e nel giudizio finale Matteo 13:39-43; 25:31; 2Tessalonicesi 1:7#470130390000-470130430000#470250310000470250310000#600010070000-600010070000. Non dobbiamo dunque maravigliarci che abbiano avuto parte attiva nella incarnazione del Figliuol di Dio, il più grande di tutti gli avvenimenti che sieno mai accaduti su questa terra. A giudicarne dai passi delle Sacre Scritture che si riferiscono agli angeli, questi devono essere molto numerosi Matteo 26:53#470260530000-470260530000. Il servitore di Eliseo vide circondato da molti di essi il loro padrone 2Re 6:17#120060170000-120060170000; ma una tal mostra del glorioso ed innumerevole esercito celeste, come quella che fu concessa ai pastori di vedere, è, senza uguale negli annali del tempo né sarà giammai più veduta fino al giorno in cui «il Figliuol

dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i santi angeli». Non appena l'angelo ebbe parlato ai pastori, che un'innumerevole moltitudine di altri esseri angelici si fece visibile; e per una volta udissi, nelle terrestri regioni, la musica celeste. i cori degli angeli lodando l'Altissimo. Se al termine della creazione del mondo «le stelle della mattina cantavano tutte insieme e tutti i figliuoli di Dio giubbilavano» Giobbe 38:7#220380070000-220380070000, per la manifestazione della gloria di Dio, quanto più ora che i fondamenti d'una nuova creazione spirituale son posti, per la nascita di quel bambino a Betlemme, questo gran fatto doveva esser celebrato solennemente dall'esercito celeste!

PASSI PARALLELI

Genesi 28:12; 32:1-2; 1Re 22:19; Giobbe 38:7; Salmi 68:17; 103:20-21; 148:2#010280120000-010280120000#010320010000010320020000#110220190000-110220190000#220380070000220380070000#230680170000-230680170000#231030200000231030210000#231480020000-231480020000

Isaia 6:2-3; Ezechiele 3:12; Daniele 7:10; Luca 15:10; Efesini 3:10; Ebrei 1:14; 1Pietro 1:12#290060020000-290060030000#330030120000330030120000#340070100000-340070100000#490150100000490150100000#560030100000-560030100000#650010140000650010140000#670010120000-670010120000

Apocalisse 5:11#730050110000-730050110000

49002014Lc 2:14

14. Gloria a Dio nei luoghi altissimi,

Questo può chiamarsi un proclama ed in pari tempo una dossologia. La parola stando in questo caso, sola, può significare nel sopreminente grado; coi più sublimi accordi; dagli esseri più eccelsi; nei luoghi più elevati, cioè

nelle regioni eccelse del cielo. Diodati adotta quest'ultimo senso, e noi dividiamo il suo parere, e ciò per due ragioni:

1. in forza del contrasto colla parola terra nel seguente membro;

2. perché gli eserciti celesti hanno la loro dimora nei cieli, ove meglio che dovunque altrove può esser compresa ed apprezzata la gloria di Dio, la quale fu resa manifesta nell'incarnazione del suo divin Figliuolo.

Non v'è base sufficiente, a noi sembra, per supporre con Bengel che i luoghi altissimi indichino una particolare regione celeste, ove Cristo regnerebbe ed alla quale gli angeli non aspirerebbero. Il passo, Ebrei 1:34#650010030000-650010040000, su cui Bengel s'appoggia, non autorizza questa interpretazione; mentre, da altri passi delle Scritture, sappiamo che gli angeli hanno stanza davanti al trono di Dio, sul quale Cristo siede, Conf. Daniele 7:10; Apocalisse 5:11; 7:11#340070100000340070100000#730050110000-730050110000#730070110000730070110000. Sebbene la gloria di Dio sia manifesta in tutto le suo opere, senza dubbio lo è ancora più meravigliosamente nell'opera della redenzione, poiché in questa, tutti gli attributi della Divinità sono magnificati: la sua sovranità nella scelta del suo popolo; la sua saviezza nel piano della redenzione; la sua potenza nell'esecuzione di caso; il suo amore nel dare l'Unigenito suo per salvare i peccatori; la sua giustizia nella perfetta soddisfazione compiuta in onore della violata legge; la sua santità nel provvedere i mezzi di santificazione al suo popolo; e finalmente la sua verità e fedeltà nell'esatto compimento di tutto le sue promesse.

pace in terra.

Diodati omette la copulativa e, avanti questa clausola, ma senza autorità veruna né dei MSS. né di alcuna Versione. In queste parole viene espresso un altro risultato della massima importanza per l'umanità. Isaia 9:5#290090050000-290090050000 profeticamente applica al Messia il titolo di «principe della pace». Tutti gli nomini per natura sono nemici di Dio; e consci d'aver meritato l'ira divina, nutrono in cuore timore ed odio

pel loro Creatore. Uno dei grandi fini dell'incarnazione di Cristo e delle sue sofferenze fu di riconciliare gli uomini col Padre suo e stabilire una pace durevole fra il cielo e la terra. «Giustificati adunque per fede, abbiam pace appo Dio per Gesù Cristo nostro Signore» Romani 5:1#520050010000520050010000. Indubbiamente, se si tien conto del contesto, il senso che deve primeggiare in questo inciso è quello di riconciliazione, ossia di «pace appo Dio». Ciò non esclude pertanto l'idea di benedizione, salvezza, sicurezza, felicità e prosperità, significati che convengono tutti a quella parola, secondo l'uso che ne facevano gli Ebrei e gli orientali. Dalla pace con Dio nasce la pace nella coscienza, insieme col desiderio di vivere in pace col prossimo. Le parole di Cristo Matteo 10:34#470100340000470100340000, sembrano a prima vista asserire appunto l'opposto di quelle degli angeli; ma breve riflessione ci mostra come quei due detti hanno relazione a soggetti affatto diversi. Le parole degli angeli indicano il cambiamento di condizione dell'uomo rispetto a Dio, risultante dalla propiziazione fatta da Cristo; Gesù invece allude alle persecuzioni cui, più o meno, andrà soggetto chiunque accetta il suo vangelo; persecuzioni pubbliche o private, esercitate dai mondani e dagli empi contro quelli dei loro concittadini, vicini o congiunti per legami di sangue, i quali si sono convertiti a Cristo e consacrati al suo servizio.

benvoglienza inverso gli uomini.

Questo cantico è diviso in 3 incisi: il terzo essendo una amplificazione del secondo, è conseguentemente subordinato a quello, e perciò manca della copulativa. La pace interna ebbe origine nell'eterna carità di Dio verso gli uomini; ma il Signore ha pure una special benevolenza per coloro che la morte del suo Figliuolo gli ha riconciliati; quest'è la benevoglienza di cui si tratta nel nostro testo. Dal momento in cui la pace fra Dio e gli uomini fu stabilita per mezzo del sacrifizio espiatorio di Cristo, ogni ostacolo alle manifestazioni dell'amore di Dio verso coloro che hanno parte in quell'espiazione è intieramente tolto. Il vocabolo eudokia, approvazione, buona volontà, compiacimento, è in sostanza il medesimo che troviamo in occasione del battesimo di Cristo, applicatogli dal Padre. «Il mio diletto Figliuolo, nel quale ho preso il mio compiacimento» Matteo 3:17#470030170000-470030170000. Basandosi sull'autorità dei MSS.

Alessandrino, o di Beza, ma specialmente su quella della Versione Latina, Lachmann, Tischendorf, e Tregelles leggono ad uomini d'approvazione e di buona volontà, invece della traduzione ricevuta. Fosse pur adottata questa variante, è chiaro che il suo significato sarebbe «agli uomini del compiacimento di Dio», o nei quali Dio s'è compiaciuto; all'opposto di quello che è dato dalla Volgata e della Chiesa Romana: «agli uomini di buone disposizioni» (hominibus bonoe voluntatis), col quale si viene a violare il significato di eudokia e si cade in manifesto errore di dottrina. Ma la grande preponderanza degli antichi MSS. e delle Versioni è in favore del testo ricevuto; come pure sono fra i moderni critici, Deuteronomio Wette, Alford, Van Oosterzee e Brown.

PASSI PARALLELI

Luca 19:38; Salmi 69:34-35; 85:9-12; 96:11-13; Isaia 44:23; 49:13; Giovanni 17:4#490190380000-490190380000#230690340000230690350000#230850090000-230850120000#230960110000230960130000#290440230000-290440230000#290490130000290490130000#500170040000-500170040000

Efesini 1:6; 3:20-21; Filippesi 2:11; Apocalisse 5:13#560010060000560010060000#560030200000-560030210000#570020110000570020110000#730050130000-730050130000

Luca 1:79; Isaia 9:6-7; 57:19; Geremia 23:5-6; Michea 5:5; Zaccaria 6:1213; Giovanni 14:27#490010790000-490010790000#290090060000290090070000#290570190000-290570190000#300230050000300230060000#400050050000-400050050000#450060120000450060130000#500140270000-500140270000

Atti 10:36; Romani 5:1; 2Corinzi 5:18-20; Efesini 2:14-18; Colossesi 1:20; Ebrei 13:20-21#510100360000-510100360000#520050010000520050010000#540050180000-540050200000#560020140000560020180000#580010200000-580010200000#650130200000650130210000

Giovanni 3:16; Efesini 2:4,7; 2Tessalonicesi 2:16; Tito 3:4-7; 1Giovanni 4:9-10#500030160000-500030160000#560020040000560020040000#560020070000-560020070000#600020160000600020160000#630030040000-630030070000#690040090000690040100000

49002015Lc 2:15

15. Ed avvenne che, quando gli angeli se ne furono andati da loro al cielo, que' pastori disser fra loro: Or passiam fino in Betleem, e veggiamo questa cosa ch'è avvenuta, la quale il Signore ci ha fatta asassapere.

La condotta dei pastori ci prova ch'essi erano uomini pii e che probabilmente aspettavano con ansietà la venuta del Messia. Non dubitarono punto che quell'annunzio non fosse loro mandato da Dio, per mezzo dei suoi celesti messaggeri: poiché invece di proporre dubbi, e discutere fra loro sulle difficoltà possibili, corsero immediatamente alla città, lasciando, le greggi ove erano, per adorare il neonato Messia. Si osservi che le loro menti non furono preoccupate dello splendore della visione che aveano avuta, né si decisero ad andare a Betlemme coll'intento di verificare se l'annunzio fosse appoggiato dai fatti. Essi non dubitarono; avevano avuto una rivelazione da Dio ed andavano preparati a trovare ed adorare «il Salvatore, Cristo, il Signore».

PASSI PARALLELI

Luca 24:51; 2Re 2:1,11; 1Pietro 3:22#490240510000490240510000#120020010000-120020010000#120020110000120020110000#670030220000-670030220000

Esodo 3:3; Salmi 111:2; Matteo 2:1-2,9-11; 12:42; Giovanni 20:110#020030030000-020030030000#231110020000231110020000#470020010000-470020020000#470020090000-

470020110000#470120420000-470120420000#500200010000500200100000

49002016Lc 2:16

16. E vennero in fretta (le loro greggi essendo esposte a pericoli nell'assenza loro), e trovarono Maria e Giuseppe, e il fanciullino che giaceva nella mangiatoia. 17. E, vedutolo, divulgarono ciò ch'era loro stato detto di quel piccol fanciullo.

Certamente valeva la pena di correr qualche rischio per contemplare una scena simile. Salutati Maria e Giuseppe, i protettori naturali del bambino, come personaggi secondari, ai quali gli angeli non avevano fatto veruna allusione, i pastori volgono ansiosi i loro sguardi alla mangiatoia, ed ecco ivi giace il fanciullino, secondo le parole dei nunzi angelici. Della Mariolatria, l'ultimo ed il più allarmante tratto dell'idolatria della chiesa papale, nessuna traccia si trova in questo racconto. Eppure se Maria avesse diritto all'adorazione, quale occasione più propizia di questa in cui i pastori visitavano la vergine divenuta madre, per prostrarsi dinanzi a lei? Probabilmente i pastori, prima di tutto, descrissero la visione celeste a Giuseppe ed a Maria, i quali avranno pur raccontato gli avvenimenti straordinari avvenuti prima della nascita del bambino, dimodoché tutti avranno illuminato, e fortificato mutualmente la fede loro.

PASSI PARALLELI

Luca 1:39; Ecclesiaste 9:10#490010390000490010390000#250090100000-250090100000

Luca 2:7,12; 19:32; 22:13#490020070000-490020070000#490020120000490020120000#490190320000-490190320000#490220130000490220130000

Luca 2:38; 8:39; Salmi 16:9-10; 66:16; 71:17-18; Malachia 3:16; Giovanni 1:41-46; 4:28-29#490020380000-490020380000#490080390000-

490080390000#230160090000-230160100000#230660160000230660160000#230710170000-230710180000#460030160000460030160000#500010410000-500010460000#500040280000500040290000

49002018Lc 2:18

18. E tutti coloro che li udirono si maravigliarono delle cose che erano lor dette da' pastori.

Le persone di cui è qui parlato erano forse albergate nello stesso Khan, oppure gente attirata da curiosità, nel vedere arrivare i pastori non già i vicini, né i conoscenti di questi, ai quali, come sembrerebbe dal vers. 20, essi annunziarono più tardi quella buona novella. L'effetto prodotto fa grande meraviglia, ma di breve durata, poiché non produsse effetto, permanente né sulla nazione, né sui di lei conduttori. Allorquando, 30 anni più tardi, Gesù comparve sulle rive del Giordano, affine d'entrare ufficialmente nel suo pubblico ministerio, non sappiamo di un solo individuo che abbia riconosciuto in lui il bambino, la cui nascita era stata annunziata dagli angeli; anzi quando i Magi giunsero a Gerusalemme, pochi mesi soltanto dopo la stia nascita, domandando «Ov'è colui ch'è, nato re dei Giudei?» nessuno parve rammentare l'avvenimento!

PASSI PARALLELI

Luca 2:33,47; 1:65-66; 4:36; 5:9-10; Isaia 8:18#490020330000490020330000#490020470000-490020470000#490010650000490010660000#490040360000-490040360000#490050090000490050100000#290080180000-290080180000

49002019Lc 2:19

19. E Maria conservava in sé tutto queste parole, conferendolo insieme nel cuor suo

Gli affetti d'una madre pei suoi bambini e la rimembranza di qualunque incidente in rapporto con essi, sono sentimenti ben diversi da ciò che provano semplici spettatori. D'ogni loro atto, d'ogni patimento, di tutto ciò che dicesi di loro, la madre fa tesoro e vi ripensa, e ne gode o se ne accora. Di quanti udirono i pastori, Maria soltanto conservò tutte le loro parole nel cuor suo, e rammentandole le andava confrontando cogli eventi anteriori della vita sua connessi col bambino: cioè l'apparire dell'angelo Gabriele a Nazaret, ed il saluto della cugina Elisabetta. Maria ci sembra essere stata dotata di non comune spirito meditativo, unito a gran prudenza e viva fede.

PASSI PARALLELI

Luca 2:51; 1:66; 9:43-44; Genesi 37:11; 1Samuele 21:12; Proverbi 4:4; Osea 14:9#490020510000-490020510000#490010660000490010660000#490090430000-490090440000#010370110000010370110000#090210120000-090210120000#240040040000240040040000#350140090000-350140090000

49002020Lc 2:20

20. E i pastori se ne ritornarono, glorificando e lodando Iddio di tutte le cose che aveano udite e vedute, secondo ch'era loro stato parlato.

I pastori erano ripieni di gioia per la evidenza della verità delle cose state loro annunziate; ma il grande onore ricevuto non li sbilancia né li rende inetti al loro quotidiano lavoro; anzi li abilita a compiere i loro doveri con maggiore contentezza d'animo. Quegli uomini, di sfera sì umile, furono i primi missionari dell'evangelo, pubblicando quella buona novella che a loro era stata rivelata. Ad ogni cristiano incombe il sacro dovere di fare altrettanto 1Corinzi 14:36#530140360000-530140360000. La parola lodando, qui usata, è la medesima applicata al cantico degli angeli Luca 2:13#490020130000-490020130000, ed in Luca 19:37; 24:53#490190370000-490190370000#490240530000-490240530000; onde il prof. Brown suggerisce che ciò potrebbe indurci a supporre che ancora i

pastori cantassero un cantico, tolto forse dalla raccolta dei salmi, rispondente ai bisogni del loro cuore commosso, pieno di gratitudine per tutto ciò che avevano visto ed udito.

PASSI PARALLELI

Luca 18:43; 19:37-38; 1Cronache 29:10-12; Salmi 72:17-19; 106:48; 107:8,15,21#490180430000-490180430000#490190370000490190380000#130290100000-130290120000#230720170000230720190000#231060480000-231060480000#231070080000231070080000#231070150000-231070150000#231070210000231070210000

Isaia 29:19; Atti 2:46-47; 11:18#290290190000290290190000#510020460000-510020470000#510110180000510110180000

RIFLESSIONI

1. Le più infime circostanze dell'umiliazione di Cristo furono sempre controbilanciate da qualche manifestazione della sua gloria, onde togliere, per così dire, lo scandalo del suo abbassamento. Quando il Salvatore umiliava sé stesso, Dio, in un modo o nell'altro, lo innalzava, dandogli l'arra della sua futura gloria. Al vedere quel debole bambino ravvolto nelle fasce, giacente in una mangiatoia da bestiame, chi non sarebbe tentato di dire: No, costui non può essere il Figliuol di Dio? Ma quando si vede, alla sua nascita, scendere il coro degli angeli dal cielo a testimoniar di lui, non si può non esclamare: Certo egli non può esser altri che non il Figlio unigenito del Padre, colui di cui fu detto, al suo entrare nel mondo: «Adorinlo tutti gli angeli di Dio» Ebrei 1:6#650010060000-650010060000.

2. I messaggeri di Dio eletti a pubblicare il lieto annunzio erano i santi angeli, né questa fu l'unica occasione in cui prestarono i loro servigi riguardo a Cristo. È cosa degna d'osservazione come gli angeli fossero sempre pronti a servire Gesù durante il suo soggiorno sulla terra. Un angelo

annunzia la sua concezione; un esercito d'angeli pubblica la sua nascita; nella tentazione del deserto, un angelo lo fortifica; nell'ora dell'agonia, un angelo lo conforta; un angelo rotola la pietra che chiude il suo monumento: alla sua ascensione, gli angeli lo scortano in cielo; ed al suo secondo avvenimento, quando verrà a giudicare il mondo, lo vedremo venire dal cielo circondato dai suoi angeli. Vi è una ragione potente per la quale quei ministri celesti lo servono con tanto zelo, poiché siccome Cristo ha redento l'uomo caduto, così egli ha, confermato gli angeli nel loro stato di beatitudine.

3. Gli angeli non furono mandati ai principali sacerdoti né agli anziani, perché essi erano tutt'altro che preparati a riceverli, ma bensì ai poveri pastori di Betlemme, semplici e retti di cuore, i quali avevano del loro Messia nozioni più spirituali di quelle che non avessero i colti e sapienti Scribi della metropoli. In essi abbiamo una chiara illustrazione delle parole di Giacomo 2:5#660020050000-660020050000: «Non ha Iddio eletti i poveri del mondo, per esser ricchi in fede ed eredi dell'eredità che egli ha promessa a coloro che lo amano?» Umili, industriosi, laboriosi, appunto mentre essi erano intenti a compiere i loro doveri terrestri, furono favoriti della visita degli angeli. Le cose che riguardano il regno di Dio non di rado son nascosto ai grandi ed ai nobili, mentre all'opposto vengono rivelate ai piccoli ed agli umili Matteo 11:25#470110250000-470110250000. Un lavoro attivo e materiale non impedisce necessariamente un uomo di godere intima comunione con Dio. La Storia Sacra ce lo dimostra: i patriarchi furono pastori; così furono un Mosè, un Davide; Gedeone stava battendo il grano, ed Eliseo arando il campo, quando ebbero l'onore d'esser direttamente chiamati da Dio, o di ricevere le sue rivelazioni. Questi pastori ci offrono l'esempio edificante di uomini che sanno unire il fervore nel servizio divino all'attività e alla fedeltà nella loro terrestre vocazione. Impariamo dunque da loro che nessuno deve mangiare il pane della pigrizia; ma che ciascun uomo deve compiere la sua propria opera.

4. C'insegnino gli angeli a considerare nella sua vera luce la nascita di Cristo nostro Redentore. Essi ne ritenevan l'annunzio come quello di una grande allegrezza. Essi proruppero tutti insieme in un cantico di allegrezza a cagione di questa nascita come quella che glorificava Iddio nei luoghi

altissimi, proclamava pace in terra, e dava potentemente a conoscere l'amor di Dio verso gli uomini. Crediamo con tutto il cuore in quell'amore di Dio per noi in Cristo; entriamo con umiltà e gratitudine in quella pace con Dio a noi assicurata per mezzo del Redentore; riceviamo la buona novella in modo ch'essa ci renda allegri e beati; e Cristo sia glorificato da noi sulla terra, finché ci sarà dato esser glorificati con lui in cielo in sempiterno!

5. Quanto son maravigliosi i contrasti che i pastori di Betlemme son chiamati a contemplare Il Signore di gloria, umile bambino; il Cristo, il Signore, debole neonato; il Figlio dell'Altissimo, avvolto in poveri cenci, coricato in una mangiatoia! Eppure non era forse questo un preludio d'altri contrasti altrettanto sorprendenti che dovevano qualificare tutta la vita successiva di Gesù sulla terra? l'infinito ed il finito, l'umano ed il divino, l'abbondanza ed il difetto, la morte e la vita 2Corinzi 8:9#540080090000540080090000. L'istessa sua Chiesa, comprata col proprio sangue ed edificata da Cristo sulla terra, non è immune da contrasti analoghi.

6. È interessante l'osservare qual fosse l'effetto prodotto su diverse persone dal medesimo annunzio. Il popolo si maraviglia, ma non crede; la buona novella produce sorpresa, non fede nei loro cuori. Né il sentir parlare di Cristo colle orecchie, né il veder Cristo cogli occhi può operar fede che salvi senza la cooperante influenza dello Spirito Santo. I pastori eran pieni di gioia, credendo. Le lodi di Dio abbondavano nella lor bocca per avere udito gli angeli e veduto il fanciullino; ed avrebbero voluto far partecipo ognuno della loro contentezza. Erano tipi dei veri credenti, quando, per la prima volta, brillò nei loro cuori la luce dall'alto, dissipandone l'incredulità, facendo loro realizzare l'amore, la grazia e la potenza di quel Salvatore che è divenuto il loro proprio, e costringendoli dalla pienezza dei sentimenti del cuore, a gridare ad altri: «Venite, voi tutti che temete Iddio, e udito; io vi racconterò quello che egli ha fatto all'anima mia» Salmi 56:16#230560160000-230560160000. All'opposto Maria dice poco, ma serba tutte quelle parole in mente, a meditazione privata, e pesa ciascuna di esse nel cuor suo. Già precedentemente essa aveva fatto tesoro di meravigliosi detti intorno al prezioso fanciullo, ora v'unisce le parole dei pastori per conferirle più tardi con future scoperte che l'attendono. Maria è il tipo di quei cristiani sperimentati, i quali vedono la mano di Dio in tutti

gli eventi, e incatenandoli successivamente, tracciano la via per la quale il Signore li conduce; che facendo, acquistano fiducia ognor più profonda nella saviezza, nella potenza, nell'amore di quell'Iddio, che «essi glorificano nei loro corpi e nei loro spiriti a lui appartenenti».

49002021Lc 2:21

Luca 2:21-40. LA CIRCONCISIONE DEL BAMBINO GESÙ. LA PURIFICAZIONE DELLA MADRE VERGINE E LA PRESENTAZIONE DEL BAMBINO NEL TEMPIO. SIMEONE ED ANNA RICONOSCONO IL SIGNORE E PROFETIZZANO INTORNO A LUI

La circoncisione del bambino Gesù, Luca 2:21

21. E quando gli otto giorni, in capo dei quali egli doveva esser circonciso, furon compiuti,

Il giorno della circoncisione era generalmente giorno di gran festa ed allegrezza per gli Ebrei. Così, per la circoncisione di Giovanni Battista, vediamo i parenti e gli amici congratularsi e prender parte al consueto convito; ma l'Evangelista non fa menzione d'alcun sintomo d'esultanza quando vien circonciso colui che fu chiamato «l'uomo di dolori, coperto in languori». A quel che pare, la cerimonia si compiè privatamente quanto fu possibile. Il rito consisteva nel togliere il prepuzio onde impedire che le impurità, adunandosi sotto di esso, producessero il fatale carbonchio, detto anthrax, cosa facilissima in climi come quelli della Siria e dell'Egitto. Erodoto c'informa come l'uso della circoncisione esistesse tra i sacerdoti d'Egitto; onde è possibile che Abramo imparasse colà il modo d'amputazione; ma come rito sacro nel popolo d'Israele, esso fu stabilito da Dio stesso, ed imposto ad Abrahamo ed alla sua progenie come Regno e suggello del patto, col quale ora garantita a loro la promessa del Messia Romani 4:11#520040110000-520040110000. Fu quello l'ordinamento

iniziativo nella Chiesa e l'esservisi sottoposto l'Uomo-Dio è prova innegabile ch'egli «fu sottoposto alla legge, affinché riscattasse coloro che eran sotto la legge» Galati 4:4-5#550040040000-550040050000; e che egli venne ad «adempiere ogni giustizia» Matteo 3:15#470030150000470030150000. Riguardo a tutti coloro che subivano il rito, ciò significava che si consacravano al servizio del vero Dio, rinunziando a tutto ciò che è immorale ed impuro. Paolo descrive il sacramento del battesimo come «una circoncisione fatta senza mano» Colossesi 2:11#580020110000580020110000, onde il fine spirituale di essa dove essere stato quello stesso che Pietro ascrive al battesimo: «non il nettamento delle brutture della carne, ma la domanda di buona coscienza appo Iddio» 1Pietro 3:21#670030210000-670030210000. Il rito della circoncisione veniva amministrato al bambino nell'ottavo giorno dopo la nascita, per precisa indicazione del Signore Genesi 17:12; Levitico 12:8#010170120000010170120000#030120080000-030120080000; dunque, se non è legale l'amministrare ai 2 bambini il battesimo, che ha rimpiazzato l'antico ordinamento, si viene all'inevitabile conclusione che «il patto migliore, formato in su migliori promesse» Ebrei 8:6#650080060000-650080060000, è, per lo meno in questo, inferiore di molto al precedente, che da esso è stato abolito, Vedi nota Luca 1:59Luca 1:59.

gli fu posto nome GESÙ, secondo che era stato nominato dall'angelo, innanzi che fosse conceputo nel ventre.

Opinasi che l'uso di imporre il nome al bambino al momento della circoncisione prevalesse fra gli Ebrei dal momento in cui fu stabilita la circoncisione e che il nome del patriarca Abramo fu cangiato in Abrahamo. Non più di sei persone son menzionate nella Bibbia, il di cui nome venne annunziato da Dio prima della loro nascita: Isacco, Ismaele, Iosia, e Ciro nel Vecchio Testamento; Giovanni il Battista e Gesù nel Nuovo. L'evangelista dà più peso all'atto di por nome al bambino, che a quello della circoncisione, inquantoché il primo era stato espressamente ordinato da Dio. Il dare al bambino il nome di GESÙ in ubbidienza al divino comandamento che Maria avea ricevuto dall'angelo e Giuseppe in sogno, non è meno un atto di fede per parte di quei due, che l'imporre il nome di Giovanni al Precursore. Bengel osserva che le parole innanzi che fosse ecc., esprimono

eccellentemente il compiacimento del Padre nel Figliuolo, prima che questi assumesse l'umana natura, ed, in pari tempo, accennano che quel fanciullo in sé stesso (o per conto proprio), non abbisognava di circoncisione.

49002022Lc 2:22

La purificazione della Vergine e la presentazione al Tempio, Luca 2:22-24

22. E, quando i giorni della purificazion di quella furon compiuti, secondo la legge di Mosè,

Due sono i doveri notati in questo versetto e nei due seguenti, che dovevano essere adempiuti nella visita al tempio; uno spettava esclusivamente a Maria, l'altro esclusivamente al bambino; differivano affatto nel loro significato, ed importa assai il distinguerli. Non va pertanto taciuto che è quasi priva di autorità la parola quella, adottata dal Diodati insieme alla Vulgata ed alle versioni moderne in generale. I migliori MSS. e versioni hanno «la loro purificazione», associando così il marito alla moglie. In ogni caso, quella parola non può riferirsi a Gesù, poiché le madri, non i figli, erano soggetti a quella cerimonia di purificazione. Secondo quella legge la madre era separata dalla congregazione, come legalmente impura, per 40 giorni dopo la nascita d'un maschio, per 80 d'una femmina. Al termine del periodo prescritto, la madre doveva, prima d'essere riammessa alla congregazione, presentarsi al tempio ed offrire i sacrifizi ordinati alle donne in quello stato. Vero si è che Maria non aveva concepito in peccato, bensì «pel potere dello Spirito Santo»; ma essa non era esente dalle infermità della carne peccaminosa, e secondo la legge cerimoniale aveva contratto immondizia, in comune con tutte le donne in simili circostanze. Il sacrifizio richiesto aveva rapporto a lei soltanto, non già al bambino; che può dimostrarci simbolicamente che la donna cui la Chiesa Romana si compiace d'onorare come l'Immacolata, era impura agli occhi di Dio, a cagione della sua natura peccaminosa, ed abbisognava, come chiunque, di purificazione per mezzo del sangue espiatorio. Le offerte da presentarsi erano proporzionate ai mezzi dell'offerente: se in circostanze agiate, doveva offrire

un agnello per olocausto ed un piccione e una tortora per sacrifizio per il peccato; se di povera condizione, bastavano due tortore o due piccioni.

portarono il fanciullo, in Gerusalemme, per presentarlo al Signore; 23. (Come egli è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio che apre la matrice sarà chiamato santo al Signore);

Questo dovere si riferiva esclusivamente a Gesù. Egli doveva essere presentato al Signore come primogenito di Maria, poiché Iddio esigeva che ogni primogenito d'uomini o di bestie, gli fosse consacrato, in tutto il paese d'Israele; e ciò per commemorare la misericordiosa liberazione concessa agli Israeliti nella notte in cui l'angelo li risparmiò mentre uccise tutti i primogeniti degli Egiziani Esodo 13:2#020130020000-020130020000. In epoca anteriore, il sacerdozio in ogni famiglia era uno degli onori riserbati al figlio maggiore; ma più tardi Iddio mise formalmente da parte dei sacerdoti pel servizio divino. Fu allorquando Israele era nel deserto che il Signore prescelse la tribù di Levi per accudire al culto nel Santuario, invece dei primogeniti, ed ordinò che fossero pagati 5 sicli d'argento a testa pel riscatto d'ogni primogenito, di quanti eccederebbero il numero dei Leviti Numeri 3:40-51#040030400000-040030510000. Iddio comandò inoltre che in avvenire fosse sempre pagata questa tassa per ogni primogenito Numeri 18:15-16#040180150000-040180160000, e che fosse contemporaneamente presentato il bambino nel tempio. Questa era la cerimonia che adempievano Maria e Giuseppe per Gesù, ed in ciò abbiamo una nuova prova ch'egli fu «sottoposto alla legge», e compiè «ogni giustizia». Chi più di Gesù Cristo aveva diritto d'essere esente da una simile ceremonia, egli, l'eterno Figliuol di Dio?

PASSI PARALLELI

Levitico 12:2-6#030120020000-030120060000

Esodo 13:2,12-15; 22:29; 34:19; Numeri 3:13; 8:16-17; 18:15#020130020000-020130020000#020130120000020130150000#020220290000-020220290000#020340190000-

020340190000#040030130000-040030130000#040080160000040080170000#040180150000-040180150000

49002024Lc 2:24

24. E, per offerrire il sacrificio, secondo ciò ch'è detto nella legge del Signore, d'un paio di tortole, o di due pippioni.

Levitico 12:6,8#030120060000-030120060000#030120080000030120080000. I due obblighi che indussero Maria e Giuseppe a Gerusalemme sono uniti confusamente nei versetti Luca 2:2224#490020220000-490020240000; ma il sacrifizio qui menzionato si riferisce unicamente alla purificazione della madre, Vedi nota Luca 2:22Luca 2:22. La povertà di Maria e di suo marito è evidente, non potendo essa offrire, come avrebbe desiderato, l'agnello in olocausto. È questa una prova di più dell'umiliazione cui volle assoggettarsi Colui che, «essendo ricco, si è fatto povero per noi» 2Corinzi 8:9#540080090000540080090000. Era inoltre provveduto in Levitico 5:11#030050110000030050110000, al caso in cui l'offerente sarebbe stato troppo miserabile persino per sacrificare dei piccioni; ed allora poteva offrire la decima parte di un'efa di fior di farina; ma non essendovene menzione in Levitico 12#030120000000-030120000000: sembra certo che questo permesso non s'estendesse alle puerpere.

PASSI PARALLELI

Levitico 12:2,6-8; 2Corinzi 8:9#030120020000030120020000#030120060000-030120080000#540080090000540080090000

Osservazioni

l. Sarebbe uno sprecar tempo l'andare ricercando i motivi per i quali nostro Signore si sottomise alla circoncisione. Ci basti il rammentare che quella

cerimonia fu una pubblica testimonianza ad Israele che Gesù ora Giudeo secondo la carne, fatto di donna Ebrea, e «sottoposto alla legge» Galati 4:4#550040040000-550040040000. Senza circoncisione egli non avrebbe soddisfatto alle esigenze della legge; non sarebbe stato riconosciuto come Figlio di Davide e discendente d'Abrahamo. Di più la circoncisione era necessaria per lui prima che potesse insegnare in Israele; senza di essa non avrebbe potuto sedere in nessuna assemblea legale, né aver diritto di celebrare alcuna cerimonia religiosa; senza di essa sarebbe stato considerato nulla più d'un Gentile incirconciso ed un apostata della fede dei suoi padri. La sottomissione di Cristo ad una cerimonia, di cui egli poteva fare a meno, ci sia una lezione utile nella vita quotidiana. Sopportiamo molto, anziché accrescere gl'impedimenti al progresso dell'evangelo, o danneggiare la causa di Cristo.

2. Al momento istesso in cui fu sottomesso a quel rito che simboleggiava lo spogliare il peccato, gli fu dato il nome di Gesù, scelto espressamente da Dio Matteo 1:21#470010210000-470010210000, e che significa «salvare il suo popolo dai suoi peccati» come per protestare, in quella circostanza istessa, che in lui non v'era nulla di peccaminoso da toglier via; ma che, all'opposto, egli era destinato a togliere i peccati altrui. Pur nondimeno, grande fu l'importanza di quell'atto cerimoniale per l'opera del Redentore; poiché, siccome colui che è, circonciso «è obbligato ad osservare tutta la legge» Galati 5:3#550050030000-550050030000, così il Salvatore circonciso portò, in tal modo, nella sua carne, il suggello d'un obbligo volontario di adempiere tutta la legge, legge che egli solo potrebbe adempiere nella carne a cagione della caduta dell'uomo. Ma inoltre, essendosi egli «sottoposto alla legge» Galati 4:4-5; 3:13#550040040000550040050000#550030130000-550030130000, unicamente per redimere (dalla sua maledizione) coloro ch'erano sotto la legge, l'obbedienza alla quale era tenuto Gesù, era un'obbedienza redentrice ossia obbedienza d'un Salvatore. Di più, siccome solo col far se stesso maledizione per noi. Cristo ha potuto redimerci dalla maledizione della legge Galati 3:13#550030130000-550030130000, la circoncisione di Gesù deve esser considerata virtualmente come pegno di morte, come mallevadoria non solo d'obbedienza in generale, ma d'un'«obbedienza sino alla morte, perfino la morte della croce» Filippesi 2:8#570020080000-570020080000.

49002025Lc 2:25

Simeone ed Anna riconoscono in Gesù il Messia promesso, Luca 2:25-38

25. Or ecco, vi era in Gerusalemme un uomo, il cui nome era Simeone;

Nulla sappiamo intorno a quest'uomo pio, eccettuato il suo nome che era comunissimo fra gli Ebrei. Il tenore del vers. 26 ci fa credere che fosse d'età già avanzata, sebbene non siano indicati i suoi anni come quelli di Anna. Alcuni autori pretendono che Simeone fosse il figlio del famoso Hillel, capo d'una delle Scuole di Legge in Gerusalemme, e padre di quel Gamaliele ai piedi del quale Paolo sedette, che fu contemporaneo di Cristo, e presidente del Sinedrio sotto Tiberio, Caligola e Claudio. Altri ancora, scioccamente secondo noi, voglion dedurre dal vers. 32 ch'egli fosse Gentile, e, come tale, pronunziasse il suo discorso nel cortile dei Gentili. Amendue sono mere congetture

e quell'uomo era giusto

cioè esatto nell'osservare tutta la legge, per quanto è dato all'uomo di giudicare, e retto nel suo carattere morale.

e religioso

cioè d'animo e d'inclinazioni pie.

ed aspettava la consolazione d'Israele;

Era questo uno dei titoli dati al Messia promesso, ed in uso fra gli antichi Ebrei, perché egli era aspettato per sollevare la nazione dalle afflizioni sotto le quali gemeva. I profeti videro in lui la consolazione del popolo d'Israele Isaia 40:1; 49:13; 66:13; Aggeo 2:7,9#290400010000290400010000#290490130000-290490130000#290660130000290660130000#440020070000-440020070000#440020090000-

440020090000. Fra gli Ebrei era comune questa formula di giuramento: «Come io spero nella consolazione d'Israele», e si dice che sia usata tuttora fra loro. Simeone, all'opposto della moltitudine che generalmente aspettava una liberazione terrestre e temporale, aveva ricevuto una qualche luce sul vero carattere del Messia. Sia per la conoscenza delle profezie, sia probabilmente per qualche rivelazione divina, egli stava aspettando allora appunto la sua venuta, con grande ansietà.

e lo spirito santo era sopra lui.

Così lo Spirito di profezia dopo aver abbandonata la Chiesa per quasi 400 anni, ora tornava a risvegliare le aspettazioni dei fedeli ed a prepararla a successivi eventi.

PASSI PARALLELI

Luca 1:6; Genesi 6:9; Giobbe 1:1,8; Daniele 6:22-23; Michea 6:8; Atti 10:2,22; 24:16#490010060000-490010060000#010060090000010060090000#220010010000-220010010000#220010080000220010080000#340060220000-340060230000#400060080000400060080000#510100020000-510100020000#510100220000510100220000#510240160000-510240160000

Tito 2:11-14#630020110000-630020140000

Luca 2:38; Isaia 25:9; 40:1; Marco 15:43#490020380000490020380000#290250090000-290250090000#290400010000290400010000#480150430000-480150430000

Luca 1:41,67; Numeri 11:25,29; 2Pietro 1:21#490010410000490010410000#490010670000-490010670000#040110250000040110250000#040110290000-040110290000#680010210000680010210000

49002026Lc 2:26

26. E gli era stato divinamente rivelato dallo Spirito Santo, ch'egli non vedrebbe la morte che prima non avesse veduto il Cristo del Signore

Il come gli fosse stato ciò rivelato non è detto. Iddio mandava le sue rivelazioni talvolta in sogno, talvolta in visione, talvolta per ispirazione, ossia illuminazione interna, ma in ogni caso in modo tale, da non lasciar dubbio veruno sulla sorgente divina di essa. In sostanza, era stato rivelato a Simeone che prima di morire cosa per lui non più remota, i suoi occhi contemplerebbero il Messia, cioè l'Unto del Signore. Questa rivelazione gli aveva fatto attendere con fiducia l'immediato apparire del Cristo, e probabilmente l'aiutò a riconoscere in Gesù il Salvatore. Bengel, alludendo alle due vedute indicate in questo versetto (vedere la morte, e vedere il Cristo), chiama questa «una dolce antitesi!»

PASSI PARALLELI

Salmi 25:14; Amos 3:7#230250140000-230250140000#370030070000370030070000

Salmi 89:49; Luca 9:27; Salmi 89:48; Giovanni 8:51; Ebrei 11:5#230890490000-230890490000#490090270000490090270000#230890480000-230890480000#500080510000500080510000#650110050000-650110050000

Salmi 2:2,6; Isaia 61:1; Daniele 9:24-26; Giovanni 1:41; 4:29; 20:31; Atti 2:36; 9:20#230020020000-230020020000#230020060000230020060000#290610010000-290610010000#340090240000340090260000#500010410000-500010410000#500040290000500040290000#500200310000-500200310000#510020360000510020360000#510090200000-510090200000

Atti 10:38; 17:3; Ebrei 1:8-9#510100380000510100380000#510170030000-510170030000#650010080000650010090000

49002027Lc 2:27

27. Egli adunque, per movimento dello sparito NELLO Spirito venne nel tempio;

(il haram o sacro recinto in generale). Lo Spirito Santo guidando colà i suoi passi, senza ch'egli ne fosse, consapevole, al tempo appunto in cui stavano per giungere Maria e suo marito. «Si noti una volta per sempre», dice Brown, «che ogni qualvolta si dice dei sacerdoti che entrano nel tempio (come in Luca 1:9#490010090000-490010090000, la parola sempre adoperata ò naos), è quella che denota l'edifizio, il tempio propriamente detto, nel quale nessuno poteva entrare se non i sacerdoti; e mai è usato questo vocabolo quando è detto che il nostro Signore, o chiunque altro non appartenente alla famiglia sacerdotale, entrava nel tempio; che in tal caso, la parola usata, è di più largo significato, e indica, tutto quello che era racchiuso nei sacri recinti».

e, come il padre e la madre (i genitori) vi portavano il fanciullo Gesù, per far di lui secondo al usanza della legge;

Non la circoncisione, già operata nell'ottavo giorno, mentre quello era almeno il 40esimo, ma la solenne presentazione di Gesù al Signore, come primogenito di Maria, ed il pagamento dei 5 sicli della tassa d'esenzione, Vedi note Luca 2:23Luca 2:23, Luca 2:24Luca 2:24. Simeone fu dunque il primo testimone dell'adempimento di queste profezie: «La scelta (il desiderio), di tutte le nazioni verrà, ed io empierò questa casa di gloria, ha detto il Signore»; e «L'Angelo del patto, il quale voi desiderate, verrà nel suo tempio» Aggeo 2:7; Malachia 3:1#440020070000440020070000#460030010000-460030010000.

PASSI PARALLELI

Luca 4:1; Matteo 4:1; Atti 8:29; 10:19; 11:12; 16:7; Apocalisse 1:10; 17:3#490040010000-490040010000#470040010000470040010000#510080290000-510080290000#510100190000510100190000#510110120000-510110120000#510160070000-

510160070000#730010100000-730010100000#730170030000730170030000

Luca 2:41,48,51#490020410000-490020410000#490020480000490020480000#490020510000-490020510000

Luca 2:22#490020220000-490020220000

49002028Lc 2:28

28. Egli sel recò nelle, braccia, e benedisse Iddio, e disse:

Sempre guidato dallo Spirito, egli andò diritto al bambino, senza suggerimenti umani, e, presolo nelle braccia, versò la sua gratitudine e la sua gioia nel cantico seguente:

PASSI PARALLELI

Marco 9:36; 10:16#480090360000-480090360000#480100160000480100160000

Luca 2:13-14,20; Luca 1:46,64,68; Salmi 32:11; 33:1; 105:1-3; 135:1920#490020130000-490020140000#490020200000490020200000#490010460000-490010460000#490010640000490010640000#490010680000-490010680000#230320110000230320110000#230330010000-230330010000#231050010000231050030000#231350190000-231350200000

49002029Lc 2:29

29. Ora, signore,

(Maestro). Questo vocabolo occorre di rado nel N. T. e, quando lo incontriamo. indica che la persona di cui si parla è assoluto padrone e proprietario delle persone o delle cose cui si riferisce, Vedi Atti 4:24;

2Timoteo 2:21#510040240000-510040240000#620020210000620020210000.

ne mandi il tuo servitore in pace, secondo la tua parola; 30. Poscia che gli occhi miei han veduta la tua salute;

Lo Spirito aveva dichiarato a Simeone che egli non morrebbe finché non avesse veduto il Cristo, il Signore, e quella senza dubbio è la parola cui il vegliardo fa qui allusione. Un tanto privilegio aveva empito l'anima sua d'una pace sì completa, ch'egli non desiderava vivere più a lungo ed aspettava pazientemente che giungesse il momento destinato da Dio alla sua dipartenza. V'è perfetta corrispondenza fra questa parte del cantico e la promessa fattagli da Dio. La promessa era che «non vedrebbe la morte, che prima non avesse veduto il Cristo del Signore», e la sua preghiera è: «Ora, Signore, ne mandi il tuo servitore in pace, poscia che gli occhi miei hanno veduta la tua salute». Simeone in vero, vedendo Gesù, poteva dire che egli vedeva LA SALUTE; poiché tutte le promesse di redenzione si riferivano a lui e tutto le benedizioni della redenzione furono da lui accumulate. Ma v'è di più; era quella la salute di Dio (la tua salute) in quantoché Iddio Stesso ne formò il disegno e fece cooperare tutto le cose al suo adempimento Romani 3:22#520030220000-520030220000. Pressoché identica a questa è l'esclamazione del patriarca Giacobbe morente Genesi 49:18#010490180000-010490180000. Soli beati sono coloro i quali in un senso spirituale han veduto il Salvatore, ed han posto la loro fiducia in lui prima di lasciar questa vita. Quanti videro quel bambino, e più tardi videro pure l'uomo Cristo, eppur non riconobbero mai in lui la salvezza di Dio! Il pensiero espresso in questa circostanza da Simeone fu un atto di pura fede: fissando gli occhi sul bambino ch'ei teneva in braccio, «contemplò la sua gloria».

PASSI PARALLELI

Marco 9:36; 10:16#480090360000-480090360000#480100160000480100160000

Luca 2:13-14,20; Luca 1:46,64,68; Salmi 32:11; 33:1; 105:1-3; 135:1920#490020130000-490020140000#490020200000490020200000#490010460000-490010460000#490010640000490010640000#490010680000-490010680000#230320110000230320110000#230330010000-230330010000#231050010000231050030000#231350190000-231350200000

Luca 2:10-11; 3:6; Genesi 49:18; 2Samuele 23:1-5; Isaia 49:6; Atti 4:1012#490020100000-490020110000#490030060000490030060000#010490180000-010490180000#100230010000100230050000#290490060000-290490060000#510040100000510040120000

49002031Lc 2:31

31. La quale tu hai preparata, davanti (davanti alla faccia) a tutti i popoli;

Il Diodati, dopo la parola «preparato», soggiunge: per metterla, ma queste parole non sono nell'originale greco, e non son punto necessarie alla chiarezza del senso. Nella religione pagana gli alti riti e dommi rimanevano profondi misteri per la moltitudine, mentre pochi iniziati ne facevano loro profitto. Ma la redenzione, la salute preparata da Dio vien proclamata pubblicamente, coram populo, affinché Greco e Giudeo, circonciso ed incirconciso, Barbaro e Scita, servo o franco, possano vederla ed avervi parte. Bengel opina che le parole di Simeone: «Davanti alla faccia di tutti i popoli», si debbano riferire alla presentazione di Gesù nel tempio, presentazione che avveniva in quel momento stesso, perché essendo Gerusalemme la sede della teocrazia, ed il tempio l'abitazione terrestre di Jehova, nessun atro luogo era più adatto per mettere in evidenza la luce divina. In quanto al fatto storico, si è appunto da Gerusalemme che quella luce si sparse su tutte le nazioni, dopo l'ascensione di nostro Signore Luca 24:47#490240470000-490240470000. Più soddisfacente però ci sembra la spiegazione che si trova, nelle profezie relative all'universalità del regno del Redentore; come pure nell'aspettativa dominante in tutto il mondo allora

conosciuto, al tempo della nascita di Gesù, quella cioè d'un personaggio che doveva apparire ad esercitare giusto dominio su tutta la terra.

PASSI PARALLELI

Salmi 96:1-3,10-13; 97:6-8; 98:2-3; Isaia 42:1-4,10-12; 45:2125#230960010000-230960030000#230960100000230960130000#230970060000-230970080000#230980020000230980030000#290420010000-290420040000#290420100000290420120000#290450210000-290450250000

Isaia 62:1-2#290620010000-290620020000

49002032Lc 2:32

32. Luce da illuminare le genti, e la gloria del tuo popolo Israele.

Su questo versetto un antico teologo osserva: «I sapienti rimarcano che, il cantore, di quest'inno nomina prima i Gentili, quindi i Giudei, che egli fa imperocché la conversione dei Giudei a Cristo non avrà luogo "finché la pienezza de' Gentili sia entrata"» Romani 11:25#520110250000520110250000. Un paragone fra il cantico di Zaccaria e quello di Simeone, riesce tutto a favore di quest'ultimo, perché più largo di vedute, ed affatto esente di egoismo e di esclusivismo nazionale. Zaccaria fa suo «il corno della salute nella casa di Davide» Luca 1:69, come se i benefizi da quello recati fossero esclusivamente destinati alla nazione giudaica; Simeone invece ricorda le promesse delle antiche profezie Salmo 87:4-5; Isaia 19:1825; 42:6-7; 49:6-10; Malachia 1:11#230870040000230870050000#290190180000-290190250000#290420060000290420070000#290490060000-290490100000#460010110000460010110000, e proclama che i Gentili aveano, in comune coi Giudei, un grande interesse in questo bambino, come essendo «la salute di Dio». Il progresso nella rivelazione di questa salute, che si nota tra le parole del primo di questi due uomini ispirati a quelle del secondo, costituisco una parte della preparazione divina di quella dinanzi a tutte le genti. Gli Ebrei

carnali agognavano il momento in cui, col loro Messia alla testa, distruggerebbero i Gentili senza misericordia. Quelli fra loro che aspettavano la consolazione d'Israele, sapevano dalle profezie come i Gentili dovevano aver parte alle benedizioni del regno del Messia, ma supponevano che ciò non avrebbe il suo compimento se non quando i pagani avrebbero abbracciato il giudaismo e si fossero sottomessi alle cerimonie levitiche; invece le parole poste dallo Spirito Santo sulle labbra di Simeone suonano vera libertà. Gesù Cristo veniva per portar la sua salute tanto ai Gentili come Gentili, quanto ai Giudei. Ai primi, immersi nelle tenebre dell'ignoranza, dell'idolatria, della miseria e del vizio, egli doveva apparire come «Luce ad illuminare le genti», qual «Sole di Giustizia» penetrante negli antri più oscuri della lor prigione, qual Liberatore che spezza le catene dei prigioni e dei captivi Isaia 42:7; 61:l#290420070000290420070000#290610010000-290610010000; mentreché per il vero Israele, che già ne aveva veduta l'alba nelle Sacre Carte, ed aspettava che sorgesse quella Luce in tutta la sua pienezza, egli veniva ad appagare le loro lunghe brame, e compiere le promesse divine, a dominare il loro Apocalisse Salvatore, in una parola ad essere la loro «corona di gloria».

PASSI PARALLELI

Isaia 9:2; 42:6-7; 49:6; 60:1-3,19; Matteo 4:16; Atti 13:47-48; 28:28#290090020000-290090020000#290420060000290420070000#290490060000-290490060000#290600010000290600030000#290600190000-290600190000#470040160000470040160000#510130470000-510130480000#510280280000510280280000

Romani 15:8-9#520150080000-520150090000

Salmi 85:9; Isaia 4:2; 45:25; 60:19; Geremia 2:11; Zaccaria 2:5; 1Corinzi 1:31; Apocalisse 21:23#230850090000-230850090000#290040020000290040020000#290450250000-290450250000#290600190000290600190000#300020110000-300020110000#450020050000-

450020050000#530010310000-530010310000#730210230000730210230000

49002033Lc 2:33

33. E Giuseppe, e la madre d'esso, si maravigliavano delle cose che eran dette di lui.

La loro maraviglia non derivava né da mancanza di fede, né dalla sostanza del discorso di Simeone, quanto dalla armonia straordinaria di testimonianze sullo stesso soggetto provenienti da tanti lati diversi, come: l'annunzio di Gabriele a Maria, il sogno di Giuseppe, il messaggio recato ai pastori di Betlemme, ed ora finalmente la dichiarazione di Simeone.

PASSI PARALLELI

Luca 2:48; 1:65-66; Isaia 8:18#490020480000490020480000#490010650000-490010660000#290080180000290080180000

49002034Lc 2:34

34. E Simeone li benedisse

probabilmente i soli genitori. Siccome Paolo dice Ebrei 7:7#650070070000650070070000 che, «fuor d'ogni contradizione, ciò che è minore è benedetto da ciò che è più eccellente», non possiamo supporre che Simeone pretendesse benedire Gesù in modo autorevole, ma se benedì il bambino, lo avrà fatto nel medesimo spirito in cui noi benediciamo Iddio, secondo il modo di parlare delle Scritture, quando gli rendiamo grazie e lodi.

e disse a Maria, madre di esso: Ecco, costui è posto per la ruina, e per lo rilevamento di molti in Israele;

Il vocabolo significa una caduta qualsiasi, con possibile rialzamento ed altresì rovina. Evidentemente queste parole si riferiscono a due passi di Isaia 8:14-15; 28:16#290080140000-290080150000#290280160000290280160000, e di questi troviamo un commento ispirato dell'Ep. 1Pietro 2:6-8#670020060000-670020080000 che merita studio accurato. Senza dubbio, Dio nel suo amore, «ha mandato il Figlio nel mondo, acciocché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» Giovanni 3:16#500030160000-500030160000; ma a cagione dell'inimicizia ed avversione del cuore naturale, che s'oppone al piano misericordioso d'Iddio, e rigetta colui che lo vuol salvare, moltitudini sono cadute, e volontariamente hanno attirato sopra sé stesse la rovina e la morte; mentre da un'altra parte, per grazia di Dio, moltitudini immerse nella colpa e nella disperazione, schiavi del peccato, sono state rialzate dal fango, per mezzo di Cristo, al grado di «figli di Dio». Nei giorni del Salvatore, molti aspettavano un re temporale, ma, rimasti delusi, presero scandalo di Cristo; altri furono troppo orgogliosi per accettare una salute da lui offerta, poiché sembrava loro umiliante; altri ancora amarono le tenebre più che la luce» Giovanni 3:19#500030190000-500030190000, e perseguitarono colui che disturbava la loro pace. Di simil gente Gesù Cristo divenne «la ruina», unicamente perché essi lo rigettarono. «Non vollero andare a lui acciocché avessero la vita» Giovanni 5:40#500050400000-500050400000. Così nell'andar dei secoli, per gl'istessi motivi, Cristo, che è «la vita», diviene occasione di «rovina» a molti in ogni età. Perciò egli disse: «Se io non fossi venuto e non avessi parlato, essi non avrebbero peccato (cioè non avrebbero a render conto del peccato che consiste nell'avermi rigettato); ma ora non hanno scusa alcuna del loro peccato» Giovanni 15:22#500150220000500150220000. Ma a molti altri invece Cristo è occasione «di rilevamento». Egli risuscita per mezzo della sua parola e del suo Spirito coloro che «son morti nei falli e peccati», ad una vita di giustizia, abilitandoli a credere in lui come essendo la perfetta giustizia di Dio; egli li innalza ad uno stato di giustificazione, di santità progressiva e finalmente per la gloriosa risurrezione alla felicità eterna. Non dobbiamo però supporre che questa «ruina e rilevamento» debbano ambedue necessariamente effettuarsi nel medesimo individuo, quantunque ne abbondino gli esempi quello notevole di Pietro fra gli altri. Non si deve così limitare il senso. Queste parole adunque c'insegnano che siccome molti andranno in perdizione per non aver

voluto credere nel Salvatore, così molti miseri peccatori troveranno in lui perdono, gioia e vita eterna.

e per segno al quale sarà contradetto;

Per segno si dove qui intender qualche cosa non solo messa in evidenza, ma fatta inoltre oggetto di bersaglio, segnale all'opposizione o alla contradizione, Confr. Giobbe 16:12#220160120000-220160120000. Come si compiesse mirabilmente questa predizione relativamente alla persona, al carattere, alle dottrine ed ai miracoli di Cristo non fa d'uopo dimostrarlo a chi è un tantino famigliare colla storia degli Evangeli, e con quella susseguente della sua chiesa fedele, «vestita di sacchi» Apocalisse 11:3#730110030000-730110030000. Durante il suo pubblico ministerio Gesù, disprezzato, rigettato, maltrattato, ebbe «a sostenere la contradizione dei peccatori»; la sua religione fu segno ai dardi velenosi degli increduli e degli scettici; bersaglio dei cattivi, degli iniqui e dei profani, e quanto più stretti sono i vincoli che uniscono i credenti a Cristo, e quanto più fedelmente essi seguono le sue tracce, tanto più veementi sono l'odio, le derisioni, le persecuzioni con cui son presi di mira. «Se il mondo vi odia», disse Cristo, sappiate ch'egli mi ha odiato prima di voi» Giovanni 15:18#500150180000-500150180000.

PASSI PARALLELI

Genesi 14:19; 47:7; Esodo 39:43; Levitico 9:22,23; Ebrei 7:1,7#010140190000-010140190000#010470070000010470070000#020390430000-020390430000#030090220000030090220000#030090230000-030090230000#650070010000650070010000#650070070000-650070070000

Isaia 8:14-15; Osea 14:9; Matteo 21:44; Giovanni 3:20; 9:29; Romani 9:32; 1Corinzi 1:23#290080140000-290080150000#350140090000350140090000#470210440000-470210440000#500030200000500030200000#500090290000-500090290000#520090320000520090320000#530010230000-530010230000

2Corinzi 2:15; 1Pietro 2:7#540020150000-540020150000#670020070000670020070000

Atti 2:36-41; 3:15-19; 6:7; 9:1-20#510020360000510020410000#510030150000-510030190000#510060070000510060070000#510090010000-510090200000

Salmi 22:6-8; 69:9-12; Isaia 8:18; Matteo 11:19; 26:65-67; 27:4045,63#230220060000-230220080000#230690090000230690120000#290080180000-290080180000#470110190000470110190000#470260650000-470260670000#470270400000470270450000#470270630000-470270630000

Giovanni 5:18; 8:48-52; 9:24-28; Atti 4:26; 13:45; 17:6; 24:5; 28:22#500050180000-500050180000#500080480000500080520000#500090240000-500090280000#510040260000510040260000#510130450000-510130450000#510170060000510170060000#510240050000-510240050000#510280220000510280220000

1Corinzi 1:23; Ebrei 12:1-3; 1Pietro 4:14#530010230000530010230000#650120010000-650120030000#670040140000670040140000

49002035Lc 2:35

35. (E una spada trafiggerà a te stessa l'anima);

Una spada non potendo trafiggere un'anima, l'espressione figurata denota dolore, angoscia. Fra i primi autori cristiani, alcuni videro in queste parole una predizione di martirio, ed affermarono che s'era compiuto alla lettera in Maria; ma siffatta storia non ha base autentica, ed è in opposizione diretta colla credenza generale in corso a quei tempi, cioè che Maria, morisse di morte naturale. Perché considerare la parentesi come se si riferisse alla sua morte? Maria doveva esser «benedetta fra le donne»; ma non poteva rimanere immune dalle lotte e dai dolori cui, per quel bambino, essa andava

incontro. Quella spada, essa la doveva sentire nel vedere l'odio e la persecuzione che Cristo avrebbe a sopportare nel suo pubblico ministero, se non prima nell'esser testimone della sua reiezione, della sua condanna e delle sue crudeli sofferenze in sulla croce: nel dover reprimere i suoi affetti materni dopo la risurrezione, ed imparare a non conoscere più Cristo «secondo la carne»; nella sua desolata situazione dopo l'ascensione di Cristo, e probabilmente (a giudicar dalla posizione che questa clausola occupa nel discorso di Simeone), nelle terribili alternative di fede e di dubbio, di speranze e di timori riguardo al proprio figlio quel suo Salvatore, per le quali essa dovea passare, sperimentando così nell'anima sua la ruina e il rilevamento cui Simeone allude.

acciocché i pensieri di molti cuori sieno rivelati.

Tolta la parentesi relativa a Maria, queste parole seguono il versetto 34. L'accoglienza che quel bambino ricevè da coloro che l'udirono durante il suo soggiorno terrestre e che egli riceve tuttora da coloro a cui egli è offerto dallo Spirito Santo per mezzo della predicazione dell'evangelo, è il vero criterio dello stato dei loro cuori. «Che vi pare egli del Cristo!» è la domanda critica. Dal ricevimento che si dà a Cristo, dalla stima in cui lo si tiene, vedrassi se il cuore è tuttora morto e carnale, o risvegliato e rigenerato. Maria, di Betania «e la donna peccatrice» ricevettero il Salvatore con avidità come «portando la bandiera fra diecimila, come uno che è tutto amorevolezze» Cantico 5:10,16#260050100000260050100000#260050160000-260050160000. Il giovine ricco invece gli preferì le ricchezze. In quanto ai Giudei, la nazione intera professava d'onorare il Padre, ma l'accoglienza fatta al Figlio sarebbe la prova di quanto fossero sinceri. Si dicevano figli di Abrahamo, il quale «vide il giorno di Cristo e se ne rallegrò» Giovanni 8:56#500080560000-500080560000; ma dal modo in cui l'accolsero si sarebbe veduto se fossero «figli delle promesse». Sebbene sia cosa difficilissima accertarsi del vero carattere degli individui, la buona novella presentata fedelmente è un buon mezzo per conoscerlo.

PASSI PARALLELI

Salmi 42:10; Giovanni 19:25#230420100000230420100000#500190250000-500190250000

Luca 16:14-15; Deuteronomio 8:2; Giudici 5:15-16; Matteo 12:24-35; Giovanni 8:42-47; 15:22-24#490160140000490160150000#050080020000-050080020000#070050150000070050160000#470120240000-470120350000#500080420000500080470000#500150220000-500150240000

Atti 8:21-23; 1Corinzi 11:19; 1Giovanni 2:19#510080210000510080230000#530110190000-530110190000#690020190000690020190000

49002036Lc 2:36

36. Vi era ancora Anna profetessa

Questa donna aveva lo stesso nome della madre di Samuele 1Samuele 1:2#090010020000-090010020000. Il titolo di profetessa non può esserle stato dato unicamente per le parole riferita al vers. 38; ma le venne probabilmente da altri e frequenti discorsi pronunziati precedentemente per ispirazione divina, onde essa fu messa nel numero delle sante donne che istruivano il popolo intorno alla volontà di Dio.

figliuola di Fanuel della tribù di Aser;

Cosa strana che il nome del padre, anziché del marito, sia notato! Il territorio della tribù d'Aser sembra corresse da Dor, a mezzogiorno del Carmelo, verso il Nord fino a Sidon, abbracciando una regione ridente ed ubertose, ma piuttosto stretta che si estendeva dal Mediterraneo fino alle falde del Libano. Quanto s'internasse nella regione montuosa, non potrà determinarsi fino a nuove scoperte sulla posizione di città nominato Giosuè 19:24-31#060010010000-060010310000, come confini della tribù. Chiunque prende interesse all'esatto compimento delle profezie, osservi come le predizioni di Giacobbe e di Mosè coincidono colla storia di Aser, quando le famiglie della tribù furono stabilite nelle loro terre, e si

mischiarono coi Fenici, Cf. Genesi 49:20; Deuteronomio 33:24; Giudici 5:17#010490200000-010490200000#050330240000050330240000#070050170000-070050170000. Gran numero degli Aseriti rimasero nel paese quando gli Israeliti furon trasportati in Assiria 2Re 17:20#120170200000-120170200000, e dopo il ritorno dei Giudei dalla cattività di Babilonia essi fecero lega colle tribù di Giuda e di Beniamino. Quantunque nissuna delle 10 tribù d'Israele tornasse per intiero, molte famiglie di diverse tribù tornarono con quelle di Giuda e di Beniamino, talché i loro conduttori poterono ricostituirle, ed Aser era fra le tribù in quel modo ricostituite in questi versetti abbiamo la prova che gli Aseriti custodivano gelosamente le loro genealogie e le conoscevano bene, fino al tempo in cui venne il Silo. Infatti la distinzione fra tribù e tribù fu mantenuta per tutta quell'epoca che intervenne fra il ritorno di Babilonia e la distruzione di Gerusalemme per i Romani, quando tutti i registri nazionali furono bruciati o distrutti.

la quale era molto attempata, essendo vissuta sette anni col suo marito dopo la sua verginità; 37. Ed ora vedova d'età d'intorno ad ottantaquattro anni;

Un gran numero di commentatori vogliono che gli ottantaquattro anni siano l'intiera età della donna e non la durata della sola sua vedovanza; ma l'evidente continuità della descrizione in questi due versetti e la separazione chiara e distinta degli incisi sett'anni col suo marito, e ed era vedova di non meno che ottantaquattr'anni, non ci permettono di dubitare che essa era vedova da 84 anni. Pare che l'Evangelista abbia voluto dividere la di lei vita in tre epoche: la sua verginità o fanciullezza, che non oltrepassò il 13simo o il 15simo anno, età in cui una ragazza poteva legalmente contrarre matrimonio; il suo stato matrimoniale che durò sette anni, e la sua vedovanza durata ottantaquattro anni. Secondo questo calcolo essa avrebbe raggiunto l'età non comune di 104 anni, ciò che giustifica l'espressione «molto attempata», espressione che non viene applicata a Simeone, benché egli fosse probabilmente già ottantenne. Per qualunque opinione propenda il lettore, questo fatto è menzionato affin di provare che Anna era vedova davvero 1Timoteo 5:5#610050050000-610050050000; che s'era serbata fedele al defunto marito cui fu unita in età al giovanile, e che, invece di

rimaritarsi, aveva consacrato il suo cuore e tutto il suo tempo a Dio, e all'esercizio di religiose virtù. «Una donna giovine orbata del marito», dice Kitto, «la quale restasse vedova per la vita, era tenuta in grande stima presso i Giudei».

49002037Lc 2:37

e non si partiva mai dal tempio, servendo a Dio, notte e giorno, in digiuni ed orazioni.

Alcuni suppongono che essa avesse stanza nei cortili del tempio, vivendo in un asilo di carità, mantenuta colla casca dei poveri; oppure che ivi le fosso appositamente destinata un'abitazione come profetessa, onde potessero consultarla coloro che desideravano istruzione religiosa. Altri intendono dalle parole «non si partiva mai dal tempio» che la pia vedova mai era assente alle ore della preghiera o di qualsiasi altro servizio religioso; e che in ogni occasione di far bene, prendeva parte attiva, non curando le infermità dell'età sua avanzata, mentre altri più giovini di esse, se ne dispensavano con iscuse e proteste puerili. Oltre di ciò dava gran parte del suo tempo a privata adorazione e meditazione, non solo di giorno ma puranco di notte; benché dubitiamo assaissimo che in quest'ultimi servigi dobbiamo includere con Brown, persino i servigi dei ministri o guardie notturne Salmi 130:6; 134:1-2#231300060000231300060000#231340010000-231340020000. Anna corrisponde a pennello col ritratto della vedova vera, fatto da S. Paolo 1Timoteo 5:5,9#610050050000-610050050000#610050090000-610050090000. Libera da ogni altro dovere sociale, essa poteva, senza biasimo, consacrare alla preghiera ed ai digiuni molto più tempo di quello che altri deve impiegarci, in circostanze e posizioni diverse.

PASSI PARALLELI

Esodo 15:20; Giudici 4:4; 2Re 22:14; Atti 2:18; 21:9; 1Corinzi 12:1#020150200000-020150200000#070040040000-

070040040000#120220140000-120220140000#510020180000510020180000#510210090000-510210090000#530120010000530120010000

Genesi 30:13#010300130000-010300130000

Apocalisse 7:6#730070060000-730070060000

Giobbe 5:26; Salmi 92:14#220050260000-220050260000#230920140000230920140000

Esodo 38:8; 1Samuele 2:2; Salmi 23:6; 27:4; 84:4,10; 92:13; 135:1-2; Apocalisse 3:12#020380080000-020380080000#090020020000090020020000#230230060000-230230060000#230270040000230270040000#230840040000-230840040000#230840100000230840100000#230920130000-230920130000#231350010000231350020000#730030120000-730030120000

Salmi 22:2; Atti 26:7; 1Timoteo 5:5; Apocalisse 7:15#230220020000230220020000#510260070000-510260070000#610050050000610050050000#730070150000-730070150000

49002038Lc 2:38

38. Ella ancora, sopraggiunta (piuttosto stando vicina o avvicinatasi) in quell'ora, lodava il Signore,

Essa era rimasta nel cortile del tempio mentre Simeone parlava, ed avvicinandosi ai genitori quando egli finiva il suo discorso, continuò a lodare il Signore per il tanto sospirato avvenimento del Messia.

e parlava di quel fanciullo a tutti coloro che aspettavano la redenzione in Gerusalemme.

Le parole «in Gerusalemme» si connettono al verbo «aspettavano» e, non alla «redenzione»; vale a dire, essa parlava a tutti coloro che, vivendo in

Gerusalemme aspettavano la venuta del Messia. Alcuni critici moderni preferiscono la redenzione di Gerusalemme, ma l'autorità dei MSS. che invocano è molto dubbia. Nonostante la miseranda decadenza religiosa in quel tempo, che attirò su tutte le classi il severo giudizio di Giovanni il Battista, Iddio s'era riserbato un picciol resto in Israele, e fra gli altri, eranvi alcuni uomini devoti in Gerusalemme i quali avean dedotto dagli scritti profetici che la venuta del Messia non poteva esser molto remota; ed aspettavano sospirando quella bramata salute, molto più desiderabile della liberazione dal giogo romano. Suppose taluno che quelle cerimonie di purificazione e presentazione al tempio fossero state compiute nel tempo del sacrifizio mattutino o vespertino; ciò che avrebbe offerto ad Anna l'occasione di parlare a quei devoti adoratori nel cortile del tempio; ma è più probabile che essa li andasse a cercare nelle loro dimore, per parlar loro del divino fanciullo, dopo ch'egli fu tornato a Betlemme.

PASSI PARALLELI

Luca 2:27#490020270000-490020270000

Luca 2:28-32; 1:46-56,64-66; 2Corinzi 9:15; Efesini 1:3#490020280000490020320000#490010460000-490010560000#490010640000490010660000#540090150000-540090150000#560010030000560010030000

Luca 2:25; 23:51; 24:21; Marco 15:43#490020250000490020250000#490230510000-490230510000#490240210000490240210000#480150430000-480150430000

RIFLESSIONI

1. L'idea che Simeone aveva concepita del Messia, della sua missione, del suo carattere, del suo regno, era non solo assai più larga di quella che s'eran fatta i Giudei; ma più chiara ed accurata di quella che n'ebbero gli Apostoli stessi fino al giorno della Pentecoste, in cui ricevettero il Paracleto. Egli vede, è vero, il regno del Messia tendere specialmente a render gloriosa la

sua nazione: ma lo vede altresì estendere i suoi benefizi ai pagani; e crede che la vera Luce illuminerà e Gentili, e Giudei. Prima di Simeone gli angeli soli accennarono ad una salute preparata per tutti i popoli. Se consideriamo quanto gelosamente gli Ebrei s'appropriassero tutto le speranze e tutte le glorie connesse col regno del Messia, vedremo con evidenza come a Simeone fu dato di penetrare a fondo il senso delle divine profezie, giungendovi probabilmente colla preghiera ed un accurato studio di esse.

2. Quelle parole «costui è posto per la ruina e per lo rilevamento di molti in Israele» non sono applicabili soltanto ai Giudei individualmente (come pure ai Gentili), ma contengono un epitome della storia della nazione intiera. Simeone credeva che, per mezzo della fede, Israele sarebbe in ultimo glorificato nel Messia; ma prevedeva pure che, in prima, il Redentore sarebbe loro «una pietra d'intoppo» sulla quale cadrebbero, per rialzarsi alla fine. Noi pure giungiamo a simile convinzione, seguendo l'istessa via, pregando cioè, e studiando le Sante Scritture sotto la direzione dello Spirito Santo. Cadde Israele, ma si rialzerà; non solo questo, ma cadde appunto affin di rialzarsi poi Romani 11:17-29#520110170000-520110290000. Quel Gesù stesso, il quale essi crocifissero, sarà loro rivelato un giorno con una tal gloria, che dovranno «riguardare a Colui che han trafitto», e far cordoglio e convertirsi Zaccaria 12:10#450120100000-450120100000; cadrà dai loro cuori il velo 2Corinzi 3:14-16#540030140000-540030160000, e si diletteranno nel Signore.

3. Star pronto, nella giuliva certezza della propria salute, ed accogliere la morte come un messo del suo Padre amorevole è privilegio di ogni vero credente. Ma che cosa rende l'uomo mortale capace di dire: «Ora, Signore, ne mandi il tuo servitore in pace», come disse Simeone? Chi lo libera dal terrore della morte? chi toglie a questa il suo dardo? Non certamente la stanchezza di vivere o di soffrire, né l'indifferenza ai piaceri del mondo, perché non si può più goderne; solo una fede vivente e ferma, che afferra un Salvatore invisibile ma presente, e che si affida appieno nelle promesse d'un Dio invisibile ma fedele, può produrre un così bel risultato. Quella fede è «il dono di Dio»; andiamo a lui e chiediamogliela.

4. Sta scritto di Simeone che «lo Spirito Santo era sopra lui», e ciò molto tempo avanti l'ascensione del Signore ed il fatto glorioso della Pentecoste. Non dimentichiamo adunque che i fedeli dell'Antico Testamento furono ammaestrati dallo Spirito così effettivamente come quelli che crederono dopo la promulgazione dell'evangelo, sebbene fosse la misura loro concessa minor che a noi.

5. Le sofferenze di Maria sono intimamente connesse a quelle del suo Figliuolo. L'esser egli ferito fu quello che la ferì, il colpo che cadde su di lui fu quello che spinse la spada attraverso il di lei cuore. Simili legami uniscono il vero credente al suo Salvatore. La felicità dei suoi fedeli è così cara a Gesù che chiunque li affligge, chiunque nuoce al minimo di essi, offende lui stesso. «Chi li tocca, tocca la pupilla dell'occhio suo». Essi, al loro turno, dovrebbero essere così sensibili a tutto ciò che tocca il suo onore, la sua causa, il suo regno sulla terra, che tutto quello che fa loro torto o danno, dovrebbe svegliare nei loro cuori un vivo dolore.

6. Anna s'era maritata nella prima giovinezza ed aveva vissuto onoratamente col suo compagno, finché Dio glielo tolse. Forse quell'afflizione in età sì giovanile aveva influito per condurla a dare il suo cuor al Signore. A ogni modo non puossi trarre davvero argomento dal caso suo, per dedurre che il celibato sia uno stato più perfetto e renda l'uomo più atto al servizio di Dio. Paolo qualifica il divieto del matrimonio di «dottrina diabolica» 1Timoteo 4:1-3#610040010000-610040030000; commenda lo stato d'una vedova sperante in Dio 1Timoteo 5:5#610050050000-610050050000; ma comanda alle giovani vedove che non erano contente di rimanere in tale stato servendo al Signore, di contrarre nuovo matrimonio 1Timoteo 5:14#610050140000-610050140000.

7. Chiunque ha Cristo nel cuore, uomo o donna che sia, non potrà fare a meno di parlarne ad altri, come Anna. «La bocca parla di ciò che soprabbonda nel cuore» Matteo 12:34; Salmi 66:16; Malachia 3:16#470120340000-470120340000#230660160000230660160000#460030160000-460030160000.

49002039Lc 2:39

Luca 2:39-52. RITORNO IN GALILEA. IL FANCIULLO GESÙ VISITA IL TEMPIO. LA SUA ADOLESCENZA A NAZARET

39. Ora, quand'ebber compiute tutte le cose che si convenivano fare secondo la legge del Signore, ritornarono in Galilea, in Nazaret, lor città.

Vi sono nel Capo 2 di Matteo parecchi incidenti della fanciullezza di Gesù, di cui Luca non fa menzione, come: la visita dei magi, la strage degli innocenti a Betlemme, e la fuga in Egitto. Dal testo che abbiam sott'occhio si potrebbe inferire che la famiglia tornasse a Nazaret subito dopo che quelle cerimonie furono compiute nel tempio. Dobbiamo noi perciò supporre che i fatti narrati da Matteo avvenissero avanti la presentazione, cioè nei 40 giorni a datare dalla nascita del bambino? Contro quest'opinione, sostenuta da alcuni, sorgono difficoltà molto gravi. Se dall'una parte la presentazione avesse avuto luogo dopo la visita de' magi, cioè mentre ferveva ancora violenta la rabbia nell'animo d'Erode, ciò sarebbe stato esporre ad immenso pericolo la vita del fanciullino; dall'altra parte, se supponiamo che queste cerimonie del tempio sieno state rimandate fin dopo il ritorno dall'Egitto, non solo sarebbe stato trascorso da molto tempo il periodo fissato dalla legge per la purificazione di Maria, ma il rischio al bambino, nell'esser portato a Gerusalemme, non sarebbe stato minore per parte di Archelao che per parte di Erode suo padre. Assai più agevole il supporre che la presentazione al tempio procedesse la visita dei magi, e gli eventi che di questa furono la conseguenza. Se si ricorda che nessuno degli Evangelisti pretese scrivere una biografia compiuta di Gesù Cristo, il fatto che Luca passa subito dal racconto della sua presentazione a quello del ritorno in Galilea indica, o che le notizie dettagliate che egli avea potuto raccogliere intorno all'infanzia del Salvatore cessano colla presentazione, e che egli passa ora a fatti storici più generali; o che egli non giudicò l'inserzione di questi fatti necessaria al suo racconto. In ogni modo, non contradice menomamente la narrazione di Matteo, né esclude la possibilità che altri fatti sieno accaduti nel frattempo. In tutti gli storici concisi accade, come in

questo caso, che eventi realmente distanti fra loro, appaiono connessi a motivo della omissione dei fatti particolari avvenuti nel frattempo. Pare che Luca ne avesse l'abitudine. Così in Luca 24:50#490240500000490240500000, si direbbe che l'ascensione di Gesù sia avvenuta nello stesso giorno in cui egli apparve ai suoi discepoli, cioè il giorno della sua risurrezione; eppure l'Evangelista ci narra Atti 1:3#510010030000510010030000, che fra quei due fatti trascorsero 40 giorni. Un altro esempio ne abbiam in Atti 9:26#510090260000-510090260000, ove Luca unisce due circostanze della vita di Paolo, accadute a tre anni di distanza, cioè la sua conversione ed il suo ritorno a Gerusalemme, semplicemente perché non gli è sembrato necessario menzionare come Paolo impiegasse quell'intervallo predicando in Arabia Galati 1:18,13#550010180000550010180000#550010130000-550010130000. Se non avessimo alcuna notizia del periodo intermedio, ne inferiremmo che la famiglia andò direttamente da Gerusalemme a Nazaret; ma Luca non lo asserisce. Questo è uno dei punti sui quali gli Armonisti, colle loro conciliazioni arbitrarie fra la narrazione di Matteo e quella di Luca, hanno dato presa ai nemici della fede. Ciò che si può inferire indubbiamente dai due racconti si è, che sono affatto indipendenti uno dall'altro. Se Luca avesse veduto l'Evangelo di Matteo o viceversa, le varianti sarebbero intieramente inesplicabili. Si osservi che scrivendo essi in modo affatto indipendente l'uno dall'altro, Matteo ha omesso i primi avvenimenti accaduti in Nazaret, le circostanze che condussero Giuseppe e Maria a Betlemme e la presentazione al tempio; che invece Luca ha omessa la visita dei magi, la strage di Betlemme e la fuga in Egitto, ma ambedue sono pienamente d'accordo nell'essenziale, cioè nella miracolosa concezione e nella natività di Gesù Cristo.

PASSI PARALLELI

Luca 2:21-24; 1:6; Deuteronomio 12:32; Matteo 3:15; Galati 4:45#490020210000-490020240000#490010060000490010060000#050120320000-050120320000#470030150000470030150000#550040040000-550040050000

Luca 2:4; Matteo 2:22-23#490020040000-490020040000#470020220000470020230000

49002040Lc 2:40

40. E il fanciullo cresceva, e si fortificava in ispirito, essendo ripieno di sapienza; e in grazia, di Dio era sopra lui.

In questo breve cenno l'Evangelista racchiude un periodo di undici anni della vita di Gesù fanciullo, e con brevità proporzionalmente anche maggiore (se si eccettua il primo viaggio di Gesù al tempio) passa sopra gli altri diciotto della sua vita privata Luca 2:51-52#490020510000-490020520000. Ma per quanto difettino di dettagli dobbiamo molto a Luca per le interessantissime notizie che ci dà, poiché gli altri Evangelisti non fanno nemmeno menzione di questo periodo. Fra i molti pseudo-evangeli che circolarono nei quattro primi secoli, alcuni pretesero supplire alle lacune di Luca. Due di quelli esistono tuttora ed hanno per titolo Evangelo dell'infanzia. Essi ascrivono a Gesù bambino continui miracoli, frivoli e puerili, operati prima dalle vesti ch'egli portava, dall'acqua ove si lavava, quindi da lui stesso. Citeremo un esempio delle assurdità che contengono: Gesù va a divertirai con altri bambini del villaggio, si mettono a far degli uccellini di argilla; ma Gesù supera i compagni in abilità, perché comanda ai suoi uccellini di volare. Qual contrasto fra simili fiabe e la semplicità, naturalezza e coerenza di tutto ciò che registrano gli Evangelisti intorno al Salvatore! Dalla descrizione di Luca risulta che Gesù fu perfetto nella sua natura umana come in quella divina. Egli crebbe corporalmente, come qualunque altro fanciullo sano e robusto, e lo sviluppo delle facoltà mentali fu in lui proporzionato a quello del corpo. Altrettanto ci fu già detto dell'infanzia di Giovanni Battista Luca 1:80#490010800000-490010800000; ma Luca aggiunge che, come dono eccezionale, Gesù era pieno di sapienza; cioè la sua sapienza era straordinaria per l'età sua. Ciò non indica punto ch'egli fosse giunto, da bambino, alla misura di sapienza cui può giungere un uomo fatto, perché al vers. 52; Troviamo ulteriore progresso nel suo sviluppo; senza mentovare che l'idea d'infanzia suggerisce da sé che le sue conoscenze dovevano esser relative. L'ultimo inciso di questo verso espone l'idea che il

bambino Gesù si distingueva fra tutti gli altri fanciulli per i doni e le grazie, dimodoché doveva essere evidente a tutti che egli era particolarmente favorito da Dio. Ciò deve incoraggire i bambini a chiedere al Signore la saviezza e le grazie con cui possano rassomigliare a Gesù bambino. Tutto in questo verso si riferisce all'umanità di Gesù Cristo. Un attento esame convincerà facilmente il lettore di quanto il racconto ispirato sia in opposizione coll'eresia dei Doceti (un ramo degli Gnostici), i quali insegnavano che Gesù esisteva solo in apparenza e non in realtà, alcuni dicendo che il suo corpo era una mera illusione, altri affermando che quel corpo era una sostanza celeste, la quale poi si risolvette negli stessi eterei elementi. Come conseguenza naturale di questa dottrina, insegnavano che Cristo non è morto e che gli uomini non sono redenti dal suo sangue.

PASSI PARALLELI

Luca 2:52; Giudici 13:24; 1Samuele 2:18,26; 3:19; Salmi 22:9; Isaia 53:12#490020520000-490020520000#070130240000070130240000#090020180000-090020180000#090020260000090020260000#090030190000-090030190000#230220090000230220090000#290530010000-290530020000

Luca 1:80; Efesini 6:10; 2Timoteo 2:1#490010800000490010800000#560060100000-560060100000#620020010000620020010000

Luca 2:47,52; Isaia 11:1-5; Colossesi 2:2-3#490020470000490020470000#490020520000-490020520000#290110010000290110050000#580020020000-580020030000

Salmi 45:2; Giovanni 1:14; Atti 4:33#230450020000230450020000#500010140000-500010140000#510040330000510040330000

49002041Lc 2:41

Gesù bambino nel Tempio Luca 2:41-52

41. or suo padre e sua madre

Il greco dice: i suoi genitori. Nehemia inferiamo che Giuseppe fosse allora sempre in vita; ma da quell'epoca in poi, non lo vediamo più nominato nella storia dell'evangelo, a meno che concludiamo da Matteo 13:55#470130550000-470130550000 ch'egli vivesse ancora quando Gesù fece una seconda visita a Nazaret. Però le parole di Marco 6:3#480060030000-480060030000 sembrano contrarie a questa supposizione: generalmente si crede che egli morì prima che il Signore cominciasse il suo pubblico ministerio. In questi ultimi anni il partito oltramontano della Chiesa romana si è messo ad esaltare Giuseppe come il grande protettore della Chiesa. È dunque utile notare che dopo il suo ritorno a Nazaret Luca 2:51#490020510000-490020510000, non abbiamo più alcuna altra notizia di lui, sia dalla S. Scrittura. sia da altre sorgenti autorevoli e veritiere.

andavano ogni anno la Gerusalemme nella festa della Pasqua.

È cosa singolare che l'incidente ricordato nei seguenti versetti racchiude tutto quel che sappiamo della vita terrestre di Gesù dalla sua prima fanciullezza fino al 30esimo anno, epoca in cui cominciò il suo pubblico ministero. Tre erano le grandi feste osservate dai Giudei nel corso dell'anno: la Pasqua, la Pentecoste e la festa dei, Tabernacoli. Per comandamento di Dio, tutti i maschi in Israele dovevano presentarsi al Signore in quelle solennità, prima ovunque fosse rizzato il tabernacolo, poi nel tempio di Gerusalemme Esodo 23:14-17; Levitico 23:5-43; Deuteronomio 16:16#020230140000-020230170000#030230050000030230430000#050160160000-050160160000. Di queste tre feste, la Pasqua era tenuta per la più solenne a cagione degli avvenimenti in essa commemorati, e sebbene gli uomini soltanto ne avessero l'obbligo, molte pie donne, fra cui Anna, madre di Samuele 1Samuele 1:3#090010030000090010030000, e Maria moglie di Giuseppe da Nazaret si recavano pure alla casa di Dio. Per verità secondo le massime della scuola di Hillel

(fiorente verso il tempo della nascita di Cristo), le donne sarebbero state tenute a salire a Gerusalemme una volta l'anno, per la Pasqua.

PASSI PARALLELI

Esodo 23:14-17; 34:23; Deuteronomio 12:5-7,11,18; 16:1-8,16; 1Samuele 1:3,21#020230140000-020230170000#020340230000020340230000#050120050000-050120070000#050120110000050120110000#050120180000-050120180000#050160010000050160080000#050160160000-050160160000#090010030000090010030000#090010210000-090010210000

Esodo 12:14; Levitico 23:5; Numeri 28:16; Giovanni 2:13; 6:4; 11:55; 13:1#020120140000-020120140000#030230050000030230050000#040280160000-040280160000#500020130000500020130000#500060040000-500060040000#500110550000500110550000#500130010000-500130010000

49002042Lc 2:42

42. E, come egli fa d'età di dodici anni. essendo essi saliti in Gerusalemme secondo l'usanza della festa;

Nulla, in questo racconto, impedisce di supporre che Gesù possa avere accompagnato i genitori altre volte i simili occasioni a Gerusalemme; anzi l'essere egli pratico delle vie in quella città, ed i genitori punto allarmati per la sua assenza, quando si misero in viaggio per tornare a casa, son circostanze che favoriscono questa supposizione. L'Evangelista ha uno scopo speciale nel ricordare questa visita di Gesù a Gerusalemme; egli doveva in quell'occasione essere ammesso come membro della congregazione di Israele, essendoché a 12 anni cessava di essere irresponsabile in materie religiose davanti alla legge. È costatato, da autori familiari cogli usi degli Ebrei, che un maschio cominciava ad istruirsi nella legge divina all'età di 5 anni; a 10 anni lo ammaestravano nel Mhina, ed al compiersi del 120 anno veniva pienamente assoggettato all'ubbidienza della legge, in tutti i precetti e

prescrizioni di essa. Allora lo dichiaravano Bar Atorah, Figlio della legge, oppure Bar Mizvah, Figlio del comandamento, per mezzo di una cerimonia in cui il padre dichiarava in pubblico il suo figlio aver piena conoscenza della legge, e da quel momento divenir esso responsabile dei propri peccati. Dopo di ciò, il giovinetto seguiva un corso d'istruzione, veniva abituato si digiuni e all'osservanza di varie cerimonie, e cominciava ad imparare un'arte. Ben si combinava quest'epoca d'introduzione legale nella congregazione col primo risvegliarsi in Gesù di un più alto sentire di sé medesimo; ed ei fu, da quel momento in poi, sempre più conscio della sua grande missione, finché giunse il tempo in cui entrò nel suo pubblico uffizio.

49002043Lc 2:43

43. Ed avendo compiuto i giorni d'essa,

La festa durava otto giorni, cioè cominciava col 14esimo giorno del Nisan, che era la Pasqua; continuava durante i sette giorni della festa dei pani azzimi, e finiva col 21esimo dell'istesso mese Levitico 23:5-8; Numeri 29:15-35#030230050000-030230080000#040290150000-040290350000.

quando ne tornavano, il fanciullo Gesù rimane la Gerusalemme senza la saputa di Giuseppe, ne della madre d'esso. 44. E, stimando ch'egli fosse fra la compagnia camminarono una giornata; e allora si misero a cercarlo fra i lor parenti, e fra i lor conoscenti.

In quei viaggi, fatti con uno scopo religioso, parenti, amici e vicini di diversi villaggi formavano una carovana, in parte per proteggersi a vicenda, in parte per tenersi compagnia; e quella carovana non si scioglieva che dopo il ritorno al paese natio. La partenza d'una carovana trae sempre un poco di confusione e di indugio. Siccome però il giorno della partenza da Gerusalemme era fissato preventivamente e conosciuto da tutti, Maria e Giuseppe, contando sull'obbedienza e prudenza del ragazzo, non dubitarono punto ch'egli fosse andato innanzi a loro, con alcuni dei loro parenti, finché giunti la sera alla prima formata, non lo videro comparire nel khan o tenda, ove dovevano passar la notte.

PASSI PARALLELI

2Cronache 30:21-23; 25:17#140300210000140300230000#140250170000-140250170000

Salmi 42:4; 122:1-4; Isaia 2:3#230420040000230420040000#231220010000-231220040000#290020030000290020030000

49002045Lc 2:45

45. E, non avendolo trovato, tornarono la Gerusalemme cercandolo. 46. E avvenne che, tre giorni appresso lo trovarono nel tempio

Dopo inutili ricerche fra le tende ed i fuochi della carovana, Giuseppe e Maria ritornarono appresso a Gerusalemme; ma era il terzo giorno dacché non l'avevano veduto, quando lo trovarono nel tempio. Si noti qui nuovamente che il vocabolo usato per tempio non è il santuario, ma il sacro recinto, il quale era molto esteso, abbracciando, oltre all'edifizio del tempio, i varii cortili pel culto, i portici o arcate, destinate a riparo del sole, le abitazioni dei sacerdoti e molte stanze e locali separati, uno dei quali serviva come sinagoga, ed altri come corti di giustizia, ove i dottori prominziavano le loro decisioni e le sostenevano se interpellati.

49002046Lc 2:46

sedendo in mezzo de' dottori, ascoltandoli, e facendo loro delle domande.

Non essendo generalmente note le relazioni in cui stavano maestri ed alunni, questo incidente potrebbe a prima vista far nascere una impressione penosa che il bambino Gesù si mettesse innanzi laddove non ne aveva diritto, ed entrasse, non invitato, in una discussione coi dottori della legge. Questa

falsa impressione svanirà quando si sappia come in quelle scuole i dottori sedevano sopra una scranna, o sgabello, o guanciale; gli scolari invece s'assettavano in terra formando un semicerchio intorno a loro. Ecco il perché quando volevasi indicare a quale scuola taluno era stato educato, dicevasi, pel solito, che era stato «allevato ai piedi» di tale o tal maestro Atti 22:3#510220030000-510220030000. Nell'istruzione prevaleva il metodo interrogativo; gli studenti essendo in tal modo incoraggiati ad esporre i lor dubbi e difficoltà, a far domande sul soggetto che si trattava, a chieder altre spiegazioni le quali avevano autorità grande, vista la posizione dei Rabbini e le loro cognizioni. Molti sono gli esempi nel Talmud di simili interrogazioni e risposte. Si noti altresì che, solo per modo di dire, si parla di Gesù come disputando coi dottori; ché il verbo greco non è contendere, combattere un oppositore, ma domandar rispettosamente e seriamente spiegazione; chieder con riverenza schiarimenti, come intorno agli oracoli di Dio Romani 10:20#520100200000-520100200000. Gesù adunque fece unicamente ciò che ogni altro studioso soleva fare, ed era dai propri maestri incoraggito a fare. La sola cosa rimarchevole nel caso di Gesù è la saviezza e la conoscenza tanto profonda e straordinaria per un bambino di quell'età. Non essendovi scuole (nel senso ristretto della parola), nel recinto del tempio, dobbiamo investigare in qual locale fu trovato Gesù in mezzo ai dottori. Oltre a quelli che insegnavano nelle scuole e collegi della città, v'erano pure tre corpi autorizzati a sedere nell'una o nell'altra delle sale del sacro recinto. Questi corpi erano: il gran Sinedrio, il quale sedeva nell'aula detta Gazit; il Sinedrio minore, composto di 23 membri, i quali si riunivano in una sala alla porta del cortile di Israele; ed un terzo composto pure di 23 membri, che si adunava in un locale situato alla porta dei Gentili. Ma v'era inoltre una sinagoga ove, dopo il culto, i dottori si riunivano per discutere soggetti in connessione colle leggi levitiche. In tutte queste assemblee era permesso ad ognuno il muovere questioni relative alle leggi; e Gesù fu trovato nell'una o nell'altra di quelle. Un'occhiata all'ordine stabilito nel gran Sinedrio, schiarirà le parole «sedendo in mezzo ai dottori». Il Sinedrio maggiore si componeva di 70 membri, sedenti in semicerchio sopra un banco elevato d'alcuni piedi sul pavimento. Gli studenti sedevano in terra formando tre circoli concentrici, e dietro a loro stava l'uditorio. Le domande venivan fatte dagli studenti, cui rispondeva or l'uno or l'altro dei giudici, e dal Talmud vediamo che, se erano colpiti dall'orudizione o perspicacia di

qualche alunno, o se questi faceva un'osservazione spontanea in favore dell'uomo giudicato, il giudice lo invitava a prender parte fra i Dottori onde udirlo ed osservarlo meglio

PASSI PARALLELI

Luca 2:44-45; 1Re 12:5,12; Matteo 12:40; 16:21; 27:63-64#490020440000490020450000#110120050000-110120050000#110120120000110120120000#470120400000-470120400000#470160210000470160210000#470270630000-470270640000

Luca 5:17; Atti 5:34#490050170000-490050170000#510050340000510050340000

Isaia 49:1-2; 50:4#290490010000-290490020000#290500040000290500040000

49002047Lc 2:47

47. E tutti coloro che l'udivano, stupivano (riempiti di pensieri d'ammirazione) del suo senno, e delle sue risposte.

Non dobbiamo supporre che Gesù abbia assunto un tono da maestro il suo tempo non era ancora giunto; egli doveva ancora crescere tanto in saviezza che in istatura, prima d'essere a ciò qualificato. Le sue domande e risposte erano senza dubbio quelle d'uno scolaro, e presentate colla modestia che s'addice ad un fanciullo; coll'ansietà di chi ama di già la legge divina più d'ogni altra cosa; con un'intelligenza illuminata dallo Spirito di Dio. «Ciononostante», dice Brown, «vi sarà stato molto più nelle sue domande che nelle loro risposte, se ne giudichiamo dalle frivole interrogazioni con cui i dottori più tardi lo assalivano, come quella relativamente alla donna che aveva avuto sette mariti; e perciò non ci maraviglieremo tanto dell'effetto che Gesù produsse sugli attoniti uditori» Salmi 8:3#230080030000-230080030000.

PASSI PARALLELI

Luca 4:22,32; Salmi 119:99; Matteo 7:28; Marco 1:22; Giovanni 7:15,46#490040220000-490040220000#490040320000490040320000#231190990000-231190990000#470070280000470070280000#480010220000-480010220000#500070150000500070150000#500070460000-500070460000

49002048Lc 2:48

48. E, quando essi lo videro, sbigottirono.

Il vedere il fanciullo in quel luogo, in siffatta compagnia l'udirlo parlare come faceva, produssero sopra sua madre e Giuseppe altrettanta meraviglia quanta nei dottori.

E sua madre gli disse: Figliuolo, perché ci hai fatto così? ecco, tuo padre ed io ti cercavamo, essendo in gran travaglio

Stier osserva che questo fu il primo rimprovero fatto a Gesù. È questa un'asserzione ardita, considerando che Giuseppe e Maria erano discendenti d'Adamo, e, come tali, soggetti al peccato, ad esser irritabili, a giudicar erroneamente, a parlar precipitosamente. Come possiamo noi figurarci che durante dodici anni d'ansietà e di timori per quel bambino, non sfuggisse ai genitori una sola parola di rimprovero, d'impazienza? Se così fosse, la parola di Giacomo 3:2#660030020000-660030020000, sarebbe loro applicabile: «Se alcuno non fallisce nel parlare, esso è un uomo compiuto, e può tenere a freno eziandio tutto il corpo». Egli è chiaro che quel rimprovero procedeva unicamente da profondo affetto pel figlio. L'ansietà della madre, a lungo repressa, divenuta quasi insopportabile per le vane ricerche successive, si sfogava ora in quelle parole alquanto irritato; non era però un rimprovero dettato dall'ira, bensì un appello alla sua compassione per tutto quello che essa avea sofferto. Vi si vide ciononostante la prova della umana debolezza di Maria e della sua ignoranza relativamente alla natura divina e perfetta di Gesù, ad onta di tutte le riflessioni da lei fatte sugli eventi straordinari e mirabili di cui era stata oculare testimonio. Fino a

quell'epoca, Maria parlando a Gesù aveva chiamato Giuseppe suo padre, e difatti, questi gli aveva fatto da padre, esercitando con Maria autorità sul bambino. Forse le loro relazioni non cambiarono finché Giuseppe visse Luca 21:61#490210610000-490210610000; ma dal momento in cui Gesù asserì la sua filiazione divina, non troviamo mai più negli Evangeli il titolo di padre dato al marito di Maria; anzi, dopo questo incidente, il di lui nome sparisce affatto dalla narrazione sacra.

49002049Lc 2:49

49. Ma egli disse loro: Perché mi cercavate?

Sono queste le prime parole di Gesù notate negli Evangeli, e, come tali, hanno per noi un interesse speciale. Egli si mostra maravigliato che siano stati in pensiero per lui, o in dubbio sul luogo ove potevano trovarlo; e in modo urbano, ma chiaro, rigetta la colpa su coloro che non hanno saputo apprezzare il suo carattere né prevedere il suo avvenire nel loro modo d'educarlo, dimodoché queste parole ci permettono di gettare un'occhiata nell'interno della famiglia di Nazaret. «Essi lo trattavano spesso», dice Roos, «come s'egli fosse stato il loro figlio, e probabilmente lo affliggevano sovente, esercitando, male a proposito, la loro autorità sopra di lui». Se Maria avesse capito pienamente la tendenza spirituale del figlio, essa stessa lo avrebbe condotto laddove lo attirava lo Spirito che abitava in lui. Se si fosse rammentata delle parole di Gabriele, di Simone e d'Anna, Maria avrebbe subito capito che il tempio era il luogo che meglio si addiceva a lui.

Non sapevate voi ch'egli mi conviene attendere alle cose del padre mio?»

Il verbo mi conviene è quello stesso di cui più tardi Gesù si servì così spesso, nel corso del suo ministero, per indicare quel piano divino ch'egli doveva effettuare. Relativamente a questo vocabolo, Bengel osserva: «Così Gesù fa loro noto che egli non ha mancato all'obbedienza dovuta da un figlio, mentre in certo modo, si dichiara emancipato dal loro controllo, e risveglia la loro attenzione su di lui». Le parole che Diodati traduce

«attendere alle cose» sono nell'originale greco letteralmente essere NELLE cose di mio Padre, e Stier ne fa mirabilmente risaltare la forza dicendo: «Essere in una cosa, come espressione proverbiale fra gli uomini, denota l'intiera vita impiegata in quella; l'essere tutto quanto assorto in essa. Veduta sotto questo aspetto, la risposta di Gesù spiega più completamente come avvenne ch'egli rimanesse indietro e ce ne rivela la ragione più intima colla quale giustificava a se stesso il fatto: Io non pensai ad altro! era questo il mio nutrimento, la tendenza, l'impulso istintivo dell'essere mio, una legge suprema in me: Io debbo, obbedendo alla quale io non disubbidiva a voi». L'espressione, letteralmente, le del Padre mio, è ellittica; e richiede l'aggiunta di cose, affari, oppure di case, o casa composta, come il tempio, di diversi fabbricati per essere compiuta. Diodati, Calvino, Beza, Maldonat, de Witte, Alford, Stier, Ryle, Van Oosterzee, e molti altri adottano la prima le cose; invece molti dei Padri, Erasmo, Grozio, Bengel, Olshausen, Meyer, Trench, Brown, Webster e Wilkinson adottano l'ultima la casa, essendo loro opinione che il Signore allude al tempio, alla visibile dimora dell'invisibile Iddio. La parola cose sembra preferibile, perché più comprensiva; infatti si riferisce chiaramente al tempio, ma abbraccia in pari tempo una cerchia assai più vasta di idee, come per esempio l'opera uffiziale di Gesù qual Messia, ed è più in accordo col tenore profondo e compiuto dei suoi detti. Si osservi il contrasto fra le parole «Padre mio» in questo versetto, e quelle «tuo padre» dette da Maria per indicare Giuseppe. È rimarchevole che la coscienza d'esser vero figlio di Dio, svegliata in Gesù all'udir quel titolo dato a Giuseppe, coincide coll'epoca in cui egli diventa «figlio della Legge», in altri termini, responsabile dei suoi atti.

PASSI PARALLELI

Luca 2:48; Salmi 40:8; Malachia 3:1; Matteo 21:12; Giovanni 2:16-17; 4:34; 5:17; 6:38; 8:29#490020480000-490020480000#230400080000230400080000#460030010000-460030010000#470210120000470210120000#500020160000-500020170000#500040340000500040340000#500050170000-500050170000#500060380000500060380000#500080290000-500080290000

Giovanni 9:4#500090040000-500090040000

49002050Lc 2:50

50. Ed essi non intesero le parole ch'egli avea lor dette.

Probabilmente egli non aveva lor mai detto tanto, prima di quel giorno, e perciò rimasero attoniti; eppure la parola dell'angelo Gabriele, nell'annunziazione a Nazaret: «Quella cosa santa, che nascerà da te sarà chiamato Figliuol di Dio», avrebbe dovuto metter Maria in grado d'intendere il linguaggio del figlio suo in questa circostanza; specialmente, come dice Brown, «dacché quello era la vera chiave di tante cose che avevano vedute od udite dal fanciullo nella propria casa». Qualunque fosse l'effetto prodotto sopra Giuseppe dalla risposta di Gesù, vediamo dal versetto seguente che almeno Maria ne fece tesoro, conservandola a memoria e meditandola nel cuor suo, come già aveva fatto per l'innanzi degli avvenimenti connessi colla nascita del figlio Luca 2:19#490020190000-490020190000 finché non le fosse concessa maggior luce su quei misteri. Ed è probabile ch'ella non li intese pienamente se non il giorno della Pentecoste, mercè l'effusione dello Spirito Santo.

PASSI PARALLELI

Luca 9:45; 18:34#490090450000-490090450000#490180340000490180340000

49002051Lc 2:51

51. Ed egli discese con loro, e venne in Nazaret, ed era loro soggetto. E sua madre riserbava tutte queste parole nel suo cuore.

Nella risposta di Gesù Luca 2:49#490020490000-490020490000, non puossi vedere alcuna mancanza di rispetto pei genitori, né violazione del quinto Comandamento, poiché noi sappiamo che egli ha compiuto tutta la

Legge, nello spirito e nella lettera. Sia l'esempio della sua obbedienza Luca 2:51#490020510000-490020510000, proposto all'imitazione d'ogni fanciullo! Sebbene conscio, più che per lo passato, della sua divina natura, Gesù ritorna a Nazaret con Giuseppe e colla madre ed è loro soggetto. Questo assoggettamento volontario si manifestò non soltanto nell'ubbidire ai loro comandi ma anche probabilmente nell'esercitare il mestiere del padre putativo, Vedi Marco 6:2#480060020000-480060020000. Una tale condiscendenza ci meraviglia perché tien dietro a quella scena straordinaria del tempio, alla sua asserzione di una più alta figliolanza, ed è precisamente su quel contrasto che l'ispirato Luca vuole attirare la nostra attenzione. Da questo memento Giuseppe sparisce intieramente dalle sacre istorie. Da ora innanzi vengono solo menzionati «sua madre ed i suoi fratelli» Giovanni 2:12#500020120000-500020120000, onde s'inferisce che Giuseppe morisse nell'intervallo dei 18 anni scorsi fra questo punto della Storia ed il principio della vita pubblica del Salvatore.

PASSI PARALLELI

Luca 2:39#490020390000-490020390000

Matteo 3:15; Marco 6:3; Efesini 5:21; 6:1-2; 1Pietro 2:21#470030150000470030150000#480060030000-480060030000#560050210000560050210000#560060010000-560060020000#670020210000670020210000

Luca 2:19; Genesi 37:11; Daniele 7:28#490020190000490020190000#010370110000-010370110000#340070280000340070280000

49002052Lc 2:52

52. E Gesù si avanzava in sapienza, ed in istatura.

A chi domandasse come Colui il quale è la Sapienza eterna, il solo vero Dio, potesse crescere in sapienza, diremo di por mente all'unione di due

nature nella persona del Signor Gesù Cristo; ed al fatto che la Scrittura parla di lui talvolta come uomo, talvolta come Dio, tal'altra ancora, nell'intera sua persona come uomo-Dio. Le perfezioni della sua Divinità non erano suscettibili di accrescimento, ma il suo intelletto umano si sviluppava in uno col corpo. Si è per dimostrare che egli era realmente il Figliuol dell'uomo, come era Figliuol d'Iddio, che l'Evangelo ci dà per la seconda volta Luca 2:40#490020400000-490020400000, questi particolari, proponendolo qual santo modello che ogni fanciullo deve sempre aver davanti agli occhi. La parola senza dubbio significa statura Luca 19:3#490190030000490190030000, ma vale pure età oppure anni, e così è tradotta qui da tutti i migliori interpreti, perché mentre l'età necessariamente comprende la statura, quel vocabolo rende meglio il pensiero di Luca, il quale, con questa formula, caratterizza i susseguenti 18 anni, come un periodo di costante sviluppo,

e in grazia appo DIO, ed appo gli uomini.

Il vocabolo grazia significa quì soddisfazione, favore. Il compiacimento ed il favore di Dio crescevano col crescere di Gesù in sapienza, purezza, e santa ubbidienza, finché raggiunsero il colmo al di lui battesimo. In questo periodo d'anni, la sua vita esemplare e la sua straordinaria saviezza lo avevano reso popolare e beneaffetto fra i suoi concittadini a Nazaret. Quanto durasse il loro favore è difficile a dirsi. Stier si figura che cessasse soltanto quando Gesù cominciò a protestare in pubblico contro i loro peccati; ma ha più forza l'osservazione di Alford, che lo scoppio d'ira nel tumulto di Nazaret Luca 4:28-29#490040280000-490040290000, non poteva essere il risultato di una irritazione momentanea, ma doveva essere fomentato da inimicizia accumulata già prima del suo pubblico ministerio. Durante quei misteriosi 18 anni della sua dimora a Nazaret, vediamo alla luce che emana da queste parole, il santo fanciullo avanzare verso la pienezza del sapere e dell'approvazione divina, indicata da Dio, al suo battesimo, colle parole: Siamo proclivi a dimenticare che in quel tempo fu compiuta una parte importante della grande opera del secondo Adamo. Attraversare l'infanzia, la fanciullezza, l'adolescenza, la gioventù, giungere all'età virile, crescendo di grazia in grazia, di santità in santità, in soggezione, in rinunziamento a sé stesso, in carità, senza ombra di peccato, tutto ciò, coronato da tre anni

d'attivo ministerio, dalla Passione, dalla Croce - questo costituisce «l'ubbidienza dell'uno, per la quale molti sono stati costituiti giusti» Romani 5:19#520050190000-520050190000.

PASSI PARALLELI

Luca 2:40; 1:80; 1Samuele 2:26#490020400000490020400000#490010800000-490010800000#090020260000090020260000

Proverbi 3:3-4; Atti 7:9-10; Romani 14:18#240030030000240030040000#510070090000-510070100000#520140180000520140180000

RIFLESSIONI

1. Questi versetti devono vivamente interessare chiunque ama il Salvatore. Essi raccontano l'unico fatto che ci sia noto nella, sua vita, fra la sua infanzia ed il suo pubblico ministerio. Quante cose un cristiano vorrebbe sapere intorno alla vita giornaliera di Cristo durante questo lungo periodo di tempo: ma siamo persuasi che il silenzio della Scrittura è stato voluto dalla divina saviezza, e che maggiormente ci sarebbe stato rivelato se maggiormente ci fosse utile di conoscere.

2. Giuseppe e Maria, visitando annualmente il tempio del Signore, ci dànno il buon esempio di frequentare assiduamente il culto: ovunque i figliuoli di Dio s'adunino pubblicamente. Lungo era il viaggio fino a Gerusalemme e scarsi i loro mezzi; ma essi non badano a sacrifici ed il comandamento di Dio fa tacere ogni obbiezione, appiana ogni difficoltà. L'esser abolita l'economia levitica e distrutto il tempio, non ci esonera noi dal dovere di rendere un culto settimanale a Dio. Il culto pubblico è fonte di benedizioni a coloro che l'osservano secondo la volontà di Dio. La promessa è chiara: «Dovunque due o tre son radunati nel nome mio, quivi io sono nel mezzo di loro» Matteo 18:20#470180200000-470180200000; ed è specialmente fatta a coloro i quali s'adunano in locali dedicati al culto divino. «In qualunque

luogo io farò ricordare il mio nome, io verrò a te e ti benedirò» Esodo 20:24#020200240000-020200240000. Porga adunque ciascuno individualmente l'orecchio all'esortazione di Paolo: «Non abbandonando la comune nostra raunanza, come alcuni son usi di fare, ma esortandoci gli uni gli altri» Ebrei 10:25#650100250000-650100250000, onde non esser per la nostra nequizia privati di quelle benedizioni.

3. Giuseppe e Maria sono pure un esempio pei coniugi cristiani. Maria avrebbe potuto esonerarsi dall'andare a Gerusalemme, non essendo obbligata come gli uomini a salire al tempio; ma essa voleva partecipare alle benedizioni del culto. Marito e moglie erano uniti in tutto, né volevano esser separati solo nei doveri religiosi. Così deve essere fra coniugi cristiani: camminare insieme sotto lo sguardo del Signore, aiutarsi vicendevolmente a progredire in santità ed incoraggirsi nell'adempimento dei doveri verso Iddio. Se coloro che si maritano non vanno d'accordo nell'essenziale, cioè nelle credenze e nei sentimenti religiosi, il male che ne risulta è incalcolabile. «Non vi accoppiate con gl'infedeli» 2Corinzi 6:14#540060140000-540060140000. Lo stato matrimoniale ha una grandissima influenza sull'animo dei coniugi; li innalza, li nobilita, ovvero li degrada; li avvicina a Dio o all'inferno, e la ragione di questo è che il nostro carattere è insensibilmente alterato dalla influenza di coloro con cui viviamo. Marito e moglie si fanno continuamente del bene o del male all'anima, reciprocamente. Nella scelta dunque d'un compagno o d'una compagna per la vita, qualunque siano le altre qualità che un vero cristiano ricerca, sia questa una cosa essenzialissima che la nostra scelta cada su chi è figliuol di Dio; affinché ci sposiamo «nel Signore» 1Corinzi 7:39#530070390000-530070390000. Prendano i coniugi la risoluzione di camminar sulle orme di Giuseppe e Maria, pregando e leggendo insieme la Parola di Dio, andando insieme alla Casa del Signore e parlando spesso intorno a soggetti religiosi; si guardino soprattutto dal porre ostacoli al reciproco progresso spirituale.

4. Ad ogni genitore cristiano incombe il dovere, non solo di frequentare assiduamente il culto pubblico, ma di inculcarne l'abitudine si suoi figli, fino dalla più tenera età. Ci conforti a far questo l'esempio dì Giuseppe e di Maria. Essi condussero Gesù nel tempio all'età di 12 anni, onde egli fosse

ricevuto come «figlio del comandamento», cioè si obbligasse ad adempiere tutti i doveri imposti agli adulti riguardo al servizio di Dio; ma è più probabile che egli vi fosse condotto già diverse volte prima di quel tempo, come pare che frequentasse la Sinagoga di Nazaret. È difficile il fissar l'età in cui devonsi condurre i bambini al culto pubblico, ma generalmente può dirsi che appena sono in grado di capirvi qualche cosa è bene di condurveli; ed essi sono in grado di capirvi qualche cosa molto più presto che non si crede generalmente. Questo è un dovere negletto purtroppo da molti membri delle diverse chiese evangeliche, i quali non inculcano come dovrebbero nei loro bambini questa buona abitudine e se ne vedono già i frutti amari nell'indifferenza e nell'ateismo che cominciano a pervadere la gioventù. La presenza di bambini nelle assemblee sarebbe alla gloria di Cristo, il quale si compiace nei loro osanna, e quei bambini che nella prima infanzia furono dedicati al Signore, giunti che sono all'età virile devono essere istruiti a rinnovare la consecrazione di sé stessi nella Santa Cena.

5. La condotta di Gesù bambino in Gerusalemme è un esempio per tutti i fanciulli. Egli non sprecò il tempo nell'ozio, né in alcuna cosa biasimevole; non s'associò a cattivi compagni, quando i suoi genitori non lo vedevano, cosa tanto comune fra i ragazzi di quell'età. Trovò invece piacere nell'acquistare istruzione, nel cercare la compagnia degli uomini più pii e più sapienti della nazione, e nello sperimentare la «beatitudine di coloro che abitano la casa di Dio e lo lodano del continuo». Così pur fosse coi giovani membri delle famiglie cristiane! Dovrebbero essere coscienziosi e degni della fiducia dei loro genitori, così quando sono assenti da loro, come quando stanno nella loro presenza; ricercare i compagni savi e prudenti profittare d'ogni occasione per acquistare conoscenze spirituali, avanti che giungano per essi le sollecitudini della vita e mentre la loro memoria è fresca e forte.

6. Taluno forse domanderà: Come poteva il Santo d'Israele avanzare in sapienza ed in grazia appo Dio ed appo gli uomini? Ammirabilmente risponde il professar Brown per mezzo di una figura: «Supponete», egli dice, «un gran numero di recipienti in oro, dalla minima alla maggior possibile grandezza, pieni colmi d'acqua pura, chiara come cristallo, tanto pieni, che una sola goccia aggiunta basterebbe a farli traboccare. Di tutti

questi vasi può dirsi egualmente che sono pieni; pur nonostante è un fatto che vi è meno acqua nel più piccolo che nel maggiore, e che ciascun recipiente contiene meno del vaso più grande che gli sta accanto. Così era di Gesù. I vasi d'oro di diverse grandezze figurano la sua umana natura nei successivi periodi della vita sua fino all'età di 30 anni, quando fu giunto a maturità; e l'acqua pura in essi simboleggia le grazie eccellenti di cui egli era ripieno. Egli non fu mai se non pieno di grazie secondo la misura della sua capacità. Il suo intelletto fu sempre colmo quanto era possibile d'intelligenza e di saviezza; il cuor suo fu sempre colmo di grazia; ma siccome a misura che egli cresceva, aumentava in lui la capacità, così poteva dirsi che egli diveniva sempre più amabile, sempre più attraente coll'avanzar degli anni. In questo senso egli cresceva nella grazia e nel favore di Dio e degli uomini».

49003001Lc 3:1

CAPO 3 - ANALISI

1. Referenze cronologiche a verificazione della storia di Luca. Queste sono assai più minute di quelle in cui ci siamo imbattuti nei precedenti capitoli. Fra gli avvenimenti notati alla fine del capo 2. e quelli registrati in questo, evvi un intervallo di circa 18 anni, nel quale grandi cambiamenti erano avvenuti nella Giudea. Erode il Grande, il crudele autore della strage di Betlemme, era morto; ed Archelao, a lui succeduto, era stato esiliato nelle Gallie. La Giudea non aveva più ormai nemmeno l'apparenza d'un regno autonomo, ma era divisa in quattro parti, una delle quali comprendeva la Giudea, la Samaria e l'Idumea, ed era Stata annessa all'impero romano. La governava un procuratore o governatore (soggetto al Proconsole della Siria), e non meno di cinque tali funzionari avevano occupato quella carica prima di Ponzio Pilato, mentre Erode Antipas, Erode Filippo e Lisania reggevano le altre tre parti. Cesare Ottaviano Augusto, con le sue pretensioni ad un'origine divina, il suo titolo di Pontefice Massimo e la sua dignità imperiale, era andato per la stessa via di tutti gli uomini, ed aveva lasciato scettro ed onori a Tiberio, il quale già regnava da 15 anni, quando accaddero gli eventi narrati in questo capitolo. Secondo la legge divina, il sommo

sacerdozio doveva essere conferito soltanto al primogenito della essa d'Aronne; ma i Romani avevano calpestato il divino comandamento e deposti ed installati sì spesso nuovi individui nel sacro uffizio, che riesce sommamente difficile il chiarire in quale relazione reciproca stessero coloro che avevamo portato la mitra. Luca fa menzione di due Sommi sacerdoti contemporaneamente in uffizio, l'anno 15esimo di Tiberio, cioè Anna e Caiafa suo genero; quelli stessi i quali divisero la responsabilità dell'uffizio, probabilmente come sommo sacerdote e vice sommo sacerdote, tre anni più tardi, allorquando il nostro Signore fu crocifisso Luca 3:1-2.

2. Il pubblico Ministero di Giovanni il Battista. Luca parla delle moltitudini venute ad ascoltar Giovanni; dà alcuni particolari sulle di lui esortazioni a diverse classi di uditori, quali erano il basso popolo, i pubblicani ed i soldati, particolari mancanti negli altri Evangeli Luca 3:3-18.

3. La incarcerazione di Giovanni Battista per opera di Erode Antipa. A completare il quadro della vita e dell'opera del precursore di Cristo, Luca introduce qui brevemente la, narrazione dell'imprigionamento di Giovanni, del motivo che spinse Erode al delitto, e della fine del martire; né parla più di lui in tutto il resto del suo Evangelo Luca 3:19-20.

4. Il battesimo di Gesù. La relazione di Luca, più breve di quella di Matteo, conferma il fatto in tutte le sue circostanze essenziali, cioè l'essere stato Cristo battezzato nel Giordano; lo Spirito Santo esser disceso sopra lui in sembianza di colomba; e una voce dal cielo aver proclamato: «Tu sei il mio diletto Figliuolo, in cui ho preso il mio compiacimento» Luca 3:21-22.

5. La genealogia di Gesù. La genealogia data da Matteo è quella di Giuseppe, di cui Gesù era reputato figlio, secondo il principio fondamentale del matrimonio presso i Giudei, che i figli della moglie appartenevano al marito. Questa seconda genealogia fornitaci da Luca fu cagione di grande perplessità, perché differisce dall'altra, nella linea di discendenza da Davide. Taluni tentano di togliere la discrepanza considerando quella di Matteo come destinata a far conoscere i successori legali al trono di Davide, e quella di Luca come. enumerando gli antenati di Giuseppe. Dalle ripetute e chiare dichiarazioni degli apostoli intorno alla carnale discendenza del

Cristo di Davide, è cosa certissima che la di lui madre (per la quale sola egli eredeva questa discendenza naturale), devo avere appartenuto alla famiglia di Davide. Egli è dunque in vista della discendenza non solo legale, ma anche carnale, di Gesù dal re Davide, che Luca ha tracciato la linea della parte materna sino a Davide, Abramo ed Adamo. Per mezzo di Maria, Gesù fu fatto uomo, e per essa doveva esser tracciata e fatta risalire la sua genealogia fino ad Adamo. Ciò concorda mirabilmente collo scopo di questo Evangelo, destinato ai Gentili Luca 3:23-38.

Luca 3:1-3. IL PRINCIPIO DEL MINISTERO DEL BATTISTA FISSATO CRONOLOGICAMENTE Matteo 3:1; Marco 1:46#470030010000-470030010000#480010040000-480010060000

1. Or nell'anno quintodecimo dell'impero di Tiberio Cesare,

Nel fornire queste date, Luca conferma l'asserzione della sua prefazione, che egli aveva «dal capo rinvenuta ogni cosa compiutamento». Il vero nome dell'Imperatore qui menzionato è Tiberio Claudio Nerone. Egli non era in alcun modo consanguineo d'Augusto, ma divenne suo figliastro mediante il matrimonio di sua madre Livia Drusilla coll'Imperatore dopo che questi ebbe costretto il di lei marito Claudio Tiberio Nerone a ripudiarla. La loro affinità divenne anche più stretta quando Augusto costrinse il figliastro a ripudiare la moglie Agrippina, per isposare invece la propria figlia Giulia. Tre dei parenti consanguinei d'Augusto, ai quali egli avea successivamente destinato la porpora, essendo morti prima di lui, egli fece finalmente scelta di Tiberio e se lo associò come coadjutore e successore nel governo (764 U. C.). Augusto morì tre anni dopo, il 19 agosto 767. È ovvio da queste date che vi sono due punti di partenza dai quali si può calcolare quest'anno 15esimo del regno di Tiberio, vale a dire l'anno in cui egli divenne coimperatore e quello in cui, per la morte di Augusto, il potere imperiale rimase devoluto a lui solo. Scrittori eminenti sono schierati da ambo i lati, quantunque l'opinione più generalmente ricevuta, e più corretta a parer nostro, sia che Luca contava dall'anno 764 quando Tiberio fu associato ad Augusto per volontà di quest'ultimo, e per decreto del Senato. I sostenitori

della data posteriore (767), fissano il principio del ministero di Giovanni al 782, ma siccome a quella data Gesù doveva avere 33 anni, essi sentono la necessità di dare un significato alquanto elastico alle parole che riguardo al Signore, troviamo al vers. 23: «Gesù cominciava ad essere come, di trent'anni», come se indicassero qualsiasi momento fra i 30 e i 35 anni. Ma adottando l'anno 764 come il punto di partenza di questo calcolo, l'età che Luca, in questo versetto, attribuisce a Gesù coincide perfettamente coll'epoca della sua nascita, Vedi note Luca 2:7Luca 2:7. Così 764+15 (15esimo anno di Tiberio) = 779; - 30 (nascita di Cristo) = 749. V'è un'altra prova che conferma l'accuratezza della cronologia di Luca, cioè che Erode morì in sui primi dell'anno 750; e Gesù essendo nato l'anno precedente, 749 + 30 = 779, ossia l'anno 15esimo del regno di Tiberio.

essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea;

A detta di Flavio, Archelao, al quale Erode il Grande lasciò come sua parte di regno la Giudea, la Samaria e l'Idumea, dopo aver regnato dieci anni, fu dall'Imperatore romano esiliato a Vienna nelle Gallie, l'anno 761 U. C. per il suo mal governo e la sua crudeltà. In seguito a questo, la Giudea fu unita alla Siria e amministrata da Governatori, col rango di Procuratori, la cui residenza era Cesarea, quantunque allo scopo di mantenere l'ordine si trasferissero in Gerusalemme durante le feste giudaiche. In questo fatto vediamo un notevole adempimento della profezia pronunziata da Giacobbe sul suo letto di morte Genesi 49:10#010490100000-010490100000. Pilato era il 6esto procuratore romano mandato a governare la Giudea. I suoi predecessori, in ordine cronologico, furono Sabinus (che prese il posto di Archelao durante una breve assenza di costui), Coponius, Marus Ambivius, Annius Rufus, e Valerius Gratus, i quali governarono quella provincia dal 761 U. C. (anno della deposizione di Archelao), finché vi giunse Pilato, l'anno 779, il quale coincide col 15esimo di Tiberio, e col principio del ministerio del Battista. Egli rimase in uffizio circa 10 anni, poi dietro alle lagnanze dei Giudei, fu destituito da Vitellio, proconsolo di Siria, e mandato a Roma per rispondere dinanzi a Cesare dei suoi delitti. Giunse in Roma verso il tempo della morte di Tiberio. La tradizione dice che egli fu esiliato a Vienna nelle Gallie e quivi commise il suicidio.

ed Erode tetrarca della Galilea;

Erode Antipa era un figlio di Erode il grande e di Maltace donna Samaritana. Alla morte di suo padre, successe alla quarta parte del regno, cioè alla Galilea ed alla Perea, sulle quali regnò per più di 40 anni, dal 750 al 791 U. C. Da questa circostanza trasse il suo titolo ufficiale di Tetrarca, che significa monarca della quarta parte di un regno o di un paese. Il fatto che egli regnò per sì lunghi anni in tempi così burrascosi è prova che egli possedeva almeno un certo tatto politico e seppe abilmente mantenersi amici dall'una parte i suoi sudditi e dall'altra i Romani. (Per il suo carattere privato e la sua parentela, vedi note Matteo 14:3Matteo 14:3; Marco 6:14Marco 6:14; Marco 6:17Marco 6:17; Marco 6:28Marco 6:28.) Spinto dall'ambiziosa Erodiade, andò a Roma per sollecitarvi da Caligola il titolo di re, che era stato conferito a suo nipote Erode Agrippa; ma cadde in disgrazia e fu condannato al bando perpetuo, che subì prima nelle, Gallie, poi nella Spagna, mentre la sua tetrarchia veniva aggiunta al regno di suo nipote.

e Filippo, suo fratello,

Era questi un figlio di Erode il Grande e di Cleopatra donna di Gerusalemme. Egli è conosciuto sotto il nome di, Erode Filippo II e deve venire accuratamente distinto da suo fratello Filippo Erode I, figlio di Marianna, il quale fa diseredato da suo padre a motivo del tradimento della madre, ed a cui il fratello, Erode Antipa, tolse sua moglie Erodiada, Vedi nota Marco 6:14Marco 6:14. Questo Tetrarca d'Iturea sposò la propria nipote, Salome, figlia di Filippo I e di Erodiada, alla domanda della quale Giovanni Battista ebbe mozzo il capo. A detta di Flavio, egli era un principe di carattere mansueto che si occupava molto del benessere dei suoi sudditi.

tetrarca dell'Iturea, e della contrada Traconitida;

La regione sulla quale egli imperava è identica coll'antico regno di Basan, situato al N. del fiume Hieromax, che Mosè assegnò alla mezza tribù di Manasse insieme ai possessi di Jetur, l'Ismaelita o l'Azarita (oggidì Jedur), che giacciono attorno alla base S. O. del monte Hermon e che quella tribù conquisto più tardi, Confr. Genesi 25:15-16; 1Cronache 5:19-

23#010250150000-010250160000#130050190000-130050230000. Una piccola porzione di paese montuoso attorno a Panias era pure inclusa nella tetrarchia di Filippo, e quivi egli edificò, in onore dell'Imperatore, la città di Cesarea, che fu poi detta «di Filippo», per distinguerla dalla città dello stesso nome, sulle sponde del Mediterraneo Matteo 16:13; Marco 8:27#470160130000-470160130000#480080270000-480080270000. Sotto l'appellazione generale di «Contrada Traconitide», Luca racchiude le quattro provincie della Gaulonite (di cui Golon, città di rifugio era la capitale); dell'Auronite (o Auran Ezechiele 47:16,18#330470160000330470160000#330470180000-330470180000); della Traconitide, l'antica Argob Deuteronomio 3:4; 1Re 4:13#050030040000050030040000#110040130000-110040130000, chiamata ora Legia, rozzo e roccioso distretto, come è indicato dai due nomi e della Batanea chiamata ora Ard el Batanìa. Le cinque provincie che costituivano il territorio di Filippo giacevano all'E. del Giordano, nell'ordine sopra indicato, fra la pianura di Damasco al Nord e il fiume Hieromax o Yarmuk a mezzogiorno. La più grande confusione ha esistito dal tempo di Eusebio in poi fra gli scrittori ed i geografi circa la vera posizione e i limiti di queste provincie, e lo studioso della Bibbia va debitore al prof. Porter di Belfast, per aver sciolto in modo soddisfacente questa difficoltà, mediante le accurate sue investigazioni personali di quella regione (Vedi Cinque anni in Damasco. VOL. II).

e Lisania tetrarca di Abilene;

La quarta tetrarchia formata dal regno di Erode il Grande non fu, alla sua morte conferita a nessuno dei suoi figli, ma ad un estraneo, e, ciò probabilmente per motuproprio dell'Imperatore romano. Sembra che questa corrispondesse coll'antico regno di Calcis o Coelo Syria, e come quello, abbracciasse tutta la porzione meridionale dell'Atilibano (inclusive dell'Hermon), coll'eccezione di Iturea che già era stata annessa alla tetrarchia di Filippo. Fin dove si stendesse verso il Nord, frammezzo ai gioghi dell'Antilibano, è cosa incerta: ma la sua capitale Abila era deliziosamente situata in una delle più pittoresche vallate del fiume Abana (ora Barada, 20 miglia all'incirca all'O. di Damasco. Essa e ora chiamata per tradizione popolare, Súk Wady Barada (la fiera di Wady Barada); ma non

c'è dubbio che il misero villaggio moderno segna vero sito della capitale di Lisania, non solo a motivo delle rovine romane che si possono vedere lungo la sponda sinistra del fiume, e delle iscrizioni latine che portano il nome della città, ma pure perché corrisponde perfettamente al posto nel quale Ptolomeo (Geografia: Lib. V) pone Abila di Lisania, e perché l'antico nome tuttora rimane al monte che si erge precipitoso al disopra di esso, in vetta al quale trovasi una tomba gigantesca, detta Kabe Abil (la tomba di Abele), che la tradizione designa come il luogo di riposo del figlio di Adamo! Flavio, Ant. 15:4,1 mentova un certo Lisania re di Calcis, il quale trasferì la capitale del suo regno ad Abila, e fu messo a morte da Mare-Antonio, ad istigazione di Cleopatra. Si suppone che il Tetrarca, Lisania, mentovato da Luca, sia il figlio o il nipote del precedente, ma ne mancano le prove storiche. Più tardi l'Abilene fu, da Caligola, aggiunta al regno di Erode Agrippa I. Luca scrisse quando Abilene era stata nuovamente unita alla monarchia giudaica e la sua allusione ad una precedente e ben nota divisione politica, che allora più non esisteva, era pei suoi lettori una data così distinta come la sua menzione delle tetrarchie di Antipa e di Filippo. Essa è al tempo stesso un'altra prova della maravigliosa accuratezza dell'Evangelista, riguardo alla storia politica dei suoi tempi, e dovrebbe insegnarci a metter piena fiducia nelle sue asserzioni, anche quando non sono conformate dalla storia contemporanea (Flavio Ant. 13:6,10; 15,4, l; 15,10,3; Guer. Giud. 11,6; 11,12,8).

PASSI PARALLELI

Luca 2:1#490020010000-490020010000

Luca 23:1-4,24; Genesi 49:10; Atti 4:27; 23:26; 24:27; 26:30#490230010000-490230040000#490230240000490230240000#010490100000-010490100000#510040270000510040270000#510230260000-510230260000#510240270000510240270000#510260300000-510260300000

Luca 3:19; 9:7; 23:6-11#490030190000-490030190000#490090070000490090070000#490230060000-490230110000

Matteo 14:3; Marco 6:17#470140030000-470140030000#480060170000480060170000

49003002Lc 3:2

2. Sotto Anna, e Caiafa, sommi sacerdoti;

Il sommo sacerdozio più non era un uffizio ereditario appartenente al primogenito della casa di Aaron. L'influenza che esso conferiva a chi n'era investito, rese necessario, sin dal momento che la Giudea passò sotto un dominio straniero, che quell'uffizio fosse tenuto da qualcuno di cui il potere dominante potesse servirsi come di suo strumento, epperciò esso era spesso passato da una mano nell'altra, dacché procuratori romani o re tributarii tenevano «lo scettro di Giuda». Anna occupò quell'uffizio per soli 7 anni (U.C. 760-767), essendo stato nominato e deposto da Procuratori romani. Negli 11 anni che intervennero prima che Giuseppe Caiafa vi fosse assunto, tre sommi sacerdoti erano stati successivamente eletti e deposti: un certo Ismaele, poi un figlio di Anna stesso, detto Eleazar, quindi Simone ben Camit. Qualunque fosse stata la causa della deposizione di Anna, egli continuò a godere grandissima influenza, e ben sapeva valersene per il profitto della propria, famiglia; poiché, oltre ad Eleazar ed a Caiafa, gli riuscì di fare eleggere altri quattro suoi figli alla somma dignità sacerdotale. Flavio (Ant. 18:2,2), mentova Giuseppe Caiafa, qual successore di Simone, e l'Evangelista Giovanni 18:13#500180130000-500180130000, c'informa che egli era genero di Anna, oltre ai quali non abbiamo altri particolari sulla sua vita privata, quantunque conosciamo molto cose della sua vita uffiziale. Ma come mai Luca associa egli uffizialmente Anna con Caiafa? e qual dritto aveva il primo di prendere una parte sì autorevole e sì attiva come, quella che evidentemente assunse al momento dell'arresto e della morte di Nostro Signore? La confusione che regna nella storia di quei tempi non ci permette di determinare in modo molto preciso i rapporti che passavano fra Anna e Caiafa. La soluzione più probabile della difficoltà è quella che viene adottata da Alford, Alexander, ed altri, cioè che mentre Caiafa era sommo sacerdote de fatto, Anna, come rappresentante legale ereditario di Aaron, a norma della legge di Mosè, era dai più stretti Giudei considerato come

sommo sacerdote de jure, e come legittimo occupante di tale uffizio, e che in virtù dell'uffizio di Sagan, vice Presidente del Sinedrio), che egli possedeva tuttora, poteva mantenere la sua influenza senza venire in collisione colle Romane autorità, Vedi Nota Marco 14:53Marco 14:53.

la parola di Dio fu dirizzata a Giovanni, figliuol di Zaccaria, nel deserto.

(Vedi Note Luca 1:8Luca 1:8-17 ecc.). Lo Spirito del Signore scese sopra lui come sopra i profeti dei tempi antichi, rivelandogli la precisa sua missione ed il soggetto della sua predicazione mentre egli soggiornava nel deserto di Giuda, Vedi nota Matteo 3:1Matteo 3:1. Lo stile formale con cui l'evangelista comincia questo capitolo ci fa credere che i due precedenti contengano materie, preliminari e che abbiamo quì il principio della narrazione propriamente detta. Secondo Weisler l'anno 780 U. C. durante la prima parte del quale Giovanni continuò il suo ministero, era un anno sabatico, Esodo 23:11, e se quella istituzione era tuttora osservata in mezzo a tutti i mutamenti introdotti dall'invasione straniera, la mano di Dio si manifestò in modo evidente nell'ordinare l'opera del Battista in un tempo in cui il popolo non fosse occupato ai pesanti lavori campestri e potesse con maggior libertà dare ascolto alle sue istruzioni. Il gran concorso, che vien ricordato più sotto, di tutte le classi per udirlo, sembra dar peso a quella probabilità.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:49-51; 18:13-14,24; Atti 4:6#500110490000500110510000#500180130000-500180140000#500180240000500180240000#510040060000-510040060000

Luca 1:59-63; Geremia 1:2; 2:1; Ezechiele 1:3; Osea 1:1-2; Giona 1:1; Michea 1:1; Sofonia 1:1#490010590000-490010630000#300010020000300010020000#300020010000-300020010000#330010030000330010030000#350010010000-350010020000#390010010000-

390010010000#400010010000-400010010000#430010010000430010010000

Luca 1:80; Isaia 40:3; Matteo 3:1; 11:7; Marco 1:3; Giovanni 1:23#490010800000-490010800000#290400030000290400030000#470030010000-470030010000#470110070000470110070000#480010030000-480010030000#500010230000500010230000

49003003Lc 3:3

3. Ed egli venne per tutta la contrada d'intorno al Giordano,

Per aver acqua bastante a battezzare le moltitudini che accorrevano alle Sue predicazioni (quand'anche fosse solo per aspersione ed a fortiori per immersione), Giovanni restrinse il campo dell'opera sua ai dintorni del Giordano. Due sono i luoghi specialmente mentovati dall'Evangelista Giovanni come da lui frequentati, cioè Betabara, che sappiamo essere stato situato all'E. del fiume, Cfr. Giovanni 1:28; 10:40#500010280000500010280000#500100400000-500100400000, ed Enon, presso di Salim, di cui generalmente si ritiene che fosse all'O. del Giordano. Né l'uno né l'altro di questi due luoghi sono stati sino ad ora identificati in modo soddisfacente. Betabara significa la casa del guado, o passo, ed a questo riguardo è identico nel senso e quasi nell'ortografia con Betbara Giudici 7:24#070070240000-070070240000, che era, il guado del Giordano più prossimo al territorio della, tribù di Efraim e dove Gedeone arrestò ed uccise i fuggenti Madianiti. Stanley vorrebbe identificare questo ultimo luogo col passo di Succot, 30 miglia all'incirca al N. di Gerico. Ma, secondo Origene, tutti i MSS. sino a tempo suo, leggevano Betania (casa di navi, o casa di traghetto), invece di Betabara, e questa lezione sembra ora generalmente ammessa come la vera. In ogni caso non è la Betania di Lazaro, Marta e Maria, vicino a Gerusalemme, ma un altro paese del medesimo nome, sulla sponda orientale del Giordano Giovanni 1:28#500010280000-500010280000. Enon è la traduzione greca dell'Ebraico fonti di acqua; ma niente ci permette di determinare se fosse il

nome dato ad un altro villaggio o se fosse unicamente una dipendenza di Salim. Paragonando Giovanni 3:22-23#500030220000-500030230000 con Giovanni 3:26#500030260000-500030260000, par quasi certo che questo Enon si trovava ad Occidente del Giordano, e che Giovanni vi si era recato a motivo dell'abbondanza d'acqua, quando Gesù e i suoi discepoli cominciarono a battezzare sulle sponde del Giordano. Il viaggiatore americano Robinson scoprì alquanto all'E. di Nablusa, un Salim dove sono due copiosissime sorgenti; ma questo Salim era anticamente nel territorio di Samaria, ed è affatto incredibile che il Battista, il rigoroso rappresentante dell'economia levitica ed il precursore del Messia giudaico, avesse scelto un tal luogo, per compiervi l'opera sua. Il Dott. Barclay, altro americano, che dimorò lungamente in Gerusalemme, crede avere scoperto Enon nelle abbondanti ma intermittenti pollo di Wadi Fara, 6 miglia al N.E. di Gerusalemme nelle quali ha la sorgente il Nahr Kelt (probabilmente il Cherit 1Re 17:5#110170050000-110170050000). Barclay dice che l'acqua scaturisce da una di queste pollo con forza ed abbondanza tali da far girare un mulino nel vicinato immediato, e che la sua guida gli additò in un Wadi vicino le rovine di una, grande città, alla quale diede il nome di Salim. Quelle Sorgenti, essendo nei limiti del deserto di Giudea, corrispondono almeno alla regione dell'attività del Battista.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:5; Marco 1:4-5; Giovanni 1:28; 3:26#470030050000470030050000#480010040000-480010050000#500010280000500010280000#500030260000-500030260000

Matteo 3:6,11; Marco 1:4; Giovanni 1:31-33; Atti 13:24; 19:4; 22:16#470030060000-470030060000#470030110000470030110000#480010040000-480010040000#500010310000500010330000#510130240000-510130240000#510190040000510190040000#510220160000-510220160000

Luca 1:77#490010770000-490010770000

49003004Lc 3:4

Luca 3:4-18. LA SOSTANZA DEL MINISTERO DEL BATTISTA Matteo 3:1-12; Marco 1:4-8; Giovanni 1:23,28#470030010000470030120000#480010040000-480010080000#500010230000500010230000#500010280000-500010280000

Per l'esposizione Vedi Matteo 3:1Matteo 3:1-12.

Essa era una esortazione alla vera penitenza ed al mutamento del cuore, manifestati coll'abbandonare il peccato e con una vita consecrata al servizio di Dio. Tale esortazione era appoggiata sulla imminente apparizione del Messia, e sui castighi che egli doveva infliggere agli empi. Egli amministrava il battesimo come un suggello a tutti quelli che accettavano la sua dottrina.

49003008Lc 3:8

8. Fate adunque frutti degni di pentimento; e non prendete a dir tra voi stessi: Noi abbiamo Abrahamo per padre; perciocché io vi dico che Iddio può eziandio da queste pietre far surgere dei figliuoli ad Abrahamo.

Gli Israeliti menavan vanto della loro discendenza da Abrahamo, quasiché fosse un talismano che assicurasse loro ogni specie di benedizioni, e li proteggesse contro tutti i castighi e tutti i pericoli. Giovanni li ammonisce che un tal vanto è vano, imperocché nel giudizio del vegnente Messia i meriti di Abrahamo non coprirebbero i demeriti della sua posterità. È degna di attenzione una nota che fa il commentatore spagnuolo Stella su questo versetto: «Vi sono molti monaci», dice egli, «i quali imitano i Giudei dicendo: abbiamo Benedetto, Agostino, Girolamo, Francesco, o Domenico per nostro padre, precisamente come i Giudei dicevano: "Abbiamo Abrahamo per padre". Narrano agli altri le gesta maravigliose dei fondatori

dei loro ordini, e ne decantano le lodi in modo maraviglioso. Dicono: il tal ordine ha dato tanti santi iscritti ora nel Calendario, tanti Papi, tanti Cardinali, tanti Vescovi, tanti Dottori. In queste cose essi si rallegrano e si vantano nella loro vanagloria, mentreché essi stessi sono degenerati dalla vera eccellenza dei loro fondatori, per la loro cattiveria ed i loro costumi rilassati. A tutti questi potremo giustamente ripetere quello che Cristo disse ai Giudei: "Se voi foste figliuoli di Abrahamo, fareste le opere di Abrahamo"».

PASSI PARALLELI

Isaia 1:16-18; Ezechiele 18:27-31; Atti 26:20; 2Corinzi 7:10-11; Galati 5:22-24#290010160000-290010180000#330180270000330180310000#510260200000-510260200000#540070100000540070110000#550050220000-550050240000

Filippesi 1:11; Ebrei 6:7-8#570010110000-570010110000#650060070000650060080000

Luca 13:28-29; 16:23-31; Isaia 48:1-2; Geremia 7:4-10; Giovanni 8:33; Romani 4:16; 9:7#490130280000-490130290000#490160230000490160310000#290480010000-290480020000#300070040000300070100000#500080330000-500080330000#520040160000520040160000#520090070000-520090070000

Luca 19:40; Giosuè 4:3-8; Matteo 8:11-12; 21:43; Galati 3:2829#490190400000-490190400000#060010010000060010080000#470080110000-470080120000#470210430000470210430000#550030280000-550030290000

49003010Lc 3:10

10. E le turbe lo domandarono, dicendo: Che faremo noi dunque?

La parola turbe, che l'evangelista applicava al vers. 7 agli Scribi, ai Farisei ed a quelli che venivano a lui, mossi dalla curiosità o dal disprezzo, ed ai quali il Battista si rivolge come a «progenie di vipere», è quivi applicata ad un'altra porzione della sua udienza, ossia alle classi media ed inferiore della popolazione, che erano sinceramente desiose di ricevere istruzione dal profeta, ed ai quali egli si rivolge come a persone ben disposte. La distinzione fatta in questo luogo sembra pienamente giustificata dalla dichiarazione di Luca 7:29-30#490070290000-490070300000.

PASSI PARALLELI

Luca 3:8; Atti 2:37; 9:6; 16:30#490030080000490030080000#510020370000-510020370000#510090060000510090060000#510160300000-510160300000

49003011Lc 3:11

11. Ed egli, rispondendo, disse loro a chi ha due veste ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia il simigliante.

È un orrore il supporre che Giovanni insegnasse che la remissione dei peccati provenga da una mera riforma esterna della vita e della condotta. Attraverso tutta la dispensazione Levitica, alla quale il suo ministero indubbiamente apparteneva, l'offerta del sacrifizio giornaliero e più ancora quella del solenne giorno dell'espiazione insegnava in modo molto significativo che «senza spargimento di sangue non si fa remissione» Ebrei 9:22#650090220000-650090220000. Ma il perdono del peccato deve essere preceduto dalla penitenza, la quale si dimostra vera e sincera dai frutti che produce nella vita, dal cambiamento che opera nelle abitudini e nelle azioni dell'uomo e non soltanto da belle professioni. Questa verità Giovanni l'avea inculcata nel ver. 8, ed è per rispondere al desiderio delle turbe di venire insegnato in qual modo manifestare la sincerità della loro penitenza che egli dà il precetto in questo versetto. La somma ne è: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Invece dell'egoismo e della cupidigia che caratterizza in modo così evidente la natura decaduta dell'uomo, e di cui la vita dei Farisei

presenta esempi così marcanti, coltivate l'abnegazione, la benevolenza, la generosità, una liberalità scevra di ostentazione inverso i poveri e i bisognosi, e dimostrate in questo modo la realtà della vostra pietà e della vostra penitenza. Opere di giustizia e di carità sono i primi frutti del pentimento Daniele 4:27#340040270000-340040270000.

PASSI PARALLELI

Luca 11:41; 18:22; 19:8; Isaia 58:7-11; Daniele 4:27; Matteo 25:40; Marco 14:5-8#490110410000-490110410000#490180220000490180220000#490190080000-490190080000#290580070000290580110000#340040270000-340040270000#470250400000470250400000#480140050000-480140080000

Giovanni 13:29; Atti 10:2,4,31; 2Corinzi 8:3-14; 1Timoteo 6:18; Ebrei 6:10; Giacomo 1:27#500130290000-500130290000#510100020000510100020000#510100040000-510100040000#510100310000510100310000#540080030000-540080140000#610060180000610060180000#650060100000-650060100000#660010270000660010270000

Giacomo 2:15-26; 1Giovanni 3:17; 4:20#660020150000660020260000#690030170000-690030170000#690040200000690040200000

49003012Lc 3:12

12. Or vennero ancora dei pubblicani, per essere battezzati; e gli dissero: Maestro, che dobbiam noi fare? 13. Ed egli disse loro: Non riscuotete nulla più di ciò che vi è, stato ordinato.

Vedi la descrizione dei Pubblicani, Nota Matteo 9:10Matteo 9:10. I pubblicani o esattori delle imposte, essendo investiti dell'autorità del governo romano, dimostravansi generalmente oppressivi e duri nei loro rapporti col popolo, e aveano grandi facilità per estorcere più che non fosse

richiesto da ogni individuo, come la sua quota di tasse, e per fare di quel sopra più il proprio profitto. Zaccheo ne è un esempio Luca 19:8#490190080000-490190080000. Quantunque impopolare e spesso gravemente pervertito, l'uffizio di pubblicano nulla avea di disonorevole in sé stesso. Dove c'è un governo, è mestiere che venga sostenuto, e vi devono essere, di necessità, degli uomini il cui uffizio è di raccogliere le tasse necessarie a questo scopo; è dunque dovere dei sudditi pagare volontariamente e coscienziosamente quello che vien loro giustamente imposto dai loro rettori, e di mostrarsi rispettosi inverso quelli che hanno l'incarico di riceverlo. Giovanni non condannò la professione dei pubblicani, ma la disonestà di quelli che l'esercitavano, e le sue esortazioni andarono diritto alle loro tentazioni ed al peccato loro favorito: «Non riscuotete» ecc. Tutti quelli che sono chiamati ad esercitare incarichi governativi e uffizii pubblici faccian tesoro in cuor loro di questa esortazione.

PASSI PARALLELI

Luca 7:29; 15:1-2; 18:13; Matteo 21:31-32#490070290000490070290000#490150010000-490150020000#490180130000490180130000#470210310000-470210320000

Luca 19:8; Salmi 18:23; Proverbi 28:13; Isaia 1:16-17; 55:6-7; Ezechiele 18:21,22,27-28#490190080000-490190080000#230180230000230180230000#240280130000-240280130000#290010160000290010170000#290550060000-290550070000#330180210000330180210000#330180220000-330180220000#330180270000330180280000

Michea 6:8; Matteo 7:12; 1Corinzi 6:10; Efesini 4:28; Tito 2:11-12; Ebrei 12:1#400060080000-400060080000#470070120000470070120000#530060100000-530060100000#560040280000560040280000#630020110000-630020120000#650120010000650120010000

49003014Lc 3:14

14. I soldati ancora lo domandarono, dicendo E noi, che dobbiam fare? Ed egli disse loro: Non fate storsione ad alcuno, e non oppressate alcuno per calunnia; e contentatevi del vostro soldo.

È molto improbabile che questi fossero soldati romani, la maggior parte dei quali dovea trovarsi di guarnigione in Cesarea, ed il resto in Gerusalemme. Erode Antipa aveva un esercito suo proprio, composto probabilmente in maggior parte di Israeliti. Giovanni stava battezzando a Betabara, nella Perea, che formava parte della tetrarchia di Erode, e siccome questi era allora in guerra col suo suocero Areta e teneva il suo quartier generale a Macherus, a breve distanza del luogo ove trovavasi Giovanni, non v'ha quasi dubbio che i soldati sui quali la predicazione di Giovanni Battista produsse sì profonda impressione appartenessero all'esercito di Erode e professassero la fede giudaica. Soldati che andavano da un luogo all'altro, mal nutriti e senza che il loro capo si prendesse gran che cura di loro, potevano esser facilmente tentati di servirsi delle armi che tenevano in mano per impadronirsi di tutto ciò che poteva eccitare la loro cupidigia, e di usare violenza in caso di opposizione per parte di quelli che essi derubavano. Potevan quindi facilmente sfuggire a qualsiasi castigo, portando false accuse contro quelli che si lagnavano, e così rovinandoli completamente. Al Battista erano giunti senza dubbio rumori di tal condotta per parte di quei soldati, e della miseria che ne risultava, epperciò i precetti che egli dà loro portano precisamente su quelle pratiche abbominevoli. "Se volete far frutti degni della penitenza, cessate dalle vostre oppressioni e ruberie, non fate storsione ad alcuno, non oppressato per calunnia, non cercate di arricchire a spese altrui, ma contentatevi delle vostre razioni e della vostra paga (razioni)" indica tutto quello che si portava come ossia companatico. La paga del soldato consisteva in grano, carne, frutta, non meno che in denaro, ed era chiamata da Demostene. Possiamo considerar pure queste parole come un ammonimento contro le ribellioni che gli uffiziali spesso cercavano di sopprimere, per mezzo di elargizioni e di doni ai soldati (Webster e Wilkinson, Test. Greco).

PASSI PARALLELI

Matteo 8:5; Atti 10:7#470080050000-470080050000#510100070000510100070000

Romani 13:9-10; Filippesi 2:15#520130090000520130100000#570020150000-570020150000

Luca 19:8; Esodo 20:16; 23:1; Levitico 19:11; Tito 2:3; Apocalisse 12:10#490190080000-490190080000#020200160000020200160000#020230010000-020230010000#030190110000030190110000#630020030000-630020030000#730120100000730120100000

Filippesi 4:11; 1Timoteo 6:8-10; Ebrei 13:5-6#570040110000570040110000#610060080000-610060100000#650130050000650130060000

49003015Lc 3:15

15. Or, stando il popolo in aspettazione e ragionando tutti nei lor cuori, intorno a Giovanni, se egli sarebbe punto il Cristo; 16. Giovanni rispose,

ecc. Tanto elevato era, il carattere di Giovanni, tanto profonda e generale l'impressione prodotta dalla sua predicazione, tanto potente l'aspettativa della pronta apparizione del Messia, che il popolo aspettava con ansietà qualche altro annunzio che gli rendesse più chiara la posizione ed il carattere di Giovanni; ed intanto domandavano a sé stessi se egli non potesse essere il Messia in persona. Sia che Giovanni intravedesse la, corrente dei loro pensieri, sia che qualcuno della folla gli rivolgesse una precisa domanda a questo riguardo, sia ancora che rispondesse alle domande dell'ambasciata speciale mandata da Gerusalemme per investigare la sua profetica autorità Giovanni 1:19-20#500010190000-500010200000, egli dichiarò subito e con linguaggio chiaro e senza equivoci di esser solo il Precursore, annunziando

l'apparizione immediata del sospirato Messia, per esercitare al tempo stesso la misericordia ed il giudizio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:24#500100240000-500100240000

Giovanni 1:19-28; 3:28-29#500010190000-500010280000#500030280000500030290000

Matteo 3:11; Marco 1:7-8; Giovanni 1:26,33; Atti 1:5; 11:16; 13:24-25; 19:4-5#470030110000-470030110000#480010070000480010080000#500010260000-500010260000#500010330000500010330000#510010050000-510010050000#510110160000510110160000#510130240000-510130250000#510190040000510190050000

Proverbi 1:23; Isaia 32:15; 44:3-4; Ezechiele 36:25; Gioele 2:28-29; Giovanni 7:38#240010230000-240010230000#290320150000290320150000#290440030000-290440040000#330360250000330360250000#360020280000-360020290000#500070380000500070380000

Atti 2:33; 10:44; 11:15; 1Corinzi 12:13#510020330000510020330000#510100440000-510100440000#510110150000510110150000#530120130000-530120130000

Isaia 4:4; Zaccaria 13:9; Malachia 3:2-3; Atti 2:3,4,17-18#290040040000290040040000#450130090000-450130090000#460030020000460030030000#510020030000-510020030000#510020040000510020040000#510020170000-510020180000

RIFLESSIONI

1. Ci vien detto: «La parola di Dio fu indirizzata a Giovanni», per farci osservare che egli ebbe, per cominciare il suo ministero, una vocazione speciale da Dio. Questa dichiarazione getta una gran luce sull'uffizio di tutti i ministri del vangelo. È questo tale un uffizio che nessun uomo ha il diritto di entrarvi se non si sente internamente, chiamato da Dio, non meno che esternamente dall'uomo. Noi abbiamo il diritto di pretendere rivelazioni dal cielo, o doni miracolosi dello Spirito; ma chiunque domanda di essere ammesso al Sacro ministero deve almeno poter dichiarare in buona coscienza che lo Spirito Santo è quello che lo spinge ad entrarvi, per la gloria di Dio, e la salvezza delle anime, e non già qualche cupidità di «guadagno disonesto». Molti entrano nel ministero con precipitazione, senza una tal vocazione, mossi unicamente da eccessiva vanità e privi ugualmente del benefizio di studii preparatori e di esperienza spirituale. Un grave scandalo accade quando uomini senza educazione e spesso non convertiti si arrogano l'uffizio di maestri, mentre hanno bisogno essi stessi d'imparare «quali sieno gli elementi del principio degli oracoli di Dio» Ebrei 5:12#650050120000-650050120000. Nell'opera del Signore non isperi mai successi chi «corre senza esser stato mandato». Preghiamo ogni giorno acciocché le nostre congregazioni non abbiano mai altri ministri che quelli che sono stati chiamati da Dio. Un uomo che non è, convertito è per una congregazione un peso e un danno, imperocché come mai potrà egli annunziare, delle verità salutari delle quali non ha sperienza alcuna, o render testimonianza all'amore ed alla fedeltà di un Salvatore di cui egli non ha quella conoscenza che salva, col quale egli non è in comunione per fede?

2. Il pentimento non giova a nulla se non è accompagnato dai frutti nella vita. Non possiamo mai imprimerci troppo fortemente nella mente che è cosa vana il dire colle labbra che ci pentiamo, se non ne diamo la prova con un cambiamento deciso nella nostra condotta, nella nostra conversazione, nei motivi che regolano la nostra vita. Il far simile vuota professione di penitenza è cosa peggio ancora che vana, imperocché il continuare in essa incallirà la nostra coscienza e indurerà il nostro cuore.

3. Il fidare in privilegi esterni, come nel caso dei Giudei, per trascurar la fede e la pietà, è un ingannar noi stessi. Il Signore insegnò questa verità prima della cattività di Babilonia, e nel modo il più solenne, agli empi

Israeliti, per bocca di Ezechiele 14:14#330140140000-330140140000: «Quando questi tre uomini, Noè, Daniele, e Giobbe, fossero in mezzo di quello (un paese peccante contro a Dio, ver. 13), essi libererebbero sol le lor persone per la loro giustizia, dice il Signore Iddio.» Non dite adunque in voi stessi che siete nati Cristiani, o che il battesimo vi ha fatti necessariamente tali, o che siete salvi perché i vostri genitori godevano gran favore appo Iddio, o perché siete in comunione con qualche ramo della Chiesa di Cristo, e che perciò tutto andrà ben per voi alla fine. Ponderate con cura le parole di Cristo, e quelle di Paolo Matteo 8:11; Romani 2:28-29#470080110000470080110000#520020280000-520020290000.

4. Giovanni comandava a chiunque faceva professione di pentimento, di cominciar coll'abbandonare quei peccati nei quali egli era più esposto a cadere. Egli non voleva già dire che facendo questo cose essi espierebbero i loro peccati, e farebbero la loro pace con Dio, ma proverebbero la sincerità della loro penitenza. Impariamo da questo il modo di governare i nostri cuori. Non dobbiamo contentarci di condannare quei peccati che il nostro temperamento non ci spinge a commettere, mentre ci mostriamo indulgenti per quelli di altro genere. Investighiamo le proprie nostre corruzioni, i peccati che ci seducono più facilmente, e non ci stanchiamo di far guerra contro ad essi. Abbandoni il ricco i peccati del ricco, il povero quelli del povero. Rinunzino i giovani alle concupiscenze della gioventù, e i vecchi alle tentazioni della vecchiaia. Questo è il primo passo da noi richiesto per mostrare che desideriamo sul serio la salvezza dell'anima nostra.

49003019Lc 3:19

Luca 3:19-20#490030190000-490030200000. GIOVANNI INCARCERATO DA ERODE AD ISTIGAZIONE DI ERODIADE Matteo 14:3-11; Marco 6:17-29#470140030000470140110000#480060170000-480060290000

Per l'esposizione Vedi Marco 6:17Marco 6:17-29.

49003021Lc 3:21

Luca 3:21-22. CRISTO BATTEZZATO DA GIOVANNI NEL GIORDANO. LO SPIRITO SANTO SCENDE SOPRA LUI Matteo 3:13-17; Marco 1:9-12; Giovanni 1:32-34

#470030130000-470030170000#480010090000480010120000#500010320000-500010340000Per l'esposizione Vedi Matteo 3:13Matteo 3:13-17.

49003023Lc 3:23

Luca 3:23-38. LA GENEALOGIA DI GESÙ Matteo 1:116#470010010000-470010160000

23. E Gesù cominciava ad esser come di trent'anni;

La costruzione della frase è inusitata, ma il significato non si può sbagliare. Gesù avea circa trent'anni, senza che l'evangelista si curi di Specificare se ne avesse un poco più o un poco meno. Gesù cominciò il pubblico suo ministero subito dopo essere stato messo a parte per esso, per mezzo del battesimo.

figliuolo come si stimava, di Giuseppe, figliuol di Eli,

ecc. Nelle note (scritte nell'anno 1863) sulla genealogia di Gesù tramandataci da Matteo, viene espressa l'opinione che, mentre quell'evangelista ci fornisce la discendenza Davidica di Giuseppe, Luca ci ha conservato invece quella di Maria madre di Gesù. Sappiamo che quel soggetto è stato per molto tempo ed è tuttora discusso assai vivamente, e che la conclusione più sopra ricordata è contestata da molti scrittori di peso, così nella Chiesa primitiva come nei tempi posteriori alla riforma; ciononostante, il tempo e i nostri studii posteriori non hanno fatto che confermare il convincimento che già avevamo espresso. La teoria opposta a

questa consiste nel dire che la genealogia delle donne non essendo mai necessaria (e qui convien porre in obblio i casi delle figlie di Selofad Numeri 27:1-7#040270010000-040270070000, e di altre nella stessa posizione, le cui genealogie erano assolutamente indispensabili), quella che troviamo in Luca deve pure riferirsi a Giuseppe, e siccome è un caso piuttosto raro che lo stesso uomo abbia due genealogie assolutamente diverse (ammenoché una sia quella della madre), si spiega la differenza col dire che Matteo ci presenta la linea strettaniente legale della successione al trono di Davide, del quale Giuseppe era il legittimo erede, mentre Luca ci dà la sua genealogia diretta, nominandoci le persone per mezzo delle quali il sangue di Davide trapassò nelle sue vene. Affin di dare un po' di sostanza a questa teoria, è stato necessario di supporre fra le linee di Salomone e di Natan dei punti di contatto, pei quali la successione regia sarebbe stata trasferita a quest'ultimo, quindi di spiegare tutte le altre mancanze e discordanze coll'aggiunta di un sistema complesso ed ipotetico di matrimoni contratti conformemente alla legge del Levirato, con questo risultato definitivo che Maria ci vien presentata come la figlia di Giacobbe e Giuseppe come il figlio di Eli. La più breve narrazione di questa teoria è data da Andrews nella sua Vita di Cristo «La linea di Salomone ebbe termine con Jechonia Geremia 22:30#300220300000-300220300000, e il diritto di successione passò alla linea di Natan nella persona di Salatiel. Da Giuseppe, figlio minore di Giuda o di Abiad, ed appartenente a quella linea, discendeva Giuseppe, marito di Maria. La famiglia del figlio primogenito rimanendo estinta, Mattan nonno di Giuseppe divenne l'erede del trono. Questo Mattan ebbe due figli, Giacobbe ed Eli. Il più vecchio, Giacobbe, non ebbe figli, ma ebbe probabilmente una figlia e questa fu la Vergine Maria. Il più giovane Eli ebbe un figlio, Giuseppe, il quale divenne in quel modo l'erede di suo zio e del trono; Giuseppe e Maria erano dunque cugini in primo grado, e le tavole genealogiche si riferiscono ad entrambi». Alcuni dei sostenitori di questa teoria, che cioè ambedue le genealogie si riferiscano a Giuseppe, vanno fino ad affermare che Maria apparteneva alla tribù di Levi, non avea la minima parentela di sangue colla casa di Davide, e che né l'uno né l'altro dei due evangelisti si occupa di lei. La testimonianza della Chiesa sin dai primi tempi è sempre stata che Maria apparteneva alla famiglia di Davide; ma lasciando questa per il presente da parte, vi son passi nella Scrittura nei quali la discendenza di Gesù da Davide ci vien presentata

come naturale e non semplicemente legale, ed a quei passi non si potrà mai dare il pieno loro significato con una mera adozione legale di Gesù per parte di Giuseppe, se Gesù stesso non avea una gocciola del sangue di Davide nelle vene. Quei passi decidono in modo definitivo la discendenza di Maria da Davide. Si paragoni accuratamente 2Samuele 8:12#100080120000100080120000, dove Dio dichiara a Davide, riguardo al Cristo: «Io susciterò uno della tua progenie dopo te, il quale sarà uscito dalle tue interiora ecc. Atti 2:30#510020300000-510020300000; dove Pietro, facendo allusione a Davide parla di Cristo come essendo «il frutto dei suoi lombi secondo la carne» Isaia 11:l; Atti 13:23; Romani 1:13; 2Timoteo 2:8; Ebrei 7:14; Apocalisse 22:16#290110010000290110010000#510130230000-510130230000#520010130000520010130000#620020080000-620020080000#650070140000650070140000#730220160000-730220160000; come pure Luca 1:32#490010320000-490010320000, dove l'angelo annunzia che, come figlio di Maria, Gesù sarebbe altresì figlio di Davide ed erede del suo trono. Stabilito questo, vi è ragione valida e sufficiente per darci un ricordo della discendenza di Gesù dal lato della madre e, cosa strana davvero, gli scrittori ebrei essi stessi ci forniscono una convincente conferma che la genealogia conservata da Luca è quella di Maria, imperocché il Targum di Gerusalemme vomitando contro di essa insulti pieni di malizia, ci parla di uno che «vide (Maria figliuola di Eli), fra le ombre (hades), appesa dalle fibre delle mammelle, mentre la porta o la sbarra della porta dell'inferno era fissata al suo orecchio» (Gill, in loco). Oltre a ciò le parole parentetiche di questo versetto: «come si stimava, di Giuseppe», sembrano evidentemente inserite dall'evangelista, per ispiegare come, contrariamente a tutti gli usi, egli dava il lignaggio della madre e non quello del padre. Un'altra ipotesi per spiegare l'introduzione del nome di Giuseppe consiste nel dire che come genero di Eli e rappresentante di sua consorte, gli ora naturalmente assegnato un posto della genealogia di Luca. Però la prima spiegazione è preferibile. Le circostanze particolari della nascita di Cristo ci danno la spiegazione naturale ed ovvia delle due genealogie. Come figlio adottivo di Giuseppe, e per conseguenza erede legale del trono di Davide, la genealogia di suo padre deve venir data, e Matteo, che scriveva per i Giudei, ha cura di registrarlo; come figlio di Maria, senza padre umano alcuno, è necessario il lignaggio di sua madre per dimostrare la sua discendenza naturale da

Davide, e Luca, che scriveva per i Gentili, l'ha rintracciata e conservata. Ricordandosi le idee preconcette di quelli per i quali egli scrive, Matteo risale nella sua genealogia solo fino ad Abrahamo, padre e fondatore della loro nazione; ma Luca rintraccia fino alla loro sorgente le due nature della persona del Messia e ce lo descrive al tempo stesso, come figlio di Adamo e come figlio di Dio. Fra gli scrittori protestanti che considerano la tavola genealogica di Luca come essendo quella di Maria van citati Poole, Bengel, Newcome, Robinson, Greswell, Lange, Brown, Weisler, Riggenbach, Auberlen, Ebrard, Kraft, Bloomfield, Alexander, Oosterzee, Andrews, Conder, Godet e Ryle; fra i cattolici romani noteremo Giansenico, Barrodio, Stella ed altri. Fra quelli che credono che questa genealogia sia di Giuseppe sono Alford, Meyer, Winer, Bleek, Fairbairn, Da Costa, Friedlieb, Patritins, Mill, Ellicott e Westcott.

PASSI PARALLELI

Genesi 41:46; Numeri 4:3,35,39,43,47#010410460000010410460000#040040030000-040040030000#040040350000040040350000#040040390000-040040390000#040040430000040040430000#040040470000-040040470000

Luca 4:22; Matteo 13:55; Marco 6:3; Giovanni 6:42#490040220000490040220000#470130550000-470130550000#480060030000480060030000#500060420000-500060420000

49003024Lc 3:24

24. (Figliuol) di Mattat

ecc. I soli nomi che sono riferiti dalle due genealogie, fra Davide e Gesù, sono quelli di Salatiel e di Zorobabel. quantunque si sia tentato di identificare Abiad Matteo 1:13#470010130000-470010130000, con Giuda Luca 3:26#490030260000-490030260000. Nella maggior parte dei MSS. Greci (eccetto Beza, D), il nome di Cainan è inserito al ver. 26 fra quelli di Sala e di Arfacsad e questo dà origine ad una grave difficoltà, imperocché

non si trova nome simile alcuno nelle genealogie ebraiche conservate da Mosè, nel libro della Genesi 10:24; 11:12#010100240000010100240000#010110120000-010110120000, né in quella di 1Cronache 1:18#130010180000-130010180000. Lo si trova però nella 70, nei passi citati della Genesi, ma non in quello delle Cronache, omissione questa che è a scapito della autorità di quella versione quando la si cita contro l'originale ebraico, scritto dalla penna ispirata di Mosè, un paio di migliaia di anni prima che venissero al mondo i traduttori Alessandrini. La quistione però non è coi 70: bensì con Luca, secondo i MSS. Greci. Come possono conciliarsi Luca e Mosè? Bengel pensa che Luca, seguendo la LXX, inserisse il nome di Cainan in via di concessione ai Giudei ellenici; altri suppongono che quel nome fosse stato omesso dal testo ebraico, per trascuranza di qualche copista; mentre altri credono che l'inserzione di quel nome non sia originariamente dovuta a Luca, ma a qualche copista posteriore del suo Vangelo, il quale vi si sarebbe creduto autorizzato dalla LXX. Quest'ultima pare la soluzione più probabile della difficoltà. Fortunatamente l'omissione o l'inserzione di questo nome non ha importanza alcuna per la validità della catena da Adamo a Davide. Diodati omette il nome di Cainan nel ver. 36, e nelle sue note ne spiega la ragione così: «Nei testi comuni, fra Sala ed Arfacsad è posto Cainan; ma essendo ciò in contrasto all'istoria di Mosè, ed essendo anche rigettato dalla più sana antichità come un errore degli scrivani, tratto da alcuni testi della versione Greca, questo Cainan è stato qui rilasciato».

RIFLESSIONI

1. Parlando della discendenza del Signore da Davide per mezzo di Natan, Webster osserva: «È molto notevole che in una profezia di Zaccaria 12:1014#450120100000-450120140000, la quale ha tratto in modo indubitato alla morte di Cristo, vengono introdotte molte famiglie della casa di Davide, come prendendo parte al gran cordoglio per colui che essi hanno trafitto, che vien paragonato al cordoglio fatto per Giosia, e che queste famiglie sono tutte mentovate nella genealogia data da Luca: la famiglia della casa di Natan e le lor mogli a parte; quella di Levi ecc., quella di Simi ecc. È da notarsi inoltre che i nomi di Levi e di Simi sono ripetuti due volte nella

genealogia e ciò a grandi intervalli (ver. 24 e 29, 26 e 30), ed erano perciò i meglio scelti, se lo scopo della predizione di Zaccaria era di segnare la linea di discendenza del Messia».

2. Che vi sieno difficoltà in queste genealogie non è cosa che ci debba sorprendere se consideriamo

1. La mancanza di sufficienti materiali di paragono.

2. I nomi duplici e triplici dati alla medesima persona.

3. I nomi intermedii che sono omessi.

4. I nomi di figli dati a quelli che erano semplicemente nella linea diretta di discendenza e di fratelli a quelli che erano parenti collaterali.

5. E finalmente, la legge del Levirato, in virtù della quale uno vien chiamato figlio non già di suo padre secondo la carne, ma di suo padre conformemente a quella legge. Vedi Deuteronomio 25:5-6; Luca 20:28#050250050000-050250060000#490200280000-490200280000.

Da queste varie cause son nate molte perplessità, e discussioni senza fine, senza che sia sempre possibile sciogliere ogni difficoltà. La cosa è però abbastanza chiara, perché sia "notorio che il Signore nostro è nato dì Giuda" Ebrei 7:14#650070140000-650070140000, e che egli è la progenie della donna che triterebbe il capo del serpente Genesi 3:15#010030150000010030150000. «È di più cosa soddisfacente il sapere che nei primi tempi della Chiesa nessun dubbio mai stato gettato, neppure dai più acerbi nemici del Cristianesimo sulla reale discendenza di nostro Signore da Davide» (Brown).

3. «Forse la diversità del metodo adottato dai due evangelisti nella loro genealogia rispettiva dipende dalla differenza che passava fra la posizione religiosa dei Greci e quella dei Giudei. Il Giudeo trovando la base del suo pensiero in una rivelazione divina, procede sinteticamente dalla causa all'effetto; il Greco, non possedendo altro che il fatto, lo analizza, affin di poter procedere dall'effetto alla causa. Ma la differenza proviene fors'anche

più da un'altra circostanza. Ogni registro genealogico uffiziale deve presentare la forma discendente, imperocché gli individui vi sono registrati solamente a misura che nascono. La forma ascendente di genealogia può essere solamente quella di uno strumento privato, estratto dal documento pubblico, per mettere in vista un individuo speciale, il cui nome Serve di punto di partenza della lista. Segue da ciò, che in Matteo abbiamo una copia esatta del registro uffiziale, mentre Luca ci dà un documento estratto dagli archivi pubblici, e compilato in vista della persona colla quale la genealogia principia» (Godet).

49004001Lc 4:1

CAPO 4 - ANALISI

1. La tentazione di Cristo nel deserto. Era consiglio di «Colui, per cagione di cui, e per cui son tutte le cose, di consacrare per sofferenze il principe della salute» Ebrei 2:10#650020100000-650020100000, affinché «essendo stato tentato in ogni cosa simigliantemente a noi, senza peccato» Ebrei 4:15#650040150000-650040150000, potesse imparare a simpatizzare coi suoi redenti in tutte le loro sofferenze e tentazioni. Per realizzare questo piano, piacque a Dio di ordinare che il secondo Adamo, sulla soglia stessa del suo ministero terrestre, dovesse lottare col vincitore del primo Adamo ed essere esposto alle sue più terribili tentazioni. Perciò ci vien detto che, ben lungi dal prendere spontaneamente una tale decisione, Gesù «fu sospinto dallo Spirito nel deserto». Le incolte e spopolate colline che formavano tutta la parte orientale del territorio di Giuda, scendendo fino al Mar Morto, portavano il nome di «deserto di Giuda» Matteo 3:l#470030010000470030010000; la regione centrale era chiamata «la montagna» (aar) Giudici 1:19#070010190000-070010190000, o «la contrada delle montagne» (oreinè) Luca 1:39#490010390000-490010390000; la larga striscia di terra che giaceva fra la «montagna» e il Mar Mediterraneo, e che apparteneva primitivamente ai Filistei, era chiamata «la valle» o «la pianura» (ashefala) Giudici 1:9#070010090000-070010090000; mentre la regione limitrofa al gran deserto dell'Arabia, era chiamata «il Mezzodì» (anegeb) Giudici 1:9#070010090000-070010090000. Dal linguaggio usato

da Luca, e corroborato da quello di Marco, è evidente che Satana assediò nostro Signore colle sue tentazioni, più o meno, durante tutti i 40 giorni del suo digiuno, quantunque sieno ricordate solamente le tre ultime tentazioni, nelle quali la sua furberia, malizia ed empietà raggiunsero il loro apogeo. La malvagità non è mai soddisfatta, neanche dopo la sconfitta essa ritorno, all'assalto per il mero piacere di tormentare. Perciò Satana, quando vide tutte le sue tentazioni respinte, si ritirò, vinto ma non senza speranza, risoluto a rinnovare i suoi tentativi; e le parole «il diavolo si partì da lui infino od un certo tempo» indicano chiaramente che essi furono rinnovati segretamente ad intervalli, durante tutto il ministero pubblico di nostro Signore, finché scoppiarono, con raddoppiata virulenza, - con furia prodotta dalla disperazione, a Getsemane ed al Calvario. Ambo gli evangelisti concordano nell'assegnare il primo posto alla tentazione presentata nella proposta di mutare le pietre in pane, affin di Soddisfare il bisogno della fame, ma differiscono relativamente all'ordine delle altre due. Gesù trovandosi solo durante la tentazione, o l'ha narrata egli stesso ai suoi discepoli, nel qual caso l'ordine conservatoci da Matteo è probabilmente quello in cui le cose realmente accaddero; ovvero i particolari della tentazione sono stati rivelati direttamente a ciascuno evangelista, dallo Spirito di ispirazione, ed in questo caso la differenza nella distribuzione degli eventi implica sicuramente che la quistione di precedenza non è di vitale importanza Luca 4:1-13.

2. Il principio del pubblico ministero di Cristo in Galilea. Come Matteo e Marco, Luca comincia la sua storia della vita pubblica di Gesù colla entrata nel ministero in Galilea, la quale coincideva probabilmente coll'incarceramento di Giovanni Battista. L'evangelista Giovanni, scrivendo molto tempo dopo, ci fornisce il solo resoconto che abbiamo del ministero di Gesù fra la sua tentazione e l'incarcerazione del Battista, durante il qual periodo egli fece una breve visita in Galilea; ritornò a Gerusalemme per celebrarvi la prima pasqua dopo il principio del suo ministero; quindi continuò a predicare per breve tempo in Giudea, mentre i suoi discepoli battezzavano, finché il contegno ostile dei Farisei lo indusse a ritirarsi, imperocché in quel primo stadio dell'opera sua, desiderava evitare ogni conflitto con loro. L'omissione per parte dei Sinottici delle cose mentovate in Giovanni non toglie nulla affatto alla loro credibilità, perché essi

considerano il pubblico ministero di Gesù come principiante solo allorquando fissò la sua dimora in Galilea Luca 4:14-15.

3. La visita di Cristo a Nazaret. Gesù ora cittadino di Nazaret, ivi avea passato tutta la sua vita all'eccezione delle brevi ultime settimane, ed i suoi concittadini si figuravano di aver essi i primi diritti su di lui nel dispiego dei suoi doni miracolosi; ma, essendo pervenuta sino a loro la sua fama, da Cana, da Capernaum e da altri luoghi di quel vicinato, mentre egli non faceva visita al loro paese, ne nacque una gelosia, che produsse nel cuor loro un rancore, pertinace verso di lui. A suo tempo però Gesù andò pure in Nazaret, presentandosi in giorno di sabato in quella sinagoga, dove, per tanti anni, egli si era recato regolarmente a render culto a Dio; ed essendo chiamato a compiere l'uffizio di lettore, lesse quella porzione degli scritti profetici che era indicata per quel giorno e l'applicò a sé stesso, con tale chiarezza e potenza, che «tutti si maravigliavano delle parole di grazia che procedevano dalla sua bocca». I Nazariti avrebbero forse dimenticato il primiero affronto, se il Signore stesso non avesse ricordato quel soggetto, per riprendere la loro stoltizia e per ammonirli che nell'operar miracoli, o nell'accordar guarigioni, egli sarebbe guidato non dal desiderio di contentare la curiosità altrui, ma dal suo proprio e sovrano beneplacito. Una tal dichiarazione procedente da colui che essi consideravano unicamente come figlio del loro concittadino Giuseppe produsse uno scoppio d'ira e d'indignazione, in seguito al quale essi cercarono di uccidere Gesù, precipitandolo dall'alto del ciglione del monte sul quale era edificata la loro città Luca 4:16-30.

4. Cristo sceglie Capernaum come sua residenza. Questo vien dichiarato più esplicitamente da Matteo che da Luca. L'onore ed il privilegio di aver Gesù dimorante in mezzo a loro, i quali avrebbero potuto appartenere ai Nazariti, se non fosse stato del loro orgoglio, della loro incredulità e della loro violenza, furono trasferiti a Capernaum. Ivi Gesù fissò la sua dimora, insieme alla madre ed ai fratelli, e durante il breve periodo del suo ministero terrestre, gli evangelisti parlano di Capernaum come della «sua città». Quivi egli insegnò nella sinagoga, scacciò demonii, sgridò la febbre della suocera di Pietro, e guarì i malati nelle strade. Ivi egli ritornò sempre dopo ciascuna delle escursioni che faceva attraverso la Galilea, predicando l'evangelo e

risanando qualsiasi specie di infermi che gli venissero presentati. Non v'ha dunque da stupirsi se più tardi egli dice di quella città che essa fu «innalzata infino ai cieli» in quanto a privilegi, ma «abbassata fino all'inferno» per la sua trascuranza e la sua incredulità Luca 4:31-44.

Luca 4:1-13. CRISTO TENTATO DA SATANA NEL DESERTO Matteo 4:1-11; Marco 1:12-13#470040010000-470040110000#480010120000480010130000

Per l'esposizione Vedi Matteo 4:1Matteo 4:1-11.

1. Or Gesù, ripieno dello Spirito, Santo se ne ritornò dal Giordano; e fu sospinto dallo Spirito nel deserto; 2. E fu quivi tentato dal diavolo quaranta giorni;

Il tentatore che si presentò in persona al nostro Signore nel deserto, era il gran nemico di Dio e dell'uomo, un angelo ribelle cacciato dal cielo, l'autore della rovina dei nostri primi parenti. Nelle narrazioni dei Sinottici, gli vengon dati due nomi diversi: il diavolo, che significa un calunniatore, uno che porta false accuse contro ad un altro (e da ciò proviene quell'altro suo nome: «l'accusatore dei fratelli» Apocalisse 12:10#730120100000730120100000); e Satana, che significa un avversario, uno che tende agguati o fa guerra ad un altro. Nelle Scritture gli vengono dati pure altri nomi che descrivono diversi tratti del suo carattere o delle sue azioni. Che gli evangelisti credessero alla realtà di questo fatto della tentazione, riesco evidente da ciascuna delle parole di cui fanno uso per raccontarlo, e guidati come essi erano dallo Spirito d'ispirazione, non si può neppure aver l'idea di accusarli di mendacio o di inganno. Ciononostante varie difficoltà sono state sollevate contro a questo racconto (la maggior parte di esse invero provenienti dal diniego tacito od espresso della esistenza e della azione personale degli spiriti maligni); e molte e varie teorie sono state messe innanzi riguardo all'agente nella tentazione ed al modo in cui esso si avvicinò a Gesù. È stato asserito che una apparizione corporea del diavolo,

una temporanea (ensarkosis) del principe delle tenebre, è cosa contraria all'analogia della Sacra Scrittura; eppure vi sono esempi di cotali apparizioni nel caso degli angeli buoni e Satana istesso assunse, una volta almeno, una forma corporea reale, quando tentò Eva. Che Satana apparisse a nostro Signore nel deserto in forma personale (angelica, umana, o bestiale, lo Spirito d'ispirazione non l'ha rivelato), noi lo crediamo fermamente, ritenendo l'azione personale del principe delle tenebre non solo essenziale all'intelligenza dei due racconti Matteo 4; Luca 4#470040000000470040000000#490040000000-490040000000 e della parabola Matteo 12:29; Luca 11:21#470120290000-470120290000#490110210000490110210000, ma pure al perfetto parallelismo fra la tentazione del primo e quella del secondo Adamo, al principio della loro carriera di prova.

Molte teorie sono state messe avanti per spiegare la tentazione senza un tentatore sovrannaturale. È stato supposto che il tentatore non fosse altro che un uomo, il sommo sacerdote, o qualche membro del Sinedrio; ma tale mostruosa opinione è confutata dal fatto che i sacerdoti ed il Sinedrio, a quel momento della sua vita, ignoravano completamente l'esistenza di Gesù di Nazaret, e che il loro timore e la loro inimicizia nacquero solo molto tempo dopo la tentazione, e quando già il pubblico ministero di Cristo avea sparso la sua fama in tutto il paese. Schleiermacher ed altri sostengono che tutto questo racconto altro non è che una lezione morale, presentata sotto forma di parabola, per mezzo della quale Gesù inculcò ai suoi discepoli massime importanti per il loro futuro ministero, a mo' d'esempio, che essi non dovrebbero mai far miracoli per proprio vantaggio personale, o in uno spirito d'ostentazione, né associarsi coi malvagi neanche per raggiungere dei fini buoni. Ma se tale fosse stato lo scopo del maestro, egli avrebbe certamente presentato quell'insegnamento sotto una forma meglio adattata all'intelletto ottenebrato dei suoi discepoli, e meno calcolata a indurre la generalità dei lettori a riceverla come un fatto storico. È stato suggerito che tutta questa scena, nel deserto altro non sia stata che un sogno o una visione. «Ma, con questa, supposizione», osserva con ragione Oosterzee, «il racconto perde ogni importanza e significato. Qual sarebbe il valore di un conflitto prodotto da una mera illusione? E colui che combatte solo contro un fantasma merita egli il nome di vincitore?» Più orribile ancora è la teoria di Paulus, che queste tentazioni nacquero spontaneamente nell'anima del

Redentore, e furono il prodotto della sua immaginazione. La risposta a questa orrenda bestemmia è breve e senza replica, perché ispirata: «Il principe di questo mondo viene e non ha nulla in me» Giovanni 14:30#500140300000-500140300000. «A noi conveniva un tal sommo sacerdote, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori» Ebrei 7:26#650070260000-650070260000. Il cuore dal quale fosse provenuto quel sogno carnale più non potrebbe esser quello del «Santo di Dio», e la vita e la coscienza purissime di Gesù diverrebbero in tal caso inesplicabili. Vi sono finalmente scrittori perfettamente evangelici nei loro sentimenti, come Oosterzee, Godet, Pressensé ed altri, i quali risentono un tal ribrezzo all'idea di Gesù trasportato corporalmente per aria da Satana, e della letterale apparizione del Signore in vetta al tetto del tempio, che, pur, ammettendo una tentazione reale, cui il Signore fu esposto per parte di Satana, mantengono che essa fu interamente spirituale, e che, a dispetto della moltitudine e della precisione dei particolari raccontati da entrambi gli evangelisti, essa non uscì mai da quella sfera spirituale. Secondo noi, considerando che per iscopi grandi e santi, ogni facilità venne concessa a Satana, considerando che egli è il principe della podestà dell'aria, e capace di compiere dei «miracoli di menzogna», il senso datoci dall'adottare il linguaggio letterale dei Sinottici è aperto ad obbiezioni molto meno gravi che quel loro tentativo di conciliare dei fatti storici colla teoria di una tentazione meramente spirituale. «In quanto al racconto», dice Godet, «che dischiude agli occhi nostri quella scena misteriosa, esso non può essere altro che un quadro simbolico, per mezzo del quale Gesù si sforzò di far comprendere ai suoi discepoli un fatto, che per la sua natura non potesse esser descritto se non in linguaggio figurativo». Questo è veramente deplorabile. Il dire che Gesù usò coi suoi discepoli e lasciò in ricordo per l'uso della chiesa in tutte le età susseguenti un linguaggio siffattamente figurativo, senza il minimo indizio che esso fosse tale, è un accusarlo di ingannare deliberatamente! Siamo persuasi che niente è più lontano di questo dalla mente degli onorevoli scrittori, i quali confinano la tentazione in una sfera meramente spirituale, ma tale è la legittima conclusione della spiegazione che essi ci offrono di questo racconto. In quanto alla forma, umana od angelica, sotto la quale l'avversario si presentò, ed al modo in cui Gesù fu trasportato sul monte e in vetta al tempio, qualsiasi speculazione è

altrettanto inutile che presuntuosa. Basti il ritenere fermamente che la presenza dello spirito maligno era cosa reale ed estranea al nostro Signore.

RIFLESSIONI

1. Il brano seguente della «Vita del Signor Gesù» del vescovo Ellicott riassume mirabilmente le nostre vedute sui punti controversi della tentazione di nostro Signore: «Primieramente non temo di confessare la mia solenne convinzione che gli eventi qui narrati non appartengono a quel regno dei sogni e delle visioni al quale, purtroppo, persino alcune forme migliori di speculazione antica e moderna hanno avuto la presunzione di riferirli, ma devono venire accettati come eventi reali e letterali, altrettanto reali e letterali, che la finale sconfitta del potere di Satana in sul Calvario, allorquando il Signore scacciò lungi da sé l'oste tumultuosa delle tenebre, e trionfò su di essa, in mezzo all'agonia della sua croce. In secondo luogo, dubiterei della mia propria esistenza, anziché della natura puramente esterna di queste forme di tentazione, e dell'aver desse per causa immediata l'attività personale del principe delle tenebre medesimo. Accetterei le formole peggiori dell'Arianismo più degradato, anziché credere che questa tentazione avesse origine da qualsiasi lotta o sollecitazione interna. Ammetterei la dottrina più repulsiva di un arido Socinianismo prima di consentire che la tentazione fosse resa; più pericolosa da qualsiasi specie di concupiscenza nel cuore di Gesù, o credere che essa, sia stata altra cosa che l'assalto, dato dal di fuori, da una malizia demoniaca e disperata, la quale riconobbe nella natura dell'uomo la possibilità di una caduta, ed ampiamente ardì far prova, persino nella persona del Figliuol dell'uomo, della sua energia, fino a quell'ora irresistibile».

2. Par probabile che Matteo ci dia l'ordine nel quale occorsero realmente le varie tentazioni, ma molti preferiscono adottar l'ordine in cui esse si seguono in questo Vangelo, perché, disposte a quel modo, si trova un parallelismo fra di esse e quelle tentazioni che introdussero la prima volta il peccato nel mondo, cioè: «la concupiscenza della carne, la concupiscenza dell'occhio, e l'orgoglio della vita» Genesi 3:6; 1Giovanni 2:16#010030060000-010030060000#690020160000-690020160000; ma

qualunque sia l'ordine seguito, esse possono venir considerate come tre assalti spirituali distinti, diretti contro i tre componenti la nostra natura, il corpo, l'anima e lo spirito. Secondo questo modo di vedere, sarebbe stata presentata al corpo del nostro Signore la tentazione di soddisfare ai suoi bisogni, con una dimostrazione di potere colla quale egli avrebbe dichiarato di non voler più dipendere dal suo Padre celeste. All'anima, praticamente identica con il cuore, fu rivolta la tentazione di una dominazione messianica sopra tutti i regni della terra; ed allo spirito del nostro Redentore fu rivolta, con presunzione anche più orrenda, la tentazione di far noti, per via di un miracolo clamoroso, operato dalla sua propria divina potenza, i veri suoi rapporti verso l'uomo, verso gli angeli e verso Dio.

49004014Lc 4:14

Luca 4:14-15. CRISTO PRINCIPIA IL SUO MINISTERO IN GALILEA Matteo 4:12; Marco 1:14-15

14. E Gesù, nella virtù dello Spirito,

La «virtù dello Spirito», nella quale egli ritornò in Galilea non indica solamente che abitava permanentemente in lui l'intera potenza e l'unzione dello Spirito Santo, ricevuto al suo battesimo nel Giordano; ma ci dice pure che un impulso diretto lo obbligò ad andarsene verso la Galilea, come lo aveva prima obbligato a volgere i suoi passi verso il deserto.

se ne tornò in Galilea; e la fama di esso andò per tutta la contrada circonvicina. 15. Ed egli insegnava nelle lor sinagoghe, essendo onorato da tutti.

In questi versetti Luca c'introduce nel ministero di Cristo in Galilea, e prima di entrare nei particolari di quello, ci indica brevemente l'effetto che esso produceva. Era questa la seconda volta che Gesù ritornava in Galilea dopo la sua tentazione, e fra la prima e la seconda volta interviene un intervallo

considerevole, al quale i Sinottici non fanno allusione alcuna, poiché essi cominciano la loro narrazione col ritorno del nostro Signore in Galilea dopo l'incarceramento del Battista Matteo 4:12; Marco 1:14; Luca 4:14#470040120000-470040120000#480010140000480010140000#490040140000-490040140000. Giovanni al contrario narra alcuni degli eventi accaduti in quell'intervallo Giovanni 1-4#500010000000500040000000. Secondo lui, dopo la tentazione, il nostro Signore tornò a Betabara dove Giovanni tuttora battezzava, ed allora egli fu additato al popolo, come «l'agnello di Dio». Il giorno seguente Andrea e Giovanni seguitarono Gesù, credettero in lui, e condussero a lui Simon Pietro. Poi avvenne la chiamata di Filippo e di Natanaele. Da Betabara, Gesù tornò in Galilea; ed al terzo giorno dopo la partenza, presenziò le nozze di Cana in Galilea. Di là discese a Capernaum, dove rimase solo alcuni giorni. Andò quindi a Gerusalemme, per celebrarvi la pasqua, e principiò il suo ministero in Giudea, collo scacciare dai cortili del tempio i cambiatori di denaro, e colla sua conversazione con Nicodemo. Dopo la festa, si ritirò da Gerusalemme, con alcuni discepoli (probabilmente quelli che avevano per i primi creduto in lui), in qualche parte rurale della Giudea, ove continuò il suo ministero, mentre i suoi discepoli battezzavano i convertiti. Si fu mentre Gesù era in tal guisa occupato, che Giovanni testimoniò di lui che egli era il Messia, rispondendo ad alcuni che erano venuti ad interrogarlo, forse su qualche punto difficile della legge sulla purificazione levitica, o più probabilmente, come si vede dal contesto, sul merito comparativo del suo battesimo e di quello di Gesù. L'incarceramento del Battista e la notizia ricevuta dai Farisei che la fama di Gesù cresceva rapidamente e che egli faceva anche più discepoli che il Battista medesimo, furono probabilmente eventi contemporanei, e così Gesù, per non entrare in lotta coi Farisei, al principio del suo ministero, si ritirò in Galilea, attraversando la Samaria, e andò una seconda volta in Cana dove pronunziò la parola che guarì il figlio del Centurione di Capernaum

PASSI PARALLELI

Matteo 4:12; Marco 1:14; Giovanni 4:43; Atti 10:37#470040120000470040120000#480010140000-480010140000#500040430000-

500040430000#510100370000-510100370000

Luca 4:1#490040010000-490040010000

Matteo 4:23-25; Marco 1:28#470040230000470040250000#480010280000-480010280000

Luca 4:16; 13:10; Matteo 4:23; 9:35; 13:54; Marco 1:39#490040160000490040160000#490130100000-490130100000#470040230000470040230000#470090350000-470090350000#470130540000470130540000#480010390000-480010390000

Isaia 55:5; Matteo 9:8; Marco 1:27,45#290550050000290550050000#470090080000-470090080000#480010270000480010270000#480010450000-480010450000

49004016Lc 4:16

Luca 4:16-30. VISITA DI CRISTO A NAZARET Matteo 14:13#470140130000-470140130000

16. E venne la Nazaret, ove era stato allevato;

Il sommario dei primi giorni del ministero di Gesù dato più sopra e tratto dal Vangelo di Giovanni, termina col suo ritorno in Cana di Galilea, cui è fatta speciale allusione a motivo di un secondo miracolo notevole che Gesù vi compì, come ci vien detto chiaramente, dopo che fu tornato dalla Giudea in Galilea. Da Cana egli visitò probabilmente Capernaum ed altre località, predicando nelle sinagoghe, ed operando dei miracoli, prima di tornare in Nazaret. Matteo 13:54-58; Marco 6:1-6#470130540000470130580000#480060010000-480060060000 ci hanno tramandato entrambi il ricordo di una visita di Gesù «alla sua patria» (Nazaret); ma è tuttora aperto a molta discussione il sapere se trattasi della stessa visita riferita in questo passo da Luca, o di un'altra fatta posteriormente o in diversa occasione. L'opinione più generale è che il nostro Signore facesse

due visite a Nazaret, la prima essendo quella, che vien qui ricordata, la seconda essendo quella mentovata da Matteo e da Marco, ed a quella opinione aderiamo, quantunque molte obiezioni sieno state mosse contro ad essa. Alcune delle ragioni che c'inducono a aderire a questa conclusione sono già state spiegate, Vedi Note Matteo 13:54Matteo 13:54. Oltre a quello che è stato detto in quel posto, si osservi:

1. che in Matteo 4:13#470040130000-470040130000, ed in Giovanni 4:44#500040440000-500040440000, è evidentemente fatta allusione a questa prima visita fatta a Nazaret, poiché Matteo dichiara che «lasciato Nazaret venne ad abitare in Capernaum», parole che quelli soli che hanno già giudicato anticipatamente spiegano come significando che Gesù proseguì il suo viaggio, lasciando Nazaret a destra o a sinistra; e Giovanni cita le parole stesse che Gesù rivolse ai Nazariti, in questa occasione, mentre essi lo scacciavano dalla loro città, come indicanti la ragione per la quale, ritornato dalla Giudea, fissò la sua dimora in mezzo ad altri Galilei e non in Nazaret. «Conciossiaché Gesù stesso avesse testimoniato che un profeta non è onorato nella sua patria», il vocabolo identico usato da Matteo 13:54#470130540000-470130540000, per descrivere Nazaret. Non era possibile che Giovanni parlasse in quel modo degli altri Galilei, poiché l'attitudine che questi presero sin dal principio verso di lui fu una ovazione completa.

2. Contro ad una seconda visita si arguisce che dopo la violenza, senza esempio, usatagli dai suoi conterranei, Gesù doveva naturalmente seguire il precetto che egli stesso diede più tardi ai suoi discepoli: «Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra» Matteo 10:23#470100230000-470100230000; e che è al più alto grado improbabile che egli li abbia mai più visitati. Se avessimo da fare con un uomo animato dalle nostre passioni malvagie, una tal conclusione darebbe perfettamente giusta; ma è contrario all'analogia della condotta tenuta da Gesù in altre circostanze verso coloro che «gli facevano torto e lo perseguitavano». È vero che nessun evangelista ci parla di una seconda visita ai Gadareni; ma Gesù comandò al demoniaco, che avea guarito, di predicar fra loro la salvezza, per mezzo di Colui stesso che essi aveano scacciato dai loro lidi; e quantunque il popolo di Gerusalemme, più di una volta, raccogliesse delle pietre per

lapidarlo come bestemmiatore, egli non cessò di visitare la loro città, e di offrir loro la vita eterna, finché lo ebbero inchiodato sulla croce. La sua compassione per i suoi compaesani, i quali rigettavano ciecamente la grazia che veniva loro offerta, rende molto probabile una seconda visita a Nazaret.

3. In favore di una visita unica è stato detto che, se Gesù fosse tornato una seconda volta in Nazaret, egli non vi avrebbe trovato la stessa ostilità di prima e la loro opposizione non si sarebbe manifestata in ambo i casi colle medesime parole. La sperienza prova precisamente il contrario; quando l'orgoglio ferito ha generato l'odio, l'accoglienza che esso fa al supposto offensore, diviene, non già più cordiale, ma più rabbiosa col tempo, ed i vecchi insulti e le vecchie invettive divengono stereotipate sulle labbra delle moltitudini. L'orgoglio dei Nazariti era stato profondamente ferito perché Gesù non li aveva onorati dinanzi a tutti gli altri Galilei, ed essi si vendicarono così la seconda volta come la prima, col ricordarsi l'uno all'altro l'umiltà dei suoi natali, la povertà della sua famiglia e, per conseguenza, la sua mancanza di rispetto nel modo con cui li trattava.

Non entra nel nostro piano il tentare una completa armonia cronologica dei Vangeli, essendo nostra convinzione che non s'addiceva al piano di nessuno degli evangelisti il seguire rigidamente un tal sistema; ma l'idea, avanzata da alcuni critici moderni, che trascorse fra il battesimo di Cristo e l'incarceramento di Giovanni un anno intero, durante il quale il nostro Signore continuò il primo suo ministero in Giudea, e che i Sinottici sorvolarono a questo lungo periodo, quasi un terzo del ministero di Cristo, coi suoi miracoli e i suoi insegnamenti Giovanni 4:44#500040440000500040440000, senza dirne una parola sola, è così incredibile, che non possiamo se non protestare contro di essa. Benché i Sinottici parlino principalmente del ministero in Galilea, è nondimeno erroneo il dire che «essi si sono quasi interamente limitati a quello».

ed entrò come era usato, in giorno di sabato nella sinagoga,

È questa una prova della pia educazione che avea ricevuta, imperocché prendiamo le parole come riferentisi solo al suo costume di frequentar la sinagoga nei sabati, e non già, come Bengel ed altri suppongono, al leggervi

le Scritture; poiché egli aveva cominciato da troppo poco tempo il suo ministero, perché si potesse dire sempre esser suo costume il legger nelle sinagoghe. La frequentazione della sinagoga fu senza dubbio un mezzo importantissimo per lo sviluppo religioso ed intellettuale di Gesù. I bambini erano ammessi nelle sinagoghe all'età di 6 anni, e dovean frequentarle ad assiduamente dopo i 13. Prima della cattività di Babilonia, «le scuole dei profeti» fornivano al popolo l'istruzione religiosa, e la ripetuta menzione delle visite degli anziani del popolo ad Ezechiele 8: l; 14: l; 20: l; 23:31#330080010000-330080010000#330140010000330140010000#330200010000-330200010000#330230310000330230310000, implica il trasferimento, nella terra della cattività, dell'abitudine in tal guisa originata. Al ritorno del popolo nel proprio paese, nella mancanza del tempio, le abitudini della cattività presero radice in tutta la contrada. Delle sinagoghe furono costruite un po' per volta in tutte le città dove risiedevano 10 famiglie almeno, e delle proscuche, luoghi di preghiera nei villaggi la cui popolazione era anche più rada, di modoché al tempo di nostro Signore non v'era quasi un villaggio che non offrisse l'occasione di render culto a Jehova. Consisteva generalmente questo culto nel leggere porzioni della legge e dei profeti e nell'offrire preghiere, accompagnate da qualche parola di esortazione del capo della sinagoga. Sulla base del culto della sinagoga venne modellato il culto della chiesa apostolica. È appena possibile esagerare l'influenza del sistema di istruzione religiosa in tal modo sviluppato, e sostenuto dal potere crescente dei Farisei, dall'autorità degli Scribi, e dall'esempio dei loro fratelli della dispersione. Gli Israeliti aderirono sempre, apparentemente almeno, alla religione dei loro padri, e non ricaddero più nella idolatria. Non correvan più rischio di scordar la legge, né le osservanze cerimoniali, che erano come una siepe attorno a quella. La loro religione abituale ora associata più intimamente colla sinagoga che col tempio, mentre che gli Scribi, come dottori ed espositori della legge, minavano e indebolivano l'autorità, in altri tempi assoluta, del sacerdozio ereditario. Così andavasi preparando in silenzio la via per una nuova e più alta maniera di culto, la quale doveva sorgere «nella pienezza dei tempi» dalla decadenza del sacerdozio e dalla rovina del tempio.

e si levò per leggere.

Non si alzò spontaneamente, interrompendo il culto divino, ma senza dubbio vi fu invitato dal rettore, come accadde a Paolo in Antiochia Atti 13:15#510130150000-510130150000; e così cade in terra l'inferenza, che si è voluto trarre da questo fatto, in favore dell'ipotesi che la visita di Gesù a Nazaret deve essere avvenuta in un'epoca posteriore del suo ministero, e ciò a motivo del supposto modo magistrale in cui, sin dal principio, egli assunse l'uffizio di insegnante come quello che gli apparteneva di diritto. È probabile assai che prima di lasciar quella città, per cominciare il suo pubblico ministero, Gesù fosse stato spesso invitato, come in questa occasione, a fare l'uffizio di lettore nella sinagoga. Nella sinagoga moderna, mentre si leggono le porzioni assegnate della legge e dei profeti, si vede sempre un membro privato della congregazione al posto d'onore, alla destra del rabbino presidente, è questi il Lettore, il quale è stato invitato a leggere la porzione indicata per quel giorno, nella legge o nei profeti, secondo i casi. Il lettore mette la mano sul rotolo, ma non apre bocca; egli legge per mezzo di un sostituto, il Rabbino che presiede, liberandolo da un uffizio che egli è spesso troppo ignorante per compiere personalmente; ma l'avere il titolo di lettore, anche per breve ora, è stimato un grande onore, per il quale chi ne gode paga un equivalente in denaro ai fondi della sinagoga. Quello che non è più ora che un nome ed una forma era una realtà ai tempi di Cristo; era un uso nato forse colla sinagoga stessa, ed avea per iscopo di stimolare le classi lavoratrici, le quali formavano la gran maggioranza della nazione, ad acquistare una conoscenza più estesa e più pratica della lettera e della sostanza delle Scritture ebraiche.

PASSI PARALLELI

Luca 1:26-27; 2:39,51; Matteo 2:23; 13:54; Marco 6:1#490010260000490010270000#490020390000-490020390000#490020510000490020510000#470020230000-470020230000#470130540000470130540000#480060010000-480060010000

Luca 4:15; 2:42; Giovanni 18:20; Atti 17:2#490040150000490040150000#490020420000-490020420000#500180200000500180200000#510170020000-510170020000

Atti 13:14-16#510130140000-510130160000

49004017Lc 4:17

17. E gli fu dato in mano il libro del profeta Isaia;

I Giudei dividevano l'Antico Testamento in tre porzioni o volumi; la legge di Mosè (Torah), i Profeti (Nebiim), e gli Agiografi (Chetubim) chiamati pure «i Salmi» Luca 24:44#490240440000-490240440000, perché il volume contenente l'ultima parte del canone ebraico cominciava con quel libro. I volumi nei quali erano scritte le Scritture consistevano in un corto numero di fogli di pergamena, i quali erano o usati separatamente, o cuciti gli uni agli altri con strisce di cuoio. In ambo i casi stavano rotolate su due cilindri, per maggior comodità nel maneggiarle, e sono usati in questo modo nelle sinagoghe tuttodì. Siccome il volume dei Nebiim (profeti), il quale cominciava con Giosuè e terminava con Malachia, era molto grosso e pesante, esso veniva spesso diviso in volumi più piccoli, i quali contenevano uno o più profeti, ed è probabile che il rotolo dato in mano a Gesù fosse di quest'ultima specie, poiché vien chiamato col diminutivo e l'Evangelista gli dà il titolo speciale di «libro del profeta Isaia».

e, spiegato il libro,

Il vocabolo spiegato descrive esattamente l'atto di una persona che sta per leggere, come ripiegato (ver. 20) quello di chi ha finito la sua lettura.

trovò quel luogo, dov'era scritto:

La lettura della legge e dei profeti, come parte del servizio della sinagoga, rendeva necessaria la loro divisione in sezioni, affin di evitare le confusioni e le ripetizioni inutili. Non si sa quando questo sistema venisse introdotto per la prima volta, ma è certo che fu primieramente applicato al Pentateuco, e solo dopo molto tempo agli scritti profetici. Invero una tradizione dei Giudei dice che la lettura dei profeti nel culto della sinagoga, non fu introdotta che nei giorni di Antioco Epifane, perché esso proibì di leggere la legge. I Talmudisti dividono la legge in 54 (Parshiot o Sezioni), una per ogni

Sabato dell'anno intercalare degli Ebrei, provvedendosi agli anni più corti coll'unire insieme due delle porzioni più brevi. Un nome diverso era usato per le sezioni dei profeti da leggersi nelle Sinagoghe cioè Aflarot, le quali doveano corrispondere ai Parshiot più grandi della legge, dimodoché ci fosse per ogni Sabato dell'anno una porzione distinta di entrambi. C'è diversità di parere sulla quistione se il «luogo» che Gesù «trovò» fosse l'Aftarot indicato per la lettura di quel Sabato speciale, o se fu scelto deliberatamente da Gesù sotto la direzione speciale dello Spirito Santo. In ogni caso, la mano di Dio è manifestamente visibile in quella scelta. Secondo le divisioni talmudi che (fatte probabilmente verso il nono secolo A. D.) il passo letto da Gesù era quello indicato per il giorno della purificazione (10 di Tizri = Ottobre), e procedendo dall'ipotesi che il nostro Signore leggesse il parshiot di quel giorno. Bengel ne inferisce che da questo fatto si può dedurre con certezza il tempo della sua visita in Nazaret. Ma oltreché è incerto se il passo non fosse uno scelto da lui medesimo, le lezioni o divisioni talmudiche differivan molto da quelle più antiche, dimodoché non si può dedurre dall'uso di questo passo nessuna conclusione cronologica degna di fede.

PASSI PARALLELI

Luca 20:42; Atti 7:42; 13:15,27#490200420000490200420000#510070420000-510070420000#510130150000510130150000#510130270000-510130270000

Isaia 61:1-3#290610010000-290610030000

49004018Lc 4:18

18. Lo Spirito dei Signore è sopra di me;

Questa porzione è tolta da Isaia 51#290510000000-290510000000. Non c'è prova alcuna che la versione greca dell'Antico Testamento fosse mai in uso nelle sinagoghe della Palestina; e la guardia gelosa fatta dai Farisei e dai dottori della legge, affinché nessuna cosa estranea fosse mai introdotta nel

loro culto, esclude la teoria (poeta innanzi da alcuni per spiegare la diversità che passa fra il testo ebraico e la traduzione di esso in questi versetti), che Gesù leggesse la pubblica lezione nella sinagoga in lingua greca. Il nostro Signore lesse il passo in ebraico, ma Luca, essendo egli stesso un Greco, e scrivendo in Greco, cita dai LXX, e cita probabilmente a memoria, poiché non concorda letteralmente nemmanco con quella versione. Diodati (ordinariamente così corretto), ha messo una sua trasposizione nel testo in un punto dove l'Ebraico, i 70 e Luca vanno tutti d'accordo. Questo non muta punto il senso, ma si deve tener conto di qualsiasi mancanza nell'accuratezza della traduzione. Il Greco legge egli mi ha unto per evangelizzare ai poveri, egli mi ha mandato per guarire i contriti di cuore, e può facilmente venir paragonato con Diodati (vedi il testo). La trasposizione consiste nel separare l'unzione dallo iscopo di essa, il quale segue immediatamente dopo, e nel fare il verbo esprimere solo lo scopo della missione del Messia invece di unirlo ad i Talmudisti sostengono che le parole di Isaia sono dette di lui medesimo, ed alcuni commentatori più recenti le considerano primieramente da quel punto di vista, ma le riferiscono pure al Messia. Però uno studio accurato dell'ultima sezione delle profezie di Isaia, cominciando dal capo 49, nella quale egli tratta della Chiesa di Dio nell'avvenire, e più specialmente di quel misterioso SERVO DEL SIGNORE, per mezzo del quale essa dovea ricevere tutte le benedizioni ivi indicate, deve convincerci che in questo passo è Cristo che parla di sé medesimo, per bocca del profeta, e che non v'ha qui nulla di personale ad Isaia, anche se non avessimo la testimonianza espressa di Gesù, che queste parole non ricevettero il loro adempimento se non quando vennero pronunziate da lui. Il Prof. Brown riassume mirabilmente le predizioni messianiche dei capitoli precedenti: «Disprezzato dagli uomini ed abborrito dalla nazione, ma dinanzi al quale, al suo mostrarsi, i re devono alzarsi ed i principi adorarlo; in viso trite più che qualsiasi uomo, ed in forma più che i figliuoli degli uomini, eppure spruzzando molte nazioni; lavorando apparentemente invano e spendendo la sua forza per nulla e indarno, eppure servo di Jehova per rialzare le tribù di Giacobbe, e per essere la sua salvezza fino ai confini del mondo».

perciocché egli mi ha unto;

«Egli» non ai riferisce qui allo Spirito, bensì a Dio suo padre, lo Spirito Santo essendo l'unzione divina, mediante la quale il Messia fu reso atto all'opera, sua. Questo fu fatto ab eterno nei consigli della Divinità, ma quella profezia avea ricevuto ultimamente un adempimento visibile al Giordano, quando lo Spirito di Dio era sceso sopra Gesù in forma di colomba. Nei tempi antichi, i profeti, i sacerdoti ed i re, erano messi a parte per il loro uffizio, mediante l'unzione d'olio, e questo emblema indicava che essi erano resi atti ad adempierlo; per il dono dello Spirito. Gesù fu nello stesso modo qualificato per il suo uffizio di Mediatore coll'unzione dello Spirito, la realtà, non il semplice emblema, «l'olio di letizia sopra i suoi consorti» Salmi 45:8#230450080000-230450080000. Egli è a motivo di questa unzione che il nostro adorabile Redentore è chiamato Messia e Cristo, perché ambo questi nomi significano colui che è stato unto.

egli mi ha mandato per evangelizzare ai poveri,

Nel messaggio che Gesù mandò al prigione Giovanni, per mezzo di due suoi discepoli, questa predicazione dell'evangelo ai poveri, viene pur messa innanzi come una delle prove che egli ora il promesso Messia. In tutti i sistemi di filosofia, come pure in tutto le false religioni in allora prevalenti, non si teneva conto alcuno dei poveri; il benefizio speciale, qualunque egli potesse essere, era riserbato ai soli iniziati, e non si pensava mai a educare la plebe, le masse illetterate, affinché esse pure ne derivassero qualche benefizio. Tale era pure il caso fra i Giudei. I Farisei e gli Scribi avevano i loro misteri cabalistici, le loro fantastiche interpretazioni della legge e dei profeti che alla gente povera non venivano mai insegnate. Il Sinedrio non si vergognava di proclamare: «Questa moltitudine, che non sa la legge, è maledetta Giovanni 7:49#500070490000-500070490000. È una benedetta particolarità dell'evangelo di Cristo che le sue gloriose dottrine e le sue ricompense sono pubblicate così ai poveri ed agli illetterati, come ai ricchi ed ai sapienti. Ma il termine «povero» nell'Antico Testamento si riferisce spesse volte alla disposizione, anziché alla condizione della vita; esso significa umile in ispirito, spoglio di orgoglio naturale, e così particolarmente preparato a ricevere l'evangelo. Egli è di tali che Cristo dice: «Beati i poveri in ispirito, perciocché il regno del cieli è loro» Matteo 5:3#470050030000-470050030000. Ambo queste idee sono quivi espresse.

per guarire i contriti di cuore;

Il vocabolo greco dal quale è derivata questa parola «contriti» significa rompere, schiacciare sotto un peso, come fanno le grandi afflizioni e i grandi dolori; indi venne a significare profondo convincimento di peccato, che conduce a penitenza ed a vera contrizione di cuore. «I sacrificii di Dio sono lo spirito rotto; o Dio, tu non isprezzi il cuor rotto e contrito» Salmi 51:18#230510180000-230510180000. Così fu predetto che il gran Medico mitigherebbe il dolore, acqueterebbe il timore e dissiperebbe l'angoscia delle anime risvegliate e tremanti, ed il precipuo rimedio che egli impiega a questo scopo si è l'applicazione del proprio preziosissimo sangue al cuore contrito.

PASSI PARALLELI

Salmi 45:7; Isaia 11:2-5; 42:1-4; 50:4; 59:21#230450070000230450070000#290110020000-290110050000#290420010000290420040000#290500040000-290500040000#290590210000290590210000

Salmi 2:2,6#230020020000-230020020000#230020060000-230020060000

Daniele 9:24; Giovanni 1:41; Atti 4:27; 10:38#340090240000340090240000#500010410000-500010410000#510040270000510040270000#510100380000-510100380000

Luca 6:20; 7:22; Isaia 29:19; Sofonia 3:12; Zaccaria 11:11; Matteo 5:3; 11:5; Giacomo 2:5#490060200000-490060200000#490070220000490070220000#290290190000-290290190000#430030120000430030120000#450110110000-450110110000#470050030000470050030000#470110050000-470110050000#660020050000660020050000

2Cronache 34:27; Salmi 34:18; 51:17; 147:3; Isaia 57:15; 66:2; Ezechiele 9:4#140340270000-140340270000#230340180000230340180000#230510170000-230510170000#231470030000-

231470030000#290570150000-290570150000#290660020000290660020000#330090040000-330090040000

Salmi 102:20; 107:10-16; 146:7; Isaia 42:7; 45:13; 49:9,24-25; 52:23#231020200000-231020200000#231070100000231070160000#231460070000-231460070000#290420070000290420070000#290450130000-290450130000#290490090000290490090000#290490240000-290490250000#290520020000290520030000

Zaccaria 9:11-12; Colossesi 1:13#450090110000450090120000#580010130000-580010130000

Salmi 146:8; Isaia 29:18-19; 32:3; 35:5; 42:16-18; 60:1-2; Malachia 4:2#231460080000-231460080000#290290180000290290190000#290320030000-290320030000#290350050000290350050000#290420160000-290420180000#290600010000290600020000#460040020000-460040020000

Matteo 4:16; 9:27-30; 11:5; Giovanni 9:39-41; 12:46; Atti 26:18; Efesini 5:8-14#470040160000-470040160000#470090270000470090300000#470110050000-470110050000#500090390000500090410000#500120460000-500120460000#510260180000510260180000#560050080000-560050140000

1Tessalonicesi 5:5-6; 1Pietro 2:9; 1Giovanni 2:8-10#590050050000590050060000#670020090000-670020090000#690020080000690020100000

Genesi 3:15; Isaia 42:3; Matteo 12:20#010030150000010030150000#290420030000-290420030000#470120200000470120200000

49004019Lc 4:19

19. Per bandir liberazione ai prigioni (piuttosto captivi, prigioni di guerra), e racquisto della vista ai ciechi;

Quest'ultima clausola non è tolta dal testo ebraico. È stata sostituita dalla LXX alle parole: apritura di carcere ai prigioni, e siccome era cosa molto comune nell'Oriente il togliere la vista a quelli che stavano per essere cacciati in prigione, si è congetturato che la LXX riguardasse «il riacquisto della vista ai ciechi», come complemento del «bandir liberazione ai prigioni». In Isaia 42#290420000000-290420000000 (che è strettamente parallelo a questo passo), le due idee sono unite: «Per aprire gli occhi de' ciechi, per trarre di carcere i prigioni, e quelli che giacciono nelle tenebre della casa della prigione». In un senso spirituale la liberazione dalla schiavitù di Satana e l'apertura degli occhi della mente significano entrambe la stessa cosa, vale a dire la condizione del peccatore salvato per Cristo.

per mandarne in libertà i fiaccati,

Questa clausola non si trova né nel testo ebraico, né nei 70, e fu probabilmente aggiunta da Luca sotto la guida dell'ispirazione, togliendola da Isaia 58:6#290580060000-290580060000, dove vengono usate le stesse parole che trovansi qui nel testo greco a fin di esprimere l'intero significato delle benedizioni indicate nel Capo 61.

e per predicare l'anno accettevole del Signore.

Gesù sembra aver terminata la sua lettura a questo punto, di proposito deliberato e con speciale convenienza, poiché le parole che seguono immediatamente dopo nella profezia sono: «ed il giorno della vendetta del nostro Dio», parole che non sarebbero state adattate alla prima sua visita in Nazaret, e sarebber parse in contraddizione coll'amorevolezza colla quale si sforzava di attirare a sé i cuori di quegli abitanti. «L'anno accettevole» è un'allusione all'anno del Giubbileo, che il Signore aveva ordinato di celebrare ogni 50esimo anno, in tutto il paese d'Israele Levitico 25:917#030250090000-030250170000. In quell'anno i debiti venivano rimessi i prigioni posti in libertà, gli schiavi affrancati, e le terre che erano state vendute venivano restituite ai loro possessori originali. Era un periodo

ansiosamente desiderato, ed accolto con gioia da tutto il popolo ad ogni suo ritorno, e specialmente dai poveri e da quelli che erano in distretta. Era un tipo del periodo, assai più glorioso ancora, della liberazione spirituale, tanto ansiosamente desiderato da tutti quelli che «aspettavano la redenzione d'Israele», e veramente «accettevole», perché in quello il Signore riceverebbe in grazia chiunque si volgerebbe a lui per essere salvato. Quando Cristo apparve, predicando il regno di Dio, egli suonò, per dir così, la tromba del giubileo del vangelo; proclamò liberazione ai captivi di Satana; propose «le eccellenti ricchezze della sua grazia» ai poveri in ispirito, ed invitò gli erranti e gli smarriti a tornare a Dio, per prendere possesso della porzione dei figliuoli di quaggiù, come caparra della «eredità incorruttibile, ed immacolata, e che non può scadere» 1Pietro 1:4#670010040000-670010040000.

PASSI PARALLELI

Luca 19:42; Levitico 25:8-13,50-54; Numeri 36:4; Isaia 61:2; 63:4; 2Corinzi 6:1#490190420000-490190420000#030250080000030250130000#030250500000-030250540000#040360040000040360040000#290610020000-290610020000#290630040000290630040000#540060010000-540060010000

49004020Lc 4:20

20. Poi, ripiegato il libro e rendutolo al ministro, si pose a sedere;

In ogni sinagoga un po' numerosa, v'erano tre ufficiali:

1. Il capo della Sinagoga, rash akeneset, archisunagogos il quale dirigeva tutti gli affari appartenenti alla sinagoga.

2. Sheliach Atzibor, legatus ecelesiae, «l'Angelo della Chiesa», il quale, nelle adunanze della sinagoga, agiva come presidente o pastore

leggendo le preghiere e conducendo il servizio della congregazione

3. Il Chasan, huperétes, il Ministro, corrispondente ad un diacono, nelle chiese evangeliche, il cui dovere ora d'invigilare sui libri sacri, di aprire le porte e di preparare ogni cosa per il culto.

Secondo alcuni scrittori vi erano quattro ufficiali, il Rash akeneset, ossia presidente; il Sheliach-Atzibor, ossia il predicatore; il Chasan o il lettore; e l'huperétes il ministro. Fra i Giudei, il Dottore od Insegnante stava a sedere; il fatto che Gesù assume quella posizione è prova che voleva rivolgere la parola alla congregazione Matteo 5:1; Marco 4:1; Luca 5:3#470050010000470050010000#480040010000-480040010000#490050030000490050030000.

e gli occhi di tutti coloro ch'erano nella Sinagoga erano affissati in lui.

Aspettando senza dubbio con maraviglia quello che egli stava per dire o fare, dopo quanto aveano udito delle sue opere in Capernaum.

PASSI PARALLELI

Luca 4:17; Matteo 20:26-28#490040170000490040170000#470200260000-470200280000

Luca 5:3; Matteo 5:1-2; 13:1-2; Giovanni 8:2; Atti 13:14-16; 16:13#490050030000-490050030000#470050010000470050020000#470130010000-470130020000#500080020000500080020000#510130140000-510130160000#510160130000510160130000

Luca 19:48; Atti 3:12#490190480000-490190480000#510030120000510030120000

49004021Lc 4:21

21. Ed egli prese a dir loro: Questa scrittura e oggi adempiuta ne' vostri orecchi.

L'evangelista non ci riferisce i particolari del discorso di nostro Signore, ma ricorda semplicemente le parole colle quali Gesù cominciò o chiuse il suo dire, come quelle che ne contenevano un sommario completo, intendendo con ciò indicare che tutto il discorso non era che una dettagliata applicazione a sé medesimo, della profezia che egli aveva pure allora letta. Le parole sue possono intendersi in questo senso: «La predicazione che ora udite è in se stessa la realizzazione di questa profezia».

PASSI PARALLELI

Luca 10:23-24; Matteo 13:14; Giovanni 4:25-26; 5:39; Atti 2:16-18,29-33; 3:18#490100230000-490100240000#470130140000470130140000#500040250000-500040260000#500050390000500050390000#510020160000-510020180000#510020290000510020330000#510030180000-510030180000

49004022Lc 4:22

22. E tutti gli rendevano testimonianza e, si maravigliavano delle parole di grazia che procedevano dalla sua bocca;

La «testimonianza» qui significa che essi consentivano nei rapporti favorevoli che erano giunti sino a loro, così per la sostanza che per il modo della sua predicazione, la potenza persuasiva di questa, la freschezza e la forza di quella, in paragone dei discorsi poco attraenti e punto profittevoli dei loro proprii Dottori Matteo 7:29; Giovanni 7:46#470070290000470070290000#500070460000-500070460000. Provavano per propria esperienza che non c'era stata esagerazione alcuna negli effetti straordinari che la sua predicazione produceva altrove. Vi era nella sostanza e nella forma della predicazione di Cristo una influenza indescrivibile, un'attrazione potente, che li costringeva ad ascoltarlo, per un tempo, fossero favorevoli od ostili i loro sentimenti; ma quella «testimonianza» non

implicava punto un'impressione profonda e salutare prodotta sui loro cuori. Al contrario, si maravigliavano indica il punto al quale l'interesse e l'entusiasmo suscitato in loro, sì dalla forma che dalla sostanza delle parole del Salvatore, presero una falsa direzione; invece di prender possesso dei loro cuori e di costringerli a credere in lui, si svaporarono in una fredda operazione dell'intelletto, cioè in istupore, in curiosità, dove mai l'umile loro concittadino avesse potuto acquistare tanta sapienza e tanta eloquenza. È questo uno dei modi nei quali il «seme della parola» è spesso «affogato nelle spine». Un notevole esempio dello stesso genere lo abbiamo nel caso della donna di Samaria. Quando il Signore ebbe convinto la sua coscienza di peccato, stringendo così d'assedio il suo cuore, essa cercò di sfuggirgli, sollevando la quistione: quale delle due religioni fosse la vera, la Samaritana o l'Israelitica. Ma il Signore, nella sua misericordia, la ricondusse sul vero terreno, e la sua parola le penetrò, nel cuore.

e dicevano: Non è costui li figliuol di Giuseppe?

Gesù era vissuto nel mezzo di loro fin dalla sua infanzia, come figlio di Giuseppe ed avea lavorato egli stesso da falegname Marco 6:3#480060030000-480060030000; non aveva ricevuto l'educazione rabbinica; non avea frequentato le scuole degli Scribi, epperciò essi si perdevano in congetture come questo giovane, che non aveva mai attirato nessuna attenzione speciale, avesse potuto acquistare tanta conoscenza e ardisse di predicare delle cose tanto straordinarie.

PASSI PARALLELI

Luca 2:47; 21:15; Salmi 45:2,4; Proverbi 10:32; 16:21; 25:11; Ecclesiaste 12:10-11; Cantici 5:16#490020470000-490020470000#490210150000490210150000#230450020000-230450020000#230450040000230450040000#240100320000-240100320000#240160210000240160210000#240250110000-240250110000#250120100000250120110000#260050160000-260050160000

Isaia 50:4; Matteo 13:54; Marco 6:2; Giovanni 7:46; Atti 6:10; Tito 2:8#290500040000-290500040000#470130540000470130540000#480060020000-480060020000#500070460000500070460000#510060100000-510060100000#630020080000630020080000

Matteo 13:55-56; Marco 6:3; Giovanni 6:42#470130550000470130560000#480060030000-480060030000#500060420000500060420000

49004023Lc 4:23

23. Egli disse loro:

È evidente dalla fine di questo versetto, che v'era già stato, prima della sua visita, un sentimento di invidia verso quelle altre città dove Cristo avea cominciato il suo ministero, e di amarezza e di indegnazione verso di lui medesimo, per non aver scelto la propria città come scena dei suoi primi miracoli, i quali avrebbero senza dubbio recato fama e profitto alla povera e disprezzata Nazaret. Gesù s'accorge che, mentre egli predicava, tali sentimenti si erano risvegliati e si mescolavano alla loro curiosità, e naturalmente lascia loro travedere che avea penetrato il segreto del loro cuore.

Del tutto voi mi direte questo proverbio:

Il vocabolo greco qui usato è parabola, il quale denota ogni specie di discorso figurativo; così un racconto completo, come una breve frase racchiudente una immagine, come i proverbi.

Medico, cura te stesso

il significato del quale nella bocca dei Nazariti doveva essere presso a poco quello del proverbio moderno: «Il primo prossimo è se stesso». È questa una prova molto convincente che Gesù era «giudice de' pensieri e delle intenzioni del cuore» Ebrei 4:12#650040120000-650040120000, poiché

conosceva i mormorii dei Nazariti, anche prima che venissero loro in sulle labbra.

fa eziandio qui, nella tua patria, tutto le cose che abbiamo udite essere stato fatte in Capernaum.

"La fama delle grandi cose che tu hai operate altrove è giunta ai nostri orecchi. Perché hai tu scelto Capernaum, con cui non hai legami, ed hai fatto alla tua patria ed ai tuoi concittadini l'affronto di trascurarli completamente?" Forse le seguenti parole esprimeranno pure il pensiero che si nascondeva nella mente dei compaesani di Gesù: «Se tu vuoi che riconosciamo i titoli che ora metti innanzi, fa' dinanzi a noi alcuni de' miracoli che hai fatti già in Capernaum». Il Signore non fece mai miracoli per ostentazione, o per soddisfare una vana curiosità, perché tali miracoli non potevano in verun modo appartenere alle «opere che il Padre mi ha date ad adempiere, le quali testimoniano di me, che il Padre mi ha mandato» Giovanni 5:36#500050360000-500050360000.

PASSI PARALLELI

Luca 6:42; Romani 2:21-22#490060420000490060420000#520020210000-520020220000

Matteo 4:13,23; 11:23-24#470040130000-470040130000#470040230000470040230000#470110230000-470110240000

Giovanni 4:48#500040480000-500040480000

Giovanni 2:3-4; 4:28; 7:3-4; Romani 11:34-35; 2Corinzi 5:16#500020030000-500020040000#500040280000500040280000#500070030000-500070040000#520110340000520110350000#540050160000-540050160000

Matteo 13:54; Marco 6:1#470130540000-470130540000#480060010000480060010000

49004024Lc 4:24

24. Ma egli disse: Io vi dico in verità, che niun profeta è accetto nella sua patria.

Matteo 13:57; Marco 6:4; Giovanni 4:44#470130570000470130570000#480060040000-480060040000#500040440000500040440000. È dubbioso che questo detto, il quale è ora divenuto proverbiale, a motivo della diffusione delle Scritture, corresse già fra il popolo, prima che Gesù ne facesse uso. Inchiniamo decisamente a credere di no, poiché esso viene qui introdotto con quella forma di affermazione, di cui nostro Signore faceva uso per le sue più solenni parole: In verità io vi dico; come pure perché gli altri evangelisti, benché riferiscano l'idea, differiscono però nel modo di esprimerla, il che sarebbe stato impossibile trattandosi di qualche proverbio famigliare e ben conosciuto Vedi Matteo 13:57; Marco 6:4; Giovanni 4:44#470130570000470130570000#480060040000-480060040000#500040440000500040440000. Queste parole contengono la risposta di Gesù alla lagnanza mormoratrice: «Perché ci hai tu trascurati ed hai onorati gli altri?» Esse si riferiscono al ben noto fatto che gli uomini sono proclivi a rendere maggiore onore ai forestieri, che a quelli coi quali essi vivono in giornaliera intimità, perché giudicano i primi solo dai loro atti pubblici, senza che motivo interessato alcuno intervenga a falsare il loro giudizio, laddove considerazioni egoistiche, interessi locali, e pregiudizii nati da una lunga familiarità, si mescolano alla stima che fanno dei secondi. Il significato della sua risposta, applicato ai suoi concittadini, è semplicemente questo: «Non venni da voi, perché ben sapevo che non credereste in me, che la mia lunga dimora fra voi vi indurrebbe a negare i miei diritti come Messia, come lo prova la vostra accoglienza di quest'oggi, epperciò me ne sono andato da quelli che erano in certo modo stranieri a me, e i quali avrebbero creduto».

PASSI PARALLELI

Matteo 13:57; Marco 6:4-5; Giovanni 4:41,44; Atti 22:3,1822#470130570000-470130570000#480060040000-

480060050000#500040410000-500040410000#500040440000500040440000#510220030000-510220030000#510220180000510220220000

49004025Lc 4:25

25. Io vi dico in verità, che ai dì di Elia, quando il cielo fu serrato tre anni, e sei mesi, talché vi fu gran fame in tutto il paese, vi erano molte vedove in Israele;

Il nostro Signore avrebbe potuto basare il suo modo di procedere sulla sovranità della sua grazia, e il beneplacito di suo Padre, senza aggiungere una parola di più; ma era ansioso che i Nazariti sapessero che la sua condotta verso di loro, ben lungi dall'essere arbitraria, era perfettamente consentanea con quella degli antichi profeti, due dei quali, dietro l'ordine di Dio, aveano abbandonato i loro connazionali increduli, per operare dei miracoli a favore di pagani credenti. Il primo fu Elia, e il fatto qui ricordato è quello della gran fame che Dio mandò, a sua richiesta, sul paese d'Israele, in punizione della sua idolatria. Il Signore dichiara qui che quella fame durò «tre anni e sei mesi»; lo stesso dice pure Giacomo 5:17#660050170000660050170000, mentreché nell'Antico Testamento troviamo che Elia dichiarò ad Achab che quella fame durerebbe solo tre anni 1Re 17:l; 18:1#110170010000-110170010000#110180010000-110180010000. Siccome in Palestina la pioggia cade periodicamente in Novembre e Aprile e fra queste due epoche ne cade appena qualche, gocciola. Gesù include probabilmente i bei mesi precedenti l'epoca in cui la fame cominciò colla mancanza delle pioggie primaverili, mentre Elia non parlava che del tempo che dovea realmente trascorrere fra quel suo discorso con Achab e la prima pioggia».

PASSI PARALLELI

Luca 10:21; Isaia 55:8; Matteo 20:15; Marco 7:26-29; Romani 9:15,20; Efesini 1:9,11#490100210000-490100210000#290550080000-

290550080000#470200150000-470200150000#480070260000480070290000#520090150000-520090150000#520090200000520090200000#560010090000-560010090000#560010110000560010110000

1Re 17:1; 18:1-2#110170010000-110170010000#110180010000110180020000

Giacomo 5:17#660050170000-660050170000

49004026Lc 4:26

26. E pure a niuna d'esse fu mandato Elia;

Attraverso tutto il reame d'Israele devono esservi state grandi sofferenze a misura che gli anni di siccità passavano l'uno dopo l'altro, e più di una vedova in quel paese deve essere stata ridotta alla disperazione, vedendosi mancare il necessario alla vita; ma esse erano divenute idolatre, e non avrebbero ricevuto Elia come profeta, se ad esse egli si fosse presentato nel nome del Signore, epperciò egli fu mandato ad una che avea fede in non piccola misura, sia che cosa fosse una pagana per nascita, sia che solo dimorasse in mezzo a pagani.

anzi ad una donna vedova in Sarepta di Sidon.

Per il Dio di Elia, essa non era una straniera, e benché ridotta all'ultima estremità, con la morte in prospettiva, accettò con fede indubitata la dichiarazione del profeta: «Il Signore Iddio d'Israele ha detto così: Il vaso della farina, né l'orciuol dell'olio non mancherà, fino al giorno che il Signore manderà della pioggia sopra la terra» 1Re 17:14#110170140000110170140000, e con allegrezza lo cibò colle scarse sue provviste, prima di pensare a sé stessa ed al figliuolo. Sarepta, l'antica Zarefet, era posta quasi a metà strada fra Tiro e Sidon, sulla stretta pianura che corre fra il mare e la catena del Libano, la quale non raggiunge in quel punto una grande altezza. Il suo rappresentante moderno è un piccolo villaggio, posto sulla collina al disopra del piano, e chiamato Surafend, in cui non è difficile riconoscere il

nome scritturale. L'antica città dov'essere stata grande, popolosa e ricca. Le rovine principali si estendono per quasi un miglio lungo la pianura; ma un altro gruppo se ne trova sulla riva di un promontorio vicino, dove probabilmente trovavansi la cittadella ed il porto di Zarefet. Quantunque quelle rovine abbiano servito, per generazioni, di cave di pietra per le costruzioni di Tiro e di Sidon, le colonne troncate, le lastre di marmo, i sarcofagi, e gli ammassi di macerie sparsi ancora dappertutto, attestano l'antica sua importanza.

PASSI PARALLELI

1Re 17:9-24#110170090000-110170240000

Abdia 20#380010200000-380010200000

49004027Lc 4:27

27. Ed al tempo del profeta Eliseo vi erano molti lebbrosi in Israele; e pur niun di loro fu mondato; ma Naaman Siro.

È questo il secondo esempio portato da Gesù, affin di mostrare che il suo portamento inverso i Nazariti ora conforme alla condotta degli antichi profeti. Egli dichiara che molti in Israele erano afflitti da quella ributtante ed incurabile malattia della lebbra, mentre viveva Eliseo, ma niuno di essi ebbe fede nell'Iddio d'Israele e ricercò l'aiuto miracoloso del suo servitore. Il re Joram aveva persino completamente dimenticato l'esistenza di un tal uomo, e si figurò che il re di Siria cercasse un pretesto per muovergli guerra, allorquando ricevette da lui una lettera in cui chiedeva che Naaman fosse guarito dalla sua lebbra 2Re 5:5-7#120050050000-120050070000. In sulle prime, l'incredulità di Naaman era forte quanto quella di qualsiasi Israelita, ma essa nasceva da ignoranza, laddove la loro procedeva da una ostinata reiezione della luce e della verità, ed allorquando, dietro alle domando dei suoi servitori, la sua incredulità fu vinta e la sua malattia guarita, egli divenne un adoratore sincero del vero Dio 2Re 5:11-19#120050110000120050190000.

PASSI PARALLELI

1Re 19:19-21#110190190000-110190210000

Matteo 12:4; Giovanni 17:12#470120040000470120040000#500170120000-500170120000

2Re 5:1-27; Giobbe 21:22; 33:13; 36:23; Daniele 4:35#120050010000120050270000#220210220000-220210220000#220330130000220330130000#220360230000-220360230000#340040350000340040350000

49004028Lc 4:28

28. E tutti furono ripieni d'ira nella sinagoga, udendo queste cose,

Due ragioni possono darsi per il violento linguaggio di quelli che erano presenti nella sinagoga: la dichiarazione della sovranità di Dio nel salvare i peccatori (il che implicava che essi non ne erano degni), ed i favori dimostrati ai Gentili in preferenza agli Israeliti, che il nostro Signore avea loro ricordati, coll'evidente intenzione di ammonirli che se il popolo eletto da Dio non ci faceva attenzione, la stessa cosa potrebbe nuovamente accadere.

PASSI PARALLELI

Luca 6:11; 11:53-54; 2Cronache 16:10; 24:20-21; Geremia 37:15-16; 38:6; Atti 5:33#490060110000-490060110000#490110530000490110540000#140160100000-140160100000#140240200000140240210000#300370150000-300370160000#300380060000300380060000#510050330000-510050330000

Atti 7:54; 22:21-23; 1Tessalonicesi 2:15-16#510070540000510070540000#510220210000-510220230000#590020150000590020160000

49004029Lc 4:29

29. E levatene, lo cacciarono della città, e lo menarono fino al margine della sommità del monte, sopra il quale la lor città era edificata per traboccarlo giù.

I suoi uditori non permisero a Gesù di aggiungere una sola parola, ma interruppero il culto divino con un tumulto generale. Prima di tutto lo fecero uscire dalla città, quindi lo spinsero fino all'orlo del monte sul quale essa era costruita, risoluti a vendicarsi dell'affronto che egli avea fatto alla loro città, gittandolo nel precipizio. Era questo un presagio del modo in cui egli doveva essere trattato un giorno dall'intera nazione ebraica, ed un principio dell'adempimento della dichiarazione del Battista a suo riguardo: «Egli è venuto in casa sua, e i suoi non l'han ricevuto» Giovanni 1:11#500010110000-500010110000. V'ha pure una notevole rassomiglianza fra il modo in cui Gesù fu trattato a Nazaret, e quello in cui Stefano doveva poi esser trattato dal Sinedrio in Gerusalemme Atti 7:5759#510070570000-510070590000, e dalle cui mani Paolo poté a malapena sfuggire molti anni dopo Atti 22:22-23#510220220000-510220230000. Nazaret non può mai essere stata un luogo di grande importanza, poiché non è mai ricordata né dell'Antico Testamento, né dallo storico giudeo Flavio. Al tempo delle crociate, quella città acquistò un'importanza momentanea, ma presto ricadde nella sua nullità di prima. La sua popolazione attuale è di circa 3000, e non avendo che poca acqua non può mai aver contenuto un numero molto maggiore di persone. È situata in uno stretto e fertile wadi, o valle, ben coperto di ulivi e rinchiuso da ogni lato da colline ramificantisi dalle montagne circostanti. La città moderna trovasi in un posto assai basso, sul declivio di una collina di circa 500 piedi di altezza, la quale forma il lato O. del wadi. I fianchi di questa collina sono in certi punti precipitosi, ma fra la città ed il fondo del wadi, non vi sono roccie o precipizii, epperciò, chi scrive, dopo avere esaminato accuratamente la località, comparandola colle

parole di questo versetto, le quali mostrano che Cristo fu scacciato dalla città, prima di venire spinto sull'orlo del monte sul quale questa era edificata, è giunto alla conclusione che tanto la città come la sinagoga erano, al tempo di Cristo, situate molto più in su sul monte, se non affatto in vetta a quello. Cisterne sotterranee, segno infallibile che in quel vicinato trovavansi anticamente delle abitazioni umane vi si rinvengono tuttodì. Il Dott. Hanna, che ha visitato Nazaret dopo di noi, conferma appieno la nostra opinione. Se la situazione dell'antico Nazaret fosse identica a quella di quella città oggidì, il popolo avrebbe dovuto far salire Gesù sul ciglione del precipizio, per poi buttarvelo giù, il che è affatto incredibile uno di quei precipizi dell'altezza di 40 piedi all'incirca, ai piedi del quale trovasi ora la chiesa Maronita, è additato come la scena probabile di questo tentativo, e risponde alla descrizione data in questo passo; mentre «il Monte della Precipitazione» dei frati Latini, 2 miglia al S. della città, estremo termine della catena di monti che s'inalza all'altezza di 1000 piedi dalla pianura di Esdraelon, non vi corrisponde punto.

PASSI PARALLELI

Giovanni 8:37,40,59; 15:24-25; Atti 7:57-58; 16:23-24; 21:2832#500080370000-500080370000#500080400000500080400000#500080590000-500080590000#500150240000500150250000#510070570000-510070580000#510160230000510160240000#510210280000-510210320000

2Cronache 25:12; Salmi 37:14,32-33#140250120000140250120000#230370140000-230370140000#230370320000230370330000

49004030Lc 4:30

30. Ma egli passò per mezzo di loro, e se ne andò.

Questo è stato da molti scrittori considerato come un miracolo, ma non occorre ricorrere a tale ipotesi, se il fatto si può spiegare diversamente.

Attribuiamo la salvezza di Gesù alla sua gran dignità personale, dimostrata nella sua calma perfetta, nella sua fermezza, nel suo sguardo dominatore che colpirono di stupore i suoi nemici e tolsero loro l'ardire di mettergli le mani addosso; ed abbiamo una forte conferma di questa idea nel timore che colpì i soldati mandati ad arrestarlo nel giardino di Getsemane e li fece «andare a ritroso e cadere in terra» non appena egli ebbe pronunziato l'ineffabile suo nome: «IO SONO» Giovanni 18:5#500180050000-500180050000.

PASSI PARALLELI

Giovanni 8:59; 10:39; 18:6-7; Atti 12:18#500080590000500080590000#500100390000-500100390000#500180060000500180070000#510120180000-510120180000

RIFLESSIONI

1. I profanatori della Domenica e quelli che trascurano le occasioni che vengono loro offerte per render culto a Dio nel Suo santo giorno ponderino l'esempio dato loro dal Signor Gesù in Nazaret. Ci vien detto che egli «era usato» andare alla sinagoga e prendervi parte al culto. Il settimo giorno e la casa di adorazione erano stati associati nel suo cuore e nella sua vita, sin dal momento in cui era stato capace di riflessione, ed ora che avea principiato il suo pubblico ministero come Mediatore, mette la sua sanzione su quella unione di riposo e di culto nel giorno del Signore, «per ammonizion di noi, nei quali si sono scontrati gli ultimi termini de' secoli». Paolo pure, con queste parole: «Non abbandonando la comune nostra raunanza, come alcuni son usi di fare» Ebrei 10:25#650100250000-650100250000, stabilisce il dovere di frequentare il culto pubblico di Dio, come obbligatorio per tutti i Cristiani. Dio ha promesso la sua presenza e la sua benedizione speciale a quelli che lo cercano, nelle assemblee dei suoi santi Esodo 20:24; Salmi 132:13-17#020200240000-020200240000#231320130000-231320170000, ed ha istituito la predicazione e la spiegazione della sua parola, fatta da uomini convenientemente preparati e messi a parte per quell'opera, come uno dei mezzi principali per l'istruzione degli ignoranti e la conversione

dell'anime degli uomini a Cristo 1Corinzi 1:21-24; 2Corinzi 5:1820#530010210000-530010240000#540050180000-540050200000. Tutti quelli adunque che potrebbero frequentare il culto pubblico nella Domenica, e trascurano di farlo per qualsiasi ragione, fuorché per impedimenti voluti dalla provvidenza, son colpevoli di peccato contro le proprie anime. È questo un atto di suicidio contro la salute ed il benessere dell'anime loro, non meno che lo sarebbe il rifiutar di prender cibo per quel che riguarda il corpo. Oltre alla perdita ed all'impoverimento delle loro proprie anime, c'è di più il cattivo effetto che il loro esempio produce sugli altri, incoraggiandoli e indurandoli nella loro trascuranza del culto pubblico, e chi può dire quanti dovranno alzarsi al giorno del giudizio ed attribuire la loro eterna rovina all'influenza di un tale esempio? Lettore, è questo un soggetto sul quale le parole di S. Paolo a Timoteo ben possono venirti applicate: «Considera le cose che io dico, ed il Signore ti dia intendimento in ogni cosa» 2Timoteo 2:7#620020070000-620020070000.

2. «Gesù Cristo è l'istesso ieri e oggi e in eterno» Ebrei 13:8#650130080000-650130080000, epperciò conserva lo stesso carattere e prosegue la stessa opera di grazia che già ci son descritte nelle profezie che parlano di lui, e che egli attribuì a se stesso nel suo discorso di Nazaret. Qual conforto e qual gioia questo fatto deve recare, in tutti i secoli, a quelli che avendo sperimentato la vanità di salvatori terreni, si son rivolti finalmente a lui! Per mezzo dei suoi ministri e della sua parola, «l'evangelo è predicato ai poveri» sieno essi tali letteralmente o spiritualmente. Diamo dunque ascolto al suo invito: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, ed io vi alleggerò». «Inchinate il vostro orecchio e venite a me; ascoltate, e l'anima vostra viverà, ed io farò con voi un patto eterno, secondo le benignità stabili, promesse a Davide» Matteo 11:28; Isaia 55:3#470110280000-470110280000#290550030000-290550030000. Col suo Spirito egli continua a «guarire i contriti di cuore»; andato adunque a lui; raccontategli tutte le vostre prove e le vostre difficoltà, perché vi invita ad «accostarvi con confidenza al trono della grazia, acciocché otteniate misericordia e troviate grazia, per soccorso opportuno» Ebrei 4:16#650040160000-650040160000. Egli predica tuttora «liberazione ai prigioni e acquisto della vista ai ciechi, libertà ai fiaccati», perché egli ha «predato l'uomo possente (cioè Satana), delle sue masserizie», ad ora grida

a tutti i suoi captivi: «Ritornate alla fortezza, o prigioni di speranza: ancor oggi ti annunzio che io ti renderò de' beni, al doppio» Zaccaria 9:12#450090120000-450090120000. Finalmente Cristo proclama tuttora «l'anno accettevole del Signore»: imperocché Iddio è pronto a far grazia a tutti quelli che vanno a lui. Cristo sta picchiando alla, porta del cuore degli uomini e dicendo: «Io ti consiglio di comprar da me dell'oro affinato col fuoco, acciocché tu arricchisca; e de' vestimenti bianchi, acciocché tu sii vestito, e non apparisca, la vergogna della tua nudità; e d'ugnere con un collirio gli occhi tuoi, acciocché tu vegga» Apocalisse 3:18#730030180000730030180000, e nella prospettiva dell'arrivo del giorno della vendetta del nostro Dio, «lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. Chi ode dica parimente: Vieni. E chi ha sete venga, e chi vuole prenda in dono dell'acqua della vita» Apocalisse 22:17#730220170000-730220170000.

3. Una delle ragioni per l'ira violenta degli nomini di Nazaret fu senza dubbio la dottrina della sovranità di Dio nel salvare i peccatori. Gli uomini sono sempre rimasti offesi dalle dottrine di una grazia che sceglie, di una salvazione particolare, di una elezione incondizionata. Non è mai piaciuto loro l'udir parlare della sovranità di Dio, e della dottrina della predestinazione, quantunque, nella sua adorabile sapienza, quella, dottrina, non impedisca punto che a tutti sia; rivolto l'invito di accettare la sua libera grazia in Gesù Cristo. La dottrina della predestinazione non è contraria alla ragione, quantunque sia troppo misteriosa perché la nostra intelligenza limitata la possa comprendere, fuorché in quanto è piaciuto a Dio rivelarcela. Tale dottrina è insegnata nel modo più chiaro nella Parola di Dio, e devono crederla tutti quelli che ammettono l'autorità della Sacra Scrittura; essa d'altra parte fortifica la fede dei veri credenti, ed è per loro sorgente di gratitudine e di gioia infinita. La perseveranza dei santi nella grazia è una benedizione che va inseparabilmente unita colla elezione di Dio.

4. «Gli assalitori del Signore non furono colpiti di cecità; l'Evangelista par negarlo, quando dice che egli passò per mezzo di loro. Ma egli abbassò su di loro uno sguardo della sua maestà, la quale fino a quel punto egli aveva trattenuta, ed essi non lo possono più toccare; il timore li costringe a ritirarsi a destra ed a sinistra con profondo rispetto, e così, al momento della sua

partenza, ricevono una prova della sua potenza spirituale. Si fermano, lo guardano, restano scossi e si vergognano; poi fuggono e si disperdono. Così pure quando nel giardino ei disse: "Io sono", i soldati andarono a ritroso e caddero in terra» (Jacobus).

49004031Lc 4:31

Luca 4:31-32. PRINCIPIO DEL MINISTERO DI CRISTO IN GALILEA Matteo 4:13-17; Marco 1:16-22#470040130000470040170000#480010160000-480010220000

Per l'esposizione Vedi Matteo 4:13Matteo 4:13-17.

49004033Lc 4:33

Luca 4:33-41. GUARIGIONI MIRACOLOSE OPERATE IN CAPERNAUM SOPRA UN INDEMONIATO, LA SUOCERA DI PIETRO, E MOLTI ALTRI Matteo 8:14-17; Marco 1:2334#470080140000-470080170000#480010230000-480010340000

Per l'esposizione Vedi Marco 1:23Marco 1:23-34.

49004042Lc 4:42

Luca 4:42-44. GESÙ SI RITIRA A PREGARE NEL DESERTO PRIMA D'INTRAPRENDERE LA SUA PRIMA GITA IN GALILEA Matteo 4:23-25; Marco 1:35-39#470040230000470040250000#480010350000-480010390000

Per l'esposizione Vedi Marco 1:35Marco 1:35-39.

49005001Lc 5:1

CAPO 5 - ANALISI

1. Cristo predica dalla navicella. Essendo tornato in Capernaum, egli dovè ricorrere a questo espediente, perché era affollato da tanto popolo che la sua voce non avrebbe potuto essere udita se non dai più vicini. Libero allora nei suoi movimenti, e seduto alquanto più in su dei suoi uditori, poteva esser veduto da tutti, e la sua voce giungeva anche ai più lontani, mentre predicava loro la parola di Dio. La barca che scelse apparteneva a Simon Pietro e a suo fratello Andrea, e accanto ad essa v'era quella dei figli di Zebedeo Luca 5:1-3.

2. La pesca miracolosa. Finite le sue istruzioni alla moltitudine, Gesù ordinò a Pietro di spingere la barca in acque più profonde, e di calarvi le reti, volendo così dare a lui ed ai suoi compagni una lezione simbolica riguardo alla futura loro opera. Benché si fossero affaticati invano colle reti tutta la notte precedente, essi ubbidirono al suo comando, e subito la presa fu così grande che le reti minacciavano di rompersi, ed essi dovetter far segno ai loro associati, Giacomo e Giovanni, di venirli ad aiutare. Era questo un risultato sì evidente della potenza sovrumana di Cristo, che il lor cuore ne fu ripieno di stupore profondo, e Pietro sentì sì vivamente la sua indegnità, che più non ardiva rimanere, in presenza sua. Il Signore voleva che da questo loro mestiere essi imparassero simbolicamente la natura della futura loro vocazione, ed a tale scopo scolpì questa lezione nei loro cuori per mezzo di un miracolo. Sino allora, aveano speso la loro forza e la loro destrezza nel prendere i pesci del lago; adesso li aspettava a ben più nobile uffizio, dovean divenire «pescatori d'uomini». Da quel giorno essi abbandonarono le barche, le reti, il mestiere terreno, per divenire costanti seguaci di Cristo Luca 5:4-11.

3. La guarigione di un lebbroso. Tutti i Sinottici ricordano questo miracolo, come avvenuto in una delle città di Galilea, senza specificarne il nome; ma, secondo Matteo, fu una di quelle che Gesù attraversò tornando a Gerusalemme, dopo avere pronunziato il «sermone sul monte». L'argomento del lebbroso era uno di quelli cui Gesù non poteva resistere, essendo la fede

sua basata, senza il più piccolo dubbio, sul potere di Cristo di guarire; egli dubitava solo che fosse disposto a farlo. Non gli restava che di provare; ed egli trovò che Gesù non era meno volenteroso che capace di guarirlo, poiché si trovò curato in un attimo. Il Signor gli comandò di non parlare ad alcuno della sua guarigione, prima di avere ottenuto dal Sacerdote l'attestazione legale del fatto che egli era stato lebbroso, ed era guarito; ma quell'uomo, incapace di nascondere, per tanto tempo, nel proprio cuore, un così gran segreto, lo pubblica ovunque, e accresce talmente la riputazione di Cristo, in mezzo alla moltitudine, da costringerlo a ritirarsi, per godere un. po' di solitudine nei deserti Luca 5:12,16.

4. Guarigione del paralitico fatto scendere dal tetto. Il luogo ove fu compiuto questo miracolo non è mentovato dal nostro evangelista; ma Marco mentova la città di Capernaum, e Matteo lo conferma chiamandola «la sua città». La stanza nella quale Gesù sedeva, ed il cortile nel quale essa ai apriva erano talmente affollati, che gli amici del paralitico non avevano alcun altro mezzo di farlo arrivare in presenza di Gesù, se non di salire per la scala esterna che ascendeva sul tetto, portandovi seco la lettiga col vivente suo contenuto. Giunti lì, essi rimuovono un certo numero di tegoli, e fatta un'apertura sufficiente, lo calano per quella, nella camera sottostante ove Gesù stava insegnando. A quest'atto, che implicava fede per parte del paralitico e dei portatori, Gesù immediatamente risponde con una doppia guarigione, temporale cioè e spirituale, poiché entrambe sono implicate nelle parole: «I tuoi peccati ti sono rimessi». Accusato di bestemmia da alcuni suoi nemici ivi presenti, perché così parlando assumeva su di sé un potere che appartiene a Dio solo, Cristo rivendica immediatamente la sua prerogativa divina di perdonare i peccati, e l'esercita sotto i loro occhi, in una forma diversa ma innegabile, vale a dire rendendo in un istante perfetta salute al povero paralitico. Da questo fatto ogni mente spregiudicata non poteva trarre che una conclusione: "Se quest'uomo ha da Dio il potere di compiere tali miracoli, egli deve aver quello altresì di perdonare i peccati", ed a tal conclusione infatti pare che fossero giunti i più fra gli spettatori, poiché glorificarono Iddio Luca 5:17-26; Vedi Analisi Matteo 9:1Matteo 9:1; Marco 2:1Marco 2:1.

5. Levi è chiamato all'apostolato. Questo accadde al banco della gabella in Capernaum. dove egli era impiegato come pubblicano o collettore delle tasse. Quest'uomo portava pure il nome di Matteo, sotto il quale egli è meglio conosciuto come apostolo ed evangelista. È molto probabile che fosse già discepolo di Cristo, come lo erano i figli di Giona e di Zebedeo, mentovati più sopra, ma seguitasse ad esercitare la sua professione fino al momento in cui Gesù gli domanderebbe di seguirlo dovunque per esser testimone delle sue potenti operazioni Luca 5:27-28.

6. Convito d'addio di Levi ai pubblicani suoi compagni. Questa fu la prima opera missionaria di Matteo, ed è prova dell'amor fraterno che la fede avea già operata nel suo cuore. I pubblicani, scomunicati dalle autorità guidaiche, a motivo della loro vocazione, erano senza dubbio ristretti alla loro propria società; perciò parve a Matteo di adempiere ad un dovere di cortesia, invitando ad una festa i suoi antichi compagni, per mostrar loro che continuava ad amarli come prima e che in sua partenza non era dovuta alla influenza dei Farisei. Ma il fatto che essi erano a motivo del loro mestiere, per quanto ci fosse legittimo, privi di ogni privilegio religioso, sembra avergli suggerito l'idea che questa sarebbe un'occasione preziosa per metterli in contatto coll'insegnamento di fino che non disprezzava i pubblicani e i peccatori; domandò dunque al suo Maestro di onorar la festa colla sua presenza; ed accettando l'invito, il compassionevole Salvatore fu mosso soprattutto dal pensiero della miseria spirituale di coloro che avrebbe incontrati in casa di Levi. Mangiare insieme è in Oriente, come fra noi, prova di stretta intimità; Gesù passò dunque tutti i limiti del decoro giudaico allorquando accettò l'ospitalità di Matteo, e si unì a tal società. Anzi nello scegliere un pubblicano per farne uno dei suoi discepoli eletti, egli si mise, in completa opposizione colle idee di decoro teocratico. Senza dubbio agì in tal guisa per gittare il guanto della sfida ai Farisei, e per mostrare quanto diversamente da loro egli giudicasse le persone, e che nessuna differenza di impiego o di condizione esterna poteva formare un impedimento, per quelli che credono realmente in lui ad entrare nel suo regno. Per spiegare la presenza di alcuni Farisei in mezzo ad uomini che essi disprezzavano ed evitavano, dobbiamo ricordarci che l'ora dei pasti sembra essere stata fra i Giudei il momento abituale per ricevere tutti i curiosi, o tutti quelli che avessero qualche affare da trattare col padrone di casa, o con qualsiasi de'

suoi convitati; tanto più che in quel clima così caldo, i pasti si prendevano ad aria aperta tutto le volte che era possibile imbandire la mensa all'ombra. Quest'uso perdura in Palestina tuttodì, ed è per i viaggiatori occidentali causa di noia insopportabile. I Farisei presenti in casa di Levi, benché pieni di indegnazione per una condotta che essi consideravano come sconveniente, non aveano però il coraggio di muoverne accusa a Gesù medesimo, ma sfogavano il loro fiele in rimproveri diretti ai suoi discepoli. Il Maestro venne però presto ed amorevolmente in soccorso di questi ultimi, rispondendo alle domande che erano loro rivolte, e spiegando come fosse perfettamente conveniente la sua presenza in quel luogo, anche giudicandola dal loro punto di vista, poiché egli era venuto «non a chiamare i giusti, anzi i peccatori a penitenza» Luca 5:29-32.

7. Gesù interrogato da alcuni discepoli del Battista. Siccome lo spirito che dettava le loro domande differiva grandemente da quello degli Scribi e dei Farisei, così corre pure una marcata differenza nel modo con cui Gesù tratta gli uni e gli altri. Nel primo caso, si fonda sulla sua missione, senza una parola di spiegazione; nell'altro, egli soddisfa delle anime sinceramente ansiose di verità con maggiori informazioni. I discepoli di Giovanni domandavano che fosse loro spiegato perché mentre il Battista ingiungeva loro pratiche austere, Gesù invece lasciasse gran libertà ai suoi discepoli. La risposta consiste di due parti. Primo: Il tempo della presenza del Maestro coi suoi discepoli, come il tempo delle nozze, quando lo sposo è insieme ai suoi amici, è un tempo di allegrezza, durante il quale il digiuno sarebbe affatto fuor di posto; avrebber tempo abbastanza di affliggersi quando egli li avrebbe lasciati Secondo: Sarebbe altrettanto impossibile il comprimere e il sopprimere l'energia espansiva della dispensazione evangelica, sotto le regole e le proibizioni della dispensazione mosaica, che per un vestito logoro il resistere alla forza di un nuovo pezzo di panno che vi venisse inserito, od a un otre invecchiato il non scoppiare per la fermentazione del vino nuovo che vi venisse riposto Luca 5:33-39.

Luca 5:1-11. LA PESCA MIRACOLOSA. LA VOCAZIONE DI SIMONE E DI ANDREA, DI GIACOMO E DI GIOVANNI Matteo

4:18-22; Marco 1:16-20#470040180000-470040220000#480010160000480010200000

La sezione contenuta in questi versetti termina col racconto del modo nel quale, a detta di Luca, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni furono da Gesù chiamati a seguirlo dappertutto, e siccome c'è diversità di opinione relativamente al tempo in cui quella vocazione ebbe luogo, sarà meglio discuter qui questo soggetto, prima di cominciare l'esposizione di questo capitolo. Ciascuno dei quattro evangelisti ha ricordato un incontro fra il Signore ed un numero più o meno grande dei suoi discepoli, circa quest'epoca del suo ministero Matteo 4:18-22; Marco 1:16-20; Luca 5:4-11; Giovanni 1:37-42#470040180000-470040220000#480010160000480010200000#490050040000-490050110000#500010370000500010420000, e si disputa se vi sieno stati quattro incontri distinti, o se i quattro racconti diversi si riferiscano a due incontri solamente. Tutti ammettono che il racconto di Giovanni stà da per sé. Egli ricorda il modo in cui tre almeno di queste due coppie di fratelli vennero a conoscere Gesù per la prima volta, ed a credere in lui come nel Messia promesso ad Israele; ma in quella occasione essi non furono punto chiamati ad abbandonare le loro occupazioni usuali, affin di divenir «pescatori d'uomini», benché probabilmente seguissero, di proprio impulso, il Signore durante il suo primo ministero in Giudea, per quindi ritornare alle consuete loro occupazioni. I Sinottici non contengono allusione alcuna a questo primo ed interessante incontro, per la conoscenza del quale andiamo debitori al solo Giovanni. L'accordo notevole che passa fra il racconto di Matteo e quello di Marco non sembra lasciar dubbio che entrambi parlino del medesimo evento, vale a dire di un secondo incontro di Gesù con questi medesimi discepoli, mentre essi racconciavano le loro reti sulla sponda del lago, vicino a Capernaum. Su questo punto pure i commentatori vanno generalmente d'accordo. Rimane la questione se il racconto di Luca si riferisce alla stessa vocazione che è già stata ricordata da Matteo e da Marco, o ad una chiamata posteriore, della quale sarebbe egli solo a parlare. Vi sono difficoltà, non però insormontabili, nel mettere perfettamente d'accordo le narrazioni dei tre Sinottici, e scrittori di peso e di autorità sono schierati da ambo i lati; ma non esitiamo a metterci dalla parte di quelli che

sostengono che Luca parla della vocazione identica raccontata da Matteo e da Marco; solamente, com'è suo costume, egli riferisce partitamente alcune circostanze interessanti che a quella si rannodano, e che gli altri evangelisti, nei loro racconti più concisi, non avevano stimato necessario raccontare. Le obbiezioni all'identità del fatto raccontato dai tre evangelisti sono così riassunte dal prof. Brown: «In Matteo e Marco, i discepoli vengono chiamati in coppie separate, in Luca, son chiamati insieme. In Matteo e Marco, una delle due coppie stà gittando la rete, mentre l'altra racconcia la sua, in Luca li vediamo chiamati dopo un glorioso miracolo. In Matteo e Marco, nostro Signore non si era ancora manifestato pubblicamente in Galilea, epperciò non aveva ancora riunito la gente intorno a sé: e si avanza solitario lungo la riva del lago dove trova le due coppie di pescatori, in Luca, la moltitudine gli si affolla dintorno, «essendogli la moltitudine addosso», per udire la parola di Dio, mentre egli se ne stà ritto sulla riva, il che implica che già egli si trova in uno stato abbastanza inoltrato del suo ministerio, e che già egli ha eccitato l'entusiasmo del popolo». A questo può aggiungersi un'altra obbiezione, messa avanti da alcuni scrittori, cioè che questa chiamata dei discepoli è posta da Matteo e da Marco prima della entrata di Cristo in Capernaum, e dei suoi miracoli nella sinagoga e nella casa di Pietro, mentre Luca la mette dopo questi eventi. Per dare un po' di peso a quest'ultima obbiezione bisognerebbe però provare prima di tutto, in modo soddisfacente, che ciascuno dei tre scrittori ha l'intenzione di fissare, con accuratezza cronologica, l'ordine di questi fatti, e non c'è nulla, in nessuno dei tre racconti, in appoggio di questa teoria, mentre che la generale analogia dei Sinottici le è contraria. La obbiezione che Cristo era ignoto per fama in Capernaum, al tempo di questa chiamata, e non avrebbe potuto attirarvi una moltitudine, è contradetta dai fatti, imperocché subito dopo il suo battesimo, ed anteriormente alla sua prima visita in Gerusalemme, egli scese da Cana in Capernaum, e vi fu conosciuto di persona, come l'autore del miracolo di Cana, seppure egli non fece già anche lì alcuni miracoli Giovanni 2:12#500020120000-500020120000. I Galilei che erano saliti in Gerusalemme per la Pasqua «lo ricevettero, avendo vedute tutte le cose che egli avea fatto» Giovanni 4:45#500040450000-500040450000; ed al loro ritorno in patria vi sparsero la sua fama. Dopo il suo ritorno da Gerusalemme e prima che egli fissasse la sua residenza in Capernaum, un secondo e notevole miracolo fu da Cristo operato sul figlio di «un certo

uffiziale reale» di quella stessa città Giovanni 4:46#500040460000500040460000, miracolo che devo avervi eccitato molta attenzione in tutti i ranghi dei suoi abitanti; e finalmente la gelosia degli abitanti di Nazaret li eccitò contro di lui, a motivo della fama dei miracoli che egli aveva operati in Capernaum, prima di andar da loro Luca 4:23#490040230000490040230000. Tutto questo accadde prima che egli andasse a dimorare in Capernaum; epperciò l'esser egli accompagnato da una moltitudine, anche in quei primi giorni del suo ministero è una obbiezione senza fondamento contro l'identità del fatto ricordato dai Sinottici. Quantunque il nome di Andrea non sia mentovato da Luca, è chiaro che egli era presente, poiché il racconto ci mostra che Pietro non era solo nella sua barca Luca 5:4,6#490050040000-490050040000#490050060000-490050060000; Tali discrepanze non sono contradizioni e possono facilmente spiegarsi, col dire che Matteo e Marco riferiscono brevemente il racconto tradizionale della chiamata di questi quattro discepoli, come correva fra i fratelli, mentre Luca, da informazioni private accuratissime, ha potuto raccogliere ragguagli completi e particolareggiati, i quali tolgono l'impressione prodotta dal racconto di Matteo e di Marco, che cioè questa vocazione sia stata subitanea ed ex abrupto. Ma abbiamo in favore della identità di questi fatti un argomento più forte assai della possibilità di armonizzare quelle piccole discrepanze, ed è l'impossibilità di credere che il nostro Signore abbia ripetuto due volte, in brevissimo spazio di tempo, la sua chiamata a quei discepoli con parole identiche: «Venite dietro a me, ed io vi farò pescatori d'uomini;» o che essi, di cui c'è detto che dopo la prima chiamata «lasciarono ogni cosa e lo seguitarono», lo abbiano pochissimo tempo dopo nuovamente abbandonato per tornarsene alle loro occupazioni, rendendo così necessaria una seconda chiamata prima di ubbidirgli. Questo appello ad essere costanti seguaci di Cristo e testimoni oculari dei suoi miracoli accadde fra il momento in cui, per la prima volta, credettero in lui Giovanni 1:37-40#500010370000-500010400000, e quello in cui furono ordinati apostoli Luca 6:13-16#490060130000-490060160000. «Se supponiamo che Matteo e Marco vollero semplicemente ricordare in modo generico la chiamata di questi pescatori a seguire Cristo, e che Luca intese riferire più particolarmente le circostanze, intessendo con quel racconto, quello della pesca miracolosa, che i due altri evangelisti omisero interamente, le differenze nelle loro narrazioni sono esattamente quali avremmo potuto

aspettarle, ed una tal varietà mostra senza contradizione che non c'è fra gli evangelisti studiata uniformità e che i fatti da essi raccontati sono veri» (Foote).

1. Or avvenne che, essendogli la moltitudine addosso per udir la parola di Dio,

Luca mette i miracoli di guarigione operati in Capernaum, prima del discorso pronunziato da Gesù sulla riva del lago, non già che questo fosse il vero ordine cronologico, ma evidentemente collo scopo di far risaltare il contrasto fra il modo di agire del Signore in Nazaret ed in Capernaum. Nella prima, «egli non fece molte potenti operazioni, per la loro incredulità»; nella seconda, non solo guarì l'uomo che avea uno spirito immondo nella sinagoga, ma anche la suocera di Pietro, ed altri sofferenti che nessuno in quella città poteva soccorrere. Il fatto qui ricordato accadde probabilmente mentre Gesù si avvicinava a Capernaum, dopo esser partito da Nazaret Luca 4:30-31#490040300000-490040310000. I villaggi che dovette attraversare gli fornirono, senza dubbio, una folla ognor crescente di seguaci; poiché, come è stato provato più sopra, la sua fama si era sparsa largamente in Galilea, e così, a misura che egli si avvicinava al termine del suo viaggio, divenivagli più difficile di progredire, ed il suo insegnamento più non poteva essere udito, se non da quelli che gli stavano più vicini. Non era solo la curiosità che aveva riunito quella folla, quantunque questo fosse al principio un motivo potente; l'evangelista ci dice che la gente accorreva intorno a Gesù, «per udir la parola di Dio», spiegata colla freschezza, la potenza, e la convinzione che Gesù vi portava, e che mancavano totalmente negli insegnamenti degli Scribi e dei Farisei, i quali erano tanto legati dalle tradizioni degli anziani», che non ardivano esprimere sentimenti che non potessero esser da quelle appoggiati. In sulle prime parve osservi una gloriosa speranza di un risveglio di religione in Galilea, ma oimè! fu questo come la semenza che «cadde sopra la pietra, e, come fu nata, si seccò, perciocché non avea radice».

e stando egli in piè presso del lago di Gennesaret;

Nell'Antico Testamento questo lago vien chiamato il mare di Chinneret o Chinnerot, da una città della tribù di Zabulon Giosuè 19:35#060010010000060010010000, e da un distretto situato sulla riva occidentale Numeri 34:11; Giosuè 12.3#040340110000-040340110000#060010010000060010010000. Nel Nuovo Testamento è chiamato di tre nomi diversi: «Lago di Gennesaret», che è una corruzione di Chinnerot; «Mare o Lago di Galilea», dalla provincia in cui è situato; e «Mare di Tiberiade», dalla città di quel nome, edificata da Erode, sulla sponda occidentale. Quel lago è di forma ovale lungo 20 chilometri, e largo 8 o 10. Il fiume Giordano vi penetra alla sua estremità settentrionale, e ne esce dalla parte di mezzogiorno. Esso giace in un profondo avvallamento, che fa parte della valle del Giordano, 208 metri al disotto del livello del Mediterraneo. È circondato all'E. da monti che si alzano a 2000 piedi e formano l'argine dell'altopiano di Basan, e all'O. da altri poco meno alti. Abbonda di pesci di varie specie. Le vedute naturali che esso presenta al viaggiatore sono monotone, ma i ricordi del ministero di Cristo che richiama alla mente lo rendono caro ad ogni cuore cristiano.

PASSI PARALLELI

Luca 8:45; 12:1; Matteo 4:18-22; 11:12; Marco 1:16-20; 3:9; 5:24#490080450000-490080450000#490120010000490120010000#470040180000-470040220000#470110120000470110120000#480010160000-480010200000#480030090000480030090000#480050240000-480050240000

Numeri 34:11#040340110000-040340110000

Giosuè 12:3#060010010000-060010010000

Matteo 14:34; Marco 6:53#470140340000-470140340000#480060530000480060530000

49005002Lc 5:2

2. Vide due navicelle ch'erano presso della riva del lago, delle quali erano smontati i pescatori, e lavavano le lor reti.

Così stavano le cose, quando Gesù giunse in sulla riva, circondato dalla moltitudine. Piuttosto aveano lavato, perché indica compiuta l'opera dei pescatori. Essi erano stati occupati a lavare le loro reti, prima che giungesse il Signore. L'Evangelista parla di questi pescatori come se fossero forestieri, sia perché essi compariscono ora per la prima volta nel suo racconto, sia perché Gesù non riconobbe forse a prima vista quelle navicelle, fra le molto che stavano lungo la riva, come appartenenti ai suoi discepoli. Nel versetto seguente però, vien parlato di Simone come di persona già ben nota a Gesù.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:21; Marco 1:19#470040210000-470040210000#480010190000480010190000

49005003Lc 5:3

3. Ed essendo montato in una di quelle, la quale era di Simone, lo pregò che si allargasse un poco lungi da terra.

La prua della barca era probabilmente tirata in sulla ghiaia della sponda, o forse l'ancora la riteneva in qualche baia, mentre si lavavano e si ricaricavano le reti. In quella posizione Gesù sarebbe rimasto tuttora affollato dalla gente, indi la sua domanda a Simone di spingersi più avanti nel lago. «Fui contentissimo», dice Thomson, «di trovare fra Ain Tini e Tell Hum (Capernaum), piccole baie dove le barche potevan galleggiare sicuramente a pochi passi dalla riva, e dove le moltitudini, sedute dalle due parti e dinanzi alla navicella, potevano ascoltare, senza distrazione o stanchezza. La riva sulle due sponde di quei piccoli golfi è coperta di larghi blocchi di basalto, come per fornire alla gente il comodo di star seduta».

E, postosi a sedere, ammaestrava le turbe d'in su la navicella.

In questo modo egli era non solo libero da ogni pressione, ma un gran benefizio veniva conferito al suo uditorio, poiché tutti potevano vederlo e udir distintamente la sua voce. La sostanza di questo discorso non ci è stata tramandata, ma senza dubbio egli istruiva quella moltitudine nelle dottrine e nei precetti del regno di Dio. Che uditorio, che tempio, che pulpito, che predicatore, abbiam qui dinanzi a noi! Osservate: benché Cristo predicasse nelle sinagoghe quando se ne presentava l'occasione, non sospendeva però mai il suo insegnamento quando non trovava una sinagoga, o quando gli veniva chiusa in faccia! Egli era pronto ad insegnare in barca (come in questo caso), in una casa, lungo la via, o sul declivio di un monte. Egli cercava il popolo, e dovunque lo poteva riunire per istruirlo, la mera località era cosa indifferente per il divino Maestro. Colui che faceva sue tutte le stagioni per predicare l'evangelo non ci fece mai scrupolo di accettare qualsiasi luogo che si offerisse conveniente a predicare, ben sapendo che è il culto che santifica il luogo, e non il luogo di culto.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:18; Giovanni 1:41-42#470040180000470040180000#500010410000-500010420000

Matteo 13:1-2; Marco 4:1-2; Giovanni 8:2#470130010000470130020000#480040010000-480040020000#500080020000500080020000

49005004Lc 5:4

4. E, come fu restato di parlare, disse a Simone: Allargati in acqua, e calate le vostre reti per pescare.

Lo spinger la barca più lontano dalla riva doveva aver per effetto di indurre la gente a disperdersi più presto, facendole capire non esser probabile che Gesù ritornasse tosto in sulla sponda; ma quelli che indugiarono, per curiosità o per speranza, furono senza dubbio testimoni dello stupendo miracolo che seguì subito dopo. Ci vien qui detto perché Pietro ed Andrea

gittassero le loro reti di giorno, secondo il racconto di Matteo e di Marco, il Signore avea loro comandato di farlo, mentre i loro compagni se ne rimasero in sulla riva, racconciando le loro reti. La fedeltà di Diodati all'originale greco, e la fedeltà di quest'ultimo, nel raccontare, ad onta della sua concisione, i più piccoli fatti di questo miracolo, sono specialmente notevoli in questo versetto. La prima parte del comando del Signore in esso contenuto è rivolta a Pietro solo, come capitano della barchetta: «Allargati»; la seconda parte viene indirizzata a lui ed al suo equipaggio, sia che questo si componesse del solo Andrea, o di altri ancora con lui: «Calate». Oltre alla gran lezione, che questo miracolo doveva illustrare e suggellare, per questi quattro pescatori, relativamente alla loro futura carriera, questo comando ci fa pure vedere quanto Gesù sia sollecito del bene di quelli che fanno qualsiasi sacrifizio per amor suo. Che magnifica ricompensa fu questa, pesca stupenda per l'uso della barca di Pietro, durante un tempo così breve!

PASSI PARALLELI

Matteo 17:27; Giovanni 21:6#470170270000470170270000#500210060000-500210060000

49005005Lc 5:5

5. E Simone, rispondendo, gli disse Maestro, noi ci siamo affaticati tutta la notte, e non abbiamo preso nulla; ma pure, alla tua parola, io calerò la rete,

Epistata, Maestro, Prefetto, Guida, Uno che ha autorità sopra un altro, è parola usata dal solo Luca, e qui per la prima volta. Matteo impiega generalmente il termine Kurios, Possessore, Padrone, e Marco Didascalos, Maestro, Istruttore, Precettore. Questo titolo indica non solo che Pietro prima d'allora, conosceva Gesù, ma si era pure già sottomesso alla sua autorità, poiché egli (insieme ai suoi associati e Filippo e Natanaele), si trovava probabilmente alle nozze di Cana ed avea battezzato in nome di Gesù nel paese di Giuda, prima che Giovanni fosse stato cacciato in

prigione Giovanni 2:2; 3:22-24#500020020000500020020000#500030220000-500030240000; Confr. Luca 4:12#490040010000-490040020000. «La notte» era il tempo riconosciuto per esperienza come più propizio alla pesca, perché mentre brillava sul lago l'ardente sole orientale, non solo gli uomini si stancavano molto presto, ma i pesci scorgevano facilmente la, rete a tal profondità da potervi facilmente sfuggire Giovanni 21:3-4#500210030000-500210040000. Avendo lavorato tutta la notte senza frutto colle reti, Pietro ben sapeva che in circostanze ordinarie sarebber stati tempo e fatica gettati il rinnovar la pesca di giorno. A qualsiasi altra persona che gli avesse fatto una tal domanda, Pietro avrebbe risposto con un rifiuto; ma egli aveva già potuto sperimentare la potenza della parola di Cristo, epperciò ubbidì immediatamente. La sua risposta, fidandomi alla tua parola, dimostra chiarissimamente che il suo era un atto di fede, e non di mera compiacenza, e che egli era certo che, i loro sforzi non tornerebbero più vani. Se il popolo di Cristo volesse seguitare più spesso l'esempio che Pietro qui ci dà, di pronta e fiduciosa ubbidienza ai suoi comandamenti, avrebbe più spesso l'occasione di proclamare col Salmista: «Venite, voi tutti che temete Iddio, e udite; io vi racconterò quello che egli ha fatto all'anima mia» Salmi 66:16#230660160000-230660160000.

PASSI PARALLELI

Salmi 127:1-2; Ezechiele 37:11-12; Giovanni 21:3#231270010000231270020000#330370110000-330370120000#500210030000500210030000

Luca 6:46-48; 2Re 5:10-14; Ezechiele 37:4-7; Giovanni 2:5; 15:14#490060460000-490060480000#120050100000120050140000#330370040000-330370070000#500020050000500020050000#500150140000-500150140000

49005006Lc 5:6

6. E, fatto questo, rinchiusero gran moltitudine di pesci;

Flavio parla della grande abbondanza di pesci nel lago di Galilea, alcuni dei quali non si trovano che lì, e tutti i viaggiatori, fino, al giorno d'oggi, non han fatto che confermare la sua testimonianza. Hasselquist fu il primo, nei tempi moderni, a notare la strana circostanza che alcune specie di pesci che si trovano in quel lago si trovano pure nel Nilo, a mo' d'esempio il Silurus ed il Mugil, come pure un'altra specie che egli chiama Sparus Galileus. Tristram nella sua «Storia Naturale della Bibbia» (citato da Godet) nota: Lo spessore dei banchi di pesci nel lago di Gennesaret è quasi incredibile per chiunque non li ha osservati. Essi cuoprono talvolta un'arca di più di un jugero, e quando si avanzano lentamente in massa e si alzano fino al livello dell'acqua, sono talmente serrati che si direbbe che una gran pioggia cade sul lago.

e la lor rete si rompeva.

stava per rompersi, cioè cominciava a rompersi; se la si fosse interamente rotta, i pesci ne sarebbero naturalmente fuggiti.

PASSI PARALLELI

2Re 4:3-7; Ecclesiaste 11:6; Giovanni 21:6-11; Atti 2:41; 4:4; 1Corinzi 15:58; Galati 6:9#120040030000-120040070000#250110060000250110060000#500210060000-500210110000#510020410000510020410000#510040040000-510040040000#530150580000530150580000#550060090000-550060090000

49005007Lc 5:7

7. Ed accennarono a' lor compagni, ch'erano nell'altra navicella che venissero per aiutarli.

Significa più che meri compagni, vuol dire consorti Ebrei 1:9#650010090000-650010090000, soci con loro nel mestiere della pesca.

Non è punto improbabile che, secondo l'uso tuttodì in vigore in alcune parti del Mediterraneo, due barche pescassero di compagnia, ciascuna tenendo una estremità della rete, che fra tutte due tiravano attraverso l'acqua. In questa occasione lavorò sola la navicella di Pietro, ma l'altra non era molto lontana.

Ed essi vennero, ed empierono amendue le navicelle, talché affondavano.

È allo stesso tempo del verbo che più sopra, e deve intendersi: stavan per affondare. Le barche erano tanto cariche che l'acqua cominciava ad entrarvi passando sopra la sponda. Chi tien conto dell'inutile lavoro della notte precedente, della immensa quantità ora presa, e dello stupore di Pietro, che pur non era novizio in questo mestiere, non potrà se non considerare questa pesca come miracolosa. «Non è soltanto», dice Trench, «che Cristo, in virtù della sua onniscienza, sapeva che ora trovavansi molti pesci in quel luogo. Non dobbiamo attenuare in quel modo il miracolo; ma bensì dobbiamo contemplarvi Gesù come il Signore di tutto il creato, il quale, per la segreta ma irresistibile potenza della sua volontà, può dirigere e regolare anche le creature incoscienti, e farle servire ai più alti interessi del regno suo. Un immenso numero di pesci, od una moneta nella bocca di uno di essi, non sono miracoli in sé stessi; ma il miracolo si trova nella coincidenza di questi fatti colla parola di Cristo, che a tale coincidenza erasi impegnato. Il fatto naturale diviene miracoloso per il tempo in cui avviene, e lo scopo al quale è fatto servire». Era questa una prova che Gesù era veramente, nel senso più alto della parola, «il Figliuol dell'uomo», profetato da Davide, al quale appartengono «gli uccelli del cielo, e i pesci del mare, che guizzano per i sentieri del mare» Salmi 8:9#230080090000-230080090000.

PASSI PARALLELI

Esodo 23:5; Proverbi 18:24; Atti 11:25; Romani 16:2-4; Galati 6:2; Filippesi 4:3#020230050000-020230050000#240180240000240180240000#510110250000-510110250000#520160020000-

520160040000#550060020000-550060020000#570040030000570040030000

49005008Lc 5:8

8. E Simon Pietro, veduto questo, si gittò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Signore, dipartiti da me; perciocché io son uom peccatore.

Prostrarsi disteso in terra dinanzi ad un altro, come Pietro ora fece dinanzi a Gesù, è ed è sempre stato, in Oriente, il segno del rispetto e della riverenza più profonda. Il motivo che spinse Pietro a prostrarsi in quel modo, Luca ce lo dice, fu il timore, prodotto da un profondo stupore stupor, pavor Luca 5:9#490050090000-490050090000, dinanzi a quella prova della divina potenza, in cosa che lo concerneva così da vicino. Era già stato testimone di alcune guarigioni maravigliose operate da Cristo; ma la sua attenzione era stata forse attratta piuttosto alle sofferenze dei malati che alla grande quistione: «Chi ha dato un tanto potere a quest'uomo?» Ma in presenza di questo miracolo, operato in favor suo e dei suoi compagni, egli si sentì costretto a cercar la risposta a quella domanda, e forse sin da quel momento, il suo cuore scoprì quello che più tardi le sue labbra annunziarono pubblicamente: «Tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente». Il timor di Dio perfezione di santità e vendicatore del peccato penetrò nel cuore di Adamo e di Eva dal momento in cui essi ebbero mangiato il frutto proibito. Il sentirsi peccatori, separati dalla sua santità, li condusse a nascondersi dalla presenza del Signore Iddio, in mezzo agli alberi del giardino Genesi 3:8#010030080000-010030080000. Il medesimo timore, proveniente dai medesimi motivi, si è manifestato con sintomi identici, quante volte, nell'Antico Testamento o nel Nuovo, Dio stesso è apparso ai suoi servitori come «l'Angelo del Patto», o ha mandato loro qualcuno di quelli spiriti celesti, i quali si dilettano di far la sua volontà Esodo 3:6; Giudici 13:22; Giobbe 42:5-6; Daniele 10:7-8#020030060000020030060000#070130220000-070130220000#220420050000220420060000#340100070000-340100080000. Di questo abbiamo un esempio notevole nel caso di Isaia 6:15#290060150000-290060150000, dove questo timore ci è descritto come prodotto del contrasto fra la gloria

della santità di Dio, e il sentimento che il profeta provava del proprio stato di peccato. Il caso di Pietro è esattamente parallelo, con questa differenza però, che fu la manifestazione della bontà e della potenza di Dio unite insieme in questo miracolo, quella che svegliò in lui il sentimento terribile della propria indegnità, e lo condusse a supplicare il Signore, colla solita sua impetuosità naturale, di allontanarsi da lui, perciocché egli era un «uomo peccatore». Le parole significano: allontanati da me, cioè esci dalla mia navicella. Erano parole rozze e scortesi nella forma, ben diverse da quelle del centurione romano Matteo 8:8#470080080000-470080080000; ma sì quelle che queste esprimono lo stesso sentimento di indegnità di stare in presenza di Cristo. Ben lungi dall'indicare in Pietro il desiderio di non aver più nulla che fare con Cristo da quel momento in poi, questo parole suonano piuttosto: "Guai a me, Signore! Come potrò io sopportare lo splendore della tua gloria? Un peccatore quale io sono non è degno di star nella tua società". Ma Gesù non lo prende alla parola, e non rigetta dalla sua misericordiosa presenza il peccatore che trema di faccia alla santità del Signore. Egli si degna di vivere con quelli che sono «contriti ed umili di spirito, per vivificar lo spirito degli umili, e per vivificare il cuor dei contriti» Isaia 58:15#290580150000290580150000. Questa è la prima scoperta sperimentale di Pietro, nella «conoscenza di Cristo Gesù»; ma dietro a quella ne stanno molte altre, le quali egli ha tuttora da fare.

PASSI PARALLELI

Matteo 2:11; Giovanni 11:32; Atti 10:25-26; Apocalisse 1:17; 22:89#470020110000-470020110000#500110320000500110320000#510100250000-510100260000#730010170000730010170000#730220080000-730220090000

Esodo 20:19; Giudici 13:22; 1Samuele 6:20; 2Samuele 6:9; 1Re 17:18; 1Corinzi 13:12#020200190000-020200190000#070130220000070130220000#090060200000-090060200000#100060090000100060090000#110170180000-110170180000#530130120000530130120000

Daniele 10:16-17; Matteo 17:6#340100160000340100170000#470170060000-470170060000

Giobbe 40:4; 42:5-6; Isaia 6:5; Matteo 8:8#220400040000220400040000#220420050000-220420060000#290060050000290060050000#470080080000-470080080000

49005009Lc 5:9

9. Conciosssiaché spavento avesse occupato lui, e tutti coloro ch'eran con lui, per la presa dei pesci che aveano fatta. 10. Simigliantemente ancora Giacomo, e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, ch'eran compagni di Simone.

«Tutti coloro» (ver. 9), si riferiscono ad Andrea ed a quelli che componevano l'equipaggio della navicella di Pietro, senza includere i figli di Zebedeo e dei loro operai Marco 1:20#480010200000-480010200000. Gli associati, di Pietro non avevano forse diviso la maravigliosa sua scoperta, per conseguenza non erano, al pari di lui, sopraffatti dal timore e dalla maraviglia; però, questo dispiego segnalato della potenza divina riempì pure le loro menti di stupore, e li condusse a domandarsi gli uni agli altri: «Che maniera d'uomo è mai questo?» Bengel osserva: «Dobbiamo imparare il timore del Signore, perfino dai suoi benefizii. Tale è la sperienza di tutti quelli dei quali Iddio si è degnato servirsi come di suoi strumenti. Questo fatto ci è qui specialmente ricordato di quella triste che divenne poi così importante fra gli Apostoli».

49005010Lc 5:10

E Gesù disse a Simone: Non temere; da ora innanzi tu sarai prenditore di uomini vivi.

Gesù legge nel cuore di Pietro il significato della strana sua richiesta, e gli fa subito udire l'incoraggiante parola che Mosè, Isaia ed altri avevano già udita dalla sua bocca: Non temere! La promessa che viene immediatamente dopo

include tutti i discepoli presenti, benché sia stata indirizzata specialmente a Pietro, per rianimarlo nel suo profondo scoraggimento. Quelli che considerano i racconti di Matteo e di Marco come relativi ad un altro fatto, devono pur sempre ammettere che le parole di Gesù, da quei due evangelisti riportate, mettono tutti e quattro i discepoli sul medesimo rango. Mediante l'enorme presa di pesci che l'opera loro, benedetta dalla sua onnipotenza, aveva rinchiusa nella rete, e tirati in sulla sponda il Salvatore insegnò loro simbolicamente qual dovesse essere d'allora in poi l'opera loro come discepoli suoi; alla rete fatta di cordicelle, essi dovevano sostituire la rete del vangelo, ed invece di prendere i pesci del loro lago natio, dovevano scorrere tutta la terra per condurre a Cristo degli uomini viventi e radunarli nella comunione e nella fratellanza della sua Chiesa. Nelle parole di questa clausola, la futura carriera di Pietro, paragonata con quella ch'egli avea seguito fino allora, è magnificata in due modi: col dire che da quell'ora in poi egli doveva pescare uomini, non pesci, e che egli dovrà prenderli per dar loro la vita, e non già per ucciderli, come era uso fare colla inferiore preda di prima. Perché niente meno di questo è rinchiuso nella parola, che esprime l'idea di prender vivi. Le parole «da ora innanzi» segnano un'era novella nella vita di Pietro e dei suoi compagni poiché, da quel momento Gesù intraprese la loro educazione, fatto che è chiaramente implicato nelle parole: «IO vi farò pescatori d'uomini», che ci sono riferite da tutti i Sinottici.

PASSI PARALLELI

Luca 4:32,36; Salmi 8:6,8; Marco 9:6#490040320000490040320000#490040360000-490040360000#230080060000230080060000#230080080000-230080080000#480090060000480090060000

Luca 6:14; Matteo 4:21; 20:20#490060140000490060140000#470040210000-470040210000#470200200000470200200000

Luca 5:7; 2Corinzi 8:23#490050070000-490050070000#540080230000540080230000

Ezechiele 47:9-10; Matteo 4:19; 13:47; Marco 1:17; Atti 2:4#330470090000-330470100000#470040190000470040190000#470130470000-470130470000#480010170000480010170000#510020040000-510020040000

49005011Lc 5:11

11. Ed essi, condotte le navicelle a terra, lasciarono ogni cosa, e lo seguitarono.

Matteo ci dice che essi presero questa risoluzione in seguito al comando espresso di Gesù «Venite dietro a me, ed io vi farò ecc.». Sino allora lo aveano seguitato occasionalmente da questo istante in poi, lo dovevano seguire costantemente, per prepararsi all'apostolato, nel quale dovevano presto entrare, e la chiamata, accompagnata qual'era dalla potenza divina, fu efficace. Né era piccolo il sacrifizio, benché a molti possa parer tale. «Era il loro tutto», dice Trench, «epperciò, benché non consistesse forse che di poche e povere barche e reti, era molto. Il sacrifizio non dipende dal più o dal meno che si abbandona, ma dallo spirito in cui lo si lascia. Un uomo può stare attaccato ad una misera capanna, non meno fortemente che ad uno splendido palazzo, perché è l'affetto mondano non già il mondo, quello che lo incatena». «I ministri della Parola dovrebbero da questo esempio esser diretti in modo tutto speciale ad abbandonare qualsiasi altra occupazione, per consecrarsi interamente all'opera alla quale sono stati chiamati» (Calvino).

PASSI PARALLELI

Luca 18:28-30; Matteo 4:20; 10:37; 19:27; Marco 1:18-25; 10:21,29-30; Filippesi 3:7-8#490180280000-490180300000#470040200000470040200000#470100370000-470100370000#470190270000470190270000#480010180000-480010250000#480100210000480100210000#480100290000-480100300000#570030070000570030080000

49005012Lc 5:12

Luca 5:12-16. LA GUARIGIONE DI UN LEBBROSO Matteo 8:14; Marco 1:40-45#470080140000-470080140000#480010400000480010450000

Per l'esposizione vedi Matteo 8:14Matteo 8:14; e nota Marco 1:40Marco 1:40-45.

12. Un uomo pien di lebbra,

Questo miracolo è ricordato da tutti i Sinottici. Alcuni però ritengono che il caso qui mentovato sia diverso da quello ricordato da Matteo e da Marco, e per provarlo dànno grande importanza alle parole ora citate, quasiché significhino che quel lebbroso era netto, secondo la legge levitica, poiché la lebbra avea coperto tutta la sua pelle Levitico 13:13,17#030130130000030130130000#030130170000-030130170000, e che egli avea perciò il diritto di entrare nelle città. Se tale fosse stata la sua condizione, sarebbe bastato che egli si mostrasse al Sacerdote, per esser subito restituito alla sua famiglia, e ricevuto nel consorzio degli uomini; vediamo in contrario che egli non si presentò al sacerdote che quando Gesù ve lo mandò, affinché la sua guarigione fosse attestata, e questo è una prova convincente che, sino a quel momento egli era tuttora contaminato, qualunque fosse d'altronde lo sviluppo che la lebbra, avea preso nella sua persona. Così svanisce il solo pretesto per distinguere fra questo miracolo e quello raccontato da Matteo e da Marco.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:2-4; Marco 1:40-45#470080020000470080040000#480010400000-480010450000

Luca 17:12; Esodo 4:6; Levitico 13:1-14:57; Numeri 12:10-12; Deuteronomio 24:8; 2Re 5:1,27; 7:3#490170120000490170120000#020040060000-020040060000#030130010000030140570000#040120100000-040120120000#050240080000050240080000#120050010000-120050010000#120050270000120050270000#120070030000-120070030000

2Cronache 26:19-20; Matteo 26:6#140260190000140260200000#470260060000-470260060000

Luca 17:16; Levitico 9:24; Giosuè 5:14; 1Re 18:39; 1Cronache 21:16#490170160000-490170160000#030090240000030090240000#060010010000-060010010000#110180390000110180390000#130210160000-130210160000

Luca 17:13; Salmi 50:15; 91:15; Marco 5:23#490170130000490170130000#230500150000-230500150000#230910150000230910150000#480050230000-480050230000

Genesi 18:14; Matteo 8:8-9; 9:28; Marco 9:22-24; Ebrei 7:25#010180140000-010180140000#470080080000470080090000#470090280000-470090280000#480090220000480090240000#650070250000-650070250000

49005016Lc 5:16

16. Ma egli si sottraeva ne' deserti, ed orava.

Non mancavano i deserti (cioè i luoghi disabitati), nelle montagne che circondano Capernaum, a N. e ad O., ed in uno di questi si ritirò Gesù. Benché affollato dalla gente a motivo dei suoi miracoli e della sua dottrina, Gesù sapeva pur sempre trovar tempo per pregare in segreto. Se in qualche caso se ne poteva far senza, quello fu certamente il suo, poiché, in forza della sua divina natura, egli era identico in sostanza ed uguale in potenza ed in gloria col Padre. Ma benché «santo, innocente, immacolato», egli era pur sempre uomo, l'anima sua umana aveva bisogno di esser nudrita, ed a questo

scopo egli cercò la solitudine dei deserti, per trovarvisi solo con Dio. Provava il bisogno, per così dire, di rientrare nel seno del Padre, per fortificarsi, e nutrirsi in lui. Le sue preghiere non erano le grida e le supplicazioni del peccatore; ma un lungo ed intimo colloquio con Dio. Qui ci vien dato un esempio che è pur troppo dimenticato in questi ultimi tempi. Fra gli individui, le comunità e le nazioni che professano la fede evangelica, vediamo grande attività ed eccitamento febbrile intorno alle cose secolari della religione, quali sarebbero le opere di carità, le visite agli ammalati, il leggere la Bibbia, l'attendere alla disciplina ed al governo della chiesa; ma v'ha luogo di temere che la divozione privata, la comunione tranquilla ed intima con Dio non ne ricevano gran nocumento. Queste cose esterne della religione sono utilissime al loro posto, ed è parte del nostro dovere cristiano l'attendervi; ma non dobbiamo permettere che usurpino il posto della meditazione della preghiera, perché queste sono i veri elementi della vita e, della santità dell'anima nostra.

PASSI PARALLELI

Luca 6:12; Matteo 14:23; Marco 1:35-36; 6:46; Giovanni 6:15#490060120000-490060120000#470140230000470140230000#480010350000-480010360000#480060460000480060460000#500060150000-500060150000

49005017Lc 5:17

Luca 5:17-26. GUARIGIONE DI UN PARALITICO Matteo 9:1-8; Marco 11:1-12#470090010000-470090080000#480110010000480110120000

Per l'esposizione vedi Marco 2:1Marco 2:1-12, e nota Matteo 9:1Matteo 9:1.

17. Ed avvenne uno di que' giorni, che egli insegnava; e quivi sedevano, dei Farisei, e de' dottori della legge, i quali eran venuti di tutte le castella della Galilea, e della Giudea, e di Gerusalemme;

In questo versetto Luca ci fornisce, relativamente a questo miracolo, un particolare nuovo ed importantissimo, di cui gli altri Sinottici non dicono nulla. La fama di Gesù, confinata primieramente al popolo minuto, si era ora talmente sparsa in tutto il paese, da costringere il Sinedrio, i Farisei e gli Scribi, guardiani spirituali uffiziali od officiosi del popolo, ad occuparsi della sua dottrina e della influenza che egli andava sempre più acquistando fra i suoi concittadini, per mezzo dei suoi miracoli. Come custodi della coscienza della nazione, essi aveano già mandato una deputazione a Giovanni Battista nel deserto, per inquisire nella sua missione e dottrina, e per riferirne loro il risultato Giovanni 1:19-28#500010190000500010280000. Non è punto improbabile che i Farisei, di cui Luca ci dice qui, che essi provenivano direttamente da Gerusalemme, avessero una missione analoga, riguardo a Gesù, benché non formassero se non una piccola porzione dei critici gelosi riuniti nella casa dove il Signore stava insegnando il giorno in cui il paralitico fu calato dal tetto fino ai suoi piedi. Era cosa da aspettarsi che i critici, presenti in questa occasione, appartenessero tutti alla setta dei Farisei (Vedi Sette Giudaiche), i quali menavan vanto della loro puntigliosa ortodossia legale, imperocché gli Scribi, la cui vita era spesa nel far copie della legge per uso pubblico o privato, appartenevano quasi tutti ai Farisei. Fra loro venivano naturalmente scelti gli espositori autorevoli della legge, qui detti dottori della legge, e ciò a motivo della conoscenza più profonda che della legge avevano acquistata, vivendo per così dire sempre con essa. A quel momento della sua carriera, la natura dell'opera di Cristo era molto imperfettamente intesa, e molti di quelli che stavano aspettando il Messia non potevano se non sentirsi attirati verso uno che dimostravasi tanto potente in parole ed in opere. Il trovarsi insieme in Capernaum tutti questi uomini, provenienti da lontano e da vicino, dalla Galilea, dalla Giudea e da Gerusalemme, è la più alta testimonianza sin qui resa alla crescente influenza del Signore. Essi non convennero in quel luogo, in quello spirito di aperta e virulenta ostilità che si manifestò dipoi, ma colla mente piena di riserve o di sospetti, pronti a condannare alla prima occasione. Quella non si fece aspettare, udendo

Cristo dire al paralitico: «Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi», essi lo accusano subito di bestemmia, e da quel giorno in poi divengono i suoi accusatori. Marco 3:22#480030220000-480030220000 riferisce una visita posteriore fatta a Gesù da una deputazione di Scribi di Gerusalemme quando già l'odio loro contro a lui era divenuto così intenso di far loro esclamare: «Egli ha Beelzebub; e, per lo principe dei demoni caccia, i demoni». L'odio li spinse poi a passare da queste pubbliche denunzie a delle congiure segrete per farlo morire, disegno diabolico nel quale non avrebbero potuto riuscire se non mediante l'assistenza di uno dei suoi discepoli, l'apostata Giuda.

e la virtù del Signore era quivi presente, per sanarli.

Questa, virtù è quella di guarire miracolosamente come lo confermano i commenti della folla in questa circostanza: «Le turbe veduto ciò, si maravigliarono e glorificarono Iddio, che avea data cotal podestà agli uomini» Matteo 9:8#470090080000-470090080000. Sembrano indicare queste parole che altri miracoli di guarigione furono adempiuti allo stesso tempo; ma uno solo ce ne viene ricordato, a motivo delle notevoli circostanze che lo accompagnarono, e del discorso, non meno degno di nota, di cui fu l'occasione. il potere del Signore, dice Ossterzee, «non si deve intendere del Signor Gesù, il quale è ordinariamente chiamato il Signore, ma del Padre, il quale opera per mezzo del suo Figliuolo». A noi per mancanza di riverenza il ricercar troppo minutamente quale delle persone della Trinità è qui indicata col titolo di Signore. Non le include desso tutte? La potenza di Dio Figlio, esercitata secondo la volontà del Padre, per l'operazione dell'Eterno Spirito? La potenza della essenza divina dimorava in Gesù, anche quando era ridotto allo stato di debolezza e di umiliazione. Lo provano il modo in cui provvide alla salvezza dei suoi discepoli, quando fu fatto egli stesso prigioniero Giovanni 18:8#500180080000-500180080000, e la conversione del ladrone in croce Luca 23:43#490230430000490230430000.

PASSI PARALLELI

Luca 5:21,30; 7:30; 11:52-54; 15:2; Giovanni 3:21#490050210000490050210000#490050300000-490050300000#490070300000490070300000#490110520000-490110540000#490150020000490150020000#500030210000-500030210000

Matteo 15:1; Marco 3:22; 7:1#470150010000470150010000#480030220000-480030220000#480070010000480070010000

Luca 6:19; 8:46; Matteo 11:5; Marco 16:18; Atti 4:30; 19:11#490060190000-490060190000#490080460000490080460000#470110050000-470110050000#480160180000480160180000#510040300000-510040300000#510190110000510190110000

49005027Lc 5:27

Luca 5:27-39. CHIAMATA DI MATTEO (LEVI). BANCHETTO E COLLOQUII CHE EBBERO LUOGO IN CASA DI LUI Matteo 9:9-17; Marco 2:14-22#470090090000-470090170000#480020140000480020220000

Per l'esposizione vedi Matteo 9:9Matteo 9:9-17.

49005039Lc 5:39

39. Niuno ancora, avendo bevuto del vin vecchio, vuol subito del nuovo; perciocché egli dice: Il vecchio val meglio.

In questo versetto, Luca ci dà le parole colle quali Gesù conclude la sua parabola sulla impossibilità di mettere del vino nuovo in otri vecchi; parole che sono omesse da Matteo e da Marco. Quest'aggiunta è importante, poiché impronta il racconto del nostro evangelista con un carattere di grande accuratezza. In queste parole, Gesù c'insegna semplicemente che mentre la

economia del vangelo, che è spirituale e libero, non poteva venir compressa nelle forme cerimoniali di una dispensazione che stava per iscomparire; doveva però usarsi pazienza verso quelli che erano stati avvezzi, per tutta la vita, alla vecchia maniera di culto, e vi dimoravano attaccati col cuore, quasiché fosse migliore della nuova. Col tempo muterebbero di parere in favore del nuovo culto, ma occorreva lasciar loro il tempo di farvi l'abitudine. I bevitori del vino vecchio, erano i Giudei (forse i discepoli di Giovanni, ai quali egli rivolgeva quelle parole, erano essi specialmente presenti allo spirito di Gesù), i quali da lungo tempo erano avvezzi al vecchio sistema levitico; il «vino nuovo», è la grazia e la libertà del vangelo, vedi Matteo 9:17#470090170000-470090170000, e Gesù asserisce che esso non piaceva in sulle prime ai Giudei i quali dicevano: «il vecchio val meglio». Egli capiva perfettamente, e scusava la potenza dì vecchie abitudini ed associazioni; ma queste non potevano resistere lungamente alla forza del suo vangelo. È probabilmente in considerazione di tali persone, che, nella provvidenza di Dio, il tempio e l'economia giudaica non furono distrutti che circa 37 anni dopo l'ascensione del Signore. subito è stato omesso dal Codice Alessandrino; ma, indipendentemente dal peso dell'autorità di altri Codici e di molto versioni, che sono in suo favore, quella parola contiene in sé l'accento, la forza intera dell'insegnamento di Gesù in questo versetto. Quelli che per molto tempo hanno bevuto il vino vecchio, assaggiando il nuovo, non lo trovano subito piacevole, ma col tempo muteranno probabilmente di parere. buono, mite si trova in pochi MSS. invece di meglio, più miti del Textus Receptus; ma le autorità di maggior peso gli sono contrarie. Se questa lezione fosse adottata, essa renderebbe il contrasto fra i vini e fra i sistemi in essi figurati, assai più pronunziato. Sarebbe invero un verdetto che il vino nuovo era così focoso da non poter punto servire.

RIFLESSIONI

1. Ci è detto che «Gesù si mosse a compassione inverso la moltitudine; perciocché erano come pecore che non han pastore; e si mise a insegnar loro molte cose» Marco 6:34#480060340000-480060340000. Nel proseguire quell'opera benedetta, poco gl'importava dove predicasse, il tempio per lui

era dovunque trovava un uditorio riunito! Lo vediamo predicare ora sopra un monte, ora in una navicella, ora in una casa, ora in una sinagoga, ora nei cortili del tempio. Nessun luogo gli par disadatto. Gli Apostoli seguirono l'esempio del loro Signore, e predicarono dovunque trovarono ascoltatori; ma i cosidetti «successori degli Apostoli» in questi ultimi tempi, si sono allontanati dal loro esempio, in questa come in molte altre cose. Tempi consecrati, ore e vestimenti canonici tolti ad imprestito dai sacerdoti pagani, sono requisiti indispensabili per i servizi ecclesiastici ai quali vanno pochi, mentre la moltitudine, che potrebbe venir colta nelle piazze, nelle passeggiate o nel recinto di un teatro, è abbandonata a sé stessa e va errando, come pecore senza pastore. Ministri, evangelisti, maestri, cogliete al volo tali occasioni, e la vostra ricompensa sarà simile a quella di Pietro quando egli gittò la rete al comando del Signore.

2. La presa dei pesci è un notevolissimo miracolo, perché ci rivela la dominazione completa di Cristo sulla creazione animale, predetta in Salmi 8:1-8#230080010000-230080080000. Questa pesca miracolosa, avvenuta al principio del ministero di Gesù, è pure interessante, perché ne corrisponde un'altra, che accadde verso il termine di quello Giovanni 21:611#500210060000-500210110000, ed entrambe concernono Pietro personalmente. Alla prima è unita la sua vocazione a divenire un costante seguace di Gesù; alla seconda, il suo ristabilimento nell'apostolato, dopo che egli ne era decaduto, rinnegando il suo Signore. Considerando che il nostro Signore istesso ha paragonato Matteo 13:47-48#470130470000470130480000, il regno del vangelo, dal suo principio alla sua fine nel giudizio finale, ad una rete gittata in mare, e ripiena di ogni maniera di pesci, pare impossibile il dubitare che in entrambe queste occasioni, Gesù volle insegnare simbolicamente coi suoi atti. Qui la rete, racchiudendo tanti pesci da essere in pericolo di rompersi, rappresenta la Chiesa in terra, ripiena per la predicazione del vangelo; in quell'altro caso, la rete tratta in sulla riva, piena di buoni pesci, rappresenta la Chiesa di Cristo, dopo la risurrezione colle sue innumerevoli moltitudini «che han lavato le loro stole, e le hanno imbiancato nel sangue dell'Agnello» Apocalisse 7:14#730070140000-730070140000.

3. Pietro non era ancora che un piccolo fanciullo in Cristo, debole in fede, in conoscenza, in esperienza, altrimenti quando scoprì, per mezzo di questo miracolo, che il suo Maestro era «il Santo di Dio», gli avrebbe gridato: "O Signore, rimanti meco; non posso vivere senza di te" invece di dirgli: "Dipartiti da me, perciocché sono uomo peccatore". Ma le parole di Pietro esprimono esattamente il primo sentimento di un uomo che vien messo, in modo solenne, a contatto con Dio. La vista della grandezza e della santità di Dio gli fa sentire vivamente la sua piccolezza ed il suo peccato. Come Adamo, dopo la caduta, il suo primo pensiero è di nascondersi Genesi 3:8#010030080000-010030080000. Come Israele appiè del Sinai, egli esclama: «Non parli Iddio con noi, ché talora noi non muoiamo» Esodo 20:19#020200190000-020200190000. Questo c'insegna che, senza un Mediatore, non potremo mai pensare a Dio con cuore tranquillo, anzi più lo conosceremo, più ci sentiremo turbati. Quanto dobbiamo dunque rallegrarci di avere in Gesù, per l'appunto, quel Mediatore del quale abbiam bisogno, non un angelo, per quanto esaltato, non un uomo, od una donna, per quanto santi, ma l'Uomo-Dio, il solo essere che unisca nella propria sua persona la duplice natura umana e divina, il solo per il quale possiamo, con franchezza e con fiducia, avvicinarci al Signore!

4. Nella storia del lebbroso guarito, abbiamo un notevole emblema del poter di Cristo di guarire le anime nostre. Spiritualmente parlando, siamo tutti lebbrosi di nascita, perché la peste del peccato ha invaso l'uomo tutto intero, corpo ed anima, e ci ha resi schifosi, dinanzi a colui che «ha gli occhi troppo puri per vedere il male e non può riguardare l'iniquità» Habacuc 1:13#420010130000-420010130000. Ha contaminato tutto le nostre facoltà; il cuore, la coscienza, la volontà, la mente, dimodoché quello che Iddio diceva d'Israele ben descrive la nostra condizione spirituale: «Dalla pianta del piè infino alla testa, non vi è sanità alcuna in esso; tutto è ferita, e lividore, e piaga colante; le quali non sono state rasciugate, né fasciate, né allenite con unguento» Isaia 1:6#290010060000-290010060000. Cristo è il gran Medico che solo può salvare gli uomini da questa malattia incurabile e mortale; il rimedio del quale fa uso è l'applicazione, mediante la fede, del proprio preziosissimo sangue, il sangue dell'espiazione - al cuore ed alla coscienza del peccatore. Al momento in cui la fede stringe la giustizia di Cristo, la, guarigione è completa. Egli «può salvare appieno coloro i quali

per lui s'accostano a Dio», ed a tali Dio dice: «Io, io son quel che cancello i tuoi misfatti, per amor di me stesso; e non ricorderò più i tuoi peccati» Isaia 43:25#290430250000-290430250000.

5. L'incredulità prende spesso nel cuore dei peccatori, la forma di pensieri ingiusti riguardo a Cristo, di dubbi che egli sia disposto a ricevere ed a guarire ogni peccatore penitente. Questo dubbio, non già che Cristo potesse, ma che egli volesse riceverlo, era il sasso d'intoppo che il lebbroso trovava sulla sua via, e la prontezza colla quale Gesù rispose: «Sì, io lo voglio», dovrebbe confortare il cuore di chiunque si risolve a cercare il Signore. Ricordiamoci che se gli uomini non sono salvati, non è punto perché Gesù non li voglia salvare. Riflettiamo alle sue parole: «Venite a me, voi, tutti che siete travagliati ed aggravati; ed io vi alloggerò». «Io non caccerò fuori colui che viene a me» Matteo 11:28; Giovanni 6:37#470110280000470110280000#500060370000-500060370000.

6. Gesù lesse colla massima facilità i pensieri degli Scribi e dei Farisei che erano venuti ad osservarlo. Prima ancora che essi avessero potuto parlare, egli già li smascherò dinanzi a tutti, dando così una prova segnalata della sua divinità; imperocché l'indovinare i pensieri, l'investigare i cuori, il seguire i segreti ragionamenti degli uomini, non è in potere degli uomini o degli angeli; è prerogativa del solo Iddio. La convinzione che tutte le cose son nude e scoperte agli occhi di colui al quale abbiamo da render ragione Ebrei 4:13#650040130000-650040130000, dovrebbe allarmare i malvagi, e distoglierli dalla loro ipocrisia, confortando e risvegliando, invece, tutti i veri credenti. Quanto sia completa la sua conoscenza dei più intimi ripostigli del nostro cuore è provato da Salmi 139:1-12#231390010000231390120000.

7. Chiamando uno dei suoi futuri apostoli dalla classe sprezzata dei pubblicani, il Signore dimostra la sua misericordiosa condiscendenza, e getta disprezzo allo spirito altero ed orgoglioso dei Farisei. Siamo troppo proclivi a giudicare dall'esperienza esterna, e secondo la regola del mondo o la stima degli uomini; ma dall'esempio del Signore, in questo luogo, dovremmo imparare ad ammirare la vera pietà per quanto si trovi in condizione bassa ed umile, ed a cercare la salute di quelli che sono poveri e

bisognosi!, invece di far la corte ai ricchi. La storia di Levi ci presenta un esempio notevole del potere della grazia divina nel trasformare l'uomo tutto intero. «L'amore del mondo», quella passione potente fra tutto, è sradicato; «il cuore è inclinato alle testimonianze del Signore, e non più a cupidigia»; ogni pensiero è reso soggetto all'ubbidienza di Cristo, ed in prova di questo grande cambiamento intorno, egli ci alza e segue Gesù con allegra ed attiva ubbidienza.

8. Colla figura del vino nuovo messo negli otri vecchi, e della poca disposizione di quelli che sono stati avvezzi, al vino vecchio per adottare il nuovo, il nostro Signore non solo indica l'impossibilità di sottoporre quelli che ricevono «la gloriosa libertà dei figliuoli di Dio» alla schiavitù cerimoniale della dispensazione preparatoria, ma insegna pare, in modo molto bello, con qual pazienza, tenerezza e longanimità dobbiamo vincere i pregiudizi e i sentimenti dei convertiti poco sperimentati nella vita divina. Nell'ultimo versetto, il Signore insegna che, senza cedere a quello che è male, senza trascurare nulla d'importante, i suoi discepoli devono esser gradatamente educati a nuove abitudini, e specialmente ai più severi doveri della vita cristiana. Ai suoi ministri egli ordina di usare, prudenza nell'educare il loro gregge secondo la sua forza, e nell'imporre ai nuovi convertiti doveri proporzionati al loro tempo ed alla loro posizione. Non dobbiamo aspettare da un principiante nel Cristianesimo che egli dimostri la fede, l'amore e la conoscenza di un vecchio soldato della croce. Molta saviezza è necessaria nel trattar di religione, specialmente coi giovani. V'era grande prudenza ed esperienza nel detto di Giacobbe: «Se sono spinte innanzi pure un giorno, tutta la gregge morrà» Genesi 33:13#010330130000-010330130000.

49006001Lc 6:1

CAPO 6 - ANALISI

1. I discepoli colgono spighe di grano in giorno di Sabato. Gli evangelisti Marco e Luca pongono questo incidente subito dopo il convito in casa di Levi, e qualche tempo prima della domanda che Iairo fece a Gesù di andare

a guarire la sua figlia, mentre che, secondo Matteo, esso sarebbe assai posteriore a tutti e due quei fatti. Non c'è nessuna contradizione in questo, poiché evidentemente né l'uno né l'altro dei tre evangelisti fu guidato nel compilare il suo Vangelo dalla stretta continuità cronologica, ma ciascuno ordinò i materiali fornitigli dalla propria ricordanza, o da precedenti trattati, in modo da far meglio risaltare quei tratti distintivi del carattere del Signore, che lo Spirito Santo lo aveva ispirato di descrivere, Vedi Nota Matteo 9:18Matteo 9:18. Mentre il nostro Signore e i suoi discepoli passavano un certo giorno di Sabato per un sentiero che conduceva attraverso campi di orzo o di frumento, quasi maturi per la messe, i discepoli svellarono alcune delle spighe, e fregatele nelle mani cominciarono a mangiarne i chicchi. Agli occhi di alcuni Farisei che ne furono testimoni, questo atto costituiva un peccato gravissimo, non perché fosse furto dei beni di un vicino, (la legge permetteva al viaggiatore di prendere e di mangiare, lungo la strada, quello che il suo bisogno richiedeva Deuteronomio 33:25#050330250000050330250000), ma perché il lavoro manuale dei discepoli nello svellere le spighe e nel fregarle per cavarne i chicchi, era, secondo le loro tradizioni, una deliberata e flagrante profanazione del quarto comandamento, il quale proibisce ogni lavoro in giorno di Sabato. L'accusa era una di quelle che solo un ingegno reso acuto dall'odio, può trovare, poiché anche un Fariseo deve pur recarsi alla bocca le dita od un cucchiaio in giorno di Sabato! Il Signore difende la condotta dei suoi discepoli, ricordando il ben noto fatto di Davide, fuggente dinanzi all'ira di Saul, il quale, nell'estremità della fame, ottenne dal sacerdote, nel tabernacolo, per sé e per i suoi seguaci, parte dei pani di proposizione, nel giorno del Sabato, dopo che essi erano stati tolti dal Luogo Santo Levitico 24:8#030240080000-030240080000. Questo in qualsiasi altra circostanza sarebbe stato un sacrilegio, ma divenne un atto di misericordia, quando non ci fu altra alternativa che di prendere quel pane consacrato, o di sacrificare la vita di alcuni uomini affamati. Oltre all'argomento che Gesù addusse, per mezzo di questa allusione, in favore dei suoi discepoli, egli asserì il suo diritto personale ed assoluto, quale Signore del Sabato, di determinare che cosa fosse lecito fare in quel giorno Luca 6:15.

2. Guarigione di una mano secca nella sinagoga, in giorno di Sabato, Vedi Nota Matteo 12:11Matteo 12:11. Il rifiuto di Cristo di sottomettere sé

stesso, o i suoi discepoli, alle oppressive esagerazioni che i dottori della legge aveano dedotte, come corollari o conseguenze del quarto comandamento, fu una delle cause principali della fiera animosità che andò sviluppandosi rapidamente contro di lui fra gli Scribi e i Farisei. Affine di mostrar chiaramente come i Farisei rendessero vano il quarto comandamento colle loro aggiunte, i Sinottici hanno tutti introdotto nella loro narrazione, come seguito del fatto e della conversazione più sopra riferita, benché senza connessione cronologica con essa, un miracolo operato nella sinagoga, in giorno di Sabato, mediante il quale, un uomo che aveva la mano secca venne istantaneamente guarito. Gesù sapeva che i suoi avversari stavano facendogli la spia, nella speranza di trovare l'occasione di accusarlo, e per questo appunto egli risolvette di guarire quella mano secca, affin di insegnare che tali opere di misericordia e di compassione non sono punto una trasgressione del precetto: «Ricordati del giorno del riposo per santificarlo». Nel caso precedente, la quistione era stata proposta dai Farisei; ma in questo, è Cristo medesimo che lancia la sfida. Dopo aver comandato all'uomo della mano secca di farsi avanti, e di stare in piedi in mezzo alla raunanza, affinché ciascuno potesse essere testimone della sua condizione disperata, Gesù ridusse i suoi avversari al silenzio, domandando loro: «Che? è egli lecito di far bene o male, nei Sabati? di salvare una persona, o di ucciderla?» Naturalmente essi non ardirono dire che fosse illecito fare del bene, o salvare un uomo, in quel giorno; e Gesù, colla parola di comando: «Distendi la tua mano», la rese sana come l'altra. Fu per i suoi nemici una pubblica sconfitta! Sfidati di faccia a tutta la sinagoga, essi non trovarono una parola da rispondere, ma ripieni di furore, da quel momento, i Farisei di Capernaum cominciarono a cospirare contro alla sua vita Luca 6:6-11.

3. La scelta dei dodici apostoli. Essendo questa una cosa di somma importanza per l'avvenire del suo regno in sulla terra, poiché dal modo in cui quelli che stava per eleggere adempierebbero al loro duplice uffizio di testimoni per Cristo e di predicatori del suo vangelo, dipendeva, parlando umanamente, il progresso del suo regno nel mondo, il Signore si preparò a scegliere e ordinare i suoi futuri messaggeri, col passar la notte sulla montagna in preghiera ed in comunione col suo Padre Celeste. Di buon mattino, i più intimi dei suoi discepoli gli vennero incontro per appuntamento, e fra di essi, il Signore scelse i dodici apostoli, affinché

vivessero in sua compagnia, ascoltassero le sue istruzioni, fossero testimoni oculari dei suoi miracoli, rendessero poi testimonianza su questi punti, dinanzi ai re ed ai rettori ed al popolo d'Israele» Luca 6:12-16.

4. Il sermone nella Pianura. Questo discorso rassomiglia in molti punti al sermone in sul Monte, riportato da Matteo, ed un numero assai considerevole di critici, alcuni dei quali portano dei nomi di gran peso, han dato come loro opinione che quei due discorsi sono identici. Ma le diversità di tempo, di luogo, di udienza, e di contenuto stanno in favore della conclusione che convenga considerarli come affatto distinti l'uno dall'altro Luca 6:17-45.

5. Parabola dei due Fabbricatori. La sicurezza di tutti quelli che sono uniti a Cristo, coll'essere edificati su di lui, come «Sulla pietra principale del cantone», e col perseverare nella sua dottrina, è illustrata col mezzo dell'uomo che edificò la sua casa in sulla roccia. Dall'altra parte, l'illusione attuale ed il pericolo futuro di quelli che «odono e non fanno», che professano di essere discepoli di Cristo eppure non compiono mai le cose che egli comanda, sono messi dinanzi agli occhi nostri mediante l'esempio dell'edificatore imprudente, il quale, quando viene la burrasca, ed egli ha più che mai bisogno di riparo, vede la casa sua portata via ad un tratto dalle acque, perché era edificata in sulla rena Luca 6:46-49.

Luca 6:1-5. I DISCEPOLI COLGONO SPIGHE DI GRANO IN GIORNO DI SABATO Matteo 12:1-8; Marco 2:23-28#470120010000470120080000#480020230000-480020280000

Per l'esposizione Vedi Matteo 13:1Matteo 13:1-8.

1. Or avvenne nel primo sabato dal dì oppresso la pasqua,

nel sabato deuteroproto, cioè secondoprimo. Diodati ha aggiunto le parole «la pasqua» che non si trovano nel testo greco, ed avrebbe fatto meglio di tradurre deuteroproto letteralmente con secondo primo, o primo secondo,

giusto il significato che alcuni dànno a quella parola. Il vocabolo non si trova in nessun altro luogo della Bibbia né in qualsiasi altro scritto pervenuto fino a noi. È tanto strano e ha dato luogo a tanta speculazione, che non è possibile passarlo sotto silenzio. Alcuni se la cavano nel modo più spiccio, proponendo di cancellarlo addirittura come spurio, ma esso riposa su documenti troppo autorevoli perché sia lecito disfarsene in quel modo. Se ne son date una dozzina di spiegazioni diverse, alcune delle quali son tanto assurde che sarebbe un vero perditempo il ricordarle. Come campione di impossibili assurdità si prenda la spiegazione seguente: che cioè uno dei più antichi copisti avrebbe scritto in margine la parola primo in riferenza al sabato accennato al ver. 6; un copista posteriore avrebbe aggiunto pure in margine secondo, in riferenza al Sabato indicato in Luca 4:31#490040310000-490040310000; ed un terzo, più recente ancora, e più intelligente degli altri due, avrebbe unito le due parole in una, facendole per giunta entrare nel testo! È indubitato che Luca ha preso quella parola dal vocabolario comune fra gl'Israeliti per l'indicazione del tempo, ed è questo fatto una prova di più che nel comporre il suo Vangelo, egli ricorse a sorgenti indipendenti d'informazione. Non ci sono di questa parola che quattro spiegazioni degne di seria attenzione:

1. La festa del novilunio essendo celebrata in giorno di Sabato, quando gli osservatori scelti per accertare ed annunziare al comitato del Sinedrio la prima apparizione della luna, così facevano dopo che l'ora per offerire il sacrifizio della nuova luna era passata, quel giorno dichiaravasi primo Sabato; ma il giorno seguente veniva osservato come il vero Sabato mensile, e riceveva il nome di Sabato secondo primo. Questa ipotesi, messa avanti per la prima volta dal Selden, è stata ammessa poi dal Godet; ma nessuna prova viene addotta che una tale usanza sussistesse fra i Giudei, ed anche se così fosse, neppure la raccolta dell'orzo sarebbe stata matura, quindici giorni prima che la manata delle primizie venisse presentata nel tempio; ed il mangiare le spighe di grano avanti quella presentazione, sarebbe stata una violazione deliberata della legge levitica, che il nostro Signore non avrebbe consentita, e sulla quale, anziché su quella della legge generale del Sabato, i Farisei avrebbero avuto ragione di fondare la loro lagnanza, Vedi Levitico 23:9-14#030230090000-030230140000, specialmente l'ultimo versetto.

2. Vi erano due primi giorni dell'anno fra i Giudei; il capo d'anno civile nel mese di Tisri (luna di settembre), e il capo d'anno sacro nel mese di Nizan (luna di marzo), e per conseguenza due primi Sabati, quelli cioè che seguivano immediatamente i due capo d'anno, cosicché quello del mese di Tisri Sarebbe il primo, e quello del mese di Nizan il secondo primo. Questa spiegazione incontra meno obbiezioni della precedente; però, mentre abbiamo prove abbondanti che il compito popolare dei Giudei partiva dal principio dell'anno sacro, non abbiamo prova alcuna che lo stesso avvenisse mai riguardo all'anno civile.

3. Per ordine espresso di Dio, ogni settimo anno doveva essere un anno Sabatico, durante il quale la terra godrebbe il suo riposo Esodo 23:10-11; Levitico 25:3-4#020230100000-020230110000#030250030000030250040000. A motivo di questa istituzione speciale, gl'Israeliti contavano i loro anni per cieli di sette, e li chiamavano primo, secondo, terzo ecc., dall'ultimo anno Sabatico, dimodoché il Sabato deuteroproton sarebbe il primo Sabato di Nizan dell'anno Secondo di uno di questi cieli settennali. Dobbiamo questa spiegazione a Weisler il quale è stato Seguito da Tischendorf, Oosterzee, Ellicott e molti altri scrittori. Essa si accorda coll'uso naturale della parola; e trovansi negli Scritti di Clemente Alessandrino, ed in un decreto di Giulio Cesare conservatoci da Flavio (Ant. 14:10,6), delle prove che i Giudei avevano realmente l'abitudine di distinguere in quel modo gli anni che correvano fra un anno Sabatico e l'altro. Preferiremmo questa a tutte le spiegazioni antecedenti, se non le stesse contro l'obbiezione fatale che il primo Sabato del mese di Nizan farebbe cadere l'azione dei discepoli sotto la proibizione diretta di Levitico 33:14#030330140000-030330140000, la cui violazione il Signore non avrebbe mai tollerata e molto meno giustificata.

4. La menata delle primizie veniva offerta il 16 di Nizan, cioè l'indomani del principio della festa degli Azzimi, ossia il secondo giorno della festa di Pasqua. Da quel giorno calcolavansi sette settimane fino alla festa della Pentecoste, e in quell'intervallo i Sabati venivan detti secondo primo; secondo secondo; secondo terzo ecc., vale a dire il primo, il secondo ed il terzo sabato dopo il secondo giorno di Pasqua. Questa spiegazione è dovuta a Scaligero ed è seguita da Lightfoot, e da un numero considerevole di

esegeti moderni. Essa concorda col significato naturale della parola, e indica che il sabato di cui parla Luca, fu il primo dopo il secondo giorno della Pasqua o della festa degli Azzimi. La sola difficoltà che si oppone alla sua accettazione si è che, so la «festa dei Giudei» Giovanni 5:1#500050010000500050010000, per la quale Gesù salì in Gerusalemme, fosse stata la Pasqua, rimarrebbe un brevissimo spazio di tempo fra la presenza di Cristo in Gerusalemme e la sua presenza nei campi vicini a Capernaum, nel primo sabato dopo il secondo giorno della Pasqua; quantunque il contegno minaccioso della folla Giovanni 5:16#500050160000-500050160000, abbia potuto indurre il Signore ad affrettare la sua partenza da Gerusalemme. Dalla parafrasi di queste parole, che il Diodati ha introdotta nel suo testo, è evidente che egli adottò la spiegazione di Scaligero, la quale pare più soddisfacente che qualsiasi altra.

49006006Lc 6:6

Luca 6:6-11. GUARIGIONE D'UNA MANO SECCA NELLA SINAGOGA IN GIORNO DI SABATO Matteo 12:9-14; Marco 3:16#470120090000-470120140000#480030010000-480030060000

Per l'esposizione vedi Matteo 12:9Matteo 12:9-14.

49006012Lc 6:12

Luca 6:12-19. I DODICI APOSTOLI SCELTI ED ORDINATI. LE TURBE PORTANO I LORO AMMALATI PER ESSERE GUARITI Matteo 10:14; Marco 3:13-19#470100140000470100140000#480030130000-480030190000

Per l'esposizione vedi Matteo 10:1Matteo 10:1-4.

12. Or avvenne, in que' giorni, ch'egli uscì al monte, per orare, e passò la notte in orazione a Dio.

Vi è all'occidente del Lago di Galilea un monte che si erge a metà strada fra Tiberiade e Lubeyeh, e vien chiamato, per la sua forma singolare, Kurún Hattin, le corna di Hattin. Sin dal tempo delle crociate, i monaci latini lo hanno designato come il «monte delle Beatitudini», Vedi Note Matteo 5:1Matteo 5:1. Stanley il quale è evidentemente convinto della identità del discorso contenuto nei versetti seguenti col Sermone in sul monte, sostiene che Hattin è veramente il luogo dove gli apostoli furono ordinati, e questo discorso venne pronunziato. Ma la sua distanza di 4 o 5 ore di cammino da Capernaum, e le, difficoltà d'accedervi per la stretta e ripida Wadi Hamman, ci costringono a rigettare una tale idea. Non è probabile che nostro Signore intraprendesse un viaggio così fatto nell'oscurità della notte, né che i discepoli e la moltitudine lo seguissero fin lassù prima dell'alba. D'altra parte, abbondano nel vicinato immediato di Capernaum le colline perfettamente adatte allo scopo indicato in questo racconto. La decisione importante che egli stava per prendere la mattina, mostra a sufficienza qual dovette essere il soggetto delle sue preghiere in quella notte, e se ne vogliamo una bella illustrazione ci basti rileggere la sua preghiera d'intercessione in Giovanni 17#500170000000-500170000000.

PASSI PARALLELI

Salmi 55:15-17; 109:3-4; Daniele 6:10; Matteo 6:6; Marco 1:35; 14:34-36; Ebrei 5:7#230550150000-230550170000#231090030000231090040000#340060100000-340060100000#470060060000470060060000#480010350000-480010350000#480140340000480140360000#650050070000-650050070000

Genesi 32:24-26; Salmi 22:2; Matteo 14:23-25; Marco 6:46; Colossesi 4:2#010320240000-010320260000#230220020000230220020000#470140230000-470140250000#480060460000480060460000#580040020000-580040020000

49006013Lc 6:13

13. E, quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne elesse dodici i quali ancora nominò Apostoli,

letteralmente mesaggeri. All'alba, i suoi discepoli più intimi si recarono a lui sul monte, dove egli avea forse dato loro l'appuntamento, la sera prima: ed allora egli scelse fra di loro ed ordinò come apostoli, quei dodici, i cui nomi ci son tanto familiari, e che egli doveva, in tempo debito, mandare in tutto il mondo per esservi testimoni della sua persona e della sua dottrina Matteo 28:19; Marco 16:15#470280190000-470280190000#480160150000480160150000. La scelta fu fatta, ed il titolo fu dato loro, non in un'epoca posteriore, come pretende Schiciermacher, ma in questa occasione, e dal Signore stesso. Da Atti 1:22#510010220000-510010220000, alcuni scrittori han voluto dedurre che tutti quanti gli apostoli erano stati primieramente discepoli di Giovanni Battista, ma le parole: «Cominciando dal battesimo di Giovanni», che troviamo in quel passo, non legittimano questa conclusione, benché sappiamo che, tale fosse il caso per alcuni degli apostoli Giovanni 1:35,37,40#500010350000-500010350000#500010370000500010370000#500010400000-500010400000. Questa ordinazione fu scevra di qualsiasi pompa o splendore mondano; eppure non ve ne fu mai di più solenne né mai furono ordinati a sacro uffizio uomini che abbiano fatto, per la Chiesa e per il mondo, quanto fecero questi dodici apostoli. Non v'è ragione di supporre che Gesù mandasse i suoi apostoli alla loro prima gita di predicazione, subito dopo averli nominati a questo uffizio, poiché Luca, dopo aver ricordato la loro ordinazione e riportato il discorso che Cristo rivolse loro in quella circostanza, non avrebbe certamente omesso un seguito così importante, invece di introdurlo, come fa, in un periodo posteriore del suo Vangelo Luca 9:1-6#490090010000-490090060000. Per i nomi dati agli apostoli e l'ordine in cui quel nomi vengono disposti, Luca differisce da Matteo e da Marco, in un caso solo. L'apostolo chiamato da Matteo, Lebbeo, e da Marco, Taddeo, Luca lo chiama «Giuda fratello di Giacomo», e lo mette l'undecimo nella sua lista, mentre gli altri due Sinottici lo mettono il decimo. Il vero nome di questo apostolo era Giuda Giovanni 14:22#500140220000-500140220000, gli altri erano soprannomi:

Lebbeo significando coraggioso, e Taddeo misericordioso, Vedi LEBBEO, Nota Matteo 10:3Matteo 10:3.

PASSI PARALLELI

Luca 9:1-2; Matteo 9:36-38; 10:1-4; Marco 3:13-19; 6:7#490090010000490090020000#470090360000-470090380000#470100010000470100040000#480030130000-480030190000#480060070000480060070000

Luca 22:30; Matteo 19:28; Apocalisse 12:1; 21:14#490220300000490220300000#470190280000-470190280000#730120010000730120010000#730210140000-730210140000

Luca 11:49; Efesini 2:20; 4:11; Ebrei 3:1; 2Pietro 3:2; Apocalisse 18:20#490110490000-490110490000#560020200000560020200000#560040110000-560040110000#650030010000650030010000#680030020000-680030020000#730180200000730180200000

49006017Lc 6:17

17. Poi, sceso con loro si fermò in una pianura, con la moltitudine de' suoi discepoli,

Ordinati gli apostoli, Gesù scese con loro nel piano appiè del monte, dove nel frattempo gli altri suoi discepoli e la moltitudine si erano riuniti. Il luogo qui indicato è diverso da quello descritto da Matteo, nel quale Gesù pronunziò il Sermone in sul monte, e questa è una delle ragioni che ci induce a ritenere che il discorso che vien dopo non è la versione di Luca di quel sermone, ma un altro, pronunziato in diversa occasione. Nel primo caso, Gesù salì sul monte, affin di poter cascre di lassù più facilmente udito; in questo, dopo ordinati gli apostoli, egli scese dal monte nel piano, ed andava incontro alla folla per guarirla, prima di pronunziare il suo discorso. Alcuni hanno suggerito che la pianura fosse uno spazio piano che rompesse

il clivo del monte; ma le parole suggeriscono più. naturalmente la pianura appiè di quello; oltreché, uno spazio piano su un clivo di monte, per grande che fosse, avrebbe potuto difficilmente contenere tutta la moltitudine di cui vien qui parlato.

e con gran numero di popolo di tutta la Giudea, e di Gerusalemme, e dalla marina, di Tiro e di Sidon, i quali eran venuti per udirlo, e per esser guariti delle loro infermità;

Anche l'udienza che ascoltò il Sermone in sul monte era composta diversamente dell'attuale. In ambo è vero i casi, la Giudea, Gerusalemme e la Galilea erano largamente rappresentate; ma gli stranieri che udirono il Sermone in sul monte provenivano solo dalla Decapoli e dalla Perea Matteo 4:25#470040250000-470040250000, mentre fra quelli che son mentovati in questo versetto, e in Marco 3:8#480030080000-480030080000, erano anche pagani delle coste di Tiro e di Sidon.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:23-25; 12:15; Marco 3:7-12#470040230000470040250000#470120150000-470120150000#480030070000480030120000

Matteo 11:21; 15:21; Marco 3:8; 7:24-31#470110210000470110210000#470150210000-470150210000#480030080000480030080000#480070240000-480070310000

Luca 6:5-15; Matteo 14:14#490060050000-490060150000#470140140000470140140000

Salmi 103:3; 107:17-20#231030030000-231030030000#231070170000231070200000

49006018Lc 6:18

18. Insiem con coloro ch'erano tormentati da spiriti immondi, e furon guariti. 19. E tutta la, moltitudine cercava di toccarlo percciocché virtù (potenza salutare) usciva di lui, e li sanava tutti.

Chi conosce il greco noti il cambiamento delle proposizioni colle quali viene descritta l'uscita di quella virtù insita in Cristo in questo passo in Luca 8:46; Marco 5:30#490080460000-490080460000#480050300000480050300000. Su questo soggetto Webster osservava: «indica che quella virtù originava da lui; che essa risiedeva in lui; che egli la possedeva come una qualità permanente, apud» etc. sanava dinota un esercizio continuo del suo potere finché non furono guariti tutti quelli che ne avevano bisogno. Come son maravigliosi i tesori della sua grazia, e con qual munificenza egli li spargeva intorno a se! Il suo contegno verso tutti quelli che venivano in contatto con lui, Pietro ce lo descrive in modo molto bello quando dice a Cornelio: «Egli andò attorno facendo beneficii, e sanando tutti coloro che erano posseduti dal diavolo» Atti 10:38#510100380000-510100380000.

RIFLESSIONI

1. Il Sabato o giorno di riposo è una istituzione divina, imposta nel paradiso all'uomo appena creato e tuttora senza peccato. Per il benessere del nostro corpo, non meno che per quello del nostro spirito, Iddio c'impose l'osservanza della settima parte del nostro tempo, come in periodo di necessario riposo. I geologi pretendono avere scoperto che ognuno dei giorni della creazione fu un periodo di durata indefinita, ed in questo modo tolgono ogni significato al sabato settimanale, il quale era destinato a commemorare, per ogni tempo, il fatto che al settimo giorno Iddio si riposò dell'opera della creazione. Se, come essi ci dicono, il periodo attuale è il sabato nel nostro globo, dopo le rivoluzioni che ne aveano precedentemente sconvolto la struttura, un sabato che ricorre ogni settimana non ha più significato alcuno. Ma Gesù mantiene e rivendica il sabato, come una istituzione obbligatoria in perpetuo, e c'insegna, per mezzo dei fatti ricordati al principio di questo capitolo la libertà che egli concede al suo popolo nell'uso di essa, pur mantenendone la santità come al giorno solenne del riposo. Col guarire gli ammalati, e col permettere ai suoi discepoli affamati

di cibarsi in tali giorni, egli abolisce tutte le regole tradizionali colle quali i Farisei aveano fatto di quel giorno un peso insopportabile per tutti i loro concittadini, mentreché dando a se stesso il titolo di «Signore del Sabato», egli insegnò pure che il Sabato doveva rimanere istituzione obbligatoria durante tutta la dispensazione Cristiana; epperciò, guai a tutti quelli che la trascurano, o si sforzano di scemarne l'autorità! La prosperità dell'individuo e quella della nazione sono intimamente uniti all'osservanza di un sabato santo. Nei paesi cattolici romani, i preti insegnano al popolo a santificare le feste, cioè i giorni messi a parte per autorità umana in onore dei così detti santi, e questi giorni son posti sullo stesso livello che il Sabato ordinato da Dio, e per dar peso a questo precetto umano, essi hanno avuto l'ardire di alterare le parole del quarto comandamento (da essi chiamato terzo), sostituendo la parola feste a quelle di giorno di riposo, Ma Dio non domanda punto da noi l'osservanza di tali feste con l'ozio, la miseria, i vizi che esse si tiran dietro; egli ci dice unicamente: «Ricordati del giorno del riposo, per santificarlo» Esodo 20:8#020200080000-020200080000.

2. La Chiesa romana ed altre Chiese che hanno adottato una forma ierarchica di governo ecclesiastico, pretendono che non vi possono esser veri ministri del vangelo, e che i sacramenti istituiti da Cristo nella sua Chiesa, non possono avere effetto salutare ed efficace, se non laddove si è ricevuta l'ordinazione mediante l'episcopato, in diretta successione apostolica. Questa pretesa è messa innanzi con tanto maggiore ardire che vien maggiormente perduto di vista il vero scopo del ministero cristiano, e che uomini ambiziosi aspirano a signoreggiare, sui corpi e sulle anime dei loro simili; ma non ha fondamento alcuno nella Scrittura, ed è del tutto incompatibile colla natura dell'uffizio apostolico. Per essere un vero successore degli apostoli, occorreva venire scelto da Cristo medesimo, essere stato suo costante ed intimo compagno dal battesimo alla risurrezione, ed aver ricevuto il dono della ispirazione insieme al potere di compiere dei miracoli (Vedi la descrizione data da Pietro Atti 1:2122#510010210000-510010220000); ma dopo la morte dell'apostolo Giovanni nessun uomo pretese mai aver ricevuto una cotal vocazione, e per le condizioni stesse dell'uffizio loro, era impossibile che gli apostoli trasmettessero ad altri l'autorità e la virtù che aveano ricevute. Essi «ordinarono degli anziani», i quali erano pure chiamati Vescovi

(soprintendenti), e Pastori, affin di proseguire quella grande opera, che stava tanto a cuore a Gesù ed ai suoi apostoli, della predicazione della buona novella a tutti gli uomini. Quando dunque si dice dei ministri della Chiesa (si chiamino essi vescovi, pastori, od evangelisti), che essi sono i successori degli apostoli, lo si può far solo in quanto ch'essi predicano le dottrine degli apostoli, e seguono il loro esempio di abnegazione, e di zelo per la salvezza delle anime che periscono. «In quanto alla favola di una succesione episcopale derivante dagli apostoli, per la quale certi uomini si spacciano eredi dell'uffizio primitivo, prove serie e concludenti ne mancano così negli scritti dei Padri, come nel Nuovo Testamento» (Brown). In Efesini 4:1113#560040110000-560040130000; troviamo descritta l'opera del ministero nella quale gli apostoli prendevan parte, insieme a tutti gli altri destinati, in ogni tempo, a tenere nella Chiesa di Cristo uffizio permanente o temporaneo.

3. Il successo del ministero cristiano dipende molto dalla preghiera, prima per parte di quelli che lo devono adempiere, quindi per parte delle congregazioni e dei Cristiani in generale. L'esempio di Aaronne e di Hur Esodo 17:12#020170120000-020170120000, i quali sorreggevano le braccia di Mosè mentre pregava per la vittoria d'Israele sugli Amalechiti, merita costante imitazione, perciocché i ministri non sono che uomini deboli e peccatori, ed han bisogno di aiuto e di incoraggiamento per parte dei fedeli. Siamo noi desiderosi di aiutare all'avanzamento della causa di Cristo nel mondo? Non dimentichiamo mai di pregare per i ministri, i quali sono i suoi ambasciatori, e specialmente per i giovani che si preparano ad entrare nel ministero. Il progresso del vangelo dipende molto dal carattere e dalla condotta di quelli che lo predicano. Non si può mai sperare che un ministro inconvertito faccia del bene alle anime, perché parla di quello che non conosce e non sente per propria esperienza. Preghiamo ogni giorno che i varii rami della Chiesa evangelica sieno liberati da tali ministri.

4. I primi ministri dell'evangelo erano tutti poveri in quanto al mondo, essendo pescatori, pubblicani, ecc. Questo ci mostra che il regno del nostro Signor Gesù Cristo era interamente indipendente dall'aiuto di questo mondo, e ci fornisce una prova irrefragabile della divina origine del Cristianesimo. La sua chiesa non fu edificata per potere o forza umana, ma per lo Spirito

dell'Iddio vivente Zaccaria 4:6#450040060000-450040060000. Una religione che mise il mondo sottosopra, mentre i suoi primi banditori erano tutti uomini poveri e senza lettere, deve necessariamente essere provenuta dal cielo. Se gli apostoli avessero avuto denaro per comprar la gente, o eserciti per costringerla, l'incredulo ben potrebbe asserire non esservi nulla di maraviglioso nel loro successo. Ma che alcuni poveri pescatori Galilei, i quali non potevano né sedurre né obbligare la gente, e predicavano una dottrina tutt'altro che accettevole al cuore naturale, sieno prevalsi contro magistrati, re, e principi di questo mondo, sino a mutar la faccia dell'impero romano, è un fatto talmente maraviglioso, eppure talmente innegabile, che esso toglie ogni sostegno agli argomenti degli increduli.

5. La storia di Giuda ci fornisce una prova lampante della verità del Cristianesimo, inquantoché adduce a favore di esso la testimonianza di un nemico perfettamente informato, ed avente i più forti motivi per discreditarlo e rovesciarlo, se la cosa fosse stata possibile. Giuda era stato ammesso nella più intima familiarità con Gesù, insieme agli altri suoi apostoli; ma non scoprì nulla di che li potesse accusare. Anzi, quando l'avarizia l'ebbe spinto a rinnegare il suo Maestro, invece di cercare di giustificarsi, spargendo false accuse contro di loro, si pentì del suo crimine, e rese, colla sua morte, ampia testimonianza alla innocenza di Gesù.

49006020Lc 6:20

Luca 6:20-49. IL SERMONE NELLA PIANURA Matteo 57#470050000000-470070000000

Per l'esposizione Vedi Matteo 5:1Matteo 5:1-7:29.

Questo discorso rassomiglia notevolmente a quello contenuto in Matteo 57#470050000000-470070000000, comunemente chiamato il sermone sul monte; epperciò molti han chiesto a sé stessi se sono due discorsi pronunziati in occasioni diverse, o solamente due relazioni, fatte da due

evangelisti diversi, dello stesso discorso. V'è stata a questo riguardo grandissima diversità d'opinione fra i critici ed i commentatori. I primi scrittori greci li considerarono come ripetizioni dello stesso discorso. Agostino, e gli scrittori latini posteriori a lui, li ritennero come affatto distinti. In tempi più moderni Kraff e Greswell, Stier, Alexander, Foote, Webster e Wilkinson ed altri sostengono quest'ultima teoria, mentre abbiamo in favore della identità Oldshausen, Oosterzee, Brown, Tholuck, Godet, fra i commentatori evangelici, oltre a tutta la scuola dei critici ed interpreti scettici moderni, i quali vi trovano una occasione ed un pretesto per attaccare l'ispirazione verbale degli evangelisti, mostrando quanto essi differiscono, anche quando raccontano lo stesso fatto. Vi è un'altra opinione messa innanzi da Calvino e sostenuta da un piccolo numero dei suoi seguaci, cioè «che il disegno di ambo gli evangelisti fu di raccogliere, in un sol luogo, i punti essenziali della dottrina di Cristo, i quali si riferiscono ad una vita santa e divota»; ed egli pensa che «i pii ed umili lettori devono stimarsi felici di avere un breve sommario della dottrina di Cristo, messo dinanzi agli occhi loro, dopo essere stati colti dai suoi molti e varii discorsi». Crediamo però che pochi lettori, studiando questi discorsi con attenzione, giungeranno a scoprirvi una collezione di parole frammentarie di Cristo, o saranno disposti ad accusare gli Evangelisti di inganno deliberato, nel presentar come discorsi continui pronunziati dal Signore stesso, in certe occasioni, un sunto fatto da ossi soli per indicare il senso generale della sua dottrina. Possiam dunque lasciar completamente da banda questa teoria. I principali argomenti in favore della identità dei due discorsi sono:

1. che il principio e la fine di entrambi sono quasi identici;

2. che i precetti ricordati da Luca si trovano nello stesso ordine generale che quelli di Matteo, e spesso con termini quasi identici.

3. che ambo gli evangelisti ricordano lo stesso miracolo, cioè la guarigione del servo del Centurione, come accaduto poco dopo il sermone, quando il Signore entrò in Capernaum.

Gli argomenti contro l'identità di questi due discorsi sorgono:

1. Dalla diversità di luogo. Quello di Matteo fu pronunziato sopra un monte, sul quale Cristo era salito apposta; quello che ci occupa fu invece pronunziato in pianura, o sul terreno ondulato sul quale Gesù era giunto, scendendo dal monte, alla folla dei discepoli, Conf. Matteo 5:l; Luca 6:17Matteo 5:l; Luca 6:17. È stato suggerito che Cristo può esser risalito sul monte, per parlare a sì vasto concorso di gente; ma mentre tal teoria non è appoggiata dalla più piccola prova, vi sono al N. di Capernaum, moltissimi poggi sorgenti dalla pianura stessa, e da uno dei quali Gesù avrebbe potuto esser udito e veduto da tutta la folla.

2. Dalla diversità di tempo. Matteo mentova la guarigione del lebbroso, come il primo evento dopo il sermone; Luca, quella del servo del Centurione, e fra quei due fatti corse tempo assai. Confr. Matteo 8: l; Luca 7:1#470080010000-470080010000#490070010000490070010000. Se non ci fosse altra prova che questa della diversità di tempo, non le daremmo gran peso; essendo ben noto che nessuno degli evangelisti segue un ordine cronologico rigoroso nel narrare fatti della vita di Gesù. Ma v'ha per questo una prova molto più sostanziale nel fatto che, secondo Matteo, la chiamata di Levi a seguitar Cristo ebbe luogo molto tempo dopo il discorso in sul monte; mentreché, secondo Luca, essa accadde prima del discorso che questo evangelista riporta. Se avessimo qui due versioni dello stesso discorso, sembra incredibile che Matteo non solo ometta la ordinazione degli apostoli (che sarebbe succeduta prima), ma posponga persino la propria vocazione.

3. Dalla differenza di udienza. Oltre alla moltitudine di Giudea e di Galilea, Matteo parla di molti provenienti di Perea e Decapoli, i quali senza dubbio erano Giudei, poiché questi formavano la parte maggiore della popolazione. Ma Luca, a questi tutti, aggiunge dei pagani dalle coste di Tiro e Sidon, come presenti a questo sermone in pianura. La lor presenza si spiega dalla fama di Cristo crescente col suo ministero, e dalla diffusione del suo primo sermone e dei miracoli che lo seguirono, Confr. Matteo 4:25; Luca 6:17#470040250000470040250000#490060170000-490060170000.

4. Dalla diversità di contenuto. Luca omette affatto la maggior parte del sermone di Matteo; non ripetendo che 30 dei 107 versetti che quello contiene. Delle 8 beatitudini Luca non ne dà che 4 (nessuna delle quali colle medesime parole), cui fan contrasto altrettanti guai non ricordati nel primo Vangelo. Luca altresì fa precedere certe parti del sermone da detti che non ci sono in Matteo, ma che si uniscono naturalmente a quelle.

Questi argomenti, a giudizio nostro, stabiliscono a sufficienza il fatto che Luca ci riferisce un secondo sermone, pronunziato assai dopo quello in sul monte, dinanzi ad una udienza più numerosa ed in parte almeno diversa; di più essi offrono a quelli che, come noi, ritengono la ispirazione verbale delle Scritture, l'immenso benefizio di lasciare non tocchi da mani temerarie, se non sacrileghe, i racconti dei «santi uomini di Dio», i quali «hanno parlato essendo sospinti dallo Spirito Santo». Nell'adottare questo modo di vedere, ci si rivela pure in parte il metodo del Signore per insegnare tanto la moltitudine come i discepoli. Non si curava egli di dir sempre cose nuove e brillanti, né temeva di ripetere sé stesso, ma promulgava sovente le medesime grandi verità, dando loro «insegnamento dopo insegnamento, linea dopo linea», finché i suoi precetti non rimanessero fissati nella loro memoria. Non essendo i discorsi di Gesù rivolti ad udienze fisse, anzi a moltitudini sempre nuove, non c'è ragione perché Gesù non abbia spesso ripetuto molte delle sue grandi massime, con parole pressoché identiche, durante il suo ministero, poiché a tutti i suoi uditori abbisognavano le stesse istruzioni. Paolo seguì, a questo riguardo, l'esempio del suo Maestro Filippesi 3:1#570030010000-570030010000. I commenti che seguono son limitati a quelle parti del testo che differiscono dal discorso di Matteo.

20,21. Beati voi, poveri... Beati voi, che ora avete fame... Beatiti voi, che ora piagnete, ecc.

Queste corrispondono alle beatitudini di Matteo 5:1,2,6#470050010000470050010000#470050020000-470050020000#470050060000470050060000, ma in quest'ultimo, le parole sono evidentemente usate in un senso spirituale, mentre qui Gesù le usa letteralmente e senza qualificazione. Si spiega usualmente questa divergenza col dire che, in ambo

i Vangeli, Gesù vuol dir la stessa cosa; ma non possiam prender le parole che quali le troviamo, e certamente a queste non si darebbe un senso spirituale, se il Vangelo di Matteo non fosse lì a suggerirlo. Che una beatitudine speciale sia riserbata a tutti quelli che son poveri, affamati, od afflitti, è cosa contraria alla nostra esperienza quotidiana, e non può accettarsi come regola generale, più che si debba accettare come tale l'asserzione che un guaio si attacchi a quelli che sono ricchi, allegri di natura, e stimati dai loro vicini. Né dobbiam credere che, essendo temporali le condizioni qui descritte, temporali pure debbano essere le benedizioni connesse a quelle, e che per questi bisognosi ed afflitti stia in serbo un cambiamento così completo, come quello di Giobbe, delle loro fortune terrene Giobbe 42:12#220420120000-220420120000. Pure ci fu a quelli che trovavansi dinanzi a lui in quella deplorabile condizione - «che ora avete fame, che ora piangete» - che parlò il Signore. L'udienza era composta primieramente di una moltitudine dei propri suoi discepoli, i quali probabilmente ne formavano il circolo più interno, i quali avean dato prove non dubbio della loro fede in lui come nel Messia, ed il suo discorso è specialmente rivolto a quelli, quantunque destinato pure alla folla più grande che stava al di fuori. La roditrice ansietà che è prodotta dalla grande miseria in questa vita, mentre spinge taluni alla bestemmia ed al delitto, tende a trarre i cuori e le speranze di quelli che credono in Dio per Cristo, sempre più verso quel «regno di Dio» nel quale «essi non avranno più fame, né sete, e l'Agnello asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro» Apocalisse 7:1617#730070160000-730070170000. Quelli che si confidano nelle ricchezze hanno «la lor parte in questa vita»; quelli, la cui eredità quaggiù è la fame, la povertà e l'afflizione, sono animati a sperare una eredità migliore nel regno del loro Padre celeste. Giacomo 2:5#660020050000-660020050000 sembra esprimere esattamente il pensiero di Gesù, nelle parole: «i poveri di questo mondo ricchi in fede, ed eredi delle eredità ch'egli ha promesso a coloro che l'amano».

PASSI PARALLELI

Matteo 5:2-12; 12:49-50; Marco 3:34-35#470050020000470050120000#470120490000-470120500000#480030340000-

480030350000

Luca 6:24; 4:18; 16:25; 1Samuele 2:8; Salmi 37:16; 113:7-8; Proverbi 16:19; 19:1; Isaia 29:19#490060240000-490060240000#490040180000490040180000#490160250000-490160250000#090020080000090020080000#230370160000-230370160000#231130070000231130080000#240160190000-240160190000#240190010000240190010000#290290190000-290290190000

Isaia 57:15-16; 66:2; Sofonia 3:12; Zaccaria 11:11; Matteo 11:5; Giovanni 7:48-49#290570150000-290570160000#290660020000290660020000#430030120000-430030120000#450110110000450110110000#470110050000-470110050000#500070480000500070490000

1Corinzi 1:26-29; 2Corinzi 6:10; 8:2,9; 1Tessalonicesi 1:6; Giacomo 1:910; 2:5; Apocalisse 2:9#530010260000-530010290000#540060100000540060100000#540080020000-540080020000#540080090000540080090000#590010060000-590010060000#660010090000660010100000#660020050000-660020050000#730020090000730020090000

Luca 12:32; 13:28; 14:15; Matteo 5:3,10; Atti 14:22; 1Corinzi 3:21-23; 2Tessalonicesi 1:5#490120320000-490120320000#490130280000490130280000#490140150000-490140150000#470050030000470050030000#470050100000-470050100000#510140220000510140220000#530030210000-530030230000#600010050000600010050000

Giacomo 1:12#660010120000-660010120000

Luca 6:25; 1:53; Salmi 42:1-2; 143:6; Isaia 55:1-2; 1Corinzi 4:11; 2Corinzi 11:27; 12:10#490060250000-490060250000#490010530000490010530000#230420010000-230420020000#231430060000231430060000#290550010000-290550020000#530040110000530040110000#540110270000-540110270000#540120100000540120100000

Salmi 17:15; 63:1-5; 65:4; 107:9; Isaia 25:6; 44:3-4; 49:9-10; 65:13; 66:10#230170150000-230170150000#230630010000230630050000#230650040000-230650040000#231070090000231070090000#290250060000-290250060000#290440030000290440040000#290490090000-290490100000#290650130000290650130000#290660100000-290660100000

Geremia 31:14,25; Matteo 5:6; Giovanni 4:10; 6:35; 7:37-38; Apocalisse 7:16#300310140000-300310140000#300310250000300310250000#470050060000-470050060000#500040100000500040100000#500060350000-500060350000#500070370000500070380000#730070160000-730070160000

Luca 6:25; Salmi 6:6-8; 42:3; 119:136; 126:5-6; Ecclesiaste 7:2-3; Isaia 30:19; 57:17#490060250000-490060250000#230060060000230060080000#230420030000-230420030000#231191360000231191360000#231260050000-231260060000#250070020000250070030000#290300190000-290300190000#290570170000290570170000

Isaia 57:18; 61:1-3; Geremia 9:1; 13:17; 31:9,13,18-20; Ezechiele 7:16; 9:4#290570180000-290570180000#290610010000290610030000#300090010000-300090010000#300130170000300130170000#300310090000-300310090000#300310130000300310130000#300310180000-300310200000#330070160000330070160000#330090040000-330090040000

Matteo 5:4; Giovanni 11:35; 16:20-21; Romani 9:1-3; 2Corinzi 1:4-6; 6:10; 7:10-11#470050040000-470050040000#500110350000500110350000#500160200000-500160210000#520090010000520090030000#540010040000-540010060000#540060100000540060100000#540070100000-540070110000

Giacomo 1:2-4,12; 1Pietro 1:6-8; Apocalisse 21:3#660010020000660010040000#660010120000-660010120000#670010060000670010080000#730210030000-730210030000

Genesi 17:17; 21:6; Salmi 28:7; 30:11-12; 126:1-2; Isaia 12:1-2; 65:14#010170170000-010170170000#010210060000010210060000#230280070000-230280070000#230300110000230300120000#231260010000-231260020000#290120010000290120020000#290650140000-290650140000

49006022Lc 6:22

22. Voi sarete beati, quando gli uomini vi avranno odiati, e vi avranno scomunicati, e vituperati, ed avranno bandito il vostro nome come malvagio per cagion del Figliuol dell'uomo:

Le persecuzioni cui sarebbero esposti i seguaci di Gesù, per amor di lui e della sua causa, son qui descritte più a lungo e più graficamente che in Matteo. I Rabbini parlano di tre specie di scomunica: La prima consisteva in una sospensione dai privilegi ecclesiastici, con restrizione delle relazioni sociali. Durava trenta giorni, ma non portava seco alcuna maledizione. È probabilmente questa che il Signore intese colla parola scomunicati in questo versetto. Se l'offensore si ostinava, veniva pronunziata una scomunica più grave, accompagnata di maledizioni, ed egli era allora privo di tutti i riti civili e religiosi, nonché di ogni relazione colla famiglia. e coi vicini; e non era lecito bere o mangiare con lui. La parola vituperati, nel testo, corrisponde probabilmente a questa seconda scomunica. In casi di impenitenza continuata, veniva pronunziata una sentenza più severa ancora, che i Rabbini più recenti chiamano Shemta, e per la quale il colpevole veniva consegnato alla perdizione eterna. Le parole avranno bandito il vostro nome, le quali indicano in questo versetto l'apogeo della persecuzione, corrispondono probabilmente a questo anatema supremo, per il quale il peccatore veniva finalmente bandito e separato per sempre dalla congregazione d'Israele; benché alcuni le ritengano come equivalenti allo sbandito dalla sinagoga Giovanni 9:22#500090220000-500090220000. Si confronti col versetto che ci occupa la descrizione di Paolo delle prove che gli apostoli dovettero sopportare 1Corinzi 4:12-13#530040120000530040130000. Siccome si può incorrere nell'odio degli uomini, esser sospesi dalla comunione della chiesa, od espulsi da qualche corporazione

religiosa, o ramo della chiesa visibile per altre ragioni che per divozione a Cristo ed al suo servizio, il Signore limita questa benedizione alle sofferenze patite per lui, Confr. Matteo 5:10-11; Luca 6:22#470050100000470050110000#490060220000-490060220000.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:10-12; 10:22; Marco 13:9-13; Giovanni 7:7; 15:18-20; 17:14#470050100000-470050120000#470100220000470100220000#480130090000-480130130000#500070070000500070070000#500150180000-500150200000#500170140000500170140000

2Corinzi 11:23-26; Filippesi 1:28-30; 1Tessalonicesi 2:14-15; 2Timoteo 3:11-12; 1Pietro 2:19-20#540110230000-540110260000#570010280000570010300000#590020140000-590020150000#620030110000620030120000#670020190000-670020200000

1Pietro 3:14; 4:12-16#670030140000-670030140000#670040120000670040160000

Luca 20:15; Isaia 65:5; 66:5; Giovanni 9:22-28,34; 12:42; 16:2; Atti 22:22; 24:5#490200150000-490200150000#290650050000290650050000#290660050000-290660050000#500090220000500090280000#500090340000-500090340000#500120420000500120420000#500160020000-500160020000#510220220000510220220000#510240050000-510240050000

Luca 21:17; Matteo 10:18,22,39; Atti 9:16; 1Corinzi 4:1011#490210170000-490210170000#470100180000470100180000#470100220000-470100220000#470100390000470100390000#510090160000-510090160000#530040100000530040110000

49006023Lc 6:23

23. Rallegratevi...; perciocché ecco, il vostro premio è grande nei cieli;

Notisi bene che, così in Matteo come in Luca, Gesù, parlando di tal ricompensa, dichiara che sarà data non «nel regno del cielo» (espressione che indica la dispensazione del Nuovo Testamento, dal suo principio, sino al giorno del giudizio finale), ma «NEI CIELI», cioè in uno stato futuro, nel santuario superno, nella «casa del suo Padre dove sono molto stanze» Giovanni 14#500140000000-500140000000.

conciossiaché il semigliante, facessero i padri loro a' profeti.

È degno di nota che, fin da quel momento, il Signore mette i suoi neo-eletti apostoli sullo stesso rango che i profeti dell'Antico Testamento, perché destinati a render la stessa testimonianza che quelli eran morti rendendo in pro del Messia, ed a portar la stessa gloriosa corona; mentre egli mostra di aver la più sublime coscienza della propria dignità, domandando loro di patir l'onte per amor del suo nome. I Giudei insultarono e perseguitarono Elia, Eliseo, Isaia, Geremia, Michea e quasi tutti i profeti, i quali dichiararono loro fedelmente la volontà del Signore Luca 13:33; Matteo 23:29-35#490130330000-490130330000#470230290000-470230350000, ed il significato di questa clausola, inquantoché rivolta ai suoi discepoli, è: «Siccome avrete comuni coi profeti le sofferenze, così avrete pur comune con essi la ricompensa». Sarebbe errore però il supporre che questa benedizione fosse limitata agli apostoli; essa è duratura per i secoli dei secoli, epperciò destinata a tutti i credenti. Essa ci sostiene nella persecuzione ed in mezzo agli insulti patiti per il nome di Cristo, ricordandoci che queste sono prove per cui tutti i fedeli sono passati prima di noi, e che già la ricompensa è stata ottenuta da quelli che «per fede e per speranza eredano le promesse».

PASSI PARALLELI

Atti 5:41; Romani 5:3; 2Corinzi 12:10; Colossesi 1:24; Giacomo 1:2#510050410000-510050410000#520050030000-

520050030000#540120100000-540120100000#580010240000580010240000#660010020000-660010020000

Luca 1:41,44; 2Samuele 6:16; Isaia 35:6; Atti 3:8; 14:10#490010410000490010410000#490010440000-490010440000#100060160000100060160000#290350060000-290350060000#510030080000510030080000#510140100000-510140100000

Luca 6:35; Matteo 5:12; 6:1-2; 2Tessalonicesi 1:5-7; 2Timoteo 2:12; 4:7-8; Ebrei 11:6,26; 1Pietro 4:13#490060350000490060350000#470050120000-470050120000#470060010000470060020000#600010050000-600010070000#620020120000620020120000#620040070000-620040080000#650110060000650110060000#650110260000-650110260000#670040130000670040130000

Apocalisse 2:7,10-11,17,26; 3:5,12; 21:7#730020070000730020070000#730020100000-730020110000#730020170000730020170000#730020260000-730020260000#730030050000730030050000#730030120000-730030120000#730210070000730210070000

1Re 18:4; 19:2,10,14; 21:20; 22:8,27; 2Re 6:31; 2Cronache 36:16; Nehemia 9:26#110180040000-110180040000#110190020000110190020000#110190100000-110190100000#110190140000110190140000#110210200000-110210200000#110220080000110220080000#110220270000-110220270000#120060310000120060310000#140360160000-140360160000#160090260000160090260000

Geremia 2:30; Matteo 21:35-36; 23:31-37; Atti 7:51-52; 1Tessalonicesi 2:14-15#300020300000-300020300000#470210350000470210360000#470230310000-470230370000#510070510000510070520000#590020140000-590020150000

Ebrei 11:32-39#650110320000-650110390000

49006024Lc 6:24

24. Ma, guai a voi, ricchi: perciocché voi avete la vostra consolazione.

Questo guaio ed i seguenti furon pronunziati contro chi se ne stava soddisfatto della sorte terrena, ed in ispecie contro alcuno spie, Farisei e Scribi, che Gesù scoprì nella moltitudine esterna, e la cui cupidigia di ricchezze li spingeva alle estorsioni più vili, fino a «divorare le case delle vedove». La parola «ricchi» non si deve intendere in un senso generale come applicabile a tutti quelli che posseggono ricchezze terrene; ma solo a quelli i cui cuori sono unicamente attaccati a quelle, e dei quali Paolo dice 1Timoteo 6:9-10#610060090000-610060100000: «Coloro che vogliono arricchire caggiono in tentazione, ed in laccio, ed in molte concupiscenze insensate e nocive, le quali affondano gli uomini in distruzione e perdizione. Perciocché la radice di tutti i mali è l'avarizia». Questo guaio non cadrebbe certo sopra uomini come Abramo, Davide, Neemia, o Giuseppe d'Arimatea, i quali cercarono di impiegare le ricchezze e le, posizione che avean ricevute da Dio per la sua gloria, come economi di Dio e come forestieri e pellegrini su questa terra; ma esso si applica perfettamente ad uomini come Nabal, il giovane ricco, Giuda e Dema, perché Mammona era il loro Dio, e ad esso davano tutte le affezioni del loro cuore. L'essenza di questo guaio consiste nel godere «la consolazione» che posson dar le ricchezze contro le prove, le afflizioni e le distrette terrene, durante la breve vita presente, e nel dovere sopportare una eternità di sventure, privo di ogni consolazione, poiché essi non possono portar le loro ricchezze al di là della tomba. Questa fu precisamente la risposta data da Abramo alla preghiera del ricco epulone in mezzo ai tormenti dell'inferno: «Figliuolo, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni in vita tua, e Lazaro altresì i mali; ma ora egli è consolato e tu sei tormentato» Luca 16:25#490160250000-490160250000.

PASSI PARALLELI

Luca 12:15-21; 18:23-25; Giobbe 21:7-15; Salmi 49:6-7,16-19; 73:3-12; Proverbi 1:32#490120150000-490120210000#490180230000490180250000#220210070000-220210150000#230490060000-

230490070000#230490160000-230490190000#230730030000230730120000#240010320000-240010320000

Geremia 5:4-6; Amos 4:1-3; 6:1-6; Aggeo 2:9; 1Timoteo 6:17; Giacomo 2:6; 5:1-6#300050040000-300050060000#370040010000370040030000#370060010000-370060060000#440020090000440020090000#610060170000-610060170000#660020060000660020060000#660050010000-660050060000

Apocalisse 18:6-8#730180060000-730180080000

Luca 16:19-25; Matteo 6:2,5,16#490160190000490160250000#470060020000-470060020000#470060050000470060050000#470060160000-470060160000

49006025Lc 6:25

25. Guai a voi, che siete ripieni: perciocché voi avrete fame.

La parola «ripieni» ci indica quelli che vivono nella abbondanza, nel lusso stravagante, ponendo la loro gratificazione suprema in ciò che mangiano e bevono, mentre rimangono estranei al timor del Signore ed alla fede del vangelo. Il guaio di questi si è che essi soffrivano eterna fame nell'anima loro; i loro desideri interni saranno quanto mai forti, ma essi non avranno mai più di che saziarli; mentre Colui che solo può soddisfare le brame dell'uomo interno sarà sempre per loro «un fuoco consumante» Ebrei 12:29#650120290000-650120290000. Come è ben descritta la condizione presente e futura di tali persone nei passi seguenti! «Voi siete vissuti sopra la terra in delizie e morbidezze; voi avete pasciuti i cuori vostri come in giorno di solenne convito» Giacomo 5:5#660050050000-660050050000. «Così ha detto il Signore Iddio: Ecco i miei servitori mangeranno, e voi sarete affamati; ecco i miei servitori berranno, e voi sarete assetati; ecco i miei servitori si rallegreranno, e voi sarete confusi ecco i miei servitori giubbileranno di letizia di cuore, e voi striderete di cordoglio e urlerete di rottura di spirito» Isaia 65:13-14#290650130000-290650140000.

Guai a voi, che ora ridete: perciocché voi farete cordoglio e piagnerete.

Non s'inferisca da ciò che la gioia e l'allegrezza ragionevoli sien proibite ai veri seguaci di Cristo. È un'astuzia favorita di Satana il persuader gli uomini che la religione di Cristo ci fa infelici, cupi, ed antipatici; ma è un quadro falso. Davide nei tempi antichi ci dice che: «Voce di giubbilo e di vittoria è nei tabernacoli dei giusti» Salmi 118:15#231180150000-231180150000, e Paolo fa ai cristiani questa esortazione: «Siate sempre allegri» 1Tessalonicesi 5:16#590050160000-590050160000. Il riso qui condannato è la gioia spensierata di quelli che non hanno in questa vita scopo più alto de' suoi fuggevoli piaceri, è la gioia di quelli che deridono le cose di Dio, e trovano il loro bene nel peccato. Così li descrive Isaia 5:1112#290050110000-290050120000: «Guai a coloro che si levano la mattina a buon'ora per andar dietro alla cervogia e la sera dimorano lungamente a bere, finché il vino li riscaldi. E nei conviti vi è la cetera e il saltero; il tamburo e il flauto col vino; e non riguardano all'opera del Signore, e non veggono i fatti delle sue mani». Il disinganno sopraggiunge spesso in questa vita, quando le calamità temporali li hanno immersi in «pianto e cordoglio»; se no, esso sarà tanto più terribile in quel mondo di sventura dove eternamente «sarà il pianto e lo stridor dei denti». Meditino questo guaio quelli che sono «amatori della voluttà, anzi che di Dio». Come saran dolenti di aver messo tutto il loro godimento nelle cose periture di questo mondo che essi dovranno per forza abbandonare un giorno, e di soffrire per tutti i secoli i rimproveri della loro coscienza, con parole simili a queste: «Quale è il rumore delle spine sotto la caldaia, tale è il ridere dello stolto» Ecclesiaste 7:6#250070060000-250070060000.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:11-12; 1Samuele 2:5; Proverbi 30:9; Isaia 28:7; 65:13; Filippesi 4:12-13; Apocalisse 3:17#050060110000050060120000#090020050000-090020050000#240300090000240300090000#290280070000-290280070000#290650130000290650130000#570040120000-570040130000#730030170000730030170000

Isaia 8:21; 9:20; 65:13#290080210000-290080210000#290090200000290090200000#290650130000-290650130000

Luca 8:53; 16:14-15; Salmi 22:6-7; Proverbi 14:13; Ecclesiaste 2:2; 7:3,6; Efesini 5:4; Giacomo 4:9#490080530000-490080530000#490160140000490160150000#230220060000-230220070000#240140130000240140130000#250020020000-250020020000#250070030000250070030000#250070060000-250070060000#560050040000560050040000#660040090000-660040090000

Luca 12:20; 13:28; Giobbe 20:5-7; 21:11-13; Salmi 49:19; Isaia 21:3-4; 24:7-12#490120200000-490120200000#490130280000490130280000#220200050000-220200070000#220210110000220210130000#230490190000-230490190000#290210030000290210040000#290240070000-290240120000

Daniele 5:4-6; Amos 8:10; Nahum 1:10; Matteo 22:11-13; 1Tessalonicesi 5:3; Apocalisse 18:7-11#340050040000-340050060000#370080100000370080100000#410010100000-410010100000#470220110000470220130000#590050030000-590050030000#730180070000730180110000

49006026Lc 6:26

26. Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi! conciossiaché il simigliante facessero i padri loro ai falsi profeti.

Nei tempi antichi gli Israeliti tenevano in onore e stima i falsi profeti, perché «vedevano visioni di vanità, e indovinavano menzogna, e profetizzavano a Gerusalemme visioni di pace», Vedi Ezechiele 13:8-9,16#330130080000330130090000#330130160000-330130160000. L'onore che era reso agli Scribi ed ai Farisei al tempo del nostro Signore proveniva in gran parte dal continuar essi l'opera dei falsi profeti, ingannando il popolo «e curando alla leggiera la loro rottura» Geremia 6:14#300060140000-300060140000. Egli è a loro in parte che il Signore rivolge la minaccia del testo Matteo 23:13#470230130000-470230130000. Oosterzee va troppo in là, quando

asserisce che questo guaio è pronunziato solo contro i miscredenti, dandone per ragione che «discepoli i quali potevano dimenticar se stessi al punto di ricercar la lode di tutti gli uomini non potevano essere discepoli in realtà». Esso era da Gesù inteso a dare a tutti i discepoli, presenti o futuri, un avvertimento solenne, perché, in tempi in cui, da una parte, la coraggiosa e fedele confessione di Cristo è certa di svegliare persecuzione e disprezzo; e dall'altra, un prudente silenzio sulle credenze religiose, ed un conformarsi praticamente alle abitudini e pratiche dei suoi simili può assicurar la pace, la benevoglienza e perfino le lodi, la tentazione di divenire infedele a Cristo è molto forte. V'ha appena un vero credente la cui coscienza non lo accusi di essersi «vergognato di Cristo», in società ed occasioni dove non ardiva confessarlo apertamente, per non perdere la «lode degli uomini». Il desiderio di essere stimati dai nostri simili è un istinto della natura umana, buono e lodevole in sé, benché se ne possa abusare. Ben sapeva il Signore che il lasciarsi trasportare da questo sentimento non è che una delle forme di quell'«amore del mondo» 1Giovanni 2:15#690020150000-690020150000, contro il quale tutti i veri credenti devono lottare; epperciò egli ci ammonisce a stare in guardia, «quando tutti gli uomini diranno del bene di noi», perché questo è sintomo di decadenza spirituale, di un cuore che si allontana dalla divozione a Cristo. «Come potete voi credere, poiché prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da un solo Dio?» Giacomo 5:44#660050440000-660050440000. Questo avvertimento si applica a tutti quelli che insegnano la religione, ed in modo speciale ai ministri del vangelo, perché ad essi è comandato di dichiarare «tutto il consiglio di Dio o che gli uomini ascoltino, o che se ne rimangano» Ezechiele 3:11#330030110000-330030110000; e se essi non dicono mai cosa che possa dispiacere ad alcuni che vivono nell'errore o nel peccato, egli è perché nascondono qualcosa che dovrebb'esser dichiarata. Per quanto attribuiscan questo a bontà o prudenza, per parte loro, vi si potrebbe veder piuttosto una prova d'indifferenza o d'infedeltà.

PASSI PARALLELI

Michea 2:11; Giovanni 7:7; 15:19; Romani 16:18; 2Tessalonicesi 2:8-12; Giacomo 4:4; 2Pietro 2:18-19#400020110000-

400020110000#500070070000-500070070000#500150190000500150190000#520160180000-520160180000#600020080000600020120000#660040040000-660040040000#680020180000680020190000

1Giovanni 4:5-6; Apocalisse 13:3-4#690040050000690040060000#730130030000-730130040000

1Re 22:6-8,13-14,24-28; Isaia 30:10; Geremia 5:31; 2Pietro 2:13#110220060000-110220080000#110220130000110220140000#110220240000-110220280000#290300100000290300100000#300050310000-300050310000#680020010000680020030000

49006035Lc 6:35

35. ma voi, amate i vostri nemici, e fate bene, e prestate, non isperandone nulla; e il vostro premio sarà grande,

Il nuovo principio della carità disinteressata emerge qui molto al disopra della semplice benevolenza umana. Prestare colla speranza di riavere è umano; prestare senza tale speranza è Cristiano. Eppure quanti basano il loro diritto al nome di Cristiani sopra meri atti di benevolenza tanto limitati ed egoisti che i Giudei ed i pagani li agguagliano ed anche li sopravanzano! Il verbo significa disperare, ed alcuni, seguendo la versione Siriaca e sostituendo vorrebbero tradur qui «non facendo disperar nessuno per un rifiuto»: ma questo è grammaticalmente inammissibile, mentre non c'è nulla nell'analogia dei verbi aventi la prefissa che proibisca il senso del testo, cioè: «senza sperare restituzione da quelli cui si è dato». E evidentemente la speranza di una ricompensa, umana che Gesù quivi esclude, poiché egli avea già sancito, al ver. 23, quella di un guiderdone celeste, e l'incoraggia qui più che mai colle parole: «e il vostro premio sarà grande».

e sarete i figliuoli dell'Altissimo; conciossiaché egli sia benigno inverso gl'ingrati e malvagi.

Il Signore mette dinanzi ai suoi discepoli di tutti i tempi, un altro motivo per disporli ad agire in vera carità cristiana, che in questo cioè avranno una prova di essere veramente i figli di Dio, poiché segnono l'esempio del Padre loro in cielo. «Non troviamo ragione alcuna», dice Oosterzee, «per limitare (con Mayer), questo privilegio alla vita futura. Al contrario, la dottrina di Paolo sulla figliuolanza dei credenti sembra aver la sua, radice in questo ed altri simili detti di Gesù. Se la parentela morale con Dio è già fatta manifesta quaggiù, perché non se ne dovrebbe goder ricompensa se non dopo la morte?»

PASSI PARALLELI

Luca 6:27-31; Levitico 25:35-37; Salmi 37:26; 112:5; Proverbi 19:17; 22:9; Romani 5:8-10#490060270000-490060310000#030250350000030250370000#230370260000-230370260000#231120050000231120050000#240190170000-240190170000#240220090000240220090000#520050080000-520050100000

2Corinzi 8:9#540080090000-540080090000

Matteo 5:44-45; Giovanni 13:35; 15:8; 1Giovanni 3:10-14; 4:711#470050440000-470050450000#500130350000500130350000#500150080000-500150080000#690030100000690030140000#690040070000-690040110000

Salmi 145:9; Atti 14:17#231450090000-231450090000#510140170000510140170000

49006039Lc 6:39

39. Ora egli disse loro una similitudine: Può un cieco guidar per la via un altro cieco? Non caderan essi amendue nella fossa?

Questa similitudine non si trova nel Sermone sul monte; ma Gesù l'applica ai Farisei come dottori in Matteo 15:14#470150140000-470150140000. A

prima vista, par questo un nuovo soggetto introdotto nel discorso; ma un po' di riflessione ci fa vedere che esso si connette con quel che procede, ossia colla condanna dei falsi giudizii Luca 6:36-38#490060360000490060380000; e con quel che segue, laddove è detto che l'uomo, che ha una trave nell'occhio, vuol togliere il fuscello dall'occhio del suo prossimo. Un uomo, la cui vista spirituale è malata a tal segno, dev'esser cieco, e chi ascolta le sue istruzioni non val meglio di un cieco guidato da un altro cieco. Il nostro Signore ha senza dubbio in vista prima di tutto i Farisei; ma la parabola si applica a tutti quelli che ingegnano la religione. Chi non conosce la via del cielo non può condurvi i suoi uditori, e chi seguita un tal maestro corre rischio di andare eternamente perduto.

PASSI PARALLELI

Isaia 9:16; 56:10; Matteo 15:14; 23:16-26; Romani 2:19; 1Timoteo 6:3-5; 2Timoteo 3:13#290090160000-290090160000#290560100000290560100000#470150140000-470150140000#470230160000470230260000#520020190000-520020190000#610060030000610060050000#620030130000-620030130000

Geremia 6:15; 8:12; 14:15-16; Michea 3:6-7; Zaccaria 11:15-17; Matteo 23:33#300060150000-300060150000#300080120000300080120000#300140150000-300140160000#400030060000400030070000#450110150000-450110170000#470230330000470230330000

49006040Lc 6:40

40. Niun discepolo è da più del suo maestro ma ogni discepolo perfetto dev'essere come la suo maestro.

Il senso che si dà generalmente a questo versetto è che il trattamento che nostro Signore ha ricevuto dal mondo, dobbiamo aspettarci a riceverlo noi pure. Ma benché questo sia vero, non è però quel che Gesù vuol dir qui. Questo suo detto è una illustrazione, della parabola precedente. Prendendo

ad imprestito un assioma scientifico, egli dice semplicemente che «l'acqua non può alzarsi al disopra del proprio livello», che lo scopo del discepolo è di giungere all'altezza del maestro, e quando vi è giunto si considera come perfetto; ed anche se così non fosse, egli non può salir più alto, perché il suo maestro non ha più nulla da insegnargli. Così è di quelli che sono insegnati da uomini spiritualmente ciechi: essi devono restar per sempre ciechi come i loro maestri. Gesù par qui andare incontro ad una obbiezione comune, che cioè non segue che dobbiamo errare, perché errano i nostri maestri. "State in guardia contro tale illusione", sembra egli dirci, "dai discepoli non si aspetta che veggan più chiaro dei loro maestri; lo scolaro diventerà perfetto quanto il maestro, ma non di più; ne copierà gli errori, ne riprodurrà i difetti". Questo versetto ammonisce solennemente quelli che aspirano ad esser «guide» agli altri nel santo ministero ad accertarsi che non sono essi stessi dei ciechi spirituali, ma che veramente «Iddio ha fatto schiarire il suo splendore nei loro cuori, per illuminarli nella coscienza della gloria di Dio, nella faccia di Gesù Cristo» 2Corinzi 4:6#540040060000-540040060000. Gli ascoltatori del vangelo vengon pure solennemente ammoniti qui di non scegliere come pastori quelli che predicano false dottrine, o mostrano colla loro vita e la loro condotta di essere uomini inconvertiti, e di non frequentare il ministero di tali persone. Vien loro comandato di «provare gli spiriti se son da Dio, conciossiaché molti falsi profeti sono usciti fuori nel mondo» 1Giovanni 4:1#690040010000-690040010000. Per la esposizione degli altri versetti di questo capitolo, il lettore è rimandato a Matteo 5:1Matteo 5:1-7:29.

49007001Lc 7:1

CAPO 7 - ANALISI

1. Guarigione del servo del Centurione in Capernaum. Capernaum occupando una posizione importante sulla strada delle carovane fra l'Egitto e Damasco, non ci sorprende punto che, ai dì di Gesù, vi si trovasse non solo una stazione di pubblicani incaricati di percepire i dazi imposti sulle merci, sia sulla terra sia sul lago, ma pure una coorte almeno di soldati, posti lì per mantenere il buon ordine e venire in aiuto ai pubblicani, se mai

questi incontrassero qualche opposizione nell'esercizio dello impopolare loro uffizio. L'influenza della dottrina di Cristo e delle sue opere miracolose si era già fatta manifesta fra i pubblicani in Capernaum nella conversione di Levi Luca 5:27#490050270000-490050270000, e la vediamo penetrare ora nei ranghi dei Soldati pagani, attraendo a lui il loro comandante, nella ferma fede che egli era una persona divina e che sulle così dette «leggi di natura» egli esercitava autorità non meno completa di quella che un centurione romano possedeva sui propri soldati. Domandò questi a Gesù di guarire un suo servitore che amava moltissimo (forse uno schiavo nato in casa, a cui il padrone voleva bene quanto ad un fratello), il quale, colpito di paralisi, pareva in punto di morte. Egli mandò gli anziani della sinagoga, che gli dovean molta gratitudine, per render testimonianza a Gesù del suo carattere, e sperava che Cristo avrebbe pronunziato un ordine, seguito da guarigione istantanea. Stimandosi indegno, non venne da sé a disturbarlo colla sua presenza; per la stessa ragione, non volle dargli l'incomodo di andare a casa sua, e perciò, essendo il Signore tuttora per via, mandò una seconda ambasciata per impedire che gli si desse sì gran disturbo, quando una sola sua parola, dal luogo dove egli era, dovea bastare per adempiere una cura subitanea. Indica poi su qual ragione fondasse la sua ferma persuasione. Egli stesso era un uomo, al quale, in virtù della commissione ricevuta dall'Imperatore, nessun soldato della sua coorte avrebbe ardito resistere; e credeva che quello stesso potere che egli esercitava sulla sua compagnia, Gesù, come Dio, lo esercitasse su tutto le cose create; dimodoché una sua parola era bastante per bandire la morte ed espellere le malattie più inveterate e pericolose. La sua domanda gli venne immediatamente accordata. Gesù avea trovato la fede dei suoi concittadini nel suo diritto e potere divini «piccola come seme di senape»; non ci stupisca dunque se egli fa risaltare con tanto lodi la fede di quel pagano: «io vi dico che non pure in Israele ho trovata cotanta fede» Luca 7:1-10.

2. Il figlio della vedova di Nain richiamato a vita. È la seconda volta che nostro Signore rende la vita ad un morto, e questo miracolo è tanto più notevole ancora di quello operato sulla figlia di Jairo, inquantoché, in questo secondo caso, la morte regnava da più lungo tempo sull'organismo corporeo. L'anima della bambina fu richiamata pochi minuti dopo che essa era spirata; ma passarono per lo meno alcune ore prima che gli amici del giovanotto di

Nain ne portassero la salma alla tomba. Questa volta pure il Signore dimostrò pubblicamente il suo potere sulla morte, esercitando non più in una stanza remota di una casa privata, ma vicino alla porta di Nain, in luogo frequentatissimo, e dinanzi a spettatori specialmente interessanti. La compassione spontanea di Gesù verso la povera vedova, mostrò agli astanti, come mostra pure a noi, quanto teneramente il cuore del nostro gran Redentore simpatizzi con tutti i dolori della umanità, abbenché sieno il frutto del peccato. Così fu adempiuta la profezia d'Isaia: «Egli ha portati i nostri lauguori, e si è caricato delle nostre doglie» Luca 7:11-17.

3. Messaggio di Giovanni Battista a Cristo. Un tal miracolo, ben atto ad interessare persone avvezze a considerare la morte come un re invincibile, ed operato in modo così pubblico ed istantaneo, produsse profonda e solenne impressione vicino e lontano. Nehemia udiron parlare, fra gli altri, alcuni dei discepoli del Battista, i quali gli rimanevan fedeli nella lontana sua prigione di Macheronte, e subito gli riferirono il fatto. Egli mandò allora due di essi a Gesù, per ottener da lui una risposta a questa domanda: «Sei tu colui che ha da venire, o pur ne aspetteremo noi un altro?» Strana, sconfortante ed affatto da rigettarsi è la teoria che la fede di Giovanni stesso, in Gesù come nel Messia, fosse scomparsa, quantunque egli avesse visto lo Spirito di Dio scendere in forma visibile sopra lui, e udito la voce del Padre proclamare: «Questo è il mio diletto Figliuolo»; quantunque egli stesso lo avesse additato ai propri discepoli come «l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Con lo stesso scopo con cui avea incoraggiato Andrea e Giovanni, i quali erano suoi discepoli a seguir Gesù fin dal principio, così, ora, al termine della sua vita, gli manda questi due discepoli come rappresentati di tutti i loro compagni, affinché dopo averlo visto nel pieno adempimento del suo ministero, divengano essi pure suoi seguaci. L'occasione era propizia, le loro menti erano ripiene del miracolo per il quale un morto era tornato a vita; e la risposta del Salvatore corrisponde esattamente allo scopo di Giovanni, poiché chiama la loro attenzione su tutto le grandi sue opere che avevano vedute ed udite, come su prove della sua missione messianica, e comanda loro di enumerarle tutte al loro Maestro Luca 7:18-23.

4. Testimonianza di Cristo intorno al suo Precursore. Ripartiti i discepoli di Giovanni per Macheronte, Gesù prese a parlar di Giovanni alle turbe, e rese una nobile testimonianza alla fermezza del suo carattere, all'abnegazione della sua vita, ed alla sua fedeltà nel compiere la sua missione, non solo come ultimo profeta della spirante dispensazione mosaica ma, compito più gloriosa ancora, come Precursore predetto del gran Messia. Perciò Gesù dichiara che fra tutti i nati per generazione ordinaria, nessun'uomo era mai apparso più grande e più illustre del Battista, per l'uffizio che occupava; eppure, a motivo della luce più viva, e dei privilegi più alti, accordati a quelli che vissero sotto la dispensazione evangelica, aggiunge: «Il minimo nel regno dei cieli è maggiore di lui». Tal testimonianza fu accolta con gioia da tutti quelli elle aveano ricevuto il battesimo di Giovanni; ma respinta dai Farisei e dai dottori della legge, che rigettarono a lor danno il consiglio di Dio» Luca 7:24-30.

5. Parabola dei fanciulli in sulla piazza. Sotto la figura di bambini che nel divertirsi in sulla piazza, si mostran capricciosi a segno di non voler più i giuochi che essi stessi aveano scelti, e sempre insistono per mutarli, il Signore dipinge la condotta degli Israeliti verso di lui e verso il suo precursore. Qual rappresentante di tutte le autorità della dispensazione legale, Giovanni era vissuto una vita di digiuno e di abnegazione; e lungi dall'approvarlo o dall'imitarlo, la parte influente del popolo con a capo i preti ed i Farisei, lo avea guardato con avversione, come un indemoniato. Gesù invece, come autore della «legge perfetta della libertà» Giacomo 1:25#660010250000-660010250000, di una religione che non consiste «in cibi e bevande, ed in vari lavamenti ed ordinamenti carnali» Ebrei 9:10#650090100000-650090100000, ma nel culto di Dio «in ispirito e verità» Giovanni 4:23#500040230000-500040230000 «venne mangiando e bevendo», senza prescrivere cioè restrizione nell'uso moderato dei «cibi che Iddio ha creati acciocché i fedeli li usino, con rendimento di grazie» 1Timoteo 4:3#610040030000-610040030000, ed ai suoi concittadini non piacque più che fosse loro piaciuto il Battista, e fu da loro chiamato «un uom mangiatore, e bevitor di vino, amico dei pubblicani e dei peccatori». Questa similitudine si chiude con un detto, proverbiale forse già in quei dì, ma che lo è certamente divenuto dipoi, e che qui significa che ogni uomo

veramente insegnato da Dio discernerà la sua saviezza nel modo diverso in cui si sono comportati il precursore ed il suo Maestro Luca 7:31-35.

6. Cristo a cena nella casa di Simone Fariseo, e la donna che era stata peccatrice Questo accadde, in Galilea, non in Betania; la casa in cui Gesù fu invitato era di un Fariseo chiamato Simone, non già di Simone il lebbroso Marco 14:3#480140030000-480140030000, e la donna che versò l'olio odorifero sul suo capo non era certo né Maria sorella di Lazaro, né Maria Maddalena, ma una donna di nome ignoto, già prostituta, ed ora vera credente, i cui peccati erano stati tutti rimessi, e che non sa esprimere il suo amore e la sua gratitudine se non col dare a Gesù quanto ha di più prezioso. Lo scopo di questo racconto è di porre in contrasto la fredda ospitalità che, per qualche ragione ignota, il Fariseo si credette in obbligo di offrire ad uno che pur guardava con sospetto; colla tenerezza, lo zelo, ed il servizio pieno di abnegazione di quella donna, la quale era stata pure allora lavata per fede nel «fonte aperto nella casa di Davide per lo peccato e per l'immondizia» Zaccaria 13:l#450130010000-450130010000, e veniva a presentar se stessa, corpo, anima e spirito, «in ostia vivente, santa, accettevole a Dio» Romani 12:1#520120010000-520120010000. Ci dà un bell'esempio di dialogo socratico il modo in cui Gesù conduce il Fariseo a condannar se stesso, colle proprie confessioni. Egli ammette che colui il cui debito era maggiore, sentirà più gratitudine che colui che doveva meno, verso il generoso creditore, che gli condona liberamente ogni cosa. Tal gratitudine si deve manifestare con fatti e non con parole; epperciò Gesù indica, una dopo l'altra, le cortesie e le attenzioni che non venivano mai omesse da un padrone di casa verso un ospite che egli desiderava onorare, ma le quali, nel caso suo, erano state intenzionalmente dimenticate, e ciò affin di dimostrare a Simone quanto poco affetto nutrisse per lui. Poi fa vedere, per contrasto, come questa donna, nella grandezza del suo amore per il Messia, da cui avea ottenuto il perdono dei suoi peccati, lo avesse più che compensato per le inciviltà ricevute. Ci vien qui insegnata la grande verità che più sarà profondo il nostro sentimento dei peccati che Gesù ha lavati per sempre nel suo sangue, più sarà grande, attivo, paziente l'amore che ci costringe a vivere per lui. Il Signore congedò quella donna dopo avere in modo chiarissimo approvata la sua fede Luca 7:36-50.

Luca 7:1-10. GUARIGIONE DEL SERVO DEL CENTURIONE A CAPERNAUM Matteo 8:5-13#470080050000-470080130000

1. Ora, dopo ch'egli ebbe finiti tutti questi suoi ragionamenti, udente il popolo entrò in Capernaum. 2. E il servitore di un certo centurione,

Apparteneva Capernaum alla Galilea, di cui Erode Antipa era Tetrarca. Aveva questi un esercito suo proprio composto di Galilei, la massa del quale stava, a quel tempo, con lui sulle frontiere di Edom, pronta ad entrare in guerra col Suo suocero Areta. Si potrebbe dunque supporre che questo centurione era un Giudeo, dell'esercito di Erode, se Gesù non ce lo dichiarasse Gentile, dicendo al vers. 9: «Io vi dico che non pure in Israele ho trovata una cotanta fede». Egli apparteneva evidentemente ad una legione imperiale, le cui coorti eran forse stazionate in vari punti della Galilea, per ordine del Proconsole di Siria, affin di mantenervi il buon ordine e l'alta sovranità di Roma a dispetto di Erode, semplice vassallo dell'Imperatore. È chiaro che questo centurione dimorava da molti anni in Capernaum, poiché vi aveva costruito una sinagoga Luca 7:5#490070050000-490070050000. La fama dei miracoli fatti a pro' del basilikos, uffiziale reale Giovanni 4:46#500040460000-500040460000 e di Iairo, uomini dello stesso suo rango, aveagli rivelato il potere soprannaturale di Cristo. Vari critici antichi e moderni han cercato di identificar questa cura con quella del figlio del basilikos; ma è strano questo loro tentativo difaccia alle discrepanze dei due racconti. L'uffiziale reale era Giudeo, l'altro Gentile; il primo andò in persona a Cana per domandar l'aiuto di Cristo, il secondo gli mandò dei messi; il primo riteneva la presenza di Cristo indispensabile ad una guarigione, il secondo non si stimava degno, perché Gentile, della presenza di Cristo, ma disse credere fermamente che una parola di Gesù bastasse a guarir la malattia del suo servitore.

49007002Lc 7:2

il quale gli era molto caro,

Il trattamento degli schiavi fra i Romani era cosa molto capricciosa e dipendeva interamente dal carattere dei loro padroni. Per servizi straordinari, come liberazione da una cospirazione o dalla morte, uno schiavo poteva venir liberato, o trattato con affetto dal suo padrone. Ma gli schiavi nati in casa eran trattati con grande indulgenza; nell'infanzia divenivano spesso i compagni di giuochi dei figli del loro padrone, e, ad onta delle distanze sociali, ne risultavano delle amicizie per la vita, cosicché in privato lo schiavo era spesso trattato dal padrone come un suo uguale. Tal fa forse la causa dell'affetto del centurione per questo suo servo; la conoscenza della religione ebraica accrebbe senza dubbio quel sentimento, ma non avrebbe potuto produrlo, ammenoché lo schiavo fosse stato il primo a conoscere il vero Dio e fosse stato lo strumento della conversione del padrone.

era malato, e stava per morire.

Matteo ci dice che era stato colpito da paralisi, seguita da grandi dolori; qui vediamo che stava per morire.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:28-29#470070280000-470070290000

Matteo 8:5-13#470080050000-470080130000

Luca 23:47; Matteo 27:54; Atti 10:1; 22:26; 23:17; 27:1,3,43#490230470000-490230470000#470270540000470270540000#510100010000-510100010000#510220260000510220260000#510230170000-510230170000#510270010000510270010000#510270030000-510270030000#510270430000510270430000

Genesi 24:2-14,27,35-49; 35:8; 39:4-6; 2Re 5:2-3; Giobbe 31:5; Proverbi 29:21#010240020000-010240140000#010240270000010240270000#010240350000-010240490000#010350080000010350080000#010390040000-010390060000#120050020000-

120050030000#220310050000-220310050000#240290210000240290210000

Atti 10:7; Colossesi 3:22-25; 4:1#510100070000510100070000#580030220000-580030250000#580040010000580040010000

Luca 8:42; Giovanni 4:46-47; 11:2-3#490080420000490080420000#500040460000-500040470000#500110020000500110030000

49007003Lc 7:3

3. Or il centurione, avendo udito parlar di Gesù,

Forse l'uffiziale reale o Iairo aveangli narrato i miracoli fatti a pro' dei loro figli; può darsi pure che gli consigliassero di rivolgersi a Gesù quelli che eran corsi in aiuto del suo servitore.

gli mandò degli anziani dei Giudei, pregandolo che venisse, e salvasse il suo servitore.

Colla sua solita brevità, Matteo, considerando quello che fu fatto a richiesta del centurione ed in suo nome, come fatto da lui medesimo, dice che andò personalmente da Gesù, ma Luca entra in particolari più minuti. L'uso di mandar mediatori, come fa qui il centurione, è molto antico Numeri 22:1516#040220150000-040220160000, e vige tuttodì in Oriente. Questi deputati non furono già i Rettori della sinagoga di Capernaum, che Luca chiama archisinagogoi Atti 13:15#510130150000-510130150000, ma alcuni degli anziani, del popolo. Notisi in questo fatto, una prova presuntiva che questo centurione, come Cornelio ed altri pagani istruiti, stanco degli assurdi e perniciosi dommi del paganesimo, avea abbracciato le grandi verità della religione giudaica (che divenisse o no un «proselita della porta»), imperocché dei magistrati giudei non avrebbero accettato una tal commissione per parte di un infedele, Vedi nota Matteo 13:15Matteo 13:15. Notisi di più, che l'alacrità colla quale gli anziani s'incaricano di tal

messaggio, prova che non si era ancora sviluppata in Capernaum, come in Gerusalemme, una decisa ostilità contro Gesù. La causa che spinse il centurione a mandare al Signore questi anziani dei Giudei, invece di andarvi egli stesso, non fu già l'orgoglio, bensì una profonda umiltà. Dai Giudei avea imparato fra l'altre cose, che essi erano un popolo in istretta alleanza con Dio, e che esisteva una «parete di mezzo», tra loro ed i «peccatori d'infra i Gentili»; che a questi ultimi non era lecito entrare nel cortile dell'altare, e solo potevan penetrare nel cortile più esterno; cosicché un sentimento profondo della propria indegnità solo lo trattenne dal correre a gittarsi ai piedi di Gesù.

PASSI PARALLELI

Luca 8:41; 9:38; Matteo 8:5; Giovanni 4:47; Filemone 10#490080410000490080410000#490090380000-490090380000#470080050000470080050000#500040470000-500040470000#640010100000640010100000

49007004Lc 7:4

4. Ed essi, venuti a Gesù, lo pregarono instantemente, dicendo: Egli è degno che tu gli conceda questo; 5. Perciocché egli ama la nostra nazione, ed egli è quel che ci ha edificata la sinagoga.

Letteralmente: egli stesso ha edificato la sinagoga per noi. La deputazione adempì al suo mandato di vero cuore, sostenendo dal punto di vista giuidaico il merito del centurione:

1. perché amava i Giudei, come popolo al quale «gli oracoli di Dio furono fidati», e che godeva l'alto privilegio di essere in alleanza con Dio;

2. perché quell'effetto avea preso una forma pratica, in Capernaum, dove egli risiedeva, spingendolo ad edificar loro una sinagoga a tutte sue spese.

Non si sarebbe potuto fondar su questi atti un merito umano dinanzi a Dio, ma erano preziosi come prova della sincerità della sua fede nell'Iddio d'Israele, che per tanto tempo era stato per lui un «Iddio sconosciuto». Volle lasciare in Capernaum un monumento del suo debito verso l'Iddio d'Israele, provvedendo al suo culto, ed ai bisogni dei suoi adoratori, col ricostruire la sinagoga. Se «la buona fama val meglio che il buon olio odorifero Ecclesiaste 7:1#250070010000-250070010000, questo proselita militare la possedeva certamente» (Brown).

PASSI PARALLELI

Luca 7:6-7; 20:35; Matteo 10:11,13,37-38; Apocalisse 3:4#490070060000490070070000#490200350000-490200350000#470100110000470100110000#470100130000-470100130000#470100370000470100380000#730030040000-730030040000

1Re 5:1; 2Cronache 2:11-12; Galati 5:6; 1Giovanni 3:14; 5:13#110050010000-110050010000#140020110000140020120000#550050060000-550050060000#690030140000690030140000#690050010000-690050030000

1Cronache 29:3-9; Esdra 7:27-28; 1Giovanni 3:18-19#130290030000130290090000#150070270000-150070280000#690030180000690030190000

49007006Lc 7:6

6. E Gesù andava con loro; e come egli era non molto lungi dalla casa, il centurione gli mandò degli amici per dirgli: Signore, non faticarti; perciocché io non son degno che tu entri sotto al mio tetto. 7. Perciò ancora, non mi sono reputato degno di venire a te;

Il Signore seguì subito gli anziani verso la casa del centurione; ma a breve distanza da quella, gli si fece incontro, non il centurione stesso, come sarebbe parso naturale, bensì alcuni intimi amici, che, per parte sua, lo

pregarono di non abbassarsi e di non incomodarsi, entrando in casa di uno che per nascita e discendenza era, pagano. La sua profonda umiltà, non già l'indifferenza o qualche pressante dovere della sua carica, lo aveva spinto a mandar da Gesù i suoi amici, invece di presentarglisi in persona. La convinzione che sarebbe un insulto a Cristo se un pagano si presentasse da lui o lo lasciasse entrare in casa sua, esponendolo così a contrarre, per quel giorno almeno, una contaminazione legale, accompagnata da un profondo sentimento della propria indegnità a motivo dei suoi peccati, furon le sole ragioni che lo trattennero. Entrambe son qui ricordate.

49007007Lc 7:7

ma comanda solo con una parola, e il mio servitore sarà guarito.

Il centurione non crede però che quelle ragioni debbano privarlo del soccorso misericordioso di Cristo a pro del suo servitore; anzi, persuaso che la potenza dell'Iddio vivente era inerente a Cristo o gli era stata comunicata, egli suggerisce che una sola parola, pronunziata là dove Cristo era, fosse bastante a ristabilire in salute il suo servitore.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:28; Marco 5:24; Atti 10:38#470200280000470200280000#480050240000-480050240000#510100380000510100380000

Luca 8:49#490080490000-490080490000

Luca 7:4; 5:8; 15:19-21; Genesi 32:10; Proverbi 29:23; Matteo 3:11; 5:2627; Giacomo 4:6,10#490070040000-490070040000#490050080000490050080000#490150190000-490150210000#010320100000010320100000#240290230000-240290230000#470030110000470030110000#470050260000-470050270000#660040060000660040060000#660040100000-660040100000

Luca 4:36; 5:13; Esodo 15:26; Deuteronomio 32:39; 1Samuele 2:6; Salmi 33:9; 107:20; Marco 1:27#490040360000-490040360000#490050130000490050130000#020150260000-020150260000#050320390000050320390000#090020060000-090020060000#230330090000230330090000#231070200000-231070200000#480010270000480010270000

49007008Lc 7:8

8. Perciocché io son uomo sottoposto alla podestà altrui, ed ho sotto di me dei soldati e pure, se dico all'uno: Va, egli va; ne all'altro vieni, egli viene; e se dico al mio servitore: Fa questo, egli lo fa.

Qui abbiamo la catena delle idee che aveano attraversata la mente del centurione, e lo aveano spinto a presentar a Cristo, per mezzo di amici quella domanda, come pure il fondamento sul quale essa posava. Egli considera la cosa unicamente da un punto, di vista militare; il suo grado lo faceva essere al tempo stesso un subordinato ed una fonte di autorità; egli doveva implicita ubbidienza ai suoi superiori, e la esigeva da quelli che erano sottoposti ai suoi comandi. Avendo imparato l'ubbidienza, egli si persuade che la morte e la malattia devono senza dubbio ubbidire al loro padrone; avvezzo ad ottenere ubbidienza con una parola sola, egli è convinto che Gesù, avendo, nella sua sfera altissima di comandamento, autorità e potenza su tutti gli elementi di natura, non ha che a dire Va. e la morte gli deve ubbidire. Questa ragione giustificativa della sua domanda ci piace per la sua originalità, è molto logica nelle sue conclusioni, e dimostra una fede intelligente. La sostanza ne è questa: «Se nessuno dei miei soldati ardisce disubbidirmi, qual creatura ardirà disubbidire a questo profeta di Nazaret, cui Dio ha così evidentemente comunicata la propria potenza?

PASSI PARALLELI

Atti 22:25-26; 23:17,23,26; 24:23; 25:26#510220250000510220260000#510230170000-510230170000#510230230000-

510230230000#510230260000-510230260000#510240230000510240230000#510250260000-510250260000

Atti 10:7-8; Colossesi 3:22; 1Timoteo 6:1-2#510100070000510100080000#580030220000-580030220000#610060010000610060020000

49007009Lc 7:9

9. E Gesù, udite queste cose si maravigliò di lui: e, rivoltosi, disse alla moltitudine che lo seguitava: io vi dico, che non pure in Israele ho trovata una cotanta fede.

Cotanta fede indica paragone con altri e minori gradi di fede nella sua potenza miracolosa che Gesù avea osservati durante il suo ministero, e si riferisce non alla domanda del centurione; ma al suo convincimento intelligente che, per una guarigione, non era essenziale il contatto di Gesù col malato, ma bastasse una sola parola per parte di colui che avea diritto di comandare. È naturale che Gesù si maravigliasse di trovar tanta fede in un Gentile di nascita: quella parola però non indica sorpresa quasiché egli avesse imparato allora per la prima volta una cosa che ignorava, ma una piacevole ammirazione. Matteo che scrisse specialmente pei Giudei, aggiunge qui un solenne avvertimento dato a questi ultimi da Gesù e suggerito dal contrasto fra la fede di questo Gentile e la mancanza di quella nel popolo con cui Dio avea stretto il Suo patto, ammonimento che Gesù ripetè in altra occasione Luca 13:28-30#490130280000-490130300000. Disse loro che «gli ultimi saranno i primi», che i Gentili fino allora «stranieri dei patti della promessa» entrerebbero in folla nel regno di Dio, rappresentato sotto la figura di un banchetto, godendone sin da ora le promesso benedette, e la eterna felicità nella vita futura, mentre i figli dei patriarchi, increduli e nemici, sarebbero scacciati dalla luminosa Sala del convito nelle tenebre di fuori. Oimè! in che modo maraviglioso si è verificato quell'ammonimento trascurato, dal giorno in cui presero su di sé e su i loro figli il sangue di Cristo! «Or io vi dico che molti verranno di Levante e di Ponente, e sederanno a tavola con Abrahamo, con Isacco, e con

Giacobbe nel regno dei cieli. E i figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Quivi sarà il pianto e lo stridor dei denti» Matteo 8:1112#470080110000-470080120000.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:10; 15:28#470080100000-470080100000#470150280000470150280000

Salmi 147:19-20; Matteo 9:33; Romani 3:1-3; 9:4-5#231470190000231470200000#470090330000-470090330000#520030010000520030030000#520090040000-520090050000

49007010Lc 7:10

10. E, quando coloro ch'eran stati mondati furono tornati a casa trovarono il servitore ch'era stato infermo esser sano.

Matteo: «E Gesù disse al centurione: Va, e come hai creduto, siati fatto. E il suo famiglio fu guarito in quello istante». Abbiam detto già che Matteo, colla solita sua concisione, racconta questo fatto come avvenuto al centurione stesso, ma Luca ci dice che, ritenendosi indegno della presenza di Cristo, si servì della mediazione di amici giudei; dobbiamo dunque ammettere che la risposta di Cristo, benché destinata, a lui, gli venne trasmessa per mezzo dei suoi amici. Era una risposta piena di bontà indicante cioè che Gesù lo avea trattato secondo la misura della sua fede, ordinando alla morte di lasciar stare quell'ammalato. Essa conteneva pure un incoraggiamento a mirare a più alti gradi di fede: «Come tu hai creduto, siati fatto». Che potremo noi desiderar di più? Eppure a noi come a lui è detto: «Credendo voi riceverete»; «credi solamente». Nella salute dell'anima come nella guarigione del corpo, tutto dipende dalla fede.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:13; 15:28; Marco 9:23; Giovanni 4:50-53#470080130000470080130000#470150280000-470150280000#480090230000480090230000#500040500000-500040530000

RIFLESSIONI

l. È degno di nota che né qui né nel caso dei soldati che andarono da Giovanni Battista, né in quello di Cornelio, troviamo il minimo indizio che la professione militare sia illecita dinanzi a Dio. Al contrario questi esempi, e la storia di molti uomini valorosi e distinti dei tempi posteriori, ci provano che Dio può dar gran grazia a dei soldati e far loro molto onore come suoi servitori.

2. La bontà è carattere distintivo di questo centurione, e si manifesta in tre modi. La vediamo nel modo in cui tratta il suo servo, assistendolo con tenera cura nella malattia e facendo di tutto per rendergli la salute. La vediamo pure nei suoi sentimenti verso i Giudei. Non li disprezza, come usan fare gli altri Gentili. Gli anziani del popolo gli rendono questa lode: «Egli ama la nostra nazione». La vediamo infine nella generosità con cui sostiene il culto giudaico in Capernaum. Non amava Israele «di parola, né della lingua, ma d'opera e in verità» 1Giovanni 3:18#690030180000690030180000. Gli anziani che egli mandò a Gesù appoggiarono la sua domanda col dire: «Egli è quel che ci ha edificata la sinagoga». Questa sua disposizione benefica, egli la dovea alla grazia di Dio, che gli avea dato un cuore nuovo. La sua conoscenza delle cose divine era senza dubbio tuttora imperfetta; ma la luce che possedeva esercitava grande influenza sulla sua vita, ed a questo riguardo dovremmo proporcelo come esempio.

3. Che potente difesa del Cristianesimo ci vien fornita dalla impressione prodotta su questo pagano dalla fama di Cristo, e dalla sua certezza che una sola parola di Gesù, pronunziata anche a distanza, fosse sufficiente per adempiere tutti i suoi desiderii! Il Cristo dei razionalisti o dei negativisti non avrebbe mai potuto né acquistar la fama, né eccitar tali speranze nel cuore di un pagano.

4. Nell'accordar questa grazia ad un Gentile, Cristo non si diparte dal mandato ricevuto dal Padre Matteo 15:24#470150240000-470150240000. Non fu né la costruzione della sinagoga, né la raccomandazione degli anziani, ma la sola sua fede che fece entrare il centurione nell'Israele spirituale, e lo rese partecipe della «circoncisione del cuore» Romani 11:29#520110290000-520110290000; per la quale si entra nel regno di Dio.

5. Che cosa vi può esser di più maraviglioso che di veder Gesù maravigliarsi? Non lo vediamo ammirare la pompa o la grandezza umana; ma quando ei vede i frutti buoni della fede, egli è rapito dalla maraviglia. C'insegni questo ad ammirar quello che Cristo ammira; ci faccia maggiore effetto la minima misura di grazia di un uomo reso buono da Cristo, che non tutte le glorie di un uomo grande secondo il mondo; non invidiamo questi, ma ammiriamo ed imitiamo il primo.

6. Notevole e degno di lode è il modo con cui il centurione tratta il suo servo. Non lo scaccia di casa, quando non può più servirlo; ma cerca il migliore aiuto che può per lui. Alcuni padroni han meno riguardi per i loro servi ammalati che per i loro buoi, o i loro cavalli, per esempio l'Amalechita 1Samuele 30:13#090300130000-090300130000; ma non è degno di avere un buon servitore chi, in tempo di malattia, non è pronto a servirlo a suo turno. I padroni cristiani dovrebbero esser pronti a riconoscere la fedeltà e l'ubbidienza dei loro servitori, interessarsi ad essi, e non dimenticarli nei loro bisogni temporali o spirituali.

7. Gesù non negò di avere il potere che venivagli attribuito dal Centurione, come avrebbe dovuto fare, se fosse stato una mera creatura; ché in tal caso sarebbe stato bestemmia il riceverlo. Anzi, in ogni occasione, più era il concetto che gli uomini si facevano di lui, più piaceva al suo spirito. Essi non gli ascrivevano se non quello che gli apparteneva; ma questo dimostrava la misura della loro fede.

8. Una fede simile a quella del Centurione era rara al tempo di Cristo. I Farisei gridavano: «Facci vedere un Segno dal cielo»; le moltitudini gli si affollavano intorno solo per vedere le sue opere maravigliose: è dunque naturale che lo riempia di ammirazione la fede dimostrata da questo Gentile.

I figli di quelli che erano stati condotti attraverso il deserto avrebber dovuto credere i primi, e fra gli ultimi ci saremmo aspettati a trovare uno che nell'infanzia avea piegato il ginocchio dinanzi agli idoli; ma «i primi eran diventati ultimi, e gli ultimi i primi». Coltiviamo lo stesso benedetto spirito di fede che animava il centurione. C'incoraggia a farlo il Salvatore, dicendo: «Come hai creduto, siati fatto!» Abbiam ben altre ragioni che egli non avesse per affidarci a Cristo, come ad uno che «può salvare appieno». Non abbiamo noi le sue promesse? Riposiamoci su di esse e non dubitiamo, perché la parola di Cristo è un fondamento stabile.

49007011Lc 7:11

Luca 7:11-18. RISURREZIONE DEL FIGLIO DELLA VEDOVA DI NAIN - IMPRESSIONE PRODOTTA DA QUESTO FATTO

11. Ed avvenne, nel giorno seguente,

La parola giorno non c'è nel greco, che dice semplicemente, nel seguente; vi si dovrebbe aggiungere, secondo la lezione adottata da Diodati, giorno, mentre un'altra preferisce tempo o periodo, come indefinito, in seguito. Partendo da Capernaum la mattina per tempo, nostro Signore poteva facilmente giungere fino a Nain, distante 18 o 20 miglia, verso sera, all'ora in cui si usava portare i morti a sotterrare; dimodoché la distanza fra Capernaum e Nain non sarebbe una obbiezione seria alla lezione «il giorno seguente». Però l'altra lezione ci pare preferibile, perché lascia il tempo occorrente per mandar gli Apostoli alla loro prima gita missionaria in Galilea, e Matteo sembra indicare che Gesù Cristo visitò Nain durante la loro assenza Matteo 11:1-2#470110010000-470110020000.

ch'egli andava in una città detta Nain;

Questa città non è mentovata in nessun altro luogo della Scrittura. Apparteneva alla tribù di Issachar, e probabilmente non fu mai altro che un borgo o villaggio, quantunque, essendo circondata da mura, avesse rango di città. È posta all'estremità S. O. del Gebel ed Dahi, o «piccolo Hermon»,

giogaia isolata che corre dall'E. all'O. e s'innalza bruscamente dalla pianura di Izreel o di Esdraelon, dividendola in due parti disuguali al N. ed al S. Alquanto all'E. di Nain, sulla china settentrionale del monte, trovasi Endur, l'antica Endor, dove Saul si recò di notte per consultare la Pitonessa; e sulla china meridionale Sulam ossia il Suem ove Eliseo richiamò in vita un «figliuolo unico di sua madre». Non v'ha dubbio che questo fosse il posto che Gesù visitò, poiché il nome non ne è mai stato smarrito. Lo conoscevano i Crociati e Gerolamo, e la meschina borgata del tempo attuale è tuttora chiamata Nein dagli Arabi. Altre antichità non offre che alcune tombe tagliate nella roccia, così all'E. come all'O. del villaggio,

e i suoi discepoli, in gran numero, ed una gran moltitudine andavan con lui.

L'espressione insolita gran numero applicata ai discepoli qui presenti, sembra confermar l'assenza, già accennata, degli apostoli, e riferirsi ai settanta che Gesù mandò più tardi in missione Luca 10:1#490100010000490100010000.

PASSI PARALLELI

Atti 10:38#510100380000-510100380000

49007012Lc 7:12

12. E come egli fu presso della porta della città, ecco, si portava a seppellire un morto,

Era infatti uso dei Giudei il seppellire i morti fuori della città. «La parola ecco indica come fatto notevole l'incontro inatteso delle due processioni, quella che accompagnava il Principe della vita, e quella che seguiva la vittima della morte» (Godet).

figliuolo unico di sua madre, la quale ancora era vedova; e gran moltitudine della città era con lei.

In questo triste corteo, v'eran molte cose atte a suscitare la compassione anche di uomini i cui cuori non simpatizzavano colla sofferenza umana quanto quello del Salvatore. Sarebbe difficile fare della desolazione di questa donna un quadro più completo di quello che ce ne dà l'Evangelista in tre o quattro parole. Non era questa la prima sua perdita: suo marito, il sostegno della casa, le era stato rapito per il primo; rimanevale, a supplirne in parte il posto, un unico figlio, ed ecco anche quello aveale tolto la morte. La più alta ambizione di un Israelita, che cioè «il suo nome non sia spento in Israele» Deuteronomio 25:6#050250060000-050250060000, avea ricevuto un colpo mortale, ed il caso suo pietoso svegliava sì profonda compassione, che i suoi conterranei accompagnavano in corpo il frale di suo figlio alla tomba.

PASSI PARALLELI

Luca 8:42; Genesi 22:2,12; 2Samuele 14:7; 1Re 17:9,12,18,23; 2Re 4:16,20#490080420000-490080420000#010220020000010220020000#010220120000-010220120000#100140070000100140070000#110170090000-110170090000#110170120000110170120000#110170180000-110170180000#110170230000110170230000#120040160000-120040160000#120040200000120040200000

Zaccaria 12:10#450120100000-450120100000

Giobbe 29:13; Atti 9:39,41; 1Timoteo 5:4-5; Giacomo 1:27#220290130000-220290130000#510090390000510090390000#510090410000-510090410000#610050040000610050050000#660010270000-660010270000

Luca 8:52; Giovanni 11:19#490080520000-490080520000#500110190000500110190000

49007013Lc 7:13

13. E il Signore

Luca e Giovanni dànno a Cristo questo titolo divino più spesso che gli altri due evangelisti, vien dopo di loro Marco, e Matteo lo impiega meno di tutti.

vedutala, ebbe pietà di lei, e le disse: Non piangere.

Gesù capì subito, dal dolore intenso della donna afflitta e dal riverente silenzio della moltitudine e, compassionevole, tutti i particolari del caso doloroso, ed il suo cuore affettuoso ne fu subito ripieno di tenera pietà, per la povera madre. Prova novella è questa che egli è quel Messia di cui Isaia profetò: «veramente egli ha portati i nostri languori, e si è caricato delle nostre doglie». «In tutto le lor distrette, egli stesso fu in distretta Isaia 53:4; 43:9#290530040000-290530040000#290430090000-290430090000. Le parole «non piangere» cadono senza efficacia da labbra umane; ma in bocca di Gesù furono per la vedova un comando subito ubbidito, un balsamo che lenì la sua ferita, e, dal suo tempo in poi, quella parola ha recato conforto a migliaia di cuori afflitti, in ogni età. Bene osserva Olshauson che «la simpatia di Gesù per la madre non esclude che egli avesse pur riguardo al giovane stesso in questo fatto. La gioia della madre fu invero la prima conseguenza di questo atto, ma non ne fu già la causa finale. Questa per certo, benché non ci sia dichiarata, dovette essere il risveglio spirituale del giovane ad una vita superiore».

PASSI PARALLELI

Giudici 10:16; Salmi 86:5,15; 103:13; Isaia 63:9; Geremia 31:20; Lamentazioni 3:32-33#070100160000-070100160000#230860050000230860050000#230860150000-230860150000#231030130000231030130000#290630090000-290630090000#300310200000300310200000#310030320000-310030330000

Marco 8:2; Giovanni 11:33-35; Ebrei 2:17; 4:15#480080020000480080020000#500110330000-500110350000#650020170000650020170000#650040150000-650040150000

Luca 8:52; Geremia 31:15-16; Giovanni 20:13,15; 1Corinzi 7:30; 1Tessalonicesi 4:13#490080520000-490080520000#300310150000-

300310160000#500200130000-500200130000#500200150000500200150000#530070300000-530070300000#590040130000590040130000

49007014Lc 7:14

14. E, accostatosi, toccò la, bara

soros, mita 2Samuele 3:31#100030310000-100030310000. Gli Egiziani ed i Babilonesi usavano una cassa di legno aron; i Giudei invece involgevano il corpo in molti pannilini e lo mettevano in una bara aperta (semplice tavola di legno con un piccolo rialzo tutt'attorno), la quale era trasportata da quattro o sei persone, fino alla tomba.

(or i portatori si fermarono),

Probabilmente il Signore si avanzò fino davanti alla bara, e quando i portatori giunsero a lui, la toccò con mano, perché si fermassero, ed essi ubbidirono. Non c'è nulla di miracoloso in questa loro fermata subitanea; anzi la bontà di Gesù era così nota, che il suo farsi avanti dovea far loro operare che, in un modo o nell'altro, egli sarebbe venuto in aiuto alla vedova.

e disse: Giovanetto, io tel dico, levati.

C'è una grandezza incomparabile in questo parole: «Io tel dico, a te che non sembri più potere udir la voce dei viventi». «Niun uomo parlò giammai come costui». Si studino con cura i miracoli di Elia a Sarepta 1Re 17:21#110170210000-110170210000, di Eliseo a Sunem 2Re 4:33#120040330000-120040330000, di Pietro a Lidda e a Joppe Atti 9:3440#510090340000-510090400000, di Pietro e Giovanni alla porta del tempio, detta la Bella Atti 3:6#510030060000-510030060000: tutti questi miracoli sono il risultato di preghiera a Dio, o del riconoscimento di Cristo; ma le parole di Gesù a questo giovane non sono precedute da preghiera alcuna, e contengono l'ordine spontaneo ed indipendente del Principe della vita. Possiamo additar questo come una prova innegabile della divinità di

Gesù Cristo. Quelli che eliminano i miracoli della religione di Cristo, attribuendoli a cause naturali, asseriscono che questo giovanotto non era morto, ma solo caduto in letargia. Ma se anche ciò fosse vero, ben osserva Godet: «il miracolo di potenza sparirebbe solo per lasciar posto ad un miracolo di sapienza, non meno incomprensibile; poiché, come mai poté Gesù conoscere che questo giovane, il quale portava tutti i segni della morte, ora tuttor vivente, e che era imminente l'ora del suo risveglio?» Quando guarì il paralitico calato dal tetto Luca 5:23#490050230000-490050230000, Gesù propose ai suoi oppositori farisei l'inestricabile dilemma: «Quale è più agevole, dire: I tuoi peccati ti son rimessi; ovver dire: Levati e cammina?» Nello stesso modo lasceremo gli sprezzatori dei miracoli venir fuori di questo come meglio potranno. Fra un miracolo di potenza ed uno di saviezza, quale proferiscono essi?

PASSI PARALLELI

Luca 8:54-55; 1Re 17:21; Giobbe 14:12,14; Salmi 33:9; Isaia 26:19; Ezechiele 37:3-10#490080540000-490080550000#110170210000110170210000#220140120000-220140120000#220140140000220140140000#230330090000-230330090000#290260190000290260190000#330370030000-330370100000

Giovanni 5:21,25,28-29; 11:25,43-44; Atti 9:40-41; Romani 4:17; Efesini 5:12#500050210000-500050210000#500050250000500050250000#500050280000-500050290000#500110250000500110250000#500110430000-500110440000#510090400000510090410000#520040170000-520040170000#560050120000560050120000

49007015Lc 7:15

15. E il morto si levò a sedere, e cominciò a parlare

Questi fatti provano che gli erano state rese non solo la vita, ma pure la salute e le forze. Se si fosse solo svegliato da un sonno letargico, la sua

malattia sarebbe stata la stessa di prima, e la debolezza non gli avrebbe consentito di alzarsi a sedere; mentreché non solo sedette, ma parlò. Quest'ultimo fatto è ricordato per impedire ogni cavillo sulla realtà del suo ritorno in vita. Chi parla vive. È certo che il solo potere divino può effettuar questo! Notiamo che non ci vien mai riferito una parola, un pensiero di quelli che furon da Gesù miracolosamente strappati alla morte. Le conoscenze acquistate, le sperienze fatte da loro nel regno della morte ci cono saviamente taciute.

E Gesù lo diede a sua madre.

Poco ci dice la Scrittura per soddisfare alla nostra curiosità. La scena in cui Gesù prese il giovane per mano e lo rese a sua madre deve esser stata intensamente drammatica, ma la Bibbia lo lascia a noi il figurarcela. Non ci dice né le parole del giovane, né l'effetto prodotto sulla madre dal riacquistar suo figlio. Questo cose possiamo sino ad un certo punto indovinarlo; ma chi dipingerà l'espressione del volto di Cristo, l'occhio suo raggiunte di contentezza e di simpatia nel restituire alla vedova il sostegno della sua vecchiaia! Qual fu la causa della profonda sua simpatia verso dì lei? Questa donna non ora una sua amica personale; non ora nel numero dei suoi discepoli; né gli domandò aiuto. La vista della sua desolazione fu quella che commosse il suo cuore compassionevole. Gli venne forse in mente, vedendola, un'altra sepoltura che dovea avvenire fra poco e sarebbe più dolorosa ancora di questa. L'ora della sua partenza non era molto lontana. Nell'angoscia di cui è testimone, vede forse l'immagine di quella spada che doveva presto attraversare il cuore di un'altra madre; egli si figurò la propria madre diletta, piangente sul suo corpo lacerato, e l'anima sua ne rimase altamente commossa.

PASSI PARALLELI

1Re 17:23-24; 2Re 4:32-37; 13:21#110170230000110170240000#120040320000-120040370000#120130210000120130210000

49007016Lc 7:16

16. E spavento li occupò tutti. e glorificavano Iddio, dicendo: Un gran profeta è sorto fra noi; Iddio ha visitato il suo popolo.

Il vedere un morto sedersi sulla bara, vestito dei suoi panni sepolcrali, bastava a scuotere i nervi più robusti; e la paura di cui vien qui parlato, in molti può non essere stata altro che un tale allarme; in altri può essere stata quel terrore che il sentimento della presenza di Dio ingenera sempre nel cuore dei peccatori; in molti però par che sia stato un lodevole timore misto, a riverenza, poiché li spinse a glorificare Iddio, per quello che era stato fatto. Dice un teologo del secolo scorso: «Essi videro qui chiaramente manifestata la sua potenza divina, perciocché i loro maestri aveano loro insegnato che le chiavi delle nuvole, della matrice, e della tomba trovavansi nelle mani di Dio nei cieli». Solo ai più grandi fra i loro profeti, come Elia ed Eliseo, era stato concesso, nei tempi antichi, di risuscitare i morti, e la convinzione prodotta in loro, da questo miracolo, che Gesù di Nazaret era uguale a quei grandi, si esprime nelle parole: «Un gran profeta è sorto fra noi». La voce della profezia taceva da secoli; non v'era più stata «visione nel paese» dalla morte di Malachia in poi; ma ora la moltitudine gioisce di sapere che «Iddio ha visitato il suo popolo», poiché Colui che fa tali segni deve essere un «dottore venuto da Dio». Lanciando di tanto in tanto questi lampi del suo divino potere, il Signore convinse la nazione intera che grandi cose stavano per accadere.

PASSI PARALLELI

Luca 1:65; 5:8,26; 8:37; Geremia 33:9; Matteo 28:8; Atti 5:5,1113#490010650000-490010650000#490050080000490050080000#490050260000-490050260000#490080370000490080370000#300330090000-300330090000#470280080000470280080000#510050050000-510050050000#510050110000510050130000

Luca 2:20; Matteo 9:8; 15:31; Galati 1:24#490020200000490020200000#470090080000-470090080000#470150310000470150310000#550010240000-550010240000

Luca 7:39; 9:19; 24:19; Giovanni 1:21,25; 4:19; 6:14; 7:40-41; 9:17; Atti 3:22-23#490070390000-490070390000#490090190000490090190000#490240190000-490240190000#500010210000500010210000#500010250000-500010250000#500040190000500040190000#500060140000-500060140000#500070400000500070410000#500090170000-500090170000#510030220000510030230000

Atti 7:37#510070370000-510070370000

Luca 1:68; 19:44; Esodo 4:31; Salmi 65:9; 106:4-5#490010680000490010680000#490190440000-490190440000#020040310000020040310000#230650090000-230650090000#231060040000231060050000

49007017Lc 7:17

17. E questo ragionamento intorno a lui si sparse per tutta la Giudea, e per tutto il paese circonvicino. 18. Or i discepoli di Giovanni gli rapportarono tutte queste cose.

Le parole questo ragionamento posson riferirsi così alla fama del miracolo, come alla convinzione da quello prodotta nella mente di tutti relativamente a Gesù, ed espressa nelle surriferite esclamazioni. Diodati le prende in quest'ultimo senso, cioè che, in seguito a questo miracolo, si sparse largamente in tutto il paese il convincimento che Dio avea visitato il suo popolo, e che un gran profeta era sorto nel mezzo di esso, e le parole intorno a lui sembravano giustificare questa traduzione. Questa fama delle sue potenti operazioni e la conclusione che il popolo ne derivò, giunsero agli orecchi dei discepoli del Battista, che subito gliele riferirono nella sua prigione di Macheronte. In seguito a ciò, egli mandò alcuni dei suoi

discepoli a Gesù, affinché, vedendo e udendo le sue opere, essi pure credessero in lui.

PASSI PARALLELI

Luca 7:14; Matteo 4:24; 9:31; Marco 1:28; 6:14#490070140000490070140000#470040240000-470040240000#470090310000470090310000#480010280000-480010280000#480060140000480060140000

RIFLESSIONI

l. Il cuor compassionevole di Cristo si manifesta mirabilmente in questo miracolo di Nain. Nessuno intercedette appo il Signore in favore di questa vedova, essa stessa non gli parlò. Ma le viscere di Gesù si commossero allo spettacolo del suo dolore, al pensiero della sua perdita. Notisi che il lebbroso Luca 5:12#490050120000-490050120000, fu guarito dietro alla propria preghiera; il servo del centurione Luca 7:1#490070010000490070010000, per intercessione del suo padrone; ma il figlio della vedova lo fu senza che nessuno lo domandasse per lui.

2. Corre una gran differenza fra il modo in cui Gesù compie i suoi miracoli, e quello in cui li compiono i profeti e gli apostoli. Ci sono nei miracoli riferiti dagli evangelisti un'autorità e un potere, che non ritroviamo negli altri miracoli della Bibbia. Eutimio (citato da Ryle) osserva: «Anticamente Elia profeta richiamò in vita il figlio della vedova di Sarepta, ma coll'umiliarsi dinanzi a Dio, e col rivolgergli le sue supplicazioni 1Re 17:2021#110170200000-110170210000. Così pure il profeta Eliseo resuscitò il figlio della vedova di Sunem, ma solo dopo essersi disteso sopra il suo corpo 2Re 4:34-35#120040340000-120040350000. Gesù invece con un unico comando risuscitò immediatamente colui che era morto».

3. Il Signore «Gesù Cristo è l'istesso ieri, oggi ed in eterno» Ebrei 13:8#650130080000-650130080000, perciò il suo cuore non è ora meno compassionevole, la sua simpatia per gli afflitti meno forte che quando egli

era in terra. Ricordiamocene, e confortici il pensiero che egli non ci verrà mai meno, non ci ingannerà mai, né mai ricuserà di interessarsi alle nostre afflizioni.

4. Questo potente miracolo è un vivente emblema del potere di Cristo di risvegliar quelli che sono morti nei falli e nei peccati. Egli è la VITA, e può dar vita spirituale ai cuori corrotti, duri e morti, colla stessa facilità con cui rese la vita del corpo al figlio della, vedova. Preghiamo pei nostri figli e parenti non ancora convertiti; senza disperare né dubitare della compassione e della potenza del Salvatore. Al tempo fissato, egli dirà: «Giovanetto, io tel dico, levati!»

5. In questo miracolo di Nain è adombrato quello che accadrà al mattino della risurrezione. Quando i morti avranno udito la gran parola del Redentore: «Alzatevi», e saranno usciti dalla tomba, egli renderà al suo popolo, per riconoscerli e vivere con loro nell'eternità, i cari congiunti dai quali la morte aveali lungamente separati, ma i quali, come loro, si erano addormentati in Gesù. «Non meno certo della risurrezione», dice Jacobus, «è il fatto che riconosceremo e possederemo di nuovo quelli che amiamo, se così essi come noi siamo di Cristo. Ci saranno restituiti nei cieli; è questo parte dell'opera di redenzione che il Salvatore compie per noi. I più prossimi parenti si ritroveranno con gioia come tali. Il figlio riconoscerà la madre come madre, e le sarà reso, ed essa a lui, dal loro adorabile Redentore. Prenda pur la fede cristiana possesso di questa verità, poiché ci viene insegnata in questa scena».

49007019Lc 7:19

Luca 7:19-35. MESSAGGIO DEL BATTISTA E RISPOSTA DI CRISTO, TESTIMONIANZA RESA DA CRISTO ALLA FEDELTÀ DEL SUO PRECURSORE GIOVANNI Matteo 11:2-19#470110020000470110190000

Per l'esposizione vedi Matteo 20:2Matteo 20:2-19, e per la narrazione della morte di Giovanni, Marco 6:17Marco 6:17-20.

49007036Lc 7:36

Luca 7:36-50. LA DONNA CH'ERA STATA PECCATRICE E SIMONE IL FARISEO

36. Or uno de' Farisei lo pregò a mangiare in casa sua; ed egli entrato in casa del Fariseo, si mese a tavola.

Questo interessante racconto ci è stato conservato dal solo Luca. Il fatto accadde durante il ministero di Cristo in Galilea, ma ci manca ogni indizio per fissarne la data precisa. Quest'uomo non sapeva che pensar di Gesù; le teorie della sua setta riguardo al Messia lo tiravano in un senso, gl'insegnamenti ed i miracoli di Gesù lo facevano inclinare in un altro. Lo invitò alla sua mensa, senza dubbio, per osservarlo più da vicino, e per regolarsi a suo riguardo in avvenire. È chiaro che lo sospettava; la si vede tanto dalla freddezza poco rispettosa con cui lo accolse, quanto dal giudizio sfavorevole che pronunziò mentalmente sul valore di Gesù come profeta, quando lo vide accogliere con compassione una peccatrice, in apparente ignoranza della sua storia antecedente. Gesù accettò l'invito, in parte perché gli forniva l'occasione di dichiarare il suo vangelo, benché il solo effetto per il Fariseo ne dovesse essere l'accecamento degli occhi, e l'induramento del cuore Isaia 6:10; ma soprattutto perché sapeva che in quella casa un'anima dolente per i peccati passati e bramosa di saluto troverebbe pace e perdono. Non c'è detto dove dimorasse il Fariseo. La città mentovata in ultimo luogo era stata Nain; ma nostro Signore non vi avrebbe certo fissato la sua dimora per tutto il tempo che dovette necessariamente trascorrere prima che il Battista avesse udito il miracolo, e i discepoli suoi vi potessero giungere. Oltracciò Nain sembra esser stato semplicemente un villaggio murato, in cui non è probabile che quella misera donna trovasse da esercitare il vergognoso suo mestiere. In Capernaum abitavan molti Farisei; e dall'altra parte, la popolazione più numerosa, il concorso di viaggiatori e di negozianti, la

presenza di un presidio romano dovevano indurre una persona di quel carattere a fissarvi la residenza. La convinzione che vivevano in Capernaum tanto il Fariseo come la prostituta, è confermata dal fatto che il legame che unisce questo incidente ai precedenti non è né cronologico né topografico, ma morale, essendo probabile che l'Evangelista lo introduca qui come un notevole esempio di ciò che egli aveva affermato Luca 7:2930#490070290000-490070300000, sull'accoglienza, ben diversa che Cristo ricevette dai Farisei e dai pubblicani quando rese testimonianza a Giovanni.

PASSI PARALLELI

Matteo 26:6-5; Marco 14:3-9; Giovanni 11:2-16#470260060000470260050000#480140030000-480140090000#500110020000500110160000

Luca 7:34; 11:37; 14:1#490070340000-490070340000#490110370000490110370000#490140010000-490140010000

49007037Lc 7:37

37. Ed ecco, vi era in quella città una donna ch'era stata peccatrice,

Se viveva in Capernaum, non le mancarono certo le occasioni di udire le parole di Cristo e di vedere i suoi miracoli: è possibile che Gesù le avesse in qualche occasione precedente rivolte parole di esortazione o di ammonimento; ma qual fu la freccia che portò il convincimento nel cuor suo, o in che modo fa essa così subitamente colpita, è un segreto noto solo a lei ed all'Iddio di misericordia; ma che un vero e pio dolore per il peccato trascorso fosse stato svegliato in lei è cosa fuori di ogni dubbio.

la quale, avendo saputo ch'egli era a tavola in casa del Fariseo,

Sarebbe difficile spiegare come una tal donna potesse entrare in casa del Fariseo, se non si sapesse che in Oriente le ore del pasto sono per l'appunto quelle in cui gli estranei, i vicini, mercanti ambulanti, mendicanti o curiosi

son liberi di entrare in casa e di parlare al padrone ed ai suoi convitati. In un paese caldo come la Palestina, la mensa è il più possibile allestita ad aria aperta, all'ombra di un albero o di un pergolato, in vista del pubblico, cosicché quelle intrusioni, così contrarie ai nostri costumi europei, vi sono molto facili.

portò un alberello

Greco, così detto da un luogo detto Alabastron in Egitto, celebre, anticamente, per le sue carriere di carbonato di calce e dove quelle anfore furono fatte per la prima volta, Vedi Nota Marco 14:3Marco 14:3.

d'olio odorifero;

In Ebraico mor: in Greco, o come nel testo muron, mirra. Questa sostanza ben nota trasuda dall'albero chiamato dai botanici Balsamodendron Myrhoe che cresce nell'Arabia Felice, e, nell'Abissinia. Quando trasuda dalla scorza dell'albero è liquida, simile all'olio; ma si rapprende rapidamente all'aria. Gli antichi ne facevamo un vino ed un olio di, mirra. Nehemia facevan commercio fin dai tempi più remoti. I Giudei, gli Egizi, i Greci ed i Romani Genesi 37:25#010370250000-010370250000, e quel commercio Continua tuttodì nell'Oriente ed in Europa. La mirra era celebre per le sue proprietà medicinali, per le quali fu offerta al Signore in sulla croce Marco 15:23#480150230000-480150230000; la si usava pure come disinfettante, e soprattutto come profumo. In quest'ultima qualità, essa viene enumerata fra gli articoli di acconciatura femminile Ester 11:12; Salmi 45:8-9; Cantici 5:5,13#190110120000-190110120000#230450080000230450090000#260050050000-260050050000#260050130000260050130000, e serviva alla composizione dell'olio santo con cui si ungeva il sommo sacerdote ebreo Esodo 30:23#020300230000-020300230000. La mirra come profumo fu uno dei ricchi presenti offerti dai Magi a Gesù bambino in Betleem. Quest'olio od unguento di mirra era molto caro; ed è interessante l'osservare come il cambiamento del cuore di questa donna l'indusse a prendere il più costoso degli ornamenti che prodigava alla propria persona per fini peccaminosi, affin di offrirlo a Cristo in pegno di riverenza. Papa Gregorio il Grande, e dopo di lui la generalità degli scrittori

romanisti, identificano questa donna non solo con Maria sorella di Lazaro, ma altresì con Maria di Magdala, e quest'ultima idea è tanto sparsa che, anche fra protestanti, si chiaman Maddalene le prostitute penitenti, e Asili per le Maddalene le case dove esse vengono ricoverate e avviate ad una vita nuova. Né la Scrittura, né la tradizione contemporanea, degna di fede, ci forniscono un atomo di prova in prò di una asserzione così dannosa all'onore di quelle due sante ed onorevoli persone, Vedi Nota Marco 14:3Marco 14:3 dove si dimostra insostenibile tale teoria. Una prova di più che questa donna non è identica con Maria di Betania trovasi nella diversità degli unguenti da ciascuna usati. In questo caso trattasi di olio di mirra, in Marco 14:3#480140030000-480140030000, di nardo schietto. È dovere di chiunque ritiene la parola di Dio come guida infallibile, il protestare solennemente contro l'ingiuria che vien fatta a quelle due seguaci di Cristo, confondendole con una, la quale, benché dipoi penitente e perdonata, avea però vissuto per lungo tempo una vita riprovata.

PASSI PARALLELI

Luca 7:34,39; 5:30,32; 18:13; 19:7; Matteo 21:31; Giovanni 9:24,31; Romani 5:8#490070340000-490070340000#490070390000490070390000#490050300000-490050300000#490050320000490050320000#490180130000-490180130000#490190070000490190070000#470210310000-470210310000#500090240000500090240000#500090310000-500090310000#520050080000520050080000

1Timoteo 1:9,15; 1Pietro 4:18#610010090000610010090000#610010150000-610010150000#670040180000670040180000

Matteo 26:7; Marco 14:3; Giovanni 11:2; 12:2-3#470260070000470260070000#480140030000-480140030000#500110020000500110020000#500120020000-500120030000

49007038Lc 7:38

38. E, stando a' piedi d'esso (accanto ai suoi piedi) di dietro

Nei loro conviti, i Giudei usavano dei letti detti triclinii, con una tavola nel mezzo. Il letto posto dalla parte superiore alla tavola veniva detto protoclisia Matteo 23:6#470230060000-470230060000. Vedi anche Note Luca 14:7Luca 14:7, ed era il posto d'onore. Il presidente della festa chiamavasi architriclinos Giovanni 11:9#500110090000-500110090000. I convitati stavano coricati appoggiando il corpo sul braccio sinistro ripiegato al gomito, e prendevano il cibo coll'altra mano. Perciò il Signore doveva avere i piedi dietro di sé, discosti dalla tavola, e nessuno poteva toccarli se non era nella posizione in cui vien descritta questa donna, Webster e Wilkinson fanno osservare che questo modo di stare a tavola, nei giorni di Cristo, non era punto quello usato in tempi anteriori della storia giudaica, poiché nell'Antico Testamento si parla di assettarsi per prender cibo Genesi 37:25; 43:83; Esodo 32:6; Proverbi 23:1#010370250000010370250000#010430830000-010430830000#020320060000020320060000#240230010000-240230010000; essi credono trovare un indizio di questo cambiamento di posizione a tavola in alcuni dei Libri Apocrifi Giuditta 12:15; Tobia 11:1#180120150000180120150000#170110010000-170110010000, il che, se fosse vero, ne fisserebbe la data non più di 300 anni avanti Cristo, quando i Seleucidi regnavano nella Siria, e gli usi greci cominciavano a penetrare fra i Giudei.

piangendo, prese a rigargli (umettare, bagnare) di lagrime i piedi e li asciugava coi capelli del suo capo;

Quelle lagrime erano più eloquenti che delle parole; esse sgorgavano irresistibilmente, come espressive dei sentimenti di gioia e di dolore che si disputavano il suo cuore. Quei capelli, dei quali andava sino allora orgogliosa, come di una delle sue principali bellezze, essa se ne serve per asciugar, con riverenza, i piedi che avea bagnati, senza darsi pensiero del fatto che soli gli schiavi potevano venir costretti a fare un tale uso dei loro capelli, e che, fra i Giudei, era considerato come una delle più grandi umiliazioni per una donna, l'esser vista in pubblico colla chioma disciolta.

e gli baciava i piedi,

Per asciugare i piedi a Gesù questa donna deve esser caduta in ginocchio e in tale attitudine di umiltà profonda essa rimase, baciandoli ripetutamente. Il basso popolo usava baciare i piedi dei Rabbini in segno di profondo rispetto.

e il ugneva con l'olio.

Nella condotta di questa donna troviamo tutti i segni esterni si quali si può riconoscere il cambiamento di cuore di un peccatore penitente. Sostenne, senza lagnarsi, il disprezzo ed i rimproveri che il Fariseo ed i suoi amici le dimostravano, con parole o con segni, per aver avuto l'ardire di presentarsi in alta compagnia. Essa cercava Gesù! e pur di gettarsi ai suoi piedi era pronta a sfidare il disprezzo e l'esecrazione di tutti gli abitanti di Capernaum! Così essa fece aperta e coraggiosa professione di avere abbandonato i sentieri del vizio, per credere ed ubbidire a Cristo. Dimostrò la sua umiltà colla sua attitudine e col rendere a Gesù quei servizi che si appartenevano agli schiavi; il suo profondo dolore e la sua penitenza, colle lagrime abbondanti colle quali bagnò i buoi piedi: il suo amore verso Cristo, col baciargli i piedi, col mostrarsi pronta a qualsiasi sacrifizio per lui, sino a servirsi dei suoi capelli come di un asciugamani, e ad offrirgli quello che possedeva di più prezioso e di più caro. Una religione che è il semplice prodotto della educazione, dell'abitudine o delle convenienze si contenta di dir colle labbra: «Signore, Signore», ma evita con cura ogni sacrifizio per amor di Gesù; la religione di colui che è «nato di nuovo», che è divenuto «una nuova creatura in Cristo» 2Corinzi 5:17#540050170000540050170000, non si manifesta solo col confessare Cristo dinanzi agli uomini, ma pure con atti di abnegazione per la sua causa, e con una vita consacrata al suo servizio.

PASSI PARALLELI

Luca 6:21; 22:62; Giudici 2:4-5; Esdra 10:1; Salmi 6:6-8; 38:18; 51:17; 126:5-6#490060210000-490060210000#490220620000490220620000#070020040000-070020050000#150100010000-

150100010000#230060060000-230060080000#230380180000230380180000#230510170000-230510170000#231260050000231260060000

Isaia 61:3; Geremia 31:9,18-20; Gioele 2:12; Zaccaria 12:10; Matteo 5:4; 2Corinzi 7:10-11#290610030000-290610030000#300310090000300310090000#300310180000-300310200000#360020120000360020120000#450120100000-450120100000#470050040000470050040000#540070100000-540070110000

Giacomo 4:9#660040090000-660040090000

Luca 7:44; Genesi 18:4; Giovanni 13:4-5#490070440000490070440000#010180040000-010180040000#500130040000500130050000

Luca 7:45-46; Ecclesiaste 9:8; Cantici 1:3; Isaia 57:9#490070450000490070460000#250090080000-250090080000#260010030000260010030000#290570090000-290570090000

49007039Lc 7:39

39. E il Fariseo che l'avea convitato, avendo veduto ciò, disse fra se medesimo: Costui, se fosse profeta, conoscerebbe pur chi, e quale sia questa donna che lo tocca; perciocché ella è una peccatrice.

La presenza di questa donna nella sua casa irritava molto il Fariseo, e siccome egli riteneva tutti i più gretti pregiudizi della sua setta contro i pagani, i pubblicani ed i peccatori, come esseri, il cui solo contatto produceva una contaminazione legale, il vedere che Gesù non aveva respinto da se con abborrimento la peccatrice, ma ne avea sopportato l'impuro contatto, fu per lui una prova evidente che i suoi sospetti erano veri, e che Gesù non era un profeta. Egli non poteva attribuire la tolleranza di Gesù verso questa donna ad altra causa che alla sua ignoranza del suo nome e del suo passato. In quel caso, non poteva essere un profeta, poiché, secondo i Giudei, un profeta doveva conoscere anche le cose più segrete. L'idea che

Gesù conoscesse benissimo il nome e la storia di quella donna, eppur l'accogliesse, appunto perché egli è «venuto per cercare e salvare ciò che era perito», era troppo sublime per la sua filantropia, e per la sua filosofia.

PASSI PARALLELI

Luca 3:8; 12:17; 16:3; 18:4; 2Re 5:20; Proverbi 23:7; Marco 2:6-7; 7:21#490030080000-490030080000#490120170000490120170000#490160030000-490160030000#490180040000490180040000#120050200000-120050200000#240230070000240230070000#480020060000-480020070000#480070210000480070210000

Luca 7:16; Giovanni 7:12,40-41,47-52; 9:24#490070160000490070160000#500070120000-500070120000#500070400000500070410000#500070470000-500070520000#500090240000500090240000

Luca 7:37; 15:2,28-30; 18:9-11; Isaia 65:5; Matteo 9:12-13; 20:16; 21:2831#490070370000-490070370000#490150020000490150020000#490150280000-490150300000#490180090000490180110000#290650050000-290650050000#470090120000470090130000#470200160000-470200160000#470210280000470210310000

49007040Lc 7:40

40. E Gesù gli fece motto, e disse: Simone, io ho qualche cosa a dirti. Ed egli disse: Maestro, di' pure.

Senza dubbio, Simone lasciò travedere il suo convincimento intorno col suo contegno arcigno e stizzoso, e fors'anche col far sottovoce alcuno osservazioni ai suoi vicini; ma Gesù tosto gli mostrò che i suoi sospetti erano infondati, e che egli leggeva i più segreti pensieri del suo cuore così facilmente come so li avesse avuti dinanzi agli occhi scritti su una tavoletta.

Avendo fatto conoscere, in modo di attrar l'attenzione di tutti, di volergli parlare, ed ottenutone il permesso dal loro ospite, il Signore disse la seguente parabola.

PASSI PARALLELI

Luca 5:22,31; 6:8; Giovanni 16:19,30#490050220000490050220000#490050310000-490050310000#490060080000490060080000#500160190000-500160190000#500160300000500160300000

Luca 18:18; 20:20-21; Ezechiele 33:31; Malachia 1:6; Matteo 7:22; 26:49; Giovanni 3:2; 13:13#490180180000-490180180000#490200200000490200210000#330330310000-330330310000#460010060000460010060000#470070220000-470070220000#470260490000470260490000#500030020000-500030020000#500130130000500130130000

49007041Lc 7:41

41. E Gesù gli disse: Un creditore avea due debitori; l'uno gli dovea cinquecento denari, e l'altro cinquanta.

La più grossa di queste somme ammontava a L. it. 400, la più piccola a L. it. 40, ossia al decimo della prima. I debitori rappresentavano la donna ed il Fariseo; il Signore istesso, la cui legge divina entrambi avevano trasgredita, essendo il creditore. Non è punto necessario supporre, come fanno alcuni, che il Fariseo andasse debitore a Cristo per aver da lui ottenuto qualche guarigione. Per quanto avesse di se stesso un alto concetto, il Fariseo non si credeva certamente senza peccato dinanzi alla legge divina, solo stimava averla trasgredita così di rado, che i suoi meriti compenserebbero facilmente le sue cadute; e colla proporzione dell'uno a dieci, il Signore non volle punto indicare la sua colpabilità reale dinanzi agli occhi di Dio, ma soltanto la stima che ne faceva egli stesso, paragonando la sua vita alla carriera di trasgressioni sistematica proseguita da quella peccatrice.

PASSI PARALLELI

Luca 11:4; 13:4#490110040000-490110040000#490130040000490130040000

Isaia 50:1; Matteo 6:12; 18:23-25#290500010000290500010000#470060120000-470060120000#470180230000470180250000

Luca 7:47; Romani 5:20; 1Timoteo 1:15-16#490070470000490070470000#520050200000-520050200000#610010150000610010160000

Matteo 18:28#470180280000-470180280000

Luca 12:48; Numeri 27:3; Geremia 3:11; Giovanni 15:22-24; Romani 3:23; 1Giovanni 1:8-10#490120480000-490120480000#040270030000040270030000#300030110000-300030110000#500150220000500150240000#520030230000-520030230000#690010080000690010100000

49007042Lc 7:42

42. E, non avendo essi di che pagare, egli rimise il debito ad ambedue. Di' adunque, qual di loro l'amerà più?

Per istabilire la verità che la parabola doveva annunziare, era necessario che ambo i debitori fossero dal creditore perdonati; non ne segue però che, in questo caso, il Fariseo avesse realmente ricevuto da Dio il perdono dei suoi peccati, come, senza dubbio alcuno, era il caso della donna. Il contrario risulta chiaramente dall'applicazione che il Signore fa, più sotto, della parabola; ma il soggetto qui trattato è l'amore di colui che è perdonato inverso al suo benefattore, perciò il perdono vien necessariamente introdotto come il movente di quell'amore, così nella più grande come nella più piccola È

sua misura. «È assolutamente necessario, per questa parabola» dice Alford, «di supporre che entrambi conoscevano il loro debito, perché se il perdono deve produrre un amore proporzionato alla grandezza della colpa perdonata, il peccato deve essere in tal caso il debito subiettivo dal quale ci sentiamo eccitati, non il debito obiettivo di cui Dio solo può conoscere la magnitudine».

PASSI PARALLELI

Salmi 49:7-8; Matteo 18:25-26,34; Romani 5:6; Galati 3:10#230490070000-230490080000#470180250000470180260000#470180340000-470180340000#520050060000520050060000#550030100000-550030100000

Salmi 32:1-5; 51:1-3; 103:3; Isaia 43:25; 44:22; Geremia 31:33-34; Daniele 9:18-19#230320010000-230320050000#230510010000230510030000#231030030000-231030030000#290430250000290430250000#290440220000-290440220000#300310330000300310340000#340090180000-340090190000

Michea 7:18-20; Matteo 6:12; Atti 13:38-39; Romani 3:24; 4:5-8; Efesini 1:7; 4:32#400070180000-400070200000#470060120000470060120000#510130380000-510130390000#520030240000520030240000#520040050000-520040080000#560010070000560010070000#560040320000-560040320000

Colossesi 3:13#580030130000-580030130000

49007043Lc 7:43

43. E Simone, rispondendo, disse. Io stimo colui, a cui egli ha più rimesso. E Gesù gli disse: Tu hai direttamente giudicato.

Ecco un altro esempio di dialogo socratico. La risposta era troppo ovvia, per permettere qualsiasi equivocazione; ma Gesù la volle avere colle parole

stesse di Simone, affinché egli fosse condannato dalla propria bocca. Sarebbe stato inciviltà troppo segnalata per parte del Fariseo il non rispondere; ma la risposta sembra esser stata data nello stesso spirito sprezzante che aveagli dettato i mormorii di prima. Non ci riesce scoprire nella risposta di Gesù: «Tu hai dirittamente giudicato», quella ironia che ci vedono molti: essa ci par piuttosto intesa a chiamar l'attenzione dei convitati alla concessione fatta dal Fariseo, prima di venire alla applicazione pratica.

PASSI PARALLELI

Luca 7:47; 1Corinzi 15:9-10; 2Corinzi 5:14-15; 1Timoteo 1:1316#490070470000-490070470000#530150090000530150100000#540050140000-540050150000#610010130000610010160000

Luca 10:38; Salmi 116:16-18; Marco 12:34#490100380000490100380000#231160160000-231160180000#480120340000480120340000

49007044Lc 7:44

44. E, rivoltosi alla donna, disse a Simone: Vedi questa donna;

In tal casa, in tal compagnia, dove ciascuno la disprezzava profondamente, dev'essere stata per quella donna una dura prova il vedere ogni occhio volgersi su di lei, quando il signore l'additò a Simone, per far risaltare il contrasto fra essa e lui. Senza dubbio egli rivolse lo sguardo su di lei poco volentieri. Avea egli già capito che la parabola stava per essere illustrata a spese sue? Forse no; ma non restò molto in sospeso. Gesù avea notato il modo scortese col quale Simone lo avea ricevuto, omettendo quelle attenzioni che la cortesia più elementare imponeva verso qualsiasi ospite; ma, «mansueto ed umil di cuore», qual era, non ne avea mosso lagnanza. Parlando al Fariseo, egli si limita ora a quelle mancanze esterne di rispetto, le quali indicavano in lui, nel modo più segnalato, punto amore e poca gratitudine verso Gesù; mentre accenna quello che la donna avea fatto, e che

compensava tal negligenza, per far vedere quant'era profonda la sua gratitudine ed il suo amore. Prima di considerare il contrasto accennato in questo e nei seguenti versetti fra la condotta della donna e quella del Fariseo, notiamo che il Signore segue nell'applicazione un ordine diverso da quello adottato nella parabola. In questa, egli procede dalla causa all'effetto; i benefizi accordati procedono i sentimenti o le disposizioni da quei benefizi destati in quelli che li han ricevuti; nella illustrazione od applicazione, egli s'inalza dall'effetto alla causa, dal grande amore manifestato dagli atti di quella donna alla sorgente di esso, vale a dire al perdono gratuito dei suoi molti peccati.

Io sono entrato in casa tua, e tu non mi hai dato dell'acqua a' piedi; ma ella mi ha rigati di lagrime i piedi, e li ha asciugati co' capelli del suo capo.

I sandali usati in quei tempi non essendo che delle suole raccomandate alle gambe da ligamenti attorcigliati intorno a quelle, il piede tutto intero rimaneva esposto al fango nell'inverno, ed alla polvere durante l'estate, perciò il lavarsi i piedi entrando in casa, era cosa essenziale per la pulizia ed il conforto. Dopo avere abbracciato il suo visitatore, la prima attenzione che gli usava il padron di casa era di fargli lavare i piedi dai suoi servitori, o almeno di offrirgli dell'acqua perché se li potesse lavar da sé, Vedi Luca 11:38; Genesi 18:4; 24:32; 53:24; Giudici 19:21; Giovanni 13:10; 1Timoteo 5:10#490110380000-490110380000#010180040000010180040000#010240320000-010240320000#010530240000010530240000#070190210000-070190210000#500130100000500130100000#610050100000-610050100000. Il Fariseo avea dato chiaramente a vedere il poco rispetto che nutriva per il profeta di Galilea, trascurando quest'antica ed universale forma di semplice cortesia. Ma la povera peccatrice avea più che compensato per la di lui mancanza di attenzione, bagnando i piedi di Gesù con lagrime di pentimento e di devozione, che sgorgavano da un cuore vicino a scoppiare, e sciogliendo le sue treccie per asciugarli coi suoi capelli, in mancanza di tovagliuolo.

PASSI PARALLELI

Luca 7:37-39#490070370000-490070390000

Genesi 19:2; Giudici 19:21; 1Samuele 25:41; 1Timoteo 5:10; Giacomo 2:6#010190020000-010190020000#070190210000070190210000#090250410000-090250410000#610050100000610050100000#660020060000-660020060000

49007045Lc 7:45

45. Tu non mi hai dato neppure un bacio; ma costei da ch'è entrata,

Diodati ha seguito la lezione essa è entrata, invece di io sono entrato, del Textus Receptus; ma l'autorità degli antichi MSS. la sostiene debolmente, perciò è tenuto come preferibile dal maggior numero dei critici. Alcuni scrittori vedon qui una prova che quella donna entrò nella casa al tempo stesso che Gesù, in mezzo alla folla che gli teneva dietro, poiché Gesù dichiara che le premure di essa per il suo conforto ed il suo onore si erano manifestate sin dal momento del suo ingresso.

non è mai restata di baciarmi i piedi

È stato sin dai tempi più antichi l'uso fra gli orientali di baciare ed abbracciare i loro amici (uomini), in segno di affetto e di rispetto, quando se li incontravano per via, ed in segno di accoglienza cordiale, quando li ricevevano come ospiti in casa; e quell'uso continua tuttodì. Come esempio della prevalenza di quell'abitudine nei tempi anteriori a quelli di Cristo, vedi Genesi 29:13; 33:4; 1Samuele 20:41; 2Samuele 20:9; Luca 15:20#010290130000-010290130000#010330040000010330040000#090200410000-090200410000#100200090000100200090000#490150200000-490150200000. Il Fariseo avea omesso quel segno di benvenuto e di rispetto; ma di nuovo la donna avea fatto compensazione per la sua negligenza, poiché, dal momento in cui Gesù era entrato nella casa, essa non avea cessato di baciargli i piedi, il che era un'espressione ben più eloquente di umile rispetto e di tenero amore che il bacio sulla guancia che il Fariseo gli avrebbe dovuto dare.

PASSI PARALLELI

Genesi 29:11; 33:4; 2Samuele 15:5; 19:39; Matteo 26:48; Romani 16:16; 1Corinzi 16:20#010290110000-010290110000#010330040000010330040000#100150050000-100150050000#100190390000100190390000#470260480000-470260480000#520160160000520160160000#530160200000-530160200000

1Tessalonicesi 5:26#590050260000-590050260000

49007046Lc 7:46

46. Tu non mi hai unto il capo d'olio; ma ella mi ha unti i piedi d'olio odorifero.

Come è spesso l'uso dei climi caldi, i Giudei si ugnevano il corpo, dopo il bagno, per arrestare l'eccessivo sudore, e per render la pelle morbida e liscia; di più, sia per etichetta sia per lusso, il capo e la barba venivano pure unti prima di un convito, o durante il suo corso. Era dunque una seria privazione quella di non essere unto con olio, e i Giudei non vi si sottomettevano volontariamente che in casi di lutto o di grave calamità. Vediamo l'olio usato come cosmetico in Deuteronomio 28:40; 2Samuele 14:2; Salmi 23:5; 92:11#050280400000-050280400000#100140020000100140020000#230230050000-230230050000#230920110000230920110000. La trascuranza del Fariseo era resa di nuovo cospicua per non aver egli offerto un poco d'olio ordinario per ungere il capo del suo convitato; ma tale negligenza venne compensata dall'unzione preziosa di mirra che questa penitente sparse sopra i suoi piedi. Mirabile è il commento di Brown: «Si osservi qui un doppio contrasto, fra il Fariseo che non unge la testa e la donna che unge i piedi, fra il Fariseo che rifiuta un po' d'olio d'uliva comune per l'uso più onorevole, e la donna che prodiga quel prezioso balsamo aromatico ad uso più umile. Che prova diede il primo di qualsiasi sentimento destato dal perdono? Che bella evidenza ce ne dà la seconda!» Nei versetti che seguono, il Signore si limita interamente al caso della

donna; Simone è lasciato da banda, né ci vien detto che egli, rappresentato dal minor debitore della parabola, abbia ottenuto il suo perdono.

PASSI PARALLELI

Ruth 3:3; 2Samuele 14:2; Salmi 23:5; 104:15; Ecclesiaste 9:8; Daniele 10:3; Amos 6:6; Michea 6:15#080030030000-080030030000#100140020000100140020000#230230050000-230230050000#231040150000231040150000#250090080000-250090080000#340100030000340100030000#370060060000-370060060000#400060150000400060150000

Matteo 6:17#470060170000-470060170000

49007047Lc 7:47

47. Pertanto io ti dico, che i suoi peccati, che sono in gran numero, le son rimessi; conciossiaché ella abbia molto amato;

Il vero senso da darsi alle parole pertanto, e conciossiaché, in questo versetto; ed il fatto che in apparenza il perdono dei suoi peccati dipende dalla grandezza dell'amore di quella donna (come se quello fosse l'effetto e non la causa di questo), non solo han dato molto da fare ai critici, ma han fornito alla Chiesa di Roma e ad alcune sette protestanti eretiche, un argomento, a parer loro, molto forte, in favor del merito delle buone opere per ottenere il perdono dei peccati. Secondo la loro esegesi di questo passo, Cristo dichiarerebbe a Simone che l'amore di questa donna fu la causa che le procurò il perdono dei suoi peccati e ne traggono la conclusione che ogni buon sentimento, od atto deve aver consimile efficacia. La condanna di tal dottrina è breve ma irrefragabile:

1. Cristo dice alla donna: «La tua fede (non il tuo amore) ti ha salvata» Luca 7:50#490070500000-490070500000.

2. Essa è contraria a tutto l'insegnamento della Scrittura, rispetto alla sola via di salvezza.

3. Essa è in contradizione della parabola detta da Gesù al Fariseo, invece di esserne una illustrazione.

L'espressione pertanto colla quale Diodati traduce non è molto felice, perché non ne rende il vero senso mentre sembra indicar che Gesù abbandona, tutto ad un tratto, l'argomento dei versetti precedenti. Dopo un genitivo, equivale, secondo i migliori Lessicografi, ad grazia, causa, a motivo di, e siccome tale è precisamente la sua posizione qui, dovrebbe venir tradotto a motivo di che, il pronome relativo che dovendosi riferire al carattere della donna posto a contrasto con quello del Fariseo. C'è valida autorità classica per assegnare alla particella il senso di in quanto che, ritenuto che, quando è usata, come qui, in prova di qualche cosa. Il membro di frase che essa introduce è messo avanti come prova o evidenza della cosa proclamata in quello che procede. Vedi in 1Giovanni 3:14#690030140000-690030140000 un passo perfettamente parallelo a questo nell'uso. Non dobbiamo intendere: «i suoi peccati, che sono molti, gli sono perdonati perché ecc.»; ma «a motivo di ciò, l'esser la sua condotta tanto diversa dalla tua», io ti dico che i suoi peccati, che sono in gran numero, le son rimessi, e lo prova il fatto che essa ha molto amato». Il Signore parla tutt'ora a Simone; questo versetto contiene l'applicazione pratica della parabola e del contrasto che segue fra la condotta del Fariseo, e quella della peccatrice, e le sue parole possono esser parafrasate così: «Tu stesso confessi che un gran perdono produce un grande amore; or l'amore di questa donna verso di me, ha ecceduto mille volte il tuo; perciò io ti dico ora che i suoi molti peccati le sono rimessi, e lo prova la grandezza dell'amor suo». «Ella ha molto amato!» V'è un'altra clausola nella quale Gesù descrive esattamente il caso di Simone, senza nominarlo:

ma a chi poco è rimesso poco ama.

L'identità assoluta della verità qui enunciata con l'inferenza che Simone stesso avea tratta dalla parabola, fissa in modo indubitabile il senso della parte precedente del versetto. «ci stupisce», dice Stier, «che il pregiudizio abbia potuto indur la gente ad interpretazioni così varie di un testo così

chiaro in se stesso, poiché niente è più evidente, secondo l'intero contesto, del valore inferenziale di in questo passo, e niente è più semplice dell'argumentum non a causa sed ab effectu, di cui fa uso qui il Signore, come quando uno dice: «Il sole è alzato (cioè dove essere alzato), conciossiaché faccia giorno chiaro».

PASSI PARALLELI

Luca 7:42; 5:20-21; Esodo 34:6-7#490070420000490070420000#490050200000-490050210000#020340060000020340070000

Isaia 1:18; 55:7; Ezechiele 16:63; 36:29-32; Michea 7:19; Atti 5:31; Romani 5:20#290010180000-290010180000#290550070000290550070000#330160630000-330160630000#330360290000330360320000#400070190000-400070190000#510050310000510050310000#520050200000-520050200000

1Corinzi 6:9-11; 1Timoteo 1:14; 1Giovanni 1:7#530060090000530060110000#610010140000-610010140000#690010070000690010070000

Luca 7:43; Matteo 10:37; Giovanni 21:15-17; 2Corinzi 5:14; Galati 5:6; Efesini 6:24; Filippesi 1:9#490070430000-490070430000#470100370000470100370000#500210150000-500210170000#540050140000540050140000#550050060000-550050060000#560060240000560060240000#570010090000-570010090000

1Giovanni 3:18; 4:19; 5:3#690030180000-690030180000#690040190000690040190000#690050030000-690050030000

49007048Lc 7:48

48. Poi disse a colei: I tuoi peccati ti son rimessi.

È

È impossibile indovinare dove quella donna avesse per la prima volta udito Gesù proclamare; «Io non son venuto per chiamare a penitenza i giusti anzi i peccatori» Matteo 9:13#470090130000-470090130000; ma la sua fede si era impossessata di quelle parole, e sin d'allora i suoi peccati le eran stati rimessi. Nelle parole del Salvatore a Simone essa aveva udito il perdono dei suoi peccati trattato argomentativamente, come cosa provata dal suo amore, e tendeva senza dubbio l'orecchio per cogliere ogni parola che potesse venir pronunziata su quel soggetto così vitale per essa; ma ora il Signore si rivolge direttamente ed unicamente a lei, e mette fuor di dubbio quel perdono di cui essa avea bisogno e che anelava di ottenere. Qual pace, qual gioia, qual gratitudine, qual consecrazione al servizio del Signore dovettero quelle parole svegliar nel cuore della meschina! Essa faceva ora la sperienza delle parole del Salmista: «Beato colui la cui trasgressione è rimessa, e il cui peccato è coperto! Beato l'uomo a cui il Signore non imputa iniquità, e nel cui spirito non vi è frode alcuna» Salmi 32:1-2#230320010000230320020000. Mediante il suo Spirito, Gesù rivolge tuttora le stesse vivificanti parole al cuore dei poveri peccatori che gridano perdono. Beati quelli che odono le parole del Figliuol dell'uomo, e le credono e vivono!

PASSI PARALLELI

Matteo 9:2; Marco 2:5#470090020000-470090020000#480020050000480020050000

49007049Lc 7:49

49. E coloro ch'eran con lui a tavola presero a dire fra loro stessi (dentro se stessi): Che è costui, il quale eziandio rimette i peccati?

Il diritto di perdonare i peccati, qui rivendicato dal Signore, eccita in quelli che stanno a tavola con lui la stessa maraviglia e disapprovazione che, nel caso del paralitico, cui simili parole furono pur rivolte Luca 5:21#490050210000-490050210000; ma vi si mescola pure un senso di rispetto e di solennità, come, se sentissero esservi in quell'uomo molto più

che essi non avevano ancora sospettato. Nei loro mormorii non s'ode l'accusa di bestemmia, mentre l'enfatico eziandio, implica evidentemente che essi avevano già avuto delle prove miracolose dei suoi diritti celesti, e domandavano a sé stessi se questa nuova pretesa di una prerogativa divina poteva venir fatta in buona fede o era flagrante bestemmia. Par probabile che se avessero fermamente ritenuto esser questa assoluzione della donna una bestemmia, non avrebbero esitato un momento solo a denunziarla ed a trarne vendetta.

PASSI PARALLELI

Luca 5:20-21; Matteo 9:3; Marco 2:7#490050200000490050210000#470090030000-470090030000#480020070000480020070000

49007050Lc 7:50

50. Ma Gesù disse alla donna: La tua fede ti ha salvata;

I mormori di Simone e dei suoi convitati non impedirono a Gesù di dire a quella donna quello che aveva da dirle. Al vers. 48 egli le avea autorevolmente dichiarato che «i suoi peccati le erano rimessi, ora egli le dà la ragione di quella grande grazia: «La tua fede ti ha salvata». Si noti quanto onore Gesù tributa qui alla fede! La povera donna aveva manifestato molte altre grazie, specialmente un pentimento sincero e coraggioso, una grande umiltà, una profonda contrizione, un amore ardente; ma nessuna di queste, né tutto questo riunite la salvarono. La fede sola la salvò; non già che ci fosse merito alcuno nell'aver fede; ma perché la fede fu lo strumento per il quale essa divenne unita a Cristo e partecipe dell'infinito suo merito come propiziazione del peccato

vattene in pace.

Può darsi che, come credono alcuni, il Signore si aspettasse per parte del Fariseo e dei suoi convitati ad uno scoppio d'indegnazione, la cui prima

esplosione cadrebbe su di lei, e per questo motivo la rimandasse mentre regnava tuttora la calma. Ma le parole tradotte qui «in pace» significano pure «verso o in seno alla pace», e dovevano senza dubbio indicare qualcosa di più che una tranquilla dipartenza da quel luogo. Le parole dettele da Cristo erano atte a svegliare nel suo cuore tal misura di pace che tutta la vita, anzi tutta l'eternità non sarebbero bastanti per approfondirla, ed a queste parole daremo il senso di: «Va a godere di tutta la pace che può dare la certezza del perdono».

PASSI PARALLELI

Luca 8:18,42,48; 18:42; Habacuc 2:4; Matteo 9:22; Marco 5:34; 10:52; Efesini 2:8-10

Giacomo 2:14-26

Ecclesiaste 9:7; Romani 5:1-2

RIFLESSIONI

1. «La prontezza colla quale Gesù accettò un invito dato con disposizioni così poco amichevoli come quello di Simone, è certo una prova dell'abnegazione prodotta dal vero amore. Non voleva respingere i Farisei più che fosse assolutamente necessario, e sapeva di più che non pochi orecchi, inaccessibili alla sua predicazione ordinaria altrove, avrebbero forse ricevuto la parola della vita annunziata in mezzo alla conversazione di un convito e rivestita delle forme ordinarie della vita giornaliera. Pensava pure all'educazione dei suoi Apostoli, i quali, cresciuti in più umile situazione, non aveano conosciuto che da lontano il lato più tenebroso del Farisaismo. E finalmente, la sua presenza sarebbe il mezzo migliore di ridurre al silenzio le voci calunniatrici che correvano senza dubbio nella sua assenza, sul suo proprio conto e su quello dei discepoli» (Oosterzee).

2. Il discernimento degli spiriti 1Corinzi 12:10#530120100000530120100000, ora tenuto come il segno di un vero profeta, e tal

conoscenza da Gesù dimostrata al Giordano ed a Sichar lo aveva fatto riconoscere per il Messia, come lo provano le confessioni di Natanaele e della donna di Samaria. Giovanni 2:24-25#500020240000-500020250000, gli rende pure questa testimonianza: «Ma Gesù non fidava loro sé stesso, perciocché egli conosceva tutti; e perciocché egli non avea bisogno che alcuno gli testimoniasse dell'uomo, conciossiaché egli stesso conosceva quello ch'era nell'uomo». Il Fariseo era giunto nel suo spirito ad una conclusione ben diversa, perché il Signore permetteva alla donna che si era inginocchiata ai suoi piedi di toccarlo. Ma colla sua pubblica risposta ai pensieri nascosti di Simone, Gesù diede a vedere che egli conosceva non solo quello che la donna fosse, ma pure quello che si agitava nel cuore di Simone. Egli era dunque profeta nel senso più alto della parola.

3. Nella breve parabola proposta a Simone, lo stato di tutta la razza umana davanti a Dio è rappresentato dai due debitori: «Non avevano essi di che pagare». Se ci fosse possibile ubbidire perfettamente alla legge di Dio in avvenire, ciò non compenserebbe la nostra disubbidienza passata, più che il cessare di accrescere un debito giova a pagarlo. Ma non possiamo adempiere quello che Dio richiede da noi; anzi, anche dopo la conversione, siamo pur sempre imperfetti, ed ogni giorno commettiamo trasgressioni novelle, accrescendo così il nostro debito, invece di estinguerlo. Né possiamo, sotto la legge di Dio, più che sotto quella degli uomini, ottenere l'assoluzione dalla condanna del peccato per la sola penitenza. «Tutti abbian peccato e siamo privi della gloria di Dio» Romani 3:23#520030230000520030230000. È verissimo che agli occhi di Dio alcuni sono più colpevoli di altri; il peccatore profano e scandaloso è senza dubbio peggiore di quello la cui condotta è decente e morale, ma non c'è fra un peccatore e l'altro tal differenza che dia ad uno di essi il diritto di esser accetto a Dio. Nessuno sarà, ricevuto da Dio, se non si presenta a lui, come interamente perduto; ma nessuno che si presenti come tale colla preghiera: «O Dio, sii placato inverso me peccatore» Luca 18:13#490180130000-490180130000, sarà respinto indietro.

4. Mirabili sono le grazie spiegate da questa donna; tuttavia il Signore sorvolò a tutte, e tenne conto sol di quella che era meno apparente, e che chiunque altro avrebbe passato sotto silenzio, cioè la sua FEDE. Sapeva

esser questa la radice ed il principio di tutte l'altre. E qual cosa attribuisce il Signore alla fede di questa, donna? Nientemeno che la salvezza dell'anima sua. La fede vien così esaltata al disopra di tutte le altre grazie, perché ci unisce a Cristo in tutte le sue sofferenze, in tutti i benefizi che derivano da lui, ed in tutta la sua gloria. Domandiamo dunque cogli apostoli: «Signore, accrescici la fede».

5. Una delle definizioni della fede dataci dalla, Scrittura ci mostra: «la fede operante in carità» Galati 5:6#550050060000-550050060000, e l'operazione di questa grazia non risulta meno bene da questo pasco che la grazia stessa. Qui vediamo l'amore di questa donna per il divino Benefattore da cui ha ricevuto, per la fede, il perdono che la spinge a ricercarlo, e, trovatolo, a piangere nel suo cospetto, ad abbracciare i suoi piedi, ad esprimere nel modo più commovente i più intensi sentimenti del suo cuore. Così «l'amore ci costringe, non possegga come in Diodati; Confr. Luca 12:50#490120500000-490120500000, di non vivere più a noi stessi, ma a colui che è morto e risuscitato per noi» 2Corinzi 5:14-15#540050140000540050150000.

6. I peccatori perdonati ritengono un vivo ricordo dei loro peccati. Così faceva Paolo, Vedi Efesini 3:8; 1Timoteo 1:12-16#560030080000560030080000#610010120000-610010160000, e se questa povera donna avesse avuto l'occasione di parlare, essa si sarebbe proclamata peccatrice, anzi la prima delle peccatrici. Protendono alcuni che il peccato perdonato dev'essere dimenticato; ma tali persone non conoscono meglio delle pietre che cosa sia la vera pietà. Il peccato non può mai venir dimenticato. Non appena è egli cancellato nel cielo, che viene Scritto con penna di ferro nella memoria per sempre. Finché i redenti avranno menti capaci di pensare e cuori capaci di sentire, né tutti i dolori della vita, né tutte le gioie del cielo, né tutti i secoli della eternità potranno cancellare il ricordo della loro colpa, o attenuar la forza di questa rimembranza, il sentimento del perdono, la manterrà sempre viva. Un uomo non si sente veramente peccatore finché non guarda a Cristo, coll'occhio della fede, come al suo Salvatore; finché non comincia a sperare di avere sfuggito all'inferno e guadagnato il cielo.

7. In questo passo, finalmente, abbiamo una prova indiretta ma tanto più calzante, della divinità del nostro Signor Gesù Cristo. Non è il Padre, ma sé stesso che egli ci presenta qui come il gran creditore, cui eran dovuti il debito grande non meno che il piccolo, e che aveva il diritto di cancellare entrambi. Questi debiti, come lo dimostra il passo, sono le trasgressioni degli uomini contro l'Altissimo, e se Gesù non fosse, come dice di essere, uguale al Padre, egli non avrebbe ardito usurpare la prerogativa divina, dichiarando in proprio nome (io ti dico) prima al Fariseo, poi alla donna stessa che i suoi peccati le erano rimessi. Uno studio attento dell'evangelo servirà a confermare la fede dei credenti, facendo loro scoprire molte consimili prove indiretto della divinità di Cristo in conferma delle sue parole: «Io e il Padre siamo una stessa cosa».

49008001Lc 8:1

CAPO 8 - ANALISI

1. Seconda gita nella Galilea. Se supponiamo che il Fariseo che invitò Gesù in casa sua risiedeva in Nain, questa gita non sarebbe che la continuazione di quella che Gesù intraprese partendo da Capernaum due giorni prima. Ma se riteniamo Capernaum come il luogo dove la donna peccatrice gli unse i piedi, questo capitolo ci racconterebbe, un nuovo viaggio del Signore. Per le ragioni addotte più sopra Vedi Note Luca 8:36Luca 8:36, quest'ultima ci sembra l'ipotesi più probabile; ma non ci sono dati sufficienti per arrivare ad una assoluta certezza su questo punto. Il Signore sembra aver visitato in varie volte tutte le città e le principali borgate della Galilea, per predicarvi la buona nuova del regno accompagnato dai dodici Apostoli, ed accompagnato pure da alcune donne ricche e di rango superiore, mentovato qui per la prima volta, le quali gioivano di poter spendere le loro sostanze nel provvedere ai bisogni del Salvatore che amavano, e dei suoi dodici testimoni eletti Luca 8:1-3.

2. Parabola del seminatore, e ragioni per cui Gesù incominciò a insegnare in parabole. Questa parabola, secondo Matteo e Marco, fu pronunziata in riva al lago; e ne potremmo inferire che compiuta la sua gita missionaria,

Gesù era tornato a Capernaum. Lo scopo che egli si proponeva in quella parabola era di delineare la varia accoglienza che il vangelo del suo regno incontrava per parte dei suoi varii uditori, secondo lo stato del loro cuore. Egli descrive quattro differenti specie di suolo sul quale cadde la Semenza del seminatore. Cioè la via battuta; il terreno sassoso appena ricoperto da uno strato sottile di terra; il terreno seminato di spine che tolgono al buon seme l'aria, l'umidità, ed il nutrimento; e finalmente il buon terreno ben coltivato e nettato di piante malvage, nel quale il seme cresce rigoglioso, promettendo un ricco raccolto. Il cuore di ogni uditore o lettore dell'evangelo è simile all'uno od altro di questi terreni. V'ha il cuore duro, orgoglioso, pieno della propria giustizia, che rifiuta di ricevere il messaggio contenuto nella parola di Dio, e che Satana ben presto cancella dalla mente e dalla memoria. C'è il cuore entusiasta e sentimentale, sitibondo di novità, il quale riceve il messaggio con trasporti d'allegrezza, lo adotta come una distrazione di buon gusto, lo segue finché è popolare; ma lo abbandona subito che gli uomini cominciano a dirne del male, ed a perseguitarlo. Havvi il cuore così preoccupato ed aggravato dalle cure, dalle vicissitudini, e dai piaceri della vita presente, che la parola ne rimane soffocata, dimodoché non resta che una «apparenza di pietà». Finalmente troviamo pure il cuore preparato, mediante la fede in Cristo e nelle promesse di Dio, a ricevere la verità, e nel quale questa cadendo produce buon frutto in proporzioni variabili, secondo le cure e le preghiere con cui la parola è nudrita. La risposta alla domanda dei discepoli, perché egli cominciasse a parlare in parabole, quantunque non avesse fatto così fino a quell'ora, è in sostanza una ripetizione della esortazione che egli avea già rivolto loro: «non gittate le vostro perle dinanzi ai porci». Fino a quel momento, avea predicato apertamente l'evangelo a tutti quelli che volevano ascoltarlo; ma gli Scribi ed i Farisei se ne erano serviti dei suoi miracoli per accusarlo di essere in lega con Beelzebub, il principe dei demoni. Egli aveva dunque deciso di proseguire il suo pubblico ministero, per mezzo di parabole, nelle quali la verità verrebbe facilmente trovata da chi la cerca, di cuore mentre i noncuranti si contenterebbero dei semplici racconti in quelle contenuti, e perirebbero per la loro trascuratezza e perversa volontà: «Acciocché veggendo non veggano, e udendo non intendano» Luca 8:4-15.

3. La parabola della lampada accesa e del suo uso. Nel suo insegnamento, Gesù si serve più volte di questa figura o di conclusioni derivate da essa e spesso con significati diversi Vedi Matteo 5:15; 10:26-27; Luca 12:23#470050150000-470050150000#470100260000470100270000#490120020000-490120030000. In quest'ultimo passo, tal figura occorre in contrasto alla ipocrisia dei Farisei; ma qui ha riferenza a quanto è stato detto or ora delle parabole, e contiene, pei discepoli, una esortazione a ricavarne tutta l'istruzione possibile, non nascondendole sotto una intelligenza ottusa, e non mancando, quando l'avean capite, di insegnarlo ad altri. Vien qui insegnato ai Cristiani che tutta l'influenza che posson dar loro il rango, le ricchezze, l'energia del carattere, o le doti mentali devono venir sempre usate per la gloria di Dio ed il bene del prossimo. Essi non possono, senza andar direttamente all'incontro degli insegnamenti del Signore, chiudersi nei conventi o errar nei deserti lontano dall'umano consorzio. Chi ricerca «l'umiltà volontaria», e pratica un culto inventato dagli uomini, può ammirare tali modi di vita, ma la Parola di Dio li condanna di più il Signore ci assicura che, coll'uso diligente dei privilegi e della conoscenza spirituale, di cui godiamo, e coll'impartirli agli altri, li accresciamo in noi stessi Luca 8:16-18.

4. La madre e i fratelli di Gesù vengono in cerca di lui. Ciascuno dei Sinottici ricorda quest'incidente: ma il racconto di Marco lo mette maggiormente in luce. Il sapere che gli Scribi ed i Farisei ascrivevano le meravigliose sue opere, al potere di Beelzebub; la fatica straordinaria che Gesù subiva nell'insegnare e nel guarire; e l'impossibilità per lui persino di prender cibo, a motivo della folla che lo circondava di continuo, indussero sua madre e i suoi fratelli (Giuseppe era probabilmente già morto), a temere che la sua ragione si fosse indebolita che, la sua attività straordinaria fosse quella d'un pazzo, e sotto tale impressione vennero in cerca di lui per ricondurlo a casa. Erano buone le loro intenzioni, ma il loro fu un atto imprudente nel tempo e nelle circostanze in cui Gesù si trovava, mentre cioè egli «attendeva alle cose del Padre suo» e del quale egli non si occupò che per dichiarare esservi una parentela a lui più cara di quella del sangue e che egli teneva come madre e sorella e fratello chiunque faceva la volontà del Padre suo Luca 8:19-21.

5. Tempesta sul lago di Galilea. Luca non connetta questo miracolo con nessuno dei fatti ricordati prima; dice semplicemente che, «un certo giorno», Gesù salì a bordo di una navicella, coi suoi discepoli, e ordinò loro di far vela per la sponda orientale del lago; ma Marco dice «che partirono di sera», dimodoché il fatto qui narrato deve essere occorso durante la notte. Son proverbiali le burrasche subitanee del lago di Gennesaret, ed una di queste più violenta del solito scoppiò quando la barca era già per via. Soggetto a tutte le infermità della nostra natura, all'infuori del peccato, e stanco dei lavori del giorno, Gesù dormiva tranquillamente a poppa, senza esser disturbato né dagli elementi scatenati, né dal terrore e dall'emozione dei suoi discepoli, i quali, avendo esercitato sin dall'infanzia la loro vocazione sul lago, ben capivano la grandezza del pericolo, vedendo che la nave cominciava ad empiersi d'acqua. Quando poi la loro posizione apparve disperata, ed essi si videro la morte in faccia, i discepoli, sdegnati per la serenità del suo sonno in tali circostanze, lo svegliarono, rimproverandogli la sua apparente indifferenza, ma però colla speranza che egli potrebbe trarli fuor di pericolo, come si vede dalla loro breve preghiera: «Signore, salvaci; noi periamo. Subito Gesù si alzò e con una parola autorevole, come loro Signore e Creatore, sgridò gli elementi in furore, e la calma regnò immediatamente così nell'aria come sull'acqua; e mentre i suoi discepoli si maravigliavano per quel miracolo, egli li sgridò per la piccolezza della loro fede Luca 8:22-25.

6. Gesù scaccia una legione di diavoli dall'indemoniato di Gadara. Distruzione di una mandra di porci. All'alba, Cristo e i suoi discepoli sbarcarono sulla sponda orientale del lago, vicino a Gadara, e quivi egli compì un altro notevole miracolo. A Nain, egli avea dimostrato il suo potere sulla morte, ordinandole di sparire, come un servo alla parola del suo padrone; durante la notte, avea dato a vedere il suo potere qual Creatore del Cielo e della terra sull'universo creato; ed ora egli si manifesterà qual dominatore dello stesso inferno, le cui unite legioni non possono resistere al suo potere, o disubbidire ai suoi comandi. Si presentò a lui un povero demoniaco, impazzito e spesso spinto ad atti di violenza straordinaria, terrore del vicinato a motivo del numero di demonii che avevano preso possesso del suo corpo, e ad onta della resistenza di quelli. Gesù costrinse la legione a dipartirsi da lui, non solo rendendogli la ragione, ma

convertendolo a sé e facendolo «di buon senno», talché egli divenne poi testimone di Cristo nel distretto di Gadara. Il Signore permise che fossero castigati gli avari Gadareni, i quali, a dispetto della legge mosaica, cercavano di arricchire, allevando greggi di porci, pel proprio uso e per quello dei Gentili loro vicini coll'accordare ai demoni la loro preghiera di entrare in quel gregge, il quale subito si precipitò nel lago e vi perì. Gli abitanti sdegnati, anteponendo i propri illeciti guadagni alle benedizioni che Gesù avrebbe potuto arrecar loro, lo pregaron subito di allontanarsi dai loro confini, ed egli acconsentì alla loro domanda Luca 8:26-39.

7. Il doppio miracolo della guarigione della donna inferma e della risurrezione della figlia di Iairo. Gesù tornò in Capernaum, dove il popolo gli diede il benvenuto, dopo averlo aspettato con ansietà. Nulla v'ha nella relazione di Luca della domanda di Iario che contradica quella di Matteo (Levi), della cui accuratezza cronologica non vi può essere dubbio alcuno, poiché il postulante venne a cercare Gesù nella propria sua casa. Luca comincia il suo racconto colle parole: «Ed ecco un uomo», che non ci danno altra indicazione di tempo, se non che il fatto accadde dopo il ritorno di Gesù da Gadara. Iairo, il primo uffiziale della sinagoga di Capernaum, avea una figlia unica, in punto di morte, e convinto che la scienza umana più non poteva far nulla per lei, si decise a supplicar Cristo di venirla a guarire. Egli avea evidentemente fede nel potere del Signore: la sua preghiera spira l'urgenza che una profonda affezione sola può dettare, e Gesù si accomiatò da Matteo, dai pubblicani e dai discepoli di Giovanni, coi quali stava discorrendo, per andarsene con lui a casa sua. Così fitta era la folla che lo accompagnava, da impedirli talvolta di avanzare ed in una di quelle fermate, una povera donna, afflitta da dodici anni di una perdita di sangue, si avvicinò con fede a lui, e toccando di dietro il suo vestito fu istantaneamente guarita, poi si nascose fra la folla colla stessa ritiratezza con cui si era avanzata. Ma Gesù la guardò in modo sì persuasivo che essa si sentì costretta a farsi avanti ed a dichiarar pubblicamente quale era stato il suo male, la risoluzione cui la, fede l'avea spinta e l'immediata guarigione che avea ottenuto sol toccando il Salvatore; dopo di che, il Signore la licenziò, dandole la consolante certezza: «La tua fede ti ha salvata». Durante questa breve sosta, un messaggero ora giunto per annunziare all'afflitto padre la morte della sua bambina, e l'inutilità della presenza del profeta di Nazaret.

Senza lasciar tempo a Iairo di parlare, o all'incredulità di suscitar nel cuor suo pensieri di ribellione, il Signore gli disse: «Non temere, credi solamente», e s'avviò subito verso la sua casa. Il rumore dei musici e di quelli che già erano stati affittati per piangere, sono una prova che in casa di Iairo la morte della bambina era ritenuta indubitabile; ma, in presenza di alcuni testimoni da lui scelti, cioè dei parenti della bambina e dei tre apostoli Pietro, Giacomo, e Giovanni, Gesù entrò nella camera dove essa giaceva, e chiamatala come se fosse addormentata, la prese per mano, la richiama a vita, e la rese ai suoi genitori Luca 8:40-56.

Luca 8:1-3. GESÙ FA UN'ALTRA GITA NELLA GALILEA, ACCOMPAGNATO DAI SUOI DISCEPOLI, E DA CERTE DONNE CHE MINISTRAVAN LORO

1. Ed avvenne poi appresso, ch'egli andava attorno di città in città, e di castello in castello, predicando ed evangelizzando il regno di Dio, avendo seco i dodici;

Molti considerano questo come la ripresa del viaggio missionario, mentovato in Luca 7:11#490070110000-490070110000, e brevemente interrotto a Nain. C'è però questo da aggiungere a quanto è stato detto più sopra, Vedi Note Luca 7:36Luca 7:36, in appoggio della teoria che Luca ricorda qui una gita intrapresa dal Signore all'infuori della sua visita a Nain, che cioè egli ha cura di dirci che i dodici vi accompagnavano Gesù, dimodoché questo viaggio deve essere stato intrapreso o prima o dopo che Gesù li ebbe mandati a provarsi per la prima volta nella predicazione Matteo 10#470100000000-470100000000. Lo scopo di Luca sembra essere di chiamar l'attenzione sullo zelo e sulla perseveranza con cui il Signore proseguiva l'opera cui si era accinto, la predicazione cioè del vangelo del suo regno, non solo nelle città, ma anche nei piccoli villaggi della Galilea; acciocché gli abitanti di quella provincia avessero una volta almeno l'occasione di udire dalle sue labbra il lieto annunzio che erano finalmente adempiute le antiche profezie. Quali fatiche non dovette egli sopportare! Da qual maraviglioso amore per le anime che periscono non dovette egli essere

animato! Qual esempio non ha egli lasciato a tutti quelli che son chiamati al sacro ministero!

PASSI PARALLELI

Luca 4:43-44; Matteo 4:23; 9:35; 11:1; Marco 1:39; Atti 10:38#490040430000-490040440000#470040230000470040230000#470090350000-470090350000#470110010000470110010000#480010390000-480010390000#510100380000510100380000

Luca 2:10-11; 4:18; Isaia 61:1-3; Matteo 13:19; Atti 13:32; Romani 10:15#490020100000-490020110000#490040180000490040180000#290610010000-290610030000#470130190000470130190000#510130320000-510130320000#520100150000520100150000

Luca 6:14-16; Matteo 10:2-4; Marco 3:16-19#490060140000490060160000#470100020000-470100040000#480030160000480030190000

49008002Lc 8:2

2. Ed anche certe donne, le quali erano state guarite da spiriti maligni, e da infermità; cioè, Maria, detta Maddalena, della quale erano usciti sette demoni; 3. E Giovanna, moglie di Cuza, procurator di Erode; e Susanna e molte altre le quali gli ministravano, sovvenendolo delle lor facoltà,

Matteo e Marco noverano fra i testimoni, della crocifissione del Signore alcune donne, che erano venute con lui dalla Galilea, ministrandogli Matteo 27:55-56. Marco 16:9#470270000000-470560000000; ma Luca ci dice qui che, lungi dall'esser questo un caso fortuito, come si sarebbe potuto dedurre dai passi citati, molte donne di Galilea aveano abbracciato la causa di Cristo, in gratitudine per le liberazioni da lui ricevute, e lo aveano seguito

insieme ai suoi discepoli, quasi sin dal principio del suo ministero. Il problema come vivessero Gesù e i suoi discepoli durante i tre anni e mezzo del suo ministero, quando stavano uniti come una sola famiglia, deve essersi spesso presentato alla mente dei lettori del vangelo. Tutto il tempo del Signore era occupato nell'opera sua spirituale; egli non aveva mezzi proprii alcuni, né potea lavorar del suo mestiere di falegname; i suoi discepoli pure, dietro al suo invito, aveano abbandonato la loro professione, e si erano colle loro famiglie, affidati a lui per la loro sussistenza; egli rifiutò sempre di far miracoli a proprio benefizio; di che dunque potevano essi campare? Leggiamo che aveano una borsa comune, di cui era custode il Traditore, e colla quale si provvedeva ai bisogni ed alle elemosine (che queste non venivano dimenticate), della piccola comunità; ma da quali sorgenti veniva alimentato quel fondo collettivo? Luca ce lo spiega in questi versetti. Vi si provvedeva colle offerte volontarie e spontanee, di quelli che erano stati beneficati dai miracoli di Gesù, o convertiti dai suoi maravigliosi insegnamenti; e mentre tutti quelli, anche i più poveri; che erano stati partecipi delle sue ricchezze spirituali potevan far doni a Cristo o esercitare verso lui l'ospitalità; v'erano in particolare alcune donne, le quali, spinte dalla gratitudine, risolvettero di consecrare il loro tempo, i loro beni, i loro servizii come madri e sorelle della piccola brigata, e gli usi del paese consentivano loro questo modo di dimostrare la loro gratitudine al Signore, senza incorrere biasimo alcuno; poiché le donne Israelite solevano contribuire al sostentamento dei Rabbini per cui sentivano riverenza speciale. Tre sole delle donne che accompagnavano in quel modo il Signore e i suoi discepoli vengono nominate, forse perché di più alto rango, o animato di più grande divozione; ma, oltre a queste, Luca dichiara che ve n'erano «molte altre». Tutti i lettori dei Vangeli sanno che Maria Maddalena era stata più di ogni altra persona mentovata nella Bibbia (ad eccezione del povero indemoniato di Gadara), sotto l'influenza degli spiriti maligni, ma pochi, a quanto pare, han capito che tutte queste donne avean sofferto la stessa terribile malattia, e che la gratitudine per esser state liberate da una vile schiavitù che rendeva la loro vita inutile e disperata, le spingeva irresistibilmente a consacrarsi al servizio del loro misericordioso benefattore. Il primo nome sulla lista delle donne che in tal modo si distinsero è quello di Maria Maddalena. Presentandola in tal modo per la prima volta, come una persona fino ad ora estranea al suo racconto, Luca ci

fornisce un argomento contro l'identità di Maria Maddalena colla «donna peccatrice» del cap. 7: poiché è impossibile capire come, dopo aver descritto con mano maestra, il trionfo della grazia divina nel caso di quella donna, egli ce la presentasse ora come una straniera, sotto il nome di Maria Maddalena, Senza far la più lontana allusione al racconto che precede. Eravi sulla sponda occidentale del lago di Gennesaret un distretto chiamato Dalmanuta Marco 8:10#480080100000-480080100000, ed anche Magdala Matteo 15:39#470150390000-470150390000; da un villaggio posto in riva al lago, un'ora al N. di Tiberiade, chiamato Migdal o Magdela, dal quale, come dalla sua patria, Maria ricevette il nome di Maddalena, che le fu dato dai discepoli e dalla Chiesa primitiva, per distinguerla dalle altre molte seguaci di Gesù che portavano lo stesso nome, come per esempio Maria madre del Signore, Maria sorella di Lazaro, Maria madre di Marco Giovanni, ecc. Il villaggio moderno, chiamato tuttora El Migdel, la torre, è descritto da Thomson come «una misera borgata di una dozzina di casuccie basse, accatastate le une sulle altre, e che sembrano in procinto, di cadere in un fascio di nere rovine basaltiche». Vien detto di Maria che da lei furono cacciati sette demonii, dobbiamo dunque ritenere che essa abbia avuto, nella loro forma più grave, alcuni dei sintomi di malattia mentale e spirituale che s'incontrano in altri demoniaci: una invincibile disperazione, il sentimento di una doppia personalità, una frenesia soprannaturale, e lunghi, accessi di mutismo, che doveano renderla affatto inetta al mestiere di prostituta, anziché farvela atta, come protendono gli scrittori papisti. Per altri particolari su Maria Maddalena, rimandiamo il lettore alle Note su Luca 7:37Luca 7:37; Marco 14:3Marco 14:3; nell'ultima delle quali specialmente vien presa ad esame la pretesa sua identità con la donna che era stata peccatrice, e con Maria sorella di Lazaro. Di Giovanna non sappiamo altro che quello che ci vien qui comunicato, poiché il suo nome non comparisce più nei Vangeli, se non come una di quelle donne Galilee che furono testimoni della crocifissione e della risurrezione del Signore Luca 24:10#490240100000-490240100000. Era donna ricca non solo, ma pure di un certo rango, poiché suo marito Cuza occupava il posto di epitropo, fattore Matteo 20:8#470200080000-470200080000; tutore o curatore Galati 4:2#550040020000-550040020000; e quì procuratore o tesoriere, sulla casa o sulla tetrarchia di Erode Antipa. L'uffizio che avea Giuseppe sotto Faraone Genesi 41:41#010410410000-010410410000, e Abdia sotto

Achab 1Re 18:3#110180030000-110180030000, Cuza lo riempiva probabilmente sotto Erode, come vice governatore e tesoriere del, Tetrarca. dimodoché era al tempo stesso ricco ed influente. Alcuni hanno supposto che Cuza fosse morto, mentre sua moglie soffriva di quella malattia, che altrimenti essa non avrebbe avuto agio di percorrere la Galilea, insieme con Gesù ed i suoi discepoli. Ma non c'è molto peso in questo argomento, poiché, senza dubbio, quelle donne rispettabili si accordavano fra di loro, acciocché il mistero quotidiano» fosse ininterrotto, senza danno per il governo delle proprie case, ed il benessere delle proprie famiglie. Molto più probabile è il suggerimento messo avanti da Biount, Coincidenze della Scrittura, che cioè i fatti più notevoli del ministero di Cristo dovevano esser perfettamente noti alla corte di Erode, e vennero probabilmente a conoscenza di quel Principe per mezzo del suo Procuratore, che ne era tenuto informato da sua moglie. Della storia privata di Susanna e delle altre donne qui ricordate non sappiamo proprio nulla. La lor memoria è degna di altissimo onore nella Chiesa di Cristo; liberate da una malattia peggiore della morte, esse consecrarono, da quel momento in poi le loro sostanze e i loro servizii per il sostentamento di Colui che fece il cielo e la terra, ma non ebbe ove posare il capo, né una crosta di pane che potesse chiamar sua.

RIFLESSIONI

1. «Più son rari i dettagli che possiamo avere sulle circostanze esterne della vita nel circolo nel quale si moveva Gesù, più essi sono interessanti agli occhi dei lettori, per la luce speciale che essi gettano su tutta la sua carriera terrestre. La manifestazione celeste che si presentò al mondo nella sua persona, è avvolta da ogni parte, in una veste genuinamente umana. La sua gloria non brilla in tutta la sua purezza che, internamente e non rivela all'esterno il suo splendore, che quando deve essere in benedizione ad altri. Gesù, che era il pane della vita spirituale del suo popolo, non isdegnò di esser mantenuto dai suoi, in quanto al corpo. Non ebbe ribrezzo di scendere fino al fondo della miseria, al punto di condiscendere a vivere colle elemosine della carità; solo gli altri egli nutrì con mezzi miracolosi, in quanto a sé stesso viveva della carità dei suoi figliuoli. Come è commovente questo tratto del carattere del Messia! Chi potrebbe inventar simili cose?

Colui che ciba le migliaia di gente con una sola parola della sua bocca, vive egli stesso col pane dei poveri» (Olshausen).

2. Accettando questi servizi d'amore, il Signore fa vedere che avea piena fiducia nella purezza dei motivi e nella fedeltà di quelle donne Galilee, fedeltà che infatti durò inalterata fin dopo la sua morte! Qui scorgiamo la donna emancipata nel più alto senso della parola, ed il principio dell'attività femminile nella, Chiesa di Cristo. Il posto della donna cristiana non è nel pulpito, essa non è chiamata a predicare alle moltitudini. Questa parte vien loro recisamente negata da Paolo, per ispirazione dello Spirito di Dio 1Corinzi 14:34#530140340000-530140340000; ma vi sono per loro, oltre i doveri di famiglia, occasioni senza numero di servire al Signore; nell'assistere gli ammalati, nell'insegnare in scuole diurne o domenicali, nel cantare in chiesa, nel collettare in pro' delle missioni interne o fra i pagani. In questi vari modi, donne cristiane senza numero hanno già servito al loro Redentore, in modo non meno cospicuo che queste buone donne di Galilea. La donna ha ricevuto dalla natura un cuore pronto a compatire con quelli che soffrono, e che la spinge a fare quanto sta in lei per soccorrerli; e questa bontà naturale diviene mille volte più preziosa, quando viene innestata sul principio cristiano, perché allora la radice ne è salda e i frutti non sono solo di sollievo ai sofferenti, ma pure spiritualmente buoni ed accettevoli a Dio.

3. L'amore svegliato nel cuore del credente, dall'amor di Cristo vivente in lui, è il principio, la sorgente della Vera liberalità. Esso grida ognora: "Non ameremo noi chi ci ha amati il primo? Non serviremo noi colui che si è fatto servo per liberarci dalla morte? Non daremo noi liberamente della nostra sostanza terrena per la causa di colui che ci ha dato perdono, pace, santificazione, una eredità incorruttibile, ed una corona che non appassisce mai?" Sotto l'impulso di questo principio, queste donne consacravano volentieri i loro beni al sostentamento del loro divino Maestro; e la Chiesa Cristiana, durante i tre primi secoli, seguì il loro esempio, finché Costantino non unì la Chiesa allo Stato. Egli è solo quando abbonda l'amor di Cristo che spinge ai sacrifizii per la sua causa, che fioriscono le imprese missionarie fra i Pagani, gli Israeliti, i Maomettani, ed i Cristiani di nome, che son caduti nell'indifferenza e nella incredulità. Qui trovasi il contrasto fra una Chiesa spiritualmente vivente ed una che è morta nel formalismo.

49008004Lc 8:4

Luca 8:4-18. PARABOLE DEL SEMINATORE, E DELLA LAMPADA ACCESA. PERCHÉ MAI NOSTRO SIGNORE INSEGNASSE PER MEZZO DI PARABOLE Matteo 13:1-23; Marco 4:1-20#470130010000470130230000#480040010000-480040200000

Per l'esposizione vedi Marco 4:1Marco 4:1-20.

49008019Lc 8:19

Luca 8:19-21. LA MADRE E I FRATELLI DI GESÙ CERCANO DI PARLARE CON LUI. SUA RISPOSTA Matteo 12:46-50; Marco 3:3135#470120460000-470120500000#480030310000-480030350000

Per l'esposizione vedi Matteo 12:46Matteo 12:46-50.

49008022Lc 8:22

Luca 8:22-25. GESÙ TRAVERSANDO IL LAGO DI GALILEA. ACCHETA MIRACOLOSAMENTE UNA TEMPESTA Matteo 8:23-27; Marco 4:35-41#470080230000-470080270000#480040350000480040410000

Per l'esposizione vedi Marco 4:35Marco 4:35-41.

49008026Lc 8:26

Luca 8:26-39. GUARIGIONE DELL'INDEMONIATO DI GADARA Matteo 8:28-34; Marco 5:1-20#470080280000470080340000#480050010000-480050200000

Per l'esposizione vedi Marco 5:1Marco 5:1-20.

49008040Lc 8:40

Luca 8:40-56. GUARIGIONE DELLA DONNA AFFLITTA DAL FLUSSO DI SANGUE. RISUSCITAMENTO DELLA FIGLIA DI IAIRO Matteo 9:18-26; Marco 5:21-43#470090180000470090260000#480050210000-480050430000

Per l'esposizione vedi Marco 5:21Marco 5:21-43.

49009001Lc 9:1

CAPO 9 - ANALISI

1. Cristo manda i suoi apostoli a fare il loro primo giro di predicazione. È interessante osservar la cura colla quale Gesù preparò i dodici apostoli per la loro opera. Nel caso di Giacomo e Giovanni, di Pietro ed Andrea di Filippo, di Matteo, di Bartolomeo o Natanaele, vediamo prima di tutto la vocazione interna della conversione, o del cambiamento del cuore, e coll'eccezione del traditore Giuda, è probabile che la preparazione di tutti gli altri cominciò nello stesso modo. Questo cambiamento salutare è quindi seguito da una vocazione esterna a divenire i costanti suoi seguaci, e così testimoni oculari ed auricolari di tutte le sue parole ed azioni. Come tali essi lo accompagnarono nelle città e nei villaggi dove andava a predicare il vangelo, affin di impratichirsi nella sua dottrina. In terzo luogo il Salvatore li manda a due a due, per far la prova dei loro doni, e guadagnar così esperienza, fiducia in sé stessi, e prontezza nell'aiutare il loro Maestro, quando egli conversava colle moltitudini. In questo primo tentativo, tutto è reso facile

per essi dalla previdenza e dal potere del loro Maestro: vien loro dato il Santo Spirito per insegnarli; il potere di far miracoli per sanzionare il loro insegnamento; e coloro, fra i quali essi vanno, sono disposti in lor favore da Colui che governa i cuori degli uomini tutti. Né ebbe termine colla morte di Gesù la loro preparazione; egli vi si accinse nuovamente durante i quaranta giorni che rimase in sulla terra, dopo la risurrezione Atti 1:3#510010030000-510010030000, ragionando con essi «delle cose appartenenti al regno di Dio» Luca 9:1-6.

2. La coscienza di Erode lo accusa dell'uccisione del Battista, quando egli ode parlare delle maravigliose opere di Cristo. Sepphoris (oggi Sefùrieh), capitale della Galilea, sotto Erode Antipa, giaceva solo un'ora a N. di Nazaret, ed a breve distanza da Capernaum, dimodoché le potenti opere fatte da Cristo, e la profonda commozione cagionata dalla sua presenza vi furon presto note; e siccome questi fatti formavano il soggetto dell'ordinaria conversazione dei servi del Tetrarca, e sapevasi che la moglie del suo tesoriere era stata da Gesù liberata dai demoni, le nuove ben presto ne giunsero al principe stesso. Varie erano le opinioni intorno a che quel Profeta potesse essere; ma Erode, la cui coscienza era gravata dall'assassinio del Battista, persistette nel credere, a dispetto della sua sadducea incredulità relativamente alla risurrezione ed alla esistenza di angeli o spiriti, così buoni come cattivi, che egli fosse Giovanni Battista medesimo risuscitato dai morti Luca 9:7-9.

3. Ritorno degli apostoli, e miracolo del nutrimento di cinquemila uomini vicino a Betsaida. Dai racconti degli altri Sinottici, sappiamo che il ritorno degli Apostoli dal loro primo tentativo missionario avvenne al tempo stesso della morte di Giovanni Battista, e che, oltre alla stanchezza per il soverchio lavoro, fu il suo dolore per la morte del suo fedele precursore che indusse Gesù a ritirarsi per breve tempo nella solitudine, affin di darsi alla meditazione e di udire dagli apostoli il racconto dei loro lavori. Il suo scopo però fu frustrato. La barca, nella quale egli partì da Capernaum, venne riconosciuta dalla sponda, e quando sbarcò nel deserto appartenente a Betsaida, all'estremità N. E. del lago, lo trovò già gremito dalla folla proveniente dai villaggi e dalle città vicine, la quale lo avea seguito lungo la riva, nella direzione presa dalla barca. Non sfugge però alle labbra di Cristo

la minima parola di scontento o di noia; egli non si volge a cercare altrove qualche luogo più remoto ed inaccessibile; ma comincia subito a predicare a quelle anime, e guarire miracolosamente tutti quelli che di guarigione aveano bisogno. Volgendo il giorno al suo termine, gli Apostoli, mossi da compassione per la moltitudine così lontana dalle sue case, suggerirono al loro Maestro di licenziarla, affinché potesse ancora provvedersi di cibo nei villaggi più vicini; ma nella generosità del suo cuore, Gesù decise di nutrire egli stesso quelle migliaia di gente, ed essendosi informato di quali provviste la propria sua piccola famiglia avea portato seco (5 pani e 2 pesci), egli le moltiplicò miracolosamente, in modo da saziare cinquemila persone, lasciando ancora dodici corbelli di avanzi Luca 9:10-17.

4. Pietro confessa che Gesù è il Cristo. Il Signore raccomanda loro provvisoriamente il segreto, e vari altri doveri. Non avendo potuto trovar vicino al lago il ritiro del quale egli avea bisogno, vediamo dagli altri Sinottici. che Gesù si volse al Nord verso Cesarea, di Filippi, ed ebbe quivi agio così per pregare come per conversare liberamente coi suoi discepoli. Parlando della loro recente gita missionaria, il Signore domandò quale era l'impressione generale riguardo a lui medesimo; chi credeva la gente che egli fosse. Quindi avendo egli rivolto la stessa domanda ai suoi discepoli. Pietro come loro oratore, immediatamente rispose: «Il Cristo di Dio». Contento che i suoi discepoli fossero giunti ad un perfetto conoscimento della sua divina natura, Gesù ingiunse loro di serbar stretto silenzio su quel soggetto, finché non fossero avvenute la passione e la morte, che egli ora rivela loro come dovendo essere la sua porzione quaggiù; anzi finché egli non fosse risuscitato al terzo giorno. Li accertò però che alcuni di loro, prima di venir colpiti dalla morte, vedrebbero il Figliuol dell'uomo venire nella sua gloria, e questa dichiarazione rimase incisa nella loro memoria, benché fossero in quel tempo incapaci di comprenderla. Quindi predice loro la necessità dell'abnegazione, e del portar la propria croce, anche a costo della vita, se volevan dar prova di esser veramente suoi discepoli; avvertendoli al tempo stesso che l'acquisto di tutto il mondo, con le sue ricchezze, i suoi piaceri ed i suoi onori, in proprietà assoluta, non potrebbe bilanciare, anche per un istante solo, l'eterna perdita di un'anima immortale Luca 9:18-27.

5. La Trasfigurazione del Signore. Questo evento accadde in qualche località del vicinato di Cesarea di Filippi, nel silenzio della notte, e lontano dalle abitazioni umane. Esso è l'unico e splendente raggio di gloria che illumina la vita di umiliazione, di travagli, e di dolori che il Figlio di Dio per amor nostro condusse in sulla terra. Qualunque sia stato il benefizio che Mosè ed Elia, e i Santi già entrati in gloria, da essi rappresentati, derivarono da quell'incontro col Signore, eranvi molte ragioni, relative alla ministrazione del «ministero dell'Evangelo» cui eran chiamati gli apostoli, le quali rendevano della più alta importanza per essi una tale dimostrazione, per quanto breve, della sua gloria divina. Esisteva un pregiudizio contro l'accettar come Messia un uomo di origine e di circostanze così umili, uno che tutti credevano non essere altro che il figlio di Giuseppe il falegname. I preti e le sette religiose tenevan vivo fra il popolo un altro pregiudizio contro di lui, perché rigettava «le tradizioni degli anziani», rappresentandolo come nemico di Mosè e bestemmiatore contro alla legge. Da questi due pregiudizii gli apostoli non andavano totalmente esenti. Era, di più, nato nel cuore dei dodici il timore che quel regno terrestre del Messia, che essi aveano tanto caro per ragioni personali, fosse ritardato od anche reso impossibile da quella morte che, per la prima volta, era stata loro misteriosamente annunziata un giorno o due prima. La testimonianza di Jehova dal cielo, che il loro Maestro, circondato di gloria quale essi lo vedevano, era il suo diletto Figliuolo, non poteva che distruggere affatto il primo pregiudizio, e la presenza di Mosè, in intima conversazione con Gesù in tal circostanza, dovea togliere il secondo, mentre il loro timore per la stabilità del regno del Messia doveva svanire quando si convinsero che Mosè ed Elia parlavan con lui «della fine di esso, la quale egli doveva compiere in Gerusalemme», e della gloria che seguirebbe. Dopo qualche tempo, i messaggieri celesti si dipartirono ed i discepoli si trovarono soli col loro Maestro; ma la scena gloriosa che avean vista, e le parole che aveano udite scesero profondamente nei loro cuori, e furono efficacissime nel fortificare la loro fede Luca 9:28-36.

6. Guarigione del giovane indemoniato appiè del monte e conversazione che seguì. Al suo ritorno nel piano coi suoi tre compagni prediletti, Gesù fece un altro miracolo, ricordato da tutti i Sinottici, non solo per la sua intrinseca grandezza, ma pure perché i nove Apostoli, in assenza del loro Maestro, si

erano sforzati invano di scacciare un demonio. Essi trovarono i loro compagni, in mezzo ad una gran folla, che dava ascolto agli Scribi, i quali li biasimavano come impostori, ingannati da un impostore più grande di loro, e si sforzavano di trar profitto per se stessi del loro insuccesso. Gesù, riprendendo l'incredulità di tutti gli astanti, compresi i discepoli, e domandando al padre del giovane ossesso i particolari del caso, spiegò loro il gran potere della fede, e operò una guarigione segnalata, vietando al demonio di rientrare mai più in quel giovane. Quando i dodici col loro Maestro si furon rimessi per via, verso la Decapoli, gli umiliati Apostoli domandarono a Gesù il perché del loro insuccesso, ed egli ne additò le cause nell'essere stata da una parte la possessione inveterata e dall'altra la loro fede indebolita. Altri incidenti segnarono quel viaggio: il Signore annunziò loro novamente la certa e vicina sua morte, ma col solo effetto di imbarazzarli e di incuter loro timore; e sorsero fra loro delle dispute, frutto del loro orgoglio e della loro ambizione carnale, relativamente ai loro meriti rispettivi, ed al rango cui ciascuno credeva aver diritto nel regno terrestre del Messia. Gesù vi pose fine, al termine del viaggio, prendendo un fanciullino, mettendolo nel loro mezzo, e comandando loro di imitarne l'umiltà, la mancanza di invidia, di gelosia e di ambizione. Nella stessa conversazione, Giovanni ricordò incidentalmente aver essi, nella loro gita missionaria, proibito ad un uomo di cacciare i demoni nel nome di Gesù, perché egli non si era aggiunto a loro. Questo atto, che il Signore disapprova, gli fornisce l'occasione di istruirli sui rapporti che devono passare fra essi ed altri veri credenti, e sul pericolo di dar dello scandalo a questi ultimi Luca 9:37-50.

7. A Gesù vien vietata l'entrata in un villaggio Samaritano. Luca solo ricorda questo incidente, e probabilmente non lo introduce nel suo racconto che per la sua connessione coi tratti di carattere ricordati nei versetti precedenti. Esso accadde quando, per l'ultima volta, Gesù era in viaggio coi suoi discepoli per recarsi alla festa di Pasqua in Gerusalemme. Egli aveva scelto la via per la Perea, costeggiando la Samaria, e giunto di sera ad un villaggio dove avevano l'intenzione di pernottare, le porte furon lor chiuse in faccia, e quell'atto, così contrario alla ospitalità orientale, irritò talmente i figli di Zebedeo, che essi supplicarono Gesù. di distruggere il villaggio ed i suoi abitanti col fuoco del cielo. Il Signore sgridò questi Boanergi per il loro

poco giudizioso scoppio di orgoglio e di vendetta, e dichiarò che la sua missione in terra aveva in vista un fine direttamente opposto Luca 9:51-56.

8. Un certo Scriba dichiara il suo desiderio di divenire un seguace di Cristo. Ci saremmo aspettati a che Gesù rispondesse ad un tale: Seguitami; e certamente così gli avrebbe risposto se lo avesse visto animato da vero amore per lui, o da sincera ansietà per la propria salute, tanto più che così pochi della sua setta avevan fatta adesione alla causa del Signore. Ma dalla risposta di Gesù vediamo che quello scriba non era mosso da motivi disinteressati ad offrirsi come seguace di Cristo; ma lo faceva solo perché, essendo in parte convinto che Gesù era il Messia, desiderava partecipare ai vantaggi ed agli onori del regno che stava per essere eretto. Gesù lo disinganna presto, dichiarando che la sua era una vita errante, senza un luogo ove posare il capo, e che gli onori terreni cui lo Scriba aspirava non si acquietavano col divenire un suo discepolo. A questo viene aggiunto, in forma di dialogo, un'esposizione delle false impressioni relativamente al suo servizio, che avean corso fra alcuni suoi discepoli Luca 9:57-62.

Luca 9:1-6. MISSIONE DEI DODICI APOSTOLI Matteo 10:5-15; Marco 6:7-13#470100050000-470100150000#480060070000480060130000

Per l'esposizione Vedi Matteo 10:5Matteo 10:5-15.

49009007Lc 9:7

Luca 9:7-9. ERODE PRENDE GESÙ PER IL BATTISTA RISUSCITATO Matteo 14:1-2; Marco 6:14-16#470140010000470140020000#480060140000-480060160000

Per l'esposizione Vedi Marco 6:14Marco 6:14-16.

49009010Lc 9:10

Luca 9:10-17. I DODICI RIFERISCONO IL SUCCESSO DELLA LORO MISSIONE. VISITA ALLA SPIAGGIA ORIENTALE DEL LAGO DI GALILEA. GESÙ NUDRISCE MIRACOLOSAMENTE CINQUE MILA PERSONE Matteo 14:13-21; Marco 6:30-44; Giovanni 6:1-13#470140130000-470140210000#480060300000480060440000#500060010000-500060130000

Per l'esposizione Vedi Marco 6:30Marco 6:30-44.

49009018Lc 9:18

Luca 9:18-27. PIETRO CONFESSA CHE GESÙ È IL CRISTO. GESÙ ANNUNZIA LA SUA MORTE E RISURREZIONE, ED ESORTA I SUOI DISCEPOLI AD UMILTÀ, FERMEZZA ED ABNEGAZIONE Matteo 16:13-28; Marco 8:27; 9:1#470160130000470160280000#480080270000-480080270000#480090010000480090010000

Per l'esposizione Vedi Matteo 16:13Matteo 16:13-28.

49009028Lc 9:28

Luca 9:28-36. LA TRASFIGURAZIONE DI CRISTO Matteo 17:18; Marco 9:2-8#470170180000-470170180000#480090020000480090080000

Non mancano gli scrittori che affermano che il maraviglioso evento, descritto nei versetti seguenti. è un mito - una mera creazione dell'immaginazione, o una visione, non una realtà, benché non abbiano creduto necessario spiegarci come mai esso si presentasse precisamente

nella stessa forma a Gesù ed ai suoi discepoli. Non vi può esser dubbio alcuno della assoluta realtà storica di questo racconto. È congiunto, da date ben marcate, a quello che precede, ed è intimamente unito a quel che segue. Non si può senza ingiustizia separarlo dal suo contesto. Di più, non troviamo nulla che getti il più piccolo dubbio sulla realtà di quelli che appariscono. Le persone mentovate furon viste da tutti, esse parlarono e furono riconosciute. V'ha esatto accordo fra i tre primi evangelisti su tutti i particolari, ed il quarto allude, in modo assai chiaro, a quel fatto che non entrava nel suo piano di raccontare Giovanni 1:14#500010140000500010140000. Un altro dei tre spettatori riferisce distintamente i fatti qui raccontati, molti anni dopo 2Pietro 1:16-18#680010160000-680010180000.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:28; Marco 9:1; Giovanni 14:2; 16:7#470160280000470160280000#480090010000-480090010000#500140020000500140020000#500160070000-500160070000

Giovanni 21:22-23#500210220000-500210230000

Luca 2:26; Giovanni 8:51-52,59; Ebrei 2:9#490020260000490020260000#500080510000-500080520000#500080590000500080590000#650020090000-650020090000

Luca 22:18; Marco 14:25#490220180000-490220180000#480140250000480140250000

28. or avvenne che, intorno d'otto giorni

Matteo e Marco dicono sei giorni; ma la differenza si spiega facilmente dall'aver essi calcolato solamente i giorni intermedii fra gli eventi riferiti, mentre Luca include pure quelli nei quali quegli eventi accaddero; ovvero col supporre, come lo permetto la parola intorno di che Luca indica il tempo solo in modo approssimativo.

appresso questi ragionamenti.

La conversazione cioè fra Gesù e i suoi discepoli, sulla via di Cesarea di Filippi, dove, dopo che Pietro ebbe confessato esser Gesù il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente, il Signore avea per la prima volta distintamente annunziato ai suoi discepoli la sua morte, il modo di essa, e la sua risurrezione. Luca prende questa conversazione come punto di partenza nel suo racconto, così pure fanno gli altri Sinottici; e non è improbabile che, mentre la trasfigurazione era, per quanto spettava a Gesù, una nuova consecrazione in vieta delle sofferenze che lo aspettavano, essa fosse pure voluta da Dio per togliere dal cuore dei suoi discepoli la mestizia e lo scoraggiamento che un tale annunzio vi avea prodotto.

egli prese seco Pietro, Giovanni e Giacomo;

Questi tre formavano un gruppo più intimo nella compagnia degli Apostoli, e Gesù li onorava dando loro una più grande porzione di confidanza e di amore che agli altri. Li aveva scelti già come testimoni del risuscitamento della figlia di Iairo, li sceglie ora, come li sceglierà più tardi, nel giardino di Getsemane, per essergli compagni, mentre si dà più specialmente alla preghiera.

e salì in sul monte,

Nessuno dei Sinottici, anzi nessuno degli scrittori sacri ricorda il nome di quel monte eppure non v'ha quasi predicatore o scrittore che non indichi il monte Tabor, come quello in cima al quale accadde la trasfigurazione, benché quel monte non abbia altro diritto a tale celebrità all'infuori di una tradizione menzognera dei frati, che nessuno sognò prima della metà del superstizioso secolo quarto. La ragione che lo fece scegliere per questo scopo è che esso s'innalza nelle parte N. E. della pianura di Esdraelon ed appare, a prima vista, a motivo della poca altezza della catena che lo unisce alle montagne di Nazaret, rispondere alla descrizione che Marco e Matteo ci dànno del monte della trasfigurazione, cioè che esso stava alquanto «in disparte», Esso però non risponde a quell'altre parole della descrizione medesima: «un alto monte», poiché è alto non più di mille piedi, mentre il

piccolo Herunon, Gebel ed Dahy, che si erge pure solitario, di faccia ad esso da quella pianura, è di mole maggiore e molto più elevato. Coperto d'alberi quasi fino alla sua vetta, Tabor presenta un aspetto molto attraente, quando lo si contrasti coi nudi monti che lo circondano, e per la sua bellezza, senza dubbio, lo mentova il Salmista, come mentova Hermon per la sua nevosa maestà Salmi 89:13#230890130000-230890130000. Ma vi sono ragioni potentissime per rigettare il Tabor come sito della trasfigurazione. Il nostro Signore cercava la solitudine per pregare; non avrebbe dunque scelto per questo un monte sulla cima del quale trovavasi una città fortificata, le cui estese rovine vi si osservano tuttodì. Ora tale era probabilmente lo stato del monte Tabor sin dai giorni della conquista di Giosuè. Daberah, sul suo pendio occidentale, fu allora dato ai Leviti; ed ai tempi dei Giudici Tabor fornì a Barak alloggi per 10000 uomini, Conf. Giosuè 19:12,22; 21:28; Giudici 4:12,14#060010010000-060010010000#060010220000060010220000#060210280000-060210280000#070040120000070040120000#070040140000-070040140000. Ad eccezione di Osea 5:1#350050010000-350050010000, non c'è altra menzione del Tabor nella Bibbia; ma Polibio (5:70.6), ci dice che Antioco il Grande, re di Siria (218 A. C.), «per stratagemma ed astuzia, s'impadronì della città», e la fortificò. Nell'anno 53 A. C., il Proconsole romano Gabinio la prese e vi uccise 10000 uomini (Flavio, Antich. 14:6,3). Dopo l'ascensione del Signore, durante l'inutile lotta dei Giudei contro ai Romani, Flavio Giuseppe stesso ne riparò le fortificazioni, e tenne per un tempo la città contro al nemico. È dunque chiaro che, nei cinquant'anni che precedettero Cristo, e nei settanta che seguirono, vi era sulla vetta piana del Tabor una popolosa città, e che quello non poteva per conseguenza esser il monte espressamente scelto, perché il Signore e i suoi apostoli vi fossero «soli» (Marco). Secondo Robinson, Cirillo di Gerusalemme al quarto secolo fu il primo a indicare il Tabor come scena della trasfigurazione, ma solo casualmente, e senza esprimere la propria credenza in proposito; prima di quel tempo non v'era alcuna tradizione consimile; di poi, crescendo la superstizione, e specialmente dopo le crociate, quella teoria fu generalmente accettata, ma di fronte alle prove date più sopra è impossibile accordarle il minimo credito. Secondo i racconti di Matteo 16:13#470160130000-470160130000, e di Marco 8:27#480080270000-480080270000, confermati dai vers. Di Luca 9:1827#490090180000-490090270000 di questo capitolo, il Signore giunse nel

vicinato di Cesarea di Filippi, molto al N. del Tabor, sei o otto giorni prima della trasfigurazione, e siccome egli non vi andava per visitare solamente la città, ma pure i villaggi vicini Marco 8:27#480080270000-480080270000, quel tempo non era punto di troppo per una tal'opera, dimodoché dobbiamo cercare in quei monti, forme nel Gebel es Sheikh (Monte Hermon), o nel Gebel Panias, le due vette più meridionali dell'Antilibano, la scena di questo evento maraviglioso.

per orare.

Luca solo ci dice lo scopo del Signore nel salire il monte, ed in che fosse occupato quando venne su di lui quel maraviglioso cambiamento. In varie altre occasioni precedenti, vediamo il Signore ritirarsi in cima ad un monte, per godervi ininterrotta comunione in preghiera col Padre celeste, ma allora egli era solo; più tardi in Getsemane, cercando di nuovo la solitudine per pregare, prese seco questi stessi tre discepoli, come se, nell'angoscia dell'anima sua, egli fosse bramoso di simpatia umana; ma lo scopo che avea in vista nel prenderli seco in questa circostanza, e nel pregare in lor presenza, era di fortificare la loro fede in lui, difaccia agli insulti, all'ingiustizia, alla violenza che stavano in serbo per lui; e la sua glorificazione dinanzi ai loro occhi, con tutte le cose che l'accompagnarono, fu il modo in cui piacque al Padre di esaudire quella preghiera. Quel notevole evento accadde di notte. Questo è provato in modo indubitabile dalle parole del nostro evangelista in Luca 9:37#490090370000490090370000: «il giorno seguente... essendo scesi dal monte» ecc., che sarebbero inesplicabili se la trasfigurazione avesse avuto luogo di giorno, mentreché sono naturalissime se essa avvenne di notte. Lo confermano poi le considerazioni seguenti:

1. Il Signore sceglieva ordinariamente la notte, quando, come in questo caso, cercava la solitudine per pregare Luca 6:12; 21:37; 22:39; Matteo 14:23; Marco 1:35#490060120000-490060120000#490210370000490210370000#490220390000-490220390000#470140230000470140230000#480010350000-480010350000.

2. Di notte dovevano vedersi meglio tutti i particolari della trasfigurazione e delle apparizioni che l'accompagnarono.

3. Le tenebre ed il silenzio della notte, insieme colle fatiche del giorno, spiegano naturalmente assai il sonno dei discepoli quando furon giunti in vetta al monte, sonno da cui li svegliò la gloria che risplendè intorno a loro Luca 9:32#490090320000-490090320000; durante il giorno, tale disattenzione e mancanza di rispetto sarebbero state imperdonabili.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:1-13; Marco 9:2-13#470170010000470170130000#480090020000-480090130000

Luca 8:51; Matteo 26:37-39; Marco 14:33-36; 2Corinzi 13:1#490080510000-490080510000#470260370000470260390000#480140330000-480140360000#540130010000540130010000

Luca 9:18; 6:12; Salmi 109:4; Marco 1:35; 6:46; Ebrei 5:7#490090180000490090180000#490060120000-490060120000#231090040000231090040000#480010350000-480010350000#480060460000480060460000#650050070000-650050070000

49009029Lc 9:29

29. E, mentre egli orava,

«La connessione fra la preghiera di Gesù, e la sua trasfigurazione, Luca l'esprime colla preposizione la quale indica più che una mera simultaneità, mentre egli orava), e fa della sua preghiera la causa di quel misterioso evento» (Godet). Oltre a questo, ci son ricordati due altri casi in cui una voce rese testimonianza dal cielo a Gesù, ed in ambo i casi essa si fece udire mentre egli orava Luca 3:21; Giovanni 12:28#490030210000490030210000#500120280000-500120280000. Sono pure ricordati

esaudimenti immediati di preghiere nei casi di Daniele Luca 9:2022#490090200000-490090220000, di Saulo di Tarso Atti 9:11#510090110000-510090110000, di Cornelio Atti 10:26#510100020000-510100060000, ed in ogni età, dei credenti han potuto riconoscere la misericordia dell'Iddio del patto, non solo per aver egli esaudito le loro preghiere, ma anche per averlo fatto «mentre essi parlavano ancora e facevano orazione». Ricordiamocene, per incoraggirci a «chiedere in fede, senza esser punto in dubbio» Giacomo 1:6#660010060000660010060000.

il sembiante della sua faccia fu mutato,

altro, diverso. Né Marco, né Luca s'attentano a descrivere il cambiamento avvenuto nell'aspetto di Gesù; ma Matteo dice: «Egli fu trasfigurato in loro presenza, e la sua faccia risplendè come il sole». Giovanni fa, senza dubbio, allusione a questo fatto, quando dice: «Noi abbiamo contemplata la sua gloria, gloria come dell'Unigenito del Padre, piena di grazia e di verità». Non fu questa la sola volta che Giovanni, mentre egli era tuttora in terra, contemplò il suo Maestro in tutta la divina sua gloria, poiché il Signore gli apparve in gloria, quando egli era prigione nell'isola di Patmo, e la descrizione che egli ci dà di questa seconda apparizione corrobora quella di Matteo, Vedi Apocalisse 1:14-15#730010140000-730010150000. Su Pietro pure, lo spettacolo che fu dato ai tre discepoli di contemplare produsse una impressione incancellabile, poiché lunghi anni dopo, quando era vicina al suo termine la sua carriera terrestre, lo udiamo protestare agli schernitori che chiamavano «favole artificiosamente composte» l'avvenimento di Gesù Cristo, che gli apostoli erano stati «spettatori della maestà d'esso, perciocché egli ricevette da Dio Padre onore e gloria, essendogli recata una cotal voce dalla magnifica gloria: Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale io ho preso il mio compiacimento. E noi udimmo questa voce recata dal cielo, essendo con lui nel monte santo» 2Pietro 1:16-18#680010160000680010180000. Questa gloria, più brillante e splendente del sole nel suo meriggio, non era, come nel caso di Mosè Esodo 24:29-35#020240290000020240350000, l'ultimo resto della riflessione di una gloria esterna che egli avesse contemplata, perché ancora non era comparsa, a dissipar le tenebre della notte, la nuvola abbagliante; era bensì l'immanente gloria della sua

Divinità, la quale sfolgorò per un memento attraverso il velo di carne che la nascose durante il suo terrestre soggiorno, accendendolo di divino splendore. Contrastiamo in immaginazione la descrizione che ci dà il profeta Isaia 52:14#290520140000-290520140000, dell'apparenza del Messia: «L'aspetto di esso sarà sformato in maniera che non somiglierà più un uomo ed il suo sembiante in maniera ch'egli non somiglierà più uno d'infra i figliuoli degli uomini», colla gloria che illuminò le sue sembianze in sul monte, e non avremo difficoltà a capire che i discepoli rimanessero sbigottiti, e che la lor mente fosse turbata da quanto essi vedevano.

e la sua veste divenne candida folgorante.

Matteo «I suoi vestimenti divenner candidi come la luce». Marco «E i suoi vestimenti divennero risplendenti e grandemente candidi come neve; quali niun purgator di panni potrebbe imbiancar sopra terra». Mentre si astengono con riverenza dal descrivere minutamente la gloria delle fattezze del Signore, gli evangelisti descrivono appieno gli effetti di quella gloria sulle sue vesti, che essa fece diventar più bianchi che mai li avrebbe potuto far l'arte dello smacchiatore, più fulgidi della neve, risplendenti come la luce del sole. Oosterzee, mentre si oppone con ragione alla teoria di Olshauson che il corpo del Signore, durante la sua vita terrestre, subì un processo ininterrotto di glorificazione, in un nuovo stadio della quale egli sarebbe ora entrato mediante la trasfigurazione, si accorda però con lui nel supporre che, oltre all'interno sfolgoramento di gloria, occorresse una luce esterna per ispiegare lo splendore dei suoi vestimenti, e che questa fosse fornita dalla gloria dalla quale erano circondati i due celesti visitatori. «Non leggiamo, in nessun luogo», dice egli, «che questo splendore sovrannaturale precedesse la loro apparizione». Sta invece che l'intera descrizione della trasfigurazione, così per la persona, come per i vestimenti di Cristo, precede in tutti e tre i Vangeli la menzione della apparizione di Mosè e di Elia, e della «nuvola lucida»: egli non poteva dunque ricavare la sua gloria né in tutto, né in parte da una luce estranea. È molto più conforme alla Scrittura il credere che quei santi derivavano, in parte almeno, la loro gloria dall'essere in presenza del Signore. Nessuna luce tolta a prestito da un altro essere celeste era necessaria per render «bianco come neve» il vestimento dell'angelo al sepolcro Matteo 28:3#470280030000-470280030000, la sua gloria era

derivata dal contemplare la gloria di Dio; e si fa onta al Signore degli angeli supponendo che un meschino vestimento di fabbrica umana, potesse trattenere o volar la gloria della divinità che splendeva attraverso ogni poro del suo terrestre tabernacolo. «Confrontando i tre racconti, appare che la luce non lo illuminava dal di fuori, ma usciva da lui medesimo. Egli ne fu tutto irradiato; fu come un fulgore di risplendente gloria celeste, fu Cristo stesso glorificato» (Brown).

PASSI PARALLELI

Esodo 34:29-35; Isaia 33:17; 53:2; Matteo 17:2; Marco 9:2-3; Giovanni 1:14; Atti 6:15#020340290000-020340350000#290330170000290330170000#290530020000-290530020000#470170020000470170020000#480090020000-480090030000#500010140000500010140000#510060150000-510060150000

Filippesi 3:7-8; 2Pietro 1:16-18; Apocalisse 1:13-16; 20:11#570030070000570030080000#680010160000-680010180000#730010130000730010160000#730200110000-730200110000

49009030Lc 9:30

30. Ed ecco, due uomini parlavan con lui, i quali erano Mosè ed Elia;

La parola ecco, indica la subitaneità con cui quei due santi comparvero in sulla scena. I discepoli si avvidero che erano semplici uomini non angeli, e presto ne conobbero le persone e i nomi. In che modo nol sappiamo; forse per immediata intuizione, o per qualche rivelazione divina, o per averne uditi i nomi mentovati nella conversazione cui essi davano ascolto con maraviglia e timore inesprimibili; questo solo è certo che cioè non può esser stato, come lo suppone Olshausen, per esserne stati informati più tardi dal Signore, il che è reso impossibile dalle parole di Pietro in Luca 9:33#490090330000-490090330000. In Marco 9:4#480090040000480090040000, il nome di Elia è messo avanti quello di Mosè, ma se questo sia stato fatto intenzionalmente o no, è cosa, secondo noi, di poca

importanza. Quelli che dàn peso a questo ordine, come se risultasse delle comunicazioni fatte a Marco da Pietro, lo spiegano in due modi:

1. come rappresentante l'ordine in cui quei due santi dell'Antico Testamento si presentarono agli occhi di Pietro;

2. ovvero perché Elia era realmente più proeminente che Mosè in questa scena maestosa, non personalmente, ma per esser più vicino al Signore nella successione profetica, e come essendo stato espressamente annunziato, prima che fosse chiuso l'Antico Testamento, qual suo precursore.

PASSI PARALLELI

Luca 24:27,44; Matteo 17:3-4; Marco 9:4-6; Giovanni 1:17; Romani 3:2123; 2Corinzi 3:7-11#490240270000-490240270000#490240440000490240440000#470170030000-470170040000#480090040000480090060000#500010170000-500010170000#520030210000520030230000#540030070000-540030110000

Ebrei 3:3-6#650030030000-650030060000

Luca 9:19; 1:17; Giacomo 5:17-18#490090190000490090190000#490010170000-490010170000#660050170000660050180000

49009031Lc 9:31

31. I quali, appariti in gloria

Elia era stato rapito in cielo, senza assaggiar la morte naturale 2Re 2:1,11#120020010000-120020010000#120020110000-120020110000. Il cambiamento (equivalente alla morte), che, secondo Paolo, dovranno subire tutti «i viventi che saran rimasti fino alla venuta del Signore», prima di venir sollevati sulle nuvole, ad incontrare il Signore nell'aria 1Corinzi 15:51-52;

1Tessalonicesi 4:15-17#530150510000-530150520000#590040150000590040170000, egli lo aveva sperimentato prima di entrare col suo corpo spirituale, incorruttibile, nel cielo. La gloria in cui apparve sul monte della trasfigurazione è dunque quella che è riserbata a tutti i redenti del Signore all'alba della risurrezione, quando questo corpo corruttibile rivestirà incorruttibilità e quello che è seminato in disonore risusciterà in gloria». Sappiamo che Mosè morì in Moab, e fu sepolto dal Signore stesso in una valle di quel paese Deuteronomio 34:6#050340060000-050340060000; sia dunque che egli ricevesse, per questa circostanza, un corpo temporario e visibile, come gli angeli che scendevano in sulla terra nei tempi patriarcali, o che, in anticipazione della risurrezione finale, egli fosse già rivestito del corpo che dovrà avere per sempre (come suppongono alcuni, da Giuda 9#720010090000-720010090000), v'ha però sempre una differenza fra lui ed Elia, che non morì mai, ed egli è il rappresentante della «turba grande, che niuno può annoverare», i cui corpi riposano ora nella tomba, ma i cui spiriti glorificati stanno per sempre dinanzi al trono di Dio.

La scelta di questi due uomini, i più grandi ed i più gloriosi servi di Dio, sotto la dispensazione dell'Antico Testamento, per esser compagni al Messia, in questa unica e brevissima dimostrazione della gloria sua celeste, mentre era in terra, fu accuratamente fatta dalla saviezza divina ed è molto importante. Mosè fu il grande legislatore Israelita, il fondatore della teocrazia e della dispensazione levitica, ed il suo rappresentante in questa occasione solenne. Elia era il più celebre degli antichi profeti, il restauratore della legge nel regno d'Israele, quando quasi tutto il popolo era caduto nella idolatria, colui, il cui ritorno (per sostituto), avanti la venuta di Cristo, era stato predetto prima che fosse chiuso l'Antico Testamento. «La legge ed i profeti» presentavano così, per mezzo dei loro rappresentanti, i loro omaggi a Gesù di Nazaret, come il Messia la cui venuta essi avevano tipificata e predetta attraverso tanti secoli, e ciò in presenza dei discepoli che, giorno dopo giorno, lo avevano udito insultare come bestemmiatore, trasgressore della legge, e sovvertitore sacrilego della divina autorità di Mosè! Che maravigliosa rivelazione, che cambiamento nei loro sentimenti deve aver prodotto tutto ciò in quei testimoni terreni! Né deve passar inosservata la presenza dei tre apostoli in questa compagnia adunata intorno al Figliuol dell'uomo nella sua gloria. Essi vi rappresentano la Chiesa del Nuovo

Testamento, che doveva venir poi edificata su di lui, come sulla «pietra del capo del cantone», per durar fino al suo ritorno «nella gloria di suo Padre e dei suoi santi angeli»; dimodoché in quelle poche persone vediamo la legge, i profeti e gli apostoli, i rappresentanti del Vecchio Testamento e del Nuovo, unirsi per rendere omaggio al «profeta di Nazaret», come al loro Signore, e per tributargli gloria in cielo e sulla terra.

parlavano della fine di esso, la quale egli dovea compiere in Gerusalemme.

Luca solo ci dice di che soggetto parlassero, al momento in cui i discepoli furon fatti accorti della loro presenza e finché rimasero visibili; ora un soggetto nel quale così Mosè come Elia prendevano un interesse personale e profondo! Era la morte che lo aspettava in Gerusalemme e dalla quale dipendeva l'eterna salvezza dei santi dell'Antico Testamento, già ricevuti anticipatamente in cielo, come pur quella di tutti gli eletti d'infra la razza umana, da ora in fino alla fine del tempo. La parola (exodos) da Luca scelta per indicar quella morte, è pure molto notevole; è quella dai settanta usata per descrivere la partenza degli Israeliti dall'Egitto per Canaan, e, in questo passo, essa non contiene solamente l'idea della morte, ma pure della risurrezione e dell'ascensione che doveano tener dietro a quella. Essa c'insegna l'immortalità dell'anima, e significa che l'anima è l'uomo e non cessa di esistere alla morte, ma solo va altrove. Quella parola viene usata solo un'altra volta in quel senso nel Nuovo Testamento, quando cioè Pietro parla della propria morte come dovendolo far entrare nel riposo glorioso che lo aspettava in cielo. Questa applicazione della parola a sé stesso sembra aver sì vivamente richiamato alla mente di Pietro tutta la scena in cui l'aveva udita applicare a Gesù dai divini messaggieri, che egli subito la ricorda 2Pietro 1:15-18#680010150000-680010180000. «Questo esodo od uscita», dice il prof. Alexander, «che il Signore stava per compiere in Gerusalemme, era stata in un certo modo tipificata secoli prima, dagli esodi dei due uomini che ora stavano di nuovo in sulla terra e parlavano con lui; l'esodo di Mosè a capo d'Israele dal paese d'Egitto Esodo 12:41#020120410000020120410000, e l'esodo di Elia dalla vista di Eliseo per mezzo di un carro di fuoco e di cavalli di fuoco, quando salì al cielo in un turbo» 2Re 2:1,3,11#120020010000-120020010000#120020030000-

120020030000#120020110000-120020110000. Le parole che accompagnano exodos sono pure significative; compiere, indica non solo che quella morte era vicina, ma pure che essa sarebbe un successo ben lungi dall'esser quelle sofferenze inutilmente sopportate, ben lungi dall'andarne fallito lo scopo, esso raggiungerebbe il fine per cui l'opera di Cristo era stata intrapresa. Le parole in Gerusalemme additano quella città, già rossa col sangue dei profeti, come vicina a colmare la misura delle sue colpe «uccidendo il Principe della vita», nel luogo delle pubbliche esecuzioni. Questo tremendo monopolio della uccisione dei servi di Dio, per odio alla verità, apparteneva a Gerusalemme, e come una macina intorno al suo collo, l'affondava a sua distruzione. Il Signore stesso attribuisce a Gerusalemme questa vergognosa prerogativa, quando dice: «Non accaggia, non è possibile che alcun profeta muoia fuor di Gerusalemme» Luca 13:33#490130330000490130330000.

PASSI PARALLELI

2Corinzi 3:18; Filippesi 3:21; Colossesi 3:4; 1Pietro 5:10#540030180000540030180000#570030210000-570030210000#580030040000580030040000#670050100000-670050100000

Luca 9:22; 13:32-34; Giovanni 1:29; 1Corinzi 1:23-24; 1Pietro 1:11-12; Apocalisse 5:6-12; 7:14#490090220000-490090220000#490130320000490130340000#500010290000-500010290000#530010230000530010240000#670010110000-670010120000#730050060000730050120000#730070140000-730070140000

49009032Lc 9:32

32. Or Pietro, e coloro che eran con lui erano aggravati di sonno;

Il Greco usa il più che perfetto, che significa essi erano stati aggravati dal sonno, prima cioè che comparissero Mosè ed Elia, probabilmente mentre Gesù pregava, e col dare a quelle parole il loro significato letterale, il senso di quelli che seguono diviene subito evidente.

e, quando si furono svegliati,

Questa parola non si trova mai altrove nel Nuovo Testamento ma nel Greco classico significa star sveglio, ed il vero significato qui ne è, ovvero con Meyer e Alford: «ma essendo rimasti svegli», durante il resto, della scena, o meglio ancora con Olshausen e Brown: «essendosi svegliati», «avendo scosso interamente la loro sonnolenza».

videro la gloria di esso, e quei due uomini che eran con lui.

Lo scopo dell'Evangelista nell'aggiungere questo versetto è per l'appunto che non si supponga esser questa una mera visione vista nel sonno. Non fu, dichiara egli, mentre erano addormentati o sonnolenti, che i discepoli contemplarono la gloria di Cristo, e videro ed udirono i due uomini che conversavano con lui, ma solo dopo essersi svegliati, ed aver ripreso piena coscienza di sé.

PASSI PARALLELI

Luca 22:45-46; Daniele 8:18; 10:9; Matteo 26:40-43#490220450000490220460000#340080180000-340080180000#340100090000340100090000#470260400000-470260430000

Esodo 33:18-23; Isaia 60:1-3,19; Giovanni 1:14; 17:24; 2Pietro 1:16; 1Giovanni 3:2#020330180000-020330230000#290600010000290600030000#290600190000-290600190000#500010140000500010140000#500170240000-500170240000#680010160000680010160000#690030020000-690030020000

Apocalisse 22:4-5#730220040000-730220050000

49009033Lc 9:33

33. E, come essi si dipartivan da lui, Pietro disse a Gesù

Quando si accorse che i celesti visitatori stavan per partire, col vivo desiderio di trattenerli il più possibile, prolungando così l'estatica felicità di cui godevano, Pietro, in nome proprio e dei compagni, rivolse a Cristo le seguenti parole.

Maestro,

(Matteo Marco ognuno di essi dando, in modo caratteristico, il titolo che usa dare a Gesù),

egli è bene che noi stiamo qui; facciamo adunque tre tabernacoli (tende o capanne fatte con rami d'albero), uno a te, uno a Mosè ed uno ad Elia; non sapendo ciò che egli si dicesse.

Era invero un bene per loro pregustare in tal modo il cielo, e Pietro desiderava il prolungamento, e, quasiché il timor di passar la notte ad aria aperta, in un luogo così esposto e senza riparo alcuno, fosse la ragione che spingeva i messaggieri celesti a ritirarsi, egli propose di erigere subito con dei rami d'albero delle capanne in cui Gesù, Mosè ed Elia si potessero ricoverare in tali circostanze. L'ardente ed impetuoso Pietro non poté star zitto, e pronunziò parole poco giudiziose, «egli non sapeva ciò che si dicesse». Parlò per sentimento, non per riflessione, e sotto l'agitazione della maraviglia, del timore Matteo 27:6#470270060000-470270060000, e di un sentimento di strana allegrezza. Non lo giudichiamo severamente! In simili circostanze, le nostre deboli menti avrebbero senza dubbio perduto esse pure l'equilibrio. Tutto il suo discorso ci fa vedere che Pietro considerava Gesù come la figura principale del quadro. I rappresentanti dell'antica alleanza gli paiono solo figure secondarie, mentre, parlando di tre tende solamente, mette sé stesso e i suoi compagni al terzo rango, come semplici servi degli altri tre. Le sue parole esprimono pure l'intimo suo desiderio del regno di Dio, in cui i santi già glorificati e quelli che lo saranno in avvenire, dimoreranno per sempre col Signore.

PASSI PARALLELI

Salmi 4:6-7; 27:4; 63:2-5; 73:28; Giovanni 14:8; 2Corinzi 4:6#230040060000-230040070000#230270040000230270040000#230630020000-230630050000#230730280000230730280000#500140080000-500140080000#540040060000540040060000

Matteo 17:14; Marco 9:5-6#470170140000-470170140000#480090050000480090060000

Marco 10:38#480100380000-480100380000

49009034Lc 9:34

34. Ma mentr'egli diceva queste cose, venne una nuvola, che adombrò quelli; e i discepoli temettero quando quegli entrarono nella nuvola.

A questo punto, le parole che uscivano dalla bocca di Pietro furono interrotte da uno spettacolo che si presentò ai suoi occhi tutto ad un tratto: una nuvola adombrò Cristo, Mosè ed Elia, ed essi sparirono interamente dalla vista degli Apostoli. Una rapida lettura dei tre racconti lascia l'impressione che questa nuvola avviluppasse tutte e sei le persone che si trovavano in sul monte; ma uno studio più attento delle parole di Luca ci obbliga ad abbandonare una tale idea. Le parole e si riferiscono prima ai discepoli, di cui dinota la paura, l'altre due a Gesù, Mosè ed Elia che ne erano separati dalla nuvola; e benché alcuni, seguendo il Codice Alessandrino, vogliano sostituire dell'ultima clausola del versetto, e così includere anche i discepoli, i dettagli che seguono non possono essere intesi che adottando la prima spiegazione. In quella nuvola, i celesti messaggieri che Pietro avrebbe tanto desiderato trattenere, scomparvero alla loro vista. Essi ne rimasero, senza dubbio, dolenti; ma fu la separazione dal loro Signore che riempì i cuori dei discepoli di paura, avviluppandolo la nuvola insieme agli altri che conversavano con lui, mentre essi ne restavano fuori. Fu dalla nuvola, secondo la testimonianza di tutti i Sinottici, che la voce di Dio giunse ai discepoli, modo di dire che indurrebbe in orrore se la nuvola li avesse circondati essi pure. Fu pure dopo la sparizione della nuvola che i

discepoli, guardandosi attorno, videro Gesù tutto solo, essendo scomparsi gli uomini che parlavano con lui. Diodati adotta fortemente questa opinione, ed ha creduto dovere inserire le parole i discepoli nell'ultima clausola a scanso d'ogni equivoco. Questa nuvola lucida altro non era che la Shechina o simbolo della presenza di Dio, per la quale egli dimorava anticamente in mezzo al suo popolo nel Santo dei Santi in Gerusalemme, ed essa indicava la presenza sul monte della trasfigurazione di Dio il Padre, il quale pure parlò dal mezzo di essa. È la stessa nuvola che condusse gli Israeliti nel deserto, che prese possesso del tempio di Salomone alla sua inaugurazione solenne, e più tardi ricevette Cristo in gloria quando da Betania egli salì al cielo.

PASSI PARALLELI

Esodo 14:19-20; 40:34-38; Salmi 18:9-11; Isaia 19:1; Matteo 17:5-7; Marco 9:7-8#020140190000-020140200000#020400340000020400380000#230180090000-230180110000#290190010000290190010000#470170050000-470170070000#480090070000480090080000

Giudici 6:22; 13:22; Daniele 10:8; Apocalisse 1:17#070060220000070060220000#070130220000-070130220000#340100080000340100080000#730010170000-730010170000

49009035Lc 9:35

35. Ed una voce venne dalla nuvola. Dicendo: Quest'è il mio diletto Figliuolo ascoltatelo.

Le parole di Marco son le stesse che quelle di Luca, ma Matteo aggiunge «in cui ho preso il mio compiacimento», completando così le parole che già erano state dette dal Padre, quando Gesù, al suo battesimo, usciva dal Giordano. «Questo si può dunque considerare», dice il professore Alexander, «come un secondo battesimo per prepararlo alla sua passione, come il primo al suo ministerio: un battesimo non d'acqua, ma di luce, non

nel fiume, ma nella nuvola 1Corinzi 20:2#530200020000-530200020000, non da Giovanni, ma (in un certo modo), da Mosè ed Elia, non in presenza di tutto il popolo, ma in quella di tre testimoni scelti». Come la voce dal cielo lo presentò al Giordano qual Apocalisse della sua Chiesa (il regno del cielo) Matteo 3:17#470030170000-470030170000, e più tardi a Gerusalemme qual Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento Giovanni 21:28#500210280000-500210280000, così ora, in sul monte, il suo uffizio profetico fu dal Padre dichiarato superiore a quello dei due distinti profeti della dispensazione dell'Antico Testamento, e le sue parole e comandamenti senza appello. Il Padre «prese il suo compiacimento» nel Figlio, non solo per la sua divina eccellenza, e per quanto egli era in se stesso, ma pure per tutte le sue opere mediatorie, per tutto quello che avea già fatto, per tutto quello che ancora dovea soffrire; e non sol questo, ma egli prende pure, per motivo di lui, il suo compiacimento nei credenti. Il comandamento «ascoltatelo» altro non è che l'autorevole ripetizione di quello già dato da Mosè a suo tempo, riguardo al modo di ricevere e di ubbidire «il profeta simile a lui, che Dio doveva suscitare, a suo tempo, fra i loro fratelli» Deuteronomio 28:15; Atti 3:22#050280150000050280150000#510030220000-510030220000. Esso insegnava ai discepoli che, se fino allora aveano seguito «la legge ed i profeti», i precetti del loro Maestro devono essere da ora innanzi la loro regola di fede e di vita, e non la loro solamente, ma di tutti quelli che crederebbero in lui, per la loro predicazione, fino alla fine dei tempi. «La sparizione dei due visitatori celesti», dice Conder, «quando questo enfatico comandamento: l'ascoltatelo uscì dalla eccellentissima gloria, può suggerire l'idea che da ora innanzi la legge e i profeti rassegnano il loro uffizio di istruzione e di comandamento nelle mani di Gesù».

PASSI PARALLELI

Luca 3:22; Matteo 3:17; Giovanni 3:16,35-36; 2Pietro 1:1718#490030220000-490030220000#470030170000470030170000#500030160000-500030160000#500030350000500030360000#680010170000-680010180000

Deuteronomio 18:18-19; Isaia 55:3-4; Giovanni 5:22-24; Atti 3:22-23; Ebrei 2:3; 3:7-8,15#050180180000-050180190000#290550030000290550040000#500050220000-500050240000#510030220000510030230000#650020030000-650020030000#650030070000650030080000#650030150000-650030150000

Ebrei 5:9; 12:25-26#650050090000-650050090000#650120250000650120260000

49009036Lc 9:36

36. E in quello stante che si facea quella voce, Gesù si trovò tutto solo

L'effetto immediato della voce di Jehova su di loro, secondo Matteo, fu che essi «caddero sopra le loro facce e temettero grandemente». Egli ci dice pure che da quello stato di terrore, essi furono riscossi da Gesù medesimo. «Ma Gesù, accostatosi, li toccò, e disse: Levatevi e non temiate. Ed essi, alzati gli occhi, non videro alcuno, se non Gesù tutto solo». Le voci son cessate, le apparizioni sono svanite, la gloria è sparita, essi sono soli con Gesù, come al principio.

Or essi tacquero, e non rapportarono in quei giorni ad alcuno nulla delle cose che avean vedute.

Da Matteo e Marco sappiamo che nostro Signore proibì severamente a quei tre testimoni di parlare di quanto aveano veduto a chicchessia, condiscepolo od amico, fin dopo la risurrezione. Luca non ne parla e solo riferisce il fatto che i discepoli non divulgarono ad alcuno le cose che aveano vedute. Luca pure omette tutta la conversazione (riferita da Matteo e da Marco), che Gesù ebbe coi suoi discepoli riguardo ad Elia, mentre essi scendevano la mattina seguente dal monte, forse perché credette il soggetto poco importante e difficile «ad intendere per i Gentili, pei quali egli scriveva. Per la esposizione del passo relativo ad Elia, vedi Marco 9:9Marco 9:9-13.

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 3:7; Matteo 17:9; Marco 9:6,10#250030070000250030070000#470170090000-470170090000#480090060000480090060000#480090100000-480090100000

RIFLESSIONI

l. Cristo non ci ha soltanto dato la preghiera domenicale come un modello del modo in cui dobbiamo presentare le nostre domande a Dio, ma ci ha dato pure l'esempio della preghiera, praticandola in questa e varie altre occasioni. «Osservate», dice Hall, Contemplazioni, «Cristo cominciare tutte le sue grandi opere colla preghiera in sulle labbra! Al momento di accingersi a quella grande opera della sua umiliazione, che fu la sua passione, va nel giardino a pregare; quando sta per cominciare questa grande opera della sua esaltazione, nell'essere trasfigurato, salì sul monte per pregare. Entrambe egli cominciò in ginocchio. Che nobile esempio per noi, di pietà e di divozione! Che ardiremo intraprendere senza pregare noi uomini, quando lui che è Dio non poté mai far nulla senza questo?»

2. Vien fatto violenza alla lettera ed allo spirito di questo racconto, così da quelli che considerano la trasfigurazione come una apparizione puramente obiettiva, proveniente dal mondo spirituale, senza alcun intervento subiettivo qualsiasi; come da quelli che l'attribuiscono per intero alla suscettibilità eccitata dei discepoli, aiutata da, certe circostanze esterne, come la luce mattutina, la bianchezza della neve ecc. Quelli che ascrivono la cosa unicamente alla suscettività dei discepoli spiegheranno difficilmente come i tre testimoni terrestri sieno ad un tratto, e indipendentemente l'uno dell'altro, giunti a tale stato di estasi da poter tutti credere che vedevano i cieli aprirsi, al disopra del capo del Messia. I racconti dei tre evangelisti Sinottici ci autorizzano chiaramente ad ammettere, che i discepoli, essendo affatto svegli, videro una vera apparizione, ed udirono realmente una voce» (Oosterzee).

3. Il primo annunzio dato da Gesù delle sue sofferenze e della sua morte ebbe sui suoi discepoli un tale effetto che Pietro cominciò a riprenderlo per aver espresso simile idea. Gesù lo rimproverò severamente di voler gettare

una pietra d'intoppo sulla sua via; ma le parole di Cristo aveano talmente afflitto i suoi discepoli che un'intera settimana non bastò a cancellare quella impressione d'in sulla loro mente, e fu senza dubbio per rassicurarli e fortificar la loro fede che Gesù volle far vedere ai suoi più intimi, che quella morte cui egli stava per soggiacere, eccitava l'ammirazione e l'interesse del cielo. Questo ei fece dopo aver passato la notte in preghiera, in vetta ad un monte, e siccome la fede dei tre discepoli fu indubbiamente confermata da quanto essi videro ed udirono, così possiamo esser certi che lo spirito del Redentore ne fu pure consolato ed invigorito.

4. Nello studiare lo scopo e il disegno della trasfigurazione, conosciamo troppo poco del mondo degli spiriti per indovinare, e molto meno per affermare dommaticamente, in quanto concerne Mosè ed Elia personalmente, o la comunità glorificata della quale essi fan parte, per qual ragione vennero scelti a scendere dal mondo invisibile, per stare accanto a Gesù e per conversare con lui, in sul monte. Grande e singolare era il benefizio non meno che l'onore, poiché includeva il privilegio di avvicinar Gesù, nel suo stato glorificato, più che non Sia mai stato concesso a qualcuno della nostra razza, in sulla terra, né si può congetturare quanto sia stato utile ed opportuno questo breve trasferimento nel santuario superno per la mente umana dell'uomo Cristo Gesù, quantunque esso servisse senza dubbio a dei fini di grazia e di bontà verso il Redentore. Ma non è difficile scoprire il disegno di tutta la scena della trasfigurazione, per fortificar la fede degli Apostoli. (a) Li aiutò a farsi un vero concetto della persona di Cristo. La sua dottrina e i suoi miracoli li avevano invero convinti esser egli il Messia; ma il contrasto fra l'umiltà dei suoi natali, l'oscurità di Nazaret (da tutti ritenuto per suo luogo di nascita), la sua posizione sociale e tutto il tenore e le circostanze esterne della sua vita da un lato, e dall'altro, le gloriose descrizioni date dai profeti della maestà della persona del Messia e della gloria del suo regno, era spesso stato per loro argomento di dubbio, di maraviglia e di ansietà. Ma quell'unica veduta della persona glorificata del Signore, quella sola visibile manifestazione del posto che egli occupava nel regno invisibile, quello sguardo gettato sulla gloria celeste, con Gesù ritto nel mezzo di essa, bastò a dissipare tutti i loro dubbi e i loro timori. (b) La posizione che Cristo assunse di faccia al sacerdozio giudaico, ed al rituale mosaico, la sua trascuranza abituale di alcune delle osservanze religiose

sanzionato dai più alti uffiziali ecclesiastici, considerate come di autorità e di origine divina, e rigorosamente osservate da chiunque avea qualche pretensione alla pietà, anzi l'espressa sua condanna di alcune fra quelle, devono averli resi non poco perplessi. L'udire le autorità ecclesiastiche, che essi erano avvezzi a venerare, condannarlo apertamente come nemico di Mosè, avversario della legge e dei profeti, traditore al tempio ed al culto levitico, e rivoluzionario pericoloso, deve aver messo alla prova, in non piccolo grado, la loro fiducia in lui. Ma il veder Mosè ed Elia, il fondatore ed il ristoratore, i principali rappresentanti dell'antico patto, apparire in gloria per riconoscerlo, quale loro Signore, deve aver tolto dal cuor loro ogni dubbio su quel punto, convincendoli per dimostrazione oculare, che egli non «era venuto per annullare la legge ed i profeti, anzi per adempierli». (c) Il fatto che il Messia dovea morire in quel modo ignominioso era un sasso d'intoppo sulla via della fede, e su quello, ad onta di quanto era stato fatto per prepararli, i discepoli erano incespicati e caduti. Solo dopo la risurrezione, i loro occhi si aprirono alla vasta importanza di quel fatto; ma allora fortificò la loro fede il ricordarsi che, appunto per parlar con Gesù di «quella morte» come di un evento del più profondo interesse così per la Chiesa dell'Antico Testamento che per quella del Nuovo, erano scesi dal cielo Mosè ed Elia, e questo li condusse più tardi a proporsi «di non saper altro, se non Gesù Cristo, ed esso crocifisso». (d) Pareva così strano, presuntuoso e blasfematorio per un uomo, che nulla distingueva dai suoi simili, di parlar di Dio come suo Padre, il che implicava unità di natura, di attributi, di autorità, di possessione, che la loro fede deve essere stata spesso in pericolo di naufragare; ma tutto ciò ebbe fine in sul monte, allorquando dalla nuvola di gloria, che l'adombrò per alcuni istanti, essi udirono la voce stessa dell'Iddio vivente autenticare tutto quello che Gesù avea detto, o potrebbe dire ancora, sulle relazioni speciali che correvano fra lui ed il Padre, con le solenni parole: «Questo è il mio diletto Figliuolo».

5. Qual testimonianza ci vien data qui dello scopo evangelico di tutta l'antica economia. Non solo Cristo, ma Cristo morente ne è il grande scopo. Né da quella economia dobbiamo separare i santi che crebbero sotto di essa. In cielo almeno quella morte era stata anticipatamente «tutta la lor salvezza, e tutto il loro desiderio», come lo vediamo da questo esempio; poiché il solo

soggetto di cui Mosè ed Elia, loro rappresentanti, parlaron con Gesù fu per l'appunto «la fine di esso, la quale egli dovea compiere in Gerusalemme».

6. "Non ci sarebb'egli di grande aiuto, nel nostro viaggio attraverso la vita, il pensare che qualunque cosa Cristo predica, mentre noi lo udiamo, il Padre stà al disopra e dice: ASCOLTATELO? A mo' d'esempio: «Se alcuno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio»: Ascoltatelo. «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, ed io vi alleggerò»: Ascoltatelo. E quando attraversiamo la valle dell'ombra della morte: «Io son la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, benché sia morto viverà. E chiunque vive e crede in me, non morrà giammai in eterno»: Ascoltatelo! " (Brown). Lettore, sforzati di seguire questo consiglio.

49009037Lc 9:37

Luca 9:37-42. GUARIGIONE DEL FANCIULLO INDEMONIATO Matteo 17:14-21; Marco 9:14-29#470170140000470170210000#480090140000-480090290000

Per l'esposizione Vedi Marco 9:14Marco 9:14-29.

49009043Lc 9:43

Luca 9:43-45. GESÙ ANNUNZIA, PER LA SECONDA VOLTA, LA SUA MORTE E LA SUA RISURREZIONE AI DISCEPOLI Matteo 17:22-23; Marco 9:30-32#470170220000-470170230000#480090300000480090320000

Per l'esposizione Vedi Matteo 17:22Matteo 17:22-23.

49009044Lc 9:44

44. Voi, riponetevi questo parole nell'orecchie;

Riguardo al significato di «queste parole» Alford osserva, che esse non indicano i miracoli e i discorsi che precedono, come crede Meyer, né precisamente, come altri le rendono: "quello che io sto per dirvi" bensì, "questi annunzi" (dei quali il presente era il secondo) che di tanto in tanto io vi do della mia morte. La risurrezione, espressamente mentovata, dagli altri evangelisti, viene omessa da Luca.

49009046Lc 9:46

Luca 9:46-50. DISPUTA FRA I DISCEPOLI INTORNO A QUALE DI ESSI SAREBBE PIÙ ESALTATO NEL REGNO DEL MESSIA. GESÙ RIMPROVERA GIOVANNI (QUALE RAPPRESENTANTE DEGLI ALTRI DISCEPOLI) PER INTOLLERANZA RELIGIOSA Matteo 28:1-5; Marco 9:33-37#470280010000-470280050000#480090330000480090370000

Per l'esposizione Vedi Marco 9:33Marco 9:33-37.

È cosa notevole di questo Vangelo, che, ad eccezione di due o tre brevi passi, un terzo all'incirca del suo contenuto (quasi nove capitoli, cominciando col ver. 51 di questo e terminando al cap. 18:14) è stato omesso da tutti gli altri evangelisti, dimodoché dei preziosi insegnamenti che quei capitoli contengono andiamo debitori al solo Luca. In quieto fatto trova abbondante conferma quanto ei dice, al principio del suo Vangelo, relativamente all'abbondanza ed all'accuratezza dei materiali che avea radunati prima di accingersi a scrivere la storia di Cristo. Non essendovi in questa parte del Vangelo quasi punte indicazioni di tempo e di luogo, anzi, l'Evangelista stesso non avendo evidentemente piano cronologico alcuno nel raccontare questi fatti, come si vede dall'indeterminatezza delle parole che introducono nuovi soggetti, per es. Luca 9:5; 10:15,38; 11:1,14; 12:1; 13:1,10,22; 14:1,25; 15: l; 17:1,5,11,20; 18:1,9#490090050000-

490090050000#490100150000-490100150000#490100380000490100380000#490110010000-490110010000#490110140000490110140000#490120010000-490120010000#490130010000490130010000#490130100000-490130100000#490130220000490130220000#490140010000-490140010000#490140250000490140250000#490150010000-490150010000#490170010000490170010000#490170050000-490170050000#490170110000490170110000#490170200000-490170200000#490180010000490180010000#490180090000-490180090000, è un compito impossibile il volere, come fanno gli Armonisti, precisare il tempo impiegato, le vie seguite, ed i luoghi visitati, nell'ultimo viaggio del Signore dalla Galilea a Gerusalemme, ed assegnare ad ogni parabola o lezione, contenuta in questi capitoli, il suo posto esatto nel corso di quel viaggio così lungo e protratto. Il suo principio può probabilmente venir fissato all'intervallo fra la festa dei Tabernacoli Giovanni 7#500070000000-500070000000, e quella della Dedica Giovanni 10#500100000000-500100000000, e il suo termine alla festa di Pasqua, durante la quale egli fu crocifisso. Parleremo nelle note delle difficoltà cronologiche a misura che si presenteranno.

49009051Lc 9:51

Luca 9:51-56. PARTENZA DEFINITIVA DALLA GALILEA. I SAMARITANI RICUSANO DI RICEVERLO IN UNO DEI LORO VILLAGGI

51. Or avvenne che, compiendosi il tempo ch'egli dovea essere accolto in cielo,

Le parole, in cielo, aggiunte dalla Diodati, non si trovano nel testo Greco, ma non v'ha dubbio che esse esprimono bene, il pensiero dell'Evangelista. Alcuni Scrittori han cercato di spiegare col suo Salire in Gerusalemme per lavorarvi, perché non era più ricevuto in Galilea così favorevolmente come prima; ma quella teoria incontra poco favore, perché non è conforme all'analogia del verbo, dal quale questo nome è derivato, tutto le volte che

esso viene applicato a Cristo nel Nuovo Testamento. Il nome trovasi solo in questo passo, ma il verbo viene usato, senza alcuna possibilità di contradizione, per indicar l'esser ricevuto o sollevato in cielo Marco 16:19; Atti 1:2,11,22; 10:16; 1Timoteo 3:16#480160190000480160190000#510010020000-510010020000#510010110000510010110000#510010220000-510010220000#510100160000510100160000#610030160000-610030160000. Tale dunque dev'essere, per analogia, il senso della parola in questo passo; esso non ha tratto alla morte di Cristo, come lo spiega Calvino; ma alla sua assunzione in cielo, ed al suo sedersi alla destra di Dio, una volta compiuta l'opera sua in sulla terra. La frase «compiendosi il tempo», i giorni, non implica che fosse imminente l'ascensione, ma soltanto che nostro Signore era entrato in quella parte della sua storia terrena, la quale per volontà di Dio, ne dovea essere il compimento.

egli fermò la suo faccia,

Diodati non tien nota del pure, che precede nel Greco l'egli fermò, di questa clausola; ma caso è troppo significativo per venire omesso, poiché indica la completa conformità della libera volontà umana di Gesù, al divino decreto contenuto. Ben lungi dall'indietreggiar dinanzi alle sofferenze ed all'onta che dovean condurre alla sua analepsis, egli si accinge, con inflessibile risoluzione, ad andar loro incontro. Questo indicano le parole: «fermò la faccia», che corrispondono all'Ebraico Isaia 50:7; Geremia 21:10; Ezechiele 6:2#290500070000-290500070000#300210100000300210100000#330060020000-330060020000. Il primo di questi passi invero, contiene le parole profetiche nelle quali il Messia stesso descrive precisamente questo tratto del suo carattere. «Ma il Signore è stato in mio aiuto; perciò non sono stato confuso; perciò ho renduta la mia faccia simile ad un macigno, e so che non sarò svergognato».

per andare la Gerusalemme;

Gesù ben sapeva che dopo la trasfigurazione, egli era entrato nell'ultimo stadio della sua carriera terrestre. Gerusalemme era la meta dove le sue sofferenze dovevano essere adempiute; e gran luce vien gettata sulla

risolutezza del suo proponimento dalla convinzione, già in allora presente alla sua mente, quantunque non la esprimesse che più tardi, nelle parole: «Conciossiaché non accaggia che alcun profeta muoia fuor di Gerusalemme» Luca 13:33#490130330000-490130330000. In Matteo 19:1; Marco 10:1#470190010000-470190010000#480100010000-480100010000 abbiamo brevi particolari della partenza finale del Signore dalla Galilea, e del suo viaggio attraverso la Perea verso Gerusalemme, e vi può essere poco dubbio, che è lo stesso viaggio che Luca ricorda qui, poiché, dopo aver introdotto molta nuova materia nel suo Vangelo, troviamo che la sua narrazione comincia a correr parallela colle loro, laddove il Signore era tuttora in Perea Luca 18:15#490180150000-490180150000. Nel Vangelo di Giovanni son mentovate quattro visite fatte da Gesù a Gerusalemme, dopo ch'egli ebbe nutrito i 5000 Luca 6:5#490060050000-490060050000. La prima alla festa dei Tabernacoli Luca 7:1-14#490070010000490070140000, nel mese di Tizri, Settembre, quando i Giudei dimoravano per sette giorni sotto capanne di fogliame, per commemorare i loro viaggi attraverso il deserto Levitico 23:34-43#030230340000-030230430000. La seconda alla festa della Dedica, nel mese di Kislieu, Novembre, festa istituita per commemorare la purificazione del tempio, e la riedificazione dell'altare, dopo che Giuda Maccabeo ebbe scacciato i Siri da Gerusalemme (A. C. 164). La terza quando Gesù andò a Betania, nel vicinato immediato della capitale, per resuscitar Lazaro dai morti, e subito dopo tornò ad Efraim, città situata probabilmente fra Betel ed il Giordano, ma più vicino a quest'ultimo Giovanni 11:1-46#500110010000-500110460000. La quarta quando salì per esser presente alla Pasqua, nel mese di Nisam, Aprile, e fu crocifisso. Può il viaggio dalla Galilea mentovato dai tre Sinottici venire identificato con qualcuno di quelli ricordati da Giovanni? Le loro parole chiaramente implicano che la sua fa una partenza finale dalla Galilea, e non s'accordano colla supposizione che Gesù tornasse a riprendervi i suoi lavori, dopo una breve visita a Gerusalemme. Alcuni scrittori ritengono questo viaggio come identico a quello che fece Gesù per esser presente alla festa dei Tabernacoli Giovanni 7#500070000000-500070000000, perché Giovanni non parla del ritorno di Gesù in Galilea dopo quella festa; ma v'ha a questa teoria una obbiezione assolutamente fatale, nel fatto che Gesù salì in quella circostanza per la via più breve e più diretta, e colla maggior segretezza possibile Luca 9:10#490090100000-490090100000, mentre

questo viaggio fu lungo e indiretto, e Gesù non solo vi fu seguito da grandi moltitudini, ma ancora mandò settanta suoi discepoli a visitare le città e i villaggi, che trovavansi sulla sua via, affin di prepararli alla sua venuta. Sembra più giusta e soddisfacente l'opinione di quelli scrittori che considerano questo viaggio, indicato dai Sinottici, come fatto dopo la festa dei Tabernacoli, ma prima di quella della Dedica, perché, quantunque fosse lungo ed indiretto, esso fornisce tempo in abbondanza per le brevi visite che Gesù fece in Betania ed in Gerusalemme, nel mezzo del suo lavoro in Perea.

PASSI PARALLELI

Luca 24:51; 2Re 2:1-3,11; Marco 16:19; Giovanni 6:62; 13:1; 16:5,28; 17:11#490240510000-490240510000#120020010000120020030000#120020110000-120020110000#480160190000480160190000#500060620000-500060620000#500130010000500130010000#500160050000-500160050000#500160280000500160280000#500170110000-500170110000

Atti 1:2,9; Efesini 1:20; 4:8-11; 1Timoteo 3:16; Ebrei 6:20; 12:2; 1Pietro 3:22#510010020000-510010020000#510010090000510010090000#560010200000-560010200000#560040080000560040110000#610030160000-610030160000#650060200000650060200000#650120020000-650120020000#670030220000670030220000

Luca 12:50; Isaia 50:5-9; Atti 20:22-24; 21:11-14; Filippesi 3:14; 1Pietro 4:1#490120500000-490120500000#290500050000290500090000#510200220000-510200240000#510210110000510210140000#570030140000-570030140000#670040010000670040010000

49009052Lc 9:52

52. E mandò davanti a sé de' messi; i quali, essendo partiti, entrarono in un castello de' Samaritani, per apparecchiargli albergo.

Siccome Giacomo e Giovanni son mentovati più sotto a proposito di questo villaggio samaritano, si è supposto che fossero essi stessi messaggieri mandati a far preparativi per l'arrivo del Salvatore; ma non è probabile che per un tale scopo Gesù li sospendesse dall'uffizio di «testimoni», cui egli stesso li avea chiamati. È più probabile che alcuni dei settanta, i quali Gesù scelse poco dopo, ad essere i suoi araldi, furono già in quella occasione i suoi messaggieri. Diodati evidentemente crede che la loro missione ebbe per iscopo di preparargli un alloggio conveniente ed il cibo necessario; ma certamente qualcosa di più di ciò viene indicato dalle parole apparecchiargli, l'annunzio cioè dell'arrivo del grande Messia. Si noti che questo è un fatto nuovo nei viaggi del Signore, egli non avea mai dato prima tali ordini; ma ora ricerca la pubblicità, invece di evitarla. Da ora in poi, i settanta devono precederlo, a due, a due, nelle città e nei villaggi che egli dovea visitare, proclamando la sua venuta. Matteo e Marco ci dicono, che partendo dalla Galilea attraversò il Giordano per andare in Perea e proseguire il viaggio all'E. di quel fiume; se Luca racconta lo stesso viaggio, si può domandare: Come trovavasi sulla sua via un castello dei Samaritani? Il suo passare per un tal villaggio è stato messo avanti come prova che egli salì a Gerusalemme per la via più breve, attraverso la Samaria, e che perciò non è possibile che Luca narri lo stesso viaggio che gli altri Sinottici. È facile spiegare questa difficoltà, supponendo che il Signore, i cui lavori sembrano essere stati fino a quel momento limitati alla Galilea settentrionale, attraversò la Galilea meridionale, cioè la pianura di Esdraelon, affin di poter ivi pure predicare il vangelo, prima di varcare il Giordano. Attraversando quella grande pianura, dovea giunger presto ai confini della Samaria e può aver desiderato di fermarsi per la notte in uno dei villaggi di quella frontiera, per continuare l'indomani il suo viaggio verso l'Oriente, attraverso la Galilea meridionale. La città o villaggio di EnGannim, il moderno Gianin, è posta precisamente sulla frontiera, al punto in cui la strada di Samaria entra nella pianura di Esdraelon, ed alcuni hanno supposto, con molta probabilità, esser questo il villaggio di cui è parlato nel testo.

PASSI PARALLELI

Luca 7:27; 10:1; Malachia 3:1#490070270000490070270000#490100010000-490100010000#460030010000460030010000

Matteo 10:5#470100050000-470100050000

Luca 10:33; 17:16; 2Re 17:24-33; Esdra 4:1-5; Giovanni 8:48#490100330000-490100330000#490170160000490170160000#120170240000-120170330000#150040010000150040050000#500080480000-500080480000

49009053Lc 9:53

53. Ma que' del castello non lo vollero ricevere; perciocché al suo aspetto pareva ch'egli andava in Gerusalemme.

In 2Re 17:21-41#120170210000-120170410000, e nei libri di Esdra e di Neemia troviamo la causa dell'odio che esisteva fra i Giudei e i Samaritani. Esso ebbe origine per parte dei Samaritani nella gelosia suscitata nel loro cuore dal vedere il popolo ricondotto dalla cattività, nel rifiuto dei Giudei di ammetterli al loro culto, e nel ripudio delle donne samaritane che gli Ebrei aveano prese per mogli; e per parte dei Giudei dall'origine pagana dei Samaritani e più tardi dall'aver quest'ultimi volontariamente consecrato a Giove il tempio che avean costrutto sul monte Gherizim, e ciò per far piacere a Antioco Epifane, il feroce persecutore dei Giudei, Vedi nota Matteo 10:5#470100050000-470100050000. I Samaritani non si opponevano a che i Giudei viaggiassero attraverso il loro paese, ma non accordavan loro l'ospitalità Giovanni 4:9#500040090000-500040090000. L'eccezione fatta in occasione della conversazione di Cristo colla donna di Samaria fu dovuta all'impressione fatta sulla sua mente imprima, quindi su quella dei suoi concittadini, dalle sue istruzioni. Non è dunque facile capire il loro rifiuto in questa circostanza, solo perché Gesù se n'andava a Gerusalemme, ammenoché i loro pregiudizii nazionali non fossero risvegliati dal vedere colui, che ora si proclamava pubblicamente il Messia, lasciar da parte il loro tempio e la loro nazione, per recarsi in Gerusalemme.

«Essi speravano», dice Alford, «che il Messia avrebbe sanzionati i loro riti antigiudaici, ed il loro tempio di Gherizim, anziché condannarli, recandosi in forma solenne a Gerusalemme».

PASSI PARALLELI

Luca 9:48; Giovanni 4:9,40-42#490090480000490090480000#500040090000-500040090000#500040400000500040420000

49009054Lc 9:54

54. E Giacomo, e Giovanni, i suoi discepoli, avendo ciò veduto, dissero

Sino allora Pietro era stato fra i discepoli la personificazione dell'impeto; ma in questa circostanza i figli di Zebedeo giustificarono il soprannome di Boanerges, figli del tuono, che il Maestro avea loro dato, colla lor subitanea esplosione di sdegno e di vendetta. Questa si può spiegare in parte dall'orgoglio a motivo della loro parentela con Cristo, quali suoi cugini, Vedi nota Matteo 13:55Matteo 13:55; ed in parte dall'eccitamento prodotto in loro per aver visto la gloria del Signore sul monte della trasfigurazione, e Mosè ed Elia che gli rendevano omaggio. Scendendo dal monte, i tre aveano poi avuto una lunga conversazione con Cristo relativamente ad Elia, e colla lor mente piena di quel gran profeta, non è punto strano che sia loro tornato in memoria un fatto particolare di sua vita, occorso precisamente nella Samaria, e da essi giudicato appieno conforme alle circostanze attuali.

Signore, vuoi che diciamo che scenda fuoco dal cielo, e il consumai, come anche fece Elia?

Griesbach ritien dubbia quest'ultima clausola, Tischendorff l'omette, ma Olshausen, dice: «La mancanza delle parole è evidentemente una lezione falsa». È stato suggerito che esse furono omesse assai presto, perché si credeva vedere nella risposta del Signore una censura indiretta di Elia. Par probabile d'altra parte che i discepoli le pronunziassero per giustificare la

loro strana domanda, citando l'esempio di un gran profeta, che avea compiuto un simile miracolo di castigo! Il fatto della vita di Elia, cui si allude qui, è la distruzione mediante fuoco dal cielo di due compagnie di soldati, mandate dal cattivo re d'Israele Achazia ad arrestarlo, per avere egli protestato contro la rozza idolatria di quel monarca 2Re 1:1112#120010110000-120010120000. Analoghi appelli all'Antico Testamento furono spesso fatti da uomini fanatici per giustificare, le loro violenze; ma l'esempio di quelli che Dio suscitò, nella prima economia, per far opere speciali, non deve esser seguito in tutto. Chi presume imitar Giosuè ed Elia, nel lor modo di trattare i nemici di Dio, deve fornir delle prove indiscutibili di esser divinamente stato chiamato a camminare sulle loro traccie. I discepoli non domandarono a Gesù di far scendere egli stesso il fuoco dal cielo, bensì gli dissero: «Signore, vuoi che noi diciamo?» Eran prontissimi a farlo, mancava lor solo il suo permesso, ottenuto il quale, non dubitavan punto che alla loro parola il fuoco celeste sarebbe sceso su quel villaggio. Strana mescolanza d'orgoglio e di fede! Molto probabilmente erano rimasti offesi per l'affronto fatto a loro personalmente, non meno che per quello fatto al maestro, eppure avrebbero potuto arguire che agivano solo nello spirito della dichiarazione di Cristo: «Scuotete eziandio la polvere dei vostri piedi» Luca 9:5#490090050000-490090050000.

PASSI PARALLELI

2Samuele 21:2; 2Re 10:16,31; Giacomo 1:19-20; 3:14-18#100210020000100210020000#120100160000-120100160000#120100310000120100310000#660010190000-660010200000#660030140000660030180000

2Re 1:10-14; Atti 4:29-30; Apocalisse 13:3#120010100000120010140000#510040290000-510040300000#730130030000730130030000

49009055Lc 9:55

55. Ma egli rivoltosi, li sgridò, e disse: Voi non sapete di quale spirito voi, siete;

Anche i discepoli eletti aveano spesso d'uopo di venir ripresi dal loro maestro, nel mostrarsi troppo animati da uno spirito carnale. Vedi Marco 8:33; 9:35; 10:35-40; Luca 9:49; 22:24-26,61#480080330000480080330000#480090350000-480090350000#480100350000480100400000#490090490000-490090490000#490220240000490220260000#490220610000-490220610000. Questa riprensione può venir intesa in due sensi:

1. interrogativamente. "Non sapete voi di quale spirito siete?", lo «spirito» indicando qui l'economia di perdono e di grazia in cui erano stati introdotti, e dove non trovan posto l'orgoglio e la vendetta. O nello stesso senso, tolta la forma interrogativa: "Voi non conoscete lo spirito di quella economia cui ora appartenete; siete tuttora bambini per quanto concerne le cose spirituali, altrimenti non avreste fatto simile proposta".

2. afferinativamente, e con maggior severità: "Non sapete di quale spirito siete, di chi seguite i suggerimenti, nutrendo tali sentimenti contro chi vi ha offesi. Io voglio misericordia, anziché sacrifizio, e così ho insegnati voi pure; ma lo ispirito che vi spinge a desiderar questo miracolo è uno spirito di vendetta, procedente da Satana, precipuo vostro nemico". Quest'ultimo senso è da preferirsi, perché più in armonia coll'intera riprensione fatta da Gesù ai suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

1Samuele 24:4-7; 26:8-11; 2Samuele 19:22; Giobbe 31:29-31; Proverbi 9:8; Matteo 16:23#090240040000-090240070000#090260080000090260110000#100190220000-100190220000#220310290000220310310000#240090080000-240090080000#470160230000470160230000

Apocalisse 3:19#730030190000-730030190000

Numeri 20:10-12; Giobbe 2:10; 26:4; 34:4-9; 35:2-4; 42:6; Geremia 17:9#040200100000-040200120000#220020100000220020100000#220260040000-220260040000#220340040000220340090000#220350020000-220350040000#220420060000220420060000#300170090000-300170090000

Matteo 26:33,41,51; Giovanni 16:9; Atti 23:3-5; 26:9-11; Giacomo 3:10; 1Pietro 3:9#470260330000-470260330000#470260410000470260410000#470260510000-470260510000#500160090000500160090000#510230030000-510230050000#510260090000510260110000#660030100000-660030100000#670030090000670030090000

49009056Lc 9:56

56. conciossiaché il Figliuol dell'uomo non sia venuto per perder l'anime degli uomini, anzi per salvarle.

Questo versetto manca in alcuni dei più antichi manoscritti, ed è omesso da Tischendorff ed altri critici ed editori del Testamento Greco, i quali lo ritengono preso da Matteo 18:11#470180110000-470180110000, o da Luca 19:10#490190100000-490190100000; ma esso era noto a Cipriano (nato A. D. 200), come parte del testo sacro in questo stesso luogo. Molte autorità antiche stanno in suo favore, e fra gli scrittori moderni Stier e Alford non consentono di cancellarlo, adducendo quest'ultimo le seguenti gravissime ragioni:

1. Le parole non sono identiche a quelle dei passi paralleli più sopra citati, e non contengono lo stesso pensiero;

2. L'intera risposta del Signore è contraria al sistema delle censure ecclesiastiche, e per questo motivo probabilmente è stata mutilata senza riguardi.

Oltre a tali ragioni, le parole di questo versetto sono particolarmente atte ad illustrare, coll'esempio stesso di Cristo, lo spirito che avrebbe dovuto

animare i suoi discepoli. Essi aveano scordato di essere discepoli di Colui che venne «non per perdere le anime degli uomini, anzi per salvarle», quando si mostrarono desiderosi della distruzione di quei Samaritani.

E andarono in un altro castello.

Secondo la teoria messa innanzi più sopra, che il Signore stava per attraversare il Giordano al guado che si trova all'E. di Bethshan, Scythopolis, dopo aver attraversato la Galilea meridionale egli avrebbe semplicemente continuato la sua strada verso levante, fino al prossimo villaggio posto sulla terra di Galilea, e dove lo aspettava una cordiale ospitalità.

PASSI PARALLELI

Luca 19:10; Matteo 18:11; 20:28; Giovanni 3:17; 10:10; 12:47; 1Timoteo 1:15#490190100000-490190100000#470180110000470180110000#470200280000-470200280000#500030170000500030170000#500100100000-500100100000#500120470000500120470000#610010150000-610010150000

Luca 6:27-31; 22:51; 23:34; Matteo 5:39; Romani 12:21; 1Pietro 2:2123#490060270000-490060310000#490220510000490220510000#490230340000-490230340000#470050390000470050390000#520120210000-520120210000#670020210000670020230000

RIFLESSIONI

l. Notiamo in questi versetti la ferma risoluzione di Gesù Cristo di far fronte alle sofferenze ed alla morte che stavano in serbo per lui. Nel linguaggio dell'antica profezia (pronunziata molto prima che egli venisse sulla terra), egli avea detto a suo Padre: «Tu non prendi piacere in sacrifizio, né in offerta; tu non hai chiesto olocausto, né sacrifizio per lo peccato. Allora io ho detto; Eccomi venuto, egli è scritto di me nel volume del Libro: Dio mio,

io prendo piacere in far la tua volontà» Salmi 40:7-9#230400070000230400090000. La stessa determinata risoluzione di adempiere la volontà di suo Padre eragli stata presente durante tutta la sua carriera terrestre, ed ora avvicinandosi il tempo in cui, in modo tutto speciale, «l'anima sua deve esser posta per sacrifizio per la colpa» Isaia 53:10#290530100000290530100000, egli si era fitto in cuore di pagare il nostro riscatto, e di scendere fin nella prigione del sepolcro, come nostro Mallevadore. Questa coraggiosa fermezza nel far la volontà del Padre, a costo della propria vita, si vede in modo più commovente ancora durante l'ultimo stadio del suo viaggio nella Perea Marco 10:32#480100320000-480100320000, e dalle memorabili parole: «io ho ad esser battezzato d'un battesimo; e come son io distretto, finché non sia compiuto» Luca 12:50#490120500000490120500000. Tributiam grazie a Dio, per averci dato un Salvatore che è stato così pronto a soffrire, e che non è ora meno pronto a salvare. È dovere nostro proporci ad esempio quel tratto del suo carattere. Come lui, dobbiamo esser pronti ad andare ovunque, a fare od a patire qualsiasi cosa, quando ci è chiaramente tracciata dinanzi la via del dovere, quando ci chiama la voce di Dio. Non è con altisonanti professioni d'affetto, fatte nei giorni di prosperità e di benessere, che vien dimostrata la nostra divozione a Cristo, bensì coll'adempiere pazientemente l'opera del dovere, anche nel giorno tenebroso dell'avversità, in mezzo al ridicolo, alle persecuzioni, ed agli ostacoli provenienti dalla nostra pigrizia ed infingardaggine.

2. Benché Cristo dovesse venire innalzato in sulla croce prima di essere accolto in cielo, non è parlato qui della sua morte, ma solo della sua ascensione, come se ogni pensiero della sua morte fosse eclissato dalla sua vittoria sul sepolcro; insegnandoci così a dimenticar le sofferenze e la morte, come non essendo degni di esser pur solo nominati insieme alla gloria che ci aspetta oltre la tomba.

3. Il potere della grazia di Dio per trasformar gradatamente l'uomo ci è chiaramente presentato nel carattere dei due Boanergi, ma più specialmente in quel di Giovanni. Come già è stato detto nelle Note, troviamo ricordati nel Vangelo tre peccati contro la carità commessi da Giovanni. Una volta lo vediamo domandare insieme a suo fratello di sedere alla destra e alla sinistra di Cristo nel suo regno, e di essere preferiti a tutti gli altri Apostoli.

Un'altra volta vediamo che proibisce ad un uomo di scacciare i demoni, perché non camminava cogli Apostoli. Qui poi lo vediamo mostrare uno spirito fiero e crudele contro i villaggi samaritani che non vogliono ricevere il nostro Signore; eppure ad un'epoca posteriore della sua vita, egli scese da Gerusalemme a Samaria, con Pietro, in uno spirito affatto diverso, con una missione speciale, per conferire ai credenti samaritani delle benedizioni spirituali. Ed era questo l'apostolo che tanto divenne notevole per predicare il dovere della carità fraterna.

4. Cristo non approvava il culto dei Samaritani, ma non credette che invocar su di loro fuoco dal cielo fosse il mezzo migliore per convertirli. Dio non vuole che approviamo qualsiasi forma corrotta di culto, o vi prendiamo parte; ma non vuole neppure che usiamo il ferro ed il fuoco per sopprimerla, come in tempi posteriori si credette in debito di fare la santa Inquisizione «ad majorem gloriam ecclesiae!» Quesnel osserva: «Accade spesso che i ministri della Chiesa, sotto pretesto di zelo per i suoi interessi, peccano contro la cristiana mansuetudine. La Chiesa non conosce la vendetta né dovrebbero conoscerla i di lei ministri. Dovrebbero adirarsi contro il peccato, non contro il peccatore. Il fuoco del cielo scenderà un giorno per purificare il mondo mediante la distruzione; al presente vien solo per santificarlo mediante l'edificazione».

49009057Lc 9:57

Luca 9:57-62. CARATTERI DIVERSI DI QUELLI CHE PROFESSAN DI SEGUIR CRISTO Matteo 8:19-22#470080190000-470080220000

Per l'esposizione Vedi Matteo 8:19Matteo 8:19-22.

49010001Lc 10:1

CAPO 10 - ANALISI

1. Gesù manda in missione i settanta discepoli. Matteo 10:1; Marco 6:7#470100010000-470100010000#480060070000-480060070000 mentovano entrambi la missione data ai dodici apostoli; Luca solo ricorda quella affidata ai settanta, che Cristo probabilmente diede loro al momento di partire dalla Galilea. Lo scopo di quella missione si fu che una chiara ed enfatica, testimonianza venisse resa al suo carattere messianico, dinanzi all'intera nazione, affinché se poi lo rigettassero, tutti rimanessero senza scusa. Sino allora tal testimonianza l'avea resa solo Giovanni Battista, essendo stato proibito agli Apostoli di proclamarlo apertamente durante il suo pubblico ministero, perché i suoi miracoli ed i suoi insegnamenti erano più che bastanti a rimuovere ogni dubbio dalla mente degli uomini sulla sua divina missione, se non fossero stati accecati da pregiudizi. Ma era venuto il tempo in cui il suo carattere messianico doveva esser pubblicamente affermato, affinché tutta la nazione potesse conoscere che egli era il CRISTO, il Figlio di Dio, il Apocalisse di Israele, e che se lo rigettavano, lo rigettavano qual Messia. Tal reiezione non dovea esser fatta per ignoranza, ma per atto pubblico, compiuto dai capi e dai rettori del popolo. In Giudea, egli avea già testificato di sé stesso come Figliuol di Dio, ma invano; ora stava per tornarvi, affin dì proclamarvi nuovamente il suo diritto e l'intero popolo ne dovea essere informato. A questo scopo, ordina questi settanta, per mandarseli innanzi in ogni luogo dove avea fissato di andare, per annunziare la prossima venuta del regno di Dio, nella persona stessa del Apocalisse. Un numero così grande di battistrada deve necessariamente aver dato una gran pubblicità a tutti i movimenti del Signore, e radunato grandi folle a lui d'intorno, nei vari luoghi ch'egli visitò. Il loro mandato era molto simile a quello dato già ai dodici Apostoli, colla sola eccezione che i poteri miracolosi loro concessi non furono così estesi (Confr. Luca 10:9; Matteo 10:8#490100090000-490100090000#470100080000-470100080000) Luca 10:1-16.

2. Il ritorno dei settanta, e il discorso che seguì la loro relazione. L'evangelista non segue i settanta nelle loro peregrinazioni. È probabile che i loro lavori furono principalmente confinati alla Perea, quantunque Luca sembri indicare Luca 17:11#490170110000-490170110000, che ad un periodo posteriore di quest'ultimo suo viaggio, il Signore passò una volta di più lungo la frontiera fra la Samaria e la Galilea. Il Signore diede loro un

appuntamento, e quivi, quando ebbero compiuta l'opera loro, essi si affrettarono per fargli il loro rapporto. Viaggiavano a due a due, né poteva prender loro molti giorni il visitare le principali città e villaggi della Perea. Con gioia infantile, essi annunziano che Dio avea accordato loro doni miracolosi maggiori di quanto aveano sperato, poiché i demoni si erano inchinati alla loro voce. Gesù indica loro una più alta causa di gioia e di gratitudine, inquantoché essi stessi erano stati liberati dalla schiavitù di Satana, e i loro nomi trovavansi scritti nel libro della vita. Quindi l'Evangelista ricorda che Cristo si rallegrò in ispirito, al pensiero che cominciava la rovina del dominio di Satana, e ciò per mezzo di quei deboli strumenti che, alla saviezza del suo Padre celeste, eran parsi meglio atti allo scopo Luca 10:17-24.

3. La domanda del dottor della legge sul modo di eredare la vita eterna, e la parabola del buon Samaritano. Quest'uomo non venne probabilmente da Gesù con intenzioni ostili, bensì per mettere alla prova la sua saviezza, proponendogli una quistione, che egli avea senza dubbio accuratamente preparata prima: «Come potrò io eredar la vita eterna?» Essendo egli dottor della legge, Gesù lo rimandò immediatamente a quello che la legge insegnava su questo soggetto; e quando esso ebbe dato una citazione piena e corretta, il Signore dichiarò la sua approvazione colle parole: «Fa' ciò, e viverai». Non v'ha dubbio che se un uomo adempie perfettamente tutto ciò che la legge richiede, egli avrà la vita eterna, ma qual uomo mortale è da tanto? Col suo enfatico «fa' ciò» Gesù vuol suscitar la riflessione: «Posso io, o può qualsiasi uomo mortale far questo?» ma il dottore della legge non lo prese per sé. Ridotto al silenzio e confuso da mia risposta così completa, cercò di coprire la sua ritirata col domandare definizione della parola «prossimo», colla quale finisce la sua citazione. Allora il Signore pronunziò una parabola nella quale un uomo Samaritano e straniero mostra compassione ad un ferito, che due dei suoi propri concittadini, un prete ed un levita avrebbero senza compassione lasciato perire. L'argomento era così perfettamente espresso, che il dottor della legge dovette riconoscere che il compassionevole Samaritano era il vero prossimo dell'uomo che era caduto in mezzo ai ladroni Luca 10:25-37.

4. Gesù visita Marta e Maria in Betania. Il villaggio di Betania non è mentovato nel testo, né conosciamo esattamente il tempo in cui fu fatta quella visita, se cioè durante quest'ultimo viaggio a Gerusalemme, o ad un'epoca anteriore. Non sappiamo neppure per quale scopo l'evangelista la introduca a questo punto del suo racconto, perciò questo fatto è sempre stato un soggetto molto attraente per la perspicacità dei critici. Alcuni Suppongono che esistessero due coppie di sorelle aventi gli stessi nomi, una in Betania, l'altra in Galilea; altri suggeriscono che la famiglia di Lazaro avea due case, una in Galilea, l'altra in Betania, e che questa visita Gesù la fece quando essi erano in Galilea! Ecco a che son ridotti gli Armonisti, per soddisfare alle esigenze della cronologia. Ma il lettore ragionevole ha solo da studiare le abitudini e il carattere delle donne mentovate in Giovanni 11:2-3#500110020000-500110030000, per esser convinto che sono le stesse persone che vengon qui descritte, Marta occupata a preparare l'occorrente per trattar degnamente il Signore, mentre Maria siede ai suoi piedi, avida di udire le sue istruzioni Luca 10:38-42.

Luca 10:1-24. MISSIONI DEI SETTANTA DISCEPOLI. IL LORO RITORNO. DISCORSO CUI DIEDE LUOGO IL LORO RAPPORTO

Missione dei settanta discepoli Luca 10:1-16

1. Or, dopo queste cose, il Signore ne ordinò ancora altri settanta,

Altri vien detto per rapporto ai dodici Apostoli che erano stati mandati prima, non già ad un'altra compagnia di settanta. Credono taluni che Gesù scegliesse questo numero perché era quello del Sinedrio; altri perché, secondo l'idea giudaica (fondata su Genesi 10), la razza umana era composta di 70 o 72 popoli; ma è più probabile che se gli Apostoli furon dodici, a motivo delle dodici tribù d'Israele, questi furono settanta in memoria del numero degli anziani sui quali lo Spirito si posò nel deserto Numeri 11:24-25#040110240000-040110250000. Questa nomina, a differenza di quella dei dodici, fu affatto temporaria, poiché non è fatta

menzione alcuna di questi settanta nella storia della Chiesa nascente che questo stesso Evangelista ci ha trasmessa nel libro degli Atti degli Apostoli, né in alcun altro scritto del Nuovo Testamento. Tutte le istruzioni che vengono loro date son quali si richiedono per una breve missione di pionieri, e da queste considerazioni siamo autorizzati a conchiudere che i settanta non ricevettero altra missione che di annunziare in quel momento speciale, l'arrivo del Signore in certe città e distretti; dopo che essi l'ebbero adempiuta, la loro compagnia nuovamente si sciolse, mescolandosi al rimanente dei discepoli.

e il mandò a due a due innanzi a sé, in ogni città e luogo, ove egli avea da venire.

Furon mandati in paia, affinché l'uno potesse giovare all'altro, in caso di pericolo o di difficoltà per la via, e per poter trattare con uomini di temperamenti diversi; ma soprattutto perché la loro testimonianza fosse inappuntabile, essendo sostenuta da un numero competente di testimoni, quale lo richiedeva la legge: «Acciocché ogni parola sia confermata, per la bocca di due o tre testimoni» Deuteronomio 19:15; Matteo 18:16; 2Corinzi 13:1; Ebrei 10:28#050190150000-050190150000#470180160000470180160000#540130010000-540130010000#650100280000650100280000. L'esempio lasciato in tal modo dal Signore è di grande importanza per la guida di quei rami della Chiesa di Cristo, i quali, penetrati essi stessi dalla vita divina, mandano missionari ai pagani ed agli Israeliti. L'Antica Chiesa delle Valli del Piemonte seguì l'esempio del Signore, allorquando centinaia d'anni avanti la Riforma del sedicesimo secolo, mandava missionari non solo in Italia, ma in Ungheria, Boemia, Francia ed Inghilterra; mentre altre Chiese e società nei tempi moderni, mandando missionari isolati nell'India, nella China, nell'Africa, hanno perduto anziché guadagnare con una economia così fuor di luogo. I settanta non son mandati invece di Cristo, per compiere un dovere cui egli non avea tempo di accudire; dovean solo precederlo, e preparargli la via. Le parole dell'Evangelista sono: ove egli avea da venire. Lange crede che il campo della lor missione fosse la Samaria; Oosterzee inclina piuttosto per la Giudea, ma se questo viaggio, come crediamo, è identico con quello narrato da Matteo e da Marco, esso deve essere stato la Perea, più alcune parti della

Giudea settentrionale fra il Giordano e Gerusalemme. In un distretto così fertile e popoloso non dovea essere difficile trovare 35 città o villaggi né dovea prender molto tempo il visitarli tutti; ma, coll'eccezione di Gerusalemme, di Efraim e di Gerico, non ci vien dato nissun nome.

PASSI PARALLELI

Numeri 11:16,24-26#040110160000-040110160000#040110240000040110260000

Atti 13:2-4; Apocalisse 11:3-10#510130020000510130040000#730110030000-730110100000

Luca 1:17,76; 3:4-6; 9:52#490010170000-490010170000#490010760000490010760000#490030040000-490030060000#490090520000490090520000

49010002Lc 10:2

2. Diceva va loro adunque: Bene è la ricolta grande, ma gli operai son pochi; pregate adunque il Signore della ricolta, che spinga degli operai nella sua ricolta.

Le istruzioni date da Gesù ai settanta sono, a molti riguardi, le stesse che quelle già date agli Apostoli, Confr. Luca 9:1-6; Matteo 10:1#490090010000-490090060000#470100010000-470100010000 ecc.; Marco 6:7-12#480060070000-480060120000; ma i doni miracolosi accordati agli Apostoli erano molto più importanti di quelli dati ai settanta, ed a questi ultimi non vien detto verbo delle persecuzioni predette ai dodici, né del soccorso straordinario dello Spirito Santo loro promesso Matteo 10:17-24#470100170000-470100240000. Non vien loro neppure proibito di entrare in qualsiasi città dei Samaritani. La notevole ingiunzione di non salutare alcuno per istrada, è particolare ai settanta, e indica la rapidità colla quale doveano compiere la loro missione. In ambo i casi Gesù, prima di dar mandati ai suoi discepoli, dice loro che pochi sono gli operai, ed ingiunge

loro di pregare il signor della ricolta, perché spinga degli operai nella sua ricolta. Per l'esposizione vedi note Matteo 9:37Matteo 9:37-38; Matteo 10:7Matteo 10:7-16, Matteo 10:40Matteo 10:40.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:37-38; Giovanni 4:35-38; 1Corinzi 3:6-9#470090370000470090380000#500040350000-500040380000#530030060000530030090000

Matteo 20:1; Marco 13:34; 1Corinzi 15:10; 2Corinzi 6:1; Filippesi 2:25,30; Colossesi 1:29; 4:12#470200010000-470200010000#480130340000480130340000#530150100000-530150100000#540060010000540060010000#570020250000-570020250000#570020300000570020300000#580010290000-580010290000#580040120000580040120000

1Tessalonicesi 2:9; 5:12; 1Timoteo 4:10,15-16; 5:17-18; 2Timoteo 2:3-6; 4:5; Filemone 1#590020090000-590020090000#590050120000590050120000#610040100000-610040100000#610040150000610040160000#610050170000-610050180000#620020030000620020060000#620040050000-620040050000#640010010000640010010000

1Re 18:22; 22:6-8; Isaia 56:9-12; Ezechiele 34:2-6; Zaccaria 11:5,17; Matteo 9:36#110180220000-110180220000#110220060000110220080000#290560090000-290560120000#330340020000330340060000#450110050000-450110050000#450110170000450110170000#470090360000-470090360000

Atti 16:9-10; Filippesi 2:21; Apocalisse 11:2-3#510160090000510160100000#570020210000-570020210000#730110020000730110030000

2Tessalonicesi 3:1#600030010000-600030010000

Luca 9:1; Numeri 11:17,29; Salmi 68:11; Geremia 3:15; Marco 16:15,20; Atti 8:4; 11:19#490090010000-490090010000#040110170000040110170000#040110290000-040110290000#230680110000230680110000#300030150000-300030150000#480160150000480160150000#480160200000-480160200000#510080040000510080040000#510110190000-510110190000

Atti 13:2,4; 20:28; 22:21; 26:15-18; 1Corinzi 12:28; Efesini 4:712#510130020000-510130020000#510130040000510130040000#510200280000-510200280000#510220210000510220210000#510260150000-510260180000#530120280000530120280000#560040070000-560040120000

1Timoteo 1:12-14; Ebrei 3:6; Apocalisse 2:1#610010120000610010140000#650030060000-650030060000#730020010000730020010000

49010017Lc 10:17

Ritorno dei settanta. Discorso cui diede luogo il loro rapporto Luca 10:1720

17. Or que' settanta tornarono con allegrezza, dicendo: Signore, anche i demoni ci son sottoposti nel nome tuo.

Non furono probabilmente assenti molti giorni, e il vocabolo greco sembrerebbe indicare che il Signore rimase ad aspettarli, nel luogo stesso dal quale li avea mandati. L'evangelista ci dà il risultato delle loro esperienze in complesso poiché è chiaro che non potevano esser tutti ritornati lo stesso giorno. Non ci sono dati particolari del loro viaggio, ma la gioia che li animava ed il fatto unico al quale annettevano tanta importanza, provano che dovevano aver riuscito, e che non aveano incontrato seria opposizione. Era stato loro conferito il dono miracoloso di guarire i malati, ma nell'eseguir la loro missione, presto vennero a contatto con persone possedute dal demonio, e considerando questa come la forma più distruttiva

di malattia, l'attaccarono con gran coraggio e fede, ordinando ai demoni, nel nome di Gesù, di andarsene, e quelli ubbidirono. La loro gioia, benché comprendesse tutti gli incidenti del loro viaggio, giungeva al suo colmo per questo fatto, per essi tanto meraviglioso, che aveano potuto scacciar dei demoni, come lo si vede dalla parola anche, e senza dubbio si espresse con parole come queste: «Signore, tu hai ecceduta la tua promessa, anche mentre ne facevamo la prova, speravamo appena di riuscire». Se ci ricordiamo che poco prima, nove degli Apostoli aveano tentato invano di compiere quello stesso miracolo Luca 9:40#490090400000-490090400000, capiremo anche meglio la gioia dei settanta.

PASSI PARALLELI

Luca 10:1,9; 9:1; Romani 16:20#490100010000490100010000#490100090000-490100090000#490090010000490090010000#520160200000-520160200000

49010018Lc 10:18

18. Ed egli disse loro: io riguardava Satana cader dal cielo, a guisa di folgore.

il Figliuol di Dio avea visto Satana e gli angeli ribelli suoi aderenti cader letteralmente dal cielo, quando ne furono espulsi per la loro ribellione, vedi le allusioni a questo fatto in Isaia 14:12-15; Ezechiele 28:12-16; 2Pietro 2:4; Apocalisse 12:1-9#290140120000-290140150000#330280120000330280160000#680020040000-680020040000#730120010000730120090000; ma non è a questo che Gesù fa qui allusione, neppure intende egli parlare, come lo suppone Lange, della sconfitta di Satana nel deserto, o della sua distruzione finale, quando egli sarà buttato nello stagno di fuoco e di zolfo Apocalisse 20:10#730200100000-730200100000; ma «il Signore condensa in questa grandiosa parola profetica, che riguarda così il passato come il futuro, il progresso e la consumazione della caduta di Satana». L'uso dell'imperfetto, indica chiaramente che la contemplazione in

cui il suo spirito era impegnato, non abbracciava soltanto la missione dei discepoli, ma si estendeva molto al di là di quella, cioè fino alla fine dei secoli. Non fu una mera visione, quali Jehova ne fece spesso passar dinanzi agli occhi degli antichi profeti, rivelando loro le cose che doveano accadere, ma fu una intuizione spirituale del Figliuol dell'uomo una scena che passava dinanzi agli occhi della sua mente, riempiendo il suo cuore di gioia, ad onta delle sofferenze che stavano in serbo per lui. Queste sue parole significano: «Osservando le vostre vittorie sugli emissari di Satana, si presentò alla mia vista uno spettacolo più maestoso ancora, cioè la rovina completa dello stesso Principe delle tenebre, e l'intera distruzione dell'usurpato suo regno, di cui i vostri successi non sono che il preludio». Godet lo esprime mirabilmente così: «Mentre scacciavate i satelliti, io vedeva cadere il padrone. Sulla scena esterna, lottavano da ambo le parti i luogotenenti; nella intima coscienza di Gesù, i due capi erano in presenza». Il folgore «non può indicare la rapidità e la subitaneità della caduta del regno di Satana, poiché quella è andata compiendosi per ben 1900 anni, fin da quando cioè Gesù esclamò in sulla croce: "Ogni cosa è compiuta"» (benché, dopo tutto, la consumazione quando essa verrà, possa essere istantanea e sorprendente come un fulmine); ma quella parola dipinge mirabilmente una potenza di abbagliante splendore, spenta ad un tratto. Non pochi oggidì negano l'esistenza di Satana, affermando che quel termine è usato solo figurativamente come la personificazione dell'elemento del male, ma ricordiamoci che Gesù, insegnando alle moltitudini, o ai soli discepoli, sempre parla di Satana come di una personalità distinta, e lo stesso fanno tutti gli scrittori sacri. In origine egli fu uno degli angeli di Dio, e la caduta non produsse cambiamento alcuno nella sua natura fisica o metafisica perciò Paolo lo chiama «il principe della podestà dell'aria, lo spirito che opera al presente nei figliuoli della disubbidienza» Efesini 2:2#560020020000560020020000, ed altrove dice che dobbiamo combattere non già «contro a sangue e carne, ma contro a' principati, contro alle potestà, contro ai rettori del mondo, e delle tenebre, di questo secolo, contro agli spiriti maligni nei luoghi celesti» Efesini 6:12#560060120000-560060120000. La parola «cielo», in questo versetto, è evidentemente uguale a quest'ultimo passo, e indica quella sfera superiore dalla quale Satana, agisce sulla coscienza umana: il «cader dal cielo» significa dunque la perdita di quel potere mediante il quale rendeva nazioni ed individui soggetti al suo impero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 12:31; 16:11; Ebrei 2:14; 1Giovanni 3:8; Apocalisse 9:1; 12:7-9; 20:2#500120310000-500120310000#500160110000500160110000#650020140000-650020140000#690030080000690030080000#730090010000-730090010000#730120070000730120090000#730200020000-730200020000

49010019Lc 10:19

19. Ecco, io vi do la podestà di calcar serpenti e scorpioni; vi do eziandio potere sopra ogni potenza del nemico; e nulla vi offenderà.

Questa promessa è fatta ai settanta non per rinnovar la loro missione, che era stata solo temporanea (quantunque non sia punto improbabile che molti di loro divenissero più tardi ministri dell'evangelo), ma semplicemente come discepoli. Tisebendorf insiste su Io vi ho dato, come essendo la lezione corretta; in quel caso i discepoli devono esser stati maravigliati di aver capito così poco l'estensione del potere contenuto nel loro mandato; ma Io do del Textus Receptus che si riferisce al futuro, e deve avere svegliato in loro una maraviglia più grande ancora, a motivo delle più altre prospettive loro riserbate, presenta un senso anche più adatto e significativo. Varian le opinioni se «calcar i serpenti», deve intendersi letteralmente o figurativamente. Pel senso letterale si può citar la promessa del Signore in Marco 16:18#480160180000-480160180000, ed il fatto che Paolo morsicato (da una vipera la scosse da sé, e ne rimase illeso Atti 28:5#510280050000-510280050000. Stanno per il senso figurativo il fatto che Satana è chiamato «il serpente antico», che i suoi agenti partecipano della sua natura, e la promessa Genesi 3:15#010030150000-010030150000, che «la progenie della donna triterà il capo del serpente», promessa in cui tutti i cristiani sono interessati. Non siamo punto costretti a scegliere fra quei due sensi, poiché quelle parole son vere, in qualunque maniera vengano interpretate, e sono confermate dalle più ampie benedizioni della clausola

seguente, che promette loro l'impero «sopra ogni potenza del nemico». Questo nemico è Satana, ed il suo potere pervade assai più che non crediamo l'intera natura, e tutte le sfere create della terra. Abbraccia tutte le forze naturali; quelle della società umana e quelle proprie dell'ordine spirituale, di cui il principe di questo mondo ha podestà di far uopo, per opporsi all'opera di Gesù. Ai settanta ed ai loro contemporanei furono accordati dei doni miracolosi, per vincere tutti gli ostacoli; ma essi vinsero, come fanno ora i credenti, specialmente per la potenza della fede che è «la vittoria del mondo», «spegnendo tutti i dardi infocati del maligno».

PASSI PARALLELI

Salmi 91:13; Isaia 11:8; Ezechiele 2:6; Marco 16:18; Atti 28:5; Romani 16:20#230910130000-230910130000#290110080000290110080000#330020060000-330020060000#480160180000480160180000#510280050000-510280050000#520160200000520160200000

Luca 21:17-18; Romani 8:31-39; Ebrei 13:5-6; Apocalisse 11:5#490210170000-490210180000#520080310000520080390000#650130050000-650130060000#730110050000730110050000

49010020Lc 10:20

20. Ma pure non vi rallegrate di ciò che gli spiriti vi sono sottoposti; anzi rallegratevi che i vostri nomi sono scritti ne' cieli.

La parola anzi, piuttosto, mentre esprime una preferenza per una sorgente più elevata di gioia, conferma la convinzione che Gesù divideva la gioia provata dai settanta per il potere che era stato dato loro sui demonii. Ma dice il proverbio: «un calice pieno è difficile a sopportare». «L'orgoglio spirituale è un gran tranello. V'ha pericolo che il successo nella predicazione del vangelo, e la gioia da quello ispirata possa, se non ci si prende guardia, produrre l'orgoglio, la vanagloria e la millanteria. Forse il signore

discerneva una tale tendenza in quei discepoli, perciò li avverte che v'ha una causa di gioia più nobile, più legittima, e più durevole nella contemplazione della propria personale salute, per grazia di Dio, una gioia che è invariabilmente accompagnata da umiltà e zelo fervente 2Corinzi 5:1415#540050140000-540050150000» (Olshausen). Era l'uso, nei tempi antichi, che i cittadini di ogni stato venissero iscritti in un libro, e quando a qualcuno venivan dati i diritti di cittadinanza, il suo nome si aggiungeva alla lista. Fra i Giudei un tal registro serviva pure a ricordare la loro genealogia, ed il loro luogo di nascita Salmi 87:6#230870060000-230870060000. A questo fa figurativamente allusione il Signore. Questa registrazione dei loro nomi come cittadini del cielo, ed amici di Dio, come quelli che eran salvi da «ogni potenza del nemico», doveva essere la sorgente della loro più alta gioia. Paolo ha in vista la stessa idea parlando dei concittadini dei santi Efesini 2:19#560020190000-560020190000; della cittadinanza dei santi, non come Diodati, viviamo nei cieli Filippesi 3:20#570030200000570030200000; della chiesa dei primogeniti scritti nel cielo Ebrei 12:23#650120230000-650120230000; e probabilmente Giovanni vi fa pure allusione nell'espressione libro della vita Apocalisse 3:5#730030050000730030050000. I figli di Dio posson considerarsi come aventi i loro nomi scritti nel cielo, sia per rispetto al suo eterno proponimento secondo l'elezione di grazia, sia in seguito alla loro introduzione nel regno di Dio al momento della loro conversione. La prima idea, cioè il loro arruolamento per volontà divina, è specialmente quella di Apocalisse 17:8#730170080000-730170080000: e la seconda ossia, la loro entrata nella chiesa per la conversione, è indicata in modo speciale in Efesini 2:19#560020190000-560020190000.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:22-23; 10:1; 26:24; 27:5; 1Corinzi 13:2-3#470070220000470070230000#470100010000-470100010000#470260240000470260240000#470270050000-470270050000#530130020000530130030000

Esodo 32:32; Salmi 69:28; Isaia 4:3; Daniele 12:1; Filippesi 4:3; Ebrei 12:23; Apocalisse 3:5#020320320000-020320320000#230690280000230690280000#290040030000-290040030000#340120010000340120010000#570040030000-570040030000#650120230000650120230000#730030050000-730030050000

Apocalisse 13:8; 20:12,15; 21:27#730130080000730130080000#730200120000-730200120000#730200150000730200150000#730210270000-730210270000

49010021Lc 10:21

Luca 10:21-24. GIOIA DEL SALVATORE, E SUA FIDUCIA NELLA SOVRANITÀ DEL SUO PADRE Matteo 11:25-30#470110250000470110300000

Per l'esposizione e le riflessioni vedi Matteo 11:25Matteo 11:25-30; Matteo 13:16Matteo 13:16-17.

21. In quella stessa ora, Gesù giubilò in ispirito, e disse: ecc.

spirito non si riferisce qui allo Spirito Santo, ma allo spirito di Gesù, quale elemento della sua umana natura, e giubbilò esprimeva gioia più che ordinaria, cioè un interno trasporto che commuove fino al fondo l'anima del Salvatore, come la parola fremere Giovanni 11:33#500110330000500110330000, indica la profondità del suo dolore. Godet osserva a questo punto: «Quanto, nei nostri Vangeli, è presa in sul serio l'umanità di Cristo!» Come queste parole furono pronunziate in un'epoca anteriore del suo ministero ed in ben diverse circostanze, quando cioè Gesù si affliggeva della pochezza dei risultati visibili del suo ministero così non v'ha nulla di più naturale ed appropriato che la loro ripetizione in questo momento, quando cioè il suo cuore era rallegrato dai successi che gli riferivano i settanta e dalle trionfanti prospettive che si erano presentate alla, propria sua coscienza spirituale.

PASSI PARALLELI

Luca 15:5,9; Isaia 53:11; 62:5; Sofonia 3:17#490150050000490150050000#490150090000-490150090000#290530110000290530110000#290620050000-290620050000#430030170000430030170000

Matteo 11:25-26; Giovanni 11:41; 17:24-26#470110250000470110260000#500110410000-500110410000#500170240000500170260000

Salmi 24:1; Isaia 66:1#230240010000-230240010000#290660010000290660010000

Giobbe 5:12-14; Isaia 29:14; 1Corinzi 1:9-26; 2:6-8; 3:18-20; 2Corinzi 4:3#220050120000-220050140000#290290140000290290140000#530010090000-530010260000#530020060000530020080000#530030180000-530030200000#540040030000540040030000

Colossesi 2:2-3#580020020000-580020030000

Salmi 8:2; 25:14; Isaia 29:18-19; 35:8; Matteo 13:11-16; 16:17; 21:16#230080020000-230080020000#230250140000230250140000#290290180000-290290190000#290350080000290350080000#470130110000-470130160000#470160170000470160170000#470210160000-470210160000

Marco 10:15; 1Corinzi 1:27-29; 2:6-7; 1Pietro 2:1-2#480100150000480100150000#530010270000-530010290000#530020060000530020070000#670020010000-670020020000

Efesini 1:5,11#560010050000-560010050000#560010110000560010110000

49010025Lc 10:25

Luca 10:25-37. DOMANDA DI UN DOTTOR DELLA LEGGE SUL MODO DI EREDAR LA VITA ETERNA, E PARABOLA DEL BUON SAMARITANO

Domando del Dottor della Legge, e risposta di Gesù, Luca 10:25-29

25. Allora ecco, un certo dottor, della legge si levò,

Appartenevano questi uomini alla corporazione degli Scribi, che erano al tempo stesso i custodi, i copisti ed i commentatori della legge, ed erano rispettivamente chiamati scribi legali e dottori della legge. Si è provato, ma senza successo, di classificare questi varii termini. Secondo Lightfoot, gli Scribi si occupavano della Mikra. Subito al disopra di loro, erano i legali che studiavano la Misna, e riempivano nel Sinedrio, ma senza voto deliberativo, le funzioni di assessori. I dottori della legge erano gli espositori della Gamara e membri effettivi del Sinedrio se tale classificazione è giusta, questo uomo avrebbe appartenuto alla seconda categoria. Un attento paragone di questo passo con Matteo 12:37-40#470120370000470120400000 e Marco 12:28-34#480120280000-480120340000 basta a convincere il lettore che essi furono pronunziati in occasioni diverse, perché non concordano né, il tempo, né il luogo, né, le domande. Non dobbiamo figurarci che questo legale fosse stato in compagnia di Gesù e dei suoi discepoli durante la conversazione precedente, ed ora si levasse ad un tratto a far la sua domanda colle parole: «si levò», l'Evangelista passa chiaramente ad un altro incidente del suo racconto, ma senza indicazione del tempo trascorso nell'intervallo.

tentandolo, e dicendo:

La parola tentando trattandosi dei rapporti delle sette giudaiche con Gesù, è generalmente intesa in senso sfavorevole, ed alcuni scrittori ne conchiudono che quest'uomo avea preparato un tranello per Gesù, affin di scoprire nel suo insegnamento qualche cosa di contrario alla legge di Mosè. La cosa è

possibile ma, secondo noi, non c'è ragione, di supporre che questo legale fosse animato da qualsiasi intenzione ostile verso Gesù; né è necessario supporre come Stier, che fosse ironica la sua domanda. È assai più probabile che quest'uomo pieno di vanità per le molte sue conoscenze, volesse misurare le sue forze con quelle del gran profeta di Galilea, e veder quali cose nuove quest'ultimo potesse comunicare a chi già, ne, sapeva tanto.

Maestro facendo che, erediterò la vita eterna?

Era questa una domanda assai frequente fra i Giudei, perché, essi credevano generalmente nella risurrezione del corpo, ed in una esistenza imperitura al di là della tomba, ed erano perciò ansiosi di assicurarsi un posto nel «seno di Abrahamo», come, chiamavano il paradiso celeste. È la stessa che il giovane ricco fece a Gesù Luca 18:18#490180180000-490180180000, solo in un caso era fatta con uno scopo pratico da chi ardentemente desiderava, guadagnarsi il cielo colla propria giustizia, mentre nell'altro era mera quistione teologica proposta per mettere alla prova un maestro rivale, unicamente per far trionfare la vanità, o per ridurre al silenzio chi insegnava l'errore. La dottrina del legale, lo sappiamo Romani 2#520020000000520020000000, era che la salute viene dalla legge. Altro ideale egli non avea che quello della sottomissione esatta alla lettera della legge. La formola qui usata «eredare la vita eterna» è senza dubbio derivata da un paragone tipico del regno celeste e della sua gloria imperitura coll'eredità di Canaan, assicurata ai figli di Abrahamo mediante un patto eterno e col riposo che essi vi avevano trovato.

PASSI PARALLELI

Luca 7:30; 11:45-46; Matteo 22:35#490070300000490070300000#490110450000-490110460000#470220350000470220350000

Luca 18:18; Matteo 19:16; Atti 16:30-31#490180180000490180180000#470190160000-470190160000#510160300000510160310000

Galati 3:18#550030180000-550030180000

49010026Lc 10:26

26. Ed egli gli disse: Nella legge che è egli scritto? come leggi?

Il legale si aspettava senza dubbio una risposta ben diversa da quella che ricevette in forma di una domanda relativa all'insegnamento della legge sul punto in discussione. Così il Signore lo combatte colle proprie armi, e lo mette egli pure alla prova. Se quell'uomo fosse stato in qualche proporzione atto a «giudicare spiritualmente», il Signore gli avrebbe risposto in altro modo ma egli lo tratta, come trattò il giovane ricco, secondo la luce che era in lui, mettendogli innanzi la legge come «nostro pedagogo, aspettando Cristo» (o meglio come nelle versioni Inglese e Francese, «per condurci a Cristo»), affinché si convincesse di non poterla osservare né nella lettera né nello spirito, in modo da essere salvato. Se non possiamo ottenere la vita eterna mediante la legge, la colpa non è della legge, ma nostra Romani 3:20; 8:3; Galati 2:16#520030200000-520030200000#520080030000520080030000#550020160000-550020160000.

PASSI PARALLELI

Isaia 8:20; Romani 3:19; 4:14-16; 10:5; Galati 3:12-13,2122#290080200000-290080200000#520030190000520030190000#520040140000-520040160000#520100050000520100050000#550030120000-550030130000#550030210000550030220000

49010027Lc 10:27

27. E colui, rispondendo, disse: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua; e il tuo prossimo come te stesso

Questa è la somma di tutta quanta la legge morale, ed è data nei termini stessi che Cristo scelse più tardi per rispondere ad un altro legale, il quale in Gerusalemme domandavagli qual fosse «il più grande comandamento della legge». Questo comandamento, in quanto almeno si riferisce a Dio, deve essere stato molto famigliare a questo legale, poiché i Giudei portavano nelle loro filatterie quelle parole, scritte su piccoli pezzi di pergamena, e le dovean ripetere due volte al giorno nelle loro preghiere. Il trovar la seconda clausola, in bocca a quest'uomo, unita colla precedente sembra provare che anche per quella si osservava la medesima regola, solo si restringeva il senso di «prossimo», unicamente ai Giudei. Per la esposizione del versetto vedi nota Marco 12:28Marco 12:28-34.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:5; 10:12; 30:6; Matteo 22:37-40; Marco 12:30-31,33-34; Ebrei 8:10#050060050000-050060050000#050100120000050100120000#050300060000-050300060000#470220370000470220400000#480120300000-480120310000#480120330000480120340000#650080100000-650080100000

Levitico 19:18; Matteo 19:19; Romani 13:9; Galati 5:13; Giacomo 2:8; 1Giovanni 3:18#030190180000-030190180000#470190190000470190190000#520130090000-520130090000#550050130000550050130000#660020080000-660020080000#690030180000690030180000

49010028Lc 10:28

28. Ed egli gli disse: Tu hai dirittamente risposto; fa' ciò, e vivrai.

Il Signore loda la risposta, ma egli è nell'applicazione che segue, che viene esposto il punto debole per il dottore della legge e per chiunque confida in una giustizia legale. «L'adempimento della legge è la carità» Romani 13:10#520130100000-520130100000, e con verità dice Paolo: «L'uomo che avrà fatte tutte queste cose viverà per esse» Galati 3:12#550030120000-

550030120000; ma chi può adempiere appieno e senza fallo tutte le domande della legge? Egli è all'impossibilità di far questo, che il Signore vuole rendere attento il suo interrogatore, coll'enfasi che mette sulla parola ciò - «Fa' ciò e viverai». Sarebbe stato inutile parlargli di una via migliore; ma Gesù lo urge a mettere in pratica quello che conosce, perché provandovisi onestamente presto si sarebbe riconosciuto affatto sconfitto. «Il suo caso è tanto più triste che una conoscenza così chiara della legge si unisce ad una ignoranza così completa di sé stesso» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Luca 7:43; Marco 12:34#490070430000-490070430000#480120340000480120340000

Levitico 18:5; Nehemia 9:29; Ezechiele 20:11,13,21; Matteo 19:17; Romani 3:19; 10:4; Galati 3:12#030180050000-030180050000#160090290000160090290000#330200110000-330200110000#330200130000330200130000#330200210000-330200210000#470190170000470190170000#520030190000-520030190000#520100040000520100040000#550030120000-550030120000

49010029Lc 10:29

29. Ed egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è mio prossimo?

Quest'uomo fu evidentemente confuso nel ricevere alla sua domanda una risposta così semplice e colle stesse sue parole. Si sentì in una posizione impacciata e ridicola, trovandosi così ridotto al silenzio, dopo il grande sfoggio che avea fatto, e le parole «per giustificarsi» indicano che egli si sforzò di uscire dalla difficoltà e di salvare le apparenze, appigliandosi a quel vocabolo «prossimo», e lasciandone a Gesù la definizione. Egli è come se avesse detto: "Come definisci prossimo, imperocché se uno conosce esattamente il significato dell'espressione è impossibile adempiere il comandamento?" La risposta del Signore non lascia luogo a discussioni speculative. Nel fatto immaginario che egli racconta, la risposta è data in

modo così pratico che il legale è obbligato a confessare che essa è al tempo stesso precisa e completa.

PASSI PARALLELI

Luca 16:15; 18:9-11; Levitico 19:34; Giobbe 32:2; Romani 4:2; 10:3; Galati 3:11; Giacomo 2:24#490160150000-490160150000#490180090000490180110000#030190340000-030190340000#220320020000220320020000#520040020000-520040020000#520100030000520100030000#550030110000-550030110000#660020240000660020240000

Luca 10:36; Matteo 5:43-44#490100360000490100360000#470050430000-470050440000

49010030Lc 10:30

La parabola del buon Samaritano. Luca 10:30-37

30. E Gesù, replicando, disse: Un uomo (un Israelita, come si vede da quel che segue) scendeva da Gerusalemme in Gerico,

La distanza è di cinque ore a cavallo (venti miglia all'incirca), e passato Betania, la via scende sempre ed in modo assai ripido; il livello di Gerico essendo parecchie centinaia di metri al disotto di quello di Gerusalemme.

e si abbattè in ladroni; i quali spogliatolo, ed anche dategli di molte ferite, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

Quella strada è pericolosa oggidì, come al tempo di Cristo. A metà strada, sorgono a man destra roccie isolate e precipitose che dànno asilo ai ladroni Beduini, e dalle quali essi fanno fuoco sui viaggiatori isolati, e quindi li derubano, mentre a sinistra un precipizio scende a picco, fino nel Wadi Kelt, molto al disotto, e toglie ogni via di scampo. Gli Europei non si arrischiano

mai su quella strada, senza una scorta di Arabi, per i cui servizii si fa regolare contratto fra i consoli e i sheicks. Il Signore avea spesso seguito quella via, ed in queste poche parole ce ne descrive accuratamente i pericoli.

PASSI PARALLELI

Salmi 88:4; Geremia 51:52; Lamentazioni 2:12; Ezechiele 30:24

49010031Lc 10:31

31. Or a, caso un sacerdote scendeva per quella stessa via; e veduto colui, passò oltre di rincontro

È molto appropriata la introduzione di preti e di leviti come personaggi di questa parabola, poiché Gerico era una delle città di Giuda che erano divenute, negli ultimi tempi, dimora di preti e di leviti, dimodoché ne contava parecchie migliaia fra i suoi abitanti; ma la loro presenza è specialmente appropriata alla lezione che la parabola ci doveva insegnare, poiché, essendo ministri della religione, si avea il diritto di aspettare che osservassero rigorosamente la legge per il proprio conto e dessero al popolo l'esempio nel fare il bene. Quest'uomo sfortunato era un concittadino del sacerdote, e come tale suo «prossimo» anche secondo la gretta interpretazione che i Giudei davano a quella parola, eppure dopo averlo attentamente osservato, dopo averne scoperto la condizione disperata, il sacerdote se ne andò dall'altra parte della strada e continuò la sua via, lasciando, per quanto lo concerneva, che il meschino perisse. Eppure la legge di Mosè proibiva nel modo più espresso di trascurare in quel modo anche la bestia di un altro e persino di un nemico Esodo 23:4-5; Deuteronomio 22:4; Isaia 53:7#020230040000020230050000#050220040000-050220040000#290530070000290530070000; tanto meno potevasi abbandonare un uomo.

PASSI PARALLELI

Ruth 2:3#080020030000-080020030000

2Samuele 1:6; Ecclesiaste 9:11#100010060000100010060000#250090110000-250090110000

Geremia 5:31; Osea 5:1; 6:9; Malachia 1:10#300050310000300050310000#350050010000-350050010000#350060090000350060090000#460010100000-460010100000

Giobbe 6:14-21; Salmi 38:10-11; 69:20; 142:4; Proverbi 21:13; 24:1112#220060140000-220060210000#230380100000230380110000#230690200000-230690200000#231420040000231420040000#240210130000-240210130000#240240110000240240120000

Giacomo 2:13-16; 1Giovanni 3:16-18#660020130000660020160000#690030160000-690030180000

49010032Lc 10:32

32. Simigliantemente ancora un Levita, essendo venuto presso di quel luogo, e vedutolo, passò oltre di rincontro.

I Leviti (così detti per distinguerli dai sacerdoti che appartenevano esclusivamente alla famiglia di Aaronne), erano stati messi a parte da Mosè, per far tutte l'opere servili del Tabernacolo, e da Davide per le funzioni di coristi durante il culto, e fino alla cattività di Babilonia, sembrano essere stati maestri di scuole e insegnanti di religione per quelle tribù nei cui confini erano state loro assegnate delle città, come pure copisti della legge. Quest'ultimo uffizio però negli ultimi anni della storia giudaica non era più il monopolio della famiglia dei Leviti. Nel Nuovo Testamento è fatta pochissima menzione di loro, ma da Flavio sappiamo che fino alla presa di Gerusalemme, essi continuarono a fare, per mute, le opere servili del santuario, come uccidere vittime, lavare gli utensili sacri, come pure a cantare nelle sacre funzioni del tempio. Come il sacerdote, questo levita passò accanto al povero paziente senza rendergli assistenza alcuna,

quantunque si fosse fermato abbastanza da conoscerne appieno la pericolosa situazione. Nel cuor di entrambi, la vista del povero ferito non sveglia che egoistici timori per il proprio conto, spingendoli a prendere subito la fuga. «La voce della umanità, della patria comune, perfino della religione non parlò nel loro cuore così forte come quella della propria salvezza». (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Salmi 109:25; Proverbi 27:10; Atti 18:17; 2Timoteo 3:2#231090250000231090250000#240270100000-240270100000#510180170000510180170000#620030020000-620030020000

49010033Lc 10:33

33. Ma un Samaritano, facendo viaggio, venne presso di lui; e, vedutolo, n'ebbe pietà;

I Samaritani erano una razza mista che discendeva da quel resto di Israeliti che Salmanazar avea lasciati nel loro paese, e dai coloni pagani che quel medesimo re vi aveva trasportati dalla Media, e la loro religione era ai tempi di Cristo una combinazione del culto levitico, con dei riti idolatrici 2Re 17:24-34; Giovanni 4:22#120170240000-120170340000#500040220000500040220000. Vedi Sette Giudaiche. Alford sbaglia certamente, quando asserisce che «i Samaritani erano interamente e non solo a metà Gentili», perché il nome di straniero, dato al lebbroso di Samaria Luca 17:18#490170180000-490170180000, che egli adduce in prova della sua asserzione, non ha in tal passo, il senso di «Gentile», ma significa semplicemente, come lo indicano i vocaboli di cui è composto: uno di altra nazione, uno straniero, un non-Giudeo. Il territorio dei Samaritani, ai tempi di Cristo, comprendeva tutta l'antica tribù di Efraim, e la mezza tribù di Manasse. Il terzo viaggiatore che passò per la via di Gerico, dopo il furto ed il ferimento, apparteneva a quella razza straniera e c'è lecito supporre, che si recasse in qualcuna delle città di Moab o della Perea, al di là del Giordano.

Uno sguardo sul vestito del povero assassinato gliene scoprì la nazionalità, e non poté se non svegliare i suoi pregiudizii samaritani; ma ben più potenti furono sul cuor suo la pietà e la compassione per un suo simile in condizione sì disperata, ferito, e lasciato a morir per la perdita di tutto il suo sangue, e subito egli si accinse a venire in aiuto a quel suo prossimo che tanto ne avea bisogno.

PASSI PARALLELI

Luca 9:52-53; 17:16-18; Proverbi 27:10; Geremia 38:7-13; 39:16-18; Giovanni 4:9; 8:48#490090520000-490090530000#490170160000490170180000#240270100000-240270100000#300380070000300380130000#300390160000-300390180000#500040090000500040090000#500080480000-500080480000

Luca 7:13; Esodo 2:6; 1Re 8:50; Matteo 18:33#490070130000490070130000#020020060000-020020060000#110080500000110080500000#470180330000-470180330000

49010034Lc 10:34

34. E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra dell'olio, e del vino;

Vino ed olio erano, e sono tuttora usati in Palestina ed in tutto l'Oriente, come pure in parecchi paesi dell'Occidente, come rimedii efficaci per le ferite, quando nessuna parte vitale è rimasta offesa; il vino per le ferite, l'olio per attutirne il dolore Isaia 1:6#290010060000-290010060000.

poi lo mise sopra la sua propria cavalcatura, e lo menò nell'albergo, e si prese, cura di lui.

Questo compassionevole Samaritano non lasciò incompiuta l'opera sua. L'aiuto che già avea dato al Giudeo ferito sarebbe stato forse inutile, se egli lo avesse lasciato dove lo avea trovato, perciò risolvette di condurlo

all'albergo dove egli stesso avea da alloggiare, e per questo scopo lo mise sulla sua cavalcatura, mentre egli stesso proseguiva la via a piedi reggendolo. Qui si presenta una quistione che ha più importanza che non pare a prima vista per la completa illustrazione della parabola: Il prete ed il Levita viaggiavano essi a piedi o a cavallo? Se essi andavano a piedi, mentre il Samaritano cavalcava un asino o un mulo, le parti non erano uguali, e non si potrebbe in quel caso avere un esatto paragone della loro benevolenza. «La dottrina che Gesù voleva insegnare richiedeva evidentemente che le persone la cui carità vien paragonata e messa a contrasto, fossero in termini di uguaglianza, dimodoché se non vogliamo far violenza alla parabola, dobbiamo supporre che il sacerdote ed il levita viaggiavano a cavallo, come il Samaritano. Con questa conclusione, risultante dalla natura del caso, le espressioni corrispondono nei più minuti particolari» (Arnot).

PASSI PARALLELI

Luca 10:34; Esodo 23:4,5; Proverbi 24:17-18; 25:21-22; Matteo 5:43-45; Romani 12:20; 1Tessalonicesi 5:15#490100340000490100340000#020230040000-020230040000#020230050000020230050000#240240170000-240240180000#240250210000240250220000#470050430000-470050450000#520120200000520120200000#590050150000-590050150000

Salmi 147:3; Isaia 1:5,6; Marco 14:8#231470030000231470030000#290010050000-290010050000#290010060000290010060000#480140080000-480140080000

Luca 2:7; Genesi 42:27; Esodo 4:24#490020070000490020070000#010420270000-010420270000#020040240000020040240000

49010035Lc 10:35

35. E il giorno appresso, partendo, trasse fuori due denari (lire it. 1.65) e li diede all'oste, e gli disse: Prenditi cura di costui; e tutto ciò che

spenderai di più io tel renderò quando io ritornerò.

La sua compassione non cessò quando egli lo ebbe condotto in salvo all'osteria. Avrebbe potuto dire con verità: "Ho fatto la parte mia verso il vostro concittadino, fate ora voi". Ma, invece di ciò pagò lo scotto di quel giorno, e si rese mallevadore, per ogni spesa avvenire. La somma, data partendo dal Samaritano, non prova punto che questo pandokeion fosse un albergo privato dove i viaggiatori pagavano il vitto e l'alloggio; la sua piccolezza ce la fa piuttosto considerare come la mancia (in arabo backshish), che si dà al custode del caravanserraglio, khandji. Il Giudeo ferito essendo stato spogliato di tutte le provviste ed effetti, il Samaritano, partendo, raccomanda al kandji di averne cura promettendogli di rimborsare al ritorno tutte le, spese che potrebbe fare per comprar cibo al misero suo protetto. Nobilissima condotta per parte di un amico e tanto più mirabile in uno che era forestiero ed apparteneva ad una razza ostile! «Si osservi la progressione: prima il cuore compassionevole, poi la mano soccorritrice, quindi il piede volonteroso, finalmente la previdenza amorevole dell'avvenire» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Matteo 20:2#470200020000-470200020000

Romani 16:23#520160230000-520160230000

Luca 14:13; Proverbi 19:17#490140130000490140130000#240190170000-240190170000

49010036Lc 10:36

36. quale adunque di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che si abbattè nei ladroni?

Qui Gesù applica la parabola al suo interrogante. Si noti che non rispose direttamente alla domanda del legale: Chi devo io amare come mio

prossimo? ma vi rispose ciò nonostante in modo chiarissimo, mostrando quell'amore esercitato da un forestiero verso uno che le sue antipatie nazionali lo avrebbero condotto ad evitare. Molto destramente volse egli la quistione dal modo di porla del legale: "Chi devo io amare come il mio prossimo" a quello più significativo: "Quale è l'uomo che dimostra un amore come quello?" costringendolo a dare una risposta ben diversa da quella che avrebbe amato dare, una risposta che condannava la propria nazione, e lodava un uomo che apparteneva ad una razza profondamente odiata.

PASSI PARALLELI

Luca 7:42; Matteo 17:25; 21:28-31; 22:42#490070420000490070420000#470170250000-470170250000#470210280000470210310000#470220420000-470220420000

Luca 10:29#490100290000-490100290000

49010037Lc 10:37

37. Ed egli disse: Colui che usò misericordia inverso lui. Gesù adunque gli disse: Va' e fa' tu il simigliante.

Il caso era tanto chiaro che nessun'altra risposta era possibile, ma il legale la diede con riluttanza; l'orgoglio non gli consentì di nominare il Samaritano, egli lo designa semplicemente come colui. L'applicazione che Gesù fa della domanda «chi, è il mio prossimo?» benché rivolta al legale si estende a tutti gli uomini, ed è suo volere che ogni Cristiano l'applichi a se stesso. «Va' e fai tu il simigliante». Oltre a quest'ovvia e letterale applicazione della parabola, un gran numero di espositori insistono nel darle un senso allegorico, secondo il quale il ferito rappresenterebbe la nostra razza rovinata dal peccato; i ladri, le varie classi dei nostri nemici spirituali; il sacerdote ed il levita, l'insuccesso dei varii metodi legali inventati dalla saviezza umana per guarire il peccato; l'albergo e l'albergatore, la chiesa ed il ministro; mentre il Samaritano ci offrirebbe il tipo del Redentore nella sua venuta e nel suo uffizio; ma tutti i pregiudiziati interpreti la ritengono

erronea. Non v'ha nulla nella parabola stessa o nel contesto che c'induca a supporre che il Signore volesse con quella insegnare più di una lezione, cioè la vera natura dell'amor del prossimo. L'interpretazione allegorica involve manifeste assurdità, specialmente per quanto concerne l'albergo e l'albergatore. Finalmente è un modo pericoloso di interpretare, la Scrittura, il considerar qualsiasi senso che si possa cavar fuori dalle parole, come una legittima illustrazione di esse. Per la natura stessa delle cose, non si può mancar di trovare una rassomiglianza col Redentore, ogni qual volta un cuore amorevole mostra pietà per un fratello caduto, e. gli stende in soccorso una mano robusta: ma non possiamo andar più in là di questa analogia generale. L'insegnamento di questa parabola è lo stesso che quello del passo: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amati voi» Giovanni 15:12#500150120000-500150120000.

PASSI PARALLELI

Proverbi 14:21; Osea 6:6; Michea 6:8; Matteo 20:28; 23:23; 2Corinzi 8:9; Efesini 3:18-19; 5:2#240140210000-240140210000#350060060000350060060000#400060080000-400060080000#470200280000470200280000#470230230000-470230230000#540080090000540080090000#560030180000-560030190000#560050020000560050020000

Ebrei 2:9-15; Apocalisse 1:5#650020090000650020150000#730010050000-730010050000

Luca 6:32-36; Giovanni 13:15-17; 1Pietro 2:21; 1Giovanni 3:16-18,23-24; 4:10-11#490060320000-490060360000#500130150000500130170000#670020210000-670020210000#690030160000690030180000#690030230000-690030240000#690040100000690040110000

RIFLESSIONI

l. Per natura nel cuor di ogni uomo manca il principio dell'amore a Dio. Subito dopo il fallo, per effetto di paura, «Adamo con la sua moglie, si nascose dal cospetto del Signore, per mezzo degli alberi del giardino» Genesi 3:8#010030080000-010030080000, perché col ribellarsi contro Dio avean fatto naufragio in quanto al loro «primo amore». Gli uomini ci vengono ora descritti come «amatori della voluttà, anziché di Dio» 2Timoteo 3:4#620030040000-620030040000, e come «alieni e nemici con la mente, nelle opere malvage» Colossesi 1:21#580010210000580010210000. Senza una rinnovazione della mente e del cuore, non può dunque trovarsi in noi amore a Dio. Questo santo affetto procede da Dio medesimo, essendo impiantato e cresciuto nell'anima, per l'influenza dello Spirito Santo Romani 5:5#520050050000-520050050000. Lo Spirito lo produce, facendo nascere nel cuor degli uomini la certezza dell'amor di Dio manifestato loro in Cristo Gesù. Esso consiste in alta stima per Dio come infinitamente glorioso, santo e compassionevole Salmi 73:2526#230730250000-230730260000: in ardente desiderio di goder la sua comunione Salmi 72:2-3#230720020000-230720030000; è il risultato della convinzione deliberata dell'intelligenza, in opposizione a mero entusiasmo; è un principio attivo che non si soddisfa con semplici professioni di labbra, «Questo è l'amor di Dio, che noi osserviamo i suoi comandamenti» 1Giovanni 5:3#690050030000-690050030000; ed il vero amor di Dio regna supremo, sopra ogni altro affetto del cuore. È dovere nostro l'esaminare noi stessi, se quell'amore a Dio è stato impiantato nel nostro cuore dallo Spirito, e se ci sforziamo di accrescerne con diligenza la misura, mediante l'uso costante dei mezzi di grazia, ricordandoci che il nostro scopo deve essere sempre di amare il nostro Padre in cielo, con tutto il nostro cuore con tutta l'anima nostra, con tutta la nostra mente e con tutto il nostro cuore

2. L'amore al prossimo deve distinguersi da quell'«amor fraterno, che Gesù raccomanda ai suoi discepoli nel suo discorso di congedo Giovanni 13:34#500130340000-500130340000. Quest'ultimo ha per oggetto «coloro che hanno ottenuto fede di pari prezzo che noi»; per misura l'amore di Cristo; e la fede che salva per suo fondamento. Una grande proporzione degli abitanti del mondo che sono all'infuori dei limiti di quella scelta compagnia, non sono però all'infuori di quelli di questo comandamento. Né dobbiamo, come i Giudei, estendere il nostro affetto solo alle nostre

famiglie, parenti ed amici. L'amore del prossimo abbraccia tutti gli uomini. È quel puro sentimento di filantropia che non chiede: «Chi è il mio prossimo!» ma vede in ogni uomo un fratello, e sente pietà di tutti gli sventurati. «La sua estensione», dice Oosterzee, «è illimitata, le sue caratteristiche sono l'operosità volenterosa, l'abnegazione, la liberalità e la perseveranza, che possiamo ammirare nella condotta del Samaritano; e la sua ricompensa, oltre l'approvazione della coscienza, e la lode involontaria di quelli di opposta opinione, è la testimonianza di Dio che presenta queste opere dell'amore, come modello ad altri». Invece di questa filantropia universale che inculca il Signore, l'egoismo è la caratteristica principale della gran maggioranza dell'umanità, e le parole stizzose di Caino: «Sono io guardiano del mio fratello?» è la risposta di molti alle domande di tempo e di denaro, che vengono loro fatte in pro' dei loro vicini poveri e bisognosi. Che facciamo noi, ognuno nella propria posizione, per provare che questa grandiosa parabola di Cristo è la regola della nostra vita giornaliera? Non dimentichiamo mai che nel proporci ad esempio la condotta del Samaritano, il nostro Maestro ci ha aggiunto il comandamento: «Va, e fa, tu il somigliante».

49010038Lc 10:38

Luca 10:38-42. VISITA DI CRISTO A MARTA ED A MARIA IN BETANIA

38. Ora, mentre essi erano in cammino

Questo interessantissimo episodio della carriera terrestre del Signore viene ricordato dal solo Luca. Le parole del principio di questo versetto lo connettono evidentemente coll'ultimo viaggio del nostro Signore, dalla Galilea a Gerusalemme, il principio del quale è già stato studiato in Luca 9:51#490090510000-490090510000. Siccome esso durò dai quattro ai cinque mesi, durante i quali il Signore fece due volte una breve visita a Gerusalemme, e ritornò di nuovo all'opera alla quale egli si era accinto in Perea, e siccome Luca non assegna data alcuna a questa visita in Betania,

val meglio lasciare interamente da parte le teorie degli Armonisti, le quali (quando non negano l'identità di queste Marta e Maria, colle sorelle di Lazaro, a noi cose note Giovanni 11#500110000000-500110000000) alternano fra il supporre che si trasferissero dalla Galilea alla Giudea, dopo che Gesù ebbe cominciato il suo viaggio, e il supporre che esse possedevano una casa in entrambe queste provincie, in ognuna delle quali esse risiedevano a turno.

avvenne ch'egli entrò in un castello;

Benché il villaggio non sia nominato, trattasi senza dubbio di Betania, situata quattro o cinque stadii, ossia circa due miglia ad E. di Gerusalemme, poiché in Giovanni 11:1#500110010000-500110010000, essa è espressamente detta «il castello di Maria e di Marta», e indicata come la dimora di Lazaro: or nessuna persona di giudizio crederà mai che gli evangelisti ci parlino di due paia di sorelle, portanti gli stessi nomi entrambe intime di Cristo, ma dimoranti in parti diverse del paese, senza far qualche distinzione fra di loro.

e una corta donna, chiamata per nome Marta, lo ricevette in casa sua.

Luca scrivendo per l'istruzione di Teofilo e dei Gentili, ricorda in modo molto generico gli accessori di questo fatto, come cose di poco interesse pei suoi lettori. Perciò dice un castello e non il castello di Betania; perciò pure ci parla dell'accoglienza del Signore in casa di Marta, come un semplice atto di ospitalità verso uno straniero. Non possiamo sapere in che modo Gesù entrò in relazioni di amicizia con quella famiglia, probabilmente fu nelle sue visite a Gerusalemme durante i due primi anni del suo ministero; ma l'accoglienza che ebbe dalle sorelle, l'attività di Marta nel preparargli cibo e ristoro, il contegno rispettoso ed attento di Maria nell'ascoltar le sue istruzioni, tutto nel racconto di Luca ci prova che Gesù non si presentò in quel giorno per la prima volta alla lor porta come un forestiero. Marta ci vien presentata come la padrona di casa, e questo ha fatto supporre ad alcuni che essa fosse una vedova, lasciata ricca dal marito; ma è una mera congettura, poiché mancano assolutamente notizie storiche su di lei, e sui

rapporti in cui stava col fratello e colla sorella, ed invero gli evangelisti raramente entrano in tali particolari sulle persone di cui ci parlano.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:1-5; 12:1-3#500110010000-500110050000#500120010000500120030000

Luca 8:2-3; Atti 16:15; 2Giovanni 10#490080020000490080030000#510160150000-510160150000#700010100000700010100000

49010039Lc 10:39

39. Ora ella avea una sorella, chiamata Maria la quale ancora,

Webster e Wilkinson traducono «là quale per parte sua», contrastandola con Marta.

postasi a sedere ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.

Gli scolari fra gli Ebrei stavano seduti in terra attorno ai loro maestri, e perciò la frase «sedere ai piedi» di qualcuno equivaleva ad esser suo discepolo; questo senso essa ha senza dubbio qui, quantunque le parole debbano pure intendersi alla lettera dell'attitudine presa da Maria. Essa dava ascolto alle istruzioni rivoltele dal Signore, e ne faceva tesoro nel suo cuore e nella sua memoria. Come Davide, avrebbe potuto dire: «La legge della tua bocca mi è migliore che le migliaia d'oro e d'argento» Salmi 119:72#231190720000-231190720000.

PASSI PARALLELI

Luca 2:46; 8:35; Deuteronomio 33:3; Proverbi 8:34; Atti 22:3; 1Corinzi 7:32-40#490020460000-490020460000#490080350000-

490080350000#050330030000-050330030000#240080340000240080340000#510220030000-510220030000#530070320000530070400000

49010040Lc 10:40

40. Ma Marta era occupata intorno a molti servigi.

Guardiamoci dal credere, dietro a quanto ci vien qui detto di Marta, che non avesse amore alcuno per Gesù, e non si curasse della sua dottrina; né dobbiamo concludere che i molti servigi fossero le faccende domestiche, che si sarebbero potute rimandar fin dopo la partenza di Gesù, perché in quel caso il suo contegno sarebbe stato dei più scortesi. I molti servigi si devono intendere dei preparativi cui essa credette doversi accingere per onorare l'amato loro ospite; la sua devozione manifestavasi coll'affaticarsi per provvedere ai bisogni corporei di Gesù, ed essa non poteva da sola preparare il pasto che intendeva imbandire dinanzi a Lui.

Ed ella venne, e disse: Signore, non ti cale egli che la mia sorella mi ha lasciata sola a servire? dille adunque che mi aiuti.

Brown osserva che la parola venne fa credere che Marta venisse fuori da un'altra camera dove fosse occupata intorno a faccende domestiche per presentar la sua richiesta a Gesù. mi ha lasciata parrebbe indicare che per un tempo Maria avea prestato aiuto a sua sorella, e non si era seduta ai piedi di Gesù che quando le parve che Marta prolungasse di troppo i suoi preparativi. Il rimprovero di Marta era rivolto al Signore, non meno che alla sorella, come se avesse detto: "Questi preparativi, io li fo solo per onorarti il più che mi sia possibile, e non hai tu compassione di me, che la ritieni coi tuoi discorsi quando io ho tanto bisogno del suo aiuto?" Convinta che Gesù non può se non riconoscere giusta la sua lagnanza, e che una sua parola avrà influenza sulla sua sorella, cosa aggiunge: «Dille adunque che mi aiuti».

PASSI PARALLELI

Luca 12:29; Giovanni 6:27#490120290000-490120290000#500060270000500060270000

Matteo 14:15; 16:22; Marco 3:21#470140150000470140150000#470160220000-470160220000#480030210000480030210000

Luca 9:55; Giona 4:1-4#490090550000-490090550000#390040010000390040040000

49010041Lc 10:41

41. Ma Gesù rispondendo, le disse: Marta, Marta,

Con questa ripetizione del suo nome, il Signore esprime affetto e compassione ad un tempo per Marta, mentre cerca pure di ritrarla con dolce fermezza dalla sua dissipazione di mente.

tu sei sollecita, e ti travagli.

La prima parola esprime la sua interna ansietà che i suoi preparativi fossero degni del suo Signore, l'ultima il suo affaccendarsi esterno per condurli a termine intorno a molte cose. Queste sono «i molti servizi» del ver. 40. Con queste molte cose, che distraevano la mente di Marta, e stancavano le sue forze, il Signore contrasta l'una cosa, di una importanza infinitamente superiore che avea impegnata tutta quanta l'attenzione di sua sorella.

PASSI PARALLELI

Luca 8:14; 21:34; Marco 4:19; 1Corinzi 7:32-35; Filippesi 4:6#490080140000-490080140000#490210340000490210340000#480040190000-480040190000#530070320000530070350000#570040060000-570040060000

Ecclesiaste 6:11; Matteo 6:25-34#250060110000250060110000#470060250000-470060340000

49010042Lc 10:42

42. Or, d'una sola cosa fa bisogno

Alcuni scrittori spiegano questo come se Gesù avesse detto: «Una vivanda mi basta»; ma se anche vi fosse nel polla una qualche allusione ad una preparazione sovrabbondante per provvedere a dei bisogni temporali, essa dev'essere rigettata qui poiché il Signore stesso indica distintamente che voglia dire colla «sola cosa», aggiungendole, come equivalente l'espressione: la buona parte. Né dobbiamo intendere la sola cosa necessaria, unicamente del ricevere convenientemente il Signore, come fa Olahausen, bensì della comunione con Cristo, del ricevere quelle verità salutari che egli come il Profeta Mediatore venne personalmente ad insegnare e che sole possono farci savi a salute. Marta, nella sua sollecitudine, perdeva il benefizio accettevole.

Ma Maria ha scelta la buona parte, la quale non le sarà tolta.

La grazia di Dio è la sola porzione che possa soddisfare il Cristiano; essa gli assicura benedizioni spirituali ed eterne, od in altre parole la grazia e la gloria, e questa fu la scelta di Maria. Gesù la chiama la buona parte, perché è la sola sostanziale, soddisfacente, reale e durevole. È «buona» in malattia ed in salute, in gioventù ed in vecchiaia, nell'avversa e nella prospera fortuna e di tutti i beni che possediamo in sulla terra è il solo di cui la morte non ci possa spogliare. In quell'ora, Gesù nudriva l'anima di Maria con quella grazia dietro alla quale l'anima sua anelava in modo così evidente; e l'avvertimento del Signore a Marta è al tempo stesso un invito che le vien rivolto di venire a partecipare essa pure di quel cibo spirituale. Questo passo è una bella illustrazione di quello che il Signore vuol dire in Giovanni 14:23; Apocalisse 3:20#500140230000-500140230000#730030200000730030200000. Sarebbe un grande errore il supporre, come fanno alcuni, che Marta, benché di carattere, generoso ed ospitale, non fosse vera seguace

di Gesù. Il suo contegno, verso Cristo, in occasione della morte di Lazaro, è una confutazione sufficiente di tale idea. Essa e sua sorella ci son presentate come esempi di due aspetti diversi del carattere cristiano, cioè l'interna divozione, e l'attività pratica. Quest'ultima è una qualità molto preziosa in un credente; ma in mezzo alle giornaliere occupazioni della vita, essa può, se non viene invigilata con continuo preghiere, divenire un tranello, permettendo alle cure ed ai fastidii delle cose mondane di indebolire la vita spirituale dell'anima. Ma c'è d'altra parte un pericolo che le meditazioni spirituali generino la pigrizia e la trascuranza dei doveri che, quali cristiani, abbiamo verso le nostre famiglie, verso la chiesa visibile e la società in generale, e contro questo pericolo le Marie devono stare in guardia, non meno che le Marte contro le attrazioni del mondo. Le parole di Cristo Luca 11:42#490110420000-490110420000, ben si possono applicare ad entrambe: «E si conveniva fare queste cose, e non lasciar quelle altre». Quel cristiano è più vicino alla perfezione del quale i caratteri delle due sorelle sono mescolati in parti uguali.

PASSI PARALLELI

Luca 18:22; Salmi 27:4; 73:25; Ecclesiaste 12:13; Marco 8:36; Giovanni 17:3; 1Corinzi 13:3; Galati 5:6#490180220000490180220000#230270040000-230270040000#230730250000230730250000#250120130000-250120130000#480080360000480080360000#500170030000-500170030000#530130030000530130030000#550050060000-550050060000

Colossesi 2:10-19; 1Giovanni 5:11-12#580020100000580020190000#690050110000-690050120000

Deuteronomio 30:19; Giosuè 24:15,22; Salmi 17:15; 119:30,111,173#050300190000-050300190000#060010010000060010010000#060010220000-060010220000#230170150000230170150000#231190300000-231190300000#231191110000231191110000#231191730000-231191730000

Salmi 16:5-6; 142:5#230160050000-230160060000#231420050000231420050000

Luca 8:18; 12:20,33; 16:2,25; Giovanni 4:14; 5:24; 10:27-28; Romani 8:3539#490080180000-490080180000#490120200000490120200000#490120330000-490120330000#490160020000490160020000#490160250000-490160250000#500040140000500040140000#500050240000-500050240000#500100270000500100280000#520080350000-520080390000

Colossesi 3:3-4; 1Pietro 1:4-5#580030030000580030040000#670010040000-670010050000

RIFLESSIONI

1. Impariamo da questo racconto qual pericolo possono diventare per le anime nostre le cure di questo mondo, se permettiamo loro di occupar soverchiamente la nostra attenzione. È chiaro che lo zelo eccessivo di Marta per le cose temporali, e la sua ansietà di trattare in modo conveniente il suo Signore e Maestro la preoccuparono al punto di farle scordare per un tempo le cose dell'anima sua Questo orrore di Marta dovrebb'essere un continuo avvertimento ai Cristiani tutti. Se vogliamo crescere in grazia e prosperare in quanto all'anima, stiamo in guardia contro le sollecitudini del mondo. Se non vegliamo ed oriamo, esso roderanno insensibilmente la nostra spiritualità, ed impoveriranno le anime nostre. Nella gran maggioranza dei casi non è dai peccati aperti, dalle trasgressioni flagranti della legge di Dio, bensì dall'attenzione eccessiva data a cose legittime in sé che nasce quell'«amore al mondo», che perde gli uomini. Le cose buone di questo mondo, usate con moderazione, sono delle benedizioni per le quali dobbiamo esser grati a Dio; ma se permettiamo che preoccupino i nostri pensieri, cattivino i nostri cuori, e calpestino le cose sante, esse divengono una vera maledizione.

2. Questo rimprovero di Marta è dovuto all'eccesso di una preziosa qualità, che in altra occasione fu mantenuta nei limiti Giovanni

12:2#500120020000-500120020000. La qualità che vien lodata in Maria ha i suoi eccessi essa pure, e contro a quelli pure dobbiamo stare in guardia. «È vero che la predominanza dell'attività impulsiva di una delle due sorelle è sfavorevole alla profondità del pensiero, all'elevatezza del sentimento; ma la predominanza della docilità passiva dell'altra sorella è atta ad ingenerare una disposizione morbida, ed a condurre a speculazioni nebulose e sentimentali, anziché ad una conoscenza vera ad una soda saviezza. Una chiesa piena di Marie sarebbe forse un male non meno grande che una Chiesa tutta composte di Marte. Entrambe sono necessarie per completarsi a vicenda» (Brown).

3. Gli scrittori cattolici romani amano citar questo passo tutto intero, in appoggio della vita conventuale o monastica, asserendo che i frati e le monache cono simili a Maria, e le persone occupate in carriere secolari simili a Marta. Il loro paragone però non calza punto. Se di tutti i frati e di tutto le monache si potesse dire, che, «postisi a sedere ai piedi di Gesù, ascoltano le sue parole», vi potrebb'essere qualche cosa di vero in quel che dicono. Disgraziatamente i conventi ed i monasteri, come è stato provato con evidenza, sono gli ultimi luoghi dove possiamo sperar di trovare degli imitatori di Maria. Bucero, nel suo Commentario, parla molto saviamente su questo punto.

49011001Lc 11:1

CAPO 11 - ANALISI

1. La preghiera modello, e gli incoraggiamenti a pregare dati da Cristo ai suoi discepoli. Ad eccezione di alcune varianti nelle parole, varianti che non toccano il senso, e dell'omissione della dossologia in fine, la preghiera riportata dal nostro Evangelista s'assomiglia così strettamente a quella che Cristo pronunziò nel suo discorso in sul Monte, da lasciarci a prima lettura l'impressione che Luca riferisce, in questo passo, quanto da Gesù venne pronunziato allora. Però le circostanze speciali che Luca ricorda come quelle che hanno indotto il Signore a pronunziarla dissipano affatto questa impressione. Imperocché, mentre in sul Monte, così le istruzioni relative alla

preghiera, come la formola che Gesù ne diede in modello, uscirono spontaneamente dalle labbra del Signore, come parti del suo discorso, qui esse vengono date in risposta ad una ardente preghiera per parte di uno dei discepoli (non uno dei dodici, ma probabilmente uno che da poco tempo si era dato a Cristo), per saper come, in qualità di discepoli, essi dovevano avvicinarsi a Dio, e quali cose doveano domandare. La stessa difficoltà, sorta dall'insegnamento del loro maestro sulla pronta comparsa del Messia, avea colpito i discepoli del Battista, epperciò egli avea loro insegnato in quali termini essi dovessero pregare per la immediata rivelazione del Figlio di Davide. Non si può supporre che sia i discepoli di Giovanni, sia quest'uomo, ignorassero completamente, o trascurassero fino al momento in cui fecero quella domanda, le varie forme di preghiere usate fra i Giudei. Questa formola modello di preghiera ha riferenza ai doveri così della prima come della seconda. Tavola della legge morale, e finché durerà il mondo tutte le volte che sarà offerta nel nome di Gesù, il grande Sacrifizio ed Intercessore, essa salirà dinanzi a Dio, come incenso di grato odore. Ma esca era particolarmente appropriata alla situazione dei suoi discepoli, fino alla Pentecoste, perché la gloria di Dio non avea ancora talmente penetrato le loro intelligenze ottenebrate da renderli capaci di conoscere Gesù nel suo carattere di Mediatore. Pochi mesi dopo questo fatto, Gesù così li rimproverava per non aver messo a profitto i loro privilegi spirituali per ignoranza della sua opera mediatrice: «Fino ad ora, non avete domandato nulla nel nome mio» Giovanni 16:24#500160240000-500160240000. Esaudita la richiesta dei suoi discepoli, Gesù li urge tutti a perseverare nella preghiera, mediante una illustrazione ad essi molto famigliare, la vittoria cioè riportata dall'importunità sulla pigrizia di un uomo che è stato disturbato nel mezzo della notte da un suo vicino, costretto a prender del pane ad imprestito, a quell'ora inopportuna, per esercitare i doveri della ospitalità. Se l'importunità vinse in un caso come quello, essa prevarrà certamente con «Iddio che è ricco in misericordia inverso quelli che l'invocano» Romani 10:12. Quindi, per rinforzare quel dovere, Gesù ripete dal sermone in sul Monte, il contrario fra quanto l'affetto di un padre terrestre lo spinge a fare per provvedere ai bisogni temporali dei suoi figli, e i doni molto più preziosi che provengono dall'amore del nostro Padre celeste Luca 11:1-13.

2. Guarigione di un indemoniato cieco e mutolo. Il Signore risponde alla maligna interpretazione che vien data di quel miracolo. Luca non ci dà il luogo dove fu fatto questo miracolo, ma Matteo pare indicare Capernaum, o il vicinato. È certo che l'odio verso Gesù, sfogato in questa circostanza dagli Scribi e dai Farisei, è di data anteriore a questo suo ultimo viaggio attraverso la Perea, fino a Gerusalemme, epperciò inchiniamo a credere che Luca l'inserisse qui senza darsi pensiero dell'ordine cronologico. La malattia di quest'uomo era molto grave, poiché Matteo ci dice che non era solo mutolo, ma anche cieco, e privo perciò di tre dei sensi coi quali comunichiamo col mondo esterno. Il cambiamento prodotto su quest'uomo dall'atto di Cristo, non fu negato dai suoi nemici; essi non si lagnarono che gli spettatori fossero stati ingannati, per accordo fra l'operatore e il suo complice, ma per accertare il popolo contro a Cristo, subito proclamarono esser egli un impostore di ben più nera tinta, e di specie più pericolosa assai, poiché pretendeva far miracoli in nome di Dio, mentre in realtà era in lega con Satana, e da lui derivava tutto il suo potere. Con tale accusa, dimostrarono di essersi decisi contro di lui, e dichiararono di volergli fare da quell'ora in poi guerra fiera e spietata. Supponendo che sotto tale accusa, Gesù si indurrebbe a dar qualche prova segnalata del divino suo mandato, altri, tentandolo, gli rappresentavano che, per mantener la sua riputazione, occorreva che desse un segno nei cieli, perché più non potevano accettare i miracoli che faceva in terra. La risposta di Cristo a tale domanda è semplice e senza replica. Un regno diviso deve cadere in rovina; se Satana cercasse di estendere il suo regno in terra col prender possesso dei corpi e delle anime degli uomini, e Cristo col potere e il mandato di Satana combattesse e mettesse in fuga gli emissari di quello, il risultato non potrebbe essere altro che la confusione e la ruina del principe delle tenebre, il quale è troppo furbo per esporsi a questo; perciò la loro accusa non era meno assurda che blasfematoria Luca 11:14-20.

3. Parabola dell'uomo forte. Sotto questa similitudine, il Signore spiega la sua situazione dirimpetto a Satana, ora che egli è apparito in terra. Come un uomo forte e ben armato, trincerato nella sua fortezza, che veglia sugli schiavi suoi prigionieri, così Satana mantiene il suo usurpato potere su questo mondo e sui suoi abitanti, finché non giunga qualcuno più forte di lui, lo sconfigga, lo disarmi, lo leghi, per quindi prender possesso dei suoi

tesori, e liberare i suoi prigionieri. Ben lungi dall'essere in lega con Satana, Gesù è quel «più potente» che è venuto per distruggerlo, per liberar le sue vittime, e per cacciarlo finalmente nello stagno ardente di fuoco e di zolfo Luca 11:21-23.

4. Parabola dello spirito immondo che ritorna alla sua casa e la trova vuota. Cristo continua a parlare a quelli che aveano con malignità attribuito il suo miracolo ad un accordo fra Satana e lui. Le parole del ver. 23 sembrano intese ad unire le due parabole. Era naturale aspettare che tutti i prigionieri dell'uomo potente, avrebbero ricevuto con gioia il loro liberatore ed abbracciato la sua causa, ma così non è. Molti, pieni in sulle prime di entusiasmo, intiepidiscono, altri zoppicano dai due lati, non si dichiarano contro a Cristo, ma han cura di non esporsi all'odio ed al disprezzo del mondo. Fra quelli che l'udivano, molti, senza dubbio, non ardivano dichiararsi suoi discepoli, per timore dei Farisei, e per amore del mondo; a tali ci dice: «Chi non è meco, è contro a me, e chi non raccoglie meco sparge». La parabola illustra la posizione pericolosa occupata da tali dubbiosi, esitanti e calcolatori cristiani di nome. Uno spirito immondo, che avea occupato uno spirito ed un corpo umano per tanto tempo da considerarlo come casa sua, lo abbandona volontariamente per un tempo, o ne viene scacciato, e se ne va errando senza riposo in aridi deserti (tale era, secondo i Giudei, la sorte riserbata agli spiriti spossessati, o non impiegati attivamente a tormentare le loro vittime), finché prende la disperata risoluzione di tornarsene nella sua dimora di prima. La trova in uno stato per lui molto migliore di quanto avrebbe sperato, nettata invero dei vizii flagranti di prima, adorna di forme e di professioni religiose senza vita, ma pur sempre vuota, e chiamati in suo aiuto sette altri spiriti peggiori di lui (in altre parole tutta la satanica podestà), riprende possesso di quel cuore vuoto, e riduce quell'uomo in una schiavitù eterna e senza speranza. Questa parabola illustrava in un modo molto calzante lo stato della maggioranza della nazione giudaica al momento in cui Cristo la pronunziò. La predicazione di Giovanni Battista avea prodotto in tutte le classi un notevolissimo risveglio, caratterizzato dal pentimento e dalla aspettazione della venuta di Cristo. Il diavolo era stato cacciato per un tempo. Ma quel movimento finì in una riforma esterna, senza conversione. I cuori degli uomini furono spazzati e adorni, ma rimasero pur sempre vuoti, benché il

Figlio di Dio domandasse che gli venissero aperti. Satana dunque, cogliendo l'occasione al volo, ne riprendeva possesso, per fare la loro «ultima condizione peggiore della primiera»: Uno studio attento della storia giudaica durante i 37 anni che corsero dal crocifiggimento di Cristo alla distruzione di Gerusalemme, mostra in che modo tremendo fosse adempiuta quella profezia. Ma essa, non deve intendersi solo dei Giudei: in 134 ogni secolo sonvi esempi notevoli di uomini che abbandonano il peccato flagrante, e dànno per un tempo tutti i segni esterni della conversione, ma i cui cuori essendo vuoti, privi cioè della presenza di Cristo per Spirito, sono alla fine sedotti da Satana e ridivengono i suoi schiavi più abietti di prima 2Pietro 2:20-22, ci dà una descrizione straziante della fine ultima di tali persone Luca 11:24-26.

5. Chi sono veramente benedetti? Nella folla, una donna colpita di maraviglia per tali detti di Cristo, espresse la sua ammirazione con sentimenti veramente femminili, implorando cioè la benedizione di Dio, su colei che aveva avuto la fortuna di esser madre ad un tanto Maestro. Il Signore non lascia passare inosservate quelle parole; egli non nega neppure che un grande onore fosse stato conferito a sua madre, ma dichiara che la vera beatitudine deriva dall'essere nel numero di quelli che ascoltano ed osservano la parola di Dio Luca 11:27-28.

6. Risposta di Cristo a quelli che domandavano un segno dal Cielo. Questa risposta vien data dinanzi ad una moltitudine costantemente crescente, la quale gli domanda un segno dal cielo, perché i miracoli da lui fatti in cose terrene, essendo stati attribuiti al potere di Belzeebub, più non eran tenuti come degni di fede. Gesù ricusa positivamente di farlo e rimanda i Giudei al miracolo fatto da Dio nel liberare Giona dal ventre della balena come segno della sua risurrezione dai morti, che solo il potere di Dio poteva compiere. Quindi condanna la loro incredulità, citando la condotta della Regina di Saba e degli uomini di Ninive; e con una parabola, ripetuta dal sermone in sul Monte, e fondata sul paragone dell'occhio come luce del corpo, dichiara che il senso dei suoi insegnamenti e dei suoi miracoli è perduto per loro, perché chiudono ad essi gli occhi della loro mente, che dovrebbero essere la luce dell'anima loro Luca 11:29-36.

7. Discorso di Gesù contro i Farisei e i dottori della legge. Fu pronunziato questo discorso in casa di un Fariseo, da cui egli era stato invitato a desinare, e dove evidentemente trovavansi pure molti di quella setta. Vi diede luogo la sorpresa manifestata dal padrone di casa, nel vedere che Gesù avea violato la tradizione degli anziani mangiando con mani non lavate. Una occasione più propizia di questa per isvelare la loro ipocrisia, e minacciarli dei giudizi di Dio so non si pentivano, non si sarebbe forse mai presentata, ed il Signore ne approfittò per accusarli di contentarsi della purezza esterna, mentre il loro cuore rimaneva pieno di rapina e di immondizia; di osservar le minuzie della legge morale; di esser pieni di orgoglio e finalmente di odiare i veri servi di Dio, quantunque in segno di rispetto, edificassero i monumenti dei profeti che i loro padri aveano messi a morte. L'orgoglio dei Farisei non avea mai ricevuto colpi così gagliardi come queste verità, e per vendicarsi cercarono di sedurre Gesù a dir cose che poi potessero volgere alla sua ruina Luca 11:37-54.

Luca 11:1-15. GESÙ INSEGNA AI SUOI DISCEPOLI A PREGARE, E LI ESORTA A PERSEVERAR NELL'ORAZIONE Matteo 6:9-15; 7:711#470060090000-470060150000#470070070000-470070110000

Per la esposizione di parte di questo passo Vedi note sui passi paralleli in Matteo 6:7Matteo 6:7.

Il fatto che dettò la domanda, Luca 11:1-4

1. Ed avvenne che, essendo egli in un certo luogo, orando, come fu restato, alcuno (un certo) de' suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci ad orare, siccome ancora Giovanni ha insegnato a' suoi discepoli.

Benché, Luca non ci dica né il tempo né il luogo in cui avvenne questo fatto, i particolari ne differiscono talmente da quelli in cui l'orazione domenicale fu pronunziata nel discorso in sul Monte, da renderci sicuri che questa

ripetizione di quella mirabile preghiera appartiene ad un'epoca di molto posteriore del ministero di Cristo. Chi fece questa domanda non era evidentemente uno degli Apostoli, poiché tutti i dodici erano stati presenti quando Gesù pronunziò per la prima volta l'orazione domenicale, e non aveano d'uopo che venisse loro ripetuta. La parola ne indica che egli era uno fra molti discepoli, il cui nome non era conosciuto, ed è lecito supporre che divenisse seguace di Cristo posteriormente al discorso in sul Monte, epperciò non sapesse che Gesù già avea dato ai suoi discepoli un modello di preghiera. Il Signore soleva spesso allontanarsi dai suoi discepoli per pregare in privato, quest'uomo lo avea osservato, e commosso a quella vista, avrebbe voluto, se solo avesse saputo come, versare egli pure l'anima sua dinanzi a Dio. Si noti che fu la silenziosa ma potente influenza dell'esempio di Cristo, che svegliò nel cuor di quell'uomo il desiderio di pregare, senza più essere schiavo delle forme giudaiche, ed impariamo da ciò che la tacita ed inconscia influenza di una vita santa e conforme al vangelo, è spesso il mezzo di eccitare in uomini non curanti e indifferenti, non solo rispetto per la religione, ma un ardente desiderio di trovar Cristo. Questo discepolo, per appoggiare la sua domanda, dice che Giovanni Battista già avea insegnato ai suoi discepoli a pregare. I Sinottici (ad eccezione di Luca 5:33#490050330000-490050330000, che indica piuttosto dei riti giudaici), non ci dicono nulla dell'insegnamento di Giovanni su questo punto, dimodoché, se non fosse di questa allusione, non sapremmo neppure che lo avesse toccato. Osserva Brown che «l'insegnamento privato del Battista era molto più particolareggiato di quel che crediamo; gli esempi che abbiamo nei Vangeli, essendo soprattutto quelli che egli insegnava alle moltitudini in generale». Sarebbe un assurdo il supporre che quest'uomo avesse fino a quell'ora vissuto come un pagano, e che colla moltitudine di forme di preghiere pubbliche e private allora in uso, egli non avesse mai pregato Iddio. Domandò a Gesù di insegnargli come egli ed altri, quali suoi discepoli dovessero avvicinarsi a Dio, tenuto conto delle loro relazioni con lui, e della sua con Dio come suo Padre, e quali cose dovessero domandare, poiché sentivano che le loro preghiere giudaiche di prima, più non convenivano alla loro posizione ed ai loro bisogni. Il Battista avea insegnato ai suoi discepoli delle preghiere conformi alle dottrine che insegnava, specialmente riguardo alla imminente rivelazione del tanto promesso

Messia, e dopo tutto quello che Cristo avea loro insegnato, i suoi discepoli abbisognavano molto più di tale istruzione.

PASSI PARALLELI

Luca 6:12; 9:18,28; 22:39-45; Ebrei 5:7#490060120000490060120000#490090180000-490090180000#490090280000490090280000#490220390000-490220450000#650050070000650050070000

Salmi 10:17; 19:14; Romani 8:26-27; Giacomo 4:2-3; Giuda 20#230100170000-230100170000#230190140000230190140000#520080260000-520080270000#660040020000660040030000#720010200000-720010200000

49011002Lc 11:2

2. Ed egli disse loro: Quando orerete, dite

ecc. Gesù esaudì subito una domanda così pia e così ragionevole, ma avendo già dato ai suoi discepoli una formola, un modello di preghiera, perfettamente adattato ai loro bisogni ed alle loro capacità, finché egli non fosse glorificato ed il «Consolatore» non scendesse su di loro, egli ripete semplicemente la preghiera che già avea insegnata. Le differenze fra la versione di Matteo e quella che ci occupa son poche e di nessuna importanza vitale, abbenché i critici moderni si siano divertiti a mutilare in vari modi la versione di Luca. Tischendorf, Trogelles, Alford, Meyer ed altri omettono «nostro» e «che sei nei cieli», nella introduzione; «la tua volontà sia fatta in terra come in cielo» nella 3za domanda; e «ma liberaci dal maligno» nella 6sta; ma Lachman le inserisce. Stier le mantiene genuine, e Brown dice che «l'autorità per conservar quelle parole è decisiva». Messi da banda questi criticismi, le sole divergenze fra le due versioni sono la sostituzione in Luca di «giorno in giorno», per «oggi» in Matteo (il che è una semplice estensione dalla domanda della provvista dell'oggi, alla necessità di «tutti i giorni»), e l'omissione della dossologia in fine. Siccome

le grandiose dossologie della Chiesa giudaica passarono naturalmente nelle assemblee cristiane, è probabile che la preghiera del Signore non fu mai usata che nella forma che essa ha in Matteo, benché Luca la riporti come fu dal Signore pronunziata in questa occasione. Per la esposizione dell'orazione domenicale, vedi note Matteo 6:9Matteo 6:9-13.

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 5:2; Osea 14:2; Matteo 6:6-8#250050020000250050020000#350140020000-350140020000#470060060000470060080000

Isaia 63:16; Matteo 6:9-15; Romani 1:7; 8:15; 1Corinzi 1:3; 2Corinzi 1:2; Galati 1:4; Efesini 1:2#290630160000-290630160000#470060090000470060150000#520010070000-520010070000#520080150000520080150000#530010030000-530010030000#540010020000540010020000#550010040000-550010040000#560010020000560010020000

Filippesi 1:2; 4:20; Colossesi 1:2; 1Tessalonicesi 1:1,3; 3:11-13; 2Tessalonicesi 1:1-2; 2:16#570010020000-570010020000#570040200000570040200000#580010020000-580010020000#590010010000590010010000#590010030000-590010030000#590030110000590030130000#600010010000-600010020000#600020160000600020160000

2Cronache 20:6; Salmi 11:4; Ecclesiaste 5:2; Daniele 2:28; Matteo 5:16; 10:32#140200060000-140200060000#230110040000230110040000#250050020000-250050020000#340020280000340020280000#470050160000-470050160000#470100320000470100320000

Levitico 10:3; 22:23; 1Re 8:43; 2Re 19:19; Salmi 57:11; 72:18-19; 108:5#030100030000-030100030000#030220230000030220230000#110080430000-110080430000#120190190000-

120190190000#230570110000-230570110000#230720180000230720190000#231080050000-231080050000

Ezechiele 36:23; Habacuc 2:14; Apocalisse 15:4#330360230000330360230000#420020140000-420020140000#730150040000730150040000

Luca 10:9-11; Isaia 2:2-5; Daniele 2:44; 7:18,27; Apocalisse 11:15; 19:6; 20:4#490100090000-490100110000#290020020000290020050000#340020440000-340020440000#340070180000340070180000#340070270000-340070270000#730110150000730110150000#730190060000-730190060000#730200040000730200040000

Salmi 103:20; Isaia 6:2-3; Matteo 6:10#231030200000231030200000#290060020000-290060030000#470060100000470060100000

49011005Lc 11:5

Esortazioni alla fede ed alla importunità nella preghiera Luca 11:5-l3

5. Poi disse loro: Chi è colui d'infra voi che abbia un amico, il quale vada a lui alla mezzanotte, e gli dica: Amico, prestami tre pani; 6. Perciocché mi è giunto di viaggio in casa un mio amico, ed io non ho che mettergli dinanzi?

In paesi caldi, come la Palestina, si viaggia, per molta parte dell'anno, di notte, mettendosi gli uomini all'ombra, durante il giorno, e dall'altra parte la difficoltà di conservar le vivande in buono stato, induceva le famiglie a provvedersi solo per i bisogni della giornata. Quest'uomo non si trova imbarazzato dall'arrivo del suo amico in ora opportuna, poiché tali casi potevano accadere a tutti, ma dal non esserne egli stato avvisato prima, e dal non avere perciò cibo da dargli. In tali circostanze, si volge subito ad un suo vicino, che supponeva aver forse qualche provvista, picchia fortemente al

suo uscio per svegliarne l'attenzione, gli dipinge l'imbarazzo in cui si trova, e gli domanda tre pani in prestito, fino al giorno seguente.

PASSI PARALLELI

Luca 18:1-8#490180010000-490180080000

49011007Lc 11:7

7. Se pur colui da dentro risponde, e dice: Non darmi molestia; già è serrata la porta, e i miei fanciulli son meco in letto; io non posso levarmi, e darteli;

Il vicino, a quel modo disturbato, mette avanti molte scuse per levarsi d'attorno il suo amico, e finalmente gli rifiuta la sua domanda, non per durezza di cuore, ma per la molestia che gli darebbe l'alzarsi a servirlo.

PASSI PARALLELI

Luca 7:6; Galati 6:17#490070060000-490070060000#550060170000550060170000

Luca 13:25; Matteo 25:10#490130250000-490130250000#470250100000470250100000

49011008Lc 11:8

8. Io vi dico che, avvegnaché non si leva, e non glieli dia, perché è suo amico; pure per tal importunità da esso egli si leverà, e gliene darà quanti ne avrà di bisogno.

Il vocabolo tradotto «importunità», significa impudenza, faccia tosta, nel persistere contrariamente ad ogni convenienza e ragionevolezza, e nel non

volersi accontentare di un rifiuto. La molestia prodotta dall'incessante picchiare, supplicare ed arguire era per quel vicino molto più di quella di alzarsi dal suo letto alla mezzanotte, ed una volta scossa la sua pigrizia, la sua liberalità verso il suo amico si manifesta larga e generosa. È ovvia l'inferenza che il Signore deduce da questa parabola; se uomini avari, egoisti e pigri, possono esser vinti in quel modo dall'importunità, ad onta di ripetuti rifiuti, quanto più potranno le perseveranti nostre preghiere prevalere con Dio «che dona a tutti liberalmente e non fa onta» Giacomo 1:5#660010050000-660010050000! La nostra importunità ben lungi dall'offendere Iddio, gli è piacevole: Egli è più pronto ad ascoltare che noi a parlare; a dare che noi a domandare.

PASSI PARALLELI

Luca 18:1-8; Genesi 32:26; Matteo 15:22-28; Romani 15:30; 2Corinzi 12:8; Colossesi 2:1; 4:12#490180010000-490180080000#010320260000010320260000#470150220000-470150280000#520150300000520150300000#540120080000-540120080000#580020010000580020010000#580040120000-580040120000

49011009Lc 11:9

9. Io altresì vi dico: Chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; picchiate, e vi sarà aperto. 10. Perciocché, chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, ed è aperto a chi picchia.

Queste parole, pronunziate dal Signore nel sermone in sul Monte, son qui ripetute per animarci a perseverare nella preghiera. Domandare, cercare, picchiare, detti della preghiera. sembrano accrescere l'intensità del significato. «Chiedete», come un mendicante chiede l'elemosina, o come uno supplica per ottenere qualche favore segnalato. «Cercate», come chi vuol ritrovare un tesoro perduto. «Picchiate», come chi cerca in qualche casa un rifugio contro la tempesta. E non solo ci è promessa una risposta

favorevole, ma ci è pure dichiarato che tale è l'esperienza di quelli che pregano.

PASSI PARALLELI

Luca 13:24; Matteo 6:29; 21:31; Marco 13:37; Apocalisse 2:24#490130240000-490130240000#470060290000470060290000#470210310000-470210310000#480130370000480130370000#730020240000-730020240000

Salmi 50:15; 118:5; Geremia 33:3; Matteo 7:7-8; 21:22; Marco 11:24; Giovanni 4:10; 14:13#230500150000-230500150000#231180050000231180050000#300330030000-300330030000#470070070000470070080000#470210220000-470210220000#480110240000480110240000#500040100000-500040100000#500140130000500140130000

Giovanni 15:7,16; 16:23-24; 2Corinzi 12:8-9; Ebrei 4:16; Giacomo 1:5; 5:15; 1Giovanni 3:22#500150070000-500150070000#500150160000500150160000#500160230000-500160240000#540120080000540120090000#650040160000-650040160000#660010050000660010050000#660050150000-660050150000#690030220000690030220000

1Giovanni 5:14-15#690050140000-690050150000

Luca 13:24; Salmi 27:4,8; 34:4,10; 105:3-4; Cantici 3:1-4; 5:6; Isaia 45:19; 55:6-7#490130240000-490130240000#230270040000230270040000#230270080000-230270080000#230340040000230340040000#230340100000-230340100000#231050030000231050040000#260030010000-260030040000#260050060000260050060000#290450190000-290450190000#290550060000290550070000

Geremia 29:12; Daniele 9:3; Amos 5:4-6; Giovanni 1:45-49; Atti 10:4-6; Romani 2:7#300290120000-300290120000#340090030000-

340090030000#370050040000-370050060000#500010450000500010490000#510100040000-510100060000#520020070000520020070000

Ebrei 11:6#650110060000-650110060000

Luca 13:25; 2Corinzi 6:2#490130250000-490130250000#540060020000540060020000

Luca 18:1; Salmi 31:22; Lamentazioni 3:8,18,54-58; Giona 2:2-8; Giacomo 4:3; 5:11#490180010000-490180010000#230310220000230310220000#310030080000-310030080000#310030180000310030180000#310030540000-310030580000#390020020000390020080000#660040030000-660040030000#660050110000660050110000

49011011Lc 11:11

11. e chi è quel padre tra voi, il quale, se il figliuolo gli chiede del pane, gli dia una pietra? ovvero anche un pesce; e, in luogo di pesce, gli dia una serpe? 12. Ovvero anche, se, gli domanda un uovo, gli dia uno scorpione?

L'ultime di queste domande trovasi in Luca solo; Matteo non dà che le due prime. È detto esservi una specie di scorpione di color bianco, il quale, quando si raggomitola, si assomiglia assai ad un uovo, ma non conosciamo un sol viaggiatore che lo abbia visto in Palestina. Né pare necessario supporre coi commentatori in generale che una rassomiglianza debba trovarsi fra una pietra, un serpente, uno scorpione, ed il pane, il pesce e l'uovo coi quali vengono messi in antitesi. Non crediamo che Gesù avesse qualsiasi rassomiglianza di questo genere in vista; ma solo volesse mostrare che la mera affezione naturale impedirebbe ad un padre di farsi beffe della fame di suo figlio, offrendogli una pietra, o anche mettendo in pericolo la sua vita coll'offrirgli un rettile velenoso, per cibo; e se così è, quanto più dobbiamo aspettare dall'amore del nostro Padre Celeste, come egli lo dimostra subito dopo.

PASSI PARALLELI

Isaia 49:15; Matteo 7:9#290490150000-290490150000#470070090000470070090000

Luca 10:19; Ezechiele 2:6; Apocalisse 9:10#490100190000490100190000#330020060000-330020060000#730090100000730090100000

49011013Lc 11:13

13. Se voi dunque, essendo malvagi, sapete dar buoni doni a' vostri figliuoli, quanto più il vostro Padre celeste,

lett. il vostro Padre dal cielo. «Osserviamo», dice Alford, «che quando noi parliamo a Dio egli egli ci risponde. Nel primo caso, andiamo noi da lui ed alla casa sua; in quest'ultimo, egli scende verso di noi».

donerà lo Spirito santo a coloro che glielo domanderanno?

È questo un argomento a fortiori, fondato sul contrasto fra quello che l'affetto naturale spingerà parenti terreni, che sono di natura corrotti e malvagi, a fare poi loro figliuoli, e quello che è pronto a fare colui che è il nostro Padre celeste glorioso nella sua santità, e la cui essenza stessa è l'amore. Nel passo parallelo Matteo 7:11#470070110000-470070110000, Gesù parla di Dio come colui che dà «buone cose» ai figli suoi; ma avvicinandosi ora al suo termine il suo ministero, egli annunzia ai suoi discepoli che Dio darà a quelli che glielo domanderanno il «suo Spirito Santo», il più prezioso di tutti i doni, l'arra in Cristo di tutto le benedizioni così in questo mondo, come nel mondo avvenire. Per il resto dell'esposizione dei versetti 9-13, vedi note Matteo 7:7Matteo 7:7-11.

PASSI PARALLELI

Genesi 6:5-6; 8:21; Giobbe 15:14-16; Salmi 51:5; Giovanni 3:5-6; Romani 7:18; Tito 3:3#010060050000-010060060000#010080210000010080210000#220150140000-220150160000#230510050000230510050000#500030050000-500030060000#520070180000520070180000#630030030000-630030030000

Isaia 49:15; Matteo 7:11; Ebrei 12:9-10#290490150000290490150000#470070110000-470070110000#650120090000650120100000

Matteo 6:30; Romani 5:9-10,17; 8:32; 2Corinzi 3:9-11#470060300000470060300000#520050090000-520050100000#520050170000520050170000#520080320000-520080320000#540030090000540030110000

Luca 11:2; 15:30-32; Matteo 5:16,45; 6:14,32#490110020000490110020000#490150300000-490150320000#470050160000470050160000#470050450000-470050450000#470060140000470060140000#470060320000-470060320000

Proverbi 1:23; Isaia 44:3-4; Ezechiele 36:27; Gioele 2:28; Matteo 7:11; Giovanni 4:10; 7:37-39#240010230000-240010230000#290440030000290440040000#330360270000-330360270000#360020280000360020280000#470070110000-470070110000#500040100000500040100000#500070370000-500070390000

RIFLESSIONI

1. Sono molto insufficienti le prove di quello che spesso viene asserito che Gesù prendesse quasi tutta questa preghiera dalle formole giudaiche esistenti. Non già che un tal modo di vedere abbia in sé nulla d'irriverente e da rigettarsi, poiché se dei Giudei religiosi avessero composte tali formole di preghiera, il Signore quando venne adempiere ogni cosa buona dell'antica economia ben poteva, in un senso più alto e più spirituale, raccomandare quelle formole ai suoi discepoli. Ma non pare che quello fosse il fatto.

È

2. È strano e rincrescevole al tempo stesso che questa preghiera, messa dal Signore, Matteo 6:7, in contrasto colle vane ripetizioni dei pagani, sia stata dal papismo ridotta a ripetizioni così vane e senza riflessione, da provocare una reazione tanto potente che molti protestanti ne giudicano l'uso superstizioso e senza profitto. Non dobbiamo andare in quel modo da un estremo all'altro. Se possiamo far nostra questa preghiera, e pronunziarla dal cuore, il suo uso abituale tenderà ad elevare ed a semplificare le altre nostre preghiere. Però il suo uso più alto non è come forma, ma come modello; non come una sostituzione stereotipata a libere preghiere, ma come una matrice nella quale possiamo gettarle roventi dal nostro cuore.

3. L'applicazione della parabola dell'uomo che ottenne i tre pani dal maldisposto suo vicino è l'importanza del perseverare nella preghiera, ed è a tal lezione che faremo bene a ricordarcela. È più facile cominciar l'abitudine della preghiera, che mantenerla. Molti di quelli che professano il Cristianesimo imparano a pregare in gioventù ma ne abbandonano un po' per volta la pratica, crescendo negli anni. Migliaia di persone cominciano a pregare per un tempo, a motivo di qualche benedizione o prova speciale, ma presto si stancano. Invade silenziosamente molti cuori il pensiero che sia inutile pregare, che essi non ne derivano alcun benefizio visibile, e che possono vivere benissimo senza preghiera, sicché alla fine la preghiera è interamente abbandonata. Combattiamo cotali inclinazioni, e ricordiamoci che i comandamenti; «vegliate ed orate», «non restate mai d'orare», «convien del continuo orare, e non istancarci», «siate perseveranti nell'orazione» furon dati per ricordarci un pericolo, e svegliarci all'adempimento di un dovere.

4. Poche promesse della Bibbia sono così larghe ed incondizionate che quella del vers. 13. Non v'ha dubbio che lo Spirito Santo è il più gran dono che Dio ci possa fare, dopo quello del proprio suo Figliuolo, per la nostra salute. Con quel dono abbiamo ogni cosa - l'amore illimitato del Padre, il sangue espiatorio del Figlio, la piena, comunione con tutte e tre le persone della gloriosa Trinità, abbiam luce, vita, speranza, grazia e pace, nel mondo attuale, e gloria, onore ed immortalità nella vita a venire. E questo gran dono Gesù ci dice che possiamo ottenerlo colla preghiera!

49011014Lc 11:14

Luca 11:14-36. GUARIGIONE DELL'INDEMONIATO, CIECO E MUTOLO. ACCUSA MALIGNA DEI FARISEI E RISPOSTA DI CRISTO. OSSERVAZIONE FATTA DA UNA DONNA NELLA FOLLA. AVVERTIMENTO DATO A QUELLI CHE CERCAVANO UN SEGNO DAL CIELO Matteo 12:22-45; Marco 3:2230#470120220000-470120450000#480030220000-480030300000

Guarigione dell'indemoniato, cieco e mutolo. Accusa maligna dei Farisei e risposta di Gesù, Luca 11:14-20

Per l'esposizione vedi Matteo 12:22Matteo 12:22-28.

Matteo dice che, oltre all'esser mutolo, il povero indemoniato era pure cieco, e così mancavangli tre dei cinque sensi coi quali comunichiamo col mondo esterno. Fu la facilità colla quale Cristo trionfò di mali così complicati che produsse negli astanti uno stupore più grande ancora del consueto, inducendoli a domandarsi gli uni agli altri se questo non fosse forse il Messia, il Figliuol di Dio, mentre induceva i Farisei a bestemmiare, accusandolo di essere in lega con Satana.

49011021Lc 11:21

Parabola dell'uomo bene armato, Luca 11:21-23

Per l'esposizione vedi Matteo 12:29Matteo 12:29-30.

49011024Lc 11:24

Parabola dello spirito immondo, Luca 11:24-26

Per il nesso fra questi versetti ed il ver. 23; vedi l'analisi di questo capitolo, N. 4., a Luca 11:1#490110010000-490110010000.

Per l'esposizione vedi Matteo 12:43Matteo 12:43-45.

49011027Lc 11:27

Risposta di Cristo all'osservazione di una donna d'infra la folla, Luca 11:27-28

27. or avvenne che, mentre egli diceva queste cose, una donna della moltitudine alzò la voce, e gli disse: Beato il ventre che ti portò, e le mammelle che tu poppasti.

Questo fatto è ricordato dal solo Luca, ed è una nuova prova della originalità del suo racconto. Alford crede che questa donna fosse unicamente mossa da uno stupore volgare ed inintelligente prodotto in lei dagli insegnamenti e dai miracoli del Signore; ma le sue parole ci sembrano dinotare in lei una affettuosa e credente seguace di Cristo, che non poté frenare, anche in mezzo a tutta quella folla, l'umile tributo della sua ammirazione. Come donna e fors'anche come madre, che ritrovava nuova gioventù negli onori e nei successi dei propri figli, la sua ammirazione si esprime col proclamare la gioia e l'allegrezza che dovea provare colei da cui il mondo avea ricevuto un così meraviglioso maestro.

PASSI PARALLELI

Luca 1:28,42,48#490010280000-490010280000#490010420000490010420000#490010480000-490010480000

49011028Lc 11:28

28. Ma egli disse: Anzi (imo vero, sì veramente ma), beati coloro che odono la parola di Dio, e l'osservano.

Nella sua risposta Gesù non nega l'onore concesso a sua madre, onore evidentemente riflesso, non dovuto a qualche merito inerente in lei, ma solo alla gloria del suo Figlio qual «progenie di Davide». Ma pure ammettendo questa beatitudine, che Simeone, Elisabetta e l'Angelo Gabriello già aveano proclamata, Gesù in modo molto bello e delicato, colla congiunzione ascrive il vero onore e la felicità di Maria, alla sua fede ed alla sua rivenuta e perseverante ubbidienza alla parola del Signore che le era stata annunziata, e da questo punto di vista, mette sullo stesso livello con lei tutti quanti i veri credenti. E questo non fu un detto fortuito, poiché Gesù lo ripetè enfaticamente quando sua madre e i suoi fratelli cercarono di vederlo, alla fine probabilmente di questo stesso discorso Matteo 12:4850#470120480000-470120500000, dichiarando di riconoscere come madre, fratelli e sorelle soli quelli che erano a lui uniti coi legami della fede, e facevano la volontà del Padre suo che è nei cieli. Vedremo che questa risposta scalza dalla radice ogni Mariolatria, e ci mostra in che il vero onore di quella santa consiste cioè in fede ed ubbidienza. Si direbbe che le parole di questo versetto furono pronunziate con profetica previsione di quel culto antiscritturale della Vergine Maria che doveva nascere ed estendersi siffattamente nella Chiesa di Cristo. Si avrà un bel volgere e torturare questo parole, il loro senso sarà sempre lo stesso e sempre chiarissimo. Esse dichiarano che udir la parola di Dio ed osservarla è benedizione maggiore che di essere unito a Cristo mediante la più stretta parentela terrestre.

PASSI PARALLELI

Luca 6:47-48; 8:21; Salmi 1:1-3; 112:1; 119:1-6; 128:1; Isaia 48:1718#490060470000-490060480000#490080210000490080210000#230010010000-230010030000#231120010000231120010000#231190010000-231190060000#231280010000231280010000#290480170000-290480180000

Matteo 7:21-25; 12:48-50; Giovanni 13:17; Giacomo 1:21-25; 1Giovanni 3:21-24; Apocalisse 22:14#470070210000-470070250000#470120480000470120500000#500130170000-500130170000#660010210000660010250000#690030210000-690030240000#730220140000730220140000

49011029Lc 11:29

Risposta di Cristo a quelli che domandavano un segno dal cielo, Luca 11:29-36

Per l'esposizione vedi Matteo 12:38Matteo 12:38-42; Matteo 5:14Matteo 5:14-16; Matteo 6:22Matteo 6:22-23.

29. Or, raunandosi le turbe, egli prese a dire: Questa generazione è malvagia; ella chiede un segno; ma segno alcuno non le sarà dato, se non il segno, del profeta Giona.

Le folle accorso da ogni parte giunsero in tempo per udir Gesù condannare la loro incredulità nazionale. Benché gli chiedessero «un segno dal cielo», in apparenza per dargli l'occasione di rivendicare il suo divino mandato dal mortale insulto lanciato contro di esso, Gesù non se ne occupa subito, ma prima confuta appieno l'accusa di essere alleato con Satana, quindi comincia a parlare del «segno» desiderato. È però assai probabile che, nel chiamar (malvagia), la generazione cui parlava, Gesù avesse in vista lo spirito diabolico dimostrato nel domandare un segno, non meno che l'insulto che venne prima. In ogni caso, considerò quelli che avean parlato, come i rappresentanti dello spirito di incredulità che regnava sì largamente in quella generazione. In breve la lor domanda sonava così: "Dopo l'accusa portata contro di te, nessun miracolo terreno può stabilire il preteso tuo mandato da Dio; il solo modo che ti resti per questo è di mostrarci un segno nei cieli, come fece Giosuè fermando la luna ed il sole nella valle di Ajalon, o procedente dal cielo, come la manna nel deserto, o la divisione del Mar

Rosso". Questa straordinaria perversità dei Giudei nel domandar sempre un qualche miracolo per credere è degna di nota 1Corinzi 1:22#530010220000530010220000. L'incredulità sempre si manifesta col domandar prove sopra prove; ma per salvar l'uomo occorre buona volontà non moltiplicità di prove. Il Signore ricusò quella domanda, in quanto almeno riguardava il segno nei cieli; ma li rimanda alla storia di Giona, come ad un segno di quello che accadrebbe nel proprio suo caso. In Luca il parallelismo fra il tempo che Giona passò nel ventre della balena, e quello che Cristo rimase nel sepolcro, non ci vien dato come parte del segno, benché le parole: «Siccome Giona fu segno ai Niniviti» evidentemente attestino che come la sua miracolosa liberazione, proclamata da lui stesso o da altri, fu una delle cause del gran successo della sua predicazione in Ninive, così la risurrezione di Cristo dovea essere uno degli argomenti più essenziali ed efficaci della predicazione degli Apostoli. Giona predicò ai Niniviti dopo la sua risurrezione, proclamando naturalmente il gran fatto operato da Dio nel ricondurlo in quella città, e facendo della sua liberazione un segno che quel popolo ricevette e si pentì. Ma questa generazione doveva rigettare un segno ben più grande di quello. La Regina di Saba è citata essa pure qual segno, poiché venne dalla parte più remota del mondo fin allora conosciuto, per imparar saviezza da un semplice uomo, mentre questa generazione rimaneva sorda agli insegnamenti di un più grande che Salomone - cioè del promesso Messia - del Figlio eterno di Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 12:1; 14:25-26#490120010000-490120010000#490140250000490140260000

Luca 29:50; 9:41; Isaia 57:3,4; Matteo 3:7; 23:34-36; Marco 8:38; Giovanni 8:44; Atti 7:51-52#490290500000-490290500000#490090410000490090410000#290570030000-290570030000#290570040000290570040000#470030070000-470030070000#470230340000470230360000#480080380000-480080380000#500080440000500080440000#510070510000-510070520000

Matteo 12:38-39; 16:1-4; Marco 8:11-12; Giovanni 2:18; 6:30; 1Corinzi 1:22#470120380000-470120390000#470160010000470160040000#480080110000-480080120000#500020180000500020180000#500060300000-500060300000#530010220000530010220000

RIFLESSIONI

1. È pericoloso il contentarsi di un cambiamento in religione che non giunge alla conversione completa a Dio. La parabola dello spirito immondo, che rientra in un uomo, dopo esserne uscito, si adempie nella storia dei Giudei, fra il potente risveglio prodotto nella coscienza nazionale dalla predicazione di Giovanni Battista, e la reiezione ed il crocifiggimento per opera loro di Cristo. Dalla sua morte alla distruzione di Gerusalemme, ed alla ruina politica dei Giudei, quella storia ci prova che Satana avea ripreso con forza incredibile possesso dei loro cuori. Non troviamo nella storia del mondo intero una pagina più nera, più orribile di questa. Ma la parabola fu detta per nostra istruzione, non meno che quella dei Giudei. Nella storia di ogni popolo, sonvi momenti analoghi a quello del ministero del Battista, allorquando lo Spirito di Dio convince gli uomini di peccato, quando la lor coscienza è scossa infino al fondo, ed essi fuggono dall'ira avvenire. Allora, frammezzo a molte conversioni reali, non poche son vere di parziali, temporarie, abortive. Per un tempo, sotto l'influenza del terrore dell'ira avvenire e delle gioie del vangelo, tutto sembra mutato, e parrebbe che avesse avuto luogo una vera conversione, - «lo spirito immondo è uscito». La casa gli era venuta in uggia, ed ei parte, se ne va, ma non è cacciato. Però non vi è un cambiamento reale di padroni o di servizio; non si è lasciato Belial per Cristo, i principii carnali per gli spirituali, gli affetti terreni per i celesti. «Le cose vecchie non son passate, tutte le cose non son fatte nuove» 2Corinzi 5:17#540050170000-540050170000. Perciò quando lo spirito immondo ritorna, trova, la casa che avea lasciata, vuota non solo, ma «spazzata ed adorna». Questo indica che nell'intervallo c'è stata una ricaduta che l'ha trasmutata dallo stato antipatico di prima in una abitazione piacevole e preparata per lui. Il vivo interesse che quell'anima prendeva alle cose religiose si è raffreddato, il mondo ha ripreso le sue attrattive, il

peccato le sue seduzioni, e la divozione, se non è morta, si è ridotta a meschine ed affrettato generalità. Finalmente si dà ascolto al peccato, e lo spirito immondo afferra il suo vantaggio. Va e prende sette altri spiriti più cattivi di lui, e rientra in quel cuore per non abbandonarlo mai più, e così «l'ultima condizione di quell'uomo è peggiore della primiera». «Parecchie leggi del mondo morale spiegano questo. È innegabile che Dio abbandona talvolta gli uomini ad una mente reproba. Né si deve dimenticar la rabbia del maligno, fra queste misteriose liberazioni temporanee dal suo giogo, e le accoglienze che gli si fan più tardi. Ma soprattutto c'è la nota e terribil legge in virtù della quale le abitudini e le pratiche abbandonato a malincuore, e quindi riprese, divengono più inveterato che mai, essendo distrutta la forza di resistenza della volontà. Non c'è dunque via di mezzo fra lo spirito immondo che esce dall'uomo sol per tornarvi, e l'espulsione definitiva dell'«uomo forte» da «uno più potente di lui». Il cuore non può rimanere vuoto. Non c'è sicurezza per lui che in una cordiale sottomissione a Cristo» (Brown).

49011037Lc 11:37

Luca 11:37-54. GESÙ DENUNZIA CON FORZA I FARISEI IN CASA DI UN FARISEO. QUESTI NE RIMANGONO INVIPERITI E CERCANO DI TRARLO IN INGANNO Matteo 23:1-36; Marco 12:3839#470230010000-470230360000#480120380000-480120390000

Per l'esposizione vedi Matteo 23:1Matteo 23:1-36.

37. Or, mentre egli parlava, un certo Fariseo lo pregò che desinasse (pasto del mattino) in casa sua. Ed egli vi entrò, e si mise a tavola.

Questo accadde probabilmente durante il ministerio di Cristo in Perea, e subito dopo il discorso precedente. Il Fariseo lo avea forse udito; in ogni caso, lo invitò, con molti della propria setta, e colle più malevole intenzioni Luca 11:45,53#490110450000-490110450000#490110530000-

490110530000. Gesù, pure conoscendo questo, accettò l'invito per aver l'occasione di svelare in chiare parole la loro ipocrisia e malvagità. Dall'accettar Cristo l'invito di chi certo non gli era discepolo, alcuni han concluso esser lecito anzi desiderabile mantenere relazioni sociali non solo cogli inconvertiti, ma anche con quelli che sprezzano apertamente ogni religione. I Cristiani che vogliono ed approvano tali relazioni coi nemici dichiarati del loro Signore e Maestro, fondandosi sul suo esempio, farebbero bene di studiare il contegno e i discorsi del Signore in simili occasioni, affin di imitarli. Purtroppo molti accetteranno l'invito come lo accettò Cristo, ma per ben altri motivi, e non parleranno a tavola come egli parlò.

PASSI PARALLELI

Luca 7:36; 14:1; 1Corinzi 9:19-23#490070360000490070360000#490140010000-490140010000#530090190000530090230000

49011038Lc 11:38

38. E il Fariseo, veduto che prima, avanti il desinare, egli non si era lavato, se ne maravigliò.

Per le abluzioni praticate dai Giudei vedi Marco 7:3Marco 7:3-5.

La parola qui tradotta lavato e in greco (battezzato). È chiaro che non poteva qui trattarsi di lavar l'intero corpo, ma solo una parte, come le mani, o i piedi, o anche questo battesimo poteva limitarsi ad acqua spruzzata sulle mani, giusta l'uso orientale 2Re 3:11#120030110000-120030110000. L'opinione di alcuni Battisti, che la parola «battezzare» non sia mai usata che per indicare l'immersione totale del corpo, è insostenibile di faccia a questo versetto. Lo stupore dei convitati, si esprimesse desso con parole o solo cogli sguardi, ora inteso a provocare alcune spiegazioni per parte di Gesù, ed egli colse al volo quella occasione. Per il resto vedi Matteo 23:1Matteo 23:1-39.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:2-3; Marco 7:2-5; Giovanni 3:25#470150020000470150030000#480070020000-480070050000#500030250000500030250000

49012001Lc 12:1

CAPO 12 - ANALISI

1. Gesù ammonisce i suoi discepoli contro l'ipocrisia, e la mancanza di coraggio nel predicare l'evangelo. I Farisei erano tali maestri di ipocrisia che tutte le loro azioni e i loro discorsi ne erano compenetrati, come il pane o la farina dal lievito che vi è stato introdotto, epperciò Gesù, mettendo in guardia i suoi discepoli contro l'ipocrisia, la chiama «il lievito dei Farisei». La loro ipocrisia non consisteva solo nel pretendere di essere quel che non erano, ma nel nascondere al pubblico quello che erano veramente nel cuore e nella vita. Giudicando dal tenore dei versetti seguenti, Gesù sembra mettere i suoi discepoli in guardia specialmente contro quest'ultima forma di ipocrisia farisaica. Dopo la sua partenza, essi si avvedrebbero presto di essere «odiati da tutti gli uomini, per amor del suo nome», e di predicar la dottrina della croce a rischio della propria vita. Gesù sapeva che allora li assalirebbe fortemente la tentazione di nascondere il loro nome di discepoli, e di evitar nella loro predicazione «lo scandalo della croce»; perciò li ammonisce che, cedendo a quella tentazione, si renderebbero colpevoli di una ipocrisia non meno colpevole di quella dei Farisei. Egli richiedeva da loro coraggio, per «soffrire afflizione, come buoni soldati di Gesù Cristo», e nei versetti seguenti egli ne enumera parecchie ragioni. Prima. L'ipocrisia vien tosto o tardi smascherata, facciano pur uso di qualsivoglia stratagemma od equivoco; ricorran pure alle menzogne ed agli inganni più astuti, per quanto operino con segreto e prudenza, gli ipocriti saranno scoperti e proclamati fin sui tetti. Seconda. Il potere dei nemici loro e nostri è molto limitato, possono al più toglierei la vita del corpo, perciò il timore di dispiacer loro non deve, neppur per un momento, bilanciare quello di incorrere l'ira dell'altissimo, «il quale, dopo avere ucciso, ha la podestà di

gettar nella geenna». Terza. Dio, nella sua santa provvidenza, veglia con cura speciale sul popolo suo credente. «I capelli del loro capo son tutti annoverati». Quarta. Al giorno del giudizio, Cristo li riconoscerà o no, secondo che essi stessi lo avranno o no confessato dinanzi agli uomini. Quinta. Il rinnegare Cristo sarebbe un bestemmiare lo Spirito Santo, disconoscendo la sua protezione: mentre la sua saviezza, la sua assistenza ed il suo potere venivan loro specialmente promossi quando sarebbero accusati dinanzi alle sinagoghe ed ai magistrati. Or chi avrà bestemmiato a quel modo «non sarà perdonato» Luca 12:1-12.

2. Avvertimenti contro la cupidigia, appoggiati da una parabola. L'occasione di questo discorso del Signore sulla cupidigia fu la domanda rivoltagli da uno che era o suo discepolo, o fratello di uno fra i discepoli, affinché usasse la sua influenza ed autorità sul suo fratello che si era impadronito della maggior parte del loro patrimonio comune (forse la doppia porzione del primogenito), affinché la eredità venisse divisa ugualmente fra di loro. Questo il Signore ricusò subito di fare, perché non era parte del suo mandato invadere la provincia dei governi e dei tribunali terrestri, e perché eranvi dei giudici e delle corti scelti espressamente dalle autorità giudaiche per far giustizia fra gli uomini. D'altronde dall'avvertimento dato da Gesù dopo quel rifiuto: «Avvisate, e guardatevi dall'avarizia», par probabile che egli riconosce nel postulante uno spirito cupido, che domandava più di quanto gli si competesse, o ricusava al fratello la parte che era legalmente sua. Per illustrare la sua dichiarazione: «Benché alcuno abbondi, egli non ha però la vita per i suoi beni», Gesù aggiunge una parabola, lo scopo della quale è di mostrare la follia di uomini carnali e mondani mentre vivono, e la loro rovina quando li coglie la morte. Narra loro la storia di un uomo ricco ed avaro, lasciando ad essi di conchiudere se era pure un uomo felice, ma non senza aggiungere la significante conclusione: «Così avviene a chi fa tesoro a se stesso, e non è ricco in Dio» Luca 12:13-21.

3. Ammonizioni ed incoraggiamenti relativi alla soverchia sollecitudine per le cose necessarie alla vita. Sono dati con parole quasi identiche a quelle che troviamo già nel discorso in sul Monte Matteo 5-7#470050000000470070000000. Lo spirito cupido può manifestarsi così nei poveri che

desiderano cibo, vestiario ed alloggio migliori, come nei ricchi che bramano ricchezze sempre più grandi. Or siccome i discepoli nella loro povertà erano maggiormente esposti a quella prima forma di tentazione, egli li ammonisce contro di essa accertandoli che se pur cercano il regno di Dio il loro Padre celeste, il quale ha cura dei gigli dei campi, degli uccelli dell'aria, della crescenza dei corpi, e della conservazione della loro vita, dar loro altresì cibo, vestire ed ogni cosa utile e necessaria. Li mette in guardia contro una rodente ansietà a questo riguardo, perché così facendo, invece di dare un esempio al mondo col glorificare Iddio, mettendo in lui tutta la lor fiducia, starebbero sul livello medesimo che i poveri pagani, che non conoscevano il vero Iddio, quale Dio di provvidenza, e quindi vivevano in costante ansietà, per il loro sostentamento terreno. Li incoraggia inoltre a cacciare in bando le soverchie cure, perché hanno in prospettiva cose migliori di quelle che la terra può dare, cioè il regno del cielo, che al Padre è piaciuto dar loro, ed in anticipazione di questo, essi vengono esortati a prepararsi tesori in cielo col crescere i n grazia e coll'esercitare una benevolenza attiva nella vita Luca 12:22-34.

4. La vigilanza raccomandata a motivo della certezza del ritorno del Signore, e delle ricompense che egli recherà con sé. Il più potente antidoto contro la troppa ansietà per le cose della vita è senza dubbio l'avere il cuore preoccupato dalla vigilante aspettazione di un evento di straordinario interesse, e che può accadere quando meno è aspettato; e, seguendo tal nesso di idee, il Signore passa a parlare del dovere di vegliare e di star preparati per il suo ritorno. Le parabole dei servi che aspettano il ritorno del loro Signore, e son da lui ricompensati per la loro fedeltà; del ladro che giunge inaspettato; e dei due economi, cadono tutte sotto il titolo della vigilanza. Nella prima, vien ricompensata la vigilanza fedele; nella seconda, son castigate la falsa sicurezza e l'inattenzione; e nella terza (in risposta ad una domanda di Pietro), vengon delineati i destini diversi dell'economo attivo, diligente e vigilante, e dell'economo negligente, egoista e ubbriacone. Gesù lascia che Pietro e gli altri concludano essi stessi, coll'aiuto della propria coscienza, quale di queste tre descrizioni meglio convenga al loro carattere. La ricompensa e la punizione seguono naturalmente l'osservanza o la trasgressione del dovere, ed il principio dietro al quale sì l'una che l'altra vengono accordate è chiaramente indicato. Maggiori cose si

richiedono da quelli che hanno responsabilità maggiori e maggiori occasioni che gli altri di conoscere la volontà del Signore; e, quando egli verrà, la loro punizione sarà proporzionatamente più severa, se essi avranno trascurato di dare il cibo spirituale ai loro conservi, e di aspettare quel grande evento. «Tal servitore sarà battuto di molto battiture», perché il giudizio sarà fatto dietro al principio: «a chiunque è stato dato assai sarà ridomandato assai» Luca 12:35-48.

5. Divisioni provenienti dall'introduzione della vita spirituale, mediante la predicazione del vangelo. Non è molto apparente il nesso fra questa porzione del capitolo e quel che precede; ma può darsi che Gesù volesse inculcare sempre più nei suoi discepoli la necessità di vegliare, di operare e di esser fedeli, a motivo delle divisioni che non potrebbero mancar di sorgere nelle comunità e nelle famiglie, in seguito alla predicazione del vangelo. «Il «fuoco» che Gesù dice esser venuto a portare in sulla terra non è, come suppongono alcuni, quello della contenzione e dell'odio, ma l'elemento superiore della vita spirituale, il quale, coi suoi potenti effetti, risveglia tutto ciò che è della stessa sua natura, e distrugge tutto ciò che gli è contrario. È chiaro che Gesù desidera che già fosse acceso; ma prima che esso potesse bruciare in tutto il suo potere purificante, toccavagli sopportare il battesimo della morte in croce, ed un peso gravava sul suo spirito, finché ciò non fosse fatto. Ma egli ammonisce i suoi discepoli di non ingannar se stessi col supporre che il risultato dei loro lavori nel predicare il suo regno sarebbe l'introduzione della pace universale. Al contrario, in contatto coll'irreligione e col vizio, col paganesimo e col Giudaismo, il primo risultato ne sarebbe confusione, guerra, e persecuzione atroce, per parte del mondo, dei suoi pacifici seguaci, da rompere perfino i legami di famiglia e di parentela. La storia dei tre primi secoli della Chiesa prova la verità di questa predizione del Signore, e neppur ora può dirsi cessato «lo scandalo della croce», quando i membri di una famiglia mondana nascono a nuova vita; per opera dello Spirito di Dio. Il contatto del Dio santissimo col mondo peccatore produce inevitabilmente resistenza e lotta, non solo contro Dio stesso, ma pure contro gli uomini che si dichiarano sudditi del suo regno Luca 12:49-53.

6. Del discernimento dei segni dei tempi. Prima di conchiudere il suo discorso, Gesù rivolge un'ammonizione speciale alla spensierata moltitudine. Essi sono astuti abbastanza per indovinare i cambiamenti di tempo; osservando le nuvole che s'alzavano a Ovest, cioè dal Mediterraneo, prevedevano la pioggia, e se il vento saltava a mezzogiorno, da dove giungeva loro attraverso il deserto, potevano subito predire il caldo soffocante che egli portava invariabilmente seco; ma egli li accusa di ipocrisia, perché, quantunque fossero osservatori perspicaci nelle cose del mondo, fingevano di non vedere segni molto più notevoli dei tempi, quali l'universale aspettativa del Messia, la testimonianza del Battista, e i suoi propri miracoli. Li rimprovera perché si lasciano sedurre dai loro istruttori spirituali, invece di esercitare il proprio giudizio, per riconoscere che «l'Oriente dall'alto li avea visitati», e termina coll'esortarli a far pace con Dio, che è loro avversario a motivo del peccato, e ciò subito «mentre sono per via», come certo stimerebbero prudente accordarsi con quelli coi quali non possono contendere, e di fare i patti migliori possibili con un avversario terreno, anziché esporsi ai rigori della legge Luca 12:54-59.

Luca 12:1-12. ESORTAZIONI RIVOLTE AI DISCEPOLI CONTRO L'IPOCRISIA E LA CODARDAGGINE Matteo 10:26-33; 16:6-12; Marco 3:22#470100260000-470100330000#470160060000470160120000#480030220000-480030220000

Per l'esposizione vedi Matteo 10:26Matteo 10:26-33.

1. Intanto, essendosi raunata la moltitudine a migliaia, talché si calpestavano gli uni gli altri, Gesù prese a dire a' suoi discepoli: Guardatevi imprima dal lievito de' Farisei ch'è ipocrisia.

Questo discorso consiste specialmente di detti ripetuti in altre occasioni, e trovati quasi parola per parola in Matteo. Mentre il Signore era in casa del Fariseo, la moltitudine si era riunita fuori ad aspettarlo, ed egli uscì tutto pieno del discorso che avea pronunziato, ammonendo i suoi discepoli contro

quel tratto del carattere dei Farisei che era più pericoloso per loro. Non è la prima volta che li avesse avvertiti a quel modo. Matteo 16:612#470160060000-470160120000 narra che, attraversando essi un giorno il lago, l'ipocrisia dei Farisei era stato il soggetto dei loro discorsi, e allora Gesù, accorgendosi di essere stato frainteso dai discepoli, si era spiegato molto chiaramente. Come il lievito vien nascosto nella massa sulla quale opera, eppure la travaglia tutta intera e irresistibilmente, così è della ipocrisia. «L'ipocrisia è di due specie: pretender di esser quel che non siamo, e nascondere quel che siamo. Benché sieno connesse al punto di confondersi spesso l'una nell'altra, è contro l'ultima di questo due forme che il Signore mette in guardia i suoi discepoli. Quando non si poteva confessare il suo nome che arrischiando riputazione, libertà, beni e la stessa vita, la tentazione di nascondere codardamente quello che erano dovea naturalmente essere molto forte, ed il Signore addita loro le conseguenze di un nascondimento così traditore e vigliacco» (Brown).

Ma io vi mostrerò chi dovete temere; temete Colui, il quale, dopo aver ucciso, ha la podestà di gittar nella geenna;

Il razionalismo e l'incredulità si dàn la mano per rigettare la dottrina delle pene eterne, chiamando la geenna un mito, di cui ridono gli spiriti forti; ma noi osserviamo che Colui che è la VERITÀ, che scese dal cielo, e che conosce il fine di tutte le cose sin dal loro principio, dichiara solennemente qui ed altrove che esiste un luogo di eterni castighi, e che il Dio santo e giusto vi manderà tutti quelli che fanno il male, vedi Note Luca 16:23Luca 16:23-26. Lettore, quale di queste due testimonianze ti par più degna di fede? Solo il timore di Colui che è maggiore può scacciare efficacemente dal nostro cuore quello di colui che è minore, cioè di coloro le cui crudeltà e persecuzioni non possono colpir che la vita terrena.

PASSI PARALLELI

Luca 5:1,15; 6:17; Atti 21:20#490050010000490050010000#490050150000-490050150000#490060170000490060170000#510210200000-510210200000

2Re 7:17#120070170000-120070170000

1Corinzi 15:3; Giacomo 3:17#530150030000530150030000#660030170000-660030170000

Matteo 16:6-12; Marco 8:15-21; 1Corinzi 5:7-8#470160060000470160120000#480080150000-480080210000#530050070000530050080000

Luca 12:56; 11:44; Giobbe 20:5; 27:8; 36:13; Isaia 33:14; Giacomo 3:17; 1Pietro 2:1#490120560000-490120560000#490110440000490110440000#220200050000-220200050000#220270080000220270080000#220360130000-220360130000#290330140000290330140000#660030170000-660030170000#670020010000670020010000

49012010Lc 12:10

10. Ed a chiunque avrà detta alcuna parola contro al Figliuol dell'uomo sarà perdonato, ma a chi avrà bestemmiato contro allo Spirito Santo non sarà perdonato.

Per l'esposizione vedi Matteo 12:31Matteo 12:31-32. A quello che le nostre note di Matteo contengono su questo solenne soggetto, aggiungiamo la seguente osservazione di Oosterzee: «Il peccato contro lo Spirito Santo presuppone una conscia ed ostinata inimicizia contro a Dio, e contro alla pietà nel suo più sublime sviluppo. Paolo prima di essere convertito, bestemmiò contro al Figliuol di Dio e fu perdonato. Se avesse «ricalcitrato contro agli stimoli», e resistito con tutta la sua forza all'impressione che avea ricevuto sulla via di Damasco, egli avrebbe commesso il peccato imperdonabile».

PASSI PARALLELI

Luca 23:34; Matteo 12:31-32; Marco 3:28-29; 1Timoteo 1:13; Ebrei 6:4-8; 10:26-31#490230340000-490230340000#470120310000470120320000#480030280000-480030290000#610010130000610010130000#650060040000-650060080000#650100260000650100310000

1Giovanni 5:16#690050160000-690050160000

49012013Lc 12:13

Luca 12:13-34. AMMONIZIONI CONTRO LA CUPIDIGIA ILLUSTRATE DALLA PARABOLA DEL RICCO INSENSATO

13. Or alcuno della moltitudine gli disse: Maestro, di' a mio fratello che spartisca meco l'eredità.

Questo fatto e la parabola cui esso diè luogo non son ricordati che da Luca. Nel mezzo del suo solenne discorso, Cristo fu interrotto da un uomo d'infra la folla, il quale non dava retta alle sue parole, essendo unicamente preoccupato da un suo proprio gravame. Dal racconto non è chiaro se egli seguisse regolarmente Cristo come suo discepolo, almeno di nome, o gli fosse affatto estraneo. Lagnavasi perché a parer suo il patrimonio paterno non era stato egualmente diviso fra gli eredi, e domandava a Cristo di valersi della sua autorità e della sua influenza sopra il suo fratello, che era forse un discepolo, affinché le parti venissero rifatte secondo giustizia. Non sappiamo se la cupidigia fosse dalla parte del fratello accusato di aver preso più che la parte sua, o dalla parte di colui che presentava a Cristo questa domanda, il quale geloso della doppia porzione» data dalla legge al primogenito, desiderava avvantaggiarsi, mediante una divisione uguale del patrimonio. L'ammonizione contro la cupidigia, che si può in ambo i casi dedurre da questo fatto, sembra più particolarmente appropriata, se consideriamo il querelante come colpevole.

PASSI PARALLELI

Luca 6:45; Salmi 17:14; Ezechiele 33:31; Atti 8:18-19; 1Timoteo 6:5#490060450000-490060450000#230170140000230170140000#330330310000-330330310000#510080180000510080190000#610060050000-610060050000

49012014Lc 12:14

14. Ma egli disse: O uomo, chi mi ha costituito sopra voi giudice, o spartitore?

Eran questi uffizii separati, tenuti rispettivamente da un giudice nominato per decidere tali dispute intorno alle proprietà, e da un uomo incaricato dal tribunale di vegliare alla esecuzione della sentenza. È probabile però che il più delle volte, la divisione venisse fatta da un consiglio di famiglia, o da un amico comune invitato a farla da spartitore. Il tempo fissato dalla Santa Provvidenza di Dio per rovesciare lo stato ed il governo giudaico non ora ancora venuto, e la missione di Cristo adunque non includeva intervenzione alcuna coi tribunali istituiti per far giustizia fra un uomo e l'altro. Dinanzi a Pilato, egli dichiarò: «Il mio regno non è di questo mondo» Giovanni 18:36#500180360000-500180360000, e, con perfetta fedeltà a questo principio, egli ricusò di intervenire in questo caso, come pure in quello della donna colta in adulterio Giovanni 8:2-11#500080020000-500080110000. Anche ora, benché Cristo sia il più grande di tutti i principi, ed il suo vangelo il più potente di tutti i regni, egli se ne serve per governar le menti e i cuori degli uomini; e se esercita una influenza su i loro beni, non è per intervento diretto, ma per mezzo del cuore e della mente. V'ha una certa somiglianza fra le parole qui usate da Cristo, e quelle dell'egizio che respingeva l'intervento di Mosè Esodo 11:14#020110140000020110140000; ma non è questa una ragione per asserire, come fanno alcuni, che Gesù alluda quivi a quel fatto.

PASSI PARALLELI

Luca 5:20; 22:58; Romani 2:1,3; 9:20#490050200000490050200000#490220580000-490220580000#520020010000520020010000#520020030000-520020030000#520090200000520090200000

Esodo 2:14; Giovanni 6:15; 8:11; 18:35-36#020020140000020020140000#500060150000-500060150000#500080110000500080110000#500180350000-500180360000

49012015Lc 12:15

15. Poi disse loro:

(Non a quest'uomo, come alcuni propongono di leggere, poiché in tal caso, Gesù si sarebbe chiaramente costituito giudice fra lui e suo fratello). Poco importa quale dei due fratelli avesse ragione: tal quistione Gesù la lascia appieno e con intenzione nell'ombra, per attirar tutta, la nostra attenzione sul peccato della cupidigia. Ma non è meno probabile per questo, che il torto stava dalla parte del querelante, e che Gesù parlò direttamente alla sua coscienza quando esortò tutti ad aver gli occhi aperti su questo insidioso nemico ed a vegliare che non prenda possesso dei loro cuori.

Avvisate (nel Greco pregate) e guardatevi dall'avarizia;

da e significa il desiderio di aver più di quello cui abbiam diritto, o che la Provvidenza ci ha dato; è una brama insaziabile di accrescere le nostre possessioni o beni terreni, che già possediamo come la nostra felicità suprema. È questo un peccato molto degradante, che ispira in quelli, nei quali domina, una passione così assorbente da venir chiamata una «idolatria», e quelli che ne sono schiavi «idolatri», perché prende il posto di Dio; ed il tempo, gli affetti, le forze, il culto che Dio vuole per sé vengono dati a quest'idolo. «Mortificate adunque le vostre membra che son sopra la terra, fornicazione... ed avarizia che è idolatria» Colossesi 3:5; Efesini 5:5#580030050000-580030050000#560050050000-560050050000.

perciocché, benché alcuno abbondi, egli non ha però la vita per i suoi beni.

Queste parole dànno la ragione dell'ammonizione che precede. La costruzione del testo greco è difficile, ma il senso è perfettamente chiaro. La parabola che segue mostra chiaramente che dobbiamo, intendere la parola «vita», nel suo senso più esteso, come quella che abbraccia la futura e la presente esistenza dell'uomo, ed il significato di questa massima importante è il seguente: Quando un uomo abbonda, la sua vera vita, cioè la sua felicità, la sua beatitudine, non vien fuori dai suoi beni terreni, Quella sola è felicità che è sicura e durevole. Ma la vita terrena, dalla quale dipende il godere le ricchezze, può terminare da un'istante all'altro. In opposizione a questo, la chiusa della parabola ci fa brillare dinanzi agli occhi la vera vita, parlandoci di chi è «ricco in Dio», come di colui che gode una felicità permanente ed eterna.

PASSI PARALLELI

Luca 8:14; 16:14; 21:34; Giosuè 7:21; Giobbe 31:24-25; Salmi 10:3; 62:10; 119:36-37#490080140000-490080140000#490160140000490160140000#490210340000-490210340000#060010010000060010010000#220310240000-220310250000#230100030000230100030000#230620100000-230620100000#231190360000231190370000

Proverbi 23:4-5; 28:16; Geremia 6:13; 22:17-18; Michea 2:2; Habacuc 2:9; Marco 7:22#240230040000-240230050000#240280160000240280160000#300060130000-300060130000#300220170000300220180000#400020020000-400020020000#420020090000420020090000#480070220000-480070220000

1Corinzi 5:10-11; 6:10; Efesini 5:3-5; Colossesi 3:5; 1Timoteo 6:7-10; 2Timoteo 3:2; Ebrei 13:5#530050100000-530050110000#530060100000530060100000#560050030000-560050050000#580030050000-

580030050000#610060070000-610060100000#620030020000620030020000#650130050000-650130050000

2Pietro 2:3,14#680020030000-680020030000#680020140000680020140000

Giobbe 2:4; Salmi 37:16; Proverbi 15:16; 16:16; Ecclesiaste 4:6-8; 5:10-16; Matteo 6:25-26#220020040000-220020040000#230370160000230370160000#240150160000-240150160000#240160160000240160160000#250040060000-250040080000#250050100000250050160000#470060250000-470060260000

1Timoteo 6:6-8#610060060000-610060080000

49012016Lc 12:16

16. Ed egli disse loro una parabola: Le possessioni d'un uomo ricco fruttarono copiosamente. 17. Ed egli ragionava tra se medesimo, dicendo: Che farò? conciossiaché io non abbia ove riporre i miei frutti. 18. Poi disse: questo farò; io disfarò i mie granai, e n'edificherò di maggiori; e quivi riporrò tutte le mie entrate e i miei beni.

L'uomo scelto da Gesù in questa parabola per servirci di ammonimento è di carattere rispettabile, niente ci fa credere che le ricchezze fossero state acquistate per oppressione, estorsione o frode. «Non limite perturbato, non spogliato paupere, non circmvento simplice» (Agostino). Il Signore sceglie il modo più innocente di arricchire; quest'uomo avea possessioni estesissime, era diligente nel coltivarle, e, colla benedizione di Dio, i suoi campi gli avean reso trenta, sessanta e cento. Ogni anno cresceva la sua fortuna, e nella stessa proporzione la sua avarizia. Il desiderio di averne sempre più, e la sollecitudine di conservarle divenne la passione dominante della sua vita. Differiva da un avaro ordinario solo in quanto trovava piacere a spendere per se stesso. La sua provvista di grano, frutta, vino ed olio, li abbraccia tutti quanti, era cresciuta a segno da metterlo nell'imbarazzo, per non sapere dove riporla tutta, perché già erano ripieni gli estesissimi suoi granai. Perciò, dopo aver preso consiglio con se stesso, decide di edificare nuovi magazzini,

dove le crescenti sue ricchezze troverebbero posto per molti anni avvenire. Non par che si sia presentata alla sua mente l'idea che v'eran modi più piacevoli e migliori di mettere a profitto la sovrabbondante sua ricchezza; che molti erano i poveri nel suo vicinato, i quali lo avrebbero benedetto, se avesse diviso con loro quello che sopravanzava, e non avrebbero avuto la più piccola difficoltà nel farne uso. Si osservi quanto diversamente agiva Giobbe nei giorni della sua prosperità Giobbe 29:12-13#220290120000220290130000. La parola greca per beni non è, né qui né al versetto Luca 12:19#490120190000-490120190000, qualche altra consimile, ma quasi ché, usando quella parola, Gesù intendesse descrivere ironicamente l'inesprimibile follia di quest'uomo, nel mettere il cuor suo a queste cose, scordando Iddio, il solo vero bene.

PASSI PARALLELI

Luca 12:21; 18:4,6; Salmi 17:14; Giacomo 3:15; 4:15#490120210000490120210000#490180040000-490180040000#490180060000490180060000#230170140000-230170140000#660030150000660030150000#660040150000-660040150000

49012019Lc 12:19

19. E dirò all'anima mia: Anima, tu hai molti beni, riposati per molti anni; quietati, mangia, bei, e godi.

Presa una tal risoluzione, questo ricco crede potersi dare liberamente al pieno godimento di quanto può procurargli la ricchezza terrena, e come risultato promette all'anima sua perfetta e durevole felicità. Il suo egoismo si tradisce nel mia, cinque volte ripetuto in questi versetti. Il piacere che si promette è puramente egoistico ed epicureo. «Mangiamo e beviamo, perciocché domani morremo». «Venite, dicono, io recherò del vino, e noi c'inebbrieremo di cervogia; e il giorno di domani sarà come questo, anzi vie più grande» 1Corinzi 15:32; Isaia 56:12#530150320000530150320000#290560120000-290560120000. «Come i suoi piani di

felicità non sorgono più in alto che il "satollar la carne", v'ha un'ironia non meno malinconica che profonda nel farlo parlare, non al suo corpo, ma all'anima sua, poiché questa, benché potesse avvilirsi nei più bassi servizi della carne, era pure capace di venire informata dallo Spirito divino, e di conoscere, di amare e di glorificare Iddio» (Trench).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:11-12; 8:12-14; Giobbe 31:24-25; Salmi 49:5-13,18; 52:57; 62:10#050060110000-050060120000#050080120000050080140000#220310240000-220310250000#230490050000230490130000#230490180000-230490180000#230520050000230520070000#230620100000-230620100000

Proverbi 18:11; 23:5; Isaia 5:8; Osea 12:8; Habacuc 1:16; Matteo 6:19-21; 1Timoteo 6:17#240180110000-240180110000#240230050000240230050000#290050080000-290050080000#350120080000350120080000#420010160000-420010160000#470060190000470060210000#610060170000-610060170000

Giacomo 5:1-3#660050010000-660050030000

Giobbe 14:1; Proverbi 27:1; Giacomo 4:13-15#220140010000220140010000#240270010000-240270010000#660040130000660040150000

Luca 16:19; 21:34; Giobbe 21:11-13; Ecclesiaste 11:9; Isaia 5:11; 22:13; Amos 6:3-6#490160190000-490160190000#490210340000490210340000#220210110000-220210130000#250110090000250110090000#290050110000-290050110000#290220130000290220130000#370060030000-370060060000

1Corinzi 15:32; Filippesi 3:19; 1Timoteo 5:6; 2Timoteo 3:4; Giacomo 5:5; 1Pietro 4:3; Apocalisse 18:7#530150320000530150320000#570030190000-570030190000#610050060000610050060000#620030040000-620030040000#660050050000-

660050050000#670040030000-670040030000#730180070000730180070000

49012020Lc 12:20

20. Ma, Iddio gli disse: Stolto,

Come è terribile questo conciso giudizio pronunziato sopra una vita intera, dall'onnisciente Jehova: Stolto! Come son diversi i giudizii di Dio da quelli dell'uomo, riguardo a quel che costituisce la saviezza. Dio chiama quest'uomo stolto, il mondo lo loda come un modello di prudenza, di sagacità e di buona riuscita. Dopo molti anni di duro lavoro, il successo avea coronato i suoi sforzi; ma egli non avea l'intenzione di travagliarsi fino alla morte, come fanno tanti seguaci della fortuna. Deciso di godere negli ultimi anni di sua vita i frutti del suo lavoro, gli parve di aver fatto un progetto pieno di previdenza e di saviezza. Perché dunque chiamare stolto un uomo così prudente, così laborioso, così fortunato? Brown risponde molto bene:

«1. Perché considerava come la somma felicità una vita di godimenti terreni sicuri ed abbondanti.

2. Perché essendoseli acquistati, si lusingava di possederli per lunghi anni, e credeva perciò non aver altro da fare che a darvisi tutto intero. Questa è la sola accusa che venga mossa contro di lui».

questa stessa notte, l'anima tua ti sarà ridomandata;

Osserviamo le tre antitesi risultanti da questo versetto. Stolto in opposizione all'alto concetto che egli avea della propria saviezza; questa notte in contrasto coi molti anni che prometteva a se stesso; e quell'anima che egli considerava come sua proprietà, e che voleva accarezzare e far godere, ridomandata e ritolta. Quell'anima, per la quale egli formava piani così lussuriosi, non gli apparteneva. gli era stata prestata per un tempo dall'onnipotente Creatore, affinché ne facesse uso per la sua gloria; egli ne era responsabile a Dio, ed ora Iddio fa conoscere, in che modo non c'è detto che senza tempo per prepararsi, dietro avviso di un momento, questa notte,

egli deve renderla a Colui che l'avea data. Il vocabolo greco sarà ridomandata, tradotto esattamente significa: essi domandano» il tempo presente essendo usato per indicar quanto fosse imminente l'esecuzione della sentenza, mentre la terza persona plurale essi deve probabilmente intendersi degli angoli vendicatori, dei ministri della giustizia, l'opposto degli angeli che portavano Lazaro nel seno di Abrahamo Luca 16:22#490160220000-490160220000. Questo richiama alla nostra memoria il giudizio finale, poiché «bisogni che noi tutti compariamo davanti al tribunale di Cristo, acciocché ciascuno riceva la propria retribuzione delle cose ch'egli avrà fatto nel corpo; secondo ch'egli avrà operato, o bene o male» 2Corinzi 5:10#540050100000-540050100000; ma il Signore non interrompe il suo discorso prima di averlo coronato colla solenne applicazione.

e di cui saranno le cose che tu hai apparecchiate?

Egli ha cessato per sempre di possederle; i proprietari di fortune colossali, non meno che il più povero mendicante, devon dire: «Io sono uscito ignudo dal ventre di mia madre, ignudo altresì ritornerò là» Giobbe 1:21#220010210000-220010210000. La follia di accumulare a quel modo delle ricchezze, affinché altri le possano scialacquare, è bene espressa nelle parole del Salmista: «Adunano beni, senza sapere chi li raccorrà» Salmi 39:7#230390070000-230390070000, ed in quelle di Salomone: «Ho enziandio odiata ogni fatica che io ho durata sotto il sole, la quale io lascerò a colui che sarà savio o stolto? e pure egli sarà signore d'ogni mia fatica» Ecclesiaste 2:18-19#250020180000-250020190000.

PASSI PARALLELI

Luca 16:22-23; Esodo 16:9-10; 1Samuele 25:36-38; 2Samuele 13:28-29; 1Re 16:9-10#490160220000-490160230000#020160090000020160100000#090250360000-090250380000#100130280000100130290000#110160090000-110160100000

Giobbe 20:20-23; 27:8; Salmi 73:19; 78:30; Daniele 5:1-6,25-30; Nahum 1:10#220200200000-220200230000#220270080000220270080000#230730190000-230730190000#230780300000230780300000#340050010000-340050060000#340050250000340050300000#410010100000-410010100000

Matteo 24:48-51; 1Tessalonicesi 5:3#470240480000470240510000#590050030000-590050030000

Luca 11:40; Geremia 17:11; Giacomo 4:14#490110400000490110400000#300170110000-300170110000#660040140000660040140000

Ester 5:11; 8:1-2; Giobbe 27:16-17; Salmi 39:6; 49:17-19; 52:5-7; Proverbi 11:4#190050110000-190050110000#190080010000190080020000#220270160000-220270170000#230390060000230390060000#230490170000-230490190000#230520050000230520070000#240110040000-240110040000

Proverbi 28:8; Ecclesiaste 2:18-22; 5:14-16; Geremia 17:11; Daniele 5:28; 1Timoteo 6:7#240280080000-240280080000#250020180000250020220000#250050140000-250050160000#300170110000300170110000#340050280000-340050280000#610060070000610060070000

49012021Lc 12:21

21. Così avviene a chi fa tesoro a se stesso, e non è ricco In Dio.

Il Signore ci assicura che il ricco stolto è il tipo di chiunque in ogni età e paese vive solo per questo presente secolo malvagio, e spende il suo tempo, e la sua fatica per i propri fini egoistici, per il proprio piacere, per le ricchezze, per ottenere onori mondani. In una parola «avendo cura della carne a concupiscenza» Romani 13:14#520130140000-520130140000. Se continueremo a vivere solo per tali oggetti, periremo come lui. La proposizione in quest'ultima clausola, tradotta in Dio da Diodati, significa

altresì verso, e può prendersi qui nei due sensi. Esser ricco in Dio, è aver Dio come nostro Padre, nostro amico, nostro aiuto quaggiù, e nostra porzione in eterno, in forza del patto che ha fatto con noi in Cristo; e quelli che vivono in intima comunione con lui, osservando le cose da lui istituite, sono ricchi davvero. La morte, invece di spogliar tali persone delle loro ricchezze, le mette in possesso di «un soprammodo eccellente peso eterno di gloria» 2Corinzi 4:17#540040170000-540040170000. Esser ricco verso Dio, gli è abbondare in fede, in saviezza, in tutte le grazie dello Spirito, in zelo per la conversione delle anime che periscono, e l'avanzamento del regno di Dio, in opere di benevolenza e di misericordia verso i nostri simili, in una parola esser «compiuti in ogni buona opera per far la volontà di Dio» Ebrei 13:21#650130210000-650130210000. Quelli soli che son ricchi in Dio, mediante la gloriosa sua grazia, possono esser ricchi verso Dio, dedicandogli la loro vita.

PASSI PARALLELI

Luca 12:33; 6:24; Osea 10:1; Habacuc 2:9; Matteo 6:19-20; Romani 2:5; 1Timoteo 6:19; Giacomo 5:1-3#490120330000490120330000#490060240000-490060240000#350100010000350100010000#420020090000-420020090000#470060190000470060200000#520020050000-520020050000#610060190000610060190000#660050010000-660050030000

Luca 16:11; 2Corinzi 6:10; 1Timoteo 6:18-19; Giacomo 2:5; Apocalisse 2:9#490160110000-490160110000#540060100000540060100000#610060180000-610060190000#660020050000660020050000#730020090000-730020090000

RIFLESSIONI

1. Il rifiuto del Signore di occuparsi, come giudice, delle cose di questa vita, contiene una lezione importantissima per tutti i ministri della religione. La loro influenza nelle cose esterne della vita sarà grandissima, se verrà usata

indirettamente, ma se si occupano direttamente di cose Secolari e politiche, corrono il rischio di perderla affatto, perché sotto qualunque partito si schierino, gli avversarii di quello inchineranno a considerarli come nemici. Hanno il diritto di esercitare i loro privilegi politici, come cittadini dello stato, ma questo essi posson fare senza trasmutarsi essi stessi in capi di partiti politici. Dimorando così nella loro sfera saranno rispettati da tutti, e spesso potranno attutire le ire, e riconciliare gli interessi contrarii.

2. In che modo terribilmente vero, Gesù descrive in questa parabola la follia della mondanità. Ci fa vedere quell'uomo che fa dei piani intorno ai suoi beni, come se fosso padrone della propria vita, ed avesse sol da dire "voglio questa cosa", perché venga fatta. Quindi voltato il quadro, ci presenta Iddio che ridomanda, all'improvviso, l'anima di quel mondano e gli chiede «di cui saranno le cose, che tu hai apparecchiate?» È cosa solenne il pensare che il carattere delineato da Gesù in quella parabola non è punto raro. Migliaia di uomini in ogni età han fatto quello che vien qui condannato, e migliaia continuano a farlo. Si fan tesori in terra, ad altro non pensando che ad accrescerli, quasiché li dovessero godere per sempre, e non ci fosse né morte, né giudizio, né vita avvenire. E questi son gli uomini che vengon chiamati abili, prudenti, savi, che son lodati, adulati e proposti all'ammirazione universale! Ma «il Signor non riguarda a ciò a che l'uomo riguarda», poiché egli chiama tali uomini STOLTI! Gli uomini sono propensi a invidiare i ricchi; preghiamo piuttosto per essi, poiché le loro anime versano in grave pericolo.

3. Come è bestiale e indegno di un uomo, il confortar l'anima sua, come fece costui coll'abbondanza di cose terrene, invitandola «a mangiare, e bere e godere». Oimè! l'anima non può mangiare, bere e godere le cose carnali, più che il corpo possa cibarsi di cose spirituali ed immateriali. Essa non può nutrirsi del pane che perisce; ma la si porti a contatto con un Dio riconciliato in Cristo col patto della grazia, colle dolci promesse dell'evangelo, colle gioie e colle consolazioni dello Spirito Santo, ed essa ne farà un ricco banchetto. Le cose spirituali sole sono il cibo che conviene ad anime spirituali, epperciò quell'uomo ben si meritò l'appellativo di stolto, quando disse: «Anima, tu hai molti beni, riposati per molti anni; quietati, mangia, bei, e godi».

49012022Lc 12:22

Luca 12:22-34. AMMONIZIONI ED INCORAGGIAMENTI CONTRO LA SOVERCHIA SOLLECITUDINE PER LE COSE NECESSARIE ALLA VITA Matteo 6:25-34#470060250000-470060340000

Per l'esposizione, Vedi Matteo 6:25Matteo 6:25-34.

22. Poi disse a' suoi discepoli: Perciò, io vi dico: Non siate solleciti per la vita vostra, che mangerete; né per lo corpo vostro, di che sarete vestiti.

Dopo aver condannato la cupidigia, ossia la sete di beni temporali, il Signore si accinge con bontà a dissipare l'ansietà naturale dei discepoli, i quali vivevano precariamente, relativamente al futuro loro sostentamento, accertandoli che essi saranno sempre oggetto di cure speciali per parte del loro Padre celeste. Questo ci fa ripetendo, con alcune variazioni di poca importanza, una porzione del sermone in sul Monte Matteo 6:2534#470060250000-470060340000. Egli appoggia la sua esortazione alla fiducia filiale nella onnipotenza e nella provvidenza di Dio su tre considerazioni:

l. la cura che Dio si prende delle piante, rivestendo i gigli del campo di risplendente bellezza.

2. quella che stendo sulle creature inferiori, poiché provvede al nutrimento degli uccelli dell'aria.

3. quella che ha di essi stessi, non dipendendo dal proprio loro volere, ma dalla cura benigna di Dio, la crescenza del loro corpo; e se egli così si dà pensiero delle cose minori, quanto più se ne darà egli delle più importanti, come il sostentamento e la conservazione delle loro vite?

Il dovere loro adunque, è di cercare il regno di Dio, e se così fanno, Gesù li accerta che Dio avrà cura dei loro interessi temporali, e provvederà ad ogni loro bisogno.

PASSI PARALLELI

Luca 12:29; Matteo 6:25-34; 1Corinzi 7:32; Filippesi 4:6; Ebrei 13:5#490120290000-490120290000#470060250000470060340000#530070320000-530070320000#570040060000570040060000#650130050000-650130050000

49012029Lc 12:29

29. ...e non ne state sospesi.

Il vocabolo greco alzare in alto, viene impiegato in sensi molto varii dagli scrittori classici, e si dice in particolare di una nave alternativamente inalzata e abbassata dai flutti; applicato qui ai discepoli, proibisce loro di essere sempre fluttuanti fra la speranza ed il timore, ossia di vivere in dolorosa incertezza relativamente al loro pane quotidiano.

PASSI PARALLELI

Luca 12:22; 10:7-8; 22:35; Matteo 6:31#490120220000490120220000#490100070000-490100080000#490220350000490220350000#470060310000-470060310000

49012032Lc 12:32

32. Non temere, o piccola greggia;

Doppio diminutivo che abbraccia non solo la compagnia degli Apostoli, ma la Chiesa degli eletti di Dio in ogni età, in opposizione agli uomini del

mondo.

perciocché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno.

L'espressione applicata a Dio è piena di enfasi e di significato. Essa include due idee, scopo e beneplacito, in altre parole c'insegna che non solo è intenzione di Dio il dare il regno alla greggia di Cristo, ma pure che egli si diletta nel farlo. Il commento più soddisfacente di queste parole si trova in un'altra dichiarazione di Cristo, laddove egli parla pure dei credenti come della sua greggia Giovanni 10:27-29#500100270000-500100290000. Il regno di Dio in questo versetto include le benedizioni del vangelo quaggiù, e più tardi nel cielo; le prime essi già le posseggono; più tardi essi crederanno «il regno che è stato preparato per loro fino dalla fondazione del mondo» Matteo 25:34#470250340000-470250340000. La loro salvezza finale è assicurata!

PASSI PARALLELI

Cantici 1:7-8; Isaia 40:11; 41:14#260010070000260010080000#290400110000-290400110000#290410140000290410140000

Isaia 53:6; Matteo 7:15; 18:12-14; 20:16; Giovanni 10:2630#290530060000-290530060000#470070150000470070150000#470180120000-470180140000#470200160000470200160000#500100260000-500100300000

Luca 10:21; Matteo 11:25-27; Efesini 1:5-9; Filippesi 2:13; 2Tessalonicesi 1:11#490100210000-490100210000#470110250000470110270000#560010050000-560010090000#570020130000570020130000#600010110000-600010110000

Geremia 3:19; Matteo 25:34; Giovanni 18:36; Romani 6:23; 8:28-32; 2Tessalonicesi 1:5; Ebrei 12:28#300030190000300030190000#470250340000-470250340000#500180360000500180360000#520060230000-520060230000#520080280000-

520080320000#600010050000-600010050000#650120280000650120280000

Giacomo 2:5; 1Pietro 1:3-5; 2Pietro 1:11; Apocalisse 1:6; 22:5#660020050000-660020050000#670010030000670010050000#680010110000-680010110000#730010060000730010060000#730220050000-730220050000

49012033Lc 12:33

33. vendete a vostri beni, e fatene limosina; fatevi delle borse che non invecchiano ecc.

Pretendono alcuni scoprire in queste parole «la salvazione mediante il valore meritorio della povertà volontaria e delle elemosine», ma questa nozione assurda è confutata appieno dal fatto che quelli cui è rivolta l'esortazione di vendere i loro beni e di darli ai poveri sono già stati accertati della loro salute, quali membri della piccola greggia, cui è piaciuto al Padre di dare il regno. Questa ingiunzione non è che la ripetizione, sotto forma più viva, di quanto è detto negativamente in Matteo 6:19#470060190000470060190000. Lì abbiamo la proibizione: «non fate tesori», qui l'ordine: «vendete i vostri beni», e la prima spiega il secondo. Vien loro qui ingiunto di coltivare una disposizione generosa, invece di inclinazioni cupido, di dare ai poveri e bisognosi della «loro profonda povertà» 2Corinzi 13:5#540130050000-540130050000 - molto più del loro superfluo, anziché serbare il poco che sopravanzava loro per il giorno della fame, ricordandosi che «chi dona al povero presta al Signore, ed egli gli farà la sua retribuzione» Proverbi 19:17#240190170000-240190170000. Questo il modo migliore di mettere a frutto le ricchezze di questo mondo. Non è qui comandato al cristiano di vendere, alla lettera, tutto quanto possiede. Nel trasporto di gioia, riconoscenza ed amore prodotto dalla effusione dello Spirito alla Pentecoste, lo si fece per qualche tempo, per provvedere alle necessità dei credenti poveri in Gerusalemme; ma non appena la Chiesa fu organizzata, tal sistema cadde in disuso e non troviamo indizio alcuno di

una simile usanza fra le Chiese di origine Gentile 1Corinzi 7:30#530070300000-530070300000.

49012035Lc 12:35

Luca 12:35-48. LA VIGILANZA RACCOMANDATA A MOTIVO DELLA CERTEZZA DEL RITORNO DEL SIGNORE, E DELLE RICOMPENSE CHE EGLI RECHERÀ CON SÉ Matteo 24:4251#470240420000-470240510000

Le ricompense che spettano ai servitori fedeli, Luca 12:35-40

35. I vostri lombi sien cinti,

Essendo già preparato il regno per «la piccola greggia» Gesù li esorta ora a star sempre pronti a prenderne possesso, lasciando da banda ogni impedimento. Di questa preparazione, egli dà esempi tolti dalla loro vita giornaliera. Gli Orientali vestono una lunga tunica o toga stretta che giunge fino alla noce del piede, e su quella una veste più larga, della medesima lunghezza; ma per correre, per fare un lungo viaggio, o per lavorare nei campi, bisogna raccoglierne i lembi intorno alla vita e legarveli fermamente con una cintura, perché non impediscano la libertà dei loro movimenti. E come i Giudei preparavano i loro corpi in questo modo pel giornaliero lavoro, così doveano i credenti tener i cuori e gli affetti sempre parati al servizio del Signore.

e le vostre lampane accese. 36. E voi, state simili a coloro che aspettano il lor signore, quando egli ritornerà dalle nozze; acciocché, quando egli verrà, e picchierà, subito gli aprano.

L'altro paragone famigliare col quale Gesù descrive la vigilanza, è quello di tener le lor lampane in buon assetto e piene d'olio, per poter bruciar tutta la notte, sia che aspettino un corteo nuziale lungo la via, o il ritorno a casa del loro padrone che è andato a qualche festa di nozze. Le parole del ver. 36

mostrano che quest'ultima era l'idea che Gesù voleva esprimere. Non parla delle nozze del padrone, perché l'esortazione di tener le lampade pronte, la notte in cui egli dovea condurre a casa sua la sposa, doveva essere affatto superflua. Non è, come suppone Oostorzee, che Gesù rappresenti se stesso, come «celebrante le sue nozze in cielo, circondato da convitati e da amici, per tornar quindi alla sua dimora dopo la cena nuziale, affin di incoronar di gioia e di onore i servi suoi fedeli», perché allo sposalizio dell'Agnello e della sua sposa, la terra attuale sarà passata, e i servi fedeli saranno incorporati colla sposa celeste, partecipando a tutto le sue glorie, a tutti i suoi onori. Tralasciando ogni questione del tempo, in cui la Chiesa intera si alzerà al grido: «Lo sposo viene», il Signore sceglie come esempio di vigilanza la condotta dei servi di un padrone qualunque, il quale essendo stato invitato ad una festa da nozze, non poteva tornare a casa che a notte inoltrata. Invece di sdraiarsi in terra, avvolti nelle loro lunghe toghe per dormire, finché non picchiasse il padrone (lusingandosi colla speranza di svegliarsi al minimo rumore), questi fedeli servitori vegliano con costanza, uscendo di tanto in tanto per ispiare il rumore dei suoi passi, e non appena ha egli picchiato alla porta, vien questa spalancata per lasciarlo entrare. Simil prontezza e vigilanza richiede Cristo dai suoi in ogni età, perché egli pure verrà, a suo tempo, a picchiare all'uscio di ciascuno di noi. Non dobbiamo escludere da questa venuta, il giudizio della provvidenza di Dio, nella distruzione di Gerusalemme, poiché era, su questo che Gesù voleva primieramente attrarre l'attenzione dei suoi uditori, né la manifestazione spirituale del suo potere reale nel periodo del millennio, per mezzo di una più abbondante manifestazione dello Spirito Santo; ma al tempo stesso lo si deve intendere in un senso così esteso da renderlo applicabile a tutte le persone, in tutte le età. L'interpretazione ordinaria, e senza dubbio la vera, consiste a dire che la venuta del Signore accade in via provvidenziale, alla morte di ciascun individuo, ed accadrà in modo letterale, personale e visibile al giorno del giudizio.

PASSI PARALLELI

1Re 18:46; Proverbi 31:17; Isaia 5:27; 11:5; Efesini 6:14; 1Pietro 1:13#110180460000-110180460000#240310170000-

240310170000#290050270000-290050270000#290110050000290110050000#560060140000-560060140000#670010130000670010130000

Matteo 5:16; 25:1,4-10; Filippesi 2:15#470050160000470050160000#470250010000-470250010000#470250040000470250100000#570020150000-570020150000

49012037Lc 12:37

37. Beati que' servitori, i quali il Signore troverà vegghiando, quando egli verrà. Io vi dico in verità, ch'egli si cignerà, e li farà mettere a tavola, ed egli stesso verrà a servirli.

L'approvazione del Padrone non si limita a mere parole di lode, si dimostra nell'accordare ai suoi servi fedeli i più alti onori; egli muta posto con loro, li fa sedere ad un banchetto, si avvicina ad ognuno in turno, che questo può significare la parola e gioisce di servirli. Si paragoni con questo il passo in cui Gesù lava i piedi dei suoi discepoli Giovanni 13:1-10#500130010000500130100000, il che era un simbolo dell'onore qui predetto. Questa promessa di servire egli stesso ai suoi servitori, è una delle più maravigliose fatte al credente nel Nuovo Testamento, e contiene il più grande e il più alto segno di onore. Il significato ne è evidentemente non esservi grado di onore e di gloria, che il Signor Gesù non sia disposto a concedere a quelli che troverà aspettandolo al suo ritorno in terra. Così egli riceverà, e servirà ed onorerà in cielo tutti i fedeli suoi servitori. «L'Agnello che è in mezzo del trono li pasturerà» Apocalisse 7:17#730070170000-730070170000.

PASSI PARALLELI

Luca 12:43; 21:36; Matteo 24:45-47; 25:20-23; Filippesi 1:21,23; 2Timoteo 4:7-8; 1Pietro 5:1-4#490120430000-490120430000#490210360000490210360000#470240450000-470240470000#470250200000470250230000#570010210000-570010210000#570010230000-

570010230000#620040070000-620040080000#670050010000670050040000

2Pietro 1:11; 3:14; Apocalisse 14:13#680010110000680010110000#680030140000-680030140000#730140130000730140130000

Isaia 62:5; Geremia 32:41; Sofonia 3:17; Giovanni 12:26; 13:4-5; 1Corinzi 2:9; Apocalisse 3:21#290620050000-290620050000#300320410000300320410000#430030170000-430030170000#500120260000500120260000#500130040000-500130050000#530020090000530020090000#730030210000-730030210000

Apocalisse 7:17; 14:3-4#730070170000-730070170000#730140030000730140040000

49012038Lc 12:38

38. E, s'egli viene nella seconda vigilia, o nella terza, e la trova in questo stato, beati que' servitori.

I Giudei, come i Greci ed i Romani, dividevano la notte in veglie militari, invece di ore, ogni vigilia essendo il tempo durante il quale le sentinelle e, i picchetti restavano di guardia. Originalmente i Giudei avevan tre vigilie solamente, cioè rash ashmurot, «il principio delle vegghie» Lamentazioni 2:19#310020190000-310020190000, che durava dal tramonto alle dieci pom. «ashmoret atikuna, vegghia della mezza notte» Giudici 7:19#070070190000-070070190000, dalle 10 pom. alle 2 ant.; e ashmoret boker, «la vegghia della mattina» Esodo 14:24; 1Samuele 11:11#020140240000-020140240000#090110110000-090110110000, dalle 2 ant. al levar del sole. Più tardi però i Giudei adottarono l'uso romano, dividendo la notte in quattro vigilie, le quali erano chiamate o secondo il loro ordine numerico, come in questo passo, ed in Matteo 14:25#470140250000-470140250000 (dove è mentovata la quarta vigilia), o dalle appellazioni: la sera, la mezzanotte, il cantar del gallo e la mattina Marco 13:35#480130350000-480130350000. Calcolando che la notte

principii alle 6 pom., la seconda vigilia sarebbe dalle 9 alle 12, la terza dalla mezzanotte alle 3 ant. Il senso di questo versetto è che non importa se il Signore torni presto o tardi, i servi devono sempre essere all'erta per aspettar la sua venuta, e quelli che saran trovati così al suo ritorno, egli li ricompenserà con abbondanti benedizioni.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:6; 1Tessalonicesi 5:4-5#470250060000470250060000#590050040000-590050050000

49012039Lc 12:39

39. or sappiate questo, che, ne il padron della casa sapesse a qual ora il ladro verrà, egli veglierebbe, e non si lascerebbe sconficcar la casa. 40. Ancora voi dunque siate presti; perciocché, nell'ora che voi non pensate, il Figliuol dell'uomo verrà.

Per l'esposizione vedi note Matteo 24:42Matteo 24:42-44.

Lungi dall'essere una interpolazione, come lo suppone Schieiermacher, questi versetti stanno in intima connessione coi precedenti. Contengono un altro potente argomento per la vigilanza, basato sulla incertezza del tempo in cui il Signore ritornerà. «Ben sapete», dice egli, «che se il padrone di casa sapesse a qual'ora il ladro intende entrar per effrazione nella casa sua, starebbe così bene in guardia da rendere inutile il suo tentativo; egli è solo quando il padrone è trascurato, o si crede al sicuro e si occupa di altro cose, che il ladro può riuscir nel suo intento. Siccome dunque egli è impossibile dire a qual ora egli verrà non c'è altra sicurezza che di star sempre all'erta». La forza di questa parabola non istà in quel che il ladro abbia rubato (benché alcuni scrittori dieno molta importanza a questo), ma nel suo entrare in modo subitaneo e senza far rumore alcuno, quando tutti quelli di casa giacciono sepolti nel sonno. L'insegnamento della parabola è chiaro e

distinto: Il padron di casa sarebbe naturalmente ben contento di saper in che ora comparirà il ladro, perché si terrebbe allora pronto a riceverlo; ma siccome questo è impossibile, egli deve vegliare del continuo. Quindi segue l'applicazione: Fate ciascun di voi per se stesso quel che fa quel padron di casa: Vigghiate! «Ancora voi, adunque, siate presti, perciocché nell'ora che voi non pensate, il Figliuol dell'uomo verrà». Come il giorno del giudizio finale sorprenderà il mondo in generale, così nel caso degli individui, il giorno della loro partenza da questa vita è non di rado una cosa subitanea, e troppo spesso giunge come una sorpresa fatale. Il ladro della parabola è figura del Signore stesso nel modo della sua venuta, come egli dichiara in modo anche più esplicito in due passi dell'Apocalisse 3:3; 16:15#730030030000-730030030000#730160150000-730160150000. Questa figura sembra aver fatto una profonda impressione sui discepoli, poiché Paolo e Pietro vi fanno allusione nei loro scritti 1Tessalonicesi 5:2; 2Pietro 3:10#590050020000-590050020000#680030100000680030100000. Mirabili son qui le parole di Godet: «Questa figura indica il vero senso del dovere dell'aspettazione della seconda venuta di Cristo. Non è compito della Chiesa il fissare anticipatamente quel tempo, quel momento indeterminabile; essa non ha altro da fare, in ragione di quella stessa sua ignoranza, dalla quale non deve neppur desiderar di venir fuori, che di starsene incessantemente nell'aspettazione».

PASSI PARALLELI

Matteo 24:43-44; 1Tessalonicesi 5:2-3; 2Pietro 3:10; Apocalisse 3:3; 16:15#470240430000-470240440000#590050020000590050030000#680030100000-680030100000#730030030000730030030000#730160150000-730160150000

Luca 21:34-36; Matteo 24:42,44; 25:13; Marco 13:33-36; Romani 13:11,14; 1Tessalonicesi 5:6#490210340000-490210360000#470240420000470240420000#470240440000-470240440000#470250130000470250130000#480130330000-480130360000#520130110000520130110000#520130140000-520130140000#590050060000590050060000

2Pietro 3:12-14; Apocalisse 19:7#680030120000680030140000#730190070000-730190070000

49012041Lc 12:41

I due economi Luca 12:41-48

Per l'esposizione vedi Matteo 24:45Matteo 24:45-51.

41. E Pietro gli disse: Signore, dici tu a noi questa parabola, ovvero anche a tutti?

Riferendoci la conversazione del Signore, dopo la partenza del giovane ricco Matteo 19:27#470190270000-470190270000, ci dice che Pietro, mettendo in opposizione la condotta di questi con quella dei dodici, i quali aveano «abbandonato ogni cosa, per seguir Gesù», domandò al Signore: «Che ne avrem dunque?» aspettando evidentemente onori e ricompense sostanziali. L'onore che il Maestro, nei versetti precedenti promette di dare nel santuario celeste ai suoi vigili e fedeli servitori, svegliò probabilmente in lui consimili aspettazioni, e preoccupò i suoi pensieri. Egli non dubita punto che il suo divino Maestro abbia in vista i suoi Apostoli, nel pronunziar le parole del ver. 37, ma vuol sapere se quella bella promessa è comune all'universalità dei credenti, ovvero è eredità speciale dei dodici, indi la sua domanda. Gesù avrebbe potuto rispondere categoricamente che tali onori erano destinati a tutti i suoi santi, in proporzione della loro abnegazione ed attività nelle loro varie sfere di lavoro, ma preferisce lasciar che la risposta esca dalla coscienza stessa di Pietro, e da quella di tutti gli astanti perciò domanda: «Qual'è quel dispensator leale ed avveduto?» «La coscienza rende essa ad ognuno di voi la testimonianza che tali qualificazioni ai trovano in voi?» Siete così accecati da non comprendere che chiunque sarà fedele, vigilante e laborioso nell'opera del mio regno, e nel nutrire con cibo spirituale le anime dei suoi conservi, affidati alla sua cura, è un tal dispensatore, qualunque siasi il suo rango nella Chiesa di Dio?» Qual colpo è questo all'orgoglio

della successione apostolica come esso si sviluppa oggidì! L'ordinazione episcopale, la trasmissione del potere apostolico, mediante una catena non interrotta sin dai giorni della Chiesa primitiva, ci vengon presentate come le sole cose necessarie a costituire un servitore di Cristo, appieno fornito per l'opera sua; ma Cristo ignora affatto simili qualificazioni, e ne dà qui altre che tutti possono acquistare. L'uffizio apostolico, era per la stessa sua condizione Atti 1:21-22#510010210000-510010220000 eccezionale e temporaneo nella Chiesa, e non c'è nulla nei versetti 42-44 che indichi che l'apostolato dovesse venir continuato fino al ritorno di Cristo, benché in essi sia fortemente e fuor di dubbio stabilito il ministero della parola (che includeva gli Apostoli), come quello che dovea durare fino alla fine del mondo. economo o dispensatore, era un mediatore fra il maestro di casa e i suoi servi, incaricato, come Eliezer in casa di Abrahamo, e Giuseppe in quella di Potifarre, di sorvegliar tutta la servitù. Fra i Greci ed i Romani un tale uffizio veniva spesso dato a qualche schiavo degno di fiducia, cui non di rado si accordava la libertà in ricompensa di lunghi e fedeli servizii.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:43-44; 1Tessalonicesi 5:2-3; 2Pietro 3:10; Apocalisse 3:3; 16:15#470240430000-470240440000#590050020000590050030000#680030100000-680030100000#730030030000730030030000#730160150000-730160150000

49012046Lc 12:46

46. Il Signore di quel servitore verrà... e lo riciderà ecc.

La Dichotomia era un castigo ben noto nell'Oriente. I discepoli non dovevano esser sorpresi di udirlo mentovato; ma alcuni credono che non lo si debba prender qui letteralmente, perché il Signore parla di questo servo, come essendo tuttor vivente, anche dopo questa punizione. È stato consigliato di interpretar quella parola nel senso di: «separato», «tolto d'infra i suoi conservi», e mandato in prigione o a lavorar nelle miniere. È

dover nostro indicare questa interpretazione benché non la possiamo ammettere; poiché l'esser riciso, e messo nel numero degli infedeli, sono espressioni che descrivono le pene eterne Matteo 13:50; Apocalisse 19:20#470130500000-470130500000#730190200000-730190200000.

PASSI PARALLELI

Luca 12:19-20,40; Apocalisse 16:15#490120190000490120200000#490120400000-490120400000#730160150000730160150000

Salmi 37:9; 94:14#230370090000-230370090000#230940140000230940140000

Giobbe 20:29; Salmi 11:5; Matteo 7:22-23; 13:41-42,4950#220200290000-220200290000#230110050000230110050000#470070220000-470070230000#470130410000470130420000#470130490000-470130500000

Matteo 24:51#470240510000-470240510000

49012047Lc 12:47

47. or il servitore che ha saputo la volontà del suo Signore, e non si è disposto a far secondo la volontà d'esso, sarà battuto di molte battiture. 48. Ma colui che non l'ha saputo, se fa cose degne di battitura, sarà battuto di poche battiture;

In questo e nel seguente versetto, Luca riferisce, relativamente al malvagio servitore, una parte del discorso di Gesù che non è ricordata da Matteo. Essa si occupa del grado di punizione che gli verrà inflitta, quando il Signore sarà tornato, e gli avrà assegnato «la sua parte cogli infedeli». infedeli, in questo versetto, non è un mero equivalente di Matteo 24:51#470240510000470240510000, o di servi indegni di fiducia; ma introduce una classe peggiore, della cui salvezza non c'è speranza alcuna, perché non hanno mai

creduto, e la cui eterna distruzione è espressa figurativamente coll'esser «gittati nelle tenebre di fuori, ove sarà il pianto e lo stridor dei denti» Matteo 8:12#470080120000-470080120000. Come in cielo sono riserbati ai santi gradi maggiori o minori di beatitudine e di gloria 1Corinzi 15:4142#530150410000-530150420000, così per quelli che verranno rinchiusi per tutta la eternità nella prigione della geenna, la scala delle pene sarà proporzionata alle circostanze delle colpe di ciascuno. Queste circostanze son qui enumerate: conoscere la volontà del Padrone e non farla, e far cose che meritano punizione, in ignoranza della volontà del Padrone. Tale ignoranza deve intendersi della conoscenza diretta della volontà di Dio; ma anche quella non li salverà dalla punizione, solo scemerà l'intensità del castigo che il giusto Giudice pronunzierà su di loro all'ultimo, giorno; perché da Romani 2:12-16#520020120000-520020160000 sappiamo che anche fra i pagani vi era sufficiente, conoscenza della volontà di Dio, così per la coscienza come per la luce di natura, da renderli inescusabili e da sottoporli a giudizio per le loro trasgressioni. I servi infedeli non sono qui solamente i ministri di Cristo, i quali, per pigrizia, ambizione o vizio trascurano la volontà del Padrone, che ha loro comandato di cercar le anime, e di fortificar la sua Chiesa; ma pure uomini di ogni rango che han ricevuto da Dio uffizio e dignità, come Apocalisse, Magistrati, Legislatori, Maestri, Genitori, Padroni di officine, i quali deliberatamente trascurano, nelle varie loro sfere di influenza, di far la sua volontà. Questi saranno battuti di molte battiture. Quel servo, al contrario, le cui azioni malvagie e la cui trascuranza del proprio dovere nacquero dal non essere egli esattamente informato della volontà del Padrone, sarà battuto di meno battiture. Fuvvi un tempo in cui le Scritture non erano tradotte nella lingua di molti popoli, quando pochi erano i pastori ed i dottori, ed allora ben potevasi mettere avanti la ignoranza della volontà di Dio, in attenuazione del castigo Atti 17:30#510170300000510170300000; ma ora non può il peccatore derivare da questa dichiarazione, un incoraggiamento a peccare, poiché il fatto solo che egli conosce questo passo lo esclude da ogni esenzione. Possiamo facilmente comprendere quanto la sorte di uno che perisce dopo aver goduto i più alti privilegi, e la chiara conoscenza della volontà di Dio, deve esser più terribile di quella di chi è stato meno privilegiato di lui. Il genere di pena qui mentovato, battiture, era sanzionato dalla legge di Mosè, e veniva ordinariamente inflitta dai Giudei ai malfattori. Quaranta battiture meno una

(equivalenti alle «molte» di questo passo) eran date per le offese più gravi, siccome quelle che meritavano tutti i rigori della legge, ma delitti minori venivano puniti meno severamente Deuteronomio 25:2-3#050250020000050250030000.

ed a chiunque è stato dato assai, sarà ridomandato assai; ed appo cui è stato messo assai in deposito, da lui ancora sarà tanto più richiesto.

Queste parole contengono la massima, sulla quale riposano le procedenti esortazioni, vale a dire che la nostra responsabilità, cresce coi talenti che ci sono affidati, ed al giorno del giudizio l'ammontar di questi e l'uso che ne avrem fatto, determinerà la grandezza del nostro castigo, o della nostra ricompensa. Ma c'insegnano di più, che quando ci vien detto dover gli uomini esser giudicati secondo «i loro fatti» Matteo 16:27, Romani 11:16#470160270000-470160270000#520110160000-520110160000, dobbiamo intendere, non già i fatti in astratto, ma i principii e le circostanze tutte secondo cui vennero compiuti. Il secondo assai, in questa clausola, non significa semplicemente il rendere il già ricevuto in origine, ma un'addizione a quello; una somma di servizio e di diligenza proporzionata a quello, come 10 per 5, e 4 invece di 2 nella parabola dei talenti Matteo 25:15-16#470250150000-470250160000.

PASSI PARALLELI

Luca 10:12-15; Numeri 15:30-31; Matteo 11:22-24; Giovanni 9:41; 12:48; 15:22-24; 19:11#490100120000-490100150000#040150300000040150310000#470110220000-470110240000#500090410000500090410000#500120480000-500120480000#500150220000500150240000#500190110000-500190110000

Atti 17:30; 2Corinzi 2:15-16; Giacomo 4:17#510170300000510170300000#540020150000-540020160000#660040170000660040170000

Deuteronomio 25:2-3#050250020000-050250030000

Levitico 5:17; Atti 17:30; Romani 2:12-16; 1Timoteo 1:13#030050170000030050170000#510170300000-510170300000#520020120000520020160000#610010130000-610010130000

Luca 16:2,10-12; Genesi 39:8-23; Matteo 25:14-29; Giovanni 15:22; 1Corinzi 9:17-18#490160020000-490160020000#490160100000490160120000#010390080000-010390230000#470250140000470250290000#500150220000-500150220000#530090170000530090180000

1Timoteo 1:11,13; 6:20; Tito 1:3; Giacomo 3:1#610010110000610010110000#610010130000-610010130000#610060200000610060200000#630010030000-630010030000#660030010000660030010000

RIFLESSIONI

1. È evidente che la parabola degli economi fedele ed infedele si applica in modo speciale ai predicatori del vangelo, i quali trovandosi in una situazione di maggior responsabilità di altri, sono altresì esposti a maggiori pericoli. Hanno gran bisogno di portar sempre quella responsabilità con loro. «Se Satana rovina le anime degli uomini, egli ne risponderà solo come omicida, non come ministro, cui è stata affidata la cura delle anime. Ma se il dispensatore non provvede, se il pastore non pasce, se la vedetta non dà il grido d'allarme, dovranno rispondere, non solo per le anime perdute ma, pure per il trascurato ministero, per il talento nascosto, per l'amministrazione infedelmente tenuta. Guai a noi se all'ultimo giorno udremo anime disperate lagnarsi di noi dinanzi a Dio, ed accusarci dicendo: "Signore, i nostri dispensatori ci hanno frodati, le nostre sentinelle ci hanno traditi, le nostre guide ci hanno condotti sulla falsa via"» (Burkitt).

2. Questi versetti contengono un'altra lezione alla quale tutti i Cristiani faranno bene di dare ascolto. Quello per cui l'economo fedele fu lodato e ricompensato (e per la trascuranza di cui l'altro venne condannato) fu il lavorar diligentemente nella sfera in cui lo ha posto Iddio. Ad ogni credente

è assegnata una sfera nella quale egli deve lavorare per il suo Signore, ovvero meritar la condanna minacciata all'economo infedele; ma i più mettono quel peso sulle spalle dei loro ministri, quasiché il dovere di aver cura delle anime, di promuovere il benessere religioso e morale della società, di far progredire la causa di Cristo, a questi appartenesse unicamente. Quando un tal dovere vien raccomandato all'attenzione di quelli che si contentano di mere professioni di amore a Cristo o di simpatia per le opere filantropiche, non è raro udir tali persone dichiarare che il parlare di «lavorare», di «fare» è un ritornare alla legge, un ricondurre i cristiani in ischiavitù. Ma questo linguaggio è frutto di ignoranza o di perversità. La lezione che ci sta dinanzi non tratta della giustificazione, ma della santificazione, non della fede; ma della santità. La quistione non è: che cosa deve far l'uomo per essere salvato? bensì: che cosa dove far l'uomo che già è salvato per testimoniare il suo amore a Colui che l'ha redento? L'insegnamento della Scrittura su questo punto è chiaro ed esplicito, deve «aver cura d'attendere a buone opere» Tito 3:8#630030080000630030080000. Così facendo imitiamo Cristo, il quale «andò attorno facendo benefici» Atti 10:38#510100380000-510100380000. Così facendo imitiamo pure gli apostoli: «La mia propria vita non mi è cara, appresso all'adempiere con allegrezza il mio corso, ed il ministero, il quale io ho ricevuto dal Signor Gesù» Atti 20:24#510200240000-510200240000. Così facendo glorifichiamo Iddio: «In questo è glorificato il Padre mio che voi portiate molto frutto» Giovanni 15:8#500150080000-500150080000.

3. La conoscenza del nostro dovere aggrava il nostro peccato, se lo trascuriamo. Giusta Sarà la sentenza di Dio nell'infliggere maggior castigo sul servo che conobbe la volontà del suo padrone per aver fatto cattivo uso dei mezzi di istruzione a lui concessi, poiché il peccato contro conoscenza arguisce un grado maggiore di perversità e di disprezzo di Dio. A quelli che hanno facoltà mentali più potenti, conoscenze più estese, maggior famigliarità colle Scritture è stato dato molto, e verrà richiesto in proporzione.

49012049Lc 12:49

Luca 12:49-59. DIVISIONI PRODOTTE DALL'INTRODUZIONE DELLA VITA SPIRITUALE MEDIANTE L'EVANGELO. DEL DISCERNERE I SEGNI DEI TEMPI Matteo 10:34-36; 16:23#470100340000-470100360000#470160020000-470160030000

Per la esposizione vedi le note su ambo quei passi.

49. Io son venuto a mettere il fuoco in terra;

C'è gran diversità d'opinione fra gli scrittori relativamente alla parola fuoco, in questo versetto. Le sono stati dati i sensi seguenti: La parola di Dio; la predicazione del Vangelo; l'amore; lo Spirito Santo; e le persecuzioni, afflizioni e lotte che dovevano accompagnare l'introduzione del vangelo in terra. Praticamente però i primi quattro sono assai vicini in quanto al loro senso, e dal loro punto di vista il «fuoco» deve essere considerato come una benedizione che Cristo concede. Secondo l'ultimo mentovato di quei sensi, esso sarebbe invece una prova, un conflitto che «i nati di nuovo» devono sopportare per parte di quelli che son di mente carnale, per il loro odio all'evangelo. È questo il senso dato più frequentemente a questa parola dai commentatori, nel qual caso la «discordia» di ver. 51; è una mera ripetizione della stessa idea, il che noi non possiamo accettare. Il fuoco di questo versetto, lungi dall'essere sinonimo di divisione, ver. 51, e la spada di Matteo 10:34#470100340000-470100340000, è evidentemente impiegato qui dal Salvatore come la causa accidentale che produce gli altri due. Lo scopo della venuta di Cristo in sulla terra, delle sue sofferenze e della sua morte era interamente misericordioso ed amorevole. Egli è venuto, acciocché gli uomini «abbiano vita ed abbondino» Giovanni 10:10#500100100000-500100100000. Il fuoco deve dunque esser qui la vita, sia il dono dello Spirito o quella vita spirituale, la quale, mediante la predicazione di un Salvatore crocifisso, egli dovea impiantar nel cuore di quelli che erano tuttora nemici di Dio. Il pieno effetto di questo fuoco celeste i dodici stessi non lo avevano ancora sperimentato, né lo potevano sperimentare fino alla Pentecoste; ma dopo quel gran giorno, esso dovea riscaldare e vivificare i cuori di moltitudini senza numero.

e che voglio, se già è acceso?

Nel greco lo stile di questa frase è rotto e conciso, ed il senso preciso ha, dato molto da fare ai commentatori, benché sia ovvio il significato generale del discorso. Ewald: "E perché mi lagnerei io, se è già acceso?" Schulemacher: "Che posso io desiderar di più, quantunque sia già acceso?" Lightfoot: "Questo io vorrei, che fosse già acceso". Campbell, Olshausen Foote e Brown: "Che posso io desiderare, se non che fosse già acceso?" Grotius, Meyer, Stier, Alford (dando ad il senso di utinam, fosse pure, come in Luca 19:42#490190420000-490190420000): "e che voglio io? Fosse esso pur già acceso!" Queste interpretazioni non sono molto discoste l'una dall'altra; ma persuasi che il Signore, nella prima clausola, allude al fuoco che dovea scender dal cielo alla Pentecoste, e di cui desiderava la venuta mentre al ver. 50 parla di un ostacolo che deve esser tolto dalla via, l'ultima di queste interpretazioni a parer nostro è decisamente la migliore.

PASSI PARALLELI

Luca 12:51-52; Isaia 11:4; Gioele 2:30-31; Malachia 3:2-3; 4:1; Matteo 3:10-12#490120510000-490120520000#290110040000290110040000#360020300000-360020310000#460030020000460030030000#460040010000-460040010000#470030100000470030120000

Luca 11:53-54; 13:31-33; 19:39-40; Giovanni 9:4; 11:8-10; 12:1719#490110530000-490110540000#490130310000490130330000#490190390000-490190400000#500090040000500090040000#500110080000-500110100000#500120170000500120190000

49012050Lc 12:50

50. Or io ho ad esser battezzato d'un battesimo;

La congiunzione or, colla quale principia questo versetto significa ma prima, cioè prima che questo fuoco possa essere acceso e sparso ovunque. Non era questo un battesimo d'acqua, né di Spirito, ma di sofferenze, di sangue, terminante nella morte ignominiosa della croce. In Matteo 20:22#470200220000-470200220000, va unito col bere in Getsemane e sul Calvario l'assegnatogli calice di dolore, poiché prima della conversazione coi figli di Zebedeo in quel passo ricordata, egli avea espressamente annunziato ai suoi discepoli che sarebbe condannato a morte, deriso, flagellato e messo in croce. Gesù chiama la sua passione un battesimo, perché in quella dovea venire immerso nel sangue anziché nell'acqua, e così consecrato e preparato ad entrare nel regale suo uffizio. Già avea ricevuto battesimo d'acqua e battesimo di Spirito Santo; ma stava in serbo per lui un terzo battesimo, quello del sangue, e come una donna in travaglio, egli era angosciato e tormentato dal desiderio che i suoi patimenti fossero adempiuti.

e come sono io distretto, finché sia compiuto!

distretto indica acuti dolori corporali Matteo 4:24; Luca 4:38#470040240000-470040240000#490040380000-490040380000; il potere costringitore della carità 2Corinzi 5:14#540050140000540050140000; la perplessità prodotta da opposti desideri Filippesi 1:23#570010230000-570010230000; uno stato di mentale agonia Luca 8:37#490080370000-490080370000; e qui esso significa un ardente desiderio, un santo zelo perché fosser consumate quelle sofferenze che il nostro Signore sapeva dover precedere l'espansione del «fuoco» Salmi 68:19; Atti 2:33#230680190000-230680190000#510020330000510020330000. Questo versetto c'insegna che le sofferenze del Signore furono molto terribili, che egli ben conosceva qual ne dovesse essere l'intensità; che esse erano volontarie, e che egli le accettò con gioia. Quando l'ora di quel battesimo si avvicinò, invece di indietreggiare, dinanzi ad esse, condusse egli stesso i suoi discepoli a Gerusalemme, con tal risolutezza da farli rimanere stupefatti Matteo 10:32#470100320000-470100320000.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:17-22; Marco 10:32-38#470200170000470200220000#480100320000-480100380000

Salmi 40:8; Giovanni 4:34; 7:6-8,10; 10:39-41; 12:27-28; 18:11; 19:30#230400080000-230400080000#500040340000500040340000#500070060000-500070080000#500070100000500070100000#500100390000-500100410000#500120270000500120280000#500180110000-500180110000#500190300000500190300000

Atti 20:22#510200220000-510200220000

49012051Lc 12:51

51. Pensate voi che io sia venuto a mettere pace in terra? No, vi dico, anzi discordia ecc.

Se i discepoli si fossero tuttora lusingati colla speranza che, stabilito il regno messianico quale essi se lo sognavano, essi godrebbero tranquillità e pace, questo ed i seguenti versetti avrebbero tolto loro ogni consimile aspettazione. L'introduzione del regno dell'evangelo ed il potere dello Spirito Santo per convertire le anime, lungi dall'apportar pace, ingenererebbero necessariamente lotte e contenzioni nel seno delle famiglie, e nella società in generale. La colpa di questo non si può però dare alla religione di Cristo, perché essa reca pace ad ogni cuore che la riceve; ma le sue leggi son così moleste e fastidiose per gli uomini inconvertiti, e la sua influenza così temuta da Satana, che tutto il veleno del cuore carnale si solleva contro di essa, contro il suo autore, contro tutti quelli che a lui si uniscono fermamente come suoi discepoli. Coll'allegoria dei figli di Agar e di Sara, Paolo esprime in modo molto calzante questo odio amaro degli uomini carnali, contro quelli che sono stati rinnovati nel loro cuore Galati 4:2529#550040250000-550040290000. Queste cose non si limitarono ai primi tempi della Chiesa; si manifestano tuttora dovunque un soffio vivificante dello Spirito Santo sveglia a nuova vita spirituale una congregazione od una comunità; dovunque la nuova nascita accade in uno o più membri di una

famiglia mondana, Per la esposizione dei ver. 51-53 vedi Matteo 10:34Matteo 10:34-36.

PASSI PARALLELI

Luca 12:49; Zaccaria 11:7-8,10-11,14; Matteo 10:34-36; 24:710#490120490000-490120490000#450110070000450110080000#450110100000-450110110000#450110140000450110140000#470100340000-470100360000#470240070000470240100000

49012054Lc 12:54

54. or egli disse ancora alle turbe:

Gli avvertimenti del Signore riguardo ai segni dei tempi, a parere dei più, principiano con questo versetto; ma questo è senza dubbio un grande errore, poiché qual segno più grande dei nuovi tempi. Sorti allora per il mondo intiero, e per la Giudea in particolare, si sarebbero potuti indicare di quelli mentovati nei versetti precedenti Luca 12:49-53#490120490000490120530000, cioè un fuoco che egli dovea accendere in sulla terra, un battesimo di qualche sorta che egli stesso dovea subire, e contese, discordie e sangue versato, nella società, e perfino fra i membri delle stesse famiglie come risultato di quel fuoco? L'appello rivolto alla folla leggiera ha per iscopo di svegliare l'attenzione degli uomini su questi segni loro rivelati, affinché sieno in aspettazione del loro adempimento, e ne approfittino, come ben sapevano approfittare della loro conoscenza dei segni del tempo e dell'atmosfera.

Quando voi vedete la nuvola che si leva dal Ponente, subito dite: La pioggia viene; e così è.

Il mar Mediterraneo è il confine occidentale della Palestina, e le nuvole prodotte dalle sue evaporazioni sono spesso trasportate dai venti ponenti al disopra di questo paese, sul quale cadono in pioggie rinfrescanti. Egli è

perché conosceva questo fatto che Elia, mentre pregava sulla china N. E. del Carmelo, vicino alla vetta, per ottenere la pioggia, mandò il suo servo in sulla cima, stessa del monte, dalla, quale si gode piena vista sul mare, per ispiare ed annunziargli la prima apparizione di una nuvola che doveva adacquare la terra inaridita. Da Elia fino a noi, il vento che salta all'ovest è per il contadino della Siria segno infallibile di vicina pioggia.

PASSI PARALLELI

1Re 18:44-45; Matteo 16:2-4#110180440000110180450000#470160020000-470160040000

49012055Lc 12:55

55. E, quando sentite soffiar l'Austro, dite: Farà caldo; e così avviene.

Siccome il vento meridionale, prima di giungere in Palestina, deve soffiare sopra le arenose ed ardenti solitudini dell'Arabia Petrea e Deserta, esso vi arriva carico di calore, attalché nell'estate lo si direbbe uscito da una fornace. Il Simoon è il terrore di tutti i viaggiatori nell'oriente e nel Mezzodì. La moltitudine ignorante non conosceva probabilmente la causa scientifica di questo fenomeno; ma il fatto stesso era così noto a tutti, che il cambiamento del vento a mezzogiorno era segno sicuro della venuta del caldo. In Matteo 16:2#470160020000-470160020000, il Signore parla di altri segni dei tempi che erano da tutti conosciuti come veri.

PASSI PARALLELI

Giobbe 37:17#220370170000-220370170000

49012056Lc 12:56

56. ipocriti, voi sapere discernere l'aspetto dei cielo e della terra; e come non discernete voi questo tempo?

Come Dio ci dà sempre nei cieli visibili dei segni naturali che chi li osserva impara ad interpretare, così la sua provvidenza; ci dà continuamente, nel mondo spirituale, dei segni che solo la cecità del nostro cuore c'impedisce di leggere. Gesù chiama «ipocriti» i suoi uditori, perché non mancanza di potere, bensì mancanza di volontà impedivali di discernere i maravigliosi eventi che andavano compiendosi nel mezzo di loro, colla stessa facilità colla quale leggevano i segni del cielo e della terra. «Lo scettro era stato rimosso da Giada»; tutti aspettavano il Messia, come si vede dagli storici secolari contemporanei; il predetto precursore era comparso ad annunziar che già era giunto il Messia; la guerra fra «carne e spirito» descritta nei ver. Luca 12:51-53#490120510000-490120530000, poteva dirsi impegnata; e la dottrina ch'egli aveva già insegnata, avvalorata da miracoli quali il mondo non ne avea visti mai, faceva chiaro a chiunque volesse riflettere esser egli veramente colui del quale Mosè avea detto: «Il Signore Iddio tuo ti susciterà un profeta come me, del mezzo di te, dei tuoi fratelli, ecc.» Deuteronomio 18:15,18#050180150000-050180150000#050180180000-050180180000. Questi tutti erano segni di «quel tempo» del quale Gesù parlava; ma siccome poco premeva al maggior numero, la venuta del regno spirituale di Dio, essi non si curarono di usar la loro attenzione su quei fenomeni del mondo morale, i quali però provavano ad evidenza che «era venuto il compimento di tempo» Galati 4:4#550040040000-550040040000.

PASSI PARALLELI

1Cronache 12:32; Matteo 11:25; 16:3; 24:32-33#130120320000130120320000#470110250000-470110250000#470160030000470160030000#470240320000-470240330000

Luca 19:42-44; Daniele 9:24-26; Aggeo 2:7; Malachia 3:1; 4:2; Atti 3:2426; Galati 4:4#490190420000-490190440000#340090240000340090260000#440020070000-440020070000#460030010000-

460030010000#460040020000-460040020000#510030240000510030260000#550040040000-550040040000

49012057Lc 12:57

57. E, perché da voi stessi non giudicate ciò ch'è giusto?

Gesù fa questa domanda ai Giudei a guisa di rimprovero perché agivan diversamente nelle cose spirituali ed in quelle che toccavano i loro interessi terreni. Né Fariseo, né Scriba avrebbe mai potuto convincerli, contro alla evidenza dei propri sensi, che il vento del mezzodì portava la pioggia, e quello di ponente la siccità; perché dunque in cosa di tanto momento come lo stabilimento del regno di Dio, e la salvezza delle loro anime, accettavano essi cecamente l'insegnamento dei loro dottori, anziché osservare e giudicare da per sé stessi? Dovea pure ammonirli della loro imprudenza nel lasciare i giorni della loro gloriosa visitazione passare inosservati, senza pentirsi, senza riconciliarsi con la legge di Dio, mentre ancora era tempo.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 32:29; Matteo 15:10-14; 21:21,32; Atti 2:40; 13:26-38; 1Corinzi 11:14#050320290000-050320290000#470150100000470150140000#470210210000-470210210000#470210320000470210320000#510020400000-510020400000#510130260000510130380000#530110140000-530110140000

49012058Lc 12:58

58. Perciocché quando tu vai col tuo avversario al rettore, tu dei dar opera per cammino che tu sii liberato da lui; che talora egli non ti tragga al giudice, e il giudice ti dia in man del sergente, e il sergente ti cacci in prigione. 59. lo ti dico, che tu non ne uscirai, finché tu abbia pagato fino all'ultimo picciolo.

Per la esposizione vedi Matteo 5:25Matteo 5:25-26.

In questi ultimi versetti, Gesù ripete con lievissimo divergenze di parole quello che aveva già detto nel sermone sul Monte. Al quattrino di Matteo, è qui sostituito il picciolo, moneta che valeva solo la metà di quello, e ciò per indicare l'impossibilità di sfuggire mai alle giuste e rigorose domande dell'avversario. Erra Alford nel supporre che Gesù alluda nuovamente, nel chiudere il suo discorso, alla disputa fra i due fratelli che gliene avea dato l'occasione. Fu bensì l'urgente pericolo dei suoi uditori; il destino che li aspettava alla distruzione di Gerusalemme; la sorte più tremenda ancora che li minacciava se morivano impenitenti, che spinse il Signore ad esortarli, mediante questa similitudine, già usata altre volte, a far pace con Dio, mentre ancora era tempo, mentre egli li aspettava per perdonarli, se no, al giorno del giudizio, cadrebbe loro addosso una condanna eterna ed irrevocabile. L'esortar la moltitudine al gran dovere di cercare immediata riconciliazione con Dio era una degna conclusione di tutto il discorso.

PASSI PARALLELI

Proverbi 25:8-9; Matteo 5:23-26#240250080000240250090000#470050230000-470050260000

Luca 14:31-32; Genesi 32:3-28; 1Samuele 25:18-35; Giobbe 22:21; 23:7; Salmi 32:6#490140310000-490140320000#010320030000010320280000#090250180000-090250350000#220220210000220220210000#220230070000-220230070000#230320060000230320060000

Proverbi 6:1-5; Isaia 55:6; 2Corinzi 6:2; Ebrei 3:7-13#240060010000240060050000#290550060000-290550060000#540060020000540060020000#650030070000-650030130000

Luca 13:24-28; Giobbe 36:17-18; Salmi 50:22#490130240000490130280000#220360170000-220360180000#230500220000230500220000

Matteo 18:30; 1Pietro 3:19; Apocalisse 20:7#470180300000470180300000#670030190000-670030190000#730200070000730200070000

Luca 16:26; Matteo 18:34; 25:41,46; 2Tessalonicesi 1:3#490160260000490160260000#470180340000-470180340000#470250410000470250410000#470250460000-470250460000#600010030000600010030000

Marco 12:42#480120420000-480120420000

RIFLESSIONI

1. «Se la religione di Cristo è come un fuoco gettato in sulla terra che consuma tutto quello che gli si oppone e sempre progredisce verso il suo fine, che è di sottomettersi l'uomo tutto intero, è facile vedere perché l'opera sua è così lenta e così piccola in certi momenti, in certi luoghi, in certe persone. Il fuoco è spento da sforzi sistematici di servire due padroni. Gesù richiede che noi ci decidiamo unicamente per lui, anche a costo di mettere in discordia gli amici e le famiglie, di strappare i legami più cari come i più distanti. Ma se questa prova è dolorosa, giunge però al suo termine naturale. Più saranno risoluti i servitori di Cristo, più presto cesserà l'opposizione che incontrano. Quando la lotta attiva verrà riconosciuta inutile, gli oppositori desisteranno; mentre la fedeltà e la forza di carattere comandano il rispetto, e spesso sono ricompensati col guadagnare anche i più determinati avversari» (Brown).

2. I Giudei, al tempo di Cristo, chiusero gli occhi ai fatti più significativi che occorrevano a' loro dì, ricusando di riconoscere l'adempimento delle profezie messianiche. Fu questo che fece dire a Gesù: «Come non discernete voi questo tempo?» Tal domanda si applica a molti Cristiani di nome. I servi di Dio, in ogni età, devono studiare gli eventi del tempo loro, paragonandoli colle profezie, ma molti trascurano un tal dovere. Nulla v'ha di lodevole in una ignorante indifferenza per la storia contemporanea. Vigilino gelosamente i cristiani la carriera dei governi e delle nazioni, e salutino con

gioia ogni benché minimo segno della loro sottomissione, non alla Chiesa come corpo, ma a Cristo, nella sua parola; imperocché la gloria del periodo millenario consisterà nell'esser tutti «i regni del mondo» non «il regno del mondo», come dice Diodati, divenuti i regni del nostro Dio e del suo Cristo. L'architettar teorie su profezie non adempiute è il più delle volte un cader nell'orrore; ma è profittevole dovere il seguire lo sviluppo della storia contemporanea, per scoprire ogni cosa che in essa possa corrispondere alla profezia. Non vi sono forse nei tempi in cui viviamo dei segni indicanti l'avvicinarsi del millennio? Lo spirito missionario che si è svegliato in seno a tutte le chiese protestanti a favore così dei Giudei come dei pagani, la decadenza del Maomettismo, la caduta del potere temporale dei papi, accompagnata dal risveglio del Romanesimo, l'avvicinarsi dell'impero russo al mezzogiorno dell'Europa, lo stato d'incertezza dei regni europei dopo la grande rivoluzione francese, sono fatti innegabili; meritano d'esser chiamati «segni dei tempi», e di venire da noi studiati con attenzione e con preghiera.

3. Il Signore si servì della similitudine dei vers. 58 e 59 in due occasioni diverse, e con applicazioni affatto differenti. Nel sermone in sul Monte, le sue parole han per iscopo di urgere il gran dovere del perdono dei peccati. Qui egli ci esorta solennemente a riconciliarci in tempo con Dio. La vita è la via; la legge, o la morte come agente della legge, l'avversario; il rettore rappresenta il giudice supremo; la prigione l'inferno. Ora è il tempo accettevole, domani potrebbe essere troppo tardi. Pentitevi senza indugio!

4. «Si osservi qui», dice Burkitt, «che Dio e l'uomo una volta erano amici; ora son nemici; che l'uomo non già Dio si oppone alla riconciliazione; che è saviezza, dovere, interesse dell'uomo caduto l'accettare le condizioni di pace e di riconciliazione con Dio; e che una carcere eterna aspetta chi muore senza essersi riconciliato con Dio».

5. Sull'ultimissime parole di questo capitolo Paolo osserva: «L'uso che i papisti fan di questo passo, in appoggio della dottrina del Purgatorio, è una prova della loro povertà di validi argomenti come se Gesù parlasse di una prigione da cui le anime potranno uscire!» Teofilatto (citato da Ryle) dice: «Se dobbiamo rimanere in carcere finché non abbiamo pagato, e se pagare è cosa impossibile per noi, è certo che le pene future sono eterne».

49013001Lc 13:1

CAPO XIII - ANALISI

1. Gesù corregge la falsa idea che tremende e subitanee calamità sieno sempre la punizione dei peccati più scandalosi del solito. Tal convinzione era anticamente generale fra i Giudei e fra i Gentili. Il sentimento del peccato da una parte e dall'altra la tendenza a far Dio simile all'uomo, pronto all'ira, vendicativo nell'infliggere il castigo, seguace della regola: «occhio per occhio, dente per dente», li inducevano a credere che più erano terribili le calamità che colpivano un individuo o un popolo, più grave doveva esser la colpa da quelli commessa. A dispetto dell'insegnamento di Cristo in questo capitolo, prevale tuttora in molti quella falsa impressione. Un notevole esempio ne abbiamo, per quanto spetta ai pagani, seguaci dei falsi dei, nella vita di Paolo, allorquando, nell'isola di Malta, una vipera si avventò alla sua mano Atti 28:3. Della prevalenza di questa falsa idea fra i Giudei ne abbiamo la prova nell'annunzio fatto qui a Gesù del massacro a tradimento, per ordine di Pilato, di alcuni Galilei che erano saliti a Gerusalemme per farvi dei sacrifizi. Parlando di questo fatto, Gesù ne aggiunge un altro, il quale senza dubbio i Giudei mettevano nella medesima categoria, cioè la caduta fatale a molte persone, della torre di Siloè. Ambo questi fatti son taciuti dalla storia del tempo. Gesù non dice già che quei Galilei, e quegli abitanti di Gerusalemme non fossero peccatori, ma dice erroneo il giudizio popolare su questi fatti; dichiara che le vittime di quelle due catastrofi non erano maggiori peccatori di quelli che componevano in quel momento la sua udienza; che altri più di loro meritevoli di sì crudele e misero fine, pure venivan risparmiati; e termina coll'esortare i suoi uditori a pentirsi senza indugio, per timore che non avessero a perire simigliantemente, o nei giudizii che impendevano su Gerusalemme, o in ogni caso all'ultimo giorno Luca 13:1-5.

2. La parabola del fico sterile. È questa la continuazione del discorso cui diede origine la nuova del massacro dei Galilei: fu evidentemente detta per avvalorare l'esortazione che Gesù avea pure allora data, e indica

figurativamente in che i Giudei avean peccato e perché Gesù li chiamava a pentimento. Qui vien dichiarata la sorte che li aspettava, se continuavano ad essere impenitenti; ma vien par messa in rilievo la longanimità di Dio nel trattenere il castigo, nel dar loro tempo di pentirsi, e ciò a motivo della intercessione di Gesù. Il fico nella vigna rappresenta, in primo luogo, i Giudei nella Chiesa di Dio; il padrone è Dio stesso, il quale per molto tempo è andato a Cercar frutto sul suo fico, soprattutto dacché il Battista avea cominciato a predicare tre anni prima; il vignaiuolo è Cristo stesso, il grande Avvocato del suo popolo in tutti i tempi. La colpa del fico era l'essere rimasto sterile a dispetto dei vantaggi della sua posizione e della coltura ricevuta; la loro ora l'alienazione del cuore da Dio, e l'intera dimenticanza del dovere di glorificarlo nella loro condotta giornaliera. Fino allora il fico non avea dato al suo padrone altro che foglie, e quella generazione non rendeva a Dio che un culto di labbra e di cerimonie esterne: in ambo i casi mancavano i frutti. Il padrone comanda di sradicare il fico, perché inutile e nocivo al terreno; ma, alla domanda del vignaiuolo, acconsente a dargli un altr'anno di grazia e di prova, promettendo il vignaiuolo di far quanto starà in lui per renderlo fruttifero. Così Gesù dichiara loro simibolicamente che essi avevano quasi ripiena, la misura delle loro iniquità, che già Dio avea pronunziata la giusta sentenza di condanna, e che solo in grazia della intercessione di Colui che la nazione era sul punto di rigettare, ne era differita d'alquanto la esecuzione, per dar loro tempo di ravvedersi. Mille anni sono appo il Signore, come il giorno di ieri; nessuna maraviglia adunque se per lui, che è lento all'ira, l'anno di grazia della parabola divenne quaranta in realtà, prima che fossero distrutti la città e la nazione, e l'albero del Giudaesimo venisse sradicato. La parabola, benché si riferisce in modo molto ovvio ai Giudei, contiene pure un avvertimento per i varii rami della Chiesa visibile di Cristo, e per tutti i cristiani di nome, i quali, mentre godono dei mezzi di grazia, rimangono «oziosi e sterili nella conoscenza del Signor nostro Gesù Cristo» Luca 13:6-9.

3. Gesù ripreso per aver guarito una donna, in giorno di Sabato, da una infermità che durava da diciotto anni. Questo miracolo fu probabilmente fatto in una sinagoga di Perea, dove Gesù stava insegnando; ma non c'è detto in qual città, e della donna altro non sappiamo che i particolari del suo male. Di questo vengon qui notate tre cose: la sua origine, esso è chiamato «uno

spirito d'infermità», era stato cioè in qualche modo prodotto da uno spirito maligno, come lo confermano le parole di Cristo: «la quale Satana avea tenuta legata» Luca 13:16; la sua durata, 18 anni; e la debolezza fisica che ne era la conseguenza; essa era decrepita, quasi ripiegata in due, né più poteva starsene eretta. Mosso a compassione di un essere così debole ed impotente, Gesù la chiamò a sé, ed impostile, le mani, la guarì istantaneamente, mediante le parole: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». La donna espresse la sua gratitudine col dar gloria a Dio, che avea conferito un tanto potere al profeta di Nazaret, e tutti gli astanti sembrano aver diviso i suoi sentimenti, ad eccezione del capo della sinagoga, il quale, covando ipocritamente il suo odio per Gesù, sotto proteso zelo per la legge di Dio, lo accusò di essere un trasgressore di questa, perché avea fatto quel miracolo di Sabato. Ricordando opere di necessità e di misericordia che il rettore stesso e i suoi concittadini compivano di continuo, senza cadere per questo in trasgressione della legge, il Signore dimostra che l'atto suo, essendo essenzialmente di misericordia, era lecito nel Sabato, e fa tacere l'ipocrita suo accusatore, Luca 13:10-17.

4. Parabola del granel di senape e del lievito. Matteo mette queste due in una serie di parabole relative al regno di Dio, che comincia con quella del seminatore, ma nel posto che occupano in questo Vangelo non riesce facile connetterlo al miracolo che precede, o ai versetti che seguono. Al ver. 22 vediamo che Gesù riparte per visitare le città e i villaggi della Perea, e può darsi che queste parabole fossero parte del suo insegnamento lungo la via. Nella parabola del granel di senape, il più piccol seme che l'agricoltore si desse la pena di seminare, vien prefigurato il trionfo finale del regno di Cristo in sulla terra, ad onta della sua umile ed insignificante origine. Come il piccol seme crebbe in una pianta, nei rami della quale trovarono rifugio gli uccelli del cielo, così il regno del vangelo, fondato da uno che, morì come un malfattore in sulla croce coltivato nei suoi principii da, poveri ed ignoranti Pescatori di Galilea, o propagato di secolo in secolo, non con armi carnali, ma colla parola dell'Iddio vivente, riempirà col tempo tutta la terra, ed ogni nazione, lingua e tribù troverà protezione e pace nei suoi confini. La parabola del divieto ci presenta il tranquillo, lento, ma efficacissimo modo della sua diffusione. Tre misure di farina erano la quantità necessaria per far tanti pani che bastassero ad una infornata, epperciò rappresentano tutta la

terra. Prima di fare il pane, la donna mette nella pasta alquanto lievito, e lo lascia far silenziosamente ma irresistibilmente la sua opera di fermento e di assimilazione, finché non abbia penetrato l'intera massa. Egli è in una consimile maniera, tranquilla, inosservata, eppure efficace, che il vangelo si fa strada negli individui, nella società, nella nazione, mediante lo studio della parola di Dio, mediante la follia della predicazione», mediante la invisibile e potente azione dello Spirito Santo nei cuori e nelle coscienze degli uomini e mediante l'influenza, che la vita di chiunque è stato in quella guisa lievitato, esercita sulla propria famiglia e sui suoi vicini. È un processo lento, ma sicuro; la parola di Dio, per opera dello Spirito, non può mancare nella sua azione silenziosa ed efficace, finché il lievito dell'evangelo non si sia sparso in tutto il mondo, e fra uomini di tutti i ranghi. È la pietra del profeta Daniele 2:34-35#340020340000340020350000 Luca 13:18-21.

5. Gesù frena una curiosità illegittima e la volge nella vera sua direzione. Mentre egli era per via, un ignoto si accostò a lui domandandogli: «Signore, sono eglin pochi coloro che son salvati?» Suppongono alcuni che egli fosse mosso dal desiderio di accertarsi se, col descrivere gli umili principii del suo regno mediante la parabola del granel di senape, Gesù avesse voluto mettere in quistione la credenza universale che tutti i discendenti di Abramo avrebbero un posto nel regno del Messia; ma tal nesso è impossibile, poiché il ver. 22 indica nel racconto un cambiamento completo di tempo e di scena. Dal modo in cui Gesù la tratta sembrerebbe che quella fosse una domanda di mera curiosità o speculazione, e con tali cose egli non aveva né il tempo né la voglia di perdersi. La sua risposta, rivolta a tutti gli astanti, è pratica e solenne: «Sforzatevi d'entrare per la porta stretta, perciocché io vi dico che molti cercheranno d'entrare e non potranno». Nelle case dei ricchi, oltre al portone, che metteva nel cortile e che rimaneva chiuso fuorché nelle grandi occasioni, eravi sempre una porticina, per la quale si entrava di solito nella casa. In occasioni di nozze o di altre festività, sedeva ivi un portinaio che faceva entrare i soli convitati, uno alla volta, e gli sforzi e la pressione durati dai convitati impazienti per farsi strada attraverso la calca di fuori, o per aver la precedenza gli uni sugli altri, spesso eran tali da far compassione. Tale è la scena che le parole di Cristo: «Sforzatevi (letteralmente agonizzate), di entrare per la porta stretta», dovean suggerire ai suoi uditori.

Esse indicano gran difficoltà nell'ottener di entrare; insuccesso per parte dei più, epperciò la necessità di usare ogni sforzo per riuscire laddove altri avean mancato; ma non toccano che indirettamente la questione speculativa: «Sono eglin pochi coloro che son salvati?» Due sono le ragioni date dal Signore per raccomandare quegli sforzi supremi: la difficoltà di entrare ora ricordata, e, la brevità del tempo accordato per questo. Quest'ultimo è l'argomento sul quale Gesù si fonda specialmente per esortarci a fare ogni sforzo possibile per mettere in uso i mezzi datici da Dio per entrar nel suo regno, ricordandoci sempre che la fede e la nuova creazione sono «i doni di Dio», e che «non siamo salvati per opere, acciocché niuno si glorii». Svolgendo sempre la stessa similitudine, Gesù dice ai Giudei, che, mentre la folla tutt'ora s'accalca intorno alla porta stretta, il padrone di casa istesso si fa avanti e chiude la porta, e la moltitudine ha un bel picchiare supplicare, raccomandarsi e piangere; tutto è inutile. È troppo tardi! I Giudei avevano lasciato passare le preziose loro occasioni, e s'appressava il tempo in cui i Gentili verrebbero introdotti nel regno di Cristo ed essi chiusi fuori. Né sono essi i soli colpevoli di questo genere; il giorno del giudizio farà conoscere quante moltitudini avranno sprezzato, durante questa vita, il giorno della loro opportunità, e contro le quali la morte avrà chiuso la porta per sempre Luca 13:22-30.

6. Messaggio ad Erode e lamentazione sopra Gerusalemme. Erode era a quel tempo in Perea; già avea sulla coscienza la morte di un profeta, e non desiderava certo aggiungere a quel peso quella di un altro; ma la dottrina che Gesù aveva pure allora predicata, in quello stesso paese, sul divorzio, avealo profondamente disturbato, sicché in un modo o nell'altro voleva disfarsi di lui. Il piano cui egli si fermò era molto abile e ben giustifica il nome di «volpe» che gli da qui Gesù. Ottenne da alcuni Farisei, che, fingendosi amici di Gesù lo avvisassero esser Erode deciso a farlo morire, consigliandogli di fuggire immediatamente dai suoi dominii. Ma Cristo, agli occhi del quale tutti i cuori sono aperti, capì subito tutta la trama; conobbe che questi consiglieri, pur fingendosi suoi amici, erano strumenti di Erode, e che tutto l'affare proveniva da lui. Perciò, senza preoccuparsi punto della parte che essi facevano, e indicando, mediante l'epiteto che egli applica ad Erode, che la sua trama era stata scoperta, egli ordina loro di portare a chi li aveva mandati una risposta che diceva in sostanza: "Si metta pure il cuore in

pace, Gesù avea pressoché compiuta l'opera sua nei dominii di Erode, ed egli proseguirebbe apertamente il suo viaggio, durante il breve periodo che gli resta di vita, senza darsi pensiero delle minaccie del re, poiché era impossibile per un profeta morire altrove che in Gerusalemme, tanto celebre era questa città per il suo odio verso i servi di Dio". Segno, una commoventissima apostrofe a Gerusalemme, in cui esprime il suo desiderio di salvare gli abitanti di quella città dal fato terribile che li minaccia, la loro poca disposizione a porvi mente, la desolazione che aspettava la città ed il tempio, ed il suo ritirarsi da loro, finché il convertito Israele non lo saluti col grido: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore» Luca 13:31-35.

Luca 13:1-5. NECESSITÀ DEL PENTIMENTO DIMOSTRATA DAL MASSACRO DI ALCUNI GALILEI NEL TEMPIO, E DALLA DISGRAZIA DELLA CADUTA DELLA TORRE DI SILOE

1. In quello stesso tempo furono quivi alcuni, i quali gli fecer rapporto de' Galilei, il cui sangue Pilato avea mescolato co' lor sacrificii.

Flavio, storico Giudeo, non fa menzione alcuna di questo fatto che venne riferito a Gesù verso il tempo in cui egli pronunziò il discorso contenuto nel capitolo precedente. È probabile che fosse occorso poco prima, e, a prima vista, si potrebbe supporre che venisse riportato a Gesù come semplice notizia, o come una nuova prova della crudeltà di Pilato, nella speranza che, essendo Gesù Galileo, egli lo condannerebbe apertamente: ma dalla risposta di Gesù parrebbe che gli fosse stato detto per sapere da lui se questi Galilei erano più peccatori di altri, poiché un destino così crudele gli avea colpiti. Alcuni scrittori ascrivono questi Galilei alla setta degli Zeloti, fondata da Giada il Galileo (così chiamato benché fosse Gaulonite di nascita), il quale, quando Augusto ordinò il pagamento delle tasse, insegnò ai suoi concittadini non esser lecito pagare il tributo a Cesare, o conformarsi in qualsiasi modo agli usi dei Romani, come Erode e la sua Retta si sforzavano di indurli a fare, Vedi ZELOTI, Sette giudaiche. I Romani avevano naturalmente in odio speciale i membri di quella setta, e quelli che Pilato fece massacrare nel tempio, possono averci appartenuto, benché le parole di

Gamaliele relativamente a Giuda Atti 5:37#510050370000-510050370000, sembrino indicare che i suoi segnaci erano stati dispersi molto prima della crocifissione del Signore. Flavio c'informa che i Galilei davan sempre un gran da fare a chi li governava, e che quando salivano in Gerusalemme per le feste, accadevano tumulti frequenti; non è punto impossibile che, nel sedare uno di questi, occorso nel cortile esterno del tempio, accadesse questo massacro, senza che vi fosse per parte di Pilato animo particolare contro quelli che ne rimasero vittime. La presenza dei soldati romani nel tempio basta a provare esservi sorto un tumulto, perché era loro vietato di entrarvi in circostanze ordinarie, affin di non irritare i Giudei.

PASSI PARALLELI

Atti 5:37#510050370000-510050370000

Lamentazioni 2:20; Ezechiele 9:5-7; 1Pietro 4:17-18#310020200000310020200000#330090050000-330090070000#670040170000670040180000

49013002Lc 13:2

2. E Gesù, rispondendo, disse loro: Pensate voi che que' Galilei fossero i maggiori peccatori di tutti i Galilei, perciocché han sofferte cotali cose? 3. No, vi dico; anzi, se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente.

Quelli che riferirono questo fatto a Gesù erano evidentemente convinti che le persone che avean sofferto morte violenta in circostanze così speciali dovevano esser di gran peccatori, e che questo era una prova del dispiacere di Dio verso di loro. Benché non lo avessero espresso, Gesù fa loro comprendere di aver letto il segreto loro pensiero. Colla domanda: «Pensate voi ecc.» confuta subito il loro erroneo giudizio riguardo a quei Galilei, e così riprende i giudizi poco caritatevoli che gli uomini sono soliti pronunziare su chiunque è stato colpito da qualche grave calamità. Osservisi che Gesù non dice falsa in ogni caso una tale indifferenza; la Bibbia ricorda

dei casi in cui Dio colpì di castighi severi ed immediati degli empi, come Nadab ed Abihu Levitico 10:2#030100020000-030100020000; Coro e i suoi complici Numeri 16:31-33#040160310000-040160330000; Anania e Saffira Atti 5:1-10#510050010000-510050100000; ed Erode Agrippa Atti 12:23#510120230000-510120230000; e ciò per far conoscere chiaramente, la giusta sua ira per la loro audace e straordinaria malvagità. Ma ricordiamoci che tali interventi straordinari della provvidenza sono molto rari, e che sarebbe pericoloso, contrario alla carità, ed erroneo, volerne cavare una regola da applicarsi universalmente. Nel caso di questi Galilei, il Signore dichiarò esplicitamente erronea una tal conclusione, e subito volse l'attenzione dei suoi uditori alla necessità per loro di pentirsi, se volevano evitar di esser distrutti in modo non meno subitaneo e terribile. L'occhio profetico di Gesù contemplava in quel momento un fatto tuttora distante quarant'anni, quando invece di questo massacro di alcuni pochi nel cortile del tempio per ordine di Pilato, vi si vedrebbe un generale sterminio dei Giudei, dei Galilei, e degli abitanti della Perea, e ciò non solo per la spada dei Romani vittoriosi, ma altresì per le loro proprie sanguinarie fazioni intestine. Willims (La santa città), riassumendo la descrizione che ci dà Flavio delle lotte fra il partito del sommo sacerdote Eleazar che teneva l'interno del tempio, e quello di Giovanni Gascala che occupava il cortile esterno e parte della città inferiore, dice: «Allora il sangue si mescolò col sangue nel santuario medesimo, e formò dei laghi nei sacri cortili; il sangue dei sacerdoti fu mescolato con quello dei sacrifizii, che continuavano ad essere offerti ogni giorno sull'altare di bronzo». Che il Signore alludesse prima di tutto e letteralmente agli orrori che dovevano accompagnare la distruzione di Gerusalemme lo conferma l'uso della parola nello stesso modo, applicata ai presenti suoi uditori; ma ben più esteso significato hanno le solenni sue parole; dopo che è perita l'incerta vita attuale, v'ha una perdizione ben più terribile che aspetta gli empi e gli impenitenti nell'inferno, «ove il verme loro non muore, e il fuoco non si spegne».

PASSI PARALLELI

Luca 13:4; Giobbe 22:5-16; Giovanni 9:2; Atti 28:4#490130040000490130040000#220220050000-220220160000#500090020000-

500090020000#510280040000-510280040000

Luca 13:5; 24:47; Matteo 3:2,10-12; Atti 2:38-40; 3:19; Apocalisse 2:2122#490130050000-490130050000#490240470000490240470000#470030020000-470030020000#470030100000470030120000#510020380000-510020400000#510030190000510030190000#730020210000-730020220000

Luca 19:42-44; 21:22-24; 23:28-30; Matteo 12:45; 22:7; 23:35-38; 24:2129#490190420000-490190440000#490210220000490210240000#490230280000-490230300000#470120450000470120450000#470220070000-470220070000#470230350000470230380000#470240210000-470240290000

49013004Lc 13:4

4. ovvero, pensate voi che que' diciotto, sopra i quali cadde la torre in Siloe, e li uccise, fossero i più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5. No, vi dico; anzi, se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente.

Qui Gesù ricorda egli stesso un'altra recente catastrofe, così terribile da indurre ad analoga conclusione relativamente alla grave colpabilità delle sue vittime. La parte meridionale del monte Moria, al di là dei muri esteriori del tempio, era chiamata l'Ofel, ed era abitata dai Leviti e dai Netenim ossia dai servi uffiziali del tempio. Era circondata da un muro, il quale, principiando dall'angolo S. E. del recinto del tempio, seguiva il contorno del promontorio formato dalla unione delle valli di Josafat e di Hinnom, e si ricongiungeva alla città, dal lato S. O. del tempio, lungo l'orlo della valle del Tiropeo, la quale attraversava Gerusalemme. Questo muro era qua e là fortificato da torri, che Giuseppe dice «grandissime» (Ant. 10:11,2), ed «altissime torri» Luca 10:3,2#490100030000-490100030000#490100020000490100020000. A quel che pare una di queste ergevasi vicino alla piscina di Soloe, che trovasi laddove la valle del Tiropeo si congiunge con quelle di Hinnom e di Josafat. A questo punto le roccie s'innalzano anche al dì d'oggi

È

all'altezza di 40 o 50 piedi sul livello della piscina. È la caduta inaspettata di questa torre, seppellendo sotto le sue rovine diciotto persone, cui il Signore fa allusione in questo luogo. Abbiamo prove che il vicino trovavansi delle fortificazioni ed una torre 2Cronache 27:3; 33:14; Neemia 3:2627#140270030000-140270030000#140330140000140330140000#160030260000-160030270000. Ma nessuno storico ci ragguaglia sulla posizione esatta di questa torre o sulla sua caduta. Le persone tolte così tragicamente o subitaneamente di vita non erano maggiori peccatori che gli altri abitanti di Gerusalemme. Nel loro caso il Signore enfaticamente ripete la sua dottrina, che particolari calamità non provano in chi ne è colpito un peccato particolare, se no il governo di Dio comincierebbe e terminerebbe in questa vita, né più sarebbe necessario un giudizio avvenire. La loro sorte non era che il preludio di quella che minacciava tutti i Giudei. Se essi non si pentivano; perché s'affrettava il tempo in cui li colpirebbe tal distruzione dal rintronarne gli orecchi degli uomini per tutti i secoli avvenire. Nulla ci offre la storia da paragonare agli orrori dell'assedio di Gerusalemme, quando venne l'ora della loro distruzione. Narra Flavio che, quando i Romani circuirono la città, tagliandone ogni comunicazione col di fuori, oltre ai suoi abitanti ed a quelli che erano fuggiti dal Nord, per paura dei Romani essa era ripiena di gente accorsa da tutte le parti del mondo per la festa di Pasqua, sicché non meno di due milioni di persone rimasero prigioni nelle sue mura, e di questi ben un milione perì per la fame e la spada durante l'assedio mentre 100000 di più morirono in cattività. Nell'applicazione che il Signore fa di questi due incidenti ai suoi uditori, ed a tutti i peccatori inconvertiti, che sono nemici di Dio e corrono alla propria perdizione, udiamo tutt'ora l'eco delle ultime parole del capitolo precedente: «Fa' presto amichevole accordo col tuo avversario, mentre sei tra via con lui».

49013006Lc 13:6

Luca 13:6-9. LA PARABOLA DEL FICO STERILE

6. Or disse questa parabola

Il tema è lo stesso che quello dei versetti precedenti, cioè la necessità di immediato ravvedimento, affin di sfuggire ad una pronta distruzione, spiegata sotto forma di parabola, affin di fissarla in modo più durevole nella memoria dei suoi uditori.

Un uomo avea un fico.

La storia in questa parabola è semplice e facile a comprendere. Un padrone avea nella sua vigna un fico, che avea avuto tutto il tempo di diventar fruttifero; ma essendo andato anno dopo anno per raccorne i frutti. e trovatolo sempre sterile, ordina alfine al vignaiuolo di tagliarlo, non solo perché inutile, ma pure perché faceva danno alle viti, impoverendo il suolo. Il vignaiuolo implora un altr'anno di prova, promettendo di usar nuovi mezzi per farlo fruttifero; se poi continuerà sterile, l'ordine del padrone verrà eseguito, e l'albero tagliato. Nel significato spirituale di questa parabola, il padrone rappresenta certamente Iddio. Il fico rappresenta prima i Giudei, sia come nazione, che come individui quindi quanti appartengono alla Chiesa visibile di Dio, sia come individui, che come società. Secondo noi, egli è l' individuo che Gesù ha specialmente di mira parlando di un fico, o ciò affin di convincere chiunque lo ascoltava o leggerebbe più tardi le sue parole, del pericolo di cui già due volte avea avvertito la folla: «Se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente». Ben s'addiceva al disegno del Signore, questo scendere, nel conchiudere il suo insegnamento, dall'astratto al concreto, dal generale al particolare, ed era inteso a risvegliare in ogni uditore o lettore, un sentimento molto più solenne della propria responsabilità.

piantato nella vigna;

È insostenibile la teoria di Trench, Oosterzee, Lisco ed altri che la vigna, in questa parabola, rappresenti il mondo, perché è in diretta opposizione con tutto il simbolismo della Scrittura. La vigna ci è sempre presentata come una porzione di terra accuratamente separata dal resto del podere, e offrente un contrasto evidente con quello Luca 20:9-16; Salmi 80:8-13; Isaia 5:1-7; 27:2-3; Matteo 21:33-41; Marco 12:1-9#490200090000490200160000#230800080000-230800130000#290050010000-

290050070000#290270020000-290270030000#470210330000470210410000#480120010000-480120090000; laddove, secondo questa teoria, non vi sarebbe differenza alcuna, in quanto a privilegi, fra questo fico e tutti gli altri alberi. Nei luoghi citati dei Salmi e di Isaia, la vigna significa evidentemente la casa d'Israele, o la Chiesa israelitica; ma in Matteo 21:33; Marco 12:1-9; Luca 20:9#470210330000-470210330000#480120010000480120090000#490200090000-490200090000 quella immagine ha un senso più esteso, e devo significare la chiesa visibile di Dio, in tutte le dispensazioni, antediluviana, patriarcale, levitica ed evangelica, poiché Gesù fa una distinzione evidente fra la vigna e i malvagi vignaiuoli che ne aveano allora il possesso, e dichiara che, al suo arrivo, il padrone la toglierebbe loro, e allogherebbe la vigna ad altri lavoranti. Il significato della vigna in questa parabola è, senza dubbio, la chiesa visibile di Dio nella quale il fico sterile giudaico era allora piantato, mentre ora vi si trova il fico sterile cristiano.

e venne, cercandovi del frutto, e non ne trovò.

I frutti che Dio aspettava dai Giudei, e che egli aspetta pure da ciascuno di noi, son quelli della giustizia; un cuore convertito a Dio, una volontà rinnovata, degli affetti rivolti a lui, ed una vita consecrata al suo servizio. Tali frutti il celeste vignaiuolo ha diritto di aspettarli, né resterà contento finché non li abbia ottenuti; foglie di professioni, fiori di promesse non bastano, ci vogliono frutti. Alcuni alberi nel giardino del Signore portano qualche po' di frutto; nessuno ne porta quanto dovrebbe, ma su questo il padrone non ne trovò punto. Qui è descritto chi meramente professava di essere religioso fra i Giudei, ed il cristiano di nome fra noi.

PASSI PARALLELI

Salmi 80:8-13; Isaia 5:1-4; Geremia 2:21; Matteo 21:19-20; Marco 11:1214#230800080000-230800130000#290050010000290050040000#300020210000-300020210000#470210190000470210200000#480110120000-480110140000

Luca 20:10-14; Matteo 21:34-40; Giovanni 15:16; Galati 5:22; Filippesi 4:17#490200100000-490200140000#470210340000470210400000#500150160000-500150160000#550050220000550050220000#570040170000-570040170000

49013007Lc 13:7

7. Onde disse al vignaiuolo.

Il padrone della vigna l'aveva affidata ad un abile vignaiuolo, in cui riponeva perfetta fiducia, e nel vederlo perorar la causa del fico sterile, subito riconosciamo in lui il Signor Gesù, il compassionevole Sommo Sacerdote che può «aver convenevol compassione degli ignoranti ed erranti» Ebrei 5:2#650050020000-650050020000. A questo il senso oramai assegnato da quasi tutti al vignaiuolo. Agostino pensava che egli rappresentasse «ciascun santo»; Ambrogio, «gli apostoli»; Girolamo, «Michele e Gabriele, gli arcangeli che avevano carica delle sinagoghe giudaiche»; ma tali interpretazioni sono ora antiquate. Alford però crede che il vignaiuolo figuri qui lo Spirito Santo il quale, a motivo del suo uffizio mediatorio Giovanni 14:16#500140160000-500140160000, intercede coll'uomo e per l'uomo; ma egli non ha posto mente al fatto che non è coll'albero che il vignaiuolo intercede, ma col padrone della vigna, non coll'uomo, ma con Dio in favor dell'uomo, e questo annienta la sua teoria.

Ecco, già son tre anni che io vengo, cercando del frutto in questo fico e non ve ne trovo;

Non è necessario confutare le ingegnose spiegazioni di Gregorio, Ambrogio, Teofilatto, ed altri scrittori antichi, pei quali questi tre anni indicano il tempo anteriore alla cattività, quello posteriore ad essa, ed i tempi evangelici, perché esse sono ora abbandonate da tutti. Altri li intendono letteralmente dei tre anni del ministerio di Gesù in sulla terra; ma in questo caso dovrebbe pure esservi alla lettera un solo anno di grazia, mentre sappiamo che Dio, nella sua bontà, diede ad Israele quarant'anni di tempo per pentirsi, dopo che fu pronunziata questa parabola. È una particolarità

del fico che coi frutti di un anno compariscon pure sui suoi rami i germi di quelli dell'anno seguente; ma questo non getta luce alcuna sul senso dei «tre anni» durante i quali il padrone avea visitato la sua vigna. Né maggiormente ci aiuta ad intenderli il fatto che ci vogliono tre anni di crescenza prima che il fico faccia dei frutti: poiché nessun uomo ragionevole andrebbe durante questi tre anni in cerca di frutto sul suo albero, mentre ci è detto che il padrone andò anno dopo anno a cercarne, tornandosene dolente di veder deluse le ragionevoli sue speranze. Insomma non pare che il numero tre abbia riferenza a qualsiasi particolarità del fico; indica unicamente un tempo ragionevole, concesso dal padrone, affin di accertarsi se questo sarebbe un albero di qualche valore o no. In quanto alla sua applicazione agli antichi Giudei o ai Cristiani di nome di oggi, esso indica un periodo di coltura e di privilegi spirituali bastevole a giustificare l'aspettazione di frutti spirituali nella vita.

taglialo; perché rende egli ancora inutile la terra?

Non solo il fico non faceva frutto, ma era dannoso al suolo che impoveriva e alle piante circostanti cui rubava calore, luce, e nutrimento. In tal condizione era caduta la chiesa giudaica, ed è pur quella di chiunque professa, solo esternamente e senza portar frutti, il cristianesimo. Occupa inutilmente il suolo e dà un esempio nocivo, indi il comando: «Taglialo». La parola rendere inutile, distruggere, contiene la solenne lezione che i membri sterili della Chiesa di Dio non solo fan torto a se stessi e perdono la propria anima, ma nuociono alla Chiesa ed al pubblico. L'idea volgare che un uomo non convertito «non fa male altrui», «non nuoce che a sé stesso», ed altre consimili, sono miserabili illusioni, senza base nella Scrittura. Chi non fa frutto è d'ingombro al suolo; chi non fa del bene fa del male Luca 11:23#490110230000-490110230000.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:23; 25:21; Romani 2:4-5#030190230000030190230000#030250210000-030250210000#520020040000520020050000

Luca 3:9; Esodo 32:10; Daniele 4:14; Matteo 3:10; 7:19; Giovanni 15:2,6#490030090000-490030090000#020320100000020320100000#340040140000-340040140000#470030100000470030100000#470070190000-470070190000#500150020000500150020000#500150060000-500150060000

Esodo 32:10; Matteo 3:9#020320100000-020320100000#470030090000470030090000

49013008Lc 13:8

8. Ma egli, rispondendo, gli disse: Signore, lascialo ancora quest'anno,

Il vignaiuolo si sente mosso a compassione verso il fico, all'udir la sentenza pronunziata contro di lui, benché ne riconosca la giustizia; egli lo avea coltivato lungamente e con amore, e nel desiderio di dargli ancora una occasione di far bene, intercede appo il padrone della vigna, affinché gli sia concesso un altr'anno di vita, durante il quale egli zapperà il terreno intorno alle sue radici, lo concimerà, lo poterà, metterà insomma tutto in opera per renderlo fruttifero. Quando i Giudei, capitanati dai sacerdoti e dai rettori, crocifiggevano il Signor della gloria, essi erano già maturi per la distruzione; ma persino in quel momento il grande Intercessore pregò per essi: «Padre, perdona loro, perciocché non sanno quello che si fanno»; né mai furon fatti sforzi maggiori per condurli a pentirsi ed a servire a Dio di quelli che fecero gli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo. Però egli è agli individui che si applicano più sicuramente e con maggior profitto le lezioni di questa parabola. Esser tagliato come il fico sterile è la sentenza che la giustizia pronunzia sopra ognuno per il suo peccato; ma il grande Intercessore che veglia sugli uomini ed è potente appo Dio, appare e domanda che sia per qualche tempo sospesa la esecuzione della sentenza, e Dio che «non prende diletto nella morte dell'empio anzi prende diletto che l'empio si converta dalla sua via e che viva» esaudisce quella preghiera. Dovunque il vangelo è predicato, chi è giunto all'età di ragione, e vive tuttora senza Dio nel mondo, gode di quella sospensione dovuta alla benigna intercessione di Gesù. Essa è la sola cosa che trattenga la punizione dal

colpire i peccatori non perdonati. Qui non han che fare la Madonna e i Santi. «V'è un sol Mediatore di Dio e degli uomini, Gesù Cristo uomo» 1Timoteo 11:5#610110050000-610110050000. I fedeli ministri di Cristo coi loro lavori e le loro preghiere non sono intercessori, ma vanno messi fra i mezzi di cui fa uso il gran Vignaiuolo per condurre i peccatori alla vita eterna.

finché io l'abbia scalzato, e vi abbia messo del letame.

«I due mezzi principali per l'agricoltore per stimolare la crescenza e la fertilità delle piante sono il zappare la terra e il concimarla. Questo fornisce all'albero gli elementi della fertilità; quello gli permette di assimilarseli. Il concime contiene il cibo che la pianta deve ricevere, far suo, e convertire in frutti; ma se la zappa non rompe la terra indurita, quel cibo non giungerà al suo destino» (Arnot). Così nella cultura spirituale, la grazia di Dio nell'evangelo può venir resa inutile da una mente carnale, da una coscienza incallita; le perdite cagionate dalla morte dei loro cari, le malattie, le prove di vario genere sono necessarie e Dio le manda, nella sua bontà, per rompere il cuore indurito, come la zappa e il coltro il suolo, affinché possano penetrarvi gli elementi della vita e della fertilità. Questi sono i mezzi di grazia che Cristo mette in opera con molte anime sterili, nel tempo che vien ancora accordato per pentirsi; tremino esse che, quei mezzi rimanendo negletti, non servano invece ad indurirle vieppiù nel peccato Proverbi 1:20-27#240010200000-240010270000.

PASSI PARALLELI

Esodo 32:11-13,30-32; 34:9; Numeri 14:11-20; Giosuè 7:7-9; Salmi 106:23#020320110000-020320130000#020320300000020320320000#020340090000-020340090000#040140110000040140200000#060010010000-060010090000#231060230000231060230000

Geremia 14:7-9,13-18; 15:1; 18:20; Gioele 2:17; Romani 10:1; 11:14; 2Pietro 3:9#300140070000-300140090000#300140130000-

300140180000#300150010000-300150010000#300180200000300180200000#360020170000-360020170000#520100010000520100010000#520110140000-520110140000#680030090000680030090000

49013009Lc 13:9

9. E, se pur fa frutto, bene; se no, nell'avvenire tu lo taglierai.

Non si domanda che una sospensione; il benigno intercessore non chiede già che il fico sia lasciato indefinitamente al suo posto, se non muta natura. Promette che, ove riesca inutile la prova che sta per fare, egli non si frapporrà più a trattenere la giusta sentenza che il padrone della vigna già ha pronunziata; cesserà di intercedere e lascerà che faccia dell'albero quello che vuole: «Tu lo taglierai». Quando Gesù più non vorrà intercedere per un peccatore, chi ne prenderà la difesa? «Niuno può riscuotere il suo fratello, né dare a Dio il prezzo del suo riscatto» Salmo 49:8#230490080000230490080000. Quando colui che è venuto «per cercare e salvare ciò che è perito» ha pronunziato la fatale sentenza: «Tu lo taglierai», messe, preghiere pei morti, purgatorio, tutto è spazzato via, come roba senza valore, come inganni crudeli. La lezione di questa parabola per tutti i peccatori inconvertiti è: «Non sapete ciò che sarà domani; ma ecco ora il tempo accettevole, ecco ora, il giorno della salute».

PASSI PARALLELI

Esdra 9:14-15; Salmi 69:22-28; Daniele 9:5-8; Giovanni 15:2; 1Tessalonicesi 2:15; Ebrei 6:8#150090140000150090150000#230690220000-230690280000#340090050000340090080000#500150020000-500150020000#590020150000590020150000#650060080000-650060080000

Apocalisse 15:3-4; 16:5-7#730150030000-730150040000#730160050000730160070000

RIFLESSIONI

1. Quanto c'è voluto, anche coll'insegnamento così positivo di Cristo in questa lezione, prima che i Cristiani si convincessero non essere necessariamente le calamità straordinarie vendetta del cielo contro delitti più gravi del solito. Lo credevano fermamente gli amici di Giobbe, e quell'idea prevale tuttodì non solo fra gli ignoranti, ma anche fra quelli che dovrebbero conoscer meglio l'evangelo. Gesù si servì praticamente del massacro dei Galilei e della catastrofe di Siloe, per esortare i suoi uditori a riguardare a sé stessi, a considerare il proprio stato innanzi a Dio. Fatti consimili: un assassinio, una morte subitanea, un naufragio ecciteranno la curiosità di tutti nei luoghi ove sono occorsi; se ne parlerà per molti giorni; eppure è notevole come sieno disinclinati gli uomini di applicar quei casi a sé stessi; di parlare della possibilità per essi stessi di morte subitanea o della loro preparazione per il mondo oltre la tomba. È dovere nostro l'osservare quelle calamità, e specialmente le morti subitanee e violenti, non per pronunziare su altri giudizii poco caritatevoli, bensì per farne profitto, affin di non esser colti all'improvviso, se la chiamata del nostro Signore ci giungerà «come un ladro nella notte».

2. La natura della, vera penitenza è chiaramente indicata nella Scrittura. Comincia colla conoscenza del peccato, continua col produrre dolore per il peccato commesso, e conduce a confessare le nostre colpe dinanzi a. Dio. Si manifesta agli occhi degli uomini col rinunziare affatto al male, e risulta nel produrre un odio abituale e profondo per ogni specie di peccato, soprattutto poi va intimamente unita con una fede vivente nel Signor Gesù. Nessun uomo fu mai perdonato senza esser veramente penitente; nessun peccatore fu mai lavato nel sangue di Cristo senza sentire, deplorare, confessare, odiare i suoi peccati. Senza questo completo distacco dal peccato, non potremo esser felici in cielo, né sarebbero le anime nostre all'unisono con una santità perfetta ed eterna. È naturale che il Battista, il Salvatore, gli Apostoli insistano tanto sulla necessità del pentimento, poiché rintracciato fin nei suoi primi principii esso è essenzialmente uno con quel grande e salutare cambiamento che si chiama rigenerazione o conversione. Davide nel suo gran desiderio di pentimento dopo il suo fallo, risale alla sorgente, confessando di esser stato «formato in iniquità, e conceputo in peccato»;

quindi domanda un radicale cambiamento intorno: «O Dio, crea in me un cuor puro, e rinnovella dentro di me uno spirito diritto» Salmi 51:6,11#230510060000-230510060000#230510110000-230510110000.

3. L'essere nella vigna del Signore è un gran privilegio, ma involve pure una grave responsabilità. Da quelli che ivi son piantati, come dal fico nella vigna, si aspetta che portino frutto, e Dio viene a cercarne da chiunque gode tali privilegi. Non li aspetta al giorno del giudizio, ma viene ora, un giorno dopo l'altro, a cercare quali frutti i nostri privilegi o le nostre prove producono in noi, per la sua gloria. Di più, questa parabola c'insegna che Dio tien gelosamente conto del tempo in cui siamo stati in coltura, ma senza portar frutto: «Ecco, già son tre anni che io vengo, cercando del frutto in questo fico, e non ve ne trovo». L'uomo spensierato non ci pensa, ma Dio ne tien conto. «Risvegliati tu che dormi». Che vi può esser di più sragionevole, di più atto ad eccitar l'ira sua, che la condotta di uomini, i quali, creati per la sua gloria, non lo glorificano!

4. Spesso accade di udir persone che parlano di sé con molta compiacenza, come non avendo nulla da temere dinanzi a Dio, perché son vissute decentemente e non han fatto male ad alcuno. Concediamo pure che non abbiano commesso nessuna ingiustizia o torto flagrante ai loro simili, né abbiano apertamente disonorato Iddio; ma si domanda molto più da loro. Hanno essi scordato la loro depravazione interna, e i loro peccati di omissione? Che Dio c'impone non solo di evitare certe cose cattive, ma che aspetta da noi una ubbidienza attiva nel fare quanto sta in noi per la sua gloria e pel bene dei nostri simili? Chi trascura queste cose, non è senza biasimo; la sua sterilità è criminale. Dà un cattivo esempio, incoraggia altri ad esser pigri e mondani, brutta e rende infruttifera la vigna del Signore e merita di essere «tagliato».

5. Sappi che solo in virtù dei buoni uffizi di Cristo nostro intercessore, e solo in vista di nuova coltura, vengono gli alberi sterili risparmiati. Che cosa è dunque questa nuova coltura che egli promette per essi? È qualunque mezzo di far giungere al cuore, con forza novella, le verità e gli insegnamenti sino ad ora negletti. Possono considerarsi come tali: un cambiamento nei mezzi di grazia, un risveglio subitaneo della coscienza

mediante l'azione dello Spirito Santo, la privazione di privilegi lungamente goduti, la conversione notevole di un compagno, un risveglio religioso nel, luogo che abitiamo una disgrazia, una malattia ecc. Salmo 119:71#231190710000-231190710000.

6. Ricordiamoci di quanto andiamo debitori alla infinita misericordia di Dio, per la intercessione di Gesù Cristo. La potenza, la giustizia, la santità, l'immutabilità sono tutti attributi di Dio manifestati in mille modi nelle sue opere e nella sua parola; ma la misericordia è l'attributo suo prediletto, ed egli lo esercita per mezzo del Signor Gesù Cristo, glorioso nostro Mediatore ed Intercessore. Senza quella intercessione il mondo ed i colpevoli suoi abitanti sarebbero periti da molto tempo. Fu la misericordia fondata sulla mediazione del Salvatore che doveva venire, quella che salvò Adamo ed Eva dall'esser precipitati nell'inferno il giorno in cui peccarono. Egli è per misericordia che Dio tollera per tanto tempo questo mondo carico di peccati, e che i peccatori non vengono recisi nei loro peccati. Non abbiamo la minima idea di quanto andiamo debitori alla grazia di Dio per la intercessione di Cristo; ma il giorno del giudizio ce lo farà conoscere. Ascoltate adunque l'invito misericordioso del Signore ai peccatori, qualunque sia la loro condizione: «Lasci l'empio la sua via, e l'uomo iniquo i suoi pensieri, e convertasi al Signore, ed egli avrà pietà di lui, e all'Iddio nostro, perciocché egli è gran perdonatore» Isaia 55:7#290550070000290550070000. «Come io vivo, dice il Signore Iddio, io non prendo diletto nella morte dell'empio; anzi prendo diletto che l'empio si converta dalla sua via, e che viva; convertitevi, convertitevi dalle vie vostre malvage; e perché morreste voi, o casa d'Israele?» Ezechiele 33:11#330330110000330330110000.

49013010Lc 13:10

Luca 13:10-17. GUARIGIONE DI UNA DONNA IN GIORNO DI SABATO. DISCORSO CHE NE SEGUE

10. Or egli insegnava in una delle sinagoghe, in giorno di sabato.

Questo miracolo è narrato solo da Luca. Il tempo ed il luogo non vengono indicati; ma l'insolenza con cui il capo della sinagoga espresse la sua opposizione a Gesù fa supporre che questo fatto accadesse nell'ultimo periodo del ministero di Gesù, in Perea, o nelle vicinanze di Efraim. Il miracolo fu fatto in una sinagoga, in giorno di Sabato, in presenza della ordinaria congregazione riunita per il culto.

PASSI PARALLELI

Luca 4:15-16,44#490040150000-490040160000#490040440000490040440000

49013011Lc 13:11

11. Ed ecco, quivi era una donna che avea uno spirito d'infermità già per ispazio di diciott'anni,

Le parole spirito d'infermità, insieme a quelle del Signore al ver. 16: «la quale Satana avea tenuta legata», han condotto molti scrittori a credere essere stato questo un caso di vera, quantunque mite, ossessione demoniaca; mentre altri ritengono che la debolezza di quella, donna fosse solo l'effetto del potere che al maligno veniva permesso di esercitare sul suo corpo, non per castigo, ma per disciplina, per prova misericordiosa, come già gli era stato concesso di tormentar Giobbe. In appoggio a quest'ultima teoria ci vien detto che essa era nella sinagoga dove a nessun indemoniato era lecito entrare; ma questo è contradetto dal fatto ricordato in Marco 1:2327#480010230000-480010270000. Però siccome non v'ha nulla nelle parole rivoltele dal Signore che implichi una possessione, siccome egli non pose mai le mani sulle persone in tali casi, ma solo quando si trattava di malattie ed infermità corporali, siamo disposti a credere che la debolezza o la malattia di questa donna fosse prodotta da uno spirito malvagio che agiva in sul suo corpo, senza avere influenza alcuna sul suo spirito. Checché si creda della gravità della, sua malattia, non v'ha dubbio che essa fu opera di Satana, perché lo dice Gesù Luca 13:16#490130160000-490130160000.

Fino a qual punto sia lecito a Satana di esercitare un tal potere, ancora in questi nostri tempi, è cosa impossibile a dirsi. I passi 1Corinzi 5:5; 2Corinzi 12:7; 1Tessalonicesi 2:18; 1Timoteo 1:20#530050050000530050050000#540120070000-540120070000#590020180000590020180000#610010200000-610010200000 sembrano indicare che egli lo possiede; ad ogni modo l'infallibile ispirazione ce lo rivela in questo ed in molti altri casi accaduti mentre Gesù abitava in terra. Il degno di esser imitato da chiunque si professa cristiano, il desiderio di questa povera donna di approfittarsi dei pubblici servigi della religione. Per quanto la sua deformità la esponesse al dileggio degli stolti, per quanto dovesse riuscirle penoso ogni movimento, né la falsa vergogna, né la debolezza né le sofferenze fisiche, la trattenevano dal recarsi nella sinagoga nel giorno di Sabato. Come sono spesso leggiere e spregiovoli le scuse che consideriamo bastevoli per trascurare i servigi della casa di Dio, ai quali pure egli ha promesso la sua benedizione!

ed era tutta piegata, e non poteva in alcun modo ridirizzarsi.

In seguito a deviazione della spina dorsale o a contrazione dei nervi, il suo corpo erasi quasi piegato in due, dimodoché più non poteva star ritta. Era questo una aggravazione dolorosa del male di questa meschina, e il fatto che trovavasi in tale stato da diciotto anni prova che, umanamente parlando, la sua infermità era incurabile.

PASSI PARALLELI

Luca 13:16; 8:2; Giobbe 2:7; Salmi 6:2; Matteo 9:32-33#490130160000490130160000#490080020000-490080020000#220020070000220020070000#230060020000-230060020000#470090320000470090330000

Luca 8:27,43; Marco 9:21; Giovanni 5:5-6; 9:19-21; Atti 3:2; 4:22; 14:810#490080270000-490080270000#490080430000490080430000#480090210000-480090210000#500050050000500050060000#500090190000-500090210000#510030020000-

510030020000#510040220000-510040220000#510140080000510140100000

Salmi 38:6; 42:5#230380060000-230380060000#230420050000230420050000

Salmi 145:14; 146:8#231450140000-231450140000#231460080000231460080000

49013012Lc 13:12

12. E Gesù, vedutala, la chiamò a sé, e le disse: Donna, tu sei liberata dalla tua infermità 13. E pose le mani sopra di lei; ed ella in quello stante fu ridirizzata.

Molte guarigioni miracolose di Gesù venner fatte dietro alla domanda degli infermi, o dei loro amici; ma in altre egli esercitò spontaneamente il suo potere di guarire, senza esserne richiesto; così nel caso del morto di Nain Luca 7:11#490070110000-490070110000, dell'infermo della piscina di Betesda Giovanni 5:6#500050060000-500050060000, e di questa donna. L'occhio suo compassionevole si fermò su quella povera impotente; il suo cuore fu commosso, e chiamatala a sé, dove egli stava o sedeva, in presenza di tutta la sinagoga, la guarì colla sua parola, accompagnata dalla imposizione delle mani. La guarigione fu istantanea, completa, permanente. Essa si ridirizzò, e tornò a essa camminando eretta, come se non avesse mai conosciuto quei diciotto anni di sofferenza e di umiliazione.

49013013Lc 13:13

e glorificava Iddio.

Gesù la chiama una «figliuola d'Abrahamo», e dalla sua condotta inferiamo che un tal titolo le venne dato in un senso spirituale, come è chiamato «figlio d'Abrahamo» Zaccheo convertito. Entrò nella sinagoga, cercandovi il bene dell'anima sua, senza pensare ad una cura corporea; ma mentre anelava

la grazia maggiore, ottenne pure la minore. Il Signore non le domandò se credesse; scrutò il suo cuore e vi trovò la fede pronta a far sua ogni parola che cadrebbe dalle sue labbra, e quando quella parola giunse fino al suo cuore la guarì, la sua lingua si sciolse e dinanzi a tutta l'assemblea essa ringraziò Iddio per l'accordatale liberazione. Qual contrasto fra la sua condotta e quella degli ingrati lebbrosi guariti essi pure da Gesù! Luca 17:11-19#490170110000-490170190000.

PASSI PARALLELI

Luca 6:8-10; Salmi 107:20; Isaia 65:1; Matteo 8:16#490060080000490060100000#231070200000-231070200000#290650010000290650010000#470080160000-470080160000

Luca 13:16; Gioele 3:10#490130160000-490130160000#360030100000360030100000

Luca 4:40; Marco 6:5; 8:25; 16:18; Atti 9:17#490040400000490040400000#480060050000-480060050000#480080250000480080250000#480160180000-480160180000#510090170000510090170000

Luca 17:14-17; 18:43; Salmi 103:1-5; 107:20-22; 116:1617#490170140000-490170170000#490180430000490180430000#231030010000-231030050000#231070200000231070220000#231160160000-231160170000

49013014Lc 13:14

14. ma il capo della sinagoga sdegnato che Gesù avesse fatta guarigione In giorno di sabato, prese a dire alla moltitudine (Per i titoli e le occupazioni dei ministri della sinagoga, vedi Luca 4:20Luca 4:20). Vi son sei giorni nei quali convien lavorare; venite adunque in que' giorni, e siate guariti; e non nel giorno del sabato.

Come i Farisei alla casa di Levi Luca 5:30#490050300000-490050300000, così quest'uomo arde di rabbia contro a Gesù per il notevole miracolo che egli avea compiuto, eppure non ardisce attaccarlo in faccia, rivolgendo a lui i suoi rimproveri; è troppo codardo per questo, ma nell'iroso ammonimento che egli rivolge al popolo di rispettare il Sabato e di venire in cerca di guarigione nei sei giorni di lavoro, parla indirettamente a Gesù. Chiunque conosce il comandamento di Dio relativamente al Sabato, nel Esodo 20#020200000000-020200000000, deve riconoscere, in quanto al principio generale, che egli è nel vero. Dio ha dato all'uomo sei giorni per il suo lavoro e per le sue ricreazioni; ma proibisce nel modo più positivo ogni occupazione di questo genere nel giorno del Sabato, perché è il giorno che egli ha consecrato al proprio suo servizio. La Chiesa romana ha posto il giorno del Signore fra le sue feste ordinarie, e siccome esso ricorre 52 volte all'anno, mentre ogni altra festa non torna che una volta, ne viene che esso è tenuto in minor stima che qualunque altra solennità, in tutti quei paesi dove quella è la Chiesa dominante. Nel suo seno il «santificare il giorno del Signore» è cosa sconosciuta. Si smetterà fino ad un certo punto di lavorare, ma si stimerebbe pazzia il conservar quel giorno all'esercizio pubblico o privato del culto di Dio. Ma benché il capo della sinagoga avesse ragione nel principio, egli ne fa una applicazione affatto erronea. Quello che Cristo avea fatto era un'opera di misericordia, e non poteva in modo alcuno venir rinchiuso sotto il titolo di opera servile. Nessuno lo sapeva meglio del capo della sinagoga; ma la pretesa trasgressione di un comandamento era una occasione troppo favorevole di sfogare il suo odio contro a Gesù, perché egli non se ne approfittasse. Il suo scopo era evidentemente di eccitar gli astanti a metter la mano sopra Gesù. Stier nota la contradizione che v'ha nelle sue parole quando egli fa di che è un ricevere la grazia ed il soccorso divino una specie di opera.

PASSI PARALLELI

Luca 8:41; Atti 13:15; 18:8,17#490080410000490080410000#510130150000-510130150000#510180080000510180080000#510180170000-510180170000

Luca 6:11; Giovanni 5:15-16; Romani 10:2#490060110000490060110000#500050150000-500050160000#520100020000520100020000

Esodo 20:9; 23:12; Levitico 23:3; Ezechiele 20:12#020200090000020200090000#020230120000-020230120000#030230030000030230030000#330200120000-330200120000

Luca 6:7; 14:3-6; Matteo 12:10-12; Marco 3:2-6; Giovanni 9:1416#490060070000-490060070000#490140030000490140060000#470120100000-470120120000#480030020000480030060000#500090140000-500090160000

49013015Lc 13:15

15. Laonde il Signore gli rispose e disse: Ipocriti,

Quì Luca chiama enfaticamente Gesù «il Signore», perché egli parlò qual Signore del Sabato. Egli parlò al capo della sinagoga: ma il suo rimprovero colpiva tutti quelli lì presenti che erano animati dei medesimi suoi sentimenti, come lo prova, la parola ipocriti al plurale. Egli strappa senza alcun riguardo la maschera sotto la quale essi cercavano di nascondersi. Ipocriti erano veramente, perché a lui imputavano a delitto quello che essi stessi facevano ogni giorno.

ciascun di voi non scioglie egli dalla mangiatoia, in giorno di sabato il suo bue, o il suo asino, e li mena a bere? 16. E non conveniva egli scioglier da questo legame il giorno di sabato, costei, ch'è figliuola d'Abrahamo, la qual Satana avea tenuto legata lo spazio di diciott'anni?

Niente poteva esser più concludente ed inconfutabile di questa risposta. Gesù ricorda l'uso universale di sciogliere il bestiame dalla stalla per abbeverarlo in giorno di sabato, come in qualsiasi altro giorno, e lo trova giusto, perché è opera di misericordia che la legge di Dio non condanna ma se, così facendo, essi non trasgredivano la legge, come ardivano accusarlo di esser egli un violatore del comandamento, per quanto avea fatto in favore di

questa donna? Notinsi i punti di contrasto che son tutti in suo favore. Quella donna era una «figliuola di Abrahamo», ed avea diritto a tutti i benefizii del patto fatto da Dio col Patriarca, mentre gli oggetti delle loro cure non eran che animali privi di ragione. Questi erano stati legati nelle loro stalle dai loro stessi padroni e per sole 24 ore; quella invece da 18 anni era tenuta in dura catena da Satana. I Giudei agivano per proprio interesse; Gesù era ispirato da compassione per una povera sofferente, e dal desiderio di dar gloria a Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 6:42; 12:1; Giobbe 34:30; Proverbi 11:9; Isaia 29:20; Matteo 7:5; 15:7,14; 23:13,28#490060420000-490060420000#490120010000490120010000#220340300000-220340300000#240110090000240110090000#290290200000-290290200000#470070050000470070050000#470150070000-470150070000#470150140000470150140000#470230130000-470230130000#470230280000470230280000

Atti 8:20-23; 13:9-10#510080200000-510080230000#510130090000510130100000

Luca 14:5; Giovanni 7:21-24#490140050000490140050000#500070210000-500070240000

Luca 3:8; 16:24; 19:9; Atti 13:26; Romani 4:12-16#490030080000490030080000#490160240000-490160240000#490190090000490190090000#510130260000-510130260000#520040120000520040160000

Luca 13:11; Giovanni 8:44; 2Timoteo 2:26#490130110000490130110000#500080440000-500080440000#620020260000620020260000

Luca 13:12; Marco 2:27#490130120000-490130120000#480020270000480020270000

49013017Lc 13:17

17. E mentre egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari eran confusi; ma tutta la moltitudine si rallegrava di tutte, l'opere gloriose che si facevan da lui.

Bastò questo a confondere ed a coprir di vergogna i suoi oppositori. Non solo furono ridotti al silenzio il capo della sinagoga e i suoi fautori; ma tutti gli astanti rimasero convinti che, senza un motivo nascosto ed indegno, un uomo non avrebbe mai condannato un'opera di misericordia, così ragionevole e conforme agli usi stabiliti. Perciò l'entusiasmo, che era stato per un momento arrestato dal rimprovero del loro capo spirituale, scoppiò in dimostrazioni più vivaci del solito in favore di Gesù. La parola del Signore colpì le loro coscienze, come il suo miracolo avea colpito il loro cuore. Queste lodi date a suo Padre, furon per il Figlio una prova che il suo soggiorno nella Perea, non era stato interamente vano.

PASSI PARALLELI

Luca 14:6; 20:40; Salmi 40:14; 109:29; 132:18; Isaia 45:24; 2Timoteo 3:9; 1Pietro 3:16#490140060000-490140060000#490200400000490200400000#230400140000-230400140000#231090290000231090290000#231320180000-231320180000#290450240000290450240000#620030090000-620030090000#670030160000670030160000

Luca 19:37-40,48; Esodo 15:11; Salmi 111:3; Isaia 4:2; Giovanni 12:17,18; Atti 3:9-11#490190370000-490190400000#490190480000490190480000#020150110000-020150110000#231110030000231110030000#290040020000-290040020000#500120170000500120170000#500120180000-500120180000#510030090000510030110000

Atti 4:21#510040210000-510040210000

RIFLESSIONI

1. Né in questo, né in alcun altro momento della sua vita, il Signore incoraggia ti rilassatezza nell'osservanza del quarto comandamento. Benché trasmutato dall'ultimo al primo giorno della settimana, il giorno del riposo è sempre obbligatorio, e continuerà ad esserlo, finché durerà il mondo. Non si può, senza colpa, fare in quel giorno qualsiasi lavoro non necessario. Non si può, senza colpa, distoglierne parte alcuna dai doveri che in esso si devon compiere, così nella famiglia, come nella casa di Dio. Ma opere di necessità e di misericordia, ben lungi dall'essere contrarie alla sua osservanza, vanno annoverate fra i doveri che a quel giorno si appartengono. Segua ognuno fedelmente la risposta della sua coscienza. Se questa o quell'opera è di così assoluta necessità che si possa rispondere affermativamente al giorno del giudizio, la si faccia pure senza timore, confidando in Dio che investiga i cuori. Ma stiamo in guardia contro le false pretese; lavori fatti di Domenica, che avrebbero potuto esser condotti a termine il Sabato, o rimandati al Lunedì, saran da Dio ritenuti come evidenti trasgressioni della sua legge.

2. Per derivare da questo miracolo tutti i benefizii che esso ci può dare, dobbiamo ricordarci che fu fatto affin di dare speranza e conforto alle anime rese inferme dal peccato. Niente è impossibile a Cristo, Egli può ammollire i cuori che sembrano duri come una macina; può ridirizzare la volontà che per «diciotto anni» è stata inclinata all'egoismo ed al peccato; e i peccatori i cui sguardi erano sempre abbassati sulle cose terrene ricevono da lui forza di alzarli al cielo e di scorgere il regno di Dio. Niente è troppo difficile per lui! Egli può creare e trasformare; soggiogare e liberare; vivificare e rialzare, con potere irresistibile. Facciamo tesoro di questa verità e non disperiamo mai, né della nostra salvezza, né di quella delle persone che ci son care. Per quanto grande sia quella parte della vostra vita che è stata spesa in follie, in mondanità ed in eccessi nocivi all'anima, v'è ancora speranza per voi, se solo andate a Cristo.

3. Com'è terribile per l'ipocrita la descrizione data della onniscienza di Dio in Salmi 139:1-12#231390010000-231390120000! Né inganni, né tenebre

posson nascondergli i nostri pensieri. In questa occasione Gesù diede a vedere di possedere quella onniscienza. Mentre ascoltava le parole del capo della sinagoga, leggeva gli amari sentimenti che agitavano il suo cuore, poi confuse la sua ipocrisia, mostrando che le sue vere intenzioni dovean esser ben diverse dalle sue parole, poiché queste così poco si applicavano al caso presente. Così confonderà il Signore tutti i suoi nemici all'ultimo giudizio. Essi si «risveglieranno a vituperi, ed a infamia eterna» Daniele 12:2; Salmi 2:1-5#340120020000-340120020000#230020010000-230020050000.

49013018Lc 13:18

Luca 13:18-30. PARABOLE DEL GRANEL DI SENAPE E DEL LIEVITO. RISPOSTA AD UNA DOMANDA SUL NUMERO DEI SALVATI Matteo 13:31-33; Marco 4:31-34#470130310000470130330000#480040310000-480040340000

Parabole del granel di senape e del lievito, Luca 13:18-21

Per la esposizione di questa porzione vedi Matteo 13:31Matteo 13:31-33.

49013022Lc 13:22

Risposta ad una domanda sul numero dei salvati, Luca 13:22-30

22. Poi egli andava attorno per le città, e per le castella, insegnando, e facendo cammino verso Gerusalemme.

L'Evangelista ci dà così pochi dettagli di tempo e di luogo relativamente a, quest'ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme, che è impossibile discorrerne a lungo. Le parole di questo versetto sembrano indicare che dopo un breve soggiorno in qualche luogo, Gesù ne era ripartito per proseguire il suo viaggio, vedi nota Luca 9:51Luca 9:51.

PASSI PARALLELI

Luca 4:43-44; Matteo 9:35; Marco 6:6; Atti 10:38#490040430000490040440000#470090350000-470090350000#480060060000480060060000#510100380000-510100380000

Luca 9:51; Marco 10:32-34#490090510000490090510000#480100320000-480100340000

49013023Lc 13:23

23. or alcuno gli disse: Signore, sono eglin pochi coloro che son salvati?

Se fosse questi uno della folla che seguiva Gesù, o qualcuno che a lui si accostasse per via, l'evangelista nol dice; nemmanco sappiamo in quali circostanze o con quali disposizioni venisse fatta una tal domanda. Può darsi che avesse udita o gli fosse stata riportata la parola di Gesù in sul Monte «che pochi sono coloro che trovano la via angusta che mena alla vita» Matteo 7:14#470070140000-470070140000, o quell'altra da lui anche più spesso ripetuta che «molti sono chiamati, ma pochi eletti» Matteo 20:16#470200160000-470200160000, epperciò desiderasse metterlo alla prova perché quelle sue parole erano contrarie alla credenza nazionale, secondo la quale tutti i Giudei, quali discendenti dei Patriarchi, erano fuori di pericolo. In questo caso, il senso della sua questione sarebbe, come lo indica Lutero: "Signore, vuoi tu dire proprio sul serio che pochi saranno salvati?" O può essere stata una di quelle quistioni speculative dettate da mera curiosità, le quali si presentano alla mente degli uomini, in tempi di eccitamento religioso, e li distolgono da verità assai più importanti. Così la donna di Samaria eludeva le domande colle quali Cristo scandagliava la sua coscienza, mettendo in questione i meriti comparativi delle religioni giudaica e samaritana Giovanni 4:20#500040200000-500040200000.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:14; 19:25; 20:16; 22:14#470070140000470070140000#470190250000-470190250000#470200160000470200160000#470220140000-470220140000

Luca 12:13-15; 21:7-8; Matteo 24:3-5; Marco 13:4-5; Giovanni 21:21-22; Atti 1:7-8#490120130000-490120150000#490210070000490210080000#470240030000-470240050000#480130040000480130050000#500210210000-500210220000#510010070000510010080000

49013024Lc 13:24

24. Ed egli disse loro: Sforzatevi d'entrar per la porta stretta; perciocché io vi dico che motti cercheranno d'entrare, e non potranno.

In quel che segue, il Signore, invece di parlare a chi lo avea interrogato, si rivolge alla folla. Distoglie l'attenzione dei suoi uditori dal lato curioso o speculativo di questo soggetto, e la chiama sul suo lato profondamente pratico, secondo il quale la felicità eterna dei peccatori che periscono dipende dalla ricerca immediata ed ardente, per parte loro, della salute. Benché Gesù non dica nulla del numero dei salvati, non esita a proclamare che grande sarà quello dei perduti. Notisi l'antitesi fra i pochi, del vers. 23, e i molti, del ver. 24. Un'altra più marcata ancora è nel ver. 24, quella fra sforzatevi, e cercheranno, poiché egli è dal differente modo di cercare, indicato da questi verbi, che dipende il successo o la ruina. La «porta stretta» deve intendersi dell'usciolino che trovasi accanto al portone e pel quale s'entrava nel cortile di un palazzo, o di qualsiasi pubblico edifizio. Per quest'usciolino si facevan passare nelle grandi feste i convitati, affin di esser certi che non entrava nessuno all'infuori di essi. Questa porticina rappresenta Cristo, mediante il quale solo noi possiamo entrare ad abitare in sicurtà, primieramente nella Chiesa spirituale in sulla terra, quindi nelle stanze gloriose del santuario celeste. Nel suo ministero terreno, Cristo ha dichiarato non solo di essere la porta», ma pure di esser venuto «per cercare e per salvare ciò ch'era perito» Luca 19:10; Matteo 9:13; 15:24; Giovanni 14:6#490190100000-490190100000#470090130000-

470090130000#470150240000-470150240000#500140060000500140060000. La stessa verità egli tuttora proclama a quanti vivono sotto la dispensazione del Nuovo Testamento. L'«entrare per la porta» deve intendersi del vero pentimento e della fede Salutare in Cristo, come per l'unico e sufficiente Salvatore, che costituiscono la conversione del peccatore, la sua riconciliazione con Dio, e la sua fuga dalla «via spaziosa che mena alla perdizione». Il vocabolo sforzatevi, letteralmente agonizzate, indica uno sforzo continuo, intenso, e doloroso, come quello dei concorrenti nei giuochi atletici della Grecia, o quello che uno farebbe per aprirsi il passo fra una gran calca di gente, fino a quella porticina, cui tutti tendevano ansiosamente. Non è difficile immaginarsi il pigio, la confusione, il caldo, la violenza, l'animosità di una tal scena; il Signore ci dice che da consimile lotta deve esser marcato pel peccatore il suo «passaggio dalla morte alla vita». Tutto il contesto mostra che non si tratta qui di salvezza temporale, bensì di «liberazione dall'ira avvenire», e dell'eredare la vita eterna ed il Signore stesso ce ne dà una prova indubitabile, dicendo altrove: «Il regno dei cieli è sforzato, ed i violenti lo rapiscono» Matteo 11:12#470110120000-470110120000. S'incontrano grandi difficoltà per entrare per «la porta stretta»; devonsi vincer nemici che la circondano e ci contendono a palmo a palmo il terreno; sacrificare abitudini oziose e fors'anche viziose; molto occorre abbandonare e lasciare indietro; imparare ed acquistar molte cose contro le quali il cuore carnale lungamente si ribella. Il subir questa disciplina, sotto l'insegnamento dello Spirito Santo, con ferma determinazione di non lasciarsi vincere o stancare, è cosa indispensabile per entrar nella vita. «Se adunque alcuno è in Cristo, egli è nuova creatura, le cose vecchie son passate; ecco, tutte le cose son fatte nuove» 2Corinzi 5:17#540050170000-540050170000. L'insegnamento speciale, però, di questo passo ci par essere il contrasto fra i due modi di cercar, l'entrata nella vita, contrasto che è espresso dai due verbi e il Signore ci comanda di «agonizzare», perché il semplice, «cercare» è uno sforzo troppo debole, ed intere moltitudini periscono per esserne accontentate. Alcuni cercano il favore di Dio e la felicità eterna, senza la conversione o la fede in un divino Salvatore; altri li cercano con indolenza, posponendoli alle attrazioni mondane; altri sperano ottenerli con mezzi che Dio non ha mai indicati; altri ancora li vorrebbero, ma facendo delle riserve per i loro interessi mondani, per certi piaceri peccaminosi, o per non perdere

l'amicizia del mondo. In questi e in altri simili modi molti rimangono privi della salute, benché abbiano avuto chiare convinzioni, momenti di serietà e di zelo, cambiamenti parziali di condotta. In una parola, il «non potranno» col quale termina questo versetto indica impossibilità morale di entrare nel regno di Dio, per qualsiasi altra strada che per la porta stretta, cioè per l'unica ed appieno sufficiente giustizia di Cristo.

49013025Lc 13:25

25. ora, da che il padron della casa si sarà levato, ed avrà serrato l'uscio, voi allora, stando di fuori, comincerete a picchiare alla porta, Dicendo: Signore, Signore, aprici.

Il più grande di tutti gli ostacoli per entrar per la porta stretta è la procrastinazione. Gli uomini indugiano di cercare, finché non è troppo tardi, ed il momento opportuno è passato per sempre. Cristo qui ci mette soprattutto in guardia contro la procrastinazione. La similitudine usata qui è la continuazione di quella del versetto precedente. Il padrone di casa aspetta con pazienza che tutti giungano, finché non sia scoccata l'ora fissata, ed allora va in persona a chiudere la porticina, per la quale gl'invitati sono stati ammessi. Quando poi quelli che per tutto quel tempo si erano pigramente cullati coll'idea che sarebbe sempre tempo di entrare, si trovano l'uscio in faccia, la loro energia si risveglia; essi allora cominciano ad «agonizzare», a picchiare, a supplicare il padron di casa di aprire e di riceverli; ma oimè! egli è troppo tardi! Il padrone di casa è il Signor Gesù stesso, come lo si vede dall'allusione che a lui vien fatta al ver. 26 e il giorno in cui «l'uscio sarà serrato», può esser quello della morte di un uomo, quando cioè cessano per sempre le occasioni e i mezzi di grazia, dei quali egli era circondato o ancora l'ultimo giudizio, quando i malvagi verranno precipitati nell'eterna perdizione. In un senso generale, tutto il passo può esser preso come indicante figurativamente la risoluzione di Cristo di escludere dalla sua presenza tutti gl'increduli, nonché il disinganno e la disperazione di quanti si vedranno all'ultimo inclusi in quella categoria.

Ed egli, rispondendo, vi dirà io non so d'onde voi siate.

Il Signore, dice questo non già delle loro persone, bensì delle loro professioni religiose. Sono essi Israeliti per, nascita? egli li dichiara affatto alieni dalla fede e dalla pietà di Abrahamo. Sono essi Cristiani? non hanno quella fede e quell'amore cui si riconoscono i veri discepoli; egli li tratta, come se provenissero da un paese a lui affatto ignoto; sieno essi quel che vogliono, egli sa e proclama che non sono membri della sua famiglia, non sono tralci della «vera vite», e questo egli ripete anche più enfaticamente al ver. 27, conchiudendo col respingerli per sempre.

PASSI PARALLELI

Salmi 32:6; Isaia 55:6; 2Corinzi 6:2; Ebrei 3:7-8; 12:17#230320060000230320060000#290550060000-290550060000#540060020000540060020000#650030070000-650030080000#650120170000650120170000

Genesi 7:16; Matteo 25:10#010070160000-010070160000#470250100000470250100000

Luca 6:46; Matteo 7:21-22; 25:11-12#490060460000490060460000#470070210000-470070220000#470250110000470250120000

Luca 13:27; Matteo 7:23; 25:41#490130270000490130270000#470070230000-470070230000#470250410000470250410000

49013026Lc 13:26

26. Allora prenderete a dire: Noi abbiam mangiato e bevuto in tua presenza; e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27. Ma egli dirà: io vi dico che non so d'onde voi siate; dipartitevi da me, voi tutti gli operatori d'iniquità.

Continuando la stessa similitudine, Gesù mette in bocca degli esclusi dalla festa, parole che saranno letteralmente applicabili ai Giudei quando verranno esclusi dal regno messianico. In questi versetti, li vediamo divenire importuni; asseriscono che il Maestro ha cattiva memoria quando dice di non conoscerli, e citano varii fatti destinati a svegliar le sue ricordanze. Notiamo che per venir diversamente trattati da lui, non si fondano che sui privilegi esterni di cui hanno già goduto; non dicono che il loro cuore sia mutato non professano amore o gratitudine per lui, né pretendono che sia cambiato il loro tenor di vita, ma solo gli ricordano che avean mangiato e bevuto nella sua presenza, e perciò credono di aver diritto alla Sua ospitalità; che egli avea predicato nelle loro piazze; che essi avean goduto il privilegio del suo pubblico insegnamento, epperciò non gli erano estranei. Queste ragioni non valsero loro nulla; perché il solo attendere alle cerimonie esterne della religione non può far entrare nell'alleanza di Cristo chi vi è stato fino allora estraneo. Gesù novamente dichiara che non li conosce affatto, che essi non han diritto alcuno alla sua compassione ed alla sua bontà, e li scaccia dalla sua presenza. Negli argomenti messi avanti dagli esclusi. vediamo illustrata e svelata la vanità delle ragioni colle quali molti inconvertiti si illudono che verranno finalmente ricevuti nei cieli. Alcuni si fondano sull'aver mangiato e bevuto la, santa Cena in presenza di Cristo, benché abbiano unicamente «mangiato e bevuto giudizio a se stessi, non discernendo il corpo del Signore». Altri si fondano sull'aver avuto migliori occasioni di venire istruiti nella parola, da pii genitori o da fedeli ministri e maestri, nonché sulla loro esterna professione di religione, dimenticando che i privilegi dei quali non abbiam fatto buon uso accrescono la nostra responsabilità, e che le false professioni sono un insulto solenne a Dio. Nessun tale argomento sarà tenuto per valido.

PASSI PARALLELI

Isaia 58:2; 2Timoteo 3:5; Tito 1:16#290580020000290580020000#620030050000-620030050000#630010160000630010160000

Luca 13:25; Salmi 1:6; Matteo 7:22-23; 25:12,41; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9; 2Timoteo 2:19#490130250000-490130250000#230010060000230010060000#470070220000-470070230000#470250120000470250120000#470250410000-470250410000#530080030000530080030000#550040090000-550040090000#620020190000620020190000

Salmi 5:6; 6:8; 28:3; 101:8; 119:115; 125:5; Osea 9:12; Matteo 25:41#230050060000-230050060000#230060080000230060080000#230280030000-230280030000#231010080000231010080000#231191150000-231191150000#231250050000231250050000#350090120000-350090120000#470250410000470250410000

49013028Lc 13:28

28. quivi sarà Il pianto e lo stridor de' denti; quando vedrete Abrahamo, Isacco, e Giacobbe, e tutti i profeti, nel regno di Dio; e che voi ne sarete cacciata fuori; 29. E che ne verranno d'Oriente, e d'Occidente, e di Settentrione, e di Mezzodì, i quali sederanno a tavola nel regno di Dio.

Questi versetti son paralleli a Matteo 8:11Matteo 8:11-12, su cui vedi le note.

Il vocabolo «quivi», designando in questo passo il luogo di esclusione dalla presenza di Dio, corrisponde alle «tenebre di fuori» di Matteo, ed in entrambi l'effetto prodotto sugli esclusi è figurato dal «pianto e dallo stridor dei denti», pianto per quel che han perduto, rabbia per la propria loro follia nel non aver approfittato dell'occasione loro offerta di salvarsi, ed invidia di quelli che hanno avuto la fortuna di entrare. Non v'ha dubbio che questi versetti aveano la loro applicazione immediata nello stato in cui si troverebbero i Giudei, se lasciavano trascorrere senza pentirsi il tempo di grazia loro benignamente accordato da Dio. L'insegnamento figurativo della

Parabola dei malvagi vignaiuoli Luca 21:9-16#490210090000490210160000, secondo la quale essi saranno cacciati dalla vigna, per far posto ad altri che sapranno fare un uso migliore dei loro privilegi, si trova pur qui, ma con maggiore enfasi e chiarezza; i Patriarchi ed i Profeti rappresentando la chiesa o il regno di Dio, dal quale i Giudei rimarranno all'infuori; e quei venuti da ogni parte del mondo per sedere a mensa con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, i Gentili, il cui posto (a giudizio dei Farisei), doveva essere nelle «tenebre di fuori» per sempre. Questo cambiamento nella posizione, rispettiva dei Gentili e dei Giudei, dopo che Cristo sarebbe stato «innalzato», e Gerusalemme ridotta un mucchio di rovine, getta ampia luce sul significato delle parole colle quali Gesù chiude questo suo discorso: «Ve ne sono degli ultimi, che saranno i primi, e dei primi che saranno gli ultimi», Confr. Romani 11:15-25#520110150000-520110250000. Ma il significato spirituale di questi versetti, e la loro applicazione ad ogni individuo ci trasportano al giudizio finale, fors'anche più in là di quello (come nel caso dell'uomo ricco della parabola Luca 16#490160000000490160000000): vale a dire nel luogo dell'eterno castigo. Queste stesse terribili parole colle quali Gesù scaccia da sé gli impenitenti, le vediamo da lui ripetute in Matteo 25#470250000000-470250000000, dove si tratta evidentemente dell'ultimo giudizio; è dunque probabile che Gesù avesse in vista anche qui la medesima scena. In quel giorno, quando sarà stata pronunziata dal Giudice supremo la terribile sentenza, quanti rimarranno sorpresi e disillusi fra quelli che si stimavano sicuri delle gioie dei cieli, e si vedranno invece gittati nelle tenebre di fuori, preparate per il diavolo e i suoi angeli! In questi versetti abbiamo una risposta indiretta alla domanda del ver. 23. Molti saranno salvati, ma essi no; i loro profeti, ma essi no; gli stranieri, i pubblicani, i Gentili entreranno, ma mi saranno cacciati fuori!

PASSI PARALLELI

Salmi 112:10; Matteo 8:12; 13:42,50; 22:13; 24:51; 25:30#231120100000231120100000#470080120000-470080120000#470130420000470130420000#470130500000-470130500000#470220130000470220130000#470240510000-470240510000#470250300000470250300000

Luca 16:23; Matteo 8:11#490160230000-490160230000#470080110000470080110000

Luca 14:15; 23:42-43; 2Tessalonicesi 1:5; 2Pietro 1:11#490140150000490140150000#490230420000-490230430000#600010050000600010050000#680010110000-680010110000

Luca 10:15; Apocalisse 21:8; 22:15#490100150000490100150000#730210080000-730210080000#730220150000730220150000

Genesi 28:14; Isaia 43:6; 49:6; 54:2-3; 66:18-20; Malachia 1:11; Marco 13:27#010280140000-010280140000#290430060000290430060000#290490060000-290490060000#290540020000290540030000#290660180000-290660200000#460010110000460010110000#480130270000-480130270000

Atti 28:28; Efesini 3:6-8; Colossesi 1:6,23; Apocalisse 7:910#510280280000-510280280000#560030060000560030080000#580010060000-580010060000#580010230000580010230000#730070090000-730070100000

49013030Lc 13:30

30. Ed ecco, ve ne sono degli ultimi che saranno i primi, e de' primi che saran gli ultimi.

In unione ai versetti precedenti, questo ci insegna che all'ultimo giorno si vedrà che l'essere ammessi nella gloria od esclusi da essa, non corrisponderà a quelle apparenze esterne dietro alle quali gli uomini giudicano di queste cose, imperocché molti che il mondo e la chiesa tenevan certi di entrare verranno lasciati fuori; molti invece che davano quaggiù a vista umana pochissima promessa, entreranno. Più di uno che avrà fatto tutta la vita professione di religione, all'ultimo sarà «salvato come per lo fuoco», mentre ad altri, i quali come il ladrone in sulla croce, avranno abbracciato il Salvatore all'ultimo momento della vita, sarà concessa l'entrata all'eterno

regno del Signor nostro Gesù Cristo. Questa espressione proverbiale ammette una applicazione molto più generale; come, per esempio, per quel che riguarda la prosperità mondana, i privilegi religiosi, il tempo della conversione, lo zelo nell'opere di Cristo; ma Gesù l'usa qui per indurre ognuno ad esaminare il proprio cuore, e ad accertarsi della sua vera posizione. Ci accordi il Signore di farne uso a questo scopo.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:9-10; 8:11-12; 19:30; 20:16; 21:28-31; Marco 10:31#470030090000-470030100000#470080110000470080120000#470190300000-470190300000#470200160000470200160000#470210280000-470210310000#480100310000480100310000

RIFLESSIONI

1. In questo passo Gesù c'insegna che v'ha una grande opera dinanzi a noi; che la porta per la quale conviene entrare nel regno è stretta; che molti sono i nemici i quali ci impediscono di arrivarvi; e che siamo responsabili per l'adempimento o la trascuranza di questo dovere. Non dobbiamo rimanercene neghittosi nel peccato e nella mondanità, aspettando che agisca la grazia di Dio; non dobbiamo continuare nel male, sotto la vana scusa che non possiamo far nulla, finché Dio non ci attira a sé. Dobbiamo avvicinarci a lui, mediante i mezzi di grazia; se ne facciamo uso, Dio opererà efficacemente su noi per lo santo suo Spirito. Pecchiamo contro le anime nostre trascurando di servirci ogni giorno di quei mezzi che egli ci ha dati, e dei quali ci ha ordinato di servirci come di gradini per salire a lui.

2. V'ha qualcosa di specialmente notevole nel linguaggio del Signore in questa profezia. Essa ci rivela questo terribile fatto che cioè egli è possibile all'uomo di conoscere la verità, e di non esser più in tempo per venir salvato. Miriadi di uomini si sveglieranno nel mondo avvenire, per esser convinti di verità che non hanno voluto credere in questo. La terra è la sola parte della

creazione di Dio, dove si trovi qualche incredulità; nell'inferno stesso, «i demoni credono e temono».

3. Quel che dà all'insegnamento del Signore in questo passo la sua più alta importanza per tutti i secoli avvenire è la grave sua dichiarazione, che nessuna mera partecipazione esterna nelle benedizioni del regno del Messia, può darci un diritto alla eredità della gloria, se non abbiamo avuto in cuore quella vera penitenza e fede che Dio domanda.

4. Bengel suggerisce l'idea che nel ver. 29; I quattro punti cardinali sieno con intenzione disposti nell'ordine nel quale i Gentili verrebbero chiamati in tutto il mondo nella Chiesa di Cristo. Senza dar troppa importanza a questa idea, è però una curiosa coincidenza che il vangelo prima prese radice nella Siria e nell'Asia Minore, per spargersi quindi lungo le sponde del Mediterraneo nell'Occidente dell'Europa, poi nella Brettagna e fra le nazioni scandinave, e finalmente nell'Africa meridionale e nelle isole dell'Oceano Pacifico. La storia individuale di non poche fra quelle chiese potrebbe di più suggerire al lettore un commento istruttivo sul proverbio col quale si chiude questo discorso.

49013031Lc 13:31

Luca 13:31-35. MESSAGGIO AD ERODE, E LAMENTAZIONE SU GERUSALEMME SUGGERITA DA QUELLO

Messaggio ad Erode Luca 13:31-33

31. in quell'istesso giorno vennero alcuni Farisei, dicendogli: Partiti e vattene di qui; perciocché Erode ti vuoi far morire.

Conoscendo l'odio di tutta la setta Farisaica verso Cristo, non è possibile credere che questo consiglio fosse dettato dall'amicizia. Alcuni vi ravvisano una pura e semplice invenzione dei Farisei, per ridurre Gesù al silenzio; Erode non vi sarebbe entrato per nulla; ma Gesù, che leggeva nei cuori e

conosceva i pensieri degli uomini, avrebbe subito svelato la ipocrisia dei suoi interlocutori, se questo fosse stato un semplice loro tranello. La risposta che, per mezzo loro, egli manda ad Erode rende una tal teoria insostenibile. Il fatto che l'assassinio di Giovanni Battista pesava sulla coscienza di Erode c'impedisce però di credere che egli volesse accrescere quel peso, uccidendo un altro profeta, la cui fama tanto superava quella di Giovanni. Dall'altra parte il sapere che ora in Perea, e vicino a quel castello di Macheronte dal quale egli dirigeva la guerra contro l'Arabia, quel Gesù che aveva pubblicamente proclamato Giovanni il più grande di tutti i profeti, e la cui influenza egli tanto temeva doveva essere per Erode causa di grande ansietà, e fargli desiderare di potersi liberare dalla sua presenza. Formò adunque un piano che ben si accorda colla sua nota ed astuta poltroneria. Indusse certi Farisei ad aiutarlo a liberare il Suo territorio della presenza di uno che temeva, sapendo bene che sarebbe cascato nelle mani di nemici meno scrupolosi ancora dall'altra parte del Giordano. Questo piano doveva piacere ai Farisei, e non li esponeva a pericolo alcuno. Sotto il velo dell'amicizia, essi doveano avvisare Gesù che la sua vita era in imminente pericolo, perché Erode cercava di farlo morire, e consigliargli una fuga immediata. Non è questa la sola occasione in cui Farisei ed Erodiani si unirono per complottare insieme contro Gesù.

PASSI PARALLELI

Nehemia 6:9-11; Salmi 11:1-2; Amos 7:12-13#160060090000160060110000#230110010000-230110020000#370070120000370070130000

49013032Lc 13:32

32. Ed egli disse loro: Andate, e dite a quella volpe:

Gesù non si perde ti cercar migliori informazioni o prove più sicure riguardo alla comunicazione che gli vien fatta. Scuopre subito l'intrigo e indovina la parte che ciascuno vi avea preso. Trattando questi uomini come agenti di

Erode, a lui personalmente manda la sua risposta. Deve essere stato per Erode causa di grande rabbia il vedere la sua astuzia mutata in follia. Il nome che Gesù gli dà: «quella volpe», mentre descrive molto accuratamente l'ipocrita sua astuzia, la sua codardia e la sua crudeltà, era pure inteso a far conoscere a quelli che gli avean portato quel messaggio, che Gesù conosceva che da Erode originava quello stratagemma, non essendo essi se non ispregevoli strumenti nelle sue mani Si è rimproverato a, Gesù di aver parlato con così poco rispetto del capo dello Stato, poiché così facendo egli avrebbe violato il precetto: «Non dir male dei rettori; e non maledire colui che è principe del tuo popolo» Esodo 22:28#020220280000-020220280000; ma quelli che parlano così, dimenticano che in questo luogo Gesù parla come profeta, ed è in virtù di questo suo ufficio che egli dà a quel tiranno il nome che le sue azioni si meritano Geremia 1:10#300010100000300010100000. Di più, come nota Godet, dobbiamo ricordare! che Erode era la creatura di Cesare, e non già l'erede legittimo del trono di Davide. Quello che il Signore disse con autorità uffiziale come profeta non potrà mai scusare i sudditi che parlano con disprezzo o con amarezza dei loro governanti, né permette ai cristiani di usare un linguaggio violento e spregiativo nel parlare dei malvagi.

Ecco, io caccio i demoni, e compio di far guarigione oggi. e domane; e nel terzo giorno perverrò al mio fine.

La prima parte di questa risposta è una sfida all'odio di Erode, cui Gesù risponde che, senza lasciarsi impaurire dalle sue minaccie, egli proseguirà fino alla fine la sua grande e benefica opera. Ma v'ha pure in essa qualche cosa che dovea calmare i timori del re; l'opera di Gesù consisteva nel cacciare i demoni e nel guarire gli ammalati; egli non minacciava in modo alcuno la sovranità di Erode; di più, il suo soggiorno in Perea dovea esser di breve durata. «Oggi e domani e il terzo giorno», era una espressione proverbiale per indicare un tempo assai breve, e questo senso pare preferibile qui a quello voluto da Meyer ed altri, i quali la prendono come indicante letteralmente tre giorni, in capo ai quali la sua partenza toglierebbe ogni motivo ai timori di Erode. Col verbo perverrò al mio fine, Cristo non parla solamente della fine del suo ministero pubblico in Giudea, Galilea e Perea, poiché quello ebbe termine quando egli varcò il Giordano

(il suo tempo in Gerusalemme essendo impiegato sia a dare istruzioni ai suoi discepoli, sia a confutar le accuse dei suoi nemici), ma pure della sua morte, che avvenne una settimana dopo la sua partenza dalla Perea, colla quale fu compiuta l'opera sua mediatrice in sulla terra, ed egli entrò in pieno possesso della sua gloria come Mediatore celeste.

PASSI PARALLELI

Luca 3:19-20; 9:7-9; 23:8-11; Ezechiele 13:4; Michea 3:1-3; Sofonia 3:3; Marco 6:26-28#490030190000-490030200000#490090070000490090090000#490230080000-490230110000#330130040000330130040000#400030010000-400030030000#430030030000430030030000#480060260000-480060280000

Luca 9:7; Marco 6:14; Giovanni 10:32; 11:8-10#490090070000490090070000#480060140000-480060140000#500100320000500100320000#500110080000-500110100000

Giovanni 17:4-5; 19:30#500170040000-500170050000#500190300000500190300000

Ebrei 2:10; 5:9#650020100000-650020100000#650050090000650050090000

49013033Lc 13:33

33. Ma pure, mi convien camminare oggi, domane, e posdomane; conciossiaché non accada che alcun profeta muoia fuor di Gerusalemme.

Questo par che sia il senso: "Ma quantunque il fine sia così prossimo, è dovere mio, in adempimento della volontà di mio Padre, perseverare oggi, domane ed il giorno dopo, nell'insegnare e nel guarire come prima, senza mutar nulla ai miei piani, poiché, minacci pure Erode quanto vuole, egli non ha potere alcuno sulla mia vita; della morte mia devono rendersi colpevoli i

rettori della mia nazione perché un profeta non può morire fuori di Gerusalemme". Era questa una regola generale, ma che ebbe pure le sue eccezioni. Giovanni Battista non fu messo a morte in Gerusalemme. Le parole non si ritrovano altrove in tutto il Nuovo Testamento: significano letteralmente «non è possibile», ma qui il loro senso evidente è: non e sarebbe conveniente sarebbe contrario all'uso; i rettori non si acconcerebbero a vedere un profeta morire altrove che in Gerusalemme. V'è in quest'ultime parole una ironia severa. Ben poteva esser crudele Erode, ma la sua crudeltà non s'agguaglia a quella della «Santa Città», rossa del sangue dei profeti! Son parole che abbracciano il passato, il presente e l'avvenire della storia di quella città. Oltre al caso di Zaccaria figliuolo di Gioiada 2Cronache 24:20,22#140240200000-140240200000#140240220000140240220000, o di Barachia, come lo chiama Gesù Matteo 23:35#470230350000-470230350000, e di Uria Geremia 26:23#300260230000-300260230000, dei quali è detto espressamente che furono uccisi in Gerusalemme, Geremia rende contro a Giuda questa solenne testimonianza: «La vostra spada ha divorato i vostri profeti, a guisa d'un leone guastatore»; e l'abituale crudeltà con cui venivan trattati i profeti è indicata come una delle ragioni per cui i Giudei vennero trasportati in cattività a Babilonia 2Cronache 36:15-16#140360150000-140360160000. Il Signore dichiara che lo stesso odio contro i messaggeri di Dio tuttor viveva nel cuore dei rettori giudaici del suo tempo (benché pretendessero di onorarne la memoria, adornando le tombe degli antichi martiri Matteo 23:29-35#470230290000-470230350000), e la sua morte e quella di Stefano presto ne doveano dare la prova. I Farisei, ai quali Gesù avea affidato il suo messaggio, potevano ora giudicare quanta poca importanza egli dava alle minaccie di Erode.

49013034Lc 13:34

Lamentazione sopra Gerusalemme. Luca 13:34-35

34. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti, e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come

la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto l'ale, e voi non avete voluto: 35. Ecco, la vostra casa vi è lanciata deserta. Or io vi dico, che voi non mi vedrete più, finché venga il tempo che diciate: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore.

La menzione della sua morte a Gerusalemme richiama alla memoria di Gesù il destino tremendo che egli sapeva impendere sopra i suoi abitanti, dopoché essi avrebbero con quel fatto «empiuta la misura dei loro padri», e alle ultime ironiche sue parole presto tennero dietro altre in cui si uniscono in modo commovente la sua compassione per aver essi trascurata la grazia, ed il suo dolore per la calamità che li minacciava. Egli era venuto espressamente per «le pecore perdute della casa d'Israele», ed era sempre stato ansioso di salvarlo, e pronto a coprirlo ed a proteggerle, come la gallina la sua nidiata senza difesa, ma essi «non vollero venire a lui, acciocché avessero vita». Ed ora era troppo tardi! La «casa desolata», indica senza dubbio la loro città devastata dai Romani; ma i Giudei chiamavano enfaticamente il tempio la loro casa («La casa della nostra santità, e della nostra gloria dove già ti lodarono i nostri padri, è stata arsa col fuoco» ecc. Isaia 64:11#290640110000-290640110000), e questo pure è qui indicato, forse in modo tutto speciale. «Desolato» davvero sarebbe il tempio, quando la presenza del Signore se ne sarebbe ritirata per sempre, quella presenza di cui era stato predetto che per essa «maggiore sarà la gloria di questa seconda casa che la gloria della primiera» Aggeo 2:9#440020090000440020090000. Alcuni scrittori credono che questa sia, la stessa lamentazione che quella riportata in Matteo 23:37-39#470230370000470230390000, da Luca messa in un altro posto; ma essi appartengono generalmente a quella classe di scrittori, i quali non ammetton che Cristo abbia mai ripetuto i suoi insegnamenti. Per quanto si rassomiglino molto, vi sono però, nel greco, differenze che indicano esser esso stato pronunziato in occasioni differenti, e la, perfetta consonanza di questa colla cieca crudeltà colla quale i rettori del popolo desideravano la morte di Cristo, grandemente conferma l'ordine in cui la riferisce Luca. Tre sono le lamentazioni di Gesù sopra Gerusalemme Luca 23:34; 19:41-44; Matteo 23:3739#490230340000-490230340000#490190410000490190440000#470230370000-470230390000, e chi le considera seriamente deve convincersi che ciascuna fu perfettamente appropriata al

tempo ed al luogo in cui venne pronunziata. Abbiam notato più sopra che questa era una dichiarazione profetica, e per ogni maniera opportuna, di quello che seguirebbe a Gerusalemme dopo che i suoi abitanti avrebbero ucciso il Signor della gloria: la seconda, pronunziata quando Gesù, nel mezzo del suo trionfo, contemplava dall'alto del Monte degli Ulivi la magnificenza del tempio e piangeva su di esso, colpisce la mente di ogni viaggiatore per la sua perfetta convenienza in quel luogo ed in quel momento: mentre l'ultima, come l'immediata conseguenza del suo ritiro definitivo dal tempio, è il degno e solenne culmine di tutte le tre, il canto di morte di Gerusalemme nella desolazione del suo tempio. Per la esposizione vedi Matteo 23:37Matteo 23:37-39; e le riflessioni 5,6,7.

49014001Lc 14:1

CAPO 14 - ANALISI

1. Convito nella casca del Fariseo e guarigione di un idropico in giorno di Sabato. Durante il suo viaggio, Gesù fu nuovamente, invitato da un Fariseo, che forse era il capo della sinagoga di quel paese, a desinare in casa sua, in giorno di Sabato, e i detti di Cristo ricordati in questo capitolo, fino al vers. 24, furono tutti pronunziati in quella casa. Per quanto fosse amaro l'odio che aveano per lui, i Farisei continuarono ad invitare qualche volta Gesù ai loro conviti, e lo stesso amore per le anime, che lo spinse a mangiar coi peccatori e coi pubblicani, lo costrinse ad accettare pure tali inviti, nella speranza di farvi del bene a qualcuno. Dalle spiegazioni già date, Note Luca 7:37Luca 7:37; Matteo 9:10Matteo 9:10, della presenza in tale occasione di persone non invitate, non deve stupirci se un uomo affetto di idropisia si trovasse vicino alla porta del Fariseo, o nel cortile interno della casa. Sia che vi fosse venuto da sé per curiosità o nella speranza di esser guarito, Gesù s'accorse, che la brigata stava spiando se lo guarirebbe o no in giorno di sabato; e senza aspettare che alcuno ne parlasse, domandò egli stesso ai dottori della legge ed ai Farisei presenti se fosse lecito guarire in tal giorno. Nessuno arrischiandosi a rispondere, Gesù guarì subito quell'uomo e lo rimandò a casa sua. Quindi rivoltosi agli astanti, li attaccò coll'argomento stesso di cui già si era servito dopo aver guarito il paralitico. Essi che, senza esitazione e

senza credersi trasgressori della legge divina, correvano a ritirare il loro asino o il loro mulo dal fosso se vi fosse caduto in giorno di sabato, potevano essi dire che la miracolosa guarigione da lui operata era un atto meno misericordioso o meno legittimo che il trar dalla fossa un animale domestico? Era un argomento inconfutabile, e tutti tacquero Luca 14:1-6.

2. Una lezione d'umiltà. L'orgoglio dei Farisei manifestavasi segretamente nel rivendicare gelosamente i loro diritti alle distinzioni ed alla precedenza così nelle pubbliche adunanze, come nei convegni privati. Di loro già avea detto Gesù: «Amano i primi luoghi a tavola nei conviti e i primi seggi nelle raunanze» Matteo 23:6#470230060000-470230060000, e lo dimostrò in questo caso il correre di ognuno per occupare il più alto triclinio intorno alla tavola del Fariseo. Qui ammiriamo di nuovo il coraggio e la fedeltà di Gesù nel riprendere il peccato favorito degli ostili suoi uditori, benché non ci fosse nessuno per secondarlo. Presenta loro in parabola, una mensa i cui primi posti erano stati presi al assalto dai convitati che si credevano meritevoli delle più alte distinzioni; quando il padrone di casa entra, accompagnato da un invitato cui voleva specialmente onorare, si avanza per farlo sedere nel più alto triclinio e trovatolo occupato da uno che avea di sé migliore opinione che non ne avesse il suo ospite, impone a questi di abbandonare il posto usurpato, e lo manda tutto vergognoso a seder in un posto più umile. Per evitar tale umiliazione, Gesù consiglia loro in tali circostanze di cercar modestamente gli ultimi posti aspettando che il padron di casa, se crede, li faccia salire in luogo più eccelso. Tale umiltà nel giudicar dei proprii meriti, tal prontezza a preferir gli altri a se stessi, col tempo otterranno per chi li pratica, maggiori onori per parte degli uomini e s'accordano col principio del governo morale di Dio «che chiunque s'inalza sarà abbassato, e chiunque s'abbassa sarà inalzato» Luca 14:7-11.

3. I ricchi esortati a convitare i poveri. Osservando Gesù che alla mensa del Fariseo sedevano, secondo l'uso, i suoi congiunti o ricchi vicini che gli renderebbero l'invito, si volge ora a lui, ed esorta così lui come i suoi convitati a non seguir più una regola conducente solo ad uno scambio di consimili cortesie, bensì ad invitare alle loro feste i poveri, i disgraziati, i bisognosi, dai quali non potevano sperar ricompensa terrena; così facendo mostrerebbero un disinteresse ed una prontezza, ad osservar la legge: «Ama

il tuo prossimo come te stesso», che verranno certamente ricompensati nel gran giorno in che il Giudice darà a ciascuno secondo le sue opere Luca 14:12-14.

4. La Parabola della Gran Cena. Questa pure fu detta a tavola in casa del Fariseo, e fu suggerita dal detto di uno dei convitati, il quale, udendo parlare delle ricompense dell'ultimo giorno, e adottando la nozione popolare, secondo la quale lo stato celeste dovrà essere un continuo convito, aveva esclamato: "Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio!" tenendo per sicuro, che come Israeliti e Farisei, quella beatitudine era loro assicurata. In questa parabola il Signore sviluppa l'idea di una festa, suggerita da colui che avea, parlato, e mostra che il grande convito (cioè il regno di Dio), già era preparato, ma che per la mondanità e l'indifferenza dei primi convitati, i quali si erano scusati sotto varii pretesti, i posti erano vuoti, e il Padrone avea mandati i suoi servi nelle strade e nelle piazze, ad invitar persone di una classe affatto diversa, che sarebbero contentissimo di accettare, dimodoché non rimarrebbe più posto per quelli cui era stato prima riserbato l'onor dell'invito. Il convito rappresenta il regno della grazia quaggiù, e della gloria più tardi: gli sprezzatori dell'invito sono i Giudei, i discendenti dei Patriarchi; i poveri e gli storpi usciti dalle dimore della miseria nelle viuzze della città, o di sotto alle siepi lungo le strade, i pubblicani, le donne di mala vita ed i Gentili i quali, per la penitenza, stavano per entrare nel regno di Cristo Luca 14:15-24.

5. L'esser discepoli involve sacrifizii. Bisogna contare il costo. Avvicinandosi la festa di Pasqua, la comitiva che accompagnava Gesù s'accrebbe di molte persone provenienti da tutti i distretti al N. della Samaria, e dalle parti settentrionali della Perea, per esservi presente, e presto divenne una moltitudine. Molti di questi lo aveano probabilmente seguito quando predicava in Galilea, e gli erano favorevoli; raggiungendolo ora per istrada, si misero della sua compagnia, dichiarandosi discepoli suoi. A prevenire ogni allusione ed ogni sbaglio, il Signore immediatamente dichiara loro quali disposizioni egli richiedesse da quelli che allora o poi gli volevano divenir discepoli. Per esser tale non bastano le rumorose professioni, o il portare in pubblico una divisa od emblemi speciali: occorre una divozione per lui così assorbente ed uno zelo per onorarlo e per fare

avanzare il suo regno in sulla terra così grande, da non indietreggiar dinanzi a qualsiasi sacrifizio, e neppur dinanzi al martirio. Una professione che domanda tali sacrifizii ed espone a tanti rischi non deve venir fatta temerariamente e in ignoranza; se ne devon pesare i vantaggi e i pericoli e le prove, prima di farne la scelta, perché è impossibile servire a due signori. Gesù illustra la necessità di pensarci seriamente prima di divenire i suoi discepoli con due esempi tratti dalla vita comune: quello di un costruttore il quale prudentemente si diede a calcolare l'intero costo di una torre che egli vuol costruire, prima di dare un solo colpo di piccone a scavarne le fondamenta, per timor di dovere abbandonare l'impresa a metà, per mancanza di mezzi, colle beffe di tutti; e quello di un re, il quale, in procinto di dichiarare la guerra, esamina la sua situazione, e avvedendosi che l'esercito nemico è più poderoso del suo, intavola subito trattative di pace. Così conviene a chiunque vuol divenir discepolo di Cristo, sedersi e considerare se è pronto, coll'aiuto della grazia che gli viene offerta, a sottomettersi fino all'ultimo rigore alla condizione: «Niuno di voi, il quale non rinunzia a tutto ciò che egli ha, può esser mio discepolo». Il Signore chiude questo discorso, ammonendo i suoi uditori, che come il sale, benché di gran valore, in sé, diviene inutile e atto solo ad esser buttato via, se perde le sue qualità pungenti ed antisettiche, così l'uomo che si è dichiarato suo discepolo, diviene cosa di niun valore, spregevole e nocivo, quando egli «perde il suo sapore», vale a dire quando vien tiepido, timido, formale, e simile «al mondo che giace nel maligno» Luca 14:25-35.

Luca 14:1-24. CONVITO IN CASA DI UN FARISEO, IN GIORNO DI SABATO. INSEGNAMENTI DI CRISTO IN TALE CIRCOSTANZA

Guarigione di un idropico, Luca 14:1-6

1. or avvenne che, essendo egli entrato la casa d'uno de' principali de' Farisei,

Il greco dice: uno dei rettori che erano Farisei, ossia che appartenevano alla setta dei Farisei. La parola rettore, nel Nuovo Testamento indica ugualmente un membro del Sinedrio, il capo di una sinagoga, ed un magistrato civile, e si applica a quest'uomo nell'uno o nell'altro di questi sensi. Come setta, i Farisei non avevan capi uffiziali, e se vien preferita la versione di Diodati, essa può significare unicamente che il suo rango, il suo sapere, e la sua influenza gli davano, come a Gamaliele ed altri, una superiorità morale sul comune dei Farisei.

in giorno di sabato, a mangiare,

a mangiar pane, era la formola solita di un invito ad una festa grande o piccina. Siccome i Farisei proibivano rigorosamente di cucinar qualsiasi cosa in giorno di Sabato, il convito dovette esser molto semplice, benché fossero parecchi i convitati. Secondo il loro codice di morale, il passare dell'ore in vane conversazioni, nella casa gli uni degli altri, non costituiva una violazione, del Sabato; ma far bollire una pignatta, infornar del pane, o arrostir, della carne, avrebbe messo in pericolo le anime loro. Non ci maravigliamo dunque se Gesù li chiama ipocriti!

essi l'osservavano.

Questi «essi» erano evidentemente parenti, amici ed altri membri della sua setta che il Fariseo aveva invitati, ed il loro contegno verso Gesù subito che egli compare, mostra che quell'invito non era stato fatto per un fine amichevole, ma nella speranza che, fra tante spie, qualcuna scoprirebbe in lui qualche parola od atto per cui lo si potesse condannare.

PASSI PARALLELI

Luca 7:34-36; 11:37; 1Corinzi 9:19-22#490070340000490070360000#490110370000-490110370000#530090190000530090220000

Giovanni 3:1; Atti 5:34#500030010000-500030010000#510050340000510050340000

Luca 6:7; 11:53-54; 20:20; Salmi 37:32; 41:6; 62:4; 64:5-6; Proverbi 23:7; Isaia 29:20#490060070000-490060070000#490110530000490110540000#490200200000-490200200000#230370320000230370320000#230410060000-230410060000#230620040000230620040000#230640050000-230640060000#240230070000240230070000#290290200000-290290200000

Isaia 29:21; Geremia 20:10-11; Marco 3:2#290290210000290290210000#300200100000-300200110000#480030020000480030020000

49014002Lc 14:2

2. Ed ecco, un certo uomo Idropico era quivi davanti a lui.

La curiosità o qualche speranza di guarigione possono aver condotto costui in casa del Fariseo, poiché tutti vi aveano accesso durante i pasti; ma potrebbe anche essere che ve l'avessero fatto venire i nemici di Gesù, nella speranza di trovare, per mezzo di esso, una qualche accusa contro a lui.

49014003Lc 14:3

3. E Gesù prese a dire a' dottori della legge, ed a' Farisei: È egli lecito di guarire alcuno in giorno di sabato? 4. Ed essi tacquero.

Gesù vedendosi spiato e leggendo nei loro cuori la speranza che nutrivano di fargli del male, si rivolse pel primo ai Farisei, e sopratutto ai Dottori, il cui dovere uffiziale era di spiegar la legge, domandando loro di dire chiaramente se, secondo la legge mosaica, era lecito guarire in giorno di Sabato, o di citare un testo che lo proibisse. Sorpresi da questo attacco, né potendo citare un passo della legge che proibisse un'opera di tanta misericordia, rimangono silenziosi, per quanto si rodano di rabbia in cuore.

49014004Lc 14:4

Allora, preso colui per la mano, lo guarì, e lo licenziò 5. Poi fece lor motto, e disse: Chi è colui di voi, che, se il suo asino, o bue, cade in un pozzo, non lo ritragga prontamente fuori nel giorno del sabato? 6. Ed essi non gli potevano rispondere nulla in contrario a queste cose.

Dopo aver miracolosamente guarito l'infermo, ed averlo rimandato tutto giulivo a casa sua, Gesù confonde anche maggiormente i suoi avversari, mostrando loro che, accadendo di Sabato qualche disgrazia ai loro animali domestici, si credevan lecito di liberarli, anche a costo di fatiche cento volte più grandi del semplice toccare col quale egli guariva un ammalato. In molti MSS trovasi figlio, invece di asino, ed Alford, Godet ed altri critici moderni l'adottano come la vera lezione: ma sono contrari ad essa il Codice Sinaitico. ed altri MSS, ed insieme a Stier, Olshausen e Oosterzee, la rigettiamo come quella che introduce un elemento estraneo nel discorso, perché v'ha qui evidentemente una conclusio a minori ad majus che quasi sarebbe distrutta se al «bue» si unisse il «figlio». L'analogia di Matteo 12:11#470120110000-470120110000, è pure favorevole al testo ricevuto. «La lezione», dice Oosterzee, «par doverci attribuire ad un copista ignorante desioso di mettere in bocca al Signore una parola più forte di quella che gli attribuiva il testo ricevuto; e volendo in tal guisa rinforzar la parola, egli in realtà l'indebolì». Lo stesso convincentissimo argomento Gesù lo avea già usato nella guarigione dell'uomo dalla mano secca. Per la esposizione vedi note Matteo 12:11Matteo 12:11-12.

PASSI PARALLELI

Luca 11:44-45#490110440000-490110450000

Luca 6:9; 13:14-16; Matteo 12:10; Marco 3:4; Giovanni 7:23#490060090000-490060090000#490130140000490130160000#470120100000-470120100000#480030040000480030040000#500070230000-500070230000

Matteo 21:25-27; 22:46#470210250000-470210270000#470220460000470220460000

Luca 13:15; Esodo 23:4-5; Daniele 4:24; Matteo 12:11-12#490130150000490130150000#020230040000-020230050000#340040240000340040240000#470120110000-470120120000

Luca 13:17; 20:26,40; 21:15; Atti 6:10#490130170000490130170000#490200260000-490200260000#490200400000490200400000#490210150000-490210150000#510060100000510060100000

49014007Lc 14:7

Una lezione di umiltà, Luca 14:7-11

7. Ora, considerando come essi eleggevano i primi luoghi a tavola, propone questa parabola agl'invitati, dicendo:

Nei conviti, i commensali giacevano su letti o materassi disposti intorno ad una tavola che trovavasi nel mezzo della stanza. Si chiamavan quei letti triclinii perché ciascuno poteva dar luogo a tre persone, il posto di mezzo in ognuno essendo il più onorevole. Fra i Giudei il primissimo posto era quello di mezzo nel triclinio posto in capo alla mensa, e questo era occupato dal padron di casa, o dal capo della festa. Naturalmente la vicinanza degli altri letti a quello indicava il rango delle persone che occupavano il posto di mezzo in ognuno, Vedi Nota Matteo 23:6Matteo 23:6. Il veder tutti precipitarsi per occupare quei posti d'onore alla mensa del Fariseo, indusse il Signore a pronunziare l'esortazione che segue. Il nostro evangelista la chiama parabola, non già nel senso ristretto di un paragone di un caso immaginario riferito come accaduto, ma, in quello più generico di una grave istruzione fondata in sul fatto allora occorso, essendo intenzione sua, non di inculcare la cortesia o le buone maniere, bensì la vera umiltà, come appare dal ver. 11. Bengel osserva: «È una lezione presa dai modi esterni, ma si riferisce ai principii interni». Non v'ha luogo di supporre che il Signore abbia qui in vista il convito nel regno di Dio, del quale parla più avanti, ma solo la grazia della vera umiltà, di cui tanto difettavano gli astanti, L'idea che

il Signore così parlasse perché si aspettava che a lui, ed ai suoi discepoli verrebbero offerti i primi posti alla mensa, è troppo sconveniente per fermarvisi.

PASSI PARALLELI

Giudici 14:12; Proverbi 8:1; Ezechiele 17:2; Matteo 13:34#070140120000070140120000#240080010000-240080010000#330170020000330170020000#470130340000-470130340000

Luca 11:43; 20:46; Matteo 23:6; Marco 12:38-39; Atti 8:18-19; Filippesi 2:3; 3Giovanni 9#490110430000-490110430000#490200460000490200460000#470230060000-470230060000#480120380000480120390000#510080180000-510080190000#570020030000570020030000#710010090000-710010090000

49014008Lc 14:8

8. Quando tu sarai invitato da alcuno a nozze,

Con molta delicatezza, Gesù evita ogni apparenza di personalità, scegliendo come illustrazione una festa differente da quella cui erano allora invitati, cioè un convito a nozze, nella quale si darebbe molta importanza all'etichetta.

non metterti a tavola nel primo luogo; che talora alcuno più onorato di te non sia stato invitato dal medesimo; 9. E che colui che avrà invitato te e lui, non venga, e ti dica: Fa' luogo a costui e che allora tu venga con vergogna, a tener l'ultimo luogo.

Il verbo qui tradotto venga è differente dal precedente, e significa letteralmente «cominci a prendere», e, come osserva Mayer, esprime un moto esitante di ritirata cagionato da un sentimento di vergogna.

PASSI PARALLELI

Proverbi 25:6-7#240250060000-240250070000

Ester 6:6-12; Proverbi 3:35; 11:2; 16:18; Ezechiele 28:2-10; Daniele 4:3034#190060060000-190060120000#240030350000240030350000#240110020000-240110020000#240160180000240160180000#330280020000-330280100000#340040300000340040340000

49014010Lc 14:10

10. Ma, quando tu sarai invitato, va' mettiti nell'ultimo luogo; acciocché, quando colui che ti avrà invitato verrà, ti dica: Amico, sali più in su. Allora tu ne avrai onore appresso coloro che saran teco a tavola.

La parabola è così vivente che non ha d'uopo di spiegazioni. Ognuno può figurarsi l'umiliazione dell'uomo, il quale avendo stimato sé stesso troppo alto, deve ritirarsi, e il rispetto e l'attenzione accordate dalla brigata all'uomo modesto forse sconosciuto fino allora, che il padrone di casa sceglie per onorarlo in modo così segnalato. La sostanza di questa parabola si trova in Proverbi 25:6-7#240250060000-240250070000; ma si apparteneva a «Colui che è maggiore di Salomone», l'applicarla come regola obbligatoria del suo regno ad ognuno qualunque sia il suo rango nel mondo.

PASSI PARALLELI

1Samuele 15:17; Proverbi 15:33; 25:6-7#090150170000090150170000#240150330000-240150330000#240250060000240250070000

Isaia 60:14; Apocalisse 3:9#290600140000-290600140000#730030090000730030090000

49014011Lc 14:11

11. Perciocché chiunque s'innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato.

V'ha nel cuore umano una tendenza naturale ad umiliar l'uomo arrogante ed imperioso; ma non vi si trova la tendenza corrispondente ad esaltare chi è modesto e meritevole; da questo ci distolgono la gelosia e l'alta stima che abbiamo di noi stessi. Ma Gesù, il quale nel suo ministero terreno, insistette talmente sul dovere dell'umiltà, dichiara che il principio contenuto in questo versetto egli lo impone in tutta la sua estensione a tutti i suoi seguaci, e che egli stesso lo applica nel suo governo morale, confondendo gli orgogliosi, ma «avendo riguardo agli umili». Questo fatto c'insegna che la religione di Gesù deve regolare la nostra condotta esterna, non meno che la nostra vita spirituale. Con tali precetti, il Signore aumenta il numero delle occasioni che abbiamo di ubbidirgli, e rende sempre più necessaria la sua giornaliera presenza al nostro fianco.

PASSI PARALLELI

Luca 1:51; 18:14; 1Samuele 15:17; Giobbe 22:29; 40:10-12; Salmi 18:27; 138:6#490010510000-490010510000#490180140000490180140000#090150170000-090150170000#220220290000220220290000#220400100000-220400120000#230180270000230180270000#231380060000-231380060000

Proverbi 15:33; 18:12; 29:23; Isaia 2:11,17; 57:15; Matteo 23:12; Giacomo 4:6#240150330000-240150330000#240180120000240180120000#240290230000-240290230000#290020110000290020110000#290020170000-290020170000#290570150000290570150000#470230120000-470230120000#660040060000660040060000

1Pietro 5:5#670050050000-670050050000

49014012Lc 14:12

I ricchi esortati a festeggiare i poveri, Luca 14:12-14

12. Or egli disse a colui che l'avea invitato

L'esortazione precedente, Gesù l'avea rivolta a tutti, questa specialmente al suo ospite, come rappresentante di quelli che avean l'abitudine di far dei conviti in casa loro. Probabilmente questo Fariseo, nel fare i suoi inviti, era mosso dal vano desiderio di avere in casa sua gli uomini più ricchi e più notevoli, anziché da franca e cordiale ospitalità, perciò egli avea particolarmente bisogno di essere ammonito a questo riguardo; il che non toglie che l'ammonizione qui data domandi l'attenzione di tutti.

Quando tu farai un desinare, o una cena, non chiamare i tuoi amici, né i tuoi vicini ricchi; che talora essi a vicenda non t'invitino, e ti sia renduto un contracambio.

Queste parole del Signore non van prese in senso assoluto. A parer nostro, vanno applicate solo a quelle grandi feste in cui si rivaleggia nello scialacquare il denaro, per brillar maggiormente, per eccitare l'ammirazione, per salire nella scala sociale, per essere invitati a cosimili piaceri. Il vocabolo farai, indica un convito in forma, perché tale espressione non si userebbe mai dei pasti ordinarii di famiglia. L'affetto verso i congiunti e gli intimi amici inculcato nel vangelo, l'esempio di Cristo stesso quando Marta e Maria e Simone il lebbroso lo festeggiarono in casa loro, insieme ai suoi discepoli, non ci permettono di credere che egli proibisca quelle cortesie reciproche fra vicini che rendono più piacevole la vita, o le relazioni anche più intime fra prossimi parenti, più che intendere letteralmente l'odiare il padre e la madre Luca 5:26#490050260000-490050260000, come una condizione indispensabile per esser veri discepoli di Cristo. Secondo questa spiegazione, le riunioni amichevoli e private di amici e di parenti sono affatto escluse dalla categoria di cui parla qui Gesù, e non c'è contradizione fra questa sua ingiunzione e la regola apostolica: «Siate volonterosi albergatori gli uni degli altri, senza, mormorii» 1Pietro 4:9#670040090000-

670040090000. Gl'invitati del Fariseo erano probabilmente ricchi suoi congiunti, o vicini, od anche uomini la cui alta posizione sociale faceva onore a chi li riceveva in casa sua. Per vanità, orgoglio ed ambizione, per comparire uguali ai primi nello stato, per essere invitati ad altre consimili feste, i ricchi Giudei usavano far frequenti e costosi festini, scemando così la loro inclinazione ed il loro potere di mostrarsi caritatevoli ai poveri. L'osservanza puntigliosa delle regole dell'etichetta, il ricevere invito per invito, l'esser tenuti pari ai più illustri fra i loro concittadini, ecco tutta la ricompensa che potevano mai aspettare per tante spese; ma nel mondo avvenire ben diversamente staranno i conti, ed essi non devono sperare che l'opere fatte per egoismo e per ostentazione verranno loro calcolate come opere di carità. Le feste date tuttodì dai grandi, hanno per causa gli stessi ambiziosi motivi ed importa ricordarsi, come di un utile ammaestramento, la poca stima che ne fa il Signore.

PASSI PARALLELI

Luca 1:53; Proverbi 14:20; 22:16; Giacomo 2:1-6#490010530000490010530000#240140200000-240140200000#240220160000240220160000#660020010000-660020060000

Luca 6:32-36; Zaccaria 7:5-7; Matteo 5:46; 6:1-4,16-18#490060320000490060360000#450070050000-450070070000#470050460000470050460000#470060010000-470060040000#470060160000470060180000

49014013Lc 14:13

13. Anzi, quando fai un convito, chiama i mendici, i monchi, gli zoppi, i ciechi; 14. E sarai beato; perciocché essi non hanno il modo di rendertene il contracambio;

Come la prima, così questa seconda parte della ingiunzione di Gesù va presa in senso ristretto. Egli non voleva punto inculcare doversi invitare ai festini solo i poveri, i monchi ecc., bensì che in regola generale, i Cristiani

devono ricordarsi la parola biblica «ricordatevi dei poveri», nella loro miseria, come essendo quelli a pro dei quali essi spenderanno in modo più conveniente quello che ad essi stessi soprabbonda. Il mantenere indiscriminatamente i poveri, come S. Luigi di Francia, che ne nudriva 120 al giorno, o la duchessa Edwige di Polonia che ne manteneva 900, anziché un benefizio fa e sarà sempre un fomite di pigrizia e di vizio. Gesù non poté mai aver nulla di simile in vista. Egli c'ingegna invece a rinunziare ai piaceri egoisti, affin di aver maggiormente da dare a quelli che sono realmente bisognosi e meritevoli di soccorsi. Ogni uomo insegnato dallo Spirito di Dio seguirà questa regola, e la sua ricompensa sarà ben diversa di quella del caso precedente. Essa non procede dall'uomo, perché i poveri non possono rendere i benefizii che ricevono; non è una ricompensa terrena, eccetto in quanto riguarda la testimonianza della coscienza, ma verrà concessa dal Giudice di tutti all'ultimo giorno. «In quanto l'avete fatto ad uno di questi minimi fratelli, voi l'avete fatto a me» Matteo 25:40#470250400000470250400000.

49014014Lc 14:14

ma la retribuzione te ne sarà renduta nella risurrezione de' giusti

Quelli che adottando il senso letterale delle parole: «questa, e la prima risurrezione» Apocalisse 20:5#730200050000-730200050000, mantengono la teoria delle due risurrezioni (una prima del millennio per i giusti, l'altra dopo per gli ingiusti), citano questo passo come un argomento senza risposta. Ma noi lo neghiamo, non solo perché questa teoria non ha fondamento solido nella Bibbia, anzi contradice quello che è insegnato in Apocalisse 20:11-15#730200110000-730200150000, ma pure perché le parole di Gesù in questo passo dicono solo che questa ricompensa aspetta i giusti nel giorno del giudizio finale, quando «ciascuno sarà giudicato secondo le sue opere» Matteo 25:31-46; 2Corinzi 5:10; Apocalisse 20:1115#470250310000-470250460000#540050100000540050100000#730200110000-730200150000.

PASSI PARALLELI

Luca 14:21; 11:41; Deuteronomio 14:29; 16:11,14; 26:12-13; 2Samuele 6:19; 2Cronache 30:24#490140210000-490140210000#490110410000490110410000#050140290000-050140290000#050160110000050160110000#050160140000-050160140000#050260120000050260130000#100060190000-100060190000#140300240000140300240000

Nehemia 8:10,12; Giobbe 29:13,15-16; 31:16-20; Proverbi 3:9-10; 14:31; 31:6-7#160080100000-160080100000#160080120000160080120000#220290130000-220290130000#220290150000220290160000#220310160000-220310200000#240030090000240030100000#240140310000-240140310000#240310060000240310070000

Isaia 58:7,10; Matteo 14:14-21; 15:32-39; 22:10; Atti 2:44-45; 4:34-35; 9:39#290580070000-290580070000#290580100000290580100000#470140140000-470140210000#470150320000470150390000#470220100000-470220100000#510020440000510020450000#510040340000-510040350000#510090390000510090390000

Romani 12:13-16; 1Timoteo 3:2; 5:10; Tito 1:8; Filemone 7; Ebrei 13:2#520120130000-520120160000#610030020000610030020000#610050100000-610050100000#630010080000630010080000#640010070000-640010070000#650130020000650130020000

Proverbi 19:17; Matteo 6:4; 10:41-42; 25:34-40; Filippesi 4:1819#240190170000-240190170000#470060040000470060040000#470100410000-470100420000#470250340000470250400000#570040180000-570040190000

Luca 20:35-36; Daniele 12:2-3; Giovanni 5:29; Atti 24:15#490200350000490200360000#340120020000-340120030000#500050290000500050290000#510240150000-510240150000

49014015Lc 14:15

La Parabola della gran cena, Luca 14:15-24

15. Ora alcun, di coloro ch'erano insieme a tavola, udite queste come, disse: Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio.

A prima vista, questa sembra l'esclamazione di uno che godeva delle cose spirituali; ma la parabola colla quale Cristo rispose, distrugge quella impressione. Probabilmente costui, veggendo che l'insegnamento di Cristo diveniva troppo personale e poteva turbare l'armonia della festa, tentò di trar d'imbarazzo il padron di casa e i suoi convitati, mutando il soggetto della conversazione, dando a questa una direzione puramente accademica. Le parole di Cristo sulla risurrezione dei morti gliene fornivano la occasione, e servendosi dell'imagine di una festa (sotto la quale i Giudei generalmente parlavano della felicità futura, e cui erano certi che tutti gl'israeliti che osservavan la legge sarebbero ammessi, in forza del patto fatto con Abrahamo), venne fuori colla esclamazione: «Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio». L'errore di questo Fariseo nel supporre il regno di Dio limitato alla felicità dei cieli, è quello di molti ai nostri dì: ma il Signore si affretta a correggerlo, mostrando che quel regno è già stabilito in sulla terra, e che gli uomini ne devono divenir membri, per la fede durante il corso di questa vita, se ne vogliono godere le benedizioni nella eternità. Indica poi nella parabola come fossero poco disposti ad entrarvi quelli che aveano avuto il privilegio di venirvi invitati i primi.

PASSI PARALLELI

Luca 12:37; 13:29; 22:30; Matteo 8:11; 25:10; Giovanni 6:27-59; Apocalisse 19:9#490120370000-490120370000#490130290000490130290000#490220300000-490220300000#470080110000470080110000#470250100000-470250100000#500060270000500060590000#730190090000-730190090000

49014016Lc 14:16

16. E Gesù gli disse: Un uomo fece una gran cena, e v'invitò molti.

Gesù prende per questa parabola la immagine suggerita dal Fariseo, benché altrove ne faccia uso di proprio moto, parlando del regno di Dio. Questa figura, invero appartiene all'antico Testamento, ed Isaia 25:6#290250060000-290250060000, così predice la dispensazione del vangelo: «E il Signore degli eserciti farà a tutti i popoli, ivi questo monte un convito di vivande grasse, un convito d'ottimi vini; di vivande grasse piene di midolla, d'ottimi e finissimi vini». La parabola delle nozze Matteo 22:110#470220010000-470220100000, rassomiglia in alcuni punti a questa; però le due sono indipendenti l'una dall'altra. L'uomo che fece la cena rappresenta senza dubbio il Signore dei cieli e della terra, dal quale origina la salvezza dei peccatori, e che ha mandato sin dalla caduta i suoi servi ad invitarli a fuggir dall'ira a venire, benché, al ver. 24, Gesù, identificandosi col Padre, parli della, cena come sua. I «molti», primieramente invitati, non sono solamente, come credono alcuni, quelli che rifiutarono alla fine, ma racchiudono tutta la nazione giudaica; poiché i profeti ed il Battista, i quali fecer nota, attraverso i secoli, la gran festa che si avvicinava, invitandovi la gente, non confinarono i loro inviti a nessuna condizione o rango speciale del popolo. Chiunque udiva «la legge ed i profeti», ricco o povero, dotto od ignorante, giusto o peccatore, rimaneva invitato a prepararsi per il regno di Dio e ad accettarlo, quando verrebbe rivelato. Ma i dottori d'Israele a' dì di Cristo aveano scacciato dalla sinagoga e scomunicato i pubblicani e quanti vivevano sregolatamente e nel vizio, dimodoché dal primo invito costoro restavano esclusi, e vi era compresa solo la chiesa o la comunità d'Israele, i membri della quale erano una classe privilegiata, che, per grazia di Dio, godeva di un invito perpetuo. Consimile privilegio hanno ora quelli che sono esternamente uniti alla Chiesa di Cristo. Ma in quella parabola, il Signore accusa tali privilegiati di contentarsi dell'onore dell'invito, senza aver desiderio alcuno di andare alla cena sicché finiscono col ricusare.

PASSI PARALLELI

Proverbi 9:1-2; Isaia 25:6-7; Geremia 31:12-14; Zaccaria 10:7; Matteo 22:2-14#240090010000-240090020000#290250060000290250070000#300310120000-300310140000#450100070000450100070000#470220020000-470220140000

Cantici 5:1; Isaia 55:1-7; Marco 16:15-16; Apocalisse 3:20; 22:17#260050010000-260050010000#290550010000290550070000#480160150000-480160160000#730030200000730030200000#730220170000-730220170000

49014017Lc 14:17

17. Ed all'ora della cena, mandò Il suo servitore a dire agl'invitati:

La cena era il pasto principale degli Ebrei, preso in qualunque ora del giorno, ma per lo più di sera. In questo caso, l'ora ne doveva essere assai mattutina poiché gli invitati erano sul punto di andare a visitare i loro campi e i loro buoi, quando vennero chiamati a recarsi alla festa. Si dice essere stato uso fra gli Israeliti, dopo fatti gl'inviti ad una festa, di mandare attorno un servo, giunta l'ora di sedere a mensa, per invitar la gente ad affrettarsi. Un tal uso è chiaramente presunto in questa parabola. Il «servitore» è il Signore Gesù Cristo stesso, in adempimento della profezia di Isaia: «Ecco il mio Servitore, io lo sosterrò; il mio Eletto, del quale l'anima mia si è compiaciuta; io ho messo il mio Spirito sopra lui, egli recherà, fuori giudizio alle genti» Isaia 42:1#290420010000-290420010000, ed in giustificazione delle parole di Paolo: «Prese la forma d'un servo, ecc.» Filippesi 2:7#570020070000-570020070000; e «avendo Iddio variamente e in molte maniere parlato già anticamente ai padri nei profeti: in quest'ultimi giorni ha parlato a noi nel suo Figliuolo» Ebrei 1:1-2#650010010000650010020000. «L'ora della cena» corrisponde al «compimento del tempo, quando Iddio mandò il suo Figliuol, fatto di donna, sottoposto alla legge, ecc.» Galati 4:4#550040040000-550040040000.

Venite; perciocché ogni cosa è già apparecchiata.

Nell'«ogni cosa» vengono rinchiuse tutte le grazie abbondanti e le benedizioni dell'evangelo così per questo mondo come per il mondo avvenire. I fini della Divinità, rispetto alla salvazione dell'uomo, gradatamente rivelati attraverso i secoli, sono ora appieno adempiuti, poiché Gesù stava per esser «menato all'uccisione come un agnello», per metter «l'anima sua per la colpa, affin di giustificarne molti, caricandosi delle loro iniquità» Isaia 53:11#290530110000-290530110000. L'enfasi di questo messaggio sta sulla parola ora. Siccome tutto è pronto, venite ora, subito, con pentimento e vera fede, perché «ora è il tempo accettevole, ora è il giorno della salute». Se indugiate, anche di poco, potrà esser troppo tardi, perché chi sa che non venga chiusa la porta? Paolo giustifica l'enfasi di Gesù sull'ora, dicendo agli Ateniesi ansiosi di novità: «Avendo Iddio dunque dissimulati i tempi della ignoranza, al presente dinunzia per tutto a tutti gli uomini che si ravveggano» Atti 18:30#510180300000-510180300000. Lettore, a te pure lo stesso paziente e misericordioso Iddio rivolge l'invito: «Vieni ora, perciocché ogni cosa è apparecchiata». Quasi l'ultime parole della Santa Scrittura lo ripetono: «E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. Chi ode dica parimente: Vieni. Chi ha sete venga, e chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita» Apocalisse 22:17#730220170000-730220170000.

PASSI PARALLELI

Luca 3:4-6; 9:1-5; 10:1-12; Proverbi 9:1-5; Matteo 3:1-12; 10:1-4; Atti 2:38-39#490030040000-490030060000#490090010000490090050000#490100010000-490100120000#240090010000240090050000#470030010000-470030120000#470100010000470100040000#510020380000-510020390000

Atti 3:24-26; 13:26,38-39#510030240000-510030260000#510130260000510130260000#510130380000-510130390000

Matteo 11:27-29; 22:3-4; Giovanni 7:37; 2Corinzi 5:18-21; 6:1#470110270000-470110290000#470220030000470220040000#500070370000-500070370000#540050180000540050210000#540060010000-540060010000

49014018Lc 14:18

18. Ma in quel medesimo punto

Manca qui una parola; altre versioni e i più fra, i critici han riempito il vuoto con o «ma con un sol sentimento, o con una sola voce», ciascuno dei quali pare più giusto della traduzione di Diodati, poiché non erano tutti i convitati riuniti nello stesso luogo, ma tutti furono unanimi nel dare una risposta negativa. Le scuse, benché provenienti da varie persone, ed informate a circostanze differenti, sono però tutte del medesimo tipo.

tutti cominciarono a scusarsi.

In questo versetto e nei due seguenti, il Signore dà tre esempi delle scuse messe avanti dagli nomini per rigettar l'evangelo; due di esse basate sulle ricchezze o sulle occupazioni della vita presente, e la terza sui piaceri. Stier ricordando la distinzione che fa Gesù stesso Matteo 22:5#470220050000470220050000, fra possessione, e mercatanzia, l'applica giustamente qui pure, per segnare la differenza fra quelli che mettono avanti le due prime scuse, cioè fra i possessori di terreni, e i commercianti.

Il primo gli disse: lo ho comperata una possessione, e di necessità mi conviene andar fuori a vederla; io ti prego, abbimi per iscusato.

Pare che costui avesse fatto una compra condizionale, riserbandosi di ratificarla o di annullarla dopo conveniente ispezione. Tal visita poteva farsi ad ogni tempo; ma nel desiderio di sfuggire alla festa poco gradita, egli ne fa un dovere imperioso e pressantissimo. Quanti dànno ad inezie, che in altre occasioni avrebbero lasciato stare, una importanza grandissima, quando desiderano sfuggire ad un dovere religioso, ed agli ammonimenti dello Spirito di Dio, che parla alle loro coscienze.

PASSI PARALLELI

Luca 20:4-5; Isaia 28:12-13; 29:11-12; Geremia 5:4-5; 6:10,16-17; Matteo 22:5-6#490200040000-490200050000#290280120000290280130000#290290110000-290290120000#300050040000300050050000#300060100000-300060100000#300060160000300060170000#470220050000-470220060000

Giovanni 1:11; 5:40; Atti 13:45-46; 18:5-6; 28:25-27#500010110000500010110000#500050400000-500050400000#510130450000510130460000#510180050000-510180060000#510280250000510280270000

Luca 8:14; 17:26-31; 18:24; Matteo 24:38-39; 1Timoteo 6:9-10; 2Timoteo 4:4,10#490080140000-490080140000#490170260000490170310000#490180240000-490180240000#470240380000470240390000#610060090000-610060100000#620040040000620040040000#620040100000-620040100000

Ebrei 12:16; 1Giovanni 2:15-16#650120160000650120160000#690020150000-690020160000

49014019Lc 14:19

19. Ed un altro disse: lo ho comperate cinque paia di buoi, e vo' a provarli; io ti prego, abbimi per iscusato.

È inutile supporre, come fanno alcuni, che costui dovesse necessariamente possedere dei terreni. Come mercante, o allevator di bestiame, o speculatore, egli poteva anche in quei giorni fare grossi profitti nel comprare e vendere buoi o bestie da soma, senza trascurare altri rami di commercio; sicché avendo comprato dei buoi, era naturale che desiderasse provarli al lavoro, per venderli dopo con profitto. In ambo i casi erano perfettamente legittime le occupazioni allegate, la colpa stava nel dare ad esse soverchia importanza. Né l'uno né l'altro ricusano con rozzezza; anzi, quasi si sentissero nel torto, entrambi domandano al servo di far le scuse, e ciò con parole esprimenti la speranza di qualche futura occasione per mostrarsi più civili. Alcuni rigettano con aperta audacia l'evangelo, senza dare spiegazioni o scuse; ma

il maggior numero ricusano l'invito in modo più civile e decoroso. Anziché ricusarlo apertamente, rimandano a più tardi di accettarlo, benché la loro condotta equivalga ad un rifiuto reciso e positivo. Mostrano per l'evangelo un certo tal qual rispetto, si dànno per convinti del suo valore; ma rincresce loro di non poterlo accettare, a motivo di certi impegni che richiedono la prima loro attenzione.

49014020Lc 14:20

20. Ed un altro disse: lo ho sposata moglie, e perciò non posso venire.

Ecco il terzo esempio delle scuse che gli uomini mettono innanzi per ricusare l'evangelo, cioè i piaceri legittimi e la gratificazione dei sensi, in questa vita. Sia che quest'uomo si fondasse sulla legge levitica che esentava ogni Israelita dal servizio militare, durante il primo anno di matrimonio, per riguardo alla sua giovane moglie Deuteronomio 24:5#050240050000050240050000, sia semplicemente che la gioia delle sue nozze avesse talmente ripieno il suo cuore da non lasciar posto ad alcun'altra, fatto sta che la sua risposta è più breve, più decisa, più finale, che quella degli altri due, invece del loro cortese, ma ipocrita: «Ti prego, abbimi per iscusato», egli ricusa con un asciutto: «Non posso» I piaceri, anche più legittimi in sé, di questa vita, sono spesso più potenti ostacoli all'accettazione dell'evangelo, che il lavoro faticoso ed incessante di quelli che devono «mangiare il loro pane col sudor del loro volto». La Chiesa romana com'era da aspettarsi, vede in questo versetto un fortissimo argomento contro il matrimonio, dimenticando che lo stesso ragionamento condannerebbe pure l'agricoltura ed il commercio. Ma, come osserva Stier, «quest'uomo rappresenta gli uomini dati interamente al mondo, dal più alto nella scala sociale, ai più meschini, che impiegano tutta la loro energia per afferrare il piacere del momento». Abbiam notato già in modo generico che questo scuse si riferiscono agli affari ed ai piaceri di questa vita; ma è pure importante osservare come corrispondano alle tre cose di cui Gesù ci dice nella parabola del seminatore che esso «affogano la parola», cioè «le sollecitudini di questo mondo, l'inganno delle ricchezze, ed i piaceri di questa vita», Confr. Matteo 13:22; Luca 8:14#470130220000-

470130220000#490080140000-490080140000. Ognuna differisce dall'altra, ognuna è legittima in sé; ma tutte arrivano al medesimo risultato: "Abbiamo ora cose più importanti da fare". La lezione (spesso dimenticata), da impararsi da questa parte della parabola si è che nella maggioranza dei casi, non è tanto la trasgressione aperta della legge di Dio quella che rovina le anime, quanto l'eccessiva attenzione data a come legittime ed innocenti. Invero perderemmo la metà della lezione dataci qui dal Salvatore, se ci scordassimo che tutte le transazioni avvenute, secondo questa parabola, fra il peccatore ed il suo Salvatore, sono legittime in sé.

PASSI PARALLELI

Luca 14:26-28; 18:29-30; 1Corinzi 7:29-31,33#490140260000490140280000#490180290000-490180300000#530070290000530070310000#530070330000-530070330000

49014021Lc 14:21

21. E quel servitore venne, e rapportò queste cose al suo signore.

Chi può dubitare che durante le, notti passate da Gesù in preghiera solitaria sul monte o nei luoghi deserti, Jehova ed il suo «Servitore» non parlassero solo di cose che dovevano incoraggiare la santa anima umana di Gesù nell'opera sua, ma pure di quell'opera medesima, e dei rifiuti e degli scoraggiamenti che egli incontrava ogni giorno per parte di quelli che, per le loro posizioni e le loro conoscenze, avrebbero dovuto essere i primi a riceverlo? Così Gesù insegna ad ogni ministro a riferire al celeste suo Padrone i successi o gli scoraggiamenti che incontra nell'opera sua.

Allora il padron di casa, adiratosi,

Fra gli uomini, l'ira spesso prende la forma di vendetta o di rappresaglia contro l'offensore, e ciò perché è stato ferito il nostro orgoglio, o crediamo aver ricevuto qualche torto. In questo senso sarebbe derogare alla natura di Dio ascrivergli dell'ira. Ma la dottrina ora alla moda, secondo la quale Dio

non è che carità, sicché tutti gli altri suoi attributi sono assorbiti in questo, non è meno erronea e disonorevole per lui. Viene espressamente dichiarato che Iddio è giusto giudice, e un Dio che si adira ogni giorno Salmi 7:12#230070120000-230070120000, e la sua giusta indegnazione si sveglia specialmente contro quelli che rigettano deliberatamente l'offerta dell'evangelo, e perseverano volonterosamente nella incredulità. La grazia, e la pazienza di Dio nel non ritirare le sprezzate benedizioni dell'evangelo, ad onta della giusta sua indegnazione, son distinte in modo molto bella nel contegno e nelle parole, del padrone di casa adirato contro gli sprezzatori della sua grazia, ma perseverante, nei suoi disegni di misericordia e di bontà, egli dimostra, mediante gli ordini che dà al suo servitore, quanto fosse sincero nel fare i suoi inviti Ezechiele 33:11#330330110000330330110000.

disse al suo servitore: Vattene prestamente per le piazze e per le strade della città (strade larghe conducenti a piazze aperte; strade strette e traverse o sentieri), e mena qua i mendici, e i monchi e gli zoppi, e i ciechi.

Il servo vien novamente mandato attorno per invitare ben altre persone a prendere il posto di quelle che aveano ricusato: si noti però che egli non vien mandato fuori delle mura della città in cui dimoravano i primi convitati. I secondi, essi pure, dimorano nella «città del gran Apocalisse», e benché poveri e storpi e sprezzati dagli orgogliosi loro fratelli, hanno in virtù della loro discendenza da Abrahamo, i diritti di cittadinanza. La menzione delle piazze e delle strade della città mette questo fuori di dubbio, e concorda esattamente con quello che Cristo dice della propria missione: «Io non son mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele» Matteo 15:24#470150240000-470150240000. I mendici e i monchi, gli zoppi e i ciechi che vivono nelle parti più povere e meno salubri della città rappresentano i pubblicani e i peccatori, Giudei tuttora di nome, ma sprezzati dai Farisei, e scacciati dalle sinagoghe, come non avendo parte alcuna nelle benedizioni di Abrahamo loro padre. A costoro viene ora mandato il servo, ed essi, sentendo quanto son poveri, bisognosi e disprezzati, accettano con giubbilo l'invito. Uno dei più aspri rimproveri che i sacerdoti, gli Scribi ed i Farisei facevano a Gesù era: «Quest'uomo riceve i

peccatori e mangia con loro», e la loro malizia raggiungeva il suo colmo nel chiamarlo: «L'amico dei pubblicani e dei peccatori». I «mendici, i monchi ecc.» non rappresentano esclusivamente i pubblicani e i peccatori fra i Giudei, ma come osserva Brown, «le classi consimili in generale, le quali vengono ordinariamente dimenticate in sulle prime da quelli che distribuiscono i mezzi di grazia ad una comunità, semi-pagani in mezzo alla luce rivelata, miserabili in ogni senso».

PASSI PARALLELI

Luca 9:10; 1Samuele 25:12; Matteo 15:12; 18:31; Ebrei 13:17#490090100000-490090100000#090250120000090250120000#470150120000-470150120000#470180310000470180310000#650130170000-650130170000

Luca 14:24; Salmi 2:12; Matteo 22:7-8; Ebrei 2:3; 12:25-26; Apocalisse 15:1-8; 19:15#490140240000-490140240000#230020120000230020120000#470220070000-470220080000#650020030000650020030000#650120250000-650120260000#730150010000730150080000#730190150000-730190150000

Luca 24:47; Proverbi 1:20-25; 8:2-4; 9:3-4; Geremia 5:1; Zaccaria 11:7,11; Matteo 21:28-31#490240470000-490240470000#240010200000240010250000#240080020000-240080040000#240090030000240090040000#300050010000-300050010000#450110070000450110070000#450110110000-450110110000#470210280000470210310000

Giovanni 4:39-42; 7:47-49; 9:39; Atti 8:4-7; Giacomo 2:5; Apocalisse 22:17#500040390000-500040420000#500070470000500070490000#500090390000-500090390000#510080040000510080070000#660020050000-660020050000#730220170000730220170000

Luca 14:13; 7:22-23; 1Samuele 2:8; Salmi 113:7-8; Matteo 11:5,28#490140130000-490140130000#490070220000-

490070230000#090020080000-090020080000#231130070000231130080000#470110050000-470110050000#470110280000470110280000

Salmi 38:7; Isaia 33:23; 35:6#230380070000230380070000#290330230000-290330230000#290350060000290350060000

49014022Lc 14:22

22. Poi, il servitore gli disse: Signore, egli è stato fatto come tu ordinasti, ed ancora vi è luogo.

Il rapporto del servo implica che questa volta la sua missione era riuscita, che l'invito era stato accolto, Confr. Matteo 21:31-32; Marco 12:37; Giovanni 7:43,48-49#470210310000-470210320000#480120370000480120370000#500070430000-500070430000#500070480000500070490000, mentre le sue ultime parole indicano che egli capiva perfettamente il desiderio del suo Maestro di vedere ogni posto occupato, nonché il proprio zelo per raggiungere un tal risultato. Sotto le vesti del servo, è Gesù stesso che si presenta a noi nel suo zelo per fare la volontà di suo Padre.

PASSI PARALLELI

Atti 1:1-9:43#510010010000-510090430000

Salmi 103:6; 130:7; Giovanni 14:2; Efesini 3:8; Colossesi 2:9; 1Timoteo 2:5-6; 1Giovanni 2:2#231030060000-231030060000#231300070000231300070000#500140020000-500140020000#560030080000560030080000#580020090000-580020090000#610020050000610020060000#690020020000-690020020000

Apocalisse 7:4-9#730070040000-730070090000

49014023Lc 14:23

23. E il Signore disse al servitore: Va' fuori per le vie, e per le siepi,

Questa volta egli è mandato «fuori» delle mura della città, là dove i mendicanti, i vagabondi, gli «estranei alla repubblica d'Israele» si vedevano camminare faticosamente, sulla strada, o cercare un misero ricovero sotto le siepi, classe questa più misera e disperata ancora di quelli che vivevano nelle squallide viuzze della città. Questi rappresentano il mondo pagano giacente «nelle tenebre e nell'ombra della morte», cui ora deve essere rivolto l'invito della grazia Isaia 42:1; 49:9#290420010000290420010000#290490090000-290490090000. Se quei Greci Giovanni 12:20#500120200000-500120200000 che vennero in cerca di Gesù alla festa erano dei proseliti pagani (cosa assai probabile), il Signore avrebbe cominciato a riempiere questo nuovo suo mandato, quando proclamò dinanzi a loro: «Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me». In procinto di tornar dal suo Padre, egli lo affidò poi solennemente ai suoi apostoli: «Come il Padre mi ha mandato, così vi mando io» Giovanni 20:21#500200210000-500200210000. «Andate dunque, o ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli, ecc.» Matteo 28:19#470280190000-470280190000. «E che nel suo nome si predicasse penitenza e remissione dei peccati fra tutte le genti, cominciando da Gerusalemme» Luca 24:47#490240470000490240470000. La morte non permise agli apostoli di adempiere il compito loro affidato, perciò quest'ordine del Padre e del Figlio è tuttora imposto a tutti i ministri dell'evangelo, perché «ancora vi è luogo» 2Corinzi 5:2021#540050200000-540050210000.

e costringili ad entrare; acciocché la mia casa sia ripiena.

Chiunque conosce la storia della Inquisizione e delle persecuzioni che per tanti secoli la Chiesa romana ha esercitate, sotto pretesto di zelo per salvar le anime, ben sa qual significato crudele e sanguinario è stato dato a quest'ordine: «Costringili ad entrare». Nessun uomo di buon senso può dubitare che, per far entrare la gente nel regno di Dio, un tal metodo non sia meno pazzo che ingiusto e maledetto. Col fuoco, colla spada, colla prigionia e le catene, i timidi, gli incerti, gli increduli sono stati resi in massa

spregevoli ipocriti; ma la vera Chiesa di Dio non ha mai ricevuto incremento alcuno dal costringimento sotto quella o qualsiasi altra forma. Questa ingiunzione non sanziona l'uso di qualsiasi forza e costringimento per condurre gli uomini ad accettare l'evangelo, né nulla che rassomigli ad intolleranza o persecuzione per opinioni religiose. Paolo ci dice espressamente che «l'armi della nostra guerra non sono carnali» 2Corinzi 10:4#540100040000-540100040000, ed esorta «ciascuno ad essere appieno accertato nella sua mente» Romani 14:5#520140050000-520140050000. La classe di cui è qui parlato, ben lungi dal rifiutare come i primi convitati, vorrebbero entrare, ma son trattenuti da una falsa timidità. Il servo deve costringerli, vincendo i loro scrupoli, e facendoli un popolo volonteroso, mediante tutti quegli argomenti della Sacra Scrittura, i quali, sotto l'influenza dello Spirito Santo, sono atti ad agire sulla mente e sul cuore degli nomini. Dice Brown: «Due sono le difficoltà per questa classe di persone: Primo: "Noi meschini, senza tetto, contenti di accovacciarci sotto qualche siepe, non siamo degni di una tal festa". Secondo: "Noi che abitiamo le strade polverose, non siamo vestiti come si conviene, per una tal circostanza, né possiamo presentarci dinanzi a quel potente signore". Come sono ben rappresentate qui le difficoltà ed i timori del peccatore! Or bene, come vi si risponde? "Non accettate scusa alcuna, ribattete tutte le loro difficoltà e i loro scrupoli, sbandite ogni lor timore. Dite loro che dovete condurli alla festa così quali sono"».

PASSI PARALLELI

Salmi 98:3; Isaia 11:10; 19:24-25; 27:13; 49:5-6; 66:19-20; Zaccaria 14:89#230980030000-230980030000#290110100000290110100000#290190240000-290190250000#290270130000290270130000#290490050000-290490060000#290660190000290660200000#450140080000-450140090000

Malachia 1:11; Matteo 21:43; 22:9-10; 28:19-20; Atti 9:15; 10:44-48; 11:18-21#460010110000-460010110000#470210430000470210430000#470220090000-470220100000#470280190000-

470280200000#510090150000-510090150000#510100440000510100480000#510110180000-510110210000

Atti 13:47-48; 18:6; 22:21-22; 26:18-20; 28:28; Romani 10:18; 15:912#510130470000-510130480000#510180060000510180060000#510220210000-510220220000#510260180000510260200000#510280280000-510280280000#520100180000520100180000#520150090000-520150120000

Efesini 2:11-22; Colossesi 1:23#560020110000560020220000#580010230000-580010230000

Luca 24:29; Genesi 19:2-3; Salmi 110:3; Atti 16:15; Romani 11:13-14; 1Corinzi 9:19-23#490240290000-490240290000#010190020000010190030000#231100030000-231100030000#510160150000510160150000#520110130000-520110140000#530090190000530090230000

2Corinzi 5:11,20; 6:1; Colossesi 1:28; 2Timoteo 4:2#540050110000540050110000#540050200000-540050200000#540060010000540060010000#580010280000-580010280000#620040020000620040020000

49014024Lc 14:24

24. Perciocché io vi dico che niuno di quegli uomini ch'erano stati invitati assaggerà della mia cena.

Si disputa fra i critici se queste parole, come parte della parabola, furono rivolte dal padrone al suo servo, o se Gesù avendo terminato la sua parabola al ver. 23, coll'invito rivolto ai Gentili, parla qui in nome proprio per far conoscere ai convitati del Fariseo, che, essendo uguale con Dio, egli è al tempo stesso il padrone ed il servo della parabola, e che suo è il gran convito. La solenne osservazione: «io vi dico», colla quale Gesù tanto spesso introduce i suoi insegnamenti più importanti; la sostituzione del voi, all'unico servo cui parlava il padrone; ed il fatto che il Signore spesso

conclude le sue parabole passando alla loro interpretazione, favoriscono quest'ultima ipotesi. Gittando lungi da sé il velo della parabola, egli proclama che la cena è sua; e non lasciando nella mente dei suoi uditori dubbio alcuno su chi erano quegli uomini che erano stati invitati, egli annunzia che il giorno di grazia per tali sprezzatori è oramai passato per sempre, e quando pur desidereranno un giorno sedersi al convito nella sua forma più gloriosa, «non troveranno luogo di pentimento, benché richiedano quello, con lagrime» Ebrei 12:17#650120170000-650120170000. «Vedete, o sprezzatori, e maravigliatevi e riguardate e siate smarriti» Atti 13:41#510130410000-510130410000. Questo severo ammonimento fu rivolto primieramente agli increduli conduttori della nazione giudaica ai tempi di Cristo, ma né quello, né alcuna delle lezioni di questa parabola è limitata ad essi. Essa illustra una lacrimevole verità relativamente a quelli che fra noi rigettano l'evangelo, perché spesso essi pur vengono abbandonati alla reproba loro mente. Il rigettare deliberatamente la verità attira sull'uomo il più alto dispiacere di Dio.

PASSI PARALLELI

Proverbi 1:24-32; Matteo 21:43; 22:8; 23:38-39; Giovanni 3:19,36; 8:21,24; Atti 13:46#240010240000-240010320000#470210430000470210430000#470220080000-470220080000#470230380000470230390000#500030190000-500030190000#500030360000500030360000#500080210000-500080210000#500080240000500080240000#510130460000-510130460000

Ebrei 12:25-26#650120250000-650120260000

RIFLESSIONI

1. È di grande importanza per Cristo la condotta giornaliera del suo popolo. Il suo vangelo, quando viene sinceramente ricevuto, non solo produce un cambiamento completo delle disposizioni morali, negli intenti e nei sentimenti del credente, ma affina pure ed eleva il suo contegno verso i suoi

simili. Non trasmuta in cortigiano l'uomo di bassa estrazione che nacque e venne educato in una capanna, ma eleva i suoi pensieri toglie la natìa sua rozzezza, gl'insegna umiltà senza avvilimento, gentilezza e considerazione per altrui, senza adulazione o ipocrisia, in breve fa di lui in ogni cosa essenziale quello che dovrebbe essere ogni persona educata. Questo effetto il vangelo lo produrrà a fortiori in quelli che nacquero in una condizione sociale più elevata, i quali così per disposizione naturale, come in forza delle loro circostanze, eran fieri, litigiosi, egoisti e pieni dei loro vantaggi esterni, ma dopo aver rivestito Cristo», hanno imparato la mansuetudine, l'umiltà, il preferir gli altri a sé stessi. Osservate l'uomo orgoglioso, insolente nel parlare, arrogante nel contegno, l'egoista che vuol per sé i primi posti dovunque egli va, ed è sempre pronto ai litigii alla più leggiera provocazione, e troverete come regola invariabile, che, egli si conforma in ogni cosa al presente secolo malvagio o se fa professione di religione, egli è unicamente per ipocrisia, e per qualche interesse personale. Il rimprovero di Cristo ai Farisei per il loro egoismo ed il loro orgoglio, nel disputarsi i posti più onorevoli a tavola, ci insegna che egli non è indifferente ai modi ed al contegno esterno dei suoi; ma aspetta che lo glorifichino con questi non meno che colla confessione delle labbra. Negli scritti apostolici troviamo molti precetti relativi al nostro portamento giornaliero, e primo fra quelli è la esortazione di S. Paolo in Romani 12:3,10#520120030000520120030000#520120100000-520120100000.

2. L'orgoglio è cosa del tutto disdicevole all'uomo caduto; in sé stesso è odioso e criminale, ma è poi sommamente assurdo, quando se lo permettono degli esseri quali noi siamo. Molte cose concorrono ad insegnarci l'umiltà. Se ci ricordiamo la nostra origine, la nostra dipendenza dalla provvidenza divina, la nostra debolezza, il nostro stato di peccato e di caduta, vi troviamo ampli motivi di umiliazione. Tutto lo spirito del vangelo è mirabilmente calcolato a promuovere tal disposizione; ma la lezione più importante se ne trova nell'esempio del nostro caro Redentore. Si mediti questa breve descrizione della sua umiliazione: «Eppure annichilò sé stesso, prese forma di servo, fatto alla somiglianza degli uomini: e, trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò sé stesso, essendosi fatto ubbidiente infino alla morte, e la morte della croce» Filippesi 2:78#570020070000-570020080000.

3. L'annunzio di Deuteronomio 15:11#050150110000-050150110000, che «i bisognosi non verranno giammai meno nel paese», unito al comando: «Ama il tuo prossimo come te stesso», c'insegnano chiaramente, chi il Signore vuole che invitiamo alle nostre feste. È certo da un lato che egli non intende proibire agli uomini di esercitare l'ospitalità verso i loro parenti ed i loro amici influenti; ed è certo dall'altro che non incoraggia lo splendore profusamente e senza criterio a pro' dei poveri. Il Signore vuole che abbiamo cura dei poveri e dei bisognosi, specialmente di quelli che sono doppiamente fratelli nostri, essendo «domestici della fede», e ci comanda di astenerci nei nostri conviti e nel nostro modo di vivere da spese eccessive ed inutili, che potrebbero toglierci il mezzo di venir loro in soccorso, perché questo è un solenne dovere. Se lo adempiamo in uno spirito di fede e di carità «facendolo come al Signore, e non come agli uomini», esso sarà accettevole agli occhi del Signore, e quello che egli ora accetta, certamente lo premierà alla «risurrezione dei giusti» Matteo 25:34-40#470250340000470250400000.

4. Non dimentichiamo mai la risurrezione dei morti, così giusti come ingiusti. La nostra esistenza non è limitata alla vita che viviamo nella carne quaggiù, né, il mondo visibile è il solo col quale abbiamo da fare. Tutto non è finito per noi quando abbiam dato l'ultimo respiro, e i nostri corpi sono stati adagiati nella tomba. Al di là della morte c'è un'altra vita. Gesù stesso ce lo dice: «L'ora viene che tutti coloro che sono nei monumenti udiranno la voce del Figliuol dell'uomo; ed usciranno, coloro che avran fatto bene, in resurrezion di vita; e coloro che avran fatto male, in resurrezion di condannazione» Giovanni 5:28-29#500050280000-500050290000. È questa una delle verità fondamentali della nostra santa religione, che non dobbiamo mai dimenticare. Sforziamoci di vivere come quelli che credono nella risurrezione e nella, vita avvenire, e che desiderano di esser sempre pronti per il mondo avvenire, così non temeremo la morte. Ma in che modo possiamo giungere a pensare alla risurrezione ed al giudizio finale, senza timore? PER FEDE IN CRISTO. Se crediamo in lui, non abbiam nulla da temere; egli ha tolto i nostri peccati, ha soddisfatto in vece nostra alle esigenze della legge di Dio, dimodoché nessuno potrà portare accusa alcuna contro di noi; ed ha vinto la morte Romani 8:32-34; 1Corinzi 15:55-57;

Colossesi 2:14-15#520080320000-520080340000#530150550000530150570000#580020140000-580020150000.

5. Nella condotta dei primi invitati alla cena, abbiamo una vivace pittura dell'accoglienza che il vangelo riceve del continuo, dovunque è annunziato; gli uomini sono invitati a venire a Cristo, e non vogliono venire. Non è l'ignoranza della religione (almeno nei paesi protestanti) quella che rovina le anime degli uomini, bensì la mancanza di volontà di servirsi di quella conoscenza che ne hanno, e l'amore del mondo presente. Il libertinaggio aperto fornisce all'inferno meno vittime che una soverchia preoccupazione di cose lecite in sé. Non dobbiam temer tanto l'odio aperto e manifesto per l'evangelo, quanto quella disposizione all'indugio che ci fornisce sempre qualche scusa per non servir Cristo oggi. Lo posson dire le nostre coscienze quanto siamo pronti a rimandare ogni serio pensiero di Cristo, con iscuse tolte dalle nostre occupazioni giornaliere. Vegliamo adunque e preghiamo. «Quando la materia della tentazione è legittima ed onorevole, la tentazione è meno sospettata, e colui che è tentato vien più facilmente sorpreso. Il campo e i buoi vanno comprati, e messi alla prova; gli affetti di famiglia devono essere coltivati; ma guai a noi se permettiamo a quelle belle piante di crescere così rigogliose, da schiacciar sotto il loro peso la vita dell'anima» (Arnot).

6. «Questa parabola contiene importanti istruzioni per tutti i messaggeri dell'evangelo. Essi devono invitare con tutta l'urgenza dell'amore, non escludendo che quelli che escludono sé medesimi. Devono prepararsi ad obbiezioni di ogni sorta: ma si comportino, in ogni caso, secondo le direzioni del loro Signore. Se sono respinti, possono liberamente lagnarcene a lui, né devono mai credere che non vi sia più posto alla mensa. Se solo sentono, che nel loro urgente appello d'amore, non fanno uso di nessun mezzo che non sia legittimo, non temano mai di andar troppo lontano» (Oosterzee).

49014025Lc 14:25

Luca 14:25-35. DISCORSO ALLA FOLLA SUL DOVERE DI CALCOLARE IL COSTO, PRIMA DI DICHIARARSI DISCEPOLI SUOI Matteo 10:37-38; 5:13; Marco 4:9#470100370000470100380000#470050130000-470050130000#480040090000480040090000

25. Or molte turbe andavan con lui; ed egli rivoltosi disse loro:

Dopo la sua visita alla casa del Fariseo, Gesù si rimise per via, e se, come lo indica il suo messaggio ad Erode, alla fine del cap. 13. il suo ministero pubblico traeva a suo fine, l'accrescimento della moltitudine che lo seguiva si spiega dal continuo aggiungersi alla sua comitiva di viaggiatori che salivano essi pure a Gerusalemme, per farvi la Pasqua.

PASSI PARALLELI

Luca 12:1; Giovanni 6:24-27#490120010000490120010000#500060240000-500060270000

49014026Lc 14:26

26. Se alcuno viene a me, e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie e i figliuoli e fratelli, e le sorelle; anzi ancora la sua propria, vita non può esser mio discepolo. 27. E chiunque non porta la sua croce, e non viene dietro a me, non può esser mio discepolo.

Per la esposizione Vedi Matteo 10:37Matteo 10:37-38. In questi versetti, il Signore dichiara nel modo più esplicito, che la vita di ogni vero discepolo dev'essere dal principio alla fine, una vita di abnegazione e di sofferenze; e perciò non si deve fare temerariamente e senza serie riflessioni professione di Cristianesimo, bensì solo dopo lunghe riflessioni, accompagnate di preghiere, sulle sue prove, ed una risoluta decisione di sopportarle tutte, colla forza di Dio. Il Cercator dei cuori ben vedeva che anche quella moltitudine, che pure era realmente disposta a riconoscerlo per il Messia, lo

seguiva solo perché sperava di veder realizzate le sue aspettazioni terrene relative al regno temporale del Messia, e che il maggior numero di quei suoi seguaci non guardavano più in alto che ai godimenti carnali, alla prosperità temporale, al potere ed agli onori mondani. Egli li avverte che sperando queste cose s'ingannano a partito, e che l'abnegazione (indicata dall'«odiar padre e madre... e ancor la sua propria vita») e la sofferenza, così per lotte interne come per persecuzioni dal di fuori (espresse nel «prendere la sua croce»), dovranno esser l'esperienza di tutta quanta la loro vita. L'odiare i genitori in un senso letterale sarebbe una violazione del quinto comandamento, e non meno contrario allo spirito dell'evangelo sarebbe l'odiare, in quel modo, qualsiasi dei congiunti qui mentovati. L'odiare la propria vita sarebbe una sfida al sesto Comandamento; ma questo ci dà la chiave del vero senso del verbo odiare in questo passo. L'amore e la divozione che veri discepoli portano a Cristo sono tali che gli oggetti più vicini ai loro cuori, se si frappongono fra essi ed il loro dovere inverso Cristo, devono venire abbandonati, anzi odiati ove occorra, come pietre d'inciampo, che impediscono la loro via. La vita è preziosa. «L'uomo darà tutto ciò che egli ha per la sua vita», dice Satana di Giobbe 2:4#220020040000-220020040000; e quando il servizio di Cristo mette l'anima in pericolo, l'amor di questa è così forte che spesso Cristo vien rinnegato. L'odiar la propria vita è uno stimarla così che il timor di perderla non sia mai un impedimento per noi quando il servire a Cristo ne richiede il sacrifizio. Tale è pure il significato di questa parola relativamente a tutti gli altri oggetti delle nostre affezioni. «Oltre la prova di Matteo 10:37#470100370000-470100370000 che la parola odiare significa amar meno, ne abbiamo un'altra in Matteo 6:24#470060240000-470060240000, dove quel vocabolo è usato nello stesso senso. Così pure, quando leggiamo in Romani 9:13#520090130000-520090130000: "Io ho amato Giacobbe e odiato Esaù", questo vuol dire: Ho amato Giacobbe più di Esaù. Che tale interpretazione della parola "odiare" non sia arbitraria. ma conforme all'indole dell'idioma ebraico, appare da quanto è detto in Genesi 29:3031#010290300000-010290310000, dove l'espressione "Lea era odiata", viene spiegata col dire che Giacobbe "amò Rachele più che Lea"» (Pearson sul Credo).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 13:6-8; 33:9; Salmi 73:25-26; Matteo 10:37; Filippesi 3:8#050130060000-050130080000#050330090000050330090000#230730250000-230730260000#470100370000470100370000#570030080000-570030080000

Genesi 29:30-31; Deuteronomio 21:15; Giobbe 7:15-16; Ecclesiaste 2:1719; Malachia 1:2-3#010290300000-010290310000#050210150000050210150000#220070150000-220070160000#250020170000250020190000#460010020000-460010030000

Giovanni 12:25; Romani 9:13#500120250000500120250000#520090130000-520090130000

Atti 20:24; Apocalisse 12:11#510200240000510200240000#730120110000-730120110000

Luca 9:23-25; Matteo 10:38; 16:24-26; Marco 8:34-37; 10:21; 15:21; Giovanni 19:17#490090230000-490090250000#470100380000470100380000#470160240000-470160260000#480080340000480080370000#480100210000-480100210000#480150210000480150210000#500190170000-500190170000

2Timoteo 3:12#620030120000-620030120000

Matteo 13:21; Atti 14:22; 2Timoteo 1:12#470130210000470130210000#510140220000-510140220000#620010120000620010120000

49014028Lc 14:28

28. perciocché chi è colui d'infra voi, il quale volendo edificare una torre, non si assetti prima, e non faccia ragion della spesa, ne egli ha da poterla finire? 29. Che talora, avendo posto il fondamento, e non potendola finire, tutti coloro che la vedranno non prendano a beffarlo,

30. Dicendo: Quest'uomo cominciò ad edificare, e non ha potuto finire. 31. Ovvero, qual re, andando ad affrontarsi in battaglia con un altro re, non si assetta, prima, e prende consiglio, se può con diecimila incontrarsi con quell'altro che vien contro a lui con ventimila? 32. Se no, mentre quell'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasciata e lo richiede di pace.

La prudenza più volgare impone ad un uomo di mondo la necessità, se non vuole esporsi al ridicolo, di esaminar bene se ha le risorse necessarie per compiere un'opera prima di accingervisi. Un uomo di buon senso non comincierebbe mai a edificare una torre senza prima esser sicuro di aver quanto gli basta per metterci il tetto. Un re prudente, tenendo conto della piccolezza del suo esercito, non entrerà in guerra con un nemico due volte più numeroso, anzi cercherà pace. La stessa previdente prudenza, riguardo alla lunghezza ed alle vicissitudini del servizio che gli sarà imposto, è assolutamente richiesta da chiunque vuol far professione di esser discepolo di Cristo, per timore che, abbandonandolo più tardi, egli non diventi una pietra di scandalo sulla via di altri e un disonore al nome di Cristo, attirando così maggior rovina sull'anima sua Ebrei 6:4-6#650060040000650060060000. Nell'ultima di queste parabole, alcuni considerano il re come l'emblema del credente, e l'altro re che vien contro a lui con ventimila come rappresentante Satana con tutte le sue tentazioni. Non possiamo considerar la cosa da questo punto di vista. A parer nostro, così in questo come nei versetti precedenti, il Signore toglie semplicemente ad imprestito, da soggetti familiari, degli esempi di previdenza, e non dobbiamo guardare più in là.

PASSI PARALLELI

Genesi 11:4-9; Proverbi 24:27#010110040000010110090000#240240270000-240240270000

Luca 14:33; Giosuè 24:19-24; Matteo 8:20; 10:22; 20:22-23; Atti 21:13; 1Tessalonicesi 3:4-5#490140330000-490140330000#060010010000060010240000#470080200000-470080200000#470100220000-

470100220000#470200220000-470200230000#510210130000510210130000#590030040000-590030050000

2Pietro 1:13-14#680010130000-680010140000

Matteo 7:27; 27:3-8; Atti 1:18-19; 1Corinzi 3:11-14; Ebrei 6:4-8,11; 10:38#470070270000-470070270000#470270030000470270080000#510010180000-510010190000#530030110000530030140000#650060040000-650060080000#650060110000650060110000#650100380000-650100380000

2Pietro 2:19-22; 2Giovanni 8#680020190000680020220000#700010080000-700010080000

1Re 20:11; 2Re 18:20-22; Proverbi 20:18; 25:8#110200110000110200110000#120180200000-120180220000#240200180000240200180000#240250080000-240250080000

Luca 12:58; 1Re 20:31-34; 2Re 10:4-5; Giobbe 40:9; Matteo 5:25; Atti 12:20#490120580000-490120580000#110200310000110200340000#120100040000-120100050000#220400090000220400090000#470050250000-470050250000#510120200000510120200000

Giacomo 4:6-10#660040060000-660040100000

49014033Lc 14:33

33. Così adunque, niun di voi, il qual non rinunzia a tutto ciò che egli ha, può esser mio discepolo.

È questo il risultato cui deve condurre la solenne deliberazione raccomandata nelle precedenti parabole. Il vocabolo Greco rinunzia è più comunemente tradotto per «dire addio», «prendere congedo», Il senso evidente è che un uomo non può esser discepolo di Cristo, se non è

perfettamente deciso ad abbandonare ogni cosa, ove occorra, per amore di lui, ad incontrar qualsiasi nemico, a far quantunque sacrificio.

PASSI PARALLELI

Luca 14:26; 5:11,28; 18:22-23,28-30; Atti 5:1-5; 8:19-22; Filippesi 3:7-8; 2Timoteo 4:10#490140260000-490140260000#490050110000490050110000#490050280000-490050280000#490180220000490180230000#490180280000-490180300000#510050010000510050050000#510080190000-510080220000#570030070000570030080000#620040100000-620040100000

1Giovanni 2:15-16#690020150000-690020160000

49014034Lc 14:34

34. Il sale è buono; ma se il sale diviene insipido, con che sarà egli condito? 35; Egli non è atto né per terra, né per letame; egli è gittato via. Chi ha orecchie da udire, oda.

Per la esposizione vedi Matteo 5:13Matteo 5:13; Marco 9:50Marco 9:50. Il sale corregge l'insipidità e preserva dalla corruzione le sostanze cui viene congiunto. Il vero discepolo di Cristo è qui paragonato al sale, a motivo della sua influenza sulla società, così nel trattenere dal male, come nel condurre al bene quelli coi quali viene in contatto, e questa similitudine forma una conclusione particolarmente appropriata alle esortazioni che precedono. È vero che chi è stato realmente convertito più non può ritornare indietro interamente, poiché Dio stesso preserva quei tali: essi sono «nella virtù di Dio, per la fede, guardati per la salute» 1Pietro 1:5#670010050000670010050000, e se vi è stata una così completa decadenza, è questo prova che vi era originalmente qualche cosa di radicalmente difettoso, che essi «non avevano radice in sé stessi». È purtroppo vero che molti, dopo aver fatto altosonanti professioni di esser discepoli di Gesù Cristo, ricadono indietro, e divengono aperti nemici della religione, e Cristo paragona tali persone al «sale che è divenuto insipido». Siccome, in tal condizione, il sale

non solo è incapace di produrre qualsiasi benefico effetto sulle altre sostanze, ma non ha più nessuna virtù in sé e perciò non può che venir buttato via, così questi spostati non solo sono nocivi alla causa della religione nel mondo a motivo delle loro dottrine erronee, della loro profanità, e della loro immoralità; ma la loro condotta è oltre ogni dire dannosa a loro stessi, perché il loro ritorno a qualsiasi buon pensiero, e specialmente la completa loro conversione, sono cose molto difficili, per non dire impossibili. Se la verità non li può cambiare, quale altra cosa lo potrà? Se il vangelo è rimasto inefficace per mantenerli fedeli a Dio, qual altra potenza potrassi mai provare? E v'ha egli da sperare che il vangelo sia più potente alla fine che non al principio? Per tali rimane «una spaventevole aspettazione di giudizio, e un'infocata gelosia, che divorerà gli avversari» Ebrei 10:27#650100270000-650100270000. Quanto sarà terribile la sorte di quelli che verranno gettati fuori, come sale insipido! S. Paolo ce lo dichiara in Ebrei 6:4-8#650060040000-650060080000. Colle gravi parole: «Chi ha orecchie da udire oda», Gesù chiama tutti quelli che udiranno o leggeranno questo grave ammonimento a riflettere seriamente all'ultimo fine di tutti quelli che, dopo essersi professati suoi discepoli, hanno di poi violato le loro promesse, e sono ritornati al mondo.

PASSI PARALLELI

Matteo 5:13; Marco 9:49-50; Colossesi 4:6; Ebrei 2:4-8#470050130000470050130000#480090490000-480090500000#580040060000580040060000#650020040000-650020080000

Giovanni 15:6#500150060000-500150060000

Luca 8:8; 9:44; Matteo 11:15; 13:9; Apocalisse 2:7,11,17,29#490080080000-490080080000#490090440000490090440000#470110150000-470110150000#470130090000470130090000#730020070000-730020070000#730020110000730020110000#730020170000-730020170000#730020290000730020290000

RIFLESSIONI

1. Val meglio non avviarsi nella carriera cristiana, che mettervi il piede e non percorrerla fino alla fine. La mancanza di fedeltà è cosa che offende anche fra gli uomini, ed in materia di religione attira ridicolo e disprezzo; ma per Colui, i cui occhi sono una fiamma di fuoco, essa è cosa abbominevole. «Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perciocché tu sei tiepido, e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò fuori della mia bocca» Apocalisse 3:15-16#730030150000-730030160000.

2. L'insegnamento spirituale, che dal sale vien tolto, ed è ripetuto tre volte nei Sinottici, è troppo spesso dimenticato. I predicatori non insistono abbastanza sulla gravità dei peccati commessi contro la luce e contro la conoscenza, e la possibilità di essere abbandonati ad una mente reproba, e gli uditori non lo mettono a cuore. La Bibbia c'insegna che nessun peccatore sarà così difficilmente salvato come l'uomo che dopo aver fatto alte professioni di religione, ritorna al mondo, e che nessun cuore ha minori probabilità di venir mutato di quello che una volta dimostrava di amar l'evangelo, ma poi è divenuto freddo e indifferente ad esso 2Pietro 2:2122#680020210000-680020220000.

3. È però necessaria una parola di avvertimento, affinché queste considerazioni, intese a spingere i lettori nella via della salute, non li scoraggiscano. Perché questa descrizione delle difficoltà della via, se non per eccitarvi a vincerle, e per fare appello a tutto il vostro coraggio per sfidarlo? Non è per trattenervi dal cominciar edifizio che siete qui esortati a calcolarne il costo, bensì per indurvi a edificare in modo da poter finire. Siete chiamati a tener consiglio, non per dissuadervi dall'entrare in campagna, ma piuttosto acciocché possiate condurre la guerra in modo da camminare alla vittoria. È della più alta importanza che siate appieno convinti del potere di Satana, e della completa vostra debolezza, non perché vi caschino le braccia, e ve ne restiate inoperosi, ma perché impariate a fidar nella grazia e nella forza delle braccia eterne che vi sono distese per sostenervi. «Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò»; «Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica»; «Io mi rammemorerò le opere del Signore, perciocché io mi riduco a memoria le tue maraviglie antiche» Ebrei 13:5;

Filippesi 4:13; Salmi 77:12#650130050000650130050000#570040130000-570040130000#230770120000230770120000.

49015001Lc 15:1

CAPO 15 - ANALISI

1. L'udienza dinanzi alla quale vennero dette le seguenti parabole. Essa era composta in modo molto marcato di due elementi: gli orgogliosi Farisei, pieni della loro propria giustizia; e gli odiati e sprezzati pubblicani, insieme ai più vili rifiuti della società. L'ignominia universale in cui venivan tenuti i pubblicani, la loro completa esclusione da ogni società all'infuori della propria, li spingeva ad affollarsi intorno ad uno che non fu mai troppo orgoglioso per riceverli e dar loro istruzione; la sua presenza e i suoi insegnamenti svegliavano poi il bisogno e la speranza del perdono, anche nel cuore di quelli la cui vita era stata più viziosa ed impura. Nell'occasione qui ricordata, un numero considerevole di questi proscritti dalla società stavano riuniti intorno a Gesù, e da lui venivano istruiti con tutta la serietà, e tutta la compassione di uno che sempre avea presente alla memoria il suo mandato di «cercare e salvare ciò che era perito». Una violazione più grande delle convenienze sociali degli Ebrei, un maggiore insulto al loro amor proprio, una più forte condannazione del loro sistema religioso, morale e giudiziario, ed in conseguenza, a giudizio dei Farisei, una prova più diretta che egli non era un profeta, ma un reprobo indegno, non poteva darsi di questa sua benevola accoglienza dei pubblicani e dei peccatori, e dello zelo col quale egli li insegnava, quasiché l'anima loro avesse valore alcuno. Il loro scontento si manifestò in lagnanze brontolato sottovoce gli uni agli altri: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Egli è dinanzi a queste due classi che furono dette le seguenti parabole. Esse aveano per iscopo di recar maggior conforto a quella classe proscritta, facendo vedere quanto sia ansioso Iddio di salvare i peccatori, e con qual bontà egli riceva quelli che si rivolgono a lui; come pare di far risaltare il contrasto fra i «mormorii» di quelli che si credevano i più santi sulla terra, nel veder Gesù sforzarsi di condurre un pubblicano alla conoscenza della grazia di Dio,

colla gioia che riempie i cieli in presenza di Dio e dei suoi santi angeli, per ogni peccatore penitente Luca 15:l-2.

2. Parabole della pecora e della dramma perdute. Il punto importante di entrambe queste parabole sembra essere lo zelo e la perseveranza con cui venne fatta la ricerca degli oggetti perduti e la gioia esuberante prodotta dal ritrovarli. Lasciando il resto della greggia, nel deserto di Giudea, racchiuso nell'ovile, e in vicinanza delle tende, il pastore sen va in cerca della pecora smarrita, e conoscendo i rischi che corre di venir divorata dalle bestie feroci, o di cadere nei precipizii, non cessa di cercarla, per quanto sia lunga e faticosa la via, finché non l'abbia ritrovata e riportata in trionfo nell'ovile. E quando è riuscito nell'intento, la sua gioia è così grande che egli non la può tenere in petto, la vuol divisa dai suoi parenti e vicini, spesso esposti essi pure a consimili rischi; perciò li chiama a festeggiar nella sua tenda, e a prender parte alla sua contentezza. Il pastore di questa parabola rappresenta Cristo medesimo, il quale è spontaneamente sceso a ricercare i perduti figliuoli degli uomini, per condurli nell'ovile dell'evangelo. Quell'ardore nel cercare, quella gioia nel trovare la pecora smarrita, il Salvatore se ne serve qui per dipingere l'ardente brama di Dio per la salute del peccatore, la compassione sovrana e spontanea di Dio nostro Salvatore, e l'alta gioia delle gloriose persone della Trinità e dei santi angeli, quando un peccatore in procinto di perire è stato riscattato e ricondotto all'ovile dal «gran Pastore delle pecore». È affatto simile nello scopo la parabola delle dieci dramme. Se quella somma era quanto la donna possedeva in quel momento, essa ne doveva venir tanto più stimolata a ricercare la dramma perduta e a rallegrarsi, e ad invitare i vicini a rallegrarsi con lei, per averla ritrovata. Il Figlio di Dio, che ben sa come stieno le cose in cielo, novamente dichiara, per fissarlo più profondamente nella memoria dei Farisei, dei pubblicani e di tutti i lettori di queste parabole, che assai più di questa donna si rallegrano le persone della Divinità, e gli angeli che sono «spiriti ministratori, mandati a servire, per amor di coloro che hanno ad eredar la salute», quando un peccatore si pente, si converte ed è salvato. Che contrasto fra l'odio dei Farisei verso i pubblicani e i peccatori che essi avrebbero veduti con piacere precipitare nella perdizione, e la gioia dei cieli, quando un ribelle, un errante è stato «convertito dalle tenebre alla luce, e dalla podestà di Satana a Dio» Luca 15:3-10.

3. La parabola del figliuol prodigo. Appartiene allo stesso soggetto che le precedenti, anzi è necessaria per completarle. Nelle parabole della pecora e della dramma smarrite, si vede solo la parte di Dio nella salvezza delle anime; in questa, l'efficacia della grazia divina sul peccatore per cambiare il suo cuore e svegliare in lui il desiderio di tornare a Dio, nonché l'amorevole accoglienza che gli fa il Signore, vengono a completare il quadro. Il figliuol prodigo, che abbandona la casa paterna, e si rovina col vivere dissolutamente, corrisponde alla pecora smarrita e ricercata dal pastore, e rappresenta lo stato miserabile di tutti gli inconvertiti in generale, ma specialmente di quella classe che includeva i pubblicani e i peccatori; però questa parabola rappresenta pure, quel che non fanno le altre, gli effetti prodotti sul cuore dei peccatori dall'amore di Dio nel far ricerca di lui. Dalla profonda sua miseria il prodigo è condotto a pentimento; si opera in lui un completo mutamento di cuore; ed egli decide di tornar da suo padre per impetrarne il perdono ed il più umile uffizio nella sua casa. In breve, la prima parte della parabola ci espone il principio, il progresso ed il risultato del pentimento nel cuore del peccatore, mediante l'azione efficace dello Spirito Santo. La gioia del cuore del padre e la calda accoglienza che egli fa al figlio prodigo, nella seconda parte, contrastano colla scontentezza e la mancanza di carità del fratello maggiore che rappresenta gli orgogliosi ed inflessibili Farisei, il cui cuore duro e vendicativo fa schifoso contrasto colla tenera compassione e l'amore sovrabbondante di Dio verso i peccatori. Trench osserva che le due prime parabole mostrano l'amor di Dio che ricerca i peccatori; l'ultima, quello stesso amore che li riceve. Gioverà forse a far meglio scorgere il parallelismo di queste tre parabole, l'ordinarle una accanto all'altra nella seguente tabella:

La Pecora

Smarrita dall'ovile. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercata dal pastore

Trovata e riposta all'ovile.

Gioia del pastore divisa da tutti i suoi amici, simbolo della gioia dei cieli per la conversione di un peccatore. Contrasto non espresso da sottinteso.

La dramma

Smarrita dalla borsa. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercata dalla donna.

Trovata e rimessa nella borsa.

Gioia della donna, divisa dalle sue amiche, simbolo della gioia del cielo, per la conversione di un peccatore. Contrasto non espresso, ma sottinteso.

Il Figliuol Prodigo

Smarrito dalla casa paterna. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercato dallo Spirito di Dio che conduce il pentimento.

Convertito e spinto a ritornare alla casa paterna, e ricevuto con grandissimo amore.

Gioia del padre al ritorno del Figliuol prodigo, divisa da tutta la sua famiglia, simbolo della gioia del cielo, ecc. Contrasto fra i sentimenti dei Farisei e quelli dei gloriosi abitanti dei cieli, riguardo al peccatore penitente, espresso da quello fra la gioia del padre a della sua casa, e lo scontento disprezzante del figlio maggiore.

Luca 15:1-3. I PUBBLICANI E I PECCATORI RICEVUTI DA GESÙ. PARABOLE ILLUSTRATIVE DEL PRINCIPIO SECONDO IL QUALE EGLI AGIVA

L'udienza mista, Luca 15:1-2

1. Or tutti i pubblicani, e peccatori, s'accostavano a lui, per udirlo.

Luca non fa precedere queste parabole da qualsiasi indicazione di tempo o di luogo. Alcuni le considerano come la continuazione del discorso

cominciato negli ultimi versetti del capitolo precedente; altri le ritengono pronunziato in occasione diversa: basti per noi che Luca, colla breve sua introduzione storica, ci mette subito al vero punto di vista per comprendere tutto il susseguente discorso. Le parole propriamente significano che i pubblicani e i peccatori usavano avvicinarsi in ogni occasion propizia, a Gesù per udire le sue parole, implicano pure che molti fecero così nel caso presente, poiché quello fu lo spettacolo che eccitò l'indegnazione dei Farisei. La parola (tutti i pubblicani), omessa dalla Volgata, non significa di tutte le specie o da ogni parte; ma è una espressione popolare per dire tutti quelli che erano lì presenti. Verso Colui che era «santo, immacolato, separato dai peccatori», sentivansi potentemente attratti i meschini che l'orgoglioso Fariseo sbandiva dalle sinagoghe e consegnava ad una eterna perdizione, perché aveano scoperta in lui quella compassione per il miserando loro stato che ovunque veniva loro negata, e perché i benigni suoi insegnamenti coincidevano appieno coi loro bisogni, e facevano cadere un balsamo soave sui loro cuori feriti. Persino quelli che non erano ancora stanchi delle loro vie malvagie, non potevano resistere al fascino di colui che «ammaestrava come avendo autorità e non come gli Scribi»; mentre che i cuori che lo Spirito Santo già aveva svegliati cercavano e trovavano in lui la vita eterna. Notisi che nessun evangelista ricorda tanti esempi della misericordia del Signore verso i peccatori quanto Luca, vedi Luca 7:37; 13:34; 18:10#490070370000-490070370000#490130340000490130340000#490180100000-490180100000. Si suppone, e con ragione, che così egli facesse per incoraggire i convertiti d'infra i Gentili ai quali questo Vangelo era specialmente destinato.

PASSI PARALLELI

Luca 5:29-32; 7:29; 13:30; Ezechiele 18:27; Matteo 9:10-13; 21:28-31; Romani 5:20#490050290000-490050320000#490070290000490070290000#490130300000-490130300000#330180270000330180270000#470090100000-470090130000#470210280000470210310000#520050200000-520050200000

1Timoteo 1:15#610010150000-610010150000

49015002Lc 15:2

2. E i Farisei e gli scribi ne mormoravano (il vocabolo greco significa: mormorare ad alta voce in crocchi, fra di loro), dicendo: Costui accoglie i peccatori, e mangia con loro.

Il segreto dell'ira dei Farisei in questo caso, oltre alla loro generale inimicizia contro a Gesù, sta nel fatto che, dal loro punto di vista, il suo modo di trattare i peccatori tra un diretto insulto per essi come maestri di religione, ed una pubblica accusa contro il loro sistema di disciplina religiosa, poiché egli trattava la loro scomunica come non avendo peso alcuno, e incoraggiva i contumaci, mangiando con loro. Anziché riconoscere in Gesù uno che capiva i fini di misericordia di Dio verso i peccatori, essi preferirono spiegare la compassione colla quale li accoglieva accusandolo di nutrir segreta simpatia per il peccato, secondo il principio: "Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei". I Vangeli ricordano due, soli casi in cui Gesù mangiò in compagnia dei pubblicani in casa di Levi e in quella di Zaccheo Luca 5:29; 19:5#490050290000-490050290000#490190050000490190050000: è perfettamente possibile che egli abbia seguito la stessa regola anche in altre occasioni che non sono mentovate; ma dall'altra parte non è punto improbabile che quest'accusa generica, portata contro di lui dai suoi poco scrupolosi avversari, non ebbe altro fondamento che la sua visita alla casa di Levi, poiché, il convito in casa di Zaccheo, accadde solo dopo questo discorso. Ma come è ineffabilmente preziosa la verità alla quale, senza volerlo, essi rendono testimonianza: «Egli riceve i peccatori!» Per questo scopo appunto aveva egli assunto l'uffizio suo mediatorio prima della fondazione del mondo, e per questo apparve in terra sotto forma umana, «nel compimento dei tempi». Queste parole dei Farisei sono la chiave di tutto il capitolo; perché le tre parabole in esso contenute illustrano il principio dietro al quale egli chiamava a sé quelli che la società bandiva dal suo seno, e salutava con gioia i più piccoli sintomi del loro ritorno a Dio. Il grande scopo di tutte queste parabole è lo stesso; tutto e tre mostrano l'amore e la misericordia di Dio in Cristo verso i peccatori ma sotto aspetti differenti, ed esse contengono le risposte di Gesù ai mormorii dei Farisei.

PASSI PARALLELI

Luca 15:29-30; 5:30; 7:34,39; 19:7; Matteo 9:11; Atti 11:3; 1Corinzi 5:911; Galati 2:12#490150290000-490150300000#490050300000490050300000#490070340000-490070340000#490070390000490070390000#490190070000-490190070000#470090110000470090110000#510110030000-510110030000#530050090000530050110000#550020120000-550020120000

49015003Lc 15:3

Parabola della pecora smarrita, Luca 15:3-7

3. Ed egli disse loro questa parabola. 4. Chi è l'uomo d'infra voi, Il quale avendo cento pecore,

Matteo riporta egli pure questa parabola; ma la lezione che essa era destinata ad insegnare non è esattamente la stessa nei due vangeli. In Matteo è usata per far conoscere quanto sono preziosi i credenti agli occhi di Dio, poiché essi sono come pecore cui Dio ha dato per pastore il proprio Figlio, e che non possono perciò venir lasciate a perire; qui par piuttosto intesa a giustificare la perseveranza ed il successo del divino Pastore nella sua ricerca degli smarriti, rivelandoci la gioia che la loro salvezza eccita nei cortili celesti, il suo scopo è di manifestare il carattere e l'opera del Figlio di Dio nella salvezza dei peccatori. Colle parole colle quali cominciano così questa parabola, come quella della dramma smarrita, il Signore fa appello a quell'impulso umano universale che spinge uomini e donne ugualmente a cercar le cose che hanno perdute, ed a rallegrarsi se le ritrovano. È come se dicesse: "Non v'ha un solo fra voi che mi accusato, che non farebbe lo stesso in analoghe circostanze. La diversità fra noi giace in questo che voi ricercate le vostre possessioni terrene; mentre io, cerco le anime perdute che a me appartengono". Le cento pecore sono la fortuna di un uomo relativamente povero, non le greggie immense di qualche ricco proprietario che le avesse

affidate alle cure di un mercenario. Le pecore appartengono a colui che le pasce, egli ne ha cura, e ciascuna di loro individualmente gli è preziosa.

49015004Lc 15:4

se ne perde una,

La perdita di una pecora su cento non poteva impoverir molto il pecoraio se anche la lasciava andar dove voleva; egli è l'affetto che egli le porta il quale lo spinge a seguirla. Le relazioni fra la greggia ed il suo pastore sono in Palestina tutt'altre che nei nostri paesi. Il pastore ivi ama le sue pecore, come se fossero figli suoi. La descrizione che ne dà Gesù in Giovanni 10:35#500100030000-500100050000, rimane la stessa oggidì: «Le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome... e quando ha messo fuori le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguitano, perciocché conoscono la sua voce». È dunque l'affetto per la pecora, la compassione per le sue sofferenze e i suoi pericoli che principalmente spingono il pastore a ricercarla. Gesù, che questo pastore rappresenta, ci fa questo evidente nella sua preghiera intercessoria Giovanni 17:12#500170120000-500170120000: «Io ho guardati coloro che tu mi hai dati, e niun di loro è perito, se non il figliuolo della perdizione».

non lasci le novantanove nel deserto, e non vada dietro alla perduta,

Si accuserebbe ingiustamente il pastore di negligenza, per aver egli lasciato le novantanove pecore senza protezione nel deserto. Probabilmente il Signore pensava al deserto di Giudea, lungo tratto di terra incolta, ondulata come i flutti dell'oceano con valli e monti, scarsamente popolato ma ricco di pasture naturali, fuorché nei mesi più caldi dell'estate. Secondo gli usi invariabili dell'oriente, i Beduini ed i fellachin della Palestina conducono le loro gregge in questo deserto, dopo le prime pioggie autunnali, e vi rizzano dei parchi nei quali stan rinchiuse le pecore giorno e notte, eccetto le ore in cui i pastori le conducono al pascolo. In un tal recinto, custodito dalle proprie tende, a breve distanza di quelle dei suoi compagni, quell'uomo lasciò la maggior parte del suo gregge in perfetta sicurezza, per andare in

traccia della pecora smarrita. Le novantanove pecore rappresentano in primo luogo il popolo d'Israele, che viveva nell'osservanza esterna della legge levitica, quindi, in modo più generico, quanti fanno professione di fede in Cristo; mentre la pecora smarrita rappresentava i pubblicani di quel giorno, e nel nostro, gli eletti prima della loro conversione, non meno che i mondani e gli irreligiosi in generale, i quali vivono «senza Dio, e senza speranza».

finché l'abbia trovata?

Non permette a qualsiasi ostacolo di interrompere le sue ricerche; prova ogni mezzo che possa condurlo al successo. Questo indica spiritualmente i varii mezzi che Dio mette in opera per richiamare a sé i peccatori, e la pazienza e la perseveranza con cui continua a farne uso. Nel caso di ogni peccatore convertito, se Gesù avesse abbandonato la ricerca, non ci sarebbe stata salvazione.

PASSI PARALLELI

Luca 13:15; Matteo 12:11; 18:12; Romani 2:1#490130150000490130150000#470120110000-470120110000#470180120000470180120000#520020010000-520020010000

Salmi 119:176; Isaia 53:6; Geremia 50:6; Ezechiele 34:8,11-12,16,31; Matteo 18:12-13#231191760000-231191760000#290530060000290530060000#300500060000-300500060000#330340080000330340080000#330340110000-330340120000#330340160000330340160000#330340310000-330340310000#470180120000470180130000

Giovanni 10:15-16,26-28; 1Pietro 2:25#500100150000500100160000#500100260000-500100280000#670020250000670020250000

49015005Lc 15:5

5. E, avendola trovata, non se la metta sopra le spalle tutto allegro? 6. E, venuto a casa, non chiami insieme gli amici e i vicini, dicendo: Rallegratevi meco; perciocché io ho trovata la mia pecora, ch'era perduta?

Stanca di errare, fiaccata forse dalle cadute, la pecora non può venir condotta all'ovile; ma il pastore anziché affidarla alle cure di un servo, la prende in ispalla; non la sgrida per aver essa errato; non si lagna del suo peso; ma contento di riaver quella che «era vicina a perire», la riporta a casa e invita tutti a dividere la sua gioia. Stier mette grande enfasi sulla parola la casa stessa del pastore, ver. 6, come usata in opposizione a l'ovile Giovanni 10:11#500100110000-500100110000, dove erano rinchiuse le altre pecore, e insiste che questa casa è il cielo dove Cristo porta direttamente ogni anima da lui salvata. Sia benedetto Iddio, Cristo adempirà un giorno tutto ciò che egli ha promesso a questo riguardo Giovanni 14:2#500140020000500140020000. Ma se si considera che la tenda o la capanna del pastore era sempre rizzata nel deserto accanto all'ovile, rimarrà evidente che questa, e non già la sua distante abitazione, viene indicata nella parabola come la sua casa, tanto più che l'ovile, nella Scrittura, rappresenta la Chiesa visibile di Cristo in sulla terra, nella quale, alla loro conversione, egli introduce tutti quelli che ha riscossi da un mondo che giace nelle tenebre. Egli è dalle tende sparse all'intorno che il pastore chiama gli amici e i vicini a rallegrarsi con lui per la riuscita delle sue ricerche. È un bel principio della nostra natura che ogni profondo sentimento così di tristizia come di gioia è superiore alle forze nostre individuali, che ci sentiamo sollevati nel dividerlo con altri. Questo principio il Signore lo proclama qui in opera anche nel modo di procedere di Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 19:9; 23:43; Isaia 62:12; Giovanni 4:34-35; Atti 9:1-16; Romani 10:20-21#490190090000-490190090000#490230430000490230430000#290620120000-290620120000#500040340000500040350000#510090010000-510090160000#520100200000520100210000

Efesini 2:3-6; Tito 3:3-7#560020030000-560020060000#630030030000630030070000

Isaia 40:10-11; 46:3-4; 63:9; Michea 5:4; Efesini 1:19-20; 2:10; 3:7; 1Tessalonicesi 1:5#290400100000-290400110000#290460030000290460040000#290630090000-290630090000#400050040000400050040000#560010190000-560010200000#560020100000560020100000#560030070000-560030070000#590010050000590010050000

2Timoteo 2:26; 1Pietro 1:5#620020260000-620020260000#670010050000670010050000

Luca 15:23-24,32; Isaia 53:10-11; 62:5; Geremia 32:41-42; Ezechiele 18:23; 33:11#490150230000-490150240000#490150320000490150320000#290530100000-290530110000#290620050000290620050000#300320410000-300320420000#330180230000330180230000#330330110000-330330110000

Michea 7:18; Sofonia 3:17; Giovanni 15:11; Ebrei 12:2#400070180000400070180000#430030170000-430030170000#500150110000500150110000#650120020000-650120020000

Luca 15:7,10,24; 2:13-14; Isaia 66:10-11; Giovanni 3:29; 15:14; Atti 11:23; 15:3#490150070000-490150070000#490150100000490150100000#490150240000-490150240000#490020130000490020140000#290660100000-290660110000#500030290000500030290000#500150140000-500150140000#510110230000510110230000#510150030000-510150030000

Filippesi 1:4; 2:17; 4:1; 1Tessalonicesi 2:19; 3:7-9#570010040000570010040000#570020170000-570020170000#570040010000570040010000#590020190000-590020190000#590030070000590030090000

Salmi 119:176; 1Pietro 2:10,25#231191760000231191760000#670020100000-670020100000#670020250000-

670020250000

49015007Lc 15:7

7. lo vi dico, che così vi sarà letizia in cielo per un peccatore penitente,

Benché la forma di questa parabola non permetta di descrivere l'effetto prodotto sul peccatore dalla carità del buon pastore verso di lui, quell'effetto è chiaramente indicato dalla parola penitente, e corrisponde a quanto vien detto più appieno del figlio prodigo. Di questo peccatore penitente Gesù dice, come gli amici e i vicini del pastore dividono la sua gioia, così la gioia del Salvatore è divisa da tutti gli abitanti del cielo, dalle gloriose persone della Trinità, dagli angeli, e dagli spiriti dei giusti fatti perfetti. Al ver. 10 Gesù varia così l'espressione: «Vi sarà allegrezza appo gli angeli di Dio ecc.». Che l'Iddio trino ed uno prenda diletto della conversione del peccatore è conseguenza naturale del piano maraviglioso che egli stesso ideò per effettuarla Giovanni 3:16#500030160000-500030160000; ma ne abbiamo prove dirette dalle sue stesse parole in Ezechiele 33:11; Geremia 31:18-20#330330110000-330330110000#300310180000-300310200000, ed altri passi consimili. Che il passaggio di un peccatore dalla morte alla vita diffonda allegrezza fra gli eserciti angelici non può maggiormente esser messo in quistione, quando ci ricordiamo che essi sono tutti «spiriti ministratori, mandati a servire per amor di coloro che hanno ad eredar la salute» Ebrei 1:14#650010140000-650010140000. E siccome i santi glorificati sono «sempre col Signore», non può esser temerario il credere che essi partecipano alla gioia che una tale notizia diffonde nei cortili celesti. Le parole essendo in tempi diversi al ver. 7 e al 10 dànno qualche ragione di supporre che vi sono due occasioni in cui questa gioia è sentita in cielo, cioè al momento in cui accade nel peccatore il grande cambiamento salutare, mediante la sua unione con Cristo, e novamente quando, terminata la guerra terrena, egli «entra nella gioia del suo Signore». Si desume generalmente dalle espressioni di questi due versetti che gli angeli nell'esercizio delle loro inerenti facoltà conoscono in qualche modo le conversioni delle anime umane in terra, e la Chiesa Romana ha fatto capitale di questi versetti in favore delle preghiere indirizzate agli angeli e ad altri

spiriti creati. Ma le parole del Salvatore Luca 15:10#490150100000490150100000 non dànno appoggio alcuno a tali idee. La gioia degli angeli ben lungi dall'originare in una loro specie di onniscienza subordinata, è, nella sua origine, interamente indipendente da casi, e solo mostrata nella loro presenza, perché essi possano essere partecipi. Così nel caso della pecora, come in quello della dramma, questa gioia ebbe la sua prima origine in colui che ritrovò le cose perdute, il quale poi chiamò gli amici e i vicini a prendervi parte. E siccome l'applicazione nei versetti 7 e 10 comincia con così, nello stesso modo, è chiaro che questa gioia divina ebbe la sua origine nel trono di Dio e di là si sparse fra gli eserciti celesti. Colui che ha salvato il peccatore se ne rallegra e lo fa noto ai suoi servitori, invitandoli a dividere la sua gioia. L'abituale solenne affermazione colla quale Gesù annunzia l'effetto prodotto in cielo dalla conversione di un peccatore ci dimostra che egli parla come testimone oculare di cose che conosce, e come interprete dei pensieri di Dio.

più che per novantanove giusti che non han bisogno di penitenza.

Il sapere chi sieno questi novantanove giusti ha dato luogo a molte supposizioni. Chi vede in essi gli angeli che non han mai peccato; chi gli abitanti di altri mondi rimasti immuni di caduta; chi i santi ora in gloria, che non peccano più. Trench ci vede i membri della Chiesa dell'Antico Testamento, i quali possedevano giustizia legale, benché non fossero arrivati alla giustizia dell'evangelo, come se questi non avessero bisogno di penitenza dinanzi a Dio! Diodati nelle sue Annotazioni li definisce «i fedeli perseverati nella lor santificazione, senza alienarsi da Dio per alcun grave peccato, che richieda speciale riconciliazione e conversione». Secondo altri, le novantanove pecore rappresentano i veri figli di Dio in terra, i quali non hanno bisogno di conversione, perché già hanno sperimentato quel cambiamento e son salvi dalla condanna per Cristo, benché abbisognino di pentimento per i loro errori giornalieri. Ma è stata messa avanti un'interpretazione di queste parole, assai preferibile secondo noi a tutte l'altre, perché consuona esattamente coi sentimenti di quelli cui esse erano rivolte, cioè che il nostro Signore non parla qui di gente assolutamente giusta, ma allude ironicamente a quelli che, come i Farisei ed altri Giudei, sicuri della propria giustizia, si lusingano di esser senza colpa agli occhi di

Dio, epperciò una sorgente per lui di gioia e di allegrezza. La credenza, il contegno, il carattere di quei Farisei sono esattamente dipinti in queste parole di Gesù. Essi «confidavano in loro stessi d'esser giusti e sprezzavano gli altri» Luca 18:9#490180090000-490180090000; consideravano se stessi come non avendo bisogno di pentimento; «giustificavano se stessi davanti agli uomini», e si credevano tanto perfetti che gli occhi di Dio non potessero scoprire colpa alcuna in loro Luca 18:11-12#490180110000490180120000; in una parola erano appieno convinti di essere per l'Altissimo speciali oggetti di compiacimento e di gioia. Gesù li accerta che sbagliano, che, se anche la loro giustizia fosse completa e perfetta come se la figuravano, essa ecciterebbe in cielo minore entusiasmo di gioia che non il ritorno a Dio di un solo di quei peccatori da, essi messi al bando della società. La ragione della grandezza di questa gioia per un peccatore salvato nasce dall'esser stata la sua salvezza in apparenza inaspettata, difficilissima, disperata, epperciò eccitante la più viva ansietà. Così il cuore di un parente sente maggiore allegrezza per i primi sintomi di guarigione che egli osserva in un bambino malato a morte, che per tutti gli altri che stanno in buona salute. Questa parabola risponde direttamente alla obiezione: «Costui riceve i peccatori». I Farisei tendevano ad insinuare che il Messia doveva associarsi solo coi buoni ed evitare i malvagi; ma egli insegna loro che la salvazione dei malvagi cagiona la maggior gioia in cielo e che se essi fossero veramente giusti, se i loro cuori cioè battessero all'unisono con quello di Dio, essi non sarebbero meno di lui ardenti nel ricercare «le pecore perdute della casa d'Israele».

PASSI PARALLELI

Luca 15:32; 5:32; Matteo 18:13#490150320000490150320000#490050320000-490050320000#470180130000470180130000

Luca 15:29; 16:15; 18:9-11; Proverbi 30:12; Romani 7:9; Filippesi 3:67#490150290000-490150290000#490160150000490160150000#490180090000-490180110000#240300120000-

240300120000#520070090000-520070090000#570030060000570030070000

49015008Lc 15:8

Parabola della dramma perduta, Luca 15:8-10

8. Ovvero, qual'è la donna, che avendo dieci dramme, se ne perde una, non accenda la lampana, e non ispazzi in casa, e non cerchi studiosamente, finché l'abbia trovata? 9. E, quando l'ha trovata, non chiami insieme le amiche, e le vicine dicendo: Rallegratevi meco; perciocchè io ho trovata la dramma, la quale io avea perduta? 10. Così, vi dico, vi sarà allegrezza appo gli angeli di Dio per un peccatore penitente.

Le dieci dramme che costituivano tutti i risparmi di quella donna erano uguali a dieci denari romani ossia L.it. 8, una dramma valeva dunque 80 centesimi. Col cambiamento del sesso della persona che cerca, e della natura della roba perduta, questa parabola è la stessa che l'altra; ed ai Farisei inculcava la stessa grande lezione del valore delle anime che periscono, e della gioia provata nei cieli per la loro salvezza. Per molti scrittori la donna rappresenta lo Spirito Santo o la Chiesa; ma la somiglianza di costruzione e l'intenzionale ripetizione delle stesse parole in questa e nella precedente parabola ci conduce a concludere che le persone che in entrambe ricercano e ritrovano le cose perdute, rappresentano tutte e due lo stesso cercatore degli uomini perduti, il Signor Gesù Cristo. Non possiamo trovare, come fanno alcuni, un senso allegorico alla donna, al numero dieci, alla lampada accesa, allo spazzar la casa, ecc. Crediamo che queste non sono se non le circostanze accessorie di un racconto, inteso ad imprimere più fortemente e sotto nuova forma, nella memoria, la grande verità che Cristo ha cura dei peccatori e si diletta nel salvarli. Due valenti critici moderni hanno indicato due tratti che distinguono questa parabola dalla precedente, val la pena di notarli, benchè sieno più ingegnosi che di peso.

1. Godet suggerisce che siccome non è la compassione ma l'interesse che anima questa donna nella sua ricerca, così l'amor di Dio vien qui rivelato sotto una forma tutta nuova. Il peccatore non è più solamente ai suoi occhi un essere sofferente come la pecora, ma è una creatura preziosa, fatta alla sua imagine, una sua proprietà la cui perdita fa un voto nel suo tesoro. Egli lo ama, perchè prezioso al suo cospetto.

2. Coll'idea che la ripetizione della lezione contenuta nella prima parabola deve essere stata necessaria per introdurvi qualche insegnamento che quella non poteva presentare, Arnot lo scuopre nella diversa natura della cosa perduta e ritrovata in ciascuna. «Siccome la pecora», dice egli, «è perduta per il proprio atto e volere, e la moneta per il proprio peso ed inerzia, così, negli uomini caduti, il peccato è al tempo stesso attivo e progressivo. I peccatori scelgono il proprio corso, e vanno errando per propria decisione; essi pure gravitano verso il male in virtù di una corruzione innata, che agisce come legge nelle loro membra».

Però, lo scopo principale della parabola si è, col rifondere la forma del racconto, di fissar maggiormente nel cuore degli uditori lo zelo di Cristo per la salvezza dei peccatori, nonchè il notevole contrasto fra la gioia di Dio e dei suoi angeli per un peccatore salvato, e l'avversione crudele dei Farisei che non avrebbero mosso un dito per ritirarlo dall'inferno.

PASSI PARALLELI

Luca 19:10; Ezechiele 34:12; Giovanni 10:16; 11:52; Efesini 2:17#490190100000-490190100000#330340120000330340120000#500100160000-500100160000#500110520000500110520000#560020170000-560020170000

Luca 15:6-7#490150060000-490150070000

Luca 2:1-14; Ezechiele 18:23,32; 33:11; Matteo 18:10-11; 28:5-7; Atti 5:19; 10:3-5#490020010000-490020140000#330180230000330180230000#330180320000-330180320000#330330110000330330110000#470180100000-470180110000#470280050000-

470280070000#510050190000-510050190000#510100030000510100050000

Ebrei 1:14; Apocalisse 5:11-14#650010140000650010140000#730050110000-730050140000

Luca 7:47; 13:5; 2Cronache 33:13-19; Matteo 18:14; Atti 11:18; 2Corinzi 7:10; Filemone 15#490070470000-490070470000#490130050000490130050000#140330130000-140330190000#470180140000470180140000#510110180000-510110180000#540070100000540070100000#640010150000-640010150000

49015011Lc 15:11

Parabola del Figliuol Prodigo, Luca 15:11-32

11. Disse ancora: Un uomo avea due figliuoli.

Questa parabola, per la sua sublimità, completezza e beltà suprema, venne a ragione, chiamata la perla e la corona di tutte le parabole della Scrittura. Sola quella del «Seminatore» può venirle paragonata per la comprensiva completezza del disegno, e la chiara finitezza dei dettagli. Completa, le precedenti. In quelle vengono specialmente dipinti l'amore e lo zelo del Salvatore nel cercare e salvare il peccatore perduto; questa ci presenta l'effetto prodotto dallo Spirito Santo sul peccatore medesimo, facendogli comprendere che così maravigliosa carità è destinata anche a lui; come pure il contrasto fra l'accoglienza che riceve da Dio e quella che gli fanno i Farisei. Il padre qui rappresenta Dio, nostro padre celeste, non Cristo, che sempre si presenta a noi come Figlio, benché spesso pure come un padrone od un signore. I due figli non rappresentano, come suppongono alcuni, gli angeli e gli uomini. I sentimenti del fratello maggiore sono in sì flagrante contradizione con quelli attribuiti agli angeli Luca 15:10#490150100000490150100000, che è incredibile come mai una tal supposizione sia venuta in mente a persone ragionevoli. Né possono rappresentare, come altri sostengono, i Giudei ed i Gentili, classificazione che includeva tutti gli

abitanti della terra ai tempi di Cristo; perché a quel tempo l'ammissione dei Gentili nella Chiesa di Dio, per formare una sola famiglia coi Giudei, era un mistero che neppure i discepoli potevano ancora intendere. «Di più adottata una tale interpretazione», dice Alford «i Gentili, a rigor di termini, sarebbero il fratello maggiore, i Giudei non essendo fatti superiori agli altri popoli che 2000 anni dopo la creazione». I due figli rappresentano esattamente i due partiti che Cristo avea di fronte, entrambi appartenenti alla stessa famiglia, come figliuoli di Abrahamo, e queste parabole ebbero in vista prima di tutto la loro istruzione. Il figlio maggiore sta pei Farisei, gonfi di propria giustizia, il minore pei pubblicani e pei peccatori. Questo non toglie punto che il figlio minore sia pure il tipo di tutti i peccatori non convertiti, ed il suo ritorno alla casa paterna l'emblema del vero pentimento; anzi di necessità ne viene una tale conclusione. Oosterzee osserva giustamente che «a rigor di termini, entrambi erano figli prodighi: uno rovinato dal peccato che lo avvilisce, l'altro dalla propria giustizia che lo acceca».

PASSI PARALLELI

Matteo 21:23-31#470210230000-470210310000

49015012Lc 15:12

12. E il più giovane di loro disse al padre: Padre, dammi la parte de' beni che mi tocca. E il padre spartì loro i beni.

Dai Luca 15:12-19 abbiamo la prima parte della storia del figliuol prodigo, e la si può dividere in tre,

1. suo peccato;

2. la sua miseria;

3. il suo pentimento.

La legge Giudaica non permetteva ad un padre di disporre del suo patrimonio a capriccio: ne dovea far porzioni uguali, di cui due per il primogenito, ed una per ciascuno degli altri suoi figli Deuteronomio 21:1617#050210160000-050210170000. Niente però nel codice civile degli Ebrei dava ad un figlio il diritto di chieder la sua porzione, mentre viveva tuttora il genitore. In questo caso, il padre, con singolare abnegazione, sacrificò sé stesso per amor di suo figlio (il che rende tanto più vile la condotta di questi), e dividendo i suoi beni a norma di legge, ritenne in poter suo la parte che dovea spettare un giorno al primogenito, dando fin d'allora al più giovane quella che toccava a lui. La sua domanda rivela nel fratello minore egoismo non solo, ma pure mancanza di amore pel padre, impazienza dei ritegni della casa paterna, e smodato amore di indipendenza. In senso spirituale, quella domanda esprime il desiderio dell'uomo carnale di scuotere il giogo di Dio, di divenir Dio a sé stesso, e di disporre della vita sua a proprio piacere e pel proprio conto. Questo è il peccato per eccellenza, da cui vengon tutti gli altri. Come il padre accordò al figlio la sua richiesta, così Iddio abbandona il peccatore ai desiderii del proprio cuore Salmi 81:13; Romani 1:28#230810130000-230810130000#520010280000520010280000, finché egli non sia condotto in sull'orlo della distruzione, avendo già fin dal principio stabilito di ricondurlo a pentimento ed a vita. «Quando il servizio di Dio più non gli pare libertà perfetta, e l'uomo si promette qualcosa di meglio altrove, gli vien concesso di farne la prova, ed una dura sperienza lo convincerà tosto che la sola vera libertà è quella che si trova nel servire a Dio; che l'allontanamento da lui non è un liberarsi da ogni giogo, bensì scambiarne un leggiero per un pesantissimo; lasciare, un dolce Signore per mille tiranni imperiosi» (Trench).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 21:16-17; Salmi 16:5-6; 17:14#050210160000050210170000#230160050000-230160060000#230170140000230170140000

Marco 12:44#480120440000-480120440000

49015013Lc 15:13

13. E, pochi giorni appresso, il figliuol più giovane raccolta ogni cosa, se ne andò in viaggio in paese lontano;

Per quanto sospetta la sua domanda, il padre doveva sperare che egli si stabilisse poco lontano dalla casa paterna, e cominciasse a lavorar per proprio conto, ma presto fu disingannato. Non era sotto gli occhi del padre che poteva viver la vita che sospirava; altra alternativa non gli rimaneva che di convertire in denaro o in gioie la sua parte di beni, e andarsene lontano per poter fare il piacer suo senza tema di interruzioni e di rimproveri, e così ei fece.

e quivi dissipò tutte le sue facoltà, vivendo dissolutamente

L'avverbio dissolutamente, non si trova altrove nel N. T.; ma che significhi nella lussuria, o nella deboscia lo sappiamo non solo dalla definizione datane dal fratello maggiore Luca 15:30#490150300000-490150300000, ma pure dai passi nei quali il nome è usato, Vedi Efesini 5:18; Tito 1:6; 1Pietro 4:4#560050180000-560050180000#630010060000630010060000#670040040000-670040040000. Denaro e salute presto si consumano nella fiamma della lussuria. La completa dissipazione dei suoi beni rappresenta la libertà umana spinta ai suoi limiti più estremi, ed il «paese lontano» ove fuggì è l'emblema dello stato dell'anima che è andata errando sì lungi, che non le si affaccia neppur più il pensiero di Dio. Egli è solo quando uno è o si crede lontano da Dio, che ardisce dar libero corso ai suoi vizii; e per conseguenza quelli che sono decisi a vivere nel peccato allontanano da sé il pensiero di Dio, per non venire interrotti nei loro piaceri.

PASSI PARALLELI

2Cronache 33:1-10; Giobbe 21:13-15; 22:17-18; Salmi 10:4-6; 73:27; Proverbi 27:8#140330010000-140330100000#220210130000220210150000#220220170000-220220180000#230100040000-

230100060000#230730270000-230730270000#240270080000240270080000

Isaia 1:4; 30:11; Geremia 2:5,13,17-19,31; Michea 6:3; Efesini 2:13,17#290010040000-290010040000#290300110000290300110000#300020050000-300020050000#300020130000300020130000#300020170000-300020190000#300020310000300020310000#400060030000-400060030000#560020130000560020130000#560020170000-560020170000

Luca 15:30; 16:1,19; Proverbi 5:8-14; 6:26; 18:9; 21:17,20; 23:19-22; 28:7; 29:3#490150300000-490150300000#490160010000490160010000#490160190000-490160190000#240050080000240050140000#240060260000-240060260000#240180090000240180090000#240210170000-240210170000#240210200000240210200000#240230190000-240230220000#240280070000240280070000#240290030000-240290030000

Ecclesiaste 11:9-10; Isaia 22:13; 56:12; Amos 6:3-7; Romani 13:13-14; 1Pietro 4:3-4#250110090000-250110100000#290220130000290220130000#290560120000-290560120000#370060030000370060070000#520130130000-520130140000#670040030000670040040000

2Pietro 2:13#680020130000-680020130000

49015014Lc 15:14

14. E, dopo che ebbe spesa ogni cosa, una grave carestia venne in quel paese, talché egli cominciò ad aver bisogno.

Dio manda, nella sua provvidenza, la fame in quel lontano paese, appunto quando il figlio prodigo maggiormente ne doveva sentire il rigore, avendo speso ogni soldo che aveva; era questo un primo appello a tornare a casa! Ma il suo orgoglio ancora non è vinto; la sua fiducia nelle proprie risorse non è esaurita. I rimproveri e i terrori della coscienza di rado conducono

subito il peccatore alla porta del perdono; troppo spesso indurano il suo cuore, facendovi nascere amari sentimenti verso Dio, e lo spingono a provare successivamente varii altri modi per ottener sollievo.

PASSI PARALLELI

2Cronache 33:11; Ezechiele 16:27; Osea 2:9-14; Amos 8:912#140330110000-140330110000#330160270000330160270000#350020090000-350020140000#370080090000370080120000

49015015Lc 15:15

15. E andò, e si mise con uno degli abitatori di quella contrada, il quale lo mandò a' suoi campi, a pasturare i porci.

La parola si accostò, si allogò, sembra indicare che l'uomo cui si rivolse non lo voleva ricevere, e solo in seguito alla urgente sua preghiera lo mise al più vile uffizio della, sua casa, quello di porcaro. Anche i Gentili disprezzavano tali persone per il loro impiego. Erodoto ci dice che i soli porcai venivano esclusi dai templi egiziani, e che anche i più vili fra il popolo ricusavano di imparentarsi con loro. Siccome poi la legge mosaica dichiarava i porci immondi, e malediva chiunque si dava ad allevarli, il Signore non poteva presentare ai suoi uditori una caduta più terribile, una degradazione più profonda, che quella del figlio minore di una ricca ed onorata casa israelitica ridotto a custodire i porci per un incirconciso. Or siccome le cose spirituali eccedono di gran lunga quelle carnali, la degradazione del figlio prodigo simboleggia una caduta ben più grande e ben più terribile, quando cioè colui che fu creato ad immagine di Dio, e trattato come suo figlio, è incatenato dalle proprie, passioni e fatto schiavo di Satana. In questo degradante asservimento di un giovane Israelita sotto un Gentile, non possiamo se non vedere, insieme con Godet, un'allusione ai pubblicani giudei al servizio del potere romano.

PASSI PARALLELI

Luca 15:13; Esodo 10:3; 2Cronache 28:22; Isaia 1:5,9,10-13; 57:17; Geremia 5:3; 8:4-6#490150130000-490150130000#020100030000020100030000#140280220000-140280220000#290010050000290010050000#290010090000-290010090000#290010100000290010130000#290570170000-290570170000#300050030000300050030000#300080040000-300080060000

Geremia 31:18-19; 2Timoteo 2:25-26; Apocalisse 2:21-22#300310180000300310190000#620020250000-620020260000#730020210000730020220000

Luca 8:32-34; Ezechiele 16:52,63; Nahum 3:6; Malachia 2:9; Romani 1:2426; 6:22; 1Corinzi 6:9-11#490080320000-490080340000#330160520000330160520000#330160630000-330160630000#410030060000410030060000#460020090000-460020090000#520010240000520010260000#520060220000-520060220000#530060090000530060110000

Efesini 2:2-3; 4:17-19; 5:11-12; Colossesi 3:5-7; Tito 3:3#560020020000560020030000#560040170000-560040190000#560050110000560050120000#580030050000-580030070000#630030030000630030030000

49015016Lc 15:16

16. Ed egli desiderava d'empiersi li corpo delle silique, che i porci mangiavano; ma niuno gliene dava.

silique erano i baccelli del carrubo, Ceretonia siliqua di Linneo, così chiamati perché somiglianti ad un corno, Quest'albero abbonda nell'Europa meridionale e nell'oriente. Divien molto grosso e produce baccelli piatti e sottili lunghi da 15 a 20 centimetri, con una polpa dolcigna, e dei semi che l'uomo non può mangiare. I baccelli stessi vengon talvolta mangiati dai più poveri abitanti della Palestina e della Siria, ma servono generalmente a È

ingrassare i maiali. È pur chiamato l'albero delle locuste, e pane di S. Giovanni, a motivo della tradizione fratesca che Giovanni Battista non viveva veramente di locuste, bensì del frutto di quest'albero. Mandato ai campi o nei boschi dove i porci dovean campar di quel che trovavano, interamente negletto dal suo padrone, che non gli provvedeva nemmanco il cibo più meschino, né trovando alcuno che, avesse un po' più compassione di lui, altra alternativa, non gli restava che di mangiare il cibo dei porci (che poteva bensì attutire, ma non saziare la sua fame), o morir d'inedia. Secondo Oosterzee, indicherebbe che la crudeltà del padrone trattenevalo dal riempiersi il corpo di silique: ma questo non è probabile, poiché egli era nei campi fuori dalla vista di lui. In questo suo vano conato di riempirsi il corpo colle silique, vediamo l'immagine del peccatore che cerca indarno di dissetar l'anima, sua, sciogliendo la briglia ai suoi appetiti carnali. «Niuno glie ne dava». Nessuno dei suoi compagni di prima, che lo avean corteggiato ed eran vissuti a spese sue, al tempo della sua spensieratezza, gli stese una mano soccorritrice in quella dura estremità. Come son vere le parole di Salomone: «Chi va, dietro agli uomini da nulla sarà saziato di povertà». «Non esser dei bevitori di vino, né dei ghiotti mangiatori di carne. Perciocché l'ubriaco ed il ghiotto impoveriranno, e il sonnecchiare farà vestire stracci» Proverbi 38:19; 23:20-21#240380190000240380190000#240230200000-240230210000. Il prodigo è ora rovinato al fondo d'ogni miseria; perisce senza che alcuno ne abbia compassione; è solo nel mondo, e sta per sparirne senza lasciar traccia di sé; vero tipo del peccatore, che raccoglie come conseguenze del peccato la vergogna e la più completa miseria. Ma gli è quando, maggiore il bisogno dell'uomo, che vien per Dio il momento di agire. Ci vollero le carceri di Babilonia per rompere lo spirito altero di Manasse, e condurlo a pentimento 2Cronache 33:1112#140330110000-140330120000, e per molti peccatori occorre la perdita della salute o dei beni terreni per convincerli che «il procedere dei perfidi è duro» Proverbi 13:15#240130150000-240130150000, e che nessuno «si è mai indurato contro a Dio ed è prosperato» Giobbe 9:4#220090040000220090040000.

PASSI PARALLELI

Isaia 44:20; 55:2; Lamentazioni 4:5; Osea 12:1; Romani 6:1921#290440200000-290440200000#290550020000290550020000#310040050000-310040050000#350120010000350120010000#520060190000-520060210000

Salmi 73:22#230730220000-230730220000

Salmi 142:4; Isaia 57:3; Giona 2:2-8#231420040000231420040000#290570030000-290570030000#390020020000390020080000

49015017Lc 15:17

17. ora, ritornato a se medesimo,

Fin qui il Signore ha messo dinanzi ai suoi uditori il peccato e la miseria del figliuol prodigo, ora comincia a descrivere il suo pentimento. L'ora più nera della notte è quella che precede l'aurora. Fu lo stato suo disperato che lo condusse a pensare alla casa che avea abbandonata. «La tua malvagità ti castigherà, e i tuoi sviamenti ti condanneranno, e tu saprai e vedrai che egli è una mala ed amara cosa che tu abbia lasciato il Signore Iddio degli eserciti» Geremia 2:19#300020190000-300020190000. Tutto il tempo che visse dissolutamente, era stato trasportato da una specie di follia che impediva ogni seria riflessione; ora è tornato in sé, come chi è stato inebriato, o svenuto, o insano, o posseduto dal diavolo. «È un tratto distintivo della follia», dice Arnot, «che la sua, vittima non conosce e non confessa la sua insanità, finché quella non sia passata; solo quando è "ritornata a se medesima" scuopre di essere stata fuori di sé». Così fu di questo giovane; il primo suo atto, una volta guarito della sua follia, fu di riflettere, sotto l'influenza di una coscienza risvegliata, sulla sua vita passata, sull'abbandono della casa paterna, sulla susseguente vita d'infamia, e sulla disperata condizione cui quella l'avea ridotto. Questa rivista del passato lo riempì di disgusto e di vero pentimento; per grazia di Dio non era troppo tardi per lui. Il più terribile tormento dei dannati, quello che invero

costituirà il loro stato di tormento sarà di ritornare a, se, medesimi quando l'ora del pentimento sarà passata per sempre.

disse: quanti mercenari di mio padre han del pane largamente, ed io mi muoio di fame:

A misura che costata la fame, la nudità, la vergogna della presente sua posizione, gli torna, per contrasto, in mente la sorte felice di quelli che tengono anche i posti più umili in casa di suo padre; essi non si cibavano di silique come lui; v'era pane a sufficienza per tutti; anzi sarebbe bastato all'occorrenza anche per altri servi. Qual follia era stata la sua di abbandonare una tal casa! E perché morrebbe egli ora d'inedia, mentre c'era anche pei più umili tanta abbondanza in casa di suo padre? Questo suo tornare in sé indica quel salutare convincimento di peccato che è la prima operazione dello Spirito Santo nella conversione del peccatore, e lo conduce all'odiare le sue vie passate al vero pentimento. Finché, questo non sia stato fatto, non si può sperare che ritorni a Dio, mediante la fede nella propiziazione del gran Mediatore.

PASSI PARALLELI

Luca 8:35; 16:23; Salmi 73:20; Ecclesiaste 9:3; Geremia 31:19; Ezechiele 18:28; Atti 2:37; 16:29#490080350000-490080350000#490160230000490160230000#230730200000-230730200000#250090030000250090030000#300310190000-300310190000#330180280000330180280000#510020370000-510020370000#510160290000510160290000

Atti 16:30; 26:11-19; Efesini 2:4-5; 5:14; Tito 3:4-6; Giacomo 1:1618#510160300000-510160300000#510260110000510260190000#560020040000-560020050000#560050140000560050140000#630030040000-630030060000#660010160000660010180000

Luca 15:18-19; Lamentazioni 1:7#490150180000490150190000#310010070000-310010070000

49015018Lc 15:18

18. io mi leverò, e me ne andrà a mio padre, e gli dirò: Padre, io ho peccato contro al cielo, e davanti a te; 19. E non sono più degno d'esser chiamato tuo figliuolo; fammi come uno de' tuoi mercenari. 20. Egli adunque si levò, e venne a suo padre;

In molti casi, oimè! il pentimento non va più in là del rimorso per il passato, e di un indefinito desiderio di vivere un vita migliore, che Satana presto «toglie via», perché non lo si mette subito in pratica. Ma pel figliuol prodigo la cosa prese tutt'altro aspetto; il contrasto fra la propria miseria e l'abbondanza della casa paterna lo condusse ad una pronta risoluzione. Il suo pentimento era genuino, senza tentativo di palliare la mala sua vita. Era pronto a confessare di avere oltraggiato non solo il padre, ma Iddio stesso, colla sua condotta. Il suo orgoglio era vinto; servire uno straniero! perché non cercare un posto consimile nella casa paterna? Era nata in lui la vera umiltà, ed egli sentivasi indegno di riempire anche il posto di un servo; aveva al tempo stesso preso possesso del cuor suo la fede nella compassione di suo padre e nella prontezza ad accordargli la sua domanda. Risolvette dunque di ribatter la strada della casa che avea abbandonata, e senza un momento d'indugio, mette la sua risoluzione in pratica e parte. Non solo parte subito, ma parte qual'era: macilente, nudo, cencioso, affamato! Non indugia (come per ignoranza sono tentati di fare tanti peccatori risvegliati) finché abbia potuto rendersi in qualche modo degno di riprendere in famiglia il suo posto di prima; ma viene dal padre, bisognoso di ogni cosa, affinché dalla pienezza di lui possano venire soddisfatti tutti i suoi bisogni. In breve, il suo pentimento è qui descritto nei suoi tratti caratteristici come una completa rivoluzione in conoscenza, sentimenti, volontà, e susseguente condotta. Nella descrizione dataci in questi versetti della condotta del figliuol prodigo, vediamo i varii stadii in cui si divide la conversione dei peccatori, e sono: il sentimento profondo ed invincibile del peccato in tutte le sue forme, in tutti i suoi pericoli; il vero dolore di averlo commesso; la certezza della misericordia di Dio in Cristo; e la fede che prende possesso di Cristo come di un Salvatore perfetto, e di Dio come un Dio riconciliato in

lui. Gli è questo sapere e comprendere che Dio è disposto a mostrar misericordia, che costituisce la differenza fra il rimorso di Giuda ed il pentimento a vita di Pietro. Per qual segreto e soprannaturale potenza sul cuore venga operato questo cambiamento nelle vedute e nei sentimenti del peccatore, questa parabola non lo dice, né potrebbe dirlo senza un'incongrua e confusa mistura della similitudine e della cosa figurata, della storia esterna e della realtà nascosta sotto di essa, ma noi lo sappiamo da 1Corinzi 15:10; Filippesi 2:13#530150100000-530150100000#570020130000570020130000. Lo scopo principale della parabola è di presentarci l'accoglienza affettuosa nella casa paterna del più grande dei peccatori.

49015020Lc 15:20

ed essendo egli ancora lontano, suo padre lo vide, e n'ebbe pietà; e corse, e gli si gittò al collo, e io baciò.

I versetti 20-24 ricordano la gioia e, la bontà con cui il povero prodigo fu ricevuto dal suo padre, il quale non solo lo aspettava ansiosamente, ma stava spiando il suo ritorno. Egli era ancora lontano quando l'occhio del padre lo scorse e lo riconobbe. La compassione, la gratitudine, la, gioia erano troppo potenti in quel cuore di padre, perché aspettasse l'arrivo, le preghiere, le confessioni del figlio; affinché non rimanesse indietro per timore, corre ad incontrarlo, e col caldo suo abbraccio gli dà piena certezza di completo perdono, prima ancora che egli abbia pronunziato una sola parola. Nelle parole di Cristo si versa il cuore di Dio! Con quale esattezza questo quadro corrisponde con quello che Dio stesso ha detto di Efraim penitente! Geremia 31:20#300310200000-300310200000. Dice Godet: «Dio ode il più debole sospiro verso il bene, che sfugge al cuore dell'errante; e se questi fa un passo verso di lui, Dio ne fa dieci per incontrarlo, per mostrargli qualche cosa del suo amore». In tal guisa, Dio si avvicinava mediante il suo Figliuolo Gesù Cristo, ai pubblicani lì presenti. Questi pegni di profonda affezione paterna rivelano la verità che Dio, il quale discerne le più intime emozioni del cuore del peccatore verso il pentimento, le incorona e le benedice, svegliandovi il sentimento e la coscienza della sua grazia e del suo buon volere; cosicché il

peccatore possiede una esperienza benedetta della affezione di suo Padre, e da quella vien confermato nella sua fede e nella sua speranza.

PASSI PARALLELI

1Re 20:30-31; 2Re 7:3-4; 2Cronache 33:12-13,19; Salmi 32:5; 116:37#110200300000-110200310000#120070030000120070040000#140330120000-140330130000#140330190000140330190000#230320050000-230320050000#231160030000231160070000

Geremia 31:6-9; 50:4-5; Lamentazioni 3:18-22,29,40; Osea 2:6-7; 14:1-3; Giona 2:4; 3:9#300310060000-300310090000#300500040000300500050000#310030180000-310030220000#310030290000310030290000#310030400000-310030400000#350020060000350020070000#350140010000-350140030000#390020040000390020040000#390030090000-390030090000

Luca 11:2; Isaia 63:16; Geremia 3:19; 31:20; Matteo 6:9,14; 7:11#490110020000-490110020000#290630160000290630160000#300030190000-300030190000#300310200000300310200000#470060090000-470060090000#470060140000470060140000#470070110000-470070110000

Luca 18:13; Levitico 26:40-41; 1Re 8:47-48; Giobbe 33:27-28; 36:8-10; Salmi 25:11#490180130000-490180130000#030260400000030260410000#110080470000-110080480000#220330270000220330280000#220360080000-220360100000#230250110000230250110000

Salmi 32:3-5; 51:3-5; Proverbi 23:13; Matteo 3:6; 1Giovanni 1:810#230320030000-230320050000#230510030000230510050000#240230130000-240230130000#470030060000470030060000#690010080000-690010100000

Luca 15:21; Daniele 4:26#490150210000-490150210000#340040260000340040260000

Luca 5:8; 7:6-7; Genesi 32:10; Giobbe 42:6; 1Corinzi 15:9; 1Timoteo 1:1316#490050080000-490050080000#490070060000490070070000#010320100000-010320100000#220420060000220420060000#530150090000-530150090000#610010130000610010160000

Giosuè 9:24-25; Salmi 84:10; Matteo 15:26-27; Giacomo 4:8-10; 1Pietro 5:6#060010010000-060010250000#230840100000230840100000#470150260000-470150270000#660040080000660040100000#670050060000-670050060000

Deuteronomio 30:2-4; Giobbe 33:27-28; Salmi 86:5,15; 103:10-13; Isaia 49:15; 55:6-9#050300020000-050300040000#220330270000220330280000#230860050000-230860050000#230860150000230860150000#231030100000-231030130000#290490150000290490150000#290550060000-290550090000

Isaia 57:18; Geremia 31:20; Ezechiele 16:6-8; Osea 11:8; Michea 7:18-19; Atti 2:39#290570180000-290570180000#300310200000300310200000#330160060000-330160080000#350110080000350110080000#400070180000-400070190000#510020390000510020390000

Efesini 2:13,17#560020130000-560020130000#560020170000560020170000

Genesi 33:4; 45:14; 46:29; Atti 20:37#010330040000010330040000#010450140000-010450140000#010460290000010460290000#510200370000-510200370000

49015021Lc 15:21

21. E il figliuolo gli disse: Padre, io ho peccato contro al cielo, e davanti a te, e non sono più degno d'esser chiamato tuo figliuolo.

Benché già conscio del perdono paterno, il figliuolo non si ristà dal confessare il suo peccato; anzi lo riconosce tanto più volentieri che più si sente amato. Di quel peccato il Padre non avea detto verbo; ma egli lo vuol confessare, come ora lo vede, in tutta la sua laidezza, dinanzi a Dio e dinanzi a suo padre. Più il peccatore prova e gusta l'amor di Dio, più gli duole di averlo offeso Ezechiele 36:25-31#330360250000-330360310000. Nella sua confessione, il figliuol prodigo segue esattamente il piano che si era fissato quando avea deciso di alzarsi e di andar da lui, eccetto in un punto solo. Non dice nulla del suo desiderio di venire impiegato come mercenario, benché in alcuni MSS. questo sia stato copiato dal ver. 19, i copiati non comprendendo evidentemente il bel significato dell'omissione. Qual ne può esser la causa? Dobbiamo cercarla nella esuberante tenerezza del padre, che lo interruppe nel modo più benigno, non lasciando tempo al figlio di dir tutto ciò che voleva dire. Altri però la trovano nel fatto che lo spirito di servitù, che era nel suo cuore quando si risolse a far quella domanda, ne era stato bandito dalla esperienza dell'amore paterno, ed avea dato luogo allo spirito di adozione, sicché egli più non poté finire il discorso che avea cominciato. «La compiuta carità caccia fuori la paura!» Egli non poteva più chiedere il posto di un servo, perché, reclinando sul seno del padre, egli già occupava quello di un figlio.

PASSI PARALLELI

Luca 15:18-19; Geremia 3:13; Ezechiele 16:63; Romani 2:4#490150180000-490150190000#300030130000300030130000#330160630000-330160630000#520020040000520020040000

Salmi 51:4; 143:2; 1Corinzi 8:12#230510040000230510040000#231430020000-231430020000#530080120000530080120000

49015022Lc 15:22

22. Ma il padre disse a' suoi servitori:

Questa parabola ha tre parole per dinotare i servi: misthioi ver. 17, servi presi e pagati a giornata Matteo 20:1#470200010000-470200010000 ecc., fra i quali il figliuol prodigo voleva essere annoverato; douloi, ver. 22, schiavi domestici che dimoravano nella casa per un tempo più o meno lungo; e paides, vers. 26, che erano forse impiegati nelle stalle, in sull'aia ecc. La menzione indiretta di queste varie specie di servi indica la ricchezza di quel padre.

portate quà la più bella vesta, e vestitelo, e mettetegli un anello in dito, e delle scarpe ne' piedi. 23. E menate fuori il vitello ingrassato, e ammazzatelo; e mangiamo, e rallegriamoci;

La profonda ed esuberante gioia del padre, presto si converte in atti; i servi son chiamati, al prodigo si toglie ogni vestigio della passata sua degradazione, egli indossa vesti ed onori conformi al rango di figlio di un ricco proprietario (letteralmente la prima veste, non vuol dire, come credono taluni, quella che egli portava prima di abbandonare la casa paterna, né il posto che essa occupava nel guardaroba, ma, come è chiaro dal testo, la più bella, la più preziosa di quelle che eran tenute in serbo per gli ospiti, vedi Note Matteo 6:19Matteo 6:19; Matteo 22:11Matteo 22:11). Sin dai primi tempi, le persone di rango usavano anche in Palestina degli anelli, come lo si vede nel caso di Giuda, Genesi 38:18; ma in quelli di Giuseppe, di Jezebel, di Aman, e di Mardocheo, l'anello o sigillo reale, loro affidato, era un emblema di autorità Genesi 41:42; 1Re 21:8; Ester 3:10; 8:2#010410420000-010410420000#110210080000110210080000#190030100000-190030100000#190080020000190080020000. L'anello posto in dito al figliuol prodigo può esser stato simbolo non solo della restituzione del suo rango, ma pure dell'autorità che egli dovea ricominciare ad avere in casa insieme al padre ed al fratello maggiore. Le scarpe non erano portate dai servi o dagli schiavi, il riceverne era dunque una nuova prova che egli ritornava ad occupare la sua posizione di prima. L'articolo prima del vitello ingrassato indica, non già che non ci

fosse che quello nella stalla, ma che quello lo si ingrassava specialmente per qualche sacrifizio o qualche festa. Quasi tutti i commentatori antichi e moderni dànno un significato spirituale a ciascuno di questi doni conferiti al figliuol prodigo. La veste rappresenterebbe la giustizia di Cristo, di cui deve esser coperto il peccatore per ottenere il suo perdono da Dio. Qui la dottrina è senza dubbio ortodossa, ma la interpretazione è erronea, perché, in quanto al tempo, il peccatore deve già esser vestito di quella giustizia prima di avventurarsi alla presenza di Dio; ed è precisamente, perché egli è rivestito di quella giustizia per fede, che il Padre lo riceve amorevolmente. Se deve darsi alle vesti un senso spirituale, dovrebb'esser piuttosto quello della santificazione, il rivestire per parte dell'anima perdonata e accettata da Dio, delle varie grazie della vita divina, i frutti dello Spirito, i quali essi pure vengono paragonati a dei vestimenti Romani 13:12; Efesini 4:24; Colossesi 3:10#520130120000-520130120000#560040240000560040240000#580030100000-580030100000. In tal caso troviamo un passo parallelo in Zaccaria 3:1-5#450030010000-450030050000. L'anello secondo questa interpretazione spirituale significa il suggello dello Spirito, e le scarpe sono una indicazione che il perdonato peccatore cammina in novità di vita; mentre l'ammazzare il vitello ingrassato, Origene, Girolamo ed Agostino (contradicendo in modo strano le summentovate spiegazioni), lo ritengono come un simbolo del sacrifizio di Cristo! Tali interpretazioni sono ingegnosissime, ma a parer nostro, non sono conformi alla mente di Cristo. Nessun significato simbolico dev'essere assegnato a ciascuno di questi articoli di vestiario o di ornamento: sono semplici accessorii del racconto, destinati a dare una più viva impressione del completo ristabilimento del figliuol prodigo nella sua posizione primiera, e della attività esuberante della gioia del padre. L'espressione della